120 51 130MB
Italian Pages [833]
Andrea Giardina Giovanni Sabbatucci Vittorio Vidotto
PROFILI STORICI XXI SECOLO CON PERCORSI DI DOCUMENTI E DI CRITICA STORICA Dal 1650 al 1900
2
con Compiti di realtà
Editori Laterza
© 2018, Gius. Laterza & Figli, Bari-Roma Prima edizione 2018
L’Editore è a disposizione di tutti gli eventuali proprietari di diritti sulle immagini riprodotte, nel caso non si fosse riusciti a reperirli per chiedere debita autorizzazione.
Metodo di studio, Palestra Invalsi, Sviluppare le competenze, Leggere una fonte iconografica, Piste di lavoro e Compito di Storia: Elena Musci. Eventi e Personaggi: Emma Ansovini, Francesco Buscemi, Costanza Calabretta, Alessio Gagliardi, Ilenia Rossini, Monica Turi. Laboratorio di cittadinanza: Francesco Buscemi, Francesco Calzolaio, Ilenia Rossini; Maria Angela Binetti (didattica). Arte e territorio: Francesco Buscemi; Maria Angela Binetti (Piste di lavoro). Fare Storia: Costanza Calabretta (Unità 1 e 5), Ilenia Rossini (Unità 2 e 6), Matteo Stefanori (Unità 3 e 4). Storia e Ambiente: Francesco Buscemi, Costanza Calabretta, Ilenia Rossini; Maria Angela Binetti (Laboratorio di educazione ambientale). Iconografia: Linda Fiorentino.
Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail: [email protected], sito web: www.clearedi.org.
Copertina e progetto grafico a cura di Silvia Placidi/Grafica Punto Print srl. Questo libro è stampato su carta amica delle foreste. Finito di stampare nel febbraio 2018 da SEDIT - Bari (Italy) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 978-88-421-1601-1 Editori Laterza Piazza Umberto I, 54 70121 Bari e-mail: [email protected] http://www.laterza.it
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INDICE DEL VOLUME
UNITÀ 1 L’EUROPA DEL ’700: SOCIETÀ, POTERI, CULTURA
CHIAVI DI LETTURA
CAP1 LA SOCIETÀ DI ANCIEN RÉGIME 1 2 3 4 5 6
Parole della storia
4 7 9 12 15 17 17
Ceto/classe
7 Il problema della povertà ARTE E TERRITORIO
La realtà contadina negli sguardi d’artista nel ’700
19 21
SINTESI
►SVILUPPARE LE COMPETENZE
1 L’assolutismo in Francia 2 I limiti dell’egemonia francese 3 La rivoluzione del 1688-89 in Inghilterra Parole della storia
Monarchia costituzionale
4 Verso il governo parlamentare in Gran Bretagna 5 Le ragioni delle guerre 6 L’ascesa della Prussia 7 La Russia da Pietro il Grande a Caterina II PERSONAGGI Caterina
II. La vita e gli amori di una sovrana riformatrice
48 48 52 55 57 58 60 65 67 68
22
70
23
SINTESI
73
74
►SVILUPPARE LE COMPETENZE
XTR
26 26
3 Scienze applicate e strumenti di precisione 4 Scienza e fede. Il dibattito sulla tolleranza
31
27 30
processo a Galilei
Parole della storia
32 34
Tolleranza
5 La riflessione politica 6 Cultura e Istruzione
LABORATORIO DI CITTADINANZA
Che cosa sono i diritti naturali?
35 37 40
SINTESI
45
46
►SVILUPPARE LE COMPETENZE E
O
N
A
XTR
LI N
Eventi La battaglia di Rossbach • Il Libro N. Elias, La società di corte • Storia, società, cittadinanza L’ideale repubblicano • Il diritto L I N internazionale • Storia e Geografia Il Baltico • Storia e Cinema Barry Lyndon di S. Kubrik • Atlante L’Europa del ’700 • Lezioni attive Parlamentarismo e assolutismo a confronto • Test interattivi • Audiosintesi E
N
1 La rivoluzione scientifica 2 Il metodo sperimentale EVENTI Il
XTR
A
O
CAP2 LE NUOVE SCIENZE
E
O
E
A
E
2
8 I risultati di cento anni di guerre
Storia, società, cittadinanza Controllo, punizione, rieducazione • Focus Il secolo della vita • I progressi della medicina: la vaccinazione N I N • Laboratorio dello storico La storia moderna e le sue fonti • L Atlante L’economia europea alla metà del ’700 • Audiosintesi
E
CAP3 GLI STATI E LE GUERRE DEL ’700
4
La “rivoluzione” demografica Famiglia, matrimonio e figli Il mondo delle campagne: feudalità e rivolte La rivoluzione agricola e le nuove colture L’industria rurale e l’economia industriosa Gerarchie sociali e potere politico
GLI EVENTI
Focus Vedere da vicino: microscopio e cannocchiale • Le società letterarie e scientifiche in Italia • Audiosintesi
CAP4 ILLUMINISMO E RIFORME
78
1 I caratteri dell’Illuminismo 2 L’Illuminismo francese e i philosophes Opinione pubblica e la battaglia contro l’oscurantismo
Parole della storia
PERSONAGGI Voltaire
3 Le nuove scienze e la nascita dell’economia politica 4 L’Illuminismo in europa 5 Il riformismo dei sovrani illuminati 6 La nuova amministrazione statale 7 Le riforme nell’Impero asburgico 8 Le riforme in Prussia e Russia
82 86 89 93 95 96 98
III
INDICE DEL VOLUME
78 80 80
9 Le riforme in Italia
100
SINTESI
103
►
SVILUPPARE LE COMPETENZE
104
XTR
O
E
E
A
Storia, società, cittadinanza La libertà di stampa • Focus L’Italia del Grand Tour • Libero mercato e benessere sociale: Adam Smith • N I N Atlante Politica e circolazione dei saperi nell’Illuminismo • Lezioni L attive Illuminismo e illuministi • Test interattivi • Audiosintesi
FARESTORIA
108
Agricoltura, industria e nuovi consumi 1 E. Le Roy Ladurie, Cattivi raccolti e carestie 2 R. Sarti, Le nuove colture 3 S. Ciriacono, Il caso inglese 4 P. Malanima, Il funzionamento dell’industria a domicilio 5 J. de Vries, La rivoluzione industriosa 6 G.P. Romagnani, I nuovi consumi
108
115
►PISTE DI LAVORO
Gerarchie sociali e marginalità 7 G. Ricuperati • F. Ieva, La nobiltà europea: un ceto eterogeneo 8 J. Dewald, Le trasformazioni della nobiltà 9 W. Rösener, I contadini fra est e ovest dell’Europa 10 d Diritti del signore feudale 11 W. Doyle, La borghesia Thomas Gainsborough, Mr e Mrs Andrews, 1750 ca.
108 109 110 111 113 114
115 116 117 118 119 119
FONTE ICONOGRAFICA 1
120
12 d La fondazione dell’hôpital général 13 M. Foucault, La grande reclusione
121
123
►PISTE DI LAVORO
Condizione femminile e infanzia 14 A. Bellavitis, Il lavoro delle donne 15 M.E. Wiesner, Le donne, fra corti e salotti 16 D. Godineau, Il matrimonio 17 D. Lombardi, Ruolo materno e immagine della donna 18 H. Cunningham, Una nuova idea dell’infanzia Jean-Baptiste Greuze, La fidanzata di paese, 1761
122
124 124 125 126 128 129
FONTE ICONOGRAFICA 2
IV
►PISTE DI LAVORO
INDICE DEL VOLUME
130 131
Monarchie a confronto 19 d Luigi XIV, I Mémoires 20 G. Ruocco, Il potere di Luigi XIV 21 W. Reinhard, Il mito del monarca 22 d La “gloriosa rivoluzione” 23 G. Garavaglia, La monarchia costituzionale inglese
131
137
131 132 134 135 136
►PISTE DI LAVORO
Verso una nuova scienza 24 T. Kuhn, Che cos’è una rivoluzione scientifica 25 d Isaac Newton, Esperienza e metodo induttivo 26 S. Shapin, Matematica e filosofia della natura 27 d Cartesio, Una critica all’educazione tradizionale 28 P. Rossi, Un sapere pubblico 29 E. Festa, L’invenzione del cannocchiale 30 d Galileo Galilei, I due piani distinti della scienza e della religione
138
145
138 139 140 140 142 143 144
►PISTE DI LAVORO
Idee e conquiste dell’illuminismo 31 d Immanuel Kant, Una definizione dell’Illuminismo 32 T. Todorov, Il progetto illuminista 33 V. Ferrone, I diritti dell’uomo 34 P. Delpiano, Contro la censura 35 d Voltaire, La tolleranza religiosa 36 d Cesare Beccaria • Pietro Leopoldo di Toscana, Le riforme della giustizia 37 A. Trampus, Il diritto alla felicità 38 R. Chartier, Una rivoluzione della lettura 39 L. Hunt, Romanzi ed empatia 40 d Montesquieu, Luigi XIV visto dal persiano Rica 41 D. Outram, Illuminismo e monarchia 42 d Jean-Jacques Rousseau, Patto sociale, sovranità e governo
146
160
►PISTE DI LAVORO ►COMPITO DI STORIA
STORIAeAMBIENTE
La campagna in età moderna
146 147 149 150 151 152 153 154 156 157 158 159
161 162
La varietà del paesaggio agrario e l’uomo, 162 Sfide e protagonisti dell’innovazione agricola nel ’700, 162 Riforme politiche per una rivoluzione agraria, 165
UNITÀ 2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
CHIAVI DI LETTURA
CAP5 IMPERI E REGNI IN ASIA E IN AFRICA
170
1 Civiltà a confronto 2 Il declino dell’Impero ottomano e la parabola safavide
170 173
EVENTI L’assedio
di Vienna e la fine dell’espansionismo ottomano
176
3 L’India dell’Impero Moghul 4 La Cina dei Qing Parole della storia
178 180 181 182
Confucianesimo Ricci, un gesuita in Cina
PERSONAGGI Matteo
5 Il Giappone dei Tokugawa: centralizzazione e isolazionismo 6 Civiltà e commerci dell’Africa
184
SINTESI
189
190
186
XTR
O
N
E
A
E
►SVILUPPARE LE COMPETENZE
LI N
Storia, società, cittadinanza Incontri e scontri fra civiltà • Laboratorio dello storico Come fare storia dell’Africa • Atlante L’economia europea alla metà del ’700 • Test interattivi • Audiosintesi
CAP6 L’ESPANSIONE COLONIALE EUROPEA NEL ’700
193
1 Commerci e colonie europee in Asia e America 2 Lo Stato cristiano-sociale dei gesuiti 3 La tratta degli schiavi e il commercio triangolare atlantico 4 L’egemonia britannica e la conquista dell’Australia
Parole della storia
206 207
LABORATORIO DI CITTADINANZA
209
ARTE E TERRITORIO
212
La tutela della biodiversità
Scambi artistici: l’altra faccia del colonialismo europeo
SINTESI
►
SVILUPPARE LE COMPETENZE
XTR
Il Libro A.W. Crosby, Imperialismo ecologico • Storia e Geografia Il viaggio degli schiavi • Storia e Cinema Mission di Joffé • Focus L I N Prodotti e mode “coloniali”: caffè e tè • Atlante L’economia europea alla metà del ’700 • Test interattivi • Audiosintesi E
O
N
A
E
Il commercio degli schiavi: la tratta atlantica e la rivoluzione commerciale 43 L.A. Lindsay, Perché gli africani vendevano gli schiavi? 44 d Uno schiavo racconta 45 W. Reinhard, La logistica del commercio degli schiavi 46 K. Polanyi, Il Dahomey e la tratta degli schiavi 47 H.S. Klein, I vantaggi economici della tratta atlantica e la lotta per l’abolizionismo FONTE ICONOGRAFICA 3
►
a Gorea, 1796
214 215
219 219 220 221 223 224
Mercanti di schiavi
225
PISTE DI LAVORO
226
La Cina e l’Europa: scienza e tecnica a confronto 48 d Gottfried W. Leibniz, L’antica scienza dei cinesi: l’artimetica binaria 49 d Matteo Ricci, Delle arti meccaniche e delle scienze di questa terra 50 K. Pomeranz, Europa e Cina: sviluppo tecnologico alla vigilia della rivoluzione industriale 51 J. Osterhammel, L’industria della seta 52 D.S. Landes, I cinesi e l’orologio 53 F.C. Hsia, I Gesuiti nella Cina imperiale e la diffusione della scienza europea
226 226 227
228 229 230 231
►
PISTE DI LAVORO
Il Mediterraneo e l’incontro con la civiltà ottomana 54 J. Goodwin, L’autogoverno del Millet e il sincretismo religioso 55 S. Faroqhi, L’Impero ottomano e l’Europa: commerci e confronti culturali 56 d Mary Wortley Montagu, Le donne ottomane 57 F. Cardini, Caffè, tulipani e Wunderkammern 58 J. Stoye, 12 Settembre 1683: Vienna è salva 59 A. Wheatcroft, Dalla guerra all’alleanza: gli sviluppi del confronto tra turchi e austriaci
204
Selvaggio
219
196
202
5 Conquiste e ambiente 6 Gli Europei allo specchio: il confronto culturale
FARESTORIA
193
201
e l’esplorazione dell’emisfero australe
168
198
PERSONAGGI Cook
GLI EVENTI
233
►PISTE DI LAVORO ►COMPITO DI STORIA
233 234 235 236 237 238 239 240 241
STORIAeAMBIENTE
242
L’imperialismo ecologico: piante, animali e malattie
Il “debito ecologico”, 242 Lo scambio ineguale, 242 L’estinzione di piante e animali e la deforestazione, 244 Monocoltura e impoverimento dei suoli, 245 Imperialismo ecologico ed ecologismo. Gli effetti positivi, 246 Imperialismo ecologico ed eco-imperialismo oggi, 247
V
INDICE DEL VOLUME
UNITÀ 3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
1 Le colonie britanniche nell’America del Nord
250
Il Libro G. Lefebvre, La grande paura del 1789 • Storia e Geografia Le rivoluzioni atlantiche • Focus Un nuovo protagonista: il Terzo stato • Il controllo rivoluzionario dell’economia: caroviveri e calmieri • La Rivoluzione e l’arte • Laboratorio dello storico Le immagini come fonti e l’iconografia rivoluzionaria • Atlante L’Europa sotto la dominazione francese • Lezioni attive Diritti e rivoluzioni. Gli Stati Uniti d’America e la Repubblica francese • Test interattivi • Audiosintesi
254
E
N
EVENTI I
2 Una rivoluzione per l’indipendenza
XTR
252
Padri Pellegrini e la fondazione della Nuova Inghilterra
GLI EVENTI
A
252
O
CAP7 LA NASCITA DEGLI STATI UNITI
E
CHIAVI DI LETTURA
LI N
256
PERSONAGGI Thomas
Jefferson e la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti
258
3 La guerra civile e gli ideali repubblicani 4 La Costituzione e la democrazia americane Parole della storia
261
Costituzione
263
SINTESI
265
266
►SVILUPPARE LE COMPETENZE
XTR
O
E
308
1 Il consolato e la costruzione dello Stato napoleonico
l’uomo del secolo Parole della storia Codice
308 310 312
2 Napoleone imperatore dei francesi EVENTI Austerlitz:
313 316
3 Napoleone e l’Europa 4 Il crollo dell’Impero 5 La Rivoluzione francese e Napoleone
318
PERSONAGGI Napoleone,
A
Storia, società, cittadinanza Le dichiarazioni dei diritti • Storia e Geografia Le rivoluzioni atlantiche • Lezioni attive Diritti e rivoluN I N zioni. Gli Stati Uniti d’America e la Repubblica francese • Test inteL rattivi • Audiosintesi
E
CAP9 NAPOLEONE
260
la battaglia dei tre imperatori
LABORATORIO DI CITTADINANZA
325
►
XTR
N
E
269 271
328
SVILUPPARE LE COMPETENZE
A
Rivoluzione popolo irrompe sulla scena: la presa della Bastiglia Parole della storia
324
SINTESI
O
1 La crisi finanziaria e gli Stati generali 2 L’avvio della Rivoluzione e la fine dell’ancien régime
269
E
CAP8 LA RIVOLUZIONE FRANCESE
Lo Stato accentrato
321
LI N
329
Storia e Letteratura Guerra e pace di Tolstoj • Focus L’École Poly‑ technique • Atlante L’Europa sotto la dominazione francese • Audiosintesi
273
EVENTI Il
un rivoluzionario al potere
6 7 8 9 10
La dittatura giacobina Continuità e difesa dei risultati rivoluzionari Nuova politica e mentalità rivoluzionaria L’espansione rivoluzionaria La conquista dell’Italia e le Repubbliche giacobine 11 Il colpo di Stato e la svolta autoritaria di Bonaparte 12 Il mito e l’eredità della rivoluzione ARTE E TERRITORIO
282 286 287 289 291 292 294
Divisione del lavoro
342 343 344
SINTESI
348
349
►SVILUPPARE LE COMPETENZE
300
XTR
N
Focus Invenzioni e brevetti • Industria tessile e filatura meccanica • La tecnologia siderurgica • Il lavoro minorile • La locomotiva a vapore • L I N Arte e industria • Atlante L’Europa industriale • Lezioni attive Innovazioni industriali e di organizzazione del lavoro • Test interattivi • Audiosintesi A
304
VI
339
Watt e la macchina a vapore
336 338
298
302
INDICE DEL VOLUME
4 Cotone e ferro 5 La nascita della fabbrica e la condizione dei lavoratori 6 L’industrializzazione dell’Europa continentale e lo sviluppo delle ferrovie
PERSONAGGI James
333
297
►
332
Parole della storia
SINTESI SVILUPPARE LE COMPETENZE
332
1 I caratteri della rivoluzione industriale 2 Perché in Gran Bretagna? 3 Innovazioni e sviluppo tecnologico
O
Salon e musei: la Rivoluzione in mostra
279
E
PERSONAGGI Robespierre,
CAP10 LA PRIMA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
278
E
3 Le quattro fasi della Rivoluzione 4 La rivoluzione liberale 5 La rivoluzione popolare e democratica
274
351
Jean-Baptiste Regnault, La libertà o la morte, 1795 ca.
351 351 353 353 354 355 356
FONTE ICONOGRAFICA 4
358
66 A. Trampus, I rivoluzionari e la felicità pubblica 358 67 F. Furet, Il club dei giacobini 359 68 d Maximilien Robespierre, Democrazia, Virtù e Terrore 360 69 J. Israel, Il Terrore 361
►PISTE DI LAVORO
Uomini e donne nelle rivoluzioni 70 A. Testi, Una nuova società americana? 71 G. Abbattista, La rivoluzione e i suoi limiti: gli esclusi 72 L. Hunt. La politicizzazione della vita quotidiana Anonimo, Réunion des trois ordres (Riunione dei tre ordini), 1789
362
Anonimo, “A Versailles!”, 5 octobre 1789
►PISTE DI LAVORO ►COMPITO DI STORIA
CHIAVI DI LETTURA
396
402 403 405
GLI EVENTI
Parole della storia
377 378 380 380 381 382
384 384 385 386 387 388 390 391 391 392 393
394
406 409 409
Socialismo/Comunismo
8 La questione operaia
411
LABORATORIO DI CITTADINANZA
I diritti e le associazioni dei lavoratori
413
SINTESI
416
417
►SVILUPPARE LE COMPETENZE
XTR
N
A
3 Nazione e nazionalismi 4 Il pensiero liberale e il pensiero democratico 5 Il cattolicesimo liberale e il cattolicesimo sociale
398 400
376
6 Il socialismo 7 Marx ed Engels
O
396
375
383
367
374
►
370
367
373
PISTE DI LAVORO
365
1 Stato moderno e istituzioni politiche 2 Il Romanticismo
Gordon Byron, eroe romantico
La rivoluzione oltre i confini nazionali 78 C.A. Bayly, Le rivoluzioni e il mondo 79 G. Abbattista, L’esempio della rivolta americana 80 L. Mascilli Migliorini, Napoleone alla conquista dell’Egitto 81 d L’incontro tra francesi ed egiziani 82 V. Criscuolo, Napoleone e l’idea d’Europa 83 d Napoleone Bonaparte, I proclami di Austerlitz 84 d Matrimonio e divorzio nel codice civile 85 A. De Francesco, L’illusione dell’unità italiana 86 A. Pillepich, L’eredità della dominazione napoleonica in Italia
369
364
UNITÀ 4 NAZIONE E LIBERTÀ
PERSONAGGI George
373
372
►PISTE DI LAVORO
368
363
FONTE ICONOGRAFICA 6
CAP11 I SISTEMI POLITICI E LE IDEOLOGIE NELL’800
La nascita dell’industria moderna in Gran Bretagna e le sue conseguenze 87 J. Mokyr, Una rivoluzione tecnologica 88 P.K. O’Brien, Perché l’Inghilterra? 89 D.S. Landes, Il mercato inglese 90 R.C. Allen, L’industria del cotone 91 J. Mokyr, La nascita della fabbrica moderna 92 P. Hudson, Dalla campagna alla città 93 S. Mosley, Manchester: la prima città industriale 94 C.M. Cipolla, La fine del mondo che fu
363
FONTE ICONOGRAFICA 5
73 H. Burstin, Il “rivoluzionario” 74 d François-Auguste Chateaubriand, Una seduta dell’Assemblea nazionale 75 E.J. Mannucci, Le donne soldato
371
E
Stati Uniti e Francia: nuove idee e nuovi modi di fare politica 60 L. Hunt, Le Dichiarazioni del 1776 e del 1789 61 d La Dichiarazione dI indipendenza americana 62 d I primi dieci emendamenti alla Costituzione degli Stati Uniti 63 G.S. Wood, L’idea di uguaglianza 64 P. Gueniffey, L’invenzione del voto moderno 65 d Diritti e doveri a confronto: le Dichiarazioni del 1789 e del 1793
76 d Olympe de Gouges, La dichiarazione dei diritti delle donne 77 M. Ozouf, La religione rivoluzionaria
E
FARESTORIA
LI N
Focus L’École Polytechnique • Povertà e controllo sociale • Audiosintesi
VII
INDICE DEL VOLUME
1 La Restaurazione e la nuova carta d’Europa 2 Il ritorno all’ordine e i limiti della Restaurazione 3 Aristocrazia e borghesia nell’Europa restaurata 4 I moti rivoluzionari del 1820-21 5 L’indipendenza della Grecia 6 I moti rivoluzionari del 1830-31 7 L’Europa tra liberalismo e autoritarismo Parole della storia
421 424 426 427 430 431 433 435
Liberismo/protezionismo
I diritti di cittadinanza
438
Bolívar, el Libertador
e la democrazia americana
4 L’espansione degli Stati Uniti a ovest e a sud Parole della storia
Frontiera
SINTESI
►
SVILUPPARE LE COMPETENZE
O
E
A
XTR
LI N
VIII
1 L’Italia e la questione nazionale 2 I moti del 1820-21 e del 1831
INDICE DEL VOLUME
491 493
►
N
Storia e Letteratura Le confessioni d’un italiano di Nievo • Focus Letteratura e Risorgimento • Il melodramma • Laboratorio dello storico Epistolari, memorie, diari • Atlante I moti insurrezionali in Europa • Lezioni attive Immaginare la nazione italiana. Il Risorgimento • Test interattivi • Audiosintesi
LI N
CAP15 L’UNITÀ D’ITALIA
499 500
2 La sconfitta dei repubblicani 3 L’alleanza franco-piemontese e la seconda guerra di indipendenza 4 I Mille e la conquista del Mezzogiorno
502
l’artefice dell’Unità
Plebiscito PERSONAGGI Giuseppe Garibaldi, il campione della nazione italiana
455
456 458 461 462
499
1 Il Piemonte liberale del conte di Cavour
Parole della storia
455
494
XTR
PERSONAGGI Cavour,
504 506 507 510
5 L’Unità d’Italia: caratteri e limiti
511
SINTESI
513
►
SVILUPPARE LE COMPETENZE
514
XTR
Storia e Letteratura Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa • Focus Chi erano i Mille • Atlante Società ed economia nell’Italia unita • N I N Lezioni attive Fare l’Italia: il processo di unificazione e la nascita del L Regno • Test interattivi • Audiosintesi
463 464 467 467
Storia, società, cittadinanza La tutela delle minoranze etniche • Focus La conquista del West • Audiosintesi
CAP14 IL RISORGIMENTO ITALIANO
489
A
PERSONAGGI Tocqueville
487
SVILUPPARE LE COMPETENZE
O
3 Dinamismo economico e democrazia negli Stati Uniti
484
E
PERSONAGGI Simón
482
SINTESI
E
O
1 Le Americhe tra indipendenza e sviluppo 2 L’indipendenza dell’America Latina
E
Il federalismo ieri e oggi
E
E
A
Storia, società, cittadinanza Patria e nazione • Storia e Geografia Confini politici e confini etnico-linguistici • Focus La CarboneL I N ria • Intellettuali e rivoluzioni • Le Corn Laws • Le barricate • Atlante I moti insurrezionali in Europa • Lezioni attive La Restaurazione. Politica, miti e spirito del tempo • Test interattivi • Audiosintesi
CAP13 LE RIVOLUZIONI LATINO-AMERICANE E LO SVILUPPO DEGLI STATI UNITI
N
LABORATORIO DI CITTADINANZA
450
XTR
479 481
Federalismo
Pio IX e il movimento per le riforme Il ’48 italiano. La guerra contro l’Austria La sconfitta dei democratici italiani Il patriottismo risorgimentale
448
►
N
6 7 8 9
445
SVILUPPARE LE COMPETENZE
Parole della storia
441
SINTESI
476
5 Moderati, cattolici e federalisti
A
LABORATORIO DI CITTADINANZA
436
Mazzini, il profeta della nazione
O
8 Le rivoluzioni del 1848-49 9 Il ’48 in Francia. Dalla Seconda Repubblica al Secondo Impero 10 Il ’48 nell’Europa centrale
PERSONAGGI Giuseppe
E
421
3 La penisola italiana tra arretratezza e sviluppo 474 4 Il progetto mazziniano 475
E
CAP12 DALLA RESTAURAZIONE ALLE RIVOLUZIONI IN EUROPA
470 470 471
FARESTORIA Le ideologie politiche dell’800 95 R. Romanelli, La nascita di nuove ideologie 96 N. Bobbio, Democrazia, liberalismo e socialismo 97 d Benjamin Constant, La libertà degli antichi e dei moderni 98 d John Stuart Mill, Il governo del popolo e la libertà dell’individuo 99 d Karl Marx • Friedrich Engels, La società senza classi
518 518 518 520 521 522 523
►PISTE DI LAVORO
Una nuova idea di Nazione 103 A. Campi, Definire la nazione 104 G. Hermet, Nazionalismo, patria e cittadinanza 105 d George Gordon Byron, La Grecia e l’Italia dei romantici 106 d Johann Gottlieb Fichte, La nazione tedesca e il suo popolo 107 d Ernest Renan, «Una coscienza morale che si chiama nazione» 108 H.-U. Wehler, Nazione e etnia 109 A.-M. Thiesse, Le lingue nazionali 110 A.D. Smith, Le origini culturali delle nazioni
525 526 527 528 528 529 530
532 533 534 535
111 d L’Italia secondo Metternich e Mazzini 112 P. Grilli di Cortona, Stato e Nazione
537
540
►PISTE DI LAVORO
Risorgimento e Unità d’Italia 113 A.M. Banti, La diffusione del patriottismo
e la teoria evoluzionistica
2 La cultura del positivismo Parole della storia
Progresso
3 Lo sviluppo dell’economia 4 La rivoluzione dei trasporti e delle comunicazioni 5 Dalle campagne alle città EVENTI La
Grande Esposizione: Londra 1851
6 Quattro esempi di rinnovamento urbano: Parigi, Londra, Vienna e Chicago 7 La nascita del movimento operaio e la Prima Internazionale 8 La Chiesa cattolica contro la modernità borghese
547 548 550 551 552
554
► ►COMPITO DI STORIA
555 556
PISTE DI LAVORO
558 559
STORIAeAMBIENTE
La varietà del paesaggio agrario italiano
560
Le diverse Italie agricole, 560 Il paesaggio agrario del Nord e del Centro, 560 I cambiamenti nel Sud d’Italia, 563 La geografia del popolamento, 565 Il quadro attuale, 565
540 541
CHIAVI DI LETTURA
GLI EVENTI
568
SINTESI 570 570 572 573 574 575
591
►
SVILUPPARE LE COMPETENZE
O
PERSONAGGI Darwin
546
592
XTR
N
Il Libro Eric J. Hobsbawm, Il trionfo della borghesia • Storia, società, cittadinanza La famiglia e le sue trasformazioni • Focus La casa L I N borghese e la donna • Il romanzo sociale • La comunicazione istantanea: il telegrafo • Atlante Città, ferrovie, acciaio ed energia alla fine del XIX secolo • Lezioni attive Innovazioni industriali e di organizzazione del lavoro • Test interattivi • Audiosintesi A
1 I caratteri della borghesia
545
123 D. Beales • E.F. Biagini, Patriote straniere 124 R. Romeo, I valori dello Stato unitario
538
UNITÀ 5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA CAP16 BORGHESIA E CLASSE OPERAIA
544
Pietro Bouvier, Garibaldi e il Maggiore Leggiero in fuga attraversano le paludi di Comacchio con Anita morente, 1864
537
542
FONTE ICONOGRAFICA 9
531
FONTE ICONOGRAFICA 7-8
L’Assemblea nazionale tedesca,1848 Philipp Veit, Germania,1848
114 C. Duggan, I patrioti italiani e l’Europa 115 S. Patriarca, Virtù e vizi degli italiani 116 d Giuseppe Mazzini, La necessità dell’insurrezione 117 d Massimo d’Azeglio, Il programma dei moderati 118 d Carlo Cattaneo, La soluzione federale 119 d Costituzioni liberali e costituzioni democratiche 120 L. Cafagna, Cavour e l’idea di progresso 121 d Camillo Benso di Cavour, La questione italiana e l’Europa 122 L. Riall, Il mito di Garibaldi
E
523
E
100 D. Losurdo, Lotta di classe e indipendenza nazionale 101 M. Rapport, Il 1848 102 R. Price, Le eredità del ’48
576 579 582 585 586 589
CAP17 LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE 1 Crisi e protezionismo 2 Acciaio, chimica ed elettricità
596 596 598
PERSONAGGI Marie
Curie, la scienziata che vinse due Nobel
600
IX
INDICE DEL VOLUME
3 Nuovi traguardi per la scienza medica 4 La crescita demografica
603
136 D.I. Kertzer, Le strutture familiari
628
605
629
LABORATORIO DI CITTADINANZA
607
ARTE E TERRITORIO
610
Medicina e sanità pubblica
Disegnare col ferro: l’industria al servizio dell’architettura urbana
SINTESI
►
612
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FARESTORIA Borghesi e operai: mentalità e condizioni di vita 125 J. Kocka, La cultura borghese 126 d Samuel Smiles, Una ideologia borghese: il self help 127 d Honoré de Balzac, Un quadro della borghesia parigina 128 A. Dewerpe, La fabbrica 129 d Friedrich Engels, La condizione degli operai Gustave Doré, I quartieri poveri di Londra sotto i viadotti ferroviari, 1872
615 615 615 616 617
130 d Émile Zola, Vita da minatori 131 E.J. Hobsbawm, Coscienza di classe e cultura operaia 132 A.J. Mayer, I limiti dell’egemonia borghese
►
PISTE DI LAVORO
Donne e bambini, fra lavoro e vita familiare 133 d Intervista a due operaie 134 D. Lombardi, Lavoro e maternità 135 H. Cunningham, Contro il lavoro infantile
634
CAP18 LE GRANDI POTENZE EUROPEE 1 Le potenze continentali Parole della storia
INDICE DEL VOLUME
Potenza
La seconda rivoluzione industriale 141 U. Wegenroth, L’età del carbone e dell’acciaio 142 D.S. Landes, L’avvento dell’elettricità 143 R. Giannetti, La grande impresa 144 J. Osterhammel • N.P. Petersson, Un’economia mondiale
635
639
626
636 637 638
Un’età di innovazioni 145 L. Dolza, Il ruolo degli ingegneri 146 A. Giuntini, Le ferrovie 147 A. Cavallari, Il giornale di massa 148 G. Cosmacini, La medicina 149 d I nuovi ospedali FONTE ICONOGRAFICA 12
Genova
639 639 641 642 643 644
Ospedale Pammatone,
► ►COMPITO DI STORIA
645
PISTE DI LAVORO
625
635
►PISTE DI LAVORO
STORIAeAMBIENTE
625
633
►PISTE DI LAVORO
621
646 647
Città e paesaggio urbano dopo le rivoluzioni industriali
648
Rivoluzione industriale ed espansione urbana, 648 La Gran Bretagna e la nascita della città industriale, 649 I problemi delle periferie operaie, 649 Lo sviluppo urbano nell’Europa continentale, 651 Nuove sfide: trasporti, illuminazione, gestione delle acque e dei rifiuti, 651 Il rinnovamento urbanistico e architettonico, 653
627
UNITÀ 6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
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620
624
632 632
621
631
139 W. Schivelbusch, La stazione 140 H.-G. Haupt, I grandi magazzini
619
623
630
Sezione di una strada di Parigi dopo il risanamento, XIX sec.
618
FONTE ICONOGRAFICA 10
629
FONTE ICONOGRAFICA 11
E
E
A
Storia e Letteratura La signora delle Camelie di Dumas • Focus Riprodurre la realtà: la nascita della fotografia • L’età dell’acciaio • N I N Storia e Ambiente I costi ambientali della rivoluzione industriale • L Laboratorio dello storico L’archeologia industriale • Atlante Città, ferrovie, acciaio ed energia alla fine del XIX secolo • Lezioni attive Innovazioni industriali e di organizzazione del lavoro • Test interattivi • Audiosintesi
La nuova città e i suoi luoghi 137 P. Villani, Il rinnovamento della città 138 G. Zucconi, Parigi e Londra: due metropoli a confronto
611
SVILUPPARE LE COMPETENZE
►PISTE DI LAVORO
CHIAVI DI LETTURA
660 660 662
GLI EVENTI
2 Le guerre di Bismarck e l’unità tedesca PERSONAGGI Bismarck,
il cancelliere di ferro
3 La Comune di Parigi 4 L’Impero tedesco e la politica di Bismarck
658
663 664 667 669
5 La Repubblica in Francia 6 Il liberalismo in Gran Bretagna
671
7 La Russia tra arretratezza e modernizzazione
676
regina Vittoria, simbolo di un’epoca
Il sistema parlamentare
ARTE E TERRITORIO
Luce e colori nelle città di fine ’800
678
Parole della storia
680
SINTESI
682
683
XTR
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►SVILUPPARE LE COMPETENZE
LI N
Focus La morale vittoriana • Laboratorio dello storico La fotografia • Audiosintesi
CAP19 DUE NUOVE POTENZE: STATI UNITI E GIAPPONE
686
1 Gli Stati Uniti a metà ’800 2 La guerra civile americana
686
690
3 Gli Stati Uniti potenza mondiale 4 La via giapponese alla modernità Parole della storia
727
6 Il governo della Sinistra 7 La crisi agraria e la politica economica protezionista 8 La politica estera e il colonialismo 9 Socialisti e cattolici 10 Crispi: rafforzamento dello Stato e tentazioni autoritarie
734
EVENTI Roma
Modernizzazione
699
699
►SVILUPPARE LE COMPETENZE E
LI N
E
Storia, società, cittadinanza Schiavitù vecchie e nuove • Audiosintesi
CAP20 GLI IMPERI COLONIALI
2 3 4 5 6
702 703
Imperialismo
La conquista dell’Africa Le guerre boere La conquista dell’Asia Gli europei in Cina Il dominio coloniale
ARTE E TERRITORIO
Il fascino per l’esotico nella pittura di Gauguin
705 709 710 714 715 717
SINTESI
718
719
►SVILUPPARE LE COMPETENZE
XTR
O
E
A
Storia, società, cittadinanza Il pregiudizio razziale • Storia e Geografia Il canale di Suez • Focus Il colonialismo culturale: le misN I N sioni • Progresso tecnologico e imperialismo • Atlante Gli imperi L coloniali nel 1914 • Audiosintesi
E
741 744 746 749
ARTE E TERRITORIO
752
Il diritto di voto
Arte e paesaggio agrario italiano. Il verismo e i macchiaioli
SINTESI
754
756
►SVILUPPARE LE COMPETENZE
XTR
Eventi L’avventura coloniale italiana: il disastro di Adua • Il Libro F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 • Storia, società, cittadinanza La tutela dell’ordine pubblico • Storia e Letteratura Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa • Focus Scuola e lingua nazionale • Il brigantaggio • L’industria della seta • Atlante Società ed economia nell’Italia unita • Lezioni attive Fare l’Italia: il processo di unificazione e la nascita del Regno • Test interattivi • Audiosintesi
LI N
702
1 L’Imperialismo Parole della storia
739
LABORATORIO DI CITTADINANZA
O
A
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N
736
Crispi, democratico e autoritario
N
XTR
730 732
capitale
A
SINTESI
728
PERSONAGGI Francesco
693 695 696
724 726
Accentramento/decentramento
3 Le rivolte contro l’unità e il brigantaggio 4 L’economia e la politica fiscale 5 La conquista del Veneto e la presa di Roma
688
EVENTI La battaglia di Gettysburg e la sconfitta sudista
721
E
LABORATORIO DI CITTADINANZA
721
1 Demografia, economia e società 2 La classe politica e i primi provvedimenti legislativi
E
PERSONAGGI La
673 674
CAP21 GOVERNARE L’ITALIA UNITA
FARESTORIA
759
Centralizzazione e modernizzazione: una sfida per Italia e Giappone 150 R. Romanelli, Il centralismo liberale: origini e motivazioni 151 C. Duggan, Crispi e il governo forte 152 F. Cammarano, Gli “esclusi” dalla legittimità istituzionale: il movimento operaio e gli anarchici in Italia 153 M.G. Rossi, L’opposizione cattolica 154 S. Lupo, Il brigantaggio nell’Italia meridionale FONTE ICONOGRAFICA 13
Immagini del brigantaggio
155 d Federico De Roberto, Una campagna elettorale 156 R. Caroli • F. Gatti, Centralizzazione del potere e politiche modernizzatrici nel Giappone Meiji
759 761
762 763 764 765 766
767
XI
INDICE DEL VOLUME
759
157 M. Morishima, Confucianesimo e capitalismo in Giappone
768
769
►PISTE DI LAVORO
Discriminazioni e pregiudizi in Europa e negli Stati Uniti di fine ’800 158 F. Bédarida, La morale vittoriana 159 d Paolo Mantegazza, La donna è madre 160 P. Gay, Virilità in pericolo 161 d Louise Michel, Le donne della Comune di Parigi 162 R. Mitchell, Le donne bianche nella guerra civile americana 163 d Frederick Douglass, La vita degli schiavi neri nel Sud 164 B. Levine, La democrazia multirazziale e i suoi problemi 165 d Joseph Rudyard Kipling, Il fardello dell’uomo bianco FONTE ICONOGRAFICA 14
americano
La vita di uno schiavo
166 A. Stephanson, Il razzismo nell’ideologia colonialista 167 C. Petraccone, L’Unità d’Italia e la scoperta del Sud
►
PISTE DI LAVORO
Armi, telegrafo e ferrovie: tecnologia, identità nazionale e guerra alla fine dell’800 168 A. Testi, La guerra civile americana: una guerra totale 169 D.R. Headrick, Armi e guerre coloniali 170 T. Ballantyne • A. Burton, Modernità imperiale e ferrovie 171 S. Maggi, Rete ferroviaria e nazionalizzazione delle masse
XII
►PISTE DI LAVORO
INDICE DEL VOLUME
769 770 771 772 773 774
Città e campagne nell’Italia postunitaria 172 F. Barbagallo, Napoli: una metropoli ancora europea 173 R. Romanelli, L’Italia a Firenze 174 V. Vidotto, Roma capitale d’Italia 175 d Giuseppe Colombo, Milano industriale 176 d Antonio Gramsci, La rivoluzione agraria mancata 177 R. Romeo, Critica alla tesi di Gramsci 178 G. Pescosolido, Arretratezza e agricoltura all’indomani dell’Unità
►
PISTE DI LAVORO
788 788 789 790 791 792 793 794 795 795
780
Le grandi potenze e i loro imperi coloniali 179 A.J.P. Taylor, L’Europa delle grandi potenze 180 d La Triplice alleanza 181 P. Chiantera-Stutte, La nascita della geopolitica come scienza al servizio della politica 182 R.F. Betts, Le cause del colonialismo 183 W. Reinhard, Lo sfruttamento economico delle colonie 184 N. Labanca, Gli aromi e i sogni somali
802
781
775 776 777 779
782
►PISTE DI LAVORO ►COMPITO DI STORIA
STORIAeAMBIENTE
Economia coloniale e ambiente
782 783 784
796 797 797 799 800 801
803 804
Imperialismo e ambiente, 804 Industrializzazione e deforestazione, 804 Il sistema delle piantagioni e le conseguenze sull’ambiente: il caso del Brasile, 804 L’impatto ambientale della diffusione del tè: le colonie inglesi in India, 805 L’economia di rapina. Il caso dell’Africa, 809 Dopo la decolonizzazione, 810
785 786
GLOSSARIO
814
787
INDICE DEI NOMI
815
DAL 1650 AL 1900
L’EUROPA DEL ’700 Monarchia parlamentare
Domìni asburgici Prussia
Monarchia assoluta
Regno di Sardegna Repubblica
Città capitali
Confine Sacro romano impero
REGNO DI NORVEGIA
Palazzi reali
REGNO DI SVEZIA San Pietroburgo Stoccolma
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Mosca
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REGNO DI DANIMARCA
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REGNO DI GRAN BRETAGNA
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IMPERO RUSSO
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PROVINCE UNITE
Londra
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Copenaghen
Berlino Varsavia SACRO ROMANO IMPERO Parigi
Versailles
Vienna Pest
REGNO DI FRANCIA
REPUBBLICA VENETA Milano Torino
REGNO DEL PORTOGALLO Madrid Lisbona
Venezia Genova Lucca STATO DELLA Firenze CHIESA
IMPERO OTTOMANO
Roma REGNO DI SPAGNA
Caserta Napoli
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M
Istanbul REGNO DI NAPOLI
M e d i t e r r a n e o
UNITÀ 1 L’EUROPA DEL ’700: SOCIETÀ, POTERI, CULTURA
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CHIAVI DI LETTURA
La società e l’economia di ancien régime Quello che chiamiamo qui ’700 non è un periodo di cento anni precisi ma un arco temporale più lungo che inizia nel 1660 e si conclude tra il 1775 e il 1789 alla vigilia delle grandi rivoluzioni, quella americana, quella francese e quella industriale, che chiudono l’età moderna e danno inizio all’età contemporanea. Questo periodo è comunemente denominato dagli storici ancien régime o “antico regime”, espressione coniata dai rivoluzionari francesi per indicare il sistema politico travolto dalla Rivoluzione francese del 1789. A caratterizzarlo, la sopravvivenza del feudalesimo
nelle campagne inglesi si avvia una modernizzazione dell’agricoltura che è stata definita “rivoluzione agricola”.
Nuovi equilibri politici, tra assolutismo e parlamentarismo Il ’700 coincide prima con il massimo sviluppo e poi con la crisi dell’assolutismo, il sistema di governo prevalente nell’Europa continentale, nel quale i principali poteri dello Stato sono concentrati nella persona del sovrano. Ma è anche il periodo in cui si viene formando in Gran Bretagna il sistema parlamentare, una forma di governo che pone limiti precisi ai poteri del re e li trasferisce al Parlamento, in virtù di una serie di norme che regolano i rapporti tra monarca e organi rappresentativi. E sono proprio la Francia e l’Inghilterra che, tra la seconda metà del ’600 e la prima metà del ’700, entrano in lotta tra loro per la conquista dell’egemonia sugli oceani e nei possessi coloniali in America e in Asia.
La rivoluzione delle idee e la stagione delle riforme
e dei privilegi del clero e una rigida separazione tra i diversi ceti che rendeva difficile ogni forma di mobilità sociale verso l’alto. Tuttavia, l’aumento della popolazione, che caratterizza gran parte dell’Europa, è il segnale inequivocabile di un miglioramento del livello di vita determinato da una maggiore disponibilità di risorse alimentari e dalla riduzione delle epidemie. Nei paesi più coinvolti negli scambi commerciali (le Fiandre, l’Inghilterra) si assiste a un particolare sviluppo dell’industria domestica che comporta un aumento dell’offerta di prodotti per il mercato, mentre
Nel corso del ’600 ha origine quel complesso fenomeno noto come “rivoluzione scientifica”. Si affermano una visione e una pratica delle nuove scienze naturali che scardinano credenze e saperi consolidati, servendosi di nuovi strumenti tecnologici e di un inedito approccio alla conoscenza basato sul metodo sperimentale. Ma è verso la metà del ’700 che questo processo di trasformazione culturale si realizza nella sua forma più compiuta grazie all’Illuminismo, il movimento intellettuale nato in Francia nei decenni centrali del ’700, che esalta la ragione e critica i princìpi di autorità e di tradizione, facendosi promotore di una radicale trasformazione delle mentalità dei ceti colti e della stessa idea di cultura. Sostenitori della centralità politica del ceto intellettuale, gli illuministi si fanno portatori di un progetto riformatore che mira alla modernizzazione dello Stato e al miglioramento della società.
GLI EVENTI XVII secolo Si diffondono le enclosures nelle campagne inglesi
1643-1715 1682-1725 Regno di Luigi XIV Regno di Pietro in Francia il Grande in Russia
1633 Processo a Galilei 1632 Galilei pubblica il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
1688-89 La seconda rivoluzione in Inghilterra
1687 Newton enuncia 1651 la legge Pubblicazione del di gravitazione Leviatano di Hobbes universale
1722-74 1740-86 Regno di Luigi XV Federico II re di Prussia in Francia 1740-80 Maria Teresa imperatrice d’Austria 1690 Pubblicazione dei Due trattati sul governo di Locke
1748 Pubblicazione dello Spirito delle leggi di Montesquieu
1756-63 Guerra dei Sette anni 1762-96 Caterina II imperatrice di Russia
1751-72 Pubblicazione dell’Enciclopedia di d’Alembert e Diderot
1764 Cesare Beccaria pubblica Dei delitti e delle pene
1780-90 Giuseppe II imperatore d’Austria XVIII secolo Incremento demografico in Europa
1776 Adam Smith teorizza i princìpi economici del liberismo
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XTR
CAP1 LA SOCIETÀ DI ANCIEN RÉGIME 1_1 LA “RIVOLUZIONE” DEMOGRAFICA
► Leggi anche:
Con l’espressione ancien régime (“antico regime”) si indica il sistema politico esistente in Francia prima della Rivoluzione del 1789. Coniata dagli stessi rivoluzionari francesi a partire dal 1790 ed estesasi in seguito a tutti gli aspetti della vita economica e sociale europea, l’espressione ancien régime è divenuta sinonimo di società tradizionale, preindustriale, anteriore cioè a tutti i fenomeni di modernizzazione economica e politica determinati dalla rivoluzione industriale e dalla Rivoluzione francese. Dal momento che tale modernizzazione ebbe tempi assai lunghi, numerose sopravvivenze dell’ancien régime – nelle strutture produttive come negli stili di vita e nelle mentalità – hanno accompagnato questa transizione lungo tutto l’800 e anche oltre. Considerata tendenzialmente immobile, la società di ancien régime in realtà subì già nel corso del ’700 alcune profonde trasformazioni.
L’ancien régime
Il fenomeno più ampio e rilevante fu l’avvio di una crescita demografica che non si sarebbe interrotta, malgrado un brusco rallentamento nel ’900. Tra l’inizio e la fine del ’700, infatti, la popolazione europea passò da 118 a 193 milioni di abitanti, con un incremento del 66%: in Inghilterra e Galles aumentò da oltre 5,8
La crescita demografica in Europa
1_LA POPOLAZIONE IN EUROPA TRA IL 1650 E IL 1800 (VALORI IN MILIONI DI ABITANTI)
200 180 160 140 120 100 80 60 40 20
4
0
1650
1700
1750
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
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N LI N
Storia, società, cittadinanza Controllo, punizione, rieducazione Focus Il secolo della vita • I progressi della medicina: la vaccinazione Laboratorio dello storico La storia moderna e le sue fonti Atlante L’economia europea alla metà del ’700 Audiosintesi
1800
[da M. Barbagli e D.I. Ketzer (a c. di), Storia della famiglia in Europa. Dal Cinquecento alla Rivoluzione francese, Laterza, Roma-Bari 2002, p. xx]
► Focus Il secolo della vita • I progressi della medicina: la vaccinazione
a più di 9,1 milioni, in Francia da 22 a 29 milioni e in Italia da 13,6 a oltre 18 milioni. Molto rilevante fu la crescita nell’Europa centrale e orientale, in particolare in Ungheria, nella Prussia orientale e in Russia, dove il tasso fu superiore alla media. Contemporaneamente, un incremento ancora più rapido, oltre il 1000%, venne registrato nell’America settentrionale grazie anche a un’intensa immigrazione. Gli storici e i demografi non hanno trovato una spiegazione unica di questo fenomeno: in molte regioni si ridusse la mortalità, in altre questa riduzione fu accompagnata dall’incremento della natalità. Sicuramente vi furono sia una diminuzione della mortalità catastrofica, dovuta nei secoli precedenti a epidemie, guerre e carestie, sia un’interruzione del tradizionale andamento ciclico della demografia, caratterizzato dal rapporto e dalla dipendenza reciproca fra popolazione e risorse alimentari. Il ciclo demografico tradizionale, infatti, che poteva durare pochi anni o più di un secolo, era basato sul legame tra l’aumento naturale della popolazione e la progressiva diminuzione delle risorse pro capite: di fronte alla crescita della domanda, l’agricoltura non riusciva ad aumentare la produttività, ma poteva soltanto estendere le colture alle terre marginali, in genere poco fertili. Di conseguenza si registrava un impoverimento della dieta alimentare, che diminuiva la resistenza degli organismi ai virus e ai batteri, rendendoli più vulnerabili alle malattie. L’aumento della mortalità riduceva a sua volta la popolazione, che tornava così in equilibrio con le risorse disponibili. E il ciclo poteva ricominciare. Una lucida descrizione di questo rapporto tra risorse e popolazione fu offerta nel 1798 dal Saggio sul principio di popolazione dell’economista inglese Thomas Robert Malthus (1766-1834), che definì anche la “legge” secondo la quale mentre la popolazione aumenta con una progressione geometrica (1, 2, 4, 8, 16, 32...), le risorse si sviluppano invece più lentamente, con una progressione aritmetica (1, 2, 3, 4, 5, 6...). Per Malthus, dunque, sarebbe stato necessario frenare l’incremento naturale della popolazione: di qui l’impiego del termine “malthusiane” per indicare le politiche di riduzione della natalità. Ma, proprio alla fine del ’700, le difficoltà alimentari determinate da un eccesso di popolazione cominciavano a essere superate dallo sviluppo economico, in particolare da quello agricolo: il miglioramento dei raccolti e della distribuzione dei prodotti, infatti, rese meno frequenti le carestie.
Popolazione e risorse alimentari: la “legge” di Malthus
Un altro motivo che favorì la crescita demografica del ’700 scomparsa del cosiddetto “matrimonio tardivo”. Le popolazioni dell’ancien régime si erano adattate nel corso dei secoli alle difficoltà alimentari e ambientali con una sorta di codice di autoregolamentazione: non ci si sposava, infatti, senza una concreta possibilità di lavoro. Il matrimonio, dunque, era generalmente ritardato: gli uomini si sposavano fra i 27 e i 28 anni, le donne tra i 25 e i 26. Questa “sottrazione” di 6-8 anni alla naturale fecondità femminile determinava di fatto una limitazione delle nascite. Il matrimonio tardivo, tuttavia, non riguardava la nobiltà né la borghesia ed era diffuso soprattutto nell’Europa centro-occidentale: nelle regioni mediterranee, invece, le nozze erano molto più precoci, anche tra i ceti popolari [►FS, 16]. L’abbassamento dell’età matrimoniale fu particolarmente significativo in Gran Bretagna, soprattutto dopo il 1740: lì il tasso di natalità aumentò in rapporto a matrimoni più numerosi e soprattutto più precoci, dipendenti a loro volta dal miglioramento generale dell’agricoltura e delle possibilità di trovare occupazione. In altri paesi europei le cause dello sviluppo demografico non sono altrettanto chiare: l’assenza di censimenti attendibili, che iniziarono a essere tenuti regolarmente solo nell’800, impedisce agli studiosi una ricostruzione certa del fenomeno.
Si abbassa l’età del matrimonio
fu la progressiva demografia La demografia è la scienza che studia la popolazione umana utilizzando la statistica per calcolarne i ritmi di crescita, la composizione e la diffusione di alcuni fenomeni sociali. produttività Il rapporto tra la produzione e la quantità di lavoro svolto per ottenerla. tasso di natalità/mortalità Il tasso o indice di natalità indica il rapporto tra il numero dei nati e la popolazione totale. Il tasso o indice di mortalità indica invece il rapporto fra il numero dei morti e la popolazione totale. censimento Operazione statistica volta ad accertare il numero e altre informazioni economiche e sociali sugli abitanti di un determinato Stato.
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C1 LA SOCIETÀ DI ANCIEN RÉGIME
È piuttosto problematico anche stabilire un nesso preciso tra l’aumento della popolazione e il miglioramento delle condizioni ambientali, igieniche e climatiche. Fino a oggi non si è giunti a valutazioni accurate e generalizzate: forse non si può andare oltre la considerazione, in verità un po’ scontata, che un diffuso anche se moderato sviluppo economico ha portato con sé anche migliori condizioni di vita. Ma i tempi, i modi, i legami e le sequenze di questa trasformazione rimangono privi di una spiegazione convincente. Per esempio, non è affatto chiaro perché la peste cominciò ad allontanarsi dall’Europa nel ’700 (ma Marsiglia fu ancora colpita nel 1720-23 e Messina nel 1743). Alcuni attribuiscono questa scomparsa alle maggiori capacità di isolare i focolai epidemici e a un’aumentata resistenza degli organismi umani. Ma, mentre la peste declinava, il vaiolo imperversava e le altre tradizionali malattie endemiche, come il tifo e la dissenteria, continuavano a mietere numerose vittime. La maggiore organizzazione ospedaliera non ridusse la mortalità, anzi probabilmente la accrebbe, poiché i luoghi di cura accentuavano le probabilità di infezione e contagio. L’inoculazione antivaiolosa, a cui si ricorreva nel ’700, fu spesso letale e, fino alla scoperta di Edward Jenner sull’efficacia della vaccinazione effettuata con i germi del vaiolo vaccino (1796), l’unico rimedio sicuro fu il controllo del contagio.
La riduzione delle epidemie
Aumento della popolazione e crescita delle città
vaccinazione Jenner iniettò nell’uomo del materiale prelevato da bovini affetti da vaiolo (di qui il termine vaccinus, letteralmente “di vacca”) al fine di favorire lo sviluppo di anticorpi contro la malattia. Nell’800 il francese Louis Pasteur perfezionò questa pratica dimostrando la possibilità di proteggere uomini e animali dal contagio attraverso l’inoculazione di germi attenuati. famiglia Nella Roma antica il termine familia indicava il gruppo dei servi che dipendevano da un unico padrone. Col tempo il significato andò allargandosi e comprese tutti i membri (servi, figli, congiunti) che dipendevano dallo stesso paterfamilias. Nel ’400 l’umanista Leon Battista Alberti scriveva che «famiglia è i figliuoli, la moglie, i domestici, famigli e servi». È solo a partire dal ’600 che il termine “famiglia” comincia a indicare, come oggi, tutte le persone legate da stretti vincoli parentali che vivono sotto lo stesso tetto.
La crescita della popolazione fu più intensa nelle città che nelle campagne e riguardò soprattutto le zone di più antica urbanizzazione dell’Europa occidentale e meridionale, in particolare le capitali e le città portuali. Londra, Parigi e Napoli erano, nell’ordine, le maggiori città europee. Le stime della popolazione
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Louis-Léopold Boilly, Il vaccino (o Il pregiudizio vinto) 1807 [Wellcome Institute for the History of Medicine, Londra]
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
LA RIVOLUZIONE DEMOGRAFICA
Maggiori possibilità di occupazione Abbassamento dell’età matrimoniale Sviluppo economico
Aumenta il tasso di natalità
Più equa distribuzione delle risorse CRESCITA DEMOGRAFICA Maggiore disponibilità di cibo Più elevati livelli di vita
Progressi della medicina
Diminuisce il tasso di mortalità
Crescita delle città
Miglioramento delle condizioni igienicosanitarie
parlano di una crescita, nel corso del secolo, da 700 mila a 950 mila abitanti per Londra, da 215 mila a oltre 400 mila per Napoli. Parigi alla fine del ’700 contava 550-600 mila abitanti. Londra e Parigi erano città multifunzionali: al ruolo di capitali con funzioni politiche e amministrative univano quello di città manifatturiere, artigianali, comMETODO DI STUDIO merciali e finanziarie. In più Londra, completamente rinnovata dopo un terribile a Spiega il significato dell’espressione ancien régime. incendio nel 1666, aveva un attivissimo porto sul Tamigi. Prevalentemente buro b Evidenzia le caratteristiche relative al mutacratiche e militari, invece, erano le due maggiori capitali dell’Europa centrale, mento demografico di questo periodo. Sottolinea Vienna e Berlino, che alla fine del ’700 contavano rispettivamente oltre 250 mila con colori diversi le cause e le conseguenze di questo cambiamento. e 140 mila abitanti. c Cerchia le parole chiave che definiscono, seGrande sviluppo ebbero anche i porti sull’Atlantico e sul Mare del Nord. In condo te, i concetti più importanti della “legge” di Francia primeggiarono prima Nantes, che dominava il traffico degli schiavi, poi Malthus e argomenta le tue scelte. d Cerchia con colori diversi i nomi delle città Bordeaux che tra 1770 e 1780 giunse a controllare il 25% del commercio estero più popolose di questo periodo e sottolineane le francese. In Gran Bretagna, invece, si svilupparono soprattutto Bristol e Liverpool: caratteristiche con i colori scelti. quest’ultima passò dai 12 mila abitanti degli inizi del ’700 ai 78 mila del 1801.
1_2 FAMIGLIA, MATRIMONIO E FIGLI
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L’aumento della popolazione illumina soltanto un aspetto della struttura demografica. Vi sono altri caratteri che rendono particolarmente significativa la differenza fra la società di ancien régime e la realtà contemporanea: per esempio, quelli relativi alla composizione della famiglia. Nel ’700 la struttura familiare dominante è ancora quella della famiglia estesa o allargata, in cui convivono tre generazioni (nonni, genitori e figli) insieme con altri parenti (zii e zie, spesso celibi e nubili, ma talora coniugati e con figli) e con una presenza variabile di domestici e garzoni: è il modello familiare prevalente nelle campagne, sia tra i ceti popolari sia tra quelli più elevati. Molto spesso l’economia familiare, per quanto garantita dalla disponibilità di numerose “braccia” per le attività lavorative, poteva entrare in crisi per le troppe “bocche” da sfamare: per questo alcuni giovani membri erano affidati o ceduti ad altre famiglie oppure migravano verso i centri urbani in grado di offrire loro
La composizione della famiglia
► Fare Storia Condizione femminile e infanzia, p. 124
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C1 LA SOCIETÀ DI ANCIEN RÉGIME
un lavoro. Ma proprio nelle città, in questo periodo, si veniva affermando gradualmente, soprattutto nelle prime generazioni degli immigrati urbani, un nuovo modello familiare: la famiglia nucleare o coniugale, formata dai soli genitori e figli. L’aumento demografico e la relativa mobilità sociale, di cui si è detto, favorivano Nuovi inoltre la diffusione di nuovi modelli culturali e comportamentali come risposta comportamenti: ai problemi delle famiglie troppo numerose. In alcuni paesi, come la Francia rugli inizi della rale e l’Ungheria, e in alcuni gruppi sociali come la borghesia ginevrina e la nocontraccezione biltà italiana, ma anche in gruppi etnico-religiosi come gli ebrei italiani, si comincia a registrare infatti la tendenza a intervenire sui ritmi naturali della fecondazione limitando le nascite. Per quanto circoscritto, anche per la limitatezza delle ricerche in proposito, tale fenomeno è l’indicatore di un nuovo atteggiamento di controllo razionale della vita sessuale e affettiva. Dal momento che la cronologia di questi comportamenti sembra non coincidere con i grandi mutamenti politici e culturali di fine secolo, i motivi principali che gli storici e i demografi hanno individuato per spiegare il fenomeno sono tre: una maggiore attenzione alla salute della donna e alla necessità di preservarla dall’eccessivo numero di gravidanze, causa di innumerevoli morti precoci per parto e di nascite a rischio, e, con essa, anche una riconsiderazione delle relazioni coniugali; l’acquisizione di un nuovo atteggiamento nei confronti dell’infanzia [►FS, 17 e 18], fatto di sollecitudine, tenerezza, interesse all’educazione – diverso da quello che considerava i bambini semplicemente degli adulti in miniatura –, che contribuì a distanziare le nascite; la tutela della proprietà, soprattutto se di recente acquisizione, che non poteva rischiare, dove vigeva la divisione ereditaria, di essere eccessivamente frammentata. La necessità di garantire una discendenza escludeva ogni forma di limitazione delle nascite nelle famiglie regnanti. La regina Anna di Inghilterra quando salì al trono nel 1702, a trentasette anni, non aveva eredi, nonostante ben diciassette gravidanze: il solo figlio che era sopravvissuto agli aborti, o alla morte in tenerissima età di tutti gli altri, era morto nel 1700 a 11 anni. Questo spiega perché il Parlamento inglese emise, già nel 1701, l’Act of Settlement che trasferiva la Corona d’Inghilterra ai lontani parenti protestanti della famiglia degli Hannover [►3_3]. La dinastia degli Asburgo fu invece più fortunata. Maria Teresa d’Austria rappresentò infatti un’eccezione: dei sedici tra figli e figlie avuti tra i 20 e i 39 anni, quattro morirono di vaiolo e due in tenerissima età. Ma tutti gli altri, oltre ai due eredi al trono imperiale, Giuseppe II e Leopoldo II, entrarono in altre case regnanti o principesche, secondo una sapiente politica di matrimoni.
La discendenza delle case regnanti
METODO DI STUDIO
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a Sottolinea con colori diversi le caratteristiche proprie della famiglia preindustriale e della famiglia che si forma con la rivoluzione industriale. b Evidenzia le cause che, secondo gli storici, portarono al cambiamento della struttura familiare.
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
Jacques-Louis David, La famiglia 1792-95 [Musée de Tessé, Le Mans] Le trasformazioni sociali e culturali che si verificarono in Europa a partire dal XVII secolo mutarono profondamente le abitudini e molti aspetti della vita privata degli individui. In particolare, nel secolo XVIII venne affermandosi quel “sentimento dell’infanzia” che è tipico della società contemporanea. L’evoluzione della famiglia si manifesta comunque in modo differente a seconda delle aree geografiche e dei ceti sociali: se l’organizzazione delle famiglie reali sottostava a canoni di comportamento assai rigidi, l’interno della casa borghese, qui riprodotto, mostra una immagine più serena e consapevole del valore della famiglia.
1_3 IL MONDO DELLE CAMPAGNE: FEUDALITÀ E RIVOLTE
► Leggi anche: ► Arte e territorio La realtà contadina negli sguardi d’artista nel ’700, p. 21
La società di ancien régime era una società fondamentalmente agricola [►FS, 1]. Non solo l’agricoltura era la principale attività economica, ma la maggioranza della popolazione era formata da contadini anche nei paesi dove grande rilievo avevano assunto i commerci e le manifatture. Gli strati superiori della società erano costituiti da proprietari terrieri, prevalentemente nobili ma anche borghesi, e la terra era la principale fonte di ricchezza e di possibile ascesa sociale. Nell’Europa del ’700 la proprietà terriera era per molti versi ancora di tipo feudale: era sottoposta cioè a una serie di vincoli che ne limitavano l’uso e i redditi [►FS, 10d]. Anche nel caso in cui il contadino avesse la facoltà di vendere o trasmettere in eredità la terra coltivata, questa non era in realtà detenuta in piena e libera proprietà: dovevano infatti essere corrisposti al signore dei tributi ordinari – in denaro o in natura (per esempio una parte del raccolto) – per l’uso o straordinari nei casi di vendita o di successione [►FS, 9]. L’ammontare di questi tributi era in genere stato fissato molto tempo prima e si manteneva per consuetudine stabile: le corresponsioni in denaro presentavano quindi il vantaggio, rispetto a quelle in natura, di essersi ridotte di valore in seguito alla progressiva svalutazione della moneta. Al tempo stesso, su una parte delle terre feudali vigevano alcuni diritti collettivi della comunità contadina – i cosiddetti usi civici –, come quelli di pascolo, di spigolatura, di raccolta della legna, ecc. L’esistenza di questi vincoli provocasvalutazione della moneta Perdita del valore della moneta con conseguente va molti conflitti, caratterizzati da una fondamentale contrapposizione: da un diminuzione del potere d’acquisto; nel nostro caso lato la tendenza alla privatizzazione integrale della terra e all’inasprimento dei un’imposta in denaro, mantenendosi fissa, andava col gravami feudali, dall’altro la difesa dei tradizionali usi collettivi delle comunità tempo a incidere sempre meno sul reddito. contadine.
Sopravvivenza e trasformazione del feudalesimo
Théobald Michau, Paesaggio fluviale con contadini e carri per un sentiero XVII-XVIII sec. [Collezione privata] Nella società di ancien régime i contadini, che costituivano la maggioranza della popolazione, erano ancora sottoposti in molti paesi a vincoli di origine feudale; per esempio, non erano liberi di cambiare lavoro, né di spostarsi dove volevano, per trasferirsi infatti dovevano chiedere l’autorizzazione alle autorità.
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C1 LA SOCIETÀ DI ANCIEN RÉGIME
Questa opposizione elementare era arricchita e complicata in molte regioni dell’Europa occidentale dalla presenza di un ceto in progressivo sviluppo, quello dei contadini agiati, proprietari e affittuari, che svolgevano ruoli diversi secondo le circostanze: se erano proprietari miravano alla riduzione dei privilegi signorili e dei diritti delle comunità, se invece erano affittuari di terre signorili – cui era legata la riscossione di diritti – tendevano a mantenere e a rafforzare le forme del prelievo feudale. In sostanza, nel ’700 il regime feudale aveva perso o attenuato molti dei suoi caratteri originari, ma rappresentava comunque un insieme di diritti e di privilegi che pesavano duramente sulla vita dei contadini e sulle possibilità di sviluppo delle attività agricole. È proprio l’esame dei vincoli e degli obblighi imposti ai contadini che consente di valutare le notevoli differenze della feudalità settecentesca nei diversi paesi europei. In Francia, ai vincoli posti sui possessi contadini, si aggiungevano gli obblighi di lavoro gratuito (corvées) sulle terre signorili in occasione dell’aratura, della semina o del raccolto, nonché i severi divieti di caccia e di pesca. Va detto tuttavia che in molti casi le corvées erano state sostituite da corresponsioni in denaro. I contadini erano tenuti inoltre a rispettare il monopolio feudale della trasformazione delle risorse alimentari e in particolare dovevano avvalersi, per la macinazione dei cereali, del mulino di proprietà del signore. Ad accrescere i poteri di controllo feudale sul mondo contadino contribuiva inoltre l’amministrazione della bassa giustizia – quella relativa ai reati minori – ancora detenuta dal signore e dai suoi delegati. Ai prelievi feudali, corrispondenti a una quota tra il 10 e il 20% dei redditi contadini, si sommavano anche le tasse pagate allo Stato: imposte dirette, come la taglia sulle persone o sulle proprietà, e indirette come la gabella, l’odiata tassa sul sale che colpiva il consumo di un prodotto indispensabile alla conservazione degli alimenti. Altre corvées erano dovute per la costruzione e manutenzione delle strade. Infine in Francia, come in tutti i paesi cattolici, doveva essere versata la decima alla Chiesa: si trattava di una quota parte del raccolto, in realtà inferiore a un decimo e pari in genere a un dodicesimo/tredicesimo, destinata in origine al mantenimento del parroco ma spesso passata nelle mani dell’alto clero. I contadini servi – soggetti all’antica servitù della gleba –, vincolati per i loro spostamenti all’autorizzazione del signore, che poteva venderli o scambiarli a suo piacimento, erano ridotti a una minoranza.
La situazione in Francia: le tasse e la decima
La servitù era comunque un aspetto molto marginale del feudalesimo occidentale, di cui quello francese rappresenta il modello più conosciuto. Non vi era servaggio in Inghilterra, dove il regime feudale era praticamente scomparso già nel ’600. In declino il feudalesimo in Spagna, soprattutto in Castiglia e in minore misura in Catalogna, ma egualmente dure rimanevano le condizioni di vita dei contadini.
L’Inghilterra e la Spagna
In Italia meridionale e in Sicilia, anche superata, i prelievi in denaro e in natura e le prestazioni personali erano così ampi da far ritenere che il regime feudale fosse particolarmente vessatorio. In pieno vigore nel Lazio, la feudalità era generalmente scomparsa nel resto dell’Italia centrale e in quella settentrionale, pur con alcune presenze, rilevanti in Lombardia e in Friuli, modeste in Piemonte. I contratti agrari prevalenti in queste regioni, l’affitto e la mezzadria, si collocavano al di fuori della rendita fondiaria di tipo feudale: i signori feudali erano ormai avviati a diventare semplici proprietari terrieri e si era costituito sostanzialmente un mercato libero della terra. Rapporti di fatto senza scadenza, come le enfiteusi – in cui il possesso era legato a obblighi di miglioria – e la colonìa perpetua, testimoniavano la sopravvivenza delle antiche consuetudini legate all’origine feudale e ribadivano gli ostacoli frapposti
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La penisola italiana
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
se la servitù personale era da tempo
taglia Nel Medioevo e nell’età moderna la taglia era un’imposta diretta (correlata cioè alla ricchezza di cui si era in possesso). In origine il termine designava soprattutto forme di prelievo straordinarie imposte ad arbitrio del signore. Più tardi anche un potere di ordine superiore – regio, principesco o comunale –, quando doveva esigere dai sudditi o dai cittadini una contribuzione diretta, le dava il nome di taglia e ne suddivideva il carico in base al numero dei contribuenti. gabella Il termine, di origine araba, designa una forma di imposta indiretta istituita nel
Medioevo. La gabella fu una tassa sugli scambi e i consumi, e venne applicata sui generi alimentari di prima necessità. La gabella sul sale, in particolare, fu abolita solo alla fine del ’700. mezzadria Tipo di contratto agrario stipulato tra un proprietario terriero e un colono: quest’ultimo si impegnava a coltivare il terreno in cambio di una quota dei prodotti, generalmente la metà; anche le spese erano solitamente divise in parti uguali tra i due; questo tipo di conduzione favoriva nel mezzadro la formazione di una mentalità vicina a quella del piccolo proprietario terriero.
Thomas Rowlandson, The tithe pig 1790 [Royal Collection Trust © Her Majesty Queen Elizabeth II 2014] Il tithe pig (“maialino della decima”) era un maiale offerto al clero locale quale pagamento della decima, la tassa dovuta alla Chiesa per il suo sostentamento. Questa stampa inglese del XVIII secolo mostra una scena abbastanza usuale nella casa di un curato. Una cameriera presenta un maialino su un piatto che viene ispezionato da un impiegato per conto del parroco che, con il piede gottoso su un cuscino e una bottiglia di vino sul pavimento vicino alla poltrona, guarda il maiale attraverso una lente di vetro, mentre un gatto e un cane si allungano verso l’animale. Il malconcio proprietario del maiale attende il responso fuori dalla porta, grattandosi nervosamente la testa. L’accento grottesco e ironico con cui l’autore ha voluto sottolineare alcuni particolari denuncia quanto questa tassa fosse ritenuta ingiusta e mal sopportata dalla popolazione.
a una piena proprietà contadina della terra. In Italia la varietà delle situazioni era la norma: anche i rapporti agrari più moderni, tuttavia, prevedevano obblighi di prestazioni lavorative e una serie di donativi al signore (come agnelli, polli, maiali, ecc.), che confermavano la persistenza delle tradizioni feudali. La servitù aveva dimensioni particolarmente ampie e regole estremamente rigide in tutte le regioni a est del fiume Elba [►FS, 9]. Qui il servo-contadino, per esempio, doveva ottenere il permesso del signore non solo per spostarsi, ma anche per contrarre matrimonio. Il lavoro servile – robot, da cui il nome dei “servitori” elettronici della nostra epoca – e le servitù personali dominarono l’Europa METODO DI STUDIO orientale fino al 1848 – e in Russia fino al 1861. a Spiega cosa vuol dire che nel ’700 la proQuesta condizione di servaggio, che aveva origini recenti nella feudalizzazione e prietà terriera era per molti versi di tipo feudale e rifeudalizzazione dell’Europa orientale a partire dal ’500, fu motivo di frequenti sottolinea le conseguenze di questa condizione. tensioni sociali e rivolte. In Boemia, nel 1775, una violenta sollevazione contadi b Spiega cosa sono gli usi civici e sottolinea le conseguenze di questa realtà. na mirò ad abolire la servitù: il governo imperiale fu allora costretto ad affrontare c Cerchia con colori diversi i ruoli sociali citati il problema con alcune riforme. Nello stesso periodo anche la Russia fu percorsa nel paragrafo e sottolineane le caratteristiche da numerosi episodi di ribellione al servaggio. Tra 1773 e 1774, per esempio, ci utilizzando gli stessi colori. fu una grande rivolta guidata dal cosacco Emeljan Pugacˇ ëv che, dopo essere d Evidenzia i contratti agrari descritti e spiega in cosa consistevano. riuscito a tenere in scacco l’esercito governativo per un anno, venne sconfitto e decapitato.
Il lavoro servile nell’Europa orientale
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C1 LA SOCIETÀ DI ANCIEN RÉGIME
1_4 LA RIVOLUZIONE AGRICOLA E LE NUOVE COLTURE
La società preindustriale era una realtà per molti aspetti statica, dominata dalle permanenze. Ma al suo interno vedeva emergere, in alcuni paesi e in determinati settori economici, fattori di mutamento destinati a rovesciare, talora con tempi molto lunghi, l’assetto tradizionale. In particolare, nel corso del ’700 si accentuarono alcuni processi relativi alla proprietà delle terre e alle tecniche colturali che consentono di parlare di una rivoluzione agricola. Qui, come altrove, l’impiego del termine di “rivoluzione” in campo economico e sociale si riferisce a trasformazioni radicali che si compiono in tempi molto più lunghi di quelli caratteristici delle rivoluzioni politiche.
► Leggi anche: ► Fare Storia Agricoltura, industria e nuovi consumi, p. 108
Un processo lungo
L’Inghilterra fu il paese in cui le strutture agrarie cambiarono più profondamente fra ’600 e ’700. Le trasformazioni avvennero in seguito alle recinzioni – in inglese enclosures – dei campi aperti e delle terre comuni e all’introduzione di nuove tecniche e colture [►FS, 3 e _1]. Il sistema a campi aperti – open fields – caratterizzava nel ’600 oltre la metà delle campagne inglesi: era costituito da appezzamenti non recintati, contigui, ma di proprietà individuale, non collettiva. Le consuetudini prevedevano che su questi campi, dopo il raccolto, tutti gli abitanti del villaggio potessero spigolare o inviare gli animali al pascolo. Di proprietà collettiva erano invece le terre comuni – common lands, common wastes – destinate al pascolo, alla raccolta di legna, ecc. I diritti d’uso di queste terre non appartenevano a tutti indistintamente, ma a quanti avevano proprietà nel villaggio. Su di esse risiedevano, in modestissime capanne – cottages –, i contadini poveri e privi di proprietà.
Le recinzioni dei campi aperti in Inghilterra
1_LE AREE RECINTATE DALLE ENCLOSURES STABILITE DAL PARLAMENTO BRITANNICO (1700-1845)
Le enclosures comportarono la recinzione – con muretti, siepi, steccati – e la ricomposizione fondiaria degli appezzamenti situati nelle zone dei campi aperti, nonché la recinzione e privatizzazione delle terre comuni. Questa operazione mirava a una più chiara definizione della proprietà e a una coltivazione più razionale, che rispondesse meglio alla domanda del mercato. Le enclosures richiedevano investimenti per le opere di chiusura e per la riconversione colturale: contemporaneamente determinavano la graduale trasformazione dei cottagers in braccianti agricoli (cioè salariati alle dipendenze dei grandi proprietari) e favorivano la diminuzione dei piccoli proprietari. Le recinzioni, in realtà, costituivano un fenomeno in corso da alcuni secoli. Nel 1500 il 45% circa della superficie agraria era già stato recintato. Il successivo incremento si ebbe soprattutto nel ’600 (24%) e non, come si è a lungo ritenuto, nel secolo successivo: nel ’700, infatti,
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Proprietà e mercato
LE AREE RECINTATE DALLE «ENCL STABILITE DAL PARLAMENTO BRIT (1700-1845)
45% e oltre 35-44% 25-34% 15-24% meno del 15%
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
LE AREE RECINTATE DALLE «ENCLOSURES» STABILITE DAL PARLAMENTO BRITANNICO (1700-1845)
l’aumento delle enclosures fu solo del 13%. Agli inizi dell’800, dunque, rimaneva solo un 16% di terre non recintate.
rotazione triennale Il terreno veniva diviso in tre parti, di cui una veniva coltivata a cereali (in autunno), la seconda a leguminose (in primavera), la terza veniva lasciata a maggese (a riposo); l’anno successivo si ruotavano le colture.
Altro fattore di trasformazione dell’agricoltura inglese fu il superamento della rotazione triennale in favore di nuove forme di rotazione pluriennale, grazie all’introduzione di piante da foraggio (destinate cioè all’alimentazione del bestiame) come il trifoglio e le rape, avvicendate con i cereali. Le colture foraggere avevano la proprietà di arricchire il terreno, consentendo rotazioni più lunghe e una produttività più elevata. Aumentavano così le disponibilità alimentari per gli uomini e per il bestiame. Di conseguenza l’allevamento diveniva una componente fondamentale dell’azienda agricola: forniva concime naturale per la terra, carne e latte per il mercato.
L’integrazione di agricoltura e allevamento
Rotazioni complesse, integrazione di agricoltura e allevamento, produzione per il mercato non furono una prerogativa esclusivamente inglese: i nuovi sistemi si diffusero nella Francia settentrionale e nella Germania nord-occidentale. Nelle Fiandre e in Lombardia già nel ’500 si erano sviluppate aziende agricole moderne: la cascina lombarda con i suoi prati irrigati, che consentivano ripetuti tagli d’erba, rappresentava un modello di progresso e produttività. Ma questa agricoltura – definita “capitalistica” per la presenza di un imprenditore, proprietario o affittuario, che investe capitali sulla terra, si avvale di manodopera salariata e produce per il mercato – rimaneva un settore marginale in lenta espansione. Le innovazioni convivevano con la vecchia struttura feudale, sia nell’Europa occidentale sia in quella orientale.
L’agricoltura capitalistica
Anonimo fiammingo, Veduta di una azienda agricola alle porte di Bologna XVIII sec. [Collezioni d’Arte della Cassa di Risparmio, Bologna] Nel corso del ’700, grazie alla circolazione di un’ampia letteratura tecnica, si diffusero in tutta
Europa nuove tecniche di coltivazione elaborate e sperimentate in Francia e in Inghilterra. Lo dimostra anche questo paesaggio agrario alle porte di Bologna del XVIII secolo, che documenta con immediatezza l’impatto visivo dell’applicazione dei nuovi e razionali sistemi agricoli che replicano
modelli stranieri. Le geometrie dei campi coltivati sono scandite da filari di alberi da frutto che ancora oggi costituiscono una delle coltivazioni prevalenti dell’area.
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C1 LA SOCIETÀ DI ANCIEN RÉGIME
LA RIVOLUZIONE AGRICOLA
Recinzioni campi aperti e terre comuni
Investimenti di capitale
Sfruttamento più razionale della terra
Inghilterra, Francia settentrionale, Germania nord-occidentale, Fiandre, Lombardia
Rotazione pluriennale
Nuove colture (riso, patata, mais)
Aumento della produttività e della resa agricola
Nasce la moderna AZIENDA AGRICOLA CAPITALISTICA
Introduzione di colture foraggere
Integrazione dell’allevamento
I contadini si trasformano in braccianti salariati
I nuovi sistemi produttivi, infatti, incontrarono molti ostacoli alla loro diffusione. La frammentazione fondiaria con le difficoltà organizzative che ne derivavano, l’assenteismo dei proprietari, le consuetudini dei contadini erano tutti elementi di resistenza al nuovo. Qui trova anche spiegazione il ritardo con cui si affermarono, nonostante la resa superiore al frumento e agli altri cereali, le coltivazioni di origine americana – la patata e il mais – destinate a modificare profondamente le abitudini alimentari, soprattutto degli strati popolari [►FS, 2]. La patata, conosciuta e descritta nel ’500, dovette attendere gli inizi del ’700 per cominciare a diffondersi, vincendo diffidenze e ostilità di chi la considerava, fra l’altro, dannosa alla salute (si pensava propagasse la lebbra). Furono le carestie della seconda metà del secolo a imporla dall’Inghilterra alla Polonia; in Irlanda divenne presto l’elemento base della resa dieta contadina. La resa agricola è la quantità di prodotto raccolto rispetto Il mais (grano turco o grano siciliano) ebbe diffusione più precoce, ma egualalla semente impiegata per unità di superficie. mente lenta, nonostante i vantaggi dovuti al ciclo vegetativo più breve di quello del frumento: fu ostacolato dalle sue stesse proprietà colturali che volevano climi METODO DI STUDIO temperati non troppo caldi né troppo freschi e un lavoro di zappatura e sarchia a Cerchia la definizione di “rivoluzione agricotura durante la crescita. Fu coltivato nei paesi mediterranei: Spagna, Francia mela” e sottolinea le sue caratteristiche. b Sottolinea con colori diversi le informazioni ridionale, Sicilia, Italia settentrionale. La farina di mais in talune regioni, come relative all’agricoltura inglese del ’600 e a quella il Veneto, sarebbe divenuta, sotto forma di polenta, il cibo quotidiano dei contadel ’700. Cerchia, quindi, gli elementi che deterdini, mentre il frumento era destinato alla tavola dei ceti più agiati o al mercato. minarono il passaggio dalla prima alla seconda e argomenta le tue scelte. Nel ’700 si diffusero anche altre colture, seppure di minore importanza. Il riso c Reperisci nel testo ed evidenzia il signifinelle zone irrigue del Piemonte e della Lombardia; il tabacco un po’ ovunque, cato dell’espressione “agricoltura capitalistica”. in Olanda, Belgio, Germania, Italia. Questa fu l’unica delle nuove colture “volut d Sottolinea con due colori diversi le colture di importazione che si diffusero maggiormente nel tuarie” che, per ragioni climatiche, poteva affermarsi in Europa. Tè, caffè, cacao continente europeo e quelle che invece continuarono – basi di bevande “eccitanti” il cui consumo crebbe notevolmente nel ’700 – ria rimanere prodotti acquistati all’estero. masero prodotti di importazione.
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La lenta diffusione delle nuove colture
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
1_5 L’INDUSTRIA RURALE
E L’ECONOMIA INDUSTRIOSA
► Leggi anche: ► Fare Storia Agricoltura, industria e nuovi consumi, p. 108
Nelle città l’organizzazione del lavoro artigianale era regolata dalle corporazioni di mestiere, alle quali si accedeva dopo un lungo apprendistato. Le corporazioni imponevano norme estremamente rigide sulle procedure, sulle tecniche e sulla qualità del prodotto tanto che, col passare del tempo, si erano chiuse a ogni innovazione lasciando lievitare di conseguenza i costi di produzione e smarrendo la capacità di adeguarsi alla domanda del mercato. Già tra ’500 e ’600 era divenuto più conveniente spostare le attività produttive nelle campagne, dove molte famiglie contadine erano in grado di avviare un’industria rurale domestica [►FS, 4]. Nelle campagne, infatti, era facile reperire manodopera a basso costo, da impiegare in modo flessibile in rapporto all’andamento della domanda. La nuova figura del mercante imprenditore, protagonista di questo metodo produttivo, forniva la materia prima, ritirava il prodotto finito e provvedeva a venderlo sul mercato. Questo sistema 2_L’INDUSTRIA RURALE IN INGHILTERRA (PERCENTUALE DEGLI AGRICOLTORI INGAGGIATI NELL’ATTIVITÀ MANIFATTURIERA) ebbe un’ampia diffusione in tutta Europa, ma soprattutto nelle regioni e nei dintorni delle città Filatura Lavoro Altri Totale* con forti tradizioni artigianali: nelle Fiandre per e tessitura del legno impieghi la filatura e tessitura del lino, nella Germania Northern Lowlands 57 0 10 46 occidentale per le armi da taglio e i coltelli, nelle East Riding 57 8 22 68 zone prealpine dell’Italia settentrionale per la seta, in Inghilterra per i tessuti di lana.
Dalle corporazioni all’industria rurale
L’industria domestica rurale consentì di rispondere con una certa efficienza allo sviluppo della domanda interna e internazionale – anche coloniale – e offrì a molte famiglie contadine un’alternativa di reddito e la possibilità di raggiungere più alti livelli di vita. Rispetto alla fase successiva della rivoluzione industriale, che ebbe inizio tra la fine del ’700 e l’800 [►CAP10], queste attività sono espressione di una protoindustrializzazione. Il lavoro a domicilio continuò tuttavia a caratterizzare settori importanti della produzione – soprattutto quello della tessitura – anche in fase di industrializzazione ormai avviata.
La “rivoluzione industriosa”
Midland (campagna)
51
13
13
56
Midland (foresta)
68
36
27
77
Contee orientali
22
32
26
58
Somerset
44
22
22
78
Insieme del paese
52
17
19
60
* Ivi comprese le doppie occupazioni.
William Hogarth, Gli apprendisti al telaio 1747 L’incisione, la prima di una serie di 12 create da Hogarth intitolata Il lavoro e la pigrizia, mostra l’interno di un piccolo laboratorio tessile a Spitafields, un quartiere di Londra. In una stanza ben illuminata e arieggiata, due operai lavorano al telaio, mentre il padrone si affaccia dalla porta con un bastone in mano per controllarli. Fin dalla fine del ’600, Spitafields era diventato un importante centro per la produzione di tessuti pregiati di seta, con numerose botteghe di piccole e medie dimensioni controllate da famiglie benestanti che impiegavano due o più dipendenti.
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C1 LA SOCIETÀ DI ANCIEN RÉGIME
LA PROTOINDUSTRIA
SISTEMA DELL’INDUSTRIA DOMESTICA
Il mercante imprenditore
e la porta
VANTAGGI
Investimenti limitati
compra la materia prima
Flessibilità della forza-lavoro
nei periodi di pausa del lavoro agricolo
Aumento dei consumi e sviluppo del mercato interno
al contadino
che la lavora
procurandosi un reddito aggiuntivo
Le attività e le pratiche della protoindustria coincidono con quella che una nuova tendenza della storia economica ha cominciato a chiamare la “rivoluzione industriosa” [►FS, 5], diffusa nelle regioni che si aprono sulle due sponde dell’Atlantico: Olanda, Paesi Bassi, parte della Francia, Inghilterra e le colonie britanniche del Nord America. Questa categoria individua nell’aumento dei consumi [►FS, 6] il risultato di una domanda sostenuta dalle unità familiari produttive. Grazie a un’intensificazione del lavoro nell’ambito dell’industria domestica queste unità familiari disponevano di una quota di reddito da impiegare nell’acquisto di generi voluttuari – zucchero, caffè, tè, tabacco, liquori – o di beni durevoli, come gli orologi da tasca che registrano un vistoso incremento produttivo alla fine del ’700. Il fenomeno alimentò una domanda che rimase sostenuta nel tempo e trovò una risposta nell’interazione tra la produzione industriale locale e l’aumento delle importazioni dei generi coloniali. Il legame, che durò nel tempo, tra produzione locale e aumento della domanda e delle importazioni dei generi coloniali è stato definito dagli storici «il generi coloniali modello della “rivoluzione industriosa”». Tale modello non fu solo una prerogaSono i prodotti che giungono in Europa dalle colonie, tiva di quella parte del mondo occidentale, ma trovava un corrispettivo anche in come lo zucchero, il tè, il caffè, il cacao, il tabacco e i tessuti decorati (calicò); vanno inoltre ricordate le paesi dell’Oriente, come il Giappone, nello stesso arco temporale.
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Anche gli Stati avevano un ruolo nelle attività produttive inLe manifatture dustriali attraverso il sistema della manifattura. La manifatstatali tura è l’organizzazione del lavoro in cui gli operai, concentrati in un unico laboratorio o officina, svolgono, per lo più manualmente, tutte le fasi del processo produttivo. Tipiche manifatture furono quelle promosse in Francia da Colbert al tempo di Luigi XIV, per la fabbricazione di prodotti di lusso destinati al mercato delle esportazioni, come arazzi e porcellane, nel quadro di una politica mercantilista [►3_1]. Anche in altri paesi le manifatture furono spesso costituite su iniziativa statale per la fornitura di armi e uniformi agli eserciti. La manifattura, comunque, non fu mai l’organizzazione dominante e non lo fu soprattutto nel settore tessile, quello che assorbiva allora e avrebbe coinvolto anche in seguito la quantità più rilevante di manodopera.
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
spezie, come noce moscata, pepe, cannella, chiodi di garofano, già usate nel Medioevo nella farmacopea e nella conservazione dei cibi.
METODO DI STUDIO
a Trascrivi sul quaderno le parole chiave del paragrafo evidenziate in grassetto. Quindi, spiega il loro significato nel contesto descritto. b Individua con un segno a margine del paragrafo la parte di testo che potresti intitolare: L’industria di campagna. c Sottolinea nel testo la risposta alla seguente domanda: Che cos’era il sistema della manifattura?.
1_6 GERARCHIE SOCIALI E POTERE POLITICO
► Leggi anche:
Per comprendere i caratteri dell’ancien régime è indispensabile esaminare l’elemento ordinatore della gerarchia sociale. E se per la società industriale il concetto impiegato usualmente è quello di classe, per la società di ancien régime va adottato quello di ceto. Quella dell’ancien régime è, infatti, una società per ceti (detti anche “ordini”, “stati”, in francese états, Stände in tedesco) ossia una realtà sociale stratificata in base all’appartenenza per nascita e caratterizzata da una sostanziale staticità e da una strutturale diseguaglianza giuridica. La società per ceti segna il trionfo dei privilegi, delle giurisdizioni particolari. Chi nasceva nobile rimaneva tale tutta la vita. Allo stesso modo, il contadino aveva pochissime probabilità di uscire dalla sua condizione. Solo nel clero non si accedeva per nascita. L’appartenenza a un ceto comportava il godimento di certi diritti e l’esclusione da altri: questo era il fondamento della diversità dei diritti civili. Cambiare ceto era un evento eccezionale, possibile in virtù del conferimento di privilegi particolari, come quelli compresi nelle “patenti di nobiltà” concesse a un borghese. I contemporanei consideravano questo ordinamento per ranghi qualcosa di fisso, di eternamente valido.
La società per ceti
► Parole della storia Ceto/classe, p. 17 ► Fare Storia Gerarchie sociali e marginalità, p. 115
Nonostante la dominante staticità, nei settori investiti dallo sviluppo – nuova agricoltura, industria domestica, manifatture, traffici commerciali – si registrarono forme di ascesa sociale accompagnate da una nuova ricchezza personale o familiare [►FS, 11]. Lo stesso avvenne all’interno delle amministrazioni pubbliche con l’aumento delle funzioni e delle cariche, mentre fu costante l’ascesa di chi era impegnato nelle libere professioni: avvocati, notai, medici. Ma le spinte innovative si scontrarono, in particolare nell’Europa continentale, con la permanenza di una struttura e di un ordinamento normativo della società organizzati rigidamente in base alla tradizione e al rango. La società per ceti trovava infatti sanzione ufficiale nell’ordinamento politico di molti Stati che mantenevano rappresentanze e assemblee per ceti, tali da determinare, in rapporto alla monarchia, un vero e proprio dualismo di poteri. Il sistema più noto è quello dei tre ordini, o stati, francesi: clero, nobiltà e Terzo stato. Quest’ultimo raccoglieva tutti i sudditi che non appartenessero ai primi due ordini, dal grande mercante al più povero dei contadini.
Mobilità sociale e assemblee dei ceti
Parole della storia
Ceto/classe
I
l termine “ceto“ definisce un gruppo sociale sulla base di elementi “culturali”: il prestigio, derivante dalla nascita o dalla professione; lo stile di vita (modelli di consumo, abitazione, abbigliamento, livello di istruzione, ecc.); i modi in cui un gruppo sociale si autorappresenta e viene percepito dal resto della società. La categoria di ceto appare quindi definita da un insieme di elementi di distinzione che fondano una gerarchia sociale. Quella di classe, invece, restringe il suo ambito alla dimensione economica, alla collocazione dei gruppi sociali nel processo produttivo, alla posizione dei singoli nel mercato del lavoro e dei beni (come produttori e consumatori). Questa
diversità di significati corrisponde in larga misura alla diversità di organizzazione sociale fra società preindustriale e società industriale. Mentre nella prima prevalgono le divisioni per ceti, nella seconda – caratterizzata da un’articolazione di gran lunga maggiore – coesistono strutture di ceto e divisioni di classe. Si parlerà quindi di ceto nobiliare per la società di ancien régime, di classe operaia e ceti medi per la società industriale. Tale distinzione è frutto delle riflessioni compiute dalla ricerca sociologica e dagli studi di storia sociale nel corso del ’900. Per lungo tempo, infatti, l’uso di “classe” ha assorbito molti dei significati di “ceto”, senza tener conto delle diversità storiche e sociali presenti nei due termini. Alla fine del ’700, ma soprattutto nei primi decenni dell’800, la nozione di classe perde
progressivamente l’originaria connotazione classificatoria fino ad allora prevalente (e tipica, ad esempio, delle scienze naturali), per passare ad individuare indistintamente tutti i gruppi socio-economici. Proprio il suo tradizionale impiego in ambito scientifico, e quindi la sua connotazione politicamente “neutra”, rendono il termine “classe” più adatto ad inquadrare la nuova realtà dell’industrialismo, priva ancora di un suo specifico vocabolario. Un notevole contributo alla diffusione del termine verrà da parte del marxismo e della sua analisi della realtà sociale. La ripresa del termine “ceto”, invece, si deve, nel corso del ’900, allo svilupparsi di una riflessione sociologica meno incentrata sulle componenti economiche e soprattutto all’opera pionieristica del sociologo tedesco Max Weber (1864-1920).
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C1 LA SOCIETÀ DI ANCIEN RÉGIME
Pietro e Alessandro Longhi, Colazione in villa XVIII sec. [Casa di Carlo Goldoni, Venezia] Il dipinto testimonia l’usanza della nobiltà
veneziana di trascorrere lunghi periodi di vacanza nelle ville in campagna, grandi e sontuose dimore dove si trasferiva durante la stagione estiva. La scena, illustrata da Pietro e Alessandro Longhi – artisti veneziani di successo durante tutto il ’700 e
gli inizi dell’800 –, si svolge nella sala da pranzo di una villa veneta dove gli elegantissimi ospiti, intenti a conversare, sono seduti a tavola, serviti dai valletti.
In tutta Europa il ceto dominante era la nobiltà [►FS, 7]. Nobiltà feudale prevalentemente, ma anche nobiltà delle cariche amministrative e giudiziarie [►FS, 8] – la nobiltà di toga francese – o patriziati cittadini. E strettamente legata al ruolo rivestito dalle singole nobiltà era la capacità delle assemblee dei ceti di rappresentare e difendere i propri privilegi in contrapposizione alla monarchia assoluta. L’accentramento dei poteri si era realizzato compiutamente in Francia – dove gli Stati generali, organismo rappresentativo dei ceti, non si riunivano più dal 1614 –, in Spagna, in Prussia e nei domìni ereditati dagli Asburgo d’Austria. Non così nell’Impero germanico, dove il governo centrale era praticamente inesistente: negli Stati territoriali e nelle città tedeschi si manteneva saldo il potere degli Stände locali – nobiltà, clero e borghesie cittadine. La Polonia, poi, rappresentava il caso limite di una monarchia che non riusciva a condizionare i privilegi nobiliari. In Italia un esempio significativo era quello del Parlamento siciliano (composto da tre bracci: nobili, ecclesiastici, comunità demaniali, ossia le città) in cui la rappresentanza baronale stabiliva l’ammontare e i criteri di riscossione delle imposte.
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Nobiltà e monarchia assoluta
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
Ma anche le organizzazioni politiche repubblicane, le Province Unite o le repubbliche aristocratiche di Genova e Venezia e quella patrizia di Ginevra, avevano strutture di governo fondate sulla diversità dei ceti e non sull’uguaglianza dei diritti politici.
Le repubbliche
Nell’Europa settecentesca convivevano, dunque, numerose forme di governo: da un lato, la monarchia costituzionale inglese, che rappresentava un fenomeno unico; dall’altro, le monarchie assolute (con numerose varianti di assolutismo imperfetto), le repubbliche oligarchiche e patrizie, infine il feudalesimo aristocratico polacco. La presenza delle assemblee dei ceti, con i loro antichi privilegi e l’ostilità alla centralizzazione, era uno degli indicatori più evidenti di un processo di formazione dello Stato moderno ancora largamente incompiuto.
Forme di governo in Europa
METODO DI STUDIO
a Spiega in cosa consiste una società per ceti e sottolineane le caratteristiche. b Cerchia con colori diversi le forme di governo presenti nell’Europa del ’700 e sottolineane le caratteristiche utilizzando i colori scelti. c Sottolinea le caratteristiche della nobiltà e argomenta le tue scelte.
1_7 IL PROBLEMA DELLA POVERTÀ
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Nella società preindustriale una percentuale elevata della popolazione, oscillante fra il 20 e il 40%, era costituita da poveri, termine generico che indicava non solo i mendicanti, i vagabondi e i senza lavoro, ma anche quanti, nelle campagne e nelle città, non riuscivano sempre a raggiungere, con il lavoro, livelli minimi di sussistenza. La condizione del povero era largamente accettata dalla tradizione cristiana, di cui la carità era uno dei princìpi costitutivi; la povertà era considerata non solo un valore in sé, una virtù, ma anche la testimonianza di una elezione divina. Di qui l’immagine del povero come «vicario di Cristo» e la scelta di povertà degli ordini mendicanti.
Povertà e tradizione cristiana
► Storia, società, cittadinanza Controllo, punizione, rieducazione
Alle soglie dell’età moderna, la beneficenza rientrava nei compiti non solo delle istituzioni ecclesiastiche, ma anche delle amministrazioni cittadine. Fra il 1520 e il 1530 si determinò, però, una profonda trasformazione dell’atteggiamento nei confronti dei poveri tanto sul piano ideologico quanto su quello organizzativo. Questa trasformazione ebbe fra le sue cause innanzitutto il vistoso aumento del pauperismo, legato all’incremento demografico. Così cambiò anche l’immagine del povero, sempre più spesso indicato come possibile elemento di disordine sociale – e persino di contagio. La povertà entrò in un quadro di valutazioni non più solo religiose, ma di natura economica e sociale, che affondavano le radici nel sistema di valori e di ideologie proprio dei centri di produzione manifatturiera e di scambio commerciale. L’assistenza aveva un costo elevato e la presenza dei poveri nel tessuto
Il povero diventa un elemento di pericolo
Giacomo Ceruti detto “il Pitocchetto”, Piccola mendicante e donna che fila XVIII sec. [Collezione privata] A partire dal ’500 nasce una “nuova” figura sociale, quella del “pitocco” o “cialtrone”: poveri, mendicanti-furfanti che si guadagnano da vivere con ogni mezzo ed espedienti più o meno leciti. Per tutto il ’600 e il ’700 diventano protagonisti di alcune rappresentazioni pittoriche del tempo. Ceruti li ritrae costantemente nei suoi quadri tanto da specializzarsi e da essere chiamato “il Pitocchetto”. In questo dipinto, l’artista ne descrive con minuzia la miseria degli indumenti e l’espressione sofferente della donna in primo piano, mentre il paesaggio urbano è soltanto tratteggiato sullo sfondo.
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C1 LA SOCIETÀ DI ANCIEN RÉGIME
urbano rappresentava un pericolo, un rischio. Una popolazione fluttuante e non controllabile di poveri inurbati rappresentava per le città un elemento che rischiava di vanificare l’attenta politica di approvvigionamento dei generi di prima necessità, indispensabile strumento di garanzia della tranquillità sociale. Questi elementi di “calcolo” si accompagnarono allo sviluppo di un’etica del lavoro che tendeva ad accettare sempre meno chi viveva di elemosina. Non si trattava di negare la povertà, ma di controllarla e disciplinarla. Si delineò la necessità di distinguere fra poveri veri e falsi, buoni e cattivi, inabili e abili al lavoro. Si punirono gli accattoni e i vagabondi e apparve essenziale imporre l’obbligo del lavoro. Nelle città delle Fiandre e della Germania, ma anche in Italia e in Francia, furono realizzate strutture accentrate per l’assistenza, venne repressa la mendicità – che per i recidivi poteva portare alla pena di morte – e si cercò di impiegare i poveri nei lavori pubblici. Queste riforme, unite alla concezione del lavoro come valore morale e religioso, accomunarono sia le città cattoliche sia quelle protestanti. Queste iniziative non si rivelarono sufficienti e la necessità di un controllo della mendicità – intesa come espressione dell’ozio e di un mondo organizzato di furfanti e di imbroglioni – portò a una ulteriore svolta nella politica assistenziale: poveri, vagabondi, mendicanti cominciarono a essere internati e reclusi in ospizi e ospedali appositamente costituiti. Il principio dell’internamento cominciò a essere applicato fra la fine del ’500 e gli inizi del ’600 e si diffuse tanto nell’Europa cattolica quanto in quella protestante.
Controllo e repressione della povertà
A Roma, nel 1581, 850 mendicanti furono reclusi in un ospizio: l’iniziativa, che ebbe breve durata, venne ripresa nel 1587 durante il pontificato di Sisto V. Ad Amsterdam, alla fine del ’500, furono istituite una casa di lavoro per gli uomini e una per donne e bambini. A Parigi, nel 1656, fu fondato l’Ospedale generale [►FS, 12d], composto da vari ospizi, che ospitavano alla fine del ’600 circa 10 mila persone (poveri, malati, orfani, prostitute). In tutti questi istituti, orari e disposizioni estremamente rigidi regolavano il lavoro, l’istruzione e la preghiera. Ad Amsterdam, come racconta lo storico polacco Bronisław Geremek, «se un povero si rifiutava di lavorare veniva rinchiuso in un sotterraneo che lentamente veniva riempito d’acqua. Il recluso aveva a disposizione una pompa e per salvarsi dall’annegamento doveva pompare via senza sosta l’acqua dal locale. Questo era ritenuto un metodo efficace per sconfiggere la pigrizia e far prendere abitudine al lavoro».
I centri di reclusione nelle grandi capitali
L’internamento in queste istituzioni non voleva essere tanto una condanna, quanto la realizzazione di “cittadelle della pura moralità”: la “grande reclusione del ’600” aveva in sé molti contenuti utopistici, ma non escludeva affatto una notevole dimensione coercitiva [►FS, 13]. Se è vero che gli ospedali e gli ospizi avevano strutture che ricordavano il convento e prefiguravano la prigione, tuttavia per l’attività lavorativa erano organizzati come manifatture. Questo filantropia carattere fu particolarmente evidente nel sistema delle case officina inglesi Col termine “filantropia” (dal greco antico: philía, (workhouses), la prima delle quali fu istituita per iniziativa di un ricco mercan“amicizia” e ànthroˉpos, “uomo, essere umano”) si indica il sentimento di amore, e più in generale di fratellanza e te a Bristol nel 1696. solidarietà, nei confronti del genere umano. Si indica col La “grande reclusione” fu dunque la risposta politica e amministrativa a un termine “filantropo”, dunque, una persona generosa che fa attività di beneficenza. problema sociale: i poveri vennero considerati elementi asociali, equiparati ai pazzi e alle prostitute, e fatti oggetto di un’esplicita emarginazione. Tanto sul piano produttivo quanto su quello dell’efficacia dei “dispositivi di controllo”, METODO DI STUDIO questa politica si rivelò un fallimento. Non fu in grado innanzitutto di control a Spiega per iscritto il rapporto fra beneficenza lare l’ampiezza di un fenomeno estremamente variabile in rapporto all’andae pauperismo. mento della congiuntura economica. Venne inoltre duramente ostacolata da b Sottolinea con colori diversi le cause e le conseguenze dell’aumento del pauperismo. quanti – ordini ecclesiastici e istituzioni laiche – difendevano, per motivi reli c Sottolinea i princìpi alla base dell’etica del giosi e umanitari, l’antico sistema di protezione dei poveri. Nella seconda metà lavoro nel ’700. del ’700 filantropia e analisi sociale convergeranno nel tentativo di indivi d Trascrivi sul quaderno le parole chiave del duare più correttamente una realtà che sarà progressivamente superata solo paragrafo evidenziate in grassetto relative al tema dell’internamento. Quindi, spiega il loro significato nel corso dell’800 con la graduale trasformazione dei poveri in proletariato nel contesto descritto. industriale.
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Il fallimento della “grande reclusione”
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
ARTE E TERRITORIO LA REALTÀ CONTADINA NEGLI SGUARDI D’ARTISTA NEL ’700
D
i fronte alle trasformazioni della società produttiva gli artisti non restarono del tutto indifferenti. Nel corso del XVIII secolo non mancarono infatti opere d’arte che testimoniavano con uno sguardo disincantato gli effetti della rivoluzione agricola. Dal punto di vista della storia dell’arte questi primi tentativi costituirono una premessa importantissima per la corrente del realismo, che avrebbe caratterizzato soprattutto la seconda metà del XIX secolo con artisti impegnati a ritrarre la realtà il più fedelmente possibile. Dal punto di vista storico, invece, cercare nell’arte tracce dei cambiamenti in corso nell’economia tradizionale è diventato importantissimo per valutare la consapevolezza che ne aveva la società. Uno dei contributi più interessanti venne da William Hogarth (1697-1764), un pittore celebre per le sue raffigurazioni satiriche dei vizi della società britannica. In una serie di tavole, intitolata La carriera di una prostituta, venivano rappresentate le disavventure di Moll Hackabout, una ragazza di campagna arrivata in città per fuggire dalla povertà. Nell’immagine [fig. 1], il vestito bianco di Moll sembra alludere alla sua ingenuità rispetto agli abitanti della città, che sembrano già adescarla per trarne profitto, anche se lei è ancora con-
vinta che avrebbe trovato in città condizioni di vita migliori rispetto a quelle offerte dal lavoro nei campi, magari come sarta, vista la borsa da cucito che tiene al braccio destro. Anche se nelle tavole successive Hogarth avrebbe descritto solo le vicende di Moll, è evidente da questa prima scena che teneva ad associare la sua storia a quella delle altre ragazze inviate dalle famiglie in città: il carro da cui è scesa la protagonista, infatti, era pieno di altre campagnole che ne avrebbero sicuramente condiviso il destino. Gli effetti della migrazione dalle campagne verso le opportunità di lavoro della città erano meno esemplari se guardati dal punto di vista di una ragazza in cerca di fortuna. Anche in Italia non mancarono tentativi di rappresentare la concretezza della vita popolare, sebbene a prevalere nel ’700 fossero le rappresentazioni idilliache o neoclassiche. La scuola pittorica lombarda fu la voce più originale in questa direzione. Artisti come Giacomo Ceruti detto “il Pitocchetto” (1698-1767) proprio per la sua tenacia nel raffigurare i poveri, i pitocchi nel dialetto lombardo [fig. 2], o Francesco Londonio (1723-1783) scelsero soggetti particolarmente realistici. Nei loro dipinti, non c’era alcuna idealizzazione arcadica, cioè nessun tentativo di rap-
1. William Hogarth, Moll Hackabout arriva a Londra alla taverna Bell 1732, stampa [da La carriera di una prostituta, tav. 1]
2. Giacomo Ceruti detto “il Pitocchetto”, Vecchia contadina 1730, olio su tela [Collezione privata]
presentare il mondo rurale come il luogo dove poter rivivere ancora il mito dell’Arcadia, la regione dell’antica Grecia dove si riteneva che gli uomini avessero raggiunto la vera felicità armonizzandosi con la natura. Quel mito, più volte riproposto nel corso della storia delle arti, aveva avuto una nuova vita proprio tra la fine del ’600 e l’inizio del ’700, con la fondazione dell’Accademia dell’Arcadia a Roma. Questo circolo letterario riuniva artisti che si rappresentavano come pastori-poeti, molto distanti dalle reali condizioni degli uomini e delle donne impegnati nei lavori della campagna. Al contrario di essi e controcorrente anche rispetto al quadro generale europeo, i pittori della scuola lombarda si dedicarono a raffigurare fedelmente la vita delle popolazioni contadine. PISTE DI LAVORO
a Redigi due piccoli profili biografici dei pittori William Hogarth e Giacomo Ceruti. Vai su Google, digita il nome dei due artisti nella maschera di ricerca, seleziona un sito affidabile, leggi la biografia dei due artisti e redigi i testi, cercando di non superare le 50/60 parole. b In che modo Hogarth ha rappresentato le aspettative di Moll Hackabout rispetto alla nuova vita che l’attende in città? c Quale significato a contrasto assume il vestito bianco di Moll rispetto alla realtà urbana? d Perché possiamo affermare che i dipinti di Hogarth e di Ceruti testimoniano le trasformazioni in atto nella realtà contadina dell’epoca?
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C1 LA SOCIETÀ DI ANCIEN RÉGIME
SINTESI alla salute della donna, nuovo atteggiamento verso l’infanzia, tutela della proprietà, rifiuto del controllo delle istituzioni religiose sulla vita privata.
delle disponibilità alimentari e dell’allevamento.
1_1 LA “RIVOLUZIONE” DEMOGRAFICA
1_7 IL PROBLEMA DELLA POVERTÀ
Nel corso del ’700 la società di ancien régime subì alcune profonde trasformazioni. Il fenomeno più rilevante fu la crescita demografica, cui si legò una intensa urbanizzazione. Si interruppe allora il rapporto di reciproca dipendenza tra popolazione e risorse alimentari, grazie a una maggiore produttività dell’agricoltura. Più disponibilità di cibo, livelli di vita più elevati, migliori condizioni igieniche e i progressi della medicina (prime forme di vaccino) determinarono così un notevole abbassamento dei tassi di mortalità. Analogamente, lo sviluppo economico e maggiori opportunità di lavoro consentirono l’abbassamento dell’età matrimoniale, con un conseguente impatto positivo sui tassi di natalità.
Nel corso del ’500 l’aumento del pauperismo – con i connessi problemi di controllo sociale – e lo sviluppo di una nuova etica del lavoro determinarono una profonda riorganizzazione dell’assistenza. Due criteri caratterizzarono il nuovo ordinamento: l’obbligo al lavoro e l’internamento in appositi ospizi. Fu soprattutto nel ’600 che prese corpo la “grande reclusione”, al tempo stesso utopia morale e sistema di coercizione fisica, che coinvolgeva insieme con i poveri e con i vagabondi, i malati, i pazzi, le prostitute.
1_3 IL MONDO DELLE CAMPAGNE: FEUDALITÀ E RIVOLTE La società di ancien régime era fondamentalmente agricola. Nell’Europa del ’700 la proprietà terriera era ancora prevalentemente di tipo feudale, pur se si erano attenuati nell’area del feudalesimo “classico” (Francia settentrionale e Germania occidentale) molti dei suoi caratteri originari. Notevoli erano comunque le differenze nei diversi paesi europei. Nell’Europa orientale le condizioni particolarmente dure di servaggio furono all’origine di varie rivolte sociali.
1_5 L’INDUSTRIA RURALE E L’ECONOMIA INDUSTRIOSA Le campagne del ’700 erano anche sede di un’industria rurale domestica, dedita principalmente ad attività tessili, che si sviluppò grazie alla nuova figura del mercante imprenditore. Il lavoro a domicilio, che caratterizza la fase di protoindustrializzazione, continuerà a svolgere un ruolo importante anche dopo la rivoluzione industriale. Un posto importante nell’economia del tempo ebbe anche la manifattura, caratterizzata dalla concentrazione in un’unica sede di più operai che svolgono, per lo più manualmente, tutte le fasi del processo produttivo.
1_4 LA RIVOLUZIONE AGRICOLA E LE NUOVE COLTURE
1_6 GERARCHIE SOCIALI E POTERE POLITICO
Mentre nell’età preindustriale era generalmente diffusa la famiglia estesa o allargata, in cui convivevano tre generazioni (nonni, genitori e figli), dopo la rivoluzione industriale si affermò, almeno tendenzialmente, la famiglia nucleare o coniugale formata dai soli genitori e figli. Il controllo delle nascite in Francia, avviato alla fine del ’700 con un secolo di anticipo rispetto al resto d’Europa, dipese da un insieme di fattori: maggiore attenzione
Nel corso del ’700 si manifestarono importanti mutamenti nelle strutture agrarie, anzitutto in Inghilterra. Qui il fenomeno delle enclosures – iniziato da alcuni secoli – portò a una più chiara definizione della proprietà e a una coltivazione più razionale della terra, attenta alle esigenze del mercato agricolo. Altro fattore importante fu il superamento della rotazione triennale attraverso sistemi di rotazione pluriennale, che condussero a un aumento
Il concetto essenziale per definire la gerarchia sociale della società di ancien régime è quello di ceto. Caratteristiche di tale gerarchia erano la fissità delle stratificazioni sociali, l’appartenenza per nascita, la diseguaglianza giuridica. La società per ceti trovava sanzione ufficiale nelle assemblee per ordini, che esercitavano un’azione di resistenza nei confronti della centralizzazione del potere realizzata dalla monarchia assoluta.
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1_2 FAMIGLIA, MATRIMONIO E FIGLI
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Indica le affermazioni vere e correggi quelle errate.
a. Durante l’ancien régime la società era stratificata in base all’appartenenza per nascita. ................................................................................................................................................................................. b. La Francia organizzò la produzione in manifatture per la fabbricazione di prodotti di lusso destinati al mercato delle esportazioni. ................................................................................................................................................................................. c. La stratificazione della società di ancien régime era una realtà dinamica. ................................................................................................................................................................................. d. Il Terzo stato comprendeva tutta la popolazione, eccetto i nobili e i religiosi. ................................................................................................................................................................................. e. Il gruppo sociale dominante nell’Europa moderna era la borghesia. ................................................................................................................................................................................. f. Nobiltà e monarchia erano spesso alleate nel governo e nell’amministrazione statale. ................................................................................................................................................................................. g. Dalla metà del ’500 aumentò in Europa il numero dei poveri. ................................................................................................................................................................................. h. Il miglioramento generale delle condizioni di vita fece aumentare l’estensione della famiglia. ................................................................................................................................................................................. i. L’uso della contraccezione era favorito dagli istituti di carità religiosi. .................................................................................................................................................................................
V
F
V
F
V
F
V
F
V
F
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F
V
F
V
F
2 Associa le espressioni alle relative definizioni.
a. Nobiltà di toga b. Ancien régime c. Enclosures d. Famiglia nucleare e. Decima f. Cottagers g. Usi civici h. Gabella
1. Gruppo formato soltanto da genitori e figli 2. Così erano chiamati in Inghilterra i contadini poveri e privi di proprietà 3. Imposta indiretta sugli scambi e sui consumi 4. Diritti collettivi della comunità contadina 5. Espressione che indica la società europea prima della Rivoluzione francese 6. Così erano chiamate in Inghilterra le recinzioni dei campi 7. Borghesia che compra “patenti di nobiltà” 8. Quota parte del raccolto solitamente pari a un dodicesimo/tredicesimo destinata al parroco
3 Completa le frasi individuando le soluzioni corrette.
1. L’aumento della popolazione mondiale dopo la metà del ’600 fu causato da... 2. Lo sviluppo demografico fu più intenso... 3. Il modello politico dell’assolutismo si realizzò pienamente... 4. Il sistema dei campi aperti era costituito da terre... 5. Nelle campagne inglesi del ’700 agricoltura e allevamento furono... 6. La “grande reclusione del ’600” colpì...
a. solo in Francia. b. contigue, non recintate ma di proprietà individuale. c. la diminuzione della mortalità dovuta a eventi catastrofici come epidemie e carestie. d. integrati con l’introduzione delle piante da foraggio nella rotazione. e. i soggetti considerati “asociali”: poveri, pazzi, criminali e prostitute. f. nelle capitali degli Stati più antichi e potenti.
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C1 LA SOCIETÀ DI ANCIEN RÉGIME
4 Completa la seguente mappa relativa all’industria rurale e all’economia industriosa.
Nel corso del tempo le corporazioni di mestiere cittadine diventarono anacronistiche perché:
● si chiusero sempre più ad ogni innovazione ● ...................................................................................... ● ......................................................................................
Ciò comportò il trasferimento delle attività produttive nelle campagne perché ................................................................ ..........................................................................................
Nacque la figura del mercante imprenditore che si occupava di:
● fornire la materia prima alle famiglie contadine ● ...................................................................................... ● ......................................................................................
Questa industria domestica rurale consentì alle famiglie di ..... ..........................................................................................
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..........................................................................................
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
COMPETENZE IN AZIONE 5 Sul quaderno di storia scrivi un testo di massimo
15 righe sull’andamento demografico fra XVI e XVIII secolo. A tal fine osserva con attenzione il grafico sull’andamento demografico e rispondi alle seguenti domande:
UH
*P
100
50
YPJH
30
10
9\
UPH
.LYTH 0[HSPH
UPH
7VSV
HYL UPUZ\S PHWL 0[HS SL [YPVUH [[LU LYYH ZL NOPS[ 0U H P S H [ 0
5 3
PH
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a. Qual è l’andamento generale della popolazione tra il 1520 e il 1650 in Cina e in Europa? Come varia invece la popolazione americana? b. Come varia la popolazione in Europa dopo il 1650? c. In quale Stato si registra la maggiore variazione demografica dopo il 1650? Quali Stati appaiono in controtendenza? d. Qual è lo Stato più popolato nel 1600? E nel 1800?
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6 Sul quaderno di storia scrivi un testo di circa 20 righe dal titolo La rivoluzione agricola e la nascita dell’imprenditore
capitalistico. A tal fine seleziona e commenta l’immagine del capitolo che ritieni più significativa e utilizza la seguente scaletta:
● Il luogo geografico interessato da questa rivoluzione ● Il momento storico in cui si realizzò la rivoluzione agricola ● Le recinzioni o enclosures ● La rotazione pluriennale ● Il nuovo rapporto tra agricoltura e allevamento ● L’imprenditore agricolo capitalistico ● La produzione per il mercato ● La manodopera salariata 7 Scrivi sul quaderno un testo di massimo 20 righe in cui spiegherai il modo in cui la percezione della povertà si
trasforma durante l’età moderna in Europa. Puoi utilizzare la seguente scaletta:
a. Nel Medioevo la povertà era percepita come... b. Le istituzioni reagivano organizzando... c. A partire dal XVI secolo i poveri diventarono un problema di tipo... d. I principali strumenti di controllo adottati furono... e. Essi erano ispirati a princìpi di... e coinvolgevano... f. Durante il ’700 la maggior parte dei dispositivi adottati fu abbandonata perché...
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C1 LA SOCIETÀ DI ANCIEN RÉGIME
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CAP2 LE NUOVE SCIENZE
2_1 LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
La scienza moderna trovò origine nei vasti mutamenti che, nel corso del XVII secolo, coinvolsero tutti i campi del sapere: si ridefinirono, allora, alcuni concetti essenziali come quelli di natura e di scienza e si produsse quel complesso fenomeno che va sotto il nome di “rivoluzione scientifica” [►FS, 24]. La natura era stata prevalentemente considerata, fin dall’Antichità, come un insieme di eventi ordinati finalisticamente. Questo vuol dire che, di fronte a un fenomeno naturale, ciò che ci si domandava era «a qual fine, con quale scopo ciò avviene?». Aristotele – filosofo greco del IV secolo a.C., che con la sua autorità aveva influenzato il pensiero scientifico fino a tutto il Medioevo – sosteneva, per esempio, che un grave cade con lo scopo di raggiungere il suo luogo naturale, che sarebbe il centro della Terra, mentre il fuoco va verso l’alto con lo scopo di raggiungere il suo luogo naturale che starebbe al di sopra dell’aria. In queste affermazioni ciò che deve interessarci, oltre alla risposta fornita da Aristotele, è il tipo di domanda che le sta dietro. Quel che muta nel ’600 è innanzitutto la maniera in cui ci si pone il problema dei fenomeni naturali. Non ci si chiede più a qual fine si determini un dato evento, ma per qual causa, in qual modo. Come si vede è proprio il concetto di natura che si è modificato [►FS, 25d]. Per gli uomini di scienza del ’600 la natura è come un’enorme macchina, messa in moto da Dio, i cui movimenti non sono dettati dagli scopi che devono essere raggiunti, ma solo da norme di funzionamento così come avviene in un orologio. È questo il motivo per cui si parla di meccanicismo a proposito della concezione della natura che si ebbe nel XVII secolo, rispetto al finalismo aristotelico.
Dal finalismo al meccanicismo
A questa nuova concezione si era giunti soprattutto attraverso un profondo rinnovamento della cosmologia. Secondo Aristotele, l’Universo è finito e geocentrico, la Terra cioè occupa il centro del sistema ed è immobile, mentre gli astri ruotano attorno a essa. Terra e cielo differiscono profondamente per la materia di cui sono costituiti e per il movimento. Sul nostro pianeta, nel mondo sublunare, fatto di terra, acqua, aria, fuoco, ha legittimità solo il moto rettilineo. Nel cielo, fatto di etere, ha luogo il moto circolare considerato perfetto. Nel 1543 un astronomo polacco, Niccolò Copernico (1473-1543), nel suo libro De revolutionibus orbium coelestium (Le rivoluzioni dei corpi celesti) propose la spiegazione eliocentrica per la quale il Sole occupa il centro dell’Universo mentre i pianeti, compresa la Terra, sono in moto intorno a esso: si trattava di un radicale rovesciamento dell’ordine del cosmo che implicava la messa in discussione delle concezioni scientifiche fino ad allora dominanti.
Il rinnovamento della cosmologia
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Una nuova concezione della cultura e della ricerca
Anche all’uomo veniva assegnato un posto radicalmente diverso: egli perdeva il ruolo di fine ultimo della natura creata (finalismo antropocentrico), ma ne diventava “ministro” e “interprete” in virtù delle sue potenzialità di conoscenza e di dominio. Pur essendo soltanto un “nano” rispetto alle grandi autorità del
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
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Focus Vedere da vicino: microscopio e cannocchiale • Le società letterarie e scientifiche in Italia Audiosintesi
► Leggi anche: ► Fare Storia Verso una nuova scienza, p. 138
Andreas Cellarius, La mappa copernicana dell’Universo XVII sec. [da Atlas coelestis seu Harmonia Macrocosmica, Amsterdam 1660; British Library, Londra] La teoria copernicana, che pone il Sole al centro dell’Universo, sconvolse convinzioni che per quasi duemila anni erano rimaste immutate. L’eliocentrismo minava anche l’idea cristiana (fondata su un’interpretazione letterale della Bibbia) che voleva la Terra al centro dell’Universo: per questo i suoi sostenitori furono fortemente ostacolati e inquisiti.
passato, l’uomo moderno – il filosofo, lo scienziato, il politico del XVII secolo – riesce a vedere più lontano proprio perché sta sulle spalle di quei “giganti”. Questa immagine – non nuova, ma allora molto diffusa – è emblematica dell’emergere di una nuova concezione del progresso (ancora oggi presente e operante), inteso come accumulo delle conoscenze nel tempo, come prodotto di una continua elaborazione mai definitivamente conclusa. Questo diverso modo di operare, che mira unicamente all’utilità nei confronti del genere umano, presuppone la pubblicità e lo scambio dei risultati raggiunti e si fonda sulla cooperazione fra intellettuali, scienziati, tecnici e artigiani. Questa “collaborazione intellettuale” si rea‑ lizzò, tra l’altro, nei frequenti rapporti tra i dotti, nei ricchissimi epistolari, nelle grandi accademie scientifiche del XVII secolo [►2_6].
METODO DI STUDIO
a Completa la frase sottolineando sul testo la parte finale: «La rivoluzione copernicana propose una visione eliocentrica. ...». b Sottolinea con colori diversi le caratteristiche del meccanicismo e del finalismo aristotelico. c Cerchia le parole chiave del paragrafo relative al cambiamento della concezione dell’uomo nel ’600 e trascrivile sul quaderno. Quindi, spiegane il significato nel contesto descritto.
2_2 IL METODO SPERIMENTALE
► Leggi anche:
Grazie soprattutto alla diffusione di edizioni e traduzioni di testi scientifici e tecnici del mondo classico, come la fondamentale versione latina degli Elementi di geometria del greco Euclide, già nel Rinascimento le scienze matematiche avevano acquistato una dignità mai conosciuta prima, alimentando gli studi di trigonometria, prospettiva e meccanica e stimolando la ricerca di un rigore e di una precisione maggiori nelle diverse discipline [►FS, 26]. Anzi, l’esigenza di precisione divenne uno dei caratteri specifici della nuova scienza che aspirava a liberarsi dai dati inaffidabili dell’approssimazione e a realizzare quel passaggio fondamentale dal «mondo del pressappoco all’universo della precisione» (A. Koyré).
La centralità delle scienze matematiche
► Focus Vedere da vicino: microscopio e cannocchiale ► Eventi Il Il processo a Galilei, p. 30
Tra coloro che, con osservazioni, teorie e scoperte, si resero artefici e protagonisti della rivoluzione scientifica, vanno ricordati l’astronomo danese Tycho Brahe (1546-1601), per l’importanza delle sue misurazioni e congetture astronomiche, sebbene ancorate a una concezione geocentrica del mondo, e il tedesco Giovanni Keplero (15711630), allievo di Brahe e copernicano convinto, che enunciò le tre leggi sul moto dei pianeti e dimostrò che le loro orbite, fino ad allora considerate circolari, sono invece ellittiche. Si trattava di un altro colpo inferto alla visione aristotelica del cosmo, poiché lo stesso Copernico aveva mantenuto la concezione aristotelica della circolarità del moto dei corpi celesti. Venne così a cadere la tradizionale distinzione tra il mondo terrestre o sublunare e l’empireo: se il mondo terrestre e quello celeste sono regolati dalle stesse leggi, la fisica con Keplero può estendere il proprio campo d’indagine dal mondo della natura a quello dei cieli, divenendo così anche “fisica celeste”.
La rivoluzione copernicana
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C2 Le nuove scienze
Ma il contributo decisivo alla costruzione della nuova scienza fisica e della nuova cosmologia venne dal pisano Galileo Galilei (1564-1642), che possiamo considerare il primo scienziato nell’accezione moderna del termine. Galilei mise a punto le procedure fondamentali del metodo sperimentale, che prevedeva l’osservazione diretta di un fenomeno, la formulazione di una ipotesi matematica, la verifica dell’ipotesi attraverso l’esperimento per giungere alla formulazione finale della teoria generale. Il metodo sperimentale divenne il procedimento basilare della nuova scienza: l’uso sistematico dell’ipotesi matematica, dell’osservazione e dell’esperimento permise infatti di cogliere le leggi universali secondo cui è organizzata e strutturata la realtà, il grande libro della natura “squadernato” davanti ai nostri occhi. La portata rivoluzionaria della scienza seicentesca sta proprio nell’importanza assunta dall’esperimento come metodo di prova e dall’osservazione sistematica come momento privilegiato di conoscenza dei fenomeni naturali.
Galilei e il metodo sperimentale
Elaborando alcune informazioni intorno a uno strumento che si stava fabbricando in Olanda, Galilei costruì il primo telescopio, il cannocchiale [►FS, 29], e lo puntò verso il cielo: questo gesto fu la sua prima vera “scoperta”. L’uso del cannocchiale consentì a Galilei, tra il 1609 e il 1610, quella verifica sperimentale della tesi copernicana che segnò la definitiva distruzione del cosmo aristotelico: con la scoperta delle montuosità della Luna e delle macchie solari, veniva desperimentale finitivamente dimostrata l’omogeneità tra mondo sublunare e celeste; i satelliti L’aggettivo “sperimentale” significa “che si basa di Giove da lui scoperti (denominati pianeti «medicei» in onore della famiglia sull’esperienza”; tale esperienza va a sostituirsi, nel metodo scientifico moderno, al principio di autorità di Medici) dimostravano l’esistenza di un sistema analogo a quello Terra-Luna; le matrice aristotelica, che rappresentava il fondamento della fasi di Venere (simili a quelle lunari) indussero Galilei a concludere che tutti i filosofia medievale. In base al metodo sperimentale, solo pianeti, privi di luce propria, dovevano derivarla dal Sole, girando intorno a esso. l’esperienza, ovvero l’osservazione diretta della realtà, costituiva la chiave per spiegare i fenomeni; sulla base La conferma del sistema copernicano costò a Galilei la persecuzione da parte del dei dati raccolti, lo scienziato formula un’ipotesi sulle Sant’Uffizio e la prigionia (1633): dalle vicende legate allo scontro con il tribunacause e sulle modalità che regolano il fenomeno studiato, le dell’Inquisizione emerse in tutta la sua drammaticità il problema dei rapporti confermandola poi attraverso l’esperimento. tra scienza e fede [►FS, 30d].
La distruzione del cosmo aristotelico
Cannocchiali costruiti da Galilei [Museo di Storia della Scienza, Firenze] Galileo Galilei realizzò un cannocchiale (da lui definito perspicillo, dal latino perspicio, “vedere attraverso, guardare in profondità”) in grado di raggiungere 20 ingrandimenti: questo strumento fu alla base delle sue scoperte astronomiche che consentivano di provare la superiorità del sistema copernicano su quello aristotelico-tolemaico.
IL METODO SPERIMENTALE
La CONOSCENZA
Si basa NON su…
L’autorità degli antichi
I dogmi
Il ragionamento deduttivo
MA su…
L’osservazione diretta della realtà
La raccolta dei dati
La formulazione di un’ipotesi (induzione)
attraverso…
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ESPERIENZA
LINGUAGGIO MATEMATICO
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
DIMOSTRAZIONE SPERIMENTALE
▼ Galileo
Galilei, Disegni delle sei fasi della Luna con i suoi crateri novembre-dicembre 1609 [Ms Gal. 48, c. 28f; Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze]
▲ Due
pagine dal Sidereus Nuncius di Galileo Galilei (Venezia, 1610) [Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze] Con il suo telescopio, fra il 1609 e l’anno successivo, Galilei passa molte notti a scrutare il cielo e scopre che la superficie
della Luna non è liscia, come fino ad allora erroneamente ritenuto, ma presenta rugosità (montagne e crateri); comprende la relazione fra la Terra e la Luna e il moto della seconda intorno alla prima; identifica la Via Lattea e scopre quattro satelliti intorno a Giove. A corredo dei resoconti
delle sue osservazioni sulla superficie lunare, lo scienziato pisano realizza una serie di acquerelli della Luna nelle sue diverse fasi: nasce così l’opera scritta in latino Sidereus Nuncius (“Annuncio delle stelle”), con la quale Galilei divulga al mondo dei dotti le sue scoperte.
La consapevolezza di questo grande rinnovamento si era apertamente imposta in tutti i campi del sapere: comune divenne infatti l’esigenza di trovare, e fondare, un nuovo metodo in grado di unificare tutte le scienze verificandone i presupposti teorici. L’inglese Bacone (Francis Bacon, 1561-1626), nel suo Novum Organum (1620), introdusse un nuovo metodo di indagine della natura in contrapposizione alla vecchia logica (Organon) aristotelica. Elementi costanti del pensiero di Bacone sono il richiamo all’esperienza, la polemica contro i “pregiudizi”, la necessità di una classificazione delle scienze adeguata alla nuova «enciclopedia del sapere». Scoperte scientifiche e vera interpretazione della natura dovevano infine essere, per Bacone, il prodotto di una collaborazione tra tutti gli uomini, scienziati, tecnici, artigiani. A questa ricerca di una disciplina universale in grado di cogliere le radici comuni delle varie scienze, il filosofo e scienziato francese Cartesio (René Descartes, 1596-1650) offrì il contributo più significativo individuando nella matematica il fondamento metodologico dell’indagine della natura. Sostenitore del meccanicismo, applicato con coerenza non solo agli studi di ottica e di fisica, ma anche alla fisiologia, Cartesio colse negli esseri viventi quegli stessi schemi meccanici che rinveniva nell’intero Universo [►FS, 27d].
Bacone e Cartesio
Nuovi orizzonti di ricerca e più ampie possibilità di applicazione nel campo delle scienze matematiche furono aperti dalla scoperta del calcolo infinitesimale o integrale a cui giunsero separatamente, alla fine del secolo, il filosofo tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) e lo scienziato inglese Isaac Newton METODO DI STUDIO (1642-1727). a Sintetizza sul quaderno le cause che portarono al superamento della distinzione tra il mondo Newton elaborò l’ipotesi sulla natura corpuscolare della luce e formulò la legge sublunare e l’empireo. di gravitazione universale per cui i corpi tendono verso il Sole e i rispettivi pia b Cerchia con colori diversi i nomi dei maggiori neti. Nei Principi matematici della filosofia naturale (1687) egli ridusse i fenomeesponenti della scienza del ’600 e sottolinea i contributi principali da questi portati utilizzando ni a puri dati quantitativi e misurabili, e affrontò lo studio del movimento e delle gli stessi colori. sue forze in termini matematici.
Leibniz e Newton
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C2 Le nuove scienze
EVENTI
Il processo a Galilei
«I
o Galileo [...] avendo davanti gl’occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani, giuro di aver sempre creduto, credo adesso, e con l’aiuto di Dio crederò per l’avvenire, tutto [...]. Con cuore sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et heresie, e generalmente ogni et qualunque altro errore, eresia e setta contraria alla Santa Chiesa». Con queste parole Galileo Galilei sconfessava la teoria copernicana e le sue convinzioni: era il 22 giugno 1633, nella grande sala del convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva a Roma, aveva quasi 70 anni, era inginocchiato e vestito con un camice da penitente, di fronte ai componenti della Congregazione del Sant’Uffizio, che lo avevano condannato perché «sospetto di essere vehementemente eretico, cioè di avere mantenuta e creduta vera una dottrina falsa e contraria alle Sacre e divine Scritture, vale a dire che il Sole è centro per la Terra e non si muove da oriente a occidente, mentre al contrario la Terra si muove e non è centro del mondo, e di aver ritenuto possibile mantenere e difendere come probabile una teoria dopo che questa è stata dichiarata e definita contraria alla Sacra Scrittura». Il processo a Galilei e al suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, l’opera pubblicata nel 1632 in cui dimostra la fondatezza del sistema copernicano, si iscrive in una fase storica in cui la Chiesa, con i più svariati mezzi, tentava di riprendersi il controllo sulla società e sulla cultura. Un tentativo di contrastare non solo la Riforma pro-
testante, ma anche, e soprattutto, le spinte alla libertà di pensiero e all’indipendenza della ricerca scientifica che si erano andate ormai affermando in tutta Europa. Nel 1600 aveva messo al rogo Giordano Bruno, nel 1616 aveva bollato come eretica la teoria eliocentrica, perché in contrasto con le Scritture – nel Libro di Giosuè e nell’Ecclesiaste si narra che Giosuè fermò il Sole – e aveva messo all’Indice dei libri proibiti Le rivoluzioni dei corpi celesti, il testo in cui Copernico l’aveva illustrata nel 1543. Di questa fase storica il processo a Galilei rappresenta un momento culminante e altamente simbolico che parla al mondo con la voce di un’autorità assoluta. La condanna di Galilei ebbe una immediata risonanza, scosse e intimorì tutta la comunità scientifica: Cartesio, alla fine del 1633, confessò in una lettera all’amico Marin Mersenne che era stato tentato di «bruciare» tutte le sue carte e comunque aveva deciso di «non lasciarle vedere a nessuno». In Italia l’impatto fu ancora più forte e duraturo e furono anche definitivamente messe a tacere le correnti progressiste che, per quanto minoritarie, erano presenti nella stessa Chiesa. Nel 1644 John Milton descrive con rammarico e sconcerto la condizione di «servitù» in cui era costretta la scienza italiana, una volta tanto viva e feconda. Alla fine la libertà di ricerca vinse la sua battaglia e, a dispetto delle proibizioni, dei processi e del sequestro dei libri, riuscì a garantirsi una sempre meno vigilata autonomia. Il processo illustra, però, ancora oggi il nodo problematico e, per certi versi, emblemati-
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Joseph-Nicolas Robert-Fleury, Il processo a Galilei XIX sec. [Musée du Louvre, Parigi] Dopo le pesanti accuse di eresia mosse contro di lui, Galilei fu costretto ad abiurare e a giurare sulla Bibbia che tutto ciò che aveva avuto l’ardire di scrivere era falso. Il coraggio espresso nello scrivere ciò che pensava lo portò, alla fine, dinnanzi al tribunale dell’Inquisizione.
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
co del rapporto tra lo scienziato e il potere, tra scienza e società. Il drammaturgo tedesco Bertolt Brecht nel suo Vita di Galileo, scritto tra il 1938 e il 1956, ha posto, infatti, proprio questo tema al centro del dramma, dando alla vicenda una dimensione atemporale: l’abiura di Galileo diviene in questo contesto la sconfitta etica di chi non ha saputo resistere al potere, come ammette lo stesso personaggio Galileo nella penultima scena del dramma. Dopo il processo e l’abiura, la condanna al carcere a vita, firmata da sette cardinali su dieci, fu presto commutata negli arresti domiciliari: nel luglio, accolta la sua supplica al papa del 30 giugno, fu trasferito a Siena e quindi nella sua villa di Arcetri (dicembre), presso Firenze, a patto che vivesse ritirato e non frequentasse nessuno. Il Dialogo fu messo all’Indice e vi rimase molto a lungo; Galilei morì nel 1642. Solo nel 1734 il Sant’Uffizio autorizzò la costruzione di una tomba in Santa Croce e solo agli inizi dell’800 la Chiesa riconobbe la compatibilità del sistema copernicano con il dettato cristiano, mentre, a metà del secolo, furono escluse dall’Indice le opere che sostenevano il sistema eliocentrico. Soltanto nel 1992 la Chiesa cancellò definitivamente la condanna a Galilei. Indice dei libri proibiti È un catalogo contenente tutti i titoli dei libri che un buon cattolico non avrebbe mai dovuto leggere. Di alcuni autori si proibiva la lettura integrale, di altri solo parziale, ovvero limitatamente ad alcune opere o parti di opere. Il primo Indice fu stilato per iniziativa di papa Paolo IV nel 1559. Fu soppresso nel 1966.
2_3 SCIENZE APPLICATE E STRUMENTI DI PRECISIONE
Un’intensa vivacità animò gli studi delle scienze applicate per tutto il ’600 e, in particolare, la medicina, dove l’autorità di Aristotele e di Galeno era già stata messa in discussione, verso la metà del XVI secolo, dalla rivoluzione introdotta da Paracelso e da Vesalio. Un notevole impulso a questa disciplina era venuto dalla pratica della dissezione dei cadaveri, già esperita nel XVI secolo clandestinamente, in opposizione al divieto della Chiesa, da parte di anatomisti e pittori, gli uni e gli altri interessati, con motivazioni differenti, agli studi di anatomia. L’indagine sistematica sulle parti interne ed esterne di un cadavere compiuta attraverso la dissezione anatomica permise di correggere in molti punti le opinioni di Galeno circa la forma e il funzionamento dei vari organi del corpo umano. All’inglese William Harvey (1578-1657) si attribuisce la scoperta della circolazione del sangue in termini meccanicistici: il cuore funziona come una pompa e il sangue raggiunge con moto circolatorio gli organi periferici. L’invenzione del microscopio, che tuttavia non fu veramente utilizzato sino alla metà del ’600, rese possibili quelle scoperte che solo l’osservazione dell’infinitamente piccolo poteva permettere di realizzare. Con l’uso del microscopio si raggiunsero risultati inaspettati negli studi di biologia: Francesco Redi (16261698) analizzò la formazione dei parassiti dalle uova, dimostrando errata la tradizionale tesi della generazione spontanea; Marcello Malpighi (1628-1694), che può essere considerato il fondatore dell’anatomia microscopica, completò anche l’opera di Harvey, dimostrando l’esistenza dei vasi capillari tra le arterie e le vene. Grazie all’osservazione condotta con il metodo sperimentale vennero individuate le leggi del moto da cui nacquero la cinematica e la dinamica, mentre la botanica e la zoologia cominciarono a trovare la loro classificazione moderna. L’irlandese Robert Boyle (1627-1691) diede un impulso decisivo al superamento dell’alchimia rinascimentale e alla nascita della scienza chimica.
Anatomia e biologia
Parallelamente alla formulazione di nuove teorie scientifiche, nella prima metà del ’600 si registrò un rapidissimo sviluppo degli strumenti tecnici e se ne definì il campo di applicazione. Il contatto tra scienza e tecnica si rivelò in questo periodo tra i più fecondi, e si può anzi dire che la rivoluzione scientifica determinò la superiorità tecnica dell’Europa, largamente manifesta nelle invenzioni e nel ruolo assunto proprio dagli strumenti scientifici. Essi venivano incontro all’esigenza di disporre di apparecchi di misurazione spazio-temporale che rispondessero a
Gli strumenti della nuova scienza
Tavola con “l’esperimento della legatura al braccio” [da William Harvey, Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus, Francoforte 1628] Nella tavola, tratta dall’opera in cui William Harvey esplicita le sue teorie sulla circolazione sanguigna, è rappresentato “l’esperimento della legatura al braccio”, con il quale si dimostra che il sangue arterioso giunge fino alla mano per poi tornare indietro verso il cuore attraverso il sistema venoso.
31
C2 Le nuove scienze
criteri di precisione, attendibilità e controllabilità: proprio tramite lo strumento, la precisione si sostituì all’approssimazione, e si affermò una mentalità tecnologica che pose le basi per l’invenzione delle prime macchine. Il progressivo incremento dei traffici con il Nuovo Mondo e la costante ricerca di nuove rotte e basi commerciali dettero un notevole impulso alle moderne invenzioni: si pensi a quanto era importante, oltreoceano o in mare aperto, la localizzazione delle coordinate geografiche, delle latitudini e delle longitudini. Comparvero così il cronometro e il sestante e nacque la cartografia su basi scientifiche. Un discorso a parte merita l’introduzione dell’orologio che, pur avendo diversi secoli di vita, solo grazie all’olandese Christiaan Huygens (1629-1695), che inventò il pendolo e la molla a spirale, raggiunse un livello di precisione tale da costituire un vero evento nella storia della tecnica.
Orologio da tasca in oro smaltato 1650 L’orologeria fu tra i principali settori manifatturieri a sperimentare e mettere in pratica le scoperte della fisica e della meccanica seicentesche. Oggetti fortemente richiesti dall’aristocrazia e alta borghesia, nel corso del XVII secolo vennero costruiti orologi sempre più preziosi per la fattura e i materiali utilizzati. L’orologio divenne oggetto di attenzione da parte di gioiellieri e artisti che si affiancarono ai maestri orologiai nella realizzazione di piccole opere di arte minore.
METODO DI STUDIO
a Spiega per iscritto il ruolo della dissezione dei cadaveri per lo sviluppo della medicina. b Cerchia i nomi degli strumenti citati nel paragrafo e sottolinea le scoperte e i cambiamenti che ad essi sono legati.
2_4 SCIENZA E FEDE.
IL DIBATTITO SULLA TOLLERANZA
Il ’600 si aprì con il rogo del filosofo italiano Giordano Bruno, condannato dal tribunale dell’Inquisizione per le sue teorie eterodosse sull’Universo e sulla divinità; il 1616 è l’anno della condanna ufficiale del sistema copernicano; nel 1633 Galilei fu processato e costretto all’abiura; intimorito da tale clima di reazione da parte della Chiesa, Cartesio rinunciò alla pubblicazione di una sua opera, Il mondo, in cui enunciava l’ipotesi del meccanicismo universale. La Chiesa cattolica, con tutto il suo potente apparato educativo, e anche le Chiese riformate si impegnarono a difendere la superiorità della teologia rispetto a ogni altra forma di conoscenza e l’autorità della Bibbia contro le nuove scienze, che rifiutavano invece di riconoscere le Sacre Scritture come unica fonte di verità nell’indagine sulla natura [►FS, 30d]. Si trattava di un conflitto insanabile destinato a durare a lungo e, anzi, ad accentuarsi quando altre scienze, come la geologia e la paleontologia, misero in discussione i tempi della “creazione divina” e la cronologia del mondo difesi dalle Chiese. Nel periodo della rivoluzione scientifica, però, la regina delle nuove scienze rimaneva l’astronomia perché in modo più evidente rovesciava la visione tradizionale del creato.
Contro la nuova scienza
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Il problema della tolleranza religiosa
Il tradizionale dibattito sulla superiorità della teologia nei confronti della filosofia, che aveva caratterizzato tutta la cultura medievale e, in parte, quella rinascimentale, agli inizi del ’600 cominciava a trovare nuove strade, nella definizione dei limiti precisi dei due campi d’indagine e, all’interno dell’ambito
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
► Leggi anche: ► Eventi Il processo a Galilei, p. 30 ► Parole della storia Tolleranza, p. 34
religioso, si spostava sulla questione della tolleranza. Su questo tema convergevano esigenze religiose, culturali e politiche: Riforma protestante e Controriforma cattolica avevano reso incandescente il problema della convivenza tra “riformati” e “papisti”; la Riforma aveva visto nascere al suo interno movimenti spesso opposti tra loro (luterani, calvinisti e le varie sètte riformate); le scoperte geografiche avevano posto problemi teologici sulla possibilità di una “morale” nei popoli “atei” e sulle condizioni per la salvezza dell’anima; le nuove “vie delle spezie” imponevano anche il confronto con popoli non “primitivi” (per esempio i cinesi), già ricchi di cultura, ma di diversa religione. Lo scontro con i teologi e con le gerarchie ecclesiastiche divenne così un aspetto significativo del dibattito sulla tolleranza religiosa e sulla possibilità di coesistenza tra culture, nazioni, Stati diversi. Nazione rappresentativa del nuovo clima culturale del XVII secolo è l’Olanda. I commerci, la crescita delle banche, il consolidarsi di una ricca borghesia mercantile e intellettuale facevano di questo paese, e in particolare di Amsterdam, il “crocevia” dell’Europa. La Repubblica delle Province Unite, dove ancora vivi erano l’eredità del grande umanista Erasmo da Rotterdam (1469 ca.-1536) e il suo appello agli ideali di pace e tolleranza, accolse e difese gli esiliati di ogni paese, lingua e religione, offrì ospitalità alle minoranze politiche e religiose. Qui nacque e visse il filosofo di origine ebraica Benedetto Spinoza (1632-1677), autore tra l’altro del Trattato teologico-politico (1670) in cui rivendicò la libertà di pensiero e le libertà civili, teorizzando il concetto di democrazia. La vivacità dei commerci, l’intensità delle navigazioni, le colonie, la Borsa
L’Olanda, rifugio delle minoranze
Rembrandt, La lezione di anatomia del dottor Tulp 1632 [Museo Mauritshuis, L’Aia] L’opera di Rembrandt tratta un tema molto frequente nella pittura olandese del ’600. Attestando l’interesse dell’arte fiamminga per gli studi di anatomia, questo dipinto mostra come il corpo umano sia ormai considerato oggetto di analisi alla stessa stregua di qualsiasi altra forma del mondo animale e naturale.
33
C2 Le nuove scienze
di Amsterdam fecero da sfondo, come vedremo, alla diffusione delle teorie giusnaturalistiche e contrattualistiche [►2_5]. Dagli scontri tra arminiani – seguaci di Jacobus Harmensz detto Arminio (1560-1609), che teorizzava una visione razionalistica della religione – e gomaristi – seguaci di François Gomar (1563-1641), rigidavan Mierevelt, Portrait mente fedeli all’ortodossia calvinista – si sviluppò in Olanda il dibattito sul- Michiel of Hugo de Groot la separazione tra la Chiesa e lo Stato e la convinzione che la religione non 1631 [Rijksmuseum, Amsterdam] si può istituzionalizzare, reprimere o forzare. Nella sua prefazione al Trattato teologico-politico Spinoza poteva così esprimersi sul sistema politico olandese: «Poiché dunque è toccato a noi questo raro privilegio, di vivere in una Repubblica in cui è consentita a ognuno piena libertà di giudizio e la facoltà di onorare Dio secondo il proprio criterio, e dove nulla è stimato più caro e prezioso della libertà, ho ritenuto di non far cosa ingrata o inutile dimostrando che questa libertà non soltanto è compatibile con la religione e con la pace dello Stato, ma anzi non può essere soppressa senza pregiudizio della stessa religione e della stessa pace dello Stato».
La separazione tra Chiesa e Stato
METODO DI STUDIO
a Trascrivi a margine del paragrafo il nome dell’istituzione che si opponeva al rinnovamento scientifico e sottolinea le azioni da essa compiute in questo senso. Quindi collega il soggetto alle azioni con delle frecce. b Sottolinea gli eventi che sollevarono il problema della tolleranza religiosa nel ’600. c Cerchia l’appellativo che descrive il ruolo di Amsterdam in questo periodo e sottolinea i motivi che permettono di definirla in questo modo.
Parole della storia
Tolleranza
I
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l concetto di tolleranza si venne definendo nell’Europa del ’500 ed ebbe all’inizio un contenuto essenzialmente religioso. In un periodo in cui la scissione della Cristianità seguita alla Riforma protestante si stava risolvendo in una serie di sanguinosi conflitti, furono soprattutto umanisti e filosofi come Erasmo da Rotterdam e Tommaso Moro a indicare la via di una pacifica convivenza fra diverse confessioni all’interno del comune ideale cristiano. Questa strada, però, non fu seguita né dalla Chiesa di Roma né dalle Chiese riformate: si continuò invece a identificare l’errore col male e a ritenere che il male dovesse essere comunque estirpato, anche con l’aiuto del potere politico. Una svolta si ebbe solo in Francia, alla fine del secolo, con l’avvento di Enrico IV e l’editto di Nantes del 1598, che riconosceva agli ugonotti libertà di culto e di coscienza: un provvedimento di portata storica, dettato però
soprattutto da considerazioni di opportunità politica. Nella seconda metà del ’600, il principio di tolleranza era ancora ignorato nella maggior parte dei paesi europei (mentre era largamente praticato nelle colonie inglesi del Nord America). Nella stessa Francia, l’editto di Nantes fu revocato da Luigi XIV nel 1685. Facevano eccezione l’Olanda e, in parte, la Gran Bretagna, dove la tolleranza nei confronti delle sètte protestanti dissidenti fu applicata durante la rivoluzione di Cromwell e poi sancita definitivamente, dopo la “gloriosa rivoluzione”, col Toleration Act del 1689. Proprio in Gran Bretagna e in Olanda – e proprio alla fine del XVII secolo – il principio di tolleranza conobbe le sue teorizzazioni più organiche e venne nel contempo allargando il suo significato e il suo ambito di validità. Negli scritti di Spinoza, di Bayle e di Locke si sostiene l’uguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini (compresi gli ebrei e in genere i non cristiani), la “separazione” fra autorità civile e autorità religiosa, la pari dignità di tutte le fedi
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e anche di tutte le opinioni politiche. L’ideale di tolleranza si trasformava così in quello di libertà e travalicava i confini della religione per applicarsi a tutte le manifestazioni della vita associata. In questo senso ampio il principio di tolleranza fu teorizzato dagli illuministi (in particolare da Voltaire, che ad esso dedicò uno dei suoi scritti più noti, il Trattato sulla tolleranza, del 1763). E in questo senso costituì un contenuto essenziale delle rivoluzioni liberali e democratiche della fine del XVIII secolo. Fra il ’700 e l’800, caddero gradualmente in tutti i paesi europei le più gravi discriminazioni basate sulla confessione religiosa, in particolare quelle nei confronti degli ebrei, da sempre emarginati dalle comunità nazionali ed esclusi dai diritti politici. Ma la piena parità di diritti sarebbe stata raggiunta molto lentamente (e in qualche caso rimessa in discussione dai regimi autoritari del XX secolo). Ancora oggi, in molti paesi, soprattutto fuori dall’Europa, lo stesso principio di tolleranza continua a essere ignorato.
2_5 LA RIFLESSIONE POLITICA
► Leggi anche:
Il ’600 è anche il secolo della riflessione politica, nel corso del quale pensatori come Grozio, Hobbes, Locke elaborano una visione nuova e soprattutto laica del potere e dei fondamenti della politica.
► Laboratorio di cittadinanza Che cosa sono i diritti naturali?, p. 40
L’età moderna è caratterizzata dall’emergere e dal consolidarsi dello Stato come forma suprema della vita associata, in cui tendenzialmente «non si riconosce più altro ordinamento giuridico che quello statale, e altra forma giuridica dell’ordinamento statale che la legge» (N. Bobbio). Se inizialmente il potere dello Stato moderno venne imponendosi come potere assoluto, ovvero come assoluta “sovranità” che non ammette altra supremazia, nel corso del ’600 si manifestò anche il tentativo di porre dei limiti all’assolutismo monarchico in nome di un diritto di natura preesistente alla costituzione della società e quindi inalienabile. Fu il giusnaturalismo (dal latino ius, “diritto”) che, facendo risalire l’istituzione della società civile a un patto stipulato tra uomini liberi per diritto di natura, scardinò definitivamente le tradizionali teorie del potere per diritto divino derivate da una concezione gerarchica e immutabile del mondo. Il patto o contratto sociale segna il passaggio dallo stato di natura allo stato sociale e politico: in esso si esprime il “progetto ragionevole” concepito originariamente dall’umanità con il fine dell’eliminazione dei conflitti e del mantenimento dell’ordine. L’uscita dallo stato di natura, giustificata dal diritto fondamentale alla sopravvivenza degli individui, prevede l’istituzione di un apparato normativo e di pene per i trasgressori. Il giusnaturalismo ricerca il fondamento della convivenza civile in ciò che è naturale all’uomo (diritto di natura) e che è identificato con la ragione, le cui norme sono universalmente valide e superiori a qualsiasi ordinamento e anche al più alto “legislatore” (re o addirittura Dio). È in questo principio razionale che trovano fondamento e validità le leggi di natura come «precetto, o regola generale, per cui si proibisce all’uomo di fare ciò che è dannoso per la sua vita».
Il giusnaturalismo
Il giusnaturalismo nacque con l’olandese Ugo Grozio (Huig van Groot, 15831645) che, nel De iure belli ac pacis (Sul diritto di guerra e di pace, 1625), individuò nel diritto naturale un diritto valido universalmente e un limite nei confronti del potere costituito. Esso è dettato dalla ragione e non dipende in alcun modo dalla volontà di Dio, anzi prescinde dalla sua stessa esistenza. Alla base di questa concezione laica dello Stato vi è l’idea di una condizione originaria dell’uomo (lo «stato di natura») anteriore a qualsiasi forma di organizzazione civile e agli artifici prodottisi con la vita civile (abitudini, leggi, costumi) e contempla i diritti incoercibili alla vita e alla libertà. assolutismo Già il tedesco Johannes Althusius (Giovanni Altusio, 1557-1638) aveva proclaIl termine indica una dottrina e un sistema politico in cui i mato il principio della sovranità popolare che nasce al momento della costiprincipali poteri dello Stato appartengono al sovrano, libero tuzione stessa della società e in seguito a un patto espressamente o tacitamente da vincoli giuridici (legibus solutus). stipulato. laico Influenzata da Altusio e Grozio è l’opera del tedesco Samuel Pufendorf (1632Il termine è riferito a persone, movimenti, partiti, 1694), che teorizzò la fondazione dello stato civile attraverso un patto d’unione ideologie e forme di potere politico che dichiarano la loro fra tutti i contraenti e un «patto di soggezione» nei confronti del sovrano cui viene indipendenza da ogni forma di influenza religiosa. delegato il potere.
Grozio, Altusio, Pufendorf
Sulla condizione dell’uomo nello stato di natura, sulla natura Hobbes stessa del patto e sulle caratteristiche del potere politico, il e l’assolutismo pensiero dei giusnaturalisti diverge da quello del filosofo indello Stato glese Thomas Hobbes (1588-1679). Nelle opere di carattere politico, il De cive (1642) e il Leviatano (1651), Hobbes concepì lo Stato assoluto come unica garanzia di pace e antidoto alla paura della morte e alla miseria. Lo stato di natura non è una condizione di pace e di serenità, ma una realtà violenta di odio e di aggressione derivante dal diritto di tutti contro tutti (homo homini lupus, “l’uomo è lupo per gli altri uomini”). Solo con la stipulazione del patto gli uomini escono da questo stato di guerra delegando ogni loro potere al sovrano.
sovranità popolare La sovranità popolare è il principio in base al quale la fonte della sovranità sta nel popolo e non nella persona del re. Insieme con quello della separazione dei poteri, è un principio fondamentale della nostra vita politica. Per sovranità popolare non si intende solo la democrazia diretta – realizzabile solo in piccole comunità in cui effettivamente tutti possono riunirsi e partecipare –, ma più comunemente la forma della democrazia rappresentativa, ovvero la possibilità del popolo di scegliere i suoi rappresentanti, l’unica praticabile quando uno Stato è composto da milioni di cittadini.
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Hobbes muove dalla convinzione che solo la legge positiva (quella prodotta dall’uomo) stabilisca che cosa sia giusto e ingiusto: niente di assoluto vi è invece prima della stipulazione del patto, né bene, né male, né peccato. In questa visione assolutamente laica dello Stato, della vita associata e dei suoi stessi valori, va individuato uno degli elementi di maggiore modernità del pensiero politico di Hobbes. Infatti pur teorizzando un rigoroso, spietato assolutismo, Hobbes rifiuta il carattere e l’origine divina dello Stato. La teoria dello Stato esposta dal filosofo inglese John Locke (1632-1704) nei Due trattati sul governo (1690) è invece fondata sulla critica dell’assolutismo e sull’inviolabilità dei diritti innati dell’uomo. Per Locke, come per i giusnaturalisti, il potere politico ha la funzione di garantire e assicurare la fruizione dei diritti personali, fra cui Locke inserisce, oltre a quello alla vita e alla libertà, quello alla proprietà privata. Nella Lettera sulla tolleranza (1689) così Locke si esprime a proposito dello Stato: «Lo Stato è [...] un’associazione di uomini costituita solo in vista del mantenimento e progresso dei loro interessi civili. Per interesse civile intendo la vita, la libertà, l’integrità e immunità del corpo, e il possesso degli oggetti materiali, come terra, denaro, suppellettili ed altro». Lo Stato quindi si fonda solo sul comune consenso e Locke per questo considerò contro ragione ogni forma di potere assoluto e sancì il «diritto alla resistenza» in caso di arbitrio del sovrano nei confronti del cittadino. Con la teoria della limitazione e della distinzione dei poteri, col diritto di resistenza e di ribellione, nonché con l’attenzione al tema della tolleranza, Locke pose le basi del futuro liberalismo. Sul concetto di legge naturale si aprì un vivace dibattito in cui convergevano differenti istanze politiche e religiose. L’affermarsi delle nuove concezioni scientifiche e filosofiche si espresse anche nel rifiuto delle manifestazioni esteriori della religione e nell’uso del metodo razionale in materia di
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Locke e il «diritto alla resistenza»
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Antifrontespizio e frontespizio del Leviathan di Thomas Hobbes 1651 [Barnard College Library, New York] L’antifrontespizio del Leviathan di Thomas Hobbes, opera dedicata allo studio del potere religioso e civile, presenta una immagine che sintetizza efficacemente il pensiero del filosofo inglese. La figura del mostro monarca, composto, e quindi sorretto, dai suoi sudditi, s’innalza imponente su una città e sul suo territorio. Nelle mani del sovrano una spada e un pastorale, a simboleggiare il potere civile e quello ecclesiastico. Nei riquadri inferiori seguono le rappresentazioni dei simboli dei due poteri così riuniti in una sola persona: il castello e la chiesa; la corona e la mitra; e poi, ancora, gli strumenti della forza e dell’argomentazione logica; un campo di battaglia e un concilio.
LE NUOVE CONCEZIONI POLITICHE
Validità universale rappresenta il fondamento della convivenza civile
in virtù della RAGIONE
riconosce come diritti inalienabili
Limitazione all’assolutismo
Concezione laica dello Stato
Vita
CONTRATTUALISMO
GIUSNATURALISMO
DIRITTO NATURALE
Indipendenza dalla volontà di Dio
Negazione dell’origine divina del potere
Libertà Nuova concezione della SOVRANITÀ Proprietà
fede. Con l’identificazione di religione e ragione, espressa nel suo La ragionevolezza del cristianesimo (1695), Locke espose le sue riflessioni sulla tolleranza e sulla legge di natura, temi ripresi nella trattatistica posteriore dai cosiddetti “deisti”. Il deismo contrapponeva la religione naturale o razionale alle religioni positive o storiche, che ritenevano che si potesse parlare di Dio solo nei termini indicati dalla religione, ovvero in base a dogmi non razionalmente dimostrabili. Il deismo, al contrario, assumeva a priori l’esistenza di un ente supremo ordinatore dell’Universo. Negava perciò la necessità di una rivelazione rifiutando qualsiasi dogma o autorità religiosa. Secondo i deisti, l’uso corretto della ragione, infatti, consente all’uomo di elaborare una religione naturale e METODO DI STUDIO razionale completa e autosufficiente, capace di spiegare il mondo e l’uomo. a Sottolinea nel paragrafo il significato delle Pertanto, se da un lato il dibattito sul diritto di natura diventava un veicolo di espressioni “contratto sociale” e “giusnaturalismo”. idee eversive e di sovvertimento sociale e un fenomeno di “irreligiosità”, dall’altro b Cerchia con colori diversi i nomi dei teorici pola considerazione della ragione come arbitra anche delle questioni religiose colitici citati e le parole chiave relative alle rispettive teorie. Quindi sintetizzale a margine del paragrafo. stituì una premessa per l’affermarsi delle tendenze razionalistiche e delle teorie liberali che si manifesteranno più chiaramente nell’Illuminismo.
La religione naturale e il deismo
2_6 CULTURA E ISTRUZIONE
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Nei paesi dove si era diffusa la Riforma protestante, la lettura diretta delle Sacre Scritture, senza la mediazione delle gerarchie ecclesiastiche, stimolò la diffusione dell’alfabetizzazione. Questo fenomeno fu tanto più evidente nelle città dove fioriva il commercio e dove gli scambi esigevano che si sapesse non solo leggere, ma anche scrivere e far di conto. Gli effetti della spaccatura tra cultura protestante e cultura cattolica furono maggiormente visibili nelle università: i protestanti crearono generalmente università più moderne di quelle gestite dai cattolici e, in particolare, dai gesuiti, cui era affidata in gran parte l’organizzazione scolastica superiore.
Alfabetizzazione e Riforma
► Focus Le società letterarie e scientifiche in Italia
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C2 Le nuove scienze
In Inghilterra, dove ampia era stata la risonanza del programma pedagogico di Bacone, basato sulla ricerca scientifica, si delineò chiaramente la distanza tra l’insegnamento retorico delle università di Oxford e Cambridge, dove persistevano modelli tradizionali e dove l’ambiente accademico era contrario all’introduzione di nuovi programmi, e i colleges che, finanziati da ricchi borghesi (mercanti e banchieri), lasciavano ampio spazio alle nuove scienze e a indirizzi di ricerca più concreti. I modi di formazione intellettuale dei giovani furono in questo periodo radicalmente diversi a seconda dei livelli sociali. Ai nobili era riservata un’educazione privata, affidata a un precettore e legata ai valori di una cultura aristocratica ed elitaria (nobiltà di sangue, cavalleria, codice d’onore, rispetto delle cerimonie). Ma alla “superiorità” di sangue, che implicava il disprezzo per il lavoro manuale, venne via via contrapponendosi la mentalità dei ceti borghesi animata da una diversa concezione della vita, del lavoro, del potere. I nuovi orientamenti educativi puntarono alla formazione personale e all’acquisizione di una scienza che permettesse di conoscere la natura e di condursi nella vita e nella società.
Educazione nobiliare, educazione borghese
Non a caso, nelle opere pedagogiche di questi anni, si espresse l’ideale di una cultura non pedante, non mnemonica, non libresca: il grande “libro” della natura, le officine artigiane, le sale anatomiche, gli esperimenti di laboratorio vennero contrapposti alle biblioteche, alle ricerche erudite, agli esercizi retorici e di stile. Nella Città del Sole (1602) del filosofo italiano Tommaso Campanella (1568-1639), e nella Nuova Atlantide (1627) di Bacone, due delle maggiori opere utopistiche del secolo, si delinea un mondo in cui tutto si impara tramite strumenti diversi dai libri e dalle inutili esercitazioni grammaticali.
Una cultura antiretorica
Il nuovo indirizzo culturale si manifestò nell’ideale di un sapere enciclopedico in grado di abbracciare tutte le scienze e legato sia all’immagine dell’uomo dominatore dell’Universo, sia all’interpretazione della natura in termini matematici. Comparvero le prime enciclopedie e l’apprendimento delle lingue fu considerato la chiave di accesso a tutte le scienze e a tutte le arti. Particolarmente significativa fu l’opera del francese Pierre Bayle (1647-1706), rifugiatosi in Olanda in seguito alle persecuzioni contro i protestanti. Oltre ad avere organizzato quello che può essere considerato il primo esempio di giornalismo moderno (la rivista «Nouvelles de la République des Lettres»), egli pubblicò in francese il Dizionario storico-critico (1695-97), capolavoro enciclopedico e insieme veicolo di diffusione del pensiero moderno. Ammettendo la possibilità anche per gli atei di essere “virtuosi”, di rispettare cioè un codice di comportamento non imposto dalla religione, egli criticò il ruolo politico della Chiesa cattolica e la sua complicità con il potere costituito.
L’ideale del sapere enciclopedico
Mentre da più parti si manifestava la necessità di un’istruzione scolastica estesa anche alle donne [►FS, 15], un’attenzione sempre maggiore venne rivolta alla didattica e ai metodi di insegnamento nelle diverse aree disciplinari. Con il pedagogista, di origine morava, Comenio (Jan Amos Komenský, 1592-1670), il principio dell’educazione per tutti divenne prioritario insieme con l’esigenza di rendere più concreto e funzionale l’insegnamento di tutte le discipline. Graduando le fasi di apprendimento e facendo scaturire le nozioni dalla diretta esperienza degli allievi, Comenio riteneva raggiungibile l’ideale della pansofia, la “sapienza universale”, il cui culmine consiste essenzialmente nell’acquisizione di un metodo.
La didattica e Comenio
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La circolazione internazionale delle idee e le accademie
A partire dall’inizio del ’600 cominciarono a essere fondate numerose accademie scientifiche, indispensabili per gli scambi tra scienziati dei diversi paesi. Esse sembravano il luogo adatto nel quale dar vita a quelle comunità di uomini di cultura liberi e uguali – la cosiddetta Repubblica delle lettere – che operavano pacificamente, in nome della scienza e delle conoscenze, al di là delle
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La Royal Society e il Re [da Thomas Sprat, History of the Royal Society, Londra 1677] L’incisione rappresenta una immaginaria visita del re Carlo II alla sede londinese della Royal Society, alla quale il sovrano concesse il suo patrocinio: un atto poco più che formale, che non comportò per i suoi membri l’acquisizione di alcun privilegio di fatto. Ciononostante, la protezione, accordata dal re, pur se solo nominale, accrebbe moltissimo il prestigio dell’accademia.
diversità religiose e politiche [►FS, 28]. La prima accademia scientifica fu quella dei Lincei: nata a Roma nel 1603, difese i risultati delle ricerche di Galilei e della sua scuola. In seguito furono fondate l’Accademia del Cimento a Firenze (1657), l’Académie Royale des Sciences a Parigi (1666), la Royal Society a Londra (1663) – quest’ultima nata nel nome e nello spirito di Bacone che, nella Nuova Atlantide, aveva immaginato una «Casa di Salomone», sede della sapienza, luogo della ricerca scientifica collettiva. Un forte incremento si registrò nel campo dell’editoria e del mercato librario; nell’età dei grandi dizionari storici e delle prime enciclopedie, si moltiplicarono i periodici, in latino o nelle lingue nazionali, i libri di scienza, di economia politica, di pedagogia. Gran parte della vitalità editoriale fu dovuta ai protestanti rifugiatisi in Olanda, Inghilterra, Svizzera, Germania, che costituirono in tutta Europa una fitta rete di diffusione e di corrispondenti, ma anche in Francia l’editoria ebbe un notevole sviluppo. Le tirature della stampa periodica andarono considerevolmente aumentando: nelle Province Unite, per esempio, nel corso del ’600 si passò da una media di 400 a un migliaio di copie stampate per ciascun fascicolo e, fra il 1630 e il 1680, nacquero venti nuove “testate” all’anno (anche se molte destinate a vita effimera) e ben quaranta dal 1680 al 1689. METODO DI STUDIO Fra i giornali e i periodici d’informazione grande rilie a Sottolinea, con colori diversi, gli aspetti fondamentali che definiscono i seguenti eventi storici: a. modalità e cause della diffusione dell’alfabetizzazione; vo ebbero quelli pubblicati ad Amsterdam, Rotterdam e b. caratteristiche dell’educazione dei nobili e dei borghesi; c. caratteristiche del Leida, ma anche la «Gazette» di Parigi; molto diffusi furono pensiero enciclopedico; d. l’editoria e il mercato librario. b Trascrivi sul quaderno le parole chiave evidenziate in grassetto relative egualmente i periodici eruditi come il «Journal des savants» alla pedagogia di Comenio e ai suoi princìpi. Quindi, spiega il loro significato nel (1665), edito a Parigi, e la «Bibliothèque universelle et histocontesto descritto. rique» di Amsterdam.
Editoria e mercato librario
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C2 Le nuove scienze
LABORATORIO DI CITTADINANZA CHE COSA SONO I DIRITTI NATURALI?
P
er comprendere cosa si intende con l’espressione “diritti naturali” leggiamo un breve passo tratto dalla tragedia Antigone, scritta nel V secolo a.C. dal tragediografo greco Sofocle, un’opera che il giurista Gustavo Zagrebelsky definisce «il testo fondativo della nostra civiltà giuridica». Creonte, il re di Tebe, aveva emanato l’ordine di non eseguire i riti funebri per Polinice, morto combattendo contro la propria città. Quando egli seppe che Antigone, sorella del defunto, aveva provveduto alla sepoltura, la chiamò al suo cospetto per chiedere le ragioni del suo atto. La giovane donna, allora, rispose: «Io seguo le leggi sacre e incrollabili degli dèi, leggi non scritte [...]. E non credevo che i tuoi bandi fossero così potenti da sovrastare e sovvertire le leggi morali degli dèi». In questo dialogo tra Creonte e Antigone è messo in scena il contrasto tra le decisioni dei governanti, che cambiano nel tempo e nello spazio, e «le leggi sacre e incrollabili degli dèi», che sono invece immutabili, ovvero tra le leggi scritte dagli uomini e quelle non scritte ma valide per tutti gli uomini in quanto connaturate ad essi, i cosiddetti “diritti naturali”.
Nei secoli, la questione è stata a lungo dibattuta. Da una parte c’erano i sostenitori del “diritto naturale”, dall’altra chi credeva nell’esistenza del solo diritto positivo, così definito perché “posto in essere” dal legislatore. Questa discussione si fece particolarmente importante in età moderna, tanto che per il periodo che va dal ’600 al ’700 è possibile parlare di una vera e propria “scuola del diritto naturale”. Il fondamento del diritto naturale per i giusnaturalisti moderni non era Dio (come per Antigone) ma la natura umana: i diritti naturali sono diritti innati dei quali ogni essere umano è titolare, sono universali (riguardano cioè tutti gli uomini) e immutabili nel tempo, sono qualcosa che da sempre “accompagna” il genere umano e che appartiene solo ad esso. Proprio per la loro universalità, il filosofo olandese Huig van Groot (conosciuto in Italia come Ugo Grozio, 1583-1645) propose di assumere i diritti naturali – che sono per definizione sovranazionali – come base per regolare i rapporti tra i diversi Stati, in tempo di guerra come in tempo di pace. Queste idee contenevano un messaggio rivoluzionario: se i diritti naturali fanno parte della natura umana, nessun uomo, neanche
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Frontespizio della Carta delle Nazioni Unite 1945 [© Bettmann/Corbis] La Carta o Statuto delle Nazioni Unite fu firmata da 51 membri a San Francisco il 26 giugno 1945, a conclusione della Conferenza delle Nazioni Unite sull’Organizzazione Internazionale, ed entrò in vigore il 24 ottobre dello stesso anno.
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il sovrano, può revocarli né permettersi di non rispettarli. Essi non sono una concessione ma qualcosa che spetta ad ogni essere umano in quanto tale. È allora possibile e giusto criticare il potere che non rispetti i diritti innati. Non a caso il filosofo britannico John Locke (1632-1704), influenzato dalle idee giusnaturaliste, teorizzò il diritto dei cittadini di opporre resistenza agli abusi dei sovrani [►2_5]. La tutela dei diritti naturali ispirò due documenti fondamentali della società occidentale moderna: la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America (1776, ►7_2) e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789, ►8_2). Nella prima si proclama: «Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; [...] che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali princìpi». Nella seconda, ratificata dall’Assemblea nazionale francese il 26 agosto 1789, il riferimento ai diritti naturali è ancora più chiaro: «Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione» (art. 2). Il dibattito sui diritti naturali subì un deciso arresto nel XIX secolo, quando il diritto positivo trionfò nei primi grandi codici civili nazionali (in Francia nel 1804 fu promulgato il Codice napoleonico, il primo codice moderno di diritto civile). La teoria dei diritti naturali passò così in secondo piano, perse gran parte del vigore che l’aveva caratterizzata nei secoli precedenti e fu oggetto di molte critiche. Tra i più agguerriti detrattori, il filosofo britannico Jeremy Bentham (17481832), criticando la Rivoluzione francese e la relativa Dichiarazione del 1789, descrisse i diritti naturali come degli «assurdi e miserabili nonsense», qualcosa che non esiste realmente e che serve solo a incoraggiare la violenza e a legittimare la critica dei governanti. Una ripresa del pensiero giusnaturalista si ebbe soltanto dopo il secondo conflitto mondiale quando, esaurita la drammatica esperienza della guerra, i diritti naturali furono nuovamente proposti a difesa delle libertà fondamentali e come un limite
agli arbìtri del potere politico. Ciò riguardò soprattutto gli Stati che più avevano sperimentato le conseguenze dei totalitarismi, come l’Italia e la Germania. Dopo la barbarie del nazifascismo (la discriminazione etnica; lo sterminio di ebrei, zingari e dissidenti) da più parti si sentì la necessità di ritornare a scoprire ciò che unisce gli uomini di tutto il mondo senza distinzione alcuna. Fu così che nel 1945 il rispetto dei diritti umani divenne uno tra i princìpi ispiratori della Carta delle Nazioni Unite, il documento con cui fu istituito, all’indomani della seconda guerra mon-
diale, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu), con l’obiettivo di mantenere la pace e la sicurezza tra gli Stati, perseguire la cooperazione internazionale e promuovere il rispetto dei diritti dell’uomo. Nel Preambolo si affermava l’impegno degli Stati membri delle Nazioni Unite a «riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole», concetto ripreso dall’articolo 55: «le Nazioni Unite promuoveranno [...] il rispetto e l’osservanza
universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione». I diritti naturali vennero inoltre riconosciuti come il fondamento delle carte costituzionali nate nel secondo dopoguerra. Secondo l’articolo 2 della Costituzione della Repubblica italiana: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
COSTRUIAMO IL LESSICO DEL CITTADINO 1 Leggi la scheda e completa sul quaderno le seguenti definizioni:
● I diritti naturali sono definiti tali perché ............................... ● Il diritto positivo è definito tale perché ................................ ● I diritti inalienabili sono definiti tali perché ...........................
● L’individuo è legittimato ad appellarsi al diritto di resistenza, cioè .......
............................., ogni qualvolta i suoi diritti naturali e inalienabili sono messi in discussione o violati.
I DIRITTI NATURALI NELLA STORIA 2 Nella scheda, individua e sottolinea i diritti naturali enunciati nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti
d’America del 1776 e nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 e rispondi alle domande. a. Quali sono le parole che ritornano più frequentemente nei due testi? Qual è il loro significato?
c. Quale regime politico è implicitamente condannato nelle due Dichiarazioni?
b. Perché questi diritti sono considerati universali e propri di ogni individuo e popolo?
d. Qual è la relazione esistente tra questi enunciati, il pensiero di John Locke e la filosofia dei Lumi?
3 All’uscita dalla seconda guerra mondiale, i diritti naturali furono recepiti nel Preambolo alla Dichiarazione Universale
dei Diritti dell’Uomo dell’Onu e nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata il 4 novembre 1950, a Roma, dai dieci Stati membri fondatori del Consiglio d’Europa (Italia, Francia, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Regno Unito, Irlanda, Norvegia, Svezia, Danimarca). Di entrambi i documenti ti proponiamo la lettura di alcuni stralci perché costituiscono la base della nostra riflessione.
Doc. 1 Preambolo alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni
Unite il 10 dicembre 1948 [...] Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità, e che l’avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione della gente comune, Considerato che è essenziale, se l’uomo non deve essere
costretto a ricorrere, come ultima risorsa, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione, che i diritti umani siano protetti da norme di legge, [...] Considerato che i popoli delle Nazioni Unite hanno riaffermato nello Statuto la loro fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona uma-
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C2 Le nuove scienze
na, nell’uguaglianza dei diritti dell’uomo e della donna, ed hanno deciso di promuovere il progresso sociale e un miglior tenore di vita in una maggiore libertà, Considerato che gli Stati membri si sono impegnati a perseguire, in cooperazione con le Nazioni Unite, la promozione del rispetto e l’osservanza universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, [...] L’ASSEMBLEA GENERALE, proclama la presente Dichiarazione Universale dei Diritti Umani come ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione.
Articolo 1 Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. Articolo 2 Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. [...] Articolo 3 Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona. Articolo 4 Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma. Articolo 5 Nessun individuo potrà essere sottoposto a trattamento o punizioni crudeli, inumani o degradanti.
Doc. 2 Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata il 4
novembre 1950 I Governi firmatari, Membri del Consiglio d’Europa; [...] Considerato che il fine del Consiglio d’Europa è quello di realizzare un’unione più stretta tra i suoi Membri, e che uno dei mezzi per conseguire tale fine è la salvaguardia e lo sviluppo dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali; Riaffermato il loro profondo attaccamento a queste Libertà fondamentali che costituiscono le basi stesse della giustizia e della pace nel mondo e il cui mantenimento si fonda essenzialmente, da una parte, su un regime politico veramente democratico e, dall’altra, su una concezione comune e un comune rispetto dei Diritti dell’Uomo a cui essi si appellano; Risoluti, in quanto governi di Stati europei animati da uno stesso spirito e forti di un patrimonio comune di tradizioni e di ideali politici, di rispetto della libertà e di preminenza del diritto, a prendere le prime misure atte ad assicurare la garanzia collettiva di certi diritti enunciati nella Dichiarazione Universale. Hanno convenuto quanto segue: [...]
Articolo 2 1. Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il delitto è punito dalla legge con tale pena. [...] Articolo 3 Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti. Articolo 4 1. Nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù o di servitù. 2. Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio. [...] Articolo 5 1. Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza.
Dopo aver letto i documenti, rispondi alle seguenti domande: a. Quali sono i diritti naturali riconosciuti agli individui dall’Onu e dal Consiglio d’Europa già salvaguardati nelle due Dichiarazioni del XVIII secolo?
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b. Quali sono i diritti di nuova enunciazione? Come si giustifica la loro introduzione?
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
c. Su quale patrimonio comune si fondano questi diritti? d. Tenendo conto della temperie storica in cui sono stati redatti questi documenti, secondo te quale volontà comune sottendeva la riaffermazione di questi diritti?
LA SITUAZIONE DEI DIRITTI UMANI NEL MONDO DI OGGI 4 A settant’anni dall’approvazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, i sostenitori dei diritti umani
concordano sul fatto che essi siano ancora largamente violati in buona parte del mondo. Il Rapporto 2015-2016 sulla situazione dei diritti umani nel mondo di Amnesty International, un’organizzazione non governativa indipendente fondata nel 1961 e attiva nella difesa e promozione dei diritti umani, contiene dati allarmanti in tal senso. Per far luce su questa piaga mondiale, invitiamo la classe a leggere il documento online e a individuare, per ciascuna delle 5 aree geografiche in cui è scandito il Rapporto, esempi di violazione degli articoli 1, 2, 3, 4, 5 della Dichiarazione Universale. Per leggere il documento bisogna andare su Internet e digitare nella maschera di ricerca di Google “Rapporto 2015-2016 Amnesty”. Di seguito occorre cliccare su “Naviga il rapporto” e si aprirà la pagina delle aree: Africa sub-sahariana, Americhe, Asia e Pacifico, Europa e Asia centrale, Medio Oriente e Africa del Nord. Per rendere più agevole il lavoro, è opportuno dividere la classe in cinque gruppi, attribuire a ognuno di essi un’area geografica e per ciascuna di esse schedare le informazioni richieste. Infine i gruppi confronteranno i dati ricavati in una discussione in classe con l’insegnante.
LA VIOLAZIONE DEL DIRITTO ALLA VITA: L’APPLICAZIONE DELLA PENA DI MORTE NEL MONDO 5 L’applicazione della pena di morte rappresenta ancora oggi, in molte parti del mondo, una delle più gravi e
inaccettabili violazioni del diritto alla vita. Come vedremo [►4_4], l’abolizione della pena di morte è stata una battaglia di civiltà promossa sin dal lontano 1764 da Cesare Beccaria e portata avanti con impegno e determinazione da varie associazioni attive nella difesa e promozione dei diritti umani. Amnesty International è una di queste. Di seguito ti forniamo una carta tematica e il Rapporto 2015 sulla pena di morte di Amnesty International che costituiscono la base della nostra riflessione. Doc. 1 La pena di morte nel mondo, 2015
Stati che hanno abolito la pena di morte Stati che applicano la pena di morte solo per reati eccezionali come quelli compiuti in tempo di guerra
Stati in cui è applicata la pena di morte Stati che non applicano la pena di morte da 10 anni, pur contemplandola nei codici penali
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Stati che hanno abolito la pena di morte Stati che applicano la pena di morte solo per reati eccezionali come quelli compiuti in tempo di guerra
Stati in cui è applicata la pena di morte Stati che non applicano la pena di morte da 10 anni, pur contemplandola nei codici penali
Doc. 2 Rapporto 2015 sulla pena di morte di Amnesty International
Fonte: http://www.amnesty.it/flex/FixedPages/pdf/rapportopenadimorte2015.pdf
DATI GLOBALI I dati globali sull’uso della pena di morte nel 2015 mostrano due sviluppi fortemente contrastanti. Da un lato, quattro paesi hanno abolito la pena di morte, rafforzando l’andamento verso l’abolizione globale a lungo termine. Dall’altro, il numero di esecuzioni registrate da Amnesty International durante l’anno è aumentato più del 50% rispetto al 2014 e rappresenta il più alto numero di esecuzioni dal 1989, escludendo la Cina. ESECUZIONI Amnesty International ha registrato un forte incremento del 54% nel numero di sentenze capitali eseguite complessivamente nel 2015. Almeno 1.634 persone sono state messe a morte, 573 in più rispetto al 2014. Questi dati non includono le condanne a morte eseguite in Cina, dove i dati sull’uso della pena capitale continuano a essere classificati come segreto di stato. Di tutte le esecuzioni rilevate, l’89% è avvenuto in soli tre paesi: Arabia Saudita, Iran e Pakistan. In Arabia Saudita e Iran, il numero di esecuzioni registrate da Amnesty International è aumentato, rispetto all’anno precedente, rispettivamente del 76% e del 31%. Più di 320 persone sono state messe a morte in Pakistan nel 2015. Questo rappresenta il più elevato numero di esecuzioni che Amnesty International ha mai rilevato in questo paese in un solo anno, e fa seguito alla revoca della moratoria1 di sei anni sulle esecuzioni del 17 dicembre 2014. Amnesty International ha anche registrato un significativo aumento delle esecuzioni in Egitto e Somalia, rispettivamente del 47% (da 15+ nel 2014 a 22+ nel 2015) e 79% (da 14+ nel 2014 a 25+ nel 2015).
Amnesty International ha registrato esecuzioni in 25 paesi, tre in più rispetto al 2014. Ciad e Oman hanno rimesso in moto la macchina della morte dopo anni senza uccisioni. Lo stesso è avvenuto in Bangladesh, India, Indonesia e Sudan del Sud, dove nessuna esecuzione era stata riportata nel 2014, benché tutti avessero messo a morte persone nel 2013. Tre paesi che avevano usato la pena capitale nel 2014, Bielorussia, Guinea Equatoriale, Palestina (Stato di), non hanno eseguito sentenze capitali nel 2015. Come negli anni precedenti, Amnesty International non è stata in grado di confermare che siano avvenute esecuzioni giudiziarie in Siria. ESECUZIONI NEL 2015 Afghanistan (1), Arabia Saudita (158+), Bangladesh (4), Ciad (10) Cina (+), Corea del Nord (+), Egitto (22+), Emirati Arabi Uniti (1), Giappone (3), Giordania (2), India (1), Indonesia (14), Iran (977+), Iraq (26+), Malesia (+), Oman (2), Pakistan (326), Singapore (4), Somalia (25+), Stati Uniti d’America (28), Sudan del Sud (5+), Sudan (3), Taiwan (6), Vietnam (+) e Yemen (8+). Nel 2015 sono stati utilizzati i seguenti metodi di esecuzione: decapitazione (Arabia Saudita), impiccagione (Afghanistan, Bangladesh, Egitto, Giappone, Giordania, India, Iran, Iraq, Malesia, Pakistan, Singapore, Sudan del Sud, Sudan), iniezione letale (Cina, Stati Uniti d’America, Vietnam) e fucilazione (Arabia Saudita, Ciad, Cina, Corea del Nord, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Somalia, Taiwan, Yemen).
1 Sospensione.
Rispondi ora ai seguenti quesiti: a. [doc. 1] Quale tendenza è possibile rilevare, a livello mondiale, nei confronti della pena di morte? b. [doc. 1] In quali paesi si registra una tendenza inversa rispetto al resto del mondo? In quali continenti sono maggiormente concentrati? Prova a fornire una spiegazione del fenomeno.
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c. [doc. 2] Realizza un grafico che riassuma i dati sull’applicazione della pena di morte nel mondo.
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
d. [doc. 2] Quali sono i metodi di esecuzione maggiormente praticati nei paesi in cui è in vigore la pena capitale? e. Adoperando i risultati delle attività precedenti, redigi un articolo di giornale sull’applicazione della pena di morte nel mondo ai giorni nostri.
SINTESI
2_1 LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA La rivoluzione scientifica del ’600 portò a una profonda ridefinizione concettuale. La spiegazione eliocentrica distrusse l’idea di un cosmo chiuso e geocentrico; alla visione di una natura creata a misura d’uomo si sovrappose l’immagine di un mondo come enorme macchina messa in moto da Dio; emerse una nuova concezione del progresso come processo mai concluso: alla domanda “A quale scopo?” si sostituisce l’indagine sul “perché e in che modo”.
particolare rilievo fu la concezione galileiana del metodo sperimentale come fondamento della nuova scienza. Questa consapevolezza si diffuse ampiamente: Bacone delineò il nuovo metodo in contrapposizione alla logica aristotelica; Cartesio individuò nella matematica il fondamento dell’indagine della natura. Nuovi orizzonti di ricerca furono aperti dal calcolo infinitesimale e dalla legge di gravitazione universale (Newton).
2_4 SCIENZA E FEDE. IL DIBATTITO SULLA TOLLERANZA Di fronte alla Chiesa, impegnata a difendere la superiorità della teologia rispetto a ogni altra forma di conoscenza, fu affacciata da Galilei la tesi di una distinzione tra il campo religioso e quello dell’indagine della natura. In ambito religioso cominciò ad affermarsi il principio della tolleranza, principio che ebbe pratica applicazione in Olanda, la nazione più rappresentativa del nuovo clima culturale, politico e sociale del ’600.
2_3 SCIENZE APPLICATE E STRUMENTI DI PRECISIONE
2_2 IL METODO SPERIMENTALE Keplero, dimostrando il carattere ellittico delle orbite dei pianeti, indicò come il mondo terrestre e quello celeste fossero governati dalle stesse leggi. Galilei pervenne attraverso l’uso del telescopio alla conferma sperimentale – che gli costò la persecuzione da parte della Chiesa – del sistema copernicano. Di
Notevoli sviluppi ebbe la biologia, con la scoperta della circolazione del sangue in termini meccanicistici e dell’esistenza dei vasi capillari, e con l’analisi della formazione dei parassiti. Furono individuate le leggi del moto, mentre botanica e zoologia cominciarono a trovare la loro classificazione moderna. Con Boyle nacque la scienza chimica. Parallelamente si registrò un rapido sviluppo degli strumenti tecnici, rispondenti a criteri di precisione, attendibilità e controllabilità.
2_5 LA RIFLESSIONE POLITICA L’età moderna è caratterizzata dall’emergere dello Stato come forma suprema della vita associata. Sul piano del pensiero politico, nel ’600 si manifestò anche il tentativo di porre un limite al potere assoluto dello Stato. Il giusnaturalismo fece risalire l’istituzione della società civile a un patto che non annullava il diritto di natura: ne derivò una nuova concezione della sovranità e dei limiti del
potere. Per Hobbes, invece, il patto mediante il quale gli uomini escono dallo stato di natura si configurava come accettazione del potere assoluto del sovrano. Diversa la teoria di Locke che, fondata sulla critica dell’assolutismo e sui diritti innati dell’uomo, fu all’origine del liberalismo moderno. Al concetto di legge naturale si legò quello di religione naturale, che fu alla base del deismo.
2_6 CULTURA E ISTRUZIONE La diffusione dell’alfabetizzazione, favorita dalla Riforma protestante, fu maggiore nelle città in rapporto allo sviluppo delle attività commerciali. Ai valori di una cultura aristocratica, cui era ispirata l’educazione dei nobili, si venne affiancando una diversa cultura dei ceti borghesi, fondata sulla formazione personale e sulla conoscenza scientifica della natura. Nel ’600 si diffusero le prime enciclopedie e sorsero le prime accademie, sedi di quella circolazione delle idee che si collegava alle nuove scoperte scientifiche. Grazie soprattutto all’iniziativa dei protestanti, si intensificò la pubblicazione di periodici e aumentò considerevolmente la tiratura dei libri.
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C2 Le nuove scienze
SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Indica le affermazioni vere e correggi quelle errate.
a. b. c. d. e. f. g. h. i.
Nel 1600 ci si interroga sulle cause dei fenomeni naturali e non sui fini. .......................................................................................................................................................................................... Galileo Galilei fu perseguitato dal Sant’Uffizio per aver “dimostrato” le tesi di Copernico. .......................................................................................................................................................................................... La Chiesa era favorevole alla dissezione dei cadaveri se finalizzata agli studi di anatomia. .......................................................................................................................................................................................... Nel 1600 comincia ad affermarsi in Europa un dibattito acceso sul rapporto tra scienza e fede. .......................................................................................................................................................................................... Minoranze politiche e religiose, perseguitate, trovarono rifugio in Olanda. .......................................................................................................................................................................................... Ancora per tutto il XVII secolo l’istruzione era garantita solo ai nobili e ai membri del clero. .......................................................................................................................................................................................... La prima accademia fondata in Europa fu l’Académie Royale des Sciences, a Parigi. .......................................................................................................................................................................................... Lo sviluppo dell’editoria fu particolarmente intenso negli Stati protestanti e in Francia. .......................................................................................................................................................................................... Nel XVII secolo le università di Oxford e Cambridge costituirono i centri di cultura più innovativi. ..........................................................................................................................................................................................
V
F
V
F
V
F
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F
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2 Completa la seguente tabella relativa alle scoperte scientifiche apportate da Copernico, Galilei e Newton.
LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA Copernico
Galilei
Newton
Epoca storica in cui vissero 1473-1543
................................................................. ..................................................................
Teorie scientifiche che li contraddistinsero
• Conferma la teoria eliocentrica • Autore del metodo sperimentale, ovvero ....... .................................................................. .................................................................
Teoria eliocentrica, ovvero .............................. .................................................................. ................................................................. ..................................................................
3 Completa i due insiemi inserendo
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i termini di seguito. Approfondirai in questo modo il confronto fra le teorie dello Stato di Hobbes e Locke. guerra di tutti contro tutti • patto stipulato tra liberi cittadini • assolutismo • associazione di uomini finalizzata al progresso • cessione definitiva di tutti i poteri al sovrano • liberalismo • stato della legge positiva del sovrano • condizione caratterizzata dall’esistenza di diritti innati e incoercibili
Legge di gravitazione universale secondo cui .... .................................................................. .................................................................. ................................................................. LOCKE
HOBBES
..................................................
Stato di natura
..................................................
..................................................
Contratto sociale
..................................................
..................................................
Stato politico
..................................................
..................................................
Forma di governo
..................................................
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
4 Completa lo schema sul contratto sociale seguendo le indicazioni delle 5W: who, what, where, when, why (chi, cosa, dove, quando, perché).
CONTRATTO SOCIALE
CHI
................................................
COSA
Era un .....................................
DOVE
................................................
QUANDO
................................................
PERCHÉ
Lo scopo era ..............................
COMPETENZE IN AZIONE 5 Sul quaderno di storia scrivi un testo comparativo di massimo 15 righe sulle caratteristiche principali della scienza
antica e di quella moderna. Scegli un taglio e un titolo per il tuo elaborato e tocca i seguenti punti:
● ● ● ● ● ●
Teorie di riferimento Strumenti e metodi per l’indagine dei fenomeni Circolazione del sapere Ruolo della natura Funzione dell’uomo Motivi per cui è lecito parlare di “rivoluzione” per indicare il passaggio dalla scienza antica a quella moderna
6 Sul quaderno di storia scrivi un testo di massimo 20 righe sulla tolleranza religiosa utilizzando la seguente scaletta:
a. b. c. d. e.
Nel ’600 il dibattito sulla tolleranza religiosa nacque in seguito ad eventi come... La discussione non coinvolgeva solo cattolici e protestanti, ma... Si comincia infatti a considerare la possibilità di una “morale” nei popoli... Alcuni Stati europei come l’Olanda offrirono ospitalità a... Secondo Spinoza, la tolleranza non rappresentava una minaccia per la religione di Stato, ma...
7 Illustra sul quaderno in brevi testi (max 5 righe ciascuno) gli argomenti riportati di seguito.
a. Rapporto fra cultura protestante e alfabetizzazione. b. Il sapere enciclopedico, caratteristiche e conseguenze. c. Elementi che favorirono la circolazione delle idee.
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C2 Le nuove scienze
E
A
XTR
CAP3 GLI STATI E LE GUERRE DEL ’700
E
O
N LI N
Eventi La battaglia di Rossbach Il Libro N. Elias, La società di corte Storia, società, cittadinanza L’ideale repubblicano • Il diritto internazionale Storia e Geografia Il Baltico Storia e Cinema Barry Lyndon di S. Kubrick Atlante L’Europa del ’700 Lezioni attive Parlamentarismo e assolutismo a confronto Test interattivi Audiosintesi
3_1 L’ASSOLUTISMO IN FRANCIA
► Leggi anche:
«Io me ne vado, ma lo Stato rimarrà per sempre». Queste parole furono pronunciate da Luigi XIV sul letto di morte: parole ascoltate da uno stuolo di cortigiani raccolti intorno a lui. Era il 1715 e Luigi aveva regnato più di settant’anni da quando, bambino di neanche cinque anni, era succeduto al padre nel 1643. Nei primi tempi il paese era rimasto affidato alla reggenza della regina madre Anna (degli Asburgo di Spagna) e al cardinale Mazzarino, che aveva traghettato la Francia attraverso le due guerre civili della Fronda e salvato la monarchia dei Borbone: ma nel 1661, alla morte di Mazzarino, il giovane re aveva iniziato a governare in prima persona. Era finita l’epoca dei grandi ministri, Richelieu e Mazzarino, e iniziava l’età di Luigi XIV.
► Il Libro N. Elias, La società di corte
Non fu un periodo di benessere per il popolo francese, colpito da ricorrenti carestie e vessato da una dura imposizione fiscale, causa di frequenti rivolte popolari. Né fu un periodo di pace, perché per trent’anni la Francia fu in guerra, spesso contro quasi tutto il resto d’Europa, mentre si consolidava il rafforzamento della monarchia assoluta. Fu invece un periodo di “gloria” – uno dei valori più apprezzati e celebrati dai ceti superiori della società del tempo –, una gloria legata all’audacia delle gesta militari e accompagnata dal rafforzamento della monarchia. Anche se l’aggressiva politica estera francese fu a più riprese contenuta, ma mai definitivamente sconfitta, Luigi XIV riuscì a consolidare l’egemonia continentale della Francia e si impose come modello a tutti gli altri sovrani assoluti. L’egemonia della Francia ebbe anche altri connotati: in quegli stessi anni, infatti, il francese si affermò non solo come la lingua egemonia della diplomazia, ma anche come lingua parlata e scritta di tutta l’élite nobiliare È la supremazia di uno Stato su altri Stati o, più in dell’Europa centro-orientale.
Il regno di Luigi XIV
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Luigi XIV accentrò nelle sue mani il governo dello Stato, cirL’accentramento condandosi di ministri e collaboratori capaci ma senza ridei poteri nunciare mai al suo diretto intervento nelle principali questioni [►FS, 19d e 20]. La carica più importante del suo regno fu quella di controllore generale delle Finanze, che aveva giurisdizione su tutti gli aspetti della politica interna. Dal 1665 al 1683 ne fu titolare Jean-Baptiste Colbert (16191683), il principale collaboratore del re e l’ispiratore della politica economica. Per l’amministrazione locale vennero impiegati gli intendenti, funzionari di origine borghese e di recente nobilitazione (la cosiddetta nobiltà di toga) alle dirette dipendenze della Corona, che videro aumentati i loro poteri e le loro competenze a scapito dei governatori provinciali, rappresentanti dell’antica nobiltà di spada. Questa politica consentiva di superare, a vantaggio del potere
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
generale, la preminenza esercitata in qualche settore politico, economico, culturale, sociale. nobiltà di spada/nobiltà di toga Così è indicata la distinzione tra l’“antica” nobiltà, fondata sul sangue, e la “nuova” nobiltà, derivata dall’esercizio di uffici pubblici. Per ottenere denaro, infatti, la monarchia metteva in vendita cariche che, una volta acquistate, potevano essere trasmesse in eredità garantendo, di fatto, la continuità del titolo nobiliare legato alla carica acquistata. Mentre la nobiltà di spada apparteneva alle famiglie degli antichi feudatari, la cui originaria funzione era stata quella di combattere a fianco del re, la nobiltà di toga era costituita da ex borghesi, arricchitisi grazie a diverse attività economiche, passati poi ad occupare cariche amministrative e giudiziarie al servizio dello Stato.
centrale, le difficoltà derivanti dalla venalità delle cariche: il sistema in base al quale gran parte delle cariche amministrative e giudiziarie potevano essere acquistate e vendute (in questo senso erano “venali”), ma soprattutto trasmesse in eredità, sottraendole al diretto controllo del sovrano. Il “capolavoro” dell’assolutismo di Luigi XIV fu la Reggia di Versailles, sia perché vi fu concentrato tutto il potere, sia per la “rappresentazione” stessa del potere assoluto. La costruzione di una nuova reggia in una località distante una ventina di chilometri da Parigi, dove la corte e il governo si trasferirono nel 1682, sottrasse la monarchia agli eventuali pericoli di sommosse cittadine. L’obbligo imposto alla grande nobiltà di risiedervi e i vantaggi che essa ne trasse, in termini di pensioni e di donativi, sancirono il definitivo asservimento dell’aristocrazia proprio mentre le venivano assicurati privilegi e distinzione di ceto. La vita a corte era regolata da rigide prescrizioni – l’etichetta – e da un complesso cerimoniale fondato su un’accurata scala di precedenze. L’etichetta, che peraltro era solo uno degli effetti di una più generale opera di disciplinamento sociale promossa dall’assolutismo, fu la rappresentazione simbolica della nuova gerarchia del potere e della “distanza”, ormai codificata in innumerevoli livelli, fra il re e i vari esponenti della nobiltà: il sovrano non era più “il primo dei gentiluomini”, un primus inter pares (“primo fra pari”) – come voleva l’antica concezione nobiliare – ma l’artefice principale di un sistema di distinzione gerarchica, duramente contestato dai difensori della tradizione.
La Reggia di Versailles
▲ Pierre
Mignard, La Vittoria corona d’alloro Luigi XIV seconda metà XVII sec. [Galleria Sabauda, Torino] Luigi XIV perseguì sempre la ricerca di tutto ciò che poteva accrescere il proprio prestigio personale oltre che quello della nazione: in molti ritratti, ad esempio, egli si fece raffigurare nelle vesti del condottiero romano al fine di paragonare la grandezza del proprio regno a quella dell’Impero di Roma. Nel dipinto, eseguito da Pierre Mignard, l’artista aggiunge il dettaglio di un’allegoria della Vittoria che con una mano incorona il sovrano, con l’altra mostra uno stendardo su cui si intravede il Sole, simbolo di Luigi XIV (chiamato appunto il “Re Sole”), circondato dal motto Nec pluribus impar (“Non inferiore a nessuno”).
▲ La
facciata verso i giardini della Reggia di Versailles 1661-82 I lavori di costruzione della reggia e del parco di Versailles iniziarono nel 1661
e terminarono nel 1682, anno in cui il re vi si stabilì con tutta la corte e il governo. La piccola città-residenza, che divenne di fatto la capitale della Francia, può essere considerata il “capolavoro” dell’assolutismo
di Luigi XIV: sul piano politico, il re riuscì nell’intento di concentrare in questo luogo tutto il potere; di quel potere, l’immensa architettura fu un efficace strumento di rappresentazione.
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C3 GLI STATI E LE GUERRE DEL ’700
L’esercizio di un dominio assoluto fu accompagnato dalla ricerca di tutto ciò che poteva accrescere il prestigio della Francia e del suo re [►FS, 21]. Se Luigi XIV aveva scelto il Sole come proprio emblema (sarà infatti chiamato il Re Sole), il suo regno doveva trarre sempre nuovo splendore dalle iniziative del sovrano. In questa prospettiva va inserito il patrocinio delle arti e delle scienze promosso dal re e da Colbert. Scrittori, letterati e uomini di teatro (come Molière e Racine) furono protetti e stipendiati. Il re e i suoi ministri favorirono la formazione di una cultura ufficiale, fortemente celebrativa, che non tollerava voci dissenzienti: venne attentamente esercitata la censura, furono perseguitati gli autori di opposizione e distrutti i loro scritti.
La politica culturale: la celebrazione del potere
L’esigenza di uniformità e di controllo investì anche quei settori della vita religiosa e dell’organizzazione ecclesiastica che presentavano aspetti di difformità, diversità o dissidenza. Del resto, l’intervento dello Stato in materia ecclesiastica non era certo una novità in Francia: poggiava anzi sulla lunga tradizione delle cosiddette “libertà gallicane” (ossia dei Galli, nome degli antichi abitanti della Francia), espressione che designava l’autonomia da Roma del re di Francia soprattutto nella nomina dei vescovi e dei titolari dei benefici ecclesiastici. Nel 1682 Luigi XIV volle ribadire il gallicanesimo facendo approvare dal clero francese una dichiarazione nella quale si affermava anche la superiorità del concilio sul papa e insieme si negava l’infallibilità del pontefice, se privo del consenso generale della Chiesa. Fu dunque per ragioni essenzialmente politiche, legate appunto al rafforzamento del potere assoluto, che Luigi XIV perseguitò sia i giansenisti sia gli ugonotti.
La politica religiosa: il gallicanesimo
Il giansenismo fu il principale movimento di dissidenza cattolica del ’600 e del ’700. Nato dalle tesi del teologo olandese Cornelio Giansenio (1585-1638), riprendeva le posizioni di sant’Agostino sostenendo che la grazia costituiva un dono divino concesso indipendentemente dai meriti: solo così la volontà umana diviene veramente libera di operare il bene. A questa visione si accompagnava una religiosità austera e rigorosa, ostile alle forme di compromesso e di indulgenza praticate dai gesuiti. Nella polemica contro questi ultimi si distinse lo scienziato e filosofo Blaise Pascal (1623-1662), membro della più importante comunità di giansenisti, quella che si riuniva intorno ai due monasteri di Port-Royal, uno a Parigi e l’altro nelle vicinanze della capitale. Divenuto un attivissimo centro culturale e di opposizione politica, che faceva proseliti soprattutto fra la nobiltà di toga, Port-Royal fu soppresso nel 1709.
La persecuzione dei giansenisti
Mentre Richelieu aveva combattuto e distrutto i privilegi politici e militari dei calvinisti francesi – concessi dall’editto di Nantes del 1598 –, mantenendo tuttavia quelli religiosi, Luigi XIV decise di riportare il paese all’unità in materia di fede. Questa scelta rispondeva a un insieme di motivi diversi: la convinzione del re che la Francia non avesse più bisogno dell’alleanza internazionale dei principi protestanti si unì al desiderio di apparire, agli occhi del mondo cattolico, come il campione della Cristianità – titolo che, dal 1683, sembrava spettare all’imperatore austriaco che era riuscito a respingere la minacciosa avanzata dei turchi sotto le mura di Vienna. Nel 1685 si volle far credere che l’eresia della religione cosiddetta “riformata” fosse ormai interamente scomparsa per giustificare la revoca dell’editto di Nantes. I pastori protestanti furono espulsi dalla Francia e, nonostante i divieti di abbandonare il paese, 200-300 mila ugonotti (così erano detti i calvinisti francesi) lasciarono la Francia alla volta di altri paesi europei.
La revoca dell’editto di Nantes
Dal punto di vista politico fu un trionfo dell’assolutismo monarchico e costituì la dimostrazione che, di fronte ai poteri di controllo e intervento ormai raggiunti dallo Stato, la minoranza religiosa non era più in grado di opporre, come sarebbe accaduto solo qualche anno prima, lo scatenamento di una guerra civile. Ma dal punto di vista economico, la revoca dell’editto di Nantes fu per la Francia una perdita netta soprattutto in termini di capitali e di risorse umane. I 200-300 mila ugonotti (su oltre un milione) costretti a emigrare si rifugiarono in Svizzera, Germania, Inghilterra e Olanda. Si trattò per gran parte di artigiani, che portarono all’estero la loro abilità e specializzazione tecnica, soprattutto nel campo tessile; ma molti furono anche i mercanti, gli intellettuali e gli uomini di cultura. Decisivo fu il loro apporto al popolamento di Berlino e allo sviluppo delle
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Gli ugonotti in Europa
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
attività manifatturiere nel Brandeburgo, dove si rifugiarono in 20 mila. Circa 65 mila furono i rifugiati in Olanda e fra questi numerosi intellettuali che vi costituirono importanti centri di produzione culturale antifrancese e antiassolutista. La sola reazione armata legata alla revoca dell’editto di Nantes fu l’assai più tarda rivolta popolare dei camisards (dalle “camicie” che portavano sugli abiti per mimetizzarsi nelle incursioni notturne) che, fra il 1702 e il 1704 – ma con strascichi fino al 1713 –, infiammò la regione montana della Cevenne, unendo la protesta per la persecuzione contro gli ugonotti (assai numerosi in quella zona del Mezzogiorno francese) ai tradizionali motivi antifiscali. Il potenziamento della fiscalità regia fu infatti la causa principale delle rivolte popolari del ’600 che, diversamente da alcuni episodi del secolo precedente, non ebbero quasi mai il carattere di rivolte antifeudali o antisignorili.
La rivolta dei camisards
Nei primi decenni del regno di Luigi XIV lo Stato intervenne anche in molti settori dell’economia, estendendo il suo controllo soprattutto sulle attività manifatturiere e mercantili. Colbert fu l’ispiratore e l’artefice principale di questo intervento, che da lui prese il nome di colbertismo, la più completa realizzazione del mercantilismo. Nato dalla consapevolezza dell’importanza ormai raggiunta dal commercio internazionale nel determinare la ricchezza delle nazioni, il mercantilismo fu al tempo stesso una teoria e una politica economica, largamente praticata in molti Stati d’Europa. Come teoria era fondato sulla convinzione che la ricchezza dello Stato derivasse dalla quantità di metalli preziosi presenti all’interno del paese; come politica economica mirava, grazie all’intervento diretto dello Stato, ad accrescere il saldo attivo della bilancia commerciale. Ciò vuol dire, in linguaggio meno tecnico, perseguire una politica commerciale che faccia “entrare” in un paese più moneta di quanta ne esca, in modo che il saldo (il risultato finale) sia attivo. Colbert cercò di raggiungere questo obiettivo favorendo le esportazioni – e determinando quindi un afflusso di moneta dall’estero – e penalizzando le importazioni (limitando il deflusso di moneta verso l’estero). La protezione dei prodotti nazionali (protezionismo) a scapito di quelli stranieri servì a favorire questo risultato.
Il mercantilismo
Luigi XIV visita le Manifatture Reali dei Gobelins 1667 ca. [Collezioni del Mobilier National, Versailles] Tra il 1662 e il 1667 Luigi XIV (rappresentato con il suo seguito a sinistra nell’arazzo) riunisce nella sede parigina dell’antica tintoria delle lane della famiglia Gobelins alcune manifatture di arazzi, fondando una azienda di Stato col nome di Manufacture Royale des Meubles de la Couronne. Nel primo periodo la produzione viene estesa ai differenti settori dell’artigianato artistico, dall’ebanisteria all’oreficeria all’incisione ai tessuti da arredamento. Chiusa nel 1694, riapre pochi anni dopo limitatamente al settore degli arazzi e delle tappezzerie, settori la cui attività, con alterne vicende, continua ancora oggi.
51
C3 GLI STATI E LE GUERRE DEL ’700
Colbert patrocinò la fondazione di compagnie commerciali privilegiate e l’espansione coloniale nelle Antille, in Africa e in India; istituì e protesse manifatture sovvenzionate dallo Stato per la fabbricazione di beni di lusso (arazzi, specchi, porcellane, ecc.), destinati in gran parte all’esportazione; introdusse infine una serie di pesanti controlli di uniformità che avrebbero dovuto agevolare lo smercio dei prodotti. In realtà il colbertismo, nonostante le energie impiegate dal suo ideatore, si rivelò un fallimento. Le compagnie commerciali, infatti, non furono in grado di reggere senza l’appoggio dello Stato e, mentre i criteri di uniformità produttiva furono largamente evasi, l’insieme dei vincoli all’importazione fu aspramente osteggiato dai ceti mercantili favorevoli alla libertà di commercio. La politica di Colbert fu, per gran parte, una risposta in termini assolutistici a un contrasto e a una rivalità commerciale che aveva nelle Province Unite – comunemente chiamate Olanda – il principale avversario.
METODO DI STUDIO
a Evidenzia le strategie adottate da Luigi XIV per trasformare la Francia in una monarchia assoluta. b Cerchia le classi sociali favorite dalla politica del Re Sole e sottolinea le strategie da questi adottate nei loro confronti. c Descrivi per iscritto il motivo che spinse Luigi XIV a perseguitare gli ugonotti e i seguaci del giansenismo. d Spiega sul quaderno cosa sono le “libertà gallicane” descrivendo anche il contesto di riferimento. e Sottolinea con colori diversi le cause e le conseguenze della revoca dell’editto di Nantes. f Sottolinea con colori diversi le strategie adottate da Colbert per aumentare la ricchezza interna della Francia e le relative conseguenze.
3_2 I LIMITI DELL’EGEMONIA FRANCESE
Non bastavano certo l’imposizione dell’uniformità religiosa, né la repressione delle rivolte contadine, né l’espansione coloniale e neppure la protezione delle arti o lo splendore di una reggia a costruire un grande regno. Per la scala di valori di quell’epoca la fama si otteneva sui campi di battaglia con la gloria militare, con la conquista di nuove città e territori. Per questo si armava e potenziava un esercito permanente, si costruivano opere di difesa e piazzeforti lungo i confini. Il rafforzamento dell’esercito fu opera del ministro della Guerra, il marchese di Louvois, che realizzò per la prima volta un’amministrazione interamente centralizzata e aprì il corpo degli ufficiali ai giovani di origine borghese. Il potenziamento militare fu posto al servizio di una politica di espansione e Luigi XIV fu quasi sempre in guerra, alternativamente con quasi tutti gli Stati europei. Dal 1667 al 1697 la Francia perseguì con successo l’obiettivo di allargare i propri confini a est, con l’annessione della Franca Contea e della città libera di Strasburgo, e a nord con la conquista di Lille e di parte delle Fiandre a spese dei Paesi Bassi spagnoli.
Le guerre di Luigi XIV e il progetto espansionistico
LA FRANCIA DI LUIGI XIV
L’ASSOLUTISMO DI LUIGI XIV
Accentramento dei poteri
Depotenziamento aristocrazia
Obbligata a vivere a Versailles
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Neutralizzata da concessioni e privilegi
Economia
Creazione di un apparato burocratico di
intendenti
di estrazione borghese stipendiati dalla Corona
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
Mercantilismo
Religione
Cattolicesimo religione di Stato
Espansionismo
Annessione di: Franca Contea, Strasburgo, Lille e parte delle Fiandre
Manifatture statali Tariffe protezionistiche Compagnie commerciali
Revoca editto di Nantes
Emigrazione ugonotti
Guerra di successione spagnola
REGNO DI GRAN BRETAGNA
Avignone
Minorca
MARE DEL NORD
R PO EGN RT O OG DE AL L LO
SSO
Roma
REGNO DI Napoli NAPOLI REGNO DI SICILIA
a Venezia fino al 1718
O
REGNO DI SARDEGNA
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PRO V
Minorca
MAR MEDITERRANEO
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Nel 1714, alla conclusione della guerra di successione spagnola, le modifiche territoriali più significative riguardarono l’Italia, dove il dominio della Spagna fu sostituito da quello degli Asburgo d’Austria in Lombardia, in Sardegna e nel Regno di Napoli. Lo Stato sabaudo ottenne la Sicilia ed estese i suoi possessi verso la Lombardia. L’Inghilterra conquistò Minorca e Gibilterra, la posizione chiave per il controllo del Mediterraneo.
C3 GLI STATI E LE GUERRE DEL ’700
53
Asburgo d’Austria Gran Bretagna Savoia Prussia
MAR NERO
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Gibilterra
Kiev
Vienna UNGHERIA
Madrid
REGNO DI SPAGNA
RU
Monaco SVIZZERA
Varsavia
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Lisbona
Avignone
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REGNO DI FRANCIA
REGNO POLONIA
IMPERO ROMANO Rastatt GERMANICO
Parigi
Mosca
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Versailles
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Berlino
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Stoccolma
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OCEANO ATLANTICO
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Asburgo d’Austria Gran Bretagna Savoia Prussia Repubblica di Venezia confine dell’Impero
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Londra
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REGNO DI SVEZIA
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REGNO DI GRAN BRETAGNA
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2_L’EUROPA NEL 1714
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REGNO DI FRANCIA
Nel 1715 Luigi XIV morì: il suo lungo regno è considerato come il momento più alto della monarchia assoluta in Europa. Questo giudizio corrisponde solo in parGibilterra te a quanto realmente avvenuto dal momento che il progetto assolutista rimase largamente incompiuto e limitato dai molti compromessi con le élite locali e con gli organismi giudiziari, i Parlamenti,
Bilancio di un regno
Utrecht
Parigi
Versailles
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Londra
UNITE CE IN
EGNO DI
MARE DEL NORD
VO SA
Più complessa fu la vicenda legata alla successione sul trono di Spagna. Quando, nel 1700, Carlo II morì senza figli e con lui si estinse la dinastia degli Asburgo di Spagna, si scoprì che aveva designato come erede universale dei suoi regni Filippo di Borbone, duca d’Angiò, nipote di Luigi XIV e della sua sposa Maria Teresa (sorellastra del re defunto), purché i due rami della dinastia dei Borbone (della monarchia di Francia e di Spagna) rimanessero separati. Filippo salì sul trono di Spagna, con il nome di Filippo V, ma nessuna delle grandi potenze europee era disposta a credere che la clausola della separazione sarebbe stata rispettata. Luigi XIV per primo, avviando l’occupazione dei Paesi Bassi spagnoli, non sembrava volerla onorare. Le altre grandiOCEANO poATLANTICO tenze europee – Austria, Inghilterra e Province Unite, seguite tra le altre dalla Prussia – non potevano accettare il rischio dell’unificazione delle Corone di Francia e Spagna, che avrebbe dato vita a un enorme impero in Europa e nelle Americhe, ed entrarono in guerra. Il conflitto che ne seguì durò oltre dieci anni (dal 1702 al 1714) e le due paci che lo conclusero – quella di Utrecht nel 1713 e quella di Rastatt nel 1714 – ridimensionarono le ambizioni di Luigi XIV. Fu mantenuta la separazione dei due rami dei Borbone, mentre all’Austria di Carlo VI (1711-40) vennero concessi larghi vantaggi territoriali, a spese della Spagna, in Italia e nelle Fiandre quale compenso alla rinuncia degli Asburgo d’Austria Madrid alla riunificazione dei domìni asburgici quali erano stati al tempo dell’imperatore Carlo V. Lisbona REGNO
La guerra di successione spagnola
Ro REGNO DI SARDEGNA
spesso in conflitto con il sovrano. Riflette invece in larga misura l’autorappresentazione della monarchia, della sua pompa e del suo splendore, propagandata dalle gazzette del tempo e da innumerevoli immagini. Una rappresentazione accettata dai contemporanei e confermata dai posteri. L’ascesa al trono di Luigi XV (1715-74), pronipote di Luigi XIV, iniziava di nuovo con un periodo di reggenza, affidata a Filippo d’Orléans, dal momento che il nuovo re era anche lui un bambino di appena cinque anni. Ma, a differenza del predecessore, quando raggiunse la maggiore età Luigi XV affidò il governo del paese ai suoi ministri. L’episodio più significativo degli anni della reggenza fu l’esperimento di riforma finanziaria tentato dallo scozzese John Law tra il 1716 e il 1720. Law propose una vera e propria rivoluzione monetaria e insieme una riforma fiscale. La prima era basata sulla sostituzione della moneta metallica con quella cartacea, garantita dalle azioni di una compagnia commerciale costituita allo scopo, la Compagnia d’Occidente (poi delle Indie). La seconda si fondava sull’abolizione delle imposte dirette e indirette a favore di una imposta fondiaria unica e sull’abolizione degli appalti per la riscossione delle imposte (causa, da sempre, di inefficienze e corruzione). L’obiettivo era quello di annullare il gravosissimo deficit del bilancio statale con una conversione dei titoli del debito pubblico in azioni della Compagnia e di aumentare la ricchezza del paese in virtù di una più rapida circolazione del denaro. La carta moneta ottenne la fiducia del pubblico, ma presto si innescò un meccanismo di accaparramento speculativo che portò le azioni alle stelle senza alcun rapporto con il loro valore reale. Quando gli speculatori più avvertiti cominciarono a vendere e a chiedere la conversione della moneta cartacea in quella metallica, fu il crollo di un sistema che, come aveva favorito rapidissimi arricchimenti, provocò ora altrettanto rapidi impoverimenti. Molti programmi e intuizioni di Law erano validi e anticipatori, ma le basi dello sviluppo economico francese non erano tali da sostenere una trasformazione così rilevante, ed eminentemente
Il regno di Luigi XV: il fallimento della riforma finanziaria
◄ Maurice
Quentin de La Tour, La marchesa Pompadour XVIII sec. [Musée du Louvre, Parigi] La corte di Luigi XV fu segnata da uno stile di vita frivolo e leggero; il re in persona si interessò poco agli affari di Stato per dedicare le proprie attenzioni alle opinioni e agli intrighi delle sue amanti (fra cui le celebri Pompadour e Du Barry), che sfruttarono le sue “debolezze private” per i propri tornaconti personali. Se nei primi anni della sua monarchia Luigi XV aveva ottenuto grande popolarità, tanto da essere soprannominato le bien aimé (“il
Damiens davanti ai giudici nella fortezza del Grand Châtelet il 2 marzo 1757 [Bibliothèque Nationale, Parigi]
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► Robert-François
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
beneamato”), con il passare del tempo il consenso attorno alla sua persona andò scemando e il malcontento crescendo. Nel gennaio del 1757 un uomo del popolo, Robert-François Damiens, tentò di accoltellare il re, colpevole, a suo dire, di essersi circondato di cattivi consiglieri e ministri e di aver trascurato il benessere del suo popolo. Il mancato regicida fu condannato a morte con una procedura ritenuta “esemplare”: sulla pubblica piazza, Damiens fu sottoposto a svariate forme di tortura, prima di essere squartato da quattro cavalli che ne tiravano le membra in direzioni opposte e poi bruciato sul rogo.
speculativa, delle strutture finanziarie. I problemi del debito e delle finanze pubblici erano destinati a divenire uno dei nodi irrisolti di tutta la politica francese del ’700. Nella prima fase del regno di Luigi XV il prestigio francese rimase intatto e non mancarono i successi militari e diplomatici, in particolare nel corso di due diverse guerre di successione, quella polacca e quella austriaca, che consentirono l’annessione dell’importante provincia orientale della Lorena. Durante la cosiddetta guerra dei Sette anni (1756-63), invece, si consumò il conflitto tra Francia e Gran Bretagna, accaparramento speculativo schierate su fronti opposti, per il controllo dei domìni coloÈ quello che accade nel mercato azionario quando gli speculatori acquistano in grande niali: il conflitto si risolse in una sconfitta epocale dei franquantità azioni a basso costo e in questo modo (per la legge della domanda e dell’offerta) ne fanno aumentare il valore: più un bene è richiesto, infatti, più il suo prezzo aumenta. cesi con la perdita di ampi territori in America del Nord (il Quindi le rivendono, ricavandone un guadagno; ma questo guadagno non dipende da un Canada) e dei recenti insediamenti in India (sui conflitti che intrinseco aumento del valore del bene venduto. A lungo andare questo sistema, che fa segnarono il ’700 ►3_5). gonfiare il valore delle azioni a dismisura, scoppia come una bolla di sapone: quando gli speculatori vogliono convertire i titoli in moneta, infatti, dal momento che non si è verificato Nonostante questi gravi insuccessi la Francia rimaneva pur un reale incremento di ricchezza monetaria, il sistema collassa. È quello che, due secoli sempre la maggiore potenza continentale europea, ma gli dopo, accadrà grosso modo negli Stati Uniti nella crisi del ’29, e si ripeterà ciclicamente scandali, gli intrighi e la corruzione della corte e il ruolo nelle economie capitalistiche, fino ai giorni nostri. stesso della monarchia, interpretato da un re irresoluto in politica e dissoluto nella vita privata, per di più troppo atMETODO DI STUDIO tento alle opinioni e agli intrighi delle sue amanti (fra cui a Cerchia i nomi dei regnanti e degli Stati coinvolti nella guerra di successione la celebre Madame de Pompadour), sollevavano la critica spagnola, sottolinea la descrizione degli eventi principali ed evidenzia gli esiti velenosa dei polemisti, degli intellettuali e dell’opinione dei due trattati di pace di Utrecht e di Rastatt. b Cerchia le parole chiave che si riferiscono al regno di Luigi XIV e argopubblica borghese. Inoltre gli altissimi costi delle guerre menta per iscritto le tue scelte. avevano ormai innescato una crisi finanziaria alla quale il c Descrivi sul quaderno le cause e le conseguenze della crisi finanziaria che governo non riuscì a porre rimedio né allora né in seguito, coinvolse la Francia. data l’impossibilità di tassare il clero e i ceti nobiliari, fino a d Cerchia i nomi degli Stati coinvolti nella guerra dei Sette anni e sottolinea con colori diversi le cause e gli eventi principali. Evidenzia, quindi, le perdite sfociare in una più ampia crisi del sistema assolutista e nel territoriali subite dai francesi a seguito del conflitto. suo tracollo con la Rivoluzione del 1789 [►8_2]
Guerre e crisi finanziaria
3_3 LA RIVOLUZIONE DEL 1688-89
► Leggi anche:
IN INGHILTERRA
Gli anni che vanno dal 1660 al 1730 videro in Inghilterra prima la sconfitta di una monarchia a vocazione assolutista, poi il prevalere della sovranità del Parlamento in tutte le grandi questioni politiche – dalla definizione dei diritti dei sudditi alle norme per la successione al trono –, infine la nascita di un governo controllato dal Parlamento.
► Parole della storia Monarchia costituzionale, p. 57 ► Fare Storia Monarchie a confronto, p. 131
Dopo la breve esperienza della Repubblica di Cromwell (1650-60), la restaurazione monarchica della dinastia Stuart, sancita nel 1660 dall’incoronazione di Carlo II, aveva lasciato irrisolto e anzi accentuato il dualismo di poteri tra la Corona e il Parlamento. Quando nel 1685, dopo la morte di Carlo II, il fratello Giacomo II salì al trono e iniziò a governare, il conflitto si riaccese fino a sfociare tre anni dopo in una soluzione rivoluzionaria. Giacomo II infatti non solo si era convertito al cattolicesimo, ma dal suo secondo matrimonio con una nobile italiana della casa d’Este era nato un erede maschio che minacciava la continuità della monarchia protestante. Inoltre la politica assolutista del re, ispirata a quella di Luigi XIV, puntava a modernizzare lo Stato costruendo un organismo accentrato e burocratico, a ridurre i privilegi della Chiesa anglicana, a distribuire le cariche tra l’esigua minoranza cattolica. Tutte queste iniziative suscitarono una diffusa opposizione nel paese tanto da indurre sette esponenti della nobiltà inglese a inviare, nel giugno 1688, una lettera a Guglielmo d’Orange, governatore delle Province Unite e marito di Maria, figlia di primo letto di Giacomo II, per invitarlo a intervenire militarmente in difesa delle «libertà inglesi e della religione protestante».
Da Giacomo II Stuart a Guglielmo II d’Orange
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C3 GLI STATI E LE GUERRE DEL ’700
Lo sbarco del Principe di Orange a Torbay il 4 novembre 1688 [incisione di William Miller da un originale di J.M. William Turner, pubblicata in «The Art Journal», Londra 1852] Nel novembre del 1688, Guglielmo d’Orange sbarca a Torbay, sulla costa sudoccidentale dell’Inghilterra. Nonostante l’accoglienza entusiastica da parte della popolazione, che vede in lui il protettore delle libertà parlamentari e della nazione – tanto che la sua marcia su Londra per l’ascesa al trono non è in nessun modo ostacolata –, Guglielmo durante il suo regno si troverà sempre a combattere contro la diffusa diffidenza nei suoi confronti in quanto re straniero.
Approntata una flotta, il 4 novembre 1688, Guglielmo sbarcò sulla costa meridionale dell’Inghilterra con 11 mila fanti e 4 mila cavalieri. Giacomo II, indebolito dalla defezione di molti dei suoi ufficiali, si sottrasse allo scontro, ma venne catturato e brevemente imprigionato salvo consentirgli, poco dopo, di fuggire in Francia. Nel febbraio 1689 il Parlamento, dopo una complessa trattativa tra Camera dei Lord e Camera dei Comuni, proclamò Guglielmo e Maria unitamente re e regina d’Inghilterra, con il titolo di Guglielmo III e Maria II. Nel mese successivo i due sovrani accettarono una dichiarazione dei diritti che elencava gli abusi di Giacomo II, le prerogative del Parlamento e i compiti dei nuovi sovrani, quale condizione politica per la loro ascesa al trono. Questo testo, trasformato in legge dal Parlamento il 18 dicembre 1689, è noto come Bill of Rights («la legge sui diritti dei sudditi e sulle norme della successione»). In una serie di punti si stabiliva, tra l’altro, il divieto per il sovrano di sospendere l’applicazione delle leggi e di tenere un esercito permanente in tempo di pace senza il consenso del Parlamento, si riaffermava la libertà delle elezioni politiche, la libertà di stampa e di parola, nonché il diritto dei sudditi protestanti di tenere armi per propria difesa; infine si escludeva la possibilità che un discendente cattolico della famiglia Stuart salisse sul trono di Inghilterra. Il Bill of Rights divenne la legge fondamentale del regno [►FS, 22d]. Ma nel 1701, di fronte alla mancanza di eredi protestanti del ramo principale degli Stuart, il Parlamento decretò il passaggio del trono alla casata tedesca degli Hannover, lontani parenti protestanti degli Stuart: ci riuscì approvando l’Act of Settlement (la legge della successione che impediva a un cattolico di salire al trono) e riaffermando così la supremazia degli organismi rappresentativi in Inghilterra.
Il Bill of Rights e l’Act of Settlement
Gli avvenimenti del 1688-89 sono passati alla storia col nome di “gloriosa rivoluzione”, una definizione destinata a celebrare la soluzione pacifica di un conflitto in cui vincitori e perdenti avevano tenuto un atteggiamento moderato. Questa volta il re era fuggito, non era stato decapitato come Carlo I nel 1649 al culmine della prima Rivoluzione inglese, e il radicalismo politico era stato bandito dalla contesa. Questa volta aveva prevalso la tolleranza nei confronti dei protestanti che non si riconoscevano nella Chiesa anglicana (puritani e quaccheri), liberi ora di professare i loro
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La seconda Rivoluzione inglese: “gloriosa” ma tutt’altro che pacifica
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
culti (grazie al Toleration Act del 1689): una tolleranza che non si estendeva tuttavia ai cattolici (“i papisti”) che rimanevano nemici irriducibili. Questa volta la rivoluzione non era sfociata in una dittatura, com’era stata quella di Cromwell, ma era nata una monarchia di tipo costituzionale fondata sulla separazione dei poteri tra re e Parlamento [►FS, 23]. Un sistema politico che aveva i suoi fondamenti nel Bill of Rights e nella precedente legge sull’Habeas corpus (1679), la norma che impediva gli arresti arbitrari imponendo che entro tre giorni un giudice convalidasse il fermo dell’accusato: questa tutela, che garantiva gli avversari politici, sarebbe diventata uno dei capisaldi di ogni ordinamento liberale e/o democratico. In realtà la rivoluzione del 1688-89, se fu “gloriosa” per i risultati politici conseguiti, fu tutt’altro cha pacifica. Non fu il risultato di un tranquillo accordo tra élite politiche e religiose sigillato dal Bill of Rights. Fu invece un aspro conflitto tra schieramenti contrapposti, contrassegnato, come tutte le altre rivoluzioni, da una vasta mobilitazione popolare, da insurrezioni, sommosse e rivolte, soprattutto in Scozia e in Irlanda, e da una dura repressione. L’episodio più significativo si ebbe nell’estate del 1690, quando lo sbarco in Irlanda del cattolico Giacomo II, alla testa di un contingente METODO DI STUDIO francese, aveva costretto Guglielmo III a intervenire. L’11 luglio, lungo il fiume a Completa la frase: «L’incoronazione di Carlo Boyne l’esercito di Giacomo, affiancato da milizie raccogliticce di contadini catII Stuart aveva lasciato irrisolto...». tolici irlandesi, fu sconfitto dalle più numerose e addestrate truppe di Guglielmo b Descrivi per iscritto le cause che portarono alcuni nobili inglesi a chiedere aiuto a Guglielmo d’Orange, composte da reggimenti scelti olandesi e danesi a cui si erano aggiunti d’Orange e gli esiti del suo intervento. reparti di ugonotti francesi: fu quella l’ultima battaglia a sfondo religioso del ’600. c Sottolinea la descrizione del Bill of Rights e La vittoria confermò l’esito della rivoluzione e consolidò la posizione internadell’Act of Settlement. zionale di Guglielmo III, ma solo nel 1697 Luigi XIV riconobbe la legittimità d Cerchia i soggetti politici coinvolti nella “gloriosa rivoluzione”, quindi evidenziane gli eventi della nuova monarchia inglese e allentò il sostegno, fino ad allora concesso, a principali e le conseguenze. Giacomo II e ai suoi seguaci.
Parole della storia
Monarchia costituzionale
I
l riconoscimento da parte di Guglielmo III d’Orange e di Maria Stuart del Bill of Rights (1689) rappresenta l’atto di fondazione della monarchia costituzionale inglese, destinata a divenire il modello di governo da imitare. La monarchia costituzionale è infatti quel sistema di governo in cui il potere regio è limitato e regolamentato dal testo unitario di una Costituzione (con l’eccezione proprio dell’Inghilterra, dove la Costituzione è formata da una serie di atti legislativi e di statuti anche diversi e lontani nel tempo, a partire dalla Magna Charta Libertatum del 1215), promulgata dallo stesso sovrano, che in tal modo riconosce l’esistenza di un altro centro di potere, il Parlamento. La Costituzione [►PAROLE DELLA STORIA, p. 263], infatti, sancisce la separazione dei poteri, dal momento che il sovrano continua a essere titolare del potere esecutivo, mentre al Parlamento viene in larga parte delegato il potere legislativo. La monarchia costituzionale si distingue
dunque dalla monarchia assoluta (legibus soluta, “sciolta da ogni vincolo di legge”), che non riconosce altri poteri oltre quello del sovrano, col quale lo Stato si identifica interamente («lo Stato sono io» aveva affermato Luigi XIV di Francia); ma si distingue anche da quella “parlamentare”, nella quale il governo dipende non più dalla fiducia del re ma da quella del Parlamento. Nella monarchia costituzionale infatti i ministri, pur governando in base alla Costituzione, sono responsabili solo verso il sovrano – cui spetta la nomina del capo del governo. La monarchia costituzionale costituisce perciò una sorta di via di mezzo tra queste due forme di governo, anche dal punto di vista storico: segue, o meglio sostituisce, la monarchia assoluta e precede, in molti casi evolvendosi gradualmente, la monarchia parlamentare. È negli anni compresi tra la Restaurazione (1815) e la metà dell’800, con molto ritardo dunque rispetto all’Inghilterra, che gran parte delle case regnanti d’Europa decise di dare una forma costituzionale al proprio potere: in Francia nel 1814 (e questa fu la Carta costituzionale su cui vennero modellate le altre
monarchie costituzionali), in Belgio con la rivoluzione del 1830, in Italia con lo Statuto albertino del 1848 (qui pochi anni dopo la monarchia costituzionale si trasformò in monarchia parlamentare), in Germania in età bismarckiana, in Russia dopo la rivoluzione del 1905. In tutti questi Stati, in cui venivano adottati codici che si ispiravano per lo più al modello napoleonico e che realizzavano in vario modo il principio dell’accentramento amministrativo e dell’uguaglianza dei sudditi, il sovrano conservava larghi poteri nel settore esecutivo, in quello legislativo e in quello giudiziario. Il Parlamento – chiamato in modo diverso nei vari paesi – in Gran Bretagna era diviso in due Camere: una Camera alta (o Camera dei Lord), composta dagli esponenti della nobiltà, a titolo ereditario e nominati a vita dal re (come, ad esempio, nel Senato italiano); una Camera bassa (o Camera dei Comuni) formata da deputati eletti dai sudditi con il sistema del suffragio ristretto, in base al quale il diritto di voto era riconosciuto ai detentori di un reddito superiore a una determinata cifra, a chi avesse un certo grado d’istruzione e ai titolari di cariche pubbliche.
57
C3 GLI STATI E LE GUERRE DEL ’700
3_4 VERSO IL GOVERNO PARLAMENTARE
► Leggi anche:
IN GRAN BRETAGNA
► Lezioni attive Parlamentarismo e assolutismo a confronto
La visione della rivoluzione del 1688-89 come una rivoluzione pacifica è il frutto di una costruzione propagandistica a posteriori compiuta dai Whigs, la fazione che dominò la vita politica inglese in quel periodo e per gran parte del ’700, in costante antagonismo con i Tories. In realtà, l’ascesa al trono di Guglielmo e Maria fu il risultato di un accordo tra una maggioranza whig della Camera dei Comuni e una minoranza tory presente soprattutto nella Camera ereditaria dei Lords. La contrapposizione tra i due schieramenti, che diverrà poi quella tra liberali (i Whigs) e conservatori (i Tories), era basata allora più sugli orientamenti politici che sulle diverse origini sociali. Entrambi i gruppi provenivano dalla nobiltà terriera, grande o piccola, e solo alcuni membri (tra i Whigs) discendevano da una borghesia terriera o cresciuta al servizio dello Stato e poi nobilitata. I Tories erano monarchici e legati alla Chiesa anglicana; i Whigs, ispirati dalle nuove riflessioni politiche maturate in questo periodo, la Gran Bretagna che insieme alle terre Whigs/Tories in particolare dal contrattualismo e dall’idea di tolleranza irlandesi costituirà in seguito il Regno Unito Alla fine degli anni ’70 del ’600 partigiani teorizzati dal filosofo John Locke [►2_5], erano sostenitori di Gran Bretagna e Irlanda (1800, dal della monarchia e avversari della 1947 Irlanda del Nord). Ne consegue la successione cattolica diedero origine a due della sovranità del Parlamento; entrambi erano favorevoli fusione dei diversi Parlamenti del Regno in opposti schieramenti politici, rispettivamente alla politica espansionistica oltreoceano, con una prefedei Tories e dei Whigs. Essi si denominarono un Parlamento unico con sede a Londra. Per questo nella lingua inglese, ancora renza dei Tories per le conquiste territoriali, mentre i Whigs reciprocamente con termini in origine denigratori: tory era il nomignolo dei banditi oggi, l’aggettivo “britannico”, british, ha erano sostenitori dello sviluppo commerciale.
Whigs e Tories
Nel 1707 la Corona d’Inghilterra (con il Galles) e quella di Scozia si unirono costituendo la Gran Bretagna. Dopo questo evento e durante il regno dei primi due sovrani della casata degli Hannover, Giorgio I (1714-27) e Giorgio II (1727-60), il predominio whig fu esercitato, dal 1721 al 1742, da Robert Walpole, un uomo politico di grande abilità. Fu con lui che nacque quella prassi politica chiamata governo
Il governo parlamentare
cattolici irlandesi; whig quello di alcuni insorti presbiteriani scozzesi.
Gran Bretagna Durante il regno di Anna Stuart, l’ultima regnante della dinastia Stuart, al potere dal 1702 al 1714, il Parlamento inglese approva gli Acts of Union che stabiliscono l’unione in un unico Regno di Inghilterra, Galles e Scozia. Nasce così, nel 1707,
una valenza politica oltre che geografica: si riferisce al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e anche all’isola di Gran Bretagna. L’aggettivo “inglese”, english, si riferisce all’Inghilterra (una delle nazioni del Regno Unito) e ai suoi abitanti o, sul piano linguistico, alla lingua inglese. È improprio, ma frequente, l’uso del termine “inglese” nelle due accezioni.
L’INGHILTERRA DOPO LA “GLORIOSA RIVOLUZIONE”
Potere esecutivo
Re
SEPARAZIONE DEI POTERI TRA...
Parlamento
Potere legislativo
In virtù del gruppo ristretto di ministri
che delega l’azione di governo a un...
Camera dei Comuni
Camera dei Lord
eletti a suffragio ristretto
ecclesiastici, nobiltà ereditaria e nominati dal sovrano
dominata dai Whigs
dominata dai Tories
Bill of Rights scelti dal leader della maggioranza
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Governo di gabinetto
orientamento liberale
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
filomonarchici e conservatori
di gabinetto, un governo formato da un gruppo ristretto di ministri scelto e guidato dal leader della maggioranza parlamentare che, su delega del sovrano, esercitava il potere esecutivo sotto il controllo del Parlamento. Si trattava della prima attuazione di un sistema di governo parlamentare e del passaggio da una monarchia costituzionale a una monarchia parlamentare che in Gran Bretagna si sarebbe realizzata compiutamente nel secolo successivo. Questo sistema politico rimaneva in graduale definizione, legato com’era non solo alle qualità dei leader del Parlamento, ma anche alla personalità dei sovrani e alla loro propensione a intervenire nella politica della nazione: debole quella di Giorgio I e Giorgio II, decisamente più incisiva quella di Giorgio III, il primo re della dinastia degli Hannover nato in Inghilterra, che regnò dal 1760 al 1820. Nella lunga fase di trasformazione dei rapporti istituzionali tra re, governo e Parlamento, la lotta politica era dominata dal conflitto per mantenere il controllo del patronage, il meccanismo, fondato su relazioni personali e clientelari, che garantiva la distribuzione e il controllo delle più importanti cariche governative. La corruzione era diffusissima come lo era la pratica di comprare i voti per essere eletti soprattutto nelle piccole circoscrizioni rurali, dominate dai maggiorenti locali, spesso nobili e grandi proprietari terrieri. Un sistema di abusi e irregolarità destinati a essere modificati solo con la riforma elettorale del 1832 [►12_7]. La vita politica era oggetto di vivaci discussioni e critiche da parte di un’opinione pubblica che si veniva formando nei luoghi di ritrovo come le coffeehouses (i caffè) o nella lettura delle gazzette sempre più diffuse anche lontano dalle grandi città. Tutti questi aspetti erano espressione di un vitale dinamismo della società inglese. Pur rimanendo divisa, essa era concorde nella difesa degli interessi nazionali che ormai vedevano intrecciati lo sviluppo del commercio internazionale e il controllo di vasti territori oltreoceano.
I caratteri della vita politica
Divenuta ormai la maggiore potenza marittima, la Gran Bretagna era tuttavia pronta a intervenire in Europa, direttamente o sovvenzionando gli alleati, per evitare che l’equilibrio tra le potenze venisse alterato dalle guerre di quegli anni, avvantaggiando stabilmente
La politica estera
William Hogarth, La campagna elettorale: l’opera di convinzione 1754-55 [Soane’s Museum, Londra] La tavola è la seconda di una serie di quattro dipinti realizzati da William Hogarth e ispirati alla tornata elettorale del 1754 nell’Oxfordshire, regione nota come roccaforte tory sin dal 1710. Il quadro, ambientato in una località di campagna nei pressi di Oxford, è sovraccarico di simboli che necessitano di un’illustrazione. L’emblema dei Tories, la quercia simbolo della restaurazione di Carlo II, è coperto da uno stendardo in cui un esponente del governo whig in vesti di Pulcinella compra voti attingendo da una carriola carica di monete. Sulla strada accanto all’osteria si svolge una scena di corruzione. I rappresentanti dei due partiti, Whigs e Tories, tentano di corrompere un passante che incassa da entrambi il denaro offertogli. A sinistra un altro procacciatore di voti è intento ad acquistare da un venditore ambulante ebreo doni da regalare alle mogli degli elettori affacciate al balcone. Vicino al leone, simbolo della Gran Bretagna, intento a divorare i gigli di Francia, una donna conta le monete della corruzione. Sul fondo, in secondo piano, sono in corso scontri tra le due fazioni. Il dipinto riflette il giudizio critico dell’opinione pubblica britannica sulla corruzione imperante nella vita politica del paese. La figura del soldato che si affaccia dalla porta a sinistra e i due marinai seduti a destra con la ricostruzione di uno schieramento navale sul tavolo sono le sole figure positive della rappresentazione.
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C3 GLI STATI E LE GUERRE DEL ’700
Richard Wright, La Battaglia di Quiberon Bay, 21 novembre 1759: il giorno dopo 1760 [National Maritime Museum, Greenwich, Londra] Il dipinto ritrae la rovinosa situazione in cui si trovò parte della marina francese il giorno dopo la battaglia della Baia di Quiberon (sulle coste atlantiche della Francia), una delle più importanti e decisive della guerra dei Sette anni. Dopo le prime vittorie francesi in Nord America, con l’avvento di William Pitt al governo britannico, le cose cambiarono. La Francia fu sottoposta a un duro blocco navale messo in atto dagli inglesi sull’Atlantico. Con una manovra disperata i francesi tentarono di eludere il blocco risalendo la costa con l’intento di raggiungere il canale della Manica e invadere la Gran Bretagna. Furono bloccati nella Baia di Quiberon, dove la flotta inglese diede prova della sua superiorità in mare.
uno dei contendenti. Durante la guerra dei Sette anni (175663), sotto la guida di William Pitt il Vecchio, gli inglesi sconfissero le ambizioni coloniali della Francia in Canada, nelle Antille e in India [►6_1]. I successi in serie per terra e per mare dell’«anno mirabile 1759» furono poi consolidati dalla pace di Parigi del 1763 che consegnava alla Gran Bretagna un dominio degli oceani destinato a durare per oltre un secolo e mezzo.
METODO DI STUDIO
a Cerchia, con colori diversi, i nomi dei due principali schieramenti politici in Inghilterra e sottolinea le relative caratteristiche. b Descrivi per iscritto la prassi politica definita “governo di gabinetto” indicando il nome di chi la ideò e realizzò per primo. c Evidenzia il nome del meccanismo fondato su relazioni personali e clientelari che garantiva la distribuzione e il controllo delle più importanti cariche governative. d Descrivi sul quaderno i successi raggiunti dalla Gran Bretagna durante l’«anno mirabile 1759» e l’evento che li consolidò.
3_5 LE RAGIONI DELLE GUERRE
Dalla pace dei Pirenei (1659), che aveva chiuso il conflitto tra Francia e Spagna, e fino alle paci di Parigi e Hubertusburg (1763), che conclusero la guerra dei Sette anni, si contano in Europa almeno quindici guerre in cui si confrontarono più di due contendenti. Guerre per il controllo degli oceani e del commercio internazionale, che videro coinvolte le une contro le altre Gran Bretagna, Olanda, Spagna e Francia; guerre per il dominio del Baltico e dei suoi territori costieri, tra Svezia, Danimarca, Russia, Prussia e Polonia; guerre per la successione dinastica sui troni di Spagna, Polonia, Austria. Vanno ricordate anche le guerre contro i turchi ottomani, combattute dall’Austria nei Balcani e dalla Russia per la conquista delle sponde del Mar Nero. Gli attori principali degli scenari bellici, in Europa e sul fronte extraeuropeo, furono Francia, Gran Bretagna, Austria e Russia, cui presto si affiancò una giovane potenza, la Prussia, che andava
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Le molte guerre di un secolo
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
► Leggi anche: ► Eventi La battaglia di Rossbach ► Storia e Geografia Il Baltico ► Storia e Cinema Barry Lyndon di S. Kubrick
consolidandosi lungo le rive del Mar Baltico (sulla Prussia ►3_6). Le origini di tante guerre si possono spiegare individuando quattro motivi principali spesso intrecciati e coincidenti tra loro: gli interessi commerciali, le questioni dinastiche che sottendono una concezione patrimoniale dello Stato (secondo l’idea che il potere regio si riceve in eredità dal predecessore come se fosse un bene patrimoniale di famiglia), le ambizioni di conquista, il contesto geopolitico. Per i paesi che avevano possedimenti, più o meno ampi, nelle Americhe, nelle Antille, sulle coste africane, in Asia, l’obiettivo delle guerre era per alcuni difendere tali territori, per altri quello di accrescerli. Era in palio il controllo dei commerci più redditizi, come quello degli schiavi africani, o quello delle importazioni e riesportazioni di beni di lusso (tessuti, porcellane) o dei generi coloniali (caffè, tè, zucchero, tabacco, spezie). In questo quadro la Spagna tenne un ruolo difensivo di fronte alla politica aggressiva dell’Olanda, della Francia e soprattutto della Gran Bretagna.
Gli interessi commerciali
In questo periodo ogni variazione delle regole di successione dinastica divenne motivo di conflitto tra le potenze: dal momento che quasi tutte le case regnanti erano in qualche misura imparentate tra loro, era sempre possibile rivendicare diritti nel caso di estinzione della linea diretta maschile di successione. Scendevano allora in campo gli eserciti e si dava avvio a una guerra: ma dopo Legge salica qualche anno e molte battaglie interveniva la diplomazia che, attraverso una La cosiddetta “Legge salica” era in origine un complesso serie di compensazioni territoriali, riportava in equilibrio il sistema dei rapporti di norme elaborate alla fine del V secolo dal popolo dei Franchi Salii, abitanti del territorio corrispondente agli di forza tra le potenze. Così era accaduto al tempo della guerra di successione attuali Paesi Bassi. Tra le disposizioni contenute in questo spagnola [►3_2], e così accadde per la successione polacca e, poco dopo, nel sistema di leggi, ve n’era una che vietava alle donne di 1740, per quella austriaca [► _3]. Alla morte dell’imperatore Carlo VI, privo di ereditare le terre saliche. In realtà questa norma rimase relegata presso il popolo salico e non fu applicata altrove eredi maschi, la figlia Maria Teresa salì al trono dei domìni di casa d’Austria, coper diversi secoli. Fece la sua ricomparsa quando fu ripresa me era stato stabilito da una norma, la Prammatica sanzione, emessa dallo in Francia da Filippo V (1317--22), che se ne servì per stesso imperatore molti anni prima (nel 1713), per consentire la discendenza usurpare il trono legittimamente assegnato a Giovanna II di Navarra, sua nipote. Da quel momento il riferimento a femminile fino ad allora proibita dall’antica Legge salica. Le potenze, che apquesta legge diventò una consuetudine, fino a consolidarsi pena due anni prima avevano trovato un accordo con l’Austria al termine della non solo in Francia, ma anche in altri paesi europei. guerra di successione polacca grazie a molte compensazioni territoriali a danno
Le questioni dinastiche
LE RAGIONI DELLE GUERRE
Interessi commerciali
Difesa e ampliamento imperi coloniali
Questioni dinastiche
Guerre di successione
Problema della discendenza femminile
Prammatica sanzione Declino della Spagna
Aggressività di Olanda, Francia e Gran Bretagna
Ambizioni espansionistiche
Guerra dei Sette anni
Conquiste territoriali della Prussia
Perdita colonie della Francia a vantaggio della Gran Bretagna
Contesto geopolitico
Aree forti
Aree deboli
Coste atlantiche e Baltico
Italia, regioni tedesche interne e Polonia
Pace di Aquisgrana (1748)
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C3 GLI STATI E LE GUERRE DEL ’700
degli Asburgo in Italia, rientrarono in guerra: erano principalmente Francia, Spagna e Prussia (quest’ultima però non aveva preso parte al precedente conflitto dinastico). Il primo a muoversi fu il re della Prussia, Federico II, che occupò la ricca provincia della Slesia fino ad allora in mano austriaca. Dopo otto anni di scontri, la pace di Aquisgrana del 1748 provvide ad alcuni scambi e restituzioni territoriali, ma la Prussia riuscì a conservare la Slesia [► _3]; inoltre, le potenze che avevano combattuto contro l’Austria (e i suoi alleati) riconobbero la validità della Prammatica sanzione e accettarono l’ascesa al trono imperiale di Francesco di Lorena, consorte di Maria Teresa d’Austria. Se alla metà del ’700 apparivano risolti i problemi legati alle successioni dinastiche, non per questo si erano placate le ambizioni di conquista degli Stati più aggressivi e dinamici. Tra Francia e Gran Bretagna era ormai in atto un conflitto planetario, con i francesi impegnati a ostacolare il predominio coloniale britannico. Al centro dell’Europa, invece, la giovane potenza prussiana non si sentiva ancora garantita nelle sue conquiste, accerchiata com’era da Austria, Francia e Russia. Le tensioni sfociarono nella guerra dei Sette anni, che si combatté su due fronti: europeo ed extraeuropeo. Fu Federico II di Prussia a dare inizio
Le ambizioni di conquista
3_PRINCIPALI GUERRE E MUTAMENTI TERRITORIALI DEL ’700 IN EUROPA
Guerre Guerra di successione spagnola (1702-14) Francia • Spagna ↑ contro ↓ Austria • Gran Bretagna • Province Unite • Prussia • vari principati tedeschi • Portogallo • Ducato di Savoia
Paci
Mutamenti territoriali e nuovi confini
Trattati di Utrecht e Rastatt 1713-14
Spagna e colonie spagnole a Filippo V di Borbone. Paesi Bassi spagnoli, Ducato di Milano e Regno di Napoli all’Austria. Gibilterra, Minorca e alcuni territori del Nord America alla Gran Bretagna. Sicilia ai Savoia.
Conflitti scatenati dai tentativi della Spagna di modificare l’assetto europeo (1717-20) Spagna ↑ contro ↓ Gran Bretagna • Francia • Austria
Sicilia all’Austria. Sardegna ai Savoia (Regno di Sardegna).
Guerra di successione polacca (1733-38) Francia • Spagna • Savoia ↑ contro ↓ Austria
Trattato di Vienna 1738
Ducato di Lorena a Stanislao Leszczyn´ski. Granducato di Toscana a Francesco Stefano di Lorena, sposo di Maria Teresa d’Austria. Regno di Napoli e Sicilia a Carlo di Borbone. Novara e Tortona a Carlo Emanuele III di Savoia. Insediamento in Italia di due nuove dinastie: i Borbone a Napoli e i Lorena in Toscana (questa presenza durerà fino all’Unità d’Italia).
Guerra di successione austriaca (1740-48) Francia • Spagna • Prussia ↑ contro ↓ Austria • Gran Bretagna • Olanda • Savoia
Trattato di Aquisgrana 1748
Slesia dall’Austria alla Prussia. Ducato di Parma a Filippo di Borbone.
Guerra dei Sette anni (1756-63) Austria • Francia • Russia ↑ contro ↓ Prussia • Gran Bretagna
Trattato di Hubertusburg 1763
Nessun mutamento territoriale in Europa e conferma delle conquiste prussiane. La Francia perde il Canada e alcuni possedimenti in India a vantaggio della Gran Bretagna. Supremazia coloniale britannica.
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Tre spartizioni della Polonia (1772, 1793, 1795)
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
Trattato di Parigi 1763 Il Regno di Polonia, spartito tra Prussia, Russia e Austria, viene cancellato dalle carte geografiche.
3_L’EUROPA NEL 1748
REGNO REGNO DI DI SVEZIA NORVEGIA MARE DEL NORD
Firenze
Kiev
MAR NERO Istanbul
O
R
Roma Minorca REGNO DI Napoli REGNO SARDEGNA DI NAPOLI
SSO
R PO EGN RT O OG D AL EL LO
RU
Varsavia Hubertusburg Leuthen 1757 IMPERO ROMANO Kolin 1757 GERMANICO Pest Monaco Vienna UNGHERIA Venezia Milano
E
Gibilterra
O
Parigi
Kolin 1757
P
REGNO DI SPAGNA
R
Aquisgrana
IM
Lisbona
REGNO DI POLONIA
Rossbach 1757 BerlinoKunersdorf 1759
Versailles REGNO DI FRANCIA Torino Madrid
REGNO DI DANIMARCA
E
OCEANO ATLANTICO
Mosca
P
Londra
IM
REGNO DI GRAN BRETAGNA
San Pietroburgo
Stoccolma
Prussia Gran Bretagna Asburgo Borbone-Spagna Borbone-Napoli Regno di Sardegna confine dell’Impero battaglie
O
TT
OM
MAR MEDITERRANEO
AN
O
La carta riporta le variazioni territoriali intervenute alla conclusione della guerra di successione austriaca (1748), nonché le principali battaglie della guerra dei Sette anni. Nel 1738 e nel 1748 l’Austria dovette accettare un notevole ridimensionamento dei suoi possessi, dapprima con la cessione del Regno di Napoli e della Sicilia a Carlo di Borbone-Spagna, in seguito con il riconoscimento della conquista prussiana della Slesia.
alla guerra, ma le sue straordinarie vittorie militari contro francesi e austriaci non gli avrebbero
Kolin 1757
Prussia assicurato il successo finale: solo l’improvvisa morte della zarina Elisabetta, sua acerrima nemica, Gran Bretagna e l’ascesa al trono di Russia del filoprussiano Pietro III consentirono alla Prussia di uscire indenne Asburgo Borbone-Spagna dalla guerra. Sul fronte extraeuropeo la vittoria della Gran Bretagna sulla Francia, sancita nel 1763, Borbone-Napoli pose un freno all’espansione coloniale francese, mentre sul continente europeo si stabilì una nuova Regno di Sardegna intesa tra Prussia, Austria e Russia che avrebbe portato, a partire dal 1772, alla progressiva sparticonfine dell’Impero zione del grande Regno di Polonia. battaglie
Il vario alternarsi di dinastie in Italia e la spartizione della Polonia sono tra le conseguenze più significative delle guerre del ’700. Proprio questi risultati trovano una spiegazione se utilizziamo un criterio di analisi geopolitica. Un criterio che tiene conto della posizione geografica delle singole aree e della forza delle organizzazioni statali che gravitano su di esse. Da questo punto di vista è possibile distinguere in Europa tra aree forti e aree deboli. Le prime si collocano lungo il margine atlantico (Spagna, Portogallo, Francia, Gran Bretagna e Province Unite) o appartengono alla Scandinavia, alla Prussia e alla Russia: tutte corrispondono a realtà storiche, linguistiche e religiose sostanzialmente definite e a strutture politico-amministrative già consolidate o in via di costruzione. Un arco di aree forti circonda dunque a ovest, a nord e a est due grandi aree deboli, il bassopiano tedesco-polacco dall’Elba al Dnepr e la penisola italiana: deboli per la labilità dei confini e per un regime politico soggetto all’ingerenza continua delle potenze confinanti nel caso della Polonia; o per l’assenza di uno Stato unitario nel caso dell’Italia.
Il contesto geopolitico
geopolitica La “geopolitica” studia i rapporti tra la politica e lo spazio, ovvero l’influenza della posizione geografica nella formazione e nello sviluppo degli Stati e del sistema delle relazioni internazionali. Questa disciplina, nata negli ultimi decenni dell’800, in contemporanea alla grande espansione coloniale europea, ebbe inizialmente una marcata connotazione deterministica: il controllo dello spazio, infatti, appariva un fattore decisivo nella contesa tra gli Stati e scopo della geopolitica era appunto quello di indicare le strategie più idonee per raggiungere questo obiettivo. Successivamente gli studiosi di relazioni internazionali tornarono a riconsiderare l’importanza dei fattori geografici, non più intesi come cause deterministiche, ma piuttosto come una serie di opportunità e limiti per lo sviluppo di uno Stato e per il successo di una strategia politica.
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C3 GLI STATI E LE GUERRE DEL ’700
Guerre numerose dunque per tutto il ’700, ma non drammaticamente letali come erano stati i massacri delle popolazioni al tempo dei conflitti religiosi. Per condurre queste continue guerre era necessario potenziare gli eserciti ormai divenuti permanenti. Un potenziamento che si ottenne non solo con il numero dei soldati arruolati, ma con l’addestramento continuo e il rafforzamento della disciplina. I due aspetti erano strettamente collegati: si trattava di trasformare in soldati professionali a lunga ferma contadini arruolati spesso con l’inganno, sbandati, piccoli malviventi. Soldati resi uniformi dalla divisa, soggetti a una disciplina spesso durissima, che dovevano imparare a marciare rapidamente tenendo le linee compatte e a non scompigliarle sotto il fuoco nemico. Soldati addestrati a sparare, a caricare e ricaricare rapidamente il moschetto, pronti a usare la baionetta negli scontri ravvicinati. Sempre più frequente era l’arruolamento nei territori dello Stato (con l’obbligo per le singole province di fornire un certo numero di reclute, come avveniva in Prussia), ma erano diffuse truppe professionali provenienti da paesi e regioni che da secoli fornivano contingenti mercenari, come la Svizzera, la Scozia, l’Irlanda nonché l’Assia e il Brunswick in Germania. Si trattava anche di assicurarsi la fedeltà e la competenza di un corpo di ufficiali, nei primi tempi tratti dalla nobiltà cadetta di tutta Europa, ma in seguito sempre più originari degli Stati in cui prestavano servizio.
Eserciti, burocrazia e amministrazione
Numerose vignette popolari, oltre che le cronache del tempo, testimoniano come nel ’600 e ’700 l’arruolamento forzato e le diserzioni fossero frequenti negli eserciti. Gli ufficiali addetti al reclutamento raccoglievano nelle file degli eserciti anche criminali, ubriaconi e vagabondi.
corrette procedure per armeggiare un moschetto [da J. Keegan, A History of Warfare, Londra 1993] L’immagine, tratta da un manuale militare del XVII secolo, mostra quanto potesse essere complesso l’uso di un moschetto. In particolare, la fase di carica risultava molto rischiosa in quanto portava via tempo e richiedeva una certa precisione proprio in un momento di grande concitazione (come può essere il confronto in battaglia); per questo motivo furono introdotte le esercitazioni dei soldati. I moschettieri più addestrati potevano sparare anche 3 o 4 colpi al minuto, ma in media si riusciva a spararne 2 per poi avanzare all’attacco con la baionetta montata in cima alla canna del moschetto.
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◄ Le
▼ L’arruolamento
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
L’alto costo delle guerre, degli armamenti e degli approvvigionamenti richiedeva un’organizzazione e una burocrazia in grado di raccogliere e amministrare le risorse materiali e umane. Come scrisse Federico II nel 1747, «Il maggior segreto nella condotta della guerra e il capolavoro per un buon generale è di riuscire ad affamare l’avversario. La fame esaurisce il nemico più sicuramente del coraggio altrui e voi otterrete il successo con meno rischi che attraverso il combattimento».
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le cause principali delle guerre che funestarono l’Europa tra metà ’600 e metà ’700. b Spiega per iscritto cosa stabiliva la Prammatica sanzione e quali conseguenze ebbe. c Cerchia l’anno in cui fu firmata la pace di Aquisgrana e sottolinea le sue conseguenze. d Trascrivi sul quaderno le parole chiave evidenziate in grassetto relative al contesto geopolitico. Quindi, spiega il loro significato nel contesto descritto. e Individua ed evidenzia le parole chiave che si riferiscono agli eserciti durante il ’700 e argomenta oralmente la tua scelta.
3_6 L’ASCESA DELLA PRUSSIA
«Giù il cappello, signori. Se ci fosse stato lui, noi oggi non saremmo qui.» Questo fu l’omaggio che Napoleone, vincitore a Jena contro i prussiani nel 1806, rese di fronte alla tomba di Federico II. L’imperatore francese celebrava il grande generale, ma Federico II va ricordato soprattutto per il suo contributo decisivo all’ascesa della Prussia al rango di grande potenza. Un risultato ottenuto non solo con le vittorie militari, ma con il sistematico rafforzamento dello Stato e della sua amministrazione volta soprattutto a garantire il finanziamento e il funzionamento di una efficiente e potente macchina bellica. Alla fine del regno di Federico II, la Prussia poteva mettere in campo un esercito di 195 mila uomini, mentre la Francia, con una popolazione almeno tripla, ne schierava poco più di 180 mila. Come dicevano i contemporanei, la Prussia non era «uno Stato con un esercito, ma un esercito con uno Stato». In tutti gli aspetti relativi all’organizzazione militare la Prussia divenne, nella seconda metà del ’700, la potenza militare più temibile
Una nuova potenza in Europa
Nuova carta delle uniformi dell’esercito prussiano 1799 L’esercito prussiano fu il primo ad essere costituito e organizzato secondo princìpi moderni. L’abbigliamento dei soldati fu studiato con maggiore attenzione, sia per questioni pratiche, sia per infondere, anche attraverso l’uso dell’uniforme, un senso di coesione e di appartenenza al gruppo.
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C3 GLI STATI E LE GUERRE DEL ’700
anche grazie alla superiore capacità tattica e ai successi sui campi di battaglia di Federico II contro avversari spesso più numerosi dei prussiani. Protagonista delle guerre contro la Francia di Napoleone e alla fine vincitrice dopo molte umilianti sconfitte, la Prussia sarebbe diventata, nell’800, l’elemento propulsore dell’unificazione tedesca, ottenuta dopo la sconfitta della Francia nel 1870 [►18_2]. Per questo la sua ascesa riveste un significato decisivo nella storia europea.
principe elettore Ciascuno dei principi tedeschi cui spettava la nomina dell’imperatore del Sacro romano impero.
Il regno di Federico II (1740-86) si collocava al termine di un processo che era iniziato nei primi decenni del ’600. È infatti nel 1618 che la Prussia, una regione posta sul Baltico al confine orientale della Polonia (cui era legata da vincoli feudali) oltre che possesso originario dell’Ordine teutonico, si aggiunse ai territori del principe del Brandeburgo, una regione storica della Germania centro-settentrionale [► _4]. Prussia e Brandeburgo erano e rimasero distanti tra loro per oltre un secolo e mezzo. Quando il principe elettore del Brandeburgo (della famiglia degli Hohenzollern) divenne re di Prussia, nel 1701, le due regioni erano ancora separate: il Brandeburgo a ovest con capitale Berlino e la Prussia a est con capitale Königsberg, la patria del filosofo Immanuel Kant. Solo con la prima spartizione della Polonia, nel 1772, si stabilì una continuità territoriale tra est e ovest. Peraltro al nuovo Regno appartenevano anche altri più piccoli Stati territoriali posti nella Germania occidentale. Proprio questa frammentarietà sollecitò i principi elettori del Brandeburgo e poi i primi re di Prussia DANIMARCA a potenziare l’accentramento e l’amministrazione statale: si trattava di piegare la nobiltà feudale e MARE terriera, gli Junker, al servizio dello Stato nell’amministrazione e nell’esercito e di ridurre i privilegi e DEL NORD le autonomie periferiche.
La composizione territoriale del Regno di Prussia
SVEZIA FRISIA ORIENTALE 1744 Emden
DANIMARCA MARE DEL NORD
MAR BALTICO Lubecca Amburgo
SVEZIA
POMERANIA OCCIDENTALE 1720
MAR BALTIC
Tilsit
POMERANIA ORIENTALE emen Ni1648
Königsberg CONTEA DI Oliva PROVINCE UCKERMARK Brema POMERANIA PRIGNITZ Stettino SERRAY O UNITE HANNOVER ORIENTALE POMERANIA n Fehrbellin e Danzica Elbing ALTMARK iem N MAR BALTICO DANIMARCA FRISIA 1648 DUCATO DI OCCIDENTALE Lubecca BRANDEBURGO NEUMARK DI Lingen VES. Tilsit ORIENTALE en SVEZIA MARE PRUSSIA 1720 MAR BALTICO MINDEN Niem Berlino DANIMARCA Marienwerder Francoforte 1744 Amburgo 1702-7 Potsdam DEL NORD Tilsit Minden MARE Emden PRUSSIA VES. DIDI Magdeburgo Schwiebus NUOVA PRUSSIA Königsberg CONTEA Oliva PROVINCE UCKERMARK Brema POMERANIA DUC. DI OCCIDENTALE PRIGNITZ 1680 DEL NORD ORIENTALE1742 Stettino HALBERSTADT SERRAY UNITE HANNOVER ORIENTALE POMERANIA VESTFALIA KLEVE Thorn Königsberg CONTEA Oliva 1648 DI Fehrbellin ALTMARK Danzica 1795 POMERANIA Elbing FRISIA 1648 DUCATO DI OCCIDENTALE Vis Cottbus NEUMARK SERRAY Lubecca DI BRANDEBURGO VES. DI ORIENTALEDUC. tola CONT. DELLA POMERANIA 1780 ORIENTALE Lingen Halle PRUSSIA 1720 Danzica Bu GHELDRIA LUSAZIA Elbing MINDEN FRISIA Berlino 1648 MARCA DUCATO DI Marienwerder 1744 Amburgo OCCIDENTALE Lubecca Breg Varsavia 1702-7 Posen 1713 Potsdam Francoforte ORIENTALE Minden Emden PRUSSIA 1720 PRUSSIA VES. DI Magdeburgo NUOVASchwiebus PRUSSIA SASSONIA PROVINCE UCKERMARK Brema Amburgo Marienwerder 1744 POLONIA DUC. DI OCCIDENTALE HALBERSTADT SLESI 1742 1680 ORIENTALE Stettino UNITE HANNOVER PRIGNITZ Emden PRUSSIA o Thorn NUOVA1795 PRUSSIA VESTFALIA KLEVE Fehrbellin PROVINCE UCKERMARK 1648 Brema PRUSSIA 1742 ALTMARK E lba Cottbus OCCIDENTALE PRINCIPATO PRIGNITZ Vis ORIENTALE NEUMARK UNITE HANNOVER DUC. DI BRANDEBURGO Stettino MERID. tola Lingen VES. DI CONT. DELLA 1780 Thorn Fehrbellin DI BAYREUTH Halle ALTMARK Bug 1793 GHELDRIA MINDEN LUSAZIA 1795 Berlino MARCA Vis NEUMARK 1792 Varsavia Breslavia 1702-7 DI Varta Posen tola 1713BRANDEBURGO Potsdam Francoforte Lingen VES.Minden PALATINATO B VES. DI Odug MINDEN Magdeburgo Berlino Schwiebus SASSONIAPRINCIPATO Bayreuth e r Varsavia POLONIA DUC. DI1702-7 Posen 1680 Potsdam Francoforte1742 MindenHALBERSTADT D’ANSBACH SLESIA VES. DI o NUOVA SLESIA Magdeburgo Schwiebus KLEVE VESTFALIA BOEMIA 1648 PRUSSIA Ansbach 1742 Elba POLONIA 1791 Cottbus DUC. DI HALBERSTADT PRINCIPATO 1742 1680 1795 DUC. DI MERID. CONT. DELLA VESTFALIA KLEVE 1648 1780 Halle DI1793 BAYREUTH PRUSSIA GHELDRIA LUSAZIA Cottbus MARCA DUC. DI 1792Varta Breslavia MERID. 1713 CONT. DELLA 1780PALATINATO Halle GHELDRIA Bayreuth Od 1793 LUSAZIA SASSONIA PRINCIPATO MARCA e r Breslavia Varta 1713 SLESIA D’ANSBACH o O NUOVA SLESIA Ducato di Prussia nel 1525 SASSONIA BOEMIA Ansbach 1742 der Elba1791 PRINCIPATO 1795 SLESIA possedimenti degli o NUOVA SLESIA DI BAYREUTHEl 1742 Hohenzollern nel 1618 ba PRINCIPATO 1795 1792 acquisizioni del Grande Elettore PALATINATO DI BAYREUTH Bayreuth PRINCIPATO Federico Guglielmo (1640-88) 1792 PALATINATO D’ANSBACH Bayreuth acquisizioni territoriali fino al 1740 Ducato di Prussia nel 1525 BOEMIA PRINCIPATO Ansbach 1791 acquisizioni territoriali possedimenti degli D’ANSBACH BOEMIAnel 1618 Ansbach di Federico II (1740-86) Hohenzollern 1791
Ren
Ren
Ren Ren
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acquisizioni del Grande Elettore Federico Guglielmo (1640-88)
Ducato di Prussia nel 1525 acquisizioni territoriali fino al 1740 possedimenti degli acquisizioni territoriali Ducato di Prussia nel 1525 Hohenzollern nel 1618 di Federico II (1740-86) possedimenti degli acquisizioni del Grande Elettore acquisizioni di Federico Guglielmo II Hohenzollern nel 1618 Federico Guglielmo (1640-88) (1786-97) acquisizioni del Grande Elettore acquisizioni dopo il1790 acquisizioni territoriali fino al 1740 Federico Guglielmo (1640-88) 1742 data dell’acquisizione acquisizioni territoriali acquisizioni territoriali fino al 1740 di Federico II (1740-86) confini del Sacro romano acquisizioni territoriali acquisizioni di Federico Guglielmo II impero nel XVII secolo di Federico II (1740-86) (1786-97) acquisizioni di Federico Guglielmopoteri, II U1 L’Europa del ’700: società, cultura acquisizioni dopo il1790 (1786-97) 1742 data dell’acquisizione acquisizioni dopo il1790 confini del Sacro romano 1742 data dell’acquisizione
1742
acquisizioni di Federico Guglielmo II (1786-97) acquisizioni dopo il1790 data dell’acquisizione confini del Sacro romano impero nel XVII secolo
RUSSIA RUSSIA
4_IL BRANDEBURGO-PRUSSIA (XVII-XVIII SECOLO) SVEZIA
Un esercito permanente era stato creato già da Federico Guglielmo il Grande Elettore (1640-88) per poter entrare in gioco nei numerosi conflitti di quell’epoca. Dopo la prima guerra del Nord (1654-60), con cui si era inserito nel conflitto per la supremazia sul Baltico, il Grande Elettore ottenne la fine della dipendenza feudale della Prussia dal Regno di Polonia, mentre la Svezia conquistava il dominio sul Baltico assicurandosi anche il controllo delle coste settentrionali della Germania. Ma nella successiva seconda guerra del Nord, terminata nel 1720-21, la Svezia fu sconfitta: il controllo del Baltico passò alla Russia, mentre il Regno di Prussia ottenne la Pomerania e la città di Stettino che divenne il suo porto principale. Questo risultato consentiva alla Prussia di partecipare ai lucrosi commerci del Baltico che fornivano legnami per la costruzione delle navi delle potenze marittime e cereali per i paesi a forte urbanizzazione e demograMETODO DI STUDIO ficamente più sviluppati. a Descrivi per iscritto le caratteristiche della Dal momento che il numero degli abitanti era considerato uno degli elemenPrussia della seconda metà del ’700 e le cause che ti della ricchezza di un paese, venne visto positivamente l’arrivo degli emigrati la portarono a questa realtà. ugonotti dalla Francia nelle città del Brandeburgo e soprattutto a Berlino, dove b Sottolinea le conseguenze della frammentarietà territoriale che caratterizzò la Prussia nella contribuirono a sviluppare le attività manifatturiere di una città prevalentemenseconda metà del ’700. te burocratica. Ma la vocazione principale della Prussia rimase, in questo perio c Evidenzia gli esiti della seconda guerra del do, quella militare per contrastare le altre grandi potenze territoriali dell’Europa Nord. centrale.
L’impulso ai commerci e alle manifatture
3_7 LA RUSSIA DA PIETRO IL GRANDE
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A CATERINA II
Alla metà del ’700 la Russia prese parte alla guerra dei Sette anni: per la prima volta il grande impero dell’Europa orientale si spingeva con il suo esercito nei territori tedeschi confrontandosi con i grandi Stati continentali [►3_5]. Nei primi anni del secolo la Russia aveva infatti interrotto il suo isolamento ed era ormai assurta al rango di grande potenza europea, dopo la conquista dell’egemonia sul Baltico, seguita alla sconfitta di Carlo XII di Svezia sul campo a Poltava, in Ucraina, nel 1709, e alla pace di Nystad del 1721.
► Personaggi Caterina II. La vita e gli amori di una sovrana riformatrice, p. 68
Artefice di questa trasformazione fu lo zar, e poi imperatore, Pietro I il Grande (1682-1725). Rientrato a Mosca dopo un lungo viaggio in Europa occidentale, dove ebbe modo di conoscere direttamente i sistemi di governo e dare sfogo alla sua curiosità per la tecnica militare e le costruzioni navali (in Olanda lavorò in un cantiere), nel 1698 Pietro assunse direttamente il potere fino ad allora tenuto da una reggente. Dotato di grande determinazione ed energia (anche fisica: era alto più di due metri), diede inizio alla modernizzazione della Russia. Al di là di alcune iniziative fortemente simboliche, come l’imposizione del divieto di portare le tradizionali lunghe barbe a conferma del passaggio a costumi più occidentali, l’opera di Pietro fu interamente politica e militare. Il giovane zar – aveva allora 26 anni – seguì le tre abituali direttrici riformatrici volte a costruire un sistema di governo secondo il modello delle monarchie assolute: creazione di un esercito permanente, con un parziale reclutamento obbligatorio; depotenziamento della grande nobiltà posta ora al servizio dello Stato; costruzione di un sistema amministrativo e di un sistema fiscale in grado di fornire le risorse alla nascente potenza militare. Inoltre, per vincere la sfida della supremazia nel Baltico era indispensabile sconfiggere per terra e per mare la Svezia, che era il principale avversario dell’Impero russo. Fu così sviluppata anche una marina da guerra mentre gli effettivi dell’esercito giunsero a quasi 300 mila uomini di cui 100 mila cosacchi che, in cambio del riconoscimento dell’autonomia delle loro comunità, prestavano una lunghissima ferma militare. L’obiettivo del Baltico era confermato anche dalla fondazione nel 1703 di una nuova capitale, San
Le politiche di Pietro I il Grande
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Fëdor Alekseev, San Pietroburgo XIX sec. Nel 1703 Pietro I fondò una nuova città nel Golfo di Finlandia, San Pietroburgo, e la scelse come capitale del Regno al posto di Mosca. Richiamò da tutta Europa architetti e artigiani e fece costruire numerosi palazzi con l’intento di dare alla città, attraversata dal fiume Neva, un’impronta nuova e funzionale, sul modello delle capitali europee.
PERSONAGGI
Caterina II. La vita e gli amori di una sovrana riformatrice
T
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ra le grandi personalità che dominano la scena europea del XVIII secolo, Caterina II (1762-96) occupa un posto di assoluto rilievo per la statura politica e gli obiettivi ambiziosi della sua opera di governo, per l’ampiezza di vedute, per le indubbie doti personali: intelligente e sensibile, colta, si presentò come uno dei sovrani più illuminati del suo tempo, grazie anche a un intenso rapporto di scambio coltivato per gran parte della vita con gli intellettuali illuministi Voltaire e Diderot [►4_2]. Le sue notevoli capacità, le qualità umane, la forte impronta personale conferita al suo regno la collocano a pieno titolo tra le grandi regnanti dei paesi europei, rare eccezioni alla regola di un potere quasi esclusivamente maschile. Lei stessa dovette fare i conti con limiti e pregiudizi derivanti dal suo sesso, e contrappose ai modelli dominanti scelte di vita coraggiose e poco ortodosse, soprattutto nelle relazioni affettive. Caterina II salì al potere nel 1762, all’età di 33 anni, soltanto diciotto dei quali trascorsi in Russia, patria d’adozione. Sofia Federica di Anhalt-Zerbst, questo era il suo nome, era nata e cresciuta in Prussia, in una famiglia della nobiltà tedesca minore, e aveva 15 anni quando, nel 1744, fu chiamata da Elisabetta I ad unirsi al granduca Pietro, erede al trono e nipote della zarina, anche lui nato e cresciuto in Prussia.
Dopo un interminabile viaggio fino a Mosca, Sofia abbraccia la religione ortodossa e riceve un nuovo nome: d’ora in poi sarà Caterina, granduchessa di Russia. La madre, che l’aveva accompagnata, viene rispedita a casa dopo il matrimonio e lei affronta da sola una nuova vita in un paese da sempre considerato un regno di barbari e la cui corte aveva una pessima fama. Chiamati giovanissimi a sostenere un ruolo di grande rilievo in un ambiente ostile, Pietro e Caterina reagiscono in modo del tutto opposto: mentre il primo non cercherà mai di nascondere il suo profondo disprezzo per la società e le tradizioni russe, Caterina abbraccia da subito e senza esitazione il nuovo paese, a cominciare dalla lingua e dai cerimoniali religiosi, cercando di ingraziarsi il favore dell’imperatrice Elisabetta quanto quello dell’ultimo servo. Questi loro atteggiamenti contrapposti, sempre più evidenti con gli anni, si sarebbero rivelati decisivi per l’ascesa di Caterina al trono. In Pietro per giunta si manifestano presto tendenze dispotiche e segni di instabilità mentale: maniaco di disciplina militare, costringe la moglie a obbedire ai suoi ordini e a marciare col moschetto in spalla, ma anche a sopportare i suoi sberleffi, gli insulti in pubblico, l’esibizione delle sue amanti, le ubriacature sempre più frequenti. Quanto al matrimonio, verosimilmente non fu mai consumato (così
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
lascia intendere Caterina nelle sue memorie), con grande apprensione di Elisabetta, che non ha figli ed è preoccupata per la continuità dinastica. Tant’è che quando nel 1754 la granduchessa darà finalmente alla luce un maschio (avuto con ogni probabilità da un’altra relazione), Elisabetta si prenderà il bambino per allevarlo personalmente senza la minima ingerenza della madre. Comunque la nuova posizione di forza derivante dall’essere madre dell’erede al trono segna una svolta nella vita di Caterina, che d’ora in poi sarà parte attiva nelle alleanze di palazzo e negli equilibri di potere. Anche gli ambasciatori stranieri non tardano ad apprezzarne (o temerne) le notevoli capacità e presto mostreranno di considerarla una pedina decisiva nella successione al trono, magari come reggente. A questa nuova dimensione politica si accompagna un mutamento radicale nella vita privata di Caterina: il grande vuoto affettivo di questi primi anni e un altrettanto potente bisogno di colmarlo sembrano regolare da qui in avanti la sua condotta, ed è in questa fase che conosce il conte Stanislao Poniatowski, il primo dei suoi grandi amori e futuro re di Polonia. Da lui avrà nel 1758 la seconda figlia, Anna, ufficialmente attribuita a Pietro, che morirà dopo poco; anche lei sarà prelevata da Elisabetta, che continuerà a negare alla madre il permesso di vedere i figli, mentre Poniatowski verrà rispedito in Polonia. La situazione precipita rapidamente: alla morte di Elisabetta il 5 gennaio 1762 Pietro diventa imperatore col nome di Pietro III,
Pietroburgo, progettata da architetti italiani sull’estuario del fiume Neva, all’estremità orientale del Golfo di Finlandia: una città presto divenuta scenografia monumentale del nuovo potere russo e insieme principale porto militare e commerciale. Un passaggio decisivo verso un’amministrazione moderna fu l’apertura a tutti (nobili e borghesi) dell’accesso alle cariche statali, mentre ogni avanzamento fu basato sulla preparazione e sul merito. Nel 1722 la Tabella dei ranghi suddivise tutte le carriere (militari, civili, di palazzo) in quattordici gradi; stabilì inoltre che tutti, compresi i nobili, sarebbero partiti dal livello più basso, e che il raggiungimento dell’ottavo grado avrebbe comportato il conferimento della nobiltà a chi ne era privo. Veniva così favorita una mobilità sociale ascendente nel quadro dell’amministrazione dello Stato. Il potere dello zar, che si estendeva anche sulla Chiesa ortodossa e sulle proprietà ecclesiastiche, era privo di ogni controllo, anche di quelli che nelle monarchie assolute occidentali potevano provenire dagli organismi giudiziari o dalle autonomie periferiche. La Russia era ormai divenuta un’autocrazia, che corrispondeva al titolo che Pietro si diede nel 1721 di «imperatore e autocrate di tutte le Russie». La modernizzazione autocratica non intaccò le basi sociali del mondo rurale russo basate sulla nobiltà terriera e sulla servitù della gleba: anche se le antiche sopravvivenze schiavistiche vennero
L’impatto sociale delle riforme
ma le sue follie e la politica filoprussiana gli alienano ogni sostegno nel giro di pochi mesi, spianando la strada al colpo di Stato; anche i suoi rapporti con la moglie, che agli occhi di tutti incarna invece l’anima della Russia, sono ormai di scontro frontale e Pietro non nasconde l’intenzione di ripudiarla per sposare la sua amante. Di fronte a tale minaccia e incalzata dai suoi sostenitori, Caterina rompe gli indugi e con l’appoggio decisivo dell’esercito e della Chiesa ortodossa depone Pietro III e si fa incoronare zarina. La determinazione con cui si porrà alla testa dell’Impero e l’impulso dato alla trasformazione della Russia le varranno un ampio riconoscimento sul piano strettamente politico, ma la sua vita sentimentale darà ai maligni materia di che sparlare: la sua libertà in fatto di amori non soltanto la renderà oggetto di biasimo e di velenose maldicenze per tutta la durata del suo regno, ma contribuirà ad affiancare alla sua immagine di sovrana illuminata quella, del tutto immeritata, di donna dedita a sfrenate passioni. Ma degli uomini ebbero un ruolo importante anche nella sua opera di governo: è il caso di Grigorij Potëmkin, amato di una passione travolgente e forse segretamente sposato, e che sarà una figura fondamentale per l’attuazione della sua politica espansionistica. Dai suoi amori l’imperatrice cercherà infatti appagamento affettivo ma anche consiglio e aiuto, sempre attenta a conciliare le sue relazioni con gli interessi dello Stato e a non lasciarsi sovrastare nella gestione del potere.
Virgilius Erichsen, Ritratto di Caterina II XVIII sec. [Musée des Beaux-Arts, Chartres] Imperatrice di Russia dal 1762 al 1796, Caterina II è qui ritratta mentre va a caccia vestita da uomo.
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C3 GLI STATI E LE GUERRE DEL ’700
abolite, la servitù e la connessa proprietà sulle persone e il controllo sui movimenti dei contadini servi si mantennero fino al 1861, quando furono soppressi dall’imperatore Alessandro II [►18_7]. La rapidità con cui furono realizzate tante riforme era destinata a creare malcontento soprattutto tra la nobiltà, e i successori di Pietro dovettero rallentarne la rigida applicazione. Il nuovo sistema di potere poteva funzionare correttamente solo se esercitato da personalità forti, in grado di muoversi abilmente e con determinazione tra le insidie della grande nobiltà e gli intrighi di corte. Dopo la morte dello zar riformatore, nel 1725, solo Elisabetta I (1741-62), che impegnò la Russia nella guerra dei Sette anni contro la Prussia, e soprattutto Caterina II (1762-96), che riprese i progetti riformatori ed estese i territori russi in Polonia e verso il Mar Nero, possono reggere il confronto con il grande Pietro [►4_8].
Elisabetta I e Caterina II
3_8 I RISULTATI DI CENTO ANNI DI GUERRE
METODO DI STUDIO
a Cerchia con colori diversi le principali direttrici riformatrici seguite dalla politica di Pietro il Grande e sottolinea le relative caratteristiche utilizzando gli stessi colori. b Descrivi sul quaderno il ruolo, la descrizione delle funzioni, e le conseguenze dell’applicazione della Tabella dei ranghi. c Spiega per iscritto il concetto di autocrazia applicato al contesto russo, rimarcandone gli effetti e gli esiti.
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Gibilterra, la rocca che controlla gli accessi al Mediterraneo, è dal 1713 un possesso britannico. Il Québec, la maggiore colonia della Francia nell’America settentrionale, grande cinque volte l’Italia e dove ancora si parla francese, fu conquistato dalla Gran Bretagna nel 1759 e da allora fa parte del Canada, che fu colonia britannica prima di diventare Stato indipendente. Sono due esempi degli esiti delle guerre del ’700 che modificarono i confini degli Stati e le appartenenze delle colonie, instaurando una nuova gerarchia tra le potenze europee. La Spagna scese di rango e così le Province Unite e la Svezia, mentre emersero le nuove grandi potenze di Prussia e Russia e la Gran Bretagna ottenne l’egemonia sugli oceani. Dalla penisola iberica, a occidente, alla Russia e ai Balcani, a oriente, per chiudere con l’Italia a sud, possiamo seguire sulla carta d’Europa la diversa entità dei cambiamenti intervenuti in un secolo. ● Portogallo Nel 1703, durante la guerra di successione spagnola, il Portogallo aveva siglato accordi con l’Inghilterra in base ai quali erano stati stabiliti reciproci vantaggi per gli scambi commerciali tra i vini portoghesi e i tessuti di lana inglesi. Tali accordi, noti anche come Port Wine Treaty (in riferimento al porto, vino liquoroso molto apprezzato in Gran Bretagna), contribuirono a mantenere l’impero coloniale portoghese, che comprendeva il Brasile, fuori dai conflitti tra le potenze. ● Spagna Al termine della guerra di successione spagnola, la Spagna aveva perso tutti i suoi possedimenti in Italia e nei Paesi Bassi; aveva dovuto riconoscere anche le conquiste inglesi di Gibilterra e dell’isola di Minorca (tornata definitivamente spagnola nel 1802) e cedere il monopolio dell’asiento (il commercio degli schiavi verso le colonie spagnole) a una compagnia commerciale inglese. Tuttavia, al termine della guerra di successione polacca, nel 1738, la nuova dinastia dei Borbone di Spagna ottenne il Regno di Napoli e di Sicilia che un ramo cadetto (i Borbone di Napoli) governerà dal 1759 al 1860. ● Francia Ai successi iniziali delle “guerre di rapina” di Luigi XIV, che videro l’ampliamento dei confini territoriali francesi a est e a nord, con città come Strasburgo e Lille, si sarebbe aggiunta per via ereditaria la Lorena nel 1766. Nel complesso, pur mantenendo una posizione preminente in Europa, la Francia subì grandi perdite nei suoi possessi coloniali ceduti alla Gran Bretagna nel 1763: oltre al Canada francese (Québec), parte della Louisiana (un’altra parte andò alla Spagna), alcune isole delle Antille (Dominica, Grenada, Saint Vincent e le Grenadine, Tobago) e molti dei suoi possessi in India. ● Paesi Bassi spagnoli I Paesi Bassi spagnoli (o del Sud), corrispondenti agli attuali Belgio e Lussemburgo, passarono all’Austria dopo la guerra di successione spagnola. I sovrani austriaci non riuscirono durante il loro dominio, durato monopolio fino al 1794, a ottenere dalle Province Unite la riapertura dell’estuario del fiume In economia è la situazione in cui l’offerta di un bene o di un servizio è concentrata nelle mani di un solo soggetto, Schelda (privilegio ottenuto dagli olandesi nel 1648), la cui chiusura aveva stranche può imporre il prezzo che vuole. In generale si parla golato le fiorenti attività commerciali della città di Anversa. di monopolio per indicare una posizione di privilegio ● Province Unite Uscite sostanzialmente indenni dalle guerre di fine ’600 e esclusivo. anzi col prestigio accresciuto dalla difesa contro Luigi XIV, le Province Unite non
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La gerarchia delle potenze
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
sarebbero state più tra i protagonisti del ’700. Conservarono tuttavia intatti i grandi possessi coloniali in Indonesia e lungo le coste dell’America Latina e nei Caraibi mantenendo il ruolo di grande potenza commerciale grazie alle due compagnie delle Indie orientali e delle Indie occidentali. ● Gran Bretagna Superate le tensioni rivoluzionarie e pacificati i conflitti interni, l’Inghilterra o, più correttamente a partire dal 1707, la Gran Bretagna giocò un ruolo decisivo durante la guerra di successione spagnola per poi dedicarsi prevalentemente ad accrescere i suoi possedimenti coloniali a spese della Spagna e soprattutto della Francia. ● Prussia Se messa a confronto con la permanente frammentazione dei piccoli Stati tedeschi, esclusa la Baviera, l’ascesa della Prussia a grande potenza militare e territoriale rappresenta l’avvenimento più significativo del ’700 nell’Europa continentale. Conquistata e difesa la Slesia, gli ulteriori ingrandimenti avvennero soprattutto a spese della Polonia. ● Svezia e Polonia Potenza militare egemone nell’area del Baltico alla metà del ’600, la Svezia, dopo la sconfitta subita dalla Russia, non riuscì più a svolgere un ruolo di rilievo dopo il 1720. Vittima delle sue debolezze istituzionali, invece, il Regno di Polonia – più esattamente la Confederazione polacco-lituana – rimase preda dei più potenti vicini, Prussia, Austria e Russia, che l’accerchiavano da tutti i lati. Nelle tre spartizioni del 1772, 1793 e 1795 perse tutti i suoi territori e Varsavia divenne una città prussiana. ● Russia Dopo la sconfitta della Svezia e la raggiunta egemonia sul Baltico ottenuta da Pietro il Grande, la Russia volse le sue armi contro l’Impero ottomano raggiungendo il Mar Nero tra il 1774 e il 1783 ed ergendosi contemporaneamente a protettrice delle minoranze ortodosse contro i turchi. ● Austria Ottenuti i possedimenti spagnoli in Italia dopo la guerra di successione spagnola, già nel 1738 l’Austria dovette cedere il Regno di Napoli e di Sicilia ai Borbone di Spagna. La pace di Aquisgrana (1748), che pose termine alla guerra di successione austriaca, confermò la perdita della Slesia conquistata dalla Prussia e decise la cessione del Ducato di Parma a un ramo cadetto dei Borbone di Spagna.
La galleria verso il giardino di Blenheim Palace 1705-24 [Oxfordshire, Inghilterra] Blenheim Palace è una sfarzosa residenza fatta costruire dalla regina Anna d’Inghilterra per celebrare la vittoria sulla Francia durante la guerra di successione spagnola e premiare John Churchill, primo duca di Marlborough. Il 13 agosto 1704, infatti, il duca, insieme al principe Eugenio di Savoia, aveva guidato vittoriosamente le forze alleate (inglesi, austriaci, prussiani, più altri delle Province Unite e della Danimarca) contro i francesi e i loro alleati bavaresi nella battaglia di Blenheim (oggi Blindheim, in Baviera). Si era trattato di una battaglia decisiva nel conflitto per la successione spagnola in quanto prima seria sconfitta subita dai francesi che metteva fine alle mire espansionistiche di Luigi XIV.
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C3 GLI STATI E LE GUERRE DEL ’700
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1714 domìni austriaci domìni sabaudi
domìni austriaci domìni sabaudi
1748 Fra il 1714 e il 1748 l’assetto territoriale italiano cambiò radicalmente. Con il trattato di Rastatt (1714) la Spagna perse i suoi possessi in Italia a beneficio dell’Austria (Lombardia, Regno di Napoli, Sardegna e Stato dei presìdi) e dei Savoia (Sicilia).
Nel 1718 lo Stato sabaudo ottenne la Sardegna in cambio della Sicilia. Ma fu tra il 1738 e il 1748 che l’Italia trovò una sistemazione destinata a durare fino all’invasione napoleonica (e sostanzialmente fino aldomìni 1859-60): nel 1738 l’Austria austriaci cedette a Carlo di Borbone il Regno
REGNO DI SICILIA
di Napoli e la Sicilia, mentre i Savoia raggiunsero il Ticino. Nel 1748, al termine della guerra di successione austriaca, l’Austria cedette il Ducato di Parma, che aveva ottenuto nel 1738, a Filippo di Borbone, fratello cadetto di Carlo.
domìni sabaudi
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L’Austria conservava in Italia la Lombardia con Milano e Mantova, mentre il Granducato di Toscana, dopo l’estinzione dei Medici, era andato a Francesco di Lorena, marito di Maria Teresa d’Austria. Il bilancio non era positivo per l’Austria anche per i risultati delle lunghe guerre nei Balcani contro l’Impero ottomano. Dopo la liberazione di Vienna dall’assedio turco (1683) gli eserciti austriaci si erano spinti verso sud sotto la guida di Eugenio di Savoia conquistando Belgrado nel 1717. Ma nel 1739 gli ottomani avevano ripreso gran parte dei territori perduti. ● Italia Nella penisola italiana il ’700 si presenta con due volti diversi. Da un lato mantenevano la continuità politica e territoriale le Repubbliche di Genova e di Venezia e lo Stato pontificio, dall’altro si alternavano le case regnanti o se ne installavano di nuove tra il 1713 e il 1748, come abbiamo visto accadere in Lombardia, a Parma, in Toscana, nei Regni di Napoli e di Sicilia. Solo a partire dal 1748 la situazione italiana si può dire stabilizzata. In questo contesto l’unico significativo elemento di autonomo protagonismo è quello rappresentato dal Piemonte dei Savoia che vide premiata la politica opportunistica con l’acquisto della Sicilia nel 1713 e il connesso titolo regio. L’abilità di Vittorio Amedeo II (1675-1732) consentì allo Stato sabaudo di uscire dalla sudditanza francese, che durava da oltre un secolo e mezzo, e di affermarsi, grazie alla riorganizzazione amministrativa e alla costruzione di un forte esercito, come una “piccola” METODO DI STUDIO potenza, decisiva per le sorti future dell’Italia. Nel 1718 i Savoia dovettero cedere la a Evidenzia per ogni punto la frase che descrive meglio gli esiti delle guerre del ’700 che videro Sicilia all’Austria, ottenendo in cambio la Sardegna, e assunsero da allora quel titolo coinvolti gli Stati trattati e argomenta per iscritto di re di Sardegna che porteranno fino al 1861 quando, con l’unificazione, Vittorio la tua scelta. Emanuele II diverrà re d’Italia.
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
SINTESI
3_1 L’ASSOLUTISMO IN FRANCIA Nel 1661, morto Mazzarino, Luigi XIV assunse direttamente il potere. Il suo lunghissimo regno (durato fino al 1715) fu caratterizzato dal rafforzamento della monarchia – attraverso l’accentramento dei poteri – e dal consolidamento dell’egemonia continentale della Francia. L’obbligo imposto alla grande nobiltà di risiedere presso la corte, nella nuova sede di Versailles, sancì l’indebolimento dell’aristocrazia e il rafforzamento del potere assoluto del sovrano. L’intervento dello Stato si realizzò in tutti gli ambiti: nell’economia, nella cultura e nella religione. Nella politica religiosa il re impose che la religione dei sudditi si uniformasse a quella del sovrano (principio della uniformità religiosa), revocando l’editto di Nantes e perseguitando giansenisti e ugonotti. Il suo regno doveva trarre sempre nuovo splendore dalle iniziative del sovrano. In ambito culturale il Re Sole protesse e finanziò le arti e le scienze favorendo la formazione di una cultura ufficiale, fortemente celebrativa, che non tollerava voci dissenzienti. Protagonista della politica economica fu Colbert, che dette realizzazione compiuta ai princìpi del mercantilismo, favorendo le esportazioni e limitando le importazioni; a questo scopo rafforzò l’economia interna, finanziando le manifatture statali, e stimolò il commercio estero attraverso la fondazione delle compagnie commerciali. La politica economica francese, tuttavia, si risolse in un insuccesso.
3_2 I LIMITI DELL’EGEMONIA FRANCESE Luigi XIV rafforzò l’esercito come strumento di espansione lungo i confini nord-orientali. Il conflitto per la successione spagnola, connesso all’accettazione della Corona di Spagna da parte di Filippo d’Angiò, nipote di Luigi XIV, oppose principalmente Francia e Spagna a Impero asburgico, Inghilterra, Province Unite e altri Stati, tra cui la Prussia. L’esito del conflitto ridimensionò le ambizioni di Luigi XIV: fu mantenuta la separazione dei due rami dei Borbone, mentre l’Austria ottenne i Paesi Bassi spagnoli e larghi vantaggi territoriali nelle Fiandre e in Italia a scapito degli spagnoli (paci di Utrecht e Rastatt, 1713-14). Con Luigi XV la Francia vide fallire il progetto di riforma finanziaria di Law e naufragare definitivamente le ambizioni di dominio oltremare (guerra dei Sette anni).
3_3 LA RIVOLUZIONE DEL 1688-89 IN INGHILTERRA In Inghilterra la restaurazione degli Stuart fu sancita con l’incoronazione di Carlo II (1660). Nel 1685 salì al trono Giacomo II, ma la sua politica filocattolica gli alienò presto ogni simpatia, provocando la reazione del Parlamento che, nel 1688, offrì la Corona a Guglielmo d’Orange e alla moglie Maria Stuart. Terminò così la seconda Rivoluzione inglese o “gloriosa rivoluzione”, che sul piano istituzionale portò a una
monarchia costituzionale fondata sulle prerogative del Parlamento e sui limiti del potere monarchico. La regolamentazione del potere regio fu stabilita nel Bill of Rights.
3_4 VERSO IL GOVERNO PARLAMENTARE IN GRAN BRETAGNA La vita parlamentare britannica fu dominata per gran parte del ’700 dai Whigs, i liberali, interpreti dei princìpi della “gloriosa rivoluzione”, in antagonismo con i Tories, i conservatori filomonarchici. In questo periodo la lotta politica era gravemente inquinata da clientele e vincoli di parentela che rendevano frequente la corruzione. Negli anni in cui il paese fu guidato dal whig Walpole (1721-42), prese forma il governo di gabinetto: un ristretto numero di ministri condotto dal leader della maggioranza parlamentare, con delega del re, che esercitava il potere esecutivo controllato dal Parlamento. In seguito, con William Pitt il Vecchio, la Gran Bretagna attuò una politica internazionale che rafforzò l’impero commerciale inglese (guerra dei Sette anni).
sostenere i conflitti le maggiori potenze rafforzarono i loro eserciti e la burocrazia. Tra gli Stati che nutrivano interessi commerciali, la Spagna tenne una linea difensiva rispetto all’aggressività di altre potenze, soprattutto della Gran Bretagna. Per motivi dinastici si combatterono la guerra di successione spagnola e le due guerre di successione polacca e austriaca. Quest’ultima si risolse con il passaggio della Slesia dall’Austria alla Prussia e il riconoscimento della Prammatica sanzione (e dunque dell’ascesa al trono asburgico di una erede): pace di Aquisgrana, 1748. A scatenare la guerra dei Sette anni (1756-63) furono invece le ambizioni di conquista. Essa sancì per un verso l’intesa fra Prussia, Austria e Russia e per l’altro la supremazia coloniale britannica a danno della Francia. Le guerre verificatesi in Europa in questo periodo trovano una spiegazione nel contesto geopolitico: un arco di aree forti (Spagna, Portogallo, Province Unite, Francia, Gran Bretagna, Stati scandinavi, Russia) chiudeva due grandi aree deboli (il bassopiano tedesco-polacco e la penisola italiana).
3_6 L’ASCESA DELLA PRUSSIA
3_5 LE RAGIONI DELLE GUERRE Tra la metà del ’600 e la metà del ’700 si combatterono in Europa numerose guerre per interessi commerciali, questioni dinastiche e per le ambizioni di conquista delle potenze continentali. Per
Tra il 1740 e il 1786 Federico II guidò la Prussia nella sua ascesa al rango di grande potenza. Ma il suo regno fu l’esito di un processo iniziato almeno un secolo prima. A metà del ’600, infatti, nei frammentati domìni degli Hohenzollern iniziò l’opera di organizzazione dello Stato assoluto. Rafforzato l’esercito e organizzati un efficiente sistema fiscale e una capace burocrazia, Federico
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C3 GLI STATI E LE GUERRE DEL ’700
Guglielmo si inserì nella prima guerra del Nord ottenendo la fine della dipendenza feudale della Prussia dalla Polonia. In seguito, alla fine della seconda guerra del Nord (1720-21) furono sanciti il controllo russo del Baltico e l’acquisizione prussiana della Pomerania e del porto di Stettino. La Prussia si inserì così nei commerci del Baltico.
3_7 LA RUSSIA DA PIETRO IL GRANDE A CATERINA II Alla fine del ’600 lo zar Pietro I il Grande, influenzato dal contatto con l’Occidente, si
volse alla creazione di un governo assoluto e autocratico potenziando l’esercito, costituendo una marina da guerra e di conseguenza riorganizzando fisco e amministrazione. L’azione riformatrice di Pietro favorì la mobilità sociale (con l’accesso di nobili e borghesi alle cariche statali) e disciplinò le carriere (Tabella dei ranghi). L’opera di modernizzazione tuttavia non intaccò le basi sociali del mondo rurale, dove sopravvissero servitù e proprietà sulle persone. Grande risalto riveste, nell’opera di Pietro I, la fondazione di San Pietroburgo, che diventa il principale porto militare e commerciale sul Baltico. Morto Pietro (1725), particolarmente incisive furono le personalità di Elisabetta I e Caterina II.
3_8 I RISULTATI DI CENTO ANNI DI GUERRE Al termine delle guerre combattute tra la fine del ’600 e il ’700, Francia e Prussia videro ampliati i loro territori. La Francia tuttavia subì grandi perdite nei possessi coloniali a vantaggio della Gran Bretagna. Quest’ultima accrebbe i suoi possedimenti extraeuropei anche a spese della Spagna. La Spagna perse di importanza nello scacchiere internazionale insieme alle Province Unite e alla Svezia, che uscì sconfitta dal conflitto per la supremazia nel Baltico, vinto invece dalla Russia. L’Austria perse il Regno
di Napoli e di Sicilia, il Ducato di Parma (ceduti alla Spagna) e la Slesia (passata alla Prussia); sul fronte orientale subì il grave assalto turco. In Italia mantennero continuità politica e territoriale Genova, Venezia e lo Stato pontificio. Il Piemonte dei Savoia vide premiata la sua intraprendenza nello scenario bellico europeo (ottenne la Sicilia e il titolo regio, 1713). Smarcatosi dalla sudditanza francese, lo Stato sabaudo perse la Sicilia guadagnando la Sardegna (1718) e i Savoia assunsero il titolo di re di Sardegna.
SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Inserisci nei due insiemi le seguenti affermazioni distinguendo quelle che si riferiscono alle azioni politiche di Luigi XIV
da quelle relative a Luigi XV.
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a. Affidò il governo del paese ai suoi ministri. b. Partecipò alla guerra contro l’Inghilterra per il controllo dei domìni coloniali (guerra dei Sette anni). c. Obbligò la grande nobiltà a risiedere presso la Reggia di Versailles. d. Revocò l’editto di Nantes. e. Fece approvare una norma che negava l’infallibilità del papa. f. Sostenne la riforma finanziaria di John Law. g. Firmò la pace di Utrecht. h. Nominò i membri della nobiltà di toga intendenti del sovrano. i. La sua adesione a numerose guerre provocò una crisi finanziaria. l. Nominò Colbert controllore generale delle Finanze. m. Promosse il patrocinio delle arti e delle scienze.
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
Luigi XIV
Luigi XV
2 Sottolinea nel testo che segue gli errori presenti e riscrivi l’elaborato sul quaderno nella versione corretta.
Ricostruirai in questo modo i momenti salienti che portarono alla fine della dinastia inglese degli Stuart.
Dopo la breve esperienza della Repubblica di Cromwell, in Inghilterra fu restaurata la monarchia con l’avvento al trono di Carlo I Tudor. Tuttavia rimase irrisolto il conflitto di poteri tra il re e il Parlamento. La situazione peggiorò con il nuovo sovrano Giacomo II, di fede protestante, che avrebbe messo in serio pericolo la continuità della monarchia anglicana. Il re inoltre intraprese una politica assolutista ispirata a quella di Luigi XIV in Francia: voleva costruire una burocrazia forte e accentrata, ridurre i privilegi della Chiesa anglicana e ridistribuire le cariche tra i nobili calvinisti più fedeli alla Corona. Per questo motivo i nobili inglesi chiesero che Guglielmo d’Orange intervenisse militarmente per salvare le libertà inglesi e la religione anglicana. Nel febbraio 1689 il Parlamento proclamò Guglielmo e Maria re e regina d’Inghilterra. 3 Associa gli atti legislativi presenti nella colonna di sinistra ai relativi autori nella colonna di destra e spiega
brevemente il contenuto e le finalità di ognuno.
a. Bill of Rights b. Act of Settlement c. Pace di Utrecht e pace di Rastatt d. Editto di Nantes
1. Enrico IV 2. Parlamento inglese 3. Guglielmo III d’Orange 4. Luigi XIV
a. Bill of Rights: .................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... b. Act of Settlement: .............................................................................................................................................................................. ....................................................................................................................................................................................................... c. Pace di Utrecht e pace di Rastatt: ......................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... d. Editto di Nantes: ................................................................................................................................................................................ ....................................................................................................................................................................................................... 4 Completa la tabella alla pagina seguente relativa ai nuovi assetti istituzionali dei principali Stati europei e inserisci
nella colonna “Politica interna” le seguenti affermazioni.
a. Ridimensiona la nobiltà di spada a vantaggio della nobiltà di toga. b. Fonda la nuova capitale a San Pietroburgo. c. Incremento delle attività manifatturiere. d. Impone l’uniformità religiosa. e. Rafforzamento dello Stato e dell’amministrazione. f. Viene emanato il Bill of Rights. g. Nomina Colbert controllore generale delle Finanze. h. Finanzia le manifatture. i. Habeas corpus. l. Potenziamento dell’esercito. m. Obbliga la nobiltà a risiedere a Versailles. n. Sviluppa la marina da guerra. o. Modernizza il paese imponendo costumi occidentali. p. Riorganizza il sistema amministrativo e fiscale. q. Act of Settlement. r. Crea un esercito permanente con un parziale reclutamento obbligatorio. s. Rafforza lo Stato accentrando nelle sue mani tutti i poteri. t. Toleration Act.
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C3 GLI STATI E LE GUERRE DEL ’700
Istituzione governativa
Politica interna
Politica estera
FRANCIA di Luigi XIV
Monarchia assoluta
•....................................................... • Affronta diverse guerre con gli Stati europei •....................................................... • Guerra dei Sette anni con la Gran Bretagna per ................ •....................................................... •....................................................... •....................................................... •.......................................................
INGHILTERRA di Guglielmo d’Orange
................................. •....................................................... • Espansione britannica oltreoceano •....................................................... • Guerra dei Sette anni •....................................................... • Pace di Parigi del 1763 •.......................................................
PRUSSIA di Federico II
................................. •....................................................... • Guerre per il controllo del Mar Baltico •....................................................... •.......................................................
RUSSIA dello zar Pietro il Grande
Monarchia assoluta
•....................................................... • .......................................................................................... •....................................................... •....................................................... •....................................................... •.......................................................
5 Scegli la risposta corretta alle domande o seleziona la frase opportuna per completare correttamente le affermazioni
di seguito.
1. Su quale principio si basa il mercantilismo? a. Sull’idea che la ricchezza di uno Stato coincida con la quantità di denaro presente nelle sue casse. b. Sull’idea che lo sviluppo economico di una nazione sia indipendente dal saldo della bilancia commerciale. c. Sul principio secondo il quale lo Stato non deve interferire in alcun modo con il mercato. 2. La “gloriosa rivoluzione” inglese... a. ebbe esiti che furono definiti “gloriosi” e fu caratterizzata da eventi pacifici (anche da qui l’appellativo). b. sfociò nella dittatura di Cromwell. c. fu caratterizzata da un aspro conflitto tra schieramenti contrapposti. 3. Che cosa stabiliva la legge sull’Habeas corpus? a. Sanciva il diritto di vita e di morte del re sui suoi sudditi. b. Garantiva ai sudditi certezza e rapidità di giudizio per i reati contestati. c. Definiva la sacralità e l’inviolabilità del corpo del sovrano. 4. Che cos’è il Bill of Rights? a. Un testo unitario in cui sono contenuti i princìpi costituzionali del sistema politico inglese. b. Un documento in cui sono raccolti i diritti e le libertà del Parlamento e del popolo inglese. c. La legge attraverso la quale sono esclusi dalla successione al trono inglese i discendenti di Giacomo II. 5. La Gran Bretagna... a. fu governata da partiti politici fortemente contrari alla politica espansionistica oltreoceano. b. fu caratterizzata da una monarchia assoluta. c. nacque dall’unione fra la Corona d’Inghilterra (con il Galles) e quella di Scozia.
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6. Che cos’era la Tabella dei ranghi promossa da Pietro il Grande? a. Un codice che fissava la discendenza genealogica della nobiltà. b. Una classificazione delle carriere all’interno dell’amministrazione statale. c. Uno strumento per il calcolo del prelievo fiscale sulla ricchezza posseduta.
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
COMPETENZE IN AZIONE 6 Se fossi stato il biografo di Luigi XIV alla sua corte cosa avresti scritto di lui? Sul quaderno di storia elabora un testo
(max 30 righe) dal titolo Lo Stato sono io. A tal fine utilizza la scaletta che ti viene fornita e seleziona una immagine, tra quelle presenti nel capitolo, che ritieni significativa per descrivere il sovrano e la sua politica.
● ● ●
Cenni anagrafici L’etichetta di corte e la vita a Versailles L’accentramento dei poteri nella sua persona
● ● ●
Le sue ambizioni politiche Le campagne militari La politica religiosa
7 Completa la carta geostorica dell’Europa indicando le città e gli Stati presenti nell’elenco di seguito. Quindi scrivi sul
quaderno una didascalia a commento di almeno 5 righe spiegando il significato delle città in esame nel contesto storico descritto nel capitolo. Città: Parigi, Londra, San Pietroburgo, Utrecht, Rastatt Stati: confini dell’Impero nel 1714, Francia, Prussia, Inghilterra, Russia
8 Completa sul quaderno la tabella per confrontare la Francia e l’Inghilterra tra XVII e XVIII secolo. Quindi scrivi un
testo comparativo di almeno 10 righe partendo dalle domande seguenti:
a. Che cosa accomuna e che cosa distingue il modello di Stato francese da quello inglese? b. Perché, secondo te, il modello francese trovò nell’Europa del ’700 una maggiore diffusione?
Francia
Inghilterra
Chi governava lo Stato? Come erano distribuiti i poteri? Com’era divisa la società? Quali erano i principali gruppi di potere? Quali guerre furono intraprese? Con quale esito? Qual era la religione ufficiale dello Stato? Quali altri culti erano presenti? Quali settori furono riformati? Con quali risultati?
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C3 GLI STATI E LE GUERRE DEL ’700
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A
XTR
CAP4 ILLUMINISMO E RIFORME
4_1 I CARATTERI DELL’ILLUMINISMO
La vita culturale del ’700 fu dominata da un grandioso movimento intellettuale, che a partire dagli anni ’30 coinvolse tutta la società colta europea e che, in omaggio al ruolo rischiaratore assegnato alla ragione, è stato chiamato Illuminismo (Lumières in francese, Aufklärung in tedesco, Enlightenment in inglese). La Francia fu il maggiore centro di diffusione di questo movimento, anche se le sue origini e i suoi principali riferimenti filosofici sono da rintracciare nella tradizione culturale inglese della seconda metà del ’600 [►2_5]. Nell’Illuminismo convergono posizioni e orientamenti, interessi e riflessioni molto diversi e talora antitetici. Nonostante questa estrema varietà e pluralità, è possibile individuare alcune caratteristiche comuni e unificanti. Fra queste innanzitutto il modo di considerare la ragione, di cui non solo viene esaltato il potere, ma viene anche proposto un impiego libero e spregiudicato. Strumento che appartiene a tutti gli uomini indistintamente, la ragione per gli illuministi è in grado di vagliare criticamente la realtà, non per un puro esercizio intellettuale, ma con il proposito concreto di assicurare la felicità e il benessere degli uomini [►FS, 37]. La critica illuminista investe, quindi, soprattutto le istituzioni politiche e religiose, il principio di autorità e di tradizione, e opera nei confronti di questa realtà con
L’uso libero e spregiudicato della ragione
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Jean Huber, L’ultima cena del Patriarca, particolare 1772 ca. [Fondazione Voltaire, Besterman Centre for the Enlightenment, Oxford] Il quadro mostra Voltaire (al centro, con la mano destra alzata) a cena con altri filosofi nel suo castello di Ferney. Attorno al tavolo, a partire dalla destra dello stesso Voltaire, sono riconoscibili: d’Alembert e lo scrittore e poeta La Harpe, il barone von Grimm che rivolge la parola a Padre Adam (un gesuita con il quale Voltaire usava giocare a scacchi), al centro, di spalle, forse il filosofo e matematico Nicolas de Condorcet, e ancora alla sua destra JeanFrançois Marmontel (romanziere e poeta), seguito da Diderot. Chiudono il cerchio fra Diderot e Voltaire il poeta Jean-François de Saint-Lambert, Sophie d’Houdetot (a mala pena visibile) e lo stesso autore del quadro, Huber. È improbabile che questa cena così come raffigurata abbia avuto realmente luogo, in quanto Diderot non visitò mai la dimora di Voltaire a Ferney, nonostante i numerosi inviti. Sembra invece più plausibile l’ipotesi che il soggetto sia stato suggerito al pittore dallo stesso Voltaire come buon auspicio per una ideale unione dei filosofi sotto la sua guida.
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
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N LI N
Storia, società, cittadinanza La libertà di stampa Focus L’Italia del Grand Tour • Libero mercato e benessere sociale: Adam Smith Atlante Politica e circolazione dei saperi nell’Illuminismo Lezioni attive Illuminismo e illuministi Test interattivi Audiosintesi
► Leggi anche: ► Lezioni attive Illuminismo e illuministi ► Fare Storia Idee e conquiste dell’Illuminismo, p. 146
un metodo empirico e sperimentale, fatto di curiosità, di osservazioni e di raffronti [►FS, 31d e 32]. All’interno del movimento illuminista si venne precocemente manifestando un’esigenza riformatrice della società e dei costumi che si espresse in progetti e teorie spesso contrastanti. Presente in tutto il pensiero illuminista fu la fiducia nel progresso, che nasceva da una riflessione sulla storia intesa come faticoso processo di incivilimento e come liberazione dalla tutela del sacro e dell’irrazionale. Bersaglio centrale degli illuministi furono la Chiesa e le confessioni religiose in genere, considerate fonti di ignoranza, matrici di superstizione e pregiudizi: in questo senso l’Illuminismo fu un movimento profondamente laico. Il rifiuto dei dogmi, degli apparati dottrinali, del cerimoniale liturgico non comportò necessariamente la negazione della fede. Prevalse invece l’adesione al deismo e a una religione naturale e razionale [►2_5], anche se fra gli illuministi non mancarono correnti atee e materialiste. Significativi furono in questo contesto gli studi sulle origini storiche delle religioni e il rifiuto della tradizione biblica.
La fiducia nel progresso
Protagonista dell’Illuminismo fu il philosophe, una nuova figura di intellettuale, più saggista che filosofo, spesso giornalista e pubblicista (chi collabora a giornali e riviste trattando argomenti politici e culturali), fondamentalmente eclettico e disposto a esplorare nuovi campi disciplinari, votato alla divulgazione in un rapporto costante con il suo pubblico. Convinto che i poteri della ragione e dell’educazione fossero in grado di rovesciare da soli l’arretratezza derivante dall’ignoranza e di aprire le vie del progresso, l’intellettuale illuminista riservava a sé e alle élite colte un ruolo chiave nella società. In rapporto a questa aspirazione a estendere l’influenza delle nuove idee, si rafforzarono e moltiplicarono i luoghi e gli strumenti della comunicazione: salotti, caffè, club, accademie, società letterarie e scientifiche e tutte le pubblicazioni a stampa, pamphlets, riviste, gazzette, ecc. [►FS, 38].
Il nuovo intellettuale
Louis-Philibert Debucourt, La venditrice di giornali 1791 [Bibliothèque Nationale, Cabinet des Estampes, Parigi] La pubblicazione e la diffusione di libri e giornali divennero, nell’Europa del ’700, gli strumenti privilegiati per la diffusione della cultura illuministica. La stampa, infatti, era considerata dagli intellettuali il principale veicolo non solo di espressione dell’opinione pubblica, ma anche della sua formazione, fondamentale per la crescita politica, culturale e civile della società.
L’immagine tradizionale di un Illuminismo segnato esclusivamente da un’impronta razionalista non deve tuttavia far dimenticare che, proprio nell’ambito della cultura dei Lumi, si consolidò l’interesse per le componenti affettive ed emotive, tanto da fare del sentimento una categoria interMETODO DI STUDIO pretativa e uno strumento di compren a Indica a margine del paragrafo le parti del philosophe sione dell’agire umano. Questo ulteriotesto che contengono le informazioni relative ai Gli illuministi francesi definirono sé stessi philosophes, re punto di vista contribuì ad ampliare seguenti temi: a. il centro di diffusione dell’Illumini“filosofi”. Filosofo è per gli illuministi colui che si impegna smo; b. le caratteristiche comuni dei pensatori Illumigli orizzonti del pensiero settecentesco a esercitare liberamente la propria ragione critica in ogni nisti; c. i compiti degli intellettuali illuministi. Quindi, aprendo nuove frontiere alla riflessiodominio per affermare la libertà dell’individuo. cerchia le parole chiave relative e utilizzale per ne, in particolare nel campo dell’etica, descrivere sinteticamente sul quaderno i contenuti dei temi indicati. pamphlet cioè della riflessione sulla condotta b Definisci per iscritto l’Illuminismo. Opuscolo, libretto, in genere di carattere polemico o umana (morale), e dell’estetica, vale a c Sottolinea le informazioni relative al rapporsatirico. dire dello studio del bello (arte). to fra Illuminismo e sentimento.
Il sentimento
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C4 Illuminismo e riforme
4_2 L’ILLUMINISMO FRANCESE E I PHILOSOPHES
► Leggi anche: ► Atlante Politica e circolazione dei saperi nell’Illuminismo ► Personaggi Voltaire e la battaglia contro l’oscurantismo, p. 82 ► Parole della storia Opinione pubblica, p. 80
L’Illuminismo ebbe in Francia il suo centro propulsore e la sua maggiore diffusione. Capirne le ragioni può aiutare a comprendere meglio la natura del nuovo movimento culturale. Agli inizi del ’700 la Francia era il paese più popolato e complessivamente più ricco del continente. La sua influenza politica si estendeva su tutta l’Europa. La sua vita di corte era da tempo il modello da imitare. Le arti, soprattutto quelle della parola – il teatro, la letteratura, l’oratoria –, avevano avuto nel ’600 uno straordinario sviluppo. L’ampiezza e la ricchezza dei ceti privilegiati alimentavano un numeroso strato intellettuale, in parte di origine nobiliare, in parte protetto e sostenuto dai nobili. L’assolutismo di Luigi XIV aveva, per altro verso, suscitato una estesa cultura di opposizione. Giansenisti [►3_1], libertini, ugonotti espulsi dal paese, aristocratici ostili all’assolutismo avevano tutti contribuito a creare un terreno favorevole al dibattito e un pubblico disposto ad accogliere e a diffondere gli argomenti degli oppositori: si andava diffondendo così un’opinione pubblica colta, ostile al sistema di governo, anche se non sempre pronta a schierarsi politicamente. Da questo intreccio insolitamente ampio di relazioni culturali, anche clandestine, nacquero le prime opere dell’Illuminismo: scritti che ponevano al centro della riflessione la società del tempo, il sistema politico e i fondamenti della monarchia di diritto divino. Destinate al grande pubblico, le opere che affrontavano l’analisi della società furono non solo trattazioni sistematiche, ma spesso scritti più agili in forma di saggio. Talora l’adozione di un artificio letterario affidò a immaginari viaggiatori di altre civiltà la descrizione e la critica del sistema politico e sociale libertino occidentale e di quelli che apparivano, a occhi estranei, le stranezze, i paradossi Il termine indica nel linguaggio filosofico chi aderisce e le anomalie del mondo europeo.
Perché in Francia?
Un esempio di questo tipo, che ebbe immediato e largo Montesquieu successo, furono le Lettere persiane (1721) di Charlese la separazione Louis de Secondat, barone di Montesquieu (1689-1755), dei poteri nobile di toga e membro del Parlamento di Bordeaux [►FS, 40d]. Ma la fama di Montesquieu è legata soprattutto all’opera L’Esprit des lois (Lo spirito delle leggi), pubblicata nel 1748, una delle opere più importanti del pensiero illuminista. Dopo aver descritto i caratteri dei tre sistemi politici fondamentali – repubblica, monarchia, dispotismo – e dei princìpi che li
al “libertinismo”, un movimento culturale antireligioso, sviluppatosi in Francia nella prima metà del ’700, che rifiuta, in nome del libero pensiero, qualsiasi tipo di rivelazione e qualsiasi morale che si basi sui dogmi invece che sulla Ragione e sulla legge di natura. Questo atteggiamento culturale attirò aspre critiche da parte degli ambienti conservatori, tanto che venne coniato, con accezione polemica, il termine “libertinaggio” per indicare un codice di comportamento in cui perversioni sessuali e azioni immorali fossero giustificate da pretese ragioni filosofiche.
Parole della storia
Opinione pubblica
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uello di “opinione pubblica” è, nella nostra epoca, un concetto molto diffuso e persino abusato, ma difficile da definire rigorosamente. L’opinione pubblica – così come si è venuta definendo a partire dalla fine del ’600, prima in Inghilterra, poi in Francia nell’età dell’Illuminismo – è qualcosa di più della somma delle opinioni private: è l’opinione del “pubblico”, ossia della collettività dei cittadini capaci di pensare e di esprimersi politicamente. Dunque essa nasce quando nasce l’idea di un pubblico, cioè col sorgere della stampa periodica e delle prime forme di associazionismo politico e non
(circoli, club, ma anche salotti e caffè) e, più in generale, con l’emergere di una “società civile” distinta dallo Stato e in qualche misura ad esso contrapposta. L’opinione pubblica coincide di fatto con i suoi canali di espressione: la stampa, soprattutto, ma anche i circoli intellettuali e le organizzazioni politiche. Per tutto il ’700 e per buona parte dell’800, l’area di chi contribuiva a formare l’opinione pubblica era limitata ad ambienti molto ristretti, espressione per lo più delle élite colte. Queste élite si assumevano il compito di rappresentare il “paese reale” e di controllare l’operato dei poteri costituiti denunciandone gli abusi. Già dalla fine dell’800, con l’avvento
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
delle organizzazioni di massa, con l’allargarsi della partecipazione politica e soprattutto con il diffondersi dell’istruzione, l’opinione pubblica venne progressivamente allargando le sue dimensioni, ma anche mutando i suoi caratteri. Nelle società di massa l’opinione pubblica si configura non più, o non soltanto, come un’istanza di controllo sull’attività politica, ma come una serie di spinte dal basso, di segno a volte contrastante, che certo condizionano la classe dirigente, ma possono anche esserne condizionate con le moderne tecniche della propaganda. L’esistenza di un’opinione pubblica libera e articolata rimane comunque un requisito essenziale dello Stato democratico e della società pluralistica.
reggono – rispettivamente virtù, onore e paura –, Montesquieu sottolineò l’importanza dei corpi intermedi – innanzitutto i Parlamenti, a uno dei quali apparteneva – per neutralizzare la degenerazione delle monarchie in dispotismo. Dall’esame del sistema politico inglese trasse la convinzione dell’importanza della separazione dei poteri – legislativo, esecutivo e giudiziario. «Non vi è libertà – scrisse – se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e da quello esecutivo. Se esso fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario, poiché il giudice sarebbe al tempo stesso legislatore. Se fosse unito con il potere esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore. Tutto sarebbe perduto se la stessa persona, o lo stesso corpo di grandi, o di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le pubbliche risoluzioni, e quello di giudicare i delitti e le liti dei privati». Questa difesa del principio della separazione dei poteri è il contributo maggiore di Montesquieu alla definizione dei valori costituzionali liberali e democratici. L’esperienza del viaggio, tipica degli intellettuali, degli artisti, degli uomini colti del tempo, sollecitò quella sistematica curiosità e comparazione dei caratteri e dei costumi dei popoli, delle condizioni naturali e climatiche, delle forme dell’attività economica, che caratterizzò molte opere dell’Illuminismo. L’esaltazione dell’Inghilterra in confronto con la Francia – del sistema politico inglese, della filosofia di Locke e della scienza di Newton – era già stata al centro delle Lettere inglesi o Lettere filosofiche (1734) di François-Marie Arouet, detto Voltaire (1694-1778). Figlio di un notaio parigino, di estrazione quindi borghese, Voltaire fu forse il più tipico e al tempo stesso il più singolare philosophe francese del ’700. Praticò tutti i generi letterari: fu drammaturgo, poeta, storico, saggista e soprattutto pubblicista. La vivacità di una brillante intelligenza, accompagnata da sarcasmo, ironia e spregiudicatezza, percorre tutta la sua sterminata produzione. Divulgatore della filosofia inglese e del deismo, difensore della tolleranza, nemico dell’oscurantismo e dei privilegi, Voltaire teorizzò una monarchia assoluta illuminata dall’opera dei filosofi. Esemplare fu la sua amicizia con Federico II di Prussia che lo volle alla corte di Berlino (1750-52). Visse in seguito nei pressi di Ginevra, dove si ritirò per tutelare la propria indipendenza, ma rimase al centro dell’attenzione dell’Europa colta che lo vide schierato in tutte le battaglie per le riforme [►FS, 33]. Le sue posizioni politiche e filosofiche furono espresse in forma sintetica nel Trattato sulla tolleranza (1763) e nel Dizionario filosofico (1764) [►FS, 35d].
Voltaire e l’assolutismo illuminato
Negli stessi anni maturò il pensiero di Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), la personalità più problematica e complessa dell’Illuminismo. Ginevrino, figlio di un orologiaio, dopo una giovinezza irrequieta entrò in contatto, a Parigi, con i circoli intellettuali e collaborò all’Enciclopedia con articoli di argomento musicale e redigendo la voce «economia politica». I primi suoi scritti che suscitarono l’attenzione del pubblico furono il Discorso sulle scienze e le arti (1750) e il Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza fra gli uomini (pubblicato nel 1755), nei quali Rousseau criticava radicalmente la società e le istituzioni, guardando alla storia come progressiva decadenza e corruzione rispetto a uno stato originario in cui gli uomini erano innocenti e uguali. Fondamento dell’ineguaglianza, secondo lo scrittore ginevrino, era stata l’introduzione della proprietà privata: «Il primo che recinse un terreno e dichiarò questo è mio e trovò persone tanto semplici da prestargli fede, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, guerre, assassinii, miserie e orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i pioli e colmando la fossa, avesse gridato ai suoi simili: non ascoltate questo impostore; se dimenticate che i frutti sono di tutti, e la terra di nessuno, siete perduti!». Queste posizioni, che rovesciavano la visione tipicamente illuminista della società in termini di progresso e incivilimento, determinarono la rottura di Rousseau con il mondo dei philosophes e degli enciclopedisti. Tuttavia egli non si fece sostenitore di un ritorno a un mitico stato di natura, ma elaborò una proposta di rifondazione della società e dell’uomo: al progetto politico esposto nel Contratto sociale (Du contrat social, 1762) affiancò infatti nell’Emilio (1762) un progetto pedagogico. Per ricreare le condizioni dell’eguaglianza Rousseau ipotizzò un patto sociale [►FS, 42d], in cui i
Rousseau: uguaglianza e sovranità popolare
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C4 Illuminismo e riforme
La manifattura degli spilli, tavola dell’Enciclopedia 1751-72 L’Enciclopedia fu uno dei maggiori strumenti di diffusione per la cultura illuminista: fra le undici e le quindicimila copie furono vendute in Francia già nel 1789. Alla sua stesura avevano partecipato circa 1500 persone, realizzando un’opera di 25 mila pagine, il cui scopo era quello di unificare le conoscenze acquisite nei secoli e mostrare i progressi compiuti dall’uomo nell’agricoltura, nelle arti e nei mestieri. Le voci erano spesso corredate di immagini, tavole illustrate che, come asseriva lo stesso Diderot nel Prospectus dell’opera, erano più funzionali, dal punto di vista comunicativo, di una pagina di testo.
PERSONAGGI
Voltaire e la battaglia contro l’oscurantismo
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ono pochi gli uomini di lettere ad aver goduto in vita di gran fama come François-Marie Arouet, noto al mondo come Voltaire. Gli attestati di riconoscimento da lui ricevuti non hanno avuto uguali e attorno alla sua figura si è sviluppato un vero e proprio culto, fatto di ovazioni pubbliche e celebrazioni quasi ufficiali; lo stesso Voltaire si è occupato personalmente della sua immagine come un vero professionista delle lettere, riuscendo così a diventare il campione dell’Illuminismo e il centro della vita intellettuale francese nel XVIII secolo. Figlio di un notaio parigino, ben presto si allontana dalle orme paterne che avrebbero voluto per lui una tradizionale carriera nel diritto o nell’amministrazione. La pubblicazione di qualche scritto critico verso le autorità gli procura una condanna a undici mesi di prigione alla Bastiglia già nel 1717. Appena libero, Voltaire ottiene il suo primo successo sulla scena teatrale grazie a una tragedia, l’Edipo, che inaugura la linea di critica alla tradizione che sarà la cifra del suo teatro e di tutta la sua attività letteraria. La sua penna ironica mette alla berlina la politica e le credenze religiose del tempo in maniera più efficace di dotti trattati anche più anticonformisti.
Le polemiche provocate dalla popolarità delle sue opere lo inducono a partire per un lungo soggiorno in Inghilterra nel 1726. È un momento decisivo per la sua vita: il soggiorno inglese è alla base delle Lettere filosofiche o Lettere inglesi (1734). In questo testo Voltaire elogia la tradizione politica e culturale inglese rispetto alla situazione in Francia, trattando del deismo, della tolleranza religiosa e del regime di maggiore libertà delle istituzioni d’Inghilterra. La reazione delle autorità francesi è violenta: le Lettere vengono bruciate e Voltaire viene minacciato di arresto. Per sfuggire a questa nuova persecuzione, si ritira a Cirey, in Lorena, nel castello della sua compagna di studi e di vita Madame du Châtelet (1706-1749). Gli ospiti sono numerosi e Voltaire è un grande intrattenitore: tiene banco a tavola impressionando i suoi ammiratori; si improvvisa attore delle sue stesse opere teatrali, una passione che porterà avanti per tutta la vita. In questo suo esilio decennale Voltaire si dedica soprattutto alla scrittura di opere storiche, tra cui Il secolo di Luigi XIV (pubblicato nel 1751) e il Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni (pubblicato nel 1756), che molto influenzerà la cultura occidentale successiva. Con questa ope-
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
ra, la storia cessa di essere descritta come la realizzazione della Provvidenza cristiana nel mondo e diventa invece l’affermazione della ragione umana e dei suoi successi sotto gli occhi di un Dio-architetto, conformemente ai princìpi del deismo professato da Voltaire. Soprattutto, però, i suoi lavori storici si caratterizzano per una concezione della storia più attenta ai fenomeni culturali e ai costumi di una nazione che alle sue guerre e ai suoi intrighi politici. Negli anni successivi, dopo vari soggiorni in Germania alla corte di Federico il Grande, Voltaire si riavvicina provvisoriamente alla corte dei Borbone, fino a diventare storiografo del re (1745) e ad essere ammesso all’Académie Française, il tempio della cultura francese. Nel frattempo, si stabilisce nei pressi di Ginevra, a Ferney, che diventa ben presto meta di pellegrinaggi. Lungi dall’adagiarsi sulla sua popolarità, però, in questi anni si impegna in molti campi, non ultimo quello imprenditoriale, visto che installa sulle sue proprietà a Ferney delle vere e proprie fabbriche manifatturiere. Il soggiorno vicino Ginevra e le molte difficoltà con il puritanesimo svizzero acutizzano la sua insofferenza per il fanatismo religioso e l’oscurantismo. È in questi anni che lancia per la prima volta il suo grido di battaglia più famoso: «écrasez l’infâme» («schiaccia-
singoli si uniscono in un corpo organico rinunciando ai loro interessi particolari in funzione del bene comune. La volontà generale è il criterio che presiede a questa nuova comunità sociale: «quel che rende generale la volontà non è tanto il numero dei voti, quanto l’interesse comune che li unisce». Questo modello sociale ha la possibilità di realizzarsi solo in un regime di democrazia diretta in cui la sovranità appartiene al popolo – sovranità popolare [►2_5]– e nessuno può essere delegato a esercitarla nel nome del popolo. Anche se solo le piccole comunità, come la Repubblica di Ginevra, sembravano a Rousseau disporre delle condizioni per l’instaurazione di un simile sistema politico, Il contratto sociale fu, a partire dalla Rivoluzione francese, uno dei maggiori testi ispiratori del pensiero politico democratico e rivoluzionario. Un testo nel quale venivano poste anche due delle questioni fondamentali delle democrazie contemporanee: il rapporto fra rappresentanti e rappresentati e quello fra utilità sociale e interesse dei singoli. Un’analoga modernità di intuizioni è presente nell’Emilio, in cui era delineato un modello educativo «naturale», che rovesciava le tradizioni del passato e promuoveva una nuova pedagogia, fondata sul principio del libero sviluppo della personalità del bambino. La realizzazione culturale più significativa dell’Illuminismo francese fu un’opera collettiva, l’Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, che si poneva lo scopo di divulgare i progressi delle scienze e della tecnica seguiti all’affermazione del metodo sperimentale [►2_2] e all’uso della ragione. Fra il 1751 e il 1765 – eludendo il decreto regio del 1752 che ne vietava la pubblicazione e la diffusione – uscirono 17 volumi
L’Enciclopedia
te l’infame»); con questo appello, Voltaire cerca in quegli anni di chiamare a raccolta tutte le menti più illuminate contro l’“infamia” dell’intolleranza religiosa, impegnandosi in vere e proprie campagne di opinione. A partire dal caso di un protestante ingiustamente accusato dell’omicidio del figlio, e per questo messo a morte (il caso Calas), Voltaire imbastisce una polemica sull’ingiustizia del sistema penale francese e pubblica il celebre Trattato sulla tolleranza (1763), che muove le coscienze e le autorità fino al punto di ottenere la revisione del processo e la riabilitazione postuma del giustiziato. Impegnandosi in altre cause dello stesso tipo, il filosofo di Ferney dimostra di non essere soltanto uno scrittore di successo e un maestro dell’ironia, ma un uomo d’azione, che presta la sua penna a cause civili e politiche. Con Voltaire, insomma, i princìpi di tolleranza escono dalle pagine dei libri per farsi norme di comportamento. È la lettura stessa delle sue opere in quegli anni a rappresentare un esercizio di li-
oscurantismo Atteggiamento di rifiuto nei confronti del progresso, dell’istruzione, della diffusione della cultura, della ricerca scientifica, ecc. Il termine si diffonde proprio nel XVIII secolo in contrapposizione a “Illuminismo”.
bertà. Il suo romanzo filosofico Candido o l’ottimismo – forse la sua opera più nota oggi – conosce almeno 17 edizioni nel 1759 e solo in quell’anno si stima ne siano stati venduti 25 mila esemplari. È una cifra enorme per l’epoca, tanto più se si pensa che queste copie circolavano clandestinamente: le avventure di Candido che mettono in ridicolo la concezione provvidenzialistica della storia sono proibite dal Parlamento di Parigi e inserite nell’Indice dei libri proibiti di Roma. Superando questi impedimenti per procurarsi il libro, i divertiti lettori di Voltaire partecipavano magari involontariamente alla lezione più importante dell’Illuminismo: la libertà di espressione contro tutte le censure. La morte trovò Voltaire nel 1778, pochi mesi dopo il suo trionfale ritorno a Parigi. Le sue spoglie lasciarono però la capitale qualche giorno dopo, clandestinamente, visto che le autorità religiose si erano rifiutate di celebrare le esequie. Solo nel luglio 1791, in uno dei periodi più caldi della Rivoluzione francese, i suoi resti sarebbero ritornati a Parigi per essere collocati nel Panthéon (il tempio dei grandi innovatori francesi), legando anche simbolicamente la sua lezione alle conquiste rivoluzionarie.
Statua di Voltaire [Musée du Louvre, Parigi]
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di testo completati, nel 1772, da 11 volumi di tavole. Negli anni della pubblicazione la figura del philosophe si identificò spesso con quella dell’enciclopedista: per i numerosi collaboratori e per le dure battaglie combattute contro la censura [►FS, 34] e contro l’ostilità degli ambienti culturali più retrivi, l’Enciclopedia fu considerata espressione di un vero e proprio partito filosofico. All’opera parteciparono tutti i maggiori intellettuali francesi del tempo, ma moltissime voci furono redatte dallo scrittore e filosofo Denis Diderot (1713-1784), che fu anche il principale organizzatore dell’impresa editoriale. Inizialmente, in questo lavoro di ideazione e coordinamento, Diderot fu affiancato dal matematico Jean-Baptiste d’Alembert (1717-1783), che scrisse il Discorso preliminare (1751), più tardi invece da Paul Henri Dietrich, barone d’Holbach (1723-1789), sostenitore di un radicale e rigoroso materialismo. L’Enciclopedia ebbe un largo successo, dapprima presso i ceti più abbienti, dato il prezzo cospicuo dell’edizione in grande formato; solo in seguito le ristampe in volumi più maneggevoli e meno costosi ne assicurarono una distribuzione più estesa. L’Enciclopedia si ispirò molto alla filosofia di Bacone, Cartesio, Locke e alla scienza di Newton. Come si è detto, lo sforzo di divulgazione investì ogni settore e fu accompagnato dalla lotta contro l’oscurantismo e i pregiudizi della cultura tradizionale. I contenuti più audaci e innovatori furono talora affidati a voci tecnico-scientifiche o apparentemente di minore importanza, rintracciabili attraverso opportuni rinvii. L’impianto, che nelle intenzioni di d’Alembert doveva mirare all’unità del sapere, fu in realtà più
Divulgazione e lotta contro la cultura tradizionale
L’ILLUMINISMO
L’ILLUMINISMO IN FRANCIA
MONTESQUIEU
Separazione dei poteri sul modello inglese
VOLTAIRE
Contro i pregiudizi e l’oscurantismo
Teorico dell’assolutismo illuminato
ROUSSEAU
Proprietà privata causa di ingiustizia sociale
DIDEROT E D’ALEMBERT
Curano con la collaborazione di molti intellettuali
Garanzia della libertà contro la tirannide
L’Enciclopedia ammira il sistema inglese, ma critica...
Importanza degli organismi intermedi (Parlamenti)
Modello della monarchia costituzionale
Getta le basi del pensiero democratico
Espressione della volontà generale
Rifondazione della società
Contratto sociale
Contro il sapere tradizionale e i pregiudizi
Concezione pragmatica del sapere
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Utile
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
Esperienza
Joseph Highmore, Scena dal romanzo «Pamela» di Samuel Richardson 1743-44 [Tate Gallery, Londra] Quello raffigurato è il primo di una serie di dipinti che illustrano alcune scene del romanzo Pamela di Samuel Richardson, stretto amico di Highmore. La protagonista della storia è seduta a un tavolo intenta a scrivere e viene interrotta dal suo seduttore, il Signor B. L’arredamento della stanza così come il quadro sopra il camino alle spalle di Pamela, e che raffigura la parabola della Buona samaritana, sottolineano i valori tradizionali in cui crede la giovane ragazza.
aperto e meno sistematico, e in questo rispecchiò soprattutto le posizioni di Diderot. Difficile dire a quale aspetto fu più legata l’influenza dell’Enciclopedia: se alla diffusione delle tematiche o alla struttura dell’opera o alla battaglia culturale per la sua pubblicazione. In ogni caso essa rappresentò il momento organizzativo più alto del movimento illuminista. Non è solo trattando esplicitamente di temi politici o di attualità che gli illuministi riescono a influire così tanto sulla società del XVIII secolo. Tra i nuovi generi letterari e di scrittura, quello che finisce forse per sortire gli effetti più duraturi è il romanzo. Le trame dei libri di Rousseau, del romanziere inglese Samuel Richardson (1689-1761), e di Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781), filosofo e scrittore tedesco, riescono a conquistare migliaia di lettori in giro per l’Europa e plasmano il loro modo di vivere la vita, i sentimenti, le METODO DI STUDIO emozioni. Commuovendosi per le vicende di amanti sfortunati o povere fan a Sottolinea i fattori che determinarono l’afferciulle, i lettori maturano una nuova sensibilità verso le cose del mondo e verso mazione dell’Illuminismo in Francia. il prossimo, soprattutto. Come? Dipendeva prima di tutto dal modo in cui que b Trascrivi sul quaderno i nomi degli intelletsti libri erano scritti. Romanzi come Pamela (1740) e Clarissa (1747-48) di tuali illuministi trattati e le parole chiave che avrai individuato. Quindi, descrivi sinteticamente le caRichardson e Giulia o la nuova Eloisa (1761) di Rousseau trasformavano persoratteristiche e il ruolo dei philosophes nel contesto naggi ordinari in eroi ed eroine alle prese con i problemi dell’amore e della vita. culturale dell’epoca utilizzando anche le parole Per di più, si trattava spesso di romanzi epistolari in cui l’intreccio era costruito chiave trascritte. c Cerchia il nome dell’opera culturale più signidallo scambio fittizio di lettere tra i diversi protagonisti. In questo modo, il letficativa dell’Illuminismo e sottolineane le carattetore seguiva lo sviluppo delle emozioni dei personaggi dalla loro viva voce e ristiche, il ruolo e gli obiettivi. finiva per immedesimarsi [►FS, 39].
Il ruolo del romanzo
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4_3 LE NUOVE SCIENZE
E LA NASCITA DELL’ECONOMIA POLITICA
► Leggi anche: ► Focus Libero mercato e benessere sociale: Adam Smith
La riflessione degli illuministi sull’uomo e sul suo ambiente rinnovò quasi tutti i settori di studio e alimentò l’interesse per nuovi campi d’indagine. Alla fine del ’700, per esempio, i libri di viaggi e le descrizioni dei costumi e delle abitudini delle popolazioni “selvagge” favorirono l’embrionale costituzione di quell’insieme di osservazioni che daranno vita successivamente alle discipline dell’antropologia culturale e dell’etnologia. Grande successo – anche per la critica della politica europea di indiscriminato sfruttamento delle colonie – ebbe un’opera vicina a questi interessi, la Storia filosofica e politica degli stabilimenti, e del commercio degli Europei nelle due Indie (1770) di Guillaume-Thomas Raynal (1713-1796). Questo ampliamento degli orizzonti storiografici ai paesi extraeuropei non fu il solo segno di un rinnovamento delle discipline storiche. Ancora più importante fu il definitivo superamento della concezione provvidenzialistica a favore di una visione laica della storia a cui si affiancò un nuovo interesse per la società e i modi di vita, che lasciava in ombra quello più tradizionale per le guerre e le contese dinastiche. Esemplari di questo orientamento furono due grandi opere di Voltaire, Il secolo di Luigi XIV (1751) e il Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni (1756). Ma forse il maggior contributo alla ricerca storica venne dall’Illuminismo inglese. Edward Gibbon (1737-1794), per esempio, autore di una monumentale Storia della decadenza e caduta dell’Impero romano (1766-88), sostenne con
Le scienze dell’uomo
▲ Maurice
1753
Quentin de La Tour, Ritratto di M.lle Ferrand
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Le questioni scientifiche che andavano dibattendosi con tanto fervore nel ’700 fra gli “addetti ai lavori” ebbero larghissima eco anche al di fuori del mondo accademico. Come testimonia il quadro di de La Tour, nel quale sul leggio è raffigurato un libro sulle scoperte di Isaac Newton, la curiosità
▲ Cinque
emozioni desumibili dall’esame della mimica facciale [tavola tratta da G.L. Leclerc de Buffon, Storia naturale dell’uomo, 1749]
nei confronti delle opere scientifiche fu diffusa oltre che fra i lettori maschi anche nel mondo femminile. Fra le opere di maggiore successo va senz’altro annoverata l’Histoire naturelle, générale et particulière di Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon: 36 volumi in cui l’autore cercò di
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
organizzare tutto il sapere dell’epoca nel campo delle scienze naturali. Nel secondo volume, da cui è tratta la tavola qui illustrata, Buffon affrontò la storia naturale dell’uomo; fu in questo volume che Buffon rilevò le somiglianze tra l’uomo e la scimmia e la possibilità di una genealogia comune.
Nicola Cianfanelli, Alessandro Volta mostra l’esperimento della pila a Napoleone 1841 [Museo di Fisica e Storia Naturale, Firenze] In questo affresco, di poco successivo all’invenzione della pila, Alessandro Volta la mostra a Napoleone.
grande erudizione che il declino dell’Impero romano e il suo crollo finale fossero stati causati dall’emorragia di uomini e mezzi provocata dal trionfo del cristianesimo. Altrettanto significativo fu lo sviluppo delle ricerche scientifiche, così come quello delle tecnologie legate alle scienze fisiche, chimiche e naturali. Particolare importanza ebbero gli studi sull’elettricità, con il bolognese Luigi Galvani (17371798) e il comasco Alessandro Volta (1745-1827), e soprattutto quelli di chimica grazie all’opera del francese Antoine-Laurent Lavoisier (1743-1794), il vero fondatore, con i suoi studi sui gas e sugli elementi, della chimica moderna. Su un piano teorico, invece, risultò fondamentale per la successiva evoluzione delle scienze l’opera dello scozzese David Hume (1711-1776), uno dei maggiori filosofi del ’700. Hume, infatti, rifondò la teoria della conoscenza in termini rigorosamente empiristici: ricondusse le relazioni spaziali, temporali e causali tra i fenomeni alle capacità associative del soggetto, negando così il carattere universale e necessario delle leggi scientifiche.
La fisica, la chimica e le scienze naturali
La pila voltaica
Un altro aspetto della straordinaria ricchezza del pensiero illuminista è testimoniato dalla nascita di una nuova scienza, l’economia politica, costituitasi come disciplina autonoma a opera della scuola fisiocratica francese e dello scozzese Adam Smith. I fisiocratici e Smith furono i primi, infatti, a individuare un preciso campo d’indagine, quello della produzione, al fine di costruire un modello di funzionamento che rendesse ragione degli elementi che compongono il sistema economico e della loro interdipendenza.
La nascita dell’economia politica
Medico e naturalista, François Quesnay (1694-1774) fu il maggior rappresentante della fisiocrazia – dal greco phy` sis, “natura”, e kratèin, “dominare” –, la dottrina che considerava la terra come la fonte unica e primaria della ricchezza. È l’agricoltura infatti, secondo i fisiocratici, che grazie alla naturale fertilità del suolo produce quel sovrappiù di ricchezza che consente di alimentare i contadini, i proprietari terrieri e la “classe sterile”, ovvero i mercanti e gli artigiani. Da questa premessa discendeva la proposta di un vero e proprio programma di riforme teso a eliminare ogni ostacolo alla coltivazione e alla libera circolazione delle derrate agricole: i fisiocratici proponevano la libertà dei commerci – soprattutto dei
Quesnay e i fisiocratici
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LA NASCITA DELL’ECONOMIA POLITICA
L’ECONOMIA diventa SCIENZA AUTONOMA con
Quesnay
Smith
Ricardo
Bentham
Terra fonte primaria di ricchezza
La ricerca dell’utile individuale contribuisce
individua tre categorie
L’azione legislativa deve basarsi sull’utile
Libera circolazione derrate agricole
FISIOCRAZIA
al bene collettivo tramite
la mano invisibile del mercato
LIBERISMO
Proprietari terrieri
Capitalisti industriali
Lavoratori
Rendita
PROFITTO
Salario
Unico motore per gli investimenti
SVILUPPO INDUSTRIALE
grani –, l’abolizione dei dazi doganali, la soppressione dei privilegi e dei monopoli – in contrasto con il mercantilismo –, l’introduzione di un’imposta unica sulla rendita fondiaria. Con la fisiocrazia la scienza economica si era ormai data un proprio autonomo statuto: nasceva così anche la convinzione che l’analisi dei meccanismi produttivi consentisse di comprendere l’intera organizzazione sociale. Il salto qualitativo che consentì di superare gli elementi naturalistici del pensiero fisiocratico fu compiuto grazie all’opera di Adam Smith (1723-1790). Studioso di filosofia morale, Smith rintracciava, come altri filosofi scozzesi, il movente dell’agire e dell’associarsi nel sentimento – simpatia, interesse, ecc. – e nella ricerca dell’utile individuale e sociale il criterio fondamentale che orienta il comportamento umano. Nel suo capolavoro, Ricerche sopra la natura e la causa della ricchezza delle nazioni (An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, 1776), postulò l’esistenza di un ordine naturale nel quale, se ciascuno è lasciato agire liberamente secondo il proprio interesse particolare, necessariamente contribuisce al benessere collettivo e alla felicità generale, secondo una provvidenziale volontà che domina le azioni dei singoli: un agire che va al di là delle originarie intenzioni individuali e che appare guidato da quella che Smith chiama una «mano invisibile». Al centro del modello economico di Smith sta il concetto di lavoro produttivo, misura del valore di scambio delle merci e unica fonte della ricchezza sociale. L’espansione del sistema è dunque legata all’incremento della produttività, a sua volta garantita dalla crescente divisione del lavoro, dal reinvestimento continuo dei profitti e dalla innovazione tecnologica. Anche Smith, come i
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Smith: il primo teorico del liberismo
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
Massima felicità del maggior numero possibile di persone
UTILITARISMO
fisiocratici, approdò alla convinzione che il libero mercato e il libero scambio fossero le condizioni ottimali per lo sviluppo dell’attività economica. La ricchezza e l’importanza delle sue analisi ne fecero il fondatore di quella che sarà definita l’economia “classica” e il primo teorico del liberismo. Quarant’anni dopo, questa visione ottimistica ed equilibrata dello sviluppo economico fu criticata da quello che è considerato il maggior teorico dell’economia “classica”, David Ricardo (1772-1823), autore dei Princìpi dell’economia politica e delle imposte (1817). Se Smith si era proposto di identificare l’insieme dei meccanismi mediante i quali si accresce la ricchezza delle nazioni, Ricardo spostò la sua analisi sugli elementi che concorrono alla formazione del prodotto complessivo e soprattutto sulla sua distribuzione fra le varie classi sociali. Il suo interesse era quindi rivolto non a definire criteri economici generali, ma a chiarire la struttura e il funzionamento di uno specifico modo di produzione: quello avviato dalla rivoluzione industriale [►CAP10]. Per Ricardo le categorie del sistema economico sono tre: la rendita, il profitto e il salario, sulla base delle quali si definiscono tre gruppi sociali – i proprietari terrieri, i capitalisti industriali e i lavoratori salariati. Tra di essi si distribuisce la ricchezza globale e da ciò nasce la conflittualità economica e sociale. Secondo Ricardo, è il profitto la molla del nuovo sistema industriale, perché più un industriale guadagna più investirà nella sua impresa in termini di innovazione e produzione: ne deriva quindi che una sua compressione dovuta a benefìci eccessivi sul versante della rendita fondiaria o del salario intralcerebbe lo sviluppo economico generale. Negli anni in cui scriveva Ricardo, del resto, erano ormai visibili i caratteri fondamentali del nuovo sistema produttivo che vedrà la progressiva affermazione del capitalismo industriale come principale elemento propulsivo delle trasformazioni dell’intera realtà economica e sociale.
Ricardo e la distribuzione della ricchezza
Davanti ai primi passi dell’industrializzazione, tra la fine del ’700 e l’inizio dell’800, si affermò in Gran Bretagna anche l’utilitarismo, una nuova corrente di pensiero che condusse a una rifondazione della filosofia politica, individuando nel criterio dell’utile il parametro di riferimento fondamentale per l’attività del singolo e delle istituzioni. Il principale esponente di queste teorie fu Jeremy Bentham (1748-1832), autore dell’Introduzione ai princìpi della morale e della legislaMETODO DI STUDIO zione (1789). Secondo Bentham, l’utilità è alla base dell’azione morale che a Cerchia con colori diversi i temi di cui si occuparono gli storici illuministi e sottolineane le può essere giudicata e calcolata in funzione del piacere o del dolore che arreca caratteristiche principali. all’individuo. Il medesimo criterio deve poter guidare l’attività legislativa, il b Cerchia i principali temi trattati dall’economia cui scopo è dunque l’utile comune, ovvero «la massima felicità del maggior politica, trascrivili sul quaderno e indica per ognuno di essi i nomi degli intellettuali di riferimento numero possibile di persone». Questo è ciò su cui deve fondarsi, rinunciando e le parole chiave che avrai individuato. a riferirsi a norme immutabili, l’azione politica, la cui efficacia può essere mi c Spiega per iscritto che cosa si intende per surata in relazione ai miglioramenti che è concretamente in grado di “economia classica”. produrre.
Bentham e l’utilitarismo
4_4 L’ILLUMINISMO IN EUROPA
Tutti i paesi europei parteciparono, in maggiore o minor misura, al movimento illuminista. Dal Portogallo alla Polonia, dall’Italia alla Svezia fu tutto un fiorire di opere, di periodici, di gazzette e di accademie ispirate agli ideali e ai programmi dei Lumi. Alcuni paesi – è il caso della Polonia – videro realizzarsi una vera e propria rinascita intellettuale e culturale. Significativo fu il sorgere e il diffondersi in tutta Europa di accademie agrarie votate al miglioramento dell’agricoltura. Nessun grande dibattito o tema di discussione rimase chiuso nel suo ambito d’origine. Un tratto accomunò intellettuali, riformatori e pubblico colto: la convinzione di essere tutti partecipi di una grande opera di rinnovamento che non conosceva confini nazionali [►FS, 38].
Cosmopolitismo e circolazione delle idee
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San Pietroburgo
Questo cosmopolitismo e questa circolazione delle idee furono gli elementi portanti Hume, Smith della cultura delle élite. Tuttavia, all’interno di un disegno dai contorni così ampi, non bisogna perdere di MARE vista alcune linee forti, rappresentate dal contributo del pensiero britannico Edimburgo – e per la precisione DEL O Kant scozzese – e dall’egemonia della cultura e degli intellettuali francesi.GRAN Un’egemonia TIC NORD legata a un AL IRLANDA B R A BRETAGNA ambiente e a iniziative più dinamiche e di maggior successo, come l’Enciclopedia. In un tessuto M Königsberg di relazioni culturali così fitto, non bisogna dimenticare alcune singole opere (non solo francesi) OLANDA Londra Berlino PRUSSIA destinate a incidere più profondamente di altre e a lasciare tracce più durature nel pensiero ocAmsterdam Varsavia cidentale: si pensi all’Esprit des lois di Montesquieu o a Dei delitti e delle pene di Beccaria (di cui Federico II, Lessing, SACRO Mendelssohn parleremo tra poco). OCEANO ROMANO Parigi
ATLANTICO
IMPERO
Le origini dell’Illuminismo nel mondo tedesco furono legate alla lotta contro CONFEDERAZIONE FRANCIA Vienna Dan il dogmatismo e l’autoritarismo della Chiesa luterana. Il filosofo Ginevrae drammaturMontesquieu, Voltaire, ubio SVIZZERA Diderot, d’Alembert, go Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781) fu fautore della tolleranza e nemiabate Guillaume Raynal Milano Giuseppe II co dell’assolutismo, mentre Alexander Baumgarten (1714-1762) diede fondamento all’estetica – SPAGNA disciplina autonoma. RousseauMa il punto più la «dottrina filosofica della conoscenza sensibile» – come Tolosa STATO alto – e quasi il compimento di tutta la filosofia del ’700 – fu raggiunto dall’operaVerri, di Immanuel DELLA Beccaria Kant (1724-1804) che, nella Critica della ragion pura NEW (1781), YORK attuò la cosiddetta “rivoluzione coCHIESA pernicana” nel campo della conoscenza, premessa di tutta la filosofia e la scienza successive: ovREGNO vero il riconoscimento della conoscenza scientifica come risultato della sintesi fra la realtàNapoli em- DI NAPOLI pirica e le categorie universali del soggetto. A proposito dell’Illuminismo Kant diede, in risposta PENNSYLVANIA al quesito «Che cos’è l’Illuminismo?», una definizione memorabile per chiarezza e intensità: Genovesi, NEW Galiani
JERSEY
Franklin
6_LA DIFFUSIONE DELL’ILLUMINISMO: FILOSOFI E RIFORMATORI “triangolo intellettuale”
San Pietroburgo Hume, Smith Edimburgo IRLANDA
Caterina II
MARE DEL NORD
GRAN
AR M
BRETAGNA OLANDA
Londra
O IC LT BA
Berlino
OCEANO ATLANTICO
Parigi
Montesquieu, Voltaire, Diderot, d’Alembert, abate Guillaume Raynal SPAGNA
FRANCIA
Tolosa
ROMANO IMPERO
Milano
PENNSYLVANIA
Poniatowski, principessa Czartoryska
Dan ubio
STATO DELLA CHIESA
NEW JERSEY
REGNO DI NAPOLI
Genovesi, Galiani
Franklin
“triangolo intellettuale”
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LITUANIA
Giuseppe II
Napoli
Filadelfia
POLONIA-
Rousseau Verri, Beccaria
NEW YORK
Vienna
Mosca
PRUSSIA Varsavia
Federico II, Lessing, Mendelssohn
CONFEDERAZIONE Ginevra SVIZZERA
RUSSIA
Königsberg
Amsterdam SACRO
Kant
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
RUSS
M
POLONIALITUANIA
Poniatowski, principessa Czartoryska
L’Illuminismo in Germania
Filadelfia
Caterina
Parigi è il centro da cui si irradiano le nuove proposte intellettuali e politiche. Londra e Amsterdam, oltre che incubatori del pensiero illuminista, sono, la prima, il luogo di destinazione dei viaggi di molti francesi, che osservano con ammirazione l’evoluzione politica del paese, la seconda, il luogo dove sono stampate moltissime delle opere illuministe.
«L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo» [►FS, 31d]. Particolarmente ricco fu l’apporto dell’Italia al movimento illuminista, soprattutto per l’attenzione rivolta ai problemi dell’economia e degli ordinamenti giuridici. Già agli inizi del ’700 del resto, ancora prima dell’Illuminismo, le opere di alcuni intellettuali italiani testimoniano l’avvio di un rinnovamento culturale nella penisola. Uno dei protagonisti fu Ludovico Antonio Muratori (1672-1750), storico e grande erudito, esponente di quello che potrebbe chiamarsi “cattolicesimo illuminato”: polemizzò contro le superstizioni e gli eccessi esteriori del culto e divenne sostenitore di moderate riforme dello Stato e della società. Dotato di una cultura più composita ed eterogenea fu invece Giambattista Vico (1668-1744), che affrontò in modo originale e innovativo le problematiche della storia: nella Scienza nuova (1725-44) riconobbe le regole costanti di un divenire storico scandito da fasi identiche che similmente e ciclicamente ricorrono per tutti i popoli. Innovativa fu anche l’opera di Pietro Giannone (1676-1748): nell’Istoria civile del regno di Napoli (1723) rivendicò la supremazia dello Stato sulla Chiesa e pose le basi storiche del giurisdizionalismo [►4_5].
Il pre-Illuminismo in Italia
Nel Regno di Napoli i problemi dei rapporti con la Chiesa e l’analisi delle condizioni economiche accompagnarono tutta l’opera di rinnovamento culturale intrapresa dagli illuministi. La personalità di maggiore spicco fu Antonio Genovesi (1713-1769), seguace di Locke, studioso di filosofia e di economia. Dal 1754 tenne la cattedra di
L’Illuminismo napoletano
Ignaz Unterberger, Una cerimonia di iniziazione in una loggia massonica viennese 1786 [Museum der Stadt Karlsplatz, Vienna]
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C4 Illuminismo e riforme
Commercio e Meccanica all’Università di Napoli e sul suo insegnamento si formò la generazione successiva di riformatori napoletani. Nelle Lezioni di Commercio (1765-67) propugnò uno sviluppo delle manifatture e dell’agricoltura volto a sollevare il Regno di Napoli dall’arretratezza. Ferdinando Galiani (1728-1787), invece, raggiunse notorietà europea per l’opera Della moneta (1751), che contiene un’originale teoria del valore ed è ricca di acute osservazioni sulla circolazione monetaria. Galiani, che visse a lungo a Parigi e fu in contatto con gli ambienti intellettuali francesi, si schierò vivacemente contro gli eccessi liberisti dei fisiocratici. Larga diffusione in Italia e in Europa ottenne anche la Scienza della legislazione (1780-85) di Gaetano Filangieri (1752-1788) che, oltre a reclamare una codificazione delle leggi e una riforma della procedura penale, attaccava gli abusi del sistema feudale meridionale. L’altro grande centro dell’Illuminismo italiano fu Milano dove, intorno alla rivista «Il Caffè» (1764-66), impegnata nella lotta per le riforme, si raccolsero i fratelli Pietro e Alessandro Verri e Cesare Beccaria. Tanto Pietro Verri (1728-1797) quanto Cesare Beccaria (1738-1794) furono inizialmente mossi da interessi per l’economia e per la politica economica: entrambi diverranno in seguito funzionari del governo austriaco.
L’Illuminismo lombardo
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Antonio Perego, Riunione dell’Accademia dei Pugni XVIII sec. [Collezione Sormani Andreani Verri, Milano] La rivista «Il Caffè», fondata nel 1764 da Pietro Verri e da altri amici intellettuali che erano soliti
radunarsi presso l’Accademia dei Pugni, fu il principale organo di diffusione, in Italia, delle teorie illuministe provenienti dalla Francia e dall’Inghilterra. Il titolo stesso della rivista indicava lo spirito innovativo e libero che animava il gruppo e la volontà di rifiutare gli schemi del giornalismo erudito settecentesco. I temi trattati negli articoli
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
variavano dalla fisica all’economia, dall’industria all’arte, dalla letteratura alla musica e al diritto. In questo dipinto è raffigurata la redazione della rivista; da sinistra: l’abate Alfonso Longo, Alessandro Verri, Giovanni Battista Biffi, Cesare Beccaria, Luigi Lambertenghi, Pietro Verri e Giuseppe Visconti di Saliceto.
Legato alla ricca atmosfera culturale e ai dibattiti del «Caffè» fu Dei delitti e delle pene, il breve volume di straordinario successo che Beccaria pubblicò nel 1764 [►FS, 36d]. Decine di edizioni e di traduzioni diffusero non solo in Europa, ma anche in America, l’analisi del sistema giudiziario e gli argomenti contro la pena di morte e la tortura, e a favore della pubblicità del processo e della prevenzione del delitto. La visione della giustizia e della pena poggiavano su una concezione contrattualistica dello Stato, dalla quale discendeva che la pena di morte non era «né utile né necessaria». Il messaggio umanitario di Beccaria ispirò molti tentativi di riforme giudiziarie dell’assolutismo illuminato, ma il principio dell’abolizione della pena di morte stentò a lungo, e non solo nel ’700, a farsi strada nella coscienza dei governi e dei popoli.
Beccaria contro la pena di morte
Si è accennato alla circolazione internazionale delle idee e delle opere come uno degli elementi caratterizzanti questo periodo. E grande importanza ebbero le estese trame dei contatti epistolari e l’aumentato numero dei periodici e dei giornali. Ma uno dei maggiori centri propulsivi delle nuove idee e dei programmi riformatori fu la Massoneria. Setta segreta nata in Inghilterra sulla base dei riti e delle tradizioni delle antiche corporazioni di liberi muratori (free-masons), la Massoneria accolse al suo interno nobili, borMETODO DI STUDIO ghesi e intellettuali accomunati dalla battaglia per la tolleranza, dalla lotta al a Cerchia i nomi dei principali paesi in cui si fanatismo e all’oscurantismo religioso, in nome della filantropia, della frateldiffuse l’Illuminismo, trascrivili sul quaderno e indica per ognuno di essi i nomi degli intellettuali di lanza universale e della certezza sull’efficacia dei Lumi. Si diffuse tra gli anni ’20 riferimento e le parole chiave che avrai individuato. e ’30 del ’700 in tutta Europa – e si distinsero diversi riti o obbedienze: inglese, Quindi, argomenta la tua scelta oralmente. scozzese, francese – e fu talora legata alle curiosità e alle mode, che ne indeboli b Spiega che cosa si intende per Massoneria citando le parole chiave indicate in grassetto nel rono forse il messaggio ma contribuirono ad accrescerne le adesioni. Le élite ritesto. formatrici poterono così disporre di un formidabile strumento di pressione nutrito dal fascino della segretezza.
La Massoneria
4_5 IL RIFORMISMO DEI SOVRANI ILLUMINATI
Il discorso sull’Illuminismo non può esaurirsi in una analisi del rinnovamento culturale e ideologico. All’interno del movimento illuminista è possibile infatti individuare gli elementi di un disegno riformatore che mirava alla modernizzazione dello Stato e al raggiungimento della “felicità pubblica” [►FS, 37]. La traduzione pratica di questi elementi di riforma rappresentò il tratto più significativo della politica interna di molti paesi europei nella seconda metà del secolo XVIII. Nonostante gli aspetti di novità, la politica riformatrice si inseriva nel lungo processo di formazione dello Stato moderno, che aveva preso le mosse alla fine del XV secolo. La lentezza e le difficoltà con cui si erano venuti definendo i poteri e le competenze dello Stato derivavano fra l’altro da un dualismo e da una contraddizione di fondo che caratterizzavano i nuovi organismi politici: la modernizzazione delle istituzioni, infatti, se per un verso si fondava sul sostegno dei ceti (o ordini) e delle loro assemblee, per un altro teneva viva un’accesa conflittualità tra le rappresentanze dei ceti e il sovrano assoluto. In Francia questa conflittualità si era mostrata compiutamente già durante il governo di Richelieu e aveva raggiunto l’apice con le guerre della Fronda a metà ’600: ma mentre qui Luigi XIV [►3_1] aveva dato un decisivo impulso allo sviluppo incontrastato della monarchia assoluta, altrove questo itinerario era tutt’altro che compiuto. Le altre monarchie assolute avvertirono, quindi, l’esigenza di introdurre maggiore efficienza nell’amministrazione e di allargare i poteri dello Stato. Un’esigenza che le portava inevitabilmente a scontrarsi con quel sistema di privilegi, fiscali e giuridici innanzitutto, di cui godevano la nobiltà e il clero: un insieme di diritti e una struttura di potere che costituivano il fondamento del consenso alla monarchia da parte dei ceti dirigenti tradizionali, ma anche un limite essenziale allo sviluppo della società civile e dell’economia.
Stato moderno e assolutismo
Gran parte della storia politico-istituzionale del ’700 ruota attorno al rapporto tra il rafforzamento dello Stato e la riduzione e ridefinizione dei privilegi. In questo quadro va valutata la felice congiunzione creatasi tra iniziativa dei sovrani e programmi riformatori degli illuministi: una breve stagione, collocata tra gli anni ’50 e ’80,
La stagione delle riforme
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C4 Illuminismo e riforme
comunemente definita assolutismo (o dispotismo) illuminato [►FS, 41]. Protagonisti ne furono innanzitutto i sovrani: in Austria Maria Teresa (1740-80) e Giuseppe II (1765-90), in Prussia Federico II (1740-86), in Russia Caterina II (1762-96), nel Regno di Napoli Carlo di Borbone (1734-59) e Pietro Leopoldo (1765-90) in Toscana. E accanto ai principi, gli intellettuali illuministi che furono di volta in volta consiglieri, collaboratori e critici del loro operato. Né va dimenticato quel ceto di funzionari illuminati che si sviluppò insieme con le riforme e costituì il tessuto connettivo indispensabile alla loro realizzazione. Il primo e più deciso intervento riformatore investì, nei paesi cattolici, i poteri della Chiesa e degli ordini religiosi. Fu avviata, o in qualche caso accentuata, una politica ecclesiastica – il giurisdizionalismo – caratterizzata dalla volontà di estendere la giurisdizione e il controllo dello Stato sulla vita e l’organizzazione delle Chiese nazionali, riducendo quella sorta di struttura giuridica parallela rappresentata dai diritti e privilegi ecclesiastici: diritti come quello d’asilo, che riconosceva l’immunità a quanti si rifugiavano nei luoghi di culto, o privilegi come quello che riservava ai soli tribunali ecclesiastici di giudicare anche reati comuni (come il furto e l’omicidio) quando fossero imputati a religiosi. Vennero messi in discussione la legittimità del tribunale dell’Inquisizione e il monopolio religioso dell’istruzione. Ragione e tolleranza scendevano in campo contro l’oscurantismo della Chiesa e, in questa battaglia, l’Illuminismo profuse il massimo del suo impegno ideologico e culturale.
Contro i privilegi del clero
Tra gli argomenti che alimentavano la polemica contro la Chiesa, ve ne erano alcuni che potremmo chiamare di “pubblica utilità”: i conventi e la vita monastica apparivano espressioni di parassitismo, mentre le cospicue proprietà terriere della Chiesa, difese dai vincoli di manomorta – che ne impedivano la vendita –, erano ormai un ingiustificato ostacolo a quella circolazione dei beni e delle ricchezze che era ritenuta un potente stimolo al
Contro gli ordini religiosi
L’ASSOLUTISMO ILLUMINATO
Pubblica felicità
RIFORME
Modernizzazione dello Stato
Maggiore giustizia sociale
Progresso materiale e culturale
Maggiore efficienza amministrativa
Tassazione più equa
Riforma della giustizia Abolizione servitù della gleba
Politiche liberiste
Sviluppo dell’istruzione statale Codici di leggi unitari
Sistema delle pene più umano
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Garanzia di difesa per imputato
Istituzione del catasto
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
Limitazione dei privilegi di
Accentramento dei poteri
Nascita della burocrazia
Clero
Nobiltà
benessere dei popoli. E alle nuove voci degli illuministi facevano eco le vecchie, ma ancora diffuse polemiche dei giansenisti contro la mondanità della Chiesa. Rafforzamento dello Stato, battaglia di princìpi, interessi economici fecero della politica ecclesiastica dell’assolutismo illuminato una tappa importante nella modernizzazione della società e delle mentalità. Fu una “rivoluzione dall’alto” che coinvolse essenzialmente gli strati superiori della società, ma suscitò, in genere, l’ostilità dei ceti popolari, soprattutto contadini, legati ai valori tradizionali. Il risultato più appariscente e significativo della lotta agli ordini religiosi fu l’espulsione della Compagnia di Gesù da molti paesi europei (tra gli altri: Portogallo 1759, Francia 1764, Spagna 1767, Napoli 1768). All’espulsione seguiva l’incameramento dei beni da parte dello Stato. Fino ad allora i gesuiti avevano goduto di grande prestigio ed esercitato una larga influenza sui ceti dirigenti: erano spesso i confessori dei principi e nei loro collegi si educavano i figli della nobiltà. Ma i gesuiti erano invisi a molti per la loro dipendenza da Roma, per la strenua difesa dei loro privilegi e per la volontà di ostacolare i tentativi riformatori. Nel 1773 la dilagante polemica e la pressione dei sovrani costrinsero papa Clemente XIV a sopprimere la Compagnia di Gesù (che sarà tuttavia restaurata nel 1814).
La condanna della Compagnia di Gesù, in una incisione di scuola francese del XVIII sec. [Bibliothèque Nationale, Parigi]
METODO DI STUDIO
a Cerchia gli obiettivi politici del movimento illuminista. b Sottolinea le caratteristiche contraddittorie e le esigenze delle strutture e del funzionamento dello Stato moderno. c Descrivi per iscritto gli aspetti fondamentali che definiscono i seguenti temi: a. anni dell’assolutismo illuminato; b. nomi dei sovrani europei protagonisti del processo di modernizzazione; c. gruppi sociali coinvolti nella riorganizzazione dello Stato. d Spiega cosa si intende per politica giurisdizionalista. e Cerchia i diritti e privilegi che alimentavano la contestazione della Chiesa e sottolinea i risultati che seguirono questa polemica.
4_6 LA NUOVA AMMINISTRAZIONE STATALE
Nell’altro grande settore di intervento dell’assolutismo illuminato, quello amministrativo, le riforme mirarono a rendere più razionale la macchina statale sia ai vertici sia alla base. L’obiettivo era quello di definire le competenze dei singoli organismi, di concentrare le decisioni, di riorganizzare le giurisdizioni attraverso tentativi di codificazione che riducessero il particolarismo e l’incontrollabile varietà delle norme, infine di rendere efficace la raccolta e la distribuzione delle risorse economiche. Si venne così formando quella struttura organizzata in dipartimenti o ministeri con cui ancor oggi identifichiamo l’amministrazione pubblica e che costituisce l’apparato burocratico di uno Stato. Le finanze rimanevano al centro della preoccupazione dei governi. Una parte
La riorganizzazione dello Stato: burocrazia e fiscalità
burocrazia Deriva dal francese bureau, che significa “scrivania, scrittoio”, ma anche “ufficio”. Per burocrazia si intende, dunque, l’insieme degli uffici pubblici e di coloro che vi lavorano. Per fare un esempio dei giorni nostri, in Italia, sono uffici pubblici i ministeri, le amministrazioni delle aziende sanitarie locali, ovvero tutti quegli uffici alle dirette dipendenze dello Stato, delle Regioni o dei Comuni. Storicamente la burocrazia nasce con lo Stato moderno: i sovrani, infatti, hanno bisogno di dare un’organizzazione unitaria ai propri possedimenti e per fare questo si servono di funzionari che giurano fedeltà alla Corona. Solo tra ’800 e ’900, però, sono cresciuti enormemente il numero dei burocrati e la loro importanza politica.
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C4 Illuminismo e riforme
Mappa del catasto teresiano a Monticello 1723 La mappatura delle proprietà fondiarie, in questo caso vicino a Cremona, in cui vengono registrate non solo le proprietà stesse, ma anche le colture che vi sono praticate, è indispensabile per la costituzione del catasto, portato a termine nel 1760 nella Lombardia austriaca per volontà dell’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo.
cospicua delle entrate veniva destinata alle spese militari e proprio dall’esigenza di risanare i bilanci dissestati dalle guerre venivano le maggiori sollecitazioni alla riorganizzazione del sistema fiscale. In questo, come in altri campi, l’opera fu resa più agevole dai quasi trent’anni di pace che seguirono la conclusione della guerra dei Sette anni (1763). In molti Stati, ma soprattutto in Austria e nei suoi domìni, fu avviata l’imponente impresa della redazione di un catasto dei beni terrieri e immobiliari, destinata a migliorare e a differenziare l’imposizione fiscale, rendendola quindi se non più equa almeno più certa. In politica economica la maggior attenzione fu rivolta all’agricoltura, non solo perché la terra rimaneva il principale settore produttivo, ma anche perché era necessario rispondere a una crescente domanda di generi alimentari legata allo sviluppo demografico e alla necessità di evitare il pericolo catasto delle carestie. Nell’Europa centrale la promozione dell’agricoltura fu accompaIl catasto nacque come un sistema di misurazione e gnata dal tentativo di ridurre, almeno nelle terre demaniali, le forme feudali più descrizione delle proprietà allo scopo di ripartire il carico oppressive, in particolare le servitù personali. fiscale. In età medievale erano i comuni a perfezionare
La promozione dell’agricoltura
L’assolutismo illuminato si colloca cronologicamente in una I limiti delle riforme congiuntura favorevole per l’economia europea: non sembra tuttavia possibile stabilire un nesso molto forte fra sviluppo economico-sociale e riforme. Infatti i paesi in cui tale sviluppo era stato più marcato, Gran Bretagna e Francia, furono, per diversi e talora opposti motivi, fuori dal movimento riformatore. La Gran Bretagna perché ormai inserita in un sistema politico costituzionale; la Francia, invece, perché un ulteriore sviluppo dell’assolutismo avrebbe messo in gioco i difficili equilibri della società per ceti. Nel resto d’Europa la vitalità economica e sociale non era in grado di esprimersi attraverso ceti – come quelli borghesi – solo parzialmente consapevoli della necessità di un programma politico alternativo all’assolutismo. Infine un limite invalicabile al riformismo settecentesco fu quello posto dal sistema del privilegio, nobiliare innanzitutto, contro il quale le monarchie illuminate non potevano spingersi senza mettere in discussione i fondamenti politici della loro legittimazione e il sostegno dei loro pari.
i catasti, anche se i loro documenti rimasero spesso caratterizzati da descrizioni generiche e stime arbitrarie, senza alcun criterio di uniformità. Soltanto nel ’600 cominciò un approfondito lavoro di revisione di questo strumento, che culminò con il catasto realizzato in Lombardia sotto il governo austriaco (1760), divenuto un vero e proprio modello per le elaborazioni successive.
METODO DI STUDIO
a Descrivi sul quaderno gli obiettivi delle riforme amministrative e le modalità seguite. b Sottolinea con colori diversi le cause e le conseguenze della riorganizzazione del sistema fiscale statale. c Cerchia i nomi degli Stati che non furono coinvolti dal movimento riformatore e sottolinea le cause di questa esclusione.
4_7 LE RIFORME NELL’IMPERO ASBURGICO
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Le monarchie che con maggior continuità si impegnarono nella realizzazione di un programma di riforme furono l’Austria e la Prussia, le due potenze rivali nell’Europa centrale. E fu proprio la reciproca conflittualità a stimolare il rafforzamento e la riorganizzazione dello Stato.
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
► Leggi anche: ► Storia, società, cittadinanza La libertà di stampa
Durante il lungo regno di Maria Teresa (1740-80) furono realizzate le principali riforme nell’Impero asburgico. L’imperatrice prese una complessa serie di provvedimenti tesi a ridurre i particolarismi locali e a separare competenze e attribuzioni ancora confuse, dividendo ad esempio i poteri finanziari e amministrativi da quelli giudiziari. L’amministrazione fu accentrata in sei dipartimenti e fu conferito a un Consiglio di Stato di sei membri un ruolo decisivo di coordinamento. Principale consigliere della sovrana e ispiratore della sua politica fu il conte (e poi principe) Wenzel Anton von Kaunitz, ministro degli Esteri e cancelliere, carica quest’ultima che gli dava la presidenza del Consiglio di Stato.
Maria Teresa d’Austria
Con Maria Teresa si venne formando quell’apparato statale, caratterizzato da proverbiali spirito di servizio e correttezza formale, che costituì per 150 anni la struttura portante del composito Impero asburgico. La centralizzazione delle funzioni amministrative contribuì a fare di Vienna una capitale vivace e cosmopolita, meta di intellettuali e artisti, sede, con Haydn e Mozart, della più vivace civiltà musicale del tempo. La redazione del catasto consentì di tassare anche le terre dei nobili, seppure in misura proporzionalmente inferiore a quelle dei contadini.
La burocrazia imperiale
Un regolamento del 1774 fissò i criteri per l’istruzione primaria obbligatoria e sollecitò le parrocchie e le autorità signorili a istituire le scuole locali; parallelamente furono creati gli istituti per la formazione dei maestri. Con i proventi dei beni della soppressa Compagnia di Gesù, che fu sostituita nell’insegnamento superiore dagli scolopi, vennero finanziate le spese per la pubblica istruzione. Qualche anno prima Maria Teresa, intanto, aveva dato l’avvio a una serie di interventi nei confronti delle prerogative del clero: la censura passò nelle mani dello Stato; venne progressivamente abolita l’Inquisizione; fu fatto divieto di pronunciare i voti monastici prima dei 24 anni.
L’istruzione pubblica
Le riforme di Giuseppe II
Fu proprio il giurisdizionalismo che diede la maggiore notorietà a Giuseppe II (1765-90), già imperatore e associato al trono dal 1765, quando successe alla madre Maria Teresa nel 1780. ▼ Johann
Nepomuk della Croce, La famiglia Mozart, particolare 1780-81 [Casa di Mozart, Salisburgo] Il lungo regno di Maria Teresa, caratterizzato da importanti riforme che coinvolsero l’apparato amministrativo dell’Impero asburgico, contribuì a fare di Vienna una capitale culturale e cosmopolita, animata da intellettuali e artisti, come il giovane Mozart, tra i più grandi compositori della storia della musica.
▲ Martin
van Mytens il Giovane, Ritratto di Maria Teresa d’Austria, particolare 1744 [Galleria Nazionale della Slovenia, Lubiana]
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C4 Illuminismo e riforme
La politica ecclesiastica di Giuseppe II, il giuseppinismo, intese unificare nelle mani dello Stato i poteri sul clero nazionale, sottraendoli al pontefice e ai suoi rappresentanti (i nunzi apostolici). Furono soppressi i conventi e gli ordini contemplativi, ossia quelli non dediti all’assistenza e all’insegnamento: in tempi brevissimi furono chiusi 700 conventi e i religiosi regolari ridotti da 65 mila a 27 mila. Contemporaneamente vennero creati seminari generali statali per l’istruzione di tutto il clero. Nel 1781 in nome di una visione attiva e produttiva della tolleranza furono abolite le discriminazioni nei confronti di protestanti e greco-ortodossi e, con la concessione dei diritti civili, emancipati gli ebrei: «sono disposto – sosteneva Giuseppe II – ad accettare i servizi di ognuno nelle questioni secolari, qualunque credo professi. Lasciamo che chiunque sia qualificato possa esplicare la propria attività nel campo agricolo e industriale». Invano papa Pio VI, che si spinse fino a Vienna nel 1782, tentò di indurre alla moderazione l’imperatore asburgico. In molti altri campi Giuseppe II accentuò con decisione la prudente politica innovatrice della madre. Nella legislazione criminale Maria Teresa aveva portato ordine, ma aveva lasciato sopravvivere la pena di morte, la tortura e il rogo, pur abolendo i processi di stregoneria. Con il Codice penale giuseppino del 1788, il primo veramente moderno, furono ridotti i casi puniti con la pena di morte e soppressa la tortura, ma furono estesi nel contempo i delitti “politici”. Giuseppe introdusse il matrimonio civile, la libertà di stampa e diede ulteriore impulso all’istruzione statale. Nel 1781-82 nei territori dell’Austria e della Boemia furono abolite le servitù personali dei contadini: per la prima volta gli spostamenti, i matrimoni e la scelta dei mestieri divennero liberi. Nelle proprietà della Corona i contadini soggetti vennero trasformati in affittuari ereditari. Giuseppe II avviò inoltre un nuovo catasto per ridurre i residui privilegi fiscali e progettò di convertire i diritti signorili in imposta fondiaria. Il tentativo di estendere questi provvedimenti all’Ungheria suscitò una vigorosa opposizione da parte della nobiltà locale che vedeva lese le antiche consuetudiMETODO DI STUDIO ni e prerogative. Un’analoga opposizione si manifestò nei Paesi Bassi austriaci a Cerchia i nomi dei settori dello Stato austriaco che furono riformati da Maria Teresa d’Austria (Belgio) quando, in nome di quella uniformità che costituiva uno dei princìpi basottolineandone le caratteristiche principali. silari del nuovo sistema amministrativo, l’imperatore volle abolire le autonomie b Evidenzia il nome dato alla politica ecclee gli statuti tradizionali di quelle regioni. Così il breve regno di Giuseppe II (morì siastica di Giuseppe II e sottolineane con colori diversi le caratteristiche e le conseguenze. nel 1790 a 49 anni) finì sotto il segno delle ribellioni autonomistiche. c Rispondi alle seguenti domande evidenIl suo successore, il fratello Leopoldo II (1790-92), già granduca di Toscana con ziando l’argomentazione nel testo: a. Quando fuil nome di Pietro Leopoldo [►4_9], fu costretto a pacificare l’Impero ritirando i rono abolite le servitù personali e che conseguenze ci furono? b. Perché Ungheria e Belgio si opposero provvedimenti più radicali e ponendo fine al progetto più ampio dell’assolutialle riforme intraprese da Giuseppe II? smo illuminato.
4_8 LE RIFORME IN PRUSSIA E RUSSIA
Federico II, re di Prussia (1740-86), rappresentò la più compiuta incarnazione del sovrano illuminato [►4_5]. La frequentazione dei philosophes, l’amicizia con Voltaire, l’impegno personale come autore di opere storiche e politiche (scritte in francese, perché non era in grado di scrivere in tedesco) fecero di Federico II il tipico re-filosofo. Ma nell’azione concreta, come lui stesso dichiarò, lo guidarono soprattutto «l’ambizione, l’interesse e il desiderio di acquistare fama». Dopo essersi pronunciato, nel 1740, in difesa del diritto naturale e della pace, solo pochi mesi dopo, senza dichiarare guerra, invase e conquistò la Slesia. Questa compresenza di principi illuminati e politica di potenza caratterizzò non solo la personalità di Federico II, ma tutta la vicenda storica della Prussia, al tempo stesso potenza militare e Stato della filosofia e della scienza. Fra i più importanti interventi riformatori di Federico vi furono la razionalizzazione del sistema giudiziario e l’emanazione di un Codice civile nonché l’istituzione nel 1763, per la prima volta in Europa, dell’istruzione elementare obbligatoria. I risultati di questa riforma furono modesti: tuttavia, il fatto che i maestri fossero dipendenti pubblici contribuì a rafforzare nella popolazione la dedizione al sovrano e allo Stato. Inoltre, una politica di larga tolleranza (motivata dalla sostanziale indifferenza religiosa del sovrano) fu praticata tanto nei confronti dei cattolici che degli ebrei.
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Le riforme in Prussia
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► Leggi anche: ► Personaggi Caterina II. La vita e gli amori di una sovrana riformatrice, p. 68
L’opera di rafforzamento dell’esercito, che assorbiva l’80% delle finanze, fu accompagnata dal successo ottenuto nel trasformare la nobiltà feudale degli Junker in un’aristocrazia militare disciplinata e profondamente legata alla persona del suo principe. A questa aristocrazia venne confermato il predominio sul mondo rurale e sui contadini servi che non videro migliorate le dure condizioni di vita e dipendenza personale. Nonostante le numerose riforme, la struttura dello Stato prussiano non riuscì a trasformarsi in un potere burocratico autonomo, legato com’era al ruolo centralizzatore del sovrano, alle sue capacità e al suo prestigio. Vent’anni dopo la morte di Federico II, avvenuta nel 1786, quella che sembrava un’indistruttibile macchina statale fu travolta dalla sconfitta subita a Jena (1806) ad opera di Napoleone. Anche la notorietà di Caterina II di Russia (1762-96) [►3_7] come sovrana illuminata fu in larga misura legata ai rapporti culturali e di amicizia che intrattenne con i philosophes. Ma nel suo caso i propositi e gli intenti superarono di gran lunga le effettive realizzazioni nel campo delle riforme, per l’oggettiva impossibilità – anche per le energie più dinamiche e innovatrici – di modificare l’arretrata condizione della Russia zarista. Nel 1767, qualche anno dopo l’inizio del suo regno, Caterina convocò una commissione di 573 membri, composta da rappresentanti della nobiltà, delle città e dei contadini liberi, per la redazione di un nuovo codice. La presenza accanto ai nobili di elementi di altri ceti testimoniava l’esigenza di attenuare il predominio aristocratico; ma fu soprattutto l’istruzione premessa al decreto di convocazione, ispirata alle teorie di Montesquieu e di Beccaria, a divulgare in tutta Europa il programma riformatore della zarina, favorevole alla libertà di stampa e alla tolleranza, e ostile alla servitù dei contadini. Erano tuttavia affermazioni di principio piuttosto che obiettivi da perseguire concretamente; e la creazione della commissione si risolse in un nulla di fatto.
Il programma riformatore di Caterina II
La requisizione dei beni della Chiesa greco-ortodossa, già iniziata dai predecessori di Caterina, l’abolizione dei monopoli e dei vincoli alle attività commerciali e manifatturiere, ora consentite anche ai contadini, furono tuttavia significativi provvedimenti a favore dello sviluppo economico. Più importante la riforma amministrativa e provinciale del 1775 in cui largo peso era concesso, almeno formalmente, alle assemblee nobiliari, mentre l’obiettivo di fondo rimaneva quello di un rafforzamento dell’autorità centrale.
Riforme amministrative ed economiche
L’arretratezza e le resistenze della Russia tradizionale fecero sì che gli interventi riformatori di Caterina si muovessero verso la definizione e l’organizzazione di una società per ceti e una attribuzione di competenze ai suoi organi, senza intaccare, e anzi allargando, le dimensioni del privilegio e il sistema di produzione fondato sul lavoro dei servi, impiego esteso anche alle manifatture. Mentre la società per ceti era messa in crisi nel resto d’Europa, indebolita in seguito al rafforzarsi delle prerogative dello Stato, in Russia venne definendosi allora ordinatamente per la prima volta. La Carta della nobiltà del 1785, che confermava ed estendeva i privilegi nobiliari, rappresentò un momento significativo di questa tendenza. Una tendenza che rappresentava anche una reazione alle inquietudini dei contadini che aspiravano all’abolizione della servitù e che erano stati coinvolti, nel 1773-75, nella grande rivolta guidata dal cosacco Pugačëv [►1_3].
L’organizzazione della società per ceti
Adolph Menzel, Intellettuali illuministi alla tavola di Federico II XIX sec. Frequentatore ed estimatore dei philosophes, Federico II viene ricordato come “re-filosofo”. Nel dipinto di Menzel, alla sua tavola siedono alcuni degli intellettuali più rinomati del secolo dei Lumi; fra questi, Voltaire, alla destra del sovrano (al centro della composizione), e lo scrittore italiano Francesco Algarotti, il secondo a sinistra.
METODO DI STUDIO
a Realizza sul quaderno una tabella semplice con una colonna destinata alla Prussia e una alla Russia. Quindi inserisci nelle relative colonne le informazioni che riguardano i cambiamenti politici avvenuti in queste terre indicando il sovrano che li attuò. b Spiega per iscritto in cosa consiste la compresenza di principi illuminati e politica di potenza nell’azione politica di Federico II di Prussia. c Sottolinea con colori diversi i princìpi ispiratori della politica riformatrice di Caterina II di Russia e gli esiti. Spiega quindi il ruolo della Carta della nobiltà in questo processo.
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C4 Illuminismo e riforme
4_9 LE RIFORME IN ITALIA
In Italia alla vivacità e diffusione del pensiero illuminista corrispose un’iniziativa riformatrice limitata solo ad alcuni Stati e regioni, come la Lombardia e la Toscana, domìni diretti dell’Austria o legati all’Impero asburgico, e il Regno di Napoli. Negli altri Stati gli episodi riformatori furono brevi nel tempo e modesti nei risultati: vanno ricordati tuttavia il biennio (1767-69) di lotte giurisdizionaliste guidato dal ministro Du Tillot nel Ducato di Parma, l’impegno a favore dell’istruzione nel Ducato di Modena, il catasto descrittivo (simile a quello onciario del Regno di Napoli, che vedremo oltre) promosso da papa Pio VI e l’avvio alla bonifica delle paludi pontine nello Stato pontificio. Talora le riforme dell’amministrazione statale e finanziaria avvennero al di fuori del contesto dell’assolutismo illuminato e in tempi diversi. L’esempio più significativo fu quello del Regno di Sardegna, dove un rafforzamento della struttura e delle prerogative statali si realizzò nella prima metà del secolo e dove un catasto, che non aveva tuttavia la precisione e l’attendibilità dei catasti austriaci, fu già portato a termine nel 1731. Quarant’anni dopo, nel 1771, un sovrano certamente non influenzato dall’Illuminismo come Carlo Emanuele III (1730-73) si spingerà fino ad abolire i diritti feudali, seppure nelle sole terre della Savoia e previo indennizzo.
Il Regno di Sardegna
Nel Regno di Napoli uno slancio giurisdizionalista accompagnò il regno di Carlo di Borbone (1734-59) e, quando il re con il nome di Carlo III salì al trono di Spagna, la reggenza del ministro Bernardo Tanucci (1759-76). Tuttavia, oltre alla redazione di un catasto (detto “onciario”, dal nome dell’unità di misura di valore), fondato non sulla misurazione compiuta dai periti dell’amministrazione finanziaria ma sulle dichiarazioni dei proprietari, non molto altro fu realizzato, salvo una serie di decisi interventi a favore degli scambi commerciali. Tale esiguità di risultati è tanto più sorprendente se messa in rapporto con l’ampiezza del dibattito e la ricchezza di proposte del ceto intellettuale. Al centro dell’interesse degli illuministi meridionali fu sempre più presente l’analisi delle condizioni sociali ed economiche; un significativo punto d’arrivo di queste ricerche è rappresentato dalla Nuova descrizione storica e geografica delle Sicilie (1786-94) di Giuseppe Maria Galanti (1743-1806) dalla quale emerse la situazione di stagnazione, povertà e arretratezza del Meridione d’Italia: un mondo, soprattutto rurale, in cui anche i ceti borghesi operavano all’interno dell’oppressivo sistema
Il Regno di Napoli
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Luigi Vanvitelli, Reggia di Caserta, facciata La costruzione della Reggia di Caserta è dovuta a Carlo di Borbone e al suo desiderio di riorganizzare il Regno sia sotto il profilo militareamministrativo sia sotto quello culturale. A questo scopo volle realizzare una reggia che avesse l’eleganza e lo splendore di Versailles: un palazzo moderno che celebrasse i fasti dei Borbone, che elevasse il Regno delle Due Sicilie allo stesso rango degli altri regni europei e che diventasse il centro
amministrativo della nuova capitale del Regno, Caserta. Per realizzare il grandioso progetto fu chiamato Luigi Vanvitelli, architetto napoletano di grande fama. Il 20 gennaio 1752 veniva posata la prima pietra della reggia. A causa del trasferimento di Carlo sul trono di Spagna (1759) e della morte di Vanvitelli (1773) i lavori furono completati solo nel 1847. Il Palazzo Reale ha 1200 stanze: solo 134 destinate ai reali e tutte le altre ai militari, al personale di servizio e a quell’amministrazione
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che doveva essere il cuore della nuova città. Inoltre ha un giardino e un parco, la cappella e il teatro, esatta riproduzione, in piccolo, del teatro San Carlo di Napoli. Carlo di Borbone e Maria Amalia di Sassonia parteciparono attivamente alla realizzazione del progetto, verificando personalmente con l’architetto i perimetri delle fondamenta, i tracciati dei viali, le piante e i fiori che avrebbero addobbato il parco e il giardino.
tradizionale di sfruttamento e di percezione delle rendite, senza farsi interpreti di nuove iniziative economiche imprenditoriali. Nel Ducato di Milano, dominio dell’Impero asburgico, vennero realizzate, in ossequio ai princìpi di uniformità e centralizzazione, le stesse riforme nel campo dell’istruzione, della codificazione, della politica ecclesiastica e fiscale, che erano state avviate negli Stati ereditari della casa d’Austria. Furono ridotti i poteri di antichi organismi rappresentativi del patriziato, come il Senato di Milano, riscattate le regalìe – ossia i diritti (di dogana, di pedaggio, ecc.) spettanti allo Stato ma ceduti nel tempo soprattutto ai nobili –, sottratta agli appaltatori la riscossione delle imposte (1770), promosso il libero commercio dei grani (1776 e 1786). Fra il 1749 e il 1759 fu redatto il censimento o catasto sotto la guida del funzionario toscano Pompeo Neri. Tanto i contemporanei (fra cui l’illuminista istriano Gian Rinaldo Carli) che gli scrittori di economia del XIX secolo (come Cattaneo), e una vasta letteratura successiva, hanno considerato il catasto come un potente incoraggiamento dell’attività agricola: infatti, poiché la terra avrebbe continuato ad essere tassata in base alla condizione rilevata al momento della stima catastale, ogni successivo miglioramento colturale non avrebbe comportato un aumento dell’imposta. Il catasto, mantenendo costante l’imposizione, si sarebbe tradotto quindi in un incentivo alle migliorie e alla messa a coltura dei terreni incolti, e, viceversa, in fattore punitivo nel caso di abbandono o di incuria nella gestione delle terre. In realtà queste considerazioni sopravvalutano il ruolo del meccanismo fiscale e non tengono conto del fatto che i risultati positivi dell’agricoltura lombarda anticiparono in gran parte la redazione del catasto. L’importanza dei catasti sta soprattutto nell’aver fornito allo Stato un efficace strumento fiscale e ai proprietari la certezza dei loro diritti e la possibilità di valutare l’entità della tassazione.
La Lombardia austriaca
Salvo che per il catasto, la cui preparazione fu solo avviata, tutti gli interventi più tipici dell’assolutismo illuminato furono sperimentati nel Granducato di Toscana durante i 25 anni del governo del granduca Pietro Leopoldo (1765-90), figlio secondogenito di Maria Teresa e futuro imperatore d’Austria. Il riformismo toscano fu contraddistinto da una marcata propensione per le soluzioni pratiche e tecniche e da una certa insofferenza per gli
La Toscana di Pietro Leopoldo
Profilo dell’argine da realizzarsi presso il padule di Bientina, Lucca 1760 [Civica Raccolta delle Stampe A. Bertarelli, Milano] Fra le iniziative riformatrici avviate in Toscana da Pietro Leopoldo nella seconda
metà del XVIII secolo, vanno annoverati i lavori di bonifica e di regolazione della complessa idrografia della regione. Alcune zone della Toscana, infatti, erano paludose, come nel caso del territorio di Bientina, costituito da una depressione acquitrinosa. Grazie ai progetti
intrapresi da Pietro Leopoldo, aree come questa, che prima legavano la propria economia essenzialmente alla pesca e al piccolo artigianato, videro una serie di opere di canalizzazione trasformare il paesaggio in una campagna agricola particolarmente florida.
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C4 Illuminismo e riforme
eccessi di teorizzazione. Atteggiamenti che caratterizzarono tanto Pietro Leopoldo che il gruppo di capaci funzionari che lo circondarono nella realizzazione delle riforme. Fra di essi spiccano le figure di Giulio Rucellai, Pompeo Neri, Francesco Maria Gianni, Angelo Tavanti. Nella politica ecclesiastica, oltre all’applicazione dei princìpi giurisdizionalisti, furono soppressi numerosi conventi, combattute le manimorte e ostacolate in genere le attività non socialmente rilevanti del clero. Si registrò infine una convergenza con le posizioni gianseniste del vescovo di Pistoia Scipione de’ Ricci, culminata nell’appoggio concesso a una riforma della Chiesa toscana e dell’organizzazione ecclesiastica che si fondava sull’autonomia dei vescovi e dei parroci dal predominio di Roma e su forme più rigorose e severe di culto. Il sinodo di Pistoia (1786) mise a punto questo programma, ma l’opposizione della maggioranza del clero e l’insorgere di tumulti popolari in difesa delle tradizioni costrinsero Pietro Leopoldo a rinunciare a questo aspetto della sua politica.
La politica ecclesiastica
La Toscana fu il primo paese ad accogliere, nel Codice penale del 1786, i princìpi di Beccaria: non solo la tortura, ma anche la pena di morte venne abolita; sul piano procedurale fu riconosciuto all’imputato il diritto alla difesa e vennero rese obbligatorie la motivazione e la pubblicazione delle sentenze.
L’abolizione della pena di morte
In campo economico fu avviata una politica liberista che portò all’introduzione della libertà del commercio dei grani (1767 e 1775) e all’abolizione delle corporazioni (1770). Molte energie furono dedicate al miglioramento dell’agricoltura, in particolare con la bonifica della Maremma e della Val di Chiana. L’Accademia dei Georgofili, fondata nel 1753, contribuì con dibattiti e ricerche allo sviluppo delle tecniche e delle coltivazioni.
La libertà del commercio dei grani
Anton Raphael Mengs, Pietro Leopoldo d’Asburgo di Lorena, granduca di Toscana 1770 [Museo del Prado, Madrid]
Socialmente più significativo fu il tentativo di favorire la formazione di un ceto di piccoli proprietari contadini attraverso la concessione in affitto perpetuo delle terre demaniali e di quelle requisite ai conventi. Ma l’operazione si rivelò un fallimento, perché nelle aste prevalsero i proprietari con maggiori disponibilità di capitali: la mezzadria rimase in Toscana il contratto base del sistema agrario [►1_3]. L’attenzione per la proprietà e per i proprietari piccoli e grandi fu il cardine della riforma municipale intrapresa negli anni ’80: un decentramento dei poteri dello Stato affidato al ceto dei proprietari (definito indipendentemente dalla nascita), che minava i privilegi nobiliari tradizionali e che rappresentò, anche per i suoi aspetti di autogoverno, un risultato anomalo nel quadro dell’assolutismo illuminato europeo.
L’agricoltura
Altrettanto anomalo e singolare fu il progetto costituzionale (1779-82) di Pietro Leopoldo, convintosi della necessità di fondare su un rapporto contrattuale i poteri del sovrano. «Un sovrano anche ereditario è soltanto un delegato e un impiegato del popolo, per il quale egli è fatto e al quale deve tutte le sue cure, pene, veglie; [...] ad ogni paese occorre una legge fondamentale, un contratto tra il popolo e il sovrano che limiti l’autorità e il potere di quest’ultimo». Così scriveva il granduca nel 1790. Ma le opposizioni interne unite a quelle di Vienna e la sua ascesa, nello stesso anno, al trono imperiale [►4_7] gli fecero abbandonare la più audace delle sue riforme.
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Il costituzionalismo
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METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi i nomi degli Stati italiani in cui vi furono azioni riformatrici in un contesto di assolutismo illuminato e quelli in cui il contesto fu differente. Trascrivili quindi sul quaderno indicando per ognuno di essi gli anni di riferimento, le azioni riformatrici e il loro significato. b Spiega perché il progetto costituzionale di Pietro Leopoldo di Toscana fu abbandonato.
SINTESI
4_1 I CARATTERI DELL’ILLUMINISMO Nonostante siano presenti nell’Illuminismo orientamenti molto diversi, si possono individuare alcune caratteristiche unificanti: l’esaltazione di un impiego spregiudicato della ragione, la critica al principio di autorità e alle istituzioni politiche e religiose, l’analisi empirica della società legata a un’esigenza riformatrice, la fiducia nel progresso, l’adesione a una religione naturale e razionale. Protagonista dell’Illuminismo fu il philosophe, una nuova figura di intellettuale, fautore di una cultura aperta, tollerante e pragmatica, contro il principio d’autorità, e strumento attivo della divulgazione delle nuove idee, cui affida il compito di aprire le vie del progresso e di rinnovare la società.
4_2 L’ILLUMINISMO FRANCESE E I PHILOSOPHES Che proprio la Francia sia stata il centro dell’Illuminismo si spiega con l’esistenza di un’ampia cultura di opposizione. Due delle figure di maggior rilievo dell’Illuminismo francese furono Montesquieu, sostenitore del principio della divisione dei poteri, e Voltaire, critico dell’oscurantismo e dei privilegi e fautore di un dispotismo illuminato. In una posizione a sé va collocato Rousseau, per la sua critica della società e del progresso e per la sua analisi dei fondamenti della
democrazia diretta. La più significativa realizzazione culturale dell’Illuminismo fu l’Enciclopedia, che contribuì potentemente alla diffusione delle nuove idee e alla promozione di un nuovo modello culturale basato sull’esperienza e sulle recenti acquisizioni della rivoluzione scientifica del ’600.
nuova riflessione sui temi della partecipazione politica e della riforma sociale. Bentham individuò nel concetto di utile il criterio fondamentale cui deve conformarsi l’azione politica.
4_4 L’ILLUMINISMO IN EUROPA
4_3 LE NUOVE SCIENZE E LA NASCITA DELL’ECONOMIA POLITICA L’Illuminismo favorì l’affermazione di una concezione della storia attenta alla società e ai modi di vivere. Venne elaborata una teoria della conoscenza su basi empiristiche e grandi progressi si ebbero nel campo delle scienze naturali. Nacque anche una nuova scienza, l’economia politica, grazie all’opera dei fisiocratici francesi e di Adam Smith, il cui scopo fu quello di indagare i meccanismi che regolano l’economia e la ricchezza delle nazioni. Il maggior teorico della fisiocrazia, Quesnay, individuò nell’agricoltura l’attività economica fondamentale, suggerendo di favorirne lo sviluppo capitalistico e la libertà dei commerci. Al centro dell’analisi di Smith, invece, sta il concetto di lavoro produttivo e la convinzione che il libero agire dell’individuo contribuisca al benessere collettivo: di qui la necessità di lasciare mano libera al mercato e alla circolazione delle merci. Successivamente Ricardo pose in relazione la conflittualità sociale con la distribuzione del prodotto complessivo tra le varie classi. In Gran Bretagna le trasformazioni legate all’industrializzazione sollecitarono anche una
Nonostante un’egemonia degli intellettuali francesi, il movimento illuminista interessò tutti i paesi europei. Nel mondo tedesco fu legato alla lotta contro il dogmatismo e l’autoritarismo della Chiesa luterana. Kant, il suo esponente di maggior rilievo, interpretò l’Illuminismo come il coraggio di far uso del proprio intelletto senza sottostare alla guida di altri. In Italia si era già avuto un rinnovamento culturale precedente all’Illuminismo con Muratori, Vico e Giannone. I due principali centri del pensiero illuminista nella penisola furono Napoli – con Genovesi e Galiani – e Milano: qui, attorno alla rivista «Il Caffè», si raccolsero Beccaria – propugnatore di una nuova concezione della giustizia e della pena – e i fratelli Verri. La circolazione internazionale delle idee, caratteristica del movimento illuminista, fu favorita dalla Massoneria, setta segreta nata in Inghilterra all’inizio del ’700 e subito diffusasi in tutta Europa.
modernizzazione dello Stato e al raggiungimento della “felicità pubblica”. Questo tentativo di trasformare le istituzioni rappresentò il tratto più significativo della politica interna di molti paesi europei nella seconda metà del ’700. Protagonisti furono alcuni sovrani, circondati da intellettuali illuministi, che furono di volta in volta consiglieri, collaboratori e critici delle politiche statali. Un ruolo importante in questa trasformazione ebbe anche quel ceto di burocrati e funzionari che si sviluppò insieme con le riforme. Questa felice congiunzione tra iniziativa dei sovrani e programmi degli illuministi aprì una breve stagione, collocata tra gli anni ’50 e ’80, comunemente definita “assolutismo illuminato”. Nei paesi cattolici il più deciso intervento riformatore investì i poteri della Chiesa e degli ordini religiosi. Furono estesi la giurisdizione e il controllo dello Stato sulla vita e sull’organizzazione ecclesiastica, riducendo drasticamente i privilegi e le prerogative giuridiche del clero. Gli intellettuali illuministi furono protagonisti di un’accesa polemica contro il parassitismo degli ordini religiosi, che provocò tra l’altro l’espulsione della Compagnia di Gesù da molti paesi europei.
4_6 LA NUOVA AMMINISTRAZIONE STATALE 4_5 IL RIFORMISMO DEI SOVRANI ILLUMINATI Il movimento illuminista fu promotore di un progetto riformatore che mirava alla
Un altro grande settore di intervento dell’assolutismo illuminato fu quello amministrativo: le riforme mirarono a rendere più razionale la macchina statale sia ai vertici sia alla base. Allora cominciò a formarsi
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C4 Illuminismo e riforme
quella struttura organizzata in dipartimenti o ministeri che costituisce la burocrazia. I sovrani dedicarono particolare attenzione alla riorganizzazione del sistema fiscale: in molti Stati fu avviata l’imponente impresa della redazione di un catasto dei beni terrieri e immobiliari proprio per rendere più efficiente l’imposizione delle tasse. In campo economico si continuò a puntare sul potenziamento dell’agricoltura, per rispondere alla crescente domanda di beni alimentari indotta dallo sviluppo demografico.
4_7 LE RIFORME NELL’IMPERO ASBURGICO L’azione riformatrice si esercitò soprattutto in Austria e Prussia. Nell’Impero asburgico Maria Teresa riorganizzò l’apparato
statale centralizzando le funzioni amministrative; tassò – grazie al catasto – anche le terre dei nobili; prese provvedimenti a favore dell’istruzione; intervenne sulle prerogative del clero. Il giurisdizionalismo ricevette un forte impulso con il figlio Giuseppe II che accentuò anche in altri campi la politica della madre (Codice penale, abolizione delle servitù personali dei contadini). Le ribellioni autonomistiche suscitate dal riformismo giuseppino indussero il successore Leopoldo II ad una politica più moderata.
4_8 LE RIFORME IN PRUSSIA E RUSSIA In Prussia l’azione di Federico II fu caratterizzata da un dualismo tra princìpi illuminati e politica di potenza. Fu potenziato l’esercito e,
soprattutto, venne creata un’aristocrazia militare legata al sovrano. In Russia l’azione riformatrice di Caterina II fu assai limitata. L’arretratezza e le resistenze della Russia tradizionale obbligarono infatti la monarchia a promuovere quell’organizzazione per ceti che era messa in crisi, invece, nel resto d’Europa.
4_9 LE RIFORME IN ITALIA In Italia l’attività riformatrice fu sostanzialmente limitata al Regno di Napoli, alla Lombardia e alla Toscana. Nel Regno di Napoli l’azione riformatrice si limitò alla redazione di un catasto, ad interventi a favore degli scambi commerciali e a misure giurisdizionaliste. Nel Ducato di Milano, dominio austriaco, vennero realizzate le stesse riforme che erano state avviate
negli altri territori dell’Impero (soprattutto il catasto). In Toscana, salvo che per il catasto, si sperimentarono sotto Pietro Leopoldo (figlio di Maria Teresa d’Austria) tutti gli interventi più tipici dell’assolutismo illuminato; la Toscana fu anzi il primo paese ad accogliere i princìpi di Beccaria, con l’abolizione di tortura e pena di morte, e il primo paese dell’Europa continentale a tentare di realizzare i princìpi del contrattualismo; ma il progetto costituzionale di Leopoldo II fallì sotto le pressioni di Vienna. In campo economico fu avviata una politica liberista e si cercò, anche questa volta senza successo, di favorire un ceto di piccoli proprietari contadini.
SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Completa il seguente testo sull’Illuminismo, inserendo l’affermazione opportuna fra le due presenti in parentesi.
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L’Illuminismo fu una corrente intellettuale, politica e culturale che nacque in ........................................... (Francia/Inghilterra) negli anni ’30 del ......................... (‘600/’700) e si diffuse in tutta Europa. Il termine Illuminismo faceva riferimento ai ........................................... (lumi della Ragione/lumi della Religione) che rischiarano le tenebre dell’ignoranza. Gli illuministi rivendicavano: l’uso libero della ragione; ............ .............................. (il principio di autorità/la critica delle istituzioni politiche e religiose); la fiducia nel progresso. Fu un movimento profondamente laico anche se ciò non portò necessariamente alla negazione della fede: prevalse piuttosto l’adesione ............................................ (al deismo/all’agnosticismo). La cultura illuminista alimentò la libera circolazione delle idee che coinvolse un pubblico sempre più vasto, in particolare ........................................... (aristocratico/borghese).
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
2 Completa la seguente tabella comparativa relativa alle riforme attuate in vari Stati europei da parte dei sovrani
illuminati. Inserisci, dunque, le espressioni di seguito, ma fai attenzione perché un termine va usato due volte. elementare ● sovrano ● cattolici ● ebrei ● aristocrazia militare obbligatoria ● pontefice ● Caterina II ● greco-ortodossa ● Giuseppe II ● il potere centrale ● catasto ● della tortura ● Federico II ● contemplativi ● motivazioni della sentenza Prussia
Austria
Russia
Italia
Nome del sovrano
.................................................. Maria Teresa e suo figlio ................ .................................................. Numerosi furono i sovrani perché ............................................... tanti erano gli Stati.
Riforme effettuate
• Riorganizzazione del sistema giudiziario (promulgazione del Codice civile). • Istruzione .................. obbligatoria. • Tolleranza religiosa (nei confronti dei .................. e degli ..................). • Trasformazione della nobiltà feudale (Junker) in ..................
• Creazione di un apparato statale. • Unificazione, nelle mani del .................., dei poteri sul clero nazionale, sottraendoli al .................. o ai suoi rappresentanti. Furono soppressi i conventi e gli ordini .................. Fu concessa tolleranza, libertà di culto e diritti civili agli ........... .................. • Fu scritto un nuovo Codice penale che eliminò la tortura e ridusse i casi puniti con la pena di morte. Fu introdotto il matrimonio civile, la libertà di stampa, l’istruzione elementare obbligatoria; fu abolita la servitù della gleba.
• Furono requisiti i beni alla Chiesa ..................; furono compiute diverse iniziative a sostegno dello sviluppo economico (per esempio l’abolizione dei vincoli alle attività commerciali e manifatturiere). • Fu compiuta una riforma amministrativa e provinciale con l’obiettivo di rafforzare ..................
• Introduzione di un .................. come strumento fiscale per stabilire la tassazione. • Rinnovamento dell’amministrazione statale. • Abolizione dei diritti feudali. • Abolizione della pena di morte e .................. • Fu riconosciuto all’imputato il diritto alla difesa e furono rese obbligatorie le ..................
3 Indica le affermazioni vere e correggi quelle errate.
a. La stagione dell’assolutismo illuminato caratterizzò oltre un secolo di vita politica europea. ................................................................................................................................................................................. b. I principali interpreti dei programmi di riforma furono gli esponenti del clero e della nobiltà. ................................................................................................................................................................................. c. Il settore economico maggiormente interessato dalle riforme “illuminate” fu quello agricolo. ................................................................................................................................................................................. d. I provvedimenti dei sovrani volti a ridurre i vincoli terrieri incontrarono l’opposizione dei contadini. ................................................................................................................................................................................. e. Le riforme amministrative erano finalizzate a ridurre il particolarismo e l’incertezza normativa. ................................................................................................................................................................................. f. Le ribellioni autonomistiche nell’Impero asburgico furono alla base delle riforme di Giuseppe II. ................................................................................................................................................................................. g. La politica di potenza praticata dalla Prussia incontrò l’opposizione degli intellettuali europei. ................................................................................................................................................................................. h. In Russia l’organizzazione cetuale della società fu favorita dalla politica riformatrice di Caterina II. ................................................................................................................................................................................. i. In Italia gli unici Stati interessati al fenomeno riformatore furono quelli legati al Regno d’Asburgo. ................................................................................................................................................................................. l. In Lombardia la redazione di un catasto servì a rendere più esteso ed efficace il prelievo fiscale. .................................................................................................................................................................................
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4 Completa la tabella inserendo le lettere corrispondenti alle informazioni in elenco.
a. nobile di toga; b. il Discorso sulle scienze e le arti (1750), il Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza fra gli uomini (pubblicato nel 1755), Il contratto sociale (1762), l’Emilio (1762); c. Lettere persiane (1721), Lo spirito delle leggi; d. membro del Parlamento di Bordeaux; e. Trattato sulla tolleranza (1763), Dizionario filosofico (1764); f. figlio di un notaio parigino, di estrazione borghese; g. Federico II di Prussia lo volle alla corte di Berlino; h. affermò l’importanza della separazione dei poteri – legislativo, esecutivo Montesquieu Voltaire Rousseau e giudiziario; i. elaborò una proposta di rifondazione della società e dell’uomo, ipotizzò un patto sociale Origini sociali e familiari in vista del bene comune; l. divulgatore della filosofia inglese e del deismo, difensore della tolleranza, nemico dell’oscurantismo e dei privilegi, teorizzò una Opere famose ancora oggi monarchia assoluta illuminata dall’opera dei filosofi; m. figlio di un orologiaio; n. criticava radicalmente la società e le istituzioni, guardando alla storia come Incarichi di tipo politico progressiva decadenza e corruzione rispetto a uno stato originario in cui gli uomini erano innocenti e uguali. Concetti lasciati in eredità alla cultura europea
COMPETENZE IN AZIONE 5 Sul tuo quaderno di storia scrivi un testo informativo/argomentativo (max 3 colonne di foglio protocollo) dal titolo
Illuminismo e cambiamento. A tal fine seleziona le immagini che ritieni più significative presenti nell’intero capitolo e utilizza la scaletta che ti viene fornita.
● Significato del termine “Illuminismo” ● Capisaldi del pensiero illuminista ● Montesquieu, Voltaire, Rousseau e la loro idea di Stato ● Il deismo e il nuovo rapporto con le Chiese ● Le riforme amministrative e giuridiche ● I sovrani illuminati 6 Illustra in brevi testi (max 5 righe ciascuno) gli argomenti riportati di seguito riguardanti l’economia politica del XVIII
secolo.
a. Il programma di riforme elaborato dai fisiocratici francesi e l’abolizione dei dazi doganali. b. L’analisi economica di Adam Smith e quella fisiocratica. Analogie e differenze. c. I gruppi sociali nell’analisi economica di Ricardo. d. Bentham, l’utilitarismo e l’azione politica.
COMPITI DI REALTÀ 7 Realizza un approfondimento per una casa editrice da poter inserire nei materiali online. Tema storico da affrontare: L’Illuminismo e le sue innovazioni.
Contesto di lavoro
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Lavori per una casa editrice specializzata in testi scolastici per le scuole superiori. I tuoi dirigenti hanno deciso di rinnovare il materiale online proponendo approfondimenti multimediali basati sulle fonti iconografiche e il racconto storico ad esse collegato.
U1 L’Europa del ’700: società, poteri, cultura
Cosa devi fare
Con il tuo gruppo avete il compito di preparare un approfondimento costruito a partire dalle fonti iconografiche sull’Illuminismo e le sue innovazioni. Per realizzare questo compito dovete: ● individuare le fonti iconografiche inerenti al tema affrontato presenti sul manuale (nel capitolo o nei Fare Storia). ● dividere le fonti in relazione ai sottotemi da affrontare (es.: Le innovazioni nella filosofia politica; i philosophes; i sovrani illuminati; gli strumenti di diffusione della cultura, ecc.). ● ricercare online nuove fonti in modo da avere a disposizione almeno tre immagini per ogni sottotema. Potete utilizzare solo siti che risultino affidabili (validati da ricercatori o professori universitari, da gruppi di ricerca storica o che lavorano nel mondo della scuola, da case editrici, ecc.). ● realizzare per ogni fonte una scheda con le informazioni tecniche principali (autore, anno, luogo di realizzazione) e quelle che è possibile ricavare in relazione al tema in esame. ● selezionare dal manuale una carta geostorica su cui poter indicare i luoghi di provenienza delle fonti iconografiche o i luoghi in cui si svolsero gli eventi in esse rappresentati. ● realizzare a partire dalla carta geostorica uno storyboard procedendo nel seguente modo: 1. numerate le fonti; 2. evidenziate sulla carta le città o aree geografiche da cui far partire i link di approfondimento; 3. scrivete sulle aree evidenziate il numero delle fonti a cui rimandare; 4. realizzate delle finestre pop up da aprire per ogni fonte con le informazioni tecniche e una didascalia a commento di circa 3 righe in cui argomentare il collegamento tra la fonte e i sottotemi individuati. realizzare dei testi (circa 10-15 righe) per ogni sottotema in cui inserire i rimandi al numero delle fonti di riferimento. Ricordatevi di inserire, all’inter● no dei testi, la descrizione dei particolari rilevanti delle fonti: per es. «infatti, come si nota in questa immagine, i Coffee-House divennero luoghi di ritrovo in cui si leggeva e si conversava».
Presentazione del lavoro svolto
Il lavoro di ogni gruppo sarà presentato davanti ai capi della Redazione scolastica e dovrà prevedere: una relazione introduttiva del lavoro svolto da esporre oralmente (durata massima: 5 minuti) più la descrizione del percorso attraverso slide.
Tempo a disposizione
mezz’ora per individuare sul manuale le fonti da utilizzare; 2 ore per cercare in Rete le immagini e le relative informazioni e confrontare i risultati ottenuti su diverse pagine web; 5 ore per la realizzazione del prodotto multimediale; 1 ora per impostare e provare la relazione. P.S. Il percorso può essere realizzato in più lingue coinvolgendo i docenti di lingue straniere.
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FARESTORIA AGRICOLTURA, INDUSTRIA E NUOVI CONSUMI Strutture tradizionali e fattori di trasformazione si accompagnano e si scontrano nell’evoluzione della società d’ancien régime, dando luogo a cambiamenti importanti sia nel funzionamento dei sistemi produttivi, sia nella diffusione di un nuovo atteggiamento verso i consumi. Emmanuel Le Roy Ladurie [►1] ricostruisce le cause e le conseguenze della carestia che colpì la Francia fra il 1693 e il 1694, mettendo in luce la dipendenza dell’agricoltura dai fattori climatici. Raffaella Sarti [►2], invece, analizza la diffusione delle nuove colture (riso, mais, patata, pomodori), che, nonostante alcune difficoltà iniziali, contribuirono a migliorare le condizioni alimentari della popolazione europea e a modificare il paesaggio agrario del continente. Il caso inglese, analizzato da Salvatore Ciriacono [►3], presenta alcune peculiarità, con il processo di privatizzazione della terra – attraverso le recinzioni (enclosures) – e l’introduzione di alcune innovazioni tecniche, che contribuirono a gettare le basi per una nuova e più moderna agricoltura. Paolo Malanima [►4], invece, ci illustra il funzionamento delle industrie a domicilio, diffuse nelle campagne ma anche nelle città europee, analizzando le fasi della produzione tessile e le figure che ad essa prendevano parte. Era un sistema produttivo legato all’artigianato, che sviluppava però dei caratteri propri e innovativi. Dalla metà del XVII secolo, inoltre, si affermò un radicale cambiamento nei comportamenti di consumo, che lo storico economico Jan de Vries [►5] ha definito «rivoluzione industriosa»: nel secolo che precedette la rivoluzione industriale, infatti, molte famiglie dei paesi più sviluppati furono coinvolte negli scambi di mercato, come produttrici di beni commerciabili o come soggetti che incrementavano l’offerta di lavoro. L’aumento del reddito disponibile provocò, così, una crescente domanda di nuovi beni di consumo, come mette in luce il brano di Gian Paolo Romagnani [►6].
1 E. LE ROY LADURIE CATTIVI RACCOLTI E CARESTIE
E. Le Roy Ladurie, L’Ancien Régime, vol. 1, Il trionfo dell’assolutismo: da Luigi XIII a Luigi XIV (1610-1715) [1991], il Mulino, Bologna 2000, pp. 277-81.
Lo storico francese Emmanuel Le Roy Ladurie (nato nel 1929), a lungo professore presso il prestigioso Collège de France e fra i maggiori esponenti della scuola delle «Annales», ha dedicato numerosi studi al mondo rurale e alla società francese
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Gli anni 1687-1701 furono caratterizzati da un clima fresco e umido [...]. Ma il grano, ai tempi della sua origine storica, anzi preistorica, abitava i paesi caldi e secchi: esso non ama né il gelo né la troppa pioggia. In tali condizioni, nel decennio in cui il clima si era molto rinfrescato sorsero varie crisi di sussistenza piuttosto gravi, che produssero naturalmente uno dei più gravi rincari dei viveri del XVII secolo. Il mancato raccolto del 1693 fu seguito da una carestia apocalittica di tipo quasi medievale. In Francia e nelle nazioni confinanti del continente, e in Scozia, essa
in età moderna. Nei due volumi dedicati all’Ancien Régime, traccia un vasto affresco della Francia, analizzando l’evoluzione della monarchia, l’articolazione dell’apparato statale, ma anche i mutamenti profondi a livello demografico, economico e sociale. Nel brano proposto ricostruisce la genesi e le conseguenze della carestia del 1693, offrendoci un quadro molto chiaro dei meccanismi che regolavano la produzione agricola nell’età moderna.
fu gravissima; invece in Inghilterra i problemi furono minori perché l’agricoltura insulare aveva già raggiunto livelli superiori di produttività grazie al rinnovamento tecnologico e alla quantità e ricchezza del fertilizzante fornito dall’allevamento del bestiame. Il commercio marittimo dei cereali, assai sviluppato, permise d’altra parte di compensare con gli apporti delle campagne adiacenti al Mar Baltico le temporanee carenze prodotte da qualche annata di cattivo raccolto dalle parti di Londra o di Bristol. In Francia alla base della carestia del 1693-
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1694 troviamo un insieme di fattori strutturali, evenemenziali1 e climatici. Gli anni 1680, caldi e secchi nelle stagioni in cui cresce il grano, avevano prodotto splendidi raccolti sia nella Francia del Nord sia in Inghilterra. Sotto il peso di questa offerta sovrabbondante, il prezzo del grano era oscillato verso il basso, ma non a lungo. A partire dal 1687 giunsero le insidiose stagioni fredde segnalate dalle vendemmie tardive dell’ultimo decennio del secolo,
1. Qui nel senso di avvenimenti occasionali.
che caratterizzarono quella che con una certa forzatura è stata definita «la piccola glaciazione» del XVII secolo. Questa fase di raffreddamento fu particolarmente nociva per i raccolti delle valli alpine. Là i cereali che già erano attestati al massimo di altitudine possibile del loro habitat stentarono a resistere ai rigori del clima di montagna che anche in anni normali era già al «limite» della loro sopravvivenza. Nelle Alpi le primavere e le estati furono fredde e spesso umide e putride negli anni 1687-1692. Gli effetti sui raccolti locali di questa fluttuazione negativa delle temperature e positiva delle piogge furono pessimi. «A partire dal 1690, scrive un funzionario savoiardo nel 1693, la maggior parte delle popolazioni delle alte valli alpine, si sono nutrite di pane fatto di gusci di noce macinati con un po’ di farina d’orzo o d’avena...». L’anno 1692, freddo e umido, si distinse particolarmente per la cattiva primavera e la cattiva estate: i raccolti furono incredibilmente tardivi, nella Svizzera romanda2 addirittura si svolsero fra il 9 e il 12 novembre! Le estati umide e fredde erano sfavorevoli alle coltivazioni che garantivano la sopravvivenza o i modesti guadagni del popolo minuto: castagne, grano saraceno, vino. «Tutte le castagne sono perse e anche la maggior parte del grano saraceno [...] Le viti hanno sofferto molto e ci sarà ben poco vino [...]; in mancanza di grano saraceno e frumentone3, la gente rischia di trovarsi alla fame già a Quaresima». Analoghe osservazioni pessimistiche furono rilevate nell’Île-deFrance, in Anjou, nella Normandia, nel Poitou, nel Béarn4. Con il procedere dell’autunno del 1692, gelido come l’estate che l’aveva precedu-
to, crebbe l’angoscia dinanzi al delinearsi della crisi delle sussistenze. [...] E infatti la fame si presenterà l’anno seguente: il 1692 fu davvero un anno terribile o almeno l’origine di due anni terribili. Con il freddo, la pioggia e i raccolti tardivi, compromise la mietitura dell’anno in corso (dell’agosto 1692) e di conseguenza il raccolto del 1693 e il pane quotidiano del 1694... Un missile a tre stadi, insomma. L’anno 1693, un po’ meno freddo del precedente, ebbe però una primavera gelida e una diffusa carie5 del grano. I cereali ricevettero il «colpo di grazia». Il raccolto del 1693 coincise con la propagazione di una vera e propria carestia come non se ne era vista dopo il 1661. [...] Nel complesso, non è escluso che circa un decimo dei sudditi di Luigi XIV sia passato da vita a morte nei due anni dal 1692 al 1693 per fame e soprattutto a causa delle epidemie diffusesi proprio «approfittando» della carestia. Tenendo conto anche di un deficit non recuperato di nascite, ciò potrebbe significare crollo demografico di due milioni di anime al minimo, paragonabile a una catastrofe che, oggi, provocasse una diminuzione della popolazione francese di cinque milioni di persone... Se accettiamo queste cifre dobbiamo anche riconoscere che, finita la carestia, il recupero demografico manifestò il solito vigore. All’unisono, le vedove si risposarono, le donne sopravvissute, spose d’antica o di recente data, ricominciarono a mettere al mondo figli. Le perdite furono compensate ma l’allarme era stato durissimo. Aumentò moltissimo la popolazione errante, mendicanti e disoccupati, perché i potenziali datori di lavoro, impoveriti, non
2 R. SARTI LE NUOVE COLTURE
R. Sarti, Vita di casa. Abitare, mangiare, vestire nell’Europa moderna, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 209-13.
Alla fine del XVIII secolo la geografia dei prodotti alimentari vegetali diffusi in Europa risultava profondamente trasformata rispetto a quella di due-tre secoli prima. La storica Raffaella SarIn parte, la dipendenza dalla produzione cerealicola fu contrastata attraverso il commercio locale e internazionale dei grani. L’esportazione aumentò da paesi e zone quali la Germania orientale, la Polonia, la Livonia1, l’Estonia, la Scania2, la Moscovia, la Boemia e l’Ungheria «grazie» al sempre più pesante asservimento
assumevano più. Si dava a questa situazione la definizione di «impotenza dei singoli». I poveri nei giorni più duri si trovarono ridotti a mangiare torsoli di cavolo e «pane di radici di felci» che certo non contribuivano a ristabilire la salute dei molti infermi. La sorte dei civili era ulteriormente complicata dalla necessità di alloggiare i soldati e dalle requisizioni di grano per l’esercito. I cereali disponibili erano stati ammassati nelle province ma anche le parrocchie ne avevano raccolto degli stocks danneggiando le comunità vicine. Nelle regioni interne il prezzo del frumento era triplicato addirittura [...] Nascevano così sommosse impotenti a combattere il disastro provocato dalle stagioni cattive e dalle manovre degli accaparratori. 2. È la parte francofona della Svizzera, quella che comprende Ginevra. 3. Granturco, mais. 4. L’Île-de-France è la regione al nord della Francia, in cui si trova Parigi; l’Anjou e il Poitou si trovano nella zona nord-occidentale della Francia, mentre il Béarn è una provincia sudoccidentale. 5. Malattia derivata dalla diffusione di un fungo che colpisce i chicchi di grano. È favorita proprio dagli alti tassi di umidità. METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi la descrizione e le conseguenze degli eventi del 1693 nei differenti paesi europei. Scrivi a margine del testo il nome del paese di cui sottolinei gli eventi. b Cerchia le parole chiave che riguardano gli eventi che seguirono la fine della carestia e argomenta le tue scelte. c Spiega il significato dell’espressione «impotenza dei singoli» nel contesto descritto.
ti (nata nel 1963) ricostruisce l’introduzione di alcune colture, come quelle del riso, del mais, delle patate, già note in Europa dal ’500, ma che si diffusero con più slancio nel ’700. I nuovi prodotti agricoli contribuirono – assieme al miglioramento del commercio internazionale – a modificare la dieta degli europei e ad aiutarli nella lotta contro carestie e fame.
dei contadini, costretti a produrre grano e a mangiare cereali come orzo o avena. Ma dalla fine del Seicento aumentò anche quella dall’Impero turco, dalla Sicilia, dagli stati barbareschi e, dal XVII secolo, quella dall’Inghilterra e dalle sue colonie d’America. Fu solo nel Settecento, tuttavia, che si cominciò a risolvere tutta una serie
di problemi legati al trasporto dei grani su lunga distanza e il commercio poté raggiungere livelli un tempo impensati.
1. Regione baltica che si estende intorno al Golfo di Riga; ora parte della Lettonia. 2. Provincia della Svezia.
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FARESTORIA Agricoltura, industria E NUOVI CONSUMI
Ma l’intensificazione del commercio non fu certo l’unica arma impiegata nella lotta alla fame. In parte, la dipendenza fu infatti combattuta grazie all’introduzione e/o allo sviluppo della coltivazione di piante alimentari del tutto nuove o semplicemente prima meno sfruttate. È il caso del riso, originario dell’Asia meridionale, conosciuto grazie agli arabi in Spagna, da dove nel Cinquecento si sarebbe diffuso nei Paesi Bassi, in Lombardia venne coltivato con moderne tecniche capitalistiche fin dal Quattrocento. È il caso del grano saraceno, non panificabile ma adatto anche a terreni molto poveri e/o di montagna. Noto da tempo, in Europa occidentale fu messo a coltura su scala meno marginale solo a partire dal Cinquecento, in particolare nei Paesi Bassi, in Germania, in Francia e in Italia settentrionale. Ed è infine il caso delle piante venute dall’America: peperoni e peperoncini si inserirono abbastanza rapidamente nella dieta della Penisola iberica, e poi in Italia meridionale, nei paesi slavi meridionali e in Ungheria, divenendo un economico sostituto dell’agognato pepe. I pomodori, pur conosciuti in Italia, in Spagna, in Provenza e in Linguadoca già nel XVI-XVII secolo, si diffusero invece nel resto d’Europa solo dalla fine del Settecento. Come i tacchini si inserirono senza difficoltà tra il pollame europeo, così i fagioli affiancarono senza problemi i legumi tradizionalmente noti in Europa, cioè ceci, lenticchie, piselli, fave. [...] Come nel caso delle altre colture «nuove», anche in quello del mais, nel Seicento le tendenze espansive risultarono un po’ contenute: ripresero, e questa volta con un ritmo e una portata molto superiori, nel XVIII secolo. Allora furono spesso gli stessi proprietari terrieri a incoraggiare la fuoriuscita dalla clandestinità ostica di una
coltura dall’alto rendimento e a favorire il processo di sostituzione dei cereali inferiori tradizionali con il mais. [...] Nei Balcani, per esempio, il mais cominciò a venir coltivato nei campi dopo la crisi del 1740-41, prima affiancandolo e poi sostituendo l’orzo e il miglio con cui tradizionalmente si preparavano gallette e farinate. Lo stesso avvenne in varie zone dell’Italia settentrionale, dove la polenta di granturco finì per divenire l’elemento centrale dell’alimentazione dei contadini. «Polenta ed furmenton e acqua ed fos», polenta di frumentone e acqua di fosso: questa la loro dieta, avrebbero denunciato in un canto i contadini di Galeata, in Romagna. [...] Ma le conseguenze di un’alimentazione tanto monotona non erano solo noia e frustrazione del palato. Dall’imporsi della dieta maidica3 derivarono infatti gravi conseguenze per la salute dei contadini, a causa delle carenze nell’apporto di vitamina PP, responsabile della pellagra: una malattia il cui decorso provoca ferite purulente, follia e morte. Segnalata per la prima volta nelle Asturie nel 1730, essa flagellò a lungo la popolazione della Francia meridionale, della Pianura Padana, dei Balcani. Assimilabile ai cereali conosciuti, e in particolare al miglio, con cui da sempre si preparavano polente e altri cibi, il mais suscitò forse in misura minore, rispetto alla patata, atteggiamenti di rifiuto e chiusura. Pur coltivata all’inizio in orti e giardini come pianta esotica e di lusso, venne a lungo guardata con sospetto, forse anche per il parziale persistere di quella gerarchia dei valori alimentari che tendeva ad associare alla sfera dell’animalità ciò che cresceva sottoterra. [...] Fu solo sotto la spinta del bisogno, in particolare durante la carestia del 1770-72, che si ampliarono le coltivazioni del tubero dai molti vantaggi: permetteva di avere il raccolto quasi assicurato anche
3 S. CIRIACONO IL CASO INGLESE
S. Ciriacono, La Rivoluzione industriale. Dalla protoindustrializzazione alla produzione flessibile, Bruno Mondadori, Milano 2000, pp. 5-15.
Lo storico dell’età moderna Salvatore Ciriacono (nato nel 1945), nel suo studio dedicato alla rivoluzione industriale, analizza i presupposti dello sviluppo industriale dell’Inghilter-
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Quel che caratterizzò sia l’Inghilterra sia il resto d’Europa nel corso del Settecento favorendoli sulla via dell’industrializzazione,
3. Basata sul mais. METODO DI STUDIO
a Cerchia i nomi delle «nuove» colture e sottolineane le caratteristiche principali (luogo di provenienza e di reintroduzione, cause della “nuova” introduzione e funzione). b Evidenzia le conseguenze legate a una alimentazione basata sul mais. c Spiega per iscritto in cosa consiste la dipendenza dalla produzione cerealicola, quali ne furono le conseguenze e in che modo fu contrastata.
ra, soffermandosi sulle trasformazioni avvenute nell’agricoltura. Sull’incisività delle recinzioni (le enclosures) sotto il profilo economico e agronomico non abbiamo, in realtà, dati così sicuri, ma è certo che questo fenomeno contribuì a trasformare i rapporti sociali nelle campagne. Oltre alle recinzioni vanno analizzate le trasformazioni tecnologiche e agronomiche, che resero il panorama agricolo inglese più dinamico.
fu una situazione nuova rispetto al blocco che si era manifestato sin dalla fine del Cinquecento e che era perdurato durante
U1 L’EUROPA DEL ’700: SOCIETÀ, POTERI, CULTURA
in campi occupati per mesi da un esercito; aveva una resa più o meno doppia rispetto al grano; in alcune zone non era sottoposto alla decima. Alla luce del ruolo della fame nell’espansione della coltivazione delle patate, non stupisce allora che esse, importate in Inghilterra, pare, nel 1588, non si diffondano sul suolo inglese ma nella più povera Irlanda. Nel XVIII secolo sono ormai l’alimento principale della popolazione: si è calcolato che la dieta quotidiana di un uomo adulto fosse costituita da 5 kg di patate e una pinta di latte, oltre ad un po’ d’avena e di piselli. [...] Ma anche i conflitti favoriscono la diffusione delle patate. Nell’Alsazia tormentata dalla guerra si coltivano patate a partire dal 1660. Vent’anni dopo sono attestate in Lorena, dove nell’arco di un secolo diventano un elemento cardine della dieta contadina. Hanno un certo successo anche in Svizzera, Svezia, nelle Fiandre, dove la loro diffusione è «incoraggiata» dalla guerra della Lega di Augusta (1688-97), dalla guerra di successione spagnola (1701-14) e da quella di successione austriaca (1740-48), che coincide con la carestia del 1740. In Germania, già all’inizio del Seicento la patata è coltivata negli orti, ma si diffonde soprattutto «grazie» alla guerra dei sette anni (1756-63), alla carestia del 1770-72 e alla guerra di successione bavarese (1778-79).
quella che è stata definita «la stagnazione» (se non crisi) del XVII secolo. [...] A ben vedere la produzione agricola lorda che si
registrava nell’Europa degli inizi del XVIII secolo non superava di molto i livelli che si erano raggiunti nel XIV secolo, vale a dire prima della Grande peste del 1348. All’interno di questo periodo si verificarono delle cadute e delle riprese, delle fluttuazioni anche violente nei prezzi e nell’offerta, ma sostanzialmente il quadro europeo rimase contrassegnato da una sostanziale staticità, dettata a sua volta da un lato dalla stagnazione delle tecniche agricole, dall’altro dal rapporto che era venuto a stabilirsi tra domanda e offerta di derrate alimentari da parte della popolazione. [...] L’Inghilterra sembrava destinata a conoscere mutamenti ben più radicali. In questo ambito le recinzioni sono state indicate come il fattore chiave di questa evoluzione positiva, sebbene si tenda ora da un lato a non enfatizzarne troppo l’incidenza, dall’altro a guardare ad altri aspetti che non furono meno importanti. Già la stessa Phyllis Deane1 aveva annotato nel 1971 come le enclosures per quanto avessero rappresentato una condizione necessaria del progresso in agricoltura, non per questo avevano rappresentato di per sé una condizione sufficiente. In effetti, esse sicuramente andarono di pari passo con miglioramenti colturali e processi di trasformazione gestiti dai proprietari agricoli oltre che regolati dall’attività legislativa. Né è un caso, ai fini della comprensione del fenomeno industriale, annotare come le recinzioni per iniziativa privata fossero iniziate già durante il periodo dei Tudor, mentre a partire dalla metà del XVIII secolo sarebbe stato il parlamento a promuovere e a regolare il fenomeno con chiarezza di intenti e soprattutto in favore della proprietà. È stato calcolato che prima del 1760 il numero di leggi relative ai campi aperti (cioè le leggi riguardanti soprattutto i terreni arabili e i prati) non superava 130. Tra il 1760 e il 1815 tale numero salì fino a 1800. Tuttavia anche i costi legali da sostenere erano elevati, tanto che i piccoli proprietari si trovarono in difficoltà nell’effettuare gli investimenti necessari all’acquisto di
strumenti e macchine agricole. In effetti, si è messo in evidenza come nella seconda metà del XVIII secolo lo standard dei consumi alimentari dei contadini poveri peggiorasse, in quanto le recinzioni avevano sottratto loro la disponibilità di terre utili al loro sostentamento. È superfluo quindi concludere che da queste classi sociali potesse derivare l’impulso alle innovazioni agronomiche, le quali apparvero d’altro canto innegabili nel caso inglese. Infatti, per quanto con accentuazioni diverse, si è guardato alle classi dei proprietari agricoli, la gentry, gli yeomen e gli stessi landlords2, come agli innovatori più efficaci nell’ambito delle strutture agricole britanniche. Ma quale impatto reale ebbero le recinzioni nell’incrementare la produttività agricola e quale fu il loro reale sviluppo? Sebbene meno esaltate rispetto a una storiografia più tradizionale, la loro avanzata in termini di superficie agricola risultò di grande significato. Dopo un’impetuosa espansione settecentesca, intorno al 1820 rimaneva solo una mezza dozzina di contee in cui si concentrava, in base alle leggi del parlamento, poco più del 3% della superficie da recintare. Tuttavia, questo processo di privatizzazione portò inevitabilmente a un incremento della produttività agricola? [...] Studi più analitici, come quelli compiuti sulle Midlands3 meridionali, hanno indicato un incremento delle aziende, e una loro buona tenuta economica, sia nell’ambito dei campi aperti che in quello delle terre recintate. Ancora, ricerche sulle diverse regioni inglesi hanno sortito dei risultati così differenziati che sembra difficile tratteggiare un quadro nazionale uniforme e sempre roseo. In effetti, i progressi realizzati all’interno di singole proprietà non possono essere proiettati sull’intera situazione nazionale, mancando stime sicure sulla produzione aggregata. [...] D’altro canto è indubbio che la produttività del lavoratore agricolo era già alta alla fine del XVIII secolo, aumentando ulteriormente nel corso del XIX secolo in rapporto agli altri paesi europei. [...]
4 P. MALANIMA IL FUNZIONAMENTO DELL’INDUSTRIA A DOMICILIO
P. Malanima, Economia preindustriale. Mille anni: dal IX al XVIII secolo [1995], Bruno Mondadori, Milano 1997, pp. 273-80.
Lo storico economico Paolo Malanima (nato nel 1950) ha studiato lungamente le strutture agrarie, l’industria, la circolazione dei beni e della domanda, le fonti e l’approvvigio-
Il fatto è che se guardiamo a un altro aspetto, certo non meno rilevante, come quello concernente le tecniche e le colture agricole sviluppate nell’Inghilterra della Rivoluzione industriale, quel che ci sembra innegabile è che tali innovazioni (come la rapa e le sarchiate4 nel quadro delle rotazioni agricole; il diffondersi del prato irriguo; l’incremento dell’allevamento; l’innalzamento delle rese agricole; l’utilizzazione dei fertilizzanti, tutto ciò che viene ricondotto al concetto di «rivoluzione agricola», corretto o meno che sia questo concetto) si realizzasse in un contesto socio-istituzionale molto più favorevole. E tutto questo avveniva mentre in altri paesi europei, non ultima l’Italia settentrionale, tali innovazioni trovavano una scarsa applicazione. La riprova è data dalla circostanza che molti paesi europei dalla fine del Settecento cominciarono a guardare all’agronomia inglese come a un modello, se non da imitare pedissequamente, almeno con il quale confrontarsi. 1. Storica britannica dell’economia e del pensiero economico (1918-2012). 2. Gentry: piccola nobiltà inglese, composta da proprietari terrieri, che detenevano anche le cariche governative nelle contee; yeomen: uomini liberi, non nobili, che ricoprivano uffici pubblici o possedevano terreni; landlords: proprietari terrieri. 3. Regione dell’Inghilterra centrale. 4. Le piante da foraggio.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi gli elementi che precedettero e quelli che favorirono l’avviamento all’industrializzazione in Europa. b Evidenzia la tesi di Phyllis Deane e sottolinea gli elementi portati a sostegno di questa teoria. c Cerchia i nomi delle classi definite come le più innovatrici nell’ambito delle strutture agricole britanniche. d Spiega per iscritto quale fu effettivamente il ruolo delle recinzioni nella produttività agricola riferendoti agli esempi e agli argomenti a supporto della conclusione sostenuta dall’autore.
namento energetico durante l’età medievale e moderna. Nel brano presentato ricostruisce il funzionamento dell’industria a domicilio, che distingue da quella domestica (quest’ultima intesa come l’attività svolta dai membri della famiglia per produrre beni destinati a loro stessi), seguendo passo passo le attività della produzione laniera. In modo sostanzialmente simile funzionavano anche le industrie a domicilio rurali.
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FARESTORIA Agricoltura, industria E NUOVI CONSUMI
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Del sistema dell’artigianato fanno parte anche forme di organizzazione più complesse. In queste la combinazione nella stessa persona delle funzioni di lavoratore, imprenditore e mercante si viene sgretolando. Una prima modifica di rilievo si ha quando la funzione mercantile si separa da quella lavorativa e imprenditoriale dell’artigiano. In questo caso il piccolo produttore non lavora più solamente per una clientela locale che gli commissiona certi prodotti, come accade nella maggioranza dei mestieri. La sua produzione, invece, viene venduta interamente, o per la maggior parte, a uno o più mercanti. Questi ne curano poi la vendita in località di solito lontane, anche molto lontane. Solo la fase produttiva rimane sotto il controllo dell’artigiano. Questo sistema [...] è frequente soprattutto nel settore tessile. È questo il caso del piccolo produttore di campagna o di città che acquista la materia prima (lana, lino, canapa) sul mercato o dai vicini. Talora egli la riceve dal mercante che poi curerà la vendita del tessuto. Poi lavora i materiali nella propria casa con l’aiuto della moglie e dei figli, che cardano e filano, e magari con un apprendista e uno o due lavoranti che lo assistono nella fase della tessitura. Nel caso della lana, a questo punto il tessuto viene portato in una gualchiera1 vicina per follarlo (e il lanaiolo indipendente retribuisce il gualchieraio per il suo lavoro), e magari anche in una tintoria per tingerlo. Una volta pronto, il tessuto passa dalle mani del piccolo produttore a quelle del mercante. Questo sistema di produzione era assai diffuso nell’industria laniera dello Yorkshire nel Sei e Settecento. Un passo ulteriore verso una mutazione interna dell’artigianato è quello che si verifica con il sistema dell’industria a domicilio. Essa viene denominata anche industria decentrata, o industria disseminata. Siamo ancora all’interno dell’artigianato. La produzione si svolge nella quasi totalità dei casi in piccoli laboratori familiari e non in grandi officine; l’artigiano possiede quasi sempre gli strumenti con cui svolge la sua attività; tutti gli operatori, dal più piccolo apprendista o lavorante al più potente mercante-imprenditore, sono, o dovrebbero essere, iscritti alle corporazioni. Eppure, nonostante tutto ciò, non si può dare torto a chi in questo sistema ha visto non una variante dell’artigianato ma una forma di transizione con caratteri propri, diversi da quelli dell’artigianato. [...] In confronto all’artigianato semplice, nel
sistema dell’industria a domicilio la separazione delle funzioni e la divisione del lavoro sono più profonde. In questo caso non solo la funzione mercantile [...] si distacca dalle altre. La stessa cosa accade in parte anche per la funzione imprenditoriale. Vediamo un esempio. L’industria tessile, soprattutto quella della lana, fu una delle prime, forse la prima, ad assumere il carattere dell’industria a domicilio nel tardo Medioevo. Nei casi più evoluti la produzione laniera si articolava in cinque fasi fondamentali: la preparazione, la filatura, la tessitura, la rifinitura e la tintura. Ognuno dei lavoratori impegnati nella fabbricazione di un panno era in realtà un produttore parziale inserito in una lunga catena di operazioni successive che sfuggivano al suo controllo: più di venti, secondo alcuni calcoli. Il mercante, che in questo caso era anche imprenditore (mercante-imprenditore viene spesso chiamato), era qui l’anello di congiunzione di una catena assai lunga di attività coordinate. Esso non era più esterno all’attività produttiva [...] ma ne controllava e dirigeva lo svolgimento. La prima fase lavorativa aveva luogo all’interno della bottega del mercante-imprenditore: la bottega centrale, come anche è stata denominata. In questa officina-magazzino, quasi sempre in città, veniva tenuta la contabilità dell’azienda e venivano accumulate le balle di materia prima, i semilavorati e i prodotti finiti. Vi si svolgevano anche alcune operazioni iniziali. [...] Era con la fase successiva, quella della filatura, che cominciava realmente la produzione a domicilio. La materia prima abbandonava la bottega centrale e veniva trasportata da alcuni addetti, dipendenti dal lanaiolo, alle filatrici. [...] Spesso venivano reclutate in questa fase non solo donne di città, ma anche di campagna: talora a diversi chilometri di distanza dal centro produttivo. Sia nel caso della filatura che della tessitura ogni artigiano non dipendeva da una sola bottega di mercante-imprenditore, ma ora dall’una ora dall’altra, a seconda del lavoro: come per i lavoratori della bottega centrale. La lavorazione continuava a domicilio anche nella fase successiva, quella centrale in tutta l’industria laniera, la tessitura. [...] La fase lavorativa della rifinitura comprendeva tutta una serie di operazioni diverse che variavano da città a città e in parte anche da bottega a bottega, a seconda del tipo di tessuto che doveva essere fabbricato. [...]
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La fase della tintura poteva essere eseguita, in rapporto con le diverse qualità di tessuto, o sulla materia prima, o sui filati, oppure sul prodotto finito. Veniva compiuta anch’essa non nella forma del lavoro a domicilio vero e proprio, ma in quella di una sorta di manifattura accentrata. [...] Il ciclo produttivo si chiudeva con il ritorno del tessuto nella bottega del mercante-imprenditore. Come si vede, l’industria a domicilio era una sorta di rete formata da molteplici botteghe indipendenti; per lo più di piccole dimensioni e in qualche caso di maggiore ampiezza. Il mercante-imprenditore era il direttore di questa specie di fabbrica disseminata. [...] Il mercante-imprenditore poteva avere le origini più varie. Poteva essere, come spesso accadeva, un artigiano agiato che, con il crescere del suo successo commerciale, era riuscito a coordinare l’attività di altri artigiani e, infine, ad assoggettarli alle sue decisioni imprenditoriali. Poteva essere anche un piccolo commerciante che dapprima si era impadronito dei canali di approvvigionamento della materia prima e poi anche di quelli di vendita dei prodotti finiti finché gli artigiani si erano piegati alle sue decisioni. Poteva essere anche un piccolo proprietario terriero intraprendente che, grazie al rendimento dei suoi beni fondiari, era stato capace di disporre dei capitali per avviare qualche attività commerciale. [...] Di fronte al «lanaiolo» (il mercante-imprenditore nell’industria laniera) gli artigiani [dell’industria rurale domestica] si trovavano nella posizione di veri e propri lavoratori salariati. 1. Macchina per la follatura, cioè l’operazione attraverso cui il panno viene pestato per renderlo più sodo, composta da un dispositivo a martelli. METODO DI STUDIO
a Individua le forme di organizzazione artigianale descritte e identificale con un titoletto al lato del testo. Quindi cerchia le relative parole chiave e argomenta la tua scelta. b Realizza sul quaderno una tabella a doppia entrata i cui indicatori siano “Sistema artigianale” e “Sistema industriale” e compilala trascrivendo le relative caratteristiche. c Scrivi un testo sulle figure del mercante imprenditore e dell’artigiano in cui argomenterai la seguente affermazione: «Di fronte al “lanaiolo” (il mercante imprenditore nell’industria laniera) gli artigiani [dell’industria rurale domestica] si trovavano nella posizione di veri e propri lavoratori salariati».
5 J. DE VRIES LA RIVOLUZIONE INDUSTRIOSA
J. de Vries, The Industrial Revolution and the Industrious Revolution, «The Journal of Economic History», vol. 54, n. 2, 1994, pp. 249-70.
Lo storico economico olandese Jan de Vries (nato nel 1943) ha introdotto, a partire dagli anni ’90 del ’900, il concetto di «rivoluzione industriosa» per indicare un processo di ridistribuzione delle risorse produttive all’interno della famiglia, verificatosi a partire dalla metà del XVII secolo in Inghilterra, in Olanda, nella Germania settentrionale e nelle colonie briGli sforzi per calcolare i salari reali, tanto in Inghilterra quanto negli altri paesi occidentali, raramente hanno dato molte prove di un aumento del potere d’acquisto, e nel periodo cruciale della rivoluzione industriale, almeno fino al 1820, di solito essi ne hanno mostrato un deterioramento. Eppure, le prove che si sono accumulate dal mondo materiale, sulla base di studi degli inventari dei testamenti e delle misurazioni dirette dei consumi, hanno rivelato un mondo di beni in continua moltiplicazione, una cultura materiale molto varia e in espansione, che ha origini risalenti al XVII secolo e interessa una larga parte della società fino anche ai suoi strati più bassi. [...] La spiegazione dell’apparente contraddizione che da un lato vede la diminuzione del potere d’acquisto e dall’altro il contemporaneo aumento della diffusione dei beni materiali si deve cercare, ne sono convinto, anche nel comportamento dei nuclei familiari. [...] La domanda dei consumatori crebbe, nonostante le dinamiche contrarie dei salari reali, e furono ottenuti notevoli risultati produttivi in industria e in agricoltura nel secolo precedente alla rivoluzione industriale grazie alle riallocazioni1 delle risorse produttive delle famiglie. In Inghilterra, ma di fatto nella maggior parte dell’Europa nord-occidentale e dell’America coloniale, le famiglie di una larga parte di popolazione presero decisioni che aumentarono sia la disponibilità di beni diretti al mercato e forza lavoro sia la domanda di prodotti disponibili sul mercato. Questa combinazione di cambiamenti nel comportamento delle famiglie diede vita a una «rivoluzione industriosa». [...] Se accettiamo questi presupposti, allora i cambiamenti nei gusti (che influenzano principalmente la composizione delle merci desiderate) e i cambiamenti dal
tanniche dell’America del Nord. Questo processo portò al crescere della domanda di beni di consumo voluttuari, cioè accessori, non necessari. Nonostante il calo del potere d’acquisto dei salari individuali si assistette ad un aumento della domanda: le famiglie, infatti, lavoravano di più e in modo più efficiente, producendo più beni alimentari e più tessuti destinati al mercato, e chiedevano più beni e servizi provenienti dal mercato esterno. Si trattava non tanto di rivoluzioni dell’offerta, quanto di rivoluzioni della domanda e di un nuovo comportamento del consumatore.
lato dell’offerta che incidono sui prezzi relativi [...] determineranno congiuntamente la domanda di beni di mercato. E, all’interno dell’economia familiare, questa domanda definirà l’allocazione delle risorse produttive potenziali del nucleo familiare (soprattutto il tempo) tra, da un lato, la produzione domestica di Z2 e, dall’altro, la produzione che genera beni destinati al mercato e l’offerta di lavoro. [...] In questo contesto la rivoluzione industriosa [...] consisteva in due trasformazioni: la riduzione del tempo libero dovuta all’aumento dell’utilità marginale del reddito, e la riallocazione del lavoro dai beni e i servizi per l’autoconsumo ai beni diretti al mercato, cioè una nuova strategia per la massimizzazione3 degli utili familiari. Lo vediamo nelle famiglie contadine che concentravano la propria attività nella produzione alimentare diretta al mercato, nelle famiglie dei piccoli affittuari che indirizzavano la forza lavoro sottoccupata nella produzione protoindustriale, nel lavoro delle donne e dei bambini più estensivamente diretto al mercato, e, infine, nel ritmo o intensità del lavoro. [...] Ma la rivoluzione industriosa non è una cosa del tutto ammirevole. L’intensificazione del lavoro e la rimozione del tempo libero è stata associata all’(auto)-sfruttamento dei membri della famiglia – mogli e figli –, con l’abbandono di ciò che oggi chiamiamo la formazione del capitale umano (il tasso di alfabetizzazione rimase fermo nel XVIII secolo), e con un maggiore abuso di alcool nel tempo libero [...]. Infine, è possibile supporre che le nuove pressioni e possibilità alle quali l’economia familiare industriosa fu esposta resero il corteggiamento e il matrimonio pratiche meno regolate, dando luogo a una grande ondata di figli illegittimi e di abbandono dei bambini nel periodo
1750-1820. I mali sociali della rivoluzione industriosa non erano gli stessi del periodo precedente, ma furono comunque inquietanti. [...] La rivoluzione industriosa non fu un evento improvviso. [...] Forse dovremmo parlare di «attitudine operosa». Il concetto [...] è un mezzo attraverso il quale l’attenzione può essere spostata dalle nuove tecnologie alla nuova disponibilità di lavoro, alle nuove aspirazioni, e alle nuove forme di comportamento in cui s’inserì il contributo speciale della rivoluzione industriale.
1. Distribuzioni delle risorse produttive limitate (forza-lavoro, tempo, denaro da investire) nella produzione di beni diversi. 2. Rifacendosi alle teorie dell’economista Gary Becker sulla ripartizione del tempo, de Vries definisce “Z” i beni fondamentali che hanno un valore d’uso immediato per le famiglie. In molti casi erano beni prodotti dalla famiglia direttamente per l’autoconsumo (beni alimentari, capi d’abbigliamento, ecc.). 3. Portare al limite massimo.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le cause di quella che Jan de Vries definisce «rivoluzione industriosa» e spiegane il significato. b Sottolinea le conseguenze della rivoluzione industriosa indicando al lato del testo il contesto in cui si svilupparono.
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FARESTORIA Agricoltura, industria E NUOVI CONSUMI
6 G.P. ROMAGNANI I NUOVI CONSUMI
G.P. Romagnani, La società di antico regime (XVI-XVIII secolo). Temi e problemi storiografici [2010], Carocci, Roma 2011, pp. 84-87.
Abbiamo visto come il ’700 vide il diffondersi di una nuova attitudine verso i consumi, che toccò anche le classi meno abbienti, costituendo un fattore di rinnovamento dell’economia. Lo storico Gian Paolo Romagnani (nato nel 1957) ci guida attraverso le trasformazioni che la nuova attitudine
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Il Settecento è il secolo nel corso del quale si afferma un consumo tendenzialmente di massa, rendendo le differenze sociali meno percepibili, almeno per quanto riguarda una vasta serie di consumi di base. Abbigliamento, riscaldamento, illuminazione, arredo, cibo, trasporti, cultura, diventano poco a poco, ma sempre più rapidamente a partire dagli anni centrali del secolo, consumi di massa, a disposizione di tutti i ceti sociali, pur con notevoli differenze nella qualità dei prodotti. È la stessa società dei consumatori, in fin dei conti, che accetta di accogliere e consumare prodotti più omogenei e di minor qualità, disponibili a minor prezzo. Non è un caso che il nuovo modello di consumi si sia affermato per primo in una società giovane e tendenzialmente egualitaria, come quella americana, caratterizzata da una forte mobilità sociale e priva delle gerarchie consolidate tipiche della vecchia Europa nobiliare. D’altro canto si impone via via, anche presso i ceti inferiori, la «necessità del superfluo», ossia l’esigenza di possedere beni non strettamente necessari alla sopravvivenza quotidiana. Mentre il lusso si conferma come un importante vettore dell’economia, il consumo di massa si afferma come il fattore più importante di rinnovamento e trasformazione non solo dell’economia, ma dei consumi. [...] La stessa abitudine di curare l’igiene personale e di lavarsi il corpo con acqua fredda o tiepida più volte alla settimana si affermerà e generalizzerà solo nel corso del Settecento. Nei secoli precedenti non erano infatti solo i contadini ed i ceti inferiori a curare poco la pulizia del corpo, ma anche i ceti elevati. [...] La «rivoluzione dell’igiene», almeno nelle realtà urbane, rappresentò un indubbio miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni europee, favorendo una minor diffusione di malattie ed un aumento della vita media. Parallela-
verso i consumi produsse nel vasto campo della cultura materiale, guardando ai mutamenti, spesso intrecciati, che si determinarono. Si va dalla maggiore attenzione all’igiene personale, alla diffusione della biancheria, ai nuovi metodi di riscaldamento e illuminazione, come alla diversa disposizione degli ambienti domestici e ai nuovi arredi. Importanti furono soprattutto le trasformazioni nell’abbigliamento, con la diffusione dei capi in cotone.
mente alla «rivoluzione dell’igiene» si assiste anche alla progressiva diffusione della biancheria, dapprima sconosciuta dai ceti inferiori e via via utilizzata sia dalle donne che dagli uomini di tutte le età e di tutti i ceti sociali. La disponibilità di biancheria in cotone, prodotta industrialmente, più economica e sana rispetto alla seta o alla lana, sarà uno dei fattori determinanti che consentirà il passaggio ad un nuovo, seppur impercettibile, costume. La «rivoluzione dell’igiene» fa sì che in una città di 600.000 abitanti, come la Parigi di metà Settecento, si lavino almeno 200.000 camicie al giorno, senza contare gli altri indumenti. È evidente che lavanderia e stireria, in questo contesto, si trasformano in vere e proprie imprese di servizi. La diffusione nelle principali città europee di nuovi metodi di riscaldamento e di illuminazione è un’altra delle più evidenti trasformazioni che investono larghe fasce di popolazione nel corso del XVIII secolo, così come l’introduzione dei vetri trasparenti di grandi dimensioni alle finestre delle case, laddove per secoli le dimore contadine avevano fatto a meno dei vetri, mentre quelle urbane erano state protette, per lo più, da vetri piccoli, opachi e colorati. L’illuminazione delle strade determina sia una percezione di maggior sicurezza, sia la possibilità di allungare in molti ambiti l’orario di lavoro. I lumi e la luce non sono quindi solo un elemento simbolico del nuovo clima settecentesco. Le stufe in ceramica o in ghisa entrano a far parte dell’arredo domestico sostituendosi ai focolari e ai caminetti; caserme, collegi, ospedali e conventi incominciano ad essere dotati di grandi impianti di riscaldamento. [...] Se spostiamo lo sguardo all’interno delle abitazioni, soprattutto in quelle del ceto medio urbano, ci accorgiamo che proprio nel corso del Settecento avvengono quelle fondamentali trasforma-
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zioni nella dimensione dell’abitare (la disposizione delle stanze, le caratteristiche dell’arredo, la comparsa di nuovi mobili ed oggetti ecc.) che rendono le case più simili alle nostre rispetto a quelle dei secoli precedenti. Per prima cosa nelle nuove dimore urbane compaiono i corridoi che collegano le diverse stanze, mantenendole isolate l’una dall’altra e consentendo una loro differenziazione funzionale. La «zona notte» viene sempre più spesso distinta dalla «zona giorno», mentre appaiono i primi servizi igienici interni alla casa, costituiti da tazze fisse con scarico in luogo dei pitali. [...] I letti sono ormai ovunque dotati di lenzuola e scompaiono quasi del tutto i pagliericci che ancora alla corte di Versailles ospitavano la servitù durante la notte per poi essere ripiegati e nascosti durante il giorno. Le cucine e le eleganti sale da pranzo si ornano di credenze dove vengono riposte stoviglie e vasellami decorati, la cui produzione industriale in serie (e spesso a basso costo) non contrasta con la qualità artistica. Nelle dimore degli uomini di cultura non può mancare una biblioteca e la scrivania, ben distinta dal tavolo da pranzo, costituisce uno spazio privilegiato e dedicato allo studio, alla scrittura e alla riflessione. Decisive sono infine le trasformazioni nell’abbigliamento. Se la miseria delle campagne – ancora alla fine del Settecento – non consente molte variazioni nell’abbigliamento, in ambito urbano un nuovo costume si afferma e i borghesi diventano i protagonisti del mercato della moda, diversificando e intensificando i consumi. Risulta difficile stabilire se la manifattura tessile settecentesca si sia ovunque adattata alla nuova domanda, o in qualche caso non l’abbia piuttosto anticipata, imponendo un mutamento del gusto e del costume. Di fatto i prodotti in cotone soppiantano rapidamente quelli in panno e in lana, conse-
gnando la seta ad un mercato di nicchia e di lusso. Provenienti dall’Inghilterra, le stoffe in cotone si affermano presto anche in Francia grazie alla riconversione di molte aziende e alla nascita di nuove fabbriche [...]. A metà Settecento se un nobile possiede in media un’ottantina di capi di abbigliamento, un borghese ne possiede una decina e un popolano almeno cin-
que. Quasi tutti indossano biancheria e la camicia viene cambiata quasi ogni giorno. Gli abiti sono più leggeri e vanno sostituiti più spesso, incrementando il mercato. Mentre la moda diventa un’industria, il gusto si raffina e si estende ai ceti medi. Il polsino di pizzo non è più prerogativa dei soli nobili; il bottone soppianta la spilla e i lacci; il corpetto femminile si afferma anche fra
le donne del popolo, così come le scarpe con i tacchi alti. METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi le cause e le conseguenze del consumo di massa che si afferma nel ‘700. Quindi spiega per iscritto in cosa consiste questo fenomeno. b Cerchia le innovazioni che si diffusero in questo secolo e sottolinea gli effetti che ne seguirono.
PISTE DI LAVORO
LO STORICO RACCONTA 1 Scrivi un testo breve in cui metterai in rilievo i cambiamenti accaduti nel corso del ’700 nelle dinamiche produttive e nei consumi descritti nei testi di Malanima [►4], de Vries [►5] e Romagnani [►6]. Prima di procedere con la scrittura, realizza una tabella comparativa basata sulle informazioni contenute nei testi e utilizzala come scaletta per il tuo elaborato.
2 Dopo aver letto tutti i i brani degli storici, scrivi un testo (max 30
righe) dal titolo Cambiamenti produttivi e nuovi consumi nel XVII secolo. Cita fra parentesi il numero dei brani storiografici su cui basi le tue affermazioni, e segui la scaletta: • I principali cambiamenti che coinvolsero la società del XVII secolo • Le aree geografiche e i settori coinvolti • Le principali conseguenze.
GERARCHIE SOCIALI E MARGINALITÀ La società d’antico regime era divisa in ceti, giuridicamente riconosciuti. Questo significa che non tutti i membri della società godevano degli stessi diritti; a differenza dei paesi occidentali attuali, dunque, esistevano disparità sociali istituzionalizzate. Questo non ci deve far pensare ad un panorama fisso e sclerotizzato. Al contrario, all’interno dei singoli ceti, erano presenti significative distinzioni, che nel ’700 subirono ulteriori evoluzioni. Giuseppe Ricuperati e Frédéric Ieva [►7] prendono in esame il ceto nobiliare di diversi paesi europei, mettendo in risalto le diverse distinzioni e stratificazioni che lo attraversavano. Jonathan Dewald [►8] guarda a come la nobiltà riuscì ad adattarsi e a sfruttare positivamente il rafforzarsi dello Stato moderno, accrescendo i suoi livelli d’istruzione e modificando la sua cultura. Lo storico tedesco Werner Rösener [►9] ci guida, invece, nel mondo dei contadini, le cui condizioni di vita erano sensibilmente diverse fra Est e Ovest dell’Europa, in ragione dei diversi regimi agrari. Per avere un esempio più chiaro delle condizioni di vita dei contadini, possiamo leggere un documento settecentesco sui diritti del signore feudale di una comunità rurale francese [►10d]. Lo storico William Doyle [►11], invece, analizza le diverse figure che componevano un ceto poco omogeneo, e non semplice da definire, come quello della borghesia. Oltre a nobili, contadini, borghesi, esistevano nelle società d’antico regime figure marginali, come poveri, vagabondi, mendicanti. Già dal ’500, ma in modo crescente nel ’600, furono creati degli istituti di internamento, con il fine di incrementare il controllo sociale su questa fascia di popolazione, ma anche di sottoporla a lavori coatti. Uno dei più noti esempi fu l’Hôpital général [►12d], di cui possiamo leggere l’editto di fondazione. Il filosofo Michel Foucault [►13], infine, analizza il meccanismo della “grande reclusione”, guardando alla visione culturale e alle esigenze economiche che lo sostenevano.
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FARESTORIA Gerarchie sociali e marginalità
7 G. RICUPERATI • F. IEVA LA NOBILTÀ EUROPEA: UN CETO ETEROGENEO
G. Ricuperati, F. Ieva, Manuale di storia moderna, Utet, Novara 2012, pp. 386-89.
La nobiltà, che occupava il vertice della gerarchia sociale dell’ancien régime, non era un ceto omogeneo, ma presentava sostanziali differenze fra un paese e l’altro dell’Europa, oltre che
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Il termine nobiltà nel Settecento unificava malamente realtà molto diverse da paese a paese. In Inghilterra, per esempio, l’antica e potente nobiltà dei Pari, che aveva una sua camera di rappresentanza e che nel Seicento raccoglieva i 2/3 dei grandi proprietari, nel XVIII secolo controllava poco più di un 3% del reddito nazionale, mentre si consolidava la forza economica dei grandi e medi proprietari non nobili. Ben più consistente era la quota del reddito nazionale della gentry (piccola nobiltà), che abbiamo visto [...] fiancheggiare mercanti e imprenditori nell’investimento di capitali nelle compagnie commerciali. Nonostante la società inglese conservasse molte caratteristiche di rispetto per le gerarchie e gli ordini, c’era una notevole osmosi fra gentry e borghesia. Il notevole sviluppo imprenditoriale attrasse in modo indifferenziato i figli della borghesia e i cadetti della nobiltà inglese nelle professioni legate al commercio e alla produzione. La nobiltà inglese non beneficiava di esenzioni fiscali, mentre diverso era il caso della Francia in cui la nobiltà più antica era orgogliosa delle sue prerogative e della sua tradizione. Considerava discriminante, dopo il fastoso regno di Luigi XIV, il rapporto con la corte e la sua presenza a Parigi. Oltre all’amministrazione della terra, le cariche militari, civili e religiose, non poteva concepire altra attività. Infatti, il divieto di esercitare ogni tipo di lavoro manuale era molto rigido. C’era quindi una notevole distanza fra questa nobiltà (circa 5000 famiglie) e la piccola nobiltà di campagna (gli hobereaux) povera, oziosa, in attesa di un impiego soprattutto militare. Ma dal Seicento la nobiltà di spada aveva una rivale ben più pericolosa in quella di toga, che, partendo dal controllo ereditario di un certo numero di cariche, si era affermata come un gruppo sociale ambizioso e potente. Tipici rappresentanti della nobiltà di toga erano i parlamentari, che nel corso del Settecento si rivelarono nel complesso difensori dello status quo e della società tradizionale. A metà del secolo si aprì un dibattito sulla possibilità della nobiltà di avere un’attività economica (la noblesse commerçante1) come in Inghilterra. Tale
diverse articolazioni e contrapposizioni interne (ad esempio la nobiltà di spada e quella di toga in Francia, la grande nobiltà e la gentry in Inghilterra). Gli storici Giuseppe Ricuperati (nato nel 1936) e Frédéric Ieva (nato nel 1970) ci forniscono un quadro esaustivo della nobiltà dell’Europa occidentale e orientale, prendendo in esame diversi paesi ed esplorando la composizione, i privilegi e le prerogative di questo ceto eterogeneo.
dibattito, che ebbe larga eco in Europa, indicava la volontà di superare uno dei limiti più significativi e tradizionali della società francese. In realtà sotto Luigi XV, nonostante la presenza di una fiorente cultura illuministica, c’era stato un notevole irrigidimento del quadro sociale. Nell’esercito, nell’amministrazione, negli stessi gradi più alti della gerarchia ecclesiastica occorreva dimostrare i propri quarti di nobiltà per essere ammessi a certi livelli. Il fronte della nobiltà francese, diviso da rivalità interne, si ricomponeva nell’ostilità contro l’ascesa della borghesia. Ancora più distanza c’era in Spagna fra la grande nobiltà di corte, ormai legata ai Borbone, e la miriade di hidalgos2 che si consumavano poveri e orgogliosi nelle province spagnole. In Russia esistevano due tipi di nobiltà: i principi e gli altri nobili. Tra questi ultimi c’erano i grandi magnati (boiari), appartenenti a casate che avevano servito i principi sin dalle origini dello Stato russo, e i cavalieri (dvoriane), ai quali il Codice del 1649 aveva riconosciuto lo statuto di classe ereditaria. Nel 1711 Pietro il Grande istituì un registro dei cavalieri, poiché esigeva da loro il servizio dello Stato, e varò importanti riforme, adattando la realtà russa ai modelli nobiliari europei: oltre ad aver istituito una Camera della nobiltà (1722), introdusse i titoli di conte e barone inesistenti sino ad allora in Russia. Nel 1736 il servizio che la nobiltà doveva fornire allo Stato fu regolamentato: se fino ad allora esso era di durata illimitata, ora venne fissato un limite di 25 anni e con l’esenzione di un figlio in modo che questi potesse gestire i possedimenti della famiglia. [...] In Polonia c’era un consistente strato nobiliare. [...] Esistevano delle differenze anche all’interno della nobiltà polacca: al vertice era collocato un gruppo di circa trenta famiglie molto abbienti che possedevano un quarto dell’intero territorio polacco e che dominavano la vita sociale e politica. Dopo di loro c’era un ampio strato nobiliare che era proprietario di uno o più villaggi e non coltivava direttamente la terra. Seguivano i cosiddetti nobili parcellari che possiedono una frazione o particella di un antico
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patrimonio fondiario e si trovavano nella necessità di lavorare essi stessi la terra. Infine la nobiltà definita zaganowa (ossia «del solco») che era molto povera e, come i contadini, doveva occuparsi della propria terra, pur essendo proprietaria della casa in cui viveva e pur beneficiando di alcune esenzioni fiscali. Complessa era la realtà dell’Italia, dove si sovrapponevano diversi tipi di aristocrazia. Esisteva infatti una notevole distanza fra la nobiltà feudale del Mezzogiorno, abituata da secoli all’autonomia e allo sfruttamento indiscriminato di vasti latifondi, e l’aristocrazia lombarda, che si preparava a un destino di grande proprietaria terriera nel senso più moderno della parola. Accanto all’aristocrazia di origine feudale c’erano i patriziati cittadini, che nel corso del Seicento avevano sempre più spostato verso la rendita fondiaria i loro capitali. Così accadeva a Venezia e in Toscana. Anche questo patriziato si rivelerà, nel corso del Settecento, sensibile alle innovazioni tecniche e a una buona conduzione dei fondi. Nell’Europa orientale prevaleva la trasformazione della nobiltà in corpo di servizio nei ranghi dell’amministrazione dello Stato. Tali erano nella Prussia di Federico II gli Junkers, o i nobili nella Russia di Caterina II. Questa caratteristica fondamentale, cementata da una serie di carriere privilegiate nell’esercito, in marina, nell’amministrazione, non era in contrasto con il controllo che questi gruppi nobiliari avevano sulla terra e sui contadini, legati ad un oneroso servaggio. 1. Nobiltà dedita al commercio. 2. Titolo con cui si definiva la nobiltà di rango inferiore in Spagna.
METODO DI STUDIO
a Evidenzia i nomi dei paesi analizzati. Quindi, cerchia le classi sociali citate in ognuno di essi e individua e sottolinea le relative parole chiave. Argomenta oralmente la tua scelta. b Evidenzia l’argomento del dibattito che si diffuse in Europa a metà del secolo e sintetizzane per iscritto le caratteristiche.
8 J. DEWALD LE TRASFORMAZIONI DELLA NOBILTÀ
J. Dewald, La nobiltà europea in età moderna [1996], Einaudi, Torino 2001, pp. 199-203; 264-66.
Nel suo studio lo storico statunitense Jonathan Dewald (nato nel 1946) analizza identità ed evoluzioni della nobiltà europea fra Rinascimento e Rivoluzione francese. In questo brano I governi hanno bisogno della cooperazione dei nobili e dispensano ricompense molto allettanti a quelli che marciano in questa direzione. Mano a mano che lo Stato assoluto cresce è in grado di offrire un numero sempre maggiore di incarichi politici con notevoli possibilità di guadagno. Lo Stato assoluto ha patentemente bisogno di soldati perché i paesi europei più importanti sono praticamente sempre in guerra nel corso del XVI, XVII e XVIII secolo, e di conseguenza i loro eserciti crescono in continuazione. I nobili possono sentirsi rassicurati dal fatto che lo Stato abbia bisogno di loro e delle loro tradizioni e capacità militari: sotto questo punto di vista le innovazioni in fatto di tecnologia militare non cambiano la situazione. [...] Non vanno infine dimenticati gli uffici nell’amministrazione statale. Nella prima età moderna, sull’onda dello sviluppo vertiginoso del proprio apparato burocratico, lo Stato ha un crescente bisogno di funzionari e di magistrati, e molti di questi uffici comportano onori oltre che lauti guadagni. Non c’è dubbio che si tratta di incarichi che differiscono enormemente da quello che i nobili considerano per tradizione il loro ruolo specifico, ossia guerreggiare. Inoltre, per accedere a questi uffici occorre un’istruzione di livello universitario, perlopiù in campo giuridico. È pertanto probabile che, in un primo momento, i nobili si trovino in una posizione di svantaggio nella corsa a questi uffici, sia perché sprovvisti della formazione scolastica richiesta, sia per le tradizioni guerresche del gruppo di appartenenza. Tuttavia, questa situazione di difficoltà ha fine molto presto. [...] Sin dai primi decenni del XVI secolo, le famiglie di antica nobiltà mandano i loro figli all’università proprio allo scopo di acquisire il tipo di istruzione richiesta per accedere all’amministrazione statale. [...] I nobili riescono dunque ad accaparrarsi una quota consistente di uffici pubblici e a ottenere una posizione predominante nell’esercito e a corte. Si può
ci mostra come i nobili non solo seppero adattarsi alle trasformazioni dello Stato moderno, ma riuscirono anche a trarne vantaggio. La crescita della burocrazia, i cambiamenti nella conduzione della guerra, le trasformazioni dell’economia stimolarono i nobili ad accrescere la loro istruzione, li spinsero ad un nuovo protagonismo, consegnando loro una posizione dominante nella cultura europea.
pertanto dire che lo sviluppo dell’apparato statale favorisce per molti aspetti e in modo diretto i nobili garantendo loro nuove forme di potere, dignità e ricchezza. A ben guardare, i nobili traggono dallo Stato forte e centralizzato del XVII secolo vantaggi assai maggiori di quelli loro mai garantiti dal sistema medievale delle fedeltà e dei poteri locali. Direttamente profittevole per molti nobili, lo sviluppo dello Stato lo è indirettamente anche per molti altri, per la sicurezza e l’ordine che garantisce. D’altra parte, non c’è dubbio che, nel perseguimento di questi fini, lo Stato moderno abbia anche qualche costo per i nobili. Richiede per esempio l’abbandono, da parte loro, di certe forme di violenza, mentre sopprime alcune modalità di azione politica. [...] In tutta Europa, i nobili si adattano incredibilmente bene ai cambiamenti psicologici e culturali che si verificano nel corso del XVII e XVIII secolo. Questo adattamento risulta particolarmente riuscito per quanto riguarda la cultura alta. I nobili si istruiscono e nello stesso tempo sovvenzionano gran parte della produzione culturale. Sostengono inoltre la maggior parte delle iniziative culturali più avanzate e molti partecipano attivamente alla vita culturale. Il loro interesse cresce nel corso del XVI e XVII secolo, sicché, nel 1700, l’apporto dell’aristocrazia alla cultura europea è più consistente che nel 1550. Altri adattamenti avvengono in maniera più lenta ma finiscono per essere altrettanto soddisfacenti. I nobili smettono di ricorrere alla violenza nella vita quotidiana e acquisiscono maggiori capacità di autocontrollo. Vivono più a contatto con la famiglia e mostrano maggior affetto per mogli e figli. Molti mitigano gli atteggiamenti di superiorità nei confronti degli altri gruppi sociali e ritengono che i privilegi sociali siano fondati sull’abilità e la proprietà più che sulla genealogia. Si mescolano più spesso e più strettamente con i plebei. Questi adattamenti sono il riflesso di cambiamenti imposti dal mondo in cui i
nobili si trovano a vivere. I nobili si istruiscono perché sono sempre più sollecitati a farlo. Gli apparati statali necessitano di una migliore preparazione in chi vuole accedervi, e la stessa guerra richiede un’istruzione acquisita anche sui libri. I riformatori protestanti e cattolici ritengono l’istruzione un elemento importante ai fini della pratica cristiana. Un’economia sempre più orientata al mercato rende importanti, ai fini della gestione della proprietà terriera, la lettura, la contabilità, il calcolo numerico. Lo sviluppo delle corti favorisce chi sa mostrarsi dotato di un certo bagaglio culturale. [...] A partire dal 1550 circa e sino alla Rivoluzione francese, i nobili dominano la vita culturale europea in misura assai maggiore che nel corso del Medioevo. [...] Nei due secoli precedenti la Rivoluzione francese, i nobili definiscono le principali linee di sviluppo della cultura alta europea, l’arte e la letteratura che sostengono col loro mecenatismo sono destinate a mantenere una posizione centrale ancora nei canoni europei del XX secolo. Un impegno culturale di tale portata è un fatto importante di per sé e ci aiuta a capire la psicologia dei nobili in questi anni. Una psicologia che va chiaramente al di là dei desideri di grandeur1 e di conservazione del passato spesso assunti a parametro di definizione della mentalità aristocratica. 1. Grandezza.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea i bisogni dello Stato assoluto. b Descrivi per iscritto le componenti del rapporto fra lo Stato assoluto e i nobili. c Cerchia i secoli trattati nel testo e sottolinea con colori diversi i cambiamenti che riguardano la vita e il mondo dei nobili in ognuno di essi.
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FARESTORIA Gerarchie sociali e marginalità
9 W. RÖSENER I CONTADINI FRA EST E OVEST DELL’EUROPA
W. Rösener, I contadini nella storia d’Europa [1993], Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 171-78.
Fra i regimi agrari dell’Europa occidentale e orientale sussistevano profonde differenze. Era il fiume Elba a segnare una sorta di confine fra i due sistemi: ad est dell’Elba era diffusa la riserva signorile (il grande latifondo con un unico
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Come trascorreva l’esistenza quotidiana dei contadini nella riserva signorile dell’età moderna? Gli statuti rurali, le immagini dell’epoca, insieme con le più recenti ricerche ci forniscono un quadro abbastanza preciso delle condizioni dei contadini asserviti nelle grandi tenute a est del fiume Elba. Al primo posto tra gli oneri dei contadini della riserva signorile sono da menzionare gli obblighi delle corvé lavorative; esse consistevano nel lavoro dei campi del signore con o senza animali da tiro, nella trebbiatura del grano, nel lavoro servile domestico e in altri numerosi servizi. Di solito le corvé non erano eseguite personalmente dal contadino; per tali prestazioni egli era libero di inviare al suo posto braccianti agricoli o gente del vicinato. Il numero e il genere delle corvé variavano molto secondo gli accordi e le consuetudini locali. Il contadino dotato di un podere sufficiente al suo sostentamento e di un tiro1 era obbligato a lavorare le terre del signore. Nelle aree con una sviluppata riserva signorile si pretesero dagli allodieri2 prestazioni lavorative giornaliere. Queste prestazioni obbligatorie variavano però in relazione all’estensione del podere contadino e ai relativi diritti patrimoniali ereditari. Quanto alle corvé lavorative, i contadini lamentavano spesso l’eccessivo dispendio di energie e tempo che queste richiedevano. Arrivando da luoghi lontani, essi potevano iniziare solo tardi i loro lavori; inoltre per quelli che provenivano da villaggi assai distanti dal luogo di lavoro, la giornata lavorativa doveva terminare presto. [...] Tra corvé e balzelli vari, la situazione economica di molti contadini asserviti alla riserva signorile era pessima. Un attento testimone del tempo, intorno alla metà del XVIII secolo, ci dà il seguente giudizio sulla condizione dei contadini del Brandeburgo: «Si sa che il contadino vive alla giornata e può ritenersi fortunato se riesce a far fronte ai gravami dovuti al signore e allo stato. Il suo campo produce, nel migliore dei casi, appena quel
proprietario), ad ovest la signoria fondiaria (di minori dimensioni e più frazionata). Il differente assetto agrario ebbe delle conseguenze anche sull’autonomia di cui godevano le comunità locali e sulle condizioni sociali ed economiche in cui vivevano i contadini, meno gravose ad occidente. Lo storico tedesco Werner Rösener (nato nel 1944) mette a confronto i due sistemi, concentrandosi proprio sulle condizioni di vita dei contadini, ad est e ad ovest dell’Elba.
poco sufficiente al suo sostentamento. Egli non riesce a mettere da parte nulla. Se poi subentra un accidente sia pur lieve, un raccolto insufficiente o un’annata cattiva, la perdita di uno o più buoi, incendi, grandinate o altre simili calamità, allora al misero contadino deve essere accordata una sorta di sgravio fiscale e da parte del signore e da parte dello stato»3. Nell’alta Slesia, dove la riserva signorile ebbe un enorme sviluppo, nel 1786 una commissione accertò che un podere servile, a tasse annuali pagate, dava un profitto di circa cinque talleri. L’esperienza quotidiana mostrava che nel caso di un raccolto insufficiente o della perdita di uno degli animali da tiro, alcuni contadini andavano immediatamente in rovina: non potevano più lavorare i loro campi, poiché fra le altre cose non usufruivano di crediti. «In più lo sfortunato contadino, oltre ad essere stato asservito, riceve come ricompensa da amministratori spietati una solenne bastonatura, e poiché non garantisce più al proprio signore i servizi e le prestazioni dovute viene cacciato dal suo podere e costretto d’ora innanzi a cavarsela da solo per sfamare se stesso e la sua famiglia»4. [...] L’area soggetta al regime della signoria fondiaria occidentale includeva le regioni a ovest del fiume Elba: la Germania, la Francia e alcuni altri paesi confinanti. [...] Riguardo alle forme di conduzione si osserva nell’ambito della signoria fondiaria un miglioramento e perfezionamento nei contratti di locazione. Tale processo consisteva soprattutto nel fatto che la tipologia dei contratti agrari di più antica data fu unificata, sicché ne sopravvissero solo alcuni. [...] Bisogna accennare, inoltre, a un’altra tendenza di quel periodo: la trasformazione di corvé e canoni fissi in una forma di rendita monetaria stabile. Le corvé lavorative furono sempre più rapportate al loro effettivo valore monetario e trasformate poi in rendite. Il carico degli oneri dovuti dai contadini conosceva sensibili oscillazioni, nell’Europa centrale e occidentale, da obblighi lievi a forme più
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o meno oppressive. Servizi e prestazioni erano stabiliti dal signore feudatario, o da lui concordate con i contadini; le consuetudini locali giocavano un ruolo importante. Ciò aveva come conseguenza una varietà infinita nel genere dei servizi e delle prestazioni. Tali obblighi variavano da paese a paese, ma anche nelle singole regioni erano estremamente differenti. I contadini ottemperavano ai loro obblighi in vari modi; in molti casi si ricorreva ad una forma mista: in derrate, in denaro o in prestazioni lavorative. Nel corso del tempo avvenne che il signore fondiario accordasse ai singoli contadini di sostituire le corvé con canoni in denaro. L’uniformità degli oneri feudali subiva modifiche, allorché il terreno o una parte di esso passava, in seguito a vendita o a eredità, nelle mani di un nuovo signore fondiario [...] I canoni e le prestazioni d’opera dovuti al signore fondiario rappresentavano beninteso solo una parte dei gravami che opprimevano i contadini. Anche nello Stato moderno la parte più cospicua delle entrate fiscali proveniva dalla popolazione rurale. L’aristocrazia e la Chiesa erano esentate parzialmente o completamente da oneri fiscali; quindi erano proprio i contadini a sopportare il maggior peso dell’imposizione tributaria. A causa della grande eterogeneità nelle imposte, nella tassazione e negli obblighi di corvé dovuti dai contadini, è difficile poter determinare la quota esatta del prelievo sul loro reddito. Si può supporre che i contadini della Germania occidentale, nel XVIII secolo, pagassero in canoni e balzelli vari una quota stimabile dal 25% al 40% del loro reddito lordo. Nel Württemberg la 1. Si intende un animale da tiro, adibito all’uso lavorativo. 2. Contadini liberi proprietari. 3. G.F. Knapp, Die Bauernbefreiung und der Ursprung der Landarbeiter in den älteren Theilen Preussens, I vol., Duncker & Humblot, Leipzig 1887, p. 72. 4. Ivi, p. 73.
quota dei diritti feudali oscillava dal 28% al 34%. La voce più importante nei tributi dovuti dai contadini era rappresentata dai canoni in derrate granarie, dalle decime e dalle tasse. Dietro questa media si celavano però notevoli differenze nelle singole aziende contadine.
METODO DI STUDIO
a Individua ed evidenzia gli oneri che gravavano sui contadini. Realizza quindi un grafico a stella al cui centro metterai la scritta “I contadini venivano tassati da”, mentre alla fine dei raggi metterai i nomi di coloro che sottoponevano i contadini a tasse e balzelli. Quindi, trascrivi alcune parole chiave in corrispondenza dei raggi relative al tipo di tassa pagata e argomenta per iscritto le tue scelte. b Sottolinea gli elementi che permettono di ricostruire le condizioni e il tenore di vita dei contadini asserviti. Cerchia il nome dei paesi di riferimento.
10d DIRITTI DEL SIGNORE FEUDALE
P. Goubert, L’ancien régime. La società, Jaca Book, Milano 1976, pp. 116-17.
Il documento elenca le prestazioni dovute dalla comunità contadina di Essigey (una località della Borgogna, nella zona Art. 1: Sono dovuti al signore, all’atto di ogni vendita, lodi1 del prezzo di ogni bene acquistato, su tutti i beni senza eccezione, in ragione della dodicesima parte del prezzo di ogni bene acquistato, fatti salvi il diritto di confisca e quello di sequela2 nel caso non si paghino i lodi entro quaranta giorni; ci si può anche limitare a pretendere un’ammenda pari a tre lire e cinque soldi. Art. 2: Gli abitanti di Essigey che ivi hanno domicilio devono ognuno una gallina al primo giorno di quaresima, e una corvée di braccia al tempo della fienagione per chiunque vi è soggetto; la suddetta corvée è sempre stata prestata, ma la gallina non è mai stata riscossa. Art. 3: Ognuno, sia coltivatore, sia che eserciti altre attività, se in possesso di cavalli o di buoi e di finimenti, deve anch’egli una volta l’anno una corvée di aratura o di vendemmia, o in tempo di semina. Art. 4: È compito del suddetto signore far riscuotere la decima3 in tutte le terre della signoria in ragione di un covone ogni quattordici; atteso che il priore di Tart ne
riscuote uno sui quindici di cui ogni cuchot4 è composto, il totale per le due decime è rappresentato da un tasso di due quindicesimi. Art. 5: Appartiene al suddetto signore l’esercizio dell’alta, media e bassa giustizia in tutta l’estensione del dominio diretto. Art. 6: Tutti gli abitanti devono fare la guardia notturna e diurna al castello del suddetto luogo. Art. 7: Gli abitanti devono curare la manutenzione del canale che porta l’acqua del fiume nei fossati del suddetto castello. Sono del pari obbligati a recintare di una siepe di spini morti il prato chiamato closeau, della superficie di nove soitures e due terzi (tre ettari). Art. 8: Tutti coloro che vendono vino al detto paese di Essigey debbono al signore una pinta di vino [...] che i venditori sono obbligati a portare nel suo castello, un’ora dopo l’apertura della botte, sotto pena di un’ammenda di tre lire e cinque soldi [...]. Art. 9: Nessun abitante possiede il diritto di pesca e di caccia nel territorio del suddetto Essigey, sotto pena della confisca
11 W. DOYLE LA BORGHESIA
W. Doyle, L’Europa del vecchio ordine. 1660-1800 [1978], Laterza, Roma-Bari 1987, pp. 191-97.
Lo storico inglese William Doyle (nato nel 1942) sviluppa una lettura della società dell’ancien régime attenta agli elementi di cambiamento e di rottura che hanno lentamente trasformato il vecchio ordine. Nel brano proposto l’autore offre un I patrimoni borghesi, come dice il nome stesso, erano essenzialmente urbani. I borghesi traevano guadagno e prosperità da attività e da bisogni urbani. Erano la élite non nobile delle città, che essi do-
centrale della Francia) al signore feudale, mostrandone la potenza e la persistenza. Il testo risale al 1780, dunque appartiene a quel periodo di ridefinizione dei diritti signorili che va sotto il nome di “reazione feudale”. delle trappole e degli arnesi, e dell’ammenda di tre lire e cinque soldi; lo stesso dicasi degli stagni [...]. Art. 10: In ogni tempo il signore può tenere i propri boschi in bandita, senza quindi che sia permesso a nessuno raccogliervi legna o mandarvi il bestiame, sotto pena di tre lire e cinque soldi di ammenda. 1. Diritti (lods et ventes) percepiti dal signore in caso di vendita o di passaggio di proprietà. 2. Diritto di rivalersi sui beni reali. 3. Decima integrata nelle rendite feudali (“infeudata”). 4. Cumulo di covoni.
METODO DI STUDIO
a Evidenzia con colori diversi i tipi di tassazioni descritte e sottolinea coloro che erano tenuti a versarle utilizzando gli stessi colori. b Trascrivi sul quaderno i nomi delle diverse tipologie di tasse citate, e descrivile sinteticamente riportando alcuni esempi.
ampio affresco della borghesia, passando in rassegna le diverse figure e professioni che componevano questo ceto dinamico e in ascesa. Nonostante la crescente importanza nella società e la crescente ricchezza, la borghesia non appare consapevole della propria funzione sociale, ma anzi risulta attratta dai valori dei ceti tradizionali, tanto da coltivare l’ambizione di «vivere da nobili».
minavano come i nobili dominavano le campagne. Ma la borghesia, notoriamente, è difficile da definire e da inquadrare con esattezza. Già il nome è oggetto di infinite contro-
versie, perché aveva e ha tutta una serie di significati diversi; e l’equivalente inglese più comodo e usuale, «middle class», classe media, non rende giustizia a tutte le sue sfaccettature. Il borghese era uno che
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FARESTORIA Gerarchie sociali e marginalità
abitava in città, ma evidentemente non tutti gli abitanti delle città appartenevano alla classe media. In molte città dell’Europa continentale c’erano gruppi giuridicamente definiti di bourgeois, categoria di solito ristretta di notabili che godevano di vari privilegi e acquisivano questa condizione per via ereditaria o grazie a un’ingente ricchezza. Pochissimi membri delle classi medie urbane penetravano in questa schiera esclusiva, mentre spesso vi entravano i nobili locali. Tuttavia l’autentico borghese non era, per definizione, un nobile. Né altresì era un operaio, uno che lavorava con le sue mani alle dipendenze altrui. Resta una larga fascia sociale, che andava dai mercanti più ricchi giù giù fino ai modesti maestri artigiani; persone che a prima vista sembrerebbero non avere quasi nulla in comune. [...] Essendo i borghesi così difficili da definire, altrettanto difficile è calcolarne il numero. Un fatto è certo: come le città, che erano il loro vivaio, i borghesi erano di gran lunga più numerosi nell’Europa occidentale che in quella orientale. In Occidente essi superavano, in percentuale della popolazione totale, la nobiltà e i ceti dominanti. [...] Infine sembra certo che la borghesia andò crescendo di numero e di ricchezza. La «middle class» inglese aumentò nel corso del XVIII secolo di oltre il 50%; e la sua quota del reddito nazionale passò da circa il 20% nel 1688 a più del 40 nel 1803. Statistiche paragonabili non esistono per altri paesi, ma alcuni storici francesi ritengono probabile che la borghesia in Francia si sia quasi triplicata fra il 1666 e il 1789. Crebbe indubbiamente anche la sua ricchezza, grazie allo sviluppo del commercio col resto del mondo nella seconda metà del Settecento. Il commercio, infatti, era il motore della borghesia. La fortuna di ogni famiglia borghese aveva inizio col commercio, unico mezzo per accumulare rapidamente un capitale. Il borghese tipico era il mercante, e la fioritura coloniale
del XVIII secolo vide la rapida crescita di comunità mercantili in città come Barcellona, Cadice, Bordeaux, Marsiglia, Nantes, Bristol, Glasgow, Cork e Amburgo. L’espansione economica produsse altresì la comparsa di nuove categorie di borghesi. I manifatturieri, per esempio, erano una categoria ignorata dal demografo Gregory King nel 1688, nella sua rassegna della popolazione inglese; ma alla fine del secolo successivo essi costituivano almeno il 4 per cento della borghesia inglese, e il 23 per cento della sua ricchezza. [...] Anche in Francia, dove il capitale nobiliare predominava nell’industria mineraria e metallurgica, la maggior parte delle grandi aziende cartarie e tessili era in mano a borghesi. Nei porti e nelle capitali maggiori anche finanzieri e banchieri avevano un’importanza crescente. Che dei borghesi prestassero soldi al governo non era certo una novità; ma aumentando i costi e la scala delle attività governative, e la pressione sul sistema fiscale, i governi dovettero ricorrere al credito molto più che in passato. Già dalla metà del Seicento i finanzieri erano un elemento importante della borghesia olandese, i soli in Europa a rivaleggiare per ricchezza e potenza con la nobiltà locale. [...] In Francia le guerre di Luigi XIV offrirono occasioni senza pari di prestiti governati e finanziamenti militari, facendo del capitale borghese un elemento essenziale della macchina amministrativa. Dagli anni 1690-1700 l’Inghilterra assunse oneri analoghi; si sviluppò un cospicuo «interesse creditizio», imperniato sulla Banca d’Inghilterra e derivante le sue entrate da titoli e appalti governativi. [...] Non tutti i borghesi erano mercanti o finanzieri. Un settore molto importante della borghesia era costituito da quelli che oggi diremmo «professionisti»: un certo numero di insegnanti, un certo numero di medici, molti funzionari statali e innumerevoli avvocati. [...] Lo sviluppo del potere e delle ambizioni statali por-
tava all’aumento numerico dei pubblici funzionari. Lo sviluppo stesso del commercio ingrossava le file della borghesia «professionista», per provvedere alle crescenti esigenze legali e amministrative. Anche nelle città mercantili i commercianti si trovavano spesso in minoranza rispetto agli avvocati, e costretti di solito a dividere con questi la responsabilità del governo municipale. [...] Abbandonare il commercio per una carica o una professione voleva dire reinvestire il capitale in qualcosa di più rispettabile, qualcosa che faceva avanzare il borghese verso il nobile ideale di vivere di entrate non dovute al proprio lavoro. Rendite e titoli governativi erano il primo passo: in Francia, in Inghilterra e specialmente nella repubblica olandese migliaia di borghesi ricavavano il grosso delle loro entrate da titoli di rendita con tassi di interesse mediocri ma sicuri. Con ciò si trovavano già a mezza strada verso il «vivere da nobili», perché anche molti nobili investivano denaro in questo modo. Ma siccome nessuno poteva vivere in modo convincente «da nobile» se non era proprietario di terre, prima o poi i borghesi socialmente ambiziosi volgevano i loro pensieri in questa direzione. Spesso cominciavano con l’acquistare proprietà immobiliare urbana, e il borghese tipico di solito possedeva in città altre case oltre a quella da lui abitata. Poi veniva il gran passo dell’acquisto di una tenuta in campagna, ripudio finale delle proprie origini, suprema accettazione dei valori nobiliari. METODO DI STUDIO
a Sottolinea il significato del termine “borghesia” e le sue sfaccettature. b Spiega per iscritto la relazione fra borghesia, commercio e sviluppo economico. c Cerchia le diverse categorie di borghesi e sottolinea le parole chiave di riferimento. Quindi, argomenta oralmente la tua scelta. d Spiega per iscritto perché e in che modo si manifestava l’interesse da parte dei borghesi per i valori nobiliari.
LEGGERE UNA FONTE ICONOGRAFICA 1 THOMAS GAINSBOROUGH MR E MRS ANDREWS, 1750 CA. [National Gallery, Londra]
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Il pittore inglese Thomas Gainsborough (1727-1788) raffigura nel 1750 Mr e Mrs Andrews in posa nei loro possedimenti nei pressi di Sudbury, nel Suffolk.
U1 L’EUROPA DEL ’700: SOCIETÀ, POTERI, CULTURA
Il paesaggio mostra la tenuta di Robert Andrews che, grazie al matrimonio, si è arricchita di nuove proprietà. Infatti la coppia sembra mostrare compiaciuta le verdi macchie boscose, i
covoni di grano appena raccolto, e le pecore in un’area recintata, a sottolineare la fertilità, la ricchezza e l’ordine delle proprie terre ed esaltando in questo modo il risultato di una buona conduzione. I coniugi Andrews rappresentano un vivido esempio di quella classe produttiva che costituì il fondamento economico della società del ’700. Al contempo l’abbigliamento dello sposo, che sembra appena tornato dalla caccia, col fucile sottobraccio e il cane vicino, fa pensare a un membro della classe nobiliare, a indicare l’aspirazione di ascesa sociale perseguita da Andrews. La sposa, dal canto suo, indossa un abito e scarpe eleganti, poco adatte alla campagna, ma di sicuro effetto per mostrare l’agiatezza in cui versa. Sul grembo della donna è
12d LA FONDAZIONE DELL’HÔPITAL GÉNÉRAL
Editto reale per la fondazione dell’Hôpital général per la reclusione dei poveri mendicanti della città e dei sobborghi di Parigi, da M. Foucault, Storia della follia nell’età classica [1961], Rizzoli, Milano 2008, pp. 460-64.
Già nella seconda metà del ’500 in Inghilterra furono organizzate numerose case di lavoro coatto per mendicanti e poDato in Parigi il mese di aprile 1656, ratificato in Parlamento il primo settembre successivo Parigi, Stamperia reale 1661 Luigi, per grazia di Dio re di Francia e di
presente uno spazio non dipinto, forse destinato al futuro erede oppure a una preda del marito, come farebbe pensare la penna che la signora tiene in mano. GUIDA ALLA LETTURA
a Osserva con attenzione il dipinto e trascrivi gli elementi relativi all’abbigliamento e all’atteggiamento dei due sposi che permettono di risalire al contesto sociale. Quindi, spiega a quale classe sociale appartiene lo sposo e perché si è fatto ritrarre in questo modo. b Rispondi alla seguente domanda: “Ci sono, secondo te, caratteristiche proprie del contesto sociale dei due soggetti rappresentati che possono essere colte attraverso il dipinto e particolari che potremmo invece scoprire solo attraverso un confronto con altre fonti storiche? Se sì, quali?”.
veri. Altri esempi seguirono a Roma, come ad Amsterdam. L’Hôpital général di Parigi, però, rappresenta l’istituzione più nota, fondata nel 1656 dal re Luigi XIV. Alla fine del secolo ospitava circa 10 mila individui (poveri, malati, orfani, prostitute). Qui riproduciamo l’editto della sua fondazione, in cui si esplicitano le finalità dell’istituzione e alcune delle sue regole.
Navarra, a tutti nel presente e nel futuro salute. I re nostri predecessori nel corso dell’ultimo secolo hanno emesso numerose ordinanze di Polizia relative ai Poveri nella nostra buona città di Parigi e operato, sia col loro zelo sia con la loro au-
torità, per impedire la mendicità e l’ozio, sorgente di tutti i disordini. E per quanto i nostri sovrani organismi abbiano appoggiato con le loro cure l’esecuzione di quelle ordinanze, queste tuttavia si sono col tempo rivelate infruttuose e senza effetto,
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FARESTORIA Gerarchie sociali e marginalità
sia per la mancanza dei fondi necessari al sostegno di una così grande impresa, sia per l’allontanamento da una direzione ben stabilita e conforme alla qualità dell’opera. Dimodoché, durante gli ultimi tempi e sotto il regno del defunto re, nostro onoratissimo Signore e Padre, di felice memoria, essendosi il male ulteriormente accresciuto per la pubblica licenza e lo scardinamento dei costumi, si riconobbe che la principale manchevolezza nella esecuzione di questa azione di Polizia derivava dal fatto che i mendicanti avessero la libertà di muoversi dappertutto, e che i sollievi che venivano introdotti non impedivano la mendicità nascosta e non facevano per nulla cessare la loro oziosità. Su questa base fu ideato ed eseguito il lodevole progetto di rinchiuderli nella Maison de la Pitié e nei luoghi annessi, e lettere patenti furono accordate a questo fine nel 1612, in forza delle quali i Poveri furono rinchiusi; la direzione affidata a buoni e notabili Borghesi, che, succedutisi nel tempo, hanno dato ogni loro cura e buona attività per la riuscita di questo progetto. Ma, per quanti sforzi essi abbiano potuto compiere, il progetto non ha sortito effetti se non per cinque o sei anni, e per di più in modo molto imperfetto, sia per il mancato impiego dei Poveri nelle Opere pubbliche e nelle manifatture, sia perché i preposti non furono per nulla appoggiati dai Poteri e dall’autorità necessaria all’importanza dell’impresa, e sia perché il seguito delle disgrazie e dei
disordini della guerra ha fatto aumentare il numero dei Poveri oltre la comune e ordinaria opinione, per cui il male è diventato maggiore del rimedio. Dimodoché il libertinaggio dei mendicanti è giunto all’eccesso a causa di uno sciagurato abbandono a tutti quei tipi di crimini che attirano la maledizione di Dio sugli Stati quando restano impuniti. [...] I [...] Vogliamo e ordiniamo che i Poveri mendicanti, validi e invalidi, di ambo i sessi, siano messi in un ospizio per essere impiegati nelle opere, manifatture e altri lavori, secondo le loro capacità [...] IX Facciamo chiarissimo divieto e proibizione a tutte le persone di ogni sesso, luogo ed età, di qualunque origine e nascita, e in qualsiasi stato possano essere, validi o invalidi, malati o convalescenti, curabili o incurabili, di mendicare nella città e nei sobborghi di Parigi, sia nelle chiese sia alle loro porte, come pure alle porte delle case e per le strade, né in nessun altro luogo pubblicamente o in segreto, di giorno o di notte, senza alcuna eccezione di feste solenni, patronali, giubilei, né di riunioni, fiere o mercati, né per qualunque altra causa o pretesto, sotto pena della fustigazione per coloro che contravvengono la prima volta, e di condanna ai remi1 per i recidivi, uomini e ragazzi, e di bando per le donne e le fanciulle.
13 M. FOUCAULT LA GRANDE RECLUSIONE
M. Foucault, Storia della follia nell’età classica [1961], Rizzoli, Milano 2008, pp. 68-73.
Nella sua Storia della follia nell’età classica, il filosofo francese Michel Foucault (1926-1984) descrive il lungo processo attraverso cui, dalla fine del Medioevo, la cultura occidentale cercò di rimuovere e allontanare la follia dal contesto sociale. Le forme di devianza, che comprendevano anche la povertà, la pazzia, il vagabondaggio, subirono
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L’internamento, questo fenomeno massiccio le cui tracce sono reperibili in tutta l’Europa del XVII secolo, è un affare di «police», nel senso molto preciso che a questo termine si dà nell’epoca classica, cioè l’insieme delle misure che rendono il lavoro e possibile e necessario per tutti coloro che non saprebbero viverne senza.
Regolamento che il Re vuole sia osservato per l’Hôpital général di Parigi XIX Per stimolare i Poveri rinchiusi a lavorare nelle manifatture con maggiore assiduità e solerzia, coloro che avranno raggiunto l’età di 16 anni, dell’uno e dell’altro sesso, avranno il terzo del profitto del loro lavoro, senza che nulla sia loro tolto. 1. Condanna al lavoro forzato che consisteva nel remare in imbarcazioni chiamate galee (da qui il termine italiano di galera). 2. Moneta dell’epoca. METODO DI STUDIO
a Spiega cosa era la Maison de la Pitié. b Sottolinea con colori diversi le cause che portarono alla nascita della Maison de la Pitié e le successive conseguenze. c Spiega perché nel documento il progetto di imprigionare i poveri viene definito «lodevole». d Cerchia la descrizione dei divieti e delle condanne introdotti con questo documento.
un processo di criminalizzazione, che porterà alla reclusione di poveri, accattoni, mendicanti in istituti creati per la segregazione, la repressione e il lavoro forzato. Nel brano presentato Foucault, soffermandosi sia sulla fondazione dell’Hôpital général sia sul caso inglese, prende in esame le ragioni di fondo dell’operazione dell’internamento: da un lato la soppressione della mendicità, dall’altro l’occupazione degli internati, che rispondeva anche alle necessità economiche dell’epoca.
[...] Prima di avere il senso medico che noi gli diamo, o che almeno desideriamo supporre in esso, l’isolamento si è reso necessario per tutt’altra causa che la preoccupazione di guarire. Ciò che l’ha reso necessario è un imperativo di lavoro. La nostra filantropia vorrebbe volentieri ri-
U1 L’EUROPA DEL ’700: SOCIETÀ, POTERI, CULTURA
XVII Facciamo divieto e proibizione a tutte le persone di qualunque posizione o qualità siano di dare l’elemosina di propria mano ai mendicanti per le strade e i luoghi sopra menzionati, quale che sia il motivo di compassione, stringente necessità o qualunque altro pretesto, sotto pena di quattro parisis2 di ammenda da devolversi a profitto dell’Hôpital. [...]
conoscere i segni di una benevolenza verso la malattia, là dove spicca solo la condanna dell’ozio. Torniamo ai primi momenti dell’«internamento», e a quell’editto regio del 27 aprile 1656 che dava vita all’Hôpital général. L’istituzione si attribuiva di primo acchito il compito di impedire «la mendicità e l’o-
zio come fonti di ogni disordine». Effettivamente si tratta dell’ultima delle grandi misure che erano state prese a partire dalla Renaissance per porre fine alla disoccupazione o almeno alla mendicità. Nel 1532 il parlamento di Parigi aveva deciso di fare arrestare i mendicanti e di costringerli a lavorare nelle fogne della città, legati a due a due per mezzo di catene. [...] La creazione dell’Hôpital è [...] in ogni caso una soluzione nuova: è la prima volta che si sostituisce alle misure d’esclusione puramente negative una misura d’internamento; il disoccupato non è più cacciato o punito; lo si prende a carico, a spese della nazione, ma a scapito della sua libertà individuale. Tra lui e la società si stabilisce un sistema implicito di obbligazioni: egli ha diritto di essere nutrito, ma deve accettare la costrizione fisica e morale dell’internamento. È tutta questa massa un po’ indistinta che l’editto del 1656 prende di mira: popolazione senza risorse, senza legami sociali, classe che si è trovata abbandonata o che è stata resa fluttuante durante un certo periodo a causa del nuovo sviluppo economico. Meno di quindici giorni dopo la sua promulgazione, l’editto è letto e proclamato nelle strade. [...] In tutta l’Europa l’internamento ha lo stesso significato, almeno originariamente. Esso costituisce una delle risposte che vengono date dal XVII secolo a una crisi economica che interessa tutto il mondo occidentale nel suo insieme: ribasso dei
salari, disoccupazione, rarefazione della moneta. [...] Ancora per lungo tempo la casa di correzione o i locali dell’Hôpital général serviranno a mettere al chiuso i disoccupati, i senza lavoro, i vagabondi. Ogniqualvolta si produce una crisi e il numero dei poveri si moltiplica, le case di internamento riprendono almeno per qualche tempo il loro primo significato economico. A metà del XVIII secolo si è di nuovo in piena crisi: dodicimila operai che mendicano a Rouen, altrettanti a Tours; a Lione le manifatture chiudono. Il conte di Argenson, «che ha il dicastero di Parigi e della gendarmeria a cavallo», dà l’ordine di «arrestare tutti i mendicanti nel regno; le guardie a cavallo operano a questo fine nelle campagne, mentre si fa altrettanto a Parigi, dove si è sicuri che non rifluiranno, trovandosi fatti prigionieri da ogni parte». Ma fuori di questi periodi di crisi, l’internamento assume un altro significato. La sua funzione repressiva si trova rafforzata a causa di una nuova utilità. Non si tratta più allora di rinchiudere i senza lavoro, ma di dar lavoro a coloro che sono stati rinchiusi e di farli così servire alla prosperità comune. L’alternanza è chiara: mano d’opera a buon mercato nei periodi di pieno impiego e di alti salari; e in periodo di disoccupazione riassorbimento degli oziosi e protezione sociale contro l’agitazione e le sommosse. Non dimentichiamo che le prime case d’internamento appaiono in Inghilterra nei centri più industrializzati
del paese: Worcester, Norwich, Bristol. [...] Quando si aprono le prime case di internamento in Inghilterra, si è in piena recessione economica. Il decreto del 1610 raccomandava solo di aggiungere a tutte le case di correzione dei mulini, dei telai, delle officine di cardatura in modo da occupare i dozzinanti. Ma quando, dopo il 1651, dopo l’Atto di navigazione e l’abbassamento del tasso di sconto, si ristabilisce la situazione economica e si sviluppano il commercio e l’industria, l’esigenza morale diviene una tattica economica. Si cerca di utilizzare il meglio possibile, cioè al miglior mercato possibile, tutta la mano d’opera valida. [...] Quando si è creato l’Hôpital général di Parigi, si è pensato soprattutto alla soppressione della mendicità più che all’occupazione degli internati. Sembra tuttavia che Colbert, come i suoi contemporanei inglesi, abbia visto nell’assistenza attraverso il lavoro sia un rimedio alla disoccupazione che uno stimolante per lo sviluppo delle manifatture.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea che cosa comportò la creazione dell’Hôpital général e in che cosa esso sia consistito. b Spiega per iscritto la funzione dell’internamento in tempi di crisi e al di fuori di essi.
PISTE DI LAVORO
DAI DOCUMENTI ALLA STORIA 1 Scrivi un testo di circa 10 righe dal titolo La vita dei contadini fra corvées e balzelli, facendo riferimento al brano di Rösener [►9] e al documento sui diritti del signore feudale [►10d]. Parti dal documento sui diritti del signore feudale e analizzalo mettendo in rilievo le informazioni che si ricavano sulla vita dei contadini. Quindi descrivile e commentale facendo riferimento al brano di Rösener [►9]. 2 Scrivi un testo di circa 20 righe sulle funzioni dell’internamento in Europa e il caso dell’Hôpital général di Parigi, facendo riferimento all’editto di fondazione dell’Hôpital général [►12d] e al testo di Foucault [►13]. Prima di procedere con la scrittura, evidenzia nel documento e nel testo presi in considerazione i concetti che intendi utilizzare nel tuo elaborato e realizza una scaletta.
IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 3 Dopo aver letto i brani di Dewald [►8] e Doyle [►11], e i documenti sui diritti del signore feudale [►10d] e sulla fondazione dell’Hôpital général [►12d], scrivi un testo di circa 20 righe in cui commenti la seguente posizione storiografica sulla condizione della nobiltà negli ultimi secoli dell’ancien régime, indicando i punti che ritieni più convincenti e quelli su cui non sei d’accordo e portando a supporto della tua tesi le citazioni dei testi che ritieni più opportune: “L’aristocrazia oppone un’attiva e vivace resistenza alla modernizzazione dell’economia; infatti obbliga i nuovi ricchi a desiderare di appartenere alla cultura nobiliare e a investire nella proprietà terriera”.
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FARESTORIA Gerarchie sociali e marginalità
CONDIZIONE FEMMINILE E INFANZIA Negli ultimi anni gli storici dell’età moderna hanno mostrato un crescente interesse per le condizioni di vita di donne e bambini. Un notevole sviluppo, in particolare, hanno registrato i cosiddetti “studi di genere”, ovvero quelle ricerche che hanno l’obiettivo di indagare i rapporti tra i sessi e i sistemi di potere che ne derivano. In questa sezione sono stati raccolti alcuni brani che ricostruiscono ed esaminano alcuni aspetti della vita di donne e bambini durante l’ancien régime. Anna Bellavitis [►14] analizza il composito mondo del lavoro femminile, le diverse professioni svolte, ma anche la precarietà della posizione delle donne e lo scarso riconoscimento giuridico di cui beneficiavano. Se la maggior parte delle donne erano escluse dall’istruzione, per le donne del ceto medio-alto, invece, sorsero istituti specifici, volti però solo a prepararle come perfette padrone di casa. Merry E. Wiesner [►15] mette in luce, invece, come la partecipazione delle donne di ceto elevato alle corti e ai salotti costituì un’occasione sia di socializzazione sia di formazione e di accrescimento culturale. Dominique Godineau [►16] si sofferma sull’istituzione matrimoniale e sulle differenze nei meccanismi e negli atteggiamenti che regolavano i matrimoni fra ceti medio-alti e ceti popolari. Sia il ruolo materno – come analizzato da Daniela Lombardi [►17] – che l’atteggiamento verso l’infanzia – studiato da Hugh Cunningham [►18] – subirono importanti trasformazioni fra fine ’600 e ’700, alimentate e influenzate anche da alcune note opere letterarie dell’epoca.
14 A. BELLAVITIS IL LAVORO DELLE DONNE
A. Bellavitis, Il lavoro delle donne nelle città dell’Europa moderna, Viella, Roma 2016, pp. 18-26.
Le ricerche storiche hanno dimostrato l’importanza dei lavori svolti dalle donne nelle economie dell’età moderna. Se guardiamo a quelle urbane, le donne si impegnavano in molte attività, come la filatura, il cucito, la tessitura, spesso lavorando a domicilio (erano ammesse nelle associazioni di mestiere solo raramente). Le donne lavoravano anche presso istituzioni civili e
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Le donne non furono assenti da molti settori che oggi, perlomeno in Europa, ci possono sembrare prettamente maschili. [...] Al di fuori dello spazio urbano, troviamo donne nelle miniere o nelle saline, con ruoli di manovalanza, ma anche in impieghi di coordinamento del lavoro altrui, definiti «uffici» e trasmissibili ad altre donne della famiglia. Infine, le donne che accompagnavano gli eserciti nelle campagne di guerra non erano solo prostitute o romantiche avventuriere travestite da uomo ma vivandiere, cantiniere, lavandaie, assunte dai comandi militari per i servizi quotidiani, ma anche mogli che seguivano i mariti portando con sé i figli, perché restando a casa non avrebbero avuto di che vivere. [...] Artigianato, servizio domestico e commercio al dettaglio erano le occupazioni femminili più diffuse nelle realtà urbane. La specializzazione produttiva di certe città ne determinava le possibilità lavorative, per cui, ad esempio, a Ginevra, tra XVI e XVII secolo, un terzo degli occupati nella fabbricazione di orologi erano don-
religiose, ed erano presenti in settori che potrebbero sembrare tipicamente maschili; si spostavano, percorrendo anche lunghe distanze, per trovare un’occupazione. La storica Anna Bellavitis (nata nel 1960) analizza l’ampio spettro dei lavori svolti dalle donne in età moderna, ma si sofferma anche sugli ostacoli che incontra la ricerca storica in questo ambito. La posizione delle donne, infatti, era più precaria, scarsamente riconosciuta dalle autorità e poco regolamentata a livello giuridico. Inoltre, identità di genere e ruolo familiare prevalevano sull’identità lavorativa.
ne, e a Firenze, dove la produzione tessile era una delle principali attività, le donne rappresentavano, nel 1604, il 62% dei tessitori e circa il 40% di tutti i lavoratori dell’Arte della Lana e, nel 1662-3, il 38% degli addetti al settore laniero e l’84% degli addetti all’Arte della Seta. Molte donne lavoravano come dipendenti di istituzioni municipali e religiose. Ad esempio, a Norimberga, le donne esercitavano su licenza municipale il ruolo di estimatrici per gli inventari post mortem, un’attività molto importante dato che per ogni decesso era richiesto un inventario, qualsiasi fosse la condizione sociale o lo stato civile del defunto, e dato che erano necessarie competenze molteplici per stimare il valore di oggetti, abiti, beni di lusso, utensili da lavoro. [...] In quanto storiche il primo problema che dobbiamo affrontare è quello delle fonti. Le donne erano occultate, più che gli uomini degli stessi ceti sociali, più che gli artigiani o i contadini di sesso maschile, dalle fonti quantitative, in particolare le fonti fiscali e i censimenti,
U1 L’EUROPA DEL ’700: SOCIETÀ, POTERI, CULTURA
perché, a differenza degli uomini, erano quasi sempre identificate in base al loro ruolo nella famiglia, come figlie, mogli, vedove, anziché in relazione all’attività esercitata e ciò era particolarmente vero nel caso delle donne sposate. Questo specifico problema relativo alle identità lavorative femminili si aggiunge a un dato di fatto più generale, ovvero che, in passato come oggi (e sempre di più nel contesto della crisi economica e della diffusione di modalità di lavoro cosiddette «flessibili»1, che in realtà nascondono una crescente precarizzazione2), molte persone, uomini e donne, esercitavano vari mestieri scarsamente specializzati nel corso della loro vita e l’identità professionale era un privilegio di una parte relativamente ristretta 1. Flessibilità lavorativa: condizione per la quale il lavoratore non rimane al proprio posto di lavoro a tempo indeterminato, ma muta più volte attività occupazionale e/o datore di lavoro. 2. Diffusione o aumento degli impieghi lavorativi precari, non stabili.
della società. Possiamo ritenere che ciò fosse soprattutto vero per le donne che, più raramente, disponevano di una formazione specifica a una professione o di un titolo di studio, anche se non va dimenticato che, nell’ambito dei mestieri manuali o del lavoro agricolo, tanto uomini che donne vivevano molto spesso di pluriattività o di occupazioni saltuarie. Il paradosso, messo in rilievo dalle ricerche più recenti, è che, anche quando non esercitavano un’attività regolare e non avevano quel che oggi si chiamerebbe «il posto fisso», gli uomini erano più spesso definiti dalle fonti fiscali e quantitative sulla popolazione con una precisa identità lavorativa, il che ha contribuito a falsare ulteriormente i dati a disposizione degli storici e delle storiche. Le attività delle donne erano spesso definite non in base all’essere, ma in base al fare. Ad esempio, nei registri della popolazione veneziana del 1805, compilati all’epoca della dominazione austriaca, accanto ai nomi femminili si può leggere: «fustagnera», cioè tessitrice di fustagni, «revendigola», cioè venditrice, «impiraressa», cioè infilatrice di perle di vetro, ma anche «fa calze», «fa perle», «lavora di bianco», «lavora mode», «fila lana», oppure «raccoglie carte per le strade». La tendenza a non definire il lavoro come un’identità che struttura la persona, ma come un fatto accessorio e saltuario si ritrova nelle definizioni che le donne davano di se stesse. Nelle testimonianze rese ai tribunali romani nel XIX
E SALOTTI
secolo, le donne al momento di dichiarare la propria identità lavorativa dicevano «io faccio»... la sarta, la serva, ecc., mentre gli uomini affermavano di «essere» sarti, calzolai ecc. Certamente, questa sottile ma profonda distinzione corrispondeva anche a ruoli effettivamente diversificati all’interno di mestieri che potevano essere analoghi: essere a capo di un laboratorio di sartoria era diverso dal fare la sarta in
PALESTRA INVALSI
1 L’espressione «In quanto storiche il primo problema che dobbiamo affrontare è quello delle fonti» significa che le storiche... [ ] a. devono avere maggiore sensibilità verso quello che le fonti non dicono, poiché sanno che le donne in passato avevano raramente modo di lasciare traccia di sé. [ ] b. si interessano al problema delle fonti, a differenza dei colleghi. [ ] c. possono capire, a differenza dei colleghi, in che modo trovare tracce della vita delle donne del passato. [ ] d. hanno scoperto che le donne erano sempre presenti nelle fonti fiscali e lavorative anche quando non esercitavano un’attività regolare e non avevano quel che oggi si chiamerebbe “il posto fisso”. 2 Un messaggio importante del testo è che... [ ] a. le donne in passato non lavoravano, ma si occupavano unicamente della casa. [ ] b. in passato il lavoro delle donne non era percepito come qualcosa che riguardasse la loro identità, ma come un fatto accessorio. [ ] c. gli uomini e le donne in passato svolgevano ruoli analoghi all’interno di mestieri che risultavano essere analoghi. [ ] d. uomini e donne in passato avevano modo di trovare sempre un impiego lavorativo che durasse tutta la vita. 3 Il testo che hai letto è... [ ] a. uno studio tratto da una rivista scientifica. [ ] b. una voce di enciclopedia. [ ] c. un paragrafo di un testo sulla storia di genere. [ ] d. un articolo divulgativo.
15 M.E. WIESNER LE DONNE, FRA CORTI
M.E. Wiesner, Le donne nell’Europa moderna. 1500-1750 [2000], Einaudi, Torino 2003, pp. 186-95.
Nel corso del XVII secolo si cominciò ad affrontare il tema dei limiti dell’istruzione femminile, molto carente dal punto di vista umanistico e poco seria. Le istituzioni specializzate che sorsero per ragazze della media e dell’alta borghesia, infatti, avevano Sebbene il sistema scolastico femminile si limitasse quasi esclusivamente a insegnare nozioni di base e di buona creanza, in età premoderna c’erano due ambiti che consentivano alle aristocratiche di ogni età di conseguire un’educazione politica e culturale e instaurare rapporti che permettevano loro di coltivare gli interessi personali e della famiglia, pur non potendo frequentare le accademie e le università. Se pensiamo che l’appren-
casa, anche se è ovvio che mobilità e precarietà lavorative caratterizzavano pure gran parte della popolazione maschile e che non tutte le donne svolgevano lavori precari sottopagati. Tuttavia, non si può non notare come, da parte delle donne, la tendenza a strutturare la propria identità non sul lavoro ma sulla famiglia sia un atteggiamento di lunghissima durata e che ci appare molto familiare ancora oggi.
solo l’obiettivo di prepararle al futuro ruolo di mogli, impartendo insegnamenti su materie come il ricamo, la danza, il disegno, i princìpi morali o le doti richieste ad una brava padrona di casa di ceto medio-alto. Altri luoghi, però, svolsero un ruolo importante nella formazione delle donne (seppure solo dei ceti superiori). La storica statunitense Merry E. Wiesner (nata nel 1952) mette in luce l’importanza che ebbero corti e salotti nell’educazione politica e culturale delle donne.
dimento sia un processo che dura tutta la vita, attraverso il quale acquisiamo competenze e approfondiamo la conoscenza delle cose del mondo, le corti e i salotti furono probabilmente più utili delle scuole per la formazione culturale delle gentildonne europee e furono anche i luoghi in cui esse poterono esercitare una certa influenza nel campo del sapere. Era assai frequente che le giovani benestanti venissero inviate a trascorrere un
certo tempo presso famiglie di condizione sociale più elevata o a corte se erano di alto lignaggio, graziose, particolarmente intelligenti o dotate di qualche talento artistico, ad esempio la musica. Nel periodo fra la Riforma e la Rivoluzione francese le corti europee furono non soltanto sedi del potere politico ed economico ma anche centri culturali. [...] Intorno alla metà del Seicento alcune parigine diedero vita a una nuova istituzione
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FARESTORIA CONDIZIONE FEMMINILE E INFANZIA
che consentì loro di accedere al mondo della cultura e delle lettere: il salotto (salon in francese). Queste dame ricevettero nella propria casa uomini e donne che dibattevano a livello più o meno formale di argomenti che loro stesse proponevano di volta in volta. [...] L’ospite selezionava gli invitati, decideva se la conversazione doveva essere seria o faceta e se dovesse essere accompagnata da altri intrattenimenti, quali il canto, la lettura di opere in versi, la rappresentazione di un lavoro teatrale. Il primo vero salotto è considerato quello di Madame de Rambouillet (15881666), il cui esempio fu seguito da molte altre gentildonne parigine nel corso del secolo. Le dame che organizzavano e frequentavano i salotti del Seicento e dei primi anni del Settecento erano quasi tutte di nobili natali, in genere appartenevano a famiglie che avevano da poco acquisito il titolo e spesso sposavano uomini di più alto lignaggio e maggior prestigio sociale. Nei salotti si riunivano membri della nobiltà più antica, di quella più recente e dell’alta borghesia. Non erano istituzioni democratiche, ma favorirono l’incontro fra la vecchia e la nuova élite e probabilmente preservarono la struttura aristocratica della società che in tal modo non si sentì minacciata dai ceti emergenti. Educate quasi tutte nelle scuole monastiche, che badavano soprattutto alla formazione religiosa e morale, le salonnieres1 si rendevano conto dei limiti della propria formazione culturale e vedevano nel salotto un’occasione per approfondire la conoscenza del mondo. Prendevano molto sul serio il loro impegno, si preparavano prima di ogni riunione coltivando la lettura, scrivendo lettere e raffinando le proprie doti di conversatrici. Furono messe in ridicolo da autori come Molière, che le definì saccenti e più attente alla forma che alla sostanza, ma dagli studi più recenti emerge che alcune erano molto influenti e forse è proprio per questo che furono
bersaglio della satira di Molière. Non ricoprivano incarichi pubblici né accademici, ma il benestare di alcune di loro fu la condizione ufficiosa affinché certi uomini di lettere fossero nominati membri dell’Académie française, il massimo onore per un intellettuale francese. Dal momento che consideravano la loro attività un’occupazione vera e propria, anche se non retribuita, le gentildonne colte prima di aprire il proprio salotto di solito facevano esperienza e pratica frequentando per molti anni le riunioni in casa di una signora più anziana. Oltre a quella delle loro protette, le salonnières si prendevano cura dell’istruzione delle figlie, cosa che spesso garantiva a queste ultime un’autonomia intellettuale che consentiva loro di aprire salotti decisamente diversi da quelli delle madri. È da poco che la ricerca storica si occupa in modo specifico di questo argomento e che riconosce ai salotti della seconda metà del Settecento una funzione cruciale per lo sviluppo e la diffusione dell’Illuminismo. Nello stesso periodo i salotti si estesero all’Inghilterra, dove fornirono un notevole sostegno alle scrittrici, e alla Germania, dove furono tra i pochi luoghi d’incontro fra cristiani ed ebrei. Benché, soprattutto in Francia, ruotassero ancora intorno agli intellettuali e scrittori maschi e le donne vi partecipassero quasi esclusivamente in veste di promotrici, nelle principali città europee rappresentarono un canale di accesso al sapere che altrimenti sarebbe stato impensabile per una donna. Permisero anche a qualcuna di ricoprire un ruolo quasi pubblico, tanto che i conservatori, quelli francesi in particolare, paventavano la crescente «femminilizzazione» della cultura e l’indebolimento dei valori militari e produttivi della nazione. L’effettiva influenza che i salotti letterari esercitarono sulla società francese senza dubbio si colloca a metà strada fra queste catastrofiche previsioni e la futilità di cui li accusava Molière, ma
16 D. GODINEAU IL MATRIMONIO
D. Godineau, La donna, in M. Vovelle (a c. di), L’uomo dell’Illuminismo, Laterza, Roma-Bari 1992, pp. 454-61.
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La storica francese Dominique Godineau (nata nel 1958), in questo saggio, pubblicato in un volume collettaneo dedicato alle figure sociali dell’Illuminismo, affronta la condizione fem-
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per quanto riguarda l’istruzione femminile furono un’esperienza straordinaria, l’unica realtà in cui le donne del XVII e dei primi anni del XVIII secolo ebbero la concreta opportunità di frequentare altre donne e uomini colti. [...] La prima età moderna è da molti considerata un’epoca di progressiva crescita culturale grazie a una serie di fenomeni: l’umanesimo, che attribuì grande importanza ad abilità quali la scrittura e l’arte oratoria; la Riforma protestante, che favorì l’alfabetizzazione; l’avvio del sistema scolastico pubblico, che promosse l’istruzione di massa. Secondo alcuni ricercatori e ricercatrici fu il periodo in cui l’Europa passò dalla cultura orale alla cultura scritta. Ma, come abbiamo visto, a parità di condizione sociale le donne avevano minori opportunità dei giovani e degli uomini di accedere all’educazione, da quella elementare a quella superiore. Persino le signore più colte e le raffinate salonnières ammettevano i limiti della propria formazione. Tale divario influì non soltanto sulla facoltà di acquisire conoscenze e offrire protezione agli intellettuali, ma anche sulla possibilità di utilizzare il sapere per produrre opere letterarie, artistiche, musicali e scientifiche. 1. Donne che organizzavano i salotti.
METODO DI STUDIO
a Cerchia con colori diversi gli ambiti che consentivano alle donne dell’aristocrazia, in età premoderna, di ricevere un’educazione politica e culturale e di coltivare interessi personali e sottolinea le relative caratteristiche mantenendo i colori scelti. b Realizza un grafico a stella al cui centro scriverai “I salotti fra ’600 e ’700” e i cui raggi faranno riferimento alle relative caratteristiche (es. identità dell’ospite, modalità di svolgimento, caratteristiche degli invitati, funzione, possibilità offerte alle donne, ecc. ...). Quindi, scrivi le parole chiave relative a ogni raggio. Infine motiva per iscritto la tua scelta.
minile e le ambiguità che la caratterizzarono nel secolo dei Lumi. Nel brano proposto analizza l’istituzione del matrimonio, e le sue differenze fra ceti agiati e ceti popolari. Mette anche in luce come il matrimonio tradizionale, spesso regolato da meccanismi di convenienze economiche e sociali, fosse oggetto delle critiche degli illuministi.
Certamente il desiderio di sottomettere le mogli si ritrova nella condizione che è imposta loro per legge. In tutti i paesi occidentali esse sono minorenni dal punto di vista giuridico, con una personalità civile quasi inesistente: generalmente non hanno il diritto d’intentare cause o di contrarre impegni. I loro beni sono il più delle volte amministrati dai mariti senza che esse abbiano neanche la possibilità d’intervenire. Il diritto consuetudinario francese pone la sposa sotto l’autorità del marito, senza il consenso del quale ella non può agire. In alcune regioni le ragazze vengono spogliate dell’eredità paterna. Dovunque le donne restano escluse dalla direzione delle associazioni di mestiere, così come dalle istanze politiche, municipali, regionali o nazionali. [...] Negli ambienti agiati, il matrimonio è ancora largamente trattato come una transizione sociale o economica, decisa dagli uomini della famiglia. Il futuro consorte è scelto dai genitori della ragazza in funzione della posizione sociale e dei redditi; sperando così di creare una comoda unione o di assicurare la sistemazione della figlia. Poco importa che il felice prescelto sia un vecchio, che la fidanzata ami un altro o semplicemente non lo apprezzi: non può dire nulla, perché i genitori sono persuasi di darsi da fare per il suo bene. Verso la fine del secolo, le ragazze di famiglie sensibili alle nuove idee dell’Illuminismo, nobili o plebee, potranno far sentire la loro voce più facilmente. [...] Il matrimonio tradizionale è infatti uno dei bersagli preferiti dei Lumi. [...] Cosa viene rimproverato a questa istituzione? Innanzi tutto di essere pervertita dalle convenzioni sociali e dal denaro. Si mettono in scena degli sposi male assortiti la cui unione sarà un disastro. Si compiangono le ragazze sacrificate alla politica familiare, date a vecchi ripugnanti, a libertini che dilapideranno il loro patrimonio, ad avari che le faranno vivere nella miseria, ecc. Le più rassegnate saranno votate alla sfortuna, le altre tradiranno i mariti. Simili matrimoni sono dunque respinti in nome della libertà delle ragazze e in nome dei buoni costumi dei quali sono la tomba. L’indissolubilità del matrimonio viene così fortemente attaccata. Il divorzio esiste in numerosi paesi protestanti, ma nell’Europa cattolica i coniugi che finiscono per odiarsi sono condannati a
restare uniti fino alla morte. Certamente la separazione dei beni e quella fisica offrono un soccorso, ma gli sposi separati non possono risposarsi. [...] Contro la concezione religiosa d’indissolubilità del matrimonio si sviluppa a poco a poco l’idea contrattuale. Il matrimonio è così considerato un contratto liberamente accettato da due parti uguali e che può essere sciolto. Questa nozione troverà il suo compimento durante la Rivoluzione francese, quando la Costituzione del 1791 assicurerà che «la legge non considera il matrimonio che come un contratto civile». [...] Una nuova visione della coppia scaturisce dalle riflessioni sul matrimonio. La coppia ai tempi dell’Illuminismo deve essere costruita sui sentimenti e non sulle convenienze. Non è concepita come luogo di sfida tra l’uomo e la donna ma come luogo di armonia e di espressione delle due persone costruita da entrambi i partner. [...] Le nozioni di contratto liberamente accettato e di mutua cooperazione valorizzano la posizione della donna. Queste nozioni non sono appannaggio di un piccolo cerchio di menti illuminate, ma si diffondono nella società, testimoniando un’evoluzione profonda delle mentalità. [...] La coppia di ceto popolare si forma molto più liberamente che negli ambienti agiati poiché l’attrazione reciproca prevale sull’aspetto economico. La ragazza lavora e, almeno in città, non dipende completamente dai genitori che talvolta lascia per andare ad abitare da sola. Le occasioni d’incontro non sono rare e l’assenza di rigide strategie finanziarie facilita l’unione, legittima o no, poiché, pur senza essere la norma, il concubinato non è raro e si sviluppa nel XVIII secolo nelle grandi città. Non che il matrimonio sia un atto preso alla leggera, solo che non è retto dalle stesse regole. La donna del popolo si aspetta dal matrimonio la felicità, spesso assimilata dalla parola «sistemazione». In una vita assai precaria che deve essere sinonimo di stabilità: affettiva e socio-economica, visto che l’unione popolare obbedisce soltanto alle leggi dell’amore. Se il denaro non entra in gioco nella formazione della coppia, gli sposi, uomini e donne, sperano comunque in un avanzamento economico della loro unione, fondato sulla messa in comune dei frutti del loro lavoro. [...] Lavoratrice, la donna deve ammini-
strare i soldi della famiglia e arrangiarsi come può con quello che ha affinché non manchi mai il cibo a tavola. Questo ruolo femminile di nutrice, del quale gli uomini non vogliono conoscere le difficoltà, è uno dei motivi della partecipazione delle donne alle sommosse causate dalla penuria alimentare: non è allora soltanto la fame o l’istinto materno che le spinge alla testa della folla, ma anche l’insopportabile fallimento del loro ruolo sociale. Anche lo sposo ha dei doveri da compiere: non deve picchiare la moglie, tradirla, parlare troppo duramente o mettere in pericolo con il suo comportamento l’onore comune della coppia. Non deve dilapidare il patrimonio familiare, ma al contrario dare a sua moglie di che sostenere la vita domestica. Se da un lato la sposa spera di trovare nel matrimonio una certa stabilità economica, dall’altro si aspetta che suo marito la stimi e manifesti un comportamento premuroso verso di lei e i suoi figli. Se questo tacito accordo è troppo spesso e troppo violentemente violato la moglie non esiterà, malgrado le difficoltà economiche che l’aspettano, ad abbandonare con i bambini il domicilio coniugale per tentare di rifarsi una vita altrove. Inoltre la donna popolana vuole mantenere la sua parte di autonomia: in alcune cose il marito non deve mettere il naso, né tanto meno ella deve rendergliene conto. La moglie ritiene di avere il diritto, una volta adempiuto i suoi doveri familiari, di uscire quando più le aggrada, sia per affari personali che per chiacchierare con le amiche o per andare a bere un bicchierino all’osteria – luogo misto, in cui la presenza di una donna, sola o in compagnia di amici o amiche, non sbalordisce affatto.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le cause che impedivano alle donne di dirigere le associazioni di mestiere e che le escludevano dalle istanze politiche, municipali, regionali o nazionali. b Spiega la frase: «Nei paesi occidentali le donne sono minorenni dal punto di vista giuridico». c Sottolinea con colori diversi le caratteristiche e gli aspetti del matrimonio tradizionale che vengono contestati durante l’Illuminismo. d Individua le caratteristiche del matrimonio contratto in classi elevate e di quello contratto nei ceti più popolari e delinea per iscritto la condizione della donna in queste due differenti situazioni.
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FARESTORIA CONDIZIONE FEMMINILE E INFANZIA
17 D. LOMBARDI RUOLO MATERNO E IMMAGINE DELLA DONNA
D. Lombardi, Storia del matrimonio. Dal Medioevo a oggi, il Mulino, Bologna 2008, pp. 180-91.
La storica Daniela Lombardi (nata nel 1951) ha ricostruito le trasformazioni dell’istituzione matrimoniale dal Medioevo all’età contemporanea, prestando attenzione al ruolo e alla percezio-
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Tra Settecento e primo Novecento il ruolo materno si modifica profondamente. Dalle molteplici funzioni materne, assolte da persone diverse (la madre, la balia, la governante, il precettore, il collegio) e in luoghi diversi, si passa verso la metà dell’Ottocento all’affermazione della figura della madre biologica all’interno dello spazio domestico. [...] I discorsi medici e filosofici dell’età dei Lumi hanno contribuito fortemente alla valorizzazione del ruolo materno. Non furono solo i padri illuministi a recepire con entusiasmo le tesi di Rousseau e dei medici a lui contemporanei. Molte madri dell’aristocrazia e della borghesia si appassionarono a nuovi metodi di cura ed educazione dell’infanzia, cogliendo talvolta con grande consapevolezza tutta la difficoltà di metterli in pratica. [...] Quel che è certo è che nell’arte, nella letteratura e nella trattatistica la maternità assurge, in questa seconda metà del secolo, a valore dominante della vita familiare. Madri felici e appagate, circondate da bambini di cui si occupano personalmente, ci appaiono dalle tele e dalle incisioni di artisti più o meno celebri. [...] Nella letteratura francese già dagli anni Trenta del Settecento si enfatizza l’importanza del ruolo materno nella cura e nell’educazione dei figli. Alla madre si attribuisce non solo il compito di nutrire il bimbo con il proprio latte nei primi anni di vita, ma anche una funzione educatrice negli anni successivi, perché l’istinto e il sentimento materno costituiscono la migliore guida per un sano e armonioso sviluppo. [...] La valorizzazione del ruolo materno finì col confinare le donne nell’ambito della famiglia, una famiglia più affettiva e meno dispotica, ma pur sempre soggetta a una forte autorità del pater familias. La casa diventò lo spazio dell’intimità, della tenerezza, dei piaceri tranquilli, di quella domesticity1 che il puritanesimo inglese già dal Seicento andava proponendo come ideale della vita coniugale. [...] La valorizzazione della maternità ebbe una ricaduta importante sulla rappresen-
ne della donna. Nel brano seguente guarda alle modificazioni del ruolo materno, che fu valorizzato nel corso del ’700, finendo però anche per modificare le relazioni fra i sessi e per confinare la donna in un ruolo esclusivamente domestico e familiare, esaltandone la virtù e le qualità morali. A diffondere questi nuovi atteggiamenti contribuirono anche i più famosi romanzi dell’epoca, come Pamela di Samuel Richardson.
tazione delle relazioni tra i sessi. Attribuire alla donna compiti educativi oltre che nutritivi nei confronti dei figli implicava un riconoscimento delle sue qualità morali. L’immagine della donna incline alla lussuria e agli appetiti della carne, fragile e incostante, così consueta nella tradizione medievale e rinascimentale, cominciò, nel corso del Settecento, a essere sostituita da un’immagine antitetica che della donna valorizzava la virtù, la purezza, la moralità, il sentimento. [...] La donna dunque cominciò a essere rappresentata come madre, anzi come madre spirituale cui spettava non solo l’educazione dei figli ma anche la moralizzazione dei costumi del marito. Il concetto di virtù aveva un’accezione prevalentemente sessuale; tuttavia comprendeva altre dimensioni (sensibilità, sentimento, affettività) che tendevano a essere associate alla figura femminile. Ed era anche grazie alla sua sensibilità emotiva, alla sua capacità di «leggere nel cuore degli uomini», che la donna poteva svolgere una funzione di guida spirituale e morale. La letteratura ci ha trasmesso esempi straordinari di donne virtuose, di eroine immuni dalla passione dei sensi e perciò capaci di redimere uomini viziosi. È noto il romanzo di Samuel Richardson, Pamela o la virtù ricompensata, pubblicato nel 1740 (ma datato 1741), che riscosse un enorme successo e fu più volte ristampato nel corso del secolo. Pamela è una giovane domestica che, dopo la morte della padrona, resta affidata al figlio, un giovane ricco e libertino che si invaghisce di lei e tenta ripetutamente di insidiarne la verginità, ricorrendo sia all’inganno che alla violenza. Pamela riesce a resistere a tutti i tentativi di seduzione e a non cedere né alle minacce né ai raggiri. Alla fine il padrone, ormai innamorato di lei e folgorato dalla sua virtù, propone di sposarla. La ricompensa per Pamela è, ovviamente, il matrimonio. [...] In Pamela la nuova concezione della virtù – di pertinenza femminile anziché maschile, diffusa tra i ceti popolari e non nell’élite corrotta e disso-
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luta – spazza via le vecchie idee e diventa il fondamento su cui costruire un legame matrimoniale solido e allo stesso tempo affettivo. [...] L’esaltazione della virtù femminile e la valorizzazione del ruolo materno, presenti nel mondo protestante come in quello cattolico, ratificarono l’esclusione delle donne dalla sfera pubblica. [...] È interessante notare come, nel dibattito politico (maschile) sulla questione della partecipazione femminile, ai temi consueti, vecchi di secoli, della «naturale» predisposizione della donna all’instabilità di carattere e alla passionalità dei sentimenti, che la rende assolutamente inadatta alla vita politica, si aggiungano i temi nuovi della vocazione femminile anch’essa «naturale» alla maternità, che ne impedirebbe la partecipazione politica. [...] La divisione dei sessi si arricchisce della dimensione materna per confermare l’alterità dei compiti cui sono destinati uomini e donne. La valorizzazione del ruolo materno, che pure presuppone una nuova enfasi sulle qualità morali e spirituali della donna, non riesce a cancellare gli antichi stereotipi sulla fragilità e debolezza del sesso femminile, che continuano a essere utilizzati per giustificare l’esclusione dalla vita pubblica. 1. Vita domestica, vita familiare.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi le caratteristiche della nuova idea di maternità che si affermò nel ’700 e le ricadute che coinvolsero la vita e l’immagine della donna nella società. b Spiega per iscritto in cosa consiste il modello di donna virtuosa che si afferma in questo periodo e supporta la tua affermazione con un esempio. c Sottolinea le motivazioni che, nell’immaginario comune dell’epoca, rendono inadatte le donne alla vita politica.
18 H. CUNNINGHAM UNA NUOVA IDEA DELL’INFANZIA
H. Cunningham, Storia dell’infanzia. XVI-XX secolo [1995], il Mulino, Bologna 1997, pp. 75-81.
Lo storico inglese Hugh Cunningham ricostruisce in questo volume i cambiamenti avvenuti nell’esistenza dei bambini e il modo Ariès1 attribuì al XVII secolo un ruolo cruciale nella trasformazione delle idee sull’infanzia, ma per molti storici la preminenza spetta al XVIII secolo. Incorniciato dagli scritti di John Locke al suo inizio e dei poeti romantici alla fine e, con la figura stridente di Rousseau nel mezzo, il XVIII secolo sembra evidenziare un grado di sensibilità nei confronti dell’infanzia e dei bambini sconosciuto nei secoli precedenti. Alcuni cominciarono a considerare l’infanzia non come una preparazione a qualcos’altro, fosse questo qualcosa l’età adulta oppure il paradiso, ma come una fase dell’esistenza che meritava di essere valutata autonomamente. [...] Il crescere dell’intimità e degli agi nella vita familiare delle classi superiori e medie fu parte integrante di questa attenzione per l’individualità del bambino. La comunità e la famiglia allargata persero il ruolo di arbitri delle questioni morali, la cui soluzione venne a focalizzarsi nella cerchia nucleare della famiglia, dove pure vennero a concentrarsi gli affetti più profondi. L’amore fra genitori e figli, e in particolare tra madre e figlio, già da tempo santificato nell’iconografia occidentale, acquistò secolarizzandosi una nuova intensità. E questo amore poteva esprimersi più facilmente nella progettazione delle abitazioni, molto più ricche ora di spazi privati. Il passaggio ad una società più orientata al bambino fu contestato ad ogni stadio, e non giunse mai a completamento. Sia negli atteggiamenti nei confronti dell’infanzia che nel comportamento con i bambini ci imbattiamo continuamente in ambivalenze e contraddizioni. [...] Ci sono prove abbondanti, tuttavia, del verificarsi di una trasformazione di un certo spessore, che può essere riassunta come un passaggio da un interesse primario per la salute spirituale del bambino ad una preoccupazione per lo sviluppo del singolo bambino. Il saggio di John Locke Some Thoughts Concerning Education [Pensieri sull’educazione] (1693) ha raggiunto lo status
in cui si è modificato il loro posto nella famiglia e nella società dal ’500 ad oggi. Nel brano proposto analizza le trasformazioni negli atteggiamenti verso l’infanzia avvenute fra XVII e XVIII secolo, guardando alle opere di Locke e di Rousseau che ebbero notevole successo e concorsero a cambiare la percezione dell’infanzia e ad assegnarle un nuovo ruolo.
di classico in questo processo, anche se il motivo di ciò non è immediatamente evidente. Sollecitato inizialmente da un gentiluomo a fornirgli qualche consiglio sull’educazione del figlio, Locke scoprì che le sue lettere erano vivamente richieste e acconsentì a pubblicarle. [...] La questione sulla quale Locke tornava ossessivamente era un antico problema: quale ruolo dovevano avere le punizioni corporali nell’educazione dei figli? La risposta era sintetica: «penso decisamente che una grande severità nelle punizioni non sia affatto, nell’educazione, un beneficio per quanto piccolo, ma che sia un gran male». [...] Occasionalmente le punizioni corporali possono essere necessarie per conseguire il fine della sottomissione della volontà, processo la cui interiorizzazione era la chiave per la formazione di un adulto riuscito e morale. [...] Locke è forse meglio conosciuto per qualcosa in cui non credeva, cioè l’idea che un bambino andasse considerato «come un foglio bianco, o quasi cera da modellarsi e acconciarsi come piace». Locke ammise di aver assunto questa posizione nel suo libro, ma, come chiarisce con l’esposizione che fa del problema nel suo Essay on Human Understanding [Saggio sull’intelletto umano], per lui un bambino è tabula rasa solo per quanto riguarda le idee, non per le attitudini o per il temperamento. Non era un’idea nuova, ma la formulazione datale da Locke ebbe un’autorevolezza ignota ai suoi predecessori. Sul piano dell’educazione dei figli le implicazioni erano enormi, e l’educatore, colui che doveva cioè scrivere su quella carta e modellare quella cera, era investito di un potere colossale e di enormi responsabilità. Come disse Locke con un’espressione incisiva: «nove su dieci degli uomini in cui c’imbattiamo sono quel che sono, buoni o cattivi, utili o no, per effetto della loro educazione». Ma qualsiasi cosa possa dirsi della mente infantile, Locke si dà premura di sottolineare che non esistono due bambini uguali; hanno i loro «vari temperamen-
ti, [...] differenti inclinazioni, e [...] particolari difetti» che devono essere scoperti osservandoli mentre giocano, e adeguando il sistema educativo al loro «genio naturale e [al loro] carattere». Mentre dunque è possibile fissare i principi generali che dovrebbero governare l’educazione dei bambini, la loro applicazione deve essere adattata al caso individuale. [...] Ecco un altro passo importante verso una società orientata al bambino: il riconoscimento dell’individualità. Molti altri elementi puntano nella stessa direzione. I bambini, scrive Locke, dovrebbero «essere sempre trattati come creature ragionevoli», dovrebbe essere incoraggiata la loro curiosità e si dovrebbe rispondere attentamente alle loro domande. [...] In Locke tuttavia questo incipiente orientamento al bambino viene continuamente affievolito dalla sua insistenza sul fine ultimo della produzione di un adulto in grado di conformarsi al ruolo previsto per un individuo del suo rango. [...] Rousseau riconobbe Locke come suo precursore e quasi certamente lo aveva in mente quando scrisse, nella prefazione al suo Emilio (1762), che «i più savi insistono su ciò che è importante che gli uomini sappiano, senza considerare ciò che i bambini sono in grado di apprendere. Essi cercano sempre l’uomo nel bambino, senza pensare a ciò che egli è prima di essere uomo». Rousseau, dichiarando energicamente che «non si conosce affatto l’infanzia», era determinato a rovesciare questa situazione, a vedere il bambino nel bambino, e fu questo che fece della sua opera una pietra miliare e una fonte di ispirazione per altri scrittori e pensatori, oltre che per i genitori. [...] Altri scrittori avevano mostrato una con-
1. Lo storico francese Philippe Ariès (19141984) scrisse nel 1960 una delle opere fondamentali per lo sviluppo della storia della famiglia, Padri e figli nell’Europa medievale e moderna.
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FARESTORIA CONDIZIONE FEMMINILE E INFANZIA
discendente indulgenza per i giochi e la vivacità infantile, ma sempre con un secondo fine: «Tutti i giouchi e i divertimenti dei ragazzi», scrisse Locke, «dovrebbero essere diretti verso abiti buoni e utili [...]». Rousseau respinge questo modo di ragionare. Fa presente che molti bambini moriranno giovani dopo aver trascorso la loro vita in preparazione per un’età adulta che non raggiungeranno
mai; e afferma il diritto del bambino ad essere tale e ad avere una vita felice. Troviamo inoltre la prima espressione dell’i-
dea che l’infanzia possa essere la stagione più bella della vita, da ricordare un giorno con nostalgia.
METODO DI STUDIO
a Spiega il rapporto fra l’amore fra genitori e figli e la progettazione delle abitazioni. b Sottolinea le posizioni di Locke rispetto all’infanzia e all’educazione dei figli. c Cerchia le parole chiave che, secondo te, caratterizzano il rapporto fra il pensiero di Locke e quello di Rousseau e argomenta oralmente le tue scelte.
LEGGERE UNA FONTE ICONOGRAFICA 2 JEAN-BAPTISTE GREUZE LA FIDANZATA DI PAESE, 1761 [Musée du Louvre, Parigi]
In questo dipinto del 1761 il francese Jean-Baptiste Greuze (1725-1805) rappresenta la consegna della dote (il denaro contenuto nel sacchetto) da parte del padre al futuro sposo. I personaggi coinvolti appartengono ad un nuovo ceto di contadini agiati che, nella rappresentazione artistica, è portatore di valori positivi e “naturali”, e di quei “buoni sentimenti” attribuiti al mondo rurale in contrapposizione alla corruzione dei costumi cittadini. La giovane promessa sposa appare l’incarnazione della moderazione, colma di tenerezza e di modestia (come testimoniato dagli occhi rivolti verso il basso), e con la mano sinistra che tende verso quella del futuro marito. Non meno interessanti sono le altre figure familiari che partecipano alla scena: dietro il padre, la sorella maggiore mostra i segni evidenti di una intensa gelosia, mentre una sorella minore e la madre, attaccate a lei, non riescono a nascondere il proprio dolore per l’uscita della donna dal proprio ambito familiare. I fratelli più piccoli
GUIDA ALLA LETTURA
a Sottolinea nel testo la descrizione dei personaggi che compongono la scena e numerali. Riporta quindi gli stessi numeri in corrispondenza dei particolari del quadro. b Rispondi per iscritto alle seguenti domande indicando i dettagli del dipinto che supportano la tua tesi: a. Quale ruolo della donna
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emerge da questo dipinto? b. Quali sono gli aspetti della mentalità coeva che questo lavoro permette di comprendere?
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sembrano preoccupati a loro modo dall’evento, come il fratellino che è in punta di piedi per vedere meglio, o il più giovane, a destra, che è interessato alle carte dell’ufficiale dello stato civile, sul tavolo. La presenza della chioccia che becca sul pavimento e della bambina che le lancia dei semi, in un ambiente pulito e decoroso, ricorda all’osservatore l’appartenenza della scena al mondo contadino. Jean-Baptiste Greuze presentò l’opera al Salon del 1761, dove ebbe un grande successo. L’artista si dimostra testimone di un momento in cui avvengono profondi cambiamenti nel mondo sociale e nella mentalità. In modo particolare le sue opere mettono in luce la realtà di un secolo libertino che si pone alla ricerca di nuovi valori.
PISTE DI LAVORO
DAI DOCUMENTI ALLA STORIA 1 Scrivi un testo di almeno 12 righe sulla vita della donna nell’ancien régime tra realtà e rappresentazione. Parti dall’analisi del quadro di Greuze [►FONTE ICONOGRAFICA 2] e descrivi le caratteristiche delle donne rappresentate e il ruolo del matrimonio nel contesto in cui è ambientata l’opera. Argomenta la tua trattazione facendo riferimento anche ai brani storiografici di Bellavitis [►14], Wiesner [►15] e Godineau [►16]. Prima di procedere con la scrittura, evidenzia nelle fonti prese in considerazione i concetti che intendi utilizzare nel tuo elaborato e realizza una scaletta. 2 In che modo è cambiato il rapporto fra madri e figli in età moderna in relazione alle virtù e al ruolo attribuiti alla donna nel corso del tempo? Scrivi un testo argomentativo di circa 10 righe che risponda a questa domanda, basandoti sui brani storiografici di Lombardi [►17] e Cunningham [►18]. Confronta con attenzione i contenuti dei testi
indicati e le informazioni che puoi dedurre dall’opera di Greuze [►FONTE ICONOGRAFICA 2] e realizza, a partire da essi, una scaletta di lavoro. Scegli anche un titolo per il tuo elaborato. IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 3 Individua le caratteristiche del ruolo che la donna assume nella società di ancien régime in base al proprio status sociale, evidenziale nei testi di Bellavitis [►14], Wiesner [►15], Godineau [►16] e Lombardi [►17] e trascrivi sinteticamente le informazioni da te raccolte sul quaderno, indicando di volta in volta fra parentesi il nome dello storico. Infine scrivi un testo di circa 15 righe in cui confronterai le diverse realtà individuate, citando opportunamente i testi di riferimento. Termina il tuo elaborato spiegando il contributo che, secondo te, gli studi di genere hanno dato alla storiografia tradizionale su temi come quello trattato.
MONARCHIE A CONFRONTO Nell’Europa d’antico regime le monarchie francesi e inglesi rappresentarono due modelli politici alternativi, segnati da sviluppi diversi: all’assolutismo francese si contrapponeva la svolta costituzionale della monarchia inglese, con la “gloriosa rivoluzione”. Questa sezione intende riflettere e approfondire il funzionamento dei due regimi politici. Il primo brano è tratto dai Mémoires di Luigi XIV [►19d], dove bene emerge la consapevolezza del re del proprio ruolo nello Stato e nel paese. Segue una lettura critica di Giovanni Ruocco [►20] che analizza più da vicino i meccanismi di funzionamento della monarchia francese, le prerogative del re, ma anche il modo in cui il suo potere si doveva confrontare con gli Stati generali e i Parlamenti. Wolfgang Reinhard [►21] esamina, invece, i linguaggi simbolici e iconografici che la monarchia, non solo quella francese di Luigi XIV, usava per propagandare il suo potere, creando un mito positivo del sovrano. La seconda parte della sezione è dedicata all’Inghilterra. Il primo brano [►22d] è una selezione di alcuni articoli del Bill of Rights (1689) e dell’Act of Settlement (1701), documenti fondativi della “gloriosa rivoluzione”. Segue un brano di Gianpaolo Garavaglia [►23] che analizza più dettagliatamente questa svolta e i diversi atti che segnarono il nuovo equilibrio costituzionale fra sovrano e Parlamento inglese.
19d LUIGI XIV I MÉMOIRES
Memorie di Luigi XIV, Boringhieri, Torino 1961, pp. 21-24; 30-31; 46.
I Mémoires per l’istruzione del Delfino furono redatti, fra il 1666 e il 1671, per incarico di Luigi XIV da due segretari, che utilizzarono alcune note e un diario del re. Luigi XIV ne seguì attentamente la composizione, ma pare che intendesse Il disordine regnava ovunque. La mia corte in generale era ancora assai lontana dai sentimenti in cui spero la troverete. I nobili o i militari, abituati ai continui maneggi con un ministro a cui questi non ripugnavano, ed erano anzi stati necessari, si facevano sempre un immaginario diritto su
distruggerli alla fine del regno. Rimasti a lungo inediti, furono utilizzati in parte dalla metà del ’700. Voltaire ne inserì alcuni passi nel Secolo di Luigi XIV del 1751. Furono editi integralmente nel 1806. I passi riportati si riferiscono al 1661 e costituiscono una efficace esemplificazione della visione che Luigi XIV aveva di sé, dell’altezza dei propri compiti, della sua identificazione con lo Stato.
tutto ciò che era di loro convenienza; non un comandante di piazza che non fosse difficile comandare; non una richiesta che non contenesse un rimprovero del passato o un futuro malcontento che si voleva far intravedere e temere. [...] Le finanze, che danno il movimento e
l’attività a tutto il grande corpo della monarchia, erano completamente esaurite, e a un punto tale che era difficile vedervi un rimedio. Molte delle spese più necessarie e privilegiate della mia casa e della mia persona erano ritardate contro ogni convenienza o sostenute col solo credito,
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FARESTORIA MONARCHIE A CONFRONTO
le cui conseguenze pesavano; nello stesso tempo l’opulenza veniva ostentata dagli affaristi, che da un lato coprivano le loro malversazioni con ogni sorta di astuzie e dall’altro le scoprivano con un lusso insolente e sfrontato, come se avessero avuto paura di lasciarmele ignorare. La Chiesa, senza contare i suoi mali ordinari [...] era infine apertamente minacciata di uno scisma da persone tanto più pericolose in quanto avrebbero potuto essere utilissime, e di grandi meriti, se ne fossero state esse stesse meno persuase1. [...] Il difetto minore dell’ordine della nobiltà era di essere pieno di innumerevoli usurpatori, senza alcun titolo o forniti di titoli ottenuti per denaro e non per merito. La tirannia che essa esercitava in alcune delle mie province sui vassalli e i vicini non poteva più essere tollerata, né repressa, se non con qualche esempio di severità e di rigore. [...] La giustizia, a cui toccava riformare tutto il resto, mi sembrava proprio la più difficile da riformare. Vi contribuiva un’infinità di cose: le cariche assegnate per caso e per denaro, invece che per selezione e per merito; scarsa esperienza in alcuni dei giudici, e ancor meno sapere; le ordinanze sull’età e sul servizio, eluse quasi ovunque; i legulei2 forti di un’autorità di parecchi secoli, fertili in invenzioni contro le migliori leggi; e infine quello che principalmente li produce, voglio dire questo popolo smoderato che ama i processi e li coltiva come sua eredità, senz’altra occupazione che aumentarne la durata e il numero. [...] Tutto questo insieme di mali, o le loro conseguenze ed effetti, ricadevano principalmente sul basso popolo, oberato peraltro di imposte, tormentato dalla miseria in molti casi, afflitto in altri dal proprio ozio dopo la pace, e bisognoso soprattutto di essere sgravato e occupato. In mezzo a tante difficoltà, alcune delle
quali apparivano insormontabili, tre considerazioni mi davano coraggio. La prima, che in questo genere di cose non è in potere dei re, i quali sono uomini ed hanno a che fare con uomini, raggiungere tutta la perfezione che si propongono, troppo lontana dalla nostra debolezza; ma che questa impossibilità non è una buona ragione per non fare quel che si può, né questa distanza una buona ragione per non andare sempre avanti: il che non può essere senza utilità e senza gloria. La seconda, che in tutte le imprese giuste e legittime, il tempo, l’azione stessa, l’aiuto del Cielo aprono di solito mille vie e rivelano mille vantaggi insospettati. L’ultima, infine, che il Cielo stesso sembrava promettermi visibilmente il suo aiuto, disponendo ogni cosa all’intento che esso m’ispirava. [...] Quanto alle persone che dovevano secondare il mio lavoro, decisi soprattutto che non avrei avuto un primo ministro; e se mi date ascolto, figlio mio, e dopo di voi tutti i vostri successori, il nome ne sarà per sempre abolito in Francia, nulla essendo più indegno che il vedere da una parte tutte le funzioni e dall’altra il mero titolo di re. A tale scopo, era necessario che io ripartissi la mia fiducia e l’esecuzione dei miei ordini, senza darle per intero a nessuno, assegnando alle diverse persone compiti diversi secondo le loro diverse capacità, che forse è la prima e più grande qualità dei principi. Decisi anzi di più: per poter meglio riunire in me solo tutta l’autorità sovrana, quantunque vi siano, in ogni sorta di questioni, particolari a cui di solito le nostre occupazioni e la nostra stessa dignità non ci permettono di scendere, presi la risoluzione, dopo che avessi scelto i miei ministri, di entrarvi talvolta con ciascuno di essi, e quando meno se lo aspettasse, perché capisse che avrei potuto fare altrettanto su
20 G. RUOCCO IL POTERE DI LUIGI XIV
G. Ruocco, Lo Stato sono io. Luigi XIV e la «rivoluzione monarchica» del marzo 1661, il Mulino, Bologna 2002, pp. 99-105; 117-20.
Il Re Sole governò effettivamente da solo? A questa domanda cerca di rispondere lo scienziato politico Giovanni Ruocco, in un volume che approfondisce i meccanismi istituzionali della
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È evidente come nel Seicento la monarchia costituisca in Francia un orizzonte politico, istituzionale e culturale fondamentale e unico. [...]
1. I giansenisti. L’assemblea del clero aveva compilato nel 1661 un formulario sulle cinque proposizioni di Giansenio, condannate dal papa, e molti avevano rifiutato di firmarlo. 2. Legali cavillosi e sofistici. METODO DI STUDIO
a Sottolinea le conseguenze dell’esaurimento delle finanze. b Trascrivi i nomi dei mali denunciati da Luigi XIV al lato del testo e sottolinea le relative conseguenze. c Evidenzia le soluzioni individuate dal sovrano e illustra le motivazioni e finalità descritte.
monarchia francese. L’immagine che ne risulta è quella di un sovrano che detiene il potere decisionale, ma è sempre consigliato nella sua opera e accompagnato nelle sue funzioni da altri organismi, come gli Stati generali o i Parlamenti. Pur non sottostando a limiti costituzionali, il re doveva tenere conto del contesto politico e istituzionale.
Quali sono i caratteri di questa monarchia, quali le prerogative, i diritti e i doveri del sovrano di Francia? Una dottrina prevalente, consolidata nel tempo, rinnova
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altre questioni e in ogni momento. Oltre a ciò, informarsi di queste minuzie, solo di tanto in tanto e più per diversivo che per regola, istruisce a poco a poco, senza stancare, di mille cose che non sono inutili alle risoluzioni generali, e che dovremmo sapere e fare da noi, se fosse possibile che un uomo solo sapesse tutto e facesse tutto. [...] L’eccessiva preminenza dei parlamenti era stata dannosa a tutto il regno durante la mia minorità. Occorreva moderarli, meno per il male che avevano fatto che per quello che potevano fare in avvenire. La loro autorità, finché veniva considerata opposta alla mia, per buone che fossero le loro intenzioni, produceva pessimi effetti nello Stato, e intralciava qualsiasi cosa potessi intraprendere di più grande e utile. Era giusto anteporre questa utilità a tutto il resto, e rimettere tutto nel suo ordine legittimo e naturale, quand’anche, cosa che nondimeno ho evitato, fosse necessario togliere a quegli organismi ciò che un tempo era stato concesso loro; come il pittore non ha nessuna difficoltà a cancellare lui stesso ciò che ha fatto di più ardito e di più bello, ogniqualvolta gli paia più grande del necessario e manifestamente sproporzionato al resto dell’opera.
l’idea che il monarca riceva il suo potere da Dio. Come è noto, tale origine divina della sua autorità è confermata e rinnovata in cerimonie religiose come il sacre, nel
quale il nuovo sovrano viene incoronato dalle mani di un rappresentante della Chiesa. Inoltre, la tradizione vuole che il monarca sia dotato di poteri sovrannaturali di guarigione, esercitati attraverso il tocco della sua mano, capace di guarire malattie come la scrofola. La tradizione trovò nuovo alimento ancora al tempo di Luigi XIV. [...] A Dio soltanto, dunque, il re di Francia deve rendere conto del proprio operato, della condotta morale e dei costumi, perché solo Lui possiede il diritto di giudicarlo. È questa radice originaria della sua sovranità a fare del re francese un monarca «assoluto». [...] Il re, dunque, ha la prerogativa della decisione. Egli racchiude nella sua dignità e nelle sue mani i tre poteri che i moderni Stati di diritto distinguono formalmente. Il sovrano esercita alcuni poteri principali: amministra la giustizia, da tempo con l’ausilio di una struttura giudiziaria diffusa e di corti sovrane quali i parlamenti. Conserva per sé l’elemento distintivo di questa funzione, il diritto di concedere la grazia, come prerogativa che ne sottolinea il carattere divino, il potere, cioè, di dire l’ultima parola sulla vita e sulla morte dei sudditi. Un carattere ugualmente «eccezionale», assimilabile a questo, è proprio anche del potere di concedere benefici, che Luigi XIV considera un momento privilegiato dell’esercizio dell’autorità sovrana. Vi è poi il potere di fare le leggi, la cui procedura di formazione è assistita formalmente anche da altre figure istituzionali (i ministri, il cancelliere, il Parlamento), ma il cui fondamento decisionale, la volontà che ne è alla base, è quella sola del sovrano. Infine, il potere di fare la guerra e di concludere la pace, ciò che sembra caratterizzare nel modo più appropriato, la sovranità del monarca, il suo carattere assoluto. Se il re, come vuole la tradizione, è solo nella sua decisione, egli è in realtà costantemente consigliato nella sua opera. A farlo sono soggetti differenti: in senso ampio, come si è detto, la società nella sua composizione per Ordini, rappresentata per esempio, nella sua forma più solenne, negli Stati Generali; in forma più ristretta, i membri del Consiglio. Se dunque il suo potere è assoluto, egli non può esercitarlo ignorando il contesto politico-istituzionale tradizionale al cui interno esso agisce e dal quale, soprattutto, è legittimato. Così si ritiene che egli non possa violare i co-
mandamenti divini, i principi del diritto naturale, che gli chiedono di rispettare i propri sudditi e di assicurarne il benessere, e le leggi fondamentali del regno, sulle quali si fonda la stessa istituzione monarchica. Così, ancora, il sovrano di Francia è tenuto a rispettare i compiti e le prerogative di quei corpi – come gli Stati Generali e il Parlamento – cui oggi attribuiremmo una natura sia sociale che istituzionale. È evidente che, nel complesso, non si tratta di limiti di carattere costituzionale nel senso attuale del termine. Ma questo non impedisce che sia riconosciuta loro una dignità formale e, insieme, una capacità di persuasione giuridica. [...] Come si è accennato in precedenza, una tradizione istituzionale consolidata in Francia vuole che il re governi par grand conseil1, cioè consultando sulle questioni importanti, essenzialmente quando si tratta di imporre nel paese un nuovo tributo, il regno. La prassi più antica della consultazione dell’alta nobiltà e dell’alto clero, dopo l’introduzione della convocazione anche di rappresentanti delle città, si consolida successivamente nella forma della convocazione degli Stati Generali, un’assemblea rappresentativa dei tre Ordini del regno. A fianco degli Stati Generali, la cui riunione, una volta formalizzata, può richiedere fino a un anno di tempo, continueranno a esistere assemblee dei notabili, più facilmente convocabili e prive di rappresentanza formale, nelle quali il Terzo Stato in quanto tale è assente. Una forma di consultazione che la Francia conoscerà fino alle soglie della Rivoluzione. [...] Se assumiamo come criterio distintivo la forma che essi presentano al momento della loro convocazione nel 1788, ripresa da quelli del 1614-15, gli ultimi riuniti, dobbiamo concludere che i primi Stati Generali sono quelli convocati a Tours nel 1484, e che i loro tratti salienti sono: i tre Ordini vengono convocati attraverso un sistema di rappresentanza a base territoriale; a svolgere tale funzione è la parte eminente della società, con l’eccezione dell’ampia presenza di membri del basso clero nella riunione degli Stati Generali del 1789; il mandato di questi rappresentanti è imperativo e dettato dai contenuti dell’atto reale di convocazione; le richieste avanzate dalle assemblee riunite sul territorio vengono presentate al sovrano all’interno di cahiers de doléances2; i tre Ordini si riuniscono separatamente e, al termine dei lavori, redigono ciascuno un cahier;
una volta sciolti gli Stati, il re esaminerà i cahiers, inserendone eventualmente le richieste all’interno di atti legislativi successivamente elaborati e approvati [...]. Analizziamo ora la funzione istituzionale dei parlamenti, di quello di Parigi in modo particolare. Sono corti della giustizia sovrana di ultima istanza, ma giudicano in prima istanza in alcuni casi, per esempio quando si tratta di questioni di interesse pubblico. Il Parlamento di Parigi origina nel XIII secolo dallo smembramento della capetingia curia regis3, e prende la sua forma definitiva nel XVI secolo. Ha anche competenze extragiudiziarie: decide sulla reggenza, sui testamenti del re, ratifica spesso i trattati internazionali, e soprattutto esercita, come già abbiamo avuto modo di vedere, una funzione di registrazione degli atti reali. Gli altri parlamenti hanno competenze analoghe anche se meno definite, compreso il potere di controllo degli atti legislativi del re, ma solo per quanto riguarda quelli di interesse provinciale. Si è detto di come la funzione di registrazione degli atti reali costituisca materia di conflitto in particolare tra il Parlamento di Parigi e il re. [...] Con il tempo, in ragione dell’assenza di una chiara distinzione, in antico regime, tra funzione amministrativa e funzione giudiziaria, e anche sulla spinta di elaborazioni teoriche, il Parlamento spingerà sempre più verso un uso politico del suo diritto, rivendicando quindi per sé una funzione di partecipazione alla volontà legislativa del sovrano. 1. Il grand conseil è un istituto con funzioni giudiziarie. 2. Documenti presentati all’assemblea degli Stati generali. 3. Organo che aveva il compito di amministrare la giustizia.
METODO DI STUDIO
a Evidenzia le parole chiave che riguardano il rapporto fra Dio e i diritti e doveri del re di Francia e argomenta le tue scelte. b Spiega la frase: «Il re è solo nella sua decisione» e sottolinea gli esempi citati che confermano o smentiscono questa affermazione. c Rispondi per iscritto alla seguente domanda evidenziando nel testo le informazioni che ti permettono di argomentare la tua risposta in modo esauriente: “Il Re Sole governò effettivamente da solo?”.
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FARESTORIA MONARCHIE A CONFRONTO
21 W. REINHARD IL MITO DEL MONARCA
W. Reinhard, Storia del potere politico in Europa, il Mulino, Bologna 2001, pp. 109-13.
Lo storico tedesco Wolfgang Reinhard (nato nel 1937) ha dedicato un ampio studio ai fondamenti comuni dello Stato moderno
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In sé costituiva un vantaggio della monarchia poter incorporare la forza statale sempre in una persona concreta. Molto più facilmente di uno Stato astratto e dei suoi sempre diversi servitori, essa poteva infatti essere fatta oggetto di una rappresentazione in grado di produrre un effetto sul pubblico. La persona del sovrano si poteva innalzare a una sorta di opera d’arte totale, ma in fondo l’intera corte con il suo palcoscenico architettonico e con il suo cerimoniale si guadagnava per prima questa denominazione: un balletto politico di enormi dimensioni e senza interruzioni, nel quale tutti dovevano ballare insieme, che lo volessero o no. [...] Anche quando le feste di corte avevano una mera funzione di intrattenimento, comunicavano tuttavia visioni del dominio autocratico, che si rassomigliavano sorprendentemente, e certamente non solo perché tutti i principi si premuravano di ricorrere al repertorio della rappresentazione degli imperatori antichi. Oltre a ciò contribuirono alla produzione dell’effetto gli stessi principi come attori o ballerini, che, attraverso il loro ruolo, trasmettevano un messaggio. [...] Con le rappresentazioni teatrali e musicali le feste di corte divennero popolari, con un effetto che dura a volte fino ad oggi. A ciò si aggiunge il genere ancora poco studiato delle descrizioni illustrate delle feste. La restaurazione francese cercò dopo il 1815 in modo molto mirato di ricollegarsi alla tradizione delle feste di corte dell’Antico Regime, per sostituire gli adattamenti rivoluzionari. La visualizzazione del dominio personalistico aveva successo però soprattutto nei ritratti del signore nella forma di pitture o sculture, fino agli imponenti monumenti a cavallo, secondo il modello romano. Accanto bisogna porre, a partire dal XVII secolo, la tendenza a una rappresentazione «privata» del principe, ad esempio nella cerchia famigliare. Dall’altro lato però il ritratto «in travestimento» o il ritratto identificativo raggiunse il suo apice solo tra il XVI e il XVII secolo, quando l’usanza di rappresentare un signore come un santo popolare (Massimiliano I
nei diversi paesi europei, in una prospettiva transnazionale, facendo dialogare storia economica, sociale e culturale. Nel brano proposto guarda al funzionamento della monarchia a livello simbolico, con l’uso di un linguaggio che propagandava abilmente, anche usando immagini pittoriche, il mito del sovrano.
come San Giorgio) o come un eroe biblico (Federico Gonzaga come Davide) venne sostituita dai ritratti mitologici, come Luigi XIII ritratto nelle sembianze di Pegaso che libera Andromeda dai draghi, con cui si intendeva la liberazione della città di Arles dagli ugonotti nel 1622. La più amata figura di eroe e di salvatore era Ercole, che ritorna anche in numerosi ritratti di signore, fino a Guglielmo III d’Inghilterra. Ma era molto apprezzato anche Orfeo, che con la musica domava e placava gli animali feroci – ossia i sudditi. Familiare era la rappresentazione come sovrano dell’antichità, soprattutto l’amato Alessandro Magno. E utilizzando i numerosi simboli naturali (Luigi XIV non fu l’unico a farsi ritrarre sotto il sole) vi era un rimando ai modelli antichi. Luigi XIV pensava di essere il sole tanto quanto Massimiliano I credeva di essere davvero San Giorgio. Si trattava piuttosto di un discorso simbolico che voleva rappresentare non la persona del sovrano ma gli archetipi del ruolo di dominio. Questi travestimenti alla moda rispecchiano raffigurazioni del sovrano vincolanti per tutti, non come egli è, ma come egli deve essere. L’apparato di finzioni mitologiche ed emblematiche conteneva quindi un’oggettivazione della comprensione del dominio lontana dalla persona e vicina ai compiti e ai doveri. [...] Luigi XIV di Francia però non si è assicurato in questo modo un posto nella storia superiore a quanto sia il suo reale significato politico: piuttosto si è avvalso di un’attenta messa in scena della sua persona come opera d’arte totale. Ciò comincia con il suo aspetto esteriore. Egli era alto circa un metro e sessanta e dal 1659 era calvo, ma alti tacchi e un’alta parrucca controbilanciarono questi difetti. Nella scelta dell’emblema del sole confluivano sempre nuovi riferimenti ai più diversi dei ed eroi, che in qualche modo «sovraccaricarono» il re di allegorie, con la conseguenza che egli e la sua epoca vennero considerati un apice «classico» della storia e addirittura come superiori all’antichità, una concezione che ha ancora affascinato Voltaire. Nelle
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pitture, nelle feste, se per caso l’appassionato ballerino Luigi voleva immedesimarsi nel ruolo del dio del sole Apollo, e nella letteratura, la stirpe regia fu presentata come l’Olimpo. Più ancora della magnifica pompa dovette contribuire alla gloria (gloire), intesa quale supremo valore della vita del sovrano, il ruolo di vincitore in guerra, per il quale egli era senz’altro disposto a sacrificare le conquiste in politica interna dei primi anni. Medaglie, statue, archi di trionfo furono costruiti per le occasioni più modeste. Anche la morte del re fu inscenata come un palcoscenico; seguì una solenne sepoltura. [...] Opera d’arte totale implica anche artificio. Ciò significa che la messa in scena di sé e degli altri creava un’immagine del sovrano solo in parte corrispondente alla realtà. È una parte del mito del sovrano che diventa qui particolarmente visibile nella massiccia introduzione della mitologia antica. Un mito storico era quello del re santo, un utopico sovrano nascosto che sarebbe tornato in futuro per salvare il suo popolo, come Sebastiano del Portogallo o Federico Barbarossa. Un mito non è falso, ma la sua verità non è quella empiricamente controllabile delle affermazioni registrate per iscritto. Esso fa fronte a nessi complicati grazie a semplificazioni simboliche. In questo senso la messa in scena del re sole creò un mito, che portò i contemporanei vicino alla verità sul ruolo del sovrano di allora. Anche noi posteri siamo catturati dal suo fascino.
METODO DI STUDIO
a Spiega il significato della metafora del balletto politico e se e come cambiò nel corso del tempo. b Cerchia le parole chiave che definiscono le diverse caratteristiche del ritratto del sovrano e argomenta le tue scelte. c Spiega per iscritto in che modo Luigi XIV di Francia si sia avvalso di un’attenta messa in scena della sua persona come opera d’arte totale e porta degli esempi a sostegno di questa tesi.
22d LA “GLORIOSA RIVOLUZIONE”
G. Garavaglia, Società e rivoluzione in Inghilterra (1640-1689), Loescher, Torino 1978, pp. 213-17.
Il Bill of Rights del 1689 e l’Act of Settlement del 1701 rappresentano due momenti fondamentali nella formazione del Il «Bill of Rights», 1689 Dato che i Lords, spirituali e temporali, e i Comuni, riuniti a Westminster, legalmente, pienamente e liberamente rappresentanti di tutti gli ordini del popolo di questo regno, il tredicesimo giorno di febbraio, nell’anno di nostro Signore 1689, presentarono alle loro Maestà, allora chiamate e note con il nome e i titoli di Guglielmo e Maria, principe e principessa d’Orange, presenti in persona, una certa dichiarazione scritta, stesa dai detti Lords e Comuni, nelle seguenti parole: Siccome il precedente re Giacomo II, assistito da vari cattivi consiglieri, giudici e ministri da lui impiegati, tentò di sovvertire ed estirpare la religione protestante e le leggi e le libertà di questo regno. 1. Assumendo ed esercitando un potere di dispensare e sospendere dalle leggi e dall’esecuzione delle leggi senza il consenso del Parlamento. 2. Arrestando e processando diversi degni prelati, per aver presentato umilmente petizioni di non dover ricorrere al suddetto presunto potere. 3. Emanando e facendo applicare una commissione sotto il gran sigillo per l’erezione di un tribunale chiamato la Corte dei commissari per cause ecclesiastiche1. 4. Prelevando denaro per l’uso della corona, sotto pretesto della prerogativa, in modi e tempi diversi da quelli stabiliti dal Parlamento. 5. Radunando e mantenendo un esercito permanente entro questo regno in tempo di pace, senza il consenso del Parlamento, e avendo acquartierato soldati contro la legge. 6. Avendo fatto disarmare diversi buoni sudditi protestanti e nello stesso tempo in cui i papisti erano armati e da lui impiegati, contro la legge. 7. Violando la libertà d’elezione dei membri del Parlamento. 8. Processando nel tribunale di King’s Bench2, per motivi e cause giudicabili solo in Parlamento e per diversi altri procedimenti arbitrari e illegali. 9. E poiché negli ultimi anni persone parziali, corrotte e squalificate sono state
sistema costituzionale inglese. Il primo è soprattutto una riaffermazione di leggi e statuti precedenti, mentre il secondo, oltre a ribadire l’esclusione dell’eventualità di un sovrano cattolico, attua una precisa distinzione dei poteri del re da quelli del Parlamento.
scelte come giurati nei processi e in particolare diversi giurati in processi per alto tradimento, i quali non erano [in possesso dei requisiti richiesti]. 10. E cauzioni eccessive sono state richieste a persone imprigionate per cause criminali, a elusione dei benefici previsti dalle leggi a difesa della libertà dei sudditi. 11. E ammende eccessive sono state imposte, e punizioni illegali e crudeli inflitte. 12. E diverse concessioni e promesse fatte di ammende e confische, prima che vi fosse alcuna sentenza di colpevolezza contro le persone alle quali esse erano imposte. Tutte cose nettamente e direttamente contro le leggi tradizionali del paese e gli statuti e la libertà di questo regno. E poiché il suddetto re Giacomo II avendo abdicato il governo e il trono essendo quindi vacante, sua altezza il principe di Orange [...] fece scrivere lettere ai Lords spirituali e temporali protestanti, e altre lettere alle diverse contee, città, università, borghi [...] per la scelta di persone che li rappresentassero in Parlamento e le quali si incontrassero e sedessero a Westminster il 22° giorno di gennaio dell’anno 1689 perché provvedessero a che la loro religione, le leggi e le libertà non fossero più in pericolo di essere sovvertite: in base a queste lettere sono state di conseguenza tenute elezioni. E quindi i suddetti Lords spirituali e temporali, e i Comuni [...] ora riuniti in un organo pienamente e liberamente rappresentativo di questa nazione, prendendo in considerazione i modi migliori per raggiungere i fini suddetti [...], in primo luogo per l’asserzione dei loro antichi diritti e libertà, dichiarano: 1. Che il preteso potere di sospendere dalle leggi, o dall’applicazione delle leggi, per autorità regia, senza consenso del Parlamento, è illegale. 2. Che il preteso potere di dispensare dall’osservanza delle leggi, e dall’esecuzione delle leggi, per autorità regia, come è stato fatto di recente, è illegale. 3. Che la commissione per costituire una corte di commissari per cause ecclesiasti-
che e ogni altra commissione o corte di simile natura sono illegali e dannose. 4. Che la raccolta di denaro ad uso della corona, sotto pretesto di prerogativa, senza concessione del Parlamento, per un periodo più lungo, o in modi diversi da quelli da esso fissati, è illegale. 5. Che è diritto dei sudditi di rivolgere petizioni al re, e ogni arresto e processo per questo sono illegali. 6. Che radunare o mantenere un esercito permanente nel regno in tempo di pace, senza il consenso del Parlamento, è illegale. 7. Che i sudditi protestanti possono tenere armi per la propria difesa secondo le proprie condizioni e come è consentito dalla legge. 8. Che le elezioni dei membri del Parlamento devono essere libere. 9. Che la libertà di parola, e i dibattiti o i procedimenti in Parlamento, non debbono essere posti sotto accusa o contestati in nessun tribunale o luogo al di fuori del Parlamento. 10. Che cauzioni eccessive non devono essere chieste né imposte ammende eccessive, né inflitte punizioni crudeli e insolite. 11. Che i giurati devono essere nominati regolarmente e che i giurati che processano uomini per alto tradimento devono essere freeholders3. 12. Che ogni concessione e promessa di ammende e confische di persone singole prima della sentenza di colpevolezza sono illegali e nulle. 13. E che per rimediare a tutte le lagnanze, e per correggere, rafforzare e difendere le leggi, si devono tenere frequenti parlamenti.
1. Organo istituito nel 1686 da Giacomo II con potere di giurisdizione in tutti i casi che riguardavano questioni religiose. Il sovrano andava in tal modo contro l’Ecclesiastical Commission Act (1661) che vietava la ricostituzione di simili tribunali, confermando l’abolizione dell’Alta Commissione avvenuta nel 1641. 2. Tribunale centrale con sede a Londra. 3. Liberi proprietari.
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FARESTORIA MONARCHIE A CONFRONTO
L’«Act of Settlement», 1701 [La prima clausola prevede l’esclusione dei discendenti di Giacomo II in linea diretta, a favore della casa di Hannover]. [...] 2. [...] ogni persona o persone che assumeranno o erediteranno la detta corona, in forza delle limitazioni fissate nel presente atto, e che si riconcilieranno o faranno parte della sede o Chiesa di Roma, o professeranno la religione papista, o sposeranno un papista, rientreranno nelle suddette categorie escluse [...]. 3. E [...] che chiunque entrerà in possesso in futuro di questa corona dovrà essere in comunione con la Chiesa d’Inghilterra, come è stabilita per legge [...]. Che nessuna persona che ricopra una carica o un posto pagato sotto il re o che riceva una pensione dalla corona, potrà servire come membro della Camera dei Comuni.
Che [...] le commissioni ai giudici siano emesse quamdiu se bene gesserint4 e che i loro salari siano dichiarati e fissi; ma che sia lecito rimuoverli per intervento di entrambe le Camere del Parlamento. Che nessun perdono sia concesso sotto il gran sigillo d’Inghilterra5 a persone accusate dai Comuni in Parlamento. 4. E che essendo le leggi d’Inghilterra diritto naturale del suo popolo e dato che i re e le regine che saliranno sul trono di questo reame dovranno governarlo secondo le dette leggi e tutti i loro funzionari e ministri dovranno servire secondo le medesime: i detti Lords spirituali e temporali, e i Comuni, pregano umilmente che tutte le leggi e gli statuti di questo reame intesi a garantire la religione costituita e i diritti e le libertà del popolo e tutte le altre leggi e statuti ora in vigore, possano essere ratificati e confermati... da sua Maestà, per consiglio e
23 G. GARAVAGLIA LA MONARCHIA COSTITUZIONALE INGLESE
G. Garavaglia, Storia dell’Inghilterra moderna. Società, economia e istituzioni da Enrico VII alla Rivoluzione industriale, Cisalpino, Milano 1998, pp. 421-23.
Gianpaolo Garavaglia (nato nel 1949) si è a lungo occupato di storia inglese, fra il XV e il XVIII secolo, approfonden-
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Gli uomini che operarono la rivoluzione del 1688-9 non si erano proposti di introdurre mutamenti radicali nel tessuto politico-costituzionale del paese, quanto piuttosto di restituirgli quell’equilibrio tra corona e parlamento che essi ritenevano fosse stato alterato pericolosamente dagli Stuart in più occasioni. In quest’ottica non si consideravano rivoluzionari intenti a demolire i poteri e le prerogative della corona, ma conservatori volti a correggere e limitare le tendenze rivoluzionarie dei precedenti monarchi. Lo stesso Guglielmo ebbe a dichiarare che la rivoluzione era stata fatta per preservare e mantenere le leggi, le libertà e le usanze costituite e, sopra tutto, la religione e il culto di Dio. Ma proprio perché gli eventi del 1688-9 non produssero mutamenti radicali, la lotta tra corona e parlamento, per quanto ricondotta entro canali più rigidi che le avrebbero impedito di sfociare in guerra aperta, era lontana dall’essere conclusa: il parlamento e l’opposizione agli Stuart avevano strappato alla corona alcune delle armi di cui si era servi-
4. «Purché abbiano operato bene». 5. Cioè dal re. METODO DI STUDIO
a Schematizza la struttura del Bill of Rights delimitando con colori diversi i temi che riesci a individuare (es. presentazione degli autori del documento e indicazione della data, motivazioni, ecc.). Quindi trascrivi al lato del testo il titolo che scegli per ogni tema. b Evidenzia i fini per cui viene redatto il Bill of Rights. c Spiega a cosa fanno riferimento le 13 dichiarazioni presenti in coda al Bill of Rights. d Sintetizza il contenuto delle clausole dell’Act of Settlement indicando, per ognuna di esse, i contenuti con un titoletto al lato del testo. e Scegli e sottolinea le parole chiave di questo documento e argomenta per iscritto le tue scelte.
do i mutamenti in campo sociale, economico e politico. Nel brano presentato lo storico analizza il complesso di atti che trasformarono in senso costituzionale la monarchia inglese nel 1688-89, mettendo in luce il modo in cui si cercò di raggiungere un nuovo equilibrio istituzionale fra monarchia e Parlamento.
ta, ma entrambe le parti ne avrebbero forgiate di nuove con cui la lotta sarebbe proseguita per altri decenni. Di fatto, tuttavia, dopo il 1689 nessuno dei due schieramenti politici che erano emersi durante gli anni Ottanta sarebbe più stato lo stesso dal punto di vista ideologico. I tories avevano dovuto cedere su una questione di principio che consideravano fondamentale, quella della monarchia ereditaria di diritto divino, alla quale avevano, almeno momentaneamente, rinunciato per ridare un governo stabile al paese dopo che lo stesso monarca aveva minacciato di destabilizzarlo: stabilità politica, difesa dell’ordine pubblico, sicurezza della proprietà privata avevano avuto ragione di considerazioni più propriamente ideologiche. I mutamenti si sarebbero rivelati meno temibili di quanto avessero pensato nel 1688-9, anche se molti di loro continuarono per decenni a manifestare disagio nei confronti dell’esclusione degli eredi degli Stuart dal trono. [...] I whigs si ritrovavano in una posizione più confortevole. Nel febbraio 1689 avevano in parte
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consenso dei detti Lords spirituali e temporali e dei Comuni.
sacrificato la loro teoria di un contratto tra sovrano e popolo, ma ottennero ben presto tre garanzie costituzionali contro i rischi di un ritorno di un governo autoritario e non parlamentare. [...] Gli aggiustamenti del 1688 e degli anni a venire miravano a garantire il ruolo che questa istituzione aveva conquistato nel corso del secolo: il Coronation Oath1 del 1689 imponeva ai sovrani di governare secondo gli statuti approvati dal parlamento. Svanirono inoltre le elaborate procedure adottate da Carlo II e Giacomo II per garantirsi parlamenti docili manovrando Lord Luogotenenti e giudici di pace e rimodellando le corporazioni, forse l’arma più efficace dato che i borghi eleggevano la maggioranza dei membri dei Comuni, un aspetto di cui si è
1. Approvato nel 1689, prescriveva nuove formule di giuramento: Guglielmo e Maria furono i primi a giurare in base ad esso che avrebbero governato in accordo con il Parlamento e gli statuti.
detto a proposito delle città. [...] Divenne comunque impossibile per un governo ottenere il controllo del parlamento invadendo i campi riservati alle autorità locali. Ulteriori salvaguardie dell’indipendenza del parlamento provennero dalle clausole del Bill of Rights: esse prevedevano elezioni libere e stabilivano che la libertà di parola alle camere non potesse essere limitata e messa in discussione al di fuori del parlamento stesso. [...] Per garantire l’indipendenza effettiva del parlamento occorreva tuttavia provvedere a una sua regolare ed automatica convocazione. Il Bill of Rights disponeva che si dovesse convocare un nuovo parlamento entro tre anni dallo scioglimento del precedente e che nessun parlamento potesse durare più di tre anni. Ancor più importanti furono i provvedimenti di natura finanziaria introdotti dai parlamenti post-rivoluzionari per coprire le spese delle guerre contro la Francia che resero imperativa la convocazione annuale dell’assemblea, la quale aveva imparato nel corso del secolo che la concessione di termini esclusivamente a breve scadenza era uno strumento vitale per controllare la corona. Gli stanziamenti divennero così regolari, i prestiti pubblici furono garantiti per statuto e le spese pubbliche ricondotte sempre più entro specifiche concessioni parlamentari, mentre la Civil List2, con l’atto del 1697, assegnava per la durata della vita ai sovrani quanto ritenuto necessario a coprire esclusivamente le spese correnti dell’amministrazione e della corte. Una presa più salda e profonda delle finanze diede al parlamento una maggiore capacità di controllo su uomini e misure che a sua volta accrebbe l’influenza che poteva esercitare sull’esecutivo; infatti, corona e governo dovettero accettare l’idea che un gabinetto e una linea politica potevano affondare proprio per mancanza di fondi.
Il parlamento affinò anche le proprie armi contro i ministri della corona che, in caso di fallimento, erano ancora trattati come traditori sottoposti ad impeachment dall’assemblea, invece che licenziati per aver semplicemente perso la fiducia della maggioranza [...]. Un’ulteriore arma che il Bill of Rights sottrasse alla corona era il diritto di dispensare e di sospendere le leggi, di cui Carlo II e Giacomo II avevano abusato finendo per alterare gli statuti, senza il consenso di entrambe le parti. Lo stesso statuto ridusse notevolmente i poteri della corona nella sfera giudiziaria; vietava infatti cauzioni o ammende eccessive e punizioni insolitamente crudeli, disponeva che le giurie fossero formate in maniera regolare, dichiarava nulle tutte le confische di beni effettuate prima che un accusato fosse stato condannato. [...] L’indipendenza della magistratura sarebbe stata definita dall’Act of Settlement [...] Tutte queste misure acquistavano un peso costituzionale notevole perché impedivano che futuri monarchi potessero utilizzare i sistemi di cui si erano serviti gli Stuart per aggirare la legge in maniera legale e pervertire l’esercizio della giustizia manipolando i giudici; fissavano confini netti attorno alle prerogative regie in sfere prima mal delineate, riconducendole ora senza possibilità di equivoco all’interno del diritto comune. Il Bill of Rights, infine, sottraeva al sovrano una delle prerogative più gelosamente custodite che già era stata oggetto di aspre contese fra Carlo I e i suoi parlamenti; lo statuto disponeva che fosse illegale mantenere un esercito stanziale nel paese in tempo di pace senza il consenso del parlamento: l’arma finale che un governante poteva utilizzare contro il proprio popolo era così sottratta al monarca e messa nelle mani del parlamento che ora si rivelò assai
più disposto a concedere ai comandanti gli strumenti necessari per mantenere la disciplina. Il Mutiny Act3 del 1689 fu il primo di una lunga serie di provvedimenti legislativi approvati inizialmente ogni sei mesi, poi in genere ogni dodici, che gradatamente formularono una specie di codice militare. Si è detto sopra dei problemi religiosi in parte risolti in quegli anni. Basterà qui ricordare che una serie di provvedimenti, per quanto parziali, ridussero fortemente le tensioni in questo campo. Come si è visto nel corso del Settecento le libertà religiose furono poco alla volta ampliate, seppure non senza difficoltà, molto spesso di natura più propriamente politica che religiosa. 2. Era così detta la somma concessa annualmente dal Parlamento alla Corona per le spese correnti, escluse quelle militari e navali, a partire da una concessione parlamentare fatta a Guglielmo III nel 1697, per integrare le entrate ereditarie della Corona. La concessione assunse la denominazione di Civil List agli inizi del ’700 e venne modificata più volte per coprire il ricorrente indebitamento del re. 3. Il primo atto venne approvato nel 1689 per affrontare un ammutinamento di truppe. Rinnovato dal Parlamento ogni anno, regolava le punizioni per i casi di ammutinamento e di diserzione in tempo di pace, legalizzando in tal modo l’esistenza di un esercito permanente.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le motivazioni che, secondo l’autore, spinsero i rivoluzionari ad agire. b Spiega cosa aveva significato la rivoluzione per i due schieramenti politici. c Sottolinea con colori diversi le conseguenze della rivoluzione e quali atti o azioni politiche contribuirono al loro raggiungimento.
PISTE DI LAVORO
DAI DOCUMENTI ALLA STORIA 1 Dopo aver letto il documento tratto dai Mémoires di Luigi XIV [►19d] e i brani storiografici di Ruocco [►20] e Reinhard [►21], rispondi alle seguenti domande citando opportunamente i testi: a. Secondo Luigi XIV, quali erano i motivi che potevano spingere un sovrano ad agire in prima persona e a non nominare un consigliere? b. A quali strumenti fece ricorso il re francese per raggiungere i suoi scopi?
c. Quale rapporto esisteva fra il re di Francia, il popolo e i nobili? d. A chi deve rendere conto il re di Francia? e. Quali sono i poteri esercitati dal re? f. Cosa spinse Luigi XIV a intraprendere la linea di governo che poi lo caratterizzerà?
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FARESTORIA MONARCHIE A CONFRONTO
2 Dopo aver letto tutti i documenti e i brani storiografici, scrivi un
breve testo (max 25 righe) dal titolo Due modelli di Stato, seguendo la scaletta di argomenti: • Sovranità popolare del re divino • Rapporto Corona-popolo • Rapporto col Parlamento
IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 3 Il potere assoluto di Luigi XIV è in grado di autolegittimarsi o
ha bisogno di essere sostenuto sia da riti e rappresentazioni che dal tradizionale contesto politico-istituzionale? Prima di rispondere a questa domanda rileggi con attenzione i testi storiografici di Ruocco [►20] e Reinhard [►21] e individua i passaggi che possono aiutarti a costruire il tuo discorso. Trascrivili sinteticamente sul quaderno e utilizzali per costruire una mappa concettuale. Rispondi quindi alla domanda iniziale con un testo di massimo 25 righe costruito sulla base della mappa da te realizzata.
VERSO UNA NUOVA SCIENZA Le teorie scientifiche proposte da Copernico, Galilei, Keplero, Bacone, Newton proposero una visione e una pratica delle scienze naturali nuove, che scardinarono credenze e saperi consolidati. Per definire questo complesso di mutamenti nella seconda metà del ’900 si introdusse l’espressione “rivoluzione scientifica”, che, senza negare la complessità e gli elementi di continuità del passaggio, sottolineava i caratteri di rottura e di innovazione, sia nelle teorie scientifiche, sia nel modello alternativo di razionalità proposto. Apre la sezione una riflessione dello storico della scienza Thomas Kuhn [►24], che definisce i caratteri generali delle rivoluzioni scientifiche. Nel secondo brano, tratto dai Principi matematici della filosofia naturale, Isaac Newton [►25d] delinea le regole che teorizzano il metodo induttivo-sperimentale. Il sociologo Steven Shapin [►26] ci illustra come, proprio a partire dall’opera di Newton, il linguaggio e i modelli matematici si affermeranno come strumenti nella comprensione del mondo naturale. Il successivo brano di Cartesio [►27d] mostra la crisi in cui era entrato il sistema culturale tradizionale, sottoposto dal filosofo ad una critica serrata. Il filosofo e storico della scienza Paolo Rossi [►28] analizza, invece, il passaggio da un sapere chiuso, esclusivo appannaggio di poche figure (monaci, maghi), ad un sapere pubblico, da divulgare. Tra le grandi e durevoli conquiste della rivoluzione scientifica stanno l’invenzione e lo sviluppo degli strumenti scientifici per l’osservazione e la misurazione, dal cannocchiale per scoprire l’infinitamente lontano al microscopio per descrivere l’infinitamente piccolo. Il brano di Egidio Festa [►29] illustra proprio l’incontro fa sapienza teorica e intelligenza pratica, che portarono Galilei allo sviluppo del cannocchiale. L’emergere di un nuovo modo di interpretare e descrivere la natura provocò inevitabilmente un contrasto tra scienza e religione e, in generale, con la cultura tradizionale. L’ultimo brano, una lettera di Galileo Galilei [►30d] a Benedetto Castelli, espone le ragioni di una netta separazione fra scienza e religione.
24 T. KUHN CHE COS’È UNA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1995, pp. 24-25.
Lo storico della scienza Thomas Kuhn (1922-1996) sostiene che si è in presenza di una rivoluzione scientifica quando avviene un mutamento di paradigma. Secondo Kuhn, si può parlare di paradigma quando i risultati di una «scienza normale» (cioè fondata su consolidate basi teoriche e pratiche) soddisfano due condizioni: 1) essere «sufficientemente nuovi
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Talvolta un problema normale, cioè un problema che dovrebbe essere risolvibile per mezzo di regole e procedimenti noti, resiste al reiterato assalto dei più abili membri del gruppo entro la cui competenza viene a
per attrarre un nutrito gruppo di studiosi»; 2) essere «sufficientemente aperti da lasciare al gruppo di scienziati così costituitosi la possibilità di risolvere problemi di ogni genere, o quasi». La risoluzione dei problemi avviene secondo il paradigma vigente. La presenza di anomalie nella risoluzione di un problema può portare ad un mutamento delle basi concettuali e della prassi fino ad allora seguita nella risoluzione dei problemi. È questo ciò che Kuhn chiama mutamento di paradigma e che spiega nel brano qui riportato.
cadere. In altre circostanze, uno strumento dell’apparato di ricerca, progettato e costruito per gli scopi della ricerca normale, non riesce a funzionare nella maniera aspettata, rivelando una anomalia che, nonostan-
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te i ripetuti sforzi, non può venire ridotta a conformarsi all’aspettativa professionale. In questi ed in altri modi ancora, la scienza normale va a finire ripetutamente fuori strada. E quando ciò accade – quando cioè
la professione non può più trascurare anomalie che sovvertono l’esistente tradizione della pratica scientifica – allora cominciano quelle indagini straordinarie che finiscono col condurre la professione ad abbracciare un nuovo insieme di impegni, i quali verranno a costituire la nuova base della pratica scientifica. Gli episodi straordinari nel corso dei quali avviene questa sostituzione degli impegni vincolanti i membri della professione, sono indicati in questo saggio col nome di rivoluzioni scientifiche. In rapporto all’attività legata alla tradizione della scienza normale, essi sono gli elementi complementari che scuotono la tradizione. Gli esempi più evidenti di rivoluzioni
scientifiche sono quei famosi episodi dello sviluppo scientifico che già in passato sono stati spesso indicati come rivoluzioni. [...] Ogni rivoluzione scientifica ha reso necessario l’abbandono da parte della comunità di una teoria scientifica un tempo onorata, in favore di un’altra incompatibile con essa; ha prodotto, di conseguenza, un cambiamento dei problemi da proporre all’indagine scientifica e dei criteri secondo i quali la professione stabiliva che cosa si sarebbe dovuto considerare come un problema ammissibile o come una soluzione legittima di esso. Ogni rivoluzione scientifica ha trasformato l’immaginazione scientifica in un
25d ISAAC NEWTON ESPERIENZA E METODO INDUTTIVO
I. Newton, Principi matematici della filosofia naturale, a c. di A. Pala, Utet, Torino 1977, pp. 603-7; 795-96.
All’inizio del terzo libro dei Principi matematici della filosofia naturale (1687), Isaac Newton (1642-1727) formula quattro regulae philosophandi che costituiscono, soprattutto le ultime due, una teorizzazione esplicita del metodo induttivo-sperimentale. Newton spiega perché in filosofia non vadano amRegola I Delle cose naturali non devono essere ammesse cause più numerose di quelle che sono vere e bastano a spiegare i fenomeni. Come dicono i filosofi: La natura non fa nulla invano, e inutilmente viene fatto con molte cose ciò che può essere fatto con poche. La natura, infatti, è semplice e non sovrabbonda in cause superflue delle cose1. Regola II Perciò, finché può essere fatto, le medesime cause vanno attribuite a effetti naturali dello stesso genere. Come alla respirazione nell’uomo e nell’animale, alla caduta delle pietre in Europa e in America; alla luce nel fuoco domestico e nel Sole; alla riflessione della luce sulla Terra e sui pianeti2. Regola III Le qualità dei corpi che non possono essere aumentate e diminuite, e quelle che appartengono a tutti i corpi sui quali è possibile impiantare esperimenti, devono essere ritenute qualità di tutti i corpi. Infatti, le qualità dei corpi non si conoscono altrimenti che per mezzo di esperimenti, e perciò devono essere giudicate generali tutte quelle che, in generale,
modo che dovremo descrivere in ultima istanza come una trasformazione del mondo entro il quale veniva fatto il lavoro scientifico. Simili cambiamenti, assieme alle controversie che quasi sempre li accompagnano, sono le caratteristiche che definiscono le rivoluzioni scientifiche.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi le cause che portano la scienza normale «ripetutamente fuori strada» e le azioni intraprese dagli scienziati per affrontare questa situazione. b Spiega per iscritto il concetto di “rivoluzione scientifica”.
messe ipotesi, cioè assunti arbitrari, non dedotti dall’osservazione sperimentale dei fenomeni. Nella seconda edizione dell’opera Newton aggiunse uno Scolio (ovvero un commento a margine di un testo, presente in molti manoscritti) generale, a cui appartiene l’ultimo paragrafo riportato, che chiarisce ulteriormente l’espressione “Hypotheses non fingo”, con cui Newton forniva alla scienza una precisa metodologia: il suo fine doveva essere studiare come si manifestano i fenomeni (il comportamento osservabile).
concordano con gli esperimenti; e quelle che non possono essere diminuite non possono essere nemmeno sottratte. Certamente, contro il progresso continuo degli esperimenti non devono essere inventati sconsideratamente dei sogni, né ci si deve allontanare dall’analogia della natura, dato che essa suole essere semplice e sempre conforme a sé3. [...] Regola IV Nella filosofia sperimentale, le proporzioni ricavate per induzione dai fenomeni devono, nonostante le ipotesi contrarie, essere considerate vere o rigorosamente o quanto più possibile, finché non interverranno altri fenomeni, mediante i quali o sono rese più esatte o vengono assoggettate a eccezioni. Questo deve essere fatto affinché l’argomento dell’induzione non sia eliminato mediante ipotesi. [...] Qualunque cosa, infatti, non deducibile dai fenomeni, va chiamata ipotesi; e nella filosofia sperimentale non trovano posto le ipotesi sia metafisiche, sia fisiche, sia delle qualità occulte, sia meccaniche. In questa filosofia le proposizioni vengono dedotte dai fenomeni, e sono rese generali per induzione. In tal modo diven-
nero note l’impenetrabilità, la mobilità e l’impulso dei corpi, le leggi del moto e la gravità. Ed è sufficiente che la gravità esista di fatto, agisca secondo le leggi da noi esposte, e spieghi tutti i movimenti dei corpi celesti e del nostro mare. 1. La spiegazione della realtà naturale deve limitarsi a ricercare le cause dei fenomeni, senza pretendere di indagare l’essenza delle cose. 2. Newton vuole ricondurre ad unità il mondo fisico, sulla base del presupposto della continuità e dell’uniformità della natura. 3. La scientificità della natura è data dall’unione di oggettività (verifica sperimentale) e universalità (principio dell’uniformità della natura). Attraverso l’esperimento possiamo arrivare ad una conoscenza oggettiva, mentre sulla base dell’uniformità della natura – cioè l’idea che la natura sia semplice – possiamo generalizzare a livello induttivo la verità sperimentale.
METODO DI STUDIO
a Per ogni regola evidenzia le parole chiave e argomenta la tua scelta. b Individua un titoletto per ogni regola e trascrivilo al lato del testo.
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FARESTORIA VERSO UNA NUOVA SCIENZA
26 S. SHAPIN MATEMATICA E FILOSOFIA DELLA NATURA
S. Shapin, La rivoluzione scientifica, Einaudi, Torino 2003, pp. 53-56.
Pur negando una «essenza della rivoluzione scientifica», il sociologo americano Steven Shapin (nato nel 1943) focalizza la sua attenzione su alcuni elementi caratterizzanti tale fenomeno. Il primo di essi è spiegare il funzionamento della natura attraverso metafore meccaniche. Il secondo è la La fiducia del XVII secolo nella precisione e nel potere di uno statuto matematico per la filosofia della natura aveva un’origine antica. I filosofi della natura moderni si rifacevano a Pitagora1, e in special modo a Platone (circa 427-347 a.C.), per legittimare una considerazione del mondo in termini matematici, citando il detto platonico secondo cui «il mondo è una lettera scritta da Dio per il genere umano» e «essa fu scritta in caratteri matematici». Secondo Galileo la filosofia della natura doveva essere articolata in forma matematica, avendo la natura stessa una struttura matematica. I moderni filosofi della natura, e non soltanto quelli che abbracciavano una teoria meccanicistica e corpuscolare, erano largamente d’accordo sul fatto che la matematica fosse la forma di conoscenza più certa, e per tale ragione una delle più apprezzate. Nondimeno, chi si occupava dello studio della natura fisica doveva stabilire come, in quali modi e fino a che punto fosse legittimo applicare i metodi della matematica alla rappresentazione dei corpi naturali reali e dei processi fisici reali. Che fosse possibile studiare la natura in termini matematici non era, in linea di principio, oggetto di dubbio, ma era anche utile e filosoficamente legittimo? Su questo punto non c’era affatto accordo tra gli uomini di scienza del XVI e del XVII secolo. Alcuni filosofi influenti
erano certi che il fine della scienza fosse, e dovesse essere, stabilire leggi di natura espresse in termini matematici, mentre altri dubitavano che delle rappresentazioni matematiche potessero catturare il carattere contingente e complesso dei processi naturali reali. Durante tutto il XVII secolo, si fecero sentire voci influenti che esprimevano un certo scetticismo riguardo alla legittimità di «idealizzazioni» matematiche nella spiegazione della natura fisica così com’era realmente. Studiosi come Bacone e Boyle ammettevano che le descrizioni matematiche funzionavano molto bene quando la natura veniva considerata in astratto, ma un po’ meno bene quando ci si riferiva a essa nei suoi aspetti specifici e concreti. La legge matematica della caduta dei gravi, formulata da Galileo, faceva riferimento al moto di corpi ideali in un ambiente privo di attrito. È probabile che nessun corpo reale, o comunque pochissimi, si sia mai mosso obbedendo puntualmente a leggi del genere. Galileo sosteneva che «il movimento è soggetto alla legge del numero», ma le cose in movimento di cui si occupava erano solo lontanamente paragonabili ai corpi reali di media grandezza i cui moti erano oggetto dell’esperienza quotidiana. [...] L’idea che la natura obbedisse a leggi matematiche rassicurava tutti quelli che propugnavano una concezione matematica della
27d CARTESIO UNA CRITICA ALL’EDUCAZIONE TRADIZIONALE
Cartesio, Discorso sul metodo, Laterza, Bari 1956, pp. 37-45.
Le pagine qui riportate sono quelle iniziali del Discorso sul metodo, pubblicato da Cartesio (1596-1650), in francese, a Leida, in Olanda, nel 1637. In esse l’autore, dopo aver brevemente descritto i suoi propositi, conduce una serrata critica ai metodi e ai con-
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L’istruzione ricevuta in collegio a La Flèche Io sono stato istruito nelle lettere1 sin dalla fanciullezza; e poiché mi si era fatto
comprensione dei fenomeni naturali basata sempre più su modelli teorici che non sull’esperienza umana. Terzo aspetto è il ricorso alla matematica per spiegare le leggi naturali. Ultimo aspetto è l’applicazione concreta dei nuovi saperi nei più svariati settori da parte degli studiosi. Il brano che qui si presenta illustra la costante affermazione dei modelli matematici per la comprensione dei fenomeni naturali che, dopo un intenso dibattito iniziale, troverà la sua “consacrazione” nei Principia di Isaac Newton.
1. Pitagora di Samo (571-496 a.C.).
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi i punti su cui c’era accordo fra gli uomini di scienza del XVI e del XVII secolo e quelli su cui c’erano opinioni diverse. b Evidenzia il pensiero di Galilei, Bacone, Boyle e Newton riguardo alla filosofia della natura e alla matematica, quindi sintetizzalo per parole chiave al lato del testo.
tenuti dell’educazione ricevuta nel collegio gesuita di La Flèche. L’opera, scritta come introduzione a tre trattati di matematica e fisica (Diottrica, Meteore e Geometria), è stata considerata una sorta di manifesto della nuova filosofia razionalista e del nuovo metodo. Cartesio vi espone il suo pensiero a partire dalla propria esperienza personale e dal proprio travaglio interiore, intrecciando efficacemente problematica esistenziale e intellettuale.
credere che con lo studio avrei acquistato una conoscenza chiara e sicura di tutto ciò ch’è utile alla vita, avevo un desiderio grandissimo d’imparare. Ma, appena ter-
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filosofia della natura. Come studiosi dei fenomeni fisici, gli uomini di scienza lavoravano con il sensibile reale, con l’evidenza fisica, e cercavano di dare a essi un senso; come matematici, cercavano di determinare gli schemi formali che stavano alla base di, e potevano aver dato origine al, mondo della natura. Questa fiducia nella matematica raggiunse il suo punto più alto durante la prima modernità nei Philosophiae naturalis principia mathematica (1687) di Isaac Newton (1642-1727), pubblicati anche in inglese col titolo The Mathematical Principles of Natural Philosophy. Il mondo-macchina seguiva leggi che erano matematiche nella forma e potevano essere espresse nel linguaggio della matematica. Matematica e meccanicismo dovevano fondersi in una nuova definizione di filosofia della natura.
1. Ossia, negli studi «umanistici», comprendenti, nei primi anni, grammatica, storia, poesia, retorica; negli ultimi, la filosofia e le scienze.
minato quel corso di studi, dopo il quale si è di solito annoverati fra i dotti, mutai interamente opinione: poiché mi trovai intricato in tanti dubbi ed errori, che mi sembrava di non aver cavato altro profitto, cercando di istruirmi, se non questo: di aver scoperto sempre più la mia ignoranza. Eppure mi trovavo in una delle più celebri scuole d’Europa, dove dovevo ritenere che, se in qualche luogo del mondo esistevano uomini dotti, erano lì. [...] Non per questo tenevo in poco conto gli esercizi che si fanno nelle scuole. Sapevo bene che le lingue, che vi s’imparano, sono necessarie per intendere i libri antichi; che la leggiadria delle favole ravviva lo spirito, mentre le storie lo innalzano e ispirano con i loro fatti memorandi e, lette con discernimento, giovano alla formazione del giudizio; che la lettura di libri buoni è come una conversazione con i loro autori, i quali furono tra le persone più illustri del passato, ed è anzi una conversazione meditata, nella quale essi ci scoprono il meglio dei loro pensieri; che l’eloquenza ha forze e bellezze incomparabili, e la poesia finezze e dolcezze che rapiscono; che le matematiche hanno invenzioni sottilissime, utili assai tanto a contentare i curiosi, quanto a facilitare le arti tecniche e a diminuire il lavoro degli uomini; che gli scritti di morale contengono molti insegnamenti e utilissime esortazioni alla virtù; che la teologia insegna a guadagnare il cielo2; che la filosofia ci mette in grado di parlare con verosimiglianza di ogni cosa e di farci ammirare dai meno dotti; che la giurisprudenza, la medicina e altre scienze apportano onori e ricchezze a quei che le coltivano; e, infine, che è utile saggiare tutte le scienze, anche le più superstiziose e false, per conoscere il loro giusto valore e guardarci dall’esser tratti in inganno. Critica della cultura del suo tempo Ma io pensavo di avere già speso abbastanza tempo intorno alle lingue e alla lettura di libri antichi, intorno alle loro storie e alle loro favole. Conversare con gli uomini di altri secoli è quasi lo stesso che viaggiare; certo, è bene saper qualcosa dei costumi dei vari popoli per giudicare meglio dei nostri, e non stimare ridicolo e irragionevole tutto ciò ch’è contrario alle nostre abitudini, come credono coloro che non hanno visto mai nulla; ma, quando s’impiega troppo tempo a viaggiare,
si diventa alla fine stranieri nel proprio paese, e così chi è troppo curioso delle cose del passato diventa, per lo più, molto ignorante di quelle presenti. [...] Apprezzavo molto l’eloquenza, ed ero appassionato per la poesia; ma pensavo che l’una e l’altra sono doni di natura più che frutti dello studio. [...] Più di tutto mi piacevano le matematiche per la certezza ed evidenza dei loro ragionamenti, ma non ne vedevo ancora l’uso migliore3; anzi, considerando che esse non venivano adoperate se non per le arti meccaniche, mi stupivo che su fondamenti così fermi e solidi non si fosse ancora costruito nulla di più alto e importante. Invece, i trattati di morale degli antichi pagani mi parevano, sì, al paragone, superbi e magnifici palazzi, ma costruiti su sabbia e fango; essi levano in alto la virtù e la stima di essa4 sopra tutte le cose del mondo, ma non insegnano abbastanza a conoscerla, e spesso quello a cui dànno un così bel nome non è che insensibilità, o orgoglio, o disperazione, o parricidio5. Per la teologia, provavo riverenza, ed aspiravo non meno di ogni altro a guadagnare il cielo; ma, avendo saputo come cosa certissima che la via ne è aperta ai più ignoranti non meno che ai più dotti, e che le verità rivelate per arrivarvi sono superiori alla nostra intelligenza, non avrei mai osato di sottoporre queste ai miei deboli ragionamenti [...]. Della filosofia dirò soltanto che, vedendo come essa sia stata coltivata dagli intelletti più eccellenti di ogni tempo, e che ciò non ostante non c’è, in essa, nulla di cui non si sèguiti a disputare come di cosa ancora dubbia, non avevo tanta presunzione da sperare di riuscirvi io meglio degli altri. D’altra parte, considerando quante diverse opinioni possono essere sostenute da persone anche dotte circa uno stesso argomento, mentre non ve ne può essere più di una conforme a verità, reputavo presso che falso tutto ciò che fosse soltanto verosimile6. Quanto alle altre scienze che attingono dalla filosofia i loro princìpi7, ritenevo che su fondamenti così malfermi nulla poteva esser stato costruito di solido. [...] In fine, quanto a quelle scienze di dubbio valore a cui accennai, pensavo di conoscerle abbastanza per non lasciarmi ingannare né dalle promesse di un alchimista, né dalle predizioni di un astrologo, né dalle imposture di un mago, né dagli artifizi e vanterie di quanti fan professione di sapere quello che non sanno.
L’esperienza della vita e il ritorno su se stesso Ecco perché, appena l’età mi permise di uscire dalla tutela dei miei precettori, abbandonai interamente lo studio, e risolsi di non cercare altra scienza fuori di quella che potevo trovare in me stesso o nel gran libro del mondo. Impiegai, dunque, il resto della mia giovinezza a viaggiare, a veder corti e uomini d’armi, a frequentare genti di altra indole e condizione, a far tesoro di una diversa esperienza per mettere me stesso alla prova nei casi che la fortuna mi offrisse e trarne, così, con la riflessione, qualche profitto. [...] Ma, dopo di aver così impiegato alcuni anni a studiare nel libro del mondo e a farne esperienza, presi un giorno la risoluzione di studiare anche in me stesso, e d’impiegare tutte le forze del mio ingegno a scegliere il cammino da seguire. Questo, a mio avviso, mi riuscì assai meglio che se non mi fossi allontanato mai né dal mio paese né dai miei libri. 2. La leggera ironia non riguarda la fede religiosa (Cartesio fu sempre un sincero cattolico), bensì quella filosofia scolastica che pretendeva di dimostrare la verità della fede con metodi estrinseci e con concetti ormai, secondo lui, antiquati. 3. Più tardi, infatti, non solo porterà la matematica a servire di fondamento alla fisica (d’accordo, in questo, almeno sino a un certo punto, con Galilei), ma riguarderà la certezza ed evidenza dei suoi procedimenti come il criterio supremo della verità anche in filosofia. 4. Della virtù. 5. Allusioni all’impassibilità del «saggio» nella dottrina stoica. 6. Il verosimile, o come si dice oggi il “probabile”, pareva ineliminabile dalla fisica (considerata allora come parte della filosofia), in quanto fondata sull’esperienza sensibile, e questo sembrava costituire un’inferiorità di essa al paragone della matematica. Di qui il tentativo di Cartesio di fondare la fisica interamente sulla matematica. 7. La giurisprudenza per il suo rapporto con la morale, la medicina per il suo rapporto con la fisica (fisiologia). METODO DI STUDIO
a Spiega per quale motivo Cartesio afferma di essersi sentito sempre più ignorante e quale rapporto esisteva fra questa impressione e la scuola che frequentava. b Sottolinea con colori differenti gli aspetti positivi e quelli non soddisfacenti che Cartesio indica riguardo alla conversazione con gli uomini del passato. c Sottolinea in che modo Cartesio decide di risolvere il senso di inadeguatezza provato in gioventù.
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FARESTORIA VERSO UNA NUOVA SCIENZA
28 P. ROSSI UN SAPERE PUBBLICO
P. Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Laterza, Roma-Bari 1997, pp. 17-18; 24-29.
Lo storico della scienza Paolo Rossi (1923-2012) nella sua opera La nascita della scienza moderna in Europa, pubblicata nel 1997, descrive con una efficace sintesi il diverso atteggiamento che, soprattutto a partire dal ’600, caratterizzò la
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La tesi di un sapere segreto delle cose essenziali (la cui divulgazione avrebbe conseguenze nefaste) si configurò per molti secoli nella cultura europea come una sorta di paradigma prevalente. Solo la diffusione, la persistenza e la continuità storica di questo paradigma della segretezza valgono a spiegare la durezza e la forza polemica che è presente in molti testi dei cosiddetti padri fondatori della modernità: essi concordemente rifiutarono la distinzione sulla quale tale segretezza si fondava: quella fra l’esigua schiera dei sapienti o «veri uomini» e il promiscuum hominum genus o la massa degli indotti. La comunicazione e la diffusione del sapere nonché la pubblica discussione delle teorie (che sono per noi pratiche correnti) non sono state sempre avvertite come valori. Sono invece diventate dei valori. Alla comunicazione come valore si è sempre contrapposta – fino dalle origini del pensiero europeo – una differente immagine del sapere: come iniziazione, come un patrimonio che solo pochi possono attingere. [...] Le figure dominanti nel mondo della cultura, in Occidente, sono per un migliaio di anni (vale a dire per i dieci secoli del Medioevo) il santo, il monaco, il medico, il professore universitario, il militare, l’artigiano, il mago. Si affiancano più tardi a queste figure quelle dell’umanista e del gentiluomo di corte. Fra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento si affacciano figure nuove: il meccanico, il filosofo naturale, il virtuoso o libero sperimentatore. I fini che perseguono questi personaggi nuovi non sono né la santità, né l’immortalità letteraria, né la produzione di miracoli atti a stupire il volgo. Il nuovo sapere scientifico nasce anche sul terreno di un’aspra polemica contro il sapere dei monaci, degli scolastici, degli umanisti e dei professori: nelle università, scrive John Hall nel 1649 in una mozione rivolta al Parlamento, non si insegnano né la chimica, né l’anatomia, né le lingue,
relazione con il sapere. Dall’idea di un sapere segreto, dominio di pochi, si fece strada quella di un sapere che doveva essere divulgato, condiviso, e per questo doveva rispondere ad alcune caratteristiche, come quella di essere espresso in un linguaggio chiaro e comprensibile. Oltre alle opere filosofiche di Cartesio o Bacone, a dimostrarlo erano anche i regolamenti della Royal Society di Londra, fondata nel 1660.
né gli esperimenti: è come se i giovani avessero appreso tremila anni fa tutta la scienza redatta in geroglifici e poi avessero sempre dormito come mummie per risvegliarsi solo adesso. Una forte opposizione al sapere segreto dei maghi e degli alchimisti emerge, prima ancora che dal mondo dei filosofi, da quello degli ingegneri e dei meccanici. [...] Nell’epoca delle guerre di religione che hanno sconvolto l’Europa gli uomini che compongono i primi gruppi di coloro che si autodefinivano «filosofi naturali» costruirono, all’interno della più grande società nella quale vivevano, delle più piccole e più tolleranti società. «Quando abitavo a Londra – scrive John Wallis nel 1645 – ebbi occasione di far conoscenza di varie persone che si occupavano di ciò che viene ora chiamato filosofia nuova o sperimentale. Dai nostri discorsi avevamo escluso la teologia, il nostro interesse si volgeva alla fisica, all’anatomia, alla geometria, alla statica, al magnetismo, alla chimica, alla meccanica, agli esperimenti naturali». Coloro che si associano nelle prime Accademie intendono proteggersi soprattutto da due cose: la politica e l’invadenza delle teologie e delle Chiese. I Lincei «hanno per costituzion particolare sbandita da’ loro studii ogni controversia fuor che naturale e matematica, e rimosse le cose politiche». A tutti i membri della Società – recita un testo della Royal Society – «si chiede un modo di parlare discreto, nudo, naturale, significati chiari, una preferenza per il linguaggio degli artigiani e dei mercanti piuttosto che per quello dei filosofi»1. Ci sono alcuni punti che, a proposito delle Accademie e delle Società scientifiche, vanno sottolineati con forza: l’esistenza di riunioni fra dotti, l’esistenza di particolari regole di comportamento per quelle riunioni, l’assunzione di un atteggiamento critico verso le affermazioni di chiunque come norma princi-
U1 L’EUROPA DEL ’700: SOCIETÀ, POTERI, CULTURA
pale del comportamento. La verità non è legata alla autorevolezza della persona che la enuncia, ma solo alla evidenza degli esperimenti e alla forza delle dimostrazioni. Va in secondo luogo ricordata la presa di posizione, che è comune a tutti gli esponenti della nuova scienza, in favore del rigore linguistico e del carattere non allusivo della terminologia. Quella presa di posizione coincide con il rifiuto di ogni distinzione di principio fra i semplici e i dotti. Le teorie devono essere integralmente comunicabili e gli esperimenti continuamente ripetibili. Scrive William Gilbert: «Impieghiamo talvolta parole nuove. Ma no, come fanno gli alchimisti, per velare le cose ma perché le cose nascoste risultino appieno comprensibili». È appena il caso di richiamare il celebre inizio del Discorso sul metodo di Cartesio che afferma il buonsenso «la cosa del mondo meglio ripartita». La facoltà di giudicare bene e di distinguere il vero dal falso (in ciò consiste la ragione) «è uguale per natura in tutti gli uomini». Non solo: la ragione che ci distingue dagli animali «è tutta intera in ciascuno». Il metodo che Hobbes ha seguito e che conduce alla scienza e alla verità è costruito per tutti gli uomini: «Se ti piacerà – afferma rivolgendosi al lettore nella prefazione al De corpore – potrai usarlo anche tu». Il metodo della scienza, aveva affermato dal canto suo Bacone, tende a far scomparire le differenze fra gli uomini e a eguagliare le loro intelligenze. [...] La battaglia in favore di un sapere universale, comprensibile a tutti perché da tutti comunicabile e da tutti costruibile, era destinata a passare, già nel corso del Seicento, dal piano delle idee e dei pro-
1. T. Sprat, The History of the Royal Society of London, for the Improving of Natural Knowledge, London 1667, p. 63.
getti degli intellettuali a quello delle istituzioni: «Per quanto concerne i membri che devono costruire la Società, è da notare che sono liberamente ammessi uomini di differenti religioni, paesi e professioni [...] Essi professano apertamente di non preparare la fondazione di una filosofia inglese, scozzese, irlandese, papista o protestante, ma quella di una filosofia del genere umano [...]. Essi hanno tentato di porre la loro opera in tutta condizione di perpetuo accrescimento, stabilendo un’inviolabile corrispondenza tra la mano e la mente. Hanno cercato di farne l’impresa non di una stagione o di una fortunata opportunità, ma qualcosa di saldo, durevole, popolare, ininterrotto. Hanno cercato di liberarla dagli artifici, gli umori, le passioni delle sette, di trasformarla in uno strumento mediante il quale l’umanità possa ottenere il dominio sulle cose e non solo quello sui giudizi degli uomini.
Hanno cercato infine di effettuare questa riforma della filosofia non mediante solennità di leggi e ostentazione di cerimonie, ma mediante una solida pratica e mediante esempi non attraverso una gloriosa pompa di parole, ma attraverso
2. Ivi, pp. 62-63.
PALESTRA INVALSI
1 Un messaggio importante del testo è che... [ ] a. in età moderna si diffonde l’idea che maghi e alchimisti fossero da bruciare al rogo come eretici. [ ] b. il sapere umanistico, dal ’600, è legittimato a utilizzare un lessico tecnico e poco comprensibile ai più, a differenza del sapere scientifico. [ ] c. la percezione della necessità di un sapere d’élite prima del ’600 si basava sull’idea della distinzione fra i pochi sapienti e la massa degli indotti. [ ] d. la filosofia debba essere riformata secondo le realtà locali. 2 Trascrivi i tre elementi che consentono di spiegare l’accesa polemica dei maggiori studiosi degli albori dell’età moderna contro la segretezza. 1. ................................................................................................................................................... 2. ................................................................................................................................................... 3. ...................................................................................................................................................
29 E. FESTA L’INVENZIONE DEL CANNOCCHIALE
E. Festa, Galileo. La lotta per la scienza, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 59-63.
Egidio Festa ricostruisce in questo brano il percorso che portò Galileo Galilei alla costruzione del cannocchiale. Come ha sottolineato Paolo Rossi, l’uso del cannocchiale era espresNella primavera del 1609 corse voce a Padova (secondo quanto racconterà quattordici anni dopo lo stesso Galileo) che un occhiale era stato costruito in Olanda e presentato al conte Maurizio di Nassau, «col quale le cose lontane si vedevano così perfettamente come se fussero state molto vicine». Da Parigi Jacques Badouère, che era stato allievo dello scienziato a Padova nel 1597, confermava a Galileo l’esistenza di strumenti di questo tipo. Intanto Sarpi1 aveva raccolto informazioni più precise sullo strumento e sulla sua diffusione in Olanda ed in Francia. In occasione di un viaggio a Venezia nel luglio 1609, il matematico dello Studio di Padova era stato messo al corrente delle notizie che circolavano in città. A detta di Sarpi uno straniero era in rotta per Venezia con l’intenzione di vendere un occhiale alla Repubblica veneta.
i silenziosi, effettivi e irrefutabili argomenti delle produzioni reali»2.
sione di un nuovo modo di considerare la tecnica, che non la sviliva, ma ne riconosceva un ruolo importante nel metodo sperimentale. Puntando il cannocchiale verso il cielo, con una mentalità scientifica e uno spirito metodico, Galilei lo trasformò in uno strumento scientifico, ma la premessa fu il considerare gli strumenti una fonte di conoscenza, senza pregiudizi.
Fu questa notizia a convincere Galileo di tentare a sua volta di costruirne uno? Non è da escludere che la decisione sia stata presa per motivi di concorrenza tecnica e scientifica. Galileo era convinto che lo strumento presentava un notevole interesse militare, e benché non si fosse mai occupato di ottica prima d’allora, era in grado di valutare i frutti di un eventuale successo. La fiducia nelle proprie capacità inventive e l’abilità tecnica di Mazzoleni2 eliminarono gli ultimi dubbi. Mazzoleni aveva già utilizzato in maniera empirica vetri di vario tipo e dimensione, fabbricati dai maestri vetrai veneziani per correggere la miopia, la presbiopia o altri difetti della vista. D’altra parte Galileo disponeva delle notizie raccolte da Sarpi e confermate da Badouère, dalle quali emergeva un dato di fatto decisivo: in Olanda erano stati costruiti strumenti per migliorare
la visione a distanza, dunque il problema ammetteva una soluzione. È difficile stabilire su quali conoscenze scientifiche poggiasse il progetto. Le conoscenze di Galileo in questo campo erano del tutto insufficienti per tentare un approccio teorico del problema. Restava quindi l’abilità tecnica ed il metodo empirico dell’approssimazione successiva. Da quanto indicato dallo stesso Galileo la soluzione fu da lui trovata dopo lunghe riflessioni, nella notte successiva al suo ritorno a Padova, quindi nel luglio 1609. La notizia fu immediatamente comunicata a Sarpi che probabilmente riuscì a dissuadere le autorità veneziane 1. Paolo Sarpi (1552-1623), teologo, storico e scienziato veneziano. 2. Marcantonio Mazzoleni, assistente tecnico di Galilei a Padova.
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FARESTORIA VERSO UNA NUOVA SCIENZA
dall’acquistare lo strumento proposto dello straniero. Sarpi insistette sulle eccellenti caratteristiche del cannocchiale di Galileo, basandosi sulle notizie, segretissime, che giungevano dal laboratorio-officina di Padova. Ed in effetti questo cannocchiale era superiore a tutti gli strumenti dello stesso tipo che circolavano in Europa. Galileo fu invitato a Venezia verso la fine di agosto ed il 24 dello stesso mese mostrò lo strumento al doge Leonardo Donato ed ai senatori riuniti in seduta plenaria. Nella presentazione indirizzata al doge era descritto «un nuovo artifizio di un cannocchiale cavato dalle più recenti speculazioni di prospettiva». Galileo sottolineava l’interesse dello strumento «per ogni negozio et impresa marittima o terrestre [...], potendosi in mare in assai maggior lontananza del consueto scoprire legni e vele dell’inimico». Venivano poi elencati i vantaggi terrestri, sempre nel contesto di scontri con un eventuale nemico. In questo documento non c’è nessuna allusione all’uso che Galileo ne avrebbe fatto qualche mese
dopo, benché tutto lasci pensare che la decisione di puntare il cannocchiale verso il cielo fosse chiara nella sua mente fin dall’inizio della straordinaria avventura. [...] Lo strumento offerto al doge permetteva di vedere gli oggetti nove volte più vicini, ingrandendoli quindi circa ottanta volte. In pochi mesi Galileo migliorerà considerevolmente le caratteristiche dello strumento. [...] Come procedeva Galileo per migliorare le caratteristiche dello strumento? Verosimilmente, si limitò a far venire da Venezia, da Murano e probabilmente anche da Firenze dove l’industria vetraria non era meno importante, un gran numero di lenti di cui ne selezionava due per volta. «Dapprima – egli scrive nel Sidereus Nuncius – preparai un tubo di piombo, alle cui estremità fissai due lenti, ambedue piane da una parte e dall’altra una convessa, [nella quale entrava l’immagine] e l’altra concava [dalla quale usciva l’immagine per raggiungere l’occhio dell’osservatore]». L’immagine appariva allora dritta ed ingrandita.
30d GALILEO GALILEI I DUE PIANI DISTINTI DELLA SCIENZA E DELLA RELIGIONE
G. Galilei, Opere, a c. di F. Brunetti, Utet, Torino 1964, I, pp. 527-29.
Enorme era stata in tutta Europa la risonanza del Sidereus Nuncius (1610) in cui Galilei (1564-1642) presentava i risultati delle sue ricerche e le scoperte rese possibili dall’utilizzazione del cannocchiale. Ma la teoria copernicana si scontra-
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Stante, dunque, che la Scrittura in molti luoghi è non solamente capace, ma necessariamente bisognosa d’esposizioni1 diverse dall’apparente significato delle parole, mi par che nelle dispute naturali ella doverebbe esser riserbata nell’ultimo luogo2: perché, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio; ed essendo, di più, convenuto nelle Scritture, per accomodarsi all’intendimento dell’universale, dir molte cose diverse, in aspetto e quanto al significato delle parole, dal vero assoluto; ma, all’incontro, essendo la natura inesorabile e im-
METODO DI STUDIO
a Individua i passaggi che, secondo l’autore del testo, resero possibile l’invenzione del cannocchiale da parte di Galilei. Quindi, scegli per ognuno di essi dei titoletti che scriverai al lato del testo. b Spiega in che modo Galilei riuscì a realizzare un cannocchiale così efficace pur non avendo un bagaglio scientifico adeguato.
va con alcuni passi delle Sacre Scritture (Giosuè, X, 12-13; Salmi, XVIII; Ecclesiaste, I, 4) ed era considerata eretica. Nella lettera del 1613 a Benedetto Castelli (un benedettino suo fedele discepolo), di cui qui si presenta un passo saliente, Galilei affronta questi temi distinguendo tra una rivelazione «positiva» espressa nella Bibbia, cui deve attenersi la teologia, e una «naturale» offerta dal «gran libro della Natura» a cui si rifà la scienza.
mutabile e nulla curante che le sue recondite ragioni e modi d’operare sieno o non sieno esposti alla capacità de gli uomini, per lo che ella non trasgredisce mai i termini delle leggi imposteli; pare che quello de gli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone innanzi a gli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio per luoghi della Scrittura ch’avesser nelle parole diverso sembiante, poi che non ogni detto della Scrittura è legato a obblighi così severi com’ogni effetto di natura. Anzi, se per questo solo rispetto, d’accomodarsi alla capacità de’ popoli rozzi e indisciplinati, non s’è astenuta la Scrit-
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Galileo descrive in questo stesso libro un metodo che permetteva di misurare con poca fatica l’ingrandimento ottenuto con lo strumento. [...] L’interesse suscitato dal nuovo strumento spingerà Galileo a dedicarsi e quasi esclusivamente durante i mesi di settembre ed ottobre al miglioramento delle sue caratteristiche. Le prime osservazioni del cielo inizieranno solamente verso la fine di novembre del 1609.
tura d’adombrare de’ suoi principalissimi dogmi, attribuendo sino all’istesso Dio condizioni lontanissime e contrarie alla sua essenza, chi vorrà asseverantemente sostenere che ella, posto da banda cotal rispetto, nel parlare anco incidentemente di Terra o di Sole o d’altra creatura, abbia eletto di contenersi con tutto rigore dentro a i limitati e ristretti significati delle parole? e massime pro-
1. Interpretazioni. 2. Dovrebbe essere richiamata come prova solo in ultima istanza, in presenza di dubbi e lacune della conoscenza scientifica.
nunziando di esse creature cose lontanissime dal primario instituto di esse Sacre Lettere, anzi cose tali, che, dette e portate con verità nuda e scoperta, avrebbon più presto danneggiata l’intenzion primaria, rendendo il vulgo più contumace alle persuasioni de gli articoli concernenti alla salute3. Stante questo, ed essendo di più manifesto che due verità non posson mai contrariarsi, è ofizio de’ saggi espositori affaticarsi per trovare i veri sensi de’ luoghi sacri, concordanti con quelle conclusioni naturali delle quali prima il senso manifesto o le dimostrazioni necessarie ci avesser resi certi e sicuri. Anzi, essendo, come ho detto, che le Scritture, ben che dettate dallo Spirito Santo, per l’addotte cagioni ammetton in molti luoghi esposizioni lontane dal suono litterale, e, di più, non potendo noi con certezza asserire che tutti gl’interpreti parlino inspirati divinamente, crederei che fusse prudentemente fatto se non si permettesse ad alcuno l’impegnar i luoghi della Scrittura e obbligarli in certo modo a dover sostenere per vere alcune conclusioni naturali, delle quali una volta il senso e le ragioni di-
mostrative e necessarie ci potessero manifestare il contrario. E chi vuol por termine a gli umani ingegni? chi vorrà asserire, già essersi saputo tutto quello che è al mondo di scibile? E per questo, oltre a gli articoli concernenti alla salute ed allo stabilimento della Fede, contro la fermezza de’ quali non è pericolo alcuno che possa insurger mai dottrina valida ed efficace, sarebbe forse ottimo consiglio il non ne aggiugner altri senza necessità: e se così è, quanto maggior disordine sarebbe l’aggiugnerli a richiesta di persone, le quali, oltre che noi ignoriamo se parlino inspirate da celeste virtù, chiaramente vediamo ch’elleno4 son del tutto ignude di quella intelligenza, che sarebbe necessaria non dirò a redarguire, ma a capire, le dimostrazioni con le quali le acutissime scienze procedono nel confermare alcune lor conclusioni? Io crederei che l’autorità delle Sacre Lettere avesse avuto solamente la mira a persuader a gli uomini quegli articoli e proposizioni, che, sendo necessarie per la salute loro e superando ogni umano discorso, non potevano per altra scienza né per altro mezzo farcisi credibili,
che per la bocca dell’istesso Spirito Santo. Ma che quel medesimo Dio che ci ha dotati di sensi, di discorso e d’intelletto, abbia voluto, posponendo l’uso di questi, darci con altro mezzo le notizie che per quelli possiamo conseguire, non penso che sia necessario il crederlo, e massime in quelle scienze delle quali una minima particella e in conclusioni divise se ne legge nella Scrittura; qual appunto è l’astronomia, di cui ve n’è così piccola parte, che non vi si trovano né pur nominati i pianeti. 3. Salvezza. 4. Esse.
METODO DI STUDIO
a Individua nel testo i passi in cui Galilei descrive la rivelazione positiva e quella naturale segnandoli a margine del testo. Quindi, sottolinea con colori diversi le caratteristiche dell’una e dell’altra. b Riassumi per iscritto, con una frase, il senso dell’estratto della lettera di Galilei.
PISTE DI LAVORO
DAI DOCUMENTI ALLA STORIA 1 Scrivi un testo di circa 30 righe sul modo in cui cambia la scienza nel ’600 facendo riferimento ai testi di Kuhn [►24], Newton [►25d], Shapin [►26], Cartesio [►27d], Rossi [►28] e Galilei [►30d]. Evidenzia nei documenti presi in considerazione i concetti che intendi utilizzare nelle tue argomentazioni e le parti delle fonti storiche che intendi citare e numerali in ordine crescente. Quindi, indica fra parentesi, all’interno del tuo elaborato, i numeri corrispondenti ai concetti o alle citazioni a cui fai riferimento. Scegli, quindi, un taglio e un titolo per il tuo elaborato e non dimenticare di affrontare i seguenti temi: • I caratteri della nuova scienza • La critica al sapere tradizionale • I destinatari della conoscenza. IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 2 Dopo aver letto i brani storiografici di Kuhn [►24], Shapin [►26]
e Rossi [►28], scegli fra le seguenti ipotesi relative alla nascita della scienza moderna quella che ritieni maggiormente condivisibile e argomenta le tue posizioni in un testo di circa 20 righe: a. La trasformazione dei modelli di interpretazione del reale e le innovazioni tecnologiche del XVII secolo determinarono una vera e propria cesura nella storia della scienza occidentale. La “scienza moderna” nacque, infatti, in seguito a un salto di paradigma che mise in discussione l’intero complesso del sapere tradizionale. b. Sebbene l’espressione “rivoluzione scientifica” rinvii a un’idea di cambiamento rapido e improvviso, non bisogna dimenticare i legami di continuità che legavano gli “uomini nuovi” del ’600 ai loro antichi predecessori, di cui furono riscoperte e studiate le opere. La scienza moderna è infatti il risultato di un lento ma costante progresso del pensiero. 3 Analizza il racconto di Festa [►29] della scoperta da parte di Galileo Galilei del cannocchiale e confrontalo con i brani di Kuhn [►24] e Shapin [►26] di carattere generale. Scrivi quindi un testo in cui racconti quali aspetti della rivoluzione scientifica resero possibile questa invenzione.
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FARESTORIA VERSO UNA NUOVA SCIENZA
IDEE E CONQUISTE DELL’ILLUMINISMO L’Illuminismo, il movimento intellettuale nato in Francia nel ’700, segnò una svolta profonda nella storia occidentale. Cominciarono, infatti, a circolare nuove idee e nuovi valori che mutarono la vita politica, sociale e culturale di molti Stati europei. Gli orizzonti dell’indagine razionale risultarono ampliati, ed ogni aspetto della realtà, dalla religione al diritto, fu sottoposto a vaglio critico. Nel primo brano il filosofo tedesco Immanuel Kant [►31d] definisce l’Illuminismo come un atteggiamento mentale orientato alla conquista della libertà e dell’autonomia dell’individuo da tutele e autorità tradizionali. Lo storico Tzvetan Todorov [►32] individua gli elementi fondamentali del progetto illuminista, guardando alle idee di base in grado di unificare i diversi pensatori e le diverse correnti. Fra le innovazioni dell’Illuminismo vi fu un’etica dei diritti cosmopolita, razionale, laica, che inaugurò l’idea dei diritti umani, una rivoluzione nel linguaggio politico moderno analizzata da Vincenzo Ferrone [►33]. Patrizia Delpiano [►34], invece, esamina le battaglie degli illuministi per la libertà di stampa e contro la censura, decisive nel definire l’identità di questo movimento culturale. Anche la battaglia per la tolleranza e contro il fanatismo religioso fu fra le principali sfide dell’Illuminismo, come mette in luce il brano di Voltaire [►35d], tratto dal suo Dizionario filosofico. Con l’Illuminismo si affermò anche la necessità di una revisione radicale dei fondamenti del diritto, delle procedure giudiziarie e penali, tema affrontato con grande lucidità dall’italiano Cesare Beccaria [►36d]. Alcune sue idee trovarono applicazione nella riforma promossa in Toscana dal granduca Pietro Leopoldo. Come illustra Antonio Trampus [►37], fra le idee innovative dell’Illuminismo, destinata ad avere una diffusione duratura, vi fu anche quella del diritto alla felicità. La diffusione di nuove idee fu veicolata da alcune importanti novità nell’ambito della circolazione della cultura: Roger Chartier [►38], per esempio, esamina le trasformazioni del mercato dei libri e delle abitudini alla lettura. La diffusione di opere letterarie, spesso nella forma di romanzi epistolari, inoltre, provocava una forte immedesimazione con i protagonisti di quelle opere che, come sottolineato dalla storica Lynn Hunt [►39], stimolava un sentimento di empatia, collegato proprio con la nascente idea dei diritti dell’uomo. Un brano di Montesquieu [►40d], tratto dalle Lettere Persiane, ci offre un quadro ironico e dissacrante dell’assolutismo di Luigi XIV come delle credenze religiose dell’epoca. Dall’incontro tra le proposte riformatrici degli illuministi e le esigenze dei sovrani di riorganizzare le istituzioni prenderanno forma in molti paesi europei, nella seconda metà del ’700, quelle molteplici esperienze note come “assolutismo illuminato”. Nel suo brano Dorinda Outram [►41] riflette proprio sul rapporto tra l’Illuminismo e le politiche riformiste adottate dai monarchi. Chiude la sezione un brano del filosofo Jean-Jacques Rousseau [►42d], che teorizza, invece, un nuovo patto sociale come fondamento di una democrazia integrale, in cui la sovranità appartiene alla volontà generale del popolo.
31d IMMANUEL KANT UNA DEFINIZIONE DELL’ILLUMINISMO
I. Kant, Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, a c. di N. Bobbio, L. Firpo, V. Mathieu, Utet, Torino 1956, pp. 141-43; 147.
Il filosofo Immanuel Kant (1724-1804) fu uno dei principali esponenti dell’Illuminismo tedesco. In questo brano, tratto da un suo breve scritto dal titolo Che cos’è l’Illuminismo? (1784) – uscito sulla rivista «Berlinische Monatsschrift» («Rivista men
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L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza
sile di Berlino») –, Kant si interroga sul nucleo essenziale dell’Illuminismo. Lo individua nell’emancipazione dell’individuo attraverso l’uso della propria ragione, in modo che possa liberarsi dallo stato di minorità, cioè di subordinazione, di soggezione in cui intendono tenerlo le diverse autorità politiche, religiose, culturali. L’individuo, invece, deve affermare la propria dignità e autonomia, grazie ad un «uso pubblico» e collettivo della ragione, nella dimensione politica.
di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude!1 Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo. La pigrizia e la viltà sono le cause per cui tanta parte degli uomini, dopo che la na-
U1 L’EUROPA DEL ’700: SOCIETÀ, POTERI, CULTURA
tura li ha da lungo fatti liberi da direzione estranea, rimangono tuttavia volentieri per l’intera vita minorenni, per cui riesce
1. Latino, lett.: ‘osa sapere!’.
facile agli altri ergersi a loro tutori. Ed è così comodo essere minorenni! Se io ho un libro che pensa per me, se ho un direttore spirituale2 che ha coscienza per me, se ho un medico che decide per me sul regime che mi conviene, ecc., io non ho più bisogno di darmi pensiero di me. Non ho bisogno di pensare, purché possa solo pagare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione. [...] È dunque difficile per ogni singolo uomo lavorare per uscire dalla minorità, che è diventata per lui una seconda natura. Egli è perfino arrivato ad amarla e per il momento è realmente incapace di valersi del suo proprio intelletto, non avendolo mai messo alla prova. Regole e formule, questi strumenti meccanici di un uso razionale, o piuttosto di un abuso delle sue disposizioni naturali, sono i ceppi di una eterna minorità. Anche chi riuscisse a sciogliersi da essi, non farebbe che un salto malsicuro sia pur sopra i più angusti fossati, poiché egli non avrebbe l’abitudine a siffatti liberi movimenti. Quindi solo a pochi è venuto fatto con l’educazione del proprio spirito di sciogliersi dalla minorità e camminare poi con passo più sicuro. Al contrario, che un pubblico3 si illumini da sé è ben possibile e, se gli si lascia la libertà, è quasi inevitabile. Poiché in tal caso si troveranno sempre tra i tutori ufficiali della gran folla alcuni liberi pensatori che, dopo di avere scosso da sé il
giogo della tutela, diffonderanno intorno il sentimento della stima razionale del proprio valore e della vocazione di ogni uomo a pensare da sé. [...] Sennonché a questo illuminismo non occorre altro che la libertà, e la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi. Ma io odo da tutte le parti gridare: – Non ragionate! – L’ufficiale dice: – Non ragionate, ma fate esercitazioni militari! – L’impiegato di finanza: – Non ragionate, ma pagate! – L’uomo di chiesa: – Non ragionate, ma credete! – Non vi è che un solo signore al mondo, che dice: – Ragionate fin che volete e su quel che volete, ma obbedite4. Qui è dovunque limitazione della libertà. Ma quale limitazione è d’impedimento all’illuminismo? Quale non lo è, anzi lo favorisce? Io rispondo: il pubblico uso della propria ragione deve essere libero in ogni tempo, ed esso solo può attuare l’illuminismo tra gli uomini: mentre l’uso privato della ragione può anche più spesso essere strettamente limitato, senza che ne venga particolarmente ostacolato l’illuminismo. Intendo per uso pubblico della propria ragione l’uso che uno ne fa come studioso, davanti all’intero pubblico dei lettori. Chiamo invece uso privato della ragione quello che alcuno può farne in un certo impiego o funzione civile a lui affidata. [...] Se ora si domanda: – Viviamo noi attual-
32 T. TODOROV IL PROGETTO ILLUMINISTA
T. Todorov, Lo spirito dell’illuminismo [2006], Garzanti, Milano 2007, pp. 9-17.
Lo storico e saggista bulgaro naturalizzato francese Tzvetan Todorov (1939-2017) identifica l’Illuminismo come uno dei momenti fondativi della nostra identità di uomini moderni. Non è semplice dire in che cosa consista esattamente il progetto dell’illuminismo, per due motivi. Innanzitutto è un periodo di conclusione, di ricapitolazione, di sintesi e non d’innovazione radicale. Le sue idee portanti non nascono nel XVIII secolo; quando non derivano dall’età classica, portano i segni dell’alto medioevo, del rinascimento e del classicismo. Gli illuministi fanno proprie e formulano opinioni che in passato erano in contrasto. Per-
mente in un’età illuminata? – Dobbiamo rispondere: – No, bensì in un’età di illuminismo. – Come stanno ora le cose, la condizione in base alla quale gli uomini presi in massa siano già in grado di valersi sicuramente e bene del loro proprio intelletto nelle cose della religione, senza la guida di altri, è ancora molto lontana. Ma abbiamo evidenti segni che essi abbiano aperto il campo per lavorare a emanciparsi da tale stato e che gli ostacoli alla diffusione del generale illuminismo o all’uscita da una minorità a loro stessi imputabile diminuiscano a poco a poco. 2. Persona il cui compito è quello di fornire consigli e indicazioni sulle scelte religiose e morali che l’individuo deve compiere. 3. Inteso come popolo, insieme di cittadini, contrapposto al singolo individuo. 4. Si riferisce a Federico II, detto “il Grande”, sovrano di Prussia dal 1740 al 1786.
METODO DI STUDIO
a Evidenzia quello che, secondo Kant, è il motto dell’illuminismo e spiegane il senso. b Riassumi per iscritto in che modo, secondo Kant, l’uomo può liberarsi dallo stato di minorità intellettuale e quali ostacoli incontra sul suo cammino. c Sottolinea le caratteristiche che il filosofo attribuisce alla sua epoca.
Dopo averne individuato i termini chiave, vaglia gli elementi che possono esserci utili ancora oggi, in un confronto continuo fra passato e presente. Nel brano seguente individua le idee fondamentali del progetto illuminista: autonomia, finalità umana delle azioni e universalità.
tanto, come più volte hanno sottolineato gli storici, bisogna liberarsi di alcune immagini convenzionali. Essi sono al tempo stesso razionalisti ed empiristi, eredi tanto di Cartesio quanto di Locke, accolgono gli antichi e i moderni, gli universalisti e i particolaristi, sono appassionati di storia e di eternità, di dettagli e di astrazioni, di natura e di arte, di libertà e di uguaglianza. Non si tratta di elementi nuovi, ma vengono combinati in maniera differente: non
soltanto sono stati organizzati tra loro, ma, aspetto essenziale, all’epoca dei lumi queste idee lasciano i libri per entrare a far parte del mondo reale. Il secondo ostacolo consiste nel fatto che il pensiero dell’illuminismo è sviluppato da moltissimi individui che non condividono affatto le medesime opinioni e sono costantemente impegnati in accese discussioni, da un paese all’altro e all’interno del proprio. [...] L’illuminismo ha rappresen-
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FARESTORIA IDEE E CONQUISTE DELL’ILLUMINISMO
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tato un’epoca di dibattiti piuttosto che di consensi. [...] Tre sono le idee alla base del progetto, arricchito anche dalle loro innumerevoli conseguenze: l’autonomia, la finalità umana delle nostre azioni e in ultimo l’universalità. Il primo aspetto essenziale di questo movimento consiste nel privilegiare ciò che ciascuno sceglie e decide in autonomia, a detrimento di quanto ci viene imposto da un’autorità esterna. Tale preferenza comporta due aspetti: l’uno critico e l’altro costruttivo: bisogna sottrarsi a ogni forma di tutela imposta agli uomini dall’esterno e lasciarsi guidare dalle leggi, norme e regole volute dagli stessi individui ai quali essi si rivolgono. Emancipazione e autonomia sono i termini che indicano le due fasi, altrettanto indispensabili, di un medesimo processo. Per potervisi dedicare bisogna disporre di una completa libertà di analizzare, discutere, criticare, dubitare: non esistono più dogmi o istituzioni intoccabili. Una conseguenza indiretta, ma decisiva, di questa scelta è il vincolo imposto alle caratteristiche di ogni forma di autorità: deve essere della stessa natura degli uomini, vale a dire naturale e non soprannaturale. [...] Le critiche più numerose saranno rivolte alla religione, in modo che l’umanità possa assumere le redini del proprio destino. Si tratta comunque di una critica mirata: viene rifiutata la sottomissione della società o dell’individuo a precetti la cui sola legittimità deriva dal fatto che la tradizione li attribuisce alle divinità o agli antenati; non deve essere più l’autorità del passato a orientare la vita degli uomini, ma il progetto che essi hanno sul loro avvenire. [...] La critica riguarda la struttura della società, non il contenuto delle confessioni. La religione esce dallo Stato senza per questo abbandonare l’individuo. La corrente principale dell’illuminismo non s’ispira all’ateismo, ma alla religione naturale, al deismo, o a una delle loro numerose varianti. L’osservazione e la descrizione delle confessioni professate nel mondo intero, alle quali si dedicano gli illuministi, hanno lo scopo non di rifiutare le religioni, ma di condurre a un atteggiamento di tolleranza e alla difesa della libertà di coscienza. [...] La prima autonomia ad essere conquistata è quella della conoscenza. Essa prende le mosse dal principio che nessuna autorità, a prescindere dalla solidità e dal pre-
stigio di cui possa godere, è al riparo dalle critiche. La conoscenza ha solo due fonti, la ragione e l’esperienza, entrambe alla portata di tutti. [...] I promotori di questa nuova corrente di pensiero vorrebbero diffondere i lumi ovunque, perché sono persuasi che serviranno al bene di tutti: la conoscenza è liberatrice, questo è il postulato. Essi favoriranno, dunque, l’educazione in tutte le sue forme, a partire dalla scuola fino alle accademie di studiosi, e la diffusione del sapere, attraverso pubblicazioni specializzate o enciclopedie che si rivolgono al grande pubblico. Il principio di autonomia cambia radicalmente tanto la vita dell’individuo quanto quella delle società. La lotta per la libertà di coscienza, che consente a ciascuno di scegliere la propria religione, non è nuova, ma deve essere continuamente ripresa da capo e si trasforma in esigenza di libertà d’opinione, d’espressione, di pubblicazione. Accettare che l’essere umano sia la fonte della propria legge significa anche accettarlo in tutto e per tutto, così com’è e non come dovrebbe essere. In lui coesistono corpo e spirito, passioni e ragione, sensualità e meditazione. Solo a osservare gli uomini in carne e ossa, senza limitarsi a un’immagine astratta e idealizzata, ci si rende anche conto che sono infinitamente diversi tra loro. [...] La volontà dell’individuo, come quella delle comunità, si è emancipata dalle tutele di un tempo; ciò significa che ormai è completamente libera, che non ha più alcun limite? No: lo spirito dell’illuminismo non si riduce alla sola esigenza di autonomia, ma fornisce anche i propri strumenti di controllo. Il primo riguarda la finalità delle azioni umane liberate, che a sua volta scende in terra: non più Dio come obiettivo, ma gli uomini. In questo senso l’illuminismo è un umanesimo o, se vogliamo, un antropocentrismo. [...] A prescindere da ciò che accadrà della vita nell’aldilà, l’uomo deve dare un significato alla propria esistenza terrena. La ricerca della felicità prende il posto di quella della salvezza. Persino lo Stato non si pone al servizio di un disegno divino e ha come obiettivo il benessere dei propri cittadini. [...] La seconda restrizione che colpisce la libera azione degli individui come comunità consiste nell’affermare che tutti gli esseri umani, in ragione della loro stessa natura di uomini, possiedono diritti inalienabili.
U1 L’EUROPA DEL ’700: SOCIETÀ, POTERI, CULTURA
Qui l’illuminismo fa propria l’eredità del pensiero del diritto naturale, così come viene formulato nel XVII e XVIII secolo: accanto ai diritti di cui godono nel quadro della loro società, i cittadini ne detengono altri, comuni a tutti gli abitanti della Terra e dunque a ciascuno, diritti non scritti, ma non per questo meno vincolanti. Ogni individuo ha diritto alla vita; perciò la pena di morte è illegittima, anche quando punisce un criminale che ha ucciso: se l’assassinio privato è un crimine, come potrebbe non essere tale quello pubblico? Ogni individuo ha diritto all’integrità della persona; perciò la tortura è illegittima, anche quando viene praticata in nome della ragion di Stato. L’appartenenza al genere umano, all’umanità intera è ancora più importante dell’appartenenza a una o all’altra società. [...] Se tutti gli esseri umani possiedono un insieme di diritti identici, ne consegue che sono uguali tra loro di diritto: la richiesta di uguaglianza deriva dall’universalità. [...] Quest’affermazione dell’universalità umana suscita interesse per società diverse da quella in cui si è nati. I viaggiatori e gli studiosi non possono, da un giorno all’altro, smettere di giudicare gli altri popoli secondo criteri che derivano dalla loro cultura; tuttavia, la loro curiosità viene risvegliata ed essi diventano consapevoli delle molteplici forme che può assumere la civiltà e cominciano a raccogliere informazioni ed elaborare analisi, che poco per volta cambieranno l’idea che hanno di umanità. Lo stesso accade per la pluralità nel tempo: il passato cessa di essere l’incarnazione di un ideale eterno o un semplice repertorio di esempi, per diventare una successione di epoche storiche, ciascuna con la propria coerenza e i propri valori.
METODO DI STUDIO
a Sintetizza in una frase l‘atteggiamento che Todorov attribuisce agli illuministi nei confronti del passato. b Cerchia con colori diversi le idee alla base del progetto illuminista e individua e sottolinea le relative parole chiave. Quindi, argomenta oralmente la tua scelta. c Descrivi per iscritto il rapporto esistente fra illuminismo, religione e libertà di coscienza. d Sottolinea nel testo il possibile completamento della seguente frase: «l’Illuminismo può essere considerato un umanesimo perché...». e Descrivi per iscritto l’argomentazione illuminista contro la pena di morte.
33 V. FERRONE I DIRITTI DELL’UOMO
V. Ferrone, Storia dei diritti dell’uomo. L’Illuminismo e la costruzione del linguaggio politico dei moderni, Laterza, RomaBari 2014, pp. 5-9.
Gli illuministi ridefinirono un’etica dei diritti cosmopolita, razionale, umanitaria e laica, che diede vita ad un nuovo linguaggio politico in grado di sfidare l’antico regime, con Nel 1765, durante l’ennesima battaglia contro l’intolleranza e la superstizione, Voltaire ebbe a sintetizzare felicemente, e in poche parole, il senso ultimo della sua tormentata riflessione sul tema cruciale della libertà e della sua personale lotta contro l’Antico regime legandone con solennità le sorti finali all’affermazione dei diritti dell’uomo: «Plus mes compatriotes chercheront la vérité plus ils aimeront leur liberté. La même force d’esprit qui nous conduit au vrai nous rend bon citoyen. Qu’estce en effet, que d’être libre? C’est raisonner juste, c’est reconnaître les droits de l’homme; et quand on les connaît bien, on les défend de même»1. Meglio non si sarebbe potuto esprimere il rilievo e l’importanza che, nel corso degli anni Sessanta e Settanta del XVIII secolo, il riferimento ai diritti dell’uomo andò assumendo nella rivoluzione culturale dell’Antico regime messa in campo dal Tardo Illuminismo. Ovunque in Europa, in quel decisivo periodo, il costante richiamo all’espressione «diritti dell’uomo», che prima non esisteva neppure sul piano lessicale, alimentò la nascita di un nuovo e originale linguaggio politico da parte dei circoli illuministici impegnati nelle riforme; esso divenne in breve tempo il loro tonante grido di battaglia, qualcosa di simile a un moderno mito politico, ma forse sarebbe più utile e appropriato dire la loro «formula politica» per eccellenza, usata con crescente successo e grande efficacia propagandistica nelle lotte di quegli anni. Certo, a una prima ricognizione delle fonti, stupisce come la rapida diffusione linguistica dell’espressione non sia stata quasi mai accompagnata da dotte precisazioni filosofiche e giuridiche, da approfondite riflessioni in polverosi volumi in folio su cosa dovesse intendersi nel Settecento per teoria dei «diritti dell’uomo», su quali basi i diritti fossero da individuare, su chi garantiva la loro fondatezza. La questione pareva allora non aver alcun interesse speci-
le sue gerarchie, i suoi privilegi, le sue disuguaglianze. I diritti dell’uomo, dall’Illuminismo in poi, furono definiti come uguali per tutti (senza distinzioni di ceto, religione, nazionalità, genere), universali, cioè validi per tutti, inalienabili. Nel brano proposto lo storico Vincenzo Ferrone (nato nel 1954) ricostruisce proprio questo passaggio innovativo, destinato a cambiare in profondità la cultura politica, non solo europea.
fico. Ad esempio, nella Dichiarazione d’indipendenza delle colonie americane del 1776, interpretando e rendendo di pubblico dominio una convinzione allora assai diffusa, Jefferson si limitò ad assicurare che le verità alla base della teoria dei diritti dell’uomo erano così palesemente self-evident2 da non meritare ulteriori precisazioni. In realtà, a distanza di oltre due secoli, la domanda abilmente scansata da Jefferson su cosa debba intendersi per rights of man resta tutt’ora per larghi tratti inevasa: soprattutto nella sua consueta e tradizionale ricerca di solide e specifiche fondamenta teoriche e filosofiche. I nemici, subito numerosissimi, di quel linguaggio tanto eversivo quanto ritenuto da taluni assai generico e fastidiosamente retorico, ne hanno infatti da tempo denunciato la fragilità teoretica, negando l’esistenza stessa dei diritti. [...] Furono appunto gli illuministi per primi a chiarire a se stessi, a farne diretta e problematica esperienza sul campo e poi a far conoscere al mondo intero che i cosiddetti «diritti dell’uomo», per definirsi tali, richiedono la contemporanea presenza di diverse qualità e caratteristiche: 1) devono essere naturalmente inerenti agli esseri umani in quanto tali; 2) devono essere eguali per tutti gli individui, senza alcun tipo di distinzione di nascita, di ceto, di nazionalità, di religione, di genere, di colore della pelle; 3) devono essere universali, cioè validi ovunque, in ogni angolo del mondo; 4) occorre, infine, che essi siano considerati inalienabili e imprescrittibili di fronte ad ogni forma di istituzione politica o religiosa. Ed è proprio ponendo l’accento in modo originale sul principio di inalienabilità che la cultura illuministica trasformò radicalmente gli sparsi e di fatto inoffensivi riferimenti ai diritti soggettivi nello stato di natura, già indagati dai giureconsulti della scuola del diritto naturale nei secoli precedenti, in un potente linguaggio politico per destabi-
lizzare l’Antico regime, in una efficace formula politica capace di avviare l’emancipazione dell’uomo attraverso la pratica dei diritti nella costruzione della moderna società civile. Nel brano del 1765 riportato in avvio di questo capitolo, Voltaire sembrava voler ribadire chiaramente tutto ciò auspicando l’avvento di una civiltà nuova e rispettosa dei diritti dell’uomo, in cui i tiranni avrebbero finalmente trovato nella difesa dei diritti un limite e un muro invalicabile. In realtà egli andava ben oltre nel sintetizzare l’originale apporto illuministico, il forte elemento di discontinuità che quel linguaggio introduceva non solo verso l’esterno, nella protezione dell’individuo dal potere di altri, ma anche all’interno, nella concezione stessa dell’identità dell’uomo e della condizione umana nella cultura dell’Occidente. Basti pensare che laddove per un cristiano l’essenza dell’umanità stava tutta racchiusa nella credenza di essere figlio di Dio, soggetto di un disegno escatologico3, nelle parole di Voltaire – e come avremo modo di vedere l’opinione era assai diffusa nei circoli illuministici europei – affiora per la prima volta, in modo appassionato, la credenza che l’umanità dell’uomo stava invece per intero nell’uomo stesso, nel riconoscimento della sua dignità e titolarità di diritti inalienabili, in un
1. «Più i miei compatrioti cercheranno la verità più ameranno la loro libertà. La stessa forza di spirito che ci conduce al vero ci rende buoni cittadini. Cos’è in effetti, l’essere liberi? È ragionare in modo giusto, è riconoscere i diritti dell’uomo, e quando li si conosce davvero, difenderli allo stesso modo», Voltaire, Questions sur les miracles, in Nouveaux mélanges philosophiques, historiques, critiques, etc., etc., s.l. 1775, t. XIX, p. 333. 2. Auto-evidenti. 3. Che riguarda il destino ultimo dell’uomo e dell’Universo.
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FARESTORIA IDEE E CONQUISTE DELL’ILLUMINISMO
destino storico che doveva sanzionarne l’affermazione finale per l’intera specie umana. La parola uomo e la parola diritti diventavano in tal senso pressoché interscambiabili, senza ulteriori mediazioni di carattere religioso. L’una cosa caratterizzava l’altra e viceversa. Il tema della finitezza, dei limiti umani nella conoscenza e nell’agire, il posto dell’uomo nella catena degli esseri, la ricerca della verità e la sua stessa libertà divenivano del tutto impensabili senza il riferimento al linguaggio illuministico dei
diritti naturali dell’individuo. Insomma, nel corso del XVIII secolo quel prendere coscienza dei diritti da parte dell’opinione pubblica europea apriva da un lato la strada alla cosiddetta «invenzione della libertà», con le sue straordinarie potenzialità; dall’altro lato inchiodava però l’uomo al principio etico della responsabilità nei confronti dell’altro, alla drammatica accettazione della sua finitezza, alla constatazione che essere liberi significava, anche e soprattutto, come amava precisare Vol-
34 P. DELPIANO CONTRO LA CENSURA
P. Delpiano, Liberi di scrivere. La battaglia per la stampa nell’età dei Lumi, Laterza, Roma-Bari 2015, pp. 52-59.
La storica Patrizia Delpiano, concentrandosi soprattutto sui casi di Italia e Francia, esplora il processo che condusse alla
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Se al philosophe spettava il compito di illuminare gli altri uomini, lo strumento indispensabile a tal fine non poteva che essere la pubblica e libera comunicazione di idee. Non si trattava più della libertas philosophandi1 da sempre rivendicata dai dotti in riferimento alla sfera privata, bensì di un diritto che doveva valere nella dimensione pubblica: esso coinvolgeva sia il mondo dell’oralità sia quello, ben più soggetto a norme e controlli, della scrittura, e implicava dunque la libertà di stampa. La sua conquista e, anzi, la sua stessa rivendicazione pubblica non sembrano un itinerario privo di ostacoli, come emerge invece da una parte dei recenti studi sul tema. L’idea di una battaglia epocale scatenata dagli illuministi contro le istituzioni repressive di Antico Regime in nome della libertà di espressione, tipica di una corrente della storiografia novecentesca, è infatti sempre più scartata a favore dell’ipotesi di un compromesso tra scrittori e censori. Vero è che sarebbe antistorico presentare i philosophes quali novelli Socrate disposti a morire pur di difendere le proprie idee. Più corretto è semmai registrare la duplice posizione di molti philosophes, che nel corso del Settecento passarono dalla Bastiglia alle sale affrescate delle accademie parigine, esito di un processo di istituzionalizzazione della figura dell’uomo di cultura. Emblematici sono i casi di autori che vide-
METODO DI STUDIO
a Descrivi per iscritto gli effetti che il riconoscimento dei diritti dell’uomo ebbe sul linguaggio politico e sulla società. b Sottolinea con colori diversi le caratteristiche e le qualità che, se compresenti, permettono di riconoscere i diritti dell’uomo. c Cerchia le parole chiave che definiscono l’essenza dell’umanità per i cristiani e per Voltaire e argomenta per iscritto le tue scelte.
teorizzazione della libertà di stampa e alla rivendicazione di questo diritto. La vicenda appare segnata da ostacoli istituzionali, come la censura ecclesiastica e statale, ma anche da casi di autocensura e dalla ricerca talvolta di un compromesso, di un accomodamento con i regimi.
ro le loro opere censurate, ma non mancarono, prima o dopo, di fregiarsi del titolo di accademici: da d’Alembert, membro dell’Académie des sciences (1741) e dell’Académie française (1754) e suo segretario perpetuo dal 1772, a Marmontel, che lo sostituì in quest’ultima carica nel 1783. Molti erano ben collocati nell’establishment entro rapporti di mecenatismo. Accanto a Diderot, costretto a vendere la sua biblioteca per pagare gli studi alla figlia, vi era Helvétius, maître d’hôtel2 a corte, che godeva di notevole ricchezza. Non mancarono del resto denunce delle protezioni di cui godevano i philosophes nel contesto accademico. Per comprendere il radicalizzarsi del pensiero illuminista è utile allora considerare l’esperienza della persecuzione quale fu vissuta, interiorizzata e narrata dai protagonisti. Ciò spiega, tra l’altro, il carattere polemico ed engagé3 dell’homme de lettres4 nel contesto francese e lo caratterizza in modo specifico rispetto al modello inglese, segnato dall’autocontrollo e dalla responsabilità di autori e stampatori. [...] Proprio Voltaire avrebbe contribuito ad avviare il dibattito pubblicando nel 1765, anche se anonimamente, un testo dal titolo eloquente, De la liberté d’imprimer [Sulla libertà di stampare]. La difesa pubblica della libertà di stampa, al di là del cenno al fatto che servirsi della penna a proprio rischio era questione di diritto
U1 L’EUROPA DEL ’700: SOCIETÀ, POTERI, CULTURA
taire, riconoscere e difendere i diritti degli altri.
naturale, veniva qui strategicamente condotta tentando di sminuire gli effetti della scrittura (e della lettura). L’autore dichiarava di conoscere soltanto testi noiosi, ma incapaci di produrre seri danni. Non erano stati i libri a fare la Riforma protestante, bensì l’abilità di predicare da parte di Lutero. E anche l’opera potenzialmente più pericolosa (quella di Spinoza) non era riuscita secondo lui a cambiare la faccia del mondo. Bisognava insomma lasciare gli uomini liberi di leggere ciò che volevano. [...] La rivendicazione della libertà di stampa – che ricostruiamo anche attraverso l’epistolario di uomini come Diderot, Morellet e Helvétius – prese dunque corpo in modo progressivo, parallelamente all’idea di una diffusa persecuzione del mondo philosophique. [...] Tra i philosophes non mancarono differenze in tema di libertà di stampa, e non tutti giunsero a domandare esplicitamente l’abolizione della censura preventiva. Ma sulla loro posizione a favore della libertà di stampare, cui erano intimamente favorevoli, non esistono dubbi. Ogni phi-
1. Libertà di filosofare. 2. Helvétius fu dignitario a corte. 3. Impegnato. 4. Uomo di lettere.
losophe adottò e propose comunque una propria strategia. [...] Il dibattito sulla libertà di stampa esplose alla vigilia della convocazione degli Stati generali, in seguito all’appello alla nazione da parte di Luigi XVI, coinvolgendo vari autori, come Malesherbes, alla ricerca di un difficile equilibrio tra due obiettivi: «quello di dare alla nazione la libertà di scrivere [...] e quello di impedire la licenziosità dei libelli». Mirabeau, proponendo tra l’altro il celebre discorso di Milton al Parlamento inglese (l’Areopagitica, cioè), rifletteva sulle contemporanee resistenze a riconoscere la libertà di stampa: gli parevano legate al fatto che ad averla rivendicata erano stati ed erano i philosophes. Questo il pregiudizio contro cui l’autore doveva combattere: «I cosiddetti philosophes invocano la libertà di stampa, e spesso l’hanno spinta fino alla licenziosità». Erano dunque i contemporanei a rintracciare le origini della battaglia per la libertà di stampa nel cuore della lotta tra la philosophie e l’Antico Regime. In effetti, pur non mancando di praticare
forme di autocensura e di mediare per pubblicare in un contesto privo di libertà, i philosophes elaborarono un nuovo modo di essere hommes de lettres. Nella difesa della libertà nella comunicazione pubblica in riferimento a ogni tema (religione compresa) il pensiero illumi-
PALESTRA INVALSI
1 Un messaggio importante del testo è che... [ ] a. Voltaire pubblicava testi senza indicare di esserne l’autore. [ ] b. gli accademici erano spesso censurati. [ ] c. i philosophes sono paragonabili a novelli Socrate disposti a morire pur di difendere le proprie idee. [ ] d. la storiografia recente contesta lo scontro aperto fra illuministi e le istituzioni passate, tipico di una lettura storiografica novecentesca. 2 L’espressione «non erano stati i libri a fare la Riforma protestante» significa che... [ ] a. i libri stampati nel periodo della Riforma protestante erano in realtà innocui. [ ] b. la libertà di stampa, da sola, non è sufficiente a incidere profondamente nella società. [ ] c. Lutero aveva scritto le sue opere più incisive senza poterle pubblicare e diffondere. [ ] d. la Riforma protestante si era diffusa soprattutto grazie al passaparola dei pensieri di Lutero. 3 Il testo che hai letto è... [ ] a. uno studio tratto da una rivista scientifica. [ ] b. una voce di enciclopedia. [ ] c. un paragrafo di un testo storiografico. [ ] d. un articolo divulgativo.
35d VOLTAIRE LA TOLLERANZA RELIGIOSA
Voltaire, Dizionario filosofico, Garzanti, Milano 1991, pp. 355-57.
Voltaire (1694-1778) combatté per tutta la vita un’aspra battaglia in difesa della tolleranza, come dimostrò anche il suo Trattato sulla tolleranza, scritto in occasione del noto caso Calas e pubblicato nel 1763. Nel brano proposto, Che cos’è la tolleranza? È la prerogativa dell’umanità. Siamo tutti impastati di debolezze e di errori: perdoniamoci reciprocamente i nostri torti, è la prima legge di natura. Alla borsa di Amsterdam, di Londra, di Surat o di Bassora, il ghebro1, il baniano2, l’ebreo, il musulmano, il deicola cinese3, il bramino, il cristiano greco, il cristiano romano, il cristiano protestante, il cristiano quacchero trafficano insieme; nessuno di loro leverà il pugnale contro un altro per guadagnare anime alla propria religione. Perché, allora, ci siamo scannati a vicenda quasi senza interruzione, dal primo concilio di Nicea4 in poi? Costantino cominciò col promulgare un editto che permetteva tutte le religio-
nista mostrava una certa compattezza. Questa compattezza, e al contempo la forza del messaggio, furono lucidamente percepite dai difensori della tradizione, che avevano scatenato una dura battaglia: essenziale ai fini dell’autodefinizione del philosophe.
tratto dal Dizionario filosofico, pubblicato nel 1764, sostiene come la tolleranza sia resa necessaria dall’imperfezione e dalla fallibilità umana. Passa in rassegna esempi diversi, tratti sia dalle dispute teologiche che caratterizzarono i primi secoli del cristianesimo, sia dalle più recenti persecuzioni dei protestanti, per dimostrare l’insensatezza dell’intolleranza in materia religiosa.
ni e finì persecutore religioso. Prima di lui si combattevano i cristiani solo perché cominciavano a costruire un partito entro lo Stato. I Romani permettevano tutti i culti, persino quelli degli Ebrei e degli Egiziani, per i quali avevano tanto disprezzo. E perché Roma li tollerava? Perché gli Egiziani, e gli stessi Giudei, non cercavano di distruggere l’antica religione dell’impero, non correvano la terra ed i mari allo scopo di fare proseliti: pensavano solo a far quattrini. Mentre è indubbio che i cristiani volevano che la loro religione fosse quella dominante. [...] La loro convinzione era che tutta la terra dev’essere cristiana: erano quindi, di necessità, nemici di tutta la terra, finché non fosse convertita. Erano poi nemici gli uni degli altri su tut-
ti i punti controversi della loro religione. Bisogna considerare Gesù Cristo anzitutto come Dio? Coloro che lo negano vengono anatemizzati sotto il nome di ebioniti5; e questi, a loro volta, anatemizzano gli adoratori di Gesù. Alcuni vogliono che tutti i beni siano comuni, come
1. Denominazione musulmana dei persiani fedeli al zoroastrismo. 2. Appartenente ad una casta di commercianti dell’India. 3. Confuciano. 4. Nel primo concilio di Nicea, nel 325 d.C., fu condannato l’arianesimo e si posero le basi della dottrina cristiana. 5. Corrente di giudeo-cristiani dei primi secoli, che negavano la divinità di Gesù.
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FARESTORIA IDEE E CONQUISTE DELL’ILLUMINISMO
si sostiene che fossero al tempo degli apostoli? I loro avversari li chiamano nicolaiti6 e li accusano dei più infamanti delitti. Altri tendono a una devozione mistica? Vengono chiamati «gnostici»7 e perseguitati con furore. [...] Tertulliano, Prassea, Origine, Novato, Novaziano, Sabellio, Donato sono tutti perseguitati dai loro fratelli prima di Costantino; e appena questi hanno fatto trionfare la religione cristiana, ecco gli atanasiani e gli eusebiani8 farsi a pezzi a vicenda; e, da quel tempo, la Chiesa cristiana è inondata di sangue, sino ai giorni nostri. [...] È chiaro che chiunque perseguiti un altro, suo fratello, perché non è della sua opinione, è un mostro. Ciò è fuori discussione. Ma un governo, i magistrati, i principi, come si comporteranno con coloro che professano un altro culto? Se si tratta di stranieri potenti, è certo che un principe farà alleanza con loro. Il cristianissimo Francesco I si unirà con i musulmani contro il cattolicissimo Carlo V e darà denaro ai principi luterani di Germania
per aiutarli nella loro lotta contro l’imperatore; ma comincerà, secondo l’uso, col far bruciare i luterani nel proprio regno. Li finanzierà in Sassonia per ragioni politiche e, per le stesse ragioni, li brucerà a Parigi. E che accadrà? Le persecuzioni faranno proseliti; e ben presto la Francia pullulerà di neoprotestanti. Dapprima, essi si lasceranno impiccare; poi, si metteranno a impiccare anche loro. Ci saranno guerre civili, poi verrà la notte di san Bartolomeo; e quest’angolo del mondo sarà peggiore di tutto quanto gli antichi e i moderni dissero dell’inferno. Insensati, che non avete mai saputo adorare con animo puro il Dio che vi creò! Sciagurati, che nulla avete imparato dagli esempi dei noachidi9, dei letterati cinesi, dei parsi e di tutti i saggi! Mostri, che avete bisogno delle persecuzioni, come il becco dei corvi ha bisogno delle carogne! Vi è già stato detto, e non c’è altro da dirvi: se presso di voi ci sono due religioni, si scanneranno a vicenda; se ce ne sono trenta, vivranno in pace. Guardate il Gran Turco: è musulmano, e governa
dei ghebri, dei baniani, dei cristiani greci, dei nestoriani e dei cattolici romani. Il primo che tenta di suscitare tumulti viene impalato, e tutti vivono tranquilli. 6. Setta ereticale. 7. Lo gnosticismo fu un insieme di dottrine e movimenti spirituali, sviluppatosi in età ellenistico-romana accanto al cristianesimo antico. 8. Dottrine concorrenti, che si svilupparono nell’ambito del cristianesimo antico. 9. Discendenti di Noè.
METODO DI STUDIO
a Individua ed evidenzia il messaggio principale del documento. b Seleziona tre esempi che Voltaire porta a supporto del messaggio che vuole trasmettere e descrivili sinteticamente. c Sottolinea con colori diversi i differenti atteggiamenti assunti nei confronti delle diversità di opinioni dai singoli individui e da coloro che governano.
36d CESARE BECCARIA • PIETRO LEOPOLDO DI TOSCANA LE RIFORME DELLA GIUSTIZIA
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene. Con una raccolta di lettere e documenti relativi alla nascita dell’opera e alla sua fortuna nell’Europa del Settecento, a c. di F. Venturi, Einaudi, Torino 1994, pp. 31; 38-39; 59; 62; 258-59.
I brani qui riportati sono tratti dal celebre libro di Cesare Beccaria (1738-1794) Dei delitti e delle pene, del 1764. L’autore chiarisce le sue motivazioni contro la tortura e la pena di morte ed esprime le sue argomentazioni a favore di pene miti, ma certe. Da queste pagine emerge con chiarezza la visione contrattualistica di Beccaria, per cui l’individuo Dei delitti e delle pene § XII. Fine delle pene
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Il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile, né di disfare un delitto già commesso. Può egli in un corpo politico, che, ben lungi di agire per passione, è il tranquillo moderatore delle passioni particolari, può egli albergare questa inutile crudeltà stromento1 del furore e del fanatismo o dei deboli tiranni? Le strida di un infelice richiamano forse dal tempo che non ritorna le azioni già consumate? Il fine dunque non è altro che impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali. Quelle pene dunque e quel metodo d’infliggerle deve essere prescelto che, serbata la propor-
concede allo Stato solo la minima parte della sua libertà e non certo il diritto a ucciderlo; in secondo luogo l’idea che la certezza delle pene sia assai più efficace della loro crudeltà; in terzo luogo che il fine delle leggi sia la felicità pubblica. Segue l’introduzione alla riforma del diritto penale (1786) di Pietro Leopoldo, granduca di Toscana dal 1765 al 1790, con cui si modernizzavano alcuni aspetti del metodo inquisitorio, si abolivano la tortura e la pena di morte.
zione2, farà un’impressione più efficace e più durevole sugli animi degli uomini, e la meno tormentosa sul corpo del reo. [...] § XVI. Della tortura Una crudeltà consacrata dall’uso nella maggior parte delle nazioni è la tortura del reo mentre si forma il processo, o per costringerlo a confessare un delitto, o per le contraddizioni nelle quali incorre, o per la scoperta dei complici, o per non so quale metafisica ed incomprensibile purgazione d’infamia, o finalmente per altri delitti di cui potrebbe esser reo, ma dei quali non è accusato. Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, né la società può togliergli la pubblica protezione, se
U1 L’EUROPA DEL ’700: SOCIETÀ, POTERI, CULTURA
non quando sia deciso ch’egli abbia violati i patti coi quali le fu accordata. Quale è dunque quel diritto, se non quello della forza, che dia la podestà ad un giudice di dare una pena ad un cittadino, mentre si dubita se sia reo o innocente? [...] Egli è un voler confondere tutt’i rapporti l’esigere che un uomo sia nello stesso tempo accusatore ed accusato, che il dolore divenga il crociuolo3 della verità, quasi che il criterio di essa risieda nei muscoli e nelle fibre di un miserabile. [...]
1. Strumento. 2. Si intende la proporzione fra reato e pena. 3. Lo strumento di prova.
§ XXVII. Dolcezza delle pene Uno dei più gran freni dei delitti non è la crudeltà delle pene, ma l’infallibilità di esse, e per conseguenza la vigilanza dei magistrati, e quella severità di un giudice inesorabile, che, per essere un’utile virtù, dev’essere accompagnata da una dolce legislazione. La certezza di un castigo, benché moderato, farà sempre maggiore impressione che non il timore di un altro più terribile, unito colla speranza dell’impunità. [...] § XXVIII. Della pena di morte Questa inutile prodigalità di supplicii, che non ha mai resi migliori gli uomini, mi ha spinto ad esaminare se la morte sia veramente utile e giusta in un governo bene organizzato. Qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili? Non certamente quello da cui risulta la sovranità e le leggi. Esse non sono che una somma di minime proporzioni della privata libertà di ciascuno; esse rappresentano la volontà generale, che è l’aggregato delle particolari. Chi è mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l’arbitrio di ucciderlo? Come mai nel minimo sacrificio della libertà di ciascuno vi può essere quello del massimo fra tutti i beni, la vita? E se ciò fu fatto, non si accorda un tal principio coll’altro, che l’uomo non
è padrone di uccidersi, e doveva esserlo se ha potuto dare altrui questo diritto o alla società intera? Non è dunque la pena di morte un diritto, mentre ho dimostrato che tale essere non può, ma è una guerra della nazione con un cittadino, perché giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere.
Riforma della legislazione criminale toscana Fino al nostro avvenimento al trono di Toscana riguardammo come uno dei nostri principali doveri l’esame e riforma della legislazione criminale [...]. Con la più grande soddisfazione del nostro paterno cuore abbiamo finalmente riconosciuto che la mitigazione delle pene, congiunta con la più esatta vigilanza per prevenire le ree azioni, e mediante la celere spedizione4 dei processi, e la prontezza e sicurezza della pena dei veri delinquenti, in vece di accrescere il numero dei delitti ha considerabilmente diminuiti i più comuni, e resi quasi inauditi gli atroci, e quindi siamo venuti nella determinazione di non più lungamente differire la riforma della legislazione criminale, con la quale, abolita per massima costante la pena di morte, come non necessaria per il fine propostosi dalla società nel-
37 A. TRAMPUS IL DIRITTO ALLA FELICITÀ
A. Trampus, Il diritto alla felicità. Storia di un’idea, Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 151-61.
Lo studio dello storico Antonio Trampus (nato nel 1967) analizza come l’aspirazione alla felicità sia divenuta un diritto, tale da essere inserito nella Costituzione americana. Proprio La mattina del 1° novembre 1755 un terremoto violentissimo, oggi valutabile intorno al nono grado della scala Richter, colpisce Lisbona, città di 275.000 abitanti e capitale del Portogallo. Il mare si ritira lasciando le rive e i moli a secco, comprese le barche ormeggiate; poco dopo un’onda alta 15 metri si abbatte sulla città, e nelle ore successive scoppiano anche numerosi incendi. L’epicentro è proprio vicino alla costa, e il sisma si espande interessando un’area di undici milioni di chilometri quadrati, colpisce il Marocco, distrugge Algeri e Marrakech, viene avvertito in Olanda e in Svezia, in tutta
la punizione dei rei, eliminato affatto5 l’uso della tortura, la confiscazione dei beni dei delinquenti come tendente per la massima parte al danno delle loro innocenti famiglie che non hanno complicità nel delitto, e sbandita dalla legislazione la moltiplicazione dei delitti impropriamente detti di lesa maestà, con raffinamento di crudeltà inventati in tempi perversi, e fissando le pene proporzionate ai delitti, ma inevitabili nei rispettivi casi, ci siamo determinati a ordinare con la pienezza della nostra suprema autorità quanto appreso. 4. Conclusione. 5. Del tutto.
METODO DI STUDIO
a Evidenzia per ogni voce del testo di Cesare Beccaria le frasi che meglio sintetizzano, secondo te, il pensiero dell’illuminista. b Spiega per iscritto cosa intende Beccaria con la frase «la pena di morte non è un diritto» descrivendo sinteticamente il suo pensiero a questo riguardo. c Sottolinea con colori diversi i provvedimenti che, nelle parole del granduca di Toscana Pietro Leo‑ poldo, si sono rivelati davvero efficaci per ridurre sensibilmente i crimini. d Evidenzia le parole che descrivono sinteticamente i princìpi della riforma operata dal granduca di Toscana.
con l’Illuminismo si pose un nuovo obiettivo: trasformare quest’aspirazione in una realtà politica, o almeno creare le condizioni perché ciò potesse avvenire, in un rapporto mutato fra privato e pubblico, fra individuo e società, come è rivelato dal pensiero di Voltaire, analizzato in questo passo.
l’Africa settentrionale, nelle Antille e a Barbados. [...] Dinanzi alle raffigurazioni di Lisbona, simbolo di uno dei paesi più impegnati nella difesa del cattolicesimo, ormai rasa al suolo, e ai racconti di gazzette e di viaggiatori, i protagonisti dell’età dei Lumi sono costretti a ripensare alla felicità in modo nuovo. Avvertono l’irrimediabile precarietà dell’esistenza terrena e i limiti della volontà umana. Di fronte a tanto dolore come si può avere fiducia nella Provvidenza? E come si può credere nella potenza rigeneratrice della natura, che appare invece come una matrigna? Come può l’uomo impegnarsi nella ri-
cerca della felicità se poi tutta la sua esistenza è così precaria ed instabile? La catastrofe insegna all’uomo del Settecento, ormai rassegnato all’inutilità di una visione provvidenzialistica, che anche l’agire umano incontra dei limiti dinanzi all’imprevedibilità della natura. [...] La modernità, vista come esito di questo lungo processo di secolarizzazione, può essere quindi fonte di angosce e l’interprete più lucido è Voltaire, intellettuale celebrato e discusso, apprezzato e invidiato, coscienza critica della cultura francese. La sua irrequietezza lo porta già negli anni Quaranta a immaginare
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FARESTORIA IDEE E CONQUISTE DELL’ILLUMINISMO
una separazione netta tra la fiducia che si deve riporre in un ordine razionale della natura e l’esistenza casuale degli uomini, impegnati continuamente in una ricerca della felicità che, se non li appaga, almeno rende loro tutto più sopportabile. Questa visione, tutto sommato ottimistica, viene sradicata dal suddetto terremoto di Lisbona, sul quale, come già accennato, scrive nel 1756 un celebre poema che dà voce al dubbio e alle inquietudini: «Ebbene sì, ammettiamolo, il male è sulla terra, / Il suo oscuro principio a noi è sconosciuto / Dall’autore del bene il male ci è venuto?». Dinanzi a questo interrogativo «io abbandono Platone / io rigetto Epicuro / Bayle ne sa più di tutti: io vado a consultarlo: / con la bilancia in mano, mi insegna a dubitare». L’uomo si annichilisce quando il male si diffonde per ogni dove e quando la stessa terra, su cui poggia i piedi, si rivela insicura e pericolosa: «Atomi tormentati sopra un mucchio di fango / Che la morte si ingoia, la cui sorte si gioca, / Ma atomi pensanti, atomi che hanno occhi / Guidati dal pensiero a misurare i cieli; / In seno all’infinito lanciamo il nostro essere, / Senza vederci un attimo, senza di noi sapere. / Questo mondo è teatro e d’orgoglio e d’errore / Pieno di disgraziati che parlano di felicità»1. L’impegno di Voltaire contro il male, contro la superstizione e contro la violenza diventa quindi la difesa dell’ottimismo della ragione, che però viene condotta attraverso un’analisi dell’infelicità e della sofferenza. [...] L’obiettivo di Voltaire è però più eleva-
to: aprire il capitolo dell’infelicità, per lui, significa riflettere su ciò che è ingiusto e sull’origine del male. Finché gli uomini avevano dinanzi a loro il dogma del peccato originale e un’idea del bene intimamente connessa allo spirito di religione disponevano anche di una spiegazione plausibile della rarità o dell’assenza di felicità sulla terra. Ma una volta che il processo di secolarizzazione è stato avviato, mentre l’uomo è lasciato con se stesso a seguire i propri sensi e desideri, servirebbe un’altra guida altrettanto sicura, che i filosofi però non sono in grado di indicare. [...] Si apre un nuovo scenario: la felicità individuale non dipende più dal carattere naturale, ma dal modo in cui il singolo si rapporta con la società e i suoi bisogni nel cui soddisfacimento si sente appagato. Questo diventa il nuovo significato della parola virtù: «la virtù e il vizio, il bene e il male morale sono [...] in ogni paese quel che è utile o nocivo per la società», scrive Voltaire sin dal 1734. Nel Dizionario filosofico lo rispiega in modo ancora più netto: «che cos’è la virtù? Far del bene al prossimo [...] Noi viviamo in società; dunque non c’è di veramente buono per noi che ciò che fa il bene della collettività. Un solitario sarà sobrio, pio, vestirà un cilicio: ebbene, sarà santo, ma io lo chiamerò virtuoso solo quando avrà compiuto qualche atto di virtù di cui gli altri uomini avranno tratto un giovamento»2. La felicità diventa quindi un criterio per misurare il rapporto tra l’uomo e la società, per superare i limiti dell’egoismo e dell’interesse individuale,
38 R. CHARTIER UNA RIVOLUZIONE DELLA LETTURA
R. Chartier, Libri e lettori, in L’Illuminismo. Dizionario storico, a c. di V. Ferrone e D. Roche, Laterza, Roma-Bari 1997, pp. 292-99.
Nell’età dell’Illuminismo cambiò la produzione editoriale, e anche il modo stesso di leggere i libri. Secondo molti studiosi, avvenne una vera e propria «rivoluzione della lettura». A spiegare i caratteri e il significato di questa trasformazione è, in questo brano, lo storico francese Roger Chartier (nato
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Possiamo definire l’età dei Lumi come l’epoca di una «rivoluzione della lettura»? A tale quesito i contemporanei avrebbero senza dubbio risposto in modo affermativo, essendo fortemente consapevoli delle trasformazioni che avevano modificato la produzione a
1. Voltaire, Poema sul disastro di Lisbona, trad. it., in Voltaire, Rousseau, Kant, Sulla catastrofe: l’Illuminismo e la filosofia del disastro, a c. di A. Tagliapietra, Bruno Mondadori, Milano 2004, pp. 1-22. 2. Voltaire, Dizionario filosofico, trad. it., a c. di R. Naves, II, Rizzoli, Milano 1979, pp. 421-42.
METODO DI STUDIO
a Rispondi per iscritto alle seguenti domande: a. In che modo il terremoto di Lisbona del 1755 incise sul pensiero illuminista? b. In che modo l’uomo fu portato a percepire la natura dopo questo episodio? c. Cosa impedisce agli uomini, secondo l’autore, di ottenere quella felicità cui tanto anelano? d. I filosofi illuministi sono in grado di fornire le risposte sull’origine del male, così come aveva fatto la Chiesa? b Spiega in che modo l’uomo possa raggiungere la felicità ed esercitare la virtù.
nel 1945), autore di importanti studi sulla cultura d’ancien régime. A suo giudizio per analizzare le nuove pratiche di lettura che si diffondono nel ’700 in alcuni paesi dell’Europa occidentale occorre considerare diversi fenomeni: dalla proliferazione di nuovi generi letterari, allo sviluppo e alle trasformazioni della produzione di libri e giornali, ai cambiamenti nei formati dei volumi, all’evoluzione del commercio librario, alla diffusione di inedite istituzioni culturali che consentono di poter leggere libri senza doverli acquistare.
stampa e le pratiche di lettura. Soprattutto a partire dalla metà del secolo si moltiplicano i riferimenti alla lettura che esprimono l’acuta percezione di un tale sconvolgimento. [...] L’offerta di libri è ovunque in crescita: in Inghilterra, seguendo le recensioni
U1 L’EUROPA DEL ’700: SOCIETÀ, POTERI, CULTURA
soprattutto dinanzi alle grandi trasformazioni sociali ed economiche che si stanno affacciando. Benevolenza, assistenza e carità confluiscono in una dimensione del «fare del bene» che punta a collegare l’amor proprio con il senso della solidarietà, con il progresso civile, con un nuovo concetto del bene comune superiore alla somma degli interessi privati. L’uomo non può trovare la propria felicità al di fuori di una società felice, giusta e bene ordinata e ciò significa porre in maniera nuova il rapporto fra felicità privata e felicità pubblica.
delle edizioni conservate, negli anni Novanta vengono pubblicati 65.000 titoli, contro i 21.000 del primo decennio del secolo; in Germania il catalogo delle opere poste in vendita alla fiera di Francoforte registra 1.384 titoli per il 1765, 1.892 per il 1775, 2.713 per il 1785, 3.257
per il 1795 e 3.906 per il 1800. Oltre ad essere considerevolmente aumentata, la produzione libraria subisce una profonda trasformazione. Il testo religioso, che dominava nel XVII e agli inizi del XVIII secolo, retrocede dinanzi all’incremento delle lettere (è il caso della fiera di Francoforte, in cui la letteratura passa dal 6% nel 1740 al 21,5% nel 1800) o delle scienze ed arti [...]. A questa produzione autorizzata si aggiunge la circolazione su larga scala di quei testi che i librai definiscono philosophiques. A partire dal 1770 essi diffondono clandestinamente, soprattutto in Francia, la letteratura pornografica classica e moderna, le opere più radicali dell’Illuminismo e tutta una serie di satire, libelli e croniques scandaleuses1 che denunciano il dispotismo del principe e la corruzione dell’aristocrazia. Pubblicati da società tipografiche attive in Svizzera, in Olanda o nei principati tedeschi, proibiti ma nondimeno introdotti in gran numero nel Regno, a volte confiscati al loro arrivo a Parigi o nei magazzini dei librai, i livres philosophiques, il cui catalogo comprende 720 titoli, costituiscono una merce pericolosa ma molto richiesta. La svolta più spettacolare dell’editoria consiste certamente nella proliferazione e trasformazione dei giornali. L’incremento del numero delle iniziative, alcune durature altre effimere, è veramente impressionante. Ciò risulta evidente dal confronto tra l’andamento delle curve dei nuovi periodici in tedesco e in francese. Nel primo decennio del Settecento vedono la luce in Germania 64 titoli contro i 40 in lingua francese pubblicati all’interno o fuori del Regno. Nel corso del secolo si accentua lo scarto fra i due corpus: negli anni Venti le testate esistenti sono rispettivamente 133 e 53, negli anni Quaranta 260 e 98, tra il 1761 e il 1770 410 e 137, negli anni fra il 1771 e il 1780 718 e 188 e nell’ultimo decennio del secolo se ne contano 1.225 contro 277 (tale cifra non prende però in considerazione l’esplosione giornalistica degli anni 1789-90). La crescita del numero dei titoli è segnata dall’apparizione di nuovi tipi di giornale. In Germania, ad esempio, i periodici eruditi e letterari cedono il passo ai settimanali moralistici («Moralischen Wochenschriften»), preoccupati dell’utilità e del bene comune, e ai giornali storici
e politici che, a partire dal 1770, invitano l’opinione illuminata a discutere gli affari di Stato. La stampa diventa così il supporto privilegiato di una sociabilità politica che dibatte sui recenti avvenimenti, sulle riforme o sui concetti fondamentali della filosofia politica. Il libro, da parte sua, diventa più accessibile. Il trionfo dei piccoli formati (in-dodicesimo, in-sedicesimo, in-diciottesimo) ne fa un compagno inseparabile. [...] Grazie ai piccoli formati la lettura è diventata più libera. Il libro non deve più essere appoggiato per essere letto e il lettore non è più obbligato a sedersi per leggerlo: si può instaurare un nuovo rapporto con lo scritto, più consueto ed immediato. Divenuto più maneggevole, il libro è anche più facilmente reperibile e consultabile. [...] D’altra parte si moltiplicano in tutta Europa le istituzioni in cui la lettura non implica necessariamente l’acquisto del libro. Una prima possibilità viene offerta dai librai. Con denominazioni diverse (circulating libraries, rental libraries, Leihbibliotheken, cabinets littéraires2), la realtà è la stessa: acquistando un abbonamento annuale o mensile i lettori possono leggere sul posto o prendere in prestito tutte le opere che il catalogo della libreria propone. La formula ha un grande successo in Inghilterra. Probabilmente ispirata dalla pratica delle coffee-houses, che mettono a disposizione dei loro clienti giornali e pamphlet, essa appare già nei primi decenni del secolo e conosce un grande sviluppo dopo il 1740. Un inventario (certamente lacunoso) censisce l’esistenza più o meno duratura di 380 circulating libraries durante tutto il XVIII secolo: 112 a Londra e 268 in provincia, dislocate in 119 località diverse. Il fenomeno si estende dunque ben oltre le grandi città. La stessa cosa avviene in Francia, ma su scala minore. Il primo cabinet littéraire viene aperto a Lione nel 1759 e un censimento, sicuramente parziale, ha rintracciato la presenza di 13 cabinets a Parigi e 36 in provincia tra quella data e il 1789. La seconda formula consiste in un’associazione volontaria, dotata di statuti approvati collegialmente. Pagando una quota annuale, i membri possono prendere in prestito le opere acquistate in comune, che vengono vendute all’asta alla fine di ogni anno come succede nei book clubs o sono invece conserva-
te nella biblioteca della società come nel caso delle subscription libraries3. In Inghilterra i book clubs fioriscono a partire dagli anni Venti e la prima subscription library viene fondata a Liverpool nel 1758. In Germania la creazione delle Lesegesellschaften4 conosce una forte e costante espansione a cominciare dal 1770: se prima di quell’anno non ce ne sono che 17, ne sorgono 50 tra il 1770 e il 1779, 170 tra il 1780 e il 1789 e ben 200 tra il 1790 e il 1800. [...] Le società di lettura partecipano pienamente di tre processi essenziali dell’età dei Lumi: favoriscono l’apprendimento di una sociabilità democratica, nella misura in cui ogni decisione è sottoposta al principio del voto maggioritario che ignora le differenze di stato e di condizione; costituiscono uno degli strumenti del processo di civilizzazione, poiché i loro statuti censurano i comportamenti incivili e contribuiscono infine, con le società letterarie o le logge massoniche, alla costruzione di una rete intellettuale e sociale che dà vita alla nuova sfera pubblica in cui, lontano dall’autorità del sovrano, i privati discutono gli affari di Stato e le azioni del principe. Permettendo a più lettori di leggere più libri e offrendo un grande mercato ai periodici e alle grandi imprese dell’editoria (dizionari, enciclopedie, bibliothèques), le società di lettura hanno profondamente trasformato le pratiche del leggere e contribuito a creare un nuovo tipo di lettore. 1. Cronache scandalose. 2. I termini possono essere tradotti con “biblioteca itinerante”. 3. Biblioteche finanziate da privati. 4. Società di lettura.
METODO DI STUDIO
a Cerchia i nomi dei generi letterari che si diffondono dal 1770. b Spiega in cosa consistono i cambiamenti che investono l’editoria in questo periodo e quali settori riguardano. c Individua quali possibilità avevano i lettori di leggere pur non acquistando i libri e descrivile sinteticamente.
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FARESTORIA IDEE E CONQUISTE DELL’ILLUMINISMO
39 L. HUNT ROMANZI ED EMPATIA
L. Hunt, La forza dell’empatia. Una storia dei diritti dell’uomo [2007], Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 21-27; 32.
La storica statunitense Lynn Hunt (nata nel 1945) ripercorre la storia del XVIII secolo alla ricerca della nascita dei diritti umani, individuandola in una serie di mutamenti culturali più generali che hanno trasformato il modo in cui gli esseri umani si relazionano tra loro. I diritti dell’uomo sono infatti il
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Un anno prima di pubblicare Il contratto sociale, Rousseau attirò l’attenzione internazionale con un romanzo di successo, Giulia, o La nuova Eloisa (1761). Anche se per i lettori moderni la forma epistolare tende a svilupparsi in modo insopportabilmente lento, i lettori del XVIII secolo ebbero reazioni viscerali. Il sottotitolo stuzzicò la loro curiosità, perché la storia medievale dell’amore impossibile di Abelardo ed Eloisa era ben nota. [...] La versione contemporanea di Rousseau a prima vista sembrava andare in una direzione molto diversa. Anche la nuova Eloisa, Giulia, si innamora del suo precettore, ma rinuncia allo squattrinato Saint-Preux per cedere alla richiesta del padre autoritario di sposare Wolmar, un soldato russo più maturo, che un tempo gli aveva salvato la vita. Giulia non solo vince la sua passione per Saint-Preux ma, quando muore dopo aver salvato il figlio più giovane dall’annegamento, sembra anche avere imparato ad amarlo come un semplice amico. [...] La trama, nonostante le sue ambiguità, di certo non spiega l’esplosione di emozioni che il libro provocò tra i lettori di Rousseau. Ciò che li commosse fu la fortissima immedesimazione nei personaggi, soprattutto in Giulia. Poiché Rousseau godeva già di fama internazionale, la notizia dell’imminente pubblicazione del suo romanzo si diffuse in un baleno, anche perché ne aveva lette alcune parti a vari amici. Sebbene Voltaire lo schernisse come una «insopportabile porcheria», Jean Le Rond d’Alembert, coeditore dell’Encyclopédie assieme a Diderot, scrisse a Rousseau che aveva «divorato» il libro. [...] Cortigiani, esponenti del clero, ufficiali militari e persone comuni di ogni genere scrissero a Rousseau, descrivendo le loro sensazioni come un «fuoco divoratore», «un’emozione dopo l’altra, un turbamento dopo l’altro». [...] Come ebbe a dire nel XX secolo un commentatore di queste lettere inviate a Rousseau, i lettori
prodotto dell’immedesimazione nell’altro, del riconoscimento dell’altrui sensibilità come simile alla propria. Nel passo riportato la storica connette, con un’interpretazione originale, la diffusione di romanzi epistolari di successo, come Giulia di Rousseau o Pamela di Richardson, che promuovevano una forte identificazione con i personaggi, con lo svilupparsi di un sentimento di empatia e di uguaglianza, premessa di una nuova idea di diritti umani.
del XVIII secolo non lessero il romanzo con piacere, ma con «passione, delirio, spasimi e singhiozzi». La traduzione in inglese uscì due mesi dopo l’originale in francese e fu seguita da altre dieci edizioni tra il 1761 e il 1800. Durante lo stesso periodo furono pubblicate centoquindici edizioni dell’originale per soddisfare il vorace appetito di un pubblico internazionale che leggeva in francese. Giulia iniziò i suoi lettori a una nuova forma di empatia. Rousseau divulgò l’espressione «diritti dell’uomo», ma i diritti umani non sono certo il tema principale del suo romanzo che ruota intorno alla passione, all’amore e alla virtù. Nondimeno, Giulia incoraggiò un’identificazione altamente emotiva con i personaggi del romanzo e in tal modo permise ai lettori di provare empatia al di là della classe, del sesso e dei confini nazionali. [...] Romanzi come Giulia indussero i lettori a immedesimarsi in personaggi comuni, che per definizione il lettore non conosceva personalmente. L’identificazione con i personaggi, soprattutto con l’eroina o l’eroe, avveniva grazie ai meccanismi della forma narrativa stessa. In altre parole, attraverso lo scambio immaginario di lettere, i romanzi epistolari insegnavano ai lettori nientemeno che una nuova psicologia e gettavano così le basi per un nuovo ordine sociale e politico. I romanzi resero la benestante Giulia e persino una servetta come Pamela, l’eroina del romanzo omonimo di Samuel Richardson, uguali o addirittura migliori di uomini ricchi come Mr B, datore di lavoro e seduttore mancato di Pamela. I romanzi diffusero l’idea che tutte le persone sono fondamentalmente simili in ragione dei loro sentimenti intimi, e molti romanzi diedero particolare risalto al desiderio di autonomia. La lettura di romanzi creò così un senso di uguaglianza e di empatia attraverso il coinvolgimento emotivo nella narrazione. Può forse essere del tutto casuale che i tre più grandi roman-
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zi «psicologici» del Settecento – Pamela (1740) e Clarissa (1747-1748) di Richardson e Giulia (1761) di Rousseau – siano stati pubblicati tutti nel periodo immediatamente precedente la comparsa del concetto di «diritti dell’uomo»? È ovvio che l’empatia non fu inventata nel XVIII secolo. La capacità di provare empatia è universale perché è radicata nella biologia celebrale; dipende dalla capacità, che ha basi biologiche, di comprendere la soggettività di altre persone e di immaginare che le loro esperienze intime siano simili alle nostre. [...] L’empatia si sviluppa soltanto attraverso l’interazione sociale; pertanto, le forme che tale interazione assume esercitano un’influenza significativa. Nel XVIII secolo i lettori di romanzi impararono ad ampliare la loro visione dell’empatia. Leggendo, l’immedesimazione nei personaggi oltrepassava i limiti sociali tradizionali tra nobili e comuni cittadini, tra padroni e servi, tra uomini e donne, forse persino tra adulti e bambini. Di conseguenza, finivano per vedere gli altri – persone che non conoscevano personalmente – come se stessi, come se provassero lo stesso tipo di emozioni interiori. Senza questo processo di apprendimento, l’«uguaglianza» non avrebbe potuto assumere un significato profondo, in particolare non avrebbe avuto alcuna conseguenza politica. [...] La capacità di identificarsi al di là delle divisioni sociali può essere stata acquisita in vari modi, non ho la presunzione di affermare che la lettura dei romanzi sia l’unico. Eppure la lettura dei romanzi sembra particolarmente attinente, in parte perché l’apogeo di un genere letterario specifico – il romanzo epistolare – coincide cronologicamente con la nascita dei diritti umani. [...] Nel romanzo epistolare non esiste un punto di vista dell’autore, esterno e al di sopra dell’azione; il punto di vista dell’autore emerge dalle idee espresse dai personaggi nei loro carteggi. I «cura-
tori» delle lettere, come si facevano chiamare Richardson e Rousseau, creavano un vivido senso di realtà perché la loro paternità dell’opera era celata all’interno dello scambio di lettere. Ciò permise di accentuare la sensazione di immedesimazione, come se il personaggio fosse reale, non immaginario. Molti contemporanei commentarono questo tipo di esperienza, alcuni con gioia e meraviglia, altri con preoccupazione e persino disgusto. [...] Il romanzo costruito sullo scambio di lettere riusciva a produrre questi straordinari effetti psicologici perché la sua forma narrativa favoriva lo sviluppo di un «personaggio», cioè una persona con
la propria interiorità. [...] Grazie alla sua stessa forma, dunque, il romanzo epistolare era in grado di dimostrare che l’individualità dipendeva dalle caratteristiche dell’«interiorità» (avere una vita interiore), perché i personaggi delle lettere esprimono i loro sentimenti intimi. Il romanzo epistolare dimostrò inoltre che ogni io era dotato di tale interiorità (molti personaggi scrivono) e di conseguenza tutti gli io in un certo senso erano uguali, perché tutti possedevano allo stesso modo un’interiorità. Lo scambio di lettere trasforma la giovane serva Pamela, per esempio, in un modello di fiera autonomia e individualità, più che in uno stereotipo dell’oppresso. Come
40d MONTESQUIEU LUIGI XIV VISTO DAL PERSIANO RICA
Montesquieu, Lettere persiane, Rizzoli, Milano 1984, pp. 94-95.
Montesquieu (1689-1755) pubblicò le Lettere persiane, in forma anonima, nel 1721. Si tratta di un romanzo epistolare, costituito da una raccolta di lettere che due immaginari persiani, Usbek e Rica, inviano da un loro viaggio in Europa e in Francia. Lo scambio epistolare offre l’espediente per pubblicare saggi brillanti ed Il re di Francia è il principe più potente d’Europa. Non possiede miniere d’oro come il re di Spagna suo vicino, ma ha più ricchezze di lui, perché le ricava dalla vanità dei suoi sudditi, più inesauribile delle miniere. Gli si è visto intraprendere e sostenere grandi guerre senza altri fondi che titoli d’onore da vendere, e per un prodigio dell’orgoglio umano le sue truppe erano pagate, le sue piazzeforti munite, le sue flotte equipaggiate. D’altronde questo re è un gran mago: esercita il suo impero anche sullo spirito dei suoi sudditi, li fa pensare come vuole. Se nel suo tesoro c’è solo un milione di scudi, e gliene occorrono due, gli basta persuaderli che uno scudo ne vale due, ed essi ci credono. Se deve sostenere una guerra difficile, e non ha denaro, non deve far altro che metter loro in testa che un pezzo di carta è denaro, ed essi ne sono tosto convinti. Arriva a far loro credere che può guarirli di ogni male toccandoli1, tanto grande è la forza e il potere che ha sugli spiriti. Quanto ti dico di questo principe non deve stupirti: c’è un altro mago più potente di lui, il quale domina sul suo spi-
Pamela, Clarissa e Giulia finiscono per simboleggiare l’individualità stessa. I lettori diventano più consapevoli di avere la capacità di interiorizzare le loro esperienze, così come tutti gli altri individui.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea gli effetti che il romanzo di Rousseau ebbe sui lettori. b Spiega per iscritto il rapporto fra empatia, apprendimento e uguaglianza. c Evidenzia le parole chiave che caratterizzano il rapporto fra il romanzo epistolare e la nascita dell’empatia e argomenta per iscritto le tue scelte.
ironici, nei quali la società e le istituzioni europee e soprattutto francesi sono descritte secondo il punto di vista di esponenti di una cultura diversa da quella europea, costituendo un esempio di relativismo culturale. Montesquieu traccia così un affresco disincantato e critico sull’assolutismo francese, sul fanatismo e il dispotismo, sulle credenze religiose. Il passo che segue è tratto dalla lettera XXIV.
rito non meno di quanto egli domini su quello degli altri. Questo mago, che si chiama papa, ora gli fa credere che tre è uguale ad uno, che il pane che mangia non è pane, o che il vino non è vino, e mille altre cose del genere. E per tenerlo sempre in esercizio e non fargli perdere l’abitudine di credere, di tanto in tanto gli manda qualche articolo di fede. Due anni fa gli inviò un lungo scritto, chiamato Costituzione2, e minacciando gravi pene volle obbligare questo re e i suoi sudditi a credere in tutto ciò che vi era contenuto. La cosa gli riuscì nei confronti del sovrano, che si sottomise subito dando l’esempio ai suoi sudditi, ma alcuni si rivoltarono e dissero che non volevano credere a nulla di ciò che vi era scritto. Fautrici di questa rivolta, che divide la corte, tutto il regno e le famiglie, sono state le donne. Questa Costituzione vieta loro di leggere un libro che tutti i cristiani dicono venuto dal cielo: è come il loro Corano. [...] Sul re ho udito raccontare cose prodigiose, che stenterai a credere. Si dice che mentre faceva guerra ai suoi vicini,
che si erano uniti in lega contro di lui, era circondato nel suo regno da innumerevoli nemici. Si aggiunge che li ha cercati per più di trenta anni e non ne ha potuto trovare uno solo, malgrado lo zelo infaticabile di certi dervisci che godono della sua fiducia3. 1. Questo potere, che la tradizione attribuiva ai re di Francia, è stato studiato da Marc Bloch in un libro del 1924, I re taumaturghi, Einaudi, Torino 1973. 2. La bolla Unigenitus, promulgata da papa Clemente XI nel 1713 contro i giansenisti. Proibiva alle donne la lettura della Bibbia. 3. I nemici sono i giansenisti. I dervisci, invece, stanno ad indicare i gesuiti.
METODO DI STUDIO
a Cerchia i nomi delle due autorità descritte in questa lettera e sottolineane le relative caratteristiche. Spiega quindi su quali aspetti reali di queste due autorità verteva l’ironia di Montesquieu e per quale motivo. b Spiega quali opportunità offre a Montesquieu la scrittura di un romanzo epistolare.
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FARESTORIA IDEE E CONQUISTE DELL’ILLUMINISMO
41 D. OUTRAM ILLUMINISMO E MONARCHIA
D. Outram, L’Illuminismo [1995], il Mulino, Bologna 1997, pp. 141-46.
La cultura illuminista ridimensionò radicalmente l’idea della monarchia, ma la realizzazione delle politiche illuminate dipese strettamente dalla volontà dei monarchi. Su questo apparente paradosso riflette, in questo brano, la storica Dorinda Outram (nata nel 1949), autrice di un saggio sull’Illumi-
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In un quadro più ampio, possiamo anche affermare che l’illuminismo pose interrogativi di fondo sulla monarchia, la forma di governo più comune nell’Europa del XVIII secolo. Alla fine del secolo è certamente possibile scorgere anche un’evoluzione della concezione che i monarchi avevano di se stessi. Questo è un punto importante da capire, e non solo per la sfida radicale che venne portata alla monarchia in Francia dopo il 1789, ma anche in quanto sia negli stati più grandi che in quelli più piccoli l’attuazione di politiche illuminate, nonostante la loro razionalità e universalità, continuava a dipendere dalla sopravvivenza fisica o dalla volontà umana del monarca. In ogni momento la morte o il capriccio potevano vanificare piani di riforma di ampio respiro. [...] Alla fine del secolo erano in via di erosione sia la legittimità religiosa del potere monarchico – la convinzione che la monarchia in generale e ogni singolo monarca fossero agenti di Dio in terra – che gli elaborati cerimoniali sviluppati nel XVIII secolo per accentuare la distanza tra il sovrano e i comuni mortali. Luigi XVI di Francia, Giuseppe II d’Austria e Federico II di Prussia fecero tutti a meno di buona parte di questo cerimoniale. Come disse Giuseppe, egli era più uno studente che un conquistatore. Luigi XVI senza dubbio conservò un concetto della sanzione divina della monarchia e della sua legittimazione attraverso la chiesa cattolica, ma fu proprio questo che lo mise in conflitto con l’opinione dominante nel regime che governò la Francia dopo il 1789. Secolarizzandosi, l’autorità regia perdeva anche il suo carattere «proprietario». Pochi credevano come Luigi XIV di avere sui loro territori un titolo di proprietà analogo a quello della gente comune. Non si può evitare di pensare che a queste novità avesse contribuito almeno in parte il modo in cui l’illuminismo aveva impostato la riflessione sulla legittimazione dell’autorità politica, giungendo spesso a risposte che non assomigliavano gran-
nismo. La studiosa sottolinea il passaggio da una monarchia fondata sul diritto divino a una basata su un contratto tra governanti e sudditi, il dissolvimento del carattere «proprietario» dell’autorità regia e la separazione tra gli interessi privati del monarca e quelli del paese. Ma non manca anche di evidenziare come la sorte dei programmi di riforma fosse strettamente legata alle decisioni del monarca, detentore del potere esecutivo in modo ancor più saldo rispetto al passato.
ché alle forme assolutistiche tradizionali. Locke, ad esempio, aveva inaugurato il secolo con i suoi Two Treatises of Govern‑ ment [Due trattati sul governo] in cui sosteneva che non era il diritto divino a legittimare il governo civile bensì un contratto tra governanti e sudditi. Col passare degli anni cominciò anche a farsi strada l’idea che gli esseri umani detenessero sin dalla nascita dei «diritti» inalienabili che i governi non potevano ignorare, anche se l’applicazione delle richieste di riconoscimento di tali «diritti» al di là delle barriere del sesso e della razza era ancora ritenuta assai problematica, e pertanto il concetto stesso di diritti innati non venne portato alle sue logiche conseguenze. La monarchia cominciò a essere vista perciò in modo alquanto nuovo: l’illuminismo e la giustificazione del «dispotismo», il governo cioè di uno solo senza alcun freno legale e senza riguardo per il bene dei sudditi, erano realmente incompatibili. Fu per questa ragione che alcuni principi illuminati come, ad esempio, Pietro Leopoldo di Toscana e Federico II di Prussia cominciarono ad elaborare costituzioni che avrebbero reso esplicita la natura del contratto tra governante e governati e lo avrebbero stabilizzato al di là della persona del singolo monarca. Le idee illuministiche [...] veicolavano messaggi propri attraverso i quali nel Settecento sarebbe mutata sensazionalmente la percezione della natura stessa della monarchia in alcune regioni d’Europa, e questo agli occhi sia dei sudditi che degli stessi monarchi. Una parte di questa evoluzione si produsse per effetto di tensioni interne al rapporto tra monarchia e programmi illuministici di riforma. Poiché il potere esecutivo supremo era ancora per lo più nelle mani dei sovrani, la sorte dei programmi di riforma continuava a dipendere dalle loro decisioni, ed essi potevano far mancare il sostegno a tali politiche da un momento all’altro. La morte di un governante o la sua partenza per assumere
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la guida di un altro stato poteva mettere in discussione interi programmi di riforma, come accadde, ad esempio, in Toscana quando il granduca Pietro Leopoldo si trasferì a Vienna nel 1790 per succedere al fratello Giuseppe II quale imperatore d’Austria. La volontà e la mortalità dei sovrani ponevano dunque molti problemi a quei funzionari e a quei settori delle élite impegnati in programmi di riforma che avevano validità solo se proiettati nel lungo periodo. Ad un livello concettuale, le premesse di razionalità e uniformità su cui si basavano molte politiche illuminate e cameraliste1 erano in contrasto con la natura intrinsecamente personale del coinvolgimento del sovrano. [...] In conclusione: alla fine del secolo, la maggior parte degli stati europei più importanti, nonché molti di quelli più piccoli, erano impegnati in programmi di riforma che spesso comportavano sostanziali novità per i gruppi d’interesse, quali le corporazioni, gli organi legali sovrani, le istituzioni rappresentative degli aristocratici, le giurisdizioni legali che gli aristocratici detenevano sui loro fittavoli, e spesso gli interessi economici e giurisdizionali della chiesa cattolica. Questi programmi comportavano anche un maggiore intervento delle monarchie nella vita sociale dei loro sudditi, attraverso strumenti quali la promozione dell’igiene pubblica, l’istituzione di sistemi d’istruzione primaria e la regolamentazione dell’economia. Tali programmi avevano l’obiettivo di produrre una popolazione sana e colta in grado di assicurare un consenso razionale alle misure della corona. Molti di essi furono messi in moto dalle spinte riformistiche che si facevano sentire in tutti gli stati e che derivavano dalle pressioni crescenti della competizione
1. Insieme delle dottrine relative all’amministrazione dello Stato e al benessere generale.
globale. Molti comportavano mutamenti sostanziali ed erano legittimati da idee illuministiche come la benevolenza e il dovere dello stato di ottenere un consenso razionale alle proprie politiche attraverso l’educazione. Nessuno mirava a incentivare sostanzialmente la mobilità sociale o a trasferire fette consistenti del potere. Questi «limiti della riforma» sono stati ampiamente dibattuti: il fatto che i sovrani illuminati fossero riluttanti a prendere in considerazione innovazioni sostanziali e quindi a rischiare turbative sociali non sminuisce il loro debito nei confronti dell’illuminismo; pochi pensatori illuministi si spinsero più oltre. Alla fin fine, l’illuminismo pose grossi problemi alle monarchie e fu di grande importanza per le riforme. I suoi programmi di riforma
puntavano logicamente a una dissociazione dei fini personali del monarca dalle necessità dello stato: eventualità che sarebbe sembrata una bestemmia in una fase precedente dell’assolutismo caratterizzata dal motto «L’état c’est moi»2. L’illuminismo contribuì anche alla nascita di importanti nuovi fattori quali l’«opinione pubblica», che interveniva nel processo di manipolazione sociale e politica controllato dalla monarchia. Esso diede ai sudditi nuove ispirazioni e nuove aspettative di cambiamento e di riforma che si dimostrarono utili se adeguatamente mobilitate dai sovrani, ma difficili da controllare in regimi in cui la rappresentanza istituzionale dei ceti non privilegiati era insufficiente. Una volta messa in moto, la «critica» era difficile da arrestare. In ulti-
42d JEAN-JACQUES ROUSSEAU PATTO SOCIALE, SOVRANITÀ E GOVERNO
J.-J. Rousseau, Il contratto sociale, Einaudi, Torino 2005, pp. 23-28; 37.
Il contratto sociale, principale opera politica del filosofo JeanJacques Rousseau (1712-1778), fu pubblicato nel 1762, contemporaneamente all’Emilio. Le due opere suscitarono l’immediata condanna delle autorità politiche e religiose. Il contratto sociale ebbe una fortuna contrastata: fu criticato dai teorici del liberalismo, mentre esercitò una duratura influenza sulle Del patto sociale Immagino ora che gli uomini siano arrivati al punto in cui gli ostacoli che nuocciono alla loro conservazione nello stato di natura prevalgono con la loro resistenza sulle forze di cui ciascun individuo può disporre per mantenersi in quello stato. Tale stato primitivo non può più sussistere in questa fase e il genere umano perirebbe se non cambiasse le condizioni della sua esistenza. Ora, siccome gli uomini non possono creare nuove forze, ma soltanto unire e dirigere quelle che esistono, essi non hanno altro mezzo per conservarsi che quello di formare per aggregazione una somma di forze che possa prevalere sulla resistenza, mettendole in moto per mezzo di un unico impulso e facendole così agire di concerto. [...] «Trovare una forma di associazione che difenda e protegga con tutta la forza comune la persona e i beni di ciascun associato, e per la quale ciascuno, unendosi a
ma analisi, l’illuminismo e il dispotismo, il potere assoluto del re, erano difficili da conciliare. 2. «Lo Stato sono io».
METODO DI STUDIO
a Evidenzia le frasi che spiegano in che modo l’Illuminismo incise sulla monarchia e sul modo di concepirla. b Spiega quale rapporto Dorinda Outram individua fra il riconoscimento di diritti inalienabili dell’uomo e il dispotismo. c Spiega quali furono i limiti delle riforme portate avanti dai sovrani illuminati e quali effetti ebbero le critiche degli illuministi nei loro confronti.
correnti più radicali del pensiero politico – dai giacobini fino a settori del marxismo. L’opera segna, ancora oggi, una tappa fondamentale nel dibattito sull’idea di democrazia e libertà. Nei brani riportati, Rousseau delinea il passaggio dallo stato di natura alla nascita di un patto sociale alla base della comunità etico-politica e introduce il concetto centrale di volontà generale, la volontà superiore volta al bene comune, attraverso cui si esprime il corpo sociale. Ogni individuo è al contempo soggetto, che deve sottostare alle leggi che egli stesso ha contribuito a formare, e cittadino che esercita la sovranità.
tutti, non obbedisca tuttavia che a se stesso, e resti libero come prima.» Questo è il problema fondamentale di cui il contratto sociale dà la soluzione. Le clausole di questo contratto [...], bene intese, si riducono tutte a una sola: cioè l’alienazione totale di ciascun associato con tutti i suoi diritti a tutta la comunità. Infatti, innanzi tutto, poiché ciascuno si dà tutto intero, la condizione è uguale per tutti, ed, essendo la condizione uguale per tutti, nessuno ha interesse a renderla onerosa per gli altri. Inoltre, essendo l’alienazione fatta senza riserve, l’unione è la più perfetta possibile, e non resta ad alcun associato niente da rivendicare [...]. Infine, chi si dà a tutti non si dà a nessuno; e siccome non vi è associato sul quale ciascuno non acquisti un diritto pari a quello che gli cede su di sé, tutti guadagnano l’equivalente di quello che perdono, e una maggiore forza per conservare quello che hanno. Se dunque si esclude dal patto sociale
ciò che non gli è essenziale, si troverà che esso si riduce ai termini seguenti: Ciascuno di noi mette in comune la sua persona e ogni suo potere sotto la suprema direzione della volontà generale; e riceviamo in quanto corpo ciascun membro come parte indivisibile del tutto. Al posto della persona singola di ciascun contraente, quest’atto di associazione produce subito un corpo morale e collettivo composto di tanti membri quanti sono i voti dell’assemblea; da questo stesso atto tale corpo morale riceve la sua unità, il suo io comune, la sua vita e la sua volontà. Questa persona pubblica, che si forma così dall’unione di tutte le altre, prendeva una volta il nome di città, e adesso quello di repubblica o di corpo politico, il quale a sua volta è chiamato dai suoi membri Stato quando è passivo, corpo sovrano quando è attivo, potenza in relazione agli altri corpi politici. Gli associati poi prendono collettivamente il nome di popolo, e singolarmente si chiamano cittadini in quanto partecipi dell’autorità sovrana, e
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FARESTORIA IDEE E CONQUISTE DELL’ILLUMINISMO
sudditi in quanto sottoposti alle leggi dello Stato. [...] Del corpo sovrano [...] Ora, il corpo sovrano, non essendo formato che dai singoli che lo compongono, non ha né può avere alcun interesse contrario al loro interesse, e quindi non ha bisogno di dare garanzie ai suoi sudditi, perché è impossibile che il corpo voglia nuocere a tutti i suoi membri; e noi vedremo più avanti che non può nuocere neanche ad alcuno di essi in particolare. [...] Ogni individuo può, come uomo, avere una volontà particolare contraria o diversa dalla volontà generale che egli ha come cittadino: il suo interesse particolare può parlargli in modo tutto diverso dall’interesse comune; la sua esistenza assoluta, e naturalmente indipendente, può fargli considerare ciò che egli deve alla causa comune come un contributo gratuito, la cui perdita sarebbe agli altri meno nociva di quanto il pagamento non sia gravoso per lui; e considerando la persona morale che costituisce lo Stato come ente di ragione, dato che non è un uomo, egli godrebbe dei diritti del cittadino senza voler adempiere i doveri di suddito; ingiustizia,
il cui sviluppo causerebbe la rovina del corpo politico. Perché dunque questo patto sociale non sia una formula vana, esso implica tacitamente questa obbligazione, che sola può dare forza a tutte le altre: che chiunque rifiuterà di obbedire alla volontà generale, vi sarà costretto da tutto il corpo. Ciò non significa altro se non che lo si costringerà ad essere libero; poiché questa è la condizione che, dando ogni cittadino alla patria, lo garantisce da ogni dipendenza personale; condizione che costituisce il meccanismo e il giuoco della macchina politica, e che sola rende legittime le obbligazioni civili, le quali senza di ciò sarebbero assurde, tiranniche e soggette ai peggiori abusi. La sovranità è inalienabile La prima e più importante conseguenza dei principî sopra stabiliti è che soltanto la volontà generale può dirigere le forze dello Stato in modo conforme al fine della sua istituzione, che è il bene comune; perché, se l’opposizione degli interessi particolari ha reso necessaria la costituzione delle società, è l’accordo di quegli interessi medesimi che l’ha resa possibile.
È ciò che vi è di comune in questi differenti interessi che forma il vincolo sociale; e se non vi fosse qualche punto in cui tutti gli interessi si accordano, nessuna società potrebbe esistere. Ora, è unicamente sulla base di questo comune interesse che la società deve essere governata. Affermo dunque che la sovranità, non essendo che l’esercizio della volontà generale, non può mai essere alienata, e che il corpo sovrano, il quale è soltanto un ente collettivo, non può essere rappresentato che da se stesso: si può trasmettere il potere, ma non la volontà.
METODO DI STUDIO
a Cerchia le parole chiave che, secondo te, caratterizzano il contratto sociale. Quindi, utilizzale per scrivere un testo che illustri in cosa consiste il contratto sociale e quale problema permette di risolvere. b Spiega in che modo e perché la volontà particolare di un uomo può essere diversa da quella generale che egli ha come cittadino. c Sottolinea cosa rende legittime le obbligazioni civili e spiega perché esse non costituiscono un abuso.
PISTE DI LAVORO
DAI DOCUMENTI ALLA STORIA 1 Dopo aver letto tutti i documenti e i brani degli storici, scrivi un testo di circa 30 righe dal titolo La cultura dell’Illuminismo, diviso nei seguenti paragrafi: • Il progetto illuminista e le sue caratteristiche principali • Strumenti e canali di diffusione • I rapporti con i poteri costituiti. LO STORICO RACCONTA 2 Scrivi un testo di massimo 30 righe dal titolo Il movimento
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illuminista e le sue battaglie. Prima di procedere con la scrittura, seleziona i testi storiografici utili alla tua argomentazione e individua per ognuno di essi delle parole o frasi chiave. Utilizza queste ultime come guida per il tuo lavoro citando il brano da cui le hai estrapolate e arricchendo la trattazione con esempi diretti.
U1 L’EUROPA DEL ’700: SOCIETÀ, POTERI, CULTURA
IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 3 Dopo aver letto i brani di Ferrone [►33], Delpiano [►34], Chartier [►38] e Hunt [►39], scegli fra le seguenti posizioni storiografiche sulla diffusione delle idee illuministe in merito al tema dei diritti nella società di ancien régime quella che ritieni più convincente e argomenta la tua risposta in un breve testo (max 20 righe): a. Le idee illuministe penetrarono, attraverso molteplici canali di diffusione, in tutti i ceti della società urbana del’700. Particolarmente efficaci si rivelarono i romanzi epistolari, che si dimostrarono in grado di suscitare empatia. b. L’Illuminismo restò un fenomeno culturale confinato nelle ristrette élite intellettuali, soprattutto francesi e italiane. Le idee dei philosophes, soprattutto riguardo al tema dei diritti dell’uomo, erano infatti difficilmente introiettabili da una popolazione in gran parte analfabeta e poco disposta alle trasformazioni.
COMPITO DI STORIA Scrivi un testo argomentativo sul tema indicato di seguito, facendo riferimento ai documenti di Voltaire [►35d], Beccaria [►36d] e Trampus [►37]. Individua un titolo che renda esplicito il tema e il taglio che hai scelto per il tuo elaborato.
Argomento Giustizia, tolleranza e felicità sono termini inconciliabili? Organizza il tuo elaborato utilizzando la seguente scaletta:
a. Lettura e comprensione • Evidenzia nei testi indicati i contenuti che si riferiscono all’argomento dell’elaborato utilizzando un colore diverso per ognuno dei tre termini proposti. • Realizza uno schema in cui inserirai per ognuno di questi termini le innovazioni di pensiero apportate dagli illuministi.
b. Individuazione e analisi dei passaggi significativi in relazione
alle questioni chiave affrontate nell’elaborato Evidenzia nei brani: • in che modo, secondo gli illuministi, è possibile, per gli uomini, raggiungere i valori in oggetto. Trascrivi sul quaderno: • i passaggi principali del ragionamento di ciascun autore; • i possibili collegamenti fra i ragionamenti contenuti nei tre testi in merito all’argomento che dovrai affrontare; • gli eventuali elementi contraddittori fra i tre ragionamenti.
c. Contestualizzazione storica • Si può affermare che i tre temi oggetto di riflessione siano stati affrontati nello stesso modo da tutti gli illuministi? Cosa giustificava le posizioni assunte? • Quali erano gli obiettivi che questi pensatori intendevano raggiungere? • Quale significato ha la ricerca di questi tre valori nel contesto storico del ’700?
d. Interpretazione • Pensi che le riflessioni illuministe affrontate contengano stimoli interessanti per l’attuale contesto italiano? Si può affermare che le idee illuministe siano maturate nel corso del tempo e che i loro frutti siano giunti fino a noi? Se sì, in che termini?
Particolare dell’antifrontespizio del libro Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria L’incisione, usata come antifrontespizio mozzate che le vengono porte da dell’edizione del 1765 dell’opera un “manigoldo”. Ponendo ai suoi Dei delitti e delle pene di Cesare piedi la bilancia e gli strumenti Beccaria, si basa su di uno schizzo di lavoro (zappe, badili, seghe e realizzato dallo stesso autore (andato martelli), Beccaria sembra suggerire la perso) e riporta la rappresentazione sostituzione della pena di morte con il della Giustizia che rifiuta tre teste lavoro forzato.
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U1 L’EUROPA DEL ’700: SOCIETÀ, POTERI, CULTURA
STORIAeAMBIENTE LA CAMPAGNA IN ETÀ MODERNA
LA VARIETÀ DEL PAESAGGIO AGRARIO E L’UOMO Fu durante un viaggio in treno che uno dei più grandi storici del secolo scorso ebbe l’idea di un libro sui caratteri della società contadina francese. Marc Bloch (1886-1944), guardando dal finestrino, osservava la varietà del paesaggio francese: gli sembrò allora che bisognasse scrivere una storia a ritroso nel tempo per capire come giustificare quelle notevoli differenze. I lunghi campi non recintati attorno ai villaggi della Lorena, le strisce di terreno ben delimitate con i loro casali in Bretagna, i paesi ben arroccati della Provenza coi loro terrazzamenti coltivati, gli appezzamenti di terreno di misura irregolare della Linguadoca e del Berry: accanto ai fattori geografici, naturalmente differenti da regione a regione, a giustificare tale varietà furono anche interventi umani differenti. Lo spettacolo della campagna mise davanti allo storico la sovrapposizione di diversissime civiltà rurali, cioè l’insieme di istituzioni politiche e giuridiche, condizioni sociali e culturali che hanno caratterizzato il rapporto degli uomini col paesaggio agrario lungo la storia. Quanto detto spiega bene perché sia così importante per gli storici riflettere sui modi in cui viene organizzato il lavoro agricolo nel corso del tempo. Non si tratta solo di un aspetto della storia economica di una società. Come abbiamo visto [►1_3], anche quella che potrebbe sembrare una piccola innovazione nei campi può mettere in gioco tradizioni, distribuzione della proprietà terriera, rapporti di forza tra contadini e grandi proprietari, tra aristocratici e classi borghesi emergenti. Nell’età
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terrazzamento Il terrazzamento o coltivazione a terrazza è una soluzione adottata in agricoltura per rendere coltivabili territori caratterizzati da una forte pendenza scavando una serie di ripiani (detti terrazzi) sostenuti da un muretto a secco o da una scarpata erbosa.
U1 L’EUROPA DEL ’700: SOCIETÀ, POTERI, CULTURA
moderna, gran parte della vita sociale e culturale di una comunità passava dall’organizzazione del lavoro contadino.
SFIDE E PROTAGONISTI DELL’INNOVAZIONE AGRICOLA NEL ’700 Non bisogna pensare però a cambiamenti repentini. Il ritmo del cambiamento agrario è di solito ben più lento di quello delle trasformazioni politiche o di quello che caratterizzerà in seguito la produzione industriale. Per promuovere nuove tecniche o nuovi ordinamenti legislativi in ambito agricolo bisognava aggredire tradizioni perfino centenarie, superare le resistenze dei ceti che avevano basato il proprio potere anche sul possesso pressoché esclusivo della terra – la Chiesa e la nobiltà, prima di tutto –, affrontare il rischio di impoverire ulteriormente gli strati inferiori della società ostacolando il loro sostentamento. Anche per questo motivo nel XVIII secolo a immaginare un nuovo modo di lavorare la terra erano prima di tutto gli intellettuali, uomini di cultura e di scienze, funzionari, proprietari terrieri istruiti e curiosi, ecc. Come segnalato da Marc Bloch nel libro a cui si faceva prima riferimento, I caratteri originali della storia rurale francese (1931): Dire storia di un’innovazione tecnica è come dire storia di contatti intellettuali; e le trasformazioni agrarie non fecero eccezione alla regola. I primi centri di irradiazione furono uffici di ministeri o uffici di intendenze, ben presto popolati di partigiani [sostenitori] dell’agricoltura riformata, società d’agricoltura, anch’esse di carattere quasi ufficiale, e, soprattutto, centri di diffusione più modesti, ma più efficaci, costituiti nelle campagne stesse da qualche proprietà condotta con intelligenza. [M. Bloch, I caratteri originali della storia rurale francese, Les Belles Lettres, Parigi 1931; ed. it. Einaudi, Torino 1973, p. 250]
L’Agricoltura, tavola dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert, in un’edizione livornese datata 1770 Nella seconda metà del ’700, accanto alla rivalutazione teorica dell’agricoltura da parte dei fisiocratici, si sviluppò un’ampia letteratura tecnica tesa a descrivere e a promuovere nuove colture e nuovi sistemi di coltivazione. Un notevole contributo alla diffusione della conoscenza in materia fu dato dall’Enciclopedia di Diderot e d’Alembert. Si noti la didascalica precisione nella rappresentazione delle macchine agricole.
È anche grazie alla rete di circolazione delle idee tipica del ’700 che si innescò la cosiddetta “rivoluzione agraria”. I protagonisti dell’Illuminismo europeo non amavano discutere soltanto dei diritti individuali della persona o della superiorità della ragione umana. Si appassionavano realmente a tutte le innovazioni in ambito agricolo, discusse in periodici specializzati internazionali o nelle accademie erudite della provincia. Basti pensare al successo delle tavole dell’Enciclopedia, che diffondevano le nuove tecniche
germinazione Il processo di accrescimento mediante il quale si passa dal seme al germoglio, e quindi alla pianta.
dell’agricoltura moderna. È così che piccoli o grandi proprietari terrieri intraprendenti entrarono in contatto con gli scritti e le soluzioni pratiche dei grandi riformatori inglesi. Per capire questa trasformazione dell’ambiente agricolo bisogna comprendere l’effetto contagioso del racconto dei successi di innovatori come Jethro Tull (1674-1741), inventore della macchina seminatrice, che permise di piantare il seme in profondità, aumentando la possibilità di germinazione e di conseguenza il raccolto. Le classi dirigenti del continente potevano ambire a sperimentare le tecniche, legislative e agronomiche, di personaggi pubblici come Charles Townshend (1674-1738), grande sostenitore della rotazione quadriennale, o Arthur Young (1741-1820), scrittore e uomo politico inglese che, oltre 163
STORIA E AMBIENTE La campagna in età moderna
Aratro triangolare inglese 1771 L’innovazione nel campo degli attrezzi agricoli è una componente fondamentale della “rivoluzione agricola”. L’aratro qui rappresentato, messo a punto nel 1771, è il primo interamente in ferro, ma funziona ancora a trazione animale. Le prime macchine a energia inanimata cominceranno a diffondersi nelle campagne europee solo con la meccanizzazione ottocentesca.
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a condurre in prima persona esperimenti agricoli sulle proprie terre, portò avanti un’ampia inchiesta sulle condizioni delle campagne, finalizzata all’incremento della produzione. Oltre alle idee, a circolare erano anche gli uomini. Alcune delle trasformazioni agricole di maggior successo si dovevano infatti ai viaggi di ricerca degli agronomi, o al contributo di contadini specializzati provenienti dalle regioni che impiegavano da più tempo tecniche avanzate. In Francia, ad esempio, venivano chiamati soprattutto i fiamminghi, che riuscirono a importare la coltura dei foraggi e altre migliorie sostanziali nelle attrezzature, nelle modalità adottate per selezionare il bestiame o nel combattere le malattie di piante e animali.
U1 L’EUROPA DEL ’700: SOCIETÀ, POTERI, CULTURA
I protagonisti di questa stagione cercarono di risolvere alcuni problemi storici della produzione agricola. In primo luogo, bisognava superare la tradizionale separazione tra agricoltura e allevamento. Era necessario trovare soluzioni per bilanciare il bisogno di pascoli liberi per le mandrie con quello della concimazione delle terre impiegate per la coltivazione. Inoltre, terreni poveri generano raccolti poveri e poco nutritivi. Ecco perché, anche integrando la produzione agricola con l’allevamento, bisognava adottare soluzioni tecniche e scientifiche per favorire una maggiore efficienza energetica dei raccolti. Nacque così la pedologia, o geologia agraria, la scienza del suolo che analizza la composizione chimica e i processi biologici di un terreno. La maggiore consapevolezza sui meccanismi produttivi dell’agricoltura non determinò soltanto un aumento dei raccolti, ma anche un diverso rapporto con l’ambiente. La natura, che con un rovescio temporalesco o con una lunga siccità poteva mettere a repentaglio la sopravvivenza di un’intera comunità, faceva meno paura. Le nuove tecniche mettevano al riparo dalle conseguenze più disastrose delle variabili cli-
matiche, come sottolineato dallo storico britannico Eric L. Jones (1936), impegnato per anni a studiare gli effetti delle innovazioni in campo agricolo: Uno dei più attendibili osservatori del XVIII secolo, Gilbert White di Selborne, commentando lo sfortunato ripetersi di dieci o undici estati piovose tra l’inizio degli anni 1760 e il 1773, sottolineava i progressi ottenuti: «non si era mai vista una così grande scarsità di tutti i tipi di cereali, considerati i grossi miglioramenti avvenuti nell’agricoltura moderna. Un secolo o due prima, un simile susseguirsi di stagioni piovose avrebbe provocato, ne sono certo, una carestia [...]». Il solo fatto che la popolazione aumentava rapidamente e aveva di che vivere – dal momento che, nonostante i tumulti per il pane in alcuni anni di cattivo raccolto, non si verificò una carestia a livello generale – conferma che l’offerta di prodotti agricoli era aumentata e divenuta più flessibile. Le condizioni meteorologiche non potevano più produrre difficoltà di carattere sociale; non potevano più provocare periodi di depressione della produzione agricola tali da ridurre alla fame gli strati più poveri della popolazione. Anche le responsabilità delle agitazioni che si verificarono nei periodi in cui il prezzo dei cereali fu particolarmente elevato, si potrebbero attribuire a speculazioni o all’inefficienza dei sistemi di comunicazione interna piuttosto che ad una reale scarsità della produzione. [E.L. Jones, Agricoltura e rivoluzione industriale: 1650-1850, Editori Riuniti, Roma 1982, pp. 111-12]
RIFORME POLITICHE PER UNA RIVOLUZIONE AGRARIA Non bastava avere nuove idee per imporre un nuovo sistema produttivo all’agricoltura. Se le innovazioni immaginate dagli agronomi più influenti arrivarono a essere sperimentate sui campi coltivati di mezza Europa fu anche perché si legarono al riformismo dei governi. Era necessario avviare un sistema giuridico in grado di favorire l’abolizione dei vincoli che ostacolavano l’innovazione. Ecco perché la rivoluzione agraria mise in gioco anche l’assetto politico delle società settecentesche: i governi del XVIII secolo con le loro riforme scossero le fondamenta su cui era costruito il potere della grande proprietà fondiaria, della nobiltà e del clero, cioè dei gruppi sociali alla guida delle istituzioni. Numerosi, come abbiamo visto, furono gli interventi legislativi inglesi che riorganizzarono la proprietà terriera [►1_4]. Anche la maggior parte degli Stati italiani intraprese in quegli anni varie iniziative per modernizzare l’ap-
parato statale [►4_9], anche se i risultati non furono ovunque gli stessi. In campo agricolo, ovviamente, ogni serio tentativo di riforma era ostacolato dalla proprietà feudale, che oltre a limitare la commerciabilità della terra ne condizionava anche l’uso, fissando secondo la tradizione i cosiddetti diritti d’uso (libertà di far circolare le mandrie per il pascolo, di seminare i terreni comuni, ecc.). Considerando poi che circa un terzo delle proprietà apparteneva a enti ecclesiastici, è evidente quanto fosse difficile investire nel settore agricolo. Le riforme dei sovrani illuminati in tale settore, per questo motivo, intendevano promuovere un tipo di legislazione che favorisse un sistema di proprietà privata della terra. Come ha spiegato Emilio Sereni (19071977), importante storico dell’agricoltura italiana: La forte concentrazione della proprietà terriera rendeva praticamente impossibile, per la maggior parte dei grandi proprietari, di disporre degli ingenti capitali necessari per la loro trasformazione, o di procurarseli attraverso l’alienazione [cioè la vendita] di una parte, almeno, dei loro fondi. Non c’è da meravigliarsi, pertanto, se – nella nuova situazione creatasi con la generale rianimazione dei traffici, con l’accresciuta domanda dei prodotti, e con l’accentuarsi della pressione demografica – l’esigenza di una liberalizzazione della proprietà, la rivendicazione di una proprietà privata della terra, sciolta dai suoi vincoli feudali, divenissero un’esigenza ed una rivendicazione comune non solo ai nuclei di una borghesia terriera ed agraria, già in via di sviluppo in vari Stati italiani, bensì anche di gruppi importanti di grandi proprietari feudali, economicamente e culturalmente più avanzati, e di non pochi tra gli organi statali ed i sovrani stessi, anch’essi interessati a un adeguamento delle strutture sociali ai nuovi compiti di una politica di sviluppo economica e di potenza. [E. Sereni, Agricoltura e mondo rurale, in Storia d’Italia, vol. I, I caratteri originali, Einaudi, Torino 1972, p. 221]
I diversi risultati di queste politiche nei diversi Stati della penisola italiana – i successi lombardi, la via mediana della Toscana leopoldina fondata sulla mezzadria, il fallimento dei tentativi riformistici nel Regno di Napoli – ben riflettono le forti differenze che ancora oggi caratterizzano lo sviluppo del Nord e del Sud Italia. Requisendo e mettendo in vendita proprietà ecclesiastiche o beni comunali prima inalienabili, per esempio, la Lombardia austriaca di Maria Teresa e Giuseppe II favorì la nascita di una proprietà terriera borghese, orientata all’impresa agraria più che alla rendita che derivava dal semplice possesso della terra. Anche il catasto generale dei terreni, introducendo un’imposta fondiaria (tassa sul possesso dei terreni), incentivava i proprietari a incrementare la produzione 165
STORIA E AMBIENTE La campagna in età moderna
agricola in modo da aumentare i loro profitti. Insomma, se da un lato il piano delle riforme intraprese dai sovrani illuminati puntava a un rafforzamento dell’autorità statale sui poteri locali e feudali, dall’altro incoraggiò pure un nuovo modo di intendere la proprietà, più adeguato al sistema economico capitalistico.
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LABORATORIO DI EDUCAZIONE
U1 L’EUROPA DEL ’700: SOCIETÀ, POTERI, CULTURA
Mappa della bonifica per colmata della Val di Chiana (Arezzo) [Biblioteca del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica, Milano] La mappa, tratta dalle Memorie idraulico-storiche (1823) di Vittorio Fossombroni, testimonia l’opera di bonifica in Val di Chiana, una delle iniziative riformatrici avviate da Pietro Leopoldo, in Toscana, nella seconda metà del XVIII secolo. Il metodo di bonifica per colmata interessa terre basse a carattere paludoso e consiste nell’inondarle con acqua proveniente dalle piene dei corsi d’acqua delle vicinanze e con i relativi detriti: in questo modo si alza gradualmente il livello del terreno e lo si rende coltivabile.
LABORATORIO DI EDUCAZIONE AMBIENTALE LABORATORIO DI SCRITTURA STORICA 1 Rileggi attentamente il secondo e il terzo paragrafo e redigi un testo divulgativo (max 15 righe di documento Word) sulla rivoluzione agraria del ’700, adoperando la scaletta che ti proponiamo.
● ● ● ●
Una breve introduzione in cui presenti il problema (max 3 righe) I protagonisti della rivoluzione agraria Modalità di diffusione/circolazione delle idee L’importanza di innovazioni/soluzioni tecniche e scientifiche
● Il diverso rapporto con l’ambiente ● L’apporto del riformismo illuminato ● Conclusioni
Puoi corredare il testo di immagini, selezionandole dal tuo manuale o dalla Rete.
ALLA SCOPERTA DEL PAESAGGIO AGRARIO 2 L’articolo 1 della Convenzione Europea del Paesaggio definisce il paesaggio come «una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni». Il paesaggio si configura quindi come un elemento di identità collettiva che riflette il legame esistente tra l’uomo e l’ambiente in cui vive. L’analisi del paesaggio può divenire lo strumento attraverso cui una comunità può riappropriarsi della memoria storica, oltre che l’occasione attraverso cui sensibilizzare le nuove generazioni alla conservazione dell’ambiente, alla limitazione del consumo del suolo, al turismo e allo sviluppo sostenibile. Partendo dalla definizione di paesaggio della Convenzione Europea, scatta una fotografia del paesaggio in cui vivi che ne esprima le caratteristiche e caricala su Instagram o su Twitter. Successivamente, sotto la guida dell’insegnante, rifletti con i compagni di classe sulla definizione di paesaggio della Convenzione Europea e cerca di individuare le trasformazioni storiche che il paesaggio intorno a te ha subìto nel tempo attraverso:
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la raccolta e la comparazione di documentazione fotografica e cartografica di diversa datazione. Questa documentazione è generalmente custodita e reperibile presso l’Archivio di Stato, l’Archivio Diocesano o quello di un ente ecclesiastico (monasteri, abbazie); ● sopralluogo territoriale: osservazione diretta di campi agricoli con le colture tradizionali, manufatti idraulici (rete irrigua), antiche costruzio-
ni rurali, emergenze storico-architettoniche; ● possibili interviste ad anziani contadini; ● individuazione di temi di interesse suscitati dall’analisi della documentazione iconografica e dall’osservazione diretta sul campo, utili quali chiavi di lettura dell’assetto del territorio passato e attuale.
Dopo aver raccolto i dati utili, realizza un breve reportage audio/video che esprima la specificità storica e culturale del paesaggio che ti circonda.
«IL PAESE DOVE FIORISCONO I LIMONI» 3 I versi qui di seguito riportati sono tratti da una poesia presente nel romanzo Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister del grande poeta e scrittore tedesco Johann Wolfgang Goethe. Dal 3 settembre 1786 al 18 giugno 1788, infatti, Goethe compì un viaggio nel nostro paese, testimoniato nell’opera Viaggio in Italia, una sorta di diario che contiene non solo una descrizione dell’Italia ma il racconto delle impressioni che il nostro paese e i suoi abitanti suscitarono in lui.
Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni? Brillano tra le foglie cupe le arance d’oro, Una brezza lieve dal cielo azzurro spira, Il mirto è immobile, alto è l’alloro!
Lo conosci tu? Laggiù! Laggiù! O amato mio, con te vorrei andare.
La poesia di Goethe esprime una certa immagine nostalgica del paesaggio italiano, assai diffusa nella letteratura di viaggio del ’700. Concordi con questa interpretazione? E tu, invece, quale immagine utilizzeresti per tratteggiare il tuo personale paesaggio italiano? Discutine in classe con i compagni e con l’insegnante.
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STORIA E AMBIENTE La campagna in età moderna
Francia Spagna Gran Bretagna
Portogallo
Francia
Province Unite
Spagna IL SISTEMA COLONIALE EUROPEO
Danimarca
Gran Bretagna
Portogallo
Francia
Province Unite
Spagna
Danimarca
Portogallo
Commercio triangolare
Province Unite
Commercio triangolare
Danimarca Commercio triangolare
GRAN BRETAGNA
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Viceregno della Nuova Spagna
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ANGOLA MOZAMBICO
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Isole del Capo Verde
UNITÀ 2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
NUOVO GALLES DEL SUD
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CHIAVI DI LETTURA
Caratteri e geografia delle civiltà Il termine “civiltà” si diffonde nel ’700, a partire dalle riflessioni che viaggiatori, filosofi, uomini di religione europei compiono venendo a contatto con gruppi sociali diversi da quelli dell’Europa cristiana. Elementi caratteristici di ogni civiltà sono gli spazi geografici su cui si estende, l’organizzazione sociale ed economica, la religione, le mentalità collettive, le forme di governo e/o di esercizio del potere. Le civiltà di cui trattiamo in questa unità corrispondono ai grandi imperi posti a oriente dell’Europa, ma anche a quelle parti del mondo, le Americhe prima, l’Australia in seguito,
convivere con pratiche religiose politeiste e animiste. Nell’Estremo Oriente, Cina e Giappone presentano ancora un’organizzazione politico-territoriale di tipo feudale, ma con un dinamismo economico e commerciale che si incrocia con gli interessi europei. Spagna, Portogallo, Francia, Gran Bretagna, Olanda sono invece le potenze marittime dell’Occidente atlantico. Motore dell’espansione coloniale verso est, e soprattutto verso ovest, le potenze dell’Occidente atlantico sono protagoniste di una serie quasi continua di conflitti, ma anche di accordi commerciali, nel cui ambito si venne costruendo l’egemonia europea sugli oceani.
L’economia della schiavitù Un elemento strutturale dell’espansione europea fu l’impiego degli schiavi neri africani trasferiti con la forza oltreoceano. Iniziata su larga scala nel ’500, la tratta degli schiavi durò fino oltre la metà dell’800, consentendo grazie all’afflusso costante di manodopera la diffusione del nuovo sistema produttivo delle piantagioni (vaste proprietà terriere adibite a monocolture). I prodotti delle piantagioni – zucchero di canna, tabacco, caffè, cotone – divennero oggetto della domanda europea, trasformando profondamente i consumi dell’Europa.
ALEUTINE
o a c i f i c
Le trasformazioni dell’ecosistema che, come colonie, si avviavano a diventare varianti della civiltà europea.
L’universo islamico e l’Occidente atlantico A Oriente l’Impero ottomano e quello persiano dominano grandi spazi definiti da conflitti secolari; più a est, nell’Impero moghul, la religione islamica dei dominatori si intreccia e si scontra con le tradizioni indiane. È la dimostrazione del dinamismo di un islam che, seppur privo di una guida centralizzata, era tuttavia capace di diffondersi lungo le linee dei commerci e
La colonizzazione dei nuovi mondi ebbe effetti devastanti sulle popolazioni indigene, vittime non solo di uno sfruttamento durissimo ma anche dell’invasione di virus e batteri. Tuttavia la diffusione di piante foraggere europee incide positivamente sull’ambiente, trasformando zone aride in pascoli sterminati atti all’allevamento degli animali europei, come i bovini e i cavalli. Così, nel ’600 e nel ’700, mentre i commerci andavano assumendo un carattere globale, prese avvio anche quello che oggi viene definito imperialismo ecologico: microbi, piante, animali e uomini furono trasferiti o si trasferirono da un continente all’altro modificando gli ambienti naturali che li avrebbero ospitati.
GLI EVENTI 1368-1644 Dinastia Ming in Cina
1526 In India Babur fonda l’Impero moghul
1600-1868 Gli shogun Tokugawa in Giappone
1644-1912 Dinastia Qing in Cina
1683 Fallisce l’assedio ottomano a Vienna
1665 In India la East India Company acquisisce anche il controllo di Bombay
1713-50 La Gran Bretagna gestisce la tratta degli schiavi neri verso le colonie spagnole (asiento de negros)
1763 Il Canada passa sotto il controllo inglese
1770 Cook esplora le coste orientali del continente australiano
1788 La Gran Bretagna dà inizio al popolamento dell’Australia
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CAP5 IMPERI E REGNI IN ASIA E IN AFRICA
5_1 CIVILTÀ A CONFRONTO
► Leggi anche:
Non conosciamo con precisione il numero di uomini che vivevano sul pianeta nel ’600 e nel ’700. Per tutto il periodo precedente alle rilevazioni statistiche, divenute uno strumento di indagine soltanto nell’800, storici e demografi riescono a elaborare solo stime piuttosto approssimative, fondate su ipotesi e dati parziali. Secondo i calcoli demografici rielaborati dallo storico francese Fernand Braudel, intorno al 1680 in Europa non sarebbero vissuti più di 100 milioni di persone, in Asia tra 240 e 360, in Africa tra 35 e 50, in America non più di 10 e in Oceania, probabilmente, meno di 2. Europa e Cina avrebbero avuto una popolazione pressoché uguale, pari ciascuna a circa un quinto dell’intera umanità. Inoltre, è possibile affermare con buona verosimiglianza che tra il 1300 e il 1800 la popolazione mondiale sia perlomeno raddoppiata, malgrado crisi economiche, epidemie e mortalità di massa. Come nel mondo attuale, gran parte della popolazione era concentrata in una piccola parte delle terre emerse: il 70% degli uomini, infatti, viveva in circa 10 milioni di km2, su un totale di 150 milioni. Le zone più popolate corrispondevano alle civiltà più evolute: l’Europa, i paesi islamici, l’India, l’Indocina, l’Indonesia, la Cina, la Corea, il Giappone.
La distribuzione della popolazione
7_CIVILTÀ, CULTURE E POPOLI PRIMITIVI INTORNO AL 1500
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culture poco evolute: contadini con zappa culture progredite U2 CIVILTÀ civiltà dense, con aratro cacciatori, pescatori, raccoglitori nomadi e allevatori
E MERCATI OLTRE L’EUROPA
► Atlante L’economia europea alla metà del ’700
CIVILTÀ, CULTURE E POPOLI PRIMITIVI INTORNO AL 1500 culture poco evolute: contadini con zappa culture progredite civiltà dense, con aratro cacciatori, pescatori, raccoglitori nomadi e allevatori
CIVILTÀ, CULTURE E POPOLI PRIMITIVI INTORNO AL 1500
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Storia, società, cittadinanza Incontri e scontri fra civiltà Laboratorio dello storico Come fare storia dell’Africa Atlante L’economia europea alla metà del ’700 Test interattivi Audiosintesi
Queste regioni erano le più progredite perché da secoli vi si praticava un’agricoltura efficiente, che poteva contare su aratri e animali domestici, stimolo a sua volta per lo sviluppo delle città, dei mezzi di trasporto, degli scambi commerciali e delle manifatture. Al di fuori di questo ristretto gruppo di popolazioni, che l’etnografo Gordon W. Hewes ha circoscritto a 13 civiltà sulle 76 classificate nel mondo intorno al 1500, c’erano altri popoli per molti aspetti progrediti, come gli Aztechi e gli Inca in America o i pigmei e i popoli del Congo e della Guinea in Africa, ma legati a tecniche agricole arretrate e spesso privi delle conoscenze sulla metallurgia del ferro. Gran parte del pianeta, infatti, era abitato da popolazioni con un’agricoltura primitiva, dove i contadini continuavano a lavorare esclusivamente con la zappa – come in gran parte del continente americano –, o da comunità costituite soltanto da nomadi e allevatori – come nella zona sahariana in Africa o nella regione siberiana in Asia – o, in altri casi, da tribù di cacciatori-raccoglitori – come in Australia. Ma il divario tecnologico aveva effetti diretti sulla produzione agricola e, di conseguenza, sulla maggiore o minore crescita demografica di alcune aree del pianeta: dove si produceva più cibo, infatti, era possibile alimentare più uomini. Nelle regioni più sviluppate l’allevamento era il naturale complemento dell’agricoltura, mentre altrove costituiva la principale e pressoché unica attività economica: allevatori e nomadi dominavano in particolare l’Asia settentrionale e centrale, l’interno della penisola arabica, l’Africa sahariana e gran parte di quella orientale. Esistevano, però, in età moderna, anche zone del pianeta dove agricoltura e allevamento non erano ancora conosciuti o praticati: l’Australia, una parte dell’Africa meridionale, una zona cospicua dell’America meridionale e le regioni più a nord dell’America settentrionale. Qui abitavano tribù di cacciatori, pescatori e raccoglitori, che da secoli vivevano nelle stesse condizioni, senza aver raggiunto alcun significativo progresso tecnico nelle proprie attività.
I diversi volti dell’agricoltura in età moderna
Come nel passato, anche in età moderna la stragrande maggioranza dell’umanità continuava a vivere nelle campagne: ben oltre il 90%, secondo stime approssimative. Il continente più urbanizzato del pianeta era l’Europa, con una fitta rete di capitali e città di diversissime dimensioni, che nel complesso ospitavano percentuali significative del totale degli europei. Nel ’600, per esempio, in Olanda, il paese più urbanizzato, oltre metà della popolazione viveva nelle città, mentre in Russia, il paese più rurale, i residenti nelle città non arrivavano al 3%. Centri urbani, grandi o piccoli, esistevano però anche in altri continenti, soprattutto in Asia. Nei paesi musulmani dominavano alcune città enormi, come Baghdad e Il Cairo, cresciute a dismisura in quanto sedi dell’autorità politica. Istanbul, per esempio, nel ’500 contava già 700 mila abitanti, una cifra che Londra raggiungerà solo nella seconda metà del ’700. Città imperiali o regali, enormi e parassitarie, erano presenti anche in India, come Delhi, e in Cina, come Pechino. Quest’ultima, alla fine del ’700, avrebbe ospitato 3 milioni di abitanti – mezzo secolo dopo Londra
Città e metropoli oltre l’Europa
Antoine de Favray, Veduta di Costantinopoli XVIII sec. [Pera Museum, Istanbul] Tra le più grandi e importanti città musulmane vi è Istanbul, che nel ‘500 contava già 700 mila abitanti. Al confine tra l’Europa e l’Asia, è infatti divisa dallo stretto del Bosforo come la ritrae in questa veduta l’artista francese Antoine de Favray. Sulla destra si riconoscono la chiesa di Santa Sofia, trasformata in moschea nel 1453, e la Moschea Blu, contraddistinta dalla presenza di sei minareti e costruita a partire dal 1609.
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C5 Imperi e regni in asia e in africa
superava appena i 2.300.000. Altrove, nessuna città si avvicinava a queste dimensioni. Le attuali grandi metropoli statunitensi contavano poche migliaia di abitanti ancora all’inizio del ’700: Boston 7000, Philadelphia 4000, New York 3900. Nella storia della civiltà occidentale – quella che meglio conosciamo e che più siamo abituati a studiare – l’Europa occupa un ruolo centrale. Ma proprio l’abbandono del criterio eurocentrico può consentire una migliore comprensione delle diversità e specificità della stessa storia europea. In una valutazione comparativa su scala planetaria dei rapporti di forza – espressi in termini di popolazione, risorse e ricchezze – l’Europa del ’600 apparirebbe infinitamente più potente delle ▼ Miniatura dalle Chroniques de Hainaut Americhe, ma forse inferiore ai grandi imperi asiatici, mentre si può dire che, di Jacques de Guyse XV sec. [ms Français 20127, Bibliothèque Nationale, in termini quantitativi, già alla fine del ’700 l’Europa era certamente il conti- Parigi] nente più potente e più ricco. Le basi di quell’egemonia e di quella centralità Poggiati sul banco tra gli strumenti del mestiere del copista – come il taglierino per affilare la penna – europee alle quali ci ha abituato la storia del tardo ’700 e dell’800 si posero nella miniatura quattrocentesca, gli occhiali diventano di Chardin parte integrante del viso proprio fra ’600 e ’700: un dominio durato poco più di un secolo, dagli inizi nell’autoritratto dell’artista che ne fa uso nella sua attività. dell’800 alla prima guerra mondiale, e contrassegnato dall’egemonia coloniale inglese e, in minore misura, francese. Nel ’900, dopo la prima guerra mondiale, altre potenze saranno protagoniste della scena internazionale: potenze non europee, come Stati Uniti e Giappone, o solo in parte europee, come l’Unione Sovietica.
La supremazia europea
Le origini di questa supremazia europea stanno in una diversità legata alle strutture economiche, ai diritti di proprietà e allo sviluppo delle tecnologie. In Europa mercanti e artigiani non furono ostacolati nelle loro attività; inoltre, la tutela dei diritti di proprietà garantiva l’accumulo e la possibilità di godimento delle ricchezze, costituendo così un incentivo al risparmio e agli investimenti. La possibilità di esercitare una proprietà piena e assoluta sui beni mobili e immobili era in stretto rapporto con lo sviluppo di un mercato libero e competitivo, e con le strutture specializzate a operare in esso, come le banche e le compagnie commerciali. Questi aspetti, che erano specifici dell’Occidente europeo, non avevano le stesse possibilità di sviluppo nei grandi imperi asiatici (India, Cina e Impero ottomano), dove la proprietà non era mai piena, il possesso dei beni era sottoposto al mutevole gradimento del sovrano e la ricchezza accumulata o tesaurizzata rischiava di essere confiscata. La superiorità dell’Europa rispetto al resto del mondo era molto evidente anche nel campo dello sviluppo tecnologico: nello sfruttamento dell’energia dell’acqua e del vento con le ruote idrauliche e i mulini; negli armamenti e nell’impiego della polvere da sparo in grani, molto più potente di quella conosciuta in Asia; nell’arte della navigazione. Questa superiorità tecnologica si estendeva ad altri settori solo apparentemente di secondaria importanza, come quello dell’ottica: in realtà gli occhiali consentivano quasi di raddoppiare – risolvendo il problema della presbiopia – la vita lavorativa di chiunque svolgesse un’attività a distanza ravvicinata – dagli artigiani di precisione ai copisti. E gli occhiali furono un monopolio europeo per cinque secoli. Più significativo ancora fu il monopolio europeo nella fabbricazione degli orologi, anch’esso durato ben cinque secoli [►FS, 52].
Capitalismo e sviluppo tecnologico
I grandi imperi asiatici furono sostanzialmente ostili e chiusi di fronte alle forme di organizzazione economica e alle tecnologie occidentali con le quali ebbero occasione di entrare in contatto. La curiosità non si trasformò in rivalità ed emulazione. Il mondo orientale aveva espresso forme di civiltà autosufficienti e si
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La chiusura degli imperi asiatici
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
▼ Jean-Baptiste-Siméon
Chardin, Autoritratto con occhiali 1775 [Musée du Louvre, Parigi]
METODO DI STUDIO
considerava superiore ai “barbari” venuti dal lontano Ovest. Nel caso dell’Impero ottomano, per esempio, il confronto diretto con la cultura occidentale, indotto da fattori di contiguità geografica e secolare conflittualità, fu ostacolato in nome della difesa dell’identità culturale musulmana e del sistema di potere e di governo che da essa scaturiva.
a Trascrivi sul quaderno i nomi dei continenti con la densità umana più elevata e sintetizzane le caratteristiche economico-sociali. Quindi opera allo stesso modo per i continenti con la densità umana più bassa. Infine, spiega le cause che hanno portato a questi equilibri. b Spiega che tipo di rapporto esisteva fra l’Europa e i grandi imperi asiatici.
5_2 IL DECLINO DELL’IMPERO OTTOMANO
E LA PARABOLA SAFAVIDE
► Leggi anche: ► Eventi L’assedio
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8_L’IMPERO OTTOMANO (1683-1800)
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Impero ottomano
C5 Imperi e regni in asia e in africa
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perdite territoriali (1683-1800)
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Kütahya L’Impero ottomano rappresentava la parte più estesa, ma anche la più frammentaLepanto Spazi e confini Smirnenel Konya ta, dell’ampio universo islamico che si era costituito a partire dal VIIChio secolo Tunisi dell’Impero Vicino Oriente e nell’Africa settentrionale. I suoi confini si estendevano nel ’600 dall’Algeria all’Egitto, alla Palestina, alla Siria, all’Anatolia e poi nei Balcani dalla Grecia all’Ungheria, MA Tripoli R M lungo le coste settentrionali del Mar Nero, nel Caucaso per scendere a sud-est e a sud CIPRO Beirut E D fino alla Persia CRETA ITE R Rcomplesso ANE all’Iraq e all’Arabia dei luoghi santi dell’islam, Medina e La Mecca [► _8]. Questo sistema Tripoli O territoriale aveva il suo centro politico, culturale e amministrativo nella grande città di Istanbul Alessandria (Costantinopoli), dove risiedeva il sultano.
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di Vienna e la fine Il 12 settembre 1683 il re polacco Jan Sobieski lanciò la sua cavalleria giù dalle pendici del Kahlenberg, una dell’espansionismo ► collina che sovrasta Vienna, rompendo l’assedio dei turchi che durava dall’estate di quell’anno [ FS, 58]. ottomano, p. 176 Fare Storia Il È la battaglia che più di ogni altra simboleggia l’inizio del declino dell’Impero ottomano e la fine dell’e-Dnepr► Podolia Mediterraneo e l’incontro n ea (alla Polonia) Do con la civiltà rim ottomana, spansione turca verso occidente. Tra la fine del ’600 e la fine del ’700 l’offensiva del grande Impero turco p.t233 Dne UNGHERIA di Cssia) Dan Azak o s tr ubio u na Budapest contro l’Europa balcanica subì infatti una definitiva battuta di arresto. Iniziò allora una crisi lenta e pro-Kha (alla RMAR (Azov) D’AZOV Transilvania M O L D AV I A Veneziapolitica e amministrativa. (agli Asburgo) fonda non arginata dai pochi tentativi di riforma dell’organizzazione Una crisi Kilia Caffa Genova Belgrado destinata a durare e poi ad accentuarsi fino alla rivoluzione dei Giovani turchi del 1908. Bucarest Danubio Il collante dell’Impero, oltre alla comune confessione musulmana,Spalato era rappresentato dall’esercitoMA R N E R O Nis ˇ Nicopoli Trebisonda Ragusa dei vastissimi territori e dal sistema fiscale che tuttavia non garantivano più il controllo uniforme Roma Sofia Erzurum Edirne dell’Impero. Istanbul Salonicco Tokat
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Dato il progressivo abbandono dell’esercizio diretto del potere da parte del sultano, il governo era guidato di fatto dal gran visir, una sorta di primo ministro o gran cancelliere. I gran visir provenivano dai devšırme, un ceto formato da sudditi strappati da piccoli alle famiglie cristiane e convertiti con la forza all’islamismo: educati nelle scuole di palazzo, i devšırme entravano in genere come soldati nel corpo militare dei giannizzeri, mentre i più capaci diventavano alti funzionari dello Stato. I gran visir non possedevano il prestigio che i diversi gruppi dell’Impero, in particolare l’aristocrazia turca, riconoscevano invece al sultano e quindi il loro potere si fondava sulla capacità di destreggiarsi tra gli intrighi di palazzo e di ottenere successi militari. Fu tuttavia sempre più difficile per il governo di Istanbul affermare la propria volontà, soprattutto sulle province più lontane. L’indebolimento del governo di Istanbul favoriva il rafforzamento delle periferie dell’Impero dove i governatori locali tendevano a costituirsi in dinastie autonome, sempre meno disposte a versare al centro il frutto dell’imposizione fiscale e a rispondere agli obblighi militari. Il contrasto tra centro e periferia – soprattutto con l’Algeria, la Tunisia e l’Egitto – e il mancato superamento delle autonomie feudali furono tra le cause del declino dell’Impero.
Il sistema di governo
Uno degli elementi di forza del regime ottomano era invece la permanenza, sul suo territorio, di religioni diverse dall’islam: cristiani ortodossi, cattolici, ebrei. Organizzate in comunità dette millet [►FS, 54], con un’amministrazione autonoma, nonostante saltuari aspri conflitti, le diverse appartenenze religiose davano luogo a un sistema di convivenza, se non proprio di tolleranza ufficiale. Gli ebrei cacciati dalla Spagna nel 1492 trovarono ospitalità nell’Impero ottomano: l’importante città portuale di Salonicco era nel ’700 il maggior centro urbano abitato da ebrei, che a metà ’800 erano ancora più del 50% della popolazione.
Le convivenze religiose
▲ Giannizzeri
turchi 1590 ca. [dal Codex Vindobonensis 8626, Nationalbibliothek, Vienna] Organizzato a partire dal ’300, il corpo militare dei giannizzeri era composto da giovani di origine cristiana, allontanati dalle famiglie fin da piccoli per essere educati rigorosamente nell’osservanza della religione musulmana, tanto da divenirne i più fanatici difensori. Lo spirito di corpo era incoraggiato da bandiere e da emblemi particolari per ogni reggimento, quali i fantasiosi copricapi indossati dai soldati in questa immagine.
Alcune di queste comunità erano molto attive nel commercio [►FS, 55]. Le comunità greche ed ebraiche stabilite a Istanbul e nell’Asia Minore erano al centro del complesso sistema di scambi – cotone, seta, oro e caffè provenienti dall’Africa e dall’Oriente – che continuava ad alimentare l’economia di un impero ricco di grandi città, dal Cairo a Baghdad, a Smirne. Per quanto insidiato dalla presenza veneziana e dalle navi delle nuove potenze commerciali atlantiche, il Mediterraneo centro-orientale rimaneva un mare controllato dai turchi.
Gli scambi commerciali
In pochi anni, dopo la disastrosa sconfitta di Lepanto (1571), la flotta turca era stata ricostituita e per oltre un secolo Venezia rimase, con esiti alterni, in guerra con gli ottomani. Nel 1571 aveva perso Cipro, nel 1699 Creta fu conquistata dai turchi, mentre il Peloponneso fu occupato dai veneziani dal 1687 al 1715. Ma Venezia, pur mantenendo il possesso delle isole Ionie (Corfù, Lefkada, Cefalonia, Itaca, Zacinto), aveva ormai intrapreso un inarrestabile declino, fino a giungere alla caduta della repubblica, nel 1797 [►8_10]. Una nuova offensiva turca nei Balcani si infranse nel 1683, come sappiamo, sotto le mura di Vienna,
Le guerre contro Venezia e nei Balcani
174
millet I millet erano le comunità religiose riconosciute dall’amministrazione ottomana entro i confini dell’Impero e dotate di un certo grado di autonomia. Furono istituiti affinché gli interessi dei capi religiosi delle comunità convergessero con quelli del governo centrale, e nacquero in primo luogo per organizzare chi non era di fede musulmana – greco-ortodossi, armeni, ebrei –, sebbene in seguito il diritto di organizzarsi in millet sia stato esteso anche ai musulmani. Ai capi religiosi veniva concesso un potere molto ampio e maggiore di quello che avrebbero avuto negli Stati cristiani. Questo sistema, istituito nel ’400, funzionò fino a metà dell’800.
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
▼ Jacob
Marrel, Quattro tulipani con insetti e un anemone 1640 ca. [Rijksmuseum, Amsterdam] Fra le maggiori produzioni dell’Impero ottomano va ricordato il tulipano, fiore molto amato da Solimano il Magnifico. Esportati in Olanda verso la metà del ’500, i tulipani ebbero un notevole successo diventando in poco tempo richiestissimi e costosissimi.
IL DECLINO DELL’IMPERO OTTOMANO
Vasta estensione
Sviluppo delle autonomie locali
Resistenza dei giannizzeri ai tentativi di riforma
Guerra contro Venezia
Indebolimento del potere centrale
Fallito assedio di Vienna
Arresto dell’espansionismo turco
Conquista russa di Crimea e Caucaso
dove l’esercito ottomano si era spinto con l’ambizioso disegno di colpire al cuore l’Impero d’Austria [►FS, 58]. La sconfitta costrinse i turchi a una umiliante ritirata e a subire ulteriori perdite territoriali compensate tuttavia nel 1739 con la riconquista di Belgrado. Ma il graduale ritiro dai Balcani settentrionali era ormai iniziato e alla fine del ’700 l’Impero vedeva i suoi domìni ridotti ai territori a sud del Danubio, cioè all’estensione che avevano nella prima metà del ’500, al tempo di Solimano il Magnifico. Ai nemici tradizionali, Austria e Venezia, si era aggiunta dalla fine del ’600 anche la Russia con la sua politica espansiva verso sud. Alla fine del ’700 l’Impero ottomano aveva perso la Crimea e gran parte delle coste settentrionali del Mar Nero, mentre era iniziata la conquista russa nelle regioni del Caucaso settentrionale. Rimanevano stabili invece i confini con l’Iran definiti nel 1638 con la cessione ai safavidi del Caucaso e dell’Azerbaigian. Le reiterate sconfitte imponevano riforme istituzionali per Il confronto reggere il confronto con l’Europa. Convertiti occidentali vencon l’Europa nero chiamati per riformare l’esercito e la marina, mentre la vita intellettuale venne stimolata grazie all’apertura di biblioteche e all’introduzione, nel 1727, della stampa (non fu un caso se, fra i primi libri ad essere stampati, vi furono trattati sulla tecnologia bellica europea). Ma questi tentativi di rinnovamento si scontravano con le resistenze dei giannizzeri, che vedevano i loro privilegi messi in pericolo dall’introduzione di riforme di sapore occidentalizzante, e con la dura opposizione degli ulema (teologi e giuristi), depositari della tradizione islamica ottomana. L’Impero ottomano è l’espressione più conosciuta della civiltà islamica per la sua vicinanza e contrapposizione con l’Europa cristiana nell’età moderna. Ma altri grandi imperi islamici si incontrano se muoviamo lo sguardo verso oriente. Tra il 1501 e il 1722 l’Iran (Persia) fu governato dalla dinastia safavide che al momento della sua massima potenza, agli inizi del ’600 sotto lo shah (il sovrano) Abbās I il Grande, controllava a nord l’Azerbaigian, parte del Caucaso e dell’Armenia, a sud l’Iraq e a est gran parte dell’Afghanistan. Ma già nel 1638 gli ottomani avevano riconquistato l’Iraq e siglato una pace che definiva i confini con l’Iran. L’affermazione dell’Impero safavide in Iran, al di là dello splendore dei suoi monumenti e della capitale Isfahan, coincide con il consolidamento dello sciismo (la componente minoritaria dell’islamismo) come religione ufficiale dello Stato. I capi religiosi sciiti mantennero da allora in poi il ruolo politico conquistato, con alterne vicende, e lo riaffermarono con la rivoluzione khomeinista del 1979 e la successiva nascita della Repubblica islamica.
L’Iran dei safavidi
sciiti/sunniti Sciiti e sunniti sono i fedeli delle due principali componenti dottrinali dell’islam. I primi, minoritari tra i musulmani, sono la maggioranza soprattutto nell’attuale Iran. I secondi sono la componente islamica maggioritaria. Fin dalla nascita delle due correnti (VII secolo), secondo gli sciiti il compito di guidare la comunità islamica deve essere dei discendenti di Maometto; presso i sunniti invece prevale il principio elettivo per individuare la guida politica e spirituale. Il nome “sciiti” deriva dal termine shia, ‘seguaci di Alì’ (Alì era il cugino di Maometto e il suo primo successore); “sunniti” invece da sunna, la raccolta delle tradizioni sui comportamenti tenuti da Maometto. La massima autorità sciita è l’imam, che è venuto incarnando il principio stesso della divinità, proprio a causa della posizione minoritaria dello sciismo e del conseguente ripiegamento su sé stessa della comunità sciita. Le guide religiose dei sunniti sono gli ulema, fra i quali non sussistono differenze gerarchiche, e gli imam, preposti ai rituali e alla preghiera.
METODO DI STUDIO
a Evidenzia gli eventi e i fattori che determinarono la fine dell’Impero ottomano. b Rispondi alle seguenti domande: a. In che modo l’Impero ottomano si poneva di fronte al diverso da un punto di vista religioso e politico? b. Quali azioni furono messe in campo per affrontare la crisi dell’Impero? c Trascrivi sul quaderno le parole chiave evidenziate in grassetto e spiegane il significato nel contesto del paragrafo.
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C5 Imperi e regni in asia e in africa
EVENTI
L’assedio di Vienna e la fine dell’espansionismo ottomano
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Dresda
9_LA CONVERGENZA DELLE TRUPPE OTTOMANE SU VIENNA Dresda (PRIMAVERA-ESTATE 1683)
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Kara Mustafa contingenti siriaci, egiziani, nordafricani tartari di Crimea U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA Thököly
l’Ungheria partì da Belgrado il 13 maggio 1683 [► _9]. Di fronte alla comune minaccia, l’Austria e la Polonia strinsero un’alleanza che si sarebbe rivelata decisiva. L’esercito che risaliva ora il Danubio era uno dei più imponenti mai dispiegati dai turchi (le stime oscillano ma di certo era superiore ai centomila uomini) e raccoglieva truppe provenienti dagli angoli più remoti dell’Impero. Proprio queste dimensioni straordinarie, unitamente all’incertezza sui suoi movimenti, all’inizio riuscirono a confondere e sbaragliare la resistenza austriaca, ancora incredula e incerta. L’armata asburgica, notevolmente inferiore sul piano numerico,
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ulmine dell’offensiva turca in Europa, l’assedio di Vienna del 1683 costituì un evento decisivo nella storia europea e nei rapporti di forza tra Occidente cristiano e Impero ottomano, inaugurando per quest’ultimo, nel momento stesso in cui raggiungeva il limite massimo della propria espansione, un declino irreversibile che lo avrebbe relegato progressivamente ai margini della scena europea. Se, infatti, l’arrivo dei turchi sotto le mura della città capitale del Sacro romano impero fu un avvenimento clamoroso e drammatico – l’apice della grande paura incarnata per secoli dai turchi –, l’esito dell’assedio ebbe ripercussioni durature sull’intero assetto europeo, con l’avvio di una controffensiva cristiana nei territori ungheresi che si sarebbe conclusa solo con la pace di Carlowitz del 1699, quando l’Impero ottomano fu costretto per la prima volta a cedere terreno, per essere poi incalzato negli anni a venire dagli austriaci sul fronte balcanico e dai russi su quello orientale. Quanto agli interessi della politica asburgica, se fino a quel momento erano stati monopolizzati dagli equilibri europei a occidente, dopo Vienna si saRatisbona rebbero volti stabilmente all’area balcanica e ungherese. bio anu L’offensiva turca del 1683 inDrealtà partiMonaco va sotto i migliori auspici, con gli Asburgo Ulm impegnati a fronteggiare a occidente l’espansionismo della monarchia francese e a oriente la rivolta dei magiari (o ungheresi) guidati dal conte Imre Thököly, che aveva ottenuto l’appoggio degli ottomani. La portata destabilizzanteVenezia di Thököly e il suo potenziale utilizzo in chiave antiasburgica vennero subito colti dal gran visir Kara Mustafa; condottiero audace e politico ambizioso, fu lui il principale fautore della guerra contro l’Austria, nonché l’ideatore dell’assedio alla capitale. La sua politica aggressiva venne sottovalutata dagli austriaci, convinti di poter rinnovaRoma re il precedente trattato di pace con l’Impero ottomano. Ma mentre gli emissari austriaci a Istanbul lavoravano per la pace, quelli francesi si adoperavano presso il sultano per accendere la guerra in Ungheria e mettere in difficoltà gli Asburgo. Rassicurati dalla benevolenza della Francia, i turchi alla fine ruppero la ventennale tregua con l’Austria (agosto 1682). La grande offensiva che nel giro di un mese avrebbe portato i turchi a varcare il confine con confini dell’Impero ottomano
Tibisco
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era guidata da Carlo V di Lorena, cognato dell’imperatore Leopoldo e uno dei suoi uomini d’arme più capaci, ma poco amato nell’ambiente di corte: rivalità e contrasti compromisero l’efficacia delle operazioni militari nella fase iniziale dello scontro, quando si sarebbe dovuto fermare il nemico lontano da Vienna, e i turchi poterono puntare sulla capitale praticamente indisturbati. Vienna allora era cinta da mura possenti che però offrivano alcuni punti vulnerabili, tutti noti a Kara Mustafa. Inoltre la recente espansione urbana a ridosso della cinta muraria esterna ne vanificava in parte la funzione, tanto che in vista dell’attacco si iniziarono a demolire gli edifici troppo vicini alle fortificazioni. Ma era già tardi. E mentre la popolazione delle campagne, terrorizzata dalle scorrerie dei tartari (che combattevano per gli otto-
Filippopoli
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confini dell’Impero ottomano Kara Mustafa contingenti siriaci, egiziani, nordafricani tartari di Crimea Thököly
AdrianopoliSa Salonicco Istanbul (Costantinopoli)
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confini dell’Impero ottomano Kara Mustafa contingenti siriaci, egiziani, nordafricani tartari di Crimea Thököly
confini dell’Impero ottomano Kara Mustafa contingenti siriaci, egiziani, nordafricani tartari di Crimea Thököly
mani), si riversava nelle città e nei borghi fortificati, a Vienna la nobiltà lasciava in fretta i suoi palazzi. Sull’onda del panico, lo stesso imperatore Leopoldo I si lasciò convincere ad abbandonare precipitosamente la capitale per rifugiarsi a Passau (a 300 chilometri circa da Vienna). Era il 7 luglio; una settimana dopo i turchi erano accampati davanti a Vienna. Il campo ottomano era un’immensa distesa, «tanto grande quanto l’intera città di Varsavia o di Leopoli dentro le mura» scriverà il re polacco Sobieski; ma la cosa più stupefacente fu la colossale opera di scavo e di ingegneria militare intrapresa dai turchi all’indomani del loro arrivo, e che doveva consentire l’avvicinamento alle fortificazioni attraverso un immenso dedalo di trincee, cunicoli e gallerie coperte. Gli assedianti, infatti, non disponendo di un’artiglieria in grado di abbattere le mura, erano costretti a ricorrere alla tecnica delle mine sotterranee, che una volta piazzate alla base delle fortificazioni avrebbero dovuto provocarne il crollo. Vienna era rimasta isolata, difesa da una guarnigione che poteva contare su circa 20 mila uomini tra fanteria regolare, milizie cittadine e
volontari; resistette per due mesi ai colpi dell’artiglieria, agli assalti improvvisi e alle epidemie (la più grave, di dissenteria, si trasmise anche al campo ottomano), cercando di intercettare i movimenti sotterranei dei turchi con le loro mine. Fuori dalla città intanto la diplomazia asburgica lavorava per formare una coalizione contro i turchi, da tempo caldeggiata dal pontefice Innocenzo XI: vi aderirono alcuni principi tedeschi e soprattutto la Polonia, vincolata dall’alleanza con l’Austria. Il ruolo della Polonia nella liberazione di Vienna fu decisivo: forte di una cavalleria che aveva fama di essere la più formidabile d’Europa, l’esercito polacco costituiva la parte più consistente delle forze cristiane ed era condotto dal re Jan Sobieski. A lui, assente l’imperatore, spettava il comando supremo degli eserciti in campo. All’inizio di settembre Vienna era allo stremo. I turchi erano riusciti a far esplodere due mine e ad aprire una breccia, e ormai sembravano sul punto di sfondare, mentre l’esercito soccorritore si era avvicinato alla città a tappe forzate: le truppe tedesche e quelle austro-polacche avevano seguito itinerari diversi per poi riunirsi
sul Kahlenberg, l’altura a nord di Vienna. Ai loro piedi si stendevano la città assediata e l’immenso campo ottomano, completamente sguarnito da quel lato: Kara Mustafa non aveva pensato a trincerarsi alle spalle, e questo errore gli fu fatale. All’alba del 12 settembre inizia la battaglia di Kahlenberg: i tedeschi presero ad avanzare con l’artiglieria pesante, mettendo subito in difficoltà la debole difesa turca, ma le sorti della battaglia furono decise solo a metà giornata con la travolgente carica della cavalleria polacca guidata da Sobieski, che annientò i residui focolai di resistenza. Sopraffatti, i turchi si diedero alla fuga abbandonando il campo al saccheggio, e con loro Kara Mustafa. Sobieski entrò a Vienna da liberatore prima dello stesso Leopoldo, suscitando imbarazzo e malumore. Con una lettera che si apriva con le parole Venimus, vidimus et Deus vicit annunciò la vittoria al papa. Il visir pagò con la vita l’esito della sua campagna di guerra: fu strangolato dagli emissari del sultano a Belgrado, dove si era rifugiato, il 25 dicembre di quell’anno, e la sua testa recapitata a Mehmet IV.
Frans Geffels, Assedio di Vienna da parte dei turchi nel 1683 [Kunsthistorisches Museum, Vienna] Il dipinto raffigura l’arrivo dell’esercito polacco (in primissimo piano a destra) presso il campo turco e lo scontro con la fanteria giannizzera, contraddistinta dalle insegne militari recanti la mezzaluna, simbolo dell’Impero ottomano. In secondo piano, il pittore ha rappresentato Vienna con le sue vie, le chiese e i palazzi e, ben visibile appena sotto le sue mura, il dedalo di cunicoli e trincee realizzato dai turchi per poter arrivare il più vicino possibile ad attaccare la città.
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C5 Imperi e regni in asia e in africa
5_3 L’INDIA DELL’IMPERO MOGHUL
Anche l’India tra ’600 e ’700 fu dominata politicamente da una dinastia musulmana. La presenza islamica datava dal X secolo, quando eserciti islamici erano penetrati da nord-ovest, insediandosi poi nel Nord dell’India, dove nel XIII secolo si era costituito il sultanato di Delhi. Nel 1526 un esercito composto da tribù turco-mongole musulmane guidate da Babur il Conquistatore invase il subcontinente indiano, sconfisse il sultanato di Delhi, da lungo tempo indebolito, e diede vita all’Impero moghul destinato a durare fino al 1707. Dal Nord l’Impero si estese via via fino a comprendere, intorno al 1700, un territorio che andava a nord da Kabul a Dacca nel Bengala e verso sud raggiungeva le ultime regioni dell’India meridionale.
L’Impero moghul
La struttura politico-sociale dello Stato moghul era di tipo feudale, con estesi territori affidati a vassalli moghul o a principi locali sottomessi, una aristocrazia di origine militare, che derivava i suoi poteri dal sultano ma non poteva trasmetterli ereditariamente, e una base contadina molto povera. I moghul mantennero il precedente sistema di riscossione delle imposte ma erano soprattutto in grado, grazie alla presenza capillare dei loro soldati, di esercitare in ogni villaggio, unità base della tradizionale società induista, un efficiente controllo amministrativo e di polizia. Mercanti e artigiani avevano un ruolo decisivo nell’economia del paese. I mercanti imprenditori finanziavano una manifattura artigianale molto sviluppata, nonostante tecniche di lavorazione arretrate e una grande dispersione produttiva. In particolare l’industria tessile era in grado di rispondere rapidamente alla crescita della domanda, grazie alla diffusione in tutto il territorio di centri artigianali e al lavoro di migliaia di tessitori che si spostavano da una città all’altra. Era un sistema di produzione disperso e disseminato in mille villaggi, molto diverso rispetto ai modelli europei, ma di grande efficienza. Del resto, fino alla rivoluzione tecnologica inglese che impresse una svolta alla produzione tessile in Europa, le stoffe indiane di seta, cotone, lino e seta mista a lino furono per qualità e quantità superiori a quelle prodotte in tutto il resto del mondo.
La struttura politico-sociale e l’economia
L’instaurazione di una nuova dinastia musulmana era destinata ad acuire i difficili problemi della convivenza tra la cultura islamica e quella indù. L’islamismo e l’induismo, infatti, oltre a essere rispettivamente l’uno la religione dei nuovi signori e l’altro quella delle popolazioni dominate, erano espressione di due visioni del mondo radicalmente diverse e fra loro impermeabili. Incolmabile era la distanza che separava il monoteismo profetico islamico dalla antichissima frammentazione religiosa induista. Inoltre, il concetto islamico della
Islamismo e induismo
178
Il Taj Mahal ad Agra (India) Il Taj Mahal è uno degli esempi più celebri dell’architettura moghul, che coniuga simmetria e splendore decorativo e nella quale si rispecchia l’amore dei moghul per i giardini e le fontane. Il famoso edificio è un mausoleo fatto costruire da Shah Jahan (terzo nipote di Akbar, destinato a succedergli alla guida dell’Impero) in omaggio alla moglie, morta di parto nel 1631.
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
conversione risultava incomprensibile agli indù, per i quali si era affiliati a una religione per nascita e non per scelta. D’altra parte i musulmani – tutti eguali al cospetto di Allah – non potevano accettare il sistema delle caste indù che stabiliva, una volta per sempre, l’intero destino personale e sociale degli individui che ne facevano parte. Diversissimi gli stili di vita, le tradizioni alimentari, le usanze matrimoniali e anche il modo di onorare i morti: i musulmani usavano seppellire i propri defunti, gli indù li cremavano. Queste differenze vennero a loro volta aggravate dagli stessi imperatori moghul, che contribuirono con la loro politica intollerante a fomentare le discordie e l’odio religioso.
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C5 Imperi e regni in asia e in africa Possedimenti: britannici
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BIRMANIA sistema delle caste INDIA Calcutta La società tradizionale indiana è suddivisa in innumerevoli Bombay caste raggruppate in quattro categorie gerarchicamente ordinate: al vertice Goa i sacerdoti (brahmani), seguiti da (port.) guerrieri e nobili (ksatriya), commercianti e contadini Madras (vais´ya), plebei, Mahé artigiani e servi (s´Pondichéry uˉdra). Al di fuori (fr.) (fr.) di queste categorie restano gli strati più poveri della popolazione, i paria (o “intoccabili”), adibiti ai lavori più CEYLON O Questa separazione è legata all’idea umili. che venga dal 1796 brit. C contaminato chi entri in contatto, anche indiretto, con gli E A alle caste inferiori, ritenuti appunto “impuri” appartenenti N O a causa delle usanze I alimentari e dei mestieri esercitati.
10_L’ASIA ALLA FINE DEL XVIII SECOLO
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I difficili rapporti tra le due culture furono parzialmente sanati durante il regno di Akbar (1556-1605), uno dei più grandi imperatori moghul. Akbar riuscì a coinvolgere l’aristocrazia indù nell’amministrazione e nella vita politica, limitandone così le tendenze autonomistiche e consolidando il potere centrale. Una serie di riforme – tra cui l’eliminazione della tassa imposta ai sudditi non musulmani – attenuò notevolmente la discriminazione nei confronti degli indù. Questa politica non fu rispettata dal più importante successore di Akbar: con Aurangzeb (1658-1707) infatti, nonostante l’Impero avesse raggiunto la sua massima estensione [► _10], fu avviata una politica di fanatismo religioso islamico volto a guastare gli equilibri tra le due comunità e a suscitare la mobilitazione dei sultanati indù (i maratti) che, uno dopo l’altro, approfittando del graduale indebolimento del potere centrale, si dichiararono autonomi contribuendo alla disgregazione dell’Impero. Dopo qualche decennio (nel 1765) l’ultimo
L’inizio della colonizzazione britannica
induismo L’induismo non è una religione in senso stretto, ma piuttosto un sistema filosofico e un insieme di dottrine, pratiche rituali e religiose, e pratiche sociali. Le tre divinità principali induiste sono Brahma, principio regolatore dell’Universo, Visnu, colui che preserva, Shiva, colui che distrugge o trasforma. Convinzione degli induisti è che gli esseri viventi attraversino un ciclo di vite, morti e rinascite per raggiungere, infine, il Braham, il sé universale. I M P E R L’organizzazione sociale induista si fonda sul sistema delle caste, un ordinamento gerarchico centrato sulla PERSIA religiosa puro/impuro. Rispettare questo opposizione sistema significa per gli induisti rispettare l’ordinamento cosmico: adempiere i doveri della casta cui si appartiene Delhi NE assicura una rinascita migliore. PA
esponente del quasi dissolto Impero moghul cedette il diritto dell’esazione fiscale alla East India Company, la compagnia commerciale inglese da tempo presente nel Bengala dove stava costruendo un proprio impero commerciale e territoriale. Si era ormai aperta una nuova pagina della storia dell’India, quella della colonizzazione britannica destinata a durare fino al 1947.
METODO DI STUDIO
a Evidenzia gli aspetti economici, politico-sociali e religiosi che caratterizzarono l’Impero moghul utilizzando un colore differente per ognuno di essi. Cerchia, quindi, le parole chiave che si riferiscono a ogni aspetto.
5_4 LA CINA DEI QING
Dai Ming ai Qing
All’inizio del XVII secolo, la dinastia Ming, al potere in Cina dal 1368, era ormai in declino per la corruzione dei vertici e per l’incapacità di reprimere le rivolte
contadine. Questa situazione favorì l’invasione di nomadi provenienti dalla Manciuria, e l’ascesa della dinastia mancese dei Qing (1644) che tennero il potere in Cina fino al crollo dell’Impero nel 1912. Per quanto invasori di origine straniera, i Qing si integrarono rapidamente nella cultura cinese accettando le sue forme di governo. Il gigantesco apparato burocratico, che da secoli era la base dell’amministrazione cinese, venne conservato intatto e così pure il sistema di reclutamento degli alti funzionari – i mandarini (burocrati-letterati) –, fondato sugli esami di Stato: gli aspiranti funzionari dovevano superare due prove a livello provinciale, guadagnando un diploma, per sostenere un esame finale nella capitale. Si trattava di un sistema antichissimo fondato sul confucianesimo (Confucio, VI-V secolo a.C.), un complesso di norme etiche e filosofiche il cui obiettivo politico e sociale era il mantenimento dell’ordine gerarchico, regolato da un insieme di relazioni paternalistiche: chiunque fosse educato sui princìpi del confucianesimo e avesse denaro a sufficienza poteva aspirare a entrare nell’apparato burocratico e ricambiare con favori, non sempre legali, il gruppo familiare che l’aveva sostenuto. La burocrazia era quindi espressione degli interessi dei proprietari terrieri e dei ceti più ricchi: ma i mandarini erano anche difensori delle tradizioni culturali e ostili alle attività mercantili.
► Leggi anche: ► Personaggi Matteo Ricci, un gesuita in Cina, p. 182 ► Parole della storia Confucianesimo, p. 181 ► Fare Storia La Cina e l’Europa: scienza e tecnica a confronto, p. 226
La burocrazia cinese
La dinastia Qing visse il suo apogeo durante il lungo regno di Kangxi (1662-1722). L’imperatore riuscì a unificare sotto il suo potere tutte le province della Cina, che allora raggiunse un’estensione di 12 milioni di km2, e definì con un trattato i confini con l’Impero russo lungo il fiume Amur. Kangxi accolse l’ideologia confuciana e stabilì un rapporto equilibrato con la burocrazia mandarina. Anche nei confronti del cattolicesimo ebbe un atteggiamento conciliante e di apertura. Del resto, fin
L’apogeo dell’Impero
180
mandarino Il termine deriva dal sanscrito mantrin, “consigliere”, e in Europa si diffonde nella variante portoghese mandarim. Gli europei chiamavano così i funzionari civili e militari dell’Impero cinese. La lingua mandarina era il principale dialetto della Cina usato durante l’Impero come lingua burocratica e letteraria dai mandarini e dalla corte.
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
La tomba di Confucio a Qufu, nello Shandong meridionale
dal ’500 i gesuiti erano presenti a corte, dove veniva molto apprezzata la loro cultura scientifica [►FS, 53]. Era il 1583 quando il missionario gesuita Matteo Ricci [►FS, 49d], protagonista del tentativo di incontro tra Oriente e Occidente e dell’evangelizzazione cinese, giunse in Cina. Nella loro evangelizzazione i gesuiti procedevano con prudenza nei confronti delle credenze originarie dei nuovi fedeli: tolleravano che molti nuovi cristiani continuassero a venerare Confucio, l’imperatore e gli antenati in genere, accettavano la “sinizzazione” (da Sina, “Cina” in latino) di alcuni aspetti del cattolicesimo (calendario, festività), rinunciando anche agli abiti di foggia occidentale per uniformarsi a quelli della corte. Queste aperture non piacquero a Roma dove prevalse il punto di vista dei francescani e dei domenicani che ritenevano necessario il rifiuto da parte dei neoconvertiti di ogni precedente credenza e rituale. Così, agli inizi del ’700, le buone relazioni tra l’imperatore e i missionari si incrinarono e la decisione della Chiesa romana, contraria ai “riti cinesi”, venne interpretata da Kangxi come un’indebita ingerenza negli affari interni della Cina: fu revocata ogni concessione ai religiosi cattolici, compromettendo così l’avvenire della Chiesa cinese, che contava già 200 mila fedeli.
I gesuiti in Cina
Il missionario gesuita Johann Adam Schall von Bell XVII sec. [Biblioteca Marciana, Venezia] L’incisione mostra Johann Adam Schall (1591-1666), missionario gesuita tedesco, presidente dell’Accademia astronomica cinese. I cinesi furono particolarmente interessati alle conoscenze astronomiche degli europei, che i gesuiti diffusero anche importando strumenti scientifici.
Parole della storia
Confucianesimo
K
’ung fu Tzu, vissuto nella Cina del V secolo a.C. e noto in Europa con il nome di Confucio a partire dal XVII secolo, grazie ai missionari gesuiti che operavano in Cina, era stato in vita un modesto funzionario governativo che si era saputo guadagnare la stima dei superiori. In particolare, si era dedicato all’insegnamento delle “sei arti” che costituivano la base fondamentale della formazione dei mandarini, la casta dei burocrati-letterati rimasta al potere fino al crollo dell’Impero, avvenuto nel 1912: riti, musica, tiro con l’arco, guida dei carri, calligrafia, matematica. Allo studio di queste discipline si aggiungeva la lettura di testi degli antichi saggi, da cui venivano tratte le norme che regolavano il comportamento dell’uomo in quanto membro della società organizzata. Più che una religione vera e propria, con
una propria concezione dell’aldilà e del rapporto con l’ultraterreno, il confucianesimo si presenta come una filosofia di vita, un modello di regole di comportamento da seguire nel corso dell’esistenza terrena. Alla sua affermazione come principale strumento di formazione delle classi superiori contribuì in maniera determinante la decisione dei discepoli di Confucio di abbandonare l’insegnamento orale, scelto inizialmente dallo stesso maestro, in favore di quello scritto, e di raccogliere le sue dottrine in un corpus di testi, i cosiddetti Quattro Libri (Ssu Shu): I Dialoghi, Il Grande Studio, L’Invariabile Mezzo, il Libro di Mencio. Il pensiero di Confucio ribadiva l’importanza della gerarchia sociale e del suo rispetto come fondamento irrinunciabile di una società ordinata. Così si legge in un passo dei Dialoghi: «Vi è governo quando il principe [si comporta] da principe, il ministro da ministro, il padre da padre, il figlio da figlio». Ognuno doveva quindi mantenere la
posizione che gli competeva ed attenersi ai doveri che gli imponeva la propria qualifica e rango. A loro volta i principi dovevano essere affiancati da consiglieri saggi, onesti e fidati, da scegliere non tra gli appartenenti alle classi nobiliari, ma tra uomini virtuosi dalla elevata moralità. A questo punto l’uomo comune, forte dell’esempio ricevuto dai governanti, diveniva naturalmente un suddito docile e fedele. Per una ordinata vita sociale, poi, fondamentale diveniva la strada del perfezionamento: «dal Figlio del Cielo all’ultimo del popolo, per tutti la cosa principale è perfezionare la propria persona» è scritto nel Grande Studio. Perfezionarsi significava dominare le passioni senza inseguire illusioni fugaci; soltanto questo consentiva al saggio di guardare il mondo giudicandolo obiettivamente con occhio privo di faziosità. Oltre a influenzare per secoli l’apparato burocratico dell’Impero cinese, il confucianesimo si diffuse anche in Giappone, Corea e Vietnam.
181
C5 Imperi e regni in asia e in africa
L’IMPERO CINESE
Dinastia Qing
Unificazione territoriale
Estensione di 12 milioni di km2
Integrazione con la burocrazia mandarina
Iniziali buone relazioni con i gesuiti
Sviluppo economico e commerciale
Sviluppo delle tecniche di irrigazione
Confucianesimo
Aumento della produzione di riso
Sviluppo dell’industria domestica della seta Esportazione in Occidente di seta, tè, porcellane e medicinali
AUMENTO DEMOGRAFICO
PERSONAGGI
Matteo Ricci, un gesuita in Cina
I
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l Millennium Center di Pechino ospita la galleria di ritratti delle personalità più rilevanti della millenaria storia cinese. Solo due stranieri sono rappresentati, entrambi italiani: Marco Polo e Matteo Ricci. Se le gesta del mercante veneziano sono ben note, le vicende che portarono un missionario gesuita marchigiano a conquistare la fama in Cina sfuggono ai più. Eppure, le avventure di Matteo Ricci in Oriente hanno segnato la storia dei rapporti con l’Occidente. Matteo nacque a Macerata nell’ottobre del 1552. Il padre, Giovanni Battista, era uno speziale discendente da una famiglia patrizia rispettata in città. Aveva ambizioni per i suoi nove figli e inviò Matteo a studiare nel collegio dei gesuiti appena fondato a Macerata immaginandolo avvocato in carriera verso le cariche più ambite del governo dello Stato pontificio. Ecco perché nel 1568 Matteo si trasferì a Roma e cominciò a studiare giurisprudenza alla Sapienza. Dati i legami con gli ambienti dei gesuiti in cui si era formato da giovanissimo, entrò nella Compagnia di Gesù come novizio. Il padre andò su tutte le furie e decise di dissuadere
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
il figlio recandosi personalmente a Roma. A metà strada tra Macerata e la capitale, però, interpretò un violento attacco di febbre come il segno che era la volontà di Dio a volere suo figlio sacerdote e si rassegnò. In questi anni di formazione, Ricci si fece notare dai suoi superiori e nel 1577 fu scelto dal Generale dell’ordine per entrare a far parte della missione gesuita in India. Ricci aveva venticinque anni quando prese la via del mare, imbarcandosi da Lisbona, per cominciare il suo percorso da missionario: non vedeva la sua famiglia da nove anni e non l’avrebbe più rivista, così come non avrebbe più rivisto l’Europa. Arrivò a Goa il 13 settembre del 1578, dopo un viaggio faticosissimo di 6 mesi; in India venne ordinato sacerdote e cominciò a insegnare nel collegio gesuita locale dove si oppose alla decisione dei superiori portoghesi di escludere gli studenti indigeni dallo studio della filosofia e della teologia. In molte lettere Ricci lamenta la discriminazione subita dai nativi, ma soprattutto il pericolo che questa severa misura potesse minare il buon rapporto instaurato tra i missionari e le po-
polazioni locali. Del resto, Ricci era addirittura favorevole all’ammissione degli indiani nella Compagnia di Gesù, una posizione minoritaria nell’ordine. Nel 1582 venne finalmente inviato sul campo, invitato a raggiungere altri confratelli a Macao, colonia portoghese da cui organizzare l’ingresso in Cina. Dopo aver faticosamente cominciato a imparare il cinese, nel settembre 1583 Ricci, Michele Ruggieri (1542-1607), un gesuita già da qualche anno sul campo, un interprete cinese e i loro servitori arrivano finalmente a Zhaoqing. Rasati e con addosso gli abiti tipici dei monaci, si presentavano come religiosi provenienti dall’India da cui erano arrivate in Cina le dottrine religiose derivate dall’insegnamento del Buddha. Il funzionario Wang Pan ricorse ai gesuiti inizialmente sperando di ottenere da loro la grazia di un erede maschio, inutilmente cercato per trent’anni con sua moglie e due concubine. Quando entro un anno dall’arrivo dei gesuiti l’erede nacque, la fama del dio degli stranieri si diffuse e molti iniziarono a venerare l’icona della Madonna col Bambino della cappella gesuita, probabilmente sovrapponendola alla divinità femminile della fertilità Guanyin. È un piccolo episodio, ma dice molto del mo-
La Cina del ’700 conobbe un periodo di sviluppo economico sia nel settore agricolo sia in quello commerciale e manifatturiero [►FS, 50]. Segno inequivocabile di questo sviluppo e di un relativo nuovo benessere fu il notevole incremento demografico: la popolazione passò da 143 milioni nel 1741 a 313 nel 1794, un aumento dovuto per gran parte al miglioramento delle tecniche agricole e di allevamento. L’ulteriore perfezionamento delle tecniche di irrigazione (da tempo largamente diffuse in Cina) e della selezione delle qualità di riso consentì di ottenere dallo stesso terreno due o tre raccolti in un anno. Anche la lavorazione della seta (filatura e tessitura) ebbe un forte incremento sia nella forma dell’industria rurale domestica sia in quella delle manifatture statali che alimentavano la forte domanda proveniente dalla corte [►FS, 51]. Nel 1685 fu istituita a Canton una dogana marittima e nel 1760 alcune corporazioni di mercanti furono autorizzate a trattare con gli europei. Gli scambi tra la Cina e i paesi europei o le loro colonie erano intensi ma quasi a esclusivo vantaggio del grande impero, che esportava in Occidente tè, sete, porcellane, carta e medicinali. Si calcola che almeno un terzo di tutto l’argento prodotto in America finisse in mani cinesi potenziando lo sviluppo economico e il vivace mercato interno. La Cina, infatti, era un paese sostanzialmente autosufficiente sia per le materie prime sia per i prodotti finiti e le importazioni dall’Europa erano scoraggiate anche con numerosi regolamenti restrittivi. In presenza di un debole interscambio globale, la Cina rimase fino agli inizi del METODO DI STUDIO ’700 il maggior paese esportatore in un sistema di commercio internazionale a Trascrivi sul quaderno le parole chiave del paragrafo evidenziate in grassetto. Quindi, spiega avviato verso una prima globalizzazione, ovvero verso una prima integrazione il loro significato in relazione alla realtà della Cina economica mondiale. Anche se le merci cinesi viaggiavano ormai quasi esclusifra ’600 e ’700. vamente su navi europee.
Lo sviluppo dell’economia e l’importanza delle esportazioni
do in cui Ricci riuscì a farsi strada in Cina. Questi anni gli servirono intanto per porre le fondamenta della sua fortuna di erudito: l’edizione cinese di un mappamondo europeo molto avanzato suscitò interesse, ammirazione e incredulità tra molti cinesi e venne distribuito il primo catechismo cattolico in cinese scritto da Ruggieri, elemento fondamentale per l’evangelizzazione. Molti mandarini di passaggio venivano a curiosare nel centro fondato da Ricci, che ampliò così la sua rete di conoscenze tra le élite. Nonostante gli sforzi di Ricci e dei suoi per affermare l’unicità del proprio dio, gli osservatori cinesi continuarono a considerarli parte di una nuova scuola del buddismo. E non a caso i primi a convertirsi furono dei ferventi buddisti. Nelle lettere di questo periodo Ricci, però, appariva infelice. Le condizioni di vita erano molto dure e la lontananza da Roma si faceva sentire con frequenti attacchi di malinconia. Nel 1589 Ricci si spostò a Chaozhou. Superate le prime ostilità, la comunità qui fondata crebbe, anche grazie al cambio di strategia adottato ora da Ricci, che smise di presentarsi come un monaco. Aveva una lunga barba e si muoveva su una portantina trasportata dai suoi servitori. Per otte-
nere credito presso le élite qui bisognava presentarsi come letterati, sapienti, moralisti. Anche per questo, partendo dallo studio dei classici confuciani, elaborò un nuovo testo di propaganda molto diverso da un classico catechismo, Il vero significato del Signore del Cielo (1603). Non tutti i cinesi capirono di avere a che fare con una nuova religione. Quando nel 1595 si trasferì a Nanchang, Ricci sentiva già il profumo del successo. In una lettera mette in fila le ragioni della curiosità che suscitava negli ambienti imperiali: 1) l’ottima conoscenza del cinese; 2) la sua memoria straordinaria che gli permetteva di fare lunghe citazioni dai classici del confucianesimo; 3) le sue virtù di matematico; 4) gli oggetti curiosi che aveva con sé (orologi, prismi in vetro veneziano, pitture religiose, libri occidentali); 5) la fama di alchimista; 6) la dottrina cristiana che insegnava. Ma per sua stessa ammissione quelli che venivano a cercarlo per quest’ultima erano i meno numerosi. A quel tempo, comunque, Ricci era ormai ben inserito negli ambienti della buona società ming e poté finalmente raggiungere le due capitali, Nanchino e Pechino (1598-99). Stabile alla corte dell’imperatore dal 1601, Ricci
ottenne il permesso di fondare una comunità che contava i primi convertiti e che si è mantenuta in attività fino a oggi.
Emmanuele Yu Wen-Hui (detto Pereira), Ritratto di Matteo Ricci 1610 [Chiesa del Gesù, Roma]
183
C5 Imperi e regni in asia e in africa
5_5 IL GIAPPONE DEI TOKUGAWA:
CENTRALIZZAZIONE E ISOLAZIONISMO
Il Giappone era un paese feudale. La struttura del potere era organizzata su tre livelli. Il vertice era occupato dall’imperatore, mikado, una figura semisacrale dal forte peso simbolico e religioso ma dagli scarsi poteri. Il governo effettivo era tenuto, al secondo livello, dallo shogun, una sorta di primo ministro e comandante militare, carica divenuta da tempo ereditaria. Il terzo livello era tenuto dai signori feudali, daimyo, che controllavano le singole province in cui esercitavano un potere tendenzialmente assoluto. Al servizio dei daimyo e dello shogun un ruolo decisivo aveva la casta militare dei samurai, guerrieri legati da vincoli d’onore ai loro signori.
Un paese feudale
Il modello che abbiamo descritto si applica soprattutto al periodo che va dall’inizio del ’600 alla metà dell’800. Prima di allora e per oltre un secolo il Giappone fu attraversato da guerre continue tra i diversi clan familiari e tra i daimyo più potenti; la conflittualità si accentuò nella seconda metà del ’500 quando, con l’introduzione delle armi da fuoco – importate dai portoghesi e subito imitate dagli artigiani locali [►6_1] –, cambiò la tecnica delle battaglie, non più combattute da soldati armati di lunghe picche. Negli ultimi decenni del ’500 emerse la figura di Toyotomi Hideyoshi (1537-1598), un potente signore feudale (in origine un samurai di provenienza contadina) che riuscì a porre fine alle guerre e a
L’ascesa dei Tokugawa
184
Utagawa Kunisada, I principali attori dell’opera kabuki “Kanadehon Chushingura” di Toyokuni Utagawa III [nella produzione del marzo 1849 al teatro Nakamura-za di Edo] L’elevata urbanizzazione giapponese diede luogo alla formazione di una specifica cultura urbana, della quale furono protagonisti in particolare i mercanti.
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
Estremamente attivi dal punto di vista imprenditoriale, erano condannati dall’ideologia confuciana che li considerava, a differenza dei cittadini e degli aristocratici, una classe non direttamente produttiva. Nonostante i considerevoli capitali che molti di loro riuscirono ad accumulare, i mercanti non ebbero durante il periodo Tokugawa alcun peso politico. Le frustrazioni connesse a tale situazione, cui si aggiungevano numerose leggi restrittive che
vietavano loro le vesti di seta e altri simboli di ricchezza, spinsero i mercanti a dare vita a una cultura propria, una sorta di seconda società, nella quale poter esprimere l’amore per il lusso e per i piaceri, e che tra la fine del ’600 e per tutto il ’700 ebbe le sue più compiute espressioni nel teatro kabuki – teatro popolare, con canoni e regole molto diversi dal teatro aristocratico noˉ – e nell’arte delle xilografie – copie a stampa di un’incisione su legno.
riunificare il Giappone cercando poi, senza successo, di invadere la Cina passando dalla Corea. Il clan Toyotomi venne però sconfitto nel 1600 da Tokugawa Ieyasu (1542-1616) che, nominato shogun nel 1603, impose il proprio clan, destinato a tenere lo shogunato fino alla restaurazione del potere diretto dell’imperatore nel 1868. Con i Tokugawa fu garantita una pace duratura e vennero rafforzati i poteri centrali grazie a un’amministrazione efficiente e a un sistema fiscale fondato, tra l’altro, su un catasto generale delle proprietà.
samurai Nell’antico Giappone, fino intorno all’anno Mille, il termine “samurai” (dal giapponese samuran o saluran, “essere al servizio di”) indicava le guardie del palazzo dell’imperatore. Successivamente, in epoca feudale, cominciò a designare genericamente chi esercitava il mestiere delle armi: allora i samurai non costituivano milizie mercenarie, ma erano vassalli dei daimyo. Poiché le lunghe guerre medievali contribuirono ad accrescere l’importanza e il prestigio dei soldati, i samurai divennero presto una vera e propria casta privilegiata che, sotto l’influsso della filosofia cinese e del buddismo, elaborò un proprio sistema di ideali, norme e princìpi morali. Durante il periodo feudale i samurai vivevano nei castelli dei propri signori, dai quali ricevevano viveri per sé e per le famiglie. Aboliti i feudi nel 1869, i samurai vennero incorporati nella nobiltà del nuovo Giappone.
La pace era assicurata non solo dal controllo diretto dello shogun sui daimyo più potenti (obbligati a risiedere nella capitale per lunghi periodi ogni anno), ma anche dalla decisione di chiudere il Giappone in un isolamento totale per evitare ogni minaccia, anche culturale o religiosa, proveniente dal mondo esterno. Questo isolamento durò dal 1639 al 1853. La chiusura valeva anche per il cattolicesimo giunto in Giappone alla metà del ’500 con missionari prima gesuiti e poi francescani: inizialmente accolto con favore, venne in seguito perseguitato e bandito perché sospettato di promuovere la penetrazione commerciale europea. Fecero eccezione a questo atteggiamento isolazionista solo i rapporti con la Cina, che continuò a essere ritenuta l’origine di ogni civiltà. Un’altra parziale eccezione riguardava gli olandesi, i soli europei a cui fu concesso di proseguire l’attività commerciale, limitata a poche navi l’anno, e confinata nell’isoletta artificiale di Dejima, posta nella Baia di Nagasaki.
L’isolazionismo durante lo shogunato Tokugawa
Il centralismo feudale dei Tokugawa comportò un ridimensionamento della casta dei samurai, sempre più posti alla dipendenza dei signori e trasformati in burocrati o alti funzionari. Ma molti finirono per impoverirsi e regredire nella scala sociale diventando contadini, artigiani, mercanti o anche banditi. L’accentramento conviveva con una relativa autonomia amministrativa delle province: il diretto controllo del potere centrale, che con il tempo divenne sempre più blando, era comunque accettato dai daimyo in base al principio di lealtà (chu) proprio del confucianesimo. La dottrina di Confucio era penetrata nell’isola secoli prima influenzando molto il pensiero e la società giapponese: il principio confuciano di lealtà regolava tutti i rapporti nella società gerarchica giapponese, e infatti la lealtà dovuta al proprio signore veniva prima di ogni considerazione individuale ed era ritenuta la più alta virtù dell’individuo.
La gerarchia sociale
Il Giappone espresse in questo periodo una notevole vitalità economica. Tipico del periodo Tokugawa, per esempio, fu lo sviluppo delle città, dovuto sia all’affermazione di grandi centri commerciali, soprattutto sulla costa come Osaka e Nagasaki, sia alla crescita della nuova capitale Edo (la futura Tokyo), favorita anche dalla costruzione di circa 600 residenze destinate ai daimyo che dovevano trasferirsi presso lo shogun. Il continuo movimento di persone e di merci determinò un notevole miglioramento della rete stradale tra la capitale, le province e la città commerciale di Osaka, dove le eccedenze di riso venivano commercializzate. Come in Cina e come anche nelle regioni più sviluppate dell’Europa occidentale [►1_1], il Giappone conobbe nel ’700 un incremento demografico legato all’aumento della produzione agricola e alla diffusione dell’industria rurale domestica, sostenuta da una forte etica del lavoro. Grazie alla introduzione dei criteri di selezione del seme e delle tecMETODO DI STUDIO a Sottolinea, con colori diversi, la descrizione niche di irrigazione cinesi, crebbe la produttività del riso. Inoltre la diffusione dei differenti livelli di potere che costituivano il modella tessitura a domicilio della seta e del cotone, destinati ad essere comdello feudale giapponese. mercializzati, determinava un surplus nelle entrate dei nuclei familiari e un b Attribuisci al paragrafo un nuovo titolo e corrispondente aumento dei consumi di beni durevoli e/o di oggetti di lusso. rinomina i sottoparagrafi in esso presenti. c Spiega il ruolo dell’introduzione delle armi da Questo circuito virtuoso e le competenze che generava avrebbero contribuito fuoco in Giappone. al successivo, seppure tardivo, sviluppo industriale del paese.
La vitalità economica e la “rivoluzione industriosa” in Giappone
185
C5 Imperi e regni in asia e in africa
5_6 CIVILTÀ E COMMERCI DELL’AFRICA
A sud dell’Africa mediterranea dominata dall’Impero ottomano, e oltre il Marocco e la Mauritania, dove si era installata dall’XI secolo la dinastia islamica degli Almoravidi, il continente africano a sud del Sahara, racchiuso com’era tra Oceano Atlantico e Oceano Indiano, appariva, tra ’600 e ’700, tagliato fuori dalle correnti di sviluppo delle grandi civiltà. E per gran parte lo era. Ma va ricordato anche che l’Africa era inserita da millenni nelle correnti di scambio con l’Europa e con l’Asia, inizialmente fornendo l’oro agli altri continenti, poi alimentando una costante tratta di schiavi. Mediatori di questi flussi commerciali erano stati dall’Alto Medioevo gli arabi musulmani. Intorno all’XI secolo, ma con tempi molto variabili, in alcuni dei regni africani che si erano formati tra il 400 d.C. e il 1300, prevalentemente nella zona sub-sahariana lungo il corso del Niger e fino al Golfo di Guinea, si era diffuso l’islam che, oltre alla religione, aveva portato la scrittura. Per quasi tutti i regni e per i periodi anteriori all’islamizzazione, l’assenza di fonti scritte costituisce la maggiore difficoltà per datare con certezza lo sviluppo cronologico di queste organizzazioni “statali”. Numerose sono invece le testimonianze artistiche (significative soprattutto per il Regno del Benin), architettoniche, come nella grande città carovaniera di Timbuctù nell’Impero del Mali, e quelle archeologiche.
L’islam in Africa
◄ La
moschea di Djenné nel Mali Djenné è la più antica città carovaniera del Mali. Abitata fin dalla metà del III secolo a.C., conserva ancora oggi numerosissime abitazioni risalenti ai secoli precedenti l’anno Mille. L’edificio più interessante della città è sicuramente la moschea, uno dei migliori esempi di architettura sahariana, che, con il tipico verticalismo, domina la piazza del mercato. Costruita come gli altri edifici su un rilievo che la protegge dalle inondazioni stagionali del vicino fiume Niger, la moschea di Djenné mostra in evidenza le impalcature, lasciate sempre in opera per poter riparare in tempi brevissimi gli eventuali danni causati dalle piogge torrenziali al materiale, l’adobe (un misto di argilla, paglia e sabbia) con cui è costruita.
in avorio proveniente dal Benin (Nigeria) [Museum of Mankind, Londra] Questa saliera fabbricata nel Benin, una delle terre dell’Africa occidentale più accessibili agli europei, raffigura un soldato portoghese munito di spada, croce ed elmo, ed è sormontata da una riproduzione del particolare tipo di imbarcazione con cui i portoghesi costeggiavano l’Africa.
186
► Saliera
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
Timbuctù
Gao
L
Djenné N
r ige
REGNO D REGNO
KANEM
DEL
Ad esse si aggiungono le descrizioni dei portoghesi, i primi a entrare in contattoIMPERO BENIN (DAHOMEY) ASHANTI con la parte costiera di questi regni a partire dalla fine del XV secolo, in una fase in cui queste realtà erano in forte declino o in via di dissolvimento, frammentate e divise da continui scontri tribali. Al tempo dell’arrivo e dello stanziamento degli europei lungo le coste dell’Africa centrale e meridionale vanno ricordati l’Impero Ashanti (nei territori dell’odierno Ghana), il Regno del Benin (o Dahomey) nel Golfo di Guinea e poco più a sud il Regno del Congo, mentre a est si trovava il Monomotapa (o Zimbabwe), tra i fiumi Zambesi e Limpopo, OCEANO poi entrato per la sua parte orientale nei possessi portoghesi del Mozambico. ATLANTICO Questi Stati non corrispondevano evidentemente al modello europeo dello Stato. Accanto a organizzazioni politiche complesse, estese su vasti territori e dotate di una propria burocrazia e di un proprio esercito, convivevano varie città-Stato e sistemi politici limitati a piccole comunità: qui erano fondamentali le relazioni tra i clan e il potere era detenuto dalla famiglia che godeva di maggior prestigio rispetto alle altre. In molti casi si trattava di vere e proprie organizzazioni “anarchiche”, ossia strutture politiche non gerarchizzate, dove non erano presenti capi e “forze di sicurezza” e l’unico vincolo sociale era rappresentato da norme di tipo consuetudinario e religioso. Del resto accanto all’islam erano presenti e talora convivevano credenze e culti politeisti tradizionali. Unico Stato cristiano in Africa, l’Etiopia si era formata come evoluzione e ampliamento dell’antico Regno di Axum, nato nel IV secolo d.C., spostandosi sempre più all’interno per resistere ai tentativi di conquista da parte dei musulmani: riuscì a rimanere indipendente fino al ’900 sconfiggendo l’Italia ad Adua nel 1896, ma soccombendo poi all’attacco fascista nel 1936.
I regni africani e l’organizzazione del potere
11_L’AFRICA NEL XVI-XVII SECOLO
Impero ottomano insediamenti europei
MAROCCO DESERTO DEL SAHARA
N
ilo
Teghazza IMPERO
SONGHAI Timbuctù Gao Djenné
L. Ciad
Sennar
REGNO DI
r ige
REGNO
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IMPERO
BENIN
ASHANTI
(DAHOMEY)
ETIOPIA
Harar Mogadiscio
Congo
L. Vittoria
Kismayo Malindi
REGNO DEL L. Tanganica
CONGO OCEANO ATLANTICO
Zeila
REGNO DI
KANEM
DEL
Mombasa Kilwa
Luanda L. Niassa
esi mb Za MONOMOTAPA (ZIMBABWE)
Oran g
Tete Sena Sofala
OCEANO INDIANO
La carta illustra le principali formazioni politiche, regni e imperi dell’Africa tra XVI e XVII secolo. La costituzione di questi Stati avviene in un arco di tempo molto lungo, plurisecolare, ma non è sempre possibile darne una datazione certa. A partire dalla fine del XV secolo le descrizioni dei portoghesi hanno contribuito a rendere più chiaro il quadro.
187
C5 Imperi e regni in asia e in africa
REGNO
CON
Luan
Prima della conquista europea, l’Africa era un continente scarsamente abitato, con immensi spazi vuoti e un suolo generalmente poco produttivo a causa delle difficoltà del clima e dell’arretratezza delle tecniche agricole. Molti territori erano abitati da nomadi e allevatori o da tribù di cacciatori-raccoglitori che non coltivavano la terra. Soltanto nella regione mediterranea e in alcune zone dell’Africa orientale e occidentale, quelle dominate dai musulmani, era praticata un’agricoltura intensiva con l’aratro. Altrove, in particolare nell’Africa centrale, i contadini ignoravano il sistema dell’alternanza delle colture e raramente praticavano la concimazione; quando un terreno diventava sterile si spostavano con le famiglie in un altro luogo: una scelta favorita anche dall’immensa disponibilità di spazi e dallo scarso valore assegnato alla proprietà della terra. A differenza dell’Europa, della Cina e delle altre civiltà più sviluppate, in Africa agricoltura e allevamento non erano generalmente attività complementari.
L’economia africana
Ma l’Africa aveva l’oro e le innumerevoli guerre intestine producevano un surplus di schiavi tra le popolazioni dei vinti. L’oro e gli schiavi, ma anche l’avorio, alimentavano lunghe vie commerciali che attraversavano il continente verso il Mediterraneo, il Mar Rosso e le coste dell’Oceano Indiano: di lì si diffondevano verso l’Arabia, il Medio Oriente e l’Asia centrale. Se dunque la costa orientale dell’Africa era già da secoli inserita in un antichissimo sistema di scambi, solo con i primi insediamenti europei, portoghesi in primo luogo, anche le coste occidentali diventarono protagoniste del commercio internazionale [►6_3].
L’oro e gli schiavi
METODO DI STUDIO
a Suddividi il paragrafo in 5 sottoparagrafi e attribuisci a ciascuno i seguenti titoli: I regni islamici; Le caratteristiche politiche dei regni africani; Il cristianesimo in Africa; Una terra con tanti nomadi; Il sistema di scambi internazionali. b Evidenzia gli aspetti economici, politici e religiosi che caratterizzarono i regni africani fra ’600 e ’700 utilizzando un colore differente per ognuno di essi. Cerchia, quindi, le parole chiave che si riferiscono a ogni aspetto.
SISTEMI DI GOVERNO A CONFRONTO
IMPERO OTTOMANO
IRAN
INDIA
CINA
GIAPPONE
AFRICA
Sultano
Shah
Impero moghul
Impero Qing
Struttura feudale
Stati complessi e città-Stato e
Dinastia safavide
Struttura feudale
Burocrazia mandarina
Corpo militare dei giannizzeri
Sciismo
Sistema delle caste
Etica confuciana
188
Gran visir
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
L’imperatore (mikado) detiene un potere simbolico
Il potere effettivo viene esercitato dallo shogun (shogunato Tokugawa)
Piccole comunità basate sul sistema dei clan
SINTESI
5_1 CIVILTÀ A CONFRONTO Non conosciamo con precisione il numero di uomini che popolavano il pianeta nel ’600 e nel ’700. Secondo alcuni calcoli, intorno al 1680 in Europa non sarebbero vissuti più di 100 milioni di persone, in Asia tra 240 e 360, in Africa tra 35 e 50, in America non più di 10 e in Oceania, probabilmente, meno di 2. Gran parte della popolazione era concentrata nelle zone dove si erano sviluppate le civiltà più evolute: l’Europa, i paesi islamici, l’India, l’Indocina, l’Indonesia, la Cina, la Corea, il Giappone. Qui si praticava un’agricoltura efficiente, che poteva contare su aratri e animali domestici, mentre in gran parte del resto del mondo i contadini continuavano a lavorare con la zappa. Esistevano poi comunità costituite soltanto da nomadi e allevatori o da cacciatoriraccoglitori. L’Europa era il continente più urbanizzato del pianeta, ma in Asia si trovavano città grandissime (Istanbul, Delhi, Pechino). Le origini della supremazia europea possono individuarsi in tre ordini di fattori, che mancarono invece nei grandi imperi asiatici: lo sviluppo di un mercato libero e del capitalismo commerciale, la tutela dei diritti di proprietà, la superiorità tecnologica.
tra il Vicino Oriente e l’Africa. L’impero ospitava anche comunità di fede non islamica. Era governato dal sultano, ma in realtà un ruolo decisivo rivestiva il gran visir, una sorta di primo ministro. La decadenza dell’Impero diede i suoi primi segnali con l’indebolimento del potere centrale, mentre il sistema economico continuò a mostrare una notevole vitalità. Nella seconda metà del ’600 ci fu una ripresa della politica espansionistica, in modo particolare nell’area balcanica, minacciosa per l’Impero asburgico. L’espansionismo ottomano era destinato a protrarsi fino alla fine del ’700, ma le sconfitte subìte in Europa determinarono una crisi del sistema militare. Un ridimensionamento della compagine imperiale si determinò inoltre per intervento della Russia. La riorganizzazione istituzionale tentata al principio del ’700 per reggere il confronto con l’Europa trovò l’opposizione delle componenti ottomane più conservatrici. Al contempo, a sud-est dell’Impero ottomano, in Iran (Persia), sorgeva un altro importante impero islamico dominato dalla dinastia safavide, sotto la quale si andò consolidando lo sciismo come religione ufficiale dello Stato.
5_3 L’INDIA DELL’IMPERO MOGHUL
5_2 IL DECLINO DELL’IMPERO OTTOMANO E LA PARABOLA SAFAVIDE L’Impero ottomano era la compagine territoriale più estesa del vasto universo islamico costituitosi nei secoli
Nel 1526 i turco-mongoli invasero l’India dando vita all’Impero moghul, con una struttura sociale di tipo feudale – le attività artigianali vi erano tuttavia molto sviluppate – e una capillare struttura amministrativa e militare. La convivenza fra la cultura islamica e quella indù fu piuttosto difficile. Il processo di pacificazione iniziato a metà del ’500 fu interrotto un secolo dopo con l’introduzione di una
politica religiosa intransigente, che portò alla disgregazione dell’Impero e alla formazione di Stati regionali indù in continua ostilità tra loro. Nel 1765 la East India Company inglese acquisì il diritto di riscuotere le tasse in India aprendo la via alla colonizzazione britannica destinata a durare fino al 1947.
5_4 LA CINA DEI QING A metà del ’600 l’ultima invasione di nomadi, provenienti dalla Manciuria, dette inizio, in Cina, al lungo periodo della dinastia Qing, che subentrò ai Ming (al potere dal 1368). Dopo una prima fase caratterizzata da una politica repressiva, anche i mancesi vennero assorbiti dalla cultura e dalla civiltà cinese, soprattutto per quanto riguardava le forme di governo – fondato sul ceto dei burocrati-letterati, i mandarini. Di tradizione confuciana, i mandarini esprimevano gli interessi dei proprietari terrieri ed erano ostili alle attività commerciali. Nel periodo Qing si verificò un grande sviluppo demografico e una notevole prosperità nelle campagne, grazie anche alla lavorazione domestica dei tessuti in seta destinati al mercato. I rapporti con l’estero, inoltre, servirono soprattutto alle esportazioni poiché la Cina era un paese sostanzialmente autosufficiente, e fino al ’700 si confermò il maggior paese esportatore del mondo.
5_5 IL GIAPPONE DEI TOKUGAWA: CENTRALIZZAZIONE E ISOLAZIONISMO
ministro) Tokugawa Ieyasu. Questi diede vita a una dinastia che avrebbe governato l’isola per 250 anni. Nel periodo Tokugawa fu colpita la vecchia struttura feudale e rafforzato il potere centrale fondato sul principio di lealtà al signore di ispirazione confuciana; vennero garantiti la pace e l’ordine interni, ma soprattutto furono eliminati quasi interamente i contatti con il mondo esterno. Nonostante la politica isolazionista, il Giappone visse un notevole sviluppo economico che interessò anche le campagne, dove prese piede l’industria rurale domestica.
5_6 CIVILTÀ E COMMERCI DELL’AFRICA L’Africa era un continente poco abitato, con un suolo poco produttivo a causa del clima e dell’arretratezza delle tecniche agricole. Molti territori erano abitati da nomadi e allevatori o da tribù di cacciatori-raccoglitori che non coltivavano la terra. Importanti prodotti commerciali erano però l’oro, l’avorio e gli schiavi. L’organizzazione del potere era differenziata: grandi organizzazioni politiche, ma anche città-Stato e comunità fondate sulle relazioni tra i clan. Accanto all’islam erano diffusi i culti politeisti più antichi. L’unico regno cristiano, indipendente fino al ’900, era quello d’Etiopia (evoluzione e ampliamento del più antico Regno di Axum). I primi contatti con gli europei favorirono la progressiva integrazione del continente nei circuiti commerciali mondiali.
Nel 1603, in Giappone, fu nominato shogun (primo
189
C5 Imperi e regni in asia e in africa
SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Completa la seguente carta geostorica del mondo tra ’500 e ’700 indicando le seguenti città (punti), Stati e regioni
(aree):
● ●
Stati e regioni: Impero moghul, Impero ottomano, Impero cinese Città: Il Cairo, Edo, Baghdad, Delhi, Pechino, Istanbul
2 Completa sul quaderno le seguenti frasi relative all’India fra ’600 e ’700:
190
a. L’Impero moghul, nato a seguito dell’invasione ................................................................ del subcontinente indiano, si estendeva in un territorio che andava a nord ................................................................. e a sud ........................................................... b. La struttura organizzativa dello Stato moghul era di tipo feudale e si basava sulle seguenti figure politico-sociali: .............................................. c. Nell’ambito dell’economia, coloro che avevano un ruolo decisivo erano i ..................................................................................................... d. Da un punto di vista religioso, l’affermazione della dinastia moghul acuì i difficili problemi di convivenza tra..................................................... e. Quando la Compagnia delle Indie orientali ottenne il diritto di riscuotere le tasse nelle province di Bihar e del Bengala ........................................
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
3 Seleziona la frase opportuna per completare correttamente le affermazioni di seguito che affrontano gli aspetti
economici e culturali della Cina dei Qing.
1. I Qing erano... a. una dinastia di nomadi provenienti dalla Manciuria, che conquistò il potere nel 1644 sottraendolo ai Ming. b. una importante dinastia cinese logorata dalla corruzione interna e dall’incapacità di reprimere le numerose rivolte contadine. c. una dinastia di burocrati cinesi che basava la sua forza sul confucianesimo. 2. Il confucianesimo era alla base... a. di un complesso di norme etiche e filosofiche che davano vita ad un pensiero sociale rivoluzionario. b. di un complesso di norme etiche e filosofiche che portavano il popolo cinese ad aprirsi all’innovazione e agli stranieri. c. dell’apparato burocratico che caratterizzava l’amministrazione cinese. 3. I gesuiti... a. erano missionari occidentali che si insediarono alla corte imperiale di Pechino. b. erano missionari occidentali che si opposero da subito alle tradizioni cinesi portando avanti una intensa opera di conversione. c. erano missionari laici recatisi in Cina per apprendere la cultura e la scienza di questa antica civiltà. 4. Nel ‘700 in Cina... a. si ebbe una grave crisi economica legata ad una malattia che colpì i gelsi e che quindi danneggiò la produzione della seta. b. si ebbe un notevole incremento demografico grazie al miglioramento delle tecniche agricole e di irrigazione. c. i gesuiti vennero accolti alla corte imperiale di Pechino grazie alle loro conoscenze scientifiche e tecnologiche. 5. Da un punto di vista commerciale, la Cina... a. aveva sviluppato un sistema di esportazione dei prodotti maggiormente richiesti in Occidente. b. entrava marginalmente nel sistema di commercio internazionale a vantaggio del proprio mercato interno. c. era il maggior paese importatore in un sistema di commercio internazionale “globalizzato”. 4 Abbina i nomi dei seguenti elementi che afferiscono al Giappone fra ‘600 e ‘700 alle relative definizioni.
a. Shogun b. Samurai c. Imperatore d. Tokugawa e. Edo f. Isolazionismo
1. Figura quasi sacrale, ma con scarsi poteri reali 2. Carica simile ad un primo ministro e comandante militare che deteneva il governo effettivo del paese 3. Politica che rese il Giappone una realtà quasi interamente chiusa ai contatti con gli altri Stati 4. Guerrieri legati da vincoli d’onore ai propri signori 5. Nuova capitale del Giappone destinata a diventare Tokyo 6. Clan che conquistò il potere all’inizio del ‘600 e che mantenne la carica di shogun per oltre due secoli
5 Sottolinea nei testi che seguono gli errori presenti (2 per ogni testo) e riscrivi sul quaderno gli elaborati nella
versione corretta. Chiarirai in questo modo gli aspetti caratteristici della realtà africana fra ’600 e ‘700.
1. Mentre l’Africa mediterranea era dominata dall’Impero ottomano, il resto del continente, grazie al flusso del commercio di oro e schiavi, era al centro delle correnti di sviluppo delle grandi civiltà. 2. Quando i portoghesi giunsero sulle coste africane, trovarono antichi regni molto potenti posti al vertice di una organizzazione statale feudale che si erano affermati grazie alle vittorie conseguite nei continui scontri tribali. 3. I regni africani erano molto diversi dagli Stati europei, poiché si sviluppavano nella forma delle città-Stato, prive di gerarchia e di divisione dei poteri. In questi regni la religione islamica aveva soppiantato le credenze e i culti politeisti tradizionali. L’Etiopia era l’unico Stato cristiano in Africa. 4. Il continente africano aveva un suolo generalmente poco produttivo a causa delle difficoltà del clima. Per questo motivo la maggior parte della popolazione si dedicava all’agricoltura, nel tentativo di migliorare le produzioni. Erano frequenti le guerre tribali, da cui aveva origine la grande disponibilità di schiavi. Questi, assieme ai diamanti, alimentavano lunghe vie commerciali.
191
C5 Imperi e regni in asia e in africa
COMPETENZE IN AZIONE 6 Completa la seguente tabella sugli aspetti relativi al sistema di governo, alla religione, all’economia e ai rapporti con
l’Europa dei regni al di fuori di essa. Quindi, scrivi un testo descrittivo di massimo 20 righe che contenga i contenuti da te individuati. Sistema di governo
Religione
Economia
Rapporti con l’Europa
Impero ottomano India Cina Giappone Africa
7 Colloca le parole e le espressioni di seguito elencate nell’ellisse appropriata. Scrivi quindi un breve testo (max 15
righe) evidenziando i motivi che furono alla base dei difficili rapporti tra induisti e musulmani in India, il tentativo di pacificazione di Akbar e l’intervento della Gran Bretagna. Attenzione, dovrai usare tutte le parole che hai collocato nelle ellissi. Impero moghul ● Akbar ● conversione ● monoteismo ● religione dei signori ● religione delle popolazioni dominate ● tutti uguali per Allah ● frammentazione religiosa ● religione per nascita ● caste ● Babur ISLAM
INDUISMO
8 Illustra in testi brevi gli argomenti riportati di seguito, impiegando all’incirca il numero di righe indicato tra parentesi.
192
a. Conseguenza dell’affermazione della dinastia safavide in Iran. (3 righe) b. Il rapporto con l’Europa. (5 righe) c. I devširme e il loro ruolo nell’Impero ottomano. (7 righe)
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
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XTR
CAP6 L’ESPANSIONE COLONIALE EUROPEA NEL ’700
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Il Libro A.W. Crosby, Imperialismo ecologico Storia e Geografia Il viaggio degli schiavi Storia e Cinema Mission di Joffé Focus Prodotti e mode “coloniali”: caffè e tè Atlante L’economia europea alla metà del ’700 Audiosintesi
6_1 COMMERCI E COLONIE EUROPEE IN ASIA E AMERICA
Alla metà del ’600 si era già consolidata l’espansione coloniale europea: a ovest nelle Americhe, a sud verso l’Africa, a est verso l’Asia. Protagonisti iniziali di questa politica, a partire dal periodo delle scoperte geografiche alla fine del ’400, erano stati gli spagnoli e i portoghesi. A Occidente le due potenze iberiche avevano ormai costituito i loro imperi dotati di un’efficiente amministrazione controllata dalla madrepatria. La Spagna dominava, a partire dal Messico, tutto il versante occidentale e meridionale dell’America del Sud a cui si aggiungevano le maggiori isole delle Antille, il Portogallo aveva invece conquistato il Brasile. Il trattato di Tordesillas del 1494 aveva, come sappiamo, suddiviso verticalmente le due sfere di conquista: le terre a ovest della raya (l’immaginaria linea di divisione che attraversava l’Oceano Atlantico) spettavano alla Spagna, quelle poste a est al Portogallo. A sud e a est furono i portoghesi a fondare le prime basi commerciali lungo le coste africane occidentali e orientali, per poi conquistare Goa in India nel 1510 e Macao in Cina nel 1557, due colonie destinate a rimanere al Portogallo, rispettivamente, fino al 1961 e al 1999. Nel 1543 erano arrivati in Giappone portando le armi da fuoco e introducendo il cristianesimo. Gli spagnoli, dal canto loro, giunsero in Asia da est, dal Messico, uno dei più antichi domìni della Spagna in America, per conquistare le Filippine a partire dal 1565.
Spagna e Portogallo
Questo duplice scenario geografico subì profondi mutamenti tra gli inizi del ’600 e la fine della guerra dei Sette anni, nel 1763 [►3_5]. Altre potenze europee cominciarono infatti a contrastare l’egemonia spagnola nelle Americhe e quella portoghese in Africa e in Asia. Erano tutte potenze navali dell’Atlantico: compagnia commerciale Francia, Olanda, Gran Bretagna e Danimarca e tutte si spinsero nei due quadranti Le compagnie commerciali erano associazioni di mercanti occidentali e orientali. Inizialmente a prevalere fu il modello portoghese della fondaformate per promuovere e gestire il traffico dell’Europa zione di scali commerciali, poi presero avvio le conquiste territoriali. Col sostegno con paesi lontani, soprattutto con l’Oriente. Le compagnie degli Stati furono le compagnie commerciali dei singoli paesi sia a impiantare i correvano enormi rischi nello svolgere le loro attività: per esempio, capitava spesso che per il maltempo primi insediamenti sia a procedere nell’occupazione dei territori. Non si trattava di perdessero le navi e il loro ricco carico. In cambio, però, una pacifica competizione, ma di veri e propri conflitti per ottenere privilegi di avevano enormi privilegi: i governi concedevano loro il monopolio del commercio e il potere di occupare i territori esportazione dalle coste occupate e di guerre di rapina, sostenute dalle marine milie di amministrarli. Le principali compagnie commerciali tari, per sottrarre possessi coloniali alle potenze rivali. nacquero nel ’600 in Inghilterra, Olanda e Francia. A mano Se in un primo momento i portoghesi si erano appropriati del commercio oriena mano che i traffici divennero più sicuri, ai governi non conveniva più concedere privilegi alle compagnie e queste tale delle spezie, che per secoli era stato organizzato e controllato dagli arabi, decaddero. L’ultima a essere soppressa fu, nel 1858, la tradizionali mediatori tra l’Occidente e l’Estremo Oriente, gli olandesi prima e gli Compagnia inglese delle Indie orientali. Le altre erano inglesi poi, affacciatisi sui mari orientali all’inizio del ’600, soppiantarono proscomparse già negli ultimi decenni del ’700. gressivamente l’egemonia portoghese [► _12].
Le altre potenze navali
193
C6 l’espansione coloniale europea nel ’700
Così verso la metà del ’600 la Compagnia olandese delle Indie orientali, un’associazione di mercanti a cui il proprio governo aveva concesso il monopolio dei traffici con l’Oriente, divenne la più significativa presenza europea in Asia. I mercanti olandesi riuscirono a impadronirsi delle Molucche, le favolose isole delle spezie, della Malacca, di Sumatra e di Giava dove, a Batavia (Jakarta), fissarono la capitale del loro impero commerciale. Da lì, per quasi mezzo secolo, gli olandesi furono padroni del traffico delle spezie, in particolare della noce moscata e dei chiodi di garofano, dei quali riuscirono ad avere il monopolio assoluto. Molto meno ricca della concorrente olandese, l’inglese East India Company concentrò i propri interessi sulla costa orientale dell’India, una zona che gli olandesi avevano trascurato e dove si stavano installando anche i francesi. Successivamente l’attività fu estesa più a nord, al Bengala, ma il risultato più importante fu l’acquisizione di Bombay (1665), fondamentale nodo commerciale sulla costa occidentale indiana. L’Inghilterra importava dall’Oriente tè, caffè, salnitro, ma soprattutto tessuti – sete, cotoni, broccati. Anche l’Olanda e la Francia importavano grandi quantitativi di tessuti indiani, mettendo in allarme i produttori europei di tessuti in seta, lana e lino: ma, nonostante il tentativo di arginare le importazioni con vincoli protezionistici, le compagnie commerciali furono sempre più impegnate nell’importazione di prodotti orientali in Occidente.
Gli olandesi e gli inglesi in Asia
Nel 1673, con la cessione alla Compagnia francese delle Indie orientali del villaggio di Pondichéry, non lontano dal possedimento inglese di Madras, la Francia diede inizio al tentativo di costituire un proprio impero coloniale in India, entrando in contrasto con la Gran Bretagna nel Bengala. Lo scontro tra le due potenze si accentuò durante la guerra dei Sette anni (1756-63) e la potenza navale britannica Groenlandia
Lo scontro tra Gran Bretagna e Francia in India
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Groenlandia
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12_IL SISTEMA COLONIALE EUROPEO A METÀ DEL XVIII SECOLO
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U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
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possedimenti spagnoli possedimenti portoghesi possedimenti britannici possedimenti francesi possedimenti olandesi possedimenti danesi
possedimenti spagnoli possedimenti portoghesi possedimenti britannici possedimenti francesi possedimenti olandesi possedimenti danesi
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riuscì a sovrastare le forze francesi: gli inglesi posero l’assedio a Pondichéry e la conquistarono (1761). La Francia, sconfitta, dovette abbandonare il Bengala mentre la Compagnia britannica, rimasta sola a dominare il commercio con l’India, avrebbe poi assunto l’amministrazione del Bengala e del Bihar, trasformando così un dominio commerciale in un vero e proprio possedimento coloniale. Solo dopo la metà dell’800 la Corona britannica avrebbe assunto il diretto controllo dell’India.
bucaniere/filibustiere I due termini erano usati per indicare i corsari che facevano le loro scorrerie nel Mar dei Caraibi nel ’600. “Bucaniere” viene dal francese boucanier, a sua volta derivato probabilmente dalla parola caraibica boucan, che indicava lo strumento usato per affumicare la carne degli animali. I bucanieri, prima di darsi alla pirateria, erano stati infatti cacciatori e piantatori nelle isole caraibiche. Cacciati dagli spagnoli, avevano allestito una flotta con cui combattevano e depredavano le navi dei loro nemici. La parola “filibustiere” viene invece dallo spagnolo filibustero che deriva dall’olandese vrijbuiter, “colui che fa libero (vrji) bottino (buit)”. Il termine “filibustiere” nel linguaggio comune viene usato oggi per indicare un avventuriero senza scrupoli.
Ben più accesi e prolungati furono i contrasti tra le potenze nelle Americhe: prima nelle Antille, poi nell’America settentrionale. La Spagna aveva imposto alle sue colonie di commerciare solo con la madrepatria, ma questo monopolio fu continuamente attaccato dalla pirateria e dal contrabbando, praticati soprattutto da inglesi, olandesi e francesi. I pirati – bucanieri o filibustieri – assaltavano e depredavano le navi cariche di metalli preziosi, mentre i contrabbandieri, con la complicità delle autorità locali, smerciavano beni fortemente richiesti nelle colonie e che la Spagna non era in grado di fornire. Le numerose isole delle Grandi e Piccole Antille costituivano punti di appoggio ideali per le azioni dei pirati e dei contrabbandieri e, dal momento che gli spagnoli controllavano solo le più grandi fra esse (Cuba e Santo Domingo), olandesi, inglesi e francesi si insediarono in questa area durante il ’600. L’iniziativa fu presa come sempre dalle compagnie commerciali. Gli olandesi si stabilirono a Curaçao dal 1634 e in altre isole a ridosso dell’attuale Venezuela. La Compagnia olandese delle Indie occidentali, inoltre, amministrava sul continente la Guiana, dove alla fine del ’500 era stata introdotta la coltivazione della canna da zucchero. La Guiana fu a lungo molto contesa e, accanto agli olandesi, vi si insediarono gli inglesi e i francesi. Gli inglesi avevano possedimenti disseminati lungo tutto l’arco delle Piccole Antille, conquistati prevalentemente nella prima metà del ’600. Tra il 1625 e il 1629 si impadronirono di molte isole dell’arcipelago Bahama e nel 1655 della Giamaica, la terza per dimensioni delle Grandi Antille e grande centro di smistamento degli schiavi africani. Nello stesso periodo, i francesi occuparono alcune isole nelle Piccole Antille (fra cui Guadalupa e Martinica nel 1635) e la parte occidentale di Santo Domingo, che denominarono Haiti.
I conflitti nelle Americhe e la conquista delle Antille
I DOMÌNI COLONIALI EUROPEI
SPAGNA California, Messico e versante sud-occidentale dell’America
PORTOGALLO
OLANDA
Brasile
Molucche
Coste africane
Malacca
Metalli preziosi
GRAN BRETAGNA
India
FRANCIA
Antille
Tessuti in seta e cotone
Zucchero
Tè
Canada
Nord America
Pellicce e legname
Giava Schiavi
Filippine Macao e Goa
Spezie
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C6 l’espansione coloniale europea nel ’700
Lungo le coste orientali dell’America settentrionale gli inglesi avevano dato avvio, dai primi anni del ’600, a una serie di colonie di popolamento (deputate all’insediamento dei migranti dalla madrepatria) subentrando, in qualche caso, a svedesi e olandesi: Nieuw Amsterdam, per esempio, nel 1664 divenne New York. Riuscirono poi a unificare i loro territori, dove si rafforzò il controllo diretto della madrepatria con la nomina di un governatore e di pubblici funzionari, che cercarono di limitare le autonomie amministrative e le forme di autogoverno locale. Molto più a nord i francesi si erano insediati in Canada lungo il corso del fiume San Lorenzo: la penetrazione era stata avviata dai mercanti di pellicce che commerciavano con i pellerossa, tribù indiane per lo più nomadi che vivevano nell’area praticando caccia e allevamento. In realtà, la presenza francese fu sempre numericamente limitata, anche perché il divieto di immigrazione per gli ugonotti impedì che nella colonia giungesse la sola comunità che, come i dissidenti religiosi inglesi, cercava di espatriare per non subire le persecuzioni di cui era vittima. Nella prima metà del ’600 vennero fondate le prime importanti basi in Canada, Québec e Montréal. In seguito i francesi scesero dalla regione dei Grandi Laghi lungo il corso del fiume Ohio e nel bacino del Mississippi costruendo delle piazzeforti lungo i fiumi. La presenza francese a nord e a ovest delle colonie britanniche rese inevitabile lo scontro tra le due potenze schierate su fronti avversi nelle guerre del ’700 europeo: così la Francia, in seguito alla pace di Utrecht (1713) che poneva fine alla guerra di successione spagnola [►3_2], dovette rinunciare a Terranova e alla Nuova Scozia, riuscendo però a conservare il Canada e il controllo del bacino del Mississippi, che in onore di Luigi XIV era stato chiamato Louisiana. In seguito però, METODO DI STUDIO al termine della guerra dei Sette anni (1763), che in America è ricordata come la a Cerchia con colori differenti i nomi degli Stati e delle relative compagnie commerciali che intrapreFrench and Indian War (per l’alleanza franco-indiana in funzione antibritannica), sero l’avventura coloniale. Quindi, mantenendo la Gran Bretagna ottenne dalla Francia il Canada e i territori della Louisiana a est gli stessi colori, sottolinea i nomi dei territori da essi colonizzati ed evidenzia le merci oggetto del del Mississippi e dalla Spagna la Florida [►3_8]. Da parte sua la Spagna ricevette in commercio. Infine, scrivi al lato del testo le date di cambio la Louisiana a ovest del Mississippi con Nuova Orléans. I domìni francesi in riferimento per ogni impresa coloniale individuata. America erano ormai ridotti alle isole delle Antille, mentre la Gran Bretagna con b Spiega in cosa consiste il “modello” olandese quistava una indiscussa egemonia territoriale nel Nord America [► _13]. e quale fu, invece, il modello prevalente.
Britannici e francesi nel Nord America
6_2 LO STATO CRISTIANO-SOCIALE DEI GESUITI
► Leggi anche: ► Storia e Cinema Mission di Joffé
Nel panorama delle conquiste europee dell’America meridionale una vicenda unica e irripetuta fu la costituzione dei cosiddetti Stati missionari. Fin dall’inizio della penetrazione spagnola, fu evidente la violenta contrapposizione tra la brutale politica di sfruttamento degli indigeni operata dai colonizzatori e i tentativi di protezione offerti da alcuni ordini religiosi. La difesa di popolazioni considerate come destinatarie privilegiate del messaggio evangelico non era possibile se non isolando gli indios dai colonizzatori spagnoli. In questa concezione convivevano problemi reali e utopie teocratiche. I più attivi e i più risoluti nel realizzare questo disegno furono i gesuiti. Nella regione del Paraguay, tra 1610 e 1628, furono istituite tredici comunità o riduzioni (reducciones) nelle quali vivevano oltre 100 mila indios, in prevalenza guaraní. Le riduzioni erano organizzate sui princìpi dell’eguaglianza sociale e della comunità dei beni, nel tentativo di costituire una vera e propria repubblica cristiana dove i princìpi evangelici venissero concretamente vissuti. Presto questi villaggi bene organizzati divennero obiettivo dei bandeirantes, meticci brasiliani provenienti dai terriPianta della riduzione di San Carlo tori di San Paolo, cacciatori di schiavi, che consideravano L’impianto urbano di tutte le riduzioni gesuite era caratterizzato una preda molto ambìta gli indios convertiti, educati e già dal ruolo dominante della chiesa e della piazza, intorno alla quale si allineavano ordinatamente le abitazioni dei guaraní. addestrati al lavoro. In pochi anni ne furono catturati circa
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Le comunità gesuite
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
La chiesa di São Miguel das Missões [São Miguel das Missões, Brasile] Una esperienza unica nella colonizzazione americana fu quella realizzata dai missionari, in particolare dai gesuiti. La chiesa barocca di São Miguel das Missões, in Brasile, è ciò che rimane dell’omonima riduzione attiva fra il 1632 e il 1768. Dal 1984, queste rovine sono entrate a far parte dell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco.
60 mila. Le riduzioni furono costrette a spostarsi più a sud, oltre le cascate dell’Iguazú, dove la difesa era più agevole. Altrove, nelle zone dei fiumi Uruguay e Rio Grande do Sul, i gesuiti organizzarono una risposta armata e nel 1641 sconfissero le truppe dei bandeirantes. Passate alla storia come tentativo di dar vita a forme di colcollettivismo lettivismo economico-sociale a base religiosa o come reaUn sistema economico e sociale in cui la proprietà e i mezzi di produzione appartengono alla collettività. lizzazione di uno “Stato ideale della Controriforma”, le riduzioni gesuite furono per oltre un secolo e mezzo un grandioso esperimento “culturale” e sociale. Un esperimento che mirava non solo a convertire al cristianesimo popolazioni primitive, ma a educarle al lavoro agricolo e artigianale e a una nuova organizzazione di vita. Per energia, inventiva e adattabilità alle circostanze, i gesuiti non avevano rivali tra gli ordini religiosi. L’introduzione delle più avanzate tecnologie occidentali fu favorita da un’abile politica educativa, nel rispetto delle tradizioni indigene. Così l’addestramento al lavoro non fu forzato, ma seguì le vie della competizione e del gioco, mentre l’organizzazione della comunità vide convivere l’autorità tradizionale dei capitribù con una rappresentanza municipale eletta. Giocavano inoltre a favore dei gesuiti fattori magici e rituali, che consentivano loro di mantenere un rigido controllo sulle comunità indie. Obiettivo e condizione di sopravvivenza delle riduzioni era tenerle lontane dalla “civiltà” e controllarne le relazioni umane e commerciali. Questo filtro e questa mediazione suscitarono presto l’ostilità dei coloni europei delle zone costiere, che vedevano ostacolati i propri metodi di impiego della manodopera e le proprie regole di mercato. Lo Stato cristiano-sociale dei gesuiti non sarebbe potuto sopravvivere senMETODO DI STUDIO za il consenso dell’autorità civile. Ma quando nel 1750 la Spagna cedette al a Individua ed evidenzia le parole chiave Portogallo i territori del Paraguay dove erano situate le riduzioni, gli indios, soche secondo te definiscono i seguenti aspetti delle stenuti dai gesuiti, opposero una resistenza armata. Questo fatto, unito all’avcomunità gesuite: a. organizzazione e controllo soversione per i gesuiti e per il loro “Stato sacerdotale”, fornì al primo ministro ciale; b. religione; c. organizzazione economica; d. finalità; e. nemici; f. esiti. portoghese, il marchese di Pombal, il pretesto per la chiusura delle riduzioni. b Realizza un grafico a stella al cui centro ci Due anni dopo la Compagnia di Gesù sarebbe stata soppressa in Portogallo e sia la scritta reducciones e al termine dei raggi sianel 1767 lo sarebbe stata in Spagna. Espulsi i gesuiti da tutti i territori portono inserite le parole chiave relative ai temi indicati nell’esercizio precedente. Scrivi quindi una breve ghesi e spagnoli, chiuse le missioni, ebbe termine questo singolare tentativo di didascalia descrittiva. “acculturazione”.
Evangelizzazione ed educazione al lavoro
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C6 l’espansione coloniale europea nel ’700
6_3 LA TRATTA DEGLI SCHIAVI E IL COMMERCIO TRIANGOLARE ATLANTICO
L’economia delle Americhe era stata caratterizzata in un primo, lungo periodo, essenzialmente dall’esportazione dei metalli preziosi, oro e argento, dalle colonie spagnole. Si è calcolato che dal 1500 al 1660 furono introdotte in Europa 181 tonnellate d’oro e 16 mila tonnellate d’argento, pari al 25% dell’intera disponibilità europea. L’argento americano contribuì ad aumentare in misura rilevante le risorse finanziarie della Corona spagnola, ad accrescere la circolazione monetaria in Europa e a consentire gli acquisti sui mercati dell’Estremo Oriente.
I metalli preziosi
Nella seconda metà del ’500 si affermò anche il sistema agricolo delle piantagioni. La piantagione era una grande proprietà terriera dedita in genere a una sola coltura: canna da zucchero, cacao, caffè, cotone, tabacco, tutti prodotti destinati all’esportazione. Questo tipo di sfruttamento della terra si diffuse nelle zone lungo le coste dell’Oceano Atlantico, come il Brasile e la Guiana, e nelle Antille. Il sistema delle piantagioni era approdato in America Latina con l’inizio della coltivazione della canna da zucchero in Brasile. Originaria del Golfo del Bengala in India, la canna da zucchero aveva percorso un lungo viaggio verso ovest, attraverso il Medio Oriente, Cipro e la Sicilia. Dalla seconda metà del ’400 era coltivata nelle isole atlantiche portoghesi a ridosso dell’Africa (Madera, Azzorre, Canarie) dove si impiegava il lavoro degli schiavi africani. Di lì la canna da zucchero varcò l’oceano e si affermò in Brasile nella seconda metà del ’500. Per la coltivazione della canna da zucchero sono necessari un clima caldo-umido, energia idrica o animale, legname, capitali per i mulini di spremitura e una larga disponibilità di manodopera da impiegare soprattutto nella raccolta. I portoghesi disponevano dei capitali occorrenti per le macchine, il Brasile forniva tutto il resto ma non la manodopera. Gli indios, infatti, dove non erano stati decimati, erano considerati troppo ostili o fisicamente inadatti al lavoro pesante, organizzato e disciplinato delle piantagioni.
Il sistema agricolo delle piantagioni e la canna da zucchero
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La tratta degli schiavi
Così cominciarono a essere importati schiavi neri dall’Africa [►FS, 46]. Gli insediamenti portoghesi sulle coste africane operavano come centri di raccolta verso i quali venivano convogliati i neri fatti prigionieri in azioni di guerra o in razzie
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
► Leggi anche: ► Storia e Geografia Il viaggio degli schiavi ► Fare Storia Il commercio degli schiavi: la tratta atlantica e la rivoluzione commerciale, p. 219
Una raffineria di zucchero in Brasile 1667 [da Joan Blaeu, Geographia, Nationalbibliothek, Vienna] Fonte di inesauribile ricchezza per i coloni europei, la produzione di zucchero richiedeva un duro lavoro sia nelle piantagioni che nelle raffinerie. La manodopera era assicurata quasi esclusivamente da schiavi neri importati dall’Africa. Gli engenhos do assucar – di cui l’immagine riproduce in primo piano il mulino (engenho) di spremitura della canna da zucchero – erano complessi che comprendevano anche la casa del colono, o “casa grande”, e le baracche degli schiavi o senzales.
VI
CE R
nell’interno. Gli schiavi erano in primo luogo vittime delle guerre fra gli Stati i diversi clan e tribù, ed era proprio la loro condizione di prigionieri di guerra a giustificarne la schiavitù. Del resto non furono gli europei a introdurre la schiavitù, che era invece una istituzione già diffusa in Africa [►FS, 43] e alimentata dalla domanda del mondo arabo. Gli europei diedero invece nuovo sviluppo a questo mercato tradizionale offrendo, in cambio degli schiavi, prodotti molto ambiti, come tessuti, chincaglieria, ferramenta minuta, coltelli, ma soprattutto armi da fuoco e cavalli. A questi prodotti si aggiunse in seguito l’alcool, in particolare il rhum.
ME DEL PERÙ EA
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I portoghesi, che controllavano nel ’500 questi scambi, imbarcavano schiavi in Africa, li vendevano in America e riportavano in Europa le navi cariche di zucchero o di melassa: così i traffici legati allo zucchero si configuravano come un commercio triangolare, che sarebbe divenuto caratteristico melassa dell’intero sistema commerciale atlantico [►FS, 44d e 45]. L’economia delle LE AMERICHE E IL COMMERCIO TRIANGOLARE ATLANTICO (17 Sciroppo ottenuto dalla lavorazione della canna da zucchero piantagioni – non solo di canna da zucchero, ma anche di caffè, tabacco, cotone –, o, in seguito, della barbabietola, che non si cristallizza nonostante l’alto contenuto di saccarosio. La melassa fondata sul lavoro degli schiavi, presto si diffuse dal Brasile ad altre zone dell’A- possedimenti: di canna viene impiegata nei processi di fermentazione merica: prima le Antille e poi l’America del Nord. Data l’elevata mortalità degli britannici olandesi danesi perspagnoli la produzione del rhum, quella di barbabietola per la portoghesi missioni gesuit schiavi nelle piantagioni – nelle quali la speranza di vita non superava i dieci produzione della birra efrancesi del lievito di birra. russi anni –, la manodopera nera andava continuamente rinnovata. La forzata
Il commercio triangolare
LE AMERICHE E IL COMMERCIOTRIANGOLARE ATLANTICO (1763)
13_LE AMERICHE E IL COMMERCIO TRIANGOLARE ATLANTICO (1763)
possedimenti: possedimenti spagnoli possedimenti portoghesi possedimenti britannici possedimenti francesi possedimenti olandesi possedimenti russi possedimenti danesi missioni gesuite
GROENLANDIA TERRITORI DEL NORD-OVEST
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TERRA DEL CAPO (SUDAFRICA)
Nel corso del ’700, con la progressiva erosione dei domìni coloniali della Francia, si consolidò l’egemonia mondiale della Gran Bretagna. Un’egemonia fondata sulla supremazia della marina militare, ma soprattutto sul dominio britannico nel commercio triangolare atlantico.
C6 l’espansione coloniale europea nel ’700
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LE AMERICHE E IL COMMERCIO TRIANGOLARE ATLANTICO (1763)
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OCEANO PACIFICO
ANGOLA
IL COMMERCIO TRIANGOLARE
partono navi cariche di
EUROPA
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per
AFRICA
esportati in Zucchero, tabacco, caffè, cotone
scambiati con
e scambiati con
Piantagioni
Schiavi prigionieri di guerra portati in
impiegati nelle AMERICA
immigrazione degli africani – si calcola che ne furono “importati” da 10 a 12 milioni tra il 1525 e il 1867 – non solo produsse durature trasformazioni nelle strutture sociali ed economiche, ma diede luogo a una vera e propria rivoluzione etnica e demografica. Quando, agli inizi dell’800, fu possibile tracciare un quadro statistico della popolazione americana, risultò che i neri di origine africana erano la componente etnica più numerosa in Brasile (dove la schiavitù fu abolita solo nel 1888) e di gran lunga maggioritaria nelle Antille. Naturalmente molti altri paesi europei e singole città portuali partecipavano al sistema di commercio triangolare atlantico iniziato dai portoghesi. La città libera di Amburgo si era specializzata come mercato delle spezie e dello zucchero mentre Nantes e Bordeaux, in Francia, si svilupparono grazie alla tratta degli schiavi trasportati sulle loro navi. Ma era la potenza navale britannica a crescere a spese delle altre nazioni marittime. Questo predominio si accrebbe lungo tutto il ’700. In uno dei settori più importanti, quello del commercio degli schiavi, la Gran Bretagna aveva ottenuto con la pace di Utrecht del 1713 il monopolio della tratta verso le colonie spagnole, l’asiento de negros, che mantenne fino al 1750 [►3_8]. L’asiento (“accordo”), che prevedeva una “fornitura” di 4800 schiavi l’anno, fu stipulato con una compagnia commerciale britannica. Prima dell’accordo con la compagnia
Il predominio britannico
200
Una nave negriera [Bibliothèque Nationale, Parigi] In questa anonima incisione viene descritto il metodo “migliore” per stivare nelle navi gli schiavi neri provenienti dall’Africa. Prima della partenza, il carpentiere di bordo aveva il compito di predisporre la stiva per alloggiare gli schiavi in modo tale da poterne imbarcare il maggior numero possibile. A tribordo (il fianco destro della nave) venivano alloggiati col sistema “a cucchiaio”, ossia girati in avanti e incastrati l’uno di fronte all’altro; a babordo (il fianco sinistro della nave), invece, venivano girati all’indietro affinché potessero respirare più facilmente.
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
britannica gli spagnoli, che non praticarono mai direttamente il commercio degli schiavi, avevano concesso l’asiento a mercanti genovesi e tedeschi, poi a compagnie portoghesi e, dal 1701, francesi. Questo commercio “ufficiale” rappresentava comunque solo una piccola parte della tratta complessiva, alla quale partecipavano molti armatori inglesi soprattutto delle città portuali di Bristol e Liverpool. Anche le colonie britanniche del Nord America entrarono stabilmente in questo circuito: esse, infatti, erano favorite rispetto all’Europa da una minore distanza dalle Antille e da una capacità produttiva che era in grado di soddisfare non solo la domanda europea – tabacco e cotone –, ma anche quella dei Caraibi e dell’America spagnola e portoghese – grano, pesce e legname da costruzione. Erano inoltre importatrici di schiavi neri dall’Africa e di melassa dalle Antille.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea, con colori diversi, le parti del testo che rispondono alle seguenti domande: a. Quale sistema produttivo è legato alla coltivazione della canna da zucchero? b. Quali sono le condizioni necessarie per la coltivazione di questa pianta? c. Quale relazione è possibile individuare fra la coltivazione della canna da zucchero e la tratta degli schiavi? b Realizza sul quaderno uno schema che rappresenti il commercio triangolare indicando ai suoi vertici i continenti coinvolti negli scambi e sui lati le merci interessate. Con una freccia esplicita la direzione dei commerci (da un continente verso l’altro). c Spiega in cosa consiste l’asiento de negros.
6_4 L’EGEMONIA BRITANNICA
E LA CONQUISTA DELL’AUSTRALIA
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«Il commercio è la ricchezza del mondo; il commercio stabilisce le differenze tra ricchi e poveri, tra una nazione e l’altra; il commercio alimenta l’industria, l’industria genera il commercio; il commercio dispensa la naturale ricchezza del mondo, e il commercio fa sorgere nuove forme di ricchezza.» Non sorprende che l’autore di questo elogio del commercio (A Plan of the English Commerce, 1728) fosse uno scrittore e saggista inglese come Daniel Defoe, autore delle celebri avventure di Robinson Crusoe (1719). La Gran Bretagna si avviava a diventare infatti la principale potenza commerciale mondiale: agli inizi del ’700 aveva già conquistato il quasi monopolio negli scambi con il Portogallo e il Brasile, mantenendo una posizione privilegiata nel commercio con i domìni spagnoli. Primeggiava anche nell’attività di riesportazione di molti prodotti coloniali. Inoltre quando, a partire dalla seconda metà del ’700, il cotone grezzo delle piantagioni americane (Antille e Nord America) si inserì nel commercio triangolare, un mercato di vendita su scala mondiale era già pronto per i tessuti di cotone dell’industria inglese. Quale fu il contributo delle attività commerciali al successivo sviluppo industriale in Gran Bretagna prima e poi nel resto dell’Europa? Più che l’entità dei profitti e l’accumulazione dei capitali, di cui sono incerti la misura e l’apporto diretto, contarono la conquista dei mercati mondiali e il controllo delle materie prime realizzati nel ’600 e ’700. Fu lo sviluppo economico basato sulla rivoluzione tecnologica occidentale ad accentuare le differenze – fino ad allora poco sensibili a livello di reddito pro capite (per abitante) – fra l’Europa e i grandi imperi asiatici. In confronto a un’Asia stazionaria nei redditi, l’Europa diventerà sempre più ricca: una distanza, la “grande divergenza”, che prefigurerà quella contemporanea fra paesi industrializzati e paesi arretrati o in via di sviluppo fino agli ultimi anni del ’900.
L’imperialismo commerciale e lo sviluppo industriale
► Personaggi Cook e l’esplorazione dell’emisfero australe, p. 202
Dominatrice degli oceani, la Gran Bretagna si avviò anche a conquistare terre inesplorate agli antipodi dell’Europa come l’Australia. Fino all’insediamento degli europei nel ’700, l’Australia era restata completamente esclusa dai processi di civilizzazione che avevano trasformato il pianeta. In questo continente, di gran lunga il più arido, il più piccolo, il meno fertile, il meno popolato e il più povero di risorse biologiche, gli indigeni vivevano in età moderna ancora senza agricoltura e allevamento, non usavano archi e frecce, non avevano villaggi permanenti, né conoscevano la scrittura o qualche forma di organizzazione politica. Gli aborigeni australiani erano cacciatori-raccoglitori nomadi, riuniti in bande, che utilizzavano ancora strumenti di pietra. Scoperta nel 1642 dall’olandese Abel Tasman, l’Australia era conosciuta come Nuova Olanda. Ma dopo che il capitano James Cook ne ebbe esplorato le coste orientali nel 1770, gli inglesi si stabilirono in alcune zone costiere, soprattutto nel Sud-Est, che furono
La conquista e il popolamento britannici dell’Australia
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C6 l’espansione coloniale europea nel ’700
PERSONAGGI
Cook e l’esplorazione dell’emisfero australe
J
ames Cook (1728-1779), il più grande esploratore del XVIII secolo, nacque da un’umile famiglia contadina, nella contea inglese dello Yorkshire. A segnare la sua vita fu la passione per il mare, che lo spinse ad imbarcarsi come mozzo su una nave carboniera, in servizio fra l’Inghilterra e il Mare del Nord. Arrivato ad ottenere il comando di una nave, Cook, con un colpo di testa, abbandonò la marina mercantile per arruolarsi come soldato semplice nella marina militare, poco prima dello scoppio della guerra dei Sette anni (1756-63). La scelta avrebbe cambiato il corso della sua vita. Inviato in Canada, uno dei teatri dello scontro tra Francia e Inghilterra, diede un contributo prezioso alle operazioni militari: grazie all’esplorazione del fiume San Lorenzo le navi inglesi ne risalirono il corso, riuscendo a cogliere di sorpresa le truppe francesi e a conquistare la città di Québec. Del Canada, ormai dominio inglese, Cook per cinque anni curò la cartografia delle coste, mentre si impegnava con determinazione a studiare da autodidatta matematica e astronomia. I suoi diari di bordo, scritti in uno stile scarno e asciutto, privo di retorica, ne ricostruiscono le spedizioni, e mettono in luce le sue capacità organizzative, il suo spirito prati-
co, la sua abilità come marinaio, che gli consentì di navigare in stagioni ostili, a latitudini inesplorate, con navi a vela vulnerabili alle tempeste, ai forti venti, alle correnti, affrontando le navigazioni più lunghe e ardue che mai fossero state compiute. Grazie all’esperienza in Canada Cook fu scelto dall’Ammiragliato inglese e dalla Royal Society come comandante di una spedizione nel Pacifico, l’oceano a cui più resterà legato il suo nome. Due gli obiettivi, scientifici e commerciali: osservare dall’isola di Tahiti il passaggio di Venere fra il Sole e la Terra e rinnovare la ricerca della Terra Australis – il vasto e compatto continente che le teorie geografiche, da Tolomeo in avanti, indicavano come la terra ancora ignota che occupava gran parte dell’emisfero meridionale. Salpato nel 1768, Cook tornò in patria dopo tre anni, con un ricco bottino: dopo la sua esplorazione della Nuova Zelanda (di cui dimostrò l’insularità) e delle coste orientali dell’Australia (già scoperte nel ’600 da navigatori olandesi) si ruppe definitivamente l’isolamento di queste regioni, che entrarono a far parte dei domìni coloniali inglesi. Della Nuova Zelanda Cook compilò una precisa cartografia delle coste. In Australia, nonostante
le difficoltà della barriera corallina, riuscì a sbarcare, il 29 aprile 1770, a Botany Bay (divenuta poi parte di Sydney) per prenderne possesso in nome del re inglese Giorgio III. All’esito positivo del primo viaggio seguì il comando di una seconda spedizione, che segnò un ulteriore progresso nelle conoscenze geografiche e scientifiche: fu la prima circumnavigazione del globo a spingersi così a sud, varcando il Circolo Polare Antartico. Se i pericoli della navigazione, fra iceberg e venti violenti, resero impossibile avvicinarsi al Polo Sud, Cook riuscì ad intuire l’estensione dell’Antartide, ben più vasta di quella del Polo Nord. Dopo un’esplorazione così ampia poté mettere fine alla ricerca della Terra Australis, dichiarando con piglio illuminista che il conOCEA N Ogeotinente, così come era descritto dai grafi antichi, era un’invenzione I N D I priva A N O di fondamento. Non solo questo fu il risultato del viaggio, che proseguì approdando in isole e arcipelaghi da tempo non più visitati o ancora da scoprire: le isole Tonga, le Marchesi, le Figi, le Nuove Ebridi, l’isola di Pasqua, la Nuova Caledonia. Con la quantità di osservazioni raccolte, Cook realizzò una mappatura dell’emisfero australe, che permise una navigazione più sicura e aprì nuove rotte commerciali a beneficio dell’Inghilterra. Al
14_LE ROTTE DEI VIAGGI DI COOK
OCEANO ATLANTICO
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OCEANO INDIANO
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OCEANO PA C I F I C O
primo viaggio: spedizione nel Pacifico alla ricerca della Terra Australis (1768-71) secondo viaggio: spedizione alla ricerca della Terra Australis e mappatura dell’emisfero australe (1772-75) terzo viaggio: spedizione alla ricerca del passaggio di Nord-Ovest (1776-79) rotta dell’equipaggio dopo la morte di Cook
Le navi di Cook alla fonda nella Baia di Huahine durante la terza spedizione [National Maritime Museum, Greenwich, Londra] A partire dal ’600, il brigantino subì alcune importanti modifiche strutturali: gli scafi divennero più lunghi e affinati; la carena della nave venne foderata di rame; la superficie delle vele venne accresciuta con l’introduzione di velacci e
controvelacci nonché delle rande, utilizzate per meglio stringere il vento. Il modello del brigantino si affermò quindi come uno dei più affidabili per la navigazione oceanica, che copriva distanze lunghissime e prevedeva viaggi della durata di anni. Nello specifico, le navi utilizzate da Cook erano “brigantini a palo”: oltre agli alberi di prua (“trinchetto”) e di poppa (“maestro”), entrambi provvisti di vele quadre, questo modello era dotato
di un terzo albero, detto “poppiero”, provvisto di rande. Lungo circa 30 metri e largo 10, la stazza del brigantino variava dalle 150 alle 300 tonnellate; non mancavano però eccezioni, come quella dell’Endeavour, la cui stazza raggiunse le 370 tonnellate, perché, oltre agli uomini dell’equipaggio, furono imbarcati anche numerosi scienziati, botanici, astronomi e disegnatori con i rispettivi strumenti di lavoro.
successo dei viaggi di Cook contribuì in maniera non secondaria il tipo di imbarcazione prescelto: il brigantino. Figlio del secolo dei Lumi, Cook applicò nel campo della navigazione un approccio razionalista, come dimostra la metodicità con cui preparava le spedizioni, documentandosi sui viaggi precedenti, seguendo i lavori di allestimento delle navi, cercando per quanto possibile di prevenire i pericoli della navigazione e di mantenere in salute l’equipaggio. Riconoscendone le competenze scientifiche, la prestigiosa Royal Society lo accolse come socio, sancendo definitivamente l’ascesa sociale dell’esploratore, figlio di un bracciante, che aveva compiuto studi da autodidatta. Provato da quasi trent’anni ininterrotti di navigazione, quasi cinquantenne, Cook avrebbe potuto ritirarsi a dirigere l’ospedale militare di Greenwich, ma accettò la nuova sfida propostagli dall’Ammiragliato: cercare il passaggio di Nord-Ovest, la rotta fra Oceano Atlantico e Pacifi-
co, a nord del Canada, che doveva mettere in comunicazione più velocemente Europa e Asia. Salpato nel 1776, Cook risalì le coste occidentali del Nord America e, esplorate le coste dell’Alaska, cominciò a percorrere lo Stretto di Bering. Le difficoltà della navigazione a queste alte latitudini, l’assenza di scali in cui sostare lo costrinsero a tornare indietro (solo nel 1906, più di un secolo dopo, la spedizione del norvegese Amundsen riuscì a percorrere tutta la tratta). Sulla via del ritorno Cook si fermò nuovamente alle Hawaii, scoperte nel viaggio di andata. Casualmente l’arrivo coincise con le celebrazioni per l’anno nuovo, dedicate al dio Lono, che secondo il mito tornava ciclicamente sulle isole causando la rinascita della natura. Le soste di Cook si inserirono, inconsapevolmente, nella narrazione cosmologica della cultura hawaiana: il capitano fu associato a Lono, e come tale venerato. Lasciate le isole fra gli onori, con le navi cariche di doni, Cook fu costretto a un
repentino ritorno, a seguito di una tempesta. Non sapeva che gli sarebbe stato fatale. Il ritorno questa volta non era in sintonia con il ciclo rituale, dunque era inspiegabile agli occhi della popolazione che lo percepì come un minaccioso tentativo di conquista. Un banale furto ai danni delle navi fu la causa dell’incidente in cui Cook fu pugnalato a morte. Persino la sua uccisione, però, si accordava al mito di Lono, che, spogliato dei suoi poteri, veniva sostituito dalla figura umana del re guerriero. Cook morì come un dio hawaiano, e come tale continuò ad essere celebrato per oltre un secolo, mentre oltreoceano cominciava a circolare la leggenda nera del Pacifico, non più visto come un Eden abitato da popolazioni innocenti e incorrotte. Anche a Cook dobbiamo l’immagine del mondo nella forma in cui la conosciamo, che oggi ci appare scontata, ma è frutto di una secolare storia di scoperte, esplorazioni, incidenti e false credenze.
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C6 l’espansione coloniale europea nel ’700
Thomas Gosse, L’accampamento degli scienziati di Cook a Port Jackson presso Botany Bay 1770 [National Maritime Museum, Greenwich, Londra] Botany Bay è una baia situata pochi chilometri a sud dell’odierna Sydney in Australia. James Cook vi giunse con la sua nave Endeavour nel 1770 segnando l’inizio della colonizzazione britannica delle coste australiane. Inizialmente chiamata Stingray Harbour, la baia fu ribattezzata con il nome con cui è ancora oggi conosciuta per via delle innumerevoli specie di piante raccolte e catalogate da Joseph Banks, botanico della spedizione.
dapprima adibite a colonie di deportazione (per i detenuti della madrepatria) e solo successivamente divennero colonie di popolamento. Il primo gruppo di deportati, imbarcati in Inghilterra, arrivò in Australia nel 1788: il 26 gennaio una flotta di undici vascelli con a bordo 1030 persone, di cui 548 prigionieri uomini e 188 donne, entrò nella Baia di Sydney. Erano per lo più giovani, in gran parte colpevoli di piccoli furti, che la durissima giustizia penale britannica aveva condannato a morte e poi graziati. Divennero i protagonisti di un esperimento mai tentato prima da uno Stato: organizzare un insediamento, lontano dalla patria, dove confinare i “criminali” recidivi e considerati più pericolosi. Tra 1788 e 1853, quando vennero interrotte le deportazioni, oltre 160 mila prigionieri, tra cui circa 24 mila donne, erano stati trasferiti con la forza dalla Gran Bretagna in Australia.
La nuova società australiana
Solo una minima parte di questa massa di deportati (circa il 10%) fu reclusa nei famigerati stabilimenti penali (Norfolk Island, Port Arthur, Macquarie Harbour, Moreton Bay), dove soprusi, violenze e torture costituivano terribili esperienze
quotidiane. La maggior parte dei prigionieri venne in realtà utilizzata per svolgere lavori obbligatori per i coloni liberi o fu fatta lavorare alle dirette dipendenze del governo: essi non conobbero dunque la reclusione, ottennero dopo un periodo la semilibertà e spesso, scontata la pena, riuscirono a integrarsi nella società coloniale. Così, progressivamente, cominciò a consolidarsi una nuova società, caratterizzata dalla formazione di un singolare ceto medio costituito dai discendenti dei detenuti, con propri valori e un dinamico spirito imprenditoriale. E fu anche per la mobilitazione di queste nuove generazioni nate in Australia, che non gradivano il marchio di deportato e non tolleravano la concorrenza della manodopera coatta, che la Gran Bretagna decise nel 1853 di interrompere definitivamente la deportazione dei “criminali” nell’isola.
METODO DI STUDIO
a Rispondi alle seguenti domande: a. In che modo la Gran Bretagna, all’inizio del ’700, divenne la principale potenza commerciale a livello planetario? b. Quali effetti produsse, a livello globale, l’affermazione commerciale ed economica della Gran Bretagna nel ’600 e nel ’700? b Spiega in cosa consiste la “grande divergenza”. c Sottolinea, con colori diversi, le caratteristiche degli abitanti dell’Australia prima e dopo l’arrivo dei britannici.
6_5 CONQUISTE E AMBIENTE
L’espansione e colonizzazione europea negli altri continenti, soprattutto nelle Americhe e in Australia (e in seguito in Nuova Zelanda), comportò non solo la distruzione delle originarie organizzazioni sociali e nuove forme di dominazione, ma anche uno scambio biologico che trasformò radicalmente l’ecosistema dei nuovi mondi. Fu uno scambio reciproco anche se ineguale che arricchì l’Europa ma penalizzò duramente i nuovi mondi nei quali si diffusero, oltre all’impressionante numero di uomini e donne europei, specie animali e vegetali dell’Europa in forma davvero invasiva. Mentre sono largamente conosciuti gli apporti dalle Americhe – come la patata e il mais (inoltre il caffè, il cotone, la canna da zucchero, il tabacco) e, fra le malattie, la sifilide –, meno noti sono i 204
L’imperialismo ecologico
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
► Leggi anche: ► Il libro A.W. Crosby, Imperialismo ecologico ► Focus Prodotti e mode “coloniali”: caffè e tè ► Laboratorio di cittadinanza La tutela della biodiversità, p. 209 ► Storia e Ambiente L’imperialismo ecologico: piante, animali e malattie, p. 242
cambiamenti che nella flora, nella fauna e in genere sul piano biologico il Vecchio Mondo ha determinato nel Nuovo. L’analisi di questa diversa espansione europea consente di parlare di un vero e proprio imperialismo ecologico. Gli agenti di questo imperialismo furono in primo luogo i virus e i batteri delle malattie europee che si diffusero non solo dove il contatto con le popolazioni indigene era costante, come in Messico e nelle Antille, ma anche dove fu più occasionale e limitato, come con i pellerossa del Nord America, prima ancora degli insediamenti stabili europei. L’affezione più letale fu il vaiolo, ma si rivelarono micidiali gran parte delle malattie infettive, anche quelle non più mortali per gli europei, come il morbillo. Una straordinaria capacità di riprodursi ebbero anche le erbe infestanti di origine europea, arrivate con le navi e mescolate alle sementi. Nelle zone a clima temperato i semi portati dal vento crearono distese sterminate di trifoglio, piantaggine, gramigna, e altro. Nonostante il nome, la loro funzione è tutt’altro che negativa: esse, da un lato, proteggono il suolo dall’inaridimento, dall’altro, rinnovano il manto erboso, dando vita a ricchi pascoli. Furono queste erbe a costituire l’alimentazione del bestiame importato dall’Europa e a permettere la sua moltiplicazione senza limiti. L’America, l’Australia e la Nuova Zelanda, infatti, non conoscevano i cavalli, i bovini, le pecore, le capre e i maiali: tutte queste specie si diffusero a velocità crescente, soprattutto allo stato brado. Il clima era favorevole e i pascoli abbondanti. Inoltre, in questi nuovi mondi mancavano animali predatori di taglia suffi- La raccolta delle patate XVI sec. [da Huamán Poma de Ayala, Nueva Corónica y Buen cientemente grande da insidiare il bestiame europeo. Gobierno; Det Kongelige Bibliotek, Copenaghen] Clima e ambiente simili a quelli europei, uniti alla scarsità delle popo- Quella della patata era una delle coltivazioni più diffuse del lazioni indigene (i pellerossa del Nord America, gli aborigeni dell’Au- Nuovo Mondo. Fino al XVIII secolo, però, non fu introdotta in Europa se non in orti botanici come specie esotica. stralia, i maori della Nuova Zelanda), favorirono il dilagare della emigrazione europea nelle zone temperate a nord e a sud dei Tropici a partire dai primi decenni dell’800. Tra 1820 e 1930 oltre 50 milioni di europei si trasferirono in America e Oceania: una cifra che equivale a circa un quinto di tutta la popolazione dell’Europa agli inizi di quel periodo. Questo immenso flusso migratorio stimolò lo sviluppo demografico dei nuovi continenti ma anche dell’Europa, proprio grazie alla maggiore disponibilità di risorse: tra 1750 e 1930 la popolazione totale di America e Oceania aumentò di almeno 14 volte contro una media, nel resto del mondo, non superiore a due volte e mezza, mentre tra 1840 e 1930 la popolazione europea si accrebbe a un tasso doppio rispetto ad Asia e Africa. Il risultato compiuto di questo imperialismo ecologico, che unì microbi, piante, animali e uomini europei, è rappresentato dal fatto che oggi tra i maggiori esportatori di derrate alimentari di origine europea si annoverano proprio quei paesi – come gli Stati ecosistema Uniti, il Canada, l’Argentina, l’Uruguay, l’Australia e la Nuova Zelanda – che cinL’ecosistema è l’insieme degli organismi viventi e delle que secoli fa non conoscevano gli animali tipici delle forme di allevamento eusostanze non viventi che interagiscono in un’area delimitata, per esempio un lago, uno stagno, un prato, ropeo, né i cereali del Vecchio Mondo (frumento, orzo, segale).
Erbe, bestiame e uomini
L’Europa invece, mentre assimilava le novità colturali e aliNuovi consumi mentari delle Americhe, continuò come in passato a essere esposta soprattutto alle epidemie provenienti dall’Asia: se nel ’700 sparì la peste, nell’800 si diffuse il colera. Ma i contatti con le altre culture erano anche destinati a modificare profondamente i consumi voluttuari e gli stili di vita in Europa. Seguendo l’esempio degli arabi e dei turchi, intorno al 1600 gli europei cominciarono a bere il caffè, quando già da un secolo questa abitudine si era diffusa
un bosco. Non sempre un ecosistema è completamente chiuso, ma può avere relazioni con altri ecosistemi, che spesso favoriscono reciproche trasformazioni dell’ambiente. Gli storici, in genere, si occupano di ecosistemi in relazione alle condizioni di vita degli uomini. Associano, dunque, il concetto di ecosistema allo studio di regioni o interi continenti proprio per comprendere meglio i condizionamenti dell’ambiente sull’evoluzione delle comunità umane, o, viceversa, per esaminare l’influenza della vita umana sull’ambiente.
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C6 l’espansione coloniale europea nel ’700
Léonard Defrance, Visita alla manifattura del tabacco XVIII sec. Il tabacco fu tra le nuove colture “voluttuarie” (non di prima necessità) che vennero coltivate in Europa e che rapidamente si diffusero. In molti paesi, tuttavia, i governi intervennero presto per limitarne il consumo, a causa della sua nocività, imponendo alte tasse: in Francia, per esempio, il tabacco diventò monopolio di Stato già nel 1674.
nei paesi islamici. Nel 1652 venne aperto il primo caffè a Londra, dieci anni dopo ne fu inaugurato uno anche ad Amsterdam. Poco più tardi, nel ’700, iniziò l’epoca dei caffè eleganti a Parigi e nelle altre grandi città europee. Così questi nuovi locali pubblici divennero importanti luoghi di incontro e di socializzazione per i ceti urbani e le élite politicizzate. In Inghilterra, intanto, il tè METODO DI STUDIO aveva soppiantato il caffè: nel ’700 veniva importato dalla Cina, successivamente a Spiega per iscritto il significato dell’espressiosoprattutto dall’India. Anche il tabacco, originario dell’America caraibica, divenne: “La colonizzazione europea comportò uno scambio biologico reciproco anche se ineguale”. tò in breve tempo un consumo irrinunciabile per molti europei che lo fiutavano e b Sottolinea, con colori diversi, gli apporti dati lo masticavano oltre a fumarlo nelle pipe e come sigaro (le sigarette si sarebbero dall’America e quelli dati dall’Europa allo scambio diffuse solo dalla metà dell’800): e in Europa la coltivazione del tabacco si diffuse biologico che si verificò con la colonizzazione europea dei nuovi continenti. più rapidamente di quella del mais e del pomodoro.
6_6 GLI EUROPEI ALLO SPECCHIO: IL CONFRONTO CULTURALE
All’inizio dell’età moderna, con l’espansione dei traffici commerciali, gli europei entrarono in stretto contatto con civiltà lontane e diverse. Fu l’inizio di un confronto culturale, per molti aspetti ancora aperto oggi, che ebbe conseguenze profonde non solo sull’evoluzione delle civiltà extraeuropee, ma anche sulla stessa identità delle popolazioni del Vecchio Continente, sulla costruzione della coscienza di sé da parte degli europei. L’incontro con l’indigeno, infatti, costrinse i bianchi europei a ripensare sé stessi, a definirsi con maggiore chiarezza per contrapporsi al “diverso”. In Europa il “selvaggio” non ebbe un’immagine unica e omogenea: rappresentava, allo stesso tempo, una minaccia, un fanciullo da educare, un animale da ammaestrare ed esibire, un uomo primitivo con alcuni caratteri oscuri e inquietanti che gli europei temevano di riconoscere in sé stessi. Queste rappresentazioni mutarono e si consolidarono tra ’500 e ’800: se i primi conquistadores spagnoli in America Latina ebbero un atteggiamento di totale rifiuto verso gli indios, considerati poco più che animali, successivamente, grazie soprattutto all’impegno dei
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La scoperta dell’“altro” e l’idea del “selvaggio”
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
► Leggi anche: ► Personaggi Matteo Ricci, un gesuita in Cina, p. 182 ► Parole della storia Selvaggio, p. 207 ► Arte e territorio Scambi artistici: l’altra faccia del colonialismo europeo, p. 212
missionari cattolici, si affermò l’idea dell’indigeno quale bambino da evangelizzare, simbolo di innocenza incorrotta, un essere che comunque risultava «naturalmente» inferiore all’uomo bianco europeo. Il contatto con gli indigeni incrinò anche alcune certezze fondate sulla Bibbia: i modi di vita dei selvaggi, la loro nudità, per esempio, sembravano smentire il senso del pudore derivato dal peccato originale, mentre la loro organizzazione sociale appariva come una contraddizione della presunta origine “naturale” del sistema dei ceti e della proprietà privata.
esotismo L’esotismo è un particolare fenomeno culturale che si diffonde in Occidente tra XVIII e XIX secolo e che si manifesta attraverso l’interesse per tutto ciò che appare diverso rispetto ai modelli culturali propriamente europei.
Il contatto con popolazioni diverse e lontane favorì la conoscenza e la circolazione di usi e costumi esotici che, in alcuni casi, modificarono le abitudini della società europea. Gli effetti più duraturi di questa contaminazione riguardarono proprio l’ambiente e alcuni aspetti della vita quotidiana, oggi così assimilati nel costume occidentale da aver smarrito nella memoria degli europei la loro origine esotica. Nelle campagne europee cominciarono ad apparire le prime coltivazioni della patata, del mais, del pomodoro, che divennero però presenze largamente diffuse soltanto nel ’700 e nell’800, mentre, come abbiamo visto, si diffondeva il consumo di caffè, tè, tabacco. Nacquero in Europa anche nuove mode grazie ai più stretti scambi con le diverse regioni del pianeta. Nelle abitazioni private cominciarono a trovare spazio le piante ornamentali e i fiori esotici: il tulipano, per esempio, un fiore tipico dell’Oriente, cambiò addirittura nazionalità divenendo il simbolo dell’Olanda [►5_2]. Anche tappeti, soprammobili, porcellane, oggetti esotici divennero di uso comune. E questo esotismo influenzò anche il consumo culturale: i libri di viaggio diventarono un genere letterario molto popolare e moltissimi europei si appassionarono alla lettura di riviste geografiche o di romanzi avventurosi, come Robinson Crusoe (1719) di Daniel Defoe.
Nuove abitudini e mode
Parole della storia
Selvaggio
N
el ’700, con la progressiva diffusione dell’Illuminismo, nacque un’attenzione diversa nei confronti delle popolazioni indigene, osservate ora con lo sguardo critico della ragione. Il “selvaggio”, ancora simbolo di innocenza, divenne interprete di un modello ideale di vita felice, libera da convenzioni e vincoli tradizionali, considerati irrazionali e oppressivi da parte degli intellettuali illuministi: questi ultimi, infatti, utilizzarono spesso l’esempio del “selvaggio” anche come strumento di polemica e di ironia contro i comportamenti e le abitudini dei “civilizzati” popoli europei. Nell’800 l’interesse degli europei per le popolazioni “primitive” aumentò ulteriormente grazie alla nuova espansione politica e commerciale in Africa e in Asia e alla moltiplicazione di pubblicazioni con i resoconti degli esploratori e dei missionari protagonisti di scoperte affascinanti in terre esotiche. L’estensione delle conoscenze e il bisogno di un metodo più scientifico di analisi, in sintonia con l’affermazione della cultura positivistica, favorirono lo sviluppo dell’antropologia culturale e dell’etnologia (le discipline
dedicate allo studio delle tradizioni, degli usi e dei costumi di una popolazione). Questo nuovo impulso allo studio delle popolazioni extraeuropee, però, si trasformò spesso in un sistema di classificazione e gerarchizzazione dell’umanità fondato su una distinzione dei caratteri somatici: al vertice l’uomo europeo, in fondo chi ne appariva meno somigliante. Cominciò così a consolidarsi una teoria “scientifica” della razza che, proprio nella seconda metà dell’800, assunse evidenti caratteri razzisti. Il disprezzo per i “diversi” non era certo una novità – gli antichi Greci chiamavano gli altri popoli “barbari”, le tribù africane designavano sé stesse con nomi che significano “uomo buono” o “migliore” rispetto agli altri –, ma per la prima volta gli scienziati attribuirono a ogni “razza” una distinta base biologica da cui sarebbero derivate differenti caratteristiche morali e caratteriali: l’europeo, per definizione, era “ingegnoso e inventivo”, l’asiatico “orgoglioso e avaro” e l’africano “pigro e negligente”. Alla metà dell’800, per esempio, il francese Arthur de Gobineau scrisse un Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane proprio per sostenere la superiorità dei bianchi sui gialli e sui neri. Il razzismo condizionò la politica degli Stati europei nelle colonie. Ovunque furono censite
le “razze” e accentuate le divisioni all’interno delle società indigene anche allo scopo di controllare meglio i colonizzati. Le nuove città coloniali furono spesso caratterizzate da quartieri separati e “confini” che dividevano la vita degli indigeni da quella degli europei: anche in alcuni centri fondati dagli italiani in Eritrea e Libia, per esempio, furono tracciate “linee” per separare gli spazi destinati agli africani da quelli destinati ai bianchi. In generale, dunque, il razzismo era largamente diffuso nelle società coloniali. Non bisogna però immaginare i rapporti tra colonizzatori e colonizzati dominati esclusivamente da pregiudizi razzisti. Nelle colonie, a volte, si instaurarono legami di solidarietà tra i funzionari europei e i notabili locali proprio in virtù della comune appartenenza agli strati superiori delle rispettive società. Accadde così, per esempio, nell’India britannica di fine ’800, dove gli aristocratici inglesi inviati dalla Corona ad amministrare la colonia non esitavano a considerare i notabili indiani “superiori” agli inglesi di basso ceto. Per molti aspetti, infatti, i governatori britannici cercarono di riprodurre in India la stessa rigida struttura di distinzione di classe presente in Inghilterra, preoccupandosi di trattare con riguardo agli indigeni che consideravano di loro pari rango.
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C6 l’espansione coloniale europea nel ’700
Nel ’700, in particolare, l’Europa subì il fascino dell’antica civiltà cinese. Gli illuministi ammiravano la Cina come uno dei migliori esempi di buon governo, ovvero uno Stato agricolo guidato da un despota illuminato, e questo giudizio favorì in Francia una nuova attenzione verso l’Impero celeste. In seguito la marchesa Pompadour, amante di Luigi XV, introdusse la moda cinese. Ben presto la corte francese, e poi quelle di tutta l’Europa, amarono circondarsi di oggetti provenienti dalla Cina, o più spesso di imitazioni, le cosiddette “cineserie”. Divenne di gran moda bere il tè in tazze di vera porcellana cinese, ordinare in Cina dipinti con soggetti occidentali, vestire con abiti di foggia cinese e non vi fu giardino veramente raffinato che non avesse il proprio “padiglione cinese”. La passione per la morale e la filosofia cinesi, così razionali e in fondo vicine al pensiero cristiano, fu stimolata dagli affascinanti racconti di viaggi dei padri gesuiti, largamente diffusi nel corso del ’700 [►FS, 49d]. L’attenzione per la Cina, tuttavia, fu espressione più di curiosità per l’esotico che di vero interesse. Soltanto i missionari, infatti, cercarono di comprendere a fondo la complessa e affascinante civiltà dell’Impero celeste.
La passione per la Cina
Nell’800 esploratori e scienziati erano soliti ritornare dai loro viaggi con i più vari trofei. Allora divenne comune anche l’usanza di portare in Europa uomini o donne di paesi lontani, “esemplari indigeni” da esibire alla curiosità non solo degli studiosi ma anche del grande pubblico, appassionato di stranezze esotiche. Alla fine dell’800 questo interesse per l’esotico si trasformò in un vero e proprio entusiasmo: nelle grandi esposizioni internazionali, celebrative della civiltà industriale, i paesi e le civiltà extraeuropei trovarono spazio in alcuni padiglioni dedicati proprio a esaltare la colonizzazione. La maggiore conoscenza delle civiltà extraeuropee trasformò anche il mondo delle arti figurative europee. All’inizio del ’900 le avanguardie artistiche valorizzarono riti e costumi degli “uomini primitivi” come stimoli a rivoluzionare le forme espressive della tradizione artistica europea. Lo studio della scultura delle popolazioni dell’Africa e dell’Oceania, per esempio, ispirò profondamente alcuni artisti divenuti poi protagonisti del cubismo, come lo spagnolo Pablo Picasso, o dell’espressionismo, come il tedesco Emil Nolde. Nei primi anni del ’900, infatti, quella che veniva chiamata «arte negra» suscitò un grande entusiasmo soprattutto tra gli intellettuali e gli artisti di Parigi, allora forse il centro culturale più vivace in Europa: evidente, per esempio, è l’influenza dell’arte extraeuropea sui ritratti di Amedeo Modigliani, a lungo residente nella capitale francese. Da queste esperienze nacque una nuova concezione dell’arte fondata sulla purezza e sulla semplicità delle forme, radicalmente ostile a ogni convenzione ereditata.
Le esposizioni internazionali e le avanguardie artistiche
METODO DI STUDIO
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a Spiega quali idee avevano gli europei degli abitanti degli altri continenti in età moderna specificando le dinamiche che portarono a queste rappresentazioni. b Sottolinea gli usi e costumi che gli europei attinsero dalle popolazioni lontane. c Cerchia le parole chiave che si riferiscono all’interesse per l’esotico che gli europei maturarono fra ’700 e ’800 e argomenta oralmente la tua scelta.
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François Boucher, La toilette 1742 [Museo ThyssenBornemisza, Madrid] Gli scambi con l’Oriente favorirono la diffusione in Europa di una vera e propria tendenza, che assunse manifestazioni diverse e influenzò il gusto dei ceti superiori nell’abbigliamento, nell’acconciatura, nell’arredamento. Il dipinto del francese Boucher testimonia questo gusto: dietro il tavolo da toilette, nell’angolo di una camera da letto, si scorge un paravento a più ante rivestito di carta cinese dipinta.
LABORATORIO DI CITTADINANZA LA TUTELA DELLA BIODIVERSITÀ
Q
uando i coloni europei cominciarono a insediarsi nelle Americhe (XV secolo) e in Oceania (seconda metà del XVIII secolo), modificarono profondamente i territori delle aree appena scoperte. Per far fronte alle esigenze economiche che li avevano portati a spingersi così lontano dalla propria patria, infatti, essi rasero al suolo intere foreste, bruciarono vaste praterie per piantare le proprie coltivazioni e soffocarono con la violenza l’opposizione degli indigeni. Tutto ciò ebbe conseguenze devastanti sugli ecosistemi locali, che furono spesso radicalmente modificati. Le epidemie falcidiarono le popolazioni e talvolta le specie animali importate dall’Europa entrarono in competizione con quelle locali minacciandone l’esistenza; in ogni caso si assistette a un tentativo – più o meno consapevole – di “europeizzare” i nuovi mondi trasformandoli secondo le proprie esigenze. In realtà il trattamento non fu riservato alle sole terre d’oltreoceano: si trattò piuttosto di estendere oltremare un modello di sviluppo economico e sociale già in atto in Europa, basato sul dominio e lo sfruttamento della natura per trarre da essa il massimo profitto. L’esperienza e la scienza moderna hanno però dimostrato che interferire in modo eccessivo e continuativo sulla natura può stravolgerne gli equilibri in modo più o meno definitivo. La natura, l’insieme delle forme animali e vegetali che vivono su di un territorio, è un sistema molto complesso in cui interagiscono una moltitudine di fattori: la morfologia di un dato territorio, il suo clima, le specie animali e vegetali che lo popolano e che nel tempo vi si sono adattate in modo sempre più completo. Quando tutti questi elementi trovano tra di loro un equilibrio, il sistema (un ecosistema: ►6_5) funziona. In un ecosistema ben funzionante, le specie che lo popolano
devono essere tante e diverse tra di loro: è questa la cosiddetta “biodiversità”. Questo principio, la cui importanza oggi è diffusamente riconosciuta, si spiega con due motivazioni: innanzitutto, un sistema basato sulla diversità delle forme di vita animali e vegetali può rispondere meglio ai cambiamenti ambientali (una variazione delle temperature, per esempio, può penalizzare e portare all’estinzione alcune specie ma non altre, capaci di adattarsi alle nuove condizioni climatiche); inoltre, la diversità delle forme di vita fa sì che, tendenzialmente, nessuna di esse prevalga sulle altre. Attualmente gli scienziati sono riusciti a catalogare circa 1,75 milioni di specie animali e vegetali e nuove specie vengono continuamente scoperte, studiate e aggiunte alle precedenti. Sul numero complessivo delle specie viventi non vi sono certezze, ma secondo alcuni se ne possono ipotizzare anche decine di milioni. Le aree dove la biodiversità è maggiore sono le foreste, prima tra tutte la foresta amazzonica, che si estende su un territorio pari al 42% dell’Europa. Nel corso del tempo, le specie si evolvono, si estinguono per cause naturali e vengono sostituite da altre più forti e adatte all’ambiente. A partire dalla metà del XX secolo gli studiosi hanno rilevato un fenomeno nuovo: la massiccia estinzione di specie animali per cause umane, anziché per cause naturali. Si tratta, in realtà, di un processo iniziato già in età moderna, con i disboscamenti, ma che nei secoli è diventato sempre più incisivo fino a raggiungere, recentemen-
te, livelli di guardia tali da mettere a rischio l’esistenza di interi ecosistemi. Gli studiosi stimano che negli ultimi 500 anni si siano estinte circa 1000 specie animali con una velocità 36 volte più elevata rispetto al tasso di estinzione naturale. Le cause di questo fenomeno sono note: disboscamenti, pesticidi, agricoltura intensiva, monocolture (coltivazioni di un solo prodotto su grandissimi territori), diffusione in agricoltura degli Ogm (organismi geneticamente modificati), inquinamento, urbanizzazione sfrenata e senza regole. Ognuno di questi fattori rappresenta una minaccia per la biodiversità. Negli ultimi anni, per esempio, si è verificata una preoccupante moria di api in più parti del pianeta, la cui causa è stata individuata nell’uso di un particolare pesticida introdotto sul mercato. Se non si corresse ai ripari, potrebbe verificarsi l’estinzione di questi insetti, che sono i principali responsabili dell’impollinazione delle piante. Le conseguenze sulla vita del pianeta sarebbero dunque inimmaginabili. Per porre un freno a questa tendenza sono stati attuati numerosi provvedimenti, come la creazione di riserve e parchi protetti dove le specie possono proliferare tranquillamente. Nel 1948 è stata fondata la Iucn (International Union for Conservation of Nature and Natural Resources), una organizzazione internazionale con sedi e progetti di ricerca in tutto il mondo che studia gli ecosistemi e annualmente redige una lista delle specie a rischio di estinzione. In ambito politico la strada da percorrere è ancora molto lunga. Nel 1992, in occasione della Conferenza Internazionale delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo,
Un cartello invita a non spruzzare insetticidi Richiamando una famosa canzone di John Lennon, Give peace a chance, il cartello chiede di “dare una possibilità alle api” e di “non spruzzare (insetticidi) per favore”. Il problema della moria delle api, che in Europa è ancora poco noto al grande pubblico, è ormai una vera piaga per l’agricoltura statunitense.
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C6 l’espansione coloniale europea nel ’700
tenutasi a Rio de Janeiro, è stata stipulata la Convenzione sulla diversità biologica, ratificata in seguito da 192 paesi tra cui anche l’Italia (14 febbraio 1994, legge n. 124). Il Preambolo e il primo articolo del documento ne dichiarano gli obiettivi: «Le Parti contraenti, [...] preoccupate per il fatto che la diversità biologica è in fase di depauperazione a causa di talune attività umane, hanno convenuto [...] che gli obiettivi della presente Convenzione [...] sono la conservazione della diversità biologica, l’uso durevole dei suoi componenti e la ripartizione giusta ed equa dei benefici derivanti dall’utilizzo delle sue risorse genetiche». Tra le altre cose, il testo della Convenzione mette in evidenza il risvolto per così dire “sociale” della tutela della biodiversità, il fatto cioè che una crisi degli ecosistemi comporterebbe per la civiltà conseguenze drammatiche come carestie, povertà, sottosviluppo a cui farebbero seguito guerre, disordini e violenza. La Convenzione del 1992 rappresenta allo stato attuale l’unico sforzo politi-
co e legislativo che abbia carattere globale. A livello locale sono stati messi in atto altri provvedimenti, come la Convenzione per la conservazione della biodiversità e la protezione delle aree selvagge dell’America centrale (1992), la Convenzione per la protezione del Mar Nero dall’inquinamento (2002), l’istituzione, da parte degli Stati membri dell’Asean (Association of Southeast Asian Nations), di un Centro per la biodiversità (2005). Potenti ragioni economiche spingono tuttavia i governi, in special modo quelli dei paesi più poveri, a sottovalutare l’impatto delle attività umane sull’ambiente e sulla sua ricchezza. Ciò è evidente se si considera la diffusione a livello globale dei cosiddetti “semi Ogm” che hanno conquistato diversi sistemi agricoli in tutto il mondo. Questi semi, forniti da grandi aziende multinazionali (tra le quali l’americana Monsanto, la Bayer, la Dow, ecc.), producono piante molto resistenti alle intemperie e ai parassiti, ma sterili, per cui l’agricoltore non può ricavare dei
semi dal raccolto precedente ed è costretto a riacquistare di anno in anno le semenze dipendendo, di fatto, dalle aziende che le producono. Per alcune colture i semi modificati rischiano di soppiantare quelli naturali, determinando una perdita per la biodiversità. Per esempio, delle cento varietà di soia esistenti in natura, solo una – per giunta geneticamente modificata – è attualmente usata in agricoltura. La questione delle colture geneticamente modificate vede due schieramenti aspramente contrapposti. Da un lato, coloro che difendono il patrimonio antichissimo delle coltivazioni convenzionali e temono i rischi di contaminazione e danni permanenti all’ambiente naturale; dall’altro, quanti sono a favore dello sviluppo della ricerca anche in questo campo e sottolineano come in molti paesi europei le colture Ogm siano largamente presenti e i prodotti agricoli – come i mangimi – largamente importati anche in Italia, nonostante paradossalmente ne vieti la produzione.
LABORATORIO DI SCRITTURA DI CITTADINANZA 1 Leggi la scheda e sintetizzala in quattro slide di PowerPoint, adoperando la seguente scaletta:
● Definizione di biodiversità ● Le minacce per la biodiversità
● I provvedimenti per la tutela della biodiversità ● L’importanza della Convenzione sulla diversità biologica del 1992
LA BIODIVERSITÀ NELLE LINEE GUIDA PER L’EDUCAZIONE AMBIENTALE 2 In occasione dell’anno scolastico 2015, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare (Mattm) ha
lanciato, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (Miur), la pubblicazione delle Nuove linee guida per l’educazione ambientale.
Vai sul sito istituzionale del Mattm; nel menu “Argomenti” che trovi in alto a destra clicca su ‘’Educazione Ambientale’’: si aprirà una pagina di presentazione dell’iniziativa. Tra i link in essa contenuti, clicca su “Linee guida sull’Educazione ambientale”: si aprirà un’altra pagina, in fondo alla quale trovi il rimando a un file pdf che contiene tantissime schede progettate per le scolaresche, utili per saperne di più sulle problematiche ambientali. In particolare, tra le “Schede tecniche di approfondimento” (vedi le pp. 135-45 del pdf), ti segnaliamo la lettura di due di esse che possono fornire una base utile per una discussione in classe sulla biodiversità, sotto la guida dell’insegnante:
● Conoscere e tutelare la biodiversità dalle specie agli ecosistemi
● Servizi ecosistemici e uso sostenibile della biodiversità
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Al termine della discussione, redigi un testo argomentativo (max 10 righe di documento Word) in cui esponi il tuo personale punto di vista in merito alla problematica posta.
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CHE COSA FA L’UNIONE EUROPEA PER LA SALVAGUARDIA DELLA BIODIVERSITÀ? 3 L’Unione europea ha adottato una strategia per proteggere e migliorare lo stato della biodiversità in Europa fino
al 2020. Tale strategia prevede sei obiettivi in relazione alle principali cause della perdita di biodiversità e che permetteranno di ridurre gli impatti sulla natura.
Digita nella maschera di ricerca di Google “Strategia sulla biodiversità fino al 2020”. Leggi il documento e realizza una presentazione di sintesi in PowerPoint destinata ai cittadini dell’Ue.
QUANTI E DOVE SONO I PARCHI NAZIONALI E I PARCHI NATURALI ITALIANI? 4 In Italia i Parchi Nazionali e i Parchi Naturali sono 25, coprono quasi il 10% del territorio per un totale di un milione
e mezzo di ettari, dalle Alpi alla Sardegna, e costituiscono una riserva naturale dal valore ineguagliabile.
Di seguito ti forniamo la lista dei Parchi Nazionali italiani, utile nel caso in cui tu e la tua classe decidiate di organizzare un’escursione presso il parco più vicino alla vostra città o regione. Ricerca, insieme con la classe, le informazioni sul parco e create un itinerario (reale e/o virtuale) consultando il sito web ufficiale. Ricordatevi di indicare come raggiungere il luogo, cosa vedere, cosa fare e di segnalare qualcuna delle sue attrattive faunistiche. Buona escursione!
● Parco Nazionale del Gran Paradiso in Valle d’Aosta ● Parco Nazionale dello Stelvio, fra Lombardia e Trentino-Alto Adige ● Parco Nazionale Val Grande in Piemonte ● Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, in Veneto ● Parco Nazionale delle Cinque Terre in Liguria ● Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano, in Toscana ed Emilia ● Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna in Toscana ed Emilia Romagna
● Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano in Toscana ● Parco Nazionale dell’Asinara in Sardegna ● Parco Nazionale dell’Arcipelago della Maddalena in Sardegna ● Parco Nazionale del Golfo di Orosei e del Gennargentu in Sardegna ● Parco Nazionale dei Monti Sibillini fra Marche ed Umbria ● Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga in Abruzzo
● Parco Nazionale della Maiella in Abruzzo ● Parco Nazionale d’Abruzzo-Lazio e Molise ● Parco Nazionale del Circeo nel Lazio ● Parco Nazionale del Vesuvio in Campania ● Parco Nazionale del Gargano in Puglia ● Parco Nazionale dell’Alta Murgia in Puglia ● Parco Nazionale dell’Appennino Lucano in Basilicata ● Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano in Campania ● Parco Nazionale del Pollino in Calabria ● Parco Nazionale della Sila in Calabria ● Parco Nazionale dell’Aspromonte in Calabria ● Parco Nazionale dell’isola di Pantelleria in Sicilia
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C6 l’espansione coloniale europea nel ’700
ARTE E TERRITORIO SCAMBI ARTISTICI: L’ALTRA FACCIA DEL COLONIALISMO EUROPEO
P
er trasformare il paesaggio delle colonie in luoghi familiari per gli europei, non ci si limitò a importare colture alimentari e specie animali. Doveva essere rassicurante per i coloni che il Nuovo Mondo assomigliasse il più possibile a quello lasciato nella madrepatria: trasferitisi così lontano per spirito d’avventura, in cerca di miglior fortuna o perché costretti da circostanze avverse, i coloni tendevano a riprodurre manufatti e opere d’arte simili a quelli delle nazioni di provenienza. Ecco perché l’architettura giocò un ruolo decisivo nell’espansione del colonialismo europeo. Già alla fine del ’700, si cominciò a parlare di stile coloniale per definire la corrente artistica con cui i coloni investirono le terre colonizzate. Agli europei nelle Americhe, in Africa, Asia
e Oceania servivano case, scuole, sedi di rappresentanza e di governo, luoghi di culto: per realizzarli venivano il più delle volte importati modelli caratteristici europei, anche se talvolta ci furono dei tentativi di ibridi tra tecniche artistiche occidentali e materiali o stili indigeni. Da un lato, questa tendenza era anche un modo per appropriarsi ancora di più dei paesi conquistati: imponendo una foggia occidentale agli edifici e al paesaggio, quelle terre diventavano ai loro occhi ancora più francesi, inglesi, spagnole, portoghesi. Dall’altro, era un riflesso del senso di “superiorità occidentale”, che induceva a credere che i modelli occidentali fossero comunque superiori alle soluzioni ispirate alle costruzioni dei popoli nativi. La stazione Victoria di Mumbai, dedicata
▼ Frederick
► Frederick
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William Stevens, Chhatrapati Shivaji Terminus 1897 [Mumbai, India]
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
William Stevens, Chhatrapati Shivaji Terminus, particolare
alla regina Vittoria del Regno Unito (18191901), oggi intitolata all’antico sovrano indiano Chhatrapati Shivaji, è un ottimo esempio di questi interventi sul territorio. Le sue forme richiamavano con fedeltà lo stile neogotico vittoriano in voga nell’Inghilterra del XIX secolo, ispirato all’architettura medievale italiana, tanto che qualsiasi inglese di passaggio da Mumbai avrebbe immediatamente riconosciuto la somiglianza con la stazione londinese di St. Pancras, costruita negli stessi anni. Tuttavia, per la sua costruzione vennero impiegati manovali indiani in grado di integrare il progetto con elementi decorativi tipici indiani, come si nota da moltissimi particolari. Proprio perché simbolo della fusione tra due culture diverse, la stazione è stata inserita nel 2004 tra i monumenti dichiarati “Patrimonio dell’Umanità” dall’Unesco. In direzione opposta, tra il ’700 e l’800 in Europa impazzava la moda delle “cineserie”, cioè delle forme decorative ispirate allo stile dell’Estremo Oriente. Il gusto per tutto ciò che sembrava richiamare la foggia orientale si impose soprattutto nelle cosiddette “arti applicate”, cioè nei gioielli, nell’abbigliamento, nell’arredamento. In realtà, non si trattava di un vero prestito delle forme artistiche cinesi, ma di una rielaborazione originale e piuttosto fantasiosa dell’arte orientale. Di fatto, negli appartamenti decorati secondo questa nuova moda c’era molto poco della Cina e molto più dello sguardo degli europei sull’Oriente. Il Gabinetto di porcellana (1757-59) doveva decorare la Reggia di Portici e venne realizzato da maestranze napoletane. Stucchi dipinti e dorati formavano sulle lastre di porcellana festoni, strumenti musicali, figure orientaleggianti: un capolavoro dell’arte partenopea che guardava ad Oriente. PISTE DI LAVORO
Giuseppe Gricci, Gabinetto di porcellana per la Reggia di Portici 1757-59 [Museo di Capodimonte, Napoli]
a Realizza una piccola scheda divulgativa sullo stile coloniale, specificando le caratteristiche proprie del paese d’origine. Non superare le 50/60 parole. Digita nella maschera di ricerca di Google “coloniale, stile” e seleziona un sito affidabile (ti consigliamo di consultare l’Enciclopedia online della Treccani). b Di quali tendenze della mentalità europea sono espressione, rispettivamente, lo stile coloniale e la moda delle cineserie?
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C6 l’espansione coloniale europea nel ’700
SINTESI 6_1 COMMERCI E COLONIE EUROPEE IN ASIA E AMERICA Fino all’800 la presenza dell’Europa in Oriente fu soprattutto commerciale. Nell’Oceano Indiano i portoghesi diedero vita, tra la fine del ’500 e la prima metà del ’600, a un vasto impero commerciale. Successivamente la Compagnia olandese delle Indie orientali – che agiva anche come rappresentante dello Stato olandese – soppiantò l’egemonia commerciale portoghese, controllando per mezzo secolo il traffico delle spezie. Tra ’600 e ’700 la Compagnia inglese delle Indie orientali concentrò i propri interessi commerciali in India scalzando la Compagnia francese delle Indie orientali. Con la guerra dei Sette anni gli inglesi acquisirono il Canada e parte della Louisiana dalla Francia e la Florida dalla Spagna. Così i possedimenti francesi in America si ridussero alle sole Antille e si affermò la supremazia inglese nell’America del Nord.
6_2 LO STATO CRISTIANO-SOCIALE DEI GESUITI
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Un’esperienza unica nella colonizzazione americana fu quella realizzata dai gesuiti in Paraguay, nel ’600: costituirono comunità di indios, le riduzioni, organizzate su princìpi di eguaglianza sociale, allo scopo di dar vita a una repubblica cristiana. Il tentativo terminò a metà del ’700, quando le comunità furono chiuse dal Portogallo.
6_3 LA TRATTA DEGLI SCHIAVI E IL COMMERCIO TRIANGOLARE ATLANTICO Fin dall’inizio, nell’economia dell’America Latina ebbe un ruolo decisivo l’ingente produzione di oro e argento inviata in Europa. Nel ’500, con la coltivazione della canna da zucchero in Brasile, iniziò il sistema delle piantagioni, dove furono impiegati schiavi neri importati dall’Africa per coltivazioni monocolturali. Attorno al traffico di schiavi prese forma quel “commercio triangolare” (Africa-America-Europa) che divenne il tratto caratteristico del sistema mercantile atlantico. Il predominio britannico fu rafforzato con la pace di Utrecht, nel 1713: gli accordi stabilivano che la tratta degli schiavi verso le colonie spagnole (l’asiento de negros) divenisse monopolio britannico (e tale rimase fino al 1750).
6_4 L’EGEMONIA BRITANNICA E LA CONQUISTA DELL’AUSTRALIA Tra ’600 e ’700 la Gran Bretagna conquistò i mercati e assunse il controllo delle materie prime e ciò contribuì al successivo sviluppo industriale inglese. Alla fine del ’700 i domìni britannici si estesero anche all’Australia: furono costituite colonie di deportazione, poi trasformate in colonie di popolamento. Tra 1788 e 1853 oltre 160 mila prigionieri vennero trasferiti dalla Gran Bretagna in Australia. Solo una minima parte di essi fu reclusa negli stabilimenti
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
penali, mentre gli altri vennero assegnati come servi ai coloni liberi o furono utilizzati come lavoratori alle dirette dipendenze del governo. Scontata la pena, moltissimi ex deportati riuscirono a integrarsi nella società coloniale, dando vita a un ceto medio intraprendente e desideroso di riscatto sociale.
poi dall’India, aveva soppiantato il caffè. In breve tempo si diffuse in Europa anche il consumo del tabacco, che veniva masticato più che fumato.
6_6 GLI EUROPEI ALLO SPECCHIO: IL CONFRONTO CULTURALE 6_5 CONQUISTE E AMBIENTE L’aspetto meno noto dell’espansione europea è quello ecologico: l’Europa, infatti, trasformò sensibilmente l’habitat delle popolazioni soggette al suo dominio esportando non solo merci, ma anche malattie, piante, animali e uomini. Fra le malattie, la più letale fu il vaiolo, mentre per quanto riguarda le piante, la diffusione di piante foraggere di origine europea come il trifoglio, la piantaggine, la gramigna, alimentò il moltiplicarsi del bestiame europeo, non solo cavalli ma anche bovini, pecore, capre e maiali. Il risultato di questo imperialismo ecologico è rappresentato dal fatto che oggi gli Stati Uniti, il Canada, l’Argentina, l’Uruguay, l’Australia e la Nuova Zelanda sono i maggiori esportatori di derrate alimentari di origine europea. L’enorme disponibilità di risorse, unita a un ambiente simile a quello europeo, favorì l’emigrazione europea: tra 1820 e 1930 oltre 50 milioni di europei si trasferirono in America e Oceania. A contatto con le altre culture l’Europa modificò i suoi consumi. Intorno al 1600 gli europei cominciarono a bere il caffè, e nel 1652 venne aperto il primo caffè a Londra, mentre a Parigi e nelle altre grandi città europee questi locali si diffusero nel’700. In Inghilterra, intanto, il tè, importato nel ’700 dalla Cina,
Con l’espansione dei traffici commerciali, gli europei entrarono in stretto contatto con civiltà lontane e diverse, con conseguenze profonde non solo sull’evoluzione delle civiltà extraeuropee, ma anche sulla stessa identità delle popolazioni del Vecchio Continente. L’incontro con l’indigeno, il “selvaggio”, costrinse gli europei a definirsi con maggiore chiarezza. Cambiarono anche i paesaggi agrari – le coltivazioni della patata, del mais, del pomodoro divennero largamente diffuse nel ’700 e nell’800 – e i consumi alimentari. Nacquero anche nuove mode: nelle abitazioni cominciarono a trovare spazio i fiori esotici, i tappeti, i soprammobili importati soprattutto dall’Oriente. Nel ’700, in particolare, l’Europa subì il fascino dell’antica civiltà cinese. Più tardi, nell’età degli imperi coloniali, divenne comune l’usanza di portare in Europa “esemplari indigeni” da esibire alla curiosità del grande pubblico. Alla fine dell’800 questo interesse per l’esotico si trasformò in un vero e proprio entusiasmo. Questa maggiore conoscenza delle civiltà extraeuropee trasformò anche il mondo delle arti figurative europee: le avanguardie artistiche valorizzarono riti e costumi degli “uomini primitivi” come stimoli a rivoluzionare le forme espressive della tradizione artistica europea.
SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Completa la legenda della seguente carta geostorica relativa al sistema coloniale europeo nel ‘700 indicando i nomi Groenlandia
degli Stati colonizzatori.
Alaska
Islanda
GRAN BRETAGNA Groenlandia
S i b e Québec r i a Montreal Nuova Scozia New York R U S Bermuda S O
Lo ui si
ce
I M P E R O am e de ll Città di Messico a N Honduras u o
Québec
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Senegambia Gorée Accra Albreda Assinie Ningo OCEANO Elmina
Vicereame del Brasile
del Perù
Santiago
Sahara
Fernando Poo
AT L A N T I C O Rio de Janeiro
Buenos Aires
Is. Falkland/Malvine
ossedimenti spagnoli 2 Completa, laddove possibile, la seguente ossedimenti portoghesi territori di espansione. ossedimenti britannici ossedimenti francesi Stato Compagnia commerciale ossedimenti olandesi ossedimenti danesi Spagna
Luanda Angola
Delhi
Madeira Canarie Capo Verde
Senegambia Gorée Albreda Assinie
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GIAPPONE Nuova Granada C I N A ManausDeshima
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Vicereame del Brasile Macao Calcutta AT L A N T I C O Is. Marianne Bombay Serampore P A C I FSt.I Elena CO Isole Goa Madras Siam Filippine Pondichéry Rio de Janeiro Mahé Is. Caroline Is. Nicobare Quilon Ceylon Singapore Sumatra Halmaera Santiago Borneo Betan Kapas NUOVA Celebes Benkulen GUINEA OCEANO Silebar Giava Timor Daman
India
Madagascar
St. Elena
Provincia del Capo
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PORTOGALLO
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St. Domingue Española St. Croix Puerto Rico Guadalupa Barbados
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Nuova Scozia
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a S Giamaica Britannico pa gn Mosquito MONGOLIA a Coast Sinkiang Vicereame della
FRANCIA
St. Pierre e Miquelon
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Maurizio Riunione Fort Dauphin INDIANO
possedimenti ................................ possedimenti ................................ possedimenti ................................
Is. Malvine Is. Falkland NUOVA OLANDA (Australia)
possedimenti ................................ possedimenti ................................ possedimenti ................................
tabella relativa agli Stati colonizzatori, alle loro compagnie commerciali e ai Territori di espansione
Brasile, ... Olanda East India Company Francia Danimarca
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C6 l’espansione coloniale europea nel ’700
3 Completa la seguente mappa relativa al commercio triangolare atlantico. Nella seconda metà del ’500 si affermò
a Madera, nelle Azzorre, nelle Canarie e in Brasile la coltivazione della ......................................, che richiede un clima ........................
in America l’economia agricola basata sulla ......................................,
........, ......................................, legname, ................................ per
cioè una grande proprietà agricola dedicata ad una monocoltura.
costruire i mulini per la spremitura, e una larga disponibilità di ......................................
Poiché in Brasile i ...................................... disponevano dei capitali ma non della .........................., vennero importati come schiavi ......................................
I portoghesi imbarcavano ...................................... in Africa, li vendevano in ...................................... e riportavano in Europa le navi cariche di ...................................... e di ......................................
La diffusione dell’economia delle ....................................... e l’alta mortalità degli ...................................... in esse impiegati causarono l’“importazione” e la morte di circa ...................................... di persone ridotte in schiavitù. 4 Indica le affermazioni vere e correggi quelle errate.
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a. Già dal ‘700 la presenza degli europei in Asia si limitò al controllo dei traffici commerciali. ................................................................................................................................................................................. b. L’East India Company, assumendo l’amministrazione del Bengala e del Bihar, assieme all’India, trasformò il proprio dominio commerciale in un possedimento coloniale. ................................................................................................................................................................................. c. La deportazione dei prigionieri inglesi in Australia fu interrotta per la mobilitazione della popolazione locale. ................................................................................................................................................................................. d. La soppressione degli Stati missionari fu una conseguenza diretta della Controriforma. ................................................................................................................................................................................. e. In America, nelle piantagioni di canna da zucchero, veniva utilizzata solo manodopera indigena. .................................................................................................................................................................................
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f. Agli inizi dell’800, la popolazione brasiliana era costituita prevalentemente da coloni portoghesi. ................................................................................................................................................................................. g. Il commercio triangolare coinvolgeva l’Asia, l’Europa e l’America del Sud. ................................................................................................................................................................................. h. Le Antille costituirono nel ‘600 uno dei principali punti di appoggio per la pirateria. ................................................................................................................................................................................. i. Al termine della guerra dei Sette anni, nel 1763, la Francia cedette all’Inghilterra il Canada e la Louisiana. ................................................................................................................................................................................. l. La malattia europea che provocò il maggior numero di morti in America fu la sifilide. .................................................................................................................................................................................
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5 Inserisci negli insiemi i termini elencati distinguendo fra i continenti di origine e quelli di arrivo. Quindi, spiega per
iscritto gli effetti che ebbero l’esportazione e la diffusione di questi prodotti nei continenti di arrivo. a. patata; b. cotone; c. canna da zucchero; d. tabacco; e. sifilide; f. piante infestanti; g. cavalli; h. bovini; i. pecore; l. mais; m. caffè; n. capre; o. vaiolo; p. maiali; q. frumento; r. orzo; s. morbillo; t. segale; u. uomini.
DALLE AMERICHE VERSO L’EUROPA
L’AMERICA DALL’EUROPA VERSO L’OCEANIA
COMPETENZE IN AZIONE 6 Scrivi sul quaderno il significato dei seguenti concetti relativi all’espansione coloniale europea. Quindi, scrivi un testo
descrittivo di massimo 20 righe che abbia come titolo La Gran Bretagna diventa la protagonista principale del processo di espansione coloniale. il commercio orientale delle spezie ● il sistema economico basato sulla piantagione ● il commercio triangolare ● l’impero coloniale britannico ● la “grande divergenza” ● lo scambio biologico ● l’esotismo
7 Completa la tabella e confronta l’esperienza
coloniale inglese con quella spagnola nel continente americano. Quindi scrivi un testo comparativo prendendo le mosse dalle seguenti domande: Quale dei due modelli coloniali può essere definito di “popolamento”? Quale invece di “sfruttamento”?
Colonie inglesi
Colonie spagnole
Le più importanti erano... Erano governate da... I rapporti con la madrepatria erano... L’economia locale era finalizzata a... La popolazione originaria fu...
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C6 l’espansione coloniale europea nel ’700
COMPITI DI REALTÀ 8 Realizzare un capitolo di un libro per bambini a tema storico.
Tema storico da affrontare: Gli scambi fra i continenti fra XVI e XIX secolo.
Contesto di lavoro Lavori per una casa editrice specializzata in libri per bambini e curi una collana sulla storia del mondo. I tuoi capi hanno deciso di realizzare un libro che metta in rilievo come la storia dell’umanità sia fatta di incroci fra culture diverse e migrazioni. Nel libro, pensato per bambini di 10-11 anni, grande spazio avranno le immagini e le carte geostoriche, commentate con opportune didascalie esplicative.
Cosa devi fare
Con il tuo gruppo avete il compito di preparare un capitolo che affronti gli scambi (di uomini, di piante, di animali, ecc.) che si sono verificati fra i continenti dal ‘500, mettendo in rilievo gli aspetti che hanno trasformato il mondo e che perdurano ancora oggi, come la provenienza di molti cibi, il dilagare di mode “esotiche”, ma anche i punti più difficili da accettare per la nostra mentalità, come la tratta degli schiavi. Per realizzare questo compito dovete: ● individuare i concetti su cui volete far focalizzare l’attenzione dei bambini e che diventeranno i paragrafi del vostro capitolo. ● indicare i titoli dei paragrafi del vostro lavoro e realizzare una scaletta con i concetti che volete affrontare in essi (due o tre per paragrafo). ● selezionare sul manuale le immagini (fonti e carte geostoriche) più adatte ai singoli paragrafi. ● ricercare online le immagini mancanti, per es. quelle che ritraggono gli animali o le piante oggetto dello scambio intercontinentale o di dame inglesi vestite secondo la moda cinese. Se cercate anche fonti d’epoca e carte geostoriche, ricordate di utilizzare solo siti che risultino affidabili (validati da ricercatori o professori universitari, da gruppi di ricerca storica o che lavorano nel mondo della scuola, da case editrici). ● realizzare per ogni immagine una didascalia esplicativa che descriva l’immagine e il suo significato e che contenga anche le informazioni che è possibile ricavare in relazione al tema in esame. ● scrivere il testo facendo attenzione a renderlo adatto a bambini di 10-11 anni seguendo alcune regole: 1. scrivete frasi brevi formate essenzialmente da soggetto, predicato verbale e complemento oggetto; 2. se utilizzate parole tecniche, proprie del linguaggio storico, fate in modo che la frase ne riveli il senso, oppure realizzate un box da inserire al lato . testo con la spiegazione del significato (in questo caso realizzerete la voce di un glossario); 3. fate riferimento alle immagini; 4. utilizzate domande che facciano, per esempio, riferimento alla vita dei bambini e al possibile collegamento con il tema affrontato (es.: Ti sei mai Se fossi vissuto in Italia nel Medioevo non avresti mai conosciuto le patate! Infatti è grazie a...).
Presentazione del lavoro svolto
Il lavoro di ogni gruppo sarà presentato davanti al direttore della casa editrice e dovrà prevedere: una relazione introduttiva del metodo utilizzato e dei contenuti affrontati da esporre oralmente (durata massima: 5 minuti) più l’illustrazione del testo realizzato con un programma di videoscrittura o, meglio, di impaginazione.
Tempo a disposizione
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1 ora per individuare sul manuale i concetti da affrontare, le immagini da utilizzare e realizzare le scalette di ogni paragrafo; 1 ora per cercare in Rete le immagini e le relative informazioni e confrontare i risultati ottenuti su diverse pagine web; 3 ore per la scrittura dei testi; 3 ore per la realizzazione del prodotto multimediale; 1 ora per impostare e provare la relazione.
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
FARESTORIA IL COMMERCIO DEGLI SCHIAVI: LA TRATTA ATLANTICA E LA RIVOLUZIONE COMMERCIALE Nel ’700 il commercio degli schiavi costituì una fonte di ricchezza per molti, non solo europei. Se è vero, infatti, che la Gran Bretagna deteneva il monopolio dei traffici verso l’America, è altrettanto vero che su questo commercio disumano si arricchirono anche re e mercanti africani, proprietari terrieri spagnoli, armatori di varie nazionalità. Un sistema economico complesso, dunque, che ebbe conseguenze devastanti sulle società africane ed effetti profondi sulla composizione demografica del continente americano. Se, da un lato, la tratta atlantica costò all’Africa circa 20 milioni di persone (tra quelli catturati e uccisi in Africa, quelli che morirono durante il viaggio attraverso l’Atlantico, il cosiddetto “passaggio di mezzo”, e quelli che raggiunsero le Americhe), dall’altro essa cambiò immutabilmente la composizione etnica della popolazione americana. Il momento di punta della tratta degli schiavi, nel XVIII secolo, fu determinato dall’aumento della richiesta da parte dei Caraibi, che ne avevano bisogno per le piantagioni di zucchero, caffè e cotone, alla luce della scarsezza cronica di manodopera nel continente americano. La schiavitù era diffusa tra gli africani – come tra gli europei – ben prima dei loro contatti con gli europei: essa non costituiva, dunque, una novità. Nel primo brano, la storica Lisa A. Lindsay [►43] si interroga sul perché gli africani vendessero altri africani come schiavi, escludendo l’ipotesi che lo facessero perché sottomessi agli interessi europei o per avidità e disumanità. Nel testo successivo, Gustavus Vassa [►44d], un ex schiavo vissuto nella seconda metà del ’700, racconta la sua terribile esperienza personale. Segue un’analisi dello storico tedesco Wolfgang Reinhard [►45], che ricostruisce le operazioni necessarie all’organizzazione del trasporto degli schiavi attraverso l’oceano. Se, come abbiamo visto, la tratta atlantica consentì l’arricchimento degli europei grazie alle colonie nel continente americano, dall’altro, come dimostra uno studio del celebre economista Karl Polanyi [►46], ebbe delle conseguenze molto pesanti sull’organizzazione sociale ed economica di uno Stato africano, il Dahomey, che fu spinto a indirizzare i suoi sforzi nella gestione del commercio degli schiavi. Le conseguenze nefaste della tratta atlantica e dell’ingerenza europea sullo sviluppo economico, sociale e politico degli Stati africani si fa sentire ancora oggi. Nell’ultimo brano, lo storico statunitense Herbert S. Klein [►47] ricostruisce invece i primi passi del movimento abolizionista della schiavitù in Gran Bretagna, a partire dalla metà del XVIII secolo.
43 L.A. LINDSAY PERCHÉ GLI AFRICANI VENDEVANO GLI SCHIAVI?
L.A. Lindsay, Il commercio degli schiavi, il Mulino, Bologna 2011, pp. 65-72.
Per molti decenni si è ritenuto che gli occidentali catturassero direttamente gli africani da portare e vendere come schiavi nelle Americhe. Questa concezione è stata però ribaltata, negli ultimi anni, dalla storiografia: erano gli stessi africani, I negrieri bianchi non si addentravano nell’entroterra per catturare con le reti i potenziali schiavi mentre erano intenti nelle loro attività quotidiane. La verità è che, quasi sempre, gli europei comperavano gli schiavi da venditori africani sulla costa in base a precisi accordi. […]
infatti, che vendevano uomini sulla base di precisi accordi commerciali. Come dimostrato dalla storica Lisa A. Lindsay, docente alla University of North Carolina, gli africani non assunsero un ruolo passivo nei loro rapporti con gli europei, ma li trattavano su un piano di parità: le élite africane non erano costrette a vendere schiavi, né lo facevano perché avide e immorali, ma agivano in un contesto sociale e politico che considerava la schiavitù un’istituzione legittima e accettata.
La falsa credenza secondo cui gli africani erano soggiogati dagli europei, che li avrebbero costretti a vendere schiavi, è dimostrata dal fatto evidente che gli europei non colonizzarono né organizzarono piantagioni in Africa (almeno fino al XIX secolo inoltrato, molto dopo che la trat-
ta atlantica era stata abolita). Questo non perché gli europei scelsero di non conquistare gli africani, ma perché, a differenza che nelle Americhe, non avevano alcun significativo vantaggio tecnologico o militare su di loro. […] La posizione di forza degli africani a fronte degli europei […] signi-
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FARESTORIA IL COMMERCIO DEGLI SCHIAVI: LA TRATTA ATLANTICA E LA RIVOLUZIONE COMMERCIALE
fica che essi non erano costretti a vendere schiavi. E infatti, ci furono intere parti della costa dell’Africa occidentale dove gli africani non parteciparono o quasi alla tratta degli schiavi. […] Quindi i capi africani e gli europei che partecipavano al traffico degli schiavi lo facevano volontariamente, nei termini commerciali che concordavano. Ma come giustificavano la vendita volontaria di schiavi le élite africane? Non stavano forse indebolendo le loro comunità, non stavano così distruggendo la vita del loro stesso popolo? Gli africani vendevano schiavi per pura e semplice avidità? Per comprendere il meccanismo è necessario rendersi conto che al di fuori del sistema schiavistico delle Americhe, il termine africano significava ben poco prima del XIX secolo. L’Africa è il continente con la più lunga storia umana ed è stato, com’è tuttora, la terra della più grande diversità di popoli al mondo. Questi popoli parlavano (e parlano) migliaia di lingue, praticavano svariate religioni, vestivano e si comportavano nei modi più differenti e tributavano fedeltà a innumerevoli famiglie, clan, città, potentati e regni. Un re che vendeva prigionieri di guerra a un trafficante europeo è verosimile che non avesse più senso di attaccamento verso coloro che vendeva dell’europeo, o di quanto ce ne fosse tra lui e l’europeo stesso. Proprio come gli europei, e come pressoché ogni altro gruppo nella storia mondiale, gli africani consideravano la schiavitù un’istituzione legittima per incorporare, addomesticare e sfruttare gli «estranei» al proprio gruppo. […] Dunque, i capi e i mercanti africani non vendevano «la propria gente». Questa idea è basata su categorie razziali che non esistevano all’epoca. […] Gli africani, dunque, vendevano schiavi agli europei non perché erano costretti e nemmeno perché erano trafficanti senza scrupoli. Ma allora perché lo facevano? Innanzitutto, perché non ci vedevano nulla di sbagliato: la schiavitù era un’istituzione
accettata, specialmente come relazione con gli «estranei». E, come abbiamo visto, i venditori di schiavi non consideravano coloro che vendevano come appartenenti a un gruppo comune, soprattutto in un generale contesto di frammentazione politica. Infatti, nella maggior parte dei casi gli individui ridotti in schiavitù erano prigionieri di guerra originari di altri luoghi rispetto a quelli in cui venivano smerciati. Inoltre, proprio per questo, vendere schiavi offriva ai capi locali la possibilità a costo davvero basso di rafforzare se stessi e i propri seguaci a spese dei rivali. […] Sebbene esistesse una base legale in Africa per la vendita degli schiavi, per la maggior parte essi non provenivano da una classe specifica, bensì erano prigionieri di guerra ridotti in schiavitù o individui comprati da razziatori. Come in Europa o altrove, i sovrani africani facevano la guerra per una serie di ragioni politiche, economiche e personali: per aumentare il territorio, per vendicare offese subite dai vicini, per guadagnare influenza in una regione, per controllare risorse cruciali o vie di comunicazione, o ancora per rafforzare il potere all’interno contro i membri rivali della classe dominante. In Africa, la vastità del territorio e la diversità umana creavano le condizioni per guerre frequenti. […] Per giunta, quando gli stati africani entravano in guerra, lo scopo non era conquistare nuove terre bensì catturare individui, vuoi per incorporarli come vassalli vuoi per farne schiavi. […] Le guerre portavano ricchezze e potere agli stati e ai loro capi garantendo le braccia per tagliare il bosco, coltivare, produrre beni, commerciare e riprodurre nuove generazioni. In alternativa, i prigionieri catturati in guerra potevano essere venduti e anche questi proventi finivano per rafforzare lo stato vittorioso. Ciò spiega perché in Africa ci fosse già una grande popolazione schiava all’epoca dei primi contatti con gli europei, e perché le guerre continuassero a produrre schiavi. […]
44d UNO SCHIAVO RACCONTA
B. Armellin, La condizione dello schiavo. Autobiografie degli schiavi neri negli Stati Uniti, Einaudi, Torino 1975, pp. 8; 14-19.
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Le testimonianze dirette degli ex schiavi neri del Nord America hanno un’importanza documentaria fondamentale nella ricostruzione della storia della schiavitù, che fa emergere in tutta la sua ricchezza e complessità la condizione umana dello schiavo, la cui negazione è stata il presupposto su cui per secoli si
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Non si deve pensare che gli schiavi fossero scambiati con merci di scarto o addirittura ninnoli senza valore. I venditori africani cedevano i loro prigionieri solo in cambio di beni che avessero valore a livello locale. Gli europei dovevano selezionare attentamente le merci da offrire per soddisfare le mutevoli ed esigenti richieste degli africani lungo le diverse aree costiere. Spesso gli europei pagavano gli schiavi con armi e munizioni, e questo era logico visto che il commercio era un modo per gli stati e per i singoli individui di aumentare il proprio potere e la propria ricchezza. Anche le conchiglie di ciprea1 (portate dall’Asia e usate come moneta in Africa) insieme ai metalli e ai prodotti manufatti entravano nel continente africano mentre gli schiavi ne uscivano. Ma la merce di gran lunga più richiesta dagli africani erano i tessuti. In tutta l’Africa si produceva una grande quantità di vestiario, ma le importazioni di tessuti (capi finiti europei, o portati in Africa dall’Asia) rappresentavano una forte attrazione come simbolo esotico di moda e di lusso. 1. Le conchiglie di ciprea, o cipree, sono il guscio di una famiglia di molluschi che vive nei mari tropicali. In particolare, tra esse, le conchiglie cauri, raccolte nelle isole Maldive, avevano una funzione di moneta, estesa dalle coste occidentali dell’Africa sino alle isole Hawaii.
METODO DI STUDIO
a Evidenzia le informazioni che smentiscono l’idea che gli europei avrebbero costretto gli africani a vendere schiavi e spiega quali erano le reali motivazioni di questo commercio. b Spiega in che modo la contestualizzazione storica del termine “africano” possa aiutare a comprendere il comportamento dei venditori di schiavi in Africa. c Sottolinea le merci con cui gli europei pagavano gli schiavi africani.
è fondata la schiavitù. Nelle pagine che seguono, tratte da La condizione dello schiavo a cura di Bruno Armellin, Gustavus Vassa (1745 ca.-1797), fatto prigioniero durante l’adolescenza nel Regno del Benin, racconta alcuni momenti salienti della sua esperienza: la cattura nel villaggio natale, la terribile traversata, la vendita all’incanto dei sopravvissuti. Dopo molteplici peripezie egli riuscì a riscattare la propria libertà e in Inghilterra, dove si era rifugiato, scrisse nel 1789 la sua autobiografia.
Un giorno, mentre tutti i nostri lavoravano nei campi come il solito e solo noi due, io e mia sorella, eravamo lasciati a badare alla casa, due uomini e una donna scavalcarono il muro e in un attimo si impadronirono di noi due, ci tapparono la bocca senza darci il tempo di gridare o di far resistenza e poi fuggirono trascinandoci nel bosco più vicino. Qui ci legarono le mani e attraverso il bosco ci portarono il più lontano possibile; si stava facendo buio quando arrivammo ad una casupola dove i ladroni si fermarono a rifocillarsi e a passare la notte. […] Le prime cose che vidi appena giunsi alla costa, furono il mare e una nave all’ancora in attesa del suo carico di schiavi. Questa vista mi riempì di stupore, che si trasformò subito in terrore, quando fui portato a bordo. [...] Già quand’eravamo sulla costa il fetore della stiva era così nauseante e intollerabile che era pericoloso restarci anche per breve tempo; ad alcuni di noi era permesso di rimanere sul ponte a respirare aria pura, ma ora che tutto il carico era ammucchiato insieme il tanfo era divenuto assolutamente pestilenziale. La ristrettezza dello spazio e il clima caldissimo, aggiunti al numero di gente chiusa dentro la nave, la quale era affollata al punto che ciascuno aveva appena lo spazio di girarsi, quasi ci soffocavano: si produsse una traspirazione così abbondante che l’aria diventò presto irrespirabile anche per i molti odori disgustosi; molti degli schiavi si ammalarono
e di questi parecchi morirono, cadendo così vittime dell’imprevidente avidità, per chiamarla così, dei loro compratori. Questa spaventosa situazione era ancor più aggravata dall’irritazione prodotta sulla pelle dalle catene, che ormai era divenuta insopportabile, e dalla lordura dei mastelli che servivano da latrina, dentro ai quali spesso cadevano i bambini per finirne quasi soffocati. Le grida delle donne e i lamenti dei moribondi creavano una scena di un orrore quasi inimmaginabile. […] Tutto quello che mi succedeva e di cui ero spettatore serviva solo a rendere ancora più penoso il mio stato, ad accrescere la mia ansia e a confermare la mia opinione sulla crudeltà dei bianchi. Un giorno presero una buona quantità di pesce e dopo che ne ebbero mangiato a sazietà, piuttosto che darne a noi, come ci aspettavamo, con meraviglia di quelli dei nostri che stavano sul ponte gettarono il resto in mare, malgrado tutte le nostre inutili preghiere e implorazioni. Spinti dalla fame, alcuni dei miei conterranei in un momento in cui pensavano di non esser visti cercarono di pescare per conto loro, ma furono scoperti e il tentativo procurò loro una buona dose di frustate. Un giorno che il mare era calmo e c’era poco vento, due dei miei conterranei ormai esausti, che si trovavano incatenati insieme (mi trovavo vicino a loro in quel momento), preferendo la morte a una vita così disgraziata, in qualche modo riuscirono a superare le reti e a gettarsi
45 W. REINHARD LA LOGISTICA DEL COMMERCIO DEGLI SCHIAVI
W. Reinhard, L’Europa e il mondo atlantico in Storia del mondo. Imperi e oceani, 1350-1750, Einaudi, Torino 2016, pp. 879-82.
Lo storico tedesco Wolfgang Reinhard (nato nel 1937) è uno dei maggiori esperti del colonialismo e dello sfruttamento economico delle colonie da parte degli Stati europei. Negli ultimi anni ha esteso i suoi studi al rapporto tra il mondo Inizialmente, in questa parte di Africa1 furono molto attivi gli olandesi, poi soprattutto i britannici e i francesi. Alla fine del XVIII secolo i portoghesi trasportavano ogni anno 16.000 schiavi provenienti da questa zona, i francesi 12.800 e i britannici 11.600. Durante
in mare; immediatamente seguì il loro esempio un altro disperato compagno che, a causa della sua malattia, era stato lasciato senza catene; e sono convinto che molti altri li avrebbero seguiti se non glielo avesse impedito la ciurma immediatamente messa in allarme. Quanti di noi avevano ancora abbastanza energie vennero immediatamente riportati nella stiva […]. In questa maniera continuammo a soffrire più patimenti di quanti io possa ora raccontare, patimenti che sono inseparabili da questo commercio maledetto1. Per mancanza d’aria molte volte fummo vicini a soffocare, e senza poter respirare aria pura restavamo per giorni interi; questo, e il fetore emanato dagli escrementi nelle tinozze, uccisero molti dei nostri. 1. Il commercio degli esseri umani.
METODO DI STUDIO
a Dividi il racconto in sequenze e individua per ognuna di esse dei titoletti che scriverai al lato del testo (es. il rapimento, la vita a bordo, ecc.). b Sottolinea con colori diversi i riferimenti presenti ai cinque sensi e scrivi un breve testo in cui racconti il viaggio degli schiavi mettendo in rilievo le sollecitazioni che essi vivevano dal punto di vista degli odori, del tatto, della vista e dell’udito. c Spiega sinteticamente quali erano i patimenti che, secondo Gustavus Vassa, erano «inseparabili da questo commercio maledetto».
atlantico – che vede uno dei suoi poli nella costa occidentale del continente africano e l’altro nella costa orientale di quello americano – e l’Europa. In questo brano analizza alcuni aspetti organizzativi (profitti, tempi, merci di scambio, alimentazione a bordo) del commercio degli schiavi, smentendo l’idea comune secondo la quale ogni singola nave era coinvolta in tutte e tre le fasi del cosiddetto “commercio triangolare”.
il XVIII secolo, il Congo e l’Angola rifornirono l’America con 2,5 milioni di schiavi, di cui 1,3 milioni spettarono ai portoghesi. Dopo il 1810, diversamente da altre parti dell’Africa, vanno aggiunti ancora 1,3 milioni. I 3,93 milioni di africani catturati in questa zona tra il 1662
e il 1867, di cui 340.000 soltanto nel decennio 1790, ammontavano al 40 per
1. L’Africa atlantica, cioè la sua parte occidentale.
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FARESTORIA IL COMMERCIO DEGLI SCHIAVI: LA TRATTA ATLANTICA E LA RIVOLUZIONE COMMERCIALE
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cento di tutte le esportazioni di schiavi africani gestite dagli europei. Probabilmente nessun’altra parte del continente ha patito superiori perdite di popolazione con la tratta degli schiavi e ha dovuto sopportare cambiamenti maggiori. Gli europei cercarono di organizzare il giro d’affari attraverso compagnie monopolistiche nazionali2, ma i costi erano troppo alti e tutte le compagnie fallirono. Nel XVIII secolo dominava il libero commercio e la Royal African Company britannica3 riscuoteva ancora una tassa per l’utilizzo delle sue basi d’appoggio. Le navi di schiavi non erano mai «caricate» tutte in una volta; piuttosto gli schiavi erano acquistati a più riprese da diversi africani. Pertanto una stallia4 di carico/scarico di più mesi o una navigazione costiera erano consuete e costituivano un’ulteriore fonte di rischio e di costi. Normalmente l’armatore di una nave negriera condivideva investimenti e profitti con altri mercanti di schiavi, con altri commercianti e altre persone, anche per ridurre i rischi, e anche i capitani erano coinvolti nell’investimento. Gran parte delle navi negriere erano più piccole delle navi commerciali normali, ma avevano un numero doppio di uomini come equipaggio: un marinaio ogni 7-10 schiavi. Un carico di merci per l’Africa ammontava al 5565 per cento dei costi totali e i prodotti più importanti, nel XVIII secolo, erano quelli tessili (il 56 per cento del carico totale), di cui appena un terzo (36 per cento) proveniva dalle Indie orientali, preferiti per la qualità e la resistenza dei colori. Seguivano l’acquavite e diverse merci metalliche, oltre ad altri prodotti industriali (rispettivamente il 10 e il 12 per cento), armi e polvere da sparo (dal 7 al 9), tabacco (dal 2 all’8) e barre di ferro (dal 2 al 5 per cento). […] Inoltre, olandesi e inglesi importavano conchiglie cauri5 dall’Oceano Indiano, in parte dirette in Africa, in parte verso l’Europa, dove erano comprate da commercianti di schiavi di altre nazioni. […] Dopo tre o quattro mesi di viaggio verso l’Africa e da tre a sei mesi di stallia – necessari per acquistare gli schiavi – i commercianti integravano le scorte di farina e carne portate dall’Europa – sempre con commercianti africani – con yam6, riso, fagioli e altri alimenti africani, nonché acqua potabile. Era-
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no necessari circa 200 chilogrammi di viveri e 65 litri d’acqua per schiavo per il viaggio di diversi mesi attraverso l’Atlantico, il cosiddetto Middle Passage7. Nel caso dei britannici, a bordo vi erano due pasti al giorno, uno a base di riso e yam, l’altro con zuppa d’orzo, mais e pane secco, a volte con carne o pesce, in tutto circa 2000 calorie. A ciò si aggiungeva succo di limone o aceto contro lo scorbuto. Gli uomini, i ragazzi, le donne e i bambini erano tenuti separati e di notte incatenati per sicurezza, ma di giorno potevano muoversi in coperta e lavarsi con l’acqua di mare, mentre l’equipaggio puliva la zona notte: circa 0,6 metri quadrati a persona. Poiché uno schiavo morto su 300 significava una diminuzione del profitto dello 0,67 per cento, il «carico» in generale era trattato con cura. Ciononostante la mortalità era elevata, ma diminuì dal 20-30 per cento nel XVI secolo al 6-10 per cento nel XIX. I commercianti di schiavi svilupparono navi più adatte, permisero una traversata più rapida e un’alimentazione più sana a bordo e comparvero differenze tra le nazioni: i portoghesi si classificavano meglio di spagnoli, inglesi e francesi. La mortalità poteva dipendere dall’esaurimento del sostentamento nel caso la durata del viaggio si prolungasse inaspettatamente, ma più spesso era dovuta a infezioni, che gli schiavi portavano dall’Africa e che diffondevano sulla nave, perlopiù quelle del tratto digerente e alcune febbri, però a volte anche epidemie di morbillo e di vaiolo, fino a quando anche qui divenne consueta la vaccinazione contro quest’ultimo. In queste circostanze, anche tra l’equipaggio la mortalità era maggiore che su altri tipi di navi. Una volta arrivati nelle Indie Occidentali8, gli schiavi erano venduti singolarmente o in piccoli gruppi entro pochi giorni, spesso con un acconto del 25 per cento, mentre il resto doveva essere dilazionato. Una parte dell’equipaggio diveniva superflua e veniva licenziata e dopo 15-18 mesi la nave ritornava in Europa, perlopiù con la sola zavorra, o caricata solo in parte. Con un’espressione tipica, questo sistema atlantico era detto «commercio triangolare»: merci dall’Europa all’Africa – schiavi dall’Africa all’America – zucchero e altri prodotti delle piantagioni dall’America all’Europa. Tuttavia, questo è corretto al massi-
mo per il carico trasportato, mentre la singola nave raramente era coinvolta in tutte e tre le direzioni; inoltre, non erano consueti l’andata e il ritorno tra l’Europa e gli altri continenti, tanto più tra Brasile e Africa, e senz’altro i venti e le correnti escludevano questa possibilità per le Indie Occidentali. 2. Inizialmente il commercio degli schiavi tra l’Africa e le Americhe era gestito da un’unica compagnia commerciale per ogni paese (monopolio), spesso fondata dalle famiglie reali. Solo nel corso del XVIII secolo, con la diffusione del libero mercato e del regime di concorrenza, furono create più compagnie. 3. La Royal African Company era una compagnia commerciale britannica, fondata nel 1672 ma già esistente da qualche anno, che si occupava del trasferimento nelle colonie britanniche americane degli schiavi neri prelevati dall’Africa. 4. Il tempo concesso a una nave in un porto per compiere le operazioni di carico e scarico. 5. Conchiglia usata come moneta [►FS, 43, nota 1]. 6. Tubero utilizzato come alimento, noto anche come igname o patata dolce. 7. Il “passaggio intermedio”, cioè la fase della tratta atlantica durante la quale gli schiavi attraversavano l’oceano a bordo delle navi. 8. Il continente americano.
METODO DI STUDIO
a Scrivi su una carta geopolitica dell’Africa i nomi degli Stati da cui furono prelevati gli schiavi e, per ognuno di essi, il numero di questi ultimi. Quindi scrivi i nomi dei paesi europei che parteciparono al commercio indicando per ognuno di essi il numero di schiavi trasportati. b Spiega per iscritto in che modo gli europei organizzarono il commercio schiavile, con quali merci pagavano gli schiavi, da cosa dipendeva la sopravvivenza di questi ultimi e come questo aspetto cambiò nel tempo. c Descrivi oralmente lo svolgimento del commercio triangolare e il percorso delle navi e delle merci.
46 K. POLANYI IL DAHOMEY E LA TRATTA DEGLI SCHIAVI
K. Polanyi, A. Rotstein, Il Dahomey e la tratta degli schiavi. Analisi di un’economia arcaica, Einaudi, Torino 1987, pp. 17-22.
Il commercio degli schiavi ebbe conseguenze profonde anche sulle società e sulle economie dei paesi africani. Uno dei più originali economisti e antropologi del ’900, l’ungherese Karl Polanyi (1886-1964), ha studiato gli effetti di questi traffici in uno dei grandi regni dell’Africa occidentale, il Dahomey (l’odierna L’evento storico che sottopose la società del Dahomey ad una grande tensione sopraggiunse dall’esterno e si verificò nella sfera dell’economia. L’esplosione della tratta degli schiavi determinata dalle piantagioni di canna da zucchero d’oltremare investì la costa della Guinea1 nelle immediate vicinanze del Dahomey ed ebbe conseguenze eccezionali. […] La canna da zucchero era stata introdotta nelle Barbados2 nel 1640. In meno di venti anni la canna da zucchero «era divenuta più importante del tabacco e costituiva quasi la metà delle importazioni di Londra dalle piantagioni». Ebbe inizio una drammatica trasformazione del commercio atlantico. […] La convinzione molto diffusa che il nuovo schema del commercio afroamericano ebbe inizio con l’era delle scoperte è erronea; in realtà per un altro secolo e mezzo, fino agli inizi delle piantagioni da zucchero, non si intravide alcunché del genere, e soltanto a partire dal 1683 è dato trovare negri africani – 3000 dei quali erano stati acquistati in Africa per venire impiegati nella colonia – a Bahia3, allora capitale dell’impero d’oltremare dei portoghesi. […] In Inghilterra […] fu il 1660 l’anno in cui fu fondata la compagnia degli «avventurieri di Londra che commerciavano con l’Africa». «Il suo obiettivo principale era la ricerca dell’oro». La Royal African Company4 venne lanciata soltanto dodici anni dopo; il suo storico commenta che «la nuova compagnia doveva trattare soprattutto negri, la cui domanda nelle colonie inglesi appariva in espansione». Si possono datare al 1672 gli inizi della moderna tratta degli schiavi. Le piantagioni erano enormemente redditizie e le Indie occidentali erano divenute proprietà privata della famiglia reale e dell’aristocrazia di rango più elevato. Ora il procacciarsi schiavi era riconosciuto «assolutamente necessario». […] Con l’avvento della canna da zucchero nelle Indie occidentali ebbe inizio la cor-
Repubblica del Benin), che perdurò dal 1625 al 1893 ed era caratterizzato da un’organizzazione sociale piuttosto arcaica. Nel seguente brano, Polanyi ricostruisce le origini della tratta atlantica sulla costa occidentale dell’Africa, determinata dalla necessità di manodopera proveniente dalle nuove piantagioni di canna da zucchero del continente americano, e ne evidenzia i condizionamenti sulla politica dei re del Dahomey, costretti ad abbandonare l’idea di organizzarsi come Stato dell’entroterra e spinti invece a interessarsi al commercio degli schiavi.
sa agli schiavi negri. Ardra5 fu il primo e il più importante Stato della costa della Guinea settentrionale che praticò la tratta degli schiavi. Sin dalla fine del decennio 1660-70 Ardra e i suoi tributari6, […] divennero altrettanti centri in cui si praticava regolarmente la tratta degli schiavi provenienti dall’interno, la maggior parte dei quali passava per il territorio di Ardra. Verso la fine del XVII secolo i francesi, che avevano un punto d’appoggio nelle vicinanze, riuscirono a stabilirsi permanentemente nella zona costiera dell’Ouidah7 […]. Anche la Royal African Company, che fino ad allora aveva preferito la vicina Offra, vi trasferì il suo insediamento principale [...]. Nel primo decennio del XVIII secolo l’affermarsi dell’Ouidah come il centro preminente di questa nuova branca del commercio mondiale segnò una svolta decisiva per la storia del Dahomey. Tale evento, verificatosi nelle sue immediate vicinanze, fu una sfida che fece esplodere le contraddizioni latenti della sua posizione. Ora il Dahomey si trovava costretto a tener conto della sua dipendenza geografica e strategica dalla costa. L’inattesa localizzazione della tratta degli schiavi e la pressione economica esercitata dalle flotte dei negrieri sulla costa indebolivano la situazione del Dahomey in quanto Stato dell’interno. […] All’interno e all’esterno la situazione dell’offerta era senza precedenti sia per il numero di uomini coinvolti sia per il disastro sociale causato. […] Inoltre la tratta degli schiavi rendeva necessario applicare tecniche e procedimenti che consentissero di trasportare, custodire, racchiudere in recinti, mantenere in vita e marchiare masse di esseri umani adulti. Si doveva trovare un modus vivendi8 con le autorità dei grandi Stati africani, e sporadiche ingerenze nella complicata politica della regione si rendevano inevitabili. Dal punto di vista militare il Benin9, l’Oyo e l’Ashanti potevano tenersi in disparte dalla costa, grazie ai
piccoli Stati-cuscinetto che li separavano dalla fascia costiera, più boscosa. La savana di Benin, restringendosi verso sud, privava il Dahomey di un’analoga zona di isolamento. La politica del Dahomey seguiva una logica rigorosa: nella sua precaria posizione militare la difesa e la tratta degli schiavi erano inseparabili. Si ammetteva che la tratta degli schiavi era anche una fonte
1. Regione dell’Africa occidentale che si affaccia sul Golfo di Guinea. In questa regione è compreso anche il Dahomey. 2. Isola delle Antille, situata tra il Mar dei Caraibi e l’Oceano Atlantico. 3. Nome con il quale viene comunemente chiamata la città di Salvador, capitale dello Stato brasiliano di Bahia, fondata dai portoghesi col nome di São Salvador da Bahia de Todos os Santos nel 1549. Fu capitale fino al 1763. 4. ►FS, 45, nota 3. 5. Chiamata anche Grande Ardra o Allada, dal nome della sua capitale, fu un regno dell’Africa occidentale situato in una zona corrispondente all’odierno Benin meridionale. In questa zona agiva principalmente la Compagnia olandese delle Indie occidentali. 6. Città e popolazioni che dovevano pagare i tributi ad Ardra e che, quindi, vivevano in una forma di subordinazione. 7. Ouidah è una città dell’odierno Benin, dove nel 1680 i portoghesi eressero un forte che divenne fondamentale per il commercio degli schiavi. 8. Modo di vivere. 9. Ci si riferisce, qui, non all’odierna Repubblica del Benin, ma all’Impero del Benin, che perdurò dal 1180 al 1897 e si estese gradualmente fino a comprendere l’area dell’odierna Nigeria. Sul territorio della Nigeria si affermò anche l’Impero Oyo, uno dei più estesi dell’Africa precoloniale insieme all’Impero Ashanti (1670-1902), corrispondente all’odierno Ghana.
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FARESTORIA IL COMMERCIO DEGLI SCHIAVI: LA TRATTA ATLANTICA E LA RIVOLUZIONE COMMERCIALE
di cospicue entrate per il re, senonché vi erano ben pochi margini di guadagno privato per una famiglia reale che provvedeva alle spese complessive dell’esercito e della pubblica amministrazione, compresi i pesanti costi delle campagne annuali. Il Dahomey era circondato da stati militarmente preparati. L’acquisizione di schiavi mediante l’intensificazione delle scorrerie contro i vicini più deboli
non costituiva una possibile soluzione. Le guerre su larga scala tendenti all’acquisizione di schiavi e le azioni preventive contro gli strapotenti vicini procedevano di pari passo. La tratta degli schiavi gestita dallo Stato, che soltanto il Dahomey, se si prescinde dall’Ardra, praticava in quella regione, determinò una spirale di guerre incessanti che rese oltre modo bellicosa la popolazione di quel paese.
47 H.S. KLEIN I VANTAGGI ECONOMICI DELLA TRATTA ATLANTICA E LA LOTTA PER L’ABOLIZIONISMO
H.S. Klein, Il commercio atlantico degli schiavi, Carocci, Roma 2014, pp. 40-41; 76; 233-34.
Secondo lo storico statunitense Herbert S. Klein (nato nel 1936) la tratta degli schiavi fu un elemento fondamentale del successo economico occidentale: l’impiego degli schiavi, infatti, non solo rendeva possibile l’intero sistema economico del continente americano, notoriamente povero di manodopera, ma garantiva anche guadagni ai mercanti e ai finanziatori coin-
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Prima di esaminare la storia dell’emigrazione forzata dall’Africa alle Americhe occorre […] capire quali furono le regioni reali che spinsero gli europei a ricorrere in tale misura agli schiavi africani per sviluppare miniere, manifatture e produzioni agricole. […] L’acquisto di schiavi sulla costa africana dell’Atlantico meridionale non fu motivato […] da una specifica richiesta di manodopera africana inerente all’economia europea. Senza alcun dubbio, invece, furono soprattutto le specifiche condizioni del mercato del lavoro americano a influenzare lo sviluppo della tratta atlantica degli schiavi. […] L’agricoltura da esportazione e l’effettiva colonizzazione non avrebbero raggiunto le proporzioni che seppero acquisire se gli schiavi africani non fossero stati portati nel Nuovo Mondo. Ad eccezione dei metalli preziosi, quasi tutte le principali esportazioni americane in Europa furono prodotte dagli africani. Difficile anche immaginare che le Indie Occidentali e la maggior parte del Brasile potessero essere efficacemente colonizzate senza il ricorso a questi schiavi africani. Data la ricchezza generata da queste colonie per le proprie madripatrie, non si manifestò nessuna disponibilità a rinunciare all’uso della manodopera schiava africana in nome di un’adesione ancora non for-
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METODO DI STUDIO
a Evidenzia l’evento che determinò l’affermazione del nuovo schema del commercio afroamericano e spiega in cosa consistette questo cambiamento. b Cerchia le date presenti nel brano e sottolinea gli eventi relativi. c Spiega quali dinamiche spinsero il Regno del Dahomey nel commercio degli schiavi e quali furono le conseguenze di questo commercio.
volti. Nonostante i vantaggi economici della tratta atlantica, nel XVIII secolo iniziarono però a emergere movimenti e idee che la consideravano illegittima: il cristianesimo evangelico, il pensiero illuminista e la nuova economia politica, che riteneva il lavoro non libero come contrario alla moderna economia di mercato. Il movimento antischiavista si affermò soprattutto in Gran Bretagna: il 1° gennaio 1808 il Regno Unito – e di conseguenza anche gli Stati Uniti – uscirono dalla tratta atlantica e, da allora, il governo britannico cercò di spingere anche le altre nazioni a fermarla, mentre il movimento antischiavista chiedeva l’abolizione della schiavitù.
mulata al principio dell’uguaglianza tra i popoli, un’idea che sarebbe emersa nel pensiero americano ed europeo soltanto nel tardo Settecento. Fino ad allora per Londra e Parigi le piantagioni schiaviste delle piccole isole delle Indie Occidentali valevano di più di interi continenti abitati da coloni liberi. Se la tratta degli schiavi fu redditizia, e se gli africani furono condotti in America a scopi produttivi, per quale motivo alla fine del XVIII secolo gli europei cominciarono ad attaccarla fino a troncare sistematicamente, nel corso dell’Ottocento, la partecipazione alla tratta di tutte le madripatrie europee e delle rispettive colonie americane? Gli economisti sembrano oggi concordare sul fatto che l’organizzazione schiavistica delle piantagioni americane garantisse un buon profitto ai piantatori e ai produttori di schiavi. Inoltre, tra tardo Settecento e primo Ottocento il calo dei prezzi delle colture americane prodotte nelle colonie ne diffuse rapidamente il consumo. L’elasticità della domanda di zucchero, caffè e cotone – i tre principali prodotti agricoli delle piantagioni con manodopera schiava – si tradusse in un guadagno per la classe dei piantatori. E non era possibile trovare lavoratori liberi disposti a lavorare in questi sistemi di piantagione, eccezion fatta per alcuni ci-
nesi assunti a contratto o per contadini impiegati a tempo parziale. Resta quindi da capire perché la tratta sia stata infine abolita, pur essendo ancora redditizia per l’economia americana. Iniziata nell’ultimo quarto del Settecento, la campagna per l’abolizione della tratta atlantica degli schiavi è oggi considerata il primo movimento politico pacifico di massa della storia britannica basato su sistemi moderni di propaganda politica. […] I britannici, dopo aver abolito nel 1808 il traffico di schiavi con le proprie colonie, tentarono di costringere anche gli altri principali paesi europei schiavisti a interrompere le rispettive tratte e gli Stati e i governi africani a smettere di esportare esseri umani. […] La campagna contro il traffico degli schiavi trasse origine dalla critica intellettuale alla legittimità della schiavitù e della tratta schiavistica, che cominciò a essere mossa nel Settecento in pieno contesto illuministico1 e che, nel corso degli ultimi decenni del secolo, divenne una battaglia morale condotta da un esiguo numero di
1. ►CAP4.
sette protestanti. Qualche pensatore abolizionista, o qualche spirito che riteneva immorale il traffico di schiavi, c’era stato anche prima, ma si era trattato di voci isolate che non ebbero nessuna effettiva influenza sull’ideologia europea. Nel secondo Settecento, invece, una serie di autori iniziò a considerare la schiavitù come un’istituzione contraddittoria rispetto a una moderna economia di mercato2, o come una sfida ineludibile per il concetto in via di affermazione di eguaglianza universale, o ancora come una pratica intrinsecamente anticristiana, a prescindere da quel che era stato decretato nelle pagine della Bibbia. Nel primo Settecento l’istituzione fu condannata da filosofi come Montesquieu e Francis Hutcheson, seguiti su questa scia da figure dell’importanza di Adam Smith e Jean-Jacques Rousseau3. Assieme ai dibattiti filosofici giunsero le critiche dei quaccheri e dei protestanti evangelici4, che aggiunsero un accento specificatamente religioso alle opinioni sempre più negative sulla schiavitù […]. Per la prima volta nella storia del pensiero occidentale, emerse una variegata serie di credenze
secondo le quali la schiavitù, e a maggior ragione il traffico di schiavi, erano istituzioni moralmente, politicamente e filosoficamente inaccettabili per la civiltà europea. Alla fine del secolo, in Europa, la schiavitù non poteva più contare su nessun paladino degno di nota. 2. Economia fondata sul libero mercato e sul libero scambio [►4_3]. 3. Su Montesquieu, Smith e Rousseau [►CAP4]. Francis Hutcheson (1694-1746) fu un filosofo
considerato il fondatore della cosiddetta «scuola scozzese», particolarmente incentrata sulla questione della morale: le sue idee ebbero una grande influenza su Adam Smith. 4. Quello dei quaccheri è un movimento religioso nato nell’Inghilterra del XVII secolo e ispirato alla Riforma protestante: dopo violente persecuzioni in Europa, i quaccheri trovarono rifugio in America, dove diedero vita alla prima comunità cristiana che si impegnò a combattere la schiavitù. I cristiani evangelici sono dei gruppi protestanti che si ispirano allo stile di vita contenuto nella Bibbia.
PALESTRA INVALSI
1 Trascrivi i tre cambiamenti avvenuti nel secondo ’700 che resero la schiavitù e il traffico degli schiavi moralmente inaccettabili. 1. ................................................................................................................................................... 2. ................................................................................................................................................... 3. ................................................................................................................................................... 2 Un messaggio importante del testo è che... [ ] a. Montesquieu e Rousseau condannarono l’istituzione della schiavitù. [ ] b. la ricchezza generata dalle piantagioni schiaviste fu così grande da impedire la rinuncia alla manodopera schiavile fino alla fine del ‘700. [ ] c. gli africani furono condotti in America per scopi produttivi. [ ] d. fin dall’inizio del ‘700 le voci contro la schiavitù diventarono convinzione diffusa in Europa.
LEGGERE UNA FONTE ICONOGRAFICA 3 MERCANTI DI SCHIAVI A GOREA, 1796 [da Jacques Grasset de Saint-Sauveur, Les Costumes des Peuples, Bibliothèque des Arts décoratifs, Parigi]
In questa incisione due mercanti, uno bianco e uno nero, discutono tra loro contrattando il prezzo di due schiavi. Dagli abiti indossati dai quattro personaggi è possibile individuare i ruoli. Come si vede, l’atteggiamento del mercante africano è proprio di una persona sicura di sé, in grado di far valere i propri diritti e che non è sottoposta ad alcuna pressione.
GUIDA ALLA LETTURA
a Indica per iscritto gli elementi grafici che consentono di riconoscere il ruolo dei personaggi raffigurati. b Spiega quale rapporto esiste fra il commerciante europeo e quello africano e quali elementi dell’incisione consentono di descriverlo.
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FARESTORIA IL COMMERCIO DEGLI SCHIAVI: LA TRATTA ATLANTICA E LA RIVOLUZIONE COMMERCIALE
PISTE DI LAVORO
DAI DOCUMENTI ALLA STORIA 1 Dopo aver letto il documento di Vassa [►44d], i brani storiografici
di Reinhard [►45] e di Polanyi [►46] e dopo aver osservato attentamente l’incisione Mercanti di schiavi a Gorea [►FONTE ICONOGRAFICA 3], scrivi un testo argomentativo (max 25 righe) che tocchi gli argomenti di seguito (ricordati di citare le fonti da cui trai le tue informazioni): • Il Middle Passage e le fasi che lo caratterizzavano • Gli Stati coinvolti • Le conseguenze che il commercio triangolare ebbe sull’Europa e sull’Africa.
LO STORICO RACCONTA 2 Dopo aver letto tutti i brani storiografici, scrivi un breve testo
(max 25 righe) dal titolo Il commercio degli schiavi e le incertezze del movimento abolizionista. Prima di procedere con la scrittura, evidenzia nei documenti e nei testi
presi in considerazione i concetti che intendi utilizzare nel tuo elaborato e realizza una scaletta.
IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 3 Dopo aver letto i brani di Lindsay [►43], di Reinhard [►45] e di Polanyi [►46], scegli fra le seguenti posizioni storiografiche quella che ritieni maggiormente condivisibile e argomenta la tua risposta in un testo di circa 20 righe:
a. Il commercio degli schiavi vedeva coinvolti attivamente non solo gli Stati europei che pianificavano e realizzavano la tratta oceanica, ma anche le colonie americane e i regni africani che fornivano la manodopera e il supporto logistico ai commercianti bianchi, in cambio di benefici economici. b. Benché la schiavitù fosse un’istituzione diffusa in Africa già prima della tratta afroamericana, gli europei cambiarono radicalmente le dimensioni e le pratiche del mercato, condizionando fortemente le scelte politiche ed economiche degli Stati africani coinvolti.
LA CINA E L’EUROPA: SCIENZA E TECNICA A CONFRONTO Alla fine del XVI secolo, quando si fecero sempre più frequenti le spedizioni degli europei nell’Estremo Oriente, era opinione diffusa presso gli occidentali che la civiltà cinese non fosse molto più arretrata della loro. Nonostante l’invalicabile diversità nelle strutture sociali e nella mentalità, molti pensatori europei consideravano la civiltà cinese persino superiore a quella europea. È il caso, ad esempio, del filosofo tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz [►48d], che si esprimeva in questo senso ancora alla fine del XVII secolo e che nei suoi scritti evidenziò addirittura come alcune conoscenze matematiche degli antichi cinesi riguardanti l’aritmetica binaria fossero così avanzate da essere ormai incomprensibili anche ai cinesi a lui contemporanei. Anche il gesuita Matteo Ricci [►49d] durante il suo apostolato in Cina ebbe modo di valutare approfonditamente le competenze tecniche e tecnologiche dei cinesi, mettendole a confronto con quelle degli europei. In effetti, in molti settori, come quello dell’irrigazione, la Cina rimase all’avanguardia fino alla fine del XVIII secolo: come sottolineato da Kenneth Pomeranz [►50], infatti, né in Cina né nelle altre società non europee si ebbe, nel ‘700, alcuna stagnazione tecnologica e scientifica ma, anzi, alcune innovazioni furono prodotte e diffuse in quelle civiltà pur “in assenza di società scientifiche e di tecnici newtoniani”. Uno dei principali settori dell’economia cinese era l’industria della seta, la cui organizzazione è descritta da Jürgen Osterhammel [►51]. Del resto, anche gli imperatori cinesi ritenevano che la loro civiltà fosse superiore alle altre e ciò li portò a decidere di chiudersi verso l’esterno. In generale, infatti, gli occidentali dovettero superare molte resistenze da parte dei cinesi, come dimostra il loro rifiuto di accogliere la «misurazione del tempo» descritto da David S. Landes [►52]. Nonostante queste resistenze, secondo la storica della scienza Florence C. Hsia [►53], i gesuiti riuscirono però nell’impresa di far accreditare ufficialmente dai governanti cinesi la scienza astronomica europea.
48d GOTTFRIED W. LEIBNIZ L’ANTICA SCIENZA DEI CINESI: L’ARTIMETICA BINARIA
Gottfried W. Leibniz, La Cina, Spirali, Milano 1987, pp. 174-75.
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Il filosofo tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) si interessò approfonditamente alla civiltà e alla cultura cinesi. Giunto a Roma nel 1689, infatti, egli entrò in contatto con
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
padre Grimaldi, un gesuita che era stato a lungo missionario in Cina e che lo introdusse alla conoscenza dell’Estremo Oriente. Nel 1697 curò la pubblicazione e redasse l’Introduzione a Novissima sinica, historiam nostri temporis illustratura, una raccolta di saggi e scritti dei missionari gesuiti in Cina. Il filosofo tedesco si oppose con fermezza a quanti affermavano che la Cina fosse un paese abitato da barbari soggiogati dalle
superstizioni. Di seguito Leibniz ragiona sulle conoscenze matematiche degli antichi cinesi, ormai incomprensibili anche ai suoi contemporanei. Secondo Leibniz, i suoi studi sull’alfabeto È ben verosimile che se i nostri europei fossero sufficientemente informati della Letteratura cinese, l’ausilio della Logica, della Critica, della Matematica e del nostro modo di esprimerci più deciso del loro ci farebbe scoprire nei Monumenti cinesi1 di una antichità così remota, molte cose ignote ai cinesi moderni, nonché agli Interpreti posteriori per quanto li si creda classici. È così che il reverendo Padre Bouvet2 e io abbiamo scoperto il senso apparentemente più vero, secondo la lettera, dei caratteri di Fohi3, fondatore dell’Impero, che consistono solo nella combinazione di linee intere e spezzate e che passano per i più antichi della Cina, come anche per i più semplici. Ci sono sessantaquattro figure comprese nel libro chiamato Ye Kim, ossia libro delle Variazioni4; vari secoli dopo Fohi, l’Imperatore Ven’ Vam, suo figlio Cheu Cum5 e, ancor più di cinque secoli dopo, il celebre Confucio6 vi hanno cercato misteri filosofici. Altri hanno addirittura voluto trarne una sorta di geomanzia7 e altre vanità simili. Invece si tratta dell’Aritmetica binaria8 che quel grande legislatore sembra avere posseduto, e che io ho ritrovato alcune migliaia di anni dopo. In questa Aritmetica ci sono due segni 0 e 1, con cui si possono scrivere tutti i numeri; e quando la comunicai al reverendo Padre Bouvet, egli vi riconobbe subito i caratteri di Fohi, perché vi corrispondono esattamente. Mettendo la linea spezzata –– per 0 o zero, e la linea intera — per l’unità 1, quest’Aritmetica fornisce la maniera più
semplice di fare variazioni, perché ci sono solo due ingredienti. In questo modo sembra che Fohi abbia avuto lumi sulla scienza delle combinazioni, di cui feci una breve dissertazione nella mia prima giovinezza, ristampata mio malgrado molto tempo dopo. Ma quest’Aritmetica è andata completamente perduta, e quindi i cinesi posteriori non ebbero modo di accorgersene. E di questi caratteri di Fohi hanno fatto non so quali simboli o geroglifici, come è costume quando ci di discosta dal senso vero; e come fece il buon Padre Kircher9 rispetto alla scrittura degli obelischi egizi di cui non capiva nulla. Ciò dimostra anche come gli antichi cinesi abbiano di molto superato quelli moderni, non solo nella devozione (che è la morale più perfetta), ma anche nella scienza. 1. In questo senso, opere letterarie e scientifiche antiche. 2. Il francese Joachim Bouvet (1656-1730) fu un gesuita che si recò in missione in Cina nel 1685. Fu uno dei principali esponenti del “figurismo”, un movimento intellettuale dei gesuiti missionari che consideravano l’I Ching (Libro dei mutamenti, ► nota 4) come un testo profetico anche per la Cristianità. 3. Fohi (o Fuxi) è uno dei tre mitologici grandi sovrani cinesi. Secondo la tradizione, è vissuto tra il 2952 e il 2836 a.C. e ha inventato il sistema divinatorio dell’I Ching, la lavorazione dei metalli, la scrittura e il calendario. Egli inoltre sarebbe stato l’inventore del cosiddetto Diagramma di Fuxi (o Bagua), un simbolo costituito da linee intere (yang) e spezzate
49d MATTEO RICCI DELLE ARTI MECCANICHE E DELLE SCIENZE DI QUESTA TERRA
da Matteo Ricci, Imperatori e mandarini, Sei, Torino 1984, pp. 41-44; 48-50.
A partire dal 1582, i gesuiti si dedicarono con fervore alla missione evangelizzatrice in Cina. Essi capirono subito di trovarsi in un contesto culturale e sociale complesso, che li costringeva a essere più cauti e rispettosi rispetto al modo in cui gli evangelizzatori Sappiamo l’essere questa nazione di grandissimo ingegno e industria. […] La stampa tra loro è più antica che fra noi, poiché l’hanno da più di cinquecento anni addietro; ma è assai diversa dalla nostra. Le sue lettere sono moltissime e
cinese del III millennio a.C., infatti, avrebbero dimostrato la conoscenza cinese dell’aritmetica binaria, di cui lui stesso era stato un ri-scopritore nell’Europa della fine del XVII secolo. (yin). 4. I Ching (o Yi Jing), cioè il Libro dei mutamenti, considerato uno dei testi classici cinesi, a cui è attribuito un valore divinatorio. L’I Ching è diviso in parti: la prima è composta da sessantaquattro unità, ognuna basata su un esagramma composto di sei linee che sono o continue (—) rappresentanti il principio yang o interrotte (––) rappresentanti il principio yin. 5. Si riferisce ai due capostipiti della dinastia Zhou, Zhou Wuwang (1046-43 a.C.) e Zhou Chengwang (1042-21 a.C.), considerati gli autori del Libro dei riti. 6. Confucio (551-479 a.C.) fu un pensatore cinese la cui dottrina – il confucianesimo – costituì il fondamento del pensiero cinese classico. 7. Sistema divinatorio basato sui segni nel terreno, nato in Cina. 8. L’aritmetica binaria, o sistema numerico binario, è un sistema numerico in base 2 che utilizza solo due simboli (0 e 1), invece delle dieci cifre utilizzate dal sistema numerico decimale. 9. Athanasius Kircher (1602-1680), gesuita tedesco che si dedicò, con scarsi risultati, al tentativo di decifrare i geroglifici degli antichi egizi.
METODO DI STUDIO
a Evidenzia le considerazioni che fanno credere a Leibniz che le conoscenze scientifiche degli antichi cinesi fossero superiori a quelle dei suoi contemporanei. b Spiega in cosa consiste l’aritmetica binaria e quale valore le attribuisce Leibniz nel suo discorso.
cristiani avevano agito nel continente americano. Un esempio di questo approccio è quello di Matteo Ricci (1552-1610) [►5_4 e PERSONAGGI, p. 182], missionario in Cina già dal 1582, autore di un’interessante opera che, nel ricostruire le tappe della penetrazione religiosa in Cina, offre un dettagliato ritratto privo di pregiudizi dei costumi, dell’economia, della geografia e delle istituzioni politiche di questo paese. Nel brano che segue, Ricci evidenzia le conoscenze cinesi nel campo delle tecniche e della scienza.
difficilmente si potrebbe usare nel nostro modo. Quindi il loro comune è l’intagliare in tavole di alberi di pera o mela, le quali sono liscie e non hanno nodi, o di giuggiolo1, nelle quali incollano al riverso2 il foglio di lettere o di pintura che vogliono
intagliare. E dipoi con molta destrezza gli 1. Pianta ornamentale nota anche come dattero cinese, diffusa in Asia. Il suo frutto, la giuggiola, è commestibile. 2. Al contrario.
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FARESTORIA LA CINA E L’EUROPA: SCIENZA E TECNICA A CONFRONTO
cavano3 tutta la carta, non restando nella tavola quasi altra cosa che la tinta della lettera o pintura; e dipoi con instrumenti di ferro cavano tutto quanto vi è di tavola fuora e dentro delle lettere con poco fondo, non rimanendo alto altra cosa che le lettere e tagli della pintura. E dipoi stampano sopra queste tavole quanti fogli ne vogliono. E quanto alla facilità e prestezza parmi4 che, nello stesso tempo, o poco meno, che i nostri stampatori compongono ed emendano un foglio, nell’istesso i loro intagliatori intagliano una tavola; e così costa molto meno stampare un libro a loro di quello che costa ai nostri. […] Di qui viene la moltitudine di libri che in questo regno si stampa, ognuno in sua casa, per essere anche grandissimo il numero di quei che attendono a questa arte di intagliare. […] Essendo i Cinesi amicissimi della pittura non possono però arrivare ai nostri5 e molto meno alla statuaria e arte di fondere o getto, tutto di molto uso tra loro, sì per vari archi e statue che fanno uomini e animali, di pietra e di bronzo, come per i loro idoli nei templi, con le campane, incensieri grandissimi che tengono avanti agli idoli. E parmi che la causa di non essere loro eminenti in simili arti fu la puoca o nessuna comunicatione che hebbero con altre nationi dalle quali potessero essere aiutati;
poiché nella destrezza delle mani e buon ingegno non cedono6 a nessuna natione. Non sanno pingere7 con olio né dar ombra alle cose che pingono, e così tutte le loro pinture sono smorte e senza nessuna vivezza. Nelle statue sono infelicissimi8, e non so che abbiano altra regola nelle proporzioni e simmetria che degli occhi, i quali, in cose grandi, si ingannano facilmente. E fanno pure figure grandissime di pietra, come di bronzo. Le campane tutte si suonano con martelli di legno e non potrebbero resistere a martelli di ferro; e così nel suono non si possono paragonare alle nostre. […] I loro horiuoli9 sino adesso furno di acqua e fuoco con certe pepite odorifere, fatte tutte della stessa grandezza; fanno anco altri con ruote mosse da arena10; cose tutte che tengono molta imperfetione. Dei solari11, solo hanno l’equinotiale, ma non lo sanno ben collocare conforme ai luoghi dove li pongono. […] Hebbero i Cinesi anco molta notizia di astrologia ed altre scientie di matematica. Nell’aritmetica e nella geometria furono più felici. Fanno altre costellazioni di stelle diverse dalle nostre e pongono quattrocento stelle più che i nostri astrologi, contando anco quelle che non sempre appariscono. Ma niente si curano dei fenomeni, e solo procurano calcolare al meglio che
50 K. POMERANZ EUROPA E CINA: SVILUPPO TECNOLOGICO ALLA VIGILIA DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
K. Pomeranz, La grande divergenza. La Cina, l’Europa e la nascita dell’economia mondiale moderna, il Mulino, Bologna 2004, pp. 79-81.
Lo storico statunitense Kenneth Pomeranz (nato nel 1958), profondo conoscitore della storia economica cinese, ha proposto in La grande divergenza (2000) una ricostruzione dello sviluppo dell’economia mondiale moderna, considerandolo il risultato delle influenze reciproche delle regioni del mondo
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Quello che mi preme sottolineare ora è che le società non europee vantavano alcuni significativi margini di vantaggio tecnologico in molti settori ancora alla fine del XVIII secolo, e non era così scontato che sul lungo periodo questi vantaggi si sarebbero rivelati relativamente ininfluenti. Non era neppure inevitabile, anche quando la tecnologia europea cominciò a svilupparsi più rapidamente e su un fronte più largo, che questi sviluppi sarebbero riusciti a
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possono le eclissi e movimenti de’ pianeti con assai di errori. […] Ed è cosa certa che, sì alla matematica come alla medicina, non si applicano se non persone che non possono studiar bene le lettere per il puoco ingegno e abilità; e così stanno queste scienze in bassa stima e fioriscono assai poco. 3. Tolgono. 4. Mi pare. 5. Ai nostri livelli. 6. Non sono da meno. 7. Dipingere. 8. Non hanno grandi risultati. 9. Orologi [►FS, 52]. 10. Clessidre [►FS, 52]. 11. Gli orologi solari sono le meridiane. Tra esse, la meridiana equinoziale (o equatoriale) è la più semplice: essa è costituita da un disco, su cui sono tracciati dei segni che indicano le ore, con una barra collocata parallelamente all’asse terrestre.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi le tecniche in cui i cinesi si mostrano, agli occhi di Matteo Ricci, più e meno bravi degli europei. b Facendo riferimento anche al cappello introduttivo, spiega per iscritto chi era Matteo Ricci e per quale motivo ha scritto questo brano.
più che l’imposizione dell’Occidente avanzato sul resto del pianeta. Secondo Pomeranz, nel XVIII secolo, la zona più sviluppata dell’Europa non aveva un vantaggio demografico e tecnologico rispetto a quella più avanzata della Cina, né una maggiore disponibilità di capitali. L’Europa occidentale, quindi, non era più produttiva o più economicamente efficiente di altre regioni: nessuna parte del mondo era necessariamente destinata alla rivoluzione industriale. L’Europa, però, poté avvantaggiarsi dell’estrazione e dell’uso del carbone e del flusso di materie prime e generi alimentari provenienti dal continente americano.
controbilanciare le persistenti debolezze nella gestione e conservazione del suolo e nell’estensione dei mercati, o a farlo abbastanza in fretta perché questi sviluppi non finissero per dirigersi, con conseguenze durature, lungo strade che richiedevano proprio quelle soluzioni labour-intensive1 adottate in Asia orientale e in alcune regioni atipiche dell’Europa occidentale, come la Danimarca. Non dovremmo neppure credere che le
aree in cui i non europei erano più progrediti fossero le conseguenze tardive di tradizioni illustri ormai stagnanti. Se è vero che l’Asia del XVIII secolo non ha prodotto nessuna di quelle che Joel Mokyr2 chiama «macroinvenzioni» – ovvero nuove idee in 1. «Ad alta intensità di lavoro», cioè che utilizzano molta manodopera. 2. Storico economico statunitense, di origine olandese, nato nel 1946.
grado di modificare improvvisamente le possibilità di produzione – l’Europa ne ha prodotte poche nel periodo tra il 1500 e il 1750 e anche durante gli anni solitamente definiti della «rivoluzione industriale» (1750-1830). Nel frattempo progressi tecnici di minore portata si ebbero in molte diverse aree del mondo. I coloranti europei, che godettero per un breve periodo di un grande successo in Cina, vennero ben presto imitati, così come successe in Europa per molti prodotti di successo asiatici. Nel XVII secolo qualcuno scoprì che certi ambienti sotterranei riuscivano a conservare un livello di umidità sufficiente da consentire la filatura del cotone anche durante la lunga stagione asciutta della Cina settentrionale, produttrice di cotone. Questa innovazione si diffuse a macchia d’olio durante il secolo successivo, permettendo a una regione con una popolazione superiore a quella di ogni stato europeo di soddisfare il proprio fabbisogno di tessuti e riducendo considerevolmente la disoccupazione stagionale. Così come è solo l’affermazione dei combustibili fossili (che resero meno importante l’efficienza nello sfruttamento del combustibile) a rendere le efficienti stufe cinesi un dettaglio trascurabile anziché un fatto tecnologico decisivo, è solo perché sappiamo che nel secolo successivo la produzione tessile domestica sarebbe divenuta «arretrata» che non consideriamo questi laboratori sotterranei un semplice ma decisivo progresso, diffusosi a un ritmo impressionante.
L’esempio dei laboratori sotterranei per la filatura del cotone è rivelatore anche perché, sebbene non abbiamo grandi conoscenze su come questa innovazione si sia diffusa, sappiamo non di meno che ciò avvenne. Anche se la struttura di questi laboratori era semplice, la gente che doveva imparare a realizzarli era reclutata tra le categorie più povere, isolate e analfabete della società. Il fatto che una simile diffusione sia comunque potuta avvenire abbastanza rapidamente in un’area piuttosto vasta, dovrebbe renderci prudenti nell’affermare che in assenza di società scientifiche e di tecnici newtoniani, la Cina (e altre società) mancavano di strumenti adeguati per diffondere utili nuove conoscenze. Al momento sappiamo relativamente poco delle discussioni scientifiche nell’ambito delle élite cinesi ma […] queste discussioni nel XVIII secolo erano più vivaci di quanto in precedenza si fosse supposto. È scontato che queste discussioni siano avvenute soprattutto nel cinese classico e soprattutto attraverso lo scambio di lettere piuttosto che in contesti istituzionali specifici, ma queste lettere non erano solo documenti privati, le discussioni in esse contenute erano di ampio respiro, sofisticate e spesso con implicazioni pratiche. In assenza di società scientifiche organizzate, la volgarizzazione di scoperte complesse era probabilmente più lenta di quanto non fosse in Inghilterra o in Olanda e forse l’ibridazione fra conoscenza scientifica dell’élite e sapere pratico artigianale è stata
51 J. OSTERHAMMEL L’INDUSTRIA DELLA SETA
J. Osterhammel, Storia della Cina moderna (secoli XVIII-XX), Einaudi, Torino 1992, pp. 87-90.
Tra la fine del ’600 e l’inizio del ’700 la lavorazione della seta, uno dei settori tradizionali dell’economia cinese, registrò una significativa espansione, determinata sia da un aumento della domanda interna sia da un incremento delle esportazioni. Allora, grazie anche al sostegno statale, i Nel Settecento la Cina era ciò che è anche oggi: la maggiore società rurale del mondo. Tuttavia essa non appariva un paese rurale al suo mondo circostante. Fino al secolo XIX inoltrato la Cina esportava principalmente – alla stregua di un paese relativamente «sviluppato» – manufatti artigianali. […] Nel secolo XVIII venivano da un lato fabbricati articoli di lusso, risultato di un artigianato artistico di alto livello (porcellane, oggetti laccati, carta,
più difficile. Vorremmo però sapere di più sul possibile contributo delle pubblicazioni di natura scientifica e tecnologica nelle lingue locali, soprattutto dopo che si è venuti a conoscenza di un vivace commercio di testi di medicina (effettivamente un soggetto più prestigioso di altri tipi di scienza e tecnologia) nelle lingue locali. Inoltre, diversamente da quanto si verificava in Europa, dove queste società scientifiche erano spesso essenziali per proteggere la scienza da una chiesa ostile, in Cina non vi era un’istituzione così potente e ostile al sapere scientifico, e non è chiaro perché le particolari istituzioni sviluppatesi in Europa dovrebbero costituire una condizione necessaria per il progresso scientifico e tecnologico altrove. Così, invece di cercare le ragioni della stagnazione tecnologica e scientifica in Cina – stagnazione che non ci fu – dovremmo considerare perché il progresso tecnico in Cina non sfociò in trasformazioni economiche rivoluzionarie. METODO DI STUDIO
a Spiega cosa sono le «macroinvenzioni» di cui parla Pomeranz e per quale motivo sono citate all’interno del testo. b In un breve testo descrivi i laboratori sotterranei per la filatura del cotone e spiega cosa ci permettono di affermare circa la diffusione delle nuove conoscenze. c Realizza una tabella sul quaderno i cui indicatori siano le parole “Europa” e “Cina”, quindi compilala inserendo le relative informazioni presenti nel testo.
produttori di seta riuscirono a ottenere buoni guadagni con investimenti generalmente molto ridotti. In queste pagine lo storico tedesco Jürgen Osterhammel (nato nel 1952) ricostruisce i caratteri principali dell’industria serica, caratterizzata dalla coesistenza di manifatture imperiali, laboratori privati e lavoratori a domicilio. Un’organizzazione complessa, dunque, che alimentò un intenso commercio internazionale fino agli inizi del ’700.
ecc.), dall’altro manufatti prodotti in serie, i quali, principalmente destinati al consumo interno, erano sempre più ricercati anche all’estero (tè, seterie, cotonate1). Nel corso del Settecento non si smise di notare con stupore che in Cina tutti, persino i più poveri, vestivano di seta […]. La lavorazione della seta si espanse considerevolmente durante l’epoca Ming e la prima epoca Qing2. Venne incentivata dall’incremento della domanda interna in
un primo tempo, poi anche da quello della domanda sui mercati esteri e godette di appoggi statali. Una fiorente produzione serica era per la corte di Beijing3 prova 1. Le seterie sono gli assortimenti dei tessuti di seta, le cotonate i tessuti di cotone colorati su un’unica facciata. 2. La dinastia Ming controllò la Cina dal 1368 al 1644, quando fu sostituita dalla dinastia Qing. 3. Pechino.
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FARESTORIA LA CINA E L’EUROPA: SCIENZA E TECNICA A CONFRONTO
della prosperità di un distretto e della buona gestione dei funzionari responsabili […]. La fabbricazione e lavorazione della seta costituivano per i produttori una fonte di guadagni relativamente sicura, tenuto conto di una domanda crescente e di un aumento costante dei prezzi. Il processo di produzione era dispendioso dal punto di vista dell’impiego di manodopera, ma necessitava di pochi capitali e solo di un breve periodo di apprendimento. Per questa ragione poteva essere compiuto facilmente nell’ambito di un’economia domestica contadina. Nella maggior parte dei casi l’organizzazione famigliare si faceva carico di parecchi stadi produttivi: la coltivazione del gelso, l’allevamento dei bachi da seta, l’estrazione dei bozzoli e il loro dipanamento. [...] Mentre l’estrazione e il dipanamento dei bozzoli poteva avvenire nell’ambito dell’economia domestica contadina, per la lavorazione ulteriore, necessaria alla fabbricazione di tessuti, esistevano diverse forme di organizzazione imprenditoriale. La più antica era la manifattura statale. […] Le tre «sedi imperiali della seta» (zhizao ju) di Nanjing4, Suzhou e Hangzhou, che furono chiuse soltanto nel 1894, dopo un lungo periodo di decadenza, raggiunsero il culmine del loro sviluppo negli anni ’40 del Settecento, allorché facevano funzionare complessivamente più di 1800 telai e impiegavano 1500 specialisti in campo artistico oltre agli abituali 5500 operai. Lo Stato non considerò mai que-
ste manifatture delle semplici organizzazioni economiche di tipo mercantile. Esse non producevano per l’esportazione ed erano orientate esclusivamente al soddisfacimento dei bisogni della corte. Secondariamente servivano a mantenere in salute i settori produttivi e a controllare una classe operaia potenzialmente irrequieta. Le manifatture imperiali della seta non erano tanto considerate delle imprese economiche, quanto dei «centri politici e organizzativi». Le sedi imperiali della seta non riuscivano sempre a fare fronte alle ordinazioni e ai contingenti di consegna. Quando sorgevano contrattempi, esse acquistavano le stoffe da privati produttori di seta. Questi ultimi erano proprietari di laboratori tessili, la cui dimensione variava dall’impresa famigliare fino al grande opificio con lavoratori salariati e parecchie centinaia di telai. Questi privati, concentrati soprattutto nelle città (a Suzhou esistevano nel secolo XVII più di 10.000 stabilimenti di questo tipo, a Nanjing funzionavano più di 30.000 telai, ciascuno dei quali era azionato da un numero di due o tre operai), costituivano il nucleo dell’industria serica nel secolo XVIII. Producevano per qualsiasi acquirente: incettatori statali, clienti privati residenti nel paese e amatori stranieri di seterie cinesi. Strettamente collegata a questa esisteva una terza forma imprenditoriale, il sistema di lavoro a domicilio, cui un’agenzia commerciale metteva a disposizione telai domestici e nella
52 D.S. LANDES I CINESI E L’OROLOGIO
D.S. Landes, Storia del tempo. L’orologio e la nascita del mondo moderno, Mondadori, Milano 1984, pp. 42-55.
Nell’acuta ricostruzione – compiuta dallo storico statunitense David S. Landes (1924-2013) – del complesso rapporto fra
230
Nel 1577 Matteo Ricci, un giovane italiano di nobile famiglia, allora al suo sesto anno di servizio nella Compagnia di Gesù, partì per compiere il lavoro missionario nelle Indie orientali. Non sarebbe mai più tornato in patria. Dopo qualche anno trascorso a Goa, quartier generale dell’impero portoghese in India, Ricci fu inviato a Macao, per assolvervi il compito di aprire la Cina alla diffusione della vera fede1. [...] Ricci aveva portato con sé anche mappamondi e carte che erano viste come finestre magiche aperte su terre lontane
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maggioranza dei casi anche seta grezza e acquistava il manufatto finito pagandolo a pezzo. I laboratori tessili continuarono a costituire la principale forma imprenditoriale, ma accanto a questa divenne più importante nel corso del secolo XVIII l’organizzazione del lavoro a domicilio. Nel secolo XVIII l’industria serica cinese era dunque caratterizzata dal legame tra allevamento di bachi da seta e produzione di seta grezza come attività complementari dell’economia rurale, sul piano della lavorazione successiva, dalla coesistenza di una produzione per lo Stato, volta a soddisfare i bisogni di quest’ultimo, e di una produzione privata per il consumo privato, ma anche da liberi mercati – non ostacolati da monopoli statali o da una politica di aumenti fiscali – di materie prime (foglie di gelso, uova di baco da seta, bozzoli), prodotti semilavorati (seta grezza), manufatti e manodopera. […] I laboratori privati delle grandi città della Cina orientale e meridionale rimasero il centro dinamico di questa industria. 4. Nanchino. METODO DI STUDIO
a Evidenzia le forme di organizzazione imprenditoriale relative alla produzione della seta descritte nel testo e sottolineane le relative informazioni. b Spiega per iscritto quale legame esisteva fra la produzione della seta, l’economia rurale e la produzione dello Stato.
la civiltà cinese e la misurazione del tempo emergono nitidamente i meccanismi culturali che portarono in Cina al rifiuto della sfida tecnologica occidentale. In questo brano Landes riflette sull’esperienza maturata durante i viaggi in Cina del gesuita Matteo Ricci.
e sconosciute. Soprattutto, suggestionò e deliziò i suoi ospiti con le sue «suonerie», orologi di un tipo «che non si era mai visto prima in Cina». [...] I doni accattivanti da lui recati a corte assicurarono intanto a Ricci il permesso di aprire una missione a Chao-ch’ing2 (subito a ovest di Canton) e di là, passo dopo passo, egli poté muoversi in direzione nord fino a Pechino, la capitale. […] Fu questa la seconda occasione di una rivoluzione dell’orologeria cinese. Una volta fallito, nel contesto della loro tecnologia, il
tentativo di andare oltre le prestazioni della clessidra, per arrivare a un meccanismo regolatore oscillatorio, i cinesi avevano ora la possibilità di imitare e forse migliorare la tecnica europea. Gli strumenti di Ricci potevano anche non essere più precisi di quelli cinesi del tempo; erano comunque [...] segnatempo molto approssimativi. Ma
1. ►FS, 49d. 2. Zhaoqing, città-prefettura della Cina nella provincia del Guangdong.
erano portatili e dunque recavano con sé le premesse di una misurazione privata del tempo, ciò che avrebbe fatto del tempo un compagno di vita sempre alla portata di tutti. Essi disponevano inoltre di funzioni accessorie divertenti: suonerie, melodie, piccole figure che si muovevano come automi in parata. I cinesi, lo sappiamo, li «adoravano» e il possesso di tali strumenti divenne ben presto un simbolo del rango sociale e una fonte di piacere. Ma allora, perché i cinesi non si misero a fabbricarli? Non mancava un mercato, visto che la popolazione del regno era pressappoco equivalente a quella europea […]. Né mancavano in Cina abili artigiani, capaci di svolgere mansioni le più delicate e minuziose. A quanto pare, non mancava nulla per imitare con successo l’orologeria europea. [...] La risposta, a mio avviso, sta in quell’atteggiamento di fondo che aveva contrassegnato il primo sviluppo dell’orologeria: in Cina, semplicemente, non era affatto importante conoscere l’ora esatta. Importavano, quelle sì, le date del calendario, ma vita quotidiana e lavoro non erano mai stati organizzati in base alla scadenza delle ore e dei minuti. [...] Il lettore avrà perfettamente capito che Ricci fornì quell’abbagliante ostentazione di nuova tecnologia e di oggetti meravigliosi per fare qualcosa di più che non fosse il semplice affascinare e sedurre i suoi ospiti. Ricci non andava soltanto a caccia di complimenti: era in realtà un pescatore d’anime. Nel suo mostrare ai cinesi la scienza e la tecnica occidentali era implicato l’argomento secondo il quale, se una civiltà è in grado di produrre un sapere tecnologico superiore, essa sarà superiore anche per altri aspetti, particolarmente in campo spirituale. L’orologio funzionava per opera di Dio (e viceversa l’opera di Dio funzionava come un orologio). [...] La difficoltà permanente stava in ciò, che
per quanto Ricci e i suoi successori abbiano cercato di non urtare la suscettibilità dei cinesi, non era possibile limitare alla sfera teologica la sfida posta dalla scienza e dalla tecnologia occidentali. La Cina era il Regno di Mezzo, il centro del mondo. I popoli circonvicini non avevano altro da recare alla nazione cinese se non il loro tributo. Ricci, con tutta la sua abilità diplomatica e cortigiana, era comunque giunto in Cina in quanto barbaro (secondo la loro definizione), sicché le sue conoscenze scientifiche e le sue macchine sconvolsero l’ordine del loro mondo. L’interesse iniziale per le sue mappe si trasformò in fastidio e in risentimento allorché i suoi ospiti si accorsero di quanto fosse piccolo lo spazio occupato dalla Cina, limitato com’era al margine destro della carta. […] Gli orologi, in altre parole, rappresentavano assai di più che non un argomento in favore del cristianesimo: erano un attacco all’autostima della Cina. La maniera classica di rispondere a una sfida del genere è quella di negarla o di svilirne il significato. I cinesi fecero entrambe le cose. La negazione assunse la forma di una rivendicazione del primato cinese dell’invenzione di questi congegni. [...] L’atteggiamento più comune era quello di ridimensionare l’orologio al rango di una curiosità piacevole ma del tutto superflua, ovvero considerarlo un giocattolo. [...] È azzardato generalizzare, quando si tratta di valori e di attitudini sociali, perché non mancano mai le eccezioni. Neanche in questo caso. Sarà buon testimone di quanto affermo un funzionario del Gran Consiglio dell’imperatore Ch’ien-lung3, tale Chao I, che scriveva alla metà del Settecento [...]. Chao I esordiva notando l’utilità della scienza e degli orologi occidentali: «Gli orologi a suoneria e gli orioli [quelli che si appendono al collo] provengono tutti dall’Occidente. Un orologio può battere il tempo all’ora stabilita. L’oriolo è munito
53 F.C. HSIA I GESUITI NELLA CINA IMPERIALE E LA DIFFUSIONE DELLA SCIENZA EUROPEA
F.C. Hsia, La diffusione della scienza europea, in Storia della scienza, V, La rivoluzione scientifica, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2002, pp. 86-88.
Nonostante le cautele messe in campo dai gesuiti in Cina per essere accettati dagli ambienti culturali locali, essi cercarono di
di un ago che si muove col trascorrere del tempo e può indicare il passaggio di dodici ore. Sono macchine estremamente ingegnose. Al giorno d’oggi, per osservare gli astri e comporre il calendario, gli astronomi imperiali si servono tutti dei congegni occidentali e di qui possiamo arguire come le tecniche dell’Occidente possano essere considerate più sofisticate di quelle in uso nell’antica Cina». Ma a questo punto Chao I si volge a sottolineare i limiti di questi congegni: «Spesso gli orologi hanno bisogno di riparazioni […] oppure essi vanno troppo velocemente o troppo piano, precludendoci la possibilità di misurare il tempo esatto. Ecco perché, tra i funzionari di corte, ve ne sono alcuni che, pur essendo muniti di orologio, spesso mancano agli appuntamenti, oppure (per dirla in altre parole) quelli che agli appuntamenti non mancano mai si annoverano tra coloro che ne sono sprovvisti». [...] Anche gli orologi avevano un punto debole, potevano mettere nei guai i loro fruitori. E così, a conti fatti, quelli che non arrivavano mai tardi erano nel novero di chi non aveva fiducia negli orologi. 3. Qianlong (1711-1799), imperatore della dinastia Qing.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le informazioni relative al primato occidentale nella produzione degli orologi e alle motivazioni che, secondo David S. Landes, non portarono la Cina a primeggiare in questo campo. b Spiega in che senso, secondo l’autore del testo, Matteo Ricci era un pescatore di anime. c Spiega per iscritto quale fu la sfida che Matteo Ricci lanciò ai cinesi e come reagirono questi ultimi.
ottenere da parte dell’amministrazione cinese un riconoscimento ufficiale delle conoscenze scientifiche europee. In particolare, come ricostruito dalla storica statunitense Florence C. Hsia, essi ebbero successo nel campo dell’astronomia: il gesuita Johann Adam Schall von Bell, nel 1645, fu infatti messo a capo dell’Ufficio astronomico cinese e rimase in questa carica per molti anni. La sua influenza gli consentì poi di far autorizzare dall’imperatore la costruzione della prima chiesa cattolica a Pechino.
231
FARESTORIA LA CINA E L’EUROPA: SCIENZA E TECNICA A CONFRONTO
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Le testimonianze che abbiamo già esaminato documentano ampiamente l’attenzione con cui i missionari europei della prima Età moderna si dedicavano allo studio dei nuovi mondi che intendevano cristianizzare. Matteo Ricci1 non comprese immediatamente il valore che le nozioni di astronomia e di matematica […] potevano avere per il successo della missione in Cina. Ben presto, però, lui e i suoi colleghi missionari si sbarazzarono del saio e dell’aspetto esteriore di monaci buddisti, che avevano inizialmente assunto in Cina, per adottare le lunghe barbe, le vesti di seta e i privilegi sociali dei letterati confuciani: impararono inoltre a mettere a frutto la curiosità che gli orologi, le carte e gli strumenti astronomici europei esercitavano sull’élite cinese. Gli studiosi cinesi erano ansiosi di conoscere di persona l’autore di una carta che descriveva in modo così particolareggiato il mondo al di là dei confini cinesi. L’edizione pechinese del 1602 della carta del mondo di Ricci era infatti riccamente corredata di nomi di luoghi, descrizioni geografiche e saggi sui diversi aspetti della filosofia della Natura europea, tra cui la sfericità della Terra, le cinque zone climatiche, il sistema latitudinale e longitudinale, una discussione del problema delle eclissi e un diagramma cosmologico geocentrico completo delle nove sfere celesti. […] I gesuiti cercarono anche di ottenere, da parte dell’amministrazione cinese, un riconoscimento ufficiale delle conoscenze scientifiche europee. […] L’argomento più efficace a sostegno dell’aspirazione dei gesuiti a un riconoscimento ufficiale da parte dell’amministrazione cinese si rivelò nel lungo periodo la loro conoscenza dell’astronomia. Il problema della riforma del calendario cinese aveva assunto un carattere di urgenza a partire dal 1590, quando i funzionari Ming cominciarono a discutere le proposte per correggere il sistema allora utilizzato […]. La preparazione del calendario divenne un vero e proprio affare di stato con importanti implicazioni cosmologiche e politiche. […] A partire dal 1610, il ministro dei Riti, che sovrintendeva ai lavori dell’Ufficio astronomico, prese atto delle proposte di collaborazione dei gesuiti, alcuni dei quali furono indicati come esperti di scienza calenda-
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
ristica. […] Nel 1629, il ministro dei Riti, in seguito alla previsione di un’eclisse presentata all’Ufficio astronomico da Xu Guangqi2 e rivelatasi più precisa dei calcoli degli esperti cinesi e musulmani, ordinò la costruzione a Pechino di un nuovo Ufficio per la riforma del calendario, del quale entrarono a far parte non solo i fautori di più vecchia data della ‘sapienza celeste’ occidentale […] ma anche gesuiti giunti più recentemente, come Johann Schreck, Giacomo Rho e Johann Adam Schall von Bell3, partiti dall’Europa tutti insieme nel 1618 con Nicolas Trigault4 proprio per partecipare a questo progetto. […] A partire dal 1630, Schreck, Rho, Schall e i loro numerosi colleghi cinesi produssero una grande varietà di testi in cinese che riguardavano la riforma del calendario, le teorie planetarie, le tavole per calcolare le posizioni dei pianeti complete della spiegazione dei procedimenti matematici necessari, le effemeridi5, gli atlanti del cielo e le descrizioni di strumenti. Questi testi, presentati tra il 1631 e il 1635, divennero noti come i Chongzhen lishi (Scritti sul calendario del regno di Chongzhen), dal nome dell’imperatore allora in carica. […] Si è scritto molto sull’incapacità dei gesuiti di introdurre in Cina la teoria eliocentrica dell’Universo, un difetto di trasmissione culturale che molti studiosi moderni hanno addebitato alla necessità per i gesuiti di aderire alle posizioni assunte dalla Chiesa cattolica nel 1616 in materia di eliocentrismo6. Oltre alla situazione europea, tuttavia, occorre prendere in considerazione anche le condizioni in cui gli astronomi gesuiti si trovavano a operare in Cina. […] L’Ufficio astronomico era un organismo aperto e competitivo, in cui i gesuiti dovevano dimostrare la loro superiorità teorica e tecnica sugli stimati rappresentanti di una lunga tradizione indigena di ricerca astronomica, e la loro posizione, anche dopo aver ottenuto il riconoscimento di astronomi ufficiali da parte della nuova dinastia mancese, non fu mai definitivamente consolidata. In queste condizioni, è probabile che la scelta di privilegiare l’attendibilità delle previsioni rispetto alla realtà cosmologica sia dipesa non solo dalla specificità dei compiti assegnati all’Ufficio astronomico, ma anche dalla necessità di seguire
le decisioni prese dalla Chiesa di Roma. Le ambizioni scientifiche dei gesuiti in Cina superarono indenni il cambiamento dinastico del 16447. Schall criticò il calendario preparato dall’Ufficio astronomico e presentò la previsione di un’eclisse solare che si rivelò più esatta di quelle effettuate secondo i metodi cinese e musulmano. Ricompensato nel 1645 con un’investitura ufficiale, Schall rimase a capo dell’Ufficio astronomico per oltre vent’anni.
1. ►5_4, PERSONAGGI, p. 182 e FS, 49d e 52. 2. Funzionario imperiale, matematico, agronomo e traduttore cinese vissuto tra il 1562 e il 1633. 3. I tedeschi Johann Schreck (1576-1630), noto anche come Giovanni Terrenzio, e Johann Adam Schall von Bell (1591-1666) e l’italiano Giacomo Rho (1593-1638) furono tutti astronomi gesuiti che si recarono in missione in Cina nel 1618. 4. Nicolas Trigault (1577-1628), missionario gesuita e letterato, tradusse gli scritti di Matteo Ricci. 5. Tavole astronomiche che contengono le coordinate degli astri (o altri dati astronomici variabili col tempo) a intervalli fissi. 6. Nel 1616 la Chiesa cattolica condannò ufficialmente per la prima volta, con una delibera del Sant’Uffizio, la teoria eliocentrica esposta alla metà del XVI secolo da Niccolò Copernico, che aveva affermato che è il Sole, e non la Terra, a essere al centro dell’Universo [►2_1]. 7. Il passaggio dalla dinastia Ming alla dinastia Qing.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le informazioni relative agli atteggiamenti dei missionari che si rivelarono di successo. b Descrivi per iscritto l’argomento più efficace portato dai gesuiti per ottenere il riconoscimento ufficiale da parte dell’amministrazione cinese e le cause che portarono a questo successo. c Spiega perché i gesuiti non furono capaci di introdurre in Cina la teoria eliocentrica dell’Universo.
PISTE DI LAVORO
DAI DOCUMENTI ALLA STORIA
• L’apporto dei gesuiti.
1 Dopo aver letto il documento di Ricci [►49d] e i brani di Hsia
[►53] e Landes [►52] rispondi alle seguenti domande citando opportunamente i testi: a. Secondo l’esperienza di Matteo Ricci e dei gesuiti, i cinesi furono affascinati dal messaggio religioso cristiano? b. Quali pratiche e discorsi furono messi in atto dai gesuiti per essere accettati dagli ambienti culturali cinesi? Ebbero successo? c. Come accolsero i cinesi le innovazioni tecnologiche giunte con i gesuiti? d. Secondo te, Matteo Ricci esprime nel documento una stima particolarmente elevata della cultura cinese? Come la giudica? 2 Dopo aver letto tutti i documenti e i brani degli storici, scrivi un
testo di massimo 25 righe sulle conoscenze matematiche e tecniche dei cinesi tra XVII e XVIII secolo. Decidi un titolo per il tuo elaborato e tocca i seguenti argomenti: • Le idee degli europei sulla tecnologia e sulla matematica cinese • I principali settori all’avanguardia (cita alcuni esempi)
IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 3 Dopo aver letto tutti i documenti e i brani degli storici, scrivi un
testo di massimo 30 righe sul confronto fra lo sviluppo industriale cinese ed europeo nel XVIII secolo partendo dal pensiero di Pomeranz [►50]. Prima di procedere con la scrittura, scegli i brani che ti sembrano più incisivi e schematizza sul quaderno le argomentazioni e gli esempi in essi presenti utili al tuo ragionamento. Organizza quindi la scaletta di un testo argomentativo che metta a confronto il pensiero di Pomeranz con le fonti storiche e i brani storiografici esaminati. Infine procedi con la scrittura citando i brani da cui trai le tue argomentazioni. 4 Scrivi un testo breve che risponda alla seguente domanda: “La cosiddetta stagnazione tecnologica e scientifica in Cina nel corso dei secoli XVII e XVIII può essere considerata una tesi storicamente non attendibile?”. Motiva le ragioni della tua risposta.
IL MEDITERRANEO E L’INCONTRO CON LA CIVILTÀ OTTOMANA Nel corso della storia, gli europei si sono misurati con molte grandi civiltà d’Oriente, ma le tensioni sono rimaste più a lungo costanti con gli ottomani, lasciando strascichi che durano ancora oggi. Tra la fine del XV e la fine del XVI secolo, lo Stato ottomano si era trasformato gradualmente in un impero a grande maggioranza musulmana: a partire dal XVI secolo è quindi lecito parlare, a proposito della sua popolazione, dell’esistenza di “minoranze non musulmane”. Come illustrato dallo storico Jason Goodwin [►54], tuttavia, queste minoranze erano ben tollerate all’interno dell’Impero e le fedi religiose erano spesso praticate l’una insieme con l’altra, dando vita a particolari forme di sincretismo religioso. Al contrario di quanto spesso si pensa, inoltre, secondo la studiosa Suraiya Faroqhi [►55], accanto alle guerre e ai conflitti, i rapporti tra europei e ottomani erano caratterizzati, almeno fin dalla fine del XV secolo, da scambi culturali ed economici. Tra i viaggiatori contemporanei che rimasero affascinati dallo stile di vita ottomano, ha sicuramente un posto di rilievo Mary Wortley Montagu [►56d], che visitò l’Impero all’inizio del XVIII secolo: nelle sue lettere di viaggio, essa espresse la sua ammirazione per molti aspetti della cultura e della società ottomane, affermando come l’idea che gli ottomani avessero usanze inferiori o barbare non fosse fondata sulla realtà. Del resto già nel corso del XVII secolo, secondo lo storico Franco Cardini [►57], in Europa si erano sviluppate forme di attrazione per la cultura ottomana, come risulta evidente dalla diffusione dell’uso del caffè o dei tulipani come elemento decorativo. Anche dal punto di vista politico, dopo la sconfitta ottomana alle porte di Vienna del 1683 – qui ricostruita dallo studioso britannico John Stoye [►58] – e le disfatte del quindicennio successivo, i rapporti tra ottomani ed Europa cristiana si appianarono lentamente: si tratta di quello che lo storico Andrew Wheat‑ croft [►59] ha definito come «qualcosa di inusuale» e che condusse, due secoli dopo, l’Austria-Ungheria a essere alleata dell’Impero ottomano durante la prima guerra mondiale.
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FARESTORIA IL MEDITERRANEO E L’INCONTRO CON LA CIVILTÀ OTTOMANA
54 J. GOODWIN L’AUTOGOVERNO DEL MILLET E IL SINCRETISMO RELIGIOSO
J. Goodwin, I signori degli orizzonti. Una storia dell’impero ottomano, Einaudi, Torino 2009, pp. 103-8; 193-98.
All’interno dell’Impero ottomano convivevano moltissime fedi e comunità religiose, che avevano un riconoscimento ufficiale all’interno dell’Impero, anche se fino al XVII secolo l’autorità dei loro capi spirituali era piuttosto limitata e, dunque, non erano ancora strutturate nei millet (le organizzazioni comunitarie poste sotto la responsabilità di vescovi, preti e rabbini). I sudditi non musulmani non potevano essere arruolati nell’esercito e, in sostituzione del servizio militare, pagavano una tassa
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Gli ottomani erano sempre interessati alle formule efficaci di autogoverno. […] Gli ottomani pretendevano che ogni suddito appartenesse al seguito di un qualche grande uomo; o a una delle corporazioni che regolavano la qualità e il costo del lavoro, che dicevano a ognuno dove vivere e lo proteggevano nei tempi difficili; o a un reggimento, una confraternita religiosa, o almeno un villaggio, sotto la responsabilità di un capo. Gli affari della comunità musulmana erano regolati alla perfezione dal Corano, che era tanto fede quanto legge; e benché fosse dovere del sultano assicurarsi che la legge islamica prevalesse in ogni conflitto tra musulmani e infedeli, ci si aspettava anche che i cristiani e gli ebrei avessero leggi proprie. Ognuno era inquadrato in un millet1 in base alla propria fede, e purché il millet non entrasse in conflitto con l’organizzazione e la società islamica, pagasse le tasse e si mantenesse in pace, si lasciava che fossero i capi di ogni comunità a gestirne gli affari. Le leggi dell’impero riguardanti i millet erano le più semplici possibile. I cristiani ortodossi prima della conquista ottomana avevano riconosciuto un certo numero di chiese indipendenti, ma Mehmed II2 abolì tutti i rivali del patriarca greco ecumenico di Costantinopoli, a cui assegnò tre code di cavallo3 e un ampio raggio di poteri religiosi e secolari sul proprio gregge. Gli ebrei formarono poco dopo il proprio millet. […] Al riparo dai soprusi della Controriforma, la dottrina protestante si diffuse in tutta l’Ungheria ottomana; la leva dei ragazzi non giunse mai a includere l’Ungheria, e nei Balcani, al di là della singola imposizione, non venne fatto alcun tentativo di convertire i cristiani all’Islam. […] L’impero voleva sudditi
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
(cizye o jizya). Anche se erano colpiti da alcune discriminazioni giuridiche, nella prassi, c’era molta tolleranza per le diverse confessioni religiose e furono pochissime le conversioni forzate all’islam: gli ebrei, anzi, trovarono proprio nell’Impero ottomano un rifugio dopo l’espulsione dalla Spagna nel 1492. La tolleranza religiosa degli ottomani meravigliava molto i viaggiatori europei del XVIII secolo. Come illustrato dallo storico britannico Jason Goodwin (nato nel 1964) nel seguente brano, in realtà, in molte zone i conflitti religiosi erano accesi: se, da un lato, ciò diede vita a scontri anche sanguinosi, dall’altro provocò una commistione di fedi religiose, che cominciarono a essere praticate in modo sincretico.
che pagassero le tasse, non musulmani, che non le pagavano: una delle funzioni della leva, che tanto scandalizzava i cristiani, era proprio quella di limitare il numero dei convertiti. […] Gli ebrei nel 1492 furono espulsi dalla Spagna: un intero millet buttato a mare. Il sultano Beyazit II venne a conoscenza della loro situazione e ordinò ai governatori di accoglierli con gentilezza e di aiutarli. […] Nell’impero ebbero un’ottima accoglienza; la loro religione era rispettata, al pari del Cristianesimo, e presto si trovarono a scrivere ad amici, agenti e conoscenti in tutta Europa per incoraggiarli a raggiungerli […]. Gli ebrei ottomani non avevano il tipico pallore prodotto dal ghetto, e risultavano quindi praticamente indistinguibili agli occhi degli occidentali, sconcertati dalla tolleranza religiosa degli ottomani. Per essere cristiani in un impero teoricamente musulmano, alcuni affaristi ungheresi erano alquanto pasciuti e ben vestiti, ed era difficile accettare che gli uomini in fila per una zuppa nell’ombra della moschea fossero tutti musulmani poveri in canna. […] Il millet classificava ogni persona in base alla propria fede, ma le regioni che per motivi geografici erano g˘ azi4 soltanto a metà – come l’Albania, la Bosnia o Creta – versavano in uno stato di guerriglia quasi continua. L’ortodossia sunnita metropolitana non riusciva più a imporsi nelle zone di confine in modo così netto come al tempo di Selim il Crudele o di Solimano5. Costantinopoli esiliava in quei luoghi i propri mistici, che lì scontavano il proprio entusiasmo; così che attraverso la mediazione di un Islam più caloroso, per quanto eterodosso, si ebbero alla fine del XVII secolo numerosissime conversioni – addirittura in Montenegro,
e tra i bulgari dei Rodopi6, i cosiddetti pomaki. Creta divenne un importante centro islamico, e nel giro di un secolo dalla conquista ottomana quasi tutta la popolazione si fece musulmana. Nel XVIII secolo alcuni albanesi erano ormai così confusi da «dichiarare di non saper assolutamente dire cosa sia meglio, se andare il venerdì in moschea o la domenica in chiesa». Questa flessibilità religiosa era molto diffusa. Nella città di Carre, in Siria, i cristiani dividevano con i turchi la loro chiesa di San Nicola, prendendo una panca a testa, «benché i turchi non paghino l’olio che diligentemente bruciano nelle lampade». I musulmani erano così colpiti dal lavacro rituale che accompagnava il battesimo cristiano che lo facevano fare ai loro lebbrosi, e «partecipavano spesso e volentieri ai riti cristiani, nel caso che fossero utili o avessero qualcosa di buono». […] Ad Atene, quando non pioveva, i turchi andavano a pregare al vecchio tempio di Zeus Olimpio, e se la siccità continuava, prendevano un gregge, separavano le pecore dagli agnelli, e si davano a «una preghiera chiassosa nei toni più pateti-
1. Letteralmente, “comunità religiosa”. 2. Mehmet (o Maometto) II, detto “il Conquistatore”, visse tra il 1432 e il 1481 e fu il sultano artefice della conquista di Costantinopoli, che nel 1453 pose fine al secolare Impero bizantino. 3. Le code di cavallo, nell’Impero ottomano, erano un simbolo d’onore. 4. Letteralmente “guerriero della fede” e, per estensione, musulmano. 5. I sultani ottomani Selim I (1470-1520), noto erroneamente come “il Crudele” (in realtà, “il Ponderato”), e suo figlio Solimano, detto “il Magnifico” (1494-1566). 6. Catena montuosa bulgara.
ci» sostenuta dal «supplichevole belato» delle pecore, volto a «dare maggior forza all’implorazione e muovere il cielo a pietà». Una volta in cui la situazione era particolarmente critica fu chiesto ai neri pagani che abitavano pacificamente le grotte e le rovine sotto l’Acropoli di implorare anch’essi i propri dèi.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le informazioni relative alle diverse formule di autogoverno previste dagli ottomani. b Realizza una mappa concettuale con al centro la parola “millet” e attorno le parole chiave che ne definiscono le caratteristiche. Scrivi con un carattere più grande e più vicine al centro le parole chiave relative alle caratteristiche che gli ottomani ritenevano maggiormente rilevanti. Quindi, scrivi una didascalia che argomenti le tue scelte. c Sottolinea con colori diversi i casi di tolleranza e pace religiosa e quelli di guerriglia verificatisi in situazioni di convivenza di religioni diverse. d Spiega in cosa consiste la flessibilità religiosa praticata dagli ottomani.
55 S. FAROQHI L’IMPERO OTTOMANO E L’EUROPA: COMMERCI E CONFRONTI CULTURALI
S. Faroqhi, L’impero ottomano, il Mulino, Bologna 2008, pp. 107-8; 111-13.
Per molto tempo, si è pensato che prima della pace di Carlowitz del 1699 [►EVENTI, p. 176 e FS, 59] i rapporti tra europei e ottomani fossero basati solo su guerre e conflitti. In realtà, come Sostenere che prima del XVIII secolo non vi fossero contatti culturali tra l’impero ottomano e l’Europa sarebbe una semplificazione grossolana. Per quanto concerne la cultura di corte ve ne furono, infatti, anche se soltanto sporadici, da quando Mehmed il Conquistatore aveva invitato un pittore e gli era stato inviato Gentile Bellini1. […] Nel XVIII secolo i contatti della corte ottomana con l’Europa, e in particolare con la Francia, si intensificarono notevolmente. Un primo approccio avvenne durante il regno del sultano Ahmed III (1703-30), che inviò un ambasciatore con l’incarico di relazionare in modo dettagliato sulla vita alla corte del giovane Luigi XV2 e sulle meraviglie di Parigi. […] Il rapporto con la produzione artistica europea è esplicito nell’arte di corte della miniatura3. Questa fu influenzata dalla personalità artistica di Levni4 che arricchì di una serie di grandiose illustrazioni la raffigurazione delle feste per la circoncisione che Ahmed III organizzò per i suoi figli nel 1720. Egli produsse anche eleganti ritratti singoli che ritraggono giovani persone in costume, anche in abiti europei. Levni e i suoi allievi sperimentarono temi che comportavano per loro nuove sfide artistiche. Abdullah Buhari5, ad esempio, aveva ritratto una giovane donna al bagno mentre un pittore anonimo della stessa cerchia volle raffigurare i fuochi d’artificio di una celebrazione e ci ha lasciato la prima rappresentazione ottomana di un cielo notturno.
messo in luce dalla storica tedesca Suraiya Faroqhi (nata nel 1941), i contatti culturali erano già esistenti, anche se si intensificarono nel corso del ’700: ciò è evidente nell’arte pittorica ottomana del periodo, che fu profondamente influenzata da quella europea. Nello stesso periodo, inoltre, l’Impero ottomano si integrò anche nel sistema economico che vedeva al suo centro l’Europa: l’idea di due mondi separati e distinti, quindi, non trova sostegni nella realtà.
Si deve inoltre ricordare la moda di decorare con rappresentazioni paesaggistiche i palazzi signorili e presto anche le moschee. Nei primi anni del XVIII secolo nei circoli di corte sembra si siano cercate alternative ai tradizionali fiori e ornamenti, pur senza violare il divieto islamico di rappresentare uomini e animali. Grande interesse suscitano le vedute delle città; soprattutto le raffigurazioni della capitale, delle sue moschee, barche e isole erano apprezzate anche dai notabili di provincia. Tali dipinti dovevano molto alla miniatura ma sono anche esperimenti con luci e ombre o nella riproduzione dello spazio tridimensionale. […] Tra il 1720 e il 1765 il commercio e l’artigianato conobbero in molti centri dell’impero ottomano un periodo di espansione. Nei Balcani alcuni mulattieri si trasformarono in spedizionieri o commercianti di lunga distanza, tanto che arrivarono a visitare anche la fiera di Lipsia. Tale evoluzione si ebbe perché spesso i prodotti del lavoro domestico venivano trasportati dai mulattieri in primavera per essere venduti, solitamente su mercati molto lontani. […] Sulle ragioni che portarono a questa espansione e alla sua fine tra il 1760 e il 1770 è possibile oggi solo avanzare alcune ipotesi. Appare rilevante che, dopo la pace di Passarowitz (Pasafça) nel 17186, sul fronte occidentale e settentrionale, per alcuni decenni, furono condotte solo guerre di breve durata e
lo stato ottomano si impegnò seriamente per rendere nuovamente sicure le vie del commercio. […] Altra congiuntura che va tenuta in considerazione è l’espansione che conobbe la Francia in questo periodo, all’incirca negli stessi anni della rinascita dei centri ottomani. Tale coincidenza potrebbe essere interpretata come un’integrazione dell’impero ottomano all’interno dell’«economia-mondo» dominata dall’Europa. Ciò dovrebbe essere quindi avvenuto prima di quanto oggi sostiene la maggior parte degli studiosi e, più precisamente, nel XVII o possibilmente alla fine del XVI secolo. Questa crescita parallela
1. Gentile Bellini fu un pittore veneziano vissuto tra il 1429 e il 1507. Fu uno dei principali ritrattisti dell’aristocrazia veneziana. Tra il 1479 e il 1480 visitò Istanbul, dove dipinse il noto Ritratto del sultano Mehmet II. Su Mehmet II [►FS, 54, nota 2]. 2. ►3_2. 3. La miniatura è il tipo di decorazione dei manoscritti in cui si fondono, in piccole dimensioni, parole e immagini. 4. Abdulcelil Levni, noto anche come Abdulcelil Çelebi, fu un pittore e miniaturista ottomano. Morì nel 1732. 5. Abdullah Buhari fu un miniaturista ottomano vissuto nel XVIII secolo. 6. La pace di Passarowitz fu il trattato che, nel luglio 1718, pose fine al conflitto esploso nel 1714 tra l’Impero ottomano e la Repubblica di Venezia, con la quale si era schierata l’Austria.
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FARESTORIA IL MEDITERRANEO E L’INCONTRO CON LA CIVILTÀ OTTOMANA
potrebbe essere tuttavia più o meno casuale; e molti storici contemporanei considerano gli ultimi decenni del XVIII secolo e i primi del XIX il periodo decisivo di cambiamento. L’esportazione di prodotti artigianali fu moderatamente importante per i mercanti ottomani e stranieri nel corso del Settecento; e il lavoro degli artigiani locali fu in genere destinato al mercato interno ottomano. È molto probabile che gli sviluppi fuori i confini dell’impero rimasero di importanza limitata a causa della sorte delle sue industrie.
Dal 1750 sembra quindi che l’integrazione nell’economia mondiale di regioni vicine alla costa, come ad esempio l’area egea, sia proceduta rapidamente. Ciò dev’essere avvenuto spesso, ma non sempre, di pari passo con l’industrializzazione. Ad esempio, i mercanti e le filatrici della cittadina tessalica di Ambelakia7 rifornirono prima le fabbriche inglesi e poi quelle austriache con pregiato filato di cotone, ma in ogni caso sia i produttori sia i commercianti erano ora esposti alle oscillazioni della domanda che avevano origine in centri economici
56d MARY WORTLEY MONTAGU LE DONNE OTTOMANE
Mary Wortley Montagu, Lettere orientali di una signora inglese, il Saggiatore, Milano 1984, pp. 152-53.
Tra tutti i viaggiatori che visitarono l’Impero ottomano nel corso del XVIII secolo, un posto di rilievo spetta sicuramente a Mary Wortley Montagu (1689-1762), poetessa e scrittrice nota tanto per i suoi racconti di viaggio quanto per la sua curiosità culturale e scientifica: a lei si deve, ad esempio, l’introduzione in Europa della tecnica dell’inoculazione del vaiolo, di cui era stata testimone durante i suoi viaggi nell’Impero ottomano. Nel 1716, infatti, suo marito Edward fu nominato ambasciatore presso Istanbul e lei lo accompagnò nel viaggio, durante il quale scrisse lettere e diari in cui raccontava i costumi dei popoli
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Quanto a moralità e a buona condotta, posso dire con Arlecchino: «né più né meno di noi» e le signore turche non fanno meno peccati per il fatto che non sono cristiane. Ora che conosco un po’ il loro modo di fare non posso non stupirmi di fronte alla discrezione esemplare o alla stupidità estrema di tutti gli scrittori che hanno parlato di loro. È molto facile capire che hanno più libertà di noi poiché nessuna donna, a qualsiasi classe sociale appartenga, ha il permesso di andare per la strada senza due veli di mussola, uno che le copre tutta la faccia meno gli occhi e un altro che le copre tutta la testa e le ricade fino a mezza schiena; le loro forme sono completamente nascoste da quello che chiamano il ferigée senza il quale nessuna donna può farsi vedere. Questo indumento ha lunghe maniche che arrivano all’estremità delle dita e le avvolge tutte a mo’ di cappa. È fatto di panno d’inverno e di semplice tela o seta d’estate. Ti lascio immaginare come sia perfetto questo travestimento visto che non
U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
ben più remoti e sulle quali non avevano la benché minima incidenza. 7. Ambelakia (o Ampelakia) è una città greca. Era allora parte dell’Impero ottomano. METODO DI STUDIO
a Evidenzia gli ambiti in cui ci furono contatti fra gli europei e gli ottomani. b Spiega in che modo lo studio dell’arte pittorica può fornire informazioni circa i rapporti fra ottomani ed europei. c Esponi per iscritto le congiunture che favorirono i rapporti fra le due culture.
con cui entrava in contatto. In quel periodo era sultano Ahmet III: si trattava di un momento di grande apertura verso l’Occidente. Nel seguente brano, tratto da una lettera dell’aprile 1717, Mary Wortley Montagu afferma che il mondo islamico costringe le donne a uscire velate ma che in ciò consiste la loro libertà: coperte, e quindi irriconoscibili, sono libere di muoversi e di scegliere gli uomini con i quali trascorrere il loro tempo. In effetti, gli ottomani rispettavano la legislazione coranica che assicurava alle donne la libera disposizione dei propri beni: esse potevano vendere, comprare ed ereditare beni, anche se nella misura della metà rispetto a un erede uomo di pari grado. Si trattava, comunque, di diritti che sembravano avanzati rispetto all’Europa dove vigeva il diritto di primogenitura.
permette di distinguere la gran dama dalla sua schiava, e che il marito più geloso non riesce a riconoscere la moglie quando la incontra; e poi nessun uomo oserebbe toccare o seguire una donna per la strada. Quest’eterna mascherata dà loro completa libertà di seguire le loro inclinazioni senza pericolo di essere scoperte. Il modo più comune di avere un’avventura è quello di dare appuntamento all’amante nella bottega di un ebreo, che è notoriamente il luogo ideale come le case indiane da noi, e anche le donne che non se ne servono a questo scopo non si fanno scrupolo di andarci per comprare qualche inezia e rovistare tra le merci di lusso che si trovano specialmente in questi negozi. Queste gran dame raramente svelano agli amanti la loro identità, così difficile da scoprire che costoro non riescono quasi mai ad indovinare il nome, anche se la loro relazione dura da più di sei mesi. Puoi ben immaginare quanto sia esiguo il numero delle mogli fedeli in un paese dove
le donne non hanno niente da temere dall’indiscrezione dei loro amanti, se ce ne sono tante che hanno il coraggio di esporsi a tale pericolo in questo mondo e a tutte le punizioni preannunciate per l’aldilà, cosa di cui non si fa mai parola alle damigelle turche. Inoltre le donne ricche non devono neanche temere troppo il risentimento del marito, visto che sono padrone del loro denaro, che prendono con sé al momento del divorzio con l’aggiunta della somma che il marito è obbligato a versare. A conti fatti, credo che le donne turche siano i soli esseri liberi dell’impero.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea gli elementi che fanno affermare a Mary Wortley Montagu che le donne turche hanno maggiore libertà di quelle europee. b Spiega per iscritto quali pregiudizi intende smentire l’autrice in questa lettera e porta alcuni esempi a supporto della tua argomentazione.
57 F. CARDINI CAFFÈ, TULIPANI E WUNDERKAMMERN
F. Cardini, Il Turco a Vienna. Storia del grande assedio del 1683, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 479-85.
Per molti secoli, in Europa, il “turco” era stato assunto come idealtipo dell’“altro” per eccellenza, del nemico pubblico. Che cosa ci fa mai Ferdinando II de’ Medici, granduca di Toscana succeduto al padre Cosimo II nel 16211, travestito da sultano? Eppure è abbigliato proprio così, con tanto di ampio turbante candido adorno di un ricco gioiello e di kaftan2 vermiglio: e il suo sguardo sereno, un po’ ironico, ci segue dal quadro della Galleria Palatina di Firenze dovuto all’illustre pennello di Giusto Sustermans3 che in tale acconciatura lo ritrae. Il suo governo «fu punteggiato di imprese militari tutte tese ad arginare la potenza turca»: che senso ha quindi questa sorta di gioco di specchi, questa tentazione di «immedesimarsi nell’avversario, visto come una sorta di alter ego culturale verso il quale si provava una profonda curiosità e non poco rispetto»? Può sembrare una pura curiosità, un gioco di corte, una mascherata carnevalesca, un divertissement. Siamo invece di fronte a una delle prime testimonianze dell’ormai già radicato e maturo atteggiamento orientalistico, uno dei connotati più forti e profondi dell’identità culturale dell’Occidente. Se i cristiani potevano ben essere, ed erano di fatto molto spesso e accanitamente, adversarii e inimici tra loro, vale a dire rivali e opposti che pur si riconoscevano reciprocamente un’intrinsecità, uno solo era l’hostis, il nemico pubblico, non a caso associato sovente all’autentico Nemico, all’Avversario del genere umano, a Satana. Quel nemico era l’«infedele», che nel mondo epico medievale era definito sovente col termine – desunto dall’antichità e dall’epica – di «pagano», mentre la cultura umanistica l’aveva ovviamente associato al concetto di «barbaro» e infine, a partire dal Quattrocento, si era concretizzato in un etnonimo carico di minaccia e di paura. Il «Turco». Nella misura in cui era l’«Altro» per eccellenza, il Turco doveva essere il rovescio, il contrario speculare del buon cristiano. Ancora alla fine del Seicento, in un’opera data alle stampe proprio tre anni dopo l’epopea di Vienna, l’anno stesso della riconquista cristiana di Buda4, l’abate Giovanni Battista De Burgo5, che era stato schiavo del «barbaro tripolino»6, dava sfogo al suo risentimento forse, ma senza dubbio alla sua antipatia, redigendo in un suo reso-
Come dimostrato dallo storico Franco Cardini (nato nel 1940) in questo brano, però, a partire dal XVII secolo a questa forma di “repulsione” si accompagnò una forte “attrazione”. Essa fu rafforzata e stimolata dall’affermazione in Europa dell’assunzione di caffè, fino ad allora tipica bevanda turca, e del gusto per le cosiddette turqueries, cioè per la cultura e gli oggetti turchi o per le loro imitazioni.
conto intitolato Viaggio di cinque anni in Asia, Africa, & Europa un lungo elenco di forme, appunto, di «antipatie» – nel senso rigorosamente etimologico del termine – fra «cristiani» e «turchi»: modi opposti di sentire, di comportarsi, di guardare al mondo e alla vita, che da soli bastavano a spiegare al di là delle stesse fedi religiose – con le quali erano del resto profondamente connessi – la lunga inimicizia e lo stato di guerra continuo. Il cristiano porta un cappello che si toglie in segno di deferenza e il turco invece copre sempre la testa con un turbante; il cristiano porta i capelli lunghi e il turco se li rade; il cristiano al contrario si taglia sovente la barba, il turco mai; le donne cristiane incedono scoperte, le turche completamente tappate; i cristiani si cambiano spesso la biancheria, ma non amano il contatto con l’acqua che ritengono malsano, mentre i turchi prediligono bagni frequenti; i cristiani mangiano carne arrostita o bollita, i turchi bollita o stufata. […] La descrizione di quello «turco» come una specie di mondo alla rovescia costituiva una chiave interpretativa potentissima, capace di diffondere stereotipi durevoli l’onda dei quali è forse giunta fino a lambire i nostri giorni. Il segno del cambiamento epocale sarebbe giunto allorché si fosse trovato qualcosa che piacesse a entrambi, un ponte che li unisse. Lo si trovò proprio negli anni a cavallo tra XVII e XVIII secolo, quando al lungo elenco delle «antipatie» si poté finalmente contrapporre definitivamente una «simpatia» destinata sul serio a durare. Il Turco era ancora, nella prima metà del Settecento, lungi dall’esser debellato. Ma ormai tra l’Europa cristiana e la Porta, dopo oltre tre secoli di combattimenti che in prospettiva potevano sembrare continui – per quanto si fossero in realtà accompagnati e alternati […] a costanti rapporti economici e commerciali, a più o meno lunghe fasi di tregua e a complessi giochi diplomatici –, si era stabilito un solido e durevole equilibrio che, insieme con una lunga familiarità, finiva col somigliar parecchio al senso di consuetudine e alla simpatia: se non proprio all’amicizia. E per gli europei quella fami-
liarità, quella simpatia, erano profumate del fumo caldo e dell’aspro aroma di una nera bevanda ormai di gran moda. [...] Alla fine del Seicento il consumo del caffè era ormai ben radicato in Europa. Si può tuttavia assegnare forse con qualche sicurezza ai viennesi la primogenitura di una svolta importante nella sua preparazione e nel suo adattamento al gusto europeo. Il suo sapore amaro e aromatico – dovuto al fatto che i musulmani si guardavano dall’indolcirlo: e lo insaporivano invece aggiungendovi del cardamomo – fu «corretto», per renderlo più gradito ai palati occidentali, con l’aggiunta di latte e di miele […]. In seguito all’assedio entrarono nell’uso occidentale gli strumenti a percussione usati nelle marce militari alla turca, i tulipani, i lilla, l’ippocastano e in genere una quantità di nuove turqueries. La fortuna del tulipano ha una storia tutta a sé nei rapporti tra mondo ottomano e Occidente: il fiore, chiamato lâle, scritto in caratteri arabi contiene le stesse lettere della parola Allah, il che ha dato vita a infinite splendide variazioni calligrafico-pittografiche. [...] Se agli ottomani quel che interessava di più della produzione occidentale erano gli oggetti che costituissero una novità tecnologica, come gli orologi, negli europei la passione estetica per le cose che pro1. Ferdinando II de’ Medici (1610-1670) fu granduca di Toscana tra il 1621 e il 1670. 2. Caffettano, tunica maschile lunga fino ai piedi e con maniche lunghe, usata nei paesi arabi e, anticamente, in quelli dell’Europa orientale. 3. Giusto Sustermans (1597-1681) fu un pittore fiammingo di stile barocco. 4. Antica città posta sulla riva destra del Danubio, fu capitale del Regno d’Ungheria dal 1361 al 1541, anno della conquista da parte degli ottomani di Solimano il Magnifico. Conquistata dall’Austria nel 1686, nel 1873 fu unita alle vicine città di Obuda e Pest per costituire un’unica città, l’odierna Budapest. 5. Giovan Battista de Burgo fu un abate di origine irlandese che viaggiò nell’Impero ottomano e nell’Europa orientale con l’autorizzazione del sultano Mehmet IV (16421693). 6. Della Libia.
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FARESTORIA IL MEDITERRANEO E L’INCONTRO CON LA CIVILTÀ OTTOMANA
venivano dall’Oriente si andava dal canto suo incontrando o fondendo con un sentimento che non consisteva – come invece accadeva nel mondo musulmano coevo – in una coscienza di superiorità culturale e intellettuale, bensì in una crescente e orgogliosa consapevolezza d’irreversibile vantaggio sul piano della forza militare. Le prime grandi collezioni di reperti ottomani, le Türkenkammern, nacquero come sviluppo e variante delle Wunderkammern, le collezioni di mirabilia frutto tanto dell’ingegno dell’uomo quanto della capricciosa inesauribile fantasia della natura […]. Nel caso dei prodigi provenienti dal mondo ottomano erano presenti anche la volontà di sottolineare l’ampiezza di orizzonti attraverso il viaggio, l’importanza delle relazioni attraverso lo scambio diplomatico dei doni, ma forse soprattutto e anzitutto il desiderio di mostrare la preda guerriera, la conquista. [...] Gli oggetti di queste collezioni e di tante altre meno importanti circolavano a vario titolo: bottini di guerra, senza dubbio, o semplici acquisti, ma anche frutti di quel rapporto diplomatico che
si fondava, e non solo formalmente, sul rito dei doni reciproci; insieme con queste due forme di scambio, senza dubbio asimmetrico (e il grande scambio asimmetrico costituisce un aspetto fondamentale del rapporto tra Europa e resto del mondo a partire appunto dal XVI secolo), il fatto che l’impero asburgico fosse in guerra con la Sublime Porta non aveva mai impedito – e
PALESTRA INVALSI
1 Trascrivi quattro espressioni con cui i cristiani indicavano il nemico per antonomasia. Quindi descrivi brevemente il significato di queste espressioni dal punto di vista culturale. 1. ................................................................................................................................................... 2. ................................................................................................................................................... 3. ................................................................................................................................................... 4. ................................................................................................................................................... 2 Un messaggio importante del testo è che... [ ] a. nuove turqueries entrarono nell’uso occidentale in seguito all’assedio di Vienna. [ ] b. il grande scambio asimmetrico costituisce un aspetto fondamentale del rapporto tra Europa e resto del mondo a partire dal XVI secolo. [ ] c. mentre i musulmani insaporivano il caffè col cardamomo, in Europa vi si aggiungeva latte e miele. [ ] d. la visione dei turchi come il nemico per eccellenza e come l’alterità più totale è stata intaccata con la diffusione del caffè in Europa.
58 J. STOYE 12 SETTEMBRE 1683: VIENNA È SALVA
J. Stoye, L’assedio di Vienna, il Mulino, Bologna 2009, pp. 233-39.
Nel luglio 1683, al culmine di un conflitto secolare l’esercito ottomano, guidato dal gran visir Kara Mustafa, mise sotto assedio la città di Vienna [►5_2 e EVENTI, p. 176]. Agli occhi dei contemporanei, questo evento sembrava una tragica copia del precedente assedio della città da parte
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Pochi dovettero dormire saporitamente quel sabato notte, 11 settembre, sulle colline così come nell’accampamento in pianura o in città. […] Uno degli ufficiali responsabili notò che i turchi stavano organizzando un attacco dal Nussberg (un colle immediatamente a nord di Nussdorf1) alle opere ancora non terminate; mandò avanti due battaglioni che furono subito ingaggiati dal nemico. I turchi occuparono anche altri punti sopraelevati alla loro sinistra, dai quali minacciavano di avanzare, cosicché Lorena2 dovette mandare giù altre truppe. Altre forze turche avanzarono da Nussdorf percorrendo la valle tra le alture; Lorena rispose mettendo in moto l’intera ala sinistra più o meno alle cinque del mattino. […] Lo scontro decisivo non poteva più essere rimandato. Alla fine era giunta l’ora in cui l’esercito cristiano, per usare il linguaggio
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lo stesso era del resto vero anche per altri paesi cristiani: si pensi a Venezia, a Genova, all’Italia meridionale, per tacer dell’«alleata» Francia – né i contatti diplomatici, né la circolazione di persone e di merci. La «guerra totale», durante la quale tutti i rapporti fra stati belligeranti che non siano quelli militari si arrestano e si congelano, era ancora molto di là da venire.
degli ottomani guidati da Solimano il Magnifico (1529). Più di un secolo e mezzo dopo, i turchi sembravano minacciare nuovamente la Cristianità. Per respingerli, nel 1683 fu nuovamente contratta un’alleanza cristiana che univa polacchi, austriaci, toscani, veneziani, mantovani, franconi, svevi, bavaresi e sassoni. La battaglia decisiva, iniziata la mattina del 12 settembre, dopo quasi due mesi di assedio, è qui ricostruita dettagliatamente dallo storico britannico John Stoye (1917-2016).
enfatico di uno scrittore turco contemporaneo, divenne un fiume in pece nera che colava dalle montagne consumando tutto quel che toccava. Questa grande battaglia fu, per la maggior parte di coloro che vi presero parte, una confusa serie di scontri distinti distribuiti su un’area molto ampia. […] Le truppe scomparivano continuamente dalla vista. Il numero di linee formali di combattimento variava continuamente. Cavalli e fanti si impantanavano. Singole unità si muovevano da una parte e dall’altra, seguendo l’iniziativa improvvisata dei loro comandanti, per andare a sostenere altre unità in difficoltà. […] Alle otto i turchi difendevano ancora tenacemente gli edifici gravemente lesionati del villaggio sottostante, riparandosi dietro ogni pezzo di muro ancora in piedi; ma la loro situazione era grave. Nel
corso dell’ora seguente Lorena organizzò un attacco devastante. […] Era il primo concreto passo avanti nell’avanzata finale lungo la sponda del Canale verso Vienna, a cinque chilometri di distanza. […] Tutti i resoconti concordano nel riportare che, in questa giornata di caldo torrido, ci fu una pausa nei combattimenti a mezzogiorno. Fu una pausa necessaria per riprendere fiato, ma i comandanti alleati erano anche decisi a non indebolire la loro posizione spingendosi troppo avanti sulla sinistra prima che l’ala destra comincias1. Nussdorf era un piccolo villaggio indipendente nei pressi di Vienna, di cui oggi fa parte. 2. Carlo V di Lorena (1643-1690), comandante delle truppe austriache, toscane, veneziane e mantovane.
se a premere sulle difese ottomane. Era difficile stimare il progresso dell’avanzata polacca, se consideriamo che le truppe erano nascoste dalle pieghe del terreno e dal folto dei boschi; di certo esso appariva piuttosto lento. […] Nessun documento attesta la completezza dei loro preparativi nella notte dell’11 settembre. […] Un’altra possibilità è che, alla conclusione del consiglio di guerra dell’11, Sobieski3 non fosse assolutamente sicuro che l’attacco sarebbe cominciato all’alba, e dunque non avesse impartito precise istruzioni ai suoi ufficiali di tenersi pronti all’azione. Le incursioni turche sopra Nussdorf, combinate con l’irresistibile e radicato desiderio di Lorena di cercare di soccorrere Vienna senza indugio, modificarono l’intera situazione. Ma al re di Polonia occorse la maggior parte della mattinata, mentre feroci scontri continuavano alla sua sinistra, per far avanzare l’ala destra. Non era più nel rigoglio dei suoi anni come uomo d’armi istintivo; era un uomo lento e corpulento al quale ormai mancava l’energia per dominare una crisi sul campo di battaglia; ma nemmeno la disciplina e la prontezza dei suoi generali aristocratici di cavalleria, nonostante le loro numerose altre virtù, erano assai marcate. […] All’una del pomeriggio l’avanguardia polacca aveva raggiunto Dornbach4, dove terminano i boschi e il pendio cede alla pianura. Lì i polacchi divennero visibili alle forze che erano in ansiosa attesa assai più a sinistra. Grida di gioia e di sollievo li accol-
sero dalle fila tedesche, demoralizzando il nemico. […] Dopo un loro successo momentaneo, i turchi li respinsero, poi gli scontri si fecero incerti. Nessuno può affermare con certezza se il risultato finale fu determinato dall’ostinato rifiuto di questi polacchi di ritirarsi da un confronto costoso in termini di vite umane o dagli sforzi dei fanti tedeschi […], o ancora dalle truppe aggiuntive gettate nella mischia da Sobieski […]. Dopo una terribile zuffa i turchi cedettero; i loro cavalieri fuggirono rifugiandosi insieme a fanti e cannoni in una posizione difensiva più arretrata. Sobieski cominciò allora a schierare la sua intera forza sul terreno più pianeggiante […]. Questa disposizione diede un volto nuovo alla battaglia. L’ala polacca si era ricongiunta con il centro e con la sinistra. Era una posizione forte, conquistata dopo una dura giornata di combattimenti. La questione fondamentale era ora se fermarsi o lanciare un ulteriore attacco. Indubbiamente Lorena era del parere di incalzare il nemico; e c’è probabilmente qualcosa di vero nella famosa storia in cui si racconta che, quando fu chiesta l’opinione di un esperto generale, il comandante sassone Goltz, questi rispondesse: «Sono vecchio, e stanotte voglio un comodo alloggio a Vienna». Waldeck5 fu d’accordo. Sobieski pure. […] Alle tre e venti, nella canicola più feroce del pomeriggio, l’azione ebbe nuovamente inizio a sinistra. […] La resistenza dei turchi fu inefficace ed essi iniziarono ben presto a
59 A. WHEATCROFT DALLA GUERRA ALL’ALLEANZA: GLI SVILUPPI DEL CONFRONTO TRA TURCHI E AUSTRIACI
A. Wheatcroft, Il nemico alle porte. Quando Vienna fermò l’avanzata ottomana, Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 262-63; 305-7.
Da un lato, la sconfitta degli ottomani alle porte di Vienna del 1683 significò la salvezza della città: il conflitto tra la Cristianità e gli ottomani, tuttavia, durò ancora fino al 1699, quando Le battaglie con i Turchi non furono un successo solo per gli Asburgo ma per molta parte della Europa cristiana, a parte la Francia. Il 5 marzo 1684, papa Innocenzo XI aveva sponsorizzato una nuova e ancora più efficace Lega Santa1 per una guerra che doveva durare fino alla vittoria finale, e durante la quale nessuno doveva fare una pace separata con gli Ottomani. Anche lo zar di Moscovia fu invitato a unirsi. Questa alleanza doveva produrre una immediata
ritirarsi sull’ala sinistra della difesa di Kara Mustafa. […] Per breve tempo l’esito parve in dubbio; poi la spinta delle truppe bavaresi […] e poi di altre truppe provenienti dai settori più settentrionali indebolì sul fianco la posizione turca; e i polacchi infine si lanciarono con la loro cavalleria in direzione sud. […] Cominciò allora il crollo totale dei turchi, e quando ricevettero l’ordine di lanciarsi in soccorso delle truppe dell’accampamento, i soldati ancora nelle gallerie e nelle trincee […] fuggirono. Lo stesso Kara Mustafa si ritirò con una fretta disordinata e pericolosa, pur riuscendo a portare con sé il grande stendardo musulmano, il vessillo del Profeta così vanamente esibito in questa amara circostanza, e la maggior parte delle riserve di denaro. Alle cinque e mezza la battaglia era finita. Vienna era salva. 3. Il re polacco Giovanni III Sobieski (16291696), comandante delle truppe polacche. 4. Villaggio indipendente fino al 1892, Dornbach è oggi un quartiere di Vienna. 5. Giorgio Federico di Waldeck (1620-1692), comandante delle truppe franconi, sveve e bavaresi. METODO DI STUDIO
a Trascrivi sul quaderno le ore relative alle fasi della battaglia riportate nel testo. Scrivi, quindi, per ogni fase le parole chiave che, a tuo modo di vedere, si possono riferire all’andamento dello scontro e argomenta la tua scelta per iscritto. b Evidenzia le frasi che descrivono complessivamente l’andamento della battaglia.
fu firmata la pace di Carlowitz [►EVENTI, p. 176]. Da allora i rapporti tra gli austriaci e l’Impero ottomano migliorarono progressivamente, tanto che, nel 1914, l’inizio della prima guerra mondiale li vedrà alleati. In questo brano, lo storico britannico Andrew Wheatcroft (nato nel 1944) ricostruisce le sconfitte ottomane successive al 1683, evidenziando come, ancora oggi, l’assedio di Vienna è preso ad esempio come simbolo della resistenza cristiana contro l’espansione turca e islamica.
azione concertata: gli Asburgo in Ungheria, i Polacchi nei territori a nord del Dnestr2 e i Veneziani nell’Adriatico, nel Mediterraneo, e in Grecia. L’idea strategica – quella di stringere gli Ottomani da ogni lato – esercitò una pressione decisiva sui Turchi. Il decennio delle campagne militari attive dopo l’occupazione di Buda3 fu segnato per gli occidentali da una serie di straordinarie vittorie sul campo. Il nome comune che fu ora dato a questo periodo di guerra nell’ambito della
storia austriaca è quello di «Età degli Eroi» (Heldenzeitalter): fra gli eroi erano annoverati Carlo di Lorena4, «Türkenlouis»-Ludo‑ 1. Si trattava del quarto tentativo di formare una Lega santa in difesa dell’Europa cristiana. 2. Fiume che scorre negli odierni territori di Ucraina e Moldavia. 3. Buda fu riconquistata nel 1686 dalle truppe guidate da Carlo V di Lorena [►FS, 57, nota 4]. 4. Carlo V di Lorena [►FS, 58, nota 2].
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vico Guglielmo di Baden5 […] e molti altri che si erano fatti un nome nell’est, ma che in seguito combatterono con eguale successo anche contro gli eserciti della Francia nell’Europa occidentale durante la Guerra di Successione Spagnola6. Dopo di che – a parte la figura a sé stante del Principe Eugenio di Savoia7, l’eroe più grande di tutti – finirono tutti vecchi e grassi, morirono o si ritirarono, e l’Austria piombò nel grigiore. C’era stata un’infilata di sei miracolose vittorie, che la gente elencava ripetendole come una litania. La prima, naturalmente, era la salvezza di Vienna ad opera del re Giovanni Sobieski di Polonia. La seconda era quella di Carlo di Lorena che attaccò Buda nel 1686, con il vecchio pascià caduto, morto, davanti alla porta della città. La terza era la battaglia di Nagyhársany del 1687, spesso chiamata «la seconda Mohács»8, il coronamento dei trionfi di Carlo di Lorena; la memoria di Suleiman I che distruggeva il vecchio Regno di Ungheria a Mohács nel 1526 era stata finalmente riscattata. La quarta vittoria era quella dell’elettore Massimiliano Emanuele di Baviera che conquistò Belgrado, la città di tante battaglie, nel 1688; i Turchi la ripresero l’anno successivo. «Türkenlouis» distrusse l’esercito turco nella battaglia di Slankamen nel 1691. Nella sesta battaglia a Zenta, nel 1697, il Principe Eugenio di Savoia umiliò il sultano Mustafa, che fuggì dal campo di battaglia nel panico, lasciando il fiume Tisza (Tibisco) pieno di caduti ottomani. Quattordici campagne militari portarono alla fine a un’intesa, e nel 1699, in un piccolo padiglione presso la città di Karlowitz vicino Belgrado, fu firmata la pace. [...] Durante il lungo confronto fra gli Ottomani e gli Asburgo accadde qualcosa di inusuale,
che non è stato considerato. Per secoli furono acerrimi nemici. Poi a un certo punto cessarono di essere nemici, arrivando a diventare improbabili alleati dal 1914 al 1918. Dopo quella guerra, i legami commerciali continuarono a crescere, e negli anni 1950 i Turchi cominciarono a giungere in Austria in qualità di lavoratori stranieri/ospiti (Gastarbeiter), come avrebbero fatto poi in numero ancora maggiore nella Germania occidentale. Non furono trattati bene, ma in pratica nessuno li vide come una minaccia. Adesso, l’Occidente è attanagliato dalla paura, e una nuova Battaglia per l’Europa viene promossa come diretta continuazione della vecchia Battaglia per l’Europa. Il contrasto fra ciò che accadde nella realtà e questi miti fabbricati con cura è sbalorditivo. Ancora una volta l’assedio di Vienna del 1683 sta diventando una metafora ispiratrice di una lotta perpetua di Occidente contro Oriente, di musulmano contro cristiano, proprio come fu centinaia di anni fa. Ancora una volta quell’evento viene utilizzato a fini polemici. Oggi esso viene assunto per sostenere l’idea che una nuova «battaglia per l’Europa» debba essere combattuta. Ai Turchi del XXI secolo non deve essere permesso di entrare nell’Unione Europea perché questo distruggerebbe la cristianità. Essi riuscirebbero così là dove i loro predecessori ottomani fallirono nel 1683. [...] La testata del blog The Gates of Vienna lo dice a chiare lettere: «Nell’assedio di Vienna del 1683 l’islam sembrò pronto a sopraffare l’Europa cristiana. Siamo in una nuova fase di una guerra molto antica». Ho cercato di presentare in maniera spassionata quello che accadde secoli fa. C’era, in quel tempo, una inimmaginabile crudeltà, brutalità e odio
implacabile fra tutti i combattenti. Ma nel XIX secolo gli atteggiamenti di aspra avversione che avevano impregnato quelle lotte si stemperarono, e si sviluppò un nuovo tipo di relazione, che pure ho descritto. I sentimenti e gli atteggiamenti più antichi furono certo (e sono) presenti, ma furono (e sono) definitivamente messi in sospensione. 5. Ludovico Guglielmo di Baden-Baden (1655-1707), conosciuto come Türkenlouis (Luigi il Turco) o come “Scudo dell’Impero”. Con il cugino Eugenio di Savoia fu incaricato di difendere l’Europa cristiana: comandante militare del Sacro romano impero, durante la guerra austro-turca del 1683-1699 guidò le armate imperiali in Ungheria, dove riscosse delle vittorie fondamentali contro le truppe di Kara Mustafa. 6. ►3_2. 7. Eugenio di Savoia (1663-1736) fu un generale italiano al servizio del Sacro romano impero. Comandante durante l’assedio di Vienna [►EVENTI, p. 176 e FS, 58], fu anche un riformatore dell’esercito austriaco. Combatté la sua ultima battaglia a più di settant’anni. 8. La prima battaglia di Mohács, una cittadina dell’Ungheria, era stata combattuta nel 1526 tra l’esercito ungherese e quello ottomano, comandato dal sultano Solimano I, detto “il Magnifico”. METODO DI STUDIO
a Spiega cosa si intende nella storia austriaca per «Età degli Eroi» e come si è conclusa questa fase storica. b Descrivi i rapporti fra gli ottomani e gli Asburgo specificando come sono mutati nel tempo e perché. c Spiega per iscritto perché secondo l’autore «il contrasto fra ciò che accadde nella realtà e questi miti fabbricati con cura è sbalorditivo», facendo riferimento al contesto storico e culturale di riferimento.
PISTE DI LAVORO
LO STORICO RACCONTA 1 Dopo aver letto tutti i documenti e i brani degli storici, scrivi un
testo di circa 30 righe dal titolo L’islam e gli altri, seguendo la scaletta di argomenti di seguito. Indica, per ciascun argomento, gli eventuali cambiamenti succedutisi nel corso del tempo esplicitando le date di riferimento. • I rapporti con le religioni • Le libertà delle donne • Gli scambi commerciali 2 Dopo aver letto i brani di Stoye [►58] e di Wheatcroft [►59] rispondi alle seguenti domande argomentando le tue posizioni e citando opportunamente i testi:
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a. Quale ruolo ebbero i polacchi nella battaglia conclusiva dell’assedio di Vienna?
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b. Quale peso ebbe l’assedio di Vienna del 1683 nella storia del rapporto fra gli Asburgo e gli ottomani? c. Secondo Wheatcroft l’assedio di Vienna viene interpretato per quello che è stato realmente o secondo un’immagine creata per fini polemici?
IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 3 Il confronto fra l’Europa cristiana e l’islam in età moderna conferma
o smentisce l’idea di un passato di forte conflitto inasprito dall’assedio di Vienna del 1683? Prima di rispondere a questa domanda rileggi con attenzione i testi storiografici e il documento storico e individua i passaggi che possono aiutarti a costruire il tuo discorso. Trascrivili sinteticamente sul quaderno e utilizzali per costruire una scaletta tematica. Utilizza quest’ultima per rispondere alla domanda iniziale con un testo di massimo 25 righe.
COMPITO DI STORIA Scrivi un articolo di giornale sul tema indicato di seguito, facendo riferimento ai passi di Goodwin [►54], Faroqhi [►55], Wortley Montagu [►56d], Cardini [►57], Wheatcroft [►59]. Individua un titolo che renda esplicito il tema e il taglio che hai scelto per il tuo elaborato. Se lo ritieni opportuno, proponi anche un sommario che condensi in poche righe il contenuto dell’articolo e un catenaccio, cioè un testo di una o due righe con la funzione di mettere in rilievo un elemento particolare del testo (si tratta quasi di un secondo titolo).
Argomento Il rapporto con gli ottomani, fra pregiudizi ed eventi storici Organizza il lavoro preparatorio alla stesura dell’articolo seguendo la scaletta qui proposta: questa ti suggerirà i temi da affrontare, ma anche spunti di riflessione che potrai inserire nel tuo articolo. Nella fase di scrittura scegli l’ordine degli argomenti suggeriti secondo il taglio da te stabilito.
a. Lettura e comprensione • Evidenzia nei testi indicati i contenuti relativi ai pregiudizi che gli europei hanno avuto in età moderna nei confronti degli ottomani e gli episodi e i dati storici che possono smentire o avvalorare questi pregiudizi. • Individua per ogni pregiudizio ed episodio una o due parole chiave che ti aiuteranno ad avere sott’occhio i contenuti a cui puoi fare riferimento.
b. Individuazione e analisi dei passaggi significativi in relazione alle questioni chiave affrontate nell’elaborato Evidenzia nei brani: • i ragionamenti operati dagli autori per avvalorare o smentire le idee e i pregiudizi relativi al rapporto fra europei e musulmani.
c. Contestualizzazione storica • Realizza una linea del tempo degli episodi individuati e degli eventi più significativi del rapporto fra europei e ottomani dal XVI al XVIII secolo. • Ricostruisci sinteticamente come cambia il rapporto fra gli ottomani e gli Asburgo (e l’Austria e la Germania dopo la caduta dell’Impero asburgico) dal XVI secolo alla contemporaneità.
d. Interpretazione e problematizzazione • I dati raccolti e le considerazioni fatte fino a ora sul rapporto fra gli europei e gli ottomani dal XVI secolo possono suggerire delle riflessioni di carattere generale per interpretare anche il mondo contemporaneo? • Sei a conoscenza di episodi più o meno recenti che possono essere valutati criticamente grazie alle conoscenze oggetto dell’articolo? Potresti parlare ai lettori di questi episodi invitando a una valutazione critica che tenga presente anche ciò che ha da insegnarci il passato. Quali punti sarebbero da approfondire? Potresti generare nei lettori curiosità per questi aspetti proponendo loro un nuovo punto di vista sul presente a partire dal passato.
Fedeli musulmani in preghiera nel giardino di villa De Sanctis, a Roma [© Vincenzo Tersigni/EIDON] La presenza dei musulmani in Europa, così come in Italia, è un dato ormai consolidato, frutto delle immigrazioni da paesi islamici, ma anche di una certa percentuale di conversioni. Nel nostro paese, questa realtà provoca, spesso in occasione di eventi eclatanti, un acceso dibattito fra coloro che vedono i musulmani come una minaccia per l’identità nazionale e coloro che, al contrario, li ritengono una risorsa di dialogo, scambio culturale e feconda integrazione.
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U2 CIVILTÀ E MERCATI OLTRE L’EUROPA
STORIAeAMBIENTE L’IMPERIALISMO ECOLOGICO: PIANTE, ANIMALI E MALATTIE
IL “DEBITO ECOLOGICO” La colonizzazione europea degli altri continenti ebbe conseguenze molto importanti, non solo dal punto di vista politico, sociale, economico e commerciale, ma anche da quello ecologico. A partire dal XVI secolo, infatti, le potenze europee si impegnarono nel controllo e nella gestione, oltre che delle rotte commerciali, anche delle risorse naturali degli altri popoli: il colonialismo mise sotto il controllo dell’uomo ampie distese del globo fino ad allora disabitate; introdusse piante, animali e malattie in zone del mondo nelle quali erano sconosciuti; impose nuove colture e nuovi metodi di coltivazione e portò all’estinzione di molte specie animali e vegetali, contribuendo così a trasformare l’ambiente naturale di buona parte del mondo. L’insieme di queste politiche è stato definito, come abbiamo visto, imperialismo ecologico [►6_5]. Proprio la capacità di controllare una grande porzione delle risorse naturali del resto del mondo fu uno dei fattori che determinarono il successo della dominazione europea: La diffusione dell’insediamento europeo oltremare ha aperto allo sfruttamento grandi zone nuove del mondo, con un effetto devastante sulla flora e soprattutto sulla fauna della Terra. Ha anche comportato una ridefinizione delle relazioni economiche e il sempre maggiore dominio e manipolazione di altre economie da parte degli Europei, in modo che queste coltivassero le derrate e producessero le merci di cui l’Europa aveva bisogno. [C. Ponting, Storia verde del mondo, Sei, Torino 1992, pp. 157-58]
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Gli effetti dell’espansione dell’Europa furono quindi enormi e irreversibili. Molte specie di piante e animali autoctone si estinsero o diventarono rare, mentre quelle di origine europea si diffusero nel mondo, modificando per sempre gli ecosistemi. Parallelamente, moltissimi animali furono
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uccisi per ricavarne cibo, pellicce, pelli, olio e piume per soddisfare le necessità dei colonizzatori o per essere venduti come beni di lusso sul mercato europeo. Le conseguenze di queste politiche si fanno sentire ancora oggi: ad esempio, le enormi differenze tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo – che, in gran parte, sono ex colonie – sono frutto della sottrazione e dello sfruttamento delle risorse naturali perpetrati dai colonizzatori europei. La continua sottrazione di queste risorse e i danni ecologici connessi hanno fatto parlare di “debito ecologico” contratto dai paesi industrializzati nei confronti dei paesi in via di sviluppo.
LO SCAMBIO INEGUALE Il primo a parlare di imperialismo ecologico fu lo storico e geografo statunitense Alfred W. Crosby che, in un libro intitolato L’imperialismo ecologico: l’espansione biologica dell’Europa, 900-1900 (1986), affermò che i colonizzatori europei sono riusciti a prevalere sulle popolazioni americane non solo grazie alle armi e alla migliore organizzazione economico-politica, ma soprattutto grazie all’introduzione, più o meno volontaria, di piante, animali e malattie nelle terre che sottomisero al loro dominio. Piante, animali e malattie si spostarono, infatti, tra l’Europa e i “nuovi mondi” in uno scambio reciproco ma ineguale, perché furono poche le specie animali e vegetali e le malattie tipiche del continente americano e dell’Oceania portate in Africa e in Europa. Dopo la conquista dell’America nel XVI secolo, la prima conseguenza dei nuovi contatti fra Europa e Nuovo Mondo fu la diffusione di microbi e malattie, nei confronti delle quali i popoli nativi non avevano alcuna resistenza. Epidemie di vaiolo, morbillo, tubercolosi, influenza e altre malattie eurasiatiche decimarono le popolazioni native in America, in Oceania e nelle isole del Pacifico: secondo al-
cuni storici, le malattie infettive diffuse involontariamente dalle esplorazioni, dai commerci e dalle colonizzazioni degli europei provocarono circa 56 milioni di morti in tutto il mondo. La sola malattia esportata in Europa dal continente americano fu invece la sifilide, una malattia infettiva a trasmissione sessuale. Parallelamente, gli europei cercarono di rendere i paesaggi dei nuovi territori che conquistavano più simili a quelli da cui provenivano. Fu così che in America esportarono il grano, l’orzo, il riso e altre colture alimentari (agrumi, caffè, uva, cipolle, pesche, canna da zucchero) alle quali erano abituati e introdussero un gran numero di animali domestici, come i bovini, i polli, le pecore, le capre e i cavalli. Una mandria di bovini pascola in un ranch nella pampa argentina Sono immensi i ranch, o estancias, che dominano l’umido territorio erboso della pampa, una delle
Le popolazioni native americane accolsero molto bene gli animali domestici europei: fino al 1492, infatti, esse avevano addomesticato solo il cane, due specie di cammello sudamericano (il lama e l’alpaca), il porcellino d’India e alcuni volatili (il tacchino, l’anatra Muscovy e forse una specie di pollo). Se si escludono i lama e i cani da slitta, inoltre, non avevano animali da sella o bestie da soma paragonabili a cavalli, asini o buoi: erano gli stessi esseri umani a trasportare i carichi. In particolare, fu importantissima l’introduzione del bue, che consentì di dissodare facilmente i terreni con l’aratro, anche se ciò favorì, come vedremo, l’erosione dei suoli. Gli animali domestici europei trovarono nel continente americano un ambiente molto favorevole, sia per la gran-
aree più fertili del Sud America. Gli spagnoli portarono qui il loro bestiame nel XVI secolo; i capi dispersi in breve si moltiplicarono, dando vita a numerose mandrie selvagge disseminate nel
territorio aperto da cui traevano il loro sostentamento i gauchos, i cowboys del Sud America. Le carni bovine rappresentano ancora una delle voci di esportazione più importanti del Sud America.
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STORIA E AMBIENTE L’imperialismo ecologico: piante, animali e malattie
de quantità di erbe, radici e frutti selvatici, sia per la quasi totale assenza di predatori. Essi, quindi, iniziarono a riprodursi molto velocemente. Inoltre, grazie alla grande disponibilità di cibo, questi animali domestici aumentarono le loro dimensioni e, in molti casi, tornarono a essere selvatici. L’introduzione di animali europei ebbe anche molti effetti negativi. Ad esempio, la diffusione delle capre, che mangiano qualsiasi tipo di pianta, diminuì un po’ ovunque la varietà delle piante autoctone. Conseguenze drammaticamente disastrose ebbe anche l’introduzione in Australia [►6_4] di volpi e conigli, iniziata nel 1859:
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Le volpi hanno sterminato molte specie di mammiferi autoctoni australiani, impreparati a difendersi da questo nuovo pericolo, dato che nel loro processo evolutivo non avevano mai dovuto tener conto di un simile predatore e non avevano quindi sviluppato alcun meccanismo di difesa. I conigli, invece, consumano gran parte del foraggio
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destinato agli ovini e ai bovini, competono con gli erbivori nativi e indeboliscono il terreno con le loro tane. [J. Diamond, Collasso. Come le società decidono di morire o vivere, Einaudi, Torino 2014, p. 429]
Dannosissima fu anche l’involontaria introduzione di topi e ratti, che arrivarono nascosti nelle navi europee e non incontrarono predatori naturali che ne limitassero il numero: la diffusione di questi roditori – e, in particolare, dei ratti neri, portatori di tifo e peste – ebbe conseguenze molto importanti per la diffusione delle epidemie. Le piante e gli animali europei soppiantarono presto la flora e la fauna native, rendendo simili tutti gli ecosistemi. Come evidenziato da Crosby, i colonizzatori trasformarono le regione temperate delle Americhe e dell’Australia in “nuove Europe”, cioè in copie biologiche delle proprie terre d’origine: ciò fu molto importante perché, probabilmente, molti meno europei sarebbero stati disposti a trasferirsi in questi “nuovi mondi” se non fossero stati sicuri di trovarvi le stesse piante e gli stessi animali di cui erano
soliti cibarsi. Al giorno d’oggi, sono proprio queste “nuove Europe” le principali produttrici dei generi alimentari consumati nei paesi sviluppati.
L’ESTINZIONE DI PIANTE E ANIMALI E LA DEFORESTAZIONE Un altro elemento che modificò radicalmente gli ecosistemi delle colonie fu la progressiva estinzione e diminuzione delle specie animali e vegetali autoctone. Tanto nelle Americhe quanto in Oceania e nel Pacifico, infatti, i primi colonizzatori – colpiti dall’abbondanza dalla flora e della fauna – cominciarono a pensare che si trattasse di riserve inesauribili di cibo e cominciarono ad attingervi senza curarsi del destino di alcuna specie: Quest’uccisione sfrenata ebbe quasi subito un drastico effetto nel caso di isole dove si erano sviluppate popolazioni in isolamento, isole dove spesso prevalevano uccelli incapaci di volare a causa della mancanza di predatori (il 90% degli uccelli si sono estinti nelle isole). Nell’isola Mauritius, ad esempio, l’introduzione del maiale e del ratto, insieme alla caccia da parte di marinai alla ricerca di cibo, fece estinguere entro il 1681 il dodo [un uccello], che nidificava in terra.
dopo il 1871, quando le pelli di bisonte iniziarono a essere trasformate in cuoio: alla fine dell’800, il bisonte era ormai quasi estinto. Oltre alle necessità alimentari, l’uccisione di molti animali obbediva alle richieste delle mode europee del tempo: fenomeni come la diffusione di scarpe e borse di pelle di coccodrillo e la richiesta di zanne d’elefante per l’avorio e di corni di rinoceronte per le presunte proprietà afrodisiache aumentarono la domanda, e quindi l’uccisione di massa, di alcune specie di animali. Allo stesso modo, nel corso del XIX secolo si fecero sempre più richieste le piume di uccelli esotici: secondo alcune stime, nel 1869 soltanto il Brasile esportò per il loro piumaggio 170 mila uccelli morti, mentre nel 1913 a Londra furono vendute le piume di 77 mila aironi, di 48 mila condor e di 162 mila martin pescatori. Anche in India, la dominazione britannica [►5_3] condizionò in modo irreversibile l’ambiente, estendendo i terre-
[C. Ponting, Storia verde del mondo, cit., p. 184]
L’impatto europeo ebbe effetti devastanti anche nell’America settentrionale, come dimostra la quasi completa estinzione dei bisonti. Quando arrivarono gli europei c’erano circa 40-60 milioni di bisonti. Questo numero si mantenne più o meno uguale fino al 1830-40, quando gli europei iniziarono a cacciarli direttamente, inizialmente per la loro carne, uccidendone circa 2 milioni di esemplari ogni l’anno. Le uccisioni salirono a 3 milioni ogni anno
◄ Vita nella prateria: la caccia al bisonte XIX sec. [Litografia di Currier & Ives, Museum of the City of New York, New York] I bisonti erano una risorsa essenziale per le tribù indiane, in particolare per quelle stanziate tra il Mississippi e le Montagne Rocciose: da questi animali traevano carne per il cibo, pelli per i vestiti e per le tende, grasso da usare come combustibile, tendini per gli archi, ossa per realizzare gli utensili. La caccia al bisonte, che per secoli era stata fatta a piedi e con arco e frecce, a partire dal ’700 si svolse a cavallo e con il fucile, entrambi introdotti in America dagli europei. La colonizzazione dell’Ovest da parte dei pionieri, compiuta lungo il XIX secolo, portò allo sterminio di questi animali, che venivano sistematicamente cacciati e uccisi sia per la loro carne e le loro pelli, sia durante “cacce di divertimento” compiute dai finestrini dei treni in corsa.
► Albert Bierstadt, La morte del bisonte 1889 [Corcoran Gallery of Art, Washington]
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ni agricoli a scapito delle foreste, che furono abbattute per piantare un’enorme quantità di tè e di caffè, necessaria per soddisfare le richieste del mercato europeo.
MONOCOLTURA E IMPOVERIMENTO DEI SUOLI Le colonie, comunque, furono utilizzate principalmente per rifornire l’Europa di prodotti, che venivano coltivati in grandi piantagioni [►6_3]. Questo processo aumenterà nel XIX secolo, dopo la rivoluzione industriale: fino ad allora, infatti, l’economia europea era rimasta prevalentemente agricola e le colonie venivano utilizzate solo per le coltivazioni di prodotti esotici di lusso (tè, caffè, ecc.) che per ragioni climatiche non potevano essere trasferite in Europa o per il basso costo della manodopera. Le cose cambiarono nell’800, quando nelle colonie si aumentò la produzione agricola di alimenti di origine europea da vendersi nella stessa Europa. Il trasferimento delle coltivazioni europee nelle “nuove Europe” e la creazione di piantagioni basate su un’unica coltura (monocolturali) ebbero, però, costi biologici molto pesanti. I primi coloni europei e i proprietari delle piantagioni, infatti, pensavano che i suoli di quelle regioni fossero inesauribili ed eternamente fertili e non percepirono i problemi ambientali di queste aree. In Nord America, ad esempio, il suolo cominciò a essere sfruttato intensivamente fino al suo esaurimento e all’erosione: quando la produttività diminuiva, la terra ormai non più fertile veniva abbandonata e le coltivazioni venivano spostate a ovest. Ancora più eclatante fu il caso dell’Australia, caratterizzata da un suolo poco fertile e poco ricco di sostanze nutritive, da un tasso di crescita vegetale piuttosto basso e da una bassa produttività. Questa sostanziale scarsa fertilità non fu inizialmente compresa dagli europei: Al contrario, quando videro i lussureggianti boschi con alberi giganteschi [...], furono ingannati dalle apparenze e pensarono che si trattasse di una terra molto fertile. Ma dopo l’abbattimento delle foreste vergini, e dopo che le pecore ebbero consumato tutta l’erba dei pascoli, i coloni rimasero sorpresi nello scoprire che gli alberi e l’erba ricrescevano molto lentamente e che il suolo era sterile. [J. Diamond, Collasso, cit., p. 390]
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Le conseguenze furono tragiche:
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I primi agricoltori australiani, abituati alle condizioni europee, pur senza esserne consapevoli sfruttarono troppo la terra, senza dar tempo all’humus di rigenerarsi. Da allora in poi si dovette reintrodurre la quantità di nutrienti artificialmente, sotto forma di fertilizzanti, facendo così aumentare i costi di produzione agricola rispetto a quelli sostenuti all’estero. [J. Diamond, Collasso, cit., p. 389]
Poiché per produrre colture destinate a essere vendute sui mercati mondiali erano stati sottratti nutrienti preziosi ai sistemi agricoli ed ecologici locali, senza rimpiazzarli in modo adeguato, alcuni storici dell’ambiente hanno parlato di “estrazione” (in senso minerario) della fertilità del suolo negli imperi coloniali: grazie alla grande disponibilità di spazio, quando la produttività agricola crollava le piantagioni venivano trasferite su nuove terre, senza risanare i suoli degradati. In generale, quindi, la creazione di piantagioni monocolturali nelle colonie impoverì i suoli, oltre a costringere i piccoli coltivatori autoctoni a lavorare solo piccoli e poco produttivi appezzamenti di terreno. Nel corso dell’800, si scoprì che il guano (gli escrementi degli uccelli marini, che contengono molto nitrato di sodio) e il salnitro (il nitrato di potassio) potevano essere utilizzati come fertilizzanti per far fronte alla perdita di nutrienti dei suoli tanto nelle colonie quanto nelle madrepatrie. Sia il guano, depositato in grandi quantità sulle coste scogliose del Pacifico, sia il salnitro erano molto abbondanti in Perù, paese politicamente indipendente dalla Spagna dal 1821 ma soggetto alle mire economiche dei paesi europei. Queste due risorse naturali diventarono così l’oggetto di una nuova forma di imperialismo ecologico: gli europei e gli statunitensi iniziarono prima una “corsa al guano” e poi, a partire dal 1853, l’estrazione di salnitro dai terreni in cui era abbondante. La necessità occidentale di salnitro, inoltre, continuò a crescere nei decenni successivi, perché cominciò a essere utilizzato anche per la produzione di esplosivi, come il tritolo. La sottrazione di guano e di salnitro rese l’economia peruviana completamente dipendente da queste risorse, facendola crollare quando fu trovato il modo per produrre artificialmente i fertilizzanti: l’abbondanza di queste risorse naturali in un paese molto povero, quindi, ne aveva condizionato le scelte politiche ed economiche, rendendolo totalmente dipendente dalle necessità e dalle richieste dei paesi più avanzati.
IMPERIALISMO ECOLOGICO ED ECOLOGISMO. GLI EFFETTI POSITIVI
IMPERIALISMO ECOLOGICO ED ECO-IMPERIALISMO OGGI
Secondo alcuni storici, tuttavia, le conseguenze dell’imperialismo ecologico non furono solo distruttive: esso, infatti, avrebbe introdotto anche le prime forme di ecologismo e di controllo dei suoli. Secondo lo storico britannico Richard Grove, per esem‑ pio, nel XVII secolo gli europei diventarono sempre più consapevoli delle conseguenze negative della loro attività sull’ambiente. Questa consapevolezza emerse a partire dall’osservazione delle loro esperienze nelle isole tropicali: le piccole dimensioni di queste isole e il fatto che esse fossero considerate dagli occidentali dei piccoli “paradisi terrestri”, infatti, resero gli effetti di alcuni processi chiaramente visibili. In particolare, Grove ha studiato la politica britannica sull’isola di Sant’Elena, nell’Oceano Atlantico centro-meridionale, e quella olandese sulle isole Mauritius, nell’Oceano Indiano sud-occidentale. Quando fu scoperta dai portoghesi all’inizio del ’500, l’isola di Sant’Elena era completamente deserta, ma ricca di acqua e di vegetazione. Nel 1659 l’isola fu occupata dalla Compagnia inglese delle Indie orientali [►6_1], che vi inviò alcuni abitanti bianchi e i loro schiavi. Le isole Mauritius, invece, furono colonizzate dagli olandesi a partire dal 1598. Inizialmente gli europei salvaguardarono la natura incontaminata di queste isole ma, col tempo, passarono a sfruttarle sempre più per ricavarne vantaggi economici. A partire dal XVIII secolo fu però chiaro che questa politica stava causando la deforestazione e l’estinzione di molte specie animali e che ciò avrebbe potuto avere conseguenze molto negative sulle riserve di cibo e di acqua. Presto furono quindi introdotte le prime forme di controllo sull’uso del suolo e si cominciò a cercare il modo di preservare piante e animali, sviluppando un vero e proprio discorso ambientalista. La distruzione ambientale di queste isole, quindi, fece da monito per le esperienze coloniali successive: ad esempio, a partire dal 1840, nell’India britannica, i funzionari britannici capirono che gli ultimi periodi di siccità che avevano determinato gravi carestie erano la conseguenza della diffusione dell’agricoltura di piantagione e dell’abbattimento indiscriminato delle foreste: si affermò così l’idea di conservazione delle foreste come una delle caratteristiche del dominio coloniale.
Nonostante le retoriche apparentemente “ecologiste”, ancora oggi i paesi in via di sviluppo subiscono diverse forme di imperialismo ecologico: il saccheggio e il controllo delle risorse naturali (in primo luogo il petrolio); la riduzione della biodiversità; il deposito di rifiuti tossici prodotti dai paesi industrializzati; la biopirateria, cioè la sottrazione delle conoscenze tradizionali e tecnologiche ancestrali dei popoli del Sud del mondo; la distruzione degli ecosistemi. Ne sono esempi la sparizione di molte specie di animali marini, soprattutto a causa della pesca a strascico praticata dai pescherecci dei paesi del Nord del mondo nelle acque di quelli del Sud, la crescente distruzione delle foreste, la minaccia alle barriere coralline a causa della pesca e del turismo, il degrado dei suoli agricoli. Tra queste nuove forme di imperialismo ecologico appare particolarmente grave il trasferimento nei paesi poveri di sostanze tossiche e rifiuti prodotti in quelli ricchi: I paesi del Sud in via di sviluppo [...] sono anche le vittime delle esportazioni di sostanze tossiche dal Nord. Per esempio, quando nei paesi industrializzati è stato vietato l’impiego di pesticidi particolarmente pericolosi, i produttori ne hanno potenziato la vendita nei paesi in via di sviluppo, dove, per insufficienza e inefficacia della regolamentazione, hanno determinato negli organismi degli abitanti locali le più alte concentrazioni di pesticidi mai registrate. Allo stesso modo, mentre i timori per l’ambiente hanno limitato il numero e l’estensione delle discariche e le quantità di cenere tossica emessa dagli inceneritori negli Stati Uniti e in altri paesi, questi si sono dati da fare per liberarsi dei rifiuti tossici esportandoli, non sempre riuscendovi, nei paesi in via di sviluppo. [B. Commoner, Far pace col pianeta, Garzanti, Milano 1990, pp. 179-80]
Questo fenomeno è stato etichettato come una forma di “razzismo ambientale”, perché non si cura delle conseguenze dei comportamenti dei paesi ricchi sulla salute dei popoli dei paesi poveri. L’imperialismo ecologico, infine, oggi ha assunto anche le forme del cosiddetto eco-imperialismo, una nuova forma di dominio nascosta dietro le retoriche ambientaliste. Secondo la teoria dell’eco-imperialismo, l’affermazione di alcune visioni ambientaliste occidentali nei paesi in via di sviluppo costituirebbe una vera e propria imposizione, non giustificabile sotto il profilo etico né sotto quello ecologico. Sarebbe il caso, ad esempio, dell’etanolo proveniente dalla canna da zucchero o dal mais, cioè del cosiddetto
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STORIA E AMBIENTE L’imperialismo ecologico: piante, animali e malattie
bio-combustile ambientalista che dovrebbe sostituire la benzina derivata dal petrolio in quanto considerato meno inquinante: i numerosi effetti collaterali per i paesi del Sud del mondo in cui vengono coltivate le materie prime per la produzione di questi carburanti sono tenuti scarsamente in considerazione.
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Un minatore mostra una sacca contenente del coltan nella provincia del Katanga, Repubblica Democratica del Congo agosto 2008 [© foto di Alfredo Falvo]
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La sottrazione – più o meno diretta – di risorse naturali dai paesi del Sud del mondo sembra ancora caratterizzare le relazioni tra gli Stati: il debito ecologico contratto dai paesi più ricchi nei confronti di quelli più poveri continua ad aumentare, mentre l’imperialismo ecologico assume forme forse meno visibili ma non meno condizionanti.
Il coltan è un minerale da cui si ricava un metallo raro – e quindi di grande valore –, necessario alla produzione dei telefoni cellulari. Una delle maggiori zone di estrazione di questo minerale, destinato a rifornire le grandi aziende di elettronica
di tutto il mondo, è la Repubblica Democratica del Congo, in particolare la regione del Kivu, dove i minatori che lo estraggono ricavano un modestissimo compenso.
LABORATORIO DI EDUCAZIONE AMBIENTALE LABORATORIO DI SCRITTURA STORICA 1 La tesi enunciata dallo storico americano A.W. Crosby nel saggio L’imperialismo ecologico: l’espansione biologica dell’Europa, 900-1900 è che gli europei hanno imposto il loro dominio sul mondo non solo in termini di commercio e di comunicazioni ma anche in termini “ecologici”, cioè hanno trasformato sensibilmente l’habitat delle popolazioni assoggettate, esportando non solo merci, ma anche piante, animali e malattie. Discuti la tesi di Crosby in un testo di massimo 15 righe di documento Word, utilizzando la seguente scaletta e servendoti di esempi tratti dal testo a supporto della tua argomentazione.
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Definizione di imperialismo ecologico Dove e secondo quali forme/modalità gli europei lo hanno esercitato
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Quali le conseguenze per gli habitat Sviluppo di un discorso ambientalista
2 Illustra in un testo (max 10 righe) in che modo le forme dell’imperialismo ecologico sono mutate nei secoli, in particolare nel passaggio tra XVIII e XIX secolo e ai giorni nostri. 3 Immagina di lavorare per un’agenzia di comunicazione incaricata da un’associazione ambientalista che opera su scala globale di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema “Imperialismo ecologico tra presente e passato”. Crea uno spot pubblicitario che veicoli in maniera semplice, chiara ed efficace il messaggio, adoperando tutte, o parzialmente, le parole chiave di seguito elencate:
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imperialismo ecologico debito ecologico
● razzismo ambientale ● eco-imperialismo
Per la realizzazione dello spot puoi utilizzare i mezzi tradizionali o i nuovi media.
IL MEZZOGIORNO D’ITALIA È VITTIMA DI “RAZZISMO AMBIENTALE”? 4 Confinare i rifiuti e le sostanze tossiche in territori scarsamente qualificati dal punto di vista abitativo e/o turistico oppure marcatamente segnati dal degrado è una pratica assai diffusa nei paesi industrializzati. Su scala globale questa prassi è ancor più massiccia e discriminante, perché spesso il confine tra Nord e Sud del mondo passa proprio attraverso la distinzione tra paesi che producono ricchezza e paesi che ne smaltiscono i rifiuti. Viviamo in un sistema globale in cui i poteri economici forti scaricano sulle popolazioni indigene, che spesso non sono in grado di far sentire la propria voce, il peso dell’inquinamento con tale violenza da renderne evidente il carattere razzista. Se abbandoniamo la prospettiva globale e restringiamo il punto di osservazione sull’Italia, scopriamo che da qualche decennio molti studiosi considerano le regioni del Mezzogiorno un importante osservatorio per lo studio del “razzismo ambientale“. Chi di voi non ha mai sentito parlare del caso dell’Ilva di Taranto o dell’emergenza rifiuti della Terra dei Fuochi o ancora delle trivellazioni nel Mar Ionio? Movimenti ambientalisti, amministrazioni locali, comitati nati in seno alla società civile (No triv, No Tap) sono da anni in piena mobilitazione e si battono a gran voce per dire ‘’No’’ a quella che considerano a tutti gli effetti una forma di ingiustizia ambientale. Per altri, invece, si tratta di un allarmismo eccessivo della popolazione locale nei confronti di opere legate al processo di modernizzazione tecnologica e al rilancio dell’economia del paese, ma che non si vogliono sul proprio territorio per le possibili conseguenze di impatto ambientale. Per indicare tale atteggiamento è stato coniato il termine “Nimby” (acronimo inglese da Not In My Back Yard, letteralmente “Non nel mio cortile”). Qual è il tuo giudizio sui sopraccitati casi? È corretto, secondo te, applicare l’etichetta di “razzismo ambientale” oppure no? Per rispondere alla problematica, invitiamo te e i tuoi compagni di classe a ricercare in Rete la documentazione utile ad avviare la discussione in classe, sotto la guida dell’insegnante. Vai su Google e digita nella maschera di ricerca ‘’caso Ilva di Taranto’’, e così via per ciascun caso di studio. Al termine della discussione, redigi un testo argomentativo (max 10 righe di documento Word) in cui esponi il tuo personale punto di vista in merito alla problematica posta.
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STORIA E AMBIENTE L’imperialismo ecologico: piante, animali e malattie
L’EUROPA INDUSTRIALE ITALIA Confini moderni
Principali città industriali Tasso di urbanizzazione (popolazione totale vivente nelle città con più di 100.000 abitanti, statistiche del 1870)
Più del 20% Dal 6% al 10% Fino al 5%
1 Ruhr
5 Bassa Scozia
2 Lilla
2 Alsazia-Lorena
6 Catalogna
3 Le Havre
3 Nord-Le Havre
7 Asturie
4 Norimberga
4 Lancashire
Giacimenti di ferro Bacini carboniferi Industrie metallurgiche e meccaniche Industrie tessili
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Porti principali
Principali poli di sviluppo industriale
1 Bruxelles
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San Pietroburgo
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SVEZIA
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RUSSIA
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Mosca
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IRLANDA
Sheffield Birmingham PAESI BASSI Rotterdam GRAN BRETAGNA
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BELGIO
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Le Mans
POLONIA UCRAINA
GERMANIA Vienna
SVIZZERA
FRANCIA Santander
7
Bilbao
Bordeaux San Sebastián
Lione
Marsiglia
Milano
AUSTRIA Budapest UNGHERIA
Genova M a r
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Barcellona
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ITALIA
M e d i t e r r a n e o
UNITÀ 3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
N e r o
CHIAVI DI LETTURA
Inizia l’età contemporanea
Le masse popolari sulla scena politica
L’ampio arco temporale, dal 1776 al 1848-49, segnato dalle grandi rivoluzioni corrisponde al periodo in cui collochiamo gli inizi dell’età contemporanea. Non una data precisa, ma un insieme di vicende, tutte caratterizzate da trasformazioni rivoluzionarie (o da tentativi rivoluzionari) che si susseguono in quei decenni determinando radicali e alla fine irreversibili mutamenti nei rapporti politici e nelle strutture economiche. Le rivoluzioni politiche – americana e francese – spazzano via le strutture del privilegio, cancellano i
In Europa è la Rivoluzione francese (scoppiata nel 1789) la matrice principale del cambiamento, non solo per l’abbattimento dell’ancien régime, ma perché dalla vicenda rivoluzionaria emergono i nuovi protagonisti della lotta politica: le masse popolari urbane – artigiani, lavoratori manuali, piccoli borghesi –, protagoniste anche delle fasi rivoluzionarie degli altri paesi europei in tutta la prima metà dell’800; e i nuovi politici di professione, come i giacobini, i primi a dar vita a un’organizzazione centralizzata simile ai successivi partiti politici. A sua volta, Napoleone Bonaparte dà avvio a una trasformazione politica e amministrativa non solo della Francia ma di gran parte dell’Europa conquistata dagli eserciti francesi.
La fabbrica e la nascita del proletariato urbano
residui feudali, riducono drasticamente il dominio delle aristocrazie lasciando emergere i nuovi ceti borghesi. “Da sudditi a cittadini” è la formula che condensa l’insieme di questi mutamenti caratterizzati dall’eguaglianza di fronte alla legge e dall’acquisizione dei diritti politici, primo fra tutti il diritto di voto (ai soli uomini).
Negli stessi decenni delle rivoluzioni politiche americane ed europee, in Gran Bretagna prese avvio la rivoluzione industriale. Le nuove tecnologie destinate ad aumentare e migliorare la produzione, innanzitutto nel settore tessile cotoniero, e contemporaneamente ad abbassare i costi del lavoro, diedero vita non solo a un nuovo sistema produttivo e al luogo fisico delle attività lavorative, la fabbrica, ma anche a una nuova classe composta dai lavoratori salariati e dalle loro famiglie: il proletariato urbano. Queste trasformazioni, nel loro graduale diffondersi, investirono nei primi decenni dell’800 altri paesi europei – il Belgio, la Francia, le regioni occidentali della Germania – e gli Stati Uniti. Tra gli anni ’30 e ’40 la rivoluzione industriale fu affiancata progressivamente dalla rivoluzione dei trasporti legata alla costruzione delle ferrovie che estesero la loro rete di comunicazioni nei paesi più sviluppati.
GLI EVENTI 1775-83 Guerra d’indipendenza americana
1769 In Inghilterra James 1765 Watt brevetta la prima Hargreaves macchina a vapore. brevetta la Arkwright inventa il jenny filatoio idraulico
1776 Dichiarazione di indipendenza e nascita degli Stati Uniti d’America
1779 Samuel Crompton inventa il filatoio mule
1787 Costituzione degli Stati Uniti d’America 1789 Presa della Bastiglia: inizia la Rivoluzione francese 1783-84 Introduzione in Inghilterra del sistema di Henry Cort nell’industria del ferro
1792 1797 Proclamazione Repubbliche della Repubblica “giacobine” in Italia francese. Costituzione 1804 democratica e Napoleone assume il titolo dittatura giacobina di imperatore dei francesi
1815 Definitiva sconfitta di Napoleone a Waterloo
1813 1850-73 In Inghilterra George Francia e Stephenson perfeziona la Germania locomotiva a vapore nuove potenze 1811-12 industriali Agitazione dei luddisti in Inghilterra e introduzione della pena di morte contro di essi
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CAP7 LA NASCITA DEGLI STATI UNITI
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Storia, società, cittadinanza Le dichiarazioni dei diritti Storia e Geografia Le rivoluzioni atlantiche Lezioni attive Diritti e rivoluzioni. Gli Stati Uniti d’America e la Repubblica francese Test interattivi Audiosintesi
7_1 LE COLONIE BRITANNICHE NELL’AMERICA DEL NORD
La formazione degli Stati Uniti d’America è il primo episodio di quella stagione rivoluzionaria – politica ma anche economica e sociale – che inizia negli ultimi decenni del ’700 e si chiude alla metà dell’800: l’età delle “grandi rivoluzioni”. Con la nascita degli Stati Uniti fa il suo ingresso sulla scena mondiale un nuovo protagonista, anche se dovranno passare molti decenni, e una drammatica guerra civile, perché il nuovo Stato si consolidi. Ma dalla fine dell’800, prima con la guerra contro la Spagna per l’indipendenza di Cuba (che divenne protettorato americano nel 1898), poi con la partecipazione al primo conflitto mondiale (nel 1917), gli Stati Uniti si affermarono come grande potenza fino a dominare la seconda metà del ’900 e gli anni iniziali del nuovo secolo. Nessuno poteva immaginare che un conflitto locale tra sudditi della Gran Bretagna, in colonie lontane dalla madrepatria, divenisse motore di una così grande trasformazione.
► Leggi anche: ► Eventi I Padri Pellegrini e la fondazione della Nuova Inghilterra, p. 255
Agli inizi del ’600 in due diversi punti delle coste atlantiche dell’America settentrionale aveva preso avvio la colonizzazione inglese: nel 1607 nei territori della Virginia e nel 1620 con lo sbarco, molto più a nord – a Cape Cod, nel Massachusetts –, dei “Padri Pellegrini”, una congregazione di pupuritani ritani inglesi già esuli in Olanda. I nuovi insediamenti furono favoriti dall’assiIl termine “puritano” (dal latino purus, “puro”) fu inventato a metà del ’500 dagli anglicani per definire in modo stenza fornita dagli indiani nativi, i pellerossa, nel contribuire alla esploraziosarcastico i calvinisti, che finirono poi per adottare con ne del territorio e nel fornire risorse alimentari prima che le nuove coltivazioni orgoglio questo appellativo. Il termine, infatti, sembrava potessero cominciare a dare i loro frutti. Presto però dissodamenti e disboscaadatto a sottolineare la purezza della loro fede e a qualificare positivamente il modo di vivere cui i gruppi più intransigenti menti sarebbero stati all’origine di duri conflitti con le tribù dei pellerossa sul del calvinismo si ispiravano, ossia l’assoluto rispetto dei possesso delle terre. princìpi religiosi e morali del protestantesimo. Nell’espansione inglese dei decenni successivi si sommarono l’iniziativa delle compagnie commerciali e una consistente immigrazione di minoranze politiamish che e religiose dalla Gran Bretagna ma anche da altri paesi europei, come quella La comunità religiosa amish raccoglie i seguaci di un predicatore vissuto in Svizzera nel ’600, Jacob Amman, degli ugonotti dalla Francia o degli amish dalle regioni di lingua tedesca. Via via che abbandonò la Chiesa anabattista dei mennoniti. Nel gli inglesi risalirono verso nord e discesero verso sud conquistando e mettendo corso del ’700 gli amish (come i mennoniti) migrarono negli Stati Uniti, in prima battuta in Pennsylvania. a coltivazione territori sempre più estesi, assorbendo e talora acquistando i preAncora oggi questo sottogruppo della Chiesa anabattista cedenti insediamenti olandesi e svedesi.
I primi insediamenti
Nel 1763, alla fine della guerra dei Sette anni contro la Francia [►6_1], le colonie britanniche si estendevano dal Canada a nord (la Nuova Scozia) alla Florida a sud, mentre a ovest erano delimitate dalla catena montuosa degli Appalachi [► _15]. Distese su un territorio
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Le tredici colonie
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
mennonita è presente negli Stati Uniti. L’Ohio e la Pennsylvania sono gli Stati che ospitano le comunità più numerose. Gli amish vivono separati dal resto del mondo, parlano tradizionalmente un dialetto tedesco, osservano uno stile di vita semplice, rurale, evitando costantemente il contatto con la civiltà e le nuove tecnologie.
così lungo, le colonie erano caratterizzate da grandi diversità climatiche, ma differivano anche per composizione sociale e assetti economico-produttivi.
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● Le quattro colonie settentrionali. La Nuova Inghilterra In Massachusetts, New Hampshire, CA NA DA Rhode Island, Connecticut il clima, simile a quello dell’Europa nord-occidentale, aveva consentito Québec la coltivazione dei cereali e la costituzione di villaggi rurali. Nei centri urbani della costa, però, priNEW Montréal HAMPSHIRE mo fra tutti Boston, fiorì, grazie alla larga disponibilità di legname, un’importante industria can- S A MAS NEW tieristica, che forniva circa il 50% del tonnellaggio alla flotta CA NA D A britannica. Boston YORK
RHODE ISLAND ● Le quattro colonie del Centro Nei territori di New Québec York, del New Jersey, della Pennsylvania CONNECTICUT NEW e del Delaware, che non costituivano un blocco omogeneo, la situazione economicaNew era YorksiPENNSYLVANIA Montréal HAMPSHIRE SA S NEW JERSEY Philadelphia mile a quella della Nuova Inghilterra, ma con più forti squilibri sociali e una diversa struttuMA NEW DELAWARE Boston ra della proprietà terriera – soprattutto nello Stato diYORK New York dominavano infattiMARYLAND i grandi RHODE ISLAND CONNECTICUT latifondisti. New York
VIRGINIA
PENNSYLVANIA ● Le cinque colonie del Sud In Virginia, Maryland, Carolina del Nord e del Sud, Georgia tutta l’eNEW JERSEY Philadelphia conomia era incentrata sulle piantagioni (tabacco, riso e, più DELAWARE tardi, cotone), si fondava principalRaleigh MARYLAND mente sulla grande proprietà e si reggeva sul lavoro degli schiavi di origine africana. Ma era anNORTH CAROLINA che diffusa la piccola e media proprietà terriera che si avvaleva anch’essa della manodopera degli VIRGINIA SOUTH CAROLINA schiavi neri. Raleigh
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Le colonie si differenziavano profondamente punto di vista religioso, NORTH CAROLINA anche dal Savannah pur essendo tutte protestanti. Nella Nuova Inghilterra prevalevano largamente i Jacksonville SOUTH CAROLINA dissidenti della Chiesa anglicana (presbiteriani, congregazionalisti, metodisti): FLORIDA OCEANO ATLANTICO Charleston qui, negli anni 1730-40, aveva trovato larga diffusione il movimento del Grande GEORGIA Savannah risveglio protestante, animato da impetuosi predicatori che volevano rivitalizzare la fede, ritornare alla Bibbia, rafforzare la pratica Jacksonville religiosa. La Pennsylvania ospitava larghe gna
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Le appartenenze religiose e la mentalità del nuovo “popolo eletto”
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15_LE COLONIE AMERICANE ALLA VIGILIA DELLA GUERRA CON LA GRAN BRETAGNA CA NA DA Québec
NEW HAMPSHIRE SA MAS NEWpossedimenti britannici dopo Boston Parigi del 1763 YORKla pace diRHODE ISLAND le tredici colonie che si CONNECTICUT sollevano contro la Gran New York PENNSYLVANIA Bretagna nel 1774 Montréal
Philadelphia
NEW JERSEY DELAWARE MARYLAND
possedimenti britannici dopo la pace di Parigi del 1763 le tredici colonie che si sollevano contro la Gran Bretagna nel 1774 alla Gran Bretagna dal 1763 al 1783 zone popolate da pellerossa
alla Gran Bretagna dal 1763 al 1783 zone popolate da pellerossa
Benjamin Henry Latrobe, Un sorvegliante fa il suo dovere 13 marzo 1798 [Maryland Historical Society, Baltimora] L’acquerello illustra un sorvegliante bianco mentre supervisiona il lavoro di due schiave nere in una piantagione di tabacco vicino a Fredericksburg, in Virginia.
VIRGINIA Raleigh NORTH CAROLINA SOUTH CAROLINA Charleston
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alla Gran Bretagna dal 1763 al 1783 zone popolate da pellerossa
C7 La nascita degli Stati Uniti
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possedimenti britannici dopo la pace di Parigi del 1763 le tredici colonie che si sollevano contro la Gran
EVENTI
I Padri Pellegrini e la fondazione della Nuova Inghilterra
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uardando i telefilm americani, capita spesso di vedere la tipica famiglia americana riunirsi il quarto giovedì di novembre per celebrare il Thanksgiving Day, il “Giorno del Ringraziamento”. Si tratta di una festa nazionale istituita nel 1863 dal presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln a ricordo di un evento cruciale per la storia del paese. Ogni anno, in quel giorno, si rievoca il banchetto, a base di tacchino arrosto e torte di zucca, tenuto nel 1621 dai Padri Pellegrini a Plymouth, la cittadina da loro fondata nel Massachusetts, con i nativi del luogo, in segno di ringraziamento per l’aiuto da questi ricevuto in un momento di estrema difficoltà per l’esistenza della colonia. Nel primo inverno di vita, infatti, la colonia aveva perso quasi la metà dei suoi abitanti per la fame, la fatica e le avversità climatiche. Fu proprio l’incontro con gli indiani a garantire la sopravvivenza dei coloni, che dai nativi appresero la tecnica di pesca delle aringhe e l’uso del pesce come fertilizzante nelle coltivazioni di mais, fagioli e zucche. I Padri Pellegrini (Pilgrim Fathers) erano giunti nel continente americano il 21 novembre del 1620. Nove settimane prima, nel mese di settembre, circa 35 famiglie (per un totale di 102 passeggeri) erano salpate dal porto inglese di Plymouth a bordo di un piccolo galeone, il Mayflower (“Fiore di maggio”). Esse avevano acquistato dalla Virginia Company, una delle tante società private a cui la Corona inglese aveva ceduto ampie zone
dei suoi possedimenti d’oltremare, il diritto di fondare una colonia nel Nuovo Mondo, pagandolo ben 7 mila sterline. Di diversa estrazione sociale, i coloni erano accomunati dalla fede religiosa: appartenevano infatti a un gruppo di puritani radicali che nel 1606, per sfuggire alle persecuzioni religiose, si era rifugiato nei Paesi Bassi. Da lì, grazie all’intercessione di un mercante loro correligionario, avevano ottenuto l’autorizzazione a recarsi in America, dove speravano di poter professare liberamente la propria fede, governandosi secondo le proprie convinzioni religiose. Infatti, nell’Inghilterra di Giacomo I Stuart (1603-25), i dissidenti religiosi, ossia quanti non riconoscevano l’autorità della Chiesa anglicana, erano soggetti a dure persecuzioni. I pellegrini quindi ricercarono oltre Atlantico quella libertà religiosa e politica che veniva negata loro in patria. Poco prima di sbarcare, i coloni sottoscrissero il Mayflower Compact, un documento nel quale esposero i princìpi ispiratori del governo della futura colonia, che si rifaceva al modello calvinista della democrazia teocratica. Dopo aver ringraziato Dio per l’esito felice del lungo viaggio, i Padri Pellegrini, stabilirono che la loro colonia sarebbe stata governata da capi eletti da tutti i membri della comunità, all’interno però di una rigida organizzazione comunitaria, caratterizzata dal rigoroso assoggettamento alle norme autoimposte. Diretti inizialmente in Virgi-
nia, i Padri Pellegrini sbarcarono molto più a nord, a Cape Cod, a causa di una tempesta che aveva deviato la rotta del Mayflower. Qui, dopo aver esplorato la costa atlantica, si stabilirono nell’odierno Massachusetts, riconosciuto ufficialmente come colonia nel giugno del 1621, e considerato dagli storici come il primo nucleo dei moderni Stati Uniti d’America. Dopo le iniziali difficoltà e il determinante aiuto offerto dagli indiani, ricordato appunto nel Thanksgiving Day, dalla primavera del 1621 la colonia cominciò a crescere e a progredire. Convinti di rappresentare, secondo l’etica calvinista, il nuovo popolo degli eletti e animati da una fortissima fede, i coloni lavorarono intensamente la terra e si impegnarono nell’industria cantieristica. Il Massachusetts divenne in breve tempo un approdo sicuro per quanti fuggivano dall’Europa, rigettando l’assolutismo dei sovrani e le persecuzioni religiose, e da lì partirono nuove spedizioni verso i territori dell’interno e della costa. Sotto la spinta del costante flusso migratorio si formò dunque una nuova regione, il New England (“Nuova Inghilterra”), formata dalle colonie sorte dopo il Massachusetts: il New Hampshire, il Rhode Island e il Connecticut. Anche i nuovi insediamenti furono pervasi da quella tensione etico-religiosa puritana propria dei “padri fondatori”. Essa alimentò il cosiddetto “spirito del New England”, destinato a modellare la cultura nordamericana, e diffuse quei germi di libertà da cui sarebbe scaturita la lotta per l’indipendenza dall’Inghilterra, partita proprio dalla capitale del Massachusetts, Boston.
democrazia teocratica Nella concezione calvinista dello Stato, la sfera politica non era separata da quella religiosa: essa, infatti, era affidata ad un’amministrazione cittadina – il Concistoro (composto da pastori e magistrati) – che applicava i princìpi dottrinali nella vita collettiva, con l’obiettivo di fare della città una comunità di eletti, di prescelti da Dio.
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Jennie Augusta Brownscombe, Il primo giorno del Ringraziamento a Plymouth 1914 [Pilgrim Hall Museum, Plymouth] Il dipinto, realizzato agli inizi del ’900 dall’artista americana Brownscombe, ritrae con dovizia di particolari un soggetto caro alla storia degli Stati Uniti: il primo Ringraziamento celebrato dai pellegrini e dagli indiani per rendere omaggio al primo raccolto realizzato con successo dai coloni nella nuova patria.
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
NASCITA E SVILUPPO DELLE TREDICI COLONIE
Sbarco dei Padri Pellegrini (1620)
Colonie del Nord (Nuova Inghilterra): coltivazione cereali, villaggi rurali, industria cantieristica; presenza di puritani
Colonizzazione inglese delle coste atlantiche
Colonie del Centro: forti squilibri sociali e diffusione del latifondo; presenza di amish
Iniziativa compagnie commerciali
Immigrazione minoranze religiose Colonie del Sud: economia di piantagione e manodopera schiavile; fede anglicana
comunità di quaccheri e di amish. Nelle colonie del Sud era dominante invece la fedeltà alla Chiesa anglicana. Le numerose denominazioni religiose del protestantesimo intransigente erano impegnate nella difesa delle forme di autogoverno, delle libertà dei coloni e alimentavano il dissenso nei confronti delle istituzioni e dei controlli esercitati dall’amministrazione e dalle istituzioni della Corona britannica. Queste posizioni erano fondate sul nesso sempre più stringente tra libertà religiosa e libertà politica nonché sulla convinzione di una nuova missione e di un destino speciale affidato da Dio ai nuovi americani che si consideravano un popolo eletto, chiamato a realizzare il vero cristianesimo.
guerre franco-indiane Le guerre franco-indiane sono una serie di conflitti combattuti nel corso del ’600 e del ’700, che coinvolsero anche le colonie e i territori dell’America settentrionale oltre alle tribù indiane che popolavano quelle terre. Si trattò per lo più di riflessi delle guerre dinastiche combattute in Europa in quei secoli. Ad alcuni di questi conflitti presero parte olandesi e spagnoli, ma i due fronti contrapposti videro impegnati sempre francesi e inglesi, alleati con le diverse tribù indiane. L’ultima e la più importante delle guerre franco-indiane coincise con la guerra dei Sette anni (1756-63), con la quale la Gran Bretagna si impose definitivamente sulla Francia.
Secondo le stime, nel 1770 la popolazione aveva superato i 2 milioni e nel 1780, con un elevato tasso di incremento, avrebbe raggiunto i 2.780.000 individui. Tra la popolazione si contavano oltre 500 mila schiavi neri, concentrati nelle colonie meridionali dove rappresentavano il 40% circa degli abitanti. Un ruolo rilevante avevano gli indiani pellerossa, dislocati all’interno dei territori e sospinti dalla colonizzazione sempre più verso ovest, non facilmente conteggiabili ma in continua diminuzione. Tra le numerose “nazioni” indiane (questo era il termine con cui venivano chiamate le tribù) spiccavano la confederazione degli Irochesi del Nord-Est, già alleati dei britannici nelle guerre franco-indiane, gli Algonchini, schierati invece con i francesi, e i Cherokee a Sud. Le colonie non erano caratterizzate da una significativa urbanizzazione, soprattutto nei territori del Sud. Diversa era la situazione nelle colonie del METODO DI STUDIO Centro e del Nord. Philadelphia era la città più popolosa, con 40 mila abitan a Riassumi in una scaletta le tappe della coti, mentre gli altri due principali centri urbani, Boston e New York, che pure lonizzazione dell’America settentrionale mettendo in rilievo i soggetti collettivi coinvolti e le relative avevano conosciuto un vistoso incremento demografico del 50% tra il 1760 e motivazioni. il 1775, si fermavano a 18 mila e 21 mila abitanti rispettivamente. Centri, dun b Sottolinea i nomi delle colonie americane e que, relativamente piccoli ma vivacissimi per le attività economiche e la vita cerchia gli elementi che le caratterizzavano da un punto di vista economico. politica e culturale.
La popolazione e le tradizioni insediative
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C7 La nascita degli Stati Uniti
7_2 UNA RIVOLUZIONE PER L’INDIPENDENZA
Le colonie americane, largamente inserite nel sistema di scambi atlantici, dovevano sottostare alle leggi commerciali imposte da Londra. Solo le navi britanniche potevano accedere ai porti del Nord America e tutte le merci dirette alle colonie dovevano passare per la Gran Bretagna. La quasi totalità della produzione coloniale – il tabacco e il riso del Sud, il legname della Nuova Inghilterra, il pesce e l’olio di balena, il rhum e le pellicce – era destinata ai mercati britannici, mentre l’industria locale, salvo quella cantieristica, era ostacolata per evitare che entrasse in concorrenza con quella della madrepatria. Sul piano politico-amministrativo, invece, le colonie, pur sottoposte al controllo di un governatore di nomina regia, si erano date assemblee legislative elette dai cittadini che nel corso del tempo avevano assunto poteri sempre maggiori. Questo dualismo di poteri di fatto lasciava spazio a continui conflitti, intensificatisi soprattutto dopo la fine dell’ultima guerra franco-indiana: a partire dal 1763 le tredici colonie cominciarono a sentirsi come un’unità autonoma, diversa dalla madrepatria, con una propria identità e non più come parte integrante di un impero britannico unitario.
Le premesse del conflitto
► Leggi anche: ► Storia, società, cittadinanza Le dichiarazioni dei diritti ► Storia e Geografia Le rivoluzioni atlantiche ► Lezioni attive Diritti e rivoluzioni. Gli Stati Uniti d’America e la Repubblica francese ► Personaggi Thomas Jefferson e la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti, p. 258
Questi sentimenti si accentuarono fino a trasformarsi in diffusa opposizione politica quando la Gran Bretagna intensificò il prelievo fiscale. Si trattava di rimettere in sesto le finanze statali dissanguate dalle guerre e di pagare i funzionari e le truppe stanziate nei territori americani. Ma se ai vincoli commerciali le colonie avevano risposto con il contrabbando o eludendo le norme, ora all’inasprimento fiscale risposero con il boicottaggio delle merci provenienti dalla boicottaggio madrepatria. In origine il boicottaggio era una forma di lotta economica L’imposizione di una serie di dazi doganali – come quello sullo zucchero del che consisteva nel rifiuto di entrare in rapporti con qualcuno, 1764 – e dello Stamp Act (1765), l’obbligo di una marca da bollo non solo sui per esempio un paese, un proprietario terriero o una documenti ma anche su giornali e riviste, provocò la dura reazione dei coloni. compagnia commerciale, per danneggiarne la posizione. Questo è quanto avvenne nel caso del contrasto tra le Della protesta si fecero interpreti le assemblee legislative e i numerosi periocolonie in Nord America e la madrepatria: i coloni ribelli, dici politici delle colonie, che potevano contare su un larghissimo consenso infatti, decisero di sospendere gli acquisti di merci britanniche con l’intento di causare un grave danno economico alla in tutti i ceti sociali, dai grandi proprietari del Sud agli artigiani del Nord, agli Corona. Ma boicottare può anche voler dire isolare un paese intellettuali. Venne richiamata con forza la stessa tradizione del parlamentain campo internazionale per le sue scelte politiche o per gli rismo britannico: in particolare il principio secondo cui nessuna tassa poteva atti criminali compiuti durante una guerra. essere imposta senza l’approvazione di un’assemblea in cui i diritti dei tassati
Il boicottaggio delle merci britanniche
LE CAUSE DELLA RIVOLUZIONE AMERICANA
Corona inglese
impone
Dualismo di poteri
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Assemblee autoelette
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
Tasse
“No taxation without representation”
Vincoli commerciali
Boicottaggio delle merci inglesi (Boston Tea Party)
contro
W.D. Cooper, Boston Tea Party 1789 [da The History of North America; Library of Congress, Washington] La rivolta generale delle colonie contro la madrepatria prende avvio con il cosiddetto Boston Tea Party, ricordato in questa stampa in cui si vede un gruppo di coloni americani che sabotano e gettano in mare il carico di tè di una nave della East India Company. In circa due ore finisce in mare il contenuto di 342 casse mentre all’evento assiste una folla accorsa al porto.
trovassero adeguata rappresentanza. In base a questo principio – “no taxation without representation” – il Parlamento di Londra, dove i coloni non erano rappresentati, non aveva diritto di imporre tasse ai territori d’oltreoceano. La tensione, già alta, si accentuò quando un provvedimento del 1773 assegnò alla Compagnia delle Indie il monopolio della vendita del tè nel continente americano, danneggiando gravemente i commercianti locali. Nel dicembre 1773, nel porto di Boston – centro principale dell’agitazione antibritannica – furono assalite alcune navi della Compagnia e fu gettato in mare il carico di tè. All’atto, passato alla storia come Boston Tea Party, il governo centrale rispose con dure misure di ritorsione: nel 1774 il porto di Boston fu chiuso, il Massachusetts fu privato delle sue autonomie, in tutte le colonie i giudici americani furono sostituiti da funzionari britannici. Da questo momento in poi, la rivolta divenne aperta e generalizzata. Nel settembre ’74, in un primo Congresso continentale, i rappresentanti delle tredici colonie si accordarono per portare avanti le azioni di boicottaggio e per difendere con ogni mezzo le loro autonomie. Nell’aprile 1775 si ebbero i primi scontri armati tra le milizie dei coloni e le truppe britanniche nei pressi di Boston. In maggio, un secondo Congresso continentale decideva la formazione di un esercito comune, il Continental Army, e ne affidava il comando a George Washington (1732-1799), un proprietario terriero della Virginia che sarebbe divenuto, in seguito, il primo presidente degli Stati Uniti d’America [►7_4]. La protesta delle colonie, trasformatasi ormai in rivoluzione, sfociava così in una vera e propria guerra.
Dalla ribellione alla guerra
Il 4 luglio 1776, dopo un lungo e acceso dibattito, il Congresso continentale approvò una Dichiarazione di indipendenza stesa da Thomas Jefferson (17431826) [►FS, 60 e 61d], che può essere considerata il vero atto di nascita degli Stati Uniti d’America. Questo documento fondamentale, oltre a enumerare minuziosamente i motivi del contrasto con la Corona britannica sul modello del Bill of Rights inglese del 1689, si richiamava ai princìpi del giusnaturalismo, ai diritti inalienabili dell’uomo e al diritto di un popolo a ribellarsi gettando le basi di un nuovo e concreto progetto politico [►3_3]. La Dichiarazione era un progetto rivoluzionario che rompeva ogni legame con la monarchia britannica e dava vita a una repubblica.
La Dichiarazione di indipendenza. Un atto fondativo
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C7 La nascita degli Stati Uniti
Emanuel Gottlieb Leutze, Washington attraversa il Delaware 1851 [Metropolitan Museum of Art, New York] Una delle azioni più celebrate di Washington, e della storia dell’indipendenza americana in generale, è senz’altro quella compiuta il 25 dicembre del 1776, quando il generale guidò le truppe in un assalto a sorpresa contro i britannici. Questi ultimi, guidati dal generale Howe, si erano trasferiti a New York per trascorrervi l’inverno, convinti che Washington non li avrebbe attaccati fino alla primavera successiva. Ma le forze americane, non tenendo conto delle usanze militari, attraversarono nottetempo il fiume Delaware semighiacciato e riuscirono ad avere la meglio sul nemico.
PERSONAGGI
Thomas Jefferson e la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti
L
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a storia di Thomas Jefferson, uomo dei Lumi e della rivoluzione, terzo presidente degli Stati Uniti d’America, è la storia di un uomo dalle molte passioni (la politica, l’arte, la storia, l’architettura, l’economia, persino il bricolage), di un intellettuale prestato all’azione, di un rivoluzionario radicale con molto senso pratico. Lettore affamato di ogni sorta di libri, ma soprattutto dei classici, ci ha lasciato sia una corrispondenza ricchissima sia un Book of reference, un libro di citazioni e commenti dalle sue letture che è uno strumento eccezionale per entrare nel mondo dei suoi punti di riferimento politici e intellettuali. Nacque il 13 aprile 1743 a Shadwell, la piantagione di suo padre lungo il corso del Rivanna, vicino a quella che oggi si chiama Charlottesville, in Virginia. Il padre, Peter, morì quando Thomas era ancora quattordicenne, lasciandolo erede della proprietà e di numerosissimi schiavi. Studiò nelle scuole locali della Virginia. Praticò quindi l’avvocatura ed entrò nella rappresentanza legislativa della Virginia, dove si allineò coi membri più radicali che chiedevano già da tempo un ridimensionamento dell’autorità di Londra sulle colonie. Nel frattempo, nel 1772 aveva sposato Martha, una vedova di 23 anni che morirà molto giovane lasciandolo a lungo emotivamente devastato. Nel 1774, in occasione del primo Congresso continentale convocato per rispondere alle restrizioni britanniche sulle colonie, elaborò una serie di indicazioni per i delegati della Virginia che sarebbero poi state ripubblicate sotto il tito-
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
lo A Summary View of the Rights of British America (“Uno sguardo sintetico sui diritti dell’America britannica”). Nel testo, che avrebbe imposto Jefferson come uno dei lea‑ der della causa coloniale, ad esempio si diceva espressamente che «i re sono i servitori, non i proprietari del popolo» – parole fortissime, anche se pronunciate ad un oceano di distanza dalla corte inglese. Quando si unì al Congresso, fu incaricato di redigere il testo della Dichiarazione di indipendenza insieme a John Adams (che sarebbe diventato il secondo presidente degli Stati Uniti) e ad altri delegati. Fu lui però a preparare la bozza poi in gran parte approvata da tutto il Congresso. Le parti eliminate riguardavano significativamente un passo sulla tratta degli schiavi, definita «una guerra crudele contro la natura umana». Ad ogni modo, il testo della Dichiarazione sarebbe stato molto più del manifesto delle colonie americane impegnate a richiedere l’indipendenza alla Gran Bretagna. Le sue espressioni più note – il lungo elenco di col► John
Trumbull, La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti 1817-19 [Campidoglio, Washington] Il 28 giugno 1776 a Philadelphia la cosiddetta “Commissione dei cinque” presentò ai partecipanti al Congresso la Dichiarazione di indipendenza, poi ratificata il 4 luglio successivo. Nel dipinto vengono raffigurati, in piedi, i cinque membri della commissione: (da sinistra) John Adams, Roger Sherman, Robert Livingston, Thomas Jefferson, Benjamin Franklin; di fronte a loro, seduto, il presidente del Congresso, John Hancock. Per la successiva elaborazione della Costituzione americana (1787) furono determinanti le «verità» sancite nell’enunciato di apertura della
pe attribuite ai sovrani inglesi e l’affermazione dei princìpi generali di libertà e di uguaglianza [►FS, 63] – sarebbero diventate un luogo comune nella retorica politica americana. Ma soprattutto la Dichiarazione fu un vero e proprio modello, ricalcato nella sua struttura ora dalle prime femministe americane, ora dai movimenti neri, ora da altri popoli in lotta per la libertà. Tornato in Virginia, Jefferson partecipò alla modernizzazione del sistema legislativo dello Stato (libertà di culto e riforma della proprietà terriera furono alcuni dei provvedimenti da lui promossi) e fu eletto per due anni governatore. Erano gli anni della guerra con l’ex madrepatria, e la Virginia venne occupata dai britannici a più riprese. Anche per questo si ritirò per la prima volta a vita privata dedicandosi alla sua proprietà e alla scrittura. In una sua opera pubblicata in quegli anni, Notes on the State of Virginia, Jefferson prese una dura posizione contro la schiavitù, pur partendo da posizioni apertamente razziste e temendo moltissimo che dall’emancipazione potessero scaturire delle guerre razziali che avrebbero minato la vita della democrazia americana. La posizione di Jefferson rispecchiava quella di alDichiarazione: «Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per sé stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono stati dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità; che allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini i Governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qual volta una qualsiasi forma di Governo tende a negare tali fini, è Diritto del Popolo modificarlo o distruggerlo, e creare un nuovo Governo, che si fondi su quei principî e che abbia i propri poteri ordinati in quella guisa che gli sembri più idonea al raggiungimento della sua sicurezza e felicità».
L’indipendenza venne dichiarata poco più di un anno dopo l’inizio di una guerra contro la Gran Bretagna che si sarebbe trascinata per otto anni: durò infatti dal 1775 al 1783. Le prime fasi del conflitto non furono favorevoli agli americani, anche perché le truppe britanniche, forti di 35 mila uomini (tra cui un nutrito contingente di mercenari tedeschi), contro gli 8 mila poco addestrati dell’esercito di Washington, assunsero l’iniziativa occupando New York (agosto 1776). Washington adottò allora una tattica prudente evitando gli scontri campali e logorando gli avversari con ostinate azioni di guerriglia – sabotaggi, assalti, attentati a sorpresa –, finché i britannici non subirono a Saratoga (1777) la loro prima seria sconfitta [► _16]. La posizione degli insorti restava comunque difficile e piuttosto grave era la situazione finanziaria, che costrinse le colonie a ricorrere a una serie di imposte straordinarie per sostenere i costi del conflitto. A favore degli indipendentisti si schierò l’opinione pubblica europea – nella stessa Gran Bretagna non mancarono le voci favorevoli ai ribelli – tanto che, a partire dal 1777, cominciarono ad arrivare, provenienti da diversi paesi europei, numerosi volontari pronti a battersi a fianco degli Stati Uniti.
La guerra, la vittoria e la pace
tri proprietari di schiavi americani, incapaci di affrontare di petto il problema pur vivendo con imbarazzo il controllo assoluto su altri esseri umani. Nel corso della sua vita sarebbe arrivato a controllare più di seicento schiavi, per lo più impiegati nelle sue piantagioni. Con alcuni di questi, i rapporti erano più che cordiali, di vera amicizia e affetto. È nota ad esempio la sua lunghissima relazione con Sally Hemings, una schiava mulatta della sua piantagione che portò con sé durante numerosi viaggi e da cui ebbe pure sei figli (madre e figli furono in seguito tutti liberati). Nonostante avesse a cuore la questione degli schiavi, comunque, resta il fatto che durante la sua parabola politica non fu in grado di portare al successo provvedimenti a favo-
re della popolazione nera, né in Virginia, né a livello federale. Jefferson venne richiamato alla vita politica nel 1784, quando fu inviato a Parigi come ministro plenipotenziario prima e ambasciatore poi. Qui Jefferson poté assistere alle prime fasi della Rivoluzione, entrando in stretto contatto con alcune delle personalità più rilevanti. Rientrato in America, nel 1790 assunse l’incarico di Segretario di Stato, cioè ministro degli Esteri, durante la presidenza Washington. Nella compagine ministeriale c’erano anche Alexander Hamilton e John Adams, fautori di un rafforzamento dei poteri centrali da lui osteggiato. Ben presto attorno alla loro rivalità prese corpo la dialettica dei due primi partiti politici americani,
quello federalista e quello democratico-repubblicano capeggiato da Jefferson. Jefferson venne eletto nel 1800 (proprio dopo Adams), e riconfermato nel 1804. Il più grande risultato della sua presidenza fu l’acquisto del grande territorio (di oltre 2 milioni di kmq) della Louisiana dai francesi. Inoltre avviò la campagna per l’esplorazione dei nuovi territori che culminò nella spedizione di Lewis e Clark (1804-6). Jefferson era spinto a questa iniziativa soprattutto dalle sue letture e dai suoi interessi scientifici, ma l’impresa costituì il passo più significativo per la colonizzazione americana della frontiera occidentale. Dopo la fine del suo secondo mandato presidenziale, Jefferson si ritirò nella sua tenuta di Monticello in Virginia, ma non sparì del tutto dalla vita pubblica. Si dedicò a un piano sull’educazione per il suo Stato di nascita, che però non venne mai approvato, e provò a fondare direttamente un’università pubblica e soprattutto laica, a differenza della William and Mary dove lui stesso aveva studiato. L’Università della Virginia sarebbe diventata in seguito un modello per le università pubbliche americane, per l’organizzazione degli studi ma anche per la sua gestione. La fondazione dell’università fu una delle molte occasioni per dar prova delle sue qualità nel campo dell’architettura: il suo progetto per il campus viene ancora oggi considerato tra le opere più significative dell’architettura americana, insieme con gli altri suoi lavori – la residenza personale di Monticello e il Campidoglio della Virginia, ispirato al tempio romano di Nîmes visitato durante il suo soggiorno francese. Morì il 4 luglio 1826, lo stesso giorno di John Adams e il giorno della festa dell’indipendenza americana.
259
C7 La nascita degli Stati Uniti
Ma l’aiuto decisivo venne dall’intervento delle potenze europee che impegnarono la Gran Bretagna su molti altri teatri bellici. Infatti, dopo l’ingresso della Francia e della Spagna a fianco degli Stati Uniti con l’evidente obiettivo di trarre vantaggi territoriali da un’eventuale sconfitta della Gran Bretagna, il conflitto si sarebbe combattuto anche nei Caraibi, a Gibilterra (inutilmente assediata dagli spagnoli per tre anni), sulle coste africane e in India. Importante METODO DI STUDIO in questa fase fu in particolare il ruolo della Francia, che, alla fine del ’77, rico a Evidenzia nel testo gli elementi economici, politici e amministrativi che fanno parte del rapporto nobbe l’indipendenza delle colonie e, nel gennaio ’78, firmò con esse un patto che lega le colonie alla Gran Bretagna utilizzando di alleanza militare. Nell’estate dell’81, in coincidenza con l’arrivo di una flotta un colore differente per ogni tema. francese, gli americani passarono al contrattacco e posero l’assedio a Yorktown, b Sottolinea gli aspetti fondamentali che definiscono i seguenti eventi storici: a. Congresso in Virginia, dove si era concentrato il grosso delle forze britanniche costringencontinentale; b. Dichiarazione di indipendenza; c. dole alla resa nell’ottobre 1781. guerra per l’indipendenza; d. assedio di Yorktown; Con la pace di Versailles del settembre 1783 la Gran Bretagna riconosceva l’ine. pace di Versailles. Quindi trascrivili sul quaderno mettendo in rilievo i soggetti coinvolti e le dipendenza delle tredici colonie, ma conservava sostanzialmente intatto il resto motivazioni che li spinsero ad agire. del suo impero, pur dovendo restituire alla Spagna la Florida (che aveva occupato nel 1763).
7_3 LA GUERRA CIVILE E GLI IDEALI REPUBBLICANI
La guerra contro la Gran Bretagna fu anche una guerra civile che vide schierati i “patrioti” indipendentisti contro i “lealisti”, fedeli alla Corona britannica o, come anche si disse, i Whigs contro i Tories. Si ritiene che i rivoluzionari fossero il 40% della popolazione e altrettanti i pacifisti (come i quaccheri) e gli indifferenti. I lealisti erano quindi una minoranza, ma molto combattiva. Tra i patrioti erano schierati l’élite dei proprietari di piantagioni del Sud, come i virginiani Washington e Jefferson, grandi e piccoli mercanti, ceti artigiani e agricoltori indipendenti soprattutto nel Nord, e appartenenti alle congregazioni protestanti non anglicane. La contrapposizione con i lealisti tuttavia non era sociale, ma politica e ideologica. Salvo che nella Nuova Inghilterra, dove la maggioranza indipendentista non incontrò molti antagonisti, gli scontri tra le due fazioni furono durissimi e spietati, fino al massacro degli avversari. Alla fine della guerra tra i 60 e i 100 mila coloni lealisti furono costretti all’esilio e le loro proprietà vennero confiscate. Gli esiliati, a cui si aggiunse qualche migliaio di schiavi liberati, si trasferirono in Canada nella regione dell’Ontario, nei Caraibi o tornarono in Gran Bretagna. La radicalità dello scontro rifletteva la diversità delle posizioni ideologiche. La cultura rivoluzionaria era figlia delle tradizioni radicali inglesi, tanto politiche che religiose, dei princìpi del contrattualismo di Locke, ma anche del richiamo alle antiche libertà che risalivano alla Magna Charta. Inoltre, il mito delle virtù repubblicane era contrapposto alla corruzione del dispotismo monarchico. Erano diffusi anche gli ideali della Massoneria [►4_4] (peraltro condivisi nello schieramento monarchico) più per la loro capacità aggregante che per gli aspetti dottrinari. Massoni furono alcuni dei leader rivoluzionari, come George Washington, Benjamin Franklin (1706-1790), uomo di scienza e cultura oltre che politico di peso, e Alexander Hamilton (1755-1804), che era stato uno dei più stretti collaboratori di Washington e in seguito fu esponente delle tesi federaliste.
Patrioti contro lealisti
Anche gli schiavi neri (o i neri liberati) e gli indiani nativi furono coinvolti nella guerra. A molti schiavi fu promessa la liberazione da entrambi gli schieramenti in cambio dell’arruolamento. Al Sud, soprattutto in Carolina, molti neri fuggirono approfittando dei disordini della guerra mettendo in grave crisi l’economia delle piantagioni. Le maggiori nazioni indiane si schierarono prevalentemente dalla parte dei britannici, che sembravano poter tutelare meglio le tribù pellerossa dai rischi dell’espansione dei coloni americani nei territori ad ovest degli Appalachi. Purtroppo, i princìpi egualitari, per quanto enunciati nel Preambolo della Dichiarazione di indipendenza, si ritenevano implicitamente limitati ai bianchi americani e non si potevano estendere alle
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Gli esclusi dalla rivoluzione
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
Karl Bodmer, Campo di Indiani Dakota XIX sec. [Joslyn Art Museum, Omaha (Nebraska)] Una immagine senza pregiudizi degli indiani Dakota ci viene restituita dal pittore di origini svizzere Bodmer che, dopo aver
compiuto un lungo viaggio tra il 1832 e il 1834 dal Middle West fino alle grandi pianure occidentali, e lungo l’Ontario, lo Yellowstone, il Missouri, realizza una serie di acquerelli in cui rifugge dagli stereotipi diffusi dell’indiano feroce come da quelli, non meno razzisti, del “buon selvaggio”,
riuscendo a cogliere senza prevenzioni le caratteristiche di un popolo oramai sopraffatto dai coloni bianchi. Il termine “Dakota” è quello con cui si autodefiniva la popolazione che i nemici indicavano come Sioux e la loro terra d’origine corrispondeva pressappoco all’attuale Minnesota.
popolazioni native né agli schiavi di colore. Ma questo non deve sorprenderci. Gli indiani pellerossa erano il principale ostacolo all’allargamento verso ovest della colonizzazione e gli schiavi neri erano indispensabili per mantenere efficiente il sistema produttivo degli Stati del Sud. In questo senso gli uni e gli altri possono essere considerati gli sconfitti del grande esperimento politico della rivoluzione americana [►FS, 71].
7_4 LA COSTITUZIONE E LA DEMOCRAZIA AMERICANE
METODO DI STUDIO
a Cerchia con colori differenti i gruppi sociali e religiosi che furono coinvolti nella guerra civile ed evidenzia i relativi schieramenti. b Spiega chi furono gli esclusi dagli esiti rivoluzionari e perché ad essi non furono applicati i princìpi egualitari enunciati nel Preambolo della Dichiarazione di indipendenza.
► Leggi anche: ► Parole della storia Costituzione, p. 263
Il nuovo organismo politico uscito vittorioso dalla rivoluzione e dalla guerra era privo di un ordinamento istituzionale che superasse i potenziali antagonismi tra i diversi Stati e si presentasse unito sulla scena internazionale. Per risolvere questo problema nel maggio 1787 si aprì a Philadelphia, sotto la preconfederazione/federazione sidenza di Washington, una Convenzione costituzionale, ossia un’assemblea dei La confederazione è un’associazione di Stati autonomi rappresentanti di tutti i tredici Stati, che in meno di due mesi approvò una sancita formalmente, nella quale i soggetti statali aderenti mantengono sostanzialmente le loro prerogative, mentre Costituzione, destinata a reggere nelle sue linee fondamentali ancora ai nostri gli organi di governo della confederazione hanno poteri giorni e a fungere da modello per molte successive esperienze di regime rappremolto ridotti. La federazione è invece l’unione di più Stati (o regioni) che godono di larga autonomia e possono sentativo. Ispirandosi al principio della divisione e dell’equilibrio dei poteri, la emanare leggi valide nei loro territori, ma restando Costituzione dava vita a nuovi organi federali, in grado di esercitare la propria aufortemente vincolati agli organi di governo centrale della torità su tutti i cittadini della Confederazione, che si trasformava così in Unione federazione e alle leggi che questi ultimi promulgano. o Federazione, acquistando la fisionomia di un vero e proprio Stato unitario.
La Costituzione del 1787
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C7 La nascita degli Stati Uniti
Il potere legislativo era esercitato da due Camere [► _4]. La Camera dei rappre- Junius Brutus Stearns, sentanti, che aveva competenza per le questioni finanziarie, era eletta in pro- Washington alla porzione al numero degli abitanti (un deputato ogni 30 mila). Il Senato, cui spettava il controllo sulla Convenzione Costituzionale del politica estera, era invece composto da due rappresentanti per ogni Stato. Questa soluzione costituiva 1787 [Museo delle un compromesso tra le esigenze degli Stati più popolosi e le preoccupazioni degli Stati minori, desti- 1856 Belle Arti della Virginia, nati a essere sacrificati in un sistema di rappresentanza basato esclusivamente sulla consistenza nu- Richmond] merica della popolazione. Potevano votare, con criteri variabili nei singoli Stati, solo i maschi bianchi dotati di un certo reddito, in base al criterio del suffragio censitario. Il potere giudiziario – ferma restando l’autonomia in materia dei singoli Stati – veniva posto sotto il controllo di una Corte suprema federale, composta da giudici a vita nominati dal presidente della Repubblica con l’assenso del Senato. Ma la maggiore novità della Costituzione stava nella creazione di un forte potere esecutivo, accentrato nella figura del presidente della Repubblica, eletto ogni quattro anni con voto indiretto, cioè non direttamente da tutti gli aventi diritto, ma da un’assemblea di “grandi elettori” designati dagli Stati. Indipendente dal potere legislativo, il presidente era dotato di suffragio universale/suffragio poteri amplissimi: tra l’altro deteneva il comando delle forze armate, nominava, censitario oltre ai giudici della Corte suprema, i titolari di molti importanti uffici federali, Il termine “suffragio” è generalmente inteso come poteva bloccare col suo veto le leggi approvate dal Congresso – termine con cui sinonimo di “voto”. Il suffragio universale è tale quando si designavano entrambi i rami del legislativo, ovvero la Camera dei rappresenil diritto di voto è esteso a tutti i membri adulti di una comunità politica. In un primo tempo il suffragio universale tanti e il Senato. Il Congresso poteva però a sua volta mettere in stato d’accusa il fu riservato ai membri maschi adulti, perciò si è parlato presidente e destituirlo se questi si fosse reso colpevole di violazioni della legge. a lungo di suffragio “universale maschile”. Il suffragio
Gli organi federali
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Federalisti e antifederalisti
Per entrare in vigore, la Costituzione doveva essere approvata dalle assemblee dei singoli Stati. Fu appunto in questa fase che il dibattito costituzionale si sviluppò in
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
censitario prevede invece che il diritto di voto sia definito in base al censo – ossia al patrimonio e alla ricchezza posseduta – e al livello di tasse pagate.
termini più aperti e più vivaci. Favorevoli alla soluzione federalista – ossia al rafforzamento del potere centrale – e quindi all’approvazione della Costituzione erano soprattutto i gruppi legati al commercio e alla industria, ma anche i grandi proprietari, e in genere i ceti più conservatori, che speravano di trovare in un esecutivo forte la migliore garanzia contro i rischi di disordine sociale e le tendenze radicali. Le idee antifederaliste avevano invece maggior seguito tra i ceti medio-bassi, in particolare tra i piccoli coltivatori, che temevano di non poter essere sufficientemente rappresentati da un governo centrale, considerato come un possibile strumento in mano alle oligarchie finanziarie e agli affaristi delle città.
4_GLI ORGANI FEDERALI E I POTERI NELLA COSTITUZIONE AMERICANA POTERE LEGISLATIVO
POTERE ESECUTIVO “veto”
PRESIDENTE DEGLI USA
controlla
POTERE GIUDIZIARIO nomina controlla
nomina CONGRESSO CAMERA DEI
SENATO
GOVERNO MINISTRI
RAPPRESENTANTI
eleggono
CORTE SUPREMA
eleggono
eleggono
grandi elettori CITTADINI DEGLI STATI UNITI
Parole della storia
Costituzione
Q
uando si parla di Costituzione, si fa riferimento in genere alla “legge fondamentale dello Stato”, cioè al testo legislativo che contiene le norme fondamentali relative all’organizzazione dei poteri dello Stato poste alla base di qualsiasi altra legge. In essa il cittadino trova affermati i suoi doveri e i suoi diritti nei confronti dello Stato. In generale, nell’uso corrente, con il termine “Costituzione” si fa riferimento a una tipologia di Costituzione largamente prevalente: la Costituzione scritta, la Carta costituzionale; tuttavia, benché nell’uso comune Costituzione appaia un sinonimo di Carta costituzionale, ciò non è propriamente corretto. Non tutti gli Stati infatti hanno una Costituzione scritta. L’esempio più significativo in proposito è quello dell’Inghilterra. Quando si parla di
“Costituzione inglese” si fa infatti riferimento non a uno specifico testo legislativo ma a un complesso di norme che hanno in parte carattere consuetudinario o convenzionale (derivano cioè da consuetudini affermatesi nel corso del tempo) e in parte sono scritte in testi emanati in periodi diversi. Al loro apparire, le Costituzioni scritte rappresentarono una profonda rottura con il passato. Le prime ad entrare in vigore furono quelle emanate dagli Stati nordamericani: nel 1776 in Virginia, nel New Jersey, nel Delaware, nella Pennsylvania, nel Maryland e nel North Carolina; nel 1777 nella Georgia e nello Stato di New York; nel 1778 nel Massachusetts. Nel 1788 la maggioranza degli Stati nordamericani, riuniti alla Convenzione di Philadelphia, ratificò la Costituzione degli Stati Uniti d’America, tuttora in vigore. Nell’ultimo decennio del XVIII secolo videro invece la luce le Costituzioni
francesi del 1791, del 1793 (anno I), del 1795 (anno III) e del 1799 (anno VII). In Italia la prima Costituzione scritta fu quella della Repubblica di Bologna (1796), seguita da quella della Repubblica cispadana (1797) e della Repubblica cisalpina (1797 e 1798), testi legati all’esperienza rivoluzionaria francese, che restarono in vigore solo per breve tempo. Fu nel corso della prima metà dell’800, in concomitanza con la diffusione delle idee liberali e costituzionaliste, che la gran parte degli Stati europei si dotò di carte costituzionali destinate a rimanere a lungo in vigore. Secondo il “costituzionalismo”, sono da considerare costituzionali solo gli Stati che garantiscono la libertà dei cittadini e la divisione dei poteri; in assenza di radicate consuetudini, tale garanzia può essere assicurata solo da un documento scritto, solennemente adottato come legge fondamentale dello Stato.
263
C7 La nascita degli Stati Uniti
Territorio Territor deldel MISSISSIP MISSIS de 1798-1804 1798-18
New Orlea New Or
16_GLI STATI UNITI (1783-1803)
P O S S E D I M E N T I B R I T A N N I C I M. 1791 Vt. N.H. Saratoga 1777 M. Boston NEW YORK C. R.I.
ri Missou
Territorio dell’INDIANA
OHIO 1803
1803-1805
VIRGINIA Yorktown 1781
KENTUCKY 1792
Mi ssi ssi ppi
O
hi o
LOUISIANA Spagna 1783-1800 Francia 1800-1803
TENNESSEE 1796 Territorio a sud del fiume Ohio 1796
SOUTH CAROLINA OCEANO ATLANTICO
Il governo federale fu organizzato in dipartimenti, ossia in ministeri. Il dipartimento del Tesoro fu affidato ad Alexander Hamilton, esponente dell’orientamento federalista, che ebbe un ruolo importantissimo nel risanare le dissestate finanze dell’Unione e nel promuovere la riorganizzazione del sistema creditizio attorno a una banca nazionale, la Banca degli Stati Uniti. La politica di Hamilton, che favoriva i ceti commerciali e finanziari del Centro-Nord, suscitò l’opposizione dei proprietari del Sud e dei coloni dell’Ovest, che trovarono un punto di riferimento in Thomas Jefferson, estensore nel ’76 della Dichiarazione di indipendenza. Si formarono così due partiti: il repubblicano-democratico, che faceva capo aStati Jefferson, nel 1783 e il federalista, che aveva il suo principale leader in Hamilton. Stati ammessi
I due partiti
nel 1784-1803 territori nel 1803 L’assestamento delle istituzioni Saratoga 1777 battaglie
264
e il definirsi delle divisioni L’espansione politiche coincisero con l’accelerazione di quella espansiodegli Stati ne territorialeC.che= siConnecticut era manifestata già durante il periodo dell’Unione coloniale. ConD. l’Ordinanza del Nord-Ovest emanata nel = Delaware M. = Massachusetts luglio 1787, le regioni da colonizzare ottenevano la condizione di “territori”, Md. = Maryland cioè di aree poste sotto la tutela delN.H. Congresso statunitense che vi avrebbe invia= New Hampshire N.J. = New Jerseyerano incoraggiate a darsi propri to giudici e governatori. Contemporaneamente R.I. = Rhode Island organi di autogoverno fino a che, una volta raggiunti i 60 mila abitanti, potessero Vt. = Vermont trasformarsi in Stati dell’Unione. Questo meccanismo fu sperimentato già nell’ultimo decennio del secolo, che vide la nascita di tre nuovi Stati: il Vermont, il Kentucky e il Tennessee [► _16]. Il sistema si sarebbe dimostrato valido anche nell’800, e avrebbe contribuito non poco alla formazione di un modello di sviluppo territoriale (ed economico) destinato a caratterizzare la storia degli Stati Uniti per tutto il secolo XIX: un modello “aperto”, capace di conciliare le spinte espansionistiche con la tutela delle autonomie e con la crescita della democrazia.
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
La cartina mostra lo sviluppo territoriale degli Stati Uniti dopo la pace di Versailles (1783), che pose fine alla guerra d’indipendenza. Ai tredici Stati originari si aggiunsero, entro il 1803, Vermont, Kentucky, Tennessee e Ohio. Sono indicati inoltre i due principali successi militari dei coloni americani.
Stati nelnel 1783 Stati 1783nel 1783 Stati Stati ammessi Stati ammessi Stati ammessi nelnel 1784-1803 1784-1803 nel 1784-1803 territori nelnel 1803 territori 1803nel 1803 territori battaglie Saratoga 1777 battaglie Saratoga 1777 Saratoga 1777 battaglie
A RID FLOagna Sp
New Orleans
Md.
NORTH CAROLINA
A
Territorio del MISSISSIPPI 1798-1804
PENNSYLVANIA New York Philadelphia N.J. D.
GI OR GE
Le tesi federaliste finirono col prevalere quasi dappertutto: la Costituzione fu approvata da undici Stati su tredici, per essere poi solennemente ratificata dal Congresso continentale nel settembre 1788. Nel febbraio seguente furono tenute le prime elezioni legislative. Un mese dopo, George Washington veniva eletto alla carica di presidente. Le richieste degli antifederalisti ottennero una parziale soddisfazione con l’approvazione da parte del Congresso, tra l’89 e il ’91, di dieci articoli aggiuntivi – o emendamenti [►FS, 62d] – alla Costituzione, noti come il Bill of Rights americano, che avevano lo scopo di ribadire e di tutelare i diritti naturali di libertà e proprietà dei cittadini e le prerogative dei singoli Stati contro qualsiasi invadenza del potere federale.
C. C. = D. D. = M. M.= Md.Md. = N.H. = N.H. N.J.N.J. = R.I.R.I.= Vt. Vt.=
Connecticut = Connecticut C. = Connecticut Delaware = Delaware D. = Delaware Massachusetts = Massachusetts M. = Massachusetts Maryland = Maryland Md. = Maryland New Hampshire = N.H. New = Hampshire New Hampshire New Jersey = New Jersey N.J. = New Jersey Rhode Island = R.I. Rhode = Island Rhode Island Vermont = Vermont Vt. = Vermont
GLI STATI UNITI (1783-1803)
emendamento Nel diritto l’emendamento è una modifica apportata a un testo di legge o alla Costituzione. Gli emendamenti alla Costituzione americana sono norme che modificano o precisano singoli punti della Carta costituzionale.
METODO DI STUDIO
a Rispondi per iscritto alle seguenti domande: a. In che modo la Confederazione degli Stati diventò uno Stato realmente unitario? b. In cosa consistono e da chi furono sostenute la soluzione federalista e quella antifederalista? c. A quali condizioni i “territori” potevano diventare Stati dell’Unione? b Sottolinea, con colori diversi, gli organi a cui la Costituzione attribuiva il potere legislativo, quello giudiziario e quello esecutivo.
SINTESI
7_1 LE COLONIE BRITANNICHE NELL’AMERICA DEL NORD La colonizzazione inglese del Nord America iniziò al principio del ’600 e, nonostante l’iniziale assistenza dei nativi, fu caratterizzata da un’aspra lotta contro i pellerossa per il territorio. Essa fu il risultato dell’iniziativa di compagnie commerciali e dell’emigrazione di minoranze politiche e religiose – anzitutto i puritani. Alla metà del ’700 i possedimenti britannici comprendevano tredici colonie, tutte sulla fascia costiera atlantica. Nel Nord l’economia delle colonie si fondava sulla coltivazione dei cereali e, nei centri urbani, su una vivace attività commerciale e cantieristica. Nel Sud prevalevano le piantagioni di tabacco e di cotone, con grandi proprietà basate sul lavoro degli schiavi. Il Centro presentava un quadro economico simile a quello del Nord, ma con una diversa struttura della proprietà terriera e più marcati squilibri sociali. In tutte le colonie, alla forte dipendenza economica dalla Gran Bretagna faceva riscontro una notevole autonomia sul piano politico. Importante fu inoltre la diversità delle appartenenze religiose e le istanze di libertà religiosa finirono per coincidere con quelle di libertà politica.
7_2 UNA RIVOLUZIONE PER L’INDIPENDENZA Il contrasto da cui ebbe origine la lotta per l’indipendenza nacque, negli anni ’60 del ’700, in seguito alla decisione della Gran Bretagna di far pagare in misura crescente alle colonie i costi del proprio impero americano con l’imposizione di tasse e dure leggi commerciali. Il dualismo di poteri che si era creato fra i governatori nominati dalla Corona e le assemblee legislative dei coloni esplose quando la Gran Bretagna impose lo Stamp Act, la legge sul bollo: i coloni reagirono opponendo il principio secondo cui chi non è rappresentato in Parlamento non è tenuto a pagare tasse che non ha contribuito ad approvare (“no taxation without representation”). I coloni risposero poi col boicottaggio quando la madrepatria assegnò alla Compagnia delle Indie il monopolio della vendita del tè nel continente americano. Così la popolazione delle colonie andò sempre più orientandosi verso la rivendicazione dell’indipendenza. Nel 1774, dopo dure misure di ritorsione britanniche, la ribellione divenne aperta. Nel 1775 si formò un esercito di coloni, sotto il comando di George Washington. Nel 1776 il Congresso continentale dei coloni (nato due anni prima) approvò la Dichiarazione di indipendenza che rompeva con la monarchia e dava vita alla repubblica. Nonostante l’inferiorità militare e i gravi problemi finanziari, le colonie riuscirono ad avere il sopravvento sulla Gran
Bretagna grazie alla solidarietà dell’opinione pubblica europea e all’intervento in loro favore di Francia e Spagna. Nel 1783 la Gran Bretagna riconobbe l’indipendenza delle tredici colonie con la pace di Versailles.
7_3 LA GUERRA CIVILE E GLI IDEALI REPUBBLICANI Lo scontro fra colonie e Corona britannica si tradusse in una guerra civile fra lealisti, fedeli alla madrepatria, e patrioti, di aspirazioni indipendentiste. Questi ultimi rappresentarono la maggioranza, e i lealisti, sconfitti alla fine del conflitto, furono costretti all’esilio. Ad animare i patrioti fu in particolare la fede nei princìpi contrattualisti e nel mito delle virtù repubblicane. Ma dei princìpi egualitari affermatisi con la loro vittoria e la Dichiarazione di indipendenza godettero solo i bianchi americani: esclusi dalla rivoluzione furono infatti gli schiavi neri e i nativi americani, seppure coinvolti nel conflitto.
basato sulla divisione e l’equilibrio dei poteri. Il presidente della Repubblica era a capo dell’esecutivo e indipendente dal potere legislativo – esercitato dalla Camera dei rappresentanti e dal Senato –, mentre il potere giudiziario era posto sotto il controllo di una Corte suprema. La Costituzione doveva però essere approvata dai singoli Stati dell’Unione: in questa fase si sviluppò un acceso dibattito tra federalisti – favorevoli a un forte potere centrale e portatori degli interessi di commercianti, industriali e grandi proprietari terrieri – e antifederalisti – che esprimevano le esigenze dei ceti medio-bassi e le istanze democratiche e “ruraliste”. Prevalsero le tesi federaliste, pur se mitigate dall’approvazione di dieci emendamenti alla Costituzione. Nel 1789 George Washington fu eletto presidente. Il criterio di voto affermatosi fu il suffragio censitario. Negli anni successivi, la politica economica di Hamilton, leader dei federalisti, suscitò l’opposizione dei proprietari del Sud e dei coloni dell’Ovest, che trovarono un punto di riferimento nel Partito repubblicano-democratico, il cui esponente più autorevole fu Thomas Jefferson. Nell’ultimo decennio del ’700, infine, furono istituiti altri tre Stati.
7_4 LA COSTITUZIONE E LA DEMOCRAZIA AMERICANE Nel 1787 una Convenzione costituzionale dette vita a uno Stato federale e a un sistema politico di tipo presidenziale,
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C7 La nascita degli Stati Uniti
SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Completa la carta geostorica indicando i nomi dei territori delle
tredici colonie e assegnando ad ognuno di essi i corrispondenti elementi caratterizzanti, selezionandoli fra i seguenti:
a. cereali; b. piantagioni di tabacco, riso e cotone; c. legname; d. piccola e media proprietà terriera; e. latifondo; f. industria cantieristica; g. lavoro schiavile. 2 Argomenta sinteticamente per iscritto le relazioni esistenti
fra i seguenti soggetti ed elementi storici: schiavi neri/colonie meridionali; “patrioti”/“lealisti”; centri urbani/colonie del Centro e del Nord.
3 Indica le date dei seguenti eventi relativi alla guerra
d’indipendenza americana e collocale sulla linea del tempo.
a. ........... Durante il primo Congresso continentale dei rappresentanti delle colonie si decise di portare avanti azioni di boicottaggio contro la Gran Bretagna. b. ........... Venne formato il Continental Army, un esercito comune, il cui comando è affidato a George Washington. c. ........... Venne approvata la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, scritta da Thomas Jefferson. d. ........... Washington sconfisse per la prima volta i britannici a Saratoga. e. ........... Gli americani con l’assedio a Yorktown, in Virginia, sconfissero le forze britanniche. f. ........... Con la pace di Versailles, la Gran Bretagna riconobbe l’indipendenza delle tredici colonie.
....................
....................
....................
....................
....................
4 Seleziona la frase opportuna per completare correttamente le affermazioni di seguito.
1. Nelle cinque colonie del Sud... a. la situazione economica era simile a quella della Nuova Inghilterra. b. tutta l’economia era incentrata sulle piantagioni e sulla manodopera degli schiavi. c. il clima aveva consentito la coltivazione dei cereali e la costituzione di villaggi rurali. 2. I pellerossa che vivevano in America... a. opposero una dura resistenza alla penetrazione coloniale nei loro territori. b. contribuirono all’esplorazione del territorio e si allearono con i coloni. c. si convertirono alle religioni dei coloni e andarono a lavorare nei loro campi.
266
3. I coloni americani boicottavano le merci provenienti dalla madrepatria perché... a. il basso costo di queste ultime vinceva la concorrenza dei prodotti americani. b. queste erano vendute in regime di monopolio e gravate da tasse e dazi. c. importavano dall’Italia e dalla Spagna prodotti di qualità più elevata.
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
....................
4. Gli emendamenti alla Costituzione approvati dal Congresso tra il 1789 e il 1791 tutelavano... a. i diritti dei grandi proprietari terrieri del Sud contro le nazionalizzazioni. b. i poteri dello Stato federale dell’Unione nei confronti dei singoli Stati. c. i diritti dei singoli cittadini contro l’ingerenza del governo federale. 5. Rispetto agli ordinamenti politici in vigore in Europa, quello americano affidava maggiori poteri al ramo... a. esecutivo, il presidente della Repubblica. b. legislativo, la Camera dei rappresentanti e il Senato. c. giudiziario, la Corte suprema federale. 6. Dopo il 1787, i nuovi territori colonizzati poterono trasformarsi in Stati dell’Unione... a. sotto il controllo del Congresso, raggiunti i 60 mila abitanti. b. perché l’Impero britannico ne aveva concesso l’indipendenza. c. alla sola condizione di possedere almeno 600 mila abitanti.
COMPETENZE IN AZIONE 5 Inserisci nei tre insiemi relativi ai poteri attribuiti agli organi federali i seguenti termini e motiva le tue scelte in un
breve testo sul quaderno. a. Corte suprema federale; b. “grandi elettori”; c. Senato; d. Congresso; e. suffragio censitario; f. presidente della Repubblica; g. Camera dei rappresentanti.
1. Potere esecutivo
2. Potere giudiziario
3. Potere legislativo
6 Scrivi sul quaderno un articolo di giornale di 25-30 righe sui momenti cruciali della rivoluzione americana utilizzando,
a corredo del testo, le immagini presenti nel capitolo e facendo esplicito riferimento al loro contenuto. Prima di iniziare scegli il titolo da dare al tuo elaborato.
7 Scrivi un testo descrittivo di massimo 30 righe relativo alla nascita dello Stato americano nel XVIII secolo, e articolalo
nei seguenti paragrafi:
a. La composizione sociale nelle colonie b. I rapporti politici ed economici con la madrepatria c. Princìpi e organi costituzionali d. Il dibattito tra federalisti e antifederalisti
267
C7 La nascita degli Stati Uniti
COMPITI DI REALTÀ 8 Realizza un opuscolo informativo per una scuola d’inglese sull’Independence Day da distribuire ai suoi iscritti. Tema storico da affrontare: L’indipendenza americana e la sua costituzione.
268
Contesto di lavoro Sei stato contattato da una prestigiosa scuola di lingua inglese che vanta numerosi iscritti. Ti viene chiesto di realizzare in italiano un opuscolo di 6-8 facciate sull’indipendenza degli Stati Uniti e sui valori che sono poi confluiti nella Costituzione americana da distribuire agli iscritti (tutti adulti) in occasione del 4 luglio, noto anche come l’Independence Day. L’ultima facciata sarà dedicata ai festeggiamenti attuali. L’opuscolo sarà poi tradotto dagli studenti della scuola. Cosa devi fare Con il tuo gruppo avete il compito di preparare l’opuscolo, sia nella parte grafica (layout, immagini, carattere del testo, colori), sia in quella dei contenuti. Per svolgere questo compito dovete: ● realizzare uno schema del prodotto finale: impostare il layout e decidere quanto spazio dedicare alle immagini e quanto al testo scritto. ● selezionare i temi da trattare e lo spazio da dedicare a ognuno di essi. Per fare ciò, tenete presente il numero complessivo di facciate a vostra disposizione e decidete le dimensioni dell’opuscolo. ● individuare le immagini più significative e i contenuti inerenti al tema affrontato presenti nel manuale (nel capitolo o nei Fare Storia). ● ricercare online immagini e informazioni sui festeggiamenti americani per l’Independence Day. ● scrivere i testi calibrando bene la dimensioni del carattere (non più piccolo di 12) e lo spazio a disposizione (calcolate l’ingombro delle immagini!). ● selezionare le immagini da inserire e realizzare le relative didascalie. ● realizzare l’opuscolo componendo graficamente i materiali prodotti (testi e immagini) utilizzando il software che vi è più congeniale. ● stampare l’opuscolo nel formato scelto. Presentazione del lavoro svolto Il lavoro di ogni gruppo sarà presentato davanti ai capi della scuola e deve prevedere: una relazione introduttiva del lavoro svolto da esporre oralmente (durata massima: 5 minuti) più la descrizione dell’opuscolo. Tempo a disposizione mezz’ora per individuare sul manuale i materiali da utilizzare; mezz’ora per cercare in Rete le immagini e le informazioni sull’Independence Day; 2 ore e mezza per la scrittura dei testi e la realizzazione dell’opuscolo; mezz’ora per impostare e provare la relazione.
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
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CAP8 LA RIVOLUZIONE FRANCESE
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Il Libro G. Lefebvre, La grande paura del 1789 Storia e Geografia Le rivoluzioni atlantiche Focus Un nuovo protagonista: il Terzo stato • Il controllo rivoluzionario dell’economia: caroviveri e calmieri • La Rivoluzione e l’arte Laboratorio dello storico Le immagini come fonti e l’iconografia rivoluzionaria Atlante L’Europa sotto la dominazione francese Lezioni attive Diritti e rivoluzioni. Gli Stati Uniti d’America e la Repubblica francese Test interattivi Audiosintesi
8_1 LA CRISI FINANZIARIA E GLI STATI GENERALI
La Rivoluzione francese trasformò il sistema di potere, i contenuti e i metodi della politica non solo in Francia, ma in tutta l’Europa continentale. Fu una trasformazione radicale, profonda: mescolò sangue e violenza, passioni civili e immaginazione politica. Inventò e propagandò nuovi miti. Nulla nella storia della civiltà occidentale può a maggior titolo rivendicare il nome di rivoluzione. La Rivoluzione scoppia nel 1789, ma affonda le sue radici nella lunga crisi attraLe premesse versata dalla Francia nel ’700. Dalla morte di Luigi XIV (1715), l’assolutismo si della Rivoluzione era indebolito senza riuscire a riformarsi: monarchia e ceti privilegiati si confrontavano senza che l’uno o gli altri riuscissero a prevalere. La vita politica appariva soffocata, nonostante una vivacità del dibattito culturale e una partecipazione delle élite colte che non avevano eguali nel resto d’Europa. Fra i tanti problemi di governo, uno sembrava riassumerli tutti: l’incapacità di risolvere la crisi finanziaria. L’indebitamento statale aveva raggiunto da tempo dimensioni tali da esigere la tassazione dei ceti privilegiati – clero e nobiltà – che ne erano esenti. Era un passaggio obbligato per la monarchia assoluta, che fin dalle origini aveva fondato i propri poteri sul controllo delle tasse. Ma ciò significava mettere in discussione i fondamenti della società d’ordini, che escludeva l’eguaglianza fiscale. Luigi XVI, al governo dal 1774, ritenne comunque di affidare la soluzione della questione fiscale agli Stati generali, l’assemblea dei tre ordini – clero, nobiltà e Terzo stato –, mai più riunitasi dal 1614.
Il clero e la nobiltà sulle spalle del Terzo stato Una polemica rappresentazione della società di antico regime: lo sfruttamento del Terzo stato viene rappresentato dalla contadina, costretta a portare il peso dei due ordini privilegiati, clero e nobiltà.
Su una popolazione totale di 24-25 milioni, in Francia, il 98% era formato dal Terzo stato, al quale appartenevano tutti coloro che non erano nobili o ecclesiastici: la grande borghesia dei commerci e della finanza, quella media delle professioni e della cultura, gli artigiani e i lavoratori urbani, i piccoli e medi proprietari terrieri, i contadini e i braccianti. Meno di 400 mila erano invece i nobili (1,5%), mentre il clero contava 130 mila individui (0,5%), divisi fra basso e alto clero (parroci e prelati) e tra secolari e regolari (sacerdoti e appartenenti agli ordini religiosi). La maggior parte della popolazione, almeno 20 milioni di persone, viveva nelle campagne: quella francese, dunque, era la struttura tipica dell’ancien régime. Parigi contava 650 mila abitanti, Marsiglia e Lione 100 mila. Se finanzieri e mercanti – come
La società francese
269
C8 LA RIVOLUZIONE FRANCESE
l’allora direttore generale delle Finanze, Jacques Necker (di origine ginevrina) – erano le figure di maggiore prestigio della borghesia, più importanti si riveleranno nelle successive vicende politiche gli uomini di legge, gli avvocati soprattutto, uomini colti, partecipi delle nuove idee dell’Illuminismo. La decisione di convocare gli Stati generali per il maggio 1789 determinò una grande mobilitazione politica nel paese. Il tema più controverso era quello del numero dei rappresentanti e del sistema di voto dell’assemblea degli Stati [►FS, 64]. Non pareva infatti possibile applicare le vecchie regole che attribuivano lo stesso numero di rappresentanti ai tre ordini e stabilivano che ogni ordine esprimesse un unico voto collegiale. In questo modo il Terzo stato non avrebbe visto riconosciuto il peso reale che aveva nella società. Si formò allora un raggruppamento eterogeneo di intellettuali e pubblicisti borghesi, il partito nazionale, nel quale confluirono anche esponenti del clero e della nobiltà. Il partito nazionale era l’espressione dell’opinione pubblica illuminista e liberale, dei suoi strumenti di comunicazione – giornali, pamphlets, circoli, logge (luoghi di riunione) massoniche – e di un programma mirante all’eguaglianza politica e a un governo rappresentativo. Chiedeva inoltre il raddoppio dei rappresentanti del Terzo stato, l’abolizione del voto per ordine e l’introduzione di quello individuale.
La mobilitazione politica e il partito nazionale
Un’ampia testimonianza delle aspettative e delle ragioni del malessere diffuse nel paese ci viene fornita dai cahiers de doléances (“quaderni di lagnanze”), testi che raccoglievano le rimostranze e le proposte da presentare agli Stati generali. Redatti in seguito alla consultazione promossa dal sovrano per la riunione degli Stati generali, i cahiers
I cahiers de doléances
270
Isidore-Stanislas Helman, L’apertura degli Stati generali il 5 maggio 1789 [acquaforte da un disegno di C. Monnet; Bibliothèque Nationale, Parigi] L’immagine mostra l’assemblea riunita in
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
una sala dell’Hôtel des Menus-Plaisirs du Roi a Versailles (una struttura dedicata all’organizzazione di cerimonie, eventi e feste della corte). In fondo al salone si nota il sontuoso baldacchino dove siede il sovrano con accanto la regina, i principi e le principesse di sangue, i
pari e i duchi del Regno; più in basso i ministri e il governo. Al centro della sala, ammassati su dei banchetti siedono i deputati: il clero alla destra del re, la nobiltà a sinistra e, in primo piano, il Terzo stato.
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5_GLI STATI GENERALI NEL 1789
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furono, insieme con l’elezione dei rappresentanti, il momento più significativo e capillare della mobilitazione politica e l’espressione più estesa del malessere della Francia. In essi era già evidente una radicale divaricazione di obiettivi: mentre tutti e tre gli ordini puntavano alla nascita di istituzioni rappresentative cui affidare le decisioni in materia fiscale, il Terzo stato sosteneva anche l’eguaglianza giuridica, l’abolizione dei privilegi, difesi ancora dalla nobiltà e dal clero, e l’adozione del criterio del merito come forma di promozione sociale. Quando il 5 maggio 1789 gli Stati generali si riunirono a Versailles, l’assemblea di 1139 membri, eletti a marzo a suffragio maschile censitario, contava 578 deputati del Terzo stato, cui il re Luigi XVI aveva concesso il raddoppio [► _5]: per la metà erano uomini di legge, di METODO DI STUDIO cui almeno 200 avvocati; 80-100 erano i commercianti, mercanti e finanzieri, e a Cerchia con colori diversi, i nomi delle tre classi sociali che costituivano la società francese e circa 50 i proprietari terrieri; una trentina erano gli uomini di scienza, fra cui sottolineane le relative caratteristiche mantemolti medici. Furono eletti nel Terzo stato anche due transfughi dagli altri ornendo i colori scelti. dini, l’abate Sieyès e il conte di Mirabeau, esponenti di spicco del partito nazio b Rispondi sinteticamente alle seguenti donale. Su 291 rappresentanti del clero i parroci erano la stragrande maggioranmande mettendo in rilievo i soggetti coinvolti: a. Quali erano i due temi più controversi quando nel za e molti aderivano ai programmi del Terzo stato. Ma anche nell’alto clero non maggio del 1789 si riunirono gli Stati generali? b. mancavano i fautori del mutamento, come il vescovo di Autun, Talleyrand. I Da chi era formato il partito nazionale e che obiettivi aveva? c. Che funzioni avevano i cahiers de doléancpiù intransigenti difensori della società d’ordini erano invece i nobili: tuttavia, es e quali informazioni permettono di ottenere? su 270 un terzo circa erano gli esponenti liberali, fra cui il marchese di La Fayette, reduce della guerra d’indipendenza americana.
La composizione interna dell’assemblea
8_2 L’AVVIO DELLA RIVOLUZIONE
E LA FINE DELL’ANCIEN RÉGIME
► Leggi anche:
Al momento della seduta inaugurale degli Stati generali a Versailles, il 5 maggio, la maggioranza numerica dei deputati era dunque favorevole a un profondo rinnovamento delle strutture politiche e amministrative. Ma questa maggioranza non era in grado di far valere il proprio peso finché non venisse riconosciuto il voto per testa. L’iniziativa fu presa dal Terzo stato che, con l’appoggio di alcuni membri del basso clero, il 17 giugno si autoproclamò Assemblea nazionale. Il 20, i deputati, trovata chiusa per ordine del re la loro sede, riuniti nella Sala della Pallacorda (un locale adibito a un gioco simile al tennis), giurarono di non sciogliersi prima di aver dato alla Francia una Costituzione. A essi si aggiunse la maggioranza del clero e, dopo qualche giorno, il re dovette cedere e ordinò alla nobiltà e alla minoranza del clero di unirsi al Terzo stato (27 giugno). A questo punto l’antico sistema rappresentativo
L’Assemblea nazionale costituente
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► Il Libro G. Lefebvre, La grande paura del 1789 ► Focus Un nuovo protagonista: il Terzo stato ► Eventi Il popolo irrompe sulla scena: la presa della Bastiglia, p. 274 ► Parole della storia Rivoluzione, p. 273 ► Fare Storia Stati Uniti e Francia: nuove idee e nuovi modi di fare politica, p. 351
271
C8 La Rivoluzione francese
Jacques-Louis David, Il giuramento della Pallacorda 1791 [Musée Carnavalet, Parigi] Il 17 giugno 1789 il Terzo stato si autoproclamò Assemblea nazionale e, riunitosi nella Sala della
Pallacorda, giurò di non sciogliersi prima di aver dato alla Francia una Carta costituzionale. L’evento, ricordato come il “giuramento della Pallacorda”, è raffigurato in questo celebre dipinto di Jacques-Louis David. Con grande talento, l’artista rappresenta
realisticamente i volti dei rappresentanti del popolo sovrapponendoli a corpi statuari, fermati in pose solenni, trasformando in questo modo dei semplici borghesi in eroi della storia.
della società per ceti, gli Stati generali, cessava di esistere e il 9 luglio nasceva l’Assemblea nazionale costituente: era il primo atto formale della Rivoluzione. Mentre i primi passi della Rivoluzione negli ordinamenti politici si compivano a Versailles, Parigi era in subbuglio. Il licenziamento di Necker, direttore generale delle Finanze ed elemento moderato del governo, apparve come l’inizio di un tentativo da parte della monarchia – confermato da movimenti di truppe – di rovesciare con le armi i successi del Terzo stato. Voci incontrollate parlavano di un intervento armato contro l’Assemblea costituente. Come risposta a questo allarme, cominciò a formarsi a Parigi una milizia borghese, che avrebbe preso il nome di Guardia nazionale, con lo scopo di contrapporsi alla repressione regia e di tenere sotto controllo le eventuali iniziative popolari. Contemporaneamente strati consistenti di popolo minuto si venivano armando. Il 14 luglio, un corteo popolare, alla ricerca di armi, giunse sotto le mura del castello della Bastiglia, la prigione-fortezza simbolo dell’assolutismo, e dopo alcune ore di scontri la conquistò. Il 14 luglio sarà considerata in seguito la data iniziale della Rivoluzione francese. E in effetti la presa della Bastiglia impresse una svolta agli avvenimenti: il popolo parigino irrompeva prepotentemente sulla scena e da allora l’avrebbe dominata per anni costringendo tutte le forze politiche a misurarsi con questa decisiva presenza, con il suo protagonismo e con la sua spesso 272
14 luglio. La presa della Bastiglia
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
imprevedibile e incontrollabile violenza. Un “popolo” composto soprattutto da piccoli commercianti e artigiani, per oltre due terzi alfabetizzati, da lavoranti e manovali, da impiegati e da qualche professionista. Il 17 luglio Luigi XVI riconosceva la costituzione di una nuova municipalità nel Comune di Parigi. In pochi giorni, una serie di atti rivoluzionari – la formazione dell’Assemblea nazionale costituente, l’organizzazione della milizia borghese, l’instaurazione di nuove rappresentanze municipali (che, iniziata a Parigi con il riconoscimento del re, si estese a tutte le province)– testimoniava la nascita di nuovi poteri e il progressivo sgretolamento dell’ancien régime. Nella seconda metà di luglio una sollevazione delle campagne determinò un’ulteriore accelerazione del processo. La difficile situazione economica e l’improvviso diffondersi di un panico collettivo – la “grande paura” –, legato a voci di supposte scorrerie di briganti e di congiure aristocratiche, fecero esplodere una violenta rivolta antifeudale. Furono assaliti e devastati i castelli, incendiati gli archivi dei signori, dove era conservata la documentazione dello sfruttamento feudale. Sospinta da questi avvenimenti, in un’atmosfera di entusiastica volontà distruttiva del passato, l’Assemblea, nella notte del 4 agosto, approvò l’abolizione del regime feudale. Nei giorni seguenti questa decisione fu tradotta in decreti che sopprimevano tutti i privilegi giuridici e fiscali, la venalità delle cariche e la decima ecclesiastica.
L’abolizione del feudalesimo
Parole della storia
Rivoluzione
N
el linguaggio storico il concetto di rivoluzione ha assunto solo gradatamente il significato corrente di rovesciamento rapido e violento di un precedente assetto politico e sociale. Nel ’500 e ’600 il termine (mutuato dall’astronomia, dove designava il movimento di un corpo celeste e il suo ritorno al punto di partenza, o il compimento di un ciclo temporale) indicava genericamente un mutamento politico. Poté così essere riferito, ad esempio in Inghilterra, tanto agli avvenimenti del periodo di Cromwell che alla restaurazione di Carlo II; veniva impiegato inoltre nell’accezione che diamo oggi all’espressione “colpo di Stato”. Nel definire “rivoluzione” l’espulsione della dinastia Stuart nel 1688-89 e l’ascesa al trono inglese di Guglielmo e Maria, il termine conservava il duplice significato di cambiamento politico e di ritorno (ciclico) alle antiche libertà inglesi. Nel pensiero degli illuministi il concetto cominciò a riflettere idee e aspettative di trasformazione sociale. «Voi avete fiducia nell’ordine attuale della società – scrisse Rousseau nell’Emilio (1762) – senza pensare che questo ordine è soggetto a rivoluzioni
inevitabili [...]. Il grande diventa piccolo, il ricco diventa povero, il monarca diventa suddito [...]. Ci avviciniamo alla situazione di crisi e al secolo delle rivoluzioni». Dopo il 1789 il termine prese il suo significato attuale e assunse, nel vocabolario politico democratico, una valenza fortemente positiva apparendo sempre più come un momento necessario e ineliminabile per lo sviluppo delle istituzioni politiche e per il progresso dell’umanità. Sotto l’influsso del pensiero socialista (e in particolare marxista) la dimensione di necessità della rivoluzione arricchì il termine di contenuti programmatici sul terreno dell’azione politica: obiettivo del socialismo e del comunismo sarà la rivoluzione del proletariato. Contemporaneamente il concetto divenne chiave di lettura privilegiata del mutamento storico. Al leader socialista e storico francese Jean Jaurès (18591914) la Rivoluzione francese apparve come la fase preparatoria dell’ascesa del proletariato, perché contribuì a crearne le due premesse essenziali: la democrazia e il capitalismo. Ma segnò soprattutto l’avvento della borghesia. All’interno di questa scala evolutiva la Rivoluzione francese
fu considerata una rivoluzione borghese, intendendo per borghesia la classe sociale che dà l’avvio al sistema economico capitalistico. Come scrisse lo storico Albert Soboul nel 1962, «la Rivoluzione francese costituisce, con le rivoluzioni inglesi del secolo XVII, il coronamento di una lunga evoluzione economica e sociale che rese la borghesia padrona del mondo». In realtà gli studi storici più recenti hanno smentito la visione di una rivoluzione che realizza il passaggio dal feudalesimo al capitalismo, e che si caratterizza per una dinamica di lotta di classe. Il ceto politico che prese il potere non fu una borghesia imprenditoriale legata al profitto, e l’evoluzione economica verso il capitalismo fu piuttosto ostacolata che favorita dall’egemonia dei notabili e dallo sviluppo della categoria dei proprietari terrieri (borghesi ma anche contadini) che si appropriarono dei beni nazionali. La radicale trasformazione dei rapporti politici e giuridici realizzata dalla Rivoluzione francese autorizza a parlare piuttosto – per gli anni dall’89 al ’92 e poi dal ’95 al ’99 – di una rivoluzione politica della borghesia dove borghesia è da intendere più come ceto che come classe sociale.
273
C8 La Rivoluzione francese
EVENTI
Il popolo irrompe sulla scena: la presa della Bastiglia
I
l 14 luglio 1789, la data della presa della Bastiglia, è convenzionalmente considerato l’inizio della Rivoluzione francese. Il suo anniversario fu celebrato già nel 1790: nel corso dell’800, con il ritorno dei regimi monarchici, la ricorrenza fu prima abolita e poi, nel 1880, dichiarata festa nazionale francese, come è ancora oggi. La fortezza della Bastiglia era stata costruita tra il 1370 e il 1382 nella zona nord‑orientale di Parigi, con lo scopo di rafforzare le mura della città e di proteggere la porta di Saint‑Antoine. Fin dal XV secolo, essa era stata utilizzata anche come prigione e luogo di tortura per i condannati a morte. Divenuta, con Luigi XIV, prigione di Stato, fu sempre più identificata con il dispotismo dei sovrani: ai tempi di Luigi XV, infatti, vi furono rinchiusi numerosi illuministi e giornalisti, tra cui Voltaire e il marchese De Sade. I prigionieri vi venivano tradotti in seguito all’ema-
nazione di un ordine diretto e inappellabile firmato dal sovrano (la lettre de cachet, confermata dal suo sigillo, cachet) che escludeva sia il processo sia la possibilità di difendersi e che prevedeva una detenzione dalla durata indefinita. Nonostante il progressivo allentamento del rigore con cui erano trattati i reclusi, la prigione continuò a essere molto impopolare tra i parigini, anche perché i cannoni presenti sulle feritoie delle sue torri erano continuaCampo mente diretti contro la città, pronti a reprimedi Marte re eventuali insurrezioni: la sua demolizione figurava quindi tra le richieste dei cahiers de doléances. A causa degli alti costi di mantenimento, nel 1789 la Bastiglia era tuttavia caduta in disuso e solo sette prigionieri vi erano ancora reclusi. Nei primi giorni di luglio 1789 la situazione a Parigi, era molto tesa per il timore di un’imminente svolta reazionaria da parte monar-
chica. Luigi XVI, infatti, aveva fatto concentrare nella regione di Parigi circa 30 mila soldati stranieri. La città cominciò allora ad essere attraversata da numerosi cortei, si verificarono diversi scontri tra la folla e i soldati, e alcuni parigini cominciarono a costruire barricate e a cercare armi, temendo una reazione delle truppe regie. Mentre la situazione si faceva sempre più caotica, alcuni elettoManeggio Giacobini ri che avevano partecipato alla designazione 1 degli Stati generali, riuniti presso l’Hôtel de Tuileries Ville (il municipio cittadino), formarono un comitato permanente che amministrasse la Louvre città, presieduto dal prévôt des marchands (il Châtelet “prevosto dei mercanti”, cioè il sindaco di PaHôtel des 2 H rigi) Jacques de Flesselles, e organizzarono Invalides Notre-Da una milizia cittadina. Quando, la mattina del 14 luglio, un gruppo di parigini si diresse verso la Bastiglia,Cordiglieri lo fece non perché volesse attaccare la fortezza, che sembrava impenetrabile,Luxembourg e liberare i Panthéon pochi prigionieri, ma per chiedere al governatore di distribuire armi, munizioni e polvere da sparo. I manifestanti erano essenzialmente artigiani, spesso disoccupati, ma
17_PARIGI DURANTE LA RIVOLUZIONE
1
Maneggio
1
Place de la Révolution dal 1795 Place de la Concorde
2
Place de Grève
Giacobini Temple
Tuileries
Louvre Châtelet Campo di Marte
Hôtel des Invalides
2
Hôtel de Ville
Notre-Dame Bastiglia Cordiglieri
Luxembourg
Panthéon
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Hôpital de la Salpêtrière
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
1
Place de la Révolution dal 1795 Place de la Concorde
2
Place de Grève
Parigi durante la rivoluzione
Nella pianta di Parigi sono messi in evidenza i luoghi e gli edifici più rappresentativi della lotta politica rivoluzionaria, dalla Bastiglia (che verrà presto distrutta) al club dei giacobini, dall’Hôtel de Ville (la sede del comune) alle Tuileries e alla Place de la Révolution (già intitolata a Luigi XV e ribattezzata Place de la Concorde dal Direttorio).
anche borghesi e soldati: le masse popolari urbane irruppero così sulla scena politica. Alla loro testa c’era Pierre‑Augustin Hulin che, pur avendo avuto un’educazione militare, era direttore di una lavanderia: diventò poi un generale di Napoleone. Il governatore della Bastiglia Launay fece puntare i cannoni sugli assedianti, assicurando però che avrebbe ordinato di fare fuoco solo in caso di attacco e consentendo ai manifestanti di entrare nel primo cortile della fortezza. QuanTemple do la folla, aumentata di numero, cominciò a premere sulle entrate per accedere al secondo cortile della fortezza, Launay ordinò alla guarnigione di sparare. Alcuni manifestanti si ritirarono disordinatamente, altri risposero Hôtel de Ville ame al fuoco: negli scontri successivi, che duraroBastiglia no quattro ore, rimasero uccisi un centinaio di civili. Quando la milizia cittadina si unì ai manifestanti, portando alcuni cannoni presi agli Invalides, Launay si arrese. La folla penetrò all’interno della fortezza e liberò i sette
prigionieri: nessuno di essi era detenuto per motivi politici. Launay, accusato di tradimento, fu riconosciuto dalla folla e massacrato. Il sindaco Flesselles, incolpato di essersi opposto all’armamento del popolo, fu invece ucciso con un colpo di pistola. Decapitati, le loro teste furono infilate su due picche e portate in giro per la città. Il re, messo alle strette, ritirò le truppe dalla regione di Parigi. Il comitato permanente dell’Hôtel de Ville si trasformò in una nuova municipalità, la Comune di Parigi, con sindaco il deputato Bailly, mentre la milizia cittadina fu ribattezzata Guardia nazionale. Negli stessi giorni fu creata anche la coccarda con i colori di Parigi (il blu e il rosso) e quello del re (il bianco): nacque così il tricolore rivoluzionario [►FS, 72], che anche Luigi XVI, il 17 luglio, si pose sul cappello, ricevendolo dalle mani di Bailly. Un episodio di importanza secondaria quale fu la presa della Bastiglia costituì, quindi, un pun-
to di non ritorno nello sviluppo della dinamica rivoluzionaria: insieme alla fortezza, cadde anche l’antico regime e si affermò, almeno a livello simbolico e retorico, l’emancipazione del popolo dalla monarchia. Il 15 luglio, per volere della stessa Assemblea nazionale costituente, iniziò la demolizione della Bastiglia. Al posto della fortezza sorse Place de la Bastille: nel 1840 fu inaugurata al suo centro la Colonna di Luglio, un monumento di bronzo alto 50 metri che celebra la caduta di Carlo X e l’inizio della monarchia di Luigi Filippo in seguito alla rivoluzione del luglio 1830. Ancora oggi, la piazza è il luogo di partenza di molte manifestazioni di massa parigine e in essa venivano festeggiate le vittorie elettorali del Partito socialista.
Anonimo, La presa della Bastiglia 1789-91 [Museo della Rivoluzione, Castello di Vizille]
Hôpital de la Salpêtrière
Parigi durante la rivoluzione
275
C8 La Rivoluzione francese
LE CAUSE DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE
Crisi economicofinanziaria
Mancate riforme
Rivendicazioni del Terzo stato
Luigi XVI vuole tassare i ceti privilegiati
Partito nazionale
Abolizione dei privilegi
Il popolo di Parigi insorge per difendere l’Assemblea
Opposizione di clero e nobiltà
Eguaglianza politica e governo rappresentativo
Cahiers de doléances
CONVOCAZIONE STATI GENERALI
Nascita dell’Assemblea nazionale costituente
PRESA DELLA BASTIGLIA
Il 26 agosto fu discussa e approvata dall’Assemblea la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, il documento più celebre della Rivoluzione, destinato a divenire un punto di riferimento per tutti i regimi liberali e democratici del mondo contemporaneo [►FS, 65d e 66]. Espressione delle idee giusnaturaliste e illuministe, la Dichiarazione rivendicava i princìpi fondamentali della libertà e dell’uguaglianza – «Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti» (art. 1) – e indicava come obiettivo «la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione» (art. 2). Dichiarava inoltre che la legge è «l’espressione della volontà generale» e che «tutti i cittadini hanno diritto di concorrere [...] alla sua formazione». Affermando i princìpi dell’uguaglianza di fronte alla legge e della partecipazione dei cittadini alla vita politica senza distinzione di ceto, la Dichiarazione decretò il rovesciamento dell’ancien régime [►FS, 65d].
La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
Il re non appariva tuttavia disposto ad accettare queste decisioni. A rompere una preoccupante situazione di stallo fu l’iniziativa di gruppi di popolane parigine, donne dei mercati e pescivendole, che, dopo essersi armate, marciarono verso Versailles seguite dalla Guardia nazionale al comando di La Fayette. Sventato un attacco della folla contro la reggia, il sovrano si piegò a firmare i decreti antifeudali e acconsentì a trasferirsi a Parigi nel palazzo delle Tuileries. Un corteo formato dal re e dalla sua famiglia, dai deputati dell’Assemblea, dal popolo parigino, dalla Guardia nazionale marciò verso Parigi in un’apparente concordia. In realtà, la monarchia era ormai incapace di affrontare gli eventi e di puntare a una soluzione all’inglese (istituendo una monarchia di tipo costituzionale): Luigi XVI non aveva le capacità politiche, né la mentalità, né il temperamento per accettare il nuovo regime e quindi venire a patti con la Rivoluzione.
Luigi XVI e la Rivoluzione
276
La requisizione e la vendita dei beni ecclesiastici
Le ultime spallate alla struttura dell’ancien régime, attuate tra la fine dell’89 e l’inizio del ’90, furono la requisizione dei beni ecclesiastici e la soppressione degli ordini religiosi, salvo quelli dediti all’insegnamento e all’assistenza ospedaliera. Proprietà terriere, edifici urbani e rurali divennero beni nazionali e servirono
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
Jacques François Joseph Swebach, Luigi XVI entra a Parigi il 6 ottobre 1789 In seguito al rifiuto del re di sanzionare le riforme
approvate dall’Assemblea nazionale, un corteo di parigini, formato in prevalenza da donne, si diresse alla volta di Versailles per costringere Luigi
XVI a rientrare a Parigi. Nella notte tra il 5 e il 6 ottobre 1789 il re cedette alle richieste popolari e la mattina successiva tornò nella capitale.
come garanzia per l’emissione di nuovi titoli di Stato, gli assegnati. La vendita all’asta dei beni nazionali, pagabili con gli assegnati, avrebbe sanato il deficit pubblico. Il gigantesco passaggio di proprietà, realizzato a partire dal 1790, interessò dal 6 al 10% del territorio nazionale. In molte regioni nel Nord e nel Mezzogiorno, percentuali consistenti di beni furono acquistate dai contadini più agiati; in altre, soprattutto vicino alle città, prevalse la borghesia METODO DI STUDIO urbana. La vendita dei beni nazionali creò nuovi ceti proprietari, contadini e a Individua i nomi di istituzioni, soggetti storici, luoghi ed eventi significativi descritti nel testo borghesi, o rafforzò quelli già esistenti, legando tutti saldamente ai destini della e trascrivili sul quaderno assieme alla relativa Rivoluzione. definizione. Avrai in questo modo un glossario sulla Cessarono infine le discriminazioni nei confronti dei protestanti, ai quali, nel fase iniziale della Rivoluzione e sulla fine dell’ancien régime che continuerai anche per i paragrafi dicembre 1789, furono riconosciuti i diritti civili. Tale riconoscimento fu esteso successivi. agli ebrei tra il ’90 e il ’91. L’abolizione della schiavitù nelle colonie sarà invece b Trascrivi sul quaderno i titoli dei sottopadecretata solo nel febbraio 1794. ragrafi e descrivine sinteticamente i contenuti,
titolo di Stato Il titolo di Stato viene emesso per far fronte al debito nazionale. Acquistando un titolo di Stato si presta denaro allo Stato. In cambio del prestito, lo Stato s’impegna a pagare uno specifico tasso d’interesse.
deficit pubblico Il deficit o disavanzo pubblico si crea quando, nel bilancio dello Stato, l’ammontare della spesa pubblica non è coperto dalle entrate.
mettendo in rilievo i soggetti storici indicati e le finalità delle azioni compiute. Utilizza anche le parole chiave evidenziate in grassetto. c Individua e numera gli eventi principali che portarono all’abolizione dell’ancien régime. Quindi trascrivili sul quaderno sotto forma di titoletti assieme alla data di riferimento. Avrai in questo modo un elenco schematico che continuerai anche per i paragrafi successivi.
277
C8 La Rivoluzione francese
8_3 LE QUATTRO FASI DELLA RIVOLUZIONE
Nonostante la straordinaria densità di eventi che segnarono il periodo tra il 1789 e il 1790 appena descritto, le vicende della Rivoluzione francese furono, negli anni seguenti, non solo numerose ma anche complesse e intricate. Per essere meglio comprese, possono suddividersi in quattro fasi. La prima fase, la rivoluzione liberale, coincide con gli avvenimenti accaduti tra la convocazione degli Stati generali, nel 1789, e la Costituzione del 1791, e sancisce il rovesciamento dell’ancien régime e la nascita di un sistema costituzionale e rappresentativo [►8_4]. In questa fase si raccolgono i risultati più duraturi della Rivoluzione.
La prima fase
La seconda fase, quella della rivoluzione popolare e democratica, va dal settembre 1791 alla fine del 1793, ed è segnata dal protagonismo del popolo parigino, dall’inizio della guerra contro le potenze avverse alla Francia rivoluzionaria, dalla condanna a morte del re, e infine dal trasferimento di tutti i poteri al Comitato di salute pubblica giacobino [►8_5].
La seconda fase
La terza fase è quella della dittatura giacobina e della nascita di una “democrazia totalitaria” guidata da Robespierre, tra il 1793 e il 1794, che instaura il sistema del Terrore volto a eliminare tutti gli avversari politici. Solo un colpo di Stato della residua parte moderata, che vedeva la Rivoluzione divorare sé stessa, riesce a porre termine alla dittatura giacobina [►8_6].
La terza fase
Chiude questo processo, prima dell’avvento di Napoleone, la fase dominata dal Direttorio, che, dopo gli eccessi del giacobinismo, riporta la Repubblica francese a posizioni più moderate: è la fase della continuità rivoluzionaria e della stabilizzazione difensiva sia dai rischi della controrivoluzione che dalla ripresa del radicalismo di sinistra. In questo periodo, tra il 1794 e il 1797, assumono sempre maggior peso i generali comandanti delle vittoriose campagne militari in Europa [►8_7].
La quarta fase
Per il suo stesso carattere di trasformazione rapida e improvvisa, la Rivoluzione è sinonimo di instabilità: data la difficoltà di trasformare i suoi risultati in un sistema di poteri legittimi e accettati, essa appare agli attori principali sempre incompiuta o tradita. Questo spiega l’asprezza della lotta tra i diversi schieramenti politici rivoluzionari, di cui si leggerà nel capitolo, le continue varianti del sistema di governo e lo sbocco finale nel dispotismo di Napoleone, che trova la sua forza e la sua legittimazione non sul terreno della politica, ma nel controllo delle forze armate e nei successi militari.
Rivoluzione e instabilità
METODO DI STUDIO
278
a Individua e numera gli eventi principali che portarono all’abolizione dell’ancien régime. Quindi trascrivili sul quaderno sotto forma di titoletti continuando l’elenco realizzato per l’ultimo esercizio del paragrafo precedente.
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
Nicolas Henri Jeaurat de Bertry, Allegoria della Rivoluzione francese 1794 [Musée Carnavalet, Parigi] L’immagine raccoglie molti dei simboli che caratterizzarono la Rivoluzione francese: tra i tanti, il berretto frigio, la bandiera tricolore, l’albero della libertà, il gallo; in alto svetta il ritratto del filosofo JeanJacques Rousseau.
8_4 LA RIVOLUZIONE LIBERALE
Il rovesciamento dell’ancien régime suscitò entusiasmi e aspettative in tutta la Francia. Le nuove municipalità e la Guardia nazionale furono i più importanti organismi di aggregazione e di partecipazione. In diverse zone del paese guardie nazionali cominciarono a federarsi per la difesa degli obiettivi rivoluzionari. Sotto la spinta di iniziative periferiche fu organizzata e celebrata a Parigi, il 14 luglio 1790, anniversario della presa della Bastiglia, la grandiosa Festa della federazione. Con un rituale dai forti contorni religiosi, di fronte a 300 mila partecipanti, La Fayette, a nome dei federati, prestò il giuramento che univa «i francesi tra loro e i francesi con il re per difendere la libertà, la costituzione e la legge». Poi il re giurò fedeltà alla nazione tra l’entusiasmo generale. Ma si trattava di un consenso provvisorio: gli aspetti celebrativi mascheravano un’unanimità fittizia e precaria. In realtà le differenze di orientamento politico erano profonde e già pienamente visibili e manifeste, come si evince prendendo in esame i due principali canali di mobilitazione e di propaganda: la stampa e i club.
Partecipazione e consenso
La libertà di stampa (art. 11 della Dichiarazione dei diritti) aveva favorito il proliferare di numerosissimi giornali di ogni tendenza (democratica, moderata, controrivoluzionaria) e la costituzione di diversi club aveva contribuito all’organizzazione dei vari gruppi politici: la Società dell’89, per esempio, era di tendenze moderate, mentre posizioni radicali aveva il club dei cordiglieri (dal nome dell’ex convento dei frati minori, cordeliers, dove si riuniva). A quest’ultimo aderivano alcuni dei futuri protagonisti delle fasi più accese della Rivoluzione: Georges-Jacques Danton (1759-1794) e Camille Desmoulins (1760-1794),
Giornali e club politici
Isidore Stanislas Helman, La Festa della federazione al Champ de Mars a Parigi il 14 luglio 1790 1790 [acquaforte da un disegno di C. Monnet; Bibliothèque Nationale, Parigi] La Festa della federazione si svolse a Parigi il 14 luglio 1790, nel cosiddetto “Champ de Mars”, uno spazio all’epoca
fuori dai confini cittadini usato per le manovre militari; nello stesso luogo oggi si trova il giardino pubblico dove sorge la Torre Eiffel. Alla presenza di una folla immensa, della Guardia nazionale parigina e delle milizie arrivate da tutta la Francia, Charles-Maurice de TalleyrandPérigord, vescovo di Autun e deputato
per il clero negli Stati generali, celebrò una messa sull’altare della nazione. Prima il generale La Fayette, poi Luigi XVI, giurarono fedeltà alla nazione. A questa giornata di celebrazioni ufficiali fecero seguito altre quattro di festa popolare. Ancora oggi il 14 luglio la Francia celebra la propria giornata nazionale.
279
C8 La Rivoluzione francese
entrambi avvocati, il medico Jean-Paul Marat (1743-1793), il giornalista Jacques-René Hébert (1757-1794). Il club più importante, però, si rivelerà quello dei giacobini (dal nome dell’ex convento domenicano di San Giacomo [►FS, 67]). Organizzati secondo una rigida disciplina, i giacobini, con 450 società affiliate, erano dotati di una presenza capillare nel paese che per certi aspetti prefigurava quella dei moderni partiti politici. Fra i membri di maggiore spicco dei giacobini erano Maximilien Robespierre (1758-1794), avvocato originario di Arras e presidente del club dal marzo 1790, e Jacques-Pierre Brissot (1754-1793), anch’egli avvocato, futuro leader della fazione dei girondini. Intorno ai giornali e ai club nasceva un nuovo ceto politico per gran parte giovane (poco più che trentenne) e di formazione giuridica, grandi oratori, giornalisti dalla penna graffiante. Ma nessuno dei personaggi ricordati qui sarebbe sopravvissuto alle fasi più drammatiche della Rivoluzione. Uno dei temi più controversi fu poi il criterio per definire il corpo elettorale. I cittadini furono distinti in attivi e passivi in base al censo (cioè al reddito, alla ricchezza). Soltanto quanti pagassero un’imposta annua pari a tre giornate di lavoro erano considerati cittadini attivi ed elettori: erano oltre 4 milioni di cittadini maschi di età superiore ai 25 anni. Ma non tutti gli elettori erano anche eleggibili: infatti, per essere eletti era necessario possedere una qualsiasi proprietà fondiaria e pagare almeno un marco d’argento (pari a 52 lire francesi) di tasse. Questo sistema elettorale censitario – analogo a quelli esistenti in Gran Bretagna e negli Stati Uniti – riservava ai notabili la rappresentanza della nazione, ma era in contrasto con la mobilitazione di larghi strati popolari, soprattutto urbani, in parte relegati nella categoria dei cittadini passivi, privati dei diritti politici ed esclusi anche dalla Guardia nazionale (almeno 3 milioni). Il nuovo sistema politico si prefigurava come un regime di borghesi benestanti e di proprietari terrieri, designati appunto con il termine “notabili”: in questo senso possiamo parlare di rivoluzione borghese.
Il sistema elettorale censitario
Proprio questa connotazione borghese e rappresentativa rendeva sempre più evidente il contrasto con la monarchia assoluta di diritto divino. Luigi XVI continuava a subire passivamente la Rivoluzione. Era inoltre sempre più legato al “partito” della regina Maria Antonietta (figlia di Maria Teresa d’Austria), decisa controrivoluzionaria, e alla consistente emigrazione nobiliare che si andava organizzando all’estero in previsione di un ritorno al passato, se necessario con l’aiuto delle grandi potenze europee. Del resto in varie parti della Francia si erano già avuti episodi di ribellione antirivoluzionaria che potevano far intravedere soluzioni favorevoli a una restaurazione e davano fondamento ai diffusi timori popolari di un complotto aristocratico.
Il partito di corte e gli emigrati
Un altro elemento di instabilità era legato alla politica ecclesiastica. Dopo la requisizione dei beni della Chiesa, spettava allo Stato il mantenimento dei membri del clero, equiparati ai funzionari pubblici dalla Costituzione civile del clero, votata nel luglio 1790. La legge attribuiva la nomina dei vescovi e dei parroci alle assemblee elettorali locali e, come tutti gli altri funzionari, anche gli ecclesiastici furono obbligati a giurare fedeltà alla nazione, al re e alla Costituzione civile. Questa
280
La politica ecclesiastica
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
Come far prestare giuramento a vescovi e sacerdoti aristocratici in presenza dei rappresentanti delle municipalità a seguito del decreto dell’Assemblea nazionale 1791 [Bibliothèque Nationale, Parigi]
GLI ATTI DELL’ASSEMBLEA COSTITUENTE
FINE DELL’ANTICO REGIME Abolizione feudalità DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO Requisizione e vendita beni ecclesiastici Costituzione civile del clero
RIFORME AMMINISTRATIVE Istituzione di 83 dipartimenti Norme anticorporative di ispirazione liberista
LA COSTITUZIONE DEL ‘91
Suffragio censitario
Separazione dei poteri Potere legislativo a un Parlamento monocamerale Potere giudiziario a giudici elettivi
Potere esecutivo al re
radicale modifica dell’organizzazione ecclesiastica fu, come era prevedibile, condannata da papa Pio VI (1775-99). Solo sette vescovi su 130 prestarono il giuramento, mentre il basso clero, il più vicino al popolo minuto, si divise a metà tra favorevoli, costituzionali, e contrari, refrattari, alla Costituzione civile. La gravissima frattura che si era aperta nella Chiesa di Francia ebbe come conseguenza lo schierarsi di una parte consistente e progressivamente maggioritaria del clero tra le file della controrivoluzione [►FS, 77]. Nello stesso arco di tempo, fra il ’90 e il ’91, l’Assemblea costituente proseguì nella grande opera di edificazione delle nuove strutture amministrative. La Francia fu suddivisa in 83 dipartimenti, e i dipartimenti in circondari, geograficamente omogenei per consentire di recarsi e tornare in giornata dal centro amministrativo più vicino. Fu instaurato un compiuto decentramento che rovesciava il sistema accentrato voluto dalla monarchia assoluta e realizzato dagli intendenti [►3_1]. Parigi fu divisa in 48 sezioni (o circoscrizioni) che corrispondevano ad altrettante assemblee elettorali. L’Assemblea nazionale costituente, ispirata da princìpi liberisti e anticorporativi, non solo soppresse tutte le corporazioni di mestiere, ma vietò altresì le coalizioni operaie e gli scioperi, favorendo il mercato libero della manodopera.
Le riforme amministrative
Il regime politico che si veniva definendo era un regime liberale, fondato sulla separazione dei poteri. I giudici divennero elettivi. Fu previsto un Parlamento composto da una sola Camera, l’Assemblea legislativa, della durata di due anni. I ministri, di nomina regia, erano responsabili solo di fronte al sovrano e non potevano essere membri dell’Assemblea. Il re aveva facoltà di opporre un veto sospensivo alle leggi votate dall’Assemblea: solo dopo la conferma in due successive legislature, tali leggi sarebbero diventate esecutive. Il sistema previsto dalla Costituzione del ’91, approvata il 3 settembre, era stato congegnato in modo da richiedere, per un suo corretto funzionamento, uno stabile accordo tra il potere esecutivo e quello legislativo, tra il sovrano e l’Assemblea. Ma l’equilibrata attuazione di una monarchia costituzionale fu spazzata via dalla fuga del re, della regina e della loro famiglia da Parigi, il 20-21 giugno 1791.
La Costituzione del 1791 e il tentativo di fuga del re
281
C8 La Rivoluzione francese
Con questa decisione Luigi XVI si schierava dalla parte degli emigrati aristocratici e della controrivoluzione. Il disegno era quello di guidare dall’estero una restaurazione armata della vecchia Francia. Riconosciuto e arrestato a Varennes, dopo una fuga di circa 250 km a est verso la Lorena, il re fu ricondotto a Parigi, insieme con la sua famiglia, fra due ali di guardie nazionali e di popolo ostile. Era un colpo mortale alla monarchia, la cui sopravvivenza era legata alla capacità di rappresentare l’unità della nazione francese. Ormai si era aperta un’alternativa repubblicana mentre la soluzione liberale e moderata sarebbe divenuta rapidamente impraticabile.
METODO DI STUDIO
a Cerchia con colori diversi i nomi dei più importanti club politici al tempo della Rivoluzione e sottolineane le caratteristice principali mantenendo i colori scelti. b Continua il glossario relativo alla fase iniziale della Rivoluzione e alla fine dell’ancien régime già iniziato trascrivendo sul quaderno, assieme alla relativa definizione, i nomi di istituzioni, soggetti storici, luoghi ed eventi significativi descritti nel testo. C Sintetizza sul quaderno gli elementi di instabilità del sistema politico-sociale esposti nel paragrafo descrivendone le caratteristiche e le conseguenze. d Individua e numera gli eventi principali che portarono all’abolizione dell’ancien régime. Quindi trascrivili sul quaderno sotto forma di titoletti continuando l’elenco iniziato nei paragrafi precedenti.
8_5 LA RIVOLUZIONE POPOLARE E DEMOCRATICA
► Leggi anche: ► Personaggi Robespierre, un rivoluzionario al potere, p. 286
In un anno, tra l’elezione dell’Assemblea legislativa a suffragio ristretto, tenutasi nel settembre 1791, e quella a suffragio universale della Convenzione (la nuova assemblea), tenutasi nel settembre 1792, si assiste in Francia a una svolta egualitaria e democratica. L’Assemblea legislativa aveva visto una maggioranza di deputati moderati e costituzionali e una minoranza di radicali, i giacobini, tra i quali erano anche i girondini (per l’origine di molti deputati dal dipartimento della Gironda, quello della città portuale di Bordeaux). Nella Convenzione si confrontarono invece due schieramenti, entrambi provenienti dai giacobini: i girondini, collocati a destra, e i montagnardi, collocati alla deputati costituzionali 345 sinistra alta dell’assemblea (la Montagna). Questi ultimi sinistra, centro, destra parte simile a quello attuale, all’interno erano composti dai giacobini radicali di Robespierre e dagli dell’Assemblea legislativa: a sinistra, Con questi termini vengono oggi infatti, c’erano i seggi dei giacobini (che ex cordiglieri. I moderati, posti al centro, erano il gruppo comunemente divise le forze politiche iscritti comprendevanodeputati i girondini); sempre che fanno appello rispettivamente a più numeroso ma meno omogeneo, designato col nome di almaclub deierano foglianti deputati iscritti a sinistra, in alto, collocati princìpi progressisti, “sinistra”, moderati, (moderati) 264 al club dei giacobini “Palude” [► _6]. La Convenzione era stata eletta dalla sola i montagnardi, i più radicali; al centro “centro”, 136 e conservatori, “destra”: le sedevano i deputati moderati o privi di una definizioni rispecchiano la posizione dei Francia rivoluzionaria. Nonostante il suffragio universale collocazione precisa, la cosiddetta “Palude”, seggi dei parlamentari dal punto di vista maschile (le donne rimarranno ancora a lungo escluse dai Assemblea 1792: 745 uomini nuovipronta (costituenti non rieleggibili) a unirsi ai vincitori; a destra stavano del presidente dell’assemblea. I termini gli elementi conservatori. diritti politici ►FS, 75 e 76d), aveva votato infatti soltanto ebbero origine, con un significato solo in un decimo circa degli oltre 7 milioni di elettori.
Dall’Assemblea legislativa alla Convenzione nazionale
6_LA COMPOSIZIONE DELLA ASSEMBLEA LEGISLATIVA E DELLA CONVENZIONE NAZIONALE
“Palude” o “Pianura” 389
deputati costituzionali 345
deputati iscritti al club dei giacobini 136
deputati iscritti al club dei foglianti (moderati) 264
282
Assemblea 1792: 745 uomini nuovi (costituenti non rieleggibili)
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
200 montagnardi
160 girondini
Convenzione settembre 1792: 749 deputati
Un mese prima delle elezioni per la Convenzione, il 10 agosto, i sanculotti, i popolani rivoluzionari di Parigi, così chiamati perché non portavano (sans, “senza”) i calzoni fino al ginocchio (culottes) degli aristocratici e dei ricchi borghesi, ma i calzoni lunghi, diedero l’assalto alla Reggia delle Tuileries con l’obiettivo di deporre un re traditore, pronto ad allearsi con i nemici della Francia. Il palazzo era stato abbandonato dalla Guardia nazionale e rimaneva difeso solo dai mercenari svizzeri e da alcuni nobili. Un primo assalto fu respinto da una nutrita scarica di fucileria, ma dopo un rinnovato attacco il re fece ordinare il cessate il fuoco. Molti svizzeri furono massacrati dagli insorti, che avevano lasciato sul terreno 376 fra morti e feriti. L’Assemblea legislativa, presso la quale si era rifugiato il re, decretò la sospensione del sovrano dalle proprie funzioni e Luigi XVI fu arrestato insieme ai suoi familiari.
La mobilitazione del popolo parigino e la deposizione del re
Nel frattempo (aprile 1792) era scoppiato il conflitto con le potenze ostili alla Francia rivoluzionaria: Austria, Prussia e poi anche Gran Bretagna. Da quel momento la guerra avrebbe condizionato in misura decisiva lo sviluppo degli avvenimenti insieme ai ripetuti tentativi controrivoluzionari in alcune regioni tradizionaliste e cattoliche, ma anche nella capitale. Poco più di un mese dopo l’arresto del re, il 20 settembre 1792 le truppe francesi, innervate dai volontari, batterono i prussiani a Valmy. Per la prima volta un popolo in armi [►8_9] sconfiggeva una grande potenza e dimostrava che anche sul campo di battaglia la Rivoluzione poteva rovesciare l’ancien régime. La vittoria però fu più importante per il suo significato simbolico che per quello militare.
La guerra e la vittoria di Valmy
Il giorno dopo Valmy, il 21 settembre 1792, la Convenzione dichiarò l’abolizione della monarchia e proclamò la Repubblica. Luigi XVI fu messo sotto processo. Sul destino del re e sul ruolo da attribuire al movimento dei sanculotti e al Comune insurrezionale di Parigi che li rappresentava si aprì un duro contrasto tra montagnardi e girondini. Le differenze tra i due gruppi erano di natura strettamente politica e ideologica: disposti al
La caduta della monarchia
► Jacques
Bertaux, Assalto al Palazzo delle Tuileries 1793 [Musée National du Château, Versailles]
◄ Louis-Léopold
Boilly, Il costume da sanculotto XVIII sec. [Musée Carnavalet, Parigi] Tra i protagonisti principali dell’assalto alla Reggia delle Tuileries vi erano i sanculotti, i popolani rivoluzionari di Parigi, chiamati così per il loro modo di vestire: pantaloni lunghi al posto delle culottes, i calzoni al ginocchio dei ceti superiori.
283
C8 La Rivoluzione francese
compromesso i girondini, radicalmente intransigenti i montagnardi. Il re fu giudicato colpevole quasi all’unanimità, ma la richiesta dei girondini di appellarsi al popolo per una conferma della condanna venne respinta. Il 21 gennaio 1793 il re fu decapitato. La ghigliottina si ergeva di fronte al Palazzo Reale delle Tuileries, sulla piazza ormai denominata Piazza della Rivoluzione. Il monarca di diritto divino venne giustiziato come un uomo qualunque: tutta una parte della storia di Francia e d’Europa fu cancellata dalla lama pesante di quella ghigliottina.
Nel febbraio 1793, sul fronte esterno, il conflitto si allargava e le potenze coalizzate contro la Francia crescevano di numero: Austria, Prussia, Gran Bretagna, Olandesi Olanda, Spagna, Stati italiani. La Repubblica otteneva successi militari e annesPrussiani n 1793 sioni territoriali (Savoia, Belgio, Renania), ma nel marzo una grande rivolta cone Austriaci Coblenza tadina esplose in Vandea (una regione dell’Ovest, a sud della Loira) e nei dipartimenti vicini [► _18]. Neerwinden 1793 Britannici Dunkerque us 1794 Coblenza L’insurrezione, appoggiata dai nobili e dai preti refrattari, fu Jemappes 1792 Fleurus 1794 alimentata soprattutto dall’opposizione e dall’estraneità di es ghigliottina una parte del mondo rurale alla Rivoluzione. Austriaci
o Ren
92
Il Comitato di salute pubblica: Robespierre al potere
SAVOIA
La ghigliottina è una macchina per le la proposta di adottarla all’Assemblea Varennes Se nn esecuzioni capitali costituita da dueCaen travi nazionale a già nel 1789; entrò ufficialmente 1792 verticali, unite da una terza trasversale,NORMANDIA in uso, per decretoValmy dell’Assemblea Parigi alla quale è assicurata una lama che, fatta legislativa, il 20 marzo 1792. La cadere azionando una leva, stacca dal busto ghigliottina è stata impiegata in Francia, BRETAGNA la testa del condannato. Prende il nome dal dove la pena di morte è stata abolita nel Quiberon 1795 ira medico J.-I. Guillotin che la ideò e avanzò 1981, Lo fino al 1977. Nantes
Britannici
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Dall’aprile del 1793 il governo effettivo del paese passò nelle mani di un nuovo organismo, il Comitato di salute pubblica, composto da nove membri scelti dalla Convenzione. I girondini,
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zone di insurrezione realista zone di insurrezione federalista conquiste e annessioni (1792-95) battaglie offensive avversarie
La carta individua le zone dell’insurrezione federalista del ’93 e quella della guerriglia zone di insurrezione realista realista in Vandea, infine le zone di insurrezione federalista principali battaglie e conquiste Britannici conquiste e annessioni (1792-95)territoriali dal ’92 al ’95.
Piatto rivoluzionario con l’esecuzione di Luigi XVI il 21 gennaio 1793 [Musée de Picardie, Amiens]
Tolone
Valmy 1792
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
SAVOIA
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284
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Prussiani e Austriaci
SAVOIA
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18_LA RIVOLUZIONE FRANCESE (1789-95) PROVENZA Marsiglia
Austriaci
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L’allargamento Prussiani del conflitto e Austriaci e le rivolte
Piemontesi
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battaglie offensive avversarie
CORS
tra i principali sostenitori della guerra rivoluzionaria ma ostili al movimento popolare e vicini alle posizioni moderate, vennero combattuti in tutto il paese e nel giugno 1793 i sanculotti riuscirono a imporre l’arresto di molti deputati girondini. Il nuovo successo dei sanculotti aprì la strada all’egemonia dei giacobini. Depurati dei girondini, essi coincidevano ormai con i montagnardi. Il loro capo era Robespierre [►FS, 68d], leader del Comitato di salute pubblica e mediatore della convergenza tra movimento popolare e borghesia rivoluzionaria [► _7].
METODO DI STUDIO
a Continua il glossario relativo alla fase iniziale della Rivoluzione e alla fine dell’ancien régime già impostato trascrivendo sul quaderno, assieme alla relativa definizione, i nomi di istituzioni, soggetti storici, luoghi ed eventi significativi descritti nel testo. b Individua e numera gli eventi principali che portarono all’abolizione dell’ancien régime. Quindi trascrivili sul quaderno sotto forma di titoletti continuando l’elenco già iniziato nei paragrafi precedenti. c Rispondi per iscritto alle seguenti domande: a. In cosa consiste la svolta egualitaria e democratica che coinvolge la Francia nel 1792? b. Quali furono le posizioni di montagnardi e girondini durante il processo al re? c. Quale significato è possibile attribuire alla rivolta in Vandea e come reagì il governo rivoluzionario?
7_CRONOLOGIA DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE (1789-99)
Anni
Gruppi politici
Eventi
1789-90 Partito nazionale: fronte riformatore composto dal Assemblea nazionale Terzo stato con l’apporto di aristocratici illuminati e costituente (9 luglio 1789) molti esponenti del basso clero
• Nasce la Guardia nazionale • Assalto alla Bastiglia (14 luglio ’89): il popolo parigino sulla scena rivoluzionaria • Nuove rappresentanze municipali a Parigi e nelle province (luglio ’89) • Sollevazione nelle campagne: “grande paura” (luglio ’89) • Abolizione del regime feudale (4 agosto ’89) • Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (26 agosto ’89) • Requisizione dei beni ecclesiastici (novembre ’89) • Sistema elettorale censitario (dicembre ’89)
1790-91 Assemblea nazionale costituente
Società dell’89: di tendenze moderate Cordiglieri: di tendenze radicali (Danton, Desmoulins, Marat, Hébert) Giacobini: di tendenze radicali, organizzati come un moderno partito politico (Robespierre e Brissot, futuro capo dei girondini)
• Festa della federazione (14 luglio ’90) • Costituzione civile del clero (luglio ’90) • Decentramento amministrativo (dipartimenti provinciali e “sezioni” parigine) • Fuga del re (20-21 giugno ’91) • Costituzione del 3 settembre ’91: regime liberale, fondato sulla separazione dei poteri esecutivo, legislativo, giudiziario • Elezioni per la nuova Assemblea legislativa
1791-92 Assemblea legislativa (1° ottobre 1791)
Foglianti: di tendenze moderate • Dichiarazione di guerra all’Austria (20 aprile ’92) Costituzionali: difensori della Costituzione del ’91 • Deposizione del re su iniziativa dei sanculotti parigini (10 agosto ’92) Giacobini: raggruppamento dei radicali (comprendono • Elezioni a suffragio universale per la nuova Convenzione nazionale i girondini)
1792-93 Convenzione nazionale Comune insurrezionale
Palude (o Pianura): di tendenze moderate • Scontro tra girondini e montagnardi sul ruolo da attribuire al Comune insurrezionale e ai Girondini: ex giacobini, ora su posizioni meno radicali sanculotti parigini Montagnardi: giacobini legati a Robespierre ed ex • Vittoria francese sui prussiani a Valmy (20 settembre ’92) cordiglieri (Danton, Marat) • Abolizione della monarchia (21 settembre ’92) • Processo, condanna a morte e decapitazione di Luigi XVI (21 gennaio ’93) • La Francia è in guerra con quasi tutti gli Stati d’Europa • Sollevazione antirivoluzionaria in Vandea (marzo ’93) • Creazione del Comitato di salute pubblica (aprile ’93) • Epurazione dei girondini (giugno ’93)
1793-94 Comitato di salute pubblica
• Dittatura giacobina • Il Terrore • Leva in massa • Calendario repubblicano • Colpo di Stato contro Robespierre (9 termidoro/27 luglio ’94) • Robespierre e i suoi più diretti seguaci vengono ghigliottinati
1795-99 Direttorio
• Costituzione del ’95
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C8 La Rivoluzione francese
Jean-François Hue, L’incendio di Granville nel 1793 1800 [Museo storico della Vandea, Les Lucs-sur-Boulogne] Nel bilancio del Terrore vanno annoverate anche le vittime delle durissime repressioni di massa nelle regioni insorte: nella Vandea cattolica la questione della coscrizione militare fece esplodere l’insoddisfazione che nel 1793 si trasformò in insurrezione. Il dipinto mostra l’incendio della città di Granville, assediata vanamente da parte dei vandeani che furono sconfitti e messi in fuga dall’esercito repubblicano.
PERSONAGGI
Robespierre, un rivoluzionario al potere
N
286
el maggio 2011, lo Stato francese ha acquistato i manoscritti di Robespierre dalla nota casa d’asta inglese Sotheby’s. L’acquisto è stato possibile solo grazie a una colletta aperta all’opinione pubblica francese e promossa da numerosi storici, istituzioni, comitati. La curiosa sorte delle sue carte dice molto dell’immagine pubblica di Robespierre, a lungo considerato il simbolo degli eccessi della Rivoluzione francese, e per questo escluso dalle celebrazioni ufficiali – manca a Parigi una rue Robespierre –, ma allo stesso tempo bandiera identitaria per larghi strati della popolazione francese e non solo. La memoria di questo rivoluzionario di oltre due secoli fa divide ancora oggi. Nacque ad Arras, il capoluogo dell’Artois, il 6 maggio 1758, primogenito di una famiglia borghese di avvocati, notai, procuratori. La madre morì durante l’ennesimo parto quando Maximilien aveva solo sei anni. Il padre reagì al dolore intraprendendo una serie di viaggi in Europa e abbandonando la famiglia. I figli vennero affidati alle cure del nonno materno. Serio, solitario, Maximilien si impegnò negli studi fino a ottenere una borsa di studio per il prestigioso collège Louis-le-Grand di
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
Parigi, dove si trasferì nel 1769. Anche a Parigi non ebbe vita facile: i suoi compagni provenivano dalle famiglie più ricche della città e lo tenevano a distanza per il suo aspetto trascurato e il suo carattere schivo. Appassionato lettore dei classici latini e greci, il giovane Robespierre, come molti della sua generazione, trasse dalla lettura delle Vite degli uomini illustri di Plutarco ispirazione per le sue ambizioni politiche. La sua attrazione per i personaggi della Repubblica romana, e soprattutto per quelli che resistettero a Cesare in difesa del sistema repubblicano, indusse gli insegnanti a chiamarlo “il Romano”. Robespierre era ammaliato dalla loro personalità, e avrebbe in seguito pensato di riviverne i fasti e ripercorrerne le gesta con le sue azioni durante le giornate più drammatiche della Rivoluzione francese. Visse questo patriottismo repubblicano in senso assoluto, come il tentativo di raggiungere l’ideale di una Francia perfetta nella sua virtù. Sarebbe bastato poco tempo perché questa passione repubblicana si trasformasse in una caccia a chiunque si opponesse, ai suoi occhi, al disegno di una Francia repubblicana e incorruttibile. Ottenuto il diploma in diritto nel 1781,
Robespierre tornò ad Arras per esercitare la professione di avvocato, continuando a partecipare a concorsi letterari e filosofici che cominciavano a dargli una modesta notorietà. In molte delle sue cause, peraltro, prese posizione contro pregiudizi e costumi retrogradi con piglio da vero illuminista. Quando nel 1788 vennero convocati gli Stati generali, Robespierre si gettò nella battaglia politica con discorsi che vennero accolti con molto timore dalla nobiltà e dalla ricca borghesia, ma che gli procurarono l’elezione a deputato del Terzo stato. Ben presto, le sue posizioni estreme gli procurarono la fama di intransigente, di incorruttibile, come iniziava a essere soprannominato. Sono celebri le sue dichiarazioni contro la discriminazione dei neri e dei mulatti liberi delle colonie o perfino contro la pena di morte. Già dalle prime fasi della Rivoluzione, Robespierre prese parte al club bretone, il nucleo originario del club dei giacobini di cui diventò ben presto uno dei leader più affermati. Grazie alla sua attività nel club, acquistò sempre maggiore notorietà a livello nazionale: i suoi discorsi venivano pubblicati nei giornali locali e generalmente apprezzati dalle frange più rivoluzionarie e popolari. Dalla tribuna del club Robespierre continuò a guidare le sue campagne quando non fu deputato e pri-
8_6 LA DITTATURA GIACOBINA
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All’inizio dell’estate del ’93, il governo della Francia poggiava sull’alleanza di due minoranze, quella costituita dai militanti rivoluzionari – il 10% circa della popolazione maschile adulta – e quella composta dal personale politico giacobino – non più di 100 mila uomini in tutto il paese con circa 2 mila società affiliate. L’ideologia dei giacobini discendeva dalle teorie democratiche degli illuministi, in particolare di Jean-Jacques Rousseau, alle quali attingeva nelle linee di fondo anche il movimento popolare. Dal punto di vista economico, giacobini e sanculotti auspicavano una società caratterizzata da un insieme di piccoli produttori, contadini e artigiani, proprietari dei mezzi di produzione. In questo senso, erano ancora collocati in un contesto di economia tradizionale. Dal punto di vista politico i giacobini e Robespierre giustificarono il loro potere imponendosi come i veri interpreti del popolo e come espressione della volontà generale [►FS, 66 e 68d]. Si inaugurava così un modello di democrazia totalitaria, centralizzata e organizzata, che verrà ripreso nei secoli successivi e in particolare dai rivoluzionari bolscevichi nel 1917 in Russia. I giacobini credevano di poter trasformare nel profondo la società francese, gestendone in modo capillare il cambiamento delle strutture economiche e sociali e della mentalità [►FS, 68d].
L’alleanza tra giacobini e sanculotti
Gli strumenti della dittatura giacobina furono il Tribunale rivoluzionario e il Terrore, ossia la sistematica eliminazione fisica degli avversari politici. La Costituzione democratica del ’93 fu varata, ma in realtà mai applicata, mentre venivano sospese le più elementari garanzie dei
Il Terrore
ma della sua rielezione nel 1792. Anche per questa sua attività extralegislativa può essere considerato un pioniere delle tecniche politiche dei regimi democratici: la sua disinvoltura nel gestire rapporti con la provincia e con la stampa, la sua capacità di mediazione tra gli strati popolari e i rappresentanti eletti furono tra le ragioni del suo successo politico. Poco alla volta, la retorica di Robespierre si radicalizzò: chi non appoggiava le sue posizioni era immediatamente tacciato di essere «nemico della Rivoluzione»; la battaglia politica veniva sintetizzata in una logica buoni/cattivi che non consentiva compromessi, passi falsi, incertezze. Partecipò alle giornate di agosto e settembre del 1792 un po’ in disparte, ma ben consapevole delle violenze in atto nella capitale e pronto a prendere posizione al momento opportuno. Il 5 settembre 1792 fu il primo eletto di Parigi alla Convenzione nazionale e leader pressoché incontrastato della Montagna, la sinistra rivoluzionaria. Nella nuova assemblea legislativa, Robespierre svolse un ruolo decisivo nel promuovere l’esecuzione di Luigi XVI (e di Maria Antonietta poi), come di altri esponenti del partito monarchico. Nei mesi successivi, con la liquidazione del partito girondino e poi dei vari avversari che si frapponevano fra lui e la sua visione della Rivoluzione, si ritrovò ad es-
sere il dominus dell’intera Convenzione. «Nessuna libertà per i nemici della libertà» – fu una delle sue sentenze più celebri, una frase che ben riassume la logica perseguita da Robespierre nel ricorrere alla violenza fuori da ogni legalità costituzionale. Contro i nemici della Rivoluzione e i complotti dell’aristocrazia, veri e presunti, il popolo in armi e il governo rivoluzionario dovevano essere in grado di utilizzare qualunque mezzo. Più le politiche “terroriste” davano vita a questa sorta di religione della Rivoluzione, una mistica che tutto giustificava e che rendeva il suo principale ispiratore sordo alle critiche, più Robespierre si trovava isolato. Alla fine della sua parabola politica, il cerchio dei suoi fedelissimi si restringeva quasi esclusivamente a Saint-Just, Couthon e a suo fratello Augustin, che grazie a Maximilien era stato eletto deputato e aveva ricevuto numerose missioni in provincia. Anche in seguito ad alcuni attentati subiti da Robespierre, nel giugno 1794 i poteri del Tribunale rivoluzionario vennero rafforzati ancora di più. I risultati non tardarono ad arrivare: nell’ultima fase del Terrore, dal 10 giugno al 26 luglio 1794, solo a Parigi la macchina della repressione condannò a morte 1376 persone, contro i 1251 dei quindici mesi precedenti. Il 9 termidoro (27 luglio), durante una caotica
► Focus Il controllo rivoluzionario dell’economia: caroviveri e calmieri ► Personaggi Robespierre, un rivoluzionario al potere, p. 286
totalitarismo Il termine in questo periodo è da intendere come un tentativo di controllo totale di tutti i momenti della vita politica attraverso l’uso della violenza.
Claude-André Deseine, Busto di Maximilien Robespierre 1791 [Musée de la Révolution française, Château, Vizille]
seduta della Convenzione, moltissimi deputati misero sotto accusa Robespierre e i suoi accoliti, dichiarati “fuori legge” (hors loi) e quindi neanche degni di un processo. Il giorno dopo i prigionieri vennero portati al patibolo e ghigliottinati. La morte del dittatore fu decisa in tutta fretta, temendo che la situazione politica si rovesciasse a suo vantaggio. Utopista, dittatore, freddo e logico giurista, paranoico sanguinario: l’enigma Robespierre avrebbe appassionato generazioni di storici e commentatori della Rivoluzione, polemicamente ridotta dai suoi avversari al solo Terrore.
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C8 La Rivoluzione francese
cittadini. Quando i giacobini cominciarono a governare, in gran parte della Francia dilagava l’insurrezione “federalista”, diffusa nelle province e dichiaratamente antiparigina, sotto la guida dei girondini e dei realisti (ossia dei monarchici). Nel giro di sei mesi, tuttavia, le truppe della Convenzione riuscirono a reprimerla e a domare, seppure provvisoriamente, la rivolta in Vandea. Sotto la pressione dei sanculotti, la Convenzione mise «il Terrore all’ordine del giorno», intensificando la politica repressiva e introducendo criteri totalmente discrezionali per definire le categorie dei “sospetti”. Le prigioni si riempirono, i tribunali e la ghigliottina lavoravano senza tregua: da 300 mila a 500 mila furono gli arrestati in tutto il periodo del Terrore. A Parigi, nell’ottobre 1793, furono processati e decapitati l’ex regina Maria Antonietta e i capi girondini, fra cui Brissot [►FS, 68d e 69]. La minaccia di un’invasione nemica impose un controllo ferreo sull’economia e l’introduzione di un calmiere dei prezzi (il maximum) per poter garantire l’approvvigionamento (viveri, divise, armi) di truppe sempre più numerose. Contemporaneamente fu introdotta la leva in massa degli uomini tra i 20 e i 25 anni – nel 1799 la leva sarebbe divenuta obbligatoria – e giovani generali, anche di estrazione popolare, assunsero il comando, sotto il controllo dei commissari della Convenzione.
La leva in massa
Dalla primavera del 1794 i contrasti tra i gruppi politici al potere si fecero sempre più aspri. Alla contestazione della sua egemonia Robespierre rispose eliminando prima gli avversari di sinistra, gli hebertisti (i cordiglieri vicini a Hébert), e poco dopo gli indulgenti, capeggiati da Desmoulins e Danton, da tempo favorevoli a una politica meno intransigente nel paese e all’estero. Inoltre, nonostante l’importante vittoria militare di Fleurus contro austriaci e britannici (26 giugno 1794), Robespierre intensificò la politica del Terrore. In questa atmosfera maturò il colpo di Stato, una congiura che vide unite l’ala moderata e quella estremista della Convenzione. Il 27 luglio 1794 (9 termidoro secondo il calendario rivoluzionario [►8_8]) Robespierre e i suoi seguaci più stretti, Saint-Just e Couthon, vennero messi sotto
Il colpo di Stato contro Robespierre
calmiere Il calmiere è un provvedimento amministrativo che stabilisce il prezzo massimo di vendita delle merci e riguarda quasi esclusivamente il commercio al dettaglio. Esso si riferisce a prodotti di prima necessità, in particolare alle derrate alimentari (soprattutto frumento o pane), e ha lo scopo di proteggere il potere d’acquisto delle classi più deboli, evitando aumenti ingiustificati, mantenendo prezzi accessibili per le merci di più largo consumo anche in caso di produzione scarsa (per esempio nel caso di cattivi raccolti). colpo di Stato Il colpo di Stato è il cambiamento repentino del gruppo dirigente realizzato con metodi incostituzionali e spesso violenti da parte di membri di quello stesso Stato. La maggior parte dei colpi di Stato è stata eseguita da militari o con il sostegno dell’esercito. È proprio a partire dagli anni della Rivoluzione francese che il colpo di Stato si afferma come tecnica estrema e brutale di risoluzione delle crisi politiche.
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L’esecuzione di Robespierre e dei suoi seguaci 1794 [Bibliothèque Nationale, Parigi]
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
accusa e arrestati. I sanculotti non si mossero. Dichiarati fuori legge, Robespierre e altri 21 suoi seguaci furono giustiziati senza processo il 10 termidoro. Il giorno dopo altri 71 robespierristi salirono sul patibolo. In meno di un anno i condannati a morte del Terrore furono circa 17 mila ai quali vanno aggiunte le vittime delle esecuzioni in massa (come quelle gettate nella Loira, a Nantes, durante la repressione dell’insurrezione vandeana), per un totale di 35-40 mila vittime. A Parigi le sentenze di morte furono 2639, ma la grande maggioranza fu pronunciata nelle regioni insorte.
Il bilancio del Terrore
METODO DI STUDIO
a Sintetizza per iscritto la posizione dei giacobini da un punto di vista politico ed economico. b Spiega quali furono gli strumenti della dittatura giacobina, in cosa consistettero e quali risultati produssero. c Spiega per iscritto il concetto di democrazia totalitaria, quali furono le conseguenze della minaccia dell’invasione nemica e come terminò la carriera politica di Robespierre.
8_7 CONTINUITÀ E DIFESA DEI RISULTATI RIVOLUZIONARI
La caduta di Robespierre non segnò la fine della Rivoluzione, ma l’inizio di una nuova fase caratterizzata, all’esterno, dall’espansione francese in Europa e, all’interno, da faticosi tentativi di stabilizzazione volti a garantire la tutela dei risultati rivoluzionari e la sopravvivenza del nuovo ceto politico. In breve tempo fu smantellata la struttura di potere giacobina: decine di migliaia di sospetti furono liberati e, a dicembre, la Convenzione reintegrò i girondini superstiti. I club giacobini vennero chiusi, mentre una nuova mobilitazione dei sanculotti che protestavano contro il carovita fu repressa nella primavera del ’95. La repressione fu affidata all’esercito che, per la prima volta dall’inizio della Rivoluzione, marciò sui quartieri popolari di Parigi e disarmò i sanculotti. Nel Mezzogiorno e nel Sud-Est infuriava il Terrore bianco – così detto dal colore della bandiera borbonica – con vendette e massacri nei confronti dei giacobini e dei preti costituzionali.
La fine del giacobinismo
La Costituzione del 1795 e il Direttorio
Il processo di stabilizzazione interna venne consolidato dai successi militari ai quali seguirono, fra aprile e luglio 1795, i trattati di pace con la Prussia e l’Olanda. Ma la guerra rimaneva aperta con l’Austria e la Gran Bretagna. Contemporaneamente la Convenzione elaborò un nuovo testo costituzionale, che doveva conferire stabilità Jean-Baptiste Isabey, Il Petit Coblentz sotto il Direttorio 1795-99 [Musée Carnavalet, Parigi] In reazione all’austerità degli anni del Terrore, i giovani della Parigi più agiata si riunivano nei caffè e animavano la vita mondana, ma erano disponibili anche alle “spedizioni punitive” contro i sanculotti e i giacobini. La cosiddetta jeunesse dorée (“gioventù dorata”) del periodo termidoriano e del Direttorio, con la sua ricerca esasperata dell’eleganza e il suo snobismo, è qui raffigurata con una vena satirica nella passeggiata in un’area del boulevard des Italiens denominata Petit Coblentz.
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C8 La Rivoluzione francese
Partitura della Marsigliese 1792 [Bibliothèque Nationale, Parigi] Nel 1795 La Marsigliese fu adottata come inno nazionale di Francia. Composta nel 1792 dall’ufficiale Joseph Rouget de Lisle (1760-1836), che si apprestava ad affrontare le truppe austro-prussiane, era nata con il titolo Canto di guerra per l’armata del Reno. Qualche mese dopo, però, il battaglione dei federati marsigliesi la cantò come proprio inno in occasione della festa della Rivoluzione a Parigi e per questo passò alla storia come La Marseillaise. Proibita durante il periodo napoleonico, tornò a essere l’inno della Francia nel 1879. Dal testo traspare il forte sentimento patriottico di un esercito impegnato a difendere non solo un territorio ma soprattutto un ideale. Emerge anche chiaramente, fin dalle prime strofe, la violenza e l’asprezza di un paese in guerra: «Avanti figli della Patria. Il giorno della gloria è arrivato! Contro di noi, della tirannia lo stendardo sanguinante si è levato! Lo stendardo sanguinante si è levato! Sentite nelle campagne ululare questi feroci soldati? Vengono in mezzo a voi a sgozzare i vostri figli, le vostre compagne! Alle armi, cittadini! Formate i vostri battaglioni! Marciamo, marciamo! Che un sangue impuro irrighi i nostri solchi!».
al nuovo assetto politico borghese della Francia. Il potere esecutivo fu affidato a un Direttorio di 5 membri che nominava i ministri [► _7]. La nuova Costituzione riprese in molti punti quella del ’91 e soprattutto accentuò il carattere censitario del sistema elettorale e la tutela della proprietà. Nonostante questa nuova struttura istituzionale, la debolezza del nuovo regime dava spazio a tentativi insurrezionali monarchici, come quello represso a cannonate dal generale Napoleone Bonaparte a Parigi nell’ottobre ’95, o rivoluzionari come la “congiura degli Eguali” promossa da François-Noël Babeuf e sventata nel ’96. Babeuf teorizzava l’uguaglianza, la comunità dei beni, l’abolizione della proprietà della terra: tra i capi della congiura figurava anche il toscano Filippo Buonarroti, la cui esperienza politica ebbe grande rilievo nell’ispirare le prime società segrete del movimento nazionale democratico in Italia [►8_9].
Tentativi insurrezionali
Mentre gli eserciti della Repubblica avevano ripreso vittoriosamente l’offensiva in Europa, nuove difficoltà interne si presentarono costringendo la maggioranza del Direttorio (guidata da Paul Barras) ad attuare un colMETODO DI STUDIO a Sottolinea le conseguenze della caduta di po di Stato nel settembre 1797: furono annullate le elezioni tenute in quell’anno, Robespierre, cerchia il nome dell’istituzione più deportati numerosi deputati e giornalisti, introdotti severi controlli sulla stampa. incisiva dopo la sua morte e spiega oralmente in Decisivo per il colpo di Stato era stato l’appoggio dei comandanti militari impecosa consistette. b Sottolinea con colori diversi le cause e le gnati all’estero. La sopravvivenza del regime e la continuità rivoluzionaria erano conseguenze del colpo di Stato del 1797. Cerchia ormai affidate non solo alle vittorie degli eserciti ma al diretto intervento dei i nomi di coloro che lo portarono avanti. generali vittoriosi nella vita politica. 290
Il ruolo dei militari
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
8_8 NUOVA POLITICA E MENTALITÀ RIVOLUZIONARIA
Nella fase più radicale della Rivoluzione le fazioni politiche al governo traevano la loro legittimazione non solo dalle elezioni, ma anche dalla mobilitazione dal basso del popolo parigino, dei sanculotti. Il ruolo delle masse rappresenta una delle maggiori novità della Rivoluzione fin dall’89 e condizionerà anche in seguito la politica francese in tutti i momenti cruciali per quasi un secolo. I gruppi politici radicali – giacobini, montagnardi, hebertisti – cercheranno di incanalare e di sfruttare questa mobilitazione popolare armata, protagonista della caduta della monarchia (10 agosto 1792), dell’arresto dei deputati girondini – che avevano trovato nelle province il loro maggior sostegno politico – e infine del controllo sull’operato della Convenzione. Da questa necessità di guidare il popolo e dalla convinzione di parlare “in nome del popolo” nasce l’ideologia incentrata sulla “volontà generale” di cui molti leader, e in primo luogo Robespierre, ritengono di essere gli unici veri interpreti [►FS, 66].
Il ruolo delle masse popolari
Questa ideologia e questa pratica politica furono accompagnate da una larga attività di educazione collettiva, di pedagogia rivoluzionaria fondata sulle celebrazioni della Rivoluzione e dei suoi martiri (come Marat pugnalato dalla realista Charlotte Corday), su un largo repertorio di simboli [►FS, 72] – la coccarda tricolore, il berretto frigio degli schiavi liberati – e sulla diffusione di immagini popolari del rovesciamento del Vecchio Mondo. Si puntò anche a creare un sistema educativo pubblico e a diffondere l’uso di una lingua nazionale che liberasse le masse illetterate dalla sudditanza ai dialetti locali. Cancellata la monarchia e osteggiata duramente la Chiesa, i due riferimenti fondamentali dell’identità popolare, era necessario segnare profondamente il rinnovamento rivoluzionario [►FS, 73]. In questa direzione la decisione più significativa fu l’introduzione del nuovo calendario repubblicano o rivoluzionario, in vigore dall’ottobre 1793 fino al 31 dicembre 1805, che stabiliva una nuova datazione dalla proclamazione della Repubblica in poi: oltre a cambiare il nome dei mesi e dei giorni, aboliva il ciclo settimanale e la domenica (sostituendoli con gruppi di dieci giorni) intervenendo direttamente sulla scansione del tempo legata alle pratiche religiose.
Una pedagogia politica
Allegoria di Frimaio (novembre) dal calendario rivoluzionario XVIII sec. [Bibliothèque Nationale, Parigi] Con il nuovo calendario repubblicano l’anno fu diviso in 12 mesi di 30 giorni, ciascuno con un nuovo nome basato sui cicli naturali in correlazione con il tempo meteorologico.
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C8 La Rivoluzione francese
Una ceramica di Nevers con raffigurazione del Tempio dell’Essere supremo 1798 [Musée Carnavalet, Parigi] Il culto dell’Essere supremo, solo superficialmente plasmato sulle idee razionaliste e deiste del ’700, era fortemente imbevuto di immaginario e vocabolario mutuati dal culto cristiano. Robespierre, nelle vesti di “grande sacerdote”, spiegò: «Il mio Dio è Colui che ha creato tutti gli uomini affinché vivessero nel benessere e nell’uguaglianza, che protegge gli oppressi e stermina i tiranni; non adoro altro che la giustizia e l’umanità; odio il potere dei preti; è una delle catene dell’umanità, ma una catena invisibile dello spirito che solo la ragione può rompere». Robespierre, rigettando l’ateismo, dichiarava di credere nella vita dopo la morte e in un dio, fonte della morale, capace di intervenire nella vita degli uomini.
Il nuovo calendario era un aspetto della più sistematica scristianizzazione, promossa soprattutto dal club dei cordiglieri di Hébert, con la distruzione di simboli religiosi come le statue dei santi e le campane, e la celebrazione di feste per la dea Ragione. La scristianizzazione non ebbe l’appoggio di Robespierre, che vi scorgeva i rischi dell’ateismo razionalista e dell’attenuazione del controllo morale e sociale esercitato dalla religione: nel maggio del ’94 il leader giacobino sostenne e impose invece il culto dell’Essere supremo, espressione delle sue concezioni deiste [►2_5]. Molti aspetti della ventata scristianizzatrice vanno ricondotti alle componenti di fondo della mentalità rivoluzionaria, che univa volontà punitiva e ossessione del complotto controrivoluzionario alla convinzione della necessità di un rovesciamento totale del passato. Un rovesciamento inteso come inversione dei ruoli (trionfo dei poveri sui ricchi, degli umili sui potenti) e come distruzione simbolica di tutto ciò che rappresentava l’antico regime.
La scristianizzazione e il culto dell’Essere supremo
METODO DI STUDIO
a Cerchia gli strumenti utilizzati per mobilitare le masse durante la Rivoluzione ed evidenziane le finalità. b Spiega per iscritto in cosa consistette l’ideologia incentrata sulla “volontà generale”, quale ruolo ebbe, chi se ne fece portavoce e in che modo fu trasmessa alla popolazione.
8_9 L’ESPANSIONE RIVOLUZIONARIA
Quanto accadeva in Francia fu costantemente seguito dall’opinione pubblica in tutta Europa. Se all’inizio i ceti illuminati guardarono con favore al rovesciamento dell’assolutismo e a un possibile sviluppo costituzionale all’inglese, successivamente lo scoppio della guerra e soprattutto l’uccisione del re ridussero drasticamente il numero dei sostenitori. Il Terrore divise ulteriormente i fautori della Rivoluzione, separando le correnti liberali e moderate da quelle democratiche. Tra i primi a ragionare sulla Rivoluzione fu lo scrittore politico britannico di origine irlandese Edmund Burke (1729-1797). Esponente dei Whigs, già nel novembre 1790 pubblicò le Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia, una durissima requisitoria contro l’astrattezza antistorica dei princìpi dell’89 e in difesa della tradizione. Alle origini della Rivoluzione egli vedeva, tra l’altro, la “congiura dei filosofi”, un motivo destinato ad avere larghissima fortuna in tutto il pensiero politico successivo. Significativa era anche la contrapposizione instaurata con la pacifica Rivoluzione inglese del 1688-89 [►3_3] che dimostrava la superiorità dello sviluppo politico britannico, risultato di una continuità storica, su quello francese fondato sulla rottura con il passato. 292
Sostenitori e critici della Rivoluzione in Europa
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
► Leggi anche: ► Atlante L’Europa sotto la dominazione francese
La Rivoluzione non costituì solo uno spartiacque del pensiero politico, ma determinò anche contrastanti reazioni in tutta Europa. Da un lato i governi si impegnarono a reprimere ogni forma di protesta o di dissenso nel timore che l’esempio francese dilagasse, dall’altro i nuclei di opposizione presero coscienza di sé e dei propri obiettivi. Quella stessa rete di comunicazione (la stampa, le logge massoniche) che aveva dato luogo alla feconda circolazione delle idee illuministe agì anche per i princìpi rivoluzionari. Princìpi che la Francia sostenne, dal 1792, con una vigorosa propaganda ideologica. In realtà, l’espansione rivoluzionaria in Europa fu affidata soprattutto alle baionette dell’esercito: senza l’appoggio militare della “nazione armata” – in cui i francesi si erano identificati dal 1792, con l’inizio della guerra contro l’Austria –, nessun nuovo regime sarebbe stato in grado di reggersi. Inoltre l’esercito – dai soldati agli ufficiali –, più di ogni altra istituzione era profondamente legato ai princìpi e ai risultati della Rivoluzione. REGNO IMPERO MARE DI nei paesi limitrofi, dove si saldò REGNO L’influenza della Rivoluzione fu particolarmente forte (e precoce) DEL RUSSO IRLANDA SVEZIA
La “nazione armata”
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REPUBBLICA BATAVA 1795
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la Francia nel 1789
territori occupati
conquiste e annessioni francesi 1792-97
territori ceduti all’Austria secondo il trattato di Campoformio (1797) confini del Sacro romano impero
“repubbliche sorelle”
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C8 La Rivoluzione francese
Johann Ludwig Hauck, L’innalzamento dell’albero della libertà nella piazza del Mercato Grote di Groninga 1795 [Museo Civico, Groninga (Paesi Bassi)] La battaglia di Fleurus del 1794 aveva aperto la strada verso i Paesi Bassi: nel 1795 le truppe rivoluzionarie francesi invadono la regione e la occupano con un contingente di 25 mila soldati. Il 19 gennaio viene fondata la Repubblica batava, una delle “repubbliche sorelle”, di cui Groninga è uno dei centri più importanti. Il dipinto ricorda il momento in cui, entrate in città le truppe rivoluzionarie, viene innalzato nella piazza del mercato l’albero della libertà, simbolo della Rivoluzione francese, attorno al quale uomini e donne ballano tenendosi per mano e a braccetto.
a esigenze autonomistiche o a conflitti già in corso. Tali furono i casi del Belgio e dell’Olanda: il Belgio fu annesso alla Francia (1793-95), l’Olanda si trasformò in Repubblica batava (1795). METODO DI STUDIO In Italia un centro di organizzazione rivoluzionaria si costituì a Oneglia, in a Scrivi un testo breve in cui descrivi e argomenti l’accusa principale che il britannico Burke Liguria, sotto la diretta influenza dell’occupazione francese e la guida di Filippo rivolse alla Rivoluzione francese. Buonarroti, che vi agiva come commissario della Convenzione. Negli altri Stati b Sottolinea con colori diversi le reazioni di italiani – a Torino, a Bologna, a Napoli e in Sicilia – i club di giacobini (termine segno opposto che si manifestarono in Europa dopo la Rivoluzione. che qui indicava genericamente tutti i sostenitori della Rivoluzione) furono dura c Spiega in cosa consistette il ruolo dell’esercimente repressi dalle autorità di governo, che ne condannarono a morte i maggiori to negli eventi rivoluzionari e in quali luoghi e in che esponenti (1794). Da questi primi nuclei si svilupparono tuttavia altri gruppi che modo venne “esportata” la Rivoluzione. appoggiarono l’intervento diretto francese nel 1796-97.
8_10 LA CONQUISTA DELL’ITALIA
E LE REPUBBLICHE GIACOBINE
Il Direttorio intensificò la politica di espansione francese in Europa nella convinzione che la sicurezza della Francia potesse essere garantita non solo dal raggiungimento delle “frontiere naturali” – le Alpi e il Reno – ma anche dalla costituzione di “repubbliche sorelle” della Francia, immediatamente al di là di queste frontiere. La realizzazione del disegno era legata alla sconfitta dell’Austria, che doveva essere attaccata in primo luogo sul territorio tedesco in direzione di Vienna, mentre altre truppe avrebbero tenuto impegnati gli austriaci in Italia, mirando alla conquista del Piemonte e della Lombardia.
La politica di conquista del Direttorio
Nel 1796 il comando dell’armata d’Italia fu affidato a un giovane generale di 26 anni, Napoleone Bonaparte. Le sue vittorie nel 1796-97 furono l’inizio di una carriera politica e militare destinata a segnare profondamente, per quasi un ventennio, tutta la storia di Francia e d’Europa. La campagna d’Italia mise immediatamente in luce le sue straordinarie qualità di comandante militare: la capacità di imporsi agli ufficiali e di trascinare i
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La campagna d’Italia
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
► Leggi anche: ► Personaggi Napoleone, l’uomo del secolo, p. 310
soldati, la rapidità di manovra e di decisione. Bonaparte riuscì nel disegno strategico di mantenere unite le sue forze, inferiori di numero, e di dividere quelle nemiche. Il 15 maggio, sconfitti separatamente i piemontesi e gli austriaci, entrava trionfalmente a Milano. Gli austriaci cercarono di riprendere il controllo della Lombardia inviando nuove truppe, ma Bonaparte li sconfisse nella decisiva battaglia di Rivoli Veronese (gennaio 1797) proseguendo poi verso Vienna. Nel frattempo i francesi avevano costretto papa Pio VI a cedere il possesso dell’Emilia e della Romagna (trattato di Tolentino). Le vittorie militari consentirono a Bonaparte di condurre direttamente le trattative con l’Austria. Con il trattato di Campoformio, firmato nell’ottobre 1797 in una località nei pressi di Udine, ottenne il riconoscimento dell’egemonia francese in Lombardia e in Emilia, dell’annessione del Belgio, nonché l’attribuzione alla Francia della riva sinistra del Reno. L’Austria venne compensata con il Veneto, l’Istria e la Dalmazia [► _19]. I territori di Bergamo e Brescia passarono alla neonata Repubblica cisalpina. Fra lo sgomento e l’indignazione dei patrioti, la Repubblica di Venezia veniva smembrata e cessava di esistere: dopo oltre un millennio finiva uno dei più antichi Stati italiani. Le decisioni di Campoformio non devono sorprendere. L’Italia era considerata terra di conquista da depredare e saccheggiare. Le indicazioni del Direttorio in questo senso erano chiarissime e non diverse da quelle adottate in Belgio e in Olanda. Bonaparte e i suoi generali erano inoltre privi di scrupoli di sorta. Così masse ingenti di denaro (frutto di imposizione ai sovrani e agli strati sociali più abVESC. REGNO DI VENETO dell’esercito bienti) servirono al mantenimento o al risanamento delle finanze francesi. Grandi tesori D’UNGHERIA TRENTO Campoformio d’arte preseroMilano la viaRivoli di Parigi. Tutto ciò non contraddiceva tuttavia il più complesso progetto politico Verona 1797 Torino Venezia TE Mantova di creare in Italia una serie di “repubbliche sorelle” , alleate della Francia. Arcole N DUCATO
Campoformio e la fine della Repubblica di Venezia
▲ Giuseppe
Salvirch, Scudo di lire sei della Repubblica cisalpina 1797-1802 Lo scudo in argento raffigura la personificazione della Repubblica che rende omaggio alla Francia.
▼ La
bandiera della Repubblica cispadana
O 1796 DI IMPERO EM P. LIG PARMA REP. UR CISA OTTOMANO R LPIN Genova E A CA Firenze I LUC REP. D TOSCANA A AN MA M RA O DR .R P IAT RE RE ICO P CORSICA UB Roma BL IC A PA RT 20_L’ITALIA NEL 1799 EN Napoli OP EA VESC. REGNO REGNO DI DI VENETO D’UNGHERIA TRENTO SARDEGNA Campoformio Milano Rivoli Verona MAR 1797 Torino TIRRENO Venezia TE Mantova Arcole N DUCATO O 1796 DI IMPERO MAR EM P. LIG PARMA REP. PI UR CISA OTTOMANO IONIO R LPIN E Genova A CA Firenze I LUC REGNO REP. D DI SICILIA TOSCANA A AN MA M RA RO DR . P IAT E RE R ICO PU CORSICA BB Roma LIC A PA RT EN Napoli OP EA REGNO DI SARDEGNA MAR L’ITALIA NEL 1799 TIRRENO PI
E
Impegnato a dare un nuovo assetto politico all’Italia settentrionale, Bonaparte fu attentissimo a utilizzare tutti i mezzi di comunicazione del tempo – stampa, proclami, immagini – per propagandare i suoi successi e per imporsi all’opinione pubblica francese: un disegno che rispondeva all’esigenza di mostrare, accanto a quelli militari, anche i suoi meriti politici. Nel dicembre 1796 fu creata in Emilia e Romagna la Repubblica cispadana. Nel giugno 1797 si formarono la Repubblica ligure e, sui territori occupati della Lombardia, la Repubblica cisalpina, con la quale a luglio si fuse la Cispadana. Successivamente nel febbraio 1798 i francesi intervennero a Roma – dove, nella repressione di un tumulto giacobino, era stato ucciso un generale francese – e proclamarono la Repubblica romana, che comprendeva il Lazio, l’Umbria e le Marche. Pio VI fu deposto e trasferito prima in Toscana e poi in Francia, dove morì nel 1799. Alla fine del 1798, inoltre, la ripresa delle ostilità contro la Francia da parte delle potenze alleatesi dopo la MAR spedizione napoleonica in Egitto [►8_11] IONIO domìni austriaci indusse il Regno di Napoli ad attaccare la REGNO territori sotto Repubblica romana. Le truppe borboniDI SICILIA l’influenza francese Arcole 1796 battaglie che furono respinte e Napoli fu occupata dai francesi, che qualche giorno dopo vi proclamarono la Repubblica partenopea La situazione italiana agli inizi del 1799, prima dell’invasione degli austro-russi, che posero fine alle Repubbliche giacobine. (gennaio 1799). E
La nascita delle repubbliche
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L’ITALIA NEL 1799
Passate alla storia come Repubbliche “giacobine”, le repubbliche italiane imposte dai francesi non ebbero in realtà mai caratteristiche tali da richiamare il radicalismo rivoluzionario. Le Costituzioni repubblicane, del resto, furono tutte modellate sulla Costituzione francese del 1795: solo quella napoletana, redatta da Mario Pagano, aveva contenuti più democratici. Inoltre, sia Bonaparte sia i suoi successori in Italia si appoggiarono ai nobili e ai borghesi di orientamento moderato. Il controllo dei francesi si tradusse anche nella nomina diretta dei membri degli organi legislativi e di governo, nonché nella loro sostituzione a seconda del maggiore o minore allineamento alla politica del Direttorio o a quella dei comandanti militari in Italia [►FS, 86].
Le Repubbliche “giacobine”
stato civile L’Ufficio dello stato civile (o semplicemente “stato civile”), presente in ogni comune, ha il compito di tenere i registri di cittadinanza, nascita, matrimonio e morte. Nell’uso corrente, lo stato civile di una persona indica la sua condizione di celibe (o nubile), coniugato, vedovo. fedecommesso Il fedecommesso è una forma di successione che impone all’erede di lasciare a sua volta il patrimonio a un solo erede maschio. Come la primogenitura, è finalizzato alla conservazione dell’intero patrimonio in una sola linea di discendenza.
L’egemonia francese diede tuttavia l’avvio a una serie di riforme anche al di fuori dell’ambito dell’organizzazione istituzionale: come l’introduzione dello stato civile, l’abolizione di maggiorascati e fedecommessi – che impedivano il frazionamento e la vendita dei beni di origine feudale –, la soppressione degli enti religiosi e l’inizio della vendita dei loro beni, convertiti in beni nazionali. Alcune di queste riforme rimasero allo stato di pura enunciazione, soprattutto quelle miranti alla costituzione di una diffusa piccola proprietà contadina: non ebbero alcun seguito, infatti, le proposte in questa direzione avanzate nella Repubblica romana dove, soprattutto nella campagna intorno a Roma, era presente un’imponente proprietà latifondistica. Le nuove repubbliche determinarono un vigoroso risveglio del dibattito politico: utopisti e riformatori, rivoluzionari e moderati – come Melchiorre Gioia, Matteo Angelo Galdi, Enrico Michele L’Aurora e il più radicale Vincenzio Russo – si impegnarono in una riflessione sulle forme politiche, sui problemi economici, sui possibili destini unitari della penisola [►FS, 85 e 86]. Consapevoli del limitato consenso di cui potevano godere fra i ceti popolari (ne è conferma la costante attenzione per l’istruzione pubblica), tanto i moderati quanto i giacobini ritennero di dover utilizzare i ristretti margini consentiti alla loro azione dagli interessi francesi. Si venne così formando un personale politico che troveremo attivo durante l’Impero napoleonico e, in parte, anche successivamente negli anni della Restaurazione assolutista. Anche per la brevità dell’esperimento repubblicano non vi fu il tempo per consentire alle nuove idee di affermarsi e trovare un qualche sostegno nei ceti popolari, rimasti sempre ostili ed estranei al nuovo regime.
Riforme e dibattito pubblico
Già nell’aprile 1797 le truppe francesi di stanza a Verona erano state assalite (le “Pasque veronesi”), mentre a Napoli, nel 1799, i popolani (“lazzaroni”) si opposero violentemente all’ingresso dei francesi in città. Questa estraneità e ostilità si estese anche alle altre Repubbliche giacobine. Quando il controllo francese sull’Italia cominciò a vacillare, alla fine del ’98 e nel ’99, si registrarono infatti numerosi episodi di sollevazioni popolari.
L’opposizione popolare e il ritorno dei Borbone a Napoli
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Saverio Della Gatta, Battaglia tra navi anglo-borboniche e repubblicane nel canale di Procida 1800 [Museo Nazionale di San Martino] Nell’aprile 1799 una flotta navale britannica occupò le isole antistanti il Golfo di Napoli, Ponza, Procida, Ischia e Capri, venendo in aiuto dei sanfedisti e dei Borbone. In questo primo frangente la flotta napoletana riuscì a difendere la neonata Repubblica impedendo lo sbarco dei britannici. Ma Napoli fu conquistata pochi mesi dopo dall’esercito sanfedista che si fece protagonista di numerose efferatezze. Secondo la ricostruzione di Vincenzo Cuoco (Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799) «il popolo napolitano, unito agl’insorgenti, commise delle barbarie che fan fremere: incrudelì financo contro le donne, alzò nelle pubbliche piazze dei roghi, ove si cuocevano le membra degl’infelici, parte gittati vivi, e parte moribondi. Tutte queste scelleraggini furono eseguite sotto gli occhi di Ruffo [il cardinale] e degl’Inglesi».
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
Nell’Italia meridionale, in particolare, i contadini non videro alcun vantaggio immediato per le loro durissime condizioni ad opera del nuovo regime repubblicano: le norme che abolivano i prelievi feudali e garantivano la continuità degli usi civici giunsero troppo tardi (alla fine di aprile 1799). Fu agevole quindi per il cardinale Fabrizio Ruffo, emissario dei Borbone, sollevare METODO DI STUDIO i contadini e guidare l’armata della Santa Fede – di cui facevano parte anche a Sottolinea con colori diversi le informazioni bande di briganti – contro la repubblica dei miscredenti. La conquista di Napoli principali che si riferiscono alla politica di conquista intrapresa dal Direttorio e alla campagna d’Italia con a opera dei sanfedisti (giugno 1799) anche con l’aiuto della flotta britannica conla nascita delle “repubbliche sorelle” con particolare sentì il ritorno dei Borbone, che effettuarono una durissima repressione. Fra gli attenzione ai seguenti temi: a. il ruolo di Napoleoaltri furono impiccati Mario Pagano, Vincenzio Russo, Francesco Caracciolo ed ne Bonaparte; b. le conseguenze del trattato di Campoformio; c. i nomi delle repubbliche e i relativi Eleonora de Fonseca Pimentel. La rapida fine della Repubblica partenopea (durariferimenti geografici e cronologici. ta solo sei mesi) diede spunto allo scrittore politico Vincenzo Cuoco per rivolgere b Realizza uno schema sulle Repubbliche giacopesanti accuse all’astrattismo dei patrioti e al carattere “passivo” della rivoluzione bine indicando le informazioni relative ai seguenti temi: a. motivazione del nome; b. organizzazione napoletana (nel celebre Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, pubpolitica; c. princìpi ispiratori; d. riforme avviate; e. conblicato nel 1801). Certo è che l’episodio sanfedista testimoniava della difficoltà di seguenze nel dibattito politico; f. ceti sociali coinvolti; coinvolgere le masse contadine nella rivoluzione “borghese”, difficoltà che anche g. esiti. Scrivi quindi una didascalia argomentativa dello schema inserendovi anche le date di riferimento. la Francia conosceva in quegli anni con l’endemica ribellione vandeana [►8_5].
8_11 IL COLPO DI STATO E LA SVOLTA AUTORITARIA DI BONAPARTE
Nella primavera del ’98 fu concesso a Bonaparte, dopo la rinuncia a un progetto di invasione della Gran Bretagna, di organizzare una spedizione militare contro l’Egitto. Da lì avrebbero potuto essere colpiti gli interessi commerciali britannici in Oriente. La disponibilità del Direttorio a un progetto avventuroso e azzardato mascherava il desiderio di allontanare da Parigi un personaggio divenuto, dopo i successi in Italia, troppo ingombrante. A maggio un’imponente flotta di oltre 300 navi salpò da Tolone: vi erano imbarcati 38 mila soldati e una numerosa commissione scientifica.
La spedizione in Egitto
Jean-Léon Gérôme, Napoleone e le truppe francesi in Egitto 1863 [Ermitage, San Pietroburgo] In questo dipinto Napoleone, a dorso di cammello, guida i suoi uomini attraverso il deserto. La spedizione in Egitto fu un disastro dal punto di vista militare ma fece arrivare in Francia molti capolavori dell’arte egiziana.
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C8 La Rivoluzione francese
L’Egitto era una provincia dell’Impero ottomano, sostanzialmente autonoma e dominata dalla setta militare dei Mamelucchi. Sbarcati ad Alessandria i francesi si spinsero verso Il Cairo, e qui, nella battaglia delle Piramidi, sconfissero i Mamelucchi a luglio. La vittoria diede nuova fama a Bonaparte e contribuì a diffondere nel mondo occidentale la moda per tutto ciò che era egiziano [►FS, 80 e 81d]. Ma pochi giorni dopo, il 1° agosto, l’ammiraglio britannico Horatio Nelson (1758-1805) sorprendeva la flotta francese all’ancora di fronte ad Abukir e la distruggeva, isolando i francesi. L’unico risultato certo della spedizione in Egitto fu la ricomposizione di un’alleanza generale contro la Francia, animata come sempre dalla Gran Bretagna e con la partecipazione anche della Russia, dell’Austria e dell’Impero ottomano. Così, mentre Bonaparte si dedicava all’amministrazione del paese occupato e la commissione scientifica iniziava un amplissimo rilevamento delle antichità egiziane, in Italia e in Germania i francesi cominciarono a ripiegare rapidamente sotto l’attacco degli austro-russi. Le nuove difficoltà militari aprirono a Parigi un’ennesima crisi politica e le forze di sinistra ripresero vita. A giugno i parlamentari attaccarono duramente il Direttorio, nel quale era stato da poco nominato Sieyès (uno dei protagonisti della prima fase della Rivoluzione). Nonostante i successi militari dell’ottobre 1799, che arrestarono l’avanzata russa, le divisioni politiche rimanevano profonde e, come nel 1797, un colpo di Stato era nell’aria. Sieyès, l’uomo forte del Direttorio, puntava chiaramente a una revisione costituzionale che rafforzasse l’esecutivo, ma non disponeva di una maggioranza parlamentare. A metà ottobre Bonaparte rientrò a Parigi: una vittoria sui contingenti ottomani appena sbarcati e la notizia delle sconfitte in METODO DI STUDIO Europa gli avevano dato motivi sufficienti per abbandonare l’Egitto. Pur lascian a Spiega per quali motivi fu intrapresa la camdosi alle spalle il primo insuccesso, il suo ritorno sembrò un trionfo. Ben presto pagna militare d’Egitto, quali furono gli episodi saBonaparte divenne l’elemento decisivo del nuovo colpo di Stato. Il 18 brumaio lienti e quali esiti ebbe. (9 novembre) 1799, con il pretesto di un complotto, i deputati vennero trasferiti b Cerchia i nomi dei paesi ostili alla Francia di Napoleone e sottolinea le principali azioni intraa Saint-Cloud nei pressi della capitale, sotto protezione militare. Il 19 brumaio prese nei confronti dei francesi. Napoleone impose con le armi una riforma costituzionale. I deputati accetta c Descrivi per iscritto le motivazioni che portarono la creazione di una commissione esecutiva con pieni poteri composta dai rono al colpo di Stato del 18 brumaio 1799, chi ne furono gli artefici e quali furono gli esiti. tre consoli della Repubblica francese, Sieyès, Ducos (un altro membro del Direttorio) e Bonaparte.
Verso il colpo di Stato
8_12 IL MITO E L’EREDITÀ DELLA RIVOLUZIONE
Il colpo di Stato del 18 brumaio interruppe definitivamente la dinamica politica rivoluzionaria, anche se la stabilizzazione delle conquiste della Rivoluzione – sul terreno giuridico e amministrativo e su quello delle competenze dello Stato – fu realizzata compiutamente negli anni del consolato di Bonaparte, dal 1800 al 1804. La Rivoluzione francese fu un fenomeno eminentemente politico. Distrusse un’organizzazione del potere, la monarchia assoluta, e le basi giuridiche della società per ceti. Ai privilegi sostituì l’eguaglianza dei diritti. Mise in atto una serie di nuovi rapporti fra società civile e Stato, fondati su un’enorme estensione della base politica e della partecipazione.
Un nuovo modello politico
Questa trasformazione pose due problemi di fondo per tutto lo sviluppo politico successivo: attraverso quali forme e quali forze garantire una rappresentanza della società civile e insieme mantenere un consenso commisurato all’ampiezza della mobilitazione della società. Tutta la vicenda rivoluzionaria, dall’88 al ’99, può essere ricostruita seguendo questi due momenti. L’incompiuta (e forse impossibile) realizzazione di un equilibrio fra rappresentanza e consenso – tipica del resto di un fenomeno rivoluzionario che fu espressione di una minoranza – fu uno dei motivi principali delle continue crisi seguite al 1789. Proprio l’allargamento della partecipazione, il trasferimento della sovranità al popolo, l’identificazione del popolo con la nazione mutarono radicalmente i modi e i contenuti della politica e conferirono alla
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Rappresentanza e consenso
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
Jacques Réattu, Il trionfo della libertà 1794 [Musée Réattu, Arles] Il mito della Rivoluzione francese, costruito e alimentato dagli stessi rivoluzionari, divenne un
potente fattore di aggregazione e mobilitazione politica per le generazioni seguenti. Con il suo dipinto, Jacques Réattu realizza un’efficace allegoria della nuova ideologia rivoluzionaria: la Libertà è portata in trionfo su uno scudo da uomini
con il berretto frigio, la precedono Marte ed Ercole che respingono i nemici. Alle spalle della Libertà svetta Minerva che con il braccio destro dissolve le spesse nubi e il cielo viene rischiarato dal Genio alato della Vittoria.
Rivoluzione francese il ruolo periodizzante di inizio dell’età contemporanea. Il modello politico contemporaneo, fondato sui partiti e sulla politicizzazione delle masse, nasce infatti negli anni della Rivoluzione. Ma il fascino esemplare della Rivoluzione francese, allora e in seguito, sta anche nel suo carattere di straordinaria fusione fra aspirazioni ideali e realizzazioni pratiche. Un mito, oltre che una realtà, costruito e alimentato dagli stessi rivoluzionari e divenuto potente fattore di aggregazione emotiva e di mobilitazione politica. Un mito che ha contribuito ad “assolvere” e a “giustificare” anche gli aspetti più violenti e sanguinari del Terrore. Su queste basi si costruì una tradizione con aspetti diversi e contrastanti, legati METODO DI STUDIO a princìpi come la libertà e l’eguaglianza, civile e sociale. Gli storici hanno a Spiega per iscritto perché la «Rivoluzione scorto in questa varietà l’intrecciarsi dei valori dell’Illuminismo con antichi francese fu un fenomeno eminentemente politico» elementi delle mentalità popolari. Per questo, da un unico ceppo nasceranno e in cosa consistettero i due «problemi di fondo» che incisero sullo sviluppo politico successivo. più tradizioni rivoluzionarie: liberale, democratica, socialista. b Sottolinea nel testo le risposte alle seguenti Più in generale va sottolineato come tutte le tendenze politiche dell’800 – domande: a. In cosa consiste il “mito” della Rivonon solo in Francia – si caratterizzeranno in base al rifiuto o all’adesione alla luzione? b. Il modello politico contemporaneo ha dentro di sé alcuni caratteri figli della Rivoluzione Rivoluzione francese o a suoi specifici momenti. E in particolare ogni movimenfrancese? c. A quale tipo di tradizione ha dato vita to rivoluzionario vorrà ritrovare nel rapporto privilegiato, immaginario o reale, la Rivoluzione e quali ne sono i princìpi ispiratori? con la Rivoluzione francese, accanto a una genesi ideale, la propria legittimazine storica [►FS, 78].
L’eredità della Rivoluzione
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ARTE E TERRITORIO SALON E MUSEI: LA RIVOLUZIONE IN MOSTRA
L
a Rivoluzione francese si ripercuote sulle arti in maniera molto profonda. In primo luogo chiama gli artisti a una esplicita presa di posizione: chi, soprattutto in Francia, decide di schierarsi a favore della Rivoluzione, deve assumere pienamente il proprio ruolo di “educatore del popolo”; al fine educativo, già proprio dell’arte illuministica, si aggiunge anche un uso politico e propagandistico dell’arte. Una nuova iconografia pervade queste espressioni artistiche: l’albero della Libertà, il berretto frigio simbolo della libertà, la Marianne (personificazione della Repubblica) e molti altri simboli diventano familiari a tutti; al contrario, i simboli della monarchia e del passato oscurantista vengono distrutti perché ne sia cancellato il ricordo dalle menti degli uomini. Il fine educativo attribuito dalla Rivoluzione francese all’arte è anche alla base della politica statale volta a sollecitare la partecipazione di artisti e pubblico alle varie manifestazioni artistiche. Ai Salon parigini – periodiche mostre d’arte in cui si espongono opere prevalentemente pittoriche
– il numero dei visitatori, delle opere esposte, degli artisti partecipanti conosce un decisivo aumento. I Salon parigini rappresentano l’avvenimento artistico più importante in Francia e in genere in Europa nel ’700‑800. Organizzati saltuariamente sin dal 1663, crescono gradualmente d’importanza fino a diventare annuali e a svolgersi sotto la supervisione della Scuola di Belle Arti, istituzione di grande prestigio, i cui professori formano la giuria delegata a decidere l’ammissione degli artisti. L’unione tra intenti propagandistici e finalità educative è efficacemente attuata con l’apertura dei musei. Il Louvre è aperto a tutti il 10 agosto 1793, anniversario della caduta della monarchia. Grazie ai criteri con cui fu allestito e all’attenzione che a esso fu in seguito dedicata da Napoleone Bonaparte, che ne fece un efficacissimo strumento di propaganda, esso diventò presto il più importante museo d’Europa. Le fortunate campagne militari di Napoleone e le spoliazioni che ne seguirono consentirono di riunire nel
Louvre grandi capolavori, e di rappresentare il ventaglio più ampio possibile di scuole artistiche e di secoli diversi. La spedizione d’Egitto (1798‑1801) costituisce un esempio emblematico della convergenza tra programma politico e progetto di propaganda culturale: al seguito di Napoleone partono infatti geografi, scienziati, artisti, archeologi per studiare l’Egitto e la sua antichissima civiltà. Essi riportano in patria grandissimi tesori dell’arte e della storia egiziana, inaugurando così sia lo studio scientifico dell’egittologia sia una pratica che diventerà la norma nel corso del XIX e XX secolo, quella che unisce strettamente la conquista militare o commerciale al prelevamento dei reperti archeologici: i reperti prelevati nei territori conquistati sono infatti sistematicamente trasportati nelle capitali europee e sistemati nei grandi complessi museali che proprio in quest’epoca si stanno definitivamente affermando. Tra gli esempi di reperti famosi trasportati in Europa possiamo ricordare: la stele di Rosetta, una lastra di basalto risalente al 196 a.C., recante un’iscrizione in tre diverse scritture (geroglifico, demotico, greco), rinvenuta nel 1799 dalle truppe napoleoniche (e divenuta poi di proprietà bri-
300
La festa del 14 luglio in Francia Il 14 luglio del 1789, giorno della presa della Bastiglia (la fortezza simbolo dell’antico regime), era considerato la data iniziale della Rivoluzione francese. Durante la Terza Repubblica, a partire dal 1880, il 14 luglio divenne festa nazionale e tale è rimasta fino a oggi. Il simbolo della repubblica fu rappresentato sempre più spesso nelle vesti di una donna che aveva anche un nome, Marianne, con il berretto frigio (simbolo della lotta di liberazione degli schiavi) e la picca dei sanculotti, i popolani rivoluzionari di Parigi. In questa immagine si può notare in alto a destra la raffigurazione della Bastiglia assediata: la fortezza fu poi distrutta e in suo luogo fu eretta una colonna celebrativa della libertà. Al centro dell’immagine (di fine ’800) le bandiere circondano il simbolo con le lettere RF, che possono essere lette sia come “repubblica francese” sia come “rivoluzione francese”. La riscoperta e la valorizzazione di questi simboli della rivoluzione consentiva ai governanti repubblicani di presentarsi come i continuatori di una storia della Francia cominciata cento anni prima.
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▲ Hubert
Robert, Progetto di allestimento della Grande Galerie del Louvre nel 1796 1796 [Musée du Louvre, Parigi] Subito aperto al pubblico di tutte le estrazioni sociali, il Louvre significò per l’arte la possibilità di svolgere quel compito che la Rivoluzione le aveva assegnato: «far avanzare il progresso dello spirito umano e trasmettere alla posterità gli impressionanti esempi degli sforzi di un grande popolo che, guidato dalla ragione e dalla filosofia, stava portando avanti sulla terra il regno della libertà, dell’uguaglianza e della legge» (Jacques-Louis David, 1791).
tannica) e interpretata nel 1822 dal grande studioso francese Jean‑François Champollion (1790‑1832); i frontoni del tempio di Egina, isola greca nell’Egeo, acquistati da Luigi I di Baviera; i marmi del Partenone di Atene, acquistati da Lord Thomas Bruce Elgin (1766‑1841) e poi venduti al British Museum; il tempio di Pergamo, città dell’Asia Minore, dal III secolo capitale di un regno ellenistico, prelevato pezzo per pezzo dai prussiani e ora esposto a Berlino all’interno dell’omonima struttura museale appositamente costruita per ospitarlo; la collezione del Museo Egizio di Torino che conserva, tra l’altro, gran parte delle opere scoperte dalla missione archeologica italiana guidata da Ernesto Schiaparelli (1856‑1928). È dunque sufficiente pensare ai grandi musei occidentali – il Louvre, il British museum, il Pergamon museum – per rendersi conto dell’ampiezza del patrimonio prelevato da paesi colonizzati o acquistato a poco prezzo da popolazioni povere e/o contraddistinte da un rapporto con la propria storia diverso da quello occidentale (non legato cioè ad una ricostruzione
scientifica basata sui documenti e i reperti del passato). Dopo la prima guerra mondiale iniziano a levarsi alcune voci critiche contro questa pratica, senza però che essa si interrompa: si pensi all’obelisco di Axum prelevato dall’Italia fascista in Etiopia dopo il 1936 per abbellire la Roma “imperiale”. Solo dopo la seconda guerra mondiale, parallelamente alla conquista dell’indipendenza dalle potenze occidentali da parte dei paesi extraeuropei, inizia a maturare in questi ultimi l’attenzione verso la conservazione del proprio patrimonio storico‑artistico, e la volontà di mantenerlo in loco. La fondazione dell’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, e di altri organismi internazionali, come il Consiglio internazionale dei musei e il Centro internazionale per la conservazione e il restauro dei beni culturali, favorisce tale evoluzione, contribuendo anche concretamente al finanziamento di costose operazioni di scavo e di restauro, altrimenti insostenibili per i singoli Stati.
▲▼ Stele di Rosetta 196 a.C. [British Museum, Londra] Nel 1799, durante i lavori di scavo a Forte Giuliano, vicino a Rosetta (un porto poco lontano da Alessandria), venne alla luce una lastra di basalto nero con delle iscrizioni. Il testo, copia di un decreto del faraone Tolomeo V Epifane datato 196 a.C., era composto in tre scritture: geroglifico, demotico, greco. La presenza di quest’ultima lingua, conosciuta, fu preziosissima per la traduzione del testo, e fornì la chiave di lettura dei geroglifici, finalmente decifrati nel 1822 dallo studioso francese Jean-François Champollion.
PISTE DI LAVORO
a Osserva attentamente l’immagine commemorativa della festa del 14 luglio raffigurata a p. 300: Quali elementi cromatici spiccano all’interno della rappresentazione? Quale valenza simbolica assume, secondo te, la nave che, avanzando sullo sfondo, sovrasta l’iscrizione «Retour des absents» (“ritorno degli assenti”)? b Visita il sito ufficiale del Museo del Louvre (http://www.louvre.fr/histoire-du-louvre) e redigi una scheda divulgativa sulla storia del museo e sulle collezioni custodite, destinate a una classe di liceali in procinto di partire per un viaggio d’istruzione a Parigi.
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C8 La Rivoluzione francese
SINTESI
8_1 LA CRISI FINANZIARIA E GLI STATI GENERALI La debolezza della monarchia francese si riassumeva nell’incapacità di risolvere la crisi finanziaria superando le resistenze della nobiltà e del clero, ostili all’abolizione dei propri privilegi fiscali. Luigi XVI si rassegnò allora alla convocazione degli Stati generali, che determinò la mobilitazione politica del Terzo stato. Il tema più controverso era quello del numero dei rappresentanti e del sistema di voto: il Terzo stato chiedeva di raddoppiare il numero dei propri deputati e di adottare il criterio di votazione per testa e non più per ordine. Un quadro delle aspettative del Terzo stato fu fornito inoltre dai cahiers de doléances (“quaderni di lagnanze”), redatti nel periodo che precedette la riunione degli Stati generali: oltre alla nascita di istituzioni rappresentative cui affidare le decisioni in materia fiscale, come per gli altri ordini, il Terzo stato sosteneva l’eguaglianza giuridica, l’abolizione dei privilegi e il criterio del merito come forma di promozione sociale.
si riunirono nella Sala della Pallacorda, a Versailles, e si autoproclamarono Assemblea nazionale. Iniziò così una rivoluzione istituzionale che il re fu costretto a riconoscere: la rappresentanza per ordini veniva meno, come richiesto dal Terzo stato, e nasceva la nuova Assemblea nazionale costituente col preciso intento di trasformare la monarchia assoluta francese in monarchia costituzionale. Il processo rivoluzionario subì un’accelerazione con l’assalto alla Bastiglia il 14 luglio – che segnò l’entrata in scena del popolo parigino –, la nascita di nuove municipalità e la sollevazione delle campagne: questi eventi spinsero l’Assemblea a decretare l’abolizione del regime feudale e l’approvazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. La requisizione dei beni ecclesiastici, infine, determinò la vendita di una consistente porzione del territorio nazionale, contribuendo a legare i nuovi proprietari alla Rivoluzione.
8_3 LE QUATTRO FASI DELLA RIVOLUZIONE
8_2 L’AVVIO DELLA RIVOLUZIONE E LA FINE DELL’ANCIEN RÉGIME
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All’inizio del 1789 si tennero le elezioni dei deputati agli Stati generali. Quando, avviati i lavori degli Stati generali, il dibattito si arenò sulla questione del voto, i rappresentanti del Terzo stato e alcuni deputati del clero e della nobiltà favorevoli a un cambiamento
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
Per essere meglio comprese, le vicende della Rivoluzione possono suddividersi in quattro fasi. La prima, la rivoluzione liberale, sancisce il rovesciamento dell’ancien régime e la nascita di un sistema costituzionale e rappresentativo. La seconda fase, la rivoluzione popolare e democratica, segna, con la caduta e la condanna a morte di Luigi XVI, il passaggio dalla monarchia costituzionale alla repubblica. La terza fase è quella della dittatura giacobina guidata da Robespierre, che
instaura il sistema del Terrore. La quarta fase, infine, è quella finalizzata alla stabilizzazione del paese, sia dai rischi della controrivoluzione sia dalla ripresa del radicalismo di sinistra.
8_4 LA RIVOLUZIONE LIBERALE A un anno dalla presa della Bastiglia l’ampiezza del consenso mascherava sensibili differenze politiche, rappresentate dai diversi club che animavano il dibattito culturale. Uno dei maggiori temi di scontro fu la questione del suffragio: prevalse infine la posizione moderata. La Costituzione del ’91 stabilì, infatti, il suffragio censitario, dividendo la popolazione in componente attiva e componente passiva (cioè priva dei diritti politici). Rimaneva forte l’ostilità del re, che progettava di ristabilire la monarchia assoluta con l’aiuto dell’Austria, come fu evidente con il suo fallito tentativo di fuga. Analogamente, la Costituzione civile del clero determinò la presa di distanza dalla Rivoluzione da parte del papa e di molti preti, che rifiutarono di giurare fedeltà al nuovo Stato (per questo detti “preti refrattari”). Alla fine del ’91, mentre entravano in vigore una serie di riforme sociali e istituzionali, come la suddivisione del territorio in 83 dipartimenti, il decentramento amministrativo e il libero mercato della manodopera, non esisteva di fatto una forza in grado di esercitare una vera egemonia: i club si contrapponevano tra loro, la corte e gli aristocratici emigrati all’estero organizzavano la controrivoluzione, mentre i ceti popolari si mobilitavano per il grave disagio sociale.
8_5 LA RIVOLUZIONE POPOLARE E DEMOCRATICA In questa situazione si vide nella guerra (dichiarata nell’aprile ’92) una via d’uscita, sia pure per motivi opposti: il re per sconfiggere la Rivoluzione, i girondini – il gruppo più attivo dell’Assemblea legislativa – per diffondere gli ideali rivoluzionari. Di fronte alle prime difficoltà militari, l’iniziativa fu ripresa dal popolo di Parigi, che ormai aveva perso ogni fiducia nei confronti della monarchia: la “giornata” del 10 agosto 1792 vide il successo degli insorti e determinò l’arresto e la sospensione del re. La vittoria di Valmy, intanto, oltre ad allontanare la minaccia esterna, sancì la nuova identificazione tra passione nazionale e ideali rivoluzionari (cui si legava una politica espansionistica). Il 21 settembre ’92 venne dichiarata la decadenza della monarchia dalla nuova assemblea eletta a suffragio universale, la Convenzione nazionale. Il processo e l’esecuzione del re accentuarono il carattere radicale della neonata Repubblica, guadagnandole l’ostilità delle altre potenze. In una situazione grave – e per le tensioni interne (rivolta contadina in Vandea e rivendicazioni del popolo parigino) e per il nemico alle frontiere – i montagnardi affermarono la loro egemonia sulla Convenzione, epurando il gruppo girondino.
8_6 LA DITTATURA GIACOBINA Sconfitti i girondini, dal giugno del ’93 prendeva corpo la dittatura dei giacobini (che
ormai si identificavano con i montagnardi), il cui principale esponente fu Robespierre. Proclamandosi unici interpreti del popolo, essi inaugurarono un modello di “democrazia totalitaria”. La nuova Costituzione repubblicana del ’93 non entrò mai in vigore: fu invece instaurata una dittatura attraverso l’eliminazione fisica degli avversari (il Terrore) e l’accentramento dell’esecutivo. Fu repressa l’insurrezione “federalista” e domata la rivolta filomonarchica in Vandea. Contemporaneamente l’imposizione della leva di massa e la riorganizzazione dell’esercito rivoluzionario portarono, alla fine dell’anno, a nuove vittorie; per andare incontro alle richieste dei sanculotti, inoltre, i giacobini introdussero il maximum di prezzi e salari. L’eliminazione di quanti ostacolavano l’egemonia robespierrista fece maturare una congiura: il 9 termidoro (luglio) ’94 Robespierre e i suoi vennero mandati a morte.
8_7 CONTINUITÀ E DIFESA DEI RISULTATI RIVOLUZIONARI La Convenzione termidoriana smantellò le strutture della dittatura giacobina: fu attenuato l’accentramento dell’esecutivo, vennero abolite le norme repressive su cui si era fondato il Terrore e fu abolito il maximum. La stabilizzazione interna fu consolidata dai successi militari e da alcuni trattati di pace. Una nuova Costituzione proclamò la difesa del diritto di proprietà e accentuò il carattere censitario del sistema elettorale: il potere esecutivo fu affidato a un Direttorio,
ma la debolezza del nuovo regime costrinse i cinque membri che lo componevano (capeggiati da Barras) a una politica di compromesso tra la destra filomonarchica e la sinistra giacobina – il cui gruppo più radicale, capeggiato da Babeuf, tentò nel ’96 un’insurrezione. Il rafforzarsi della destra monarchica spinse la maggioranza del Direttorio a un colpo di Stato (settembre ’97) realizzato con l’intervento dell’esercito.
8_8 NUOVA POLITICA E MENTALITÀ RIVOLUZIONARIA Nella fase più radicale della Rivoluzione nacque la convinzione di parlare “in nome del popolo” e, in molti leader politici fra i quali Robespierre, l’idea di essere gli unici interpreti della “volontà generale”. Fu promossa un’opera di scristianizzazione, che portò all’introduzione del calendario repubblicano, alla celebrazione di feste laiche e al culto deista della dea Ragione e dell’Essere supremo. Si attuò una larga attività di educazione collettiva, con le celebrazioni della Rivoluzione e dei suoi martiri.
8_9 L’ESPANSIONE RIVOLUZIONARIA La guerra, l’uccisione del re e il Terrore ridussero notevolmente, in Europa, il numero dei sostenitori della Rivoluzione. Questa da un lato spinse i governi europei
a reprimere il dissenso interno, dall’altro stimolò lo sviluppo dei nuclei di opposizione. L’influenza della Rivoluzione fu marcata in Belgio e Olanda, dove l’intervento francese portò nel primo caso all’annessione e nel secondo alla costituzione della Repubblica batava. In Italia si formarono vari club giacobini, duramente repressi dai governi.
8_10 LA CONQUISTA DELL’ITALIA E LE REPUBBLICHE GIACOBINE Nel 1796 Bonaparte ottenne il comando dell’armata d’Italia, nei cui territori il giovane generale doveva condurre un’azione diversiva per mettere in difficoltà l’esercito austriaco. I suoi straordinari e rapidi successi costrinsero l’Austria alla pace: con il trattato di Campoformio (1797) gli austriaci, in cambio di Venezia, riconoscevano alla Francia il controllo diretto di Lombardia, Emilia e Romagna. Sull’onda dell’entusiasmo rivoluzionario, che animò molti intellettuali italiani simpatizzanti col giacobinismo, tra il 1798 e il 1799 nacquero la Repubblica romana e la Repubblica partenopea. Queste repubbliche ebbero Costituzioni moderate e i loro organi legislativi e di governo furono soggetti al controllo francese. L’estraneità dei ceti popolari al dominio francese, tuttavia, determinò frequenti episodi di rivolta: la sollevazione dei contadini, guidata dal cardinale Ruffo alla testa dell’armata della Santa Fede, fu decisiva per la restaurazione borbonica nell’Italia meridionale.
8_11 IL COLPO DI STATO E LA SVOLTA AUTORITARIA DI BONAPARTE Mentre l’instabilità politica caratterizzava la situazione interna francese, Bonaparte organizzò una spedizione in Egitto (1798) per colpire da lì gli interessi commerciali inglesi. I suoi successi militari contro i Mamelucchi (battaglia delle Piramidi) furono annullati dalla distruzione della flotta francese operata dall’ammiraglio inglese Horatio Nelson ad Abukir, mentre austriaci e russi attaccarono Germania e Italia, annullando le precedenti conquiste francesi. La situazione di crisi politica si risolse con il colpo di Stato del 18 brumaio (9 novembre ’99), che poté realizzarsi solo grazie all’intervento militare di Bonaparte. Quest’ultimo e altri due membri del Direttorio divennero consoli con potere esecutivo.
8_12 IL MITO E L’EREDITÀ DELLA RIVOLUZIONE Questo colpo di Stato pose fine alla dinamica politica rivoluzionaria, anche se la stabilizzazione delle conquiste della Rivoluzione si realizzò soltanto negli anni del consolato di Napoleone. Con la Rivoluzione francese cambiarono radicalmente modi e contenuti della politica: in questo senso essa dà inizio alla storia contemporanea, divenendo il punto di riferimento obbligato di tutte le tendenze politiche dell’800.
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C8 La Rivoluzione francese
SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Indica sulla carta dell’Europa le aree e i toponimi elencati di seguito con riferimento agli anni 1797-99. Quindi scrivi
una breve didascalia descrittiva di circa 5 righe in cui spieghi il ruolo dei luoghi indicati nel contesto storico dell’epoca. Stati: Repubblica cisalpina, Repubblica partenopea, Repubblica batava, Francia, Prussia Città: Bordeaux, Campoformio, Valmy Aree: Vandea, territori europei controllati dalla Francia
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U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
2 Colloca sulla linea del tempo le date relative ai seguenti eventi che caratterizzarono i primi mesi della Rivoluzione.
a. ........................................ Viene abolito il regime feudale e soppressi i privilegi fiscali b. ........................................ Viene proclamata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino c. ........................................ Nasce l’Assemblea nazionale costituente d. ........................................ Presa della Bastiglia: il popolo si arma per liberare i detenuti politici 1789
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....................
....................
3 Seleziona la frase opportuna per completare correttamente le affermazioni di seguito.
1. Il Terzo stato... a. rappresentava circa l’1,5% della popolazione totale della Francia. b. si autoproclamò Assemblea nazionale con l’appoggio di alcuni membri del basso clero, il 17 giugno del 1789. c. confluì nel partito nazionale per sostenere il voto per ordine. 2. I cahiers de doléances furono... a. un tentativo del re di contenere i contropoteri e il malcontento interno allo Stato. b. la scintilla che permise ai tre Stati di allearsi per un obiettivo politico comune. c. redatti da funzionari del sovrano e ritraggono quindi una società ordinata. 3. La politica del Terrore promossa dal Comitato di salute pubblica, fra il 1793 e il 1794, ... a. fece tra le sue vittime i rivoluzionari Desmoulins, Danton, Robespierre e Saint-Just. b. causò la condanna a morte di circa 600 mila cittadini francesi dichiarati sospetti. c. fu lo strumento vincente utilizzato dai giacobini per reprimere il colpo di Stato del 27 luglio 1794. 4. Con il trattato di Campoformio del 1797... a. Napoleone Bonaparte si arrese agli austriaci, a cui dovette cedere il Veneto. b. l’Austria perse il controllo dei territori che costituirono la Repubblica cisalpina. c. tutta l’Italia era sotto l’influenza francese tranne il Regno di Napoli e il Veneto. 5. Nelle Repubbliche «giacobine» in Italia, le riforme... a. furono spesso annunciate, ma raramente misero in discussione la proprietà agraria. b. scardinarono l’assetto feudale, soprattutto quello legato alle proprietà ecclesiastiche. c. favorirono la partecipazione delle masse popolari alla vita politica ed economica degli Stati. 6. La Costituzione del 1791 era basata sull’equilibrio tra... a. potere esecutivo del re e potere legislativo dell’Assemblea. b. potere giudiziario del re e potere legislativo dei giudici. c. potere esecutivo dei nobili e potere legislativo del senato.
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C8 La Rivoluzione francese
4 Completa la seguente tabella relativa alle tre assemblee che operarono il cambiamento istituzionale in Francia
collocando le espressioni di seguito: 179 ● 1789 ● 1792 ● clero, nobili, Terzo stato ● Deputati moderati e costituzionali eletti a suffragio ristretto ● Deputati eletti a suffragio universale ● Abolizione della monarchia ● Costituzione democratica ● la proclamazione della Repubblica ● la Costituzione liberale e moderata ● la monarchia costituzionale ● il raddoppio dei membri del Terzo stato ● la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino Nasce nel...
È costituita da...
I successi e i traguardi raggiunti sono...
Assemblea nazionale costituente Assemblea legislativa Convenzione nazionale
5 Seleziona, fra quelle proposte di seguito, tutte le novità, relative ai simboli e ai provvedimenti sociali che furono
introdotte dalla Rivoluzione e motiva la tua scelta per iscritto.
a. Le scarpe con le zeppe b. La coccarda tricolore c. L’albero della vita d. Il berretto frigio degli schiavi liberati e. Il compasso e la squadra f. Il nuovo calendario ispirato ai cicli della natura g. La dea Ragione h. La dea Indifferenza i. Il maximum l. La leva di massa m. La festa nazionale della morte di Luigi XVI
COMPETENZE IN AZIONE 6 Scrivi sul quaderno un testo di massimo 20 righe in cui spiegherai le idee e gli eventi che caratterizzarono la dittatura
giacobina degli anni 1793-94. Puoi utilizzare la seguente scaletta:
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● ● ● ● ● ●
l’ideologia dei giacobini le idee economiche dei sanculotti e dei giacobini il significato della “democrazia totalitaria” da loro utilizzata il Tribunale rivoluzionario ed il Terrore i nuovi simboli della Rivoluzione la congiura del 9 termidoro
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
7 Completa la linea del tempo relativa agli eventi salienti della Rivoluzione francese, quindi seleziona i sei momenti per
te più significativi e utilizzali come scaletta per realizzare un testo descrittivo. 9 luglio 1789: nasce l’Assemblea nazionale costituente ..........................................: presa della Bastiglia 3 settembre 1791: il re firma la Costituzione liberale Aprile 1792: scoppia la guerra tra Francia e Austria ..........................................: viene eletta la Convenzione nazionale a suffragio universale ..........................................: Luigi XVI viene ghigliottinato Aprile 1793: Comitato di salute pubblica 1793: viene varata la Costituzione democratica 1793-94: la dittatura giacobina ..........................................: viene ucciso Robespierre 1796: congiura degli Eguali
1789
....................
1796
....................
....................
....................
8 Scrivi un testo di circa 25 righe che riassuma le fasi principali della Rivoluzione francese e, per ciascuna fase, scrivi
uno o più periodi che contengano le seguenti parole ed espressioni:
a. Stati generali; Assemblea nazionale; Pallacorda. b. Bastiglia; popolo; “grande paura”. c. riforme; beni della Chiesa; dipartimenti. d. nemici; re; Prussia; guerra. e. Repubblica; morte del re; Valmy. f. Vandea; Comitato di salute pubblica; Terrore. g. Terrore bianco; Direttorio; congiura. h. Bonaparte; “repubbliche sorelle”; colpo di Stato. 9 Scrivi un breve testo descrittivo sull’esperienza storica delle Repubbliche “giacobine” in Italia utilizzando la seguente
scaletta.
a. Gli obiettivi francesi nella campagna d’Italia di Napoleone. b. Gli interlocutori politico-militari dei francesi per la stipulazione del trattato di Campoformio. c. L’assetto costituzionale introdotto nelle Repubbliche e i cambiamenti nella distribuzione del potere e della ricchezza. ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... .......................................................................................................................................................................................................
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CAP9 NAPOLEONE
9_1 IL CONSOLATO E LA COSTRUZIONE DELLO STATO NAPOLEONICO
Il successo di Napoleone Bonaparte nella conquista del potere poggiava su un elemento di fondo: il ruolo dell’esercito nella vicenda rivoluzionaria. Dei dieci anni fra l’89 e il ’99, sette erano stati anni di guerra. Dal momento in cui il popolo francese si era identificato con la nazione in armi – nel 1792, con l’inizio della guerra contro l’Austria – e questa identificazione era divenuta uno degli elementi portanti della mobilitazione politica, il controllo dell’esercito divenne la fonte principale del potere e la garanzia di una stabilizzazione delle conquiste rivoluzionarie. Napoleone rimarrà indissolubilmente legato ai successi militari e alla necessità di rinnovarli. Ma proprio il dominio francese sull’Europa susciterà per contrasto l’emergere di forze nazionali che determineranno il crollo dell’Impero napoleonico.
Il ruolo dell’esercito
L’ascesa al potere di Bonaparte venne sancita dalla nuova Costituzione dell’anno VIII che, sottoposta a plebiscito, entrò in vigore alla fine del 1799. Nella redazione prevalsero le direttive e la volontà di Bonaparte. Il potere esecutivo fu interamente attribuito al Primo console, ovvero allo stesso Bonaparte. Gli altri due membri del consolato ebbero solo un ruolo consultivo. Il Primo console deteneva anche l’iniziativa legislativa (ossia il diritto di proporre leggi), unitamente a un organismo tecnico di sua nomina, il Consiglio di Stato. I residui poteri legislativi erano affidati a tre assemblee: il Tribunato (100 membri), che discuteva le leggi senza poterle votare, il Corpo legislativo (300 membri), che le votava senza poterle discutere e il Senato (60 membri nominati a vita), che ne controllava, prima della promulgazione, la costituzionalità. Si venne di fatto instaurando un governo dittatoriale che ruotava intorno alla figura di Bonaparte, propostosi come nuovo despota illuminato, restauratore dell’ordine e delle libertà, l’unico in grado di concludere la Rivoluzione. Ma
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Un governo dittatoriale
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
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N LI N
Storia e Letteratura Guerra e pace di Tolstoj Focus L’École Polytechnique Atlante L’Europa sotto la dominazione francese Audiosintesi
▲ Alexis
Chataignier, Sottoprefetto francese in uniforme 1800 [Bibliothèque Nationale, Parigi] I prefetti e i sottoprefetti, figure istituite da Napoleone il 17 febbraio del 1800, hanno il compito di controllare i dipartimenti e l’ordine pubblico. Sono lo strumento cardine su cui si fonda l’accentramento politico e burocratico di tutto l’apparato statale e, nel complesso, del regime napoleonico.
► Leggi anche: ► Focus L’École Polytechnique ► Personaggi Napoleone, l’uomo del secolo, p. 310 ► Parole della storia Codice, p. 312
▼ Prefetto
francese in uniforme 1800 [Musée des Arts décoratifs, Parigi]
LO STATO NAPOLEONICO
Rafforzamento dell’esecutivo Costituzione dell’anno VIII
Riforma amministrativa
LE RIFORME DI NAPOLEONE
Istruzione pubblica
Concordato con la Chiesa
Potere legislativo al Primo console e al Consiglio di Stato di sua nomina Centralizzazione burocratica Prefetti
Licei École Polytechnique Riconoscimento da parte di Pio VII della Repubblica e dei beni nazionali venduti Lo Stato si assume l’onere della retribuzione del clero Abolizione feudalità
Codice civile
Libertà civili Difesa della proprietà
Divorzio
Diritto di famiglia Abolizione diritto di primogenitura
Napoleone mirò soprattutto a garantirsi un ampio consenso di base nel paese, al di là dell’esercito. Con questo obiettivo, il ricorso al plebiscito fu uno dei fattori costitutivi del regime napoleonico. Il plebiscito era inteso infatti come ricerca di una delega diretta da parte del popolo. Nella prima di queste consultazioni popolari, la Costituzione dell’anno VIII ricevette 3 milioni di “sì” e poco più di 1500 “no”. Ma al voto (che era palese) non parteciparono, nonostante le pressioni della polizia, oltre 4 milioni di cittadini. La struttura istituzionale della nuova Costituzione favorì il coinvolgimento del personale politico rivoluzionario e il recupero, all’interno del sistema, di molte figure appartenenti all’antico regime. Questo processo di integrazione si attuò soprattutto grazie alla riforma amministrativa, la più duratura delle realizzazioni napoleoniche, rimasta sostanzialmente in vigore per oltre 150 anni. I prefetti, rappresentanti del governo in ogni dipartimento – e in questo eredi degli intendenti dell’ancien régime [►3_1] –, furono il principale strumento della centralizzazione burocratica e amministrativa. L’accentramento, avviato già nel ’93-94 in periodo giacobino, trovò
La riforma amministrativa
plebiscito Il termine deriva dal latino plebiscitum (“deliberazione della plebe”) e indica, fin dall’800, una votazione in cui il popolo è chiamato ad approvare o disapprovare un provvedimento che riguarda la struttura dello Stato o del governo. Pur espressione di democrazia diretta, il plebiscito è stato strumentalizzato da parte dei regimi autoritari. Durante il regime napoleonico esso si svolgeva a suffragio universale maschile e con voto palese; si trattò essenzialmente di un espediente per ottenere la legittimazione diretta del popolo e ratificare decisioni di fatto già prese.
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C9 Napoleone
Napoleone nella battaglia di Marengo 1811 ca. [circolo di Jean-Simon Berthélemy; Collezione privata]
PERSONAGGI
Napoleone, l’uomo del secolo
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apoleone Bonaparte nasce il 15 agosto 1769, ad Ajaccio, in Corsica. Quarto di dodici fratelli, la sua è una famiglia di notabili di provincia piuttosto benestante. Nel 1778 si trasferisce in Francia per imparare il francese e intraprendere studi militari, prima ad Autun e a Brienne, poi a Parigi nel 1784. Sono anni difficili per lui, vissuti per lo più in contrasto coi compagni di studi, a quanto pare non troppo benevoli per via del suo accento straniero, della sua carnagione olivastra e della sua bassa statura. È in questi anni che si plasma il suo carattere ombroso: facile alla malinconia improvvisa così come all’ira. Si appassiona alla lettura e per molti anni sogna la fama dell’uomo di lettere. Se si interessa di politica, è soprattutto per rivendicare il diritto all’indipendenza della sua isola natale, la Corsica. Per lui la famiglia rimarrà sempre il legame più sicuro e saldo, molto più forte della militanza politica. E negli anni del suo impero, nonostante decida di affidare ai suoi parenti parte degli Stati conquistati, la famiglia
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
rimarrà sempre una preoccupazione per Napoleone, pressato da continue richieste e dalla difficoltà di gestire le gelosie tra fratelli e sorelle, e la madre. Negli anni della Rivoluzione, dopo essersi fatto notare dal fratello di Robespierre, Augustin, durante l’assedio di Tolone (1793), viene nominato generale di brigata. Dopo la fine del Terrore, questa protezione gli costa un periodo in carcere. Nel 1795 contribuisce a soffocare un’insurrezione realista, mentre inizia a tessere abilmente relazioni pubbliche e a gestire la sua collocazione politica con disinvoltura e cinismo. Si ritrova così nel 1796, a 26 anni, generale al comando dell’armata d’Italia. Qualche giorno prima della nomina aveva sposato Giuseppina di Beauharnais, probabilmente l’unica donna di cui sia stato veramente innamorato. Questa vedova creola, di sei anni più grande di lui, inizia il giovane Napoleone alla vita frenetica di Parigi. Lui ne è davvero innamorato, a giudicare almeno dalle sue lettere dall’Italia: «Da quando ti ho lasciato sono sempre stato triste. La mia felicità è
di essere accanto a te. Senza posa ripercorro nella memoria i tuoi baci, le tue lacrime, la tua amabile gelosia; e senza posa l’incanto dell’incomparabile Joséphine accende una fiamma viva e ardente nel mio cuore e nei miei sensi» (17 luglio 1796). Per il resto non si può dire che Napoleone abbia grande considerazione delle donne. Ha fama di misogino, e non sono rare le sue bordate contro personalità femminili troppo coinvolte nella vita pubblica, come Madame de Staël, per cui prova un’avversione non soltanto politica. Con la campagna d’Italia Napoleone si impone definitivamente come protagonista della vita pubblica francese. Oltre alle sue capacità strategico-militari, il generale rivela abilità politica, dando impulso alle nuove amministrazioni, gestendo i diversi partiti in cui sono divisi i patrioti italiani, talvolta con spregiudicatezza, trattando in prima persona con i governi di tutta Europa. Quando Napoleone torna a Parigi il 16 ottobre 1799 è la personalità più adatta a garantire il successo del piano di Sieyès, che viene presto messo in ombra. Riuscito quasi casualmente e mal preparato, il colpo di Stato del 18 brumaio non viene presen-
con Napoleone la sua definitiva messa a punto. Il prefetto, che dipendeva direttamente dal Primo console, aveva compiti politici oltre che amministrativi: applicava le direttive del governo ed esercitava il controllo sullo “spirito pubblico” e, quindi, soprattutto sulle opposizioni. I prefetti furono le «masse di granito» (l’immagine è dello stesso Napoleone) su cui si edificò il regime napoleonico. Collegata all’esigenza di formare un capace ceto di amministratori e di tecnici fu l’attenzione prestata all’istruzione pubblica, media e universitaria. Venne potenziata l’École Polytechnique, scuola superiore per la formazione e specializzazione tecnica nei settori minerario, dell’artiglieria e delle costruzioni. Ma la struttura fondamentale dell’insegnamento pubblico furono i licei, che avevano il compito di fornire una cultura generale, soprattutto classica e letteraria, al nuovo ceto dirigente. Questo intervento nel campo scolastico non fu che uno degli aspetti dell’enorme dilatazione delle competenze e attribuzioni dello Stato realizzata in questo periodo. Lo Stato fu investito anche dei compiti di assistenza sociale e sanitaria nonché del controllo dei mendicanti. La burocrazia si dedicò con apposite inchieste a una rilevante raccolta di dati statistici, economici e sociali, che dovevano servire di base all’intervento pubblico. Lo Stato, come lo conosciamo oggi, si formò in epoca napoleonica.
Istruzione e politica assistenziale
La riorganizzazione politica e amministrativa poté procedere senza ostacoli perché furono sistematicamente combattute le opposizioni più radicali, di destra e di sinistra. La guerriglia vandeana fu progressivamente sconfitta. I giacobini più accesi vennero deportati alle Seychelles. Il consolidamento del potere napoleonico, tuttavia, era legato al raggiungimento della pace. E la pace passava inevitabilmente per una ripresa della guerra. Nella primavera del 1800, mentre le truppe del generale Moreau attaccavano in Germania, Napoleone varcava le Alpi, riuscendo a prevalere sugli austriaci a Marengo (giugno 1800). L’Austria, dopo ulteriori
La ripresa della guerra e la tregua con la Gran Bretagna
tato né come una giornata rivoluzionaria né come una reazione antigiacobina. Napoleone si presenta invece come un uomo che non appartiene a nessun partito, colui che agisce in nome della riconciliazione nazionale. La nomina a “imperatore dei francesi” del 1804 è il punto di arrivo di un lungo percorso di progressivo accentramento di poteri e di rafforzamento del potere esecutivo, ma anche la consacrazione delle ambizioni illimitate di Bonaparte. Dominerà la scena europea per quindici anni e più, tanto da diventare «l’uomo del secolo» secondo il grande storico Georges Lefebvre (1874‑1959). Ma resterà comunque il soldato della Rivoluzione perché è alla Rivoluzione che deve il suo prodigioso destino. Per di più, tra i suoi metodi di governo e quelli del Comi-
Jacques-Louis David, Napoleone nel suo studio 1812 [National Gallery of Art, Washington]
tato di salute pubblica del Terrore ci sono molti tratti in comune, il suo consenso è dovuto anche al rispetto dell’opera sociale della Rivoluzione, e le sue vittorie militari e diplomatiche hanno diffuso le conquiste e il linguaggio della Rivoluzione per tutta l’Europa. Quando, nel 1815, Napoleone si ritrova a Sant’Elena, sconfitto e umiliato dal fallimento dell’ultima grande avventura, i Cento giorni, consegna la sua storia alla leggenda. L’antico signore dei destini di Francia e d’Europa trascorrerà nella noia le sue ultime giornate: qualche passeggiata, delle letture, la dettatura delle sue memorie, il clima umido e piovoso. Morirà il 5 maggio 1821, probabilmente per un cancro allo stomaco. La notizia della sua morte riempì pagine di carta in tutto il mondo. La trascrizione delle sue confidenze durante l’esilio, il Memoriale di Sant’Elena (1823), è forse il più grande successo editoriale del XIX secolo. La sua leggenda rimane legata alla storia turbolenta della Francia e dell’Europa contemporanea. Bersaglio polemico o punto di riferimento ideale, la via di Napoleone, dittatoriale e insieme modernizzatrice, sarà una tentazione per tutti i governi a venire.
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sconfitte, si adattò a firmare la pace di Lunéville (febbraio 1801), che riconosceva la ricostituzione della Repubblica cisalpina [►8_10] e la cessione definitiva alla Francia della riva sinistra del Reno. Dopo il ritiro della Russia dalla coalizione antifrancese, a causa di contrasti commerciali con i britannici, il conflitto rimaneva ancora aperto con la sola Gran Bretagna: nel marzo 1802, con la pace di Amiens, la Francia restituiva l’Egitto all’Impero ottomano, mentre la Gran Bretagna riconosceva le conquiste francesi in Europa. Con Amiens ebbe inizio l’unico, e del resto brevissimo, periodo di pace tra Francia e Gran Bretagna. Napoleone riteneva però che l’equilibrio del potere potesse essere assicurato solo dalla ricomposizione della frattura con la Chiesa di Roma. Questo obiettivo fu raggiunto con il Concordato del luglio 1801, con il quale il nuovo pontefice Pio VII riconosceva la Repubblica francese e la vendita dei beni nazionali. Tutti i vescovi, sia costituzionali sia refrattari, furono sostituiti da altri nominati dal Primo console e insediati dal papa. I vescovi dovevano giurare fedeltà alla Repubblica, ma era loro concesso nominare direttamente i parroci (che quindi cessavano di essere elettivi). Da parte sua lo Stato si assumeva l’onere della retribuzione del clero.
Il Concordato con la Chiesa cattolica
L’atmosfera politica favorevole seguita al Concordato consentì a Bonaparte di proporre un plebiscito sulla trasformazione della sua carica in consolato a vita. La consultazione popolare (agosto 1802) registrò un numero di consensi (3.500.000 circa) maggiore di quelli espressi nel 1800, ma anche i dissensi aumentarono (8300 circa), rimanendo tuttavia una percentuale modestissima del totale. Contemporaneamente al plebiscito fu modificata la Costituzione (Costituzione dell’anno X) ed estesi i poteri del Primo console, al quale era attribuita anche la facoltà di designare il proprio successore.
Napoleone console a vita
Nel marzo 1804 la promulgazione del Codice civile completò l’opera riformatrice di Napoleone. Il Codice salvaguardava e dava certezza giuridica alle più importanti conquiste dell’89, quelle relative all’abolizione dei diritti feudali, alle libertà civili, alla difesa della proprietà. Nel diritto di famiglia venne mantenuto il divorzio [►FS, 84d] (legalizzato in Francia in piena Rivoluzione, nel 1792), mentre in campo successorio l’accesso di tutti i figli all’eredità aboliva definitivamente i privilegi di primogenitura, che la consuetudine riconosceva non solo alle famiglie
Il Codice civile
Parole della storia
Codice
N
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ella storia del diritto con il termine “codice” si intende la raccolta di tutti i testi delle leggi e delle disposizioni giuridiche riguardanti una determinata materia. I periodi storici in cui vennero elaborati o rielaborati i codici coincidono strettamente con fasi di profonde trasformazioni politiche, sociali, economiche e culturali. A distanza di secoli dai codici promossi dagli imperatori romani Teodosio (438) e Giustiniano (534), il 3 marzo 1804 Napoleone promulgò il Codice civile. Dopo secoli dominati dall’incertezza e dal disordine dei privilegi feudali, un testo che raccoglieva leggi scritte, stabili e uguali per tutti, rappresentò una vera e propria conquista, oltre che una rivoluzione nella storia del diritto. Il Codice napoleonico costituì allo
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stesso tempo un monumento ai valori della Rivoluzione francese, poiché riprendeva le norme emanate durante gli anni della Rivoluzione, e un compromesso tra i nuovi valori e le antiche consuetudini. Il Codice inoltre passò alla storia per l’estrema chiarezza e l’organicità dell’esposizione. In esso trovarono spazio tutte le novità rivoluzionarie in termini di proprietà privata, laicità dello Stato, certezza del diritto, libertà di coscienza, abolizione del feudalesimo, libertà del lavoro, uguaglianza di fronte alla legge. L’insieme di queste norme determinò, sul piano giuridico, il passaggio dall’assolutismo allo Stato borghese. Molto importanti furono le norme legate alla famiglia, alla scuola e alla successione, con il passaggio dal diritto di primogenitura alla divisione in parti uguali tra i figli del patrimonio paterno. Il Codice riordinò anche il sistema di tassazione dello
Stato, con l’introduzione di un rapporto molto più stretto tra il governo centrale e la periferia, ossia le unità amministrative in cui era diviso il territorio nazionale. Il nuovo ordinamento giuridico napoleonico introdusse poi alcuni provvedimenti a favore delle donne, come ad esempio il diritto al divorzio, anche se nel complesso le escludeva dalla cittadinanza politica, riaffermando la loro inferiorità sul piano giuridico. Il Codice venne applicato in tutti i paesi europei controllati da Napoleone e anche fuori dall’Europa, come in Canada. La sua influenza andò ben oltre i confini dell’Impero, divenendo un modello di riferimento per la modernizzazione dello Stato. Ancora oggi, infatti, il Codice napoleonico è alla base della legislazione vigente in gran parte d’Europa.
Jean-Baptiste Mallet, Il divorzio nella Francia rivoluzionaria XVIII sec. [Musée Carnavalet, Parigi] Il divorzio, legalizzato nel1792 in Francia durante il periodo rivoluzionario, viene mantenuto nel Codice napoleonico del 1804 che, stampato in migliaia di copie, fu distribuito a tutti i funzionari della pubblica amministrazione dell’Impero. L’incisione presenta una coppia davanti al rappresentante dello Stato francese per registrare il proprio divorzio: la donna si allontana sancendo così la separazione, mentre una statua di Imeneo, il dio che per gli antichi Greci e Romani guida il corteo nuziale, ha un aspetto afflitto e fra le mani, invece che una corona di alloro a sancire l’unione, tiene solo un nastro rotto e la fiaccola spenta.
nobili ma, in molte regioni, anche a quelle di altri ceti sociali. Veniva così garantita la più ampia circolazione delle proprietà, uno dei capisaldi del liberismo economico e del pensiero riformatore settecentesco [►4_3]. Le strutture politiche e amministrative e la riforma giuridica contribuivano a definire un ceto dirigente composto da notabili e proprietari terrieri – i soli a cui era riservato di fatto l’accesso alle cariche pubbliche –, strettamente legati a un regime che impersonava la loro ascesa recente e la riconciliazione con il passato. In questo senso, le riforme degli anni del consolato rappresentarono il risultato più duraturo della politica di Bonaparte.
METODO DI STUDIO
a Trascrivi sul quaderno i titoli dei sottoparagrafi e le relative parole evidenziate in grassetto. Quindi, spiega per iscritto il loro significato nel contesto descritto nel sottoparagrafo. b Individua e numera le tappe che consentirono a Napoleone di ottenere il consolato a vita. c Argomenta per iscritto la frase «Lo Stato, come lo conosciamo oggi, si formò in epoca napoleonica».
9_2 NAPOLEONE IMPERATORE DEI FRANCESI
Il rafforzamento dei poteri del Primo console era stato accompagnato da un’acControllo centuazione dei controlli sulla stampa e su tutti gli aspetti della vita culturale. e repressione Bonaparte aveva epurato il Tribunato di molti intellettuali (tra cui lo scrittore del dissenso Benjamin Constant) e più tardi aveva allontanato da Parigi la scrittrice Madame de Staël, brillante figlia del banchiere ginevrino Necker, che riuniva nel suo salotto molte voci dissenzienti. In realtà, la minaccia più consistente al governo napoleonico veniva dai sostenitori della monarchia appoggiati dalla Gran Bretagna. Nel marzo 1804 fu sventata una pericolosa congiura realista. Bonaparte non si accontentò dell’arresto dei responsabili, ma volle dare un durissimo esempio al partito monarchico. Un giovane nobile, emigrato e residente nel Baden (in territorio neutrale), il
► Leggi anche: ► Storia e Letteratura Guerra e pace di Tolstoj ► Atlante L’Europa sotto la dominazione francese ► Personaggi Napoleone, l’uomo del secolo, p. 310 ► Eventi Austerlitz: la battaglia dei tre imperatori, p. 316
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duca di Enghien – dei Borbone-Condé, estraneo alla congiura – fu rapito, condotto a Parigi, processato illegalmente e fucilato. Due mesi dopo Bonaparte volle cancellare ogni ipotesi di restaurazione borbonica facendosi nominare imperatore dei francesi, dando così inizio a una nuova dinastia. La Costituzione dell’anno XII, che istituiva la dignità imperiale ereditaria, fu sottoposta a plebiscito e approvata con oltre 3.500.000 “sì” e circa 2500 “no”. Papa Pio VII fu obbligato a partecipare alla cerimonia dell’incoronazione, il 2 dicembre 1804, nella Cattedrale di Notre-Dame. Con gesto esplicito e accuratamente preparato Napoleone prese la corona dalle mani del papa e se la pose sul capo, quindi incoronò la moglie Giuseppina. Occorreranno cinque anni per fare accettare a tutta l’Europa (ma non alla Gran Bretagna) il nuovo Impero. Cinque anni di guerre, di annessioni, di formazione di nuovi regni.
Il nuovo Impero
La geografia politica del continente ne risultò profondamente sconvolta. Nell’Europa centrale e orientale un’inarrestabile progressione di grandi vittorie militari – la più spettacolare è quella di Austerlitz sugli austro-russi il 2 dicembre 1805 – costrinse alla pace Austria, Prussia e Russia. All’Austria umiliata Napoleone impose la soppressione del Sacro romano impero (1806), mentre in Olanda, in Germania e in Polonia istituì una serie di Stati satelliti (talora affidati, col titolo di re, a propri fratelli). Anche in Spagna, nonostante una durissima guerriglia popolare che inflisse le prime sconfitte agli eserciti napoleonici, fu instaurato un dominio francese: il trono spagnolo venne affidato al fratello di Napoleone, Giuseppe. Con il giovane zar Alessandro I, invece, fu stabilita (nel 1807) una pace che prevedeva il guerriglia riconoscimento degli interessi espansionistici della Russia.
L’Europa napoleonica
In Italia la Repubblica italiana fu trasformata in Regno d’Italia I regni napoleonici (1805): Bonaparte ne assunse la Corona e nominò viceré Eugenio Beauharnais, figlio di primo letto della moglie Giuseppina. La Toscana e una parte dello Stato pontificio con Roma, il Lazio e l’Umbria furono annessi alla Francia, mentre papa Pio VII che aveva scomunicato Napoleone fu arrestato. Il Regno di Napoli, deposti i Borbone, fu concesso prima al fratello di Napoleone, Giuseppe, poi al cognato Gioacchino Murat. Sotto il controllo borbonico restava la Sicilia e sotto quello dei Savoia la Sardegna.
Il termine deriva dallo spagnolo guerrilla, diminutivo di guerra (“guerra”). Coniato in Spagna durante la resistenza antinapoleonica, indicava le truppe leggere o le bande di irregolari incaricate di spiare i movimenti del nemico o di attaccarlo con azioni a sorpresa. Successivamente il termine è entrato nell’uso indicando una particolare tattica di guerra condotta da formazioni di piccola entità contro le truppe regolari.
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Charles Ansell, L’uccisione a sangue freddo o L’assassinio del Duca d’Enghien 1804 [Bibliothèque Nationale, Parigi] Questa vignetta satirica inglese si scaglia contro Napoleone per l’impietosa uccisione del duca d’Enghien. La scena è di fantasia e ritrae, durante la notte e in mezzo a un bosco, due soldati francesi mascherati che reggono le torce vicino alla vittima, legata mani e piedi a un albero. Al centro Napoleone, in una posa teatrale, affonda la lama della sua sciabola nel cuore del duca che lo guarda senza timore. Cinque demoni con i cappelli rossi rivoluzionari aleggiano sulla testa del primo console e lo incoronano. A destra, sotto la Luna, arrivano quattro personaggi armati e con scudo tra cui l’imperatore Francesco II d’Asburgo e Alessandro I zar di Russia, che invocano l’alleanza con la Gran Bretagna «per fermare l’avanzata di quest’uomo infernale».
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Jacques-Louis David, L’incoronazione dell’Imperatore e dell’Imperatrice 1808 [Musée du Louvre, Parigi] Il famoso dipinto di David ricorda l’incoronazione di Napoleone a “imperatore
dei francesi” il 2 dicembre del 1804, avvenuta nella Cattedrale di Notre-Dame alla presenza di papa Pio VII (seduto alla destra di Napoleone). Durante la fastosa cerimonia, Bonaparte, per legittimare il potere imperiale, volle recuperare il rito medievale dell’incoronazione cingendo
la corona con le proprie mani e incoronando la nuova imperatrice, sua moglie Giuseppina. Napoleone indossò la porpora imperiale, la tunica bianca e la corona d’alloro: i simboli che richiamavano l’Impero romano e il passato carolingio della Francia.
In tutti i paesi del continente sottomessi, alleati o controllati, Napoleone aveva imposto (1806) il divieto di mantenere relazioni commerciali con la Gran Bretagna. Il cosiddetto blocco continentale mirava a ottenere – attraverso una crisi economica determinata dall’assenza di sbocchi commerciali – la distruzione della potenza britannica, dato che sembrava impossibile ridurne quella navale, soMETODO DI STUDIO prattutto dopo la battaglia di Trafalgar (21 ottobre 1805), quando la flotta a Sottolinea nel testo del paragrafo la risposta francese era stata sbaragliata dai britannici comandati da Nelson, morto in alla seguente domanda: In che modo Napoleone volle cancellare le possibilità di restaurazione borcombattimento.
Il blocco continentale
Fra il 1810 e il 1812 il Grande Impero – Francia e Stati vassalIl matrimonio li – raggiunse la sua massima estensione. Un dominio che con Maria Luisa Napoleone volle consolidare sposando la figlia dell’imperad’Austria tore d’Austria, la granduchessa Maria Luisa. Annullato il legame con Giuseppina, dal quale non erano nati figli, il nuovo matrimonio fu celebrato a Parigi nel 1810. Il “figlio” della Rivoluzione francese sposava una nipote di Maria Antonietta, la regina ghigliottinata nella capitale 17 anni prima. Tutto questo sarebbe bastato per legittimare il nuovo impero?
bonica? b Realizza sul quaderno una tabella i cui indicatori siano: a. L’Europa napoleonica; b. i regni napoleonici; c. i rapporti con la Gran Bretagna; quindi compilala inserendo le informazioni che puoi reperire nel paragrafo. c Trascrivi sul quaderno i nomi delle battaglie citate e indica per ognuna di esse le date, gli Stati coinvolti, gli esiti e le conseguenze (se presenti). Avrai in questo modo una rubrica delle battaglie che continuerai anche per i paragrafi successivi.
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EVENTI
Austerlitz: la battaglia dei tre imperatori
«Q
una volta il suo genio militare. Conoscendo le caratteristiche del terreno decise che il grosso dell’esercito sarebbe rimasto unito in una posizione centrale, mentre l’armata austro-russa si divise in tre ali, due delle quali non abbastanza forti per sostenere un attacco pesante, mentre la terza fin troppo numerosa, tanto che gli uomini finirono per intralciarsi reciprocamente, complice la nebbia. Come aveva previsto Napoleone, l’attacco principale privò l’esercito austro-russo di una formazione di riserva e assorbì la maggior parte dei soldati, che lasciarono sguarnito il centro dello schieramento [► _21]. Contro di esso marciarono i francesi, che poco dopo le otto e mezza del mattino iniziarono a risalire il pendio che conduceva all’altipiano di Pratzen. La leggenda vuole che,
21_LA BATTAGLIA DI AUSTERLITZ (2 DICEMBRE 1805)
Austerlitz
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Pra tze n
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uando il sole fu completamente uscito dalla nebbia, e con accecante splendore sprizzò fra campi e nebbia (come se questo, e non altro, fosse stato aspettato da lui per dar inizio alla battaglia), si sfilò il guanto dalla bella mano bianca, con esso fece segno ai marescialli, e diede ordine di iniziar la battaglia.» Così, in Guerra e pace, il romanziere russo Tolstoj descrive Napoleone dare il segnale d’inizio della battaglia di Austerlitz. Era il 2 dicembre 1805, e ricorreva il primo anniversario della sua incoronazione a imperatore dei francesi. Nei pressi di Austerlitz, cittadina morava, all’epoca appartenente all’Impero austriaco e oggi alla Repubblica ceca, si consumò l’ultimo scontro della guerra fra l’esercito francese e quello della Terza coalizione antifrancese (Gran Bretagna, Austria, Russia, Svezia). La Grande Armée, comandata da Napoleone e composta da circa 73 mila uomini, sbaragliò l’armata congiunta di austriaci e russi, formata da circa 85 mila soldati guidati dal generale russo Michail Kutuzov. Sul campo, oltre a Napoleone, erano presenti lo zar Alessandro I di Russia e Francesco II, imperatore del Sacro romano impero: la battaglia è passata alla storia come la “battaglia dei tre imperatori”. Napoleone, abituato a prevedere e analizzare ogni problema tattico, nei giorni che precedettero la battaglia, si adoperò per confondere gli avversari, facendo credere loro di essere in una situazione di debolezza. Sia Alessandro I, con i suoi giovani e ambiziosi ufficiali, sia lo stato maggiore austriaco caddero nella trappola e si convinsero che l’esercito francese si trovasse in difficoltà e cercasse di evitare lo scontro. Lo stato maggiore austro-russo predispose una strategia offensiva, esattamente come sperava Napoleone. L’esercito francese, infatti, in inferiorità numerica, non era in grado di accerchiare l’esercito delSTAGNO la TerzaGHIACCIATO coalizione, ma doveva indurlo a scoprirsi. Con questo intento Napoleone ritirò le truppe dalla posizione strategica dell’altipiano di Pratzen, lasciandolo occupare agli austro-russi, che scelsero di concentrare le loro forze contro il fianco destro dell’esercito francese, per tagliargli la linea di ritirata verso Vienna. Grazie a queste mosse Napoleone attirò l’avversario verso la sconfitta e dimostrò ancora
una volta in cima, i soldati francesi siano emersi da un fitto banco di nebbia e siano stati illuminati dai raggi del sole. Le colonne austro-russe, che stavano scendendo in diagonale per aggiungersi al fronte d’attacco, furono costrette a tornare disordinatamente indietro, ma già alle undici la Grande Armée occupava saldamente l’altipiano. Nel frattempo, la fanteria e la cavalleria francesi disposte nella piana erano riuscite ad isolare le due ali dell’esercito della Terza coalizione che cominciarono a ritirarsi e a fuggire disordinatamente. Napoleone aveva ottenuto una vittoria decisiva, che mise fine alla campagna militare contro la Terza coalizione. Il giorno seguente l’imperatore austriaco chiese l’armistizio mentre l’esercito russo ripiegava verso l’Ungheria e la Polonia. Le doti militari di Napoleone vengono rivelate anche dai numeri della battaglia: a fronte delle circa 9 mila perdite dell’esercito francese (fra caduti, feriti e prigionie-
STAGNO GHIACCIATO Fanteria
Cavalleria francesi russi austriaci
Fanteria
Cavalleria francesi russi austriaci
François Gérard, La battaglia di Austerlitz nel 1805 1810 [Musée National du Château, Versailles]
ri) ammontavano a circa 27 mila quelle dell’esercito austro-russo, pari a un terzo delle sue forze iniziali. Era il trionfo della Grande Armée, la macchina bellica più efficiente dell’epoca, retta da un comando unico, un’autorità centralizzata, incarnata dal generale Bonaparte. Napoleone mantenne le promesse fatte ai suoi uomini: distribuì all’esercito 2 milioni di franchi d’oro come ricompensa della vittoria, assegnò pensioni alle vedove dei caduti e adottò formalmente i bambini resi orfani dalla battaglia, permettendo loro di aggiungere Napoleone al proprio nome di battesimo. La memoria di Austerlitz doveva restare viva, e doveva giocare un ruolo centrale nella propaganda imperiale. Con questo intento i due proclami che Napoleone aveva indirizzato all’esercito furono pubblicati sul «Bulletin de la Grande Armée» e su «Le Moniteur universel», ottenendo un’ampia diffusione in tutta Europa [►FS, 83d]. Il primo pro-
clama esortava l’esercito ricorrendo alla propaganda antibritannica e sottolineando l’importanza di difendere l’onore della nazione. Ricordava il ruolo di Napoleo‑ ne, comandante assoluto ma partecipe della sorte dei suoi uomini: «Soldati, io stesso dirigerò tutti i vostri battaglioni; io mi terrò lontano dal fuoco se, col vostro consueto valore, porterete il disordine e la confusione nelle file nemiche; ma se per un momento la vittoria fosse incerta voi vedreste il vostro imperatore esporsi ai primi colpi, perché la vittoria non può essere dubbia». Dopo l’esito della battaglia una frase del proclama fu modificata per avvalorare l’idea che Napoleone avesse intuito la direzione della manovra d’attacco dell’esercito avversario e fosse stato in grado di comprendere in anticipo gli eventi. Nel bollettino originale si prevedeva che l’esercito austro-russo avrebbe marciato contro il centro dello schieramento francese, che avrebbe risposto
attaccandolo al fianco. Nella seconda versione, quella riportata dai giornali, il proclama veniva modificato, per accordarsi a posteriori a quanto realmente accaduto: si prevedeva che l’esercito avversario avrebbe colpito il fianco destro della Grande Armée, scoprendosi, e lì avrebbe subito l’attacco francese. Grazie ad un sapiente e spregiudicato uso della stampa in chiave propagandistica – che come disse l’austriaco Metternich [►12_1] valeva «come un esercito di 300 mila uomini»– si rafforzava l’immagine di Napoleone comandante dotato di straordinaria capacità intuitiva e prontezza di reazione. In un ulteriore gesto di propaganda, il bronzo dei cannoni austro-russi conquistati in battaglia fu fuso e usato per realizzare la colonna, ispirata a quella di Traiano, che ancora oggi a Parigi, in Place Vendôme, celebra la vittoria di Austerlitz e il trionfo di Napoleone, immortalato nella statua che la sormonta.
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C9 Napoleone
9_3 NAPOLEONE E L’EUROPA
L’Impero napoleonico era fondato sulla supremazia e sul dominio militare. Una supremazia che poggiava non solo sulle doti strategiche e di comando di Napoleone, ma anche sull’ormai consolidata struttura di un esercito di cittadini ideologicamente e politicamente motivati. Gli eserciti messi in campo dalle altre potenze europee, composti da mercenari e da “sudditi”, erano stati sistematicamente sconfitti dall’audacia e dall’entusiasmo rivoluzionario dei francesi. In Francia le leve in massa del ’93-94 avevano introdotto il principio della coscrizione obbligatoria. Altrove invece, come in Prussia dove era stato applicato nel 1733, il servizio obbligatorio era stato progressivamente abbandonato. Il sistema francese, secondo il quale ogni cittadino era anche un soldato, dimostrò, nonostante le numerose diserzioni, buone capacità di funzionamento grazie anche ad alcuni importanti correttivi che escludevano dall’arruolamento gli uomini sposati e consentivano ai più agiati di pagarsi un sostituto. Ciò favorì i ceti borghesi, che poterono così sottrarsi al servizio militare. In ogni caso la Francia, dopo la Russia il paese più popoloso d’Europa, fornì oltre 2 milioni di soldati fra il 1800 e il 1814. Modi e atteggiamenti “democratici”, eredità delle origini rivoluzionarie, si mantennero dunque vivi nell’esercito, che offriva molte possibilità di carriera e rimaneva la principale via di ascesa sociale. Dall’esercito provenivano infatti una parte rilevante del gruppo dirigente del regime napoleonico e il 59% della nuova nobiltà istituita nel 1808. La creazione di un ceto nobiliare non fu che l’ultimo atto del progressivo costituirsi di una gerarchia sociale dipendente dall’onore delle armi e dal rapporto personale con l’imperatore. Questa nobiltà divenne automaticamente un attributo delle più elevate cariche civili: era ereditaria e legata a ben definiti livelli di ricchezza. Come estrazione sociale per il 58% era costituita da borghesi, il 22,5% proveniva dall’antica nobiltà e il 19,5% dai ceti popolari.
L’esercito e la nascita di una nuova nobiltà
► Leggi anche: ► Laboratorio di cittadinanza Lo Stato accentrato, p. 325 ► Fare Storia La Rivoluzione oltre i confini nazionali, p. 373
Questa nuova gerarchia, che univa adesione al regime, meriti militari e ricchezze, fu estesa tendenzialmente a tutto il Grande Impero. Ma non ebbe, nell’Europa napoleonica, lo stesso significato di rottura e di ascesa sociale che aveva avuto in Francia. Nei paesi conquistati o annessi Napoleone si appoggiò assai più a quei settori delle forze tradizionali che mostrarono la loro disponibilità a inserirsi nel nuovo sistema di potere. Più significativa come fattore di trasformazione fu l’estensione degli istituti giuridici (in primo luogo del Codice civile) e dell’amministrazione napoleonica [►FS, 82]: tutti gli Stati “vassalli” adottarono il modello francese dello Stato accentrato. Dappertutto la feudalità o i residui del regime feudale furono aboliti, espropriati e soppressi gli ordini religiosi, mentre i beni ecclesiastici vennero messi in vendita per sanare il debito pubblico. Quasi ovunque questo rilevante passaggio di proprietà determinò un rafforzamento dei ceti già proprietari, soprattutto borghesi, ma anche nobiliari. Fra i contadini, solo i più agiati poterono inserirsi in questa operazione.
Il dominio napoleonico in Europa
Nell’insieme il dominio napoleonico rappresentò un potente strumento di svecchiamento delle istituzioni e di mobilitazione della società civile. Il governo francese si sforzò di raccogliere informazioni sui territori e sui popoli sotto il suo dominio, utilizzando statiStato accentrato stiche e rilevamenti come preparazione alla riorganizzazione statale delle Modello di Stato in cui il governo centrale esercita la sua autorità su tutto il territorio nazionale. Si impone varie regioni. Tuttavia, sebbene le riforme costituissero una grande novità definitivamente nella Francia rivoluzionaria e napoleonica, per le società funzionanti ancora secondo le regole dell’ancien régime, il concomportando l’abolizione dei privilegi delle aristocrazie, senso al nuovo regime fu sempre piuttosto modesto. Nei paesi cattolici, in della Chiesa cattolica e delle antiche corporazioni. L’accentramento si realizza attraverso una rete di particolare, i contadini, influenzati dalla Chiesa, si mantennero ostili a ogni funzionari (in Francia i prefetti) che, nominati dal potere brusco mutamento delle condizioni del mondo rurale che significasse un’acesecutivo, ne trasmettono la volontà in tutto il territorio centuazione del dominio borghese. Ma anche nelle regioni nord-europee e nazionale, diviso in unità amministrative (dipartimenti, province, ecc.). Questo modello di organizzazione, presto tra i ceti urbani si diffusero sentimenti di opposizione. Del resto la presa di affermatosi in tutta l’Europa continentale, si differenzia coscienza della società civile, indotta dalle nuove istituzioni, portava inevida quello inglese, basato invece sull’autogoverno delle tabilmente a rifiutare la passiva accettazione dell’egemonia politica, militare comunità locali. ed economica della Francia. Le nuove strutture amministrative, politiche e 318
L’opposizione al regime
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
militari ampliarono e modificarono le forme di partecipazione, consentendo a strati sufficientemente ampi di compiere significative esperienze che andavano al di là delle tradizionali dimensioni particolaristiche delle città o dei piccoli Stati, favorendo inoltre anche la diffusione di aspirazioni all’indipendenza nazionale. Proprio queste aspirazioni, in qualche caso, si tradussero in movimenti di opposizione [►FS, 82]. Tutti gli Stati su cui si estendeva l’egemonia napoleonica dovettero accettare il blocco continentale e adattare la propria economia alle esigenze della Francia. Ciò significò, in particolare, la difesa delle attività manifatturiere francesi, anch’esse danneggiate dalla riduzione delle esportazioni. Il mercato continentale non fu favorito dal blocco e lo sviluppo industriale non ne risultò avvantaggiato neppure in Francia, nonostante la messa a punto di alcune tecnologie sostitutive per i prodotti di importazione – come lo zucchero ottenuto dalle barbabietole. Gli effetti generalmente depressivi del blocco continentale scontentarono tutti gli Stati e accrebbero l’ostilità contro la Francia, che non era in grado, nonostante gli ingenti sforzi, di controllare l’intero continente.
Le conseguenze del blocco continentale
In Spagna Napoleone non riusciva a venire a capo della guerriglia, né ad arginare la riconquista britannica. Anche la Sicilia, dove si erano rifugiati i Borbone di Napoli, occupata dalla Gran Bretagna, sfuggiva al dominio francese. Nel 1812 la Costituzione che le Cortes di Spagna (ossia le antiche assemblee rappresentative) si diedero a Cadice – assediata dai francesi – e quella adottata in Sicilia (sotto l’influenza del comandante delle forze britanniche Lord Bentinck) furono due episodi di alternativa liberale e moderata al predominio del dispotismo napoleonico sul resto d’Europa. Ispirate entrambe al modello britannico (quella spagnola anche alla Costituzione francese del ’91), abolivano la feudalità, introducevano la separazione dei poteri, istituivano una monarchia costituzionale e un
Le rivolte antinapoleoniche e le Costituzioni liberali
Francisco Goya, 3 maggio 1808: fucilazione alla Montaña del Principe Pio (nota come La fucilazione) 1814 [Museo del Prado, Madrid] Questa tela documenta un evento particolarmente cruento: le truppe francesi fucilano su una collina nei pressi di Madrid un gruppo di rivoltosi, arrestati e condannati senza alcuna prova di colpevolezza. Nel 1807, le truppe napoleoniche entrano in Spagna, e il popolo, ritenendo giunta la libertà, riserva ai francesi una buona accoglienza. Ma ben presto le mire di Napoleone diventano chiare: detronizzare i Borbone al solo scopo di sostituirli con suo fratello Giuseppe Bonaparte. A questo punto la popolazione si ribella, subendo la spietata repressione dell’esercito francese.
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C9 Napoleone
sistema elettorale censitario. Episodi di breve durata, le due Costituzioni diverranno, negli anni della Restaurazione, modelli e obiettivi per il movimento liberale. Decisive invece per lo sviluppo di tutta la successiva storia tedesca e dei rapporti con la Francia furono le riforme introdotte in Prussia dopo l’umiliante disfatta di Jena (1806) e sotto la spinta di una rinascita intellettuale e ideologica fondata sul recupero della tradizione e dei valori tedeschi, che culminò nei Discorsi alla nazione tedesca (1807-8) del filosofo Johann Gottlieb Fichte. Le riforme economiche e sociali avviate nel 1807 dal barone von Stein abolirono la servitù della gleba, introdussero la libera circolazione e proprietà della terra, il libero accesso alle professioni. Più importanti, per il loro effetto immediato sulla potenzialità bellica, furono le riforme
SVEZIA
FIN LA N DI A
SVEZIA
DANIMARCA Stoccolma Copenaghen Copenaghen HELGOLAND Aabo 1807 Tilsit
Londra
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MARE Londra DEL NORD
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MARE DEL NORD
MARE DEL NORD
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22_L’EUROPA NEL 1812
FIN LA N DI A
Le riforme in Prussia
Danzica
Pietroburgo Tilsit IMPEROR
IMPEROR
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Melilla (Spagna)
REGNO DI SICILIA
Impero francese Impero francese annessioni francesi del 1804 annessioni francesi del 1804 MAR MEDITERRANEO Stati guidati da sovrani napoleonici Stati guidati da sovrani napoleonici Stati Francia dipendenti dalla Francia Stati dipendenti dalla direttrici russa dell’espansione russa direttrici dell’espansione Impero francese Impero francese direttrici francese dell’espansione francese direttrici dell’espansione annessioni francesi annessioni russeannessioni dal 1807 russe dal 1807 direttrici dell’espansione annessioni francesi direttrici russa dell’espansione russa 1806 battaglieJena 1806 battaglie Stati guidati da sovraniJena napoleonici Stati guidati da sovrani napoleonici Impero francese annessioni russeannessioni dal 1807 russe dal 1807 blocco continentale Stati Francia dipendenti dalla Francia blocco continentale Stati dipendenti dalla del 1804 1806 battaglie Jena 1806 annessioni battaglieJenafrancesi direttrici francese dell’espansione francese basi britanniche basi britanniche direttrici dell’espansione Stati guidati da sovrani blocconapoleonici continentale blocco continentale Stati basi Francia britanniche basi dipendenti britannichedalla direttrici dell’espansione russa Impero francese direttrici dell’espansione francese annessioni russe dal 1807 annessioni francesi direttrici dell’espansione russa Jena 1806 battaglie Stati guidati da sovrani napoleonici annessioni russe dal 1807 blocco continentale U3 L’ETÀ RIVOLUZIONI StatiDELLE dipendenti dalla Francia Jena 1806 battaglie basi britanniche direttrici dell’espansione francese blocco continentale basi britanniche MALTA 1800
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ISOLE IONIE 1809
Charles Meynier, Napoleone a Berlino 1810 [Palazzo di Versailles, Versailles] Come raffigurato nel dipinto di Meynier, il 27 ottobre 1806 Napoleone, alla testa delle sue truppe, entra a Berlino attraverso la Porta di Brandeburgo, dopo la vittoriosa battaglia di Jena. Un anno dopo, quando la città è ancora occupata dai francesi, il filosofo tedesco Johann Gottlieb Fichte tiene una serie di conferenze nell’Anfiteatro delle Scienze di Berlino per 14 domeniche consecutive, che pubblicherà successivamente con il titolo Discorsi alla nazione tedesca, in cui esorta la «nazione tedesca» alla rigenerazione degli spiriti e alla rinascita nazionale della Germania oppressa e divisa. Affinché possa costituirsi uno Stato unitario, sostiene Fichte, occorre una nuova educazione nazionale che faccia acquisire quella formazione morale e quel sentimento patriottico che paiono indispensabili.
dell’esercito, che adottavano il principio del servizio militare come dovere – per ogni cittadino – di difendere lo Stato. Non fu tuttavia introdotta la leva obbligatoria, ma venne applicato un criterio di addestramento e di rapido avvicendamento degli uomini, che consentì di disporre di una larga riserva di truppe. Solo nel 1813, e per la sola durata della guerra, la leva divenne obbligatoria e il nuovo esercito territoriale prussiano (Landwehr), infiammato dal patriottismo e dal coinvolgimento della gioventù studentesca e degli intellettuali, fu un elemento determinante nella sconfitta di Napoleone.
METODO DI STUDIO
a Realizza un grafico a stella al cui centro ci sia la scritta “L’esercito napoleonico” e i cui raggi corrispondano alle voci: a. valori di riferimento; b. origine sociale dei coscritti; c. punti di debolezza; d. correttivi; e. numero di francesi coscritti fra il 1800 e il 1814; f. effetti sul livello sociale dei coscritti; g. differenze rispetto agli altri Stati europei. b Spiega per iscritto quali furono le caratteristiche della nuova nobiltà affermatasi col regime napoleonico e indica se ci furono delle similitudini o delle differenze fra i diversi Stati assoggettati al dominio francese. c Sottolinea, con colori diversi, gli aspetti fondamentali che definiscono i seguenti temi: a. le opposizioni al dominio napoleonico; b. provvedimenti e conseguenze delle riforme prussiane; c. conseguenze del blocco continentale.
9_4 IL CROLLO DELL’IMPERO
Nonostante il breve periodo di pace tra il 1809 e il 1812, e la nascita di un erede («il re di Roma»), la continuità dell’Impero napoleonico era tutt’altro che garantita. L’incrollabile ostilità britannica, la ribellione spagnola e l’opposizione delle nascenti forze nazionali erano ormai ostacoli insuperabili. Le potenze sconfitte non desideravano altro che porre fine all’avventura napoleonica indissolubilmente legata ai successi militari. Così quando la Russia riprese la sua libertà di commercio uscendo dal sistema continentale e sganciandosi dall’alleanza con la Francia, Napoleone rispose ancora una volta con la guerra. L’invasione della Russia sarebbe stata l’inizio del suo declino.
I fattori di debolezza dell’Impero napoleonico
Napoleone non fu in grado di valutare realisticamente le difficoltà dell’impresa. Per quanto numeroso (circa 650 mila uomini) il suo esercito era mal equipaggiato e troppo composito: nell’estate del 1812, accanto ai francesi c’erano polacchi, italiani, tedeschi, svizzeri e molti altri, per un totale di 20 nazioni e 12 lingue diverse. I russi non si lasciarono agganciare e indietreggiarono facendo terra bruciata alle loro spalle. L’esercito napoleonico, abituato a sfruttare i paesi occupati, ebbe subito difficoltà di approvvigionamento. Solo a 100 chilometri da Mosca i russi accettarono battaglia e furono sconfitti a Borodino (settembre) [► _23]: ma non fu uno scontro decisivo, come non lo fu la conquista di Mosca, presto distrutta da un gravissimo incendio.
L’invasione della Russia
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C9 Napoleone
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tol a Napoleone non era nella posizione di forza per trattare con uno zar che lo considerava un “anticristo” Varsavia contro cui risvegliare tutte le energie della santa Russia. In ottobre fu ordinata la ritirata presto traGRANDUCATO sformatasi in rotta per il freddo, il fango, la neve e gli attacchi della cavalleria cosacca. DI VARSAVIA
ˇernigo C VOLINIA IMPERO D’AUSTRIA
Nel 1813 tutta l’Europa era in armi contro la Francia. I prussiani preparavano la Luc’k La sconfitta loro “guerra di liberazione”. Si costituì una coalizione fra Gran Bretagna, Russia e e l’abdicazione Prussia, cui si aggiunse anche l’Austria. La guerra culminò a Lipsia nella battaglia delle nazioni (16-18 ottobre 1813), in cui forze soverchianti sconfissero i francesi. A essa fece Leopoli IMPERO D’AUSTRIA
23_LA CAMPAGNA DI RUSSIA DEL 1812 Riga Libau CURLANDIA
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U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
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Joseph Raymond Fournier-Sarlovèze, L’attraversamento del fiume Beresina nel novembre 1812 [Musée de l’Armée, Parigi] La ritirata dai territori russi si rivelò tutt’altro che semplice per l’esercito napoleonico. Oltre alle condizioni climatiche, i francesi dovettero affrontare gli attacchi da parte dei cosacchi posti all’inseguimento. Nei pressi del fiume Beresina (nell’attuale Repubblica di Bielorussia), le truppe francesi si trovarono accerchiate e impossibilitate ad andare oltre: il ponte più vicino era stato distrutto e la crosta di ghiaccio sulla quale Napoleone contava per attraversare il fiume si era scongelata. Con uno stratagemma di fortuna i genieri francesi riuscirono a creare un valico percorribile sulle acque gelide del fiume creando due ponti (uno per i fanti e l’altro per i convogli e l’artiglieria). Nonostante il successo, l’attraversamento costò a Napoleone fortissime perdite (moltissimi uomini morirono sia nella costruzione sia nel passaggio) che lo lasciarono con poco più di 100 mila soldati.
Napoleone a Sant’Elena XIX sec. [Bibliothèque Marmottan, Parigi]
seguito l’avanzata degli alleati nel cuore della Francia, invano rallentata da battaglie di interdizione: Parigi fu occupata alla fine di marzo 1814. In aprile Napoleone abdicò e i vincitori gli assegnarono il possesso dell’isola d’Elba. Sul trono di Francia fu restaurato un Borbone, Luigi XVIII, fratello del re ghigliottinato, che concesse una Costituzione con un sistema elettorale a suffragio molto ristretto. Riunite nel 1814 in congresso a Vienna, Gran Bretagna, Russia, Prussia e Austria avviarono contemporaneamente la ridefinizione dei confini d’Europa. Ma l’avventura napoleonica non era finita. Il malcontento degli strati popolari nei confronti dei Borbone (i contadini temevano il ripristino dei prelievi feudali, i lavoratori urbani avevano visto peggiorare le loro condizioni) e il malessere di tanti soldati e ufficiali, esclusi dall’esercito, convinsero Napoleone che un suo ritorno in Francia avrebbe avuto buone probabilità di successo. E in effetti il suo sbarco sulle coste francesi (il 1° marzo 1815) fu seguito da una marcia trionfale verso Parigi, abbandonata da Luigi XVIII. Napoleone riformò la Costituzione imperiale dell’anno XII, dando spazio alle esigenze liberali, e ricorse di nuovo al plebiscito per approvare questa iniziativa. Cercò l’appoggio dei notabili, non comprendendo che essi miravano soprattutto a garantiMETODO DI STUDIO re la propria sopravvivenza, non quella del regime napoleonico. Rifiutò invece di a Cerchia i pericoli che minavano la continuità dell’Impero napoleonico e sottolinea l’episodio cercare un consenso fra le masse popolari, a cui era radicalmente estraneo, e che che ne segnò il declino. forse gli avrebbero consentito di arginare con maggiore successo i dissidi interni b Continua la rubrica delle battaglie napoleoe la minaccia esterna. Le potenze europee erano del resto decisissime a spazzarniche che hai iniziato nei paragrafi precedenti tralo via. Erano gli ultimi sussulti di un regime che aveva perso la sua vitalità e che scrivendo i nomi delle battaglie citate e indica per ognuna di esse le date, gli Stati coinvolti, gli esiti le potenze europee avevano ormai deciso di cancellare. e le conseguenze (se specificati). Napoleone non riuscì a dividere e affrontare separatamente le forze nemiche che c Sottolinea i fattori che determinarono la puntavano sulla Francia. A Waterloo (in Belgio), il 18 giugno, la resistenza dei brisconfitta napoleonica durante la campagna di Russia. d Individua e numera le tappe fondamentali tannici del duca di Wellington consentì ai prussiani di intervenire e sconfiggere che segnarono la sconfitta di Napoleone fino alla deduramente i francesi. Fu l’ultima battaglia di Napoleone. Consegnatosi un mese portazione di Sant’Elena, quindi scrivi dei titoletti dopo alla Gran Bretagna, venne deportato sull’isola di Sant’Elena nell’Atlantico, ai lati del testo per renderle riconoscibili. dove morì il 5 maggio 1821. L’illusione del ritorno era durata solo cento giorni.
I Cento giorni e la disfatta di Waterloo
323
C9 Napoleone
9_5 LA RIVOLUZIONE FRANCESE E NAPOLEONE
«Io non agisco che sull’immaginazione della nazione», aveva detto Napoleone nel 1800; e questo legame rimarrà vivo anche dopo la sua definitiva sconfitta. Con una forzatura della memoria e sulle ali del mito, l’immaginazione popolare fece di lui l’eroe della Rivoluzione. Così quella contraddizione tra Rivoluzione e dispotismo, che aveva contrassegnato Napoleone e quasi un ventennio di successi politici e militari, continuò ad alimentare la sua leggenda. Il mito di Napoleone durò non solo per gran parte dell’800, anche oltre il Secondo Impero del nipote Napoleone III [►18_1], e il suo modello continuerà ad essere evocato dai grandi e piccoli despoti della storia successiva.
La nascita di un mito
Un altro tratto che avvicina la Rivoluzione e Napoleone è l’incompiutezza delle due vicende. Dalla fase liberale a quella democratica fino alla dittatura, la Rivoluzione non riuscì mai a chiudere il suo ciclo, per poi deformarsi nel dispotismo napoleonico: un sistema di potere destinato a sua volta a non trovare mai una definitiva legittimazione, costretto a difendere con le armi un dominio precario e a essere inevitabilmente sconfitto.
Due vicende incompiute
Accanto agli elementi di continuità e convergenza vanno ricordati quelli che ne individuano le specifiche differenze. Specifiche degli anni della Rivoluzione furono la violenza delle masse urbane, protagoniste delle fasi più sanguinarie della Rivoluzione; la nascita del partito politico nella versione embrionale, ma fortemente organizzata, dei giacobini; l’esperienza della politica assembleare fino al colpo di Stato del 18 brumaio. A segnare il periodo napoleonico fu invece la ricerca del consenso popolare per via plebiscitaria (un meccanismo che vedremo all’opera anche in seguito); la coincidenza nella stessa persona del potere politico e di quello militare; la creazione di una nuova classe dirigente e di una nuova nobiltà, risultato della grande mobilità sociale di quegli anni nata dalla politica, dall’esercito e legittimata dall’alto. Infine, scorrendo questi 25 anni di rivoluzioni e di guerre con gli occhi della nostra sensibilità, vien fatto di chiedersi quale fu il costo umano di questa straordinaria modernizzazione politica. Le vittime per secoli non sono entrate a far parte dei “conti” della storia. Ma forse a noi spetta anche ricordare i circa 3 milioni di caduti (secondo stime approssimative) di questa grande pagina della storia europea.
Una duplice modernizzazione
METODO DI STUDIO
a Realizza sul quaderno una tabella comparativa che abbia come indicatori “Il periodo napoleonico” e “Il periodo rivoluzionario” e compilala indicando gli aspetti specifici descritti nel testo. b Trascrivi sul quaderno i titoli dei sottoparagrafi e descrivine sinteticamente i contenuti utilizzando, quando possibile, anche le parole chiave evidenziate in grassetto.
RIVOLUZIONE E MODERNITÀ
Le conseguenze della Rivoluzione
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Abolizione dei privilegi e della feudalità
Definizione dei diritti civili e politici
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
Partecipazione delle masse alla vita politica
Centralizzazione dei poteri dello Stato
Jacques-Louis David, Napoleone varca le Alpi 1800 [Musée national du Château de Malmaison, Rueil-Malmaison] In questo quadro JacquesLouis David rappresenta Napoleone, l’eroe del popolo francese, in sella al suo bianco destriero: senza brandire alcuna arma, ma con il semplice gesto della mano, indica al suo esercito la via da seguire.
LABORATORIO DI CITTADINANZA LO STATO ACCENTRATO
G
ran parte delle funzioni di governo che oggi spettano esclusivamente allo Stato fino all’età moderna sono state distribuite (o, per meglio dire, disperse) tra vari attori (signori, città, ceti). Con la nascita dello Stato moderno assoluto la tendenza cominciò a invertirsi: i poteri e le competenze vennero accentrati nelle mani del monarca a scapito degli altri corpi sociali. Durante la Rivoluzione francese furono definitivamente aboliti gli antichi privilegi feudali della nobiltà e continuò l’accentramento dei vari poteri nello Stato. L’esperienza napoleonica rappresentò la prima concreta realizzazione di questo processo: lo Stato come è conosciuto oggi nacque con l’organizzazione napoleonica del potere centrale. Lo Stato moderno ed europeo è dunque una forma di organizzazione del potere in cui tutte le funzioni politiche sono concentrate in un’unica istituzione – quella statale – ed esercitate, nei limiti della legge, per mezzo di una serie di istituzioni minori, dipendenti dal centro, a cui sono attribuite funzioni specifiche: l’apparato burocratico. In base al modo in cui il potere viene gestito, lo Stato contemporaneo può avere tre forme diverse: può essere federale, regionale o accentrato. In uno Stato federale come gli Stati Uniti, il potere è ripartito tra il governo centrale – che detiene solo le funzioni fondamentali per garantire il benessere e la sicurezza del paese – e le singole comunità (gli Stati membri dell’Unione) che ne fanno parte e che di fatto hanno piena libertà decisionale su temi come la giustizia, l’ordine pubblico e l’istruzione. Nello Stato regionale (come l’Italia), invece, il potere è pur sempre diviso tra governo centrale e comunità locali (in questo caso le Regioni), ma queste hanno minore autonomia e indipendenza dal governo centrale. Nello Stato accentrato tutti i poteri sono concentrati nel governo centrale che esercita così la sua autorità direttamente sull’intero territorio dello Stato. Lo Stato assoluto dell’età moderna fu uno Stato accentrato, come lo Stato napoleonico. In linea di massima, si può dire che fino al secondo dopoguerra lo Stato accentrato sia stata la forma più diffusa nell’Europa occidentale: un cambiamento importante a livello internazionale si registra solo con le Costituzioni del secondo dopoguerra, nelle quali si concede molto più spazio alle autonomie locali. Anche in Italia, lo Stato costituitosi nel 1861 fu unitario e accentrato, secondo il consolida-
to modello europeo. La scelta per l’accentramento si concretizzò nelle cosiddette «leggi di unificazione amministrativa del Regno» promulgate nel 1865, in cui è scritto: «il Regno si divide in provincie, circondari, mandamenti e comuni. In ogni provincia vi è un prefetto e un Consiglio di prefettura. Il prefetto rappresenta il potere esecutivo in tutta la provincia». Figure principali del sistema furono quindi, come in Francia [►9_1], i 59 prefetti (facenti capo ad altrettante province), ai quali fu affidato il compito di unificare nei fatti lo Stato. La loro presenza sul territorio doveva essere capillare, ed efficace doveva essere la loro capacità di controllo della popolazione. La legge dispose che «alla fine di ogni mese ciascun prefetto deve inviare al Ministero una relazione sulle condizioni della provincia», dalla quale risulti in modo dettagliato il quadro «dell’attitudine, degli intendimenti e dell’influenza dei partiti politici, delle manifestazioni dell’opinione pubblica e del giornalismo». Con la Costituzione del 1948 l’Italia abbandona ufficialmente l’accentramento totale dei poteri per introdurre la forma di governo regionale (art. 114: «La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni»). L’applicazione del dettato costituzionale è lentissima e le Regioni vengono istituite solo nel 1970. Il passo decisivo era
comunque stato fatto: lo Stato centralizzato aveva riconosciuto le Regioni come enti autonomi (ma non indipendenti dallo Stato centrale) capaci di legiferare in ogni settore che non fosse di competenza specifica dello Stato. Secondo quanto stabilito nell’articolo 117: «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione». Nonostante la sostanziale apertura, l’autonomia legislativa delle Regioni ha carattere decisamente parziale: la Costituzione non dice infatti quali siano gli ambiti di competenza delle Regioni ma si limita a elencare i settori di esclusivo controllo dello Stato (politica estera, immigrazione, rapporti con le religioni, difesa, moneta, leggi elettorali, ordine pubblico, istruzione, previdenza sociale, ambiente) lasciando tutto il resto alle Regioni, tra cui l’organizzazione sanitaria. Auguste Couder, Installazione del Consiglio di Stato nel dicembre del 1799 1836 [Consiglio di Stato, Palais Royal, Parigi] Le riforme amministrative e giuridiche compiute da Napoleone tra il 1800 e il 1804, volte a riorganizzare la struttura statale francese, portano a compimento un processo di rafforzamento del potere centrale e influenzeranno molti Stati europei. Il Consiglio di Stato francese, istituito dalla Costituzione del 13 dicembre 1799, era il principale organo giuridico del governo ed ebbe una posizione importante durante il consolato e l’Impero, assumendo in particolare un ruolo chiave nella redazione del Codice civile francese.
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C9 Napoleone
COSTRUIAMO IL LESSICO DEL CITTADINO 1 Leggi la scheda e completa sul quaderno le seguenti definizioni:
a. Si definisce Stato accentrato una forma di Stato in cui il potere è ...................................................................................................... b. Si definisce Stato federale una forma di Stato in cui il potere è .......................................................................................................... c. Si definisce Stato regionale una forma di Stato in cui il potere è ........................................................................................................ d. Le Regioni sono ......................................................................................................................................................................... PREFETTI DI IERI E DI OGGI 2 Figura chiave dell’opera di centralizzazione dello Stato, la carica di prefetto fu istituita nel 1800 da Napoleone
Bonaparte. Come abbiamo imparato, i prefetti amministravano i dipartimenti, dipendevano direttamente dal governo e rappresentavano l’autorità statale a livello locale. Anche nell’Italia postunitaria quella del prefetto fu una figura chiave per la costruzione dello Stato accentrato: nel 1865 se ne contavano ben 59, dislocati sull’intero territorio nazionale. La carica di prefetto esiste ancora oggi, con la funzione di rappresentante del governo territoriale di province e città metropolitane, posto a capo di un ufficio denominato “Prefettura-Ufficio territoriale del Governo”, dipendente dal Ministero dell’Interno.
Per scoprire quali sono le sue attribuzioni, vai sul sito della Prefettura della tua città capoluogo di provincia; nel menu a sinistra, clicca su “Il Prefetto” e poi su “Funzioni”. Leggi il contenuto della pagina, prendi appunti e realizza un testo comparativo sulle funzioni/ attribuzioni del prefetto oggi e in età napoleonica [►9_1] e nell’Italia postunitaria [►21_2 e p. 325]. Puoi servirti delle informazioni contenute nel manuale, integrandole eventualmente con altre reperibili in Rete. Il testo non deve superare le 8 righe di documento Word.
LE FORME DI STATO NELL’UE 3 A seconda della modalità con cui i paesi aderenti
all’Ue esercitano il potere sovrano sul proprio territorio, essi si distinguono in accentrati, federali e regionali. Vai sul sito istituzionale dell’Ue (europa.eu); nel menu “Informazioni essenziali sull’Ue” clicca su “Paesi”: si aprirà una pagina con la lista dei 27 paesi aderenti all’Ue. Clicca su ciascuno di essi e scopri se il modello di Stato è accentrato, federale o regionale; nella tabella sottostante inserisci l’informazione nella colonna corrispondente alla forma di Stato; infine riporta sulla carta dell’Ue le informazioni, attribuendo a ciascuna forma di Stato un colore diverso.
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Forme di Stato nell’Ue Accentrato
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U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
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QUALI AUTONOMIE PER LE REGIONI ITALIANE? 4 Come si evince dagli articoli 5, 114 e 117 della Costituzione, l’Italia è uno Stato regionale:
Art. 5: La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i princìpi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento. Art. 114: La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione. Art. 117: La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Le Regioni, pur godendo di ampia autonomia, sono e rimangono enti subordinati allo Stato. Esse possono autodeterminarsi politicamente, cioè scegliere un proprio indirizzo politico, ma trovano un ostacolo invalicabile nel principio di unità e indivisibilità della Repubblica, che inibisce loro tutta una serie di attività. In cosa si esplicita dunque l’autonomia regionale? Per rispondere alla domanda, vai alla voce “Regione” dell’Enciclopedia online della Treccani, leggi il paragrafo La Regione dopo la l. cost. n. 3/2001 e completa la tabella dell’autonomia, fornendo per ciascuna voce la relativa definizione. Autonomia regionale
Definizione
Autonomia statutaria
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Autonomia legislativa e regolamentare
.............................................................................................................................. .............................................................................................................................. .............................................................................................................................. ..............................................................................................................................
Autonomia amministrativa
.............................................................................................................................. .............................................................................................................................. .............................................................................................................................. ..............................................................................................................................
Autonomia tributaria
.............................................................................................................................. .............................................................................................................................. .............................................................................................................................. ..............................................................................................................................
Potere estero
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C9 Napoleone
SINTESI
9_1 IL CONSOLATO E LA COSTRUZIONE DELLO STATO NAPOLEONICO Il potere di Napoleone, fondato sul ruolo avuto dall’esercito nella vicenda rivoluzionaria, fu sancito dalla Costituzione dell’anno VIII. Al Primo console era attribuito il potere esecutivo e parte di quello legislativo: di fatto si instaurò un governo dittatoriale, basato su un consenso diretto del popolo ottenuto attraverso i plebisciti. L’istituzione dei prefetti fu il principale strumento della centralizzazione burocratica e amministrativa, mentre lo Stato ampliò enormemente il campo delle proprie competenze dedicando, tra l’altro, particolare attenzione all’istruzione. Sconfitte le opposizioni più radicali di destra e di sinistra, il consolidamento del potere napoleonico restava legato al raggiungimento della pace, conclusa nel 1801 con l’Austria e l’anno successivo con la Gran Bretagna, ultimo avversario in campo. Rafforzato ulteriormente il proprio potere mediante il Concordato (1801) con la Chiesa di Roma, Napoleone si fece nominare console a vita nel 1802. Due anni dopo, il Codice civile – che accoglieva le più importanti conquiste dell’89 – rappresentò il coronamento della sua opera riformatrice.
9_2 NAPOLEONE IMPERATORE DEI FRANCESI
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Nel 1804 Napoleone si fece nominare imperatore dei francesi. Le guerre dei cinque anni successivi sconvolsero profondamente la carta
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
d’Europa. Le vittorie di Napoleone costrinsero alla pace Austria, Prussia e Russia. Fu soppresso il Sacro romano impero. In Olanda, Germania, Polonia furono istituiti Stati satelliti, mentre la Russia fu inserita nella politica internazionale francese e vide riconosciuti i propri interessi espansionistici. La vittoria britannica a Trafalgar segnò tuttavia la rinuncia definitiva al progetto di invadere la Gran Bretagna. Nel 1806 pertanto Napoleone proclamò il blocco continentale che stabiliva il divieto per i paesi europei di commerciare con la Gran Bretagna, nell’intento di indebolire la grande avversaria. L’espansione francese andò incontro a gravi difficoltà anche in Spagna, dove la sollevazione del paese portò alle prime sconfitte dell’esercito napoleonico. Nel 1810 Napoleone volle legittimare il proprio dominio sposando Maria Luisa d’Austria, nipote della regina Maria Antonietta.
9_3 NAPOLEONE E L’EUROPA L’Impero napoleonico si fondava su una supremazia militare basata su un esercito di “cittadini” reclutato attraverso la coscrizione obbligatoria. L’esercito rappresentò anche la principale via di ascesa sociale, contribuendo alla formazione della nuova nobiltà napoleonica. Negli Stati conquistati o annessi, dove fu esteso il sistema amministrativo e giuridico francese, il consenso al nuovo regime fu sempre modesto. L’economia degli Stati soggetti all’egemonia napoleonica fu sottoposta alle esigenze della Francia
e danneggiata dal blocco continentale: ciò contribuì ad accrescere l’ostilità antifrancese. In Spagna e nella Sicilia (occupata dai britannici) furono approvate nel 1812 Costituzioni moderate, che sarebbero state assunte a modello dal movimento liberale dell’età della Restaurazione. In Prussia la sconfitta militare stimolò una rinascita intellettuale tedesca, una politica di riforme economiche e sociali e un rinnovamento dell’esercito.
9_4 IL CROLLO DELL’IMPERO Il periodo relativamente pacifico tra il 1809 e il 1812 non portò a un consolidamento dell’Impero, impedito dall’ostilità britannica, dal conflitto con il papa, dalla ribellione spagnola e dall’opposizione delle forze nazionali. A ciò si aggiunse lo sganciamento russo dall’alleanza con la Francia, che Napoleone tentò di fronteggiare con l’invasione della Russia (1812). L’avanzata francese, di fronte a un nemico che faceva terra bruciata e si rifiutava di trattare, si risolse infine in una ritirata a prezzo di fortissime perdite. Una nuova coalizione tra Gran Bretagna, Russia, Prussia e Austria sconfisse i francesi a Lipsia: dopo l’occupazione di Parigi, Napoleone dovette abdicare (aprile ’14) e ricevette il possesso dell’isola d’Elba. Al trono di Francia saliva Luigi XVIII, mentre il congresso di Vienna iniziava la ridefinizione della carta d’Europa. Nel marzo 1815 Napoleone, tornato in Francia, riassunse il potere facendo leva sul malcontento serpeggiante tra gli strati popolari e l’esercito. Sconfitto a Waterloo, venne deportato a Sant’Elena.
9_5 LA RIVOLUZIONE FRANCESE E NAPOLEONE Tratti comuni alla Rivoluzione francese e al periodo napoleonico sono, nel campo della modernizzazione politica, il rovesciamento della società dei privilegi e del feudalesimo, la conquista e l’affermazione dei diritti civili e politici, la mobilitazione delle masse popolari, il processo di accentramento e organizzazione dello Stato, infine il ruolo della guerra che assume valenze ideologiche e politiche. Le differenze tuttavia restano specifiche: con la Rivoluzione esplose la violenza delle masse urbane, ebbe inizio la prima forma-partito e si compì un’esperienza politica di tipo assembleare; con Napoleone fu introdotto l’istituto del plebiscito, l’accentramento in una sola figura del potere politico e militare, la mobilità sociale e la creazione di una nuova classe dirigente.
SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Completa la seguente carta geostorica indicando le località e le aree riportate di seguito in riferimento all’Europa del
1812. Quindi scrivi una breve didascalia descrittiva di circa 5 righe in cui spieghi il ruolo dei luoghi indicati nel contesto storico dell’epoca.
Città: Lipsia, Marengo, Waterloo, Austerlitz, Borodino Stati: Francia, Regno d’talia, Impero russo, Impero d’Austria, Prussia
....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... .......................................................................................................................................................................................................
2 Completa il seguente schema relativo alle caratteristiche dello Stato napoleonico, inserendo le lettere corrispondenti
alle affermazioni date nelle apposite caselle: fai attenzione perché due affermazioni sono errate.
a. Il clero doveva giurare fedeltà alla repubblica, ma lo Stato si assumeva il compito di retribuirne i membri b. Prefetti c. Codice civile STATO d. Costituzione civile del clero e. Assistenza sociale e sanitaria f. Controllo dei mendicanti g. Riforma dell’istruzione pubblica h. Introduzione del diritto al divorzio Giustizia Amministrazione i. Controllo poliziesco sulla stampa ..........; ........... ..........; g l. Abolizione della proprietà privata
Controllo sociale ..........; ...........; ..........; ...........
329
C9 Napoleone
3 Indica le affermazioni vere e correggi quelle errate.
a. Secondo la Costituzione dell’anno VIII, il potere legislativo era affidato interamente al Senato. ................................................................................................................................................................................. b. In cinque anni, dal 1799 al 1804, Napoleone ricorse per tre volte allo strumento del plebiscito. ................................................................................................................................................................................. c. Il numero di cittadini francesi che parteciparono al primo plebiscito fu inferiore ai 4 milioni. ................................................................................................................................................................................. d. Napoleone governò incontrastato fino all’occupazione di Mosca. ................................................................................................................................................................................. e. La riforma amministrativa dello Stato francese non sopravvisse alla sconfitta di Napoleone. ................................................................................................................................................................................. f. Il Codice civile del 1804 fu esteso con successo agli Stati vassalli dell’Impero napoleonico. ................................................................................................................................................................................. g. Nessun cittadino francese, in condizione di arruolamento, poteva sottrarsi alla leva militare. ................................................................................................................................................................................. h. Nella guerra contro la Russia, l’esercito napoleonico subì perdite per oltre 500 mila uomini. ................................................................................................................................................................................. i. La coalizione antifrancese formatasi nel 1813 comprendeva Inghilterra, Russia, Prussia e Austria. .................................................................................................................................................................................
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4 Completa la linea del tempo relativa agli eventi salienti del governo di Napoleone fino alla sua morte.
........................................: Napoleone Primo console 1802: Napoleone diventa console a vita ........................................: Napoleone diventa imperatore 2 dicembre 1805: vittoria di Austerlitz 1812: campagna di Russia conclusasi con un insuccesso ........................................: sul trono francese viene rimesso un Borbone nella persona di Luigi XVIII 1º marzo 1815: Napoleone torna trionfante a Parigi che non vuole un nuovo Borbone ........................................: Napoleone viene sconfitto a Waterloo ........................................: Napoleone muore a Sant’Elena 1799
....................
1821
....................
....................
....................
....................
COMPETENZE IN AZIONE 5 Scrivi un breve testo argomentativo sul rapporto dispotismo/Rivoluzione nella politica napoleonica, utilizzando la
seguente scaletta:
330
a. Napoleone operò una serie di riforme dello Stato in direzione... b. Il governo della popolazione veniva realizzato mediante... c. Gli oppositori del regime subivano... d. Nei territori conquistati o annessi all’Impero la politica napoleonica consistette... e. Nei paesi cattolici l’atteggiamento della popolazione fu..., nel Nord Europa... f. Dopo la sconfitta, l’immagine di Napoleone divenne...
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
6 Correggi le seguenti frasi sottolineando l’errore in esse contenuto e scrivendo brevi testi di 3 righe per motivare la
tua scelta:
a. Il 2 dicembre 1804 Napoleone diventò presidente dei francesi. b. La riforma amministrativa voluta da Napoleone portò a una forte decentralizzazione burocratica. c. Nel marzo 1804 fu promulgato un nuovo Codice penale che completò l’opera riformatrice di Napoleone. d. Il Regno d’Italia fu trasformato, nel 1805, in Repubblica italiana. e. L’esercito che Napoleone guidò contro la Russia era numeroso e omogeneo. f. La coalizione antifrancese era composta da: Gran Bretagna, Russia, Prussia, Austria e Italia. g. Napoleone vinse a Lipsia e gli fu assegnato il possesso dell’isola d’Elba. h. Napoleone combatté la sua ultima battaglia a Vienna.
COMPITI DI REALTÀ 7 Realizzare un percorso turistico per un’agenzia viaggi online.
Tema storico da affrontare: I luoghi simbolo dell’epopea napoleonica.
Contesto di lavoro Lavori per un’agenzia di viaggi online che ha al suo interno un settore per gli appassionati di storia. I tuoi superiori hanno ricevuto diverse richieste dall’estero per un percorso relativo ai luoghi significativi dell’epopea napoleonica e hanno deciso di proporre un nuovo itinerario su questo tema. Cosa devi fare Con il tuo gruppo avete il compito di preparare un percorso turistico che permetta ai visitatori di conoscere alcuni fra i luoghi significativi dell’epopea napoleonica. Per realizzare questo compito dovete: ● scegliere la durata approssimativa del viaggio e tarare i contenuti proposti in base al numero di giorni scelti. ● individuare i luoghi più adatti in relazione al tema affrontato. Fate una prima selezione basandovi sui contenuti del manuale (nel capitolo o nei Fare Storia) e una successiva ricerca su Internet. Ricordate di operare una selezione coerente con il numero dei giorni individuato. ● ricercare online cosa visitare (musei, parchi storici, ecc.) per ogni luogo. ● individuare il mezzo di trasporto più idoneo per i vari spostamenti e verificare il tempo necessario per coprire le distanze fra i luoghi che avete scelto. ● realizzare per ogni luogo una scheda con le informazioni principali in grado di attrarre i turisti. La scheda (circa 5 righe) si aprirà in una finestra pop-up e sarà dotata di almeno un’immagine significativa. ● selezionare dal manuale una carta geostorica su cui poter indicare i luoghi che faranno parte del percorso. ● scrivere un breve testo storico (max 20 righe) che riassuma in modo gradevole le vicende napoleoniche, il contesto storico e l’importanza dei luoghi che avete scelto. ● scrivere un testo introduttivo che descriva il pacchetto di viaggio rivolgendosi ai potenziali clienti e arricchirlo di immagini significative (possono essere immagini selezionate precedentemente) e di una carta geostorica che mostri l’itinerario. ● realizzare un banner pubblicitario con immagini e testo da inserire in siti di viaggi “amici”. Presentazione del lavoro svolto Il lavoro di ogni gruppo sarà presentato ai responsabili dell’agenzia di viaggi del settore storico e dovrà prevedere: una relazione introduttiva del lavoro svolto da esporre oralmente (durata massima: 5 minuti) più la descrizione del percorso attraverso slide. Tempo a disposizione 1 ora per individuare sul manuale e su Internet i luoghi dell’itinerario; mezz’ora per cercare sul manuale e in Rete le immagini e le relative informazioni e verificare i risultati ottenuti; 1 ora per individuare i musei e i beni storici da poter visitare; 4 ore per la realizzazione del prodotto multimediale; 1 ora per impostare e provare la relazione. P.S. Il percorso dovrebbe essere realizzato anche in una lingua straniera coinvolgendo i docenti di lingue straniere.
331
C9 Napoleone
E
A
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CAP10 LA PRIMA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
10_1 I CARATTERI
DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
«Il mercato delle Indie orientali e della Cina, la colonizzazione dell’America, gli scambi con le colonie, l’aumento dei mezzi di scambio e delle merci in genere diedero al commercio, alla navigazione, all’industria uno slancio fino allora mai conosciuto [...]. L’esercizio dell’industria, feudale o corporativo, in uso fino allora non bastava più al fabbisogno che aumentava con i nuovi mercati. Al suo posto subentrò la manifattura [...]. Ma i mercati crescevano sempre, il fabbisogno saliva sempre. Neppure la manifattura era più sufficiente. Allora il vapore e le macchine rivoluzionarono la produzione industriale. All’industria manifatturiera subentrò la grande industria moderna; al medio ceto industriale subentrarono i milionari dell’industria, i capi di interi eserciti industriali, i borghesi moderni». In questo brano, tratto dalle pagine iniziali del Manifesto del Partito comunista scritto nel 1848, due profondi conoscitori delle trasformazioni della società come i filosofi politici tedeschi Karl
I fattori della trasformazione
E
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N LI N
Focus Invenzioni e brevetti • Industria tessile e filatura meccanica • La tecnologia siderurgica • Il lavoro minorile • La locomotiva a vapore • Arte e industria Atlante L’Europa industriale Lezioni attive Innovazioni industriali e di organizzazione del lavoro Test interattivi Audiosintesi
► Leggi anche: ► Fare Storia La nascita dell’industria moderna in Gran Bretagna e le sue conseguenze, p. 384
332
La città inglese di Sheffield La città inglese di Sheffield, nello Yorkshire, alla metà del XIX secolo, nel pieno dell’industrializzazione: un vero e proprio centro urbano caratterizzato dalla presenza di un alto numero di edifici industriali. Un elemento si impone immediatamente all’attenzione di chi guarda: le colonne di fumo delle ciminiere che trasformano il paesaggio, diventandone parte integrante e caratterizzante.
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
Marx e Friedrich Engels [►11_7] individuavano i passaggi cruciali che avevano determinato la rivoluzione industriale e la nascita della grande industria: il ruolo del commercio internazionale nel sollecitare la domanda di nuovi prodotti e il passaggio dalla produzione delle corporazioni artigiane a quella delle manifatture; l’introduzione nel processo produttivo di nuove macchine che danno vita alla fabbrica meccanizzata e la nascita di nuove classi sociali come la borghesia imprenditoriale e il proletariato industriale (composto dai lavoratori salariati e dalle loro famiglie). La rivoluzione industriale ebbe inizio in Gran Bretagna, in particolare in Inghilterra, a partire dagli anni ’60 del ’700 per poi estendersi nell’800 ad altri paesi europei e agli Stati Uniti. Il tasso di sviluppo dell’economia che si registrò in quegli anni, pari all’1,5%, può essere considerato basso se paragonato ai ritmi di crescita del ’900 (vicini e talora superiori al 6-8%), ma l’aspetto più importante è la continuità dello sviluppo accompagnato da profonde trasformazioni sociali. Le rivoluzioni economiche non hanno i tempi rapidi delle rivoluzioni politiche, misurabili in giorni e mesi, e qualche volta in un numero limitato di anni, ma producono effetti duraturi ed evidenti nel medio e lungo periodo. Grande produttrice di ricchezza, l’industrializzazione sarebbe divenuta, in tutto il pianeta e per oltre due secoli, la via obbligata per la conquista del benessere o almeno per l’uscita dalla povertà, anche se a prezzo di un iniziale peggioramento delle condizioni di lavoro per milioni di uomini, donne e bambini.
Una rivoluzione economica
lavoro salariato Il lavoratore impiegato nella fabbrica presta la sua opera alle dipendenze del padrone della fabbrica in cambio di una somma di denaro giornaliera, il salario. Questo tipo di lavoratore non possiede altro che la sua capacità di lavorare e la vende in cambio del salario. Nella società preindustriale, invece, i lavoratori erano spesso proprietari degli strumenti di produzione, dai telai agli attrezzi agricoli, e li usavano per ottenere i prodotti che consumavano o vendevano sul mercato.
meccanizzazione La meccanizzazione consiste nell’impiego parziale o totale delle macchine per sostituire, nella produzione, il lavoro manuale dell’uomo o la forza motrice degli animali. Diversamente dall’automazione, che può non dipendere da un operatore umano, la meccanizzazione prevede la partecipazione dell’uomo. Questi completa, accompagna e sorveglia il lavoro meccanico. Può anche fornire alla macchina informazioni o istruzioni. Per controllare i processi produttivi meccanizzati si impiegano, oggi, sempre più di frequente, computer e software specifici.
METODO DI STUDIO
a Evidenzia i passaggi cruciali del processo di sviluppo della rivoluzione industriale individuati da Marx e da Engels nel Manifesto del Partito comunista. b Sottolinea con colori diversi le caratteristiche e le conseguenze della rivoluzione industriale.
10_2 PERCHÉ IN GRAN BRETAGNA?
Per comprendere le ragioni per cui la Gran Bretagna divenne la prima nazione industriale è dunque indispensabile individuare i prerequisiti ossia le condizioni preliminari e particolari che consentirono alla rivoluzione di prendere avvio sul suolo britannico e non altrove [►FS, 88]. Dalla metà del ’700 la Gran Bretagna dominava il commercio internazionale. Posta al centro di questi traffici internazionali, Londra sviluppò una rete sempre più estesa di servizi di credito e assicurativi, assumendo il ruolo di capitale finanziaria di tutta l’Europa. Il controllo del mercato internazionale fornì alle manifatture britanniche la possibilità di un rapido e poco costoso approvvigionamento di materie prime, come il cotone grezzo, materia prima essenziale alla nascita della moderna industria tessile, e insieme garantì un ampio mercato di vendita per i prodotti delle industrie nazionali. Lo sviluppo commerciale favorì inoltre la formazione di operatori economici dotati di mentalità imprenditoriale, di disponibilità al rischio e di spirito di iniziativa, qualità indispensabili per avviare e sostenere una crescita economica.
Commercio internazionale e materie prime a basso costo
La società britannica si distingueva anche per una superiore diffusione delle libertà e della tolleranza, elementi strettamente connessi al commercio e all’ascesa delle classi medie. Paese già prospero e culturalmente vivacissimo, era in grado di offrire molti sbocchi allo spirito pragmatico, alla disponibilità al rischio e al dinamismo dei suoi imprenditori.
Una società prospera e dinamica
333
C10 La PRIMA rivoluzione industriale
8_IL COMMERCIO INGLESE (1700-1800) milioni di sterline 60 – 50 – 40 – 30 –
20 – 15 –
1800 –
1790 –
1780 –
1770 –
1760 –
1750 –
1740 –
1730 –
1720 –
1710 –
7,5 –
1700 –
10 –
Salvo un breve periodo di crisi nei primi anni ’40 e uno più consistente durante il conflitto con le colonie americane (177583), lo sviluppo del commercio estero inglese del ’700 è costante, con un’impennata nella seconda metà degli anni ’80.
La rivoluzione agricola – con la privatizzazione delle terre, sostenuta con energia dal Parlamento – contribuì ad avviare e sostenere il processo di industrializzazione su vari piani. In primo luogo determinando un forte aumento della produzione sopperì al fabbisogno alimentare di una popolazione in rapida crescita. In secondo luogo, la crescita dei redditi agricoli ad essa legata favorì la formazione del mercato interno, che si rivelerà un’importante fonte di domanda per i prodotti britannici [►FS, 89]. Decisivo fu inoltre, seppure a industrializzazione già avviata, il ruolo della rivoluzione agricola nel determinare – con la riduzione delle opportunità per i piccoli proprietari e i contadini autonomi – quel massiccio esodo dalle campagne che consentì lo sviluppo del proletariato industriale.
Il ruolo della rivoluzione agricola: disponibilità di capitali e manodopera
Il miglioramento delle vie di comunicazione
Nuovi sistemi di pavimentazione resero percorribili le strade anche durante la cattiva stagione. L’istituzione di pedaggi sulle arterie principali e l’ingresso dei privati nella gestione, prima affidata alle comunità locali, rappresentarono un incentivo alla manutenzione e al miglioramento della rete viaria. Ancora più
334
Ford Madox Brown, L’inaugurazione del Bridgewater Canal nel 1761 1869 [Murale nel Municipio di Manchester (Inghilterra)] Tra il 1759 e il 1761 venne progettato, e fatto realizzare dal duca di Bridgewater, il primo canale artificiale per scopi industriali: serviva per portare il carbone dalle miniere nel Worsley fino alle fabbriche dell’industriosa Manchester, collegando in parte questa con Liverpool, un’altra tra le più importanti città industriali inglesi del ’700.
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
significativa fu l’espansione dei canali navigabili (3200 km alla fine del ’700), poiché attraverso questi si svolse il traffico di materiali pesanti, come il carbone e il ferro, la cui disponibilità risultò determinante per la produzione industriale. Un altro fattore che distingueva la società britannica era la diffusione anche negli strati artigianali degli elementi della formazione di base – leggere, scrivere e soprattutto fare di conto – alla quale corrispondeva la presenza di una cultura scientifico-pratica che sollecitava la ricerca di nuove soluzioni tecniche per la nascente meccanizzazione. I principali inventori delle nuove macchine per l’industria tessile non furono scienziati ma ingegnosi praticanti. Aberdeen
Una cultura scientifico-pratica
24_LO SVILUPPO DEMOGRAFICO ED ECONOMICO IN GRAN BRETAGNA NEI PRIMI DECENNI DELL’800
Edimburgo
Glasgow
Densità di popolazione (1801) per km 2
MARE DEL NORD
meno di 20.000 abitanti
meno di 20 abitanti
da 20.000 a 50.000 ab.
na
da 20 a 35 ab.
d le
da 50.000 a 100.000 ab.
da 35 a 55 ab.
el
Aberdeen r No
Newcastle Sunderland
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Carlisle
Kendal
MARE
Preston
Bradford
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D’IRLANDA MARE DEL Liverpool NORD Holyhead Chester
Densità di popolazione (1801)
canali
minerali
fiumi navigabili
industrie
Centri urbani (1820) meno di 20.000 abitanti Densità da 20.000 a 50.000 ab. di popolazione (1801) 2 per km da 50.000 a 100.000 ab. oltre 500.000 ab.
le
na
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de
Plymouth Falmouth
Produzioni
da 75 a 150 ab.
Aberdeen
Whitehaven
oltre 500.000 ab.
da 55 a 75 ab.
Hull per km 2 Leeds Grimsby Manchester meno di 20 abitanti Sheffield Stockport da 20 a 35 ab. Edimburgo MARE Glasgow da 35 a 55 ab. DEL Boston Derby Stoke-on-Trent NORD Newcastle da 55 a 75 ab. Great Nottingham King’s Lynn gio SunderlandShrewsbury Yarmouth Stafford ior da 75 a 150 ab. Norwich Leicester G . Bridgnorth iS Baia di Newcastle canali Carlisle ed Birmingham Coventry Cardigan Sunderland al Cambridge fiumi navigabili Worcester Bedford Ipswich Whitehaven Brecon Gloucester Harwich York Kendal radford Hull Oxford ord Haven Leeds LONDRA Swansea Bristol Grimsby Cardiff anchester York MARE Sheffield Reading Canale di Bristol Preston Bath Bradford Hull tockport Leeds D’IRLANDA Dover er Bridgewater ov ais Grimsby D Manchester Boston di Cal Southampton Derby t Liverpool tto di Sheffield Nottingham Holyhead King’s Lynn Great Stockport Stre sso Portsmouth Yarmouth Pa Chester Stafford Exeter Norwich Leicester Boston Derby Stoke-on-Trent Nottingham King’s Lynn Great ngham CoventryPlymouth a o ic i n g Yarmouth Stafford la Ma Shrewsbury Cambridge ior Norwich Leicester .G Falmouth Bedford Ipswich S Bridgnorth Baia di di le Birmingham Coventry Gloucester Cardigan Harwich na a Cambridge Oxford C Worcester Bedford Ipswich LONDRA Brecon Gloucester Harwich Reading h Oxford Milford Haven Dover er LONDRA Swansea ov ais Bristol i D alCardiff d Southampton C o i t Reading Canale et did Bristol Bath Str asso Portsmouth Dover er Bridgewater P ov is i D ala d Southampton C o ett di Str asso ica Portsmouth P la Man Exeter
go
Centri urbani (1820)
ica la Man
Produzioni
Centri urbani (18
meno di 20 abitanti da 20 a 35 ab. da 35 a 55 ab.
minerali
da 55 a 75 ab.
industrie
da 75 a 150 ab.
meno di 20.0
da 20.000 a 5
da 50.000 a 1
oltre 500.000 Produzioni
canali
minerali
fiumi navigabili
industrie
La cartina illustra tutti i principali aspetti della rivoluzione industriale: la crescita demografica e urbana; la dislocazione dei centri industriali e la presenza di canali e fiumi navigabili. Dai 6 milioni di abitanti del 1740, la popolazione inglese passò agli oltre 14 milioni del 1830. Parallelamente si verificò un aumento della popolazione urbana rispetto a quella residente in campagna: infatti, il numero dei centri urbani con più di 10 mila abitanti passò da 30 a 53. Poli di attrazione erano sia le città di recente formazione come Manchester, Liverpool, Birmingham, Leeds, Glasgow, sia centri preesistenti che si trasformarono in metropoli come Londra. L’arricchimento del tessuto urbano britannico – specie nel Sud dell’isola – trasformò la geografia degli insediamenti, dando vita a veri distretti urbanizzati, formati da centri industriali dislocati in prossimità di luoghi di approvvigionamento di materie prime e vie di comunicazione (strade, ponti, fiumi, canali).
335
C10 La PRIMA rivoluzione industriale
LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: LE PREMESSE
Carbone e ferro a basso costo
Attiva industria mineraria
Commercio internazionale
Cotone a basso costo
Ampliamento dei mercati
Società prospera e dinamica
Stabilità politica
Borghesia attiva e intraprendente
Rivoluzione agricola
Aumento demografico Aumento manodopera
Infine, in Gran Bretagna, un costo del lavoro relativamente alto (se paragonato a quello di altri paesi europei o asiatici) e una disponibilità di energia, idrica o prodotta dal carbone [►FS, 88], a basso prezzo, resero conveniente puntare sull’innovazione tecnologica e sulle nuove macchine per aumentare la produzione complessiva e la produttività per lavoratore. Ciò fu particolarmente evidente nelle innovazioni applicate alla filatura del cotone. Altrove, sul continente europeo, per non parlare dell’India, il basso costo del lavoro non costituiva un incentivo alla meccanizzazione.
Energia a basso costo
Aumento produttività
Legislazione a sostegno delle recinzioni
Accumulo di capitali da reinvestire
produzione/produttività Per produzione si intende l’insieme delle operazioni, semplici o complesse, attraverso le quali si crea un bene trasformando altri
beni. La produttività è invece il rapporto fra la produzione e il lavoro svolto per ottenerla.
METODO DI STUDIO
a Realizza sul quaderno un elenco per punti dei prerequisiti che consentirono alla Gran Bretagna di diventare la prima nazione industriale indicando per ognuno di essi alcune parole chiave. b Spiega il rapporto fra i seguenti elementi e il processo di industrializzazione: a. la rivoluzione agricola; b. le vie di comunicazione; c. la formazione degli artigiani; d. il costo del lavoro; e. la presenza di energia idrica e di carbone.
10_3 INNOVAZIONI E SVILUPPO TECNOLOGICO
► Leggi anche: ► Focus Industria tessile e filatura meccanica • Invenzioni e brevetti ► Personaggi James Watt e la macchina a vapore, p. 338
Numerose furono le invenzioni che accompagnarono i primi anni dello sviluppo industriale: ad esse è stato a lungo attribuito un ruolo determinante nella trasformazione economica. In realtà, un’osservazione più attenta del rapporto temporale tra invenzione, applicazione al processo produttivo e sviluppo della produzione consente di comprendere come il ruolo dell’invenzione risulti marginale nell’avviare il processo di industrializzazione, mentre sono piuttosto le esigenze poste da quest’ultima che determinano l’introduzione di nuove tecniche nel processo produttivo. Appare quindi opportuno rifarsi alla classica distinzione dell’economista austriaco macchine utènsili Joseph A. Schumpeter (1883-1950) tra invenzioni e innovazioni. Il termine Le macchine utènsili sono fisse e alimentate da una forza invenzione designa la scoperta di una determinata tecnica, quello di innomotrice. Vengono usate per sagomare pezzi di legno, metallo o altro materiale in grande quantità. Queste vazione indica invece la sua applicazione. Così non è l’invenzione in quanto macchine possono tagliare, tranciare, spremere la materia tale che provoca il cambiamento, ma è la sua applicazione diffusa e costanprima ma, in tempi molto recenti, anche agire sulla te che costituisce il cuore della trasformazione tecnica. In questo campo la materia con l’energia elettrica o gli ultrasuoni. rivoluzione industriale segna il passaggio da una situazione nella quale il 336
Dall’invenzione alla innovazione
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
progresso scientifico era caratterizzato da scoperte sporadiche a una fase segnata da un flusso continuo e concatenato di innovazioni [►FS, 87]. I settori principalmente interessati dai cambiamenti tecnologici furono quelli delle macchine utènsili e della generazione di forza motrice e, strettamente connessi a quest’ultima, della estrazione e lavorazione delle materie prime, in particolare del carbone e dei minerali ferrosi. Nel settore dell’industria tessile, la reciprocità del rapporto tra invenzione e produzione risulta particolarmente evidente. In un breve giro di anni una serie di invenzioni consentì il passaggio alla completa meccanizzazione della filatura (l’operazione che trasforma il materiale grezzo in filo) e alla produzione di un filato sempre più sottile e resistente: venne messa a punto prima la macchina per filare azionata a mano, la jenny di James Hargreaves, brevettata nel 1765; poi, nel 1769, fu inventato da Richard Arkwright il filatoio idraulico, alimentato appunto con energia idrica; e nel 1779 il filatoio mule di Samuel Crompton, un ibrido fra le due precedenti macchine [►FS, 90]. La tessitura rimase invece prevalentemente manuale nonostante l’invenzione del telaio meccanico di Edmund Cartwright (1787), che tuttavia si affermò solo a partire dal 1820, mentre i telai tradizionali rimasero in attività fino al 1850 circa.
La meccanizzazione della filatura
Ancora nei primi decenni dell’800, a fornire l’energia La macchina per muovere le nuove macchine erano le ruote idraulia vapore che installate lungo i corsi d’acqua e le fabbriche si chiamavano mills, “mulini”. Una svolta decisiva fu il passaggio allo sfruttamento dell’energia termica con la costruzione delle prime macchine a vapore – a cominciare da quella inventata da James Watt nel 1769.
▲Il
filatoio idraulico di Arkwright del 1769 [National Museum of Science and Industry, Londra]
▼Interno
di una manifattura tessile 1835 [Science Museum, Londra] L’immagine mostra il sistema della filatura intermittente operata da più macchine chiamate spinning jenny (in italiano “giannetta”). La spinning jenny venne messa a punto dall’inglese James Hargreaves fra il 1764 e il 1770 consentendo di filare con più fusi (fino a 120) contemporaneamente.
337
C10 La PRIMA rivoluzione industriale
La macchina a vapore funzionava bruciando carbone per riscaldare l’acqua e produrre vapore. Generava così energia artificialmente e in base alle esigenze di produzione. Divenne allora sempre più conveniente utilizzare una forza motrice costante alimentata da un combustibile, il carbone appunto, di cui la Gran Bretagna possedeva ricchi giacimenti, senza sottostare più ai cicli naturali – che condizionavano l’impiego di energia eolica e idrica – o ai limiti della forza fisica umana e animale. Inizialmente impiegate per aspirare acqua nelle miniere, le macchine a vapore sostituirono progressivamente le ruote idrauliche anche in altri settori e in particolare, come vedremo, in quello tessile e siderurgico. A questo punto, vapore e carbone divennero gli strumenti del progresso. Nel 1800 erano in funzione 1000 macchine a vapore, nel 1815 la potenza installata era già cresciuta di 20 volte.
METODO DI STUDIO
a Spiega per iscritto quali informazioni emergono grazie all’analisi del rapporto temporale fra invenzione, applicazione al processo produttivo e sviluppo della produzione, e perché Schumpeter ha ritenuto opportuno operare una distinzione tra invenzioni e innovazioni. b Spiega per iscritto in che modo il processo di meccanizzazione della filatura esemplifica il concetto oggetto dell’esercizio precedente.
PERSONAGGI
James Watt e la macchina a vapore
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ello sterminato elenco di ingegneri, tecnici, meccanici, imprenditori artefici della grande mole di innovazioni all’origine della rivoluzione industriale, il nome di James Watt (1736-1819) è sicuramente il più noto. Si deve a lui, infatti, la progettazione e la realizzazione di alcune fondamentali invenzioni che resero la macchina a vapore uno strumento capace prima di trasformare il modo di lavorare e produrre e poi, in un secondo momento, di rivoluzionare i sistemi di trasporto [►10_6]. La sua iniziale formazione si svolse a Gree‑ nock, la cittadina scozzese in cui nacque e crebbe: non tanto però nelle aule scolastiche, dove si dedicò principalmente allo studio delle materie classiche, quanto nel laboratorio del padre, architetto e costruttore navale, nel quale iniziò, già da bambino, a prendere confidenza con gli strumenti di lavoro e con i disegni dei progetti. Finite le scuole, si trasferì prima a Glasgow e poi a Londra per studiare matematica e scienze all’università. Dopo un anno nella capitale, senza portare a termine gli studi, decise di fare ritorno a Glasgow, dove fu assunto dall’università come tecnico responsabile dell’attrezzatura dei laboratori. Ebbe così modo di partecipare alle diverse attività di ricerca e conoscere alcuni dei maggiori scienziati attivi in Scozia come il fisico Joseph Black, che stava sviluppando il concetto di “calore latente”, e il chimico John Robinson. Fu proprio nel corso di questa collaborazione che Watt cominciò
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
a interessarsi all’uso del vapore come fonte di energia motrice. Nel 1764 fu incaricato di lavorare su un piccolo esemplare della “macchina di Newcomen”. La macchina, messa a punto da Thomas Newcomen una cinquantina d’anni prima, era stato il primo strumento a usare il vapore per generare energia. Utilizzata soprattutto per pompare acqua dalle miniere, era un macchinario rudimentale dagli impieghi limitati, che richiedeva un’elevata quantità di carbone. In realtà, Watt da tempo aveva cominciato a elaborare progetti per macchine a vapore e a costruire alcuni prototipi. Si trattava, tuttavia, soltanto di tentativi, condotti per lo più senza una sperimentazione diretta del funzionamento delle macchine già esistenti. Per queste ragioni, il lavoro iniziato sulla macchina di Newcomen fu una tappa fondamentale per il procedere dei suoi studi. Watt impiegò circa un anno per venire a capo del problema del grande spreco di calore, solo una parte del quale era utilizzato direttamente per produrre il movimento. La soluzione fu trovata nel “condensatore separato”: a fianco al cilindro in cui, per effetto del vapore, si muoveva il pistone che attivava l’azione meccanica, inserì un secondo contenitore separato nel quale la temperatura poteva essere diminuita, in modo da non disperdere il calore dentro il cilindro. In questo modo si produceva energia motrice utilizzando una minore quantità di calore e, dunque, di carbone da bruciare. Watt giunse così – al termine di un lungo la-
► Schema
della macchina a vapore di Thomas Newcomen 1709 Il vapore prodotto nella caldaia passa nel cilindro e solleva il pistone. Viene quindi chiusa la valvola A e introdotta dell’acqua di raffreddamento attraverso la valvola B. Il vapore si condensa creando un vuoto che provoca la discesa del pistone: in questo modo si crea il movimento del pistone e quindi del bilanciere.
voro di studio e di rigorose sperimentazioni – a realizzare la sua più grande invenzione. Poco dopo aver elaborato la sua invenzione, Watt lasciò l’impiego all’università per intraprendere l’attività di ingegnere civile, quale responsabile per la costruzione di canali nella zona di Glasgow. Oltre a garantirgli una maggiore sicurezza economica, il nuovo impiego gli consentiva di studiare le macchine a vapore in attività (impiegate per pompare acqua in superficie), portando avanti, anche se in tempi più lenti, le proprie sperimentazioni. Nel giro di alcuni anni riuscì a mettere a punto ulteriori miglioramenti: il più importante – per il quale registrò nel 1769 il suo primo brevetto – fu l’accorgimento che consentiva di utilizzare la pressione del vapore, e non quella atmosferica, per la discesa del pistone nel cilindro (il pistone, infatti, sospinto dal vapore, andava in alto e poi scendeva); in questo modo impedì che l’aria raffreddasse il cilindro, diminuendo quindi il dispendio di vapore e di combustibile. L’attività sperimentale, però, richiedeva consistenti investimenti economici. Per questa ragione, particolarmente importante fu la venticinquennale collaborazione con l’industriale metallurgico Matthew
10_4 COTONE E FERRO
► Leggi anche: ► Focus La tecnologia siderurgica
«Se diciamo rivoluzione industriale, intendiamo cotone»: niente di più vero di questa affermazione dello storico Eric J. Hobsbawm. È il settore dell’industria cotoniera che determinò il decollo dell’industrializzazione, avvalendosi per primo delle nuove tecnologie produttive: il cotone fu infatti il battistrada del nuovo modo di produzione basato sulla fabbrica. Alla vigilia della rivoluzione industriale, intorno al 1760, la Gran Bretagna importava 2,5 milioni di libbre di cotone grezzo, nel 1787 l’importazione era salita a 22 milioni, per giungere cinquant’anni dopo a 366 milioni [► _9]. Questi dati lalibbra sciano chiaramente comprendere l’enorme incremento produttivo compiuto La libbra (dal latino libra, “bilancia”) è un’antica unità di misura di peso, che ha assunto valore diverso a seconda dall’industria cotoniera britannica. Tradizionale grande produttrice ed esportadelle epoche e delle aree geografiche. La libbra britannica trice di tessuti di lana, la Gran Bretagna cominciò a primeggiare anche nel settoattuale (detta anche libbra internazionale) equivale a re cotoniero. 453,59237 grammi.
L’industria cotoniera
Boulton, avviata nel 1775, quando Watt lasciò l’incarico di ingegnere civile e si trasferì a Birmingham, dove Boulton viveva e aveva le proprie attività. La nuova disponibilità di capitali e la possibilità di dedicarsi a tempo pieno alla progettazione resero possibile mettere a punto, nell’arco di pochi anni, altre innovazioni, tra le quali il meccanismo che permetteva di trasformare il moto rettilineo alternato dello stantuffo nel moto rotatorio continuo di un volano. Intorno al 1790, la macchina di Watt poteva dirsi sostanzialmente completata: rispetto soltanto a pochi anni prima ora risultava più efficiente, più economica e, grazie al moto rotatorio, adattabile a un numero decisamente più ampio di attività. Gli ultimi anni furono dedicati prevalentemente all’attività commerciale e al rapporto con
gli acquirenti. Fino al 1800 Watt e Boulton riuscirono a vendere circa 450 macchine, ora impiegate per attivare i macchinari nelle manifatture, la gran parte in Inghilterra e in Scozia, e una trentina nelle altre nazioni dell’Europa occidentale, in Russia e in India. Macchine a vapore vennero installate in cotonifici, fabbriche metallurgiche, cartiere, distillerie. Ne derivò, per l’inventore, oltre che numerosi riconoscimenti ufficiali per i suoi meriti scientifici, un grande profitto, nonostante i frequenti casi di spionaggio industriale e di pirateria. La diffusione della sua macchina nel corso dell’800 – impiegata ormai anche per far muovere i nuovi mezzi di trasporto, le locomotive e le navi a vapore – avvenne parallelamente alla celebrazione del suo nome. Nei decenni successivi Watt sarebbe stato incluso dalle autorità scozzesi nel
▲ Schema
della macchina a vapore di James Watt 1769 Questo disegno mostra il funzionamento della macchina a vapore messa a punto da Watt. Il vapore entra nella parte bassa del cilindro (1) tramite la valvola A, il pistone sale in alto e spinge il vapore nel condensatore tramite la valvola B. Le valvole A e B si chiudono, C e D si aprono: il vapore entra nella parte alta del cilindro (2) passando per la valvola C. Il pistone è spinto verso il basso e spinge il vapore nel condensatore attraverso la valvola D. Ancora una volta D si chiude e il ciclo ricomincia. In questo modo il movimento è più rapido e il raffreddamento è portato avanti nel condensatore. Tramite il bilanciere e il sistema a biella, il moto alternato del pistone si trasforma nel moto rotatorio del volano, che funge da ruota motrice per altri meccanismi ad essa collegati.
novero degli “eroi” nazionali, e watt verrà chiamata dal 1882 l’unità di misura della potenza.
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C10 La PRIMA rivoluzione industriale
James Nasmyth, Il maglio a vapore della fonderia di Paticroft presso Manchester 1840 ca. [Science Museum Library, Londra] Questo dipinto fu realizzato dal britannico James Nasmyth (18081890), che nel 1839 ideò e disegnò il maglio a vapore per la lavorazione dei lingotti di ghisa (poi brevettato nel 1843). Il maglio – l’enorme macchinario visibile al centro del quadro – è impiegato ancora oggi nelle fonderie per modellare grossi blocchi di ferro.
LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: TECNOLOGIA E INNOVAZIONE
Alti costi del lavoro
Jenny di Hargreaves (1765)
Disponibilità energia
INNOVAZIONE TECNOLOGICA
Meccanizzazione della filatura Filatoio idraulico di Arkwright (1769)
Sviluppo industria cotoniera
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Prodotti a basso costo
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
Richiesta di ghisa per la costruzione di macchine
Stimolazione industria estrattiva
Stimolazione industria siderurgica
Invenzione macchina a vapore (Watt, 1769)
Puddellaggio a vapore di Cort (1783-84)
I tessuti di cotone avevano un mercato molto più ampio di quello della lana, erano adatti a tutti i climi e in grado di sostituire la canapa e il lino. Per quasi tutto il ’700 il Bengala indiano, ormai sotto dominio britannico, era stato il maggior produttore di tessuti di cotone, imbattibili per costo e qualità, distribuiti in tutto il mercato internazionale dalle navi mercantili britanniche. Fu proprio questa competizione internazionale a sollecitare la meccanizzazione della filatura, con risultati straordinari tanto sul versante quantitativo quanto su quello qualitativo, e con un’alta remunerazione dei capitali investiti [►FS, 90]. Contemporaneamente all’aumento di produttività dovuto alle macchine, la diminuzione del costo del lavoro era favorita da un’ampia disponibilità di manodopera alla quale non era richiesta una particolare specializzazione, data l’elementarità della manovra delle nuove macchine tessili. L’espansione demografica e la possibilità di impiegare donne e bambini fornirono all’industria la necessaria quantità di forza-lavoro a basso costo per poter entrare sul mercato a prezzi competitivi e sostenere quindi l’ampliamento della domanda di un prodotto sempre più economico e sempre più richiesto.
ghisa/altoforno La ghisa è una lega di ferro e carbonio (in quantità superiore all’1,7%) prodotta dalla fusione del ferro negli altiforni. In questi forni a funzionamento continuo l’alta temperatura permette la riduzione a metallo dei minerali di ferro, grazie all’ossido di carbonio prodotto dalla combustione del carbone. La ghisa può solo essere fusa in stampi, a una temperatura relativamente bassa (1060 ÷ 1200 ºC) ed è molto scorrevole allo stato liquido, resistente all’usura e all’ossidazione, e non facilmente deformabile. distillazione del carbon fossile La distillazione del carbon fossile avviene in impianti detti cokerie per la produzione di coke. I forni sono costituiti da una serie di celle rivestite internamente da mattoni refrattari silicei. Le celle hanno forma stretta e allungata: larghezza = 0,40 ÷ 0,60 m, altezza = 4 ÷ 6 m, profondità = 10 ÷ 16 m. Il carbon fossile viene caricato dall’alto in forni costituiti da celle riscaldate alla temperatura di 1200 ÷ 1400 °C, per un tempo di 14 ÷ 20 ore: durante il processo di distillazione il carbone si libera dello zolfo e delle materie volatili. Il coke così ottenuto viene trasportato, per mezzo di appositi vagoni, sotto una torre di spegnimento, dove è raffreddato tramite una pioggia d’acqua.
Quasi nello stesso periodo in cui si sviluppò il settore cotoniero, l’industria del ferro – la siderurgia – attraversò un processo di rapida espansione. La progressiva meccanizzazione, infatti, dipendeva da investimenti in nuove attrezzature e in macchine copuddellaggio struite prevalentemente in ferro. Ma anche qui era necessario introdurre innovaIl puddellaggio (dall’inglese to puddle, “rimestare”) è il zioni che eliminassero o riducessero le strozzature di una produzione legata al trattamento di ossigenazione e rimescolamento (puddling) tradizionale impiego del carbone di legna per alimentare gli altiforni che produa cui viene sottoposta, in appositi forni, la ghisa per ottenere una maggiore duttilità e malleabilità del metallo. cevano la ghisa. Il risultato era infatti una ghisa di scarsa qualità dovuta alle impurità del minerale ferroso locale: solo la dispendiosa importazione del ferro svedese, più puro, consentiva di ottenere un prodotto di qualità accettabile. Neppure l’impiego del coke, risultato dalla distillazione del carbon fossile, materia prima largamente disponibile in Gran Bretagna, era riuscito a migliorare la qualità della ghisa data la difficoltà di raggiungere le alte temperature necessarie negli altiforni. La macchina a vapore e il sistema di Henry Cort per il puddellaggio [►FS, 91], brevettato nel 1783-84, mutarono totalmente questa situazione: permettendo non solo la produzione di ghisa di buona qualità anche a partire dal minerale britannico, ma soprattutto un notevole abbattimento dei costi di produzione. Infatti, l’insufflazione di aria negli altiforni, assicurata dalle macchine a vapore, consentiva la completa combustione del coke e il raggiungimento di temperature tali
L’industria siderurgica
9_L’IMPORTAZIONE DEL COTONE GREZZO IN INGHILTERRA
200 milioni di libbre (1 libbra = 0,453 kg)
L’importazione di cotone grezzo, aumentata incredibilmente tra il 1740 e il 1830 (e poi ancora di più nei due decenni successivi), incrementò il suo volume d’affari in coincidenza con l’introduzione di alcune importanti innovazioni nel settore tessile. Si osservi come il primo importante aumento, tra il 1770 e il 1790, coincida con l’affermazione della spinning jenny e con l’applicazione del motore a vapore al filatoio. Nel 1816 il prodotto di cotone lavorato e finito costituiva il 40% delle esportazioni inglesi. Un altro grande balzo in avanti avvenne dopo il 1820, quando il telaio meccanico di Cartwright divenne metallico;
183,6
180 160 140 120
98,7
100 80 60 40 20 1,7 0 1740
3,7 1770
15,5
1790
esso si impose definitivamente tra gli anni ’30 e ’40 del XIX secolo (quando
30,1
1800
1820
1830
l’importazione di cotone grezzo superò i 350 milioni di libbre).
341
C10 La PRIMA rivoluzione industriale
da rendere possibile la raffinazione del ferro. La macchina a vapore rendeva inoltre disponibili in modo continuo le grandi potenze necessarie per modellare la ghisa con i magli e i laminatoi. La produzione di ghisa crebbe costantemente dalle 68 mila tonnellate del 1788 alle 581 mila del 1825 e, dal 1812, la Gran Bretagna diventò un paese esportatore. Il ferro divenne il simbolo della modernità e della nuova civiltà della macchina e il suo impiego, oltre che in ogni tipo di strumenti, si affermò nell’edilizia pubblica e abitativa, in parte per le caratteristiche intrinseche e la convenienza del materiale, ma in parte anche per il suo valore simbolico. Fra il 1775 e il 1779 veniva costruito a Coalbrookdale, sul fiume Severn, il primo ponte interamente in ghisa con una luce di 30 metri. Il trionfo di questa funzione celebrativa del ferro si sarebbe avuto con la costruzione del Crystal Palace per l’Esposizione universale di Londra del 1851. METODO DI STUDIO
a Sottolinea i differenti elementi che concorsero allo sviluppo del settore produttivo dei panni di cotone in Gran Bretagna. b Evidenzia le risposte alle seguenti domande: a. Cosa rendeva la qualità della ghisa prodotta dalla combustione del coke scarsa? b. Quali innovazioni permisero di ottenerne di buona qualità? c. Perché era così importante avere ghisa di buona qualità? d. Quali furono gli effetti di queste innovazioni?
L’Ironbridge sul fiume Severn Le nuove tecniche di fusione ideate da Abraham Darby resero possibile l’utilizzo del ferro anche per affrontare problemi di ingegneria complessi, quali la costruzione di un ponte. Il primo ponte in ferro mai costruito fu realizzato fra il 1775 e il 1779 sul fiume Severn, in Inghilterra. I pezzi che lo compongono furono fusi nelle vicine fonderie di Coalbrookdale, uno dei luoghi di nascita della rivoluzione industriale. Il ponte diede il nome alla vicina cittadina che ancora oggi si chiama Ironbridge (cioè “ponte di ferro”).
10_5 LA NASCITA DELLA FABBRICA
E LA CONDIZIONE DEI LAVORATORI
L’avvento del sistema di fabbrica sconvolse i metodi di produzione e le forme di organizzazione del lavoro. In Gran Bretagna, fino alla metà del ’700, l’attività produttiva si svolgeva nelle botteghe artigiane o più spesso nei sobborghi e nelle campagne, dove il metodo di produzione era prevalentemente quello a domicilio [►1_5]. Con l’introduzione delle macchine questo sistema cambiò radicalmente: le prime fabbriche – soprattutto le filature tessili – erano grandi edifici a più piani sorti inizialmente lungo i corsi d’acqua anche in campagna per sfruttare l’energia idrica. L’adozione delle macchine a vapore consentì lo spostamento delle fabbriche nelle città. Inoltre, il lavoratore generico divenne un operaio salariato: abbandonò cioè tutte le altre attività che nell’impresa familiare continuava a svolgere, in particolare quelle agricole, ed ebbe nella fabbrica il suo unico impiego. Un impiego che non richiedeva particolare perizia, ma solo l’esecuzione dell’operazione parziale – spesso molto semplice ma continuamente ripetuta – affidatagli sulla base di una crescente divisione del lavoro [►FS, 91].
La divisione del lavoro
L’avvento del sistema di fabbrica impose condizioni di lavoro molto gravose, che prevedevano orari oscillanti fra le 12 e le 16 ore giornaliere. La semplificazione del processo produttivo rese possibile il largo impiego, soprattutto nell’industria tessile, di donne e bambini che furono sottoposti a un duro sfruttamento. La condizione operaia era caratterizzata dalla estrema precarietà del posto di lavoro ed era inoltre aggravata da tutti i problemi connessi al processo di inurbamento. Gli operai erano costretti ad abitare in situazioni di sovraffollamento, in case fatiscenti e in pessime condizioni igieniche, potendo contare su un’alimentazione povera in quantità e qualità. 342
Lo sfruttamento dei lavoratori
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
► Leggi anche: ► Focus Il lavoro minorile ► Lezioni attive Innovazioni industriali e di organizzazione del lavoro ► Parole della storia Divisione del lavoro, p. 344 ► Storia e Ambiente Città e paesaggio urbano dopo le rivoluzioni industriali, p. 648
Il sistema di fabbrica trasformò, come abbiamo visto, la distribuzione territoriale delle unità produttive e ridisegnò con essa l’immagine topografica e architettonica delle città e il paesaggio. L’attività lavorativa, infatti, si concentrò progressivamente nei centri urbani che crebbero in misura considerevole secondo tipologie edilizie di tipo intensivo, mentre anche la campagna circostante modificava le sue colture in funzione di una popolazione urbana in forte aumento. Manchester, che divenne il principale centro dell’industria cotoniera, sestuplicò la sua popolazione da 20 mila a 120 mila abitanti tra il 1760 e il 1830 [►FS, 92 e 93].
Le trasformazioni del paesaggio urbano e rurale
La formazione dei grandi agglomerati di popolazione urbana e le nuove modalità di aggregazione sociale rappresentate dalla fabbrica e dal quartiere operaio, da un W.G. Mason, Una lato resero più omogenei bisogni e condizioni di vita, dall’altro, attraverso l’intensificarsi dei contatti, sistemazione auspicabile a Londra. diffusero la consapevolezza di un destino comune. Questi furono i presupposti per il sorgere di forme Una camera per più persone in una casa a nuove di analisi e di azione politica. Tuttavia la consapevolezza del processo di trasformazione in Gray’s Inn Lane atto nelle condizioni di lavoro e nel ruolo sociale dei lavoratori maturò inizialmente negli strati tradi- 1850 [Wellcome Library, Londra] zionali degli artigiani e tra i lavoranti a domicilio e non fra i nuovi operai di fabbrica. Tra essi si diffuse Nel 1850 Londra è la più il luddismo, una delle prime manifestazioni di opposizione sociale. Questo movimento, organizzato grande città industriale del mondo e attira moltissime in segrete e disciplinate “bande di guerriglia”, prese il nome dal leggendario tessitore Ned Ludd che persone dalle campagne nel 1779 avrebbe distrutto un telaio meccanico per la fabbricazione delle calze di lana. I luddisti con- e dai borghi vicini. Le condizioni di vita però trastavano il diffondersi della prima meccanizzazione adottando come principale, anche se non uni- sono spesso pessime colpiscono artisti e ca, forma di lotta la distruzione delle macchine, nel cui impiego veniva individuata la causa fonda- eillustratori che decidono di ritrarre, in maniera mentale della disoccupazione e dei bassi salari. la miseria Nonostante i timori suscitati nelle classi medio-alte della società britannica, le forme estreme di lotta realistica, della vita quotidiana: i adottate dai luddisti non erano affatto inedite. Per tutto il ’700, infatti, nei conflitti sviluppatisi nel lavori logoranti di adulti e bambini, l’angoscia mondo del lavoro, specie nel settore della manifattura e del lavoro a domicilio, la distruzione dei mac- di giovani e vecchi, la di luoghi e chinari, ma anche delle materie prime, dei prodotti finiti e, nei casi estremi, delle proprietà individua- sporcizia persone lungo le strade li dell’imprenditore, rientrava tra le pratiche adottate dai lavoratori per esercitare pressione sui datori della grande metropoli. di lavoro al fine di strappare migliori condizioni lavorative. Nella fase di passaggio dal sistema di lavoro a domicilio a quello di fabbrica in METODO DI STUDIO realtà al centro della contestazione dei lavoratori c’era la questione del controllo a Con un segno a margine del paragrafo indica del mercato del lavoro e non quella dell’introduzione delle macchine. In altre le parti di testo che potresti intitolare: 1. La nascita parole, per i lavoratori inglesi il problema era costituito non dalle macchine in sé, della fabbrica; 2. Il lavoro in fabbrica; 3. Le trasformazioni in città e in campagna; 4. L’opposizione alla ma dall’uso che ne facevano i datori di lavoro, i quali le utilizzavano per licenziamacchina. re le maestranze e ridurre i salari. b Spiega per iscritto cosa cambiò con l’avvento In risposta alla protesta, la legislazione penale inglese, durissima non solo contro del sistema di fabbrica negli impianti industriali, nelle condizioni dei lavoratori e nel paesaggio. i distruttori di macchine ma contro qualsiasi forma di organizzazione, di sciope c Spiega in cosa è consistito il luddismo, quali ro e di rivendicazioni salariali, venne ulteriormente inasprita nel 1812 con l’insono state le cause e quali gli esiti. troduzione della pena di morte contro i luddisti.
Contro le macchine: i luddisti
10_6 L’INDUSTRIALIZZAZIONE DELL’EUROPA
L’arretratezza dell’Europa continentale
► Leggi anche:
CONTINENTALE E LO SVILUPPO DELLE FERROVIE
Il nuovo sistema produttivo si affermò nel resto dell’Europa e negli Stati Uniti a partire dal 1830 circa. Da allora il capitalismo industriale cominciò a costituire il principale elemento propulsivo delle trasformazioni dell’intera realtà economica e sociale.
► Focus La locomotiva a vapore ► Atlante L’Europa industriale
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C10 La PRIMA rivoluzione industriale
Eyre Crowe, L’ora di pausa, Wigan 1874 [Manchester Art Gallery, Manchester] Messo in mostra alla Royal Academy di Londra nel 1874, questo dipinto è una delle prime raffigurazioni ottocentesche della vita in una cittadina industrializzata a fare la sua comparsa negli spazi di una mostra d’arte ufficiale. La rappresentazione delle donne in pausa, vestite di abiti lindi e ritratte in un momento di tranquilla serenità sullo sfondo di fabbriche di mattoni rossi, sembra chiaramente idealizzata: l’autore volle probabilmente andare incontro alla “sensibilità” delle classi sociali più agiate, certamente non avvezze alle immagini sicuramente più crude che potevano vedersi quotidianamente nei distretti industrializzati del Centro-Nord dell’Inghilterra. L’unica nota del dipinto che ricorda la difficile vita delle classi lavoratrici è il poliziotto, la figura nera visibile in fondo, alle spalle del gruppo in primo piano, che con il bastone in mano sorveglia le donne, pronto a riportare l’ordine in qualsiasi momento.
Parole della storia
Divisione del lavoro
L
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a divisione del lavoro consiste nella ripartizione dei compiti tra i membri di una società. La differenziazione delle funzioni non è un fatto recente, perché essa caratterizzava già le primissime forme di organizzazione sociale del passato (villaggi e città del Neolitico), e nei millenni si è evoluta in relazione allo sviluppo economico e sociale di ciascuna civiltà. Dalla semplice divisione dei mestieri sulla base dei diversi settori delle attività produttive (agricoltura, commercio, manifattura, ecc.) si è pervenuti, prima, alla distinzione tra professioni all’interno di uno stesso settore, poi, con la rivoluzione industriale e l’utilizzo delle prime macchine, a una divisione del lavoro definita “tecnica”, dove il lavoratore è adibito a una sola fase del processo produttivo e uno stesso mestiere o professione si scompone secondo varie specializzazioni. È in relazione a quest’ultimo processo che si delinea il ruolo del moderno operaio di fabbrica, cui spetta non l’intera lavorazione di un prodotto ma solo l’esecuzione di un numero limitato di operazioni. Benché dunque la divisione del lavoro sia un fenomeno antico, è solo con la diffusione della manifattura, prima, e del sistema di fabbrica, poi, che essa assume rilevanza, divenendo oggetto di analisi specifiche da parte di osservatori e studiosi. La prima e più nota è quella
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
di Adam Smith, il padre dell’economia politica classica, secondo cui la divisione del lavoro consiste nella semplificazione e standardizzazione del lavoro affidato al singolo lavoratore. Comporta un netto aumento della produttività determinato dalla crescita della produttività del singolo operaio dedito a un’unica mansione, dal risparmio di tempo del lavoratore che non deve più impratichirsi in svariate operazioni, e infine dall’invenzione di macchine che facilitano e abbreviano il lavoro. Nel saggio Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776) Smith proponeva l’esempio della produzione di spilli: «Un uomo trafila il metallo, un altro raddrizza il filo, un terzo lo taglia, un quarto gli fa la punta, un quinto lo schiaccia all’estremità dove deve inserirsi la capocchia; fare la capocchia richiede due o tre operazioni distinte; inserirla è un’attività distinta, pulire gli spilli è un’altra, e persino il metterli nella carta è un’altra occupazione a sé stante; sicché l’importante attività di fabbricare uno spillo viene divisa, in tal modo, in circa diciotto distinte operazioni che, in alcune manifatture, sono tutte compiute da mani diverse». Contrariamente a Smith, molti osservatori posero l’accento sugli effetti negativi dell’eccessiva frammentazione delle mansioni. In particolare, denunciarono il fatto che questa rendeva noioso e monotono il lavoro, ridotto a pura ripetizione di gesti elementari. Il lavoratore in questo modo perdeva il senso della propria attività,
e non riusciva più a cogliere il proprio ruolo e la propria funzione all’interno del processo di produzione complessivo. Il critico più deciso della divisione del lavoro fu Karl Marx (1818-1883), secondo il quale la divisione del lavoro era l’effetto della divisione in classi della società, e la classe degli imprenditori o “capitalisti”, dopo aver privato i lavoratori del controllo del loro lavoro e del potere di organizzare le condizioni tecniche della loro attività, si appropriavano anche della loro conoscenza e intelligenza, assoggettandoli alla macchina. L’effetto di questa appropriazione era per Marx l’«alienazione» dell’operaio, la sua riduzione a oggetto e la sua estraneità all’oggetto stesso del proprio lavoro. A partire dalla seconda rivoluzione industriale, e in misura massiccia dai primi anni del ’900, si è assistito a una sempre maggiore parcellizzazione del lavoro, in particolare in seguito all’adozione del taylorismo, un metodo di organizzazione del lavoro elaborato dall’ingegnere americano F.W. Taylor, basato su una estrema frammentazione dei gesti e delle operazioni. Ancora oggi, gli osservatori si dividono tra chi, sulla scia di Smith, sottolinea gli incrementi di produzione e quindi i miglioramenti per l’attività economica resi possibili dalla divisione del lavoro, e chi, anche senza richiamarsi esplicitamente a Marx, denuncia gli effetti negativi sulla qualità del lavoro e sull’identità del lavoratore.
Fino a quella data l’Europa si presentava come un’economia arretrata se paragonata ai contemporanei sviluppi della rivoluzione industriale britannica. L’economia dell’Europa continentale era essenzialmente agricola e l’agricoltura era ancora, nella media, tecnicamente arretrata. I principali cambiamenti introdotti in questo periodo – uso di aratri in grado di smuovere la terra più in profondità, sistemi più complessi di rotazione, estensione delle colture foraggere che consentivano di integrare agricoltura e allevamento – si limitavano al perfezionamento di tecniche già note. Le macchine agricole – mietitrici, trebbiatrici –, già usate in Gran Bretagna, erano pressoché sconosciute sul continente. Di concimi artificiali si cominciò a parlare solo dopo il 1840, grazie all’opera pionieristica del grande chimico tedesco Justus von Liebig (1803-1873). In questo periodo si ebbero anche due gravi carestie, quella del 1816-17 e quella del 1846-47, entrambe causate dai cattivi raccolti. La crisi del ’46-47 – l’ultima di questo genere nella storia europea – fu provocata soprattutto dal diffondersi della peronospora, una malattia della patata, che in alcune zone, come l’Irlanda e l’Europa centrale, era diventata la base dell’alimentazione. La carestia colpì soprattutto la poverissima Irlanda, dove quasi un milione di persone morirono – su un totale di circa 9 milioni – e almeno altrettante furono costrette a emigrare in Nord America.
Ricostruzione e messa in funzione della locomotiva Rocket di Stephenson [prova effettuata a Tyseley, Birmingham, 2011] La locomotiva a vapore Rocket, realizzata nel 1829 da George Stephenson in collaborazione con il figlio Robert, fu impiegata nella prima ferrovia destinata al trasporto passeggeri, la Liverpool-Manchester, inaugurata nel 1830.
Quando l’Europa continentale cominciò a entrare stabilmente nel sistema produttivo industriale, era già iniziata la rivoluzione dei trasporti legata alla macchina a vapore. La prima nave a vapore fu costruita nel 1803 dallo statunitense Robert Fulton. Le prime locomotive furono realizzate in Gran Bretagna più o meno negli stessi anni: il tipo più perfezionato – quello costruito da George Stephenson nel 1813 – fu subito usato per il trasporto del carbone in una miniera. L’invenzione della locomotiva e l’affermazione delle ferrovie si possono considerare come una conseguenza diretta del grande sviluppo dell’industria carbonifera. Fu l’esigenza di trasportare quantità sempre maggiori di carbone dalle miniere ai luoghi di imbarco, o direttamente alle industrie consumatrici, a suggerire
Le ferrovie
25_LO SVILUPPO DELLA RETE FERROVIARIA IN EUROPA (1850-70)
SVILUPPO DELLA RETE FERROVIARIA IN EUROPA (1850-70) 1850 1870
La carta mostra che in origine (184050) le ferrovie vengono costruite in corrispondenza dei distretti industriali o delle grandi città (Londra, Parigi, Vienna, Berlino); poi (1870) le ferrovie servono anche aree quasi completamente agricole, come la Spagna o l’Italia centromeridionale.
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SVILUPPO DELLA RETE FERROVIARIA IN EUROPA (1850-70)
l’idea di far viaggiare i vagoni contenitori su rotaie fisse di ghisa e di farli trainare da macchine a vapore mobili, le locomotive. Il risparmio che così si otteneva, rispetto al trasporto su carri a trazione animale attraverso strade spesso accidentate e sconnesse, era tale da incoraggiare gli investimenti assai elevati che erano necessari per la costruzione di vere e proprie linee ferroviarie su percorsi sempre più lunghi, da adibire anche al trasporto dei passeggeri. Fra il 1830 e il 1850 furono costruiti in Gran Bretagna 11 mila km di ferrovie, che già costituivano l’ossatura di un’efficiente rete nazionale. Anche gli altri paesi europei e gli Stati Uniti cominciarono in questi anni a progettare e a costruire treni e strade ferrate, ma con ritmi più lenti e con risultati meno significativi: solo dopo la metà del secolo le ferrovie conobbero un vero e proprio boom su scala europea. Comunque, già negli anni ’30 e ’40, la locomotiva e la ferrovia divennero – per le velocità, all’epoca quasi incredibili, che consentivano di raggiungere e per lo sconvolgimento traumatico che introducevano nel paesaggio rurale – un evidente simbolo del progresso. E costituirono anche un potente fattore per il diffondersi dell’industrializzazione: infatti lo sviluppo delle ferrovie, oltre a offrire nuove possibilità di trasportare merci, stimolava direttamente la produzione delle industrie siderurgiche e meccaniche.
La costruzione della rete ferroviaria
Nonostante la presenza di molti fattori sfavorevoli – come la scarsezza dei capitali e la propensione agli investimenti terrieri e immobiliari – alcuni nuclei di industria moderna – soprattutto nel settore tessile, ma anche in quello meccanico – riuscirono ad affermarsi nell’Europa continentale già nell’età della Restaurazione, ossia dopo il 1815. Ciò avvenne in alcune zone “privilegiate”, favorite dalle ricchezze del sottosuolo, dalla disponibilità di energia idrica – che restava, accanto al vapore, la principale forza motrice nelle fabbriche – e da particolari caratteristiche geografiche – presenza di vie d’acqua navigabili, vicinanza ai mercati dei grandi centri urbani – ma anche dalla crescita di una borghesia imprenditoriale. La più vasta di queste zone si estendeva dalle coste della Manica alle Alpi svizzere e comprendeva il Belgio, alcuni distretti della Francia nord-orientale – la zona di Lille e Roubaix –, l’Alsazia francese e la Renania tedesca [► _26]. Altri nuclei industriali si trovavano in Sassonia, in Slesia, in Boemia e nelle regioni di Parigi, Berlino e Vienna.
▲ Inaugurazione
della linea ferroviaria Stockton-Darlington Il 27 settembre 1826 venne inaugurata in Inghilterra la prima ferrovia del mondo sul tratto Stockton-Darlington, lungo 43 km. Alla guida della locomotiva vi era il suo inventore, George Stephenson.
I nuovi centri industriali
Proprio grazie ai suoi stretti rapporti con la Gran Bretagna, oltre che alla ricchezza dei suoi giacimenti carboniferi, il Belgio riuscì ad assicurarsi in questo periodo un indiscusso primato in campo industriale fra i paesi dell’Europa continentale. La Francia ebbe invece una crescita più lenta. Progressi importanti si ebbero nel settore laniero e cotoniero e anche in quello siderurgico e meccanico: il numero delle macchine a vapore fisse passò da meno di 1000 nel 1833 a quasi 4500 nel 1846. Ma, ancora nel 1850, la potenza complessiva delle macchine installate in Francia era di 5-6 volte inferiore a quella della Gran Bretagna. A impedire un decollo più rapido, e probabilmente più traumatico, era la stessa struttura della società rurale francese, caratterizzata dalla diffusione della piccola e media proprietà contadina, che teneva legati alla terra capitali e forza-lavoro, anziché “liberarli”, com’era avvenuto in Gran Bretagna, e renderli disponibili per l’industria. 346
Il Belgio e la Francia
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
▼ La
fabbrica Krupp 1835 Questo gruppo di edifici di modeste proporzioni, costruito dalla famiglia Krupp nel bacino della Ruhr in Renania, fu il primo passo di quello che diventò, nella seconda metà del XIX secolo, uno dei maggiori complessi siderurgici non solo tedeschi, ma di tutta Europa.
MARE Glasgow DEL NORD MAR GRAN Belfast DANIMARCA BALTICO BRETAGNA IRLANDA Copenaghen Liverpool Leeds CIRCA 26_L’INDUSTRIALIZZAZIONEDublino IN EUROPA NEL 1850 Manchester Amburgo Birmingham PAESI BASSI Brema Amsterdam Londra Varsavia Berlino Poznan Rotterdam San Pietroburgo Lodz Bristol BELGIO Anversa Düsseldorf Breslavia SVEZIA Lille Bruxelles GERMANIA LUSS. Praga OCEANO ATLANTICO MARE Parigi Strasburgo Glasgow DEL NORD Mosca MAR GRAN Belfast DANIMARCA Vienna Mulhouse BALTICO Monaco BRETAGNA Budapest IRLANDA Copenaghen SVIZZERA FRANCIA Liverpool Leeds Dublino IMPERO D’AUSTRIA Manchester Amburgo RUSSIA Milano Birmingham PAESI BASSI Torino Brema Bordeaux Lione Amsterdam Londra Varsavia Oviedo Firenze Berlino Poznan Rotterdam Genova Lodz Bristol BELGIO Livorno Marsiglia BULGARIA Düsseldorf PORTOGALLO Breslavia SPAGNA Anversa ITALIA Lille BruxellesBarcellona GERMANIA LUSS. Praga OCEANO Madrid Roma Lisbona ALBANIA ATLANTICO Parigi Strasburgo Napoli Mulhouse FRANCIA
Lisbona
SPAGNA Madrid
Lione
Genova Marsiglia
IMPERO D’AUSTRIA
Milano
Torino
Firenze
ALGERIA
Barcellona
Livorno ITALIA
RUSSIA
MAR NERO
Costantinopoli
IMPERO OTTOMANO
Budapest
SIA
PORTOGALLO
Bordeaux
Monaco
SVIZZERA
NI TU
Oviedo
Vienna
Mosca
MAR NERO
MAR MEDITERRANEO
BULGARIA
Costantinopoli
Roma Napoli
ALBANIA
IMPERO OTTOMANO
SIA
NI
TU
ALGERIA
MAR MEDITERRANEO
aree industrializzate
In Germania l’avvio dell’industrializzazione fu ancora più difficile. A metà secolo, l’area tedesca era di parecchie lunghezze indietro rispetto alla Francia per numero di macchine a vapore e per volume della produzione di ferro e di carbone. aree industrializzate Ancora più grave, poi, era il ritardo nel settore tessile. Però in questi anni furono poste alcune premesse fondamentali: il completamento di un’unione doganale tra i singoli Stati [►FS, 82], la costruzione di una rete ferroviaria abbastanza estesa, lo sviluppo dell’istruzione superiore e l’affermarsi di una prestigiosa scuola scientifica, soprattutto nei campi dell’ingegneria e della chimica. Diversa fu l’evoluzione dell’Impero asburgico, dove pure esistevano alcuni promettenti nuclei di sviluppo industriale – in Austria e in Boemia – ed erano presenti alcune condizioni favorevoli: METODO DI STUDIO una amministrazione efficiente, una buona rete stradale, un discreto livello di a Trascrivi sul quaderno i titoli dei sottoparaistruzione. grafi. Quindi, descrivi sinteticamente il significato Al di fuori dei paesi che abbiamo appena considerato – e di pochi isolati nuclei di ogni titolo mettendo in rilievo il contesto geografico, le innovazioni e i cambiamenti descritti. nell’Italia settentrionale, nella Spagna del Nord (Barcellona) e in Russia (la regio b Sottolinea una frase che riassuma il ruolo ne di Pietroburgo) – l’industria moderna era praticamente sconosciuta. I paesi della locomotiva e della ferrovia nella diffusione dell’Europa orientale e di quella mediterranea mancarono l’appuntamendell’industrializzazione. c Sottolinea, con colori diversi, gli aspetti to con la prima fase dell’industrializzazione. Alcuni di essi, come l’Italia e la fondamentali che definirono l’industrializzazione nei Russia, avrebbero tentato, ispirandosi al modello tedesco, di rientrare nel gioco seguenti Stati: a. Francia; b. Belgio; c. Germania; d. partendo dalle fasi successive. Ma le conseguenze del ritardo si sarebbero fatte Impero asburgico. sentire per molto tempo.
La Germania e l’Impero asburgico
347
C10 La PRIMA rivoluzione industriale
SINTESI
10_1 I CARATTERI DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Nel Manifesto del Partito comunista del 1848, i filosofi politici tedeschi Karl Marx e Friedrich Engels individuavano i “passaggi cruciali” che avevano determinato la rivoluzione industriale e la nascita della grande industria: il ruolo del commercio internazionale, l’importanza delle macchine per dar vita alla fabbrica meccanizzata e la nascita di nuove classi sociali come la borghesia imprenditoriale e il proletariato industriale. La rivoluzione industriale segna una radicale svolta nel sistema di produzione delle merci che ebbe inizio in Gran Bretagna a partire da metà ’700 per poi estendersi nell’800 ad altri paesi europei e agli Stati Uniti. Lo sviluppo fu continuo e accompagnato da profonde trasformazioni sociali.
10_2 PERCHÉ IN GRAN BRETAGNA?
348
In Gran Bretagna esistevano le premesse perché questo processo di trasformazione si avviasse: il controllo del commercio internazionale favorì le manifatture tessili, permettendo un rapido e poco costoso approvvigionamento di cotone grezzo e fornendo un ampio mercato di vendita per i prodotti; contribuì inoltre alla diffusione di una mentalità imprenditoriale. La concentrazione della proprietà della terra e l’introduzione di nuove tecniche di coltivazione avevano dato avvio a una rivoluzione agricola che contribuì in vari modi a stimolare il processo di industrializzazione:
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
in particolare aveva favorito l’aumento demografico (e quindi incremento della domanda e della forza-lavoro), ma soprattutto una maggiore disponibilità di capitali per gli investimenti nelle nuove tecnologie industriali; inoltre la Gran Bretagna del ’700 presentava una società vivace, dinamica, in cui andava diffondendosi una cultura scientifico-pratica, e in cui il basso costo dell’energia rendeva conveniente investire sull’innovazione.
10_3 INNOVAZIONI E SVILUPPO TECNOLOGICO Alla rivoluzione industriale si collegò l’introduzione di nuove tecnologie. Il rapporto di reciprocità tra invenzione e produzione è evidente nel settore tessile: nel giro di pochi anni, e grazie a una serie di invenzioni (la jenny di Hargreaves, il filatoio idraulico di Arkwright e il filatoio mule di Crompton), si passò alla completa meccanizzazione della filatura, che a sua volta stimolò l’invenzione del telaio meccanico (Cartwright). La fase successiva della innovazione tecnologica fu quella dell’utilizzazione del vapore come forza motrice (macchina a vapore di Watt) al posto delle ruote idrauliche azionate dai mulini, utilizzate fino ad allora.
10_4 COTONE E FERRO La prima attività in cui si sviluppò il sistema di produzione basato sulla fabbrica fu quella cotoniera,
la cui produzione aumentò enormemente grazie ai costi limitati delle nuove tecnologie, alla possibilità di alti profitti, alla disponibilità di manodopera a basso costo, all’espansione del mercato. La Gran Bretagna, tradizionalmente produttrice di tessuti in lana, divenne così leader anche nel settore del cotone. La meccanizzazione favorì anche l’industria siderurgica, che dovette far fronte alla nuova domanda di ferro, indispensabile per la costruzione delle macchine. Grazie all’uso del coke come combustibile e al sistema di puddellaggio ideato da Cort, la qualità della ghisa e la sua produzione aumentarono costantemente e il ferro assurse a simbolo della nuova civiltà della macchina: il suo impiego, oltre che in ogni tipo di strumenti, si affermò anche nell’edilizia pubblica e residenziale.
10_5 LA NASCITA DELLA FABBRICA E LA CONDIZIONE DEI LAVORATORI Il sistema di fabbrica determinò la trasformazione del lavoratore in operaio salariato, soggetto a una crescente divisione dei compiti e a condizioni di lavoro e di vita durissime. Inoltre, la semplificazione del processo produttivo rese possibile, soprattutto nell’industria tessile, l’impiego di donne e bambini. La prima reazione contro il sistema di fabbrica fu il luddismo, opera di lavoranti a domicilio e artigiani del settore tessile, che distruggevano le macchine in segno di protesta contro i bassi salari; ma le pesanti sanzioni e una legislazione repressiva riuscirono a controllare e
a riassorbire abbastanza rapidamente il fenomeno. Le fabbriche si concentrarono per lo più nelle città mutando la fisionomia del paesaggio urbano e rurale.
10_6 L’INDUSTRIALIZZAZIONE DELL’EUROPA CONTINENTALE E LO SVILUPPO DELLE FERROVIE Nell’Europa continentale la diffusione dell’industria moderna fu assai lenta. Intorno al 1830 si verificò un’accelerazione del processo di industrializzazione, grazie anche alla costruzione e al progressivo incremento della rete ferroviaria. Stimolata dal bisogno di trasportare più velocemente il carbone, l’invenzione della locomotiva era destinata a rivoluzionare il sistema delle comunicazioni, prestandosi anche al trasporto dei passeggeri. Il primato dell’industrializzazione europea, in questo periodo, spettò al Belgio, leader nel settore siderurgico, seguito dalla Francia, che investe nel settore tessile. Più lenta fu l’industrializzazione nei paesi tedeschi. Tracce di industrializzazione erano anche nell’Impero asburgico, in Russia, in Spagna e nell’Italia del Centro-Nord.
SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Completa la seguente tabella relativa alle condizioni che resero possibile lo sviluppo della rivoluzione industriale in
Gran Bretagna.
Condizioni preliminari Culturali
Sociali
Economiche
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.............................................................................. .............................................................................. .............................................................................. .............................................................................. .............................................................................. ..............................................................................
2 Associa le parole o le espressioni di seguito alle corrette definizioni che fanno riferimento alla prima rivoluzione
industriale.
a. Fabbriche 1. Individui che lavoravano unicamente in fabbrica ed eseguivano per lo più singole operazioni del processo b. Operai salariati di produzione, in cambio di una somma di denaro giornaliera. c. Luddismo 2. Movimento religioso i cui fedeli credono in Buddha e praticano una delle religioni più antiche e diffuse al mondo. 3. Grandi edifici a più piani che contenevano le macchine e che sorsero inizialmente lungo i corsi d’acqua delle campagne e poi anche nelle città. 4. Individui che lavoravano nelle proprie case svolgendo una prima forma di lavoro industriale (industrie a domicilio). 5. Movimento i cui attivisti si opponevano alla prima meccanizzazione adottando come principale, ma non unica, forma di lotta la distruzione delle macchine. 6. Movimento i cui attivisti erano operai delle fabbriche che si opponevano alla prima meccanizzazione e che, per danneggiare gli imprenditori, distruggevano le macchine con cui lavoravano. 7. Edifici con ampi spazi per contenere le macchine che sorsero inizialmente in città, dove c’era più disponibilità di manodopera. 3 Sottolinea nel testo che segue gli errori (in un caso si tratta di una intera frase) e riscrivi l’elaborato sul quaderno
nella versione corretta. Chiarirai in questo modo le tappe fondamentali e i caratteri dell’espansione dell’industria nell’Europa continentale.
Nell’Europa continentale la diffusione dell’industria moderna fu piuttosto veloce. Un’agricoltura mediamente sviluppata era alla base del sistema economico dell’Europa continentale. Alcuni nuclei di industria moderna si svilupparono intorno al 1815, soprattutto nella zona che si estendeva dall’Italia alle Alpi svizzere. In questo periodo, il primato in campo industriale spettò alla Germania, seguita dalla Francia. Più lenta fu l’industrializzazione in Belgio. Tracce di industrializzazione c’erano anche nell’Impero asburgico grazie allo sviluppo di una rete ferroviaria estesa e tecnologicamente avanzata. 4 Abbina ogni elemento della colonna di sinistra al relativo della colonna di destra indicando in quale Stato si
manifestarono queste relazioni:
a. materie prime a basso costo b. società prospera e dinamica c. forte aumento della produzione d. cultura scientifico-pratica e. energia a basso costo f. presenza di ricchi giacimenti carboniferi
1. sollecitazione di nuove soluzioni 2. privatizzazione delle terre 3. ascesa delle classi medie 4. alto costo del lavoro 5. primato industriale fra i paesi dell’Europa continentale 6. controllo del commercio internazionale
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C10 La PRIMA rivoluzione industriale
COMPETENZE IN AZIONE 5 Scrivi sul quaderno il significato dei seguenti elementi della prima rivoluzione industriale. Quindi, elabora per iscritto
un testo descrittivo di massimo 20 righe che li tratti secondo l’ordine che preferisci e scegli il titolo del tuo elaborato.
Profondi mutamenti sociali; dalle invenzioni alle innovazioni; diminuzione del costo del lavoro; cotone e industria tessile; ferrovie e industrializzazione. 6 Scrivi un testo di massimo 15 righe sull’espansione continentale dell’industria. Utilizza come scaletta le seguenti
domande:
a. In quale Stato nacque il processo di industrializzazione? Grazie a quali condizioni? b. Perché lo sviluppo dell’industria fu più lento in Francia? c. Quali iniziative degli Stati tedeschi favorirono lo sviluppo industriale? d. Qual era la condizione economica e la divisione della proprietà nell’Europa orientale?
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7 Completa lo schema qui sotto inserendo i termini relativi ai passaggi cruciali della rivoluzione industriale. Indica per
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ogni passaggio il significato delle frecce e scrivi un testo di circa 8 righe che ne spieghi la consequenzialità. a. proletariato industriale; b. produzione manifatturiera; c. fabbrica meccanizzata; d. ruolo del commercio internazionale.
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
FARESTORIA STATI UNITI E FRANCIA: NUOVE IDEE E NUOVI MODI DI FARE POLITICA Le rivoluzioni che scoppiarono alla fine del ’700, prima nel Nord America e poi in Francia, oltre a far nascere nuove realtà nazionali come gli Stati Uniti, destinati a divenire una grande potenza e ad avere un ruolo dominante nei secoli successivi, crearono nuovi modi di fare e intendere la politica. Gli eventi rivoluzionari videro affermarsi princìpi e ideali fino a quel momento rimasti per lo più confinati nel dibattito e nelle riflessioni di intellettuali illuministi, di scrittori e filosofi: la libertà e l’uguaglianza degli uomini, i diritti naturali e universali dell’individuo. Questi princìpi trovarono spazio nelle Dichiarazioni e nei testi costituzionali adottati ufficialmente dai nuovi governi, diventando fondamenti del cambiamento in corso. La Dichiarazione di indipendenza americana del 1776 e la Dichiarazione dei diritti del 1789 in Francia, come spiega nel brano d’apertura Lynn Hunt [►60], sono i documenti più rappresentativi delle novità introdotte dalle rivoluzioni politiche di fine ’700: entrambe le Dichiarazioni, infatti, affermarono e misero per iscritto i diritti universali che ogni governo era tenuto a garantire ai propri cittadini, primi fra tutti la libertà e l’uguaglianza degli uomini davanti alla legge. A dimostrazione di ciò, vengono qui proposti i testi della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti del 1776 [►61d] e dei Dieci emendamenti [►62d] approvati dal Congresso statunitense tra il 1789 e il 1791, che riconoscevano e garantivano alcuni specifici diritti ai cittadini americani, ancora oggi ritenuti intoccabili. L’idea di uguaglianza, al centro della riflessione di Gordon S. Wood [►63], fu invece un principio fondamentale negli eventi rivoluzionari del Nord America, in grado sia di accendere gli animi durante la guerra d’indipendenza sia di modellare la società statunitense negli anni a seguire. Passando al caso francese, Patrice Gueniffey [►64] spiega come la Rivoluzione dell’89 riuscì ad avvicinare alla politica e a mobilitare tutti i cittadini attraverso un nuovo modo di intendere il suffragio e la rappresentanza politica nelle assemblee e nelle istituzioni nazionali. Come nel caso degli eventi americani, alcuni testi scritti ed emanati dai rivoluzionari francesi sintetizzarono in maniera chiara e dirompente le nuove idee e i nuovi princìpi che si affermarono dal 1789 in poi: proprio mettendo a confronto le Dichiarazioni dei diritti dell’89 e del ‘93 [►65d] è possibile rendersi conto delle differenze e dei cambiamenti intervenuti tra la prima fase rivoluzionaria “borghese” e quella successiva, democratico-popolare. Come illustra Antonio Trampus [►66], a ogni fase corrispose anche un diverso modo in cui i governi rivoluzionari concepirono e provarono a garantire ai cittadini il diritto alla felicità pubblica. La Rivoluzione vide inoltre nascere nuove forme di aggregazione e lotta politica, come i numerosi club attivi a Parigi e in molte altre città: tra i più importanti fu quello dei giacobini, sul quale si sofferma François Furet [►67]. Nato per portare avanti le battaglie di carattere più popolare, si diffuse rapidamente con le sue sedi sul territorio nazionale per poi imprimere una svolta autoritaria agli eventi. Proprio alla dittatura giacobina e al suo strumento di controllo politico, il Terrore, sono dedicati i due brani conclusivi: il primo documento è un discorso del leader giacobino Maximilien Robespierre [►68d], nel quale spiega perché il Terrore fosse necessario; nel secondo e ultimo brano, invece, Jonathan Israel [►69] chiarisce alcune caratteristiche del Terrore, che fu utilizzato sia per colpire ed eliminare fisicamente gli oppositori politici sia per provare a imporre una nuova morale e una nuova mentalità rivoluzionaria.
60 L. HUNT LE DICHIARAZIONI DEL 1776 E DEL 1789
L. Hunt, La forza dell’empatia. Una storia dei diritti dell’uomo, Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 89-91.
La storica statunitense Lynn Hunt (nata nel 1945) chiarisce in questo brano l’importanza della Dichiarazione di indipendenza americana del 1776 e della Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino proclamata in Francia nel 1789. Dopo aver spiegato che cosa si intendesse all’epoca, tradizionalmente, con il termine “dichiarazione” e aver messo in evidenza lo stretto legame che l’uso di questo termine aveva con il concetto di sovranità, Hunt afferma che entrambe le Dichiarazioni sancirono il successo dell’idea di governo fondato sulla garanzia dei diritti universali dell’uomo.
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FARESTORIA STATI UNITI E FRANCIA: NUOVE IDEE E NUOVI MODI DI FARE POLITICA
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Perché i diritti devono essere enunciati in una dichiarazione? Perché gli Stati e i cittadini avvertono la necessità di una dichiarazione ufficiale? [...] Una dichiarazione pubblica e solenne sancisce i cambiamenti che si sono verificati negli atteggiamenti di fondo. Eppure le dichiarazioni dei diritti del 1776 e del 1789 si spinsero ancora oltre. Non si limitarono a dare atto delle trasformazioni intervenute negli atteggiamenti e nelle aspettative generali: contribuirono a determinare un trasferimento di sovranità da Giorgio III1 e dal Parlamento britannico a una nuova repubblica nel caso americano, e da una monarchia che pretendeva l’autorità assoluta a una nazione e ai suoi rappresentanti nel caso francese. Le dichiarazioni adottate nel 1776 e nel 1789 aprirono prospettive politiche interamente nuove. [...]. La storia del termine «dichiarazione» fornisce una prima indicazione del trasferimento di sovranità. Il termine inglese declaration deriva dal francese déclaration. In francese il termine era originariamente adoperato in relazione con un catalogo di terre che venivano concesse in cambio del giuramento di fedeltà a un signore feudale. Nel corso del XVII secolo venne sempre più utilizzato per indicare le dichiarazioni pubbliche del sovrano. In altre parole, l’atto di dichiarazione era legato alla sovranità. Quando l’autorità passò dai signori feudali al re francese, assieme ad essa fu trasferito anche il potere di emanare dichiarazioni. In Gran Bretagna poteva avvenire anche il contrario: quando i sudditi volevano che il re riaffermasse i loro diritti, redigevano essi stessi le proprie dichiarazioni. Così la Magna Carta2 del 1215 formalizzò i diritti dei baroni britannici in relazione con il re inglese; la Petition of Right [Petizione sui diritti] del 1628 confermò «i vari diritti e libertà dei sudditi» e il Bill of Rights inglese del 1689 convalidò «i veri, antichi e incontestabili diritti e libertà del popolo di questo regno». Nel 1776 e nel 1789 i termini «carta», «petizione» e «disegno di legge» sembrarono tutti inadeguati ad assolvere il compito di garantire i diritti [...]. «Petizione» e «disegno di legge» implicavano entrambi una richiesta o una supplica a un potere superiore (un disegno di legge era originariamente «una petizione al sovrano»), e «carta»
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
spesso si riferiva a un documento o un atto antico. «Dichiarazione» aveva un tono meno antiquato e remissivo. Inoltre, al contrario di «petizione», «disegno di legge» o persino di «carta», «dichiarazione» poteva esprimere l’intenzione di rivendicare la sovranità. Jefferson3 inserì quindi all’inizio della Dichiarazione di indipendenza la seguente spiegazione della necessità di proclamarla: «Quando nel corso degli eventi umani si rende necessario a un popolo sciogliere i legami politici che lo hanno unito a un altro e assumere fra le potenze della terra quella posizione separata e uguale a cui gli danno titolo le leggi della natura e del Dio della natura, un doveroso rispetto per le opinioni dell’umanità richiede che esso dichiari [corsivo di L. Hunt] le cause che lo spingono a tale separazione». Un’espressione di «doveroso rispetto» non poteva celare l’aspetto sostanziale: le colonie si dichiaravano uno Stato separato e uguale e rivendicavano la loro sovranità. Per contro, nel 1789 i deputati francesi non erano ancora pronti a disconoscere espressamente la sovranità del loro re. Eppure riuscirono a ottenere quasi lo stesso risultato omettendo intenzionalmente qualsiasi riferimento al re nella loro Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino: «I Rappresentanti del Popolo francese costituiti in Assemblea nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione [corsivo di L. Hunt], i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo». L’Assemblea non poteva limitarsi a pronunciare discorsi o a preparare leggi su questioni specifiche. Dovette mettere per iscritto e tramandare ai posteri che i diritti derivavano non già da un patto tra il sovrano e i cittadini, e tanto meno da una petizione a lui rivolta o da una carta da lui concessa, bensì dalla natura stessa degli esseri umani. Questi atti di dichiarazione erano al tempo stesso conservatori e progressisti. In ciascun caso, i dichiaratori affermarono di ratificare dei diritti già esistenti e incontestabili. Così facendo, tuttavia, realizzarono un ribaltamento della sovranità e crearono una base completamente nuova per il governo. La Dichiarazio-
ne di indipendenza affermava che il re Giorgio III aveva calpestato i diritti preesistenti dei coloni e che le sue azioni giustificavano l’istituzione di un governo separato: «ogni qual volta una forma di governo tende a distruggere questi fini [la garanzia dei diritti] è diritto del popolo modificarla o abolirla e istituire un nuovo governo ». Analogamente i deputati francesi dichiararono che questi diritti erano stati semplicemente ignorati, dimenticati o disprezzati; non affermarono di averli inventati. La dichiarazione proponeva tuttavia che «d’ora innanzi» tali diritti costituissero il fondamento del governo, anche se non lo erano stati in passato. Pur affermando che i diritti esistevano già ed essi si limitavano a difenderli, i deputati crearono qualcosa di radicalmente nuovo: governi fondati sulla garanzia dei diritti universali.
1. Giorgio III (1738-1820), re di Gran Bretagna e Irlanda. 2. La “Carta di libertà” che il re Giovanni Senzaterra rilasciò nel giugno 1215 a seguito della sollevazione dei baroni che si erano ribellati contro la riscossione di tributi imposti per finanziare la guerra contro la Francia. 3. Thomas Jefferson (1743-1826) fu fra i principali autori della Dichiarazione di indipendenza del 1776 e presidente degli Stati Uniti dal 1801 al 1809.
METODO DI STUDIO
a Realizza sul quaderno una tabella i cui indicatori siano “Gran Bretagna” e “Francia” e inserisci nelle rispettive colonne le caratteristiche che Lynn Hunt attribuisce alla Dichiarazione di indipendenza americana del 1776 e alla Dichiarazione dei diritti del cittadino proclamata in Francia nel 1789. b Spiega per iscritto: a. In che senso, perché e con quali conseguenze mutò il significato del termine “dichiarazione” nel XVII secolo; b. Cosa cambia nell’idea di sovranità con la proclamazione di queste due Dichiarazioni.
61d LA DICHIARAZIONE DI INDIPENDENZA AMERICANA
La formazione degli Stati Uniti d’America, a c. di A. Aquarone, G. Negri, C. Scelba, Nistri-Lischi, Pisa 1961, pp. 416-20.
La Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America fu scritta da una commissione nominata dal Congresso continentale composta da Benjamin Franklin, John Adams, Roger Sherman, Robert Livingston e Thomas Jefferson. Approvata dal Congresso il 4 luglio 1776, la Dichiarazione rappresenta un Quando nel corso degli umani eventi si rende necessario ad un popolo sciogliere i vincoli politici che lo avevano legato ad un altro ed assumere tra le altre potenze della terra quel posto distinto ed eguale cui ha diritto per Legge naturale e divina, un giusto rispetto per le opinioni dell’umanità richiede che esso renda note le cause che lo costringono a tale secessione. Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono stati dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità; che allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini i Governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qual volta una qualsiasi forma di Governo tende a negare tali fini, è Diritto del Popolo modificarlo o distruggerlo, e creare un nuovo Governo, che si fondi su quei principî e che abbia i propri poteri ordinati in quella guisa che gli sembri più idonea al raggiungimento della sua sicurezza e felicità. La prudenza, invero, consiglierà di non modificare per cause transeunti e di poco conto Governi da lungo tempo stabiliti; e conformemente a ciò l’esperienza ha dimostrato che gli uomini sono maggiormente disposti a sopportare, finché i mali siano sopportabili, che a farsi giustizia essi stessi abolendo quelle forme di Governo cui sono avvezzi. Ma quando un lungo corteo di abusi e di usurpazioni, invariabilmente diretti allo stesso oggetto, svela il
momento importantissimo nella formazione degli Stati Uniti e nella storia delle democrazie di tutto il mondo. La parte dedicata ai diritti inalienabili dell’uomo (tra cui quello alla «ricerca della felicità») è infatti la prima trasposizione in un documento politico dei princìpi giusnaturalistici e illuministici in tema di rapporto fra Stato e cittadini.
disegno di assoggettarli ad un duro Dispotismo, è loro diritto, è loro dovere, di abbattere un tale Governo, e di procurarsi nuove garanzie per la loro sicurezza futura. Tale è stata la paziente sopportazione di queste Colonie; e tale è ora la necessità che le costringe ad alterare i loro antichi sistemi di Governo. La storia dell’attuale Re di Gran Bretagna è una storia di ripetute offese ed usurpazioni, aventi tutte come obiettivo immediato l’instaurazione di una Tirannide assoluta su questi Stati. [...] Ad ogni stadio di questi soprusi, noi abbiamo inviato petizioni, redatte nei termini più umili, chiedendo la riparazione dei torti subiti; le nostre ripetute petizioni non hanno ricevuto altra risposta che ripetute offese. Un Sovrano, il cui carattere è contraddistinto da tutto ciò che può definire un Tiranno, non ha diritto a governare un popolo libero. Né abbiamo mancato di usare ogni attenzione nei confronti dei nostri fratelli britannici. Li abbiamo ammoniti di volta in volta circa i tentativi del loro Corpo legislativo di estendere su di noi una giurisdizione illegittima. Abbiamo rammentato loro le circostanze della nostra emigrazione e del nostro insediamento in questa terra. Abbiamo fatto appello alla loro magnanimità ed al loro innato senso di giustizia, e li abbiamo scongiurati, in nome dei vincoli dovuti alla nostra comunanza di sangue, di sconfessare quelle usurpazioni che avrebbero finito inevitabilmente per recidere i nostri rapporti e la nostra collaborazione. Anch’essi tuttavia sono stati sordi alla voce
della giustizia e della consanguineità. Noi dobbiamo pertanto piegarci alla necessità di dichiarare la nostra secessione e di considerarli, così come consideriamo il resto dell’umanità, nemici in guerra ed amici in pace. Noi, pertanto, rappresentanti degli Stati Uniti d’America, riuniti in Congresso generale, appellandoci al Supremo Giudice dell’universo quanto alla rettitudine delle nostre intenzioni, solennemente proclamiamo e dichiariamo, in nome e per autorità dei buoni Popoli di queste Colonie, che queste Colonie Unite sono, e devono di diritto essere Stati liberi e indipendenti; che sono disciolte da ogni dovere di fedeltà verso la Corona britannica e che ogni vincolo politico fra di esse e lo Stato di Gran Bretagna è e dev’essere del tutto reciso; e che quali Stati Liberi e Indipendenti, esse avranno pieno potere di muovere guerra, di concludere la pace, di stipulare alleanze, di regolare il commercio, e di compiere tutti quegli altri atti che gli Stati Indipendenti possono di diritto compiere. E a sostegno della presente Dichiarazione, con ferma fiducia nella protezione della Divina Provvidenza, noi offriamo reciprocamente in pegno le nostre vite, i nostri averi ed il nostro sacro onore. METODO DI STUDIO
a Sottolinea le cause che portarono, secondo la commissione, gli americani a lottare per la propria indipendenza e individua, per ognuna di esse, dei titoletti che scriverai al lato del testo. b Spiega in cosa consiste, per i nuovi Stati indipendenti, la libertà dalla Gran Bretagna.
62d I PRIMI DIECI EMENDAMENTI ALLA COSTITUZIONE DEGLI STATI UNITI La formazione degli Stati Uniti d’America. Documenti, a c. di A. Aquarone, G. Negri, C. Scelba, vol. II (1776-1796), Nistri-Lischi, Pisa 1961, pp. 502-4.
Tra il 1789 e il 1791 il Congresso degli Stati Uniti approvò dieci emendamenti, ovvero articoli aggiuntivi alla Costituzione redatta nel 1787. Furono soprattutto gli antifederalisti a sollecitare questa decisione, convinti che il testo costituzionale non tutelasse sufficientemente le libertà degli individui e dei
singoli Stati. I nuovi dieci articoli rappresentarono infatti una garanzia per i diritti del cittadino di fronte ai possibili abusi delle autorità pubbliche federali. Oltre al riconoscimento delle libertà considerate inviolabili, come quella di religione, di opinione, di riunione e di proprietà, venne stabilito il «diritto del popolo a tenere e portare armi» (Articolo II), una prerogativa valida ancora oggi e al centro di polemiche e dibattiti.
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FARESTORIA Stati Uniti e Francia: nuove idee e nuovi modi di fare politica
Articolo I Il Congresso non potrà emanare alcuna legge diretta a riconoscere ufficialmente qualsiasi religione od a proibire il libero culto; o a limitare la libertà di parola o di stampa; o il diritto del popolo di riunirsi pacificamente e di indirizzare petizioni al Governo per la riparazione di torti subìti. Articolo II Una ben ordinata milizia essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero, il diritto del popolo a tenere e portare armi non potrà essere violato. Articolo III Nessun soldato potrà essere acquartierato in tempo di pace in una casa privata senza il consenso del suo proprietario, né in tempo di guerra se non secondo le modalità previste dalla legge. Articolo IV Il diritto dei cittadini di essere garantiti nelle loro persone, case, documenti ed effetti personali, contro perquisizioni e sequestri arbitrarî, non potrà essere violato, e nessun mandato potrà esser spiccato, se non su indizî fondati, basati su giuramento, e tale mandato dovrà descrivere particolareggiatamente ad arresto o sequestro. Articolo V Nessuno sarà tenuto a rispondere per un reato che importi la pena capitale, o per altro delitto infamante, se non in seguito a denuncia o accusa di un Gran Giurì, a meno che si tratti di reato compiuto da un appartenente alle forze
armate di terra o di mare, o alla milizia, mentre si trovava in servizio effettivo in tempo di guerra o di pericolo pubblico; nessuno potrà esser sottoposto due volte, per un medesimo reato, a procedimento che importi la pena capitale o quella della mutilazione; nessuno potrà esser costretto, nel corso di un procedimento penale, a testimoniare contro se stesso, od essere privato della vita, della libertà o dei beni senza regolare procedimento giudiziario; nessuna proprietà privata potrà essere espropriata per pubblica utilità senza equo compenso. Articolo VI In tutti i procedimenti penali, l’imputato avrà diritto ad un giudizio celere e giusto, da parte di un giurì imparziale dello Stato e del distretto nel quale sia stato commesso il reato, il quale distretto sarà stato preventivamente determinato dalla legge, ed avrà altresì diritto di essere informato della natura e del motivo dell’accusa; di essere messo a confronto con i testimoni d’accusa; di obbligare a comparire in giudizio i testimoni a suo favore e ad avere l’assistenza di un difensore. Articolo VII Nelle cause che dovranno essere giudicate in base alla Common Law1, il cui valore eccederà i venti dollari, sarà conservato il diritto ad un giudizio mediante giuria, e nessun fatto giudicato
63 G.S. WOOD L’IDEA DI UGUAGLIANZA
G.S. Wood, I figli della libertà. Alle radici della democrazia americana, Giunti, Firenze 1996, pp. 303-10.
L’idea di uguaglianza costituì un forte principio di mobilitazione ideologica durante la rivoluzione americana, ma fu anche motore di una straordinaria trasformazione della società. In questo
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La rivoluzione repubblicana fu il più grande movimento utopistico della storia americana. I rivoluzionari miravano nientemeno che a una ricostituzione della società americana. [...] Volevano edificare una società e dei governi fondati sulla virtù e su una dirigenza pubblica aliena da interessi personali, e mettere in moto un movimento morale che alla fine, sarebbe stato avvertito in tutto il pianeta. [...] Nei decenni successivi alla rivoluzione la società americana conobbe un profondo mutamento. Quale che sia il criterio usato, si verificò un’improvvisa esplosione non soltanto in termini di trasmigrazioni
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
da una giuria, potrà essere riesaminato da una Corte degli Stati Uniti se non in conformità delle norme della Common Law. Articolo VIII Non potranno essere richieste cauzioni eccessive, od imposte ammende esorbitanti, o inflitte pene crudeli e contrarie alla consuetudine. Articolo IX L’elencazione di certi diritti, contenuta nella presente Costituzione, non potrà essere interpretata in maniera da negare o limitare altri diritti conservati dal popolo. Articolo X I poteri non delegati dalla Costituzione agli Stati Uniti, o il cui esercizio non sia da questa vietato agli Stati, s’intendono rispettivamente riservati agli Stati, ed al popolo. 1. Diritto comune, fondato su consuetudini e sentenze giudiziarie.
METODO DI STUDIO
a Individua un titoletto per ogni articolo e trascrivilo in corrispondenza del testo. b Evidenzia le parole chiave per ogni articolo e argomenta la tua scelta. c Spiega per iscritto quali provvedimenti sono previsti dai primi dieci emendamenti nei seguenti casi: a. un membro del popolo viene trovato armato; b. un cittadino è stato processato per omicidio ma emergono nuove accuse contro di lui.
brano, tratto da un libro pubblicato nel 1991, lo storico statunitense Gordon S. Wood (nato nel 1933) analizza il ruolo che l’idea di uguaglianza ebbe nella formazione di un sentimento di appartenenza nazionale: un principio che l’autore non esita a giudicare la «spinta ideologica più forte e radicale di tutta la storia americana».
interne ma di energia imprenditoriale, di passione religiosa e di smanie di arricchimento. [...] Nulla contribuì a questa esplosione di energia più dell’idea di uguaglianza. Di fatto, l’uguaglianza costituì la forza ideologica più radicale e potente liberata dalla rivoluzione, con una capacità di attrazione molto maggiore di quanto alcuno dei rivoluzionari riuscisse a comprendere. Una volta evocata, l’idea dell’uguaglianza non poté essere arrestata, tanto da lacerare la società e la cultura americana con una forza immane [...]. Lo «Spirito dell’eguaglianza» non distinse solamente «i più eletti campioni dalla plebe regale», ma
distese «un regale mantello di umanità» su tutti gli americani e conferì «democratica dignità» perfino al «braccio che vibra una picca o che pianta una caviglia». Nel giro di qualche decennio dopo la Dichiarazione di indipendenza, gli Stati Uniti diventarono la nazione più egalitaria nella storia e tali restano ancora oggi, se vogliamo prescindere dalle vistose disparità di ricchezza. L’uguaglianza costituiva il nucleo del repubblicanesimo [...]. La cittadinanza repubblicana comportava l’uguaglianza. [...] Tuttavia, facendo propria l’idea dell’uguaglianza civica i rivoluzionari non ave-
vano inteso livellare la società; sapevano che ogni società, per quanto repubblicana e fedele ai principî dell’uguaglianza, avrebbe comunque dovuto mantenere «alcune distinzioni e gradazioni di rango che nascono dall’educazione e altre circostanze accidentali», sebbene nessuna di tali distinzioni e gradazioni sarebbe stata altrettanto profonda di quelle di una società monarchica. Per uguaglianza intendevano, con tutta evidenza, uguaglianza di opportunità, ovvero stimolare all’azione l’ingegno e schiudere la carriera agli uomini dotati e virtuosi, distruggendo al tempo stesso la parentela e il patronage1 come fonti di autorità. Tuttavia, grazie alla mobilità sociale, sia ascendente sia discendente, fondata sulla capacità e il carattere individuale, si presumeva che nessuna distinzione avrebbe avuto il tempo di consolidarsi o di perpetuarsi da una generazione all’altra, sicché l’uguaglianza di opportunità avrebbe contribuito a promuovere una relativa uguaglianza di condizione. Questa uguaglianza era in realtà essenziale per il repubblicanesimo: fin dall’an-
MODERNO
tichità i teorici avevano ipotizzato che lo stato repubblicano richiedesse un generale livellamento di beni tra i cittadini, e sebbene nel 1776 la maggioranza degli americani non sostenesse apertamente questa tesi [...] tutti davano per scontato che una società non potesse restare a lungo repubblicana se soltanto una piccola minoranza controllava gran parte della ricchezza e il grosso della popolazione continuava a essere costituito da servitori dipendenti o braccianti senza terra. L’uguaglianza era connessa all’indipendenza, tanto che la bozza originale della Dichiarazione di indipendenza di Jefferson affermava che «tutti gli uomini sono creati liberi e indipendenti». Gli uomini erano uguali nel senso che nessuno di loro avrebbe dovuto essere subordinato alla volontà di un altro, e la proprietà rendeva possibile tale indipendenza. [...] Ma in definitiva l’uguaglianza non significava soltanto questo agli occhi dei rivoluzionari, e per la verità se avesse significato soltanto pari opportunità o parità economica non avrebbe mai potuto diventare [...] la spinta ideologica più forte
64 P. GUENIFFEY L’INVENZIONE DEL VOTO
P. Gueniffey, Storie della Rivoluzione francese, Bruno Mondadori, Milano-Torino 2013, pp. 52-56.
In questo brano, lo storico francese Patrice Gueniffey (nato nel 1955), studioso della Rivoluzione francese, analizza i cambiamenti che, a partire dal 1789, riguardarono il modo L’elezione [...] ha, come ogni cosa, una storia. Una storia molto antica, dato che gli uomini votano da quando esistono le comunità politiche. Ora, nel corso del tempo, tutto è cambiato, tutto è evoluto al punto che la stessa parola designa realtà molto diverse tra loro. La maniera in cui si pensa al voto è cambiata: votare oggi non ha più niente a che vedere con ciò che questo significava nell’antica Roma o nelle assemblee corporative delle società di Ancien Régime. Sono cambiate le forme materiali del voto: il voto individuale e segreto è un’invenzione recente. Sono cambiate le regole decisionali: la volontà espressa dalla maggioranza non ha sempre avuto l’autorità che le si riconosce oggi. Infine sono cambiate le abitudini politiche dell’elezione: per secoli nessuno ha immaginato che il voto degli elettori
e radicale di tutta la storia americana. L’uguaglianza acquisì una simile forza tra gli americani perché in sostanza significava che ciascuno era davvero pari a chiunque altro, non soltanto alla nascita né in fatto di talento, proprietà o ricchezza, e non solo nel senso religioso trascendentale dell’uguaglianza di tutte le anime. L’americano comune si convinse che nessuno fosse davvero migliore di chiunque altro in senso molto concreto, fondamentale, giorno dopo giorno. Era un genere di uguaglianza quale nessun’altra nazione ha mai avuto. 1. Patronato, protezione.
METODO DI STUDIO
a Spiega per iscritto cosa contribuì al profondo mutamento che avvenne nella società americana con la rivoluzione e quali furono le conseguenze. b Descrivi per iscritto il rapporto esistente, secondo Gordon S. Wood, fra: a. uguaglianza e mobilità sociale; b. uguaglianza, repubblicanesimo e indipendenza.
di intendere il “voto” e che trasformarono il significato di una pratica in realtà antica, diffusa anche nella Francia di ancien régime: con la Rivoluzione dell’89, il cittadino venne chiamato ad eleggere colui che lo avrebbe rappresentato nei luoghi istituzionali, per deliberare su questioni di interesse comune e nazionale, non più relative soltanto alla piccola comunità locale dalla quale proveniva.
avrebbe potuto modificare la politica del governo o addirittura dettarla... In realtà, la storia dei principi e delle pratiche del suffragio che ci sono familiari ha meno di due secoli [...] La storia contemporanea del voto comincia infatti solo nella seconda metà del XIX secolo. Le esperienze precedenti ne costituiscono, per così dire, la preistoria. Ed è proprio questa preistoria che vorrei evocare nelle pagine seguenti analizzando il caso della Francia [...] Nonostante i progressi della centralizzazione monarchica1, la storia del voto in Francia non è cominciata nel 1789. La Rivoluzione francese s’iscrive all’interno di una tradizione già ricca di forme di partecipazione. È vero che essa le assegna nuove finalità, ma non è tanto innovativa quanto si potrebbe immaginare dal punto di vista della scelta dei mezzi [...] L’autori-
tà reale rinforzò progressivamente il suo controllo sulla vita interna della comunità, ma non impedì loro né di riunirsi, né di deliberare, né di scegliere i propri rappresentanti. Se è vero che nel XVIII secolo le élite dirigenti limitarono l’accesso al voto, facendo notare che una partecipazione troppo larga avrebbe avuto un effetto negativo sulla qualità delle decisioni, di fatto, questa politica risparmiò larghi settori della società francese, dove, alla fine dell’Ancien Régime, rimaneva quindi ancora molto vivace una tradizione di partecipazione. [...] I membri della comunità avevano imparato a deliberare, a eleggere e persino a far uso del principio di mag-
1. In particolare con l’assolutismo.
355
FARESTORIA Stati Uniti e Francia: nuove idee e nuovi modi di fare politica
gioranza, ma questa educazione ai mezzi materiali della presa di decisione era avvenuta in un quadro rigorosamente locale, a proposito di problemi strettamente circoscritti e senza alcun rapporto con le questioni di politica nazionale. L’assolutismo aveva tollerato larghi spazi di partecipazione, ma all’interno di istituzioni sociali tradizionali che erano prive di qualsiasi funzione di rappresentanza nei confronti del monarca [...] Fino al 1789, la convocazione elettorale aveva come protagonista unico e collettivo il corpo o la comunità. Da un lato, chiunque partecipava a questo atto collettivo sulla base della propria appartenenza e della posizione che occupava nella gerarchia interna del corpo, foss’egli membro della nobiltà, del clero o di una corporazione, abitante di un villaggio, di una città o di una provincia; dall’altro lato, lo scopo del voto non era affatto di esprimere una maggioranza di suffragi su una questione precisa, ma di rivelare, all’unanimità, la coesione della comunità considerata come unico insieme [...] La Rivoluzione francese sconvolge questo modello tradizionale. Per prima cosa essa sostituisce l’uomo sociale, concreto, che esiste nella vita di tutti i giorni e nel mondo reale, con il cittadino, cioè con un individuo definito dai suoi diritti e ridotto alla sua volontà. Poi, la partecipazione non ha più l’obiettivo di esprimere una richiesta2 e di designare un mandatario senza autonomia che sarà incaricato di esprimere questa volontà davanti alle autorità competenti; ormai si tratta di eleggere, per di più in forma indiretta dato che i cittadini nominano i grandi elettori incaricati di eleggere dei rappresentanti che saranno liberi da qualsiasi mandato e
abilitati esclusivamente a deliberare sulle questioni di interesse comune. Affinché la prima di queste due rotture con il passato diventasse effettiva, la comunità avrebbe dovuto scomparire davanti al cittadino, dato che il corpo sociale era chiamato, al momento del voto, a scomporsi in unità numeriche giuridicamente uguali e teoricamente indipendenti. Bisognava dunque sciogliere i legami di solidarietà, di fedeltà e di dipendenza. Una sfida di tale portata imponeva di riflettere sui mezzi materiali capaci di rendere individuale il voto. È in questo campo che i rivoluzionari del 1789 hanno apportato un contributo tangibile alla storia delle tecniche elettorali, attraverso l’invenzione di una circoscrizione speciale per le elezioni, il cantone, e attraverso l’utilizzo generalizzato del voto segreto. La creazione dei cantoni era motivata innanzitutto dalla volontà di garantire la libertà e l’indipendenza dei suffragi. Le nuove municipalità, così battezzate nel 1789, infatti non erano nient’altro che le vecchie parrocchie, le quali formavano il quadro dell’esistenza sociale e, nello stesso tempo, quello delle assemblee tradizionali. È per questo che il voto nei comuni, dove ogni elettore era attorniato dai suoi parenti, dai suoi amici e dai suoi superiori, non poteva garantire l’indipendenza che era ormai richiesta nell’esercizio dei diritti politici. La sostituzione della parrocchia con il cantone avrebbe dovuto contribuire a garantire a tutti i cittadini una libertà uguale nell’esercizio della volontà, indipendentemente dalle diseguaglianze d’ordine sociale. La mescolanza dei cittadini provenienti dai vari comuni che formavano il cantone non relegava i notabili tradizionali al ran-
go di attori secondari della competizione elettorale, ma li obbligava, se volevano essere eletti, a guadagnare i voti degli elettori di altri comuni, nei confronti dei quali non potevano utilizzare i mezzi di pressione di cui disponevano abitualmente. [...] Non si trattava tanto di impedire che «l’intrigante del villaggio» pervenisse ai suoi fini quanto di liberare il popolo dall’ascendente dei suoi tutori naturali, il curato e il signore. In questo senso, la creazione del cantone era prima di tutto una misura rivoluzionaria, che contribuiva tanto all’invenzione del «cittadino elettore» quanto al rovesciamento della società d’Ancien Régime. L’adozione del voto segreto attraverso l’utilizzazione delle schede scritte, che rompeva con la pratica tradizionale del voto ad alta voce, andava nella stessa direzione. [...] I costituenti del 1789 avevano intenzione in questo modo, utilizzando le procedure disponibili, di garantire il segreto e dunque la libertà delle opinioni individuali. 2. Come si faceva tradizionalmente attraverso i cahier de doléances.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi le informazioni relative ai seguenti aspetti della storia delle elezioni: a. caratteristiche del momento iniziale; b. rapporto fra voto e Rivoluzione francese; c. cambiamenti nel XVIII secolo; d. creazione dei cantoni. b Spiega per iscritto come avvenne la convocazione elettorale del 1789 e quale fu il suo scopo. c Descrivi per iscritto le modalità e gli obiettivi della creazione dei cantoni.
65d DIRITTI E DOVERI A CONFRONTO: LE DICHIARAZIONI DEL 1789 E DEL 1793 A. Saitta, Costituenti e Costituzioni della Francia moderna, Einaudi, Torino 1952, pp. 66-68; 118-21.
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Mettendo a confronto le Dichiarazioni del 1789 e del 1793 è possibile osservare alcune significative differenze fra il momento liberale e quello democratico-popolare della Rivoluzione. La «resistenza all’oppressione» che è elencata fra i diritti naturali e insopprimibili nell’art. 2 dell’89 è oggetto di un intero artico-
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
lo (il 35) nel ’93, ampliata a diritto-dovere all’insurrezione non solo del popolo nel suo insieme, ma anche di «ciascuna parte del popolo». Questa ulteriore specificazione, che attribuisce un ruolo decisivo alle minoranze rivoluzionarie, appare come una legittimazione della giornata del 2 giugno 1793 che aveva portato all’arresto dei girondini e alla loro espulsione dalla Convenzione.
Dichiarazione dell’89 I Rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri [...]; affinché i reclami dei cittadini, fondati d’ora innanzi su dei principi semplici ed incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti. In conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino: Art. 1 Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune. Art. 2 Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione. Art. 3 Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa. Art. 4 La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla Legge. Art. 5 La Legge ha il diritto di vietare solo le azioni nocive alla società. Tutto ciò che non viene vietato dalla legge non può essere impedito [...].
Art. 6 La Legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa deve essere uguale per tutti [...]. Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo la loro capacità, e senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti. [...] Art. 11 La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge. [...] Art. 17 La proprietà essendo un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, salvo quando la necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga in maniera evidente, e previa una giusta indennità. Dichiarazione del ’93 Il popolo francese, convinto che l’oblio e il disprezzo dei diritti naturali dell’uomo sono le sole cause delle sventure del mondo, ha deciso di esporre in una dichiarazione solenne questi diritti sacri e inalienabili [...] affinché il popolo abbia sempre davanti agli occhi le basi della sua libertà e della sua felicità, il magistrato la regola dei suoi doveri, il legislatore l’oggetto della sua missione. Di conseguenza, esso proclama, al cospetto dell’Essere supremo, la seguente dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Art. 1 Lo scopo della società è la felicità comune. – Il Governo è istituito per garantire all’uomo il godimento dei suoi diritti naturali e imprescrittibili. Art. 2 Questi diritti sono l’uguaglianza, la libertà, la sicurezza, la proprietà. Art. 3 Tutti gli uomini sono uguali per natura e davanti alla Legge.
Art. 4 La Legge è l’espressione libera e solenne della volontà generale; essa è la stessa per tutti [...]; può ordinare solo ciò che è giusto e utile alla società; non può vietare se non ciò che le è nocivo. Art. 5 Tutti i cittadini sono ugualmente ammissibili agli impieghi pubblici. I popoli liberi non conoscono altri motivi di preferenza nelle loro elezioni, che le virtù e le capacità. Art. 6 La libertà è il potere che appartiene all’uomo di fare tutto ciò che non nuoce ai diritti degli altri. [...] Art. 11 Ogni atto esercitato contro un uomo fuori dei casi e senza le forme che la Legge determina è arbitrario e tirannico; colui contro il quale lo si volesse eseguire con la violenza, ha il diritto di respingerlo con la forza. [...] Art. 25 La sovranità risiede nel popolo; essa è una e indivisibile, imprescrittibile e inalienabile. [...] Art. 33 La resistenza all’oppressione è la conseguenza degli altri diritti dell’uomo. [...] Art. 35 Quando il Governo viola i diritti del popolo, l’insurrezione è per il popolo e per ciascuna parte del popolo il più sacro dei diritti e il più indispensabile dei doveri.
METODO DI STUDIO
a Dopo aver letto le due Dichiarazioni, leggi con attenzione il cappello introduttivo. Successivamente evidenzia nei documenti i rimandi ai contenuti del cappello e numerali in ordine progressivo. Quindi inserisci delle note nel testo introduttivo che rimandino agli elementi individuati. b Individua un titoletto per ogni articolo e scrivilo in corrispondenza del testo. Quindi scrivi un testo comparativo che metta in rilievo le similitudini e le differenze fra la Dichiarazione dell’89 e quella del ’93.
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FARESTORIA Stati Uniti e Francia: nuove idee e nuovi modi di fare politica
LEGGERE UNA FONTE ICONOGRAFICA 4 JEAN-BAPTISTE REGNAULT LA LIBERTÀ O LA MORTE, 1795 CA. [Hamburger Kunsthalle, Amburgo]
Il dipinto La libertà o la morte del pittore francese Jean- Baptiste Regnault è la versione in scala ridotta di una tela esposta nel 1795 al Salon di Parigi e riprende il motto della Costituzione del 1793. La tela propone una gestualità delle figure solenne ed enfatizzata, capace di comunicare in modo immediato il suo messaggio politico e morale: al centro il genio della Francia, con la fiamma della Ragione sulla testa, ha le ali tricolori e sorvola il globo terrestre, esprimendo così l’universalità delle idee della Dichiarazione del 1793. Alla sua destra si riconosce la personificazione della Repubblica francese che mostra i simboli della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità (il cappello frigio, il fascio littorio e la livella con il filo a piombo). È seduta su di un trono decorato con un serpente che si morde la coda, mentre dall’altro lato del dipinto si trova la morte, rappresentata come uno scheletro con la falce. La Rivoluzione francese toccò entrambi gli estremi, riassunti in questo dipinto di Jean-Baptiste Regnault. Tra le due figure il genio alato rappresenta il punto di equilibrio. GUIDA ALLA LETTURA
a Spiega chi sono i personaggi rappresentati indicando da quali elementi li si riconosce. b Evidenzia il titolo dell’opera e descrivine la provenienza e il significato facendo riferimento al contesto politico e sociale in cui è stata prodotta.
66 A. TRAMPUS I RIVOLUZIONARI E LA FELICITÀ PUBBLICA
A. Trampus, Il diritto alla felicità. Storia di un’idea, Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 203-7.
Antonio Trampus (nato nel 1967) ha dedicato un suo recente libro alla storia dell’idea di felicità in Occidente, dall’Antichità fino ai tempi moderni. In questo brano ripercorre in maniera
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La Rivoluzione francese opera una profonda trasformazione, al punto di non rivendicare più il diritto alla ricerca della felicità, come nel caso americano, ma il diritto alla felicità. Si tratta di un passaggio decisivo e complesso, che merita però di essere attentamente ricostruito, perché segna una rottura irrimediabile con il mondo dei Lumi. [...] Nella stesura definitiva della dichiarazione dei diritti la felicità non è trattata in un articolo specifico, ma è trasferita all’interno del preambolo, laddove si afferma che i diritti dell’uomo e del cittadino sono riconosciuti e dichiarati «affinché i reclami dei cittadini, fondati
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
originale le varie fasi della Rivoluzione francese, analizzando il diverso significato che i governi rivoluzionari attribuirono al concetto di felicità nelle Dichiarazioni dei diritti e nelle Costituzioni elaborate nel corso degli anni: dapprima intesa come diritto individuale del cittadino, con l’arrivo al potere dei giacobini la felicità diventa sempre più un diritto comune e pubblico, che deve ispirare la società e soprattutto l’azione di governo.
da ora innanzi su dei principi semplici ed incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della costituzione e la felicità di tutti». [...] Così si riconosce nella felicità un diritto naturale senza però determinarne i contenuti, ma ribadendone il carattere programmatico. Come nel caso americano, anche la cultura francese riesce ad elaborare la tradizione giusnaturalistica, inserendo la felicità tra i diritti naturali e inalienabili dell’uomo. La felicità, così costituzionalizzata, può diventare allora una sorta di indirizzo politico cui ispirarsi per costruire una società migliore? In realtà, agli occhi dei rivoluzionari,
essa rappresenta non tanto un programma per il futuro quanto una cesura rispetto al passato, perché pone una barriera rispetto al vecchio (e infelice) regime che si vuole lasciare definitivamente alle spalle. Anche per questo, nel dibattito che accompagna la preparazione alla costituzione del 3 settembre 1791, la felicità – nell’accezione di «felicità pubblica» – rimane essenzialmente un ideale filosofico ed etico, che corrisponde a un’idea abbastanza indistinta di benessere, di giustizia e di prosperità della nazione, cui dovrebbe ispirarsi l’azione del potere legislativo e di quello esecutivo. [...] Nel pream-
bolo del testo definitivo della dichiarazione dei diritti premessa alla nuova costituzione, infine, non si farà altro che ripetere quanto stabilito nel 1789 e cioè che i principi incontestabili della dichiarazione stessa devono servire al mantenimento della costituzione e della «felicità di tutti». Dopo la fuga di Varennes e la dichiarazione di guerra all’Austria, seguita dall’insurrezione del popolo di Parigi (20 giugno 1792) [...] l’Assemblea legislativa decide la sospensione del sovrano dalle sue funzioni, con l’elezione di un nuovo organo, la Convenzione nazionale. Ed è proprio la Convenzione a dichiarare il 21 settembre l’abolizione della monarchia e a celebrare il processo contro Luigi XVI, seguito dalla sua esecuzione [...]. Le successive sconfitte militari, la crisi economica e le agitazioni popolari mettono in minoranza la componente moderata dei girondini e favoriscono la creazione di un tribunale rivoluzionario e di un Comitato di Salute pubblica. Si apre così il periodo dell’egemonia giacobina e del Terrore [...]. In questo clima concitato viene preparata e discussa la nuova costituzione del 1793, votata il 24 giugno e destinata a non entrare mai in vigore, ben diversa rispetto a quella di due anni prima: già in aprile Robespierre presenta un progetto che si differenzia rispetto alla dichiarazione girondina per il suo carattere fortemente antindividualistico. I diritti elencati non sono più quelli dell’uomo, ma quelli della società nel suo complesso, che devono
essere affermati «affinché il popolo abbia sempre davanti gli occhi le basi della sua libertà e della sua felicità». Nel testo definitivo della dichiarazione, premessa alla costituzione, quest’affermazione viene ulteriormente rafforzata dall’art. 1 che dichiara, senza mezzi termini, che «lo scopo della società è la felicità comune. Il governo è istituito per garantire all’uomo il godimento dei suoi diritti naturali e imprescrittibili». Si tratta di una formulazione che enfatizza il principio rousseauiano della sovranità popolare (non a caso le spoglie del filosofo vengono traslate solennemente al Pantheon l’11 ottobre 1794), ma crea di fatto una gerarchia fra i diritti, ponendo la felicità comune e l’uguaglianza al di sopra della libertà e della proprietà, coerentemente con il programma politico del gruppo giacobino. Allo stesso periodo risale il celebre rapporto di Saint-Just1, uno dei membri del Comitato di Salute pubblica, che il 3 marzo 1794 dichiara alla Convenzione solennemente: «la felicità è un’idea nuova in Europa». La parola felicità è ormai parte del lessico politico e torna continuamente nei discorsi di Saint-Just stesso e Robespierre, ma non ha però più nulla a che fare con la tradizione illuministica ed è collegata strettamente, piuttosto all’idea di virtù espressa di dirigenti giacobini2, che la interpretano come un valore repubblicano contrario al piacere individuale, a qualsiasi manifestazione dell’epicureismo3 vecchio e nuovo e che si può esprimere solo
67 F. FURET IL CLUB DEI GIACOBINI
F. Furet, Giacobinismo, in Dizionario critico della Rivoluzione Francese, vol. 2, a c. di F. Furet e M. Ozouf, Bompiani, Milano 1994, pp. 833-40; 844.
Le vicende del club giacobino rappresentano un percorso esemplare per comprendere alcuni aspetti dell’evoluzione della Rivoluzione francese. Formatosi nel maggio-giugno 1789 come luogo in cui alcuni deputati del Terzo stato concordavano la condotta da tenere nelle sedute della Costituente, dal 1791, con l’emergere della figura di Robespierre, il club si impose come il principale centro di potere della Repubblica. In questo brano, a ricostruire lo sviluppo del giaPrima ancora di essere un concetto, o una tradizione, o una mentalità politica, il termine giacobinismo evoca una storia di un club la cui azione, essenziale sin dall’inizio della rivoluzione, è a tal punto dominante tra il 1792 e il 1794 che l’agget-
in modo collettivo. [...] Non bisogna quindi più parlare né di felicità privata né di felicità pubblica secondo l’uso antico, ma di «felicità sociale», ispirata alla morale rivoluzionaria e ad una nuova religiosità civile, la stessa che pone la felicità del popolo quale ultima delle 37 feste all’anno fissate dal calendario repubblicano. La felicità privata si dissolve in quella del corpo sociale e dello Stato, che deve difendersi dai nemici della Rivoluzione; l’interesse privato cede il posto all’interesse generale e la virtù repubblicana si contrappone agli interessi dell’individuo. [...] Raggiungerla non è quindi più compito del singolo individuo; è invece un dovere del potere politico promuovere la felicità dei cittadini. 1. Louis Antoine de Saint-Just (1767-1794), amico di Robespierre, prima deputato alla Convenzione e poi membro del Comitato di salute pubblica. 2. A questo proposito ►FS, 68d. 3. Epicureismo: la dottrina del filosofo greco Epicuro che invitava a cercare l’equilibrio interiore perseguendo il soddisfacimento dei propri piaceri e bisogni.
METODO DI STUDIO
a Evidenzia le tappe che hanno portato alla definizione del concetto di felicità durante la Rivoluzione francese. Trascrivile sul quaderno e sintetizza per ogni tappa i cambiamenti avvenuti. b Spiega quando, secondo Antonio Trampus, si crea una gerarchia fra i diritti e in cosa consiste.
cobinismo e ad analizzare l’eredità politica che lasciò per i secoli successivi è lo storico francese François Furet (19271997), importante protagonista del dibattito che vide discutere animatamente gli storici, a partire dagli anni ’60, intorno alla definizione della Rivoluzione francese come «rivoluzione borghese». Egli fu il sostenitore di un’interpretazione dei processi rivoluzionari in chiave politico-ideologica più che economico-sociale: la novità della Rivoluzione, secondo Furet, va rintracciata nell’avvento di un diverso linguaggio politico e di una diversa rappresentazione del potere e non, come affermano gli storici d’ispirazione marxista, nella trasformazione delle strutture sociali ed economiche del paese.
tivo giacobino viene a indicare, in questo periodo e poi anche in seguito, i partigiani della dittatura di salute pubblica [...]. Ormai il club tiene le sue sedute in pubblico [...]; esso consolida la sua rete nazionale, sotto la bandiera del suffragio universale,
cercando di estendere il suo magistero d’opinione alle società popolari sbocciate qua e là; si dà un’organizzazione interna più forte, aggiungendo ai comitati già esistenti un comitato dei rapporti e un comitato di sorveglianza; ma il principale tra questi
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FARESTORIA Stati Uniti e Francia: nuove idee e nuovi modi di fare politica
comitati rimane quello di corrispondenza, cuore dell’apparato giacobino, dove siedono ormai, tra gli altri, Robespierre, Brissot1, Carra2, Desmoulins3, Clavière4, Collot d’Herbois5, Billaud-Varenne6, i futuri montagnardi e i futuri girondini, i futuri esagerati e i futuri indulgenti, per non parlare dei seguaci di Robespierre; insomma, tutto il futuro della rivoluzione, momentaneamente riunito. Il club non è più destinato essenzialmente a preparare i dibattiti dell’Assemblea, ma ha una vocazione più generale: quella di costituire un’altra Assemblea, che può essere anche una controassemblea. [...] Non esistono testimonianze scritte di una partecipazione diretta del club all’insurrezione del 10 agosto, benché questa partecipazione sia verosimile, per il tramite di un direttorio clandestino; la giornata porta troppo chiara l’impronta dei militanti giacobini perché non ci sia stata alcuna concertazione. E i giacobini si ritrovano ai posti di comando dopo la caduta delle Tuileries. Ma il contributo essenziale della società consiste nell’essere stata il crogiuolo in cui si è formato lo spirito del 10 agosto, un misto di disprezzo delle leggi e di idealismo repubblicano, di sospetto generalizzato e di utopia ugualitaria, dove si ritrovano i tratti caratteristici della pedagogia robespierrista. [...] Loro è lo spirito della seconda rivoluzione. E sono loro che designano la deputazione parigina alla Convenzione. Quando questa viene eletta in settembre, la nuova Assemblea costituente inaugura il periodo giacobino della rivoluzione francese. [...]
Si instaura così un’inedita democrazia diretta, nella quale i giacobini rappresentano in vivo la finzione rivoluzionaria del popolo: vale a dire un popolo unanime, che si trova dunque in uno stato di permanente autoepurazione, dal momento che l’esclusione ha lo scopo di purgare il popolo sovrano dai suoi nemici nascosti e di ristabilire così l’unità minacciata. [...] Il giacobinismo è stato nel XIX secolo il centro di conflitti politici e intellettuali molto vivaci. Dalla restaurazione alla fondazione della Terza repubblica, esso fa parte del bagaglio del partito repubblicano, a diverso titolo e in gradi diversi; esso rappresenta un’eredità indivisa, dove si trovano contemporaneamente la sovranità del popolo una e indivisibile, l’onnipotente Assemblea eletta a suffragio universale, la nazione francese alla testa dell’emancipazione dei popoli, l’ostilità verso la chiesa cattolica, la religione dell’uguaglianza, e per finire la società, segreta o pubblica, secondo i casi, di attivisti professionisti della politica rivoluzionaria. Ma l’eredità giacobina porta con sé anche il Terrore, inseparabile dalla Prima repubblica e dalla sanguinosa dittatura esercitata nel nome della virtù. Cristallizzando una tradizione politica, il giacobinismo crea anche un polo di repulsione, in special modo tra i borghesi e tra i contadini [...]. Il club dei giacobini avrà tuttavia molti imitatori. Esso fa parte, nel XIX secolo, non solo della rivoluzione, ma dei suoi insegnamenti: le società rivoluzionarie di militanti convinti che lo scopo del loro agire sia la trasformazione dell’uomo
68d MAXIMILIEN ROBESPIERRE DEMOCRAZIA, VIRTÙ E TERRORE
M. Robespierre, La rivoluzione giacobina, a c. di U. Cerroni, Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 160-63; 167.
Nel discorso pronunciato nel 17 piovoso anno II (5 febbraio 1794), Sui principi di morale politica che devono guidare la Convenzione nazionale nell’Amministrazione interna della
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La democrazia non è già uno Stato in cui il popolo – costantemente riunito – regola da se stesso tutti gli affari pubblici: ed ancor meno è quello in cui centomila fazioni del popolo, con misure isolate, precipitose e contraddittorie, decidono la sorte dell’intera società. [...] La democrazia è uno Stato in cui il popolo sovrano, gui-
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
e del mondo, sono un patrimonio neogiacobino comune a tutta l’Europa continentale del XIX secolo. [...] Di questo itinerario ancora mal esplorato, le tappe principali sono innanzi tutto Marx, e poi Lenin, l’inventore della variante soggettivista del marxismo. E attraverso il bolscevismo, il partito giacobino ha avuto un peso importante nel XX secolo. 1. Jacques-Pierre Brissot (1754-1793), esponente di spicco dei girondini, deputato all’Assemblea legislativa e alla Convenzione, ghigliottinato dopo il colpo di Stato contro i girondini. 2. Jean-Louis Carra (1742-1793), giornalista, deputato alla Convenzione. 3. Camille Desmoulins (1760-1794), avvocato, pubblicista, deputato alla Convenzione, segretario di Danton insieme al quale fu ghigliottinato per ordine di Robespierre. 4. Étienne Clavière (1735-1793), banchiere di origine svizzera, girondino, morto suicida in prigione. 5. Jean-Marie Collot d’Herbois (1749-1796), attore e commediografo, segretario del club dei giacobini nel 1791 e deputato alla Convenzione. 6. Jacques-Nicolas Billaud-Varenne (17561819), deputato alla Convenzione e membro del Comitato di salute pubblica.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea i contributi e i compiti della società dei giacobini durante la Rivoluzione francese. b Descrivi e argomenta per iscritto il rapporto che, secondo François Furet, è possibile individuare fra il partito giacobino e il bolscevismo.
Repubblica, di cui si riporta qui un estratto, Maximilien Robespierre (1758-1794) spiegava su cosa si dovesse fondare il governo rivoluzionario e democratico: il principio etico della virtù e dell’amor di patria e l’idea di uguaglianza. Ma in questo discorso il leader giacobino proponeva anche una sua giustificazione del Terrore, considerato una misura necessaria per sconfiggere i nemici.
dato da leggi che sono il frutto della sua opera, fa da se stesso tutto ciò che può far bene, e per mezzo dei suoi delegati tutto ciò che non può fare da se stesso.[...] Ora, qual è mai il principio fondamentale del governo democratico o popolare, cioè la forza essenziale che lo sostiene e che lo fa muovere? È la virtù. Parlo di quella vir-
tù pubblica che operò tanti prodigi nella Grecia ed in Roma, e che ne dovrà produrre altri, molto più sbalorditivi, nella Francia repubblicana. Di quella virtù che è in sostanza l’amore della patria e delle sue leggi. Ma, dato che l’essenza della Repubblica, ossia della democrazia, è l’uguaglian-
za, ne consegue che l’amore della patria comprende necessariamente l’amore dell’uguaglianza. [...] Soltanto in un regime democratico lo Stato è veramente la patria di tutti gli individui che lo compongono e può contare tanti difensori interessati della sua causa, quanti sono i cittadini che esso contiene. Ecco qui la fonte della superiorità dei popoli liberi su tutti gli altri popoli. [...] Dato che l’anima della Repubblica è la virtù, l’uguaglianza, e dato che il vostro scopo è di fondare, di consolidare la Repubblica, ne consegue che la regola prima della vostra condotta politica dev’essere quella di indirizzare tutte le vostre opere al mantenimento dell’uguaglianza ed allo sviluppo della virtù: poiché la cura principale del legislatore dev’essere quella di fortificare il principio su cui si fonda il suo potere di governo. Così, tutte le cose che tendono ad eccitare l’amor di patria, a purificare i costumi, ad elevare gli spiriti, ad indirizzare le passioni del cuore umano verso l’interesse
pubblico, devono essere da voi adottate ed instaurate. Mentre tutte le cose che tendono a concentrare le passioni verso l’abiezione dell’io individuale, a risvegliare l’interesse per le piccole cause ed il disprezzo per quelle grandi, devono essere da voi respinte o represse. Nel sistema instaurato con la rivoluzione francese tutto ciò che è immorale è impolitico, tutto ciò che è atto a corrompere è controrivoluzionario. [...] Bisogna soffocare i nemici interni ed esterni della Repubblica, oppure perire con essa. Ora, in questa situazione, la massima principale della vostra politica dev’essere quella di guidare il popolo con la ragione, ed i nemici del popolo con il terrore. Se la forza del governo popolare in tempo di pace è la virtù, la forza del governo popolare in tempo di rivoluzione è ad un tempo la virtù ed il terrore. La virtù, senza la quale il terrore è cosa funesta; il terrore, senza il quale la virtù è impotente. Il terrore non è altro che la giustizia pronta, severa, inflessibile. Esso è dunque una
69 J. ISRAEL IL TERRORE
J. Israel, La Rivoluzione francese. Una storia intellettuale dai Diritti dell’Uomo a Robespierre, Einaudi, Torino 2015, pp. 56970; 572-74; 611-12.
Lo storico britannico Jonathan Israel (nato nel 1946) è autore di un recente volume sulla Rivoluzione francese. Come spiega Con la sua esigua base di sostegno fuori da Parigi, la dirigenza robespierrista aveva bisogno del Terrore per mantenere la sua presa sul potere [...] In egual misura la dittatura necessitava della sua ideologia dell’uguaglianza intesa prepotentemente a livellare per fornire una giustificazione logica al Terrore e al brutale giro di vite contro ogni forma di opposizione e dissenso. I nuovi «comitati rivoluzionari» in seno alle sezioni e alle sociétés populaires si distinsero come guardiani – più spesso non tanto dell’andamento dei prezzi dei generi alimentari quanto invece delle attività dei negozianti e dei cittadini che afferivano alla sezione – imponendo i valori «patriottici» con un polso ferreo. La société populaire et républicaine della sezione di Parigi Droits-de-l’Homme, ad esempio, [...] si riuniva quotidianamente per esaminare questioni di interesse loca-
emanazione della virtù. È molto meno un principio contingente, che non una conseguenza del principio generale della democrazia applicata ai bisogni più pressanti della patria. Si è detto da alcuni che il terrore era la forza del governo dispotico. [...] Che il despota governi pure con il terrore i suoi sudditi abbrutiti. Egli ha ragione, come despota. Domate pure con il terrore i nemici della libertà: e anche voi avrete ragione, come fondatori della Repubblica. Il governo della rivoluzione è il dispotismo della libertà contro la tirannia.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi ciò che, secondo Robespierre, è e ciò che non è la democrazia. b Cerchia con colori diversi tutto ciò che nel sistema instaurato con la Rivoluzione francese, secondo l’autore, va adottato e ciò che invece va rifiutato. c Spiega per iscritto in cosa consistono, secondo Robespierre, la virtù e il terrore e quale rapporto esiste fra di essi.
in questo brano, il Terrore giacobino non consistette soltanto in una caccia ai nemici della Rivoluzione, agli oppositori politici, agli aristocratici, al clero e ai nobili filomonarchici: la difesa dei princìpi rivoluzionari avvenne anche con l’imposizione violenta di una rigida moralità repubblicana e con la lotta alle pratiche quotidiane considerate degeneri dall’élite politica al potere.
le e assicurarsi che nessuno si scostasse dall’ortodossia. [...] Attraverso un sistema di direttive e denunce supportato da udienze, imponeva in modo inflessibile una condotta «patriottica» e i modi di vedere «corretti», facendo rispettare i valori «patriottici» in ogni parte del quartiere. «Patriottico» divenne una parola in codice che stava per popolare, antielitario, antiphilosophique e aderente a una concezione della virtù estremamente intollerante. Chiunque veniva denunciato riceveva udienza davanti al corpo dei membri al completo. I comitati che nelle società popolari agivano da guardiani andavano in cerca e si sforzavano di sopprimere «monarchici», «aristocratici», «moderati» e fédérés1 e nel contempo rivolgevano un occhio ostile a negozi di generi alimentari e panetterie, caffè, teatri, possibili ritrovi di gioco d’azzardo, donne che ragiona-
vano con la propria testa e cortigiane. L’iniziativa di mettere sotto chiave le prostitute e sopprimere il loro esercizio fu intrapresa con impegno sul finire dell’estate 1793 e presto estesa ad altre grandi città [...]. La vigilanza giacobina sembrava ansiosa di fare piazza pulita di ogni svago e piacere, terrorizzare le ragazze e bandire l’erotismo e l’immoralità stessa. Le prostitute erano ritenute un depravato retaggio dell’ancien régime, un oltraggio alla virtù, un simbolo di tutto quello che la virtù era tesa a sradicare [...]. Le esecuzioni non erano che la punta
1. Gli appartenenti alle milizie volontarie, formatesi in occasione della Festa della federazione del 14 luglio 1790 con lo scopo di difendere la Rivoluzione.
361
FARESTORIA Stati Uniti e Francia: nuove idee e nuovi modi di fare politica
dell’iceberg. In sostanza il Terrore fu una generale soppressione di tutti i principi essenziali e della filosofia della Rivoluzione, specialmente la libertà di criticare e la libertà di pensiero e di opinione in generale. [...] Il bersaglio principale rimanevano sempre i più importanti esponenti dei valori cardine rivoluzionari: le radicali gens de lettres (i letterati), i philosophes, i giornalisti, i bibliotecari e gli intellettuali che avevano guidato la Rivoluzione. [...] I sospetti venivano arrestati nelle loro case e per strada semplicemente perché qualcuno aveva informato i locali comitati rivoluzionari che i loro discorsi o condotta facevano pensare che costoro fossero «non patriottici», «partigiani del fédéralisme e nemici della libertà». [...] Senza un certificato di civisme2, emesso dai comitati di sorveglianza del distretto, diventò arduo viaggiare, fare affari o partecipare a delle riunioni. Chiunque fosse sospettato di criticare il regime, perfino i più eminenti visitatori stranieri, veniva denunciato e imprigionato. [...] Sebbene i nobili in fuga e le loro consorti, gli ex dignitari e i preti refrattari e costituzionali avessero un ruolo di spicco in mezzo a coloro che venivano arrestati – processati e giustiziati durante il Terrore – i bersagli principali inizialmente non furono aristocratici, ac-
caparratori, dignitari dell’ancien régime, oppure preti, ma repubblicani di sinistra e gens de lettres, gli intellettuali illuminati che avevano fatto la Rivoluzione. [...] Il terrore permeava ogni aspetto e dimensione della società e dell’esistenza. [...] I soli numeri bastano a provare che il Terrore interessò tutte le classi della popolazione, non soltanto gli intellettuali, i nobili, gli ufficiali dell’esercito e del clero. Ufficialmente, sotto il Terrore, i Tribunali rivoluzionari del governo giustiziarono in Francia un totale di 16.594 vittime, senza contare le migliaia fucilate o annegate extragiudizialmente dalle forze montagnarde a Lione, Tolone, Nantes, nella regione basca e nella Vandea. Le circa 17.000 esecuzioni sancite dalla legge furono certamente superate dalle uccisioni prive dei crismi delle autorità, che ammontarono forse intorno a 23.000. Alcune stime calcolano che il totale di quelli che furono imprigionati e uccisi abbia oltrepassato quota 300.000 [...]. Dei 17.000 circa ufficialmente giustiziati, approssimativamente il 31 per cento erano artigiani (democratici e realisti) e il 28 per cento contadini (sovente realisti). Per converso, formavano contingenti meno numerosi, 1.158, appena sopra l’8 per cento, i nobili, conteggiando tanto la nobiltà «di spada»
quanto quella «di toga» (i parlementaires) e i preti, pari a circa il 2 per cento. A Parigi, 9.249 persone furono incarcerate per motivi politici tra agosto 1792 e luglio 1794, delle quali 766, ossia ben sotto un decimo, erano nobili, sia maschi sia femmine. L’impatto psicologico fu enorme e difficile da valutare. [...] Sotto il Terrore il ritmo dell’emigrazione accelerò vertiginosamente. A luglio 1794, circa 145.000 émigrés, nobili, preti e comuni cittadini erano fuggiti dal paese. Si può affermare con sicurezza che il Terrore del periodo 1793-94 sia stato di gran lunga la principale causa di fuga dal paese durante la Rivoluzione. 2. Senso civico: qui nel senso di rispetto degli obiettivi patriottici e rivoluzionari.
METODO DI STUDIO
a Realizza uno schema per sintetizzare l’analisi di Jonathan Israel del terrore compilando le voci relative ai seguenti temi: a. i protagonisti; b. le modalità operative; c. i bersagli principali; d. gli strumenti utilizzati; e. il numero delle vittime; f. le conseguenze; g. le cause.
PISTE DI LAVORO
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DAI DOCUMENTI ALLA STORIA 1 Scrivi un testo di massimo 15 righe dal titolo La Rivoluzione, il terrore e la virtù facendo riferimento ai testi di Israel [►69] e di Furet [►67], e al discorso di Robespierre [►68d]. Evidenzia nei documenti presi in considerazione i concetti che intendi utilizzare nelle tue argomentazioni e le parti delle fonti storiche che intendi citare e numerale in ordine crescente. Quindi, indica fra parentesi, all’interno del tuo elaborato, i concetti o le citazioni a cui fai riferimento. 2 Scrivi un testo comparativo fra i princìpi che confluirono nella Dichiarazione di indipendenza americana [►61d] e quelli che furono affermati con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino [►65d], mettendo in rilievo i processi che portarono all’affermazione delle analogie e delle differenze. Prima di procedere con la scrittura, realizza una tabella comparativa basata sulle informazioni contenute nei documenti e utilizzala come scaletta per il tuo elaborato.
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 3 Dopo aver letto i documenti presenti nel sottopercorso, scegli una fra le seguenti posizioni storiografiche relative al confronto tra l’esperienza costituzionale americana e quella francese, e argomenta la tua risposta in un breve testo (max 20 righe): a. In particolare, gli aspetti relativi al “monopolio della violenza” e al “diritto di ribellione contro il governo” rivelano chiaramente le differenti evoluzioni storiche nei due paesi. b. Dal punto di vista dei concetti chiave di “sovranità del popolo” e “uguaglianza dei cittadini”, le Costituzioni sono evidente espressione dello stesso movimento politico-intellettuale. c. La diversa attenzione posta sui temi della religione, delle libertà politiche, dei servizi sociali dimostra che le due Costituzioni sono state prodotte da e per società differenti.
UOMINI E DONNE NELLE RIVOLUZIONI Le rivoluzioni americana e francese, oltre ad avere un forte impatto politico, trasformarono anche la vita quotidiana di uomini e donne che si trovarono a vivere quegli eventi. L’abbattimento delle tradizionali gerarchie di potere e l’introduzione dei princìpi di libertà e uguaglianza, infatti, cambiarono la mentalità degli individui e permisero l’emergere di nuove forme di socialità. Ad aprire questa sezione antologica è il brano di Arnaldo Testi [►70], il quale ci restituisce un quadro della società americana uscita dalla guerra d’indipendenza e analizza la progressiva messa in discussione dei tradizionali rapporti gerarchici, sia in ambito politico sia, sebbene in misura minore, in quello privato, all’interno di un’istituzione come la famiglia. Guido Abbattista [►71], invece, si interroga sui limiti della rivoluzione americana e si sofferma, in particolare, su chi rimase escluso dai diritti conquistati e affermati nella Dichiarazione di indipendenza e nella Costituzione repubblicana: gli schiavi neri e gli indiani. Riguardo alla Francia, Lynn Hunt [►72] punta l’attenzione su uno degli effetti più evidenti della Rivoluzione: la straordinaria diffusione della politica e dei suoi simboli nella vita quotidiana, che cambiò la mentalità e il modo di vivere di moltissime persone. Come ci mostra Haim Burstin [►73] la grande mobilitazione politica fece nascere un nuovo tipo di uomo, figlio degli eventi dell’89: “il rivoluzionario”, completamente assorbito dalle rinnovate forme di partecipazione politica. Un testimone d’eccezione di una seduta dell’Assemblea nazionale, lo scrittore francese Chateaubriand [►74d], descrive in chiave polemica chi fossero questi uomini, in che modo si esprimessero e quanto diverse fossero le loro posizioni. Alle battaglie rivoluzionarie parteciparono in ogni modo non soltanto gli uomini, come ci mostra il caso delle “donne soldato” analizzato da Erica Joy Mannucci [►75] e come testimonia il più importante tentativo di rivendicazione del ruolo femminile portato avanti dalla rivoluzionaria Olympe de Gouges [►76d], con la stesura della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina nel 1791. Chiude questa sezione il brano di Mona Ozouf [►77], che analizza i tentativi dei governi rivoluzionari di trasformare, anche simbolicamente, un aspetto molto importante della vita degli uomini dell’epoca: la religione e le sue tradizioni popolari.
70 A. TESTI UNA NUOVA SOCIETÀ AMERICANA?
A. Testi, La formazione degli Stati Uniti, il Mulino, Bologna 2003, pp. 97-100; 128-29.
Lo storico italiano Arnaldo Testi (nato nel 1947), autore di importanti studi sulla storia degli Stati Uniti, descrive in questo brano i cambiamenti avvenuti nella società nordaLa Rivoluzione cambiò profondamente il Nord America. Creò una nuova entità politica, gli Stati Uniti, e una società diversa dalle precedenti. [...] I protagonisti della Rivoluzione erano convinti di assistere all’alba di un’epoca di libertà, anzi di contribuire ad alimentarla. Ritennero, proprio come fecero più tardi i rivoluzionari francesi con la data di fondazione della loro repubblica, che il 4 luglio 1776 segnasse un nuovo inizio dal quale contare il tempo, e lo scrissero nel testo delle carte costituzionali. Gli Articoli di confederazione (1777) furono datati «anno secondo dell’Indipendenza d’America»; la Costituzione di Filadelfia (1787), con maggiore precisione linguistica nel nominare la nuova realtà politica, fu datata «anno dodicesimo dell’Indipendenza degli Stati Uniti d’America». Questa pratica continuò a lungo, sia nei documenti di governo e nei messaggi presidenziali che nelle
mericana l’indomani dell’indipendenza e della guerra che sancì la nascita del nuovo Stato, individuando gli elementi di continuità e quelli di rottura rispetto al periodo prerivoluzionario. Testi dedica una particolare attenzione agli aspetti simbolici e all’evoluzione delle gerarchie sociali fuori e dentro la famiglia, nonché al ruolo delle donne nella società americana.
petizioni dei club politici, nei calendari e negli almanacchi popolari, nelle testate dei giornali. Tom Paine1, d’altra parte, era stato enfaticamente chiaro quando aveva scritto in Senso Comune (1776): «Abbiamo la possibilità di cominciare da capo a costruire il mondo. Una situazione simile all’attuale non si è verificata dai giorni di Noè». Gli sviluppi di quella «situazione» furono di ampia portata. Andarono al di là delle intenzioni, degli obiettivi e delle previsioni di molti di coloro che la scatenarono, e continuarono a dispiegare i loro effetti dopo che essa si era formalmente conclusa. I coloni pre-rivoluzionari erano sudditi di una monarchia imperiale; vivevano in comunità divise in caste e dominate dal rango, tenute insieme da relazioni paternalistiche di dipendenza personale e responsabilità reciproca, governate sulla base di principi gerarchici. Gli eventi rivoluzionari, comin-
ciati come una difesa di privilegi, immunità e diritti «degli britannici», travolsero quest’ordine anche se non lo distrussero completamente. E portarono al trionfo moderno di un’idea repubblicana di libertà che aveva una travagliata storia nell’occidente europeo. La Rivoluzione repubblicana permise l’elaborazione di un discorso di diritti individuali e di eguaglianza che coinvolse tutti i ceti, anche quelli popolari, e tutte le relazioni, anche quelle attinen-
1. Thomas Paine (1737-1809), filosofo, intellettuale e polemista, partecipò alla rivoluzione americana ispirando con i suoi scritti l’indipendenza delle colonie dalla Gran Bretagna; trasferitosi in Francia negli anni della Rivoluzione francese, fu membro dell’Assemblea nazionale, prima di essere arrestato per essersi opposto all’uccisione di Luigi XVI.
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FARESTORIA Uomini e donne nelle rivoluzioni
ti alla sfera privata. Comportò una crisi di autorità e consentì nuovi comportamenti. Soggetti, gruppi e interessi diversi acquisirono il diritto alla parola; crearono una vita sociale conflittuale e irriverente, e una vita pubblica articolata e caratterizzata dalla libertà di stampa e di organizzazione. Il mutamento più visibile e immediato riguardò la società politica, dove si modificarono i rapporti fra i governanti e i governati, e le definizioni stesse di chi avesse legittimità a governare. [...] Si erose insomma l’autorità sociale delle classi superiori e, soprattutto, il nesso fra l’autorità sociale e l’autorità politica. Si erose anche l’autorità patriarcale. Le affermazioni di indipendenza individuale erano connesse all’indebolimento dei legami gerarchici nelle famiglie, alla maggiore libertà dei figli e degli altri dipendenti maschi, come domestici, servi e apprendisti, rispetto ai patres familias. Queste tendenze, già presenti nel periodo pre-rivoluzionario, furono accelerate dalla Rivoluzione, che Paine evocò come una ribellione di «ragazzi» ormai cresciuti contro un re furfante che si atteggiava a «padre del suo popolo». Come era evidente da queste parole [...] si trattava di un discorso interno all’universo maschile. Anche le donne acquisirono spazi di autonomia, in casa e fuori. Durante la guerra furono loro a gestire in prima persona gli affari economici domestici, sostituendosi ai mariti soldati. Gruppi
femminili organizzarono i boicottaggi delle merci britanniche, poi le campagne a sostegno della causa patriottica. Queste attività implicavano che le donne esercitassero responsabilità pubbliche, ma si fondavano sui loro ruoli di mogli e madri e sulla loro subordinazione dentro la famiglia; e non si tradussero in eguaglianza civile o politica. L’idea repubblicana era compatibile con tutto ciò, presupponeva che fossero gli uomini a rappresentare politicamente l’unità familiare. [...] Come in Europa, la cittadinanza politica rimase un attributo maschile anche nella nuova repubblica americana, e fu il linguaggio patriarcale a definirne i fondatori come «Padri» fondatori. [...] Nella società post-rivoluzionaria le donne ebbero comunque un ruolo centrale, benché subordinato, e cioè quello di «madri repubblicane», la sopravvivenza della giovane repubblica, si disse, dipendeva dalla creazione di buoni cittadini, e ciò spettava all’azione congiunta di famiglia e scuola. Nelle famiglie le madri avevano importanza strategica. Dovevano fondere le abituali capacità di cura e affetto con la nuova competenza di inculcare nei figli le virtù civiche; per questo, si disse, si dovevano insegnare anche alle donne i principi della libertà e del governo, nonché i doveri del patriottismo. L’istruzione doveva quindi essere fornita dai governi repubblicani e essere accessibile anche alle ragazze; a comincia-
71 G. ABBATTISTA LA RIVOLUZIONE E I SUOI LIMITI: GLI ESCLUSI
G. Abbattista, La rivoluzione americana, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 92-96.
Lo storico italiano Guido Abbattista (nato nel 1953) nel suo libro La rivoluzione americana analizza anche quali furono i
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L’America coloniale [...] aveva già conosciuto nel secolo XVIII significative spinte verso l’emergere di relazioni sociali improntate a maggiore libertà ed elasticità. La rivoluzione assecondò dunque spinte preesistenti, come l’ampliamento della partecipazione politica dal basso, la democratizzazione dei comportamenti sociali, il progresso verso l’uguaglianza giuridica e religiosa e verso l’idea della pari dignità tra gli uomini. Ancora una volta, però, va precisato che tutto questo agì più nel senso dell’introduzione di un lievito egualitario nelle relazioni sociali, che non dell’effettiva attenuazione delle diseguaglianze di proprietà, cultura,
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
re dagli anni novanta, molti stati istituirono sistemi scolastici elementari pubblici, gratuiti e aperti a entrambi i sessi. Le donne acquistarono così un peso politico che, almeno a livello simbolico, era enorme; divennero le garanti morali del futuro della repubblica, un compito che svolgevano non solo singolarmente entro le mura domestiche ma anche collettivamente fuori di esse, promuovendo associazioni femminili culturali, filantropiche, riformatrici. [...] Si definì allora la separazione dello spazio sociale in due aree distinte per sesso. Rientravano nella «sfera della donna» le attività di ordine affettivo, educativo, etico, spirituale e i valori familiari e comunitari del disinteresse e del sacrificio di sé. Rientravano nella «sfera dell’uomo» le attività di ordine politico, istituzionale, affaristico, e i valori dell’interesse economico individuale e della competizione nel mercato.
METODO DI STUDIO
a Spiega in che modo, secondo Arnaldo Testi, i rivoluzionari manifestarono l’idea di aver dato vita a una nuova società politica. b Sottolinea con colori diversi le condizioni precedenti e quelle successive agli eventi rivoluzionari. c Spiega per iscritto la frase «si trattava di un discorso interno all’universo maschile» e specifica quale fosse il ruolo assegnato alle donne dopo la rivoluzione.
limiti del processo rivoluzionario che portò alla nascita degli Stati Uniti: in questo brano si sofferma in particolare sulla sorte di coloro che rimasero esclusi dai princìpi di libertà e uguaglianza affermati dai “padri fondatori” nella Dichiarazione di indipendenza del 1776 e nei testi costituzionali, ovvero gli schiavi neri, gli indiani e le minoranze religiose.
prestigio, potere politico e condizione sociale. Ciò è vero soprattutto se si considerano la condizione femminile e il destino dei neri schiavi e delle minoranze etniche. Escluse dai diritti politici e in condizione di inferiorità nella famiglia e nella coppia, per esempio, le donne permasero in uno stato di subordinazione legale agli uomini. [...] Gli schiavi rimasero generalmente privi di libertà personale e di diritti politici e civili, evidenziando una delle più stridenti contraddizioni della storia della rivoluzione americana. [...] Nella prima parte del secolo XVIII, grazie anche all’impulso riformatore prodotto dal Risveglio1, si erano avuti signi-
ficativi esempi di propaganda antischiavista e di campagne per migliorare la condizione degli schiavi e per l’abolizione della schiavitù. [...] Non si può negare che il periodo rivoluzionario espresse numerose voci contro la schiavitù, come quelle di Samuel Hopkins, Benjamin Rush2, Thomas 1. Il Grande Risveglio fu un movimento di rinnovamento religioso dal basso e critico nei confronti delle autorità esistenti, che investì il mondo protestante soprattutto delle colonie britanniche del Nord America. 2. Samuel Hopkins (1721-1803), teologo americano contrario alla schiavitù; Benjamin
Jefferson, Thomas Paine (autore nel 1775 dell’opuscolo African Slavery in America) e dello stesso Primo Congresso continentale, da cui scaturì la dichiarazione del 1774 contro la tratta degli schiavi. È però altrettanto vero che ai progressi di ordine ideologico o pratico-organizzativo (per esempio la fondazione della prima società abolizionista a Philadelphia nel 1775, con Franklin presidente3, e il sorgere di analoghe società in tutti gli Stati entro i primi anni Novanta) corrisposero mutamenti concreti solo graduali e geograficamente limitati. Dagli anni Settanta alla fine del secolo negli Stati settentrionali (Pennsylvania, Rhode Island, Connecticut, poi New York e New Jersey) si ebbero casi di legislazione proibitiva della tratta e a favore della manomissione e della graduale emancipazione. Ma ciò non comportò l’immediata ammissione paritaria degli ex schiavi nella comunità politica o il miglioramento delle loro condizioni economiche e sociali. Negli Stati meridionali, addirittura, dove si concentrava l’85 per cento degli schiavi, la schiavitù si estese e le importazioni dall’Africa proseguirono per soddisfare la richiesta di manodopera causata dall’espansione verso ovest. La difesa della schiavitù, inoltre, venne qui a coincidere con la difesa della proprietà in generale e a sovrapporsi alla causa dell’autodeterminazione sovrana degli Stati contro l’invadenza del potere federale [...] Quanto agli indiani – gli «spietati indiani» della dichiarazione d’indipendenza –, la rivoluzione non coincise certo con un miglioramento delle loro sorti, inaugurando anzi un processo che avrebbe portato alla loro pressoché totale cancellazione dalla storia americana. La nuova repubblica adottò inizialmente un atteggiamento punitivo per la scelta filobritannica generalmente compiuta dalle tribù dell’Est. E l’acquisizione dei territori ad est del Mississippi fece delle popolazioni indiane le vere vittime del lungo e doloroso conflitto tra le mire espansionistiche degli uomini della frontiera e degli Stati e i tentativi di controllo federale,
resi peraltro poco efficaci dall’assenza di un autentico impegno nazionale a favore dei diritti dei nativi. Nella sfera religiosa e dei rapporti tra potere civile e religioso – dove pure i margini di tolleranza erano più ampi che in Gran Bretagna – la rivoluzione intensificò i movimenti per il riconoscimento legale della tolleranza religiosa [...] Tuttavia, i principi di completa libertà religiosa e di separazione tra istituzioni civili e ecclesiastiche, di cui furono portabandiera George Mason, James Madison4 e soprattutto Thomas Jefferson, non furono immediatamente applicati. Tutti gli Stati, per esempio, ad eccezione del Rhode Island, continuarono a subordinare l’esercizio di pubbliche funzioni alla professione di dottrine cristiane, o specificamente protestanti. [...] La costituzione federale non contenne riferimenti a una materia, come quella religiosa e ecclesiastica, che fu considerata di pertinenza dell’autorità degli Stati. Ciò nonostante, in seguito, nell’ambito del dibattito inteso a
rafforzare le garanzie costituzionali, fu avvertito il bisogno di incorporare nella carta fondamentale una formulazione a tutela del diritto soggettivo alla libertà religiosa, del principio della laicità dello Stato e dell’autonomia statale. Il primo emendamento. Approvato nel 1789, stabilì così il divieto per il Congresso di varare leggi per la protezione legale della religione o che potessero limitare la libertà di fede e di culto.
Rush (1746-1813), fisico, educatore e attivista dei diritti civili statunitense, considerato padre fondatore degli Stati Uniti e firmatario della Dichiarazione di indipendenza del 1776. 3. Benjamin Franklin (1706-1790), statista e scienziato statunitense, tra i redattori della Dichiarazione di indipendenza. 4. George Mason (1725-1792), redattore della costituzione dello Stato della Virginia; James Madison (1751-1836), sostenitore della libertà e della tolleranza religiosa, divenne il quarto presidente degli Stati Uniti nel 1809.
PALESTRA INVALSI
1 Il messaggio principale del testo è che... [ ] a. nel XVIII secolo, in America erano già emerse relazioni sociali più libere ed elastiche. [ ] b. nel 1789 al Congresso fu imposto il divieto di varare leggi per la protezione legale della religione o che potessero limitare la libertà di fede e di culto. [ ] c. durante il periodo rivoluzionario numerose voci si levarono contro la schiavitù. [ ] d. con la rivoluzione, le disuguaglianze non furono realmente eliminate, ma fu introdotto un lievito egualitario nelle relazioni sociali. 2 indica quali fra le seguenti condizioni sono attribuibili alle donne, quali agli schiavi, quali agli indiani nel periodo postrivoluzionario.
Condizione
Donne
Schiavi
Indiani
Punizione per la scelta filobritannica Subordinazione legale agli uomini Privazione di libertà personali Esclusione dai diritti politici
72 L. HUNT LA POLITICIZZAZIONE DELLA VITA QUOTIDIANA
L. Hunt, La rivoluzione francese. Politica, cultura, classi sociali, il Mulino, Bologna 1989, pp. 59-62; 72-73.
Secondo la storica statunitense Lynn Hunt (nata nel 1945), con la Rivoluzione nasce una nuova cultura politica che sperimenta giorno per giorno la sua forza: il linguaggio, i simboli,
l’abbigliamento, la retorica, tutto deve concorrere al cambiamento della società, al tentativo di costituire una nuova comunità nazionale «senza tracce dei costumi del passato». Nel brano seguente l’autrice spiega proprio questo “farsi” quotidiano della Rivoluzione e questo processo di politicizzazione che assorbe ogni momento della vita, basato su una concezione totalizzante della partecipazione alla politica.
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La Rivoluzione francese mise particolarmente in rilievo il problema del processo di creazione dei simboli, perché i rivoluzionari si trovarono in mezzo a una rivoluzione prima di avere modo di riflettere sulla loro situazione. I francesi non cominciarono da un partito organizzato o da un movimento compatto: non avevano bandiere, ma solo qualche semplice parola d’ordine. Inventarono simboli e rituali lungo il cammino. Dai philosophes i rivoluzionari avevano imparato che in altre società si usavano altri simboli e riti, ma nessuna società esistita sembrava del tutto degna di essere imitata. Come disse Robespierre, «La teoria del governo rivoluzionario è nuova come la rivoluzione che le ha dato luogo. Non è necessario cercarla nei libri degli autori politici, che non previdero questa rivoluzione, né nelle leggi dei tiranni, che, contenti di abusare del loro potere, non si preoccuparono molto di stabilirne la legittimità». Il passato, con le sue pratiche assurde, non aveva molti modelli da offrire. Ciò nondimeno la monarchia francese aveva dimostrato il potere dei simboli: non solo i Borbone avevano limitato in maniera drastica le responsabilità politiche dei sudditi francesi, come sostenne Tocqueville, ma erano anche riusciti ad attuare la virtuale identificazione del potere con il sistema simbolico della monarchia, specialmente con la persona del monarca. Il potere si misurava dalla prossimità al corpo del re. Per recuperare le loro responsabilità politiche di cittadini, prendendo su di sé il potere, i francesi dovevano eliminare tutte quelle associazioni simboliche intorno alla monarchia e al corpo del re. Alla fine questo fu fatto processando e giustiziando in pubblico il re. Proprio perché i Borbone avevano dato molto rilievo agli accessori simbolici del dominio i rivoluzionari erano particolarmente sensibili alla loro importanza. [...] Affermando la rottura completa con il passato, il discorso rivoluzionario discuteva tutti i costumi, tradizioni e modi di vita. La rigenerazione nazionale richiedeva niente meno che un uomo nuovo, e nuove abitudini: il popolo doveva essere riplasmato secondo il modello repubblicano. Bisognava esaminare ogni angolo della vita quotidiana, dunque, per scovarvi la corruzione dell’ancien régime e spazzarla via, per preparare il nuovo. L’impulso a investire tutto politicamente era l’altra faccia del rifiuto retorico della politica. Dato che la politica
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non aveva luogo in una sfera delimitata, allora tendeva a invadere la vita quotidiana. Questa politicizzazione del quotidiano fu tanto una conseguenza della retorica rivoluzionaria quanto un rifiuto più deliberato della politica organizzata. Politicizzando il quotidiano la Rivoluzione aumentò enormemente i luoghi di esercizio del potere, e moltiplicò le tattiche e le strategie per adoperarlo. Rifiutando il politico specifico, i rivoluzionari apersero campi prima inimmaginabili ai movimenti del potere. La politica non invase il quotidiano tutto in una volta, però fin dall’inizio sia i partecipanti sia gli osservatori capirono che in Francia succedeva qualcosa di inaudito, e vissero e spiegarono questi avvenimenti per mezzo di simboli. In una lettera del 16 luglio 1789 al governo inglese, il duca di Dorset1 parla della «più grande Rivoluzione di cui siamo a conoscenza», e commenta questa osservazione descrivendo la coccarda che stava comparendo su ogni cappello. Il 22 luglio riferisce che «la Rivoluzione della Costituzione e del Governo francese si può forse ora considerare completa», perché il re era stato appena costretto a recarsi a Parigi. In una processione simbolica di accettazione della rivoluzione di luglio, «è stato letteralmente portato in trionfo come un orso ammaestrato dai Deputati e dalla Milizia cittadina». I segnali più chiari del mutamento rivoluzionario erano atti simbolici, come la coccarda patriottica, e l’ingresso «umiliante» del re a Parigi, che erano anche i primi passi incerti della creazione della politica rivoluzionaria. La potenzialità dei simboli ai fini del conflitto politico e sociale divenne palese non appena i primi furono inventati. La coccarda fornisce un buon esempio. Secondo il duca di Dorset, le prime coccarde furono fatte con nastri verdi, ma questi vennero scartati perché il verde era il colore della livrea del conte di Artois, il malvisto fratello minore del sovrano. I nastri verdi vennero presto sostituiti da una combinazione di rosso, bianco e azzurro. Una volta accolta dalle moltitudini, la coccarda tricolore assunse un’importanza politica enorme. [...] Per la maggior parte della Rivoluzione, ma soprattutto nel 1792 e 1793, la mobilitazione politica fu in primo luogo un fatto esterno ai canali regolari ed ufficiali. I club, le società popolari e i giornali si assumevano direttamente la responsabilità di convertire le popolazioni locali, comprese le guarnigioni, alla causa repubblicana. I club
femminili e le società di artigiani e di commercianti si dedicavano dichiaratamente all’auto-perfezionamento repubblicano. Nel 1790 si formò a Bordeaux, per esempio, una società di artigiani e commercianti, perché «dato che ognuno è membro dello stato, il nuovo ordine può chiamare chiunque all’amministrazione pubblica». La società aveva lo scopo di preparare ogni uomo a quelle responsabilità potenziali, con la discussione dei decreti dell’assemblea nazionale e la lettura di giornali d’informazione e periodici. In breve, il potere dello stato rivoluzionario non si estese tanto perché i leader seppero manipolare l’ideologia della democrazia e le pratiche della burocrazia a proprio vantaggio, quanto perché a ogni livello fu attuato da persone di varia posizione, che inventarono e impararono nuove «microtecniche» politiche. Tenere un verbale, presenziare a una riunione di club, leggere una poesia rivoluzionaria, portare la coccarda, cucire una bandiera, cantare una canzone, riempire un modulo: tutte queste azioni convergevano a produrre una cittadinanza repubblicana e un governo legittimo. Nel contesto rivoluzionario queste attività ordinarie erano investite di un’importanza straordinaria. Perciò il potere non era un’entità quantitativa finita posseduta dall’una o dall’altra fazione; era invece una serie complessa di attività e rapporti che creavano risorse prima inimmaginabili. Le sorprendenti vittorie delle armate rivoluzionarie costituirono solo la conseguenza più vistosa di questa scoperta di nuova energia sociale e politica. 1. John Frederick Sackville (1745-1799), duca di Dorset, ambasciatore britannico in Francia dal 1783 al 1789.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi le informazioni che spiegano in cosa consiste la politicizzazione del quotidiano, quali furono le cause e quali le conseguenze. b Individua e numera le tappe che portarono la politica a invadere il quotidiano. c Spiega per iscritto quale rapporto avevano instaurato i Borbone col potere e con i simboli e in che modo e con quali obiettivi i rivoluzionari attaccarono questo rapporto. d Argomenta per iscritto la frase: Il potere dello stato rivoluzionario si estese soprattutto perché ad ogni livello fu attuato da persone di varia posizione, che inventarono e impararono nuove «microtecniche» politiche.
LEGGERE UNA FONTE ICONOGRAFICA 5 ANONIMO RÉUNION DES TROIS ORDRES (RIUNIONE DEI TRE ORDINI), 1789 [Incisione con colorazione a mano]
Durante la Rivoluzione francese, gli artisti cercavano di rappresentare in modo comprensibile per tutti i cambiamenti politici in atto nella Francia rivoluzionaria, utilizzando metafore legate alla vita quotidiana. Queste tre incisioni furono prodotte separatamente nel 1789 per celebrare il rovesciamento dell’ordine politico e sociale dopo la caduta della Bastiglia e furono successivamente montate ed editate in un’unica stampa, probabilmente per la convinzione da parte dello stampatore di poterle vendere in un numero maggiore di copie. Immagini di questo tipo erano estremamente diffuse e spesso destinate a una circolazione ampia e a un prezzo basso (soprattutto quando la colorazione a mano era di bassa qualità). Le immagini a destra presentano dei richiami fra di loro, a differenza di quella a sinistra, che non ha corrispondenze né visive né tematiche con le altre. Le tre scene rappresentano i rapporti fra i tre ordini: il clero – il primo stato – è riconoscibile dagli abiti sacerdotali e dal crocifisso, la nobiltà – il secondo – è identificato dalla spada, dal cappello piumato e dagli abiti eleganti, e il Terzo stato da un abbigliamento povero e dagli strumenti per coltivare la terra. L’immagine di sinistra intitolata Réunion des Trois Ordres raffigura l’uguaglianza fra i tre ordini e, infatti, i loro rappresentanti si abbracciano e calpestano i propri pregiudizi e privilegi (scritti su fogli che si trovano sotto i loro piedi). Le
altre due immagini rappresentano l’antico regime e la nuova società proposta dagli Stati generali: nell’immagine in alto a destra, un contadino, rappresentante del Terzo stato, regge gli altri due mentre sul terreno sono raffigurate delle quaglie e delle lepri, la cui caccia, nell’antico regime, era preclusa ai contadini. Nella rappresentazione della nuova società, invece, le posizioni sono invertite e il contadino è vestito con i simboli della Rivoluzione e ha catturato le lepri, mentre le quaglie sono riverse a terra, ormai preda di caccia.
GUIDA ALLA LETTURA
a Dopo aver osservato le immagini, leggi con attenzione il cappello introduttivo. Successivamente cerchia nelle stampe i rimandi ai contenuti del cappello e numerali in ordine progressivo. Quindi inserisci delle note nel testo introduttivo che rimandino agli elementi individuati. b Individua nelle stampe la rappresentazione dei tre stati e realizza una scheda descrittiva per ognuno di essi specificando gli elementi che ne permettono il riconoscimento e i particolari dei disegni che fanno riferimento agli stati d’animo attribuiti ai personaggi e agli equilibri esistenti fra di loro. c Individua e descrivi gli elementi iconografici che permettono di ipotizzare la data di produzione della stampa.
73 H. BURSTIN IL “RIVOLUZIONARIO”
H. Burstin, Rivoluzionari. Antropologia politica della Rivoluzione francese, Laterza, Bari-Roma 2016, pp. 9-10; 21-22.
Lo storico italiano Haim Burstin (nato nel 1951) ha dedicato molti studi alla Rivoluzione francese, ponendo una particolare attenzione alla Parigi rivoluzionaria e ai ceti popolari Ogni riforma che si pretende radicale – a maggior ragione quindi una rivoluzione – esige, per affrontare un progetto così
protagonisti di quegli eventi. In questo brano, tratto da un suo recente volume, viene analizzato l’emergere di una nuova figura figlia del 1789: il “rivoluzionario”, ovvero un modello ideale di uomo rinnovato dai princìpi che si affermano con la Rivoluzione francese e inserito pienamente all’interno della nuova società rivoluzionaria.
ambizioso, un’ideologia di servizio, da impugnare con la dovuta determinazione e spregiudicatezza. Ribaltare un sistema di
potere, riorganizzare complessivamente una società e modificare le mentalità collettive richiede quanto meno degli strumenti
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FARESTORIA Uomini e donne nelle rivoluzioni
adeguati; ed è proprio questo armamentario che fa di una rivolta una rivoluzione, destinata a non essere rapidamente riassorbita dal vecchio sistema. Battersi contro strutture politiche, sociali e mentali solidamente radicate nel quadro di una tradizione ancestrale è operazione per molti aspetti titanica, che obbliga a rimuovere ogni tipo di soggezione o timidezza; e a tal fine occorre appunto un’ideologia forte, che motivi, che autolegittimi. Questa stessa ideologia ha il compito non facile di riassumere e conciliare, in un modo o nell’altro, le più diverse aspirazioni e le più disparate aspettative [...] che si scatenano e si riversano di fatto nel torrente rivoluzionario: è indispensabile dar loro legittimità e inserirle all’interno di un progetto di insieme di ampio respiro. L’idea di «rigenerazione» serve ad inglobare, ma anche a disciplinare, questa congerie di aspirazioni all’interno di un progetto palingenetico1 più complessivo. [...] L’idea dell’uomo nuovo, che caratterizza per molti aspetti l’ideologia rivoluzionaria, non ha dunque solo fondamenti astratti e potenzialmente autoritari; essa ha anche una componente concreta e strumentale, utilizzata dinamicamente fin dai primi anni della rivoluzione per sostenere una retorica del cambiamento, promuovere quelle forze che erano state sacrificate dal vecchio sistema di potere o superare le difficoltà che di volta in volta le si parano davanti. Di fatto, nella realtà concreta della rivoluzione, se non l’Uomo Nuovo – chimera utopica2 –, almeno un tipo del tutto particolare di uomo nuovo nasce effettivamente: il rivoluzionario. [...] Il rivoluzionario è di fatto homo novus, inteso nel senso in cui la Roma classica definiva coloro che accedevano per la prima volta alle cariche pubbliche, non avendo tradizione o precedenti familiari alle spalle. Gli individui che si batterono nell’89, più che creare un uomo nuovo, sono essi stessi a tutti gli effetti homines novi, dato che iniziano il proprio itinerario politico in
un campo che era loro precedentemente precluso. Da questo punto di vista, dunque, l’emergere del citoyen3 corrisponde a tutti gli effetti all’apparizione di un uomo politicamente nuovo e partorito non certo da un’allucinazione rivoluzionaria. Il passaggio dalla condizione di suddito a quella di cittadino è un fenomeno reale e cospicuo. Ma non avviene istantaneamente e a livello generale, per un colpo di bacchetta magica: a diventare cittadini si impara attraverso un’educazione civica che metta gli individui in condizione di sbarazzarsi dei retaggi del passato e consenta loro di svolgere il nuovo ruolo che la libertà mette a portata di mano. A questo livello, più che un’ossessione pedagogica sembra essere una necessità pratica quella che induce a rimodellare le mentalità [...] Nuove erano le cariche cui i cittadini potevano accedere, nuova era l’esperienza politica che affrontavano, nuovo il ruolo che erano chiamati a svolgere nella vita civile, ma, soprattutto, era nuovo il sentimento di sé. Il cittadino, però, per quanto uomo nuovo, non è ancora di fatto un rivoluzionario. «Sono rivoluzionari coloro che inventano, pensano, organizzano la propria azione politica in funzione di un progetto di rivoluzione o, per dirla altrimenti, in funzione della scelta di una rivoluzione come mezzo per realizzare il proprio progetto politico». Possiamo senz’altro fare nostra questa definizione di Baczko4 [...] Sono le condizioni politiche concrete, createsi in Francia nella lotta che si scatena all’indomani degli Stati generali, a determinare i presupposti per una progressiva radicalizzazione destinata a trasformare i riformatori di ieri in rivoluzionari, impegnati in un progetto complessivo di trasformazione della società. Piaccia o meno, dunque, l’uomo rivoluzionario è un uomo nuovo per quanto riguarda almeno la sua esperienza politica, i suoi costumi, le sue abitudini, la sua mentalità, le particolari pratiche che, su questo piano, elabora e
collauda. Vivere la politica nel quotidiano significa anche partecipare alle elezioni, pagare le imposte, militare nei ranghi della Guardia nazionale [...] È noto il ritratto che ne fa Saint-Just, in pieno anno II, dove l’agiografia5 prende decisamente la mano all’autore e il tono sembra quello della vita dei santi. Il rivoluzionario è quintessenza di tutte le virtù: frugale, modesto, nemico della menzogna, inflessibile, pieno d’onore, sensibile, giusto e sincero [...] Non può sfuggire il carattere normativo di questo ritratto, utilizzato, come tante altre nozioni di largo uso nel vocabolario rivoluzionario, non tanto per descrivere una personalità o una figura come è, ma per prescrivere come dovrebbe essere: una specie di decalogo del buon rivoluzionario. In questa formulazione, però, si annida un rischio implicito: chi non si adegua a questo modello ideale – ben difficilmente raggiungibile – è di per sé, se non un controrivoluzionario, certo un non rivoluzionario. 1. Di rinnovamento radicale e rivoluzionario. 2. Illusione, obiettivo impossibile da realizzare. 3. Cittadino. 4. Bronislaw Baczko (1924-2016), storico della filosofia polacco, specialista della Rivoluzione francese. 5. Letteralmente indica il genere letterario che si occupa della narrazione della vita dei santi; in senso più ampio, indica una biografia dai caratteri esclusivamente ed esageratamente positivi.
METODO DI STUDIO
a Spiega per iscritto perché, secondo Haim Burstin, in contesti rivoluzionari è necessaria l’affermazione di un’ideologia forte e dell’idea dell’uomo nuovo. b Cerchia le parole chiave che sintetizzano le caratteristiche del rivoluzionario e motiva le tue scelte. c Sottolinea le informazioni che permettono di comprendere la radicalizzazione dei riformatori in rivoluzionari.
74d FRANÇOIS-AUGUSTE-RENÉ DE CHATEAUBRIAND UNA SEDUTA sto del re Luigi XVI e si arruolò per combattere contro le armate repubblicane rivoluzionarie: ferito in battaglia, si trasferì in esilio DELL’ASSEMBLEA NAZIONALE
Chateaubriand, Memorie d’oltretomba, vol. I, Einaudi, Torino 2015, pp. 161-62.
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Il nobile bretone François-Auguste-René de Chateaubriand (1768-1848), scrittore, uomo politico e padre del Romanticismo francese, fu testimone delle giornate rivoluzionarie del 1789. Partito per gli Stati Uniti nel 1791, tornò in Francia dopo l’arre-
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in Gran Bretagna dove rimase dieci anni prima di poter rientrare in Francia. In questo brano, tratto dalle memorie che iniziò a scrivere nel 1803 e pubblicate subito dopo la sua morte, Chateaubriand descrive una giornata tipo all’Assemblea nazionale, dipingendo in maniera quasi grottesca l’atmosfera e i personaggi che la animavano: tra questi, anche il deputato Robespierre.
Le sedute dell’Assemblea nazionale presentavano un interesse da cui le sedute delle nostre camere sono ben lontane. Ci si alzava di buon’ora per trovare posto nelle tribune gremite. I deputati arrivavano mangiando, chiacchierando, gesticolando; si raggruppavano nelle diverse parti della sala secondo le loro opinioni. Lettura del verbale; dopo, discussione dell’argomento convenuto o mozione straordinaria. Non si trattava di qualche insipido articolo di legge; raramente, nell’ordine del giorno mancava una distruzione. Si parlava pro e contro; tutti improvvisavano bene o male. Il dibattito si faceva tempestoso; le tribune prendevano parte alla discussione, applaudivano e osannavano gli oratori, oppure li coprivano di fischi e di grida. Il presidente agitava il campanello; i deputati si apostrofavano da un banco all’altro. Il minore dei Mirabeau1 prendeva per il colletto il suo avversario; il maggiore gridava [...]. Un giorno, mi trovavo dietro all’opposizione realista; avevo davanti a me un gentiluomo del Delfinato2, di carnagione scura, basso di statura, che saltava di furore sul seggio e diceva agli amici: «Buttiamoci con la spada in pugno su quegli straccioni!». Indicava il lato della maggioranza. Le signore delle Halles3, che sferruzzavano nelle tribune, lo udirono, si levarono in piedi e gridarono tute insieme, col lavoro a maglia in mano e la schiuma alla bocca:
«Impicchiamolo al lampione!». Il visconte di Mirabeau, Lautrec4 e alcuni giovani nobili volevano dare l’assalto alle tribune. Di lì a poco questo pandemonio veniva coperto da un altro; un gruppo di latori di petizioni, armati di picche, comparivano davanti alla sbarra: «Il popolo muore di fame, – dicevano, – è tempo di prendere misure contro gli aristocratici e portarsi all’altezza delle circostanze». Il presidente assicurava a questi cittadini il suo rispetto: «Stiamo tenendo d’occhio i traditori, – rispondeva, – e l’assemblea farà giustizia». Al che il frastuono si rinnovava: i deputati di destra gridavano che si andava verso l’anarchia; i deputati di sinistra replicavano che il popolo era libero di esprimere la sua volontà [...] e indicavano i loro colleghi a quel popolo sovrano, che li aspettava accanto al lampione. Le sedute della sera superavano quelle del mattino in baccano; si parla meglio e più arditamente alla luce di lampadari. La sala del Maneggio5 diventava allora una vera e propria sala da spettacolo, dove si recitava uno dei più grandi drammi del mondo. I personaggi principali appartenevano ancora al vecchio ordine di cose; i loro terribili sostituti, nascosti dietro di essi, parlavano poco o nulla. Alla fine di una violenta discussione vidi salire in tribuna un deputato dall’aspetto ordinario, dal volto grigio e inespressivo, con un’acconciatura normale, vestito decoro-
75 E.J. MANNUCCI LE DONNE SOLDATO
E.J. Mannucci, Baionette nel focolare. La Rivoluzione francese e la ragione delle donne, Franco Angeli, Milano 2016, pp. 121-24.
In questo brano, tratto da un suo recente libro, Erica Joy Mannucci (nata nel 1957) presenta il caso delle “donne soldato”, ovvero quelle donne che decisero di partecipare alle battaDonne soldato, di solito travestite da uomo, a quell’epoca ce ne furono davvero, sia nell’esercito repubblicano che nelle armate contro-rivoluzionarie. La storiografia ha mostrato che non si tratta di semplici casi curiosi e ha rilevato che le soldatesse repubblicane colpivano anche l’immaginazione del nemico, come dimostrano le caricature tedesche delle «granatiere» francesi. Quelle combattenti – da non confondere con le donne presenti legalmente, vivandiere e lavandaie, e da queste distinte nell’immaginario dominante per la condotta casta – non furono, ovviamente, molto numerose. Furono forse un centinaio in
samente come l’intendente di una buona casa, o come un notaio di paese che ha cura di sé. Lesse un rapporto lungo e noioso; nessuno l’ascoltò; chiesi il suo nome: era Robespierre. La gente con le scarpe era pronta a uscire dai salotti, e già gli zoccoli battevano contro la porta6. 1. André Boniface Louis Riqueti, visconte di Mirabeau (1754-1792), fratello del più celebre Gabriel-Honoré conte di Mirabeau (17491791), scrittore e politico francese, protagonista dei primi anni della Rivoluzione, straordinario oratore e presidente dell’Assemblea nazionale. 2. Regione della Francia. 3. Le venditrici del mercato. 4. Lautrec de Saint-Simon, amico di Mirabeau. 5. Era la grande sala dove si riuniva l’assemblea, prima adibita ad esercizi di equitazione. 6. L’autore allude in questo caso all’emergere della fase democratico-popolare della Rivoluzione. Gli zoccoli, a differenza delle scarpe, erano le calzature dei popolani. METODO DI STUDIO
a Individua e descrivi i partecipanti alle sedute dell’Assemblea nazionale. b Descrivi per iscritto gli aspetti di queste sedute che colpiscono René de Chateaubriand. Rispondi alla seguente domanda e argomenta la tua posizione facendo riferimento al testo: Cosa pensa l’autore dei partecipanti e dell’andamento delle sedute?
glie e alle guerre rivoluzionarie. Quasi sempre furono costrette a travestirsi da uomini per essere accettate nelle formazioni armate: a testimonianza di quanto i pregiudizi di genere fossero profondamente radicati anche tra coloro che stavano affermando e difendendo i princìpi rivoluzionari di libertà e uguaglianza del 1789.
tutto nelle file repubblicane: donne per lo più giovani e di estrazione popolare, spesso partite per il fronte spinte da motivazioni private – cioè con o per raggiungere il marito, il compagno, il padre o il fratello, in molti casi dei volontari – erano sostenute dall’ardore patriottico: «Molte di queste donne collegavano l’amore per il marito all’amore per della Patria: non volevano soltanto accompagnare uno sposo soldato, volevano stare con chi si batteva per la Rivoluzione, partecipare con lui e con loro alle vittorie e alle crisi»1 [...]. Furono in compenso integrate di fatto nell’esercito, nonostante i decreti specifici
per contrastare il fenomeno [...] Nei casi documentati, dove ci fu richiesta di pensione o di medaglia, si registra un servizio nell’esercito durato parecchi mesi o addirittura anni e con ruoli precisi: cannoniere piuttosto che granatiere, conduttore di cavalli e via dicendo. Vi furono alcune donne soldato che divennero caporale, sergente, sottotenente (quindi elette dai compa-
1. Citazione da un lavoro di Dominique Godineau (nata nel 1958), storica francese specialista in storia delle donne sotto l’antico regime e la Rivoluzione francese.
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FARESTORIA Uomini e donne nelle rivoluzioni
gni, almeno nei primi anni della Repubblica), tenente e, in quattro casi, aiutante di campo (di generali informati del loro sesso). La durata del servizio fa pensare che i compagni le avessero scoperte, ma le mantenessero all’interno delle proprie unità a dispetto degli ordini del governo rivoluzionario. Quest’ultimo, peraltro, fu all’atto pratico meno misogino di quanto si pensi, nella misura in cui riconobbe il coraggioso servizio alla patria e concesse assistenza alle reduci in difficoltà, spesso ferite in guerra. C’è da considerare d’altra parte l’influenza di una tradizione culturale che nel condannare la confusione dei sessi considerava la trasgressione compiuta dalla donna che si traveste meno grave di quella inversa: si riteneva che l’uomo che si traveste si degradi, mentre la donna camuffandosi da uomo cerca di elevarsi [...] e appare confermare quindi la gerarchia dei generi. Le donne stesse, nel fare domande di pensione, utilizzavano argomenti come «Ce n’est point en femme que j’ai fait la guerre, je l’ai faite en brave» [Non ho fatto la guerra come donna, ma come persona coraggiosa], vantandosi in altri termini di avere vinto i limiti del proprio sesso. I dirigenti rivoluzionari a loro
volta, pur adoperandosi per fermare il fenomeno, esprimevano ammirazione per il coraggio dimostrato dalle donne soldato, proprio perché si erano ai loro occhi elevate per patriottismo al di sopra della propria fragilità femminile. Collot d’Herbois2, quando la Convenzione votò nell’aprile 1794 una pensione per l’eroica Anne Quatre-Sous, la elevò a rango di maschio: «je ne la range même pas parmi les femmes; mais je déclare que cette fille est un mâle, puisque elle a, comme les plus intrépides guerriers, affronté la mort...» [“io non la considero una donna, ma dichiaro che questa ragazza è un maschio, perché ha affrontato la morte come i guerrieri più intrepidi”]. [...] L’uomo travestito da donna poteva invece, dal 7 agosto 1793, essere condannato a morte: non va dimenticato peraltro che questo tipo di provvedimento aveva di mira in quel momento non tanto comportamenti percepiti come libertini, ma soprattutto i casi di aristocratici e altri sospetti in fuga [...] Della scelta delle donne soldato la storiografia tende a sottolineare il carattere personale e privato, anche se vi furono casi di petizioni per richiedere l’autorizzazione a combattere, presentate da singole donne e, in un epi-
sodio famoso, da un gruppo di più di trecento parigine aspiranti «amazzoni della libertà»3. Guidate da Pauline Léon4, nel marzo 1792 furono ascoltate dall’Assemblea nazionale e applaudite, senza ottenere però che si passasse al voto. Nemmeno loro comunque chiedevano la leva delle donne: volevano formare una singola unità di volontarie. 2. Jean-Marie Collot d’Herbois (1749-1796) attore e commediografo, segretario del club dei giacobini nel 1791 e deputato alla Convenzione. 3. Le Amazzoni sono una popolazione di donne guerriere presenti nella mitologia greca. 4. Pauline Léon (1768-1838) si impegnò affinché la Rivoluzione riconoscesse un più importante ruolo della donna nella società e fondò nel 1793 la Società delle rivoluzionarie repubblicane. METODO DI STUDIO
a Sottolinea i ruoli delle donne che parteciparono ai combattimenti. b Rispondi per iscritto alle seguenti domande: a. La partecipazione delle donne alla Rivoluzione permette di affermare che i rivoluzionari erano per la parità dei sessi? b. Quali motivazioni spingevano le donne a combattere?
LEGGERE UNA FONTE ICONOGRAFICA 6 ANONIMO “A VERSAILLES!”, 5 OCTOBRE 1789 [Musée Carnavalet, Paris]
Nell’Europa moderna le donne avevano spesso il ruolo di eccitatrici alla sommossa. Così è stato, per esempio, il 5 ottobre 1789, quando molte donne dei mercati centrali si recarono prima al Municipio per chiedere pane e per cercare armi e poi decisero di marciare su Versailles per esporre le proprie richieste direttamente al re e all’Assemblea nazionale. Alle donne si unirono 20 mila guardie nazionali
GUIDA ALLA LETTURA
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a Osserva con attenzione l’illustrazione e rispondi alle seguenti domande: a. Chi sono i soggetti rappresentati? b. A quale stato appartengono? c. Cosa fanno? d. Da cosa lo capisci? b Rispondi alla seguente domanda: Perché, secondo te, questo momento della Rivoluzione viene ritenuto così importante da essere rappresentato in una stampa (e quindi destinato ad essere venduto e diffuso)?
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
parigine. L’arrivo di questa folla convinse il re ad approvare i decreti del 4 agosto e la Dichiarazione dei diritti.
76d OLYMPE DE GOUGES LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELLE DONNE
Olympe de Gouges, Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, il melangolo, Genova 2007, pp. 17-23.
Di origini borghesi, scrittrice francese di teatro e intellettuale formatasi nei salotti dell’alta società parigina prerivoluzionaria, Olympe de Gouges (1748-1793) aderì con entusiasmo agli eventi rivoluzionari, pubblicando numerosi opuscoli su temi sociali e diventando l’emblema della battaglia per i diPreambolo Le madri, le figlie, le sorelle, rappresentanti della Nazione, chiedono di costituirsi in Assemblea nazionale. Considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti della donna sono le sole cause del pubblico malessere e della corruzione dei governi, esse hanno preso la decisione di enunciare, in una dichiarazione solenne, i diritti naturali, inalienabili e sacri della donna, affinché tale dichiarazione, esposta in modo permanente all’attenzione di tutti i membri del corpo sociale, ricordi loro in ogni momento i loro diritti e i loro doveri; affinché gli atti che pertengono al potere delle donne e a quello degli uomini, potendo essere costantemente confrontati con lo scopo di ogni istituzione politica, vengano considerati con maggior rispetto; e affinché le rivendicazioni delle cittadine, incardinate su principi semplici e incontestabili, si volgano sempre al consolidamento della Costituzione, dei buoni costumi e della felicità di tutti. In conseguenza di ciò, il sesso superiore in bellezza, e in coraggio nelle sofferenze della maternità, riconosce e dichiara, al cospetto e sotto gli auspici dell’Essere supremo, i seguenti Diritti delle donne e della cittadina. Art. 1. La donna nasce libera e mantiene parità di diritti con l’uomo. Le distinzioni sociali possono essere fondate unicamente sull’utilità comune. Art. 2. Lo scopo di ogni associazione politica è quello di preservare i diritti naturali e imprescrittibili della donna e dell’uomo: tali diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza, e innanzitutto la resistenza all’oppressione. Art. 3. Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione, la quale non è altro che la riunione della donna e dell’uomo: nessun cor-
ritti femminili e per l’uguaglianza tra i sessi: fu l’autrice della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, letta davanti all’Assemblea costituente nel 1791 e di cui riportiamo alcuni passaggi; si noti come i singoli articoli riformulino il testo della Dichiarazione dei diritti del 1789 [►FS, 65d] in funzione del ruolo delle donne. Allontanatasi dal movimento rivoluzionario perché contraria alla deriva violenta e radicale impersonata da Robespierre, Olympe de Gouges fu messa sotto accusa e ghigliottinata a Parigi nel 1793.
po e nessun individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa. Art. 4. La libertà e la giustizia consistono nel restituire all’altro tutto ciò che gli appartiene; e poiché l’esercizio dei diritti naturali della donna ha come solo limite la perpetua tirannia che l’uomo le oppone, questo limite dev’essere riformato in base alle leggi della natura e della ragione. [...] Art. 6. La legge dev’essere l’espressione della volontà generale; tutte le cittadine e tutti i cittadini devono concorrere, personalmente o attraverso i loro rappresentanti, alla sua formazione; essa dev’essere uguale per tutti; tutte le cittadine e tutti i cittadini, essendo uguali di fronte ad essa, devono poter accedere con pari diritto ad ogni carica, posto e impiego pubblico, senza altre distinzioni che quelle derivanti dalle loro virtù e dalle loro capacità. Art. 7. Nessuna donna costituisce eccezione; ognuna è accusata, arrestata e detenuta nei casi determinati dalla legge. Le donne obbediscono come gli uomini a questa norma rigorosa. [...] Art. 10. Nessuno dev’essere perseguito per le sue opinioni, per quanto radicali; come la donna ha il diritto di salire al patibolo, così deve avere anche quello di salire alla tribuna, purché le sue esternazioni non turbino l’ordine pubblico stabilito dalla legge. Art. 11. La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei più preziosi diritti della donna, poiché tale libertà assicura la legittimità dei padri nei confronti dei figli. Ogni cittadina può quindi affermare liberamente: sono madre di un figlio che vi appartiene, senza che un barbaro pregiudizio la costringa a dissimulare la verità; salvo rispondere all’abuso di tale libertà nei casi determinati dalla legge.
[...] Art. 13. Per il mantenimento della forza pubblica e per le spese dell’amministrazione, il contributo della donna e quello dell’uomo sono uguali; la donna partecipa a tutte le mansioni e a tutti i compiti, anche i più ingrati; deve quindi partecipare ugualmente all’assegnazione dei posti, degli impieghi, delle cariche, delle dignità e delle responsabilità produttive. [...] Art. 17. La proprietà appartiene a entrambi i sessi, riuniti o separati. Essa è diritto sacro e inviolabile di ciascuno; trattandosi di autentico patrimonio naturale, nessuno può esserne privato se non quando lo esiga con evidenza una necessità pubblica legalmente constatata, e a condizione di un equo risarcimento preventivo.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le caratteristiche che l’autrice attribuisce alle donne. b Sottolinea i limiti che l’autrice attribuisce alle donne e i diritti che essa rivendica per queste rispetto agli uomini. Numera questi aspetti in ordine progressivo. Quindi descrivi per iscritto lo stesso argomento inserendo fra parentesi le note di riferimento al documento.
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FARESTORIA Uomini e donne nelle rivoluzioni
77 M. OZOUF LA RELIGIONE RIVOLUZIONARIA
M. Ozouf, Religione rivoluzionaria, in Dizionario critico della Rivoluzione francese, a c. di F. Furet e M. Ozouf, vol. 2, Bompiani, Milano 1994, pp. 681-85.
A trasformare la vita quotidiana di uomini e donne negli anni della Rivoluzione fu anche il progressivo abbattimento delle tra-
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La prima religione rivoluzionaria era stata, assai semplicemente, la religione cristiana e, curiosamente, la religione cattolica. Le feste federative avevano incarnato l’alleanza del fervore religioso e del fervore rivoluzionario; avevano mescolato il Te Deum1 e il giuramento civico; avevano portato i neonati sull’altare della patria, sotto la volta delle spade brandite dalla guardia nazionale, avevano appuntato la coccarda tricolore alle fasce e celebrato un duplice battesimo, cattolico e rivoluzionario. Durante quelle feste, alcuni curati avevano pronunciato sermoni che erano anche ordini del giorno. [...] In quei primi anni rivoluzionari, mille discorsi, sermoni, opuscoli, preghiere patriottiche testimoniarono lo sforzo compiuto dalla chiesa gallicana2 per diffondere l’idea di una consonanza tra il messaggio del cristianesimo e lo spirito rivoluzionario: sia accostando esplicitamente i comandamenti della costituzione e quelli del Vangelo [...], sia esaltando l’immagine di un Gesù rivoluzionario o, addirittura, nei testi più audaci, ridefinendo il regno di Dio. [...] Il trauma della Costituzione civile del clero mandò in pezzi questo idillio: la prima rottura risale all’autunno del 1790 e al giuramento imposto ai sacerdoti. Cerimonie rivoluzionarie e cerimonie religiose continuarono tuttavia a procedere di pari passo sino all’estate del 1791, che segnò una seconda frattura. Fu l’estate della fuga del re a Varennes e fu allora che venne reso pubblico il discorso postumo di Mirabeau in cui si consigliava di escludere dalle cerimonie patriottiche una religione cristiana la cui austerità non avrebbe potuto conciliarsi con danze, canti e spettacoli profani; Voltaire venne accolto nel Panthéon e fu non soltanto la prima festa rivoluzionaria senza partecipazione religiosa, ma anche una manifestazione dai toni anticlericali, contro la quale levarono proteste i preti costituzionali. Nell’atmosfera sempre più cupa che andò creandosi sotto la Legislativa, il divorzio fra la religione e il civismo si consumò. [...] Ormai la «chiesa universale» era quel-
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
dizionali pratiche religiose, sostituite da culti laici indirizzati a celebrare le conquiste sociali e politiche ottenute dal 1789 in poi. In questo brano, la storica francese Mona Ozouf (nata nel 1931), una delle più importanti studiose del decennio rivoluzionario, mostra in che modo e in che tempi si consumò la frattura tra tradizione cattolica e Rivoluzione e analizza le principali forme di religiosità laica che si diffusero in quegli anni in Francia.
la delle società politiche [...] e fu da questa chiesa nuova che partirono i «missionari patriottici» votati a predicare il culto della Ragione e della Legge. Il passo decisivo venne compiuto dopo il 10 agosto3: il 20 settembre 1792, approfittando del disordine introdotto nella registrazione degli atti di nascita, di battesimo e di morte dal rifiuto dei fedeli di ricevere i sacramenti dai sacerdoti che avevano prestato giuramento alla costituzione, i deputati della Legislativa laicizzarono lo stato civile e, per colmare la misura, legalizzarono il divorzio. Per i sacerdoti fu la fine di una funzione tradizionale, e per tutti la rottura con il passato: e fu in pari tempo l’inizio della diserzione del clero costituzionale dal campo rivoluzionario. Il passo ulteriore verso un culto sostitutivo venne dai dipartimenti e dall’attività inventiva di alcuni rappresentanti in missione, spesso ex religiosi. Malgrado la libertà dei culti proclamata dalla Costituzione dell’anno I, e grazie al margine di iniziativa concesso loro dall’aggiornamento della costituzione fino alla pace, costoro a volte proibiranno le cerimonie della domenica [...], altre volte esorteranno i preti a sposarsi [...], quasi ovunque scateneranno una vandalica offensiva contro quelli che venivano allora chiamati i «segni esteriori», croci, calvari, statue di santi sotto i porticati [...]. Tra episodi di saccheggio [...] accompagnati da cortei burleschi finì per emergere un culto sostitutivo, il primo a rifar proprio il ruolo che il cattolicesimo aveva avuto nella vita pubblica, il primo a pretendere al titolo di culto rivoluzionario [...]. Il culto della Ragione è stato, fra tutti, il più denigrato dalla storiografia che ha voluto vedervi, nel peggiore dei casi, un’orgia permanente e, nel migliore, «una grossolana caricatura delle cerimonie cattoliche». Vero è che sotto il nome di «culto della Ragione» vengono radunati elementi quanto mai eterogenei, come la consacrazione delle chiese alla Ragione, le offerte di argenteria, le abiure di sacerdoti, il culto dei martiri della Libertà, le pro-
cessioni grottesche degli scristianizzatori. [...] Quasi dappertutto il motivo centrale era costituito dalla presenza di una donna vittoriosa sul fanatismo la quale, gettando i veli, con la propria luce metteva in fuga le ombre e i mostri, all’interno di una semplice scenografia della apparizione e sparizione. Questo spettacolo costituiva il cuore di ciò che si sarebbe chiamato «culto della Ragione». Denominazione assai poco esatta, dal momento che non si trattava né di un culto, né tantomeno di un culto della Ragione. [...] Non bisogna cercare di sistematizzare la festa della Ragione. La sua originalità scandalosa [...] non ha attinenza né con il messaggio né con le immagini da essa proposte, bensì con la circostanza di attivismo scristianizzatore, che a volte la animava con scene di saccheggio, altre volte la arricchiva di cortei derisori [...] con un’elasticità che del pari rivela l’assenza di un programma nazionale. Del tutto diverso è invece il caso del culto che a essa fece seguito, quello dell’Essere supremo [...] Basti notare che il rogo sul quale durante le cerimonie della Ragione venivano gettate le tonache e le berrette da prete bruciava adesso un’allegoria dell’Ateismo (alla quale a Parigi Robespierre in persona appiccò il fuoco). [...] Consisteva in una processione di anziani, madri di famiglia, fanciulle e bambini, articolata in stazioni, con inni e mazzolini di fiori lanciati verso il cielo in onore del «Grande ordinatore» e con preghiere di gratitudine all’Essere supremo. Era in-
1. Te Deum laudamus (Dio ti lodiamo): inno cristiano di ringraziamento. 2. Il “gallicanesimo” è l’insieme dei princìpi dottrinali e degli orientamenti politici e giuridici che si diffondono in Francia a partire dal XIV secolo per stabilire una piena libertà e autonomia della Chiesa francese rispetto all’autorità del papa di Roma. 3. 10 agosto 1792: il giorno dell’insurrezione popolare a Parigi e della presa del palazzo delle Tuileries, con il conseguente arresto di Luigi XVI e della famiglia reale.
somma qualcosa che, questa volta, aveva tutte le apparenze di un culto; non c’erano spettatori, bensì celebranti, non c’era pubblico, bensì un popolo. La storiografia non ha mai separato questo cerimoniale da un’interpretazione politica personale di Robespierre. [...] Il 18 floreale4 fu Robespierre a pronunciare il grande discorso sui principi repubblicani, stabilendo la distribuzione lungo il corso dell’anno
delle cerimonie rigenerate, di cui la festa dell’Essere supremo doveva essere il primo esempio. [...] Infine, fu in seguito alla caduta di Robespierre che venne abolito l’Essere supremo. Insomma, vi sono sufficienti motivi per collegare il nuovo culto a una personalità e a un destino.
4. 17 maggio 1794.
METODO DI STUDIO
a Individua le tappe che hanno segnato il rapporto fra la Rivoluzione e la religione cristiana e sintetizzale in titoletti che scriverai al lato del testo. b Descrivi per iscritto le caratteristiche attribuite al culto della Ragione e all’Essere supremo e i relativi giudizi degli Ragione. Quindi spiega il rapporto che la storiografia ha individuato tra Robespierre e il cerimoniale del culto dell’Essere supremo.
PISTE DI LAVORO
DAI DOCUMENTI ALLA STORIA 1 Scrivi un testo di massimo 10 righe dal titolo La Rivoluzione, dall’azione politica agli effetti sociali facendo riferimento ai brani di Testi [►70], Hunt [►72], Burstin [►73], al documento di de Gouges [►76d] e alla FONTE ICONOGRAFICA 5. Evidenzia nei documenti presi in considerazione i concetti che intendi utilizzare nelle tue argomentazioni e le parti delle fonti storiche che intendi citare e numerale in ordine crescente. Quindi, indica fra parentesi, all’interno del tuo elaborato, i concetti o le citazioni a cui fai riferimento. LO STORICO RACCONTA 2 Scrivi un testo sulla partecipazione delle donne alla Rivoluzione
francese mettendo in rilievo la provenienza sociale delle rivoluzionarie e il ruolo loro destinato facendo riferimento al brano di Mannucci [►75], al documento di de Geouges [►76d] e alla FONTE ICONOGRAFICA 6. Prima di procedere con la scrittura, scegli un titolo e realizza una scaletta per il tuo elaborato.
3 Scrivi un testo breve di massimo 20 righe sui valori affermati nella
Dichiarazione di indipendenza americana del 1776 e sulle contraddizioni che si verificarono nella pratica, con particolare riferimento a coloro che furono esclusi dai princìpi di libertà e uguaglianza affermati nei testi costituzionali facendo riferimento ai brani di Testi [►70] e di Abbattista [►71].
IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 4 Se come afferma Burstin [►73], la Rivoluzione porta con sé la sfida della costruzione di un “uomo nuovo”, è possibile affermare che lo stesso è valso per le donne di questo periodo? Rispondi alla domanda attraverso un testo argomentativo. Puoi fare riferimento ai seguenti temi presenti nei brani storiografici affrontati: • Le pratiche sociali e le norme giuridiche volte alla costruzione del concetto di uomo nuovo. • Il ruolo delle donne nella Rivoluzione. • Il legame esistente tra il processo rivoluzionario francese e l’ideale di una rigenerazione dell’uomo e della società.
LA RIVOLUZIONE OLTRE I CONFINI NAZIONALI Le rivoluzioni scoppiate a fine ’700 in Nord America e in Francia ebbero un effetto dirompente: le nuove idee e i nuovi princìpi si diffusero ben presto nel resto d’Europa e del mondo, influenzando gli eventi politici dei decenni successivi. A “esportare la Rivoluzione” furono senza dubbio le guerre rivoluzionarie combattute dalla Francia repubblicana contro le potenze europee; successivamente, il dominio napoleonico introdusse nei territori conquistati alcune riforme amministrative, politiche e sociali, destinate a non scomparire dopo la sconfitta dell’imperatore francese. Ad aprire questa sezione è un brano di Christopher A. Bayly [►78], il quale analizza gli eventi francesi e nordamericani di fine ’700 inserendoli nel contesto di un’epoca, quella tra il 1780 e il 1820, caratterizzata da rivoluzioni “globali” scoppiate in tutto il mondo: in America, in Europa, in Africa e in Asia. Guido Abbattista [►79] si sofferma sull’importanza simbolica dell’indipendenza degli Stati Uniti e sulla sua fortuna in Europa e in alcune colonie britanniche e spagnole, desiderose di sganciarsi dal controllo imperiale. Come detto, Napoleone fu uno dei grandi artefici della diffusione dei princìpi rivoluzionari francesi nel continente europeo e nel Mediterraneo, sia come generale delle armate rivoluzionarie che da imperatore di Francia. La campagna in Egitto del 1798, ad esempio, come spiega Luigi Mascilli Migliorini [►80],
373
FARESTORIA La rivoluzione oltre i confini nazionali
fu una conquista militare condotta con la forza dalle truppe francesi, ma fu accompagnata anche dalla creazione, in quel paese, di alcune importanti istituzioni culturali. Fu anche un momento di incontro tra due popoli e culture molto diversi, come dimostrano le testimonianze dell’epoca del francese Vivant-Denon e dell’egiziano Rahman El-Gabarti [►81d]. Il brano di Vittorio Criscuolo [►82] ci conduce invece negli anni dell’Impero napoleonico, soffermandosi in particolare sul progetto che Napoleone nutriva per l’Europa. Di certo si proponeva di assicurare alla Francia l’egemonia sul continente, come viene anche affermato nel proclama di Austerlitz [►83d], scritto e diffuso in occasione della celebre battaglia del 1805. Ma il periodo di occupazione napoleonica introdusse nei territori conquistati riforme amministrative e norme, come quelle presenti nel Codice civile napoleonico del 1804 [►84d], che rimasero poi negli ordinamenti giuridici anche dopo l’uscita di scena di Napoleone. Infine, gli ultimi due brani sono dedicati al caso italiano: sia le Repubbliche giacobine nate con le armate francesi tra il 1796 e il 1799, che si ispiravano ai modelli politici della Francia rivoluzionaria, sia la successiva dominazione napoleonica, ebbero importanti riflessi sulla politica e sulla società italiana. Se, come spiega Antonino De Francesco [►85], i patrioti italiani si illusero all’epoca che potesse essere maturo il progetto di unificazione politica, d’altra parte, come mostra Alain Pillepich [►86], gli Stati italiani conobbero proprio in quegli anni un processo di modernizzazione amministrativa e infrastrutturale molto importante per la storia futura della penisola.
78 C.A. BAYLY LE RIVOLUZIONI E IL MONDO
C.A. Bayly, La nascita del mondo moderno. 1780-1914, Einaudi, Torino 2009, pp. 82-85.
Lo storico britannico Christopher A. Bayly (1945-2015) è stato uno dei più importanti studiosi di global history (“storia globale”), un approccio storiografico che analizza gli eventi storici in una prospettiva globale. In questo brano, tratto dal volume
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Fu nel regno delle idee che l’impatto delle rivoluzioni si manifestò con più evidenza per i contemporanei. Essi capirono molto in fretta che le conseguenze ideologiche dei drammi del 1776 e del 1789 erano di rilievo eccezionale e non si trattava solo di rivolte locali. Pensatori visionari dichiararono che la rivoluzione americana annunciava «un nuovo ordine degli Evi»1 per l’intera umanità. I giacobini francesi più tardi proclamarono l’importanza epocale della Rivoluzione francese e cercarono di estenderla a tutta l’Europa e oltre. Gli schiavi neri dei Caraibi si appigliarono all’idea di rivoluzione per il loro affrancamento. La nitida enunciazione del principio «nessuna tassa senza rappresentanza» e dei «diritti dell’uomo» ebbe un impatto straordinario. [...] La cosa notevole è che questi diritti furono ritenuti «evidenti di per sé» e fondati in se stessi: nessun re, nessuna autorità divina, nessun interesse imperiale, nessuna superiorità di razza, nessun credo poteva annullarli. [...] Gli asiatici e gli africani ben presto presero a sostenere che i diritti umani erano precedenti a qualsiasi missione civilizzatrice
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
La nascita del mondo moderno, Bayly mostra che le rivoluzioni scoppiate tra la fine del ’700 e i primi anni dell’800 in Europa e in Nord America fanno parte di un fenomeno di portata ben più ampia e che coinvolse moltissime regioni del mondo: l’America Latina, l’Asia e l’Africa, in particolare le aree degli imperi coloniali europei. Le idee che animarono queste rivoluzioni si diffusero così in regioni anche molto distanti tra loro.
che i governanti bianchi potessero proclamare. Molti asiatici, africani e sudamericani, comunque, ricevettero e trasformarono queste nuove e pericolose dottrine in situazioni già lacerate da conflitti tra ideologie di portata globale. Ben prima della rivoluzione americana e di quelle europee, i grandi imperi mondiali agrari e i piccoli Stati ai loro bordi [...] soffrivano di gravi tensioni sociali. In parte esse scaturivano da problemi di tassazione, finanziamento della guerra e legittimità analoghi a quelli che costituirono il contesto delle convulsioni epocali dell’Europa. In parte, da problemi più specifici di coesione ideologica e di incorporazione che vennero a galla quando i grandi Stati si intromisero nella diversità culturale delle regioni loro sottoposte. Movimenti di resistenza locali potevano adesso accedere a idee universalistiche di religiosità, avvalersene e metterle in campo contro gli imperi mondiali. [...] In Arabia centrale, i puristi musulmani wahhabiti2 proclamarono una nuova età di lotta spirituale a favore dell’antico e autentico islam, minacciando l’establishment politico e religioso degli Ottomani, del Cairo e degli emirati
africani. Nel decennio precedente il 1770, già alcuni settari cinesi avevano preso ad accusare l’imperatore Qing di non essere più depositario del «Mandato celeste», visto che la magistratura era corrotta e il popolo oppresso3. [...] Come in Europa e nelle sue colonie fu la gente di provincia, affezionata alle vecchie credenze religiose e ostile agli imperi intrusivi, a cominciare a infrangere i grandi organismi politici e a comporre in modo diverso i legami globali che si erano sviluppati sotto la loro egida. L’Europa e il Nordamerica non furono dunque sole nell’inaugurare le nuove e pericolose dottrine di questa età rivoluzionaria. Nondimeno, l’onda ideologica delle rivoluzioni europee e la nuova aggressività degli Stati europei generati da esse si propagarono nel mondo appro-
1. Qui nel senso di una nuova epoca. 2. Gli aderenti a un movimento musulmano molto rigoroso sotto il profilo religioso, fondato in Arabia centrale nel ’700 da Muhammad ibn ‘Abd al-Wahhab (1703-1792). 3. ►5_4.
fondendo i conflitti. La rivoluzione americana, ad esempio, diede l’abbrivio all’irrefrenabile avanzata dei coloni bianchi in Nordamerica e, indirettamente, nel Pacifico centrale. L’invasione europea dell’Egitto e l’accelerata espansione del potere europeo in India, nel Sudest asiatico e in Africa meridionale furono tutte indiscutibili conseguenze della Rivoluzione francese. Molti musulmani, dopo la comparsa di Napoleone di fronte alle moschee del Cairo nel 1798 temettero un nuovo periodo di crociate cristiane. Nel frattempo a est le guerre napoleoniche spinsero britannici e olandesi nel centro di Giava4. Il crollo delle vecchie supremazie e l’improvvisa comparsa di stranieri aggressivi spezzò le storie indigene nel mondo. In molti luoghi, la rivoluzione rappresentò un’invasione cristiana. Creò un vuoto spirituale, compromettendo il potere degli
alti sovrani e distruggendo le case degli spiriti ancestrali. Peggio ancora, in parti dell’Oceania l’importazione di malattie eurasiatiche da parte di soldati, marinai e imprenditori si diffuse per ogni dove con la guerra mondiale e portò a un impressionante tasso di mortalità che spazzò via metà della popolazione. I regimi di inizio Ottocento dovettero affrontare gli effetti di più lungo periodo di questo vortice sociale e ideologico. La creazione di Stati ancora più forti e invadenti, europei, coloniali ed extraeuropei fu il più consistente legato dell’epoca delle rivoluzioni. Ma ci furono altre conseguenze, generalmente e tradizionalmente considerate come più «progressive», o persino benefiche. Il liberalismo e un più acuto senso di nazionalità misero delle prime radici in molte società ovunque nel mondo anche se i loro effetti furono piuttosto lenti a
79 G. ABBATTISTA L’ESEMPIO DELLA RIVOLTA AMERICANA
G. Abbattista, La rivoluzione americana, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 131-40.
In questo brano, lo storico Guido Abbattista (nato nel 1953) analizza l’impatto che la rivoluzione americana ebbe sul resto del mondo: i princìpi repubblicani, di libertà e antigovernativi La rivoluzione americana fu salutata dall’opinione politica illuminata in ogni parte d’Europa come un evento di significato autenticamente rivoluzionario. Dentro e fuori l’Impero britannico, in Irlanda, nelle Indie occidentali britanniche, nella Nova Scotia1, nell’America spagnola, essa contribuì a dare vigore a movimenti di protesta verso le rispettive metropoli e alla richiesta di misure liberali e di autonomia legislativa. Ovunque in Europa – dall’Olanda al mondo tedesco, dalla Francia alla stessa Gran Bretagna, fino in Italia – esercitò un’influenza di tipo politico, ideologico e costituzionale. In Gran Bretagna [...] l’indipendenza delle ex colonie non portò i disastri economici che molti avevano temuto. Ma la «ribellione americana»– evento traumatico all’interno del «primo impero britannico» – coincise con una fase di crisi politica e costituzionale. La maggior parte dell’opinione pubblica britannica era stata a fianco del governo all’inizio della controversia e durante la guerra, salvo passare su
maturare. Gli eventi degli anni 1780-1820 accelerarono quindi enormemente due dei cambiamenti di lungo termine [...]: l’emergere dello Stato-nazione moderno, aggressivo e deciso, e l’ascesa in tutto il mondo di «comunità commerciali, industriose e perbene». 4. La grande isola dell’arcipelago indonesiano, dove sorge l’attuale capitale Giacarta. METODO DI STUDIO
a Sottolinea le conseguenze dell’enunciazione dei diritti dell’uomo e del principio «nessuna tassa senza rappresentanza». b Cerchia i nomi dei continenti e degli Stati in cui furono inaugurate le dottrine rivoluzionarie e sintetizza, per ogni Stato, gli eventi accaduti. c Spiega per iscritto la frase: «In molti luoghi, la Rivoluzione rappresentò un’invasione cristiana» facendo anche degli esempi.
affermatisi in Nord America non si diffusero soltanto nell’Impero britannico, come forma di opposizione al controllo della Corona. Stimolarono infatti la riflessione sulla politica e sulla società già in atto tra gli intellettuali illuministi in Francia e contribuirono a creare il clima rivoluzionario del 1789. Inoltre, l’esperienza americana ebbe un’eco nelle ribellioni che scoppiarono in molte zone coloniali del mondo nei decenni successivi.
posizioni antiministeriali quando il conflitto, dopo Saratoga e l’entrata in guerra di Francia e Spagna, si rivelò assai più lungo e più oneroso del previsto per le tasche del contribuente. [...] Coloro che invece mostrarono per la causa coloniale un’attenzione coerente e una simpatia ispirata da motivi ideali furono, fin dalla metà degli anni Sessanta, gli appartenenti al variegato mondo del radicalismo dissenziente. Ciò avvenne soprattutto allorché l’America [...] parve offrire un modello di riferimento per il rilancio del movimento di protesta. [...] L’America sembrava fornire la prova decisiva dell’esistenza di una cospirazione liberticida dei ministri e della sinistra influenza della corte ai danni della costituzione e delle libertà dei britannici, Ma soprattutto dimostrava positivamente la possibilità di una riforma di tipo radicale in nome dei valori morali e ideali del repubblicanesimo e dei principi della libertà politica e dell’uguaglianza dei diritti. [...] In Francia l’interesse per l’America, frutto naturale
dell’alleanza antiinglese, si manifestò sul piano ideologico e culturale in una vivace e duratura corrente di filoamericanismo, alimentata dalla presenza a Parigi di americani di grande popolarità, come Franklin, Jefferson e Paine2. Dalla metà degli anni Settanta in avanti, e soprattutto in quel decennio 1784-1794 in cui prese forma nella cultura francese il «sogno americano», gli eventi d’oltre Atlantico, dettagliatamente illustrati da una copiosa letteratura giornalistica, politica, memorialistica e di viaggio, diventarono elemento di dibattito corrente e dettero impulso alla riflessione illuministica sulle forme di governo e di
1. Provincia del Canada orientale affacciata sull’Oceano Atlantico: il territorio fu dapprima occupato dai francesi nel XV secolo e poi divenne colonia britannica nel 1713. 2. Per Franklin e Paine [►FS, 71, nota 3 e FS, 70, nota 1] e per Jefferson [►FS, 60, nota 3].
375
FARESTORIA La rivoluzione oltre i confini nazionali
società, sulle idee di libertà civile, politica e religiosa, e su temi storici generali [...]. L’esempio americano parve ancora una volta dimostrare la pratica realizzabilità di ideali di convivenza sociale e di civiltà proposti da quanti criticavano la società di antico regime, l’assolutismo monarchico, la diseguaglianza, l’intolleranza religiosa, il mancato rispetto dei più elementari diritti dei sudditi. [...] Fu Condorcet3 colui che meglio di chiunque altro seppe dare espressione all’ammirazione entusiastica per l’America, inserendone le vicende in una visione filosofica-storica, pur senza sacrificare l’analisi degli aspetti politici e costituzionali della rivoluzione. Nel suo De l’influence de la Révolution de l’Amérique sur l’Europe (1786), l’esperienza americana era salutata come esempio di un popolo che per primo aveva saputo colmare il divario tra i libri dei filosofi (e i cuori degli uomini virtuosi) e la vita reale, tra i valori e la storia. La rivoluzione, incoraggiando ovunque il «progresso dei lumi», aveva dunque un significato universale. Essa offriva «lo spettacolo di un grande popolo in cui i diritti dell’uomo sono rispettati» e una testimonianza «utile a tutti gli altri, malgrado le differenze di climi, di costumi e di costituzioni». [...] Se l’idea di un legame casuale diretto tra blocchi di eventi diversi non è del tutto esente da schematismi e rischi di eccessivo deter-
minismo, difficilmente si può negare che la rivoluzione americana abbia agito da stimolo ideologico, rafforzando la coscienza repubblicana, democratica e riformatrice. Certamente essa contribuì ad accrescere la fiducia nel progresso delle istituzioni politiche, della società, dei modi di convivenza sociale tra gli uomini [...] e fornì una serie di modelli di costituzioni e di dichiarazioni di diritti a successive esperienze costituenti. Non è perciò eccessivo concludere che essa concorse a determinare il clima di opinione nel quale in Francia sarebbe maturata la crisi rivoluzionaria [...]. Su un piano più specificamente pragmatico, l’esperienza delle ex colonie del Nordamerica fece da sprone all’insorgere di rivendicazioni autonomistiche in altre parti dell’Impero britannico e nel resto dell’America coloniale, ovunque esistessero problemi di rapporto tra centro e periferia analoghi a quelli affrontati dai patrioti americani. Così fu per esempio in Irlanda. Qui l’esperienza rivoluzionaria favorì non tanto forme esplicite di filoamericanismo, quanto, piuttosto, il rilancio (pur in un quadro complessivo di lealismo alla Corona britannica) di antiche rivendicazioni. [...] Anche nelle Indie Occidentali britanniche, in Nova Scotia e nel Canada, che pure restarono fedeli alla Corona imperiale, l’esempio americano
80 L. MASCILLI MIGLIORINI NAPOLEONE ALLA CONQUISTA DELL’EGITTO
L. Mascilli Migliorini, Napoleone, Salerno, Roma 2001, pp. 145-53.
Studioso di storia moderna e della cultura italiana del ’700 e dell’800, Luigi Mascilli Migliorini (nato nel 1952), in questo
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Se la penisola italiana, con la sua civiltà visibilmente circolante tra uomini e spazi, era apparsa ai conquistatori francesi la terra di una antica e diffusa sociabilità, «solitudine» è invece la parola che più frequentemente viene pronunciata nei primi giorni egiziani, una solitudine spiegata, certo, con la consapevolezza della grande lontananza dalla patria, ma accresciuta dalla totale estraneità dell’ambiente fisico e umano. [...] Miseri villaggi di terra, uomini avviliti dalla fatica, donne selvatiche e bambini sudici: questo è l’universo «così lontano da ciò che l’immaginazione, anche la più ragionevole,
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
stimolò l’antagonismo tra assemblee legislative e governatori e alimentò processi di contenuto analogo ai primi conflitti tra ex colonie nordamericane e madrepatria. [...] L’influenza della rivoluzione americana – di alcune delle sue idee guida e dei grandi temi ch’essa portò in primo piano, come quelli della schiavitù e del federalismo – fu avvertita anche fuori della sfera coloniale inglese. Alla fine degli anni Ottanta a Santo Domingo, nelle Indie occidentali francesi, proprio l’esperienza degli Stati Uniti ispirò l’iniziativa politica di diversi gruppi etnico-politici – élite creola, piantatori bianchi, neri liberi, schiavi. 3. Nicolas de Caritat, marchese di Condorcet (1743-1794), scienziato, filosofo e uomo politico, presidente dell’Assemblea costituente e deputato alla Convenzione: fu imprigionato nel 1793 perché critico nei confronti dei giacobini e morì in carcere (forse suicida).
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi gli Stati in cui ci furono marcate simpatie e quelli in cui si manifestò avversione per la rivoluzione americana e spiega le ragioni di tali posizioni. b Spiega quale ruolo ha avuto, secondo l’autore, la rivoluzione americana nei confronti di quella francese.
brano tratto da un suo saggio biografico su Napoleone, si sofferma sul significato che ebbe la spedizione napoleonica in Egitto del 1798. Questa non fu solo una guerra di conquista, ma anche l’occasione per la Francia rivoluzionaria di esportare le sue nuove idee politiche e sociali. La spedizione permise inoltre l’incontro tra uomini appartenenti a culture molto diverse.
avrebbe potuto rappresentarsi» nel quale comincia a muoversi un’armata che «le delizie di Capua» (così ricorda uno dei protagonisti) dell’avventura italiana avevano disposto a tutt’altra impresa. Anche sotto il profilo strettamente politico-militare l’isolamento costituisce, sin dall’inizio, un problema più difficile da risolvere di quanto si fosse potuto prevedere. Esso mette presto in crisi lo schema col quale Napoleone intende affrontare la conquista, uno schema che è strettamente legato alla particolare condizione del paese [...]. Si tratta, nel disegno di Bonaparte, di operare una serie successiva di scompo-
sizioni del blocco politico-sociale che gli è davanti, così da poterlo controllare con maggiore facilità e agevolare la propria iniziativa militare. Dividere quindi gli interessi della Porta1 ottomana da quelli dei due potenti signori dell’Egitto [...] presentando la propria spedizione come concertata con Costantinopoli per restituire alla Turchia una sovranità sull’Egitto ora solo nominale. Denunciare, poi, i Mame-
1. La Porta o la Sublime Porta indicava il governo ottomano.
lucchi come classe privilegiata responsabile del decadimento economico del paese e dell’asservimento dei suoi abitanti, così da recuperare il consenso di una popolazione avvilita ma ansiosa di liberarsi. Offrirsi, infine, alla casta sacerdotale, gli Ulema2, come garante dell’intangibilità dell’Islamismo, evitando una mobilitazione religiosa contro gli infedeli. [...] La presa di Alessandria non è azione militare di particolare impegno. [...] La partecipazione popolare alla difesa della città assediata è, però, il primo segnale di un’ostilità tenace e di una radicale alterità che circondano i conquistatori. [...] I soldati di Napoleone fanno, per la prima volta, esperienza di una guerra che impareranno a conoscere meglio negli anni successivi, via via che il loro procedere in paesi nuovi acquisterà il sapore della conquista e non della liberazione. [...] Forse solo per qualche istante l’arrivo al Cairo e la battaglia delle Piramidi sembrano rivestire di normalità questa insolita spedizione. La battaglia, combattuta lungo le sponde del Nilo, nel sobborgo di Embalèh, che il travestimento letterario consegnerà poi alla storia come battaglia delle Piramidi, assomiglia finalmente, dopo un mese di primordiale e inattesa guerriglia, ad uno scontro regolare tra eserciti contrapposti, al quale i colori insolitamente sgargianti delle uniformi egiziane così come lo sfondo delle palme, delle piramidi e dei minareti del Cairo, aggiunge un tocco di suggestivo esotismo. [...] La distruzione dell’intera flotta ad opera di Nelson, che il 1° agosto [1798] sorprende le navi francesi malamente difese e ancorate nella rada di Abukir, annulla repentinamente e drammaticamente le fiduciose prospettive apertesi con la battaglia delle Piramidi. [...] È da questo momento, e cioè da quel
mese di agosto 1798 [...] che il Cairo diventa il centro del singolare e molti tratti grandioso esperimento di contaminazione intellettuale per il quale l’impresa egiziana sorpassa, nella memoria successiva, i confini di una avventura militare dai dubbi risultati. Sotto questo profilo non si deve soltanto insistere sui caratteri, per così dire, civilizzatori di un colonialismo erede della volenterosa razionalità dei Lumi e della Rivoluzione. Ad essi ovviamente si riconducono gli episodi dell’amministrazione napoleonica dell’Egitto più noti e su cui maggiormente ha insistito la ricostruzione storica: la creazione dell’Institut d’Égypte3 in primo luogo, sul modello dell’Institut francese, e poi la nascita di fogli ebdomadari4, la Décade égyptienne, il Courier d’Égypte. Certo c’è da rimanere impressionati davanti alla mole dei lavori messi allora in campo e nei quali non potrebbe rivelarsi meglio quella capacità ordinatrice così tipica, poi, del governo napoleonico e con esso – occorre aggiungerlo – di un ceto di amministratori e di intellettuali forgiatisi proprio nel decennio rivoluzionario ancor più che nella palestra dell’Antico Regime. [...] L’estraneità della popolazione araba ai progetti napoleonici, in particolare a quelle interminabili discussioni scientifiche dell’Institut che per la verità lasciavano perplessi anche gli ufficiali francesi, o a quelle manifestazioni di riconciliazione generale legate, come nel caso del 14 luglio e del 21 settembre5, al calendario del vincitore e dalle quali quindi non ci si poteva attendere solo una esteriore e manipolata espressione di giubilo, non deve lasciar credere che i due mondi rimangano del tutto separati. Ad avvicinarli non erano [...] tutte le forme in cui veniva a rivelarsi la superiore attitudine civilizzatrice
della Francia rivoluzionaria e neppure la politica napoleonica essenzialmente tesa a presentarsi agli occhi delle autorità religiose e della popolazione [...] come il più rispettoso tutore della fede religiosa e delle tradizioni dell’Egitto islamico. È nella pratica dei gesti e delle necessità quotidiani, nel trascorrere di un tempo divenuto improvvisamente lento per un esercito abituato ai ritmi accelerati di una campagna vittoriosa, che maturano quegli slittamenti di comportamenti, quei reciproci riconoscimenti che avvicinano gli universi distanti dell’occupante e dell’occupato. 2. Il gruppo dei più dotti in questioni religiose, considerati depositari e tutori della legge dell’islam. 3. Istituto culturale creato con l’obiettivo di fare ricerche in loco. 4. Pubblicazioni settimanali. 5. Si tratta del 14 luglio 1789, giorno della presa della Bastiglia, e del 21 settembre 1792, giorno in cui la Convenzione nazionale votò l’abolizione della monarchia e la nascita della Repubblica.
METODO DI STUDIO
a Spiega in cosa consiste, secondo Luigi Mascilli, la “solitudine” che caratterizzò la campagna d’Egitto. b Sottolinea con colori diversi le informazioni relative ai seguenti temi: a. le aspettative e i progetti militari di Napoleone e la realtà incontrata; b. le finalità per cui vennero creati l’Institut d’Égypte, la Décade égyptienne e il Courier d’Égypte e i risultati raggiunti.
81d L’INCONTRO TRA FRANCESI ED EGIZIANI
D. Vivant-Denon, A. Rahman El-Gabarti, Bonaparte in Egitto. Due cronache tra illuminismo e Islam, Manifestolibri, Roma 2001, pp. 118-19; 152-53.
La spedizione d’Egitto del 1798-1801 fece incontrare uomini molto diversi tra loro da un punto di vista culturale e religioso: soldati francesi e militari egiziani; conquistatori al seguito di Napoleone e popolazione civile locale. L’incontro non fu inizialmente pacifico: gli eserciti napoleonici sbarcarono in Egitto per sottomettere con la forza quel territorio. Ma col passare del tempo, come dimostrano le testimonianze che
qui riportiamo, sia i francesi che gli egiziani cominciarono a conoscersi meglio e perfino ad apprezzarsi reciprocamente. Nel primo documento, a parlare è Abdel Rahman El-Gabarti (1753-1825), un esponente dell’élite intellettuale e religiosa egiziana, il quale osserva la nascita della biblioteca dell’Institut d’Égypte, creato dai francesi al Cairo; nel secondo testo, invece, l’archeologo, disegnatore ed erudito Dominique Vivant-Denon (1747-1825), cittadino francese imbevuto dello spirito dei Lumi, scopre le meraviglie delle rovine egizie durante una spedizione lungo la Valle del Nilo.
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FARESTORIA La rivoluzione oltre i confini nazionali
Abdel Rahman El-Gabarti: la biblioteca dell’Institut d’Égypte1 Le case situate nella via Nasriah furono messe a disposizione dei matematici, degli astronomi, degli architetti, dei pittori e dei letterati. I francesi occuparono anche la nuova casa che Hassan kachef2 aveva fatto costruire con i tesori provenienti dalle sue esazioni. Questa casa era stata ammobiliata molto lussuosamente. Quando fu terminata, i francesi arrivarono e Hassan kachef, il circasso3, dovette darsi alla fuga con gli altri mamelucchi. I francesi installarono in quest’ultima casa una grande biblioteca con parecchi bibliotecari che conservavano i libri e li portavano ai lettori che ne avevano bisogno. Questa biblioteca era aperta tutti i giorni a partire dalle dieci. I lettori si riunivano in una grande sala vicina a quella che conteneva i libri; si sedevano su delle sedie disposte attorno a grandi tavoli e si mettevano a lavoro. Anche gli stessi soldati semplici andavano a lavorare in questa biblioteca. Se un musulmano voleva entrare per visitare il locale, non glielo si impediva, al contrario lo si riceveva con affabilità. I francesi godevano soprattutto quando il visitatore musulmano sembrava interessarsi alle scienze; entravano immediatamente in relazione con lui e gli mostravano ogni sorta di libri stampati, con figure che rappresentavano parti del globo terrestre, animali e piante. C’erano anche molti libri di storia antica; in qualcuno c’erano dei disegni che rappresentavano i miracoli degli apostoli, e gli stessi apostoli; si rimaneva stupefatti alla vista di tutte queste belle cose. Io ebbi l’occasione di andare parecchie volte a visitare questa biblioteca. Vi ho visto, tra le altre cose, un grande volume sulla storia del nostro Profeta (che Dio lo benedica!); il suo santo ritratto vi era rappresentato tanto esattamente quanto le conoscenze
D’EUROPA
dell’autore gli avevano permesso di farlo. [...] Ho visto molti altri libri che trattavano di storia naturale, di medicina e di meccanica applicata. C’erano anche molti libri musulmani tradotti in lingua francese. [...] I francesi [...] imparavano anche dei versetti del Corano, in una parola erano dei grandi eruditi e amavano le scienze, soprattutto le matematiche e la filologia. Si applicavano giorno e notte ad imparare la lingua araba. Avevano grammatiche di tutte le lingue e se ne servivano per tradurre rapidamente nella loro lingua tutto ciò che volevano esprimere. Dominique Vivant-Denon e la scoperta delle meraviglie d’Egitto4 Arrivammo a Tintyra5. Il primo edificio che vidi fu un piccolo tempio a sinistra del cammino, di un così brutto stile e di così cattive proporzioni, che lo giudicai da lontano non essere che le rovine di una moschea. Voltandomi a destra trovai seppellita dalle più desolate rovine una porta costruita con massi enormi coperti di geroglifici; attraverso questa porta vidi il tempio. Vorrei riversare nell’anima dei miei lettori la sensazione che provai. [...] Questo monumento mi parve mostrare un carattere primitivo e avere per eccellenza quello di un tempio. [...] Niente di più semplice e di meglio calcolato che le poche linee che componevano questa architettura. Gli egiziani, non avendo preso in prestito nessun ornamento dagli altri, non hanno aggiunto alcun ornamento straniero, alcun orpello a ciò che era dettato dalla necessità. Ordine e semplicità sono stati i loro principi fino al sublime. [...] Presso di loro l’idea di immortalità di Dio è presentata dall’eternità del suo tempio; i loro ornamenti, sempre ragionati, sempre coerenti, sempre significativi, dimostrano anche principi sicuri, un gusto fondato sul vero [...]. Non avevo un’e-
82 V. CRISCUOLO NAPOLEONE E L’IDEA
V. Criscuolo, Napoleone, il Mulino, Bologna 2009, pp. 197-207.
La conquista napoleonica dell’Europa ha contribuito a costruire e a rafforzare l’idea che si potessero unire sotto un unico Stato tutti i popoli di quel continente? Napoleone ebbe un
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L’idea d’Europa, intesa come coscienza dell’unità europea, vale a dire come consapevolezza dell’Europa di rappre-
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
spressione adeguata per rendere tutto ciò che provavo quando fui sotto il portico di Tintyra; credetti d’essere realmente nel santuario delle arti e delle scienze. Quante epoche si presentarono alla mia immaginazione, alla vista di un tale edificio! Quanti secoli erano occorsi per portare una nazione creatrice a simili risultati, a questo grado di perfezione e di sublimità nelle arti! [...] Quale duratura potenza, quale ricchezza, quale abbondanza, quale eccedenza di mezzi deve possedere il governo che può fare innalzare un tale edificio e che trova nella nazione degli uomini capaci di concepirlo, di eseguirlo, di decorarlo, di arricchirlo di tutto ciò che parla agli occhi e allo spirito! Mai il lavoro degli uomini mi aveva presentato questi mezzi in maniera così ravvicinata, così antichi e così grandi. Nelle rovine di Tintyra gli egiziani mi parvero dei giganti. 1. Testimonianza tratta dal suo libro Merveilles biographiques et historiques, pubblicato al Cairo nel 1888-89. 2. Il governatore del Cairo all’arrivo di Napoleone. Proprio nelle stanze della sfarzosa abitazione che si era costruito, lasciata libera dopo la sua fuga, i francesi stabilirono l’Institut d’Égypte. 3. Proveniente dalla Circassia, regione del Caucaso, all’epoca sotto l’Impero ottomano. 4. Testo tratto dalla sua opera Voyage dans la Basse et la Haute Égypte pendant les campagnes du général Bonaparte (1802). 5. Dendera: località nella Valle del Nilo sede del grande tempio alla dea Hathor.
METODO DI STUDIO
a Evidenzia la descrizione dei luoghi e sottolinea le relative parole chiave. Quindi argomenta per iscritto la tua scelta. b Spiega chi sono gli autori del brano e quale messaggio, secondo te, vogliono trasmettere in questo scritto.
qualche ruolo nel plasmare un’identità europea? A queste domande prova a rispondere lo storico italiano Vittorio Criscuolo (nato nel 1951). Al di là dell’impatto politico e ideologico che le conquiste napoleoniche ebbero sui territori occupati, una cosa sembra certa: Napoleone riuscì a coalizzare tutti i suoi avversari contro il suo tentativo di conquista imperiale.
sentare, per la sua tradizione e per la sua realtà culturale-sociale, una individualità storica, affonda le sue radici
nella cultura settecentesca, nella grande stagione dei Lumi. Essa si trova formulata con particolare efficacia nella
classica definizione fornita dall’Esprit des lois (Lo spirito delle leggi, 1748). In contrapposizione ai grandi imperi dispotici tipici dell’Asia, Montesquieu individuò come connotati fondamentali dell’identità europea la molteplicità di Stati e lo spirito di libertà. [...] Rispetto al sentimento dell’unità europea quale era lucidamente espresso nelle pagine dell’Esprit des lois, l’avventura napoleonica rappresentò un evento sconvolgente, che spazzò via senza riguardi tutte le idee, le tradizioni e gli interessi consolidati nei quali Montesquieu aveva individuato le caratteristiche specifiche della civiltà europea in relazione al dispotismo asiatico. Realizzando di fatto quel progetto di monarchia universale attribuito a Luigi XIV, Napoleone rovesciò completamente entrambi i termini sui quali si fondava l’idea di Europa forgiatasi nell’età dei Lumi. Sul piano interno egli stabilì un governo autoritario, certo ben diverso dal dispotismo al quale pensava Montesquieu, soprattutto perché si fondava sulla diretta investitura popolare di un uomo chiamato ad incarnare gli interessi e lo spirito della nazione, ma comunque lontanissimo dall’idea di un regime moderato, caratterizzato dal rispetto delle leggi e dalla divisione dei compiti fra diverse magistrature. Sul piano internazionale poi le vittorie napoleoniche ebbero la conseguenza di abbattere completamente il principio dell’equilibrio, realizzando per la prima volta il predominio della Francia sul continente. [...] All’accusa di avere sconvolto l’ordine e la pace in Europa Napoleone rispose, nelle dichiarazioni raccolte a Sant’Elena da Las Cases1, sostenendo che la conquista era stata nei suoi intenti solo una fase transitoria, resa necessaria dalla guerra contro la Gran Bretagna, ma destinata comunque a sfociare, una volta conclusa la pace, nella piena affermazione del principio di nazionalità: «Uno dei miei più grandi progetti era stato l’agglomerazione e la concentrazione di quelle popolazioni geograficamente unite che le rivoluzioni e la politica avevano frantumato e dissolto. [...] Io avrei voluto fare di ciascuno di questi popoli un solo e identico organismo nazionale. È con un tale corteo di popoli riuniti, che sarebbe stato bello avanzarsi verso la posterità e la benedizione dei secoli. Io mi sentivo degno di questa gloria». [...]
Naturalmente lo storico deve porsi innanzitutto il problema di comprendere, al di là delle fantasticherie di Sant’Elena, da un lato quale sia stata l’effettiva influenza dell’avventura napoleonica sull’evolversi dell’idea d’Europa, dall’altro quale ruolo ebbe nella sua politica quella coscienza europea che si era già formata nelle classi dirigenti e nel ceto intellettuale. [...] L’espansione francese, imponendo in tutti i territori occupati il Codice civile e l’amministrazione napoleonica, rappresentò indubbiamente un potente fattore di unificazione del continente europeo. Naturalmente l’introduzione della legislazione e dell’amministrazione francese ebbe effetti diversi nelle varie zone, a seconda che esse fossero più o meno preparate o disposte ad accettarle. [...] In generale Napoleone impose ovunque l’integrale applicazione delle sue leggi senza eccezioni, tant’è che [...] nel Regno d’Italia furono ignorati i progetti di codici predisposti in precedenza e a Napoli Murat dovette piegarsi ad accettare le norme sul divorzio, per le quali aveva chiesto una deroga a Parigi. Non mancarono per altro importanti eccezioni: in Polonia, ad esempio, Napoleone si guardò bene dall’intaccare il ruolo della Chiesa o il tradizionale predominio dell’aristocrazia sul mondo contadino. Da non trascurare è anche l’influenza del sistema continentale sulle dinamiche dell’economia europea. L’estensione del regime doganale francese a tutti i territori controllati direttamente o indirettamente dalla Francia, al di là dei malumori e dei contraccolpi che determinò, favorì l’integrazione fra diverse aree del continente. Inoltre essa impose all’attenzione generale gli effetti positivi del protezionismo doganale. Il riferimento all’esperienza napoleonica è essenziale per comprendere il pensiero dell’economista tedesco Friedrich List2, ispiratore del movimento per l’unione doganale in Germania (Zollverein), favorevole ad un mercato interno aperto ai produttori nazionali e protetto contro la concorrenza straniera. Minore importanza ebbe invece l’imposizione ai territori occupati e agli stati vassalli della leva militare, che diede un carattere sempre più multinazionale all’armata imperiale. Quest’ultima infatti non risultò che in minima parte un fattore di integrazione fra i vari popoli europei, ed
anzi fu più che altro occasione di malumori e di ostilità verso il predominio della Francia, che costringeva italiani, tedeschi, polacchi, slavi, svizzeri, olandesi a combattere per una causa nella quale assolutamente non si riconoscevano. In effetti le conseguenze più profonde dell’azione napoleonica sulla coscienza europea furono in larga misura estranee, e perfino contrarie, agli obiettivi che essa si prefiggeva, e derivarono soprattutto dal moto di rifiuto che essa in vario modo provocò in diverse zone del continente. Vi era in questa reazione al dispotismo bonapartista e al predominio francese la volontà di resistere all’imposizione di un modello politico e legislativo universale: contro questa omologazione ci si sforzava di valorizzare e di affermare le radici storiche e culturali dei singoli popoli europei, che reclamavano il diritto ad adottare leggi e istituzioni adatte alle proprie specifiche tradizioni ed aspirazioni. Fu questo sicuramente l’effetto più importante della conquista la quale, favorendo la formazione e lo sviluppo della coscienza nazionale, preparò le forze che si sarebbero contrapposte poi al nuovo equilibrio sancito dal congresso di Vienna. 1. Emmanuel de Las Cases (1766-1842), scrittore e ufficiale francese, autore del Mémorial de Sainte-Hélène, nel quale raccolse i ricordi e i dialoghi avuti con Napoleone durante la sua permanenza nell’isola di Sant’Elena. 2. Friedrich List (1789-1846), economista tedesco, fu tra i maggiori esponenti della corrente politica che riuscì a realizzare nel 1833-34 l’unione doganale tra tutti gli Stati tedeschi.
METODO DI STUDIO
a Spiega in cosa consiste l’idea di Europa nata durante l’Illuminismo e come vi si rapportò Napoleone dal punto di vista nazionale e internazionale. b Sottolinea le conseguenze delle azioni napoleoniche sulla coscienza europea utilizzando colori diversi secondo gli Stati trattati. c Spiega per iscritto quale fu, secondo l’autore, l’effetto più importante della politica internazionale di Napoleone e argomenta le sue posizioni.
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FARESTORIA La rivoluzione oltre i confini nazionali
83d NAPOLEONE BONAPARTE I PROCLAMI DI AUSTERLITZ
Documenti storici, antologia a c. di R. Romeo e G. Talamo, II, L’età moderna, Loescher, Torino 1972, pp. 254-55.
I due proclami all’esercito, prima e dopo la battaglia di Austerlitz (2 dicembre 1805), furono pubblicati sul «Bulletin de la Grande Armée» e sul giornale ufficiale «Le Moniteur universel» e rapidamente diffusi in tutta Europa. La diffusione di questi proclami costituisce uno degli esempi più illuminanti per comprendere il ruolo centrale della propaganda nel rapporto Dal campo, 10 frimaio anno XIV1 Soldati, l’esercito russo si presenta davanti a voi per vendicare l’esercito austriaco di Ulm2. Sono gli stessi battaglioni che avete sconfitto a Hollabrunn, e che poi avete costantemente seguito fin qui. Le posizioni da noi occupate sono formidabili; e, mentre essi marceranno per avvolgere la mia destra, mi presenteranno il fianco3. Soldati, io stesso dirigerò tutti i vostri battaglioni; io mi terrò lontano dal fuoco se, col vostro consueto valore, porterete il disordine e la confusione nelle file nemiche; ma se per un momento la vittoria fosse incerta voi vedreste il vostro imperatore esporsi ai primi colpi, perché la vittoria non può essere dubbia, in questa giornata soprattutto in cui ne va dell’onore della fanteria francese, che importa tanto all’onore di tutta la nazione. Che sotto il pretesto di trasportare i feriti non si porti disordine nelle file, e che ciascuno sia ben penetrato di quest’idea, che bisogna vincere questi stipendiati della Gran Bretagna, i quali sono animati da un odio così grande contro la nostra nazione. Questa vittoria porrà fine alla nostra campagna, e noi potremo riprendere i nostri quartieri d’inverno; in cui saremo raggiunti dai nuovi eserciti che si formeranno in Francia; e allora la pace che stipulerò sarà degna del mio popolo, di voi, e di me. Austerlitz, 12 frimaio anno XIV4 Soldati, io sono contento di voi. Nella
giornata di Austerlitz voi avete giustificato tutto ciò che mi attendevo dalla vostra intrepidezza; voi avete decorato le vostre aquile di una gloria immortale. Un esercito di 100.000 uomini, comandato dagli imperatori di Russia e d’Austria, in meno di quattr’ore è stato fatto a pezzi o disperso. Coloro che sono sfuggiti alle vostre armi si sono annegati nei laghi. Quaranta bandiere, gli stendardi della guardia imperiale di Russia, centoventi cannoni, venti generali, più di 30.000 prigionieri, sono il risultato di questa giornata, che resterà celebre per sempre. Questa fanteria così vantata, e in numero superiore, non ha potuto resistere al vostro urto, e ormai voi non avete più da temere rivali. Così, in due mesi, questa terza coalizione è stata vinta e dissolta. La pace non può più essere lontana; ma, come ho promesso al mio popolo prima di passare il Reno, io farò solo una pace che ci dia delle garanzie, e che assicuri ricompense ai nostri alleati. Soldati, quando il popolo francese pose sulla mia testa la corona imperiale, io mi affidai a voi per mantenerla sempre in quell’alto splendore di gloria che solo poteva darle pregio ai miei occhi. Ma nello stesso momento i nostri nemici pensavano a distruggerla ed avvilirla! E quella corona di ferro, conquistata col sangue di tanti francesi, volevano obbligarmi a porla sulla testa dei nostri più crudeli nemici! Progetti temerari e insensati che, nel giorno stesso dell’anniversario dell’incoronazione del vostro imperatore, voi avete annientati e confusi! Voi avete insegnato
loro che è più facile sfidarci e minacciarci che non vincerci. Soldati, quando tutto ciò che è necessario per assicurare la felicità e la prosperità della nostra patria sarà compiuto, io vi ricondurrò in Francia; là voi sarete l’oggetto delle mie più tenere sollecitudini. Il mio popolo vi rivedrà con gioia, e vi basterà dire Io ero alla battaglia di Austerlitz, perché si risponda, Ecco un valoroso. 1. 1° dicembre 1805. 2. A Ulm, nel mese di ottobre 1805, Napoleone aveva costretto alla resa un’intera armata austriaca. Ad Austerlitz contro i 73 mila francesi erano schierati oltre 85 mila uomini di cui 16 mila austriaci. 3. Il manoscritto originale riporta al secondo capoverso: «Le posizioni che occupiamo sono formidabili e, mentre marceranno sulle nostre batterie [il centro dello schieramento francese], io farò attaccare i loro fianchi». Gli austro-russi assalirono invece la destra dello schieramento francese. 4. 3 dicembre 1805.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi le parole usate da Napoleone per incoraggiare i soldati, il modo in cui descrive il nemico, il proprio ruolo e gli obiettivi che intende raggiungere mantenendo gli stessi colori in entrambi i documenti. b Descrivi per iscritto lo schema retorico utilizzato da Napoleone nei due proclami mettendo in rilievo le parole adoperate per descrivere il rapporto fra sé e i soldati e gli obiettivi da raggiungere (utilizza come scaletta i punti indicati nell’esercizio precedente).
84d MATRIMONIO E DIVORZIO NEL CODICE CIVILE
Codice civile francese..., Siena 1829, pp. 20-27.
Il Codice civile (1804) [►9_1], applicato in tutti i paesi dell’Impero napoleonico, caratterizzò, in molti casi, anche gli ordinamenti giuridici successivi: esso, infatti, viene considerato il primo codice moderno, scritto con l’obiettivo di unificare la molteplicità delle norme giuridiche (soprattutto quelle relative
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tra Napoleone e le sue truppe e fra Napoleone e l’opinione pubblica europea. Con forti toni retorici, genio militare e valore dei soldati sono uniti nell’esortazione alla battaglia e nella celebrazione della vittoria. Il testo del primo proclama fu modificato dopo la battaglia per dimostrare che Napoleone aveva anche compreso in anticipo tutta la manovra di attacco austro-russa [►nota 3]. Ciò mirava ad accentuare, agli occhi dell’Europa intera, l’immagine delle incredibili capacità intuitive di Napoleone e della sua straordinaria personalità di comandante.
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
alla proprietà) superando la frammentazione e il particolarismo propri del diritto comune. Gli articoli sul matrimonio e il divorzio testimoniano della dipendenza dei figli nei confronti dei genitori e della moglie verso il marito. Profondamente diverso rispetto al marito era, per esempio, il trattamento riservato alla moglie nei casi di adulterio (cfr. gli artt. 229-230 e 298).
Delle qualità e condizioni necessarie per contrarre matrimonio Art. 144 L’uomo prima che abbia compiuti gli anni diciotto, la donna prima degli anni quindici pure compiuti, non possono contrarre matrimonio. [...] Art. 148 Il figlio, che non è giunto all’età di venticinque anni compiti, la figlia che non ha compiti gli anni ventuno, non possono contrarre matrimonio senza il consenso del padre e della madre: in caso che siano discordi, il consenso del padre è sufficiente. [...] Art. 151 I figli di famiglia giunti alla maggiore età determinata dall’articolo 148, sono tenuti, prima di contrarre matrimonio, a chiedere, con un atto rispettoso e formale, il consiglio del padre e della madre loro, e quello dell’avo e dell’avola, qualora il padre e la madre fossero mancati di vita, o si trovassero nella impossibilità di manifestare la propria volontà. Art. 152 Dopo la maggiore età determinata dall’art. 148, fino all’età dei trent’anni compiti pei maschi, e degli anni venticinque compiti per le femmine, l’atto rispettoso prescritto dall’articolo precedente, se non sarà susseguito dal consenso pel matrimonio, dovrà rinnovarsi altre due volte di mese in mese, e scaduto un mese dopo
ITALIANA
il terzo atto, si potrà passare alla celebrazione del matrimonio. Art. 153 Dopo l’età di trent’anni, mancando il consenso ad un atto rispettoso, si potrà, un mese dopo, passare alla celebrazione del matrimonio. [...] Dei diritti e dei rispettivi doveri dei coniugi Art. 212 I coniugi hanno il dovere di reciproca fedeltà, soccorso, assistenza. Art. 213 Il marito è in dovere di proteggere la moglie, la moglie di obbedire al marito. Art. 214 La moglie è obbligata ad abitar col marito, ed a seguirlo ovunque egli crede opportuno di stabilire la sua residenza: il marito è obbligato a riceverla presso di sé ed a somministrarle tutto ciò ch’è necessario ai bisogni della vita, in proporzione delle sue sostanze e del suo stato. Art. 215 La moglie non può stare in giudizio senza l’autorizzazione del marito, quand’anche ella esercitasse pubblicamente la mercatura, o non fosse in comunione, o fosse separata di beni. [...] Art. 217 La donna, ancorché non sia in comunione o sia separata di beni, non può donare, alienare, ipotecare, acquistare, a titolo gratuito od oneroso, senza che il marito concorra all’atto, o presti il suo consenso in iscritto. [...]
85 A. DE FRANCESCO L’ILLUSIONE DELL’UNITÀ
A. De Francesco, L’Italia di Bonaparte. Politica, statualità e nazione nella penisola tra due rivoluzioni, 1796-1821, Utet, Torino 2011, pp. 31-34.
Secondo lo storico Antonino De Francesco (nato nel 1954), durante il triennio giacobino (1796-99) furono poste le basi della formazione dell’identità nazionale: nonostante l’eserciSi prendano le mosse dall’istanza federativa, di cui costituisce una preziosa testimonianza il progetto inviato dal piemontese Giovanni Antonio Ranza1 [...] poi pubblicato in un opuscolo dal significativo titolo Vera idea del federalismo italiano. In quelle pagine l’autore ricordava la peculiarità del caso italiano e sosteneva come proprio la plurisecolare pluralità di stati nella Penisola imponesse che si giungesse all’unificazione per gradi, ossia mediante una soluzione federativa che puntasse sul
Delle cause del divorzio Art. 229 Potrà il marito domandare il divorzio per causa d’adulterio della moglie. Art. 230 Potrà la moglie domandare il divorzio per causa d’adulterio del marito, allorché egli avrà tenuta la sua concubina nella casa comune. [...] Degli effetti del divorzio Art. 298 In caso di divorzio ammesso in giudizio per causa d’adulterio, il coniuge colpevole non potrà mai maritarsi col suo complice. La donna adultera sarà condannata con la stessa sentenza, e ad istanza del ministero pubblico alla reclusione in una casa di correzione per un tempo determinato, che non potrà essere minore di tre mesi, né maggiore di due anni.
METODO DI STUDIO
a Realizza una tabella comparativa i cui indicatori siano “Uomo” e “Donna” e compilala trascrivendo le informazioni relative contenute nel documento del Codice civile. b Descrivi per iscritto gli equilibri familiari stabiliti nel Codice civile mettendo in rilievo le differenze fra i sessi e quelle fra le generazioni.
to napoleonico fosse stato un esercito di conquista, la sua discesa in Italia fu all’origine di una mobilitazione più generale, anche in chiave unitaria, perché diffuse tra gli intellettuali italiani l’ipotesi di una sola repubblica indivisibile da istituirsi in tutta la penisola, su imitazione di quella francese. In questo brano l’autore comincia la sua analisi da uno dei progetti inviati al concorso indetto nel 1796 sul tema Quale de’ governi liberi meglio convenga alla felicità d’Italia.
rispetto delle differenze quale una base d’appoggio per la futura unità anziché lasciare che essa rimanesse uno strumento nelle mani dei controrivoluzionari per fomentare disordini. Da qui, sempre secondo Ranza, l’opportunità di lasciar da parte il modello dell’unità e dell’indivisibilità della Repubblica francese per puntare verso una sorta di intesa federativa, che preparasse l’unione accomunando, nel quadro di una comune politica rivoluzionaria, le differenti statualità d’Italia. Egli riassumeva
il suo progetto nella parola d’ordine «federati tra noi, ma indivisibili: e federati per sempre con i Francesi». [...] Così, all’indomani della costituzione della Repubblica ligure [...], sempre Giovan-
1. Giovanni Antonio Ranza (1741-1801), sacerdote e professore di lettere, giacobino, ispirò nel 1790-91 una sollevazione nella sua città natale Vercelli. Fu costretto all’esilio, ma nel corso della campagna francese del 1796 organizzò un moto insurrezionale nella città di Alba, in Piemonte.
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FARESTORIA La rivoluzione oltre i confini nazionali
ni Antonio Ranza [...] poteva esclamare: «[...] Ecco svanito il sogno della Repubblica italica una e indivisibile, ecco realizzato il mio sistema. A che giovarono le fischiate contro il medesimo? [...]». Già questa sua testimonianza molto dice dei dissensi che l’ipotesi federativa incontrava nel medesimo campo patriottico, dove eran molti gli unitari, pronti a proporre, sull’esempio di Francia, uno Stato italiano fondato sui principi dell’unità e dell’indivisibilità. [...] Non v’è dubbio che la scelta unitaria nascesse in primo luogo dalla preoccupazione di una sostanziale subalternità della Penisola italiana alla Repubblica madre [...]; né può essere messo in discussione il convincimento che proprio la creazione di una sola Repubblica nella Penisola avrebbe consentito ai patrioti italiani di regolare, su basi di parità, la loro naturale alleanza con la Francia. [...] All’indomani del trattato di Campoformio2 il confronto politico tra unitari e federalisti crebbe d’intensità lungo la linea di demarcazione qui ricordata. La nascita, pressoché contemporanea, della Cisalpina e della Ligure, sembrò dare forza ai sostenitori della tesi federativa, che affermavano come l’unità fosse raggiungibile per il solo tramite della preventiva uniformazione della Penisola intera al modello politico-amministrativo di Francia. [...]
E non vi è dubbio che l’azione preventiva indicata da Ranza fosse quella di superare le molte differenze tra le diverse parti d’Italia per il tramite di una comune azione di governo, che nelle singole repubbliche orientasse nei termini della legislazione rivoluzionaria l’opera amministrativa. [...] Agli inizi del 1799 la ripresa della guerra sembrò [...] contribuire a sgomberare il terreno dagli ostacoli che ancora si opponevano alla costituzione di una federazione democratica: nella Penisola erano ormai presenti quattro repubbliche le quali potevano assicurare il definitivo superamento dell’Antico regime in tutta la penisola e proprio in ragione di una reciproca intesa fondata sulla comune adesione agli ideali rivoluzionari avrebbero potuto sfuggire a una condizione di vassallaggio nei confronti della Francia. Di lì a breve, tuttavia, le disastrose sorti della guerra assestarono un colpo ferale al progetto federativo. La necessità dei patrioti d’Italia tutta di trovare rifugio a Genova o direttamente in Francia favorì una accorata riflessione congiunta su quanto appena accaduto ed apparve chiaro alla maggior parte di loro come proprio la molteplicità delle repubbliche fosse stato un motivo di debolezza e come una Repubblica unitaria avrebbe potuto, per il futuro, impedire tanta fra-
86 A. PILLEPICH L’EREDITÀ DELLA DOMINAZIONE NAPOLEONICA IN ITALIA
A. Pillepich, Napoleone e gli italiani, il Mulino, Bologna 2005, pp. 172-75.
Il periodo della dominazione napoleonica ha profondamente influenzato la successiva storia della penisola italiana. Innanzitutto per l’impulso all’unificazione del paese, che da allora in poi emerse come un progetto politico perseguibile. Poi per
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Al di là delle tendenze, andiamo ai fatti. Il primo è precisamente l’Unità d’Italia sotto quella bandiera verde-bianco-rossa che risaliva al 1797 e che i patrioti non avevano dimenticato. Tra gli altri lasciti del periodo napoleonico, [...] la penisola dall’inizio dell’Ottocento ha beneficiato di miglioramenti in materia di strade, di pesi e misure, di unificazione monetaria, di musei e di urbanistica. Nel 1860 come nel 1800 era più faci-
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
gilità al nuovo ordine della Penisola. [...] Appare evidente come, in quella estate del 1799, il tema dell’unità guadagnasse consensi e da questo punto di vista proprio la fallimentare esperienza del Triennio suggerisse di rilanciare sul versante dell’unità e dell’indivisibilità di un solo Stato repubblicano nella Penisola. [...] Era una proposta che [...] sembrava finalmente godere del pieno consenso del nuovo governo di Francia e dunque escludere, per il futuro, la subordinazione a Parigi, che nel corso del Triennio si era tradotta nella nascita di minuscole repubbliche tutte inevitabilmente travolte dalla reazione quando i francesi non avevan più potuto difenderle. 2. Il 17 ottobre 1797 [►8_10].
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le motivazioni favorevoli al federalismo. b Individua le tappe che, secondo Antonino De Francesco, segnarono il decorso della ipotesi federalista e sintetizzale in titoletti che scriverai vicino al testo. c Spiega i motivi per cui nell’estate del 1799 il discorso unitario aveva guadagnato consenso.
le numerose istituzioni introdotte, che saranno riprese dallo Stato unitario. In questo brano, lo studioso francese Alain Pillepich elenca quella che a suo avviso costituisce la maggiore eredità del regime napoleonico, riconoscendo «i benefici tratti dall’Italia dal passaggio di un conquistatore che non le era del tutto estraneo e che agì anche come un fondatore»: in questo senso, Napoleone avviò un inarrestabile processo di modernizzazione.
le imporre alle diverse regioni d’Italia le istituzioni di un paese straniero che quelle di una di esse. È così che l’Italia contemporanea ha ancora (o di nuovo) una corte di cassazione, delle corti d’appello, dei consigli provinciali, dei prefetti. Persino il corpo dei carabinieri, fondato dai piemontesi nel 1814 e ripreso dallo stato unitario nel 1861, è in realtà una trasformazione della gendarmeria napoleonica.
Due organi amministrativi e un codice illustrano in particolare la permanenza, sia pure con andamenti, delle creazioni operate a livello nazionale durante il periodo francese. Il Consiglio di stato, competente ipso facto per i dipartimenti riuniti alla Francia, era stato introdotto, con qualche modifica, nel Regno d’Italia nel 1805 e in quello di Napoli nel 1806. [...] L’Italia unificata l’adottò nella sua variante sarda e lo mantiene tuttora.
Essa conserva anche un altro organismo, la corte dei conti creata in Francia e a Napoli nel 1807 e nel Regno d’Italia nel 1812 [...]. Il codice civile era stato emanato sotto la denominazione di codice Napoleone in Francia nel 1804, nel Regno d’Italia nel 1806 e a Napoli nel 1809. [...] Dopo l’Unità, l’Italia si diede un codice civile nel 1865 poi riformato nel 1942 ma, a parte la questione del divorzio, l’una e l’altra versione erano largamente ispirate al codice Napoleone con il suo carattere laico, le sue regole in materia successoria ecc. Tuttavia, l’aspetto centralizzatore delle istituzioni alla francese, se da una parte era approvato dai piemontesi, grandi autori dell’unificazione del paese, dall’altra era contestato dagli abitanti delle altre regioni. [...] Analogamente il problema delle regioni ha finito per ridiventare attuale solo con la costituzione del 1947, pur con una configurazione assai diversa da quella del 1812. Così le istituzioni comunali, sotto questo o quel nome, hanno con successo attraversato i secoli. Le questioni religiose hanno conosciuto una evoluzione grosso modo simile
a quanto è avvenuto nel settore civile. Durante la Restaurazione gli Asburgo rimasero fedeli alla dottrina cattolica [...] Nel periodo che va dalla presa di Roma agli accordi del Laterano (1870-1929) la nuova amministrazione italiana si ricollegò alla precedente esperienza napoleonica sulla via dell’antipapismo ed estese le secolarizzazioni all’intero territorio. Nondimeno il divorzio fu introdotto nella legislazione italiana solo nel 1970. In materia di assistenza sociale e d’istruzione pubblica, sono sopravvissute le istituzioni locali meglio ancorate al passato: gli ospedali, gli orfanotrofi, gli istituti per anziani sistemati in nuove sedi e le accademie di Belle Arti mantenute nelle sedi originarie. [...] Con il rinnovamento dell’economia e della società l’insegnamento si è molto diversificato ma i licei, rivitalizzati nel 1859 da una legge di Gabrio Casati1, [...] sono sempre là. In fin dei conti, alla domanda se resta oggi qualche cosa in Italia degli anni 1802-1814 occorre dare una risposta positiva. Senza nulla togliere alle sue glorie originali, senza nulla negare di ciò che essa ha potuto sopportare nel
corso di quegli anni movimentati, senza nulla dimenticare di ciò che le è proprio, senza nulla negare del suo ruolo attuale in una Europa in costruzione, è tuttavia giusto riconoscere i benefici tratti dall’Italia dal passaggio di un conquistatore che non le era del tutto estraneo e che agì anche come un fondatore. La struttura che Napoleone le ha dato ha ampiamente tenuto e ha permesso un’evoluzione che egli probabilmente non avrebbe rinnegato. 1. Gabrio Casati (1798-1873) fu ministro della Pubblica istruzione del Regno di Sardegna dal 1859 al 1860 e varò un’importante riforma scolastica (la legge Casati), che rimase in vigore anche nello Stato italiano unitario.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le eredità del periodo napoleonico. b Suddividi l’operato di Napoleone in categorie e descrivi per iscritto, per ognuna di esse, quali sono stati, secondo l’autore, i benefici per l’Italia.
PISTE DI LAVORO
DAI DOCUMENTI ALLA STORIA 1 Dopo aver letto i documenti e i brani che si riferiscono alla figura di Napoleone e alle sue politiche e azioni sociali, scrivi un testo di massimo 25 righe dal titolo Napoleone e l’Europa, utilizzando la seguente scaletta: • la politica territoriale • la guerra • la propaganda • la società napoleonica LO STORICO RACCONTA 2 Scrivi dei brani descrittivi di massimo 10 righe sugli argomenti qui
di seguito elencati; prima di procedere con la scrittura, evidenzia nei documenti e testi indicati i concetti che intendi utilizzare nel tuo elaborato e realizza una scaletta:
• la spedizione napoleonica in Egitto (brano di Migliorini [►80] e documento nell’incontro tra francesi ed egiziani [►81d]); • le rivoluzioni esportate, quando i princìpi rivoluzionari attecchiscono oltre i confini nazionali (brani di Bayly [►78], Abbattista [►79], El-Gabarti [►81d] e Pillepich [►86]); • Napoleone e la storia istituzionale e sociale italiana (brani di De Francesco [►85] e Pillepich [►86]). IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 3 Dopo aver letto i brani degli storici, rispondi alla seguente domanda in un testo di circa 20 righe facendo esplicito riferimento ai brani che ti sembrano più opportuni: • Napoleone è stato un dittatore che ha arginato il potere della Rivoluzione o un modernizzatore che ha trasformato i princìpi astratti della Rivoluzione in un modello di Stato e di società?
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FARESTORIA La rivoluzione oltre i confini nazionali
LA NASCITA DELL’INDUSTRIA MODERNA IN GRAN BRETAGNA E LE SUE CONSEGUENZE La Gran Bretagna, e in particolare l’Inghilterra, fu il paese da cui prese il via il processo di industrializzazione che si diffuse poi, nel giro di pochi decenni, prima sul continente europeo e nel mondo occidentale e, in seguito, in tutto il mondo. Da sempre gli storici si sono chiesti perché proprio questo paese fu il motore di quella che è stata definita una vera e propria “rivoluzione industriale”. Come afferma nel primo brano Joel Mokyr [►87], in Gran Bretagna avvenne innanzitutto una rivoluzione tecnologica, non tanto (e soltanto) grazie alle invenzioni e scoperte di straordinari scienziati britannici, quanto per la presenza di una società imprenditoriale che seppe sfruttare nel modo più opportuno le nuove tecniche e migliorarle continuamente. Patrick O’Brien [►88], mostra inoltre come la Gran Bretagna fosse dotata di risorse e specificità naturali dovute alla sua posizione geografica e alla conformazione del territorio: elementi importanti quanto la tecnologia e le disponibilità finanziarie, soprattutto nelle fasi iniziali di sviluppo. Il brano successivo, tratto da una classica e celebre opera di David S. Landes [►89], riporta l’attenzione sulla particolarità e l’unicità del mercato britannico, presupposto al processo di industrializzazione, mentre Robert C. Allen [►90] mostra l’importanza di un settore economico trainante in quel periodo: l’industria del cotone. Sempre Joel Mokyr [►91] descrive la nascita della fabbrica moderna in questi anni: non un sistema di organizzazione del lavoro totalmente nuovo, in realtà, ma un sistema che con la rivoluzione industriale si cominciò a diffondere a macchia d’olio su tutto il territorio britannico. Con le osservazioni di Pat Hudson [►92] si passa all’analisi delle conseguenze che il processo di industrializzazione portò con sé fin dalle sue prime fasi: innanzitutto lo spostamento progressivo di migliaia di individui dalle campagne ai centri urbani, accompagnato dagli effetti che questo ebbe da un punto di vista sociale e culturale per moltissimi uomini e donne. Stephen Mosley [►93], a questo proposito, si sofferma sulla nascita della prima vera città industriale, Manchester, e sui suoi problemi, in particolare ambientali. Nell’ultimo brano, Carlo Maria Cipolla [►94] propone una breve riflessione sulle trasformazioni irreversibili introdotte dalla rivoluzione industriale, considerata come l’inizio di una nuova epoca.
87 J. MOKYR UNA RIVOLUZIONE TECNOLOGICA
J. Mokyr, Leggere la rivoluzione industriale. Un bilancio storiografico, il Mulino, Bologna 1997, pp. 47-51.
Uno dei maggiori studiosi della rivoluzione industriale, lo storico Joel Mokyr (nato nel 1946) sostiene che a spingere verso l’industrializzazione la Gran Bretagna del ’700 fu soprattutto
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Se si è d’accordo che alla base della rivoluzione industriale fu qualcosa che chiamiamo creatività tecnologica, allora è opportuno interrogarsi sui fattori che ne furono responsabili. Tanto per cominciare, la Gran Bretagna non pare aver goduto di un vantaggio particolare nella realizzazione di macroinvenzioni: un gran numero di queste ultime venne realizzato all’estero, in particolare in Francia. [...] Ciò può apparire poco ortodosso a coloro che pensano alle pietre miliari poste da Richard Trevithick1, Richard Arkwright2 e Henry Cort3 [...]. L’economia britannica, parlando per approssimazione, era importatrice netta di macroinvenzioni ed esportatrice di microinvenzioni e perfezionamenti mino-
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
la tecnologia. In questo brano, l’autore spiega quali furono i caratteri della superiorità tecnologica britannica rispetto agli altri paesi: non furono tanto le grandi invenzioni a fare la differenza, bensì i piccoli e costanti miglioramenti delle tecniche. Di conseguenza, i principali attori della vicenda non furono solo gli uomini di scienza, ma anche i meccanici sperimentatori o gli artigiani con un forte spirito imprenditoriale.
ri. [...] La Gran Bretagna prese le grandi invenzioni dove le trovò, ma tutto quel che fu preso in prestito venne migliorato e raffinato. Alla vigilia della rivoluzione industriale la Gran Bretagna non era ai primi posti del mondo scientifico né poteva vantare un sistema educativo particolarmente efficiente. [...] L’insegnamento consentiva i migliori risultati al di fuori delle scuole, e la Gran Bretagna formava la maggior parte dei suoi ingegneri e meccanici attraverso il tradizionale sistema di apprendistato, senza affidarsi ad un’istruzione formale specifica. In un campione di 498 scienziati applicati e ingegneri nati tra il 1700 e il 1850, 91 ricevettero la loro istruzione in Scozia, 50 a Oxbridge4 e 329 (circa i due terzi) non ebbero alcun
tipo di istruzione universitaria. Eppure si trattava di persone che avevano sete di conoscenze tecniche, applicate e pragmatiche, che desideravano sapere come fare le cose e come farle a buon mercato e durevoli. Alcuni di essi studiarono pres-
1. Richard Trevithick (1771-1833), il costruttore della prima locomotiva (1804). 2. Richard Arkwright (1732-1792), inventore del filatoio idraulico. 3. Henry Cort (1740-1800), inventore di un nuovo procedimento per la produzione della ghisa. 4. Oxbridge: termine che fonde Oxford e Cambridge. In questo caso indica le università delle due città.
so le università scozzesi o le accademie dissenzienti, ma molti erano autodidatti o avevano acquisito le loro conoscenze frequentando personalmente esperti, biblioteche, conferenzieri itineranti e istituti di meccanica. Verso la metà del XIX secolo esistevano in Gran Bretagna 1020 associazioni per la conoscenza tecnica e scientifica con un totale di affiliati attorno alle 200.000 persone. Per la Gran Bretagna dell’epoca tale sistema evidentemente funzionava. Esso produsse alcuni dei più bravi ingegneri applicati della storia. Nella misura in cui i progressi tecnologici non richiedevano una comprensione di fondo delle leggi della fisica o della chimica su cui erano basati e potevano essere realizzati da brillanti ma intuitivi meccanici e tenaci sperimentatori, la capacità britannica di creare o adattare nuove tecnologie produttive fu somma. Nella maggior parte dei casi gli inventori e gli ingegneri erano abili mercanti o intraprendenti artigiani le cui idee tecniche erano spesso figlie della fortuna, dell’accidente (serendipity) o dell’ispirazione, anche se per completare con successo il processo innovativo occorreva pazienza, determinazione e fiducia. Inoltre, alcune delle industrie specializzatesi in Gran Bretagna prima del 1760 richiedevano abili meccanici. La manifattura di orologi e strumenti, le costruzioni navali, la fabbricazione del ferro, la stampa, la finitura della lana e l’attività estratti-
va richiedevano un livello di competenze tecniche che riuscirono utili quando si trattò di tradurre nuove idee da progetti a modelli e da modelli a prodotti reali. [...] Dietro i grandi ingegneri, c’era la schiera molto più numerosa di artigiani e meccanici qualificati, dalla cui abilità e destrezza dipesero i massimi inventori e il successo tecnologico britannico. Questi lavoratori sconosciuti ma capaci assicurarono un flusso cumulativo di anonime e piccole ma indispensabili microinvenzioni senza le quali la Gran Bretagna non sarebbe divenuta l’«officina del mondo». È prematuro, forse, parlare di un’industria delle invenzioni a proposito di questo periodo, ma è chiaro che per creare le invenzioni associate con la rivoluzione industriale divennero via via più essenziali conoscenze meccaniche di un livello superiore a quello del comune artigiano. Decine di riviste e di volumi di atti di società scientifiche videro la luce prima del 1800, per lo più dopo il 1760. Una brama diffusa di conoscenza penetrò in Gran Bretagna fin nelle più piccole cittadine del regno, dove erano molto richiesti i conferenzieri itineranti. Gran parte di questa «cultura scientifica provinciale» era privata, meritocratica, non elitaria e pertanto in conflitto in qualche modo con l’establishment sociale. Le persone che lavoravano all’applicazione dei principi della fisica, della chimica e della biologia nel loro lavoro quotidiano erano assetate
88 P.K. O’BRIEN PERCHÉ L’INGHILTERRA?
P.K. O’Brien, Provincializzare la prima Rivoluzione industriale, in La rivoluzione industriale tra l’Europa e il mondo, a c. di T. Detti e G. Gozzini, Bruno Mondadori, Milano 2009, pp. 68-73.
In questo brano, lo storico britannico Patrick Karl O’Brien (nato nel 1932) pone l’attenzione sulla specificità della situaPer secoli, prima del 1750, le isole britanniche erano state favorite da una collocazione geografica e da un settore agricolo adatto alle trasformazioni strutturali – esemplificate da rendimenti molto buoni (ma non straordinari) per ettaro di terreno arabile coltivato e, soprattutto, da alti livelli di produzione per lavoratore, se paragonati con quelli di altre parti d’Europa e più ancora con l’India e la Cina. Ma a parte i terreni e i climi favorevoli dell’isola, da dove derivavano questi preesistenti
di innovazioni. In questo ambiente sarebbero prosperate le microinvenzioni, il graduale perfezionamento delle idee pionieristiche. Nelle prime fasi della rivoluzione industriale quest’abilità fu la chiave del successo tecnologico britannico. [...] Nel primo XIX secolo la Gran Bretagna cercò invano di custodire il segreto del proprio successo proibendo l’esportazione di macchine e l’emigrazione di meccanici qualificati. In realtà, come aveva importato macroinvenzioni, così esportò microinvenzioni e le persone capaci di realizzarle. Gli ingegneri che diffusero le nuove tecnologie nel continente dopo il 1800 si chiamavano Cockerill, Hodson, Ainsworth, Douglas e Holden. Nella misura in cui i flussi degli scambi sono un indice del vantaggio relativo, tali flussi dimostrano la superiorità tecnologica britannica.
METODO DI STUDIO
a Spiega che tipo di formazione ricevevano gli ingegneri e i tecnici e perché era funzionale allo sviluppo industriale dell’epoca. b Sottolinea le caratteristiche della «cultura scientifica provinciale». c Spiega per iscritto quali fattori determinarono il successo tecnologico britannico.
zione inglese e su quei fattori di lunga e breve durata che ci aiutano a capire perché la Gran Bretagna fu il motore della rivoluzione industriale. In particolare si sofferma sulla geografia e sulle risorse naturali proprie del territorio britannico, che determinarono scelte economiche e politiche fondamentali per un precoce sviluppo industriale.
ma fondamentali vantaggi nell’agricoltura? I sostenitori della tradizionale visione anglocentrica ribadiscono che nelle isole britanniche è apparso prima che nella parte continentale dell’Eurasia un insieme piuttosto peculiare formato da diritti di proprietà e patti agrari relativi all’accesso alla terra. Con il passare dei secoli, l’evoluzione di questo sistema inglese di diritti di proprietà promosse la formazione di unità produttive su larga scala, mercati flessibili per la proprietà della terra, una
concentrazione di rendite provenienti dal possesso di risorse naturali e soprattutto una riduzione costante nell’estensione e nel controllo da parte delle famiglie contadine sia della terra sia del lavoro: la prima potenzialmente disponibile per essere concessa a fattorie in enclosure1 su scala più larga e il secondo per l’impiego, 1. La recinzione dei terreni comuni, iniziata già intorno al XIV secolo in Inghilterra, che ne determinò la privatizzazione e la conseguente
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FARESTORIA La nascita dell’industria moderna in Gran Bretagna e le sue conseguenze
inizialmente in qualità di lavoratori salariati dagli imprenditori agricoli capitalisti, e in seguito, quando emersero le richieste, per il lavoro protoindustriale e urbano. [...] Il sistema dei diritti di proprietà agraria (in funzione ben prima dei tempi della Rivoluzione industriale) avvantaggiò la precoce transizione del regno verso un’economia industriale che includeva le straordinarie capacità dell’agricoltura britannica di cedere («espellere») forza lavoro verso altri settori dell’economia. [...] Una spinta dall’alto unita a una crescente «attrazione» esercitata dagli alti salari potenzialmente disponibili per chi migrava dalla campagna verso Londra e altre città della costa, impegnate a realizzare guadagni attraverso il commercio e la specializzazione, fornì per secoli alla Gran Bretagna mercati eccezionalmente flessibili per la manodopera prima che l’industria urbana richiedesse una quota rapidamente crescente di forza lavoro della nazione. [...] Nondimeno, descrizioni più riduzionistiche dei vantaggi dell’isola in vista di una transizione precoce furono fornite dagli agronomi fisiocratici2 che visitarono l’Inghilterra nel XVIII secolo. Sebbene essi ne lodassero l’insieme peculiare di patti agrari, unito alla struttura concentrata della proprietà terriera e alla gestione nobiliare delle grandi tenute, la maggior parte insisteva sul primato della geografia. La loro percezione che le favorevoli dotazioni ambientali (in particolare l’erba) incoraggiassero il costante accumulo di pecore, bovini, maiali e soprattutto cavalli, è oggi un luogo comune della storia dell’agricoltura. Prima della guerra civile3 il gran numero di animali permise produzioni di alto valore, approvvigionamenti extra di energia e circolazione di fertilizzanti organici che avevano portato l’agricoltura inglese in cima alle graduatorie europee e a un livello da cui il settore primario poteva (con il crescente aiuto delle terre e del lavoro dell’Irlanda colonizzata) sostenere la crescita accelerata
della popolazione, la protoindustrializzazione e una urbanizzazione diffusa. La geografia non solo è più importante delle istituzioni, ma contribuisce in larga misura a spiegarne forma ed evoluzione. Wrigley4 ha ricondotto al centro della prima Rivoluzione industriale un altro vantaggio naturale altrettanto significativo che la Gran Bretagna derivò dal facile accesso tramite il trasporto via acqua ad abbondanti giacimenti di energia inorganica a basso costo, sotto forma di carbone. Certo anche i suoi concorrenti europei, particolarmente Belgio, Germania (anche Francia e Cina) possedevano foreste sotterranee, ma non della stessa qualità e neanche lontanamente così economiche per il trasporto verso le città costiere. La Gran Bretagna avviò e completò il passaggio dalle fonti di energia organiche a quelle inorganiche (minerali) diversi decenni prima del resto d’Europa. Agli inizi dell’Ottocento, famiglie e aziende consumavano circa quindici milioni di tonnellate di carbone all’anno contro i tre milioni del resto d’Europa messo insieme. [...] Le economie e le città dell’Europa continentale e dell’Asia orientale trovarono sostituti nella torba, nel legno, nell’acqua, nel vento, nell’energia umana; ma dal punto di vista di una industrializzazione precoce, il vantaggio di usare la forma termica di energia più economica ed efficiente si dimostrò sostanziale. L’energia derivata dal vento e dall’acqua è per esempio meno affidabile e prevedibile. [...] Come combustibile sostitutivo del legno, il carbone permise che più terra e altre risorse fossero dedicate alla coltura di prodotti alimentari e di altre materie prime agricole. [...] I processi industriali intensivi a base di calore nella metallurgia, nella fabbricazione del vetro, nella fermentazione, nella raffinazione dello zucchero e del sale, nella chimica, nella cottura del pane e dei mattoni ecc. potevano tutti quanti essere condotti in maniera più efficiente per mezzo di un carbone a basso costo. Le ricadute e gli
89 D.S. LANDES IL MERCATO INGLESE
D.S. Landes, Prometeo liberato. Trasformazioni tecnologiche e sviluppo industriale nell’Europa occidentale dal 1750 ai giorni nostri, Einaudi, Torino 1978, pp. 63-70.
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Secondo lo storico statunitense David S. Landes (1924-2013), uno dei più autorevoli studiosi dei processi di industrializzazione e della storia dell’economia, le cause del primato britannico vanno ricercate principalmente nella particolarità del-
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
intrecci tecnologici provenienti da queste industrie per la metallurgia e per la fabbricazione di fornaci, pentole, vasche e contenitori risultarono importanti anche per lo sviluppo industriale. Il combustibile più economico che manteneva i lavoratori al caldo a casa e al lavoro ridusse le loro esigenze di calorie necessarie per gli sforzi umani maggiori richiesti dalla produzione. Allo stesso tempo mattoni e metalli a costo più basso usati per la costruzione di case in città, nei borghi e negli insediamenti industriali permisero di risparmiare capitale, che poteva essere investito in beni pubblici e nell’industria stessa. [...] In un tempo in cui il progresso tecnologico che aumentava la produttività del lavoro rimaneva lento e confinato a pochi settori dell’industria, i Paesi favorevolmente dotati di terra fertile, di minerali, di vie d’acqua naturali e soprattutto di un combustibile più economico collegato a una tecnologia ancora in sviluppo ma emergente (la forza motrice del vapore) presero la testa nel «salto in avanti» per diventare economie industriali di mercato.
perdita dei diritti spettanti tradizionalmente alle comunità agricole (diritto di pascolo, di raccolta della legna, ecc.). 2. La fisiocrazia è la dottrina economica sviluppatasi in Francia nella seconda metà del XVIII secolo, che riconosce una centralità all’agricoltura, ritenendola l’unica fonte di ricchezza (in quanto, ad esempio, assicura all’uomo le materie prime e i mezzi di sostentamento a chi vi lavora). 3. Si riferisce agli eventi rivoluzionari inglesi di metà ’600. 4. Edward Anthony Wrigley (nato nel 1931), storico e demografo britannico. METODO DI STUDIO
a Sottolinea gli elementi che favorirono il settore agricolo in Gran Bretagna. b Spiega per iscritto il valore della geografia per lo sviluppo britannico facendo riferimento agli aspetti naturali, economici e tecnologici.
la struttura sociale ed economica della Gran Bretagna di fine ’700, caratterizzata da un alto tasso di urbanizzazione, da un elevato reddito medio, da un mercato interno sostanzialmente libero e in forte espansione. Come spiega in questo brano, tratto da un suo celebre libro pubblicato nel 1969, furono una più equa distribuzione dei redditi e una maggiore mobilità sociale a favorire in Inghilterra un’espansione della domanda di manufatti e del mercato.
Nel mercato inglese il potere d’acquisto pro capite e il tenore di vita erano notevolmente più alti che sul continente. [...] Il contadino inglese non solo mangiava meglio; ma spendeva per il cibo una parte minore del suo reddito che non i suoi simili sul continente [...]. Di conseguenza aveva più denari da spendere per altre cose, compresi i manufatti. L’inglese era noto per portare scarpe di cuoio, mentre il fiammingo o il francese aveva ai piedi gli zoccoli; si vestiva di lana, mentre il contadino francese o tedesco rabbrividiva spesso in panni di lino, nobile tessuto per la tavola o il letto, ma riparo mediocre contro i rigori degli inverni europei. [...] Più di ogni altra comunità europea, probabilmente, quella inglese era una società aperta. Non soltanto il reddito era più egualmente distribuito che al di là della Manica; ma le barriere alla mobilità sociale meno alte, e le definizioni di rango meno rigide. [...] Nelle società non primitive, tecnicamente abbastanza avanzate e in cui si ha una certa accumulazione di ricchezza, l’ineguaglianza alimenta nei pochi il gusto di lussi e servizi stravaganti, laddove l’eguaglianza incoraggia nei molti la domanda di agi più solidi e sobri. Le grandi ricchezze in un mare di povertà sono generalmente il prodotto di un basso rapporto capitale-lavoro (o di un cattivo investimento dei capitali). Esse danno origine a un prodigo dispendio di energie lavorative per i piaceri e l’eleganza del vivere: una sovrabbondanza di domestici [...]; abiti di gala di gran prezzo; residenze decorate sontuosamente; produzione di opere d’arte squisite e difficili. Una più eguale diffusione della ricchezza, invece, è il risultato di un alto costo del
lavoro. Questo era appunto il caso dell’Inghilterra, dove i salari [...] risultavano all’incirca il doppio che in Francia e anche più alti rispetto alle regioni a est del Reno. In un’economia simile, si hanno funzioni produttive a più alta intensità di capitale, mentre il ricco consumatore è meno incline al capriccio e si accontenta di una maggiore abbondanza di quei beni che in quantità minore e in qualità inferiore sono accessibili anche ai suoi simili meno abbienti. D’altra parte, il potere d’acquisto relativamente elevato dei ceti meno abbienti della popolazione implica una domanda corrispettivamente maggiore delle cose di cui costoro hanno bisogno e che possono permettersi: gli articoli più a buon mercato e di più semplice fattura, suscettibili di essere prodotti in massa. La mobilità, in una società simile, agisce a favore della standardizzazione. Nella mobilità infatti è insita l’emulazione, e l’emulazione promuove la diffusione di modelli
PALESTRA INVALSI
1 L’espressione «l’inglese era noto per portare scarpe di cuoio [...] si vestiva di lana» significa che... [ ] a. in Inghilterra ha sempre fatto molto freddo ed era necessario utilizzare scarpe e vestiti più caldi che nel resto d’Europa. [ ] b. gli inglesi più ricchi avevano gusto per il lusso e per servizi stravaganti. [ ] c. la società inglese era una società aperta ai nuovi consumi. [ ] d. in Inghilterra anche i contadini inglesi guadagnavano abbastanza per sfamarsi e per acquistare beni che in altri Stati europei non erano loro concessi. 2 Il messaggio principale del testo è che... [ ] a. gli esercenti inglesi potevano vendere ciò che volevano, dove volevano. [ ] b. in Inghilterra la distribuzione dei redditi era tale da favorire la mobilità sociale e l’aumento della domanda di manufatti. [ ] c. i contadini francesi e fiamminghi indossavano zoccoli di legno e abiti di lino. [ ] d. la mobilità sociale inglese aveva disincentivato il mercato interno dei manufatti.
90 R.C. ALLEN L’INDUSTRIA DEL COTONE
R.C. Allen, La rivoluzione industriale inglese, il Mulino, Bologna 2011, pp. 225-27.
Il brano seguente è tratto da un importante lavoro dello storico statunitense Robert C. Allen (nato nel 1947), il quale analizza la rivoluzione industriale inglese inserendola nel L’industria del cotone fu il vero e proprio miracolo della rivoluzione industriale. Partendo da un modesto inizio l’occupazione raggiunse le 425 mila unità nel decennio 1830-40, quando rappresentava il 16% dei posti di lavoro nell’industria britannica e l’8% del PIL
di spesa in tutto il corpo della popolazione. [...] Nonostante la sporadicità dei dati, appare chiaro che il commercio inglese del XVIII secolo era a paragone di quello continentale singolarmente energico, intraprendente e aperto alle innovazioni. La spiegazione è in parte istituzionale: gli esercenti inglesi erano relativamente esenti da restrizioni consuetudinarie o legali circa l’oggetto o il carattere della loro attività; potevano vendere ciò che volevano e dove volevano, ed erano liberi di farsi concorrenza, e se la facevano, con i prezzi, la pubblicità e il credito. [...] In conclusione, il mercato interno dei manufatti era in aumento, grazie al miglioramento delle comunicazioni, all’incremento della popolazione, all’elevato e crescente reddito medio, a un modello di acquisto favorevole a prodotti solidi, standardizzati e di modico prezzo, e a un’iniziativa commerciale libera da strettoie.
contesto economico mondiale dell’epoca. L’autore ripercorre le decisive fasi dello sviluppo tecnologico nell’ambito della produzione e della lavorazione del cotone in Inghilterra, che portarono alla meccanizzazione di un settore fondamentale, capace di trainare il processo di industrializzazione in questo paese.
nazionale [...] Come d’incanto comparvero grandi città dove vivevano e lavoravano gli operai dei cotonifici. Spiegare come e perché l’industria del cotone divenne così grande è fondamentale per comprendere la rivoluzione industriale nel suo complesso. L’innovazione tec-
nologica è una parte centrale di questa storia. A metà del Settecento l’Inghilterra aveva ancora un’industria cotoniera ridotta rispetto agli standard mondiali, in cui erano lavorate circa 1.300 tonnellate di filati l’anno [...]. La Francia era l’altro grande produttore europeo, più
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FARESTORIA La nascita dell’industria moderna in Gran Bretagna e le sue conseguenze
o meno della stessa importanza della Gran Bretagna. Entrambi i paesi, però, erano degli gnomi rispetto al Bengala1, che produceva circa 38 mila tonnellate all’anno ed era un importante concorrente dei produttori europei in mercati come quello africano, dove il cotone veniva scambiato con gli schiavi. Il cotone veniva prodotto all’epoca con tecniche manuali. Prima dell’inizio della lavorazione, veniva pulito e mondato da impurità come semi e steli. Il passo successivo era rappresentato dalla cardatura: il cotone veniva collocato tra due carde2 manuali tempestate di spilli che venivano poi strusciate l’una contro l’altra, in modo che gli spilli pettinassero le fibre di cotone allineandole nella stessa direzione. Le fibre venivano quindi unite formando un «nastro» di lunghezza indefinita destinato a essere poi filato. La scelta della tecnica di filatura dipendeva dallo spessore del filato, misurato dai suoi count3. Un tessuto grezzo del tipo di quello usato per i jeans moderni, corrispondeva a 16-20 count, i tessuti più fini come quelli impiegati per le camice all’incirca 40, mentre le migliori mussole4 arrivavano a varie centinaia di count. I tessuti di meno di 50 count venivano ovunque filati con l’arcolaio5. Le mussole di miglior qualità venivano prodotte solo in India ed erano filate per mezzo di un arcolaio a pedale. A prescindere dalla quantità dei count, comunque, i filati venivano trasformati in tessuti per mezzo di telai a mano. La storia tecnologica dell’industria del cotone coincide con la storia della meccanizzazione di ciascuno di questi processi. La filatura fu meccanizzata prima della tessitura [...]. Il problema della filatura attirò l’attenzione degli addetti
MODERNA
ai lavori già durante tutta la prima metà del Settecento. Kerridge6 [...] afferma infatti di aver scoperto un filatoio utilizzato a Norwich già agli inizi di quel secolo. Lewis Paul e John Wyatt, dal canto loro, riuscirono quasi a inventarne uno con successo. Tra il 1740 e il 1760, infatti, essi sperimentarono un filatoio a rulli e, assicuratisi due brevetti, aprirono una fabbrica a Birmingham con cui però non riuscirono a fare soldi [...]. Il successo venne invece raggiunto per la prima volta da James Hargreaves, che attorno al 1765 inventò la «Spinning Jenny». Richard Arkwright lo seguì poi in fretta, perfezionando il filatoio idraulico a rulli. La filatura manuale era stata organizzata fino ad allora come un’attività domestica e fu proprio nel contesto della lavorazione a domicilio che la «Jenny» si affermò velocemente. Il filatoio idraulico di Arkwright fu invece fin dall’inizio più adatto alle fabbriche. [...] Né la «Jenny» né il filatoio idraulico erano comunque adeguati per realizzare filati con un’elevata quantità di count. Tra il 1770 e il 1780 Samuel Crompton combinò gli elementi tipici della «Jenny» e del filatoio per costruire una nuova macchina chiamata «mulo», che poteva produrre filati in grado di competere con i migliori realizzati in India. Essa gettò quindi le basi del dominio mondiale britannico nel campo dei prodotti di cotone nel corso dell’Ottocento. La «Jenny», il filatoio idraulico e il «mulo» furono invenzioni chiave per la meccanizzazione della filatura del cotone, ma costituiscono solo una parte della storia. Non solo, infatti, queste macchine furono a loro volta oggetto di perfezionamenti, ma vennero meccanizzati in quell’epoca anche altri processi, come
91 J. MOKYR LA NASCITA DELLA FABBRICA
J. Mokyr, I doni di Atena. Le origini storiche dell’economia della conoscenza, il Mulino, Bologna 2004, pp. 177-81.
Nel suo volume I doni di Atena lo storico Joel Mokyr (nato nel 1946) analizza il fondamentale ruolo che ha avuto la conoscenza tecnologica e scientifica nello sviluppo economico e sociale
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Prima della rivoluzione industriale la manifattura era [...] un’industria senza industriali. Di certo questo era vero per
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
la pulitura, la cardatura e l’incannatura7. I macchinari dovettero inoltre essere sistemati entro un determinato spazio, fu poi necessario coordinare il passaggio da una macchina all’altra dei materiali che venivano lavorati e, infine, si dovette risolvere il problema della produzione e della distribuzione dell’energia. Ci volle poi un’adeguata divisione del lavoro. In altri termini si dovette «inventare» il cotonificio, proprio come si dovettero inventare i singoli macchinari per la filatura. 1. Regione asiatica corrispondente agli attuali Bangladesh e parte dell’India orientale. 2. La carda è una macchina per la filatura costituita da parti cilindriche rotanti rivestite di punte. 3. Unità di misura per classificare filati di cotone. 4. Tessuto leggero e morbido. 5. Macchinario domestico che serviva a ridurre in gomitoli le matasse di cotone. 6. Eric Kerridge (nato nel 1919), storico della rivoluzione industriale e dell’economia inglese. 7. Operazione attraverso la quale un nastro o un filo vengono avvolti intorno a un supporto.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le informazioni che permettono di comprendere cosa rese possibile lo sviluppo dell’industria del cotone durante la rivoluzione industriale e perché è possibile definirlo “miracoloso”. b Sottolinea e numera le tappe della modernizzazione della produzione del cotone. c Argomenta per iscritto il significato della frase «Si dovette “inventare” il cotonificio».
del mondo negli ultimi due secoli. In questo brano, l’autore spiega in che modo avvenne, nel corso della rivoluzione industriale, il graduale passaggio al sistema di fabbrica moderno: solo lo sviluppo della meccanizzazione e la nuova tecnologia fecero sì che questa soluzione potesse essere considerata più conveniente del lavoro a domicilio e che le fabbriche prendessero il posto delle piccole unità manifatturiere di carattere familiare.
l’artigiano indipendente, che lavorava per conto proprio con l’aiuto dei familiari e di alcuni apprendisti cooptati
nell’unità domestica. Anche coloro che, in una forma o nell’altra, dipendevano da un capitalista, lavoravano per lo più
in casa propria. [...] I grandi stabilimenti industriali non erano del tutto sconosciuti prima della rivoluzione industriale. [...] La più «moderna» di tutte le industrie era forse quella della filatura della seta. Il setificio di Derby costruito da Thomas Lombe1 nel 1718 dava lavoro a trecento operai ed era situato in un palazzo di cinque piani. Alla scadenza del brevetto di Lombe, grandi setifici costruiti sul modello del suo apparvero in altre località. Altrettanto famosa fu la ferriera di Crowley, fondata nel 1682 a Stourbridge nelle Midlands (non lontano da Birmingham) che arrivò a impiegare ottocento persone. Tuttavia queste aziende atipiche erano ancora piuttosto diverse dalla fabbrica moderna. Buona parte del lavoro era assegnata ad artigiani che lavoravano il ferro in casa propria o nella propria officina. L’azienda di Ambrose Crowley2 faceva eccezione nel senso che disponeva di un sistema di supervisione, monitoraggio e arbitrato del tutto peculiare. Altiforni, birrerie, cantieri navali, miniere, cartiere, cantieri edili e alcune altre industrie producevano da tempo al di fuori del contesto del lavoro a domicilio, in quanto quest’ultima dimensione non era economicamente praticabile. Nel settore tessile, una produzione controllata in officina si riscontra prima del 1770 nell’industria laniera del Devon [...]. Tuttavia in industrie come quella laniera dello Yorkshire e nell’industria dei metalli delle Midlands, la produzione accentrata controllava solo alcuni stati del prodotto e raramente vigeva quel grado di controllo e disciplina che si associa alla «fabbrica» vera e propria. Ogniqualvolta era possibile, il lavoro veniva affidato a piccoli artigiani che lavoravano in casa, i quali talvolta si riunivano in cooperative quando le economie di scala erano consistenti. Persino quelle fabbriche erano dunque un compromesso tra il sistema del lavoro a domicilio e la necessità di allocare la produzione lontano dalle abitazioni. La rivoluzione industriale dunque non «inventò» assolutamente il sistema di fabbrica, ma gradualmente e implacabilmente fece nascere fabbriche dove non ve n’erano. La maggior parte delle aziende non passò improvvisamente dal sistema del lavoro a domicilio alla fabbrica, ma continuò ad affidare alcuni processi ai lavoratori a domicilio fin
quando la meccanizzazione e la complessità tecnologica si furono talmente estese da rendere proficuo radunare i lavoratori sotto uno stesso tetto. Il migliore esempio di questo sistema di fabbrica misto ci viene dall’industria cotoniera. Nel 1760 il cotone veniva lavorato generalmente a livello familiare. Il filatoio idraulico cambiò tutto. Le officine di Richard Arkwright a Cromford impiegavano circa trecento operai: lo stesso Arkwright contribuì a fondare gli opifici di New Lanark in Scozia, che nel 1815 impiegavano 1600 lavoratori (in gran parte all’interno degli stabilimenti). Benché aziende di tali dimensioni fossero forse eccezionali, nel 1800 esistevano in Gran Bretagna circa novecento stabilimenti per la filatura del cotone, un terzo dei quali erano «opifici» con oltre cinquanta addetti e gli altri piccoli capannoni e laboratori con pochissimi addetti ma pur sempre di dimensioni superiori a quelle delle aziende familiari. Il filatoio intermittente cambiò rapidamente la dimensione delle aziende, soprattutto dopo che fu abbinato al vapore: dapprima, all’inizio degli anni novanta del XVIII secolo, la maggioranza dei cotonifici consisteva di piccole aziende fino a dieci addetti e poche fabbriche sul modello di quella di Arkwright con 300-400 lavoratori. All’inizio degli anni trenta del XIX secolo, quando le nostre stime cominciano a basarsi su statistiche fondate anziché sulle supposizioni e le dichiarazioni dei contemporanei, l’azienda media di Manchester aveva circa 400 addetti. Gli impianti grandissimi e piccolissimi cedettero il passo a quelli di medie dimensioni, con un numero di operai compreso tra i 150 e 400. A quell’epoca il filatore a domicilio era scomparso da tempo. [...] In altre industrie la transizione fu meno spettacolare, in quanto alcuni grandi stabilimenti esistevano già prima del 1760 o in quanto, per una ragione o per l’altra, la manifattura a domicilio riuscì a sopravvivere. Ciò vale soprattutto per la siderurgia. Nonostante le poche grandi ferriere che esistevano attorno al 1750, questa branca dell’industria era ancora imperniata su unità produttive di piccole dimensioni e una parte consistente della produzione avveniva in piccole fucine adiacenti alle abitazioni di fabbri e chiodai. La grande invenzione, nel 1785, del pro-
cesso di pudellaggio e laminatura a opera di Cort3, cambiò il volto dell’industria e rese efficiente la produzione su grande scala nel processo di raffinazione. Alcune delle nuove ferriere assunsero dimensioni senza precedenti come quella di Cyfarthfa nel Galles, che dava lavoro a 1500 operai nel 1810 e 5000 nel 1830, e quella di Dowlais, di dimensioni analoghe. Contemporaneamente però nella ferramenta e nelle costruzioni meccaniche prevalevano le piccole officine [...]. Nelle attività correlate di Sheffield e Birmingham, come ad esempio la fabbricazione di posate, giocattoli, armi, chiodi e fibbie, le fabbriche di grandi dimensioni erano rare e buona parte della produzione si concentrava in piccole officine e abitazioni, inframmezzate qua e là da unità più grandi. 1. Thomas Lombe (1685-1739), commerciante inglese che insieme al fratello John Lombe (1693-1722) introdusse in Inghilterra un innovativo metodo di lavorazione della seta. 2. Ambrose Crowley (1658-1713), commerciante e creatore di un’importante azienda di lavorazione del ferro. 3. ►10_4.
METODO DI STUDIO
a Spiega cosa rese possibile il fatto che le fabbriche prendessero il posto della manifattura a carattere familiare. b Sottolinea con colori diversi le differenze fra le aziende atipiche e le fabbriche moderne. c Spiega per iscritto la frase «La rivoluzione industriale non inventò il sistema di fabbrica», facendo anche degli esempi. d Spiega il ruolo del filatoio idraulico nella transizione al sistema industriale.
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FARESTORIA La nascita dell’industria moderna in Gran Bretagna e le sue conseguenze
ALLA CITTÀ
92 P. HUDSON DALLA CAMPAGNA
P. Hudson, L’Inghilterra e la prima rivoluzione industriale, in Storia dell’economia mondiale, a di V. Castronovo, vol. 3, L’età della rivoluzione industriale, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 252-53.
Uno degli effetti più evidenti dell’industrializzazione, le cui conseguenze arrivano fino a oggi, fu il progressivo, e in certi casi rapido, spostamento della popolazione dalle campagne ai centri urbani che sorgevano intorno alle nuove fabbriche.
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Durante il periodo della rivoluzione industriale, alla crescita demografica si associò una rapida urbanizzazione. Tra il 1600 e il 1800 la percentuale della popolazione totale delle città aumentò di quattro volte. Questo fenomeno rese l’Inghilterra la nazione europea con la quota di popolazione urbana più elevata (fatta eccezione per l’Olanda); anche la popolazione rurale non contadina divenne molto più numerosa che negli altri paesi (più del 30% della popolazione nella seconda metà del secolo contro il 25% di popolazione urbana). Durante il periodo 1801-1911 gli abitanti delle città dell’Inghilterra e del Galles passarono da un terzo a quattro quinti della popolazione totale. E poiché la crescita demografica era stata senza precedenti, ciò significò un aumento da 3,5 a 32 milioni. Nel 1845 gli abitanti delle città dell’Inghilterra e del Galles rappresentavano la maggioranza della popolazione nella sua totalità. Questa elevata presenza urbana costituisce una caratteristica dell’industrializzazione inglese e la differenzia da quella del continente europeo. Le città ebbero un ruolo economico importante nella rivoluzione industriale. Furono dei centri per la rifinitura delle merci prodotte in campagna e rappresentarono dei punti di riferimento per le operazioni commerciali, bancarie e finanziarie. Quando il vapore iniziò a sostituire l’energia idraulica, le città divennero i principali centri produttivi – specialmente quelle situate presso i bacini carboniferi – mentre i porti, dotati di infrastrutture commerciali e finanziarie, fornirono i mezzi necessari a una rapida espansione del commercio d’oltremare e alla costruzione dell’Impero. La domanda di derrate alimentari e di materie prime proveniente dalle aree urbane ebbe un impatto significativo sulla specializzazione agraria. Intorno alle città si assistette allo sviluppo della
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
Questo fenomeno fu particolarmente precoce in Inghilterra, dove la quota di popolazione urbana aumentò in maniera inarrestabile a partire dalla seconda metà del ’700. Come spiega in questo brano la storica britannica Pat Hudson (nata nel 1948), la nascita quasi ovunque di piccole o grandi città fece ben presto emergere anche i primi problemi di ordine sociale e di convivenza pubblica, ai quali le istituzioni non seppero dare, almeno all’inizio, una efficace risposta.
produzione ortofrutticola, degli allevamenti di polli e dell’industria casearia; ma la domanda urbana creò specializzazioni anche in zone molto più periferiche, come nel caso della Scozia – dove il bestiame veniva cresciuto, ingrassato e quindi trasferito a Londra – e dell’Irlanda esportatrice di sego1 e di carne di manzo. Le città divennero centri principali per lo sviluppo di vistosi consumi e modelli per nuovi sistemi di distribuzione e di vendita che comprendevano l’esposizione delle merci e la pubblicità. Londra divenne una città unica, la più grande d’Europa, con una popolazione di mezzo milione di abitanti nel 1700, che si avvicinò al milione nel 1800. All’interno del suo perimetro viveva un decimo della popolazione dell’Inghilterra e del Galles ed è stato calcolato che un sesto di questa aveva contatti regolari e diretti con la capitale: a Londra si andava per commerciare, per imparare un mestiere, per intrattenere rapporti sociali o per scopi turistici. [...] La capitale fu un centro di informazione commerciale, di consumo ostentatorio e di offerta di prodotti alimentari che influenzarono ovunque i costumi, i gusti e la specializzazione regionale. Il flusso di commerci verso la capitale fu ampiamente responsabile dello sviluppo del settore terziario, in particolare del trasporto interregionale e dei servizi finanziari. [...] La crescita urbana del XVIII secolo comportò spostamenti nella gerarchia delle dimensioni urbane. Londra rimase nettamente in testa ma la rapida crescita di molte città grandi e piccole, specialmente i nuovi centri industriali e le fiorenti città portuali, provocò enormi problemi sociali. Tale crescita non venne regolamentata dalle istituzioni così che i servizi sociali e le infrastrutture rimasero carenti. La mancanza di un servizio di trasporti a buon mercato, il sovrappopolamento e i pro-
blemi connessi alla fornitura delle derrate alimentari aggravarono la situazione. Povertà, disoccupazione e un tasso elevato di criminalità fecero insorgere nel ceto medio timori e diffidenza nei confronti della classe operaia. E la differenza di classe venne messa in rilievo dalla separazione delle abitazioni in rapporto al ceto, dalla esperienza differenziata delle malattie e dai differenti tassi di mortalità precoce. Sembra che i conflitti, sia etnici sia di classe, siano stati vissuti con maggiore intensità nelle città, resi più acuti dalla comune esperienza dei periodi di depressione e dalla lotta per il posto di lavoro che inasprì la rivalità tra operai e lavoranti esterni, immigrati e nativi, irlandesi e inglesi, uomini e donne. Si riteneva che l’emigrazione verso la città avesse reciso anche i legami che avevano tenuto unite le famiglie allargate e avesse contribuito ad accrescere l’isolamento della famiglia nucleare. Ma sappiamo che in prevalenza gli spostamenti si producevano su distanze brevi e che le famiglie e i gruppi di affini tendevano a ricostituire il nucleo nel nuovo ambiente urbano. 1. Grasso che si ricava dagli organi interni di bovini, equini e ovini, che viene utilizzato in vari ambiti, dalla fabbricazione di margarina a quella di candele e sapone.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea i cambiamenti legati alla crescita demografica. b Spiega per iscritto quale fu il ruolo economico delle città nella rivoluzione industriale e perché. Fai un esempio per rafforzare le tue argomentazioni.
93 S. MOSLEY MANCHESTER: LA PRIMA CITTÀ INDUSTRIALE
S. Mosley, Storia globale dell’ambiente, il Mulino, Bologna 2013, pp. 162-64; 166-68.
Le ricerche dello storico britannico Stephen Mosley (nato nel 1972) si concentrano sulla storia dell’ambiente e delle sue trasformazioni. In questo brano viene descritta la nascita Manchester fu la prima città industriale moderna. [...] La città era il centro del commercio dei tessuti di cotone e nei primi quarant’anni del XIX secolo i prodotti della regione di Manchester rappresentavano oltre il 40% del valore delle esportazioni britanniche. La florida domanda di prodotti di cotone – in particolare indumenti confezionati – in Nord America, Europa, Africa e Asia aveva stimolato uno straordinario sviluppo industriale. [...] La popolazione di «Cotonopoli» – com’era notoriamente definita Manchester – passò dai circa 77.000 abitanti del 1801 agli oltre 316.000 del 1851 (la popolazione della Grande Manchester superava i 2,1 milioni di abitanti nel 1901). La spettacolare trasformazione della città da centro rurale e in gran parte lussureggiante di vegetazione ad archetipo della città industriale produsse un’immagine nuova e dinamica di Manchester quale fucina della produzione, del progresso e della ricchezza, come pure una serie di giudizi negativi sui suoi quartieri sovrappopolati e insalubri e sul suo inquinamento ambientale. [...] Nel 1835 Tocqueville1 scriveva: «Da questa fogna ripugnante sfocia il fiume dell’industria umana per fecondare il mondo intero. Da questa sudicia cloaca proviene oro puro. Qui l’umanità raggiunge il suo più pieno sviluppo e il suo massimo livello di brutalità; qui la civiltà fa miracoli e l’uomo civilizzato ridiventa selvaggio». Diventare l’«officina del mondo» non si tradusse solo negli estremi della ricchezza e della povertà, dell’innovazione tecnologica e della caotica crescita urbana, ma accrebbe anche enormemente l’afflusso di risorse
di Manchester, la prima vera e propria città industriale. Il processo di industrializzazione modificò profondamente gli spazi cittadini e accelerò l’arrivo in quella città di migliaia di individui in pochi decenni. Inoltre, l’inquinamento delle industrie rovesciò i suoi deleteri effetti sull’uomo e sulla natura, determinando un rapido peggioramento delle condizioni di vita dei suoi abitanti.
naturali verso Manchester come pure la sua produzione di rifiuti. Agli inizi del XIX secolo circa il 90% dell’industria britannica del cotone era concentrato nella regione di Manchester (Lancashire sudorientale, Derbyshire nordoccidentale e Cheshire nordorientale). Il consumo di cotone grezzo in Gran Bretagna passò dalle 2.265 tonnellate del 1780 a una media annua di 424.461 attorno al 1856, trasformando di conseguenza il paesaggio del Sud degli Stati Uniti, dove si trovava la maggior parte delle coltivazioni. [...] Al volgere del XIX secolo, Manchester non era più in grado di nutrire la propria popolazione. Solo il 25% del suo fabbisogno naturale di cereali veniva soddisfatto localmente, sebbene gli agricoltori del Lancashire e del Cheshire svolgessero ancora un ruolo fondamentale rifornendo la città con patate e altre verdure. Nel 1842 si stimava che nei mercati di Manchester fossero vendute 50.000 tonnellate di patate ogni anno. A partire dagli anni Venti del XIX secolo furono importate dall’Irlanda, attraverso il porto di Liverpool, grandi quantità di bovini, pecore e maiali vivi. [...] La rapida industrializzazione e urbanizzazione comportarono un enorme aumento dei consumi energetici. Il carbone estratto in Lancashire, Staffordshire e Yorkshire alimentava le fabbriche della città e riscaldava le case dei suoi abitanti e il suo consumo passò bruscamente dalle 100.000 tonnellate del 1800 ai circa 3 milioni di tonnellate annue del 1876. Dal momento che raramente imprese e famiglie bruciavano il carbone in modo efficiente, l’inquinamento da fumo divenne un grave problema ambientale che
94 C.M. CIPOLLA LA FINE DEL MONDO CHE FU
C.M. Cipolla, Storia economica dell’Europa pre-industriale, il Mulino, Bologna 2002, pp. 411-12; 421-22.
Lo storico italiano Carlo Maria Cipolla (1922-2000) ha lungamente studiato il processo di sviluppo scientifico, economico e tecnologico che l’Europa conobbe tra il X e il XVIII secolo e che permise ai paesi di questo continente di diventare po-
impediva la penetrazione della luce solare, distruggeva la vegetazione, deturpava gli edifici e comprometteva la salute delle persone. Con il graduale miglioramento delle forniture idriche e delle infrastrutture sanitarie, che ridusse notevolmente la mortalità causata dalle «malattie da sporcizia», al volgere del XX secolo i disturbi respiratori come la bronchite divennero la principale causa singola di morte a Manchester e in altre città industriali. A Manchester, nel quartiere operaio di Ancoats si registrò uno dei più alti livelli di inquinamento dell’aria del paese, come pure uno dei più alti tassi di mortalità per malattie respiratorie. [...] Il primo gruppo di pressione antinquinamento della città, l’Associazione per la prevenzione del fumo di Manchester, fu fondato già nel 1842. Ci volle però più di un secolo di campagne prima che la nube di fumo che aveva avviluppato la città cominciasse finalmente a diradarsi. 1. Alexis de Tocqueville (1805-1859), storico e filosofo politico francese, tra i maggiori esponenti del liberalismo ottocentesco.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea i cambiamenti che avvennero a Manchester a causa dell’urbanizzazione e sintetizzali con dei titoletti al lato del testo. b Spiega per iscritto in che modo e perché aumentarono, in seguito all’industrializzazione, i consumi, i bisogni e l’inquinamento. c Descrivi gli aspetti negativi che si trovarono ad affrontare gli abitanti di Manchester in seguito all’industrializzazione.
tenze mondiali. In questo brano si riportano alcune pagine delle conclusioni al suo libro Storia economica dell’Europa pre-industriale (pubblicato per la prima volta nel 1974), nelle quali si trova una chiara riflessione sulle differenze che separano la società preindustriale da quella moderna e industrializzata, non soltanto da un punto di vista economico e tecnologico, ma anche culturale.
391
FARESTORIA La nascita dell’industria moderna in Gran Bretagna e le sue conseguenze
Tra il 1780 e il 1850, in meno di tre generazioni, una profonda Rivoluzione che non aveva precedenti nella storia dell’umanità cambiò il volto dell’Inghilterra. Da allora il mondo non fu più lo stesso. Gli storici hanno sovente usato e abusato del termine «Rivoluzione» per significare un mutamento radicale, ma nessuna rivoluzione è stata così drammaticamente rivoluzionaria come la Rivoluzione industriale salvo la Rivoluzione neolitica. [...] La Rivoluzione neolitica trasformò l’umanità da un insieme slegato di bande di cacciatori «piccoli, brutali e malvagi» in un insieme di più o meno interdipendenti società agricole. La Rivoluzione industriale trasformò l’uomo da agricoltore-pastore in manipolatore di macchine azionate da energia inanimata. Tra il cacciatore del paleolitico e l’agricoltore del neolitico c’è un abisso; la differenza è quella tra lo stadio selvaggio e quello della civiltà. Però il mondo dell’uomo rimase un mondo di piante e di animali. La Rivoluzione industriale aprì le porte a un mondo completamente nuovo: un mondo di nuove e inusitate forme di energia, quali il carbone, il petrolio, l’elettricità, l’atomo, sfruttate mediante convertitori vari; un mondo in cui l’uomo si trova a poter disporre di masse di energia inconcepibili nel precedente mondo bucolico. Da uno stretto punto di vista tecnologico-economico, la Rivoluzione industriale può giustificatamente venir definita come il processo attraverso il quale una società acquisisce il controllo di vaste fonti di energia inanimata. Ma una simile definizione non fa giustizia al fenomeno né per quanto riguarda le lontane origini del fenomeno stesso, né per quanto riguarda tutte le sue implicazioni economiche, culturali, sociali e politiche. Precedentemente alla Rivoluzione industriale vi fu una profon-
da continuità nel processo storico. [...] Gli agronomi del Quattro e Cinquecento potevano ancora utilmente rifarsi ai trattati degli agronomi romani. [...] Non pareva assurdo a Machiavelli richiamarsi all’ordinamento romano quando faceva piani per un esercito del suo tempo. Alla fine del Settecento Caterina II di Russia fece trasportare dalla Finlandia a Pietroburgo un enorme masso erratico1 per porlo alla base del monumento dedicato a Pietro il Grande2: il trasporto del colossale sasso fu effettuato con sistemi sostanzialmente identici a quelli usati migliaia di anni prima dagli antichi Egizi nella costruzione delle piramidi. [...] Un’essenziale continuità caratterizzò il mondo pre-industriale pur attraverso rivolgimenti grandiosi, quali lo sviluppo e la decadenza dell’Impero romano, il trionfo e il declino dell’Islam, i cicli dinastici cinesi. [...] Questa continuità fu rotta tra il 1780 e il 1850 [...]. Una volta imboccata la strada dell’industrializzazione è impensabile di tornare indietro e nemmeno ci si può fermare. Le macchine finiscono col dettare il ritmo dell’ulteriore, obbligato progresso. [...] La futura società industriale richiede un nuovo tipo di uomo. L’agricoltore poteva essere analfabeta. Ma non c’è posto per analfabeti nella società industriale. Per vivere e sopravvivere in tale società occorrono all’individuo numerosi anni di istruzione e la formazione di una mentalità nuova, in cui l’intuizione va sostituita con la razionalità, l’approssimazione con la precisione, l’emozione col calcolo. D’altra parte una società industriale è caratterizzata da continuo e rapido progresso tecnologico. In tale società gli impianti divengono rapidamente obsoleti e gli uomini non sfuggono alla regola. L’agricoltore poteva vivere beneficiando di poche nozioni apprese nell’adolescenza. L’uomo
industriale è sottoposto a un continuo sforzo di aggiornamento e tuttavia viene inesorabilmente superato. Il vecchio nella società agricola è il saggio: nella società industriale è un relitto. [...] L’unità familiare pre-industriale è tradizionalmente un’istituzione numerosa, di carattere patriarcale, che oltre alla basilare funzione di procreare, allevare ed educare nuove generazioni, soddisfa entro il proprio ambito a funzioni economico-produttive e a numerose funzioni che oggi chiameremmo di «sicurezza sociale» (la cura dei membri ammalati e vecchi). La famiglia della società industriale è un’unità numericamente ristretta, relativamente meno stabile e più limitata nel tempo e con funzioni di gran lunga ridotte: perché la società e il mercato si assumono molte delle funzioni che nel mondo agricolo erano attribuite alla famiglia. Il mutato rapporto numerico riflette in maniera caratteristica il ruolo ridotto della famiglia: nel mondo agricolo la famiglia è un nucleo numeroso in società numericamente piccole; nel mondo industriale, la famiglia è un nucleo numericamente più limitato in società smisuratamente accresciute. 1. Blocco roccioso di grandi dimensioni trascinati a valle dai ghiacciai e lì lasciati dopo il loro scioglimento. 2. Pietro il Grande (1672-1725), zar di Russia, fu l’artefice di un importante processo di modernizzazione del suo paese.
METODO DI STUDIO
a Spiega il paragone che Carlo Maria Cipolla fa tra la rivoluzione industriale e quella neolitica. b Evidenzia la definizione di industrializzazione data dall’autore. c Descrivi per iscritto sotto quali aspetti l’industrializzazione portò dei cambiamenti radicali.
PISTE DI LAVORO
392
LO STORICO RACCONTA 1 Scrivi un testo descrittivo di massimo 25 righe sulle condizioni che, secondo i brani degli storici presenti in questa sezione, portarono alla nascita della fabbrica moderna in Inghilterra. Prima di procedere con la scrittura, seleziona i testi storiografici utili al tuo ragionamento, individua per ognuno di essi le argomentazioni più significative e trascrivile sinteticamente sul quaderno, indicando fra parentesi il nome dello storico dal cui brano le hai tratte. Infine realizza una scaletta e scegli un taglio e un titolo per il tuo elaborato.
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 2 Partendo dal brano di Cipolla [►94], scrivi un testo sui cambiamenti introdotti dalla rivoluzione industriale dal titolo Da allora il mondo non fu più lo stesso. Prima di procedere con la scrittura, seleziona le argomentazioni di Cipolla e i testi storiografici del sottopercorso utili al tuo discorso. Individua ed evidenzia i passaggi che possono aiutarti a costruire il tuo testo. Individua delle parole chiave che li rappresentino e utilizzale per costruire una mappa concettuale. Scrivi quindi un testo di massimo 25 righe sulla base della mappa da te realizzata.
COMPITO DI STORIA Scrivi un saggio argomentativo sul tema indicato di seguito, facendo riferimento alla Dichiarazione di indipendenza americana [►61d], ai primi dieci emendamenti della Costituzione degli Stati Uniti [►62d], alla Dichiarazione dei diritti delle donne [►76d], al brano di Wood [►63], alle Dichiarazioni del 1789 e del 1793 [►65d] e ai brani di Trampus [►66], Testi [►70], Abbattista [►71] e Burstin [►73]. Puoi decidere se utilizzare tutti o solo alcuni fra i documenti e i brani storiografici indicati. Decidi quindi un taglio per il tuo elaborato e un titolo che lo renda esplicito. Suddividi il tuo elaborato in paragrafi e utilizza almeno 3 fra le immagini presenti nel testo (nei capitoli e nel Fare Storia) che, secondo te, possono supportare adeguatamente i contenuti da te individuati.
Argomento Tutti i diritti sono uguali? Riflessione sui diritti riconosciuti durante le rivoluzioni del ’700 e la loro mancata o parziale affermazione nelle nuove società rivoluzionarie Organizza il tuo elaborato utilizzando la seguente scaletta: a. Lettura e comprensione • Evidenzia i principali diritti riconosciuti durante la rivoluzione d’indipendenza americana e quella francese. • Individua i soggetti collettivi e i processi che portarono all’affermazione dei diritti citati nei documenti e riassumili con un titoletto al lato del testo. • Individua le contraddizioni interne alle nuove società rivoluzionarie sul tema dei diritti. b. Individuazione e analisi dei passaggi significativi in relazione alle questioni chiave affrontate nell’elaborato Evidenzia nei brani: • i diritti che hanno avuto un potere rivoluzionario e la cui affermazione ha portato alla creazione di società completamente diverse dalle precedenti; • le cause che hanno portato alla mancata concretizzazione dell’universalità di alcuni diritti. c. Contestualizzazione storica • Schematizza le dinamiche che portarono al riconoscimento dei diritti universali. • Individua le differenze principali fra i documenti in cui i rivoluzionari e i padri costituenti affermano il riconoscimento dei diritti, dividendoli secondo l’area geografica di riferimento (relative agli Stati Uniti e alla Francia). • Sintetizza gli elementi che definiscono l’eredità e l’apparentamento di queste due realtà storico-geografiche. Quali analogie o differenze sostanziali puoi trovare nei documenti e nei brani da te selezionati? d. Interpretazione e problematizzazione Rifletti sulle seguenti domande: • Per quale motivo la società americana non era pronta ad accettare che i diritti affermati nella Costituzione fossero validi per tutti? • Quali erano, per esempio, gli ostacoli che impedivano di riconoscere la schiavitù come qualcosa di ingiusto? • Si tratta di ostacoli limitati a quel contesto storico-sociale o che possono valere anche in altri contesti storici?
Jean-Jacques-François Le Barbier, La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, 1789 ca. Lo storico dell’800 Jules Michelet (1798-1874), uno dei massimi interpreti della Rivoluzione francese, ha definito la Dichiarazione dei diritti dell’uomo il «credo della nuova era». Effettivamente, questo documento venne presentato come un testo sacro, il lascito dei rivoluzionari ai posteri. Non a caso nelle sue rappresentazioni grafiche la Dichiarazione veniva presentata su due tavole, come il decalogo di Mosè, o comunque circondata di elementi decorativi legati all’immaginario religioso.
393
U3 L’ETÀ DELLE RIVOLUZIONI
OGALLO
Stati interessati dalle rivoluzioni nel 1848 Centri di rivolta liberale Centri di liberazione nazionale
LE RIVOLUZIONI DEL 1848-49 Stati interessati dalle rivoluzioni nel 1848
Napoli
Centro della controrivoluzione
Napoli
Centri di rivolta liberale
Direttrici del movimento rivoluzionario
Centri di liberazione nazionale
Interventi eserciti controrivoluzionari
Centro della controrivoluzione Direttrici del movimento rivoluzionario
GRAN BRETAGNA
Interventi eserciti controrivoluzionari
PRUSSIA
PAESI BASSI
Berlino IMPERO RUSSO
BELGIO Francoforte
Praga
Parigi
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IMPERO D’AUSTRIA
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REGNO DELLE DUE SICILIE
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UNITÀ 4 NAZIONE E LIBERTÀ
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CHIAVI DI LETTURA
Liberali, democratici e socialisti Dal grande bacino di idee dell’Illuminismo si erano generate le due correnti principali del pensiero politico ottocentesco: il liberalismo e la democrazia. Differenti, talvolta addirittura contrapposti, per obiettivi e programmi, i liberali rivendicavano la libertà e i diritti individuali contro gli abusi di un potere dispotico, e la promozione del merito contro i privilegi di ceto, mentre i democratici si battevano per l’uguaglianza e l’allargamento della partecipazione politica ai ceti popolari. Le profonde differenze ideologiche, tuttavia, non impedirono la convergenza di queste forze su un obiettivo comune: l’abbattimento dei regimi assolutistici, restaurati dal congresso di Vienna dopo la definitiva caduta di Napoleone, e la rivendicazione di carte costituzionali. Ma la novità più radicale del panorama ideologico del secolo è sicuramente il socialismo che, nella versione del socialismo scientifico di Marx ed Engels, prefigurava un nuovo ordine sociale Mosca in grado di porre fine – per mezzo della lotta di classe – alle ingiustizie prodotte dal capitalismo industriale.
Il Romanticismo e l’idea di nazione M
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Il vario formarsi e modellarsi della cultura politica e delle ideologie tra ’700 e ’800 si intreccia con la grande stagione culturale del Romanticismo. Movimento letterario, artistico e musicale, il Romanticismo rifiutava il razionalismo illuminista ed esaltava il sentimento puro e tormentato, talora in forme morbose o estreme, enfatizzando l’insofferenza, tipicamente giovanile, nei confronti delle convenzioni sociali. Sul piano storico, i romantici guardavano alle
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origini profonde dei popoli e al recupero delle tradizioni. Da queste numerose e articolate suggestioni emerse si affermò l’idea di nazione, fondata sull’unità delle origini, della lingua, della terra e del sangue. Le aspirazioni e le lotte per l’indipendenza di paesi come il Belgio, la Grecia, la Polonia, l’Ungheria e l’Italia sono tutte manifestazioni di questa nuova idea nazionale, di un nazionalismo che esalta la tradizione e la storia e rivendica un primato particolare se non una missione da affidare ai popoli finalmente consapevoli di un proprio destino.
Il Risorgimento e l’Unità d’Italia Viene denominato Risorgimento il movimento che portò l’Italia a farsi artefice del suo destino nazionale. Nonostante le antiche divisioni territoriali, il perdurare dei particolarismi, la dominazione austriaca diretta o indiretta su tanta parte della penisola e la presenza della Chiesa con un proprio ampio Stato territoriale, il ceto colto aveva continuato a immaginare un’unità culturale, linguistica e geografica dell’Italia, dalle Alpi alla Sicilia. Tutto il movimento nazionale – e in particolare quello democratico guidato da Mazzini – aveva raccolto e rafforzato questa visione dando corpo a una risorta identità italiana. Tra i fattori politici che concorsero a rendere possibile l’unificazione, centrale fu il ruolo della dinastia sabauda, orientata da secoli a un’espansione dei propri territori verso la Pianura padana, e in particolare di un abile leader come il conte di Cavour, in grado prima di guidare un processo di modernizzazione del Piemonte, poi di convogliare larga parte del movimento nazionale al fianco del Regno di Sardegna; decisivo fu, infine, il ruolo di Garibaldi, capo audace e carismatico che guidò con successo la spedizione dei mille volontari in Sicilia e nel Meridione.
GLI EVENTI 1814-15 Congresso di Vienna
1820-21 Insurrezioni in Spagna, Grecia e Italia
1830 Rivoluzione di luglio: Luigi Filippo d’Orléans re dei francesi
1852 Napoleone III imperatore. Cavour presidente del Consiglio
1831 Mazzini fonda la Giovine Italia. Indipendenza del Belgio
1811-30 Lotte per l’indipendenza nell’America Latina
1829 Indipendenza della Grecia
1830-31 Moti insurrezionali in Belgio, Italia e Polonia
1856 Partecipazione del Piemonte alla guerra di Crimea
1859 Seconda guerra 1861 d’indipendenza in Italia Unità d’Italia 1860 Spedizione dei Mille
1848 Insurrezione in Francia e Seconda Repubblica. Insurrezioni nell’Impero asburgico e prima guerra di indipendenza in Italia. Carlo Alberto concede lo Statuto albertino nello Stato sabaudo. Pubblicazione del Manifesto del Partito comunista di Marx ed Engels
1845-48 Annessione del Texas e della California agli Stati Uniti
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CAP11 I SISTEMI POLITICI E LE IDEOLOGIE NELL’800
11_1 STATO MODERNO E ISTITUZIONI POLITICHE
Nella prima metà dell’800, si definiscono e si consolidano istituzioni e modelli politici, sistemi ideologici e forme associative, scuole di pensiero e movimenti culturali destinati a improntare di sé l’intera età contemporanea e, in qualche caso, ancora presenti e operanti nel nostro tempo. È in questo periodo che entrano nell’uso corrente termini come “liberalismo” e “socialismo”. È in questo periodo che si affermano la cultura, gli ideali e le sensibilità legati al Romanticismo. È in questo periodo, soprattutto, che in Europa le istituzioni dello Stato acquistano una nuova centralità e assumono forme a noi familiari.
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Focus L’École Polytechnique • Povertà e controllo sociale Audiosintesi
► Leggi anche: ► Focus L’École Polytechnique
Durante gli anni del dominio napoleonico in Francia e nell’Europa continentale i poteri dello Stato, il sistema di governo e l’organizzazione amministrativa avevano raggiunto un livello elevato di efficienza: con la scomparsa dei privilegi della Chiesa e dei ceti nobiliari, con la codificazione delle norme giuridiche, con il rafforzamento dell’amministrazione, lo Stato ottenne allora in modo definitivo quel monopolio della forza legittima che costituiva la sua principale attribuzione. Era il compimento di un processo plurisecolare di accentramento del quale si possono ricordare alcuni passaggi particolarmente significativi. Gli intendenti francesi del ’600 con funzioni di controllo del prelievo fiscale, le varie forme di codificazione giuridica in Prussia e nei domìni asburgici, infine i prefetti napoleonici dagli estesi poteri sulla società e sui ceti dirigenti locali: sono altrettante tappe della costruzione dello Stato moderno nell’Europa continentale. In Gran Bretagna, invece, l’itinerario fu diverso per l’assenza di una burocrazia tendenzialmente stabile e di forme di codificazione sistematica delle leggi. Furono invece le élite espressione dell’aristocrazia, della gentry – la piccola nobiltà di provincia – e della nascente borghesia a governare il paese in virtù dei collaudati meccanismi di patronage [►3_4].
Il completamento dello Stato moderno
Con l’eccezione della Gran Bretagna, dunque, lo Stato moderno assunse la forma dello Stato burocratico-amministrativo, emancipato da quel controllo della nobiltà e delle assemblee dei ceti che aveva rallentato la prima affermazione dell’assolutismo. I poteri tradizionali vennero monopolio della forza legittima sostituiti da un sistema di potere legale, fondato su norme Nelle società moderne l’uso legittimo della violenza di legge, mentre il rispetto e l’applicazione delle norme erano garantiti dalla bucompete esclusivamente allo Stato e la violenza individuale rocrazia amministrativa. di un cittadino contro un altro cittadino è illegittima. Il concetto di “monopolio della forza” presuppone dunque L’amministrazione e il suo personale dirigente, la burocrazia appunto, rapprel’esistenza di uno Stato che emani le leggi e la presenza sentavano le ossa e i muscoli dell’organismo statale. Il funzionario statale aveva di una amministrazione (cioè degli organi e degli uffici facenti parte dello Stato) che, nell’ambito delle leggi, sia in genere una formazione giuridica e il suo reclutamento, inizialmente soggetlegittimata all’uso della forza. to alla discrezionalità del potere politico, sarà sempre più regolato da verifiche
396
L’affermazione dello Stato burocraticoamministrativo
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
obiettive come i pubblici concorsi. In alcuni paesi, prima di ogni altro in Francia e successivamente in Prussia, scuole superiori tecniche e militari (come l’École Polytechnique di Parigi, ►9_1) formavano specialisti nel campo delle costruzioni stradali, dell’ingegneria edilizia e dell’artiglieria, la più “matematica” delle armi. L’amministrazione pubblica si dotava quindi di un personale tecnico, che si aggiungeva a quello di formazione giuridica, e che avrebbe accompagnato le nuove sfide nell’epoca dell’industrializzazione. A partire dal periodo napoleonico, inoltre, la Francia si pose all’avanguardia nelle applicazioni della statistica, la nuova scienza al servizio dello Stato. Nel corso dell’800 tutti gli Stati si dotarono di organizzazioni di statistica la cui principale attività sarebbe stata quella legata ai censimenti effettuati con uniformi criteri scientifici, a partire da quello belga del 1846.
Una scienza al servizio dello Stato
L’ampliamento dei poteri e la tendenziale autonomia dell’amministrazione contribuirono ben presto a innescare momenti di conflittualità con la nuova classe politica rappresentativa (cioè scelta attraverso le elezioni). L’espansione dello Stato burocratico-amministrativo nell’800, infatti, coincise con il progressivo affermarsi delle istituzioni rappresentative fondate sulla parità dei diritti civili e politici e su un Parlamento elettivo e con la nascita dei partiti politici. In questa fase l’amministrazione non si configurò sempre come un potere neutrale, al di sopra delle parti: fu invece il braccio più efficace dei vari sistemi di governo. La Rivoluzione francese aveva trasformato i sudditi in cittadini. E questo processtatistica so, esteso gradatamente al resto dell’Europa continentale sotto la spinta delle arLa statistica descrive, con metodologie matematiche e rappresentazioni numeriche, l’andamento dei fenomeni mate napoleoniche, non sarebbe stato più arrestabile. La sovranità non appartesociali ed economici – popolazione, attività produttive, neva più al solo principe ma anche al popolo e ai suoi rappresentanti: questo era il scambi commerciali – fornendo allo Stato strumenti di carattere della monarchia costituzionale rappresentativa. Nei regimi repubblicani conoscenza, di previsione e di intervento. la sovranità apparterrà invece interamente al popolo e ai suoi rappresentanti.
L’affermazione delle istituzioni rappresentative
La Barrière de la Villette 1785-89 Lo Stato moderno, via via che avanza nella costruzione del proprio apparato burocratico-amministrativo, procede anche alla realizzazione di edifici pubblici che richiedono un’architettura elegante e rappresentativa ma, allo stesso tempo,
funzionale alle necessità di una società in trasformazione. Nel ’700, questa esigenza si coniuga con un generale ritorno di attenzione all’arte classica, con la ricerca di uno stile sobrio e privo di inutili decorazioni. Nel 1784 ClaudeNicolas Ledoux, rinomato architetto francese, fu incaricato dal governo di progettare le barrières, barriere che
facevano parte di un ampio sistema destinato a circondare Parigi di una nuova cinta daziaria, dove venivano riscosse le tasse sulle merci trasportate in città dal contado. Oggi rimangono solo quattro dei 46 caselli che segnavano gli ingressi a Parigi dalle principali strade di accesso. Uno di questi caselli è La Barrière de la Villette.
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C11 i sistemi politici e le Ideologie nell’800
Lo sviluppo dei sistemi politici era strettamente legato all’esistenza di una costituzione. Quest’ultima, analogamente a quanto era accaduto con le rivoluzioni americana e francese, definisce il nuovo patto che regge una comunità e fonda lo Stato come insieme di ordinamenti giuridici e politici. L’ordinamento politico retto da una legge fondamentale come la Costituzione, basato sul principio della separazione dei poteri – esecutivo, legislativo, giudiziario – e sulla superiorità della legge su ogni forma di privilegio e di arbitrio, si definisce Stato di diritto. Lo sviluppo dei sistemi politici rappresentativi nell’800 si caratterizzò in Europa per la presenza di due diverse forme di governo: il governo costituzionale, in genere nelle monarchie costituzionali, in cui il capo dell’esecutivo – primo ministro o presidente del Consiglio dei ministri – era responsabile solo di fronte al sovrano che lo aveva nominato; e il governo parlamentare in cui, invece, l’esecutivo rispondeva al Parlamento che gli aveva concesso la fiducia. Queste due forme di governo si alternarono in Europa: l’affermarsi del governo parlamentare fu determinato più da una METODO DI STUDIO prassi politica e da una consuetudine – come in Gran Bretagna nel ’700 e in Italia a Sottolinea e numera con colori diversi le dopo l’Unità – che da una norma scritta. tappe che concorrono alla formazione dello Stato
Lo Stato di diritto e i sistemi politici ottocenteschi
Egualmente significativo fu, nello stesso arco di tempo, il Diritto di voto contrasto sui sistemi elettorali. Si confrontarono su questo e dibattito politico tema il principio liberale, sostenitore di un suffragio ristretto legato al censo e al livello culturale di una circoscritta élite sociale, e il principio democratico, fautore del suffragio universale maschile. Del resto non fu questo il solo terreno su cui liberalismo e democrazia si scontrarono: fu anzi proprio l’antagonismo fra liberali e democratici – che invece oggi associamo nel modello liberal-democratico – a caratterizzare la lotta politica per gran parte dell’800 [►11_4].
moderno nell’Europa continentale e in Gran Bretagna. b Rispondi alle seguenti domande: a. Perché il modello di Stato moderno dell’Europa continentale è diverso da quello inglese? b. Quale funzione ebbe l’amministrazione dello Stato e come agiva sul piano politico? c. Qual è il ruolo della statistica come scienza dello Stato? c Sottolinea con colori diversi le differenze esistenti fra il governo parlamentare e quello costituzionale.
11_2 IL ROMANTICISMO
Nei primi decenni dell’800 si diffuse in tutta Europa la cultura romantica. Essa rifiutava il primato della ragione che si era affermato nel ’700, da un lato esaltando la creatività e la spontaneità dei sentimenti e delle emozioni, dall’altro respingendo l’equilibrio formale del mondo classico: il suo carattere era, quindi, antilluminista e anticlassicista. L’arte per i romantici, infatti, è libera espressione dell’individuo che crea secondo i criteri di originalità, spontaneità, capacità di trasmettere emozioni e sentimenti, e non conformandosi a determinati modelli o regole di composizione. La cultura romantica, inoltre, attribuiva un ruolo decisivo alla storia, convinta che ogni realtà prendesse forma e significato dentro la storia. Di qui la rivalutazione di tutte le epoche del passato, comprese quelle fino ad allora considerate barbariche, come il Medioevo: in polemica con l’Illuminismo, che aveva definito quell’età come regno della superstizione e dell’ignoranza, i romantici videro nel Medioevo il momento in cui si formarono i grandi popoli europei, la radice della civiltà moderna e delle
I caratteri della cultura romantica
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Joseph Severn, Shelley alle terme di Caracalla 1820 ca. [Keats-Shelley Memorial House, Roma] Il poeta inglese Percy Bysshe Shelley rappresenta il modello dell’artista romantico. Vestito con un abbigliamento “informale” – pantaloni lunghi, camicia sbottonata senza foulard –, Shelley è raffigurato in questo dipinto in una posa “tipicamente romantica”: lo sguardo verso l’osservatore, il mento poggiato sulla mano sinistra, mentre la destra tiene una penna pronta a scrivere sul taccuino aperto sulle gambe. Gli fanno da sfondo un paesaggio collinare e le antiche rovine di Roma, a simboleggiare l’importanza del rapporto dell’individuo con la natura e la storia.
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► Leggi anche: ► Personaggi George Gordon Byron, eroe romantico, p. 400
tradizioni religiose, linguistiche e culturali delle nazioni. Di qui anche l’interesse per le tradizioni, e le culture nazionali, per i canti popolari, le fiabe, le espressioni folcloriche, considerate la manifestazione primigenia dello spirito di un popolo. Come corrente letteraria, artistica e filosofica, il Romanticismo era nato in Germania negli ultimi decenni del ’700. Aveva avuto i suoi primi assertori nel filosofo Herder e il suo nucleo originario in quel gruppo di poeti e drammaturghi – fra gli altri, lo stesso Herder, Goethe e Schiller – che diedero vita, attorno al 1780, al movimento detto Sturm und Drang (“tempesta e impeto”). Una più organica sistemazione teorica venne, negli anni tra la fine del ’700 e l’inizio dell’800, con la grande filosofia idealista di Fichte e Schelling. Romanticismo e idealismo fornirono allora la base culturale a quel movimento di riscoperta della nazione e di riscossa patriottica che coinvolse buona parte degli intellettuali tedeschi, sull’onda delle lotte contro il dominio napoleonico [►11_3]. In quegli stessi anni a cavallo fra i due secoli, il Romanticismo si affermò in Gran Bretagna – con la lirica di Coleridge e col romanzo storico di Walter Scott – e cominciò a diffondersi anche in Francia, già patria dell’Illuminismo, nella versione cattolica e tradizionalista di Chateaubriand. Un contributo decisivo all’affermazione delle nuove tendenze anche nei paesi latini lo diede Madame de Staël, brillante scrittrice ginevrina, col libro De l’Allemagne (Sulla Germania), uscito nel 1810, che descriveva ed esaltava le esperienze intellettuali fiorite in Germania negli ultimi decenni. Fu soprattutto attraverso le discussioni suscitate da questo libro che la cultura romantica penetrò in Italia, dove trovò sostenitori entusiasti negli intellettuali lombardi della rivista «Il Conciliatore» [►12_2]. A partire dal 1815, il Romanticismo si diffuse un po’ ovunque, fino a costituire il quadro di riferimento comune a tutte le più importanti espressioni della cultura europea della prima metà dell’800: dalla poesia al romanzo, dalla musica sinfonica al melodramma, dalla storiografia alla filosofia, dalla pittura all’architettura.
Le origini e la diffusione
Eugène Delacroix, La barca di Dante 1822 [Musée du Louvre, Parigi] Nell’800 la storia e la cultura dell’Italia godono di un prestigio diffuso e profondo tra gli intellettuali europei e spesso gli artisti romantici scelgono di ambientare le loro opere in questo illustre e suggestivo paese. Il Medioevo diventa uno dei “luoghi della mente” preferiti del Romanticismo e così Dante, il cui genio è universalmente riconosciuto, viene ritratto dal pittore romantico francese Eugène Delacroix (1798-1863) mentre supera eroicamente con Virgilio le tenebrose acque paludose dell’Inferno, popolate da anime dannate che si mordono a vicenda attorno alla barca.
L’influenza del Romanticismo si estese ben oltre il mondo delle lettere e delle arti. Quella romantica fu una cultura nel senso più ampio del termine: fu una mentalità diffusa, un fenomeno di costume che investì in modo decisivo il modo di pensare, di agire e di apparire dell’élite colta, in particolare dei giovani intellettuali. Per le generazioni formatesi fra la fine del ’700 e l’inizio dell’800 – e in larga misura anche per quelle successive – il Romanticismo fu anche uno stile di vita, un modo di atteggiarsi. Muoversi, vestirsi, declamare (persino cercare il suicidio per amore) come il giovane Werther, protagonista del celebre romanzo di Goethe, oppure imitare in ogni sua forma quel singolare impasto di slanci eroici e di indolenza scettica e malinconica che si incarnava nella figura del poeta inglese George Gordon Byron appariva ai giovani inquieti come una prova della propria superiore sensibilità [►FS, 105d]. Una sensibilità che si esprimeva anche nell’attenzione ai dettagli esteriori, considerati come spie di qualcosa di più profondo: un certo accostamento di colori, un certo modo di incedere o di indossare un abito (l’età romantica coincise con idealismo un’autentica rivoluzione nell’abbigliamento maschile, con l’abbandono delle In filosofia, qualsiasi concezione che risolva la realtà nell’idea (o nel pensiero). Secondo l’idealismo tedesco parrucche settecentesche e dei pantaloni al ginocchio) diventavano segni di riottocentesco il pensiero è già realtà: esso contiene già la conoscimento e connotati di un nuovo modo di sentire. Persino la malattia fisirealtà di ogni cosa, perché non vi è alcuna cosa al di là del ca poteva essere idealizzata in quanto contrassegno di una personalità pura, non pensiero. contaminata dalle convenzioni e dalle ipocrisie della società.
La cultura che dominò un’epoca
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C11 i sistemi politici e le Ideologie nell’800
IL ROMANTICISMO
Si sviluppa in Gran Bretagna e Francia
Nasce in Germania alla fine del ’700
ROMANTICISMO
Sturm und Drang Polemica contro la letteratura neoclassica
Anticlassicista Rifiuta l’equilibrio formale classico
Dibattito in Italia tra classicisti e romantici
Anti-illuminista Riscoperta del sentimento
Esalta la libertà espressiva
Originalità dell’arte
Espressione della creatività dell’artista che trasmette sentimenti ed emozioni
Convergenza di ideali politici e ideali estetico-artistici
Valore della storia
Rivalutazione del Medioevo
Idealismo
Nascita delle moderne nazioni Carattere politico patriottico
PERSONAGGI
George Gordon Byron, eroe romantico
L
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a vita di Byron e la sua prepotente personalità, più ancora forse della sua opera poetica, contribuirono in modo determinante a forgiare quel mito dell’eroe romantico che nel primo ’800 si impose in tutta Europa, in concomitanza con il sorgere dei movimenti nazionali. L’eccentrico Lord inglese seppe incarnare come nessun altro il prototipo del ribelle, fieramente ostile a ogni tirannide e disperatamente solo contro gli uomini, gli elementi della natura, il destino. L’ambigua sovrapposizione tra gli eroi dei suoi poemi e la sua vita inquieta, suggellata dalla morte prematura in Grecia, lo rese il modello di riferimento per le giovani generazioni che in tutta Europa nel corso dell’800 avrebbero lottato in nome dell’indipendenza e dell’idea nazionale. Nato a Londra nel 1788 da un’antica famiglia aristocratica, George Gordon Byron trascorse un’infanzia travagliata ad Aberdeen, in Scozia, gravata da ristrettezze economiche – il padre prima di morire aveva dilapidato l’intero patrimonio di famiglia – e da un rapporto turbolento con
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la madre, caratterialmente instabile. Ciononostante, l’educazione di Byron fu adeguata al rango, anche perché a dieci anni ereditò dallo zio titolo e patrimonio. Studiò a Cambridge, presso il Trinity College, dove si mise in luce per l’inclinazione all’eccesso, il carattere ribelle, insofferente a ogni convenzione. Nato con un difetto al piede destro, ancora ragazzo si diede caparbiamente all’esercizio fisico: fu un gran nuotatore (più tardi avrebbe traversato a nuoto l’Ellesponto) e, oltre a cavalcare assiduamente, praticò la boxe, la scherma e il tiro con la pistola. Nel 1809 partì per un insolito Grand Tour di due anni in Portogallo, Spagna, Albania e Grecia. Questa fondamentale esperienza ispirò il poema Childe Harold’s Pilgrimage, in cui accanto ai tipici tratti dell’eroe byroniano compaiono le ambientazioni mediterranee intrise di reminiscenze classiche e fascino esotico (la Grecia e il Levante, cioè i territori che si affacciano sul Mediterraneo orientale). Opere come Il Giaurro e Il Corsaro avrebbero contribuito in larga misura alla dif-
fusione di quegli stereotipi (odalische e bagni turchi su tutto) con cui la cultura europea dell’800 amò rappresentare l’Oriente levantino, inaugurando una moda che avrebbe influenzato profondamente le arti figurative e il melodramma. I primi canti del Childe Harold’s Pilgrimage (1812) ottennero un successo enorme in Inghilterra, rivelando Byron al grande pubblico e facendone il personaggio più in voga del momento. L’entusiasmo nei suoi confronti tuttavia fu breve. Nel 1816 il disastroso e brevissimo matrimonio con Anne Isabella Milbanke (da cui ebbe una figlia, Ada, con la quale gli fu vietato ogni rapporto) provocò uno scandalo enorme negli ambienti londinesi. Si parlò con grande insistenza di una relazione incestuosa di Byron con la sorellastra Augusta Leigh, al punto che gli venne attribuita la paternità della figlia di lei (non a caso il tema dell’incesto sarà al centro di alcune opere, tra cui il Manfred). In seguito a tali voci la Gran Bretagna dell’epoca, puritana e conservatrice, lo mise al bando. Byron venne escluso dagli ambienti della buona società e diffidato persino dal recarsi alla Camera dei Lord. Quell’anno stesso Byron lasciava defini-
Il Romanticismo, in quanto cultura dominante dell’epoca, non si identificò con una determinata tendenza ideologica, ma influenzò quasi tutte le correnti di pensiero e tutti i principali movimenti politici operanti all’inizio dell’800. Romantici e reazionari, romantici e liberali, romantici e democratici: tutte le combinazioni e gli intrecci erano possibili e praticati. Certo, nella cultura romantica c’erano molti elementi che si prestavano a essere fatti propri dai fautori del ritorno al passato. La critica al razionalismo illuminista dei giacobini e alla sua pretesa di rifondare la società senza tener conto delle tradizioni storiche e delle peculiarità nazionali – critica già presente negli scritti di liberali moderati come Edmund Burke, britannico di origine irlandese, o l’italiano Vincenzo Cuoco – fu una costante di tutta la polemica antirivoluzionaria dell’epoca. Il richiamo alla storia e alla tradizione si trasformò non di rado nella pura e semplice nostalgia del passato e nel tentativo di riportarne in vita questo o quell’aspetto. La riscoperta della dimensione religiosa divenne spesso ritorno alle religioni positive, in particolare al cattolicesimo con le sue gerarchie e i suoi culti tradizionali. Se molti intellettuali vissero l’esperienza romantica come un ritorno al passato, alla tradizione, all’autorità, molti altri vi trovarono le premesse per scelte di tutt’altro genere. Romanticismo siMETODO DI STUDIO gnificava anche libertà, rottura di norme consolidate, affermazione dell’individuo a Realizza un grafico a stella al cui centro ci contro le convenzioni: gli stessi valori che ispiravano le battaglie dei liberali, dei desia la scritta «La cultura romantica» e i cui raggi mocratici e di quanti si opponevano alla Restaurazione. Per limitarci agli ambienti corrispondano ai contenuti dei sottoparagrafi. Individua per ognuno di essi delle parole chiave che di lingua francese, si deve ricordare che fra i primi assertori del credo romantico vi scriverai al termine dei raggi. Quindi, scrivi una erano, accanto al cattolico e legittimista Chateaubriand, personaggi di orientamento didascalia che argomenti le tue scelte. liberale come Madame de Staël, lo scrittore Benjamin Constant e lo storico Simonde b Trascrivi le parole e le espressioni in grassetto presenti nel paragrafo e spiega il loro significato de Sismondi; e che anche in seguito si sarebbero richiamati al Romanticismo molti nel contesto descritto. intellettuali impegnati nelle lotte per il liberalismo e la democrazia.
Romanticismo, correnti di pensiero, movimenti politici
Giovanni Battista Cigola, Ritratto di Lord Byron 1826 [Ateneo di scienze, lettere ed arti, Brescia]
tivamente l’Inghilterra. L’esilio volontario lo portò a Ginevra presso la comunità romantica di cui facevano parte anche Per-
cy Bysshe Shelley, il grande poeta inglese a cui Byron fu legato da profonda amicizia, e la sua compagna Mary Wollstonecraft (l’autrice del Frankenstein). Durante la permanenza Byron intrecciò una relazione con la sorellastra di Mary, Clara Clermont, da cui sarebbe nata l’altra figlia, Allegra. Il poeta la prenderà con sé all’età di 15 mesi, ponendo come condizione l’allontanamento della madre; all’epoca era già a Venezia, dove era giunto alla fine del 1816 e dove si sarebbe fermato per tre anni. Il soggiorno veneziano, in cui fece sfoggio di un tenore di vita tanto sregolato quanto principesco, contribuì a ingigantire la sua fama di personaggio eccentrico e scandaloso. A Venezia Byron compose i primi due canti del Don Juan, usciti nel 1819. A quell’anno risale anche l’inizio della sua lunga relazione con Teresa Gamba, giovane moglie del conte Guiccioli, che doveva scatenare un ennesimo scandalo. Byron la seguì a Ravenna, dove fu coinvolto nella preparazione dei moti del 1821 [►14_2], ai quali contribuì con armi e denaro, nonostante una visione lucida e piuttosto disincantata non gli consentisse grandi illusioni: «essi vogliono insorgere qui, e mi
onorano d’invito ond’io vi partecipi. Non mancherò, pur non credendoli forti per numero e per cuore a porsi all’impresa». Il suo nome finì negli elenchi della polizia, e la fallita insurrezione costringerà lui e i Gamba a riparare prima a Pisa, dove ritroveranno gli Shelley, e poi a Livorno all’inizio del 1822. Lì Byron apprenderà della morte della figlia Allegra, seguita da quella dell’amico Shelley nel Tirreno in tempesta. Affranto, Byron si trasferì a Genova, dove entrò in contatto con il comitato inglese per l’indipendenza della Grecia, decidendo di partecipare in prima persona alla spedizione in aiuto degli insorti: nel 1823 partì per Cefalonia con l’intento di organizzare la rivolta e prendere parte ai combattimenti, ma a Missolungi cadde gravemente malato. Per ironia della sorte, l’eroe romantico per eccellenza versava il suo sangue nei salassi, lontano dalla gloria dei campi di battaglia. Morirà il 19 aprile 1824. Il corpo fu imbalsamato e riportato in patria. L’Inghilterra, che lo aveva censurato da vivo, da morto gli riservò un funerale da Pari del Regno – ma, memore della sua insolenza, negò al poeta la sepoltura nella Cattedrale di Westminster.
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C11 i sistemi politici e le Ideologie nell’800
11_3 NAZIONE E NAZIONALISMI
Strettamente legato alla cultura romantica fu l’affermarsi dell’idea di nazione. Sino alla fine del ’700, il concetto di nazione aveva infatti un contenuto generico e dei confini incerti e soprattutto non svolgeva un ruolo centrale nella cultura politica e nel sentire comune. Il senso di appartenenza a una nazione veniva, per importanza, dopo l’affiliazione a una confessione religiosa e dopo l’identificazione con una comunità locale o regionale: si era prima cristiani, poi lombardi (o bretoni o tirolesi), e solo in terzo luogo italiani (o francesi o tedeschi). Il principio che lo Stato dovesse coincidere con una nazione era poi sostanzialmente estraneo alla cultura dell’ancien régime, anche se Stati a base nazionale, come la Francia, la Spagna, l’Inghilterra, si erano costituiti già in età medievale. L’idea moderna di nazione nacque con Rousseau e con la sua concezione dello Stato come espressione di un popolo, di una comunità di cittadini, di un «corpo morale e collettivo» capace di esprimere una volontà comune: concezione che la Rivoluzione francese avrebbe per la prima volta cercato di tradurre in realtà e che le guerre napoleoniche avrebbero diffuso in tutta Europa determinando un doppio processo di imitazione e di reazione [►FS, 103 e 104]. Ma fu soprattutto la cultura romantica tedesca del ’700-800 a scoprire la nazione, a esaltarla in quanto comunità «naturale» – unita da legami indissolubili di lingua, cultura e sangue – e a vedere in essa il fondamento di ogni organizzazione sociale e politica [►FS, 108-110]. Le due componenti che stavano alla base dell’idea di nazione – quella democratica di origine rousseauiana e quella naturalistica dei romantici tedeschi – erano molto diverse fra loro e furono alla base di tradizioni profondamente distinte.
L’idea di nazione
► Leggi anche: ► Fare Storia Una nuova idea di nazione, p. 528
In Germania, il movimento nazionale cresciuto negli anni delle guerre napoleoniche assunse spesso un carattere conservatore. Un carattere ben visibile, per esempio, nei celebri Discorsi alla nazione tedesca (1807-8) del filosofo Johann Gottlieb Fichte [►FS, 106d] – in cui si patria/nazione Il termine “patria” indica il territorio abitato da un popolo, proclamava la superiorità intellettuale e morale dei tedeschi sugli altri popoli e si i cui membri sentono di appartenervi per nascita (propria, delineava il progetto di uno Stato nazionale dai tratti fortemente autoritari –, o dei genitori e degli avi, cioè dei patres), e per lingua, nelle stesse opere del grande filosofo Friedrich Hegel, che concepiva lo Stato cultura, storia e tradizioni, cioè per identità nazionale. come un’entità organica e gerarchica, espressione degli interessi generali della società al di là e al di sopra dei diritti individuali [►FS, 107d]. Anche in altri paesi, particolarmente in quelli che avevano alle spalle una lunga storia unitaria, l’idea di nazione poteva esprimersi in forme tradizionaliste o reazionarie: nella stessa Francia, accanto al nazionalismo democratico, erede della Rivoluzione, ne esisteva uno cattolico e legittimista (che rivendicava la “legittimità” del potere dinastico dei sovrani spodestati in seguito alla Rivoluzione [►12_1]).
Il nazionalismo conservatore
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Eugène Delacroix, La Libertà guida il popolo 1830 [Musée du Louvre, Parigi] Questo dipinto di Eugène Delacroix divenne presto un’immagine emblematica degli ideali di libertà che negli anni ’30 dell’800 si affacciavano in tutta Europa: in esso viene rappresentata l’identificazione della Libertà con la Francia, con la nazione, e con l’ideale patriottico in cui si rispecchiano la temperie romantica e le istanze rivoluzionarie. La raffigurazione della Francia rivoluzionaria nelle vesti di una giovane donna col tricolore e il berretto frigio avrebbe avuto definitiva consacrazione con la Terza Repubblica, dopo il 1870.
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Invece, soprattutto nei movimenti nazionali di quei paesi in cui l’indipendenza andava conquistata o riconquistata – la Polonia, la Grecia, l’Ungheria e l’Italia – il sentimento nazionale assunse un carattere patriottico e rivoluzionario, collegandosi con le ideologie liberali e democratiche e acquistando spesso un respiro sovranazionale [►FS, 100]. Nella storia delle rivoluzioni ottocentesche si incontra spesso la figura del patriota che combatte per la libertà di altri popoli. La distinzione fra i due principali filoni dell’idea nazionale finiva tuttavia con l’annullarsi nel pensiero e nell’opera dei grandi interpreti ottocenteschi della nazionalità – il polacco Adam Mickiewicz, l’ungherese Lajos Kossuth, e soprattutto l’italiano Giuseppe Mazzini [►FS, 111d] –, METODO DI STUDIO che univano la fede nella democrazia col richiamo alle tradizioni nazionali e a Spiega per iscritto quali erano le appartenencon la concezione, tutta romantica, della nazione come comunità di sangue e di ze identitarie nella cultura dell’ancien régime e in cultura. cosa consistono l’idea di nazione democratica di origine rousseauiana e quella naturalistica dei romantici Quasi tutti i paesi europei coltivarono e talora inventarono una propria idea di tedeschi, mettendo in rilievo le differenze e le nazione, coniugandola con l’idea di un primato nazionale particolare – talora loro conseguenze. una vera e propria missione – destinato a confrontarsi e ad affermarsi sugli al b Realizza una tabella comparativa i cui indicatori siano “Il nazionalismo democratico” e “Il tri popoli. Questo elemento contribuirà, come vedremo, a determinare gli aspri nazionalismo conservatore”. conflitti nazionalistici di fine ’800.
Il nazionalismo democratico
11_4 IL PENSIERO LIBERALE
E IL PENSIERO DEMOCRATICO
► Leggi anche: ► Personaggi Tocqueville e la democrazia americana, p. 462 ► Fare Storia Le ideologie politiche dell’800, p. 518
Le due grandi ideologie dell’800 sono il liberalismo e la democrazia. Ma in che cosa differivano? Il liberalismo era fondato sull’idea di libertà quale si era venuta definendo nella cultura illuminista – che si rifaceva a Locke e Montesquieu – e nelle concrete esperienze politiche del ’600-700: il parlamentarismo britannico, la rivoluzione americana, la Rivoluzione francese. I suoi fondamenti erano la tolleranza e la libertà di opinione, il principio rappresentativo e la divisione dei poteri, la difesa dell’individuo contro gli abusi dell’autorità [►FS, 97d] e coincidevano per gran parte con i valori e gli interessi materiali della borghesia, ma anche con quelli di ampi settori della nobiltà aperta alle nuove concezioni intellettuali e allo sviluppo delle attività produttive. I privilegi di ceto e le monarchie assolute stavano evidentemente agli antipodi del liberalismo. Il modello istituzionale del liberalismo europeo si ispirava a quello britannico. Un regime in cui i diritti fondamentali del cittadino – libertà di pensiero, di stampa, di associazione – erano rispettati, in cui la proprietà, l’iniziativa privata e il libero commercio erano tutelati e incoraggiati, in cui l’autorità del potere centrale veniva limitata e controllata da organismi rappresentativi espressi da una élite più o meno ristretta di cittadini: coloro che, per posizione sociale, per ricchezza o per istruzione, si supponeva fossero i soli realmente interessati al buon andamento della cosa pubblica. In questo senso il pensiero liberale si distaccava nettamente da quello democratico, che ne rappresentava per molti aspetti uno sviluppo. La democrazia aveva come cardine l’idea di sovranità popolare, intesa come governo di tutto il popolibertà in negativo/libertà in lo, e che si riallacciava al pensiero di Rousseau e all’esperienza della Rivoluzione positivo francese. Per i democratici la forma di governo ideale era la repubblica e il canale Nel linguaggio politico la libertà in negativo (freedom from, “libertà da”) è la libertà intesa come assenza di legittimo di espressione della volontà popolare era l’assemblea eletta a suffragio impedimento o costrizione e circoscrive il fare ciò che le universale maschile. Mentre i liberali si preoccupavano soprattutto di costituire leggi non proibiscono: in termini più semplici, quello che meccanismi giuridici e istituzionali atti a garantire i diritti individuali, e dunque è lecito fare per legge. La libertà in positivo (freedom to, “libertà di”) esprime un concetto vicino alla possibilità di a limitare i pericoli insiti in qualsiasi forma di esercizio del potere, i democratici, prendere decisioni in autonomia (senza essere mossi a legati per lo più a una visione utopistica, insistevano sulla libertà “in positivo” farlo). La prima esprime piuttosto un’azione non costretta o non impedita, la seconda la volontà non determinata da e vedevano nella politica il mezzo per l’attuazione del “bene comune”. In parte altri, ma autodeterminata. coincidente con quella liberale era la base sociale dei democratici: ai borghesi,
Le differenze tra liberalismo e democrazia
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Frédéric Sorrieu, La repubblica democratica e sociale. Il trionfo 1848 [Musée Carnavalet, Parigi] L’opera di Frédéric Sorrieu si colloca nel bel mezzo del fervore ideologico e politico che anima la prima metà dell’800 e pone al centro la società civile, la rappresentanza cittadina e l’economia liberale. Nel Trionfo viene raffigurata la personificazione della Repubblica universale su una preziosa quadriga le cui redini sono tenute da quattro bambini che rappresentano i quattro continenti. Gli edifici dipinti a destra richiamano Parigi, da cui proviene il grande corteo cittadino diretto verso un monumento celebrativo della Rivoluzione francese. Alla base uno schiavo ha rotto le catene e un leone, simbolo della forza del popolo sovrano, schiaccia le insegne militari a indicare la pace raggiunta.
nelle varie gradazioni di reddito e di cultura, si aggiungevano infatti ceti artigianali e anche popolari alfabetizzati o dotati di una cultura di base [►FS, 95 e 96]. La linea divisoria fra liberali e democratici, molto netta sul piano teorico, era però assai più sfumata nella pratica politica, che li vedeva uniti nella lotta contro i regimi assolutistici. La Costituzione, il Parlamento elettivo, la garanzia delle libertà fondamentali erano obiettivi validi per gli uni come per gli altri. Questi obiettivi – che si possono genericamente definire “liberali” – costituirono il programma minimo e il terreno comune di lotta per tutte le forze politiche che si battevano contro quanti intendevano restaurare l’antico regime sconfitto dalla Rivoluzione francese e da Napoleone.
Gli obiettivi comuni
Il rapporto fra liberalismo e democrazia fu al centro della riflessione di due fra i pensatori politici più importanti e originali del loro secolo: l’inglese John Stuart Mill e il francese Alexis de Tocqueville. Economista, filosofo e politico impegnato, Mill partì dalle premesse teoriche comuni al liberalismo inglese del primo ’800 ma, nelle sue opere politiche più importanti, uscite negli anni attorno alla metà del secolo, contestò l’ottimismo implicito nelle tesi liberiste, sostenne la necessità di un intervento dei pubblici poteri per risolvere i problemi delle classi più disagiate, si batté per tutte le riforme politiche e sociali (ampliamento del suffragio esteso anche alle donne, libertà sindacale, istruzione obbligatoria, tasse sulla proprietà fondiaria) che consentissero una più equa distribuzione della ricchezza e una più ampia partecipazione popolare al governo della cosa pubblica [►FS, 98d].
John Stuart Mill
Diversamente da Mill, Alexis de Tocqueville non fu un teorico della politica in senso stretto, né un riformatore impegnato sul terreno sociale. Fu piuttosto un attentissimo osservatore della realtà del suo tempo e un lucido indagatore di alcune tendenze di fondo della società moderna. La sua opera più celebre, La democrazia in America – uscita fra il 1835 e il 1840 e ispiratagli da un viaggio negli Stati Uniti –, contiene, oltre che una vivace descrizione della società nordamericana, un’acuta riflessiosocietà civile ne sulla democrazia, destinata, secondo lui, ad affermarsi anche in Europa. Ma Questa espressione designa l’insieme dei membri della per Tocqueville, aristocratico di orientamento liberal-moderato, il prevalere delsocietà nei loro rapporti, in contrapposizione allo Stato e al le tendenze democratiche ed egualitarie rischiava di risolversi in un appiattimondo politico. mento delle diversità, in una distruzione delle autonomie della società civile, 404
Alexis de Tocqueville
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ponendo le premesse per nuove forme di autoritarismo. A questi pericoli, segnalati anche da Mill, non si poteva reagire, a suo avviso, bloccando lo sviluppo della democrazia, impresa del resto impossibile, ma incanalandola negli istituti del pluralismo liberale: separazione dei poteri, libertà di stampa, autonomie locali.
METODO DI STUDIO
a Realizza due insiemi, uno relativo al liberalismo e l’altro alla democrazia. Indica al loro interno i princìpi ispiratori, gli obiettivi e i modelli istituzionali di riferimento ricordando di intersecare gli insiemi per indicare gli elementi comuni. b Cerchia le parole chiave che, secondo te, aiutano a ricostruire il pensiero di John Stuart Mill e quello di Alexis de Tocqueville e argomenta la tua scelta per iscritto.
11_5 IL CATTOLICESIMO LIBERALE
La chiusura della Chiesa nell’età delle rivoluzioni
E IL CATTOLICESIMO SOCIALE
Di fronte ai grandi rivolgimenti politici e ideologici dall’Illuminismo in poi, la Chiesa cattolica e il cattolicesimo reagirono sia sul piano teorico che su quello organizzativo. Ma ci vorrà ben più di un secolo perché la più grande organizzazione del cristianesimo cominci a venire a patti col mondo
moderno. Agli inizi buona parte del mondo cattolico si attestò su posizioni di radicale rottura con la tradizione illuminista e con gli ideali liberali e democratici, dando vita, in alcuni casi, a vere e proprie utopie reazionarie: come quella a sfondo teocratico del savoiardo Joseph de Maistre, sostenitore di un assolutismo monarchico fondato sul diritto divino dei re. De Maistre giunse a invocare, in una celebre opera del 1819 intitolata Du Pape (Sul Papa), la sottomissione dei sovrani all’autorità suprema del pontefice di Roma.
reazionario Nel linguaggio politico è colui che appoggia un movimento di reazione politica. Il termine, originariamente riferito agli oppositori della Rivoluzione francese, venne successivamente esteso a coloro che avversano ogni riforma e innovazione, mostrandosi tendenzialmente ostili al progresso.
Non mancavano nemmeno allora, tuttavia, cattolici schierati su posizioni progressiste o addirittura rivoluzionarie: in realtà le prime formulazioni di un cattolicesimo liberale, che sosteneva la possibilità e l’opportunità di affermare i valori della religione nel quadro delle libertà costituzionali, si ebbero in Francia nei tardi anni ’20, a opera di un gruppo di intellettuali raccolti attorno all’abate Félicité de Lamennais, protagonista di una singolare evoluzione che lo avrebbe fatto schierare su posizioni democratiche. Nel 1830 Lamennais fondò una rivista intitolata «L’Avenir» («L’Avvenire»), che si proponeva di suscitare un moto di riforma all’interno della Chiesa per indurla ad abbandonare i progetti teocratici. Intanto il cattolicesimo liberale si era diffuso in altri paesi europei: soprattutto in Belgio – dove l’alleanza fra liberali e cattolici fu una delle chiavi del successo della lotta per l’indipendenza – ma anche in Italia, in Germania e in Irlanda. Il programma dei cattolici liberali era generalmente improntato a notevole moderazione. Il loro principale obiettivo era quello di salvare la Chiesa dai pericoli derivanti da una troppo stretta identificazione con il passato prerivoluzionario. Il loro laicismo non si spingeva al punto di invocare la separazione fra Chiesa e Stato, teorizzata invece da ampi settori del mondo protestante. Per i cattolici liberali lo Stato doveva non solo rispettare i diritti della Chiesa, ma anche mantenere un carattere cristiano alla sua legislazione (in materia, per esempio, di matrimonio e di istruzione), pur assicurando piena libertà alle altre confessioni religiose. Queste idee, per quanto moderate, non potevano però essere accettate dai vertici ecclesiastici: in un’epoca caratterizzata da grandi mutamenti sociali e dalla crescente diffusione delle ideologie laiche, la Chiesa cattolica era infatti preoccupata soprattutto di riaffermare la sua autorità e il suo magistero sulle masse popolari, in particolare su quelle contadine.
Il progressismo dei cattolici liberali
Jean-Baptiste Guerin, Hugues Félicité Robert de Lamennais 1827 [Musée National du Château, Versailles]
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Gli alunni del Pio Istituto di S. Maria della Pace [Civica Raccolta delle Stampe A. Bertarelli, Milano] L’istituto rappresentato in questo calendario per l’anno 1843 era stato fondato a Milano nel 1841 da padre Marchiondi e aveva lo scopo di correggere e rieducare i fanciulli “socialmente deviati”. Quello dell’educazione era un ambito in cui la Chiesa cattolica poteva largamente operare, impegnandosi nell’istruzione delle classi sociali meno agiate.
Una parte dei cattolici liberali preferì trasferire il proprio impegno sul terreno sociale: un impegno per certi aspetti nuovo – e reso attuale dall’esplodere della questione operaia [►11_8] – ma per altri versi in linea con la tradizione caritativa della Chiesa cattolica e, comunque, tale da evitare problemi di ordine dottrinario o teoMETODO DI STUDIO logico. Pioniere di questa nuova forma di impegno fu ancora una volta un francese, a Realizza una tabella comparativa i cui indiAntoine-Frédéric Ozanam, fondatore nel 1833 della Società di San Vincenzo de’ catori siano “Il cattolicesimo liberale” e “Il cattolicesimo sociale”. Paoli che riuniva, con fini assistenziali e caritativi, numerosi esponenti dell’ari b Rispondi per iscritto alle seguenti domande: stocrazia e dell’alta borghesia. Richiamando le classi agiate ai doveri della solidaa. Chi era e cosa proponeva de Maistre? b. Come furietà, ma incoraggiando anche la formazione di associazioni di mestiere sul morono accolte le posizioni dei cattolici liberali da parte della Chiesa? c. Chi fu l’ispiratore del cattolicesimo dello delle corporazioni medievali, Ozanam inaugurò una corrente – quella del sociale? cattolicesimo sociale – destinata a notevoli sviluppi in molti paesi cattolici nella seconda metà dell’800.
Il cattolicesimo sociale
11_6 IL SOCIALISMO
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La diffusione in Europa delle ideologie socialiste rappresentò una risposta al difIl socialismo fondersi dell’industrializzazione, alla crescita del proletariato e alle nuove diutopistico mensioni assunte dalla “questione sociale”. Il nucleo centrale del pensiero socialista consisteva nella convinzione che, per superare i mali e le ingiustizie del capitalismo industriale (in particolare quelli inerenti alla condizione operaia), non era sufficiente la pratica delle riforme dall’alto né tantomeno il ricorso alla carità e alle iniziative filantropiche. Era invece necessario colpire alla radice i princìpi informatori della società capitalistico-borghese – l’individualismo, la concorrenza, il profitto – e sostituirli con i valori della solidarietà e dell’uguaglianza: costruire insomma una società completamente nuova, non solo nelle istituzioni politiche, ma anche e soprattutto nelle strutture economiche.
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► Leggi anche: ► Parole della storia Socialismo/Comunismo, p. 409
Per questa sua carica utopica, il pensiero socialista del primo capitalismo ’800 si collegava a progetti ed esperienze maturati nell’ambito Sistema socio-economico caratterizzato da una larga della società preindustriale, in particolare alle correnti radicaformazione e mobilità dei capitali, dalla proprietà privata dei mezzi di produzione, dalla ricerca del profitto li ed egualitarie che si erano manifestate nel corso della prima Rivoluzione inglese individuale e dalla separazione dei produttori in classi e della Rivoluzione francese, in parte confluite nelle società segrete del periodo sucdetentrici dei capitali (la borghesia) e classi lavoratrici (il cessivo. Rispetto a tali esperienze il socialismo ottocentesco si distingueva proprio proletariato). per il suo costante riferirsi alla nuova realtà dell’industrializzazione. Questo legame cooperative di consumo con i problemi della rivoluzione industriale è particolarmente evidente nell’espeLe cooperative di consumo hanno per soci i consumatori, e rienza dei due principali antesignani del socialismo moderno: il gallese Robert questi – per il tramite della cooperativa – fanno acquisti in Owen e il francese Claude-Henri de Saint-Simon. comune a condizioni migliori di quelle di mercato. Imbevuto di ideali illuministi e umanitari, l’industriale cotoniero Robert Owen (1771-1858) tentò dapprima di mettere in pratica le proprie idee nel suo stabimovimento operaio limento-modello di New Lanark, in Scozia, poi si dedicò prevalentemente alla L’insieme delle associazioni e delle organizzazioni dei lavoratori. formazione delle prime organizzazioni operaie, le Trade Unions, cercando di ► promuoverne l’unificazione a livello nazionale [ 11_8]. In una fase successiva, si fece promotore e organizzatore di cooperative di consumo fra i lavoratori, dando vita a un movimento che avrebbe conosciuto notevoli sviluppi soprattutto a partire dagli anni ’50. Per queste sue iniziative nel campo dell’associazionismo, Owen ebbe un ruolo di fondamentale importanza nella storia del movimento operaio inglese e mondiale. Completamente diversa fu l’esperienza intellettuale di Saint-Simon. Aristocratico formatosi nell’ancien régime (era nato nel 1760), Saint-Simon fu uno dei primi a capire la novità dell’industrialismo e a esaltarne le potenzialità di progresso. Negli ultimi anni della sua vita, fra il 1820 e il 1825, teorizzò l’avvento di una nuova società governata dai tecnici (personale altamente specializzato nelle diverse discipline) e dai produttori – espressione con cui erano accomunati industriali e operai – nell’interesse dell’intera collettività. Le teorie di Saint-Simon, che non si possono definire socialiste in senso stretto, furono sviluppate dai suoi numerosi seguaci in direzioni diverse e contrastanti. Alcuni ne colsero gli aspetti capitalistici
Gli antesignani del socialismo
Lo stabilimento cotoniero di Robert Owen a New Lanark, in Scozia Robert Owen, figlio di un sellaio, diventa dirigente di fabbriche tessili e quindi comproprietario delle filande di New Lanark, in Scozia. Qui Owen rende operativa una vera e propria comunità industriale modello, dove le condizioni generali di vita sono di gran lunga migliori rispetto ad altre situazioni coeve (per esempio, si lavora soltanto per dieci ore e mezza al giorno, con una pausa per il pranzo, e non vengono assunti bambini sotto i dieci anni). Nonostante il discreto successo, Owen abbandona l’impresa e tenta di mettere in pratica le proprie teorie negli Stati Uniti, dove fonda la comunità di New Harmony (1824-28), nell’Indiana. Fallito questo tentativo, Owen torna in Gran Bretagna per dedicarsi all’attività sindacale. Le officine di New Lanark sono rimaste attive sino al 1968 e oggi, insieme al vicino villaggio, sono diventate un museo; dal 2001 fanno parte del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.
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e tecnocratici e si impegnarono nelle attività bancarie e affaristiche. Altri le interpretarono in senso socialistico e – riferendosi soprattutto all’ultima opera di SaintSimon, intitolata Il nuovo cristianesimo – cercarono di fondare su di esse una vera e propria religione laica. In questa seconda versione, il sansimonismo esercitò una notevole influenza sul pensiero socialista successivo, ma anche su alcuni settori della sinistra democratica, come per esempio i mazziniani in Italia. Fu nella Francia degli anni ’30 e ’40 dell’800 che il socialismo conobbe i suoi più ampi sviluppi teorici: qui, in assenza di un movimento operaio già organizzato come quello che stava crescendo in Gran Bretagna, questi sviluppi assunsero o una connotazione utopistica o una declinazione marcatamente rivoluzionaria.
Il socialismo in Francia
anarchismo Le idee anarchiche, fin dalle prime formulazioni rintracciabili nell’Illuminismo e in alcune tendenze radicali della Rivoluzione francese, propugnavano l’emancipazione totale dell’uomo da ogni autorità e da ogni forma di oppressione. Massimo teorizzatore dell’anarchismo fu, nell’800, il russo Michail Bakunin (1814-1876) che sosteneva l’abolizione dello Stato, considerato la principale fonte di oppressione sociale. Secondo l’ideologia anarchica i lavoratori possono organizzarsi da sé, partendo dai più piccoli nuclei e in un modo più autonomo.
Il rappresentante più tipico della tendenza utopista fu certamente Charles Fourier. Quella delineata nei suoi scritti, apparsi all’inizio degli anni ’30, era un’utopia radicalmente anti-industriale (dunque lontana dalle idee dei sansimoniani), che mirava non solo ad assicurare un’equa distribuzione delle risorse, ma anche a risolvere il problema della felicità individuale attraverso una nuova concezione del lavoro. Per raggiungere questi obiettivi, Fourier pensava a una società organizzata in tante piccole comunità – i falansteri – autosufficienti dal punto di vista economico: i componenti di queste comunità si sarebbero alternati nelle diverse attività lavorative in base alle loro inclinazioni.
Charles Fourier
Instancabile organizzatore di trame rivoluzionarie per oltre un quarantennio, Auguste Blanqui (1805-1881) si dedicò non tanto a descrivere la futura società socialista, quanto a studiare i mezzi per abbattere il sistema borghese tramite l’insurrezione che avrebbe consegnato il potere nelle mani del popolo: fu lui a elaborare per primo il concetto di dittatura del proletariato, che sarebbe poi stato ripreso da Karl Marx e Friedrich Engels [►11_7]. Un altro francese, Louis Blanc (1811-1882), può essere considerato sotto molti aspetti il capostipite del socialismo riformista. Blanc era infatti convinto che la soluzione dei mali del capitalismo poteva venire solo da un intervento dello Stato come regolatore, e al limite come gestore in proprio, dei processi produttivi. Il primo e più importante intervento doveva consistere nella creazione di ateliers sociaux (“officine sociali”) che avrebbero avuto il doppio scopo di combattere la disoccupazione e di soppiantare progressivamente le imprese private.
Auguste Blanqui e Louis Blanc
Un posto a parte nel panorama del primo socialismo francese è occupato infine da Pierre-Joseph Proudhon, che divenne celebre nel 1840 per un saggio intitolato Che cos’è la proprietà?; la risposta, provocatoria, era: «la proprietà è un furto». Successivamente Proudhon sviluppò il suo pensiero in direzione di un cooperativismo a sfondo anarchico più che socialista destinato a esercitare una forte influenza su strati consistenti del movimento operaio europeo. In particolare le idee proudhoniane influenzarono in modo significativo le elaborazioni dei primi teorici socialisti italiani, soprattutto Carlo Pisacane [►15_2] e Giuseppe Ferrari [►14_5].
Proudhon e le origini dell’anarchismo
METODO DI STUDIO
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a Cerchia con colori diversi i princìpi politici del socialismo e sottolinea, laddove possibile, le relative caratteristiche utilizzando gli stessi colori. b Trascrivi i nomi dei personaggi storici citati nel paragrafo e descrivi sinteticamente il loro contributo al socialismo. c Descrivi sinteticamente gli sviluppi del pensiero socialista in Francia e spiega le cause di questi orientamenti peculiari.
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Gustave Courbet, Pierre-Joseph Proudhon e i suoi figli 1853 [Petit Palais, Parigi] Sostenitore di un socialismo fondato sulle piccole comunità autogestite, PierreJoseph Proudhon è qui ritratto dal pittore realista francese Gustave Courbet (1819-1877).
11_7 MARX ED ENGELS
Negli anni ’30 e ’40, le idee socialiste conobbero una certa diffusione anche in Germania, dove trovarono sostenitori non tanto nell’ancora scarso proletariato industriale locale, quanto tra le comunità abbastanza numerose di lavoratori tedeschi che operavano in Belgio, in Gran Bretagna e soprattutto in Francia. Nel 1847 uno di questi gruppi, la Lega dei comunisti, affidò l’incarico di stendere il suo manifesto programmatico a due intellettuali non ancora trentenni: Karl Marx e Friedrich Engels. Engels, nato nel 1820, era figlio di un ricco industriale, aveva soggiornato a lungo in Inghilterra, aveva studiato le opere degli economisti “classici” Smith e Ricardo [►4_3] ed era noto soprattutto come autore di un saggio sulla Situazione della classe operaia in Inghilterra, uscito nel 1845. Marx, più anziano di due anni, aveva una formazione essenzialmente filosofica ma era insoddisfatto di un’attività puramente speculativa: era convinto che compito degli intellettuali fosse non tanto “interpretare il mondo”, come fino ad allora avevano fatto i filosofi, quanto “cambiarlo”.
Il socialismo tedesco
Nel Manifesto del Partito comunista [►FS, 99d], uscito a Londra in lingua tedesca all’inizio del 1848, Marx ed Engels si fecero assertori di un nuovo socialismo – da loro definito scientifico in contrapposizione a quello utopistico – che univa una fortissima carica rivoluzionaria a un solido fondamento economico e filosofico. Il nucleo fondamentale del «socialismo scientifico» sta in una concezione materialistica e dialettica della storia, vista essenzialmente come un susseguirsi di lotte di classe, di scontri fra interessi economici. I rapporti economici costituiscono, per gli autori del Manifesto, la base portante, la «struttura» di ogni società. Le ideologie e le istituzioni politiche, a cominciare dallo Stato, sono solo «sovrastrutture» che servono a organizzare e a legittimare il dominio di una classe sulle altre. Anche i regimi liberali e democratici sono l’espressione di un dominio di classe, quello della borghesia giunta alla fase matura della sua ascesa rivoluzionaria [►FS, 100].
Il Manifesto del Partito comunista
Parole della storia
Socialismo/ Comunismo
N
el linguaggio politico dell’800 e del ’900, il termine socialismo indica un progetto di riorganizzazione della società volto ad abolire – o a limitare fortemente – la proprietà privata dei mezzi di produzione (macchinari, impianti, utensili, terre, ecc.), a porre le risorse economiche sotto il controllo della collettività, a promuovere in questo modo l’eguaglianza sostanziale – e non solo giuridica – fra i membri della collettività stessa. In questo senso, il termine si cominciò a usare negli anni ’20 dell’800 in Francia e in Gran Bretagna per opera dei gruppi sansimoniani e dei seguaci di Owen, legandosi strettamente alle prime lotte e ai primi tentativi di organizzazione della classe operaia. Nel decennio successivo, altri pensatori e agitatori (Cabet e Blanqui in Francia, Weitling in Germania) preferirono servirsi del termine
comunismo, che già si usava, a partire dal ’700, in riferimento alle utopie collettivistiche ed egualitarie sviluppatesi nell’ambito della società preindustriale. Anche Marx ed Engels si dissero comunisti e parlarono di società comunista per definire lo stadio finale dell’evoluzione storica: quello in cui, scomparse le classi e abolito il diritto borghese, ognuno avrebbe potuto dare secondo le proprie capacità e ricevere secondo i propri bisogni. Da allora si intese per “comunismo” una variante più radicale del socialismo, in cui l’accento era posto sugli obiettivi finali più che sulle tappe intermedie delle lotte proletarie. Nello stesso tempo – cioè negli anni attorno alla metà del secolo – il termine “socialismo” veniva assumendo una caratterizzazione più generica ed era usato anche per designare l’atteggiamento di chi cercava soluzioni nuove alla questione operaia, o semplicemente per indicare la tendenza dei poteri pubblici a intervenire attivamente nelle vicende economico-sociali (in questo senso il socialismo era l’antitesi del liberismo).
Nonostante queste oscillazioni di significato, il termine socialismo continuò a essere il più usato per designare il programma e l’organizzazione politica del movimento operaio europeo. Socialisti o socialdemocratici si chiamarono i partiti nati negli ultimi decenni dell’800 come espressione politica delle classi lavoratrici. Socialista si chiamò l’organizzazione internazionale (la Seconda Internazionale) che riuniva quei partiti. La distinzione tra socialismo e comunismo tornò d’attualità – e si tradusse in scissione fra due modelli di partito e fra due Internazionali – dopo la rivoluzione russa del 1917. Da allora continuarono a chiamarsi socialisti i partiti che restavano fedeli alla tradizione e ai metodi della Seconda Internazionale e che tendevano gradualmente ad abbandonare le strategie rivoluzionarie; mentre presero il nome di comunisti quelli che si ispiravano direttamente all’esperienza russa dell’ottobre ’17, all’ideologia leniniana e al modello organizzativo del Partito bolscevico.
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LE IDEOLOGIE POLITICHE NELL’800
Liberali
Democratici
Cattolici
Reazionari
Socialisti
Sovranità popolare
Liberali
Monarchia assoluta per diritto divino
Contro le ingiustizie del capitalismo industriale
Divisione dei poteri
Libertà
Suffragio censitario
Suffragio universale
Monarchia costituzionale
Uguaglianza dei diritti
Repubblica
Infatti, dando vita al capitalismo industriale, la borghesia ha accresciuto enormemente le capacità produttive dell’umanità e ha abbattuto le disuguaglianze giuridiche della società feudale. Ma, al tempo stesso, ha suscitato contraddizioni che non riesce più a risolvere e ha prodotto il suo antagonista storico, il nuovo soggetto sociale destinato a soppiantarla: il proletariato. È infatti la logica stessa del sistema capitalistico-industriale che fa crescere continuamente il numero dei proletari e, contemporaneamente, li riduce a una massa indifferenziata, dequalificata, e fatalmente destinata a diventare sempre più misera e pronta alla rivoluzione.
La rivoluzione proletaria
Secondo Marx ed Engels, ribellandosi al sistema capitalistico, il proletariato non ha da perdere nulla «se non le
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Honoré Daumier, La rivolta 1860 ca. [The Phillips Collection, Washington] Fra gli artisti che nella seconda metà dell’800 desiderarono interpretare il proprio tempo, un posto rilevante è occupato dal francese Honoré Daumier (1808-1879). Con una attenzione appassionata e quasi carica di rabbia, Daumier rivolge il proprio sguardo alla società moderna, al “prodotto sociale” della rivoluzione industriale: il proletariato urbano. Attraverso l’uso di un segno rapido e incisivo, che produce forme volutamente grottesche e deformate, Daumier raffigura l’amara realtà che lo circonda, esprimendo un profondo senso di comprensione per la miseria e le sofferenze altrui. Un critico suo contemporaneo gli scrisse: «Grazie a voi il popolo potrà finalmente parlare al popolo».
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Rigenerazione della società
Assistenzialismo
Carità Garanzia delle libertà, Costituzione, Parlamento elettivo
Uguaglianza
Cattolicesimo sociale
Solidarietà
Utopisti
Riformisti Rivoluzionari
proletariato Nella Roma antica il proletario (in latino proletarius) era il nullatenente, colui che non aveva altra ricchezza che la sua prole e occupava quindi l’ultimo gradino della scala sociale. Il termine “proletariato” – ossia l’insieme, la classe dei proletari – venne introdotto nel linguaggio politico moderno agli inizi dell’800 e, con la diffusione del pensiero socialista, divenne poi di uso comune per definire i lavoratori salariati e le loro famiglie.
proprie catene»: è dunque una classe naturalmente rivoluzionaria, in quanto rappresenta, al contrario della borghesia, gli interessi dell’enorme maggioranza della popolazione. Per far valere i suoi interessi, il proletariato deve organizzarsi non solo all’interno dei singoli Stati, ma anche su scala sovranazionale, rifiutando la logica dei nazionalismi: «Proletari di tutti i paesi, unitevi!» è il celebre appello con cui si conclude il Manifesto. Una volta organizzata, la classe operaia profitterà dell’inevitabile crisi del capitalismo – che colpirà per primi i paesi più industrializzati – e assumerà il potere. In una prima fase, questo potere prenderà le forme della dittatura, necessaria per contrastare i prevedibili tentativi di reazione della borghesia e per assicurare il passaggio alla vera società comunista: la società senza privilegi, senza classi, senza proprietà privata e senza Stato, in cui le enormi potenzialità produttive di cui la tecnica umana è capace saranno messe al servizio dell’intera collettività. Queste proposte e queste indicazioni non trovarono un seguito ampio e immediato in un movimento operaio europeo che era ancora disorganizzato e frammentato e mantennero quindi un inevitabile carattere utopistico. Le ► rivoluzioni del 1848 [ 12_8] – scoppiate in coincidenza con l’uscita del Manifesto – se da un lato avrebbero portato in primo piano, soprattutto in Francia, le istanze di una classe operaia sempre meno disposta a subordinare i suoi obiettivi a quelli della borghesia, dall’altro avrebbero rivelato quanto questa classe operaia fosse debole e isolata e quanto la stessa borghesia fosse ancora lontana dall’aver compiutamente realizzato i suoi progetti politici.
Debolezza del movimento operaio in Europa
Bandiera di un’organizzazione sindacale tedesca XIX sec. La frase di chiusura del Manifesto del Partito comunista («Proletarier aller Länder, vereinigt euch!», «Proletari di tutti i paesi, unitevi!») diventa subito uno slogan estremamente popolare ed è ricamata su questa bandiera rossa che al centro ha la stretta di mano, simbolo della fratellanza operaia, e il Sole nascente, simbolo del futuro radioso che dissipa le nuvole dell’oppressione.
METODO DI STUDIO
a Sintetizza attraverso dei titoletti che scriverai al lato del testo i contenuti essenziali del Manifesto comunista del 1848. b Spiega per iscritto i seguenti concetti del pensiero di Marx e di Engels: a. «struttura»; b. «sovrastruttura»; c. socialismo «scientifico»; d. borghesia rivoluzionaria. c Sottolinea quelle che furono nella realtà le caratteristiche e le reazioni del proletariato alle rivoluzioni del 1848.
11_8 LA QUESTIONE OPERAIA
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Lo sviluppo e la diffusione dell’industria moderna provocarono in tutti i paesi coinvolti in questo processo profonde trasformazioni nella struttura sociale. Al concetto di ceto, legato alla posizione occupata per nascita o al godimento di particolari diritti, si venne sostituendo quello di classe, definito soprattutto in rapporto al ruolo svolto nel processo produttivo in una società che, almeno dal punto di vista formale, tendeva ad assicurare l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. L’antagonismo fondamentale che si veniva profilando non era più quello fra l’aristocrazia e il popolo, ma quello fra il borghese, proprietario dei mezzi di produzione, e il proletario, lavoratore salariato, dotato soltanto della forza delle sue braccia e della sua capacità di generare figli, la “prole”.
Borghesi e proletari
► Focus Povertà e controllo sociale ► Laboratorio di cittadinanza I diritti e le associazioni dei lavoratori, p. 413
Nei paesi dell’Europa continentale questo dualismo, fino alla metà dell’800, aveva aspetti marginali. Imprenditori e salariati erano invece protagonisti del confronto sociale in Gran Bretagna. Qui la borghesia svolgeva, già negli anni ’30 e ’40, un ruolo politico di primo piano e una parte della stessa aristocrazia tendeva a farsi imprenditrice; lo sviluppo della grande fabbrica stava concentrando in alcune città industriali una massa operaia sempre più consistente e agguerrita. Nel 1850, i lavoratori impiegati nelle manifatture e nelle fabbriche inglesi erano 3.250.000. Il solo settore tessile impiegava oltre un milione di operai. Per la gran massa dei lavoratori dell’industria le condizioni di vita rimanevano estremamente difficili. E il fatto che il lavoro in fabbrica rappresentasse per molti un’alternativa alla fame o alla pubblica carità e
Il confronto sociale in Gran Bretagna
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che il livello medio delle retribuzioni nell’industria risultasse, nonostante tutto, superiore a quello dei lavoratori agricoli non toglieva nulla alla drammaticità di una condizione tanto dura da apparire inumana anche a molti osservatori contemporanei. Da questa realtà derivava da un lato l’impulso delle classi dirigenti a farsi carico in qualche misura – seppur in forme sostanzialmente paternalistiche – degli aspetti più gravi della questione operaia, dall’altro la spinta degli operai stessi ad associarsi fra loro e a ribellarsi alla propria condizione. Quest’ultima era una tendenza favorita dal lavoro in fabbrica e dal fatto di vivere a stretto, continuo contatto gli uni con gli altri. I primi episodi di ribellione contro il sistema di fabbrica avevano assunto, come sappiamo, la forma del luddismo [►10_5]. Negli anni ’20 gli operai inglesi, guidati per lo più da leader democratico-radicali, avevano cominciato a sperimentare forme di agitazione pacifica – manifestazioni, comizi, scioperi –, in cui le rivendicazioni economiche si mescolavano a quelle politiche, e avevano lottato per ottenere l’abrogazione di quelle leggi che – in Gran Bretagna come in altri paesi – dichiaravano illegali le associazioni fra i lavoratori e proibivano il ricorso allo sciopero. Da queste lotte – in parte coronate da successo grazie alla legge del 1824 che legalizzava le associazioni operaie – nacquero le prime Trade Unions (“unioni o associazioni di mestiere”), nucleo originario di un movimento sindacale destinato a grandi sviluppi. Nei paesi dell’Europa continentale, il processo di formazione del proletariato di fabbrica e di crescita delle organizzazioni operaie fu naturalmente molto più lento. In Francia e in Germania, attorno alla metà del secolo, gli occupati nell’industria erano circa un quarto della popolazione attiva – mentre già raggiungevano il 50% in Gran Bretagna. E in questa percentuale era compresa una quota consistente di addetti alle tradizionali attività artigiane.
Le Trade Unions
Emilio Longoni, L’oratore dello sciopero 1891 [Collezione privata, Pisa] e ancora nei primi decenni del secolo successivo, lo sciopero era Nei diversi paesi europei, il diritto ritenuto una manifestazione illegale di sciopero e la tutela dei partiti e la repressione da parte delle e delle associazioni sindacali forze dell’ordine nei confronti degli sono stati sanciti dalle diverse scioperanti era una pratica assai legislazioni nazionali solo in epoche diffusa. relativamente recenti. Per tutto l’800,
Tuttavia, anche nei paesi “secondi arrivati” sulla via dell’industrializzazione, la questione sociale o operaia si venne sempre più imponendo all’attenzione dell’opinione pubblica e delle classi dirigenti. L’addensarsi di masse proletarie numerose e compatte in alcuni fra i maggiori centri urbani, soprattutto nelle METODO DI STUDIO capitali, suscitava ovunque diffuse preoccupazioni di ordine igienico-sanitario, a Trascrivi sul quaderno i titoli dei sottoparacrescenti timori per l’ordine pubblico, ma anche reazioni di tipo moralistico. grafi. Individua il concetto principale affrontato in ognuno di essi e descrivine sinteticamente i conNelle periferie operaie dilagavano infatti l’alcolismo e la prostituzione, aumentatenuti seguendo lo schema delle 5W (Chi? Cosa? vano le nascite illegittime, salivano gli indici della criminalità. Si diffondeva fra i Dove? Quando? Perché?). ceti urbani benestanti l’equazione fra classi lavoratrici e «classi pericolose». b Rispondi alle seguenti domande: a. Che cosa distingue il concetto di classe da quello di ceto? b. D’altro canto, cresceva il numero di coloro che individuavano nella classe operaia Quale antagonismo sociale emerse nella società innon solo la principale vittima di un ordine sociale ingiusto, ma anche la maggiodustriale? c. Perché la classe operaia era considerata re protagonista di un processo rivoluzionario destinato a dar vita a un nuovo pericolosa dai benestanti? assetto economico e politico.
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La questione operaia
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LABORATORIO DI CITTADINANZA I DIRITTI E LE ASSOCIAZIONI DEI LAVORATORI
L
e trasformazioni provocate dalla rivoluzione industriale, con il degrado delle condizioni di lavoro e del tenore di vita delle masse operaie, fecero emergere la cosiddetta “questione sociale” e la conseguente necessità di migliorare le condizioni dei lavoratori. Si sviluppò così, gradualmente, il diritto del lavoro, che comprende il diritto sindacale (esistenza e modalità di azione e contrattazione delle organizzazioni sindacali), la legislazione sui rapporti di lavoro (salari, orario di lavoro, licenziamenti, ecc.) e la previdenza sociale (tutela del lavoratore in caso di infortunio, malattia, disoccupazione, vecchiaia): si parla, a questo proposito, di diritti economico-sociali. All’inizio dell’800 la condizione degli operai era difficile (giornate lavorative che potevano arrivare a 16 ore, assenza di giorni di ferie o di riposo per malattia o gravidanza, salari bassissimi) e precaria (gli imprenditori potevano liberamente licenziare). La reazione a questo tipo di subordinazione fu l’organizzazione sindacale: i lavoratori, infatti, iniziarono a
riunirsi in associazioni che, mediante azioni di protesta come gli scioperi, volevano costringere gli imprenditori ad una contrattazione collettiva sui salari e sulle condizioni di lavoro. In Gran Bretagna, negli anni ’70 dell’800 fu legalizzata l’attività del sindacato, che venne sancita come diritto nel 1906. Negli anni successivi, attraverso la contrattazione collettiva, vennero raggiunti molti accordi sui salari e sulla tutela del lavoro femminile e minorile. Con il tempo, il reato di sciopero fu soppresso, anche se i lavoratori che si astenevano dal lavoro continuarono a rischiare il licenziamento. Alla metà del ’900 il diritto allo sciopero era ormai garantito più o meno ovunque, senza possibilità di sanzioni penali o civili (licenziamento, multe) per i lavoratori; ne è un esempio l’articolo 40 della Costituzione italiana, del 1948: «Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano». Oltre ai diritti di associazione e di sciopero e alla fissazione di salari dignitosi («un giusto prezzo per un giusto lavoro»), le principali rivendicazioni del movimento operaio di fine ’800 riguardarono la definizione dell’orario di lavoro giornaliero a otto ore. Gradualmente questo traguardo è stato raggiunto in tutta Europa e oggi l’orario massimo di lavoro è fissato a 48 ore a settimana: in Italia, la legge 196/1997 lo ha ridotto a 40; in Francia, dal 1998 è stato fissato a 35 ore a settimana. Sempre nel corso dell’800, inoltre, ovunque lo Stato ha cominciato a intervenire nei rapporti di lavoro. Inizialmente, l’intervento statale si è limitato alla tutela del lavoro minorile e femminile, ma poi si è esteso a tutti gli aspetti dei rapporti di lavoro: la Costituzione italiana, ad esempio, afferma che il lavoro è un diritto, lo tutela in tutte le sue forme e applicazioni (art. 35),
James Sharples, Tessera del sindacato dei metallurgici 1852 ca. [Trade Unions Congress, Londra] Le prime associazioni dei lavoratori nacquero in Inghilterra e presero il nome di Trade Unions. Da questi primi nuclei ebbe origine il movimento sindacale che conosciamo ancora oggi. La figura mostra la tessera del sindacato degli operai metallurgici realizzata su disegno di James Sharples, egli stesso operaio.
garantisce una giusta retribuzione e il diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite (art. 36). In tutti i paesi occidentali, inoltre, lo sviluppo del sindacalismo è andato di pari passo con quello della legislazione sociale, che tutela i lavoratori ammalati, le vittime di infortuni sul lavoro o gli anziani. A livello mondiale, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo), l’agenzia delle Nazioni Unite (Onu) che si occupa di «promuovere il lavoro dignitoso e produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana per uomini e donne», ha identificato quattro aree di diritti irrinunciabili dei lavoratori, che dovrebbero essere rispettati da tutti gli Stati membri e dalle imprese multinazionali: 1) la libertà di azione sindacale e di contrattazione collettiva; 2) l’eliminazione di tutte le forme di lavoro forzato; 3) l’abolizione effettiva del lavoro minorile; 4) l’eliminazione della discriminazione in materia di lavoro e di impiego. Queste dichiarazioni, tuttavia, non sono state in grado di frenare nel mondo contemporaneo gli effetti della globalizzazione dell’economia sui diritti dei lavoratori, che sono sempre più erosi in nome della produttività e della competitività. In Italia, l’industrializzazione, e con essa il sindacalismo, si è sviluppata piuttosto tardi, solo a partire dall’ultimo decennio dell’800. Nel 1889, con il Codice Zanardelli, lo sciopero fu reso legale, mentre le prime leggi a tutela del lavoro femminile e minorile e per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro furono approvate nel 1889 e nel 1904. Durante il regime fascista furono varate leggi sull’orario di lavoro, sul riposo settimanale e sull’assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e le malattie (1933) ma molte delle conquiste realizzate nei decenni precedenti (a cominciare dal diritto di sciopero) furono cancellate. Il Codice civile del 1942 stabiliva inoltre la piena libertà di licenziamento. Nel secondo dopoguerra, furono emanate importanti leggi a tutela dei lavoratori, come quella sul divieto di licenziamento delle donne a causa di matrimonio nel 1963, e, nel 1965, quella sugli infortuni e le malattie professionali e quella sulle pensioni. Il 20 maggio 1970 fu approvato lo Statuto dei lavoratori (legge 300), che prevede, tra l’altro, un giustificato motivo per i licenziamenti nelle imprese con più di 15 dipendenti (art. 18, poi reso più flessibile nel 2015). A partire dagli anni ’80, anche in Italia – come nei paesi anglosassoni – si è cominciato a parlare della possibilità di deregolamentare i rappor-
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ti di lavoro e, di fatto, molti passi in questa direzione sono stati compiuti con il crescente ricorso al lavoro degli immigrati clandestini (spesso sottoposti a dure condizioni di sfruttamento, soprattutto nel settore agricolo) e a quello “parasubordinato” o precario, in gran parte non tutelato dalle normative sul lavoro. Queste nuove forme di lavoro rendono difficile ogni rivendicazione da parte dei precari, che rischiano spesso il mancato rinnovo del contratto, non di rado valido solo per pochi mesi. Anche la situazione dei lavoratori subordinati è tuttavia peggiorata: se da un lato, già con la legge 146 del 1990, è stato limitato lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, dall’altro anche la contrattazione collettiva (il rapporto tra un datore di lavoro – o un gruppo di datori di lavoro – e una o più organizzazioni di lavoratori, allo scopo di stabilire salari minimi e condizioni di lavoro alle quali dovranno attenersi i singoli contratti individuali) e la rappresentanza sindacale stanno perdendo valore. Si sta tornando, infatti, alla contrattazione aziendale o individuale e, in alcuni casi (ad esempio, in alcuni stabilimenti della Fiat nel 2010-11 e in decine di imprese più piccole), importanti piani di ristrutturazione aziendale che prevedono limitazioni di diritti sindacali sono stati imposti dalle imprese nonostante la dura opposizione di una parte dei lavoratori.
Manifestazione nazionale dei lavoratori precari pubblici e della scuola, Roma, ottobre 2011 [© Riccardo Antimiani/EIDON] Oggi tutti coloro che si definiscono lavoratori “precari” condividono la mancanza di continuità del rapporto di lavoro e di conseguenza la mancanza di un reddito adeguato su cui poter contare per pianificare la propria vita presente e futura. Le proteste dei giovani continuano poiché le riforme del mercato del lavoro – con l’introduzione di forme contrattuali atipiche ossia contratti cosiddetti “flessibili” (part-time, contratti a termine, lavoro interinale, lavoro parasubordinato) – se promettevano di creare occupazione hanno in realtà progressivamente ridotto i vincoli per i datori di lavoro ad assumere lavoratori con contratti a termine, senza tuttavia modificare la legislazione relativa all’occupazione dipendente.
LAVORA SUL TESTO 1 Leggi la scheda e rispondi sul quaderno ai seguenti quesiti.
a. Indica quali furono le principali rivendicazioni operaie di fine ‘800 a tutela delle quali i nascenti sindacati lottarono.
b. Completa la tabella sulla legislazione sul lavoro in Italia dal 1889 al 1990. L’esercizio è già avviato.
Data
Fonte (ove specificata)
Oggetto
1889
Codice Zanardelli
Legalizzazione dello sciopero
1889
....................................................................................................................................................
1904
....................................................................................................................................................
1963
....................................................................................................................................................
1965
.................................................................................................................................................... Statuto dei lavoratori (legge 300)
....................................................................................................................................................
1990
Legge 146
....................................................................................................................................................
414
1970
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
LA TUTELA DEL LAVORO NELLA COSTITUZIONE ITALIANA 2 Negli articoli dal 35 al 40 della Costituzione italiana è dedicato ampio spazio alla tutela del lavoro, con particolare attenzione
a quello subordinato. Questo accade in considerazione del fatto che i lavoratori dipendenti versano in una situazione di maggiore debolezza sociale rispetto ad altre categorie di lavoratori e, quindi, della necessità che lo Stato li protegga con specifici provvedimenti.
I principali diritti costituzionali dei lavoratori sono: Art. 35: La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. [...] Art. 36: Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi. Art. 37: La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al
bambino una speciale adeguata protezione. [...] Art. 38: [...] I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. [...] Art. 39: L’organizzazione sindacale è libera. [...] I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. Art. 40: Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano.
Leggi con attenzione gli articoli costituzionali, cerchia le parole chiave, sintetizza il contenuto in una mappa concettuale dal titolo Tutela del lavoro subordinato (artt. 35-40 Cost.) che utilizzerai come timone per un’esposizione orale.
COSA FA NEL CONCRETO L’ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE DEL LAVORO (ILO)? 3 Come abbiamo imparato, l’Ilo è l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di «promuovere il lavoro dignitoso e
produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana per uomini e donne». I suoi principali obiettivi sono: promuovere i diritti dei lavoratori, incoraggiare l’occupazione in condizioni dignitose, migliorare la protezione sociale e rafforzare il dialogo sulle problematiche del lavoro.
Per saperne di più sui quattro obiettivi strategici che costituiscono l’asse portante del cosiddetto ‘’lavoro dignitoso’’, vai sul sito istituzionale dell’Ilo; nel menu a sinistra clicca su “Norme internazionali del lavoro”: si aprirà una tendina con l’elenco dei quattro obiettivi strategici. Clicca su di essi, leggi il contenuto e realizza un PowerPoint informativo in cui evidenziare i punti salienti di ciascuna azione.
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C11 i sistemi politici e le Ideologie nell’800
SINTESI
11_1 STATO MODERNO E ISTITUZIONI POLITICHE Il compimento del processo di costruzione dello Stato moderno nel periodo napoleonico si tradusse nella diffusione nell’Europa continentale dello Stato burocratico-amministrativo. Lo Stato divenne sempre più efficiente dotandosi di un personale burocratico e tecnico e utilizzando i dati prodotti dalla nuova scienza statistica, come i censimenti. La Rivoluzione francese aveva trasformato i sudditi in cittadini: la sovranità non apparteneva più al sovrano, ma al popolo e ai suoi rappresentanti. Nacquero i sistemi politici rappresentativi e la Costituzione divenne la carta fondamentale dei nuovi diritti. Nel corso dell’800, nei regimi rappresentativi si affermarono in Europa, alternandosi, due forme di governo: costituzionale e parlamentare. E il dibattito sui sistemi elettorali animò gli aderenti alle due grandi ideologie: liberalismo e democrazia. I liberali erano sostenitori del suffragio ristretto, i democratici di quello universale.
– segnava un mutamento profondo rispetto alla cultura e alla mentalità illuminista. Il Romanticismo influenzò profondamente la società europea, cambiandone il costume, il modo di pensare e la sensibilità. Gli elementi di fondo della mentalità romantica potevano esaltare il ritorno al passato. Ma in realtà il Romanticismo poté costituire altrettanto bene la premessa delle battaglie liberali e democratiche dell’epoca e stimolare, con il culto del passato e dei valori nazionali, lo sviluppo del nazionalismo.
11_3 NAZIONE E NAZIONALISMI L’idea moderna di nazione nacque con Rousseau e con la sua concezione dello Stato come espressione di un popolo, di una comunità di cittadini, di un «corpo morale e collettivo» capace di esprimere una volontà comune. Ma fu soprattutto la cultura romantica tedesca del ’700-800 a scoprire la nazione, a esaltarla in quanto comunità “naturale”, unita da legami indissolubili di lingua, di cultura e di sangue. Si formarono così due tradizioni distinte: un nazionalismo democratico e un nazionalismo conservatore.
11_2 IL ROMANTICISMO
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Nei primi decenni dell’800 si diffuse in tutta Europa la cultura romantica: il Romanticismo – che esaltava la spontaneità del sentimento, la libertà, la rottura delle norme consolidate e, al contempo, i valori della tradizione e della nazione, guardando con nuovo interesse alla storia
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
11_4 IL PENSIERO LIBERALE E IL PENSIERO DEMOCRATICO Il liberalismo, oltre che per alcune idee fondamentali – libertà di opinione, tolleranza, principio rappresentativo, ecc. –,
si qualificava per l’adesione a un modello istituzionale simile a quello operante in Gran Bretagna. Sul piano dei princìpi, il liberalismo si distingueva radicalmente dal pensiero dei democratici, che aspiravano alla repubblica e consideravano il Parlamento eletto a suffragio universale come unica espressione legittima della volontà popolare. Ma le due correnti si trovavano vicine nella comune lotta per la Costituzione, il Parlamento elettivo e la garanzia delle libertà fondamentali. Mill riteneva che il liberalismo dovesse dare una risposta alle nuove esigenze di giustizia sociale e di partecipazione politica. Tocqueville sosteneva, invece, l’inevitabilità dell’avvento della democrazia, ma denunciò i rischi di appiattimento e di autoritarismo che tale avvento avrebbe comportato.
11_5 IL CATTOLICESIMO LIBERALE E IL CATTOLICESIMO SOCIALE Nell’età della Restaurazione buona parte del mondo cattolico si attestò su posizioni di radicale rottura con la tradizione illuminista e con gli ideali liberali e democratici. Non mancarono, però, anche cattolici schierati su posizioni progressiste. Le prime formulazioni di un cattolicesimo liberale si ebbero in Francia a opera di un gruppo di intellettuali raccolti attorno all’abate Lamennais. Per i cattolici liberali lo Stato doveva non solo rispettare i diritti della Chiesa, ma anche mantenere un carattere cristiano alla sua legislazione, assicurando piena libertà alle altre confessioni religiose. Alcuni cattolici progressisti cercarono di
trasferire il loro impegno sul terreno sociale. Pioniere di questo nuovo cattolicesimo sociale fu Ozanam, fondatore della Società di San Vincenzo de’ Paoli.
11_6 IL SOCIALISMO I primi decenni del secolo videro un grande sviluppo del pensiero socialista. L’inglese Owen ebbe un ruolo di rilievo nell’organizzazione del movimento operaio. Più articolato fu lo sviluppo delle teorie socialiste in Francia. Se il pensiero di Fourier si qualificava in senso chiaramente utopista e anti-industriale, quello di Saint-Simon si legava invece a una piena accettazione della realtà dell’industrialismo. Più radicale la visione di Blanqui, il primo a teorizzare la dittatura del proletariato come unico mezzo per abbattere il sistema borghese. Su posizioni molto diverse si collocava, invece, il pensiero di Blanc, che, sostenendo l’importanza del ruolo dello Stato, fu per certi versi il capostipite del socialismo riformista. Ancora diverse le posizioni di Proudhon, caratterizzate da un cooperativismo più anarchico che socialista.
11_7 MARX ED ENGELS La principale novità, nel panorama delle teorie socialiste, fu la formazione del nuovo indirizzo «scientifico» dei tedeschi Marx ed Engels. Nucleo fondamentale del loro pensiero, già presente nel Manifesto del Partito
comunista (1848), fu la concezione materialistica della storia, concepita nei termini della lotta di classe, e la sottolineatura del ruolo rivoluzionario che il proletariato – facendo leva sulle contraddizioni oggettive dello sviluppo capitalistico – era destinato a svolgere per abbattere la società borghese e fondare la nuova società comunista: la società senza privilegi, senza classi, senza proprietà privata e senza Stato, in cui le enormi potenzialità produttive di cui la tecnica
umana è capace saranno messe al servizio dell’intera collettività.
11_8 LA QUESTIONE OPERAIA Alla diffusione dell’industria moderna si accompagnò lo sviluppo di una nuova classe, la classe operaia, costituita
dai lavoratori salariati e dalle loro famiglie. Le condizioni di vita degli operai di fabbrica erano estremamente pesanti e favorirono la spinta a raccogliersi in associazioni e a ribellarsi. Nei paesi più industrializzati cominciò così a delinearsi una nuova contrapposizione tra gli operai salariati e i borghesi proprietari dei mezzi di produzione. Per primi gli operai britannici ottennero una legge che legalizzava le associazioni operaie (1824). E sempre in Gran Bretagna, prima che
altrove, nacquero le prime associazioni di operai, le Trade Unions. La «questione operaia» si impose sempre più all’attenzione dell’opinione pubblica e delle classi dirigenti.
SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Definisci i seguenti elementi storico-politici che si affermarono nel corso dell’800 e argomenta le relazioni esistenti
fra di essi: repubblica/cittadini; Costituzione/Stato/sistemi politici rappresentativi; Stato di diritto/ordinamento politico; governo costituzionale/governo parlamentare; principio liberale/suffragio universale.
2 Seleziona la frase opportuna per completare correttamente le affermazioni di seguito:
1. Per aumentare l’efficienza dell’apparato statale, la Francia e la Prussia a partire dal ’700... a. istituirono scuole che formavano personale tecnico altamente specializzato. b. limitarono l’accesso alle cariche ai membri provenienti dall’esercito. c. fondarono ministeri e dipartimenti con personale di nomina governativa. 2. I princìpi politici del liberalismo difendevano gli interessi... a. della sovranità popolare. b. dei ceti oppressi. c. della borghesia. 3. Secondo la mentalità prevalente nell’ancien régime, ciascuno sentiva di appartenere... a. più alla comunità dei cristiani che a quelle nazionali. b. in primo luogo alla comunità nazionale e poi a quella etnica. c. prima di tutto alla nazione d’origine del proprio sovrano. 4. La posizione ufficiale della Chiesa nei confronti della tradizione illuminista fu... a. schierata su posizioni progressiste o addirittura rivoluzionarie. b. inizialmente di rottura. c. favorevole nel quadro delle libertà costituzionali.
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C11 i sistemi politici e le Ideologie nell’800
5. Secondo Pierre-Joseph Proudhon, «la proprietà è... a. il bene comune». b. un furto». c. dello Stato». 6. Il Romanticismo... a. affermava la priorità dei valori universali rispetto a quelli nazionali. b. cambiò il costume, il modo di pensare e la sensibilità in Europa. c. esaltava l’idea di futuro e di progresso. 3 Completa il seguente testo inserendo le affermazioni corrette presenti nell’elenco sottostante. Fai attenzione perché
sei termini sono errati e dovrai tralasciarli. Continuità ● radici ● influenze ● nell’Europa del Nord ● rottura ● rottura delle convenzioni ● equilibrio formale del classicismo ● amore impetuoso ● tradizione ● in tutta Europa ● passato ● futuro ● ritorno al passato ● primi decenni
La cultura romantica si diffuse nei ............................. dell’800 e fu un elemento di ............................. rispetto al primato della ragione illuminista e all’............................. Il Romanticismo esaltava la spontaneità del sentimento e i valori della ............................. e delle culture nazionali, guardando con nuovo interesse al ............................., poiché in esso si trovavano, secondo gli esponenti del Romanticismo, le ............................. delle nazioni moderne. Il Romanticismo influenzò profondamente la società europea e le correnti politiche dell’epoca; esso offriva ai politici e agli intellettuali le basi per sostenere teorie differenti: da un lato vi si esaltava il ............................, dall’altro esso costituiva la premessa delle battaglie liberali e democratiche poiché proponeva la ............................. e l’affermazione della libertà. 4 Inserisci le affermazioni di seguito per completare la mappa concettuale relativa all’idea di nazione e alle correnti
nazionalistiche che si affermarono in Europa. Democratica ● volontà comune ● patriottico ● poco sentita e poco definita ● internazionale ● democratica ● Stato nazionale autoritario ● naturalistica ● superiorità ● Rivoluzione ● legittimità Idea di nazione
fino alla fine del ’700:
nella cultura romantica tedesca si
con Rousseau: coincideva con l’espressione
era .........................
affermò la concezione: ....................
di un popolo ed era capace di esprimere una ..............................
..................
Concezione: .................................
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Il movimento nazionale
in Polonia, Grecia, Ungheria e Italia
in Germania
assunse un carattere
affermava la ......................
.......................,
dei tedeschi sugli altri
aveva una
cattolica, che rivendicava
rivoluzionario
popoli; proponeva
corrente
la “......................” del
e uno sguardo
la creazione di uno
......................
potere dei sovrani deposti
...........................
...................... e poco
con la ...........................
attento ai diritti individuali.
........
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
in Francia
aveva una corrente
5 Indica le affermazioni vere e correggi quelle errate. Focalizzerai in questo modo la tua attenzione su alcuni aspetti
delle conseguenze della diffusione dell’industria moderna, del pensiero socialista e della posizione della Chiesa dinanzi ai cambiamenti sociali e politici del periodo. V F a. Con la diffusione dell’industria moderna, il concetto di classe prese il posto di quello di ceto. ................................................................................................................................................................................. b. Il cattolicesimo liberale sosteneva la possibilità di una coesistenza tra i valori della religione e le libertà costituzionali e si affermò inizialmente in Germania. ................................................................................................................................................................................. c. Poiché nel programma dei cattolici liberali era previsto che lo Stato dovesse rispettare i diritti della Chiesa, esso era ben accetto dai vertici ecclesiastici. ................................................................................................................................................................................. d. Il cattolicesimo sociale nacque quando, con l’avvento della questione operaia, una parte dei cattolici liberali si impegnò anche sul terreno sociale. ................................................................................................................................................................................. e. Con la diffusione dell’industria moderna, la contrapposizione sociale fondamentale divenne quella fra il borghese e il proletario. ................................................................................................................................................................................. f. Il socialismo aveva come nucleo centrale l’idea che per combattere le ingiustizie fossero sufficienti opere di carità e di filantropia. ................................................................................................................................................................................. g. Saint-Simon teorizzò l’avvento di una nuova società governata dai tecnici e dai produttori nell’interesse della collettività. ................................................................................................................................................................................. h. Il socialismo di Marx ed Engels era nuovo rispetto a quello utopistico. ................................................................................................................................................................................. i. Per il socialismo di Marx il proletariato doveva organizzarsi solo all’interno del proprio Stato. .................................................................................................................................................................................
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V
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V
F
V
F
V
F
COMPETENZE IN AZIONE 6 Completa la seguente tabella inserendo, dove possibile, le relative informazioni. Quindi, alla pagina seguente, scrivi
un testo argomentativo di circa 20 righe partendo dalle risposte alle seguenti domande:
a. A quale ceto sociale appartengono i socialisti di cui hai raccolto informazioni? b. Quali, tra loro, definiresti comunisti? c. In quali paesi europei vivono e agiscono questi leader del movimento socialista? d. Quali sono le esigenze e condizioni storiche a cui cercano una risposta? Quando e dove ha vissuto?
Quali erano le sue origini? Che professioni ha svolto?
Ha scritto opere importanti? Quali?
Quali sono i princìpi politici fondativi del suo pensiero?
Ha partecipato attivamente alla politica? In che modo?
Robert Owen Claude-Henri de Saint-Simon Charles Fourier Auguste Blanqui Louis Blanc Pierre-Joseph Proudhon Friedrich Engels Karl Marx
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C11 i sistemi politici e le Ideologie nell’800
....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... .......................................................................................................................................................................................................
7 Collega i personaggi della colonna di sinistra alla corrispondente definizione dell’idea di nazione o di Stato nazionale
nella colonna di destra. Quindi scrivi un testo (max 10 righe) che abbia come titolo L’idea di nazione, argomentando le quattro definizioni.
a. Rousseau 1. comunità di sangue e di cultura b. Fichte 2. entità organica e gerarchica c. Hegel 3. espressione di un popolo d. Mazzini 4. superiorità intellettuale e morale ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... 8 Scrivi un testo breve sulla concezione dello Stato nel primo ’800 utilizzando la seguente scaletta:
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a. I compiti dello Stato secondo il liberalismo b. La tradizione illuminista e l’idea di Stato c. Il ruolo dei cattolici in politica nel pensiero dell’epoca d. Le principali divisioni in merito al ruolo dello Stato nel movimento socialista
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CAP12 DALLA RESTAURAZIONE ALLE RIVOLUZIONI IN EUROPA
12_1 LA RESTAURAZIONE
► Leggi anche:
E LA NUOVA CARTA D’EUROPA
Dopo la definitiva sconfitta di Napoleone, le potenze europee si accordarono per la ricostituzione del vecchio ordine, infranto prima dall’ondata rivoluzionaria poi dalle conquiste delle armate francesi: iniziava l’età della Restaurazione, ossia della ricostituzione del vecchio ordine europeo, infranto prima dalle ondate rivoluzionarie poi dalle conquiste delle armate francesi: restaurazione in primo luogo dei sovrani spodestati, ma anche delle gerarchie sociali tradizionali, degli ordinamenti prerivoluzionari, dei modi di governare tipici dell’ancien régime. Il progetto ottenne alcuni iniziali successi politici, ma ben presto mobilitazioni rivoluzionarie e indipendentistiche avrebbero preso il sopravvento. I cambiamenti intervenuti nelle istituzioni e le nuove spinte di una società in mutamento avrebbero dimostrato che si trattava di un progetto velleitario. Impossibili da rimuovere erano i risultati ottenuti sul piano della certezza del diritto e dell’uguaglianza formale fra i cittadini, ma anche su quello dell’organizzazione burocratica e della razionalizzazione delle attività economiche. Tutto ciò rispondeva alle aspirazioni e ai bisogni di una borghesia – della proprietà terriera e delle professioni, del commercio e dell’industria – che aveva acquisito una nuova consapevolezza del suo ruolo nella società.
Un programma irrealizzabile
Il terreno su cui la volontà restauratrice si manifestò con maggior decisione e con risultati più evidenti fu certamente quello dei rapporti internazionali, che furono definiti dal congresso di Vienna (novembre 1814-giugno 1815) il più affollato consesso di sovrani e governanti che mai si fosse visto in Europa. Le decisioni più importanti, tuttavia, vennero prese tra i delegati delle quattro maggiori potenze vincitrici: Gran Bretagna, Russia, Prussia, Austria. Il ministro degli Esteri austriaco Metternich fu l’autentico regista dei lavori. Ma in questo gruppo riuscì a inserirsi anche il rappresentante della Francia sconfitta, Talleyrand, già ministro degli
E
O
N LI N
Storia, società, cittadinanza Patria e nazione Storia e Geografia Confini politici e confini etnico-linguistici Focus La Carboneria • Intellettuali e rivoluzioni • Le Corn Laws • Le barricate Atlante I moti insurrezionali in Europa Lezioni attive La Restaurazione. Politica, miti e spirito del tempo Test interattivi Audiosintesi
► Storia, società, cittadinanza Patria e nazione ► Lezioni attive La Restaurazione. Politica, miti e spirito del tempo
Il congresso di Vienna
Il grande Congresso della Pace a Vienna nel 1814 [Bibliothèque Nationale, Parigi] In questa stampa i principi si affollano intorno al tavolo per definire in maniera precisa, con l’aiuto di mappamondi,
squadre e compassi, i nuovi confini d’Europa. Al centro, l’imperatore d’Austria affiancato alla sua destra dal sovrano di Prussia e dal rappresentante inglese (seduto) e alla sinistra dallo zar di Russia e dal cancelliere Metternich, di profilo in uniforme bianca.
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C12 DALLA RESTAURAZIONE ALLE RIVOLUZIONI IN EUROPA
Esteri negli anni della Rivoluzione e dell’Impero. Uomo di grande abilità, Talleyrand riuscì a far valere a vantaggio del suo paese il principio di legittimità: il principio, cioè, in base al quale dovevano essere anzitutto restaurati i diritti “legittimi” violati dalla Rivoluzione e, dunque, anche quelli dei Borbone di Francia. Era, del resto, interesse delle stesse potenze vincitrici fare della Francia monarchica un pilastro del nuovo equilibrio conservatore piuttosto che rischiare, umiliandola, di creare il terreno propizio per nuovi esperimenti rivoluzionari. Per questo motivo la Francia non subì alcuna amputazione rispetto alle frontiere del 1791.
legittimismo Il termine “legittimismo” risale al congresso di Vienna, dove i rappresentanti della Francia sconfitta, per difendere l’integrità territoriale del loro paese, si richiamarono al “principio di legittimità”, come base per l’assetto europeo. La legittimità a cui ci si riferiva era quella dinastica, fondata sul diritto divino dei sovrani, contrapposta, nel pensiero dei teorici della Restaurazione, a quella rivoluzionaria, che invece vedeva nella volontà popolare l’unica fonte del potere. Furono definiti legittimisti tutti coloro che difendevano i diritti delle antiche dinastie, se violati da eventi rivoluzionari o da vere e proprie usurpazioni; e, più in generale, coloro che si battevano per il ritorno ai princìpi e alle gerarchie sociali dell’antico regime e all’assolutismo monarchico.
Scopo degli statisti riuniti a Vienna era infatti non solo cancellare le conseguenze degli eventi rivoluzionari dell’ultimo venticinquennio, ma anche evitarne il ripetersi, costruendo un equilibrio il più possibile solido e duraturo. Il nuovo assetto territoriale fu realizzato senza il minimo riguardo per i princìpi di nazionalità [►FS, 111d], ma comportò ugualmente una certa razionalizzazione della geografia politica europea in relazione ai rapporti di forza che si erano consolidati nelle guerre antinapoleoniche. Fu confermata l’abolizione del Sacro romano impero, che era stato cancellato da Napoleone nel 1806, mentre i mutamenti più importanti rispetto alla situazione prerivoluzionaria si verificarono nel Centro e nel Nord dell’Europa. La Russia si espanse verso occidente, occupando la Finlandia e buona
Il nuovo assetto europeo
REGNO DI GRAN BRETAGNA E IRLANDA Londra
EANO ANTICO
RCA MA
O DI DAN REGN I
MARE DEL NORD
MARE DEL NORD
REGNO DI GRAN REGNO BRETAGNA E DEI IRLANDA DI PAESI BASSI O N G E R Londra
Parigi OCEANO REGNO DI ATLANTICO FRANCIA
REGNO Stoccolma DI NORVEGIA Cristiania
RCA MA
SSIA PRU REGNO Berlino DEI PAESI BASSI O GN PragaRE
Monaco Parigi
Pietroburgo REGNO DI SVEZIA
Cristiania
O DI DAN REGN I
DI NORVEGIA
REGNO DI SVEZIA
27_L’EUROPA NEL 1815REGNO
Pietroburgo Mosca
Stoccolma
Mosca
IMPERO RUSSO IMPERO RUSSO Varsavia SSIA PRU DI Berlino
Vienna IMPERO D’AUSTRIA Monaco
Kiev Varsavia
Kiev
Praga
Vienna SVIZZERA REGNO DI LOMBARDOIMPERO D’AUSTRIA FRANCIA Bucarest Torino SVIZZERA MAR NERO Milano VENETO LOMBARDOREGNO Bucarest Torino MAR NERO STATO DI SARDEGNA Milano VENETO Sofia O Istanbul DELLA REGNO IMP ERO STATO Madrid Sofia REGNO CHIESADI SARDEGNA ALLO OTT Istanbul DELLA DEL OM a Roma Napoli A N OI M P E Madrid REGNO DI PORTOGALLO RO CHIESA REGNO OTT REGNO SPAGNA OM DI Lisbona Roma Napoli ANO DELLE REGNO DI REGNO SARDEGNA REGNO DUE SICILIE SPAGNA Atene DI MAR MEDITERRANEO DELLE SARDEGNA DUE SICILIE Atene MAR MEDITERRANEO
confini della Confederazione germanica
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confini della Confederazione germanica
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N GNO DI FR A
O REGNO RE ET EN GN DI O L O M BA R D O - V Milano SARDEGNA Venezia DUCATO DUCATO DI DI PARMA MODENA SA AS A IM Firenze . D LUCC C DU . DI C U D GRANDUCATO DI TOSCANA
Torino
CI
A
CORSICA (fr.) Roma
A
L’Impero asburgico, sotto l’abile guida di Metternich, si affermò come il fulcro dell’equilibrio continentale ed ebbe riconosciuto anche un ruolo egemone sull’intera penisola italiana, riportata, con poche varianti, alla situazione precedente alle guerre napoleoniche. Gli austriaci ottennero non solo la sovranità sul Lombardo-Veneto, REGNO DI ma stabilirono anche una serie di legami militari e dinastici con gli altri Stati della penisola, fra cui ilSARDEGNA Regno di Napoli, ricostituito sotto la dinastia dei Borbone e ribattezzato Regno delle Due Sicilie. L’unico tra gli Stati italiani a mantenere una certa autonomia rispetto all’Impero asburgico fu il Regno di Sardegna, ingranditosi con l’acquisto di alcuni territori della Savoia e soprattutto di una regione ricca e popolosa come la Liguria.
L’Impero asburgico e l’Italia
MAR T IRRENO
P
A presidio di questi assetti furono varate due alleanze: la prima fu la Santa alleanLe nuove alleanze za, nata nel settembre 1815 da un’iniziativa dello zar Alessandro I, cui aderirono anche l’imperatore d’Austria e il re di Prussia. Si trattava di una sorta di alleanza personale fra i tre
28_L’ITALIA NEL 1815 S VI Z Z ERA REGNO DI FR A N
IMPERO D’ AUST RIA
O REGNO RE ET EN GN DI O L O M BA R D O - V Milano SARDEGNA Venezia DUCATO DUCATO DI DI PARMA MODENA SA AS A IM Firenze . D LUCC C DU . DI C U D GRANDUCATO DI TOSCANA
Torino
CI A
CORSICA (fr.) Roma
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REP. DI S. MARINO
IES S TA T O D ELLA CH
Nizza
domìni dei Savoia domìni dei Borbone egemonia austriaca
Trieste
IM P O ER M O A N O
MA R AD RIATICO
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SICILIE DUE LLE DE
MAR TIR R E NO
O GN RE
Napoli
REGNO DI SARDEGNA
Palermo
MAR ION IO
Nell’Italia del 1815 il Regno Lombardo‑Veneto univa sotto il dominio asburgico il Ducato di Milano (austriaco dal 1713) e la Repubblica di Venezia. Il Granducato di Toscana era tornato invece a Ferdinando III di Lorena, fratello di Francesco I d’Austria. A Maria Luisa, ex imperatrice dei francesi e figlia di Francesco I, era stato assegnato il Ducato di Parma e Piacenza, mentre il Ducato di Modena e Reggio era andato a Francesco IV d’Asburgo-Este. I Ducati di Massa e Lucca passarono rispettivamente a Modena (nel 1829) e alla Toscana (nel 1847). Lo Stato della Chiesa venne reintegrato nei suoi vecchi confini, consentendo però all’Austria di mantenere guarnigioni a Ferrara e Comacchio.
domìni dei Savoia
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C12 DALLA RESTAURAZIONE ALLE RIVOLUZIONI IN EUROPA
REP. DI S.
IES S TA T O D ELLA CH
parte della Polonia. Anche la Prussia si ingrandì a ovest, annettendo una serie di territori nella zona del Reno che si sarebbero poi rivelati di decisiva importanza economica. Gli Stati tedeschi si ridussero drasticamente di numero e furono riuniti in una Confederazione germanica, la cui presidenza Nizza era tenuta dall’imperatore d’Austria. Il Belgio e il Lussemburgo, uniti all’Olanda, formarono il Regno dei Paesi Bassi. Nessun mutamento di rilievo si ebbe nella penisola iberica, né nei Balcani. La Gran Bretagna non accampò pretese territoriali sul continente, ma si preoccupò di assicurare in Europa un equilibrio tale da impedire l’emergere di nuove ambizioni egemoniche.
LA RESTAURAZIONE
CHI?
DOVE E QUANDO?
COSA E PERCHÉ?
Austria, Gran Bretagna, Russia, Prussia...
Congresso di Vienna
Riportare l’Europa alla situazione prerivoluzionaria
...e Francia
1814-15 Restaurazione dei sovrani e degli ordinamenti dell’ancien régime
COME?
Principio di legittimità
Equilibrio dei rapporti di forza internazionali
CON QUALI CONSEGUENZE?
Nuovo assetto europeo Francia: nei confini del ’91 Confederazione di Stati tedeschi Regno dei Paesi Bassi (Olanda, Belgio e Lussemburgo) Egemonia asburgica in Italia
sovrani, il cui testo era ricco di riferimenti alla religione cristiana. Alla Santa alleanza aderirono successivamente molti altri Stati europei, fra cui la Francia. Non vi aderì invece la Gran Bretagna, che giudicò il testo dell’alleanza inutile riguardo agli effetti pratici e che, nel novemMETODO DI STUDIO bre dello stesso anno, propose un secondo accordo alle potenze vincitrici a Evidenzia, con colori diversi, gli aspetti fon(Austria, Russia e Prussia), la cosiddetta Quadruplice alleanza: i quattro contraendamentali che definiscono i seguenti temi: a. la Reti si impegnavano a vigilare contro possibili tentativi di rivincita da parte della staurazione; b. il congresso di Vienna; c. il principio di legittimità; d. la Santa alleanza; e. la Quadruplice Francia e a intervenire contro ogni minaccia all’equilibrio europeo. alleanza; f. il concerto europeo. Questo sistema di alleanze dava vita a una sorta di direttorio che aveva il compito b Cerchia i nomi degli Stati che parteciparono al di risolvere pacificamente eventuali contrasti fra Stato e Stato. Nasceva così quelcongresso di Vienna e di quelli che furono oggetto di lo che fu chiamato il concerto europeo, ossia un dialogo costante fra le grandi decisioni, quindi trascrivili sul quaderno e indica, per ognuno di essi, in che modo furono coinvolti nel potenze che contribuì a ridurre le tensioni sul continente e ad assicurare all’Eunuovo ordine europeo. ropa un quarantennio di pace.
12_2 IL RITORNO ALL’ORDINE
E I LIMITI DELLA RESTAURAZIONE
Sul piano politico, dopo la gran ventata rivoluzionaria e napoleonica si ebbe, quasi ovunque in Europa, un assestamento degli equilibri interni in senso conservatore, sostenuto anche dall’alleanza tra i sovrani e il potere religioso delle Chiese. Persino in Gran Bretagna, il paese in cui le istituzioni parlamentari erano nate, gli anni successivi al 1815 videro il prevalere dell’ala destra del partito conservatore: quella che aveva la sua base nell’aristocrazia terriera e nell’alto clero anglicano. Il dominio della destra tory si tradusse in una politica volta a favorire gli interessi della grande proprietà terriera, attraverso l’imposizione di un forte dazio di importazione sul grano, che proteggeva la produzione interna e manteneva elevati i prezzi al consumo. Questa politica sacrificava gli interessi dell’industria esportatrice – che costituiva da tempo la vera base della potenza economica britannica – e inaspriva le tensioni 424
In Gran Bretagna
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
► George
Cruikshank, Il massacro di Peterloo 1819 Il 16 agosto 1819, uno spiazzo nel centro di Manchester, chiamato Saint Peter’s Field, fu teatro di una delle più violente repressioni della storia della Gran Bretagna. Vi si erano pacificamente radunate più di 60 mila persone per ascoltare il comizio di un famoso radicale, Henry Hunt, e chiedere al Parlamento britannico una riforma elettorale. Il duro intervento della cavalleria, cui fu dato l’ordine di disperdere la folla e arrestare Hunt, provocò la morte di 15 persone e centinaia di feriti. L’episodio ebbe grande risalto su tutta la stampa nazionale dell’epoca. In questa vignetta, i soldati sono raffigurati con le asce sanguinanti in mano quasi fossero macellai; il testo recitato da uno di loro dice: «Abbatteteli! Decapitateli miei coraggiosi: non date quartiere, vogliono rubarci il cibo, e ricordate: più ne ammazzate meno tasse per i poveri dovrete pagare; dateci dentro camerati e mostrate il vostro coraggio e la vostra lealtà!». All’evento fu dato il nome di “massacro di Peterloo”, con l’intento ironico di compararlo con la battaglia di Waterloo che aveva avuto luogo 4 anni prima.
sociali, alzando il costo della vita. Si ebbero infatti in questi anni numerose agitazioni operaie, sempre duramente represse, come nel caso del “massacro di Peterloo” a Manchester nel 1819. La Restaurazione assunse forme particolarmente dure in Spagna, dove il re Ferdinando VII si affrettò ad abrogare la Costituzione di Cadice del 1812 [►9_3] e mise in atto una durissima repressione nei confronti delle correnti liberali. Regimi a base parzialmente rappresentativa (con Parlamenti eletti a suffragio ristretto e dotati di poteri assai limitati) furono invece mantenuti nel Regno dei Paesi Bassi e in alcuni Stati della Confederazione germanica, oltre che in Svezia, Danimarca e Svizzera.
In Spagna e nell’Europa del Nord
▼ Merry-Joseph
Blondel, La Francia, al centro fra re legislatori e giureconsulti francesi, riceve da Luigi XVIII la Carta costituzionale 1827 [Musée du Louvre, Parigi] Al di sopra di un gruppo di personaggi che rappresentano i re francesi, Luigi XVIII assiso in trono e accompagnato dalle personificazioni di Giustizia e Prudenza porge la Carta costituzionale alla Francia, che si inchina. In alto vola Minerva, la dea della conoscenza e della saggezza, mentre a sinistra c’è Enrico IV e a destra Luigi XIV. In basso la personificazione della Carta regge un codice di giustizia e le tavole della Legge, che proteggono il sonno del bambino, a indicare la raggiunta sicurezza del cittadino.
Il caso più interessante per i legami col passato e per gli sviluppi futuri fu quello della Francia. Appena insediato sul trono, nel giugno 1814, il nuovo re Luigi XVIII aveva concesso una Costituzione, ma si preferì chiamarla col nome generico di Carta, che proclamava l’uguaglianza di tutti i francesi davanti alla legge, garantiva le libertà fondamentali (di opinione, di stampa e di culto) e prevedeva un Parlamento bicamerale, composto da una Camera dei pari di nomina regia e da una Camera dei deputati elettiva. Il limitato contenuto liberale della Carta era ulteriormente diminuito sia dagli scarsi poteri di cui godeva la Camera dei deputati, sia dal carattere restrittivo della legge elettorale, che legava il diritto di voto all’età (30 anni) e al livello di reddito: in pratica godevano di tale diritto non più di 100 mila cittadini. Nonostante ciò, la Francia “restaurata” era pur sempre uno dei pochi regimi costituzionali esistenti in Europa. Vi furono inoltre mantenute molte delle più importanti innovazioni del periodo napoleonico – dal Codice civile all’ordinamento amministrativo, al sistema scolastico statale – e soprattutto fu garantita l’inviolabilità di tutte le proprietà
In Francia
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C12 DALLA RESTAURAZIONE ALLE RIVOLUZIONI IN EUROPA
vecchie e nuove, comprese dunque quelle derivate dall’acquisto di terre confiscate alla nobiltà e al clero. La moderazione del re scontentava naturalmente i legittimisti più intransigenti, soprattutto quei nobili emigrati che, rientrati in patria, si aspettavano di tornare interamente in possesso dei loro beni e di riprendere gli antichi usi feudali.
In Italia
In Italia, la restaurazione dei vecchi Stati e delle vecchie dinastie comportò un arresto del processo di sviluppo civile e politico che si era avviato durante il
periodo francese. Nel Regno sabaudo il re Vittorio Emanuele I abrogò in blocco la legislazione napoleonica, epurò drasticamente la pubblica amministrazione, ristabilì il controllo della Chiesa sull’istruzione e riportò in vigore le discriminazioni contro le minoranze religiose (ebrei e valdesi). Nello Stato della Chiesa la relativa moderazione di papa Pio VII fu presto sconfitta dalla linea di pura restaurazione teocratica sostenuta dall’ala intransigente del collegio cardinalizio e dalla Compagnia di Gesù (ricostituita nel 1814). Nel Regno di Napoli la legislazione antifeudale fu mantenuta ed estesa anche alla Sicilia. Lo Stato fu unificato dal punto di vista amministrativo, quando assunse nel 1816 il nuovo nome di Regno delle Due Sicilie: un’opera di cauta razionalizzazione, che però, oltre a suscitare la protesta autonomistica della nobiltà siciliana, non comportò alcuna liberalizzazione in campo politico e culturale né alcun inizio di modernizzazione economica. Da questo punto di vista, le cose andavano meglio nei territori direttamente amministrati dall’Austria e negli Stati minori del Centro-Nord – Granducato di Toscana, Ducati di Parma e Modena – da essa controllati. In Toscana, il governo del granduca Ferdinando III si riallacciò alla miglior tradizione dell’assolutismo illuminato. Particolari cure furono dedicate al progresso dell’agricoltura, sempre caratterizzata dalla prevalenza della mezzadria [►1_3]. Qualche segno di apertura politico-culturale poté svilupparsi in un clima di relativa tolleranza: la rivista «Antologia», fondata nel 1821 da Giovan Pietro Vieusseux e Gino Capponi, sarebbe rimasta per oltre un decennio il principale punto di riferimento per gli intellettuali liberali di tutta Italia. Autoritarismo e buona amministrazione caratterizzarono il dominio austriaco nel LombardoVeneto. La Lombardia continuò a essere la regione economicamente più avanzata d’Italia, nonostante fosse sottoposta a un regime fiscale e doganale che ne penalizzava lo sviluppo. Inoltre, lo stretto controllo esercitato dalle autorità austriache sulla vita politica e intellettuale non impediva il manifestarsi di una vivace attività culturale, che aveva le sue radici nella tradizioMETODO DI STUDIO ne dell’Illuminismo settecentesco. Dall’incontro fra questa tradizione e i nuovi a Cerchia con colori differenti i nomi degli Stati fermenti della cultura romantica ebbe origine l’esperienza, breve ma significatiche furono interessati dagli effetti della Restauraziova, della rivista «Il Conciliatore». Nata nel settembre 1818 e soppressa un anno ne e sottolineane le caratteristiche mantenendo i colori scelti. dopo per l’intervento della censura, la rivista svolse un ruolo importante, come b Spiega per iscritto gli esiti complessivi della espressione delle correnti liberali e patriottiche, ma anche per l’attenzione alle Restaurazione da un punto di vista politico. tendenze più avanzate della cultura europea.
12_3 ARISTOCRAZIA E BORGHESIA NELL’EUROPA RESTAURATA
Sul piano dei rapporti sociali, da un lato la Restaurazione non interruppe completamente il processo di crescita della borghesia e di emancipazione dai vincoli feudali che la Rivoluzione francese aveva accelerato. Dall’altro nei paesi che avevano conosciuto la dominazione napoleonica, le aristocrazie tornarono a occupare tutti i posti chiave nei governi e negli alti gradi della burocrazia e delle forze armate, anche se non recuperarono completamente il ruolo sociale di cui godevano nell’ancien régime. Nei decenni della Restaurazione in Europa, al sistema di dominio politico ed economico dell’aristocrazia, prevalentemente terriera, faceva dunque ormai riscontro l’ascesa della borghesia: una borghesia che, pur connotata da una vocazione professionale, commerciale e imprenditoriale, cercava in molti casi 426
La borghesia e la proprietà terriera
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
di imitare gli stili di vita e la propensione alla proprietà terriera tipica dei ceti nobiliari. Questa commistione avrebbe caratterizzato gran parte della storia sociale dei ceti superiori nell’800. Il periodo dagli anni ’20 agli anni ’40 del secolo rappresenta una fase importante di questo processo perché vede il definitivo smantellamento del sistema dei privilegi e vincoli feudali che ostacolavano la circolazione delle proprietà. Zone estese dominate da rapporti feudali rimarranno ancora nell’Europa orientale fino al 1848 e in Russia (dove la servitù della gleba costituiva ancora il fulcro dell’ordine sociale delle campagne) fino al 1861, ma nel resto del continente la defeudalizzazione era ormai molto avanzata. In Francia e nei paesi vicini passati attraverso la dominazione napoleonica, come le regioni occidentali della Germania, i Paesi Bassi e l’Italia settentrionale, la rivoluzione antifeudale si era compiuta in modo irreversibile e la borghesia aveva aumentato considerevolmente la sua quota di partecipazione alla proprietà della terra. Ma ciò non si era sempre tradotto in una generale modernizzazione delle tecniche agricole né in un apprezzabile miglioramento delle condizioni di vita delle masse rurali. La vendita delle terre già appartenenti al clero e alla nobiltà non Giuseppe Canella, La Corsia dei Servi aveva avvantaggiato i piccoli coltivatori e i contadini senza 1834 [Museo di Porta Romana, Milano] Nonostante il clima restrittivo imposto dal governo austriaco nel periodo terra, ma era servita soprattutto a incrementare la grande della Restaurazione, Milano (di cui il dipinto riproduce l’odierno corso Vittorio Emanuele) continuò a essere una grande capitale europea e un proprietà borghese. grosso polo di attrazione per commerci e iniziative imprenditoriali. Nell’Europa del Sud (penisola iberica, Italia meridionale e insulare) la defeudalizzazione fu più rapida, ma non intaccò se non in minima parte le tradizionali gerarchie sociali né modificò la struttura della proprietà terriera, caratterizzata dalla persistenza del latifondo e della grande proprietà ecclesiastica.
Gli effetti della defeudalizzazione
Queste trasformazioni confermavano il permanente sovrapporsi di tradizione e modernità nel mondo rurale, tanto nei rapporti economici che in quelli tra proprietari e contadini: una considerazione che vale, in diversi gradi, per tutta l’Europa se teniamo presenti i diversi livelli dei punti di partenza. In METODO DI STUDIO ogni caso la modernità politica non toccava le campagne, a Sottolinea e numera le tappe del processo di affermazione della borma rimaneva espressione prevalentemente urbana: è dalle ghesia. città e dai ceti urbani, infatti, che si sarebbero mosse tutte le b Spiega per iscritto gli esiti della Restaurazione da un punto di vista sociale. iniziative rivoluzionarie degli anni successivi. Ricorda di citare anche le aree geografiche in cui si svolsero gli eventi descritti.
I tempi diversi della modernità
12_4 I MOTI RIVOLUZIONARI DEL 1820-21
A partire dall’inizio degli anni ’20 l’ordine imposto all’Europa dalla Restaurazione fu contrastato da tre successive ondate rivoluzionarie: nel 1820-21, nel 1830 e nel 1848-49. Limitate inizialmente ad alcuni paesi, soprattutto dell’Europa meridionale, più estese nel 1830, culminarono nella “rivoluzione dei popoli” del 1848-49.
Le società segrete
► Leggi anche: ► Focus La Carboneria
Quanti lottavano contro l’ordine costituito, per l’affermazione degli ideali liberali, democratici e nazionali, facevano inizialmente capo a organizzazioni
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C12 DALLA RESTAURAZIONE ALLE RIVOLUZIONI IN EUROPA
clandestine che, nate per lo più alla fine del ’700 o in età napoleonica, si diffusero in questo periodo con grande rapidità: sètte e società segrete divennero nell’età della Restaurazione il principale strumento di lotta politica. Le più numerose e importanti erano quelle di tendenza democratica o liberale. Alcune di esse traevano origine e ispirazione dalla Massoneria [►4_4]: a essa era collegata la più importante e la più diffusa fra le società segrete attive nell’età della Restaurazione, la Carboneria, presente soprattutto in Italia e in Spagna. I carbonari – che riprendevano i loro simboli e i loro rituali dal lavoro, appunto, dei carbonai (come i massoni da quello dei muratori) – ispiravano per lo più la loro azione a ideali di costituzionalismo e di liberalismo moderato. Ma i confini tra le società segrete erano spesso abbastanza incerti: sia perché le diverse associazioni erano unite tra loro da molti legami, sia perché la struttura verticistica e rigorosamente clandestina delle organizzazioni – i cui aderenti erano per lo più tenuti all’oscuro sia del contenuto completo del programma sia dell’identità dei capi – favoriva la coesistenza nella stessa società di diversi progetti politici, corrispondenti ai diversi gradi di iniziazione. A prescindere dai fini che si proponevano, queste associazioni poggiavano tutte su una base piuttosto ristretta: pochissimi artigiani e popolani, qualche membro dell’aristocrazia liberale, qualche esponente della borghesia del commercio e delle professioni, ma soprattutto intellettuali, studenti e militari. I militari, in particolare gli ufficiali e i sottufficiali formatisi nel periodo napoleonico, costituivano i nuclei più preparati e intraprendenti delle sètte: i soli che, potendo disporre di una «forza armata», fossero in grado di minacciare seriamente la stabilità di troni e governi.
L’organizzazione settaria e il ruolo dei militari
Furono proprio i militari a dare inizio alla prima ondata rivoluzionaria che scosse l’Europa all’inizio degli anni ’20. Il moto partì dalla Spagna, dove era cresciuta la tensione per la rivolta delle colonie latino-americane [►13_2], che il reIMPERO
Le rivoluzioni del ’20-21
RUSSO
IMPERO Parigi OCEANO Parigi ATLANTICO
REGNO DI FRANCIA
29_I MOTI DEL 1820-21 IN EUROPA OCEANO ATLANTICO
REGNO DI FRANCIA REGNO DEL PORTOGALLO
REGNO DEL PORTOGALLO
Torino 1821 Madrid
Porto
Porto
Lisbona OCEANO ATLANTICO
Madrid
Lisbona REGNO DI SPAGNA
Cadice 1820
REGNO GIBILTERRADI SARDEGNA
PORTOGALLO
GIBILTERRA
Madrid
Lisbona REGNO DI SPAGNA Cadice 1820
Vienna
IMPERO D’AUSTRIA REGNO DI SARDEGNA Vienna
IMPERO
Torino 1821
RUSSO
Parigi
REGNO REGNO DI SPAGNADI FRANCIA
Cadice REGNO DEL 1820
Porto
REGNO DI SARDEGNA
RUSSO IMPERO D’AUSTRIA
Vienna Napoli IMPERO 1820 OTTOMANO REGNO DELLE MAR DUE SICILIE TIRRENO
REGNO REGNO DI SARDEGNA DI SARDEGNA Napoli
1820 REGNO Torino DELLE MAR1821 DUE SICILIE TIRRENO
GRECIA Palermo 1820 GRECIA Atene MAR MEDITERRANEOIMPERO 1821
Palermo 1820
OTTOMANO
MAR MEDITERRANEO
REGNO DI SARDEGNA
Napoli 1820
MAR TIRRENO
GIBILTERRA
REGNO DELLE DUE SICILIE
Palermo 1820 MAR MEDITERRANEO
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Stati interessati da moti insurrezionali rivolte
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IMPERO OTTOMANO
IMPERO D’AUSTRIA
Stati interessati da moti insurrezionali rivolte
GRECIA
Atene 1821
Atene 1821
Manuel Roca, Giorno 10 marzo del 1820 a Cadice prima metà XIX sec. [Istituto Cartografico della Catalogna, Barcellona] Il 1° gennaio 1820 alcuni reparti dell’esercito nazionale spagnolo, chiamati ad imbarcarsi per soffocare i moti indipendentisti delle colonie sudamericane guidate da Simón Bolívar, si ammutinarono chiedendo il ripristino della Costituzione del 1812, simbolo della guerra patriottica contro Napoleone. L’apice della rivolta si ebbe il 7 marzo quando una folla inferocita circondò il Palazzo Reale a Madrid – la Spagna intera era in subbuglio – e il re Ferdinando fu costretto, il 9 marzo, a giurare sulla Costituzione. La notizia non era ancora arrivata a Cadice dove il 10 le truppe intervennero contro la folla che manifestava per la Costituzione.
Ferdinando VII cercò di soffocare inviando oltreoceano forti contingenti di truppe. Il 1° gennaio 1820, alcuni reparti concentrati nel porto di Cadice in attesa di essere imbarcati per l’America si ammutinarono. In pochi giorni la rivolta si estese ad altri reparti, rendendo vani i tentativi di repressione e costringendo il re a richiamare in vigore la Costituzione del 1812 [►9_3] e a indire le elezioni per le Cortes (ossia la Camera elettiva). In Spagna si costituiva così un regime liberal-democratico, reso però fragile dall’ostilità del re e, soprattutto, dallo scarso consenso di cui godeva presso le masse contadine, influenzate dalla Chiesa. Gli avvenimenti di Spagna ebbero come immediata conseguenza una generale ripresa dell’attività rivoluzionaria. Nell’estate del 1820, moti insurrezionali, sempre iniziati da militari, scoppiarono a poche settimane di distanza nel Regno delle Due Sicilie e in Portogallo. Nel marzo 1821 una rivolta scoppiò in Piemonte. Le rivoluzioni costituzionali di Spagna e d’Italia rappresentavano una grave minaccia per l’equilibrio uscito dal congresso di Vienna. Le potenze aderenti alla Santa alleanza decisero così di intervenire militarmente. Mentre l’Austria restaurava il potere assoluto di METODO DI STUDIO a Rispondi per iscritto alle seguenti domande: Ferdinando I nel Regno delle Due Sicilie e aiutava i Savoia a sconfiggere i rivoa. In che cosa consisteva il principale strumento di luzionari in Piemonte, la Francia si assumeva il compito di restaurare l’ordine lotta politica nell’età della Restaurazione? b. Quali in Spagna sia per ragioni di politica interna, sia per equilibrare il peso della le sue caratteristiche e chi vi aderiva? presenza austriaca in Italia. Il fronte conservatore usciva rinsaldato dalla crisi, b Cerchia i nomi degli Stati coinvolti nelle rivoluzioni del 1820-21, trascrivili sul quaderno mentre le forze liberali avevano dato prova di scarsa unità, di carenze sul piano e indica, per ognuno di essi, gli eventi principali. dell’organizzazione e soprattutto di un’assoluta mancanza di legami con le Descrivi quindi gli esiti rivoluzionari. masse popolari.
L’intervento delle potenze e la repressione
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12_5 L’INDIPENDENZA DELLA GRECIA
L’insurrezione dei greci contro il dominio turco, cominciata nel 1821 e protrattasi per quasi un decennio, fu l’unica tra le rivoluzioni degli anni ’20 a concludersi con un sostanziale successo. Fu anche la sola che, pur essendo nata dall’iniziativa delle società segrete, finì con l’assumere il carattere di una guerra di popolo, nazionale e religiosa a fondamento cristiano ortodosso. Ma il successo della lotta per l’indipendenza greca si dovette anche e soprattutto a fattori di carattere internazionale. Se l’Impero ottomano era considerato ancora da Austria e Gran Bretagna un prezioso elemento di equilibrio continentale, altre potenze, come la Russia e la Francia, erano attratte dalle possibilità di espansione che il suo indebolimento avrebbe aperto nell’area mediterranea e nei Balcani.
Patria e religione
In realtà l’antico Impero ottomano faticava sempre più, come sappiamo, a tenere uniti i suoi vastissimi possedimenti [►5_2]. Sempre più problematico per il governo turco era poi il controllo dei popoli balcanici (greci, serbi, macedoni, albanesi, bulgari, romeni). Nei confronti di questi, in prevalenza cristiani ortodossi, l’Impero aveva sempre praticato una politica tollerante sul piano religioso, ma discriminatoria su quello politico e sociale. In tutta la penisola balcanica, i cristiani si trovavano nella condizione di popolo soggetto: non potendo accedere alla proprietà terriera, detenuta a titolo feudale dai signori turchi, erano nella grande maggioranza servi della gleba, contadini poveri, pastori nomadi dediti non di rado al brigantaggio, ma formavano anche, coi loro strati superiori, la maggioranza del ceto mercantile e una parte importante della burocrazia imperiale.
La debolezza dell’Impero ottomano
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Theodoros Vryzakis, La sortita di Missolungi, particolare 1853 [Galleria Nazionale, Atene] Questo dipinto di Theodoros Vryzakis (il cui padre era morto, impiccato dai turchi, durante la guerra d’indipendenza) raffigura uno degli episodi cruciali della guerra dei greci contro l’Impero ottomano: l’assedio e la capitolazione di Missolungi. Nodo
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strategico sul Golfo di Patrasso, la città venne ripetutamente attaccata e i suoi abitanti, sostenuti finanziariamente e spronati da Lord Byron (che qui trovò la morte nel 1824), subirono una tragica fine. Il 10 aprile 1826, non potendo più sostenere l’assedio, i 7 mila abitanti tentarono una sortita, raffigurata nel particolare del quadro: uomini e donne, armati, cercano
di uscire dal paese su un ponte di legno, brandendo la bandiera della Grecia mentre i turchi assaltano le mura. Fu un massacro. Si salvarono in 1800. Tra quelli rimasti in città, alcuni si fecero esplodere, altri vennero uccisi o venduti come schiavi. L’eco della vicenda in Occidente procurò alla causa greca il sostegno europeo e portò alla definitiva vittoria delle forze indipendentiste.
► Leggi anche: ► Personaggi George Gordon Byron, eroe romantico, p. 400
Nel 1815 già i serbi erano riusciti a conquistarsi un’ampia autonomia. Nel 1821 insorsero i greci che svolgevano un ruolo chiave nella vita economica dell’Impero ottomano, grazie a una forte borghesia mercantile che si era sviluppata nelle isole dell’Egeo, a Smirne, a Salonicco e nella stessa Istanbul. La setta patriottica greca Eterìa (“associazione, fratellanza”), che organizzò l’insurrezione, contava numerosi aderenti tra le file di questa borghesia e trovò immediato sostegno anche fra le masse popolari. Per fermare la guerriglia, i turchi ricorsero a una serie di durissime repressioni che suscitarono condanna e riprovazione in tutta Europa.
La rivolta
Si creò allora in favore degli insorti una forte corrente di opinione pubblica internazionale, in cui confluivano motivazioni politico-ideologiche (la solidarietà con chi combatteva per la libertà), religiose (la difesa dei cristiani) e anche culturali, fondate sul mito della Grecia classica. Da tutta Europa accorsero volontari per unirsi alla guerra contro i turchi: fra gli altri il poeta inglese Byron e l’italiano Santorre di Santarosa [►14_2], che trovarono entrambi la morte in Grecia. La spinta dell’opinione pubblica impose una svolta nella politica delle potenze. La Russia, che si atteggiava a protettrice dei cristiani ortodossi, ruppe nel ’22 le relazioni diplomatiche con la Turchia. La Gran Bretagna riconobbe nello stesso anno la Grecia come paese belligerante, attribuendole così il ruolo di Stato autonomo. Fu proprio l’intervento delle potenze europee – che nel luglio ’27 distrussero a Navarino una flotta turco-egiziana – a imporre all’Impero ottomano la firma della pace di Adrianopoli (1829), con cui si riconosceva l’indipendenza greca. Al nuovo Stato – che nasceva con una estensione limitata a poco più del Peloponneso e dell’Attica – le grandi potenze imposero un regime monarchico costituzionale e come sovrano un principe della casa di Baviera. METODO DI STUDIO La soluzione della questione greca rappresentò un precedente di grande impor a Sottolinea le cause che portarono al succestanza per le lotte di indipendenza nazionale dell’800 e un colpo letale per l’equiso la rivoluzione greca del 1821. librio conservatore europeo. Per l’Impero ottomano – ulteriormente indebolito, b Individua e numera le fasi principali e gli esiti della rivoluzione in Grecia. Quindi descrivili nell’estate del 1830, dall’occupazione di Algeri da parte della Francia [►12_6] – la per iscritto mettendo in rilievo le condizioni delsconfitta fu la conferma di una lunga crisi, in atto ormai da oltre un secolo e dela popolazione balcanica ortodossa e il ruolo dell’opinione pubblica internazionale. stinata a protrarsi per altri ottant’anni fino agli inizi del ’900.
La solidarietà internazionale e l’indipendenza
12_6 I MOTI RIVOLUZIONARI DEL 1830-31
Nel 1830 una nuova ondata rivoluzionaria partita dalla Francia portò a trasformazioni profonde e durature negli assetti politici europei: la cacciata della dinastia dei Borbone in Francia e l’indipendenza del Belgio. La rivoluzione che scoppiò a Parigi nel luglio 1830 fu la diretta conseguenza del tentativo messo in atto dal re Carlo X (salito al trono nel 1824) e dagli ambienti ultrarealisti (ultras) di restringere il più possibile le libertà costituzionali garantite dalla Carta del ’14. Contro la politica di Carlo X si schierarono non solo i democratici e gli intellettuali liberal-moderati, ma anche la grande borghesia degli affari e della finanza e un’ala consistente della stessa aristocrazia. Nelle elezioni del 1827, le forze di opposizione ottennero una netta maggioranza alla Camera. Il re scelse allora la strada dello scontro col potere legislativo: nel maggio 1830 sciolse la Camera e indisse nuove elezioni. Contemporaneamente cercò di distogliere l’opinione pubblica inviando, all’inizio di luglio, un corpo di spedizione in Algeria. L’occupazione di Algeri, che costituì la premessa per la successiva espansione francese in Nord Africa, ultrarealisti/ultras non ottenne però i risultati sperati. Nelle elezioni che si tennero subito dopo, Furono così definiti, nella Francia restaurata dei Borbone, i l’opposizione fece ulteriori progressi. A questo punto Carlo X diede avvio a un legittimisti più intransigenti, soprattutto quelli emigrati che, tornati in patria, si aspettavano di rientrare pienamente in vero e proprio colpo di Stato, emanando quattro ordinanze che sospendepossesso dei loro beni e di riprendere gli antichi usi feudali: vano la libertà di stampa, scioglievano la Camera appena eletta, modificavail termine indica, in generale, tutti coloro che sognavano il no la legge elettorale rendendola ancora più restrittiva e convocavano nuove ritorno puro e semplice all’antico regime. elezioni.
La rivoluzione in Francia
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C12 DALLA RESTAURAZIONE ALLE RIVOLUZIONI IN EUROPA
Subito dopo la pubblicazione delle ordinanze, il popolo di Parigi scese in piazza, come non accadeva più dai tempi della grande Rivoluzione e, dopo tre giorni di duri scontri con le truppe regie (27, 28 e 29 luglio), costrinse Carlo X ad abbandonare la capitale. Il 29 luglio le Camere riunite in seduta comune dichiararono la decadenza della dinastia borbonica e affidarono temporaneamente il potere regio a Luigi Filippo d’Orléans, cugino del re appena deposto. La scelta di Luigi Filippo – che era stato, negli anni della Restaurazione, uno dei punti di riferimento dell’aristocrazia “illuminata” e dei
PAESI BASSI BELGIO Parigi
FRANCIA SVIZZERA
Torino Mil Mo REGNO DI SARDEGNA Fi
Nicholas-Edward Gabé, La rivoluzione di luglio a Parigi 1830 [Collezione privata] Il 27, 28 e 29 luglio 1830 passano alla storia come i “tre giorni gloriosi” in cui il popolo francese è di nuovo protagonista per le strade di Parigi. I rivoltosi erigono barricate e affrontano l’esercito in sanguinosi combattimenti che provocano oltre mille morti. Carlo X e la famiglia reale abbandonano Parigi, consentendo così l’instaurazione di una monarchia costituzionale.
REGNO DI SARDEGNA
30_I MOTI DEL 1830-31 IN EUROPA I MOTI DEL 1830-31 IN EUROPA paesi coinvolti dall’ondata rivoluzionaria rivolte confini della Confederazione germanica
PAESI BASSI
Berlino
BELGIO
Varsavia
IMPERO RUSSO
REGNO DI POLONIA
Parigi
IMPERO AUSTRIACO
FRANCIA SVIZZERA Torino
Milano
Venezia Modena REGNO DI Bologna SARDEGNA Firenze STATO DELLA CHIESA Roma REGNO DI SARDEGNA
IMPERO OT TO M A N O
Napoli
Palermo
REGNO DELLE DUE SICILIE GRECIA
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I MOTI DEL 1830-31 IN EUROPA paesi coinvolti dall’ondata rivoluzionaria U4 NAZIONE E LIBERTÀ rivolte confini della Confederazione germanica
gruppi liberal-moderati – andava incontro in qualche modo alle richieste della piazza, che chiedeva prima di tutto la cacciata dei Borbone. Ma aveva anche lo scopo di bloccare un processo rivoluzionario di cui erano in molti a temere gli sviluppi: protagoniste delle tre gloriose giornate di luglio erano state infatti le masse popolari, soprattutto artigiane, guidate dai club repubblicani e giacobini. Il 9 agosto Luigi Filippo fu proclamato dal Parlamento «re dei francesi per volontà della nazione»: una formula che conciliava il principio monarchico con quello della sovranità popolare. Il tricolore della Francia rivoluzionaria – blu, bianco e rosso – tornò a essere la bandiera nazionale. Fu varata una nuova Costituzione che accresceva il controllo del Parlamento sul potere esecutivo, allargava il diritto di voto, in misura peraltro modesta, e realizzava una più netta separazione fra Stato e Chiesa. Il successo dell’insurrezione di luglio aprì nuovi spazi all’iniziativa delle forze liberali e democratiche europee: in agosto insorse il Belgio METODO DI STUDIO annesso, per decisione del congresso di Vienna, al Regno dei a Sottolinea con colori differenti le fasi princiPaesi Bassi. L’Olanda chiese l’aiuto delle grandi potenze, ma Francia e Gran pali dell’ondata rivoluzionaria del 1830, e cerchia Bretagna si opposero e riconobbero l’indipendenza del Belgio. Era una decisioi paesi che ne furono interessati mantenendo i ne di portata storica perché segnava, col delinearsi dell’intesa franco-britannica, colori scelti. b Evidenzia con colori differenti i gruppi sociali la fine del sistema di rapporti disegnato nel 1815. Esito diverso ebbero i moti e politici fedeli a Carlo X e quelli fedeli a Luigi Filippo rivoluzionari scoppiati in Italia centro-settentrionale [►14_2] e in Polonia, schiacd’Orléans e indica per iscritto che tipo di apporto ciati dall’intervento militare rispettivamente di Austria e Russia. diedero agli eventi del 1830.
I moti in Belgio, Italia e Polonia
12_7 L’EUROPA TRA LIBERALISMO
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E AUTORITARISMO
► Focus Le Corn Laws
In Francia il regime orleanista, pur essendo nato da un’insurrezione popolare, si resse su una base di consenso piuttosto ristretta e precaria: la monarchia di luglio finì infatti per identificarsi gradatamente con i valori e con gli interessi dell’alta borghesia degli affari, che vide costantemente crescere il suo peso economico e la sua influenza politica. L’alta borghesia e l’aristocrazia liberale a essa alleata – che in pratica detenevano il monopolio della rappresentanza politica, dato il carattere ristretto del suffragio – costituivano però uno strato esiguo della società francese ed erano peraltro prive dell’appoggio del clero. Sul fronte dell’opposizione, particolarmente attivi furono i gruppi democratico-repubblicani che erano stati i protagonisti dell’insurrezione parigina del ’30 e che erano collegati ai primi nuclei socialisti già attivi nei grandi centri urbani. Organizzati in una fitta rete di associazioni più o meno clandestine, repubblicani e socialisti costituirono un costante pericolo per la stabilità del regime orleanista, costretto a fronteggiare una lunga serie di agitazioni e di veri e propri tentativi insurrezionali. La ricorrente minaccia rivoluzionaria provocò per contraccolpo un’involuzione conservatrice della monarchia di luglio, che si tradusse in alcune misure limitative della libertà di stampa e di associazione. Questa involuzione si accentuò a partire dal 1840, quando François Guizot divenne la figura dominante della scena politica francese. Guizot attuò una politica sostanzialmente conservatrice, tutta centrata sulla ricerca dell’ordine e della stabilità, volta a favorire le velleità speculative della borghesia degli affari. Ciò finì con l’accentuare i caratteri oligarchici del regime, scavando un fossato sempre più profondo fra il paese e la classe dirigente.
La scelta conservatrice della monarchia di luglio
Il liberalismo in Gran Bretagna: diritto di associazione e riforma elettorale
Una svolta liberale si era aperta invece in Gran Bretagna fin dalla metà degli anni ’20, quando nelle file del partito conservatore (tory) si affermò la figura di Robert Peel. Fino alla metà dell’800 il paese fu guidato alternativamente dal partito whig e da quello conservatore, sebbene il primo avesse governato per ben 16 anni e il secondo per 5.
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Charles Jameson Grant, La battaglia tra Whigs e Tories 1832 Il disegno di legge di riforma elettorale che puntava a modificare le circoscrizioni ed estendere il diritto di voto, approvato dal Parlamento britannico nel giugno 1832, aveva fatto arroventare gli animi: in questa caricatura i Whigs a destra, con lo stendardo della «Riforma» elettorale su cui poggia un berretto frigio simbolo della Rivoluzione francese, combattono contro i Tories a sinistra. Mattoni, mazze e scope volano da una parte all’altra e altre bandiere con i nomi delle divisioni distrettuali sventolano in campo.
Con Peel furono attuate alcune importanti riforme interne, prima fra tutte quella del 1824, che riconosceva ai lavoratori il diritto di unirsi in libere associazioni [►11_8]. Sorsero così numerose unioni di mestiere, Trade Unions, organizzate su base di classe, formate cioè dai soli operai per la tutela dei loro diritti e per il sostegno alle loro rivendicazioni economiche. Il nodo principale da sciogliere era tuttavia quello dell’ampliamento del diritto di voto, allora limitato a una ristretta minoranza della popolazione (poco più del 3%). Un problema a sé era poi quello delle circoscrizioni elettorali, che non tenevano ancora conto degli sviluppi dell’urbanizzazione legati alla rivoluzione industriale. Accadeva così che le circoscrizioni urbane fossero gravemente sacrificate nella distribuzione dei seggi a vantaggio di quelle rurali: vi erano minuscoli collegi rurali, i cosiddetti “borghi putridi” (rotten boroughs), in cui bastavano poche decine di voti per eleggere un deputato, con evidente vantaggio per gli esponenti della grande proprietà terriera, visto che l’eletto era spesso il signore del luogo. La legge, approvata dal Parlamento nel giugno 1832 con un governo a guida whig, allargava il corpo elettorale di oltre il 50% e, cosa ancora più importante, ridisegnava le circoscrizioni, aumentando il numero di quelle urbane. Il sistema restava censitario, ma era pur sempre il più aperto nell’Europa di allora. Alla riforma elettorale si accompagnarono, negli anni ’30, misure legislative per migliorare le condizioni delle classi più disagiate. La legge sul lavoro nelle fabbriche, del 1833, proibiva il lavoro ai minori di nove anni (fino ad allora mai esplicitamente vietato), fissava a dodici ore l’orario lavorativo massimo per i ragazzi sotto i diciotto anni e a otto per i bambini sotto i dodici anni. La legge sui poveri, del 1834, affidava a istituzioni ed enti locali l’assistenza ai bisognosi. Tentativi di modificare ulteriormente il sistema politico britannico furono avanzati dall’opposizione democratica, che faceva capo agli intellettuali radicali e agli operai organizzati nelle Trade Unions. Proprio dai leader delle Trade Unions partì l’iniziativa di una grande mobilitazione popolare, per imporre alla classe dirigente l’adozione del suffragio universale, considerato il solo mezzo per far valere gli interessi dei lavoratori nella Camera e nel governo. Nel 1838 fu elaborata la Carta del popolo che chiedeva, oltre al suffragio universale maschile, la garanzia della segretezza del voto e una nuova riforma dei collegi elettorali. Il movimento cartista (così chiamato appunto dalla Carta del popolo) non riuscì a raggiungere tuttavia alcuno dei suoi obiettivi e, dopo un decennio di lotte, finì con l’esaurirsi, anche perché i leader delle 434
Il movimento cartista
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Trade Unions abbandonarono progressivamente il terreno della mobilitazione politica per concentrarsi su quello delle rivendicazioni economiche. Tra la fine degli anni ’30 e l’inizio degli anni ’40, il centro dell’impegno dei progressisti, appoggiati questa volta dai Whigs, fu quello per la riforma doganale, e in particolare per l’abolizione del dazio sul grano (cioè delle Corn Laws). Questa rivendicazione chiamava in causa i bisogni delle classi popolari, poiché il dazio protettivo manteneva elevato il prezzo dei cereali – che sarebbe sceso detassando le importazioni – a esclusivo vantaggio dei produttori interni e a scapito dei consumatori. Essa esprimeva inoltre gli interessi del mondo industriale, desideroso di veder rimossi tutti gli ostacoli che si opponevano all’affermazione dei propri prodotti sui mercati stranieri. Il dazio sul grano era certamente uno di questi ostacoli, in quanto provocava l’imposizione, da parte dei paesi espor- Alphonse Legros, Il pasto dei poveri tatori di cereali, di analoghe tariffe sui prodotti industriali [Tate Gallery, Londra] britannici. Non a caso il movimento per la riforma doga- Le leggi sui cereali che fissavano il prezzo del frumento – e di conseguenza del pane – avvantaggiavano i proprietari terrieri a spese dei poveri; braccianti agricoli nale ebbe il suo centro a Manchester, capitale dell’indu- e operai erano costretti a lottare giornalmente contro la povertà e contro la scarsità risorse alimentari a loro disposizione. Spesso l’unica possibilità per un pasto stria tessile, e il suo principale portavoce in Richard di decente era la mensa per i poveri. Cobden, industriale cotoniero e deputato liberale, leader dal 1838 della Lega contro il dazio sul grano (Anti-Corn Law League), divenuto in questi anni il più autorevole e popolare assertore delle teorie liberiste. La battaglia antiprotezionista fu vinta nel 1846 quando il governo, allora guidato da Peel, sotto la pressione della grave carestia che stava imperversando in Irlanda, prese la storica decisione di abolire il dazio di importazione sui cereali.
L’abolizione del dazio sul grano
Parole della storia
Liberismo/ protezionismo
I
l “liberismo” è quella dottrina che affida al mercato – e solo al mercato – il compito di regolare l’attività economica, che si oppone all’intervento dello Stato nel mondo della produzione e del commercio, che sostiene il principio del libero scambio nei traffici fra paese e paese. In quest’ultimo senso il liberismo si oppone al “protezionismo”: ossia a quella pratica che tende a proteggere la produzione nazionale imponendo sui prodotti di importazione dazi doganali così elevati da scoraggiarne l’acquisto. Al contrario del protezionismo – che è solo una prassi adottabile, e adottata, da regimi diversi per motivazioni diverse – il liberismo è anche un’ideologia a sfondo ottimistico, che ha il suo fondamento nelle teorie di Adam Smith [►4_3]. Un’ideologia
che vede nella libertà economica non solo il mezzo più sicuro per ottenere il maggior benessere possibile per l’intera collettività (attraverso il perseguimento del benessere privato da parte dei singoli soggetti), ma anche il complemento indispensabile della libertà politica. Il momento di maggior fortuna del liberismo si può collocare attorno alla metà del XIX secolo, proprio nel periodo che seguì l’abolizione del dazio sul grano in Gran Bretagna (1846). In questo periodo, come abbiamo visto, il liberismo fu, non solo in Inghilterra, l’ideologia delle correnti progressiste, che vedevano in esso anche un mezzo per sconfiggere i privilegi dell’aristocrazia terriera; e finì quasi con l’identificarsi col liberalismo politico. A partire dagli anni ’70 dell’800, le fortune del liberismo andarono declinando in tutti i paesi, salvo che in Gran Bretagna. Negli ultimi decenni del secolo si assisté ovunque all’imposizione di elevati dazi
protezionistici e, più in generale, a un intervento crescente dei poteri pubblici nelle vicende economiche (sotto forma sia di leggi sociali, sia di provvedimenti a favore di singoli comparti produttivi). Nel corso del XX secolo, l’intervento statale si è andato continuamente sviluppando in quantità e in qualità, anche all’interno dei sistemi economici fondati sulla proprietà privata e sulla libera impresa. Soprattutto negli anni della grande crisi economica seguita al crollo della Borsa di New York nel ’29, l’era del liberismo sembrò definitivamente conclusa. Nel secondo dopoguerra il liberismo ha conosciuto una fase di rilancio, grazie anche alle opere di economisti come Friedrich Hayek e Milton Friedman. Alle loro teorie si sono in parte ispirate le politiche “neoliberiste” affermatesi verso la fine degli anni ’70 e applicate nei decenni successivi soprattutto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti.
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Al dinamismo politico e sociale manifestato dalla Gran Bretagna e, in minor misura, dalla Francia negli anni 1830-48, faceva riscontro l’immobilismo politico delle monarchie autoritarie dell’Europa centro-orientale, in particolare dell’Austria e della Russia. La chiusura a ogni fermento innovativo, lo strapotere delle aristocrazie, il rifiuto di introdurre qualsiasi istituto rappresentativo, la conservazione dei vecchi e arretrati ordinamenti agrari – caratterizzati in Russia, ma anche in molte zone dell’Impero asburgico e della Prussia orientale, dalla permanenza della servitù della gleba – bloccavano il progresso civile e inasprivano le tensioni economiche e sociali. Se per la Russia il problema maggiore era costituito dalle continue rivolte contadine (a carattere spontaneo e prive di qualsiasi direzione politica), l’Impero asburgico cominciava a soffrire in questi anni delle tensioni che lo avrebbero accompagnato sino alla sua dissoluzione: le spinte autonomistiche delle diverse componenti nazionali – cechi e polacchi, italiani e ungheresi, croati e sloveni – tutte divise fra loro, ma unite nell’avversione al centralismo di Vienna.
Immobilismo e autoritarismo nelle monarchie dell’Europa centro-orientale
Elemento di crisi per la monarchia asburgica, il nazionalismo costituì invece un fattore di coesione per la Prussia e per gli Stati della Confederazione germanica. Deluse le speranze di unificazione coltivate negli anni delle guerre napoleoniche, le aspirazioni della borghesia tedesca si concentrarono soprattutto sull’attuazione di un’Unione doganale, lo Zollverein, fra tutti gli Stati della Confederazione. L’abolizione dei dazi doganali, avviata nel 1818, accelerata dopo il 1830 e in gran parte compiuta nel 1834, rappresentò non solo una tappa importante sulla via dell’unità politica degli Stati tedeschi. Fu anche un potente fattore di sviluppo economico, che avrebbe favorito il loro decollo industriale su un ampio mercato nazionale, collegato da una fitta rete di vie di comunicazione stradali e fluviali.
L’Unione doganale tedesca
METODO DI STUDIO
a Sottolinea per ogni sottoparagrafo la frase che, a tuo avviso, argomenta meglio il titolo e spiega oralmente la tua scelta. b Rispondi alle seguenti domande: a. Chi erano i sostenitori e gli oppositori della monarchia di luglio? b. Quale fu la politica di Guizot? c. Perché in Inghilterra si rese necessario riformare le circoscrizioni elettorali? d. Da chi era composto il movimento cartista e quali obiettivi si prefiggeva? e. In che cosa consisteva il problema maggiore per la Russia e per l’Impero asburgico? f. In cosa consisteva lo Zollverein e quali fattori lo rendevano vantaggioso?
12_8 LE RIVOLUZIONI DEL 1848-49
Nel 1848 l’Europa fu sconvolta da una crisi rivoluzionaria di ampiezza e intensità straordinarie. Non a caso l’espressione “quarantotto” è diventata da allora sinonimo di “disordine, sconvolgimento improvviso”. Straordinaria fu innanzitutto l’estensione dell’area geografica interessata dalle agitazioni. Ma straordinaria fu anche la rapidità con cui il moto rivoluzionario si diffuse in tutta l’Europa continentale, dalla Francia all’Italia, all’Impero asburgico e alla Confederazione germanica. Un moto così ampio non sarebbe stato possibile se non fosse stato favorito da alcune premesse comuni, presenti nell’intera società europea. Un primo elemento comune era dato dalla situazione economica: nel biennio 1846-47, l’Europa aveva attraversato una fase di crisi, che aveva investito prima il settore agricolo, poi quello industriale e commerciale, provocando carestie, miseria, disoccupazione e un clima di diffuso malessere. Il disagio economico e l’inquietudine sociale non sarebbero bastati di per sé a provocare una crisi di così vaste proporzioni, se su di essi non si fosse inserita l’azione svolta dai democratici di tutta Europa, in particolare dagli intellettuali, depositari di una tradizione comune che affondava le sue origini nella Rivoluzione francese. Simile fu il contenuto dominante delle insurrezioni: la richiesta di libertà politiche e di democrazia, variamente intrecciata – in Italia, in Germania e nell’Impero asburgico – alla spinta verso l’emancipazione nazionale. Simile fu anche la dinamica dei moti, che si svilupparono tutti secondo lo schema delle «giornate rivoluzionarie»: iniziarono cioè con grandi dimostrazioni popolari nelle capitali, sfociate poi in scontri armati.
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Le premesse e i caratteri comuni delle rivoluzioni
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Il protagonismo delle masse popolari urbane
A Parigi come a Vienna, a Berlino come a Milano, furono gli artigiani e gli operai a svolgere il ruolo principale nelle sommosse. A Parigi la componente popolare e operaia si mosse in relativa autonomia e, spesso in contrasto con le forze democratico-borghesi, cercò di imporre propri specifici obiettivi di
lotta. Nel gennaio del ’48, poche settimane prima dello scoppio dei moti, era stato scritto il Manifesto del Partito comunista di Marx ed Engels [►11_7], destinato a diventare in seguito il testo-base della rivoluzione proletaria. Questa convergenza di date ci aiuta a capire come mai il 1848 sia stato spesso considerato l’anno ufficiale di nascita del movimento operaio. Le rivoluzioni del 1848-49 si chiusero tutte con una sconfitta: la causa principale di questo generale fallimento va individuata nelle profonde fratture ideologiche e programmatiche che attraversavano al loro interno le forze del cambiamento e della rivoluzione, dividendo sempre più le correnti democratico-radicali dai gruppi liberal-moderati. Questi ultimi, spaventati dalla minaccia della rivoluzione sociale, si riaccostarono alle vecchie classi dirigenti. I democratici, lasciati soli a sostenere lo scontro politico e militare con i governi e privi di una consistente base di massa, erano inevitabilmente destinati a essere sconfitti.
Le cause della sconfitta democratica
31_LE RIVOLUZIONI DEL 1848-49 PAESI BASSI
Berlino
BELGIO
Praga IMPER O
Berlino Parigi
RUSSO Monaco
naco
PAESI BASSI
Berlino
Cracovia BELGIO
Vienna Parigi 13-14 marzo
Praga Cracovia Monaco
I M P E RMilano O AUSTRIACO Zagabria Venezia FRANCIA Lucerna Budapest SVIZZERA
alermo
Zagabria
Venezia
Bucarest
STATO PONTIFICIO
IMPERO
IMPERO OT TO M A N O
Roma
REGNO DELLE DUE SICILIE
GRECIA
Palermo GRECIA
Budapest
OT TO M A N O
OT TO M ANO REGNO DELLE DUE Palermo SICILIE
ondata rivoluzionaria ttività rivoluzionaria derazione germanica
Bucarest
IMPERO
Bucarest
Roma STATO PONTIFICIO
IMPERO AUSTRIACO Vienna 13-14 marzo
Milano
STATO PONTIFICIO
Zagabria
RUSSO
Budapest
Vienna 13-14 marzo
Venezia
IMPERO
Lipsia
I M P E R O A U S TFrancoforte RIACO
Praga Lucerna Cracovia SVIZZERA
ANCIA
RUSSO
Lipsia
Francoforte
Lipsia
IMPERO
paesi coinvolti dall’ondata rivoluzionaria rivolte e centri di attività rivoluzionaria confini della Confederazione germanica
paesi coinvolti dall’ondata rivoluzionaria rivolte e centri paesirivoluzionaria coinvolti dall’ondata rivoluzionaria di attività rivolte centri di attività rivoluzionaria confini della eConfederazione germanica confini della Confederazione germanica
REGNO DELLE DUE SICILIE GRECIA
La cartina segnala anche i disordini del 1845-47 paesi coinvolti e perciò include la Svizzera e la Galizia austriaca rivoluzionaria tra le areedall’ondata toccate dall’ondata rivoluzionaria. rivolte e centri di attività rivoluzionaria confini della Confederazione germanica
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C12 DALLA RESTAURAZIONE ALLE RIVOLUZIONI IN EUROPA
Barricate in Rue St. Martin a Parigi XIX sec.
Paradossalmente in Francia l’esito fu la nascita di un sistema politico autoritario fondato su un ampio consenso popolare legato alla tradizione rivoluzionaria di matrice napoleonica [►12_9]. Altrove la sconfitta dell’ipotesi rivoluzionaria non cancellò però quanto di nuovo era emerso dall’esperienza del ’48-49. Le aspirazioni verso una più ampia partecipazione al potere politico e gli ideali di unificazione e di indipendenza nazionale costituivano ormai un passaggio obbligato per alcuni paesi europei, come la Germania e l’Italia [►FS, 101].
METODO DI STUDIO
a Sottolinea e numera le cause del ’48 in Europa. b Evidenzia gli obiettivi delle insurrezioni del ’48. c Descrivi per iscritto i gruppi sociali che parteciparono alle insurrezioni del ’48, le motivazioni che li spinsero ad agire e gli esiti degli eventi che li videro coinvolti.
12_9 IL ’48 IN FRANCIA. DALLA SECONDA REPUBBLICA AL SECONDO IMPERO
In Francia, la rivoluzione prese avvio ancora una volta da Parigi. I limiti della monarchia borghese apparivano ormai intollerabili a un vasto fronte di opposizione che andava dai liberali progressisti ai democratici, dai bonapartisti ai socialisti. Per i democratici, in particolare, l’obiettivo da raggiungere era il suffragio universale, ossia la concessione del diritto di voto a tutti i cittadini maschi senza distinzione di reddito o di condizione sociale. Nettamente minoritari in Parlamento, i democratici cercarono di trasferire la loro protesta nel «paese reale». Lo strumento scelto fu la cosiddetta campagna dei banchetti: grandi incontri svolti in forma privata che aggiravano i divieti governativi di riunione e consentivano ai capi dell’opposizione e ai loro seguaci di tenersi in contatto e di far propaganda per la riforma elettorale.
L’opposizione alla monarchia liberale
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L’insurrezione di febbraio e la proclamazione della Seconda Repubblica
Fu proprio la proibizione di un banchetto, previsto per il 22 febbraio 1848 a Parigi, a innescare la crisi rivoluzionaria. Lavoratori e studenti parigini organizzarono una grande manifestazione di protesta. Per impedirla, il governo ricorse alla Guardia nazionale, il corpo volontario di cittadini armati che era stato istituito nel 1789 ed era rinato dopo l’insurrezione del luglio 1830. Espressione della
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borghesia cittadina, la Guardia nazionale era stata impiegata più volte per reprimere agitazioni o sommosse operaie. Ma questa volta, chiamata a difendere un governo largamente impopolare, finì col fare causa comune con i dimostranti. Il 24 febbraio, dopo due giorni di barricate e di violenti scontri, che provocarono più di 350 morti, gli insorti erano padroni della città e Luigi Filippo abbandonò Parigi. La sera stessa veniva costituito un governo che si pronunciava decisamente a favore della Repubblica – la cosiddetta Seconda Repubblica, dopo quella rivoluzionaria del 1792 – e annunciava la convocazione di un’Assemblea costituente da eleggere a suffragio universale maschile. Nel governo figuravano tutti i capi dell’opposizione democratico-repubblicana ed erano presenti anche due socialisti: Louis Blanc e l’operaio Alexandre Martin, detto Albert. L’inclusione di due rappresentanti dei lavoratori nel governo – una novità assoluta nella storia europea – rifletteva la forza del popolo parigino, protagonista delle giornate di febbraio, e sottolineava il carattere “sociale” della nuova Repubblica. Già alla fine di febbraio il governo provvisorio aveva fissato in undici ore la durata massima della giornata lavorativa e – cosa ancora più importante – aveva stabilito il principio del diritto al lavoro: una decisione di portata rivoluzionaria, che affrontava per la prima volta un nodo fondamentale dell’economia capitalistica, quello del pieno impiego. Per dare attuazione al diritto al lavoro, furono istituiti degli ateliers nationaux (alla lettera: “officine nazionali”). Il nome faceva pensare a quegli ateliers sociaux che Louis Blanc aveva teorizzato [►11_6], come vere e proprie cooperative di produzione, capaci di sostituirsi all’impresa privata. Ma la realtà era più modesta, legata alla necessità immediata di aiutare i disoccupati. Gli operai degli ateliers furono infatti impiegati in lavori di pubblica utilità (scavo di canali, riparazione di strade) e posti alle dipendenze del Ministero dei Lavori pubblici. Anche entro questi limiti, l’esperimento poneva gravi problemi alle finanze statali e introduceva un motivo di profondo contrasto in seno allo schieramento repubblicano, la cui ala moderata considerava incompatibile con i princìpi del liberismo economico un intervento diretto dello Stato nel mercato del lavoro.
L’esperimento degli ateliers nationaux
Eugene Hagnauer, Incendio nel posto di guardia di Château d’Eau del Palais-Royal a Parigi 1848 [Musée Carnavalet, Parigi]
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C12 DALLA RESTAURAZIONE ALLE RIVOLUZIONI IN EUROPA
Una prima netta sconfitta per le correnti di estrema sinistra venne dalle elezioni per l’Assemblea costituente, che si tennero in aprile, a suffragio universale maschile. I vincitori furono i repubblicani moderati, che costituirono l’ossatura del nuovo governo dal quale vennero esclusi i socialisti Blanc e Albert. Il governo emanò subito un decreto con cui si stabiliva la chiusura degli ateliers nationaux. La reazione dei lavoratori di Parigi fu immediata e spontanea. Il 23 giugno, oltre 50 mila popolani (fra cui molti lavoratori degli ateliers) scesero in piazza. Nei quartieri popolari ricomparvero le barricate. In risposta, l’Assemblea costituente concesse pieni poteri all’esercito per procedere alla repressione, che fu condotta nei giorni successivi con spietata durezza. Migliaia di insorti trovarono la morte sulle barricate o nelle esecuzioni sommarie che seguirono gli scontri. Le tragiche giornate di giugno segnarono una svolta decisiva nella breve storia della Seconda Repubblica. Agli occhi della borghesia di tutta Europa, la rivolta dei lavoratori parigini dava corpo all’incubo della rivoluzione sociale, allo “spettro del comunismo”. Gran parte della società francese – dalla borghesia urbana al clero, ai contadini irritati per l’aumento delle tasse – fu attraversata da un’ondata di riflusso conservatore [►FS, 102].
Il governo dei moderati e l’insurrezione di giugno
L’ascesa di Luigi Napoleone Bonaparte
In novembre l’Assemblea costituente approvò a stragrande maggioranza la nuova Costituzione democratica, ispirata al modello statunitense, che prevedeva un presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo per la
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Jean-Jacques Champin, Proclamazione della Seconda Repubblica il 4 Marzo 1848 XIX sec. [Musée Carnavalet, Parigi]
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La Seconda Repubblica fu proclamata con una solenne cerimonia svoltasi all’aperto, davanti al Palais Bourbon, il palazzo dell’Assemblea nazionale, riprendendo i rituali della Prima Repubblica francese, quella nata nel settembre
1792. Col febbraio del 1848, Parigi tornò a essere la capitale della rivoluzione europea e il principale centro di irradiazione degli ideali democratici e repubblicani.
Thibault, Barricate in via Saint-Maur 25 giugno 1848 [Musée d’Orsay, Parigi] Straordinario e duplice è l’interesse che ha questa foto, scattata a Parigi durante le “giornate di giugno” del 1848: da un lato è considerata la prima fotografia che illustra un servizio giornalistico, per il giornale «L’Illustration» del 1°-8 luglio 1848, e dall’altro mostra le barricate di una via cittadina, come si presentava il 25 giugno, con porte e finestre sigillate lungo la strada e le barricate disposte a intervalli regolari. L’attacco dell’esercito avviene il giorno dopo, lo scontro è violento. In quei giorni muoiono a ridosso delle barricate migliaia di persone, fra militari e civili.
durata di quattro anni e un’unica Assemblea legislativa eletta anch’essa a suffragio universale. Ma alle elezioni presidenziali (10 dicembre) i repubblicani si presentarono divisi, mentre i conservatori sostennero compatti la candidatura di Luigi Napoleone Bonaparte, figlio di un fratello dell’imperatore (quel Luigi Bonaparte che aveva occupato il trono olandese). Nonostante avesse un passato da cospiratore, l’allora quarantenne Luigi Napoleone seppe offrire ampie assicurazioni alla destra conservatrice e clericale mentre garantiva, per la sola forza del suo nome, una sicura presa su vasti strati di elettorato popolare. Il calcolo si rivelò esatto: una vera e propria valanga di voti si riversò su Bonaparte. Si chiudeva così definitivamente la fase democratica della Seconda Repubblica. Nel giro dei successivi tre anni le conquiste democratiche furono spazzate via. Intorno alla figura del presidente della Repubblica si raccolse un consenso che poggiava sugli elementi conservatori, sui METODO DI STUDIO clericali e sulla tradizione napoleonica che reclutava aderenti a Sottolinea con colori differenti gli aspetti fondamentali che definiscono i seguenti momenti dei in tutta la Francia urbana e rurale. Nel dicembre 1851, con un colpo di Stato sostemoti rivoluzionari francesi del ‘48: a. gli interessi nuto dall’esercito, la Camera fu sciolta e 10 mila oppositori arrestati e deportati. politici antecedenti la rivoluzione; b. gli eventi che Secondo la prassi napoleonica un plebiscito a suffragio universale convalidò l’oportarono alla nascita della Seconda Repubblica; c. l’istituzione delle “officine nazionali”; d. l’approvaperato di Bonaparte. La Seconda Repubblica era ormai tale solo di nome. E la finzione della nuova Costituzione democratica; e. la zione fu abolita, nel dicembre 1852, da un nuovo plebiscito che approvava, con restaurazione dell’Impero. una maggioranza ancor più schiacciante di quella dell’anno precedente, la restau b Rispondi per iscritto alle seguenti domande: a. Che cos’era la campagna dei banchetti? b. Chi razione dell’Impero. Luigi Napoleone assumeva così il nome di Napoleone III erano Blanc e Martin? c. Grazie a quali condizioni (veniva dunque incluso nella serie anche il figlio di Napoleone I, morto nel 1832 a Luigi Bonaparte vinse le elezioni del 1848? Vienna), col diritto di trasmettere il titolo imperiale ai suoi eredi.
La nascita del Secondo Impero di Napoleone III
12_10 IL ’48 NELL’EUROPA CENTRALE Il moto rivoluzionario iniziato a Parigi alla fine di febbraio si propagò in poche settimane a gran parte dell’Europa. Ma, diversamente da quanto era accaduto in Francia, la componente “sociale” rimase in secondo piano e lo scontro principale fu combattuto fra le borghesie liberali – con l’appoggio di consistenti settori delle classi popolari – e le strutture politiche tradizionali. 441
C12 DALLA RESTAURAZIONE ALLE RIVOLUZIONI IN EUROPA
Il primo importante episodio insurrezionale ebbe luogo a Vienna, il 13 marzo. L’occasione della rivolta fu una grande manifestazione di studenti e lavoratori duramente repressa dall’esercito. Dopo due giorni di combattimenti, la corte fu costretta ad allontanare il cancelliere Metternich: l’uomo-simbolo dell’età della Restaurazione dovette rifugiarsi all’estero. Le notizie dell’insurrezione di Vienna e della fuga di Metternich fecero precipitare la situazione nelle irrequiete province dell’Impero asburgico e nella vicina Confederazione germanica. Il 15 marzo vi furono tumulti a Budapest. Il 17 e il 18 si sollevavano Venezia e Milano [►14_7]. Negli stessi giorni una violenta sommossa scoppiava a Berlino, capitale della Prussia. Il 19 marzo i cittadini di Praga inviavano una petizione all’imperatore chiedendo autonomia e libertà politiche per i cechi. In maggio l’imperatore dovette abbandonare la capitale e promettere la convocazione di un Parlamento dell’Impero, il Reichstag, eletto a suffragio universale.
La rivolta nell’Impero asburgico
In Ungheria le promesse del governo imperiale di concedere una Costituzione e un Parlamento non riuscirono a fermare l’agitazione autonomistica. Sotto la spinta dell’ala democratico-radicale, che faceva capo a Lajos Kossuth, i patrioti ungheresi profittarono della crisi per creare a Budapest un governo nazionale e per agire in totale autonomia da Vienna. Fu decretata la fine dei rapporti feudali nelle campagne, una misura che contribuì a ottenere l’appoggio dei contadini. Fu eletto un nuovo Parlamento a suffragio universale. In luglio, infine, Kossuth cominciò a organizzare un esercito nazionale, primo passo verso la piena indipendenza, che costituiva ormai l’obiettivo finale degli insorti. Anche a Praga, in aprile, venne formato un governo provvisorio. I patrioti cechi, per lo più di orientamento liberale, non mettevano in discussione i legami con la monarchia asburgica e si limitavano a chiedere più ampie autonomie. Ma alcuni incidenti scoppiati fra la popolazione e i militari fornirono all’esercito il pretesto per una dura repressione: Praga fu assediata e bombardata e il governo ceco fu sciolto d’autorità.
La rivoluzione a Budapest e Praga
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Bonaventura Emler, Il combattimento sul ponte Tabor a Leopoldstadt il 6 ottobre 1848 [Museo storico, Vienna] L’offensiva imperiale contro i moti indipendentisti ungheresi si ripercuote drammaticamente a Vienna dove, il 6 ottobre 1848, un battaglione dell’esercito sostenuto dalla Guardia nazionale, da studenti universitari e da lavoratori disobbedisce all’ordine di partire per l’Ungheria e di sopprimere l’insurrezione che lì è scoppiata. Lo scontro porta a un’iniziale vittoria dei rivoltosi ma alla fine del mese, e dopo migliaia di morti, Vienna è di nuovo in mano all’esercito imperiale.
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
Anton Klaus, La battaglia di Alexanderplatz XIX sec. [Sächsische Landesbibliothek, Dresda] Questa litografia rappresenta, in tutta la sua forza, l’insurrezione di Berlino del 18-19 marzo 1848. Guidati dall’idea di unificare la Germania nel segno del liberalismo, i rivoltosi furono massacrati dalle milizie del re.
La sottomissione di Praga segnò l’inizio della riscossa per il potere imperiale. Essa mostrava che l’efficienza e la fedeltà dell’esercito non erano state intaccate dagli ultimi rivolgimenti politici. Nel corso dell’estate la svolta si consolidò. Mentre il Reichstag, riunitosi per la prima volta in luglio, era paralizzato dai contrasti fra le diverse nazionalità – l’unica decisione di portata storica fu l’abolizione della servitù della gleba in tutti i territori dell’Impero in cui era ancora in vigore –, il governo centrale riprendeva gradualmente il controllo della situazione. In agosto, sotto la protezione dell’esercito, l’imperatore rientrava a Vienna. Ma ai primi di ottobre nella capitale scoppiava una nuova insurrezione di studenti e lavoratori per impedire la partenza di nuove truppe per il fronte ungherese. Alla fine del mese Vienna fu cinta d’assedio e occupata dopo tre giorni di durissimi combattimenti. La rivoluzione nell’Impero asburgico veniva così stroncata nella sua punta più avanzata. Poche settimane dopo, l’imperatore Ferdinando I abdicava in favore del nipote, il diciottenne Francesco Giuseppe. Nel marzo 1849 il nuovo imperatore sciolse d’autorità il Reichstag e promulgò una Costituzione che prevedeva un Parlamento eletto a suffragio ristretto e dotato di poteri molto limitati, e ribadiva al tempo stesso la struttura centralistica dell’Impero.
La repressione austriaca
Un corso simile ebbero gli avvenimenti in Germania. A Berlino, il 18 marzo del 1848, imponenti manifestazioni popolari costrinsero il re di Prussia Federico Guglielmo IV a convocare un Parlamento (Landtag). Intanto agitazioni e sommosse erano scoppiate nella Confederazione germanica. Ne era scaturita, quasi spontaneamente, la richiesta di un’Assemblea costituente dove fossero rappresentati tutti gli Stati tedeschi, Austria compresa. A metà maggio l’Assemblea aprì i suoi lavori a Francoforte in un clima di generale entusiasmo. Ben presto fu chiaro però che la Costituente di Francoforte non aveva i poteri necessari per imporre le proprie decisioni ai sovrani degli Stati tedeschi e per avviare un processo di unificazione nazionale. Le sue sorti non potevano che dipendere da quanto accadeva nello Stato più importante, la Prussia. Ma proprio in Prussia il movimento liberal-democratico rientrò rapidamente, anche perché la borghesia era spaventata dalle agitazioni
L’insurrezione di Berlino e l’Assemblea di Francoforte
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C12 DALLA RESTAURAZIONE ALLE RIVOLUZIONI IN EUROPA
I MOTI RIVOLUZIONARI
MOTI DEL ’20-21
MOTI DEL ’30-31
RIVOLUZIONI DEL ’48-49
CHI/DOVE?
PERCHÉ?
CON QUALI CONSEGUENZE?
Spagna, Portogallo, Regno delle Due Sicilie e Piemonte
Tentativo di instaurare regimi liberali e introduzione di una Costituzione
Intervento della Francia in Spagna e della Santa alleanza in Italia per riportare l’ordine
Grecia
Indipendenza dall’Impero ottomano
La Grecia diventa uno Stato sovrano grazie all’appoggio delle potenze europee, interessate a indebolire l’Impero ottomano
Francia: rivoluzione di luglio
Bloccare il tentativo di restaurazione assolutista di Carlo X
Luigi Filippo d’Orléans «re dei francesi per volontà della nazione»
Belgio
Indipendenza dai Paesi Bassi, contro la decisione presa nel congresso di Vienna
Francia e Inghilterra non intervengono e il Belgio vede riconosciuta la sua indipendenza
Italia centro-settentrionale e Polonia
Ripresa del movimento liberale e richiesta di Costituzioni
L’intervento dell’Austria in Italia e della Russia in Polonia reprime i moti
Francia
Opposizione dei democratici alla politica conservatrice della monarchia orleanista
A febbraio il popolo parigino insorge con l’appoggio della Guardia nazionale e viene proclamata la Seconda Repubblica. Presidente della Repubblica diventa Luigi Napoleone che nel giro di pochi anni restaurerà l’Impero (Napoleone III)
Austria
Opposizione della borghesia liberale al conservatorismo della monarchia asburgica
A marzo una manifestazione induce Metternich a lasciare Vienna e l’imperatore promette l’elezione di un Parlamento
Province dell’Impero e Richiesta di regimi liberali e indipendenza da Vienna: Confederazione germanica scoppiano rivolte a Venezia, Milano, Budapest, Praga e Berlino
L’imperatore concede la costituzione di un Parlamento che approva l’abolizione della servitù della gleba; Budapest e Praga si danno governi provvisori, ma tra luglio e agosto le truppe austriache riportano l’ordine riaffermando l’autorità imperiale
sociali che nel frattempo si andavano intensificando (in estate vi furono sommosse di lavoratori a Berlino, in Slesia e a Francoforte). Ai primi di dicembre Federico Guglielmo sciolse il Parlamento prussiano ed emanò una Costituzione assai poco liberale. Frattanto, i lavori dell’Assemblea di Francoforte erano quasi completamente assorbiti dalle dispute sulla questione nazionale e dalla contrapposizione fra “grandi tedeschi” e “piccoli tedeschi”: i primi miravano a un’unione di tutti gli Stati germanici intorno all’Austria imperiale, i secondi sostenevano invece uno Stato nazionale più compatto, da costruirsi intorno al nucleo principale del Regno di Prussia. A prevalere, dopo lunghe discussioni, fu alla fine la tesi “piccolo-tedesca”. Ma quando, nell’aprile 1849, una delegazione offrì al re di Prussia la corona imperiale, questi la rifiutò in quanto gli veniva offerta da un’assemblea popolare, nata da un moto rivoluzionario. Il rifiuto di Federico Guglielmo segnò in pratica la fine della Costituente, che fu sciolta nel giugno 1849. Si andavano frattanto spegnendo gli ultimi fuochi della rivoluzione che, a partire dal marzo 1848, aveva attraversato l’intero Impero asburgiMETODO DI STUDIO co compresa l’Italia. In marzo gli austriaci sconfiggevano a Cerchia con colori differenti gli Stati dell’Eurodefinitivamente i piemontesi, in luglio si concludeva, grazie all’intervento franpa centrale interessati dai moti rivoluzionari del ‘48 cese, l’esperienza della Repubblica romana [►14_8], in agosto le truppe imperiae sottolinea le frasi chiave che ne definiscono le vicende mantenendo i colori scelti. li schiacciavano l’ultima resistenza di Venezia e dell’Ungheria. Per aver ragione b Rispondi alle seguenti domande: a. Quale degli indipendentisti magiari, che avevano ripreso il controllo del paese profitfu la differenza fondamentale che contraddistinse i tando anche dell’impegno austriaco in Italia, il governo di Vienna dovette chiemoti parigini da quelli che si verificarono nell’Europa centrale nel 1848? b. Quali furono gli esiti complesdere l’aiuto militare della Russia. La sconfitta dei democratici era a questo punto sivi? completa.
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La sconfitta dei democratici
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
LABORATORIO DI CITTADINANZA I DIRITTI DI CITTADINANZA
I
n termini moderni, per cittadinanza si intende sia il rapporto di appartenenza di un indivi‑ duo a un dato Stato sia tutta la serie di diritti e doveri (come la fedeltà allo Stato), stabiliti per legge, che da questa relazione derivano. La “scoperta” del cittadino si ebbe solo con la Rivoluzione francese, quando la società comin‑ ciò a essere riconosciuta come l’insieme degli individui che ne fanno parte – singolarmente considerati – e non dei ceti, come avveniva nella prima età moderna. L’articolo 6 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789) significativamente recitava: «La legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, per‑ sonalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa deve essere uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tut‑ ti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo le loro capaci‑ tà». Dunque, si può parlare di cittadinanza in modo più specifico quando tutti gli individui che fanno parte di uno Stato sono uguali di fronte alla legge e hanno – per legge – pari dignità civile e la possibilità di partecipare alla vita politica e sociale della propria comunità. Quali sono, dunque, i diritti (ovvero le condizio‑ ni) che caratterizzano questa appartenenza? Elementi essenziali della cittadinanza sono i diritti politici, che permettono a tutti gli indivi‑ dui di partecipare attivamente (tramite il voto
o l’esercizio di un pubblico ufficio) al governo del proprio paese. Ancora una volta, fu la Rivo‑ luzione francese a dare avvio al progresso del‑ la società. Questi diritti, però, vennero revocati dai regimi politici successivi che introdussero criteri restrittivi – di titoli e di censo – per la partecipazione alla vita politica. La strada da percorrere per la piena affermazione del suffra‑ gio universale era infatti ancora molto lunga, tanto che in Italia, nei primi anni dopo l’Unità, poteva votare solo il 2% della popolazione e il diritto di voto venne riconosciuto alle donne solo nel 1945 [►LABORATORIO DI CITTADINANZA, p. 749]. Altrettanto importanti sono i diritti civili, quelli più strettamente connessi con il godimento del‑ la libertà individuale, come il diritto alla libertà personale, la libertà di parola, di pensiero, di religione e l’uguaglianza di fronte alla legge. Un ruolo significativo rivestono infine i diritti sociali, che permettono all’individuo di con‑ quistare almeno un livello minimo di benessere economico e di partecipare alla vita sociale della propria comunità. Negli ultimi due secoli il concetto di cittadinan‑ za si è progressivamente arricchito di nuovi elementi, nuove garanzie della piena parteci‑ pazione dei cittadini alla vita dello Stato e in tempi molto recenti si è cominciato a parlare di diritti di terza e di quarta generazione, che riguardano non solo il cittadino ma l’umanità intera, come i diritti dei consumatori, il diritto a
un ambiente pulito e sano (terza generazione) o quello alla difesa dai rischi connessi al dila‑ gare delle nuove tecnologie: Internet, manipo‑ lazione genetica, ecc. (quarta generazione). Per quanto riguarda l’acquisizione del diritto di cittadinanza in Italia, la Costituzione italiana tutela tale diritto all’articolo 22: «Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capaci‑ tà giuridica, della cittadinanza, del nome». Il criterio guida per ottenere la cittadinanza italia‑ na, comunque, è tradizionalmente il cosiddetto ius sanguinis (letteralmente “diritto di sangue”), per cui è cittadino italiano chi nasce da altri cittadini italiani. In qualche misura trova appli‑ cazione anche lo ius soli (“diritto del luogo”), in base al quale chi nasce in territorio italiano risiedendo legalmente e ininterrottamente dal‑ la nascita può su richiesta, al raggiungimento della maggiore età, diventare cittadino della Repubblica. La cittadinanza può essere ac‑ quisita anche per matrimonio, dopo tre anni di convivenza e residenza legale in Italia suc‑ cessivi al matrimonio. Vi è infine la cosiddetta “naturalizzazione”, quando l’individuo riesce a provare di essere stato legalmente residente in Italia per gli ultimi dieci anni. Recentemente si è affermato il concetto di cittadinanza europea. Con i trattati di Maastricht (1992) prima e di Amsterdam (1997) e di Lisbona (2007) poi, l’Unione europea ha infatti stabilito che «È isti‑ tuita una cittadinanza dell’Unione. È cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione costituisce un completamento della cittadinan‑ za nazionale e non sostituisce quest’ultima» (art. 17). Si è configurato in tal modo un nuovo diritto per i cittadini europei: la possibilità di ri‑ volgersi alle istituzioni europee (il Parlamento, la Corte di giustizia, ecc.) quando i propri diritti non trovino tutela negli Stati membri o siano di esclusiva competenza dell’Unione. Manifestazione a Roma per la cittadinanza italiana degli immigrati 28 febbraio 2017 [foto di Gianluca di Gifico] Secondo il Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione presentato nel 2016 dalla Fondazione Leone Moressa il “Pil dell’immigrazione”, cioè la ricchezza prodotta dai 2,3 milioni di occupati stranieri, ha raggiunto i 127 miliardi di euro, pari all’8,8% del Pil nazionale. E con i 10,9 miliardi di euro dei contributi previdenziali dei lavoratori nati all’estero si paga la pensione a 640 mila italiani. A queste cifre va aggiunto un gettito Irpef pari a 6,8 miliardi di euro. La popolazione straniera in Italia, che nel 2016 ha superato quota 5 milioni, pari all’8,3% della popolazione complessiva, presenta molti fattori di stabilizzazione: infatti si tratta per lo più di immigrati di lungo periodo, che sono in Italia da oltre dieci anni, e sono in aumento gli indicatori di integrazione, come acquisizioni di cittadinanza, presenza nelle scuole di alunni stranieri, matrimoni misti.
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COSTRUIAMO IL LESSICO DEL CITTADINO 1 Leggi la scheda e completa sul quaderno le seguenti definizioni:
a. Si definisce “cittadinanza” la condizione giuridica in virtù della quale gli individui .................................................................... b. Lo ius sanguinis è il criterio per cui si considera cittadino di uno Stato ................................................................................ c. Lo ius soli è il criterio per cui si considera cittadino di uno Stato ........................................................................................
LE GENERAZIONI DEI DIRITTI UMANI 2 Gli studiosi distinguono i diritti umani in tre generazioni, a cui negli ultimi anni ne è stata aggiunta una quarta che
riguarda gli sviluppi della ricerca scientifica e le innovazioni tecnologiche. Adoperando le informazioni contenute nella scheda e integrandole con quelle reperibili in Rete, realizza un PowerPoint in 4 slide, una per ciascuna generazione di diritti umani, adducendo degli esempi concreti.
L’ACQUISTO DELLA CITTADINANZA ITALIANA 3 Immagina di dover realizzare una brochure informativa sull’acquisto – cioè sull’acquisizione – della cittadinanza
italiana per conto dell’Ufficio Servizi al cittadino.
Vai sul sito istituzionale del Ministero dell’Interno e cerca la L. 91/1992 che ne regolamenta l’acquisto. Leggi il documento e classifica le informazioni all’interno dello schema in basso, a partire dal quale dovrai poi sviluppare la brochure informativa. Acquisto della cittadinanza italiana Per nascita o adozione ...................................................................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................................................................... Per matrimonio
...................................................................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................................................................... ......................................................................................................................................................................................................................
Per elezione
...................................................................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................................................................... ......................................................................................................................................................................................................................
Per naturalizzazione
...................................................................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................................................................... ......................................................................................................................................................................................................................
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......................................................................................................................................................................................................................
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
4 L’Italia è uno dei paesi europei con le regole più severe per l’acquisto della cittadinanza. La maggior parte degli Stati
europei adotta lo ius sanguinis ma con norme meno rigide che in Italia. Nel nostro paese, infatti, la possibilità di acquisto iure soli è piuttosto residuale e il principio non è mai applicato in forma così semplice e diretta. Questo significa, ad esempio, che la condizione giuridica dei bambini figli di immigrati nati in Italia è strettamente legata alla condizione dei genitori: se i genitori hanno ottenuto la cittadinanza (dopo dieci anni di residenza legale), questa si trasmette anche ai figli per “discendenza”. Qual è la tua opinione riguardo all’acquisto della cittadinanza italiana da parte di minori stranieri o extracomunitari che sono nati e che vivono nel nostro paese? Nella tua classe o nella tua scuola ci sono alunni stranieri o extracomunitari? Ti sei mai confrontato con loro su questo argomento? Discutine in classe con i compagni e con l’insegnante, avendo cura di scrivere un resoconto del dibattito da cui emergano i differenti punti di vista. Redigi poi un testo di sintesi (minimo 8 righe di documento Word) sull’argomento.
CHE COS’È LA CITTADINANZA EUROPEA? 5 I cittadini dei paesi membri dell’Ue sono automaticamente cittadini dell’Unione. Si tratta di un principio contenuto in
vari trattati europei (trattato di Maastricht, 1992; trattato di Amsterdam, 1997; trattato di Lisbona, 2007) ed è un fattore fondamentale dello sviluppo di un’identità europea. La cittadinanza europea non sostituisce la cittadinanza nazionale, ma si aggiunge ad essa e garantisce agli individui diritti specifici.
● Quali sono i diritti garantiti e in che modo possiamo esercitarli? Vai su Google e digita nella maschera di ricerca “europa.eu cittadinanza”; clicca sul link: si aprirà la pagina istituzionale dell’Ue dedicata al tema. Leggi il contenuto, prendi appunti, rielaborali e utilizzali per integrare con le informazioni mancanti l’ultima sequenza della scheda dedicata all’argomento.
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C12 DALLA RESTAURAZIONE ALLE RIVOLUZIONI IN EUROPA
SINTESI
12_1 LA RESTAURAZIONE E LA NUOVA CARTA D’EUROPA Sconfitto Napoleone, si chiudeva il periodo delle guerre tra la Francia rivoluzionaria e le monarchie europee e cominciava l’età della Restaurazione. Ma “restaurare” in tutto e per tutto il vecchio ordine non era in realtà possibile dopo le trasformazioni sociali, istituzionali e giuridiche verificatesi nel venticinquennio precedente e il ruolo assunto dalla borghesia nel contesto sociale degli Stati europei. Assai rilevanti furono i mutamenti nella carta d’Europa decisi dal congresso di Vienna (novembre 1814-giugno 1815), per opera delle quattro maggiori potenze vincitrici (Gran Bretagna, Russia, Prussia, Austria) nonché della stessa Francia. Il principio di fondo seguito fu quello della “legittimità”, secondo cui dovevano essere restaurati i sovrani spodestati. Ciò non impedì, però, che si verificasse una razionalizzazione della geografia politica europea. Il nuovo assetto fu sancito dalla Santa alleanza (Russia, Prussia, Austria), affiancata poi dalla Quadruplice alleanza, promossa dalla Gran Bretagna.
12_2 IL RITORNO ALL’ORDINE E I LIMITI DELLA RESTAURAZIONE
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La Restaurazione ebbe caratteri diversi nei singoli paesi, sempre però nel quadro di un indirizzo conservatore
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
e tradizionalista. In Gran Bretagna si ebbe la prevalenza dell’ala destra del partito conservatore, che favorì gli interessi della grande proprietà terriera (dazio sul grano) a scapito di quelli dell’industria esportatrice. In Spagna venne seguita una linea che si richiamava all’assolutismo e ostacolava ogni evoluzione in senso liberale. Più moderata fu la Restaurazione in molti paesi dell’Europa del Nord in cui si mantennero in molti casi regimi a ristretta base rappresentativa. Il caso più significativo di Restaurazione “morbida” fu invece quello della Francia: Luigi XVIII promulgò una Costituzione, che tra l’altro prevedeva un Parlamento bicamerale, e conservò molte innovazioni del periodo napoleonico, scontentando così i legittimisti. In Italia la Restaurazione assunse forme piuttosto dure (salvo che nel Granducato di Toscana), temperate a stento dalla presenza di correnti moderate (Regno delle Due Sicilie, Stato della Chiesa). Una certa vivacità culturale si manifestò nel LombardoVeneto, amministrato con efficienza e autoritarismo dagli austriaci.
12_3 ARISTOCRAZIA E BORGHESIA NELL’EUROPA RESTAURATA La Restaurazione non interruppe il processo di crescita della borghesia e di emancipazione dai vincoli feudali, seppure in un quadro generale che confermava il sistema di dominio del ceto aristocratico. In buona parte dell’Europa dell’Est il processo di emancipazione dai vincoli feudali fu assai più lento. Diversa la situazione in
Francia e nei paesi dell’Europa occidentale passati per la dominazione napoleonica: qui la borghesia aumentò la quota della sua proprietà sulla terra, senza però che ciò si risolvesse in una generale modernizzazione dell’agricoltura. Nell’Europa del Sud (ma non nell’Italia settentrionale) la defeudalizzazione lasciò intatte gerarchie sociali e assetti della proprietà terriera. In generale, nel mondo rurale si sovrapposero a lungo modernità e tradizione.
12_4 I MOTI RIVOLUZIONARI DEL 1820-21 In quasi tutti i paesi europei l’azione di liberali e democratici si doveva svolgere in forme clandestine, nelle società segrete. La Carboneria, la più importante e diffusa, si ispirava a un liberalismo moderato. In massima parte la base sociale delle società segrete era costituita da intellettuali, studenti e militari: furono loro i protagonisti delle rivoluzioni degli anni ’20. L’ondata rivoluzionaria del 1820-21 partì dalla Spagna, con la ribellione a Cadice di alcuni reparti militari (gennaio ’20): il re fu costretto a concedere la Costituzione ma il nuovo regime non riuscì a consolidarsi, anche per i contrasti interni allo schieramento costituzionale. Successivamente ci furono moti nel Regno delle Due Sicilie e in Piemonte. Le rivoluzioni del ’20-21 suscitarono l’allarme dei conservatori d’Europa. Nel ’21 gli austriaci posero fine alla rivoluzione napoletana. La rivoluzione spagnola fu schiacciata, invece, dall’intervento militare della
Francia (1822). Tra i motivi principali della sconfitta delle rivoluzioni del ’20-21 vanno ricordate le divisioni interne allo schieramento rivoluzionario, nonché la mancanza di seguito tra le masse.
12_5 L’INDIPENDENZA DELLA GRECIA L’unica rivoluzione del decennio che si concluse positivamente fu quella greca contro la dominazione turca. Iniziata nel ’21, questa rivoluzione – che ebbe i caratteri di una vera guerra nazionale e religiosa – si concluse solo nel ’29. Il suo successo fu dovuto in misura determinante alle simpatie dell’opinione pubblica europea e all’intervento militare di Gran Bretagna, Francia e Russia. Nella sconfitta e nel riconoscimento dell’indipendenza della Grecia trovò conferma la lunga crisi dell’Impero ottomano che si protrasse fino ai primi del ’900.
12_6 I MOTI RIVOLUZIONARI DEL 1830-31 I moti europei del 1830-31 furono per molti aspetti simili a quelli di un decennio prima, ma ebbero conseguenze più durature, portando alla rottura dell’equilibrio europeo sancito dal congresso di Vienna. La politica di Carlo X, divenuto re di Francia nel 1824, fu ispirata al disegno di una restaurazione integrale. La repressione delle forze di opposizione sfociò, nel 1830, in quattro ordinanze
che configuravano un vero e proprio colpo di Stato e, a luglio, il popolo di Parigi reagì con un’insurrezione che costrinse il re alla fuga. Le Camere nominarono nuovo sovrano Luigi Filippo d’Orléans. La monarchia di luglio, benché prodotta da una rivoluzione, si ispirò sin dall’inizio a una linea di liberalismo moderato. L’esempio francese incoraggiò una ripresa dell’iniziativa rivoluzionaria a livello europeo. La rivolta del Belgio – che mirava all’indipendenza dall’Olanda – si risolse in un successo, reso possibile dall’atteggiamento favorevole di Francia e Gran Bretagna. Esito diverso ebbero i moti rivoluzionari scoppiati in Italia e in Polonia, schiacciati dall’intervento militare rispettivamente di Austria e Russia.
’30-40 vide l’emergere di due movimenti: quello cartista, che si batteva per il suffragio universale ed era animato soprattutto dalle Trade Unions – il movimento però si esaurì dopo un decennio di lotte senza aver raggiunto i suoi obiettivi –; quello per la riforma doganale – di cui fu principale leader Cobden –, che si risolse in una vittoria delle tesi liberiste con l’abolizione del dazio sul grano. In questi anni, a confronto delle trasformazioni avvenute in Gran Bretagna e Francia, le monarchie autoritarie dell’Est europeo apparivano prigioniere di un radicato immobilismo politico e sociale. Mentre per la Russia il maggior problema era costituito dalle continue rivolte contadine, l’Austria vedeva il primo manifestarsi delle spinte autonomistiche delle varie nazionalità dell’Impero. Il nazionalismo costituì un fattore di coesione nell’area tedesca, dove le aspirazioni della borghesia si indirizzarono verso l’attuazione di una Unione doganale.
12_7 L’EUROPA TRA LIBERALISMO E AUTORITARISMO La monarchia francese sposò presto una linea conservatrice che accentuò i caratteri oligarchici del regime e la frattura tra ceto dirigente e società civile, in primo luogo a causa della ristretta e precaria base di consenso della monarchia, che si fondava soprattutto su un’identificazione con gli interessi dell’alta borghesia degli affari. Forte era anche l’opposizione repubblicana, che fu protagonista di vari tentativi insurrezionali. In Gran Bretagna, invece, entro la metà del secolo, vennero varate alcune decisive riforme: diritto per i lavoratori di unirsi in associazioni – e ciò stimolò la nascita delle Trade Unions –, riforma elettorale, leggi sociali. La lotta politica degli anni
12_8 LE RIVOLUZIONI DEL 1848-49 Nel 1848 l’Europa fu sconvolta da un moto rivoluzionario che coinvolse Francia, Italia, Impero asburgico e Confederazione germanica. All’origine della rivolta, scatenata dai democratici, ci fu un clima di acuto malessere sociale determinato da una crisi economica che attanagliava tutto il continente. La richiesta di libertà politiche e di democrazia, come pure le modalità insurrezionali furono evidenti caratteri comuni dei moti. Nonostante la totale sconfitta, in particolare dei democratici (abbandonati dai
liberal-moderati che temevano una rivoluzione sociale), il 1848 aprì una nuova epoca caratterizzata dall’intervento delle masse popolari urbane e dall’emergere degli obiettivi sociali accanto a quelli politici.
12_9 IL ’48 IN FRANCIA. DALLA SECONDA REPUBBLICA AL SECONDO IMPERO Il centro di irradiazione del moto rivoluzionario fu ancora una volta la Francia. L’insurrezione parigina di febbraio portò alla proclamazione della Repubblica, che ebbe all’inizio un indirizzo democraticosociale. Tuttavia le elezioni per l’Assemblea costituente dell’aprile ’48 sancirono la vittoria dei repubblicani moderati. L’insurrezione di giugno dei lavoratori di Parigi fu duramente repressa e segnò la svolta in senso conservatore della Repubblica, concretizzatasi in dicembre con l’elezione a presidente di Luigi Napoleone Bonaparte. Nel dicembre 1851 Bonaparte attuò un colpo di Stato e riformò la Costituzione. L’anno successivo un plebiscito sanzionò la restaurazione dell’Impero: Luigi Napoleone Bonaparte divenne imperatore con il nome di Napoleone III.
germanica: a Vienna Metternich dovette lasciare il potere e venne concesso un Parlamento dell’Impero. In Ungheria l’agitazione ebbe un accentuato carattere indipendentistico. Anche a Praga furono avanzate, sia pure in forma meno marcata, rivendicazioni di autonomia. La repressione militare della sollevazione di Praga (giugno 1848) segnò l’inizio della riscossa del potere imperiale che si estese in seguito anche all’Ungheria. Nell’area tedesca, la rivoluzione di Berlino portò inizialmente ad alcune concessioni da parte del re Federico Guglielmo IV e alla nascita di un’Assemblea costituente con sede a Francoforte, presto assorbita dal dibattito sulla questione nazionale. Ma il movimento liberal-democratico conobbe una rapida sconfitta anche in Prussia e negli Stati della Confederazione germanica.
12_10 IL ’48 NELL’EUROPA CENTRALE In marzo il moto rivoluzionario si propagò all’Impero asburgico, agli Stati italiani e alla Confederazione
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C12 DALLA RESTAURAZIONE ALLE RIVOLUZIONI IN EUROPA
SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Associa i nomi dei seguenti uomini politici e organizzazioni statali alle relative azioni intraprese o posizioni assunte
durante il congresso di Vienna.
a. Francia b. Talleyrand c. Metternich d. Russia e. Confederazione germanica f. Regno dei Paesi Bassi g. Impero asburgico h. Regno delle Due Sicilie i. Regno di Sardegna l. Austria
1. Guidato da Metternich, si affermò come il fulcro dell’equilibrio continentale ed ebbe riconosciuto un ruolo egemone in Italia. 2. Riuscì a far valere il principio di legittimità a vantaggio del suo paese e a restaurare i diritti “legittimi” dei Borbone di Francia. 3. Acquisì alcuni territori della Savoia e la Liguria. 4. I suoi confini rimasero immutati rispetto al 1791 e vi fu restaurata la monarchia dei Borbone. 5. Nacque dall’unione di una parte degli Stati tedeschi ed era presieduta dall’imperatore d’Austria. 6. Si tratta di una delle quattro maggiori potenze vincitrici. Ottenne la sovranità sul Lombardo-Veneto e l’affermazione di legami militari e dinastici con gli altri Stati della penisola italiana. 7. Si tratta di una delle quattro maggiori potenze vincitrici, si espanse verso occidente, occupando la Finlandia e buona parte della Polonia. 8. Fu ricostituito sotto la dinastia dei Borbone dall’antico Regno di Napoli. 9. Nacque dall’unione di Belgio, Lussemburgo e Olanda. 10. Fu ministro degli Esteri austriaco e il reale regista dei lavori al congresso di Vienna.
2 Seleziona la frase opportuna per completare correttamente le affermazioni di seguito:
1. Il principio di legittimità invocato da Talleyrand a Vienna... a. fu respinto con forza da Metternich, che preferì insediare la famiglia degli Asburgo. b. permise alla dinastia dei Borbone di riottenere la sovranità sul Regno francese. c. intendeva legalizzare le acquisizioni di proprietà durante il periodo rivoluzionario. 2. I contadini russi... a. erano riusciti, grazie a numerose rivolte, ad ottenere l’abolizione della servitù della gleba. b. furono emancipati dalla servitù della gleba grazie ad un editto dello zar del 1848. c. furono legati da obblighi feudali nei confronti dei loro proprietari terrieri fino al 1861. 3. Durante i moti del 1820-21, in base agli accordi di Vienna, ... a. Austria e Francia intervennero per reprimere gli insorti nel Regno delle Due Sicilie, in Piemonte e in Spagna. b. nessuno Stato estero poteva interferire nelle vicende interne degli altri Stati europei. c. Austria e Francia sostennero i rivoltosi nei paesi europei a maggioranza protestante. 4. Il movimento cartista in Inghilterra... a. richiese il suffragio universale per tutti, uomini e donne. b. si occupava di questioni salariali e di tutela sul lavoro. c. non ottenne alcun risultato concreto sul piano politico. 5. Nel 1848, lo stesso anno in cui scoppiavano moti rivoluzionari in tutta Europa, ... a. Marx pubblicò con Engels il Manifesto del Partito comunista. b. Luigi Bonaparte fu destituito dal trono del Regno di Francia. c. l’Inghilterra reintrodusse il dazio sul grano, abolito tre secoli prima.
450
6. La Santa alleanza, ... a. entrò in conflitto con la Quadruplice alleanza per motivi di carattere religioso. b. vide fra i suoi maggiori sostenitori la Gran Bretagna. c. era un’alleanza personale fra lo zar Alessandro I, l’imperatore d’Austria e il re di Prussia.
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
3 Completa la seguente tabella relativa agli effetti politici, sociali, culturali ed economici della Restaurazione indicando
per ogni Stato gli eventi di stampo conservatore e quelli apportatori di innovazione. Azioni e situazioni di stampo conservatore
Innovazioni politiche/culturali/sociali/economiche
Spagna Gran Bretagna Francia Regno sabaudo Stato della Chiesa Regno di Napoli/ Regno delle Due Sicilie Toscana Lombardo-Veneto 4 Colloca sulla linea del tempo le date relative ai seguenti eventi rivoluzionari.
a. Alcuni reparti militari danno avvio, nel porto di Cadice, alla rivolta in Spagna. b. In Spagna il re reintroduce la Costituzione del 1812 e indice le elezioni per le Cortes. c. Moti insurrezionali scoppiano nel Regno delle Due Sicilie e in Portogallo. d. Moti insurrezionali scoppiano in Piemonte. I greci insorgono contro il dominio turco. e. Le potenze europee distruggono a Navarino la flotta turco-egiziana. f. Con la pace di Adrianopoli viene riconosciuta l’indipendenza greca. g. A Parigi scoppia una rivolta che porterà alla caduta della dinastia borbonica. In Belgio l’insurrezione porta all’indipendenza dall’Olanda. Nell’Italia centro-settentrionale e in Polonia, i moti rivoluzionari falliscono.
....................
....................
....................
5 Colloca nello schema a fianco le affermazioni presenti di seguito
inserendo la lettera corrispondente per completare la mappa concettuale relativa alla rivoluzione parigina del 1830.
a. La dinastia borbonica viene sostituita, e le Camere riunite in seduta comune affidano temporaneamente il potere regio a Luigi Filippo d’Orléans. b. Carlo X scioglie la Camera e indice nuove elezioni. Contemporaneamente invia un corpo di spedizione in Algeria. c. Con il nuovo sovrano viene varata una nuova Costituzione. d. Di fronte al successo elettorale dell’opposizione, Carlo X avvia un colpo di Stato. e. Le aree politiche e sociali contrarie a Carlo X manifestano la loro opposizione. f. La monarchia di luglio finisce per far propri i valori e gli interessi dell’alta borghesia degli affari e introduce misure limitative della libertà di stampa e di associazione. g. A Parigi scoppia un moto rivoluzionario nel luglio 1830.
....................
....................
...........
...........
...........
...........
...........
...........
...........
451
C12 DALLA RESTAURAZIONE ALLE RIVOLUZIONI IN EUROPA
6 Inserisci nei due insiemi i seguenti Stati ed elementi che ne caratterizzano la storia distinguendo quelli che si
riferiscono al liberalismo e quelli che afferiscono all’autoritarismo nel contesto europeo della prima metà dell’800. Quindi, argomenta per iscritto le tue scelte. a. Austria; b. Robert Peel; c. la Carta del popolo; d. Russia; e. Lega contro il dazio sul grano; f. Gran Bretagna. Liberalismo
Autoritarismo
COMPETENZE IN AZIONE 7 Osserva le seguenti 3 carte geostoriche, relative ai moti che coinvolsero l’Europa nel 1820-21, nel 1830-31 e nel
1848-49, e indica un titolo per ognuna di esse. PAESI BASSI Berlino Quindi, realizza sul quaderno un testo a commento di massimo 15 righe in cui metti a confronto gli eventi rivoluzionari IMPERO RUSSO BELGIO oggetto delle carte partendo dagli elementi in esse evidenziati. Lipsia
Francoforte
Praga
Parigi Titolo ........................................................................................................ Cracovia Monaco
FRANCIA
IMPERO AUSTRIACO Vienna
Lucerna SVIZZERA Milano
13-14 marzo
Venezia Berlino
PAESI BASSI BELGIO Francoforte Parigi
Roma
STATO Lipsia PONTIFICIO Praga
Monaco
FRANCIA
STATO PONTIFICIO Roma
452
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
paesi coinvolti dall’ondata rivoluzionaria rivolte e centri di attività rivoluzionaria confini della Confederazione germanica
Zagabria
I M P E R OBucarest RUSSO IMPERO Cracovia OT TO M A N O
IMPERO AUSTRIACO REGNO Vienna DELLE Budapest 13-14 marzo DUE SICILIE Palermo Zagabria Venezia GRECIA Bucarest
Lucerna SVIZZERA Milano
paesi coinvolti dall’ondata rivoluzionaria rivolte e centri di attività rivoluzionaria confini della Confederazione germanica
Budapest
REGNO DELLE DUE Palermo SICILIE
IMPERO OT TO M A N O
paesi coinvolti dall’ondata rivoluzionaria rivolte e centri di attività rivoluzionaria confini della Confederazione germanica GRECIA
paesi coinvolti dall’ondata rivoluzionaria rivolte e centri di attività rivoluzionaria confini della Confederazione
Parigi OCEANO ATLANTICO
REGNO DI FRANCIA
Titolo ........................................................................................................
RE DI SA
Tor 182
REGNO DEL PORTOGALLO Porto
Madrid
IMPERO
Lisbona
RUSSO
Parigi OCEANO ATLANTICO
REGNO DI FRANCIA
GIBILTERRA
Vienna
Torino 1821
REGNO DEL PORTOGALLO Porto
R DI SA
Cadice 1820
IMPERO D’AUSTRIA REGNO DI SARDEGNA
REGNO DI SPAGNA
Madrid
Lisbona
IMPERO OTTOMANO
REGNO DI SPAGNA
REGNO DI SARDEGNA
Cadice 1820
Napoli 1820
REGNO DELLE DUE SICILIE
MAR TIRRENO
GIBILTERRA
GRECIA
Palermo 1820
Stati interessati da moti insurrezionali rivolte
Atene 1821
MAR MEDITERRANEO PAESI BASSI
Titolo ........................................................................................................
Berlino
BELGIO Parigi
PAESI BASSI
Berlino
BELGIO
Varsavia
IMPERO
Stati interessati da moti insurrezionali Parigi rivolte
SVIZZERA
RUSSO
REGNO DI POLONIA
Torino Milano Venezia Modena REGNO DI Bologna SARDEGNA Firenze STATO DELLA CHIESA
IMPERO AUSTRIACO
FRANCIA
I
FRANCIA
Roma
SVIZZERA Torino
REGNO DI SARDEGNA
Milano Venezia
Modena REGNO DI Bologna SARDEGNA Firenze STATO DELLA CHIESA
Palermo
IMPERO OT TO M A N O
Roma REGNO DI SARDEGNA
Napoli
Palermo
Napoli
I MOTI DEL 1830-31 IN EUROPA
REGNO DELLE DUE SICILIE GRECIA
paesi coinvolti dall’ondata rivoluzionaria rivolte confini della Confederazione germanica
I MOTI DEL 1830-31 IN EUROPA C12 DALLA RESTAURAZIONE ALLE RIVOLUZIONI IN EUROPA
453
paesi coinvolti dall’ondata rivoluzionaria rivolte confini della
REGNO DELLE DUE SICILIE
8 Scrivi un testo di circa 25 righe che illustri i conflitti tra forze della Restaurazione e forze liberal-democratiche in
Europa tra XVIII e XIX secolo, a partire dalla seguente scaletta di argomenti:
● ● ● ●
una nuova economia e una nuova società la restaurazione politica e l’accentramento del potere obiettivi politici dei liberali e dei democratici strumenti e lotte dei liberali e dei democratici.
9 Scrivi un testo breve sulla guerra d’indipendenza in Grecia combattuta tra il 1821 e il 1829 utilizzando la seguente
scaletta:
454
● ● ● ● ● ●
condizioni sociali e politiche nello Stato ottomano organizzatori materiali dell’insurrezione fattori culturali interni e successo dell’insurrezione ruolo dell’opinione pubblica internazionale comportamento degli Stati europei durante la guerra esiti.
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
E
A
E
N LI N
O
CAP13 LE RIVOLUZIONI LATINO-AMERICANE E LO SVILUPPO DEGLI STATI UNITI
XTR
Storia, società, cittadinanza La tutela delle minoranze etniche Focus La conquista del West Audiosintesi
13_1 LE AMERICHE TRA INDIPENDENZA E SVILUPPO
Gli avvenimenti rivoluzionari in Francia e la precedente guerra d’indipendenza americana avevano aperto la strada a profondi mutamenti anche in America Latina. Nel 1790 si ribellò la colonia francese di Santo Domingo nei Caraibi e la popolazione nera, composta prevalentemente da schiavi, prese il potere sotto la guida di un ex schiavo, Toussaint Louverture. L’esperimento di Louverture non ebbe vita facile perché nel 1802 Napoleone ripristinò la schiavitù che Robespierre aveva abolito e combatté duramente i ribelli. Tuttavia nel 1804 Santo Domingo proclamò l’indipendenza riassumendo il nome precolombiano di Haiti. Nella rivoluzione di Haiti furono raggiunti rilevanti cambiamenti economici e sociali, nonostante il carattere autoritario ed etno-nazionalista che assunse il nuovo Stato.
La rivoluzione a Haiti
▼ La
rivolta dei neri a Santo Domingo 1791 [Musée Carnavalet, Parigi]
▼ Toussaint
Louverture inizio XIX sec. [Bibliothèque Nationale, Parigi] Ex schiavo, Toussaint Louverture guidò la rivolta di Santo Domingo cercando di creare una “Repubblica Nera” sull’isola. A seguito della presa del potere da parte di Napoleone e della reintroduzione della schiavitù fu arrestato e deportato in Francia, dove morì nel 1803.
455
C13 Le rivoluzioni latino-americane e lo sviluppo degli Stati Uniti
Dopo la caduta di Napoleone, mentre in Europa le potenze della Santa alleanza cercavano di ristabilire un solido equilibrio conservatore, le colonie spagnole e portoghesi dell’America Latina portarono a compimento la loro lotta per l’indipendenza. Nei progetti dei suoi iniziatori, la lotta di liberazione delle colonie latino-americane avrebbe dovuto avere un esito simile a quello già conseguito dalle colonie inglesi del Nord America: la formazione di una grande unione di Stati liberamente associati da un vincolo federativo. La realtà fu completamente diversa: perché diversi erano i dati geografici, diversa la situazione sociale, diversa la condizione economica lasciata in eredità dalle monarchie iberiche.
L’indipendenza delle colonie dell’America Latina
Mentre l’America Latina si affacciava all’indipendenza già divisa e afflitta dai molti problemi che ne avrebbero reso più lento e difficile lo sviluppo, gli Stati Uniti si espandevano, si irrobustivano, rafforzavano il vincolo unitario: fino a proporsi come potenza egemone per tutto il continente e come interlocutore paritario delle stesse potenze europee.
L’espansione degli Stati Uniti
METODO DI STUDIO
a Spiega chi era Toussaint Louverture, cosa fece e quale fu la sua sorte. b Rispondi alle seguenti domande: a. A che cosa miravano le lotte di liberazione delle colonie latino-americane? b. Che ruolo assunsero progressivamente gli Stati Uniti nel continente americano?
13_2 L’INDIPENDENZA DELL’AMERICA LATINA
► Leggi anche: ► Personaggi Simón
el Libertador, Alla fine del ’700, l’America Latina svolgeva un ruolo di notevole importanza nell’e- Bolívar, p. 458 L’economia conomia mondiale, non più soltanto come produttrice di metalli preziosi, ma andelle colonie che come fornitrice di molti prodotti agricoli (zucchero di canna, cacao, tabacco latino-americane e, più tardi, caffè) destinati a soddisfare le nuove abitudini di consumo che si erano diffuse in quel secolo fra le classi alte europee. Diversi, nelle varie zone, erano i metodi di conduzione della terra e le colture. Ma comune era la prevalenza delle creolo aziende di grandi dimensioni, che impegnavano manodopera indigena in condiAgli inizi della colonizzazione dell’America il termine zione servile o semiservile, oppure si basavano – come nel caso delle piantagioni indicava i nati nel nuovo continente da genitori bianchi brasiliane e cubane – sul lavoro di schiavi neri “importati” dall’Africa. europei. I creoli, dunque, si distinguevano dai bianchi
Comune, in larga misura, era anche la stratificazione sociaDemografia le, che coincideva quasi perfettamente con la divisione raze società ziale. Al vertice stavano i 4.350.000 creoli (criollos), ossia i bianchi di origine europea, discendenti dalle prime generazioni di coloni. In basso c’erano gli oltre 8 milioni di indios (in fase di netta ripresa demografica dopo lo sterminio subìto nella prima fase della colonizzazione), la cui condizione variava da quella di servo a quella di salariato o, più di rado, di contadino povero. I neri, presenti soprattutto in Brasile e nelle Antille, erano più di 4 milioni. I meticci (poco più di 6 milioni) occupavano le fasce sociali medio-basse e lavoravano nell’artigianato, nel piccolo commercio o nella conduzione delle aziende agricole, alle dipendenze di proprietari creoli.
immigrati dall’Europa e dai neri deportati dall’Africa. Oggi invece creoli sono detti anche i figli di un genitore bianco e di uno di colore. indio “Indio” è il termine con cui si designano gli abitanti indigeni dei paesi dell’America centro-meridionale. A partire dal ’500, il termine “indiano” e il suo corrispondente spagnolo indio (indios al plurale) furono usati impropriamente per indicare le popolazioni indigene dell’America: questo perché i primi esploratori, a cominciare da Colombo, credevano di essere sbarcati nelle Indie, ossia in Asia. Anche quando l’errore fu scoperto, si continuò a parlare di “Indie orientali” e di “Indie occidentali”.
10_LA POPOLAZIONE DELL’AMERICA CENTRALE E MERIDIONALE AI PRIMI DEL XIX SECOLO
Area
Bianchi
Neri
Meticci, mulatti
Indios
Messico, America centrale e Antille
1.992.000
1.960.0001
2.681.000
4.580.000
America meridionale spagnola
1.437.000
268.0002
2.871.000
3.271.301
920.000
1.960.000
1
700.000
360.000
4.349.000
4.188.000
1
6.252.000
8.211.301
Brasile America centrale e meridionale 1
456
2
Per Messico e America centrale, sotto mulatti. In parte sotto mulatti.
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
ATLANTICO VENEZUELA
GU YAN A brit. olan.
1811-30
Bogotá COLOMBIA
fr.
Contrariamente a quanto era accaduto a Haiti, nelle colonie spagnole e porto1831 L’indipendenza ghesi dell’America Latina la spinta all’indipendenza venne non dagli strati infeECUADOR dalla Spagna 1830 riori (le rivolte degli indios, che pure si verificarono con una certa frequenza nel e dal Portogallo ’700, erano dirette contro i proprietari terrieri, più che contro il potere lontano e PERÙ europee), ma dagli stessi creoli, desiderosi di liberarsi dal controllo dei impersonale delle monarchie B R A S I L E 1824 funzionari governativi inviati dall’Europa e insofferenti1822 dei vincoli che il legame con la madrepatria OCEANO poneva ai loro commerci. Queste aspirazioni si manifestarono già alla del ’700, in seguito all’eco San fine Salvador Lima PAC I F I C O (Bahia) suscitata dalla rivoluzione americana e, più in generale, alla diffusione degli ideali illuministi, a cui contribuì, anche in America Latina, una La fitta Paz rete di società segrete. BOLIVIA 1825 PARAGUAY 1811-13
Rio de Janeiro San Paolo
32_L’AMERICA CENTRALE E MERIDIONALE (1810-39)
ARG
EN
TIN A 18 16
CILE 1818
STATI UNITI
Santiago MESSICO 1821
CUBA
YUCATÁN 1821 Città del Messico G. S.
(sp.)
GIAMAICA (brit.)
H.B.
URUGUAY 1828 Buenos Aires
H.
1822
C.R. = Costa Rica 1821 G. = Guatemala 1821 H. = Honduras 1821 H.B. = Honduras britannico N. = Nicaragua 1821 S. = El Salvador 1821
SANTO DOMINGO
PUERTO RI CO (sp.)
HAITI 1804
MALVINE (FALKLAND)
N.
OCEANO
Caracas
C.R.
VENEZUELA Bogotá
Gran Colombia, 1819-30 Province Unite dell’America centrale, 1823-39 anno di indipendenza
1811-30
COLOMBIA
ATLANTICO GU YAN A brit. olan.
fr.
1831 ECUADOR 1830 PERÙ 1824
B R A S I L E 1822
OCEANO
San Salvador (Bahia)
Lima La Paz BOLIVIA 1825
EN
CILE 1818
TIN A 18 16
PARAGUAY 1811-13
Santiago
ARG
PAC I F I C O
URUGUAY 1828 Buenos Aires
MALVINE (FALKLAND)
Rio de Janeiro San Paolo
Gran Colombia, 1819-30 Province Unite dell’America centrale, Gli Stati dell’America centrale si 1823-39 unirono, dopo1822 l’indipendenza, nella anno di indipendenza
Federazione delle Province Unite, poi scioltasi nel 1839. Anche la C.R. = Costa Rica 1821 “Gran Colombia”, G. =formatasi Guatemalanel 1821 1819 sotto laH.guida di Bolívar, si = Honduras 1821 suddivise nel 1830. Santo Domingo H.B. = Honduras britannico rimase spagnola al 1822,1821 poi N. fino = Nicaragua fu assorbita da nel 1844 S. Haiti, = El ma Salvador 1821 divenne indipendente. Le Malvine (o Falkland), dal 1820 dominio dell’Argentina, passarono nel 1833 alla Gran Bretagna.
457
C13 Le rivoluzioni latino-americane e lo sviluppo degli Stati Uniti
L’occasione per realizzare le aspirazioni all’indipendenza si presentò con l’invasione della Spagna da parte di Napoleone. A partire dal 1808, le colonie spagnole furono di fatto governate da giunte locali, che divennero presto centri di rivendicazione indipendentista. Nel 1810, dopo che i francesi ebbero scacciato la dinastia borbonica dalla Spagna, le giunte di alcune delle principali città latino-americane deposero i rappresentanti della monarchia e assunsero il potere. Nel 1811 la giunta di Caracas proclamò l’indipendenza della Repubblica del Venezuela. Cominciava così una lunga lotta di liberazione, combattuta con fasi alterne in tutto il continente dai movimenti indipendentisti creoli, che godettero dell’appoggio della Gran Bretagna, interessata a subentrare alla Spagna nel ruolo di principale partner commerciale del Sud America. Due furono i centri principali del movimento indipendentista: nel Nord i paesi della costa dei Caraibi – Venezuela e Nuova Granada, ossia l’attuale Colombia – dove la guida della lotta fu assunta da Simón Bolívar; nel Sud le province del Rio de la Plata (l’attuale Argentina) dove era attivo José de San Martín, un ufficiale spagnolo passato dalla parte
San Martín e Bolívar
PERSONAGGI
Simón Bolívar, el Libertador
S
458
imón Bolívar (1783-1830) è stato l’eroe dell’indipendenza di diversi paesi latino-americani dal colonialismo spagnolo, da due secoli la sua figura è rappresentata su francobolli e monete (quella venezuelana si chiama bolívar) e a lui sono dedicati i monumenti e le strade principali delle città sudamericane. Negli ultimi anni, è diventato il riferimento ideale del nuovo corso politico di alcuni paesi latino-americani che ricercano forme di integrazione e di cooperazione politica, sociale ed economica, rifiutando l’influenza straniera nei loro affari. Il «bolivarismo», soprattutto su spinta del presidente Hugo Chávez, alla guida del Venezuela dal 1999 al 2013, si è trasformato in vera e propria corrente del pensiero politico assumendo una connotazione marcatamente populista (che esalta cioè il rapporto diretto fra capo e masse). Nato a Caracas, città cosmopolita e vivace, in una ricca famiglia creola, Simón Bolívar ricevette un’educazione accurata. Trasferitosi in Spagna per affinare gli studi, nel 1802 sposò una ragazza spagnola, che però morì poco dopo. Tra il 1803 e il 1806 visitò la Francia, la Gran Bretagna, l’Italia, la Svizzera, la Germania, assistendo alle incoronazioni di Napoleone – da cui rimase affascinato – prima come imperatore dei francesi e poi come re d’Italia. Si avvicinò, inoltre, alla Massoneria [►4_4] e conobbe da vicino il modello politico inglese e l’Illuminismo, che influenzarono profondamente il
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
suo pensiero politico. Uomo d’azione più che pensatore, Bolívar aveva ideali liberali e repubblicani, pur ritenendo il popolo latino-americano ancora troppo immaturo per applicarli. Giunto a Roma, il 15 agosto 1805 Bolívar promise nella zona di Montesacro – dove, secondo la tradizione, nel 494 a.C. si era ritirata la plebe romana ribellatasi ai patrizi – che avrebbe liberato l’America meridionale: «Giuro sul Dio dei miei genitori, giuro su loro, giuro sul mio onore e sulla mia Patria, che non darò riposo al mio braccio né pace alla mia anima finché non avrò rotto le catene che ci opprimono per volontà del potere spagnolo» sono le parole del juramento, da allora simbolo dell’indipendenza latino-americana. Dopo un soggiorno negli Stati Uniti, tornò in Sud America, dove stava iniziando la lotta per l’indipendenza: l’occupazione napoleonica della madrepatria spagnola, infatti, aveva agitato le colonie. Nel 1810 il Venezuela, su spinta del-
José Gil de Castro, Ritratto di Simón Bolívar 1825 Simón Bolívar si guadagnò il titolo di Libertador diventando il capo indiscusso della lotta di liberazione nell’intera America del Sud. Nel suo pensiero l’America Latina unita avrebbe potuto far sentire maggiormente il suo peso.
dei ribelli. Nel 1816 i patrioti argentini proclamarono l’indipendenza del loro paese. Nel 1817 le forze di San Martín liberarono il Cile. Nel 1819, Bolívar dava vita alla Repubblica di Gran Colombia [► _32]. La rivoluzione liberale scoppiata in Spagna nel 1820, interrompendo l’afflusso di truppe dall’Europa, diede nuovo respiro alle forze rivoluzionarie, mentre si faceva più aperto e consistente il sostegno economico e logistico agli insorti da parte della Gran Bretagna. Un nuovo importante appoggio veniva dagli Stati Uniti, che nel 1823 avrebbero proclamato, per bocca del presidente Monroe, la loro decisa opposizione a ogni intervento armato europeo sul continente americano [►13_4]. Terreno di scontro, nella fase finale del conflitto, furono i territori del Perù, ultima roccaforte dei lealisti, che furono attaccati da nord dalle forze di Bolívar e da sud da quelle di San Martín. Nel dicembre 1824 gli spagnoli furono definitivamente sconfitti ad Ayachuco, in Perù. A questo punto l’intera America Latina, salvo la Guyana e le isole dei Caraibi, era libera dal dominio europeo. Il Messico si era costituito in
La fine del dominio europeo
le élite creole (i mantuanos), disconobbe l’autorità spagnola: Bolívar entrò nella Sociedad Patriótica e contribuì alla stesura della Dichiarazione di indipendenza del Venezuela (5 luglio 1811). Nel 1812, dopo un fortissimo terremoto interpretato dal clero spagnolo come un castigo divino contro i patrioti, gli spagnoli e quanti nella colonia gli erano fedeli (realisti) riconquistarono il Venezuela. Bolívar, fuggito nella Nuova Granada (Colombia), ricominciò a combattere contro le truppe realiste, alla testa di un esercito di poche centinaia di volontari, principalmente creoli: il 15 giugno 1813 emanò il decreto di «guerra a muerte» (“guerra all’ultimo sangue”), che prometteva la morte a ogni spagnolo presente nella colonia. Intanto, compreso che era necessario armare anche le classi inferiori, cercò e ottenne l’appoggio degli agricoltori e dei pastori delle Ande, delle popolazioni di colore del litorale, dell’ex movimento monarchico dei llanos, le savane a nord dell’Orinoco. Iniziò così la riconquista del Venezuela (la «campagna mirabile») e il 7 agosto, alla testa di un esercito che ormai contava 10 mila uomini, Bolívar entrò a Caracas e la liberò: il Consiglio della città, dandogli poteri quasi dittatoriali, lo acclamò come Libertador. Tra il 1815 e il 1816, gli spagnoli riassoggettarono però tutte le colonie: Bolívar riparò prima nella Nuova Granada e, poi, in Giamaica – dove scrisse la Lettera dalla Giamaica, in cui riassunse nei princìpi di «unità e indipendenza» il suo programma politico per l’America Latina – e a Haiti. Alla fine del 1816 tornò in
Venezuela e riprese la lotta per l’indipendenza, installandosi nella città di Angostura (oggi Ciudad Bolívar), sull’Orinoco. Dopo essere stato nominato, il 15 febbraio 1819, presidente della futura Repubblica venezuelana indipendente, attraversò le Ande con 2500 uomini e liberò Santa Fe (Bogotá). Il 17 dicembre 1819 creò la Repubblica della Gran Colombia – che doveva comprendere Venezuela, Colombia ed Ecuador – di cui fu nominato presidente. La nuova Repubblica esisteva, però, solo sulla carta e la lotta per la liberazione continuava. L’esercito venezuelano – agli ordini di Bolívar e del suo vice, il generale José Antonio Sucre – riuscì a ottenere una serie di successi, fino alla vittoria di Carabobo (24 giugno 1821), che assicurò l’indipendenza del Venezuela. El Libertador riprese con Sucre la sua marcia verso sud: il loro esercito comprendeva ormai grancolombiani, argentini e, mandati da José de San Martín, circa 1700 peruviani e altoperuviani. Il 16 giugno 1822 entrò a Quito e il 13 luglio concluse la liberazione della Colombia. In Ecuador conobbe Manuela “Manuelita” Sáenz (1797-1856), che diventò la sua compagna di lotta e di vita. Donna colta e intelligente, Sáenz è una figura di spicco nella storia latino-americana, per le sue battaglie per l’indipendenza – fu assimilata all’esercito patriottico come colonnella – e per l’emancipazione femminile. Tra il 1823 e il 1824, Bolí‑ var e Sucre liberarono il Perù. Bolívar lasciò quindi il comando dell’esercito al vice, che sconfisse le ultime truppe spagnole nell’Alto Perù, dichiaratosi indipen-
lealista Si definisce “lealista” una persona che mantiene la lealtà nei confronti di un governo o un partito durante sconvolgimenti politici, ad esempio una guerra civile o una rivoluzione.
dente il 6 agosto 1825 col nome di Repubblica Bolívar, poi Bolivia. El Libertador fu proclamato presidente di tutti i nuovi Stati. Nel dicembre 1824, inoltre, aveva convocato un congresso a Panama per promuovere forme di cooperazione tra i paesi latino-americani, ma il conclusivo trattato di unione, lega e confederazione perpetua (1826) non fu mai ratificato. Nella Gran Colombia, intanto, si rafforzarono le spinte separatiste, provenienti soprattutto dal Venezuela: al progetto unionista del presidente Bolívar si opponeva, infatti, quello federalista del suo vice, Francisco de Paula Santander, che dopo alterne vicende riuscì, nel gennaio 1830, a separare il Venezuela dalla Colombia. Amareggiato per il fallimento del suo sogno unitario e per il tradimento di molti amici, Bolívar lasciò ogni carica e lasciò il Venezuela, dove fu dichiarato fuorilegge. Come scrisse Gabriel García Márquez nel romanzo Il generale nel suo labirinto (1989), «era la fine. Il generale Simón José Antonio de la Santísima Trinidad Bolívar y Palacios se ne andava per sempre. Aveva sottratto al dominio spagnolo un impero cinque volte più vasto dell’Europa, aveva guidato vent’anni di guerre per conservarlo libero e unito, e l’aveva governato con polso saldo fino alla settimana prima, ma al momento di andarsene non si portava via neppure il conforto di essere creduto». Nonostante il desiderio di tornare in Europa, l’aggravamento della tubercolosi che lo affliggeva da anni gli impedì di partire: si fermò in Colombia, dove si spense il 17 dicembre 1830.
459
C13 Le rivoluzioni latino-americane e lo sviluppo degli Stati Uniti
impero nel 1821. Sempre nel 1821, i paesi dell’America centrale si erano dichiarati indipendenti riunendosi poi (1823) nella Federazione delle Province Unite dell’America centrale [► _32]. Anche il Brasile portoghese – il più vasto fra i possedimenti europei in America Latina – divenne un impero indipendente nel 1822. Ma il progetto di Bolívar di unire le ex colonie spagnole, per lo più rette da regimi costituzionali, in una grande confederazione sul modello degli Stati Uniti si scontrò con le rivalità politiche e i contrasti territoriali subito sorti fra i nuovi Stati. Invece dell’auspicata unione, negli anni successivi all’indipendenza ci fu un ulteriore processo di frammentazione. Risultarono inoltre aggravati gli squilibri sociali ereditati Arturo Michelena, La consegna della bandiera spagnola a Simón Bolívar dall’età coloniale. Voluta e il 24 giugno 1821 1883 [Museo Boliviano, Caracas] conquistata dall’elemento creolo, l’indipendenza Il 24 giugno 1821, nella battaglia di Carabobo, le truppe di Simón Bolívar – capo del non portò alcun miglioramento nelle condizioni movimento indipendentista venezuelano e soprannominato el Libertador – prendono il controllo del Venezuela battendo le forze spagnole. Nel particolare del dipinto il momento della popolazione india, ovunque condannata alla della consegna della bandiera spagnola a Bolívar e al suo battaglione. povertà e all’analfabetismo. Vi furono, è vero, progressi indubbi sul piano dei diritti civili. Le discriminazioni razziali si attenuarono, favorendo in alcuni paesi un progressivo ricambio della classe dirigente. La schiavitù fu ovunque abolita, almeno sulla carta, negli anni successivi all’indipendenza – salvo che in Brasile, dove rimase in vigore fino al 1888. Ma questo non significò la fine dello sfruttamento dei contadini ad opera dei grandi proprietari latifondisti: il peso di questi ultimi, anzi, andò accrescendosi a spese della borghesia urbana che era stata la principale iniziatrice del moto indipendentista.
L’instabilità dei nuovi regimi
L’INDIPENDENZA DELL’AMERICA LATINA
Colonie spagnole
AMERICA LATINA
Colonie portoghesi Colonie francesi
Lotta di liberazione condotta da Bolívar
Indipendenza del Venezuela, della Colombia e della Bolívia
Fallimento del progetto unitario
Messico Impero indipendente nel 1821 Federazione delle Province Unite dell’America centrale (1823)
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Governi deboli e instabili
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
Lotta di liberazione condotta da San Martín Indipendenza dell’Argentina, del Cile e del Perù
Rivoluzione a Santo Domingo
Nasce lo Stato indipendente di Haiti (1804)
Brasile
Impero indipendente nel 1822
L’arretratezza dei rapporti sociali incise negativamente sulla stabilità delle istituzioni rappresentative che quasi tutti i nuovi Stati si erano date, ispirandosi al modello dei regimi METODO DI STUDIO costituzionali europei e soprattutto a quello degli Stati Uniti. Dai frequenti con a Sottolinea e numera le tappe del processo flitti interni venne sempre più emergendo il ruolo dei capi militari (caudillos), di indipendenza delle colonie dell’America Latina e depositari di un potere reale conquistato nel corso delle guerre contro gli spacerchia la data di riferimento. gnoli e fatalmente portati ad assumere la parte di arbitri fra le fazioni in lotta. Si b Sintetizza per iscritto i seguenti contenuti del paragrafo: a. premesse storiche alle lotte per l’indidelineavano così, già all’indomani dell’indipendenza, quei caratteri della lotta pendenza dell’America latina; b. le tappe dell’indipolitica in America Latina che erano destinati a perpetuarsi, pur nel mutare delle pendenza; c. gli effetti della lotta. condizioni economiche e sociali, fin quasi ai nostri giorni [►FS, 110].
13_3 DINAMISMO ECONOMICO
E DEMOCRAZIA NEGLI STATI UNITI
All’inizio dell’800, le ex colonie inglesi che nel 1776 avevano dato vita agli Stati Uniti d’America occupavano solo una striscia della costa atlantica, fra l’Oceano e la catena degli Appalachi, con una popolazione di circa 5 milioni di abitanti, in massima parte dediti all’agricoltura. Fra di essi c’erano 700 mila schiavi di origine africana, impiegati nelle piantagioni del Sud, che producevano riso, tabacco e soprattutto cotone, destinati in gran parte all’esportazione. Solo negli Stati del Nord esistevano centri commerciali e manifatturieri di qualche rilevanza. Le comunicazioni interne erano difficili e affidate in gran parte alle vie fluviali. Eppure questa società di agricoltori e di pionieri dava prova di un dinamismo e di una vitalità che avevano pochi confronti nella storia dei popoli. Attorno alla metà del secolo gli Stati erano diventati 31, rispetto ai 13 fondatori, e ospitavano una popolazione di 23 milioni di abitanti. L’agricoltura si era sviluppata con ritmi rapidissimi, soprattutto nei nuovi territori dell’Ovest, e gli Stati del Nord avevano visto nascere e crescere nuclei di grande industria moderna. I centri più importanti erano collegati da una rete, già abbastanza fitta, di strade e di ferrovie, che si andava ampliando man mano che, per effetto dell’espansione territoriale, la frontiera degli Stati Uniti andava spostandosi progressivamente verso ovest [►13_4].
Il dinamismo degli Stati Uniti
► Leggi anche: ► Personaggi Tocqueville e la democrazia americana, p. 462 ► Parole della storia Frontiera , p. 464
Charles Parsons, Il ponte ferroviario sulle cascate del Niagara, visto dal lato americano 1856-57 [Library of Congress, Washington] Nei primi decenni dell’800 anche gli Stati Uniti intraprendono la via dello sviluppo industriale. Gli insediamenti industriali della parte nord-orientale del paese cominciano il loro decollo intorno al 1830 e conoscono un vero e proprio boom nel decennio 1850-60, con tassi di crescita spettacolari: il 77% per la produzione di stoffe di cotone, il 42% per le stoffe di lana, il 142% per il carbone, il 54% per la ghisa e il 66% per le macchine a vapore e utensili. La rete ferroviaria, che nel 1850 è di 14.500 km, raggiunge in dieci anni quasi i 50 mila km.
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C13 Le rivoluzioni latino-americane e lo sviluppo degli Stati Uniti
Il carattere aperto e mobile della frontiera ebbe effetti profondi anche sulla mentalità, sui costumi, sulle inclinazioni politiche dei cittadini. Il clima della frontiera favoriva la diffusione di uno spirito democratico, individualista ed egualitario, insofferente di discipline, ma anche di ogni sorta di privilegi. La tendenza verso la democrazia era peraltro uno dei caratteri costitutivi della società nordamericana. La rivoluzione borghese che aveva dato origine agli Stati Uniti non aveva trovato sul suo cammino gli ostacoli derivanti da un passato feudale e dalla presenza di potenti aristocrazie: si era quindi potuta dispiegare liberamente, sviluppando tutte le sue potenzialità innovatrici sul piano della crescita economica e su quello della mobilità sociale [►FS, 95].
Una società democratica
Anche la lotta politica – imperniata, secondo il modello britannico, sulla competizione fra due partiti – restava legata ai princìpi liberali e democratici, che costituivano il quadro di riferimento comune alle diverse forze in campo. Fino agli anni ’20, la scena fu dominata dal contrasto tra federalisti e repubblicani [►7_4]. Nella seconda metà degli anni ’20, il quadro politico subì un profondo mutamento. Scomparsi dalla scena i federalisti, il Partito repubblicano si spaccò in due correnti: quella dei repubblicani nazionali (in seguito chiamati Whigs, ossia liberali), che tendevano a ereditare METODO DI STUDIO la base sociale e il programma dei federalisti, e quella dei repubblicani de a Spiega quali elementi di sviluppo si manifemocratici – poi chiamati semplicemente democratici –, che miravano a una starono negli Stati Uniti all’inizio dell’800. più larga democratizzazione della vita politica, in polemica con le oligarchie b Cerchia con colori diversi i gruppi politici che industriali e bancarie del Nord-Est. Durante la presidenza del democratico si contesero il potere negli Stati Uniti dopo il 1820 e sottolineane le caratteristiche mantenendo gli Andrew Jackson (1829-37) fu ampliato il diritto di voto e furono ridotti i stessi colori. dazi doganali.
Gli schieramenti politici
PERSONAGGI
Tocqueville e la democrazia americana
I
462
l 10 maggio 1831 Charles-Alexis-Henri Clérel de Tocqueville, nato nel 1805, era figlio di un conte ma è passato alla storia come una delle voci più autorevoli del pensiero democratico. Dopo aver chiesto un congedo temporaneo al Ministero dell’Interno (era giudice uditore), sbarcò insieme con l’amico Gustave de Beaumont a New York. I suoi quaderni di viaggio ci rivelano l’entusiasmo per l’avventura di questo venticinquenne aristocratico francese alla scoperta dell’America, della sua natura selvaggia e pericolosa, delle abitudini e dei costumi dei suoi abitanti. Tocqueville restò estremamente colpito dalla varietà di esperienze e immagini acquisite in quasi un anno: la vita nelle grandi città, i paesaggi della frontiera più selvaggia e della regione dei Grandi Laghi, il Canada francese, la conoscenza diretta delle condizioni delle popolazioni indigene e degli schiavi neri, la visita al presidente Andrew Jackson e l’opportunità di assistere a due sedute del Congresso. Il viaggio si trasformò così in una ricerca sul campo per capire i caratteri tipici di una
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società democratica, come avrebbe poi dichiarato lo stesso Tocqueville: «Confesso che nell’America ho visto più che l’America: vi ho cercato un’immagine della democrazia stessa, delle sue tendenze, del suo carattere, dei suoi pregiudizi, delle sue passioni; ho voluto conoscerla, non fosse che per sapere almeno che cosa dobbiamo sperare o temere da lei». Al ritorno in Francia, Tocqueville si dimise dall’ufficio di giudice e si dedicò insieme a Beaumont alla scrittura del trattato sul sistema penitenziario americano. Ma era a un’altra opera che aveva destinato le sue considerazioni sul sistema democratico degli Stati Uniti: La democrazia in America uscì nel 1835 ed ebbe così tanto successo da essere ristampata in sette edizioni nel giro di pochi anni. La democrazia in America, del resto, si presentava come un’opera molto diversa rispetto a quelle a cui dovevano essere abituati i suoi lettori. «A un mondo del tutto nuovo occorre una nuova scienza politica», aveva scritto l’autore nell’introduzione all’opera. Per questo motivo illustrare il nuovo mondo dell’eguaglianza
aveva richiesto un’analisi a largo spettro, che comprendesse lo studio degli aspetti sociali e culturali oltre che quello delle leggi e delle istituzioni politiche. Anche per questa sua attenzione ai costumi, alla religione, alla scienza, ma anche ai sentimenti, alla struttura delle famiglie e ai rapporti fra lavoratori o fra uomini e donne, Tocqueville è stato spesso considerato uno dei fondatori della sociologia moderna. Il pubblico colto capì immediatamente il valore dell’opera e l’autore fu subito paragonato ad Aristotele e a Montesquieu. Ciò fu possibile anche perché Tocqueville si sforzò di trattare con lucidità il funzionamento di una democrazia, distanziandosi così dai suoi oppositori ma anche dai suoi difensori più accaniti. Non esitò anzi a indicarne i difetti, come l’instabilità, l’incoerenza della politica estera, il successo elettorale ottenuto talvolta da uomini mediocri, ma soprattutto il rischio della tirannia della maggioranza. Ma dalle argomentazioni di Tocqueville il messaggio passava chiaro al lettore: i pregi della democrazia superavano di gran lunga i suoi difetti. Era soprattutto l’eguaglianza delle condizioni ad averlo colpito di più nella società americana, e tutta la storia universale
13_4 L’ESPANSIONE DEGLI STATI UNITI
► Leggi anche:
A OVEST E A SUD
► Focus La conquista del West
Nella prima metà dell’800 lo sviluppo territoriale degli Stati Uniti si svolse secondo due linee direttrici. L’una, verso ovest, era la naturale conseguenza della spinta colonizzatrice dei pionieri. L’altra, rivolta soprattutto verso sud, derivava invece da una precisa strategia di espansione perseguita da tutti i governi dell’Unione, a prescindere dalle loro tendenze politiche. Questo eccezionale espansionismo non si può spiegare se non si tiene conto di alcuni caratteri peculiari della società nordamericana, connaturati alla storia stessa del paese. C’era innanzitutto un fattore geografico. Il nucleo originario degli Stati Uniti non confinava con altri Stati sovrani. A ovest c’erano immensi spazi vuoti o più esattamente abitati dai pellerossa – come venivano chiamati per l’abitudine dei guerrieri di alcune tribù di tingersi il volto di rosso –, o indiani d’America, ridotti ormai a poche centinaia di migliaia. In questi spazi cominciarono a riversarsi, già dalla fine del ’700, ondate sempre più numerose di pionieri: prima cacciatori e avventurieri d’ogni tipo, poi agricoltori alla ricerca di nuove terre da dissodare e da coltivare stabilmente. Il risultato di questa spinta inarrestabile fu la tendenza dell’Unione a spingere i suoi confini sempre più verso ovest.
La frontiera
La corsa verso l’Ovest era seguita e incoraggiata anche dal potere centrale, che da una parte sanzionava l’acquisizione delle nuove regioni, concedendo dapprima lo status di territori, poi, una volta superati i 60 mila abitanti, riconoscendo quello di Stati e il diritto di essere ammesse nell’Unione; dall’altra appoggiava militarmente i coloni nei frequenti conflitti che li opponevano alle tribù indiane.
L’espansione a ovest e i conflitti con gli indiani
gli sembrava ora un lungo cammino tendente al livellamento delle differenze tra gli uomini. Allo stesso tempo, però, la passione per l’eguaglianza politica è presentata nell’opera come un pericolo, perché potrebbe portare sia alla sovranità di tutti sia alla sottomissione di tutti a un solo individuo. Pur di essere uguali, gli uomini potrebbero abbandonarsi a un dittatore. Per sfuggire a questo rischio gli americani avevano sperimentato un antidoto: la libertà politica, espressa nelle associazioni e nelle autonomie locali. Il successo dell’opera segnò un punto di svolta nella vita di Tocqueville. Dopo il matrimonio e dopo aver ottenuto premi e riconoscimenti si lanciò in politica, e venne eletto nel 1839 tra le file del centro-sinistra. Alla Camera i suoi interventi riguardavano soprattutto l’abolizione della schiavitù nelle colonie e la politica estera. Si dimetterà in seguito al colpo di Stato di Luigi Napoleone Bonaparte (che assunse il titolo di Napoleone III) [►12_9]. Deluso dal ritorno del dispotismo in Francia, Tocqueville abbandonò la politica e trascorse i suoi ultimi anni scrivendo un’opera storica, L’antico regime e la Rivoluzione, rimasta incompiuta. La tubercolosi lo avrebbe ucciso nel 1859.
Théodore Chassériau, Alexis de Tocqueville 1850 [Musée National du Château, Versailles]
463
C13 Le rivoluzioni latino-americane e lo sviluppo degli Stati Uniti
L’ESPANSIONISMO DEGLI STATI UNITI NELL’800
Linee direttrici dell’espansionismo statunitense nel XIX secolo
OVEST
NORD
Guerre contro gli indiani
Guerra contro la Gran Bretagna per la conquista del Canada (1812-14)
Indiani respinti oltre la linea del Mississippi
Il Canada resta britannico, ma...
«L’America agli americani» (Monroe)
...gli Stati Uniti mantengono il loro ruolo egemone sul continente
SUD
Acquisto della Louisiana dalla Francia (1803)
Acquisto della Florida dalla Spagna (1819)
Guerra contro il Messico (1845-48)
Annessione della California
Annessione del Texas
Quelle indiane erano per lo più popolazioni nomadi. Vivevano in accampamenti mobili e si sostentavano principalmente con la caccia (ma vi erano anche tribù più progredite, come i Creek, i Cherokee, i Seminole, che praticavano un’agricoltura stanziale). La loro consistenza numerica, non facilmente accertabile, si era ridotta, dall’inizio della colonizzazione, a poche centinaia di migliaia. La convivenza fra indiani e coloni fu sin dall’inizio difficile. Gli indiani, abituati a muoversi liberamente in grandi spazi, mal sopportavano gli insediamenti agricoli dei bianchi, che sottraevano loro terre e selvaggina. I coloni consideravano la presenza degli indiani come un pericolo oggettivo per la propria sicurezza e per quella delle vie di comunicazione e cercavano di allontanarli con ogni mezzo. Dopo una serie di sanguinosi conflitti, i pellerossa furono costretti a emigrare in massa nelle zone a ovest del Mississippi, giudicate inospitali e poco adatte agli insediamenti agricoli. Ma, nella seconda metà del secolo, sotto la spinta di nuove ondate di coloni, anche questa frontiera sarebbe stata superata; e le guerre indiane si sarebbero protratte fin quasi alla fine dell’800.
Parole della storia
Frontiera
N
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ell’uso corrente, e nel senso letterale, il termine “frontiera” è un sinonimo di “confine”. In senso figurato, la parola ha acquistato un significato più ampio, legato a una dimensione non solo materiale: quello di un limite che si tende continuamente a superare (si parla quindi di “frontiere della scienza”, di “frontiere del sapere”). Fu uno storico statunitense, Frederick Jackson Turner (1861-1932), a usare questo termine, alla fine dell’800, per indicare il carattere costitutivo e peculiare della storia del suo paese. Contrariamente ai vecchi Stati europei, confinanti con altri Stati e costretti a combattere contro di essi per accrescere i loro territori, gli Stati Uniti
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
d’America, originariamente dislocati lungo la costa atlantica, avevano come unico limite alla loro espansione continentale una frontiera “mobile”, costituita dagli immensi spazi disabitati, o abitati da popolazioni seminomadi di pellerossa, che si estendevano a ovest fino all’Oceano Pacifico. La conquista e la colonizzazione di questi spazi, durata per oltre un secolo, aveva, secondo Turner, forgiato il carattere nazionale, stimolando l’individualismo e lo spirito di iniziativa e favorendo il radicamento e la crescita della democrazia: nell’Ovest, a contatto con la natura selvaggia, non esistevano infatti gerarchie sociali consolidate e ognuno si sentiva responsabile del proprio destino. Le tesi di Turner (esposte compiutamente in un volume pubblicato nel 1920 e intitolato appunto La frontiera nella storia americana)
sono state spesso criticate per aver idealizzato eccessivamente una vicenda che in realtà fu intessuta anche di molta violenza e prevaricazione, ma certamente riflettevano l’immagine prevalente che i cittadini degli Stati Uniti avevano di sé e del loro paese. Non a caso, un uomo politico del ’900, John Fitzgerald Kennedy, nel suo discorso di accettazione della candidatura a presidente degli Usa per il Partito democratico (Los Angeles, 15 luglio 1960), avrebbe ripreso quell’immagine additando ai suoi concittadini i traguardi di una «nuova frontiera» tutta immateriale, al di là della quale si estendevano i territori ancora inesplorati della scienza e dello spazio, della pace e della giustizia sociale.
▼ Karl
Bodmer, Indiani Crow 1843 [dalla serie Travels in the Interior of North America; Collezione privata]
▲ Indumento
di un capo sioux Gli indiani si vestivano e vivevano con ciò che offriva il bisonte. Nonostante la resistenza opposta da tutte le tribù, furono spinti sempre più a ovest e in aree sempre più ristrette chiamate “riserve”.
L’espansione verso sud avvenne approfittando delle difficoltà dei francesi e degli spagnoli che vendettero agli Stati Uniti i loro possessi. Nel 1803 il presidente Jefferson, facendo leva sulle difficoltà militari e finanziarie in cui allora si trovava il regime napoleonico, acquistò dalla Francia, per 15 milioni di dollari, la colonia della Louisiana, una vastissima regione di oltre 2 milioni di kmq che andava dai Grandi Laghi, al confine col Canada, fino al Golfo del Messico. Più tardi, nel 1819, gli Stati Uniti acquistarono la Florida dalla Spagna, allora impegnata nel vano tentativo di difendere i suoi possessi in America Latina.
L’espansione a sud
Nel frattempo, tra il 1812 e il 1814, gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Gran Bretagna, duramente impegnata in Europa contro Napoleone, con l’obiettivo di prendersi il Canada ed eliminare così la presenza britannica dal continente. Ma la guerra, nota come la seconda guerra d’indipendenza, fu un insuccesso, con i britannici che giunsero a incendiare la capitale. Tuttavia, la pace che seguì non solo riconfermò i vecchi confini, ma inaugurò una lunga e ininterrotta stagione di buoni rapporti fra Stati Uniti e Impero britannico. Consapevoli ormai del ruolo di potenza egemone in America, gli Stati Uniti affermarono, con una dichiarazione del presidente James Monroe nel 1823, che da quel momento in poi il continente americano non doveva essere considerato «oggetto di futura colonizzazione da parte di nessuna potenza europea», un principio riassunto nella formula «l’America agli americani»; e che gli Stati Uniti, mentre si impegnavano ad astenersi da qualsiasi intromissione negli affari europei, consideravano come un atto ostile nei propri confronti ogni intervento europeo in America. Gli Stati Uniti – una volta stabiliti buoni rapporti con la Gran Bretagna – si trovavano così, oggettivamente, nella posizione di potenza egemone in un continente ormai occupato quasi esclusivamente da Stati indipendenti, tutti più o meno deboli e instabili.
La seconda guerra d’indipendenza e la dottrina di Monroe
Il Texas e la California
Uno di questi Stati, il Messico (che al momento dell’indipendenza occupava ancora vaste regioni del Nord America oggi appartenenti agli Usa), dovette subire direttamente la pressione espansionistica del potente vicino. Oggetto principale 465
C13 Le rivoluzioni latino-americane e lo sviluppo degli Stati Uniti
del contrasto fu il Texas che, diventato meta di una forte immigrazione proveniente dal Sud degli Stati Uniti, si staccò dal Messico e si costituì in repubblica indipendente, per essere poi, nel ’45, ammesso nell’Unione [► _33]. Ne seguì una guerra fra gli Stati Uniti e il Messico, che durò tre anni (dal 1845 al 1848) e si concluse con una netta vittoria degli Usa. Gli Stati Uniti si impadronivano così di tutti quei vastissimi territori che si estendevano dal Golfo del Messico fino alla costa del Pacifico. Particolarmente importante si rivelò l’acquisto della California, dove, in quello stesso 1848, furono scoperti importanti giacimenti auriferi. La corsa all’oro che si sarebbe scatenata negli anni successivi, con l’accorrere in California di cercatori provenienti da tutto il mondo, avrebbe contribuito ad accelerare la colonizzazione dei nuovi territori. Una carovana arriva ad una stazione di posta, sulla Sierra Nevada (California, Usa) 1865 ca. [foto di Lawrence & Houseworth, San Francisco; Library of Congress, Washington] Nonostante la dura resistenza delle popolazioni pellerossa e le asperità del territorio, che rendevano R I T A N N I C I il viaggio lungo e pericoloso, la conquista del West procedette
METODO DI STUDIO
a Trascrivi sul quaderno di storia i titoli dei sottoparagrafi e indica per ognuno di essi i protagonisti (anche collettivi), gli eventi principali e la data o le date di riferimento. b Rispondi per iscritto alle seguenti domande: a. Lungo quali direttrici si espansero gli Stati Uniti, durante il XIX secolo? b. Quali furono le cause del conflitto tra i coloni e gli indiani? Quanto tempo durò? Come si concluse? c. Che cosa P O S S E D I M E N T I B affermava la dottrina Monroe? Territorio di WASHINGTON 1853-59
MAINE Territorio del MINNESOTA P O 1849-58 S S E D I M E N T I WISCONSIN 1848
MI
Vt. N.H. B R I T A N N I C I Boston M. NEW YORK C. R.I. IA AN IOWA MAINE LV New York Y S Chicago N Territorio1846 del OHIO PEN Md. N.J. Territorio dello UTAH Vt. PMINNESOTA O S S E D I M E N T I B R I T A N N ID.C I N.H. 1850-61 San Francisco ILLINOIS 1849-58 Territorio dell’OREGON Territorio del WashingtonBoston Territorio di WISCONSIN Territorio del KANSAS 1848-53 NEBRASKA NEW YORK M. VIRGINIA 1848 CALIFORNIA WASHINGTON C. R.I. MISSOURI 1854-61 1854-61 KY 1853-59 C U 1850 T AIA MAINE KEN OLVIANN R A C IOWA Territorio del L New York Territorio del H Y T R Los Angeles Vt. TENNESSEE NO 1846 Chicago NS NUOVO MESSICO Territori MINNESOTA OHIO PEN Md. N.J. N.H. ARKANSAS Territorio dello UTAH 1850-54 INDIANI 1849-58 SOUTH Territorio dell’OREGON D. Territorio del 1836 WISCONSIN 1850-61 San Francisco Boston ILLINOIS CAROLINA 1848-53 NEBRASKA NEW YORK M. 1848 Washington GEORGIA Territorio del KANSAS C. R.I. 1854-61 VIRGINIA A I CALIFORNIA 1854-61 MISSOURI AN UCKY 1850 IOWA LVA New York KENT TEXAS ONLSIYN Chicago R 1846 A Territorio del 1845 OHIO TH CPEN Md. N.J. R Los Angeles Territorio dello UTAH O TENNESSEE N NUOVO MESSICO Territori D. 1850-61 San Francisco Orleans ILLINOIS 1850-54 INDIANI ARKANSASNew SOUTH Washington 1836 CAROLINA Territorio del KANSAS VIRGINIA CALIFORNIA 1854-61 GEORGIA MISSOURI UCKY 1850 KENT LINA ARO TerritorioMESSICO del TH C TEXAS R Los Angeles O TENNESSEE N NUOVO MESSICO Territori 1845 1850-54 INDIANI ARKANSAS SOUTH 1836New Orleans C CAROLINA U B A GEORGIA
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Territorio dell’OREGON Territorio del 1848-53 NEBRASKA Territorio di 1854-61 WASHINGTON 33_GLI STATI UNITI NEL 1822-54 1853-59
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a grandi passi. Man mano che i pionieri si stabilivano in nuovi territori, questi venivano colonizzati e “attrezzati”. Lungo le strade carovaniere, poi, si creavano stazioni di posta, spesso tramutatesi nel tempo in piccoli villaggi, dove le famiglie di pionieri potevano sostare e rifocillarsi. Questa fotografia d’epoca riprende la Swift’s Station, una stazione di posta sul fianco di una montagna della Sierra Nevada. Avanzamento della “frontiera” densità minima di 2 abitanti per miglio quadrato prima del 1800 1800-40 1840-60 della “frontiera” Avanzamento densità minima 2 abitanti venduto daldiMessico (1853) per miglio quadrato prima del 1800 1800-40 Avanzamento della “frontiera” densità minima di 2 abitanti 1840-60 per migliodal quadrato venduto Messico (1853) prima del 1800 C. = Connecticut 1800-40 D. = Delaware 1840-60 M. = Massachusetts venduto dal Messico (1853) Md. = Maryland N.H. = New Hampshire N.J. = New Jersey R.I. = Rhode Island C. = Connecticut Vt. = Vermont D. = Delaware M. = Massachusetts Md. = Maryland N.H. = New Hampshire N.J. = New Jersey C. = Connecticut Nella e R.I. cartina, = Rhodel’espansione Island D. = Delaware l’avanzamento della frontiera Vt. = Vermont M. = Massachusetts verso occidente sono espressi in Md.al =raggiungimento Maryland rapporto della = New densitàN.H. minima di Hampshire 2 abitanti per miglio N.J. quadrato. date indicano = NewLeJersey la formazione dei nuovi Stati e dei R.I. = Rhode Island nuovi territori. Vt. = Vermont
SINTESI
13_1 LE AMERICHE TRA INDIPENDENZA E SVILUPPO Gli avvenimenti rivoluzionari in Francia e la precedente guerra d’indipendenza americana avevano aperto la strada a profondi mutamenti anche in America Latina. Nel 1790 si ribellò la colonia francese di Santo Domingo nei Caraibi, che dopo alterne vicende proclamò l’indipendenza con il nome precolombiano di Haiti (1804). Dopo la caduta di Napoleone, anche le colonie spagnole e portoghesi dell’America Latina intrapresero l’avventura indipendentista. Intanto gli Stati Uniti si avviavano a diventare una potenza egemone, grazie a un eccezionale sviluppo economico e territoriale.
Napoleone (1808) Bolívar e San Martín presero la guida del movimento per l’indipendenza delle colonie dell’America Latina. Nel 1824, sconfitti definitivamente gli spagnoli, l’America Latina era ormai indipendente. La fase successiva registrò il fallimento dei progetti di unire i nuovi Stati in una grande confederazione sul modello degli Stati Uniti: ne derivò invece una grande frammentazione politica. Gli squilibri sociali ereditati dall’età coloniale non si attenuarono e, anzi, il peso dei grandi proprietari terrieri divenne maggiore. Tutti questi fattori contribuirono a determinare una costante instabilità politica, che favorì la presa del potere da parte di capi militari.
la vocazione imprenditoriale, che avevano consentito lo sviluppo agricolo, favorito anche dall’ampliamento della rete dei trasporti, in particolar modo della ferrovia; ma soprattutto il carattere “mobile” della frontiera che contribuì a plasmare profondamente la mentalità nordamericana, favorendo uno spirito individualista ed egualitario. Fino agli anni ’20 la scena politica negli Stati Uniti fu dominata dal contrasto tra federalisti e repubblicani. Scomparsi dalla scena i federalisti, i repubblicani si divisero in due correnti: liberali e democratici.
13_4 L’ESPANSIONE DEGLI STATI UNITI A OVEST E A SUD 13_3 DINAMISMO ECONOMICO E DEMOCRAZIA NEGLI STATI UNITI
13_2 L’INDIPENDENZA DELL’AMERICA LATINA Approfittando dell’invasione della Spagna da parte di
Louisiana e della Florida. Con la seconda guerra d’indipendenza fu tentata la conquista del Canada e l’eliminazione definitiva della Gran Bretagna dal continente. L’impresa fallì, ma gli Stati Uniti videro riconosciuta la loro supremazia nel continente americano, secondo la famosa formula del presidente Monroe «L’America agli americani». Negli anni ’40, dopo una guerra contro il Messico, gli Stati Uniti ottennero i territori compresi tra il Golfo del Messico e il Pacifico.
L’eccezionale sviluppo degli Stati Uniti nei decenni successivi all’indipendenza traeva origine da alcuni caratteri peculiari della società americana. Anzitutto l’intraprendenza e
L’espansione territoriale degli Stati Uniti si attuò, nella prima metà dell’800, secondo due direttrici: verso l’Ovest, a danno delle tribù indiane, e verso il Sud. La corsa all’Ovest fu il risultato dell’iniziativa dei pionieri, ma venne anche appoggiata dal governo centrale. L’espansione a Sud si realizzò attraverso l’acquisto della
SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Indica le affermazioni vere e correggi quelle errate.
a. I creoli erano i discendenti degli schiavi affrancati. ................................................................................................................................................................................. b. L’ufficiale spagnolo José de San Martín riuscì a contenere con il suo esercito i moti indipendentisti del Sud America. ................................................................................................................................................................................. c. Dopo l’indipendenza, i quadri dirigenti delle popolazioni indie assunsero le cariche più alte dello Stato. .................................................................................................................................................................................
V
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C13 Le rivoluzioni latino-americane e lo sviluppo degli Stati Uniti
d. In Brasile, il regime di schiavitù rimase in vigore fino al 1888. ................................................................................................................................................................................. e. Negli Stati del Sud America, negli anni successivi all’indipendenza, il peso politico dei grandi proprietari terrieri diminuì a vantaggio della borghesia cittadina. ................................................................................................................................................................................. f. Nella prima metà del 1800, la popolazione degli Stati Uniti aumentò di quasi 5 volte. ................................................................................................................................................................................. g. La frontiera americana costituiva il limite mobile dell’espansione dei coloni verso ovest. ................................................................................................................................................................................. h. L’espansione degli Stati Uniti verso sud avvenne a scapito dei territori francesi e spagnoli. ................................................................................................................................................................................. i. A partire dagli anni ’20 del 1800, la scena politica americana fu caratterizzata dallo scontro tra liberali e democratici. .................................................................................................................................................................................
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2 Indica la data dei seguenti eventi relativi alle principali tappe dell’indipendenza dell’America Latina e collocali sulla
linea del tempo.
a. Nelle più importanti città latino-americane le giunte locali assunsero il potere (.............). b. Gli uomini di San Martín liberarono il Cile (.............). c. Gli spagnoli furono definitivamente sconfitti ad Ayachuco, in Perù (.............). d. Bolívar diede vita alla Repubblica di Gran Colombia (.............). e. Il Messico si costituì in impero (.............). f. La giunta di Caracas proclamò l’indipendenza della Repubblica del Venezuela (.............). g. I paesi indipendenti dell’America centrale si riunirono nella Federazione delle Province Unite dell’America centrale (.............). h. Il Brasile portoghese divenne un impero indipendente (.............).
....................
CUBA
MAICA brit.)
....................
....................
....................
STATI UNITI .................... ....................
3 Completa la carta geostorica del Sud America
VENEZUELA G UY Bogotá 1811-30 brit. ANA olan.
................... 1831 UADOR 1830
................. 1824
CUBA YUCATÁN (sp.) SANTO 1821 DOMINGO GIAMAICA Città del Messico HAITI PUERTO RI CO (sp.) H.B. (brit.) 1804 G. H. S. N. Caracas C.R.
OCEANO
Caracas
ATLANTICO
VENEZUELA G UY Bogotá 1811-30 brit. ANA olan. ................... fr. 1831 ECUADOR 1830
fr.
................... 1824
B R A S I L E ................... San Salvador (Bahia)
Lima La Paz BOLIVIA 1825 PARAGUAY 1811-13
OCEANO PAC I F I C O
468
MALVINE
San Salvador (Bahia)
Lima
Rio de Janeiro San Paolo
CILE ARGENTINA 1818 ...................
URUGUAY 1828 ...................
(FALKLAND) U4 NAZIONE E LIBERTÀ
Santiago
1822
Gran Colombia, 1819-30 Province Unite dell’America centrale, 1823-39 anno di indipendenza
C.R. = Costa Rica 1821 G. = Guatemala 1821 H. = Honduras 1821
OCEANO ATLANTICO
B R A S I L E ...................
La Paz BOLIVIA 1825 PARAGUAY 1811-13
CILE ARGENTINA 1818 ................... Santiago
....................
MESSICO ...................
indicando i nomi degli Stati, delle città o le date relative SANTO DOMINGO alla conquista dell’indipendenza dove richiesto. Quindi HAITI PUERTO RI CO (sp.) la Gran Colombia e le Province Unite 1804 colora correttamente utilizzando i colori indicati nella legenda.
(sp.)
R.
....................
URUGUAY 1828 ...................
MALVINE (FALKLAND)
Rio de Janeiro San Paolo
4 Completa il seguente schema relativo alle caratteristiche economiche e politiche degli Stati Uniti.
Nord: ...............
Sud: ..............
Ovest: .................
........................
.....................
...........................
Caratteristiche economiche
STATI UNITI
Sistema politico: ...................
Caratteristiche politiche
Partiti politici: ............................... ...................................
COMPETENZE IN AZIONE 5 Indica se i seguenti termini relativi alla guerra fra coloni e pellerossa rientrano fra le motivazioni dei primi o dei
secondi. Quindi argomenta le tue scelte in un testo breve. Attento, alcune motivazioni potrebbero appartenere sia ai coloni sia ai pellerossa. a. ricerca di nuove zone di caccia; b. acquisizione di nuovi terreni agricoli; c. mantenimento dei propri terreni agricoli; d. pratica di caccia e raccolta; e. difesa della propria sicurezza; f. mantenimento del controllo delle vie di comunicazione. Motivazioni dei coloni: ............................................................................................................................................................................... Motivazioni dei pellerossa: ......................................................................................................................................................................... 6 Scrivi un testo breve che racconti l’espansione territoriale degli Stati Uniti nella prima metà del XIX secolo, a partire
dalla seguente scaletta di argomenti:
● ● ● ●
gli attori sociali lo sviluppo economico le relazioni con gli indigeni il mito della frontiera
7 Scrivi un testo di massimo 15 righe in cui metti a confronto la situazione dell’America Latina e quella degli Stati Uniti
nel XIX secolo dal punto di vista politico, sociale ed economico. Seleziona dal capitolo un’immagine che ritieni significativa per ognuna delle due realtà e, facendo riferimento al contenuto, utilizzale come incipit del tuo scritto.
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C13 Le rivoluzioni latino-americane e lo sviluppo degli Stati Uniti
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CAP14 IL RISORGIMENTO ITALIANO
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Storia e Letteratura Le confessioni d’un italiano di Nievo Focus Letteratura e Risorgimento • Il melodramma Laboratorio dello storico Epistolari, memorie, diari Atlante I moti insurrezionali in Europa Lezioni attive Immaginare la nazione italiana. Il Risorgimento Test interattivi Audiosintesi
Come molti altri paesi europei – dalla Polonia all’Irlanda, dalla Grecia all’Ungheria – anche l’Italia conobbe, nella prima metà dell’800, un processo di graduale riscoperta e di sempre più netta rivendicazione della propria identità nazionale. Questo processo, che avrebbe portato nel giro di pochi decenni alla conquista dell’indipendenza, fu definito dai contemporanei, e poi dagli storici, col nome di Risorgimento: una definizione che ne sottolineava il carattere di rinascita culturale e politica, di riscatto da una condizione di servitù e di decadenza morale, di ritorno a un passato glorioso (non importa se reale o mitico).
14_1 L’ITALIA E LA QUESTIONE NAZIONALE
Per la verità l’Italia, diversamente dalla Polonia o dall’Ungheria, non aveva mai conosciuto, lungo tutto il corso della sua storia, l’esperienza di uno Stato unitario. Era stata unita politicamente solo ai tempi dell’Impero romano, ma all’interno di un’entità statale di tipo universalistico e sovranazionale. In seguito, era sempre rimasta divisa e, almeno in parte, subordinata a sovranità straniere: una dipendenza politica che era diventata pressoché completa a partire dal ’500, proprio in coincidenza con una stagione di splendore artistico e di indiscusso primato culturale. Tuttavia, se uno Stato italiano non era mai esistito, una nazione italiana, in quanto comunità linguistica, culturale, religiosa e in parte anche economica, esisteva almeno fin dall’epoca dei comuni. E l’idea di Italia come entità ben definita, seppure non coincidente con uno Stato, era sempre stata viva nel pensiero di molti autorevoli intellettuali italiani, da
Stato e nazione
470
Ferdinando Folchi, Il suicidio di Lucrezia de’ Mazzanti 1860 [Sala delle Eroine, Palazzo Sansoni Trombetta, Pontassieve, Firenze] Il dipinto raffigura un evento accaduto durante l’assedio di Firenze del 1529, all’epoca del predominio spagnolo in Italia a opera di Carlo V: un ufficiale delle truppe spagnole aveva tentato di abusare di una giovane donna, Lucrezia Mazzanti, che per non subire la violenza preferì gettarsi nell’Arno, morendo annegata. L’estremo gesto della ragazza diventa nell’800 il simbolo della purezza, dell’onore e dell’orgoglio italiano.
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
► Leggi anche: ► Personaggi Giuseppe Mazzini, il profeta della nazione, p. 476
Petrarca a Machiavelli ad Alfieri. Nel ’700, in alcune componenti della cultura illuminista questa consapevolezza si era fatta più viva e, assieme a essa, si era manifestata in misura crescente l’aspirazione a una rinascita, a un rinnovamento culturale e morale di tutto il popolo italiano: anche se questa aspirazione non si era tradotta immediatamente in una precisa rivendicazione politica [►FS, 112]. Voci unitarie e indipendentiste erano emerse, negli ultimi decenni del secolo, all’interno del movimento giacobino, soprattutto fra le correnti più radicali [►FS, 114]. Ma erano rimaste soffocate dalla contraddizione tipica di tutto il giacobinismo italiano: quella di essere portatore di idee rivoluzionarie anche nel campo dei rapporti fra le nazioni e di dover legare al contempo la realizzazione di queste idee alle sorti della potenza francese. La stessa esperienza delle Repubbliche “giacobine” e poi del Regno d’Italia – esperienza per molti aspetti positiva, se non altro per aver unito in un unico organismo statale la parte più progredita del paese – era stata indebolita da questa contraddizione di fondo, aggravata dalla politica nazionalista e assolutista di Napoleone.
L’esperienza delle Repubbliche giacobine
Con la Restaurazione e con il consolidamento di un’egemonia austriaca su tutta la penisola [►12_1], la situazione dell’Italia peggiorò sotto molti punti di vista. Ma certamente per i patrioti italiani i problemi risultarono semplificati: la lotta per gli ideali liberali e democratici poteva ora coincidere con quella per la liberazione dal dominio straniero. Questo, però, non significava ancora battersi per l’indipendenza e per l’unità italiana. Nei primi moti rivoluzionari, nel 1820-21, la questione nazionale fu infatti pressoché assente, o comunque subordinata alle rivendicazioni di ordine costituzionale, alle spinte per un METODO DI STUDIO mutamento politico all’interno dei singoli Stati. Nei moti che ebbero luogo dieci a Spiega per iscritto i seguenti temi affrontati anni dopo nelle regioni del Centro-Nord, l’assenza di una visione unitaria rinel paragrafo: a. la differenza fra la nazione e lo sultò ancora in modo evidente. Stato italiano in relazione alla loro esistenza nel Dal fallimento di queste iniziative, come vedremo, avrebbe tratto spunto corso del tempo; b. la contraddizione alla base del giacobinismo italiano; c. la lotta per la democrazia e Giuseppe Mazzini per elaborare una nuova concezione, che aveva il suo punto i moti rivoluzionari. centrale proprio nella rivendicazione dell’unità e dell’indipendenza nazionale.
Indipendenza e unità
14_2 I MOTI DEL 1820-21 E DEL 1831
Anche la penisola italiana, in particolare il Regno delle Due Sicilie e il Regno di L’insurrezione Sardegna, prese parte alla prima ondata rivoluzionaria che scosse l’Europa all’ininel Napoletano zio degli anni ’20. Il 1° luglio 1820, e in Sicilia infatti, pochi mesi dopo l’insurrezione spagnola, la rivolta scoppiò a Nola, nel Napoletano, ed ebbe subito l’adesione di numerosi alti ufficiali ex murattiani (cioè in carica durante il regno di Gioacchino Murat, cognato di Napoleone), fra cui il generale Guglielmo Pepe. Il re Ferdinando I fu costretto a concedere una Costituzione simile a quella spagnola del 1812. Questa rivoluzione seguì un corso analogo a quella di Spagna e si trovò ad affrontare problemi molto simili: le divisioni fra democratici e moderati; il comportamento ambiguo del re, profondamente ostile alla Costituzione; la inevitabile opposizione del governo austriaco a un esperimento che sembrava minacciare l’intero assetto politico della penisola. A questi problemi si aggiunse la questione siciliana. Il 15 luglio, infatti, anche Palermo diede vita a una violenta ribellione che, al contrario di quella del Napoletano,
Insurrezione a Palermo 1820 [Museo del Risorgimento, Palermo]
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C14 Il Risorgimento italiano
registrò un’ampia partecipazione di popolo. Agli operai e agli artigiani si unirono anche gli esponenti dell’aristocrazia locale, delusi dalla politica accentratrice della monarchia napoletana che aveva fatto perdere a Palermo il rango di capitale, e la rivolta assunse subito un chiaro carattere separatista. A queste velleità indipendentiste dei palermitani il governo di Napoli reagì inviando in Sicilia un corpo di spedizione e la rivolta palermitana fu domata in pochi giorni, alla fine di ottobre.
separatismo È la tendenza di un gruppo o di una parte della popolazione con particolari caratteristiche storiche, linguistiche o religiose a separarsi dallo Stato di cui fa parte. In Italia movimenti separatisti sono nati in Sicilia e Sardegna, ma anche in Lombardia, Alto Adige e Valle d’Aosta.
Il successo della rivoluzione napoletana accese le speranze dei liberali italiani, attivi soprattutto in Piemonte e in Lombardia. Questi avevano l’obiettivo di una Costituzione e soprattutto della cacciata degli austriaci dal Lombardo-Veneto per la formazione di un regno costituzionale indipendente nell’Italia settentrionale. In Lombardia ogni ipotesi insurrezionale fu però stroncata dalla scoperta, nell’ottobre 1820, di un’organizzazione carbonara e dal conseguente arresto dei suoi capi, Silvio Pellico e Pietro Maroncelli, condannati poi a pesanti pene detentive. In Piemonte, invece, dopo molte esitazioni dovute soprattutto ai contrasti fra i democratici e i moderati, il moto scoppiò nel marzo 1821, quando alcuni reparti dell’esercito si ammutinarono, costringendo il re Vittorio Emanuele I ad abdicare in favore del fratello Carlo Felice. Dato che il nuovo re si trovava lontano dal Regno, la reggenza fu affidata al nipote Carlo Alberto – allora ventiduenne –, che aveva manifestato qualche simpatia per la causa liberale. Carlo Alberto si impegnò dapprima a concedere una Costituzione simile a quella spagnola ma poi, sconfessato e richiamato all’ordine da Carlo Felice, si unì alle truppe rimaste fedeli al re che, all’inizio di aprile, con l’aiuto di contingenti austriaci, sconfissero a Novara i rivoluzionari guidati dal conte Santorre di Santarosa.
In Piemonte e nel Lombardo-Veneto
La fine dell’esperienza liberale piemontese si inquadrava nella generale sconfitta delle correnti costituzionali e patriottiche, delineatasi già alla fine del marzo 1821 con la conclusione della rivoluzione napoletana. Era stato il cancelliere austriaco Metternich a decidere un intervento armato: l’Austria, infatti, egemone nella penisola, aveva imposto una serie di legami militari e politici anche al Regno delle Due Sicilie [►12_1]. Così gli austriaci entrarono a Napoli e restaurarono il potere assoluto di Ferdinando I, che mise in atto una dura repressione contro i protagonisti della rivoluzione. Anche in Piemonte la fine del moto costituzionale fu seguita da una serie di condanne contro i militari ribelli e da un massiccio esodo all’estero di patrioti.
L’intervento austriaco a Napoli e la repressione
Anche la seconda fase delle insurrezioni italiane finì rapidamente con la repressione militare ad opera degli austriaci e con la condanna dei principali promotori. Questa volta la cospirazione prese avvio nel Ducato di Modena dove lo stesso duca Francesco IV sembrava appoggiare i cospiratori: il duca sperava infatti di profittare di un eventuale sommovimento politico per diventare sovrano di un Regno dell’Italia centro-settentrionale. Per questo entrò in contatto con
Le rivolte del 1831
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Lettura pubblica in piazza San Marco a Venezia della sentenza per Silvio Pellico e Pietro Maroncelli 1821 [Fototeca Storica Nazionale, Milano] In quanto iscritti alla Carboneria, Silvio Pellico, Pietro Maroncelli e altri carbonari furono arrestati e condannati a morte dal governo austriaco. La pena fu poi commutata nella reclusione nelle prigioni dello Spielberg a Brno, in Moravia. La lettura pubblica del verdetto assunse i connotati di un monito del governo austriaco per il popolo italiano: gli arrestati furono fatti salire su un palco, in catene, mentre un cordone di gendarmi teneva lontana la folla.
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
Edoardo Matania, Arresto e supplizio di Ciro Menotti 1889 [in Francesco Bertolini, Storia del Risorgimento italiano, Milano 1899]
alcuni esponenti delle società segrete, fra cui Ciro Menotti, imprenditore e industriale, che lavorò per allargare allo Stato pontificio e alla Toscana la trama di una cospirazione destinata a porre le premesse per un’Italia unita sotto una monarchia costituzionale. Francesco IV non era però l’uomo più adatto per realizzare progetti di questo genere. Quando si rese conto che l’Austria si sarebbe opposta con le armi a qualsiasi mutamento politico in Italia, abbandonò rapidamente ogni idea di cospirazione e fece arrestare, nel febbraio 1831, i capi della congiura riuniti in casa di Menotti. La rivolta tuttavia si era ormai estesa a Bologna e a tutti i centri principali delle Legazioni pontificie, ossia la Romagna con Pesaro e Urbino, oltre alle attuali province di Bologna e Ferrara (territori amministrati dai rappresentanti del pontefice, i “cardinali legati”): dalle Legazioni il moto dilagò nel Ducato di Parma e in quello di Modena. Rispetto ai moti del ’20-21, le insurrezioni dell’Italia centro-settentrionale del ’31 presentarono alcuni caratteri di novità. Questa volta a muoversi non furono tanto i militari, quanto i ceti borghesi appoggiati dall’aristocrazia liberale e sostenuti in qualche caso da una non trascurabile mobilitazione popolare, soprattutto nelle Legazioni, dove molto forte e diffuso era lo scontento nei confronti del malgoverno pontificio. Sia a Bologna sia nei Ducati, questa mobilitazione fu sufficiente per aver ragione di un potere debole e poco preparato a una repressione militare. Nonostante i tentativi di dare alla rivolta un carattere unitario, le persistenti divisioni municipali e il contrasto tra democratici e moderati indebolirono le iniziative insurrezionali. L’ipotesi di un intervento della Francia orleanista in favore dei ribelli si rivelò un’illusione, mentre l’esercito austriaco sconfisse a Rimini le forze degli insorti (marzo 1831). Il ritorno al vecchio ordine fu accompagnato dall’inevitabile repressione. Ciro Menotti fu condannato a morte e impiccato. Anche gli insorti emiliani e romagnoli furono condannati a lunghissime pene detentive, quando non riuscirono a riparare all’estero per ingrossare le file dell’ormai numerosa emigrazione politica italiana.
Tentativi unitari e repressione
METODO DI STUDIO
a Cerchia i nomi degli Stati in cui si svolsero gli eventi rivoluzionari descritti e sottolinea le date di riferimento e i relativi obiettivi. b Trascrivi sul quaderno i titoli dei sottoparagrafi. Quindi, descrivi sinteticamente il significato di ogni titolo spiegando il ruolo dei soggetti (singoli e collettivi) e degli eventi indicati facendo riferimento al contesto storico descritto. c Individua i nomi di correnti rivoluzionarie e personaggi storici significativi citati nel testo e trascrivili sul quaderno, assieme alla relativa definizione. Avrai in questo modo un glossario relativo ai moti rivoluzionari della prima metà dell’800 che continuerai anche per i paragrafi successivi. d Individua e numera gli eventi principali relativi ai moti rivoluzionari della prima metà dell‘800. Quindi trascrivili sul quaderno sotto forma di titoletti. Indica per ognuno di essi la data di riferimento. Avrai in questo modo un elenco cronologico schematico che continuerai anche per i paragrafi successivi.
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C14 Il Risorgimento italiano
14_3 LA PENISOLA ITALIANA
TRA ARRETRATEZZA E SVILUPPO
I quasi due decenni successivi ai moti insurrezionali furono caratterizzati ovunque da un ritorno a forme di assolutismo autoritario, non solo in Piemonte o nello Stato della Chiesa, ma anche nella più illuminata Toscana. Anche il settore economico, nonostante una tendenza alla crescita produttiva, continuava comunque a essere caratterizzato da una condizione di notevole arretratezza rispetto alle zone più progredite d’Europa. Il settore agricolo, infatti, restava per lo più legato a tecniche e sistemi di conduzione tradizionali: solo in alcune zone della Lombardia e, in minor misura, del Piemonte si erano realizzati progressi consistenti nella cerealicoltura e nell’allevamento. L’industria, poi, era rimasta sostanzialmente estranea alla tecnologia delle macchine: il settore tessile, in particolare, si fondava ancora sulla manifattura tradizionale e sul lavoro a domicilio. Anche le ferrovie ebbero un inizio assai lento e ritardato: solo nel corso degli anni ’40 la costruzione di strade ferrate assunse un carattere sistematico, limitatamente al Piemonte, al Lombardo-Veneto e alla Toscana.
La mancata modernizzazione di agricoltura e industria
Questo avvio delle costruzioni ferroviarie fu comunque uno degli elementi che contribuirono a dare nuovo slancio all’economia degli Stati italiani. Altri fattori furono i progressi del sistema bancario (soprattutto in Toscana e in Piemonte), lo sviluppo dei porti e della marina mercantile, il generale incremento del commercio internazionale che ebbe ricadute positive anche sull’Italia. Si trattava, nel complesso, di progressi limitati, non tali da permettere agli Stati italiani di ridurre il ritardo che stavano accumulando nei confronti dell’Europa in via di industrializMETODO DI STUDIO zazione. Ma furono sufficienti a far riflettere la parte più avvertita dell’opinione a Evidenzia nel testo, con due colori diversi, gli pubblica sui danni derivanti all’economia dalla mancanza di un mercato nazioelementi di arretratezza e di sviluppo che contraddinale e di un efficiente sistema di comunicazioni: venne così riproposto il progetstinsero l’Italia dei primi dell’800. b Trascrivi sul quaderno i titoli dei sottoparato di una unione doganale italiana da realizzare sul modello dello Zollverein grafi e le relative parole evidenziate in grassetto. tedesco [►12_7] e divennero argomenti centrali di discussione il confronto con Quindi, spiega il loro significato nel contesto storico gli altri paesi europei e la necessità di elaborare un nuovo e più razionale assetto descritto. politico di tutta la penisola.
I fattori di sviluppo
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Salvatore Fergola, La ferrovia Torre Annunziata-Nocera XIX sec. [Museo di San Martino, Napoli] La prima ferrovia italiana fu realizzata nel Regno delle Due Sicilie: la NapoliPortici, inaugurata il 3 ottobre 1839 insieme con le relative stazioni. Negli anni successivi furono raggiunte altre città (Torre del Greco, Castellammare di Stabia, Nocera) proseguendo fino a Salerno. Frattanto un secondo tronco ferroviario raggiunse Caserta nel 1843 e Capua nel 1844. Ferdinando II diede avvio a questo moderno progetto più per motivi di prestigio che per un preciso piano di sviluppo.
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
14_4 IL PROGETTO MAZZINIANO
► Leggi anche:
L’esito negativo delle insurrezioni nell’Italia centro-settentrionale segnò la crisi irreversibile della Carboneria e, più in generale, mise in evidenza i limiti della strategia che aveva fino ad allora guidato le rivoluzioni italiane: la necessità di affidarsi all’appoggio di sovrani rivelatisi poi inaffidabili; la segretezza delle trame settarie che ostacolava una più ampia partecipazione; e soprattutto l’assenza di una direzione unitaria, capace di agire in una prospettiva autenticamente nazionale. Progetti unitari e repubblicani si erano affacciati negli ambienti dell’emigrazione italiana già nel decennio 1820-30, ma solo all’inizio degli anni ’30 l’ideale dell’unità italiana da conseguirsi attraverso un’autentica lotta di popolo si diffuse fra i patrioti di orientamento democratico e si tradusse in concreto programma d’azione, grazie soprattutto all’opera di Giuseppe Mazzini.
Una nuova strategia
► Personaggi Giuseppe Mazzini, il profeta della nazione, p. 476
Nato a Genova nel 1805, Giuseppe Mazzini si era avvicinato fin da giovane alle idee democratiche e patriottiche e aveva aderito alla Carboneria. Arrestato nel 1830, era stato costretto a emigrare a Marsiglia, dove era entrato in contatto con i maggiori esponenti degli esiliati democratici e delle voci più importanti della cultura politica dell’epoca. Erede della tradizione giacobina, Mazzini non ammetteva alcun compromesso con il principio monarchico e rifiutava ogni soluzione di tipo federalistico. Il suo programma politico era di un’estrema chiarezza: l’Italia doveva rendersi indipendente e darsi una forma di governo unitaria e repubblicana; la via per giungere all’unità e all’indipendenza era solo una, l’insurrezione di popolo, di tutto il popolo senza distinzioni di classe [►FS, 116d].
Mazzini: l’Italia indipendente, unita, repubblicana
Per Mazzini, la fede nella libertà e nel progresso umano doveva essere vissuta come una fede religiosa. La rivendicazione dei diritti degli individui e delle nazioni non poteva essere separata dalla consapevolezza dei doveri dell’uomo e dalla coscienza di una missione spettante ai popoli, considerati strumenti di un disegno divino: di
Una religione politica
► Giacomo
Mantegazza, Mazzini nelle vesti di educatore prima metà XIX sec. In questa stampa Mazzini appare nelle vesti di educatore. Nel 1841, nel periodo del suo esilio londinese, il fondatore della Giovine Italia aprì una scuola, finalizzata all’istruzione dei figli degli immigrati italiani.
◄ Andrea
Castaldi, L’addio dell’esiliato all’Italia XIX sec. [Museo del Risorgimento, Istituto Mazziniano, Genova] In un brano delle sue Note autobiografiche (scritte nel 1861), Giuseppe Mazzini ricorda quando nell’aprile 1821, ancora sedicenne, assistette a Genova alla partenza degli esuli scampati alle persecuzioni successive al fallimento del moto piemontese e come questa visione influì profondamente sui suoi pensieri e sulla sua futura attività politica. «Gli insorti s’affollavano [...] poveri di mezzi, erranti in cerca d’aiuto per recarsi nella Spagna dove la Rivoluzione era tuttavia trionfante. I più erano confinati in Sanpierdarena aspettandovi la possibilità dell’imbarco; ma molti s’erano introdotti ad uno ad uno nella città, ed io li spiava fra i nostri, indovinandoli [...] al dolore muto, cupo, che avevano sul volto. [...] Quel giorno fu il primo in cui s’affacciasse confusamente all’anima mia, non dirò un pensiero di Patria e di Libertà, ma un pensiero che si poteva e quindi si doveva lottare per la libertà della Patria.»
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C14 Il Risorgimento italiano
qui la celebre formula mazziniana «Dio e popolo». Nel pensiero di Mazzini, convinto sostenitore del principio di associazione, al di sopra dell’individuo c’era la famiglia, al di sopra della famiglia la nazione, al di sopra di tutto l’umanità, e così come gli individui, anche le nazioni dovevano associarsi per cooperare al bene comune. Per lui, pervaso da una sensibilità tipicamente romantica, l’idea di nazione aveva un posto fondamentale. Intesa come entità culturale e spirituale, prima ancora che naturale e geografica, la nazione era l’elemento sul quale si sarebbe realizzato il sogno di un’umanità libera e affratellata [►FS, 111d]. All’Italia, in particolare, spettava il compito di porsi alla testa delle nazioni oppresse, di abbattere il vecchio ordine – l’Impero asburgico e lo Stato della Chiesa – e di farsi iniziatrice di un generale movimento di emancipazione. Se la Roma dei Cesari aveva unificato politicamente l’Europa, se la Roma dei papi l’aveva assoggettata a un’unica
PERSONAGGI
Giuseppe Mazzini, il profeta della nazione
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uando nel 1861 un editore gli propose di scrivere delle note autobiografiche, Mazzini rispose che le sue vicende illustravano il dramma italiano, e cioè «come un uomo nel quale aspirazioni, inclinazioni e sogni erano tutti di natura letteraria, artistica e filosofica fosse stato spinto a spendere tutta la sua vita nell’organizzare associazioni segrete, nel raccogliere denaro per comprare moschetti, e nel dannarsi l’anima a forza di scrivere ogni anno tante migliaia di lettere, note e istruzioni». Questa fu in effetti la vita di Giuseppe Mazzini, capo in esilio di un movimento politico clandestino e perseguitato dalle polizie di tutta Europa. Nato nel 1805 nella Genova napoleonica, si laureò in legge, ma ciò a cui aspirava era diventare un critico letterario. Impregnato già in gioventù di ideali romantici, leggeva accanitamente le opere di Walter Scott, Shelley, Wordsworth, ma anche Dante, il suo preferito. Abbracciò gli ideali del nazionalismo sull’onda dell’entusiasmo dei primi moti per l’indipendenza. Inizialmente aderì alla Carboneria e partecipò alle cospirazioni contro il governo sabaudo, ma finì arrestato nel 1830. Rilasciato per mancanza di prove, cominciò a 26 anni la sua vita da esule, un dato biografico che contribuì ad alimentare la leggenda di Mazzini come martire della patria. Stabilitosi a Marsiglia, entrò in contatto con altri patrioti e si applicò allo studio come non aveva mai fatto prima. Nel frattempo, l’attività politica prendeva tutto il suo tempo e non ne restava molto per gli affetti. Il padre, medico, era lontano dalle convinzioni repubblicane del figlio, ma fu comunque solidale con i suoi sforzi e lo sostenne finché fu in vita. Più coinvolta nella sua battaglia era la madre, Maria: patriota, molto religiosa e convinta che il figlio fosse stato destinato da Dio a grandi im-
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
prese per l’Italia. Mazzini l’avrebbe rivista solo una volta nel 1848 per un breve incontro. Fu a Marsiglia che nel 1831 Mazzini fondò insieme ad altri esuli la Giovine Italia, inizialmente una comunità dedita alla propaganda rivoluzionaria, diventata in seguito un modello per tutto il mondo (nacquero poi una Giovine Boemia, una Giovine Argentina, una Giovine Ucraina, ecc.). Fu uno degli elementi di novità portati da Mazzini nella vita pubblica: la politica doveva funzionare attraverso associazioni libere e aperte, con un programma, degli iscritti, una corrispondenza regolare tra la sede centrale e le sezioni locali. La Giovine Italia ebbe da subito un grandissimo successo nel raccogliere adesioni dall’Italia e dagli esuli, per di più provenienti da tutte le classi sociali. Presto Mazzini si ritrovò a disporre di una estesa rete cospirativa segreta. Molto meno successo ebbero i primi tentativi insurrezionali, subito repressi. Dopo l’ennesimo tentativo rivoluzionario, nel 1833 i tribunali sabaudi emisero sentenze esemplari con centinaia di incarcerati, esuli e una dozzina di giustiziati. Mazzini stesso fu condannato a morte in contumacia e il suo più caro amico, Jacopo Ruffini, si suicidò in carcere per paura di tradire sotto tortura i compagni: una tragedia che non avrebbe mai smesso di tormentarlo. Si trasferì in Svizzera, dove visse tre anni elaborando ambiziosi progetti rivoluzionari, a volte utopici. A questi momenti di entusiasmo, però, seguivano acutissime crisi depressive. Mazzini ne usciva solo facendo appello alla sua fede incrollabile nei destini della nazione italiana, secondo una concezione religiosa eccentrica e mai sistematizzata. Espulso anche dalla Svizzera, nel 1837 arrivò a Londra, dove visse quasi tutta la sua vita. I suoi esordi nella capitale britannica furono difficili, ma Mazzini
ben presto poté contare sulla rete di contatti italiani e su alcuni influenti protettori, come lo scrittore Charles Dickens. Per guadagnarsi da vivere offrì la sua penna a qualsiasi rivista fosse disposta a pagarlo. Scrivendo di pittura, letteratura e storia d’Italia sperava di far interessare l’opinione pubblica inglese alle vicende italiane, un fattore che riteneva decisivo per il successo della sua rivoluzione politica. Dedicò le sue energie anche a migliorare le condizioni degli artigiani italiani a Londra, creando una società di mutuo soccorso e una scuola dove insegnare italiano e fare proseliti. Nonostante queste sue attività, da Marx e da altri socialisti gli arrivarono molte critiche: Ritratto fotografico di Giuseppe Mazzini 1865 ca.
autorità religiosa, la Terza Roma sarebbe stata il centro di una nuova e più alta unità morale e sociale di tutti i popoli della terra. Nelle idee di Mazzini non c’era posto né per le teorie materialistiche (fondate sull’idea che la realtà derivi unicamente dalla materia e che dunque non possa spiegarsi con l’intervento divino) né per le tematiche legate alla lotta di classe (il contrasto permanente fra borghesia e proletariato, secondo Marx ed Engels [►11_7]). Non per questo, però, Mazzini ignorava i problemi sociali: era favorevole a riforme anche audaci (tra cui la divisione tra i contadini delle terre incolte), ma difendeva al contempo il diritto di proprietà come base dell’ordine sociale, considerando pericolosa qualsiasi teoria che tendesse a dividere la collettività nazionale e a incrinare l’unità spirituale del popolo. Per lui anche la questione sociale si sarebbe dovuta risolvere attraverso
La questione sociale
Il corteo funebre accompagna la salma di Mazzini verso la stazione di Pisa XIX sec. [Domus Mazziniana, Pisa] Come descrive lo storico Sergio Luzzatto nel suo libro La mummia della repubblica. Storia di Mazzini imbalsamato (Rizzoli, Milano 2001), il corteo funebre di Mazzini attraversa Pisa e dal Ponte di Mezzo sull’Arno (visibile sullo sfondo) si dirige verso la stazione di San Rossore: le stime disponibili dicono che 20 mila persone circa accompagnano il feretro. Quando qualche giorno dopo la salma arriva a Genova, dalla stazione al cimitero di Staglieno sono in 15 mila ad accompagnarla, mentre si ipotizza che le persone che assistono al trasporto, assiepate alle finestre o per le vie della città, siano 100 mila (in una città di 140 mila abitanti).
i suoi propositi rivoluzionari trascuravano il mondo contadino e i rapporti di classe. Effettivamente, benché Mazzini avvertisse il fascino delle promesse socialiste, fu sempre contrario a far deviare la rivoluzione nazionale in uno scontro tra le classi sociali. La chiusura di Mazzini alle istanze socialiste non era forse solo dettata dalla coerenza del suo nazionalismo, che presentava i membri della nazione come parte di una comunità solidale perché legata da vincoli profondi. Doveva pesare molto anche la sua ignoranza sulle reali condizioni dei contadini italiani. Come lo accusò Marx, Mazzini non conosceva che le città, con la loro nobiltà liberale e i loro cittadini illuminati, ciò che limitò sempre la sua attività politica. Il suo rifiuto manifesto delle istanze socialiste era però anche tattico, convinto com’era che fosse necessario cercare l’appoggio dei moderati per portare a termine la rivoluzione italiana. In effetti, Mazzini non smise mai di cercare di includere i monarchici nei suoi piani, perfino nel biennio 1848-49, quando voleva incoraggiare la corte di Torino a cooperare con i movimenti rivoluzionari. La precedenza doveva essere data all’unità: «Serbiamo intatte le nostre credenze; e l’avvenire deciderà». Nonostante
i suoi sforzi, però, la stampa piemontese continuò a dipingerlo come un nemico peggiore degli austriaci, addirittura come la causa del fallimento della prima guerra d’indipendenza. Fu durante i cento giorni alla guida della Repubblica romana che il suo talento al governo fu finalmente messo alla prova. Mazzini stupì gli osservatori stranieri presenti a Roma con il suo pragmatismo, ma anche con la tenacia con cui si oppose alla capitolazione. Dalla sconfitta militare la sua figura venne trasfigurata: ormai era un eroe agli occhi dell’opinione pubblica europea. La sua fama toccò l’apice, come dimostrava la diffusione dei suoi ritratti in tutto il Nord Italia. Negli anni ’50 Mazzini fondò il Partito d’azione, impegnato a provocare piccole insurrezioni locali nel tentativo di accendere la miccia della rivoluzione. I clamorosi insuccessi finirono per sbiadire in parte la fama dell’eroe della Repubblica romana; ma, tenendo in conti-
nuo stato d’allarme tutta la penisola italiana, mantennero vivo l’interesse per la questione italiana all’estero. Il successo della strategia moderata e i trionfi di Garibaldi finirono però per emarginarlo dalle fasi finali dell’unificazione italiana [►15_4]. Dopo il 1861, Mazzini continuò a opporsi violentemente a Cavour e ai monarchici di Torino, senza mai smettere di tramare tentativi insurrezionali, sempre sterili. La morte lo trovò a Pisa nel 1872, sotto falso nome. Il corteo del suo funerale a Genova qualche giorno dopo contò decine di migliaia di persone, prova ulteriore del suo carisma. Passarono anni prima che la sua memoria pubblica venisse riscattata: prima da ex mazziniani come Crispi, poi dal fascismo che vi trovò un precedente del proprio culto della nazione; e infine dalla Repubblica italiana, inaugurata nel 1946 anche con l’ostensione, a Genova, della salma di Giuseppe Mazzini.
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il principio di associazione e, infatti, si impegnò personalmente nella promozione di cooperative e società di mutuo soccorso fra gli operai. Lo strumento per realizzare il progetto mazziniano di una Italia indipendente, unita e repubblicana era una nuova organizzazione che, anziché nascondere agli affiliati i suoi scopi ultimi, li rendesse subito evidenti e propagandasse apertamente i suoi princìpi fondamentali svolgendo così, accanto all’azione cospirativa, un’opera di continua educazione politica. La nuova organizzazione nacque a Marsiglia, nell’estate del ’31, si chiamò Giovine Italia, adottò la bandiera tricolore – bianca, rossa e verde – e riunì attorno a Mazzini numerosi emigrati politici dell’ultima generazione e molti giovani democratici che operavano in Italia.
La Giovine Italia
Convinti della necessità di un legame strettissimo tra «pensiero e azione» (la famosa formula mazziniana), Mazzini e i suoi seguaci non aspettarono il maturare di condizioni internazionali favorevoli per mettere in atto i loro progetti e organizzarono, negli anni ’30-40, una serie di tentativi insurrezionali in Italia. Nell’aprile del 1833 fu scoperta una congiura in Piemonte, dove la Giovine Italia aveva numerosi seguaci tra le file dell’esercito: vi furono decine di arresti e 12 fucilati, mentre oltre 200 patrioti furono costretti a fuggire all’estero. Nel febbraio 1834, invece, fu bloccato sul nascere un progetto rivoluzionario basato su una spedizione di un corpo di volontari che sarebbe dovuto penetrare in Savoia dalla Svizzera e su una contemporanea insurrezione da organizzare a Genova. In questo piano ebbe una parte attiva anche Giuseppe Garibaldi, allora ventiseienne marinaio di Nizza che, sfuggito miracolosamente alla cattura e condannato a morte in contumacia, dovette riparare in Sud America.
I tentativi insurrezionali
L’esito fallimentare della spedizione in Savoia rappresentò un duro colpo per il prestigio di Mazzini e per l’attività della Giovine Italia. Privato, nel giro di pochi mesi, di molti dei suoi migliori collaboratori, Mazzini dovette affrontare in questi anni una vera e propria crisi di coscienza e notevoli difficoltà personali (espulso prima dalla Francia e poi dalla Svizzera, si trasferì a Londra). La «tempesta del dubbio» (così la chiamò Mazzini stesso) fu in breve superata. Come i grandi rivoluzionari di ogni tempo, Mazzini era convinto che la «santità» della causa per cui lottava giustificasse anche i sacrifici più dolorosi. Nell’aprile del ’34, poco dopo il fallimento della spedizione in Savoia, aveva dato vita, assieme a esuli
La crisi della Giovine Italia e i dubbi di Mazzini
◄ Frontespizio
del primo fascicolo della Giovine Italia 1832 L’associazione politica della Giovine Italia viene fondata da Giuseppe Mazzini nel luglio 1831 a Marsiglia; il suo programma è pubblicato sull’omonimo periodico («Serie di scritti intorno alla condizione politica, morale e letteraria della Italia, tendenti alla sua rigenerazione», recita il sottotitolo) e coloro che vi prendono parte utilizzano come pseudonimi i nomi di personaggi del Medioevo italiano, ponendosi come scopo principale quello di trasformare l’Italia in una repubblica democratica unitaria.
bandiera della Giovine Italia XIX sec. [Museo del Risorgimento, Istituto Mazziniano, Genova]
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▲ La
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di altre nazionalità, alla Giovine Europa: un’iniziativa che aveva però un valore soprattutto simbolico e che ebbe scarsi effetti sul piano operativo. Nella prima metà degli anni ’40 ci furono altri tentativi di insurrezione. Nel 1843 e nel 1845 furono soffocati due moti nelle Legazioni pontificie. Nel giugno-luglio 1844, invece, fallì una spedizione in Calabria organizzata da due giovani veneziani, i fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, ufficiali della marina austriaca aderenti alla Giovine Italia, che avevano sperato di far sollevare i contadini contro il governo borbonico: la popolazione locale rimase indifferente e i due fratelli vennero catturati e fucilati insieme con altri sei compagni. In realtà, né i moti nelle Legazioni né la spedizione dei Bandiera erano stati organizzati da Mazzini, che anzi aveva espresso un parere negativo sulla opportunità di queste iniziative. Ma il ripetersi di episodi insurrezionali ispirati dai repubblicani e immancabilmente destinati al fallimento contribuì ad alimentare le critiche nei confronti dei metodi mazziniani e fornì nuovi argomenti alle polemiche dei moderati contro le strategie rivoluzionarie.
La spedizione dei fratelli Bandiera
14_5 MODERATI, CATTOLICI E FEDERALISTI
METODO DI STUDIO
a Sottolinea gli elementi fondamentali del programma politico mazziniano rispetto all’Italia e cerchia i nomi delle due organizzazioni fondate da Mazzini. b Individua per ogni sottoparagrafo almeno tre parole chiave che si riferiscano ai concetti principali espressi. Quindi trascrivi i titoli dei sottoparagrafi e le parole chiave e argomenta le tue scelte per iscritto. c Continua il glossario relativo ai moti rivoluzionari della prima metà dell‘800 già iniziato trascrivendo sul quaderno, assieme alla relativa definizione, i nomi di correnti rivoluzionarie e di personaggi storici descritti nel testo. d Individua e numera gli eventi principali relativi ai moti rivoluzionari della prima metà dell‘800. Quindi trascrivili sul quaderno sotto forma di titoletti continuando l’elenco iniziato nei paragrafi precedenti. Indica per ognuno di essi la data di riferimento.
► Leggi anche: ► Laboratorio di cittadinanza Il federalismo ieri e oggi, p. 491
Negli anni ’40, il dibattito politico italiano si ampliò e si arricchì di nuove voci [► _11]. La principale novità fu l’emergere di un orientamento moderato, che si differenziava nettamente sia dal conservatorismo tradizionale e legittimista sia, ovviamente, dal radicalismo repubblicano di Mazzini. Per il problema italiano i moderati miravano a soluzioni graduali, tali da non comportare l’uso della violenza e lo scontro con le autorità costituite. La base principale del pensiero moderato stava nel tentativo di conciliare la causa liberale e patriottica con la religione cattolica – considerata il più importante fattore di unità della nazione italiana – e, di conseguenza, con la Chiesa di Roma. Una corrente cattolico-liberale esisteva in Italia fin dagli anni della Restaurazione e aveva i suoi esponenti più illustri in Alessandro Manzoni e nel filosofo Antonio Rosmini, fautore di una riforma interna alla Chiesa, nel solco dell’ortodossia cattolica. Su posizioni analoghe erano quegli intellettuali toscani – come Gino Capponi e Bettino Ricasoli – che si erano formati attorno all’«Antologia» di Vieusseux [►FS, 114]. La condanna papale del 1832 del cattolicesimo liberale, per quanto fosse rivolta soprattutto contro il gruppo francese de «L’Avenir» [►11_5], si ripercosse anche sul movimento italiano, limitandone gli spunti più apertamente riformatori. Ma non impedì al pensiero cattolico-moderato di esprimersi per altre vie: come i romanzi, per lo più di ambiente medievale, di Cesare Cantù; o come le opere storiche del piemon11_LA QUESTIONE NAZIONALE: PROTAGONISTI E OPERE DEL DIBATTITO POLITICO tese Cesare Balbo, che rivalutavano il Autori Opere ruolo della Chiesa e del papato nella Cesare Balbo (1789-1853) Le speranze d’Italia, 1844 storia nazionale e ne esaltavano quello di difensori delle «libertà d’Italia». Massimo d’Azeglio (1798-1866) Degli ultimi casi di Romagna, 1846 Proposta d’un programma per l’opinione nazionale italiana, 1847 Definiti “neoguelfi”, con un termine tratto dalla storia medievale, i cattoVincenzo Gioberti (1801-1852) Del primato morale e civile degli italiani, 1843 lici liberali suscitarono, per reazione, Del rinnovamento civile d’Italia, 1851 la nascita dei “neoghibellini”, tra cui Carlo Cattaneo (1801-1869) Dell’insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra, 1849 emerse uno scrittore toscano di orienGiuseppe Mazzini (1805-1872) Fede e avvenire, 1835 tamento repubblicano e anticlericale Pensieri sulla democrazia in Europa, 1846 come Francesco Domenico Guerrazzi Giuseppe Ferrari (1811-1876) La federazione repubblicana, 1851 [►FS, 113 e 14].
I moderati e il cattolicesimo liberale
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▼ La
barca dell’indipendenza italiana 1848 [Museo del Risorgimento, Milano] In questa allegoria di chiaro sapore giobertiano, la barca dell’indipendenza italiana, guidata da Pio IX e Carlo Alberto, veleggia nella tempesta verso l’orizzonte dove il sole sta già sorgendo a schiarire le
nubi nere che incombono. Sull’albero sono issati la croce e il tricolore; sulla vela piccola è scritto «Primato d’Italia», su quella grande è disegnata la carta geografica d’Italia. Nel cielo, un fulmine colpisce l’aquila a due teste, simbolo dell’Impero austro-ungarico, mentre in mare una naufragante Italia è salvata dalla mano di Pio IX.
▲ Antonio
Puccinelli, Ritratto di Gioberti seconda metà XIX sec. [Galleria d’arte moderna, Firenze] Vincenzo Gioberti, qui ritratto nel suo studio, viene arrestato nel 1833 perché sospettato di simpatie mazziniane; scarcerato per mancanza di prove, è tuttavia costretto all’esilio prima a Parigi e poi a Bruxelles. Nel 1848 fa ritorno in Italia e a Torino è accolto da una folla festante.
Il neoguelfismo conobbe il suo momento di maggior popolarità dopo il 1843, con la pubblicazione del Primato morale e civile degli italiani, un libro dell’abate torinese Vincenzo Gioberti [►FS, 115]. Riprendendo da Mazzini il concetto di una speciale «missione» spettante al popolo italiano, Gioberti ne capovolse il significato, identificando questa missione col ruolo della Chiesa. Il “primato” era quello che veniva all’Italia dall’essere sede del papato e dall’averne condiviso nel corso dei secoli la missione di civiltà. Gioberti era convinto che, per tornare alle glorie passate, l’Italia avesse bisogno di ampie riforme politiche e amministrative. Ma riteneva che per raggiungere questo scopo non fosse necessario puntare all’unità politica: la soluzione da lui proposta era una confederazione fra gli Stati italiani, fondata sull’autorità superiore del papa (che ne avrebbe assunto la presidenza) e sulla forza militare del Regno di Sardegna. Era un’ipotesi non meno utopistica di quella mazziniana, anche perché puntava su un’evoluzione liberale e nazionale della Chiesa al momento inimmaginabile. Ma presentava all’opinione pubblica moderata un progetto che non prevedeva rivoluzioni, si accordava con il sentimento cattolico dominante e soddisfaceva al tempo stesso gli ideali patriottici, poiché rivendicava all’Italia un «primato morale e civile» fra le nazioni europee.
Gioberti e il neoguelfismo
L’opera di Gioberti aprì un intenso dibattito politico e fu seguita da una serie di altre proposte che ne riecheggiavano, pur con notevoli varianti, i temi fondamentali. Nel 1844 uscì Le speranze d’Italia di Cesare Balbo, che auspicava anch’esso la formazione di una lega – doganale e militare – fra gli Stati italiani. A differenza di Gioberti, però, Balbo si poneva il problema della presenza dell’Austria, principale 480
Il liberalismo moderato di Balbo e d’Azeglio
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
ostacolo per qualsiasi ipotesi indipendentista, e proponeva di risolvere la questione con mezzi diplomatici, assecondando la tendenza dell’Impero asburgico a spostare il centro dei suoi interessi verso l’Europa centro-orientale. Un altro esponente del liberalismo moderato piemontese, Massimo d’Azeglio [►FS, 117d], prendendo spunto dal fallimento dei moti del ’45 nelle Legazioni pontificie, espresse in un opuscolo uscito all’inizio del 1846, Degli ultimi casi di Romagna, una dura critica sia del malgoverno pontificio sia delle iniziative insurrezionali, giudicate inutili e persino dannose per la causa nazionale. In alternativa, indicava la via delle riforme graduali, senza escludere, in prospettiva, una soluzione militare affidata alle armi del Regno sabaudo. La scelta a favore delle riforme e la tendenza alle soluzioni federalistiche non erano patrimonio esclusivo dei moderati. Negli stessi anni in cui il neoguelfismo conosceva i suoi maggiori successi e i moderati piemontesi proponevano la candidatura del Regno sardo al ruolo di guida del Risorgimento nazionale, una corrente federalista, democratica e repubblicana si sviluppava in Lombardia. Principale esponente di questa tendenza era il milanese Carlo Cattaneo [►FS, 118d], direttore dal ’39 al ’45 della rivista «Il Politecnico», erede della tradizione di pragmatismo e di riformismo tipica della cultura illuminista dei Verri e di Beccaria [►4_4]. Cattaneo aveva interessi culturali vastissimi, orientati soprattutto verso il campo economico e sociale. Da una parte la sua formazione laica e illuminista lo portava a diffidare della mistica romantica di Mazzini, dall’altra la profonda avversione che nutriva per il dominio austriaco non gli impediva di considerare con ostilità la prospettiva di un assorbimento del Lombardo-Veneto da parte di un Piemonte assolutista e clericale [►14_7]. La via da lui indicata per la soluzione del problema italiano non si discostava nella sostanza da quella dei moderati, in quanto puntava sulle riforme politiche e sullo sviluppo economico all’interno dei singoli Stati, con particolare insistenza sui temi del liberismo doganale, delle vie di comunicazione e dell’istruzione pubblica. Ma molto diverso era l’obiettivo finale, che consisteva in una confederazione repubblicana, sul modello degli Stati Uniti [►7_4] o della Svizzera, che lasciasse ampi spazi di
Il federalismo repubblicano di Cattaneo
Parole della storia
Federalismo
P
er federalismo (dal latino foedus, “patto”) si intende quella teoria politica che propugna l’associazione fra diversi Stati e la creazione di entità sovranazionali capaci di assicurare la convivenza e la cooperazione fra diverse realtà salvaguardandone al tempo stesso la reciproca autonomia. Presente come ipotesi teorica nel pensiero illuminista (in particolare in Kant), il federalismo, nella sua versione sovranazionale, trovò le sue prime applicazioni e i suoi primi modelli nella Svizzera e negli Stati Uniti d’America. In concreto, il federalismo è stato fatto proprio, in tempi e in contesti diversi, da correnti politiche molto diverse tra loro. Federalisti si definirono quegli intellettuali americani (Hamilton, Madison, Jay) che, ai tempi del dibattito sulla costituzione degli Usa, si schierarono per un rafforzamento degli organi federali pur nel rispetto dell’autonomia dei
singoli Stati. Successivamente il federalismo è stato spesso invocato, in polemica col modello di Stato accentrato, proprio dai fautori delle autonomie, sia di ispirazione liberale, come Cattaneo, sia di tendenza socialista, come Proudhon: capostipite quest’ultimo di una nutrita corrente di federalismo socialista e anarchico. Un caso a parte è quello di Mazzini, strenuo sostenitore dello Stato nazionale unitario, ma favorevole a una federazione tra le nazioni d’Europa (e, in prospettiva, del mondo intero). Nel ’900, l’ideale federalista ha tratto nuovi spunti dall’esperienza delle due guerre mondiali per invocare il superamento dello Stato nazionale e la creazione di entità sovranazionali capaci di bloccare l’insorgere di altri conflitti. Nell’Europa del secondo dopoguerra, questa corrente ha dato origine al movimento federalista europeo (rappresentato in Italia soprattutto da Altiero Spinelli), attivo nel promuovere e nello stimolare i processi di integrazione politica fra i paesi del Vecchio
Continente. Negli ultimi decenni del XX secolo, mentre il progetto di Unione europea procedeva verso una lenta e contrastata realizzazione (sia pure con modalità diverse da quelle auspicate dai federalisti), si manifestava in alcuni paesi del Vecchio Continente un nuovo tipo di federalismo, a vocazione non più sovranazionale ma infranazionale: orientato cioè non all’unione fra Stati già sovrani, ma, al contrario, alla divisione di Stati già accentrati in entità autonome, individuate in base a criteri etnici, culturali o anche economici e considerate, al contrario degli “artificiali” Stati nazionali, più vicine ai bisogni e ai sentimenti delle popolazioni. Questo federalismo può facilmente sfociare in forme di vero e proprio separatismo. In Italia ciò è accaduto in tempi recenti ad opera del movimento leghista, sviluppatosi prima in Veneto e in Lombardia e poi diffusosi in buona parte delle regioni settentrionali.
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C14 Il Risorgimento italiano
LE IDEOLOGIE DEL RISORGIMENTO
COME FARE L’ITALIA?
Mazzini
Gioberti
Balbo
d’Azeglio
Cattaneo
Italia unita, indipendente e repubblicana
Confederazione di Stati italiani
Lega doganale e militare tra gli Stati italiani
Auspica riforme graduali
Riforme politiche e sviluppo economico
Attraverso un’insurrezione di popolo Orientamento democratico
Presieduta dal papa e difesa dai Savoia
Orientamento neoguelfo
Patrocinata dal Regno sabaudo Compensando l’Austria attraverso acquisizioni in Europa dell’est
Prospetta un intervento del Regno sabaudo Orientamento liberale
autonomia a tutte le istanze della vita locale e fosse la premessa per la costituzione degli Stati Uniti d’Europa. Un altro esponente del federalismo repubblicano fu Giuseppe Ferrari [► _11]. Milanese, emigrato a Parigi alla fine degli anni ’30, Ferrari criticò sia il moderatismo cattolico dei neoguelfi sia il nazionalismo unitario dei mazziniani, sostenendo la necessità di inserire la soluzione del caso italiano nel quadro di una rivoluzione europea che avrebbe dovuto avere il suo centro in Francia. Nell’esilio parigino Ferrari si accostò anche alle teorie socialiste (soprattutto quelle di Proudhon) e fu tra i primi a collegare strettamente la questione nazionale ai temi della questione sociale.
Confederazione repubblicana sul modello Usa Orientamento federalista democratico
METODO DI STUDIO
a Cerchia, con colori diversi, le correnti politiche che animarono il dibattito politico italiano dagli anni ’40 e sottolineane le relative caratteristiche ed esponenti principali mantenendo i colori scelti. b Continua il glossario relativo ai moti rivoluzionari della prima metà dell’800 già iniziato trascrivendo sul quaderno, assieme alla relativa definizione, i nomi di correnti politiche e di personaggi storici descritti nel testo.
14_6 PIO IX E IL MOVIMENTO PER LE RIFORME
Tra il 1846 e il 1847 l’opinione pubblica italiana visse un periodo di intensa mobilitazione e di febbrile attesa di grandi mutamenti. L’evento decisivo fu l’elezione, nel giugno 1846, di papa Pio IX, l’arcivescovo di Imola Giovanni Maria Mastai Ferretti (sul soglio pontificio fino al 1878). Il nuovo papa era noto soprattutto come un pastore di anime, dalla religiosità sincera e profonda. Aveva un tratto umano bonario che lo aveva reso popolare nella sua diocesi, ma non sembrava avere una personalità politica molto spiccata, né gli si riconoscevano simpatie liberali. I primi atti del suo pontificato – in particolare la concessione di un’ampia amnistia per i detenuti politici – suscitarono però un vero e proprio entusiasmo. Liberali e moderati di tutta Italia credettero di aver trovato in Pio IX il loro eroe, l’uomo capace di dar corpo al programma neoguelfo. Anche da parte democratica vennero al nuovo papa aperture e riconoscimenti. Le piazze delle principali città italiane si riempirono di manifestazioni inneggianti al pontefice. Questo clima di entusiasmo finì per coinvolgere lo stesso Pio IX e spingerlo a una serie di concessioni che probabilmente non rientravano nei suoi programmi iniziali. Nella primavera-estate del ’47 fu convocata 482
Le riforme di Pio IX
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una Consulta di Stato, formata da rappresentanti delle province scelti dall’autorità centrale, venne istituita una Guardia civica e fu attenuata la censura sulla stampa. Questi provvedimenti, tutt’altro che rivoluzionari, ebbero un effetto superiore al loro valore reale, dando ulteriore stimolo alla mobilitazione per le riforme e alla propaganda patriottica in tutti gli Stati italiani e nello stesso Lombardo-Veneto.
statuto È la legge fondamentale in cui sono elencati i princìpi che regolano struttura e funzionamento dello Stato, diritti e doveri dei cittadini. Nel Medioevo e nel periodo rinascimentale, il termine “statuto” indicava la raccolta delle leggi e delle consuetudini che guidavano non solo l’attività di organismi statali o pubblici, ma anche di organizzazioni private (per esempio, gli statuti delle corporazioni mercantili o professionali) e in questo significato è usato largamente anche oggi.
Fra l’estate e l’autunno del ’47, il movimento per le riforme dilagò in tutta Italia, accompagnato da una mobilitazione popolare a sfondo sociale, legata alle conseguenze della crisi economica europea che, in questo periodo, fece salire anche in Italia i prezzi dei generi alimentari. Sovrani e governanti – preoccupati dal rischio di una svolta democratica – furono indotti a prudenti concessioni. Nel Regno di Sardegna, Carlo Alberto (diventato re nel 1831) varò, in ottobre, un nuovo ordinamento amministrativo, che rendeva elettivi i consigli comunali e provinciali, e allentò i controlli sulla stampa. In novembre, Piemonte, Toscana e Stato della Chiesa sottoscrissero gli accordi preliminari per una Lega doganale italiana. Estraneo al progetto di Lega – e a tutto il moto riformatore – rimase il Regno delle Due Sicilie, che godeva dell’appoggio dell’Austria ma doveva fare i conti con la crescente ostilità dell’opinione pubblica nazionale e internazionale. Proprio nel Regno borbonico sarebbe iniziata l’ondata insurrezionale che avrebbe coinvolto l’Italia intera, nel più ampio quadro delle rivoluzioni europee del 1848.
Il movimento per le riforme negli altri Stati italiani
In Italia la rivoluzione del ’48 ebbe, nella sua fase iniziale, uno sviluppo autonomo rispetto agli altri paesi europei. Già all’inizio dell’anno, tutti gli Stati italiani apparivano percorsi da un generale fermento. Primo e fondamentale obiettivo comune a tutte le correnti politiche era la concessione di Costituzioni o statuti fondati sul sistema rappresentativo. Fu la sollevazione di Palermo del 12 gennaio 1848 (legata soprattutto alle
L’inizio delle sollevazioni
Manifestazioni di giubilo del popolo romano per la concessione della Consulta di Stato 1847 [Museo Centrale del Risorgimento Italiano, Roma]
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C14 Il Risorgimento italiano
rivendicazioni autonomistiche dei siciliani, già all’origine del moto di ribellione del 1821) a determinare il primo successo in questa direzione, inducendo Ferdinando II di Borbone – il più retrogrado di tutti i regnanti della penisola – ad annunciare la concessione di una Costituzione nel Regno delle Due Sicilie. La mossa inattesa di Ferdinando II non bastò a spegnere l’autonomismo siciliano ed ebbe inoltre l’effetto di rafforzare la mobilitazione per le Costituzioni in tutta Italia. Spinti dalla pressione dell’opinione pubblica e dalle continue dimostrazioni di piazza, prima Carlo Alberto di Savoia, poi Leopoldo II di Toscana, infine lo stesso Pio IX decisero di concedere la Costituzione. Annunciate – salvo quella di Pio IX – prima dello scoppio della rivoluzione di febbraio in Francia [►12_9], le Costituzioni del ’48 avevano tutte un carattere moderato ed erano ispirate al modello di quella francese del 1830 [►12_6]. La più importante di tutte, lo Statuto albertino [►FS, 119d], promulgato da Carlo Alberto il 4 marzo 1848, sarebbe poi diventato la legge fondamentale del Regno d’Italia, rimasta in vigore per un secolo fino alla Costituzione repubblicana del 1° gennaio 1948. Prevedeva una Camera dei deputati – le cui modalità di elezione, definite da apposita legge, legavano il diritto di voto a un censo piuttosto elevato –, un Senato nominato dal re e una stretta dipendenza del governo dal sovrano.
Le Costituzioni
METODO DI STUDIO
a Sottolinea e numera i principali provvedimenti voluti da papa Pio IX. b Continua il glossario relativo ai moti rivoluzionari della prima metà dell’800 già iniziato trascrivendo sul quaderno, assieme alla relativa definizione, i nomi di correnti rivoluzionarie e di personaggi storici descritti nel testo. c Rispondi per iscritto alle seguenti domande: a. Perché l’e-
lezione di Pio IX suscitò l’entusiasmo dei liberali? b. Quali sovrani italiani seguirono l’esempio del papa? c. Cosa è lo Statuto albertino e cosa prevedeva? d Individua e numera gli eventi principali relativi ai moti rivoluzionari della prima metà dell’800. Quindi trascrivili sul quaderno sotto forma di titoletti continuando l’elenco iniziato nei paragrafi precedenti. Indica per ognuno di essi la data di riferimento.
14_7 IL ’48 ITALIANO.
LA GUERRA CONTRO L’AUSTRIA
Proprio mentre nei maggiori Stati italiani si andava delineando una soluzione costituzionale-moderata, lo scoppio della rivoluzione in Francia e nell’Impero asburgico mutò i termini del problema, dando nuovo spazio all’iniziativa dei democratici e riportando in primo piano la questione nazionale, fino ad allora rimasta in ombra. Nei giorni immediatamente successivi alla rivolta di Vienna, si sollevarono anche Venezia e Milano. A Venezia, il 17 marzo, una grande manifestazione popolare aveva imposto al governatore austriaco la liberazione dei detenuti politici, fra cui era il capo dei democratici, l’avvocato Daniele Manin. Pochi giorni dopo, una rivolta degli operai dell’Arsenale militare cui si unirono numerosi marinai e ufficiali (la marina asburgica era composta in larga parte da veneti) costringeva i reparti austriaci a capitolare. Il 23 marzo un governo provvisorio presieduto da Manin proclamava la Costituzione della Repubblica veneta. A Milano l’insurrezione iniziò il 18 marzo, con un assalto al palazzo del governo, e si protrasse per cinque giorni, le celebri «cinque giornate» milanesi. Borghesi e popolani combatterono, fianco a fianco, 484
Le rivolte di Venezia e Milano
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
Frontespizio dello Statuto albertino [Museo del Risorgimento, Torino]
► Leggi anche: ► Personaggi Giuseppe Garibaldi, il campione della nazione italiana, p. 510
◄ Rivoluzione
in piazza San Marco a Venezia il 18 marzo 1848 XIX sec. [Museo Correr, Venezia] Il 18 marzo 1848 a Venezia, a un solo giorno di distanza dalla liberazione richiesta a gran voce dal popolo di due detenuti politici (Daniele Manin e Niccolò Tommaseo), fu innalzato il tricolore in piazza San Marco, scatenando la reazione delle truppe austriache e la successiva rivolta. La cronaca di quei giorni fu raccontata qualche mese più tardi da Cristina Trivulzio di Belgioioso (aristocratica milanese attiva sostenitrice dei patrioti italiani) sulla rivista francese «Revue des Deux Mondes»: «Le grida “viva la costituzione” risuonavano ancora quando, tutt’a un tratto, una voce formidabile, questa volta la vera voce del popolo, lanciò un grido inaspettato: “abbasso il governo!” e mille voci lo ripeterono immediatamente. Da quel momento, l’atteggiamento della folla, fino ad allora incurante e beffardo, mutò in fosca esaltazione. [...] Non si trattava più di qualche concessione illusoria: si trattava dell’indipendenza stessa, era la grande lotta dell’Italia contro l’Austria che ricominciava, e che si prendeva Venezia per palcoscenico».
▼ Felice
Donghi, Le cinque giornate di Milano: le barricate XIX sec. [Museo del Risorgimento, Milano]
sulle barricate contro i soldati austriaci del maresciallo Joseph Radetzky. Ma furono soprattutto gli operai e gli artigiani a sostenere il peso degli scontri, che costarono agli insorti circa 400 vittime. La direzione delle operazioni fu assunta da un consiglio di guerra composto prevalentemente da democratici e guidato da Carlo Cattaneo. Anche gli esponenti dell’aristocrazia liberale finirono, dopo molte esitazioni, per appoggiare la causa degli insorti e formarono, il 22 marzo, un governo provvisorio. Il giorno stesso Radetzky, preoccupato per l’eventualità di un intervento del Piemonte, decise di ritirare le sue truppe all’interno del cosiddetto quadrilatero, l’area definita dal perimetro delle fortezze di Verona, Legnago, Mantova e Peschiera. Il 23 marzo, all’indomani della cacciata degli austriaci da Venezia e da Milano, il Piemonte dichiarava guerra all’Austria. Diverse furono le ragioni che spinsero Carlo Alberto a questa decisione: la pressione congiunta dei liberali e dei democratici, che vedevano nella crisi dell’Impero asburgico l’occasione per liberare l’Italia dagli austriaci; la tradizionale aspirazione della monarchia dei Savoia ad ampliare verso est i confini del Regno; infine il timore che il Lombardo-Veneto diventasse un centro di propaganda repubblicana. Anche in questo caso, com’era avvenuto per la concessione degli statuti, l’esempio di un sovrano finì col condizionare le decisioni degli altri. Preoccupati dal diffondersi dell’agitazione democratica e patriottica che minacciava la stabilità dei loro troni, Ferdinando II di Napoli, Leopoldo II di Toscana e Pio IX decisero di unirsi alla guerra antiaustriaca e inviarono truppe regolari che partirono, in
La prima guerra d’indipendenza
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C14 Il Risorgimento italiano
un’atmosfera di grande entusiasmo popolare, affiancate da numerosi contingenti di volontari. La guerra piemontese si trasformava così nella prima guerra di indipendenza nazionale, benedetta dal papa e combattuta da tutte le forze patriottiche. Ma l’illusione durò poco. Carlo Alberto mostrò scarsa risolutezza nel condurre le operazioni militari e si preoccupò soprattutto di preparare l’annessione del Lombardo-Veneto al Piemonte, suscitando l’irritazione dei democratici e la diffidenza degli altri sovrani, già poco entusiasti della partecipazione al conflitto. Particolarmente imbarazzante era la posizione di Pio IX, che si trovava in guerra contro una grande potenza cattolica. Il 29 aprile il papa annunciò il ritiro delle sue truppe. Pochi giorni dopo lo imitava il granduca di Toscana.
La crisi dell’alleanza e la sconfitta
La resa di Vicenza l’11 giugno 1848 XIX sec. [Museo Centrale del Risorgimento Italiano, Roma] Giovanni Durando, capo dell’esercito pontificio, nel 1848 disobbedì agli ordini di Pio IX portando le sue truppe oltre il Po per sbarrare la strada agli austriaci. Bloccato a Vicenza dall’avanzata del generale austriaco Nugent, fu costretto alla resa l’11 giugno 1848. Trentamila soldati imperiali con cinquanta cannoni invasero la città.
LA PRIMA GUERRA D’INDIPENDENZA
1848 Contro il dominio austriaco
Fase liberale moderata
Venezia
Milano
Manin proclama la Costituzione della Repubblica veneta
«Cinque giornate»
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Formazione di governi provvisori
Consiglio di guerra guidato da Cattaneo
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
Pressioni dei liberali e dei democratici
Progetto espansionistico dei Savoia
Insurrezione di
Timore di un’iniziativa democratica
Intervento del Piemonte, appoggiato da Ferdinando II, Leopoldo II, Pio IX
Sconfitta piemontese a Custoza Armistizio con l’Austria
A metà maggio Ferdinando di Borbone richiamò il suo esercito. Rimasero a combattere contro l’Austria, disobbedendo agli ordini dei sovrani, molti fra i componenti dei corpi di spedizione regolari. Rimasero i volontari toscani, guidati da Giuseppe Montanelli, che METODO DI STUDIO furono protagonisti, in maggio, di un glorioso scontro a Curtatone e Montanara. a Continua il glossario relativo ai moti rivoAccorse dal Sud America Giuseppe Garibaldi, che si mise a disposizione del goluzionari della prima metà dell’800 già iniziato trascrivendo sul quaderno, assieme alla relativa verno provvisorio lombardo. Ma il contributo dei volontari fu poco e male utilizdefinizione, i nomi di personaggi storici, luoghi ed zato da Carlo Alberto, deciso a combattere la “sua guerra” e a non lasciare spazio eventi significativi descritti nel testo. Non ti soffermare su tutti gli eventi ma indica quelli che ritieni all’azione dei democratici. i principali. Dopo alcuni modesti successi iniziali dei piemontesi, l’iniziativa tornò nelle ma b Individua le tappe salienti della prima guerni dell’esercito asburgico. Il 23-25 luglio, nella prima grande battaglia campale ra d’indipendenza e dei suoi esiti e trascrivile che si combatté a Custoza, presso Verona, le truppe di Carlo Alberto furono netsul quaderno realizzando una scaletta in senso cronologico. Indica per ogni tappa l’anno di rifetamente sconfitte e si ritirarono oltre il Ticino. Il 9 agosto fu firmato l’armistizio rimento. con gli austriaci.
14_8 LA SCONFITTA DEI DEMOCRATICI ITALIANI
Dopo la sconfitta del Piemonte, a combattere contro gli austriaci restavano solo i democratici italiani e ungheresi [►12_10]. Mentre in Ungheria lo scontro assunse il carattere di una vera e propria guerra nazionale, in Italia i patrioti democratici dovettero combattere una serie di battaglie locali – a Roma e a Venezia, in Toscana e in Sicilia – geograficamente divisi e senza poter dare alla loro lotta una dimensione autenticamente popolare. L’ideale di una guerra di popolo che unisse la prospettiva della liberazione nazionale a quella dell’emancipazione politica e sociale contrastava con la ristrettezza della loro base sociale formata dalla piccola e media borghesia urbana, soprattutto quella intellettuale, e dai ceti artigiani delle città. Le masse contadine, ossia la stragrande maggioranza della popolazione italiana, rimasero invece estranee, e spesso apertamente ostili alle loro battaglie.
Gli obiettivi dei democratici
Tuttavia, nell’autunno del ’48, la situazione in Italia rimaneva incerta. La Sicilia era sotto il controllo dei separatisti, che si erano dati un proprio governo e una propria Costituzione democratica. A Venezia, in mano degli insorti anche dopo la sconfitta di Custoza, Manin aveva nuovamente proclamato la Repubblica. In Toscana, alla fine di ottobre, il granduca fu costretto dalla pressione popolare a formare un ministero democratico, capeggiato da Giuseppe Montanelli e da Francesco Domenico Guerrazzi, leader dei repubblicani livornesi. A Roma, in novembre, l’uccisione in un attentato del primo ministro pontificio, il liberale moderato Pellegrino Rossi, aveva indotto il papa ad abbandonare la città e a rifugiarsi a Gaeta sotto la protezione dei Borbone. Nella capitale, rimasta senza governo, presero il sopravvento i gruppi democratici. Nel gennaio del 1849, in tutti i territori dell’ex Stato della Chiesa, si tennero le elezioni a suffragio universale per l’Assemblea costituente. Fra gli eletti, in maggioranza democratici, c’erano anche Mazzini e Garibaldi. A febbraio l’Assemblea proclamò la decadenza del potere temporale dei papi e annunciò che lo Stato avrebbe assunto «il nome glorioso di Repubblica romana», avrebbe adottato come forma di governo «la democrazia pura» e avrebbe stabilito col resto d’Italia «le relazioni che esige la nazionalità comune», in vista dell’unità nazionale, da realizzare su basi democratiche e non dinastiche. Decreto fondamentale che istituisce la Repubblica Gli sviluppi della situazione nello Stato della Chiesa ebbero immediate romana (9 febbraio 1849)
La fase democratica della rivoluzione italiana
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ripercussioni in Toscana. A febbraio il granduca Leopoldo II abbandonò il paese e venne convocata un’Assemblea costituente: i poteri, intanto, passarono a un triumvirato composto da Montanelli, Guerrazzi e Mazzini. Anche in Piemonte i democratici ripresero l’iniziativa. Il 20 marzo 1849 Carlo Alberto, schiacciato tra la pressione di questi ultimi e l’intransigenza degli austriaci che ponevano condizioni molto pesanti per la firma della pace, decise di entrare di nuovo in guerra. Ma le truppe di Radetzky, penetrate in territorio piemontese, affrontarono l’esercito sabaudo il 22-23 marzo nei pressi di Novara e gli inflissero una gravissima sconfitta. La stessa sera del 23 marzo, Carlo Alberto, per non mettere in pericolo le sorti della dinastia, abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Il giorno dopo, il nuovo re firmò un nuovo armistizio con gli austriaci. Una rivolta democratica scoppiata a Genova fu duramente repressa dall’esercito. Sconfitto il Regno sabaudo, gli austriaci potevano ora procedere alla restaurazione dell’ordine in tutta la penisola. Alla fine di marzo, un’insurrezione a Brescia fu schiacciata dopo durissimi combattimenti, le «dieci giornate» di Brescia. In aprile, le truppe imperiali strinsero d’assedio Venezia, che avrebbe resistito eroicamente per quasi cinque mesi e si sarebbe arresa per fame solo alla fine di agosto. In maggio, mentre Ferdinando di Borbone riusciva finalmente a riconquistare la Sicilia, gli austriaci occuparono il territorio delle Legazioni pontificie e contemporaneamente posero fine all’esperienza della Repubblica toscana.
La sconfitta di Novara e la restaurazione dell’ordine
Più lunga e gloriosa fu la resistenza della Repubblica romana, dove erano affluiti esuli e patrioti da tutta Italia: da Mazzini e Garibaldi al romagnolo Aurelio Saffi, al genovese Mameli (che scrisse l’inno Fratelli d’Italia), al napoletano Pisacane, ai milanesi Cernuschi e Manara, eroi delle «cinque giornate». Fin dai suoi primi atti, il governo repubblicano romano, sotto la guida di Mazzini, si qualificò per l’energia con cui cercò
La resistenza della Repubblica romana
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Quinto Cenni, Le dieci giornate di Brescia 1897 [Museo del Risorgimento, Milano] Il 23 marzo del 1849, la popolazione bresciana, ignara della sconfitta dell’esercito sabaudo a Novara, insorse sotto la guida del patriota Tito Speri. Dopo dieci giorni di insurrezione, accerchiata e bombardata dalle truppe austriache, la città dovette arrendersi.
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
di portare avanti l’opera di laicizzazione dello Stato e di rinnovamento politico e sociale. Furono aboliti i tribunali ecclesiastici e venne decretata la confisca dei beni del clero. Fu varato – caso unico nella storia delle rivoluzioni italiane dell’800 – un progetto di riforma agraria che prevedeva la concessione in affitto perpetuo alle famiglie più povere di parte delle terre confiscate al clero. Frattanto però, dal suo esilio di Gaeta, Pio IX si era rivolto alle potenze cattoliche per essere ristabilito nei suoi territori. A questo appello avevano risposto non solo l’Austria, la Spagna e il Regno di Napoli, ma anche la Repubblica francese, ormai dominata dalle forze cattoliche e conservatrici [►12_9]. Il presidente Bonaparte si riservò il ruolo principale nella restaurazione pontificia, inviando nel Lazio un corpo di spedizione che all’inizio di giugno attaccò la capitale. I repubblicani – che avevano affidato i pieni poteri a un triumvirato composto da Mazzini, Saffi e dal romano Carlo Armellini – organizzarono una difesa efficace ma destinata inevitabilmente a soccombere. Il 3 luglio, subito prima della capitolazione, fu promulgata la Costituzione della Repubblica romana che, sebbene rimasta come pura enunciazione, divenne il documento-simbolo degli ideali democratici e un modello alternativo rispetto alle Costituzioni liberali e moderate [►FS, 119d]. Mentre i francesi entravano a Roma, Garibaldi lasciò la città con qualche centinaio di volontari, nel tentativo di raggiungere Venezia. Ma il 26 agosto gli austriaci, dopo aver soffocato la rivolta in Ungheria, riuscirono a spegnere anche la resistenza della città veneta. Si concludeva così, con la duplice sconfitta sia dell’ipotesi liberale e moderata, sia di quella democratica, la stagione rivoluzionaria del 1848-49.
Gerolamo Induno, Un volontario alla difesa di Roma XIX sec. [Museo del Risorgimento, Milano] Attaccata dai francesi, venuti in soccorso del papa, la Repubblica romana resistette a lungo, guidata dal triumvirato e protetta da molti volontari accorsi per difendere i valori e gli ideali democratici del nuovo Stato.
La fine degli esperimenti democratici
METODO DI STUDIO
a Continua l’elenco delle tappe salienti della prima guerra d’indipendenza e dei suoi esiti. Indica per ogni tappa l’anno di riferimento. b Sottolinea la risposta alla seguente domanda: In che cosa consistette la riforma agraria proposta durante il governo della Repubblica romana? c Spiega per iscritto quali erano gli obiettivi dei democratici italiani, quali esperienze politiche riuscirono a realizzare e quali ne furono gli esiti.
14_9 IL PATRIOTTISMO RISORGIMENTALE
► Leggi anche:
Le insurrezioni, le lotte rivoluzionarie e la guerra contro l’Austria avevano visto all’opera, accanto agli eserciti regolari, un numero sempre maggiore di patrioti disposti a mettere in gioco la propria vita nella lotta per l’indipendenza dallo straniero e insieme per la nascita di nuovi organismi politici. I patrioti italiani erano per gran parte giovani o nella prima età matura. I più anziani si erano formati nelle organizzazioni segrete, eredi del giacobinismo, salvo trovare poi motivi di aggregazione comune nelle nuove ideologie politiche tra i moderati neoguelfi o liberali, ma anche nell’adesione al mazzinianesimo dove affluivano invece soprattutto i più giovani. Queste adesioni e queste militanze erano sostenute da un discorso patriottico nazionale che si era venuto costruendo non solo sul terreno ideologico e politico, ma anche riprendendo elementi letterari, musicali e delle arti figurative. Le memorie di Silvio Pellico, I sepolcri di Foscolo, le poesie di Giovanni Berchet, le opere musicali o singoli brani di Giuseppe Verdi, alcuni quadri di Francesco Hayez costituivano un repertorio
Chi erano i patrioti
► Focus Letteratura e Risorgimento • Il melodramma
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▼ Foglio
volante con le parole dell’inno Fratelli d’Italia scritto da Goffredo Mameli Il Canto degli italiani, meglio conosciuto come Inno di Mameli, fu scritto nell’autunno del 1847 dall’allora ventenne studente e patriota Goffredo Mameli. Musicato poco dopo a Torino da Michele Novaro, il canto nacque in quel clima di fervore patriottico che già preludeva alla guerra contro l’Austria. Il 12 ottobre 1946 l’Inno di Mameli diventò l’inno nazionale della Repubblica italiana.
▲ Il
teatro Carignano in Torino la sera del 18 gennaio 1847 XIX sec. [Museo Centrale del Risorgimento Italiano, Roma] Durante il Risorgimento i teatri lirici si trasformarono in luoghi di rivendicazione politica. In particolare le opere di Giuseppe Verdi (1813-1901) furono motivo di preoccupazione per le autorità del LombardoVeneto. Il coro «Va’ pensiero sull’ali dorate»,
che nell’opera Nabucco (rappresentata nel 1842) piange la sorte degli ebrei prigionieri in Babilonia, aveva assunto per i patrioti un valore simbolico della “prigionia” italiana. Verdi stesso era diventato un simbolo politico e i patrioti moderati che affidavano ai Savoia il compito di unificare l’Italia attribuivano alle lettere del suo cognome un significato cifrato: V come Vittorio, E come Emanuele, R come Re, D come Di, I come Italia. Perciò per le strade e nei teatri i patrioti gridavano «Viva Verdi».
collettivo di parole, suoni e immagini in grado di diffondere il messaggio nazionale. In particolare il melodramma, ascoltato e riproposto in chiave patriottica, forniva un terreno comune ad ampi strati sociali, dalla nobiltà ai ceti popolari urbani, come principale mezzo di comunicazione, veicolo degli ideali risorgimentali e di formazione politica e civile [►FS, 113 e 114]. Privo di riferimenti consolidati a un comune passato nazionale, se non a quello “inventato” della continuità con l’antica Roma o con l’Italia dei comuni, il patriottismo italiano riprendeva singoli episodi di rivalsa contro lo straniero dove si era manifestato vincente l’orgoglio ferito degli italiani: la battaglia di Legnano (tra i comuni italiani e l’imperatore Federico Barbarossa, 1176), i Vespri siciliani (la rivolta scoppiata a Palermo contro gli Angiò che determinò la cacciata dei francesi dall’isola, 1282), la disfida di Barletta (il duello tra cavalieri italiani e francesi in terra di Puglia, 1503). Si veniva costruendo, proprio lungo il filo degli avvenimenti, una tradizione patriottica con i suoi METODO DI STUDIO martiri da celebrare – i fratelli Bandiera, i volontari di Curtatone e Montanara, a Individua le parole chiave che afferiscono i caduti nella difesa della Repubblica romana – e da portare come esempio. alla realtà dei patrioti italiani e argomenta le tue Una tradizione che esaltava gli elementi di fratellanza e di valore guerresco scelte. b Spiega per iscritto quale ruolo hanno avuto – come nelle esplicite strofe dell’inno Fratelli d’Italia di Goffredo Mameli eventi come la battaglia di Legnano, i Vespri siciliani (1827-1849) – per rovesciare l’immagine diffusa in Europa degli italiani «che o la disfida di Barletta nella tradizione creata dai non sanno battersi». patrioti italiani. Descrivi quindi le caratteristiche principali di questa tradizione. Una tradizione che aveva dei riferimenti obbligati in alcune figure carismatiche: Mazzini e in seguito soprattutto Garibaldi.
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La nascita di una tradizione
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
LABORATORIO DI CITTADINANZA IL FEDERALISMO IERI E OGGI
N
el 1787 la Convenzione di Philadelphia approvava la Costituzione degli Stati Uniti d’America, dando vita a quella forma di governo basata sull’equilibrio tra potere locale e potere centrale (o federale) che allora si cominciò a chiamare federalismo. Duecento anni dopo più del 40% della popolazione mondiale viveva in regimi politici formalmente federali e ben 58 Stati si dicevano ispirati al federalismo. Già nell’800 il fascino per il modello statunitense indusse molti paesi a darsi un ordinamento federalista, in Europa (Impero germanico, Impero austro-ungarico, Confederazione Elvetica), in America (Canada, Messico, Argentina, Brasile, Venezuela) e in Australia. In realtà, a uno sguardo più attento non sfuggono le grandi differenze tra gli ordinamenti che nel corso di più di due secoli si sono definiti federalisti. I princìpi del federalismo sono stati adattati alle esigenze delle varie comunità politiche, al loro contesto storico, geografico ed economico, finendo spesso per allontanarsi dall’esempio nordamericano. Il successo precoce del modello federalista in molte ex colonie (Venezuela, 1818; Messico, 1824; Brasile, 1834; Argentina, 1853; Canada, 1867; Australia, 1900) è in parte dovuto all’esigenza di governare grandi spazi, spesso già suddivisi in unità amministrative separate durante il colonialismo. Altrove (Confederazione Elvetica o Belgio, per guardare solo all’Europa), il sistema federalista è stato preferito ad altri per garantire autonomia alle diverse comunità etniche e linguistiche che componevano lo Stato. Dopo la seconda guerra mondiale, il crollo di molti regimi totalitari o dittatoriali ha coinciso con il declino del modello di Stato centralizzato, così diffuso in Europa a partire dall’Impero napoleonico. Molti paesi hanno dato avvio a un processo di decentramento (o devolution), trasferendo competenze sempre più importanti dal centro alla periferia, pur lasciando allo Stato centrale gran parte del potere decisionale. Ciò ha portato alla nascita di un nuovo modello di Stato costituzionale, in cui il principio di autogoverno
degli enti locali viene considerato elemento essenziale per la vita democratica di un paese. Nella sezione dei princìpi fondamentali della Repubblica italiana, l’articolo 5 della Costituzione italiana del 1948 afferma: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i princìpi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento». Al modello originario americano si sono dunque accostate forme ibride di organizzazione politica, tanto che oggi sarebbe più corretto parlare di “federalismi”. In generale il termine “federalismo” continua a essere utilizzato per definire qualsiasi assetto istituzionale in cui il potere è diviso su base territoriale, ma è utile stabilire quali sono gli elementi essenziali dell’organizzazione federale degli Stati. In primo luogo, in un ordinamento federale la Costituzione attribuisce in via esclusiva allo Stato centrale competenze ben precise (la difesa, la politica monetaria ed estera), lasciando agli Stati membri le competenze generali rimaste. Gli Stati membri di una federazione possono darsi proprie Costituzioni o statuti; godono di autonomia impositiva, cioè possono imporre tasse locali oppure gestiscono in proprio una quota dei tributi nazionali (in entrambi i casi si parla di federalismo fisca-
le); partecipano alle decisioni del governo centrale attraverso un organo di rappresentanza eletto su base regionale; devono essere coinvolti in qualsiasi processo di revisione della Costituzione federale. Eventuali conflitti di competenze tra gli Stati membri o tra questi e lo Stato centrale sono poi risolti da un organo di giustizia costituzionale (di solito la Corte Costituzionale). Perché il federalismo si realizzi concretamente, però, una Costituzione non basta. In primo luogo, per essere realizzato, l’ordinamento federale sottintende il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche. L’esempio delle repubbliche dell’America Latina, formalmente federaliste dal XIX secolo, è illuminante: attraverso provvedimenti “federali” di urgenza, i presidenti della Repubblica hanno potuto allargare il proprio potere a spese delle autonomie locali, dando vita a forme di governo autoritarie fino agli anni ’80 del ’900. In secondo luogo, la ragion d’essere di un assetto istituzionale federale è la volontà di dotare lo Stato di strumenti istituzionali in grado di tutelare la diversità pur garantendo l’unità della comunità politica. In questi anni, in Italia, è in atto una vivace discussione sui compiti che spettano allo Stato centrale e alle autonomie locali e sulle conseguenti innovazioni in campo fiscale, anche dietro l’impulso di partiti politici come la Lega Nord, che al primo punto del suo Statuto dichiara di perseguire l’indipendenza della Padania.
Manifestanti della Lega Nord a Pontida [© DANIEL DAL ZENNARO/epa/Corbis] Da sempre sostenitrice del federalismo, dagli anni ’90 la Lega Nord propone la secessione delle regioni settentrionali, indicate collettivamente come “Padania”. Ancora oggi continua a proporre il progetto di uno Stato federale, da realizzarsi attraverso il federalismo fiscale e la “devoluzione” alle Regioni di alcune funzioni esercitate dallo Stato.
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PER SAPERNE DI PIÙ 1 Completa le proposizioni relative allo Stato federale inserendo le espressioni mancanti.
a. Nell’ordinamento federale la Costituzione regolamenta la ripartizione delle competenze tra ............................ e ................... ........... Al primo spettano ..........................................; ai secondi spettano ............................................................................ ..............................
b. Gli Stati membri possono dotarsi di proprie ..............................; godono di ............................................; partecipano alle decisioni del governo centrale attraverso .......................................; sono coinvolti in qualsiasi processo di ......................................; i conflitti di competenza tra Stati membri o tra questi e lo Stato centrale sono risolti ....................................
GLI STATI MULTINAZIONALI DELL’UE 2 Nel XIX secolo alcuni paesi europei come la Confederazione Elvetica o il Belgio si dotarono di un ordinamento
federalista per garantire autonomia alle diverse comunità etniche e linguistiche che componevano lo Stato.
Nell’ambito dell’Ue ci sono degli Stati che possiamo considerare multinazionali. Per scoprire il perché, consulta il sito istituzionale dell’Ue (europa.eu), o, più genericamente, lancia una ricerca su Internet, digitando nella maschera di ricerca di Google i nomi dei paesi di seguito elencati e indicando le diverse etnie presenti (l’esercizio è avviato).
● Belgio:
nel Nord del paese (Fiandre) vivono gli olandesi; nel Sud (Vallonia) la maggioranza è francese.
● Cipro: ........................................................................... ● Lettonia: .......................................................................
● Slovacchia: ................................................................... ● Romania: ...................................................................... ● Bulgaria: ......................................................................
LA TUTELA DELLE MINORANZE LINGUISTICHE NELLA COSTITUZIONE ITALIANA 3 A suo modo, anche l’Italia è uno Stato multinazionale perché in alcune sue regioni sono presenti delle minoranze
etnico-linguistiche. Poiché in passato le minoranze linguistiche sono state oggetto di discriminazione, la nostra Costituzione, nel rispetto del diritto di uguaglianza fra tutti i cittadini italiani, ha regolamentato anche questo aspetto all’articolo 6: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche». Nelle zone interessate è dunque consentito il bilinguismo, a scuola e nella pubblica amministrazione. Ricerca su Internet quali minoranze etnico-linguistiche abitano le aree geografiche di seguito elencate.
● Trentino-Alto Adige/Südtirol: ............................................ ● Valle d’Aosta: ................................................................ ● Friuli-Venezia Giulia: ....................................................... ● Abruzzo meridionale, Molise, Campania, Puglia, Basilicata,
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Calabria, Sicilia: .............................................................
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
● Salento (Grecìa salentina): .............................................. ● Sardegna: ....................................................................
SINTESI
14_1 L’ITALIA E LA QUESTIONE NAZIONALE Nella prima metà dell’800 l’Italia conobbe un processo di graduale riscoperta della propria identità nazionale. Questo processo fu definito dai contemporanei, e poi dagli storici, «Risorgimento». Per la verità l’Italia non aveva mai conosciuto, lungo il corso della sua storia, l’esperienza di uno Stato unitario. Eppure una nazione italiana, in quanto comunità linguistica, culturale, religiosa, esisteva almeno fin dall’epoca dei comuni. L’idea di Italia, inoltre, era sempre stata viva nel pensiero degli intellettuali della penisola, da Petrarca ad Alfieri. Nel ’700, col diffondersi della cultura illuminista, si era manifestata in misura crescente l’aspirazione a un rinnovamento culturale e morale di tutto il popolo italiano. Negli ultimi decenni del secolo, voci unitarie e indipendentiste erano emerse all’interno del movimento giacobino. I moti del ’20-21 e del ’31, tuttavia, non furono animati dalla questione nazionale; essi furono in primo luogo subordinati a rivendicazioni di ordine costituzionale e politico, ma all’interno dei singoli Stati.
14_2 I MOTI DEL 182021 E DEL 1831 Nel luglio 1820 un’insurrezione nel Napoletano, guidata da alcuni ufficiali, obbligò il re a concedere la Costituzione. Nel marzo 1821, invece, una
rivolta scoppiò in Piemonte e, dopo essere stata inizialmente appoggiata dal principe Carlo Alberto, venne schiacciata dal nuovo re Carlo Felice. Nel ’21 gli austriaci posero fine alla rivoluzione napoletana. Nei Ducati di Modena e Parma e nelle Legazioni pontificie le insurrezioni ebbero origine, oltre che dalla rivoluzione di luglio in Francia, da una trama cospirativa che tentò di coinvolgere lo stesso duca Francesco IV. Quest’ultimo, però, fece arrestare i capi della congiura. La rivolta scoppiò ugualmente nelle Legazioni pontificie e si estese successivamente ai Ducati. La novità dei moti stava nel fatto che i protagonisti furono i ceti borghesi, appoggiati dall’aristocrazia liberale e da una certa mobilitazione popolare. Un nuovo intervento austriaco stroncò l’insurrezione.
14_3 LA PENISOLA ITALIANA TRA ARRETRATEZZA E SVILUPPO Dopo i moti del ’20-21 e del ’31, nella penisola gli Stati tornarono a forme di assolutismo autoritario. Lo sviluppo economico inoltre era assai lento: l’industria non recepiva ancora le più avanzate conquiste tecnologiche europee, le ferrovie si diffondevano in modo irregolare, con ritardo e lentamente. Qualche progresso non bastò a ridurre il divario che si stava accumulando nei confronti dell’Europa più avanzata. Ma soprattutto si cominciò a riflettere sui limiti posti allo sviluppo economico dalla mancanza di un mercato comune nazionale.
14_4 IL PROGETTO MAZZINIANO La sconfitta dei moti del ’31 provocò la crisi definitiva della Carboneria a favore di un nuovo indirizzo che ebbe il suo principale sostenitore in Giuseppe Mazzini. Non privo di attenzione per le questioni sociali, il pensiero mazziniano era tuttavia incentrato sugli obiettivi nazionali – indipendenza, unità, repubblica – e sulla convinzione che unico mezzo per raggiungerli fosse l’insurrezione popolare. Fondata la Giovine Italia (1831), Mazzini si impegnò nell’organizzazione di insurrezioni ma il fallimento di numerose iniziative suscitò critiche all’impostazione da lui data al problema nazionale e favorì la diffusione di nuovi orientamenti politici.
14_5 MODERATI, CATTOLICI E FEDERALISTI Sul piano degli orientamenti politici, gli anni ’40 si caratterizzarono per l’emergere di una tendenza moderata che cercava di dare soluzioni graduali e federaliste al problema nazionale. Tale orientamento, che ebbe il suo maggiore interprete in Gioberti, era imperniato sulla riscoperta della funzione nazionale della Chiesa cattolica (neoguelfismo). Il successo delle correnti moderate era dovuto al fatto che esse sembravano offrire soluzioni che non implicavano vie insurrezionali e rivoluzionarie. Elementi di gradualismo e federalismo erano presenti
anche nella corrente democratica e repubblicana lombarda, il cui maggior esponente fu Cattaneo. Questi mirava a una confederazione repubblicana, sul modello degli Stati Uniti o della più vicina Svizzera.
14_6 PIO IX E IL MOVIMENTO PER LE RIFORME L’elezione al soglio pontificio, nel ’46, di Pio IX suscitò un’ondata di grande entusiasmo in tutta Italia: un entusiasmo che venne accresciuto da alcune, pur limitate, riforme che egli varò. Si vide così nel nuovo papa l’uomo capace di realizzare i disegni del moderatismo neoguelfo. Nel corso del 1847 gli altri Stati italiani – escluso il Regno delle Due Sicilie – si trovarono costretti, di fronte alle pressioni dell’opinione pubblica e alle manifestazioni popolari, a concedere anch’essi alcune limitate riforme. Un’insurrezione a Palermo, scoppiata all’inizio del ’48, costrinse però Ferdinando II a concedere una Costituzione moderata, sul modello di quella francese del 1830. Successivamente lo imitarono Carlo Alberto, Leopoldo II e Pio IX.
14_7 IL ’48 ITALIANO. LA GUERRA CONTRO L’AUSTRIA In Italia la rivoluzione del 1848 ebbe, nella sua fase iniziale, uno sviluppo autonomo rispetto agli altri paesi europei. Le vicende della rivoluzione
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C14 Il Risorgimento italiano
in Francia e in Austria, tuttavia, diedero nuova spinta all’iniziativa dei democratici italiani e riportarono in primo piano la questione nazionale. A Venezia si proclamò la Repubblica. A Milano, dopo le «cinque giornate» di insurrezione, fu costituito un governo provvisorio. Il 23 marzo 1848 Carlo Alberto dichiarò guerra all’Austria, ottenendo l’appoggio del re delle Due Sicilie, del granduca di Toscana e del papa, con l’intento di annettere il Lombardo-Veneto al Piemonte. Ma, di lì a poco, questo appoggio sarebbe stato ritirato. I piemontesi vennero sconfitti a Custoza (luglio 1848) e costretti a firmare un armistizio con l’Austria.
14_8 LA SCONFITTA DEI DEMOCRATICI ITALIANI A combattere contro l’Impero asburgico restarono i democratici. Mentre in Sicilia resistevano i separatisti, a Venezia fu proclamata di nuovo la Repubblica e lo stesso accadde in Toscana e a Roma dopo la fuga del papa (novembre 1848). Anche per la spinta dei democratici, il Piemonte riprese la guerra contro l’Austria. Subito battuto a Novara, Carlo Alberto abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II (marzo 1849). I governi rivoluzionari vennero
sconfitti in tutta Italia: terminò la rivoluzione autonomistica siciliana, gli austriaci posero fine alla Repubblica toscana e occuparono le Legazioni pontificie, i francesi intervennero militarmente sconfiggendo la Repubblica romana. L’ultimo focolaio rivoluzionario a soccombere fu quello veneto a opera degli austriaci.
da dinastie e governi stranieri, un discorso attorno alla patria e alla nazione italiana cui parteciparono scrittori, poeti, intellettuali e artisti. Si costituì un repertorio comune, una tradizione patriottica e un messaggio nazionale. La patria italiana aveva i suoi martiri (i fratelli Bandiera), il suo inno nazionale, Fratelli d’Italia, scritto da un patriota morto in giovane età, Goffredo Mameli, e importanti punti di riferimento in Mazzini e Garibaldi.
14_9 IL PATRIOTTISMO RISORGIMENTALE Si affermò in questi decenni, nella penisola ancora dominata
SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Completa la seguente tabella sui moti rivoluzionari italiani del 1820-21.
Regno delle Due Sicilie: Nola e Palermo
Epoca
............................................................................................... ................................................................ .......................................................
Sovrani
............................................................................................... Austria ...............................................................................................
• Vittorio Emanuele I • Carlo Felice (Carlo Alberto)
Partecipanti alla rivoluzione
• Alti ufficiali dell’esercito (a Nola) • Il popolo, ma anche l’aristocrazia locale (a Palermo)
Alcuni reparti dell’esercito
Obiettivi dei rivoluzionari
............................................................................................... • ............................................................. Costituzione ............................................................................................... • .............................................................
Conclusione delle rivolte
• ............................................................................................ Ogni ipotesi insurrezionale fu stroncata • Esodo dei patrioti all’estero
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Luoghi
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Lombardo-Veneto
Affiliati alla Carboneria
Piemonte
....................................................... .......................................................
2 Indica le affermazioni vere e correggi quelle errate.
a. La rivolta di Palermo del 1820 fu caratterizzata dall’insorgenza di rivendicazioni di tipo autonomistico. ................................................................................................................................................................................. b. Il cancelliere austriaco Metternich propose l’intervento della Santa alleanza nel Napoletano. ................................................................................................................................................................................. c. Le insurrezioni scoppiate nel 1831 a Modena e a Parma furono conseguenti alla rivoluzione del 1830 in Francia. ................................................................................................................................................................................. d. Le iniziative promosse negli anni ’30 dalla Giovine Italia furono di tipo esclusivamente propagandistico. ................................................................................................................................................................................. e. I fratelli Bandiera riuscirono a far sollevare i contadini contro il governo borbonico. ................................................................................................................................................................................. f. Pio IX attuò alcune riforme dai tratti rivoluzionari. ................................................................................................................................................................................. g. La politica riformatrice intrapresa da Pio IX tra il ‘46 e il ‘47 diede stimolo all’agitazione patriottica in tutta Italia. ................................................................................................................................................................................. h. Al termine delle «cinque giornate» di Milano, le truppe austriache riuscirono a riconquistare il controllo della città. ................................................................................................................................................................................. i. La prima guerra di indipendenza nazionale si concluse con la sconfitta delle truppe piemontesi. .................................................................................................................................................................................
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3 Scegli, tra le affermazioni dell’elenco, quelle che spiegano meglio i motivi dell’insuccesso della Carboneria nella
penisola italiana.
a. Era stato fallimentare condividere le azioni rivoluzionarie con sovrani spesso rivelatisi inaffidabili. b. Mancavano uomini militarmente addestrati a combattere i sovrani. c. C’erano troppe spie che riferivano i programmi rivoluzionari al nemico. d. Le sètte carbonare erano state troppo segrete e ciò aveva impedito un’ampia partecipazione. e. Le risorse economiche per mantenere in piedi questa organizzazione erano troppo esigue. f. Le rivolte spesso erano state condotte in maniera non unitaria. 4 Completa il testo su Giuseppe Mazzini inserendo i termini presenti nell’elenco sottostante.
Carboneria ● nazione ● democratiche ● indipendente ● libera e affratellata ● Italia ● la Giovine Europa ● lo Stato della Chiesa ● Londra ● Marsiglia ● nazioni ● repubblicana ● 1805 Giuseppe Mazzini nacque a Genova nel .................................................. Fin da giovane aveva aderito alla setta della .......................................... ........ sposando le idee patriottiche e .................................................. Nel 1830 fu arrestato e poi costretto ad emigrare a ................................... ...............; qui entrò in contatto con gli esponenti democratici più autorevoli del momento. Tra gli elementi fondamentali del suo programma c’era la voglia di lottare per un’Italia .................................................. dallo straniero, unita e .................................................. Fu un convinto sostenitore del principio di associazione e cooperazione fra individui e fra .................................................. Per Mazzini la .................................................. andava intesa come entità culturale e spirituale ed era l’elemento sul quale si sarebbe realizzato il sogno di un’umanità .................................................. All’.................................................. sarebbe spettato il compito di porsi alla testa delle nazioni oppresse, di combattere contro l’Impero asburgico e contro .................................................. Per realizzare tale programma Mazzini fondò due nuove organizzazioni: la Giovine Italia e, nel 1834, .................................................. I tentativi insurrezionali mazziniani però non ebbero successo e ciò lo spinse a trasferirsi dalla Francia in Svizzera e poi a ..................................................
495
C14 Il Risorgimento italiano
5 Completa la mappa concettuale sulla prima guerra d’indipendenza in Italia inserendo i seguenti termini. Indica successivamente i motivi che spinsero il Piemonte a combattere gli austriaci, le ragioni che spinsero gli altri Stati italiani ad aiutarlo e infine i motivi che determinarono la ritirata degli aiuti al Piemonte. Lombardo-Veneto ● Milano ● Piemonte ● Toscana ● Austria Venezia ........................
Piemonte
contro
........................ ma
Napoli ........................ Stato della Chiesa
il ........................ coordinava male l’offensiva e si occupava solo di
RITIRANO LE TRUPPE
perciò
annettere il ........................ al suo Regno
● Napoli ● Toscana ● Stato della Chiesa
armistizio 9 agosto 1848
Il Piemonte dichiarò guerra all’Austria perché ● ................................................................................ ● ................................................................................ ● ................................................................................
Gli Stati Italiani aiutarono il Piemonte contro l’Austria perché
● ................................................................................ Gli Stati che aiutarono il Piemonte si ritirarono perché ● ................................................................................ ● ................................................................................
6 Abbina gli elementi disposti nelle due colonne sottostanti e poi descrivi, in brevi testi di 4 righe, i caratteri principali
di ogni corrente politica.
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Esponenti più illustri della corrente politica a. Antonio Rosmini b. Vincenzo Gioberti c. Massimo d’Azeglio d. Carlo Cattaneo
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
Nome della corrente politica 1. neoguelfismo 2. federalista-repubblicana 3. cattolico-liberale 4. liberalismo moderato piemontese
COMPETENZE IN AZIONE 7 Completa la scansione cronologica dei moti del ’48 e della prima guerra d’indipendenza in Italia abbinando gli eventi
alle relative date; quindi seleziona 7 momenti per te più significativi e utilizzali come scaletta per realizzare un testo espositivo sul medesimo argomento (max 20 righe).
inizio delle «cinque giornate» di Milano; prima guerra d’indipendenza italiana (il Piemonte dichiara guerra all’Austria); battaglia di Custoza; Carlo Alberto abdica in favore del figlio Vittorio Emanuele II; liberazione di Daniele Manin; nascita della Repubblica romana; Statuto albertino; sollevazione di Palermo per la separazione dal Regno di Napoli. 12 gennaio 1848 .................................................................................................................................................................................... 4 marzo 1848 ........................................................................................................................................................................................ 17 marzo 1848 ...................................................................................................................................................................................... 18 marzo 1848 ...................................................................................................................................................................................... 23 marzo 1848 nasce la Repubblica veneta 23 marzo 1848....................................................................................................................................................................................... 29 aprile 1848 Pio IX ritira le sue truppe contro l’Austria 23-25 luglio 1848 ................................................................................................................................................................................... 9 agosto 1848 Carlo Alberto firma l’armistizio con l’Austria febbraio 1849 ......................................................................................................................................................................................... 20 marzo 1849 Carlo Alberto riprende la guerra contro l’Austria 23 marzo 1849 ...................................................................................................................................................................................... 24 marzo 1849 Vittorio Emanuele II firma l’armistizio con l’Austria 8 Completa la carta muta dell’Italia
segnando gli Stati e le città elencati. Quindi scrivi una didascalia in cui spieghi il ruolo di questi Stati e città nel contesto dei moti della prima metà dell’800. Stati: Regno di Sardegna, Regno delle Due Sicilie, Stato della Chiesa, Regno Lombardo-Veneto, Granducato di Toscana, Ducato di Parma, Ducato di Modena Città: Novara, Brescia, Nola, Verona, Legnago, Roma, Venezia, Palermo
................................................................................ ................................................................................ ................................................................................ ................................................................................ ................................................................................ ................................................................................ ................................................................................ ................................................................................ ................................................................................
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C14 Il Risorgimento italiano
COMPITI DI REALTÀ 9 Realizza uno schedario multimediale per gli sceneggiatori di una fiction.
Tema storico da affrontare: Il Risorgimento italiano.
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Contesto di lavoro Collabori con uno sceneggiatore di fiction a cui è stata chiesta la bozza della trama di un’opera che abbia come contesto storico il Risorgimento. Il tuo compito è quello di realizzare alcune schede che contengano informazioni storiche e fonti iconografiche utili allo sviluppo di idee narrative e all’elaborazione dei tratti caratteriali e fisici dei personaggi. Cosa devi fare Con il tuo gruppo avete il compito di preparare alcune schede sul Risorgimento e sui suoi protagonisti. Per realizzare questo compito dovete: ● decidere il numero delle schede da realizzare (fra 10 e 13). Esse dovranno trattare i seguenti argomenti: personaggi, cronologia ed eventi, Stati e contesto geopolitico. ● individuare le fonti iconografiche presenti sul manuale (nel capitolo o nei Fare Storia) e su Internet che possono suggerire indicazioni visive relative all’abbigliamento, al taglio dei capelli e alla tecnologia utilizzata nei diversi campi (es. in casa, per strada, a corte, ecc.). Ricordate di verificare l’attendibilità delle pagine web e delle immagini trovate su Internet, e di indicare sempre il link della pagina da cui avete tratto i materiali. Una di queste schede dovrà essere dedicata ai patrioti risorgimentali. ● cercare sul manuale (nel capitolo o nei Fare Storia) e su Internet informazioni e immagini che consentano di: 1. realizzare una linea del tempo con gli eventi principali del Risorgimento italiano; 2. realizzare per ogni evento selezionato sulla linea del tempo una breve scheda informativa con i riferimenti geopolitici e, possibilmente, una o due immagini dell’epoca che si riferiscano agli scontri. Ogni scheda non dovrà superare le 10 righe più lo spazio destinato alle immagini e dovrà essere accessibile cliccando sulla linea del tempo. Indicate una didascalia con il nome dell’autore, il tipo di immagine, e l’anno in cui questa è stata realizzata; 3. realizzare una scheda informativa circa i principali personaggi politici dell’epoca. Essa dovrà contenere riferimenti al carattere, alle principali vicende personali e una o due rappresentazioni visive. Ogni scheda non dovrà superare le 15 righe più lo spazio destinato alle immagini. ● realizzare un prodotto multimediale con il software che ritenete più congeniale e che vi consenta di unire coerentemente la linea del tempo e le diverse schede. Presentazione del lavoro svolto Il lavoro di ogni gruppo sarà presentato davanti allo sceneggiatore e deve prevedere: una relazione introduttiva del lavoro svolto da esporre oralmente (durata massima: 5 minuti) più l’illustrazione dello schedario multimediale da visualizzare con la Lim. Tempo a disposizione 2 ore per individuare sul manuale e su Internet le fonti iconografiche da utilizzare; 1 ora per cercare i riferimenti cronologici e geopolitici e realizzare la linea del tempo; 3 ore per elaborare le schede; 1 ora e mezza per la realizzazione dello schedario multimediale; mezz’ora per impostare e provare la relazione.
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CAP15 L’UNITÀ D’ITALIA
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Storia e Letteratura Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa Focus Chi erano i Mille Atlante Società ed economia nell’Italia unita Lezioni attive Fare l’Italia: il processo di unificazione e la nascita del Regno Test interattivi Audiosintesi
15_1 IL PIEMONTE LIBERALE
DEL CONTE DI CAVOUR
► Leggi anche:
Nel marzo 1861 fu proclamata a Torino l’Unità d’Italia. Questo risultato, imprevedibile dopo le sconfitte delle rivoluzioni del ’48-49, fu dovuto al successo dell’iniziativa diplomatica e militare del Piemonte guidata dal conte di Cavour e alle vittorie sul Regno borbonico della spedizione dei Mille comandata da Garibaldi.
► Personaggi Cavour, l’artefice dell’Unità, p. 500
Dopo il fallimento delle rivoluzioni del 1848-49, il ritorno dei sovrani legittimi e il consolidamento dell’egemonia austriaca bloccarono ogni esperimento riformatore e frenarono pesantemente lo sviluppo economico dei vari Stati. Il distacco tra i sovrani e l’opinione pubblica borghese divenne più profondo, soprattutto nei due Stati che più perseguirono una politica repressiva e autoritaria: lo Stato della Chiesa, che fu riorganizzato secondo il vecchio modello teocratico-assolutistico, con qualche lieve ritocco che non ne mutava i caratteri di fondo, e il Regno delle Due Sicilie, dove il ritorno al sistema assolutistico fu totale e la repressione durissima. Un fattore che contribuì in quegli anni a fare dello Stato borbonico una specie di modello negativo per l’opinione pubblica liberale di tutta Europa. Anche il Lombardo-Veneto, che era stato fino a quel momento la regione economicamente più avanzata della penisola, fu sottoposto a un pesante regime di occupazione militare cui si accompagnò un inasprimento della già forte pressione fiscale che colpiva gli imprenditori, i commercianti e soprattutto i ceti popolari, su cui cadeva il maggior peso delle imposte indirette.
La seconda Restaurazione
Ben diversa da quella degli altri Stati italiani fu la vicenda politica del Piemonte sabaudo, dove, pur fra molte difficoltà e contrasti, poté sopravvivere l’esperimento costituzionale inaugurato con la imposte dirette/imposte indirette concessione dello Statuto albertino [►FS, 119d]. Il regno Imposte dirette sono quelle che lo Stato applica ai redditi di Vittorio Emanuele II cominciò con un duro scontro fra la Corona e la Camera e ai patrimoni – soprattutto case e terreni – dei singoli elettiva, composta in maggioranza da democratici. Quando, nell’agosto del ’49, cittadini e che i cittadini pagano direttamente al fisco. fu conclusa la pace di Milano con l’Austria – in base alla quale il Piemonte si imLe imposte indirette sono quelle applicate ai consumi – nell’800, per esempio, la tassa sul macinato, oggi pegnava a pagare una forte indennità di guerra, senza però subire mutilazioni quelle sulla benzina o sulle sigarette –: il cittadino le territoriali – la Camera rifiutò di approvarla. La Corona e il governo, presieduto paga indirettamente nel momento in cui acquista una certa merce, il cui prezzo verrà poi in parte versato allo dal moderato Massimo d’Azeglio, decisero di sciogliere la Camera e di indire Stato. Le imposte dirette possono essere proporzionali nuove consultazioni, mentre nel proclama di Moncalieri il re invitava gli eletal reddito e al patrimonio, o progressive, quando la loro tori a scegliersi dei rappresentanti di orientamento più moderato, lasciando inincidenza aumenta con l’aumentare della somma tassata. Le imposte indirette colpiscono invece in egual misura tutti tendere che, in caso contrario, lo stesso Statuto avrebbe corso seri pericoli. i consumatori: per questo sono considerate impopolari, L’intervento era tutt’altro che ortodosso, ma raggiunse il suo scopo. La nuova soprattutto quando si applicano a generi di largo consumo. Camera, formata in maggioranza da moderati, approvò la pace di Milano. La
Vittorio Emanuele II e lo scontro col Parlamento
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C15 L’unità d’Italia
crisi istituzionale fu evitata e l’esperimento liberale poté proseguire senza che, dal punto di vista formale, le norme dello Statuto fossero state violate. Fu così che il governo d’Azeglio poté portare avanti, senza ostacoli da parte della Corona e con l’appoggio della maggioranza parlamentare, l’opera di modernizzazione dello Stato già avviata negli ultimi anni del regno di Carlo Alberto. Una decisione di grande rilievo fu quella di porre fine agli anacronistici privilegi di cui il clero ancora godeva – tribunali riservati, diritto d’asilo per le chiese e i conventi, censura sui libri –, adeguando la legislazione ecclesiastica del Piemonte a quella degli altri Stati cattolici europei. Nella battaglia parlamentare per l’approvazione di queste norme, note come “leggi Siccardi” dal nome del ministro della Giustizia, emerse nelle file della maggioranza liberal-moderata la figura di un nuovo e dinamico leader: il conte Camillo Benso di Cavour, aristocratico e uomo d’affari, proprietario terriero e giornalista, direttore di un combattivo organo di stampa dal titolo «Il Risorgimento».
Il governo d’Azeglio e le leggi Siccardi
Liberalismo e intraprendenza borghese furono le due componenti decisive nella formazione di Cavour. Il suo era un liberalismo moderato dai tratti fortemente pragmatici, molto lontano dai programmi della democrazia ottocentesca. Cavour era infatti convinto che l’ampliamento della partecipazione politica doveva essere attuato con gradualità nell’ambito di un sistema monarchico-costituzionale promotore di riforme e trasformazioni: l’unico antidoto, a suo giudizio, contro la rivoluzione e il disordine sociale. Alla concreta esperienza di uomo d’affari e di imprenditore agricolo, Cavour univa una buona conoscenza delle teorie economiche e vedeva nello sviluppo produttivo la premessa indispensabile per il progresso civile e politico: ammiratore del liberalismo britannico, nutriva quella fiducia pressoché illimitata nella libertà economica che era tipica della moderna cultura borghese [►FS, 120].
Cavour: politico e imprenditore
Il «connubio» e il sistema parlamentare
Cavour entrò a far parte del governo d’Azeglio nel 1850, come ministro per l’Agricoltura e il Commercio. Due anni dopo fu incaricato di formare un nuovo governo (novembre 1852). Prima ancora di diventare presidente del Consiglio dei
PERSONAGGI
Cavour, l’artefice dell’Unità
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amillo Benso di Cavour, il nobile piemontese che puntò sull’Italia, sulla liberalizzazione del proprio Stato, sul progresso economico, sulla diplomazia europea, sulla libertà del Parlamento rispetto al sovrano, nacque a Torino nel 1810. Come secondogenito di nobile famiglia, Camillo fu destinato alla carriera militare e inviato in Accademia nel 1820. Il suo temperamento vivace e perfino ribelle non gli semplificò la vita in quegli anni: refrattario ai regolamenti e ai rituali a cui era costretto insieme ai suoi compagni, quando nel 1824 fu scelto come paggio di Carlo Alberto, un titolo onorifico per cui era necessario però indossare una livrea rossa, fece sapere sdegnoso di ritenersi offeso da quest’obbligo che lo accostava a un valletto più che a uno del suo rango. All’Accademia militare, però, Cavour scoprì pure la sua passione per le discipline scientifiche, che si trasformò ben presto in un’entusiastica fiducia nel progresso
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
e nella tecnica, un elemento fondamentale anche nella formazione politica di Cavour. Questo giovane aristocratico considerava infatti di importanza strategica lo sviluppo economico e istituzionale di un paese e arrivò così a ritenere che a portare benessere a una società fosse il lavoro, e non i nobili oziosi che affollavano le corti d’Italia e d’Europa: erano le classi medie a dover ricevere più attenzioni da parte dello Stato. Conclusa l’Accademia, fu inviato in varie località del Regno come ufficiale del genio militare (la sezione delle forze armate che si occupa
Statuetta di Camillo Benso conte di Cavour XIX sec. [Museo del Risorgimento, Istituto Mazziniano, Genova] Una raffigurazione satirica di Cavour, con barba, occhiali e fisico un po’ obeso, molto somigliante al vero: questa statuina in creta colorata è un piccolo portagioie, con la parte superiore “removibile”.
ministri, Cavour si era reso protagonista di un rovesciamento degli equilibri politici, promuovendo un accordo fra l’ala più progressista della maggioranza moderata, il cosiddetto “centro-destra”, di cui egli stesso era il leader, e la componente più moderata della sinistra democratica, il “centro-sinistra” capeggiato da Urbano Rattazzi. Dal «connubio» (come fu allora definito), nacque una nuova maggioranza di centro, che emarginava sia i clericali-conservatori sia i democratici più radicali. In questo modo Cavour poté ampliare la base parlamentare del suo governo e spostarne l’asse verso sinistra: il che gli consentì non solo di far propria la politica patriottica e antiaustriaca sostenuta fino ad allora dai democratici, ma anche di rendere più incisiva la sua azione riformatrice in campo politico ed economico. Negli stessi anni si affermò in Piemonte un sistema di governo di tipo parlamentare (analogo a quello britannico), che modificava nella prassi lo Statuto albertino facendo dipendere il governo non più esclusivamente dalla fiducia accordatagli dal sovrano, ma anche e soprattutto dal sostegno di una maggioranza in Parlamento. Cavour si adoperò per sviluppare l’economia del suo paese e per integrarla nel più ampio contesto europeo. Premessa essenziale fu l’adozione di una politica decisamente liberoscambista: furono stipulati trattati commerciali con Francia, Belgio, Austria e Gran Bretagna e, fra il ’51 e il ’54, venne gradualmente abolito il dazio sul grano. Notevoli progressi si registrarono anche nel campo delle opere pubbliche: furono costruiti strade e canali ma soprattutto venne sviluppato il sistema dei trasporti ferroviari, favorendo l’espansione del commercio e dell’industria meccanica. Alla vigilia dell’Unità, dopo
I successi della politica economica
della realizzazione delle infrastrutture), addetto ad alcuni lavori di fortificazione. Furono anni inquieti: intrecciò amori e amicizie pericolose dalla Savoia alla Riviera di Ponente, o a Ginevra, ed ebbe scontri durissimi con i suoi familiari per il suo stile di vita e per le sue frequentazioni. Una di queste, il barone Cassio, un liberale che la famiglia provò ad allontanare con ogni mezzo, incoraggiava Cavour a buttarsi in politica nel campo progressista. Dopo scontri violentissimi col padre, Camillo troncò per un breve momento l’amicizia, per poi riprenderla e radicalizzare le sue opinioni liberali contro le posizioni reazionarie di suo padre. Nei lunghi soggiorni in località isolate, del resto, Cavour poteva leggere molti classici del pensiero liberale, soprattutto francesi e inglesi, e così ne scrive in una lettera allo zio svizzero (1829): «Ho letto i libri che mi erano stati dipinti come empii, e non potei non accorgermi del fragile fondamento delle nostre credenze religiose». Estremamente critico dei dogmi cattolici, Cavour finì così per polemizzare sempre più con il
Camillo Benso di Cavour XIX sec. [Château de Sales, Sales] L’impegno politico di Cavour si mise in luce nel 1847 con la fondazione del quotidiano «Il Risorgimento». Nel 1848, il 20 ottobre, Cavour pronunciò il suo primo discorso parlamentare, sostenendo la politica di mediazione e di rinvio delle ostilità contro l’Austria, richiesta invece a gran voce dai democratici.
clero e la sua influenza nel Piemonte assolutista. Allo scoppio della rivoluzione del 1830 a Parigi [►12_6], gli ambienti del liberalismo italiano andarono in fermento e Cavour stesso osservava con impazienza gli avvenimenti sperando in analoghi sviluppi in Piemonte. Dall’osservazione degli eventi francesi maturò le sue convinzioni politiche di sempre: avversione ai metodi violenti in politica; distinzione tra causa liberale, che sosteneva, e causa rivoluzionaria, che rifiutava; preoccupazione per l’ordine sociale ed economico. Per paura di restare coinvolto nella repressione della polizia, decise nel 1831 di abbandonare l’esercito e dedicarsi ai suoi possedimenti. Dimostrò un talento eccezionale, innovando le tecniche agricole e investendo in settori industriali promettenti, non trascurando le solite puntate in Borsa. La sua fama di imprenditore e i contatti presi in ripetuti viaggi in Europa lo lanciarono sulla scena pubblica, come giornalista e come animatore di circoli e salotti politici. Dagli articoli per «Il Risorgimento», un giornale fondato nel 1847 insieme al grup-
po dei patrioti moderati, le sue proposte per la modernizzazione del Piemonte venivano strettamente connesse ora con i destini della nazione italiana. Il giovane conte di Cavour aveva ormai sposato la causa nazionale. La sua carriera politica fu rapidissimamente avviata: nel pieno del 1848 diventava deputato alla Camera e presto leader della Destra moderata, nel 1850 ministro dell’Agricoltura e del Commercio, nel 1852 presidente del Consiglio e di lì fino alla morte regista pressoché incontrastato della politica sabauda. In politica più che mai mise alla prova il suo temperamento da giocatore di Borsa. Convinto com’era che l’unificazione italiana sarebbe dovuta arrivare solo attraverso un moto nazionale non rivoluzionario, preparò la guerra all’Austria e le annessioni dei vecchi Stati con cura certosina, aspettando il momento giusto per schierare le truppe volontarie o quelle dell’esercito, prevedendo le mosse dell’avversario e contando sull’appoggio di un nutrito numero di spie e informatori. Morì solo qualche mese dopo l’Unità, il 6 giugno 1861.
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C15 L’unità d’Italia
Carlo Binelli, Inaugurazione della ferrovia liguresubalpina con l’intervento di sua maestà Vittorio Emanuele II 1854 [Museo del Risorgimento, Istituto Mazziniano, Genova] I governi presieduti da Cavour impressero un notevole impulso alla costruzione della rete ferroviaria. Il 20 febbraio 1854 il re, Cavour e altri ministri presenziarono a Genova all’inaugurazione della ferrovia che collegava la città ligure con Torino. Il treno delle autorità giunse in piazza Caricamento, dove era stato allestito un palco a forma di tempio ottagonale sorretto da colonne corinzie. Le celebrazioni durarono sei giorni, con rappresentazioni teatrali, feste popolari e fuochi d’artificio.
dodici anni di regime liberale, il Piemonte poteva vantare un’agricoltura in fase di espansione e di modernizzazione, tanto da reggere il confronto con quella della Lombardia; un’industria che poneva il Piemonte all’avanguardia degli Stati italiani; un sistema creditizio potenziato intorno a una banca centrale, la Banca nazionale; una rete di trasporti efficiente METODO DI STUDIO e collegata con l’Europa tramite l’avvio della costruzione del traforo del Fréjus; a Cerchia con colori diversi i nomi degli Stati italiani e sottolinea le informazioni relative alla un volume di scambi commerciali con l’estero che, rapportato alla popolazione, loro situazione politica dopo il ’48. era quasi il doppio di quello medio del resto d’Italia. b Individua per ognuno dei temi di seguito alCon il progresso economico e politico il Piemonte divenne inevitabilmente il polo meno tre parole chiave e argomenta la tua scelta di attrazione di moltissimi esuli politici e di intellettuali dal resto d’Italia. Gli per iscritto: a. la legge Siccardi del 1850; b. Camillo Benso di Cavour; c. il «connubio»; d. la politica ecoemigrati parteciparono alla vita politica del Regno, inserendosi nella classe dirinomica del Regno sabaudo. gente piemontese che diventava così sempre più rappresentativa dell’intero paese.
15_2 LA SCONFITTA DEI REPUBBLICANI
L’attività cospirativa dei mazziniani, guidati dal loro leader in esilio a Londra, proseguì nonostante le sconfitte del ’48-49. Ma la repressione austriaca ebbe la meglio come nel drammatico caso delle nove impiccagioni avvenute nella fortezza di Belfiore, presso Mantova, tra la fine del ’52 e l’inizio del ’53. Allora Mazzini, sempre convinto che l’Unità d’Italia dovesse ottenersi attraverso l’insurrezione di popolo [►14_4], ritenne opportuno correggere la sua strategia rafforzando gli aspetti organizzativi e fondando nel 1853, a Ginevra, una nuova formazione politica cui diede il nome di Partito d’azione, quasi a sottolinearne il carattere di puro strumento di battaglia. Nel contempo intensificò i suoi sforzi per crearsi una base fra gli artigiani e gli operai delle città del Nord: molte fra le società operaie di mutuo soccorso nate in questo periodo, soprattutto in Piemonte e in Liguria grazie alla libertà di associazione garantita dallo Statuto, furono infatti controllate dai mazziniani.
I mazziniani e il Partito d’azione
Nel frattempo tra i democratici si diffondeva il dissenso sulla fallimentare strategia mazziniana: vi era chi riteneva ormai necessario evitare un atteggiamento intransigente e puntare su una più ampia collaborazione con tutte le forze interessate al conseguimento dell’unità e chi pensava che si dovesse mirare invece a un programma socialista aperto ai problemi sociali e alle esigenze delle classi subalterne.
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L’ipotesi socialista
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
► Leggi anche: ► Personaggi Giuseppe Garibaldi, il campione della nazione italiana, p. 510
Nel 1851 due libri – La Federazione repubblicana del milanese Giuseppe Ferrari e La guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49 del napoletano Carlo Pisacane – introdussero il tema del socialismo nel dibattito interno al movimento risorgimentale. Sostenevano entrambi che la lotta per l’indipendenza nazionale avrebbe avuto possibilità di successo solo se avesse saputo legare a sé le classi popolari, identificandosi con la loro lotta per l’emancipazione economica e sociale. In particolare Pisacane pensava che l’Italia meridionale offrisse, per le sue caratteristiche di paese arretrato con una borghesia ancora debole, il terreno più adatto per la rivoluzione. Si trattava in realtà di una visione utopistica e velleitaria, come si vide quando cercò di mettere in atto il suo progetto insurrezionale. Nel giugno del 1857 Pisacane si imbarcò a Genova con alcuni compagni su un piroscafo di linea, se ne impadronì e con esso fece rotta verso l’isola di Ponza, sede di un penitenziario borbonico. Accresciuta da circa 300 detenuti liberati dal carcere, la spedizione si diresse verso le coste meridionali della Campania e sbarcò a Sapri, iniziando la marcia verso l’interno. Ma qui i rivoluzionari furono rapidamente sbaragliati dalle truppe borboniche subendo anche la violenza dei contadini che li trattarono come briganti. Pisacane, ferito, si uccise per non cadere prigioniero. Il fallimento della spedizione di Sapri coincise con la nascita di un movimento indipendentista filopiemontese promosso da Daniele Manin – il capo del governo repubblicano di Venezia nel ’48-49 [►14_7] – che puntava all’unione di tutte le correnti, moderate e democratiche, intorno all’unica forza in grado di raggiungere l’obiettivo dell’unità: la monarchia di Vittorio Emanuele II. Alla proposta di Manin, oltre a numerosi esponenti democratici emigrati in Piemonte, aderì anche Giuseppe METODO DI STUDIO Garibaldi, rientrato in Italia nel ’55 dal Sud America. Nel luglio 1857 il movimen a Sottolinea i cambiamenti strategici operati to si diede una struttura organizzativa e assunse il nome di Società nazionale. da Mazzini e cerchia il nome della nuova organizL’associazione dichiarava nel suo manifesto costitutivo di anteporre la causa dell’uzazione da lui fondata. b Spiega sinteticamente chi erano i seguenti nità ad ogni altro obiettivo e di ritenere indispensabile il «concorso governativo personaggi storici e quali programmi e obiettivi propiemontese»: di appoggiare quindi la monarchia sabauda per l’affermazione della ponevano: a. Ferrari; b. Pisacane; c. Manin. causa italiana.
Il fallimento della spedizione di Sapri e la Società nazionale
Giuseppe Sciuti, Morte di Pisacane 1890 [Museo Civico, Catania] Il 28 giugno 1857 una spedizione guidata da Carlo Pisacane approdò a Sapri, in Campania, al grido di «Viva l’Italia! Viva la Repubblica!». Ma
la mancanza di collegamenti con i democratici del Mezzogiorno, l’assenza nella zona di molti braccianti (in passato attivi nella lotta contro le usurpazioni di terre demaniali, ma in quel periodo emigrati per il raccolto), le voci diffuse dal governo partenopeo di una banda di briganti sbarcata per
compiere saccheggi fecero sì che dopo alcuni scontri la spedizione fosse sopraffatta dalle forze borboniche, sostenute dalla popolazione. Molti morirono in combattimento; Pisacane, ferito, si uccise con un colpo di pistola.
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C15 L’unità d’Italia
15_3 L’ALLEANZA FRANCO-PIEMONTESE
E LA SECONDA GUERRA DI INDIPENDENZA
Inizialmente la politica estera di Cavour rimase legata agli obiettivi tradizionali della monarchia sabauda: ampliare i confini del Piemonte verso l’Italia settentrionale, a scapito dei domìni austriaci. Cavour, però, perseguì questa strategia con insolita abilità e spregiudicatezza ottenendo risultati imprevedibili, al di là delle sue originarie intenzioni. Sfruttando al massimo le ambizioni politiche di Napoleone III, riuscì a trascinare la Francia in una guerra contro l’Austria a tutto vantaggio del Piemonte.
La politica estera di Cavour
Questo esito fu ottenuto attraverso alcuni passaggi decisivi. Il primo fu quello di inviare un contingente militare di 18 mila uomini, al comando del generale Alfonso La Marmora, in Crimea al fianco della Gran Bretagna e della Francia, impegnate a difendere l’Impero ottomano dall’espansionismo russo, che rischiava di alterare l’equilibrio tra le potenze e minacciava gli interessi inglesi e francesi in quella zona [►18_1]. In questo modo il Piemonte poté partecipare come Stato vincitore al congresso di Parigi del 1856. In quella sede Cavour sollevò la questione italiana [►FS, 121d], protestando contro la presenza militare austriaca nelle Legazioni pontificie e denunciando il malgoverno dello Stato della Chiesa e del Regno delle Due Sicilie come causa di tensioni rivoluzionarie e, dunque, come minaccia alla pace. A questo punto Cavour poté puntare sulle ambizioni egemoniche di Napoleone III, desideroso di riprendere la politica italiana del primo Napoleone, e anche sulla paura suscitata in lui dalle agitazioni mazziniane. Questi timori trovarono conferma nel gennaio del 1858, quando il repubblicano Felice Orsini attentò alla vita
La guerra di Crimea
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H. Vittori Romano, L’attentato di Felice Orsini contro Napoleone III 1862 [Musée Carnavalet, Parigi] Il 14 gennaio 1858, con alcuni complici, Felice Orsini gettò tre bombe contro la carrozza di Napoleone III che si stava fermando davanti al teatro dell’Opéra a Parigi. Otto persone morirono e 156 rimasero ferite. Rimasto incolume,
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l’imperatore decise di proseguire con il programma della serata recandosi comunque alla rappresentazione del Guglielmo Tell di Rossini. Durante il processo seguito al suo arresto, Felice Orsini tenne di fronte ai giudici un atteggiamento fermo e dignitoso che fece grande impressione sull’opinione pubblica francese: si dichiarò colpevole
e unico responsabile dell’attentato, non si appellò alla clemenza della Corte e non fece domanda di grazia all’imperatore. Gli inviò anzi due lettere, esortandolo al tempo stesso a non abbandonare la causa italiana. L’imperatore fece pubblicare le lettere, lasciando intendere, in questo modo, che gli accordi con il Regno di Sardegna sarebbero stati rispettati.
► Leggi anche: ► Parole della storia Plebiscito, p. 507
dell’imperatore francese con l’intento di vendicare la repressione della Repubblica romana [►14_8]. A quel punto Napoleone III si persuase definitivamente della necessità di una iniziativa francese in Italia per soppiantare l’egemonia austriaca, eliminando al tempo stesso un pericoloso nucleo di tensione rivoluzionaria. La strada era ormai aperta per la conclusione di un’alleanza franco-piemontese, che fu definita in un incontro segreto fra l’imperatore e Cavour svoltosi nel luglio 1858 nella cittadina termale di Plombières. Gli accordi ipotizzavano una nuova sistemazione dell’intera penisola italiana, che avrebbe dovuto essere divisa in tre Stati: un regno dell’Alta Italia comprendente, oltre al Piemonte, il Lombardo-Veneto e l’Emilia-Romagna, sotto la monarchia sabauda, che in cambio avrebbe ceduto alla Francia i territori di Nizza e della Savoia; un regno dell’Italia centrale formato dalla Toscana e dalle province pontificie; un regno meridionale liberato dalla dinastia borbonica (e che sarebbe ricaduto sotto l’influenza francese). S V I Z Al Z Epapa, R A che S V I Z Z E R A avrebbe conservato la sovranità su Roma e dintorni, sarebbe stata offerta la presidenza della futura Confederazione italiana. I guadagni territoriali erano prevalentemente a vantaggio del Piemonte in cambio di un’ipotetica egemonia esercitata dalla Francia sulla nuova sistemazione italiana. Ma per raggiungere questi obiettivi era indispensabile la guerra contro l’Austria. Anzi, era necessario che la guerra apparisse provocata dall’Impero asburgico perché l’alleanza con la Francia potesse diventare operativa. Magenta 1859
L’alleanza con la Francia
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San Martino 1859 Il governo piemontese fece il possibile per far salire la tensione con lo StatoMilano vici-Milano San Martino 1859 Villafranca Solferino 1859 La guerra del 1859 no: particolare effetto suscitarono le manovre militari al confinePoe l’armamento Villafranca Solferino 1859 Pavia Ad Po Pavia di corpi volontari, i Cacciatori delle Alpi, comandati da Garibaldi. E il governo asburgico finì col P DUCATO DI DUCATO cadere nella provocazione inviando, nell’aprile 1859, un duro ultimatum al Piemonte, respinto da D PARMA DI D E PARMA ParmaParma Cavour. Scoppiata la guerra – la seconda guerra d’indipendenza –, le truppe franco-piemontesi G E N G Modena A N Modena A sconfissero gli austriaci a Magenta, aprendosi la via per Milano [► _34]. Un successivo contrattacco DUCATO Bologna austriaco fu respinto, il 24 giugno, nelle due contemporanee, sanguinose battaglie di Solferino Genovae San Bolo DI DUCATO Genova DI MODENA Martino, dove le vittime francesi furono il doppio di quelle italiane. MODENA MAR MAR A questo punto, nonostante la vittoria, Napoleone III, impressionato dai costi umani della guerLIGURE LIGURE ra, timoroso delle reazioni ostili dell’opinione pubblica francese e del possibile intervento della Confederazione germanica, offrì un armistizio agli austriaci che fu accettato e firmato a Villafranca, R
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34_LA SECONDA GUERRA D’INDIPENDENZA I M P E R O
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Jean-Louis-Ernest Meissonier, Napoleone III alla battaglia di Solferino 1859 [Musée d’Orsay, Parigi] Il dipinto rappresenta la battaglia di Solferino, avvenuta il 24 giugno 1859, una tra le più sanguinose battaglie della seconda guerra d’indipendenza italiana. Le truppe francesi e piemontesi sconfissero l’armata austriaca, ma con un tributo di migliaia di morti e feriti da ambo le parti.
presso Verona, l’11 luglio. Con questo accordo l’Impero asburgico rinunciava alla Lombardia e la cedeva alla Francia che l’avrebbe poi “girata” al Piemonte, mantenendo il Veneto e le fortezze di Mantova e Peschiera. Per il resto d’Italia, il trattato prevedeva il ripristino della situazione precedente lo scoppio della guerra: tra aprile e giugno, infatti, una serie di insurrezioni nelle regioni centro-settentrionali della penisola – a Modena, a Bologna, in Romagna e Toscana – aveva costretto alla fuga i vecchi sovrani. La notizia dell’armistizio suscitò lo sdegno dei democratici italiani e colse di sorpresa lo stesso Cavour, che rassegnò subito le dimissioni. A differenza di quanto era accaduto nel ’48, i moti della primavera del ’59 furono saldamente controllati dai moderati e dagli uomini della Società nazionale, e i governi provvisori che subito si costituirono si pronunciarono per l’annessione al Piemonte. Di fronte a questa realtà, dopo alcuni mesi Napoleone III decise di accettare il fatto compiuto capendo che la nuova situazione nell’Italia centro-settentrionale vanificava il progetto definito a Plombières. Cavour, tornato a capo METODO DI STUDIO del governo nel gennaio 1860, poté così negoziare la cessione alla Francia di a Spiega per iscritto cosa stabilivano gli accordi di Plombières e quali effetti ebbero sugli eventi Nizza e della Savoia – cui il Piemonte non era più tenuto dopo Villafranca – in successivi. cambio dell’assenso francese alle annessioni del Granducato di Toscana, dei b Sottolinea le informazioni principali relative Ducati di Modena e di Parma, delle Legazioni pontificie. Nel marzo dello stesso ai seguenti temi affrontati nel paragrafo: a. gli obietanno, le popolazioni di Emilia, Romagna e Toscana, chiamate a scegliere, nella tivi di Cavour in politica estera; b. la guerra di Crimea e la liberazione dell’Italia dal dominio austriaco; c. forma del plebiscito, fra l’annessione al Piemonte e la creazione di regni separagli accordi tra Cavour e Napoleone III; d. il plebiscito. ti, si pronunciarono a schiacciante maggioranza per la soluzione unitaria.
Le annessioni dell’Italia centro-settentrionale
15_4 I MILLE E LA CONQUISTA DEL MEZZOGIORNO
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L’organizzazione della spedizione in Sicilia
Con la cessione alla Francia dei suoi territori d’oltralpe – in particolare della Savoia, terra di origine della casa regnante, ma abitata da popolazioni di lingua francese – e dopo le annessioni della Lombardia, dell’Emilia-Romagna e della Toscana, lo Stato sabaudo aveva posto le premesse di uno Stato nazionale italiano. Questi
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risultati sollecitarono i democratici a rilanciare l’iniziativa rivoluzionaria nel Mezzogiorno e nello Stato della Chiesa. Esclusa l’opportunità di un’azione nei confronti di Roma, protetta da truppe francesi, si ripropose l’idea di una spedizione di volontari nel Regno delle Due Sicilie dove, nel maggio del ’59, era salito al trono il giovane Francesco II. Furono due mazziniani siciliani esuli in Piemonte, Francesco Crispi e Rosolino Pilo, a concepire il progetto di una spedizione in Sicilia come prima tappa di un movimento insurrezionale che avrebbe dovuto estendersi al continente. I due cercarono da una parte di organizzare una rivolta locale prima dello sbarco dei volontari, dall’altra di assicurarsi un’efficiente guida politica e militare e di garantirsi nel contempo un qualche appoggio del governo piemontese. Ai primi di aprile del 1860, un’insurrezione popolare scoppiava a Palermo. Mentre Pilo accorreva in Sicilia per assumere la direzione del moto, sanguinosamente represso nel capoluogo, ma attivo nelle campagne nella forma della guerriglia contadina, Crispi riuscì a convincere un esitante Garibaldi ad assumere la guida della spedizione. Garibaldi era non solo il capo militare più prestigioso di cui disponesse il movimento nazionale, ma anche l’unico leader capace di unificare attorno a sé le diverse componenti dello schieramento unitario, dai democratici intransigenti ai moderati filocavouriani. Quando accettò di capeggiare la spedizione in Sicilia, Garibaldi era l’unico fra i leader democratici in grado di assicurare qualche possibilità di riuscita all’impresa, ritenuta estremamente rischiosa. Cavour, che temeva le complicazioni internazionali e vedeva nella spedizione un’occasione di rilancio per i mazziniani, la avversò pur senza far nulla per impedirla. Vittorio Emanuele II, che guardava invece con favore al tentativo di Garibaldi, non poté intervenire concretamente in suo aiuto.
Il ruolo di Garibaldi
La spedizione fu così preparata in fretta, con scarso equipaggiamento e pessimo armamento. Nella notte fra il 5 e il 6 maggio 1860, poco più di mille volontari, provenienti da diverse regioni – ma in maggioranza settentrionali – e di varia estrazione sociale (borghese-intellettuale, operaia o artigiana), in larga parte veterani delle campagne del ’48 e del ’59, partirono da Quarto presso Genova, dopo essersi impadroniti di due navi a vapore, la Piemonte e la Lombardo. Pochi giorni dopo, eludendo la sorveglianza della flotta borbonica, i volontari
La spedizione dei Mille
Parole della storia
Plebiscito
N
ella Roma repubblicana con il termine plebiscitum (“decisione della plebe”) si indicavano le deliberazioni che venivano espresse in assemblea dalla plebe, e che, in alcuni casi, assumevano valore di legge. Il termine riapparve nella Francia rivoluzionaria per indicare un solenne pronunciamento del popolo, unico depositario della sovranità. Il primo vero plebiscito dell’età moderna fu quello a cui Napoleone Bonaparte fece ricorso per legittimare a posteriori il colpo di Stato del 1799. Anche le successive tappe della costruzione del potere napoleonico – dalla nomina a Primo console in quello stesso anno all’assunzione del titolo imperiale nel 1804 – furono segnate da plebisciti:
si trattava di consultazioni popolari, a suffragio universale maschile, in cui gli elettori dovevano semplicemente approvare decisioni già prese, conferendo ad esse la ratifica della sovranità popolare. L’istituto del plebiscito fu ripreso in Francia da Luigi Napoleone Bonaparte, che ripercorse un cammino analogo a quello del primo Napoleone. Successivamente la monarchia sabauda se ne servì per legittimare le annessioni con cui nacque e poi si ingrandì il Regno d’Italia e per rendere omaggio al principio della sovranità popolare, rompendo con la tradizione della monarchia per diritto divino. Gli elettori furono chiamati a pronunciarsi con un «sì» o con un «no», senza alcuna garanzia di segretezza del voto, sulla scelta di una «Italia una e indivisibile con Vittorio Emanuele re costituzionale». Nel ’900 il ricorso alle forme
plebiscitarie fu ampiamente praticato dai regimi totalitari, come quello fascista in Italia e quello nazista in Germania. In Italia ebbero, per esempio, forma plebiscitaria le elezioni fasciste del 1929 e del 1934: gli elettori potevano solo approvare o rifiutare in blocco i candidati di una lista unica. Da allora il termine, usato per lo più in senso negativo, sta a indicare lo strumento di cui si servono i regimi autoritari per trovare una legittimazione popolare e rafforzare così il ruolo del capo, senza correre i rischi connessi alla libera espressione del voto democratico, che presuppone la possibilità di scegliere senza costrizioni fra alternative reali. Più in generale si parla di “voto plebiscitario” o di “consenso plebiscitario” per designare l’esito schiacciante (e per questo a volte sospetto) di una consultazione elettorale.
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C15 L’unità d’Italia
sbarcavano a Marsala [► _35], nell’estremità occidentale della Sicilia, e penetravano nell’interno, accolti con entusiasmo dalla popolazione. Il 15 maggio, a Calatafimi, le colonne garibaldine, accresciute da poche centinaia di insorti siciliani, nonostante l’inferiorità numerica, riuscirono a battere un contingente borbonico. Galvanizzati dal successo, i volontari puntarono su Palermo e la raggiunsero dopo una difficile marcia fra le montagne. All’arrivo delle avanguardie garibaldine, la città insorse contro i Borbone. Alla fine di maggio, dopo tre giorni di combattimenti, le truppe governative furono costrette ad abbandonare la città dove Garibaldi – che appena sbarcato in Sicilia aveva assunto la dittatura in nome di Vittorio Emanuele II – proclamò la decadenza della monarchia borbonica. Mentre nell’isola si formava un governo civile provvisorio sotto la guida di Crispi e si tentava di mettere in moto un primo processo di riforma sociale (riduzione del carico fiscale, assegnazione di terre ai contadini combattenti nelle file garibaldine), nell’Italia settentrionale si raccoglievano uomini e mezzi da inviare in Sicilia: fra giugno e luglio sbarcarono a Palermo quasi 15 mila volontari. Col loro apporto, Garibaldi poté muovere all’attacco delle truppe borboniche e sconfiggerle, il 20 luglio, a Milazzo, costringendole a rifugiarsi sul continente. Nel giro di poche settimane, l’impresa garibaldina aveva assunto le dimensioni di una vera e propria epopea, cui gran parte dell’opinione pubblica europea guardava con simpatia e ammirazione [►FS, 122]. La rapidità con cui era stato abbattuto il regime borbonico in Sicilia aveva inoltre colto di sorpresa la diplomazia delle grandi potenze e aveva costretto Cavour e i moderati italiani a rivedere la loro strategia e a immaginare un’ulteriore politica di annessioni. Il clima di entusiastica concordia che aveva accolto i garibaldini al loro sbarco in Sicilia si era dissolto quando i contadini avevano intravisto la possibilità di liberarsi non solo dal malgoverno borbonico, ma anche dal secolare sfruttamento cui li condannava una struttura sociale ancora semifeudale: era così scoppiata una serie di violente agitazioni. Dal canto loro, Garibaldi e i suoi collaboratori avevano cercato di venire incontro alle esigenze dei contadini, ma senza mettere in discussione il quadro dei rapporti di proprietà. Nacque così un contrasto insanabile, sfociato in episodi di dura repressione: il più noto si verificò ai primi di agosto nella cittadina di Bronte, ai piedi dell’Etna. Dopo alcuni giorni di rivolta, incendi e saccheggi, e il massacro di alcuni notabili, i supposti capi dei ribelli furono sommariamente processati e fucilati per ordine di Nino Bixio, braccio destro di Garibaldi. Intanto i proprietari terrieri, spaventati dalle agitazioni agrarie, guardavano sempre più all’annessione al Piemonte come all’unica efficace garanzia per la tutela dell’ordine sociale.
I contrasti con i contadini in Sicilia
La conquista di Napoli
Fino a tutta l’estate del 1860, l’iniziativa restò nelle mani di Garibaldi che riuscì a sbarcare in Calabria e poi risalì rapidamente la penisola senza che l’esercito
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Tetar van Elven, La partenza dei Mille 1889 [Museo del Risorgimento, Istituto Mazziniano, Genova] Il tema della “partenza dei Mille”, molto frequente fra gli artisti del Risorgimento, è qui raffigurato con toni pacati, lontani dagli accenti enfatici con cui è di solito trattato. L’autore ci dà un quadro realistico dell’evento, con molti dei personaggi riconoscibili; i protagonisti appaiono tutti sullo stesso piano e anche l’immagine di Garibaldi è evidenziata solo da un piccolo bagliore di luce, a sottolineare che i protagonisti del quadro sono proprio loro, i “Mille” volontari.
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SAVOIA Torino
borbonico, ormai in via di disgregazione, fosse in grado di opporgli un’efficace resistenza. Il 6 Genova settembre, Francesco II abbandonò la capitale per rifugiarsi nella fortezza di Gaeta. CONTEAIl giorno DI NIZZA dopo Garibaldi fece il suo ingresso trionfale a Napoli. Cavour si trovò ancora una volta battuto sul tempo. Napoli liberata rischiava di trasformarsi in un quartier generale dei democratici – dove giunsero anche Mazzini e Cattaneo – e di diventare la base per una spedizione nello Stato della Chiesa. Un’impresa che avrebbe provocato l’intervento francese e che, se avesse avuto successo, avrebbe potuto mettere in discussione l’assetto monarchico e moderato dello stesso Regno sabaudo.
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Regno di Sardegna territori ceduti alla Francia nel 1860 Bologna territori annessi al Regno di Sardegna a seguito SAN MARINO della seconda guerra d’indipendenza Firenze territori borbonici e pontifici annessi Ancona al Regno di Sardegna a seguito della spedizione Castelfidardo garibaldina e dell’intervento piemontese TOSCANA territoriMARCHE ceduti dall’Austria a seguito della terza guerra d’indipendenza Talamone Pescara territori occupati dal Regno d’Italia nel 1870
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Regno di Sardegna territori ceduti alla Francia nel 1860 territori annessi al Regno di Sardegna a seguito della seconda guerra d’indipendenza territori borbonici e pontifici annessi al Regno di Sardegna a seguito della spedizione garibaldina e dell’intervento piemontese territori ceduti dall’Austria a seguito della terza guerra d’indipendenza territori occupati dal Regno d’Italia nel 1870 itinerario dei piemontesi itinerario dei Mille battaglie
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Garibaldi sbarca a Marsala (11 maggio 1860) e giunge a Caserta, dove il 9 novembre 1860 scioglie il suo esercito di volontari. Alle annessioni seguite alla spedizione garibaldina e all’intervento piemontese, nel 1866 e nel 1870 si aggiungono rispettivamente quelle del Veneto e del Lazio. La Venezia Giulia e il Trentino restano, invece, ancora all’Austria.
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Regno di Sardegna territori ceduti alla Francia nel 1860 territori annessi al Regno di Sardegna a seguito della seconda guerra d’indipendenza territori borbonici e pontifici annessi al Regno di Sardegna a seguito della spedizione
Reggio C.
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35_LA SPEDIZIONE DEI MILLE E L’ITALIA UNITA
Torino
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EMILIA
Franz Wenzel, Garibaldi entra a Napoli il 7 settembre 1860 1860-75 [Museo Civico di Castel Nuovo, Napoli]
SAVOIA
Quarto
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Venezia
Custoza
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VENETO
LOMBARDIA Milano
Non restava, per il governo piemontese, altra scelta se non quella di prevenire l’iniziativa garibaldina con un intervento militare. In settembre – dopo che Cavour ebbe ottenuto l’assenso di Napoleone III, impegnandosi a non minacciare Roma e il Lazio – le truppe regie invasero l’Umbria e le Marche e sconfissero l’esercito pontificio nella battaglia di Castelfidardo. Ai primi di ottobre, mentre Garibaldi batteva i borbonici nella grande battaglia campale del Volturno, l’esercito sabaudo iniziò la marcia verso il Sud. Pochi giorni dopo, il Parlamento piemontese approvò quasi all’unanimità una legge proposta da Cavour, che autorizzava il governo a decretare l’annessione, senza condizioni, di altre regioni italiane allo Stato sabaudo, purché le popolazioni interessate esprimessero la loro volontà in tal senso mediante plebisciti. L’iniziativa tornava così – e questa volta definitivamente – nelle mani di Cavour e dei moderati. Il 21 ottobre, in tutte le province del Mezzogiorno continentale e in Sicilia – e, due settimane dopo, anche nelle Marche e in Umbria – si tennero plebisciti a suffragio universale maschile nella forma voluta da Cavour: agli elettori non veniva lasciata altra scelta che quella di acMETODO DI STUDIO cettare o respingere “in blocco” l’annessione allo Stato sabaudo con la sua forma a Individua le tappe che segnarono la realizdi governo, i suoi ordinamenti, le sue leggi. Molto ampia (75-80%) fu l’affluenza zazione della spedizione in Sicilia, numerale e alle urne e addirittura schiacciante – tanto da giustificare qualche sospetto sulla rendile riconoscibili indicando per ognuna di regolarità delle operazioni di voto e di scrutinio – la maggioranza dei «sì». esse un titoletto al lato del testo. b Realizza uno schema relativo alla spedizione A Garibaldi non restò che attendere l’arrivo dei piemontesi – l’incontro con dei Mille seguendo la traccia delle 5W (Chi? CoVittorio Emanuele II avvenne a Teano, presso Caserta, il 25 ottobre – per cedere sa? Dove? Quando? Perché?). loro ogni responsabilità nel governo delle province liberate. Mentre Garibaldi si c Spiega per iscritto chi era Giuseppe Garibaldi, quale fu il suo ruolo nelle vicende descritte e quali ritirava sull’isola di Caprera in volontario isolamento rinunciando a ogni progetfurono le motivazioni degli ostacoli che incontrò nelto di liberare Roma e Mazzini partiva per l’ennesimo esilio, l’esercito sabaudo la realizzazione dei suoi intenti. eliminava le ultime resistenze borboniche.
L’intervento militare piemontese e i plebisciti di annessione
PERSONAGGI
Giuseppe Garibaldi, il campione della nazione italiana
L
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a vita di Giuseppe Garibaldi abbracciò gli eventi principali del XIX secolo. Nacque nel 1807 a Nizza, antico porto della Savoia e del Piemonte. Suo padre era proprietario di una tartana, un’imbarcazione impiegata per il commercio marittimo, grazie alla quale era in grado di mantenere in condizioni agiate la famiglia. Peppino, come veniva chiamato in famiglia, era destinato a diventare un professionista, un notabile, e per questo motivo era stato inviato a Genova. Ben presto fu chiaro che non aveva l’indole dello studioso e più volte si ribellò alla disciplina scolastica. Dopo l’ennesima ragazzata, appena adolescente ottenne finalmente dal padre il permesso di abbandonare gli studi. Cominciava così la vita da marinaio di Giuseppe Garibaldi. Oltre che sulla piccola tartana paterna, già a sedici anni cominciò a imbarcarsi su grandi navi commerciali. Fu un’esperienza esaltante. Conobbe le coste del Mar Egeo e del Mar Nero fino a Taganrog, in Crimea; si spinse oltre lo Stretto di Gibilterra fino alle Cana-
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rie; visse tre anni a Costantinopoli; fu assalito più volte dai pirati ed ebbe il suo battesimo del fuoco, il primo combattimento. I lunghi viaggi per mare non furono solo l’occasione per mettere alla prova la sua sete di avventure e il suo coraggio. Sulle sue navi capitarono anche esuli e rivoluzionari che lo incoraggiavano a farsi una coscienza politica. Non è però ancora chiaro come avvenne la sua conversione al mazzinianesimo e al movimento nazionalista italiano in genere – non scontata per chi come lui era nato nella Nizza amministrata dai francesi e aveva imparato a esprimersi bene in italiano solo in seguito. Con ogni probabilità, proprio per propagandare le idee di Mazzini abbandonò la carriera mercantile ed entrò nella marina sabauda. Fu però coinvolto in una rivolta organizzata a Genova dalla Giovine Italia nel 1834 e costretto a riparare a Marsiglia, dove presto apprese di essere stato condannato a morte per i fatti di Genova. Costretto a vivere sotto falso nome e in difficoltà economiche, l’anno successivo
prese ancora la via del mare, imbarcandosi nell’equipaggio di una nave diretta a Rio de Janeiro. In America del Sud trascorse gli anni centrali della vita, dai ventotto ai quarant’anni. Qui divenne un eroe: nel 1837 aderì alla causa indipendentista della regione del Rio Grande do Sul, radunò un equipaggio su una barca battezzata significativamente Mazzini e tormentò di attacchi corsari le imbarcazioni brasiliane. Furono quattro anni passati a combattere per mare e per terra, pieni di esperienze anche tragiche, come quando venne imprigionato e torturato. In questo difficile contesto conobbe anche Anita (Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva), che abbandonò il marito per seguire questo rivoluzionario italiano un po’ insolente. Si sarebbero sposati solo nel 1842, quando Anita restò vedova. Quando la battaglia per l’indipendenza del Rio Grande fu perduta, la famiglia Garibaldi si trasferì in Uruguay, a Montevideo, ma anche qui venne presto coinvolta in una guerra, quella degli uruguaiani contro la Confederazione argentina. L’eco delle sue imprese arrivò in tutta Europa e nelle comunità italiane di tutto il mon-
15_5 L’UNITÀ D’ITALIA: CARATTERI E LIMITI
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Il 17 marzo 1861, il primo Parlamento proclamava Vittorio Emanuele II re d’Italia «per grazia di Dio e volontà della nazione». L’Italia era ormai uno Stato unitario, con capitale Torino, ma al suo completamento territoriale mancava tutto il Veneto (il confine con l’Austria correva lungo il lago di Garda e il fiume Mincio) e il Lazio con Roma. Grazie alle annessioni l’Italia unita si presentava come il risultato dell’ampliamento di uno Stato regionale rivelatosi forte e dinamico al punto da poter assorbire territori di gran lunga più ampi e popolazioni molto più numerose rispetto al suo nucleo originario, imponendo all’intero paese il proprio sovrano e le proprie istituzioni, leggi e ordinamenti. A questo risultato si era arrivati non solo per l’iniziativa militare e diplomatica del Piemonte o per l’azione di un uomo politico geniale come Cavour, ma anche per l’ampia mobilitazione di un’opinione pubblica che coinvolgeva gli strati sociali più attivi e più dinamici d’Italia, seppur minoritari: intellettuali, studenti, ceti popolari urbani politicizzati e soprattutto una borghesia produttiva desiderosa di creare quel mercato nazionale che era considerato una premessa indispensabile allo sviluppo economico. Per quanto minoritaria nel paese, questa opinione pubblica era largamente disseminata anche per la presenza degli innumerevoli centri urbani, grandi e piccoli, che da secoli caratterizzavano l’Italia e che ospitavano élite illuminate e favorevoli al risorgimento nazionale.
Il Regno d’Italia
► Atlante Società ed economia nell’Italia unita ► Personaggi Giuseppe Garibaldi, il campione della nazione italiana, p. 510
In Italia, dunque, lo Stato nazionale nacque dalla combinazione di un’iniziativa dall’alto – la politica di Cavour e l’egemonia del Piemonte sabaudo – e di un’iniziativa dal basso – le insurrezioni nell’Italia centrale e la spedizione garibaldina nel Sud. E l’esito dei plebisciti, per quanto forzati dagli avvenimenti e solo parzialmente rispettosi dei reali orientamenti delle popolazioni coinvolte, rappresentò un omaggio all’idea della sovranità
I caratteri dell’unificazione
do. Fu uno dei primi uomini nella storia a raggiungere una fama mondiale attraverso i nuovi mezzi di comunicazione, litografie, fotografie e stampe in primo luogo. Giornalisti delle principali testate internazionali gli davano la caccia per raccon-
tarne le gesta. Mazzini ne intuì il possibile ruolo nel movimento nazionale, e ne scrisse in questi termini in una lettera a un compagno del 1843: «Garibaldi è un uomo di cui il paese dovrà giovarsi per l’azione». Nel 1848 Garibaldi rientrò in Italia in piena rivoluzione e offrì subito la sua spada a Carlo Alberto, che la rifiutò. Partecipò così alla prima guerra d’indipendenza sotto le bandiere del governo provvisorio milanese [►14_7]. Seguì poi l’ondata rivoluzionaria fino alla difesa epica della Repubblica romana e in un di-
La “santificazione” di Garibaldi Questa testata di un calendario del 1863 fa parte di una cospicua serie di stampati destinati ai ceti meno abbienti delle città e delle campagne, il cui valore documentario risiede nell’evidente intento di litografi e incisori di interpretare i sentimenti e i gusti di larghe fasce della popolazione.
sperato tentativo di sfuggire alla caccia degli austriaci perse Anita, morta nelle valli di Comacchio. Garibaldi avrebbe avuto altre due mogli, ma l’epopea nazionale avrebbe ricordato solo questa amazzone brasiliana. Le imprese del 1848-49 lo consacrarono come campione della nazione italiana, l’eroe condottiero, ma lo convinsero pure che fosse necessario collaborare di più con lo Stato sabaudo. L’autonoma iniziativa della spedizione dei Mille, che portò alla conquista della Sicilia e dell’Italia meridionale, contribuì ulteriormente alla sua fama. Dopo l’Unità la sua fedeltà al governo sabaudo fu incrinata dai tentativi di conquistare Roma con legioni di volontari. Due volte sconfitto, si ritirò definitivamente a Caprera, dove aveva comprato una grande proprietà. Faceva comunque sentire la sua voce per sostenere le correnti democratiche italiane o per pronunciarsi in favore del socialismo. Nel frattempo, oltre che alle sue memorie, si era dedicato alla redazione di alcuni romanzi, che ebbero un discreto successo. Dopo la morte, nel 1882, fu utilizzato da forze politiche diversissime come propria bandiera, un segno ulteriore del fascino che fu capace di suscitare.
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popolare. Nell’incontro fra la componente democratica e la componente moderata e dinastica, quest’ultima alla fine risultò nettamente vincente: ma senza le rivoluzioni democratiche che l’avevano preceduto, l’esito dell’Unità non sarebbe stato possibile. Un ruolo decisivo ebbero anche i fattori internazionali: in primo luogo l’intervento della Francia di Napoleone III, che combatté nel ’59 una guerra a totale beneficio del Piemonte [►15_3], a cui si aggiunsero l’isolamento del Regno delle Due Sicilie e dello stesso Impero asburgico, e la sostanziale neutralità della Gran Bretagna. Un decisivo contributo alla causa italiana venne, infine, dalla solidarietà internazionale mostrata da parte di uomini e donne provenienti da diversi paesi europei e non [►FS, 123] che parteciparono al Risorgimento come volontari o vi contribuirono attraverso un’opera di propaganda ideologica. Se dunque la mobilitazione risorgimentale aveva riportato un indiscutibile successo proprio in virtù dell’intreccio positivo delle sue due principali componenti, una parte consistente degli italiani aveva subìto o si era adattata di malavoglia al nuovo corso. In primo luogo il cattolicesimo organizzato della Chiesa romana e delle istituzioni ecclesiastiche, che avrebbero visto di lì a poco (1866-67) la requisizione e la vendita delle loro proprietà a vantaggio delle finanze del nuovo Stato. Incombeva inoltre la conquista di Roma, acclamata capitale italiana dal Parlamento già il 27 marzo 1861, il che avrebbe segnato la fine di quel che rimaneva dello Stato pontificio e del secolare potere temporale dei papi. Tra gli sconfitti vanno ricordati anche tutti i nostalgici degli antichi regimi assolutistici e i difensori delle dinastie abbattute: tra questi si contavano molti nobili, ufficiali e funzionari, ma anche strati di popolo minuto e di contadini, legati alla monarchia borbonica. Le campagne erano rimaste in tutta Italia, come sappiamo, sostanzialmente estranee al movimento nazionale. Quando le agitazioni contadine, spesso violente, esplosero in Sicilia alimentate dalle speranze che il cambiamento legato alla spedizione garibaldina favorisse il recupero delle terre comuni usurpate dalla nobiltà e dalla borghesia, la repressione apparve giustificata e inevitabile, non solo a Bronte, come abbiamo visto, ma anche in altre località del catanese. Del resto persisteva un’estraneità incolmabile tra le agitazioni sociali ed economiche di quella parte del mondo contadino – così diversa dal resto d’Italia – e il programma politico di moderati e democratici volti a realizzare l’obiettivo primario della loro azione, l’unità e l’indipendenza. A ciò si aggiungeva il timore del possibile ripetersi di rivolte sociali nelle campagne (come era già accaduto in Sicilia nel 1820 e nel 1848) col rischio di una loro evoluzione reazionaria e filoborbonica, mentre andava evitata accuratamente una cesura con le classi dirigenti locali.
Vincitori e vinti
Cesare Bartolena, La partenza dei volontari garibaldini per la guerra di indipendenza italiana il 9 giugno 1860 1872 [Museo Civico Giovanni Fattori, Livorno] Come mostra questa grande tela del 1872 del livornese Cesare Bartolena (18301903), le immagini della storia risorgimentale, con i suoi eroi e le sue battaglie, restarono radicate a lungo nell’immaginario collettivo anche dopo il compimento dell’Unità. Commissionata al pittore da un gruppo di livornesi costituitosi in comitato per farne dono alla città, l’opera raffigura la partenza, il 9 giugno 1860, dell’ultimo contingente di volontari toscani alla volta di Palermo in sostegno di Garibaldi. L’orgoglioso sentimento patriottico alla base della commissione è però minimizzato dal realismo quasi fotografico della scena. Il gruppo di uomini in riva alla spiaggia è colto in atteggiamenti e gesti ordinari: c’è chi si arrotola i pantaloni per non bagnarsi, chi raggiunge le imbarcazioni a cavalcioni del compagno, chi si attarda per salutare gli amici o semplicemente riposa. Bartolena abbandona il tono eroico di altre rappresentazioni delle imprese risorgimentali, per restituire allo spettatore la verità oggettiva, ma non per questo banale, degli eventi.
Per l’Italia unita cominciava allora a porsi il problema di un confronto con il resto d’Europa, innanzitutto per garantire la continuità del nuovo Stato unitario, per trovare un proprio ruolo tra le potenze e per ottenere senza troppi contrasti il completamento dell’Unità. Rispondere alle ambizioni, spesso dense di retorica nazionale, di un paese politicamente giovane si sarebbe rivelato meno agevole del previsto, mentre METODO DI STUDIO duratura e spesso radicale rimase la divisione tra i vincitori e gli sconfitti del a Cerchia la data della proclamazione del primo Risorgimento. re d’Italia e sottolinea gli elementi che hanno porL’unità rappresentò in ogni caso una decisiva svolta modernizzatrice per l’Itatato al raggiungimento dell’Unità nazionale. lia, tanto sul piano delle istituzioni politiche quanto su quello delle prospettive b Sottolinea con colori diversi i “vincitori” e i “vinti” del processo di unificazione nazionale e economiche, anche se la costruzione del nuovo Stato avrebbe richiesto scelte spiega per iscritto le relative posizioni. difficili e altri momenti conflittuali [►FS, 124].
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L’Italia in Europa
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SINTESI
15_1 IL PIEMONTE LIBERALE DEL CONTE DI CAVOUR Mentre la fine dei moti rivoluzionari vedeva anche la fine degli esperimenti riformatori e dello sviluppo economico nei vari Stati, in Piemonte venne conservato il regime costituzionale e intrapresa un’opera di modernizzazione, a partire dai rapporti con la Chiesa (leggi Siccardi). Nel 1852 Cavour divenne presidente del Consiglio: si affermava, così, un politico dai vasti orizzonti culturali e dall’ampia conoscenza dei problemi economici, animato dalla fede in un liberalismo pragmatico e moderno. Spostato a sinistra l’asse del governo con il cosiddetto «connubio» CavourRattazzi, il nuovo presidente del Consiglio pose mano anzitutto alla modernizzazione economica del paese, attraverso la liberalizzazione degli scambi, il sostegno dello Stato all’industria, le opere pubbliche. La conservazione delle libertà costituzionali, lo sviluppo economico, l’accoglienza data agli esuli provenienti dagli altri Stati italiani fecero del Piemonte cavouriano il punto di riferimento per l’opinione pubblica liberale di tutta la penisola.
15_2 LA SCONFITTA DEI REPUBBLICANI Dopo le sconfitte del ’4849, proseguì instancabile l’attività di Mazzini, volta al raggiungimento dell’indipendenza e dell’unità
per via insurrezionale. I tragici insuccessi contro cui la sua strategia si scontrò per un verso indussero la nascita del Partito d’azione – con cui Mazzini tentava un rafforzamento degli aspetti organizzativi del movimento –, ma per l’altro fecero crescere i dissensi entro il movimento democratico. Si affacciava, soprattutto con Pisacane, un’ipotesi “socialista” di liberazione nazionale. Pisacane organizzò nel 1857 una spedizione nel Sud. Il tragico esito della spedizione – dovuto soprattutto all’ostilità delle popolazioni locali – sollecitò l’iniziativa di quegli esponenti democratici che vedevano nell’alleanza con la monarchia sabauda l’unica possibilità di successo: nel 1857 si costituì così la Società nazionale, un’associazione che riteneva fondamentale l’intervento sabaudo per la causa italiana.
15_3 L’ALLEANZA FRANCO-PIEMONTESE E LA SECONDA GUERRA DI INDIPENDENZA Dopo aver ottenuto un successo diplomatico dalla partecipazione piemontese alla guerra di Crimea, Cavour si convinse che era indispensabile l’appoggio di Napoleone III per scacciare gli austriaci dalla penisola. Favorito dagli effetti che ebbe sull’imperatore il fallito attentato alla sua vita compiuto dal repubblicano Orsini nel 1858, Cavour strinse con Napoleone III un accordo a Plombières (1858), un’alleanza militare in vista della guerra contro l’Austria, che scoppiò nell’aprile dell’anno successivo. Le sorti del conflitto volsero subito a favore dei francopiemontesi. Ma l’armistizio di Villafranca – improvvisamente
stipulato da Napoleone III con l’Austria – assegnava allo Stato sabaudo la sola Lombardia. Fu grazie alla nuova situazione creata dalle insurrezioni nell’Italia centro-settentrionale che il Piemonte poté ottenere anche Emilia, Romagna e Toscana.
15_4 I MILLE E LA CONQUISTA DEL MEZZOGIORNO Rimanevano scontenti i democratici, che cominciarono a pensare a una prosecuzione della lotta attraverso una spedizione nel Mezzogiorno. Nel maggio 1860 Garibaldi sbarcò in Sicilia con mille volontari e, sconfitte le truppe borboniche, formò un governo provvisorio. Spaventati dalle agitazioni agrarie, i proprietari terrieri siciliani guardarono con favore all’annessione al Piemonte. Dopo lo sbarco di Garibaldi in Calabria e il suo ingresso a Napoli, divenne urgente per il governo piemontese un’iniziativa al Sud tale da evitare complicazioni internazionali e garantire alla monarchia sabauda il controllo della situazione. Con l’intervento dell’esercito piemontese, i plebisciti e le annessioni, la situazione del Sud venne così ricondotta entro i binari della politica cavouriana.
aveva come capitale Torino e appariva come il risultato del progressivo ampliamento di uno Stato regionale, il Regno sabaudo. A favorire questo processo furono da un lato la politica di Cavour e del Piemonte – un’iniziativa diretta dall’alto –, dall’altro le azioni insurrezionali nel Centro Italia e la spedizione dei Mille in Sicilia – iniziative condotte invece dal basso. Importante fu anche il contesto internazionale: la neutralità della Gran Bretagna, la scelta di Napoleone III di intervenire in Italia a favore del Piemonte, l’isolamento del Regno delle Due Sicilie e dell’Impero asburgico. Ora l’Italia doveva ritagliarsi un ruolo in Europa e agire per ottenere senza contrasti il completamento dell’Unità a cui mancavano ancora il Veneto e Roma.
15_5 L’UNITÀ D’ITALIA: CARATTERI E LIMITI Il 17 marzo 1861, Vittorio Emanuele II fu proclamato re d’Italia. Il nuovo Stato
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SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Completa lo schema sulla figura politica di Cavour scegliendo l’espressione corretta fra quelle indicate tra parentesi. CARATTERISTICHE SOCIALI
● ................................ (aristocratico/borghese) ● proprietario terriero ● imprenditore ● ................................ (giornalista/banchiere)
INCARICHI POLITICI
● ministro dell’................................. (Agricoltura/Industria) ● capo ............................. (del governo/dell’esercito) CAVOUR IDEOLOGIE POLITICHE
● ● fautore di riforme ................................ (moderate e graduali/rivoluzionarie) ● sostenitore della ................................. (repubblica democratica/monarchia costituzionale) ● sostenitore di una politica economica ................................ (liberoscambista/statalista) ................................ (assolutismo illuminato/liberale moderato)
OPERE E PROVVEDIMENTI REALIZZATI
● trattati commerciali con ................................ (Francia, Gran Bretagna, Belgio e Austria/Spagna, Gran Bretagna e Belgio)
● abolisce il dazio sul ................................ (grano/sale) ● realizza opere pubbliche quali: ................................ (strade, canali, ferrovie/ponti, autostrade, ferrovie)
● crea una ................................ (corporazione degli industriali/Banca nazionale) 2 Seleziona la frase opportuna per completare correttamente le affermazioni di seguito che affrontano la politica estera
di Cavour e la seconda guerra d’indipendenza.
1. Cavour non aveva tra i suoi obiettivi l’unità italiana, ma... a. la cacciata degli austriaci perché di religione protestante. b. l’ampliamento dei confini del Piemonte a danno degli austriaci. c. la creazione di uno Stato federale con a capo il papa. 2. All’invito di Francia e Inghilterra di associarsi alla guerra di Crimea Cavour rispose... a. rifiutando l’invito perché privo di un contingente militare attrezzato. b. soprassedendo all’invito nella speranza di diventare indispensabile per il buon esito delle operazioni. c. inviando in Crimea un contingente militare come supporto.
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3. Dopo l’attentato subìto, Napoleone III prese l’iniziativa in Italia per... a. sostituirsi all’egemonia austriaca.
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b. aiutare Cavour nel suo progetto egemonico. c. collaborare col papa Pio IX. 4. Nell’aprile 1859 scoppiò la seconda guerra d’indipendenza e le truppe franco-piemontesi... a. sconfissero gli austriaci a Magenta. b. vennero sconfitte dagli austriaci a Magenta. c. vennero sconfitte a Custoza. 5. Con l’armistizio di Villafranca l’Impero asburgico... a. cedeva alla Francia (e poi al Piemonte) il Lombardo-Veneto e tutta l’Italia settentrionale. b. cedeva alla Francia (e poi al Piemonte) il Lombardo-Veneto. c. cedeva alla Francia (e poi al Piemonte) la Lombardia. 6. Nel 1860 Emilia, Romagna e Toscana... a. scelsero con un plebiscito l’annessione alla Francia. b. scelsero con un plebiscito l’annessione al Piemonte. c. scelsero con un plebiscito l’annessione allo Stato della Chiesa. 3 Completa la seguente carta geostorica riportando nelle aree i colori indicati in legenda. Quindi, indica sulla carta le
capitali del Regno di Sardegna nel 1850 (colore verde) e del Regno d’Italia nel 1860 (colore azzurro).
Regno di Sardegna nel 1850 Territori annessi al Piemonte nel 1859-60 Territori ceduti dal Piemonte alla Francia Territori annessi al Regno d’Italia nel 1860
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4 Associa le azioni ai relativi protagonisti dell’Unità d’Italia fornendo per ognuno le spiegazioni che riterrai opportune o
contestualizzando gli eventi. Fai attenzione perché c’è un personaggio a cui devi attribuire due azioni.
a. Giuseppe Mazzini b. Carlo Pisacane c. Daniele Manin d. Conte di Cavour
1. 2. 3. 4. 5.
Invia un contingente militare in Crimea Fonda il movimento indipendentista filopiemontese Guida una spedizione che sbarca a Sapri Firma gli accordi di Plombières Fonda il Partito d’azione
5 Completa il testo sull’Unità d’Italia inserendo i termini corretti presenti nell’elenco sottostante.
Vittorio Emanuele II ● Quarto ● Crispi ● Borbone ● Emilia-Romagna ● spedizione dei Mille ● le Marche ● Torino ● Mezzogiorno
● 7 settembre
Dopo l’armistizio di Villafranca, alla Francia furono donati i territori di Nizza e della Savoia, mentre al Piemonte furono annesse Lombardia, .................. .......................... e Toscana. Tutto ciò riaccese l’entusiasmo per la realizzazione dello Stato nazionale italiano e quindi fu riavviata l’iniziativa rivoluzionaria nel ............................................ e nello Stato della Chiesa. I mazziniani ............................................ e Pilo progettarono una spedizione in Sicilia con lo scopo di provocare un movimento insurrezionale, che sarebbe dilagato in tutta la penisola. Nel 1860 a Palermo scoppiò un’insurrezione popolare repressa nel sangue, ma dopo pochi giorni Garibaldi assunse la guida della spedizione di mille volontari (in maggioranza settentrionali), conosciuta come “............................................”. La spedizione partì da ............................................ nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1860, per poi sbarcare in Sicilia nella città di Marsala. Dopo pochi giorni Garibaldi proclamò decaduta la monarchia dei ............................................ Alla fine dell’estate del 1860 Garibaldi e i suoi uomini sbarcarono in Calabria e cominciarono a risalire rapidamente la penisola fino ad entrare a Napoli trionfanti il .................. .......................... I successi di Garibaldi vedevano Roma fortemente minacciata e così il Piemonte decise di intervenire militarmente: furono conquistate l’Umbria e ............................................, successivamente annesse allo Stato sabaudo dopo un plebiscito popolare. Garibaldi incontrò ................ ............................ a Teano e qui lasciò al re i territori appena liberati, prima di ritirarsi a Caprera. Il 17 marzo 1861 nasceva lo Stato italiano con a capo il re Vittorio Emanuele II e ............................................ capitale, ma al suo completamento mancavano ancora il Veneto e il Lazio con Roma.
COMPETENZE IN AZIONE 6 Scrivi un breve testo di 15 righe sul Piemonte liberale del conte di Cavour facendo riferimento alla seguente scaletta
di argomenti:
● “leggi Siccardi” ● «connubio» ● si afferma in Piemonte un nuovo tipo di governo parlamentare ● politica economica liberoscambista ● agricoltura e industria in espansione ● traforo del Fréjus. 7 Abbina agli eventi le date corrispondenti, poi scegli quelli che si riferiscono alla seconda guerra d’indipendenza ed
elabora un testo di massimo 15 righe che ne spieghi i momenti salienti. Armistizio di Villafranca ● congresso di Parigi ● Vittorio Emanuele II viene proclamato re d’Italia ● seconda guerra d’indipendenza ● sbarco dei Mille ● a Marsala ● accordi di Plombières ● incontro a Teano tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II
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1856 gennaio 1858 Attentato di Felice Orsini a Napoleone III luglio 1858 ............................................................................................................................................................................................ aprile 1859 ............................................................................................................................................................................................ 24 giugno 1859 Battaglie di Solferino e San Martino 11 luglio 1859 ........................................................................................................................................................................................ gennaio 1860 Cessione di Nizza e della Savoia alla Francia
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aprile 1860 Scoppia la rivoluzione popolare a Palermo maggio 1860 .......................................................................................................................................................................................... 20 luglio 1860 Sconfitta dei Borbone a Milazzo 7 settembre 1860 Garibaldi fa il suo ingresso trionfale a Napoli e Federico II di Borbone si rifugia a Gaeta 25 ottobre 1860 ..................................................................................................................................................................................... 17 marzo 1861 ......................................................................................................................................................................................
COMPITI DI REALTÀ 8 Realizza un capitolo di un libro per bambini a tema storico.
Tema storico da affrontare: L’Unità d’Italia.
Contesto di lavoro Lavori per una casa editrice specializzata in libri per bambini e curi una collana sulla storia del mondo. I tuoi capi hanno deciso di realizzare un libro a fumetti sull’Unità d’Italia. Il libro è pensato per bambini di 10-11 anni e sarà suddiviso in 6 capitoli. Cosa devi fare Con il tuo gruppo avete il compito di preparare il materiale con le informazioni storiche utili a chi disegnerà e perfezionerà la storia ed elaborare un canovaccio narrativo. Per realizzare questo compito dovete: ● individuare sei fra concetti ed eventi su cui volete far focalizzare l’attenzione dei bambini e che diventeranno i capitoli del libro. Non potrete affrontare tutti gli eventi risorgimentali, ma solo quelli per voi più significativi e che meglio si prestano alla trama da voi individuata. ● individuare nel manuale e su Internet immagini dell’epoca che possono offrire spunti ai disegnatori sulla vita quotidiana delle persone, sul loro abbigliamento e sulla rappresentazione degli eventi risorgimentali da voi selezionati. ● individuare i personaggi principali del racconto. Dovrete fare attenzione a realizzare una storia che possa piacere ai bambini e che contenga nella trama alcuni riferimenti impliciti agli avvenimenti. A questo scopo, potete scegliere come protagonisti dei bambini o personaggi non famosi che si trovano a vivere in prima persona, per motivi familiari o casuali, una parte degli eventi dell’unità nazionale. ● realizzare una scheda per ogni personaggio individuato (max 5) con il nome che avrete scelto, una descrizione sommaria del carattere e dell’aspetto fisico, degli obiettivi che lo spingono ad agire e una o due immagini da cui partire per realizzarne il ritratto. Potete prendere spunto per l’elaborazione dei personaggi dai ruoli individuati da Propp per le fiabe (fate una ricerca su Internet a questo proposito se non conoscete le “funzioni di Propp”). ● realizzare una bozza di trama narrativa schematica (con titoletti sotto forma di scaletta) frazionata nei sei capitoli. Sotto ogni titoletto fate riferimento ai personaggi principali presenti, alle azioni e alle relative motivazioni, agli eventi storici sullo sfondo e al modo in cui le vicende dei protagonisti si intrecciano con questi ultimi. ● rielaborare una carta geostorica in cui siano evidenti i luoghi del racconto e quelli degli eventi principali a cui si fa riferimento (se avete deciso di inserire questi riferimenti). Indicate anche l’anno degli eventi. ● realizzare una linea del tempo in cui siano riconoscibili gli eventi principali dell’Unità d’Italia e quelli della storia da voi inventata. ● indicare la collocazione, nel libro, della carta geostorica e della linea del tempo. Presentazione del lavoro svolto Il lavoro di ogni gruppo sarà presentato davanti al direttore della casa editrice e deve prevedere: una relazione introduttiva del metodo utilizzato e dei contenuti affrontati da esporre oralmente (durata massima: 5 minuti) più la descrizione del percorso attraverso slide. Tempo a disposizione 1 ora per individuare sul manuale i concetti da affrontare, le immagini da utilizzare; 1 ora per cercare in Rete le immagini e le relative informazioni e confrontare i risultati ottenuti su diverse pagine web; 3 ore per realizzare le schede dei personaggi ed eventualmente ricercare le “funzioni di Propp”; 3 ore per realizzare la trama, la carta geostorica, la linea del tempo e il prodotto multimediale; mezz’ora per impostare e provare l’esposizione della relazione.
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FARESTORIA LE IDEOLOGIE POLITICHE DELL’800 Nel corso dell’800 nacquero e si affermarono le principali ideologie politiche della storia contemporanea: il liberalismo, il socialismo, la democrazia e il nazionalismo. In alcuni casi si trattava di idee diffuse già nei decenni precedenti, che irruppero però con forza a seguito soprattutto delle rivoluzioni politiche scoppiate in Nord America e in Francia alla fine del ’700. Nel primo brano, Raffaele Romanelli [►95] analizza il momento in cui presero forma il pensiero liberale moderno e quello socialista, mentre Norberto Bobbio [►96] riflette sul rapporto tra queste due ideologie e il concetto di democrazia. Seguono poi le testimonianze di due importanti esponenti liberali dell’epoca, che si concentrano sul concetto di “libertà”: Benjamin Constant [►97d] propone una distinzione tra la concezione di libertà che avevano gli antichi e quella che caratterizza l’epoca moderna, mentre John Stuart Mill [►98d] mette in guardia dai pericoli della democrazia e difende con forza la libertà dell’individuo. Al pensiero socialista è dedicato un estratto del Manifesto del Partito comunista di Karl Marx e Friedrich Engels [►99d], nel quale i due economisti e filosofi tedeschi si soffermano sulle fondamentali fasi del processo rivoluzionario che porterà alla liberazione del proletariato dall’oppressione delle classi dominanti. A tal proposito, Domenico Losurdo [►100] analizza in cosa consista la lotta di classe teorizzata da Marx ed Engels e individua un punto d’incontro con un’altra idea destinata ad avere enorme diffusione nell’800 (e non solo): il nazionalismo. Il percorso storiografico si conclude con un approfondimento sul 1848 e sui movimenti rivoluzionari che esplosero in tutto il continente europeo. Alla base dei motivi che scatenarono le giornate insurrezionali, infatti, come dimostra il contributo di Mike Rapport [►101], vi furono le nuove ideologie che si stavano affermando nel corso dell’800. Roger Price [►102], infine, riflette sull’eredità politica, sociale e culturale lasciata dalle rivoluzioni del ’48.
IDEOLOGIE
95 R. ROMANELLI LA NASCITA DI NUOVE
R. Romanelli, Ottocento. Lezioni di storia contemporanea, il Mulino, Bologna 2011, pp. 95-98; 172-76.
In questo brano, tratto da un libro dedicato ai caratteri principali dell’800, lo storico Raffaele Romanelli (nato nel 1942) ricostruisce il processo di formazione di due delle più impor-
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Alcuni dei migliori scrittori del primo Ottocento [...] discussero le novità prodotte dalla grande ventata rivoluzionaria senza respingerle in via di principio (come facevano i reazionari). Ne vedevano anzi gli elementi di progresso, ma riflettevano anche con grande preoccupazione sui problemi e i pericoli presenti nella democrazia e nella società [...] e proponevano soluzioni variamente moderate, e spesso apertamente conservatrici. Ci riferiamo alle maggiori figure del romanticismo letterario francese come Madame de Staël1 o François-René de Chateaubriand2, allo
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tanti correnti di pensiero dell’età contemporanea: il liberalismo e il socialismo. Come mostra l’autore, queste due ideologie presero forma nella prima metà del XIX secolo grazie alle riflessioni e all’agire di scrittori e intellettuali, i quali attribuirono un nuovo significato etico e politico a princìpi già diffusi nel pensiero occidentale (come quello di libertà e uguaglianza) e li adattarono alle trasformazioni sociali e politiche in corso.
scrittore svizzero Simonde de Sismondi3, e soprattutto a Alexis de Tocqueville4, di famiglia nobile, che dopo la rivoluzione
di luglio5, da giovane magistrato del tribunale di Versailles intraprese un viaggio negli Stati Uniti per studiarvi il sistema
1. Madame de Staël (1766-1817) fu un’importante protagonista del Romanticismo francese ed europeo. 2. René de Chateaubriand (1768-1848), scrittore, uomo politico e padre del Romanticismo francese. 3. Simonde de Sismondi (1773-1842), storico ed economista svizzero, si interessò ai problemi del lavoro, sostenendo tra l’altro l’opportunità di una politica sociale e di assistenza ai lavoratori da parte dello Stato.
4. Alexis de Tocqueville (1805-1859), storico e filosofo politico francese, tra i maggiori esponenti del liberalismo ottocentesco. Scrisse La democrazia in America (1835-40), opera ispirata da un viaggio compiuto negli Stati Uniti e nella quale, oltre a dare una vivace descrizione della società nordamericana, propone un’importante riflessione sulla democrazia. 5. Si tratta della rivoluzione scoppiata a Parigi nel luglio 1830.
penitenziario. Le sue riflessioni su La democrazia in America (questo il titolo della sua opera più famosa, apparsa tra il 1835 e il 1840) sono oggi considerate un testo fondamentale per capire non solo la società americana, ma più in generale in che modo l’idea di libertà può coniugarsi con quella di eguaglianza. È un dilemma che non ha mai cessato di impegnare il pensiero politico di orientamento liberale e che Tocqueville affrontava individuando l’originalità americana nel ruolo che vi svolgevano le autonomie locali, lo spirito d’associazione e il sentimento religioso. Molte delle idee di questi scrittori andarono a formare il pensiero liberale. Anche i termini «liberale» e «liberalismo» sono tra le tante novità linguistiche di cui è ricca la storia contemporanea. [...] Prima di allora «liberale» indicava un atteggiamento aperto e tollerante, o le arti praticate da uomini liberi. A questi significati si aggiunse la traduzione politica di quell’atteggiamento, il cui significato ultimo inglobava il lungo percorso compiuto in età moderna dalla ricerca della libertà. Con il significato che venne assumendo agli inizi del secolo XIX, il termine entrò nel linguaggio politico con le Cortes di Cadice del 1812, dove il partito «liberal» difendeva allora le pubbliche libertà contro il partito «servil»6. L’aggettivo liberale non tardò a diventare sostantivo – imparentandosi con costituzionalismo e libertà – e a farsi ideologia onnicomprensiva. Il fatto che il termine sia nato in spagnolo, ed anzi nel luogo e nel momento di congiunzione tra il Regno di Spagna e il suo grande impero al di là dell’Atlantico, ci offre l’occasione di ricordare che il liberalismo fu il combustibile che infiammò la liberazione dell’America Latina dal dominio spagnolo innescata quando l’epopea napoleonica raggiunse la Spagna e recise i suoi legami con i possedimenti coloniali. [...] L’epopea della libertà agitava dunque i continenti nuovi, fioriva dove meno pesanti erano i vincoli di antiche gerarchie e aveva una forte carica di opposizione verso quelle, e dunque anche verso la perdurante inclinazione conservatrice dei regimi europei. [...] Ma se era nato spagnolo, l’aggettivo liberale – e il sostantivo che ne derivava, liberalismo – si diffuse poi in tutte le lingue con contenuti aderenti ai vari contesti, anche se sostanzialmente convergenti. Non c’è dunque una dottrina liberale unitaria e teorizzata, se mai vi fu, concorsero a darle corpo le tante
esperienze, gli scritti, i programmi politici confrontatisi nella prima metà dell’Ottocento. Ne fecero parte le rivendicazioni di libertà mosse contro assetti politici ancora variamente dispotici, l’abbattimento di privilegi, di vincoli al commercio e alla proprietà e alla circolazione delle idee, nonché il controllo delle scelte dei governanti e la loro trasparenza di fronte all’opinione pubblica. [...] Diritti individuali, limitazioni del potere, libertà di stampa, di associazione o di commercio rivendicati dalle correnti liberali di primo Ottocento contenevano princìpi di grande portata che riguardavano nel complesso il modo di essere della società, l’insieme delle sue articolazioni, in una parola la sua costituzione, un altro termine che acquista un rilievo tutto particolare nell’età contemporanea. [...] Le affermazioni di libertà e di eguaglianza su cui poggiava il mondo rinnovato facevano intravedere ad alcuni nuove occasioni di riscatto, ma per i più risultavano illusorie, perfino minacciose quando toglievano al povero il conforto della carità e protezione del ricco. [...] Soprattutto nel mondo del lavoro iniquità e ingiustizia sembravano accompagnare le nuove libertà. [...] Le nuove tendenze mercantili intendevano [...] «liberare» la manodopera e facilitare la sua circolazione. Dunque nessuna associazione collettiva avrebbe dovuto intromettersi nel libero incontro tra il singolo datore di lavoro e il singolo lavoratore. [...] L’esigenza di correggere le iniquità e le storture di un regime di libertà era [...] presente a molti in campo borghese, anche in forme assai diverse, e a volte opposte. In Francia, ad opera di vari scrittori [...] come Henri de Saint-Simon7, Charles Fourier8 e Pierre-Joseph Proudhon, o in Inghilterra Robert Owen9, varie correnti di pensiero «socialistico», pur apprezzando le potenzialità riformatrici della rivoluzione industriale proponevano di attutirne gli effetti sociali limitando i diritti di proprietà e facendo grande spazio all’associazionismo, al mutualismo10, alla cooperazione. [...] Si delineavano così due vie possibili per il riformismo borghese, due percorsi che avrebbero segnato tutta la storia a venire. Da un lato consentire l’autodifesa del mondo del lavoro, e dunque in una prospettiva liberale ammettere l’azione collettiva, la rivendicazione della libertà d’associazione e le lotte sindacali [...]. Dall’altro si affermava l’idea di un intervento pubblico di tipo nuovo, che tor-
nasse a regolamentare il lavoro per legge, come nell’antico regime, ad esempio proteggendo, o proibendo, il lavoro infantile nelle fabbriche o nelle miniere, e dunque alterando con la forza della legge (e dunque dello Stato) la dialettica delle forze di mercato. [...] Nel campo borghese tuttavia la via delle riforme era sostenuta da pochi riformatori illuminati, o da pochi utopisti e le riforme effettivamente varate ebbero scarsa o problematica attuazione. [...] La libertà di promuovere azioni collettive come lo sciopero appariva molto pericolosa ai liberali, che tra l’altro la vedevano come un’inaccettabile limitazione della libertà individuale [...]. Inevitabilmente, sia le spinte riformatrici sia le rivendicazioni popolari o le iniziative del solidari-
6. Le due diverse fazioni politiche presenti in Spagna nel 1812 durante la dominazione napoleonica, quando le antiche assemblee rappresentative spagnole (le Cortes) approvarono una Costituzione che aboliva i privilegi feudali e limitava il potere del monarca in base al principio della separazione dei poteri: da una parte i “liberali”, favorevoli a questo processo riformatore, dall’altra i più conservatori e fedeli alla monarchia, definiti appunto partito “servile”, perché accusati di essere contrari al riconoscimento di maggiori libertà per l’individuo. 7. Henri de Saint-Simon (1760-1825), francese di origini aristocratiche, è considerato uno dei principali ispiratori del pensiero socialista moderno. 8. Charles Fourier (1772-1837), pensatore politico francese e tra i principali esponenti del socialismo utopistico. 9. Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865), economista e uomo politico francese, diventò famoso in Europa nel 1840 per la sua opera Che cos’è la proprietà?, nella quale definiva un “furto” la proprietà privata, pur non sostenendone l’abolizione: critico verso il sistema capitalistico e fautore di una società libera dalle ingiustizie e in mano all’autogoverno dei produttori, si distanziò dalle teorie di Marx ritenendo il comunismo una forma di governo oppressiva; Robert Owen (1771-1858), industriale britannico, applicò nelle sue fabbriche un sistema di riforme sociali indirizzate a migliorare le condizioni dei lavoratori e si dedicò alla realizzazione delle prime organizzazioni operaie. 10. Con questo termine si intendono quelle forme associative che nacquero in Occidente come risposta ai problemi della rivoluzione industriale, basate sull’aiuto reciproco tra gli aderenti e indirizzate a fornire assistenza e sostegno ai lavoratori (in Italia, ad esempio, presero il nome di società di mutuo soccorso).
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FARESTORIA Le ideologie politiche dell’800
smo operaio, tutto questo ribollire di idee e di esperienze coinvolgeva la politica nel suo insieme, ovvero progetti e visioni che riguardavano l’intera società e i rapporti di potere. [...] Emersero dei capi, ciascuno con la sua storia [...]. Era una gran folla di personaggi carichi di idee che sovrastavano un movimento ancora povero di effettivi. [...] A Fourier, a Proudhon e a Owen potremmo affiancare l’italiano Giuseppe Mazzini, i francesi Auguste Blanqui e Louis Blanc11, i tedeschi Ferdinand Lassalle12 e Karl Marx [...]. Su molti di loro si abbatté il fallimento del ’48. E fu da quel fallimento che pure nacque la disillusione verso le possibilità di riforme e di collaborazione e la formulazione di programmi più combattivi, che considerava-
no la spaccatura della società irresolubile e dunque denunciavano come illusorie e sostanzialmente errate le speranze dei vari socialismi.
11. Auguste Blanqui (1805-1881), rivoluzionario francese, partecipò a numerosi episodi insurrezionali nel corso dell’800: fu il primo a elaborare l’idea di “dittatura del proletariato” e si definì lui stesso comunista; Louis Blanc (1811-1882), uomo politico, giornalista e storico francese, partecipò alle rivoluzioni del 1830 e del 1848 in Francia: sostenne la socializzazione dei mezzi di produzione e l’intervento dello Stato per regolare i processi produttivi. 12. Ferdinand Lassalle (1825-1864), filosofo e politico tedesco, fu inizialmente vicino al
96 N. BOBBIO DEMOCRAZIA, LIBERALISMO E SOCIALISMO
N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Dizionario di politica, Utet, Torino 2004, pp. 238-39.
In questo brano, tratto dal Dizionario di politica pubblicato per la prima volta nel 1976, Norberto Bobbio (1909-2004), uno dei più importanti intellettuali italiani del ’900, analizza la differente concezione che il liberalismo e il socialismo hanno della democrazia. Il liberalismo, opponendosi all’ideale
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Lungo tutto il sec. XIX la discussione attorno alla democrazia si venne svolgendo principalmente attraverso un confronto con le prevalenti dottrine politiche del tempo, il liberalismo da un lato e il socialismo dall’altro. Per quel che riguarda il rapporto con la concezione liberale dello Stato, il punto di partenza fu il celebre discorso di Benjamin Constant su La libertà degli antichi comparata a quella dei moderni. Per Constant la libertà dei moderni, che deve essere promossa e accresciuta, è la libertà individuale nei riguardi dello Stato, quella libertà di cui sono manifestazione concreta le libertà civili e la libertà politica (se pur non necessariamente estesa a tutti i cittadini), mentre la libertà degli antichi, che l’espansione dei commerci ha reso impraticabile, anzi dannosa, è la libertà intesa come partecipazione diretta alla formazione delle leggi attraverso il corpo politico di cui l’assemblea dei cittadini è la massima espressione. Identificata la democrazia propriamente detta senz’altra specificazione, con la democrazia diretta,
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
socialismo utopistico e alle teorie di Marx: sostenitore del suffragio universale, il suo pensiero ispirò la nascita dell’Associazione generale degli operai tedeschi nel 1863, della quale divenne anche presidente.
METODO DI STUDIO
a Cerchia i nomi degli autori che concorsero alla formazione del pensiero liberale e sottolineane le idee principali. b Spiega per iscritto in che modo variano i termini “liberale” e “liberalismo” in età contemporanea. c Sottolinea le caratteristiche del pensiero liberale e i princìpi che vi erano espressi. d Spiega per iscritto perché le affermazioni di libertà e uguaglianza che erano alla base della nuova società risultarono illusorie per i più e quali furono le conseguenze dei fallimenti del 1848.
rousseauiano della democrazia diretta, si fa sostenitore di una forma di democrazia rappresentativa: secondo i liberali, a fianco di libertà fondamentali come quella di parola o di religione, lo Stato è tenuto a garantire al cittadino il diritto di partecipare al governo mediante l’elezione di un suo rappresentante. Anche per il socialismo l’ideale democratico costituisce un principio importante: il rafforzamento del potere “dal basso” non deve però riguardare solo l’ambito politico, ma anche e soprattutto quello economico e i rapporti sociali.
che era poi l’ideale rousseauiano, si venne affermando attraverso gli scrittori liberali, da Constant a Tocqueville, a John Stuart Mill, l’idea che la sola forma di democrazia compatibile con lo Stato liberale, cioè con lo Stato che riconosce e garantisce alcuni diritti fondamentali, quali i diritti di libertà di pensiero, di religione, di stampa, di riunione, ecc., fosse la democrazia rappresentativa o parlamentare, ove il compito di fare le leggi spetta non a tutto il popolo riunito in assemblea ma a un corpo ristretto di rappresentanti eletti da quei cittadini cui vengano riconosciuti i diritti politici. In questa concezione, che si può chiamare liberale, della democrazia, la partecipazione al potere politico, che è sempre stata considerata l’elemento caratterizzante del regime democratico, viene risolta anch’essa in una delle tante libertà individuali che il cittadino ha rivendicato e conquistato contro lo Stato assoluto, e ridefinita come la manifestazione di quella particolare libertà che, andando oltre il diritto di esprimere la propria opinione, di riunirsi o di associarsi per influire sulla po-
litica del Paese, comprende anche il diritto di eleggere rappresentanti al parlamento e di essere eletti. [...] Il fatto stesso che il diritto di partecipare se pure indirettamente alla formazione del governo venga compreso nella classe delle libertà, mostra che nella concezione liberale della democrazia l’accento viene posto più che sul mero fatto della partecipazione [...], sull’esigenza che questa partecipazione sia libera, cioè sia una espressione e un risultato di tutte le altre libertà. Da questo punto di vista, se è vero che non può chiamarsi propriamente liberale uno Stato che non riconosca il principio democratico della sovranità popolare, se pure limitatamente al diritto di una parte, anche ristretta, dei cittadini, a dar vita a un corpo rappresentativo, è ancor più vero che secondo la concezione liberale dello Stato non vi può essere democrazia se non là dove siano riconosciuti alcuni diritti fondamentali di libertà che rendano possibile una partecipazione politica guidata da un’autonoma determinazione della volontà di ciascun individuo.
In generale, la linea di sviluppo della democrazia nei regimi rappresentativi è da rintracciarsi essenzialmente in due direzioni: a) nel graduale allargamento del diritto di voto, che primariamente ristretto a un’esigua parte dei cittadini in base a criteri fondati sul censo, sulla cultura e sul sesso, si è andato estendendo secondo un’evoluzione costante, graduale e generale a tutti i cittadini di ambo i sessi che abbiano raggiunto un certo limite di età (suffragio universale); b) nella moltiplicazione degli organi rappresentativi (cioè degli organi composti di rappresentanti eletti), che in un primo tempo sono limitati ad una delle due assemblee legislative, e poi si estendono via via all’altra assemblea, agli enti del potere locale, o, nel passaggio dalla monarchia alla repubblica, anche al capo dello Stato. Nell’una e nell’altra direzione il processo di democratizzazione, che consiste in un sempre più pieno adempimento del principio limite della sovranità popolare, s’innesta nella struttura dello Stato liberale inteso come Stato in primis garantistico. [...] Anche rispetto al socialismo nelle sue
differenti versioni, l’ideale democratico rappresenta un elemento integrante e necessario, ma non costitutivo. Integrante, perché una delle mete che si sono sempre posti i teorici del socialismo è stato il rafforzamento della base popolare dello Stato; necessario perché senza questo rafforzamento non verrebbe mai raggiunta quella profonda trasformazione della società che i socialisti delle diverse correnti si sono sempre prospettati. Ma anche non costitutivo, perché l’essenza del socialismo è sempre stata l’idea del rivoluzionamento dei rapporti economici e non dei soli rapporti politici, dell’emancipazione sociale, come disse Marx, e non della sola emancipazione politica dell’uomo. Ciò che muta nella dottrina socialista rispetto alla dottrina liberale è il modo di intendere il processo di democratizzazione dello Stato. Nella teoria marx-engelsiana1 (ma non solo in questa) il suffragio universale, che per il liberalismo nel suo svolgimento storico è il punto di arrivo del processo di democratizzazione dello Stato, costituisce soltanto il punto di partenza. Oltre il suffragio universale, l’approfondimento
97d BENJAMIN CONSTANT LA LIBERTÀ DEGLI ANTICHI E DEI MODERNI
B. Constant, Antologia di scritti politici, a c. di A. Zanfarino, il Mulino, Bologna 1982, pp. 37-39; 44-45.
Svizzero naturalizzato francese, Benjamin Constant (17671830) fu protagonista della vita intellettuale del primo trentennio del XIX secolo: scrittore e romanziere, fu autore soprattutto di opere letterarie a sfondo autobiografico, come il celebre romanzo Adolphe (1816), la cui storia era ispirata Chiedetevi, prima di tutto, Signori, che cosa intende oggi per libertà un Inglese, un Francese, un abitante degli Stati Uniti d’America. È, per ognuno di loro, il diritto di non essere sottoposto che alle leggi, di non poter essere né arrestato, né tenuto in carcere, né condannato a morte, né maltrattato in alcun altro modo, a causa della volontà arbitraria di uno o più individui. È per ognuno il diritto di esprimere la propria opinione, di scegliere il proprio lavoro e di esercitarlo; di disporre della sua proprietà e perfino di abusarne, di andare e venire senza chiedere permessi, e senza render conto delle sue intenzioni o dei suoi passi. È, per ognuno, il diritto di unirsi con altri individui, sia per ragione dei propri inte-
del processo di democratizzazione da parte delle dottrine socialiste avviene in due modi: attraverso la critica della d. soltanto rappresentativa e la conseguente ripresa di alcuni temi della d. diretta, e attraverso la richiesta che la partecipazione popolare, e quindi il controllo del potere dal basso, si estenda dagli organi di decisione politica a quelli di decisione economica, da alcuni centri dell’apparato statale all’impresa, dalla società politica alla società civile, onde si è venuto parlando di d. economica, industriale. 1. Ovvero nella teoria di Marx ed Engels.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi in cosa consiste la libertà, per Constant, secondo gli antichi e secondo i moderni. b Evidenzia nel testo i princìpi che concorrono alla formazione della concezione liberale dello Stato. c Descrivi per iscritto lo sviluppo della democrazia nei regimi rappresentativi e il suo rapporto con l’ideale liberale e con il socialismo.
alla sua sofferta vita sentimentale. Nella Francia della Restaurazione divenne uno dei leader dell’opposizione liberale e il maggior teorico del costituzionalismo liberale. In un suo celebre discorso tenuto a Parigi nel 1819, di cui si riportano alcuni passaggi, propose, in polemica con le idee giacobine, una distinzione tra la libertà concepita dagli antichi e dai moderni: con quest’ultima si intende soprattutto la libertà dell’individuo, al quale deve essere garantito il diritto ad esercitarla.
ressi, sia per professare il culto che egli e i suoi associati preferiscono, sia semplicemente per occupare il proprio tempo nel modo più conforme alle proprie inclinazioni e fantasie. E infine è il diritto, per ognuno, di esercitare la propria influenza sull’amministrazione del governo, sia concorrendo alla nomina di tutti o di alcuni dei funzionari, sia con rimostranze, petizioni, domande, che l’autorità è in qualche modo obbligata a prendere in considerazione. Paragonate ora a questa libertà quella degli antichi. Essa consisteva nell’esercitare collettivamente, ma direttamente, molte funzioni della sovranità, nel deliberare, sulla piazza pubblica, sulla guerra e sulla pace, nel concludere con gli stranieri i trattati di al-
leanza, nel votare le leggi, nel pronunciare giudizi, nell’esaminare i bilanci, gli atti, la gestione dei magistrati, nel farli comparire davanti a tutto il popolo, nel metterli sotto accusa, nel condannarli o nell’assolverli. Era questo ciò che gli antichi intendevano per libertà; ma essi ammettevano contemporaneamente che questa libertà collettiva era compatibile con l’asservimento completo dell’individuo all’autorità dell’insieme. [...] Tutte le azioni private sono sottomesse a una sorveglianza severa. Niente è concesso all’indipendenza individuale, né per quanto riguarda le opinioni personali, né in materia di attività economica, né, soprattutto, in materia di religione. [...] Così, presso gli antichi, l’individuo, qua-
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FARESTORIA Le ideologie politiche dell’800
si sempre sovrano negli affari pubblici, è schiavo in tutti i suoi rapporti privati. [...] Presso i moderni, al contrario, l’individuo, indipendente nella vita privata, è, anche nel più libero degli Stati, sovrano solo in apparenza. La sua sovranità è limitata, quasi sempre sospesa; e se a epoche fisse, ma rare, durante le quali è ancora più circondato di precauzioni e di restrizioni, esercita questa sovranità; non è che per abdicarvi. [...]
Noi non possiamo più godere della libertà degli antichi, che si basava sulla partecipazione attiva e costante al potere collettivo. La nostra libertà deve basarsi sul pacifico godimento dell’indipendenza privata. [...] Il fine degli antichi era la divisione del potere sociale fra tutti i cittadini di una stessa patria; era questo che essi chiamavano libertà. Il fine dei moderni è la sicurezza nei godimenti privati; e chiamiamo libertà le
98d JOHN STUART MILL IL GOVERNO DEL POPOLO E LA LIBERTÀ DELL’INDIVIDUO
I liberali vittoriani, a c. di O. Barié, il Mulino, Bologna 1962, pp. 53-57; 60-61.
Il filosofo ed economista britannico John Stuart Mill (18061873) fu tra i principali teorici del liberalismo ottocentesco: con i suoi scritti e nel corso della sua attività politica si batté per vedere realizzate alcune riforme in campo politico e sociale, come l’allargamento del suffragio anche alle donne e
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La lotta fra la libertà e l’autorità costituisce il carattere più cospicuo della storia con cui noi abbiamo familiarità, in particolare della storia della Grecia, di Roma e dell’Inghilterra. Ma anticamente questa lotta avveniva fra i sudditi, o una parte di essi, e il governo. Per libertà si intendeva protezione contro la tirannia dei governanti. I governanti venivano considerati (salvo in alcuni regimi popolari della Grecia) in posizione necessariamente antagonistica al popolo che essi governavano. [...] Intento dei patrioti era quindi quello di porre un limite al potere che il governante avrebbe esercitato sulla comunità; e questo limite era quel che essi intendevano per libertà. [...] Giunse tuttavia un tempo, nel progresso degli eventi umani, in cui gli uomini cessarono di considerare una necessità della natura che i loro governanti dovessero costituire un potere indipendente, di interessi opposti ai loro. Sembrò loro assai meglio che i vari magistrati dello Stato dovessero essere i loro delegati, revocabili a loro piacimento. Soltanto in quel modo, sembrava, essi avrebbero potuto avere la certezza che i poteri di governo non venissero usati a loro danno. Gradualmente questa nuova esigenza di avere governanti elettivi e temporanei divenne l’intento principale degli sforzi del partito popolare, nei paesi in cui tale partito esisteva; e sostituì in misura considerevole gli sforzi precedenti diretti a limitare il potere dei
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garanzie accordate a questi godimenti dalle istituzioni. METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi le libertà che Constant attribuisce agli antichi e quelle che attribuisce ai moderni, quindi descrivi per iscritto il risultato della tua analisi. b Spiega perché, secondo l’autore, a noi moderni è precluso il godimento della libertà degli antichi.
l’istruzione obbligatoria, e sostenne la democrazia quale forma migliore di governo. In queste pagine, tratte dall’introduzione a una delle sue più celebri opere, il Saggio sulla libertà (pubblicato nel 1859), l’autore riflette tuttavia sui pericoli che nasconde la democrazia: in un governo esercitato dal popolo, infatti, il rischio è che possa avere la meglio la cosiddetta «tirannia della maggioranza». L’unico argine a questa forma di dispotismo è dunque la difesa e la protezione della libertà d’azione del singolo individuo.
governanti. [...] Ora, era necessario che i governanti si identificassero con il popolo, che i loro interessi e la loro volontà fossero gli interessi e la volontà della nazione. La nazione non aveva bisogno di essere protetta contro la sua stessa volontà. Non v’era timore che essa si tiranneggiasse da sé. [...] Ma [...] la nozione secondo cui il popolo non ha bisogno di limitare il suo potere sopra se stesso, poteva sembrare assiomatica quando il governo popolare era soltanto un’entità di cui si sognava o si leggeva come di cosa esistita in qualche lontano periodo del passato. [...] Nelle speculazioni sulle teorie politiche la «tirannia della maggioranza» è ora generalmente posta fra i mali contro cui la società deve premunirsi. Come altre tirannie, la tirannia della maggioranza venne dapprima temuta, e lo è ancor oggi, sopra tutto perché agisce attraverso atti delle autorità pubbliche. [...] La società può eseguire ed eseguisce i suoi propri mandati: e se emana mandati errati invece che giusti, o ne emana riguardo a cose in cui non dovrebbe immischiarsi, pratica una tirannia sociale assai più grave di molti altri generi di oppressione politica. Tale tirannia, infatti, sebbene non sia sostenuta da sanzioni penali, lascia aperte più scarse vie di scampo, penetrando più profondamente negli aspetti particolari della esistenza, e assoggettando a schiavitù la stessa anima.
[...] Si devono quindi imporre alcune regole di condotta, in primo luogo attraverso le leggi, e attraverso l’opinione in molti campi che non si prestano all’azione delle leggi. Quali debbono essere queste regole è il principale problema dei rapporti umani [...]. Quel principio è che il solo fine per cui l’umanità ha il diritto, individualmente o collettivamente, di interferire nella libertà d’azione del singolo è quello della autoprotezione; e che il solo scopo per il quale il potere può essere esercitato a buon diritto su un membro di una comunità civile contro la sua volontà, è quello di impedire che venga fatto danno ad altri. Il bene materiale o morale dell’individuo non costituisce motivo sufficiente. [...] La sola parte della condotta del singolo di cui egli deve render conto alla società, è quella che riguarda gli altri. Nella parte che riguarda soltanto lui stesso, la sua indipendenza è, di diritto, assoluta. Su se stesso, sul suo corpo e il suo spirito, l’individuo è sovrano. METODO DI STUDIO
a Individua e trascrivi le tappe che, secondo Stuart Mill, definiscono l’evoluzione del conflitto fra la libertà e l’autorità. b Spiega per iscritto quali cause spinsero gli uomini a desiderare governanti elettivi e temporanei. C Spiega in cosa consiste e come agisce la tirannia della maggioranza e in che modo, secondo l’autore, è possibile arginarla e perché.
99d KARL MARX • FRIEDRICH ENGELS LA SOCIETÀ SENZA CLASSI
K. Marx, F. Engels, Manifesto del Partito comunista, a c. di E. Cantimori Mezzomonti, Laterza, Bari 1958, pp. 98-101.
Scritto da Karl Marx (1818-1883) e Friedrich Engels (18201895), il Manifesto del Partito comunista fu pubblicato per la prima volta a Londra nel 1848 e rappresentò un momento di svolta nell’evoluzione del pensiero socialista ottocentesco, grazie alla carica rivoluzionaria contenuta all’interno delle sue pagine. L’opera si compone di quattro capitoli, che seguono una breve prefazione nella quale compare la celebre definizione del comunismo quale «spettro che si aggira per l’Europa». Nel primo gli autori ripercorrono la storia dell’umanità come una storia caratterizzata dalla lotta tra le diverse classi sociali, identificando nell’epoca moderna l’ultima fase Il primo passo sulla strada della rivoluzione operaia consiste nel fatto che il proletariato s’eleva a classe dominante, cioè nella conquista della democrazia. Il proletariato adoprerà il suo dominio politico per strappare a poco a poco alla borghesia tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, cioè del proletariato organizzato come classe dominante, e per moltiplicare al più presto possibile la massa delle forze produttive. Naturalmente, ciò può avvenire, in un primo momento, solo mediante interventi despotici nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi di produzione, cioè per mezzo di misure che appaiono insufficienti e poco consistenti dal punto di vista dell’economia; ma che nel corso del movimento si spingono al di là dei propri limiti e sono inevitabili come mezzi per il rivolgimento dell’intero sistema di produzione. Queste misure saranno naturalmente differenti a seconda dei differenti paesi. Tuttavia, nei paesi più progrediti potranno essere applicati quasi generalmente i provvedimenti seguenti: 1. Espropriazione della proprietà fondia-
ria ed impiego della rendita fondiaria per le spese dello Stato. 2. Imposta fortemente progressiva. 3. Abolizione del diritto di successione. 4. Confisca della proprietà di tutti gli emigrati e ribelli. 5. Accentramento del credito in mano dello Stato mediante una banca nazionale con capitale dello Stato e monopolio esclusivo. 6. Accentramento di tutti i mezzi di trasporto in mano allo Stato. 7. Moltiplicazione delle fabbriche nazionali, degli strumenti di produzione, dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano collettivo. 8. Eguale obbligo di lavoro per tutti, costituzione di eserciti industriali, specialmente per l’agricoltura. 9. Unificazione dell’esercizio dell’agricoltura e dell’industria, misure atte ad eliminare gradualmente l’antagonismo fra città e campagna. 10. Istruzione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli. Eliminazione del lavoro dei fanciulli nelle fabbriche nella sua forma attuale. Combinazione dell’istruzione con la produzione materiale e così via. Quando le differenze di classe saranno scomparse nel corso dell’evoluzione, e
100 D. LOSURDO LOTTA DI CLASSE E INDIPENDENZA NAZIONALE
D. Losurdo, La lotta di classe. Una storia politica e filosofica, Laterza, Roma-Bari 2015, pp. 8-13.
Domenico Losurdo (nato nel 1941), filosofo, saggista e storico del pensiero politico, ha ripercorso in un suo recente volume la storia e il successo della teoria della lotta di classe, E, dunque, cosa intendono Marx ed Engels per lotta di classe? [...] I due filosofi
di questa lotta, quella tra la borghesia e il proletariato; nel secondo, vengono descritte le fasi dell’azione rivoluzionaria, mentre nel terzo e nel quarto sono approfonditi il ruolo che il Partito comunista deve avere nel movimento rivoluzionario e il suo rapporto con le altre formazioni politiche. Nel passaggio che qui si propone, tratto dalla seconda parte dell’opera, i due filosofi tedeschi descrivono le fasi del processo rivoluzionario dopo la presa del potere da parte del proletariato. In un primo momento la società deve essere rivoluzionata anche per mezzo di «interventi dispotici», con l’obiettivo di mettere in pratica quelle trasformazioni fondamentali in grado di determinare la seconda fase: la fine dello sfruttamento economico ai danni della classe operaia e la scomparsa di quelle classi politiche colpevoli della sua oppressione. tutta la produzione sarà concentrata in mano agli individui associati, il pubblico potere perderà il suo carattere politico. In senso proprio, il potere politico è il potere di una classe organizzato per opprimerne un’altra. Il proletariato, unendosi di necessità in classe nella lotta contro la borghesia, facendosi classe dominante attraverso una rivoluzione, ed abolendo con la forza, come classe dominante, gli antichi rapporti di produzione, abolisce insieme a quei rapporti di produzione le condizioni di esistenza dell’antagonismo di classe, cioè abolisce le condizioni d’esistenza delle classi in genere, e così anche il suo proprio dominio in quanto classe. Alla vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi fra le classi subentra un’associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti. METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi gli obiettivi e gli strumenti politici che Marx ed Engels attribuiscono al proletariato. b Descrivi per iscritto le tappe necessarie, secondo i due autori, per azzerare le differenze di classe e quali sono le conseguenze previste.
dai suoi ideatori Marx ed Engels fino ad oggi. In questo brano, analizzando quanto scritto dai due stessi filosofi tedeschi, l’autore pone l’attenzione su un particolare aspetto della loro teoria: la lotta per la liberazione e l’emancipazione dell’uomo non riguarda in realtà solo gli operai opposti alla borghesia, ma anche i popoli e le nazionalità che sono oppressi dagli imperi dominanti.
e militanti rivoluzionari non hanno esposto e chiarito in modo sistematico una
tesi che pure svolge un ruolo centrale nell’ambito del loro pensiero. [...] Il pun-
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FARESTORIA Le ideologie politiche dell’800
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to di partenza è ben noto: pur avendo conseguito risultati importanti, il rovesciamento dell’Antico regime e la cancellazione del dispotismo monarchico e dei rapporti feudali di produzione non costituiscono la conclusione del processo di radicale trasformazione politica e sociale che s’impone. È necessario andare ben al di là dell’«emancipazione politica», che è il risultato della rivoluzione borghese: si tratta di realizzare l’«emancipazione umana», l’«emancipazione universale». [...] Una nuova rivoluzione si affaccia all’orizzonte, ma quali sono i suoi obiettivi? Occorre rovesciare il potere della borghesia al fine di spezzare le «catene» da essa imposte, le catene della «schiavitù moderna» [...], della «schiavitù salariata» [...]; occorre conseguire la «liberazione della classe operaia» [...], «l’emancipazione economica della classe operaia» mediante l’«annientamento di ogni dominio di classe» [...]. Non ci sono dubbi: costante è l’attenzione riservata alla lotta che il proletariato è chiamato a condurre contro la borghesia. Ma si esaurisce in ciò la lotta per l’«emancipazione umana», per l’«emancipazione universale»? Poco prima di lanciare l’appello finale alla «rivoluzione comunista» e al «rovesciamento violento di tutto l’ordine sociale esistente», il Manifesto del partito comunista invoca la «liberazione nazionale» della Polonia1 [...]. Ecco emergere una nuova parola d’ordine. Sin dai suoi primi scritti e interventi Engels si pronuncia per la «liberazione dell’Irlanda» [...] ovvero per la «conquista dell’indipendenza nazionale» [...] da parte di un popolo che subisce un’«oppressione di cinque secoli»2 [...]. A sua volta, dopo aver rivendicato già alla fine del 1847 la «liberazione» delle «nazioni oppresse», Marx non si stanca di chiamare alla lotta per l’«emancipazione nazionale dell’Irlanda» [...]. Facciamo il punto: la radicale rivoluzione invocata da Marx ed Engels persegue non solo la liberazione/emancipazione della classe oppressa (il proletariato), ma anche la liberazione/emancipazione delle nazioni oppresse. Dopo aver accennato rapidamente al problema della «liberazione nazionale» della Polonia, il Manifesto si chiude con un’esortazione: «Proletari di tutti i paesi, unitevi!». Questo celeberrimo appello costituisce la conclusione anche dell’Indirizzo inaugurale dell’Associazione internazionale degli operai fondata nel 1864. Ma in quest’ul-
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timo testo amplissimo è lo spazio dedicato a una «politica estera» che impedisca l’«assassinio dell’eroica Polonia» come dell’Irlanda e di altre nazioni oppresse, che s’impegni per l’abolizione della schiavitù nera negli USA, che metta fine alle «guerre piratesche» dell’«Occidente europeo» nelle colonie3 [...]. La lotta per l’emancipazione delle nazioni oppresse non è meno importante della lotta per l’emancipazione del proletariato. Le due lotte sono seguite e promosse con la medesima passione. [...] In un articolo del 3 settembre 1848, Engels richiama l’attenzione sullo smembramento e la spartizione della Polonia, messi in atto da Russia, Austria e Prussia. Nella nazione che la subisce tale tragedia provoca una risposta pressoché corale. Ne emerge un movimento di liberazione cui partecipa la stessa nobiltà. Pur di conseguire la fine dell’oppressione e dell’umiliazione nazionale, questa classe è disposta a rinunciare ai suoi privilegi feudali per allinearsi alla «rivoluzione democratico-agraria con uno spirito di sacrificio senza precedenti» [...]. L’entusiasmo che traspare da questo testo non va messo sul conto dell’ingenuità o del semplicismo spesso rimproverati a Engels. A tale proposito Marx [...] si esprime in termini ancora più enfatici: «la storia universale non conosce nessun altro esempio di tale nobiltà d’animo della nobiltà». È un linguaggio che dà da pensare. La «nobiltà d’animo» (Adel) celebrata negli operai francesi viene ora largamente riconosciuta anche all’aristocrazia polacca e, indirettamente, a una grande lotta di liberazione nazionale nel suo complesso. E, tuttavia, non bisogna perdere di vista le differenze. Se il proletariato è il protagonista del processo di liberazione/emancipazione che spezza le catene del dominio capitalista, più largo è lo schieramento chiamato a infrangere le catene dell’oppressione nazionale. Lo abbiamo visto per la Polonia, ma ciò vale anche per l’Irlanda. In una lunga lettera dell’aprile 1870, Marx caldeggia un’unione che balza agli occhi per le sue caratteristiche eterogenee: essa dovrebbe vedere come protagonisti da un lato gli operai inglesi, dall’altro la nazione irlandese in quanto tale. I primi sono chiamati ad appoggiare la «lotta nazionale irlandese» e a prendere le distanze dalla politica che «aristocratici e capitalisti» inglesi conducono «contro l’Irlanda» nel suo complesso. Dura e spietata è l’oppressione eser-
citata dalle classi dominanti inglesi, ma per fortuna si può contare sul «carattere rivoluzionario degli irlandesi» [...], ancora una volta considerati nel loro complesso. E questo slancio rivoluzionario è chiamato a trovare applicazione in primo luogo nella lotta di liberazione nazionale. Se la nazione oppressa è invitata a condurre la sua lotta a partire da una base nazionale quanto più larga possibile, nella nazione che opprime il compito del proletariato è di sviluppare l’antagonismo rispetto alla classe dominante, in tal modo promuovendo la propria emancipazione «umana» e contribuendo al tempo stesso all’emancipazione nazionale della nazione oppressa. A questa piattaforma teorica Marx ed Engels non giungono senza oscillazioni: «si può considerare l’Irlanda come la prima colonia inglese» - scrive il secondo al primo in una lettera del maggio 1856 [...]. Siamo così condotti al mondo coloniale extraeuropeo e in particolare all’India che tre anni prima è definita da Marx «l’Irlanda dell’Oriente» [...]. Vediamo il quadro che emerge da un articolo di Marx del luglio 1853. Dopo aver descritto la tragica condizione dell’India e i fermenti nuovi che l’attraversano in seguito all’incontro-scontro con la cultura europea (rappresentata dai colonizzatori inglesi), il testo così prosegue: Gli indiani non raccoglieranno i frutti degli elementi di una società nuova seminati in mezzo a loro dalla borghesia britannica, finché nella stessa Inghilterra le classi dominanti non saranno abbattute dal proletariato industriale, o finché gli stessi indù non saranno abbastanza forti per scrollarsi di dosso il giogo della dominazione inglese [...]
Sono qui ipotizzati due diversi scenari rivoluzionari: il primo (in Inghilterra) vede come protagonista della rivoluzione anticapitalistica il «proletariato industriale»,
1. A seguito delle guerre scoppiate nella seconda metà del ’700, il Regno di Polonia venne diviso tra l’Austria, la Russia e la Prussia. 2. In Irlanda era molto forte un movimento che voleva l’indipendenza dalla Gran Bretagna. 3. Ovvero la politica di sfruttamento del territorio e ai danni delle popolazioni locali portata avanti nelle colonie dalle potenze europee.
il secondo (nella colonia assoggettata) ha come protagonista gli «indù»4. Ogni volta che è in ballo l’«emancipazione nazionale» ovvero la «liberazione nazionale», il soggetto è costituito dalla nazione oppressa in quanto tale: i polacchi, gli irlandesi, gli indù. Nei due teorici del materialismo storico e militanti rivoluzionari è dileguata l’attenzione per la lotta di classe? 4. Il popolo dell’India in generale.
PALESTRA INVALSI
1 Il messaggio principale del testo è che... [ ] a. Marx definisce l’India come l’Irlanda d’Oriente. [ ] b. la lotta per l’emancipazione del proletariato è importante quanto quella per l’emancipazione delle nazioni oppresse. [ ] c. Marx e Engels sostengono che il rovesciamento dell’antico regime non costituisce il termine del processo rivoluzionario. [ ] d. la rivoluzione proletaria è un nuovo tipo di rivoluzione. 2 Il testo che hai letto è... [ ] a. uno studio tratto da una rivista di ricerca storico-sociale. [ ] b. una voce di enciclopedia storica. [ ] c. un paragrafo di un testo storiografico. [ ] d. un articolo divulgativo.
101 M. RAPPORT IL 1848
M. Rapport, 1848. L’anno della rivoluzione, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. ix-xi; 244-46.
In questo brano, tratto da un suo volume sul 1848, lo storico statunitense Mike Rapport (nato nel 1967) analizza i motivi politici e sociali che caratterizzarono le rivoluzioni di quell’anno: tra questi, grande importanza ebbe la cosiddetNel 1848 una violenta tempesta rivoluzionaria si abbatté sull’Europa. Con stupefacente rapidità, folle di operai radicali e di borghesi liberali rovesciarono i vecchi regimi a Parigi, Milano, Venezia, Napoli, Palermo, Vienna, Praga, Budapest, Cracovia e Berlino, e si apprestarono a dar vita ad un nuovo sistema liberale. Era dalla Rivoluzione francese del 1789 che in Europa non si assisteva ad eventi politici così drammatici [...] La marea sconvolse quel sistema conservatore che dopo la conclusione delle guerre napoleoniche nel 1815 aveva mantenuto la pace nel continente, ma che in molti paesi aveva anche represso le aspirazioni all’indipendenza nazionale e al governo costituzionale. Il solido edificio autoritario che era stato imposto a quasi due generazioni di europei crollò sotto la spinta insurrezionale. [...] Nel 1848 i rivoluzionari dovettero impostare la costruzione di regimi costituzionali liberali, affrontando problemi di straordinaria modernità. Per i tedeschi, gli italiani, gli ungheresi, i romeni, i polacchi, i cechi, i croati e i serbi, questo fu l’anno della «primavera dei popoli», nel quale si apriva la possibilità di affermare il senso della propria identità nazionale e di ottenerne il riconoscimento sul piano politico. Ai tedeschi e agli italiani si presentò l’opportunità di realizzare l’unità nazionale nel contesto di un sistema liberale o addirittura democratico. Nel 1848 il fenomeno del nazionalismo emerse quindi
ta “questione sociale”, molto forte soprattutto in Francia, ma capace di influenzare gli eventi anche nel resto d’Europa. Proprio la paura della «rivoluzione sociale», come afferma l’autore, creò un’insanabile frattura fra i diversi orientamenti politici che erano riusciti rovesciare l’equilibrio stabilito nel 1815, lasciando così alle forze più conservatrici la possibilità di restaurare l’ordine.
in primo piano nella politica europea. [...] Un’altra problematica fu quella connessa al costituzionalismo. Le rivoluzioni furono segnate quasi ovunque da un aspro, e spesso violento, processo di polarizzazione politica1. I moderati volevano un sistema di governo parlamentare – ma non necessariamente con la concessione del suffragio universale – e furono contrastati dai radicali che puntavano a realizzare in tempi brevi un sistema democratico, proponendo spesso di affiancarvi profonde riforme sociali. La diversità d’impostazione fra liberali e democratici finì per spaccare quell’alleanza rivoluzionaria che con tanta facilità aveva rovesciato il sistema conservatore, e la polarizzazione politica che ne derivò ebbe conseguenze tragiche, non solo nel 1848, ma più in generale per l’affermazione del sistema di governo liberale e della democrazia in molte parti d’Europa [...]. Un terzo fenomeno che si affacciò prepotentemente alla ribalta nel 1848 e non sarebbe più scomparso dall’agenda politica europea fu quello della «questione sociale». Nel trentennio successivo alle guerre napoleoniche, il problema dell’estrema povertà delle masse urbane e rurali aveva aleggiato minacciosamente sull’Europa. La miseria era alimentata dal forte incremento demografico, al quale non faceva ancora riscontro un analogo sviluppo in campo economico. I governi, tuttavia, fecero ben poco per affrontare la «questione sociale», la cui
soluzione divenne nel 1848 l’aspirazione fondamentale di una corrente politica relativamente nuova, il socialismo. [...] Nelle giornate di marzo a Vienna si erano visti operai bruciare le fabbriche e saccheggiare le officine. A Praga i liberali cechi erano ancora tormentati dal ricordo delle rivolte operaie del 1844, in occasione delle quali le autorità avevano perso il controllo di interi quartieri per una settimana. In Europa gli operai più militanti erano di solito quelli specializzati dei laboratori artigiani, e non il proletariato di fabbrica o gli operai ferroviari, in quanto gli artigiani avevano un maggiore livello di istruzione, disponevano di proprie organizzazioni di mestiere e avevano alle spalle una tradizione di impegno sociale e perfino politico. La loro indipendenza era poi minacciata dall’avvento della tecnologia industriale, dal sistema di fabbrica e dalle nuove e più economiche modalità di organizzazione della produzione. Nel 1848 le richieste operaie di ottenere protezione rispetto a questo tipo di concorrenza stavano cominciando a saldarsi con prospettive più avanzate mutuate dalle idee socialiste. In Francia, in città come Parigi, Lione, Rouen e Limoges vi era una
1. Processo che porta alla formazione di posizioni politiche radicali, molto diverse e contrapposte tra loro.
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forte presenza di operai dotati di coscienza politica, e anche in Germania esisteva un certo attivismo, in modo particolare in Sassonia, nel Württemberg, in Prussia, a Francoforte e in Renania. Nelle città italiane gli artigiani e i lavoranti delle manifatture fornivano un terreno fertile non tanto per le nuove idee socialiste, quanto per la propaganda repubblicana di Mazzini. A Vienna gli operai non avevano elaborato un proprio programma politico, ma sottoponendosi alla guida di studenti e giornalisti rappresentarono la forza proletaria che stava alle spalle del movimento radicale borghese. La militanza operaia e la destra radicale sembravano costituire un pericolo non solo per i nobili e la borghesia ricca, ma per chiunque avesse una proprietà, compresi i contadini e gli artigiani più benestanti. [...] Lo spettro della rivoluzione sociale fece emergere l’innato conservatorismo di coloro che si erano
in vario modo avvantaggiati dalle rivoluzioni di febbraio e di marzo, ma che ora ritenevano fosse giunto il tempo della stabilità. Tuttavia, alla fine, si rivelò impossibile mantenere le conquiste politiche delle rivoluzioni del 1848 e allo stesso tempo restaurare l’«ordine». Il terrore (in molti luoghi, la parola non è eccessiva) di ulteriori violenze rivoluzionarie, di agitazioni sociali e dello stesso «socialismo» si rivelò più forte dell’attaccamento alle vittorie liberali della primavera. Quando si trovarono a dover scegliere se mantenere le nuove libertà politiche o salvaguardare la vita, le proprietà e le loro comunità contro l’«anarchia» o il «comunismo», le persone scelsero nella maggior parte dei casi di sacrificare la libertà a favore della sicurezza. La paura sociale provocata dall’attivismo di sinistra fece quindi il gioco dei conservatori, in quanto in buona parte liberali, i moderati e coloro che non erano schierati
102 R. PRICE LE EREDITÀ DEL ’48
R. Price, Le rivoluzioni del 1848, il Mulino, Bologna 2004, pp. 103-5.
Il sentimento di paura provocato dalla rivoluzione del ‘48, in particolare dai suoi caratteri più radicali in campo sociale e politico, favorì una reazione conservatrice in tutto il conti-
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Il più chiaro risultato a breve termine della reazione politica fu l’inasprimento della repressione. La legislazione che limitava le libertà di parola come pure i diritti di associazione e di stampa fu rafforzata e potenziata; la legge marziale fu stabilita laddove le autorità erano convinte che i sopravvissuti diritti legali di quanti erano ritenuti colpevoli di sedizione1, potessero ostacolare il processo di depoliticizzazione. Nel lungo periodo furono potenziate le reti di controllo dell’ordine pubblico e le forze di polizia civile, create per consentire una più costante ed efficiente sorveglianza dei potenziali sobillatori: ciò permise tra l’altro di limitare le occasioni di scontro tra i dimostranti e l’esercito. Tali incidenti, data la tattica militare e gli armamenti impiegati, avevano avuto spesso come risultato un innalzamento dei livelli di violenza, e potevano talvolta avere infauste conseguenze, come la rivoluzione di febbraio2. Come ultima risorsa rimaneva comunque disponibile la forza
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abbandonarono le posizioni di centro e cercarono di reprimere il pericolo di una seconda rivoluzione ricorrendo a metodi più autoritari. L’«estate rossa» provocò una polarizzazione della vicenda rivoluzionaria fra destra e sinistra, creando un’irreparabile frattura che offrì ai conservatori la possibilità di contrattaccare.
METODO DI STUDIO
a Spiega per iscritto chi erano i soggetti della violenta tempesta rivoluzionaria scatenatasi nel 1848, per quali motivi agirono, con quali modalità e quale situazione dovettero affrontare. b Individua le problematiche e i fenomeni del ’48 descritti nel testo e sintetizzali attraverso dei titoletti che scriverai a margine del testo. Quindi descrivili sul quaderno. c Spiega cosa accadde durante l’«estate rossa» e quali furono le conseguenze.
nente europeo e il ritorno al potere di una élite desiderosa di ristabilire l’ordine restaurato nel 1815. Come spiega in questo brano lo storico britannico Roger Price, i governanti che si insediarono dopo il 1848 si posero innanzitutto l’obiettivo di reprimere le spinte più liberali e democratiche, ma dovettero anche fare i conti con alcuni cambiamenti ormai irreversibili.
militare, che poteva essere impiegata al fine di aumentare considerevolmente i costi della protesta; le accresciute comunicazioni ferroviarie e telegrafiche consentivano inoltre di concentrare le truppe con maggiore facilità. Una strategia supplementare di lungo termine fu quella di promuovere una più efficace integrazione dei gruppi sociali potenzialmente insoddisfatti, all’interno dei sistemi politici in via di trasformazione: la coercizione, combinata con la manipolazione ideologica, garantiva al regime una maggiore legittimità. Nel 1848 era venuta meno la capacità amministrativa e coercitiva di numerosi stati, a causa di una diffusa perdita di fiducia tra i detentori del potere politico, ma a questo collasso iniziale era seguita la creazione di un nuovo consenso conservatore basato sulla paura della rivoluzione. Per mantenere tale consenso le élite conservatrici dovevano mostrare la volontà di riconoscere limitati diritti politici, continuando però a esercitare un
saldo controllo sulle istituzioni burocratiche e militari. In sistemi sociali così diversi come quello della Francia, degli stati tedeschi e dell’Austria-Ungheria fu conservato un suffragio esteso, insieme ad istituzioni rappresentative, ma con severi limiti ai diritti dei partecipanti. L’obiettivo rimaneva quello della smobilitazione politica, ma nonostante tali limiti si era di fronte alla tacita accettazione del fatto che non fosse possibile in alcun modo portare indietro l’orologio della storia. La consapevolezza politica di un largo numero di persone era stimolata: qualunque fosse la loro fedeltà al governo, molte persone erano state convinte dell’importanza della politica nella loro vita quotidiana. Senza dubbio la maggior parte di loro
1. Ribellione. 2. Gli eventi rivoluzionari in Francia alla fine di febbraio 1848 provocarono, in pochi giorni di violenta insurrezione, la morte di più di 350 persone.
cadde presto nell’apatia3, ma molti continuarono ad avere almeno un episodico interesse per vicende che si svolgevano al di fuori della loro comunità. Lo sviluppo delle comunicazioni, dell’istruzione e la crescente ingerenza governativa nelle comunità avrebbero contribuito a rafforzare queste tendenze. Questo breve, ma intenso, periodo di crisi ebbe così un impatto di lungo periodo sugli atteggiamenti mentali. Da un lato crebbe la paura della rivoluzione sociale e del potenziale destabilizzante del nazionalismo, e dall’altro lato le più antiche nozioni di economia morale e di giustizia naturale furono rafforzate dal crescente uso di una ideologia politica, i cui concetti di base e slogan furono propagati fino alle più remote comunità da mediatori borghesi. Nel frattempo, mentre conservavano una preferenza per le istituzioni parlamentari e per il principio di legalità, liberali e repubblicani moderati si identificarono più chiaramente con la necessità di conservare l’ordine; il conservatorismo bor-
ghese sarebbe stato negli anni successivi un fattore cruciale per rafforzare la stabilità politica. [...] Il 1848 – proprio come il 1789 – fu dunque il prodotto di una società in via di transizione e di tensioni che si erano sviluppate come parte del processo di trasformazione economica. Queste avevano accresciuto l’insoddisfazione nei confronti di sistemi politici che palesemente non erano rappresentativi e, cosa probabilmente ancora più grave, le cui figure guida apparivano, davanti alla situazione di crisi, scarsamente sollecite e incompetenti. Il successivo fallimento dei rivoluzionari, insieme alla ininterrotta capacità di reazione delle vecchie élite, favorì il successo della riscossa conservatrice. Tale fallimento garantì una breve tregua durante la quale le élite costituite poterono sviluppare una più flessibile strategia di sopravvivenza di lungo periodo: esse furono così in grado di abbinare alle concessioni finalizzate al mantenimento del consenso tra i possidenti, fondato sulla paura della rivoluzione so-
ciale, un’azione di ingegneria sociale che utilizzava soprattutto l’istruzione come mezzo primario per diffondere i valori conservatori fra le masse. [...] Anche la macchina della repressione statale fu tenuta ben oliata. Da questo punto di vista, la particolare combinazione di istituzioni e polizie che caratterizza il moderno stato appartiene molto all’esperienza del 1848 e alla reazione conservatrice che ne seguì.
3. Indifferenza, passività.
METODO DI STUDIO
a Spiega in che modo si manifestò l’inasprimento della repressione e quale fu il ruolo dell’esercito durante gli scontri. b Spiega per iscritto quali furono i cambiamenti avvenuti, secondo Price, durante il ’48 e quali furono le conseguenze.
PISTE DI LAVORO
DAI DOCUMENTI ALLA STORIA 1 Scrivi un testo di almeno 20 righe in cui affronti la questione sociale e la lotta di classe durante i moti e le “tempeste rivoluzionarie” dell’800. Fai riferimento ai brani di Marx ed Engels [►99d], Losurdo [►100], Rapport [►101] e Price [►102] e citali quando ti rifai alle loro argomentazioni. Scegli un taglio e un titolo per il tuo elaborato. 2 Dopo aver letto il documento tratto dal Manifesto del Partito comunista [►99d] e il brano di Losurdo [►100], rispondi alle seguenti domande citando opportunamente i testi: a. In cosa consiste la lotta di classe per Marx ed Engels? b. Marx ed Engels prevedono nel documento l’abolizione della proprietà privata? Puoi individuare nel loro Manifesto una motivazione morale della rivoluzione comunista? c. Il Manifesto descrive la struttura politica dello Stato e il suo ordinamento?
d. Quali sono le condizioni dell’emancipazione universale auspicata dai due pensatori? Perché la rivoluzione descritta nel Manifesto viene definita radicale? IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 3 Dopo aver letto i brani di Romanelli [►95], Bobbio [►96] e Constant [►97d], descrivi i concetti di liberalismo, democrazia e socialismo mettendo in rilievo le similitudini e le differenze fra le argomentazioni apportate dai tre pensatori. Quindi scrivi un testo comparativo mettendo in rilievo i seguenti temi: • Rapporto fra l’individuo e il governo della comunità • Princìpi politici e idea di Stato • Applicazione nella società. Evidenzia nei testi i passi che intendi citare nelle tue argomentazioni e numerali in ordine crescente. Quindi, indica fra parentesi, all’interno del tuo elaborato, i concetti o le citazioni a cui fai riferimento.
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FARESTORIA Le ideologie politiche dell’800
UNA NUOVA IDEA DI NAZIONE Fin dall’Antichità, con il termine “nazione” si indicava l’appartenenza a una comunità ristretta, per lo più familiare o cittadina. Dopo le rivoluzioni politiche di fine ’700 e nel corso dell’800, invece, il concetto di nazione si afferma come un’idea politica molto forte, che ridefinisce le caratteristiche di comunità più ampie (nazionali appunto), legittima la presenza di specifiche istituzioni statali e ne orienta le decisioni politiche, sociali ed economiche. L’irrompere di questa nuova idea e la nascita del discorso nazionalista determinano dunque importanti trasformazioni, che ebbero un forte impatto anche sui decenni successivi. Nel primo brano Alessandro Campi [►103] chiarisce innanzitutto che cosa si intenda con il termine “nazione” dalla Rivoluzione francese in poi, mentre Guy Hermet [►104] si sofferma sull’evoluzione del significato di altri vocaboli (vecchi e nuovi) che ruotano intorno a questo concetto. Seguono alcune testimonianze dell’epoca, che riflettono vari modi in cui i contemporanei concepivano l’idea di nazione e di patria nazionale. Nella prima, tratta da un’opera di Lord Byron [►105d], lo spirito romantico di inizio secolo influenza la descrizione di due luoghi che divennero mete di viaggi reali e immaginari da parte di intellettuali e scrittori: la Grecia e l’Italia. I successivi due documenti, rispettivamente di Johann Gottlieb Fichte [►106d] e Ernest Renan [►107d], prodotti a distanza di molti anni, propongono una diversa concezione: la prima, di carattere per così dire più esclusivo e “autoritario”; la seconda, invece, basata su princìpi etici e spirituali. Nonostante le evidenti differenze, all’interno di questi documenti ritornano molti elementi con i quali intellettuali, scrittori e uomini politici dell’800 identificarono, costruirono e “inventarono” l’esistenza di una nazione e di una patria: fecero infatti riferimento alla storia e alla cultura di un popolo, alle sue antiche tradizioni, a una comune lingua o a una comune appartenenza etnica. Hans-Ulrich Wehler [►108] si concentra proprio sull’importanza che ebbero i fattori etnici, mentre Anne-Marie Thiesse [►109] pone l’attenzione sulla comparsa delle lingue “nazionali”. Segue un brano di Anthony David Smith [►110], che analizza gli elementi culturali a suo avviso più decisivi nella formazione di una coscienza nazionale: tra questi, il riconoscimento del legame che univa un popolo a un preciso territorio geografico. L’importanza del territorio emerge, ad esempio, nel modo opposto di guardare alla penisola italiana da parte di due protagonisti politici dell’epoca: il cancelliere austriaco Klemens von Metternich e Giuseppe Mazzini [►111d]. L’irrompere del nazionalismo cominciò a trasformare anche le istituzioni statali che dovevano governare le nuove comunità nazionali: un tema, questo, analizzato nell’ultimo brano da Pietro Grilli di Cortona [►112].
103 A. CAMPI DEFINIRE LA NAZIONE
A. Campi, Nazione, il Mulino, Bologna 2004, pp. 121-26.
In questo brano, tratto da un saggio pubblicato nel 2004, Alessandro Campi (nato nel 1961), studioso del pensiero politico, esamina il nuovo significato che assume l’idea di “nazione” a partire dalla Rivoluzione francese: la sovrapposizione dei con-
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Nel corso del XIX secolo il concetto di «nazione» non solo si arricchisce di nuovi significati, in parte irriducibili a quelli che avevano caratterizzato la sua storia precedente, ma assume sul piano della lotta politica e della discussione storico-filosofica un’assoluta centralità, sino a diventare il sigillo di una fase storica che ancora oggi si tende a definire, in modo convenzionale, come «l’epoca della nazionalità». [...] Con le teorizzazioni del periodo rivoluzionario [...] si allarga a dismisura il campo semantico all’interno del quale, sino a quel momento, l’idea di nazione
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cetti di “nazione”, “popolo” e “patria” è uno dei fenomeni culturali più complessi e significativi, infatti, per comprendere le origini e gli sviluppi dei nazionalismi ottocenteschi. L’autore mostra in particolare la progressiva politicizzazione dell’idea di nazione, che diventa uno strumento di lotta capace di coinvolgere e mobilitare anche le masse popolari, non soltanto le élite intellettuali.
era stata pensata, articolata e utilizzata da una schiera di dottrinari: da semplice realtà collettiva caratterizzata da usi e costumi specifici essa diviene «la comunità fondamentale, il soggetto originario, da cui [discende] la legittimità delle istituzioni» chiamate, in un dato contesto spazio-temporale, ad organizzare la vita della collettività; in questa sua nuova funzione la «nazione» si pone al centro di una costellazione concettuale che comprende termini che prima non avevano con essa alcun rapporto oppure ne avevano uno estremamente blando: «popolo», «pa-
tria», «libertà», «cittadinanza», «Stato», «volontà», «sovranità». Dall’altro cambia in profondità il contesto storico, culturale e sociale nel quale il termine viene impiegato, nelle sue nuove accezioni e con modalità e finalità a loro volta originali e innovative. [...] Occorre segnalare come la nazione [...] nell’Ottocento finisca per diventare un concetto globale e inclusivo: essa non denota più un settore o gruppo particolare, ma indica una totalità che comprende tutti gli abitanti di un paese. La nazione, in altre parole, tende sempre più a coinci-
dere, simbolicamente e fisicamente, con il popolo. Quest’ultimo, a sua volta, non è più la populace1: cessa d’essere sinonimo di plebaglia, di folla o di moltitudine tumultuosa e informe, nell’accezione negativa tipica di tutta l’epoca prerivoluzionaria, per divenire (nella versione «francese» e volontaristica di nazione) un soggetto politico unitario composto non da sudditi politicamente passivi ma da cittadini tendenzialmente eguali, una realtà sociologicamente dinamica e attiva portatrice di valori, istanze e diritti che solo all’interno della sfera politico-giuridica definita dalla nazione – una, indivisibile e sovrana – possono realizzarsi in modo compiuto; ovvero (nella versione «tedesca» e romantica del concetto) un’unità organica e solidale composta da individui accomunati dalla lingua, dalla storia e dalla cultura, una totalità dotata di una fisionomia spirituale assolutamente unica e irriducibile, la cui specificità, per molti versi insondabile sul piano razionale, si riflette nel modo con cui si organizza ogni singola comunità nazionale. All’equivalenza o alla stretta correlazione tra nazione e popolo (tipicamente ottocentesca e ancora del tutto negata prima del 1789) si accompagna, in epoca post-rivoluzionaria, anche quella tra nazione e patria: termini che divengono, nel loro nuovo significato politico, in larga parte intercambiabili. Nel linguaggio filosofico settecentesco la patria indica-
va, da un lato, una dimensione affettiva e morale spazialmente assai circoscritta: il pays2 nel quale si è nati e cresciuti, la piccola comunità territoriale alla quale ogni uomo è legato dal ricordo, da un senso di riconoscenza filiale e da un sentimento intriso sovente di nostalgia e rimpianto. Dall’altro, era invece considerata come una sorta di luogo elettivo, nel quale gli spiriti illuminati possono riconoscersi a prescindere da qualunque vincolo di natura etnica, culturale o linguistica: la patria è dove si sceglie di vivere in funzione delle proprie esigenze, in particolare del grado di libertà e di benessere che essa può garantirci in quanto individui culturalmente maturi. [...] La scelta della patria non risponde ad un appello sentimentale, a una necessità politica indotta dell’esterno o imposta dalla consuetudine, ma a un bisogno dell’animo umano, a una disposizione intellettuale, che nella celebre espressione di Goethe3, «dove sono utile, là è la mia patria», si carica anche di un preciso senso morale e del dovere. Nel linguaggio politico ottocentesco [...] si assiste invece a una progressiva «nazionalizzazione del patriottismo». Quest’ultimo fenomeno, a sua volta, si accompagna da un lato con la definitiva politicizzazione del concetto di nazione (che diviene lo strumento di una lotta per la libertà, l’indipendenza e l’autodeterminazione guidata da élite politico-intellettuali ma in grado di coinvolgere anche le masse po-
104 G. HERMET NAZIONALISMO, PATRIA E CITTADINANZA
G. Hermet, Nazioni e nazionalismi in Europa, il Mulino, Bologna 2004, pp. 140-42.
Il politologo e storico francese Guy Hermet (nato nel 1934), nel suo libro Nazioni e nazionalismi in Europa, pubblicato per la prima volta nel 1996, riflette sull’evoluzione politica e Tentare di mettere un po’ d’ordine nei problemi sollevati dal concetto moderno di nazione significa fare i conti con così tanti elementi che l’impresa diventa disperata. Prima di qualunque esame delle teorie, una difficoltà iniziale nasce dal vocabolario. Dopo il 1790 appare tutta una famiglia di parole inedite o reinterpretate. Al popolo è riconosciuta la dignità suprema, simbolica o reale a seconda dei casi, mentre la nazione assume i suoi due volti,
polari) e dall’altro con la sempre più stretta connessione tra quest’ultimo concetto e la realtà – effettuale o potenziale – dello Stato unitario, che della nazione-patria rappresenta ormai il «confine» e l’ambito privilegiato in senso spaziale-territoriale, simbolico-normativo e politico-legale.[...] La nazione s’impone progressivamente sia come concreta realtà storico-politica sia come idea destinata a contagiare e condizionare in modo più o meno diretto tutte le famiglie politico-ideologiche ottocentesche. 1. “Plebaglia”, in francese. 2. “Paese”, in francese. 3. Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832), scrittore e poeta tedesco, fu fra i più importanti esponenti del Romanticismo. Il suo romanzo epistolare I dolori del giovane Werther (pubblicato nel 1774), in cui il protagonista si suicida per amore, ebbe un enorme successo in tutta Europa.
METODO DI STUDIO
a Cerchia i termini che diventano correlati al concetto di nazione nel corso del XIX secolo. b Spiega sinteticamente per iscritto i seguenti temi affrontati da Campi: a. come cambia l’utilizzo del temine “nazionale”; b. le cause e le conseguenze dell’allargamento semantico dell’idea di nazione; c. il rapporto tra i termini “nazione” e “popolo”, “nazione” e “patria”; d. le conseguenze della politicizzazione del concetto di nazione e il rapporto con lo Stato unitario.
storica del nazionalismo e del sentimento di appartenenza nazionale. In particolare, nel brano qui proposto, ripercorre la storia di alcuni vocaboli che ruotano intorno al nuovo concetto di nazione: alcuni di questi termini erano già in uso nei secoli precedenti, ma nel corso dell’800 acquistano un diverso significato politico e culturale.
quello politico o quello culturale, relativamente discordi. Da parte sua il termine «nazionalità», comparso già nel Seicento in Spagna (nacionalidad) e in Inghilterra (nationality), entra in uso in Francia verso il 1770 a indicare la coscienza nazionale. Un significato alquanto diverso assume al plurale, con il principio delle nazionalità che sta a indicare l’aspirazione all’unità o all’indipendenza dei popoli senza uno stato; da ultimo, quando verso il 1835 il
termine «naturalità» (nel senso di «natura» di una nazione, giunto fino a noi nel vocabolo «naturalizzazione») cade in disuso, nazionalità al singolare passa a indicare semplicemente l’appartenenza legale di una persona a un paese. Quanto all’ultimo nato, il termine «nazionalismo», la cui comparsa sembra risalire al 1798, comincia col connotare, in Francia, lo spirito rivoluzionario, poi con Lamartine (1836) esprime il sentimento patriotti-
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FARESTORIA Una nuova idea di Nazione
co1, in Proudhon acquista una sfumatura peggiorativa o positiva a seconda che condanni l’aggressività delle nazioni esistenti (1849) o plauda all’ambizione di quelle che cercano di costituirsi (1865) e da ultimo, fra il 1870 e il 1914, si fissa nell’accezione di particolarismo oltranzista2, spesso associato all’estremismo di destra. Alla linea diretta si aggiungono i rami collaterali. In primo luogo il concetto di patria, la cui radice latina nel Cinquecento evoca la simbolica paternità del paese natale. Rousseau lo intende sempre così, ma nei due secoli successivi nuovi significati si aggiungono al primo: l’appartenenza affettiva a una nazione allargata e allo stato che la rappresenta; l’adesione, in Francia, alla patria dei rivoluzionari – e di lì a poco l’espressione «madre patria» (1798) insisterà su questa accezione restrittiva. Stranamente la parola «patriota» segue un percorso relativamente autonomo. In Inghilterra se lo accaparrano i seguaci di Cromwell3. In Francia, nel Cinquecento, la qualifica di «buon patriota» già precorre quella di cittadino esemplare, poi suona come riconoscimento per il merito del perfetto sanculotto e da ultimo, con minore spirito vendicativo, loda quello del buon francese. Anche il patriottismo viene chiamato così per la prima volta in Inghilterra intorno al 1720 e da allora esalta
una posizione di attivo impegno ideale e morale in favore del paese. In Francia invece assume quel significato solo verso il 1750, poi se ne discosta per qualche tempo. Dopo la caduta di Napoleone, infatti, al «patriottismo di stato» succede un tipo di attaccamento alla propria terra alquanto ostile al potere costituito, inizialmente progressista e venato di ostilità contro la monarchia restaurata, poi invece reazionario, in quanto contrappone il paese reale, primordiale e nativo, a quello legale e fittizio dei politicanti repubblicani. Bisognerebbe completare il glossario con [...] le sottigliezze del tedesco che distingue tra la Nationalität culturale ed etnica e la Staatsangehörigkeit4 o semplice appartenenza amministrativa a uno stato. Ma ci limiteremo a considerare solo un’altra parola, cittadinanza, in cui si riassumono tutti i problemi posti dall’esplosione nazionalista successiva al 1815. Ai nostri giorni la cittadinanza praticamente coincide con la nazionalità, come nella definizione in cui sta a indicare «lo status degli individui nello sviluppo degli stati-nazione». Ma proprio questo è il punto che domina la storia europea dalla fine dell’età napoleonica alla guerra del 19141918. Durante quel lungo periodo, infatti, la scommessa consiste nell’associare quei due concetti rimasti per molto tempo an-
105d GEORGE GORDON BYRON LA GRECIA E L’ITALIA DEI ROMANTICI
G.G. Byron, Aroldo, Sansoni, Firenze 1924, vol. I, pp. 22-23; 142-43; vol. III, pp. 42-43.
George Gordon Byron (1788-1824) fu uno dei più importanti esponenti del Romanticismo inglese ed europeo, sia per la sua produzione poetica, sia per lo strettissimo intreccio fra la sua opera e la sua vita avventurosa, che si concluse con la morte precoce nella guerra di indipendenza greca. Nel poema in quattro canti Childe Harold’s Pilgrimage (Il pellegrinaggio del giovane
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And now Childe Harold was sore sick at heart, And from his fellow Bacchanals would flee; ’Tis said, at times the sullen tear would start, But Pride congealed the drop within his ee: Apart he stalked in joyless reverie, And from his native land resolved to go, And visit scorching climes beyond the sea;
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tagonisti nelle società in cui i nazionalisti, in numero crescente, deploravano che la cittadinanza assegnata loro per forza non corrispondesse alla nazionalità che rivendicavano. 1. Alphonse de Lamartine (1790-1869), poeta francese, fu un esponente del Romanticismo: fu inoltre ministro degli Esteri del governo provvisorio che si instaurò in Francia nel 1848 dopo la caduta di Luigi Filippo d’Orléans. 2. Comportamento radicale di chi intende curare solo i propri interessi particolari: ad esempio una minoranza etnica o religiosa che vuole affermarsi come autonoma all’interno di uno Stato o di una comunità. 3. Oliver Cromwell (1599-1658) fu protagonista a metà del ’600 della prima Rivoluzione inglese, che portò alla caduta della monarchia degli Stuart e all’instaurazione, per circa un decennio (1649-60), della Repubblica, di cui Cromwell divenne capo con la carica di “Lord protettore di Inghilterra, Scozia e Irlanda”. 4. Letteralmente, “appartenenza a uno Stato”.
METODO DI STUDIO
a Cerchia le parole che appaiono dopo il 1790 inedite o reinterpretate. Quindi trascrivile sul quaderno sintetizzandone il nuovo significato. b Spiega se esiste e in cosa consiste un rapporto fra cittadinanza e nazionalità dalla fine dell’età napoleonica alla prima guerra mondiale.
Aroldo, 1812-1818), Byron narra le peregrinazioni di un giovane cavaliere dai caratteri tipici dell’eroe romantico (un alter ego dell’autore): disgustato dalla sua vita in Inghilterra, che trascorreva tra le feste e l’amore infelice per una donna, Aroldo decide di lasciare il suo paese. Riportiamo qui alcuni passaggi tratti dai canti I, II e IV, nei quali vengono descritte le bellezze della Grecia e dell’Italia e le virtù dei popoli che le abitavano: luoghi simbolici per gli intellettuali romantici dell’epoca e mèta di loro pellegrinaggi. Dalle antiche rovine e dal passato glorioso di questi due paesi sarebbero dovute rinascere delle nazioni moderne.
With pleasure drugged, he almost longed for woe, And e’en for change of scene would seek the shades below. Ed ora Aroldo il Cavaliere era profondamente triste, e dai suoi compagni d’orgia voleva fuggire; dicesi che talvolta una triste lagrima solesse spuntare, ma che l’orgoglio gli ghiacciasse quella goccia nell’occhio: se n’andava in disparte, assorto in mesti pen-
sieri, e risolse di abbandonare la patria e visitare ardenti climi al di là del mare; intossicato di piacere, quasi agognava il dolore, e, per cambiare scena, avrebbe cercato le ombre infernali. [...] Fair Greece! sad relic of departed Worth! Immortal, though no more; though fallen, great! Who now shall lead thy scattered children forth,
And long accustomed bondage uncreate? Not such thy sons who whilome did await, The hopeless warriors of a willing doom, In bleak Thermopylæ’s sepulchral strait – Oh! who that gallant spirit shall resume, Leap from Eurotas’ banks, and call thee from the tomb? Bella Grecia! Mesto avanzo di una gloria svanita! Immortale, benché tu più non sia; grande, benché caduta! Chi guiderà ormai alla lotta i tuoi sparsi figli, e spezzerà la schiavitù alla quale da lungo tempo sono abituati? Non così erano i tuoi figli, che una volta – guerrieri senza speranza votati a morte volontaria – l’attesero nella sepolcrale valle delle squallide Termopili1 – oh, chi riconquisterà quell’animo ardito, si lancerà dalle sponde dell’Eurota2 e ti rievocherà dalla tomba? [...]
Italia! oh Italia! thou who hast The fatal gift of Beauty, which became A funeral dower of present woes and past – On thy sweet brow is sorrow ploughed by shame, And annals graved in characters of flame. Oh, God! that thou wert in thy nakedness Less lovely or more powerful, and couldst claim Thy right, and awe the robbers back, who press To shed thy blood, and drink the tears of thy distress; Italia! o Italia! Tu che avesti il fatale dono della bellezza che divenne la funerea dote di dolori presenti e passati, sulla tua dolce fronte il solco della sofferenza è stato inciso dalla vergogna ed i tuoi annali impressi con lettere di fiamma. Volesse Iddio che
106d JOHANN GOTTLIEB FICHTE LA NAZIONE TEDESCA E IL SUO POPOLO
J.G. Fichte, Discorsi alla nazione tedesca, Utet, Torino 1946, pp. 75-78; 148-53.
L’occupazione napoleonica costituì un’esperienza fondamentale per molti paesi europei e per molti intellettuali dell’epoca: rappresentò da una parte un fattore di modernizzazione ma dall’altra venne percepita come un periodo di brutale dominazione. A tal punto che molti sostenitori dell’89 finirono per opporsi agli occupanti, come fece Johann Gottlieb Fichte (1762-1814), filosofo idealista tedesco. Egli difese dapprima le ragioni dei rivoluzionari di fronte all’opinione pubblica del suo paese, ma in seguito ebbe un ripensamento radicale. Nei celebri Discorsi alla nazione tedesca, tenuti a Quarto discorso I tedeschi sono un ramo dei germani1; di questi ultimi basterà dire che essi furono coloro che seppero accoppiare l’ordine sociale, fondato nella vecchia Europa, colla vera religione, conservatasi nella vecchia Asia, e così sviluppare un’èra nuova2 contrastante colla tramontata antichità. Inoltre, a definire la stirpe tedesca in contrasto con le altre stirpi germaniche sorte al suo fianco (altre nazioni dell’Europa nuova, per es. quelle di origine slava, non sembrano aver raggiunto uno sviluppo tanto distinto dalla restante Europa) è sufficiente che se ne possa dare una determinata caratteristica, la quale differisca da quella di altre stirpi pari-
nella tua nudità tu fossi men bella o più forte, e potessi rivendicare il tuo diritto, e ricacciare atterriti i briganti che s’accalcano per versare il tuo sangue e bevere le lagrime del tuo dolore. 1. Nell’agosto del 480 a.C. il passo delle Termopili fu difeso da trecento guerrieri spartani, che così riuscirono a coprire la ritirata dell’esercito greco, inseguito dai Persiani. 2. Fiume della Grecia meridionale che attraversa Sparta.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le caratteristiche che, nei versi di Byron, il popolo greco avrebbe ormai perso. b Cerchia le caratteristiche peculiari dell’Italia e sottolinea gli auspici pronunciati da Aroldo.
Berlino nel 1807 e pubblicati l’anno successivo, invitava alla riscossa il popolo tedesco, politicamente diviso e traumatizzato dalla sconfitta subìta dall’esercito prussiano nel 1806, a Jena, a opera dei francesi. Essi segnano l’atto di nascita del nazionalismo tedesco nella sua versione più esclusivistica e tendenzialmente autoritaria (che non escludeva, però, una componente democratica, ravvisabile nell’appello al popolo, al di là delle distinzioni di classe). Tutto ciò appare evidente nei due brani qui riportati, tratti rispettivamente dal IV e dall’VIII discorso: nel primo Fichte definisce le caratteristiche che farebbero del popolo tedesco l’unico degno di questo nome fra le popolazioni europee; nel secondo spiega i concetti di “popolo” e di “patria”, entità spirituali alle quali tutto va subordinato.
menti germaniche – ancorché tra l’una e le altre non corra quella tale differenza fondamentale di cui diremo or ora. Così gli scandinavi, per dirne una, han da esser considerati come tedeschi, e vanno estese a loro tutte le conseguenze delle nostre considerazioni. [...] La prima differenza tra il destino dei tedeschi e quello degli altri popoli di origine germanica è questa: che i tedeschi rimasero nelle sedi primitive del popolo originario, gli altri migrarono verso nuove contrade; i tedeschi conservarono la loro lingua e la svilupparono, gli altri adottarono una lingua straniera che a poco a poco a modo loro trasformarono. [...] Dei cambiamenti da noi indicati, il primo, il cambiamento di sede, è insignificante.
L’uomo si ricostruisce una patria sotto qualsiasi lembo di cielo; e i costumi nazionali, lungi dal modificarsi col mutar di paese, molto più spesso si impongono al nuovo paese e lo modificano. [...] Ma ben più importante, e tale da porre un’assoluta antitesi tra i tedeschi e gli altri popoli di schiatta germanica è la seconda differenza: quella della lingua. E voglio dire subito ben chiaro che l’importanza 1. Con il termine “germani” si intendono tutte le diverse popolazioni di origine indoeuropea che abitavano fin dall’Antichità le regioni dell’Europa centrale e settentrionale corrispondenti oggi al territorio della Scandinavia e della Germania. 2. Il Medioevo.
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FARESTORIA Una nuova idea di Nazione
del fatto non sta nella natura specifica della lingua che una stirpe mantiene o di quell’altra che un’altra stirpe assume, ma sta in ciò che il primo popolo mantiene la propria lingua, e quegli altri ne assumono una straniera; né quel che importa è sapere da chi discendano coloro che continuano a parlare la propria lingua, ma se questa lingua sia stata parlata senza interruzione, poiché molto più sono foggiati gli uomini dalla lingua che non la lingua dagli uomini. Ottavo discorso Ecco dunque il significato della parola «popolo», dal punto di vista di un mondo spirituale: quel complesso di uomini conviventi permanentemente e permanentemente riproducentesi sia naturalmente che spiritualmente, stando esso sotto una speciale legge di sviluppo dell’elemento divino che esso ha in sé. [...] Quella legge di sviluppo dell’elemento primitivo e divino determina e compie ciò che si è chiamato il «carattere nazionale di un popolo». [...] La fede dell’uomo bennato nella perpetuità della sua opera anche quaggiù in terra si fonda quindi sulla speranza della perpetuità del popolo ond’egli è nato e del carattere di esso, secondo quella misteriosa legge, e senza che elementi estranei e non consentanei a quella legislazione vengano a inquinarla. Tale carattere è l’elemento eterno cui egli affida la propria eternità e quella delle sue opere, l’eterno ordine delle cose in cui egli ripone il suo
eterno. Ora egli deve volere questa perpetuità, poiché essa sola è per lui il vincolo e il mezzo di prolungare a vita eterna il breve tratto della sua vita mortale. La sua fede e il suo conato a fondare qualcosa di imperituro, il concetto secondo cui egli concepisce la propria vita come vita eterna, è il vincolo per mezzo del quale egli lega intimamente a sé dapprima la sua nazione, poi tutta l’umanità, e allarga il suo cuore fino a farlo capace di accogliere tutte le aspirazioni di essa fino alla fine dei secoli. Questo è l’amore per il suo popolo, fatto di rispetto, fiducia, gioia di appartenervi, orgoglio di discenderne. [...] «Popolo» e «patria» in questo significato, come portatori e garanti dell’eternità terrena, come ciò che quaggiù può essere eterno, sorpassano di molto lo «stato» nel senso comune di questa parola, di molto «l’ordine sociale» quale s’intende correntemente, e quale, secondo questo concetto, lo si costituisce e mantiene. Questo vuole un sicuro diritto, pace interna, e che ciascuno colla sua operosità provveda a se stesso, e trovi il suo appagamento sensuale, finché Dio vorrà dargli vita. Ma tutto ciò non è che mezzo, condizione, impalcatura di quel che vuole l’amor patrio: il fiorire del divino nel mondo, sempre più puro, più perfetto, più prossimo al limite nel suo infinito perfezionarsi. Perciò l’amor di patria deve governare lo stato come suprema incontrollata istanza, in quanto lo limita nella scelta dei mezzi necessari al suo scopo immediato: la pace interna. A tale scopo è ovvio che la libertà naturale dei singoli deve essere
107d ERNEST RENAN «UNA COSCIENZA MORALE CHE SI CHIAMA NAZIONE»
E. Renan, Che cos’è una nazione?, con introd. di S. Lanaro, Donzelli, Roma 1998, pp. 15-17.
Nella seconda metà del XIX secolo si compiono due grandi processi di unificazione nazionale: quello italiano e quello tedesco. Quest’ultimo, in particolare, è influenzato da uno spirito nazionalistico ben lontano da ogni ispirazione democratica: si compie infatti grazie alla guerra che la Prussia vince prima contro l’Austria (1866) e poi contro la Francia (1870). È proprio come conseguenza di quest’ultimo evento che si arriva alla proclamazione del Reich. Proprio ai dan-
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Una nazione è un’anima, un principio spirituale. Due cose, che in realtà sono una cosa sola, costituiscono quest’anima e questo principio spirituale; una è
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
in parecchi modi limitata, e se non esistessero verso di essi altri riguardi e altre intenzioni, sarebbe opportuno questa libertà restringerla ad un minimum, regolarne uniformemente le manifestazioni, e controllarle assiduamente. In secondo luogo deve governarlo in modo da imporgli uno scopo il quale trascenda quello banale della tutela della pace e della proprietà, della libertà personale, della vita e del benessere individuale. Solo per questo scopo trascendente e non con altre intenzioni, lo stato si costituisce una forza armata. Quando sorge la questione di impiegare una tal forza, quando si tratta di arrischiare tutti gli scopi teorici dello stato – la proprietà, la libertà individuale, la vita, il benessere e l’esistenza dello stato, senza che nulla assicuri la vittoria (in cose di tal fatta non è mai possibile, e Dio solo dispone) – allora al timone dello stato si colloca una vita veramente originale e primitiva, e da quel posto di comando si affaccia il vero diritto di maestà di esporre – come può fare Iddio – la vita inferiore dei sudditi per conservare la vita superiore della patria.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le caratteristiche che Fichte attribuisce alla stirpe tedesca e che la distinguono dagli altri popoli. b Evidenzia con colori diversi le parole chiave che si riferiscono al concetto di popolo e di patria secondo l’autore e argomenta la tua scelta per iscritto.
ni della Francia il nuovo Impero tedesco strapperà i territori dell’Alsazia-Lorena, ritenuti storicamente tedeschi e abitati da popoli di “stirpe” germanica. In questo contesto va analizzato il brano seguente, tratto da una conferenza intitolata Che cos’è una nazione?, tenuta l’11 marzo 1882 alla Sorbona da Ernest Renan (1823-1892), storico francese delle religioni e delle origini del cristianesimo, filosofo e studioso di linguistica, tra i più importanti teorici del nazionalismo ottocentesco. Da queste pagine emerge una concezione morale e spirituale della nazione, basata sul libero consenso dei cittadini, da cui la celebre definizione della nazione come frutto di un «plebiscito di tutti i giorni».
nel passato, l’altra nel presente. Una è il comune possesso di una ricca eredità di ricordi; l’altra è il consenso attuale, il desiderio di vivere insieme, la volontà di
continuare a far valere l’eredità ricevuta indivisa. L’uomo, signori, non s’improvvisa. La nazione, come l’individuo, è il punto d’arrivo di un lungo passato di sforzi, di
sacrifici e di dedizione. Il culto degli antenati è fra tutti il più legittimo; gli antenati ci hanno fatti ciò che siamo. Un passato eroico, grandi uomini, gloria (mi riferisco a quella vera), ecco il capitale sociale su cui poggia un’idea nazionale. Avere glorie comuni nel passato, una volontà comune nel presente; aver compiuto grandi cose insieme, volerne fare altre ancora, ecco le condizioni essenziali per essere un popolo. Si ama in proporzione ai sacrifici fatti, ai mali sofferti insieme. Si ama la casa che si è costruita e che si lascia in eredità. [...]. Nel passato, un’eredità di gloria e di rimpianti da condividere, per l’avvenire uno stesso programma da realizzare; aver sofferto, gioito, sperato insieme, ecco ciò che vale più delle dogane in comune e più delle frontiere conformi ai principi strategici; ecco ciò che si comprende malgrado le diversità di razza e di lingua. Dicevo poco fa: «aver sofferto insieme»; sì, la sofferenza comune unisce più della gioia. In fatto di ricordi nazionali, i lutti valgono più dei trionfi, poiché impongono doveri e uno sforzo comune. La nazione è dunque una grande solidarietà, costituita dal sentimento dei sacrifici compiuti e da quelli che si è ancora disposti a compiere insieme. Presuppone un passato, ma si riassume nel presente attraverso un fatto tangibile: il consenso, il desiderio chiaramente espresso di continuare a vivere insieme. L’esistenza di
una nazione è (mi si perdoni la metafora) un plebiscito di tutti i giorni, come l’esistenza dell’individuo è una affermazione perpetua di vita. Nell’ordine di idee che vi espongo, una nazione non ha il diritto, più di quanto non lo abbia un re, di dire a una provincia: «Tu mi appartieni; ti prendo». Per noi, una provincia sono i suoi abitanti; se c’è qualcuno in questa faccenda che ha il diritto di essere consultato, è chi ci abita. Una nazione non ha mai un vero interesse ad annettersi un paese contro la sua volontà. Il voto delle nazioni è, in definitiva, il solo criterio legittimo, quello al quale bisogna sempre tornare. [...] Le nazioni non sono qualcosa di eterno. Esse hanno avuto un inizio, avranno una fine. La confederazione europea, probabilmente, prenderà il loro posto. Ma non è questa la legge del secolo in cui viviamo. Oggi l’esistenza delle nazioni è un bene, persino una necessità. La loro esistenza è garanzia della libertà, che sarebbe perduta se il mondo avesse una sola legge e un solo padrone. [...] Signori, riassumo. L’uomo non è schiavo né della sua razza, né della sua lingua, né della sua religione, né del corso dei fiumi, né della direzione delle catene montagnose. Una grande aggregazione di uomini, sana di spirito e generosa di cuore, crea una coscienza morale che si chiama nazione. Fintanto che questa coscienza morale mette alla prova la sua forza attraverso i
108 H.-U. WEHLER NAZIONE E ETNIA
H.-U. Wehler, Nazionalismo. Storia, forme, conseguenze, Bollati Boringhieri, Torino 2002, pp. 73-79.
Uno dei caratteri distintivi della nuova nazione ottocentesca risiede nel sentimento di appartenenza di un popolo a una comune etnia. In questo brano, lo storico sociale tedesco Hans-Ulrich Wehler (1931-2014) spiega innanzitutto cosa si Nonostante il nazionalismo e il suo obiettivo di rendere la nazione uno Stato nazionale sovrano siano di fatto fenomeni moderni, i protagonisti del nazionalismo non possono aver «inventato» l’intero costrutto. Essi l’hanno piuttosto combinato attingendo a elementi della tradizione storica, ricorrendo cioè anche alla storia di quelle organizzazioni di dominio entro cui il nazionalismo si sviluppò. Non si può insomma ignorare che in Inghilterra, in America [...] e in Francia il nazionalismo si trovasse di fronte a etnie dotate di ricchis-
sacrifici richiesti dall’abdicazione dell’individuo a favore di una comunità, essa è legittima, ha il diritto di esistere. Se si sollevano dubbi sulle sue frontiere, consultate le popolazioni contese. Esse hanno ben diritto di dare un parere sulla questione. Ecco una cosa che farà sorridere i geni della politica, quegli esseri infallibili che passano la vita a sbagliare e che, dall’alto dei loro superiori principi, hanno compassione della nostra modesta proposta. «Consultare le popolazioni, oibò! che ingenuità! È proprio una di quelle misere idee francesi che pretendono di sostituire la diplomazia e la guerra con mezzi di infantile semplicità». – Aspettiamo, Signori; facciamo passare il regno dei geni; sopportiamo il disprezzo di chi si sente forte. Forse, dopo tanti tentativi infruttuosi, si tornerà alle nostre modeste soluzioni empiriche. Il modo per avere ragione in futuro è, in certi momenti, sapersi rassegnare a esser fuori moda.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea tutti gli elementi che, secondo Renan, concorrono alla formazione dell’idea di nazione. b Spiega in quale situazione potrebbe essere utile consultare le popolazioni e per quale motivo. c Spiega per iscritto chi è l’autore del brano, che tipo di documento è questo e in quale contesto è stato realizzato.
intenda con il termine “etnia”, per poi passare ad analizzare il modo in cui i nazionalisti presero in prestito da questa gli elementi sui quali poter costruire l’idea di nazione. Fu da una parte, dunque, un processo di “invenzione” creativa di un sentimento di appartenenza nazionale, ma dall’altra questa invenzione poggiava su fattori etnici reali e tradizioni storiche già condivise.
simi repertori di tradizioni. In via preliminare precisiamo che in questa sede con etnia si intende un’autonoma organizzazione di dominio improntata a una salda concezione di solidarietà, dotata di un comune mito simbolico di origine (il quale a sua volta poggia su «tradizioni inventate») e di una forte consapevolezza di esperienze storiche comuni, nonché, infine, di uno stretto legame con un territorio. In questo senso, l’etnia non ha nulla in comune con il concetto di razza, ma indica piuttosto una popolazione storicamente e socio-
culturalmente distinta, con un proprio sistema di potere. Ed è proprio da questo «materiale grezzo» da tempo presente, da questa massa di disponibilità storica delle etnie che i precorritori del nazionalismo poterono trarre buona parte degli elementi della loro costruzione. È qui infatti che si trovavano effettive organizzazioni di dominio che godevano di una storia secolare approdata allo Stato moderno, qui si trovano una lingua e una cultura comuni, comuni ricordi di vittorie e sconfitte, comuni usi e costumi, come lo stile architettonico,
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FARESTORIA Una nuova idea di Nazione
l’abbigliamento, l’alimentazione, un passato etnico inventato o in qualche modo messo a punto. La nuova «carta geografica mentale» del nazionalismo possedeva dunque sotto diversi aspetti i tanto familiari caratteri della etnia di appartenenza. [...] L’artificio effettivamente creativo del nazionalismo risiedeva piuttosto nella sua capacità di trasformare, attraverso una sua reinterpretazione, il differenziato passato delle etnie in un uniforme passato nazionale, così da far sorgere l’illusione di una continuità di tradizioni di lunga data e priva di qualsiasi rottura o deviazione di percorso. Le tradizioni non calzanti vennero semplicemente adombrate o trasformate, cosicché un passato conveniente potesse affermarsi. Alla luce di tali presunti profondi radicamenti della storia in epoche primordiali si potevano allora interpretare le crisi e le guerre come prove esistenziali delle associazioni «santificate» dalle tradizioni, per il superamento delle quali si esigeva e si giustificava il sangue delle vittime. Sotto questa luce la volontà di affermazione mostrata dalle remote «nazioni» appariva come disinteressata, in alcun modo mossa da interessi materiali, e proprio per questo si riteneva potesse esigere il sacrificio puro. Ciò corrispondeva di fatto alla produzione di martiri per la giusta
causa, ma [...] i martiri procurano anche un accrescimento della credibilità, o meglio la sacralizzazione1 della vera dottrina. A questo proposito sorgono evidenti due paradossi: da un canto il nazionalismo e la nazione costituivano (oggettivamente) due fenomeni nuovi della modernità, mentre agli occhi dei suoi protagonisti essi erano (soggettivamente) percepiti come qualcosa di antichissimo. Dall’altro il nazionalismo rivendicava per sé il valore di principio universale, come se si trattasse di qualcosa di assolutamente scontato, insistendo tuttavia sull’unicità e particolarità della sua propria conformazione. [...] L’immenso potere di attrazione esercitato dal nazionalismo derivava dal fatto che, muovendo da una situazione di crisi, esso compiva una opera di costruzione sensibile alla tradizione e promotrice di una nuova interpretazione del mondo. [...] Sui nessi esistenti tra nazionalismo e etnia si possono allora formulare le seguenti [...] tesi: 1) Là dove il nazionalismo entrò in interazione con etnie organizzate in un proprio Stato su un territorio già omogeneizzato da precedenti Stati principeschi, esso procurò alla sua nazione e al suo Stato nazionale una durevole e solida base. 2) Là dove invece il nazionalismo si inserì
109 A.-M. THIESSE LE LINGUE NAZIONALI
A.-M. Thiesse, La creazione delle identità nazionali in Europa, il Mulino, Bologna 2001, pp. 63-68.
Alcune delle attuali lingue nazionali europee non esistevano prima dell’800: l’idea che a ogni nazione corrisponda una lingua è infatti un prodotto del nazionalismo moderno. Del resto, dopo aver “inventato” la nazione, per i nazionalisti diventò urgente creare un’unica lingua parlata da tutta la popo-
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Sono diverse le attuali lingue nazionali europee che non esistevano prima dell’Ottocento: al pari delle nazioni, sono state in seguito gratificate da una storia che risale alla notte dei tempi, ma la loro nascita è recentissima. L’Europa illuminista offre un paesaggio linguistico quanto meno complesso, poiché la gran massa della popolazione, rurale e analfabeta, parla dialetti che non sono in genere oggetto di trascrizioni, mentre esistono lingue che hanno un’espressione scritta di vario genere: lingue di corte, lingue letterarie o filosofiche, lin-
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
in un contesto di molteplici organizzazioni solidali su base etnica e ricche di tradizioni (come gli Stati tedeschi o italiani del XIX secolo), esso compensò la mancanza di una precedente omogeneità territoriale mobilitando la memoria di antichi «Stati» in un glorioso passato, producendo in questo modo la finzione di una continuità interrotta solo per brevi periodi. 3) Là dove il nazionalismo intervenne in zone di precedente dominio coloniale, caratterizzate da un forte pluralismo etnico privo di organizzazioni di dominio su base etnica e unite dalla tradizione, per non parlare di un moderno apparato statale, i nuovi «Stati nazionali» si sarebbero caratterizzati per una stabilità estremamente precaria. 1. Attribuire un carattere sacro e religioso.
METODO DI STUDIO
a Spiega per iscritto in cosa consiste per Wehler il concetto di etnia e quale relazione ha col concetto di razza e perché. b Sottolinea il ruolo delle tradizioni nella formulazione del passato nazionale. c Spiega quali furono i risultati dell’interazione del nazionalismo con le diverse realtà storiche.
lazione che ne faceva parte. La storica francese Anne-Marie Thiesse, autrice di un saggio pubblicato nel 1999 sulla formazione delle identità nazionali in Europa, spiega in questo brano perché la questione delle lingue nazionali fu una delle principali preoccupazioni dei governi e come la diffusione della carta stampata abbia svolto un ruolo importante nella nascita di comunità linguisticamente omogenee.
gue liturgiche o amministrative, lingue dell’insegnamento primario, superiore e universitario. All’interno di uno stesso stato, non vi è necessariamente identità tra queste diverse funzioni: negli stati tedeschi protestanti, per esempio, la lingua dell’insegnamento religioso e dell’insegnamento primario è il tedesco, mentre l’insegnamento secondario viene di solito impartito in latino, e la lingua di corte e quella della cultura prediligono il francese. [...] La diffusione di una lingua vernacolare1 standardizzata dalla stampa può esse-
re stato uno degli elementi di maggiore importanza nel risveglio del sentimento nazionale? [...] La diffusione della carta stampata svolge un ruolo importante nella presa di coscienza di un’identità linguistica e nazionale. Non è certo un caso se l’idea di una stretta unione tra lingua e nazione si forma soprattutto nei pae1. Lingua parlata in una determinata area: si pensi a questo proposito al vernacolo “toscano” parlato in una precisa regione della penisola italiana, poi adottato come lingua ufficiale dell’Italia unita.
si che hanno conosciuto la Riforma2 [...], ma questo fenomeno non è suscettibile di venire esteso a tutta quanta l’Europa, in quanto alcune zone sono state appena sfiorate dalla diffusione di scritti in lingua vernacolare: vuoi perché la popolazione non era alfabetizzata in quelle lingue, vuoi perché non esistevano in luogo delle vere e proprie stamperie. In quei casi, alla creazione di una lingua vernacolare scritta destinata a diventare lingua nazionale fa quasi subito seguito la produzione volontaria di libri e periodici destinati a promuovere il nuovo mezzo, e contemporaneamente, nei paesi che ne erano sprovvisti, sorgono stamperie. In realtà, dalla formulazione iniziale: «La nazione esiste perché ha una lingua», si passa, quando per tutta l’Europa si diffonde l’idea nazionale, a una formulazione completamente diversa: «La nazione esiste, dunque bisogna darle una lingua». Resta nondimeno evidente che la creazione di giornali svolge un ruolo importante nella diffusione del sentimento identitario, dando al dibattito una nuova forma e una nuova struttura. La stampa, che in un primo tempo considera l’informazione evenemenziale3 più della discussione politica e ideologica, forma e sviluppa l’opinione pubblica, definisce i temi e i termini di discussione ripresi oralmente nelle cerchie frequentate dai suoi lettori, che si trovano così inclusi in uno spazio eccedente quello delle loro esperienze personali e professionali. [...] La questione delle lingue nazionali è uno dei grandi problemi europei alla fine del Settecento. Fino a quel momento le lingue parlate dai vari sudditi erano state un problema secondario per i sovrani, più preoccupati della riscossione delle imposte, delle condizioni del loro esercito o delle possibili opposizioni nobiliari in loro potere. [...] La proclamazione della repubblica4 cambia radicalmente la prospettiva:
l’uso della «lingua del re» era per i sudditi una questione d’educazione e scelta, per i cittadini l’uso della lingua della nazione è un dovere. Il compito di una lingua nazionale è da un lato quello di sostituirsi a una eterogeneità di modi linguistici rispondenti a usi diversificati e, dall’altro, di rappresentare la nazione: il suo «capitolato d’oneri» è perciò pesante e costrittivo. Essa deve garantire la comunicazione orizzontale e verticale in seno alla nazione: quale che sia la loro origine geografica e sociale, tutti i suoi membri devono comprenderla e utilizzarla. Deve quindi permettere l’espressione di ogni idea e realtà, dalle più antiche alle più moderne, dalle più astratte alle più concrete. Deve inoltre permettere alla nazione di illustrarsi e di mostrare che è pari in grandezza a tutte le altre. Deve infine confondersi con la nazione, radicandosi nel suo passato storico e recando l’impronta del popolo. In funzione delle differenti situazioni iniziali, gli ideatori di lingue nazionali accentuano più o meno questo o quel requisito. In Francia il lavoro riguarda più che altro la storia della lingua, strettamente collegata alla storia della nazione (il che spiega l’episodio della ricerca frenetica dell’antica lingua dei galli all’inizio del XIX secolo), e l’estensione del suo insegnamento. In Germania lo studio delle origini e la diffusione della lingua si accompagnano a un altro compito: convincere le élite che il tedesco è una vera lingua di cultura, bisognosa soltanto di qualche ritocco per potere prendere il posto del francese, come gli scrittori dello Sturm und Drang5 e del romanticismo cercheranno, con successo, di dimostrare. In genere, per le nazioni già dotate di una letteratura scritta viva, la formazione della lingua nazionale è soprattutto questione d’insegnamento, di arricchimento stilistico e semantico, di sviluppo della produzione scritta e di accrescimento del capitale simbolico.
110 A.D. SMITH LE ORIGINI CULTURALI DELLE NAZIONI
A.D. Smith, Le origini culturali delle nazioni: gerarchia, alleanza, repubblica, il Mulino, Bologna 2010, pp. 61-66.
Lo storico e sociologo britannico Anthony David Smith (19392016), uno dei più accreditati studiosi dei nazionalismi, è autore di un importante lavoro sulle origini culturali delle naChe cosa si può dire dei principali processi che contribuiscono a formare una nazione? Sebbene essi possano prodursi
[...] Quando non esiste una lingua scritta che possa servire da fondamento a una lingua nazionale, la costituzione della lingua consiste nell’individuare uno o più dialetti, scelti per il loro posizionamento linguistico intermedio o dominante (in termini economici e sociali) nella zona d’uso. La valorizzazione della lingua orale si compie di solito mediante la pubblicazione preliminare di raccolte di canti popolari o di un’epopea; il materiale linguistico vivente viene quindi codificato mediante la messa a punto di una grammatica, di una trascrizione grafica e di un dizionario, costituiti dal riferimento alle descrizioni delle lingue già esistenti, mentre la formazione di termini astratti o moderni si compie tramite prestiti da lingue straniere o processi creativi su radici «nazionali». 2. La Riforma protestante, che determinò una frattura nel mondo cristiano nel XVI secolo e la nascita di una nuova confessione a fianco di quella cattolica, fu accompagnata dalla stampa della Bibbia tradotta dal latino in lingua volgare: in questo modo poteva essere letta da molte più persone e non soltanto da eruditi ecclesiastici. 3. Degli eventi. 4. Si riferisce in questo caso alla proclamazione della Repubblica e all’abbattimento della monarchia durante la Rivoluzione francese. 5. Espressione in tedesco (che si traduce con i termini “tempesta e impeto”) che identifica un movimento culturale preromantico che si diffuse in Germania alla fine del ’700 e rivalutò le passioni dell’individuo, in opposizione al razionalismo illuministico.
METODO DI STUDIO
a Spiega in cosa consiste il paesaggio linguistico dell’Europa illuminista e descrivine le cause. b Sottolinea i compiti della lingua nazionale. C Spiega in che modo si favorisce l’affermazione di una lingua nazionale laddove non ne esista una storicamente predominante.
zioni, nel quale sostiene che queste non sarebbero solo il prodotto dell’epoca moderna e contemporanea ma siano il frutto di modelli identitari ereditati da un passato ben più remoto. Nel brano che riportiamo, Smith passa in rassegna i fattori che, a suo avviso, contribuirono alla formazione della nazione: tra questi, anche lo stretto rapporto che si instaura tra gli uomini e il territorio in cui vivono.
in qualsiasi momento storico, non hanno nulla di determinato. In quanto processi sociali, di frequente, essi si manifestano
in modo intermittente e reversibile, poiché generalmente dipendono dall’agire umano e dall’interpretazione soggettiva.
535
FARESTORIA Una nuova idea di Nazione
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Tuttavia il loro sviluppo e la loro combinazione, e il conseguente formarsi delle nazioni, tendono a verificarsi soltanto in presenza di particolari circostanze storiche [...]. Questi processi di formazione della nazione comprendono l’autodefinizione, la cura degli elementi simbolici, la territorializzazione, la nascita di una cultura pubblica specifica e la standardizzazione delle leggi e degli usi e costumi. [...] La costituzione delle comunità etniche e delle nazioni necessita di una chiara «autodefinizione». Ciò comporta l’acquisizione da parte di un popolo di un nome proprio collettivo attraverso il quale quella comunità viene conosciuta e riconosciuta dai propri membri e dagli altri, e l’identificazione dei membri con la comunità designata da quel nome e con i suoi simboli. [...] In epoca moderna [...] non solo tutte le nazioni debbono assumere un nome riconosciuto, se già non ne possiedono uno, ma i loro membri si differenzieranno da gruppi di immigrati autonominatisi. In ogni caso, un nome proprio collettivo per autodefinirsi è un elemento fondamentale nel processo di costruzione dell’identità nazionale. [...] La creazione e la cura di memorie, simboli, miti, valori e tradizioni definiscono l’unicità dell’eredità culturale di ogni nazione e comunità etnica. Nel caso delle etnie, identificare un mito delle origini è problematico, ma nel tempo possono accumularsi altri miti, memorie, simboli e tradizioni capaci di connotare un patrimonio culturale distinguendolo da quello dei vicini, soprattutto nel caso in cui una letteratura sacra specifica venga tramandata di generazione in generazione. Sebbene i nazionalisti ritengano che il possesso di tale eredità culturale sia una condizione sine qua non1 per la vita di ogni nazione, questa caratteristica può essere rilevata anche in varie comunità etniche ed etnopolitiche, dall’antico Egitto alla Russia del primo medioevo. [...] Nel corso della storia si può osservare un processo di territorializzazione delle comunità che riguarda non soltanto le etnie e le nazioni. L’attaccamento a luoghi specifici e la definizione di confini spaziali per distinguere la «patria» dall’«esterno» sono tuttavia processi divenuti caratteristici dell’etnicità, e più in particolare dello status di nazione. Sotto forma di «territorializzazione delle memorie», questi processi si sono rivelati fondamentali per la creazione dei paesaggi etnici e per l’emergere
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
delle nazioni; ciò è particolarmente evidente nei processi attraverso i quali le memorie e la storia di una comunità si legano a luoghi specifici, cioè la «naturalizzazione della comunità» e la «storicizzazione della natura». Nel corso del primo di questi processi le etnie diventano parti intrinseche del loro ambiente storico; sono percepite come «emanazioni naturali» delle loro terre, e i loro monumenti diventano «costanti» dei loro paesaggi e ricordo dell’antichità quasi primordiale della comunità, come nel caso delle piramidi dell’antico Egitto o del Messico. Nel corso del secondo processo, la natura stessa si storicizza: il territorio e l’habitat della comunità diventano inseparabili dalla sua storia e dalla sua cultura, in quanto incarnano il luogo dove vissero e morirono i suoi santi, eroi e profeti, l’arena delle crisi e delle svolte della sua storia, e la testimonianza delle gesta eroiche dei suoi antenati. Questi processi si possono osservare ben prima dell’avvento della modernità: ne troviamo esempi nelle attestazioni della bellezza della campagna romana rese da Orazio e Virgilio2 [...], nella definizione del territorio dei Paesi Bassi attraverso la lotta dei suoi abitanti contro il mare del Nord3, e nelle celebrazioni svizzere dei paesaggi alpini della prima epoca moderna. A partire dal XVIII secolo la territorializzazione delle memorie e la cura dell’attaccamento collettivo ai paesaggi nazionali si fecero più consapevoli e generalizzate, soprattutto a causa del culto romantico della natura e della corrispondente espressione delle emozioni che emergono a contatto con essa, come nel caso della crescente attrazione per le Alpi. I romantici ne trasformarono il territorio in paesaggio poetico e ne fecero una componente fondamentale proprio della concezione di nazione. Per i nazionalisti la nazione non è altro che una comunità di territorio, dove il suolo e il paesaggio rappresentano le basi sia «oggettive» sia «soggettive», le fondamenta vere e proprie di un’autentica comunità nazionale. Ciò significava che la nazione doveva essere resa unita e compatta all’interno di confini «naturali» riconosciuti, anche se nella pratica i suoi confini restavano irregolari; essa poteva allora assumere il suo ruolo di membro legittimo di una «comunità internazionale» delle nazioni. I suoi membri potevano anche sentire di essere stati «generati da quella terra», anche se in realtà la maggior parte di essi (o dei loro progenitori) erano emigrati in quella terra
da paesi lontani. Il fatto che tanti nazionalisti, in virtù delle loro indubbie «invenzioni», hanno potuto basarsi sulle memorie e sui legami affettivi preesistenti ha reso il loro compito estremamente più facile. [...] Con il termine «cultura pubblica» mi riferisco, da un lato, alla creazione di un sistema di riti, simboli e cerimonie pubbliche e, dall’altro, allo sviluppo di codici e letterature pubblici distintivi. Mentre nel caso delle etnie, affinché i membri possano distinguersi dalle comunità esterne, è sufficiente che parlino una stessa lingua, osservino diversi usi e costumi e adorino gli dei e le dee locali, nel caso delle nazioni tali caratteristiche culturali devono diventare proprietà pubblica comune e costituire criteri specifici di differenziazione culturale. Esse devono diventare parte di una cultura pubblica nazionale distintiva; ogni variazione regionale di dialetto o di culto, inoltre, deve essere subordinata a questa cultura pubblica ideologizzata, oppure essere estirpata. [...] I processi di diffusione degli usi e costumi e la standardizzazione delle leggi e dell’attività legislativa sono stati elementi fondamentali nella formazione [...] delle nazioni [...]: le nazioni possono essere descritte, in parte, come comunità che condividono leggi, usi, costumi, dotate di un senso del bene comune e di una serie di diritti e doveri reciproci spettanti ai loro membri. [...] Le leggi, i costumi e i rituali, infatti, possono demarcare i confini simbolici delle nazioni anche più chiaramente dei costumi e delle tradizioni, più indefiniti, che caratterizzano le etnie. 1. Senza la quale. 2. Orazio (65 a.C.-8 a.C.), poeta latino, autore di odi, poesie ed epistole: nella sua opera lirica si riflettono anche le sue inquietudini politiche; Virgilio (70 a.C.-19 a.C.), poeta latino, autore del poema epico Eneide. 3. Il territorio costiero dei Paesi Bassi sorge a un livello più basso del mare.
METODO DI STUDIO
a Evidenzia la definizione di origini culturali delle nazioni. b Spiega quali elementi definiscono l’unicità dell’eredità culturale di ogni nazione e comunità etnica e perché. c Descrivi per iscritto cosa sono i paesaggi etnici e quelli poetici, come si formano e quale rapporto hanno con la nazione. d Sottolinea la spiegazione del concetto di cultura pubblica.
LEGGERE UNA FONTE ICONOGRAFICA 7-8 L’ASSEMBLEA NAZIONALE TEDESCA, 1848 [Germanisches Nationalmuseum, Norimberga]
PHILIPP VEIT GERMANIA, 1848 [Germanisches Nationalmuseum, Norimberga]
Il dipinto qui sotto riproduce l’Assemblea nazionale tedesca che si tenne dal 18 maggio 1848 al 31 maggio 1849 e permette di individuare alcuni dettagli dell’edificio ospitante, la chiesa di S. Paolo (Paulskirche) a Francoforte sul Meno. La chiesa, di forma ovale, è protestante ed è temporaneamente concessa ai parlamentari. Alle spalle della tribuna, in alto, campeggia l’enorme allegoria di Germania, dipinta da Philipp Veit (1793-1877) e mostrata nel particolare a destra: ai suoi piedi giacciono le catene spezzate e le mani stringono l’asta della bandiera nazionale, simbolo di unità, e una spada circondata di alloro, simbolo delle intenzioni pacifiche della rinata nazione, ma anche della capacità di difendersi, se e quando ce ne sarà bisogno. Il sole che si vede sorgere sullo sfondo rappresenta una nuova era e la sua luce è la promessa di un nuovo futuro.
GUIDA ALLA LETTURA
a Cerchia i simboli che compongono l’allegoria della Germania e descrivili per iscritto. b In quale contesto è attestata la presenza di questa allegoria della Germania e perché? Quale messaggio voleva trasmettere il dipinto e il luogo in cui è collocato?
111d L’ITALIA SECONDO METTERNICH E MAZZINI
Nel nome dell’Italia. Il Risorgimento nelle testimonianze, nei documenti e nelle immagini, a c. di A.M. Banti, Laterza, RomaBari 2011, pp. 139-40; 145.
I documenti seguenti propongono visioni opposte della penisola italiana e del suo territorio da parte di due importanti protagonisti della storia dell’800. Nel primo, una nota diplomatica indirizzata al governo francese il 12 aprile 1847, il cancelliere tedesco Klemens von Metternich (1773-1859) si oppone all’idea che a ogni “nazionalità” dovesse corrispondere per forza uno Stato nazionale autonomo e indipendente dal controllo
imperiale e definisce il termine “Italia” una semplice denominazione geografica, ovvero una parola senza alcun attributo politico. Al contrario, il secondo brano, tratto dall’opera Dei doveri dell’uomo del 1860, Giuseppe Mazzini (1805-1872) attribuisce al territorio italiano un preciso significato politico: l’Italia è la patria di un popolo che vive all’interno di confini naturali storici e «innegabili» e rivendica quindi il diritto di questo stesso popolo a combattere per ottenere uno Stato nazionale libero e indipendente dal dominio straniero.
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FARESTORIA Una nuova idea di Nazione
Klemens von Metternich: l’Italia è una denominazione geografica L’Impero d’Austria è composto di molte parti; è il loro insieme che forma l’Impero. Se una nazionalità vi prevale, è la nazionalità tedesca, che non soltanto è il prototipo della nazionalità della famiglia regnante, ma che, insieme, è il vero elemento civilizzatore di questa vasta unione di popoli. La parola «Italia» è una denominazione geografica, una qualificazione che appartiene alla lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle, e che è piena di pericoli per la esistenza stessa degli Stati di cui la penisola si compone. L’Imperatore si riconosce re d’un Regno Lombardo-Veneto posto al di là delle Alpi e che forma una parte del suo Impero. Al tempo dei grandi rimaneggiamenti territoriali, nel 1814, il defunto Imperatore Francesco1 non ha voluto che fosse nemmeno pronunciato il nome «Regno d’Italia», l’esistenza del quale avrebbe significato una minaccia permanente per le altre sovranità della penisola. Non è quindi nella qualificazione di potenze italiane o non italiane che può consistere, parlando in sede politica, una differenza tra la situazione dell’Austria e quella della Francia o di un altro grande Impero; questa differenza
poggia ai nostri occhi soltanto su condizioni materiali, come la posizione geografica e i mezzi d’azione posti sotto l’influenza delle condizioni materiali. Sinceri con noi stessi, noi lo siamo ugualmente con gli altri. Ho toccato questo problema soltanto per dimostrare al gabinetto2 francese che vediamo un grave inconveniente nella fallace estensione delle idee di nazionalità, da cui le fazioni disgregatrici sanno trarre oggi un così pericoloso partito, opponendole alla realtà dei fatti. Giuseppe Mazzini e la patria italiana Le divisioni naturali, le innate spontanee tendenze dei popoli, si sostituiranno alle divisioni arbitrarie sancite dai tristi governi. La Carta d’Europa sarà rifatta. La Patria del Popolo sorgerà, definita dal voto dei liberi, sulle rovine della Patria dei re, delle caste privilegiate. Tra quelle patrie sarà armonia, affratellamento. [...] A voi uomini nati in Italia, Dio assegnava, quasi prediligendovi, la Patria meglio definita d’Europa. In altre terre segnate con limiti più incerti o interrotti, possono insorgere questioni che il voto pacifico di tutti scioglierà un giorno, ma che hanno costato e costeranno forse ancora lacrime e sangue: sulla vostra, no. Dio v’ha steso intor-
112 P. GRILLI DI CORTONA STATO E NAZIONE
P. Grilli di Cortona, Stati, nazioni e nazionalismi in Europa, il Mulino, Bologna 2003, pp. 91-95; 100-1.
«Il nazionalismo non deve essere confuso con il processo di formazione delle nazioni, con le nazioni stesse o con l’identità nazionale. [...] Il nazionalismo è, insieme, un’ideologia e un movimento politico che fanno della nazione il soggetto principale dell’azione politica e la base di ogni appartenenza e identità politica». Questa la definizione di
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Stato e nazione sono concetti spesso utilizzati in modo interscambiabile, ma in realtà definiscono processi diversi: lo stato è costituito da un insieme di strutture coordinate tra loro che operano in un determinato territorio, mentre la nazione è una comunità percepita come tale dai suoi membri. Queste e altre differenze possono essere sintetizzate nel modo seguente. In primo luogo lo stato nasce con la fine del feudalesimo e la Riforma ed è il frutto di guerre e di azioni milita-
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
no linee di confini sublimi, innegabili: da un lato, i più alti monti d’Europa, l’Alpi; dall’altro, il Mare, l’immenso Mare. [...] Sino a quella frontiera si parla, s’intende la vostra lingua: oltre quella, non avete diritti. Vostre sono innegabilmente la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, e le isole minori collocate fra quelle e la terraferma d’Italia. La forza brutale può ancora per poco contendervi quei confini; ma il consenso segreto dei popoli li riconosce d’antico, e il giorno in cui levati unanimi all’ultima prova, pianterete la nostra bandiera tricolore su quella frontiera, l’Europa intera acclamerà sorta e accettata nel consorzio delle Nazioni l’Italia. A quest’ultima prova dovete tendere con tutti gli sforzi. 1. L’imperatore Francesco II d’Asburgo-Lorena (1768-1835). 2. Governo.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le caratteristiche principali dell’Impero d’Austria e dell’Italia per Metternich. b Sottolinea le modalità e i criteri utili al rifacimento della carta d’Europa secondo Mazzini. c Spiega per iscritto la differenza fra la visione dell’Italia di Metternich e quella di Mazzini.
un concetto chiave per l’epoca contemporanea che il politologo Pietro Grilli di Cortona (1954-2015) propone nelle pagine iniziali di un suo volume dedicato alla storia dei nazionalismi in Europa. In questo brano, l’autore analizza l’incontro tra lo Stato moderno e il nazionalismo: un passaggio decisivo che da una parte condurrà alla formazione di culture nazionali uniformi (“standardizzate”), dall’altra ridefinirà le istituzioni politiche e porterà alla nascita degli Stati-nazione.
ri, nonché dello sviluppo di competenze e di comportamenti efficienti sul piano amministrativo e burocratico; l’idea di nazione scaturisce dalla rivoluzione francese, in seguito a un’evoluzione culturale precedente che aveva visto il rafforzamento di legami comunitari intorno ad alcuni caratteri condivisi e simboli comuni. Inoltre lo stato ha soprattutto una dimensione strutturale e organizzativa, essendo composto di varie parti (governi, burocrazie, eserciti) coordinate
l’una con l’altra e in stretta connessione con il territorio; le nazioni hanno una dimensione naturale (comune discendenza, unità di sangue), una dimensione culturale (lingua, tradizioni, storia, simboli, miti originari, a volte religione) e una dimensione politica (anche le nazioni, come gli stati, nascono e sono formate da eventi politici): esse condividono con lo stato (sia pure meno rigidamente) la connessione con il territorio ma, al contrario dello stato, la loro dimensione
strutturale è poco sviluppata e al massimo le nazioni articolano strutture politiche di mobilitazione per ottenere l’autodeterminazione. In terzo luogo l’unione tra stato e nazione è un matrimonio di convenienza: le nazioni hanno bisogno dello stato per rafforzarsi, proclamare la loro autonomia e autodeterminazione rispetto a tutte le altre nazioni, gli stati si servono del sentimento e dell’identità nazionali per consolidare la legittimità interna e svolgere una politica di potenza all’esterno. [...] Nascita dello stato moderno, rivoluzione francese e rivoluzione industriale costituiscono i presupposti storici, le condizioni necessarie per lo sviluppo dei nazionalismi. [...] Senza il quadro strutturale di riferimento dello stato, senza le idee di sovranità popolare, di nazione e di autodeterminazione scaturite dalla rivoluzione francese, senza l’abbattimento delle antiche comunità tradizionali e rurali determinato dalla rivoluzione industriale non ci sarebbe stato il nazionalismo. [...] Quali sono le ulteriori condizioni che spiegano gli sviluppi nazionalistici nelle varie parti d’Europa? Agli inizi del XIX secolo c’erano in Europa solo sette stati nazione con una propria lingua, una propria cultura e una propria élite in varia misura dominanti: Inghilterra, Francia, Spagna, Olanda, Portogallo, Danimarca e Svezia. A questi si aggiungevano alcune entità imperiali che controllavano e includevano nel proprio territorio una quantità di nazioni e piccole entità territoriali: Austria, Impero ottomano, Prussia (formalmente un regno) e Russia. La Svizzera costituiva, in questo quadro, un’entità statale eccezionale con la convivenza di più nazionalità su base paritaria. Nello stesso periodo esistevano in Europa oltre trenta nazionalità dotate di un proprio ceppo linguistico, ma prive di un proprio stato e di una propria élite politica. Alcune di esse iniziarono allora a mobilitarsi per dotarsi di una struttura statale e di una propria élite. [...] Il nazionalismo scaturisce dunque dall’intreccio dei processi di nation-building e di state-building1. Con il primo processo si formano le nazioni, nel senso che nasce la coscienza nazionale come consapevolezza e convinzione di appartenere a una stessa comunità nella quale si condividono cultura, tradizioni e territorio. Si tratta dunque di un ampio processo di standardizzazione delle culture nazionali e di socializzazio-
ne delle masse in culture nazionali [...]. Fra gli individui che fanno parte di una stessa comunità di fatto nasce un idem sentire2, un senso di appartenenza, la coscienza di essere parte effettiva di tale comunità e quindi diversi da altre comunità. Questa seconda fase accelererà poi l’omogeneizzazione3. I processi di standardizzazione culturale4 assumono conformazioni diverse e sono promossi da attori diversi a seconda delle aree, dei tempi [...] e degli strumenti di comunicazione. Le dimensioni della standardizzazione culturale possono essere la storia e la cultura in generale (che vengono reinterpretate ed eventualmente riscritte in senso unitario), le tradizioni, la lingua, la religione, i miti e i simboli. Nessuna di tali dimensioni, presa singolarmente, sembra realmente indispensabile per dar vita a una nazione. [...]. È evidente il ruolo della dimensione istituzionale nella formazione delle nazioni. Le istituzioni sono il prodotto della storia, nel senso che la loro nascita e formazione avvengono in (e sono influenzate da) specifiche condizioni storiche. [...] Ne discende che le istituzioni, una volta create e funzionanti, condizioneranno identità, comportamenti e strategie degli attori politici. Monarchie, governi, burocrazie, eserciti, istituzioni ecclesiastiche, strutture di comunicazione sono a questo proposito gli esempi più rilevanti e più noti. Il ruolo dell’istruzione in questo ambito è poi talmente importante da non aver bisogno di spiegazione. Ed è a questo punto, soprattutto, che si ripropone il ruolo degli stati e dei processi che conducono alla loro formazione: sono infatti la loro conformazione organizzativa e il loro modo di operare all’interno che stimolano le culture nazionali ad aspirare e conformarsi al modello statale. Una volta formatisi i primi stati, quasi ovunque in Europa iniziano processi miranti ad attuare lo stesso modello istituzionale. [...] Se prima gli individui si sentivano anzitutto cristiani, successivamente il senso di appartenenza alla nazione prende il sopravvento su tutto e ci si sente francesi, italiani, spagnoli e poi, semmai, cristiani. Tutto ciò è anche frutto di un’azione deliberata degli stati che puntano al rafforzamento dell’identità e dell’omogeneità nazionali interne. Ma la dimensione istituzionale si esplica in un ambito territoriale, nel quale prendono forma le identità nazionali prima e le ri-
vendicazioni su base nazionalistica poi. La nazione esiste in quanto collocata in un territorio al quale si lega e nel quale maturano valori comuni, identità, comportamenti politici di difesa e rivendicazione. Una volta formato, lo stato-nazione vede sempre più come prioritario il conseguimento dell’omogeneità nazionale e si trasforma quasi sempre in stato nazionalizzatore. [...] L’assimilazione delle minoranze e l’intolleranza nei loro confronti, la promozione e valorizzazione di una lingua e di una cultura nazionali, il rafforzamento dell’economia e dell’egemonia politica della nazione che ha dato il nome allo stato, il potenziamento anche militare di quest’ultimo sono politiche giustificate sulla base delle esigenze di rafforzamento dello stato e di difesa dai nemici interni ed esterni. Tutto ciò scaturisce anche dalla crescente incorporazione delle masse nei processi politici: quanto più la popolazione vi è coinvolta, e quindi identificata con la nazione, tanto più si afferma la visione integralista dello stato-nazione e si avverte l’esigenza non solo di coltivare un senso di identità nazionale, ma anche di imporre un’unità nazionale in termini oggettivi. 1. Letteralmente: “costruzione della nazione” e “costruzione dello Stato”. 2. “Sentire comune”, ovvero il fatto di sentire di appartenere a una stessa comunità sulla base di elementi condivisi e riconosciuti da tutti. 3. Ovvero il processo che rende uniformi e compone le diversità presenti originariamente. 4. L’eliminazione delle differenze culturali individuali o proprie di singole comunità e la creazione di una cultura comune a tutti.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea nel cappello introduttivo la definizione di nazionalismo. b Evidenzia con colori diversi la definizione di Stato e quella di nazione e sottolinea le relative caratteristiche mantenendo i colori scelti. c Spiega per iscritto in cosa consiste il processo di nation-building e da quali elementi è determinato. d Spiega da cosa dipende l’esigenza di coltivare un senso di identità nazionale e perché è accompagnata dal bisogno di imporre un’unità nazionale in termini soggettivi.
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FARESTORIA Una nuova idea di Nazione
PISTE DI LAVORO
DAI DOCUMENTI ALLA STORIA 1 Dopo aver letto il documento scritto da Fichte [►106d] e quello scritto da Renan [►107d] scrivi un testo comparativo sull’idea di nazione citando opportunamente i testi e seguendo la scaletta: • Definizione del concetto di nazione • Rapporto fra la volontà e la libertà individuale e la nazione • Riferimenti storici sulla cui base i due pensatori sostengono le proprie tesi. 2 Dopo aver analizzato i documenti storici e i brani storiografici, argomenta la seguente affermazione: «durante l’800 l’esistenza della nazione e della patria venne “inventata” attraverso molteplici elementi e “strumenti” politici e culturali». Evidenzia nei brani i concetti che intendi utilizzare nelle tue argomentazioni e le parti delle fonti storiche che intendi citare e
numerali in ordine crescente. Quindi, indica fra parentesi, all’interno del tuo elaborato, i concetti o le citazioni a cui fai riferimento. IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 3 Facendo riferimento al brano di Smith [►110], spiega attraverso quale meccanismo i nazionalisti hanno potuto creare il binomio fra territorio e nazione e quale ruolo ha svolto il concetto di paesaggio etnico in questo processo. Quindi, facendo riferimento alle fonti presenti, cerca fra le affermazioni dei pensatori dell’800 che hai avuto modo di leggere quelle che supportino o che siano in contrasto con la teoria di Smith e trascrivi sinteticamente le informazioni da te raccolte sul quaderno, indicando fra parentesi il nome dell’autore dalla cui fonte trai le informazioni. Infine scrivi un testo di circa 15 righe in cui esponi il frutto della tua analisi. Scegli il titolo e il taglio del tuo elaborato.
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Il processo che portò all’unificazione italiana ebbe caratteristiche strettamente legate alla situazione politica ed economica della penisola, ma fu anche largamente dipendente dagli eventi europei di quegli stessi anni. Il Risorgimento italiano non fu dunque un fenomeno che riguardò solo l’Italia, ma venne influenzato e a sua volta influenzò la storia di tutto il continente. Nel primo brano Alberto Mario Banti [►113] ricostruisce le tappe che resero possibile la diffusione, grazie all’opera soprattutto di scrittori e intellettuali, di un ideale nazional-patriottico nell’Italia della prima metà dell’800: un paese diviso politicamente e nel quale andava costruito e “inventato” il sentimento di appartenenza a una comunità nazionale. Christopher Duggan [►114] descrive invece l’ambiente liberale e patriottico della penisola alla vigilia delle insurrezioni degli anni ’20 e ’30, pienamente inserito e coinvolto in quanto stava avvenendo anche nel resto del continente europeo. Nel brano successivo, Silvana Patriarca [►115] riflette sul modo in cui i patrioti risorgimentali rappresentavano l’Italia, esaltando le virtù del suo popolo ma denunciandone anche i vizi: spesso i loro giudizi riprendevano stereotipi sugli italiani che circolavano in tutta Europa da decenni, ad opera di scrittori e uomini politici stranieri. Seguono poi alcune testimonianze dell’epoca che mostrano l’appassionato dibattito sulle modalità per realizzare l’unificazione nato in seno al movimento risorgimentale, diviso al suo interno in correnti politiche diverse ispirate alle nuove ideologie ottocentesche. Ad aprire la rassegna è Giuseppe Mazzini [►116d], che sosteneva con forza la necessità dell’insurrezione, al quale si contrapponeva Massimo d’Azeglio [►117d], rappresentante invece della corrente moderata favorevole a riforme graduali; infine, il terzo brano documenta la linea politica di Carlo Cattaneo [►118d], sostenitore di una soluzione di tipo federale, sul modello statunitense, sia per l’Italia che per tutto il continente europeo, lanciando il progetto degli Stati Uniti d’Europa. Le differenti correnti di pensiero del Risorgimento e l’eco dei princìpi che si stavano affermando in Europa in quegli anni si riflettono anche in due diverse Costituzioni [►119d] adottate rispettivamente dal Piemonte, nel 1848, e dai protagonisti della breve esperienza repubblicana a Roma, nel 1849: lo Statuto albertino, d’ispirazione liberal-moderata, destinato a divenire poi la legge fondamentale dell’Italia unita, e la Costituzione della Repubblica romana, ispirata a valori più democratici e popolari.
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Un ruolo fondamentale nel raggiungimento dell’Unità nazionale nel 1861 lo ebbero però due personaggi molto distanti tra loro politicamente. Da una parte Camillo Benso di Cavour, dall’altra Giuseppe Garibaldi. Luciano Cafagna [►120] si sofferma sull’idea che lo statista piemontese aveva per l’Italia in tema di modernizzazione e sviluppo economico: una visione strettamente legata a quanto aveva avuto modo di studiare all’estero fin da giovane e di osservare nei suoi successivi viaggi in Europa. Si riporta poi il discorso di Cavour [►121d] del maggio 1856, pronunciato subito dopo la conclusione della conferenza di pace sulla guerra di Crimea, nel quale emerge chiaramente la sua volontà di inserire la questione italiana nel più ampio contesto politico internazionale. Giuseppe Garibaldi, rappresentante degli ideali repubblicani e democratici, protagonista di molte battaglie risorgimentali e della spedizione dei Mille, fu capace di suscitare l’entusiasmo popolare: la sua fama e il suo mito, come mostra il contributo di Lucy Riall [►122], superarono i confini italiani e si diffusero rapidamente in tutta Europa e nel mondo. A ulteriore testimonianza di quanto il processo di unificazione italiana si sia intrecciato con gli eventi europei di quegli anni, Derek Beales ed Eugenio Federico Biagini [►123] si soffermano sulla partecipazione delle “patriote” straniere al movimento risorgimentale. Conclude questa sezione un brano dello storico liberale Rosario Romeo [►124] che traccia un bilancio dei risultati dell’Unità d’Italia.
113 A.M. BANTI LA DIFFUSIONE DEL PATRIOTTISMO
A.M. Banti, Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 8-10; 12-15.
Lo storico italiano Alberto Mario Banti (nato nel 1957) è autore di originali studi sul Risorgimento, che attribuiscono una particolare importanza ai fenomeni culturali e ai processi di trasforNei primi decenni dell’Ottocento, nemmeno un solo osservatore neutrale avrebbe scommesso un centesimo sulla riuscita dei vari piani di rinnovamento formulati dall’uno o dall’altro gruppo di intellettuali o di politici di ispirazione nazional-patriottica. Del resto, come pensare diversamente? La proposta nazional-patriottica vuole parlare a masse che a stento capiscono l’italiano, cercando addirittura di muoverle all’azione politica contro i rigori delle polizie e dei tribunali degli Stati preunitari [...]. Eppure ciò che è particolarmente affascinante dell’esperienza risorgimentale è che questa «missione impossibile» viene compiuta con sorprendente efficacia. Nell’arco di tempo che va dal 1815 al 1861 una gran parte dell’opinione colta, e anche una parte significativa delle classi popolari urbane, viene convinta della bontà dell’idea nazionale, tanto da spingere molti a unirsi alla Giovine Italia, a partecipare ai tentativi insurrezionali che si susseguono dal 1820 in avanti, a partecipare in forme diverse alle manifestazioni, agli scontri urbani e alle guerre che caratterizzano il quadriennio 1846-49, a continuare a militare in gruppi segreti negli anni Cinquanta, a trasferirsi
mazione delle mentalità. In questo brano, l’autore spiega come e perché sia stato possibile che, in un paese come l’Italia, si sia rapidamente diffuso un sentimento nazional-patriottico capace di coinvolgere un numero crescente di persone, in realtà tra loro molto diverse. La chiave di questo successo, secondo Banti, va ricercata nell’attività di un gruppo di intellettuali, scrittori, poeti, artisti e militanti, che seppero trovare nuove forme di comunicazione nel contesto di una nuova «estetica della politica».
in esilio nel Piemonte costituzionale dopo il 1849, a partire a migliaia come volontari per le guerre del 1859 o del 1860. Ancor più importante di questi dati numerici [...] è la trasformazione del discorso politico che attraversa l’Italia del Risorgimento. Un numero crescente di persone – non solo i mazziniani più radicali, ma anche i nobili o gli intellettuali o i politici moderati di varia provenienza e di varia inclinazione politico-culturale [...] – si trovano, in alcuni casi anche loro malgrado, a parlare il linguaggio della nazione italiana e ad agire di conseguenza: questo è l’indicatore più evidente del successo del movimento nazional-patriottico. [...] Ma che cosa rende possibile un fenomeno di tali proporzioni? Se tutto ciò avviene è perché i leader intellettuali e politici del nazionalismo italiano sanno presentare il discorso nazionale attraverso modalità comunicative che fanno appello non tanto alla ragione degli illuministi, alla solida cultura, all’indagine lucida e distaccata, quanto all’universo pre-razionale delle emozioni. [...] Come potrebbe essere altrimenti, se si vogliono coinvolgere nel discorso politico anche persone analfabete o semi-analfabete? E come potrebbe
essere altrimenti, se si vuole diffondere un discorso politico altamente innovativo e – almeno nelle sue formulazioni iniziali – radicalmente eversivo degli assetti politici dominanti? La realizzazione di una proposta politica che sappia parlare al cuore del «popolo», passa attraverso la formazione di quella che è stata chiamata una «estetica della politica». Con questo termine si indica una modalità della comunicazione politica [...] sollecitata dalla constatazione secondo la quale strumenti che normalmente servono per divertirsi e rilassarsi (romanzi, poesie, drammi teatrali, pitture, statue, opere liriche) possono anche riempirsi di messaggi politici, senza per questo perdere niente del loro fascino. Per la formazione di questa nuova «estetica della politica» è essenziale lo stretto rapporto che gli intellettuali nazional-patriottici intrecciano con l’esperienza culturale europea comunemente nota col termine «romanticismo». [...] Parlare al popolo con narrazioni plausibili, né troppo arbitrarie, né troppo localizzate, ma saldamente collegate alle tradizioni «nazionali»; questo è ciò che bisogna fare. [...] È ad opera di 541
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persone [...] come Ugo Foscolo1, Giovanni Berchet2, Alessandro Manzoni3, Massimo D’Azeglio, Francesco Domenico Guerrazzi4, Francesco Hayez5, Giuseppe Verdi6 e molti altri con loro, che il discorso nazionale può avvalersi di un’estetica della politica che prende forma attraverso una vasta costellazione di romanzi, poesie, drammi teatrali, pitture, statue e melodrammi di ispirazione nazional-patriottica. Sono questi gli strumenti comunicativi che fondano la narrazione e la mitografia risorgimentale. Il pubblico di riferimento è in primo luogo quello nobiliare e borghese: un pubblico di persone che sa leggere, e che ha tempo per farlo. Ma molto rapidamente le storie, i miti, le immagini, le figure-simbolo della mitografia risorgimentale trovano la strada della diffusione anche tra le classi popolari urbane attraverso altri circuiti comunicativi. In primo luogo la propaganda capillare dei militanti delle organizzazioni mazziniane, dalla Giovine Italia in avanti, capaci di svolgere un’azione di proselitismo particolarmente efficace prima in città portuali o universitarie, come Genova, Livorno, Pisa o Pavia, e poi, man mano anche altrove. Inoltre un grande impatto ha anche la messa in scena di melodrammi con intrecci di ispirazione nazional-patriottica, uno strumento comunicativo potente sia perché moltissime città, anche molto piccole, dispongono di teatri [...], sia perché i biglietti per i posti meno costosi sono alla portata di molti e l’azione scenica può essere facilmente seguita anche da analfabeti. Determinante è anche l’azione diffusiva
di predicatori itineranti come Ugo Bassi e Alessandro Gavazzi7, e di una parte importante del clero che tra il 1846 e il 1848 dà un sostegno decisivo all’ampio radicamento degli ideali e dei valori nazional-patriottici8. Infine, niente affatto trascurabile è l’effetto diffusivo esercitato da altri media, dalle stampe monocromatiche vendute per pochi soldi sui mercati, alle storie cantate o raccontate dai cantanti girovaghi o dai burattinai, che spesso adattano gli hit letterari o operistici alle loro cornici comunicative [...]. Nelle campagne tutto ciò arriva con difficoltà o addirittura non arriva per niente. Le campagne sono più sorvegliate da campieri, fattori, soprastanti, niente affatto inclini a far circolare individui sospetti (come per esempio i militanti della Giovine Italia) tra cascine, poderi e latifondi. L’analfabetismo, la difficoltà degli spostamenti, l’assenza di luoghi deputati al divertimento e tempo libero, fa sì che mai, o quasi mai, vi arrivino anche gli altri media più popolari (melodrammi, stampe, cantanti girovaghi, burattinai, predicatori itineranti). Questo per sottolineare che la diffusione del discorso nazionale ha una sua geografia piuttosto precisa, che è quasi esclusivamente urbana. 1. Ugo Foscolo (1778-1827). 2. Giovanni Berchet (1783-1851), poeta milanese famoso soprattutto per la sua opera Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo (1816), uno dei manifesti della rivoluzione romantica in Italia. 3. Alessandro Manzoni (1785-1873).
114 C. DUGGAN I PATRIOTI ITALIANI E L’EUROPA
C. Duggan, La forza del destino. Storia d’Italia dal 1796 a oggi, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 134-37.
In questo brano, tratto da un libro che ripercorre la storia d’Italia dalle Repubbliche giacobine fino all’epoca attuale, lo storico britannico Christopher Duggan (1957-2015) dipinge un suggestivo affresco del movimento patriottico italiano tra
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Il 19 febbraio 1826, in un campo fuori Firenze, Gabriele Pepe (nipote di Vincenzo Cuoco)1 si batté in duello con l’illustre poeta francese Alphonse de Lamartine. Pepe – soldato, studioso e scrittore – dopo aver appoggiato nel 1799 la Repubblica Napoletana e aver servito negli eserciti napoleonici in Italia e Spagna, nel 1823 s’era sistema-
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4. Francesco Domenico Guerrazzi (1804-1873), patriota e romanziere, protagonista del movimento risorgimentale in Toscana. 5. Francesco Hayez (1791-1882), pittore prima classico poi romantico. Molti suoi quadri di soggetto storico contenevano un chiaro messaggio nazional-patriottico. 6. Giuseppe Verdi (1813-1901), musicista e compositore italiano, autore di numerose opere liriche. Alcune sue arie a tema patriottico (come il Va’ pensiero, nel terzo atto dell’opera Nabucco del 1842) furono accolte con entusiasmo nei teatri e cantate nelle piazze, tanto che Verdi divenne un personaggio simbolo delle battaglie risorgimentali. 7. Ugo Bassi (1801-1849), sacerdote bolognese che seguì come cappellano militare le truppe pontificie nel 1848 e poi si arruolò al seguito di Garibaldi nella difesa della Repubblica romana del 1849, rimanendo ucciso quello stesso anno nel corso della fuga da Roma; Alessandro Gavazzi (1809-1889), da sacerdote predicò i valori liberali e patriottici, partecipò inoltre alle principali battaglie risorgimentali: dopo aver rinunciato ai voti, pronunciò numerosi discorsi antipapali. 8. È il periodo che corrisponde ai primi anni di pontificato di Pio IX, caratterizzati da una politica aperta a moderate riforme liberali. METODO DI STUDIO
a Sottolinea le informazioni che riguardano quello che secondo Banti è l’indicatore più evidente del successo del movimento nazional-patriottico. b Spiega in cosa consiste quella che Banti definisce «missione impossibile» e in che modo viene compiuta. c Evidenzia cosa vuol dire «estetica della politica» e sottolinea gli strumenti che consentirono di metterla in pratica. d Spiega per iscritto in che modo città e campagne accolsero gli ideali risorgimentali e perché.
gli anni ’20 e ’30 dell’800: come mostrano i numerosi episodi riportati dall’autore, la vicenda italiana era inserita all’interno di un contesto europeo e internazionale caratterizzato dal vivace dibattito politico e intellettuale liberale, nonché da numerose insurrezioni popolari, alle quali parteciparono volontari di tutto il continente, italiani compresi. Eventi, questi, che influenzarono profondamente l’evolversi del movimento italiano.
to in Toscana, inserendosi nel circolo letterario di Giovan Pietro Vieusseux2,
un commerciante di origini ginevrine che aveva da poco fondato l’«Antolo-
1. Vincenzo Cuoco (1770-1823), storico napoletano autore del Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 (1801), un’importante riflessione critica sull’esperienza giacobina a Napoli. Il suo pensiero influenzò il dibattito sulla coscienza
nazionale italiana. 2. Giovan Pietro Vieusseux (1779-1863). L’«Antologia», di ispirazione liberale, trattava argomenti storici, economici, letterari e scientifici: fu soppressa per ragioni politiche nel 1833.
gia», una rivista liberale di alto livello che intendeva seguire le orme del soppresso «Conciliatore»3. Pepe era stato infuriato da una poesia di Lamartine in memoria di Lord Byron, in cui il francese aveva descritto l’Italia come una terra «del passato» e «delle rovine», in cui ogni cosa «dorme» («una terra dei morti», secondo una formula famosa), priva di virtù militari e dedita a «perversi piaceri sensuali». Pepe tacciò il poeta transalpino di «crassa dappocaggine», e Lamartine (scambiandolo a quanto pare per il suo più illustre omonimo Guglielmo4) lo sfidò a duello. Pepe vinse, dopo aver ferito gravemente Lamartine a un braccio e aver cavallerescamente fermato l’emorragia con il suo fazzoletto. Diventò il beniamino degli ambienti patriottici fiorentini. [...] L’affermazione di Lamartine che gli italiani erano troppo indolenti e amanti dei piaceri per essere capaci di battersi era una vecchia maldicenza, cara soprattutto agli scrittori francesi e tedeschi, che risaliva perlomeno alla seconda metà del Quattrocento. Ma uscita dalla penna di uno degli scrittori europei più largamente letti della sua generazione, ferì i patrioti italiani; e la ferita bruciava soprattutto a chi, come Gabriele Pepe, aveva servito valorosamente nelle campagne napoleoniche, o più tardi, negli anni Venti e Trenta, nelle guerre di liberazione combattutesi in Spagna, Grecia e Sudamerica. I romanzi patriottici di Massimo d’Azeglio e Francesco Domenico Guerrazzi, scritti negli anni Trenta e Quaranta, che raccontavano eroici fatti d’arme compiuti dagli italiani nel Medioevo, si proponevano di ricordare agli stranieri (ma anche agli abitanti della penisola) che gli italiani non erano affatto congenitamente imbelli5. Giuseppe Garibaldi, il grande leader guerrigliero la cui brillante carriera militare sarebbe culminata nel 1860 nella conquista del Regno delle Due Sicilie e nell’unificazione dell’Italia, vedeva la sua vita quasi come una lunga replica a Lamartine. Nelle sue memorie si legge: «Com’ero fiero di essere nato in Italia! In questa terra di morti! Fra questa gente che non si batte, dicono i nostri vicini» [...]. La facilità con cui gli austriaci domarono le rivoluzioni del 1820-21 e la successiva eliminazione dei settari6 dai ranghi dell’esercito e dell’amministrazione civile, fecero sì che l’attenzione
dei patrioti si concentrasse sui problemi militari. Come poteva l’Italia generare un’insurrezione nazionale efficace, del tipo che la Spagna aveva conosciuto nel 1808-12? Che la Spagna rimanesse un faro del nazionalismo liberale bastava a mostrarlo l’entusiasmo con cui nel 182123 centinaia di italiani andarono a battersi per il suo regime costituzionale. Ma fu soprattutto la guerra d’indipendenza greca, combattuta da spietati montanari in kilt7 e da bande di guerriglieri contadini, ad accendere negli anni Venti l’immaginazione dei liberali italiani. In Italia il filellenismo diventò un importante movimento culturale: comitati di sostegno alla causa greca spuntarono in Piemonte e in Toscana a partire dal 1823, e un migliaio di volontari attraversarono il mar Ionio per correre in aiuto dei greci che combattevano per la libertà. Sulla stampa, e in periodici come l’«Antologia», uscirono dozzine di articoli in sostegno della Grecia; Foscolo, Berchet e altri pubblicarono poesie in onore dell’insurrezione; e il tema di uno dei dipinti di Hayez che ebbero maggior successo – I profughi di Parga (1826-31) – era un tema greco8. [...] Il fatto che la Grecia conquistasse infine la sua indipendenza, ma soltanto con l’aiuto diplomatico e militare della Gran Bretagna, della Francia e della Russia, fu una lezione preziosa per i patrioti italiani; e sicuramente molti di loro che dopo il 1821 imboccarono la via dell’esilio, finendo a Parigi o Londra [...] ammorbidirono alquanto il loro ardore insurrezionale per effetto del liberalismo pragmatico del nuovo ambiente in cui si trovavano. Ma l’appello mitico di una sollevazione popolare di stile spagnolo rimase forte e, rincuorate dai risultati ottenuti dagli insorti greci, le reti delle sette rivoluzionarie continuarono ad operare in Europa, coordinate dal vecchio Filippo Buonarroti9 che negli anni Venti trasformò la sua organizzazione dei Sublimi Maestri Perfetti, battezzandola «Il Mondo»: un’associazione nuova e meno compenetrata di massoneria, con affiliati in Francia e in Belgio, e anche in Italia. Tra i settari nell’orbita di Buonarroti c’era Carlo Bianco di Saint-Jorioz10, un ufficiale piemontese che aveva partecipato alla rivoluzione del 1821 nel suo paese e aveva poi combattuto in Spagna. Esule a Malta, Saint-Jorioz scrisse un trattato sulla guerra di guerriglia in
cui sosteneva la possibile applicabilità all’Italia del modello spagnolo di un’insurrezione nazionale popolare. Immaginava spietate bande di contadini scorrazzanti per le campagne, che effettuavano attacchi lampo contro le forze austriache e le bersagliavano senza sosta interrompendo le loro linee di comunicazione, logorandole e portandole alla demoralizzazione, alla dispersione e infine all’annientamento. Forse deliberatamente, Saint-Jorioz mise la sordina a certi tratti che avevano avuto un’importanza cruciale nell’esperienza spagnola [...], tra i quali spiccano il ruolo decisivo svolto dal clero locale e il sostegno offerto alla guerriglia dall’esercito britannico. Malgrado queste lacune, il suo libro, pubblicato nel 1830, fu avidamente letto dagli esuli italiani, specialmente in Francia. Tra coloro che abbracciarono con fervore la sua idea centrale dell’«insurrezione per bande armate» c’era un giovane sostenitore di Buonarroti che si chiamava Giuseppe Mazzini. 3. «Il Conciliatore», periodico fondato a Milano nel 1818 da pensatori liberali italiani e scrittori romantici: per le sue idee fu chiuso l’anno successivo dalla censura austriaca. 4. Guglielmo Pepe (1783-1855), generale dell’esercito borbonico e poi protagonista dei moti insurrezionali napoletani del 1820-21. 5. Vili e non atti a combattere. 6. Appartenenti alle sètte segrete. 7. I greci dell’Epiro indossavano un gonnellino simile al kilt scozzese. 8. Quadro ispirato all’omonimo poema di Berchet (1819-20), incentrato sulla vicenda della città greca di Parga: nel 1819 gli inglesi avevano tolto la loro protezione a quella città, lasciandola così in balia delle mire conquistatrici dei Turchi e costringendo gli abitanti a un volontario esilio che colpì molti intellettuali europei. 9. Filippo Buonarroti (1761-1837) partecipò alla “congiura degli Eguali” di Babeuf nel 1796 e successivamente fu l’ideatore di organizzazioni segrete e sètte in tutta Europa. 10. Carlo Bianco di Saint-Jorioz (1795-1843). Scrisse nel 1830 il trattato Della guerra nazionale d’insurrezione per bande, applicata all’Italia. METODO DI STUDIO
a Sottolinea la descrizione che Lamartine fa dell’Italia e spiega quali aspetti fecero infuriare Pepe e perché. b Sottolinea con colori diversi la descrizione dell’idea che gli italiani hanno di sé stessi e le “lezioni” apprese dagli esiti degli eventi.
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115 S. PATRIARCA VIRTÙ E VIZI DEGLI ITALIANI
S. Patriarca, Italianità. La costruzione del carattere nazionale, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 6-10; 20-21.
In questo brano, la storica Silvana Patriarca ci mostra la tendenza di intellettuali e scrittori del Risorgimento ad esaltare il popolo italiano, attribuendogli virtù uniche in tutto il mondo e che legittimavano il suo diritto ad avere uno Stato nazionale. Le qualità positive degli italiani erano però contrapposte ai loro vizi: nel denunciarli, venivano spesso ripresi stereotipi sull’Italia diffusi all’estero da decenni, come quelli che definivano i meridionali persone oziose e indolenti. L’autrice si sofferma in particolare sulla produzione letteraria di uno dei protagonisti
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L’idea che il «carattere» italiano fosse in uno stato miserevole che dovesse essere rigenerato permeava [...] il discorso nazional-patriottico negli anni centrali del Risorgimento tra il 1815 e il 1860. I patrioti, smaniosi di proclamare l’unicità culturale e perfino la superiorità della nazione allo scopo di rivendicare il loro storico diritto a uno Stato indipendente, dovevano comunque riconoscere l’inferiorità politica e la stagnazione dell’Italia di quei tempi [...], per non parlare dell’entusiasmo piuttosto scarsi che gli abitanti della penisola mostravano per la causa nazionale. Pertanto, era piuttosto raro che alla glorificazione della civiltà italiana non si accompagnasse anche una denuncia dei molti «vizi» che bisognava assolutamente sradicare dalla natura degli italiani perché l’Italia potesse riconquistare la sua posizione legittima in Europa. L’Italia ideale dell’immaginario patriottico contrastava nettamente con la dura realtà del suo popolo «degenerato». Il modo in cui i patrioti percepivano e rappresentavano gli italiani rispecchiava solo in parte le differenze tra i propri atteggiamenti e modi di vivere e quelli della maggior parte della popolazione. Certamente queste differenze erano significative, ma, cosa ancora più importante, le rappresentazioni costruite dai patrioti erano strettamente correlate a un fattore, vale a dire alla misura in cui accettavano e interiorizzavano le narrazioni, i tropi1 e gli stereotipi (in particolare quello del meridionale indolente ed effemminato) che circolavano in Europa almeno dalla metà del XVIII secolo. Esprimendosi all’interno di narrazioni e di schemi interpretativi che erano per lo più emersi altrove, nei maggiori paesi europei, i patrioti italiani reagivano criticamente a queste rappresentazioni e tuttavia allo stesso tempo partecipavano alla loro riproduzione. Così, a livello discorsi-
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del pensiero risorgimentale, Vincenzo Gioberti (1801-1852): l’abate torinese si impose sulla scena politica dopo la pubblicazione, nel 1843, del Primato morale e civile degli italiani, in cui sosteneva un progetto federalista da attuare sotto la guida del papa (progetto che prese il nome, con un termine tratto dalla storia medievale, di neoguelfismo). In una successiva opera del 1851, Del rinnovamento civile d’Italia, Gioberti, che nel frattempo aveva abbandonato l’idea federalista, ribadiva in ogni modo un elemento centrale del suo programma politico: la necessità che il Risorgimento italiano trovasse le sue fondamenta nelle tradizioni e nelle istituzioni più radicate nella storia del paese, ovvero la monarchia e il papato.
vo, l’Italia veniva costruita come nazione in una conversazione europea sul tema dei «vizi» e delle «virtù» nazionali [...]. Il trattato politico più letto del Risorgimento, Del primato morale e civile degli italiani di Vincenzo Gioberti, non è certamente noto per il senso della misura con cui dispensa elogi agli italiani. Pubblicato a Bruxelles nel 1843 e ristampato molte volte, era opera di un abate piemontese, ex mazziniano, che aveva una buona conoscenza sia degli autori classici che dei contemporanei [...] e che trascorse gli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento in esilio a Parigi e Bruxelles. Seguendo l’esempio di Vincenzo Cuoco, che aveva già espresso l’idea di un primato degli italiani nel suo Platone in Italia (1804-1806), Gioberti proclamava la superiorità italiana, una superiorità che aveva una base etnica (gli italiani erano il ceppo «più illustre» di un mitico popolo mediterraneo, i Pelasgi2) ed era legata al cattolicesimo, la religione «più perfetta» il cui capo risiedeva, non a caso, nella penisola. Il primato dell’Italia si estendeva dall’azione (la creatività fuori del comune, in particolare nel campo dell’arte, della politica e della religione) al pensiero (da quello scientifico a quello estetico), tanto che Gioberti arrivò a proclamare l’Italia la «madre di tutte le nazioni». La sua enfasi sulla grandezza della civiltà italiana e dei suoi valori universali era intesa a nobilitare gli italiani e ad aiutarli a risollevarsi dallo stato di abiezione3 in cui si trovavano. La caratteristica dominante del testo [...] è appunto la continua glorificazione della civiltà italiana che Gioberti riversò in centinaia di pagine [...]. Vi sono tuttavia anche altri aspetti che meritano attenzione, per esempio il fatto che l’autore abbia inserito alla fine della sua prolissa celebrazione un paragrafo intitolato Invettiva contro l’ozio italiano in cui denunciava i vizi principali degli abi-
tanti della penisola e in particolare delle classi privilegiate: «Il male sommo dell’Italia, lo ripeto, consiste nella declinazione volontaria del genio nazionale, nell’indebolimento degli spiriti patrii, nell’eccessivo amore dei guadagni e dei piaceri, nella frivolezza dei costumi, nella servitù degli intelletti, nell’imitazione delle cose forestiere, nei cattivi ordini degli studi, della pubblica e privata disciplina [...] Chi impedisce i nobili e i ricchi a studiare e scrivere? [...] Chi obbliga i giovani gentiluomini a infemminire nell’ozio?». Questo passo merita di essere sottolineato perché associa due importanti immagini a cui gli scrittori del Risorgimento ricorrevano molto spesso per rappresentare lo stato di declino e di inadeguatezza degli italiani: l’ozio e l’effeminatezza. Il vero male dell’Italia era l’avvilimento della volontà, un malessere morale che aveva indebolito e reso effeminato un popolo che precedentemente era stato virile. [...] Verso la fine del Primato, dopo aver sostenuto che la diversità interna all’Italia costituiva una sintesi autentica, un’immagine speculare dell’Europa e una delle ragioni della sua superiorità, Gioberti delineava alcuni aspetti di ciò che definiva una «geografia morale» del paese: dedicava alcune pagine alla descrizione delle caratteristiche del Piemonte, della Lombardia e del Veneto, della Liguria, della Toscana e del Lazio, di Napoli e della Sicilia, e magnificava Firenze e Roma, che considerava la
1. Metafore. 2. Popolo che abitava la Grecia antica, considerata da scrittori romantici e intellettuali dell’epoca come un esempio di virtù morali e politiche. 3. Bassezza, degenerazione.
più alta espressione del «genio italiano». Egli poneva il «cuore vero» del paese nel centro della penisola, in Toscana e nel Lazio, e nelle loro capitali Firenze e Roma, «i due centri indivisi della lingua, della civiltà, della religione» non solo dell’Italia ma dell’Europa e del mondo. Secondo Gioberti, in quanto ai tratti del carattere i piemontesi e i napoletani erano ai due estremi, e in un certo caso si compensavano a vicenda perché i primi erano troppo controllati e i secondi troppo esuberanti
[...]. E aggiungeva che i grandi successi in campo artistico e scientifico dei napoletani, dall’antichità a tempi più recenti, erano il risultato spontaneo del loro «genio» più che della loro «disciplina», e che si poteva solo immaginare ciò di cui sarebbero stati capaci se solo avessero imparato questa virtù «settentrionale». Quindi, mentre rafforzavano certi luoghi comuni sul Meridione, le strategie descrittive di Gioberti valorizzavano [...] anche alcuni aspetti della meridionalità, cosa che al-
116d GIUSEPPE MAZZINI LA NECESSITÀ DELL’INSURREZIONE
G. Mazzini, Antologia degli scritti politici, a c. di G. Galasso, il Mulino, Bologna 1961, pp. 33-36.
Giuseppe Mazzini (1805-1872) fu autore di numerosi scritti politici, che ebbero grande diffusione in Italia e in Europa. In questo brano, tratto da un opuscolo uscito in francese nel 1835 e inDue cose sono essenziali al progresso da compiersi: la manifestazione d’un principio e la sua incarnazione nei fatti. Apostoli d’una credenza che intende fondare, noi non possiamo innoltrare1 se non a bandiera spiegata e affrontando una mortale battaglia tra la nostra e l’avversa credenza. Aspettate, dicono2. Ma qual cosa? Le circostanze? Or che mai sono le circostanze se non una particolare disposizione degli elementi chiamati a generar fatti? E d’onde possono sorgere se non dal nostro lavoro? – La guerra? Tra chi? Tra quei che camminano di pieno accordo, che hanno stretto nuovamente pur ora un patto di fratellanza, che hanno lo stesso fine, gli stessi nemici, le stesse paure? Contro popoli prostrati e nel fango! La guerra non sorgerà in Europa se non dall’insurrezione. – I Colpi di Stato? Solo una lotta energica, ostinata, può renderli inevitabili. Or come sostenerla? Colla cospirazione? I predicatori di pazienza la rifiutano come rifiutano le sommosse. Colla stampa? I Governi la uccidono: avete per ogni dove leggi che incatenano, censori che tormentano lo scrittore, giudici che condannano e chiudono il pensiero in una prigione. Potrete superare questi ostacoli? In Francia forse. Ma ponete un paese privo assolutamente di stampa, senza Parlamento o Consigli che discutano, senza giornali letterari, senza
meno in parte può giustificare il successo del Primato. METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi le caratteristiche che afferiscono all’Italia presente nell’immaginario patriottico e alla dura realtà. b Spiega per iscritto la tesi di Gioberti facendo riferimento ai punti di forza e a quelli di debolezza degli italiani. c Riassumi per iscritto il modo in cui Gioberti descrive il Meridione e quali aspetti del libro ne giustificarono il successo.
titolato Fede e avvenire, critica con molta chiarezza chi sostiene un orientamento moderato e un processo graduale di riforme e cambiamenti: al contrario, Mazzini crede fermamente nella validità del metodo insurrezionale, il solo che possa avere successo nei paesi oppressi da regimi dispotici. Secondo l’autore, ciò non vale soltanto per l’Italia, ma anche per tutti gli altri popoli europei che si trovano nella stessa situazione di oppressione.
teatro nazionale, senza insegnamento popolare, senza libri stranieri. Ponete che quel paese soffra, soffra tremendamente, nelle sue moltitudini come nelle classi agiate, di miseria, d’oppressione straniera e domestica, di violazioni continue del suo principio nazionale, d’assenza d’ogni sviluppo intellettuale e industriale. Che mai farà quel paese? Da qual parte potrà originare poi esso il lento progresso a gradi che vagheggiate? Or quel paese esiste. Quel paese ha nome Italia, Polonia, Germania da qualche tempo. Quel paese abbraccia i due terzi d’Europa. Guardate all’Italia. In essa non è progresso né via aperta al progresso, se non quella delle rivoluzioni. La tirannide ha innalzato un muro impenetrabile lungo la sua frontiera. Un triplice esercito di spie, di doganieri, di birri3 vigila notte e giorno a impedire la circolazione del pensiero. L’insegnamento mutuo è proscritto4. Le università sono schiave o chiuse. Condanne mortali pendono su chi non solamente stampi segretamente, ma possieda e legga il libro vietato. E vietata è l’introduzione dei giornali indipendenti stranieri. L’intelletto more nell’infanzia per difetto d’alimento. I giovani si fanno apostati5 nell’egoismo e consumano ogni vigore in accessi d’una sterile misantropia6. [...] Chi darà, io lo chiedo nuova-
mente, il progresso a quel popolo? chi lo darà alla Polonia che versa in eguali condizioni? chi alla Germania che verserà tra non molto in esse, quando, abbracciando il vostro consiglio, i suoi patrioti avranno interrotto il combattere che popola le prigioni, ma desta a poco a poco le moltitudini? Come potremo noi introdurre in quelle contrade il santo pensiero invocato da tutti, ma non definito, se ci arretriamo, per calcolo individuale, davanti al pericolo, se non osiamo difendere coll’armi in pugno, come il contrabbandiere dei Pirenei, il contrabbando dell’intelletto?
1. Avanzare, progredire. 2. Si riferisce alle tendenze moderate, che propongono un percorso più graduale di riforme. 3. “Sbirri”, agenti di polizia. 4. Si tratta di un sistema di insegnamento nel quale i migliori scolari collaborano con i maestri nell’istruzione degli altri compagni. Si diffuse a inizio ’800 in Gran Bretagna e solo parzialmente nel resto d’Europa; in Italia alcune scuole di mutuo insegnamento nacquero in particolare in Toscana, in Lombardia e in Piemonte, ma furono abolite dopo i moti del 1820-21. 5. Chi rinnega o abbandona il proprio credo per seguirne un altro. 6. Asocialità.
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FARESTORIA RISORGIMENTO E UNITÀ D’ITALIA
L’insurrezione: io non vedo, per quei popoli, altro consiglio possibile: l’insurrezione appena le circostanze concedano: l’insurrezione energica, generale: l’insurrezione delle moltitudini: la guerra santa degli oppressi: la repubblica per creare repubblicani: il popolo in azione per iniziare il progresso. L’insurrezione annunzi terribile i decreti di Dio: sommova e spiani il suolo sul quale deve innalzarsi il suo edificio immortale: inondi, come il Nilo, le contrade ch’essa deve rendere fertili. [...] Noi qui parliamo per quei soprattutto che giacciono alla base della gerarchia europea [...], per le razze incatenate che cercano invano da lunghi secoli la missione assegnata ad esse da Dio – per la Polonia, per l’Ungheria, per l’Italia, per la Spagna, paesi di grandi fati che logorano oggi le forze tra due sistemi, traduzione ambi d’un falso principio – per la Germania
pure [...]. Parliamo per tutti, perché tutti sono elementi indispensabili alla futura sintesi europea – perché superiore alla missione speciale, che ciascun di noi è chiamato a compir sulla terra, vive una missione generale che abbraccia tutta quanta l’Umanità – e perché non vediamo che l’importanza della unificazione morale del Partito repubblicano [...]. Abbiamo oggi uomini, scrittori repubblicani di merito, che ritengono nessuna luce poter guidare i popoli al meglio se non scendente dall’alto, dagli orli dell’abisso in cui giacciono, dalle mani di quei che vegliano a mantenerli – altri che si limitano a implorare per essi, quasi elemosina, una frazione qualunque di libertà – altri che vorrebbero l’associazione europea maturasse al sole della monarchia costituzionale, che respingono quasi dannoso ogni tentativo di rigenerazione per mezzo d’un grande principio religioso, che protestano
117d MASSIMO D’AZEGLIO IL PROGRAMMA DEI MODERATI
M. d’Azeglio, Proposta d’un programma per l’Opinione Nazionale Italiana, Le Monnier, Firenze 1847, pp. 7; 10; 13-14; 44-45.
Romanziere e pittore di una certa fama, il marchese Massimo d’Azeglio (1798-1866) si dedicò attivamente alla politica a partire dagli anni ’40, nello stesso periodo in cui Carlo Alberto intraprese in Piemonte una politica riformatrice. L’opuscolo polemico Degli ultimi casi di Romagna, del 1846, ebbe un notevole successo in tutta Italia e lo fece diventare uno dei ca-
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Partendo dal principio, che in politica la sola cosa reale e da cercarsi è il possibile ed il pratico, intendiamo prender per base l’ordinamento della penisola quale esiste di fatto oggidì. Per questa via ci mostriamo conseguenti alla massima accennata ne’ Pensieri Preliminari1, di non volerci mettere in ostilità se non col minor numero possibile d’interessi. Non per questo intendiamo portar pregiudizio2 all’insieme della causa italiana, né rinunziare al diritto ed alla speranza della intera ed assoluta nostra indipendenza in un avvenire indeterminato. Crediamo però che il suo compimento non possa fissarsi ad epoca precisa, per mezzo degli sforzi e molto meno in ragione de’ desideri d’un numero anche esteso d’individui, e neppur d’una intera generazione; che la formazione e limitazione degli Stati sia conseguenza di fatti regolati dalla necessità delle circostanze e dei tempi.
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
come contro dimostrazioni importune e inefficaci contro ogni moto ardito di popolo, contro ogni credenza radicalmente organica manifestata dai difensori dei popoli. Ed io protesto contro la falsa teoria che, confondendo l’espressione materiale del progresso medesimo, raddoppia in certo modo fatica ai popoli e li condanna a una iniziazione per gradi, parallela alla serie dei patimenti che attraversano. [...] Quale è dunque il da farsi? Predicare, Combattere, Agire.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi gli elementi che, secondo Mazzini, potrebbero favorire il rinnovamento e quelli che, invece, lo ostacolano. b Mazzini parla di una «missione generale che abbraccia tutta quanta l’Umanità». Sottolinea la definizione che ne dà nel testo e spiega in che modo propone di perseguirla.
pifila della corrente liberal-moderata. Le pagine che seguono sono tratte da un’altra opera, scritta nel 1847: la Proposta d’un programma per l’Opinione Nazionale Italiana. Rivolto a un’opinione pubblica moderata e liberale, che considerava ormai maggioritaria dopo i fallimenti dei moti insurrezionali degli anni ’20 e ’30, l’autore sosteneva la necessità di un programma politico graduale, caratterizzato da prudenza e concretezza, al quale dare pubblicità e non più segreto, che coinvolgesse i governanti dei vari Stati italiani. Una posizione molto lontana da quella di Giuseppe Mazzini.
Crediamo che le sole e reali fondamenta d’un migliore ordinamento futuro, impossibile ad ottenersi oggi coi nostri attuali mezzi, stia nel cercare intanto di ottener quello che è possibile, per trovarsi a portata dei mezzi de’ quali possiam disporre. Crediamo nostro dovere e nostro diritto l’usarli con piena ed assoluta pubblicità. [...] Crediamo che la politica più naturale dei Principi italiani avrebbe dovuto, e dovrebbe essere sempre, il far causa comune tra loro, stringendosi insieme onde mantenersi sciolti da ogni influenza estera. Essi non hanno nulla a temere gli uni degli altri, e sono invece nel pericolo comune di venir offesi nella loro libertà d’azione o nella dignità della loro corona dalle potenze maggiori. [...] Sarebbe sola e veramente sapiente politica, e di primo interesse de’ Principi italiani, quella di dirigere gli atti del loro go-
verno in modo da rendere i loro sudditi, e la parte italiana dell’Italia, la più felice e la meglio ordinata. Se non si sono sempre mostrati fedeli a questa politica, crediamo ciò sia avvenuto, come accennammo, perché stimassero aver a temer più de’ loro Popoli, che non della preponderanza straniera. Crediamo però che quel pericolo fosse minore che non pensavano, e certamente poi stesse a noi l’evitarlo. [...] Essendo convinti, dunque, che la prima e più attendibile condizione di miglioramento sta per noi nella stretta unione de’ Principi italiani tra loro, e nella loro assoluta indipendenza d’azione, onde possano condurci al pieno sviluppo de’ nostri mezzi morali e materiali, ed al libero impiego di tutte le nostre forze nel modo 1. Premessa, considerazioni iniziali. 2. Recare danno.
più vantaggioso all’Italia, indipendentemente da interessi non italiani; essendo persuasi che questa desiderabile unione è stata turbata unicamente sinora dal sospetto nutrito nei Sovrani da quel principio rivoluzionario che ha fin qui professato il culto della forza materiale, e cercato quell’appoggio nelle società segrete, che n’è la conseguenza; crediamo sia primieramente da togliersi la cagione di tali sospetti, e che la miglior via per giungere a questo scopo, stia: 1. Nell’abbandonar assolutamente il principio rivoluzionario, protetto dalla forza materiale e dalle società segrete; e questa riforma, come abbiam detto, è oramai eseguita; 2. L’adottar il principio di cercare miglioramenti pratici e ragionevoli, condotti dalla forza morale, dalla ragione, cioè, appoggiata al giudicio3 dell’opinione per mezzo della più intera pubblicità: – l’adottare, in una parola, le idee d’un progresso moderato, e perciò possibile: che non porti offesa agli interessi dei Principi, e favorisca invece il pieno e libero esercizio della loro potestà. [...]
Noi crediamo che la tendenza generale della civiltà moderna verso il sistema rappresentativo, sia la conseguenza de’ vari stadii4 che ha sin qui attraversati, e sia l’espressione delle necessità sociali portate dalle sue condizioni presenti. Questa tendenza, che giungerà alla sua meta probabilmente prima della fine del secolo, crediamo sia quella che principalmente lo distingue, abbia a lasciargli il suo nome, e che il XIX sia presso le generazioni future per dirsi il secolo della restaurazione del sistema rappresentativo. Noi crediamo che una nuova via s’apra innanzi a molti Principi italiani come a molti stranieri, per la quale posson giungere a collocarsi in alto ed onorato luogo nella stima delle future generazioni, ed avervi luminosa fama di sapienza e virtù. Crediamo insieme ch’essa sia pienamente conforme ai loro veri interessi. Questa via sta nel saper conoscere le tendenze generali dell’età presente; persuadersi dell’impossibilità di mutarle o distruggerle; non soddisfarle in modo ed in tempo inopportuno e disordinato: ma regolarne il
118d CARLO CATTANEO LA SOLUZIONE FEDERALE
C. Cattaneo, Opere scelte, vol. III, Scritti 1848-1851, Einaudi, Torino 1972, pp. 271-76; 282-83.
Liberale di tendenze radicali, massimo esponente della corrente federalista-repubblicana italiana, Carlo Cattaneo (1801-1869) ha lasciato numerosi scritti su temi diversi (dall’economia alla storia, dalla letteratura al diritto e alle scienze umane in generale), ma non un’opera organica che Ogni stato d’Italia deve rimaner sovrano e libero in sé. Il doloroso esempio dei popoli della Francia, che hanno conquistato tre volte la libertà, e mai non l’hanno avuta, dimostra vero il detto del nostro antico savio1, non potersi conservare la libertà se il popolo non vi tien le mani sopra; sì, ogni popolo in casa sua, sotto la sicurtà2 e la vigilanza delli altri tutti. Così ne insegna la sapiente America. Ogni famiglia politica deve avere il separato suo patrimonio, i suoi magistrati, le sue armi. Ma deve conferire alle communi necessità e alle communi grandezze la debita parte; deve sedere con sovrana e libera rappresentanza nel congresso fraterno di tutta la nazione; e deliberare in commune le leggi che preparano, nell’intima coordinazione e uniformità delle parti, la indistruttibile unità e coesione del tutto. Finché l’Italia
cammino, favorirne il regolare progresso, piegandosi a successive modificazioni, coordinate alle analoghe modificazioni dello stato sociale. Questa via sta non nel voler soffocare con violenza e ciecamente un germe che nessuna forza umana ha oramai la facoltà di annientare; ma nell’adoperarsi onde germogli e cresca regolarmente, senza prendere le false direzioni che imprime una forza contro natura: forze e direzioni che porrebbero in grave pericolo gli stessi Principi, e comprometterebbero egualmente la quiete e il benessere futuro de’ Popoli che governano. 3. Giudizio. 4. Fasi. METODO DI STUDIO
a Sottolinea i princìpi in cui d’Azeglio afferma di credere e sintetizzali in titoletti che scriverai a margine del testo. b Spiega in cosa consiste la prima e più attendibile condizione di miglioramento descritta dall’autore e in che modo la giustifica.
riassumesse il suo pensiero politico. La soluzione federale per l’Italia e l’idea di una federazione di Stati Uniti d’Europa sono da lui proposte nel brano seguente, tratto dalla conclusione di uno dei suoi libri più celebri, Dell’insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra, scritto nel 1849 dopo il fallimento dei moti milanesi, di cui era stato protagonista, e dopo la sconfitta piemontese nella prima guerra d’indipendenza.
avrà governi sconnessi, muniti di forze ineguali, infetti dalla barbarica ambizione d’assoggettarsi i vicini, la parte debole o corrotta sarà sempre tentata d’invocare contro il fratello la spada straniera; e si ripeterebbe eternamente la scelerata istoria della nostra servitù. Non v’è modo a obliterare3 le diseguaglianze, e disarmare le ambizioni e le insidie dei reguli4 d’Italia e dei municipii, se non la mutua tutela d’un congresso nazionale; essendoché i deboli vi costituiranno sempre la maggioranza; e perciò il voto uscirà sempre propizio all’equità e avverso alla prepotenza. E non vi è grandezza, né forza, né maestà che sia maggiore di quella dell’universa nazione. Solo l’Italia può parlare da eguale alla Germania, alla Francia, all’Inghilterra. [...] L’errore più grave, assai vulgare però in Italia, e generale in Euro-
pa, si è che la causa italiana sia questione principalmente, anzi unicamente, militare. Giova ripetere: l’Italia non è serva delli stranieri, ma de’ suoi. L’Austriaco venne in Italia, e vi può rimanere solamente come mercenario d’una minoranza retrograda, la quale si conosce impotente a dominare da sé la nazione. E l’Austriaco si è perduto per l’arroganza sua di far da padrone, ove i suoi patti erano solo d’essere il servo armato, e l’aguzzino d’un popolo che monsignori e ciambellani volevano tenere in catena. Come mai ottantamila stranieri, che vengono da una regione po-
1. Niccolò Machiavelli (1469-1527). 2. Sicurezza. 3. Cancellare. 4. Piccoli re.
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FARESTORIA RISORGIMENTO E UNITÀ D’ITALIA
vera, semibarbara e discorde, potrebbero opprimere colla nuda forza 25 millioni d’un popolo, cui la natura privilegiò di sì alto animo e sì vario intelletto? Come lo potrebbero, se non combattesse per loro l’ambizione e la perfidia dei prelati e dei cortigiani? [...] La popolazione dell’Italia è pari di numero a quella che la Francia aveva al tempo della irresistibile sua rivoluzione! E oso dire, e potrei dimostrare, che il nostro popolo, se non in Piemonte, certamente in Toscana, e nel Lombardo Veneto, e nell’Emilia, è più culto5 che non fossero allora, e che oggidì non siano, in Francia i dipartimenti del ponente sopratutto, e del centro, e del mezzodì. Né il volere6 finalmente manca ai popoli, purché solo vi sia chi decreti l’armamento in loro nome. La questione non è dunque tanto militare, quanto civile. Ora qual sarà il magistrato che lo decreti? Certo, dovrebb’essere il magistrato dittatorio creato dalla Costituente Italica, per governare la guerra, per attivare le finanze, e le banche, e le vendite dei beni nazionali, per assegnare le quote dell’esercito ai singoli Stati, per eleggere i comandanti, per infliggere l’infamia ai vili, la morte ai traditori. Ma tra il magistrato nazionale e li eserciti stanno le corti dei prìncipi. E i soldati obbediranno alle corti, e terranno fisso lo sguardo nel volto del prìncipe. [...] Necèssita dunque che i decreti della Costituente trovino eserciti pronti a obbedirla fedelmente; ossia che trovino in ogni Stato un
esercito cittadino e non un satellizio7 di corte; al quale torni lo stesso combattere i nemici, o trucidare i cittadini. Perché dunque l’efficacia della Costituente sul campo di battaglia si faccia sentire, vuolsi che abbiano vigor popolare i parlamenti d’ogni Stato. [...] La Costituente sarà all’Italia un’insegna gloriosamente e irrevocabilmente spiegata, una meta finale e infallibile, un faro. Ma l’efficacia dipende dalla potenza e popolarità dei singoli parlamenti, dall’uniformità e genialità della loro origine elettorale, insomma dal progresso effettivo della libertà nei singoli Stati. Col che vorrei avere adombrato ché siasi per me inteso, quando più volte dissi che non si perviene all’indipendenza, cioè alla vittoria nazionale, se non per la via della libertà. [...] Ora le nazioni europee devono congiungersi [...] non coll’unità materiale del dominio, ma col principio morale dell’eguaglianza e della libertà. La Francia, già da sessanta anni scrisse questa verità nei Diritti dell’Uomo8. E le nazioni ora sono mature perché la parola s’incarni nel fatto. Solamente quando la Francia avrà intorno a sé cento milioni d’uomini liberi, non sarà più costretta a tenere in armi seicentomila soldati, né ad affamare il popolo per disfamare l’esercito, i cui capitani conculcheranno sempre la sua libertà. Poco importa che il telegrafo ingiunga ai docili e silenziosi dipartimenti il comando d’un imperatore o d’un re o
5. Civile. 6. La volontà. 7. Sgherro, scagnozzo. 8. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. 9. Il modello federale degli Stati Uniti. 10. Aspira. METODO DI STUDIO
a Spiega a quale proposito Cattaneo cita come esempi la Francia e l’America. b Sottolinea i motivi per cui l’autore scrive che «l’Italia è serva de’ suoi» ed evidenzia il significato di questa espressione. c Cerchia i fattori che possono consentire, secondo l’autore, la rivoluzione in Italia. d Spiega per iscritto quale formula politica propone Cattaneo per l’Europa e per quali motivi.
119d COSTITUZIONI LIBERALI E COSTITUZIONI DEMOCRATICHE
Costituzione italiana, Introd. di G. Ambrosini, Einaudi, Torino 1975, pp. 46-57; 58-62.
Fra le molte Costituzioni nate nel 1848, due testi rappresentano bene le correnti politiche che animavano il Risorgimento italiano: lo Statuto albertino e la Costituzione della Repubblica romana, di cui si riportano alcuni articoli particolarmente significativi. Lo Statuto albertino, promulgato il 4 marzo 1848 da Carlo Alberto in Piemonte, è il testo costituzionale che ha avuto il maggior successo, diventando poi nel 1861 la legge fondamentale del nuovo Regno d’Italia e rimanendo in vigore fino al 1947, quando fu sostituito dalla Costituzione repubblicana. Ispirato ai testi costituzionali più moderati del primo ’800, lo Statuto, pur considerando la presenza di un Parlamento, attribuisce un ruolo centrale al sovrano, dichiarandolo il solo vero titolare del potere esecutivo e partecipe anche di quello legislativo; allo stesso tempo, però, garantisce molti princìpi liberali, come la li-
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d’un presidente; il destino della moltitudine dei Francesi, fuori della cerchia di Parigi, fu sempre l’obbedienza; ed è una dura necessità per conservare a fronte della Europa regia l’unità militare. Ma in mezzo a un’Europa tutta libera e tutta amica, l’unità soldatesca potrà far luogo alla popolare libertà; e l’edificio costrutto dai re e dalli imperatori potrà rifarsi sul puro modello americano9. Il principio della nazionalità, provocato e ingigantito della stessa oppressione militare che anela10 a distruggerlo, dissolverà i fortuiti imperii dell’Europa orientale; e li tramuterà in federazioni di popoli liberi. Avremo pace vera, quando avremo li Stati Uniti d’Europa.
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bertà individuale e l’inviolabilità delle proprietà. Lo Statuto non prefigura un regime “parlamentare” di tipo britannico (in cui cioè la vita del governo dipende dalla fiducia delle Camere), ma piuttosto un sistema “costituzionale” in cui il governo trae la sua legittimità dalla fiducia del sovrano e al Parlamento è riservata la sola funzione legislativa. Ciononostante, grazie alla politica di Cavour e all’alleanza della monarchia sabauda col movimento liberale e nazionale, si affermò in Piemonte e poi in Italia una prassi di tipo “parlamentare”, destinata a durare finché restò in vita il regime liberale. Molto diversa dallo Statuto fu invece la Costituzione della Repubblica romana, promulgata il 3 luglio 1849, poco prima che le truppe francesi mettessero fine alla breve esperienza repubblicana a Roma: in pratica non entrò mai in vigore. Ispirata agli ideali democratici, la Costituzione romana ha qualche punto di contatto con i modelli liberal-moderati (so-
prattutto nelle parti relative alle garanzie del cittadino contro gli abusi del potere e all’inviolabilità della proprietà), ma se ne differenzia radicalmente sia nei «princìpi fondamentali», che invece richiamano gli ideali di uguaglianza e di sovraniLo Statuto albertino Art. 1. La religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi. Art. 2. Lo Stato è retto da un governo monarchico rappresentativo. Il Trono è ereditato secondo la legge Salica1. Art. 3. Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal Re e da due Camere: il Senato, e quella dei deputati. [...] Art. 5. Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il capo supremo dello Stato: comanda tutte le forze di terra e di mare; dichiara la guerra; fa i trattati di pace, d’alleanza, di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere tosto che l’interesse e la sicurezza dello Stato il permettano, ed unendovi le comunicazioni opportune. I trattati che importassero un onere alle finanze o variazioni di territorio dello Stato, non avranno effetto se non dopo l’ottenuto assenso delle Camere. Art. 6. Il Re nomina a tutte le cariche dello Stato [...] Art. 7. Il Re solo sanziona le leggi e le promulga. Art. 8. Il Re può far grazia e commutare le pene. [...] Art. 10. La proposizione delle leggi apparterrà al Re ed a ciascuna delle due Camere. Però ogni legge d’imposizione di tributi, o di approvazione dei bilanci e dei conti dello Stato, sarà presentata prima alla Camera dei deputati. [...] Dei diritti e dei doveri dei cittadini Art. 24. Tutti i regnicoli2, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili, e militari, salve le eccezioni determinate dalle leggi. Art. 25. Essi contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato. Art. 26. La libertà individuale è guarentita. Niuno può essere arrestato, o tradotto in giudizio, se non nei casi previsti dalla legge, e nelle forme che essa prescrive.
tà popolare e aboliscono qualsiasi privilegio di antico regime (ad esempio il titolo nobiliare), sia nell’esplicito riferimento al suffragio universale e a forme di più ampia partecipazione e rappresentanza politica dei cittadini.
Art. 27. Il domicilio è inviolabile [...] Art. 28. La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi. [...] Art. 29. Tutte le proprietà, senza alcune eccezioni, sono inviolabili. [...] Art. 30. Nessun tributo può essere imposto o riscosso se non è stato consentito dalle Camere e sanzionato dal Re. [...] Art. 32. È riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senz’armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l’esercizio nell’interesse della cosa pubblica. Questa disposizione non è applicabile alle adunanze in luoghi pubblici, od aperti al pubblico, i quali rimangono intieramente soggetti alle leggi di polizia. [...] Art. 65. Il Re nomina e revoca i suoi ministri. [...] Art. 77. Lo Stato conserva la sua bandiera; e la coccarda azzurra è la sola nazionale. [...] Art. 79. I titoli di nobiltà sono mantenuti a coloro che vi hanno diritto. Il re può conferirne di nuovi. La Costituzione della Repubblica romana Princìpi fondamentali I. La sovranità è per diritto eterno nel popolo. Il popolo dello Stato romano è costituito in Repubblica democratica. II. Il regime democratico ha per regola l’eguaglianza, la libertà, la fraternità. Non riconosce titoli di nobiltà, né privilegi di nascita o casta. III. La Repubblica colle leggi e colle istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini. IV. La Repubblica riguarda tutti i popoli come fratelli: rispetta ogni nazionalità: propugna l’italiana. [...] VII. Dalla credenza religiosa non dipende l’esercizio dei diritti civili e politici. VIII. Il capo della Chiesa Cattolica avrà dalla Repubblica tutte le guarentigie3 necessarie per l’esercizio indipendente del potere spirituale. Titolo I. Dei diritti e dei doveri dei cittadini [...] Art. 3. Le persone e le proprietà sono inviolabili. Art. 4. Nessuno può essere arrestato che
in flagrante delitto, o per mandato di giudice, né esser distolto da suoi giudici naturali. [...] Art. 5. Le pene di morte e di confisca sono proscritte. Art. 6. Il domicilio è sacro: non è permesso penetrarvi che nei casi e nei modi determinati dalla legge. Art. 7. La manifestazione del pensiero è libera: la legge punisce l’abuso senza alcuna censura preventiva. Art. 8. L’insegnamento è libero. [...] Art. 9. Il segreto delle lettere è inviolabile. Art. 10. Il diritto di petizione può esercitarsi individualmente e collettivamente. Art. 11. L’associazione senz’armi e senza scopo di delitto è libera. Art. 12. Tutti i cittadini appartengono alla guardia nazionale nei modi e colle eccezioni fissate dalla legge [...] Art. 15. Ogni potere viene dal popolo [...] Art. 16. L’Assemblea è costituita da’ rappresentanti del popolo. Art. 17. Ogni cittadino, che gode i diritti civili e politici, a 21 anni è elettore, a 25 eleggibile. [...] Art. 20. I comizi generali si radunano ogni tre anni, nel 21 aprile4. Il popolo vi elegge i suoi rappresentanti con voto universale, diretto e pubblico. [...] Art. 29. L’Assemblea ha il potere legislativo. Decide della pace, della guerra e dei trattati. 1. Il principio secondo il quale le donne erano escluse dalla discendenza al trono. 2. Cittadini del Regno. 3. Garanzie. 4. Secondo la tradizione, Roma venne fondata il 21 aprile del 753 a.C.
METODO DI STUDIO
a Cerchia nel cappello introduttivo, con colori diversi, i valori espressi dalle due Costituzioni e sottolinea, nei documenti, gli articoli che sono ad essi ispirati mantenendo gli stessi colori. b Spiega chi detiene il potere e le sue forme secondo le due Costituzioni e in che modo vengono appellati coloro che fanno parte della comunità.
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FARESTORIA RISORGIMENTO E UNITÀ D’ITALIA
120 L. CAFAGNA CAVOUR E L’IDEA DI PROGRESSO
L. Cafagna, Libertà del mercato e modernizzazione economica in Cavour, in Cavour, l’Italia e l’Europa, a c. di U. Levra, il Mulino, Bologna 2011, pp. 115-16; 124-27.
Lo storico Luciano Cafagna (1926-2012), studioso dell’età contemporanea e dello sviluppo economico italiano, è autore di un’importante biografia di Camillo Benso di Cavour (1810-1861), pubblicata nel 1999. In questo brano, tratto da un saggio scritto qualche anno dopo, Cafagna analizza
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La visione della modernità in Cavour è strettamente connessa [...] alla percezione del dislivello tra la penisola arretrata e l’«Europa in marcia». Cavour scopre infatti l’Italia nella «differenza». La scopre quando, per le ragioni passionali della gioventù, avverte sensibilmente lo scarto tra il mondo in cui vive e i mondi più ricchi di valori e di prospettive. Era stata la rivoluzione di luglio francese1 a dare forma politica, nei convincimenti del Cavour ventenne, al problema dell’arretratezza italiana. L’Italia da allora comincia a comparire nelle sue riflessioni come entità complessiva, laddove, fino a quel momento, era praticamente assente: ma compare come sofferenza, nella forma di distanza dal resto del mondo, di mancanza di qualcosa. Si può dire dunque che Cavour scoprì l’Italia, appunto, come carenza di Europa: e resterà, questa, una costante del suo modo di vedere le cose. «Mentre tutta l’Europa marcia con passo fermo sulla via progressiva, l’infelice Italia resta sempre curva sotto lo stesso sistema di oppressione civile e religiosa» scrive all’amico inglese Brockedon2 nel dicembre di quel fatidico 1830. [...] Che cosa è l’«Europa in marcia» di cui parla il Cavour ventenne? È l’Europa del «progresso» e della «libertà». Si tratta di un binomio nel quale la convivenza dei due termini non è sempre del tutto pacifica. Eppure nella formazione di Cavour si tratta di un binomio indissolubile. [...] Per Cavour [...] il nesso fra progresso e libertà è un nesso necessario, intrinseco e immediato: prima di tutto perché la civilisation3 per lui è realtà già conosciuta, perché altro già esistente, e quindi possibile di mimesi nella realtà economica, sociale e politica che include l’adozione della libertà. In secondo luogo perché l’accesso alla civilisation – che è un atto di rottura verso abitudini, schemi, tradizioni – implica subito un’apertura diffusa a energie nuove e apre ulteriormente lo spazio alla diffusione di
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la visione che Cavour aveva del processo di modernizzazione dell’Italia: come mostra l’autore, lo statista piemontese, fin dalla sua gioventù, fu un attento osservatore di ciò che accadeva nel resto d’Europa. Progresso economico e libertà sono due concetti fondamentali nel suo pensiero e devono accompagnare la formazione della nazione italiana: secondo Cavour, questa non potrà nascere se rimane isolata dai cambiamenti sociali, economici e politici in corso in Europa, ma soltanto se tiene il passo dei paesi europei più sviluppati (come la Francia e la Gran Bretagna).
altri atti di rottura. È liberazione di forze, non invenzione e produzione di forze: è quindi atto di libertà. La peculiarità cavouriana [...] fu la costante motivazione liberale, e non autoritario-modernizzante, della sua passione per il progresso. E questa è anche la chiave del suo liberismo. Il liberalismo di Cavour è infatti un liberalismo liberista: in esso non è possibile dissociare [...] il liberalismo politico e quello economico. La libertà è per lui liberazione di energie positive; e il liberismo economico è esattamente questo oppure non è nulla: un liberismo che non produca energie supplementari non ha infatti senso. Ma se non vi è liberismo economico manca la libertà in un punto essenziale: la libertà di progredire e di applicare le energie individuali al progresso. Il mondo di Cavour è dunque quello occidentale di Inghilterra e Francia, non quello prussiano o zarista. Il suo modo di impostare il problema del rapporto fra ordine, progresso e libertà, del modo in cui si può riuscire, cioè, a mutare, innovare, cambiare, senza aprire le cateratte a forze incontrollabili, è un modo saldamente liberale. Non vi è momento della carriera politica di Cavour nel quale egli ritenga, per esempio, di potere o dovere derogare autoritariamente dal principio del governo parlamentare. [...] Relativamente alla problematica operativa e non solo ideale, vediamo ora, per concludere, come Cavour potesse rifarsi, nel suo confronto con l’Europa, a un’entità Italia e non al solo Piemonte. [...] Furono le ferrovie – grande simbolo dell’idea di progresso – il tema che, per la sua sostanza non localistica, fece maturare in Cavour il problema italiano come problema nazionale. Un ragionamento, il suo, che è la conclusione logica e articolata della nitida visione che già in gioventù – come abbiamo visto – si era venuta formando di un’«Europa in marcia» e di un’«infelice Italia» rimasta indietro. Con
l’idea di progresso egli aveva, poi approfondito la percezione dell’ineguaglianza geografica dello sviluppo economico e della differenziazione del mondo in paesi che «marciano alla testa del processo di civilisation» e paesi che «nella marcia ascensionale dei popoli moderni sono rimasti attardati». [...] La locomotiva era proprio il progresso che si muoveva attraverso il mondo, e con essa la nuova macchina a vapore, cioè quella scoperta che «per l’ampiezza delle sue conseguenze» gli appariva comparabile solo a quella della stampa o alla scoperta del continente americano. Leggendo, nel suo scritto, Des chemins de fer en Italie4, il quadro dei progetti dello sviluppo ferroviario italiano che si susseguono, minuziosi, nei dettagli e nella concreta considerazione dei vantaggi e delle difficoltà, città per città, regione per regione, sembra di vedere una grande carta geografica che si viene illuminando pezzo dopo pezzo, su una parete, in attesa dell’applauso finale. Per la prima volta Cavour, in quello scritto del 1846, parla di indipendenza nazionale della «Italie», della prospettiva di uno Stato della Valle del Po, dunque di un vero mutamento politico, per quanto ancora circoscritto. [...] L’imperativo era non restare indietro rispetto all’Europa che progredisce. Ma come mantenersi al passo? Non certo isolandosi. Né arroccandosi in un protezionismo [...]. L’unica strada era quella
1. L’insurrezione del luglio 1830. 2. William Brockedon (1787-1854), pittore, scrittore e inventore britannico. 3. Parola francese (in italiano “civilizzazione”) che si lega al concetto di progresso e indica il processo che conduce un popolo dallo stato selvaggio e barbaro alla civiltà. 4. L’Étude des chemins de fer en Italie (Studio sulla ferrovia in Italia) fu pubblicato nel maggio 1846 sulla «Revue nouvelle», rivista edita a Parigi.
dell’inserimento nell’espansione europea e dell’incremento di domanda che questa determinava, attraverso il libero scambio. L’effetto sarebbe stato molteplice: il paese avrebbe venduto all’estero più prodotti per i quali vi era specializzazione e competitività; le produzioni manifatturiere interne sarebbero state sollecitate dalla concorrenza alla maggiore produttività e competitività; i consumatori avrebbero tratto benefici da ribassi nei prezzi al consumo per effetto delle riduzioni daziarie; investitori stranieri – particolarmente importanti per le costruzioni ferroviarie e per i prestiti pubblici – sarebbero stati attratti dalle prospettive generali di crescita del paese; le finanze dello Stato sarebbero state compensate – forse anche più che compensate – della perdita per i minori introiti daziari immediati, dagli effetti di gettito derivanti dalla crescita del reddito. Questo, in poche parole, il «modello di sviluppo» cavouriano per il Piemonte degli anni Cinquanta. Si trattava di un modello di sviluppo che avviava un’armo-
niosa integrazione del Piemonte, come del resto dell’Italia settentrionale, nel mutamento europeo. Ancora nel suo ultimo grande discorso alla Camera, prima della morte, quando parlò non come politico piemontese ma come primo ministro del governo italiano – siamo alla data del 27 maggio 1861 – Cavour tracciò, del tutto fedele al suo «modello di sviluppo», una strategia della futura crescita economica
PALESTRA INVALSI
1 L’espressione «Cavour scoprì l’Italia come carenza d’Europa» significa che... [ ] a. l’Italia era uno Stato forte e che poteva essere indipendente dall’Europa. [ ] b. l’Italia era un’entità politica ancora carente, secondo i maggiori uomini politici europei, e tale sarebbe rimasta. [ ] c. all’Europa mancava, per diventare una realtà politica forte, l’esistenza dello Stato italiano. [ ] d. l’Italia poteva diventare una realtà statale, ma era mancante di qualcosa rispetto all’Europa. 2 Il messaggio più importante del testo è che... [ ] a. Cavour era un liberista. [ ] b. Cavour sognava di costruire una solida rete ferroviaria in Italia. [ ] c. il libero scambio, per Cavour, era uno strumento per l’Italia per non restare indietro in Europa. [ ] d. Il modello politico cui Cavour si ispira è quello di Francia e Inghilterra.
121d CAMILLO BENSO DI CAVOUR LA QUESTIONE ITALIANA E L’EUROPA
C. Benso di Cavour, Discorsi parlamentari, vol. XII (1855-56), a c. di A. Saitta, La Nuova Italia, Firenze 1961, pp. 362-63.
La partecipazione del Piemonte, quale Stato vincitore nel conflitto di Crimea, al congresso di Parigi del maggio 1856 fu una tappa importante sulla strada dell’unificazione: per la prima volta, infatti, si parlò della situazione italiana in una riunione internazionale. Cavour (1810-1861) sottopose all’attenzione generale il malgoverno dello Stato pontificio e del Regno delle Due Sicilie e le tensioni provocate dalla Rispetto alla questione italiana non si è, per vero, arrivati a gran risultati positivi; tuttavia si sono guadagnate, a mio parere, due cose: la prima che la condizione anomala ed infelice dell’Italia è stata denunziata all’Europa, non già da demagoghi1 (Si ride), da rivoluzionari esaltati, da giornalisti appassionati, da uomini di partito2, ma bensì da rappresentanti delle primarie potenze dell’Europa, da statisti che seggono a capo dei loro Governi, da uomini insigni avvezzi a consultare assai più la voce della ragione che a seguire gli impulsi del cuore. Ecco il primo fatto che io considero come di una grandissima utilità. Il secondo si è che quelle stesse potenze hanno dichiarato essere necessario, non
italiana. Quel modello che si basava sul principio liberista delle «industrie naturali» era estraneo a misure protezionistiche ed era una continuazione della linea di sviluppo allora in atto e da lui promossa [...]. Essa aveva infatti permesso di integrare le risorse economiche di un paese in posizione di periferia relativa, entro la dinamica della Europa in corso di industrializzazione.
dominazione austriaca. Nel discorso che tenne alla Camera il 6 maggio di quell’anno, di cui si riporta qui un estratto, lo statista piemontese espose i risultati di quel congresso, sottolineando l’ormai aperta ostilità tra Austria e Regno di Sardegna. Secondo Cavour, così come in ambito economico, anche in quello politico sarebbe stato decisivo inserire la causa italiana all’interno del contesto europeo, così da ottenere l’appoggio delle altre potenze e scongiurare il pericolo dell’isolamento. Il successo di questo discorso fu enorme e contribuì a consolidare l’egemonia piemontese sul movimento unitario italiano.
solo nell’interesse d’Italia, ma in un interesse europeo, di arrecare ai mali d’Italia un qualche rimedio. Non posso credere che le sentenze profferite, che i consigli predicati da nazioni quali sono la Francia e l’Inghilterra siano per rimanere lungamente sterili. Sicuramente, se da un lato abbiamo da applaudirci di questo risultato, dall’altro io debbo riconoscere che esso non è scevro di inconvenienti e di pericoli. (Movimento d’attenzione.) Egli è sicuro, o signori, che le negoziazioni di Parigi non hanno migliorato le nostre relazioni con l’Austria! (Sensazione.) Noi dobbiamo confessare che i plenipotenziari3 della Sardegna e quelli dell’Austria, dopo aver seduto due mesi a fianco, dopo aver cooperato insie-
me alla più grande opera politica che siasi compiuta in questi ultimi quarant’anni, si sono separati senza ire personali, giacché io debbo qui rendere testimonianza al procedere generalmente cortese e conveniente del capo del Governo austriaco, si sono separati, dico, senza ire personali, ma coll’intima convinzione essere la politica dei due paesi più lontana che mai dal
1. Chi tenta di ottenere il consenso popolare facendo promesse difficili da realizzare. 2. Si riferisce, in maniera polemica, alle tendenze più radicali e democratiche del movimento risorgimentale italiano. 3. Gli inviati politici e i rappresentanti diplomatici.
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FARESTORIA RISORGIMENTO E UNITÀ D’ITALIA
mettersi d’accordo (Applausi), essere inconciliabili i principii dall’uno e dall’altro paese propugnati! (Bene!) Questo fatto, o signori, è grave, non conviene nasconderlo; questo fatto può dar luogo a difficoltà, può suscitare pericoli, ma è una conseguenza inevitabile, fatale di quel sistema leale, liberale, deciso che il Re Vittorio Emanuele inaugurava salendo al trono, di cui il Governo del re ha sempre cercato di farsi l’interprete, al quale voi avete sempre prestato fermo e valido appoggio. (Molte voci: Bravo! bravo!) Né io credo, o signori, che la considerazione di questa difficoltà, di questi pericoli sia per farvi consigliare al Governo del Re di mutare politica. La via che abbiamo seguito in questi ultimi anni ci ha condotti ad un gran passo:
per la prima volta nella storia nostra la questione italiana è stata portata e discussa avanti ad un congresso europeo, non come le altre volte, non come al congresso di Lubiana, ed al congresso di Verona4, coll’animo di aggravare i mali d’Italia e di ribadire le sue catene, ma coll’intenzione altamente manifestata di arrecare alle sue piaghe un qualche rimedio, col dichiarare altamente la simpatia che sentivano per essa le grandi nazioni. Terminato il Consiglio, la causa d’Italia è portata ora al tribunale della pubblica opinione, a quel tribunale al quale, a seconda del detto memorabile dell’imperatore dei Francesi, spetta l’ultima sentenza, la vittoria definitiva. La lite potrà essere lunga, le peripezie saranno forse molte; ma noi, fidenti nella
122 L. RIALL IL MITO DI GARIBALDI
L. Riall, Garibaldi. L’invenzione di un eroe, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 243-45; 353; 369-70.
Giuseppe Garibaldi (1807-1882), l’«Eroe dei due mondi», è certamente uno dei personaggi più popolari della storia italiana, ben conosciuto anche al di fuori della penisola. Intorno a lui, già negli anni in cui era in vita, si costruì un vero e proprio mito, come mostra la storica britannica Lucy Riall (nata nel 1962),
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La rappresentazione della guerra del 1859 ebbe un’importanza cruciale per dar vita a un culto di dimensioni europee per Garibaldi, e fu una componente essenziale per la costruzione del mito del «risorgimento» italiano, una narrazione completa, ricca di personaggi, in parte inventata e in parte riferita a fatti storici. Garibaldi sembrava simboleggiare tutto ciò che vi era da ammirare (di giusto, di eroico, di poetico) nella lotta per l’indipendenza italiana, ed esercitò un richiamo sufficiente a mobilitare attorno all’idea di nazione interi settori della società italiana (in particolare nei contesti urbani). Sulla popolarità di Garibaldi non sembra esservi il minimo dubbio. Forse ci possiamo interrogare sull’attendibilità delle numerose cronache riferite alle dimostrazioni di entusiasmo patriottico [...], in quanto molte di esse furono scritte in un secondo tempo e con un evidente intento politico. Il gran numero di articoli, libri e immagini relativi a Garibaldi sono, in
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giustizia della nostra causa, aspettiamo con fiducia l’esito finale. (Applausi generali.) 4. Nei congressi di Lubiana (1821) e di Verona (1822) le grandi potenze, riunite nella Santa alleanza, si accordarono per il mantenimento dell’assetto territoriale e politico sancito dal congresso di Vienna. METODO DI STUDIO
a Spiega per iscritto cosa cambia, secondo Cavour, con la partecipazione del Piemonte al congresso di Parigi del 1856. b Sottolinea le informazioni che permettono di comprendere qual è il fatto pericoloso, ma inevitabile di cui parla Cavour. c Rispondi alle seguenti domande: a. Che tipo di documento è questo? b. Chi ne è l’autore e perché lo ha realizzato?
studiosa del Risorgimento italiano, in un volume dedicato interamente all’“invenzione” della figura eroica di Garibaldi nel corso dell’800. Per l’autrice, a far nascere il mito contribuirono sia il carisma e le effettive capacità militari di Garibaldi, sia l’entusiasmo che molti intellettuali e scrittori dell’epoca suscitarono intorno a lui e alle sue imprese. In questo brano, in particolare, Riall analizza il momento in cui si afferma definitivamente il mito: la guerra del 1859 e, soprattutto, la spedizione dei Mille.
ogni modo, una prova evidente della diffusione del culto per il personaggio e del suo successo commerciale [...]. Altrettanto significativa è la sua notorietà internazionale. Oltre che in Italia, anche negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Olanda, in Germania, in Svizzera e soprattutto in Francia vennero pubblicate biografie e testi di altro tipo, i cui particolari vennero copiati e riprodotti da scrittori di lingue e paesi diversi. Questa letteratura costituisce un chiaro segno di come a metà Ottocento esistesse una «comunità» di lettori liberale e cosmopolita, a carattere internazionale ma impegnata in lotte di rivendicazione nazionale nelle quali rappresentava idealmente se stessa. Si deve ricordare che questo culto di Garibaldi non coinvolgeva esclusivamente gli uomini. Sebbene non si sappia quasi niente su chi effettivamente fossero i lettori di queste biografie, un numero significativo di coloro che le scrissero erano donne. [...] Si può inoltre ritenere che almeno alcune
di queste opere fossero destinate anche a un pubblico femminile; la particolare attenzione che molte di esse dedicano alla sensibilità e alla sensualità del protagonista, alle sue storie d’amore e al suo rapporto con Anita1 sembrano indicare una preoccupazione degli autori per un tipo di lettore che, se non esclusivamente femminile, era chiaramente interessato non tanto alle battaglie e alle gesta audaci, quanto a qualcosa d’altro, o di più. [...] Dal punto di vista politico Garibaldi aveva una dote particolare, quella di saper sfruttare il proprio carisma personale per influenzare e ispirare la collettività, e nel 1859-60 aggiunse a ciò una gran-
1. Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva (1821-1849), nata in Brasile, prima moglie di Garibaldi, morta durante la fuga seguita alla fine della Repubblica romana.
diosa serie di vittorie militari. Allo stesso tempo, questi concreti successi vennero sostenuti, celebrati e reinterpretati dalla sua controparte immaginaria, generata dagli articoli e dalle biografie che venivano modellati in base a uno specifico complesso di priorità politiche e di regole letterarie. [...] Nel 1859 [...] fra il capo politico e l’eroe letterario non venne stabilita una chiara distinzione. Accadeva così che nelle descrizioni e nelle «vite» di Garibaldi le fonti documentarie fossero a seconda dei casi utilizzate, ignorate o infiorettate per produrre un racconto immaginario che risultava tanto più potente quanto più appariva vero. Nella primavera del 1860, quando Garibaldi si imbarcò per la Sicilia, l’originario obiettivo mazziniano di creare un eroe che simboleggiasse e rendesse visibile l’esistenza di un popolo italiano poteva dirsi pienamente realizzato. Tuttavia il suo vasto successo non fu privo di problemi. Da un punto di vista politico, la posizione di Garibaldi non era affatto chiara; il suo scopo, almeno per Cavour, era mascherare la Realpolitik del 18592, e vale la pena di ricordare che in questa fase gran parte dei dirigenti moderati aborriva la sua capacità di attirare a tal punto l’attenzione pubblica. E in effetti si assisté a una sorta di deliberato tentativo di offuscarne il culto, fenomeno questo ampiamente dimostrato dall’iconografia del 1859, con le sue innumerevoli versioni di un imbarazzato Garibaldi in uniforme da generale3. Allo stesso tempo, questa versione più blanda dell’eroe non riuscì mai a oscurare del tutto il bandito pittoresco, che ricomparve in vario modo nelle illustrazioni del tempo e nelle biografie parzialmente romanzate, e il cui messaggio politico aveva un significato molto più sovversivo [...] Nel Garibaldi immaginario è possibile osservare una tendenza a fluttuare in modo autonomo rispetto ai politici, o ad adottare una logica e un tipo di vita del tutto personali. [...] Le biografie uscite fra il 1859 e i primi del 1860 furono anche strumenti di intrattenimento, i cui specifici elementi dipendevano dall’abilità del singolo scrittore e dalle richieste dei lettori. In altre parole, nel 1859 il culto di Garibaldi venne confezionato ed elaborato con modalità tali da renderlo, se non altro, meno soggetto ad essere controllato dall’alto da quanti in Italia erano im-
pegnati nella costruzione della nazione. Per i moderati italiani e le autorità piemontesi, già preoccupati della sua statura di capo militare, la dimensione popolare e fantastica del fascino politico che egli esercitava costituiva un ulteriore problema, e che forse in parte può spiegare l’origine di una variante nel culto per la sua persona, secondo la quale egli non risultava adatto alla politica4. Questa impostazione, destinata a consolidarsi negli anni seguenti, implicava sia un riconoscimento della forza di Garibaldi che un tentativo di ridimensionarne, e quindi di contrastarne l’importanza. [...] Il numero e l’entusiasmo dei volontari sono il segno che Garibaldi nel 185960 aveva centrato almeno uno dei suoi obiettivi politici. Dal 1848 in poi i suoi discorsi, le sue apparizioni e la sua azione avevano dato vita a una tradizione di volontariato nell’Italia settentrionale e centrale; egli cioè aveva creato e diffuso un ethos5 e un ideale nazional-militare rispetto al quale una parte della popolazione ora si sentiva appassionatamente e praticamente vincolata. Il fatto che la partecipazione alla guerra in Sicilia fosse da molti percepita come una vicenda nella quale dimostrare la propria appartenenza nazionale e la propria fede politica è confermato anche dal loro linguaggio. Gli scriventi6 non si limitavano a chiedere di unirsi a Garibaldi, ma tenevano a mettere in mostra la propria familiarità col discorso nazionale. Così leggiamo che i siciliani sono «sgraziati»7 e «nostri fratelli», al cui grido di libertà bisogna rispondere (e a fine giugno la Sicilia è ormai «una terra di Eroi»); i Borboni sono «vili», «tiranni oppressori, nemici della nostra nazionalità, ed indipendenza», mentre Garibaldi è il «nostro Generale», «il nostro Leonida»8, il «prode» e «illustre» «Eroe di Varese»9 e «della libertà italiana». Gli scriventi stessi [...] si definiscono «ardenti», desiderosi solo di offrire le loro vite per la «sacra» o «santa» causa della libertà italiana. [...] Garibaldi fu l’artefice del proprio personaggio, ma non fu l’unica fonte ad alimentare il culto che lo riguardò. Nel vasto teatro che nel 1860 caratterizza la produzione del culto garibaldino – simboli e associazioni, discorsi e giornali, memorie, romanzi, drammi teatrali e lettere – non è sempre chiaro chi con-
trollava chi, o quali fossero in questo processo comunicativo i soggetti che trasmettevano e quelli che ricevevano. La creazione del culto di Garibaldi può forse essere più esattamente definita, riprendendo le parole di Marjan Schwegman10 come «un’opera d’arte dinamica, prodotta da tanti uomini e donne diversi con modalità interattive, in un contesto spiccatamente internazionale», un prodotto che era politico in quanto promuoveva e ispirava l’adesione a un progetto politico che si riteneva «il pubblico dovesse replicare nell’ambito della propria vita». 2. Termine tedesco che indica la prassi di prendere decisioni politiche valutando solo gli interessi concreti, anche in modo cinico e opportunistico. A proposito degli eventi italiani del 1859, il riferimento va alla politica di Cavour, il quale intendeva attirare e mobilitare, a sostegno dei piani politici del Piemonte e dei moderati liberali, anche le forze più democratiche e popolari. 3. Imbarazzato perché inquadrato in un esercito regolare e sottoposto ai suoi ordini, non più capo di formazioni autonome e volontarie. 4. Non adatto alla politica “parlamentare” ma soltanto all’azione militare. 5. Etica, morale. 6. I volontari che scrissero a Garibaldi e ai suoi collaboratori militari lettere nelle quali chiedevano di arruolarsi nelle formazioni garibaldine. 7. Disgraziati, in quanto sotto il dominio dei Borbone. 8. Il re spartano che combatté per la difesa delle Termopili nel 480 a.C. a capo di trecento uomini contro l’esercito di Serse, trovando la morte in battaglia. 9. Città dove nel corso della seconda guerra d’indipendenza (maggio 1859) Garibaldi aveva ottenuto un successo militare alla testa di una formazione di volontari. 10. Marjan Schwegman (nata nel 1951), storica olandese.
METODO DI STUDIO
a Spiega per iscritto quali media alimentarono il mito di Garibaldi, a chi erano destinati e da cosa è possibile comprenderlo. b Descrivi per iscritto il Garibaldi immaginario e il rapporto esistente con quello reale e con la politica. c Cerchia le parole significative del linguaggio patriottico ispirato a Garibaldi e presente nelle lettere dei volontari.
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LEGGERE UNA FONTE ICONOGRAFICA 9 PIETRO BOUVIER GARIBALDI E IL MAGGIORE LEGGIERO IN FUGA ATTRAVERSANO LE PALUDI DI COMACCHIO CON ANITA MORENTE, 1864 [Museo del Risorgimento, Milano]
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Le vicende e le avventure di Garibaldi suscitarono un vivo interesse in larghi settori sociali ed è proprio la copiosa e differenziata produzione iconografica ad attestarlo. In modo particolare le stampe, immagini destinate ad un pubblico vasto, avevano soggetti in grado di suscitare una maggior presa emotiva. Esse riflettono, in virtù del fine commerciale, poiché li assecondano, i gusti dell’epoca e le caratteristiche che ci si aspettava fossero proprie dell’eroe. Non è un caso che questo dipinto, realizzato da un pittore della Scapigliatura, sia stato anche riprodotto in stampe a testimoniare l’interesse per gli aspetti più romantici della vita dell’eroe. Garibaldi e Anita, assieme al maggiore Leggiero, sono ritratti durante l’avventurosa fuga seguita alla caduta della Repubblica romana. La giovane Anita era al quinto mese di gravidanza e morì dopo poco. Quando i due si erano co-
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nosciuti, la donna era già sposata, ma aveva lasciato tutto per seguire il nuovo amore e per dieci anni era stata la sua inseparabile compagna. Le circostanze in cui i due si erano innamorati, l’avventurosa fuga da Roma e la morte di Anita sono degne di una scena madre di un’opera lirica e concorsero alla costruzione della figura romantica dell’eroe. GUIDA ALLA LETTURA
a Chi sono i personaggi rappresentati nel dipinto e cosa stanno facendo? Da cosa li riconosci? b Quali sentimenti puoi attribuire a Garibaldi? Quali sono gli elementi grafici in grado di trasmetterli? c Perché il pittore realizza questo quadro? Che senso ha nella costruzione del mito garibaldino?
123 D. BEALES • E.F. BIAGINI PATRIOTE STRANIERE
D. Beales, E.F. Biagini, Il Risorgimento e l’unificazione dell’Italia, il Mulino, Bologna 2015, pp. 196-98.
Il carattere internazionale del Risorgimento è ben rappresentato dalla partecipazione di molti volontari stranieri al movimento di lotta per l’indipendenza nazionale italiana e dal fascino che questa ebbe su molti intellettuali, scrittori e uomini politici europei. Tra questi, anche numerose “patriote straniere”, come vengono definite in questo brano da due storici, il La più famosa di tutte le donne combattenti fu la sudamericana Anita Garibaldi, che infranse tutte le convenzioni europee del suo tempo sulla rispettabilità femminile per seguire ovunque il suo vulcanico sposo. Come altre donne «virili»1, ella fu anche una sorta di «femminista» nel senso moderno del termine. In realtà, la militanza patriottica fu spesso solo un aspetto di un impegno più vasto nei confronti di una serie di riforme sociali e politiche. Ciò è più evidente nel caso delle garibaldine inglesi e americane: ricettive verso il vangelo mazziniano della «sorellanza2 delle nazioni», e affascinate dall’impetuosa leadership di Garibaldi, esse infusero nei volontari una dose supplementare di intransigente idealismo. Alcune di loro – come Anita Garibaldi e Rosalie Montmasson Crispi3 – vennero coinvolte attraverso i rispettivi mariti. Molte altre, tuttavia – tra cui Elizabeth Barrett Browning, Barbara Leigh Smith, Caroline Stansfeld ed Emilia Ashurst Venturi (la traduttrice inglese delle opere di Mazzini)4 – abbracciarono la causa per puro entusiasmo personale. Questa adesione poteva prendere la forma quasi di una conversione religiosa. Gli esempi più rilevanti sono forse quelli dell’americana Margaret Fuller Ossoli e dell’inglese Jessie White Mario5. Entrambe provenivano da solide famiglie borghesi con forti tradizioni religiose nell’ambito del nonconformismo radicale6. Entrambe sposarono patrioti italiani, ma il loro interesse per la causa precedette il loro coinvolgimento sentimentale, e i loro matrimoni furono alleanze politiche oltre che affettive. Margaret Fuller, una trascendentalista americana7 e nota giornalista, fu corrispondente del «New York Tribune» durante la rivoluzione romana del 1848-49. Dopo il suo appassionato coinvolgimento nella causa repubblicana, a cui diede il suo contributo sia come giornalista sia come in-
britannico Derek Beales (nato nel 1931) e l’italiano Eugenio Federico Biagini (nato nel 1958), autori di un volume sull’unificazione dell’Italia pubblicato per la prima volta nel 2005. Si tratta di donne provenienti da tutta Europa, in particolare dalla Francia e dalla Gran Bretagna, ma anche da altre parti del mondo, come dagli Stati Uniti, che abbracciarono politicamente la causa italiana, combatterono in prima fila per questa e si unirono sentimentalmente a celebri protagonisti del Risorgimento.
fermiera, lasciò Roma prima del ritorno del papa. Perse la vita insieme al marito nel naufragio della nave su cui facevano ritorno negli Stati Uniti nel 1850. Jessie White, un’indomita garibaldina [...], ebbe un legame molto più lungo con l’Italia. Figlia di un ricco imprenditore nonconformista, Jessie, nel 1854, mentre studiava a Parigi, conobbe Emma Roberts, una ricca vedova inglese ammiratrice di Garibaldi, che la invitò ad accompagnarla in un viaggio in Italia. All’epoca Jessie – una convinta liberale – era già giornalista freelance e scrittrice. La sua formazione era stata influenzata dal pensiero di George Dawson, il grande predicatore congregazionalista radicale8, il cui vangelo fondato su dovere, self-help9 e riforme sociali era molto vicino a quello di Mazzini. In effetti,
era stato proprio da Dawson, ammiratore e sostenitore dell’esule italiano, che Jessie aveva sentito parlare per la prima volta di Mazzini. Dopo aver trascorso sei settimane con Garibaldi, Emma Roberts e Jessie White si recarono a Firenze, dove conobbero i Browning, Barbara Leigh Smith e altri residenti britannici. Nei circoli dell’alta società toscana, esse incontrarono un clima di grande ammirazione nei confronti del Piemonte e di Cavour, ma fin dall’inizio Jessie si schierò con il «partito» democratico. Nel 1855 ritornò in Inghilterra portando con sé Ricciotti10, uno dei figli di Garibaldi, che aveva bisogno di cure mediche specialistiche. Dopo aver aderito alla «Society of the Friends of Italy», cercò di iscriversi alla facoltà di medicina, che pensava le avrebbe consentito di
1. «Virili» perché la militanza politica e la partecipazione alle battaglie erano ritenute attività maschili, mentre proprio alla mancanza di virilità era addebitata la decadenza del popolo italiano. 2. Femminile di “fratellanza”. 3. Rosalie Montmasson (1823-1904), francese, proveniente da una famiglia contadina si trasferì per motivi economici a Torino nel 1849, dove conobbe il suo futuro marito, l’avvocato siciliano Francesco Crispi (1818-1901), patriota repubblicano e democratico, futuro presidente del Consiglio negli anni tra il 1887 e il 1896. Con lui partecipò alla spedizione dei Mille. 4. Elizabeth Barrett Browning (1806-1861), poetessa inglese che si stabilì a Firenze col marito Robert (1812-1889), anch’egli poeta; Barbara Leigh Smith Bodichon (1827-1891), inglese, educatrice e attivista per i diritti delle donne; Caroline Ashurst Stansfeld (18161889), attivista inglese, intrattenne una fitta corrispondenza con Mazzini e, insieme al marito James (1820-1898), uomo politico, fondò nel 1851 la Society of the Friends of Italy, associazione a sostegno della causa risorgimentale italiana; Emilia Ashurst Venturi (1819-1893), sorella di Caroline, sposata al
patriota veneto Carlo Venturi. 5. Margaret Fuller (1810-1850) sposò a Roma nel 1847 il marchese Angelo Ossoli (18211850), mazziniano e appartenente a una famiglia nobiliare decaduta; Jessie White (1832-1906), sposata allo scrittore e patriota italiano Alberto Mario (1825-1883). 6. Movimento formato da puritani dissidenti che rifiutavano di conformarsi alle pratiche della Chiesa anglicana. 7. Il trascendentalismo è un movimento filosofico e poetico sviluppatosi negli Stati Uniti dall’inizio del XIX secolo, che si opponeva al razionalismo ed esaltava l’originalità della cultura americana in rapporto a quella europea. 8. George Dawson (1821-1876). Il congregazionalismo è un movimento religioso di teologia calvinista, animato da un radicale spirito autonomistico e democratico: si diffuse in Inghilterra a partire dal XVI secolo e, in seguito, soprattutto in Nord America. 9. Il puntare sulle proprie forze e le proprie capacità [►FS, 126d]. 10. Ricciotti Garibaldi (1847-1924), quarto figlio di Anita e Giuseppe Garibaldi.
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svolgere un ruolo attivo e «femminile» nell’allora già prevedibile nuova guerra contro l’Austria: ma il suo tentativo di ottenere una formazione accademica fallì quando l’Università di Londra respinse la sua domanda. [...]. Nel 1857 ripartì per l’Italia, apparentemente come corrispondente del «Daily News». Gli operai di Genova e di Torino l’accolsero come un’eroina, ma all’indomani di una rivoluzione fallita ella venne imprigionata insieme ad altri democratici. In carcere conobbe Alberto Mario, un rifugiato veneziano che aveva ospitato Mazzini a Genova. Dopo un corteggiamento romantico, Jessie e Alberto si sposarono civilmente in Inghilterra nel dicembre dello stesso anno. Fu l’inizio di un’unione anticonvenzionale, femminista, che durò per oltre venticinque anni, fino alla morte di Alberto nel 1883. Nel 1858-59 Jessie si imbarcò per un fortunato giro di conferenze negli Stati Uniti, in parte sotto l’egida della lobby antischiavista di William Lloyd Garrison11. Nel frattempo, sotto l’influenza di suo marito, convertitosi al federalismo, aveva maturato un certo scetticismo nei riguardi del repubblicanesimo centralista di Mazzini. Nell’estate del 1859 i Mario tornarono in Italia, dove frequentarono Carlo Cattaneo, il leader federalista. Nel giugno 1860 partirono per la Sicilia su una nave a vapore op-
portunamente chiamata Washington, che trasportava rinforzi, armi e rifornimenti per le truppe di Garibaldi. Finalmente Jessie fu in grado di svolgere un ruolo attivo nel servizio di ambulanza garibaldino [...], mentre Alberto si unì alle truppe [...]. Dopo il successo della spedizione e la proclamazione del regno d’Italia, continuò a essere coinvolta nelle attività politiche e militari garibaldine. Nel 1862 fu l’infermiera che aiutò il chirurgo a estrarre il proiettile dalla caviglia di Garibaldi in Aspromonte. Successivamente lo accompagnò nella campagna in Tirolo (1866), alle riunio-
1 L’espressione «Come altre donne “virili”, ella fu anche una sorta di “femminista”» significa che... [ ] a. le donne che parteciparono ai moti risorgimentali lottarono per diritti maschili (virili) e femminili. [ ] b. si fa riferimento a donne che, con gli stessi strumenti utilizzati dalle femministe in seguito, lottavano “da uomini” per i diritti delle donne. [ ] c. Anita Garibaldi compiva azioni ritenute maschili e rivendicava la libertà di poter esercitare i diritti delle donne. [ ] d. Anita Garibaldi, come le altre donne, rientrava nel novero delle donne simbolo della decadenza d’Italia (priva di virilità reale). 2 Un messaggio importante del testo è che... [ ] a. Anita Garibaldi era la moglie di Garibaldi. [ ] b. le donne che combatterono durante il Risorgimento lo fecero solo per accompagnare i propri mariti. [ ] c. la presenza di patriote straniere conferma il carattere internazionale del Risorgimento italiano. [ ] d. le garibaldine inglesi e americane erano affascinate dalle teorie di Mazzini e dalla leadership di Garibaldi.
124 R. ROMEO I VALORI DELLO STATO UNITARIO R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. III, Laterza, Roma-Bari 1984, pp. 945-48.
Nella Conclusione della sua grande biografia di Cavour – di cui si riporta un brano – lo storico di formazione liberale Rosario Romeo (1924-1987) svolge alcune considerazioni che non riguardano solo l’opera dello statista piemontese ma
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11. William Lloyd Garrison (1805-1879), giornalista statunitense, fondò nel 1843 la Società antischiavista americana. 12. La Lega della Pace e della Libertà si riunì per la prima volta al congresso di Ginevra del 1867, e vide l’adesione di importanti esponenti di diverso orientamento politico, provenienti da tutta l’Europa e il mondo.
PALESTRA INVALSI
Si è detto che lo Stato unitario, proprio perché disegnato alla luce della cultura politica della Restaurazione, era già vecchio al momento della sua fondazione, nel 1860. E certamente il movimento operaio organizzato, l’avvento delle masse, la cultura attivistica, l’espansione coloniale e l’imperialismo
ni della Lega della Pace e della Libertà a Ginevra12 e nella spedizione del 1870 a sostegno della neoproclamata repubblica francese in guerra contro la Prussia. [...] Pubblicò molti libri, tra cui biografie critiche e penetranti di Garibaldi, Mazzini e altri patrioti.
tracciano un bilancio sul significato dell’unità italiana. Per Romeo i difetti e i limiti del processo risorgimentale e dello Stato unitario – tante volte sottolineati dalla storiografia – non possono far dimenticare il fatto che il 1861 segna un momento di indubbio progresso. Al raggiungimento dell’Unità si accompagnano il ritorno dell’Italia tra le potenze europee, la nascita di un’etica laica e moderna, la formazione di valori politici basati sul nuovo sentimento nazionale.
restarono in larga misura estranei all’orizzonte mentale di un Cavour. Ma all’uomo politico spetta di risolvere i problemi della sua epoca, non quelli dell’avvenire: al quale egli contribuisce soprattutto creando realtà nuove che pongono nuovi problemi. Al superamento della propria epoca Cavour
contribuì avviando a compimento la soluzione della questione italiana, che aveva costituito uno dei grandi temi della vita europea nella prima metà del secolo, a livello dei movimenti rivoluzionari e delle relazioni internazionali fra gli Stati. Insieme con la Germania di Bismarck, anche se con un
peso assai minore, l’Italia unita sarà il grande fatto nuovo nell’Europa degli ultimi decenni del secolo XIX; e la sua esistenza come Stato agirà profondamente sulle vicende delle nazionalità dell’impero asburgico nel successivo cinquantennio e dopo la caduta della Duplice Monarchia. Fu la creazione del regno d’Italia a rendere del tutto anacronistici i tentativi mazziniani di dar vita a una impossibile riedizione del 1848 negli anni successivi al 1860. E, per quanto riguarda la vita interna dell’Italia, è persino superfluo insistere sul carattere più avanzato dello Stato liberale nei confronti della società che era chiamato a governare. La libertà politica ed economica, avviando l’industrializzazione del paese e ponendo le premesse di una moderna vita politica, rese essa stessa possibile il tramonto del «mondo dei savi», la creazione di nuove élite, lo sviluppo del movimento operaio, i successivi allargamenti del suffragio elettorale e la lenta integrazione delle masse socialiste e cattoliche nello Stato, come si scorgerà nel momento della crisi più profonda della vita nazionale italiana, dopo il 1945. Nel processo di sviluppo dello Stato italiano andarono certamente perdute molte cose che Cavour aveva tentato di salvare, a cominciare dalla egemonia di quei ceti terrieri illuminati di cui egli stesso era stato l’esponente maggiore: ma ciò appartiene alla logica di tutti i movimenti davvero portatori di avvenire. [...] Nonostante il senso che poi si avvertì di delusione e sconforto, nel raffronto degli ideali della vigilia con la realtà delle molte miserie e dei molti problemi dell’Italia unita, non sarebbe legittimo identificare l’età successiva alla fine del potere temporale come l’avvento di un’epoca di scetticismo e di crisi dei valori. Allora cominciò ad affermarsi nella società italiana, pur con molte remore e limitazioni, l’etica della civiltà moderna, laica e terrena, e si avviò a prendere il posto della vecchia morale cattolica, dapprima negli strati borghesi e cittadini e più tardi nell’am-
biente rurale e nei centri minori così numerosi nella penisola. E fra i nuovi valori un posto sempre più ampio occupavano i valori politici, da secoli presso che assenti dalla vita italiana ma che ora cominciavano ad alimentarsi del nuovo sentimento di sé che, nonostante tutte le polemiche, cominciava a riempire gli animi dei migliori fra gli italiani. Da gran tempo essi erano avvezzi a restare esclusi dalle più serie ed energiche manifestazioni della vita europea, dai conflitti delle potenze alla nascita del moderno capitalismo commerciale e industriale, ed erano rimasti spettatori delle grandi battaglie di idee del mondo moderno, e intenti al vano culto delle glorie passate – se si eccettuano personalità singole ed esigue minoranze culturali, la cui opera non era mai riuscita, nella mancanza di un adeguato contesto sociale e politico, a tradursi, come invece riusciva altrove, in concrete realtà della vita nazionale. Sullo sfondo del nuovo sentimento nazionale erano possibili sfumature diversissime, che tuttavia esprimevano una nuova coscienza politica, nella quale confluivano insieme la mazziniana idea di nazione e la tradizione militare di Casa Savoia. E soprattutto, questa nuova coscienza politica si caratterizzava con l’identificazione, tenacemente perseguita e profondamente radicata nel ceto dirigente risorgimentale, della idea di nazione e di quella di libertà, sì che l’una appariva concreta realizzazione e sostegno dell’altra. E non a caso la nuova Italia, erigendo il monumento a quel re nella cui figura si vedeva simboleggiata tutta la rinascita nazionale, volle dedicarlo insieme «all’unità della patria» e «alla libertà dei cittadini», a quell’unione dei due termini nella quale si concreta l’ideale etico-politico trasmesso dalla generazione del Risorgimento a quelle che governarono l’Italia unita fra il 1860 e il 1922. Certo, ideali siffatti sono sempre condivisi, nella loro integrità, solo da ridotte minoranze: ma nell’Italia liberale essi furono tuttavia ope-
ranti abbastanza per costituire la cornice ideale e l’ispirazione morale sulla quale si fondavano i nuovi princìpi direttivi della vita politica e civile, e che tutti si riassumono nel senso severo del bene pubblico, nella coscienza del dovere verso il paese, avvertito e praticato con maggiore o minore purezza, ma indiscusso come supremo criterio regolativo delle coscienze. Su questo fondamento si formò un ceto di servitori dello Stato, funzionari, militari, magistrati, insegnanti, dignitosamente consapevoli di sé e della propria funzione; una cultura che nella ispirazione nazionale della scuola carducciana trovò lo strumento più valido per tradurre i propri valori in cerchie più estese; una borghesia di professionisti, di tecnici e dirigenti economici impegnati a realizzare una società italiana di tipo moderno. Le molte ombre del quadro dell’Italia unita non possono nascondere il significato di queste nuove realtà morali e non consentono, neppure come paradosso, di dubitare del salto in avanti che la nuova collettività nazionale aveva compiuto in confronto alla realtà sonnacchiosa degli staterelli preunitari, che dietro la facciata quieta e aggraziata celavano tante miserie e tanta impotenza.
METODO DI STUDIO
a Spiega per iscritto i seguenti punti affrontati nel testo: a. contributo di Cavour al superamento della propria epoca; b. cambiamenti a livello nazionale e internazionale legati alla creazione del Regno d’Italia; c. le cause del senso di sconforto dopo l’Unità d’Italia; d. il valore del monumento al primo re d’Italia. b Sottolinea con colori diversi le “ombre” dell’Italia unita e i nuovi princìpi della vita politica e civile che in essa si afferma.
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PISTE DI LAVORO
DAI DOCUMENTI ALLA STORIA 1 Scrivi un testo di massimo 30 righe sul ruolo dell’eroe nella costruzione dell’identità nazionale facendo riferimento all’immagine su Garibaldi [►FONTE ICONOGRAFICA 9] e ai brani di Banti [►113], Mazzini [►116d], d’Azeglio [►117d], Riall [►122]. Evidenzia nei documenti presi in considerazione i concetti che intendi utilizzare nelle tue argomentazioni e le parti delle fonti storiche che intendi citare e numerali in ordine crescente. Quindi, indica fra parentesi, all’interno del tuo elaborato, i concetti o le citazioni a cui fai riferimento. Scegli un taglio e un titolo per il tuo elaborato. 2 Scrivi un testo (max 60 righe) dal titolo Le correnti politiche del Risorgimento italiano, facendo riferimento alla seguente scaletta:
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• Mazzini e l’insurrezione nazionale [►116d] • L’orientamento moderato: d’Azeglio e Cavour [►117d e 121d] • Cattaneo e la soluzione federale [►118d] • Le ideologie delle costituzioni: tra democrazia e liberalismo [►119d]
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LO STORICO RACCONTA 3 Dopo aver letto i brani di Mazzini [►116d], Cafagna [►120], Cavour [►121d], Romeo [►124], scrivi un testo in cui descrivi la visione che Cavour aveva dell’Italia, il progetto e la visione politica che questi aveva elaborato, il peso politico che aveva acquisito e gli eventi che hanno condizionato tutti questi aspetti. Prima di procedere con la scrittura, realizza uno schema basato sulle informazioni contenute nei testi e utilizzalo come scaletta per il tuo elaborato. Scegli un taglio e un titolo. IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 4 Dopo aver letto i brani di Patriarca [►115], Duggan [►114] e di
Cafagna [►120] sintetizza le informazioni circa la realtà dell’Italia nell’immaginario risorgimentale e quella attestata dagli eventi. Confronta quindi le due argomentazioni e indica quella che ritieni maggiormente condivisibile facendo riferimento ai brani esaminati. Argomenta il tuo punto di vista in un testo di massimo 15 righe.
COMPITO DI STORIA Scrivi un saggio breve sull’argomento indicato di seguito. Puoi far riferimento a tutti o solo ad alcuni fra i seguenti brani e documenti: brani di Campi [►103], di Hermet [►104], di Thiesse [►109], di Smith [►110], di Banti [►113], di Patriarca [►115], documenti di Fichte [►106d], di Renan [►107d], di d’Azeglio [►117d], FONTE ICONOGRAFICA 7-8 e 9. Individua un titolo che renda esplicito il tema e il taglio che hai scelto per il tuo elaborato. Se lo ritieni opportuno, suddividi il tuo elaborato in paragrafi a cui attribuirai dei titoletti.
Argomento La nascita dello Stato-nazione. Processi e strumenti dell’800 Organizza il tuo elaborato secondo la seguente scaletta: a. Lettura e comprensione • Cerchia nei brani indicati gli strumenti politici e culturali che, secondo i diversi autori, concorsero alla costruzione della nazione in quanto realtà culturale e politica. • Evidenzia il rapporto esistente fra il concetto di nazione, patria e popolo e il modo in cui questi concetti concorsero alla costruzione delle nuove realtà nazionali. b. Individuazione e analisi dei passaggi significativi in relazione alle questioni chiave affrontate nell’elaborato Evidenzia nei brani: • in che modo i concetti di nazione, patria e popolo concorsero alla costruzione delle nuove realtà; • gli elementi che attestano l’efficacia degli strumenti funzionali alla formazione dell’idea di nazione; • ciò che rende peculiare il rapporto fra la nazione, il popolo e il suo paesaggio. c. Contestualizzazione storica • Quali eventi e contesti storici permisero l’affermazione della nazione? • Il processo e gli strumenti descritti sono tipici di un’unica realtà politica o di una realtà comune? In quali ambiti geopolitici? d. Interpretazione e problematizzazione • La nazione è un’entità naturale o politica? La consapevolezza dell’efficacia degli strumenti politici e culturali che hanno concorso alla definizione dell’identità nazionale ti sembra possa sminuirne i risultati?
Il presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano durante la cerimonia d’inaugurazione dell’anno scolastico 2011-12 [© Vincenzo Tersigni/EIDON] Alcuni presidenti della Repubblica, in particolare Ciampi e Napolitano, hanno tentato di rafforzare negli italiani l’amore per la patria ispirandosi a tradizioni e simboli inaugurati in occasione della nascita dell’Italia unita. Durante la presidenza di Napolitano si è celebrato il 150° anniversario dell’Unità nazionale, occasione in cui sono state organizzate numerose iniziative volte alla riscoperta del sentimento patriottico, anche con il coinvolgimento dei giovani delle scuole. La fotografia mostra la tradizionale cerimonia d’inaugurazione dell’anno scolastico che si è svolta al Quirinale, il 23 settembre 2011.
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STORIAeAMBIENTE LA VARIETÀ DEL PAESAGGIO AGRARIO ITALIANO
LE DIVERSE ITALIE AGRICOLE Cosa avremmo visto se avessimo avuto la possibilità di sorvolare la penisola italiana, da nord a sud, all’indomani della sua unificazione politica? Quali agglomerati urbani, quali paesaggi agrari (cioè quelli modellati dall’uomo, per fini e attività agricole) avremmo incontrato? La varietà, la diversità regionale e sub-regionale sembra essere l’impronta particolare dei sistemi agrari italiani, come scrive lo storico Piero Bevilacqua: Dal sistema dell’alpeggio [pascolo del bestiame in alta montagna] estivo raccordato all’economia di valle – praticato dalla famiglia alpina – al giardino di agrumi della Sicilia, un’infinità di soluzioni, di assetti agrari,
[…] percorre l’intero territorio. Non suggeriscono, d’altro canto, un’immagine multicolore di varietà le stesse caratteristiche fisiche del paese, dominato da montagne e colline e frammentato in una infinita serie di bacini naturali, che ne diversificano il clima, la natura e l’acclività [la pendenza] della terra, il rapporto col mare e con i territori interni, le vocazioni botaniche locali e le suscettività agricole? [P. Bevilacqua, Tra Europa e Mediterraneo. L’organizzazione degli spazi e i sistemi agrari, in Id. (a c. di), Storia dell’agricoltura italiana in età contemporanea, vol. I, Marsilio, Venezia 1989, p. 7]
Era questo il tratto dominante rilevato anche dal deputato e presidente della giunta per l’inchiesta agraria, Stefano Jacini, che nel 1881 parlava di diverse Italie agricole distinte fra loro, per ragioni fisico-naturali, climatiche, ma anche storiche e amministrative.
IL PAESAGGIO AGRARIO DEL NORD E DEL CENTRO Parte dell’area lombardo-piemontese era dominata dalle colture irrigue, caratterizzate dalla presenza di una fitta rete di canali di irrigazione. Qui il processo di reintegrazione della fertilità del terreno era infatti affidato all’irrigazione sistematica di ampie superfici, su cui si avvicendavano le colture (frumento, granturco, lino, riso): si riuscivano così ad ottenere alti livelli di produttività. Questo il paesaggio, descritto dallo storico statunitense Kent Robert Greenfield:
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Risaie piemontesi in provincia di Vercelli 2011 [foto Giovanni Dall’Orto] Nella pianura tra Vercelli e Novara si susseguono anche oggi a perdita d’occhio le risaie: canali e specchi d’acqua trattenuti da argini bassi e intervallati da filari di pioppi. La diffusione della coltura del riso inizia nel ‘700 e trova in queste aree del paese il clima ideale. Nel 1880 gli ettari messi a coltura saranno 233 mila.
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Cascina Frisasca, Arluno (Milano) La Cascina Frisasca, situata nel territorio di Arluno, risale al XVI secolo. La struttura agricola, in attività sino agli anni ’70 del ’900, poteva ospitare sino a ottanta persone.
Per chiunque viaggi da Milano a Pavia è familiare il quadro del verde fresco dei prati artificiali, tagliato in piccoli quadrati da una rete argentea di acqua che scorre lentamente. Questo tipo di coltivazione è portato al suo grado più alto nelle cosiddette “marcite”, sopra le quali si fa scorrere ogni anno un velo d’acqua in modo che i prati permettono un taglio di fieno nel colmo dell’inverno. [...] L’altro tipo di prato, il “prato stabile”, non era irrigato di inverno ed era costituito da campi sui quali si alternava la coltivazione dei cereali con quella del foraggio. Dove nel sottosuolo vi era argilla sufficiente perché la superficie trattenesse l’umidità necessaria, l’acqua era usata per creare delle piantagioni di riso, l’altra produzione caratteristica della pianura. [K.R. Greenfield, Economia e liberalismo nel Risorgimento. Il movimento nazionale in Lombardia dal 1814 al 1848, Laterza, Bari 1940, pp. 37-38]
La pianura irrigua padana era caratterizzata dalla presenza della cascina, un complesso di edifici disposti in forma rettangolare, che chiudevano al centro un ampio cortile, fulcro delle attività agricole. Vera e propria «officina rurale», nella cascina abitavano stabilmente più nuclei familiari e vi si trovavano aia, porcili, stalle con i fienili, magazzini, depositi
seminativo Terreno destinato alla semina e coltivazione di cereali, ortaggi, piante, legumi, piante foraggere e industriali. piante industriali Piante destinate alla trasformazione industriale, ad uso alimentare e non, come le piante da zucchero per l’estrazione del saccarosio, i semi destinati alla estrazione degli oli vegetali, le piante per la produzione di fibre tessili (cotone, lino, canapa), i cereali per l’estrazione delle farine.
per il frumento, la paglia e gli attrezzi, rimesse per i carri, talvolta edifici per la prima lavorazione dei prodotti (dal riso ai formaggi). Nelle cascine più grandi potevano comparire anche altri elementi, come il forno, la lavanderia, una piccola cappella o un’osteria, che le rendevano strutture quasi autosufficienti. Era un mondo raccolto in sé, con un grande portone d’accesso e la campana che regolava il ritmo dei lavori. Se ci spostiamo nelle zone della pianura asciutta lombardo-veneta ed emiliano-romagnola dell’arco collinare pedemontano incontriamo, invece, un assetto colturale fondato su grano, mais, vite e gelso, vale a dire con un ampio sviluppo del seminativo. Per tutto il corso del XIX secolo l’impegno, nella zona della Pianura padana, sarà imponente, perché le colture del granturco e della canapa, come di altre piante industriali, necessitavano di un’abbondante concimazione, di un razionale avvicendamento, di sistemazioni del terreno che potessero garantire il defluire delle precipitazioni. Proseguendo verso sud, nella zona della Toscana, dell’Umbria, delle Marche, entriamo nell’area classica della mezzadria, fondata sull’insediamento rurale sparso e caratterizzato dal podere, il fondo agricolo coltivato con annessa la casa colonica, dove abita la famiglia contadina. Qui la campagna si presentava urbanizzata, disseminata di case, da cui partivano i flussi di prodotti agricoli destinati alle città. Le «colline di Toscana, con i loro celebri poderi, le ville, i paesi» costituiscono «la più commovente campagna che esista», scrisse lo storico francese Fernand Braudel [Civiltà e imperi nel Mediterraneo nell’età di Filippo II, Einaudi, Torino 1953, p. 49]. È il «bel paesaggio» per eccellenza:
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STORIA E AMBIENTE La varietà del paesaggio agrario italiano
Il paesaggio dell’appoderamento, delle case coloniche e dei rustici sparsi, della coltivazione promiscua, delle piantagioni di viti e di ulivi che attraversano e delimitano in file regolari e armoniose i campi a forma tendenzialmente geometrica alternati ora al bosco ora al sodo [terreno non dissodato, incolto], racchiusi dai fossi e dalle vie campestri, sostenuti, sui terreni declivi [terreni in pendio, che si abbassano gradualmente], dalle linee trasversali dei muri a secco e dei ciglioni erbati [terrapieni, bordi]. [...] Le figure regolari degli appezzamenti, delle piantagioni, delle fosse di raccolta delle acque, si iscrivono a loro volta in un quadro più generale dalle forme lineari e ordinate, suggerite dalla rete dell’insediamento, delle strade principali e delle vie vicinali e dal sistema dei canali maestri con il loro andamento rettilineo. Un quadro nel quale il lavorativo, arborato, vitato, olivato, gelsato [terreno coltivato a gelsi], pomato [terreno coltivato ad alberi da frutto], fruttato, con le sue partizioni e la sua policromia legata alle diverse colture e alle stagioni, si perde a vista d’occhio, punteggiato dai cipressi confinari isolati, dagli edifici rurali e dai campanili delle chiese.
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[C. Pazzagli, Il paesaggio degli alberi in Toscana, in P. Bevilacqua (a c. di), Storia dell’agricoltura italiana in età contemporanea, cit., pp. 549-74]
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L’agricoltura, anche nelle aree di Marche e Umbria, era caratterizzata da forme intense di coltivazione mista che associava colture arboree e colture erbacee: alberi da frutto, viti, cereali, legumi, ortaggi – prodotti necessari per i bisogni della famiglia colonica e del proprietario terriero. La presenza dell’ulivo segnava la principale differenza rispetto al sistema e al paesaggio agrario del Nord Italia, in cui questa coltivazione risulta assente, tranne che per la Liguria e la zona a sud del Garda. Nei primi decenni dopo l’Unità in quest’area procedettero rapidi i dissodamenti, che ridussero le aree prima dedicate al pascolo o al bosco, per svilupparvi piantagioni arboree ed arbustive. Qui i campi si presentavano con un andamento ordinato e un disegno regolare, le viti, piantate in filari, erano sostenute da sostegni o da alberi, come pioppi o ontani. Divergeva da questo quadro l’area della maremma toscana e laziale, dove l’insediamento stabile della popolazione era ostacolato dalla presenza di zone paludose e dalla diffusione della Casale Satriano, Montefalco (Perugia) La zona di Montefalco, in provincia di Perugia, con i suoi antichi casali e i suoi vigneti è nota per la produzione del vino Sagrantino.
malaria. Queste zone, come quella del Tavoliere delle Puglie, erano caratterizzate dalla combinazione di forme economiche agrarie e pastorali, che si innestavano in paesaggi rudi e difficili, poco abitati stabilmente. Nello specifico, queste aree vivevano del binomio grano-pascolo, ed erano teatro delle migrazioni stagionali dei lavoratori delle regioni circostanti. Le pianure erano il luogo della transumanza degli ovini, che provenivano dall’Appennino. Era un paesaggio piuttosto desolato, di pascoli e campi aperti, solcati dagli archi dell’antico acquedotto, con capanne sparse e rari casali, quello che caratterizzava l’Agro romano. Ancor più desolato appariva l’Agro pontino (nella zona di Latina), i cui circa 1180 km2 di terreno erano segnati da paludi e acquitrini, da precarie colture di cereali e dall’allevamento brado delle bufale. Proprio l’unificazione e la conquista di Roma, proclamata capitale dello Stato italiano, resero prioritario da un lato contrastare la malaria che colpiva, con diversa gravità, oltre alla Maremma, anche le campagne del Polesine, della Sicilia e della Sardegna, e dall’altro procedere – o accelerare il ritmo – con le bonifiche. Sotto il nuovo Stato unitario ripresero così le bonifiche nel territorio padano, nel Ferrarese e nel Ravennate, nell’Agro romano e nel bacino del Fucino.
I CAMBIAMENTI NEL SUD D’ITALIA Dopo l’Unità d’Italia le aree meridionali, invece, furono investite dal processo di ripartizione dei demani ex feudali, che comprese anche la liquidazione dei beni ecclesiastici. Ne derivò la frammentazione delle quote in un numero sempre maggiore di piccoli proprietari, che però spesso non erano nelle condizioni finanziarie di poterle gestire adeguatamente. Tale situazione determinò una nuova concentrazione delle proprietà terriere, questa volta nelle mani di esponenti della nuova borghesia terriera meridionale. Con il trasferimento di terre ai ceti borghesi, aumentarono i campi chiusi, dove si affermarono ed estesero le grandi piantagioni di viti, ulivi, mandorli, agrumi. Gli agrumeti non occupavano più solo le ristrette pianure fertili di Campania, Puglia e Sicilia [►21_7], ma risalivano
transumanza Migrazione stagionale delle greggi, che consiste nel trasferimento verso i pascoli di montagna nella stagione estiva e verso i pascoli a valle nella stagione invernale.
Masseria fortificata a Rignano Garganico (Foggia) Nelle masserie, tipiche costruzioni del Sud Italia costruite all’interno di vaste proprietà di stampo latifondista, si svolgeva il ciclo completo della produzione agricola. Spesso fortificate per difendersi da briganti, o da eserciti, ospitavano i padroni ma anche i lavoratori della terra.
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STORIA E AMBIENTE La varietà del paesaggio agrario italiano
Terrazzamenti a Pantelleria L’Italia ha circa 170 mila chilometri di terrazzamenti, un elemento tipico del nostro paesaggio, ora a rischio per il degrado e l’abbandono in cui queste strutture versano in molte zone o per le esigenze della meccanizzazione della agricoltura. La regione con la più ampia superficie di terrazzamenti in considerazione della sua estensione totale è la Liguria (oltre 42 mila ettari, circa l’8% del territorio), seguita da Sicilia (63 mila), Toscana (22 mila), Campania (11 mila), Lazio (5 mila). Pantelleria è il comune italiano con la maggiore estensione di terrazzamenti. I terrazzamenti, frutto di una conquista da parte dell’uomo nell’agricoltura di terreni impervi, hanno una funzione fondamentale, in quanto preservano la fertilità del suolo e proteggono da frane e smottamenti.
i versanti collinari, grazie ai terrazzamenti, come accadde nella costiera amalfitana. La coltura degli agrumi presentava alcune caratteristiche specifiche, come descrive lo storico Salvatore Lupo: Fino a Novecento inoltrato, luoghi d’elezione dell’agrume sono le colline e le coste alte degradanti spesso in maniera piuttosto brusca verso il mare, con pendenze anche del 60%, che hanno bisogno prima dell’impianto di un complesso lavoro di sistemazione a terrazze o a gradoni. Le piante sono molto sensibili al freddo, e nelle zone più settentrionali della loro diffusione, come la Liguria, necessitano di ripari particolari; più al Sud, se esposte alle correnti, di filari frangivento. I terreni sono spesso poveri e vengono arricchiti con abbondanti concimazioni oltre che ispessiti con materiale di riporto, come avviene nella Conca d’Oro [zona intorno a Palermo]. [S. Lupo, Il giardino degli aranci. Il mondo degli agrumi nella storia del Mezzogiorno, Marsilio, Venezia 1990, pp. 41-42]
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Nella coltivazione degli agrumi era importante anche l’assetto idrogeologico del terreno: erano necessarie delle ope-
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razioni per imbrigliare ed incanalare le acque piovane, dato che le piogge nel Mezzogiorno risultavano tradizionalmente concentrate nel tempo ed irregolari. Mentre al Nord Italia l’obiettivo della bonifica era quello di eliminare le troppe acque, nel Sud bisognava regolarne il corso per cercare di non sprecarne neanche una goccia. Nelle campagne meridionali si tornò a diffondere anche il gelso, pianta antica da tempo in declino; si estese l’ulivo, soprattutto nelle Puglie; la vite, elemento consueto del paesaggio agrario meridionale, riprese a popolare le terre coltivate in prossimità dei centri abitati o le campagne aperte, dove si diffuse in coltura specializzata o promiscua (cioè associata ad altre). A viti e mandorli si unirono noccioli e fichi, piantagioni che non erano bisognose di molte cure, e a differenza di ulivi e agrumi non richiedevano capitali e organizzazioni propri della grande o media azienda. Ad aumentare, nel Meridione, però, fu anche l’entità dei dissodamenti e dei disboscamenti, che ridussero il territorio dei boschi di quasi la metà in poco più di un settantennio, facendolo passare dai 2 milioni di ettari del 1860 a poco più di 1 milione nel 1929, e minacciando l’integrità stessa del suolo agrario, la sua tenuta idrogeologica. Eppure, già negli anni ’70 dell’800 era stata approvata una legge forestale, che doveva tutelare i boschi, riconosciuti di fondamentale importanza per la “consistenza territoriale” dell’Italia. Il paesaggio agrario di fine ’800 – nell’Italia meridionale come in tutta la penisola – fu modellato, non solo fisicamente, anche dall’irruzione di un nuovo agente: le ferroUlivi secolari e muretti a secco in Puglia 2010 I secolari uliveti delle terre salentine, con i caratteristici muri a secco, sono uno dei tanti paesaggi storici presenti in Puglia.
vie. Il periodo delle grandi costruzioni ferroviarie coincise proprio con quello dell’unificazione politica e dell’abbattimento delle barriere doganali interne [►21_7]. Si posero così le condizioni per la formazione di un mercato nazionale dei prodotti agricoli – chiamato a rispondere alle leggi della concorrenza e del profitto – e per la conseguente specializzazione regionale delle colture. Il mercato italiano si ristrutturò guardando al contesto europeo ed internazionale, in conseguenza sia dei collegamenti ferroviari aperti con Austria e Francia (tra gli anni ’50 e ’70 dell’800), sia dello sviluppo della navigazione a vapore, che trasportava i prodotti italiani oltreoceano. L’apertura del mercato americano, ad esempio, che ora poteva essere raggiunto in modo più facile ed economico, influì sulla specializzazione del Mezzogiorno nelle colture arboree e soprattutto negli agrumi.
LA GEOGRAFIA DEL POPOLAMENTO In un paese fortemente agricolo, come era l’Italia ai tempi della sua unificazione, non può sfuggire il legame fra la geografia del popolamento – cioè la localizzazione e l’ampiezza degli insediamenti – e i rapporti di produzione agricola. Consultando i dati del censimento del 1911, che mettono in luce tendenze non diverse da quelle dei primi decenni seguiti all’unificazione, emerge, per quanto riguarda la densità della popolazione, una suddivisione del territorio in tre grandi aree. La prima comprendeva Lazio, Mezzogiorno continentale ed isole, e vedeva percentuali alte di popolazione concentrata nei centri urbani. Al contrario le regioni di Veneto, Emilia, Toscana, Marche ed Umbria si segnalavano per percentuali elevate di popolazione sparsa. Qui, come abbiamo visto, era diffuso l’appoderamento e la mezzadria. Fra i due casi estremi si collocavano, in posizione intermedia, le regioni nord-occidentali di Piemonte, Liguria e Lombardia. Oltre alla densità della popolazione differivano le caratteristiche dei centri urbani. Nelle regioni del Centro-Nord, con l’eccezione delle aree montane, la rete urbana era fitta ed articolata. Le città svolgevano le funzioni di centro direzionale, di mercato, di governo politico-amministrativo. Nell’Italia meridionale, invece, il numero delle città era minore, ma queste erano più densamente popolate: si pensi ai casi più eclatanti, come Napoli e Palermo. Nei decenni seguiti all’Unità, si assistette, però ad un progressivo mutamento nella dislocazione degli agglomerati urbani, nota lo storico Emilio Sereni:
Dai borghi inerpicati, ove le popolazioni erano state costrette per ragioni economiche e produttive, oltre che dalla malaria e dal brigantaggio, i coltivatori cominciano ora più sovente a digradare verso il piano, in prossimità delle marine, o delle stazioni ferroviarie, dei nodi stradali. L’habitat agglomerato – che resta tuttavia caratteristico per gran parte del Mezzogiorno – comincia qua e là a sciamare per le campagne circostanti: e a questa maggiore dispersione contribuirà, col largo rimaneggiamento dei rapporti di proprietà e con la costruzione di qualche più stabile nucleo aziendale, l’acquisto di terre e la costruzione di case rurali da parte degli “americani”, gli emigranti che in patria tornano ad investire i loro risparmi. [E. Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza, Roma-Bari 1991, pp. 413-15]
Con l’Italia unita aumentò anche la popolazione urbana e il numero e l’estensione delle città, e parallelamente si crearono tra i centri urbani gerarchie diverse, determinate da diversi fattori: il ruolo amministrativo, lo sviluppo di vie di comunicazione, la crescente industrializzazione. Si svilupparono rapidamente, ad esempio, città nuove o recenti, come La Spezia, Terni, Taranto, Piombino, sedi dell’industria pesante (cantieristica navale o siderurgica). Lo sviluppo dell’industria meccanica e poi dello specifico settore automobilistico (con la Fiat) diede slancio, a inizio ’900, al Piemonte, e in particolare a Torino. Si formò il cosiddetto «triangolo industriale» fra Torino, Genova – che dal 1896 era il primo porto in Italia per volume di traffico – e Milano, con la sua vocazione commerciale e le imprese meccaniche e tessili diffuse nell’area centrale della Val Padana. Cominciava così, a inizio secolo, a profilarsi il divario fra le regioni nord-occidentali della penisola ed il resto del paese, soprattutto il Meridione.
IL QUADRO ATTUALE Le trasformazioni del mondo agricolo, conseguenti allo sviluppo industriale e alla stessa meccanizzazione del lavoro nei campi, hanno cambiato profondamente la geografia del popolamento della penisola. Nel secondo dopoguerra le campagne avevano bisogno di una percentuale minore di manodopera, che, dall’altro lato, era sempre più attratta nelle città e nei luoghi in cui si concentrava la produzione industriale. I flussi migratori si indirizzavano soprattutto verso le grandi città del Nord, verso la capitale e verso i centri capoluoghi di provincia e di regione; le campagne assistevano ad un vero e proprio 565
STORIA E AMBIENTE La varietà del paesaggio agrario italiano
Collina fiesolana 2010 La collina fra Fiesole e Firenze costituisce uno dei più preziosi paesaggi periurbani italiani. Qui si conserva il sistema delle ville e dei paesaggi agrari storici ad esse associati.
spopolamento. Nel ventennio compreso fra il 1951 e il 1971 gli occupati in agricoltura scesero di quasi il 60%, passando dagli 8 milioni a più di 3. Figure sociali tipiche del nostro passato, come mezzadri e contadini, uscivano di scena. Cambiava la geografia del popolamento del paese, con la crescita dei nuclei urbani e l’abbandono di aree montane e collinari più povere di risorse. Complice la diffusione del trasporto su gomma, l’industrializzazione si diffondeva dalle regioni dell’Italia nord-occidentale in direzione del Veneto, del Friuli, dell’Emilia e dell’Italia centrale, e in forme più limitate lungo le coste adriatiche e tirreniche. Cambiava anche il paesaggio agrario, che si riduceva per effetto di un’urbanizzazione sparsa e diffusa, o in cui mutavano le colture, come ci racconta Vittorio Vidotto:
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Solo l’occhio inesperto e immemore del cittadino può illudersi di ritrovare nelle campagne il paesaggio rurale di un tempo. Il completo abbandono di molte zone collinari alle quote più elevate e lungo tutta la dorsale appenninica, la drastica riduzione di quell’agricoltura promiscua che aveva modellato nei secoli non solo il paesaggio collinare, ma anche quello delle pianure; gli alberi sparsi, i filari dei
U4 NAZIONE E LIBERTÀ
gelsi, le macchie si mescolavano sempre meno alle coltivazioni specializzate. [...] Come può essere ancora lo stesso un paesaggio agrario dal quale sono stati sottratti, per abbandono o altra utilizzazione, oltre cinque milioni di ettari, tra il 25% e il 30% della superficie agricola utilizzata? Un paesaggio che ha visto dimezzata la superficie a grano (dai 4,8 milioni di ettari della metà degli anni Cinquanta ai 2,4 milioni di quarant’anni dopo) e diffondersi la coltivazione della soia e del girasole; che ha visto con le nuove colture cambiare anche i colori dei campi. [V. Vidotto, Italiani/e. Dal miracolo economico a oggi, Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 39-40]
Anche lo storico Carlo Pazzagli, chiudendo il suo saggio sulle trasformazioni del mondo rurale e la diffusione di nuove monocolture al posto di quelle tradizionali, si interroga: Rimane tutta la curiosità di sapere come reagirebbe un mezzadro di cinquanta anni fa se tornasse oggi al suo vecchio campo […], seminato a grano e a granturco, circondato dai fossi di prima e seconda raccolta e racchiuso dall’alberata di viti alte e basse, di aceri, di vinchi, di olivi, di alberi da frutto, e trovasse al suo posto una folle distesa di sgargianti girasoli. [C. Pazzagli, Colture, lavori, tecniche, rendimenti, in R. Cianferoni, Z. Ciuffoletti, L. Rombai (a c. di), Storia dell’agricoltura italiana. L’età contemporanea. Dalle “Rivoluzioni agronomiche” alle trasformazioni del Novecento, vol. III.1, Polistampa, Firenze 2002, p. 89]
LABORATORIO DI EDUCAZIONE AMBIENTALE LA VARIETÀ DEI PAESAGGI AGRARI ITALIANI 1 Leggi attentamente il testo e sintetizzane il contenuto in una presentazione in PowerPoint dal titolo I paesaggi agrari italiani. Dedica a ciascun paesaggio due slide, sottolineando il rapporto tra territorio e forme di conduzione della terra e caratteristiche pedologiche del suolo e attività agricole e pastorali impiantate. Correda le slide di immagini esemplificative della varietà di paesaggi ricercate su Internet.
COM’È CAMBIATA LA GEOGRAFIA DEL POPOLAMENTO IN ITALIA DALL’UNIFICAZIONE A OGGI? 2 Redigi un testo comparativo sul mutamento della geografia del popolamento in Italia dall’unificazione al secondo dopoguerra, adoperando la seguente scaletta:
● Una breve introduzione in cui presenti il problema (max 2 righe) ● La densità della popolazione nelle differenti aree della penisola ● Le caratteristiche dei centri urbani ● Le trasformazioni del paesaggio agrario e del mondo rurale ● Conclusioni ALLA SCOPERTA DELLE VIE DELLA TRANSUMANZA 3 Sai cos’è un tratturo? È un largo sentiero erboso, pietroso o in terra battuta, adoperato sin dalla notte dei tempi per la transumanza stagionale delle greggi. I tratturi sono tipici delle regioni dell’Italia centro-meridionale e sono disposti in maniera tale da formare una rete viaria che copre in modo uniforme tutto il territorio rurale un tempo interessato dalla transumanza. Reti di tratturi della transumanza sono presenti in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Umbria.
Se in passato i tratturi erano utilizzati come vie di comunicazione di persone, animali e merci, oggi sono diventati dei grandi musei a cielo aperto che costituiscono delle preziose testimonianze naturalistiche, storiche e culturali. Da tempo le regioni italiane che ospitano reti di tratturi hanno lanciato progetti interregionali volti al recupero, tutela e valorizzazione del patrimonio tratturale, mentre nel 2006 il Ministero per l’Ambiente ha presentato con le Regioni Abruzzo, Molise, Campania e Puglia la candidatura dei “Regi Tratturi’’ a Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Per saperne di più sulle vie della transumanza e per scoprire le bellezze paesaggistiche e ambientali che gli itinerari della transumanza offrono oggi ai visitatori, digita nella maschera di ricerca di Google “Le vie dei tratturi”. Il sito http://www.leviedeitratturi.com/ offre molteplici possibilità: dall’approfondimento storico al turismo naturalistico lungo gli itinerari della transumanza.
PAESAGGI TERRAZZATI 4 Se abiti in una regione d’Italia dove sono diffusi i terrazzamenti, realizza un dépliant illustrato su questo sistema di coltivazione che contenga le seguenti informazioni:
● L’epoca o il contesto storico in cui la coltivazione a terrazza è stata introdotta ● Il genere di coltivazione al quale i terrazzamenti erano e/o sono adibiti ● Il loro impatto sull’organizzazione del paesaggio e sulle attività umane.
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STORIA E AMBIENTE La varietà del paesaggio agrario italiano
Aree industrializzate Industrie chimiche Aree del industrializzate prima 1850 Industrie chimiche prima del 1850 Industrie metallurgiche Aree industrializzate metallurgiche eIndustrie meccaniche Aree fra XIXindustrializzate e XX secolo e meccaniche fra XIX e XX secolo Aree ad alta Centrali idroelettriche Aree ad alta concentrazione Centrali idroelettriche diconcentrazione attività industriali Principali città al 1900 di attività industriali Principali città al 1900 ITALIA Confini moderni 1.000.000-2.000.000 ab. ITALIA Confini moderni 1.000.000-2.000.000 ab. Giacimenti di ferro 2.000.000-4.000.000 ab. Giacimenti di ferro 2.000.000-4.000.000 ab. Oltre i 6.000.000 ab. Giacimenti di carbone Oltre i 6.000.000 ab. Giacimenti di carbone Industrie tessili Industrie tessili
LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE IN EUROPA Aree Aree industrializzate industrializzate prima prima del del 1850 1850
Industrie Industrie chimiche chimiche
Aree industrializzate industrializzate Aree fra XIX XIX ee XX XX secolo secolo fra
Industrie Industrie metallurgiche metallurgiche ee meccaniche meccaniche
Aree Aree ad ad alta alta concentrazione concentrazione di di attività attività industriali industriali
Centrali Centrali idroelettriche idroelettriche Principali città città al al 1900 1900 Principali
ITALIA ITALIA Confini Confini moderni moderni
1.000.000-2.000.000 ab. ab. 1.000.000-2.000.000
Giacimenti Giacimenti di di ferro ferro
2.000.000-4.000.000 ab. ab. 2.000.000-4.000.000
Giacimenti Giacimentidi dicarbone carbone
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San Pietroburgo SVEZIA
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UNITÀ 5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
CHIAVI DI LETTURA
Classi sociali e innovazioni produttive
Verso i consumi di massa
Tra il 1850 e il primo decennio del ’900 profonde trasformazioni sociali riguardano le realtà più avanzate dell’Occidente: ascesa della grande borghesia degli affari e dell’industria, vistosa crescita della classe operaia, ampliarsi dei ranghi della piccola borghesia degli impiegati e dei funzionari. A queste dinamiche sociali corrispondono importanti mutamenti economici, in particolare un’espansione di molti nuovi settori delle attività produttive (acciaio, elettricità, chimica) che hanno importanti ricadute sulla vita quotidiana: dalle nuove architetture urbane che ridisegnano il volto delle città alla lampadina elettrica, al telefono, al motore a scoppio, infine al
Con la seconda rivoluzione industriale nascono le premesse delle profonde trasformazioni dei consumi individuali e collettivi del ’900: mentalità, consumi e stili di vita, un tempo tipici di un’esigua minoranza, si diffondono tra strati sociali sempre più larghi, tendendo a uniformarsi, grazie anche a un progressivo aumento dei salari e del reddito pro capite. Ora anche operai e piccoli impiegati, sotto gli stimoli dei primi cartelloni pubblicitari, possono acquistare nei grandi magazzini abiti e oggetti decorativi prodotti in serie. Si tratta di fenomeni di lungo periodo che accrescono il loro carattere nel corso del ’900 e fino ad oggi.
cinematografo. La seconda metà dell’800 è segnata infatti dall’incessante sviluppo delle invenzioni e delle loro applicazioni nelle attività produttive: una fase a cui è stato dato il nome di seconda rivoluzione industriale.
L’ideologia del progresso Parallelamente, intorno alla metà dell’800, si afferma una nuova tendenza culturale e una mentalità, il positivismo, che ha tra i suoi fondamenti una visione ottimistica del futuro del genere umano, confermata dallo sviluppo economico e dalle conquiste della scienza. Tra gli scienziati ha un ruolo decisivo il naturalista inglese Charles Darwin: la sua teoria dell’origine e dell’evoluzione delle specie, sganciata da ogni visione religiosa e ancorata all’osservazione scientifica, rovescia una concezione millenaria del mondo e dell’uomo. La rivoluzione darwiniana partecipava al trionfo di una concezione razionale e controllabile della realtà in una linea di ininterrotto progresso.
GLI EVENTI 1864 Costituzione a Londra della Prima Internazionale. Emanazione dell’enciclica Quanta cura e del Sillabo 1873-95 Caduta dei prezzi
1852-70 Ristrutturazione urbanistica di Parigi a opera di Haussmann
1856 Henry Bessemer brevetta il convertitore per la produzione di acciaio
1859 Pubblicazione dell’opera di Ch. Darwin L’origine delle specie, in Gran Bretagna
1879-80 Inizio della crisi agraria in Europa
1885 Realizzazione delle prime automobili
1879 Invenzione della lampadina elettrica da parte di T.A. Edison
1876 Invenzione del primo motore a scoppio da parte di N. Otto
1889 Seconda Internazionale. Esposizione universale di Parigi
1896-1913 Aumento dei prezzi e dei salari nei paesi industrializzati
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CAP16 BORGHESIA E CLASSE OPERAIA
16_1 I CARATTERI DELLA BORGHESIA
► Leggi anche:
Le rivoluzioni del ’48-49 si erano concluse con un totale fallimento. Nessuno degli esperimenti democratici aveva retto all’urto dell’ondata restauratrice. I vecchi sovrani erano tornati sui loro troni dappertutto, salvo che in Francia (dove però l’istituto monarchico era stato ripristinato sotto altra forma: ►129). Le istituzioni rappresentative erano state quasi ovunque cancellate o soffocate dal ritorno dei metodi assolutistici. Al clima di generale conservatorismo e alla sostanziale staticità delle strutture politiche faceva però riscontro un processo di profondo mutamento della società: un processo che aveva per principali protagonisti i ceti borghesi, ma che coinvolgeva anche, sia pure più lentamente, le classi proletarie. Tra il 1850 e il 1870 la borghesia europea conobbe una stagione di crescita e di affermazione. Nonostante fosse ancora condizionata dalla persistenza delle vecchie gerarchie sociali e fosse pesantemente sacrificata nella distribuzione del potere, la borghesia riuscì in questo periodo a presentarsi come portatrice e depositaria degli elementi di novità e trasformazione – lo sviluppo economico, il progresso scientifico –, a far valere la sua influenza e le sue idee-guida: il merito individuale, la libera iniziativa, la concorrenza, l’innovazione tecnica. Chi erano i protagonisti di questa fase della storia europea, che non a torto è stata definita come «età della borghesia»? Allora come oggi il termine “borghesia” serviva a definire una gamma molto ampia di figure e posizioni sociali. Al vertice si collocavano i magnati dell’industria e della finanza, che aspiravano ad assumere gli stili di vita tipici dell’aristocrazia e, dove ciò fosse possibile, a mescolarsi con essa grazie soprattutto ad accorte politiche matrimoniali che univano i privilegi del denaro a quelli del lignaggio. Al di sotto si collocavano i gruppi e le categorie sociali che più propriamente si possono definire borghesi. Innanzitutto i ceti “emergenti”, la cui fortuna era legata allo sviluppo dell’industria e del commercio:
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Il Libro Eric J. Hobsbawm, Il trionfo della borghesia Storia, società, cittadinanza La famiglia e le sue trasformazioni Focus La casa borghese e la donna • Il romanzo sociale • La comunicazione istantanea: il telegrafo Atlante Città, ferrovie, acciaio ed energia alla fine del XIX secolo Lezioni attive Innovazioni industriali e di organizzazione del lavoro Test interattivi Audiosintesi
► Il Libro Eric J. Hobsbawm, Il trionfo della borghesia ► Storia, società, cittadinanza La famiglia e le sue trasformazioni ► Focus La casa borghese e la donna ► Fare Storia Borghesi e operai: mentalità e condizioni di vita, p. 615 • Donne e bambini, fra lavoro e vita familiare, p. 625
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Le stratificazioni della borghesia
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
Pierre-Auguste Renoir, Il pomeriggio dei bambini a Wargemont 1884 [Alte Nationalgalerie, Berlino] La tela del pittore impressionista Renoir ci propone una scena domestica di pomeriggio nel salotto di casa: la madre intenta in una tipica occupazione femminile (il cucito), le figlie alle prese con bambole e libri. Nonostante il taglio ravvicinato
dell’inquadratura, si intuisce un caratteristico interno borghese: non fastoso come le dimore aristocratiche né altrettanto spazioso, ma molto curato nei dettagli. L’atmosfera di serena intimità fra le figure rimanda da un lato al ruolo di educatrice della donna all’interno della famiglia borghese, dall’altro ricorda l’emergere nell’800 di una nuova attenzione verso il mondo dell’infanzia.
imprenditori e dirigenti d’azienda, mercanti e banchieri. Accanto a loro, la borghesia più tradizionale: quella che traeva i suoi proventi dalla terra, quella che esercitava le professioni (avvocati, medici, ingegneri) e quella che occupava i gradi medio-alti della burocrazia statale. Un gradino più in basso si situavano impiegati e insegnanti, piccoli commercianti e piccoli professionisti: insomma quell’area dai confini non ben definiti che già allora veniva indicata come ceto medio o piccola borghesia. Nel complesso, la borghesia costituiva una fascia piuttosto ristretta della popolazione: in Gran Bretagna, intorno al 1870, i borghesi in senso lato non erano più del 20%; e la percentuale scendeva al 2% circa se si prendevano in considerazione solo gli strati urbani superiori (senza contare, dunque, il ceto medio e la borghesia agraria). Nonostante la varietà delle sue componenti, la borghesia europea tendeva a esprimere una propria cultura e un proprio stile di vita, i cui tratti essenziali si possono ricondurre a un modello unitario. Lo stile di vita borghese doveva essere visibile nei segni esteriori. Ad esempio, nell’abbigliamento, cui uomini e donne delle classi superiori dedicavano molta cura e che rappresentava, assai più di quanto accade oggi, il principale segno distintivo di una condizione sociale. Grandi cure erano destinate anche all’arredamento. Le abitazioni borghesi non avevano certo lo sfarzo né l’ampiezza dei palazzi aristocratici. Requisiti tipici della casa borghese erano piuttosto la solidità e la razionalità senza sprechi degli spazi e delle funzioni domestiche. All’interno, però, l’abbondanza degli addobbi, dei quadri e dei soprammobili, l’attenzione al particolare e il gusto della decorazione rivelavano l’esigenza di tradurre il successo e la ricchezza in simboli visibili e tangibili. Accanto a questa esigenza – e nonostante l’adozione dei modelli aristocratici, presenti soprattutto negli strati superiori – i valori fondamentali dell’etica e della cultura borghese restavano quelli tradizionali. L’austerità, la moderazione, la propensione al risparmio, la capacità di reprimere gli istinti erano le virtù capitali per il borghese-tipo, quelle che gli permettevano di legittimare moralmente la propria
Lo stile borghese
◄ Jean
Béraud, La Pasticceria Gloppe 1889 [Musée Carnavalet, Parigi]
▼ Giuseppe
De Nittis, In tribuna 1881 [Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma]
In abiti eleganti e alla moda la borghesia ottocentesca si lancia alla conquista di luoghi e momenti di divertimento fino ad allora riservati ai nobili. Le corse dei
cavalli, i concerti, le feste da ballo, ma anche semplicemente frequentare luoghi considerati alla moda come la Pasticceria Gloppe sugli Champs Élysées, a Parigi:
sono tutte occasioni ideali in cui far sfoggio della propria eleganza e della raggiunta posizione sociale.
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C16 Borghesia e classe operaia
posizione nella società. Questa componente moralistica si rifletteva in particolare nella struttura della famiglia: una struttura patriarcale basata sull’autorità del capofamiglia e sulla subordinazione della donna. Nella società borghese, la donna era generalmente esclusa dalle attività lavorative anche se aveva un ruolo decisivo nella sfera privata della tutela della famiglia e della cura dei figli.
società/famiglia patriarcale È detto “patriarcale” un sistema sociale che si basa sull’autorità del più anziano dei discendenti maschi (in opposizione a “matriarcale” in cui il predominio è della donna); allo stesso modo la famiglia patriarcale è il nucleo familiare diretto dall’autorità del più anziano, generalmente il padre.
Come si giustificava l’intransigenza borghese in materia di morale familiare e sessuale? Proprio in quanto protagonista di un’ascesa sociale recente, priva di una consolidata accettazione, la borghesia doveva costruire e difendere un’immagine di rispettabilità (che non derivava, come per gli aristocratici, dall’appartenenza a un ordine privilegiato) e doveva quindi dotarsi di quei saldi princìpi morali che ne giustificavano la nuova posizione sociale [►FS, 125 e 126d]. In realtà, non tutti i borghesi praticavano scrupolosamente queste virtù: le cronache della borghesia ottocentesca pullulano di speculatori disonesti, di avventurieri senza scrupoli, di individui dalla doppia moralità. Ma l’idea secondo cui solo certe doti morali potevano garantire il mantenimento o il miglioramento delle posizioni acquisite era largamente accettata (e difesa spesso da una larga dose di ipocrisia [►FS, 127d]).
Morale e rispettabilità
La povertà come peccato
Ne discendeva la convinzione, ampiamente condivisa e ripetutamente enunciata, secondo cui chi occupava i gradini inferiori della scala sociale era colui che di quelle doti era sprovvisto. In altre parole, la povertà era un difetto
PERSONAGGI
Darwin e la teoria evoluzionistica
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ppena ventiduenne, Charles Darwin (nato nel 1809 vicino Birmingham), dopo aver interrotto gli studi di medicina si avviò alla carriera ecclesiastica a Cambridge; appassionatosi alle scienze naturali, salpò nel dicembre 1831 a bordo del brigantino Beagle alla volta del Brasile; da lì avrebbe poi circumnavigato l’emisfero meridionale per fare ritorno in Inghilterra dopo cinque anni, nel 1836. Questa esperienza decisamente avventurosa, nel quadro complessivo di una vita che da lì in avanti sarebbe trascorsa per Darwin in maniera tranquilla, fu da lui stesso definita come l’evento più importante della sua vita: sulla base di quell’esperienza avrebbe elaborato la teoria dell’evoluzione, destinata a cambiare radicalmente, con l’idea dell’origine umana, la scienza e la cultura occidentali. Dopo aver contribuito a scardinare il vecchio ordine di valori, nell’era dell’industrializzazione le sue tesi sulla selezione naturale avrebbero travalicato di gran lunga l’ambito scientifico per diventare una componente essenziale dei valori ideologici e culturali della borghesia, accanto al liberismo economico e all’idea di progresso. Al suo ritorno in Inghilterra Darwin iniziò a trascrivere le sue riflessioni in una serie di taccuini segreti che contengono i fondamenti della sua teoria, che nel 1839 era già
delineata. In anni in cui neanche i pensatori più radicali ammettevano la possibilità che le specie più complesse potessero derivare da quelle più semplici – e meno che mai che ci fosse qualcosa in comune tra la specie umana e gli animali – Darwin arrivava alla conclusione che l’uomo discende per selezione da specie precedenti. Era come proclamare un’eresia. Infatti, la teoria darwiniana – compiutamente esposta nel saggio L’origine delle specie pubblicato solo nel 1859 – metteva in discussione l’immutabilità delle specie, e quindi l’idea stessa della creazione divina. Essa si basava su due concetti fondamentali, la selezione naturale e l’adattamento: all’interno di ogni specie esiste una variabilità tra i soggetti che ne rende alcuni più adatti a sopravvivere, ad essere quindi oggetto di selezione naturale e ad avere maggiori possibilità di trasmettere Caricatura di Darwin [«The London Sketch Book»] Darwin ricevette in vita numerosi riconoscimenti, sia da parte del pubblico sia da parte di istituzioni scientifiche internazionali, ma la sua teoria sull’evoluzione della specie provocò nella Chiesa anglicana, nel governo britannico e generalmente presso i conservatori un forte sdegno, che si espresse spesso in forma satirica. Alla sua morte, dunque, fu solo per istanza di una minoranza parlamentare che il suo corpo fu sepolto nell’Abbazia di Westminster, tra i grandi d’Inghilterra.
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
morale o quanto meno il frutto di colpe ataviche. I poveri rimanevano poveri perché non conoscevano l’arte del risparmio e non erano in grado di dominare i loro bassi istinti. Così veniva spiegata, fra l’altro, la diffusione tra le classi subalterne della delinquenza, dell’alcolismo, della prostituzione. Al contrario, si pensava che chiunque possedesse accortezza, moderazione e capacità di sacrificio potesse raggiungere i traguardi più ambiziosi, in termini di ricchezza e di rispettabilità.
METODO DI STUDIO
a Cerchia le parole chiave che meglio definiscono la borghesia europea e i suoi valori. Quindi spiega per iscritto il significato delle parole da te individuate all’interno del contesto storico descritto dal paragrafo. b Spiega per iscritto il ruolo della donna nell’universo borghese. c Sottolinea la risposta alla seguente domanda: Come erano concepite la rispettabilità e la povertà?
16_2 LA CULTURA DEL POSITIVISMO
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Profondamente convinto della validità dei suoi princìpi e fiducioso nelle proprie capacità, il borghese europeo della seconda metà dell’800 era anche animato da una illimitata certezza nel progresso generale dell’umanità. Questo diffuso ottimismo poggiava soprattutto su due pilastri: lo sviluppo economico [►16_3] e le conquiste della scienza. Negli anni 1850-70, la chimica, la fisica, la biologia e tutte le scienze della natura conobbero importanti progressi teorici e tornarono a occupare, come nell’età dell’Illuminismo, una posizione di preminenza nell’ambito della cultura europea [►CAP17].
Ottimismo borghese e progresso scientifico
il proprio bagaglio genetico, determinando un ininterrotto cambiamento all’interno di ogni specie; ma anche una selezione tra specie diverse, in ragione della loro capacità di adattamento. Un simile approccio aveva conseguenze di enorme portata: l’ordine della natura appariva frutto del caso e della lotta per la sopravvivenza più che di un disegno provvidenziale, la specie umana perdeva la sua posizione privilegiata e da diretta emanazione divina al centro della creazione si ritrovava ad essere discendente di un mollusco bisessuato e senza testa, semplice anello di una lunga catena. Darwin, consapevole che le implicazioni del suo lavoro oltrepassavano l’ambito strettamente scientifico, con una inevitabile ricaduta sul piano religioso, sociale e politico, fece la scelta del silenzio: sposatosi nel 1839 con una cugina, si ritirò in una proprietà di campagna nel Kent, Down House, una specie di eremo dove avrebbe vissuto per tutta la vita, coltivando gli studi e schivando abilmente le visite. Da allora Darwin, che aveva accettato di pubblicare il libro solo per l’insistenza degli amici, evitò accuratamente ogni dibattito pubblico. La difesa delle sue tesi fu assunta da Thomas Henry Huxley (1825-1895), scienziato e discepolo di Darwin, che si fece appassionato promotore dell’evoluzionismo. Nel 1860, in occasione di una sessione dell’Associazione britannica per il progresso delle scienze in
► Personaggi Darwin e la teoria evoluzionistica, p. 572 ► Parole della storia Progresso, p. 574
cui si dovevano discutere le sue tesi, Darwin gli scriveva: «Onore al vostro fegato: io sarei morto prima di tentare di rispondere al vescovo in un’assemblea come quella». Di lì a poco la Royal Society, la più prestigiosa istituzione scientifica inglese, avrebbe conferito a Darwin il massimo riconoscimento, evi-
tando però di menzionare nelle motivazioni la teoria sull’evoluzione, a riprova della delicatezza dell’argomento. Solo alla data della sua morte, nel 1882, le polemiche erano ormai sopite, tant’è che Darwin venne seppellito nell’Abbazia di Westminster, con tutti gli onori, accanto a Newton.
Conrad Martens, Il Beagle nella Terra del Fuoco 1832 ca. [Paul Victorius Evolution Collection, Charlottesville, Virginia (Usa)] Charles Darwin partecipò come naturalista alla spedizione esplorativa intorno al mondo della nave Beagle organizzata dall’Ammiragliato britannico; il Beagle salpò dal porto di Plymouth il 27 dicembre
1831 e vi fece ritorno dopo cinque anni, il 2 ottobre 1836. Darwin, che passò la maggior parte del tempo a compiere esplorazioni in terraferma, pubblicò al ritorno le sue osservazioni in The Voyage of the Beagle. L’acquerello di Conrad Martens (1801-1878), l’artista di bordo del brigantino, ne documenta l’arrivo nell’arcipelago della Terra del Fuoco, in Sud America.
573
C16 Borghesia e classe operaia
Sui progressi della scienza si fondò essenzialmente una nuova corrente intellettuale, il positivismo, che cominciò ad affermarsi verso la metà del secolo e venne poi allargando la sua influenza fino a contrassegnare una lunga stagione della cultura occidentale e diventare una sorta di mentalità diffusa, un metodo generale di ricerca e di interpretazione della realtà. Il positivismo fu prima di tutto un indirizzo filosofico che considerava la conoscenza scientifica – quella basata su dati “positivi”, cioè reali, oggettivi – come l’unica valida e applicava i metodi delle scienze naturali a tutti i campi dell’attività umana, dall’arte all’economia, dalla psicologia alla politica. Il pensatore francese Auguste Comte (1798-1857) fu il fondatore della nuova filosofia e il primo a tracciare i lineamenti di una “scienza della società”, ossia della moderna sociologia. In seguito il filosofo inglese Herbert Spencer (1820-1903) ne elaborò un’interpretazione in chiave evoluzionistica, fondata sulla convinzione che mondo sociale e mondo biologico obbedissero a leggi analoghe, che trovò largo seguito soprattutto nel mondo anglosassone. Dal settore degli studi filosofici il positivismo venne allargando la sua influenza a tutti gli altri campi del sapere. Fra i maggiori esponenti della cultura positivista si annoveravano infatti studiosi di economia e di politica, giuristi, storici, letterati e soprattutto scienziati.
Il positivismo
Charles Darwin, fotografia di Julia Margaret Cameron 1868 Il saggio L’origine delle specie per selezione naturale (1859) è un clamoroso successo editoriale. L’intera tiratura della prima edizione dell’opera viene esaurita lo stesso giorno della sua comparsa nelle librerie. Entro il 1885 ne saranno stampate 28 mila copie (in un periodo di alfabetizzazione relativamente bassa) e diverse traduzioni nelle principali lingue.
Il rappresentante più significativo e più noto del nuovo spirito “positivo” fu appunto uno scienziato: il grande naturalista inglese Charles Darwin (1809-1882). In un’opera dal titolo L’origine delle specie, uscita nel 1859 e diventata subito celebre, Darwin formulò, sulla base di lunghe osservazioni scientifiche sul mondo animale, una compiuta teoria dell’evoluzione, destinata a divenire pietra miliare degli studi biologici successivi. Secondo questa teoria, la natura è soggetta a un incessante processo evolutivo, guidato da un meccanismo di selezione naturale che determina la sopravvivenza (e la riproduzione) degli individui meglio attrezzati per reagire alle sollecitazioni dell’ambiente e la scomparsa degli elementi meno adatti. L’uomo stesso, secondo Darwin, non è che il risultato dell’evoluzione di organismi più elementari, l’ultimo anello di una catena biologica che procede dai protozoi fino ai mammiferi più complessi. La teoria evoluzionistica contraddiceva le credenze religiose sulla creazione dell’uomo direttamente ad opera della divinità e forniva gli elementi per una storia del genere umano radicalmente alternativa a quella offerta dalle Sacre Scritture. In questo modo il darwinismo si inseriva nel quadro più generale della cultura “positiva”, che tendeva a liberare l’uomo da ogni forma di condizionamento soprannaturale, a immergerlo completamente nel mondo della natura, a sostituire le certezze delle religioni rivelate con quelle delle scienze esatte.
Darwin. Una nuova storia del genere umano
Parole della storia
Progresso
N
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el linguaggio comune, “progresso” è sinonimo di “avanzamento” o di “sviluppo”. In termini storico-filosofici, credere nel progresso significa pensare che il corso della storia sia necessariamente orientato verso un graduale miglioramento della condizione umana, verso un aumento del benessere materiale o della ricchezza spirituale dei singoli e della
collettività. L’idea moderna di progresso è nata con l’Illuminismo: tipica della cultura illuministica è infatti una concezione laica della storia, che considera la natura umana in grado di perfezionarsi e la felicità realizzabile nel mondo degli uomini (e non solo nell’aldilà). Ma è certamente l’epoca del positivismo quella in cui l’ideale di progresso ha conosciuto la sua maggiore affermazione, fino a costituire il nucleo centrale della cultura borghese nella seconda metà dell’800. Per i positivisti il progresso è il
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
risultato di leggi insite nello sviluppo storico, più che della volontà dei singoli (gli uomini possono tutt’al più agire per accelerare il progresso o per rallentarlo). Ma si tratta di leggi scientifiche, analoghe a quelle che regolano l’evoluzione del mondo naturale; e l’accento è posto non tanto sul progresso “spirituale”, quanto sullo sviluppo tecnico e materiale. Questa idea di progresso è entrata in crisi alla fine dell’800, assieme a tutto il sistema culturale e filosofico legato al positivismo.
Se da un lato la teoria dell’evoluzione si prestava a essere interpretata in chiave ottimistica, come prova della possibilità di progresso indefinito della specie umana, dall’altro il principio della selezione naturale poteva essere utilizzato per consacrare il diritto del più forte nei rapporti fra gli individui, tra le classi e anche fra gli Stati. Una concezione divenuta popolare alla fine dell’800, anche per le sue implicazioni razziste, e definita dai suoi oppositori come «darwinismo sociale».
Il darwinismo sociale
METODO DI STUDIO
a Trascrivi sul quaderno i titoli dei sottoparagrafi e individua per ognuno di essi almeno tre parole chiave in grado di sintetizzarne il senso. Argomenta la tua scelta per iscritto. b Trascrivi i nomi dei pensatori e scienziati citati nel paragrafo e spiega per iscritto il loro ruolo nel contesto descritto. c Rispondi sinteticamente alle seguenti domande: a. Quali fenomeni e processi storici giustificano l’ottimismo borghese? b. Cosa affermava la teoria dell’evoluzione di Darwin e cosa fu il darwinismo sociale?
16_3 LO SVILUPPO DELL’ECONOMIA
All’ascesa della borghesia corrispose, tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’70, un periodo di forte espansione economica non solo nel nuovo settore industriale, ma anche in quello tradizionale dell’agricoltura: entrambi si avvantaggiarono dello sviluppo delle ferrovie, che favorirono la circolazione e lo scambio delle merci e aprirono anche le campagne alla penetrazione dell’economia di mercato. Diversi sono gli elementi portanti che concorrono a sostenere questa fase di sviluppo. Alcuni sono nuovi, altri rappresentano l’applicazione diffusa o il perfezionamento di fattori già presenti soprattutto in Gran Bretagna. Sul piano produttivo questa è l’età del ferro (o più precisamente della ghisa) e del carbone, e la macchina a vapore costruita in ferro e alimentata a carbone vi svolge un ruolo da assoluta protagonista: sia come forza motrice nelle fabbriche, che abbandonano la ruota idraulica e si convertono alla meccanizzazione alimentata dal vapore, sia come locomotiva nelle ferrovie e come motore per la navigazione [►16_4]. Fra il 1850 e il 1870, la potenza in cavalli vapore delle macchine fisse per l’industria crebbe di tre volte in Gran Bretagna, di cinque volte in Francia, di quasi dieci volte in Germania. Questi dati suggeriscono che lo sviluppo economico avvantaggiava le “nuove” potenze industriali – la Francia del Secondo Impero e la Germania in via di unificazione – consentendo loro di ridurre il divario che le separava dalla Gran Bretagna.
I fattori dello sviluppo
Nell’Europa centro-orientale, dove più forti erano le sopravvivenze dell’antico regime, furono smantellati gli ordinamenti corporativi che regolamentavano l’esercizio dei mestieri ostacolando la mobilità del lavoro e l’innovazione tecnologica. Furono definitivamente abrogate le vecchie leggi (mai seriamente applicate) che proibivano il prestito a interesse. A questa larga liberalizzazione, risultata dalla rimozione dei vincoli giuridici, si affiancava la diffusione del libero scambio. Nel giro di pochi anni caddero le numerose barriere che si frapponevano alla libera circolazione delle merci: dazi interni e soprattutto ai confini fra gli Stati. Una serie di trattati commerciali, che prevedevano forti riduzioni delle tariffe doganali, fu stretta tra le principali potenze europee. Il libero scambio favorì in primo luogo la Gran Bretagna che, grazie al suo ruolo di maggiore potenza industriale e commerciale, poteva offrire i suoi prodotti a prezzi competitivi sui mercati stranieri; ma finì col giovare anche agli altri paesi europei, in quanto, provocando la scomparsa delle imprese meno attrezzate per reggere alla concorrenza, favorì la modernizzazione dell’apparato produttivo.
Le nuove normative e il libero scambio
Jules Arnout, La Banca d’Inghilterra, la Borsa valori e la Residenza del sindaco a Londra 1840-68 [Library of Congress, Washington] Questa litografia illustra il centro di Londra verso la metà dell’800 con le carrozze, i calessi e i pedoni impegnati a sbrigare i propri affari nel cuore al City. C’è chi va al Royal Exchange, la Borsa valori a sinistra del disegno, chi va e viene dalla Mansion House, la residenza ufficiale – in stile neoclassico, al centro – del sindaco della City, e chi passeggia a ridosso della Bank of England (lungo il margine destro della stampa), il più importante centro finanziario dell’Inghilterra.
575
C16 Borghesia e classe operaia
I FATTORI DELLO SVILUPPO ECONOMICO
NELL’EUROPA DELL’800
Diffusione delle macchine Utilizzo del vapore come forza motrice
Norme per la liberalizzazione
Disponibilità di materie prime
Impulso all’industria siderurgica e mineraria
Abolizione dei vincoli giuridici
Ferro e carbone Giacimenti in Francia e Germania
SVILUPPO ECONOMICO
Invenzione del telegrafo
Rivoluzione delle comunicazioni
Rivoluzione dei trasporti
Riduzione delle tariffe doganali
Ruolo delle banche
d’investimento o miste
Libero scambio
forniscono capitali agli imprenditori riuniti in società per azioni
Modernizzazione dell’apparato produttivo
Aumento degli investimenti
Sviluppo della rete ferroviaria e della navigazione a vapore
Un ruolo decisivo giocò in questa fase lo sviluppo delle organizzazioni finanziarie. Da un lato si moltiplicarono le società per azioni, che permettevano agli imprenditori di ridurre il rischio degli investimenti e di sopperire al bisogno di capitale raccogliendolo fra numerosi sottoscrittori. Dall’altro le banche assunsesocietà per azioni ro una funzione decisiva nel promuovere lo sviluppo, incanalando i capitali diUna S.p.A. è un ente a carattere economico nel quale i sponibili verso gli investimenti produttivi. Nacquero a questo scopo, soprattutto soci detengono dei titoli azionari come quote di proprietà o di partecipazione. I proprietari delle azioni hanno diritto di in Francia e in Germania, “banche di investimento” (o “banche d’affari”), la cui partecipare agli utili sotto forma di dividendi che la società funzione principale non consisteva tanto nel fornire prestiti a breve termine per distribuisce annualmente fra gli azionisti. operazioni commerciali, quanto nel sostenere iniziative di ampio respiro con finanziamenti a lunga durata. Fu questo il caso delle banche di credito mobiliare METODO DI STUDIO sorte nella Francia del Secondo Impero o delle banche miste tedesche, chiama a Trascrivi sul quaderno i titoli dei sottoparate così perché svolgevano contemporaneamente due funzioni: quella tradiziografi e le relative parole evidenziate in grassetto. nale della raccolta del risparmio e dell’offerta di credito a breve termine e quella Quindi, spiega il loro significato nel contesto descritto in ogni sottoparagrafo. nuova dell’investimento a lungo termine nelle imprese industriali.
Capitali e banche
16_4 LA RIVOLUZIONE DEI TRASPORTI E DELLE COMUNICAZIONI
576
La costruzione di linee ferroviarie, treni e navi a vapore fu certamente un prodotto della rivoluzione industriale, ma al tempo stesso contribuì potentemente ad alimentarla. La rivoluzione dei trasporti non ebbe solo conseguenze di ordine economico, ma influenzò significativamente abitudini e modi di pensare della gente comune: dei borghesi che commerciavano o viaggiavano per istruzione e per turismo, ma anche dei ceti popolari (lavoratori che emigravano, manovali impiegati nelle costruzioni ferroviarie, contadini che vendevano i loro prodotti sul mercato). La stessa immagine del mondo
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
► Leggi anche: ► Focus La comunicazione istantanea: il telegrafo ► Atlante Città, ferrovie, acciaio ed energia alla fine del XIX secolo
Currier & Ives, Uno snodo ferroviario americano di notte 1876 ca. I nuovi mezzi di trasporto furono decisivi per lo sviluppo industriale e la circolazione delle merci: non solo permisero spostamenti più rapidi e frequenti, ma cambiarono radicalmente il rapporto tra l’uomo e lo spazio fisico. La ferrovia, in particolare, si sviluppò anche grazie ai grandi passi avanti nel campo dell’ingegneria civile, che permisero la costruzione di gallerie, ponti, viadotti e strade ferrate, imponenti lavori che modificarono profondamente il paesaggio.
cambiò radicalmente, com’era avvenuto ai tempi delle grandi scoperte geografiche; e l’idea di un mondo unito, le cui parti erano legate fra loro da stretti rapporti di interdipendenza, cominciò a farsi strada nella coscienza di molti [►FS, 145]. All’inizio degli anni ’50 esistevano in tutto il mondo circa 40 mila km di ferrovie: 15 mila negli Stati Uniti e 25 mila in Europa (di cui 11 mila nella sola Gran Bretagna). Dieci anni dopo, l’estensione della rete ferroviaria mondiale era quasi triplicata (110 mila km, di cui più della metà nel Nord America). La crescita continuò, con un ritmo di poco inferiore, nei due decenni successivi, favorita dai grandi progressi dell’ingegneria civile, che permisero di superare gli ostacoli naturali e di portare le linee ferroviarie anche nelle zone più impervie. Nel 1871 con l’inaugurazione del primo grande traforo delle Alpi, quello del Fréjus tra Francia e Italia, furono abbreviati di ventiquattr’ore i collegamenti con l’Europa del Nord. Ma gli sviluppi più spettacolari si ebbero negli Stati Uniti, dove le costruzioni ferroviarie accelerarono notevolmente la conquista dei territori dell’Ovest: nel ’69 fu aperta la prima linea transcontinentale da New York a San Francisco, fino ad allora raggiungibile solo via mare [► _36]. Fra il 1860 e il 1880, le ferrovie penetrarono in vaste aree dei continenti extraeuropei, soprattutto nelle colonie britanniche (India e Australia) e nell’America Latina [►FS, 146].
Il boom delle ferrovie
La navigazione a vapore
Più lenta fu l’affermazione del vapore nel campo dei trasporti marittimi. Nell’800, le navi a vela avevano raggiunto un notevole grado di efficienza: i clippers
Frontespizio del Giro del mondo in ottanta giorni di Jules Verne [Edizione Hetzel; Collezione privata] I progressi tecnici dei trasporti spinsero gli esploratori fino ai confini più remoti. Nacque in questo periodo la figura del “viaggiatore”,
incarnata dal protagonista del romanzo di Verne, Phileas Fogg: la sua impresa testimoniava come la navigazione a vapore, il telegrafo, la ferrovia mettessero ormai in comunicazione quasi tutto il globo.
577
C16 Borghesia e classe operaia
(velieri veloci impiegati per il trasporto transoceanico soprattutto di merci leggere come il tè e le spezie) battevano in velocità gli steamers, battelli a vapore inizialmente azionati da grandi ruote a pale e dotati di vele ausiliarie, appesantiti dall’esigenza di imbarcare il carbone necessario per alimentare le macchine. Perciò solo dopo il 1860, con l’introduzione dell’elica al posto della ruota e con la sostituzione degli scafi in legno con quelli in ferro, le navi a vapore furono potenziate e divennero decisamente competitive in termini di velocità, oltre che di capacità di carico, soprattutto nelle rotte verso l’Asia dopo l’apertura del Canale di Suez (1869) [►20_2] , dove i velieri non potevano manovrare.
telegrafo Il telegrafo elettrico è un apparecchio trasmittente che, aprendo e chiudendo i contatti di un circuito elettrico, consente di inviare messaggi a un apparecchio ricevente. Realizzato dall’americano Samuel Finley Morse (17911872), il telegrafo utilizza uno speciale alfabeto fatto di punti e linee detto, dal nome del suo inventore, «alfabeto Morse». Poiché la corrente elettrica viaggia alla velocità della luce (300 mila km al secondo), le informazioni trasmesse arrivavano quasi nello stesso momento in cui erano inviate. Più tardi, tra la fine dell’800 e gli inizi del ’900, il fisico italiano Guglielmo Marconi (1874-1937) inventò un tipo di telegrafo senza fili che trasmetteva e riceveva utilizzando le onde radio o elettromagnetiche. Nel 1901 Marconi riuscì a trasmettere segnali attraverso l’Atlantico.
Contemporaneamente alla rivoluzione dei trasporti, un’altra trasformazione non meno radicale si ebbe nel campo della comunicazione dei messaggi, grazie alla diffusione del telegrafo. Negli anni ’50 e ’60, tutti i paesi europei si dotarono di un sistema di comunicazioni telegrafiche. Nello stesso periodo, nuove tecniche di isolamento transazione finanziaria dei fili metallici consentirono la posa dei primi cavi telegrafici sottomarini: la Operazione di compravendita di strumenti finanziari: valute, azioni, obbligazioni (cioè titoli di credito emessi da Manica fu attraversata nel 1851, l’Atlantico nel 1866 [► _37]. una società privata), titoli di Stato (obbligazioni emesse La comunicazione dei messaggi era così svincolata per sempre dalla dipendallo Stato per far fronte al debito pubblico). denza dai mezzi di trasporto e la velocità di diffusione delle notizie aumentò in modo vertiginoso. Da allora diventò possibile concludere istantaneamente transazioni finanziarie con paesi lontani, impartire direttive diplomatiche in tempi rapidissimi, guidare gli eserciti da zone distanti dal fronte. Una rivoluzione nella rivoluzione si verificò nel settore giornalistico [►FS, 147], dove l’uso del telegrafo potenziò il ruolo
La rivoluzione delle comunicazioni
36_LA RETE FERROVIARIA NEGLI STATI UNITI D’AMERICA NEL 1870
Territorio di WASHINGTON
NEW HAMPSHIRE VERMONT
ILLINOIS
MASSACHUSETTS NEW YORK
TA
MIC
SO
NE
OHIO
AN
HIG
WISCONSIN
Territorio del WYOMING Territorio del NEBRASKA
NEVADA
L CA
Territorio del COLORADO
RHODE ISLAND CONNECTICUT PENNSYLVANIA
IOWA
T
ES
KANSAS
KENTUCKY
RN
IFO
Territorio dello UTAH
INDIANA
IN
Territorio del DAKOTA
OREGON Territorio dell'IDAHO
M
Territorio del MONTANA
W
NEW JERSEY DELAWARE MARYLAND
IA IN RG I V
IA
VIRGINIA
MISSOURI Territorio dell’ARIZONA
Territorio del NUOVO MESSICO
OKLAHOMA
ARKANSAS
CAROLINA DEL NORD CAROLINA DEL SUD TENNESSEE
LO
GEORGIA
NA
IA
S UI
TEXAS
ALABAMA
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
A ID OR
FL
MISSISSIPPI
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MAINE
Amb urgo
37_COMUNICAZIONI POSTALI E TELEGRAFICHE (1852-75)
San Francisco 45 giorni
mpico 29 giorni
St. Thomas 15 giorni
OCEANO PACIFICO
Valparaíso 48 giorni Buenos Aires 42 giorni
Montevideo 42 giorni
Città del Capo Valparaíso33 giorni 48 giorni Montevideo 42 giorni Buenos Aires 42 giorni
Amb urgo
AMERICA DEL NORD Chicago New York 12 giorni Philadelphia
Glasgow San Pietroburgo Liverpool Manchester Mosca Glasgow Berlino Londra San Pietroburgo Liverpool Parigi Vienna Pechino Manchester Berlino Mosca Londra Trebisonda AMERICA DEL NORD Napoli Tokyo Istanbul 20 giorni Parigi Vienna Chicago Pechino New York Trebisonda Napoli 12 giorni Tokyo CINA Istanbul Shanghai 57 giorni 20 giorni Philadelphia Alessandria (via Capo di Buona Calcutta 13 giorni Speranza) CINA Shanghai 57 giorni Tampico 44 giorni INDIA Alessandria (via Capo di Buona (via Mediterraneo) Calcutta 29 giorni 13 giorni Speranza) 44 giorni Bombay INDIA (via Mediterraneo) 33 giorni (via Mediterraneo) St. Thomas Bombay Fernando Poo 15 giorni 33 giorni 26 giorni (via Mediterraneo) Singapore Fernando Poo 45 giorni 26 giorni Singapore OCEANO 45 giorni OCEANO ATLANTICO INDIANO OCEANO OCEANO ATLANTICO AUSTRALIA INDIANO Sydney Città del Capo 33 giorni
AUSTRALIA
73 giorni
Sydney
NUOVA ZELANDA
73 giorni NUOVA ZELANDA
cavi telegrafici principali in funzione nel 1875 tempo medio che la posta impiega per raggiungere cavi telegrafici principali in funzione nel 1875 l’Inghilterra nel 1852 tempo medio che la posta impiega per raggiungere l’Inghilterra nel 1852
delle agenzie di stampa, come la francese Havas, la britannica Reuters, la tedesca Wolff, l’italiana Stefani (fondata nel 1853 con l’appoggio di Cavour): fornendo notizie ad altri organi di informazione – quotidiani, riviste, ecc. –, esse divennero veicoli indispensabili per l’acquisizione e diffusione delle notizie in tempi rapidissimi da tutto il mondo.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi le conseguenze economiche e sociali che derivarono dalla rivoluzione dei trasporti. b Rispondi per iscritto alle seguenti domande: a. In quali regioni si ebbero importanti progressi nel campo ferroviario? b. Quali modifiche resero concorrenziale la navigazione a vapore? c. Quali trasformazioni apportò l’invenzione del telegrafo nel mondo della comunicazione?
16_5 DALLE CAMPAGNE ALLE CITTÀ
► Leggi anche:
Intorno alla metà dell’800, in tutta l’Europa continentale erano i lavoratori della terra a costituire la grande maggioranza della popolazione attiva [►FS, 132]. Il mondo contadino presentava tuttavia forti differenze fra Stato e Stato e fra regione e regione. La Gran Bretagna, con una popolazione agricola formata in buona parte da lavoratori salariati, rappresentava un caso isolato. Così come un caso limite era costituito dalla Russia, con i suoi 20 milioni e più di servi della gleba, liberati solo nel 1861 [►18_7]. In Francia la tendenza all’aumento della piccola proprietà contadina, favorita in parte dalla rivoluzione del 1789, continuò a manifestarsi per tutto l’800. Negli Stati tedeschi e nei paesi dell’Impero asburgico una serie di leggi di emancipazione emanate fra il 1815 e il 1850 aveva gradualmente abolito le ultime forme di lavoro servile e avviato il processo di privatizzazione della terra.
Il mondo rurale
► Eventi La Grande Esposizione: Londra 1851, p. 582 ► Fare Storia La nuova città e i suoi luoghi, p. 629
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Diversi furono però i beneficiari di queste trasformazioni. Nel Sud e nell’Ovest della Germania, la scomparsa del regime feudale lasciò il posto alla piccola e media proprietà. Nelle regioni tedesche a est dell’Elba, nonché in buona parte dell’Europa orientale, la privatizzazione della terra andò invece a vantaggio dei grandi proprietari, mentre, per la maggior parte dei contadini, l’emancipazione significò semplicemente il passaggio dalla condizione di servi a quella di braccianti senza terra e non sempre comportò la rottura dei vincoli di subordinazione agli antichi signori. Una condizione in parte analoga, aggravata dalla scarsa produttività dei suoli, era quella in cui versavano i contadini del Mezzogiorno d’Italia e dell’intera Europa mediterranea. La situazione era ancora più complessa in altre zone del continente (Germania centrale, Italia centro-settentrionale, Austria, Boemia), dove coesistevano azienda capitalistica e piccola proprietà, lavoro salariato e mezzadria. I progressi, peraltro limitati, realizzati dall’agricoltura europea nel periodo di generale sviluppo economico degli anni ’50 e ’60 non valsero a modificare le condizioni di vita delle masse contadine. Quasi dappertutto i lavoratori agricoli versavano in condizioni di notevole disagio: i redditi erano bassi o bassissimi salvo rare eccezioni, l’alimentazione povera, l’analfabetismo diffuso, la partecipazione alla vita politica quasi inesistente. Dappertutto i ceti rurali costituivano l’elemento statico della società, quello più legato alle religioni tradizionali e alle consuetudini del mondo preindustriale. La novità più rilevante stava nel fatto che lo sviluppo industriale e la rivoluzione dei trasporti offrivano ai lavoratori della terra maggiori possibilità di allontanarsi dal luogo d’origine. Fra il 1840 e il 1870, milioni di lavoratori – in buona parte contadini poveri provenienti dalla Gran Bretagna e dall’Europa centrale – lasciarono il Vecchio Continente per andare a dissodare le terre vergini del Nord America, dove trovarono condizioni più favorevoli e più occasioni per liberarsi dalla condanna alla povertà. Ancora più imponente fu, nello stesso periodo, il numero di coloro che abbandonarono definitivamente le campagne per trovare lavoro nelle città come manovali, muratori o operai di fabbrica.
L’abbandono delle campagne
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Jean-François Millet, Le spigolatrici 1857 [Musée d’Orsay, Parigi] Per i contadini, la vita nei campi non è meno dura di quella degli operai in città: le spigolatrici erano donne autorizzate dal proprietario terriero a seguire i mietitori e a raccogliere le poche spighe rimaste. In questo famoso quadro, il pittore realista francese Millet mette in contrasto la fatica delle donne piegate in due in primo piano per una manciata di semi con i carri in secondo piano a sinistra, stracolmi e pronti per portare il raccolto a destinazione.
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
Ebbe allora inizio quel grande processo storico che va sotto il nome di urbanesimo e che avrebbe portato gradualmente la maggioranza della popolazione dei paesi sviluppati a trasferirsi dalle campagne nelle città. Intorno al 1850, la grande città – intendendo per grande città ciò che si intendeva allora, cioè un centro con almeno 100 mila abitanti – era ancora un fenomeno molto raro. Unica eccezione, la Gran Bretagna, dove già negli anni ’40 la popolazione urbana aveva uguagliato e superato quella rurale e dove, nel 1850, esistevano una trentina di grossi centri industriali. In Germania, invece, il pareggio tra i residenti in città e quelli in campagna venne raggiunto solo all’inizio del ’900, in Francia una trentina di anni dopo, in Italia solo a metà del XX secolo. Nell’800 si moltiplicò il numero delle grandi città. Se all’inizio del secolo soltanto Londra aveva già superato il milione di abitanti, nel 1914 ben 22 città avevano oltrepassato quella soglia: 8 in Europa, 10 in Asia e 4 in America. Fu uno sviluppo impetuoso, stimolato in gran parte dall’espansione del commercio europeo nel mondo: anche in Asia, infatti, crebbero soprattutto le cosiddette “città-em‑ porio”, ovvero i centri di scambio situati vicino alle foci di fiumi navigabili o ai terminali di linee ferroviarie, come Canton in Cina o Calcutta e Bombay in India.
L’urbanesimo
urbanesimo/urbanizzazione Il termine “urbanesimo” indica il processo di formazione delle città, e in particolare il loro progressivo sviluppo spaziale, demografico e sociale determinato dallo spostamento della popolazione dalle campagne e dall’immigrazione. “Urbanizzazione” è sinonimo di urbanesimo, ma si può riferire anche al tasso di diffusione delle città in un determinato territorio. Inoltre le “opere di urbanizzazione” indicano gli interventi indispensabili per rendere abitabile una località: reti stradali, fognature, sistemi di trasporto, reti idriche, elettriche, del gas, ecc. metropoli Guido Zucconi, storico dell’architettura, ha scritto che, nella seconda metà dell’800, «si diffonde e si impone il termine metropoli, prima di allora legato a situazioni tipiche dell’Antichità: città-madri, generatrici di colonie greche, o grandi concentrazioni ove sono compresenti diverse comunità nazionali (Babilonia, Alessandria, Roma, Costantinopoli). Intriso di questo secondo significato, ora il termine sta a definire una mistura di connotati quantitativi (la dimensione “ultramilionaria”) e di dati qualitativi (la presenza di un dinamismo particolarmente intenso)». Nella prima metà del ’900 è detta, dunque, metropoli una città con oltre 1 milione di abitanti, che sia anche un centro dinamico nei settori politico ed economico, e un riferimento sia per il territorio in cui sorge sia per ulteriori interlocutori attivi su scala planetaria: altre grandi città, protagoniste dell’economia e della politica.
Alla metà dell’800 Londra, con oltre 2 milioni e mezzo di abitanti, era di gran lunga la più grande metropoli del mondo e continuava a espandersi a un ritmo impressionante. In Francia, nello stesso periodo, le città con più di 100 mila abitanti erano solo sei, compresa Parigi, che superava ormai il milione. In Germania erano otto, fra cui Berlino, che raggiungeva appena i 400 mila residenti. Solo trent’anni dopo, la situazione era molto cambiata. In Francia e in Germania, il numero delle grandi città era più o meno raddoppiato. Le grandi capitali si erano ampliate a dismisura: Parigi era passata da poco più di 1 a oltre 2 milioni di abitanti, Berlino da 400 mila a oltre 1 milione, mentre Londra manteneva largamente il suo primato, superando i 4 milioni e mezzo. Alla base di questo fenomeno c’erano cause diverse, ma strettamente legate fra loro. In Gran Bretagna l’industrializzazione ridisegnò la geografia delle città, favorendo lo sviluppo di
Le città in Europa e negli Stati Uniti
12_CRESCITA DELLA POPOLAZIONE IN ALCUNE CITTÀ EUROPEE TRA 1800 E 1900 7.000.000 1800 6.000.000
1850 1900
5.000.000 4.000.000 3.000.000
[dati tratti da B.R. Mitchell, International Historical Statistics, vol. I, Europe 17501993, MacmillanStockton Press, LondonBasingstoke-New York 1998, pp. 74-76]
2.000.000 1.000.000 0
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piccoli centri in passato ai margini della vita economica e sociale del paese: infatti Birmingham, Glasgow, Liverpool e Manchester avevano superato abbondantemente, alla metà dell’800, i 200 mila abitanti mentre un secolo prima nessuna di loro oltrepassava i 30 mila [► _38]. In Francia e in Italia, invece, lo sviluppo delle città ebbe caratteri diversi sia per le peculiarità del sistema urbano dei due paesi, sia per il più lento sviluppo dell’industrializzazione: qui furono le città già preminenti durante l’ancien régime a registrare gli incrementi demografici più significativi, lasciando così quasi intatte le tradizionali gerarchie urbane. Nella seconda metà dell’800, furono soprattutto gli Stati Uniti a elaborare un nuovo modello di sviluppo della città, con la costruzione dei grattacieli e l’espansione dei sobborghi periferici. Questo nuovo modello era ben rappresentato da New York e Chicago. La prima passò da poco più di 50 mila abitanti all’inizio dell’800 a 3 milioni e mezzo nel 1900. La seconda fu protagonista di un vero e proprio boom demografico in solo mezzo secolo: dai 5 mila residenti nel 1850 a 1.700.000 nel 1900.
EVENTI
La Grande Esposizione: Londra 1851
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partire dalla fine del ’700, in Francia e in Gran Bretagna, cominciarono a essere organizzate ciclicamente mostre ed esposizioni di prodotti industriali, a carattere prevalentemente nazionale. Solo nel 1851, con la Great Exhibition of the Works of Industry of All Nations (la Grande Esposizione delle opere dell’industria di tutte le nazioni) di Londra, nacquero invece le esposizioni internazionali (o “universali”) in senso moderno, organizzate ancora oggi. Le Expo diventarono veri e propri palcoscenici della modernità, attraverso cui celebrare il progresso tecnologico e sociale, evidenziare i caratteri peculiari di ogni nazione, stimolare la competizione tra gli imprenditori, il commercio e gli scambi. Le esposizioni universali, inoltre, modificarono gli spazi urbani: la necessità di costruire rapidamente edifici per poterle ospitare, infatti, contribuì non solo a velocizzare le tecniche costruttive, ma anche a urbanizzare nuove aree e ad arricchire di infrastrutture e servizi le città ospiti. Nel pieno del periodo vittoriano, intorno alla metà dell’800, l’industria britannica era la più avanzata e sviluppata del mondo occidentale. Essa era in grado di produrre “in serie” svariati oggetti di consumo, ma gli alti costi dei macchinari richiedevano di estendere i mercati in cui venderli, da un lato con l’espansione coloniale e, dall’altro, con la pubblicizzazione delle merci attraverso mostre e fiere, che contribuivano anche a semplificare gli scambi internazionali. L’Esposizione del 1851 fu organizzata principalmente da Henry Cole, uno dei maggiori intellettuali del periodo, e dal principe Alberto, marito della regina Vittoria. Alberto negli anni precedenti aveva
riorganizzato la Royal Society of Arts (Rsa), di cui era presidente, e, fiducioso nelle potenzialità dell’applicazione dell’arte all’industria, dal 1847 aveva promosso alcune esposizioni di art manufactures, cioè di oggetti (mobili, lampade, sedie, ecc.) prodotti a livello industriale che ricercavano la massima resa estetica. Alla fine del 1849, ispirato dall’Esposizione nazionale di Parigi che aveva appena visitato, Cole propose ad Alberto e alla Rsa di organizzare un evento simile a Londra. Nonostante le opposizioni parlamentari delle destre conservatrici, la proposta fu accettata e furono stabilite le regole valide anche per le Expo successive: il carattere internazionale; la natura temporanea dell’edificio che le ospitava; l’assegnazione di premi; la raccolta di sottoscrizioni per la loro realizzazione; l’istituzione di una commissione per selezionare i partecipanti; il divieto di vendere gli oggetti in mostra e di esporne i prezzi; la cadenza quinquennale. Gli scopi degli organizzatori dell’Esposizione erano molteplici: dare impulso ai commerci con una revisione del sistema postale e doganale, stringere nuovi legami internazionali, definire e rafforzare l’identità della Gran Bretagna, vera e propria nation on display (“nazione in mostra”), riformare la legge sui brevetti (titoli giuridici che dichiarano la proprietà intellettuale di un’invenzione impedendo ai non titolati di produrre quella invenzione, venderla o utilizzarla). Si volevano, inoltre, diffondere alcuni valori morali – come l’operosità, la pace nel mondo, l’amicizia e la collaborazione tra le nazioni – da raggiungersi attraverso la libera concorrenza e il libero commercio. Nel 1850, fu indetto un concorso
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
internazionale per progettare la sede dell’Esposizione, ma nessuno dei circa 250 partecipanti fu ritenuto idoneo. Joseph Paxton, costruttore di serre e giardiniere esperto di piante esotiche, presentò allora il suo progetto alla Commissione organizzatrice ed essa, nonostante alcuni pareri contrari, lo accettò. Il progetto di Paxton non proponeva tecniche nuove, ma un nuovo modello di progettazione ed esecuzione che si basava sulla leggerezza, sulla trasparenza e sulla luminosità: la costruzione – frutto dell’assemblaggio di segmenti metallici in ferro e di lastre di vetro, tutti prodotti in serie e prefabbricati – fu realizzata in soli nove mesi e con costi molto contenuti. L’edificio, innalzato all’interno di Hyde Park, era costituito da un’unica navata centrale – lunga 550 metri e larga 150 – su cui si innestava un transetto coperto da una volta a botte, che inglobava alcuni alti alberi del parco. Subito soprannominato Crystal Palace (Palazzo di Cristallo), l’edificio – vero e proprio “contenitore” per esporre prodotti industriali e primo grande prefabbricato della storia – rappresentò il modello della nuova tipologia espositiva, basato sulla costruzione di singoli edifici temporanei, veloci da edificare, che avevano il solo scopo di ospitare l’Expo: con la sua realizzazione si tende a far iniziare l’età moderna dell’architettura. Nel giugno 1852, il Crystal Palace fu smontato e ricostruito – con la funzione di museo storico e di luogo di svago – a Sydenham Hill, a sette miglia da Londra: qui Paxton lo arricchì con piante esotiche, fontane, laghetti con barche, grotte sotterranee, statue e labirinti. Già minacciato da un incendio nel 1867, il Sydenham Crystal Palace fu poi completamente distrutto da un rogo nel novembre 1936. La Great Exhibition si aprì il 1° marzo del 1851, alla presenza di tutta
L’ampliamento delle dimensioni urbane e le trasformazioni delle città avevano dato vita a nuovi centri che si affiancavano e si sostituivano a quelli tradizionali (la cattedrale, il municipio, la piazza del mercato). Punti di riferimento essenziali erano in primo luogo le stazioni ferroviarie [►FS, 139], spesso costruite come grandiosi monumenti alla modernità dell’età industriale, poi la Borsa, i grandi magazzini, il tribunale e, nelle capitali, i palazzi dei ministeri. Attorno a questi poli si sviluppava il quartiere degli affari, che tendeva a svuotarsi dei suoi abitanti di condizione meno agiata e a riempirsi di uffici e di negozi.
I nuovi centri della vita urbana
la famiglia reale e delle 25 mila persone che pagarono per assistere alla cerimonia di apertura, mentre altre decine di migliaia affollarono le strade adiacenti al Crystal Palace. La regina Vittoria, sul suo diario, commentò l’evento affermando che si trattava di uno dei giorni «più grandi e dei più gloriosi delle nostre vite [...]. Il grande entusiasmo, la gioia espressa da ogni volto, la vastità dell’edificio, con tutte le sue decorazioni ed esposizioni, il suono dell’organo [...], e il mio amato marito come creatore di questo grande “Festival della Pace”, che unisce l’industria e le arti di tutte le nazioni della terra, tutto questo, è stato davvero commovente, un giorno da ricordare per sempre». I paesi furono invitati a contribui-
Claude Monet, Gare Saint-Lazare a Parigi 1877 [National Gallery, Londra]
re all’Expo con lo scopo di promuovere l’integrazione tra l’industria e le arti. Alla fine vi parteciparono circa 50 paesi da tutti i continenti e una quarantina tra colonie e protettorati, per un totale di 14 mila espositori – di cui la metà inglesi – e di oltre 100 mila oggetti. Le sezioni della mostra erano quattro: Prodotti grezzi e materie prime; Macchinari; Manufatti (tessili, metallici, in vetro e in ceramica); Belle Arti (scultura, modelli di architettura, topografia e arte plastica). Gli espositori britannici e delle colonie dell’impero furono disposti nella metà occidentale del padiglione, gli altri paesi in quella orientale. Le macchine, invece, furono presentate in movimento e, per questo, riunite nella zona nord-ovest,
per motivi tecnici dipendenti dall’uso della forza vapore. I prodotti esposti andavano dalle ceramiche di Sèvres ai pizzi neri di Barcellona, dai vetri di Murano agli arazzi di Beauvais e dei Gobelins, dalle sculture classiche ai cumuli di carbone, dai microscopi ai barometri, dalle macchine agricole ai telegrafi, dalle rare piante tropicali alle potenti presse idrauliche, dalle locomotive al diamante più grande allora conosciuto. Non furono rari gli oggetti stravaganti: tra essi, una fontanella che zampillava acqua di colonia, un ponte elastico in gomma e un coltello con 1851 lame. La sezione meno ricca dell’Esposizione fu quella delle Belle Arti: non era prevista la pittura, mentre i modelli architettonici e plastici dovevano contenere almeno un elemento di innovazione scientifica, tecnologica o industriale. La Grande Esposizione contribuì così a individuare un nuovo valore dei prodotti artistici, quello della “funzionalità” e della necessità di mantenere l’equilibrio tra qualità formale e qualità tecnica, e segnò la nascita del design. La Great Exhibition si chiuse il 15 ottobre 1851. Fu un grande successo che superò le più rosee aspettative dei suoi organizzatori: fu visitata da oltre 6 milioni di persone, di tutte le classi sociali, e il guadagno finale fu di oltre 183 mila sterline, che furono investite per la costruzione del South Kensington Museum (oggi Victoria and Albert Museum) e del Natural History Museum, dove furono raccolti e conservati molti degli oggetti in mostra all’Esposizione.
L’interno del Crystal Palace durante l’Esposizione universale a Londra
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I ceti popolari espulsi dai centri storici andavano ad addensarsi, assieme ai nuovi immigrati, nelle grandi periferie, costruite completamente da zero o nate dall’assorbimento e dalla trasformazione di villaggi già separati dal centro principale, come i sobborghi che costituivano la “cintura operaia” di Parigi. Diventava sempre più netta la separazione fra le periferie operaie, sovraffollate, malsane, prive di servizi e spesso afflitte dal fumo delle fabbriche [►FS, 129d], e i quartieri residenziali borghesi, che erano situati in zone più amene e cominciavano a essere provvisti di acqua corrente e di impianti di riscaldamento centralizzato. Anche questa separazione costituiva una differenza importante rispetto alla città tradizionale, dove ricchi e poveri coabitavano nelle stesse strade e spesso nei medesimi edifici: i ricchi ai piani bassi, i poveri ai piani alti e nelle soffitte. Lo sviluppo urbano impose presto di affrontare i gravi problemi igienici e sanitari derivanti dal sovrappopolamento che favoriva la diffusione di malattie infettive – in primo luogo il colera e il tifo – e manteneva la mortalità a livelli molto elevati. Dovunque fu migliorata o ricostruita la rete fognaria e l’acqua potabile divenne più diffusa e più regolare, anche se doveva passare ancora parecchio tempo prima che la disponibilità di acqua corrente e di servizi igienici nelle case diventasse un fatto generalizzato. Le autorità pubbliche cercarono anche di facilitare gli spostamenti all’interno dell’area urbana. Le strade in terra, polverose d’estate e fangose d’inverno, furono sostituite dal selciato. I quartieri della periferia, bui e malsicuri nelle ore notturne, furono, come già il centro, illuminati da lampioni a gas. Attraversare la città divenne più facile anche per chi non disponeva di mezzi privati, grazie all’organizzazione di reti di trasporto pubbliche. Un caso unico era quello di Londra che, già negli anni ’70, aveva un efficiente sistema di ferrovie metropolitane. Ma in tutte le grandi città, molto prima dell’avvento delle metropolitane e delle tramvie elettriche, gli itinerari più importanti erano serviti dagli omnibus, grandi carrozze su rotaie trainate da cavalli. Man mano che l’area urbana si ampliava, si moltiplicavano i servizi commerciali (mercati, botteghe, grandi magazzini), i luoghi di svago e di riunione (teatri, caffè, ristoranti), i punti di riferimento culturali (scuole, musei, biblioteche), ma anche le istituzioni preposte al controllo sociale: uffici comunali, posti di polizia, tribunali, carceri [►FS, 138 e 139].
Le infrastrutture urbane
L’intervento sempre più sistematico dei pubblici poteri, statali e municipali; lo sviluppo di più ampi apparati burocratici per il governo delle città; la creazione di nuovi corpi
Amministrare le città
38_L’URBANIZZAZIONE IN GRAN BRETAGNA A METÀ ’800
SCOZIA
SCOZIA
Glasgow
Glasgow
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Edimburgo Newcastle
Belfast
Newcastle
Belfast IRLANDA
IRLANDA
Bradford
Leeds
Sheffield Liverpool Bradford Manchester Leeds Liverpool
Sheffield Manchester Wolverhampton
GALLES
Norwich
Birmingham
Norwich
Wolverhampton GALLES
Birmingham
Cardiff Bristol Cardiff Bristol
Aree di maggiore densità demografica nel 1700 Aree di maggiore densità Aree di maggiore demografica neldensità 1850 demografica nel 1700 Migrazioni Aree di maggiore densità demografica nel 1850 Migrazioni
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
Edimburgo
Londra
Londra
Città con meno di 30 mila abitanti nel 1700 e più di 100 mila nel 1851 Popolazione di Londra: 600 mila Città con meno di 302.362.000 mila abitanti abitanti nel 1700; nel 1851 nel 1700 e più di 100 mila nel 1851 Città con popolazione in crescita Popolazione di Londra: 600 mila abitanti nel 1700; 2.362.000 nel 1851 Città con popolazione in crescita
di polizia sempre più numerosi e più “professionali”; la formazione di nuovi quadri tecnici (amministratori, architetti, ingegneri [►FS, 145]) specializzati nei problemi della convivenza urbana: tutto ciò servì a disciplinare i processi di urbanizzazione e ad atMETODO DI STUDIO tenuarne il carattere spontaneo, talora “selvaggio”. Pur con a Cerchia con colori diversi i nomi degli Stati descritti e sottolinea le rispettiservando al suo interno squilibri giganteschi, la grande città ve caratteristiche (tipologie di proprietà terriera, capitale e numero di abitanti, ecc.). b Spiega per iscritto il rapporto fra urbanesimo e abbandono delle campagne tendeva a perdere il suo aspetto caotico e si avviava a divenmettendo in rilievo le conseguenze di questa relazione e i cambiamenti avvenuti tare un sistema organizzato e funzionale, specchio della e resi necessari nei centri urbani. Fai anche degli esempi per dare forza alla tua civiltà moderna e dei suoi progressi e al tempo stesso luogo argomentazione. di tutte le sue contradwdizioni.
16_6 QUATTRO ESEMPI DI RINNOVAMENTO URBANO: PARIGI, LONDRA, VIENNA E CHICAGO
La ristrutturazione di Parigi negli anni ’60 dell’800 fu un esempio di intervento attuato dallo Stato, in base a un progetto consapevolmente studiato [►FS, 138]. Su incarico di Napoleone III, il prefetto Georges-Eugène Haussmann operò in profondità sul vecchio tessuto urbano, sventrando buona parte del centro medievale, col suo intrico di vicoli strettissimi, e aprendo una serie di larghi viali, i boulevard, che avevano lo scopo di rendere più piacevole e meglio percorribile il centro cittadino, ma servivano anche a scoraggiare il ripetersi di sommosse urbane come quelle del ’48: nei grandi boulevard, infatti, erano più facili gli spostamenti delle forze di polizia ed era impossibile la costruzione di barricate. L’opera di Haussmann non si limitò alla risistemazione della rete viaria: nell’arco di un ventennio, tra gli anni ’50 e ’60 dell’800, Parigi fu dotata di ben quindici nuovi ponti sulla Senna, di quattro nuove stazioni ferroviarie, di un nuovo sistema di fognature, di parchi e di edifici pubblici.
La Parigi di Haussmann
Camille Pissarro, Boulevard Montmartre, primavera 1897 [Israel Museum, Gerusalemme] Tra il 1850 e il 1873 Parigi conobbe una vera rivoluzione urbanistica, fortemente voluta da Napoleone III e realizzata dal prefetto della Senna, barone Georges-Eugène Haussmann. Nei 17 anni in cui fu in carica Haussmann, furono aperti ben 165 km di nuove strade (un quinto dell’intera rete viaria di cui disponeva Parigi nel 1869), concentrati, soprattutto, nelle aree centrali della città. In breve il volto della città mutò completamente.
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Da princìpi completamente diversi fu guidato lo sviluppo di Londra nell’800. Qui l’intervento pubblico risultò quasi assente: mentre a Parigi il governo indicava con minuzia i caratteri e le direttrici dell’attività edilizia, a Londra non esisteva nemmeno uno strumento di pianificazione generale. L’espansione della città era nelle mani dell’iniziativa privata, ovvero dei proprietari terrieri che, attraverso un meccanismo di leasing, cedevano agli imprenditori edilizi diritti di superficie e usufrutto per periodi determinati (fino a 99 anni), rimanendo però in possesso del terreno e garantendo così un’omogeneità tra i complessi immobiliari. A Londra, infatti, i quartieri venivano chiamati con i nomi delle famiglie proprietarie dei terreni: Bedford, Belgravia, Grosvenor, Hannover (ovvero la dinastia regnante, anch’essa promotrice di attività edilizie private). Nell’800, soprattutto nella parte occidentale della città (West End), nacquero eleganti complessi residenziali dove si concentrarono i ceti più benestanti [►FS, 138].
Londra e lo sviluppo dell’edilizia privata
Nell’800 Vienna rappresentò un modello urbanistico per la riorganizzazione del suo nucleo centrale e la dislocazione degli edifici connessi alle sue funzioni di capitale imperiale. Tra il 1815 e il 1857, infatti, furono abbattute le antiche mura e nella zona liberata venne costruita la Ringstrasse, ovvero un’ampia strada circolare dove successivamente furono collocati i principali edifici pubblici – Parlamento, municipio, università, musei nazionali, teatro lirico – e una serie di eleganti palazzi con abitazioni private. Il Ring divenne presto il luogo più importante e prestigioso della città, al confine tra il centro antico e i borghi esterni: al pari dei boulevard parigini, costituì una via di passeggio e un punto di ritrovo per la vita intellettuale e mondana, con una forza di attrazione irresistibile per la ricca borghesia cittadina.
Vienna e la riorganizzazione del centro cittadino
Nell’ultimo decennio dell’800 Chicago costituì uno dei simboli più evidenti del dinamismo americano. Metropoli “nata dal nulla”, centro della macellazione delle carni e dell’immagazzinamento dei cereali, nodo strategico delle comunicazioni ferroviarie tra l’Est e l’Ovest degli Stati Uniti, venne quasi completamente distrutta da un incendio nel 1871. In breve tempo fu ricostruita e da allora cominciò a espandersi a ritmi straordinari. Fu un luogo privilegiato di speriMETODO DI STUDIO mentazione per la costruzione dei grattacieli: qui, infatti, i migliori architetti, a Individua per ognuna delle città oggetto del paragrafo almeno quattro parole chiave che ne tra cui Louis Henry Sullivan, misero in pratica le loro teorie per uno sviluppo rappresentino le caratteristiche principali. Quindi arverticale della città. Nacquero un avveniristico centro degli affari e una serie di gomenta la tua scelta per iscritto. efficienti infrastrutture urbane. Con la Fiera colombiana, nel 1893, Chicago di b Rispondi alle seguenti domande: a. Ci sono elementi di sviluppo comuni fra le quattro città devenne famosa in tutto il mondo come una delle metropoli più moderne e dinascritte? b. Se sì, quali? c. Se no, perché? miche del pianeta.
Chicago e la costruzione dei primi grattacieli
16_7 LA NASCITA DEL MOVIMENTO OPERAIO E LA PRIMA INTERNAZIONALE
Con lo sviluppo della grande industria, il proletariato di fabbrica veniva assumendo sempre maggiore consistenza [►10_5]. I salari nell’industria erano mediamente superiori a quelli del settore agricolo e crebbero lentamente negli anni ’50 e ’60, pur senza mai elevarsi molto al di sopra del livello di sussistenza, salvo che per alcune categorie di lavoratori specializzati. Ma per altri aspetti – orari di lavoro, condizioni abitative, assenza di sicurezza sul proprio futuro – la vita dell’operaio non era migliore di quella del lavoratore agricolo [►FS, 128, 129d e 130d]. Il movimento operaio britannico – l’unico che potesse vantare una struttura organizzativa ormai solida e si potesse muovere in condizioni di relativa libertà – si era concentrato sul rafforzamento delle Trade Unions, che conobbero un notevole sviluppo negli anni ’50 e ’60 [►11_8]. Questo sviluppo fu coronato, nel 1868, dalla costituzione del Trade Unions Congress, che riuniva i delegati di tutti i maggiori sindacati e che rappresentò da allora il nucleo basilare del movimento operaio in Gran Bretagna [►FS, 131]. 586
La formazione di una coscienza di classe
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
► Leggi anche: ► Lezioni attive Innovazioni industriali e di organizzazione del lavoro
Peggiore era la situazione del movimento operaio francese, decimato nei suoi quadri più attivi dalle sconfitte del ’48 e del ’51. I pochi nuclei organizzati su base locale erano influenzati soprattutto dalle teorie di Proudhon, fautore di una sorta di cooperativismo a sfondo anarchico. I princìpi proudhoniani – che ben si adattavano alla struttura sociale di un paese caratterizzato dalla presenza di molti piccoli proprietari contadini e in cui l’artigianato e il commercio minuto conservavano un peso notevole anche nelle città – ebbero una certa fortuna anche in Italia, dove, peraltro, il proletariato di fabbrica era ancora pressoché inesistente e i pochi nuclei di operai e artigiani organizzati in società di mutuo soccorso avevano subìto soprattutto l’influenza di Mazzini [►14_4], fautore della cooperazione e ostile alla lotta di classe e a ogni forma di collettivismo. Molto diversa era la situazione in Germania, dove un movimento socialista esisteva già prima del ’48. Alla fine degli anni ’50, questo movimento trovò un leader abile e autorevole in Ferdinand Lassalle, che basava le sue concezioni socialiste su una teoria dello sfruttamento capitalistico molto simile a quella marxista, ma, diversamente da Marx, credeva nella possibilità per i lavoratori di conquistare lo Stato borghese e di trasformarlo dall’interno attraverso il suffragio universale. Lassalle svolse nel suo paese, la Prussia, un’intensa attività politica e riuscì a fondare, nel 1863, una Associazione generale dei lavoratori tedeschi, che raccolse vaste adesioni negli Stati della Confederazione germanica e rappresentò il primo importante esempio di partito operaio organizzato su scala nazionale. La crescente contrapposizione tra proletariato e borghesia favorì la nascita di un’organizzazione internazionale di coordinamento del movimento operaio. La riunione inaugurale della nuova organizzazione, che prese il nome di Associazione internazionale dei lavoratori, si tenne a Londra nel settembre 1864. Vi presero parte rappresentanti delle organizzazioni operaie inglesi e francesi. Un emissario di Mazzini rappresentava le società operaie italiane. Gli altri partecipanti alla riunione erano esuli di vari paesi invitati a titolo personale, fra cui Karl Marx. Quest’ultimo, assuntosi il compito di redigere lo statuto provvisorio, riuscì a inserire nel documento alcuni punti che qualificavano l’Associazione in senso classista, nonostante l’opposizione del rappresentante italiano: da allora i mazziniani non ebbero più parte alcuna nell’Internazionale. Ciò che risultava più evidente era l’affermazione dell’autonomia del proletariato e la priorità data alla lotta contro lo sfruttamento. La fondazione dell’Associazione internazionale dei lavoratori – o Prima Internazionale, come venne successivamente chiamata – fu senza dubbio un evento capitale nella storia del movimento operaio, ma lo fu più per il suo significato simbolico che per i suoi effetti pratici. L’Internazionale costituì subito un punto di riferimento ideale per i lavoratori di tutta Europa, oltre che uno spauracchio per i governi, sempre pronti ad attribuirle la responsabilità di agitazioni e complotti. Ma la sua capacità di rappresentare realmente le organizzazioni operaie dei singoli paesi e di guidare la loro attività fu assai scarsa e il suo funzionamento venne gravemente compromesso dall’eterogeneità delle sue componenti e dalle aspre rivalità che dividevano i suoi capi.
Il movimento operaio si organizza. L’Internazionale del 1864
William Logsdail, St. Martin in the Fields a Londra 1888 [Tate Gallery, Londra] Nonostante l’immagine idealizzata della piccola fioraia dalle guance rosate, questo dipinto dà un’idea di quanto fosse dura in città la vita dei ceti poveri, in continuo contatto con le manifestazioni esteriori – vestiti, carrozze e case – delle classi più agiate.
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Fino alla fine degli anni ’60, il dibattito ai vertici dell’Insocializzazione ternazionale vide contrapposti da un lato i socialisti veri L’espropriazione di una proprietà privata di pubblica utilità e propri (coloro, cioè, che sostenevano la socializzazioe interesse da parte dello Stato che ne diviene proprietario ne dei mezzi di produzione), dall’altro i proudhoniani, e gestore. fautori di un sistema fondato sulle cooperative e sulle autonomie locali. Nei primi congressi dell’Associazione le tesi dei proudhoniani furono ripetutamente sconfitte. Ma gli ideali libertari conobbero nuova fortuna nella versione assai più radicalmente rivoluzionaria che ne diede il russo Michail Bakunin (1814-1876), massimo teorico dell’anarchismo [►11_6]. Rafael Farga i
La contrapposizione tra socialisti e proudhoniani
Una divergenza radicale separava le posizioni di Marx, che era la personalità Il contrasto di maggiore spicco dell’Internazionale, e quelle di Bakunin. Per Bakunin tra Bakunin e Marx l’ostacolo principale che impediva all’uomo il conseguimento della piena libertà era costituito non tanto dai rapporti di produzione, quanto dall’esistenza stessa dello Stato. Lo Stato era, assieme alla religione, lo strumento di cui si servivano le classi dominanti per mantenere la stragrande maggioranza della popolazione in condizioni di inferiorità economica e intellettuale. Così, abbattuto il potere statale, il sistema di sfruttamento economico basato sulla proprietà privata sarebbe inevitabilmente caduto. Il comunismo si sarebbe instaurato spontaneamente come l’ordine più consono alle esigenze naturali delle masse, senza che allo Stato dovesse sostituirsi alcuna organizzazione di tipo centralizzato e coercitivo. Marx aveva pubblicato nel 1867 il primo volume della sua opera fondamentale Il Capitale in cui non solo analizzava i meccanismi del modo di produzione capitalistico, ma sosteneva che la realizzazione del socialismo sarebbe derivata dalle leggi stesse dello sviluppo economico. Anche Marx vedeva nella religione e nello Stato degli strumenti al servizio delle classi dominanti, ma collocava l’uno e l’altra nella sfera della «sovrastruttura», li considerava cioè come un prodotto della «struttura» economica basata sullo sfruttamento: solo la distruzione di quella struttura – ossia del sistema capitalistico – avrebbe reso possibile la distruzione dello Stato borghese. Si doveva dunque partire dallo scardinare la struttura economica. Pertanto, anche per Marx, l’avvento del comunismo e della società comunista – senza privilegi, senza classi, senza proprietà privata e senza Stato, ma le cui potenzialità produttive e tecniche fossero a disposizione di tutti i suoi membri – avrebbe portato con sé l’«estinzione dello Stato»; tuttavia, questo stadio finale sarebbe stato raggiunto solo dopo una fase transitoria, quella della «dittatura del proletariato», necessaria per neutralizzare la reazione delle classi dominanti (perché le organizzazioni operaie avrebbero rifondato, in quel tempo, la struttura sociale e produttiva). Per Marx, quindi, il protagonista del processo rivoluzionario non poteva essere che il proletariato industriale dei paesi più avanzati. Per Bakunin, invece, il vero soggetto della rivoluzione erano le masse diseredate in quanto tali, senza distinzione fra operai, contadini e sottoproletari. Il contrasto tra marxisti e bakuniniani, esploso agli inizi degli anni ’70, mise in crisi le fragili strutture dell’Internazionale che fu sciolta ufficialmente nel 1876. Gli anarchici riuscirono tuttavia a conservare in molti paesi europei un seguito e un’influenza considerevoli. Il bakuninismo, 588
La crisi dell’Internazionale e la sorte del bakuninismo
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
Pellicer, Bakunin parla al Congresso dell’Associazione internazionale dei lavoratori a Basilea 1869 Michail Bakunin nasce nel 1814 non lontano da Mosca da una nobile famiglia di proprietari terrieri. Emigra in Germania dove si avvicina agli ambienti della “sinistra hegeliana” e viene arrestato a 35 anni per aver partecipato ai moti rivoluzionari di Dresda. Condannato all’ergastolo, viene estradato in Russia e spedito in esilio in Siberia, da dove riesce a fuggire nel 1861.
LA PRIMA INTERNAZIONALE
Coordinamento delle associazioni dei lavoratori in tutta Europa Contrasti interni tra Proudhoniani
Socialisti
Cooperative e autonomie locali
Socializzazione dei mezzi di produzione
Bakunin
Marx
Stato e religione
Bisogna distruggere la struttura, costituita dal...
Strumenti di oppressione del proletariato
Sistema capitalistico attraverso la
Dittatura del proletariato
Abbattimento dello Stato
COMUNISMO
ANARCHISMO
infatti, si adattava meglio del marxismo a quei paesi e a quei ceti sociali che non avevano ancora conosciuto la rivoluzione industriale e si innestava spesso sul tronco di un antico ribellismo contadino. Fu questa la forza dell’anarchismo bakuniniano. Ma fu anche la causa del suo inarrestabile declino di fronte allo sviluppo dell’industria e alla crescita di una classe operaia moderna.
METODO DI STUDIO
a Descrivi per iscritto le condizioni di vita degli operai e le caratteristiche del movimento operaio in Europa. b Descrivi le caratteristiche, i limiti e gli esiti della Prima Internazionale. c Spiega quali tesi emersero durante la Prima Internazionale. d Sottolinea con colori diversi le principali caratteristiche del pensiero di Marx e di Bakunin.
16_8 LA CHIESA CATTOLICA
CONTRO LA MODERNITÀ BORGHESE
Negli stessi anni in cui il movimento operaio internazionale muoveva i suoi primi passi, anche il mondo cattolico assunse, sia pure da posizioni opposte, un atteggiamento duramente critico nei confronti di una civiltà che si basava su presupposti laici e individualistici e che tendeva a relegare la religione nell’ambito delle superstizioni e delle credenze popolari. Alla testa di questa crociata ideologica fu quello stesso papa Pio IX che inizialmente aveva suscitato tante speranze tra i cattolici liberali [►14_6]. Ferito e disilluso dalle esperienze del ’48-49, Pio IX abbandonò qualsiasi ipotesi innovatrice e, per il restante corso del suo lungo pontificato (morì nel 1878), si preoccupò soprattutto di riaffermare la più rigida ortodossia dottrinaria e di incoraggiare le pratiche di devozione, soprattutto quelle relative al culto mariano. Nel 1854 fu proclamato il dogma dell’Immacolata Concezione, con cui si stabiliva che la
La difesa dell’ortodossia
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C16 Borghesia e classe operaia
Fritz von Uhde, La preghiera prima del pasto 1885 [Nationalgalerie, Berlino] Questa tela, nota anche con il titolo Vieni Gesù, sii nostro ospite, raffigura con efficace realismo un umile interno rurale, dove una famiglia, riunita intorno al tavolo, invita Cristo, evocato nella preghiera di ringraziamento e fisicamente apparso al suo desco, a sedersi e a condividere il pasto. Quest’opera, come altre dello stesso pittore tedesco, esprime appieno la convinzione molto diffusa nell’800 che la semplice devozione, lontana dalla “corruzione” del pensiero borghese, era ancora rintracciabile fra i ceti meno abbienti.
enciclica È una parola di derivazione latina che alla lettera significa “circolare”: è un documento, indirizzato dal pontefice ai vescovi e ai prelati di tutto il mondo, per far conoscere il pensiero della Chiesa cattolica su particolari aspetti della dottrina o della liturgia, o su specifici argomenti sociali o filosofici. Nella storia della Chiesa, le encicliche hanno spesso segnato tappe importanti nell’evoluzione del cattolicesimo.
Vergine era stata concepita libera dal peccato originale. Dal 1858, la cittadina francese di Lourdes, luogo di una miracolosa apparizione della Madonna, divenne meta di ininterrotti pellegrinaggi. Lo scontro fra la Chiesa cattolica e la cultura laico-borghese ebbe il suo culmine nel 1864, quando Pio IX emanò l’enciclica Quanta cura, nella quale accomunava in una condanna senza appello il liberalismo, la democrazia, il socialismo e l’intera civiltà moderna. Per dare maggior forza alla condanna, il papa fece pubblicare, assieme all’enciclica, una sorta di elenco – il Sillabo – degli «errori del secolo», dove in ottanta proposizioni erano raccolti tutti i princìpi basilari della tradizione illuministica e della cultura liberale ottocentesca: dalla sovranità popolare alla laicità dello Stato, alla libertà di stampa e di opinione. La pubblicazione del Sillabo suscitò sorpresa e scalpore in tutta Europa, anche tra i cattolici e i loro alleati: Napoleone III, per esempio, ne proibì la diffusione in Francia, poiché lo giudicava imbarazzante e nocivo per la convivenza fra Chiesa e Stato. La frattura si allargò ulteriormente pochi anni dopo quando, nel Concilio Vaticano I conclusosi nell’estate del 1870, fu proclamato il dogma dell’infallibilità del papa nelle sue pronunce ufficiali in materia di fede e di morale. Una decisione che rafforzava l’autorità del pontefice nei confronti dell’episcopato e che anche per questo non piacque ai governi degli Stati cattolici, accentuando così l’isolamento della Santa Sede. Quando, nel settembre 1870, le truppe italiane entreranno a Roma per annetterla al Regno d’Italia e completare così l’unificazione della penisola, nessuno dei governi europei si muoverà per salvare il potere temporale del papa [►21_5].
Il Sillabo e il Concilio Vaticano I
La condanna intransigente della civiltà borghese, se schiacciava e riduceva al silenzio le correnti cattolico-liberali, lasciava in compenso un certo spazio ai movimenti cristiano-sociali presenti in Belgio, Francia, Austria e Germania [►11_5]. Sostenitori di un intervento dello Stato, sotto forma di iniziative assistenziali a favore dei lavoratori, auspicavano lo sviluppo della cooperazione e del mutuo soccorso fra i lavoratori stessi. Su questa base si realizzarono, soprattutto nei paesi dell’Europa METODO DI STUDIO centrale, i primi esperimenti di un moderno associazionismo a Sottolinea nel paragrafo il contenuto dell’enciclica Quanta cura e cattolico, fondato sulle unioni di mestiere, sulle cooperative, sulle l’oggetto della condanna di Pio IX. casse rurali e artigiane: una rete organizzativa che avrebbe in se b Scegli almeno tre parole chiave che riassumano il contenuto del guito permesso ai movimenti cattolici di contare su una propria Concilio Vaticano I e argomenta la tua scelta. c Descrivi per iscritto la posizione del mondo cattolico nei confronti base organizzata, non solo fra i ceti rurali ma anche fra i lavoratori della società borghese e gli strumenti messi in campo. urbani, soprattutto artigiani.
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Il cristianesimo sociale
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
SINTESI
16_1 I CARATTERI DELLA BORGHESIA Al conservatorismo politico che, dopo il fallimento delle rivoluzioni del ’48-49, caratterizzava la situazione europea, faceva riscontro un processo di profondo mutamento sociale. Il ventennio successivo al ’48 vide la crescita della borghesia: un ceto sociale attraversato da notevoli differenziazioni interne e tuttavia portatore di uno stile di vita e di un insieme di valori sostanzialmente unitari – merito individuale, libera iniziativa, concorrenza, innovazione e, nella sfera familiare e privata, austerità, moderazione, vocazione al risparmio – su cui sembrava poggiare la trasformazione in atto nel campo dello sviluppo economico e del progresso scientifico.
sua composizione cellulare; e, come altre specie viventi, è riuscita a non estinguersi e a sopravvivere adattandosi al contesto e perdendo, tra i suoi, gli individui con minore capacità di adattamento.
16_3 LO SVILUPPO DELL’ECONOMIA Dalla fine degli anni ’40, l’economia europea conobbe una fase di forte sviluppo durata quasi un quarto di secolo. Lo sviluppo interessò anzitutto l’industria, principalmente nei settori siderurgico e meccanico. Si generalizzò in quest’epoca l’impiego delle macchine a vapore e del combustibile minerale. I fattori principali del boom industriale degli anni ’50 e ’60 furono: la rimozione dei vincoli giuridici che ostacolavano le attività economiche; l’affermarsi del libero scambio; il ruolo assunto dalle banche nelle operazioni di investimento sul lungo e medio termine e la nascita di numerose società per azioni.
16_2 LA CULTURA DEL POSITIVISMO Centrale, tra i valori borghesi, era la fede nel progresso generale dell’umanità, che poggiava sull’imponente sviluppo economico e scientifico della seconda metà dell’800. Sul piano culturale, il progresso scientifico diede origine a una nuova corrente filosofica, il positivismo, che diventò l’ideologia della borghesia in ascesa e influenzò tutta la mentalità dell’epoca. Il rappresentante più noto del nuovo spirito “positivo” fu Darwin, cui si deve la teoria dell’evoluzione e della selezione naturale: come tutte le specie viventi, la specie umana è – secondo Darwin – il risultato di un’evoluzione da un unico organismo semplicissimo nella
16_4 LA RIVOLUZIONE DEI TRASPORTI E DELLE COMUNICAZIONI Lo sviluppo di nuovi mezzi di trasporto, come navi a vapore e, soprattutto, ferrovie, rendeva più agevoli la mobilità delle persone e lo scambio delle merci, alimentando a sua volta il processo di industrializzazione: da una parte, infatti, la costruzione di questi nuovi mezzi stimolava l’industria siderurgica e meccanica, dall’altra consentiva un ampliamento dei mercati. Infine
le innovazioni nel campo della comunicazione (per esempio il telegrafo) consentivano alle notizie di viaggiare molto più velocemente, dando impulso allo sviluppo della stampa, che rispose con la creazione di agenzie specializzate per la raccolta e la diffusione delle informazioni. Questi ultimi fattori di sviluppo mutavano per alcuni aspetti essenziali la vita dell’epoca e l’immagine stessa che la gente aveva del mondo: esso appariva, ed era effettivamente, sempre più unito.
città, in pochi decenni. Nella seconda metà dell’800 furono soprattutto gli Stati Uniti a offrire un nuovo modello di sviluppo della città, con la costruzione dei grattacieli e l’espansione dei sobborghi periferici. In molti grandi centri punti di riferimento essenziali divennero le stazioni ferroviarie, la Borsa, i centri commerciali, il tribunale, i palazzi dei ministeri. I ceti popolari andarono ad addensarsi nelle grandi periferie, ben distinte dai quartieri residenziali borghesi. Nello stesso periodo, quasi tutte le grandi città europee videro moltiplicarsi le iniziative dei poteri pubblici per favorire lo sviluppo dei trasporti e per cercare di risolvere i più urgenti problemi igienici.
16_5 DALLE CAMPAGNE ALLE CITTÀ Alla metà dell’800, in tutta l’Europa continentale erano i lavoratori della terra a costituire la grande maggioranza della popolazione attiva. Diversi furono gli effetti della privatizzazione delle terre: in alcune regioni la scomparsa del regime feudale lasciò il posto alla piccola e media proprietà, in altre andò invece a vantaggio dei grandi latifondisti; in altre ancora si crearono situazioni di convivenza fra azienda capitalistica e piccola proprietà terriera, lavoro salariato e mezzadria. Ovunque, in ogni caso, i lavoratori agricoli occupavano i gradini inferiori della scala sociale. Fra il 1840 e il 1870 milioni di persone lasciarono il Vecchio Continente per andare a dissodare le terre vergini del Nord America o si trasferirono nelle aree urbane in cerca di nuova occupazione. Nell’800 aumentò non solo la popolazione urbana ma anche il numero delle grandi città. In Gran Bretagna, in particolare, per via della rivoluzione industriale, piccoli centri si trasformarono in grandi
16_6 QUATTRO ESEMPI DI RINNOVAMENTO URBANO: PARIGI, LONDRA, VIENNA E CHICAGO La ristrutturazione di Parigi fu un esempio di intervento attuato dallo Stato. Haussmann sventrò buona parte del centro medievale e aprì una serie di larghi viali. Princìpi completamente diversi guidarono lo sviluppo di Londra. Qui l’intervento pubblico risultò quasi assente: l’espansione della città rimase nelle mani dell’iniziativa privata. Vienna rappresentò invece un modello urbanistico per la costruzione della Ringstrasse, dove furono collocati i principali edifici pubblici e una serie di eleganti palazzi privati. Alla fine dell’800 Chicago fu uno dei simboli più efficaci del dinamismo americano. Distrutta da un incendio nel 1871, la città venne in breve tempo ricostruita e da allora cominciò a espandersi a ritmi straordinari.
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C16 Borghesia e classe operaia
16_7 LA NASCITA DEL MOVIMENTO OPERAIO E LA PRIMA INTERNAZIONALE Si diffondeva, nello stesso periodo, la figura dell’operaio di fabbrica, le cui dure condizioni di vita e di lavoro favorivano il formarsi di una coscienza di classe e delle prime associazioni operaie, soprattutto in Gran Bretagna, Germania e Francia. Nel 1864 venne fondata, a Londra, la prima Associazione
internazionale dei lavoratori, la cui storia fu caratterizzata dai contrasti fra le varie correnti – principalmente tra marxisti e anarchici – che avrebbero presto condotto alla sua dissoluzione. Il maggior teorico dell’anarchismo fu Bakunin, le cui teorie si distinguevano per alcuni aspetti sostanziali da quelle di Marx. Bakunin, tra l’altro, riteneva che, una volta abbattuto il potere statale, il comunismo si sarebbe instaurato spontaneamente, senza dunque la fase di «dittatura del proletariato» prevista da Marx. Egli considerava, inoltre, le masse diseredate (e non il proletariato industriale) il soggetto della rivoluzione. Per quest’ultimo
motivo il bakuninismo si diffuse soprattutto nei paesi più arretrati e declinò progressivamente coll’avanzare dell’industrializzazione e la crescita della classe operaia.
di dura condanna – con Pio IX, che fece pubblicare il Sillabo degli «errori del secolo» (1864) –; dall’altro, si fece promotore, con i movimenti cristiano-sociali, di un intervento dello Stato a favore dei lavoratori e dei primi esperimenti di associazionismo cattolico.
16_8 LA CHIESA CATTOLICA CONTRO LA MODERNITÀ BORGHESE Di fronte alla società borghese, il mondo cattolico da un lato assunse un atteggiamento
SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Inserisci i termini sottostanti nei quattro raggruppamenti in cui è possibile suddividere la classe borghese di metà ’800.
ingegneri ● impiegati ● magnati della finanza ● medici ● piccoli professionisti ● imprenditori ● dirigenti d’azienda ● mercanti ● avvocati ● professionisti ● grandi industriali ● insegnanti ● banchieri ● piccoli commercianti ● alta burocrazia statale
a. Vertici della borghesia: ....................................................................................................................................................................... b. Ceti emergenti: ................................................................................................................................................................................. c. Borghesia tradizionale: ....................................................................................................................................................................... d. Piccola borghesia: .............................................................................................................................................................................. 2 Indica le affermazioni vere e correggi quelle errate.
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a. I borghesi erano intransigenti per quel che riguardava la morale familiare e sessuale. ................................................................................................................................................................................. b. Il pensatore francese Auguste Comte fu il fondatore del positivismo. ................................................................................................................................................................................. c. Intorno alla metà dell’800, in tutta l’Europa continentale gli operai costituivano la grande maggioranza della popolazione attiva. ................................................................................................................................................................................. d. I salari degli operai di fabbrica erano mediamente più alti di quelli del settore agricolo. ................................................................................................................................................................................. e. In Italia, la rapida crescita del proletariato industriale favorì la diffusione delle idee di Proudhon. ................................................................................................................................................................................. f. L’esclusione dei mazziniani dall’Internazionale fu determinata dall’orientamento in senso classista dell’organizzazione. ................................................................................................................................................................................. g. L’Associazione generale dei lavoratori tedeschi può essere considerato il primo esempio di partito operaio. .................................................................................................................................................................................
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
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h. Nell’enciclica Quanta cura, il liberalismo fu preferito, come teoria economica, al socialismo. ................................................................................................................................................................................. i. L’associazionismo cattolico fu una diretta conseguenza della politica riformatrice di papa Pio IX. .................................................................................................................................................................................
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3 Seleziona la frase opportuna per completare correttamente le affermazioni di seguito.
1. L’ottimismo borghese poggiava sulla... a. fiducia in un progresso scientifico ed economico senza fine. b. consapevolezza di aver definitivamente raggiunto il benessere. c. teoria rivoluzionaria dell’origine divina dell’essere umano. 2. Secondo i positivisti, il metodo scientifico era... a. incapace di cogliere la complessità sociale. b. applicabile a tutti i campi dell’attività umana. c. applicabile solo ai fenomeni fisici e naturali. 3. La teoria evoluzionistica di Darwin considerava l’uomo... a. un’entità biologicamente estranea alla lotta per la sopravvivenza. b. il risultato dell’evoluzione progressiva di organismi inferiori. c. l’anello debole di una catena biologica destinata a interrompersi. 4. Il Sillabo, pubblicato dalla Chiesa nel 1864, conteneva... a. un parziale riconoscimento degli errori compiuti dalla Chiesa nel campo scientifico. b. l’invito ai sovrani europei a emettere leggi che tutelassero il lavoro degli operai. c. un elenco degli «errori del secolo» che occorreva rifiutare in nome dell’ortodossia. 5. Agli inizi del XIX secolo, la struttura della famiglia borghese... a. si trasforma a causa dell’ingresso della donna nel mercato del lavoro. b. resta ancorata a un modello patriarcale e a una rigida divisione dei ruoli. c. ricalca, nella mentalità contemporanea, la struttura aperta della società. 6. Le “banche di investimento” o “banche d’affari”... a. nacquero soprattutto in Germania e in Gran Bretagna. b. avevano come obiettivo principale quello di fornire prestiti a breve termine per operazioni commerciali. c. avevano come obiettivo principale quello di sostenere iniziative di ampio respiro con finanziamenti a lunga durata. 4 Sottolinea gli errori presenti nelle seguenti affermazioni e riscrivile nella versione corretta sul quaderno di storia.
Chiarirai in questo modo concetti e processi messi in atto dall’organizzazione internazionale del movimento operaio.
a. L’Associazione internazionale dei lavoratori o Prima Internazionale si svolse a Parigi nel 1864. b. Alla Prima Internazionale parteciparono solo operai francesi. c. Michail Bakunin scrisse lo statuto provvisorio dell’Associazione. d. Per Marx lo Stato e la religione dovevano essere abbattuti per permettere all’uomo di raggiungere la ricchezza. e. Bakunin riteneva il proletariato industriale l’artefice del processo rivoluzionario. 5 Abbina i contenuti dei provvedimenti presi da papa Pio IX dopo la disillusione delle esperienze liberali degli anni
1848-49 al relativo nome.
a. Enciclica Quanta cura (1864) b. Sillabo (1864) c. Concilio Vaticano I (1870)
1. Conteneva la descrizione, in qualità di errori, di tutti i princìpi basilari della tradizione illuministica e della cultura liberale ottocentesca. 2. Pio IX accomunava in una condanna senza appello il socialismo e l’intera civiltà moderna. 3. Vi fu proclamato il dogma dell’infallibilità del papa nelle sue pronunce ufficiali in materia di fede e di morale. 4. Pio IX accomunava in una condanna senza appello il liberalismo e la democrazia. 593
C16 Borghesia e classe operaia
COMPETENZE IN AZIONE 6 Scrivi un testo informativo-argomentativo (max 2 colonne di
foglio protocollo) sulla nuova classe sociale che contraddistinse il XIX secolo: la borghesia. Puoi utilizzare la scaletta proposta di seguito e le fonti iconografiche presenti sul manuale.
● Identità della borghesia ● Valori espressi ● Stile di vita
● Ruolo della donna all’interno della
famiglia Cultura positivista dei borghesi ● Morale e povertà ●
7 Osserva il documento iconografico qui a fianco e rispondi alle
domande di seguito. Analizzerai così la visione che i contemporanei avevano del mondo industriale.
a. Quali spazi urbani e quali classi sociali vengono raffigurati? b. Quale contesto temporale l’autore del dipinto sceglie di rappresentare? c. Come si svolge la domenica degli operai? Quale contrasto viene evidenziato? d. Secondo te, nel dipinto prevale un intento moralistico o un tono di denuncia sociale? Da che cosa lo deduci? La domenica, illustrazione per un libro francese di catechismo [Bibliothèque Nationale, Parigi]
8 Ognuna delle frasi seguenti contiene un errore. Individualo e
correggilo scrivendo brevi testi di 3 righe per motivare la tua scelta:
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a. La riunione inaugurale dell’Associazione internazionale dei lavoratori si tenne a Parigi nel 1864. ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... b. Il funzionamento dell’Associazione internazionale dei lavoratori fu reso difficile dall’omogeneità delle sue componenti e dalle lotte tra i capi. ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... c. Michail Bakunin fu il teorico del socialismo scientifico. ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... d. Per Bakunin l’ostacolo che impediva all’uomo di raggiungere la ricchezza era lo Stato. ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... e. Per Marx religione e Stato erano strumenti al servizio delle classi deboli. ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... f. Per Marx protagonisti del processo rivoluzionario erano i contadini. ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... .......................................................................................................................................................................................................
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
g. Lo scontro tra la Chiesa cattolica e la cultura laico-borghese ebbe il suo culmine nel 1870. ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... h. La pubblicazione del Sillabo suscitò sorpresa e gioia in tutta l’Europa. ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... .......................................................................................................................................................................................................
COMPITI DI REALTÀ 9 Realizzare un approfondimento storico in forma di poster per un sindacato.
Tema storico da affrontare: La nascita della classe operaia.
Contesto di lavoro
Lavori per una società che si occupa di grafica e che è stata contattata da un noto sindacato che ha deciso di presentare ad una sua manifestazione nazionale un poster informativo sulla nascita della classe e del movimento operaio. Prioritaria sarà quindi la parte dedicata alle fonti iconografiche e all’impostazione grafica del lavoro che deve essere di tipo divulgativo e di forte impatto.
Cosa devi fare
Con il tuo gruppo avete il compito di preparare un poster sulla nascita della classe e del movimento operaio. Per realizzare questo compito dovete: ● decidere le dimensioni del poster. ● individuare le fonti iconografiche inerenti il tema affrontato presenti sul manuale (nel capitolo o nei Fare Storia). ● individuare le informazioni necessarie alla realizzazione del poster e dividerle in categorie. Se selezionate testi storiografici o fonti scritte ricordate di indicare sempre la fonte. ● ricercare online un esempio di poster divulgativo che vi convinca e che abbia le seguenti caratteristiche: che esponga un concetto in forma grafica (anche la disposizione delle immagini e del testo è funzionale al messaggio da comunicare), che non sia la trasposizione di una pagina di un libro (non deve prevedere testi scritti fitti e lunghi e con un carattere dalla dimensione troppo piccola), che le immagini non siano solo evocative, ma che contengano parte dei messaggi da trasmettere. ● realizzare per ogni fonte una scheda con le informazioni tecniche principali (autore, anno, luogo di realizzazione) e quelle che è possibile ricavare in relazione al tema in esame. ● realizzare una linea del tempo che contenga gli episodi salienti del periodo storico di cui vi state occupando. ● selezionare dal manuale una carta geostorica su cui poter indicare i luoghi di provenienza delle fonti o i luoghi in cui si svolsero gli eventi da voi individuati. ● realizzare a partire dalla carta geostorica o dalla linea del tempo uno storyboard che abbia già sviluppato l’impianto grafico e che contenga rimandi ai seguenti elementi: 1. le fonti selezionate adeguatamente numerate; 2. i contenuti descritti sinteticamente (max 5 righe); 3. il titolo del poster; 4. la localizzazione e la temporalità degli eventi. ● realizzare concretamente il poster con il programma di grafica a voi più congeniale.
Presentazione del lavoro svolto
Il lavoro di ogni gruppo sarà presentato davanti ai responsabili del sindacato e deve prevedere: una relazione introduttiva del lavoro svolto da esporre oralmente (durata massima: 5 minuti) più l’illustrazione del poster. Quest’ultimo potrà essere stampato o visualizzato con la Lim.
Tempo a disposizione
1 ora per individuare sul manuale le fonti e i contenuti da utilizzare; 1 ora per cercare in Rete gli esempi di poster e scegliere quello più congeniale; 2 ore per elaborare i contenuti e le fonti; 3 ore per la realizzazione del poster; mezz’ora per impostare e provare la relazione.
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CAP17 LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
17_1 CRISI E PROTEZIONISMO
Tra il 1870 e il 1914 l’economia capitalistica subì una serie di trasformazioni di tale profondità e di tale portata da giustificare, in riferimento a questo periodo, la definizione di “seconda rivoluzione industriale”. La nuova fase dell’economia ebbe inizio con una improvvisa crisi di sovrapproduzione che, scoppiata nel 1873, continuò a far sentire i suoi effetti nei due decenni successivi, caratterizzati da una prolungata caduta dei prezzi. In realtà la caduta dei prezzi fu, più che un sintomo di crisi, un prodotto delle trasformazioni organizzative e delle innovazioni tecnologiche che permisero di ridurre progressivamente i costi di produzione. In nessun paese, infatti, si registrarono sostanziali diminuzioni della produzione industriale. Il volume degli scambi commerciali continuò a crescere ovunque. Il tenore di vita della popolazione nelle aree urbane non subì riduzioni: al contrario, i lavoratori salariati si giovarono della diminuzione dei prezzi e riuscirono, grazie anche all’azione delle organizzazioni di classe, a difendere meglio che in passato il livello reale delle loro retribuzioni.
Sovrapproduzione e caduta dei prezzi
Il settore dell’economia europea in cui la caduta dei prezzi si fece sentire con maggiore intensità e con effetti più drammatici fu senza dubbio quello agricolo. Quando i progressi della navigazione a vapore, determinando un notevole abbassamento dei costi di trasporto, consentirono ai prodotti dell’agricoltura nordamericana – che avevano prezzi competitivi – di raggiungere i mercati del Vecchio Continente, tutta l’agricoltura europea, in particolare quella più arretrata, ne ricevette un colpo durissimo. A partire dagli anni ’79-80, i prezzi dei prodotti agricoli calarono bruscamente. Questo ribasso avvantaggiò i consumatori delle città, ma provocò la rovina di molte aziende agricole piccole e grandi: e quindi disoccupazione, fame, miseria crescente nelle campagne, soprattutto in quelle dove le tecniche produttive erano rimaste più arretrate. Si difesero meglio dalla crisi i settori agricoli presenti nell’Europa centro-settentrionale in cui erano state introdotte nuove tecniche di coltivazione volte ad aumentare la produttività: l’uso di concimi chimici; l’impiego di mietitrici e trebbiatrici a trazione animale (l’uso del vapore, dell’elettricità e del motore a scoppio si sarebbe affermato solo nel ’900); l’estensione delle opere di bonifica e di irrigazione; l’introduzione di nuove colture (come la barbabietola da zucchero) e di nuovi sistemi di rotazione.
La crisi agraria in Europa
Conseguenza immediata della crisi fu l’intensificarsi dell’emigrazione verso le aree industriali e verso i paesi d’oltreoceano, soprattutto l’America del Nord, ma anche verso il Brasile e l’Argentina. Il flusso degli emigranti dall’Europa raggiunse le 500 mila unità annue intorno all’80, per superare le 800 mila alla fine del decennio e per sfondare infine il tetto del milione nei primi anni del ’900. Mutò anche, progressivamente, la
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L’emigrazione europea
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
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Storia e Letteratura La signora delle Camelie di Dumas Focus Riprodurre la realtà: la nascita della fotografia • L’età dell’acciaio Storia e Ambiente I costi ambientali della rivoluzione industriale Laboratorio dello storico L’archeologia industriale Atlante Città, ferrovie, acciaio ed energia alla fine del XIX secolo Lezioni attive Innovazioni industriali e di organizzazione del lavoro Test interattivi Audiosintesi
► Leggi anche: ► Parole della storia Liberismo/protezionismo, p. 435
provenienza geografica degli emigranti: fino a circa il 1880 erano stati in prevalenza inglesi, irlandesi, tedeschi e scandinavi. Alla fine del secolo erano per due terzi originari di paesi latini e slavi: qui, infatti, le conseguenze della crisi agraria si erano fatte sentire più pesantemente e minori erano le capacità di assorbimento della manodopera da parte dei settori industriali.
commessa Ordinazione di merci o beni da produrre. La commessa statale (o pubblica) è l’ordinazione, ad aziende o industrie, da parte dello Stato.
Fu anche per far fronte alle conseguenze della crisi agraria e per venire incontro alle pressioni dei grandi proprietari, e degli agricoltori in genere, che i governi europei finirono per imboccare la strada del protezionismo. Tutte le nuove tariffe adottate dai vari Stati stabilivano dazi elevati per numerosi prodotti agricoli, in particolare per i cereali. Ma le politiche protezionistiche ebbero anche come obiettivo la tutela delle produzioni industriali dai rischi della concorrenza estera: tutti gli Stati europei adottarono nuove misure protezionistiche, a cominciare dalla Germania nel 1879, seguita dalla Russia (1881-82), dall’Italia (1887) e dalla Francia (1892). Accanto a questa politica gli Stati diedero avvio a varie forme di sostegno diretto alla grande industria, attuato per lo più mediante le commesse per l’esercito e la marina militare.
Il protezionismo
Solo la Gran Bretagna, patria del liberoscambismo e primo paese esportatore del mondo, restò estranea alla tendenza generale, ma ne fu doppiamente danneggiata in quanto vide ridursi gli sbocchi di mercato per le sue merci e dovette assistere allo sviluppo delle industrie nei paesi concorrenti, protette dalle barriere doganali. Nell’ultimo decennio del secolo, le industrie tedesche e statunitensi riuscirono a superare quelle inglesi nella produzione di acciaio e si assicurarono un vantaggio decisivo in settori nuovi e strategicamente importanti come quelli chimico ed elettrico. Fra il 1880 e il 1914 la partecipazione britannica
Il declino della Gran Bretagna
▼ Emigrante
europea sottoposta a visita medica a Ellis Island, New York inizio XX sec.
▼ Una
donna slava appena giunta a Ellis Island, New York 1905 ca. [International Museum of Photography, George Eastman House, Rochester (Usa)]
Al loro arrivo negli Stati Uniti, le navi cariche di immigranti venivano fatte attraccare a Ellis Island, un isolotto nella Baia di New York. Qui, i nuovi arrivati venivano trattenuti per essere sottoposti a una prima identificazione e a un rapido esame medico teso ad accertare eventuali patologie da sottoporre ad ulteriori esami. Chi passava queste prime due procedure veniva poi registrato e infine riceveva un permesso per sbarcare a Manhattan. I non idonei, «i vecchi, i deformi, i ciechi, i sordomuti e tutti coloro che soffrono di malattie contagiose, aberrazioni mentali e qualsiasi altra infermità», venivano rimpatriati. Attualmente, l’edificio, che fra il 1892 e il 1924 ha “vagliato” l’ingresso in America di 12 milioni di immigranti, ospita l’Ellis Island Immigration Museum.
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C17 La seconda rivoluzione industriale
al commercio mondiale si dimezzò, passando dal 25 al 12%. Alla perdita del primato industriale e alla riduzione dei suoi spazi commerciali in Europa, la Gran Bretagna reagì rinsaldando e ampliando il suo già vasto impero d’oltremare e intensificando gli scambi con le colonie.
cartello/trust Il cartello è l’accordo fra imprese di uno stesso settore mirante a limitare la concorrenza e a stabilire i prezzi dei loro prodotti. Il trust è invece una concentrazione di industrie diverse sotto un’unica direzione strategica, senza che però vi sia un’integrazione fra le imprese.
pool L’abbandono del liberismo non fu l’unico modo Consorzio di imprese la cui attività è coordinata da un organo centrale che si per aggirare le crescenti difficoltà create alle imoccupa di acquistare le materie prime e vendere i prodotti finiti per conto delle prese dal regime di prezzi calanti. Nacquero imprese consorziate. così grandi consociazioni per il controllo finanziario di diverse monopolio imprese; consorzi – cartelli o pools – fra aziende dello stesso settore In economia è la situazione in cui l’offerta di un bene o di un servizio è che si accordavano sulla produzione e sui prezzi; infine vere e proconcentrata nelle mani di un solo soggetto, che può imporre il prezzo che vuole. prie concentrazioni, trusts, fra imprese prima indipendenti. Questi In generale si parla di monopolio per indicare una posizione di privilegio esclusivo. fenomeni assunsero dimensioni imponenti, soprattutto negli Stati Uniti e in Germania, fino a determinare in qualche caso situazioni di monopolio. Un ruolo decisivo, in questi processi, fu svolto dalle istituzioni finanziarie. Solo le grandi banche potevano assicurare i flussi di denaro necessari alla crescita dei colossi industriali per i quali i profitti, per quanto elevati, non erano sufficienti a ricostituire in tempi METODO DI STUDIO brevi il capitale di investimento. Fra banche e imprese si venne così a Sottolinea con colori diversi le cause e le conseguenze della a creare uno stretto rapporto di compenetrazione: le imprese dicaduta dei prezzi delle merci. pendevano sempre più dalle banche per il loro sviluppo e le banche b Trascrivi i risultati dell’esercizio precedente in un grafico a legavano in misura crescente le loro fortune a quelle delle imprese. stella al cui centro ci sia la scritta “La caduta dei prezzi” e i cui raggi corrispondano alle seguenti voci: a. contesto storico; b. cause; Le banche controllavano quote rilevanti dei pacchetti azionari delle c. conseguenze. industrie, ma d’altro canto i magnati dell’industria sedevano spesso c Spiega per iscritto: a. le modalità adottate dagli Stati europei nei consigli di amministrazione delle banche. Questo intreccio fra per dare concretezza alle politiche protezionistiche; b. cosa si intende per “capitalismo finanziario”. industria e finanza fu definito dagli economisti marxisti «capitalismo ► finanziario» [ FS, 143].
Il capitalismo finanziario
17_ 2 ACCIAIO, CHIMICA ED ELETTRICITÀ
Durante la seconda metà dell’800 e nei primi anni del ’900 si affermò in Europa e in Nord America un processo, la seconda rivoluzione industriale, che fece sentire i suoi effetti con una diffusione capillare, mutando le abitudini, i consumi e i comportamenti di milioni di individui. Se il cotone, il ferro, il carbone e la macchina a vapore erano stati i fattori trainanti della prima rivoluzione industriale [►10_4], nella seconda si affermarono l’acciaio, la chimica, il motore a scoppio e l’elettricità.
► Leggi anche: ► Focus L’età dell’acciaio ► Atlante Città, ferrovie, acciaio ed energia alla fine del XIX secolo ► Personaggi Marie Curie, la scienziata che vinse due Nobel, p. 600 ► Arte e territorio Disegnare col ferro: l’industria al servizio dell’architettura urbana, p. 610 ► Fare Storia La seconda rivoluzione industriale, p. 635 • Un’età di innovazioni, p. 639
Le nuove tecniche di fabbricazione – il metodo Bessemer e il forno MartinSiemens, sperimentati già negli anni ’50 e ’60, quindi il procedimento Gilchrist Thomas, introdotto nel 1879 – consentirono di produrre grandi quantità di acciaio a costi relativamente modesti. Da allora l’acciaio vide crescere la sua produzione a ritmi rapidissimi (fra il 1870 e il 1913 il consumo mondiale aumentò acciaio di circa ottanta volte) e trovò infinite applicazioni nei campi più svaLega di ferro e carbonio che si realizza a temperature molto elevate. L’acciaio riati. Fu usato per le rotaie delle ferrovie al posto del ferro, per le cocontiene più carbonio del ferro, ma meno della ghisa; ha una straordinaria razze delle navi da guerra, per gli utensili domestici e per le macchine resistenza, ma anche una buona elasticità ed è dunque facilmente lavorabile. Le qualità dell’acciaio erano note fin da epoca antica, ma solo nella seconda industriali, che divennero più leggere, precise e potenti, dando così metà dell’800 furono inventate tecniche e costruiti altiforni adatti per una spinta decisiva ai processi di meccanizzazione. Ma fornì anche produrre su grande scala questo materiale a basso costo: il convertitore le strutture che resero possibile la costruzione di grandi edifici e di Bessemer (che depura la ghisa dal carbonio), il forno ad altissima temperatura realizzato da Karl Wilhelm Siemens e perfezionato da Pierre grandi ponti, ancor prima che, nel 1892, fosse introdotto nell’ingeMartin (1864) e il metodo di depurazione delle scorie, inventato da Sidney gneria civile l’uso del cemento armato, ossia del calcestruzzo rinforGilchrist Thomas nel 1878-79. zato da barre di ferro. Il primo palazzo con strutture in acciaio, il
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L’età dell’acciaio
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
◄ Joseph
Pennell, L’acciaieria di Bethlehem in attività maggio 1881 [Library of Congress, Washington] L’acquerello illustra l’attività di un’acciaieria in Pennsylvania di proprietà della Bethlehem Iron Company, uno dei simboli della rivoluzione industriale americana. Fondata nel 1857, la compagnia diventa presto il secondo produttore d’acciaio degli Stati Uniti, rifornendo la marina militare e i cantieri edili sparsi nel paese. Gran parte dell’acciaio con cui alla fine dell’800 si costruiscono i grattacieli di New York proviene da queste fabbriche.
▼ Manifesto
reclamizzante il solfato d’ammonio 1911 Questa pubblicità, pubblicata su un almanacco francese dell’inizio del XX secolo, mostra bene la fiducia nei fertilizzanti generatasi a seguito delle ricerche nel campo della chimica. Da un lato una coppia di contadini se la ride ammirando i prodotti di dimensioni esagerate del proprio campo fertilizzato, dall’altro due poveri contadini, che non hanno usato il solfato d’ammonio, non possono che piangere guardando i sassi che emergono dal loro terreno inaridito.
Tower Building di New York, alto dieci piani, fu costruito nel 1889. Nello stesso anno, in occasione dell’Esposizione universale di Parigi, l’ingegnere francese Alexandre-Gustave Eiffel realizzò una torre alta 300 metri e pesante 8 mila tonnellate, destinata a diventare il simbolo più celebre dell’età dell’acciaio [►FS, 141]. L’industria chimica abbracciava una grandissima varietà di produzioni: dalla carta al vetro, dai medicinali ai concimi, dai saponi ai coloranti, dagli esplosivi al cemento, dalla gomma alla ceramica. La stessa siderurgia, nel momento in cui usava procedimenti chimici per combinare diversi elementi, poteva essere considerata un settore della chimica applicata. Fu, per esempio, un processo chimico che, nel 1886, permise di ricavare dalla bauxite l’alluminio, divenuto presto un utile sostituto del ferro e dell’acciaio. Sotto la spinta incessante di nuove scoperte e invenzioni, intorno al 1870 fu sperimentata per la prima volta, in Gran Bretagna e soprattutto in Germania, la produzione dei coloranti artificiali, i cui princìpi furono alla base di molti successivi sviluppi della chimica organica. Nel 1875 un chimico svedese, Alfred Nobel, depositò il brevetto della dinamite. Nel 1888 l’invenzione dello pneumatico da parte dello scozzese John Boyd Dunlop aprì nuovi orizzonti all’industria della gomma. Fra l’89 e il ’92, furono realizzate in Francia e in Gran Bretagna le prime fibre tessili artificiali, derivate dalla cellulosa. La chimica ebbe un ruolo decisivo anche nel settore alimentare con l’invenzione di nuovi metodi per la sterilizzazione, la conservazione e l’inscatolamento dei cibi, e con lo sviluppo delle tecniche di refrigerazione. La diffusione degli alimenti in scatola, più rapida negli Stati Uniti, molto più lenta in Europa, e la costruzione dei vagoni e delle celle frigorifere rappresentarono un’autentica innovazione nell’ambito della più generale rivoluzione dei trasporti. Per tutto il mondo industrializzato,
L’industria chimica
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C17 La seconda rivoluzione industriale
la possibilità di conservare cibi deperibili e di trasportarli a grande distanza dai luoghi di produzione significava la liberazione definitiva dal rischio delle carestie.
petrolio Miscela di idrocarburi liquidi, nei quali sono disciolti idrocarburi solidi o gassosi, che si forma nei giacimenti sottomarini o del sottosuolo, in seguito a trasformazioni di sostanze organiche di origine vegetale e animale. Dopo l’estrazione, il petrolio viene lavorato nelle raffinerie. Se ne traggono numerosi prodotti, largamente in uso nella società odierna: combustibili come la benzina, il gasolio, il cherosene (che alimenta gli aerei e anche molte stufe domestiche) e il gas di petrolio liquefatto o Gpl (diffuso in bombole anche in ambiente domestico per la cucina o il riscaldamento); gli oli lubrificanti, gli asfalti e naturalmente tutti i prodotti petrolchimici, in primo luogo le materie plastiche.
Risultato di lunghi studi ed esperimenti, il motore a combustione interna o a scoppio (quello in cui è il combustibile a fornire la spinta motrice, esplodendo ed espandendosi in uno spazio limitato) vide una prima realizzazione ad opera del tedesco Nikolaus Otto che, nel 1876, costruì un motore a quattro tempi. Successivamente due ingegneri tedeschi, Gottlieb Daimler e Carl Friedrich Benz, riuscirono, separatamente, a montare dei motori a scoppio su autoveicoli a ruote, realizzando così, nel 1885, le prime automobili. Il combustibile usato era un distillato del petrolio che prese poi il nome di benzina, mentre, nel 1897, un altro ingegnere tedesco, Rudolf Diesel, inventò il motore a gasolio che porta ancora il suo nome. Tuttavia la diffusione dell’automobile fu lenta e avventurosa e solo all’inizio del ’900 si cominciarono a produrre autovetture a motore abbastanza veloci e affidabili. Questo sviluppo limitato fu tuttavia sufficiente a dare un impulso decisivo all’estrazione del petrolio,
Il motore a scoppio e il petrolio
PERSONAGGI
Marie Curie, la scienziata che vinse due Nobel
I
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l nome Maria Skłodowska suona poco conosciuto, eppure è così che fu registrata all’anagrafe di Varsavia Marie Curie (1867-1934). La scelta di naturalizzare il nome in francese e di assumere il cognome del marito non deve far pensare che fosse poco legata alla sua terra natia. Dalla famiglia, appartenente alla piccola (e impoverita) nobiltà polacca, Marie ereditò le simpatie per il movimento patriottico, in lotta per l’indipendenza della Polonia (divisa sotto il dominio della Russia zarista, dell’Impero asburgico e della Prussia). Dai genitori, entrambi insegnanti, ereditò anche la predisposizione allo studio. Concluso il ginnasio con successo, a Marie era precluso l’accesso all’università, che non ammetteva le donne. L’unica possibilità per lei e la sorella Bronia, con cui manterrà sempre un solido legame, era la Sorbona di Parigi. Qui, in un ambiente prevalentemente maschile (non erano ammesse le donne francesi), si fece strada con dedizione e impegno ed ebbe come docenti alcuni fra i più brillanti scienziati dell’epoca. Li ricordò come anni di studio monotoni, eppure fra i più belli della sua vita. Ottenute con successo la laurea in scienze e quella in matematica, Marie pensava
di tornare a Varsavia, per prendersi cura del padre e lavorare come insegnante. Così non fu, grazie all’incontro con Pierre Curie (1859-1906): insieme costruirono un matrimonio felice e uno dei sodalizi più riusciti nella storia della scienza. Marie rimase a Parigi e intraprese un dottorato alla Sorbona, in cui indagò il fenomeno, appena scoperto, delle radiazioni emesse dai sali di uranio. Pierre la aiutò costantemente nelle ricerche, come dimostrano i diari di laboratorio, fittamente annotati da entrambi. Quando si imbatté in alcuni composti dell’uranio e del torio che dimostravano un’attività radioattiva molto più alta dell’uranio stesso, Marie intuì che dovevano contenere un altro elemento. Nel 1898 scoprì due elementi chimici fino ad allora sconosciuti: il polonio (che chiamò così in onore della sua patria) e il radio. Sul secondo si concentrò la ricerca di Marie, che lavorò, in condizioni difficili, per isolarlo, estrarlo, e determinarne il peso atomico. I Curie osservarono come il radio sviluppasse calore in modo continuo e costante, contravvenendo al principio della conserva-
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
Marie Curie nel suo laboratorio 1905
soprattutto negli Stati Uniti dove, alla fine dell’800, era concentrata la metà della produzione mondiale. La diffusione dei prodotti petroliferi, usati anche come lubrificanti e come combustibili da riscaldamento e da illuminazione, era però ostacolata dagli alti costi di produzione: il prezzo del petrolio era molto più alto di quello del carbone, che rimaneva il combustibile di gran lunga più diffuso. Oggetto di studi e di esperimenti fin dai tempi del primo generatore di energia elettrica – la pila di Alessandro Volta (risalente al 1800 circa) – l’elettricità divenne una nuova e straordinaria fonte di energia tra il 1860 e il 1880, quando fu possibile realizzare congegni in grado di trasformare il movimento di un corpo entro un campo magnetico in corrente elettrica (dinamo e generatori), di immagazzinarla (accumulatori), di trasmetterla e distribuirla a grandi distanze, di utilizzarla per l’illuminazione o il riscaldamento o di ritrasformarla in movimento (motori elettrici).
Una nuova fonte d’energia: l’elettricità
zione dell’energia (il fenomeno fu spiegato in seguito da Rutherford e Soddy in base alle conoscenze sulla disintegrazione atomica). Scoprendo che maneggiare il radio provocava ustioni, i Curie per primi ne indagarono gli effetti fisiologici, tanto che si cominciarono ad usare le sue emanazioni per curare, con successo, il cancro della pelle. Nacque una terapia, tuttora in uso, e la necessità di estrarre il radio su scala industriale. Con generosità i Curie scelsero di non brevettare il loro metodo d’estrazione, perché tutti potessero ricavare il radio liberamente. Gli studi sulla radioattività valsero a Marie un insigne primato: fu la prima donna a ricevere il premio Nobel, conferito a lei e Pierre nel 1903, per la fisica. Pierre, dopo diversi rifiuti, venne ammesso alla prestigiosa Académie des Sciences e divenne docente di fisica alla Sorbona. Nel frattempo nacque Ève, seconda figlia della coppia (la primogenita Irène era nata nel 1897). La felicità, però, si interruppe bruscamente un pomeriggio piovoso del 1906, quando Pierre morì in un incidente stradale. Marie perse in un colpo solo il marito e il più prezioso collega. Per superare la depressione si dedicò intensamente alle figlie e al lavoro. Fu nominata a ricoprire l’incarico del marito, divenendo la prima donna ad insegnare alla Sorbona. In un vasto studio, il Traité de radioactivité, analizzò con precisione le ricerche fino ad allora condotte sulla
radioattività – «la chimica dell’invisibile», come lei la definì. Si occupò, inoltre, di preparare il campione di misura del radio, che doveva essere usato come termine di confronto per tutte le ricerche internazionali, e riuscì ad ottenere il radio allo stato metallico. L’importanza degli studi che continuava a svolgere le valse, nel 1911, un secondo premio Nobel, questa volta per la chimica. La sua attività aveva aperto, inoltre, le porte ad ulteriori studi sulla fisica dell’atomo. Mentre fioccavano i riconoscimenti internazionali, la Francia si dimostrava insolitamente ostile: l’Académie des Sciences rifiutò di accogliere Marie fra i suoi membri, rimanendo un’istituzione esclusivamente maschile. Nel frattempo alcuni quotidiani di destra avevano orchestrato una campagna diffamatoria ai suoi danni, dopo la scoperta della sua relazione con Paul Langevin, suo collaboratore all’epoca sposato. Lo scandalo, oltre a causare la fine della sua relazione con Langevin, accentuò i tratti del suo carattere più rigidi e austeri. Nonostante quest’episodio, non esitò, allo scoppio della prima guerra mondiale, ad aiutare la sua patria adottiva. Sospese l’insegnamento per prestare aiuto nel Servizio Sanitario Nazionale, dove realizzò le petites curies, unità mobili attrezzate con apparecchi ai raggi X, che si muovevano lungo la linea del fronte. Finita la guerra, dopo un trionfale viag-
pila/dinamo La pila è un dispositivo che serve a convertire energia chimica in energia elettrica. Fu realizzata nel 1799 da Volta alternando dischi di rame e zinco, separati da strisce di tela imbevuta di acqua acidulata; inseriti verticalmente in un supporto di legno, i dischetti erano collegati da due fili di rame alle due estremità della colonna. La corrente elettrica era generata dalla differenza di potenziale elettrico fra i due metalli, sollecitata dalla reazione chimica provocata dal panno umido. La pila restò l’unico modo per produrre corrente elettrica sino all’invenzione da parte del fisico pisano Antonio Pacinotti della prima dinamo (1869), una macchina rotante in un campo magnetico capace di generare elettricità attraverso il movimento, cioè mediante l’energia meccanica.
gio negli Usa, riuscì a realizzare il sogno che era stato anche del marito: la creazione a Parigi (e poi a Varsavia) dell’Institut du Radium, il primo centro per lo studio fisico e chimico degli elementi radioattivi e per la ricerca sulle loro applicazioni mediche. Il radio era usato contro il cancro e per il trattamento di diverse malattie, ma non si comprendevano ancora appieno gli effetti che le radiazioni potevano avere sulla salute umana. Proprio in questo periodo molti dei collaboratori della Curie si ammalarono, e anche lei cominciò a riscontrare danni alla vista e all’udito. Cercò di tenere segrete le sue sofferenze e non si sottrasse mai alla direzione del laboratorio, affiancata dalla figlia Irène e da suo marito Frédéric Joliot, premiati col Nobel per la chimica, nel 1935, per la scoperta della radioattività artificiale. Marie non poté assistere alla premiazione: morì nel 1934, in seguito ad un’anemia causata dall’esposizione eccessiva alle radiazioni. Senza cerimonie ufficiali, alla sola presenza di amici e colleghi, venne sepolta accanto al marito Pierre, in un cimitero fuori Parigi. I fratelli sparsero sulla sua tomba una manciata di terra polacca. Nel 1995, per volere del presidente Mitterrand, le salme dei coniugi Curie sono state traslate nel Panthéon di Parigi, segnando l’ultimo primato di Marie, l’unica donna ad essere stata accolta nel mausoleo dove riposano le glorie della Francia.
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C17 La seconda rivoluzione industriale
Ma l’invenzione decisiva per lo sviluppo dell’industria elettrica fu la lampadina a filamento incandescente, ideata dallo statunitense Thomas Alva Edison nel 1879. Nacquero così, all’inizio degli anni ’80, in Gran Bretagna, in Francia, in Germania, negli Stati Uniti e anche in Italia, le prime centrali termiche (azionate cioè da motori a vapore), capaci di fornire energia elettrica soprattutto all’illuminazione privata. Più lenta fu l’affermazione dell’elettricità come mezzo di illuminazione pubblica: ai primi del ’900, le principali città europee erano ancora illuminate con lampade a gas. A partire dalla fine dell’800, comunque, l’energia elettrica cominciò a essere adoperata anche per i mezzi di trasporto – come le tramvie – e per gli usi industriali: essa fornì alle fabbriche una nuova forza motrice e rese possibili nuove lavorazioni nella chimica e nella metallurgia. Contemporaneamente si fece strada l’idea di ricorrere per la produzione di elettricità, anziché alle macchine a vapore, all’energia idraulica che sfrutta la caduta, naturale o artificiale, dei corsi d’acqua. La costruzione di centrali idroelettriche ebbe impulso, nell’ultimo decennio del secolo, soprattutto in quei paesi, come l’Italia del Nord, che erano poveri di carbone ma ricchi di bacini idrici.
Telefono, grammofono e cinematografo
Sempre legate all’elettricità furono altre novità non meno rivoluzionarie: il telefono, inventato nel 1871 dall’italiano Antonio Meucci e perfezionato pochi anni dopo in Nord America dallo scozzese Alexander Graham Bell; il grammofono, ideato da Edison nel 1876; e infine il cinematografo, sperimentato in ◄ La
produzione delle lampadine a incandescenza 1895 [copertina della rivista «Scientific American», n. 15, 13 aprile 1895] L’illustrazione della rivista scientifica mostra le varie fasi di produzione delle lampadine a incandescenza, dalla montatura e inserimento del filamento alla sigillatura.
► La
lampadina di Thomas Alva Edison
del telefono Così la rivista «Scientific American» rappresentò, sulla prima pagina del 6 ottobre 1877, l’invenzione del telefono.
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► L’invenzione
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
Francia nel 1895 dai fratelli Louis e Auguste Lumière. Queste invenzioni erano destinate a produrre i loro effetti soprattutto nel ’900. Ma, già al loro apparire, fecero intravedere la possibilità di nuovi sviluppi nel campo delle comunicazioni, e anche di nuovi linguaggi e di nuove forme di espressione artistica [►FS, 147].
METODO DI STUDIO
a Sottolinea tutti i settori in cui fu utilizzato l’acciaio. b Trascrivi sul quaderno i titoli dei sottoparagrafi e descrivine sinteticamente i contenuti indicando gli apporti del settore descritto nel sottoparagrafo alla seconda rivoluzione industriale. c Trascrivi sul quaderno gli artefici delle grandi invenzioni del periodo in questione e descrivi brevemente il loro contributo.
17_ 3 NUOVI TRAGUARDI PER LA SCIENZA MEDICA
Negli ultimi decenni dell’800 la medicina si trasformò in una disciplina scientifica abbandonando le pratiche empiriche della tradizione [►FS, 148]. Questa trasformazione si basava su quattro princìpi: la diffusione delle pratiche igieniste e la conseguente adozione di efficaci strategie di prevenzione e contenimento delle malattie epidemiche; lo sviluppo della microscopia, che consentì di identificare i microrganismi responsabili di alcune malattie infettive; i progressi della farmacologia che permise la sintesi e l’estrazione di numerose sostanze in grado di modificare il corso naturale delle malattie; la nuova ingegneria sanitaria, che rese possibile, con la costruzione dei grandi “policlinici” (con reparti specializzati), l’osservazione sistematica del malato.
La medicina diventa una scienza
► Leggi anche: ► Laboratorio di cittadinanza Medicina e sanità pubblica, p. 607 ► Fare Storia Un’età di innovazioni, p. 639
Partendo da osservazioni empiriche e dati statistici inoppugnabili e proponendo una serie di interventi dimostratisi poi efficaci (la canalizzazione delle acque di scarico, la lotta contro il sovraffollamento nelle abitazioni, la rigida circoscrizione dei focolai di epidemie), gli igienisti riuscirono a diffondere alcune pratiche preventive e a
La diffusione delle pratiche igieniste
William Heath, Una zuppa di mostri comunemente chiamata Acqua del Tamigi 1828 [Wellcome Library, Londra] In questa caricatura inglese, l’osservazione al microscopio di una goccia di tè lascia inorridita una donna borghese, che fa cadere la sua tazza dopo aver visto con la lente centinaia di esseri mostruosi e sconosciuti. Si tratta dei batteri che pullulano nell’acqua inquinata del Tamigi, una delle cause principali della diffusione di colera e tifo all’inizio dell’800.
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C17 La seconda rivoluzione industriale
imporle, nonostante l’ostilità di gran parte della medicina “accademica”, all’attenzione dei poteri pubblici. Il rispetto dell’igiene si diffuse gradualmente anche negli ospedali, luoghi spesso di contagio e di infezione più che di cura, con l’adozione di alcune pratiche, che oggi a noi paiono elementari, come quella di lavarsi le mani tra una visita e l’altra. Parallelamente il francese Louis Pasteur e il tedesco Robert Koch identificarono dei microrganismi come agenti di alcune gravi malattie infettive: la peste, il colera e la tubercolosi. Una scoperta che, accertando la responsabilità dei germi nella genesi delle malattie infettive, dimostrava anche come le condizioni ambientali non fossero di per sé sufficienti a provocare l’insorgere del male, e che fu usata da molti medici per svalutare l’importanza dei fattori igienici. Un’ulteriore e decisiva spinta ai progressi della medicina venne, sempre nella seconda metà dell’800, dalle scoperte della chimica, che consentirono di agire sui processi fisiologici con l’isolamento di una serie di sostanze e la sintesi di numerosi farmaci. Già nel 1846, la scoperta degli effetti anestetici dell’etere dietilico aveva aperto la
Nuovi farmaci e nuovi ospedali
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Il cortile dell’ospedale a padiglioni Lariboisière di Parigi Il tipo di ospedale a padiglioni, adottato ovunque su larga scala a partire dalla metà dell’800, è costituito da diversi reparti, quasi sempre a due o tre piani, nettamente separati oppure comunicanti attraverso pensiline chiuse. In questa tipologia
ospedaliera i malati sono suddivisi nei padiglioni secondo il genere di malattia, il sesso e l’età, in modo che ogni sezione abbia la migliore esposizione al sole e ventilazione, che i contatti fra i diversi malati siano ridotti al minimo e che i reparti siano il più possibile rispondenti alle moderne esigenze di igiene. Uno dei primi e più celebrati esempi di architettura ospedaliera
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
a padiglioni è l’ospedale Lariboisière di Parigi. Inaugurato nel 1854, l’ospedale è costituito da dieci padiglioni disposti sui lati lunghi di un grande cortile rettangolare, connessi da un camminamento coperto che costeggia tutto il perimetro del cortile, più due corpi di fabbrica centrali che ospitano la cappella e gli uffici amministrativi.
strada alla pratica dell’anestesia chirurgica. Nel 1860 fu la volta dell’acido acetilsalicilico, che dal 1875 avrebbe costituito la base della più diffusa fra le medicine dei nostri tempi, l’aspirina. Sempre al 1875 risale la sintesi del diclorodifeniltricloroetano (meglio noto come Ddt), un potente insetticida che consentì progressi decisivi nella lotta contro la malaria. Grazie a scoperte come queste, si sviluppò rapidamente una nuova industria farmaceutica, le cui fortune coincisero in molti casi con le fortune personali di celebri ricercatori come i tedeschi Friedrich METODO DI STUDIO Bayer e Heinrich Emanuel Merck. a Individua e numera sul testo i princìpi su cui si fondò la trasformazione della medicina in diLa radicale trasformazione delle terapie andò di pari passo con la contemposciplina scientifica. ranea evoluzione subìta dagli ospedali, fino ad allora più ospizi per i poveri e i b Rispondi per iscritto alle seguenti domande: trovatelli che luoghi di cura per malati. Le nuove strutture realizzate in Europa a. Quali provvedimenti suggerivano gli igienisti e perché? b. Chi erano Pasteur e Koch e a quali risultati negli ultimi decenni del secolo, i policlinici, si basavano su un’organizzazione giunsero? c. Quali furono le principali scoperte comrazionale dello spazio, su padiglioni con ampie stanze ventilate, sulla suddivipiute in campo farmacologico e in che modo furono sione dei pazienti in reparti specializzati per tipi di malattie e sul rispetto delle modificati gli ospedali? più essenziali norme igieniche [►FS, 149d].
17_ 4 LA CRESCITA DEMOGRAFICA
A partire dalla seconda metà dell’800, i progressi della medicina e dell’igiene, assieme agli sviluppi dell’industria alimentare, determinarono un vistoso aumento della popolazione. I grandi fattori che nei secoli precedenti avevano inciso negativamente sull’andamento demografico (epidemie e carestie) sembravano ormai definitivamente eliminati, nonostante alcuni episodi significativi ma marginali che ancora colpivano le aree più depresse, come il colera a Napoli e a Palermo nel 1884-85. La vita media dell’uomo europeo, che era di 30-35 anni prima della rivoluzione industriale, poté salire a 50 anni alla fine del secolo. La popolazione europea, che fra il 1800 e il 1850 era passata da 190 a 270 milioni, raggiunse nel 1900 i 425 milioni: l’aumento fu dunque di quasi il 60% in cinquant’anni, senza contare i circa 30 milioni di individui che avevano abbandonato l’Europa e si erano in buona parte
L’innalzamento della vita media
LA CRESCITA DEMOGRAFICA
Pratiche igienico-sanitarie
Industria chimica conserviera
Industria farmaceutica
Riduzione della mortalità
Invenzione celle frigorifere per il trasporto di prodotti freschi
Riduzione impatto delle carestie
AUMENTO DEMOGRAFICO
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C17 La seconda rivoluzione industriale
trasferiti negli Stati Uniti; qui l’immigrazione, sommandosi all’incremento naturale della popolazione, fece quasi quadruplicare il numero degli abitanti – da poco più di 20 milioni nel 1850 a quasi 80 nel 1900. Questo aumento della popolazione fu tanto più notevole in quanto era dovuto soprattutto alla diminuzione significativa della mortalità e si accompagnava a una progressiva riduzione della natalità: questo duplice andamento individuava quella che i demografi hanno chiamato la seconda transizione demografica tipica del mondo contemporaneo. La tendenza al calo delle nascite, per effetto del controllo della fecondità e della diffusione delle pratiche contraccettive, si era manifestata precocemente in Francia già alla fine del ’700 e si diffuse in seguito in tutto l’Occidente. Questo comportamento demografico, proprio dei paesi economicamente più avanzati, esprimeva un nuovo atteggiamento nei confronti della vita e dei figli: un atteggiamento meno soggetto al tradizionale controllo delle norme religiose e orientato invece a programmare razionalmente la famiglia e il suo futuro [►FS, 136]. Agli inizi dell’età industriale i principali paesi europei avevano un tasso di natalità medio che si aggirava intorno al 35‰ (ossia 35 nati per anno ogni mille abitanti). Tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900, in Gran Bretagna, in Germania e negli Stati Uniti, il tasso scese sotto il 30‰. In Francia la natalità era inferiore al 30‰ già nel decennio 1830-39. In Italia e in altri paesi mediterranei, ancora alla fine dell’800, il tasso si manteneva invece ben al di sopra del 35‰: sarebbe sceso sotto il 30‰ solo negli anni ’20 del ’900. Per quanto riguarda l’Asia e l’Africa, anch’esse conobbero nella seconda metà dell’800, nonostante il permanere di alti tassi di mortalità, un incremento della popolazione abbastanza consistente (rispettivamente del 30 e del 20%), anche se molto più limitato di quello dell’Europa. Il rapporto fra la crescita demografica delle aree industrializzate e quella dei paesi non ancora toccati dalla modernizzazione avrebbe cominciato a invertirsi solo con l’inizio del ’900.
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La diminuzione delle nascite
Mary Cassatt, Madre e figlio 1890 ca. [Wichita Art Museum, The Roland P. Murdock Collection, Kansas]
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le cause dell’incremento della popolazione europea e nordamericana durante l’800. b Spiega per iscritto i seguenti punti: a. in cosa consiste la seconda transizione demografica tipica del mondo contemporaneo; b. come era cambiata la speranza di vita di un uomo europeo tra il XVII e il XIX secolo; c. che tipo di rapporto è possibile individuare fra la crescita demografica delle aree industrializzate e quella dei paesi non ancora toccati dalla modernizzazione in questo periodo storico.
LABORATORIO DI CITTADINANZA MEDICINA E SANITÀ PUBBLICA
L
a sanità pubblica è costituita da tutti gli organismi statali (centrali, come in Italia il Ministero della Salute, e periferici, come le Aziende sanitarie locali) chiamati a tutelare lo stato di salute di una comunità prevenendo le cause delle malattie e predisponendo appositi meccanismi di intervento per controllare e curare la malattia una volta che si sia manifestata. Consiste quindi in un’azione diretta e programmata dello Stato per la tutela di un diritto fondamentale dell’individuo, quello alla salute. Sebbene in misura estremamente variabile, esempi di sanità pubblica sono riscontrabili già nell’Antichità: provvedimenti come la quarantena, l’isolamento degli appestati e gli ospedali, per quanto assolutamente inadeguati, rappresentavano un esempio di intervento “pubblico” volto a tutelare le condizioni di salute della popolazione (allontanando malati e mendicanti dalla vita sociale). Lo stesso si potrebbe dire a proposito dell’acquedotto romano – che forniva alla popolazione acqua corrente –, dei sistemi fognari e dei famosi bagni e terme dell’Antichità. Fu la Francia rivoluzionaria, nel 1793, a riconoscere il diritto alla salute tra i diritti fondamentali dell’uomo e a indicare nello Stato il principale garante di questo diritto. Ma i primi passi concreti furono compiuti in Gran Bretagna dove, a partire dal 1802, furono varate una serie di leggi per tutelare, con una riduzione delle ore di lavoro, i lavori più faticosi e rischiosi come quelli in miniera e nelle fabbriche. Nel frattempo, dopo le scoperte del medico Edward Jenner (17491823), si andava diffondendo la vaccinazione contro il vaiolo e le nuove conoscenze scientifiche spingevano la classe politica a intervenire in modo sempre più concreto. Così, con il Public Health Act (1848) la monarchia britannica istituì nelle principali città degli uffici sanitari con il compito di controllare acque, fogne e alimenti. I medici degli uffici sanitari locali dovevano: «ispezionare e relazionare periodicamente sulle condizioni sanitarie della città, accertare l’esistenza delle malattie, ed in particolare di epidemie che determinano l’aumento dei tassi di mortalità, indicare ogni inconveniente o altre cause locali che possono causare e mantenere tali malattie [...], indicare inoltre le modalità per controllare e prevenire la diffusione di tali malattie». Quello britannico
fu di fatto il primo esempio nella storia di sistema sanitario nazionale. Molto incisive furono anche le iniziative in campo sanitario in Germania dove, nel 1876, furono introdotti un Ufficio di igiene pubblica e una legislazione igienico-sanitaria unica per tutto il paese. Pochi anni dopo, ► Heinrich
1847
nel 1883, il cancelliere tedesco Otto von Bismarck (1815-1898) introdusse il sistema delle assicurazioni obbligatorie contro le malattie (gli operai avrebbero ricevuto un’indennità di malattia per le prime tredici settimane di assenza dal lavoro per motivi di salute). Negli anni ’70 dell’800, con la nascita della batteriologia, gli interventi sanitari ebbero finalmente una base scientifica e affidabi-
Hoffmann, Pierino Porcospino
Pierino Porcospino è un personaggio creato dal medico tedesco Heinrich Hoffmann, come modello negativo del bambino ribelle alle regole dell’educazione e dell’igiene. I rigidi schemi pedagogici ottocenteschi nascevano anche dalla necessità di imporre norme per la difesa dalle malattie e dalle infezioni in un periodo in cui si andava diffondendo la tutela per l’igiene personale e pubblica. Gli stessi princìpi sono alla base della riorganizzazione ottocentesca degli ospedali, dove reparti e sale operatorie vengono progettati secondo criteri igienici e funzionali, come mostrato nella foto in basso: le pareti sono tutte piastrellate per assicurare la pulizia, una lampada è disposta al di sopra del tavolo operatorio per assicurare la migliore illuminazione, gli strumenti custoditi e protetti in apposite vetrine sono ordinatamente disposti per l’uso, il tavolo, snodato, consente di sollevare le spalle del paziente facilitandone la respirazione, infermieri e medici vestono con uniformi. Sul volto del paziente la maschera per l’anestesia, che negli stessi anni diviene una pratica diffusa. ▼ Un
intervento chirurgico seconda metà XIX sec.
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C17 La seconda rivoluzione industriale
le. Ciò permise di unificare la ricerca medica sulle cause e le terapie delle malattie. Fu così che nacquero le prime organizzazioni sanitarie internazionali, come l’Ufficio sanitario panamericano (1902) di Washington e l’Ufficio internazionale di igiene pubblica (1907) con sede a Roma. Nel secondo dopoguerra, l’Organizzazione mondiale della sanità fu la prima istituzione internazionale a porsi come obiettivo la tutela della salute a livello mondiale. In Italia, dove nel 1800 erano stati vaccinati 400 bambini contro il vaiolo, verso la fine del XIX secolo si fece molto acceso il dibattito sulla necessità di un intervento pubblico in materia sanitaria. Essenziale fu il contributo di medici e ricercatori. Secondo il parlamentare e medico Augusto Murri (1841-1932), quando un medico «è condannato tutta la vita a contemplare, impotente, di quante calamità gli ordinamenti sociali e politici son fecondi per tanti sventurati, egli diventa nemico di questo che pomposamente si suole
chiamare ordine [...]. Per questo noi ci schieriamo tra coloro che combattono più ardentemente per un ordine nuovo». Per i medici attivisti italiani dell’800 la salute pubblica era una missione. «L’ora è propizia. I medici colgano il destro del risveglio che nelle popolazioni manifestasi per tutto che tocca la salute pubblica»: così scriveva il medico e senatore Giacinto Pacchiotti (1820-1893). Le parole e le pressioni di questi autorevoli e appassionati esponenti della politica italiana non rimasero inascoltate e nel 1887, presso il Ministero dell’Interno, nacque il primo Ufficio di sanità. Un ruolo di avanguardia nel contesto internazionale fu svolto ancora dall’Italia con la Costituzione del 1948, la prima a livello mondiale a contemplare il diritto alla salute tra i diritti fondamentali. Infatti l’articolo 32 dichiara che: «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti». Criteri ispiratori della norma furono i princìpi di
libertà e uguaglianza e la possibilità, per tutti i cittadini, di accedere alle cure mediche secondo la propria volontà, come garantito dal secondo comma dell’articolo: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». L’attuale Sistema sanitario nazionale (Ssn) italiano è nato nel 1978, sulla scorta dei princìpi costituzionali. A differenza dei sistemi sanitari assicurativi (come quelli bismarckiano e statunitense), il modello del Sistema sanitario nazionale prevede la copertura sanitaria dell’intera popolazione nazionale tramite strutture pubbliche (o convenzionate) e viene finanziato per mezzo del prelievo fiscale. Il sistema sanitario italiano, se da una parte assicura il pieno godimento di un diritto fondamentale, dall’altra ha il grave inconveniente di essere molto oneroso per le casse dello Stato, unico responsabile di una lunga serie di prestazioni che vanno dalla prevenzione alla cura e riabilitazione del malato.
COSTRUIAMO IL LESSICO DEL CITTADINO 1 Leggi la scheda e completa sul quaderno le seguenti definizioni:
a. Si definisce tutela della salute il principio costituzionale in base al quale lo Stato ................................................................. ............................................................................................................................................................................... b. Si definisce Sistema sanitario nazionale il sistema di ....................................................................................................... ...............................................................................................................................................................................
IL DIRITTO ALLA SALUTE NELLA STORIA 2 Completa la tabella inserendo i provvedimenti presi dai governi europei, tra fine XVIII e inizio XIX secolo, a tutela del
diritto alla salute dei cittadini. Data/e
Francia
............................................... ..................................................................................................................................................................
Gran Bretagna
• ............................................ • ............................................................................................................................................................... • ............................................ • ...............................................................................................................................................................
Germania
• ............................................ • ............................................................................................................................................................... • ............................................ • ...............................................................................................................................................................
Italia
............................................... ..................................................................................................................................................................
608
Paese
Provvedimento/i
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
3 Spiega in che modo la classe politica italiana ha modificato in positivo il proprio atteggiamento nei confronti della
salute pubblica tra la fine dell‘800 e l’avvento della Repubblica.
NOI E IL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE (SSN) 4 Per scoprire come nel concreto lo Stato tutela la nostra salute, consulta il sito ufficiale del Ministero della Salute
(www.salute.gov.it). Sulla barra di navigazione in alto, clicca su “La nostra salute”, poi su “Tu e il Servizio Sanitario Nazionale”, ancora su “Il Servizio Sanitario Nazionale”.
Rispondi ora ai seguenti quesiti, navigando all’interno di questa sezione: a. Quali sono i princìpi fondamentali su cui il Ssn si basa? b. Quali i suoi princìpi organizzativi? c. In che modo il cittadino contribuisce al funzionamento del Ssn? d. Che cos’è il ticket? Chi ha diritto all’esenzione? e. In quali casi il cittadino può rivolgersi gratuitamente a strutture sanitarie private? f. Che cos’è la tessera sanitaria? Come la si può richiedere? g. Che cosa sono i Livelli essenziali di assistenza (Lea) e in cosa consiste la loro importanza? h. Come si finanzia il Ssn? Clicca ora su “Servizi al cittadino e al paziente” e rispondi alle domande: a. I cittadini iscritti al Ssn possono ricevere cure nei paesi dell’Ue? b. I cittadini non comunitari hanno diritto all’assistenza sanitaria?
PROTEGGIAMO LA NOSTRA SALUTE 5 Lo Stato tutela la salute non solo attraverso interventi finalizzati alla cura delle malattie già intervenute, ma anche
attraverso campagne di informazione, prevenzione e diagnosi precoce. Una adeguata informazione è importante ai fini della prevenzione, poiché ci consente di evitare comportamenti dannosi per il nostro equilibrio fisico e psichico o che possono favorire l’insorgere di certe patologie.
Dalla barra di navigazione del sito del Ministero della Salute (www.salute.gov.it) clicca su “Temi e professioni”, su Indice A-Z e poi su “Guadagnare salute-Stili di vita”. Leggi in cosa consiste il programma e approfondisci uno dei seguenti temi: attività fisica, alcol, alimentazione, fumo. Immagina di lavorare per un’agenzia di comunicazione incaricata di realizzare uno spot pubblicitario per una campagna di prevenzione. Puoi utilizzare i mezzi tradizionali o i nuovi media: l’importante è veicolare in maniera semplice, chiara ed efficace il messaggio di prevenzione.
CHE COS’È L’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ (OMS)? 6 Per saperne di più sull’istituzione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), i suoi obiettivi e gli strumenti di
cui si serve per perseguirli, dalla barra di navigazione del sito del Ministero della Salute (www.salute.gov.it) clicca su “Temi e professioni”, poi su “Sanità internazionale” e infine su “Organizzazione Mondiale della Sanità”.
Leggi il documento e riassumilo in tre slide di PowerPoint: storia/obiettivi/organi di governo.
609
C17 La seconda rivoluzione industriale
ARTE E TERRITORIO DISEGNARE COL FERRO: L’INDUSTRIA AL SERVIZIO DELL’ARCHITETTURA URBANA
I
nuovi processi industriali avevano messo a disposizione l’uso del ferro anche per gli architetti. I progettisti delle città potevano contare su leghe metalliche come la ghisa, che fondendo a temperature non troppo elevate può essere utilizzata per creare con degli stampi colonne, travi, ringhiere e inferriate. Costruendo col ferro, infatti, i progettisti non dovevano tenere conto delle esigenze statiche e meccaniche proprie delle strutture murarie tradizionali. Le potenzialità di questo materiale per le infrastrutture delle città industriali del XIX secolo erano enormi, e il paesaggio urbano tradizionale accolse così ponti, acquedotti, padiglioni e antenne, elementi che dovevano sembrare avveniristici agli uomini e alle donne del tempo. Del resto, era uno degli scopi di queste realizzazioni e non è un caso che le costruzioni in ferro fossero il materiale prediletto per le esposizioni universali. La Tour Eiffel, inaugurata proprio per l’Esposizione di Parigi del 1889, doveva servire proprio a mostrare quanto fossero superiori le tecniche ingegneristiche francesi, prima ancora di essere utilizzata come stazione meteorologica e antenna radio. Per intervenire nella realtà trasformandola in funzione delle nuove esigenze, i progettisti dell’800 attinsero dunque agli ambiti più di-
versi. Calcolo strutturale, fattore economico e prodotto industriale erano i nuovi criteri che dovevano ora guidare la realizzazione delle infrastrutture. Grazie all’apporto degli ingegneri, anche l’architettura urbana si industrializzò. In primo luogo, si cominciarono a utilizzare elementi prefabbricati realizzati per mezzo delle tecniche messe a punto negli stabilimenti manifatturieri (blocchi di cemento armato, segmenti metallici, lastre di vetro, ecc.). Soprattutto, però, per i suoi progetti venne messa in piedi una vera e propria organizzazione industriale. I cantieri furono fabbriche dentro le città, per il numero di persone coinvolte, per l’indotto produttivo in grado di generare, per il rapporto sempre più stretto tra ideazione architettonica e soluzioni ingegneristiche di avanguardia. Basti pensare alla complessa macchina industriale necessaria a realizzare con l’acciaio il ponte di Brooklyn, che ancora oggi attraversa il fiume East River a New York. John August Roebling (1806-1869) propose l’idea per la prima volta nel 1855, ma i lavori iniziarono solo nel 1868. Il primo progettista morì per una brutta ferita sul cantiere e la direzione dei lavori passò allora al figlio Washington. Riuscire a trovare i capitali e a calcolare la tenuta statica dell’opera non era però la parte più difficile
Alexandre-Gustave Eiffel, Torre Eiffel 1887-89, acciaio, altezza totale 324 m. Parigi
dell’impresa. Le condizioni di lavoro erano pessime, soprattutto per gli operai impegnati nelle fondazioni subacquee del ponte. Costoro dovevano calarsi sotto le acque del fiume dentro delle casse pneumatiche ad alta pressione (i cosiddetti “cassoni”), in modo da non far entrare l’acqua dall’esterno. Gli incidenti furono però frequenti e molti persero la vita per annegamento o per le conseguenze dirette del lavoro in profondità. Washington Roebling stesso rimase paralizzato per un’embolia gassosa che si era procurato durante un sopralluogo nelle camere di scavo sottomarine. I lavori furono completati solo grazie alla caparbietà di sua moglie, Emily Warren Roebling, che diresse i lavori facendo la spola tra il cantiere e il letto del marito. Quando fu inaugurato nel 1883 era il più grande ponte sospeso mai costruito al mondo. PISTE DI LAVORO
a Realizza una piccola scheda divulgativa sulla Torre Eiffel, che non superi le 50/60 parole. Ricordati di digitare nella maschera di ricerca di Google “parigi.eu/monumenti/eiffel”. b Spiega in che senso il ponte di Brooklyn è un esempio di industrializzazione dell’architettura urbana.
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John Augustus Roebling, Il ponte di Brooklyn a New York 1868-83
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
SINTESI
17_1 CRISI E PROTEZIONISMO L’ultimo trentennio dell’800 vide una profonda trasformazione economica. La crisi di sovrapproduzione del 1873 diede inizio a una fase di rallentamento dello sviluppo e di caduta dei prezzi – conseguenza soprattutto delle trasformazioni organizzative e delle innovazioni tecnologiche. In Europa gli effetti più gravi della caduta dei prezzi si ebbero nell’agricoltura, anche per la concorrenza dei prodotti americani, più convenienti sul mercato. Si affermò nei vari Stati una politica di sostegno all’economia nazionale attraverso il protezionismo. Anche la crisi agraria favorì l’affermazione di politiche doganali per proteggere la produzione nazionale dalla concorrenza estera. Un altro effetto della crisi fu l’ingente migrazione europea verso le aree industriali d’oltreoceano. Solo la Gran Bretagna rimase estranea alla tendenza generale ad applicare misure protezionistiche, venendone danneggiata: alla chiusura dei mercati europei e allo sviluppo industriale di paesi concorrenti come Francia e Germania, reagì allargando i commerci internazionali con le colonie. Sempre di ispirazione protezionista fu la tendenza di varie imprese, spesso afferenti a uno
stesso settore, a consociarsi e accordarsi per una più efficace azione sul mercato (stabilendo, per esempio, il prezzo dei prodotti per ridurre al minimo la concorrenza). Queste complesse operazioni finanziarie (cartelli, pools, trusts) richiedevano un ingente impiego di capitali, per cui sempre più determinante risultò il sodalizio tra banche e industrie, che diede vita al cosiddetto capitalismo finanziario.
17_2 ACCIAIO, CHIMICA ED ELETTRICITÀ Mentre la prima rivoluzione industriale era stata dominata dal cotone e dal ferro, caratteristica fondamentale della seconda rivoluzione industriale fu il rinnovamento tecnologico nei nuovi settori dell’industria chimica, elettrica e dell’acciaio. Quest’ultimo, in particolare, migliorato nella sua qualità dalla messa a punto di procedure sempre più raffinate, conobbe applicazioni d’uso in svariati campi, da quello industriale a quello della nuova edilizia urbana. Furono soprattutto gli sviluppi della chimica, però, che aprirono nuove prospettive in quasi tutti i settori produttivi: dalla produzione di alluminio a quella dei coloranti e delle fibre tessili artificiali, ai nuovi
metodi di conservazione degli alimenti. L’invenzione del motore a scoppio e la produzione di energia elettrica furono, tuttavia, le novità che meglio rappresentano nell’immaginario comune la seconda rivoluzione industriale: la prima diede l’impulso decisivo all’estrazione del petrolio, mentre la seconda rivoluzionava – anzitutto con l’illuminazione – la vita quotidiana e, dalla fine dell’800, forniva una nuova importante forza motrice per gli usi industriali. Anche il campo delle comunicazioni venne rivoluzionato da innovazioni epocali: basti pensare al telegrafo (che consentiva la trasmissione quasi in tempo reale delle informazioni da un capo all’altro del mondo) e al grammofono e al cinematografo (che consentivano una riproduzione di suoni e immagini in movimento).
17_3 NUOVI TRAGUARDI PER LA SCIENZA MEDICA La trasformazione scientifica della medicina poggiò su quattro fattori. In primo luogo la prevenzione e il contenimento delle malattie epidemiche attraverso la diffusione delle pratiche igieniste e l’identificazione dei
microrganismi responsabili di malattie infettive come il colera, il tifo e la malaria, quest’ultima neutralizzata da un potente insetticida (il Ddt). Queste e altre malattie vennero, infatti, controllate e combattute grazie ai progressi della farmacologia e dalla nascita delle prime industrie farmaceutiche. Infine, la nuova architettura ospedaliera garantì migliori condizioni di trattamento e degenza ai malati, accolti ora in moderni ospedali (policlinici) organizzati in reparti.
17_4 LA CRESCITA DEMOGRAFICA I progressi della medicina e dell’igiene, sommandosi allo sviluppo dell’industria alimentare, favorirono in Europa una riduzione della mortalità, che a sua volta determinò un sensibile aumento della popolazione, soprattutto in quei paesi, come gli Stati Uniti, mete privilegiate dell’emigrazione oltreoceano. Ciò avvenne nonostante il calo delle nascite verificatosi, nei paesi economicamente più avanzati, a causa della diffusione di pratiche contraccettive e di una nuova mentalità tesa a programmare razionalmente la famiglia.
611
C17 La seconda rivoluzione industriale
SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Indica le affermazioni vere e correggi quelle errate.
a. Alla fine dell’800 si ebbero delle trasformazioni economiche tali che si è parlato di “seconda rivoluzione industriale”. ................................................................................................................................................................................. b. La caduta dei prezzi, tra il 1873 e il 1895, incise negativamente sul tenore di vita dei lavoratori salariati. ................................................................................................................................................................................. c. L’Inghilterra fu il primo Stato europeo a intraprendere politiche protezionistiche in campo economico. ................................................................................................................................................................................. d. Con il declino del liberismo si venne a creare uno stretto rapporto di compenetrazione fra banche e imprese. ................................................................................................................................................................................. e. Si venne a creare uno stretto intreccio tra imprenditori e operai chiamato trust. ................................................................................................................................................................................. f. Fino al 1913, l’impiego di acciaio fu limitato al settore cantieristico e militare. ................................................................................................................................................................................. g. Grazie ai bassi costi di produzione, alla fine dell’800, il petrolio divenne il combustibile più utilizzato. ................................................................................................................................................................................. h. L’utilizzo dell’elettricità come mezzo di illuminazione pubblica fu più lento rispetto all’impiego domestico. ................................................................................................................................................................................. i. Il rispetto dell’igiene fu inizialmente osteggiato da gran parte della medicina “accademica”. ................................................................................................................................................................................. l. L’aumento della popolazione, nella seconda metà dell’800, fu accompagnato dal calo delle nascite in Occidente. .................................................................................................................................................................................
V
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2 Completa la tabella sinottica relativa allo sviluppo dei nuovi settori industriali, potenziati o introdotti con la seconda
rivoluzione industriale. Settore di ricerca
Campi di applicazione/Nuovi prodotti
Nuovi materiali: l’acciaio
......................................................................................................................................................................................................................
..................................... Alluminio, coloranti artificiali, dinamite, pneumatici, fibre tessili artificiali; nuovi metodi per la conservazione e l’inscatolamento. ......................................................................................................................................................................................................................
Nuove tecnologie
Motore a scoppio, ............................................................................................................................................................................................
L’elettricità
......................................................................................................................................................................................................................
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I combustibili: il petrolio
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
3 Osserva con attenzione il manifesto pubblicitario e seleziona la didascalia più appropriata facendo riferimento a ciò
che osservi e alle informazioni in tuo possesso.
a. Grazie all’invenzione di Edison e ai successivi perfezionamenti industriali come quelli operati dalla Osram, fu possibile produrre e commercializzare delle lampadine a prezzi contenuti in grado di portare la luce “a tutti” (20 ore di luce al costo di un penny a lampada). b. Il manifesto della Osram pubblicizza delle lampade descritte come meravigliose perché adatte a destinatari delle classi sociali più elevate, le uniche in grado di pagare un prezzo così alto (20 ore di luce al costo di un penny a lampada).
Manifesto pubblicitario inglese per le lampadine Osram 1900 ca.
4 Completa le seguenti frasi inserendo le espressioni mancanti relative ai traguardi conseguiti nel campo dell’igiene
pubblica e della medicina.
1. Alla fine dell’800 la medicina si trasformò in una disciplina scientifica grazie alla diffusione di quattro princìpi: a. ..............................; b. microscopia; c. ..............................; d. ingegneria ospedaliera. 2. Si fecero una serie di interventi significativi per quanto concerne l’igiene pubblica: opere di canalizzazione delle acque di scarico, limitazione del .............................. nelle abitazioni, isolamento dei focolai di ..............................; abitudine dei medici a lavarsi .............................. tra una visita e l’altra. 3. Louis Pasteur e Robert Koch identificarono dei microrganismi che causavano alcune malattie come la peste, il .............................., la tubercolosi. 4. Anche nel settore sanitario la chimica diede un apporto notevole al progresso: l’uso dell’etere dietilico aveva aperto la strada alla pratica dell’ .............................. L’acido acetilsalicilico fu alla base dell’.............................. Al 1875 risale anche l’uso del Ddt contro la .............................. 5. Nascono i .............................., luoghi in cui lo spazio e i pazienti venivano organizzati in maniera più razionale, in base alle malattie.
COMPETENZE IN AZIONE 5 Scrivi sul quaderno un testo di massimo 20 righe sulla “seconda rivoluzione industriale” scegliendo il taglio e il titolo
per il tuo elaborato. Tra gli argomenti di seguito, seleziona quelli che si adattano alla tua trattazione. Inserisci nel tuo elaborato anche alcune immagini del capitolo (almeno 3).
● Capitalismo finanziario ● Protezionismo ● Crisi agraria in Europa ● Sovrapproduzione e caduta dei prezzi ● Emigrazione europea ● Aumento dei salari ● Produzione in serie ● Motore a scoppio ● Elettricità 613
C17 La seconda rivoluzione industriale
6 Rispondi sul quaderno alle seguenti domande inerenti ai fenomeni che caratterizzarono la crisi agraria europea:
a. L’Europa costituiva una realtà omogenea sul piano agricolo? Per quali ragioni? b. Che cosa rese possibile la formazione di un mercato internazionale dei prodotti agricoli? Quali ripercussioni ebbe sull’economia europea? c. Attraverso quali interventi i governi nazionali cercarono di sostenere le economie locali? Con quali conseguenze sociali? d. In che modo l’economia statunitense beneficiò della crisi europea? Quali flussi alimentò?
COMPITI DI REALTÀ 7 Realizzare un capitolo di un libro per ragazzi a tema storico.
Tema storico da affrontare: La seconda rivoluzione industriale.
Contesto di lavoro
Lavori per una casa editrice specializzata in libri per bambini e ragazzi e curi una collana sulla storia del mondo. I tuoi superiori hanno deciso di realizzare un libro sulla seconda rivoluzione industriale. Nel libro, pensato per ragazzi di circa 13 anni, grande spazio avranno le immagini e le scoperte scientifiche di questo periodo e i nuovi modi di vivere.
Cosa devi fare
Con il tuo gruppo avete il compito di preparare un capitolo che affronti le scoperte scientifiche e il ruolo di scienziati e pensatori, mettendo in rilievo gli aspetti che hanno trasformato il modo di vivere delle persone. Per realizzare questo compito dovete: ● individuare i concetti su cui volete far focalizzare l’attenzione dei ragazzi e che diventeranno i paragrafi del vostro capitolo. ● indicare i titoli dei paragrafi del vostro lavoro e realizzare una scaletta con i concetti che volete affrontare in essi (due o tre per paragrafo). ● selezionare sul manuale le immagini (fonti ed eventuali carte geostoriche o mappe concettuali) più adatte ai singoli paragrafi. ● ricercare online le immagini mancanti, per es. quelle relative alle invenzioni o agli scienziati. Se cercate anche fonti d’epoca e carte geostoriche, ricordate di utilizzare solo siti che risultino affidabili (validati da ricercatori o professori universitari, da gruppi di ricerca storica o che lavorano nel mondo della scuola, da case editrici, ecc.). ● realizzare per ogni immagine una didascalia esplicativa che descriva l’immagine e il suo significato e che contenga anche le informazioni che è possibile ricavare in relazione al tema in esame. ● scrivere il testo facendo attenzione a renderlo adatto a ragazzi di circa 13 anni seguendo alcune regole: 1. scrivete frasi non complicate e non troppo lunghe; 2. se utilizzate parole tecniche, proprie del linguaggio storico, fate in modo che la frase ne riveli il senso, oppure realizzate un box da inserire al lato del testo con la spiegazione del significato (in questo caso realizzerete la voce di un glossario); 3. fate riferimento alle immagini; 4. evitate descrizioni troppo tecniche.
Presentazione del lavoro svolto
Il lavoro di ogni gruppo sarà presentato davanti al direttore della casa editrice e deve prevedere: una relazione introduttiva del metodo utilizzato e dei contenuti affrontati da esporre oralmente (durata massima: 5 minuti) più la descrizione del percorso attraverso slide.
Tempo a disposizione
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1 ora per individuare sul manuale i concetti da affrontare, le immagini da utilizzare e realizzare le scalette di ogni paragrafo; 1 ora per cercare in Rete le immagini e le relative informazioni e confrontare i risultati ottenuti su diverse pagine web; 2 ore per la scrittura dei testi; 3 ore per la realizzazione del prodotto multimediale; 1 ora per impostare e provare la relazione.
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
FARESTORIA BORGHESI E OPERAI: MENTALITÀ E CONDIZIONI DI VITA Lo sviluppo dell’industrializzazione ebbe profonde conseguenze in campo sia economico sia sociale. Nella seconda metà dell’800 la borghesia si affermò come classe dirigente in ascesa. Era una classe molto eterogenea, ma esprimeva valori, comportamenti e mentalità simili, che tendevano a differenziarla sia dal vecchio ceto aristocratico che dagli strati sociali inferiori. È su questi aspetti che si concentra Jürgen Kocka [►125], guardando anche al successo che ebbe il “modello borghese”. Una testimonianza della mentalità borghese rispetto alle possibilità di ascesa, al successo personale e all’individualismo è illustrata dal brano di Samuel Smiles [►126d], giornalista e riformatore molto letto nella seconda metà dell’800. All’opposto, lo scrittore francese Honoré de Balzac [►127d] ci offre un quadro critico e disincantato della società borghese e dei suoi valori, mostrandone l’ambizione e il cinismo. L’industrializzazione, oltre all’ascesa della borghesia, provocò la crescita della classe operaia. Alain Dewerpe [►128] ci guida all’interno della fabbrica, simbolo della rivoluzione industriale, concentrando la sua attenzione sull’organizzazione del lavoro e sul suo disciplinamento. Friedrich Engels [►129d], invece, descrive appassionatamente la condizione di vita del proletariato inglese, considerando anche i suoi risvolti psicologici. Un altro importante romanziere francese dell’800 come Émile Zola [►130d] descrive la vita lavorativa e sociale di un gruppo di minatori. Lo storico Eric J. Hobsbawm [►131], invece, riflette sull’emergere sia di una cultura operaia, con alcune precise caratteristiche, che di una coscienza di classe, veicolo di coesione interna e di antagonismo verso le classi capitalistiche. Arno J. Mayer [►132], infine, rilegge in modo critico il tradizionale ruolo di innovazione assegnato alla borghesia, mettendo in luce la persistenza dell’antico regime nelle società europee.
125 J. KOCKA LA CULTURA BORGHESE
J. Kocka, Borghesia e società borghese nel XIX secolo, in Id. (a c. di), Borghesie europee dell’Ottocento [1989], Marsilio, Venezia 1995, pp. 19-23.
Lo storico tedesco Jürgen Kocka (nato nel 1941) è stato uno degli esponenti di spicco della Neue Sozialgeschichte (“nuova storia sociale”) e ha dedicato numerosi studi specifici alle trasformazioni delle società europee fra ’800 e ’900. Per Kocka, ad unificare i diversi settori di una classe Osservate da questa prospettiva di storia della cultura, la borghesia economica e quella colta ci appaiono egualmente dominate da una grande considerazione per le prestazioni individuali, su cui fondavano le loro pretese al benessere economico, alla stima sociale e all’influenza politica. Vi si intrecciava un atteggiamento positivo nei confronti del lavoro ordinato ed un’inclinazione tipica ad una condotta di vita razionale e metodica. In questo senso, caratteristicamente borghese era l’aspirazione all’autonomia organizzativa, anche nella forma dei circoli e delle asso-
eterogenea come quella della borghesia, erano lo sforzo di differenziarsi da nobiltà e ceti inferiori, la cultura e lo stile di vita. Nel brano proposto si analizzano gli elementi distintivi della mentalità, dei valori, del modo di vivere borghese. Questi si diffusero progressivamente in altri gruppi e strati sociali (il processo di cosiddetto «imborghesimento»), ma incontrarono sempre un limite nelle condizioni economiche e materiali da soddisfare per accedere alla borghesia (ad esempio il reddito).
ciazioni, dei consorzi e dell’autogoverno, in contrapposizione all’intervento autoritario dall’alto. L’enfasi sull’istruzione (invece che sulla religione) permeava l’immagine che il borghese aveva di sé e del mondo. Essa, testimoniata dall’uso delle citazioni o dalla facilità di conversazione, era al tempo stesso un segno di appartenenza ed un mezzo di distinzione. Un rapporto estetico con l’alta cultura (arte, letteratura, musica) le era proprio, non meno che il rispetto per la scienza. E sicuramente il mondo borghese era caratterizzato in modo determinante da uno spe-
cifico ideale familiare; la famiglia come una comunità autofondante con un fine autonomo, come una sfera modellata da rapporti emozionali, invece che dall’utilità e dalla concorrenza, e in contrasto con l’economia e la politica; la famiglia come spazio della privacy giuridicamente protetto, liberato dalle incombenze materiali dal «lavoro delle domestiche», e completamente separato dal mondo esterno. La cultura borghese fu un fenomeno urbano. Forse ad essa appartenne anche una certa parte delle virtù liberali come la tolleranza, la disponibilità al conflitto e al com-
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FARESTORIA BORGHESI E OPERAI: MENTALITÀ E CONDIZIONI DI VITA
promesso, la critica all’autorità e l’amore per la libertà [...]. Se dunque si sceglie di individuare la coesione dei borghesi e la loro differenziazione dagli altri attraverso norme, mentalità e modi di vita, si sarà indotti ad apprezzare l’enorme importanza delle forme simboliche per la costruzione di un’identità borghese: il modo di stare a tavola e le conversazioni, i titoli e le buone maniere, l’abbigliamento o i cappelli (oggi fuori moda). Questo insieme di momenti culturali che definiscono la borghesia è ciò a cui si allude quando si parla del modo di essere dei borghesi. [...] Indubbiamente la «borghesia», quando più, quando meno, fu sempre soltanto una formazione sociale sfaccettata, mal delimitata verso l’esterno e quindi dotata di una precaria unità. [...] Bisogna infine ricordare che la cultura borghese trasse dalle sue ascendenze illuministiche una componente generalizzante che era estranea alla cultura nobiliare, o patrizia, o contadina: l’aspirazione alla diffusione universale di norme borghesi come il riconoscimento delle capacità, una condotta di vita metodica e l’amore per il lavoro ordinato. Se qualcosa era vero, buono e bello, per principio lo doveva essere per tutti. Ai valori illuministici apparteneva anche la pretesa di costituire un modello educativo per l’umanità. [...] Con ciò la cultura borghese, per quanto funzionasse da segno di distinzione, finì per oltrepassare i confini dell’ambiente sociale d’origine. Quanto più essa fu forte, attraente o egemonica, tanto più si sottrasse a una precisa attribuzione sociale,
diventando idonea per l’esatta definizione di una borghesia chiaramente distinta, al punto che i confini esterni della borghesia diventarono tanto più incerti, quanto più solidamente si affermò il suo modello culturale. [...] Determinati elementi della cultura borghese esercitarono una considerevole forza di attrazione e di influenza. Si pensi al modello della famiglia borghese, al quale presto si aspirò anche negli ambienti operai. Istituzioni e strategie fra le più diverse operarono per diffondere stile di vita e valori, forme di relazione e di educazione di stampo borghese, superando le opposizioni che pure vi furono con l’aiuto del potere e della forza. Si pensi alla scuola e, in modo diverso, alla fabbrica. Indubbiamente l’«imborghesimento» di gruppi, strati e classi non borghesi – dai nobili ai contadini, agli operai, agli impiegati – fece dei progressi in parte stupefacenti, in parte almeno apprezzabili. Ma, al tempo stesso, tutta questa capacità espansiva aveva i suoi limiti: c’erano, infatti (e ci sono), determinate condizioni da soddisfare, perché la cultura borghese possa trovare realizzazione. Fra queste condizioni vi sono un reddito costante e ben al di sopra del minimo di sussistenza (qualunque ne sia la fonte), da cui dipende – sebbene non esclusivamente – una certa sicurezza e capacità di pianificare la vita; all’interno delle famiglie, una certa libertà della madre e dei figli da un lavoro manuale precoce e soffocante, in modo che sia loro possibile conservare e riprodurre quella cultura; di sicuro anche un certo distacco borghese dal lavoro manuale, e
126d SAMUEL SMILES UNA IDEOLOGIA BORGHESE: IL SELF HELP
S. Smiles, Aiutati, che Dio t’aiuta!, Napoli 1912, pp. 3-4; 7.
Nella seconda metà del XIX secolo ebbe larga diffusione in tutta Europa l’ideologia del self help (un’espressione inglese che si potrebbe tradurre col proverbio «aiutati, che Dio t’aiuta»), resa popolare dalle opere del giornalista e scrittore scozzese Samuel Smiles (1812-1904). Erano opere di carattere
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«Chi s’aiuta Dio l’aiuta» è il vecchio adagio che chiude in breve cerchia una vasta esperienza. Il contare sopra se stessi è radice feconda nell’individuo; diffuso in molti, è sorgente di vigore
METODO DI STUDIO
a Evidenzia con colori diversi i valori e modelli di riferimento borghesi e quelli a cui la borghesia si contrapponeva. b Definisci per iscritto le norme mentali e i modi di vita borghesi descritti dall’autore. c Spiega in che senso la cultura borghese oltrepassò i confini dell’ambiente sociale d’origine e quali erano i limiti di quella che Kocka definisce la «capacità espansiva» del modello di vita borghese.
pedagogico, che presentavano storie esemplari di uomini di umili origini che raggiungevano i massimi successi, grazie alle loro doti e alla loro dedizione al lavoro. La filosofia del self help, con la sua fiducia nella capacità dell’individuo di costruirsi il proprio destino indipendentemente dai privilegi di nascita, esprimeva bene i valori costitutivi della cultura borghese. Riportiamo alcuni brani dall’opera più celebre di Smiles, intitolata appunto Self Help (1859).
nazionale. L’aiuto che vien di fuori spesso infiacchisce, ma quel che da noi stessi deriva rianima e tempra. Checché si faccia a pro di singoli uomini o di classi, attenua in certo modo lo stimolo e la necessità
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
soprattutto: tempo libero. Quando queste condizioni non erano soddisfatte, l’imborghesimento trovava i suoi limiti, nonostante gli auspici dei riformatori o di coloro che desideravano diventare borghesi. Si capisce, così, perché i piccoli artigiani ed i piccoli impiegati restassero ai margini della borghesia e altri – operai e contadini – ne fossero del tutto esclusi. [...] Indubbiamente, dalla seconda metà del XIX secolo, col miglioramento dei livelli di vita e con la diffusione generalizzata dell’istruzione scolastica, i confini del mondo borghese subirono un ampliamento. Alcuni aspetti di questa cultura (per esempio l’alfabetismo, l’igiene, più tardi i viaggi) ebbero una diffusione universale. Ma nemmeno oggi quei limiti sono completamente scomparsi. La cultura borghese si è sempre trovata di fronte alla contraddizione tra la sua pretesa di universalità ed il suo esclusivismo reale. La conseguenza è stata che essa, nonostante la sua aspirazione ad oltrepassare i confini della borghesia, alla fine non ha mai smesso del tutto di confermarli (almeno «verso il basso»).
dell’iniziativa; e dovunque gli uomini son soggetti a una guida, che per loro pensi e provveda, accade inevitabilmente ch’essi diventino inetti ad agir da sé. Anche le migliori istituzioni non sono di
aiuto efficace all’individuo. Tutt’al più, gli daranno la libertà di svilupparsi e di migliorare la propria condizione. Ma in ogni tempo furon corrivi1 gli uomini a credere che il loro benessere dovesse dipendere più dalle istituzioni che non dalla propria condotta; epperò il valore benefico delle leggi fu ordinariamente esagerato. [...] Le leggi, bene amministrate, assicurano agli uomini il godimento dei frutti del loro lavoro materiale o intellettuale con un sacrificio personale relativamente piccolo; ma nessuna legge, per rigida che sia, farà mai industre l’infingardo, provvido il prodigo, sobrio il beone. Le biografie dei grandi, e specialmente dei buoni, sono molto istruttive ed utili, come aiuto, guida, incentivo. Alcune fra le migliori equivalgono quasi ad un vangelo, come quelle che inspirano nobiltà
ed energia di atti e di pensieri per il bene individuale e generale. Gli esempi autorevoli che vi si riscontrano di iniziativa, proposito paziente, lavoro assiduo, integrità incrollabile, come fattori di nobili e virili caratteri, mostrano all’evidenza quanto possa ciascuno far da sé, con le proprie forze, e mettono in luce l’efficacia del rispetto individuale e della fiducia in sé, perché anche i più umili raggiungano, a furia di sforzi, uno stato onorevole e una salda riputazione. I grandi uomini, scienziati, letterati, artisti, apostoli di grandi idee e di nobili sentimenti non appartennero ad una classe esclusiva. Vennero dai collegi, dalle officine, dalle fattorie, dalle capanne dei poveri e dalle magioni dei ricchi. Alcuni fra i maggiori apostoli emersero dalle file dei semplici militi. I più poveri conquistaro-
127d HONORÉ DE BALZAC UN QUADRO DELLA BORGHESIA PARIGINA
H. de Balzac, Papà Goriot, L’Espresso, Roma 2004, pp. 119-24.
Al centro del romanzo dello scrittore francese Honoré de Balzac (1799-1850), Le Père Goriot (1834), ci sono due personaggi: l’anziano signore Goriot, dalle umili origini ma diventato benestante grazie al suo lavoro, che però rapidamente si impoverisce a causa dello stile di vita delle figlie, e il giovane Eugène de Rastignac, un ambizioso giovane della nobiltà di «Una rapida fortuna è il problema che si propongono di risolvere in questo momento cinquantamila giovanotti che si trovano tutti nella vostra posizione. Voi siete un’unità di quel numero. Giudicate quali sforzi dovrete compiere e quanto sarà accanita la lotta. Dovrete divorarvi l’uno l’altro come ragni in un vaso, dato che non esistono cinquantamila buoni posti. Sapete come si fa strada, qui? Con la luce dell’ingegno o con la destrezza della corruzione. Bisogna penetrare in quella massa di uomini come una palla di cannone, o insinuarsi come la peste. L’onestà non serve a niente. Ci si inchina al potere del genio, lo si odia, si cerca di calunniarlo, perché prende senza dar nulla in cambio. Ma ci si piega, se persiste; in poche parole: lo si adora in ginocchio quando non si è riusciti a seppellirlo nel fango. La corruzione è ovunque, il talento è raro. Perciò la corruzione è l’arma della mediocrità che abbonda, e voi ne sentirete l’aculeo dappertutto. Vedrete donne, i cui mariti hanno al massimo seimila fran-
no a volte i posti più elevati, né furon loro d’ostacolo le difficoltà apparentemente più insuperabili. Queste anzi, in molti casi, furon loro di ausilio, spronandoli al lavoro e alla sopportazione, e destando speciali e sopite energie. Gli esempi di siffatti ostacoli superati e dei trionfi conseguiti son così numerosi da giustificar quasi l’adagio che volere è potere. 1. Avventati. METODO DI STUDIO
a Evidenzia il detto su cui si basa l’argomentazione dell’autore e sottolinea almeno tre parole chiave che vi si riferiscono. Quindi argomenta per iscritto la tua scelta. b Cerchia le qualità necessarie ad avanzare nella scalata sociale. Quindi trascrivile sul quaderno e argomentale riportando degli esempi.
provincia arrivato a Parigi per completare gli studi, che tenta una rapida carriera. Ad aprire il brano è un lungo discorso che Vautrin, un ambiguo personaggio, rivolge al giovane Eugène, per tentare di coinvolgerlo in un delitto facendo leva sulla sua ambizione. Vautrin offre un quadro della borghesia parigina, incline alla competizione più sfrenata, animata dal desiderio di ascesa sociale, priva di moralità e disposta a usare qualsiasi mezzo per raggiungere il successo, come la corruzione.
chi di stipendio, spendere più di diecimila franchi per i vestiti. Vedrete impiegati da milleduecento franchi comperare terreni. Vedrete donne prostituirsi per salire nella carrozza del figlio di un pari di Francia [...]. Chi credete che sia il galantuomo? A Parigi è colui che tace e rifiuta di spartire il bottino. Non vi parlo di quei poveri iloti1 che si danno da fare ovunque senza essere mai compensati per le loro fatiche [...] Certo, in loro c’è la virtù, in tutto il fiore della sua idiozia, ma c’è anche la miseria. Vedo la smorfia di quella brava gente, se Dio ci facesse il brutto scherzo di assentarsi il giorno del Giudizio. Quindi, per chi vuole subito la ricchezza, è meglio essere già ricco o almeno sembrarlo. Per arricchirsi bisogna giocare forte, altrimenti si vivacchia e buona notte. E se, nelle cento professioni che potete abbracciare, s’incontrano dieci uomini che fanno carriera in fretta, la gente li chiama ladri. Traete le vostre conclusioni. Ecco com’è la vita. Non è più bella della cucina, puzza altrettanto, e bisogna sporcarsi le mani se si
vuole combinare qualcosa; sappiate soltanto ripulirvi come si deve: è tutta qui la morale del nostro tempo. [...]» [...] «Che cosa devo fare?» chiese avidamente Rastignac interrompendo Vautrin. «Quasi niente» rispose l’uomo lasciandosi sfuggire un moto di gioia simile alla sorda espressione di un pescatore che sente il pesce abboccare alla lenza. «Ascoltatemi bene! Il cuore di una povera fanciulla disgraziata e miserabile è la spugna più avida d’amore, una spugna asciutta che si dilata non appena le cade sopra una goccia di sentimento. Fare la corte a una giovane donna che si trovi nella solitudine, nella disperazione e nella povertà senza sospettare della sua prossima fortuna! Caspita! È come avere in mano la carta vincente, è come conoscere i numeri della lotteria, è come giocare in Borsa
1. Nel territorio dell’antica Sparta erano i servi della gleba che appartenevano allo Stato.
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FARESTORIA BORGHESI E OPERAI: MENTALITÀ E CONDIZIONI DI VITA
sapendo già le notizie. Voi costruirete sul solido un matrimonio indistruttibile. Per la ragazza ci saranno dei milioni, e lei li getterà ai vostri piedi come fossero sassolini. [...] Parigi, vedete, è come una foresta del Nuovo Mondo, dove si agitano venti specie di popolazioni selvagge, gli Illinois, gli Uroni, che vivono dei prodotti delle diverse cacce sociali; voi siete un cacciatore di milioni. Per catturarli, userete trappole, richiami, specchietti. Vi sono vari modi di cacciare. Alcuni cacciano la dote; altri
la liquidazione; questi pescano coscienze, quelli vendono i loro abbonati legati mani e piedi. Chi ritorna col carniere ben gonfio è salutato, festeggiato e ricevuto nella buona società. Rendiamo giustizia a questo suolo ospitale, avete a che fare con la città più compiacente del mondo. Se le orgogliose aristocrazie di tutte le capitali d’Europa rifiutano di ammettere nei loro ranghi un milionario infame, Parigi gli tende le braccia, corre alle sue feste, mangia ai suoi pranzi e brinda alla sua infamia».
128 A. DEWERPE LA FABBRICA
A. Dewerpe, Il sistema di fabbrica e il mondo del lavoro, in V. Castronovo (a c. di), Storia dell’economia mondiale. L’età della rivoluzione industriale, vol. III, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 200-8; 213.
Lo storico francese Alain Dewerpe (1952-2015) si è a lungo occupato di storia economica e del lavoro. In questo sag-
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Con la fabbrica, che è insieme spazio, istituzione e disciplina, fa la sua comparsa un nuovo principio organizzatore della produzione industriale: la continuità del lavoro dei produttori, ormai privati dei mezzi di produzione e costretti in modo permanente a vendere sul mercato la propria forza lavoro a chi ora li detiene. Il fenomeno è garantito in duplice modo: la divisione del processo lavorativo in segmenti assegnabili alla forza lavoro più adatta e l’introduzione del macchinismo. Come si sa, i principi essenziali della divisione del lavoro formulati da Adam Smith sono stati ridefiniti da Charles Babbage e Andrew Ure1: assegnare ai lavoratori una sola operazione aumenta la produttività e rende possibile l’applicazione a essa del macchinismo; il capitalista si assicura così il controllo monopolistico del processo lavorativo [...]. Nel sistema di fabbrica i padroni impongono ritmi e tempi cui nessun lavoratore si sarebbe da solo assoggettato. La dimensione sociale e disciplinare della parcellizzazione dei compiti non è peraltro separabile dall’introduzione delle macchine, strumenti per «domare gli operai» (Andrew Ure), creare un «esercito disciplinato» (secondo l’espressione di un industriale di Manchester), «neutralizzare la cattiva volontà dei lavoratori» (Costaz2). La concentrazione e la meccanizzazione del sistema di fabbrica rappresentano una rilevante trasformazione del rappor-
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi i valori ritenuti utili e quelli considerati inutili o avversati dalla borghesia parigina. b Spiega per iscritto quale strategia di avanzamento sociale viene proposta ad Eugène e con quali motivazioni.
gio analizza l’avvento della fabbrica e le sue conseguenze. Nel brano scelto si evidenzia la novità rappresentata dalla fabbrica per i lavoratori che provenivano dall’universo artigiano: si imponeva una nuova disciplina, nuovi rapporti gerarchici, nuovi ritmi di lavoro e procedure di controllo più rigide.
to fra l’uomo e il lavoro: tale trasformazione, intervenuta a dispetto degli interessati, si traduce nell’invenzione di nuove norme di comportamento, imposte da un ordine disciplinare. L’obiettivo è quello di far lavorare in modo continuativo una manodopera la cui cultura professionale è fondata sulla padronanza delle procedure e sul controllo dei ritmi lavorativi: l’apprendimento di un tempo meccanico attraverso il rispetto degli orari, la pressione per assicurare la presenza costante dei dipendenti sul luogo di lavoro grazie a un sistema di multe graduali e, infine, lo stretto controllo dei movimenti all’interno degli opifici con l’introduzione di regolamenti e scale gerarchiche, costituiscono tutta una serie di obblighi che, lentamente, la fabbrica impone ai propri operai. [...] Attraverso l’arte della compartimentazione spaziale (recinzioni, suddivisioni interne, aree funzionali) e il controllo delle attività lavorative (impiego del tempo, elaborazione temporale delle operazioni produttive, correlazione del corpo e del gesto, del corpo e dell’oggetto), la nuova disciplina mira a trasformare la manodopera in creatura docile, adatta a sopportare una continuità di processi produttivi implicante orari e gesti obbligati. [...] Lavoratori di fabbrica provenienti da famiglie rurali, operai a tempo pieno qualificati e non qualificati, operaie che lavoravano soltanto fino al matrimonio, operai a
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
«Ma dove trovare una ragazza?» disse Eugène. «È già vostra, sotto i vostri occhi».
tempo parziale: si incontrano tutte queste possibili variazioni e altrettanti gruppi sociali dalla configurazione complessa, caratterizzati da confini mobili e comportamenti eterogenei. [...] Certo, per molti versi si è potuto distinguere fra un proletariato di fabbrica salariato e fortemente meccanizzato, il cui lavoro era regolato da una fonte d’energia centralizzata, e un gruppo più tradizionale (che riproduceva all’interno della fabbrica modi tipici dell’antico regime industriale), costituito da artigiani trasferiti nella nuova struttura produttiva. Lo spartiacque è rappresentato dal grado di qualificazione, di competenza professionale e, conseguentemente, di autonomia nel processo lavorativo. Da una parte una classe operaia di artigiani organizzati, dall’altra un proletariato meno organizzato, meno cosciente, provinciale, eterogeneo (donne, fanciulli, stranieri, poco qualificati e scarsamente alfabetizzati). Ma tale distinzione costituisce un esempio estremo. Le trasformazioni introdotte dalla meccanizzazione – ma anche dalle molteplici novità d’ordine
1. Charles Babbage (1791-1871), matematico e filosofo britannico, e Andrew Ure (1778-1857), dottore e chimico scozzese, si occuparono anche di questioni legate all’organizzazione del lavoro e allo sviluppo tecnologico. 2. Louis Costaz (1767-1842), geometra e amministratore francese.
tecnologico e organizzativo – sul piano delle innovazioni e della divisione del lavoro producono effetti incrociati: gli artigiani fanno il proprio ingresso nelle fabbriche; la logica della meccanizzazione e divisione del lavoro riorganizza l’ambito di competenze specifiche degli operai. [...] Il regno della fabbrica comporta una modificazione del lavoro manuale, vale a dire l’affermazione di una condizione operaia che, per quanto provvisoria, si presenta assai nuova e così pregnante da essere descritta nei termini di una vera e
OPERAI
propria esperienza collettiva. I ritmi lavorativi, le assunzioni precoci e la disoccupazione periodicamente ricorrente provocano una «esistenza a sobbalzi», e attraverso il mutamento della «maniera di vivere» si affermò un modo di vita radicalmente nuovo. Lo sfruttamento del lavoro pagato «al pezzo», l’assenza di forme di protezione, la fatica, gli infortuni, il reddito insufficiente e instabile, provocano un rapido logoramento. La condizione operaia è una lotta permanente, condotta sul filo del rasoio, per evitare di sprofondare nella miseria e nell’indigen-
129d FRIEDRICH ENGELS LA CONDIZIONE DEGLI
F. Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra [1955], Editori Riuniti, Roma 1978, pp. 167-71.
La situazione della classe operaia in Inghilterra, pubblicato nel 1845 da Friedrich Engels (all’epoca venticinquenne), costituisce una sorta di reportage sulle condizioni degli operai durante la rivoluzione industriale. L’opera fu frutto di una Ma ancor più demoralizzante della miseria è, per gli operai inglesi, l’insicurezza delle condizioni di vita, la necessità di vivere alla giornata con il salario, insomma ciò che fa di essi dei proletari. I nostri piccoli contadini in Germania sono anch’essi in gran parte dei poveri e anch’essi soffrono privazioni, ma non sono così soggetti alle vicende del caso, hanno almeno qualcosa di solido. Ma il proletario, il quale non possiede nulla all’infuori delle sue braccia, che consuma oggi ciò che ha guadagnato ieri, che è interamente soggetto al giuoco del caso, che non ha nulla che gli garantisca anche in futuro la possibilità di procurarsi i mezzi più necessari di sussistenza – una crisi, un capriccio qualsiasi del suo padrone lo può lasciare disoccupato – il proletario è ridotto alla condizione più rivoltante, più disumana che l’uomo possa immaginare. [...] Tutto ciò che il proletario stesso può fare per migliorare la sua posizione scompare come una goccia nel mare, di fronte all’incalzare delle vicende alle quali è esposto, e sulle quali non ha il minimo potere. Egli è l’oggetto passivo di tutte le possibili combinazioni di circostanze, e può ancora ringraziare la fortuna se per qualche tempo riesce a salvare almeno la vita. E, come è naturale, il suo carattere ed il suo modo di vivere
za: ecco la faccia nascosta dell’esperienza di fabbrica.
METODO DI STUDIO
a Spiega per iscritto in cosa consistono la concentrazione e la meccanizzazione del sistema di fabbrica e le nuove norme disciplinari qui imposte. Quindi descrivi il rapporto esistente tra questi elementi secondo Dewerpe. b Evidenzia gli elementi e i meccanismi propri del processo di meccanizzazione del nuovo sistema di fabbrica. Quindi trascrivili sul quaderno e descrivili sinteticamente.
meticolosa raccolta di materiale e di una attenta capacità di osservazione. Engels, figlio di un industriale tedesco, si recò in Inghilterra nel 1842, dove incontrò Karl Marx, a cui sarebbe rimasto legato intellettualmente e politicamente in un lungo sodalizio. Nel brano presentato Engels si sofferma sulla precarietà esistenziale degli operai, privi di garanzie lavorative, e sull’alienazione causata da attività manuali semplici, non stimolanti intellettualmente e massacranti fisicamente.
si adattano a loro volta a tali circostanze. O egli cerca in questo vortice di tenersi a galla, di salvare la sua umanità, e può farlo soltanto sollevandosi contro la borghesia, contro la classe che lo sfrutta così spietatamente e lo abbandona poi al suo destino, che cerca di costringerlo a rimanere in questa condizione indegna di un uomo: oppure abbandona, considerandola inutile, la lotta contro la sua condizione e cerca, per quanto gli è possibile, di approfittare dei momenti favorevoli. Risparmiare non gli giova a nulla, poiché al massimo riesce a mettere da parte ciò che gli può servire per sfamarsi per qualche settimana; e quando resta senza lavoro, non vi resta solo per qualche settimana. Non può procurarsi un patrimonio durevole, e, se lo potesse, cesserebbe di essere un operaio, ed un altro prenderebbe il suo posto. Che altro di meglio può dunque fare, quando riceve un buon salario, che vivere comodamente di esso? [...] Un’altra fonte di demoralizzazione per gli operai è la condanna al lavoro. Se la libera attività produttiva è il massimo godimento che conosciamo, il lavoro forzato è il tormento più duro e più avvilente. Nulla è più tremendo che dover fare tutti i giorni, dalla mattina alla sera, un lavoro che ripugna. E quanto più l’operaio ha
sentimenti umani, tanto più deve odiare il suo lavoro, del quale egli sente la costrizione, l’inutilità per se stesso. Perché mai egli lavora? Per desiderio di creare? Per impulso naturale? Niente affatto. Lavora soltanto per il denaro, cioè per una cosa che con il lavoro stesso non ha proprio nulla a che fare; lavora perché deve farlo, e per di più lavora così a lungo e in modo così ininterrottamente uniforme che già solo per questi motivi il lavoro fin dalle prime settimane deve diventare per lui un tormento, se ha ancora dei sentimenti umani. La divisione del lavoro poi ha aggravato ulteriormente l’abbrutimento derivante dal lavoro forzato. Nella maggior parte dei rami di lavoro, l’attività dell’operaio è ridotta ad una misera manipolazione meramente meccanica, che si ripete minuto per minuto e resta la stessa di anno in anno. Quanti sentimenti e quante capacità umane potrà aver salvato, giunto ai trent’anni, chi fin da fanciullo ha fatto ogni giorno per dodici ore e più capocchie di spillo o limato ruote dentate, vivendo per di più nelle condizioni di un proletario inglese? Le cose non mutano con l’introduzione del vapore e delle macchine. L’attività dell’operaio è divenuta facile, gli sforzi muscolari vengono in gran parte evitati e il lavoro stesso è divenuto insignifican-
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FARESTORIA BORGHESI E OPERAI: MENTALITÀ E CONDIZIONI DI VITA
te, ma monotono al massimo grado. Esso non consente all’operaio nessuna esplicazione di attività spirituale, e tuttavia incatena la sua attenzione al punto che, per poterlo eseguire bene, non può pensare a nient’altro. E una condanna ad un simile lavoro – un lavoro che esige tutto il tempo disponibile dell’operaio, gli lascia appena il tempo per mangiare e dormire, e non gli consente mai di fare del moto
all’aria aperta, di godere la natura, per non parlare poi di attività spirituali – una simile condanna non dovrebbe degradare l’uomo al livello delle bestie! Anche qui, l’operaio non ha che un’alternativa: rassegnarsi al suo destino, diventare un «buon operaio», badare «fedelmente» agli interessi della borghesia – e in questo caso certamente si abbruttisce –; ovvero far resistenza, lottare per la sua umanità
finché può, e per fare questo deve lottare contro la borghesia. METODO DI STUDIO
a Descrivi per iscritto l’immagine e la condizione dell’operaio che emerge dal testo. b Spiega per iscritto il significato delle seguenti espressioni utilizzate da Engels nel contesto da questi descritto: a. «condanna al lavoro»; b. «divisione del lavoro»; c.«lavoro forzato».
LEGGERE UNA FONTE ICONOGRAFICA 10 GUSTAVE DORÉ I QUARTIERI POVERI DI LONDRA SOTTO I VIADOTTI FERROVIARI, 1872 [da W. Blanchard Jerrold, G. Doré, London. A Pilgrimage]
Il quadro di degrado urbano e sociale che si presentò al giovane Engels durante il suo soggiorno in Gran Bretagna e che stimolò la sua riflessione sulla condizione della classe operaia fu ben raffigurato, poche decine di anni più tardi, dal pittore e incisore francese Gustave Doré (1832-1883). Questi, dopo due viaggi compiuti a Londra, pubblicò nel 1872 insieme al giornalista William Blanchard Jerrold (1826-1884) un libro illustrato intitolato London. A Pilgrimage (Londra. Un pellegrinaggio), che
GUIDA ALLA LETTURA
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a Osserva con attenzione l’incisione, quindi segna su di essa e descrivi al lato: a. gli elementi visibili che permettono di percepire il successo industriale di Londra; b. gli elementi che caratterizzano gli edifici abitativi; c. le persone e le attività in cui sono occupate. b Rispondi alle seguenti domande: a. Quanto e quale spazio occupano nell’immagine gli edifici e le persone? b. Chi ti sembra il soggetto dell’incisione? Perché? c. Quale messaggio ti sembra che Doré volesse trasmettere?
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
traccia una visione della Londra urbana, con le sue strade affollate, i sobborghi miseri e popolari, il lavoro minorile e il dramma del proletariato nella quotidiana povertà. In particolare, dalle incisioni emerge lo spettacolo di miseria e sofferenze offerto dagli slums, quartieri periferici pianificati dagli speculatori edilizi per i salariati dei sobborghi industriali delle grandi città inglesi, i cui edifici, di infima qualità, erano costruiti ignorando qualsiasi norma di igiene e sicurezza.
130d ÉMILE ZOLA VITA DA MINATORI
É. Zola, Germinal, Rizzoli, Milano 1997, pp. 113-14; 225.
Numerosi furono i romanzi di argomento sociale pubblicati in Francia nella seconda metà dell’800. Germinal, pubblicato nel 1885, fu uno dei più noti. Émile Zola (1840-1902), con stile naturalista, racconta le condizioni di vita di un gruppo di minatori nel Nord della Francia e la loro organizzazione I quattro staccatori1 si erano buttati a ventre in giù, l’uno sopra l’altro, per tutto lo spessore della vena2. Separati dai tavoloni muniti di ganci che trattenevano il carbone estratto, essi intaccavano ciascuno quattro metri di filone; e questo era così sottile in quel punto – una cinquantina di centimetri appena di spessore – che si trovavano come appiattiti tra la volta e la parete ed erano costretti a strisciare avanti puntellandosi sui gomiti e le ginocchia, né potevano voltarsi indietro senza ammaccarsi le spalle. Dovevano, per picconare il materiale, rimaner coricati sul fianco, torcere il collo e, a braccia levate, manovrare il piccone di sbieco. [...] Chi soffriva maggiormente era Maheu. In alto, la temperatura arrivava a toccare anche i trentacinque gradi, l’aria non circolava, e a lungo andare il soffoco diventava mortale. Per vederci, aveva dovuto appendere la lampada a un chiodo vicino alla propria testa, e la lampada, che gli scaldava il cranio, finiva di arroventargli il sangue. Quel supplizio, poi, era reso particolarmente grave dall’umidità. La roccia, sopra di lui, a qualche centimetro dal suo volto, era tutto un ruscellare d’acqua: continui e fitti goccioloni, battendo con una specie di ritmo ostinato, percuotevano sempre nello stesso punto. Aveva un bel torcere il collo, rovesciare indietro la nuca, quei goccioloni lo colpivano in faccia, vi si spiaccicavano con uno schiocco, senza mai tregua. In capo a un quarto d’ora, era zuppo, al tempo stesso madido di sudore, e da tutta la sua persona si sprigionava una
politica e sindacale. Il titolo si riferisce al mese di germinale, che apriva la primavera (istituito nel calendario rivoluzionario del 1792), ed allude alle speranze operaie di rinascita. Ne presentiamo due brani: il primo descrive le condizioni all’interno della miniera; il secondo, invece, offre uno sguardo sulla vita quotidiana oltre il lavoro (condizioni abitative, alimentazione, tempo libero).
calda fumata di vapore come un panno tolto dal bucato. Quella mattina, poi, una goccia, accanendosi a cadergli dentro un occhio, lo faceva bestemmiare. [...] Quei quattro uomini non si scambiavano una parola. Tutti battevano, e non si udiva altro che quei tonfi irregolari, velati e come lontani. I rumori assumevano una sonorità sorda, senza nessuna eco nell’aria morta. E pareva che le tenebre fossero d’un nero mai visto, inspessito dalla polvere di carbone alitante in ogni dove, appesantito dai gas che gravavano sugli occhi. I lucignoli3 delle lampade, sotto il cappuccio di reticella, non riuscivano a mettere in quel nero che punti rossastri. Non si discerneva un ben nulla: il cunicolo si apriva, si spingeva in alto come un’ampia cappa di camino, piatta e obliqua, in cui la fuliggine di dieci inverni aveva accumulato una notte profonda. [...] I picconi battevano a grandi colpi sordi, e non si sentiva più, sotto l’oppressione dell’aria e lo stillicidio delle acque sorgive, che l’ansito dei petti, il grugnir di ciascuno per il disagio e la fatica. Adesso, in casa Maheu, si attardavano ogni sera una mezz’oretta prima di salire a coricarsi. Stefano ripigliava sempre il medesimo discorso. Via via che la sua natura andava affinandosi, si trovava sempre più a disagio e come urtato dalla promiscuità4 del villaggio operaio. O che si era delle bestie, forse, per essere così rinchiusi in un recinto, gli uni addosso agli altri, in mezzo ai campi, pigiati al punto che uno non poteva cambiare la camicia senza mostrare il
131 E.J. HOBSBAWM COSCIENZA DI CLASSE E CULTURA OPERAIA
E.J. Hobsbawm, Gente che lavora [1984], Rizzoli, Milano 2001, pp. 184-94.
In questo brano, tratto da un saggio pubblicato per la prima volta nel 1979 e poi inserito in un volume uscito nel 1984, lo storico britannico Eric J. Hobsbawm (1917-2012), autore di importanti studi sul movimento operaio, riflette sulla
di dietro al suo vicino? E come favoriva la salute, quello stato di cose! [...] Gira e rigira, la va a finire sempre ad un modo: uomini ubriachi e ragazze ingravidate. A questo, tutti dicevano la loro, mentre il petrolio della lampada viziava l’aria della stanza, già appestata dall’odore di cipolla fritta. Oh, la vita non era allegra di sicuro! Si lavorava come bruti a un lavoro cui un tempo venivano condannati i galeotti; vi si lasciava spesso la pelle prima del tempo, senza riuscire, con tutto ciò, ad avere nemmeno un po’ di carne in tavola, la sera. Certo, certo, il loro mangime l’avevano di sicuro, ma proprio quanto bastava appena per continuare a soffrire senza crepar di fame, oberati dai debiti e perseguitati come se anche quel poco pane lo rubassero. Quando arrivava la domenica, poi, erano tramortiti dalla stanchezza. Non avevano altri piaceri che quello di ubriacarsi e ingravidare la moglie. [...] No, non c’era proprio niente di allegro nella vita che si faceva! 1. Minatori. 2. Filone sotterraneo di un minerale. 3. Bagliori. 4. Presenza in uno stesso luogo di maschi e femmine, mescolanza. METODO DI STUDIO
a Individua da tre a cinque parole chiave che afferiscono alle condizioni di lavoro dei minatori e argomenta per iscritto la tua scelta. b Descrivi i temi principali affrontati dalle riflessioni di Stefano e gli elementi su cui si basano.
nascita di una cultura operaia. Anche se in parte questa si modellò su valori e stili di vita del passato, cruciali risultarono i decenni della seconda metà dell’800, con l’espansione dell’industrializzazione. Oltre ad una cultura specifica (fatta di abitudini, riti e luoghi, come il calcio o il pub), gli operai espressero una coscienza di classe, fondata sulla solidarietà, sul mutuo soccorso e sull’opposizione alle classi capitalistiche.
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I decenni successivi al 1848 gettarono le basi della futura cultura della classe operaia, in quanto (eccezion fatta per la Poor Law1, per un certo controllo legale sull’orario e sulle condizioni di lavoro e, dopo il 1870, per l’educazione elementare a carico dello Stato) la fornitura di beni e servizi per i lavoratori venne lasciata quasi completamente alle loro organizzazioni volontarie e agli imprenditori (in genere piccoli) che riuscivano a guadagnare rifornendo i poveri. La cultura operaia che divenne dominante negli anni Ottanta del secolo rifletteva sia la nuova economia totalmente industriale, sia le crescenti dimensioni della classe operaia come mercato potenziale, sia infine il sorprendente miglioramento del salario reale medio durante il periodo di rapida caduta del costo della vita (circa 1873-96). A partire dal 1890 circa essa prese sempre più a riflettere una crescente coscienza di classe e il ruolo mutato – e assai aumentato – dello Stato nella vita nazionale. Le accresciute dimensioni della classe operaia erano il risultato naturale di un’economia ancora largamente basata sul lavoro manuale. Così l’aumento della produzione di carbone – la fonte di energia di gran lunga predominante – comportò un aumento proporzionale del numero dei minatori, sicché nel 1914 l’economia britannica richiedeva per questo solo settore qualcosa come 1.250.000 lavoratori, più le loro famiglie. La crescente coscienza di classe fu il risultato non solo delle acuite tensioni di classe nel periodo della cosiddetta «grande depressione» (1873-96) e nel successivo periodo di rapida trasformazione industriale, ma anche dello spettacoloso aumento dell’occupazione nel terziario. Una nuova «classe medio-bassa», composta essenzialmente di impiegati, si inserì tra l’antico strato operaio specializzato e la classe media. Dato che la sua situazione economica non era apprezzabilmente superiore, il suo scopo principale fu distinguersi il più nettamente possibile dalla classe operaia, [...] per mezzo di un’ideologia militante di marca conservatrice, patriottica e perfino imperialistica [...]. Questa cultura operaia era così saldamente radicata che è facile dimenticare che aveva origini cronologicamente pre-
cise. Il calcio come sport proletario di massa – quasi una religione laica – era un prodotto del decennio 1880-90 [...] Anche le tipiche vacanze al mare delle classi lavoratrici, e le località balneari a esse specificatamente associate – soprattutto Blackpool nel Lancashire –, presero forma nel ventennio 1880-1900. Il famoso berretto floscio che divenne in pratica la divisa del lavoratore britannico nelle ore di riposo sembra trionfasse nel ventennio 1890-1910. Anche la friggitoria, il fishand-chips shop2, fu inventata non prima del 1865 nel Lancashire. [...] Anche la forma tipica della settimana del lavoratore – conosciuta caratteristicamente all’estero come la semaine anglaise – non trionfò completamente fino al decennio 1870-80, quando la pratica di pagare il salario settimanale il venerdì trasformò il weekend, o piuttosto il sabato, nella giornata principale per le attività del tempo libero. [...] Ovviamente i lavoratori britannici non persero le loro caratteristiche regionali, e nemmeno quelle locali [...]. Anzi, a differenza delle classi medie, i lavoratori britannici non abbandonarono del tutto i dialetti locali per l’inglese standard. [...] La vita del lavoratore era più varia di quella della moglie, giacché trascorreva in gran parte nell’ambiente socializzato del suo lavoro, e in quei centri di svago ancor più esclusivamente maschili costituiti dal pub e dalla partita di calcio. Le due istituzioni erano strettamente collegate, perché lo sport, discusso da esperti, era l’argomento di conversazione di gran lunga più comune nel pub. La socievolezza maschile era inseparabile dall’alcol. [...]
In tutto questo mondo di donne e uomini sacrificati, perseveranti, stoici e senza pretese, dove troviamo la coscienza di classe? In ogni luogo. La vita dei lavoratori britannici ne era così permeata che quasi ciascuna loro azione attestava il loro senso della divergenza e del conflitto tra «noi» e «loro». «Loro» non erano chiaramente definiti, salvo nell’officina e nella fabbrica, anche se la virtuale fusione tra aristocrazia terriera, classe capitalistica e nuova classe medio-bassa in un partito conservatore unificato, avvenuta tra il 1886 e il 1922, rendeva superflua una esatta definizione. [...] Tre cose caratterizzavano la coscienza di classe dei lavoratori britannici: un profondo senso della diversità del lavoro manuale; un codice morale implicito ma potente fondato sulla solidarietà, sull’«onestà», sul mutuo soccorso e sulla cooperazione, e la prontezza a lottare per un equo trattamento. [...] Si trattava della convinzione morale che la gente ha diritto a un trattamento onesto, a un salario decoroso in cambio di una vita faticosa, a «parti giuste» anche della povertà che li dominava. E si trattava della consapevolezza, acquisita in un secolo di industrializzazione che aveva trasformato la Gran Bretagna in una nazione di proletari, che i lavoratori debbono aiutarsi reciprocamente contro «loro».
1. Sistema assistenziale rivolto alle fasce più povere, risalente all’età elisabettiana e rivisto nel 1834. 2. Negozio che fornisce piatti di pesce fritto e patatine.
PALESTRA INVALSI
1 Il messaggio principale del testo è che... [ ] a. nella cultura operaia la socievolezza maschile era inseparabile dall’alcol. [ ] b. i lavoratori britannici non abbandonarono del tutto i dialetti locali per l’inglese standard. [ ] c. la cultura operaia si accompagnava ad una coscienza di classe. [ ] d. il calcio divenne lo sport proletario di massa. 2 Indica quali eventi e processi, fra quelli elencati, concorsero alla crescita della coscienza di classe. [ ] a. Aumento della produzione di carbone. [ ] b. Tensioni sociali legate alla «grande depressione». [ ] c. Aumento del numero di operai. [ ] d. Aumento di occupazione nel terziario.
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
132 A.J. MAYER I LIMITI DELL’EGEMONIA BORGHESE
A.J. Mayer, Il potere dell’Ancien Régime fino alla prima guerra mondiale [1982], Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 2-11.
In questo volume del 1981 lo storico statunitense Arno J. Mayer (nato nel 1926) rilegge in chiave critica le forme e i tempi dell’ascesa della borghesia in Europa, ridimensionandone la portata innovatrice. La storiografia, secondo Mayer, ha trascurato la «persistenza dell’antico regime», testimoniata dal predominio Il vecchio ordine europeo era da un capo all’altro preindustriale e preborghese. Per troppo tempo, e in troppo grande misura, gli storici si sono concentrati sull’avanzata della scienza e della tecnica, del capitalismo industriale e mondiale, della borghesia e della classe media professionale, della società civile liberale, della società politica democratica e del modernismo culturale. Si sono occupati assai più di queste forze innovatrici, e della formazione della nuova società, che non delle forze dell’inerzia e della resistenza, che hanno rallentato il deperimento del vecchio ordine. [...] Studiosi di ogni tendenza ideologica hanno minimizzato l’importanza degli interessi economici preindustriali, delle élites preborghesi, dei sistemi di autorità predemocratici, dei linguaggi artistici premoderni e delle mentalità «arcaiche». [...] Gli elementi «premoderni» non erano i residui fragili e in dissoluzione di un passato quasi completamente svanito, ma l’essenza medesima delle società civili e politiche d’Europa. Con ciò non si vuol negare la crescente importanza delle forze moderne che minavano e contestavano il vecchio ordine. Ma si vuole sostenere che fino al 1914 le forze dell’inerzia e della resistenza hanno mantenuto e raffrenato questa dinamica e rigogliosa nuova società entro la cornice degli anciens régimes che dominavano il paesaggio storico dell’Europa. [...] La società civile del vecchio ordine era innanzitutto e soprattutto un’economia contadina ed una società rurale dominate da nobiltà ereditarie e privilegiate. Eccettuati pochi banchieri, mercanti e armatori, le grosse fortune e i grossi redditi avevano la loro base nella terra. In tutta Europa le nobiltà terriere occupavano il primo posto in campo non soltanto economico, sociale e culturale, ma anche politico. In effetti, la società politica era il perno di questa società d’ordini agraria. Essa as-
delle economie agricole, dalla forza economica e sociale delle nobiltà terriere, dalle istituzioni politiche in prevalenza ancora monarchiche, dalla ricerca, da parte della stessa borghesia, di emulare stili e cultura della nobiltà. Il vero momento di cesura andrebbe collocato nel 1914, con lo scoppio della prima guerra mondiale. Un’interpretazione così netta è parsa talvolta poco convincente, ma è stata utile nel ricordare agli storici di non presentare le trasformazioni di questo periodo come le tappe di un’inarrestabile e inevitabile ascesa della borghesia.
sunse ovunque la forma di sistemi d’autorità assolutistici, in diverso grado illuminati, e capeggiati da monarchi ereditari. Le corone regnavano e governavano con l’appoggio di vaste famiglie reali e di partiti della corte, ma anche di ministri, generali e burocrati arrendevoli. La Chiesa era un’altra componente e pilastro vitale dell’ancien régime. Strettamente legata sia alla corona che alla nobiltà, essa era, al pari di queste, radicata nella terra, che costituiva la sua principale fonte di reddito. [...] Le economie europee fornivano il supporto materiale di questa perdurante supremazia delle nobiltà terriere e di servizio. La terra restò fino al 1914 la forma principale di ricchezza e di reddito delle classi dominanti e di governo. Non meno significativo è il fatto che il peso relativo della manifattura di beni di consumo continuò a superare quello della produzione di beni capitali1 nella ricchezza nazionale, nel prodotto globale e nell’occupazione. Ciò era vero persino in Inghilterra, dove l’agricoltura aveva registrato una drastica riduzione della sua importanza economica, e in Germania, che tra il 1871 e il 1914 conobbe un’impennata spettacolare dello sviluppo industriale. In tutta Europa, i settori manifatturiero e commerciale delle economie nazionali erano dominati da imprese di piccole e medie dimensioni a proprietà, finanziamento e gestione familiari. Questo capitalismo imprenditoriale generò una borghesia ch’era, nel caso migliore, protonazionale2. In quanto classe, tale borghesia aveva interessi economici comuni, ma la sua coesione sociale e politica era limitata. Questa borghesia manifatturiera e mercantile non poteva gareggiare con la nobiltà terriera quanto a identità di classe, status o potere. Certo, nell’ultimo terzo dell’Ottocento la crescita delle industrie di beni strumentali ad alta intensità di capitale dette origine ad una borghesia industriale. Ma, prescindendo dal fatto che fino al 1914 la loro
importanza economica restò modesta, questi magnati dell’industria ed i loro associati nelle grandi banche per azioni e nelle professioni liberali erano meglio disposti a collaborare con gli agrari e con le classi di governo costituite, che non con la più vecchia borghesia di manifatturieri, mercanti e banchieri. [...] Se gli elementi feudali presenti nella società sia politica che civile perpetuarono con tanta efficacia il loro dominio, ciò si dové in buona parte al fatto che seppero adattarsi e rinnovarsi. Le nobiltà di servizio, sia civili che militari, assorbirono ambiziosi rampolli, accuratamente selezionati, dei ceti imprenditoriali e delle professioni liberali, badando al tempo stesso a regolare attentamente questo afflusso di sangue nuovo e di nuove capacità. I nuovi arrivati dovevano passare attraverso scuole di élite, digerire l’ethos3 di gruppo, e dimostrare la propria fedeltà al vecchio ordine: tutti requisiti indispensabili per la promozione. Non solo, ma i posti più elevati della burocrazia statale e della gerarchia militare continuavano ad esser riservati ad uomini di alti natali e comprovata assimilazione. L’azione dei magnati terrieri fu altrettanto efficace per quanto concerne l’adattamento al mutare dei tempi. Soprattutto, essi assorbirono e praticarono i princìpi del capitalismo e la politica degli interessi, ma senza rinunciare alla loro visione del mondo aristocratica, al loro stile di comportamento, ai loro legami. Alcuni proprietari nobili si impegnarono in una politica di migliorie. [...] Altri ancora si
1. I beni di consumo sono i prodotti destinati a un consumo immediato consistente nella loro distruzione o trasformazione fisica (alimenti, abiti, ecc.), mentre i beni capitali sono quelli destinati a essere impiegati nel processo di produzione di altri beni (macchinari, ecc.). 2. Il primo nucleo di una borghesia nazionale. 3. Il “costume”, la norma di vita.
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FARESTORIA BORGHESI E OPERAI: MENTALITÀ E CONDIZIONI DI VITA
volsero allo sfruttamento del legname, del carbone e in genere dei minerali presenti nelle loro terre, ed investirono in intraprese industriali. Inoltre, tutti appresero le arti del raggrupparsi e dello scambio di favori, delle pressioni e della politica dei partiti, per proteggere o promuovere i propri interessi. [...] Questo vasto e multilaterale processo di adattamento è in genere considerato come prova che il vecchio ordine si de-nobilitava e si de-aristocraticizzava, e che, correlativamente, le classi dominanti e di governo europee venivano, com’era fatale, gradualmente imborghesendosi. Ma c’è un altro modo di guardare a questo accomodamento. Come l’industrializzazione s’innestò sulle strutture sociali e politiche precostituite, così gli elementi feudali conciliarono il loro razionalizzato comportamento burocratico ed economico con la loro prassi sociale e culturale e con il loro orizzonte mentale preesistenti. In altre parole,
le vecchie élites eccelsero nell’assorbire selettivamente, nell’adattare e nell’assimilare le nuove idee e pratiche senza compromettere seriamente il loro status, il loro temperamento e la loro mentalità tradizionali. La nobiltà subì sicuramente un processo di diluizione e di rimpicciolimento, ma in maniera graduale e benigna. Questa politica di prudenti, circoscritti aggiustamenti fu facilitata dalla frenesia di cooptazione e di nobilitazione della borghesia. Se la nobiltà si mostrò abile nell’adattarsi, la borghesia eccelse nell’emulazione. Per tutto l’Ottocento, e ancora nel primo Novecento, i grandi borghesi insisterono nel rinnegarsi, imitando e appropriandosi del modo di vivere della nobiltà nella speranza di inserirvisi. I grandi degli affari e della finanza acquistarono tenute, costruirono case di campagna, mandarono i propri figli nelle scuole di élite, e assunsero pose e stili di vita ari-
stocratici. Cercarono anche di introdursi a forza di gomiti nei circoli aristocratici e di corte, e di imparentarsi con la nobiltà titolata. Infine – ma non è la cosa meno importante – sollecitarono decorazioni e, soprattutto, patenti di nobiltà. [...] Il borghese cercava la promozione sociale per ragioni di vantaggio materiale, di status sociale, e di remunerazione psichica.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le forze d’inerzia che, secondo Mayer, hanno rallentato in Europa il deperimento dell’ancien régime. b Individua i processi che, secondo l’autore, hanno frenato lo sviluppo della nuova società, quindi mettili in evidenza attraverso dei titoletti che scriverai al lato del testo. c Evidenzia i nomi delle due classi sociali antagoniste protagoniste del processo descritto e tratteggiane per iscritto le caratteristiche e gli equilibri.
PISTE DI LAVORO
DAI DOCUMENTI ALLA STORIA 1 Dopo aver letto il brano di Kocka [►125] e i documenti di Smiles [►126d] e di Balzac [►127d], scrivi un testo sulla borghesia in ascesa facendo riferimento alla seguente scaletta e citando opportunamente i testi: • valori e modelli di riferimento • capacità attrattiva nei confronti degli esponenti delle altre classi sociali • atteggiamenti distintivi rispetto agli altri gruppi sociali • punti di criticità della società borghese 2 Scrivi un testo di circa 30 righe sulla nascita della classe operaia,
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sulle sue condizioni e sull’emergere di una coscienza di classe facendo riferimento alle fonti iconografiche proposte, ai documenti di Engels [►129d] e Zola [►130d] e ai testi di Dewerpe [►128], Hobsbawm [►131] e Mayer [►132]. Evidenzia nei documenti presi in considerazione i concetti che intendi utilizzare nelle tue argomentazioni e le parti delle fonti storiche che intendi citare e numerali in ordine crescente. Quindi, indica fra parentesi, all’interno del tuo elaborato, i concetti o le citazioni a cui fai riferimento. Scegli un taglio e un titolo per il tuo elaborato.
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 3 Leggi con attenzione i documenti e i brani degli storici relativi all’ascesa della borghesia e al suo mondo e individua i passaggi che ti sembrano più rilevanti. Trascrivili sinteticamente sul quaderno e utilizzali per costruire una mappa concettuale. Quindi scegli una fra le seguenti posizioni storiografiche, relative all’ascesa della borghesia europea nel XIX secolo, e argomenta la tua posizione in un breve testo (max 20 righe) facendo riferimento alla mappa da te realizzata che, se necessario, potrai integrare: • La borghesia ha sofferto, nel corso dell’800, di una fortissima dipendenza dai modelli economici, sociali, culturali del ceto aristocratico dominante. • L’egemonia culturale della borghesia europea fu assicurata dal successo generalizzato dei suoi valori: il progresso economico e la mobilità sociale. • L’ascesa della cultura della borghesia si può interpretare come lenta e progressiva affermazione di nuovi modelli etico-sociali nella sfera privata.
DONNE E BAMBINI, FRA LAVORO E VITA FAMILIARE I cambiamenti innescati dal diffondersi dell’industrializzazione ebbero ulteriori ripercussioni sociali, oltre alla crescita della borghesia e della classe operaia. Soprattutto in una prima fase, proprio nelle fabbriche e nelle miniere, si diffuse il lavoro delle donne e dei minori, come testimonia un’intervista a due operaie inglesi raccolta per un’inchiesta parlamentare negli anni ‘40 dell’800 [►133d]. La storica Daniela Lombardi [►134] analizza il complesso tema del lavoro e della maternità: la tutela della maternità, infatti, spinse a legiferare sul lavoro femminile nelle fabbriche, tutelandolo maggiormente, ma anche a riorientare le donne delle classi medie verso professioni ritenute più consone, che si andavano diffondendo con l’espansione dei servizi. Parallelamente, spinta da un diverso atteggiamento verso l’infanzia, influenzato dalla sensibilità del Romanticismo, si cercò di limitare anche il lavoro minorile, come ci racconta Hugh Cunningham [►135]. David I. Kertzer [►136], infine, ci offre una sintesi sui cambiamenti nella struttura della famiglia determinati dall’industrializzazione e dall’urbanizzazione, guardando ai modelli di famiglia nucleare e complessa e alle loro aree di diffusione.
133d INTERVISTA A DUE OPERAIE
Great Britain Parliamentary Papers, 1842, voll. XV e XVII, in G. Dall’Olio, Storia moderna. I temi e le fonti [2004], Carocci, Roma 2007, pp. 300-1.
I due brani sono tratti dagli atti di una commissione parlamentare inglese, che si occupò di studiare le condizioni di lavoro Betty Harris, 37 anni Mi sono sposata a 23 anni e, dopo il matrimonio, sono entrata in miniera. Prima, all’età di dodici anni circa, ero tessitrice; non so leggere né scrivere. Lavoro per Andrew Knowles, di Little Bolton (Lancashire) e qualche volta faccio sette giorni su sette, qualche volta non così tanto. Sono un’estrattrice di carbone e lavoro dalle 6 del mattino alle 6 di sera. Mi fermo circa un’ora per consumare il pranzo, che consiste in pane e burro, senza niente da bere. Ho due figli, ma sono troppo giovani per lavorare. Ho estratto carbone anche mentre ero incinta. Conosco una donna che [dopo il lavoro] andò a casa, si lavò, fu messa a letto, aiutata a partorire un bambino e poi tornò a lavorare in settimana. Porto una cintura ai fianchi e una catena che mi passa in mezzo alle gambe; cammino a quattro zampe. Il sentiero è molto ripido e dobbiamo tenerci a una corda e, quando non c’è corda, a qualsiasi altra cosa che possiamo afferrare. Ci sono sei donne e circa sei ragazzi e ragazze nella
di donne e bambini nelle miniere. In alcuni distretti carboniferi dello Yorkshire e del Lancashire era frequente che donne giovani e adulte venissero fatte scendere nelle miniere per compiere lo stesso tipo di lavoro che compivano gli uomini, spesso per lo stesso numero di ore.
miniera in cui lavoro; è un lavoro molto duro per una donna. Il pozzo in cui lavoro è molto umido e il livello dell’acqua supera sempre quello dei nostri zoccoli e l’ho visto arrivarmi fino alle cosce; piove tremendamente dal soffitto. I miei vestiti sono bagnati quasi per tutto il giorno. Non mi sono mai ammalata nella mia vita, tranne da quando sono lì dentro. Mia cugina bada ai miei bambini durante il giorno. Quando torno a casa la sera sono molto stanca; qualche volta mi addormento prima di lavarmi. Non sono più così robusta come un tempo e non posso sopportare il mio lavoro così bene come facevo prima [...]. La cintura e la catena sono peggiori [da sopportare] quando siamo incinte. Il mio uomo mi ha picchiato molte volte perché non ero pronta. All’inizio non ero abituata e lui ha poca pazienza. Ho conosciuto più di un uomo che picchia la sua compagna in miniera. Ho conosciuto uomini che si prendono delle libertà con le operaie e alcune donne hanno dei figli bastardi.
Patience Kershaw, 17 anni Vado in miniera alle 5 del mattino e ne esco alle 5 della sera; prima faccio colazione con porridge1 e latte; porto con me il pranzo – una focaccia – e lo mangio mentre lavoro. Non mi fermo e non mi riposo mai per mangiare; non mangio nient’altro fin quando arrivo a casa, dove mangio patate e carne, ma la carne non tutti i giorni. 1. Cereali o legumi bolliti in latte o acqua. METODO DI STUDIO
a Se leggi con attenzione le interviste ti renderai conto che si tratta di testi che contengono le risposte a domande ben precise. Prova a ipotizzare sul quaderno le domande che ti sembrano più pertinenti alle risposte date. b Realizza un grafico a torta che possa rappresentare la durata delle attività svolte dalle due donne durante la giornata. Ipotizza la durata dei dati non esplicitati (es. sonno notturno). c Sottolinea le informazioni relative al rapporto fra uomini e donne all’interno della miniera.
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FARESTORIA DONNE E BAMBINI, FRA LAVORO E VITA FAMILIARE
134 D. LOMBARDI LAVORO E MATERNITÀ
D. Lombardi, Storia del matrimonio. Dal Medioevo a oggi, il Mulino, Bologna 2008, pp. 229-33.
Nell’800 si afferma progressivamente il principio della separazione tra Stato e Chiesa. La laicità dello Stato (con il rispetto delle diverse appartenenze religiose) si accompagna all’estensione delle competenze dei poteri secolari in materia di vita familiare – soprattutto nell’ambito del matrimonio e della
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Può apparire paradossale che, in un periodo in cui si afferma il principio della non interferenza dei poteri pubblici nella sfera privata e si valorizza la libertà individuale, gli Stati ottocenteschi invadano con tanta pertinacia l’ambito della maternità e della cura dei bambini. In realtà è proprio l’esclusione delle donne dai diritti politici a mantenere intatta la percezione della condizione femminile come condizione di vulnerabilità e subordinazione: di conseguenza bisognosa di protezione. È con questo spirito che nascono le leggi di tutela delle lavoratrici salariate, a cominciare dall’Inghilterra degli anni 18301840. Non è un caso che in queste leggi le donne siano assimilate ai fanciulli: entrambi soggetti deboli, per il sesso e l’età, che hanno bisogno di essere protetti. Un grande impegno caratterizza l’azione dei governi su questo terreno. [...] Le leggi di tutela fanno del lavoro femminile una questione a sé, che ha poco a che vedere con il lavoro maschile. Non solo perché le donne non godono degli stessi diritti dei loro compagni, ma soprattutto perché è la loro funzione riproduttiva che allo Stato interessa tutelare. Scopo delle leggi è porre dei limiti allo sfruttamento, all’orario, alle mansioni cui le operaie erano destinate, per salvaguardarne la capacità di procreazione. La priorità, per il sesso femminile, resta la famiglia: il lavoro di cura, che è stato efficacemente definito travail d’amour1, nei confronti del marito e soprattutto dei figli. Perciò maternità e lavoro in fabbrica appaiono inconciliabili agli uomini di governo, agli economisti, agli scienziati sociali che discutono di questi temi con grande enfasi. Per la prima volta la donna lavoratrice viene percepita come un problema che va risolto. [...] È la sua visibilità il dato nuovo dell’epoca dell’industrializzazione. Nei secoli precedenti la lavoratrice era ben poco visibile: sfuggiva alle rilevazioni dei censimenti e alle dichiarazioni delle proprie generalità, perché era il suo stato civile – il fatto di essere figlia, moglie o vedova di un uomo
nascita – sottratti alla giurisdizione ecclesiastica. La storica Daniela Lombardi esamina come la tutela della capacità di procreazione e della maternità giocò un ruolo determinante nella legislazione sul lavoro femminile nelle fabbriche. L’attenzione verso la funzione materna spinse anche le donne verso i nuovi lavori diffusisi con l’espansione del terziario, meno pesanti fisicamente e più “rispettabili”, cioè le professioni di educazione e di cura.
– che interessava le autorità pubbliche, laiche o religiose che fossero. Solo l’uomo era percepito come lavoratore, nonostante il lavoro femminile rappresentasse una risorsa essenziale e, nei periodi di crisi e disoccupazione maschile, l’unica in grado di mantenere l’intero nucleo familiare. La fabbrica non ha dunque creato la figura della lavoratrice ma l’ha portata alla ribalta, l’ha posta sotto lo sguardo indagatore di esperti interessati a tutelare la salute del suo corpo in quanto corpo destinato a diventare fecondo. È la sua vocazione alla maternità che va protetta da condizioni di lavoro troppo dure e pericolose. Una vocazione che ovviamente presuppone che il matrimonio continui a essere la destinazione prioritaria per una donna, ma al tempo stesso delinea una nuova identità femminile che gradualmente conquista tutti i ceti sociali. Non si capirebbe insomma il senso della legislazione di tutela del lavoro femminile se non si tenesse conto della valorizzazione del ruolo materno che, come si è detto, si afferma prepotentemente tra le élite sullo scorcio del Settecento e più tardi coinvolge anche i ceti medio-bassi. Se per le donne di Antico regime il lavoro rappresentava una priorità, affrontata mandando a balia o affidando ad altri i figli, nella convinzione che la loro sopravvivenza dipendesse comunque dalla volontà divina, le donne dell’età contemporanea devono invece, con l’aiuto di medici e legislatori, di un sapere scientifico e razionale, dedicarsi innanzitutto alla cura dei loro bambini. Il lavoro femminile continua così a essere discontinuo e fluttuante, concentrato nel periodo precedente il matrimonio e di conseguenza non specializzato, mal pagato, flessibile. Ma la sua subalternità ha ora una diversa giustificazione ideologica che non si basa più sull’inferiorità del sesso femminile, bensì sul primato del ruolo materno e domestico. È il riconoscimento della specifica funzione materna dei corpi femminili a creare
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
l’opposizione tra produzione e riproduzione, lavoro e famiglia. La lavoratrice madre è considerata un’anomalia, facilmente identificabile con la cattiva madre per antonomasia. [...] Perciò la legislazione di tutela si preoccupa di porre dei limiti all’orario di lavoro femminile e di vietare il lavoro notturno, perché lo scopo è contenere gli effetti negativi che il lavoro ha sui corpi delle donne, rendendoli inadatti a generare e allevare bambini sani. [...] Va detto che l’applicazione di queste leggi si rivelò ovunque insoddisfacente, perché limitate in genere al lavoro in fabbrica e in miniera e soggette a un’infinità di deroghe. [...] Non solo: laddove le leggi vennero applicate sortirono l’effetto di consolidare la divisione sessuale del lavoro perché non fecero che ratificare le differenze di paga e l’attribuzione di status differenti a uomini e donne. Inoltre contribuirono, da un lato, a scoraggiare gli imprenditori ad assumere coniugate e, dall’altro a ritardare l’età del matrimonio delle operaie, unico rimedio per evitare il licenziamento. [...] Dobbiamo anche aggiungere che l’enfasi sulla maternità non ebbe come esito unicamente il ridimensionamento della presenza femminile nelle fabbriche. La valorizzazione del ruolo materno contribuì a giustificare l’occupazione, da parte di una minoranza di donne (dapprima solo delle nubili, in seguito anche delle coniugate), di nuovi percorsi lavorativi che si presentavano come una proiezione esterna alla famiglia della figura materna o si caratterizzavano per la loro «rispettabilità»: basti pensare alle insegnanti, alle infermiere o alle impiegate delle Poste. L’espansione del terziario e del pubblico impiego, con un’organizzazione del tempo di lavoro più favorevole alle donne, consentì di conciliare famiglia e lavoro con minore fatica. [...] Per le donne contadine, inve1. Letteralmente: “lavoro d’amore”.
ce, abituate a non risparmiarsi e a essere disponibili per qualsiasi tipo di attività, anche le più pesanti, che smettevano di lavorare quasi alla vigilia del parto e ricominciavano poco tempo dopo aver dato alla luce il figlio, fare le madri continuò a essere molto difficile. La cultura della maternità, così come la cultura dell’infanzia, che abbiamo visto affermarsi a partire dallo scorcio del
XVIII secolo, ebbero dunque un ruolo importante nel forgiare la politica della famiglia degli Stati tardo-ottocenteschi e nel delineare relazioni famigliari che, pur rimanendo improntate a valori gerarchici e autoritari, attribuivano un’importanza prioritaria alla dimensione affettiva. Solo madri e mogli amorevoli potevano svolgere adeguatamente i compiti loro affidati e confermati dalle legislazioni statali.
135 H. CUNNINGHAM CONTRO IL LAVORO INFANTILE
H. Cunningham, Storia dell’infanzia [1995], il Mulino, Bologna 1997, pp. 170-78.
Le condizioni di lavoro dei bambini nella rivoluzione industriale furono un fenomeno inedito e suscitarono attenzione e reazioni profonde. Lo storico inglese Hugh Cunningham (nato nel 1921) analizza come si sviluppò la regolamentazione e il controllo del lavoro infantile nelle fabbriche. Le Fu intorno alla questione del lavoro infantile in Gran Bretagna nelle nuove condizioni imposte dalla rivoluzione industriale che la nuova ideologia dell’infanzia divenne per la prima volta uno dei fattori determinanti della programmazione politica. [...] La legge del 1802 aveva in gran parte come oggetto gli apprendisti poveri, ma ben presto divenne necessario estenderne l’ambito al cosiddetto «lavoro libero», cioè il lavoro dei bambini che vivevano con le loro famiglie invece che essere affidati allo Stato, e che le fabbriche avevano cominciato a reclutare. [...] Un punto fermo venne raggiunto all’inizio degli anni Trenta, in esatta coincidenza con le campagne per l’emancipazione degli schiavi nelle colonie britanniche; parte del suo impatto emotivo derivava per l’appunto dall’affermazione che il governo britannico sembrava preoccuparsi più dei suoi schiavi neri che di quelli bianchi. [...] Il governo riconobbe che si doveva fare qualcosa, ma era risoluto a non cedere alle richieste dei sostenitori della giornata lavorativa di dieci ore, in quanto ciò avrebbe avuto come effetto una limitazione dell’orario di lavoro non solo per i bambini ma anche per gli adulti; si concentrò invece sui bambini, vietando loro il lavoro nelle fabbriche se avevano meno di nove anni e limitando a otto ore al giorno il lavoro dei bambini fino a quattordici
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le informazioni che permettono di comprendere perché le donne e i bambini siano messi sullo stesso piano dalle leggi a tutela delle lavoratrici salariate nell’Inghilterra del 1830-40. b Sottolinea i motivi per cui la donna lavoratrice appare come un problema da risolvere e l’elemento nuovo che porta a questo cambiamento. c Illustra per iscritto gli effetti delle leggi descritte e della conseguente attenzione dedicata alla maternità.
leggi per tutelare i bambini, che si diffusero a partire dalla Gran Bretagna anche in altri Stati europei e nordamericani, rivelano un atteggiamento mutato rispetto all’infanzia, vista come un periodo da tutelare. Sulle motivazioni della protezione divergevano, però, i punti di vista. Secondo una prospettiva utilitaristica si doveva tutelare l’infanzia perché i bambini dovevano sviluppare la forza e il vigore fisico necessari per vivere l’età adulta; dal punto di vista romantico l’infanzia, invece, era ritenuta la stagione più bella e preziosa della vita.
anni. Rafforzando la legge con l’istituzione di un ispettorato il governo in realtà definiva l’infanzia come un periodo della vita per cui era necessaria la tutela della legge; e l’estensione temporale dell’infanzia fu accuratamente definita dall’utilitarista commissione regia che aveva svolto opera di consulenza per il governo. La commissione sostenne che all’inizio del quattordicesimo anno «cessa il periodo dell’infanzia propriamente detto e si inizia quello della pubertà, in cui il corpo acquista la capacità di sopportare un lavoro prolungato». Questo cambiamento fisiologico coincideva con un mutamento dello status sociale in quanto «in generale nel quattordicesimo anno o all’incirca in quel periodo i giovani non vengono più trattati da bambini [...] Per lo più essi smettono di essere sotto il controllo completo dei loro genitori e tutori. Cominciano a trattenere una parte dei loro guadagni. Spesso pagano l’alloggio, il vitto e il vestiario. Di solito sottoscrivono in prima persona i loro contratti e sono, nel senso proprio dell’espressione, liberi agenti». Il bambino veniva definito come un soggetto che non era un «libero agente», una persona dipendente e pertanto meritevole della tutela della legge. In parte tale protezione era intesa come rivolta contro quei genitori privi di scrupoli che mandavano i figli piccoli a fare lavori pericolosi. [...] I proprietari delle ma-
nifatture, in concorrenza l’uno con l’altro, cercavano di ridurre il costo del lavoro, ed un modo per ottenere questo risultato passava per l’introduzione di macchinari che potevano essere manovrati dalla manodopera più a buon mercato, quella infantile. I difensori del sistema fabbrica facevano notare che ciò risolveva il problema che era stato endemico per secoli, ossia quello di trovare lavoro sufficiente per i bambini. Altri però, e tra questi gli utilitaristi, che influenzarono considerevolmente il pensiero ufficiale britannico tra il 1830 e il 1850, furono costretti a riconoscere che la mano nascosta del capitalismo non sempre lavorava per il vantaggio di tutti, e che era necessario un corpo di leggi, rafforzato dalle ispezioni, per impedire che le forze del mercato impiegassero sempre più bambini e meno adulti. È necessario sottolineare fino a che punto le forze di mercato già operassero in tale direzione. I giovani furono determinanti per la redditività dell’industria tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Nell’industria britannica nel 1835 il 43% degli operai aveva meno di diciotto anni. Negli Stati Uniti nordorientali la percentuale di donne e bambini nella forza lavoro delle manifatture passò dal 10% all’inizio del XIX secolo al 40% nel 1832. Nel 1852, a Manchester e a Salford, il 76% delle quattordicenni e il 61% dei quattordicenni lavorava in fabbrica. [...]
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FARESTORIA DONNE E BAMBINI, FRA LAVORO E VITA FAMILIARE
Gli utilitaristi non contestavano il lavoro infantile in linea di principio, ma solo i suoi eccessi. Nell’infanzia era necessario, sostenevano, che del tempo fosse dedicato all’istruzione e allo sviluppo fisico. A parte questo, però, e al di là di un’età minima, non c’era motivo perché i bambini non dovessero andare a lavorare per contribuire al bilancio familiare. I bambini dunque dovevano dedicare metà del loro tempo al lavoro e metà alla scuola: soluzione al problema del lavoro nelle fabbriche che conquistò ampi consensi nei decenni centrali del XIX secolo. [...] A coloro però che erano stati toccati dalle idee romantiche cominciava ad apparire innaturale un’infanzia in cui i bambini svolgessero un qualsiasi lavoro. La concezione romantica dell’infanzia fu ampiamente divulgata ed elaborata e divenne parte degli anni Trenta e Quaranta. [...] L’infanzia era vista qui come una sorgente che irrigava l’arido terreno dell’età adulta. Essa veniva addirittura a essere considerata una sorta di ricompensa all’umanità per la perdita dell’Eden. [...] La ragione faceva largo al sentimento, e tale sentimento si rivolgeva ai bambini che lavoravano nelle fabbriche e nelle miniere e che si arrampicavano su per i camini. I diritti dei genitori divenivano nulli al cospetto dei diritti dei bambini.
La questione anzi non si poneva più nei termini di un confronto tra bambini e genitori, bensì tra bambini e «sistema di fabbrica», un modo di produzione nuovo e innaturale. Mentre in natura i giovani dedicavano il loro tempo a crescere e a giocare, nella società umana, o almeno nel sistema di fabbrica, i giovani erano messi al lavoro. [...] Fino a metà Ottocento i dibattiti sul lavoro infantile nell’industrializzazione si concentrarono in Gran Bretagna. Con l’industrializzazione però anche altri paesi cominciarono a produrre leggi per la protezione dell’infanzia. Nel 1841 in Francia una legge sul lavoro infantile «fu il preannuncio di una seria attenzione da parte dello Stato per la supervisione e la protezione dell’infanzia». Sebbene questa legge non venisse applicata in maniera molto efficace, essa fu seguita nel corso degli anni Sessanta da una «sensazionale intensificazione dell’attenzione per il lavoro infantile», cosa che lo storico di questi sviluppi spiega in parte come conseguenza del fatto che una «nuova concezione dell’infanzia come periodo da prolungare e da consacrare all’educazione e alla crescita era un aspetto normativo della mentalità delle classi agiate francesi verso la fine degli anni Sessanta del XIX secolo». L’impulso riformistico fu frenato solo bre-
136 D.I. KERTZER LE STRUTTURE FAMILIARI
D.I. Kertzer, Vivere con i parenti, in M. Barbagli, D.I. Kertzer (a c. di), Storia della famiglia in Europa. Il lungo Ottocento, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 114-16; 127-28.
Gli storici Marzio Barbagli e David I. Kertzer sono i curatori di questo volume collettaneo, che offre un’articolata sintesi sulle
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Nel corso del XIX secolo intervennero importanti cambiamenti economici che influenzarono la vita delle famiglie e le loro decisioni sul luogo in cui vivere. Il lavoro industriale non solo si espanse, coinvolgendo un numero sempre maggiore di persone, ma cambiò anche natura, col fatto che il lavoro in fabbrica divenne più comune. Benché questo tipo di lavoro industriale non fosse affatto confinato alle aree urbane, le grandi industrie cominciarono tuttavia a concentrarsi in determinati centri e le grandi città cominciarono a crescere, alcune molto rapidamente. In questa sede ci occupiamo dell’impat-
METODO DI STUDIO
a Spiega di cosa si occupava la legge del 1802, quale differenza viene indicata dagli anni ’30 fra i bambini e i quattordicenni e quali le motivazioni di questa distinzione. b Sottolinea con colori diversi le informazioni relative alla concezione dell’infanzia degli utilitaristi e a quella dei romantici. Quindi descrivile sinteticamente per iscritto. c Individua le tappe della legislazione del lavoro infantile e trascrivile sul quaderno. Quindi descrivile sinteticamente mettendo in rilievo gli anni di riferimento.
trasformazioni della famiglia nell’800. Nel brano scelto Kertzer analizza le conseguenze sulla struttura familiare causate dai cambiamenti economici e sociali (industrializzazione e urbanizzazione). Il quadro, tenendo conto dei diversi paesi europei, è complesso e non univoco: famiglia complessa e famiglia composta da un solo nucleo coniugale continuano a convivere.
to che questi cambiamenti ebbero sulla struttura delle famiglie. È vero che, come si è ritenuto in generale, l’industrializzazione e l’urbanizzazione causarono il declino delle famiglie complesse1 e la nuclearizzazione della vita familiare? Oppure, come hanno affermato altri, accadde il contrario, e cioè che l’emigrazione su larga scala della popolazione rurale verso le grandi città portò i nuovi arrivati, che dipendevano dalle reti familiari per ricevere sostegno in un ambiente estraneo, a fare maggior affidamento sui parenti? In alcune parti d’Europa la scelta del residente urbano non era semplicemente
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
vemente dagli avvenimenti del 1870-71, e nel 1874 la Francia approvò una legge sul lavoro infantile che fissava in dodici anni l’età minima per il lavoro. In Prussia la legge del 1853 stabilì che i dodici anni erano l’età minima per l’arruolamento nell’industria, ma una concreta applicazione di tale principio si ebbe solo dopo un’ulteriore legge del 1878. [...] Va sottolineata la radicalità del mutamento che si era verificato; infatti la maggior parte dei governi e dei filantropi del XVIII secolo aveva cercato di creare opportunità di lavoro per i bambini a partire dall’età in cui alla fine del XIX secolo essi sarebbero stati invece mandati a scuola, e pochi avrebbero negato pubblicamente, a quell’epoca, che i bambini dovessero essere salvati dal lavoro.
tra una famiglia di tipo nucleare2 o la coabitazione con altri parenti, perché molte persone vivevano da inquilini in casa di estranei. In molte zone questo tipo di sistemazione costituiva una delle caratteristiche distintive della vita urbana in contrapposizione alla vita rurale. [...] Uno studio condotto sulla città di Preston,
1. Famiglie con più nuclei coniugali o con un nucleo e più parenti conviventi. 2. Famiglia dove è presente un solo nucleo coniugale, con o senza figli.
in Inghilterra, nella metà dell’Ottocento ha rivelato che almeno la metà di tutte le coppie di novelli sposi, nei primi anni di matrimonio viveva con i parenti o alloggiava presso case di estranei. La maggior parte di queste coppie, poi, metteva su una casa propria quando iniziava ad avere figli, sebbene queste abitazioni si trovassero spesso in edifici che ospitavano anche altri parenti. Vivere da inquilini prima del matrimonio era cosa frequente tra uomini e donne giovani. Un quarto dei giovani di Preston tra i venti e i ventiquattro anni viveva da inquilini. È interessante notare che non si trattava necessariamente di emigranti giunti da poco; poteva trattarsi di nativi urbani tanto quanto di immigranti. Il confronto tra la popolazione di Preston e un campione delle comunità rurali britanniche a metà del secolo non rivela alcun declino delle famiglie complesse in città. Lo si può vedere esaminando la situazione delle persone più anziane. Metà dei vedovi senza figli, ad esempio, viveva con altri parenti. La situazione dei giovani rivela ancor di più l’errore che si compie supponendo che il
trasferimento in città tendesse a minare i legami familiari. Era, anzi, più probabile che i figli maggiori vivessero con i genitori in città piuttosto che in campagna. [...] Detto questo, è praticamente certo che in quelle aree in cui, nel XIX secolo, le famiglie complesse prevalevano nell’economia agricola, dove le persone, quando si sposavano, si univano alla famiglia creata originariamente dai genitori e la famiglia era anche un’unità produttiva a sé stante, le famiglie urbane erano invece notevolmente meno complesse. [...] Nel corso del XIX secolo, non riscontriamo tanto una rapida convergenza verso un semplice sistema familiare di tipo nucleare quanto piuttosto un quadro molto più variegato. Gli studiosi hanno oscillato tra le immagini in cui il passato rurale era dominato da grandi famiglie complesse e le rivendicazioni opposte, secondo cui gli europei erano stati caratterizzati per secoli dalla famiglia di tipo nucleare; successivamente, hanno cercato di dividere l’Europa in ampie zone, ognuna contraddistinta da un proprio tipo di famiglia. Ma nessuna di queste suddivisioni era
del tutto esatta. Differenze molto generali nei tipi di famiglia in Europa si possono in effetti delineare, ma si tratta di differenze che forniscono al massimo una prima approssimazione alla conoscenza delle famiglie nel passato. In quelle ampie zone dov’erano state comuni le famiglie complesse, parti considerevoli della popolazione cominciarono a vivere in famiglie più semplici. E, per converso, persino nell’Europa nord-occidentale, nel cuore di quello che è stato considerato il sistema familiare nucleare puro, le norme relative alla parentela e le restrizioni pratiche si combinavano per alimentare la regolare formazione di famiglie più complesse. METODO DI STUDIO
a Sottolinea le informazioni relative all’impatto che produssero i cambiamenti descritti sulla struttura delle famiglie e rendile riconoscibili con dei titoletti che scriverai al lato del testo. b Sottolinea con colori diversi le condizioni della vita rurale e quelle della vita urbana. c Sintetizza la tesi principale del testo in una frase breve. Quindi argomentala in un brano di circa 8 righe.
PISTE DI LAVORO
DAI DOCUMENTI ALLA STORIA 1 Scrivi un testo di massimo 10 righe dal titolo Il lavoro operaio e la condizione femminile facendo riferimento al documento che riporta l’intervista a due operaie [►133d] e al brano di Lombardi [►134]. Evidenzia nei documenti presi in considerazione i concetti che intendi utilizzare nelle tue argomentazioni e le parti delle fonti storiche che intendi citare e numerali in ordine crescente. Quindi, indica fra parentesi, all’interno del tuo elaborato, i concetti o le citazioni a cui fai riferimento. 2 Scrivi un testo di circa 30 righe su come cambia la struttura
familiare e l’idea e le condizioni di vita dell’infanzia con il diffondersi dell’industrializzazione facendo riferimento ai brani di Cunningham [►135] e Kertzer [►136]. Evidenzia nei testi presi in considerazione i concetti che intendi utilizzare nelle tue argomentazioni. Quindi, indica fra parentesi i concetti a cui fai riferimento. Scegli un taglio e un titolo per il tuo elaborato e non dimenticare di affrontare i seguenti temi: • i compiti dei bambini in fabbrica e in miniera • le leggi a tutela dell’infanzia • l’immagine romantica e utilitaristica dell’infanzia • i cambiamenti nella famiglia.
LA NUOVA CITTÀ E I SUOI LUOGHI L’industrializzazione, unita alla crescita demografica, stimolò la crescita delle città, la loro espansione. Fra i primi problemi da affrontare per le amministrazioni vi fu quello di pianificare la città, che aveva bisogno di strade, servizi di trasporto e comunicazione, reti di acqua, gas, elettricità, scarichi fognari, come ci illustra Pasquale Villani [►137]. Le esemplari, e per molti versi opposte, soluzioni offerte da due metropoli come Londra e Parigi sono analizzate da Guido Zucconi [►138]. La città ottocentesca, inoltre, era caratterizzata da nuovi luoghi pubblici, come la stazione; la crescita delle reti ferroviarie si era accompagnata proprio a quella delle città. Mentre Wolfgang Schivelbusch [►139] si sofferma sull’architettura che caratterizzava proprio le nuove stazioni, Heinz-Gerhard Haupt [►140] si concentra sui grandi magazzini, un altro luogo tipico della nuova realtà urbana.
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FARESTORIA LA NUOVA CITTÀ E I SUOI LUOGHI
137 P. VILLANI IL RINNOVAMENTO DELLA CITTÀ
P. Villani, La città europea nell’età industriale, in P. Rossi (a c. di), Modelli di città, Edizioni di Comunità, Torino 2001, pp. 452-55.
Lo storico Pasquale Villani (1924-2015) analizza i cambiamenti innescati nelle città europee dalla combinazione di crescita demografica e produttiva, trasformazioni che non
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Il risanamento igienico-sanitario, le strade e i servizi di trasporto e di comunicazione, la pianificazione urbanistica, i regolamenti edilizi, la costruzione di case popolari, la fornitura dell’acqua, del gas, della elettricità e la loro gestione – municipale, privata o mista – diventano i principali problemi dell’amministrazione cittadina nell’età industriale. Parte non piccola di questa costruzione o ricostruzione delle città era – ed ancor di più è ai nostri giorni – sotterranea nel senso letterale della parola. «Forse rimase ignota all’opinione pubblica – è stato osservato – la caratteristica saliente delle nuove città, cioè quella rete nascosta di tubature, canali di scolo e fognature che è una delle opere tecniche e sociali di maggior rilievo dell’epoca, un “sistema” igienico sanitario più esteso della rete dei trasporti». L’immagine della città sotterranea richiama alla mente ricordi letterari ottocenteschi relativi soprattutto al sistema delle fogne di Parigi. Ma più in generale si può sostenere che all’elevarsi degli edifici rispetto al suolo corrisponde l’uso crescente del sottosuolo. [...] La costruzione della città contemporanea si sviluppa quindi sul suolo e nel sottosuolo. Ciò che preme soprattutto sottolineare è però il complesso di problemi che le immense dimensioni dell’inurbamento sollevano a partire dall’Ottocento e che finiscono per diventare un elemento non trascurabile dei rapporti economici e sociali. In questo senso, ancor più che per l’incidenza diretta delle nuove forme del lavoro industriale, le città europee diventano una componente importante del sistema capitalistico. Gli investimenti di capitali necessari per il risanamento urbano, per le costruzioni edilizie, per la creazione di reti di trasporti e di servizi, diventano sempre più ingenti. La disponibilità e il mercato dei suoli – prescindendo dalle forme di proprietà, di possesso, o di affitto e dalle possibilità di interventi nel pubblico in-
riguardarono solo le vere e proprie città industriali, quelle cioè nate e sviluppatesi intorno a nuclei manifatturieri e a complessi industriali. Se le soluzioni furono diverse, comune fu l’emergere di una nuova esigenza di pianificazione urbana, la necessità di maggiori investimenti finanziari, la creazione di reti di trasporto, di servizi e di comunicazioni, che poterono beneficiare delle nuove acquisizioni tecnologiche.
teresse che contraddistinguono le varie tradizioni giuridiche – creano un campo di transazioni e di affari non trascurabile, collegato a piccole e grandi imprese di costruzione edilizia. E quanto ai servizi, si accende il dibattito tra liberisti e socialisti, se sia preferibile la concessione e l’appalto ai privati oppure la gestione municipalizzata. In effetti, è proprio l’ambito cittadino che permette di sperimentare, per la pressione e la presenza di forze radicali e socialiste, forme di gestione pubblica nei settori considerati di interesse collettivo. Birmingham – che negli anni ’70 veniva considerata la città meglio amministrata d’Europa – era riuscita a municipalizzare la fornitura del gas e dell’acqua. [...] Ma già qualche anno prima era nato nel cuore dell’Europa continentale, e precisamente nella Parigi di Napoleone III, un altro modello se non antagonistico, certamente fondato su una diversa tradizione. [...] Haussmann, nominato prefetto della Senna da Napoleone III nel 1853, attuava invece, grazie a una delega di potere dall’alto, un piano di rinnovamento della capitale francese che non soltanto diventa un modello imitato in molte grandi città dell’Europa continentale, ma che provoca nella stessa liberale Inghilterra commenti talora ammirati e rammarico, più o meno esplicito, di non poter procedere sulla stessa strada di rapide decisioni autoritarie. L’intervento di Haussmann è spesso considerato come l’atto di nascita dell’urbanistica moderna [...]. Non a torto l’azione di Haussmann viene inquadrata nel più generale contesto che vede nascere, in quegli stessi anni, alcune iniziative le quali dimostrano come l’esigenza della pianificazione urbanistica fosse largamente sentita e fosse condizione ormai inderogabile per lo sviluppo urbano dell’età capitalistica. Nel 1853 Haussmann è nominato prefetto della Senna e Vaisse prefetto di Lione; nel 1855 si istituisce il Metropoli-
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
tan Board of Works a Londra; nel 1858 si stabilisce la sistemazione del Ring di Vienna; nel 1859 Cerda presenta il piano di Barcellona; nel 1860 Anspach inizia i lavori a Bruxelles; nel 1862 viene redatto il piano del capo della polizia di Berlino e nel 1866 infine il piano di Lindhagen a Stoccolma. Si tratta in genere di grandi città o di città capitali nelle quali, a differenza di quanto era avvenuto od avveniva nelle città inglesi, la «rivoluzione industriale» non aveva agito in modo diretto. L’intervento dello Stato si giustificava sia in nome di tradizioni politiche consolidate sia per il carattere monumentale – e rappresentativo del prestigio nazionale – che le nuove opere tendevano ad assumere.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea i problemi principali che interessarono l’amministrazione cittadina in età industriale. b Spiega perché, secondo Villani, la città diventa un tassello fondamentale del sistema capitalistico e perché e in che caso era giustificato l’intervento dello Stato.
138 G. ZUCCONI PARIGI E LONDRA: DUE METROPOLI A CONFRONTO
G. Zucconi, La città dell’Ottocento, Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 30-39.
A partire da metà ’800 Parigi e Londra vissero un imponente sviluppo urbanistico. Divennero ben presto un modello per gli altri grandi centri urbani europei e il primo esempio di
Su tutte le altre world city del XIX secolo, brilla l’astro di Parigi, identificata da molti con l’idea di città-capitale e di metropoli. A definirne l’intelaiatura urbana concorrono diversi fattori: gli eccezionali ritmi di crescita economica, combinati con le ambizioni neoimperiali di Napoleone III. A questo si aggiungano le straordinarie capacità tecnico-amministrative di un gruppo di funzionari, in particolare del barone Eugène Haussmann, prefetto della Senna dal 1853 al 1870. Il compito inizialmente affidatogli è quello di avvolgere Parigi in una maglia di percorsi che raccordino i luoghi nodali: le stazioni di testa, i punti cardinali consacrati dalla tradizione (il Louvre, l’Hôtel de ville, l’Île de la Cité, la Sorbona), e i nuovi capisaldi funzionali della città capitale (l’Opéra, le Halles)1. [...]. Attraverso il disegno del nuovo reticolo si devono rafforzare quei caratteri di unità e di coesione che la Parigi dei sovrani assoluti ha cercato di affermare. [...] Quel che muta è soprattutto il carattere delle opere pubbliche, collegate allo schema generale, le quali si trasformano da eventi eccezionali in capitoli di un programma a lungo termine [...]. Questo dato oltrepassa il 1870, la caduta di Napoleone III e la rimozione di Haussmann dall’incarico di prefetto: i programmi edilizi vengono allora limitati, ma non interrotti, nonostante il mutato sfondo politico della Terza Repubblica. Non più traduzioni estemporanee della volontà di autorappresentazione del sovrano, i grands travaux2 coinvolgono una grande quantità di problemi: la sistemazione delle acque e di altri servizi a rete nel sottosuolo, il riordino del traffico viario e il raccordo con la rete ferroviaria, la predisposizione e il disegno di attrezzature collettive, come mercati generali, scuole, ospedali. [...] Né bastano gli «architetti del re» a dare corso a un complesso di lavori che investono, nella sua interezza, una metropoli di un milione e mezzo di
metropoli contemporanee. Lo storico dell’architettura Guido Zucconi (nato nel 1950) esamina i cambiamenti delle due capitali in parallelo, mettendo in rilievo come alla base delle loro trasformazioni ci siano state scelte e soluzioni differenti, anzi talvolta opposte: a Parigi lo sviluppo venne attivato dall’azione dello Stato, secondo un modello deciso dall’alto e dirigistico, mentre a Londra fu affidato all’iniziativa privata.
abitanti. Non più straordinarie, non più limitate ad alcune aree circoscritte, le opere di trasformazione ora diventano parte di una gigantesca routine amministrativa alla quale fa da supporto un altrettanto gigantesco apparato tecnico-burocratico; per mettere a regime il piano di grandi opere sono necessarie, in forma continuativa, le competenze di un grande numero di specialisti. [...] Parigi rappresenta il caso estremo di sviluppo promosso dalla mano pubblica nel quale tutto [...] è attivato dall’azione dello Stato. È un modello che possiamo definire dirigistico, perché l’intervento privato è chiamato a inserirsi in una cornice predeterminata e imposta dall’alto. Nell’altra metropoli europea, Londra, i termini sembrano rovesciati: qui le dinamiche di crescita e di trasformazione discendono direttamente dai disegni della proprietà fondiaria e dall’azione degli investitori immobiliari. Alla sfera pubblica competono i regolamenti edilizi mentre tutto il resto, compreso il disegno di nuove strade, discende dall’iniziativa dei singoli. La metropoli inglese passerà da 800 mila a oltre due milioni di abitanti, senza che nessuno strumento di pianificazione generale intervenga a indirizzarne lo sviluppo. [...]. In assenza di uno schema urbanistico complessivo, il proprietario [dei terreni cittadini] diventa il garante di un ordine generale che, data la dimensione dell’intervento, assume i connotati di un vero e proprio piano ordinatore. [...] Il confronto tra Parigi e Londra suggerisce una serie di considerazioni che riguardano i modi di intendere la costruzione di una grande città [...]. A Parigi il processo di trasformazione passa attraverso un titanico sforzo di ridisegno che salda le diverse parti in un’unica entità fisica e funzionale; tutto, dalla viabilità alla fognatura, contribuisce a questo obiettivo. A Londra la mancanza di uno schema generale e di una volontà unifi-
catrice mantiene il carattere sfrangiato, policentrico, e al tempo stesso esalta le vocazioni originarie: le attività finanziarie e bancarie si collocano entro i limiti della città medievale, le aggregazioni politico-ministeriali attorno a Westminster, la residenza di pregio nel più salubre West End, le attività nocive e poco remunerative nell’assai meno salubre East End, vicino a quel barrage3 che impedisce alle navi di penetrare nel cuore della città. [...] Da posizioni diverse, le due capitali concorrono a definire un’idea di metropoli, categoria non ancora percepita nei suoi dirompenti tratti di novità sul piano relazionale, economico, culturale. 1. Il teatro dell’opera e i grandi mercati coperti di generi alimentari. 2. Grandi lavori. 3. Sbarramento.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi le caratteristiche principali del processo di trasformazione della città di Parigi e di quella di Londra. b Spiega per iscritto quale logica era sottesa al nuovo disegno urbanistico di Napoleone III e Haussmann e cosa significarono i grands travaux per i parigini. c Spiega per iscritto in che cosa differisce il modello londinese rispetto a quello di Parigi e perché questo è stato definito «dirigistico».
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FARESTORIA LA NUOVA CITTÀ E I SUOI LUOGHI
LEGGERE UNA FONTE ICONOGRAFICA 11 SEZIONE DI UNA STRADA DI PARIGI DOPO IL RISANAMENTO, XIX SEC. [incisione su disegno di Edouard Renard, particolare; Musée Carnavalet, Parigi]
L’incisione mostra la sezione di una strada parigina mettendo in luce, sotto il manto stradale, i tubi dell’acqua corrente, delle fogne e del gas (che, all’epoca, serviva solo ad alimentare i lampioni per l’illuminazione pubblica). La riqualificazione urbana prevedeva anche l’abbattimento di molte case private e la costruzione di nuovi edifici.
139 W. SCHIVELBUSCH LA STAZIONE
W. Schivelbusch, Storia dei viaggi in ferrovia, Einaudi, Torino 1988, pp. 185-90.
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Lo studioso tedesco della cultura e delle mentalità Wolfgang Schivelbusch (nato nel 1941) analizza, in questo brano, il complesso rapporto tra ferrovia e ambiente urbano, soffermandosi in particolare sul ruolo e sulle caratteristiche della stazione,
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
GUIDA ALLA LETTURA
a Osserva con attenzione l’incisione e individua i simboli che contraddistinguono i nuovi impianti, quindi cerchiali, utilizzando colori diversi, nella rappresentazione del sottosuolo di Parigi, in strada e sulle abitazioni. b Realizza una legenda in cui siano elencati gli impianti specificando se si tratta di quelli idrici, delle fogne o del gas e utilizzando i colori già selezionati. c Realizza una didascalia a commento in cui descrivi la scena rappresentata soffermandoti sulla struttura e la collocazione degli impianti e sul ruolo delle persone che se ne occupano o che ne godono i benefici.
quella architettura «per metà fabbrica per metà monumento» che nell’800 entrò a far parte del paesaggio cittadino. L’autore ci fa notare come l’elemento «meccanico/industriale» venisse nascosto dietro l’aspetto monumentale, quasi che le classi sociali emergenti, che fondavano la propria ascesa sul diffondersi delle macchine e delle merci, sentissero l’esigenza di dare alla nuova realtà un aspetto esteriore tradizionale e più rassicurante.
Il traffico preindustriale interurbano era legato allo spazio del territorio che attraversava. E tale rimaneva anche dopo aver raggiunto la propria destinazione: la città. [...] I suoi [della diligenza] locali di transito, le stazioni della posta, si trovavano nel centro delle città, di regola facevano parte della locanda che da essi prendeva nome («Della posta»), una costruzione che ben poco si differenziava dalle case vicine. L’integrazione nella vita urbana era perfetta. A questo stretto rapporto pone fine la ferrovia. I suoi luoghi di sosta – le stazioni ferroviarie – [...] sono qualcosa di fondamentalmente nuovo. La stazione ferroviaria non è parte integrante della città – come risulta evidente già dalla sua ubicazione all’esterno delle antiche mura –, e ne rimane a lungo la strana appendice. Ben presto, i quartieri urbani che confinano direttamente con essa vengono bollati come «industriali» e «proletari». Diventano la zona malfamata della stazione. [...] Se la zona intorno alla stazione appare inquinata dalle industrie, la stazione, in quanto centro di quest’area, non può non avere un carattere altamente industriale. In effetti, il tipo di costruzione che essa rappresenta viene senz’altro classificato come architettura in ferro, e dunque come una di quelle costruzioni così tipiche del XIX secolo, a ragione definite «costruzioni destinate al traffico». [...] Tuttavia, questo aspetto industriale rappresenta soltanto un lato della stazione. La stazione passeggeri delle grandi città [...]
non è una costruzione funzionale in ferro e vetro, con scopi prettamente industriali, ma è caratterizzata da una curiosa bipartizione: la stazione vera e propria, cioè la tettoia in ferro e vetro, e l’atrio in muratura, la prima rivolta verso lo spazio aperto, il secondo verso la città. Tale divisione in due settori assai diversi – felicemente definiti «mi-usine, mi-palais», «per metà fabbrica, per metà palazzo» – rappresenta [...] una novità nella storia dell’architettura. [...] Negli anni trenta, quando il traffico ferroviario si limitava a collegamenti bilaterali tra le città, le stazioni avevano dimensioni modeste. [...] Con l’infittirsi della rete ferroviaria negli anni quaranta, anche le esigenze del traffico, cui le stazioni dovevano far fronte, cominciarono a crescere. Aumentò il numero dei binari che confluivano nelle stazioni, e con esso il numero delle banchine. Queste dovettero essere collegate per consentire il trasbordo da un treno all’altro; inoltre, fu necessario coprire con una tettoia l’intero complesso, ora notevolmente ingrandito. Si trovò la soluzione al problema con il nuovo tipo di costruzione, la stazione di testa, con il suo marciapiede trasversale che collegava le varie banchine e con la tettoia in ferro e vetro. [...] Sicuramente, la facciata classicheggiante delle stazioni è anche spiegabile con lo sforzo, così tipico del XIX secolo, di nascondere con elementi ornamentali il volto industriale delle cose. Tuttavia, [...] la facciata in muratura delle stazioni adem-
140 H.-G. HAUPT I GRANDI MAGAZZINI
H.-G. Haupt, Il negozio, in Id. (a c. di), Luoghi quotidiani nella storia d’Europa, Laterza, Roma-Bari 1993, pp. 78-82.
In questo breve saggio, all’interno di un volume collettaneo, lo storico tedesco Heinz-Gerhard Haupt (nato nel 1943) si sofferma sulle grandi trasformazioni che, a partire dalla seIl ‘Bon Marché’ e la ‘Belle Jardinière’ a Parigi fin dalla metà dell’Ottocento, ‘Rudolf Karstadt’ a Wismar e ‘Georg Tietz’ a Gera alla fine del secolo scorso, presentarono al pubblico nuove forme di vendita che furono vissute dal tradizionale commercio al dettaglio come delle innovazioni pericolose. I grandi magazzini non si limitavano più, infatti, a un assortimento chiaramente delimitato, ma – con l’eccezione per lo più dei generi alimentari
pie la funzione reale – la funzione di scudo antistimolo – di collegare due ambiti così diversi come lo spazio urbano e lo spazio della ferrovia. L’atrio in muratura che nasconde la tettoia si rende necessario fintantoché la città conserva ancora un carattere essenzialmente preindustriale. Un ingresso in città brusco, non «frenato» o non filtrato dall’architettura in muratura della macchina industriale costituita dalla ferrovia, sarebbe in questo momento troppo traumatizzante. Tuttavia ben presto, ed essenzialmente con l’aiuto della ferrovia, la città perde il suo carattere medievale e assume anch’essa un carattere industriale, improntato dal traffico. Stando così le cose, non ha più ragion d’essere neppure un atrio messo davanti alla tettoia, così come, viceversa, scompare anche l’ampia tettoia. [...] Come si vede, questa nuova sistemazione dello spazio è indice di un processo accelerato. [...] Spazio urbano e spazio ferroviario devono essersi avvicinati l’uno all’altro. METODO DI STUDIO
a Spiega perché e in che modo con la ferrovia si interrompe il rapporto di dipendenza fra il traffico interurbano e lo spazio del territorio attraversato. b Sottolinea gli aspetti della stazione ferroviaria messi in rilievo dall’autore e sintetizzali in dei titoletti che scriverai al lato del testo. c Spiega per iscritto qual era la funzione della stazione di testa e della facciata classicheggiante delle stazioni.
conda metà dell’800, investono il tradizionale mondo del commercio al dettaglio. Nel brano scelto esamina i fenomeni che favorirono il sorgere dei grandi magazzini, ma anche le reazioni di scontento che il fenomeno suscitò fra i commercianti al minuto e la piccola borghesia, che videro sotto attacco non solo i loro introiti, ma anche i loro valori.
– vendevano merci di ogni tipo. Poiché essi, grazie alla pubblicità, agli eleganti panneggi ornamentali delle vetrine e a degli intérieurs seducenti, richiamavano un grande pubblico, riuscivano a ricevere le forniture a prezzi più bassi rispetto ai piccoli negozi, quindi ad abbassare il margine di guadagno e a vendere le merci a minor prezzo. [...] Il grande magazzino poté svilupparsi soprattutto sulla base di tre fenomeni, di cui
favorì lo sviluppo esattamente nella misura in cui ne trasse vantaggio. In primo luogo, il grande magazzino promosse il sistema di lavoro a domicilio nel settore dei beni di consumo. Alla fine dell’Ottocento la ‘Belle Jardinière’ occupava con questo sistema da 1000 a 1300 tra operai e operaie. In secondo luogo, il grande magazzino contribuì al trionfo della confezione e soprattutto alla sostituzione dell’abito fatto su misura da parte dell’acquisto di uno
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FARESTORIA LA NUOVA CITTÀ E I SUOI LUOGHI
già confezionato secondo norme prestabilite. Infine, il motivo più importante del successo dei grandi magazzini fu probabilmente l’aver saputo creare uno spazio dove le donne della borghesia potessero mostrarsi in pubblico da sole, senza che ciò danneggiasse la loro reputazione. Per questo motivo i ‘templi del consumo’ divennero chiaramente dei momenti di ‘vita sociale’. Ciò che notò Gustav Stresemann1 nel 1900 scrivendo: I grandi magazzini si sono via via presi sempre di più a cuore la comodità dei loro clienti. A Berlino, Wertheim ha già installato all’interno dei suoi locali una specie di spaccio, dove è possibile acquistare e consumare birra, caffè, cioccolata, paste ecc. Quando oggi in famiglia si dice ‘andiamo da Wertheim’, non si vuole intendere in primo luogo che si ha bisogno di qualcosa di determinato per la casa. Se ne parla piuttosto come di una gita da fare in qualche bel posto del circondario. Si sceglie un pomeriggio nel quale si abbia molto tempo e se possibile si prende anche un appuntamento con dei conoscenti.
Basandosi su questi principi il grande magazzino celebrò, nella seconda metà del secolo, il suo trionfo, che toccò soprattutto la Germania e la Francia, il Belgio e la Gran Bretagna e, dopo il 1918, anche l’Italia. Avanti la prima guerra mondiale Parigi veniva considerata la mecca del consumo e aveva nei grandi magazzini degli autentici colossi di vendite e giro d’affari. Oltre ai magazzini di vendita, concentrati per lo più nelle grandi città, anche le città più piccole e le campagne vennero raggiunte da filiali, da ditte di vendita per corrispondenza e da cooperative di consumo (si noti però che questo movimento interessò esclusivamente le società
dell’Europa occidentale, mentre altrove il commercio ambulante continuava ad avere un’importanza notevole). I negozi di caffè ‘Kaiser’s’ in Germania o ‘Casino’ e ‘Félix Pettin’ in Francia erano organizzati secondo il medesimo principio. Acquistavano in blocco l’intero assortimento della merce per tutti i negozi e ne affidavano però l’organizzazione della distribuzione direttamente ai singoli negozi. In questo modo raggiunsero un’ampia diffusione. Per giunta, già alla fine del XIX secolo, soprattutto i grandi magazzini parigini spedivano dappertutto dei cataloghi dai quali scegliere e ordinare direttamente le merci. È questo probabilmente il modo nel quale in Francia il modello di consumo della grande città si diffuse gradualmente anche nella società rurale. [...] Le leghe e le organizzazioni di autodifesa dei commercianti al minuto reagirono contro questo sistema. [...] Valori come la centralità della famiglia, il patriottismo o il senso della proprietà erano presenti in tutte le società europee e formavano la base di una cultura comune dei commercianti al minuto e dei mastri artigiani la quale, per l’intervento di fattori specifici, assumeva ovviamente uno specifico colore nazionale o regionale. [...] Il patriottismo locale appartiene a quei valori che è possibile riscontrare contemporaneamente in nazioni differenti tra i principali e i mastri artigiani. Il rifiuto delle astratte leggi del mercato e delle organizzazioni dotate di forti capitali si univa all’attaccamento per ciò che era abituale e che risultava familiare alla sfera dell’esperienza quotidiana. Già da un punto di vista meramente economico, erano il quartiere o la piccola cittadina lo spazio nel quale i commercianti e gli artigiani svolgevano la maggior parte dei loro affa-
ri. E dato che il loro capitale era per lo più investito in immobili, non lo potevano trasferire così facilmente come era invece il caso per gli imprenditori o i banchieri. [...] Anche quando in altri strati sociali si andò delineando la generale tendenza a investire in rendita, azioni o obbligazioni, la piccola borghesia rimase ferma nella propensione per il possesso di immobili. [...] Viceversa, il mondo della speculazione e della borsa, del capitale internazionale e delle grandi transazioni era per i piccolo-borghesi qualcosa di sospetto, di cui parlare con ripugnanza morale. Al possesso furono collegati dei valori generali come la parsimonia, la precisione e la correttezza, concezione che condusse da un lato a un’amministrazione domestica meticolosa e pignola e dall’altro a un vago anticapitalismo. 1. Statista tedesco (1878-1929), fondatore della Deutsche Volkspartei e membro dell’Assemblea costituente di Weimar; ricoprì la carica di cancelliere nel 1923 e quella di ministro degli Esteri a partire dallo stesso anno fino alla morte. Ricevette il premio Nobel per la pace nel 1926.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea i fenomeni che permisero lo sviluppo dei grandi magazzini e rendili facilmente individuabili attraverso dei titoli che scriverai al lato del testo. b Evidenzia gli elementi che concorsero al trionfo dei grandi magazzini. Quindi, per iscritto, descrivili sinteticamente e spiega in che modo furono differenziate le vendite nelle grandi città e nei piccoli centri e in campagna. c Sottolinea gli elementi che caratterizzarono le posizioni assunte da parte dei commercianti al minuto e dei mastri artigiani nei confronti dei grandi magazzini.
PISTE DI LAVORO
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DAI DOCUMENTI ALLA STORIA 1 Scrivi un testo di circa 25 righe sul nuovo volto della città facendo riferimento alla FONTE ICONOGRAFICA 11 e ai brani del sottopercorso. Prima di procedere realizza uno schema in cui metterai in rilievo i mutamenti degli edifici, dell’impianto urbano, dei servizi e della qualità della vita dei cittadini. Quindi utilizza lo schema come una scaletta di argomenti da trattare. Scegli un taglio e un titolo per il tuo elaborato. Ricordati di citare opportunamente le fonti delle tue affermazioni.
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 2 Individua i concetti principali della tesi sostenuta da Villani [►137] sulle motivazioni e modalità di cambiamento delle città europee nella seconda metà dell’800 facendo riferimento al brano e al cappello introduttivo. Quindi sintetizza le sue posizioni per iscritto e cerca negli altri brani del sottopercorso elementi che possano supportarle o, al contrario, confutarle. Trascrivili sinteticamente sul quaderno e indica fra parentesi il numero del documento o il nome dell’autore dal cui brano trai le informazioni. Infine scrivi un testo di circa 15 righe in cui supporti o confuti la posizione di Villani, argomentando la tua posizione e citando opportunamente i testi di riferimento.
LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE La seconda rivoluzione industriale fu caratterizzata dallo sviluppo di nuovi settori produttivi: siderurgico, chimico, elettrico. Sugli sviluppi nella produzione dell’acciaio e sulla fonte principale di energia che alimentò la produzione industriale, cioè il carbone, si sofferma Ulrich Wengenroth [►141]. L’avvento dell’elettricità, con le scoperte tecnologiche che ne furono alla base e i vantaggi in termini di trasmissione e di flessibilità di utilizzo che permise, sono al centro del brano dello storico David S. Landes [►142]. Un altro aspetto fondamentale fu la nascita di nuove forme di organizzazione delle attività produttive, con l’emergere della grande impresa, che rispondeva all’esigenza di dotarsi di macchinari e tecnologie più complesse e costose. Il tema è analizzato dallo studioso Renato Giannetti [►143]. Gli storici Jürgen Osterhammel e Niels P. Petersson [►144], invece, si concentrano su un ulteriore mutamento che ebbe avvio a fine ’800: la crescente interrelazione e interdipendenza fra i diversi paesi, grazie allo sviluppo dei commerci internazionali e alla crescita delle comunicazioni e delle migrazioni.
141 U. WENGENROTH L’ETÀ DEL CARBONE E DELL’ACCIAIO
U. Wengenroth, L’età del carbone e dell’acciaio, in V. Castronovo (a c. di), Storia dell’economia mondiale. Tra espansione e recessione, vol. IV, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 1-6; 10-11.
Alla base della rivoluzione industriale ci furono due elementi fondamentali: il carbone, in quanto fonte di energia, e l’acIl mondo dell’industria, dalla metà dell’Ottocento fino alla seconda guerra mondiale, è stato dominato da due materie prime, il carbone e l’acciaio: il primo, fonte di energia universale per macchine a vapore, ferrovie, trattamenti termici industriali e riscaldamento domestico delle moderne metropoli; il secondo, materiale universale del nuovo mondo meccanizzato, usato per ponti, fabbriche e grattacieli. Inoltre, le industrie del carbone e dell’acciaio erano intimamente legate sul piano tecnico ed economico, poiché solo con il carbone era possibile trasformare il minerale metallico in acciaio. In molte lingue esse vennero accomunate dalla denominazione di «industria pesante» e nell’epoca del colonialismo e delle guerre mondiali rappresentarono la spina dorsale dell’attività industriale. [...] L’industria siderurgica di metà Ottocento era nata in Gran Bretagna agli albori del secolo e divenne il modello dell’industrializzazione europea e statunitense. La sua unità centrale era l’altoforno, in cui il ferro veniva fuso con il coke. Questo tipo di impianto, intorno al 1850, produceva annualmente circa 5.000-10.000 tonnellate di ferro. Il suo prodotto era il ferro grezzo, che era possibile anche colare in stampi. Pertanto il ferro grezzo poteva essere impiegato direttamente oppure dopo ripetuti trattamenti di fu-
ciaio, materiale usato per moltissime realizzazioni. Lo storico Ulrich Wengenroth (nato nel 1949), specialista in storia della tecnologia, analizza i metodi di produzione dell’acciaio guardando con attenzione alle innovazioni tecnologiche che meccanizzarono il processo. Più arretrato tecnologicamente rimaneva il processo di estrazione del carbone. I due settori, però, erano strettamente interdipendenti.
sione per fabbricare i diversi prodotti. Il ferro grezzo non poteva comunque essere forgiato, saldato o laminato, poiché il suo tenore di carbonio era ancora troppo elevato: di norma il 3-4 per cento. Il carbonio veniva dunque separato in forni di pudellaggio1, a prezzo di un lavoro fisico estremamente faticoso. I forni erano riscaldati quasi sempre da quantità molto cospicue di carbon fossile: il loro prodotto consisteva in pezzi di ferro che si potevano forgiare, saldare o laminare. Ma poiché risultavano troppo piccoli per gran parte degli impieghi, dovevano essere anzitutto saldati insieme in pani o verghe, migliorandone così anche la qualità. Da pani e verghe si fabbricavano soprattutto rotaie, fili meccanici e componenti semplici di macchine, che venivano rispettivamente laminate, trafilati e forgiati. Per tutti e tre i processi di trattamento erano necessarie macchine azionate dal vapore, il che rendeva indispensabile l’impiego di ingenti quantità di carbone anche in questa fase. Dal punto di vista quantitativo il carbone era la materia prima più importante dell’industria siderurgica e per questo determinava, assai più del minerale metallico, l’ubicazione dell’impianto. Fino alla seconda guerra mondiale la produzione di ferro e acciaio richiese quasi sempre molto più carbone che minerale. [...] Le innovazioni tecnico-produttive, ne-
gli anni compresi fra il 1869 e il 1880, impressero una svolta decisiva all’industria dell’acciaio. In questo periodo l’industria siderurgica classica, in cui il lavoro manuale era ancora cospicuo, si trasformò in un’industria acciaieristica di massa razionalizzata e quasi integralmente meccanizzata. Determinante per quest’ondata innovativa fu l’introduzione di due procedimenti per la produzione dell’acciaio, che rendevano superfluo il lavoro manuale altamente qualificato del pudellaggio: il processo Bessemer e il processo Siemens-Martin. [...] Mentre lo sviluppo dell’industria dell’acciaio era sostenuto da una dinamica altamente innovativa e i grandi imprenditori del settore si assicurarono il possesso di proprie miniere di carbone, allo scopo di controllare le condizioni di produzione, l’industria estrattiva del carbone, pur mostrando sotto l’aspetto quantitativo lo stesso andamento impetuoso, manteneva tuttavia un’impronta conservatrice sul piano tecnico-produttivo. Il carbone, precedentemente alla prima guerra mondiale, veniva ancora estratto con la zappa quasi ovunque. [...] L’industria estrattiva del carbone, nei grandi
1. Metodo di affinazione del ferro attraverso la ossidazione del carbonio.
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FARESTORIA LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Stati industriali, continuò a comportare un lavoro fisico gravoso destinato a una grande massa di operai. Quanto era stato conseguito in termini di progressi della produttività era vanificato dalla necessità di scendere a profondità sempre maggiori per raggiungere il carbon fossile. [...] Una seconda significativa ragione della relativa passività mostrata dall’industria estrattiva era il controllo esercitato su di essa dagli industriali dell’acciaio. Poiché il carbone era l’unico elemento fondamentale per la fabbricazione dell’acciaio,
le grandi imprese del settore cercarono di ottenere il controllo del rifornimento carbonifero. A metà dell’Ottocento predominava ancora un’integrazione verticale di officine con altiforni e acciaierie, resa consigliabile da una serie di motivi tecnici. Il successo nella produzione dell’acciaio dipendeva strettamente dalla qualità del ferro grezzo impiegato, il cui controllo assicurava quindi notevoli vantaggi. Inoltre, la combinazione di altiforni e acciaieria consentiva di sfruttare il calore e la rilevante quantità di gas combustibili prodotti per le fasi successi-
142 D.S. LANDES L’AVVENTO DELL’ELETTRICITÀ
D.S. Landes, Prometeo liberato. La rivoluzione industriale in Europa dal 1750 ai nostri giorni, Einaudi, Torino 1978, pp. 36869; 371-74.
Lo storico statunitense David Saul Landes (1924-2013) ha dedicato numerosi studi alla storia dell’economia, fra cui il volume, divenuto un classico, dal titolo Prometeo liberato,
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Dal punto di vista dello storico dell’economia, l’importanza della elettricità sta nella combinazione unica di due caratteristiche: trasmissibilità e flessibilità. Col primo termine intendiamo la sua capacità di spostare energia attraverso lo spazio senza perdita notevole; con il secondo la sua convertibilità facile ed efficiente in altre forme di energia: calore, luce e movimento. La corrente elettrica può essere usata per produrre una o tutte queste cose, insieme o separatamente, e l’utente può passare dall’una all’altra a volontà. Inoltre può prendere esattamente la quantità di energia di cui ha bisogno, grande o piccola, e può cambiarla se necessario senza adattamenti implicanti perdite di tempo o sacrifici di efficienza; e paga ciò che consuma. Da queste caratteristiche emergono due conseguenze principali. Da un lato l’elettricità liberò la macchina e l’utensile dalla schiavitù di un luogo determinato; dall’altro rese l’energia onnipresente, e la mise a portata di tutti. [...] Fino alla seconda metà dell’Ottocento la macchina era stata sempre strettamente legata al suo motore primo. Non poteva essere collocata troppo lontano da questo per l’inefficienza delle cinghie e degli alberi quali mezzi di trasmissione dell’energia: ogni ingranaggio, giunto o ruota era fonte di perdita di potenza [...] Inoltre
METODO DI STUDIO
a Realizza un grafico a stella al cui centro ci sia la scritta “Industria siderurgica” e ai cui raggi corrispondano le seguenti voci: a. materie prime; b. struttura dell’impianto; c. prodotto; d. condizioni per l’ubicazione dell’impianto. b Individua e numera le fasi produttive dell’acciaio. Quindi trascrivile sul quaderno mettendo in rilievo le materie prime necessarie e l’area geografica di riferimento. c Descrivi per iscritto i cambiamenti che si verificarono nell’industria dell’acciaio e in quella estrattiva del carbone fra il 1869 e il 1880 e le relative cause.
che indaga le cause e lo sviluppo dell’industrializzazione in Europa. Nel passo scelto Landes prende in esame quella che fu, a partire dalla seconda metà dell’800, un’innovazione epocale: la diffusione dell’elettricità. La corrente elettrica permise, infatti, di trasportare, trasmettere e poter usare in modo diversificato l’energia, aprendo nuovi scenari sia per la produzione industriale che per la vita quotidiana.
la macchina era radicata al suo posto, o limitata a posizioni attigue al percorso degli alberi di trasmissione, perché soltanto là poteva attingere alla fonte di energia. [...] Questi non erano inconvenienti gravi in industrie come la manifattura tessile, dove batterie di attrezzi bene allineati lavoravano gli uni accanto agli altri nello stesso posto, ma davano origine a ogni sorta di difficoltà in campi come la siderurgia e la meccanica, dove il lavoro era disperso, il ritmo ineguale, e buona parte dell’attrezzatura veniva spostata di continuo. La soluzione in questi casi era una moltiplicazione delle macchine a vapore, grandi e piccole, ma era una soluzione dispendiosa non solo per spese d’impianto ma per costo di esercizio. [...] L’energia si può trasmettere economicamente per distanze che superano le poche decine di metri soltanto mediante fluidi o gas, che possono essere somministrati sotto pressione in condutture rigide o in tubi flessibili, oppure mediante la corrente elettrica. [...] A partire dagli ultimi anni dell’Ottocento l’elettricità ebbe per sé tutto il campo della trasmissione dell’energia. La storia di questo sviluppo merita di essere seguita: come esempio di collaborazione scientifica e tecnica, di molteplicità di invenzioni, di progresso attraverso un’infinità di
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
ve della lavorazione, con un conseguente risparmio di carbone.
piccoli miglioramenti, di iniziativa creativa, di domanda derivata e di possibili conseguenze impreviste. Questa crescita simbiotica dell’energia elettrica e dei motori elettrici assomiglia a quella delle macchine tessili e della macchina a vapore nel XVIII secolo: erano infine comparsi una tecnica e un sistema nuovi di produzione, dalle possibilità illimitate. Si era di nuovo alla Genesi. All’inizio dell’Ottocento l’elettricità era una curiosità scientifica, un balocco di laboratorio. Tuttavia grazie a ricerche e esperimenti diffusi essa divenne una forma di energia commercialmente utile, prima nelle comunicazioni, poco tempo dopo nei processi metallurgici e di chimica leggera, e infine nell’illuminazione. [...] Qui l’invenzione cruciale fu quella della lampada a filamento incandescente specialmente nella varietà ad alta resistenza di Edison. Per la prima volta l’elettricità forniva qualcosa di utile non solo all’industria o al commercio, o al palcoscenico, ma a ogni famiglia. Nessuna delle applicazioni precedenti era stata particolarmente vorace di energia; e ogni impresa aveva potuto generare con profitto l’elettricità che le occorreva. Adesso però esisteva un domanda di dimensioni globali incalcolabili, e tuttavia atomizzata in una moltitudine di bisogni individuali, che poteva essere soddisfatta soltanto da
un sistema centralizzato di generazione e distribuzione dell’energia. Anche questa fu un’idea di Edison, e da essa dipese che l’illuminazione elettrica fosse accessibile a tutti, e non riservata a pochi ricchi. Lo sviluppo dell’energia elettrica centralizzata fu opera dell’ultimo ventennio dell’Ottocento. Fu una realizzazione tecnologica grandiosa, resa possibile da quasi un secolo di grandi progressi teorici e innovazioni pratiche. Le pietre miliari sono note: la batteria chimica di Volta, 1800; la scoperta dell’elettromagnetismo fatta da Oersted, 1820; la legge del circuito elettrico formulata da Ohm, 1827; gli esperimenti di Arago, Faraday e altri, culminati nella scoperta di Faraday dell’induzione elettromagnetica, 1831; l’invenzione del generatore elettromagnetico autoeccitato (Wilde, Varley, E.W. von Siemens, Wheatstone e altri), 1866-67; la dinamo ad anello di Z.T. Gramme, il primo generatore commerciale di corrente continua, 1870; lo sviluppo di alternatori e trasformatori per la produzione di corrente alternata ad alta tensione negli anni 1880. Meno noti ma altrettanto vitali furono i progressi nella fabbricazione di cavi e di materiali
isolanti, nei particolari costruttivi dei generatori, nel funzionamento dei motori primi, nel collegamento delle unità componenti del sistema, nella scelta delle caratteristiche della corrente, nella registrazione del flusso e del consumo. La prima centrale elettrica pubblica d’Europa fu creata a Godalming in Inghilterra dai fratelli Siemens nel 1881. Nel quindicennio successivo altre ne sorsero in tutta l’Europa occidentale, un mosaico di unità locali situate secondo le convenienze del mercato, ciascuna con attrezzature e metodi di trasmissione propri. [...] Molto presto tuttavia gli imprenditori capirono che si potevano ottenere grossi risparmi se l’impianto generatore era situato alla fonte dell’energia o nelle vicinanze, e se la corrente veniva emanata da quel posto. È vero bensì che più lunghe erano le linee e maggiore era la perdita di energia, ma essa si poteva ridurre al minimo utilizzando corrente alternata ad alta tensione. La prima grande centrale di questo genere fu quella costruita nel 1887-80 dalla Ferranti a Deptford sul Tamigi, per rifornire Londra a 10 mila volt. Nel frattempo esperimenti condotti nell’Europa
143 R. GIANNETTI LA GRANDE IMPRESA
R. Giannetti, L’impresa, in P.A. Toninelli (a c. di), Lo sviluppo economico moderno. Dalla rivoluzione industriale alla crisi energetica, Marsilio, Padova 2006, pp. 535-36.
L’esigenza di dotarsi di attrezzature e tecnologie sempre più complesse e costose fu all’origine dei cambiamenti nell’organizzazione e nella dimensione delle imprese. Uno degli eleLa grande impresa è caratterizzata da un elevato grado di integrazione. In forma orizzontale quando comprende imprese simili: ad esempio, più imprese che producono confezioni, latte, ma anche ferro o macchinari; o in forma verticale, quando comprende diverse fasi del processo di produzione di un bene: ad esempio, l’integrazione tra la produzione di minerale di ferro, impianti di fusione e produzione di beni finali come le navi o le automobili. Il vantaggio principale dell’integrazione è rappresentato dalla riduzione dei costi unitari di produzione attraverso le economie di scala. La grande impresa può realizzare l’integrazione in due modi: o attraverso l’unione di imprese che rimangono giuridicamente separate, oppure attraverso la fusione di queste imprese in una nuova impresa più grande. La prima
continentale, dove c’era un forte incentivo a usare energia idroelettrica, dimostravano la possibilità di trasmettere l’energia per distanze anche maggiori. Nel 1885 fu inviata sperimentalmente energia a Parigi da un generatore di 150 kW installato a Creil (un percorso di 56 chilometri); e il passo decisivo fu compiuto nel 1891, quando Oscar Müller e la ditta svizzera Brown, Boveri e Co. trasmisero 225 kW per 179 chilometri a 30 mila volt, e si era affermato il principio della rete di distribuzione regionale. Era possibile ormai creare grandi distretti elettrici integrati, in cui le imprese agricole e industriali di ogni genere, per non parlare delle case e dei negozi, potevano attingere a una fonte efficiente di energia in comune. METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi le informazioni principali relative all’importanza dell’elettricità e alle conseguenze del suo utilizzo. b Cerchia l’invenzione definita “cruciale” e sottolinea i motivi della sua rilevanza. c Spiega per iscritto cosa rese possibile lo sviluppo dell’energia elettrica centralizzata, in che modo questo sviluppo fu messo a frutto e perché.
menti che caratterizzarono la seconda rivoluzione industriale, infatti, fu il sorgere della grande impresa. Renato Giannetti, storico economico italiano (nato nel 1948), ne analizza le caratteristiche principali, guardando alle accresciute dimensioni, ma anche alle più complesse procedure nell’organizzazione e nella raccolta di capitali.
forma di integrazione può variare molto: ad esempio, si possono utilizzare reti informali di controllo come quelle rappresentate dalla presenza degli stessi consiglieri in più consigli di amministrazione o controlli formali come il trust, o il cartello. Il primo è un patto tra imprese autonome che si accordano per fissare i prezzi e le quote di mercato delle imprese che vi aderiscono. Il secondo invece consiste nella fusione di quelle imprese in una nuova. Un’altra caratteristica della grande impresa è la diversificazione, ovvero nel tempo l’impresa allarga la produzione a nuovi beni più o meno correlati con quelli precedenti. Nella petrolchimica, ad esempio, la nafta che in un primo tempo rappresentava solo lo scarto di lavorazione della benzina, ha permesso la nascita dell’in-
dustria delle materie plastiche. Questa attività di diversificazione è stata favorita dall’esistenza di importanti programmi di ricerca su larga scala tipici della grande impresa moderna che, a partire dalla fine del XIX secolo, li ha sviluppati all’interno dei laboratori aziendali. L’integrazione e la diversificazione dei prodotti fanno sì che la grande impresa operi in genere con molti impianti dislocati in zone e paesi diversi, come è il caso delle grandi multinazionali emerse a partire dalla fine del XIX secolo. L’integrazione orizzontale della grande impresa può far aumentare il suo potere di mercato e dare luogo a una condizione di monopolio o di oligopolio. Nel primo caso una sola impresa controlla il mercato, nel secondo, poche imprese competono in maniera non concorrenziale. I casi di mo-
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FARESTORIA LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
nopolio sono storicamente assai rari e si concentrano prevalentemente nei settori di pubblica utilità come l’energia elettrica e i telefoni, nei quali l’efficienza economica si realizza proprio in condizioni di monopolio a differenza dei normali mercati. Per limitare il potere di monopolio, già dagli anni novanta del secolo scorso1 furono introdotte misure di regolazione pubblica che consistevano nel fissare limiti alla quota di mercato posseduta dall’impresa monopolistica. La grande impresa richiede grandi risorse finanziarie, sia per procedere alle fusioni che per attuare i programmi di investimento e di ricerca necessari per sfrut-
tare le economie di scala e di ampiezza. Per questo essa ha storicamente attinto a risorse esterne: o attraverso le banche, come è accaduto in prevalenza nel caso tedesco, o attraverso il mercato borsistico che ha invece caratterizzato l’esperienza americana o inglese. [...] La grande dimensione ha provocato anche la separazione tra proprietà e controllo. Nella prima metà del XIX secolo, queste due funzioni erano riunite nell’imprenditore. In seguito all’avvento della grande impresa, esse si sono separate a cavallo tra il XIX e il XX secolo. È emerso un nuovo ceto di gestori, quello manageriale, stipendiato e privo della proprietà,
1. Dell’800. METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi le forme di integrazione della grande impresa ed evidenziane i vantaggi. b Realizza e completa un grafico a stella al cui centro ci sia la scritta “Grande impresa” e ai cui raggi corrispondano le relative caratteristiche: a. diversificazione; b. integrazione; c. investimenti; d. gestione. Individua alcune parole chiave che scriverai alla fine dei raggi. Argomenta per iscritto le tue scelte in una didascalia a commento del grafico. c Spiega per iscritto il significato delle parole “trust” e “cartello”.
144 J. OSTERHAMMEL • N.P. PETERSSON UN’ECONOMIA MONDIALE degli storici tedeschi Jürgen Osterhammel (nato nel 1952) e
J. Osterhammel, N.P. Petersson, Storia della globalizzazione. Dimensioni, processi, epoche, il Mulino, Bologna 2005, pp. 65-68.
Già nell’ultimo trentennio dell’800 e fino allo scoppio della prima guerra mondiale le economie nazionali erano fortemente integrate. Nel brano seguente, tratto da una ricerca Nell’età del libero commercio (1846-80) si stabilirono numerose relazioni economiche mondiali sottratte in larga misura a qualsiasi regolamentazione statale. Cause tecnologiche e politico-ideologiche agirono in questo caso di concerto con una concezione della statualità secondo la quale le pretese d’intervento degli Stati nazionali erano sì più assolute, ma nello stesso tempo più limitate di quanto non lo siano oggi [...]. D’altro canto già a partire dal Cinquecento si era verificata una crescita economica («accumulazione del capitale») all’interno di strutture intercontinentali, in particolare nelle piantagioni e nel commercio asiatico. Che cosa c’era quindi di nuovo nell’Ottocento? 1) Il volume del commercio mondiale aumentò tra il 1800 e il 1913 di 25 volte. Un grande impulso all’espansione commerciale si verificò negli anni Cinquanta dell’Ottocento; dalla metà degli anni Settanta la crescita del commercio conobbe una nuova straordinaria accelerazione. Il commercio mondiale crebbe molto più velocemente della produzione mondiale. Tre quarti del commercio internazionale si concentravano però in Europa e all’interno di un triangolo i cui vertici erano rappresentati dall’Europa occidentale, dal Nordamerica e dall’Australia-Nuova
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ma in possesso delle leve di comando strategico della grande impresa.
Niels P. Petersson (nato nel 1968), vengono descritti i processi alla base della prima ondata di globalizzazione. Oltre alla crescita del commercio mondiale, la crescente integrazione sociale e culturale fu determinata dai progressi nei mezzi di comunicazione e di trasporto, che resero possibili sia il trasferimento a lunga distanza dei beni che le migrazioni.
Zelanda; tra le colonie solo India e Sudafrica erano importanti centri commerciali. I paesi in via di industrializzazione, in primo luogo la Gran Bretagna, erano i dominatori e i promotori della nuova fase d’integrazione dell’economia mondiale. Rimanevano tuttavia nicchie per reti regionali di commercianti indiani, cinesi, armeni, ecc. L’economia mondiale conservò le tracce del suo antico policentrismo. 2) Nessuno fece più diretta esperienza della globalizzazione di coloro che si trasferirono in un altro paese. All’interno dell’Europa, che aveva una popolazione già straordinariamente mobile per tradizione, sorse nel corso dell’Ottocento «una nuova topografia transnazionale delle migrazioni». Le aree d’emigrazione erano l’Europa meridionale, sudorientale e orientale, mentre le zone di maggiore immigrazione erano la Germania, la Francia e la Svizzera. Questi movimenti di popolazioni impallidivano di fronte alle migrazioni in altre parti del mondo. È stato calcolato che tra il 1850 e il 1914 circa 60-70 milioni di persone hanno abbandonato il proprio paese d’origine senza farvi più ritorno. Di questi, circa 40-45 milioni erano europei che emigravano oltreoceano, prevalentemente verso l’America del
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
Nord e l’America Latina, 7 milioni erano gli immigrati nella Russia asiatica e 11 milioni gli indiani, i cinesi e i giapponesi che giungevano in paesi stranieri (Sudest asiatico, Stati Uniti, Caraibi, Africa orientale e meridionale) per lo più come lavoratori a contratto («coolies»). Tra il 1811 e il 1867 non meno di 2,7 milioni di africani furono venduti come schiavi in America, nonostante il commercio degli schiavi fosse in continuo calo dopo la sua messa fuori legge da parte del parlamento britannico nel 1807. La maggior parte degli immigrati non si trovava disorientata nel nuovo ambiente. Formavano delle comunità di arrivo – in casi estremi «chinatowns» autosufficienti –, rafforzando così il carattere multietnico dei paesi che li accoglievano. Poiché le diaspore mantenevano per lo più dei legami con i paesi d’origine, le migrazioni del XIX secolo ricoprirono il globo con una rete di rapporti transoceanici di parentela. Anche dal punto di vista economico i migranti contribuivano all’integrazione globale. Essi lavoravano le terre di frontiera (frontiers), erano buoni acquirenti dei prodotti dei loro paesi di provenienza, contribuivano ad aumentare la produttività globale complessiva con un’utilizzazione più efficace delle risorse (divisione del lavoro,
migliori posizioni) e spesso fondavano essi stessi nuove imprese e settori commerciali. L’ascesa e il duraturo successo degli Stati Uniti come potenza economica dominante non sarebbero spiegabili senza il contributo degli immigrati nel corso dell’Ottocento. 3) Per la prima volta fu possibile inviare beni di massa a grande distanza. Anche da questo punto di vista intorno al 1880 si superò una soglia. Il progresso nel processo d’integrazione del nucleo atlantico cominciò infatti a rivelarsi nella crescente parificazione dei prezzi delle merci e dei salari reali in Europa occidentale e Nordamerica. Il declino della coltivazione britannica di cereali e la conversione della Gran Bretagna all’esportazione di
prodotti finiti, e all’importazione di cereali dopo l’abolizione delle Corn Laws1 nel 1846, sono i primi effetti della trasformazione strutturale prodotta da questa nuova forma di divisione internazionale del lavoro. I mercati regionali reagirono uno dopo l’altro con rapidità e sensibilità nuove. 4) Il segno più incontrovertibile dell’esistenza di una stretta connessione globale fu il presentarsi di movimenti congiunturali con effetti percepibili in tutto il mondo. La cosiddetta «Grande Depressione» o «Grande Crisi» cominciata nel 1873 fece crollare i prezzi delle merci su tutti i mercati mondiali. Con effetti ancor più duraturi si fece positivamente sentire in tutti i continenti l’espansione della domanda
dopo il 1896: la prima congiuntura globale favorevole. 1. Leggi sui cereali, introdotte dal governo inglese nel 1815, prevedevano forti misure protezionistiche sul grano. METODO DI STUDIO
a Parti dalla domanda del brano “Che cosa c’era di nuovo nell’800?” e spiega per quale motivo è stata fatta. Quindi sintetizza le risposte fornite dagli autori. b Rispondi per iscritto alle seguenti domande: a. In che misura il fenomeno migratorio contribuì all’integrazione globale dell’economia? b. Quali sono, secondo i due storici, i segnali più evidenti della globalizzazione economica avviatasi nella seconda metà dell’800?
PISTE DI LAVORO
LO STORICO RACCONTA 1 Avendo come riferimento i brani storiografici del sottopercorso, individua i cambiamenti avvenuti nelle grandi imprese dal punto di vista dell’organizzazione della fabbrica e del commercio mondiale. Trascrivi
sinteticamente le informazioni da te raccolte sul quaderno e indica fra parentesi il nome dell’autore dal cui brano le hai tratte. Infine scrivi un testo di circa 15 righe sullo stesso tema, scegliendo un taglio e un titolo per il tuo elaborato.
UN’ETÀ DI INNOVAZIONI La seconda rivoluzione industriale fu caratterizzata da un forte legame fra scienza e tecnologia, dal numero crescente di innovazioni e dalla nascita di nuove professioni, che segnarono la nuova epoca in diversi ambiti. Luisa Dolza [►145], invece, si concentra su una professione che divenne centrale, quella dell’ingegnere, e sulla rilevanza che assunse la sua formazione. Se guardiamo all’ambito dei trasporti, l’innovazione più significativa fu sicuramente quella delle ferrovie, come illustra Andrea Giuntini [►146]. Rispetto alle comunicazioni, invece, Alberto Cavallari [►147] analizza gli sviluppi tecnologici nel mondo della stampa, che porteranno alla nascita del giornale di massa, e poi a quella di radio e cinema. Anche la medicina e le strutture sanitarie subirono una significativa evoluzione, con il diffondersi dell’attenzione verso metodi più razionali di indagine e nuovi requisiti igienici, come illustra il brano di Giorgio Cosmacini [►148] e un estratto dal regolamento di due ospedali di Milano a fine ’800 [►149d].
145 L. DOLZA IL RUOLO DEGLI INGEGNERI
L. Dolza, Storia della tecnologia, il Mulino, Bologna 2008, pp. 194-98.
La storica Luisa Dolza (nata nel 1964) sofferma la sua attenzione su una professione che divenne centrale con la rivoluzione industriale: l’ingegnere. Mentre in Francia la formazione degli
ingegneri fu regolata dallo Stato in misura crescente nel corso del ’700, in Inghilterra più che le scuole furono rilevanti la pratica dell’apprendistato e le associazioni professionali. Comune, anche nel resto d’Europa, fu però il punto d’approdo: gli ingegneri acquisirono un ruolo e un’identità legati al progresso sociale ed economico che contribuirono a realizzare.
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FARESTORIA UN’ETÀ Di INNOVAZIONI
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Gli ingegneri, prima relativamente marginali, iniziano a essere considerati, figure fondamentali del progresso economico e sociale. Liberati dalle catene dell’ignoranza e della superstizione, ora devono essere formati, dagli scienziati, al nuovo compito. In Francia questo processo trova le sue radici nella fine del Seicento, quando lo Stato inizia a sviluppare istituzioni tecniche, corpi amministrativi e scuole professionali. Una scuola per gli ingegneri militari è creata alla fine del XVII secolo, la scuola per formare alla costruzione dei Ponts et Chaussées1 nel 1747 (amministrata dal ministero del Commercio come i corpi di funzionari a cui era legata), il Génie de Mézières2 nel 1748 (dove si insegnava la meccanica, la filosofia naturale, la progettazione di macchine, l’arte della fortificazione, e l’architettura e la chimica), nel 1765 la scuola per preparare gli ingegneri alla costruzione dei vascelli, quella per gli ingegneri minerari nel 1783 e infine, nel 1794, l’École centrale des travaux publics [Scuola centrale dei lavori pubblici], che prese il nome di École Polytechnique [Scuola politecnica] un anno dopo. Nel 1804, per disciplinare gli studenti, Napoleone le conferisce uno statuto militare e un motto: «Pour la patrie, les sciences et la gloire [Per la patria, le scienze e la gloria]». Il compito del Politecnico parigino è subito chiaro: centralizzare e uniformare la formazione degli ingegneri all’insegna dell’alleanza tra scienza e tecnica. [...] L’utilizzo e l’insegnamento dell’analisi matematica, una scienza sistematica e razionale per fornire un quadro di riferimento teorico con cui risolvere problemi tecnici e di un linguaggio geometrico codificato, per rappresentare gli oggetti nello spazio, avevano un forte significato «politico». Con tali strumenti concepiti originariamente per la fortificazione, ma di applicazione universale, gli ingegneri diventano esperti, tecnici al di sopra delle parti, capaci di gestire ogni problema, la guida salda e sicura del paese. Nella scienza e nella tecnica sono individuate le chiavi del progresso sociale ed economico, il modello della razionalità che deve guidare le decisioni e rendere gli uomini padroni della natura. Se lo sviluppo dell’industrializzazione in Gran Bretagna rese evidente il ruolo che la tecnica gioca nello sviluppo economico e nel potere delle nazioni, la cultura francese stabilì la necessità dell’alleanza tra scienza e tecnica e della figura dell’uomo colto di forma-
zione matematico-scientifica come perno della modernizzazione di un paese. [...] Mentre si istituiscono le scuole per formare la nuova classe dirigente, si inizia a portare uno sguardo nuovo sugli inventori, tecnici e ingegneri. Al contempo, coloro che portano il genio innato, portatori di un sapere nuovo e di paure antiche iniziano a percepirsi e a presentarsi in modo diverso. Sempre meno artisti al soldo del principe, essi si propongono come gli artefici di una nuova e collettiva forma di progresso. Non più eroi solitari, sono pronti a mettere la propria conoscenza al servizio dell’utilità pubblica e della prosperità. E della patria, dato che forte è per tutto il secolo il legame tra la figura dell’ingegnere e la costruzione dell’identità nazionale. I tecnici viaggiano, come hanno sempre fatto, ma in un contesto politico ed economico molto diverso fatto di competizione tra nazioni, diventando la misura del livello di eccellenza delle nazioni. In questo un ruolo importante lo giocarono gli ingegneri inglesi, portatori di un sapere empirico, pratico, non analitico, meno specializzato. In Francia l’ingegneria è ora una professione, con scuole e diplomi. In Inghilterra la situazione è diversa: dopo un apprendistato, spesso come fabbricanti di strumenti, e un periodo di studi su libri spesso in francese, gli ingegneri partecipano con orgoglio al progetto nazionale. Il padre fondatore dell’ingegneria civile inglese, John Smeaton, si occupa di ponti, mulini e macchine. [...] La legittimità dell’ingegnere inglese non
ha bisogno di scuole, ma trova spazio nelle associazioni professionali. La Society of Civil Engineers [Società degli ingegneri civili] fondata nel 1771 e la Institution of Civil Engineers [Istituto degli ingegneri civili] del 1818 non erano né scuole né corporazioni, ma si rifacevano a istituzioni tipiche in Gran Bretagna come il Parlamento, la Royal Society, i club politici e sociali. «La nostra associazione assomiglia al Parlamento inglese. Da una varietà di talenti e conoscenze, derivano molte applicazioni pratiche», scrive un socio. Liberi dal controllo statale, i membri di queste associazioni si identificano nei valori della responsabilità collettiva, del buon senso, dell’onore. Questo approccio era inseparabile da una visione dello Stato come autorità ma non come responsabile del progresso tecnico, di cui erano soli attori e protagonisti gli ingegneri e le loro associazioni. La pratica del saper fare, non lo studio nelle aule di una scuola, divenne il modo per distinguersi dagli scienziati e acquisire una propria identità e ruolo. Per tutto l’Ottocento in Europa gli ingegneri si considerano speciali, unici, dediti con imparzialità alle grandi cause: alla fine del secolo il loro ruolo sociale è dato per assodato.
1. Ponti e strade, ovvero il Genio civile. 2. Il nome esteso è École royale du génie de Mézières, cioè Scuola reale del genio di Mézières, la cittadina nel Nord-Est della Francia dove sorse l’istituto.
PALESTRA INVALSI
1 Trascrivi tre espressioni del testo usate dall’autore per definire il modo in cui gli ingegneri si propongono e percepiscono nell’800. 1. .................................................................................................................................................... 2. .................................................................................................................................................... 3. .................................................................................................................................................... 2 Indica quali caratteristiche sono proprie degli ingegneri inglesi e quali dei francesi.
Caratteristiche L’ingegneria è una professione L’ingegneria è legata ad un sapere empirico Esistono scuole per diventare ingegneri Esistono associazioni professionali che legittimano gli ingegneri
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
Gran Bretagna
Francia
146 A. GIUNTINI LE FERROVIE
A. Giuntini, Il boom delle ferrovie, in V. Castronovo (a c. di), Storia dell’economia mondiale. Tra espansione e recessione, vol. IV, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 21-27; 30-31.
Lo storico dell’economia Andrea Giuntini (nato nel 1955) approfondisce in questo saggio la nascita e il rapido sviluppo delle ferrovie. Si trattò di una rivoluzione nei trasporti, sotto diversi punti di vista: quello tecnologico (con Il treno sconvolge completamente i rapporti fra uomo e spazio e sviluppa un nuovo concetto di mobilità. Quello che prima era lontano grazie al treno non lo è più, l’impossibile viene trasferito nella sfera della quotidianità. I ritmi di vita mutano completamente, non sono più i giorni la scansione principale, ma le ore. Pochi oggetti sono in grado di descrivere visivamente meglio delle ferrovie l’Ottocento. L’immagine di un treno in corsa è stata innumerevoli volte associata all’idea di progresso, che il XIX secolo riassume più di qualsiasi altro. Vapore, ferro, carbone e il genio dell’uomo che spinge sempre più avanti i confini del sapere tecnico: tutto questo trova nelle ferrovie la sintesi ideale. [...] Gli storici si sono chiesti più volte se quella ferroviaria abbia effettivamente costituito una rivoluzione dei trasporti. [...] Il livello quantitativo e qualitativo dei cambiamenti porta a ragionare in termini di rivoluzione: natura dei servizi da una parte e prodotto e modalità del trasporto dall’altra hanno subito tali modificazioni, secondo i sostenitori di questa seconda tesi, da giustificare il richiamo all’idea di rottura. Se effettivamente si prende in considerazione l’impegno del capitale necessario all’impianto di una ferrovia, ci si trova sicuramente di fronte a un fenomeno rivoluzionario: non esisteva all’epoca alcuna impresa che ne richiedesse un ammontare altrettanto cospicuo. Ma anche dal punto di vista tecnologico appaiono evidenti le straordinarie novità apportate dalle ferrovie: il salto in termini costruttivi, in particolare delle locomotive, che rappresentarono il prodotto più sofisticato in ambito ferroviario, induce a ragionare in termini di profonda rivoluzione rispetto al passato. Se poi allarghiamo la considerazione anche alle linee, appare immediatamente come l’approntamento di accorgimenti particolari – si pensi soltanto alle ferrovie di montagna – costituisca un passo in avanti gigantesco compiuto dagli ingegneri di ogni pae-
le innovazioni nelle tecniche costruttive), quello economico (con la nuova scala degli investimenti finanziari necessari per realizzare le linee), quello spaziale – perché le ferrovie aumentarono la mobilità, favorirono la concentrazione di imprese e agglomerati, permisero la comunicazione fra luoghi prima isolati, mutando radicalmente i rapporti fra uomo e spazio.
se d’Europa. [...] Ci fu rottura anche dal punto di vista fisico, della velocità, della possibilità di collegarsi in maniera assai diversa di quanto non accadeva precedentemente, e tale rottura è ancora più evidente in quanto le ferrovie funzionarono contestualmente agli altri mezzi di trasporto, facendo risaltare dunque in pieno le poderose differenze. Sotto il profilo più strettamente economico, occorre sottolineare poi che le ferrovie, che furono il primo sistema tecnico a grande scala, innescarono un giro complessivo di interessi che i precedenti mezzi di trasporto non erano stati in grado di alimentare. Le ferrovie infatti stimolarono investimenti enormi, come probabilmente nessuna altra iniziativa riuscì a fare nel corso del secolo. In questo senso si può affermare che influirono sulla struttura dei primi mercati maturi dei capitali, inducendo pratiche borsistiche moderne e favorendo l’invenzione di nuovi prodotti finanziari, ma finendo anche per gonfiare il fenomeno della speculazione. In una parola sola, dettero un contributo decisivo alla maturazione del sistema finanziario. [...] Le ferrovie inoltre mutarono profondamente il territorio e gli insediamenti. Favorirono l’addensamento della popolazione e la concentrazione delle imprese così come l’apertura di nuovi territori al popolamento e alla messa a coltura. L’aumento della mobilità commerciale e dei viaggiatori mise per la prima volta in collegamento paesi e genti, togliendoli da un isolamento in certi casi secolare. In definitiva crearono nuovi paesaggi – modellati dalle opere d’arte disseminate lungo le linee – e modificarono ovunque l’ambiente geografico. [...] La fase pionieristica delle ferrovie dura grosso modo fino al 1850; la si fa generalmente coincidere con la fine della prima rivoluzione industriale. Al termine di questa prima fase erano stati stesi nel mondo 38.600 chilometri di binari; l’Europa ne contava 25.900. [...]
L’apertura della linea Stockton-Darlington1 il 27 settembre 1825 viene comunemente considerata il primo atto dell’era ferroviaria. La locomotiva costruita per l’occasione da George Stephenson, reputato a ragione il padre della ferrovia, portava il semplice nome di Locomotion; coprì l’intero percorso alla media di 20 chilometri orari. Sul treno inaugurale, come riportano le cronache entusiaste, montarono almeno 500 persone, in parte a bordo e in parte aggrappate esternamente ai 33 vagoni. [...] Le varie reti nazionali crebbero senza seguire modelli prestabiliti. La loro forma dipendeva talora da motivi di ordine geografico, come nel caso dell’Italia, in cui la configurazione non poteva che essere longitudinale, o in quello della Russia, dove su tutto si impose l’immensità degli spazi. Ma prevalsero talvolta ragioni di centralità della capitale, che spinsero verso la formazione di reti radiali, come in Francia, Gran Bretagna e Spagna. [...] In tutti i paesi che si dotarono della nuova infrastruttura nacque inizialmente una miriade di piccole compagnie per la costruzione e la gestione delle linee; col tempo fu avviato un chiaro processo di concentrazione in realtà societarie di dimensioni maggiori, che si trovarono a esercitare anche migliaia di chilometri di linee. In questa prima fase dell’era ferroviaria fecero passi da gigante le tecniche costruttive. Migliorarono sia gli impianti sia il materiale rotabile, per il quale eccelsero Gran Bretagna e Belgio. Sarà opportuno ricordare che i binari di acciaio fecero la propria comparsa nel 1857 in Inghilterra. Si distinsero nell’ambito dell’attività costruttiva in particolare gli ingegneri e i grandi appaltatori di lavori ferroviari inglesi, i quali giravano l’Europa insieme
1. Le due località si trovano nel Nord-Est dell’Inghilterra.
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FARESTORIA UN’ETÀ Di INNOVAZIONI
con i propri operai specializzati, esportando un sapere di cui furono i primi depositari. [...] Quella che comunemente viene chiamata la seconda rivoluzione industriale rappresenta anche la fase della maturità delle ferrovie. Il mutamento di maggior rilievo riguarda gli investimenti. Terminata l’epoca in cui poteva bastare anche una fortuna personale per la costruzione di una linea, nella seconda metà dell’Ottocento si fanno avanti nuovi modi di approvvigionamento del denaro dovuti al passaggio a reti sempre più vaste e complesse. Si tratta dunque di un salto di scala decisivo sotto il profilo finanziario, che, ove si presenti troppo oneroso, prevede un crescente intervento dello Stato. Nella seconda metà degli anni Settanta la Germania decide la nazionalizzazione
delle ferrovie, seguita da altri paesi quali Romania, Serbia, Bulgaria, mentre in Austria, Danimarca, Russia e Svizzera i vari governi acquistano le linee principali. Anche dove i privati restano i protagonisti del mondo ferroviario aumentano comunque controlli e regolamentazioni, mentre si afferma l’idea che le ferrovie sono un servizio sociale necessario nei confronti del quale l’impegno statale deve tendere all’allargamento. [...] I grandi istituti di credito sostituiscono le piccole banche prima coinvolte nell’investimento ferroviario. [...] In quest’epoca le reti già formate tendono al completamento attraverso la realizzazione di linee secondarie e locali. [...] Complessivamente, nel 1890 in Europa esistevano 216.000 chilometri di binari contro i 151.000 del 1860; anche il traffico
147 A. CAVALLARI IL GIORNALE DI MASSA
A. Cavallari, La fabbrica del presente. Lezioni d’informazione pubblica, Feltrinelli, Milano 1990, pp. 124-37.
Alberto Cavallari (1927-1998), giornalista e a lungo direttore del «Corriere della Sera», ha scritto diversi reportage e inchieste storico-politiche, ma anche saggi, come La fabbrica del presente, che raccoglie un ciclo di lezioni sull’informazio-
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È solo con l’Ottocento che si verificherà l’esplosione della stampa, la nascita del giornale di massa, l’egemonia degli strumenti d’informazione nel mondo sempre più moderno. Sono quattro i fattori che producono il grande cambiamento. Tre sono tecnologici, uno è commerciale: l’applicazione dell’energia a vapore alle macchine da stampa (1812), la fotografia di Niépce (1826), il telegrafo elettrico di Morse (1832-37), l’introduzione sistematica della pubblicità commerciale nei giornali (1836). [...] Il concetto di produzione di massa si afferma solo col vapore applicato alla macchina; quello di contemporaneità, di ubiquità, e trasmissione a distanza, si realizza solo col telegrafo elettrico, cioè mosso da un’altra energia artificiale prodotta dopo il vapore. La fotografia sembra soltanto un’evoluzione dell’illustrazione prodotta dalla somma di più scienze, ma diventa presto anch’essa un linguaggio nuovo, trasmissibile a distanza, preparando il terreno al cinema, alla televisione, al mondo futuro dei multimedia. Pertanto le rivo-
METODO DI STUDIO
a Cerchia gli ambiti del settore dei trasporti in cui le ferrovie rappresentarono una vera e propria rivoluzione. Individua per ognuno di essi da tre a cinque parole chiave e argomenta la tua scelta per iscritto. b Individua le fasi dello sviluppo delle ferrovie e rendile riconoscibili con dei titoli che scriverai al lato del testo. Quindi trascrivili sul quaderno e sintetizzane i contenuti. c Spiega cosa determinò la forma delle reti ferroviarie nazionali citando alcuni esempi.
ne pubblica, tenute all’università di Parigi. Nel brano proposto Cavallari analizza la nascita del giornale di massa, prendendo in considerazione i fattori tecnologici che concorsero al miglioramento e alla diffusione della stampa nella seconda metà dell’800. Proprio grazie alle significative innovazioni tecnologiche, nasceranno però a fine secolo i concorrenti dei giornali: radio e cinema.
luzioni energetiche (vapore ed elettricità) sono alla base della grande espansione. Parallelamente, una rivoluzione chimica fa la sintesi di lunghi studi sulla riproducibilità, cominciati da Leonardo, proseguiti con l’ottica, con gli studi dei colori e della luce, e lancia l’informazione visiva di massa, la rende più ricca di prospettive. Già nel 1832 sono infatti in atto gli esperimenti d’immagini in movimento. Nel 1889 nasce il cinema. Mentre la stampa realizza la propria egemonia, prepara con la fotografia anche i nuovi strumenti d’informazione e di comunicazione che le saranno concorrenziali. [...] Ma veniamo ai dati che compongono il quadro di questa gigantesca esplosione. Il colpo d’inizio è dato nel 1812 dall’applicazione del vapore al torchio metallico di Stanhope, su brevetto Koenig, e dalla pressa meccanica, che il settecentesco «Times» installa nella sua tipografia di Londra. Così comincia l’accelerazione produttiva che, con le rotative della metà del secolo, giunge alle 15.000 copie orarie e produce in tutti i paesi, in tempi diversi, ovviamente, fenomeni d’espansione uguale. [...]
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
merci era sensibilmente cresciuto, passando da 340 a 1.750 milioni di tonnellate. Negli Stati Uniti nel 1860 la rete raggiungeva il Mississippi e contava 50.000 chilometri di estensione, che alla fine del secolo erano aumentati di otto volte.
Il grande balzo avviene tra il 1830 e il 1860. Infatti, in questo trentennio, le ferrovie si espandono. Morse trasmette (1844) il suo famoso messaggio «elettrico» sulla linea Washington-Baltimora («What hath God wrought»1) e poi l’utilizza per la prima volta per «informare» trasmettendo i nomi dei delegati alla Convenzione nazionale Whig. Come scrive Stefan Zweig sugli esperimenti che precedono l’avvenimento, «l’anno 1837 è raramente menzionato nei nostri manuali di storia. Ma il fatto che il telegrafo trasmetta simultaneamente attraverso il mondo notizie sconvolgendo la nozione del tempo, con effetti psicologici enormi, fa sì che nessun’altra data della nostra storia è paragonabile». È così infatti che nascono le prime grandi agenzie mondiali: la francese Havas (nel 1832-5), l’americana Associated Press (1848), la tedesca Wolf, l’inglese Reuter (1851). È così che nel 1845 il «Morning Chronicle» di Londra utilizza per primo 1. Frase biblica, che suona come “cosa ha fatto Dio”.
il telegrafo Morse nella trasmissione di messaggi a stampa. [...] Sopravviene poi la rivoluzione commerciale, prodotta dalla pubblicità partita dalla Francia. Nel trentennio il «sistema» editoriale è formato definitivamente. Ci sono i «grossisti di notizie»: le agenzie. Sono nate le industrie di produzione. Sono tracciati gli allargamenti di mercato. Funzionano le prime organizzazioni pubblicitarie. Sono praticate le riduzioni dei prezzi per rendere di «massa» il giornale. Si consolida soprattutto un nuovo circuito tra potere politico e potere economico per controllare e organizzare la crescita che inizia. [...] La seconda fase di grande espansione è quella compresa nel quarantennio 18601900. Ormai funziona il primo cavo telegrafico transatlantico di Cyrus Field tra l’Islanda e Terranova, utilizzato dalla Associated Press (1858-66). Il compositore a tasti di Kasteinbein troneggia al «Times» (1872) fondendo 6000 caratteri l’ora, utilizzando solo quattro operai. Nel 1880 il «Daily Graphic» di Londra pubblica la prima riproduzione di una fotografia. Nel 1866 il «New York Tribune» impianta la prima linotype2. [...] In Francia, nel 1863 nasce il primo quotidiano veramente popolare, il «Petit Journal» di Moise Millaud. Costa cinque cen-
tesimi, nel 1869 tocca le 350.000 copie, prosegue la rivoluzione commerciale, che porta al «boom» del giornalismo popolare, sensazionale, spregiudicato, unicamente teso al successo e al guadagno, sovente legato al potere politico. [...] Quando il secolo finisce, la fabbrica del presente sembra aver toccato il massimo della sua capacità di produrre e della sua eterogeneità. L’egemonia dell’informazione scritta e visiva, ma sempre stampata, è totale. Ma il secolo nuovo riserva le sue grandi sorprese e nel 1895, a Parigi, nella penombra di un salotto, i fratelli Lumière hanno già proiettato il primo film. Lo stesso anno, Marconi, a Bologna, ha fatto le prime esperienze di radio senza fili. Nel 1896 «The World» di Pulitzer ha pubblicato i primi comics. Nel 1898 due stazioni Marconi hanno consentito il primo radio-reportage delle regate di Kingston per il «Daily Express» di Dublino. Nessuno intravede che nel 1908 Pathé3 inaugurerà già le attualità filmate con il suo «Pathé Journal». Ma presto si salderanno la trasmissione hertziana4 a distanza, il cinema, la radio. La stampa non sarà più sola a utilizzare le nuove tecnologie mettendole al proprio servizio, come è accaduto finora. Per la prima volta, la fabbrica del presente, dopo secoli diventerà
148 G. COSMACINI LA MEDICINA
G. Cosmacini, L’arte lunga. Storia della medicina dall’antichità a oggi [1997], Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 347-58.
Giorgio Cosmacini (nato nel 1931), medico e saggista, ha dedicato numerosi studi alla storia della medicina. Nel brano che riportiamo, tratto da un’opera che ripercorre il cammino della medicina dall’Antichità ad oggi, Cosmacini traccia le Il bilancio degli sviluppi ottocenteschi della medicina fin verso il 1870 (quando in Italia si realizzava l’unificazione politico territoriale del paese) consente di fissare l’evoluzione compiuta in tre forme o fasi, passate rispettivamente attraverso l’analisi del corpo umano vivo-morto (anatomismo clinico), attraverso l’analisi logico-descrittiva e stilistica delle malattie (cartelle cliniche e tabelle nosologiche1) e attraverso l’analisi qualitativo-quantitativa del corpo umano sano-malato (esame fisico-chimico dei suoi componenti e comportamenti, correlazione fisio-farmacologica tra disfunzioni organiche e farmaci).
sonora e visiva, sarà cogestita dalle teletrasmissioni. Mentre lo sviluppo dell’informazione scritta è al massimo, si prepara la grande «rottura» che cambierà tutto. 2. Macchina tipografica che compone in piombo le linee intere di caratteri per i testi a stampa. 3. Charles Pathé (1863-1957), pioniere dell’industria cinematografica, produttore e artefice del primo cinegiornale. 4. Dal nome del fisico tedesco Heinrich Rudolf Hertz (1857-1894), che scoprì le onde elettromagnetiche e diede avvio alla tecnica delle radiotrasmissioni.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi i fattori che produssero il grande cambiamento descritto da Cavallari. b Cerchia le innovazioni descritte e sottolinea i relativi campi d’azione e i conseguenti cambiamenti. c Individua le fasi della grande espansione e rendile riconoscibili con dei titoli che scriverai al lato del testo. Quindi trascrivi questi ultimi sul quaderno e sintetizzane i contenuti mettendo in rilievo le date di riferimento.
linee-guida dell’evoluzione della medicina, che aveva compiuto numerosi progressi legati ad importanti scoperte (come le cause di alcune infezioni), ad uno studio più metodico e razionale delle malattie, ai nuovi strumenti (come lo stetoscopio o il termometro). Si sofferma, in particolare, anche sulle trasformazioni dell’ospedale, in cui si applicavano i nuovi criteri igienici.
Questi connotati metodologici imponevano la pratica della «medicina scientifica» – per usare la dizione di Claude Bernard2 – come pratica ospedaliera. Imponevano altresì che gli ospedali fossero ripensati, ristrutturati, costruiti ex novo, organizzati, gestiti come luoghi di una scienza medica di crescente complessità. Le corsie ospedaliere dovevano essere luoghi più inodori e salubri che in passato, ma soprattutto luoghi dove i medici a loro volta dovevano, oltreché visitare i malati, sostare più a lungo per compilare diari, cartelle, tabelle, divenuti indispensabili alla clinica. Estrapolando dalla congerie caotica delle casistiche una tipologia dei decorsi
e dei quadri patologici, si abbozzava una classificazione delle malattie non più per sintomi morbosi (tipo «febbre» o «catarro»), ma per organi lesi (tipo «bronchite» o «gastrite»); e si approdava a una nosologia più razionale o meno congetturale che in passato, sostenuta dal linguaggio eloquente delle statistiche. L’oggettivazione della malattia, prima subordinata alla 1. Da “nosologia” (sinonimo di “nosografia”): studio descrittivo delle malattie. 2. Claude Bernard (1813-1878): medico francese, fece ricerche soprattutto nel campo della fisiologia.
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FARESTORIA UN’ETÀ Di INNOVAZIONI
soggettività dell’«occhio clinico», veniva in tal modo mediata e rafforzata, oltreché dal raffronto anatomo-clinico tra i sintomi del malato e le sue lesioni organiche, dal riscontro nosografico e dal suffragio dei grandi numeri. [...] La grande macchina ospedaliera si era messa in moto: una macchina produttiva o, quanto meno, regolativa di salute. L’ospedale diventava l’ottocentesca machine à guérir3 che produceva conoscenza patologica e che organizzava la gestione dei malati con fine dichiarato di guarigione, ma anche fine implicito di ricerca clinica. Nel grande spazio collettivo della salute individuale si disegnavano spazi per malati «specifici». Sale o reparti «speciali» si distaccavano dalle corsie o infermerie «generali»: la sala da parto dalla corsia per partorienti, la sala delle operazioni dall’infermeria per malati chirurgici, il convalescenziario dall’infermeria per malati acuti. Nell’ospedale si instauravano anche le pratiche di controllo delle malattie contagiose, con separazione del reparto d’isolamento dalla corsia per febbricitanti, e le pratiche di disinfezione, in ottemperanza dei nuovi dettami della scienza e dell’esperienza. [...] In ospedale, a completare la transizione rivoluzionaria di metà secolo, alla
lotta all’infezione si aggiungeva quella per togliere sensibilità al dolore, segnata dall’avvento dell’anestesia. [...] L’insegnamento e l’esempio di Virchow4 e di Claude Bernard indicavano la via da seguire all’interno degli ospedali e delle cliniche. Entrambi concepivano la malattia come uno stato naturale diverso dalla salute non per qualità, ma per grado. Funzione e disfunzione, fisiologia e patologia costituivano un continuum graduato, misurabile. Se il passo dal normale al patologico era un salto, il salto era anch’esso suscettibile di misura: non diversamente, in un filamento metallico portato all’incandescenza, poteva essere misurato il graduale aumento di temperatura che ne determinava la fusione, con passaggio qualitativo di stato, da solido a liquido. In tale concezione, e nel clima scientista dell’Ottocento inoltrato, la «misura della malattia» si presentava come uno dei possibili fondamenti della pratica clinica. [...] In un clima culturale che veniva sempre più celebrando la scienza e la tecnica, risaltava una figura professionale di medico la cui identità scientifica era fortemente connotata da valori integrativi di umanitarismo e di apostolato laico. «Scienza e umanità» non era un binomio di facciata;
3. Macchina per guarire. 4. Rudolf Virchow (1821-1902): medico tedesco, compì importanti studi nel campo della patologia. METODO DI STUDIO
a Descrivi quali connotati metodologici si affermarono verso il 1870 e quali furono le conseguenze. b Spiega in cosa consisteva la misura della malattia e perché era importante. c Cerchia, nel testo, le caratteristiche del medico ideale.
149d I NUOVI OSPEDALI
Regolamento igienico-sanitario dell’Ospedale Maggiore e del Pio Istituto S. Corona, Milano 1884.
Riportiamo alcuni articoli del Regolamento igienico-sanitario dell’Ospedale Maggiore e del Pio Istituto S. Corona di MilaNosografia 41. Sopra il letto d’ogni infermo è appesa alla parete una tavola metallica che porta in tre spazi distinti le indicazioni del giorno dell’ingresso dell’ammalato nell’Ospedale, della sua malattia e della dieta assegnatagli. [...] Assieme al foglio d’inscrizione si tengono i fogli del diario clinico, detti cedole, dove si ripetono alcune delle indicazioni espresse sul foglio d’inscrizione, e vi si registrano la diagnosi e le cause della malattia, l’anamnesi e lo stato dell’ammalato al giorno dell’ingresso, e giorno per giorno i sintomi, compreso lo stato della temperatura, della circolazione e della respirazione, le ordinazioni mediche, i soccorsi chirurgici e la dieta.
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per molti medici rappresentava una vera e propria parola d’ordine. [...] Sul finire del secolo, sembrava definitivamente acquisita la figura ideale, qua e là realizzata, di un medico scientificamente preparato, tecnicamente agguerrito, umanamente coinvolto, civilmente impegnato, schierato stabilmente a favore della vita nella sua pienezza, contro la morte, la malattia, la fame, la povertà, lo sfruttamento, il dominio incontrollato dell’uomo sull’uomo. Il secolo della medicina e della sanità si avviava alla sua conclusione con il vaticinio di una igiene applicata e di una tecnologia diagnostica e, in prospettiva, terapeutica destinate a risplendere su tutto l’arco del secolo XX.
no (1884) che ci permettono di documentare la trasformazione degli ospedali da ricoveri indifferenziati in luoghi di cura e di studio dei malati, organizzati razionalmente secondo i criteri della scienza medica e delle teorie igieniste.
43. I diari clinici degli ammalati e i registri nosologici delle infermerie servono alla formazione delle relazioni mediche mensili ed annuali con le annesse tavole nosologiche che ogni Medico chirurgo e Specialista primario deve rassegnare al Medico direttore sull’andamento del servizio nei rapporti disciplinari, sanitari e scientifici per le sedute sanitarie mensili, per occorribili provvedimenti e pei rendiconti statistico-sanitari annuali degli Istituti Ospitalieri. Disposizioni igieniche 68. Mediante ventilatori, preferibilmente costrutti in modo da aspirare l’aria esterna dall’alto, verrà mantenuta una conveniente aereazione nelle infermerie e nei locali
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
annessi. Nella rigida stagione, ad evitare un soverchio raffreddamento degli ambienti, si attiveranno sistemi economici di ventilazione artificiale ad aria calda. Nelle infermerie la temperatura durante la stagione invernale sarà da regolare a norma delle esigenze speciali di servizio, in modo però che non sia mai al di sotto di 7 centigradi. [...] 73. Le latrine costrutte coi migliori sistemi dovranno essere opportunamente isolate dalle infermerie, ed avere sufficiente spazio, luce e ventilazione con opportuno servizio d’acqua, tanto per la pulizia quanto per impedire nocive esalazioni. Le fogne stabili dovranno essere vuotate con sistema pneumatico. [...] 78. Saranno rigorosamente osservate le
disposizioni atte a mantenere la massima pulitezza degli ambienti e degli ammalati, delle biancherie dei letti e personali, degli abiti, delle suppellettili e degli utensili, dei recipienti per vitto e medicinali. Nei casi di morte e in quelli di malattia contagiosa il corredo dei letti dovrà essere rinnovato. Non si risparmieranno bagni di pulizia e lavature. Le spazzature, biancherie sporche, verranno tosto asportate dalle infermerie colle maggiori cautele onde evitare dannose esalazioni. Riparto delle malattie contagiose 85. In questo riparto saranno adottati tutti quei provvedimenti che, compatibilmente colle condizioni di costruzione e di località, valgano ad assicurare il maggior
possibile isolamento da ogni esterna comunicazione di persone ed effetti, e che per alcuni inevitabili contatti di persone e di cose sia attivata e controllata una rigorosa e metodica disinfezione coi mezzi riconosciuti più efficaci e praticamente applicabili. Non solo tali indispensabili precauzioni si dovranno adoperare fra il locale destinato ai contagiosi e l’esterno, ma altresì fra le sezioni interne dei diversi contagi, collo stesso rigore ed anche maggiore per la continuità del pericolo. Ad evitare le funeste contingenze che i convalescenti di una lieve malattia contagiosa abbiano a contrarre un morbo letale nello stabilimento, oppure che ammalati affetti da malattia contagiosa, soggiacciano vittime di un errore di diagnosi, dovrà
essere mantenuta assoluta separazione e debita distanza degli infetti da morbillo, scarlattina e tosse convulsiva dai malati colpiti da vaiolo, tifo petecchiale o difterite.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le informazioni rilevanti che riguardano i seguenti aspetti: a. la registrazione del paziente e il controllo del suo iter ospedaliero; b. il disciplinamento della vita dei malati e la loro igiene; c. le finalità delle disposizioni igieniche relative al reparto delle «malattie contagiose». b Spiega per iscritto di quale tipo di documento si tratta, quali erano i destinatari, la sua funzione e quando venne scritto.
LEGGERE UNA FONTE ICONOGRAFICA 12 OSPEDALE PAMMATONE, GENOVA I più grandi nosocomi furono costruiti in Italia nell’epoca dei Comuni. Si trattava di edifici grandiosi e dai cortili monumentali, con grandissime camerate alte 9 o 10 metri, male illuminate e ventilate, con una capienza di 40 o 50 letti ciascuna e con rari locali di servizio. I malati venivano collocati, da 2 a 4, su enormi letti e talvolta sullo stesso letto il morto si trovava accanto al convalescente, o questi accanto al malato infettivo. Dopo il 1850 l’ospedale iniziò ad essere considerato un luogo di assistenza e di cura dei malati. Fu necessario cambiare forme e arredamento dell’edificio. Quando non fu possibile costruire nuovi appositi edifici, in quelli già esistenti furono divise le grandi sale, e furono costruiti nuovi locali di servizio, coerentemente con il rafforzamento dell’orientamento igienista che, già da molto tempo, insisteva sull’importanza
di adottare misure igieniche e di applicare norme di profilassi individuali e pubbliche. In queste fotografie dell’inizio del ’900 vediamo il cortile e una corsia dell’ospedale Pammatone di Genova. Questa struttura venne edificata nel 1751 e fu utilizzata fino al 1907-11 quando fu costruito e poi inaugurato il nuovo ospedale cittadino San Martino GUIDA ALLA LETTURA
a Chi sono le persone fotografate? Da quali elementi le puoi riconoscere? Rispondi alle domande facendo riferimento a quanto puoi osservare. Quindi descrivi il cortile, la corsia e la qualità degli ambienti. b Alla luce delle informazioni contenute nel cappello introduttivo, come
puoi spiegare le novità messe in rilievo dalle fotografie?
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FARESTORIA UN’ETÀ Di INNOVAZIONI
PISTE DI LAVORO
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DAI DOCUMENTI ALLA STORIA 1 Scrivi un testo di massimo 10 righe dal titolo La medicina e i nosocomi durante la seconda rivoluzione industriale. Cambiamenti e relative finalità basandoti sul brano di Cosmacini [►148], sulla FONTE ICONOGRAFICA 12 e sul regolamento ospedaliero di fine ’800 [►149d]. Evidenzia nei documenti presi in considerazione i concetti che intendi utilizzare nelle tue argomentazioni e le parti delle fonti storiche che intendi citare e numerali in ordine crescente. Quindi indica fra parentesi, all’interno del tuo elaborato, i concetti o le citazioni a cui fai riferimento.
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
LO STORICO RACCONTA 2 Quali furono i principali campi di applicazione delle innovazioni introdotte durante la seconda rivoluzione industriale? Individua nei brani storiografici e nei documenti del tema trattato i concetti e i passaggi logici che possono aiutarti a costruire il tuo discorso. Trascrivili sinteticamente sul quaderno e utilizzali per costruire una mappa concettuale. Rispondi quindi alla domanda di partenza con un testo di massimo 15 righe costruito sulla base della mappa da te realizzata.
COMPITO DI STORIA Scrivi un articolo di giornale sull’argomento indicato di seguito, partendo dall’intervista alle due operaie inglesi realizzata negli anni ’40 dell’800 [►133d] e facendo riferimento alla FONTE ICONOGRAFICA 10, ai documenti di Zola [►130d] ed Engels [►129d], e ai brani di Dewerpe [►128], di Hobsbawm [►131], di Kertzer [►136], di Lombardi [►134] e di Cunningham [►135]. Individua un titolo che renda esplicito il tema e il taglio che hai scelto per il tuo elaborato. In base a queste scelte puoi decidere se utilizzare tutti i documenti e i brani storiografici indicati o solo alcuni. Se lo ritieni opportuno, proponi anche un sommario che condensi in poche righe il contenuto dell’articolo e un catenaccio (testo in rilievo di una o due righe con la funzione di mettere in evidenza un elemento particolare. Si tratta quasi di un secondo titolo). Puoi utilizzare parti delle fonti come risultati o stralci di interviste da includere nell’articolo.
Argomento Le condizioni e i cambiamenti nel lavoro e nella vita degli operai che si affermano durante l’800 Organizza il tuo elaborato utilizzando la seguente scaletta: a. Lettura e comprensione • Individua per i brani suggeriti gli anni di riferimento e i temi affrontati (condizioni di lavoro, ruolo della donna, cambiamenti, ecc.). • Sottolinea nei materiali che hai selezionato gli elementi rilevanti che raccontano la vita quotidiana e quella lavorativa degli operai in questi anni distinguendo i diversi periodi di riferimento. • Cerchia le date presenti che sono state indicate dagli storici come periodizzanti a questo proposito. • Trascrivi sul quaderno le date e sintetizza le informazioni che vi fanno riferimento. b. Individuazione e analisi dei passaggi significativi in relazione alle questioni chiave affrontate nell’elaborato • Per ogni situazione o tema che hai selezionato individua alcune parole chiave che potrai utilizzare in seguito come guida per il tuo articolo. • Realizza una scaletta con gli elementi e i cambiamenti che intendi mettere in rilievo. c. Contestualizzazione storica • Individua nei brani presentati le coordinate storiche che permettono di comprendere il fenomeno che stai affrontando. • Quali sono i cambiamenti del contesto storico-geografico che incidono sulla vita degli operai? • Ci sono elementi che permangono con l’avanzare del secolo? Perché? d. Interpretazione • Facendo riferimento in particolar modo alle letture storiografiche a tua disposizione, inserisci il fenomeno che hai trattato in un processo globale dello sviluppo della condizione operaia e dell’acquisizione di una relativa coscienza di classe.
Una “hiercheuse” 1887 Durante il periodo della rivoluzione industriale aumentò considerevolmente il numero delle donne impegnate nel mondo del lavoro, al di fuori delle mura domestiche. Le donne venivano impiegate anche nell’industria pesante e nell’industria mineraria e svolgevano lavori molto duri tradizionalmente affidati agli uomini. Nel dipinto è raffigurata una hiercheuse, un’operaia belga addetta ai vagoni nelle gallerie sotterranee delle miniere di carbone.
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STORIAeAMBIENTE CITTÀ E PAESAGGIO URBANO DOPO LE RIVOLUZIONI INDUSTRIALI
RIVOLUZIONE INDUSTRIALE ED ESPANSIONE URBANA
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La rivoluzione industriale determinò un cambiamento epocale nella storia umana ed ebbe profonde conseguenze anche sull’ambiente. Mutò, infatti, radicalmente il rappor‑ to tra produzione e natura. Da un lato i processi produttivi cominciarono a svolgersi seguendo cicli artificiali, slegandosi dai vincoli naturali e facendo apparire l’economia industriale dotata di un potenziale espansivo illimitato; dall’altro la meccanizzazione e lo sviluppo tecnologico aumentarono la capacità di manipolazione diretta, intensiva ed irreversibile, dell’ambiente naturale: si pensi alla massiccia costruzione di dighe, canali, trafori, all’aumento dei disboscamenti, all’estrazione e la lavorazione del carbone e dei minerali ferrosi. L’industrializzazione, inoltre, innescò una radicale ridefinizione del territorio che si manifestò nell’urbanizzazio‑ ne: tra ’700 e ’800, in tempi diversi a seconda dei contesti, prese il via un eccezionale ciclo di espansione delle città, che aumentarono di numero e per quantità di abitanti. A livello globale il numero complessivo delle persone che vivevano in città crebbe di otto volte, passando dai 27 milioni del 1800 ai 225 del 1900. Se nel 1800 solo 6 città contavano più di mezzo milione di abitanti (Istanbul, Tokyo, Pechino, Canton, Londra e Parigi), il secolo dopo erano 43, 16 delle quali oltrepassavano il milione. L’espansione delle città fu dovuta a diversi fattori. Da un lato fu determinata da una crescita demografica generalizzata, per la diminuzione della mortalità e l’aumento della durata media della vita. La crescita demografica e urbana coinvolse in modo ineguale le diverse aree d’Europa: nella prima metà dell’800 riguardò la Gran Bretagna, poi il Belgio, la Francia e solo a fine secolo anche Germania, Italia
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
e Spagna. Dall’altra parte dell’Oceano, alla fine dell’800, anche New York e Chicago vissero un’espansione impetuosa diffondendo un nuovo modello ed immaginario di città, associata allo slancio verticale dei suoi grattacieli. D’altro canto, poiché gli stabilimenti industriali tendevano a concentrarsi intorno a nuclei urbani preesistenti, qui si spostava anche la popolazione, che ab‑ bandonava le campagne e si ridistribuiva sul territorio in conseguenza delle trasformazioni produttive. Città e campagna non vanno considerate come entità separate, e non solo per il trasferimento della popolazione agricola nelle città: le città avevano infatti bisogno di notevoli risorse naturali sia alimentari sia legate alle attività produttive, e questo ebbe conseguenze profonde sulle campagne, portando ad esempio alla modificazione delle colture. Un caso studiato con attenzione è stato quello di Chicago, dove affluivano nella seconda metà dell’800 materie prime come legno, grano, bestiame, che venivano lavorate e poi inviate ad altri mercati urbani. Le esigenze dell’approvvigionamento urbano e industriale ebbero un impatto sulle aree circostanti: le pianure dei bisonti, a ovest della città, divennero pascoli per bovini, e poi furono usate per monocolture di grano; le foreste a nord furono abbattute. L’industrializzazione modificò non solo le dimensioni delle città, ma anche le loro strutture materiali per una serie di fattori: l’uso di aree prima destinate ad orti e campi per la costruzione di fabbriche, per le quali erano necessarie notevoli estensioni di suolo; una richiesta maggiore di risorse energetiche, che costrinse le città industriali a mettersi in rete col territorio e con altre città attraverso un sistema di infrastrutture e di comunicazioni; l’arrivo di grandi masse di lavoratori, che necessitavano di alloggi con una velocità che la città non era in grado di soddisfare.
LA GRAN BRETAGNA E LA NASCITA DELLA CITTÀ INDUSTRIALE In Gran Bretagna, culla della rivoluzione industriale, la popolazione fra la fine del ’700 e il 1850 passò da 10 a 20 milioni di abitanti: una “seconda” Gran Bretagna, che viveva prevalentemente in città. Alla fine del ’700 Londra contava 1 milione di abitanti, nel 1851 arrivò a 2 milioni e mezzo, superando ogni altra città europea, per oltrepassare la soglia dei 6 milioni nel 1900. Una crescita impetuosa che non riguardava solo il numero di abitanti, ma anche la loro densità e l’estensione stessa della città. Cominciò ad essere difficile dire dove finisse Londra, o immaginare fino a dove si sarebbero estesi i suoi confini. Londra, capitale non solo di un paese, ma di un impero, era a metà ’800 una città universale, una metropoli internazionale, che attraeva immigrati da ogni parte del mondo. La maggior parte delle importazioni e delle esportazioni passava per il suo porto, e la città era uno dei centri principali di produzione e di consumo. Ecco una vivida descrizione, tracciata dall’economista William Stanley Jevons nel 1865, del percorso delle risorse che alimentavano il fabbisogno di Londra: Le pianure del Nord America e della Russia sono i nostri campi di mais; Chicago e Odessa [città ucraina affacciata sul Mar Nero] sono i nostri granai; il Canada e il Baltico sono le nostre foreste di legname; l’Australasia [area che comprende Australia, Nuova Zelanda e le vicine isole del Pacifico] e ospita i nostri allevamenti di pecore e le nostre mandrie di buoi si trovano in Argentina e nelle praterie occidentali del Nord America; il Perù spedisce il suo argento mentre l’oro del Sud Africa e dell’Australia affluisce a Londra; gli indiani e i cinesi coltivano il tè per noi e le nostre piantagioni di caffè, zucchero e spezie sono tutte nelle Indie. La Spagna e la Francia sono i nostri vigneti e il Mediterraneo il nostro frutteto, mentre i nostri campi di cotone, che per così lungo tempo hanno occupato il Sud degli Stati Uniti, si stanno ora estendendo ovunque nelle regioni calde del pianeta.
L’interno affollato della Borsa di Londra 1847 [da «Illustrated London News»; Mary Evans Picture Library, Londra] La Borsa era un luogo “pubblico” in cui le persone abbienti convenivano per trattare degli affari.
Oltre alla capitale, lo sviluppo urbano investì anche quei nuclei dove si concentravano le attività manifatturiere, i poli industriali ed i centri portuali e commerciali. Così lo sviluppo manifatturiero mutò la geo‑ grafia preesistente e portò alla nascita di nuove città, che videro una rapidissima crescita: è il caso di Manchester, Sheffield, Leeds, Birmingham, Liverpool, Glasgow. Il caso più eclatante fu quello di Manchester, che contava 12 mila abitanti nel 1760 e 400 mila a metà dell’800. Fu l’espansione dell’industria cotoniera a rendere rapidamente la città, prima centro rurale, una delle capitali commerciali d’Europa, nonché la prima città industriale moderna, «l’officina del mondo». Manchester fu esempio sia del progresso che dei suoi aspetti negativi, con quartieri operai sovrappopolati, insalubri, inquinati. L’intellettuale francese Alexis de Tocqueville, che la visitò nel 1835, scrisse:
[S. Mosley, Storia globale dell’ambiente, il Mulino, Bologna 2013, p. 143]
densità della popolazione Indica il numero di persone che abitano su una determinata superficie. Si esprime in abitanti per chilometro quadrato.
Da questa fogna ripugnante sfocia il fiume dell’industria umana per fecondare il mondo intero. Da questa sudicia cloaca proviene oro puro. Qui l’umanità raggiunge il suo più pieno sviluppo e il suo massimo livello di brutalità; qui la civiltà fa miracoli e l’uomo civilizzato ridiventa un selvaggio. [A. de Tocqueville, Vojages en Angleterre, Irlande, Suisse et Algérie, Gallimard, Parigi 1958, p. 82]
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STORIA E AMBIENTE Città e paesaggio urbano dopo le rivoluzioni industriali
I PROBLEMI DELLE PERIFERIE OPERAIE Il XIX secolo fu per la Gran Bretagna un’epoca di grandi città, per alcuni un simbolo di progresso e crescita, per altri motivo di allarme e ostilità. Mentre le classi abbienti abbandonavano gradualmente il centro per stabilirsi in nuovi quartieri resi‑ denziali, i lavoratori si ammassavano nelle vecchie case, come nelle periferie che sorgevano disordinate e senza pianificazione vicino alle fabbriche. Sovraffollamento, promiscuità, sporcizia, degrado, povertà sono le peculiarità delle periferie operaie che sorgevano disordinate e senza pianificazione vicino alle fabbriche: queste le caratteristiche che troviamo descritte nei romanzi di Charles Dickens, come nelle inchieste sociologiche dell’epoca, ad esempio La condizione della classe operaia in Inghilterra (1845) di Friedrich Engels: Ogni grande città ha uno o più «brutti quartieri» nei quali s’ammassa la classe lavoratrice. [...] In Inghilterra questi brutti quartieri sono press’a poco disposti allo stesso modo in tutte le città, le case peggiori sono nella località peggiore del luogo; per la più parte sono ad un solo o due piani in lunghe file possibilmente con le cantine abitate e quasi dappertutto sono irregolarmente disposte. Queste casette da tre o quattro camere ed una cucina, sono chiamate cottages e sono, in Inghilterra, ad eccezione di una parte di Londra, la forma genera-
le di abitazioni di tutta la classe operaia. In generale le strade sono senza selciato, ineguali, sporche, piene di resti di animali e vegetali, senza canali di scolo e perciò sempre piene di pozzanghere fetenti. Oltre a ciò la ventilazione è resa più difficile per il cattivo ed imbrogliato modo di costruzione, e, siccome molti individui vivono in un piccolo spazio, si può facilmente immaginare quale aria domina in quei quartieri operai. [F. Engels, La condizione della classe operaia in Inghilterra secondo un’inchiesta diretta e fonti autentiche, in K. Marx, F. Engels, F. Lassalle, Opere, vol. 3, Avanti!, Milano 1922, p. 20]
Le inchieste sulle condizioni di vita nelle città stimolano interventi di risanamento, almeno dal punto di vista igienico, per evitare il diffondersi di epidemie. Nel 1848 si vararono così le prime leggi sanitarie. Lo storico inglese Asa Briggs mette in luce un’altra faccia della medaglia, che va considerata accanto agli elementi negativi e problematici dello sviluppo urbano. Le città, infatti, Non furono mai soltanto agglomerati di individui, a volte deboli, a volte forti. Possedevano un vasto numero di organizzazioni volontarie, che coprivano una gamma di interessi specializzati ben più vasta di quanto non fosse possibile nel villaggio o nella cittadina. Erano più libere dall’influenza “aristocratica”. Concedevano spazio all’iniziativa dei ceti medi e a una maggiore indipendenza e organizzazione degli “strati inferiori della società” più di quanto non facessero luoghi più piccoli [...]. Inoltre, le città avevano nei loro giornali quel che spesso potevano dirsi mezzi di propaganda di estrema efficacia, che richiamavano l’attenzione sui problemi locali e, attraverso rivalità competitive, stimolavano il prodursi di opinioni articolate. [A. Briggs, Città vittoriane, Editori Riuniti, Roma 1990 (I. ed. 1963), pp. 16-17]
LO SVILUPPO URBANO NELL’EUROPA CONTINENTALE Le vere e proprie città industriali, quelle nate e sviluppatesi intorno a nuclei manifatturieri e a complessi industriali, come Manchester, non furono il modello più diffuso nell’Europa continentale. La rivoluzione industriale, infatti, innescò un processo di modernizzazione che trasformò anche i centri urbani non prettamente industriali, ma toccati da fenomeni connessi all’industria-
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Gustave Doré, Veduta della periferia di Londra [da W. Blanchard Jerrold e G. Doré, London. A Pilgrimage, 1872]
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
Thomas Talbot Bury, Veduta della ferrovia Liverpool-Manchester a Edge Hill 1831 La rivoluzione industriale comportò anche un rinnovamento delle vie di collegamento e dei mezzi di trasporto, in ragione della necessità di una rapida diffusione delle materie prime e dei prodotti finiti. Gallerie, ponti e strade ferrate modificarono profondamente il paesaggio. In questa incisione del 1831, opera di Thomas Talbot Bury, vediamo l’ingresso della ferrovia Liverpool-Manchester a Edge Hill. Il tunnel al centro dell’immagine collegava la stazione alla banchina del porto. I vagoni che lo percorrevano si muovevano grazie a funi alimentate da due motori a vapore posizionati sotto i comignoli fumanti che si vedono nel dipinto.
lizzazione, come l’ampliamento dei mercati interni ed esteri, l’aumento dei traffici e delle attività commerciali. In Italia, in Francia, Spagna e Germania, a differenza del caso inglese lo sviluppo urbano si appoggiò su una trama di città preesi‑ stenti, su una rete già consolidata attorno a centri urbani formati e di dimensioni considerevoli, sia per le peculiarità del sistema urbano di questi paesi, sia per il più lento sviluppo dell’industrializzazione lungo il XIX secolo. Alla metà dell’800, mentre Londra superava i 2 milioni e mezzo di abitanti, in Francia le grandi città – intendendo con ciò i centri con almeno 100 mila abitanti – erano solo sei, in Germania erano otto. Trent’anni dopo la situazione era molto cambiata: in Francia e in Germania, il numero delle grandi città era più o meno raddoppiato, Parigi era passata da 1 a oltre 2 milioni di abitanti, Berlino da 400 mila a un milione.
L’espansione delle città si accompagnò allo sviluppo del‑ le ferrovie, che collegarono tra loro le città e ne resero al‑ lo stesso tempo possibile lo sviluppo, trasformando i ritmi della circolazione di merci ed uomini e permettendo scambi commerciali più veloci.
NUOVE SFIDE: TRASPORTI, ILLUMINAZIONE, GESTIONE DELLE ACQUE E DEI RIFIUTI La crescita delle città impose nella seconda metà dell’800 nuovi problemi alle amministrazioni: il risanamento igie‑ nico-sanitario, con il miglioramento della rete fognaria e la distribuzione dell’acqua potabile, la creazione di strade, di servizi di trasporto e di comunicazione, di un sistema di illuminazione pubblica. La città cresceva anche sotter651
STORIA E AMBIENTE Città e paesaggio urbano dopo le rivoluzioni industriali
raneamente, con una rete nascosta di tubature, canali di scolo, fognature, sistemi di trasporto nel sottosuolo. Una delle prime sfide importanti fu il miglioramento dell’approvvigionamento idrico, tanto più nelle città industriali, visto che le fabbriche tessili e in genere tutte le industrie consumavano molta acqua. Gli scarti nocivi della produzione, inoltre, erano spesso scaricati nei corsi d’acqua locali, tanto che si diceva che cadendo nei fiumi delle città industriali inglesi si rischiasse la morte per avvelenamento piuttosto che per annegamento! Le amministrazioni comunali intrapresero l’iniziativa di intubare acqua dolce su lunghe distanze, per destinarla ad usi domestici ed industriali, creando estesi sistemi idrici sotterranei, mentre progressivamente si iniziarono ad usare sistemi di filtraggio per l’acqua potabile, anche se la disponibilità di acqua corrente e di servizi igienici nelle case non era ancora diffusa. A Vienna, ad esempio, la giunta municipale liberale promosse l’incanalamento del Danubio per proteggere la città dalle inondazioni, e negli anni ’60 dell’800 la costruzione di un acquedotto urbano. Occorreva anche costruire sistemi per smaltire le deiezioni dell’uomo e far defluire in modo rapido e razionale le acque luride. Lo storico Stephen Mosley ricostruisce così il sistema di fognature di Londra: La progettazione del celebre sistema fognario londinese cominciò nel 1858, in seguito a quella che la stampa vittoriana [inglese dell’epoca] battezzò «grande puzza» (Great Stink). Durante i mesi estivi, caratterizzati da un clima caldo e secco, il livello delle acque del Tamigi era sceso notevolmente, lasciando i liquami di milioni di persone a «bollire e fermentare sotto quel sole cocente» sugli argini del fiume. Questo provocò un fetore così terribile che il Parlamento fu costretto a sospendere le proprie sedute per una settimana. Temendo l’esplosione di un’epidemia, il governo diede il via libera a un progetto che alla fine realizzò circa 1.770 chilometri di nuove fognature e che ogni anno portava via dal centro delle città più di 117 miliardi di litri di acque di scarico. Dopo che Londra ebbe portato a compimento il proprio sistema fognario, molte altre città britanniche ne seguirono l’esempio. [S. Mosley, Storia globale dell’ambiente, cit., p. 148]
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Anche a Parigi venne completata la realizzazione di un gigantesco reticolo sotterraneo, con le condotte dell’acquedotto e della rete di fognatura, per un’estensione di circa 2100 chilometri. Inizialmente i sistemi fognari urbani ricollocavano le acque reflue a valle, continuando ad inquinare i fiumi. Solo fra il 1920 e il 1950, in Europa occidentale e negli Stati Uniti, gli impianti per il trattamento delle acque di scarico divennero la regola. Lo smaltimento dei rifiuti solidi prodotti nelle aree urbane co-
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
Fleet Street a Londra fine XIX sec. La fotografia di questa strada di Londra ci rimanda l’immagine di una città particolarmente affollata e attiva. Non si vedono ancora le automobili, ma il traffico di calessi e omnibus a cavalli, carichi di manifesti pubblicitari, è già abbastanza sostenuto. Interessante il particolare (in un piano intermedio) del ponte sul quale sta passando una locomotiva a vapore.
stituì un altro problema da affrontare, per evitare il diffondersi di epidemie. In Gran Bretagna si svilupparono gli impianti di incenerimento, che però suscitarono le polemiche per la polvere e gli odori sgradevoli. Alcune città smaltivano i rifiuti rovesciandoli in mare, spesso scavando buche sul fondale, che poi venivano ricoperte di terra, suscitando però lo scontento dei pescatori e delle comunità costiere. Gli interventi ci rivelano l’impatto ambientale delle città, con la profonda alterazione del paesaggio circostante. Le autorità pubbliche cercarono anche di facilitare gli spostamenti all’interno dell’area urbana. Le strade in terra battuta,
polverose d’estate e fangose d’inverno, furono ricoperte dal selciato, pavimentazione costituita da selci o da altre pietre. I quartieri della periferia, bui e malsicuri nelle ore notturne, furono, come già il centro, illuminati da lampioni a gas. Attraversare la città divenne più facile anche per chi non disponeva di mezzi privati, grazie all’organizzazione di reti di trasporto pubbliche. Un caso unico era quello di Londra che, già negli anni ’70, aveva un efficiente sistema di ferrovie metropolitane. Ma in tutte le grandi città, molto prima dell’avvento delle metropolitane e delle tramvie elettriche, gli itinerari più importanti erano serviti dai cosiddetti omnibus, grandi carrozze su rotaie trainate da cavalli. Le città industriali furono toccate anche dal problema dei fu‑ mi di carbone, usato nelle fabbriche come combustibile. Le alte ciminiere, che dovevano ridurre l’inquinamento scaricando i fumi più in alto possibile, non bastavano, a differenza di quanto ritenuto dai contemporanei, ad allontanare le sostanze inquinanti come il diossido di zolfo e l’anidride carbonica. Un’ulteriore fonte di inquinamento, anche nelle città non prettamente industriali, dipendeva dal consumo di carbone domestico, usato nelle abitazioni private per scaldare e cucinare. Gli abitanti delle città si ritrovarono così a vivere immersi in una perenne coltre di fumo grigio, tanto che per definire il fenomeno fu coniata la parola smog, fusione di smoke, fumo, e fog, nebbia. Le conseguenze erano molteplici, non solo l’aumento della mortalità per malattie respiratorie. L’inquinamento da fumo riduceva l’intensità della luce solare, incentivando malattie come il rachitismo; fuliggine e sporcizia entravano nelle case e rovinavano le facciate degli edifici cittadini; si degradavano anche i pochi spazi verdi. Solo con la diffusione di forme di ener-
gia più pulite, come gas, elettricità e petrolio, la qualità dell’aria cominciò a migliorare, ma bisognò attendere il ’900.
IL RINNOVAMENTO URBANISTICO E ARCHITETTONICO La seconda metà dell’800 non vide solo gli sforzi per risolvere i problemi igienico-sanitari, con lo sviluppo di sistemi per smaltire le acque reflue e i rifiuti, o per garantire l’approvvigionamento di acqua potabile. Soprattutto nelle grandi città e nelle città capitali si demolì, si costruì, si rinnovò il tessuto urbano. Anche sotto questo aspetto, la città cambiava volto. Il passaggio alla città contemporanea fu segnato, ad esempio, dalla demoli‑ zione delle mura, l’antica cinta difensiva che ormai aveva perso la sua funzione ed anzi ostacolava la crescita dell’insediamento urbano. Spesso il percorso delle antiche mura fu trasformato in viali alberati o vi furono ricollocate le principali istituzioni. Parigi rappresenta il caso più eclatante di sviluppo promosso dall’intervento pubblico. Su incarico di Napoleone III, il prefetto Georges-Eugène Haussmann attuò un piano di Camille Pissarro, Boulevard Montmartre 1897 [National Gallery, Londra] Il nuovo e moderno aspetto dei boulevard parigini, accentuato dall’illuminazione elettrica, venne reso dai dipinti di alcuni artisti impressionisti, come Pissarro, che si dedicarono alla rappresentazione della vita moderna: le strade di Parigi, i caffè, i teatri divennero oggetto dell’attenzione dei pittori, che iniziarono a dipingere dal vivo, piazzandosi con i loro cavalletti sui marciapiedi o nei ristoranti.
Jean Béraud, Il Boulevard di notte, davanti il Teatro des Varietés 1883 [Museé Carnavalet, Parigi]
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STORIA E AMBIENTE Città e paesaggio urbano dopo le rivoluzioni industriali
rinnovamento urbano di Parigi. Il suo nome è rimasto legato alle vaste operazioni di demolizione e all’apertura di nuovi grandi viali, i boulevard. Il nuovo reticolo doveva rafforzare i caratteri di unità e coesione della città, ma anche rimodellarne la struttura funzionale. I nuovi tracciati aprivano una serie di percorsi per raccordare i luoghi principali e simbolici della città: le stazioni, i centri tradizionali come il Louvre, la Sorbona, l’Opéra. L’apertura di ampie strade riduceva, inoltre, la possibilità che in caso di tumulti cittadini (come era avvenuto nei moti del 1848) venissero innalzate delle barricate, aumentando le possibilità di controllo della folla da parte delle forze dell’ordine. Nella Parigi di Haussmann, nell’arco di un ventennio, tra gli anni ’50 e ’60 dell’800, vennero anche abbattuti vecchi insediamenti abitativi e costruite nuove case conformi all’estetica dominante, vennero realizzati ben quindici nuovi ponti sulla Senna, quattro nuove stazioni ferroviarie, un nuovo sistema di fognature, quattro grandi parchi pubblici. Anche se non mancarono le critiche ai provvedimenti di Haussmann, Parigi divenne il simbolo della modernità e del progresso, che coniugava igiene, decoro e abbellimento. Il programma aveva richiesto nuovi profili professionali e apparati burocratici come descrive Guido Zucconi:
Né bastano gli «architetti del re» a dare corso a un complesso di lavori che investono, nella sua interezza, una metropoli di un milione e mezzo di abitanti. Non più straordinarie, non più limitate ad alcune aree circoscritte, le opere di trasformazione ora diventano parte di una gigantesca routine amministrativa alla quale fa da supporto un altrettanto gigantesco apparato tecnico-burocratico; per mettere a regime il piano di grandi opere sono necessarie, in forma continuativa, le competenze di un grande numero di specialisti. [...] In questa colossale opera di trasformazione devono essere poi coinvolti progettisti ed esecutori afferenti ai diversi settori: ingegneri civili e stradali, esperti in idraulica e nel disegno di edifici pubblici, architetti di facciate e di giardini. Un complesso di specialisti, stabilmente impiegati nell’opera di definizione ed esecuzione delle linee di intervento: essi provengono in parte dalle grandi scuole di ingegneria, o più semplicemente dai ranghi dell’amministrazione pubblica. [G. Zucconi, La città dell’Ottocento, Laterza, Roma-Bari 2004, p. 34]
Si ponevano le basi per una struttura burocratica di tipo permanente, che affidava la gestione di acque e fognature, strade e trasporti, costruzioni pubbliche e private, parchi e giardini agli uffici tecnici municipali.
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Manifesto pubblicitario per i magazzini Crespin & Dufayel di Parigi seconda metà XIX sec. [Musée d’Arts Décoratifs, Parigi] I grandi magazzini Crespin & Dufayel, inaugurati nel 1856 a Parigi, sono situati nel Palais de la Nouveauté dallo scenografico soffitto in ferro e vetro. I grandi magazzini costituirono una grande novità per la società di fine ‘800: qui, in un solo luogo, venivano proposte le più svariate merci, dai mobili alle biciclette, dalla bigiotteria ai capi di abbigliamento.
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
Anche Vienna rappresentò un modello di pianificazione urbanistica per la riorganizzazione del suo nucleo centrale e la dislocazione degli edifici connessi alle sue funzioni di capitale imperiale. Tra il 1815 e il 1857, infatti, furono abbattute le antiche mura e nella zona liberata venne costruita la Ringstrasse, ovvero un’ampia strada circolare dove successivamente furono collocati i principali edifici pubblici – Parlamento, Municipio, Università, musei nazionali, Teatro lirico – e una serie di eleganti palazzi con abitazioni private. In Germania, dopo l’unificazione nazionale e la fondazione dell’Impero (1871), Berlino, divenuta capitale dell’Impero, visse un’intensa stagione di rinnovamento urbano, in cui fu rimodellata, con una febbrile attività costruttiva, la fisionomia della città preesistente. Forze motrici furono il veloce processo di industrializzazione e la volontà politica di fare della città un centro rappresentativo, che potesse concorrere con le metropoli europee ricche di tradizione, come Vienna, Parigi e Londra. Una gran quantità di nuovi progetti su larga scala, come grandi magazzini, edifici amministrativi, alberghi, nuovi tracciati viari, presero il posto di vecchi quartieri e aree della Berlino medievale, che furono rasi al suolo. Nacque anche una nuova tipologia edilizia: i casermoni dove vivevano i lavoratori, le Mietskasermen (caserme d’affitto) così descritte dall’architetto ed urbanista Philipp Oswalt: Per risparmiare sui costi di urbanizzazione, i lotti vengono edificati fino a una profondità inusuale di 70-80 metri e con una densità estrema attraverso la costruzione di edi-
ficati sul retro e lungo i lati. [...] Vengono lasciati sgombri soltanto dei piccolissimi cortili per permettere l’accesso ai vigili del fuoco come previsto dal genio civile. Le piante sono fortemente stereotipate e seguono ovunque lo stesso schema. Corridoi interni e posizione dei bagni sulla tromba della scale, nella gran parte dei casi utilizzati in comune, consentono una ripartizione flessibile delle superfici secondo le esigenze del mercato. [P. Oswalt, Berlino_città senza forma, Meltemi, Roma 2006, pp. 126-27]
Non solo l’edilizia popolare destinata ai lavoratori, nell’800 si modellarono alcune tipologie di costruzioni, come le gallerie commerciali, i grandi magazzini, che segnano ancora oggi il panorama delle nostre città. Si diffuse anche l’uso di materiali come il ferro e il vetro per l’edilizia pubblica. Nel 2000 circa 388 città avevano superato la soglia del milione di abitanti e 16 megalopoli avevano raggiunto i dieci milioni. Oltre la metà dell’umanità, ormai, vive in città. Molti dei problemi affrontati nell’800 dalle città europee e nordamericane, non tutti peraltro risolti, hanno riguardato nella seconda metà del ’900 le città in espansione di America Latina, Africa, Asia sud-orientale, Cina. Fra i maggiori problemi ambientali di quest’ultima c’è proprio l’inquinamento atmosferico, che rende l’aria, soprattutto nelle grandi città di Pechino e Shangai, irrespirabile per molti giorni l’anno.
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STORIA E AMBIENTE Città e paesaggio urbano dopo le rivoluzioni industriali
LABORATORIO DI EDUCAZIONE AMBIENTALE LABORATORIO DI SCRITTURA STORICA 1 Redigi un testo divulgativo (max 15 righe di documento Word) dal titolo Il nuovo volto delle città europee al tempo della rivoluzione industriale (secoli XVIII-XIX), adoperando la scaletta che ti proponiamo. Puoi corredare il testo di immagini, selezionandole dal tuo manuale o lanciando una ricerca in Rete.
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Una breve introduzione in cui presenti il problema (max 3 righe) Il fenomeno dell’urbanizzazione industriale: comparazione tra la Gran Bretagna e l’Europa continentale ● Il rapporto tra città/campagna; centro/periferia
● Nuovi problemi e nuove sfide per le amministrazioni cittadine ● Il rinnovamento del tessuto urbano (un esempio a scelta tra Berlino, Vienna) ● Conclusioni
Parigi,
LA MODERNIZZAZIONE DELLA TUA CITTÀ 2 Ti sei mai chiesto se la tua città, o la città più prossima al tuo centro abitato, è una città industriale o una città preesistente ma toccata dai fenomeni connessi all’industrializzazione? Osserva se esistono sul tuo territorio tracce paesaggistiche, urbanistiche, architettoniche, di archeologia industriale che attestino il processo di modernizzazione della tua città. In caso affermativo, realizza una presentazione in PowerPoint che contenga notizie essenziali sulla storia della tua città inerenti alla nostra ricerca e corredalo di immagini fotografiche, o di altre testimonianze iconografiche, del processo di modernizzazione. UN ESEMPIO DI ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE: IL VILLAGGIO OPERAIO DI CRESPI D’ADDA 3 A Crespi d’Adda, in provincia di Bergamo, si annovera uno dei più interessanti esempi al mondo del fenomeno socioindustriale dei “villaggi industriali”. Il complesso di fabbrica e abitazioni di Crespi d’Adda risale agli anni ’70 dell’800 e nel dicembre del 1995 l’Unesco lo ha inserito nel patrimonio mondiale della cultura. Grazie alle sue peculiarità storiche, sociali e architettoniche, negli ultimi anni il villaggio operaio è stato meta di turismo culturale da parte di scuole, università, visitatori spontanei. Di seguito proponiamo per l’intera classe un approfondimento laboratoriale da realizzare sul villaggio di Crespi d’Adda. Per ricostruire la storia del villaggio industriale, invitiamo la classe ad andare sulla pagina ufficiale del villaggio industriale e raccogliere tutta la documentazione utile; per agevolare il lavoro è opportuno dividere la classe in gruppi e attribuire a ciascuno di essi un ambito di ricerca:
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L’idea imprenditoriale della famiglia Crespi Il cotonificio Il villaggio industriale: il paesaggio
Il villaggio industriale: l’urbanistica Il villaggio industriale: l’architettura
MEGALOPOLI DI IERI...
656
4 Nel corso dell’800, in Europa si assiste a una crescita considerevole del fenomeno dell’urbanizzazione. Se all’inizio del secolo le città con oltre 100 mila abitanti erano appena 23, a fine secolo esse erano diventate 135, e alcune andavano assumendo la fisionomia di megalopoli, ovvero città dalle dimensioni demografiche esagerate. Osserva il grafico e riporta sulla carta nella pagina seguente i nomi delle città ivi menzionate. Crea una circonferenza intorno ad ogni città, tenendo conto del numero di abitanti di ciascuna di esse, e colorala seguendo le indicazioni della legenda.
CRESCITA DELLA POPOLAZIONE IN ALCUNE CITTÀ EUROPEE TRA 1800 E 1900 7.000.000
[dati tratti da B.R. Mitchell, International Historical Statistics, vol. 1, Europe 1750-1993, Macmillan-Stockton Press, Londra-BasingstokeNew York 1998, pp. 74-76]
6.000.000 5.000.000
1800 1850 1900
4.000.000 3.000.000 2.000.000 1.000.000 0
U5 LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA
ra nd Lo
o r rg a o i ol te am ca no no es nn rin rig robu po os gh rli h r e ila a i e c e in To M P t B V M n v i e m a L r Pi M Bi n Sa
Rispondi ora alle seguenti domande:
Più di 6.000.000 di abitanti
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Quali città, tra quelle indicate nel grafico, sono maggiormente popolate a fine secolo? Quali meno? Prova ad avanzare una spiegazione plausibile.
Più di 2.000.000 di abitanti Più di 1.000.000 di abitanti Meno di 1.000.000 di abitanti
...E MEGALOPOLI DI OGGI 5 Se fino alla prima metà del XX secolo il primato delle megalopoli era detenuto dall’Europa e dagli Stati Uniti, a partire dagli anni ’50 altre aree del mondo sono state interessate dal fenomeno delle megalopoli, formazioni urbane comprendenti decine di città (anche di dimensioni ragguardevoli) integrate fra loro in modo da favorire la circolazione di uomini, beni, servizi, idee, merci, e abitate da decine di milioni di persone. Classifica i continenti sulla base del numero di megalopoli in essi presenti come indicate sul planisfero dai pallini; poi localizza le megalopoli elencate nella tabella, inserendo il toponimo in corrispondenza del pallino. Per ciascuna megalopoli ricordati di indicare il paese di appartenenza. Rispondi infine alle domande:
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Quale/i continenti sono maggiormente interessati dal fenomeno delle megalopoli? Quale/i lo sono meno? Prova ad avanzare una spiegazione plausibile.
Città
Paese
Numero di abitanti
Città
Paese
Numero di abitanti
Tokyo
27.200.000
Shanghai
13.600.000
Dacca
22.700.000
Buenos Aires
13.200.000
Mumbai
22.500.000
Metro Manila
12.600.000
San Paolo
21.200.000
Pechino
11.700.000
Nuova Delhi
20.900.000
Rio de Janeiro
11.500.000
Città del Messico
20.400.000
Il Cairo
11.500.000
New York
18.000.000
Istanbul
11.300.000
Giacarta
17.200.000
Osaka
11.000.000
Calcutta
16.700.000
Seoul
10.500.000
Lagos
16.000.000
Tianjin
10.300.000
Los Angeles
14.500.000 657
STORIA E AMBIENTE Città e paesaggio urbano dopo le rivoluzioni industriali
GLI IMPERI COLONIALI (FINE XIX - INIZIO XX SECOLO)
Cile
Possedimenti inglesi
Possedimenti belgi
Possedimenti francesi
Possedimenti olandesi
Possedimenti tedeschi
Possedimenti spagnoli
Possedimenti inglesi
Possedimenti belgi
Possedimenti portoghesi
Stati africani indipendenti
Possedimenti francesi
Possedimenti olandesi
Possedimenti italiani
Possedimenti giapponesi
Possedimenti tedeschi
Possedimenti spagnoli
Possedimenti portoghesi
Stati africani indipendenti
Possedimenti italiani
Possedimenti giapponesi
Paesi sovrani sotto l’influenza economica europea
Cile
Paesi sovrani sotto l’influenza economica europea
Canada Dominions britannici 5,0
Principali immigrazioni di origine europea in milioni
Canada Dominions britannici 5,0
Principali immigrazioni di origine europea in milioni
5,0
33,5
1,5
3,6 2,0
2,5
UNITÀ 6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
CHIAVI DI LETTURA
Le potenze imperialiste Lo storico inglese Eric J. Hobsbawm definisce «età degli imperi» il periodo dal 1875 al 1914: un’epoca in cui, la politica di potenza e di espansione territoriale ed economica delle grandi potenze europee ed extraeuropee (Stati Uniti e Giappone), il cosiddetto “imperialismo”, raggiunse il suo apice, mentre si registravano molte altre significative trasformazioni politiche e sociali destinate a produrre effetti duraturi lungo tutto il corso del ’900. Quasi l’intera Africa, una parte rilevante dell’Asia – eccetto la Cina e il Giappone – e tutta l’Oceania erano, agli inizi del ’900, sotto il controllo di quella parte d’Europa che rappresentava il nucleo più sviluppato dell’economia mondiale e disponeva anche di una larga supremazia tecnologica e culturale. In nessun altro momento della sua storia millenaria l’Europa aveva esercitato un dominio così esteso sul resto del mondo. Le ideologie imperialiste trovavano un largo sostegno tra i diversi ceti sociali nella diffusa convinzione di una superiorità culturale e razziale sui popoli di colore da sottomettere alla missione civilizzatrice europea.
La nascita dell’Impero tedesco e la pacificazione europea Una delle principali ragioni che consentirono, accanto allo sviluppo economico e industriale, la rinnovata espansione coloniale di fine ’800 fu la pacificazione europea seguita alla vittoria della Prussia sulla Francia nel 1870. La guerra francoprussiana chiudeva il conflitto secolare per l’egemonia
nell’Europa continentale: dalla pace di Vestfalia (1648) infatti la frammentazione degli Stati tedeschi ai confini orientali del grande Stato unitario francese aveva garantito alla Francia un primato politico e geopolitico sul continente. La sconfitta ad opera dei prussiani e la nascita dell’Impero tedesco rovesciarono i tradizionali rapporti di forza nell’Europa continentale affidando all’abile e determinato cancelliere tedesco Bismarck il ruolo di arbitro della politica europea. Bismarck esercitò questo ruolo stemperando gli attriti tra Austria e Russia nei Balcani, e contribuendo alla definizione di nuove regole per la spartizione dell’Africa, un continente nel quale anche i tedeschi ottennero le loro colonie negli anni ’80 e ’90 dell’800.
Un’Italia simile e diversa Completato il processo di unificazione con l’acquisizione di Veneto e Roma, grazie anche alle favorevoli condizioni internazionali create dalle vittorie prussiane su Austria e Francia, l’Italia, la più recente e la più piccola delle potenze europee, attraversò negli ultimi decenni del secolo una fase per molti aspetti simile a quella degli altri grandi Stati dell’Europa continentale. Simile fu la tendenza alla democratizzazione e all’estensione del suffragio, simile la vocazione imperialista. Diverse erano in realtà le basi economiche di partenza – con un reddito pro capite degli italiani che nel 1870 era la metà di quello britannico e l’80% di quello francese e tedesco –, con una profonda diversità nello sviluppo tra Nord e Sud e con un tardivo avvio del processo di industrializzazione, anche se in significativo recupero dalla fine dell’800.
GLI EVENTI 1839-42 Guerra dell’oppio tra Cina e Gran Bretagna
1861-65 Guerra di secessione americana
1866 Terza guerra d’indipendenza italiana
1862-90 Bismarck presidente del Consiglio della Prussia e poi cancelliere dell’Impero tedesco
1869 Apertura del Canale di Suez
1868 Inizio dell’era Meiji in Giappone
1870 Guerra francoprussiana; sconfitta della Francia
1870 Conquista di Roma, capitale del Regno d’Italia
1878 Indipendenza degli Stati balcanici sancita dal congresso di Berlino
1871 Nascita dell’Impero tedesco. Insurrezione di Parigi: la Comune
1880-81 e 1899-1902 Guerre boere in Africa
1884-85 Conferenza di Berlino per la spartizione dell’Africa centrale
1896 Sconfitta italiana ad Adua nella guerra d’Africa
1892 Nascita del Partito socialista dei lavoratori italiani
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CAP18 LE GRANDI POTENZE EUROPEE
18_1 LE POTENZE CONTINENTALI
Il ventennio 1850-70 fu caratterizzato da un elevato tasso di conflittualità e di instabilità tra le tre principali potenze dell’Europa continentale: instabilità originata soprattutto dal tentativo della Francia di Napoleone III di riaffermare la sua posizione di massima potenza continentale europea (sullo scacchiere mondiale la superiorità britannica era fuori discussione), rovesciando il sistema sancito dal congresso di Vienna e contrapponendosi all’Impero asburgico, che di quel sistema era il cardine principale [►12_1]. Ma l’indebolimento dell’Austria, derivato da un sostanziale immobilismo politico e sociale [►12_7], favorì l’ascesa della potenza prussiana. La crescita della Prussia e la sua aspirazione a riunire attorno a sé un grande Stato nazionale tedesco costituivano una minaccia intollerabile per la Francia, che dalla pace di Vestfalia del 1648 aveva fondato la sua egemonia continentale proprio sulla debolezza e sulla frammentazione politica della Germania: la strada dell’unità tedesca passava quindi inevitabilmente attraverso lo scontro con la Francia. Nell’Europa di metà ’800 la Francia di Napoleone III rappresentava un caso anomalo. Per molti aspetti, il nuovo regime (instaurato nel 1852) – che pure ricalcava le forme istituzionali del Primo Impero napoleonico – inaugurò un modello politico di nuovo genere, che da allora fu detto “bonapartismo”. Nel bonapartismo l’omaggio formale al principio della sovranità popolare – espressa attraverso i plebisciti – legittimava un potere fondato in realtà sulla forza delle armi, in cui il centralismo autoritario si univa a una certa dose di riformismo sociale e il conservatorismo si mescolava con la demagogia: tutti elementi che ritroveremo in molti regimi autoritari tipici delle moderne società di massa. L’autoritarismo e il centralismo di Napoleone III (all’imperatore, titolare del potere esecutivo, spettavano anche il controllo del potere giudiziario, la facoltà di proporre leggi e il comando dell’esercito) si fondavano su un vasto consenso popolare, derivante anche dalla tradizione napoleonica che si manteneva viva in tutta la Francia. Oltre al sostegno delle campagne l’imperatore cercò e ottenne quello della borghesia urbana, del mondo degli affari, della finanza e dell’industria. Questa borghesia fu, negli anni del Secondo Impero, attiva e influente come non era mai stata prima. Le costruzioni ferroviarie e le grandi opere pubbliche promosse dal regime svolsero la funzione di motore dello sviluppo, sia per l’edilizia sia per i settori di punta come il siderurgico e il meccanico. Conseguentemente, un aspetto importante della cultura e della società del Secondo Impero fu quello che potremmo definire “tecnocratico”: la tendenza cioè ad affidare sempre maggior potere ai tecnici (scienziati, ingegneri, esperti di economia e finanza) e a vedere nel trionfo della tecnica e della civiltà industriale la via più sicura per la realizzazione del bene comune. Ma la tradizione bonapartista portava inevitabilmente la Francia a intraprendere una politica estera ambiziosa e aggressiva. La prima occasione fu la guerra di Crimea, quando Gran Bretagna e Francia si impegnarono a difendere l’Impero ottomano dall’espansionismo russo. Nell’estate del 1854 una flotta anglo-francese penetrò nel Mar Nero: gli eserciti alleati sbarcarono nella penisola di Crimea e posero 660
La Francia di Napoleone III
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
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Focus La morale vittoriana Laboratorio dello storico La fotografia Audiosintesi
► Leggi anche: ► Parole della storia Potenza, p. 662
William Simpson, La “carica dei Seicento” durante la battaglia di Balaklava 1855 [Library of Congress, Washington] Il 25 ottobre del 1854 a Balaklava, durante la guerra di Crimea, una brigata di cavalleria leggera britannica diede l’assalto ad alcune postazioni di artiglieria russe, attestate in una stretta
valle. L’episodio, passato alla storia come la “carica dei Seicento”, provocò la morte di quasi la metà dei cavalieri inglesi. Quello che allora apparve come un gesto di audacia e di valore militare fu in realtà la dimostrazione che la cavalleria era stata superata come arma efficace di sfondamento. La “carica dei Seicento” è stata rappresentata in molte opere letterarie, pittoriche e
cinematografiche. In questa litografia, il generale Lord Cardigan, alla testa della brigata di cavalleria inglese, al centro della valle, guida i suoi uomini all’attacco dell’artiglieria russa, sulla sinistra. In primo e terzo piano, sulle colline, altri reparti di artiglieria russa sparano sugli inglesi, mentre sulla sinistra, in primo piano, la cavalleria russa attende pronta al contrattacco. R RU US SS SI
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Dopo le rivoluzioni del ’48-49, l’Impero asburgico si era riorganizzato sulla base del vecchio sistema assolutistico: il potere tornò a concentrarsi nelle mani dell’imperatore, l’apparato poliziesco fu consolidato, il centralismo amministrativo rafforzato. La Costituzione concessa nel 1849, e mai realmente applicata, fu revocata nel 1851:
La debolezza dell’Impero d’Austria
Crimea Sebasto Sebas 1854-55 1854Sebastopoli 39_LA GUERRA DI CRIMEA, 1853-55 Ceduto Ceduto alla alla 1854-55 Balaklava Valacchia Valacchia Sebastopoli Moldavia Moldavia 1854 Ceduto alla 1854-55 Balaklava Valacchia dalla dalla Russia, Russi 1854 Moldavia MAR N Ceduto Danubio Danubio R U alla SSERBIA SSERBIA I A Valacchia 1856 1856 dalla Russia, Moldavia M A R N E R O Danubio SERBIA 1856 dalla Russia, MONTENEGRO MONTENEGRO SERBIA I M P E R ODanubio 1856 Sinope D ’ A U S T R I A MONTENEGRO Istanbul Istanbul 1854 Sinope MONTENEGRO Crimea I Istanbul I 1854 MM Sebastopoli I Stretto Stretto PP Istanbul M EE 1854-55 Balaklava deidei Dardanelli Dardanelli R R OO I Stretto P 1854 M CedutoE allaR dei Dardanelli OO T T Valacchia Stretto P TT O O Moldavia AR NERO E dei Dardanelli O M R O T T O dalla Russia, M O A N Danubio O 1856 SERBIA T T O I A M AG GRNRE ECOCI A G R E C I A Sinope MONTENEGRO 1854 G R E C I A Istanbul I M Stretto P MM AA R RMM EE DD I TI T EE RR R AA NN EE OO E dei Dardanelli R O M A R M E D I T E R R A N E O O T MAR MEDITERRANT EO O M A N O Crimea
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confermò la neutralizzazione del Mar Nero, stabilendo che restasse chiuso alle navi da guerra di tutti i paesi, compresa la Russia. L’Impero ottomano vide garantita la sua integrità e confermata la sua sovranità nominale sui Principati autonomi di Serbia, Moldavia e Valacchia: questi ultimi due si sarebbero uniti nel 1859 per formare il nuovo Stato di Romania. Una seconda occasione fu quella della vittoriosa guerra contro l’Austria al fianco del Piemonte cavouriano nel 1859 [►15_3]. Ma il risultato principale della guerra – la formazione di uno Stato nazionale italiano sotto la guida del Piemonte – fu ben lontano dai progetti di Napoleone III, che mirava in realtà a subentrare all’Austria come potenza egemone in un’Italia che doveva rimanere divisa.
via ldavia Molda Mo
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Mo
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Mo
R U S S I A l’assedio alla piazzaforte russa di Sebastopoli. La guerra, alla quale partecipò anche il Piemonte con I M I MP PE ER ROO R U S S I A un corpo di spedizione [►15_3], si risolse nel lunghissimo assedio di Sebastopoli, I M durato P E R O circaDun D’ A ’ AU US ST TR RI A I A anno e conclusosi nel settembre 1855 con la caduta I M P E R O D ’ A U S T R I A D ’ A U S T R I A della città [► _39]. Il successivo congresso di Parigi
G R E C I A
MAR MEDITERRANEO
attacco russo attacco alleato battaglie
attacco russo attacco alleato battaglie
attacco attaccorusso russo attacco attaccoalleato alleato battaglie battaglie
attacco russo
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C18 Le grandi potenze europee
solo dieci anni dopo fu ricostituito un Parlamento bicamerale, dotato peraltro di poteri molto limitati. Del resto, nonostante il persistere dei contrasti di nazionalità – che erano stati aggravati dalle vicende del ’48 – il potere imperiale poteva contare sul sostegno della maggioranza dei contadini, favoriti dall’abolizione della servitù della gleba, e su quello della Chiesa cattolica. Appoggiandosi su queste forze, lo Stato sacrificò le esigenze dei settori industriali (soprattutto quelli delle zone più progredite, come la Boemia e la Lombardia), chiamati a pagare i costi di un imponente apparato amministrativo e militare, e mancò in sostanza l’appuntamento con lo sviluppo economico degli anni ’50 e ’60 senza peraltro mantenere, anche a causa delle ripetute sconfitte militari, il ruolo da protagonista della scena europea che aveva prima del ’48. Negli stessi anni la Prussia proponeva con autorità la sua candidatura alla guida della nazione tedesca, fidando soprattutto sulla forza trainante del suo sviluppo industriale e sulla stretta integrazione della sua economia con quella degli altri Stati germanici, uniti fin dal 1834 in una Lega doganale (Zollverein) da cui era invece esclusa l’Austria. La Prussia, infatti, si era sviluppata, a partire dagli anni ’50, a un ritmo che non aveva uguali in Europa. Questa espansione industriale e la crescita di una forte borghesia si concentrarono soprattutto nella parte occidentale dello Stato prussiano (cioè nella Renania-Vestfalia). Lo sviluppo economico non era stato accompagnato, però, da un’evoluzione delle istituzioni in senso liberal-parlamentare: al contrario i vertici dello Stato continuavano a essere occupati dagli esponenti degli Junker, gli aristocratici proprietari terrieri. Proprio il conservatorismo sociale si rivelò una componente essenziale di quella “via prussiana” allo sviluppo, guidato dall’alto e legato al potenziamento militare, che avrebbe finito col costituire una sorta di modello alternativo a quello britannico. Inoltre, elementi di modernità come un efficiente sistema di comunicazioni interne (strade, canali), una rete ferroviaria relativamente sviluppata e un’alta diffusione dell’istruzione rappresentarono un fattore decisivo per i successi della Prussia nel campo Junker economico come in quello militare. Così il tradizionalismo degli Junker e le Originariamente il termine “Junker” era riferito, in Germania, ai figli maschi di famiglie nobili che, non aspirazioni nazionali della borghesia finirono col trovare un terreno di converessendo primogeniti, si dedicavano alla carriera militare. genza nella politica di potenza dello Stato prussiano e nel suo necessario comNell’800 furono chiamati Junker i grandi proprietari terrieri plemento, ossia lo sviluppo di un forte esercito. prussiani. Essi formavano un gruppo compatto, fortemente conservatore nelle abitudini e negli orientamenti politici, L’artefice principale di questa politica fu Otto von Bismarck, un tipico rapche esercitava un notevole peso nella vita dello Stato: gli presentante degli Junker che non aveva mai fatto mistero della sua avversioJunker, infatti, costituivano la quasi totalità degli ufficiali di ne alla democrazia e al liberalismo. Nominato primo ministro nel 1862 dal carriera e buona parte dei vertici della burocrazia. re Guglielmo I, Bismarck si impegnò a realizzare, anche contro le riserve del
La forza della Prussia
Parole della storia
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el linguaggio della diplomazia, sono definiti “potenze” quegli Stati che si dimostrano in grado, in virtù della loro forza economica e militare o della loro capacità politica, di essere soggetti attivi, e non solo oggetti, della politica internazionale, di assumere autonomamente impegni ed iniziative senza essere condizionati da vincoli di subordinazione. Si parla poi di «grandi potenze» in riferimento a quegli Stati che, in un dato periodo, acquistano un ruolo egemonico in una determinata area e sono chiamati per questo ad assumere responsabilità speciali nella conduzione degli affari internazionali. Nell’800, le
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
grandi potenze erano cinque: Francia, Gran Bretagna, Russia, Prussia (poi Germania) e Austria. Negli ultimi decenni del secolo a esse si aggiunsero l’Italia (cui non tutti, per la verità, riconoscevano questo ruolo) e le nuove potenze extraeuropee, gli Stati Uniti e il Giappone. Dopo la prima guerra mondiale, l’Austria, non più centro di un impero, uscì dal novero delle grandi potenze, e ne furono escluse, ma solo temporaneamente, la Germania e la Russia (che vi sarebbe rientrata come Unione Sovietica). All’indomani del secondo conflitto mondiale, emerse un nuovo equilibrio internazionale, basato sull’esistenza di due sole superpotenze, Stati Uniti e Urss, capaci di far sentire il loro peso sull’assetto dell’intero pianeta. Con la crisi del blocco
comunista e la fine dell’Urss (1991), gli scenari mutarono di nuovo. Gli Stati Uniti restarono l’unica superpotenza planetaria. Ma nel frattempo emergevano altri candidati al ruolo di grandi potenze internazionali: le due nazioni sconfitte della seconda guerra mondiale, la Germania riunificata e il Giappone, e anche la stessa Russia, portata a ereditare il ruolo dell’ex Unione Sovietica, affiancata dalla Cina, grande potenza economica e commerciale. Si aggiungevano poi le nuove potenze regionali come il Brasile e l’Argentina, la Turchia e l’Iran, l’India e l’Indonesia, pronte a inserirsi in una realtà internazionale diventata di nuovo fluida dopo la fine del bipolarismo Usa-Urss durato quasi mezzo secolo.
Parlamento, una riforma dell’esercito che prevedeva l’aumento degli organici e il prolungamento del servizio di leva in funzione dell’obiettivo dell’unificazione. Per raggiungere questo obiettivo la Prussia doveva sconfiggere sul campo di battaglia Austria e Francia, i due nemici di un’unità tedesca a guida prussiana. Del resto il programma politico di Bismarck era stato chiaramente enunciato quando aveva sostenuto che le grandi questioni si sarebbero risolte «non con discorsi né con deliberazioni della maggioranza – questo era stato l’errore del ’48-49 – bensì col ferro e col sangue».
METODO DI STUDIO
a Cerchia i nomi delle principali potenze continentali europee e sottolinea i possibili motivi di tensione fra di esse fra il 1850 e il 1870. b Trascrivi sul quaderno le parole chiave in grassetto che si riferiscono al sottoparagrafo sulla Francia di Napoleone III, quindi spiegane per iscritto il significato nel contesto descritto. c Descrivi per iscritto il sistema politico vigente nell’Impero asburgico e la politica economica intrapresa mettendone in rilievo le cause e le conseguenze. d Rinomina il sottoparagrafo relativo alla Prussia mettendo in evidenza il carattere conservatore e militare della sua politica. Quindi dividi questo sottoparagrafo in 4 nuclei concettuali e rendili riconoscibili attraverso dei titoli che scriverai al lato del testo.
18_2 LE GUERRE DI BISMARCK E L’UNITÀ TEDESCA
La contesa tra Austria e Prussia relativamente all’amministrazione dei Ducati di Schleswig, Holstein e Lauenburg, sottratti dalle due potenze alla Danimarca nel 1864, costituì il pretesto di una guerra nel 1866. Garantitasi la neutralità della Russia e della Francia, e alleatasi con l’Italia, la Prussia sconfisse l’Austria nella grande battaglia campale di Sadowa in Boemia (3 luglio). A conferma della preponderante superiorità militare prussiana, la guerra era durata solo tre settimane. Giocarono a favore dei prussiani la perfetta organizzazione dell’esercito, guidato dal generale von Moltke, la miglior qualità degli armamenti (le truppe erano dotate per la prima volta di fucili a retrocarica, che consentivano una superiore rapidità di tiro), la tempestività degli spostamenti dovuta a un razionale sfruttamento delle ferrovie. Fu, quella del ’66, la prima delle numerose guerre di movimento che avrebbero reso celebre e temuta la macchina militare tedesca. Nella successiva pace di Praga l’Austria non subì mutilazioni territoriali, salvo quella del Veneto ceduto all’Italia [►21_5]. Ma dovette accettare lo scioglimento della vecchia Confederazione germanica, e dunque la fine di ogni sua influenza nell’Europa centro-settentrionale, dove a nord del fiume Meno si formò la nuova Confederazione della Germania del Nord a guida prussiana [► _40]. I nuovi equilibri spinsero l’Impero asburgico a spostare il centro dei suoi interessi verso l’area danubiano-balcanica e a cercare una nuova soluzione per il problema delle nazionalità che convivevano al suo interno [►12_5]. Nel 1867 l’Impero fu diviso in due Stati, l’uno austriaco, l’altro ungherese (da ora in poi si parlerà infatti di Impero austro-ungarico), uniti fra loro nella persona del sovrano, ma ciascuno con un proprio Parlamento e un proprio governo, salvo che per i ministeri preposti agli affari di interesse comune (Esteri, Guerra e Finanze). Col “compromesso” del ’67, la dinastia asburgica si accordava col gruppo nazionale più forte e compatto, ma scontentava soprattutto gli slavi che avrebbero rappresentato da allora il pericolo più grave per l’unità dell’Impero [►18_4].
La guerra contro l’Austria
► Leggi anche: ► Personaggi Bismarck, il cancelliere di ferro, p. 664
Il cammino verso l’unificazione tedesca procedeva secondo un programma di politica di potenza che la borghesia liberale era costretta ormai a subire e che era fuori dal controllo del Parlamento, nel quale le posizioni liberali erano state sconfitte dal rapporto diretto del cancelliere con il sovrano: sulle spese militari Bismarck decise infatti di scavalcare il Parlamento e di farle approvare per decreto reale. L’ultimo ostacolo sulla via dell’unità era rappresentato dalla Francia di Napoleone III, deciso a non consentire ulteriori ingrandimenti alla Prussia. L’occasione per il conflitto fu offerta da una questione dinastica. Nel 1868 il trono di
La guerra franco-prussiana
Bismarck forgia la spada dell’unità dell’Impero tedesco 1900 ca. [Deutsches Historisches Museum, Berlino] Otto von Bismarck, nella raffigurazione allegorica, è rappresentato nelle vesti di un fabbro, con le maniche
della camicia arrotolate e il grembiule da lavoro in cuoio, in piedi di fronte ad un’incudine, mentre forgia la spada dell’unità tedesca. In pochi anni, consente alla Prussia di portare a termine il processo di unificazione e poi di conquistare un’indiscussa egemonia politica ed economica sul continente.
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Anton von Werner, Acquartieramento delle truppe tedesche alle porte di Parigi 1894 [Nationalgalerie, Staatliche Museen, Berlino] Il pittore tedesco Anton von Werner completa questo dipinto nel 1894 sulla base di uno schizzo realizzato 24 anni prima: il 24 ottobre 1870, mentre l’artista accompagna il maggiore generale prussiano Helmuth von Moltke e le sue truppe nei territori occupati in Francia. La tela mostra alcuni militari in una delle sale del castello di Brunoy, alle porte di Parigi, requisito durante la guerra francoprussiana. Con estremo realismo, von Werner enfatizza il contrasto fra il raffinato mobilio della stanza e i militari con le facce rubiconde e gli stivali sporchi di fango. Eppure non sembra esserci rimprovero nei confronti delle truppe. Anzi, molti particolari ne suggeriscono le alte qualità morali e culturali: gli oggetti preziosi sono ancora al loro posto e nulla sembra essere stato portato via; diversamente dalle usanze degli eserciti, nessun mobile è stato distrutto per accendere il fuoco; i soldati si allietano suonando il piano e la donna con la bambina (probabilmente la governante della casa con sua figlia) non sembrano soffrire della compagnia imposta.
PERSONAGGI
Bismarck, il cancelliere di ferro
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n vero servitore tedesco dell’imperatore Guglielmo I»: così fu inciso sulla tomba di Otto von Bismarck. Ma lo statista fu molto di più. Era nato nel 1815 a Schönhausen, nell’antica marca di Brandeburgo. Il padre era uno Junker (un esponente della nobiltà terriera a est dell’Elba), mentre la madre era figlia di uno stimato amministratore prussiano. Bismarck ammirava il padre e rivendicò sempre le origini Junker, ma fu la madre, a cui era poco legato, ad avere maggiore influenza sulla sua formazione. Intelligente e raffinata, poco amante della vita di campagna, insistette perché il figlio ricevesse un’istruzione intellettuale piuttosto che militare. Fece spostare la famiglia a Berlino e introdusse il figlio a corte, dove strinse amicizia con i giovani principi Hohenzollern. Per suo volere Bismarck andò all’università di Göttingen, dove condusse una vita disordinata, tra bevute, avventure galanti e duelli. Alla morte della madre, scelse di condurre la vita dello Junker e si ritirò in Pomerania, dove amministrò con successo le proprietà familiari, ma si distinse soprattutto per le cavalcate notturne nei boschi e per i tentativi di sedurre le figlie dei contadini. A trent’anni non poteva dirsi soddisfatto della sua vita, ma un importante cambiamento era alle porte. Grazie all’influenza di alcuni amici
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
si avvicinò alla religiosità pietista (più intima e più attiva nella società), trovando nella fede forza e serenità. Il matrimonio, di poco successivo, con Johanna von Puttkamer, una donna semplice, paziente e devota, gli regalò una felicità duratura. Ancora più significativa fu la svolta che avvenne nella sua carriera. Chiamato a sostituire uno dei delegati presso la Dieta regionale prussiana, si fece conoscere negli ambienti reazionari grazie alla ferma opposizione ad ogni proposta liberale e alla notevole abilità oratoria. Quando la rivoluzione del 1848 toccò la Prussia tentò di organizzare i conservatori in inconcludenti intrighi e prese il vezzo di firmarsi “von Bismarck”, per ribadire le sue origini nobiliari. L’anno successivo fu eletto alla Camera prussiana. Sarebbe uscito dalla politica quarant’anni dopo, e non di sua volontà. Nonostante la scarsa esperienza, fu scelto come delegato prussiano alla Dieta federale di Francoforte, dove non si comportò come un diplomatico tradizionale: non scriveva resoconti né seguiva le istruzioni del governo, ma agiva personalmente. Andava e veniva tra Francoforte e Berlino e conduceva una vita non priva di eccessi, soprattutto nel fumare, nel mangiare e nel bere. Quando Guglielmo divenne re di Prussia, ritenendo Bismarck troppo reazionario, lo allontanò da
Francoforte per nominarlo ambasciatore a San Pietroburgo. Tagliato fuori dal confronto con il sovrano e i ministri, Bismarck soffrì di un senso di frustrazione, che diede origine ad un disturbo nervoso, destinato a ripresentarsi. In seguito ad una crisi istituzionale, proprio Guglielmo fu spinto a richiamare Bismarck a Berlino, nel 1862. Confidava che il suo decisionismo potesse risolvere il conflitto che lo opponeva al Parlamento, e lo nominò così primo ministro (ma divenne anche ministro degli Esteri). Pur non avendo molta esperienza alle spalle, Bismarck non mostrò cedimenti e inaugurò una peculiare prassi di governo, che portò avanti anche quando divenne cancelliere tedesco: convocava raramente il Consiglio dei ministri, conduceva la politica estera senza badare al parere degli ambasciatori, lasciava che di politica interna si occupassero i suoi ministri, ma non esitava ad intervenire. Era un uomo solitario, ma aveva una conversazione brillante, e con il suo fascino incantò lo zar Alessandro III come la regina Vittoria. Diceva di non essere un oratore, ma i suoi discorsi si possono considerare fra le più alte composizioni letterarie tedesche. «Di tutte le grandi figure pubbliche del passato, Bismarck è l’unico che varrebbe la pena risuscitare per avere con lui un’ora di conversazione», ha scritto lo storico inglese A.J.P. Taylor (Bismarck. L’uomo e lo statista, Laterza, Roma-Bari 2011, p. 51). L’unificazio-
Spagna era rimasto vacante e la corona era stata offerta a un parente del re di Prussia. La prospettiva di un principe tedesco sul trono di Spagna spaventava ovviamente la Francia, che si sentiva minacciata di accerchiamento. L’opinione pubblica francese insorse compatta e la reazione del governo fu fermissima. Bismarck esasperò abilmente queste tendenze bellicose rilasciando, all’indomani di un incontro fra Guglielmo I e l’ambasciatore francese, un comunicato stampa formulato in modo volutamente provocatorio: vi si lasciava intendere che l’ambasciatore era stato messo alla porta dal re. Quel comunicato provocò in Francia, e soprattutto a Parigi, un’ondata di furore nazionalistico. Il governo e lo stesso imperatore, fino ad allora esitante, si lasciarono trascinare dalla spinta dell’opinione pubblica e, il 19 luglio 1870, dichiararono guerra alla Prussia. La Francia affrontò il conflitto in un clima di grande entusiasmo, ma con scarsa preparazione militare. L’esercito, che pure poteva contare su un armamento moderno ed efficiente, era nettamente inferiore a quello prussiano sia per il numero degli effettivi sia per l’organizzazione. Come nella guerra contro l’Austria del ’66, le truppe comandate dal generale von Moltke si mossero con grande rapidità: il 1° settembre, mentre metà dell’esercito francese veniva circondata a Metz in Lorena, l’altra metà venne accerchiata a Sedan, presso il confine col Belgio, e costretta ad arrendersi. Lo stesso imperatore fu preso prigioniero dai tedeschi. Pochi giorni dopo, nella capitale francese minacciata dai prussiani, abbattuto l’impero e proclamata la repubblica, si formava un governo provvisorio. Invano il ministro della Guerra Léon Gambetta, fuggito con un pallone aerostatico da Parigi assediata, tentò di rianimare la resistenza organizzando la leva
ne tedesca dimostra, ancora oggi, la sua notevole capacità strategica, dall’abilità diplomatica con cui preparò la guerra contro l’Austria alla prontezza con cui volse a suo favore i contrasti con la Francia, al modo in cui si destreggiò nelle trattative con i principi della Germania meridionale, fino a raggiungere l’obiettivo di fare del sovrano prussiano l’imperatore tedesco. Non amava le guerre, a cui pure ricorse, perché lo privavano del controllo sugli avvenimenti. Perseguiva la pace e la sicurezza, come dimostra anche il sistema di alleanze in politica estera, ma trovava stimolo solo nelle situazioni di tensione. A Berlino visse quasi da accampato, presso l’abitazione del Ministero degli Esteri prussiano, sottraendosi, nonostante il ruolo, alle esigenze di rappresentanza. Cancelliere imperiale per quasi vent’anni, Bismarck non si appoggiò mai a un unico partito di maggioranza: il suo successo fu legato all’ascendente che seppe esercitare su Guglielmo I, che in lui nutriva grande fiducia. Bismarck si schierava, a seconda degli eventi, ora con il sovrano ora con il Parlamento e usava abilmente l’uno contro l’altro, come usava i diversi partiti. Non era rilevante per lui essere considerato un liberale o un conservatore, ma avere uno Stato tedesco forte, l’uni-
co obiettivo che perseguì costantemente. Aveva una capacità di risposta agli eventi rapida e istintiva, e un grande realismo, che gli permetteva di cambiare con opportunismo le strategie, pur di raggiungere lo scopo prefissato. Sapeva costruire le crisi politiche, come le campagne elettorali, per apparire l’unico uomo in grado di guidare il paese. Mentre l’imperatore invecchiava, Bismarck nominò il figlio Herbert segretario di Stato, sognando di fondare una dinastia di statisti. Lo attendevano, però, alcune sorprese. Spiazzato dalla morte di Guglielmo I, che annunciò fra le lacrime in Parlamento, pensò che nulla sarebbe cambiato con il giovane Guglielmo II. Il calcolo si rivelò errato. Quando, nelle elezioni del 1890, i tre partiti anti-bismarckiani (socialdemocratici, centristi e progressisti) conquistarono la maggioranza, Guglielmo II si rifiutò di sciogliere il Parlamento, come chiedeva Bismarck, e sfiduciò il cancelliere. Riluttante ad uscire di scena, Bismarck attaccò il nuovo governo e l’imperatore nei discorsi pubblici. Cominciò anche a stendere le sue memorie, più che un bilancio oggettivo, un ultimo strumento di battaglia politica. I suoi ottant’anni furono celebrati in tutto il paese, ma l’omaggio era ormai rivolto all’uomo dell’unificazione, considerato un eroe nazionale, non allo sta-
A. Bockmann, Otto von Bismarck nel parco di Friedrichsruh con i suoi due mastini 14 giugno 1886 [Bismarck-Museum Friedrichsruh]
tista del presente. Per la sua morte, avvenuta nel 1898, Bismarck rifiutò i funerali di Stato, lui che dello Stato aveva fatto il fulcro della sua politica e della sua vita.
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Confederazione del Nord con gli Stati della Germania meridionale tra cui il Regno di Baviera. Il 18 gennaio 1871 nella Reggia di Versailles, luogo-simbolo della potenza dei re di Francia, Guglielmo I fu incoronato imperatore tedesco (Deutscher Kaiser). L’unità tedesca era compiuta: un’unità calata dall’alto, attuata in seguito a una guerra combattuta fuori dai confini nazionali contro il nemico tradizionale, soprattutto per l’iniziativa di uno statista abile e autoritario; mai ratificata, dunque, da un plebiscito o da una qualsiasi forma di consultazione popolare. Con la successiva pace di Francoforte non solo la Francia fu costretta a corriMETODO DI STUDIO spondere una pesante indennità di guerra, ma dovette cedere al Reich l’Alsazia e a Sottolinea con colori diversi i seguenti la Lorena, due regioni di confine di notevole importanza economica e strategica. aspetti della guerra franco-prussiana: a. le cause; La disfatta di Sedan, l’invasione del paese, la caduta di Parigi e la perdita dell’Alb. le nazioni in lotta; c. la cronologia e gli eventi principali; d. gli esiti. sazia-Lorena rappresentarono per la Francia molto più che una sconfitta mili b Utilizza i risultati dell’esercizio precedente tare. Si trattò di una vera e propria umiliazione nazionale. Il desiderio di ripacome una scaletta e descrivi schematicamente per rare a questa umiliazione – il cosiddetto “revanscismo”, dal francese revanche, iscritto gli aspetti principali della guerra franco-prussiana. “rivincita” – avrebbe condizionato per quasi mezzo secolo la politica francese determinando un’insanabile rivalità.
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DI WÜRTTEMBERG Plombières Nancy Strasburgo DEL BAVIERA Gastein Monaco Zurigo Innsbruck FRANCIA Baden Tubinga BADEN D Stati annessi alla Prussia Stati membri Augusta a nu HOHENnel 1866 GRAND ZOLLERN la Prussia nelSTIRIA 1865 bio della Confederazione Vienna TIROLO Plombières DEL SVIZZERA Monaco del Nord (1866-71) Stati membri Stati annessi alla Prussia BADEN Gastein Zurigo Innsbruck della Confederazione nel 1866 Alsazia e Lorena, all’Impero STIRIA TIROLO del Nord (1866-71) dal 1871 al 1919 SVIZ E R Anel 1865 la Z Prussia Stati membri Gastein Zurigo alla Prussia Innsbruck della Confederazione Alsazia e Lorena, all’Impero confine della Confederazione Stati annessi dal 1871 al 1919 del Nord (1866-71) del Nord nel 1866 nel 1866 confine della Confederazione la Prussia nel 1865 Alsazia e Lorena, all’Impero confini dell’Impero tedesco Stati membri del Nord nel 1866 dal 1871 al 1919 nel 1871 della Confederazione Stati annessi alla Prussia del Nord (1866-71) confini dell’Impero tedesco nel 1866la Prussia nel 1865 confine della Confederazione nel 1871 del Nord nel 1866 Stati membri Stati annessi alla Prussia Alsazia e Lorena, all’Impero dal 1871 al 1919 della Confederazione confini dell’Impero tedesco nel 1866 del Nord (1866-71) nel 1871gli invasori (in questa occasione intervenne in confine della Confederazione in massa nelle e mobilitando il popolo contro Stati province membri del Nord nel 1866 Alsazia e della Lorena, all’Impero Confederazione difesadaldella nuova Francia repubblicana anche un corpo di volontari italiano comandato da Garibaldi). 1871del al 1919 confini dell’Impero tedesco Nord (1866-71) nel 1871 della Confederazione Dopoconfine una serie di sconfitte il governo fu costretto a chiedere l’armistizio nel gennaio 1871. Alsazia e Lorena, all’Impero del Nord dal nel 1871 1866 al 1919 confini dell’Impero tedesco confine della Confederazione Nel frattempo, il 9 dicembre 1870, era stato proclamato l’Impero tedesco – il nel 1871del Nord nel 1866 L’unificazione secondo Reich (“impero”, in tedesco) dopo il Sacro romano impero di Carlo confini dell’Impero tedesco tedesca Magno – che nasceva dalla fusione della Prussia e degli Stati della nel 1871
IL PROCESSO DI UNIFICAZIONE TEDESCA
Per assumere la guida dell’UNIFICAZIONE tedesca Per sottrarle la guida della Confederazione germanica
L’Austria perde la sua supremazia nell’Europa del Centro-Nord
L’AUSTRIA
LA PRUSSIA deve sconfiggere
Contesa per l’amministrazione dello Schleswig, Holstein e Lauenburg
Alleanza con l’Italia
Vittoria prussiana a Sadowa (1866)
LA FRANCIA
Ostile alla prospettiva di una supremazia tedesca in Europa continentale
Sconfitta francese a Sedan
Caduta di Napoleone III
Conquista prussiana di Alsazia e Lorena
Revanscismo francese
che ottiene il Veneto
18_3 LA COMUNE DI PARIGI
Dopo la battaglia di Sedan, che aveva sancito la vittoria prussiana, era stato il popolo della capitale francese a insorgere, a costituire una Guardia nazionale e a decretare la fine del regime napoleonico. Parigi aveva vissuto la caduta dell’Impero come una nuova occasione rivoluzionaria e al tempo stesso come l’inizio di una riscossa nazionale. Molto diverso era l’orientamento nelle campagne e nei centri minori, dove prevalevano le tendenze conservatrici. La frattura si delineò con chiarezza dopo le elezioni della nuova Assemblea nazionale, che si tennero nel febbraio 1871. Grazie al voto delle campagne, l’Assemblea, che tenne le sue prime riunioni a Bordeaux, risultò composta in stragrande maggioranza da moderati e conservatori. A presiedere il governo fu chiamato Adolphe Thiers, un esponente della Francia moderata, già ministro di Luigi Filippo d’Orléans [►12_6]. Appena entrato in carica, il nuovo governo si affrettò ad aprire trattative di pace. Ma, quando furono note le durissime condizioni imposte da Bismarck (che prevedevano fra l’altro l’ingresso delle truppe tedesche nella capitale), il popolo di Parigi protestò in massa e decise di difendere la città. Lo scontro fra la Parigi rivoluzionaria e la Francia rurale e conservatrice diventava inevitabile, né Thiers fece nulla per evitarlo. Quando, a metà marzo, il governo ordinò la consegna delle armi raccolte per la difesa della capitale, il comando della Guardia nazionale rifiutò di obbedire e indisse le elezioni per il Consiglio della Comune.
Lo scontro tra la capitale e la Francia rurale
In queste elezioni, tenutesi in marzo, l’elettorato conservatore si astenne in gran parte dalle urne – anche perché i ricchi avevano abbandonato in massa la capitale – e il potere restò nelle mani dei gruppi di estrema sinistra, democratico-giacobini ma anche socialisti e anarchici. Per quanto divisi da seri contrasti, i dirigenti della Comune diedero vita nel giro di poche settimane a un esperimento radicale di democrazia diretta [►4_2]. Fu abolita la distinzione fra potere esecutivo e legislativo, tutti i funzionari furono resi elettivi e continuamente revocabili, l’esercito venne sostituito da milizie popolari armate. Queste misure provocarono l’allarme dei conservatori e dei moderati e suscitarono l’entu-
L’esperienza rivoluzionaria della Comune
Comune La parola “Comune” (in francese, sostantivo femminile) non aveva in origine altro significato che quello, usuale, di organo attraverso il quale i cittadini si autogovernano. Ma il termine, soprattutto in Francia, richiamava alla mente l’immagine della prima Comune, quella giacobina del 1793-94 che, sia pure per un solo anno, aveva goduto di un’enorme autorità su tutto il paese. Anche la Comune del 1871 assunse subito i tratti di un’esperienza rivoluzionaria, avviando il più radicale esperimento di democrazia diretta mai tentato in Europa.
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C18 Le grandi potenze europee
◄ Ernest-
Eugène Appert, L’esecuzione della condanna a morte dei generali Clément Thomas e Jules Lecomte a Montmartre, Parigi, il 18 marzo 1871 1871 [Metropolitan Museum of Art, New York]
Poco dopo la fine dell’esperienza della Comune, il fotografo ritrattista parigino Ernest-Eugène Appert pubblicò una serie di nove fotografie, intitolata Crimini della Comune, con cui denunciava la brutalità criminale dei ribelli. Nonostante fossero basate su eventi realmente accaduti, le fotografie erano frutto di una elaborazione successiva. Appert, infatti, prima fotografò nel suo studio la messa in scena di quegli eventi da parte di alcuni attori da lui ingaggiati, poi “costruì” fotografie il più possibile simili al vero con un abile lavoro di taglia e incolla: gli “episodi” così ricostruiti furono sovrapposti alle foto dei luoghi reali in cui erano accaduti e alle teste degli attori furono sostituite le foto dei principali protagonisti della Comune. Le fotografie furono successivamente censurate dal governo francese perché arrecavano «disturbo della quiete pubblica».
◄ Ernest-Eugène
Appert, Il massacro dei domenicani di Arcueil, a Parigi, il 25 maggio 1871 1871 [Metropolitan Museum of Art, New York]
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siasmo dei rivoluzionari di tutta Europa. Marx e Bakunin [►11_7 e 16_7] videro nella Comune il primo esempio di gestione diretta del potere da parte delle masse, quasi un modello per la futura società socialista. Racchiusa entro i confini di una sola città, isolata dal resto del paese, occupato per giunta da truppe straniere, la Comune non riuscì a coinvolgere anche i piccoli centri e le campagne. Gli appelli lanciati da Parigi agli altri comuni di Francia perché si associassero alla capitale in una libera federazione caddero nel vuoto. E l’esperienza della Comune durò non più di due mesi: il tempo necessario a Thiers per raccogliere, con l’assenso degli occupanti tedeschi, un esercito abbastanza forte per muovere alla conquista della capitale. Fra il 21 e il 28 maggio le truppe governative procedettero all’assalto di Parigi, che fu difesa strada per strada dalle milizie popolari [►FS, 161d]. La battaglia fu condotta da ambo le parti con estrema determinazione. Alle eseMETODO DI STUDIO cuzioni sommarie – circa 20 mila uomini furono passati per le armi senza pro a Descrivi sinteticamente l’antefatto della nacesso durante la “settimana di sangue” – i difensori della Comune risposero scita della Comune di Parigi mettendo in rilievo con sanguinose rappresaglie, che contribuirono ad accentuare nell’opinione i conflitti politici e geografici descritti. b Spiega per iscritto in cosa consistette l’espepubblica moderata i sentimenti di paura e odio per i rivoluzionari. Per la serienza della Comune, quanto durò, quali furono gli conda volta in poco più di vent’anni, il movimento rivoluzionario francese si esiti e perché. ritrovava alla fine sconfitto e decimato.
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
18_4 L’IMPERO TEDESCO
E LA POLITICA DI BISMARCK
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All’inizio degli anni ’70, all’indomani della guerra franco-prussiana, una nuova concezione dei rapporti internazionali si andò diffondendo in tutta Europa. Il modo stesso in cui era stata preparata e realizzata l’unità tedesca aveva fatto tramontare, agli occhi di molti uomini politici e di molti intellettuali, alcuni fra i princìpi fondamentali della cultura liberal-democratica ottocentesca, come il diritto di nazionalità e la libertà dei popoli. Si affermava sempre più l’ideologia della forza, del fatto compiuto, della pura politica di potenza, fondata sullo sviluppo degli eserciti permanenti e degli armamenti di terra e di mare. A questo nuovo clima contribuì il mutamento della congiuntura economica, che, come abbiamo visto [►17_1], indusse quasi tutti gli Stati europei a ripudiare la politica del libero scambio e ad accentuare le misure protezionistiche.
Il trionfo della politica di potenza
► Personaggi Bismarck, il cancelliere di ferro, p. 664
Con 40 milioni di abitanti, una vasta disponibilità di materie prime, un’economia in continua crescita, un esercito di provata efficienza e un sistema di istruzione altrettanto qualificato, il nuovo Stato tedesco si presentava come la maggiore potenza continentale europea. Dal punto di vista istituzionale, il Reich ereditava la struttura della vecchia Confederazione germanica: era infatti diviso in venticinque Stati – alcuni vastissimi, come la Prussia, altri piccoli o piccolissimi – con propri governi e Parlamenti (che avevano però funzioni prevalentemente amministrative) e in qualche caso un proprio esercito, come la Baviera. La grande politica era di competenza del governo centrale, presieduto da un cancelliere responsabile di fronte all’imperatore. Il potere legislativo era esercitato dal Parlamento, diviso in due Camere, una Camera elettiva, il Reichstag, eletta a suffragio universale, e un Consiglio federale, il Bundesrat, composto da rappresentanti dei singoli Stati. Come nella Prussia preunitaria, il Parlamento aveva limitate possibilità di condizionare il potere esecutivo, concentrato nelle mani dell’imperatore e del cancelliere. Come in Prussia, il blocco sociale dominante era costituito da una solida alleanza fra il mondo industriale e bancario e l’aristocrazia terriera e militare: un blocco che fu rinsaldato dalla politica protezionista adottata da Bismarck, a vantaggio soprattutto dell’industria pesante e della cerealicoltura.
Istituzioni politiche e classe dirigente del nuovo Reich
Una vivace dialettica politica caratterizzò la Germania con la nascita di nuovi e forti movimenti politici di massa. Alle tradizionali formazioni liberali e conservatrici che avevano dominato la scena parlamentare in Prussia negli anni ’60 – il Partito conservatore, espressione degli Junker, il Partito nazional-liberale, che rappresentava la borghesia industriale e commerciale, e il piccolo raggruppamento degli intellettuali liberal-progressisti – si aggiunse, nel 1871, il partito cattolico del Centro. Nel 1875, dall’accordo fra la corrente marxista e quella che si ispirava a Lassalle, nacque il Partito socialdemocratico tedesco (Spd). Mentre la socialdemocrazia traeva la sua forza dalla massiccia adesione operaia delle regioni e città industriali, il Centro poggiava su una base sociale formata per lo più da agricoltori e ceti medi urbani presenti in Renania e in Baviera.
I partiti politici
Nei primi anni ’70 Bismarck iniziò una politica duramente anticattolica – il Kulturkampf, la “battaglia per la civiltà” – emanando una serie di misure volte non solo ad affermare il carattere laico dello Stato (obbligo del matrimonio civile, abolizione di ogni controllo religioso sull’insegnamento), ma anche a porre sotto sorveglianza l’attività del clero cattolico. La lotta scatenata da Bismarck ebbe però l’effetto di stimolare l’orgoglio e la compattezza dei cattolici tedeschi, che, sotto la guida di un leader di grandi capacità, Ludwig Windthorst, riuscirono nel giro di pochi anni a raddoppiare la loro rappresentanza parlamentare. Bismarck fu costretto, così, ad attenuare le misure anticattoliche e a varare una nuova legislazione ecclesiastica, molto più moderata della precedente. L’abbandono del Kulturkampf fu imposto al cancelliere anche dalla necessità di fronteggiare la minaccia che veniva dall’ascesa della socialdemocrazia. Già nel 1878, traendo pretesto da due attentati
Bismarck contro i cattolici e i socialdemocratici
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C18 Le grandi potenze europee
falliti contro l’imperatore, il governo varò una serie di leggi eccezionali specificamente rivolte contro il movimento socialdemocratico. Le «leggi contro le tendenze sovvertitrici» ponevano gravi limitazioni alla libertà di stampa e di riunione e dichiaravano illegali tutte le associazioni «aventi lo scopo di provocare il rovesciamento dell’ordinamento statale o sociale esistente», costringendo così la socialdemocrazia a una condizione di semiclandestinità. Nel tentativo di soffocare sul nascere lo sviluppo del movimento operaio, Bismarck non si limitò però alle misure repressive. Fra il 1883 e il 1889 il Parlamento approvò, su proposta del governo, alcune importanti leggi di tutela delle classi lavoratrici, che istituivano assicurazioni obbligatorie per gli infortuni sul lavoro, le malattie e la vecchiaia, facendone gravare il peso in parte sugli imprenditori, in parte sullo Stato, in parte sui lavoratori stessi. In un’epoca in cui le attività previdenziali e assistenziali erano affidate all’iniziativa dei privati o delle istituzioni religiose, la legislazione sociale varata da Bismarck era obiettivamente molto avanzata. Dando soddisfazione ad alcune delle esigenze più sentite dalla classe operaia e al tempo stesso rifiutando di riconoscere legittimità alla sua rappresentanza organizzata, Bismarck mirava a integrare le masse lavoratrici nello Stato in una posizione subalterna. Questa operazione andò però incontro a un insuccesso politico analogo a quello subìto nella lotta contro i cattolici. Il varo della legislazione sociale non impedì la nascita, alla fine degli anni ’80, di un forte movimento sindacale guidato dai socialdemocratici. D’altra parte le leggi eccezionali, prorogate periodicamente fino al 1890, non riuscirono a bloccare la crescita elettorale della socialdemocrazia, che passò dai circa 500 mila voti del 1878 a quasi 1 milione e mezzo (il 18% dei suffragi, con 35 deputati al Reichstag) nel 1890. L’affermazione socialdemocratica sancì il fallimento della politica bismarckiana nei confronti del movimento operaio e contribuì a provocare, nel 1890, l’allontanamento dal governo dell’onnipotente cancelliere.
I successi della socialdemocrazia
La politica estera e il sistema bismarckiano
Nel ventennio in cui rimase al potere Bismarck fu l’arbitro dell’equilibrio europeo. Dopo la vittoria sulla Francia, infatti, il cancelliere tedesco costruì un sistema di alleanze che aveva come scopo principale quello di impedire che la Francia potesse uscire dal suo isolamento politico-diplomatico. A questo fine si
reprime i socialisti [dalla rivista inglese «Punch», 1878] ► I tre imperatori manovrati dal burattinaio Bismarck [dalla rivista inglese «Punch», 20 settembre 1884] Le vignette satiriche, apparse in anni diversi sulla rivista inglese «Punch», prendono in giro due aspetti della politica bismarckiana. Sul fronte interno Bismarck chiude in una scatola il “pupazzo socialista”, mentre in politica estera opera come un burattinaio, muovendo i fili di tre pupazzi: (da destra) lo zar Alessandro I di Russia, l’imperatore Guglielmo I di Germania e Francesco Giuseppe d’Austria-Ungheria.
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▼ Bismarck
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
alleò con l’Austria-Ungheria, con la Russia e con l’Italia, contando sul fatto che la Gran Bretagna non si sarebbe mai avvicinata alla Francia, sia per la sua riluttanza a impegnarsi sul continente europeo, sia per la rivalità che opponeva le due potenze nell’espansione coloniale in Africa [►20_2]. Fulcro iniziale del sistema bismarckiano fu il patto dei tre imperatori, stipulato nel 1873 fra Germania, Austria-Ungheria e Russia: un patto difensivo che si fondava soprattutto sulla solidarietà fra le tre monarchie autoritarie e aveva per obiettivo palese la tutela degli equilibri conservatori all’interno dei singoli Stati. L’alleanza aveva però un punto debole: la vecchia rivalità fra Austria e Russia nella penisola balcanica, dove le popolazioni slave erano in perenne ribellione contro il dominio ottomano. Fra il 1875 e il 1876 il governo turco represse con grande spargimento di sangue una serie di rivolte scoppiate in Bosnia, in Erzegovina e in Bulgaria. Nella primavera del ’77 la Russia, grande protettrice dei popoli slavi, dichiarò guerra alla Turchia ottomana e la sconfisse, imponendole una pace quanto mai onerosa, che in pratica avrebbe sancito l’egemonia russa nei Balcani. Come era avvenuto nel 1854, in occasione della guerra di Crimea [►18_1], questa prospettiva allarmò le altre potenze europee. AustriaUngheria e Gran Bretagna, in particolare, minacciarono di intervenire contro la Russia. A questo punto fu Bismarck a prendere l’iniziativa, nel ruolo del mediatore. Un congresso delle potenze europee fu convocato a Berlino nell’estate del ’78, dove si giunse a un accordo che limitava notevolmente i vantaggi ottenuti dalla Russia, pur ridisegnando radicalmente gli equilibri della penisola balcanica. La Bulgaria ottenne l’indipendenza, ma entro confini assai più ristretti rispetto a quelli determinati dall’esito del conflitto russo-turco dell’anno precedente. La Bosnia e l’Erzegovina furono dichiarate autonome, ma affidate in “amministrazione temporanea” all’Austria. La Gran Bretagna ottenne l’isola di Cipro, in posizione strategica per il controllo del Canale di Suez che collega ancora oggi il Mediterraneo al Mar Rosso [►20_4]. La Francia ebbe mano libera per una eventuale espansione in Tunisia nel Nord Africa. In questo modo Bismarck non solo indirizzava verso obiettivi extraeuropei le velleità espansionistiche della Francia, ma creava le premesse per un contrasto con l’Italia. METODO DI STUDIO Scongiurato il pericolo di un conflitto, Bismarck cercò di ri a Descrivi l’articolazione del sistema politico del Reich tedesco. cucire l’alleanza con l’Austria e la Russia. Ci riuscì nel 1881, b Sottolinea le informazioni principali che riguardano i seguenti temi: a. la nascita dei partiti politici; b. il rapporto fra Bismarck e i partiti politici; c. la legislaquando fu rinnovato il patto dei tre imperatori. Un anno dozione sociale attuata da Bismarck e i suoi esiti. po l’edificio fu completato con la stipulazione della Triplice c Spiega per iscritto perché Bismarck è stato definito l’arbitro del sistema euroalleanza, che inseriva nel sistema bismarckiano anche l’Ipeo facendo riferimento esplicito alle azioni politiche internazionali intraprese. talia come alleata della Germania e dell’Austria.
Dal congresso di Berlino alla Triplice alleanza
18_5 LA REPUBBLICA IN FRANCIA
Dopo i traumi della sconfitta e la “settimana di sangue” con cui si chiuse l’esperienza della Comune, la Francia non tardò a manifestare segni di ripresa. Nel luglio del ’72, quasi a dimostrare la volontà di rivincita del paese, l’Assemblea nazionale decise l’introduzione del servizio militare obbligatorio. Nel settembre ’73 fu ultimato il pagamento dell’indennità di guerra dovuta ai tedeschi. Alla fine degli anni ’70 la Francia aveva già recuperato buona parte del suo prestigio internazionale, disponeva di un forte esercito e cominciava a incamminarsi con decisione sulla strada delle conquiste coloniali. Più travagliato fu il processo di stabilizzazione politica. La stessa forma di governo repubblicana fu a lungo in forse, dato che i membri dell’Assemblea nazionale, incaricata di redigere la nuova Costituzione, erano in maggioranza favorevoli alla restaurazione della monarchia. Solo le fratture interne allo schieramento monarchico – diviso fra i legittimisti, fautori di un ritorno dei Borbone, e gli orleanisti, che volevano sul trono gli eredi di Luigi Filippo – e un accordo raggiunto in extremis fra orleanisti e repubblicani moderati consentirono il varo di una Costituzione repubblicana. La Costituzione della Terza Repubblica del 1875 prevedeva che il potere legislativo fosse esercitato da una Camera eletta a suffragio
La Terza Repubblica e la nuova Costituzione
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C18 Le grandi potenze europee
universale maschile e da un Senato composto da membri in parte vitalizi e in parte elettivi. Un elemento di stabilità era costituito dalla figura del presidente della Repubblica, capo dell’esecutivo, che veniva eletto dalle Camere riunite e godeva in teoria di poteri molto ampi. La Carta costituzionale, così concepita, rappresentava un compromesso fra una soluzione di tipo presidenziale, all’americana [►7_4], preferita dai moderati, e una di stampo parlamentare, sostenuta dai democratici: la prima avrebbe conferito amplissimi poteri al presidente della Repubblica, la seconda maggiori poteri al Parlamento. La Costituzione del 1875 rappresentò un indubbio successo per i repubblicani francesi che, nelle elezioni del 1876, riuscirono a capovolgere la tendenza conservatrice fino ad allora prevalente nell’elettorato e ad assicurarsi una solida maggioranza. A dominare la scena politica furono i repubblicani dell’ala moderata, i cosiddetti “opportunisti”, la cui forza stava essenzialmente in un solido legame con l’elettorato “medio”, quello dei commercianti, degli impiegati e soprattutto dei piccoli agricoltori. Di questo elettorato essi seppero interpretare la generica aspirazione al progresso, ma anche le tendenze conservatrici in materia di rapporti sociali. Di qui le critiche dei repubblicani più avanzati – o radicali, come allora si definirono in contrapposizione agli opportunisti – che costituirono un forte raggruppamento autonomo capeggiato da Georges Clemenceau.
Opportunisti e radicali
Fu comunque sotto la guida dei governi repubblicano-moderati che la Francia poté consolidare le sue istituzioni democratiche e superare gradualmente le fratture provocate dalla Comune del ’71. Nel 1880 fu approvata un’amnistia per i comunardi incarcerati o deportati, che permise al movimento operaio francese di ricostituire lentamente le sue file. Nel 1884 il Senato divenne completamente elettivo. Sempre nel 1884, furono approvate tre leggi di notevole importanza: quella che garantiva la libertà di
L’operato dei governi repubblicani
André Gill, À la foire aux pains d’épices. Un amateur distingué (Alla fiera del pan di zenzero. Un dilettante distinto) 1879 [dalla rivista francese «La Petite Lune», n. 42; Bibliothèque Nationale, Parigi] La caricatura mostra il presidente del Consiglio francese Jules Ferry mentre addenta un prete di pan di zenzero. L’allusione è alle leggi approvate dal suo governo che sostanzialmente estromettono la Chiesa dal sistema scolastico del paese.
13_LA FRANCIA E LA GRAN BRETAGNA DELLA SECONDA METÀ DELL’800 A CONFRONTO
Francia
Gran Bretagna
Terza Repubblica
Monarchia parlamentare
Composizione del Parlamento
Camera eletta a suffragio universale maschile e Senato composto da elementi in parte vitalizi, in parte elettivi
Camera dei Comuni eletta a suffragio ristretto e Camera dei Lord vitalizia a nomina regia
Ruolo del capo di Stato
Il presidente della Repubblica era a capo del potere esecutivo
La Corona svolgeva un ruolo simbolico di personificazione dell’identità nazionale
Forze che dominano il Parlamento
Repubblicani dell’ala moderata, detti “opportunisti” (guidati da Gambetta e poi da Ferry), e repubblicani radicali (guidati da Clemenceau)
Si alternano al governo liberali, capeggiati da Gladstone, e conservatori, guidati da Disraeli
Riforme
Libertà di associazione sindacale, ampliamento delle autonomie locali, elettività dei sindaci, divorzio, istruzione elementare statale obbligatoria e gratuita
Sotto il governo dei conservatori: Reform Act (1867), che amplia il diritto di voto ai lavoratori dell’industria, e riforme sociali (salute pubblica, edilizia popolare) Sotto il governo dei liberali: ulteriore allargamento del suffragio ai lavoratori agricoli
672
Forma di governo
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
associazione sindacale, quella che ampliava le autonomie locali, stabilendo fra l’altro l’elettività dei sindaci, e quella che introduceva il divorzio. L’azione dei governi repubblicani fu incisiva soprattutto nell’affermazione della laicità dello Stato, in particolare nel settore della scuola, tradizionale terreno di scontro fra cattolici e laici, fra democratici e conservatori. Con una serie di leggi approvate fra l’80 e l’85, l’istruzione elementare fu resa obbligatoria e gratuita e posta sotto il controllo statale, mentre le università e gli istituti superiori gestiti dal clero furono privati del diritto di rilasciare titoli legali di studio. L’indebolimento dei poteri del presidente della Repubblica a favore dell’instaurarsi di una prassi di governo sempre più centrata sull’attività del Parlamento ebbe come conseguenza negativa un’altissima instabilità degli esecutivi, aggravata dalla mancanza di schieramenti politici compatti. Un altro male storico della Terza Repubblica fu la corruzione diffusa nelle alte sfere del potere. Una corruzione che – come già nella monarchia di Luigi Filippo e nel Secondo Impero – affondava le sue radici nello stretto legame fra il mondo politico e gli ambienti della speculazione finanziaria, e che trovava nuovo alimento nelle rapide possibilità di guadagno offerte dall’espansione coloniale [►20_2 e 4]. Il susseguirsi di scandali politico-finanziari mise spesso a dura prova la solidità delle istituzioni e seminò disagio e sfiducia in larghi settori dell’opinione pubblica. Un segno eloquente di questo disagio si ebbe alla fine degli anni ’80, quando un generale in fama di repubblicano, Georges Boulanger, si mise a capo di un vasto ed eterogeneo movimento che invocava una riforma delle istituzioni in senso autoritario e antiparlamentare. L’avventura neobonapartista di Boulanger METODO DI STUDIO ebbe breve durata: nel 1889, accusato di aver preso parte a a Evidenzia il nome del regime politico che si instaurò in Francia dopo l’esperienza della Comune, cerchia i nomi degli apparati istituzionali di cui era compoun complotto contro la Repubblica, il generale fuggì all’esto. Sottolinea quindi le caratteristiche principali di questi ultimi. stero dove si uccise poco dopo. L’episodio rivelava, tuttavia, b Spiega cosa prevedeva la Costituzione del 1875 e chi erano gli “opportuche le tentazioni autoritarie erano sempre vive nella società nisti”. francese e toccavano anche settori politici diversi dalla de c Sottolinea le principali riforme intraprese dai governi repubblicani. stra tradizionale.
Corruzione politica e speculazione finanziaria
18_6 IL LIBERALISMO IN GRAN BRETAGNA
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La Gran Bretagna rimaneva, alla metà dell’800, la più progredita fra le grandi potenze europee. Produceva i due terzi del carbone e la metà del ferro di tutto il mondo. Aveva la rete ferroviaria più sviluppata in relazione al territorio e una flotta mercantile pari alla metà di quella di tutti gli altri paesi europei messi insieme. Era il centro commerciale e finanziario cui facevano capo i traffici di tutti i continenti. Possedeva un impero coloniale già vasto e, come vedremo, in via di ulteriore espansione. Aveva un tasso di analfabetismo fra i più bassi del mondo. Aveva infine le istituzioni politiche più libere d’Europa. Il ventennio ’46-66, caratterizzato dalla presenza quasi ininterrotta dei liberali al governo, segnò un ulteriore consolidamento del sistema parlamentare, cioè di quel sistema, nato proprio in Gran Bretagna, che subordinava la vita di un governo alla fiducia del Parlamento e faceva di quest’ultimo l’arbitro indiscusso della vita politica. Alla Corona era invece affidato un ruolo essenzialmente simbolico di personificazione dell’identità nazionale, ruolo che si manifestò pienamente nel corso del lunghissimo regno della regina Vittoria (dal 1837 al 1901). Il sistema parlamentare non era però sinonimo di democrazia. In Gran Bretagna molti poteri spettavano ancora alla Camera alta, ossia alla Camera dei Lord, alla quale si accedeva per diritto ereditario o per nomina regia. La stessa Camera elettiva, la Camera dei Comuni, era espressione di uno strato piuttosto ristretto della popolazione: in base alla legge elettorale del 1832, avevano diritto al voto negli anni ’60 circa 1.300.000 persone, ossia il 15% del totale dei maschi adulti. Inoltre la pratica del voto palese, che sarebbe stata abolita solo nel 1872, rappresentava, soprattutto nelle zone rurali, un potente mezzo di condizionamento a vantaggio dell’aristocrazia terriera.
La Gran Bretagna a metà ’800
► Focus La morale vittoriana ► Personaggi La regina Vittoria, simbolo di un’epoca, p. 674 ► Laboratorio di cittadinanza Il sistema parlamentare, p. 678
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C18 Le grandi potenze europee
John Tenniel, A Leap in the Dark [dalla rivista inglese «Punch», 3 agosto 1867] In questa vignetta Britannia, personificazione della Gran Bretagna, monta un cavallo con la faccia di Disraeli e si copre gli occhi mentre sta per saltare nel “folto buio della Riforma”. Dietro di lei, John Bright (deputato liberale), Gladstone e Lord Derby (deputato conservatore favorevole alla riforma elettorale) tirano le redini dei loro cavalli per evitare l’“azzardo”. Lo stesso Disraeli, sulla stampa, definì il Reform Act come un «leap in the dark», ossia un “salto nel buio”.
PERSONAGGI
La regina Vittoria, simbolo di un’epoca
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ittoria (1819-1901), che regnò per sessantaquattro anni, dal 1837, quando successe allo zio Guglielmo IV, in realtà non era destinata alla successione, ma la morte di due cugine le assicurò il trono del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda. Nel suo debutto di fronte al Consiglio reale, politici esperti e vecchi cortigiani ne poterono ammirare la dignità, il senso di autorità e l’autocontrollo, rimanendo sorpresi dal modo in cui, appena diciottenne, seppe entrare nel nuovo ruolo di sovrana, con sicurezza e spontaneità. Doti innate, visto che Vittoria aveva una formazione politica molto carente e poca esperienza. L’infanzia, infelice e solitaria, fu segnata dalla precoce perdita del padre e dal difficile rapporto con la madre, autoritaria e poco affettuosa. Fu lo zio Leopoldo I, re del Belgio, a rappresentare un padre per lei, dal punto di vista affettivo e intellettuale, guidandone anche la formazione. Vittoria strinse un importante rapporto di confidenza anche con il primo ministro Lord Melbourne, consigliere e guida all’inizio del suo regno. Regina da tre anni, Vittoria sposò il principe Alberto di Sassonia-Coburgo, dal quale fu subito affascinata. Il matrimonio si rivelò molto felice, nonostante Alberto fosse poco incline ai divertimenti mondani, che tanto piacevano
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
a Vittoria, più frivola, e nonostante l’iniziale reticenza della regina ad includerlo negli affari pubblici. Progressivamente, tuttavia, gli assegnò un ruolo politico crescente, fino a farne il suo primo consigliere. Alberto fu anche un padre affettuoso per i nove figli della coppia. Se la regina non dimostrò uno slancio materno istintivo, attenta soprattutto a correggere e controllare i figli, il principe era più benevolo e comprensivo. Anche in questo i due si completavano. E sempre anche grazie a lui la regina raggiunse una posizione di equilibrio istituzionale, imparando a rispettare la dialettica parlamentare e il primato del governo. Fece sua la teoria che limitava i diritti del sovrano britannico essenzialmente a tre: «essere informati, incoraggiare, mettere in guardia» e sostenne sempre, da dietro le quinte, la politica che riteneva più avveduta. Il 1861 – quando a soli quarantadue anni il principe Alberto morì, a causa di una febbre tifoidea – segnò uno spartiacque nel lungo regno di Vittoria. «Il mio regno è finito», proclamò la regina, mentre il primo ministro Disraeli riconobbe che il principe tedesco aveva governato con un’energia e una saggezza maggiori di quelle dei sovrani britannici. Dopo la morte di Alberto
la regina Vittoria rinunciò per anni alle apparizioni pubbliche e a tutti gli aspetti rappresentativi del suo ruolo. Si chiuse nel dolore, instaurando il lutto a Palazzo, ma non abbandonò mai il suo lavoro, che svolgeva con dedizione. Una forte avversione per Londra la spinse a soggiornarvi il meno possibile, preferendo la Scozia, l’isola di Wight, Windsor. Non rinunciò mai a viaggiare, in Italia, Spagna o Francia. Nonostante lo facesse in incognito era riconosciuta ovunque: il suo profilo inconfondibile compariva su francobolli e confezioni di tè, era ormai la «madre d’Europa». Proprio attraverso i contatti personali (spesso di parentela), cercò di influenzare la politica estera britannica, tessendo trattative matrimoniali, che si estenderanno come una ragnatela in tutta Europa. Il caso più evidente fu il matrimonio della figlia Vittoria con Federico Guglielmo di Prussia, da cui nascerà Guglielmo II, imperatore di Germania. Con Napoleone III strinse invece un forte rapporto d’amicizia, tanto da accoglierlo in Gran Bretagna dopo la sconfitta di Sedan. Altalenanti furono i suoi rapporti con i primi ministri: nutriva una profonda diffidenza per il liberale Gladstone, mentre fu legata da un’intima amicizia con il conservatore Disraeli. Proprio lui volle la sua incoronazione come imperatrice delle Indie nel 1876, suggellando così i successi dell’im-
Nel 1865 il leader dei liberali William Gladstone, facendosi interprete della parte più dinamica della società britannica – la borghesia industriale alleata con le frange più qualificate della classe operaia –, presentò un progetto di legge che prevedeva una limitata estensione del diritto di voto. La proposta provocò però, nel 1866, la caduta del governo liberale e il ritorno al potere dei conservatori. Ma furono proprio i conservatori, sotto la spinta di un nuovo e dinamico leader, Benjamin Disraeli (un ebreo di origine veneziana convertito adolescente all’anglicanesimo), ad assumere l’iniziativa di una riforma elettorale più avanzata di quella proposta da Gladstone. La nuova legge, o Reform Act, varata nel 1867, aumentava di quasi un milione la consistenza del corpo elettorale, ammettendo al voto i lavoratori urbani a reddito più elevato. Spingendo i conservatori a farsi promotori della riforma, Disraeli mostrava di riconoscere il peso che i lavoratori dell’industria avevano assunto nella società britannica e cercava di allargare in quella direzione la base di consenso del suo partito. Fino alla fine degli anni ’70 Gladstone e Disraeli si alternarono al governo, distinguendosi soprattutto per lo stile politico e per la diversa impostazione della politica estera: più legato Gladstone agli ideali del liberalismo, più proiettato sugli obiettivi imperiali della politica britannica Disraeli [►20_1], che cercò di assicurarsi un solido consenso popolare, promuovendo importanti riforme sociali in tema di salute pubblica e di edilizia popolare. A partire dal 1880 i liberali tornarono a dominare la scena politica promuovendo, nel 1884, una nuova riforma elettorale che allargava ulteriormente il diritto di voto estendendolo alla maggioranza dei lavoratori agricoli.
Riforma elettorale e alternanza al governo di liberali e conservatori
perialismo britannico. L’India affascinò molto la regina, che si fece insegnare la lingua hindi-urdu dal suo ultimo favorito, Abdul Karim detto Munshi, suo ex cameriere. Invecchiando Vittoria cominciò a cedere le redini del potere al primogenito Edoardo, prediligendo alla fatica dell’attività pubblica il calore domestico, assicuratole dai numerosi nipoti. Più invecchiava più la regina era popolare (anche se subì tre attentati, in cui rimase sempre illesa). I giubilei d’oro e di diamante, per i cinquanta e i sessant’anni dalla sua ascesa al trono, furono salutati da imponenti manifestazioni popolari, che festeggiarono il regno più lungo e pacifico della storia britannica. Erano ormai riconosciute unanimemente l’esperienza e la capacità della regina, che legava il suo regno ad un’epoca di espansione e progresso. Con il suo carattere e la sua personalità aveva rafforzato l’istituto monarchico, che pure all’inizio del secolo non era stato immune dalle minacce del repubblicanesimo. Conducendo una vita austera, sia nel matrimonio sia nella vedovanza, divenne un modello di rispettabilità e ristabilì l’onore, spesso compromesso, della dinastia. Soprattutto la classe media stabilì un rapporto d’affetto con questa regina, bruttina, grassoccia, sgraziata e inelegante (nean-
che per il giubileo sostituì la sua solita cuffia con la corona). Anche la sua sfortuna (vide morire il marito, tre figli e un nipote, oltre ai suoi più cari confidenti) contribuì alla sua popolarità, soprattutto fra le donne, di cui, però, ignorò e ostacolò le aspirazioni al suffragio. Era, in fondo, conservatrice, come dimostrarono le sue scelte nel quotidiano (l’avversione per la luce elettrica o per il telefono) e la scarsa consapevolezza che ebbe delle conseguenze sociali della rivoluzione industriale e della condizione delle classi più povere. Fu così che divenne – come nella storia è capitato a pochi altri sovrani – simbolo di un’epoca: l’aggettivo “vittoriano” non indica solo la storia della Gran Bretagna negli anni del suo regno (si parla di “età vittoriana”) ma è stato esteso alla cultura e alla morale del tempo [►FS, 160], finendo per indicare da un lato un periodo fiorente sotto il punto di vista artistico, dall’altro un modello di comportamento, proprio soprattutto delle classi superiori, ispirato all’etica cristiana e conforme ai valori borghesi, segnato da un rigido codice sociale, da un atteggiamento perbenistico (e talora ipocrita) e da una spiccata attenzione per la sfera privata. In un’età ricca di trasformazioni e contraddizioni, fra il consolidarsi del sistema parlamentare, il rafforzarsi dell’espansionismo bri-
Bertha Müller da Heinrich von Angeli, La regina Vittoria 1899 ca. [National Portrait Gallery, Londra]
tannico e l’affermarsi della rivoluzione industriale, la regina Vittoria incarnò un simbolo di tradizione, stabilità e autorità, moltiplicando il prestigio della Corona britannica. Alla sua morte, nel 1901, le successe il primogenito Edoardo VII, bisnonno della regina Elisabetta II. Un’epoca era finita, non la monarchia britannica.
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C18 Le grandi potenze europee
In questa fase, però, il governo liberale fu costretto a dedicare buona parte delle sue energie alla “questione irlandese”. Negli irlandesi convivevano infatti fedeltà al cattolicesimo (e alla Chiesa di Roma) e tendenze indipendentiste di marca nazionalista, entrambi fattori che mettevano in discussione l’appartenenza al Regno Unito. Alla fine degli anni ’70, inoltre, l’Irlanda aveva visto aggravare le sue già disagiate condizioni economiche a causa della grave crisi che aveva colpito l’agricoltura europea [►17_1]. Alla pressione del movimento indipendentista – che si esprimeva sia con le lotte parlamentari sia con gli atti terroristici – Gladstone rispose presentando in Parlamento un proMETODO DI STUDIO getto che prevedeva la concessione di ampie autonomie all’isola seppure nel a Sottolinea gli elementi che determinavano la cornice istituzionale del Regno Unito. Questo progetto (Home Rule) provocò la prosperità della Gran Bretagna. b Spiega per iscritto come erano divisi i poteri una forte opposizione nello stesso partito liberale e la secessione degli esponel sistema politico britannico. nenti unionisti, cioè contrari alla autonomia dell’Irlanda, guidati da Joseph c Evidenzia le informazioni sul sistema eletChamberlain, leader della corrente di sinistra, che vantava forti legami con torale inglese prima e dopo il 1866 e sottolinea gli obiettivi delle riforme elettorali presentate da l’elettorato operaio. L’apporto degli unionisti consentì ai conservatori di afferGladstone e Disraeli. marsi nelle elezioni del 1886 e di mantenere a lungo il potere rinnovando il d Spiega in cosa consisteva la “questione irtentativo, che era stato già di Disraeli, di coniugare la politica imperialistica landese”. con una certa dose di riformismo sociale.
Il problema irlandese
18_7 LA RUSSIA TRA ARRETRATEZZA E MODERNIZZAZIONE
Nella seconda metà dell’800, la Russia conservava, fra le grandi potenze europee, il primato dell’arretratezza politica e civile. Era ancora uno Stato autocratico, il cui controllo supremo era riposto nelle mani dello zar. Inoltre, all’inizio degli anni ’50 più del 90% della popolazione era occupato nell’agricoltura e oltre 20 milioni di contadini (su un totale di circa 60 milioni di abitanti) erano soggetti alla servitù della gleba: erano cioè legati alla terra che coltivavano – dunque comprati e venduti assieme a essa – e subordinati personalmente ai proprietari. Un’aristocrazia terriera assenteista, propensa a consumare le proprie rendite in spese di prestigio più che a investirle in impieghi produttivi, dominava ancora incontrastata come nell’Europa dell’ancien régime. All’immobilismo delle strutture politiche e sociali faceva singolare riscontro l’eccezionale livello della vita intellettuale. L’800 fu il secolo d’oro della letteratura russa: grandi scrittori come Turgenev, Tolstoj, Dostoevskij, Čechov ci offrono un quadro vivissimo di una società diversa in ogni suo aspetto da quella dell’Europa occidentale e ci restituiscono gli echi di un dibattito ideologico quanto mai vivace. Nel 1855 salì sul trono imperiale Alessandro II. Il nuovo zar iniziò il suo regno concedendo un’amnistia ai detenuti politici e varando una serie di riforme che avevano lo scopo di introdurre elementi di modernizzazione nella burocrazia, nella scuola, nel sistema giudiziario e nell’esercito. Ma la riforma di gran lunga più importante cui Alessandro II legò il suo nome fu l’abolizione della servitù della gleba. Grazie a una serie di decreti imperiali emanati nel febbraio 1861, i servi acquistarono la libertà personale e la parità giuridica con gli altri cittadini e, contemporaneamente, ebbero la possibilità di riscattare le terre che coltivavano e di trasformarsi così in piccoli proprietari. L’assegnazione delle terre agli ex servi, tuttavia, avvenne con criteri non uniformi, e comunque tali da salvaguardare le grandi proprietà. Agli entusiasmi che avevano accompagnato l’inizio della riforma subentrò ben presto nelle campagne un clima di delusione e di malcontento, rivolto soprattutto contro i autocrazia signori accusati (a torto) di aver deliberatamente travisato e tradito l’autentica Forma di governo in cui il potere è concentrato nelle mani di uno solo, che governa senza alcun limite costituzionale volontà dello zar. Vi furono proteste e vere e proprie ribellioni, represse con e vincolo legislativo e senza il controllo del Parlamento. l’intervento dell’esercito.
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Lo zar Alessandro II
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Con le travagliate vicende legate all’emancipazione dei servi si chiuse la breve L’assassinio dello zar Alessandro il stagione liberalizzante del regno di Alessandro II. Dopo il 1861 si assisté, infatti, 13 marzo 1881 a a un appesantimento del clima politico e a un nuovo inasprimento dei controlli polizieschi, che ac- San Pietroburgo centuarono la frattura fra il potere statale e la borghesia colta. Fra le giovani generazioni andò diffondendosi un atteggiamento di rifiuto totale dell’ordine costituito, unito a uno sforzo sincero di avvicinarsi ai problemi delle classi subalterne. Fu questo il senso della parola d’ordine «andare al popolo» che ebbe ampia eco fra i giovani negli anni ’60 e ’70: da questo slogan derivò il nome di populisti (narodniki, da narod, “popolo”) col quale vennero designati gli intellettuali rivoluzionari che in questo periodo tentarono, senza troppa fortuna, di compiere opera di educazione METODO DI STUDIO culturale e di proselitismo politico fra le masse. Base fondamentale del loro program a Evidenzia le caratteristiche principali ma era l’utopia di un socialismo agrario che facesse leva sul proletariato delle camdella società russa del secondo ’800. pagne e si inserisse nella tradizione comunitaria della società rurale russa. b Spiega per iscritto quale ruolo aveL’incomprensione delle masse contadine e la durezza della repressione poliziesca finivano gli intellettuali nella vita politica del chi erano i “populisti” e quali erano paese, rono però con l’isolare sempre più i narodniki e con lo spingerli verso la pratica cospii loro obiettivi. ratoria. Quando, nel 1881, Alessandro II fu ucciso da un attentatore anarchico, le spe c Descrivi per iscritto gli effetti dell’aboranze che avevano accompagnato i suoi primi anni di regno non erano ormai che un lizione della servitù della gleba e i suoi limiti. lontano ricordo.
I populisti
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LABORATORIO DI CITTADINANZA IL SISTEMA PARLAMENTARE
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l sistema parlamentare è un tipo di organizzazione politica nella quale è riservata particolare importanza al Parlamento, eletto da una parte più o meno ampia dei cittadini. Organi fondamentali dei moderni sistemi politici, le assemblee parlamentari sono le istituzioni dello Stato deputate alla rappresentanza del corpo elettorale e all’esercizio del potere legislativo. Inoltre, nei sistemi parlamentari i Parlamenti svolgono una funzione di controllo dei governi che, per confermare la loro legittimità, necessitano del consenso (la fiducia) dell’organo rappresentativo per eccellenza. In un sistema parlamentare governo e Parlamento dovrebbero bilanciarsi vicendevolmente concorrendo alla definizione delle scelte politiche. Ma il primato spetta al Parlamento, da cui dipende in ultima analisi la vita dei governi. Tendenzialmente, i sistemi parlamentari possono essere costituiti da uno o due organismi (le “Camere”): si parla così di sistemi bicamerali (come quello italiano, composto da Camera e Senato) e di sistemi monocamerali, meno diffusi (in Europa tale sistema è stato adottato in Grecia, Portogallo, Svezia, Danimarca e Finlandia). In Italia, ebbe un ruolo decisivo il Parlamento del Regno di Sardegna, riconosciuto nello Statuto albertino del 1848 che, all’articolo 3, precisava: «Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal re e da due Camere; il Senato, e quella dei Deputati». Per evitare lo squilibrio in favore del solo organo rappresentativo come era avvenuto nella Francia rivoluzionaria, si scelse il modello britannico della monarchia rappresentativa, basato sul bilanciamento dei poteri tra gli organi di governo più importanti: il re e il Parlamento. Il principio di rappresentatività dell’organizzazione statale era assicurato dall’adozione del bicameralismo. Il Senato era di nomina regia, mentre la Camera dei deputati era elettiva, anche se il suffragio era concesso solo a una parte esigua della popolazione. In realtà lo Statuto non prefigurava un sistema autenticamente parlamentare (basato cioè sullo stretto legame fra governo e Camere), ma ne prevedeva piuttosto uno costituzionale, simile a quelli che sarebbero stati adottati negli imperi del Centro Europa, in cui la vita dell’esecutivo dipendeva dalla fiducia del sovrano e al Parlamento spettava la sola funzione legisla-
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tiva. Fu soprattutto con Cavour che, prima in Piemonte poi nel Regno d’Italia, si impose una prassi parlamentare, che vincolava il governo alla fiducia del Parlamento e faceva di quest’ultimo il centro della vita politica. Con l’avvento del fascismo, questa prassi fu interrotta. E le istituzioni rappresentative furono progressivamente svuotate di significato, fino a quando, nel 1939, la Camera dei deputati – soppressa anche la residua finzione elettorale – fu sostituita dalla Camera dei fasci e delle corporazioni a cui si accedeva in virtù delle cariche ricoperte negli organismi del regime. Dopo la caduta del fascismo, con la nuova Costituzione repubblicana nacque il moderno sistema parlamentare italiano, ancora bicamerale e interamente elettivo a suffragio universale maschile e femminile. Le funzioni e le attività del Parlamento italiano sono
regolate dagli articoli 55-82 della Costituzione. Il rapporto tra i cittadini e il Parlamento è mediato dai partiti politici, che non solo rappresentano le diverse esigenze della popolazione ma anche una particolare linea politica che gli elettori possono scegliere o meno votando per un determinato partito. Il meccanismo che anima la vita politico-istituzionale italiana è relativamente semplice: il governo (ministri e presidente del Consiglio dei ministri) è composto in modo da rispecchiare, attraverso la maggioranza eletta in Parlamento, la linea politica scelta dalla maggioranza degli elettori. Secondo un noto costituzionalista italiano, Gustavo Zagrebelsky, «Sistema parlamentare [contemporaneo e italiano] vuole [...] dire sistema di partiti, nel quale il luogo di elaborazione dei grandi indirizzi politici è il parlamento, mentre il governo è appunto l’organo esecutivo di tali indirizzi ed è responsabile di fronte al parlamento».
La Camera dei deputati del Parlamento italiano, Montecitorio, Roma 2015 Il Parlamento della Repubblica italiana è composto da due Camere: la Camera dei deputati, con sede a Palazzo Montecitorio, e il Senato della Repubblica, con sede a Palazzo Madama. Le
due Camere si riuniscono in seduta comune, per eleggere il presidente della Repubblica, nell’Aula di Palazzo Montecitorio e presiede l’assemblea il presidente della Camera. Il governo ha invece la sede ufficiale a Palazzo Chigi, sempre a Roma, ed è composto dal Consiglio dei ministri guidato dal presidente del Consiglio.
COSTRUIAMO IL LESSICO DEL CITTADINO 1 Leggi la scheda e completa sul tuo quaderno le seguenti definizioni:
a. Si definisce “sistema parlamentare” una forma di organizzazione politica in cui il .................................., eletto dal popolo, .................... .............., cioè esprime .................................. e ne controlla .................................. b. Il sistema parlamentare si definisce .................................. quando è costituito da ..................................; si definisce .......................... ........ quando è costituito da ..................................
LA MONARCHIA RAPPRESENTATIVA 2 In un testo di massimo 5 righe spiega l’evoluzione dello Stato unitario italiano da monarchia costituzionale ‘’pura’’ a
monarchia costituzionale parlamentare.
....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................................................................... .......................................................................................................................................................................................................
LE RAGIONI DEL BICAMERALISMO NELLA NOSTRA COSTITUZIONE 3 L’Italia è una Repubblica parlamentare a sistema bicamerale, come sancito dall’articolo 55 della Costituzione:
Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli casi stabiliti dalla Costituzione.
Perché l’Assemblea costituente, nel discutere l’articolo 55, confermò la scelta bicamerale, nonostante al suo interno avesse avuto luogo un acceso dibattito circa la necessità di mantenere in vita due Camere anziché istituirne una sola? Ascoltiamo la voce di un testimone autorevole, quella dell’onorevole Umberto Elia Terracini, presidente dell’Assemblea costituente e dirigente del Partito comunista italiano: II concetto che prevalse nel decidere il sistema bicamerale fu quello del cosiddetto “ripensamento” per offrire la possibilità a due assemblee diverse, ma pur sempre scaturite dalla votazione popolare, di discutere più a lungo su una stessa legge con la garanzia che un errore iniziale commesso dalla
prima possa essere riparato in un secondo momento dalla seconda. In questo caso, la legge corretta dalla seconda assemblea deve tornare alla prima ed essere nuovamente discussa e approvata da questa nella versione della seconda.
[dall’intervista di P. Balsamo a U.E. Terracini, Come nacque la Costituzione, Editori Riuniti, Roma 1978]
Alla luce della testimonianza di Terracini, rispondi sul tuo quaderno alle seguenti domande: a. Da cosa dipese la scelta bicamerale dell’Assemblea costituente? b. Come si caratterizza il bicameralismo italiano?
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ARTE E TERRITORIO LUCE E COLORI NELLE CITTÀ DI FINE ’800
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lla fine del XIX secolo l’inquinamento dei cieli raggiunse livelli mai visti, almeno nelle zone già industrializzate, principalmente a causa dei fumi. Questi materiali inquinanti non avevano conseguenze solo sulla salubrità dell’aria, ma anche sui suoi colori: dispersi nell’atmosfera, creavano giochi di luce piuttosto insoliti per il paesaggio terrestre, simili a quelli prodotti da alcuni fenomeni naturali, come le eruzioni vulcaniche, che più volte colorarono il cielo di Londra nell’800, anche quando avvenivano molto lontano dall’Inghilterra. Le emissioni provenienti dall’Etna nel 1809 pare abbiano portato una foschia rosa sopra la capitale del Regno Unito, che qual-
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che anno dopo vide pure crepuscoli con tinte di rosso particolarmente vivide e inusuali a causa di un altro vulcano italiano, il Vesuvio, in attività nel 1811, nel 1813 e nel 1818. Furono le particelle di polvere disperse nell’atmosfera dalle ciminiere delle industrie o dai comignoli delle città densamente popolate, però, a cambiare radicalmente i colori dei cieli del mondo. Per effetto di un fenomeno fisico piuttosto studiato, la diffusione ottica, i corpuscoli più piccoli tendevano a intercettare i raggi del Sole, contribuendo a diffondere la parte blu dello spettro di luce. Il risultato era ben visibile agli occhi della gente comune, anche se non tutti ne capivano le ragioni: albe e
tramonti spettacolari, color rosso vivo o violaceo. Secondo alcuni storici dell’arte, bisogna tenere conto anche di questo fattore ambientale per capire l’interesse degli artisti ottocenteschi per la luce. Furono soprattutto gli impressionisti ad appassionarsi allo studio degli effetti delle radiazioni luminose sull’ambiente. Un pittore come Claude Monet (1840-1926) poteva essere particolarmente stimolato dalle trasformazioni del paesaggio, soprattutto perché a cambiare era anche l’elemento più immateriale della natura: l’aria. Alcune delle sue tele più famose si devono proprio al tentativo di riprodurne la consistenza, cioè di illustrare 1. Claude Monet, Impressione, levar del sole 1872 [Musée Marmottan, Parigi]
i cambiamenti percepiti dagli abitanti delle città industriali attraverso lo studio della luce. Guardando oggi il quadro con cui Monet immortalò l’alba sul porto di Le Havre (Impressione, levar del sole), si potrebbe attribuire alla fantasia del pittore la varietà di colori [fig. 1]. Tuttavia, gli impressionisti si facevano un vanto di fissare sulla tela uno studio piuttosto rigoroso della realtà per come appare. Se oggi le legislazioni sulle emissioni pulite hanno rischiarato i cieli, diminuendo drasticamente la quantità di fumi dispersi nell’ambiente, nel XIX secolo tutta la realtà doveva sembrare coperta da una coltre di polvere grigia [fig. 2]: raramente si poteva godere di un cielo veramente azzurro, più o meno come succede ai nostri giorni in megalopoli industriali inquinate, come Pechino o Nuova Delhi. Una serie di dipinti londinesi [fig. 3] di Monet rendono bene la sensazione che doveva avere chi avesse passeggiato per le vie di Londra alla fine dell’800, prima che venissero introdotte leggi per la disciplina delle emissioni inquinanti. Anche la nebbia, considerata un elemento così caratteristico del paesaggio inglese, doveva sembrare molto diversa in quegli anni. Lo scrittore Oscar Wilde (1854-1900) riconosceva all’impressionismo di aver spiegato al mondo le sue trasformazioni, tanto che ormai la buona società londinese non poteva perdervi lo sguardo senza immaginarsi dentro a un quadro di Monet: «Lo straordinario cambiamento che ha avuto luogo nel clima di Londra negli ultimi dieci anni è interamente dovuto a una particolare scuola artistica [...]. Oggi le persone vedono nebbie non perché ci sono nebbie, ma perché poeti e pittori hanno insegnato loro l’amabilità misteriosa di tali effetti [...]. Nessuno le aveva viste prima, e non conosciamo niente su di loro. Non esistevano prima che l’Arte le avesse inventate».
▲ 2.
Claude Monet, Ponte di Waterloo 1903 [Denver Art Museum, Denver (Usa)]
▼ 3.
Claude Monet, Parlamento, Londra (Effetto nebbia) 1903-4 [Metropolitan Museum of Art, New York]
PISTE DI LAVORO
a Realizza una piccola scheda divulgativa sulla corrente artistica dell’impressionismo. Non superare le 50/60 parole. Ricordati di digitare nella maschera di ricerca di Google: “Impressionismo”. Ti consigliamo di consultare l’Enciclopedia online della Treccani. b Spiega la relazione esistente tra inquinamento atmosferico e studio degli effetti della luce nei dipinti di Monet. c Ricerca su un manuale di storia dell’arte contemporanea o su Internet l’analisi di una delle tre tele di Monet proposte nella scheda e giustifica la tua scelta.
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SINTESI condizionato per quasi mezzo secolo la politica francese.
18_1 LE POTENZE CONTINENTALI Nella seconda metà del secolo XIX, le maggiori potenze europee si impegnarono nella lotta per l’egemonia. Il ruolo più attivo fu svolto dalla Francia del Secondo Impero, che però, nel suo tentativo di indebolire l’Austria con una politica estera ambiziosa e aggressiva, finì col facilitare l’ascesa della Prussia. Una prima manifestazione di questa strategia si ebbe con la guerra di Crimea (1854-55). La Prussia si incamminava, invece, sulla via dell’unificazione, in particolare con l’ascesa al governo di Bismarck (1862).
18_2 LE GUERRE DI BISMARCK E L’UNITÀ TEDESCA
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La guerra del ’66 tra Prussia e Austria portò alla formazione di una Confederazione della Germania del Nord. Nel ’67, si giunse alla divisione dell’Impero asburgico, da tempo in difficoltà, in due parti, una austriaca e l’altra ungherese. Nel 1870 Bismarck riuscì a provocare una guerra con la Francia – ultimo ostacolo ai suoi progetti di unificazione tedesca –, che fu rovinosamente sconfitta a Sedan. A Versailles nel 1871 nasceva il nuovo Reich tedesco. La sconfitta comportò per la Francia la caduta di Napoleone III, la proclamazione della repubblica e la cessione dell’Alsazia-Lorena. Più in generale, rappresentò un’umiliazione nazionale che – per il desiderio di rivincita che alimentava – avrebbe
18_3 LA COMUNE DI PARIGI Tra le conseguenze della sconfitta militare francese vi fu la ribellione di Parigi e la proclamazione della Comune, radicale e breve esperimento di democrazia diretta rivoluzionaria (marzo-maggio 1871). Isolata dal resto del paese, la Comune tentò inutilmente di coinvolgere nella rivolta la popolazione delle altre città e delle campagne per lo più di tendenze conservatrici e moderate, e presto venne sconfitta dalle truppe governative dopo durissimi combattimenti. Questa vicenda contribuì a diffondere nell’opinione pubblica moderata un senso di paura e di odio per i rivoluzionari.
18_4 L’IMPERO TEDESCO E LA POLITICA DI BISMARCK La Germania unita era il più potente Stato dell’Europa continentale. La supremazia del potere esecutivo sul legislativo e un blocco sociale dominante formato dal mondo dell’industria e della finanza e dall’aristocrazia degli Junker non impedirono la nascita, negli anni ’70, di due nuovi partiti: il Centro cattolico e il Partito socialdemocratico. In politica interna Bismarck lavorò per affermare il carattere laico dello Stato e fronteggiare il nuovo
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pericolo rappresentato dalla socialdemocrazia affiancando alle tendenze autoritarie una legislazione sociale molto avanzata, secondo un modello di stampo paternalistico. In politica estera creò un sistema di alleanze per l’isolamento della Francia. Fondato sul patto dei tre imperatori del 1873, questo sistema si scontrò con le rivalità che opponevano nei Balcani gli altri due contraenti (Austria e Russia), che determinarono la guerra russoturca (1877) e il successivo congresso di Berlino (1878). Nel 1882 la Germania stipulò il trattato della Triplice alleanza con Austria e Italia.
parlamentare – con una lunga presenza dei liberali al governo –, una notevole prosperità economica e il varo di alcune importanti riforme, soprattutto quella elettorale – che allargava di quasi un milione il numero degli aventi diritto al voto. Fra il ’66 e l’86 si alternarono al potere il conservatore Disraeli, fautore di una politica imperialistica non priva di aperture sociali, e il liberale Gladstone, che realizzò nuove riforme – fra cui un ulteriore ampliamento del suffragio dopo quelli attuati da Disraeli – e tentò senza fortuna di concedere l’autonomia all’Irlanda.
18_5 LA REPUBBLICA IN FRANCIA
18_7 LA RUSSIA TRA ARRETRATEZZA E MODERNIZZAZIONE
La Francia si riprese rapidamente dalla sconfitta del 1870. La nuova Costituzione diede alla Francia un sistema di governo di compromesso fra il modello presidenzialista all’americana e quello parlamentare. La scena politica era dominata dai repubblicani – “opportunisti” e radicali –, che riuscirono gradualmente a consolidare il nuovo regime, spesso però messo a repentaglio dalla notevole instabilità dei governi e dalla grande corruzione che dominava il mondo politico e finanziario.
18_6 IL LIBERALISMO IN GRAN BRETAGNA In Gran Bretagna, gli anni dal 1850 al 1870 videro il rafforzamento del sistema
In Russia, all’arretratezza sociale e politica faceva riscontro una grande vivacità della vita culturale e del dibattito ideologico. L’avvento al trono di Alessandro II nel 1855 alimentò forti speranze di rinnovamento, soprattutto in conseguenza delle riforme attuate dal nuovo sovrano, tra le quali – importantissima – l’abolizione della servitù della gleba (1861). Presto, tuttavia, si tornò a un indirizzo autocratico, con il conseguente accrescimento del distacco tra potere statale e borghesia colta.
SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Completa lo schema sulla Comune di Parigi, seguendo le indicazioni delle 5W: who, what, when, where, why (chi, cosa, quando, dove, perché).
WHO/CHI: .............................................................................................................................................................................................. WHAT/COSA: è stata ................................................................................................................................................................................ WHEN/QUANDO: ..................................................................................................................................................................................... WHERE/DOVE: ........................................................................................................................................................................................ WHY/PERCHÉ: lo scopo era ....................................................................................................................................................................... 2 Indica le affermazioni vere e correggi quelle errate.
a. Il “bonapartismo” comportava una politica interna accentratrice e una politica estera di conservazione dei propri domìni. ................................................................................................................................................................................. b. Dopo la sconfitta con la Prussia, l’Austria comprendeva il Veneto. ................................................................................................................................................................................. c. Il processo di unificazione nazionale fu attuato in Germania in seguito a una guerra combattuta fuori dai confini nazionali. ................................................................................................................................................................................. d. Con la pace di Francoforte la Francia subì una vera e propria umiliazione nazionale. ................................................................................................................................................................................. e. I comunardi parigini, durante la resistenza, trovarono il sostegno degli abitanti delle campagne francesi. ................................................................................................................................................................................. f. Il congresso di Berlino del 1878 decretò la divisione dei Balcani tra Germania e Francia. ................................................................................................................................................................................. g. Durante il cancellierato di Bismarck furono varate in Germania leggi di tutela dei lavoratori. ................................................................................................................................................................................. h. Il generale Boulanger invocò una riforma delle istituzioni in senso parlamentare. ................................................................................................................................................................................. i. Il Reform Act promosso dal conservatore Disraeli allargò il suffragio ai lavoratori delle campagne. ................................................................................................................................................................................. l. Dopo l’abolizione della servitù della gleba scoppiarono in Russia numerose rivolte contadine. .................................................................................................................................................................................
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3 Completa lo schema sottostante inserendo le affermazioni di seguito. Metterai a confronto le istituzioni di Francia,
Gran Bretagna e Russia e sintetizzerai le riforme operate dai vari tipi di governo. Elettività dei sindaci ● Governo assoluto dello zar ● Camera dei Lord (per diritto ereditario o per nomina regia) ● Ampliamento del diritto di voto ● Monarca (per diritto ereditario) ● Furono avviate riforme sociali in tema di salute pubblica e di edilizia popolare ● Camera (eletta a suffragio universale maschile) ● Senato (membri in parte a vita, in parte eletti) ● Abolizione della servitù della gleba ● Libertà di associazione sindacale ● Presidente della Repubblica (eletto dalle Camere riunite) ● Fu introdotto il divorzio ● Laicità dello Stato ● Modernizzazione della burocrazia, della scuola, del sistema giudiziario, dell’esercito ● Camera dei Comuni (per voto di una minoranza di cittadini) ● Istruzione elementare statale obbligatoria. FRANCIA
GRAN BRETAGNA
RUSSIA
Terza Repubblica 1875: ................................ ................................................................. ................................................................. Riforme del governo repubblicano: .................... ................................................................. .................................................................
Monarchia parlamentare: ............................... ................................................................. ................................................................. Riforme del governo conservatore e liberale: ...... ................................................................. .................................................................
Autocrazia dello zar: ..................................... ................................................................. ................................................................. Riforme dello zar Alessandro II: ...................... ................................................................. .................................................................
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C18 Le grandi potenze europee
4 Inserisci nei due insiemi i seguenti eventi della seconda metà dell’800 distinguendo quelli che vedono come
protagonista la Francia da quelli che si riferiscono alla Germania. Realizza quindi due cronologie distinte, una per paese, con le date relative agli eventi stessi.
a. Firma del patto dei tre imperatori b. Guerra di Crimea c. Esperienza rivoluzionaria della Comune d. Nasce l’Impero e. Vengono varate le «leggi contro le tendenze sovvertitrici», contro il movimento socialdemocratico f. Dichiara guerra alla Prussia g. Firma della Triplice alleanza h. Sconfitta di Sedan i. Organizza il congresso di Berlino
Francia
Germania
5 Abbina i seguenti elementi al relativo trattato promosso dalla Germania dopo la proclamazione del secondo Reich.
Indica quindi che tipo di informazione fornisce ogni voce (es. data, ecc.).
a. Triplice alleanza 1. 1873 2. 1882 3. Germania, Russia, Austria-Ungheria b. Patto dei tre imperatori 4. Germania, Italia, Austria-Ungheria 5. Patto militare difensivo 6. Accordo difensivo per mantenere l’isolamento politico-diplomatico della Francia
COMPETENZE IN AZIONE 6 Completa la carta geostorica dell’Europa centrale individuando le seguenti località e aree. Quindi scrivi una didascalia a commento indicando l’importanza degli elementi individuati all’interno del contesto storico della formazione dell’Impero tedesco.
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Città: Berlino, Francoforte, Metz, Sedan, Sadowa Aree: Regno di Prussia nel 1865; Confini del Reich nel 1871
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
............................................................................................................................................................................................................. ............................................................................................................................................................................................................. ............................................................................................................................................................................................................. ............................................................................................................................................................................................................. 7 Scrivi, per ognuno dei paesi elencati, un testo comparativo di massimo 8 righe che ne analizzi le caratteristiche
seguendo, se possibile, la scaletta proposta:
Paesi: Russia, Germania, Gran Bretagna e Francia. a. Forma politica b. Struttura economica c. Composizione sociale (classi e nazionalità) d. Alleanze internazionali e. Interessi strategici 8 Scrivi un testo sul processo di formazione dello Stato tedesco utilizzando come scaletta i seguenti punti:
● ● ● ● ●
Stati che costituivano, nel XIX secolo, la nazione tedesca. Aspetti comuni Ruolo della Prussia nel processo di unificazione e relative motivazioni Classi sociali maggiormente interessate all’unificazione e relative motivazioni Ruolo del popolo e dell’opinione pubblica nel processo di unificazione Proclamazione del Reich.
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C18 Le grandi potenze europee
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CAP19 DUE NUOVE POTENZE: STATI UNITI E GIAPPONE Quanto avvenne oltreoceano, negli Stati Uniti e in Giappone, nella seconda metà dell’800 rivestì un’importanza pari alle trasformazioni che coinvolsero l’Europa descritte nel capitolo precedente, soprattutto in relazione agli sviluppi successivi dei rapporti internazionali, alle guerre e alle alleanze. Dopo una durissima guerra civile gli Stati Uniti approdarono, alla fine del secolo – ormai esaurita la spinta verso la conquista della nuova frontiera continentale –, al ruolo di grande potenza proiettata sui mari, nei Caraibi e nel Pacifico. Il Giappone iniziò nel 1868 una fase di modernizzazione uscendo da un regime feudale e approdando anch’esso al ruolo di grande potenza economica e militare sul finire del secolo.
19_1 GLI STATI UNITI A METÀ ’800
Alla metà dell’800, gli Stati Uniti d’America erano un paese in crescente espansione con una popolazione in costante aumento (23 milioni nel 1850, oltre 30 dieci anni dopo), grazie soprattutto all’ininterrotto flusso migratorio proveniente dall’Europa. I confini dell’Unione continuavano a spostarsi verso ovest, includendo vasti territori ben presto attraversati da strade e linee ferroviarie. La produzione agricola progrediva con ritmi molto elevati, sia per la messa a coltura di nuove terre nelle regioni di recente colonizzazione, sia per lo sviluppo di una moderna agricoltura negli Stati del Vicino Ovest (Midwest), di più antica colonizzazione. Contemporaneamente, la regione del Nord-Est – in particolare la zona della costa atlantica – conosceva un rapido sviluppo industriale. Ma a questa straordinaria espansione dell’economia facevano riscontro profonde fratture interne. Negli Stati Uniti coesistevano infatti tre diverse società, corrispondenti alle diverse zone del paese, ciascuna col suo sistema economico, i suoi valori, le sue tradizioni culturali.
Lo sviluppo economico
C’erano innanzitutto gli Stati del Nord-Est, sede delle prime colonie britanniche e nucleo originario dell’Unione. Era la zona più progredita, più ricca e più industrializzata, dove sorgevano i maggiori centri urbani (New York, Boston, Philadelphia), dove si concentravano i commerci con l’Europa e dove principalmente si indirizzava l’ondata migratoria proveniente dal Vecchio Continente. Un ambiente in continua trasformazione, profondamente influenzato dai valori del capitalismo imprenditoriale, dominato dai gruppi industriali, commerciali e bancari, e dalla presenza di un numeroso proletariato urbano.
Il Nord-Est
Quella degli Stati del Sud era invece una società agricola e profondamente tradizionalista, che fondava la sua economia e la sua organizzazione sociale sulle grandi piantagioni di cotone e, in minor misura, di tabacco e canna da zucchero. La manodopera che vi lavorava era costituita in gran parte da schiavi neri [►FS, 163d], discendenti da quelli che erano stati forzatamente trapiantati in America nel ’700 (la tratta era stata
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Il Sud delle piantagioni
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
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Storia, società, cittadinanza Schiavitù vecchie e nuove Audiosintesi
ufficialmente vietata negli Stati Uniti solo nel 1808). Nel 1860 vivevano negli Stati del Sud quasi 4 milioni di schiavi neri, contro circa 6 milioni di bianchi, in maggioranza piccoli e medi coltivatori. Il ceto dei grandi proprietari – che impiegavano il grosso della manodopera servile – contava non più di 2 mila famiglie: una ristretta minoranza, che però dominava la vita politica e sociale, forniva i migliori ufficiali all’esercito federale e svolgeva, in un paese in cui non era mai esistita una vera nobiltà, una funzione sociale simile a quella di un’aristocrazia. I grandi proprietari vivevano in case ampie e lussuose, avevano il culto della tradizione e il gusto delle buone maniere, si ispiravano a un’etica patriarcale e paternalistica. La stessa istituzione della schiavitù veniva giustificata in questo contesto: anzi, la vita nella piantagione, dove allo schiavo erano assicurati l’abitazione, il vitto giornaliero e l’istruzione religiosa, era polemicamente contrapposta – trascurando di ricordarne il durissimo sfruttamento e il diffuso abuso sessuale delle donne – alla venalità e all’insicurezza che caratterizzavano i rapporti di lavoro delle realtà industriali. A queste due società così diverse fra loro se ne contrapponeva una terza: quella dei liberi agricoltori e allevatori di bestiame che popolavano gli Stati dell’Ovest. Era una società in rapida evoluzione: man mano che la frontiera si spostava verso il West, le aziende stabili si sostituivano agli insediamenti isolati dei pionieri introducendo un’agricoltura mercantile che forniva derrate alimentari, carne e cereali, alle città del Nord-Est. Nonostante tutto ciò, la società agricola dell’Ovest restava legata all’etica e ai valori della frontiera: l’iniziativa individuale, l’indipendenza, l’uguaglianza delle opportunità.
Il West dei contadini e degli allevatori
Le differenze tra Nord e Sud erano profonde e destinate inevitabilmente ad accentuarsi fino a divenire insanabile contrasto. L’idea stessa della schiavitù non si conciliava con la mentalità democratica diffusa fra le popolazioni del Nord dove era attivo da tempo un vivace movimento abolizionista, ma era anche incompatibile con la filosofia di un capitalismo moderno e con la sua esigenza di disporre di una manodopera mobile per un mercato interno in espansione. Quando, negli anni ’40 e ’50, lo sviluppo industriale si allargò a nuovi settori, in particolare quello meccanico, e nel complesso dell’economia americana diminuì l’importanza della produzione cotoniera, cruciale per il Sud, si fecero più strette le relazioni fra il Nord-Est industriale e l’Ovest agricolo: quest’ultimo trovava infatti nelle aree urbane in continua espansione ampi sbocchi per i suoi prodotti
Lo scontro sulla schiavitù
La raccolta del cotone nei pressi di Montgomery, Alabama 1860 ca. [Library of Congress, Washington] Gli Stati del Sud, agricoli e profondamente tradizionalisti, fondano la loro economia sulle grandi piantagioni di cotone, la cui coltivazione e raccolta richiede un consistente impiego di manodopera ed è affidata per la quasi totalità agli schiavi neri.
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C19 Due nuove potenze: STati uniti e Giappone
e costituiva a sua volta un largo mercato per l’industria meccanica, che vi collocava soprattutto macchine agricole. Su queste premesse si acutizzò lo scontro sulla schiavitù: l’estensione dell’economia delle piantagioni – e dunque del lavoro servile – ai nuovi territori era richiesta dai piantatori del Sud, che volevano portare la coltura del cotone nelle terre vergini, ma incontrava forti opposizioni nell’opinione pubblica del Nord e fra i coloni dell’Ovest, che chiedevano terre a buon mercato, o addirittura in uso gratuito, per diffondervi la coltivazione dei cereali. Alle divisioni della società si aggiunsero i contrasti fra le forze politiche. Con l’inizio degli anni ’50 i partiti tradizionali – democratici e Whigs (liberali) – entrarono in una profonda crisi. I democratici si identificarono sempre più con la causa dei grandi proprietari schiavisti, mentre dall’ala progressista del partito whig nacque nel 1854 una nuova formazione politica, il Partito repubblicano, che assunse una posizione decisamente antischiavista e accolse nella sua piattaforma politica sia le rivendicazioni della borghesia del Nord (dazi doganali più alti, che avrebbero favorito la produzione industriale, ma danneggiato le esportazioni di cotone dal Sud), sia quelle dei coloni dell’Ovest (distribuzione gratuita dei terreni demaniali). Il nuovo partito conquistò un seguito sempre crescente finché, nelle elezioni del 1860, riuscì a portare alla presidenza un tipico uomo dell’Ovest, Abraham METODO DI STUDIO Lincoln, un avvocato di salde convinzioni democratiche, proveniente da una fa a Evidenzia con colori diversi le aree geografimiglia di modesti agricoltori del Kentucky. che interessate dalle differenti realtà economiche e culturali degli Stati Uniti e sottolineane le caratNonostante fosse un convinto avversario della schiavitù, Lincoln non era un teristiche principali mantenendo gli stessi colori. abolizionista radicale. Nella sua campagna elettorale aveva anzi negato qualsiasi b Spiega per iscritto su quali elementi si fondaintenzione di abolire la schiavitù dove esisteva. Tuttavia, la vittoria repubblicana va il contrasto tra gli Stati del Nord e quelli del Sud. nelle elezioni del ’60 fu sentita da una parte dell’opinione pubblica del Sud come c Sottolinea con colori diversi gli interessi e le caratteristiche dei partiti esistenti. l’inizio di un processo irreversibile che avrebbe portato alla vittoria degli interes d Spiega chi era Abraham Lincoln e di quale si industriali, al rafforzamento del potere centrale, alla progressiva emarginaziogruppo sociale era espressione. ne degli Stati schiavisti.
Il Partito repubblicano e Lincoln
19_2 LA GUERRA CIVILE AMERICANA
Tra il dicembre ’60 e il febbraio ’61 i timori nei confronti della politica di Lincoln spinsero dieci Stati del Sud a staccarsi dall’Unione e a costituirsi in una Confederazione indipendente. Questa scelta secessionista, imposta da una minoranza intransigente a una popolazione incerta e divisa, non poteva non suscitare la reazione del potere federale: non vi era dunque alternativa alla guerra civile tra Unione e Confederazione, che ebbe inizio nell’aprile 1861. Scegliendo la strada dello scontro, i confederati facevano assegnamento sulla migliore qualità delle loro forze armate. Ma speravano anche in un intervento a loro favore della Gran Bretagna, che era la principale importatrice del cotone del Sud e osteggiava i programmi protezionisti dei repubblicani. Gli Stati del Nord confidavano invece nella schiacciante superiorità numerica della loro popolazione e sul loro maggior potenziale economico. Nelle fasi iniziali della guerra, il miglior addestramento delle forze sudiste e le notevoli capacità del loro comandante, il generale
Dalla secessione al conflitto
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Alexander Gardner, Abraham Lincoln durante la guerra civile 1° ottobre 1862 La fotografia di Alexander Gardner ritrae
Abraham Lincoln (al centro) nel 1862, mentre ispeziona il quartier generale dell’armata del Potomac sul campo di Antietam (Maryland) durante la guerra civile.
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
► Leggi anche: ► Eventi La battaglia di Gettysburg e la sconfitta sudista, p. 690
Robert Lee, diedero ai confederati una netta prevalenza. Ma, quando fu chiasecessione ro che gli Stati del Sud avrebbero dovuto contare solo sulle loro forze – la Gran La “secessione” è la separazione di una parte dall’insieme Bretagna e le altre potenze europee si astennero infatti da ogni intervento – e che politico o sociale cui apparteneva. la guerra sarebbe stata lunga e logorante, il fattore numerico e quello economico si rivelarono decisivi. La guerra si concluse infatti nell’aprile del 1865 con la resa dei confederati al generale Ulysses Grant, comandante delle forze del Nord. Pochi giorni dopo, il presidente Lincoln cadeva vittima di un attentato per mano di un fanatico sudista. La guerra era durata ben quattro anni, aveva visto impegnati nelle operazioni belliche circa 3 milioni di uomini, era costata oltre 600 mila morti e aveva conosciuto battaglie durissime come quella di Gettysburg vinta dai nordisti (luglio 1863). Era stata senza dubbio la prima guerra totale dei nostri tempi: la prima cioè che avesse coinvolto così a lungo la società civile di un grande paese moderno, la prima in cui fossero stati utilizzati sistematicamente i nuovi mezzi offerti dallo sviluppo tecnologico e industriale, a cominciare dalla ferrovia e dal telegrafo [►FS, 170]. Per vincerla, i nordisti dovettero non solo fare appello a tutte le loro risorse economiche, ma anche spingersi oltre i programmi iniziali del presidente Lincoln. Nel 1862 fu approvata una legge che assegnava gratuitamente quote di terre del demanio statale ai cittadini che ne facessero richiesta. Lo stesso anno fu decretata a partire dal 1º gennaio del 1863 la liberazione degli schiavi in tutti gli Stati del Sud, anche per consentirne l’arruolamento nell’esercito dell’Unione.
Le conseguenze della guerra
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(1861-65) LA GUERRA CIVILE AMERICANA Stati dell’Unione (1861-65)
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EVENTI
La battaglia di Gettysburg e la sconfitta sudista
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a battaglia di Gettysburg (1-3 luglio 1863) rappresenta un episodio centrale nella guerra civile americana: lo scontro più sanguinoso di tutto il conflitto vide, infatti, la netta sconfitta dell’esercito sudista e produsse una svolta decisiva nell’andamento della guerra, da questo momento in poi avviata a concludersi con la vittoria delle forze del Nord. Nell’estate del 1863 il conflitto era iniziato già da due anni: l’illusione che potesse durare poche settimane era svanita ben presto di fronte alle nuove forme della guerra industriale e all’abilità dei due schieramenti di contrapporre eserciti numerosi, ben armati e molto motivati. Alle vittorie riportate dai confederati nelle prime fasi belliche, l’Unione aveva saputo rispondere armando ed equipaggiando in breve tempo un grande esercito di volontari, traen-
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
do vantaggio soprattutto dal maggiore sviluppo industriale degli Stati settentrionali rispetto a quelli del Sud. Due anni di aspri combattimenti avevano fatto emergere tre fronti principali, tutti in territori confederati, sui quali si sarebbe giocato l’esito della guerra: ad ovest, il corso del Mississippi e la città di Vicksburg; al centro, il varco di Chattanooga, via di accesso alla Georgia; infine ad est, la Virginia, roccaforte delle armate confederate [► _41]. L’attacco sferrato dal generale nordista Ulysses Grant nel maggio del 1863 contro Vicksburg aveva posto il comando militare della Confederazione davanti a una scelta quanto mai difficile: concentrare ogni sforzo militare per evitare la caduta della linea del Mississippi oppure attaccare su un altro fronte e provare a riportare, altrove, una vittoria decisiva
sulle armate del Nord? Fautore di questa seconda ipotesi era il generale sudista Robert Lee, comandante della potente armata della Virginia settentrionale: egli riteneva che la sola difesa del fronte occidentale, seppur vincente, avrebbe al massimo ritardato l’avanzata delle truppe dell’Unione, in quel momento superiori. Al contrario, un attacco nel cuore degli Stati federali, da realizzare mediante l’invasione dei territori del Nord, avrebbe costretto l’avversario a spostare l’attenzione lontano dal Mississippi; avrebbe inoltre suscitato un grande entusiasmo tra i combattenti: in caso di La battaglia di Gettysburg XIX sec. In questa incisione sono rappresentati alcuni dei momenti più drammatici della battaglia di Gettysburg, combattuta nel luglio del 1863. Considerata la più grande battaglia della guerra di secessione, in sé non fu decisiva (i due eserciti si affrontarono senza guadagnare posizioni e le perdite furono ingenti da entrambe le parti) ma significò per l’esercito confederato del generale Lee l’impossibilità di proseguire nella sua marcia verso nord.
vittoria, infatti, le armate sudiste sarebbero potute entrare, in breve tempo, nella capitale Washington. Il piano di Robert Lee ricevette l’approvazione del presidente della Confederazione, Jefferson Davis. I primi di giugno i soldati agli ordini del generale sudista superarono il confine della Virginia e nelle settimane successive penetrarono in territorio nemico con l’obiettivo di aggirare l’esercito nordista e costringerlo a combattere in campo aperto nei pressi di Gettysburg, cittadina dello Stato della Pennsylvania. File di profughi cominciarono a fuggire di fronte all’invasione sudista, ma il Nord non si fece prendere dal panico: gli abitanti delle zone invase si dimostrarono ostili alle forze occupanti, informando come potevano i comandi federali dei movimenti nemici. Alla vigilia dello scontro, l’esercito sudista sembrava possedere qualcosa in più rispetto all’avversario: nonostante l’inferiorità numerica in termini di uomini e armi, il generale Lee aveva saputo riorganizzare efficacemente l’armata della Virginia settentrionale. I soldati in uniforme grigia riponevano grande fiducia nel loro capo: erano soprattutto animati dalla speranza che la vittoria avrebbe rovesciato le sorti della guerra e portato il successo della Confederazione. Al contrario, l’armata nordista del Potomac (un fiume che corre per un lungo tratto tra Maryland e Virginia) stava attraversando un periodo difficile: tra la fine del 1862 e l’inizio del 1863 era uscita sconfitta per ben due volte dallo scontro con gli eserciti sudisti e adesso si era fatta sorprendere dall’attacco sudista sul proprio territorio. Pochi giorni prima della battaglia, il presidente Lincoln sostituì il comandante dell’armata, affidando il ruolo al generale George Gordon Meade, non un geniale stratega ma un militare dalle grandi capacità. All’alba del 1° luglio, la più grande battaglia della guerra civile americana scoppiò in realtà per un incidente tra due singoli corpi d’armata nemici, che aprirono il fuoco senza aspettare di ricevere ordini dall’alto. Nei primi due giorni di combattimento i confederati conquistarono terreno, ma si scontrarono sempre con la tenace resistenza nordista. Il terzo giorno, invece, la tattica del generale Robert Lee, orientata esclusivamente all’attacco, rivelò tutti i suoi limiti: nel torrido pomeriggio del 3 luglio, dopo un intenso fuoco d’artiglieria sulle posizioni nemiche durato più di un’ora e mezza, il grande assalto
Timothy H. O’Sullivan, Vite falciate, Gettysburg, Pennsylvania 1863 [George Eastman House, New York]
frontale da parte di 15 mila fanti sudisti, la cosiddetta “carica di Pickett” (dal nome del generale che la condusse), fu respinto sanguinosamente dai colpi dell’artiglieria dell’armata del Nord, danneggiata ben poco dal bombardamento avversario. Solo pochi uomini, alla fine, riuscirono ad arrivare al contatto con la prima linea del Nord, mentre la maggior parte di loro rimase sul campo. Il 4 luglio l’armata di Robert Lee iniziò una drammatica ritirata sotto una pioggia battente e su strade ricoperte di fango: i soldati avevano il morale a pezzi, consapevoli di aver perso l’unica occasione per rovesciare l’esito della guerra a loro favore. In tre giorni di battaglia, l’Unione aveva avuto 23 mila tra morti e feriti, su un totale di circa 90 mila effettivi; i confederati invece ben 29 mila su circa 80 mila (di questi, quasi 13 mila caddero prigionieri). Lo stesso giorno, il generale Grant conseguiva sul fronte occidentale un’importante vittoria, conquistando Vicksburg dopo settimane d’assedio. Solo una strenua resistenza dei confederati ritardò di due anni la fine della guerra, sancita con la sconfitta definitiva di Lee ad Appomattox (9 aprile 1865). La decisione strategica di attaccare sul fronte della Virginia e non difendere Vicksburg, a sud, nonché le scelte tattiche del generale sudista, sono sempre state al centro di un animato dibattito. Senza dubbio Lee era un grande comandante, cresciuto e formatosi nell’esercito degli Stati Uniti: dopo la secessione degli Stati del Sud, si era rifiutato di restare nelle fila dell’Unione perché non poteva accettare di combattere contro la sua terra natale, la Virginia.
Secondo autorevoli studiosi, alla base delle scelte del generale ci sarebbe la sua concezione napoleonica della guerra, tutta sbilanciata verso l’attacco e la ricerca dell’annientamento del nemico: « Se il nemico è lì domani, dobbiamo attaccarlo», disse a un suo generale dopo il primo giorno di combattimenti a Gettysburg, senza rendersi conto che le forme della guerra erano cambiate. Ma l’introduzione di armi più rapide e potenti (come quelle a canne rigate e a retrocarica) aveva dato alle artiglierie una maggiore capacità di fuoco e le rendeva capaci di respingere i grandi assalti delle fanterie in campo aperto: rispetto al passato, quindi, era la tattica difensiva, e non quella offensiva, a risultare vincente in questi casi. L’importanza di questi tre giorni di scontri risiede anche nel loro valore simbolico, oltre che strategico-militare. Quattro mesi dopo la battaglia, il 19 novembre, il presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln pronunciò uno storico discorso, seppur brevissimo (circa 3 minuti), alla cerimonia di inaugurazione del cimitero dei caduti dell’Unione a Gettysburg. Senza fare alcun riferimento alle parti in lotta, si soffermò sul significato della morte di migliaia di americani in quell’occasione, ponendo così le basi per la rinascita della nazione e per il superamento della conflittualità civile: «possiamo qui decidere solennemente che questi morti non siano caduti invano», concluse, «che la nazione, con l’aiuto di Dio, trovi una nuova nascita nella libertà, e che il governo del popolo, attraverso il popolo, per il popolo, non scompaia dalla terra».
691
C19 Due nuove potenze: STati uniti e Giappone
In realtà, la rivoluzione sociale implicita nell’esito della guerra di secessione fu ben lontana dal compiersi interamente. La legge del ’62 sulla distribuzione delle terre libere fu revocata pochi anni dopo la fine della guerra. Gli schiavi acquistarono la libertà, ma le loro condizioni economiche non migliorarono. La vittoria nordista e le innovazioni legislative non valsero a colmare le disuguaglianze sociali, né poterono cancellare i pregiudizi razziali prosegregazione razziale fondamente radicati nella società del Sud. Certo non giovaLa segregazione o separazione delle razze è una pratica politica razzista che mira a tenere rono alla causa della democrazia e dell’integrazione razziaseparati, in uno Stato, i gruppi sociali di colore da quello bianco in vari settori della vita le i metodi sbrigativi e lo spirito talvolta vendicativo con cui civile, pubblica e politica. Negli Stati Uniti si fondò sul principio della «separazione in condizioni di uguaglianza», sancito dal XIV emendamento della Costituzione approvato nel i vincitori condussero l’opera di riunificazione del paese. 1868. Bianchi e neri avevano dunque diritto agli stessi servizi ma erogati separatamente: Negli anni successivi alla fine della guerra, il Sud fu sottopodiverse erano le zone residenziali, i luoghi di ritrovo, diverse le modalità di fruizione degli sto a un regime di vera e propria occupazione militare. Il esercizi commerciali e dei servizi pubblici – mezzi di trasporto, scuole, ospedali. Forti discriminazioni sul piano dei diritti politici e civili derivarono da questa scelta. Un regime risultato fu una reazione di rigetto, che prima si espresse in segregazionista – l’apartheid – è stato in vigore in Sudafrica fino al 1991. forma di lotta clandestina – fu creata allora l’organizzazione paramilitare e razzista del Ku Klux Klan – e che più tardi determinò la riscossa del Partito democratico negli Stati del METODO DI STUDIO Sud. Il ritorno alla normalità nel Sud, che poté considerarsi a Evidenzia le cause della guerra civile americana, cerchia i nomi delle parti compiuto solo alla fine degli anni ’70, significò anche il riin lotta e sottolinea le relative caratteristiche. b Spiega per iscritto perché la guerra di secessione può essere definita la torno all’indiscussa supremazia dei bianchi e ad un regiprima guerra totale e quali cambiamenti avvennero nella società al termine della me di segregazione razziale di fatto, destinato a protrarguerra. si, in molti Stati, per buona parte del ’900 [►FS, 166].
Una rivoluzione sociale mancata
LE CAUSE DELLA GUERRA DI SECESSIONE
STATI UNITI A METÀ ’800
Stati del Nord-Est
Stati dell’Ovest
Stati del Sud
Società dinamica e progredita
Valori della frontiera
Società conservatrice, patriarcale e razzista
Economia capitalistica
Piantagioni lavorate da schiavi
Rappresentati dal Partito repubblicano guidato da Lincoln che...
Rappresentati dal Partito democratico
Nel 1860 diventa presidente
Nel 1861 costituiscono la Confederazione degli Stati del Sud
692
GUERRA CIVILE
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
19_3 GLI STATI UNITI POTENZA MONDIALE
All’indomani della guerra di secessione e della ricostruzione postbellica, riprese con rinnovato slancio la colonizzazione dei territori dell’Ovest, ora favorita dallo sviluppo della rete ferroviaria che nel 1869 raggiunse le coste della California. Intorno al 1890 la conquista del West poteva considerarsi compiuta: la frontiera coincideva ormai col Pacifico e gli Stati Uniti avevano raggiunto l’estensione attuale. Vittime principali della corsa all’Ovest furono le tribù dei pellerossa [►13_4], che videro restringersi progressivamente gli spazi, un tempo sconfinati, in cui potevano muoversi in libertà. I pellerossa cercarono di resistere alla conquista bianca e riuscirono anche a riportare qualche isolato successo, ma dopo il 1890, decimati dalle guerre (il loro numero alla fine del secolo non superava i 250 mila individui), furono confinati nelle riserve e ridotti a un corpo estraneo e marginale.
La colonizzazione dell’Ovest
Gli Stati Uniti non avevano mai tollerato ingerenze europee nella loro politica continentale. Così, quando Napoleone III cercò di far nascere, sotto la protezione delle truppe francesi, un impero del Messico, offrendone la corona a un principe di casa d’Austria, Massimiliano d’Asburgo, fratello minore di Francesco Giuseppe, gli Stati Uniti sostennero la guerriglia dei repubblicani messicani guidati da Benito Juárez fornendo armi e appoggio politico. Nel 1867 i francesi si ritirarono, abbandonando a sé stesso lo sfortunato Massimiliano, che fu catturato e fucilato. Fu un grave colpo per il prestigio delle potenze europee, ma anche una eloquente e definitiva conferma della dottrina Monroe [►13_4].
La questione del Messico
Dalla metà degli anni ’60 la società americana stava attraversando una fase di impetuoso sviluppo capitalistico. La crescita più imponente si verificò nell’industria, in particolare in alcuni settori-guida come il siderurgico, il meccanico, l’elettrico e il petrolifero, dove dominavano le grandi concentrazioni (corporations) industriali e finanziarie [►17_1]: come la General Electric, la American Telephone Company, la Standard Oil nel
Sviluppo e tensioni sociali
Pozzi di petrolio nei pressi di Titusville in Pennsylvania 1868 I primi pozzi petroliferi furono scavati in Pennsylvania alla metà dell’800. Il giovane imprenditore John D. Rockefeller comprese precocemente le possibilità del mercato del petrolio e fondò la Standard Oil Company, conquistando in pochi anni il mercato petrolifero mondiale.
693
C19 Due nuove potenze: STati uniti e Giappone
Dati non disponibili
14_IMMIGRATI NEGLI STATI UNITI (1821-1921) 2,2
immigrati (in milioni)
Dati non disponibili
[nostra elaborazione da Atlante storico del mondo, Touring Club Italiano, Milano 1994]
2 1,8
2,2
1,6
immigrati (in milioni)
1
0,4
Italia
Russia
Russia
0,6
Italia
1,2
Austria-Ungheria
1,4
Germania
0,8
Germania
1
1,6
Irlanda
1,2
1,8 Irlanda Inghilterra Scozia e Galles
Inghilterra Scozia e Galles
1,4
Austria-Ungheria
2
0,8
0,2
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1871
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settore petrolifero, la DuPont in quello chimico e degli melting pot stato centrale nell’ideologia nazionalista esplosivi o come il gigantesco trust dell’acciaio, la United degli Stati Uniti, ed è stato oggetto di un Il termine, letteralmente “recipiente Steel, costituitosi nel 1901. Alla fine dell’800, gli Stati Uniti acceso dibattito: molti critici hanno messo di fusione”, si è diffuso, dapprima in in luce, infatti, i limiti di questa esperienza non solo avevano superato Gran Bretagna e Germania nel storiografia e poi anche nel linguaggio di “mescolanza” etnica. Di recente è stata comune, per indicare il contesto sociale e volume della produzione industriale (raggiungendo quindi sottolineata tuttavia l’utilità del termine culturale americano nel quale le peculiari il primato mondiale), ma erano anche diventati un paese per descrivere il processo di integrazione e differenti caratteristiche nazionali dei tra individui di origini e culture differenti, esportatore di capitali e di prodotti industriali. Questo cittadini si mescolano dando origine a tendenzialmente dinamico e senza fratture, un’identità nuova ed esclusivamente sviluppo fu reso possibile, oltre che dall’abbondanza di riproprio degli Stati Uniti. americana. Il concetto di melting pot è sorse naturali, anche dall’esistenza di un mercato interno in continua espansione, grazie all’afflusso di immigrati provenienti dall’Europa. Tale era il bisogno di manodopera che, nel 1882, il governo federale spalancò le porte all’immigrazione rendendo l’ingresso negli Stati Uniti libero a tutti, con le sole eccezioni dei criminali comuni e dei malati di mente [► _14]. La società americana diventò così un immenso crogiolo, un melting pot, dove andarono a fondersi culture, tradizioni ed energie di tutti i paesi del Vecchio Continente. Il grande sviluppo materiale degli ultimi anni del secolo non fu privo di tensioni sociali. Lo strapotere delle corporations e il rigido protezionismo alimentarono il malcontento dei contadini del Midwest, danneggiati dagli alti prezzi dei manufatti. Notevole sviluppo ebbero in questo periodo anche le organizzazioni operaie: nel 1886 venne fondata l’American Federation of Labor, una grande confederazione di sindacati autonomi priva di una precisa caratterizzazione politica. Ma né la maggioranza delle organizzazioni sindacali né il movimento dei contadini adottarono la strategia di classe dei movimenti socialisti europei o si posero come obiettivo il rovesciamento del sistema capitalistico [►16_7]. È in questo contesto che va considerata la nuova politica espansionistica messa in atto dagli Stati Uniti oltre i propri confini territoriali a partire dalla fine dell’800. La prima importante manifestazione di questa politica si ebbe con l’intervento a Cuba dove, dal 1895, era in corso una violenta rivolta contro i dominatori spagnoli. Questi ultimi avevano avviato una dura repressione che aveva suscitato vivaci reazioni nell’opinione pubblica americana, ma anche notevoli preoccupazioni per la sorte dei cospicui interessi economici che gli Stati Uniti avevano nelle piantagioni di canna da zucchero dell’isola. Così, nel febbraio 1898, l’affondamento 694
L’espansionismo nei Caraibi e nel Pacifico
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
RUSSIA
N
E
N
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N
E
NE CANADA UTI MONGOLIA ALASKA ALE (1867) MANCIURIA 42_L’ESPANSIONISMO STATUNITENSE Pechino NEI CARAIBI E NEL PACIFICO RUSSIA Seattle C Tokyo ALASKA Portland COREA (1867) I NE N CANADA U T I PPO A San Francisco MONGOLIA ALE RUSSIA IA G STATI UNITI BIRMANIA MANCIURIA Pechino San Diego m Hong Kong NE isole MIDWAY I k CANADA T Seattle U (1867) 00 C MONGOLIA Tokyo A L EFORMOSA 35 Portland COREA I Hawaii N MANCIURIA Manila O (1898) 2200 km GUAM (1898) A San Francisco Pechino INDOCINA PP 5000 km Seattle IA FRANCESE STATI UNITI BIRMANIA C TokyoG FILIPPINE Portland COREA I CUBA San Diego Hong Kong isole(1898) MIDWAY N km O (1898) 0 P (1867) A 0 San Francisco P FORMOSA MALESIA 5 A 3 I G Hawaii STATI UNITI BIRMANIA NICARAGUA Manila NU BORNEO (1898) km 2200 km GUAM (1898) (1911) INDOCINA San Diego OV m Hong Kong isole MIDWAY 0 km 5000 k SUMATRA 0 PORTORICO A FRANCESEFORMOSA (1867) G00 CELEBES 72 (1898) FILIPPINE 35UIN PANAMA RI CUBA Hawaii GIAVA EA (1903) Manila(1898) (1898) HAITI (1898) 22 00 km GUAM (1898) 5000 km INDOCINA MALESIA (1915) PORTORICO isole SAMOA FRANCESE NICARAGUA TUTUILA(1898) (1899) FILIPPINE NU BORNEO km (1911) CUBA(1900) RI OV (1898) 0 SUMATRA (1898) 0 AG HAITI MALESIA CELEBES 72 UI AUSTRALIA PANAMA (1915) NE GIAVA (1903) NICARAGUA A N BORNEO UO km (1911) VA SUMATRA isole SAMOA200 GU CELEBES 7 TUTUILA (1899) PANAMA I NE (1900) GIAVA NUOVA (1903) A ZELANDA AUSTRALIA isole SAMOA TUTUILA (1899) (1900)
AUSTRALIA
PORTORICO (1898) RI HAITI (1915)
NUOVA ZELANDA possedimenti giapponesi NUOVA britannici possedimenti ZELANDA possedimenti olandesi
possedimenti giapponesi possedimenti britannici possedimenti giapponesi possedimenti olandesi possedimenti britannici possedimenti francesi
possedimenti francesi basi e possedimenti Usa FILIPPI territori occupati dagli Usa (con data)
possedimenti olandesi Usa basi e possedimenti possedimenti francesi territori occupati di FILIPPI una nave da guerra dagli Usa (con data) basi e possedimenti Usa
americana nel porto dell’Avana condusse alla guerra con la Spagna, che fu rapidamente sconfitta sia nelle Antille sia nel Pacifico. Cuba divenFILIPPI territori occupati ne una repubblica indipendente, sottoposta tuttavia al controllo politico ed econodagli Usa (con data) mico degli Stati Uniti. La Spagna fu inoltre costretta a cedere Portorico e l’intero arcipelago delle Filippine. In questo modo gli Stati Uniti si assicurarono, oltre all’egemonia nei Caraibi, anche un vasto dominio in Asia orientale. Sempre nel ’98 la presenza americana nel Pacifico fu rafforzata dall’annessione delle isole Hawaii, da tempo un importante punto di appoggio nelle rotte oceaniche. Nel giro di pochi mesi gli Stati Uniti avevano compiuto un salto decisivo nella loro posizione internazionale, assumendo a tutti gli effetti il ruolo di potenza mondiale [►FS, 168].
METODO DI STUDIO
a Evidenzia la descrizione della fine della conquista dell’Ovest. b Spiega per iscritto chi viveva nelle riserve e quali tappe hanno portato a questa situazione. c Sottolinea la definizione di melting pot e le condizioni e dinamiche che portarono alla nascita di questo tipo di società. d Sottolinea le direttrici dell’espansionismo statunitense alla fine dell’800.
19_4 LA VIA GIAPPONESE ALLA MODERNITÀ
Il Giappone, alla metà dell’800, conservava la struttura politica di tipo feudale che si era consolidata con l’ascesa al potere degli shogun Tokugawa all’inizio del ’600 [►5_5]. E dal 1639 aveva scelto l’isolamento commerciale dai paesi occidentali, salvo mantenere una linea di scambi con la Cina. Furono gli Stati Uniti a rompere l’isolamento del Giappone, verso la metà dell’800: nel 1854, inviarono una squadra navale nelle acque giapponesi e chiesero formalmente allo shogun il libero accesso nei porti e l’apertura di relazioni commerciali. L’iniziativa americana – cui subito si unirono Gran Bretagna, Francia e Russia – trovò il Giappone del tutto impreparato. Lo shogun fu costretto a firmare nel 1858 una serie di accordi commerciali (i
La fine dell’isolamento
► Leggi anche: ► Parole della storia Modernizzazione, p. 696
695
C19 Due nuove potenze: STati uniti e Giappone
◄ La
fregata a vapore statunitense Susquehanna [Library of Congress, Washington]
► Ritratto
del comandante Matthew Perry 1854 [Library of Congress, Washington]
Nel 1853 il comandante statunitense Matthew Perry approdò con una squadra di 4 navi a vapore nel porto di Uraga, presso Edo (la moderna Baia di Tokyo), allo scopo di ottenere un trattato commerciale con i giapponesi. Un risultato ottenuto con la minaccia di una prova di forza: alla richiesta di
allontanare le navi dal porto da parte dei giapponesi, infatti, Perry rispose negativamente, insistendo per presentare una lettera all’imperatore da parte del presidente degli Usa e minacciando l’uso dei cannoni di cui erano ben equipaggiate le sue navi. Costretti a cedere, i giapponesi ricevettero la lettera e prepararono
un trattato in cui accettavano tutte le richieste americane. L’anno seguente, quando Perry tornò con un numero doppio di navi, fu firmato l’accordo commerciale. L’impatto di queste missioni sui giapponesi fu grande. Il contatto con gli stranieri era stato fino ad allora vietato e le navi americane che arrivarono nel porto erano cinque
volte più grandi di qualsiasi nave i giapponesi avessero mai visto. Tanto che, sebbene la legge giapponese vietasse la rappresentazione grafica di avvenimenti contemporanei, le fregate di Perry, come anche lo stesso comandante, furono oggetto di numerose stampe poi vendute in tutto il paese.
Parole della storia
Modernizzazione
“M
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odernizzazione” è un termine creato dalla sociologia e dalla scienza politica del ’900 per designare quell’insieme di trasformazioni politiche, economiche e sociali che hanno avuto luogo nelle società occidentali tra ’800 e ’900 (a partire, grosso modo, dalle grandi rivoluzioni politiche del ’700 e dalla rivoluzione industriale) e si sono successivamente verificate – o si stanno ancora verificando, pur fra molte resistenze e contraddizioni – nella maggior parte del mondo. Nel linguaggio politico contemporaneo il concetto di modernizzazione tende a sostituirsi a quello di progresso e a superarne la genericità mediante il riferimento a una serie di parametri “oggettivi”. Sul piano politico, si ha una modernizzazione quando l’autorità statale acquista autonomia dagli altri poteri (in particolare da quello religioso) e capacità di far rispettare le proprie decisioni; quando esistono leggi valide
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
per tutti; quando, per la popolazione, si verifica il passaggio dalla condizione di sudditi a quella di cittadini dotati, almeno in teoria, di uguali diritti. Sul piano economico, la modernizzazione è quel processo mediante il quale un sistema acquista razionalità ed efficienza e accresce la sua capacità di produrre beni e di soddisfare bisogni: in questo senso la modernizzazione coincide col passaggio da un’economia agricola a una economia industriale e si misura con indici quali il prodotto nazionale, il reddito pro capite e, soprattutto, il tasso di sviluppo annuo. Sul piano sociale, la modernizzazione si identifica con una serie di processi tutti in qualche modo legati fra loro: la diffusione dell’istruzione, premessa essenziale per lo sviluppo della partecipazione politica e per la stessa crescita economica; l’urbanizzazione, conseguenza dello sviluppo industriale; l’aumento della mobilità geografica e sociale della popolazione; la rottura delle vecchie stratificazioni legate alla società tradizionale e la creazione di gerarchie
basate non più sulla appartenenza dalla nascita a un ceto sociale, ma piuttosto sul merito individuale e sulla possibilità di ascesa economica e sociale. Tutti i processi cui abbiamo accennato hanno, nella tradizione culturale occidentale, un valore implicitamente positivo; e il processo di modernizzazione nel suo complesso è considerato, in questo contesto, come un fenomeno auspicabile e in qualche misura necessario. Ma una simile prospettiva non è condivisa universalmente, né all’interno delle società industrializzate, né, soprattutto, in molti di quei paesi che oggi si definiscono “in via di sviluppo”. Se alcuni di questi paesi hanno imboccato con decisione la strada dell’industrializzazione, cercando, con alterna fortuna, di imitare l’esempio del Giappone (o quello delle economie pianificate dell’Est europeo), in altri la modernizzazione è stata vista come una “occidentalizzazione” più o meno forzata, e ha provocato reazioni talora molto aspre, a sfondo nazionalistico o religioso-tradizionalistico.
cosiddetti trattati ineguali) che assicuravano alle potenze occidentali ampie possibilità di penetrazione economica. La firma dei “trattati ineguali” del ’58 suscitò in tutto il paese un’ondata di risentimento nazionalistico, che fu guidata dai grandi feudatari (daimyo) e da una parte dei samurai, e si indirizzò contro lo shogun, principale responsabile della capitolazione. A esso fu contrapposta la figura dell’imperatore, che in teoria rappresentava ancora la vera fonte del potere. I daimyo si resero sempre più indipendenti dal governo centrale e, nel gennaio del 1868, dichiararono decaduto lo shogun, dando vita a un governo che aveva sede a Tokyo e si richiamava all’autorità dell’imperatore, un ragazzo di quindici anni, Mutsuhito, salito da poco al trono. Ma la cosiddetta “restaurazione Meiji”, dal nome dato all’imperatore dopo la sua morte nel 1912, non si limitò a sostituire il potere dello shogun con quello dell’imperatore o a rafforzare l’autorità dei daimyo. La nuova élite dirigente – intellettuali, militari, funzionari provenienti dal ceto dei samurai – era ben consapevole del legame esistente fra l’inferiorità politica e militare del Giappone rispetto alle potenze occidentali e l’arretratezza delle sue strutture economico-sociali: era dunque decisa a colmare il dislivello in tempi il più possibile rapidi, senza paura di ricalcare i modelli degli Stati europei più avanzati. La modernizzazione del paese fu condotta con risolutezza eccezionale. Nel giro di pochi anni, senza violenti sommovimenti sociali, il Giappone compì quella transizione dal sistema feudale allo Stato moderno, che nella maggior parte dei paesi europei si era realizzata in tempi lunghissimi, accelerati solo da traumatiche svolte rivoluzionarie. Nel 1871 furono proclamate l’uguaglianza giuridica di tutti i cittadini, l’abolizione dei diritti feudali e la trasformazione dei feudi in circoscrizioni amministrative. I feudatari vennero indennizzati, mentre ai samurai fu assegnata una pensione vitalizia. Negli anni seguenti fu introdotto l’obbligo dell’istruzione elementare, venne unificata la moneta, fu creato un sistema fiscale moderno in luogo dei vecchi tributi in natura, venne organizzato un esercito nazionale basato sulla coscrizione obbligatoria.
La restaurazione Meiji e la modernizzazione del paese
Eccezionale fu anche la crescita dell’industria, che si sviluppò praticamente da zero grazie al massiccio investimento di capitali statali – ricavati in parte dalla vendita delle terre sequestrate allo shogun – e alla rapidissima importazione di tecnologia straniera (acquisto di brevetti, assunzione di esperti occidentali, invio di giovani all’estero per soggiorni di
Il decollo industriale
Yoshitoshi, Trittico che mostra tutti gli shogun che dominarono il Giappone durante il periodo Tokugawa (1603-1867) 1875
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C19 Due nuove potenze: STati uniti e Giappone
LA MODERNIZZAZIONE DEL GIAPPONE
POLITICA
SOCIALE
Restaurazione Meiji
Abolizione privilegi feudali
Nuova élite dirigente
Uguaglianza giuridica
Sviluppo delle infrastrutture
Transizione dal sistema feudale allo Stato moderno
Riforme (istruzione, fiscalità)
Decollo industriale
Esercito nazionale basato sulla coscrizione obbligatoria
ECONOMICA
Investimenti di capitali statali
Tecnologia straniera
Parlamento a suffragio ristretto
studio). Non meno rapida fu la crescita delle infrastrutture: dalle ferrovie – la prima linea fu aperta nel ’71 – alle comunicazioni telegrafiche, all’organizzazione bancaria. Nell’ultimo ventennio del secolo il Giappone vantava un tasso di crescita del prodotto interno lordo fra i più alti del mondo e, pur restando ancora distante dai paesi occidentali più avanzati, aveva sviluppato un suo consistente nucleo di industrie moderne, soprattutto nei settori tessile e meccanico. Quella che si compì in Giappone dopo il 1868 fu una vera e propria “rivoluzione dall’alto” [►FS, 156], realizzata senza alcuna partecipazione attiva delle classi inferiori, non preparata, com’era avvenuto in Occidente, da un’autonoma crescita della borghesia e non seguita da uno sviluppo delle istituzioni liberali e della democrazia politica: solo nel 1889 il Giappone ebbe un suo Parlamento, eletto a suffragio ristretto e con poteri molto limitati. Furono le classi dirigenti tradizionali a guidare la trasformazione e a gestirla in prima persona, spogliandosi spontaneamente dei loro antichi diritti, senza per questo perdere la loro posizione privilegiata nella società, investendo le loro rendite nella terra, nelle banche o nell’industria protetta, convertendosi insomma da oligarchia feudale in oligarchia industriale e finanziaria. Il processo di rapida modernizzazione sul piano delle strutture economiche e politiche risultò tanto più straordinario in quanto si accompagnò alla conservazione dei tradizionali valori culturali e religiosi [►FS, 157]. METODO DI STUDIO Per alcuni aspetti l’esperienza giapponese è stata accostata a quella della a Descrivi per iscritto che cosa sancivano i Germania bismarckiana, dove il passaggio dalle strutture tradizionali a quelle “trattati ineguali” e perché furono definiti così. della società industriale si effettuò senza che fosse messo in pericolo il potere b Sottolinea le caratteristiche della “restaurazione Meiji”. dell’aristocrazia terriera e militare. Ma, per quante analogie si possano istituire, c Individua e numera le tappe che portarono l’esperienza del Giappone dopo la “restaurazione Meiji” resta un caso assolutaal compimento del processo di modernizzazione del mente unico. Non era mai accaduto che un paese passasse, in pochi decenni, da Giappone e spiega per iscritto perché si è trattato di una “rivoluzione dall’alto” e perché è considerata una condizione di estrema debolezza e di assoluta emarginazione a una realtà di un caso assolutamente unico. grande potenza, quale il Giappone si sarebbe rivelato già alla fine dell’800. 698
Il modello giapponese
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
SINTESI Partito democratico, che restò su posizioni schiaviste, e nella nascita del Partito repubblicano tendenzialmente abolizionista.
19_1 GLI STATI UNITI A METÀ ’800
19_3 GLI STATI UNITI POTENZA MONDIALE
Alla metà dell’800 gli Stati Uniti erano un paese in crescente espansione, benché attraversato da forti differenze tra le diverse zone: il NordEst industrializzato, il Sud agricolo e tradizionalista, nelle cui grandi piantagioni lavoravano gli schiavi neri, gli Stati dell’Ovest con una popolazione di liberi agricoltori e di allevatori di bestiame. Il dibattito sull’estensione della schiavitù ai nuovi territori dell’Unione determinò una contrapposizione tra gli Stati dell’Ovest e del Nord-Est e quelli del Sud. Al Nord, in particolare, aveva attecchito un capitalismo moderno, che spingeva a cercare manodopera operaia, soprattutto per la fiorente industria meccanica. Le divisioni trovarono riscontro nella crisi del
Superati i traumi della guerra civile, gli Stati Uniti si concentrarono soprattutto sullo sviluppo dell’economia e sull’espansione a ovest, che fu completata intorno al 1890 dopo una serie di conflitti con i pellerossa. In politica estera gli Stati Uniti scelsero la via dell’espansionismo consolidando la loro presenza nei Caraibi, in particolare dopo la guerra con la Spagna (1898), che rese l’isola di Cuba una repubblica controllata dagli Usa, e nel Pacifico (Filippine, Hawaii).
19_2 LA GUERRA CIVILE AMERICANA Tra il ’60 e il ’61 gli Stati del Sud si separarono dal resto dell’Unione attuando una scelta secessionista e si confederarono. Scoppiò così la guerra civile (186165), che si concluse con la vittoria degli “unionisti”, superiori numericamente ed economicamente. La liberazione degli schiavi fu uno dei risultati più rilevanti della guerra, benché si riproducesse presto, per la popolazione nera, una situazione di segregazione di fatto.
19_4 LA VIA GIAPPONESE ALLA MODERNITÀ A metà dell’800 la società giapponese era ancora organizzata secondo uno schema tipicamente feudale. La penetrazione commerciale delle potenze occidentali, imposta con i “trattati ineguali” del 1858, fu vissuta dai grandi feudatari, dai giovani nobili di corte e dai samurai come un’umiliazione del paese e scatenò una rivolta contro lo shogun, che di fatto esercitava il potere di sovrano assoluto, a favore del ripristino dell’autorità dell’imperatore. La cosiddetta “restaurazione Meiji” (1868) avviò una modernizzazione accelerata dello Stato e dell’intera società giapponese, guidata dall’alto. Nell’ultimo ventennio dell’800 il Giappone raggiunse un tasso di crescita del prodotto interno lordo fra i più alti del mondo.
SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Indica le affermazioni vere e correggi quelle errate.
a. Gli Stati Uniti d’America nella seconda metà dell’800 erano una realtà omogenea. ................................................................................................................................................................................. b. La crescita della popolazione in questo periodo era dovuta soprattutto all’importazione di schiavi dall’Africa. ................................................................................................................................................................................. c. Gli Stati del Sud erano contraddistinti dalla presenza delle grandi piantagioni. ................................................................................................................................................................................. d. Negli Stati dell’Ovest i coloni convivevano pacificamente con gli indiani. .................................................................................................................................................................................
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C19 Due nuove potenze: STati uniti e Giappone
e. Nel Nord era ancora molto praticata la schiavitù. ................................................................................................................................................................................. f. Nel 1854 nacque il Partito repubblicano antischiavista. ................................................................................................................................................................................. g. Nel 1860 fu eletto presidente degli Stati Uniti il candidato democratico Abraham Lincoln. ................................................................................................................................................................................. h. Nel 1861 dieci Stati del Sud si staccarono dall’Unione e si costituirono in una Confederazione indipendente. ................................................................................................................................................................................. i. La nascita dell’Impero del Messico fu appoggiata dagli Stati Uniti. .................................................................................................................................................................................
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2 Abbina le tre aree geografiche del Nord America, che rappresentano le tre diverse anime della società statunitense
intorno alla metà dell’800, ai relativi elementi e caratteristiche.
a. Nord-Est b. Sud c. West
1. Capitalismo imprenditoriale 2. Pionieri 3. Grandi piantagioni di cotone 4. Grandi proprietari terrieri 5. New York 6. Valori della frontiera 7. Industrializzazione 8. Schiavi neri
3 Completa lo schema sulla guerra di secessione, seguendo le indicazioni delle 5W: who, what, when, where, why (chi, cosa, quando, dove, perché).
WHO/CHI (i protagonisti): ........................................................................................................................................................................ WHAT/COSA fu: ...................................................................................................................................................................................... WHEN/QUANDO: ..................................................................................................................................................................................... WHERE/DOVE: ........................................................................................................................................................................................ WHY/PERCHÉ (lo scopo): ......................................................................................................................................................................... 4 Abbina i soggetti alle relative azioni:
a. Le classi dirigenti tradizionali b. I daimyo c. Lo shogun d. Mutsuhito
1. 2. 3. 4. 5.
firmò nel 1858 i “trattati ineguali”. si convertirono da oligarchia feudale in oligarchia industriale e finanziaria. nel gennaio del 1868 dichiararono decaduto lo shogun. divenne imperatore a 15 anni. diedero vita a un governo che aveva sede a Tokyo e si richiamava all’autorità dell’imperatore.
COMPETENZE IN AZIONE 5 Scrivi un testo di massimo 20 righe in cui spiegherai gli eventi legati alla guerra di secessione americana; puoi
utilizzare la seguente scaletta, le immagini e le carte geografiche presenti nel capitolo.
700
● ● ● ● ● ●
I protagonisti I motivi dello scontro Le idee politiche dei due schieramenti Le economie degli Stati del Nord e del Sud Gli esiti I motivi che determinarono il successo degli Stati del Nord
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
6 Scrivi un testo di massimo 20 righe in cui spiegherai la trasformazione del Giappone in Stato moderno. Puoi utilizzare
la seguente scaletta:
● ● ● ● ● ● ●
Le istituzioni giapponesi prima dell’avvento statunitense I cosiddetti “trattati ineguali” La restaurazione Meiji Le riforme attuate dopo il 1868 Crescita industriale e sviluppo delle infrastrutture Significato dell’espressione: ”rivoluzione dall’alto” Trasformazione sociale dei samurai.
COMPITI DI REALTÀ 7 Realizzare un fotolibro sull’America di Via col vento.
Tema storico da affrontare: La guerra di secessione e la realtà degli schiavi.
Contesto di lavoro
Lavori per una casa editrice specializzata in libri storici e curi una collana sulla conoscenza della storia attraverso i film più famosi. I tuoi superiori hanno deciso di realizzare un libro che parli della guerra di secessione e della schiavitù partendo dal kolossal Vial col vento e mettendolo a confronto con quello che gli studiosi raccontano del contesto storico. Il libro dovrà prevedere un massimo di 16 pagine scritte in Times New Roman 12 e avere le pagine in formato A4, disposte in orizzontale.
Cosa devi fare
Con il tuo gruppo avete il compito di preparare il fotolibro approntando i capitoli: ● sulla schiavitù prima e dopo la guerra; ● sulla società sudista prima e dopo la guerra; ● sulle battaglie più importanti; ● sulle cause degli esiti del conflitto e su questi ultimi. Per realizzare questo compito dovete: ● individuare i concetti più importanti dei singoli capitoli. ● selezionare sul manuale le fonti iconografiche più adatte ai singoli capitoli. Se necessario, estendere la ricerca al Web fecendo ricorso a siti affidabili dal punto di vista della ricerca storica. ● guardare il film e individuare i momenti maggiormente significativi in relazione ai capitoli del libro. Estrapolare quindi i fotogrammi in grado di mettere in evidenza questi aspetti. ● realizzare per ogni immagine una didascalia esplicativa che descriva l’immagine e il suo significato e che contenga anche le informazioni che è possibile ricavare in relazione al tema in esame. Questo sia per le fonti iconografiche che per i fotogrammi. ● realizzare due pagine introduttive con la presentazione dei personaggi principali, la trama in breve e una brevissima storia del film e del suo successo. ● scrivere per ogni capitolo il testo ponendo attenzione allo spazio a disposizione in base alle immagini e fotogrammi selezionati. Il testo dovrà essere diviso in due parti “speculari”: es. la schiavitù negli Stati Uniti d’America prima della guerra di secessione nel film e secondo gli storici.
Presentazione del lavoro svolto
Il lavoro di ogni gruppo sarà presentato davanti al direttore della casa editrice e deve prevedere: una relazione introduttiva del metodo utilizzato e dei contenuti affrontati da esporre oralmente (durata massima: 5 minuti) più la descrizione del fotolibro, che potrete stampare o proiettare con la Lim.
Tempo a disposizione
1 ora per individuare sul manuale i concetti da affrontare, le immagini da utilizzare e per realizzare le scalette di ogni capitolo; 1 ora per cercare in Rete le immagini e le relative informazioni e confrontare i risultati ottenuti su diverse pagine web; 4 ore per la visione del film prendendo appunti; 4 ore per la selezione dei fotogrammi e la realizzazione delle didascalie; 4 ore e mezza per scrivere i testi e montare il fotolibro; mezz’ora per impostare e provare la relazione.
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C19 Due nuove potenze: STati uniti e Giappone
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CAP20 GLI IMPERI COLONIALI
20_1 L’IMPERIALISMO
Fin dai tempi delle grandi scoperte geografiche, l’Europa si era lanciata alla conquista del mondo, disseminando in tutti i continenti soldati e missionari, commercianti e coloni. Ma negli ultimi decenni dell’800, questo processo raggiunse il suo apice, con dimensioni nuove e forme diverse. Fu questo uno degli aspetti più evidenti di quel grande fenomeno di espansione economica e politica noto come imperialismo. Se la colonizzazione tradizionale era rimasta legata soprattutto all’iniziativa delle grandi compagnie mercantili, la nuova espansione venne assunta sempre più come un obiettivo di politica nazionale da parte dei governi. Alla penetrazione commerciale subentrò un disegno più sistematico di assoggettamento politico e di sfruttamento economico. La tendenza prevalente divenne quella di imporre un controllo a vastissimi territori dell’Africa, dell’Asia e del Pacifico, che furono ridotti alla condizione di vere e proprie colonie o di protettorati. I territori detenuti dalle potenze europee vennero enormemente ampliati nel giro di pochi decenni – un’espansione che si avvalse anche della supremazia tecnologica occidentale, per esempio nel campo degli armamenti e dei trasporti [►FS, 171 e 172]. Tra il 1876 e il 1914, la Gran Bretagna aggiunse al suo già vastissimo impero 11 milioni di km2 (con 142 milioni di abitanti), raggiungendo così un’estensione complessiva di circa 30 milioni di km2, quasi cento volte la superficie del Regno Unito. Nello stesso periodo la Francia acquistò nuovi possedimenti per 10 milioni di km2 (con 50 milioni di abitanti). Alla competizione coloniale si unirono anche Stati privi di una tradizione imperiale o con una storia unitaria molto recente: la Germania, malgrado l’iniziale scetticismo di Bismarck sull’utilità delle colonie, il Belgio, l’Italia – fra le potenze europee, l’unica assente di rilievo fu l’Austria-Ungheria – e, negli ultimi anni del secolo, anche il Giappone e gli Stati Uniti.
I caratteri del nuovo colonialismo
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Storia, società, cittadinanza Il pregiudizio razziale Storia e Geografia Il canale di Suez Focus Il colonialismo culturale: le missioni • Progresso tecnologico e imperialismo Atlante Gli imperi coloniali nel 1914 Audiosintesi
► Leggi anche: ► Focus Il colonialismo culturale: le missioni • Progresso tecnologico e imperialismo ► Atlante Gli imperi coloniali nel 1914 ► Parole della storia Imperialismo, p. 703 ► Arte e territorio Il fascino per l’esotico nella pittura di Gauguin, p. 717
Le ragioni di questo fenomeno erano numerose e complesse ed erano legate principalmente agli interessi economici. Un ruolo fondamentale ebbero, in questa direzione, la spinta all’accaparramento di materie prime a basso costo e la ricerca di sbocchi commerciali, che erano sempre stati i moventi principali della politica coloniale e che vennero assumendo un nuovo peso in coincidenza con la svolta protezionistica adottata dai paesi europei [►17_1]. Più recente era la spinta proveniente dall’accumulazione di capitali finanziari, alla ricerca di occasioni di investimenti ad alto profitto nei territori d’oltremare. Questi aspetti non devono però essere sopravvalutati: protettorato alla vigilia della prima guerra mondiale (1914-18), la Gran Bretagna indirizzava Con questo termine si indica uno Stato che, pur verso le nuove colonie conquistate dopo il 1870 appena il 3% dei suoi investiconservando l’indipendenza, è posto sotto la protezione menti, la Francia il 9%. Inoltre, anche nell’età dell’imperialismo, gran parte del (e quindi il controllo) di uno Stato più forte, sia negli affari commercio mondiale si svolse tra i paesi industrializzati. Ciò non toglie nulla al internazionali sia in quelli interni. fatto che proprio la prospettiva dei benefici economici ottenibili dalle colonie 702
Interessi economici e motivazioni politico-ideologiche
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
– teorizzati nelle opere di illustri economisti e al centro delle discussioni politiche e dell’opinione pubblica – finì con l’influenzare in modo decisivo le scelte dei governanti europei. Le motivazioni politico-ideologiche ebbero spesso un’importanza pari a quelle economiche. Esse affondavano le loro radici in una mescolanza di nazionalismo e di politica di potenza, di razzismo e di spirito missionario. In Gran Bretagna, per esempio, l’idea di appartenere a una nazione eletta, che il premier conservatore Disraeli chiamava «una razza dominatrice, destinata dalle sue virtù a spargersi per il mondo», fu comune a scrittori come Thomas Carlyle e Rudyard Kipling e a uomini politici anche di estrazione liberale, come Joseph Chamberlain. Questo mito di una vocazione imperiale delle singole nazioni si legò a quello di una missione nel mondo della civiltà europea nel suo complesso. Kipling, per esempio, parlava di un «fardello dell’uomo bianco», ovvero del dovere dei bianchi europei di civilizzare le “popolazioni selvagge” [►FS, 165d]. Così, il paternalismo si univa a un razzismo di matrice positivistica. Spesso l’azione coloniale era determinata anche dall’intento di prevenire e controbattere le iniziative di potenze concorrenti, senza che ciò rispondesse a un piano di conquista prestabilito. Il risultato fu comunque che, alla fine del processo di espansione, il mondo intero risultò spartito in imperi e zone di influenza fra le maggiori potenze.
Il dominio imperialista fine XIX sec. In questa vignetta è disegnato un rappresentante dell’esercito coloniale inglese che schiaccia un militare egiziano. Il disegno, critico
nei confronti della politica colonialista inglese, ritrae la vera essenza della politica imperialista europea: schiacciare le popolazioni autoctone e sottometterle alle proprie volontà.
L’interesse dell’opinione pubblica europea nei confronti delle colonie – già sollecitato dall’opera, per molti versi anticipatrice, dei missionari, da tempo impegnati nell’evangelizzazione dei popoli non cristiani – fu fortemente alimentato dall’eco delle grandi esplorazioni che, a partire dalla metà del secolo, ebbero per teatro soprattutto l’Africa. In questo
Esplorazioni e conquiste
Parole della storia
Imperialismo
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oniato in Francia ai tempi del Secondo Impero in riferimento ai disegni egemonici di Napoleone III, il termine “imperialismo” si affermò in Gran Bretagna alla fine degli anni ’70 per indicare il programma di espansione coloniale del governo Disraeli, per entrare poi nell’uso comune come sinonimo di politica di potenza e di conquista territoriale su scala mondiale. In generale, l’imperialismo rappresentò la tendenza degli Stati europei a proiettare aggressivamente verso l’esterno i propri interessi economici, le proprie esigenze di difesa, la propria immagine nazionale e la propria cultura: la fusione di queste diverse componenti (economiche, politiche, ideologiche) si tradusse in una politica di potenza realizzata con la forza e spesso perseguita senza altro scopo che l’affermazione del prestigio nazionale. Nel tentativo di identificare le forze profonde che
erano alla base di questi sviluppi, molte delle teorie sull’imperialismo avanzate all’inizio del ’900, soprattutto – ma non soltanto – da parte di studiosi marxisti, hanno posto l’accento sui suoi moventi economici (la ricerca di materie prime a buon mercato e di nuovi sbocchi per merci e capitali in eccedenza) e sui suoi legami con le trasformazioni interne del sistema capitalistico (la svolta protezionistica, le concentrazioni industriali, la prevalenza del capitale finanziario), lasciando in secondo piano gli aspetti ideologici e politico-militari. Sia per il liberale progressista John A. Hobson sia per la marxista rivoluzionaria Rosa Luxemburg, per esempio, la causa principale del fenomeno stava nel «sottoconsumo», ossia nel divario fra la capacità sempre crescente del sistema capitalistico di produrre merci e la possibilità di acquistarle da parte di un numero di consumatori che non cresceva allo stesso ritmo: donde la necessità di trovare sbocchi nei mercati esteri. Per Lenin, il massimo esponente della rivoluzione comunista del
1917 in Russia, l’imperialismo era legato alla concentrazione industriale e alla formazione del capitale finanziario e costituiva la «fase suprema» dello sviluppo capitalistico (quella che l’avrebbe condotto alla catastrofe). Le varie teorie divergono non solo sugli elementi caratterizzanti dell’imperialismo, ma anche sui suoi termini cronologici. Secondo molti studiosi il fenomeno va collocato fra gli anni ’70 dell’800 e la prima guerra mondiale. Altri ne spostano in avanti la data finale, comprendendovi la seconda guerra mondiale, o, come alcuni marxisti, lo considerano tuttora operante. In sede storica, si può comunque affermare che, se da un lato è scorretto identificare l’imperialismo col colonialismo (iniziato, fra l’altro, alcuni secoli prima), dall’altro non sarebbe utile dilatare fino ai giorni nostri l’estensione del concetto, staccandolo dal contesto in cui nacque e si affermò: che è appunto quello della grande espansione delle potenze europee tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo.
703
C20 Gli imperi coloniali
L’esploratore Pietro Savorgnan di Brazzà riceve una delegazione del re congolese Makoko 1882 Questa illustrazione, tratta da «L’Illustration» dell’8 luglio 1882, fa parte della ricca produzione di testi e immagini che fiorì durante il periodo coloniale. Le incisioni e le fotografie che accompagnavano questi testi erano fortemente stereotipate: ricorrenti, infatti, sono le scene in cui l’indigeno nudo è ritratto in atteggiamento di omaggio e devozione di fronte all’uomo bianco.
interesse confluivano la prospettiva di grandi ricchezze nascoste nei territori da esplorare, la curiosità scientifico-geografica tipica della cultura del positivismo, la moda dell’esotismo presente in molta letteratura della seconda metà dell’800, l’alone romantico da cui erano circondate – grazie anche all’amplificazione che la stampa faceva delle loro imprese – le figure dei grandi esploratori: il missionario scozzese David Livingstone che, già all’inizio degli anni ’50, esplorò per primo la zona del METODO DI STUDIO fiume Zambesi, nel cuore dell’Africa meridionale, e, nei vent’anni successivi, attra a Cerchia i nomi delle potenze che parteciparoversò tutta l’Africa centro-meridionale, da un oceano all’altro; il giornalista americano alla competizione coloniale e spiega quali motivazioni determinarono la stagione del colonialismo no di origine britannica Henry Morton Stanley che negli anni ’70 esplorò, per incainaugurata nel tardo ’800. rico del re del Belgio, il bacino del fiume Congo e pose le basi per la successiva b Sottolinea con colori diversi le caratteristiche conquista belga della regione, di cui divenne governatore; l’italo-francese Pietro della colonizzazione tradizionale e della colonizzaSavorgnan di Brazzà che, nel decennio successivo, aprì la strada alla penetrazione zione di fine ’800. c Spiega qual era, per Kipling, il «fardello delfrancese in Africa equatoriale; il tedesco Karl Peters che, nello stesso periodo, l’uomo bianco». esplorò l’Africa orientale per conto del governo tedesco. LE CAUSE DELL’IMPERIALISMO
IMPERIALISMO
Fattori economici
Sviluppo industriale
Politiche protezioniste
Portarono alla ricerca di
704
Materie prime
Sbocchi commerciali
Fattori culturali
Fattori politico-ideologici
Occasioni di investimento
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
Nazionalismo
Razzismo
Esplorazioni
Politica di potenza
Missione civilizzatrice dei bianchi
Fascino per l’esotico
Missioni evangelizzatrici
20_2 LA CONQUISTA DELL’AFRICA
► Leggi anche:
Gli sviluppi più spettacolari dell’espansione coloniale di fine ’800 si ebbero nel continente africano. Nel 1870 i paesi europei ne controllavano appena un decimo: i francesi occupavano l’Algeria e il Senegal, i portoghesi l’Angola e il Mozambico, i britannici la Colonia del Capo, ossia la parte meridionale dell’odierna Repubblica Sudafricana. Meno di quarant’anni dopo, i possedimenti europei comprendevano più dei nove decimi del continente. Contestualmente all’espansione coloniale europea, si assistette, nella seconda metà dell’800, a un rilancio dell’attività missionaria, soprattutto nelle zone di nuova colonizzazione come l’Africa centrale e meridionale. La Chiesa cattolica strinse accordi con diversi paesi europei, come Francia, Belgio e Italia, per partecipare con personale missionario alle rispettive avventure coloniali.
Colonizzatori e missionari
► Storia e Geografia Il canale di Suez ► Focus Il colonialismo culturale: le missioni • Progresso tecnologico e imperialismo ► Atlante Gli imperi coloniali nel 1914
I primi atti della nuova espansione, che contribuirono in buona parte a innescare la gara di conquista che ne seguì, furono l’occupazione francese della Tunisia, nel 1881, e l’anno successivo quella britannica dell’Egitto. In entrambi i paesi, nominalmente appartenenti ancora all’Impero ottomano, ma di fatto resi indipendenti dai rispettivi governanti (il bey di Tunisi e il khedivè d’Egitto), le potenze europee avevano consistenti interessi economici e strategici. La Tunisia era rivendicata dalla Francia, già padrona della vicina Algeria, nonostante la presenza di consistenti interessi italiani. L’Egitto aveva acquistato un’importanza fondamentale per la Gran Bretagna dopo che, nel 1869, era stato aperto il Canale di Suez tra il Mediterraneo e il Mar Rosso, che permetteva di raggiungere rapidamente l’Asia, e i possedimenti britannici in India, senza dover più circumnavigare l’intero continente africano. Negli anni ’70 sia l’Egitto sia la Tunisia si erano lanciati in ambiziosi programmi di modernizzazione che però avevano finito per provocare il dissesto delle finanze dei due paesi costringendo i governi, tra le proteste popolari, ad aumentare la pressione fiscale per far fronte ai debiti contratti con le banche europee. Proprio per tutelarsi contro il rischio di una bancarotta, Francia e Gran Bretagna, principali paesi
L’Africa settentrionale: Tunisia ed Egitto
Albert Rieger, Il Canale di Suez 1864 [Civico Museo Revoltella, Trieste] Il primo scavo di un canale di collegamento tra il Mediterraneo e il Mar Rosso si fa risalire al 1800 a.C.; in epoca romana lo scavo fu migliorato e prese il nome di “Canale di Traiano”, poi fu abbandonato all’incuria, causa del successivo interramento. Esistono progetti per il taglio di un canale attraverso l’istmo di Suez a opera dei veneziani nel ’400 e dei francesi nei secoli successivi, ma nessuno conobbe esiti concreti. Finalmente aperto nel 1869, il Canale di Suez fu inaugurato al cospetto dell’imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III, e all’ombra delle piramidi si svolse una fastosa rappresentazione dell’Aida di Giuseppe Verdi.
705
C20 Gli imperi coloniali
creditori, scelsero la strada dell’intervento militare. La prima a muoversi fu la Francia che, avendo avuto mano libera dalle altre grandi potenze nel congresso di Berlino del 1878 [►18_4], trasse pretesto da un incidente avvenuto nel 1881 alla frontiera con l’Algeria per inviare un contingente militare a Tunisi e imporre al bey un regime di protettorato. Gli avvenimenti tunisini ebbero immediate ripercussioni in Egitto, dove la nascita di un forte movimento nazionalista, guidato dal colonnello Arabi Pascià, sembrò mettere in pericolo non solo il recupero dei crediti esteri, ma anche il controllo internazionale sul Canale di Suez. Nell’estate 1882, in seguito allo scoppio di moti anti-europei ad Alessandria, il governo britannico inviò in Egitto un corpo di spedizione che sconfisse gli egiziani e assunse il controllo del paese. Da allora l’Egitto, pur conservando la sua indipendenza formale, divenne di fatto una sorta di colonia britannica. Ben presto la Gran Bretagna si trovò impegnata nel Sudan, un vastissimo territorio sotto il controllo egiziano, dove era scoppiata una rivolta capeggiata dal Mahdi (profeta) Mohammed Ahmed, un carismatico leader islamico, fautore di una teocrazia musulmana che mirava ad allargare a tutto il mondo arabo. Il Mahdi lanciò le truppe sudanesi in una guerra santa contro le forze anglo-egiziane sconfiggendole a più riprese, conquistando la città di Khartum nel 1885 e fondando un proprio Stato che i britannici sarebbero riusciti a rovesciare solo nel 1898.
Il Sudan
L’azione unilaterale del‑ la Gran Bretagna in Egitto provocò il risentimento della Francia, suscitando tra le due potenze una rivalità destinata a durare per quasi un ventennio, e contribuì a scatenare la corsa alla conquista dell’Africa nera. I primi contrasti tra i conquistatori europei si delinearono nel bacino del Congo. Qui re Leopoldo II del Belgio, dietro la copertura di una Associazione internazionale africana fondata nel 1876 con scopi apparentemente umanitari (evangelizzazione e lotta contro la tratta degli schiavi), si era costruito una sorta di impero personale. Dopo la scoperta di importanti giacimenti minerari nella regione del Katanga, il sovrano belga cercò di consolidare il suo dominio attraverso uno sbocco sull’Atlantico, ma suscitò l’opposizione del Portogallo, che rivendicava la foce del Congo per la contiguità con la sua antica colonia dell’Angola.
▼ Una
donna congolese inizio XX sec.
La conquista belga del Congo
La questione del Con‑ go fu oggetto di una conferenza internazionale convocata a Berlino, per iniziativa di Bismar‑ ck, nel 1884-85. Questa conferenza, oltre a dare una prima sanzione alla spartizione dell’Africa, codificò le norme che avrebbero dovuto regolarla anche nell’avvenire. Il principio adottato fu quello dell’effettiva occupazione, ufficialmente notificata agli altri Stati, come unico 706
La conferenza di Berlino e la spartizione dell’Africa
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
▲ Vignetta
satirica inglese, Sua maestà Leopoldo, re del Congo, nel costume nazionale 1908 Vignette satiriche e fotografie testimoniano l’atroce pratica di recidere gli arti in uso nello Stato indipendente del Congo. Le donne subivano amputazioni (mano, naso, orecchio) nel caso i loro uomini non fossero tornati
o ritardassero il rientro dalla raccolta della gomma. Stime approssimative sulle perdite umane dovute ai sistemi di sfruttamento in Congo all’epoca di Leopoldo II oscillano fra i 3 e i 10 milioni di morti.
titolo valido per legittimare il possesso di un territorio. 43_L’AFRICA DEL SUD NEL 1899 Questo principio, in realtà, lasciava larghi margini di incertezza – allora le occupazioni “effettive” si limitavano spesso a pochi scali commerciali posti nelle zone costiere – e stimolò anche un’accelerazione della corsa all’occupazione di territori ritenuti di qualche interesse economico o strategico. In concreto, la conferenza di Berlino riconobbe la sovranità personale di re Leopoldo sull’immenso territorio che poi sarebbe stato denominato Congo belga (dopo l’indipendenza Zaire e nel 1996 Repubblica democratica del Congo), ma che allora venne chiamato Stato libero del Congo – un paradossale eufemismo per indicare quella che fu, per il trattamento delle popolazioni e lo sfruttamento delle risorse, una delle forme più rapaci e disumane di dominio coloniale –, e gli assegnò un piccolo sbocco sull’Atlantico. Alla Francia Transvaal andarono i territori sulla riva destra del fiume (l’attuale Stato libero dell’Orange Repubblica del Congo). In Africa occidentale, la Rhodesia Transvaal Colonia del Capo, Germania, ultima arrivata nella corsa alle colonie, si vide Transvaal Basutoland e Beciuania Stato libero dell’Orange riconosciuto il protettorato sul Togo e sul Camerun. La (colonie britanniche) Stato libero dell’Orange Rhodesia Gran Bretagna ebbe il controllo del basso Niger (l’attuaRhodesia Colonia del Capo, le Nigeria), mentre la Francia si assicurò il possesso Colonia del Capo, Basutoland e Beciuania Beciuania dell’alto corso del fiume. Partendo da questa regione, in Basutoland e (colonie britanniche) (colonie britanniche) dieci anni di sanguinose guerre di conquista contro gli Stati musulmani del Sahara, i francesi riuscirono ad assicurarsi il possesso di territori immensi, anche se in gran parte desertici, che si estendevano dall’Atlantico al Sudan, dal bacino del Congo al Mediterraneo. La Gran Bretagna non si oppose alle conquiste francesi, che considerava di scarso interesse, e concentrò invece le sue mire sull’Africa sud-orientale, importante per il controllo dell’Oceano Indiano – e dunque per la sicurezza dei traffici con l’India. Fra il 1885 e il 1895, partendo dalla Colonia del Capo e muovendosi per lo più in appoggio alle iniziative delle grandi compagnie private, i britannici risalirono il continente fino al bacino dello Zambesi e al lago Niassa, mentre più a nord si impadronivano del Kenya e dell’Uganda, ossia dei territori compresi fra le sorgenti del Nilo, il lago Vittoria e l’Oceano Indiano. La tendenza era quella di saldare i possedimenti britannici a sud dell’equatore con quelli della regione del Nilo, assicurandosi un dominio ininterrotto dall’estremità meridionale a quella settentrionale del continente. Questo disegno, però, si scontrava con la presenza della Germania che dal 1885 si era assicurata il controllo dell’area a est del lago Tanganika e a sud del lago Vittoria. Il contrasto fu regolato da un accordo nel 1890: la Gran Bretagna riconobbe l’Africa orientale tedesca, rinunciando al sogno del dominio «dal Capo al Cairo», ricevendo in compenso l’isola di Zanzibar, nodo importantissimo delle rotte commerciali nell’Oceano Indiano, e ottenendo di tener lontana la Germania dalla regione dell’alto Nilo, considerata essenziale per il controllo dell’Egitto.
Le linee direttrici dell’espansione britannica
Proprio in questa regione i britannici si trovarono in rotta di collisione con i francesi che, nella loro marcia dalla costa atlantica verso l’interno dell’Africa, si erano spinti fino al Sudan. Nel settembre del 1898 un contingente dell’esercito britannico, allora impegnato nella riconquista del Sudan, si incontrò con una colonna francese che aveva occupato la fortezza di Fashoda sul Nilo. L’incontro rischiò di trasformarsi in un conflitto dalle conseguenze imprevedibili. Ma il governo francese, che non era preparato a una guerra, ritirò le sue truppe e rinunciò alle sue mire sulla regione. Ne seguì una distensione nei rapporti franco-britannici, che avrebbe poi aperto la strada a una più stretta intesa fra le due potenze.
Tensioni tra Francia e Gran Bretagna
707
C20 Gli imperi coloniali
RO O DE RI O
44_L’AFRICA NEL 1914
AFRICA
OCCID
Fra il 1884 e il 1914 Timbuktu Algeri
MADEIRA (Port.)
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NIGERIA
OCEANO ATLANTICO
SOMALIA FR. ETIOPIA
Fashoda
SOMALIA BR.
Addis Abeba CAMERUN
Cong o
RIO MUNI AFRICA EQUAT. FRANCESE
AFRICA ORIENTALE BRITANNICA
CONGO BELGA
AFRICA ORIENTALE TEDESCA
Léopoldville
ZANZIBAR (Br.)
Luanda
NIA
Città del Capo
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A E RIC AL AF ENT A CID SC OC TEDE
WALVIS BAY
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RHODESIA
COMORE (Fr.)
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Bamako
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GAMBIA
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Khartum
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OCCIDE
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Nilo
AFRICA
SWAZILAND N E NA O A I C ND UN FRI Durban LA A TO D U S SU BA
L’AFRICA NEL 1914 possedimenti coloniali britannici francesi portoghesi spagnoli tedeschi italiani belgi Impero ottomano
L’AFRICA NEL 1914
All’inizio del ’900 la spartizione dell’Africa era pressoché completa. Oltre alla piccola Repubblica di Liberia (fondata nel 1822 da ex schiavi neri degli Stati Uniti), restavano indipendenti solo l’ImL’AFRICA NEL 1914 pero etiopico possedimenti coloniali e, ancora per non molto, la Libia (sotto il dobritannici METODO DI STUDIO minio ottomano), il Marocco e le Repubbliche boere del francesi a Descrivi il continente maggiormente interessato dal nuovo colonialiSuddafrica. portoghesi Tutto il resto del continente era diviso in colosmo di fine ’800 e le modalità della colonizzazione facendo degli esempi niespagnoli e in protettorati di nome o di fatto, separati da confini concreti. tedeschi b Sottolinea gli esiti della conferenza di Berlino del 1884-85. spesso italiani arbitrari, tracciati sulla carta geografica – a volte in c Evidenzia le informazioni principali che riguardano i domìni europei in Afribelgi corrispondenza di meridiani e paralleli – senza tenere alca all’inizio del 1900. Impero ottomano cun conto delle divisioni tribali e delle preesistenti realtà etnico-linguistiche. 708
T
CANARIE (Sp.)
si definì la spartizione coloniale dell’Africa. Le GAMBIA più importanti modifiche Bamako PORT. seguiteGUINEA alla prima guerra mondiale furono la suddivisione SIERRAdei LEONE possedimenti tedeschi COSTA fra Gran Bretagna e D’ORO LIBERIA Francia e, dopo la guerra del 1935-36, il passaggio dell’Etiopia sotto il dominio italiano. Nel 1912 il Marocco diventa protettorato francese.
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
20_3 LE GUERRE BOERE
In Africa australe (o meridionale) l’imperialismo della Gran Bretagna si scontrò con un nazionalismo locale anch’esso di origine europea, quello boero, scatenando un inedito conflitto coloniale tra due popoli bianchi e cristiani. I boeri erano i discendenti degli agricoltori olandesi che nel ’600 avevano colonizzato la regione del Capo di Buona Speranza – che fu denominata Colonia del Capo –, ai quali si erano aggiunti immigrati ugonotti francesi, ed erano caduti sotto la sovranità della Gran Bretagna quando questa aveva ottenuto la colonia al tempo delle guerre napoleoniche. Per sfuggire alla sottomissione, molti di loro avevano dato vita a un massiccio esodo verso nord – il cosiddetto Grande Trek, ossia “grande marcia” –, dove avevano fondato le due Repubbliche dell’Orange (1845) e del Transvaal (1852). Alla fine degli anni ’60 la scoperta di importanti giacimenti di diamanti nel Transvaal risvegliò l’interesse della Gran Bretagna, che lasciò mano libera alla politica aggressiva della classe dirigente della Colonia del Capo, minacciata dalla crescita economica delle due repubbliche.
Le Repubbliche boere
Se nella prima guerra boera (1880-81) i britannici vennero sconfitti e il Transvaal riuscì a mantenere una propria autonomia, nel periodo successivo la politica britannica si fece più aggressiva. Protagonista e promotore principale se ne fece Cecil Rhodes, politico e uomo d’affari, presidente e padrone della British South Africa Company, primo ministro della Colonia del Capo fra il 1890 e il 1898. Rhodes mise una colossale fortuna personale, accumulata con il quasi-monopolio della produzione diamantifera, al servizio di un disegno imperiale: sua fu l’idea di estendere la sovranità britannica «dal Capo al Cairo». Proprio grazie alla sua frenetica attività, la Gran Bretagna poté espandere i suoi domìni in buona parte dell’Africa meridionale, fino alla zona dello Zambesi – che appunto da Rhodes avrebbe avuto il nome di Rhodesia –, circondando completamente le due Repubbliche boere. Un ulteriore elemento di tensione fu costituito dalla scoperta, nel 188586, di nuovi giacimenti auriferi nell’Orange e nel Transvaal, che attirò nelle due repubbliche un gran numero di immigrati (uitlanders), soprattutto di origine britannica. In questo afflusso di forestieri i boeri videro l’inizio di un processo che minacciava di stravolgere il carattere patriarcale e contadino della loro società: una società che coltivava il mito della propria indipendenza e superiorità, che si ispirava a un calvinismo rigidamente conservatore e si fondava sull’imposizione agli indigeni di un regime di semischiavitù, avversato invece dai britannici. Gli uitlanders furono duramente discriminati e Rhodes ne appoggiò la protesta.
Il progetto imperialista della Gran Bretagna
Frank Arthur Nankivell, La religione dei boeri [illustrazione della copertina della rivista «Puck», 7 febbraio 1900] L’immagine sintetizza il carattere del popolo boero: un uomo, seduto su una roccia, tiene in grembo un fucile e in mano una Bibbia; di fronte a lui un bambino con un fucile giocattolo; in fondo, piccola e quasi nascosta, una donna (probabilmente moglie e madre dei due in primo piano). La didascalia della vignetta riporta il dialogo fra il padre e il figlio. Quest’ultimo chiede: «Padre, se stessi portando la Bibbia in una mano e il fucile nell’altra e il nemico si stesse avvicinando, quale dovrei far cadere per primo?»; la risposta del padre è eloquente: «Il nemico, figlio mio!».
La tensione crebbe ulteriormente finché, nell’ottobre del 1899, il presidente del Transvaal, Paul Krüger, dichiarò guerra alla Gran Bretagna. La seconda guerra boera fu lunga e sanguinosa. I boeri combatterono con grande tenacia, riportando all’inizio notevoli successi e suscitando un’ondata di simpatie nell’opinione pubblica europea, soprattutto in quella tedesca. Anche dopo la sconfitta – che si consumò nel maggio 1902 e fu seguita dall’annessione del Transvaal e dell’Orange all’Impero britannico – i boeri condussero un’accanita lotta di resistenza che durò vari anni e fu piegata dai britannici solo con una serie di spietate azioni antiguerriglia. In seguito
La sconfitta dei boeri
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C20 Gli imperi coloniali
John S. Pugh, La rana che cercò di essere grande quanto un toro 1900 [Library of Congress, Washington] La vignetta satirica commenta il conflitto anglo-boero, richiamandosi alla fiaba di Esopo che vede come protagonista una rana, la quale, nel tentativo di assomigliare a un toro, si gonfia così tanto da scoppiare. Nei pressi di uno stagno, il presidente della Repubblica del Transvaal, Paul Krüger, interpreta il ruolo della rana, con la tipica barba boera e la cartucciera a tracolla. Nei pressi, appena nascosto dalle canne, il toro britannico, con il volto di Joseph Chamberlain (all’epoca segretario di Stato per le colonie) e il tipico casco coloniale britannico, sta a guardare con aria pensierosa.
l’Orange e il Transvaal ottennero uno statuto di autonomia simile a quello della Colonia del Capo, alla quale vennero uniti nel 1910, dando vita all’Unione sud‑ africana. Britannici e boeri avrebbero poi trovato un terreno concreto di collaborazione nello sfruttamento delle immense risorse del paese e nella politica di dura segregazione praticata ai danni della popolazione nera.
METODO DI STUDIO
a Evidenzia nel paragrafo la risposta alla seguente domanda: Chi erano i boeri? b Sottolinea con colori diversi le cause e gli esiti del conflitto anglo-boero. c Spiega chi era Cecil Rhodes e in che cosa consisteva il suo disegno imperiale.
20_4 LA CONQUISTA DELL’ASIA
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A differenza di quanto accadeva in Africa, agli inizi dell’età dell’imperialismo La presenza gli europei avevano già messo radici profonde nel continente asiatico. I britaneuropea in Asia nici, oltre all’India, possedevano Ceylon (attuale Sri Lanka), Hong Kong, Singapore e numerose basi nell’Oceano Indiano e nel Sud-Est asiatico. Gli olandesi dominavano l’arcipelago indonesiano. I portoghesi controllavano Macao in Cina, Goa in India e una parte
15_I POSSEDIMENTI COLONIALI DELLE POTENZE EUROPEE IN AFRICA E ASIA ALLA FINE DELL’800
Africa
Asia India, Ceylon, Hong Kong, Singapore, Birmania, isole del Pacifico (Fiji, Marianne e Salomone) e Nuova Guinea (spartita con la Germania)
Francia
Tunisia, Algeria, Congo francese, regione del Sahara
Indocina, Laos
Belgio
Congo belga
/
Portogallo
Angola, Mozambico e Guinea portoghese
Macao, Goa e isola di Timor
Germania
Togo, Camerun, Africa occidentale e Africa orientale tedesca
Nuova Guinea (spartita con la Gran Bretagna)
Olanda
/
Indonesia
Italia
Eritrea
/
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Gran Bretagna Sudan, Niger, Colonia del Capo (dal 1910 nell’Unione sudafricana con le ex Repubbliche boere), Kenia, Uganda, Zanzibar
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
► Storia e Geografia Il canale di Suez
BENGAL Ahmedabad Baroda
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Chandernagor (fr.)
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Surat A Nagpur dell’isola di Timor. La Spagna possedeva le Filippine (che passarono SS Diu agli Stati Uniti nel 1898: RI O (port.) ►19_3). La Russia aveva avviato da oltre un secolo la sua espansione verso la˜oSiberia e l’Asia cenDama odavavasto trale. La Francia, ultima a giungere sul continente, aveva gettato negli anni ’50 le basi diGun Bombay ri dominio nella penisola indocinese. A dare nuovo impulso alla corsa verso oriente contribuì H Y potenDERABAD Vijagapatnam (NIZAM) temente l’inaugurazione del Canale di Suez, avvenuta nel novembre 1869 dopo dieci anni di lavori: Hyderabad MARE Yanaon (fr.) questo canale artificiale, che tagliò l’istmo di Suez, mise in comunicazione il Mediterraneo con Kistna il ARABICO Goa Mar Rosso, abbreviando di parecchie settimane i collegamenti marittimi fra (port.) l’Europa e l’Asia. La COSTA DEL Penn er nuova via d’acqua, gestita da una compagnia internazionale controllata da Francia e Gran Nellore Bretagna, sanzionava e simboleggiava la supremazia tecnica e commerciale dell’Europa e ne faci- COROMANDEL MYSORE Mangalore Couv Madras ery Arcot litava l’espansione verso il continente asiatico. COSTA DEL Pondichéry (fr.)
CA
RN
Calicut che Fort St. David MALABAR L’India fu a lungo amministrata dalla Compagnia delle Indie orientali, Tranquebar Tiruchirapalli L’India britannica agiva come un rappresentante del governo britannico. A metà ’800 il territo- Karikal (fr.) Cochin Madura rio controllato era vastissimo – si estendeva su buona parte dell’area oggi occupata da India, TRAVANCORE Trincomali Pakistan e Bangladesh – e, con una popolazione in continua crescita (130 milioni nel 1845, oltre 200 CAPO COMORIN CEYLON Colombo OCEANO INDIANO
45_L’INDIA BRITANNICA A METÀ ’800
Kabul
possedimenti britannici nel 1805 conquiste dal 1805 al 1858 Stati dipendenti dalla Gran Bretagna area della rivolta dei sepoys (1857-58)
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possedimenti britannici nel 1805 conquiste dal 1805 al 1858 Stati dipendenti dalla Gran Bretagna
GOLFO DEL BENGALA
Calcutta
GOLFO D
nel 1881), offriva ampi sbocchi di mercato per i manufatti provenienti dalla Gran Bretagna, verso la quale venivano invece esportati grandi quantità di tè e di cotone. Cent’anni di dominazione britannica non avevano mutato di molto i caratteri della società indiana. L’effetto principale della presenza britannica era stato quello di distruggere, con l’importazione di tessuti dal Regno Unito, l’industria cotoniera locale, abbastanza estesa anche se a livello artigianale. Il potere statale, formalmente ancora rappresentato dall’antico Impero Moghul, era carente o addirittura assente: il senso dell’appartenenza alla casta o alla comunità locale prevaleva su qualsiasi legame con l’autorità centrale. I colonizzatori britannici si erano appoggiati sulle gerarchie sociali preesistenti – i signori locali, i sacerdoti induisti (brahmini) – per assicurare il mantenimento dell’ordine e la riscossione delle imposte. I loro tentativi di avviare un prudente processo di modernizzazione, diffondendo la cultura occidentale e combattendo alcune delle pratiche più crudeli della tradizione induista – come l’usanza di bruciare le vedove insieme con i cadaveri dei mariti –, provocarono reazioni di stampo tradizionalistico-religioso. La più importante fu la cosiddetta rivolta dei Sepoys, scatenata nel 1857 da un ammutinamento dei reparti indigeni dell’esercito (chiamati appunto Sepoys). Questa rivolta, che richiese una lunga e sanguinosa repressione, indusse il governo britannico a riorganizzare la propria presenza in India. Nel 1858 la Compagnia delle Indie fu soppressa e il paese passò sotto la diretta amministrazione della Corona, rappresentata da un viceré. L’esercito e la burocrazia vennero ristrutturati: furono promossi gli elementi indigeni e i notabili fedeli al Regno Unito, affiancandoli a elementi britannici. La costruzione di nuove ferrovie consentì non solo un incremento degli scambi, ma anche un più stretto controllo militare su tutto il territorio indiano [►FS, 170]. Nel 1876, a coronamento di quest’opera di riorganizzazione, la regina Vittoria fu proclamata imperatrice delle Indie. Negli anni ’50 i francesi, spinti dalla concorrenza con i britannici, cominciarono ad avanzare in Indocina. La penisola indocinese, abitata da popolazioni di religione buddista, era divisa in una serie di regni dipendenti dall’Impero cinese: i più importanti erano quello dell’Annam (oggi Vietnam), quello del Siam (oggi Thailandia) e quello della Cambogia. All’inizio i francesi si limitarono a costruire qualche stazione commerciale accanto alle numerose missioni cattoliche già da tempo presenti nella regione. Furono proprio le persecuzioni contro i missionari a fornire alla Francia il pretesto per un intervento militare: nel 1862 venne occupata la Cocincina, ossia la parte meridionale del Regno dell’Annam e, l’anno dopo, fu imposto il protettorato alla Cambogia. Una seconda fase dell’espansione francese in Indocina si aprì all’inizio degli anni ’80. Dopo una guerra con la Cina (1883-85), la Francia riuscì a estendere il suo protettorato a tutto l’Annam. Dal canto suo la Gran Bretagna, per evitare che i possedimenti francesi giungessero a ridosso dell’India, tra il 1885 e il 1887 procedette all’occupazione del Regno di Birmania. La Francia rispose, nel 1893, assicurandosi il controllo del Laos. Quanto al Siam, Gran Bretagna e Francia si accordarono per mantenerlo indipendente come Stato-cuscinetto.
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La Francia in Indocina
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
La regina Vittoria e un principe indiano [National Portrait Gallery, Londra] Il dipinto raffigura la regina Vittoria che regala una Bibbia a un principe indiano durante un’udienza al Palazzo di Windsor. L’imperialismo non fu solo un fenomeno economico e politico ma anche culturale: tutta la civiltà europea cercava di diffondere nelle colonie le proprie tradizioni e valori.
Intanto l’Impero russo seguiva in Asia due direttrici di espansione: la prima verso la Siberia e l’Estremo Oriente, la seconda verso l’Asia centrale. La colonizzazione della Siberia, che ebbe un decisivo impulso già a partire dagli anni ’30, fu realizzata soprattutto sotto la spinta e il controllo dell’autorità statale, contrariamente a quanto avveniva negli Stati Uniti, dove l’espansione verso ovest era dovuta alla libera iniziativa individuale. I risultati furono comunque notevoli: nella prima metà dell’800 la Siberia vide più che raddoppiata la sua popolazione e notevolmente incrementate le attività produttive e commerciali. La Russia cercò anche di consolidare le proprie posizioni strategiche verso la Cina e il Pacifico: nel 1860 impose alla Cina la cessione di due distretti – Ussuri e Amur – e avviò la costruzione del porto di Vladivostok sul Mar dell’Est o Mar del Giappone. Il governo zarista ritenne invece opportuno rinunciare all’Alaska, dove fin dal 1799 operava una compagnia privata russa: il territorio, il cui controllo fu giudicato troppo costoso dal punto di vista economico e militare, venne venduto agli Stati Uniti nel 1867 per 7 milioni di dollari. Nel 1891, quasi a sancire il completamento di uno sterminato impero che si estendeva senza soluzione di continuità dal Baltico al Pacifico, fu avviata la costruzione della ferrovia Transiberiana, la più lunga del mondo che, una volta completata nel 1904, collegò Mosca a Vladivostok con un percorso di oltre 9 mila km. In Asia centrale l’Impero zarista riuscì a incamerare, fra 1876 e 1885, l’intera regione del Turchestan: una zona importante in quanto forte produttrice di cotone, ma pericolosamente vicina alle frontiere dell’India. Proprio in questa area, tra Turchestan, Afghanistan e Pakistan, Russia METODO DI STUDIO e Gran Bretagna si fronteggiarono a lungo fino a quando, nel 1885, giunsero a a Sottolinea per ogni sottoparagrafo l’informaun accordo per definire le frontiere tra il Turchestan e il Regno dell’Afghanistan, zione o l’evento che ritieni maggiormente significatiche restò indipendente, ma sotto l’influenza britannica. vo e argomenta la tua scelta per iscritto facendo riferimento al contesto storico descritto. Mentre si compiva la spartizione dell’Asia, anche gli arcipelaghi del Pacifico ven b Descrivi per iscritto i seguenti temi nel contenero inglobati negli imperi coloniali, soprattutto in quelli britannico e tedesco. sto storico della colonizzazione della seconda metà La Gran Bretagna, che già dominava su Australia e Nuova Zelanda, occupò le isole dell’800: a. il Canale di Suez come nodo strategico; b. il commercio tra inglesi e indiani; c. la politica Fiji, le Salomone e le Marianne, mentre la Nuova Guinea fu divisa fra tedeschi e della Francia nell’Asia sud-orientale; d. le direttrici britannici. Inoltre alla colonizzazione nell’area del Pacifico parteciparono anche dell’espansione russa in Asia. gli Stati Uniti e il Giappone.
La colonizzazione russa e la spartizione degli arcipelaghi del Pacifico
Detenuti russi a lavoro lungo la Transiberiana [Library of Congress, Washington] La costruzione della linea ferroviaria Transiberiana vanta numerosi record: oltre a essere la più lunga del mondo, è forse quella costruita nel tempo più breve (in media venivano posati 740 km di rotaie all’anno). La forzalavoro impiegata arrivò a contare circa 90 mila uomini, molti dei quali reclutati fra i condannati ai lavori forzati.
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C20 Gli imperi coloniali
20_5 GLI EUROPEI IN CINA
Dall’inizio dell’800 l’Impero cinese era rimasto pressoché inaccessibile ai viaggiatori e ai commercianti occidentali. Non aveva neanche relazioni diplomatiche con l’esterno, in omaggio all’idea che l’imperatore fosse l’unica fonte di potere sulla Terra e che gli altri sovrani potessero avere con lui solo rapporti di vassallaggio. Agli stranieri era consentito di operare solo nel porto di Canton, nella Cina meridionale. Questo orgoglioso isolamento mascherava in realtà una profonda debolezza. Da tempo ormai la società cinese, irrigidita e chiusa in sé stessa, aveva perso quel primato scientifico e tecnologico di cui aveva goduto fino al ’700. Il ceto burocratico dei mandarini [►5_4], profondamente tradizionalista e legato alla propria formazione filosofico-letteraria, ostacolava ogni mutamento nelle tecniche produttive e nei sistemi di governo. Il risultato fu che, al primo traumatico scontro con l’Occidente, la Cina imperiale entrò in una crisi irreversibile.
L’isolamento cinese
Occasione dello scontro fu il contrasto scoppiato alla fine degli anni ’30 fra il governo imperiale e la Gran Bretagna a proposito del commercio dell’oppio. La droga, prodotta in grandi quantità nelle piantagioni indiane, veniva esportata clandestinamente in Cina, dove il suo consumo era largamente diffuso, benché ufficialmente proibito da oltre un secolo. Era nata così un’acuta tensione tra la Cina e la Gran Bretagna, la principale responsabile e beneficiaria del traffico. Quando, nel 1839, un funzionario cinese fece sequestrare il carico di tutte le navi straniere nel porto di Canton, il governo britannico decise di intervenire militarmente. Dopo una guerra durata più di due anni, i britannici ebbero partita vinta, conquistando tutti gli accessi agli estuari dei grandi fiumi e dei porti cinesi. Con il trattato di Nanchino del 1842, la Cina dovette cedere alla Gran Bretagna la città di Hong Kong, situata su un’isola prospiciente il porto di Canton, e aprire al commercio straniero altri quattro porti, fra cui Shanghai. Questa prima guerra dell’oppio, mettendo a nudo la debolezza militare della Cina e aprendola alla penetrazione commerciale europea, ebbe il duplice effetto di sconvolgere gli equilibri sociali su cui si reggeva l’Impero e di far convergere su di esso le mire espansionistiche di altre potenze.
Le guerre dell’oppio
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Il porto internazionale di Canton 1850 [Aabenraa Museum, Aabenraa (Danimarca)] Il dipinto mostra una veduta dell’area portuale di Canton, l’attuale città cinese di Guangzhou, tra il 1850 e il 1860. Le bandiere che sventolano sugli edifici (istituti commerciali) sono quelle delle nazioni che intrattengono rapporti commerciali con il paese: da sinistra, la bandiera di Amburgo e poi quelle degli Stati Uniti, della Francia, della Gran Bretagna e della Danimarca. Tra le imbarcazioni cinesi e occidentali si nota anche una nave a vapore battente bandiera britannica.
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
La distruzione dell’oppio nel 1839 XIX sec. [Museum of Art, Hong Kong] Nel maggio 1839 il commissario Lin, su ordine del governo cinese, fa distruggere 1300 tonnellate di oppio per un valore di circa 3 milioni di sterline. Le operazioni di smaltimento richiedono 23 giorni e il lavoro di 500 operai che frantumano nelle trincee le balle di oppio, sciogliendole nell’acqua posta nelle buche.
Così, nel decennio 1850-60, la Cina si trovò ad affrontare contemporaneamente una gravissima crisi interna – culminata nella lunga e sanguinosissima ribellione contadina nota come rivolta dei Taiping – e un nuovo sfortunato scontro con la Gran Bretagna, coadiuvata questa volta dalla Francia. Il conflitto, chiamato impropriamente seconda guerra dell’oppio, cominMETODO DI STUDIO ciò nel 1856 in seguito all’attacco a una nave britannica nel porto di Canton a Descrivi le caratteristiche dell’isolamento cinese. e si concluse quattro anni dopo con una nuova capitolazione della Cina, b Spiega per iscritto perché le guerre anglo-cinesi furocostretta ad aprire al commercio straniero anche le vie fluviali interne e a no definite «dell’oppio», quali ne furono le cause e quale gli esiti. stabilire normali rapporti diplomatici con gli Stati occidentali.
20_6 IL DOMINIO COLONIALE
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Nel corso della sua espansione coloniale, l’Europa portò in tutto il mondo l’impronta della sua tecnica, della sua economia e, più in generale, della sua civiltà. Di solito non ne portò la faccia migliore. Quasi tutte le conquiste coloniali furono segnate dall’uso sistematico e indiscriminato della violenza contro le popolazioni indigene, da un campionario di crudeltà sconosciuto agli ultimi conflitti combattuti sul Vecchio Continente. Soprattutto nell’Africa nera, dove più schiacciante era la superiorità tecnologica degli europei, le frequenti rivolte delle popolazioni locali contro i nuovi dominatori si concludevano spesso con veri e propri massacri: fu terribile, per esempio, quello perpetrato dai tedeschi nell’Africa del Sud-Ovest ai danni della tribù bantu degli Herero, che venne quasi completamente sterminata.
I caratteri della conquista
► Storia, società, cittadinanza Il pregiudizio razziale ► Focus Progresso tecnologico e imperialismo
Dal punto di vista economico, l’esperienza coloniale ebbe alcuni effetti positivi sui paesi che ne furono investiti: vennero messe a coltura nuove terre, introdotte nuove tecniche agricole, costruite infrastrutture, avviate attività industriali e commerciali, esportati migliori ordinamenti amministrativi e finanziari. Ma tutto ciò avveniva a prezzo di un continuo impoverimento di risorse materiali e umane, ovvero di un vero e proprio sfruttamento coloniale: i lavoratori indigeni, infatti, venivano pagati per lo più con salari irrisori, quando non erano costretti a forme di lavoro forzato. La trasformazione delle economie dei paesi sottomessi, che furono generalmente orientate verso l’esportazione, ebbe un doppio esito: in molti casi portò alla rottura di sistemi economici di pura sussistenza, basati sul circolo vizioso dell’autoconsumo e della povertà; in altri, invece, stravolse un meccanismo produttivo modellato in funzione del mercato
Sviluppo e sfruttamento
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C20 Gli imperi coloniali
interno. Fu comunque messo in moto un processo di sviluppo in funzione degli interessi dei colonizzatori [►FS, 183]. Nuovi paesi entrarono in un più vasto mercato mondiale, ma vi entrarono in una posizione dipendente: passarono cioè dalla povertà al sottosviluppo. Il razzismo condizionò la politica degli Stati europei nelle colonie. Ovunque furono “censite le razze” e accentuate le divisioni all’interno delle società indigene anche allo scopo di controllare meglio i colonizzati. Le nuove città coloniali furono spesso caratterizzate da quartieri separati e dalla creazione di “confini” che dividevano la vita degli indigeni da quella degli europei: anche in alcuni centri fondati dagli italiani in Eritrea e Libia, per esempio, furono tracciate “linee” per separare gli spazi destinati agli africani da quelli destinati ai bianchi. In generale, dunque, il razzismo era largamente diffuso nelle società coloniali. Non bisogna però immaginare i rapporti tra colonizzatori e colonizzati dominati esclusivamente da pregiudizi razzisti. Nelle colonie, a volte, si instaurarono legami di solidarietà tra i funzionari europei e i notabili locali proprio in virtù della comune appartenenza agli strati superiori delle rispettive società. Accadde così, per esempio, nell’India britannica di fine ’800, dove gli aristocratici inviati dalla Corona ad amministrare la colonia non esitavano a considerare i notabili indiani “superiori” ai britannici di basso ceto. Per molti aspetti, infatti, i governatori cercarono di riprodurre in India la stessa rigida struttura di distinzione di classe presente nel Regno Unito, preoccupandosi di trattare con riguardo gli elementi locali che consideravano loro pari rango.
Politica della razza e stratificazioni sociali
Uomo d’affari in una fabbrica di malacca in Malesia 1875 Numerosi imprenditori europei stabilirono impianti nei diversi domìni coloniali per la lavorazione dei più svariati manufatti, quasi sempre destinati a rientrare in Europa per essere commercializzati. Questo tipo di impresa, se da un lato forniva lavoro (anche se molto mal pagato) alle popolazioni locali, dall’altro non portava benefici alla loro economia. Nella foto, una manifattura per la lavorazione della malacca, o canna d’India, utilizzata per bastoni, manici di ombrelli, ecc.
Gli effetti della colonizzazione sulle culture dei paesi afro-asiatici furono drammatici, pur variando a seconda delle diverse realtà locali e delle diverse politiche attuate dai paesi colonizzatori: quella britannica, per esempio, fu più rispettosa degli usi locali, mentre quella francese risultò più oppressiva nel tentativo di introdurre elementi di modernizzazione forzata. I sistemi culturali legati a strutture politico-sociali e religiose bene organizzate e con una solida tradizione alle spalle – come quelli dell’Asia e del Nord Africa – si difesero meglio, opponendo una resistenza più consapevole e assimilando in qualche misura gli apporti esterni. Ben diverso, invece, fu il caso dell’Africa più arcaica e animista. Qui l’effetto dell’incontro con la civiltà del colonizzatore fu dirompente: le trasformazioni economiche, tecnologiche, sociali, religiose e linguistiche animismo prodotte dalla presenza degli europei alterarono dalle fondamenta non solo gli È così definita la credenza in esseri spirituali che animano ogni elemento naturale. equilibri secolari delle comunità di tribù e di villaggio, ma gli stessi universi culturali che ne erano espressione. Interi sistemi di vita, di riti e di credenze, di costumi e di valori entrarono rapidamente in crisi. Nei molti casi in cui manMETODO DI STUDIO cava una tradizione scritta, rimasero a malapena tracce delle culture “cancella a Cerchia i principali effetti dell’economia colote”. Sul piano politico, però, l’espansione coloniale finì per favorire, in tempi più niale e sottolinea quelli negativi. o meno lunghi, la formazione o il risveglio di nazionalismi locali a opera soprat b Individua da tre a cinque parole chiave che tutto di nuovi dirigenti formatisi proprio nelle scuole europee, dove avevano afferiscono al rapporto fra colonialismo e razzismo e argomenta la tua scelta per iscritto. avuto la possibilità di assorbire gli ideali democratici e i princìpi del nazionali c Spiega quale relazione esisteva tra il coloniasmo. L’Europa si trovò così a esportare quello che meno avrebbe desiderato: il lismo e il nazionalismo. bisogno di autogovernarsi e di decidere il proprio destino. 716
L’impatto sociale e culturale della colonizzazione
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
ARTE E TERRITORIO IL FASCINO PER L’ESOTICO NELLA PITTURA DI GAUGUIN
L
a vita del pittore francese Paul Gauguin (1848-1903) racconta molto del nuovo rapporto con il mondo che gli uomini e le donne europei sperimentarono in quegli anni: nascita a Parigi, infanzia a Lima, in Perù, giovinezza nella marina mercantile francese, poi di nuovo in Francia con un lavoro regolare e per mettere su famiglia, in fuga dalla vita cittadina verso la Bretagna e poi di nuovo verso l’America Latina, con molti ripensamenti e ritorni. Il suo percorso doveva assomigliare a molte delle biografie di coloro che nell’800 approfittarono dell’allargamento degli spazi europei oltremare per rispondere al richiamo dell’avventura. Gauguin si avvicinò alla pittura da dilettante quando già aveva cinque figli e un lavoro da impiegato. Una passione che divenne presto la missione di una vita, facendolo avvicinare prima al gruppo degli impressionisti, la principale tendenza artistica francese di quegli anni, poi ad alcuni artisti impegnati a semplificare le forme della pittura: Paul Cézanne (1839-1906), Vincent Van Gogh (1853-1890), Émile Bernard (18681941). Soprattutto con quest’ultimo il sodalizio fu particolarmente intenso. Già fuggito dalla vita cittadina e dai suoi doveri familiari per ritirarsi in Bretagna, dopo un lungo soggiorno a Panama e in Martinica, nell’America centrale, Gauguin tornò in Francia per fondare insieme a Bernard la Scuola di Pont-Aven. Rispetto agli impressionisti, gli artisti raccolti in questa città bretone non si accontentavano di rappresentare l’“impressione”, l’effetto della realtà sull’occhio dello spettatore, ma aspiravano quasi a cogliere la struttura delle cose. Gauguin disse di ispirarsi anche alle stampe giapponesi che arrivavano dall’Oriente e dipingeva soggetti semplici, coloratissimi ma racchiusi dentro linee ben definite e molto scure. L’obiettivo era rendere le figure semplicissime, senza orpelli o effetti ottici, per come erano realmente. Questo desiderio di superare il naturalismo, la rappresentazione realista del mondo, per avvicinarsi sempre di più all’arte primitiva era estremamente legato al fascino che su Gauguin esercitava la vita rustica delle colonie, e che il pittore conosceva per esperienza diretta. Ben presto sentì di nuovo la «terribile smania di cose sconosciute», come ebbe a scrivere, e si trasferì a Tahiti, l’isola più grande della Polinesia, spesso rappresentata nella stampa come il paradiso terrestre. Fu proprio liberandosi an-
► Paul
Gauguin, La regina 1896, olio su tela, 97 x 130 cm [Museo Puškin, Mosca]
▼ Paul
Gauguin, Fatata te miti (Vicino al mare) 1892, olio su tela, 68 x 92 cm [National Gallery of Art, Washington]
cora una volta delle convenzioni delle società europee che Gauguin abbandonò del tutto le regole pittoriche del suo tempo, per accogliere le influenze del paesaggio e delle popolazioni locali. Quelle del periodo tahitiano sono le sue opere più famose, note al grande pubblico: le contraddistinguono i ritratti colorati delle donne polinesiane, rappresentate in maniera semplice ma solenne, quasi fossero divinità antiche. I colori accesi riflettevano l’immaginario esotico di Gauguin e il suo amore per quelle terre selvagge. Per il carattere dirompente e del tutto stravagante di queste opere rispetto alla tradizione europea, Gauguin rimase un artista incompreso agli occhi dei suoi contemporanei, e anche per questo si legò sempre
di più alla sua terra adottiva. Morì nel 1903 a Hiva Oa, nelle isole Marchesi polinesiane, sconfitto dal mercato e dalla solitudine. PISTE DI LAVORO
a Realizza una piccola scheda divulgativa sulla corrente artistica dell’Impressionismo. Non superare le 50/60 parole. Digita nella maschera di ricerca di Google “Impressionismo” e seleziona un sito affidabile (ti consigliamo di consultare l’Enciclopedia online della Treccani). b Schematizza le tappe principali della carriera pittorica di Gauguin. c Spiega in cosa consiste l’immaginario esotico della pittura di Gauguin. d Perché la pittura di Gauguin non fu compresa dai suoi contemporanei?
717
C20 Gli imperi coloniali
SINTESI
20_1 L’IMPERIALISMO Diverse furono le cause della corsa alla conquista coloniale che, negli ultimi decenni dell’800, connotò la politica estera di molti Stati europei, presto affiancati dalle potenze emergenti di Stati Uniti e Giappone. Vi fu certamente la spinta esercitata dagli interessi economici – materie prime a basso costo, sbocchi per i prodotti industriali e i capitali d’investimento –, ma non meno importante fu l’affermarsi di tendenze politico-ideologiche che affiancavano a un acceso nazionalismo la convinzione nella missione civilizzatrice dell’uomo bianco. L’opinione pubblica infine fu particolarmente colpita e influenzata dalle notizie sui viaggi in Africa compiuti da esploratori, viaggiatori, missionari.
riconobbe il possesso di vari territori a Belgio, Francia, Germania e Gran Bretagna. Nel 1900 i territori africani rimasti indipendenti erano pochi: l’Impero etiopico, la Libia (ottomana), il Marocco (fino al 1912), la piccola Liberia e le Repubbliche boere del Sudafrica.
20_3 LE GUERRE BOERE In Sudafrica la Gran Bretagna, soprattutto attraverso la politica di Cecil Rhodes, politico e proprietario della British South Africa Company, mirò a estendere il dominio britannico dalla Colonia del Capo alle due Repubbliche boere dell’Orange e del Transvaal, ricche di giacimenti d’oro e di diamanti. Il disegno poté realizzarsi solo dopo due lunghe e sanguinose guerre contro i boeri (1880-81 e 1899-1902). Nel 1910 l’Orange e il Transvaal confluirono nell’Unione sudafricana insieme alla Colonia del Capo.
20_2 LA CONQUISTA DELL’AFRICA
718
Fu in Africa che l’espansione coloniale si realizzò con la velocità più sorprendente, portando nel giro di pochi decenni alla conquista quasi completa di tutto il continente, sotto forma di colonie o protettorati. Francia e Inghilterra occuparono rispettivamente Tunisia (1881) ed Egitto (1882). Poco dopo la conferenza di Berlino (188485), convocata per risolvere i contrasti internazionali suscitati dall’espansione belga in Congo, stabilì i princìpi della spartizione dell’Africa (in primo luogo quello dell’effettiva occupazione) e
L’apertura del Canale di Suez (1869) diede nuovo impulso alla penetrazione europea in Asia. In questo periodo ci furono la conquista francese dell’Indocina, la spartizione del Pacifico e lo sviluppo della colonizzazione russa della Siberia. L’altra direttrice dell’espansionismo russo – quella verso l’Asia centrale – portò l’Impero zarista a un duro contrasto con la Gran Bretagna, molto attiva anche nel consolidamento della sua presenza nel Pacifico, insieme a Germania, Stati Uniti e Giappone.
20_5 GLI EUROPEI IN CINA A metà ’800 l’isolamento della Cina dal resto del mondo fu interrotto dalla pressione degli Stati europei e in particolare dal conflitto nato con la Gran Bretagna per il commercio dell’oppio, vietato in Cina ma molto lucroso per i trafficanti britannici. Dopo due guerre (1839-42 e 1856-60) venne imposta al paese l’apertura al commercio straniero, prima attraverso l’accesso ai principali porti, poi con l’accesso anche alle vie fluviali interne.
20_4 LA CONQUISTA DELL’ASIA Agli inizi dell’età dell’imperialismo, gli europei avevano già numerosi possedimenti in Asia. In India, da tempo affidata al controllo della Compagnia delle Indie, gli inglesi tentarono di introdurre elementi di modernizzazione provocando però violente reazioni. La colonia fu allora riorganizzata sotto la diretta amministrazione della Corona britannica.
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
20_6 IL DOMINIO COLONIALE Le potenze conquistatrici fecero generalmente un uso indiscriminato della forza contro le popolazioni indigene, sconvolsero l’economia dei paesi afroasiatici sottoponendola a
un sistematico sfruttamento finalizzato all’esportazione di materie prime e, in questo modo, colpirono, spesso irrimediabilmente, antiche culture, danneggiando inoltre il mercato interno. Gli effetti della conquista, tuttavia, non furono sempre e solo negativi. Sul piano economico ci fu, in molti casi, un inizio di modernizzazione, sia pur finalizzata agli interessi dei dominatori. Su quello culturale, alcuni paesi con tradizioni e strutture politicosociali più solide riuscirono a difendere la loro identità, ovvero ad assimilare alcuni aspetti della cultura dei dominatori. Sul piano politico, infine, la colonizzazione favorì, a più o meno lunga scadenza, la formazione di nazionalismi locali che avrebbero successivamente alimentato le lotte per l’indipendenza.
SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Seleziona fra i seguenti argomenti quelli che rispondono alla domanda sulle ragioni che spinsero le potenze europee a
inaugurare, tra gli anni ’70 dell’800 e il 1914, un nuovo colonialismo.
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in ordine cronologico:
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a. L’idea di appartenere a una razza dominatrice. e. La povertà dei paesi europei. b. L’idea di appartenere a una razza inferiore che dovesse imparare f. La volontàAlgeri di accaparrarsi le materie prime. MADEIRA dagli altri popoli. g. La ricerca di nuovi sbocchi commerciali. (Port.) Fez c. Lo spirito missionario. h. L’assenza di capitali per nuovi investimenti. CANARIE MAROCCO (Sp.) Algeri d. Il razzismo di matrice positivistica. i. La ricerca da parte diTripoli compagnie commerciali di nuovi porti. MADEIRA Il Cairo ALGERIA indicando Tripoli le
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date degli eventiEGITTO descritti e collocandoli Il Cairo
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legenda esplicativa.
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tedeschi belgi
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C20 Gli imperi coloniali
4 Indica le affermazioni vere e correggi quelle errate.
a. Nel 1914 il territorio del Regno Unito era circa un centesimo dei territori coloniali inglesi. ................................................................................................................................................................................. b. Gli effetti della colonizzazione sulle culture dei paesi afro-asiatici furono blandi. ................................................................................................................................................................................. c. La colonizzazione francese fu molto rispettosa degli usi locali, a differenza di quella britannica. ................................................................................................................................................................................. d. I programmi di modernizzazione in Egitto e in Tunisia provocarono il dissesto delle relative finanze. ................................................................................................................................................................................. e. I territori dell’Alaska furono venduti agli Stati Uniti dallo zar di Russia. ................................................................................................................................................................................. f. All’inizio del ’900 quasi tutta l’Africa era passata sotto il controllo delle potenze europee. ................................................................................................................................................................................. g. Nel 1858 la Compagnia delle Indie cedette il controllo della colonia al governo britannico. ................................................................................................................................................................................. h. La ferrovia Transiberiana collegava la Siberia alla Cina. ................................................................................................................................................................................. i. L’apertura del Canale di Suez favorì il dominio coloniale delle potenze europee. .................................................................................................................................................................................
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COMPETENZE IN AZIONE 5 Scrivi un testo di massimo 20 righe sulle caratteristiche principali della colonizzazione di fine ’800. Puoi utilizzare la
seguente scaletta e le immagini del capitolo che ritieni più significative.
● Le differenze tra la colonizzazione di fine ’800 e quella precedente. ● Il significato del termine “imperialismo”. ● Le conquiste degli europei in Asia e in Africa. ● Il rapporto tra gli abitanti dei luoghi conquistati e i conquistatori. ● L’utilizzo della violenza per le conquiste. ● Effetti positivi e negativi della colonizzazione per i paesi colonizzati. ● Il colonialismo, il razzismo e le culture locali. 6 Rispondi alle seguenti domande impiegando il numero di righe indicato tra parentesi:
a. Come cambiò la presenza inglese in India dopo la rivolta dei Sepoys? Com’era prima di questo evento? (10 righe) b. Quali furono le principali fasi dell’espansione francese in Indocina? (5 righe) c. Quali furono le più importanti conquiste russe alla fine dell’800 e come furono ottenute? (6 righe) d. Quale guerra si concluse con la firma del trattato di Nanchino e quali furono le conseguenze di questo accordo? (6 righe) 7 Scrivi sul quaderno un testo informativo di massimo 15 righe dal titolo La conquista dell’Africa. A tal fine utilizza la
scaletta di seguito.
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● La conquista dei territori prima del 1870. ● I rapporti tra l’Impero ottomano e i paesi europei conquistatori. ● Le conquiste di Gran Bretagna, Francia, Belgio, Germania. ● La conferenza di Berlino (1884-85). ● Le tensioni tra Germania e Gran Bretagna.
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
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CAP21 GOVERNARE L’ITALIA UNITA
21_1 DEMOGRAFIA, ECONOMIA E SOCIETÀ
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Eventi L’avventura coloniale italiana: il disastro di Adua Il Libro F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 Storia, società, cittadinanza La tutela dell’ordine pubblico Storia e Letteratura Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa Focus Scuola e lingua nazionale • Il brigantaggio • L’industria della seta Atlante Società ed economia nell’Italia unita Lezioni attive Fare l’Italia: il processo di unificazione e la nascita del Regno Test interattivi Audiosintesi
► Leggi anche: ► Atlante Società ed economia nell’Italia unita ► Arte e territorio Arte e paesaggio agrario italiano. Il verismo e i macchiaioli, p. 752 ► Storia e ambiente La varietà del paesaggio agrario italiano, p.560
Al momento dell’Unità gli italiani erano circa 22 milioni (arrivavano a poco più di 25 calcolando anche il Veneto e il Lazio). La percentuale degli analfabeti, di quanti cioè non sapevano né leggere né scrivere, era molto alta, il 75% (ma nei decenni successivi diminuì costantemente [► _16]). L’analfabetismo era inoltre molto più diffuso tra le donne. Solo il 10% degli italiani era da considerare “italofono”, ossia parlava la lingua italiana, mentre tutti gli altri comunicavano attraverso i dialetti, di cui la stessa minoranza colta si serviva nella comunicazione familiare e nei rapporti con la gente del popolo (pratica largamente diffusa fino a tempi recenti). Inoltre, nonostante da tempo l’italiano fosse impiegato dalla Chiesa nella predicazione, i dialetti affiancavano la lingua colta nelle scuole elementari. Nell’insieme la grande maggioranza degli italiani non possedeva ancora una lingua comune. Misurata sul terreno delle conoscenze di base, l’Italia era dunque molto meno prodotto interno lordo (Pil) istruita di paesi come la Prussia e la Francia, dove gli alfabetizzati erano rispettiLa somma di tutti i beni e i servizi prodotti in un determinato paese in un particolare periodo di tempo, vamente il 70% e il 50% della popolazione.
Popolazione e alfabetizzazione
generalmente rilevata su base annua.
Intorno al 1860 l’Italia era, come già in passato, uno dei paeCittà e campagne settore terziario si europei con il maggior numero di città. Una decina erano Nel settore terziario sono comprese quelle attività i centri con più di 100 mila abitanti – il più grande era Napoli con 450 mila, seguieconomiche, definite generalmente “commercio, servizi e vano Torino, Palermo, Milano e Roma con circa 200 mila – e la popolazione uramministrazione”, che non appartengono all’agricoltura (settore primario) e all’industria (settore secondario): dagli bana propriamente detta (quella che viveva in comuni con oltre 20 mila abitanti) assicuratori agli agenti di Borsa, agli impiegati comunali e era pari al 20% del totale. La grande maggioranza degli italiani viveva infatti nelle statali, ai negozianti, ecc. Alla fine del ’900 i lavoratori del terziario sono diventati la maggioranza nei paesi sviluppati campagne e nei piccoli centri rurali e traeva i suoi mezzi di sostentamento daldell’Occidente. le attività agricole: era quindi costituita prevalentemente da contadini. L’agricoltura occupava infatti il 70% della popolazione attiva (cioè di quelli in età lavorativa) contro il 18% dell’industria e dell’artigianato e il 12% del settore terziario (che 16_L’ANALFABETISMO IN ITALIA (1871-1901) comprende commercio e servizi), contribuendo per il 58% al prodotto interno lordo di tutto il paese, mentre induDopo gli anni dell’Unità l’analfabetismo Anni Percentuale diminuì gradualmente in Italia, pur stria e settore terziario vi contribuivano ciascuno per il di analfabeti continuando a interessare una parte consistente della popolazione. Nel 20% circa [► _17 e 18]. E le attività agricole fornivano i 1891 per mancanza di fondi il 1871 68,8% principali prodotti di esportazione: seta grezza dalle regiocensimento non fu tenuto, ma i dati descritti in tabella confermano la 1881 62% ni settentrionali, e i prodotti delle colture specializzate cocrescita dell’alfabetizzazione nell’ultimo ventennio dell’800. me agrumi, frutta secca, vino e olio (per fini industriali) 1891 / [da T. De Mauro, Storia linguistica da quelle meridionali. dell’Italia unita, Laterza, Roma-Bari 1901 48,7% 2011, p. 63] Contrariamente a quanto una tradizione, prevalentemente 721
C21 Governare L’Italia unita
letteraria, aveva tramandato, l’agricoltura italiana nel suo complesso non era affatto favorita dalle condizioni naturali. Le zone pianeggianti, le più adatte all’agricoltura intensiva, costituivano poco più del 20%, mentre tutto il resto era terreno collinare o montagnoso. Inoltre il 20% della superficie del paese era occupato da terre incolte o da terreni paludosi infestati dalla malaria. In generale, quella italiana era prevalentemente un’agricoltura povera, caratterizzata da una grande varietà di colture e di tipologie di proprietà fondiaria. Solo nella zona irrigua della Pianura padana si erano ormai sviluppate numerose aziende agricole moderne che univano l’agricoltura all’allevamento bovino, erano condotte con criteri capitalistici, producevano per il mercato e impiegavano soprattutto manodopera salariata. Accanto a esse coesistevano, nelle regioni del Nord, le grandi proprietà coltivate a cereali e le piccole unità produttive in affitto a conduzione familiare, diffuse queste ultime soprattutto nelle zone collinari del Piemonte, della Lombardia e del Veneto. Nell’Appennino e in tutta l’Italia centrale, in particolare in Toscana, Marche e Umbria, dominava invece la mezzadria [►1_3 e 4_9]. La terra era divisa in poderi, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, dove le colture cerealicole si mescolavano agli olivi, alle viti e agli alberi da frutto. Ciascun podere produceva quanto era necessario per il mantenimento della famiglia che viveva sul fondo e per il pagamento del canone in natura, pari alla metà del prodotto, dovuto al padrone. Il mezzadro era tenuto inoltre a concorrere alle spese di manutenzione e a quelle per gli attrezzi agricoli e il bestiame. Il contratto di mezzadria, con la sua rigida ripartizione delle spese, non favoriva gli investimenti e le innovazioni tecniche in funzione dello sviluppo di un’agricoltura moderna, orientata verso il mercato. In compenso consentiva una relativa pace sociale – per questo era apprezzato da molti conservatori – e assicurava un certo grado di tutela del territorio: ne è testimonianza il tipico paesaggio vario e ordinato, che ancora oggi sopravvive in buona parte dell’Italia centrale. In molte zone dell’Italia meridionale, oltre che nella vasta campagna intorno a Roma, la coltivazione prevalente era il latifondo: grandi distese, per lo più seminate a grano o lasciate alla pastorizia, con la popolazione concentrata in pochi e grossi borghi rurali. Le tracce dell’ordinamento feudale si facevano sentire pesantemente negli arcaici contratti agrari – basati spesso su compensi di quota parte del raccolto – e nei rapporti fra i proprietari e i contadini, caratterizzati da forme di dipendenza personale, ma anche da ricorrenti contrasti derivanti dall’irrisolto problema della utilizzazione contadina delle terre soggette agli usi civici [►1_3]. Non mancavano tuttavia nel Mezzogiorno, per esempio in Campania, in Puglia e in Sicilia, zone fertili e pianeggianti dove erano diffuse le colture specializzate – ortaggi, frutta, agrumi, vino, olio – destinate all’esportazione. Una parte molto estesa dell’Italia, soprattutto nelle zone altocollinari o montane, continuava a praticare un’agricoltura di pura sussistenza, dove l’autoconsumo era la regola.
Paesaggio agrario e assetti produttivi
17_OCCUPATI IN ITALIA INTORNO AL 1860 Terziario 12%
18_MANODOPERA IMPIEGATA IN AGRICOLTURA (1850) 90% 80% 70%
Industria e artigianato 18%
60% 50% 40% 30% 20% 10%
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Agricoltura 70%
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
0% Gran Bretagna
Olanda
Germania
Francia
Italia (1861)
Spagna
Stati Uniti
Svezia
Il grafico descrive la percentuale (sul totale della popolazione) dei lavoratori agricoli nel 1850 in alcuni dei maggiori paesi europei e negli Stati Uniti. Il dato relativo all’Italia risale al 1861 e fotografa la situazione nel paese appena unificato.L’Italia unita è un paese contadino, secondo solo alla Svezia per manodopera impiegata nelle campagne.
Telemaco Signorini, La campagna nei dintorni di Siena 1868-70 [Collezione privata, Firenze] Nell’800 il sistema agricolo dell’Italia centrale, soprattutto in Toscana, Umbria e Marche, si basa sul contratto di mezzadria con il quale il
proprietario concede la sua terra a un contadino, che si impegna a lavorarla con l’aiuto dei suoi familiari. L’essenza del contratto è che i prodotti devono essere divisi a metà tra proprietario e contadino, e questi deve impegnarsi a riservarne una parte per le coltivazioni future. Non si tratta,
Tutto ciò si rifletteva nel bassissimo livello di vita della popolazione rurale. I contadini italiani, nella loro grande maggioranza, vivevano ai limiti della sussistenza fisica. Si nutrivano quasi esclusivamente di pane – per lo più non di frumento, ma di cereali “inferiori” come granturco, avena e segale – e di pochi legumi: andavano quindi soggetti alle malattie da denutrizione, prima fra tutte la pellagra. Vivevano, soprattutto nel Sud, ammucchiati in abitazioni piccole e malsane, non di rado in capanne o in caverne che spesso servivano da ricovero anche per gli animali.
Le condizioni di vita delle popolazioni rurali
come accade al Sud, di una agricoltura intensiva di grano ma di colture differenziate: grano, vite, alberi da frutto e olivo, come si vede anche nel dipinto di Telemaco Signorini che ritrae un contadino che ara in un podere nella campagna nei dintorni di Siena.
pellagra Malattia provocata dalla carenza di vitamina PP che provoca infezioni della pelle e, aggravandosi, può portare alla pazzia e alla morte. Colpiva soprattutto le campagne del Veneto, della Lombardia e dell’Emilia che avevano il mais come alimento base della loro dieta (dalla cui farina non può essere assimilata la vitamina PP).
Per gran parte sconosciute alla classe dirigente del paese erano le condizioni economiche e sociali del Mezzogiorno. Lo stesso Cavour non si era mai spinto a sud di Firenze. Quando, nell’autunno del 1860, il romagnolo Luigi Carlo Farini fu inviato nelle province meridionali in qualità di luogotenente generale (cioè rappresentante del governo) non seppe nascondere il proprio stupore e il proprio disprezzo: «Che barbarie! – scriveva in una lettera a Cavour – Altro che Italia! Questa è Affrica: i beduini, a riscontro di questi caffoni, sono fior di virtù civili». Impressioni che, se da un lato segnalavano pregiudizi e incomprensioni destinati a durare nel tempo, dall’altro poggiavano su un reale divario tra Nord e Sud del paese e ne testimoniavano anche la distanza culturale e la diversità di comportamenti e mentalità [►FS, 167]. Al momento dell’Unità questo divario si misurava anche sul piano della disponibilità di infrastrutture, della produttività agricola e dell’istruzione di base. Se al Nord, nella Pianura padana e in particolare in Piemonte, esisteva già una rete ferroviaria sviluppata, al Sud, salvo qualche breve tratto intorno a Napoli, le ferrovie erano inesistenti [► _25]. Il valore della produzione agricola per ettaro era al Sud pari a un terzo di quello della Lombardia e a metà di quello del Piemonte. Molto
Il divario tra Nord e Sud
723
C21 Governare L’Italia unita
significativo risultava inoltre il differenziale di alfabetizzazione: in Piemonte e in Lombardia gli analfabeti erano intorno al 54%, in Puglia salivano all’86% e in Sicilia all’89%. Il divario tra Nord e Sud segnalava già l’emergere di un problema nazionale che sarebbe stato definito in seguito come «questione meridionale»: tuttavia allora nel confronto con l’Europa le differenze tra le “due Italie” risultavano appiattite e accomunate da una generale arretratezza rispetto ai paesi più sviluppati del continente [►FS, 178].
METODO DI STUDIO
a Evidenzia gli elementi che differenziavano l’Italia dal resto d’Europa. b Sottolinea con colori diversi nel paragrafo e nelle didascalie degli apparati infografici le informazioni principali relative ai seguenti temi: a. le differenze fra Nord e Sud Italia; b. i contratti agrari e il paesaggio; c. l’analfabetismo. c Scrivi un testo breve in cui analizzi i segni di sviluppo e quelli di arretratezza dell’Italia postunitaria.
21_2 LA CLASSE POLITICA
E I PRIMI PROVVEDIMENTI LEGISLATIVI
Tutt’altro che agevole fu governare l’Italia dopo la sua unificazione. L’improvvisa e precoce morte di Cavour (giugno 1861) lasciava priva di guida la classe dirigente moderata, anche se i successori di Cavour si attennero sostanzialmente alla politica da lui già impostata nelle grandi linee: una politica rispettosa delle libertà costituzionali e insieme accentratrice, liberista in campo economico, laica in materia di rapporti fra Stato e Chiesa. Il gruppo dirigente che governò ininterrottamente il paese nel primo quindicennio non era molto diverso da quello che si era formato dopo il ’49 in Piemonte ► [ 15_1]. Il nucleo centrale era costituito dai moderati piemontesi, cioè dalla vecchia maggioranza della Camera subalpina. A essa si erano uniti i gruppi moderati lombardi, emiliani e toscani. Meno numerosa era la rappresentanza delle regioni meridionali, che pure contava personalità di tutto rilievo. Diversi per provenienza geografica, per formazione culturale e per esperienze politiche, questi uomini formavano tuttavia un gruppo abbastanza omogeneo, sia dal punto di vista sociale – appartenevano prevalentemente ai ceti superiori – sia sotto il profilo politico. Nei primi Parlamenti dell’Italia unita, la maggioranza si collocava a destra e come Destra essa venne definita nel linguaggio politico corrente (l’aggettivo «storica» fu aggiunto più tardi, per sottolineare la funzione decisiva svolta da quella classe dirigente nella storia d’Italia). In realtà, più che una forza di destra, essa costituiva un gruppo di centro moderato: la vera destra – quella dei clericali e dei nostalgici dei vecchi regimi – si era infatti autoesclusa dalle istituzioni in quanto non riconosceva la legittimità del nuovo Stato.
La Destra storica
Anche i mazziniani di stretta osservanza e, in genere, i repubblicani intransigenti rifiutarono di partecipare all’attività politica ufficiale. Sui banchi dell’opposizione in Parlamento sedettero gli esponenti della vecchia sinistra piemontese, insieme con un numero via via crescente di patrioti mazziniani o garibaldini che avevano deciso di inserirsi nelle istituzioni monarchiche, sia pure per cambiarle: essi formavano la cosiddetta Sinistra. Rispetto alla Destra, la Sinistra si appoggiava su una base sociale più ampia e composita, formata essenzialmente dai gruppi borghesi delle città – professionisti e intellettuali, ma anche commercianti e imprenditori – e comprendeva anche gruppi di operai e artigiani del Nord, esclusi dall’elettorato. Nei primi anni dopo l’Unità, la Sinistra fece proprie e portò avanti le rivendicazioni democratiche risorgimentali: il suffragio universale, il decentramento amministrativo (che comportava la concessione di margini di autonomia alle comunità locali) e soprattutto il completamento dell’Unità, da raggiungersi tramite la ripresa dell’iniziativa popolare.
La Sinistra
Destra e Sinistra erano comunque entrambe espressione di una classe dirigente molto ristretta, di un “paese legale” assai poco rappresentativo del “paese reale”. La legge elettorale piemontese, estesa a tutto il Regno, concedeva infatti il diritto di voto solo a quei cittadini maschi che avessero compiuto i 25 anni, sapessero leggere e scrivere e pagassero almeno 40 lire di imposte all’anno. Nelle prime elezioni dell’Italia unita gli iscritti nelle liste elettorali erano circa 400 mila, meno del 2% della popolazione totale e del 7% dei maschi adulti. Se poi si calcola che la 724
Il sistema elettorale
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
► Leggi anche: ► Parole della storia Accentramento/ decentramento, p. 726 ► Laboratorio di cittadinanza Il diritto di voto, p. 749
Pietro Tetar Van Elven, Inaugurazione del primo Parlamento del Regno d’Italia XIX sec. [Museo del Risorgimento, Torino] Nel dipinto, le due Camere riunite ascoltano il discorso di inaugurazione pronunciato da Vittorio Emanuele II: il 18 febbraio 1861 si apre l’VIII legislatura del Regno d’Italia (la numerazione continua quella delle legislature del Regno di Sardegna), a Torino, che sarà la capitale fino al 1864. Nelle tribune riservate al pubblico, che circondano in alto la sala, si possono distinguere diverse signore, mentre i deputati e i senatori eletti sono tutti uomini.
percentuale di coloro che si astenevano era molto elevata – il seggio è assegnato al candidato che ha collegio uninominale sfiorando spesso il 50% – si capirà come, grazie anche al siottenuto il maggior numero di voti – anche Nel linguaggio politico il sistema elettorale nel caso in cui questa maggioranza non stema del collegio uninominale, bastassero poche centi“uninominale” prevede l’elezione di tanti sia assoluta –, e sistemi uninominali a candidati quanti sono i collegi, ovvero le naia o addirittura poche decine di voti per eleggere un circoscrizioni territoriali di voto (determinate due turni che, nel caso in cui nessuno deputato. La vita politica assumeva così un carattere oliabbia conquistato la maggioranza in base al numero degli elettori residenti). assoluta nel primo turno, prevedono un Nel sistema elettorale uninominale puro garchico e personalistico. Nell’assenza di partiti organizballottaggio tra i due candidati più votati. a ogni collegio corrisponde un seggio e in zati nel senso moderno del termine, la lotta politica si imIl sistema postunitario italiano prevedeva il ognuno viene eletto un candidato. Esistono perniava su singole personalità più che su programmi sistemi uninominali a un turno, nei quali ballottaggio. definiti: era dominata da pochi notabili in grado di sfruttare la propria influenza e le proprie relazioni per ottenere i voti necessari all’elezione e pesantemente condizionata dal potere esecutivo che facilmente poteva favorire la riuscita dei candidati “governativi”, indirizzando il voto dei militari e degli impiegati nella pubblica amministrazione. Per quanto ristretta, la classe dirigente era tuttavia convinta di rappresentare la parte migliore del paese: e, in effetti, gli uomini della Destra storica si distinsero per onestà e per rigore, tanto da costituire, da questo punto di vista, un esempio mai più superato nella storia dell’Italia unita. D’altro canto, gli esponenti della Destra storica furono portati a identificare le sorti del proprio gruppo politico con quelle delle istituzioni statali, sottoposte alla duplice minaccia dei “neri” e dei “rossi”, ossia dei clericali reazionari e dei repubblicani rivoluzionari, e a considerare i fermenti e le inquietudini della società come attentati al bene supremo dell’unità appena raggiunta. La preoccupazione quasi ossessiva dell’unità da salvaguardare contro nemici veri o presunti condizionò pesantemente le scelte dei primi governi postunitari e determinò in larga parte la stessa fisionomia del nuovo Stato. I leader della Destra, ammiratori
La scelta dell’accentramento
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C21 Governare L’Italia unita
dell’esempio britannico, erano disposti a riconoscere in teoria la validità di un sistema decentrato, basato sull’autogoverno (self-government) delle comunità locali. Nei fatti, però, prevalsero le esigenze pratiche immediate, che spingevano i governanti a stabilire un controllo il più possibile stretto e capillare su tutto il paese e dunque a scegliere un modello di Stato accentrato molto vicino a quello napoleonico [►9_1]: basato cioè su ordinamenti uniformi per tutto il Regno e su una rigida gerarchia di funzionari dipendenti dal centro. L’accentramento era anche il risultato inevitabile della unificazione, ottenuta attraverso l’annessione delle varie province al Regno di Sardegna e la conseguente adesione al suo impianto istituzionale e alle sue leggi. Tra il giugno ’59 e il gennaio ’60, grazie ai poteri straordinari conferiti al governo dallo stato di guerra con l’Austria, erano state varate senza alcun controllo parlamentare numerose leggi riguardanti i settori chiave della vita del paese: oltre ad estendere, con piccole modifiche, le leggi piemontesi alle
I PROVVEDIMENTI DELLA DESTRA STORICA
DESTRA STORICA
Accentramento statale
Unificazione ordinamenti
Burocrazia
Unificazione economica
Repressione del brigantaggio
Legato al malessere delle masse per la...
Introduzione della tassa sul macinato
Abolizione barriere doganali
Leggi unificatrici
Legge Casati
Legge Rattazzi
Istruzione elementare obbligatoria
Sindaci e prefetti di nomina regia
Politica liberista
Leva obbligatoria
Costruzione rete ferroviaria
Pesante fiscalità
Parole della storia
Accentramento/ decentramento
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er tutto il secolo XIX la scena politica europea fu dominata dallo scontro fra conservatori, liberal-moderati e democratici: tale scontro riguardava da un lato le forme e i modi della partecipazione al potere, dall’altro l’organizzazione del potere, ovvero la forma delle istituzioni statali, accentrata o decentrata. La linea di divisione fra i
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
sostenitori dell’uno e dell’altro modello non coincideva con quella fra conservatori e progressisti. Nell’800 furono soprattutto i democratici a sostenere l’accentramento e l’unità amministrativa, vista come strumento di uguaglianza, mentre conservatori e moderati difesero le autonomie e le diversità locali come il contesto più adatto a far valere i tradizionali privilegi sociali delle classi alte. In Italia, invece, esisteva fra i democratici una forte corrente autonomista e federalista (si pensi a Cattaneo), mentre i moderati, al
potere dopo l’unificazione, realizzarono un ordinamento fortemente accentrato. Presi in sé, dunque, l’accentramento e il decentramento non sono né “di destra”, né “di sinistra”: entrambi possono essere usati con scopi politici opposti. È vero invece che la propensione all’accentramento è propria in qualche misura di chi detiene il potere centrale (e cerca di rafforzarne le basi), mentre il decentramento è solitamente rivendicato dalle forze che da quel potere sono escluse o non vi si sentono adeguatamente rappresentate.
province appena annesse (così fu, ad esempio, per la legge elettorale), furono emanate leggi nuove: la legge Casati sull’istruzione, che creava un sistema scolastico nazionale e stabiliva il principio dell’istruzione elementare obbligatoria (demandandone però l’attuazione ai comuni); la legge Rattazzi sull’ordinamento comunale e provinciale, che affidava il governo dei comuni a un METODO DI STUDIO consiglio eletto a suffragio ristretto e a un sindaco di nomina regia. Il territorio na a Sottolinea con colori diversi le caratteristiche zionale era suddiviso in province, che rappresentavano le circoscrizioni amminiprincipali della Destra e della Sinistra storica. strative più importanti, poste sotto lo stretto controllo dei prefetti, rappresentanti b Spiega per iscritto quale sistema elettorale e modello di Stato furono scelti soffermandoti sulle del potere esecutivo centrale su tutto il paese [►FS, 150]. Anche questa legge fu conseguenze e sulle modalità di queste scelte. successivamente estesa, con poche modifiche, a tutto il Regno.
21_3 LE RIVOLTE CONTRO L’UNITÀ
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E IL BRIGANTAGGIO
► Focus Il brigantaggio
Tra i motivi che spinsero la classe politica a scegliere l’accentramento e ad accantonare ogni progetto di decentramento amministrativo, il principale fu costituito certamente dalla situazione che si era venuta a creare nel Mezzogiorno. Nelle province meridionali liberate dal regime borbonico, il malessere antico delle masse contadine si sommò a una diffusa ostilità verso il nuovo ordine politico, che non aveva portato alcun mutamento radicale nella sfera dei rapporti sociali, anzi aveva visto la borghesia rurale schierarsi dalla parte dei “conquistatori”. E a questo si erano aggiunte la nuova pesante fiscalità e la leva militare obbligatoria osteggiate duramente dal mondo contadino. Già nell’ultima fase dell’impresa garibaldina erano scoppiate, soprattutto in Campania, rivolte contadine di una certa gravità: rapidamente i disordini si fecero più estesi e più frequenti, fino a trasformarsi in una generale insorgenza, incoraggiata da una parte del clero e finanziata dalla corte borbonica in esilio a Roma.
L’ostilità dei contadini meridionali
Dall’estate del 1861, in tutte le regioni del Mezzogiorno continentale si erano formate bande di irregolari, dove i contadini insorti si mescolavano agli ex militari borbonici (per i quali la fine del Regno delle Due Sicilie si era trasformata in una catastrofe personale), ai cospiratori legittimisti italiani e stranieri, ai banditi veri e propri. Le bande assalivano di preferenza i piccoli centri e li occupavano per giorni, massacrando i notabili liberali e incendiando gli archivi comunali: quindi si ritiravano sulle montagne per attaccare subito dopo altrove. A queste aggressioni, che parevano mettere in gioco il controllo territoriale di intere regioni, il governo reagì con spietata energia, rafforzando in primo luogo la presenza militare nel Sud. Fin dai primi tempi di queste sollevazioni si registrarono, in risposta agli eccidi delle bande, rappresaglie indiscriminate compiute dall’esercito: come quella di Pontelandolfo, nei pressi di Benevento, dove nell’agosto 1861 furono uccisi 400 civili e incendiato il paese. Nel 1863 il Parlamento approvò una legge che istituiva, nelle province dichiarate in stato di “brigantaggio”, un vero e proprio regime di guerra: tribunali militari per giudicare i ribelli e fucilazione immediata per chi avesse opposto resistenza con le armi [►FS, 154]. Sia per l’efficacia delle misure repressive, sia per la stanchezza della popolazione, il brigantaggio fu sconfitto nel giro di qualche anno, e nel 1865 le bande più importanti erano state isolate e distrutte.
Il brigantaggio
Michelina De Cesare 1865 [Museo Centrale del Risorgimento Italiano, Roma] Tra le fila dei briganti militavano spesso anche le donne. Figlie, madri o mogli di briganti, spesso rimaste sole, si univano alle
bande dimostrandosi capaci di partecipare attivamente alla rivolta contadina. Il fenomeno fu tutt’altro che raro e il brigantaggio al femminile costituì una sorta di epopea a sé nell’immaginario collettivo, meridionale e non solo. La
brigantessa Michelina De Cesare, compagna del famoso brigante Francesco Guerra, fu arrestata nel 1868, morì il 30 agosto di quell’anno, dopo aver subìto tortura, e il suo corpo fu esposto nudo nella piazza di Mignano (Caserta).
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Il brigante Vincenzo Palmieri e tre uomini della sua banda uccisi nei pressi di Melfi in Basilicata [Istituto per la Storia del Risorgimento, Roma] La repressione del brigantaggio da parte dello Stato unitario fu particolarmente cruenta. Secondo le cifre dedotte dai documenti del Ministero della Guerra e della Camera dei deputati, tra il 1861 e il 1865 furono uccisi (in combattimento o fucilati) 5212 briganti. Cifra ufficiale, probabilmente approssimativa per difetto, cui vanno aggiunti gli oltre 5 mila arresti.
asse ecclesiastico Questa espressione, che indica i beni degli enti ecclesiastici, compare nella legislazione per la soppressione degli istituti religiosi, dalle leggi piemontesi del 1855 fino al Concordato lateranense del 1929, che sancì la pacificazione tra Stato e Chiesa.
Rimasero però irrisolti i nodi politici e sociali che avevano reso possibile la diffusione del fenomeno. Mancò ai governi della Destra la capacità o la volontà di attuare una politica per il Mezzogiorno capace di ridurre le cause del malcontento: cause legate in gran parte alla mancata realizzazione delle secolari aspirazioni contadine alla proprietà della terra. La divisione dei terreni demaniali – ossia delle terre pubbliche di origine feudale o comunale – fu portata avanti con scarsa incisività, mentre la vendita dei terreni dell’asse ecclesiastico, attuata col sistema delle vendite all’asta, non migliorò la METODO DI STUDIO situazione dei piccoli proprietari e dei contadini senza terra, che non erano in a Spiega per iscritto chi erano i briganti, in che grado di concorrere all’acquisto dei fondi, e si risolse in tutta Italia in un rafforzamodo agivano e come furono contrastati. b Sintetizza le cause del brigantaggio attravermento della grande proprietà. In generale le scelte di politica economica della so dei titoletti che scriverai al lato del testo. Destra accentuarono il divario fra le regioni del Sud e quelle del Centro-Nord.
Il problema della terra
21_4 L’ECONOMIA E LA POLITICA FISCALE
Parallelamente all’unificazione amministrativa e legislativa, i governi della Destra dovettero affrontare il complesso problema dell’unificazione economica del paese. Vennero uniformati a quello del Piemonte i diversi sistemi monetari presenti nella penisola, con l’adozione di un’unica moneta, la lira italiana, e fu creato un unico regime fiscale. La legislazione doganale liberista vigente nel Regno sardo, basata su dazi di entrata molto bassi, fu estesa a tutta l’Italia, penalizzando, come vedremo, il Mezzogiorno fino ad allora inserito in un sistema protezionistico. Molto rapido fu lo sviluppo delle vie di comunicazione stradali e ferroviarie, premessa indispensabile per la formazione di un mercato nazionale ma anche simbolo visibile di modernità e di progresso civile: in particolare della rete ferroviaria che nel primo decennio unitario passò da poco più di 2 mila a circa 6 mila chilometri, collegando il Nord al Sud [►FS, 171 e _25]. Anche se la nuova rete ferroviaria, per gli alti costi, rimase inizialmente poco utilizzata: per le lunghe distanze si continuò a preferire il trasporto delle merci via mare.
L’unificazione economica
Nei primi decenni dopo l’Unità il settore agricolo conobbe un significativo incremento di produttività di cui si avvantaggiarono soprattutto le colture specializzate del Mezzogiorno e la produzione della seta greggia (ossia di quella giunta solo allo stadio della filatura), principali voci dell’esportazione italiana. Invece il settore industriale fu nel complesso penalizzato dall’accresciuta concorrenza internazionale favorita dalla politica liberista. Declinarono la produzione laniera e, cosa ancora più grave, i settori siderurgico e meccanico, 728
L’industria e l’agricoltura
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
► Leggi anche: ► Focus L’industria della seta
Locomotiva nel Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa Al compimento dell’Unità d’Italia era attivo nell’ex Regno delle Due Sicilie l’Opificio di Pietrarsa (alla periferia di Napoli), un’industria siderurgica che da poco più di 15 anni lavorava a pieno regime producendo locomotive a vapore e facendo concorrenza alle analoghe industrie britanniche. Proprio a scapito di questa officina andarono le manovre del governo unitario che appaltò buona parte delle sue commesse alla società Ansaldo, società di Sampierdarena (Genova) nata nel 1853 grazie al forte impegno di Cavour. La mancanza delle commesse statali e la scelta liberista del governo colpirono quindi Pietrarsa, insieme agli altri pochi nuclei industriali del Mezzogiorno. L’opificio campano fu ceduto in affitto a privati e rimase attivo fino al 1975. Dal 1989 è stato trasformato in un museo ferroviario.
ancora lontanissimi dal potersi giovare dell’occasione che in altri paesi era stata offerta dallo sviluppo delle ferrovie, la cui costruzione si avvalse di materiali d’importazione e di imprese prevalentemente straniere. Gli effetti negativi della scelta liberista colpirono soprattutto i pochi nuclei industriali del Mezzogiorno, inesorabilmente cancellati dalla caduta dei dazi protettivi che ne avevano sostenuto lo sviluppo. Le attività industriali non erano del resto al centro dell’attenzione degli uomini politici italiani, tanto della Destra quanto della Sinistra, convinti che la vocazione dell’Italia risiedesse nell’agricoltura, base del suo sviluppo economico, mentre lo sviluppo industriale sarebbe venuto semmai più tardi. L’espansione dell’agricoltura degli anni ’60 e ’70, derivante da queste scelte, consentì un’accumulazione di capitali che rese possibile un ulteriore potenziamento delle infrastrutture (strade, ferrovie), indispensabile per il futuro sviluppo industriale del paese. Ma nel complesso, dopo un ventennio di vita unitaria, l’Italia aveva perso terreno nei confronti dei paesi più progrediti e il tenore di vita della maggioranza dei suoi abitanti non aveva registrato mutamenti di rilievo: anzi, in alcuni casi, era addirittura peggiorato. Responsabile principale di questa situazione fu la durissima politica fiscale, legata alla necessità di coprire i costi dell’unificazione. La costruzione del nuovo Stato aveva infatti comportato spese altissime, sia nel campo delle comunicazioni sia in quelli dell’amministrazione pubblica, dell’istruzione e dell’esercito. Per far fronte a queste spese, i governi della Destra dovettero ricorrere a una serie di inasprimenti fiscali, che colpivano sia i redditi e i patrimoni sia i consumi (tasse su sali e tabacchi, dazi locali sui generi alimentari). La situazione si aggravò ulteriormente dopo il 1866, in conseguenza delle spese sostenute per la guerra contro l’Austria (la terza guerra d’indipendenza, di cui si dirà nel paragrafo successivo). Nell’estate del 1868 fu introdotta
Una pesante fiscalità
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Attilio Pusterla, Alle cucine economiche di Porta Nuova 1886-87 [Galleria d’Arte Moderna, Milano] Proposta per la prima volta da Quintino Sella nel 1862, la tassa sul macinato fu approvata solo nel 1868, per un giusto timore circa le reazioni che avrebbe provocato sulle fasce sociali più deboli già colpite dalle dure condizioni economiche postunitarie.
infatti una tassa sulla macinazione dei cereali, meglio nota come tassa sul macinato: si trattava in pratica di una tassa sul pane, cioè sul consumo popolare per eccellenza, che colpiva duramente le classi più povere, tanto da scatenare all’inizio del 1869 le prime agitazioni sociali su scala nazionale della storia dell’Italia unita. Scoppiati spontaneamente un po’ in tutto il paese, i moti contro la tassa sul macinato assunsero dimensioni preoccupanti soprattutto nelle campagne padane. La repressione fu anche in questo caso durissima.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le informazioni relative alle modalità con cui fu compiuta l’unificazione economica. b Individua da tre a cinque parole chiave per i settori agricolo e industriale, trascrivile e argomenta la tua scelta per iscritto. c Descrivi per iscritto la situazione economica e sociale dopo il primo ventennio di vita dello Stato unitario analizzandone le cause.
21_5 LA CONQUISTA DEL VENETO E LA PRESA DI ROMA
A pochi anni dalla proclamazione dell’Italia unita la Destra e la Sinistra avevano il comune obiettivo di completare il processo di unificazione annettendo il Veneto e soprattutto il Lazio con Roma. Mentre i leader della Destra si affidavano ai tempi lunghi delle vie diplomatiche, la Sinistra restava fedele all’idea della guerra popolare e vedeva nella lotta per la liberazione di Roma l’occasione per un rilancio dell’iniziativa democratica. In realtà, le acquisizioni del Veneto e di Roma, che avvennero rispettivamente nel 1866 e nel 1870, furono fortemente condizionate dal mutare degli equilibri europei sui quali pesò il rinnovato dinamismo politico e militare della Prussia [►18_1 e 2]. Il nodo più difficile da sciogliere era rappresentato dalla questione di Roma, proclamata formalmente capitale del nuovo Stato già nel marzo 1861, ma sede di un pontificato ostile all’Unità e difesa dalle truppe francesi. La questione romana andava risolta con prudenza perché da un lato la Francia rimaneva l’alleato più sicuro e il principale partner economico dell’Italia, dall’altro il paese era cattolico al 99% e il clero continuava a svolgere un ruolo decisivo nel controllo sociale e culturale delle campagne. Lo stesso Cavour era stato dell’avviso di muoversi con cautela: fedele al principio «libera Chiesa in libero Stato», aveva avviato trattative 730
La questione romana
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
► Leggi anche: ► Lezioni attive Fare l’Italia: il processo di unificazione e la nascita del Regno ► Eventi Roma capitale, p. 732
in vista di una soluzione che assicurasse al papa e al clero piena libertà di esercitare il proprio magistero spirituale in cambio della rinuncia al potere temporale e del riconoscimento del nuovo Stato. Su questa stessa linea si mossero i governi italiani anche in seguito, registrando tuttavia l’impraticabilità di una conciliazione osteggiata fermamente da Pio IX. Di fronte a questa situazione di stallo apparve possibile una ripresa della mobilitazione patriottica democratica guidata ancora una volta da Garibaldi. Ma i due tentativi del 1862 e del 1867 si rivelarono male organizzati, in larga misura velleitari e destinati all’insuccesso. Nel 1862 Garibaldi raccolse in Sicilia qualche migliaio di volontari, varcò lo Stretto di Messina ma fu fermato (e ferito) sull’Aspromonte dalle truppe regie intervenute ad arrestare la spedizione che minacciava di provocare un intervento militare della Francia di Napoleone III. Due anni dopo, nel 1864, fu trovato un accordo con la Francia – la cosiddetta Convenzione di settembre – in base al quale l’Italia si impegnava a garantire il rispetto dei confini dello Stato della Chiesa, ottenendo in cambio il ritiro delle truppe francesi dal Lazio. A garanzia del suo impegno, il governo decideva di trasferire la capitale da Torino a Firenze [►FS, 173] in quella che sembrava una rinuncia a Roma. La decisione suscitò nella città piemontese violenti disordini popolari che vennero duramente repressi dai militari causando oltre 50 morti. Nel 1867 prese avvio una nuova iniziativa garibaldina, che avrebbe dovuto appoggiarsi su un’insurrezione preparata dai patrioti romani. Si sperava in tal modo di giustificare il colpo di mano, presentandolo come un atto di volontà popolare, e di evitare l’intervento francese. Napoleone III inviò invece un corpo di spedizione nel Lazio, mentre l’insurrezione a Roma falliva per la sorveglianza della polizia e per la scarsa partecipazione popolare. Il 3 novembre 1867, le truppe francesi da poco sbarcate a Civitavecchia si scontrarono presso Mentana, alle porte di Roma, con i volontari garibaldini e li sconfissero dopo un duro combattimento [► _35].
Il fallimento dei tentativi garibaldini
La terza guerra d’indipendenza e la conquista del Veneto
Intanto, l’anno precedente alla sconfitta di Mentana l’Italia era riuscita ad assicurarsi il possesso del Veneto. Nel 1866 il governo italiano aveva infatti accettato la proposta di alleanza militare con la Prussia rivolta da Bismarck, che si apprestava ad affrontare la guerra con l’Impero asburgico. La partecipazione italiana fu Vincenzo Malinverno, Aspromonte fine XIX sec. [Museo Civico del Risorgimento, Bologna] Lo scontro avvenuto sull’Aspromonte fra le truppe italiane e quelle garibaldine, durante il quale Garibaldi fu ferito e arrestato, suscitò un’ondata di sdegno verso la politica del Regno sabaudo, tanto che anche il poeta Giosuè Carducci (1835-1907) se ne fece portavoce, già nel settembre 1862. Il ferimento e successivo arresto del generale diedero vita a una serie di aneddoti e canti popolari e furono d’ispirazione a diverse opere pittoriche, fra le quali questa, creata da Gerolamo Induno e copiata da Malinverno: come un santo patrono, Garibaldi è portato a spalla e sostenuto da una moltitudine di persone, come in una processione tra le montagne calabre.
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La battaglia di Lissa 1866 [Museo Centrale del Risorgimento Italiano, Roma] La battaglia presso l’isola di Lissa, nel Mare Adriatico, è la prima delle grandi battaglie sul mare in cui vengono impiegate navi a vapore corazzate. Il dipinto illustra lo scontro tra le flotte dell’Impero austriaco e della Regia Marina italiana. La disfatta italiana è cocente e due navi corazzate vengono affondate dalla flotta nemica.
EVENTI
Roma capitale
L
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a conquista di Roma fu resa possibile da un fatto imprevisto, e difficilmente prevedibile: la sconfitta della Francia a Sedan per mano della Prussia di Bismarck (1° settembre 1870, ►18_2). Qualche giorno dopo, mentre la Germania completava il processo d’unificazione, in Francia cadeva il Secondo Impero e con esso anche la tutela esercitata sui domìni pontifici da Napoleone III. Era l’occasione che l’Italia stava aspettando. Il 10 settembre un inviato del re Vittorio Emanuele II propose a papa Pio IX di rinunciare pacificamente alla sovranità sullo Stato pontificio – che ormai comprendeva solo il Lazio – garantendogli la piena indipendenza spirituale della Santa Sede. La risposta del pontefice fu negativa. Due giorni dopo il generale Raffaele Cadorna, alla testa di 60 mila uomini, entrò nello Stato pontificio, e in cinque giorni, senza incontrare resistenze, raggiunse Roma. Al papa fu offerta una seconda occasione per arrendersi, ma la risposta rimase negativa, anche se la città era ormai quasi interamente circondata e stava per sopraggiungere anche un contingente da Civitavecchia, guidato da Nino Bixio. Pio IX non era intenzionato a resistere ad oltranza, ma a difendersi quanto bastava per dimostrare di essere oggetto di una violenza da parte italiana. Le truppe regie si erano concentrate fra Porta Salara (oggi piazza Fiume) e Porta Maggiore. L’inizio dell’attacco era previ-
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
sto per l’alba del 20 settembre. Dalle cinque del mattino le artiglierie cominciarono a bersagliare Porta San Giovanni e Porta San Lorenzo, ma si concentrarono prevalentemente su Porta Pia e Porta Salara. Alle nove e mezza una breccia si aprì alla destra di Porta Pia. Dopo qualche minuto i bersaglieri, insieme ad altri reparti di fanteria, superarono la breccia, fra squilli di tromba, grida che inneggiavano ai «Savoia!» e colpi d’artiglieria. Il combattimento non durò a lungo: gli italiani entrarono in città senza incontrare resistenze, accolti da una popolazione romana non troppo stupita dall’esito della battaglia. Poco dopo, quando sulla cupola di San Pietro fu issata la bandiera bianca della resa, i combattimenti cessarono, lasciando sul campo 19 caduti fra i soldati pontifici e 49 fra gli italiani. Mentre i soldati regi entravano a Roma, quelli del pontefice si ritiravano nel rione di Borgo, accanto al Vaticano. Il giorno seguente anche questa zona fu occupata e Pio IX si chiuse in Vaticano, per non uscirne più. Dopo oltre un millennio cessava l’esistenza dello Stato pontificio. Il 2 ottobre 1870 si tenne il plebiscito che doveva decidere le sorti di Roma. Alla formula «Vogliamo la nostra unione al Regno d’Italia sotto il governo costituzionale del Re Vittorio Emanuele II e dei suoi successori» 40.875 furono i “sì” e 46 i “no”. Gli iscritti al voto, a suffragio universale maschile, non superavano
i due terzi dei maschi maggiorenni, ma l’affluenza fu elevata, raggiungendo l’87,6% degli aventi diritto. In un clima allegro, con cortei di persone vestite a festa, Roma votò la sua annessione al Regno, segnando il raggiungimento di una tappa che il percorso di unificazione del 1861 aveva lasciato incompiuta e a cui avevano tentato di rimediare due sfortunate spedizioni garibaldine. Il 9 ottobre, con il decreto d’accettazione del plebiscito, Roma diventava ufficialmente italiana e si univa alla monarchia costituzionale dei Savoia. Due questioni, di fondamentale rilevanza per tutta la nazione, erano ancora da sciogliere: la definizione giuridica dei rapporti fra Stato e Chiesa e il trasferimento della capitale da Firenze a Roma. Il 13 maggio 1871, con la legge delle Guarentigie, lo Stato italiano riconobbe al papa, in modo unilaterale, una serie di garanzie. Il papa respinse in toto la legge, che continuò a regolare i rapporti fra Stato e Chiesa fino ai Patti lateranensi del 1929. Ben oltre questa data, con echi che si avvertono ancora oggi, le questioni della libertà della Chiesa e della laicità dello Stato sarebbero rimaste rilevanti, costituendo un elemento di divisione nella società italiana. Sullo status di Roma capitale, invece, c’era una convergenza ampia. Roma è stata sempre una capitale, della Repubblica e dell’Impero romano, della Cristianità, del cattolicesimo e di uno Stato ecclesiastico. Dall’idea di Roma capitale non poteva prescindere il Risorgimento, che alla città aveva legato un pa-
decisiva per l’esito del conflitto, in quanto impegnò una parte dell’esercito austriaco agevolando la vittoria prussiana. Ma, per le forze armate nazionali chiamate alla loro prima prova impegnativa, la guerra si risolse in un clamoroso insuccesso. Gli italiani, infatti, furono sconfitti sia per terra, a Custoza, sia per mare, presso l’isola di Lissa, nonostante le forze austriache fossero inferiori di numero: gravi errori di valutazione dei comandi trasformarono in dure sconfitte quelli che in realtà erano stati degli scontri brevi e confusi, con perdite limitate da ambo le parti. Solo Garibaldi, con i suoi volontari, era riuscito ad aprirsi la via verso Trento, ma aveva dovuto fermarsi perché i prussiani, raggiunti i loro obiettivi, avevano stipulato l’armistizio con gli austriaci. Dalla successiva pace di Vienna (ottobre 1866) l’Italia ottenne, non direttamente ma con la mediazione della Francia, solo il Veneto e i territori del Friuli fino a Udine. L’ultima delle guerre di indipendenza si concludeva così con un bilancio deludente: rimanevano sotto l’Austria il Trentino e la Venezia Giulia. Ciò avrebbe costituito, ancora per mezzo secolo, un ricorrente motivo di agitazione patriottica. La sconfitta, poi, non solo aveva chiaramente dimostrato l’impreparazione militare italiana, ma aveva diffuso in larga parte dell’opinione pubblica l’amara convinzione che il nuovo Stato non era ancora pronto a inserirsi fra le potenze europee su un piano di parità. Anche la presa di Roma dipese direttamente dai successi militari della Prussia. Questa volta fu la Francia a essere sconfitta [►18_2]. Nel settembre 1870, subito dopo la battaglia di Sedan, il governo italiano, non sentendosi più vincolato ai patti sottoscritti con
Roma capitale
triottismo intriso di richiami alla gloria e alla grandezza del passato. Proclamata l’Unità d’Italia, a dieci giorni di distanza (27 marzo 1861), Roma era stata acclamata dal Parlamento capitale del nuovo Stato. Ecco le ragioni della scelta, esposte da Cavour: «Roma è la sola città d’Italia che non abbia memorie esclusivamente municipali; tutta la storia di Roma dal tempo dei Cesari al giorno d’oggi è la storia di una città la cui importanza si estende infinitamente al di là del suo territorio; di una città, cioè, destinata ad essere la capitale di un grande Stato». Dovevano passare dieci anni perché questa prospettiva si realizzasse. La Roma pontificia, che per molti era stata il simbolo di una società arretrata, ostile ai valori liberali e democratici, diventava la capitale amministrativa e politica del Regno d’Italia. L’annessione e poi la designazione a capitale scatenarono intense e accelerate trasformazioni a livello urbanistico, sociale e culturale. Oltre al trasferimento del re, la città diventava la sede del Parlamento, della
presidenza del Consiglio dei ministri, dei vari ministeri. A Roma, che all’epoca non era la città più popolosa d’Italia (contava circa 226 mila abitanti ed era di gran lunga superata da Napoli), si riversarono migliaia di immigrati: impiegati statali, professionisti, commercianti ma anche manovali, attratti dall’inizio dell’espansione edilizia che avrebbe cambiato la fisionomia della città. Dal 1870 il destino di Roma si è saldato a quello nazionale, come il ricordo della breccia di Porta Pia si è legato alle vicende politiche cittadine e nazionali. Nel 1895 il 20 settembre
divenne festa nazionale. La data alimentò lo scontro fra clericali e anticlericali, che progressivamente si stemperò, finché il fascismo nel 1930 non abolì la festa, in ossequio alla conciliazione tra Stato e Chiesa. In città resta tuttora visibile la memoria di un evento che ebbe conseguenze epocali. Di fronte alla breccia fu inaugurata nel 1895 la Colonna della Vittoria, una colonna antica sormontata dalla statua di una Vittoria alata in bronzo, mentre nel piazzale antistante Porta Pia il Monumento al Bersagliere (eretto nel 1932) celebra l’assalto di quel corpo militare.
Michele Cammarano, La breccia di Porta Pia 1871 [Museo di Capodimonte, Napoli] Il 20 settembre 1870, un corpo di bersaglieri entrò a Roma attraverso una breccia aperta nelle mura della città all’altezza di Porta Pia. Questa tela, che fu commissionata al pittore direttamente da Vittorio Emanuele II per ricordare l’avvenimento, non raffigura la breccia (solo intuibile), ma si concentra sull’incedere impetuoso dei bersaglieri che sembrano essere sul punto di travolgere lo spettatore.
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Napoleone III, decise di inviare un corpo di spedizione nel Lazio. Contemporaneamente cercò un accordo col pontefice, ma Pio IX respinse ogni proposta, deciso a mostrare al mondo intero di essere stato costretto a cedere alla violenza. Il 20 settembre le truppe italiane, dopo aver aperto con l’artiglieria una breccia nelle mura presso Porta Pia e dopo un breve combattimento, entravano in città accolte festosamente dalla popolazione. Pochi giorni dopo, un plebiscito confermava a schiacciante maggioranza l’annessione di Roma e del Lazio. Il 20 settembre 1870 rappresenta una data epocale non solo per l’Italia unita che otteneva la sua capitale, ma soprattutto per la Chiesa cattolica. Quel giorno poneva fine al potere temporale dei papi durato oltre un millennio – dal 752 – e dava inizio a una nuova storia per il cattolicesimo romano. Nell’estate del 1871 la capitale con tutte le sue strutture politiche e amministrative – Parlamento, governo, ministeri – fu trasferita da Firenze a Roma [►FS, 174]. Nel frattempo era stata approvata una legge detta delle Guarentigie, cioè delle “garanzie”, con la quale il Regno d’Italia si impegnava unilateralmente a garantire al pontefice le condizioni per il libero svolgimento del suo magistero spirituale, secondo le linee del progetto cavouriano. Al papa venivano extraterritorialità Condizione giuridica di ciò che, pur trovandosi nel territorio riconosciute prerogative simili a quelle di un capo di Stato: onori sovrani, facoltà di uno Stato, non è soggetto alla sua sovranità. di tenere un corpo di guardie armate, diritto di rappresentanza diplomatica, extraterritorialità per i palazzi del Vaticano e del Laterano, libertà di comunicazioni postali e telegrafiche col resto del mondo. Pur rifiutando la legge e con essa METODO DI STUDIO la somma annuale che lo Stato italiano aveva previsto di corrispondere alla Santa a Trascrivi sul quaderno i titoli dei sottoparaSede, Pio IX di fatto si avvalse delle prerogative assicurate dalle Guarentigie. grafi e sintetizza il contenuto di ognuno di essi Non per questo si ridusse l’ostilità di Pio IX nei confronti del Regno d’Italia. Anzi, mettendo in rilievo le date di riferimento e i soggetti politici coinvolti negli eventi descritti. l’invito ad astenersi da ogni partecipazione alla vita politica dello Stato rivolto dal b Spiega l’espressione «libera Chiesa in libero clero ai cittadini italiani all’indomani dell’Unità si trasformò, nel 1874, in un espliStato». cito divieto di partecipare alle elezioni politiche con la formula del non expedit, c Cerchia i nomi delle battaglie e dei trattati descritti ed evidenzia per ognuno di essi i contenuti. che significa “non giova, non è opportuno”. L’acquisto di Roma, nel momento stes d Spiega il significato dell’espressione non so in cui coronava il processo di unificazione nazionale, lasciava aperto un conexpedit nel contesto storico descritto. flitto con la Chiesa che sarebbe stato sanato solo nel 1929 con i Patti lateranensi.
Il trasferimento della capitale e il non expedit
21_6 IL GOVERNO DELLA SINISTRA
Nel 1876 il governo passò dalla Destra alla Sinistra. L’anno precedente, grazie alla severa politica fiscale impostata dal ministro delle Finanze Quintino Sella, era stato raggiunto il pareggio nel bilancio statale. Ma ormai, in Parlamento e nel paese, erano molti a chiedere una politica meno rigida e restrittiva, che lasciasse più ampi margini alla formazione della ricchezza privata. Furono comunque le divisioni della Destra ad aprire alla Sinistra la via del governo. Nel marzo 1876 il governo Minghetti, messo in minoranza sul suo progetto di passaggio alla gestione statale delle ferrovie, fino ad allora affidate ai privati, presentò le dimissioni. Pochi giorni dopo, il re chiamò a formare il nuovo governo Agostino Depretis, leader della Sinistra all’opposizione, che costituì un ministero interamente composto da uomini della Sinistra. Nelle elezioni politiche del novembre di quell’anno, il successo della Sinistra fu nettissimo e confermò il carattere irreversibile del declino della Destra.
La fine del governo della Destra
Col 1876 si apriva una nuova fase nella storia politica dell’Italia unita. Giungeva al potere un ceto dirigente quasi del tutto nuovo a esperienze di governo, diverso per formazione e per estrazione sociale da quello che aveva retto il paese nel primo quindicennio di vita unitaria. La Sinistra parlamentare aveva in realtà fortemente attenuato la sua originaria connotazione radical-democratica e aveva accolto nel suo seno componenti moderate o addirittura conservatrici. Ciononostante, la nuova classe dirigente riuscì a esprimere il desiderio di democratizzazione della
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La Sinistra e i governi Depretis
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
vita politica diffuso in larga parte della società: tentò infatti, pur con molte incertezze e cautele, di ampliare le basi della politica e seppe venire incontro alle esigenze di una borghesia in crescita. Il protagonista indiscusso di questa fase, Agostino Depretis, fu capo del governo, salvo brevi interruzioni, per oltre dieci anni. Mazziniano in gioventù, approdato poi a posizioni più moderate, parlamentare espertissimo, Depretis riuscì a contemperare con molta abilità le spinte progressiste e le tendenze conservatrici presenti nella nuova maggioranza. Il programma della Sinistra era basato su pochi punti fondamentali: ampliamento del suffragio elettorale, maggiore sostegno all’istruzione elementare, sgravi fiscali soprattutto nel settore delle imposte indirette, decentramento amministrativo. Quest’ultimo impegno fu accantonato mentre gli altri ebbero attuazione, anche se a volte tardiva. La prima riforma fu quella dell’istruzione elementare. Una legge del 1877 – nota come legge Coppino dal nome del ministro che la presentò – prolungò l’obbligo della frequenza scolastica a nove anni di età e inasprì le sanzioni per i genitori inadempienti. Tuttavia, a causa delle ristrettezze in cui versava la maggioranza delle famiglie italiane e della scarsa capacità dei comuni di provvedere ai compiti loro spettanti, non ci fu una reale attuazione dell’obbligo scolastico: fino alla fine del secolo la percentuale di analfabeti si mantenne molto elevata, pur diminuendo costantemente.
La riforma dell’istruzione elementare
Legato al problema dell’istruzione era quello dell’ampliamento del suffragio. La nuova legge elettorale, approvata dalla Camera all’inizio del 1882, introduceva infatti come requisito fondamentale l’istruzione, concedendo il diritto di voto a tutti i cittadini che avessero compiuto il ventunesimo anno d’età – la legge precedente fissava l’età minima a 25 anni – e avessero superato l’esame finale del corso elementare obbligatorio, o
La riforma elettorale del 1882
L’armamentario dello scolaro e la divisione di genere nella scuola XIX sec. In Italia la scuola elementare pubblica fu istituita sin dall’unificazione con la legge Casati del 1859, ma solo la legge Coppino del 1877 sancì
l’obbligatorietà e la gratuità del primo biennio dell’istruzione elementare. La legge, però, pur prevedendo pene per i trasgressori dell’obbligo, non ne specificò la natura evitando anche di rimandare al Codice penale. Questa lacuna, unita alle difficoltà di avviare il sistema
scolastico per la mancanza di strutture e di insegnanti e alla materiale impossibilità delle famiglie a rinunciare alle entrate del lavoro dei figli minori, determinò l’ampia disattesa delle disposizioni sull’obbligo scolastico, soprattutto nelle regioni meridionali.
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C21 Governare L’Italia unita
dimostrassero comunque di saper leggere e scrivere. Il requisito del censo era mantenuto, in alternativa a quello dell’istruzione, e abbassato di circa la metà (da 40 a 20 lire di imposte annue pagate). A causa dell’alto tasso di analfabetismo, la consistenza numerica dell’elettorato restava sempre piuttosto esigua: poco più di 2 milioni, pari al 7% della popolazione e a circa un quarto dei maschi maggiorenni. Il corpo elettorale risultava tuttavia più che triplicato rispetto alle ultime consultazioni e, quel che più conta, profondamente modificato nella composizione. Grazie alla nuova legge accedeva alle urne anche una frangia non trascurabile di artigiani e operai del Nord. Per questo, le prime elezioni a suffragio allargato (ottobre 1882) videro l’ingresso alla Camera del primo deputato socialista, il romagnolo Andrea Costa. La riforma elettorale dell’82 segnò il coronamento, ma anche il punto terminale, della breve stagione di riforme della Sinistra. Furono proprio le preoccupazioni suscitate dall’ampliamento del suffragio e dal conseguente prevedibile rafforzamento dell’estrema Sinistra a favorire quel processo di convergenza fra le forze moderate di entrambi gli schieramenti, che nacque da un accordo elettorale fra Depretis e il leader della Destra Minghetti e che prese il nome di trasformismo. La sostanza del trasformismo non stava – come sosteneva Depretis – nella “trasformazione” dei moderati in progressisti, ma piuttosto nel venir meno delle tradizionali distinzioni ideologiche fra Destra e Sinistra e nella rinuncia, da parte di quest’ultima, a una precisa caratterizzazione. Si compiva così un mutamento irreversibile nella fisionomia della Camera e nei caratteri stessi della lotta politica. A un modello “bipartitico” di stampo inglese – Destra contro Sinistra, maggioranza contro opposizione, conservatori contro progressisti – se ne sostituiva un altro basato su un grande Centro che tendeva a inglobare le opposizioni moderate e a emarginare le ali estreme (i conservatori più intransigenti da un lato, l’estrema Sinistra dall’altro). La maggioranza non era più definita sulla base di discriminanti programmatiche, ma veniva “costruita” giorno per giorno a forza di compromessi e patteggiamenti: una situazione che provocava un sostanziale rallentamento nell’azione di governo, oltre che un netto scadimento nella qualità della vita politica.
Il trasformismo
La svolta moderata di Depretis ebbe come conseguenza il definitivo distacco dalla maggioranza dei gruppi democratici più avanzati che, pur avendo accantonato la pregiudiziale repubblicana, continuavano a battersi per il suffragio universale, per una politica estera antiaustriaca, per una politica ecclesiastica più decisamente anticlericale e per un più vasto impegno in favore delle classi disagiate. Sotto la guida di Agostino Bertani, e poi di Felice Cavallotti, questo gruppo – che, con termine mutuato dalla Francia della Terza Repubblica [►18_5], fu chiamato radicale – svolse negli anni ’80 un ruolo di combattiva opposizione contro le maggioranze trasformiste.
I radicali
METODO DI STUDIO
a Evidenzia i nomi dei personaggi storici citati nel paragrafo e sottolineane le caratteristiche e/o le azioni principali. b Realizza un grafico a stella relativo al governo della Sinistra storica i cui raggi siano costituiti dai titoli dei sottoparagrafi e scrivi alla loro estremità almeno tre parole chiave. Realizza quindi una didascalia a commento in cui argomenterai le tue scelte.
21_7 LA CRISI AGRARIA E LA POLITICA ECONOMICA PROTEZIONISTA
In campo economico, la Sinistra allentò la dura politica fiscale fino ad allora praticata: la contestata tassa sul macinato fu considerevolmente ridotta nel 1880, per essere poi del tutto abolita nell’84 [►21_4]. Venne contemporaneamente aumentata la spesa pubblica, sia per coprire le accresciute esigenze militari sia per
Sgravi fiscali e spesa pubblica
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Il governo Depretis in una vignetta satirica La vignetta mostra i ministri del governo Depretis mentre “saltano la cavallina”: in questo modo gli oppositori interpretavano la politica del “trasformismo”.
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
spesa pubblica Insieme delle uscite o spese dello Stato e degli altri enti territoriali minori per il mantenimento delle pubbliche amministrazioni e delle forze armate, per l’esercizio dei servizi pubblici, per i sussidi a enti o privati.
accontentare le richieste dei vari gruppi di interesse su cui si reggeva la maggioranza. Questa politica provocò, fin dall’inizio degli anni ’80, la ricomparsa di un crescente deficit nel bilancio statale, senza peraltro riuscire a superare le difficoltà economiche dovute in primo luogo all’arretratezza del settore agricolo. I pochi miglioramenti avevano riguardato infatti le zone e i settori già relativamente progrediti: le terre irrigue della pianura lombarda e le colture specializzate del Mezzogiorno (olivi, agrumi e soprattutto uva da vino). Altri mutamenti significativi si erano avuti, fin dall’inizio degli anni ’70, in alcune zone della Bassa padana, in particolare nel Ferrarese: qui grandi lavori di bonifica promossi da imprenditori capitalisti avevano trasformato la fisionomia del paesaggio agrario e attirato vaste masse di braccianti. In tutto il resto d’Italia la situazione dell’agricoltura non era molto cambiata rispetto ai primi anni dell’Unità né erano migliorate le condizioni dei lavoratori delle campagne, oppressi da contratti arcaici, sottopagati, malnutriti, analfabeti nella stragrande maggioranza.
La crisi agraria
Questa realtà fu ampiamente documentata dalla grande Inchiesta agraria deliberata dal Parlamento nel 1877 e presieduta dal senatore lombardo Stefano Jacini. Dall’Inchiesta, che fu conclusa nel 1884, emergeva un quadro drammatico dello stato dell’agricoltura italiana. Nella relazione finale si indicavano come rimedi un’estensione delle opere di bonifica e di irrigazione, un più razionale avvicendamento delle colture e una loro maggior diversificazione. Ma ciò richiedeva abbondanza di capitali e disponibilità all’investimento da parte dei privati: tutte condizioni che allora mancavano, soprattutto nel Mezzogiorno.
L’Inchiesta Jacini
La situazione si aggravò quando, a partire dal 1881, l’Italia cominciò a risentire gli effetti della crisi che investì in quegli anni l’agricoltura europea [►17_1]: un brusco abbassamento dei prezzi colpì in primo luogo i cereali e poi tutto l’insieme dei prodotti agricoli, a eccezione delle colture da esportazione che non subivano la concorrenza d’oltreoceano. Al calo dei prezzi seguì un calo della produzione, con conseguenze gravissime per tutte le categorie produttive legate all’agricoltura. Anche gli effetti sociali della crisi
Gli effetti della congiuntura negativa europea
Le Paludi pontine seconda metà XIX sec. Nonostante i lavori di bonifica avviati nella Bassa padana, nella seconda metà dell’800 permanevano nel resto d’Italia vaste zone paludose inservibili per l’agricoltura. La fotografia mostra un’immagine delle Paludi pontine (Lazio) prima delle bonifiche operate durante il ventennio fascista.
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Raffaello Gambogi, Gli emigranti 1895 ca. [Museo Civico Giovanni Fattori, Livorno] Alla fine dell’800 la vita degli emigranti e alcuni momenti tipici della loro esperienza, come l’attesa della partenza o il viaggio di trasferimento, furono un soggetto frequente nella fotografia e nell’arte figurativa italiana.
agraria furono analoghi a quelli già osservati per l’insieme dei paesi europei: aumento della conflittualità nelle campagne e rapido incremento dei flussi migratori verso i centri urbani e soprattutto verso l’estero. Fra il 1881 e il 1901 abbandonarono definitivamente l’Italia più di 2 milioni di persone. La crisi non solo distolse capitali dal settore agricolo, indirizzandoli verso altri impieghi, ma fece cadere le illusioni di chi ancora credeva che lo sviluppo economico italiano potesse fondarsi solo sull’agricoltura e sull’esportazione dei prodotti della terra. Gli esponenti della Sinistra erano, come i loro predecessori, avversi in linea di principio all’intervento dello Stato nell’economia. Queste convinzioni liberiste furono però scosse dall’andamento tutt’altro che brillante dell’economia nazionale e dall’esempio che veniva dagli altri Stati europei, soprattutto dalla Germania. Una decisa svolta in senso protezionistico era del resto invocata ormai da quasi tutti gli industriali e dagli stessi proprietari terrieri, un tempo incondizionatamente favorevoli al liberismo ma ora colpiti dalle conseguenze della crisi agraria. Si giunse così nel 1887 al varo di una nuova tariffa doganale che proteggeva dalla concorrenza straniera importanti settori dell’industria nazionale (i più favoriti, oltre al siderurgico, furono il laniero, il cotoniero e lo zuccheriero), colpendo le merci di importazione con pesanti dazi di entrata. In campo agricolo, il nuovo regime doganale fu esteso ai cereali: il dazio sul grano fu quasi triplicato fra l’87 e l’89. La tariffa dell’87 segnava una rottura definitiva con la prassi liberoscambista seguita negli anni ’60 e ’70 e poneva le basi di un nuovo blocco di potere economico fondato sull’alleanza fra l’industria protetta e i grandi proprietari terrieri (settentrionali e meridionali) e sull’intreccio non sempre limpido fra i maggiori gruppi di interesse e i poteri statali.
La svolta protezionistica
È ormai opinione comune che la scelta protezionistica costituisse per l’Italia una sorta di passaggio obbligato sulla strada di quel decollo industriale poi realizzatosi a partire dagli ultimi anni dell’800. È certo tuttavia che, almeno nell’immediato, la tariffa dell’87 738
Gli effetti negativi
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
produsse una serie di conseguenze negative e accentuò gli squilibri fra i vari settori dell’economia e fra le varie zone del paese. I dazi doganali non proteggevano in modo uniforme i diversi comparti produttivi. Al forte sostegno accordato alla siderurgia, anche per motivi strategici legati agli armamenti, faceva riscontro la scarsa protezione di cui godeva l’industria meccanica (danneggiata oltretutto dal rialzo dei prezzi dei prodotti siderurgici). Per quanto riguarda l’agricoltura, l’introduzione del dazio sul grano provocò un immediato rialzo del prezzo dei cereali che, se da un lato rappresentò una boccata d’ossigeno per le aziende in crisi, dall’altro danneggiò i consumatori e contribuì a tenere in vita, METODO DI STUDIO soprattutto nel Mezzogiorno, arretrate realtà produttive. Contemporaneamente l’a a Dividi il paragrafo in blocchi in corrispondenza gricoltura meridionale veniva colpita nel suo settore più moderno: quello delle degli eventi descritti e indica per ogni blocco un colture specializzate, che si reggeva soprattutto sulle esportazioni e che vide brutitolo che scriverai al lato del testo assieme alla scamente chiudersi il suo principale mercato di sbocco. La tariffa dell’87 ebbe infatdata di riferimento. b Per ogni blocco individuato nell’esercizio preceti come conseguenza una rottura commerciale, poi degenerata in vera e propria dente sottolinea le frasi che ne riassumono meglio guerra doganale con la Francia, che era stata fino ad allora il principale partner gli eventi. economico dell’Italia e il maggior acquirente dei prodotti agricoli italiani (soprat c Spiega per iscritto quali furono le conseguenze della crisi agraria e della svolta protezionistica. tutto seta e vino), la cui esportazione diminuì di oltre il 50%.
21_8 LA POLITICA ESTERA E IL COLONIALISMO
Anche per la politica estera italiana gli anni della Sinistra segnarono una svolta decisiva: nel maggio 1882 il governo Depretis stipulò con la Germania e l’Austria-Ungheria il trattato della Triplice alleanza [►18_4 e FS, 180d]. Questa scelta rappresentava una netta rottura, poiché abbandonava la politica seguita dai governi precedenti basata sul mantenimento di buone relazioni con le grandi potenze e sul rapporto preferenziale con la Francia. La motivazione principale di questa decisione fu il desiderio di uscire da una situazione di isolamento diplomatico che appariva insopportabile in un’epoca dominata dalla logica di potenza. Questo isolamento era apparso chiaramente nel 1881 quando la Francia, col consenso delle altre potenze, aveva occupato la Tunisia [►20_2] e l’Italia – che da tempo nutriva aspirazioni su quel territorio, anche per la presenza di una forte comunità di emigrati italiani – non aveva potuto far nulla per opporsi. Ne era seguito un grave deterioramento dei rapporti italo-francesi, destinato a far sentire i suoi effetti per oltre un quindicennio. Per uscire dall’isolamento, l’Italia non aveva dunque altra strada se non quella dell’accordo con Germania e Austria, insistentemente sollecitato da Bismarck. La Triplice era un’alleanza di carattere difensivo, che impegnava gli Stati firmatari a garantirsi reciproca assistenza in caso di aggressione da parte di altre potenze. In concreto, l’Italia veniva coinvolta nel sistema di sicurezza bismarckiano senza ottenere dai nuovi alleati alcun vantaggio immediato, anzi rinunciando implicitamente alla rivendicazione storica sul Trentino, la Venezia Giulia e Trieste, le terre irredente, cioè “non redente” ovvero non liberate dal dominio austriaco [►21_5]. Un problema questo che fu drammaticamente riproposto dal caso di Guglielmo Oberdan, un giovane triestino impiccato nel dicembre 1882 per aver progettato di attentare alla vita dell’imperatore austriaco Francesco Giuseppe. La Triplice fu rinnovata a più riprese, ma le garanzie ottenute sulla carta dall’Italia nel 1887 – in particolare la clausola secondo cui ogni eventuale espansione austriaca nei Balcani doveva essere bilanciata da adeguati “compensi” per l’Italia – non vennero praticamente mai applicate. Come si sarebbe visto nel 1908 con l’annessione austriaca della Bosnia e dell’Erzegovina.
La Triplice alleanza
Contemporaneamente alla stipulazione della Triplice, il governo Depretis, spinto da considerazioni di prestigio e dalla pressione di ristretti gruppi di interesse, aveva ritenuto opportuno porre le basi per una piccola iniziativa coloniale in Africa orientale. Il punto di partenza fu costituito dall’acquisto, nel 1882, della Baia di Assab, sulla costa occidentale del Mar Rosso [► _46]. Tre anni dopo fu inviato un corpo di spedizione che occupò una striscia di territorio tra la Baia di Assab e la città di Massaua. Questa zona, abitata da popolazioni nomadi, confinava con l’Impero etiopico, il più forte e il più vasto fra gli Stati
L’espansione coloniale in Africa orientale
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subita dalle truppe italiane a Dogali nel 1887 fu particolarmente traumatica per l’opinione pubblica perché sminuì il mito della superiorità bellica dei bianchi. In questa immagine è interessante notare come all’ardore composto e plastico delle truppe
Assieme a quella di Adua (1896), la sconfitta
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Michele Cammarano, La battaglia di Dogali 1896 [Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma]
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primi acquisti territoriali territori italiani nel 1889 porti del Benadir affittati nel 1892 e riscattati nel 1905 Colonia Eritrea secondo i trattati del 1898-1908 Somalia italiana secondo i trattati del 1894-1908 Etiopia (Abissinia) battaglie della guerra italo-abissina
africani indipendenti. L’Etiopia (o Abissinia, come veniva allora chiamata in Italia) era un paese economicamente molto arretrato, con una popolazione di fede cristiana e di confessione copta (secondo la tradizione dell’antica Chiesa cristiana d’Egitto); dedita in prevalenza alla pastorizia, essa aveva un’organizzazione di tipo feudale in cui l’autorità dell’imperatore, il negus, era fortemente limitata da quella dei signori locali, i ras, che disponevano di propri eserciti. In un primo tempo gli italiani cercarono di stabilire buoni rapporti con gli etiopi e di avviare una penetrazione commerciale. Ma, quando tentarono di ampliare il loro controllo territoriale METODO DI STUDIO verso l’interno, dovettero scontrarsi con la reazione del negus e dei ras locali. a Sottolinea le conseguenze per l’Italia Nel gennaio 1887 una colonna di 500 militari italiani fu sorpresa dalle truppe dell’annessione francese della Tunisia. abissine del ras Alula e sterminata nei pressi di Dogali. La notizia della disfatta b Trascrivi sul quaderno i nomi degli Stati firmatari della Triplice alleanza e descrivine le caratteristiche suscitò un’ondata di proteste in tutto il paese, in particolare tra i gruppi di politiche e le conseguenze dell’adesione all’accordo. estrema sinistra che si erano sempre opposti alla politica coloniale. Prevalse C Individua e numera le tappe dell’espansioperò l’esigenza di tutelare il prestigio nazionale: così la Camera accordò al gone coloniale italiana in Africa evidenziando per ogni tappa gli eventi salienti e cerchiando le date verno i finanziamenti richiesti per l’invio di rinforzi e per il consolidamento corrispondenti. della presenza italiana sulla fascia costiera.
21_9 SOCIALISTI E CATTOLICI
Il ritardo nello sviluppo industriale e la conseguente assenza di un proletariato di fabbrica numericamente consistente rallentarono in Italia la crescita di un movimento operaio organizzato. Del resto gli oltre 3 milioni di individui (pari al 20% della popolazione attiva) che il censimento del 1871 indicava come addetti all’industria erano per gran parte lavoranti di botteghe artigiane. Anche nelle unità produttive di maggiori dimensioni (specie nel settore tessile, dove era molto numerosa la manodopera femminile e minorile) accadeva spesso che gli operai alternassero stagionalmente il lavoro in fabbrica con quello nei campi; e molto diffuso, sempre nel settore tessile, restava il lavoro a domicilio. Fino all’inizio degli anni ’70, l’unica organizzazione operaia di una certa consistenza diffusa in tutto il paese fu quella delle società di mutuo soccorso, associazioni in parte controllate dai mazziniani e in parte organizzate da esponenti moderati. Concepite come strumenti di educazione del popolo più che come organismi di lotta, le società di mutuo soccorso avevano essenzialmente scopi di solidarietà, rifiutavano la lotta di classe e lo sciopero. Era dunque naturale che perdessero terreno quando cominciò a diffondersi nel paese l’internazionalismo socialista, che in Italia si ispirò, almeno in un primo tempo, più alle teorie anarchiche di Bakunin che a quelle di Marx [►16_7].
Le società di mutuo soccorso
La crescita del movimento internazionalista si dovette soprattutto all’opera di alcuni instancabili agitatori, come Carlo Cafiero, Andrea Costa, Errico Malatesta, che, fedeli a Bakunin, concentrarono i loro sforzi nell’organizzazione di moti insurrezionali, facendo leva soprattutto sul proletariato delle campagne [►FS, 154]. Il completo fallimento di questi tentativi convinse Andrea Costa che era necessario elaborare un programma concreto, impegnandosi nelle lotte di tutti i giorni e dando vita a un vero e proprio partito. La “svolta” di Costa trovò una prima attuazione con la nascita, nell’estate del 1881, del Partito socialista rivoluzionario di Romagna, che rese possibile l’elezione di Costa nell’82. In realtà il partito rimase sempre una formazione locale, priva di legami con i nuclei operai più maturi e avanzati che intanto si andavano costituendo soprattutto in Lombardia. Fin dall’inizio degli anni ’70, circoli operai e leghe di resistenza (queste ultime esplicitamente finalizzate alla organizzazione degli scioperi) erano venuti sorgendo in numerosi centri industriali e avevano dato un forte impulso all’azione rivendicativa dei lavoratori. Nell’82 alcune associazioni operaie milanesi decisero di dar vita a una formazione politica autonoma che prese il nome di Partito operaio italiano e che si presentò come un organismo rigidamente classista. Fermissimi nel respingere ogni apporto borghese, gli “operaisti” cercarono di stabilire un contatto con quel proletariato rurale della Bassa padana che fu protagonista dei primi grandi scioperi agricoli nella storia dell’Italia unita: particolarmente imponenti quelli che si svolsero nel Mantovano e nel Polesine nel 1884-85.
Anarchici e operaisti
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Fra il 1887 e il 1893 sorsero le prime organizzazioni sindacali a carattere nazionale – le federazioni di mestiere –, vennero fondate le prime Camere del lavoro (organizzazioni sindacali a base locale), si accelerò anche la penetrazione del socialismo fra i lavoratori della terra grazie al movimento associativo fra i braccianti e i contadini della Val Padana. Per tutto il movimento di classe si poneva a questo punto il problema di una organizzazione politica unitaria capace di guidare e coordinare le lotte a livello nazionale. Il problema non era di facile soluzione a causa della frammentazione organizzativa e ideologica del movimento operaio italiano. Le opere di Marx erano peraltro poco conosciute e l’unico autentico e originale teorico marxista allora attivo in Italia era il filosofo napoletano Antonio Labriola, amico e corrispondente di Engels. Ma Labriola era una figura sostanzialmente isolata tra i leader socialisti. Fu invece un intellettuale milanese, Filippo Turati, il principale protagonista delle vicende che portarono alla fondazione del Partito socialista italiano. Nato nel 1857 da una famiglia dell’alta borghesia lombarda, Turati aveva militato da giovane nelle file della democrazia radicale. Decisivo per la sua formazione politica era stato l’incontro con Anna Kuliscioff, una giovane esule russa che aveva già alle spalle una notevole esperienza politica e una larga conoscenza del mondo socialista europeo. Ma non meno decisivo fu il contatto con l’ambiente operaio di Milano, già allora indiscussa capitale economica d’Italia e sede degli esperimenti più avanzati di associazionismo fra i lavoratori. La posizione di Turati, meno rigorosa sul piano teorico di quella di Labriola, fu molto chiara nelle scelte politiche di fondo: l’affermazione dell’autonomia del movimento operaio dalla democrazia borghese; il rifiuto dell’insurrezionalismo anarchico; il riconoscimento del carattere prioritario delle lotte economiche; l’esigenza di collegare queste lotte con quelle politiche e di inquadrarle in un progetto generale che aveva come obiettivo finale la socializzazione dei mezzi di produzione.
Filippo Turati
La fondazione del Partito socialista italiano
Nell’agosto del 1892 si riunirono a Genova i delegati di circa 300 fra società operaie, leghe contadine, circoli politici e associazioni di varia natura. Subito si delineò la frattura tra una maggioranza favorevole all’immediata costituzione
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Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato 1895-1901 [Galleria d’Arte Moderna, Milano] Iniziato nel 1895 e portato a termine nel 1901, questo famoso dipinto di Giuseppe Pellizza
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da Volpedo propone, per la prima volta in Italia, il proletariato come soggetto di un’opera d’arte. Dalla tela del pittore piemontese emerge chiaramente come ormai in Italia, anche se tardivamente rispetto agli altri paesi europei, lo sviluppo industriale era decollato con tutte le
sue conseguenze sociali, oltre che economiche. Usando come modelli i suoi parenti e i suoi concittadini, Pellizza da Volpedo raffigura l’avanzare compatto verso la conquista dei propri diritti di una folla di lavoratori cosciente della propria forza.
Foto di gruppo del Partito socialista italiano 1908 Nella fotografia, in seconda fila, secondo e terza da sinistra, sono riconoscibili Filippo Turati e Anna Kuliscioff.
di un partito e una minoranza contraria, formata dagli anarchici e da una parte degli aderenti al Partito operaio. Vista l’impossibilità di trovare un accordo, i delegati della maggioranza, guidati da Turati, abbandonarono la sala del congresso e, riunitisi in altra sede, dichiararono costituito il Partito dei lavoratori italiani, approvandone subito il programma e lo statuto. Il programma indicava come fine la «gestione sociale» dei mezzi di produzione e, come mezzo atto a raggiungerlo, «l’azione del proletariato organizzato in partito [...] esplicantesi sotto il doppio aspetto: 1) della lotta di mestieri per i miglioramenti immediati della vita operaia [...]; 2) di una lotta più ampia intesa a conquistare i poteri pubblici». Divenuto Partito socialista dei lavoratori italiani nel ’93, due anni dopo il partito assunse il nome definitivo di Partito socialista italiano. Se per la classe dirigente liberal-moderata il movimento socialista rappresentava una presenza minacciosa, sull’opposto versante politico non meno preoccupante era l’atteggiamento della massa dei cattolici militanti, fermi nella fedeltà al papa e nel conseguente rifiuto dello Stato uscito dal Risorgimento [►14_5]. I cattolici costituivano dunque una forza eversiva nei confronti delle istituzioni unitarie di cui non riconoscevano la legittimità: una forza tanto più pericolosa in quanto profondamente radicata nel tessuto sociale, in particolare nel mondo delle campagne. Il divieto papale di partecipare alle elezioni, formulato col non expedit del 1874, non si applicava alle elezioni amministrative né significava per il movimento cattolico la rinuncia a una presenza autonoma nella vita del paese. Proprio nel 1874, in un convegno tenuto a Venezia, un gruppo di autorevoli esponenti del mondo cattolico italiano (ecclesiastici e laici) decise di dar vita a un’organizzazione nazionale che fu chiamata Opera dei congressi: saldamente controllata dal clero, ebbe il compito di convocare periodicamente congressi delle associazioni cattoliche operanti in Italia, assicurando loro un più stretto collegamento. Il suo programma si riduceva a una dichiarazione di ostilità nei confronti del liberalismo laico, della democrazia e del socialismo, a una professione di fedeltà al magistero del pontefice e alla dottrina cattolica [►FS, 153].
I cattolici
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C21 Governare L’Italia unita
LE ORGANIZZAZIONI DEI LAVORATORI NELL’ITALIA POSTUNITARIA
Società di mutuo soccorso
Movimento anarchico
Partito operaio italiano
Camere del lavoro
Partito socialista
Associazioni cattoliche
D’ispirazione mazziniana e moderata
Guidato da Andrea Costa
Carattere classista
Organizzazioni sindacali
Fondato da Filippo Turati (1892)
Opera dei congressi
Strumento di educazione popolare
Partito socialista rivoluzionario di Romagna (1881)
Proletariato rurale della Bassa padana
Dimensione locale
Obiettivi
Contro liberalismo laico e socialismo
Socializzazione mezzi di produzione
Qualche segno di apertura si ebbe dopo il 1878, in coincidenza con l’avvento al soglio pontificio di papa Leone XIII. Sotto il suo pontificato il movimento cattolico italiano accentuò il suo impegno sul terreno sociale, cui lo spingeva fatalmente la stessa tendenza a raccogliere una base di massa [►16_8]. Sorsero così, soprattutto in Lombardia e nel Veneto, società di mutuo soccorso, cooperative agricole e artigiane controllate dal clero e ispirate alla dottrina sociale cattolica.
Conquista del potere politico da parte del proletariato
METODO DI STUDIO
a Cerchia nel testo e trascrivi sul tuo quaderno i nomi dei personaggi storici citati e descrivine il ruolo nelle vicende italiane. b Evidenzia nel testo e trascrivi sul quaderno i partiti politici citati corredandoli con date e caratteristiche principali. c Individua e numera le tappe che portarono alla nascita del Partito socialista italiano. d Sintetizza le caratteristiche dell’azione dei socialisti e dei cattolici in Italia citando anche le date significative e i nomi dei principali protagonisti.
21_10 CRISPI: RAFFORZAMENTO DELLO STATO E TENTAZIONI AUTORITARIE Alla morte di Depretis, nel 1887, fu nominato presidente del Consiglio Francesco Crispi, la personalità più rilevante della Sinistra. Siciliano, temperamento forte e autoritario, primo meridionale a salire alla presidenza del Consiglio, Crispi poteva contare, in virtù del suo passato mazziniano e garibaldino, su ampie simpatie a sinistra, ma anche sulla fiducia dei gruppi conservatori, attratti dalle sue promesse di uno stile di governo più deciso ed efficiente, di chiara impronta “bismarckiana”. Accentrando nella sua persona per quasi quattro anni, oltre alla presidenza del Consiglio, i Ministeri dell’Interno e degli Esteri, Crispi impresse in effetti una svolta all’azione di governo: si fece promotore di un’opera di riorganizzazione e di razionalizzazione dell’apparato statale, ma accentuò anche le spinte autoritarie e repressive. Nel 1888 fu approvata una legge comunale e provinciale che ampliava il diritto di voto per le elezioni amministrative e rendeva elettivi i sindaci dei comuni con più di 10 mila abitanti (fino ad allora di nomina regia). Nel 1889 fu varato un nuovo Codice penale – noto come Codice Zanardelli, dal nome dell’allora ministro della Giustizia – che aboliva la pena di morte, ancora in vigore in tutti i maggiori 744
Il primo governo Crispi: riforme e repressione
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
► Leggi anche: ► Eventi L’avventura coloniale italiana: il disastro di Adua ► Storia, società, cittadinanza La tutela dell’ordine pubblico ► Personaggi Francesco Crispi, democratico e autoritario, p. 746
Stati europei, e non negava il diritto di sciopero, riconoscendone implicitamente la legittimità. Questo riconoscimento fu di fatto contraddetto dalla nuova legge di Pubblica sicurezza che poneva gravi limiti alla libertà sindacale e lasciava alla polizia ampi poteri discrezionali, come quello di inviare al domicilio coatto, senza l’autorizzazione della magistratura, gli elementi ritenuti pericolosi. Di questi poteri Crispi si avvalse con molta frequenza, intervenendo duramente contro il movimento operaio, ma anche contro le organizzazioni cattoliche e contro i circoli irredentisti di ispirazione repubblicana.
domicilio coatto o confino Provvedimento che consisteva nell’obbligo, imposto dalle autorità di polizia senza bisogno di un processo, di dimorare in una località isolata, lontano dal proprio luogo di residenza o di attività.
Crispi fu anche sostenitore dell’ascesa dell’Italia a grande potenza coloniale. Per realizzare il suo programma, puntò sul rafforzamento della Triplice alleanza e, all’interno di essa, sul consolidamento dei legami con l’Impero tedesco. Nelle intenzioni di Crispi, la Triplice doveva non solo garantire l’Italia da nuove iniziative francesi nel Mediterraneo, ma anche servire da base per una più attiva presenza in Africa. Nel 1890 i possedimenti italiani furono ampliati e riorganizzati col nome di Colonia Eritrea, mentre venivano poste le basi per una nuova espansione sulle coste della vicina Somalia [► _46 e FS, 184]. La politica coloniale di Crispi suscitava, però, perplessità in seno alla stessa maggioranza, in quanto risultava troppo costosa per il bilancio dello Stato. Messo in minoranza, Crispi si dimise all’inizio del 1891.
I progetti coloniali di Crispi
Nel maggio 1892, la presidenza del Consiglio passò al piemontese Giovanni Giolitti. Figura centrale del successivo trentennio di storia italiana, Giolitti, allora cinquantenne, si presentava con un programma piuttosto avanzato. In politica finanziaria mirava a una più equa ripartizione del carico fiscale, che risparmiasse i ceti disagiati e colpisse con aliquote più alte i redditi maggiori secondo il principio della progressività delle imposte (oggi universalmente accettato). In politica interna aveva idee innovatrici, contrarie all’intervento repressivo contro il movimento operaio e le organizzazioni popolari. Si rifiutò infatti di ricorrere a misure eccezionali contro i Fasci dei lavoratori, associazioni popolari (il termine “fascio” stava per “unione”) sviluppatesi in Sicilia, che protestavano contro le tasse troppo pesanti e il malgoverno locale e chiedevano per i contadini terre da coltivare e patti agrari più vantaggiosi. Non si trattava di un movimento rivoluzionario, anche se diede luogo ad alcune manifestazioni violente, né di un movimento socialista in senso stretto, ma suscitò tuttavia forti preoccupazioni fra i conservatori, ai quali non piacque l’atteggiamento, ritenuto debole, del presidente del Consiglio. L’ostilità dei conservatori – contrari anche ai progetti giolittiani di riforma fiscale – contribuì a indebolire il governo e ad accelerarne la caduta, che fu dovuta tuttavia alle conseguenze del grave scandalo della Banca Romana,
Il primo governo Giolitti
La gabbia dei malfattori. La legge è uguale per tutti [dalla rivista «L’Asino», 1893; Collezione privata, Milano] La Banca Romana era uno dei maggiori istituti di credito italiani, uno dei cinque che godevano del privilegio di stampare biglietti a corso legale. Avendo impegnato somme cospicue nell’edilizia, negli anni in cui la capitale in rapida espansione era stata attraversata da una vera e propria febbre speculativa, si era poi trovata in serio imbarazzo quando, alla fine degli anni ’80, la crisi economica aveva colpito il settore delle costruzioni facendo fallire molte delle imprese debitrici. Per uscire dalle difficoltà, i dirigenti della banca si erano resi colpevoli di gravissime irregolarità. In seguito emersero anche i finanziamenti occulti a giornalisti e politici.
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C21 Governare L’Italia unita
responsabile dell’emissione fraudolenta di carta moneta e di finanziamento occulto di uomini politici e giornalisti per influenzare la stampa e l’opinione pubblica in occasione delle campagne elettorali. Giolitti, implicato nello scandalo, cadde e fu sostituito da Crispi, anche lui coinvolto nelle vicende della banca, ma ritenuto l’uomo forte, capace di rimettere ordine nel paese e di arrestare la crescita delle organizzazioni operaie. Tornato al governo nel dicembre del 1893, Crispi affrontò con risolutezza una situazione che vedeva l’opinione pubblica allarmata dalla crisi economica, sconcertata dagli scandali bancari, spaventata dall’intensificarsi delle agitazioni in Sicilia. In campo economico il nuovo governo avviò una politica di risanamento del bilancio basata su pesanti inasprimenti fiscali e completò la riorganizzazione del dissestato sistema bancario, già iniziata da Giolitti, con una legge che istituiva la Banca d’Italia. Questa, nel 1926, avrebbe ottenuto il monopolio della emissione di carta moneta (e, a partire dal 1947, avrebbe svolto compiti di controllo sull’intero sistema bancario). In materia di ordine pubblico Crispi non esitò a ricorrere a misure eccezionali, convinto com’era che le agitazioni sociali costituissero un pericolo non solo per l’ordine costituito, ma per la stessa sicurezza dello Stato uscito dal Risorgimento. Ai primi di gennaio del 1894 lo stato d’assedio fu proclamato in Sicilia e successivamente esteso alla Lunigiana, tra Toscana e Liguria, dove si era verificato, senza alcun nesso con gli avvenimenti
Il ritorno di Crispi e le leggi antisocialiste
PERSONAGGI
Francesco Crispi, democratico e autoritario
L
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a storia di Francesco Crispi è la storia di un siciliano ambizioso, ma guardando con attenzione alla sua biografia si trova molto di più: la difesa del suffragio universale e del federalismo, l’attenzione per il popolo, la modernizzazione della macchina statale. Crispi era nato nel 1818 a Ribera, un comune dell’Agrigentino. La sua famiglia veniva in realtà da Palazzo Adriano e faceva parte della locale comunità greco-albanese (gli albanesi si erano installati in Sicilia nel ’400, in fuga dai turchi). Francesco, però, lasciò sempre credere che la famiglia avesse in realtà origini latine e che fosse arrivata nella penisola balcanica a seguito dell’esercito romano. Evidentemente, doveva aver provato imbarazzo per le sue lontane origini albanesi nell’Italia di quegli anni ossessionata dal mito della continuità della stirpe italica dai Romani in poi. Tuttavia, il primo meridionale alla presidenza del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia parlava albanese in famiglia e siciliano con i suoi conoscenti di Ribera, raramente in italiano. Come per molte altre icone risorgimentali, da Foscolo a Garibaldi, la scoperta della propria italianità sarebbe stata anche per lui una tappa fondamentale della sua formazione politica. I Crispi erano commercianti e proprietari terrieri. Avevano però subìto qualche rove-
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
scio economico quando nacque il loro primogenito. L’ansia di riuscire nella vita di Francesco doveva forse nascere dal desiderio di rinverdire la fortuna familiare. Sulla sua giovinezza sappiamo pochissimo, ma forse le difficoltà economiche della famiglia aumentarono, visto che nel 1835 abbandonò la prospettiva del sacerdozio (per tradizione ogni primogenito Crispi diventava prete) per iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza di Palermo. Erano anni in cui la carriera forense faceva sperare guadagni ben più consistenti delle rendite ecclesiastiche o dell’amministrazione degli affari di famiglia. L’università non gli servì solo ad apprendere le basi del diritto. Si buttò con l’entusiasmo della sua giovane età nei dibattiti politici e letterari di quegli anni: il progresso contro la tradizione; il Romanticismo contro il classicismo. Con lo stesso entusiasmo fece le sue prime prove d’amore, intrecciando molte relazioni. Non era bello, ma attraeva le donne con la sua energia. Finì per innamorarsi della figlia di un orefice, Rosina, che sposò incinta contro il parere dei genitori. Fu un matrimonio breve e finito tragicamente: nel 1839 morirono Rosina e i due bambini, piccolissimi. Già l’anno dopo, però, Francesco avrebbe conosciuto Felicita, che gli diede un figlio. Nel 1839 uscì il primo numero del giornale fondato da Crispi, «L’Oreteo». Il suo fon-
datore e direttore aveva vent’anni, ma abbastanza ambizione per raccogliere contributi di autorevoli intellettuali di orientamento romantico e progressista. Nel 1843, dopo ulteriori dissesti finanziari dell’azienda paterna per i quali Crispi non era stato più in grado di pagarsi le tasse universitarie, si laureò, e si presentò subito al concorso per magistrato. L’esame fu superato con successo, ma la sua carriera di giudice non si avviò: probabilmente il Ministero della Giustizia borbonico era preoccupato dalla sua attività giornalistica e politica. Scelse allora di cercare fortuna a Napoli, dove trovò lavoro presso uno studio legale. L’ordine forense napoletano fu la sua scuola di liberalismo: entrò in contatto con autorevoli liberali, partecipò alle discussioni sul futuro italiano e sulle occasioni d’insurrezione. Quando la rivoluzione scoppiò davvero, a Palermo il 12 gennaio del 1848, Crispi partì subito per collaborare col comitato di guerra, assumendo un ruolo centrale. Cominciò così la fase rivoluzionaria della sua vita. Agì soprattutto in difesa dell’indipendenza della Sicilia, e in particolare del suo antico Parlamento, soppresso dai Borbone nel 1815. Per questo motivo, si diceva favorevole a una soluzione federale della questione italiana. La questione dell’autogoverno delle comunità locali era al centro della sua proposta politica: «senza il Municipio la Nazione non esiste», avrebbe scritto qualche anno dopo. Nel corso della rivoluzione le sue posi-
siciliani, un tentativo di insurrezione anarchica. La repressione militare fu dura e sanguinosa e venne accompagnata da una più generale repressione poliziesca estesa a tutto il paese e rivolta soprattutto contro circoli, leghe e giornali facenti capo al Partito socialista, che pure non aveva responsabilità dirette nel moto siciliano. Nel luglio 1894 il governo volle dare alla sua azione repressiva un carattere organico, facendo approvare dal Parlamento un complesso di leggi limitative della libertà di stampa, di riunione e di associazione. Queste leggi, definite “antianarchiche”, avevano in realtà come obiettivo principale il Partito socialista, che nell’ottobre fu dichiarato fuori legge: un provvedimento simile a quello varato da Bismarck nel 1878 [►18_4]. Gli effetti non furono però quelli sperati da Crispi. Le persecuzioni, infatti, non riuscirono a distruggere la già solida rete organizzativa del partito e accrebbero i favori di cui i socialisti godevano nella sinistra democratica e soprattutto negli ambienti intellettuali. Ma il colpo definitivo per Crispi venne dal fallimento della sua politica coloniale. Già durante il suo primo governo, Crispi aveva cercato di stabilire una qualche forma di protettorato sull’Etiopia, intavolando col nuovo negus Menelik trattative che portarono, nel 1889, alla firma del trattato di Uccialli. Ma questo trattato, considerato dagli italiani come un implicito riconoscimento del loro protettorato, fu interpretato diversamente dagli etiopi, che reagirono energicamente ai tentativi italiani di penetrazione ripresi dopo il ritorno al potere di Crispi. Fra Italia ed Etiopia si giunse così allo scontro armato, culminato
Adua e la caduta di Crispi
Ritratto fotografico di Francesco Crispi fine XIX sec. [Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari, Firenze]
zioni si fecero sempre più democratiche, fino alla fondazione del “club dell’Apostolato”, un circolo impegnato nell’educazione del popolo. Assunte maggiori responsabilità in seno al comitato rivoluzionario, si impegnò a formare un esercito popolare, attraverso la coscrizione obbligatoria e l’assegnazione di terre demaniali alle famiglie che arruolavano un componente. Era un modo per coinvolgere nella rivoluzione gli strati popolari.
Nel 1849 la fine dell’esperimento rivoluzionario palermitano gli aprì la via dell’esilio: non poteva più tornare a esercitare la professione di avvocato. Si mantenne col giornalismo, scrivendo soprattutto per i giornali patriottici animati dagli esuli. E a Marsiglia conobbe la savoiarda Rosalie Montmasson, sua moglie fino al 1875. Fu il trasferimento a Torino a fargli fare il salto di qualità. Entrò in contatto con Cattaneo e Mazzini, e abbandonò definitivamente la linea dell’indipendentismo siciliano. Malta, Londra, Parigi, Lisbona, la Grecia, varie città italiane: come cospiratore dovette cambiare spesso domicilio prima di partire per la Sicilia con Garibaldi, il 6 maggio 1860. Lì divenne il potente “segretario di Stato” della dittatura garibaldina, distinguendosi per i suoi provvedimenti popolari e anticlericali, ma anche per il suo pragmatismo. Si guadagnò così l’ingresso nel Parlamento italiano. «Il tempo delle rivoluzioni è finito», sosteneva, e fu l’inizio della sua vita da statista. Si impegnò per diventare leader della Sinistra parlamentare, che si riconosceva ormai nella monarchia sabauda. Da questa posizione arrivò ad assumere ruoli sempre più istituzionali, come la presidenza della Camera, nel 1876, o vari ministeri, fino all’attesa nomina a capo del governo, nel 1887. Non erano mancati momenti di difficoltà, come quando, nel 1878, accusato di bigamia, si dimise da ministro: aveva sposato con rito ci-
vile la giovane Lina Barbagallo nonostante il matrimonio religioso contratto con Rosalie. Tutta la sua attività politica fu volta a dare all’Italia un apparato statale forte, un insieme di istituzioni che rendessero viva la presenza dello Stato nella società. Per questo si sforzò di creare una tradizione culturale condivisa promuovendo il culto degli eroi della nazione, di rafforzare istituti come la scuola o gli ospedali, di organizzare la burocrazia, di inaugurare l’espansione coloniale in Africa per dare al paese maggior peso internazionale. L’eredità più importante lasciata da Crispi fu il potenziamento della macchina dello Stato, lo strumento di modernizzazione della società negli anni successivi. Sempre in equilibrio tra varie correnti, nella fase finale della sua vita politica Crispi dovette fronteggiare l’ostilità dell’estrema sinistra, che non gli perdonava i metodi repressivi in politica interna; intanto si faceva sempre più accesa la rivalità con Giolitti: coinvolti entrambi nello scandalo della Banca Romana, i due furono protagonisti nel 1894 di uno scontro a base di dossier e di accuse scandalistiche. Il consenso interno sembrava in effetti affievolirsi. Perfino sul fronte africano, su cui tanto aveva puntato, la situazione andò peggiorando, fino alla disfatta di Adua del 1896. Le violente manifestazioni di piazza che seguirono il fallimento della sua politica africana lo costrinsero alle immediate dimissioni. Morì così, lontano dal potere e depresso, nel 1901.
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C21 Governare L’Italia unita
▲ La battaglia di Adua fine XIX sec.
◄ Henri Meyer, Caricatura di Francesco Crispi 1896 [da «Le Petit Journal», 9 febbraio 1896] In Etiopia l’esercito italiano che, in veste militare e con subì numerose sconfitte: il cappello dei bersaglieri in questa vignetta è sul capo, soccombe. rappresentato in chiave L’ulteriore sconfitta subita satirica l’assedio di dagli italiani ad Adua Macallè dopo la resa nel 1896 significò anche italiana. Il negus Menelik la sconfitta personale II colpisce con un filone e politica di Francesco di pane Francesco Crispi Crispi.
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nel disastro di Adua del 1° marzo 1896, quando un contingente italiano di 20 mila uomini (comprese le truppe coloniali) venne praticamente annientato dalle forze etiopiche. La sconfitta ebbe immediate ripercussioni in Italia: violente manifestazioni contro la guerra d’Africa scoppiarono a Roma, a Milano e in molte altre città, mentre Crispi fu costretto a dimettersi e uscì dalla scena politica. L’episodio di Adua e le reazioni che ne erano seguite avevano dimostrato quanto la guerra coloniale fosse poco sentita dalle masse popolari e da larghi strati della stessa classe dirigente e quanto illusorio fosse stato il tentativo di Crispi di cogliere successi di prestigio, per sé e per il paese, in un’avventura imperialistica a cui mancavano le indispensabili premesse ideologiche, politiche ed economiche.
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
METODO DI STUDIO
a Cerchia le date presenti nel paragrafo e trascrivile sul quaderno a formare una linea del tempo. Indica per ogni data gli eventi relativi. b Segna, con due colori differenti, a margine del paragrafo, le parti di testo che si riferiscono rispettivamente alla politica interna e a quella estera dei due governi Crispi e sottolineane gli eventi che ritieni maggiormente significativi. Quindi argomenta la tua scelta per iscritto. c Spiega chi era Giolitti, quale ruolo ebbe in Italia e per quale motivo si dimise. Individua quindi da tre a cinque parole chiave che si riferiscono alla sua politica e argomenta la tua scelta per iscritto.
LABORATORIO DI CITTADINANZA IL DIRITTO DI VOTO
I
l suffragio è la manifestazione della propria volontà attraverso un voto che consenta ai cittadini di eleggere i propri rappresentanti o di esprimersi su singoli temi (il referendum). È dunque un diritto politico, che permette di partecipare alla vita pubblica. Si definisce “ristretto” quando è attribuito solo ad alcune categorie di cittadini – individuate in base al sesso, al reddito, al possesso di beni immobili, al raggiungimento di un certo grado di istruzione – e “universale” quando è concesso a tutti coloro (uomini e donne) che abbiano raggiunto la maggiore età. Nell’Antichità romana, il diritto di suffragio (ius suffragii) consisteva nella facoltà di votare nelle assemblee dei cittadini. Esso fu progressivamente concesso anche agli stranieri: nell’88 a.C. fu riconosciuto ai socii italici, in seguito a tutti gli abitanti dell’Italia settentrionale. Nel 212 d.C., con la Constitutio antoniniana, l’imperatore Caracalla lo attribuì a ogni abitante libero dell’Impero. Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente (476 d.C.), il concetto di suffragio in ambito politico fu dimenticato: nel Medioevo trovò la sua applicazione solo all’interno degli “ordini” (Arti, Corporazioni, ordini religiosi, ecc.), delle diete, dei concili, degli Stati generali. Nell’età moderna, la prati-
ca del voto si diffuse lentamente, e solo in quei paesi (come la Gran Bretagna) dove esistevano organismi rappresentativi, per poi affermarsi, nel corso dell’800, in quasi tutta Europa. Nella maggior parte dei casi, le elezioni si tenevano a suffragio ristretto in base a criteri censitari e di genere: potevano votare, infatti, soltanto gli uomini (e in Francia, a volte, anche le donne) che avevano un certo reddito o che appartenevano ai ceti sociali superiori. Nel 1776, con la Dichiarazione di indipendenza, negli Stati Uniti fu proclamato il suffragio universale maschile, con alcune eccezioni di censo – oltre che relative al colore della pelle (alcuni Stati permettevano però il voto ai neri, purché liberi) –: all’inizio dell’800 furono abolite le barriere di censo mentre, dopo la guerra civile e l’abolizione della schiavitù [►19_2], con il XV emendamento (1870) i neri conquistarono il diritto di voto e molti di essi furono eletti nelle assemblee statali e al Congresso. Dopo il 1877, tuttavia, alcune leggi statali limitarono i diritti dei neri a cui, con vari stratagemmi (come l’introduzione di test di alfabetizzazione e di tasse sul voto quali requisiti per partecipare alle elezioni), fu impedito di votare. Solo con il Voting Rights Act del 1965, promosso
dall’attivista politico nero Martin Luther King (1929-1968), furono vietate le pratiche che limitavano il diritto di voto, garantendo così il suffragio ai cittadini americani neri. Le donne americane ottennero il diritto di voto nel 1920, anche se in alcuni Stati era stato già concesso loro negli ultimi decenni dell’800. In Francia, con la Rivoluzione si affermò il suffragio universale maschile: esso fu abolito con la Restaurazione e fu poi ripristinato nel 1848. Escludendo brevi esperienze come la Comune di Parigi del 1871 [►18_3], le donne ne rimasero escluse fino al 1946. La teorizzazione degli illuministi e le rivoluzioni americana e francese segnarono il passaggio dallo Stato assoluto allo Stato di diritto e la trasformazione dei sudditi in cittadini: cominciarono così ad essere ricercati e richiesti strumenti che garantissero una maggiore estensione e libertà del suffragio. Nel XIX secolo i movimenti politici progressisti rivendicarono l’ampliamento del diritto di voto: furono approvate, in tutti i paesi europei, delle riforme del sistema elettorale che, però, rimaneva limitato agli uomini. La Grecia, nel 1844, fu il primo pae‑ se europeo a riconoscere il suffragio universale maschile. In Gran Bretagna, si ebbe un primo allargamento del diritto di voto, con il Reform Act del 1832, che incluse i proprietari di immo-
Donne iraniane al voto per le elezioni presidenziali del 2017 [© Ebrahim Noroozi/AP]
Mentre in alcuni paesi europei le donne non avevano ancora accesso al suffragio universale – per esempio in certi cantoni della Svizzera – nel 1963 le iraniane ottennero il diritto al voto. Si trattò
di una misura inclusa nella cosiddetta “rivoluzione bianca”, e cioè in quel programma di riforme lanciato dallo scià Mohammad Reza Pahlavi per modernizzare l’Iran il più velocemente possibile.
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C21 Governare L’Italia unita
bili tra i detentori del diritto di voto [►12_7]; quello del 1867 abbassò poi il censo necessario per votare, estendendo il suffragio agli artigiani e agli operai più agiati dei centri urbani, mentre quello del 1884 lo concesse anche ai lavoratori agricoli. Solo nel 1918, tuttavia, fu riconosciuto il suffragio maschile e femminile. Il primo paese al mondo ad introdurre il suffragio universale maschile e femminile era stato la Nuova Zelanda, nel 1893. In generale, in tutti i paesi dopo la prima guerra mondiale si giunse al suffragio universale, almeno maschile: non era infatti più possibile escludere dalla vita politica i milioni di uomini che avevano combattuto per il proprio paese. Fu ciò che accadde anche in Italia. La legge elettorale del Regno sardo del 1848, entrata poi in vigore anche nell’Italia unita, stabiliva, per votare, dei rigidi criteri di genere, di istruzione e di censo (40 lire annue di tasse). Alle prime elezioni politiche dell’Italia unita poterono votare meno di 420 mila cittadini (1,89%) su una popolazione di oltre 22 milioni di abitanti. Nel 1872 la Sinistra parlamentare abbassò la soglia della maggiore età da 25 a 21 anni, ampliando leggermente il diritto di voto, mentre con la riforma del 1882 si ebbe un primo sostanziale allarga-
mento del corpo elettorale: fu concesso il suffragio a tutti gli uomini maggiorenni alfabeti che versavano 19,8 lire annue di imposte o che avevano concluso il primo biennio di istruzione elementare. Nel 1912 si raggiunse il suffragio quasi universale maschile (furono ammessi al suffragio tutti gli uomini alfabeti o che avevano fatto il servizio militare con più di 21 anni e tutti quelli con più di 30), reso poi totale nel 1918, quando il voto fu concesso a tutti gli uomini maggiorenni e a quelli minorenni che avevano partecipato alla prima guerra mondiale. La Costituzione del 1948, con l’articolo 48, garantì poi il suffragio universale maschile e femminile, limitato solo dal raggiungimento della maggiore età (fissata inizialmente a 21 anni e poi a 18 anni dal 1975). Nel secondo dopoguerra, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948) dell’Onu affermò che la volontà popolare «deve essere espressa con elezioni serie, che devono aver luogo periodicamente, a suffragio universale uguale, e con voto segreto, o secondo una procedura equivalente che garantisce libertà di voto» (art. 21). Il Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966), sempre adottato dall’Onu, ribadì poi questi concetti (art. 25).
Alcuni paesi hanno concesso il suffragio universale solo in tempi recenti: in Sudafrica, ad esempio, il diritto di voto, sospeso ai neri e ai coloureds durante il periodo dell’apartheid (1948-94), fu garantito a tutti i cittadini solo nel 1994, mentre in Arabia Saudita nel 2011 era ancora limitato agli uomini. In tutti gli altri Stati, anche quelli autoritari o dittatoriali, il suffragio universale è dichiarato ufficialmente, anche se spesso le elezioni non vi si svolgono o si riducono a farse, falsate da brogli elettorali o dall’assenza di una vera libertà di scelta. I principali dibattiti sul diritto di voto riguardano oggi la possibilità di concederlo agli immigrati: il suo stretto legame con la cittadinanza [►LABORATORIO DI CITTADINANZA, p. 445], infatti, rende problematico il suo riconoscimento a coloro che si trovano a vivere stabilmente in uno Stato diverso da quello di provenienza. In quest’ottica si è cominciato a riflettere sulla possibilità di legare l’acquisizione della cittadinanza alla permanenza in uno Stato, oppure di allentare il rapporto tra cittadinanza e diritti politici, magari concedendoli (per le elezioni locali o nazionali) agli immigrati residenti da un certo numero di anni nello Stato.
COSTRUIAMO IL LESSICO DEL CITTADINO 1 Leggi la scheda e completa sul tuo quaderno le seguenti definizioni:
a. Si definisce suffragio ristretto il riconoscimento del diritto di voto ........................................................................................ b. Si definisce suffragio universale il riconoscimento del diritto di voto .....................................................................................
PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA DEGLI UOMINI E DIRITTO DI VOTO 2 Entrambe le Dichiarazioni del XVIII secolo si appellano al principio di uguaglianza degli uomini e, al tempo stesso,
contengono una delle più stridenti contraddizioni etiche dell’età contemporanea:
Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità. [Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, 1776]
Art. 1 Gli uomini nascono e rimangono liberi ed uguali nei diritti.
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[Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, 1789]
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
L’applicazione del principio di uguaglianza è decisamente astratta, perché l’allocuzione «tutti gli uomini» deve essere presa alla lettera. Con «tutti gli uomini» si intendevano i maschi bianchi, ricchi e istruiti; le donne, ma anche i neri, gli schiavi e quanti non disponevano di mezzi economici e di istruzione erano esclusi dal godimento di diritti, compreso quello di voto. Il diritto di voto, dunque, tra fine XVIII e inizio XIX secolo, si basava su criteri di censo, genere e istruzione più o meno rigidi. Leggi la scheda e verifica se, e con quali modalità, il principio di uguaglianza in materia di diritto di voto è stato applicato, nel corso del XIX secolo, nei paesi elencati:
● Stati Uniti ● Francia
● Gran Bretagna ● Italia
Riassumi il risultato della tua riflessione in una presentazione PowerPoint (una slide per ciascun paese).
LE TAPPE DEL SUFFRAGIO UNIVERSALE 3 Costruisci un cronogramma con le date di introduzione del suffragio universale nei paesi di seguito elencati.
● Nuova Zelanda: ............................................................................................................................................................................ ● Gran Bretagna: ............................................................................................................................................................................ ● Francia: ...................................................................................................................................................................................... ● Italia: 1946 (1948 nella Costituzione) ● Sudafrica: .................................................................................................................................................................................. IL DIRITTO DI VOTO NELLA COSTITUZIONE ITALIANA 4 Il diritto di voto in Italia è regolato dall’articolo 48 della Costituzione:
Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicura l’effettività. A tale fine è istituita una circoscrizione Estero per
l’elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge. Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge.
A partire dal dettato costituzionale disegna una mappa concettuale sul diritto di voto (art. 48 Cost.), in cui specificare: a. A chi compete
c. A chi è riconosciuto
b. Quali caratteri ha
d. I casi in cui può essere limitato
Agli articoli 56 e 58 la Costituzione distingue anche tra «elettorato attivo» (età per votare) ed «elettorato passivo» (età per essere votati). Reperisci gli articoli online e completa il punto “a” della mappa con le informazioni aggiuntive.
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ARTE E TERRITORIO ARTE E PAESAGGIO AGRARIO ITALIANO. IL VERISMO E I MACCHIAIOLI
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on era solo il paesaggio agrario a mutare dal Nord al Sud Italia. A cambiare erano anche le tecniche impiegate per rappresentarlo. La varietà agricola sembrava riflettersi anche negli sguardi degli artisti italiani di quegli anni, accomunati dalla spinta a riprodurre la realtà, ma distinti in varie scuole regionali. Ciò che comunemente viene chiamato “verismo”, richiamando l’omonima corrente letteraria, nell’ambito pittorico era un insieme piuttosto variegato di esperienze, anche molto distanti tra loro. In generale, i pittori veristi erano ispirati dall’esempio della pittura naturalista francese, e di Millet in particolare, oltre che dalle opere di scrittori come Verga, ovviamente. Dagli anni ’60 agli anni ’90 del XIX secolo, infatti, questi artisti italiani si impegnarono a studiare attentamente la realtà per rappresentarla fedelmente, prestando particolare attenzione ai colori effettivamente osservabili dal vivo, senza divagazioni fantastiche o esotiche, senza i giochi di luce degli impressionisti. Ovviamente, anche i soggetti dovevano essere scelti tra quelli ben riconoscibili dal pubblico, cioè le scene familiari della vita quotidiana. In questo contesto ge-
nerale, al paesaggio agrario era assegnata particolare importanza: come già nelle opere letterarie di Verga, Capuana o Grazia Deledda, il paesaggio rurale era un soggetto privilegiato perché considerato il teatro ideale per rappresentare l’espressione più autentica della vita umana. Per di più, lo studio realistico della natura doveva sembrare una sfida particolarmente avvincente a questi artisti, così desiderosi di smarcarsi dalle rappresentazioni idilliache della campagna che per molto tempo avevano caratterizzato la tradizione pittorica occidentale. A variare non erano soltanto le tecniche utilizzate – talvolta più tradizionali, altre volte più sperimentali, come nel caso dei macchiaioli – ma anche gli obiettivi che si prefissavano questi artisti. Per alcuni, la rappresentazione della realtà era prima di tutto uno studio sulla natura e sui modi per riprodurla, oggettivamente, senza caricare l’opera di significati politici. Per altri, invece, scegliere di rappresentare il paesaggio rurale in tutta la sua crudezza era la premessa per una forte denuncia sociale. A questa seconda categoria apparteneva senz’altro il pittore abruzzese Teofilo Patini
(1840-1906), particolarmente influente sulla scena napoletana. Nelle sue opere la realtà contadina era rappresentata fedelmente, ma mettendo in primo piano la miseria degli uomini e delle donne che l’abitavano. In Bestie da soma, ad esempio, la fatica dei lavoratori della terra era accostata sin dal titolo a quella degli animali, come se le condizioni di lavoro anziché nobilitarli distruggessero la loro dignità umana. Spostandoci in Toscana, era inevitabile che la struttura ordinata e apparentemente equilibrata della sua campagna attirasse gli sguardi di numerosi artisti. Tra i tanti che si dedicarono a raccontarne la bellezza meritano una menzione speciale i macchiaioli, come vennero ben presto chiamati quei pittori che amavano riunirsi al Caffè Michelangelo di Firenze. Il nome era arrivato da un critico che dimostrava così di non apprezzare lo stile di questi artisti, caratterizzato dalla prevalenza del colore sul disegno: i quadri sembravano un insieme di macchie, appunto, non legate tra loro, o almeno non disciplinate secondo uno schema ben individuabile. Ai pittori fiorentini questo nomignolo in realtà piacque tantissimo, tanto che cominciarono ad appropriarsene per definire sé stessi. Del resto, costoro desideravano proprio superare l’impianto tradizionale della pittura paesaggistica, rifacendosi alla lezione della scuola francese di Barbizon e precorrendo in un certo senso anche l’impressionismo: bisognava rendere la realtà per come era effettivamente, mettendone in risalto i contrasti di luce, i colori, gli effetti del sole sui soggetti rappresentati. Bisognava prendere direttamente dalla realtà, dal vivo, le immagini da rappresentare sulla tela, restituendo l’impressione del momento per poi continuare l’opera nei propri studi, completandola con un disegno preciso. Ma mentre gli impressionisti fondevano i colori con piccoli tratti di pennello, lasciando che il soggetto si rivelasse se visto nel suo insieme, i macchiaioli accostavano grosse “macchie” di colore ben distinte dal disegno e dalla prospettiva. Il pergolato di Silvestro Lega (1826-1895) è un buon esempio di questo modo di rappresentare la realtà. Questo pittore romagnolo trapiantato a Firenze vi rappresentava una scena di vita familiare ambientata nel piccolo paese di Piagentina, appena fuori dal
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Teofilo Patini, Bestie da soma 1886 [Salone di Rappresentanza della Prefettura, L’Aquila]
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capoluogo toscano. L’integrazione tra la vita domestica di queste donne borghesi e la natura ben ordinata dello sfondo sembra restituire le caratteristiche del paesaggio toscano. La campagna non era una distesa infinita di terre, ma una sequenza di piccoli borghi cittadini e poderi curati. chiaioli, però, è Il più celebre dei mac senz’altro Giovanni Fattori (1825-1908). Li vornese, di umili origini ma arrivato alla pittura con una for mazione accademica, quest’artista dipinse alcune delle tele più belle dell’800 italiano. Tra queste, Contadino con maiali presso un carro di buoi appare tra le più significative per capire come operavano i macchiaioli. Pochi colori, raccolti in grosse macchie accostate, costruivano l’immagine del contadino, delle bestie e del paesaggio. Tuttavia, i profili delle figure erano ben delineati, restituendo con nettezza l’aspetto di una calda giornata di sole estivo nella campagna toscana. Si tratta di un soggetto semplice, scelto proprio per la sua capacità di rappresentare il placido andamento e la nobiltà della vita agricola. PISTE DI LAVORO
a Redigi un piccolo profilo biografico dei pittori Teofilo Patini, Silvestro Lega e Giovanni Fattori. Vai su Google, digita il nome dell’artista nella maschera di ricerca, leggi la sua biografia e redigi il testo, cercando di non superare le 50/60 parole. Ti consigliamo di consultare l’Enciclopedia online della Treccani. b Sintetizza in tre punti il manifesto della pittura verista.
c In che modo Patini rappresenta la durezza del lavoro agricolo? d Sintetizza in tre punti il manifesto pittorico dei macchiaioli. e In che modo Silvestro Lega rappresenta la realtà della campagna toscana? f In che modo Fattori mette in risalto l’armonia della campagna toscana?
▲ Silvestro Lega, Il pergolato 1868 [Pinacoteca di Brera, Milano]
▼ Giovanni Fattori, Contadino con maiali presso un carro di buoi 1894 [Galleria d’arte moderna, Firenze]
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SINTESI
21_1 DEMOGRAFIA, ECONOMIA E SOCIETÀ Al momento dell’Unità la grande maggioranza degli italiani era analfabeta. Soltanto il 20% della popolazione viveva in città; l’agricoltura era l’attività economica prevalente, ma si trattava di un’agricoltura per lo più povera, caratterizzata da una grande varietà negli assetti produttivi: aziende agricole moderne (Pianura padana), mezzadria (Italia centrale), latifondo (Mezzogiorno). La condizione di vita dei contadini era generalmente ai limiti della sussistenza fisica. Questa realtà di arretratezza economica e disagio sociale era assai poco conosciuta dalla classe dirigente nazionale. Inoltre, pur essendoci un divario reale tra il Nord e il Sud del paese (in termini di sviluppo, infrastrutture, produttività e istruzione), al confronto con i paesi più sviluppati d’Europa, tutta l’Italia appariva complessivamente arretrata.
21_2 LA CLASSE POLITICA E I PRIMI PROVVEDIMENTI LEGISLATIVI
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Morto Cavour (giugno ’61), il gruppo dirigente che tenne le redini del paese proseguendone l’opera fu quello della Destra, poi detta “storica”, e composta in realtà dai rappresentanti della classe dirigente moderata.
Le si contrapponeva la Sinistra, che faceva proprie le rivendicazioni della democrazia risorgimentale: suffragio universale, decentramento amministrativo, completamento dell’unità attraverso l’iniziativa popolare. Destra e Sinistra erano espressione d’una classe dirigente molto ristretta – solo 400 mila persone avevano il diritto di voto – che diede un carattere accentrato alla vita politica. I leader della Destra realizzarono, sul piano amministrativo e legislativo, una rigida centralizzazione, temendo le conseguenze disgregatrici dei fermenti sociali e facendo proprio il modello di Stato accentrato napoleonico.
21_3 LE RIVOLTE CONTRO L’UNITÀ E IL BRIGANTAGGIO Tra le circostanze che spinsero il governo verso la centralizzazione va ricordata soprattutto la situazione del Mezzogiorno, dove l’ostilità delle masse contadine verso i “conquistatori” assunse col brigantaggio caratteristiche di vera e propria guerriglia. Il brigantaggio fu sconfitto grazie a un massiccio impiego dell’esercito. Restò tuttavia irrisolto il problema di fondo del Mezzogiorno, cioè quello della distribuzione delle proprietà agricole: né la divisione dei terreni demaniali né la vendita dei beni ecclesiastici favorirono i contadini, al contrario quest’ultima in particolare rafforzò la grande proprietà terriera.
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
21_4 L’ECONOMIA E LA POLITICA FISCALE Sul piano economico, la linea liberistica seguita dal governo produsse un’intensificazione degli scambi che favorì lo sviluppo dell’agricoltura. Fu importante anche l’impegno del governo nella creazione delle infrastrutture necessarie allo sviluppo economico (strade, ferrovie). L’idea dei politici italiani che il paese avesse essenzialmente una vocazione agricola, tuttavia, non giovò affatto allo sviluppo industriale accrescendo il divario fra l’Italia e i paesi più progrediti. Nell’immediato, infatti, il tenore di vita della popolazione non migliorò e diminuì il peso percentuale delle attività industriali. La distanza tra la classe dirigente e il “paese reale” fu aumentata dalla dura politica fiscale seguita dalla Destra. Particolarmente impopolare fu la tassa sul macinato, che provocò violente agitazioni sociali in tutta la penisola.
garibaldina di una spedizione di volontari si risolse in uno scontro con l’esercito regolare (Aspromonte). Nel 1864 fu firmata la “Convenzione di settembre” con la Francia, che prevedeva il trasferimento della capitale a Firenze, ma anche il ritiro delle truppe francesi dal Lazio. L’alleanza con la Prussia contro l’Austria e la vittoria prussiana consentirono all’Italia l’acquisto del Veneto, nonostante le sconfitte subìte a Lissa e a Custoza (1866). Il problema della conquista di Roma – fallito a Mentana (1867) un nuovo tentativo garibaldino – si risolse al momento della sconfitta inflitta dalla Prussia al Secondo Impero di Napoleone III, che permise al governo italiano di approfittare delle difficoltà francesi per prendere la città (20 settembre 1870). Finiva il potere temporale dei papi e Roma diveniva capitale del Regno d’Italia. Con la legge delle Guarentigie lo Stato italiano si impegnava a garantire al pontefice le condizioni per il libero svolgimento del suo magistero spirituale. L’intransigenza di Pio IX, tuttavia, si manifestò nel divieto per i cattolici italiani di partecipare alle elezioni politiche: un ulteriore ostacolo che si frapponeva al processo di reale unificazione del paese.
21_5 LA CONQUISTA DEL VENETO E LA PRESA DI ROMA Il completamento dell’unità costituì uno dei problemi più difficili per la nuova classe dirigente nazionale. Falliti i tentativi di conciliazione con la Chiesa, riacquistò spazio l’iniziativa dei democratici: nel 1862 l’iniziativa
21_6 IL GOVERNO DELLA SINISTRA Nel marzo 1876 il governo della Destra fu battuto alla Camera su un progetto di legge relativo alla statalizzazione delle ferrovie. L’avvento al potere
della Sinistra segnò l’inizio di una nuova fase con una classe dirigente più giovane, che avrebbe perso le componenti radical-democratiche. Approvate la legge Coppino sull’istruzione e la riforma elettorale del 1882, gran parte del programma riformatore della Sinistra fu accantonato. Il sistema politico italiano perse, col trasformismo di Depretis (l’allora leader della Sinistra), il suo carattere bipartitico, finendo con l’essere dominato da un grande Centro che emarginava le ali estreme.
21_7 LA CRISI AGRARIA E LA POLITICA ECONOMICA PROTEZIONISTA La Sinistra abolì la tassa sul macinato e aumentò la spesa pubblica. Ma non riuscì a fronteggiare la grave crisi agraria che investiva anche l’Italia. Se si escludono le zone più sviluppate del Nord, infatti, l’agricoltura italiana versava in condizioni assai arretrate, e questa situazione fu ulteriormente aggravata dalle ripercussioni della crisi. Tra gli effetti della crisi vi fu un rapido incremento dell’emigrazione e, in tempi più lunghi, il decollo industriale italiano. Questo dimostrò quanto fosse
illusoria l’idea che lo sviluppo economico del paese potesse basarsi solo sull’agricoltura. Si affermò invece una linea di appoggio dello Stato all’industria con l’adozione di tariffe protezionistiche (1887). Ne derivarono però anche alcuni importanti effetti negativi: la guerra doganale con la Francia, l’aumento degli squilibri tra Nord e Sud, la penalizzazione delle esportazioni agricole.
21_8 LA POLITICA ESTERA E IL COLONIALISMO La stipulazione della Triplice alleanza con Germania e Austria-Ungheria (1882) segnò nella politica estera italiana una svolta, determinata sia dal timore di un isolamento internazionale sia dal trauma rappresentato dall’occupazione francese della Tunisia, su cui puntavano anche i progetti espansionistici italiani. Il trattato costringeva l’Italia a rinunciare implicitamente alla rivendicazione di Trentino, Venezia Giulia e Trieste, le cosiddette “terre irredente” ancora in mano agli austriaci. Fu anche avviata in quegli anni un’espansione coloniale sulle coste del Mar Rosso, in Africa, ma il tentativo di estendersi verso l’interno portò al
contrasto con l’Etiopia e all’eccidio di Dogali (1887).
21_9 SOCIALISTI E CATTOLICI Dati i ritardi nello sviluppo industriale, la classe operaia italiana era costituita solo per una minoranza da proletariato di fabbrica. Le società di mutuo soccorso, inizialmente dominate da mazziniani e moderati, persero via via terreno a favore del movimento internazionalista che in Italia ebbe essenzialmente indirizzo anarchico. Gli anni ’80 videro una notevole crescita del movimento operaio, con la fondazione di federazioni di mestiere e Camere del lavoro. Nel 1892 fu fondato il Partito dei lavoratori italiani (poi Partito socialista). Benché il non expedit (1874) vietasse la partecipazione dei cattolici alle elezioni politiche, la presenza cattolica nella società italiana, soprattutto nelle campagne, era massiccia. L’Opera dei congressi sorse proprio per organizzare tale presenza, secondo una linea di rigida opposizione al liberalismo e al socialismo. L’elezione di papa Leone XIII (1878), più aperto ai problemi della società moderna, favorì l’impegno sociale dei cattolici e lo sviluppo delle loro organizzazioni.
21_10 CRISPI: RAFFORZAMENTO DELLO STATO E TENTAZIONI AUTORITARIE Alla morte di Depretis (1887) divenne presidente del Consiglio Crispi: la sua politica autoritaria e repressiva si accompagnò a un’importante riorganizzazione dell’apparato statale. Nettamente diversa fu la politica di Giolitti, capo del governo nel ’9293: l’azione di Giolitti fu imperniata su una linea non repressiva nei confronti dei conflitti sociali. Il rifiuto di Giolitti di adottare misure eccezionali contro i Fasci siciliani e lo scandalo della Banca Romana provocarono però le sue dimissioni. Il ritorno di Crispi al governo (1893) fu caratterizzato, quindi, da un orientamento nettamente diverso, che si concretizzò nella riforma bancaria (nascita della Banca d’Italia), nella proclamazione dello stato d’assedio in Sicilia e Lunigiana, nelle leggi antisocialiste e nell’ulteriore spinta all’azione colonialista, che portò alla guerra con l’Etiopia: una nuova disastrosa sconfitta, ad Adua (1896), determinò la fine politica dello statista siciliano.
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SVILUPPARE LE COMPETENZE CONOSCENZE E ABILITÀ 1 Abbina le seguenti domande sull’Italia postunitaria agli argomenti elencati di seguito:
1. Perché in Italia, negli anni ’80 dell’800, ci fu una violenta crisi agraria? a. Introduzione di una nuova tariffa doganale b. Guerra doganale con la Francia c. Abbassamento dei prezzi 2. Quali conseguenze ebbe la crisi agraria? d. Squilibri tra i vari settori economici e. Introduzione del dazio sul grano f. Rialzo dei prezzi dei cereali e conseguente danno ai consumatori 3. Quali effetti ebbe il protezionismo che fu instaurato per arginare la crisi agraria? g. Calo della produzione h. Danno alle colture specializzate 2 Scegli, tra gli elementi indicati di seguito, quelli che si riferiscono alle caratteristiche del governo di sinistra di
Depretis e della sua politica.
a. Conservatori b. Monarchici c. Radicali d. Comunisti
e. Moderati f. Democratici g. Anarchici h. Colonialismo
i. Ampliamento del suffragio elettorale l. Sostegno dell’istruzione elementare
3 Completa lo schema sulla politica interna ed estera di Depretis. POLITICA INTERNA GOVERNO DEPRETIS (1876-87)
● Istruzione elementare: ......................................... ● Legge elettorale: ................................................. ● Riforme economiche: ...........................................
POLITICA ESTERA
● Triplice alleanza con: ............................................ ● Colonialismo: .......................................................
a. ..................................................................... b. .................................................................... C. .....................................................................
4 Completa il seguente testo sulla politica estera di Depretis inserendo le affermazioni corrette presenti nell’elenco di
seguito. Fai attenzione perché ci sono tre espressioni errate che dovrai tralasciare. Dogali ● Trentino ● difensivo ● Triplice intesa ● Africa orientale ● Triplice alleanza ● Venezia Giulia ● la Spagna ● filofrancese ● Etiopia ● Baia di Assab ● la Germania ● offensivo
Nel maggio 1882 il governo Depretis firmò con l’Austria-Ungheria e ......................................... il trattato della ........................................., abbandonando la tradizionale politica ......................................... seguita fino a quel momento. Tale accordo aveva soprattutto carattere ........................ ................., ovvero gli Stati in questione avrebbero dovuto aiutarsi in caso di attacco esterno. L’Italia non otteneva nessun vantaggio immediato, anzi di fatto rinunciava alle terre che non era riuscita ad annettere durante il Risorgimento, ovvero ......................................... e ................................ ......... Il governo Depretis inoltre, spinto dalla voglia di prestigio e di imprese coloniali, decise di impegnarsi in ......................................... Acquistò la ......................................... e intraprese un’azione militare in ......................................... Nel gennaio 1887 furono uccisi 500 militari italiani a ......................................... 5 Indica le affermazioni vere e correggi quelle errate. Approfondirai così la situazione italiana dopo l’Unità.
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a. Nel 1861 esisteva una minoranza intellettuale che parlava solo la lingua italiana. ................................................................................................................................................................................. b. I contratti di mezzadria favorirono l’abbandono e la decadenza delle campagne nel Nord. ................................................................................................................................................................................. c. Il Meridione era ricco di zone fertili e pianeggianti dove erano diffuse le colture specializzate. .................................................................................................................................................................................
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d. I partiti di estrema destra e di estrema sinistra non parteciparono alle prime elezioni. ................................................................................................................................................................................. e. La legge elettorale del 1882 prevedeva, fra le altre cose, che potessero votare coloro che erano in grado di dimostrare di saper leggere e scrivere. ................................................................................................................................................................................. f. Lo Stato, con la legge Casati, costruì e attivò scuole statali pubbliche e gratuite su tutto il territorio. ................................................................................................................................................................................. g. La tassa sul macinato gravava sui redditi di tutti, in quanto consumatori di farina e pane. ................................................................................................................................................................................. h. La legislazione doganale del Regno sardo, di stampo liberista, fu estesa a tutta l’Italia. ................................................................................................................................................................................. i. La rete ferroviaria postunitaria fu subito promossa e utilizzata. ................................................................................................................................................................................. l. Il brigantaggio fu combattuto con una legge speciale che affrontava i problemi economici e sociali del meridione. .................................................................................................................................................................................
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6 Associa le espressioni proposte di seguito alle relative definizioni e completa queste ultime.
a. Terre irredente b. Società di mutuo soccorso c. Leghe di resistenza d. Operaisti e. Opera dei congressi
1. 2. 3. 4. 5.
Organizzazioni operaie che avevano il compito di ............................................................... Erano quei territori italiani ancora sotto il dominio dell’......................................................... Membri del .................................................................................................................. Organizzazioni finalizzate a ............................................................................................ Organizzazione ecclesiastica che aveva lo scopo di .............................................................
COMPETENZE IN AZIONE 7 Scrivi sul tuo quaderno un testo informativo di massimo 20 righe sull’Italia liberale tra 1876 e 1886 utilizzando la
seguente scaletta e le immagini del capitolo che ritieni opportune.
● ● ● ● ● ●
Motivi che determinarono la fine del governo Minghetti. Il programma politico di Depretis. La riforma Coppino. La riforma elettorale del 1882. Il trasformismo. La nascita del gruppo radicale.
8 Scrivi un testo di massimo 20 righe sulla politica coloniale italiana nella seconda metà dell’800, toccando i seguenti
punti:
a. Depretis e la diplomazia internazionale. b. Dalle prime iniziative coloniali del 1882 alla sconfitta di Dogali. c. Crispi e la fondazione della Colonia Eritrea. d. La battaglia di Adua (1896). 9 Scrivi un testo sulla questione meridionale utilizzando la seguente scaletta:
a. Organizzazione della proprietà agraria nelle diverse aree d’Italia b. Condizioni economiche e sociali degli italiani del Nord e del Sud c. Presenza di rappresentanti meridionali nelle istituzioni dello Stato d. Politiche nazionali e Mezzogiorno e. Rivolta antistatale nelle regioni meridionali più povere
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COMPITI DI REALTÀ 10 Realizzare un libro per bambini a tema storico.
Tema storico da affrontare: I primi anni del nuovo Stato italiano.
Contesto di lavoro
Lavori per una casa editrice specializzata in libri per bambini e curi una collana sulla storia del mondo. I tuoi superiori hanno deciso di realizzare alcuni volumi sulla storia d’Italia. Nel libro che dovrai realizzare, pensato per bambini di 10-11 anni, grande spazio avranno le immagini e le carte geostoriche, commentate con opportune didascalie esplicative.
Cosa devi fare
Con il tuo gruppo avete il compito di preparare il libro che affronta i primi anni del Regno, mettendo in rilievo gli orientamenti politici e sociali dei governanti, ma anche le contraddizioni di questa nuova realtà storico-politica. Per realizzare questo compito dovete: ● individuare i concetti su cui volete far focalizzare l’attenzione dei bambini e che diventeranno i capitoli del vostro libro. ● indicare i titoli dei capitoli del vostro lavoro e realizzare una scaletta con i concetti che volete affrontare in essi (due o tre per capitolo). ● selezionare sul manuale le immagini (fonti e carte geostoriche) più adatte ai singoli capitoli. ● ricercare online le immagini mancanti e che vi sembrano più suggestive. Se cercate anche fonti d’epoca e carte geostoriche, ricordate di utilizzare solo siti che risultino affidabili (validati da ricercatori o professori universitari, da gruppi di ricerca storica o che lavorano nel mondo della scuola, da case editrici, ecc.). ● realizzare per ogni immagine una didascalia esplicativa che descriva l’immagine e il suo significato e che contenga anche le informazioni che è possibile ricavare in relazione al tema in esame. ● scrivere il testo facendo attenzione a renderlo adatto a bambini di 10-11 anni seguendo alcune regole: 1. scrivete frasi brevi formate essenzialmente da soggetto, predicato verbale e complemento oggetto; 2. se utilizzate parole tecniche, proprie del linguaggio storico, fate in modo che la frase ne riveli il senso, oppure realizzate un box da inserire al lato del testo con la spiegazione del significato (in questo caso realizzerete la voce di un glossario); 3. fate riferimento alle immagini nella vostra argomentazione/descrizione.
Presentazione del lavoro svolto
Il lavoro di ogni gruppo sarà presentato davanti al direttore della casa editrice e deve prevedere: una relazione introduttiva del metodo utilizzato e dei contenuti affrontati da esporre oralmente (durata massima: 5 minuti) più la descrizione del percorso attraverso slide.
Tempo a disposizione
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1 ora per individuare sul manuale i concetti da affrontare, le immagini da utilizzare e realizzare le scalette di ogni capitolo; 1 ora per cercare in Rete le immagini e le relative informazioni e confrontare i risultati ottenuti su diverse pagine web; 2 ore per la scrittura dei testi; 3 ore per la realizzazione del prodotto multimediale; 1 ora per impostare e provare la relazione.
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
FARESTORIA CENTRALIZZAZIONE E MODERNIZZAZIONE: UNA SFIDA PER ITALIA E GIAPPONE Nella seconda metà dell’800 molti paesi scelsero di affrontare il processo di modernizzazione e di costruzione dello Stato nazionale attraverso politiche accentratrici talora caratterizzate da aspetti autoritari. In Italia, ad esempio, all’indomani dell’Unità, la classe dirigente liberale dovette affrontare numerosi problemi per rafforzare e legittimare le nuove istituzioni del Regno d’Italia, accentuando il controllo sulla vita politica e sociale del paese. In particolare gli uomini della Destra e della Sinistra si mostrarono uniti nella difesa dell’ordine esistente. Nel primo brano della sezione, lo storico Raffaele Romanelli [►150] dà conto dei motivi che portarono la classe dirigente nazionale a scegliere per l’Italia un modello accentrato, considerato l’unica garanzia contro i rischi di dissoluzione dell’unità appena conquistata. Per lo storico britannico Christopher Duggan [►151], queste politiche accentratrici e autoritarie – che ebbero la loro massima espressione nel ruolo attribuito ai prefetti – non vennero meno neanche col passaggio del potere alla cosiddetta “Sinistra storica”: durante il periodo in cui Francesco Crispi guidò il Ministero dell’Interno, anzi, si affermò sempre più l’idea di un “governo forte”. Nonostante queste politiche, molti rimanevano gli “esclusi” dalla vita politica – e, in particolar modo, parlamentare – dei primi decenni dell’Italia unita. In primo luogo, secondo Fulvio Cammarano [►152], furono esclusi dalla cosiddetta “legittimità costituzionale” il movimento operaio e quello anarchico; in secondo luogo, i cattolici, nonostante i tentativi di attenuazione in chiave conservatrice degli attriti con lo Stato italiano messi in luce da Mario G. Rossi [►153]. L’analisi di Salvatore Lupo [►154] ricostruisce invece le vicende del brigantaggio negli anni immediatamente successivi all’Unità, un problema che come pochi altri condizionò le scelte della classe politica. Anche nell’ambito della vita politica parlamentare, comunque, si riscontravano le difficoltà e i problemi tipici di un meccanismo ancora non ben oliato. Le pagine di un celebre romanzo di fine ’800, I Viceré di Federico De Roberto [►155d], ci portano nel vivo della campagna elettorale del 1882 (la prima dopo l’introduzione del suffragio allargato), osservata con occhio disincantato attraverso la vicenda di un ambizioso nobile siciliano. Gli ultimi due brani sono, invece, dedicati al Giappone, che in questi anni si emancipò dal suo passato e iniziò la corsa alla modernità industriale. L’apertura forzata alle potenze occidentali in seguito alla firma dei “trattati ineguali” del 1858 scatenò una profonda reazione nell’Impero nipponico, portando alla restaurazione dell’autorità imperiale e all’avvio di un processo di rapida modernizzazione politica ed economica, di cui gli storici italiani Rosa Caroli e Francesco Gatti [►156] hanno ricostruito i passaggi fondamentali. Infine, l’economista giapponese Michio Morishima [►157] spiega come la modernizzazione del Giappone nell’epoca Meiji sia stata favorita dalla tradizione confuciana.
150 R. ROMANELLI IL CENTRALISMO LIBERALE: ORIGINI E MOTIVAZIONI
R. Romanelli, Centralismo e autonomie, in Id. (a c. di), Storia dello Stato italiano dall’Unità a oggi, Donzelli, Roma 1995, pp. 126-30.
All’indomani dell’Unità, la classe dirigente liberale accentuò il controllo sulla vita politica e sociale del nuovo Stato, scegliendo un modello fortemente accentrato. Inizialmente, nel periodo risorgimentale, non erano mancate ipotesi favorevoli al decentramento ma, dinanzi alla situazione del Mezzogiorno, si preferì scegliere il sistema francese, incentrato sulla
figura del prefetto. Rappresentante dello Stato centrale in periferia, il prefetto costituiva una garanzia contro il rischio di un indebolimento dell’assetto unitario appena raggiunto. Al processo che portò alla scelta accentratrice sono dedicate le pagine di Raffaele Romanelli (nato nel 1942), contenute in un volume dedicato alla storia istituzionale dello Stato unitario. Benché ammiratori di un modello di autogoverno, i liberali italiani, preoccupati delle rivendicazioni democratiche e/o legittimiste delle masse popolari, finirono per optare per un forte controllo del potere centrale sulle amministrazioni locali.
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FARESTORIA Centralizzazione e modernizzazione: una sfida per Italia e Giappone
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La prima legge che dette un ordinamento ai comuni e alle province fu votata il 20 marzo 1865. […] L’assetto del 1865 era ispirato a un modello francese di ascendenza assolutistica poi perfezionato nel periodo napoleonico e nell’età della Restaurazione. Si trattava di un sistema generalmente chiamato «prefettizio», in cui l’amministrazione centrale controllava un complesso di enti locali a due o tre gradi, uniformemente ordinati su tutto il territorio (nel sistema italiano, principalmente le province e i comuni), attraverso una rete di suoi organi locali che facevano capo appunto al prefetto, nome che fu dato nel 1861 alla massima autorità governativa nella provincia e che tutt’ora conserva. Secondo la legge del 1865, il prefetto era infatti il diretto rappresentante del governo centrale nella provincia in tutti i settori della pubblica amministrazione, eccettuate la giustizia e la difesa, e partecipava direttamente al governo dell’amministrazione locale come presidente della deputazione provinciale, che era l’organo esecutivo della provincia eletto dal consiglio provinciale. Nel prefetto si realizzava perciò un’unione personale di due uffici diversi, la provincia quale circoscrizione dello Stato e la provincia quale «corpo morale». Il prefetto aveva il potere di sospendere dalle loro funzioni i sindaci, e, per decreto reale, rimuoverli. «Per gravi motivi di ordine pubblico», il re poteva sciogliere i consigli comunali e provinciali, e convocare nuove elezioni. Le deliberazioni dei consigli comunali dovevano essere trasmesse al prefetto che, accertatane la legittimità, vi apponeva il visto o, in caso contrario, ne disponeva l’annullamento. A questo controllo sulla legittimità degli atti, se ne affiancava uno che riguardava invece il merito delle delibere comunali economicamente più rilevanti, e che era esercitato dalla deputazione provinciale, organo elettivo, come si è detto, ma presieduto dal prefetto, cosa che rendeva la sua natura non del tutto chiara nella gerarchia dei poteri che legava la sommità dello Stato al sistema delle autonomie. Anche i sindaci dei comuni, oltre ad essere rappresentanti delle comunità, avevano funzioni tipicamente statuali – quali la tenuta dei registri dello stato civile o delle liste elettorali politiche –, ma nel loro caso questa ambivalenza era chiaramente sbilanciata a favore dell’elemento comunitario […]. Nel caso invece della provincia,
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
se alcuni elementi la assimilavano al comune come ente autonomo – essa aveva infatti un’organizzazione simile a quella dei comuni, con un consiglio provinciale elettivo e una deputazione provinciale eletta dal consiglio nel suo seno – altri e più consistenti elementi sembravano far prevalere i suoi caratteri di organo periferico dello Stato. Oltre alla presidenza prefettizia, le stesse funzioni di controllo sui comuni di cui ora s’è detto, che erano di natura statale, e molti altri uffici pubblici periferici che furono localizzati nelle sedi provinciali, come le intendenze di finanza, i provveditorati agli studi, gli uffici del genio civile, nonché le camere di commercio, gli ordini professionali ecc. Questa gerarchia di poteri territoriali rispondeva a una logica assolutistica al fondo sospettosa delle autonomie e che, concependo le comunità non come soggetti autonomi, originari, tendeva ad affidarne il governo a strumenti dirigistici e di accentramento. La stessa [...] rinuncia a concepire più vasti ordinamenti regionali testimoniava di quel sospetto e di quella logica che hanno finito col governare i rapporti tra autorità centrali ed enti territoriali lungo tutta la storia dell’Italia contemporanea […]. Fermo restando sempre il criterio dell’uniformità degli ordinamenti in tutta la penisola […], a quella logica si è però opposto fin dagli inizi, via via integrandovisi nelle forme più diverse, un altro principio, che invece fa perno sull’autonomia locale e sull’autodeterminazione degli enti territoriali. La tensione tra i due principi, l’uno che fa emanare il potere dall’alto, l’altro dal basso, domina tutta l’evoluzione del sistema tra Ottocento e Novecento, ma le sue origini possono esser fatte risalire all’epoca della concessione dello Statuto albertino, quando fu adottato il principio rappresentativo. […] Nel momento in cui […] fu scelto, per l’elezione della Camera dei deputati, il sistema rappresentativo elettorale di stampo francese, con la legge sarda emanata tra il 1847 e il 1848 venne introdotto il principio rappresentativo anche nei corpi locali con l’elezione dei consiglieri comunali e di quelli provinciali. Ora, rispetto alla logica assolutistica del sistema prefettizio, il criterio elettivo adottato nel 1848 aveva in nuce tutt’altra ragione perché non faceva derivare la nomina – e dunque la legittimazione – degli amministratori locali dal loro legame col
governo, ma ne faceva invece un’espressione diretta delle comunità che non aveva spazio né nell’ordinamento costituzionale (lo Statuto infatti non parlava di autonomie), né nel sistema prefettizio. Il principio elettivo costituì perciò da allora un secondo pilastro del sistema, che andò evolvendosi in senso democratico con l’evoluzione stessa dei sistemi elettorali, senza perciò armonizzarsi con i meccanismi amministrativi e senza poter di per sé introdurre diversi modi di governare. Ma questo contrasto di fondo [...] era agli inizi soltanto potenziale. L’elettorato era infatti assai ristretto, e definito su base censitaria, cosicché in sostanza coincideva con le vecchie liste degli eleggibili alle cariche comunali1. A ciò si aggiunga che il capo dell’amministrazione comunale – il sindaco – pur dovendo essere uno degli eletti, era però nominato dal re (e di fatto scelto dal prefetto), mentre a guidare la giunta provinciale (anch’essa elettiva) era, come si è detto, lo stesso prefetto. Per il momento dunque le comunità erano governate da gruppi di ottimati2 socialmente omogenei la cui origine elettiva era scarsamente rilevante, molto somigliando a una cooptazione di ceto3. 1. «Per la legge del 1865 avevano diritto al voto amministrativo i maggiorenni che pagavano nel comune una contribuzione diretta proporzionale al numero degli abitanti, secondo una scala che andava dalle 5 lire annue nei comuni inferiori a 3 mila abitanti alle 25 in quelli superiori ai 60 mila. Si trattava in sostanza dei possidenti del luogo. Questa concezione patrimoniale del suffragio amministrativo era confermata dal fatto che i contribuenti potevano votare contemporaneamente in più comuni dove pagassero il censo richiesto» [N.d.A.]. 2. Esponenti dei ceti superiori per ricchezza o titoli nobiliari. 3. Integrazione nel sistema politico in virtù del proprio ceto sociale di appartenenza. METODO DI STUDIO
a Cerchia da tre a cinque parole chiave in grado di sintetizzare gli elementi principali del sistema «prefettizio». Quindi argomenta per iscritto la tua scelta. b Evidenzia i ruoli che facevano parte della gerarchia di poteri territoriali descritta e sottolinea con colori diversi i relativi compiti e poteri. c Individua e cerchia con colori diversi i due princìpi di organizzazione territoriale descritti e sottolineane le caratteristiche. Descrivili quindi per iscritto mettendo in rilievo le possibili conseguenze dell’applicazione dell’uno e dell’altro e i casi in cui furono applicati.
151 C. DUGGAN CRISPI E IL GOVERNO FORTE
C. Duggan, Creare la nazione. Vita di Francesco Crispi, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 578-82.
Dopo la caduta della Destra storica nel 1876, si formò un nuovo governo retto da Agostino Depretis, uno dei maggiori esponenti della Sinistra [►CAP21]. Depretis mantenne la carica di presidente del Consiglio, a più riprese, fino alla sua morte, Il nuovo governo di Depretis e Crispi godeva alla Camera di una maggioranza schiacciante. Soltanto l’Estrema Sinistra rifiutò il suo appoggio. Il gabinetto mescolava insieme Destra e Sinistra, Nord e Sud. […] Crispi fece dell’energia il contrassegno della sua gestione del ministero dell’Interno. Il parlamento si svegliò dal suo torpore. Il nuovo ministro voleva rendere evidente che l’epoca dell’inerzia e dei rinvii era finita: adesso le parole d’ordine erano l’efficienza e un senso di urgenza. Portò avanti la stesura di un disegno di legge per l’ampliamento della democrazia municipale (tenne peraltro a placare certi timori dei conservatori annunciando, tra grida di approvazione, che l’allargamento del suffragio nella sfera locale sarebbe stato strettamente sorvegliato e controllato dal centro […]). Annunciò piani per ristrutturare il sistema di protezione sociale del paese, per introdurre vasti mutamenti nella polizia e nelle carceri e per integrarle nel nuovo codice penale in corso di approvazione. Voleva, disse in un discorso […], fare il possibile per utilizzare i progressi compiuti dalla «scienza odierna»: per esempio la pratica di fotografare i criminali e di misurare i loro crani allo scopo di ottenere informazioni aggiuntive sul loro carattere. […] Per Crispi, tra le principali questioni di politica interna sul tappeto al principio dell’estate 1887 c’era la sanità pubblica. In maggio, nel Mezzogiorno scoppiò di nuovo il colera, e Crispi fu generalmente elogiato per la sua energica gestione della situazione: i prefetti colpevoli di negligenza furono biasimati o rimossi, i consigli comunali incompetenti vennero sciolti. Fu creata in seno al ministero dell’Interno una speciale sezione incaricata di coordinare la sanità pubblica su scala nazionale, e in giugno Crispi annunciò una serie di riforme della legislazione in materia sanitaria e la costituzione di un ufficio di ispettori – la «polizia
avvenuta nel luglio 1887. Negli ultimi mesi del suo ultimo governo, fu ministro dell’Interno Francesco Crispi, uomo politico siciliano che aveva sempre espresso posizioni politiche molto diverse da quelle di Depretis, anche se all’interno della Sinistra storica. In una corposa biografia dello statista siciliano, lo storico britannico Christopher Duggan (1957-2015) ha ricostruito la sua energica attività come ministro, fondata sulla convinzione dell’importanza della figura del prefetto.
sanitaria» – con il compito di controllare e migliorare le condizioni igieniche, spesso squallide, delle città italiane. Erano i primi passi verso la legge sanitaria del 1888. Un altro tema che in questo periodo preoccupava particolarmente Crispi erano i prefetti. La tendenza del governo a interferire nell’amministrazione e a usare i prefetti in modo partigiano (ma l’aspetto forse più pernicioso1 era che i prefetti avevano l’impressione di dover agire in modo partigiano, se non volevano compromettere la loro carriera) era da molto tempo riconosciuta come un difetto dello Stato italiano. Fin dal suo insediamento come ministro dell’Interno, Crispi impose ai prefetti una rigorosa neutralità politica. Essi ebbero istruzioni di non accordare trattamenti preferenziali a nessuno, deputati inclusi, e di mettere sullo stesso piano tutti gli uomini politici delle loro province, indipendentemente dal partito di appartenenza. In caso di elezioni, la direttiva era di assicurare la libertà e la correttezza delle operazioni di voto, e di non intervenire. Secondo Crispi, i prefetti avevano un ruolo cruciale da svolgere: fino a quando gli italiani non avessero recuperato la loro capacità di autogoverno, lo Stato aveva bisogno di funzionari «i quali educhino le popolazioni e le avviino sul cammino della libertà». Ma la qualità dei prefetti preoccupava Crispi: nella condizione presente, il posto era troppo incerto, e i diritti in materia di pensione troppo esigui, per attirare quelle che chiamava «le grandi intelligenze, gli uomini esperimentati». In un tentativo di porre rimedio a questa situazione, Crispi preparò un disegno di legge che accresceva la sicurezza del posto e modificava una norma del 1877 in modo da permettere che i deputati fossero nominati prefetti. […] Il disegno di legge fu presentato alla Camera il 4 luglio, e approvato in quello stesso giorno con 174 voti contro 47. Si trattava di una legge illiberale, nello spi-
rito se non nella lettera. Crispi sosteneva che se il governo ne faceva cattivo uso, e nominava prefetti che poi si comportavano come lacché dell’esecutivo, il parlamento poteva chiederne conto ai ministri. Può darsi che fosse così, e tuttavia la mancanza di un’opposizione colpiva. Mostrava […] in quale misura gli atteggiamenti fossero cambiati nel corso dei dieci anni precedenti sotto l’urto della perdita di prestigio del parlamento e della crescita dell’agitazione e della sovversione nel paese. Uno Stato forte e un forte esecutivo non erano più guardati con sospetto, come si tendeva a fare quando la Sinistra era arrivata per la prima volta al potere. In molti ambienti li si vedeva piuttosto come strumenti indispensabili per correggere le disfunzioni del sistema politico e per suscitare la fedeltà di una popolazione la cui mancanza di patriottismo faceva apparire il liberalismo dottrinario altamente problematico. 1. Dannoso, pericoloso.
METODO DI STUDIO
a Cerchia le parole chiave dell’azione di governo di Crispi e argomentale per iscritto facendo riferimento anche a episodi precisi. b Evidenzia l’atteggiamento di Crispi nei confronti dei prefetti e sottolinea con colori diversi le cause e le conseguenze. c Leggi con attenzione l’ultima parte del brano che contiene il commento dell’autore al disegno di legge presentato da Crispi il 4 luglio del 1887, quindi sintetizzalo e argomentalo per iscritto facendo riferimenti storici precisi.
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FARESTORIA Centralizzazione e modernizzazione: una sfida per Italia e Giappone
152 F. CAMMARANO GLI “ESCLUSI” DALLA LEGITTIMITÀ ISTITUZIONALE: IL MOVIMENTO OPERAIO E GLI ANARCHICI IN ITALIA
F. Cammarano, Storia politica dell’Italia liberale, Laterza, RomaBari 2004, pp. 115-24.
In generale, di fronte alla questione sociale [►CAP21], gli uomini della Destra e della Sinistra si mostrarono uniti nella difesa dell’ordine esistente e poco interessati a comprendere e risolvere i problemi che stavano alla sua origine. Per questo
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La caduta della Destra e l’avvento al potere della Sinistra, al di là degli effettivi limiti di tale svolta, aprivano nel paese una simbolica prospettiva di trasformazione politica strettamente connessa alle speranze di realtà sociali ignorate dalle aule parlamentari ed i cui interpreti erano destinati alla delegittimazione politica, se non addirittura alla persecuzione penale. Infatti, fuori dalle aule parlamentari e da opposti punti di vista, le nascenti organizzazioni del movimento operaio e di quello cattolico, pur prive di effettive possibilità di successo, mantenevano in vita il potenziale esplosivo della contestazione della legittimità del sistema. Negli anni immediatamente successivi all’unificazione, il principale ispiratore della politica della Sinistra democratica italiana fuori dalle aule parlamentari fu Giuseppe Mazzini. Rientrato dal suo esilio londinese alla fine del 1860, egli diede vita a un’intensa attività organizzativa e propagandistica che mirava a politicizzare l’associazionismo operaio, già presente nel paese, allo scopo di estendere la propria influenza sulle classi popolari, indicando loro la strada del miglioramento economico e morale. [...] Alla fine del 1862 le statistiche indicavano la presenza di 445 società operaie, di cui tuttavia solo 30 nel Mezzogiorno, con oltre 130.000 soci, numeri questi destinati praticamente a raddoppiare dieci anni dopo [...]. Dopo Mentana1 e il riflusso delle speranze democratico-radicali, […] il tema unificante del patriottismo aveva cominciato a perdere parte della propria attrattiva per le classi subalterne: per queste ultime il contatto con le istituzioni assumeva i connotati di una coercizione i cui aspetti «pedagogici» nulla toglievano alla durezza delle disposizioni in materia di ordine pubblico e tributario. Quando, nel 1869, entrò in vigore la tassa sul macinato la struttura organizzati-
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
motivo, nell’Italia postunitaria, acquisirono una forza crescente – tra le classi popolari escluse dal diritto di voto e, dunque, al di fuori dalle aule parlamentari – le organizzazioni del movimento operaio e di quello cattolico. Secondo la ricostruzione di Fulvio Cammarano (nato nel 1955), parallelamente alla perdita di fascino della prospettiva democratico-mazziniana, il movimento operaio italiano fu sempre più influenzato dalle correnti anarchico-radicali che, particolarmente forti nelle campagne, declinarono solo alla fine degli anni ’70 dell’800.
va mazziniana del movimento operaio si mostrò disorientata di fronte alle violente, e spesso spontanee, manifestazioni di protesta che si svilupparono in gran parte del paese contro l’aumento del prezzo del pane provocato dall’imposta sulla macinazione dei cereali […]. I moti del macinato, che provocarono oltre 250 morti, un migliaio di feriti e poco meno di 4.000 arresti, pur ideologicamente ambigui, furono l’occasione per portare alla ribalta dell’opinione pubblica l’esistenza di un diffuso malessere sociale la cui pericolosità, per la classe dirigente liberale, andava individuata […] nelle potenzialità politiche eversive che ciò avrebbe potuto comportare. L’estraneità del pensiero mazziniano verso forme di resistenza organizzata da parte delle classi subalterne e verso ogni tipo di rottura tra classe operaia e borghesia aveva lasciato campo libero alla diffusione, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, di nuove prospettive di emancipazione sociale legate ai nuovi scenari di solidarietà operaia, aperti proprio nel 1864 dalla fondazione a Londra dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, i cui princìpi, ispirati da Karl Marx, si rivelarono apertamente in contrasto con quelli mazziniani. L’Internazionale divenne in pochi anni, soprattutto dopo le vicende della Comune di Parigi nel 1871, il polo d’attrazione delle giovani generazioni di rivoluzionari. [...] Da tali conflitti prese le mosse anche l’attività cospirativa in Italia del russo Michail Bakunin. In contatto con Marx, che sperava di utilizzarlo per contrastare l’influenza mazziniana sul movimento operaio italiano, Bakunin s’inserì rapidamente tra le fila della democrazia italiana […]. Alla fine degli anni Sessanta, tuttavia, l’esule russo aveva oramai formulato la personale concezione di un comunismo libertario e anarchico basato sull’autodeterminazione delle singole comunità,
che si distaccava nettamente dall’ipotesi, considerata autoritaria, del collettivismo marxista2 [...]. Il rifiuto dell’azione politica e del partito, unitamente all’individuazione del soggetto rivoluzionario nel sottoproletariato e nei diseredati delle campagne, rendeva il progetto bakuniniano estremamente affascinante agli occhi della scarsamente politicizzata e cospirativa cultura rivoluzionaria italiana. [...] Tra il 1873 e il 1874, sull’onda emotiva degli avvenimenti della Comune e dell’aumentata frequenza degli scioperi (103 nel solo 1873 di fronte ai 13, di media, del decennio precedente), gli internazionalisti italiani si convinsero dell’esistenza di concrete prospettive insurrezionali; il loro significato, nell’ideale settario dell’internazionalismo bakuninista, consisteva nel dar vita a una decisa ondata di azioni esemplari che avrebbero dovuto risvegliare la coscienza obnubilata delle masse diseredate, trascinandole verso la rivoluzione. La polizia, scoperti in anticipo i piani dei rivoltosi, agì con particolare determinazione coinvolgendo nella repressione anche i capi repubblicani [...]. I fallimenti dei tentativi insurrezionali del 1874 avevano assestato un duro colpo alle prospettive internazionaliste; tali prospettive, tuttavia, ebbero una parziale rivitalizzazione tra il 1876 e il 1877, in se-
1. Nel 1867, Garibaldi tentò una spedizione volta alla conquista di Roma, che avrebbe dovuto essere accompagnata da un’insurrezione in città dei patrioti democratici. Questa sollevazione fallì mentre, all’inizio di novembre, le truppe francesi sconfissero i garibaldini a Mentana, ponendo fine alle speranze di risolvere la questione romana attraverso l’azione del movimento democratico. 2. ►16_7.
guito agli esiti sostanzialmente favorevoli dei processi contro gli internazionalisti e alle speranze di una politica meno repressiva da parte della Sinistra, giunta in quegli anni al potere. [...] Una quindicina di sezioni internazionaliste lombarde, piemontesi e venete formarono, nel 1876, la Federazione dell’Alta Italia dell’Associazione Internazionale; la Federazione, nel suo II congresso tenutosi a Milano nel febbraio 1877, volle differenziarsi dall’estremismo anarchico dichiarando che per la vittoria del socialismo tutti i mezzi sarebbero stati utili, «dalla semplice parola di un propagandista alla manifestazione più energica delle moltitudini». Il distacco dai criteri del bakuninismo divenne ancora più netto nell’aprile dello stesso anno quan-
do Cafiero e Malatesta3, sulla falsariga del tradizionale modello insurrezionale, tentarono di promuovere un’ondata rivoluzionaria occupando alcuni villaggi del Matese, in Campania. Il fallimento della rivolta, rapidamente repressa, segnò l’inizio del declino dell’anarchismo italiano e lasciò l’intero movimento socialista italiano in una fase di crisi e ripensamento. [...] Per il socialismo italiano il declino della prospettiva anarco-insurrezionale significava la fine di ogni illusione circa la possibilità di emancipare il proletariato «preservandolo» dall’irritante contatto con la politica. […] A questo punto aveva inizio il travagliato e poco lineare percorso di lotte ed elaborazioni politiche che doveva condurre gli ideali della democrazia socialista all’incontro, per nulla scontato, con il
153 M.G. ROSSI L’OPPOSIZIONE CATTOLICA
M.G. Rossi, Il movimento cattolico tra Chiesa e Stato, in G. Sabbatucci, V. Vidotto, Storia d’Italia, III, Liberalismo e democrazia, Laterza, Roma-Bari 20073 (I ed. 1995), pp. 206-12.
A cavallo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 dell’800, il timore del nascente movimento socialista spinse la Chiesa di Roma a cercare un’alleanza con i ceti borghesi Il segnale che la posizione della Chiesa e della grande maggioranza delle forze cattoliche organizzate non era più quella del rifiuto intransigente della società borghese, ma quella del riequilibrio conservatore del suo asse – e quindi della potenziale alleanza con le correnti di destra del liberalismo, in contrapposizione alle tendenze democratico-radicali e soprattutto alle tendenze socialiste e rivoluzionarie – venne dall’ascesa al soglio pontificio di Leone XIII, succeduto a Pio IX nel 1878, e dall’enciclica Quod apostolici muneris, emanata dal nuovo papa nello stesso anno. […] L’enciclica di Leone XIII rivelava chiaramente, assieme agli echi persistenti della grande paura suscitata anche nel mondo cattolico dall’esperimento rivoluzionario della Comune di Parigi, la virata antisocialista della Chiesa, dal momento che il rinnovato richiamo all’unità dei cattolici veniva rivolto non più in alternativa al mondo moderno nel suo insieme, ma specificamente in contrapposizione alla minaccia socialista, per il cui contenimento si lasciava anzi intravvedere un’og-
movimento operaio e le sue tradizionali lotte rivendicative di mestiere. 3. Carlo Cafiero (1846-1892) ed Errico Malatesta (1853-1932), anarchici italiani. METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi le modalità di difesa degli interessi delle classi più povere in Parlamento e nella società. Descrivi per iscritto il rapporto esistente fra queste modalità e le relative conseguenze. b Individua il ruolo attribuito a Mazzini e a Bakunin nelle dinamiche e nel contesto storico descritti, sottolineane le caratteristiche principali e descrivile sul quaderno. c Spiega cosa era la Federazione dell’Alta Italia dell’Associazione Internazionale, per quale motivo fu fondata, con quali finalità e quali furono gli esiti.
e gli Stati laici in chiave conservatrice. Tuttavia, come illustrato dallo storico Mario G. Rossi, in Italia questo processo fu molto lento e ostacolato dalle correnti più reazionarie dell’associazionismo cattolico, che ribadirono a lungo l’adesione – almeno formale, anche se spesso inapplicata – al principio del non expedit, che escludeva i cattolici dalla vita politica dello Stato italiano.
gettiva convergenza tra la Chiesa cattolica e lo Stato laico. […] È la Chiesa, infatti – si proclamava – che rende sacri i princìpi di autorità, famiglia, proprietà, e quindi sancisce l’obbedienza ai poteri costituiti, condannando la ribellione e indicando ai ceti subalterni la cristiana rassegnazione contro gli eccessi del potere. E lo stesso riferimento all’opportunità di favorire la costituzione di società operaie di impronta cattolica, in chiave paternalistica e caritativa, sembrava aprire la strada ad un impegno organizzativo non antagonistico, ma funzionale alla collaborazione dei cattolici con le forze conservatrici laiche. Le conseguenze di questa correzione di rotta, avvertite più o meno immediatamente nei vari paesi europei, [...] dovevano manifestarsi assai in ritardo nella situazione italiana, pesantemente condizionata dalla questione del potere temporale del papato. Qui l’organizzazione nazionale del movimento cattolico promossa nel 1874, l’Opera dei congressi, era sorta con una accentuata caratterizzazione intransigente
e reazionaria, che non solo tagliava fuori le residue correnti cattolico-liberali, ma soffocava anche quelle componenti conservatrici che erano intenzionate a trovare un accordo di compromesso con la classe dirigente liberale, al fine di consentire ai cattolici l’ingresso a pieno titolo nelle istituzioni e nella vita politica del nuovo Stato, in cambio di un qualche riconoscimento dei diritti della Chiesa e della coscienza religiosa. Che lo stesso anno di nascita dell’Opera dei congressi la Sacra Penitenzieria ribadisse ufficialmente la disposizione del 1871 relativa al non expedit, ossia il divieto ai cattolici di partecipare alle elezioni e alla vita politica del Regno d’Italia, divenuto infine proibizione del Sant’Uffizio nel 1886, era quanto mai indicativo di una contrapposizione che […] doveva, almeno formalmente, radicalizzarsi per alcuni decenni. […] D’altra parte la contrapposizione di cui il mondo cattolico si faceva promotore nei confronti dello Stato liberale non uscì mai dai limiti di una scelta ideologica, vincolante almeno formalmente per tutti, ma
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di fatto operante solo per le élites dirigenti del movimento e nella elaborazione dei [...] programmi, non a livello di massa né come fattore di mobilitazione sociale, diretto a scalzare le basi di potere della borghesia nazionale. Né l’andamento delle elezioni politiche, nel loro complesso e nelle stesse zone dove maggiore era l’incidenza delle forze cattoliche organizzate, risultava sostanzialmente condizionato dalla mancata partecipazione dei cattolici al voto, in un contesto in cui l’astensionismo era una realtà generalizzata, sia negli anni del suffragio rigidamente censitario sia dopo la riforma elettorale del 1882. Anzi, le violazioni del non expedit, specialmente tra le classi medie (di osservanza cattolica più formalistica che pratica), ma anche in settori non trascurabili dello stesso clero, erano piuttosto consistenti. A parte il permanere di tendenze conciliatoriste sia ai vertici della gerarchia ecclesiastica […] sia in larghi strati del clero e del laicato, continuamente riaffioranti e mai completamente emarginate, anche gli organismi aderenti all’Opera dei congressi erano tutt’altro che compatti sulle posizioni dell’intransigentismo. Ciò non
soltanto per la varia consistenza delle organizzazioni cattoliche e per la diversità delle loro tradizioni regionali – si pensi soltanto all’intreccio di rapporti e di interessi familiari e clientelari tra il clero e il notabilato meridionali – ma per la comune origine sociale dei gruppi dirigenti cattolici e delle oligarchie laiche moderate e conservatrici e per i crescenti rapporti di collaborazione intessuti nelle realtà locali. Qui i cattolici partecipavano liberamente alle elezioni amministrative e concorrevano alla guida di comuni e province, anche nei maggiori centri del paese, fianco a fianco con i liberali moderati, quantomeno dopo il 1876 e soprattutto con la riforma dell’ordinamento degli enti locali del 1888, che portava da due milioni a quasi tre milioni e mezzo gli elettori amministrativi. […] Tutto ciò si sommava alle relazioni di interessi e di affari operanti nella società e nel campo economico, che andavano dalle strategie patrimoniali e matrimoniali delle élites nobiliari e borghesi del Centro-Sud, con riflessi diretti sulla vita amministrativa e sulla selezione del ceto politico locale, ai rapporti economici e
154 S. LUPO IL BRIGANTAGGIO NELL’ITALIA MERIDIONALE
S. Lupo, Il grande brigantaggio. Interpretazione e memoria di una guerra civile, in Storia d’Italia. Annale 18. Guerra e Pace, a c. di W. Barberis, Einaudi, Torino 2002, pp. 467-72.
Lo storico siciliano Salvatore Lupo (nato nel 1951) ha ricostruito la genesi del brigantaggio, sottolineando la durezza delle misure adottate dal governo nazionale per reprimere l’insorgenza armata delle bande [►21_3]. Subito dopo l’arrivo dei piemontesi a Napoli, infatti, vennero nominati governatori dei militari di carriera, pronti a stigmatizzare il comporta-
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A metà febbraio Francesco II proclamò la resa della fortezza di Gaeta1 e si rifugiò con la corte nello Stato pontificio. In alleanza con il Vaticano, con le forze reazionarie europee e – in un quadro di solidarietà dinastica – con la Spagna, l’establishment borbonico [...] decise innanzitutto di foraggiare bande che partendo dal territorio pontificio [...] puntavano sull’Abruzzo e sulla Campania, collegandosi a gruppi locali; e di appoggiare mediante comitati clandestini le formazioni armate attive in Basilicata e in Puglia. A ingrossare tali bande furono soldati e
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all’intreccio di legami organizzativi e politici nelle associazioni agrarie e fra le oligarchie fondiarie dell’area padana. Con l’estendersi della partecipazione della borghesia cattolica ai processi di sviluppo dell’economia, inclusi sempre più largamente quelli riguardanti i settori bancario e assicurativo e le attività industriali e commerciali, si veniva pertanto a costituire il tessuto connettivo di un’alleanza tra cattolici e moderati laici, destinata a consolidarsi nel tempo nei suoi fondamenti strutturali come negli indirizzi culturali.
METODO DI STUDIO
a Cerchia da cinque a sette parole chiave che si riferiscono alle posizioni ufficiali della Chiesa sulla politica italiana e la questione sociale e argomenta la tua scelta per iscritto. b Spiega in che modo la società e la comunità ecclesiastica reagirono alle azioni ufficiali della Chiesa. c Descrivi la posizione della Chiesa su questioni politiche e sociali facendo riferimento a eventi storici precisi.
mento delle autorità civili, considerate troppo indulgenti con i sospetti. Nel 1863 si varò una legislazione eccezionale, la legge Pica, che prevedeva la fucilazione immediata per «quanti avessero opposto resistenza a mano armata» e per i loro complici e sostenitori. Dopo l’approvazione della legge, la repressione dell’esercito italiano contro i briganti, macchiatisi a loro volta di numerosi eccidi di “liberali”, si fece ancora più cruenta. Secondo le stime più attendibili, soltanto nel periodo tra il 1° giugno e il 31 dicembre 1865 furono fucilati oltre 5 mila briganti, mentre quasi altrettanti vennero arrestati.
sottufficiali borbonici di ritorno nei paesi natii da Gaeta e dallo Stato della Chiesa, renitenti alla nuova leva italiana, contadini e salariati agricoli. Fu così che la reazione cominciò a prendere la forma di una guerriglia che fu detta brigantaggio dai liberali. Più precisamente, si parlò di «grande» brigantaggio, con riferimento alle imprese di gruppi forti di centinaia di aderenti, che effettuavano scorrerie sia a piedi che a cavallo, e che non disdegnarono l’assalto ai centri abitati, sferrato di concerto con i borbonici locali e i contadini dei dintorni. [...]
Il governo borbonico in esilio si appellò all’opinione pubblica internazionale contro l’Italia delle «sette» e della rivoluzione, che schiacciava il buon popolo napoletano sotto il tallone militare. Il governo italiano [...] replicò imbarazzato, da un lato lamentando una cospirazione politica
1. Francesco II di Borbone (1836-1894) fu l’ultimo re delle Due Sicilie. Assediato a Gaeta, fu sconfitto e deposto il 13 febbraio 1861, quando il suo Regno fu ufficialmente annesso al Regno d’Italia.
internazionale ordita dai suoi stessi accusatori, dall’altro definendo i disordini limitati, e di tipo esclusivamente criminale. A livello europeo, c’erano proteste per i proclami dei generali sabaudi, che decretavano la fucilazione sommaria di tutti «paesani» armati, e per singoli episodi [...]. In effetti la repressione venne condotta senza alcuno scrupolo garantistico, o meglio, senza regola alcuna. [...] Fucilazioni sommarie, distruzione delle case dei briganti, presa di parenti come ostaggi e tortura rappresentavano una prassi usuale [...]. Già la luogotenenza era, per definizione, un governo straordinario. Dal luglio 1861, il generale Enrico Cialdini sommò al comando del VI corpo d’armata di stanza nel Mezzogiorno la carica di luogotenente, dunque di capo dell’amministrazione civile: la sua gestione vide per la prima volta un inasprimento della repressione anche nei confronti dei membri dell’alto clero e della classe dirigente borbonica, molti dei quali fuggirono all’estero. Più aperto si mostrò Cialdini verso i democratici [...]. Invece, in Sicilia, il problema dei moderati era identificabile nell’opposizione degli autonomisti e soprattutto in quella dei democratici, il gruppo di gran lunga più forte dai tempi della liberazione dell’isola. La luogotenenza, affidata anche qui ad alti ufficiali come il generale
Alessandro Della Rovere, guardò con sospetto ogni manifestazione di dissenso, e si ebbero arresti ingiustificati dei leader dell’opposizione, episodi di terrorismo e oscure provocazioni poliziesche. [...] Dunque, in quei primi anni Sessanta del XIX secolo, nel Sud il governo mostrò permanentemente un volto illiberale, utilizzando lo stato d’assedio, «che demoralizza le popolazioni, che le avvezza a vivere senza lo Statuto», e più in generale muovendosi in una logica tendente «a negare la libertà di stampa, a negare il diritto di associazione». La costituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio, che operò tra il dicembre del 1862 e il maggio del 1863, implicò una iniziale idea di controllo sull’operato e del governo e degli alti comandi [...]. Al termine dei lavori, la Commissione propose misure legislative finalizzate a intensificare la lotta, ma nel contempo a troncare la pratica delle fucilazioni sommarie affidate al capriccio dei comandanti sul campo. Dopo molte discussioni, il 15 agosto 1863 fu varato un provvedimento ispirato a questi principî, che dal proponente (un deputato abruzzese) prese il nome di legge Pica: legge eccezionale, in forza della quale, per un certo periodo e limitatamente alle province dichiarate «infette», la responsabilità di giudicare i briganti
era demandata ai tribunali militari; mentre al potere esecutivo veniva concessa la facoltà di comminare non più di un anno di domicilio coatto «agli oziosi, ai vagabondi, alle persone sospette» e ai manutengoli. La legge Pica [...] era ovviamente di stampo illiberale. Nondimeno, essa valse ad affermare per la prima volta un qualche principio di legalità, il diritto cioè anche dei briganti catturati con le armi in mano a un processo, davanti a una corte legalmente costituita e, tra l’altro, a una difesa. In tal modo vennero attenuati gli aspetti più arbitrari e nel contempo più sanguinari della repressione.
METODO DI STUDIO
a Spiega per iscritto i seguenti punti affrontati nel saggio: a. a cosa fa riferimento l’espressione “grande” brigantaggio e da chi è stata creata; b. l’internazionalizzazione del dibattito sul brigantaggio e le sue conseguenze; c. le posizioni politiche in Italia riguardo a questo fenomeno. b Sottolinea con colori diversi cosa implicò la Commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio e le caratteristiche della legge Pica. c Realizza per iscritto uno schema esplicativo del fenomeno descritto facendo riferimento alle 5 W del giornalismo (Chi? Cosa? Dove? Quando? Perché?).
LEGGERE UNA FONTE ICONOGRAFICA 13 IMMAGINI DEL BRIGANTAGGIO Le fotografie dei briganti a nostra disposizione sono state realizzate in studio o comunque a partire da pose statiche, per “ricostruire” episodi particolari o atteggiamenti e tecniche dei protagonisti. La maggior parte di esse sono state realizzate da fotografi al seguito dell’esercito unitario o presso i luoghi di detenzione e intendono trasmettere l’idea che i briganti siano di indole criminale ► Il
brigante Nicola Napolitano fotografato dopo la sua fucilazione ottobre 1863 [Istituto per la Storia del Risorgimento, Roma]
►► Briganti della banda di Crocco, attiva in Basilicata, fotografati dopo la cattura 1864 [Istituto per la Storia del Risorgimento, Roma]
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FARESTORIA Centralizzazione e modernizzazione: una sfida per Italia e Giappone
e selvaggia. In questo modo si costruisce un’immagine stereotipata del brigante, che diventa nemico non solo della borghesia, ma anche del popolo. Le fotografie venivano esposte nelle vetrine dei negozi, pubblicate sui giornali o inserite nei romanzi e diventavano in questo modo un forte veicolo dello stereotipo sociale costruito ad arte, capace di estrapolare il brigante dal suo reale contesto storico e ambientale. Attraverso i ritratti fotografici, dunque, lo Stato unitario combatte la visione romantica del brigante cercando di sostituirla con quella criminalizzante e di imprimerla nell’immaginario collettivo. Se nella fotografia compaiono soldati che catturano o uccido-
155d FEDERICO DE ROBERTO UNA CAMPAGNA ELETTORALE
F. De Roberto, I Viceré, Mondadori, Milano 1991, pp. 649-56.
La riforma elettorale del 1882 ridusse i requisiti di censo, ma continuò a escludere dal diritto di voto gli analfabeti. Le conseguenze sociali del provvedimento furono tuttavia rilevanti: per la prima volta, infatti, accedevano alle urne ceti popolari un tempo estranei alla vita politica parlamentare. Nel capitolo finale del romanzo I Viceré, pubblicato nel 1894, lo scrittore Federico De Roberto (1861-1927) descrive la campagna
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La situazione del collegio era questa: smantellata la rocca affaristico-conservatrice […], floride e battagliere le società operaie che trovavano – finalmente, nel voto, l’arma con la quale poter scendere in lizza. Mentre, tra la classe borghese, gli antichi moderati […] erano costretti a nascondersi, le nuove falangi di elettori parlavano di più grandi libertà, di più radicali riforme, di repubblica e di socialismo. Ma queste parole, spaventando i progressisti timorati, potevano spingerli tra le file dei conservatori, dar nuova vita al boccheggiante moderatismo. Il posto più vantaggioso era dunque tra i progressisti e i radicali. Consalvo di Francalanza lo prese immediatamente. La sua ascrizione al partito di Sinistra, la sua rottura con lo zio dopo la «rivoluzione parlamentare» del 1876, legittimavano il programma ultra-liberale che egli veniva annunziando Appena andato via dal municipio, aveva cominciato il lavorio fuori città, nelle sezioni rurali. Popolani e contadini si svegliavano laggiù alla politica; c’erano società operaie, circoli agricoli, casini democratici ordinati e disciplinati, coi quali bisognava venire a patti. I nobili, i borghesi, i facoltosi furono conquistati subito. Accompagnato da amici e ammiratori spontaneamente offertisi, egli cominciò il giro del collegio. Il sindaco, il signore più
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
no briganti, l’intento propagandistico è quello di mostrare la forza e l’efficienza delle truppe nel sedare il fenomeno. GUIDA ALLA LETTURA
a Osserva attentamente le due fotografie e ricava, per ognuna di esse, informazioni sui personaggi raffigurati: sul modo in cui sono vestiti, sulla posizione che hanno assunto nello spazio e sugli atteggiamenti tenuti. b Descrivi per iscritto, per ogni fotografia, chi sono i personaggi raffigurati e che ruolo hanno facendo riferimento agli elementi individuati nell’esercizio precedente. c Spiega quale messaggio intendono passare queste immagini e in che modo.
elettorale di un nobile siciliano, Consalvo Uzeda, principe di Francalanza, che nel 1882 decide di candidarsi per il Parlamento come esponente progressista. Il principe viaggia nel collegio e incontra contadini, operai, artigiani, nobili e borghesi, riuscendo a conquistare il consenso di tutti grazie alla sua spregiudicatezza e al fascino del titolo nobiliare. De Roberto descrive il forte condizionamento delle gerarchie sociali in Sicilia e la debolezza politica dei ceti popolari trasformati in una massa facilmente manovrabile.
ricco, o la persona più influente dava un pranzo o un ricevimento in suo onore, invitando gli altri maggiorenti. Non si diceva una parola delle elezioni, ma il principe, affabile con tutti, s’informava dei bisogni del paese, ascoltava i reclami di tutti, prendeva note sopra un taccuino, e lasciava la gente ammaliata dai suoi modi cortesi, sbalordita dalla sua eloquenza e soddisfatta […]. Ma dopo il banchetto o la refezione, dopo la visita ai capoccia1, Consalvo andava alla sede delle società popolari. Lì, in quelle piccole stanze con mobili sospetti, affollate da povera gente dalle mani callose, cominciava il suo tormento. Egli stringeva quelle mani, senza guanti; si mescolava a quegli umili, sedeva tra loro, accettava i rinfreschi che gli offrivano, e non un moto dei suoi muscoli rivelava lo spasimo che quelle vicinanze e quei contatti gli facevano soffrire. Istruito con precedenza, teneva lunghi discorsi sui bisogni del paese, sulla crisi dei vini o degli agrumi, sulla gravezza delle imposte, e prometteva leggi intese a proteggere l’agricoltura, assicurava lenimenti2 di tasse, premii, agevolezze di ogni genere. […]. Quasi da per tutto egli guadagnava simpatie e accaparrava voti. Il solo fatto che don Consalvo Uzeda principe di Francalanza faceva loro una visita, disponeva quegli umili in favor suo. Le strette di mano, i
discorsi famigliari, le grandi frasi e le promesse convertivano i più restii. […] Lavorava come un cane, a far visite, a scrivere lettere, a dirigere i suoi galoppini, a presiedere le adunanze del comitato. La notte stentava a prender sonno, con la mano scottata dal contatto di tante mani sudicie, sudate, ruvide, incallite, infette; con la mente infiammata dall’ansietà della riuscita. Sarebbe riuscito? A momenti ne aveva l’intima e salda certezza […]. Ma non si contentava di riuscire, voleva stravincere, essere il primo degli eletti, assicurarsi stabilmente il collegio con una votazione unanime, plebiscitaria. 1. Le autorità. 2. Riduzioni, alleggerimenti.
METODO DI STUDIO
a Cerchia i nomi dei partiti politici descritti e sottolineane le caratteristiche principali. Spiega quindi a quale di questi decise di aderire il protagonista e perché. b Sottolinea con colori diversi le azioni intraprese dal protagonista per ottenere il successo politico nei contesti sociali più ricchi e in quelli più umili. c Scrivi un testo breve in cui racconti dal punto di vista storico le informazioni contenute nel brano sugli effetti della riforma elettorale del 1882.
156 R. CAROLI • F. GATTI CENTRALIZZAZIONE DEL POTERE E POLITICHE MODERNIZZATRICI NEL GIAPPONE MEIJI
R. Caroli, F. Gatti, Storia del Giappone, Laterza, Roma-Bari 2004, pp. 137-48.
Dopo l’apertura obbligata ai paesi occidentali [►19_4], il Giappone andò incontro a un radicale processo di trasformazione. Nel 1868 venne abbattuto il potere della dinastia Tokugawa, Meiji si riferisce al nome dell’era prescelto quando, nel 1868, fu decretato che il nengō1 avrebbe coinciso con il periodo di regno del sovrano. Il giovane Mutsuhito divenne così l’Imperatore [...] Meiji e, sotto il suo «governo illuminato» (questo il significato del termine), prese avvio l’edificazione dello Stato moderno fondata sulla centralizzazione del potere politico e sulla trasformazione capitalistica delle istituzioni economico-sociali. Più che segnare un «ritorno al passato» (fukko), il ripristino del ruolo e delle prerogative imperiali coincise quindi con l’avvio di un’opera di rinnovamento (ishin) per vari aspetti radicale, alla quale gli storici giapponesi si riferiscono con l’espressione Meiji ishin, in genere tradotta come Restaurazione Meiji. […] Le trasformazioni introdotte dopo il 1868 presentano senza dubbio numerosi aspetti rivoluzionari; tuttavia, più che di rivoluzione borghese, ovvero di evento risolutivo di una lotta tra classi antagoniste dotate di una consapevolezza politica, appare opportuno parlare di una «rivoluzione dall’alto» che, coniugando le tensioni scaturite dalla stipula dei «trattati ineguali» con i prerequisiti endogeni, poté governare il processo di transizione capitalistica. […] L’opera di centralizzazione dei poteri implicò in primo luogo il superamento del fazionalismo […] a favore di una nuova concezione di Stato nazionale, in cui sia i governanti sia i governati erano chiamati a sostenere lo sforzo per rendere «ricco il Paese e forte l’esercito» (fukoku kyōhei). Fu questa la parola d’ordine in nome della quale vennero avviate le Riforme Meiji[...]. Con un decreto imperiale promulgato nell’agosto del 1871, si procedette alla definitiva abolizione dei feudi e all’istituzione di un sistema provinciale (haihan chiken); il territorio, infatti, fu riorganizzato in province (ken), a capo delle quali furono posti i governatori nominati in precedenza, e in distretti urbani (fu) in modo da sottoporre l’amministra-
che governava il Giappone da oltre duecento anni attraverso il controllo della carica di shogun, primo ministro e comandante militare. Fu restaurata, quindi, l’autorità imperiale e il nuovo governo avviò a tappe forzate un intenso programma di modernizzazione. Tale processo, rigidamente guidato dall’alto e fondato sulla centralizzazione del potere politico, fu detto “restaurazione Meiji”. Nel brano che segue, le sue caratteristiche sono analizzate dagli storici italiani Rosa Caroli e Francesco Gatti.
zione locale al controllo del governo di Tōkyō. [...] Il passo finale verso il superamento dell’autonomia locale fu compiuto con l’istituzione del ministero degli Interni nel 1873, le cui ampie e rilevanti competenze (dall’amministrazione e dalle comunicazioni sino ai governatori provinciali e alla polizia nazionale) ne fecero il posto chiave per garantire la sicurezza nel Paese. [...] Nel marzo del 1868 fu emanato il Giuramento sui cinque articoli (Gokajō no seimon), che rispondeva alla richiesta di allargamento della partecipazione al processo decisionale e indicava la volontà di modernizzare il Giappone guardando all’esempio dell’Occidente. Con esso l’Imperatore si impegnava a promulgare una Costituzione e a realizzare quelli che erano gli obiettivi del governo, tra cui figuravano l’unità di tutte le classi per promuovere il benessere del Paese, l’istituzione di un’assemblea e la garanzia di un dibattito pubblico per decidere sulle questioni di Stato, l’adozione delle norme giuridiche internazionali e la promozione della conoscenza all’estero allo scopo di rafforzare le basi dell’Impero. Il contenuto del Giuramento fu incorporato nell’articolo 1 del Documento sulla forma di governo (Seitaisho) emanato pochi mesi dopo, il quale rappresenta il primo esperimento di stesura di una Costituzione nazionale. […] Esso fu articolato in sette sezioni, assumendo in tal modo (pur nella divisione dei compiti) i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. [...] Verso il 1871, il potere del governo sembrò sufficientemente solido per procedere nell’opera riformista anche quando essa rischiava di incontrare forti resistenze o scontrarsi con interessi consolidati. […] In primo luogo, fu abrogato l’obbligo occupazionale vincolato alla classe di appartenenza e ai singoli individui fu concessa la libertà di scegliere il proprio impiego. [...] Questi radicali
cambiamenti contribuirono a favorire la mobilità della popolazione, nella società così come nel territorio, liberando la manodopera da impiegare nei settori in espansione, in primo luogo quello industriale [...]. Gli investimenti statali si concentrarono in primo luogo nella costruzione di efficienti infrastrutture e nella creazione di alcune industrie di base […].L’intervento statale nel settore industriale fu orientato a creare fabbriche modello, in modo da introdurre la tecnologia occidentale e favorire l’iniziativa privata, specie per quanto riguarda le costruzioni navali, il settore tessile (lanifici, setifici e cotonifici) e quello edile (cementifici, fabbriche di mattoni, vetrerie). Altri investimenti furono indirizzati nel settore metalmeccanico e nell’industria estrattiva. Allo stesso tempo, si cercò di stimolare l’iniziativa privata incentivando gli investimenti in alcuni settori industriali e in quello finanziario, promuovendo la crescita di una classe imprenditoriale e garantendo sussidi e condizioni assai favorevoli ai privati, specie ad alcune grandi compagnie. Nel gestire «dall’alto» il processo di industrializzazione, lo Stato acquisì dall’estero la tecnologia necessaria, impiegando peraltro un gran numero di esperti e consiglieri stranieri (oyatoi gaikokujin) chiamati a trasmettere le loro conoscenze ai giapponesi. [...] Per realizzare le riforme volte a modernizzare il Paese, dunque, gli oligarchi Meiji guardarono costantemente all’Occidente, sebbene molti di loro in passato fossero stati convinti assertori del jōi2. […] La consapevolezza dei progressi tecnologici
1. “Nome dell’anno”. Questo provvedimento restaurava l’autorità imperiale. 2. L’espulsione dei “barbari”, cioè dei cristiani e, per estensione, degli occidentali.
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FARESTORIA Centralizzazione e modernizzazione: una sfida per Italia e Giappone
e scientifici compiuti dal mondo occidentale indusse i dirigenti Meiji, se non a mutare il loro originario scetticismo, quanto meno a comprendere come il cammino percorso dall’Europa e dal Nord America costituisse un valido esempio da seguire per rendere «ricco il Paese e forte l’esercito». Le energie confluite nella realizzazio-
ne di questo obiettivo furono mosse dallo stesso spirito patriottico e nazionalistico che, in un primo momento, aveva indotto molti di loro a una reazione di chiusura. Aprirsi all’Occidente, pertanto, significò aprirsi a nuove possibilità che avrebbero consentito al Paese di rafforzarsi e resistere alla pressione esterna.
157 M. MORISHIMA CONFUCIANESIMO E CAPITALISMO IN GIAPPONE
M. Morishima, Cultura e tecnologia nel «successo» giapponese, il Mulino, Bologna 1984, pp. 108-11.
Nel brano che segue, l’economista giapponese Michio Morishima (1923-2004) stabilisce un nesso fra la mentalità e la cultura giapponese e lo sviluppo economico che seguì la “rivo-
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La diffusione del protestantesimo (puritanesimo) e l’ascesa della borghesia furono prerequisiti dell’affermazione del capitalismo moderno in Inghilterra, ma la rivoluzione Meiji in Giappone non si verificò a seguito della soddisfazione degli stessi prerequisiti. In primo luogo, negli ultimi anni del governo Tokugawa era emersa in una certa misura una classe borghese, ma essa non era ancora molto forte e non era militante come quella inglese. [...] Durante il secolo XVIII, in effetti, erano comparsi uomini quali Ishida Baigan (1685-l744)1 che enunciarono una dottrina di moralità commerciale. Asserivano che le attività volte al profitto, così come le attività di risparmio al fine di accumulare capitale mediante la frugalità, non erano affatto moralmente meschine [...]. Tuttavia, il fatto che il commercio Tokugawa sviluppato in questo modo rimanesse esclusivamente un commercio interno che agiva nella situazione di isolamento significava che i mercanti non avevano né il coraggio né lo spirito di avventura che si trovavano normalmente tra i mercanti dediti al commercio estero. [...] Questa era la situazione quando il Giappone si trovò di fronte le tecniche stupefacenti create dalla scienza moderna. La cosa più importante per i Giapponesi era proteggere il Giappone dalla tecnologia di questo tipo e salvare l’indipendenza del paese; l’acquisizione del profitto personale attraverso l’uso di queste tecniche non era ancora diventata una faccenda di importanza primaria. Il problema che sorse era come si potesse
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi le caratteristiche politiche e quelle socio-economiche del periodo di regno dell’imperatore Mutsuhito. b Descrivi come cambia la struttura dello Stato con le iniziative intraprese dal giovane imperatore. c Spiega a cosa si riferivano le riforme intraprese dagli oligarchi Meiji, a quale modello si ispirarono e perché.
luzione Meiji”. Seguendo le tracce del famoso saggio di Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1905), l’autore sostiene che i valori base del confucianesimo, pur essendo molto diversi da quelli dominanti nelle società occidentali, ebbero nella nascita del Giappone moderno un ruolo simile a quello svolto dall’etica protestante nell’affermazione del capitalismo in Europa e nel Nord America.
riformare la struttura politica del Giappone se questo come nazione voleva impadronirsi della tecnologia moderna e diventare una nazione altrettanto potente di quelle dell’Europa occidentale. Così la rivoluzione Meiji fu compiuta dai samurai di rango inferiore e dai membri dell’intellighenzia2 che avevano un certo senso di coscienza nazionale, e fu del tutto naturale che la classe borghese giapponese, che si interessava solo di profitti scarsi ma personali provenienti dal commercio interno, si ritrovasse assolutamente tagliata fuori da una rivoluzione come questa. Quindi, anche dopo di essa, la classe capitalistica, la forza motrice del capitalismo, rimase debole in Giappone. [...] Di conseguenza lo stesso governo Meiji fu costretto a costruire fabbriche moderne, sia con denaro preso ai contadini mediante le imposte, sia con fondi ottenuti stampando valuta cartacea. Ben presto, però, il governo non poté più sostenere la gestione di questa sorta di capitalismo di Stato, crebbe l’inflazione e [...] il governo fu costretto a svendere le sue fabbriche moderne a prezzo basso, ma un risultato affatto inatteso di questa politica decisamente disperata fu lo schiudersi di una prospettiva più promettente. Vale a dire che gli individui che avevano acquistato dal governo queste fabbriche moderne a un costo molto basso erano diventati ad un tratto grandi capitalisti ed era stato soddisfatto anche in Giappone uno dei prerequisiti del capitalismo, l’esistenza di capitalisti potenti. [...]
Tuttavia, se i Giapponesi non avessero accettato l’idea della frugalità, un altro dei prerequisiti del capitalismo, allora il capitalismo moderno non avrebbe sicuramente potuto affermarsi in Giappone. [...] Come conseguenza della politica culturale del governo Tokugawa, il confucianesimo aveva avuto ampia e profonda diffusione tra il popolo giapponese. Il confucianesimo era inteso in Giappone come un sistema etico più che come una religione, e insegnava direttamente [...] al popolo giapponese che una condotta frugale era una condotta nobile. Quindi il Giappone, al termine della rivoluzione Meiji, aveva già soddisfatto il secondo prerequisito del capitalismo [...]. Il confucianesimo in Giappone sottolineava: a) la lealtà verso lo Stato (o il signore); b) la pietà filiale verso i genitori; c) la fiducia negli amici e d) il rispetto per i più anziani. Quindi secondo l’ideologia confuciana, era perfettamente naturale che si sviluppasse un’economia nazionalistico-capitalistica sulla base di un sistema di anzianità e di un’occupazione a vita [...]. Il confucianesimo [...] era intellettuale e razionale, e compatibile con la scienza moderna. Subito dopo la rivoluzione Meiji, il Giappone fu in grado di assimilare e assorbire la scienza dell’Europa occidentale con sorprendente rapidità, e nel periodo che va dal 1878 al 1900 il governo Meiji avviò
1. Filosofo e letterato giapponese. 2. Classe intellettuale.
con successo il «decollo» dell’economia giapponese. Così in Giappone fu creata un’economia capitalistica condotta con uno spirito completamente diverso dal capitalismo inglese: un’economia che univa anima giapponese e tecnologia occidentale.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi le cause e le caratteristiche della realtà inglese e di quella giapponese descritte dall’autore. Segna al lato del testo i passi in cui l’autore mette in rilievo similitudini o differenze fra le due realtà. b Individua le parole chiave delle due realtà (puoi cerchiarle nel testo o puoi pensarle tu per sintetizzare quando descritto). c Realizza due insiemi che si incrociano, uno per la Gran Bretagna e l’altro per il Giappone, in cui scriverai le parole chiave individuate nel punto b. Attento a inserire nell’area comune agli insiemi gli elementi in comune. Realizza quindi una breve didascalia a commento del grafico.
PISTE DI LAVORO
DAI DOCUMENTI ALLA STORIA 1 Quali posizioni furono assunte dal nascente Stato italiano nei confronti di chi non faceva parte della classe dirigente? Quale spazio fu dato ai movimenti (operaio, cattolico, anarchico, ...) e ai ribelli dell’Italia meridionale? Prima di rispondere a queste domande rileggi con attenzione il documento di De Roberto [►155d], la FONTE ICONOGRAFICA 13 e i testi storiografici di Cammarano [►152], Rossi [►153] e Lupo [►154] e individua i passaggi che possono aiutarti a costruire il tuo discorso. Trascrivili sinteticamente sul quaderno e utilizzali per costruire una mappa concettuale. Rispondi quindi alle domande iniziali con un testo di massimo 25 righe costruito sulla base della mappa da te realizzata. LO STORICO RACCONTA 2 Scrivi un testo di massimo 15 righe dal titolo L’Italia e il modello
accentrato, punti di forza, criticità ed esemplificazioni, facendo riferimento ai brani di Romanelli [►150] e Duggan [►151]. Evidenzia nei documenti presi in considerazione i concetti che intendi utilizzare nelle tue argomentazioni e le parti delle fonti storiche che intendi citare e numerale in ordine crescente. Quindi, indica fra parentesi, all’interno del tuo elaborato, i concetti o le citazioni a cui fai riferimento. 3 Dopo aver letto i brani di Caroli e Gatti [►156] e di Morishima
[►157], scrivi un breve testo di massimo 15 righe sul processo di modernizzazione in Giappone seguito alla firma dei “trattati ineguali” del 1858. Scegli un taglio e un titolo per il tuo elaborato e non dimenticare di affrontare i seguenti argomenti: • cambiamenti istituzionali; • cambiamenti economici e loro conseguenze; • tradizione e valori ispiratori.
DISCRIMINAZIONI E PREGIUDIZI IN EUROPA E NEGLI STATI UNITI DI FINE ’800 Nella seconda metà dell’800, nonostante gli indiscutibili progressi scientifici e tecnologici, si registrarono ben pochi cambiamenti sotto il profilo dei valori morali più diffusi. In generale, infatti, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti era ancora forte quella cultura che considerava le donne, gli afroamericani o le popolazioni di gran parte dell’Asia e dell’Africa come individui meno intelligenti e capaci e, dunque, bisognosi di protezione. Secondo lo storico francese François Bédarida [►158], nell’Inghilterra vittoriana, ad esempio, la morale comune continuava a considerare le donne come subordinate agli uomini e la loro sfera d’azione limitata all’ambiente domestico. Il brano dell’antropologo e sessuologo italiano Paolo Mantegazza [►159d] mostra, infatti, che le donne erano considerate essenzialmente “madri”: nelle parole dello studioso di fine ’800, tuttavia, cominciavano a essere presenti riflessioni sull’importanza della cultura che, al di là della “natura”, relegava le donne a un ruolo inferiore a quello maschile. Non poche furono le donne che sfidarono questi pregiudizi, da un lato e dall’altro dell’Atlantico: lo storico statunitense Peter Gay [►160] ha notato però come queste attiviste politiche fossero spesso sbeffeggiate dall’opinione pubblica dominante, che non le considerava “vere” donne. Solo affrontando molti ostacoli, dunque, le donne poterono iniziare a imporsi sullo scenario politico: è il caso di quelle che combatterono in difesa della Terza Repubblica francese e della Comune di Parigi nel 1870-71, di cui parla nella sua autobiografia la militante anarchica francese Louise Michel [►161d]. Ma è anche il caso delle donne bianche statunitensi impegnate, su diversi fronti, nella guerra civile americana, la cui esperienza è ripercorsa dallo storico statunitense Reid Mitchell [►162].
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FARESTORIA DISCRIMINAZIONI E PREGIUDIZI IN EUROPA E NEGLI STATI UNITI DI FINE ’800
L’impegno di queste donne statunitensi sul fronte antischiavista, tuttavia, non fu riconosciuto e, a conflitto finito, non fu concesso loro il diritto di voto. Diversi furono, invece, i risultati raggiunti dalla popolazione afroamericana, che riuscì a veder abolita la schiavitù e – almeno per un breve periodo – a essere integrata nella vita politica statunitense. Il problema della schiavitù, che fu all’origine della guerra civile americana, è affrontato in questa sezione attraverso la testimonianza autobiografica di un ex schiavo ed esponente del movimento abolizionista, Frederick Douglass [►163d]. L’abolizione della schiavitù nel 1865, tuttavia, non portò la fine dei pregiudizi razziali che, come dimostra lo storico Bruce Levine [►164], riemersero in breve tempo, dando vita a nuove discriminazioni. Pregiudizi razziali caratterizzavano anche l’approccio verso le popolazioni sottomesse dalle politiche coloniali. Particolarmente affine allo spirito del tempo è, ad esempio, una celebre poesia di Joseph Rudyard Kipling [►165d], che canta la missione civilizzatrice dell’uomo bianco. Lo storico svedese Anders Stephanson [►166] ricostruisce quanto fossero stretti i legami tra colonialismo e idee razziste. La sezione si chiude, infine, con un brano di Claudia Petraccone [►167], in cui si dà conto dei pregiudizi più diffusi nei confronti delle popolazioni dell’Italia meridionale dopo l’Unità.
158 F. BÉDARIDA LA MORALE VITTORIANA
F. Bédarida, La morale vittoriana, in Europa, 1700-1992. Storia di un’identità. Il trionfo della borghesia, Electa, Milano 1992, pp. 259-61.
Il regno della regina Vittoria in Gran Bretagna [►18_6], sotto il profilo culturale e sociale, è stato caratterizzato da moralismo e conformismo, diffuso soprattutto tra le classi borghesi. Come mette in luce nel seguente brano lo storico francese François
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Se il vittorianesimo rappresenta un periodo glorioso della storia britannica – quello dell’Inghilterra trionfante – dal momento che evoca la prosperità, la grandezza, il successo del paese per quasi un secolo, in compenso il termine è spesso usato in senso negativo, poiché l’aggettivo vittoriano è divenuto [sinonimo] di conformismo, ipocrisia, pruderie1. […] La memoria collettiva ha associato il vittorianesimo soprattutto alla moralità, se non addirittura al moralismo. […] Nell’universo vittoriano in cui il regno della fabbrica e dell’ufficio ha separato il luogo di abitazione dal luogo di lavoro e la casa dalla produzione, la famiglia ha assunto una dimensione nuova. […] Viene celebrata e idealizzata, in particolare dalla classe media, come istituzione in grado di garantire stabilità e sicurezza in un mondo instabile e incerto. Viene così tracciata una fondamentale linea di demarcazione tra la sfera domestica privata e la sfera pubblica all’esterno. Mentre la sfera pubblica coltiva la concorrenza, il profitto, la razionalità, la sfera privata favorisce l’amore, la pace, il sentimento. Nello stesso tempo la prima si identifica con il campo maschile, la seconda con quello femminile. Piccola unità patriarcale, a struttura
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
Bédarida (1926-2001), questi sentimenti assumevano le loro forme più estreme nei confronti del sesso femminile. Le donne, infatti, erano considerate subordinate agli uomini: per questo, la loro sfera d’azione era limitata alla casa e alla famiglia. Si trattava, ovviamente, di concezioni limitate alle classi borghesi: le donne appartenenti alle classi popolari, infatti, erano spesso spinte dalle necessità economiche a lavorare fuori casa.
nucleare, la famiglia vittoriana riunisce genitori, figli, domestici, spesso una zia, talvolta dei cugini. […] La regola è di avere molti figli. Così verso il 1860 si conta una media di 6,2 bambini per famiglia. […] In questo modello famigliare l’uomo è all’interno della casa God’s viceroy2, mentre la donna è, secondo l’espressione di Coventry Patmore3, «l’angelo della casa». I rapporti fra i sessi sono infatti regolati dal principio della subordinazione della donna all’uomo. Da qui l’autorità del marito sulla sposa, del padre sui figli, del fratello sulla sorella. […] La donna si trova tuttavia umiliata, ma nello stesso tempo esaltata poiché le considerazioni morali e religiose si mescolano in un sottile dosaggio alla cura del patrimonio e alle strategie economiche. L’ideale della femminilità […] è ammantato di specifiche virtù: la purezza, la dolcezza, la devozione. Basato sul postulato della fragilità del sesso femminile, presentato come legge di natura, esso separa i ruoli femminili dai ruoli maschili, definendo gli uomini energici, attivi, razionali e le donne fragili, passive, emotive. Nella classe media una donna ideale è una buona sposa, compagna di suo marito, una buona madre, educatrice dei suoi figli, una buona padrona di
casa che gestisce bene l’ambiente domestico. Malgrado tutto tocca all’uomo, lui che è fatto per l’azione e il comando, proteggere la donna, creatura debole, nata per la sottomissione e il dono di sé, e ciò che si esalta è proprio l’origine della sua dipendenza, la sua fragilità fisica. Immagine di innocenza e virtù, la donna eleva, abbellisce, incivilisce, assolvendo così la sua missione di rigenerazione morale della società attraverso la pratica quotidiana delle virtù cristiane, ma secondo una delimitazione assai rigida dei ruoli; come nei versi di Tennyson4, La principessa: L’uomo per il campo, la donna per il focolare / L’uomo per la spada, la donna
1. Ostentazione, spesso ipocrita e solo formale, di eccessivo pudore. 2. Il vice di Dio. 3. Coventry Patmore (1823-1896), poeta inglese noto per una raccolta di poesie intitolata The Angel in the House, in cui esponeva l’ideale vittoriano di rigida separazione tra la sfera pubblica maschile e la sfera familiare e domestica femminile. 4. Alfred Tennyson (1809-1892), poeta inglese.
per l’ago / L’uomo con il cervello, l’altra con il cuore / L’uno comanda, l’altra obbedisce. […] Di qui la celebrazione della casa, luogo per eccellenza della sfera femminile, rifugio per la donna, santuario per il marito. […] Si comprende quindi il sentimento di oppressione e di alienazione contro cui hanno lottato le prime femministe come Harriet Martineau, Florence Nightingale, Annie Besant5 e, alla fine del secolo, le new women6, in attesa delle suffragette7.
5. Harriet Martineau (1802-1876), scrittrice, giornalista e filosofa inglese; Florence Nightingale (1820-1910), infermiera britannica – ma nata a Firenze – considerata la fondatrice dell’assistenza infermieristica e dell’organizzazione degli ospedali da campo; Annie Besant (1847-1933), attivista politica e giornalista inglese, particolarmente impegnata sul fronte dei diritti delle donne e dei lavoratori. 6. Corrente femminista nata negli ultimi anni dell’800, che propugnava la nascita di una “nuova donna” che oltrepassasse i limiti imposti dagli uomini al sesso femminile.
159d PAOLO MANTEGAZZA LA DONNA È MADRE
P. Mantegazza, Fisiologia della donna, Bietti, Milano 1960 (I ed. 1893), pp. 146-48.
Figlio della mazziniana Laura Solera Mantegazza, tra le protagoniste delle «cinque giornate» di Milano [►14_7], l’antropologo darwiniano, fisiologo e sessuologo Paolo Mantegazza (1831-1910) si è interrogato per tutta la vita sulle caratteristiche fisiche e psicologiche che distinguevano gli uomini dalle donne. Pur pensando che «il lavoro del cervello è più penoso e pericoloso alla donna e la sua energia naturalmente minore», Mantegazza riteneva che esistessero La donna […] ama e odia, pensa, scrive, dipinge diversamente da noi; e oso dire, che è più diversa da noi nella psiche, che nel corpo, benché da tutti si creda il contrario. […] Se non che il dire, che la donna è psicologicamente diversa dall’uomo, è affermar una verità troppo ovvia; è porre il problema, non risolverlo. Per scioglierlo dobbiamo cercare in che consistano queste differenze […]. La donna ha tutte le facoltà e tutte le attitudini dell’uomo, perché anch’essa è un uomo. […] Alcune forze psichiche sono però in lei più deboli mentre altre sono più forti; e queste differenze sommate tutte insieme con una sintesi molto larga si possono esprimere con questa breve formula: La donna è madre; e intorno a questo nocciolo o a questo scheletro biologico si raggruppano tutte le sue energie; quasi tutte le sue virtù, quasi tutte le sue debolezze. La donna è tutta quanta imbevuta di maternità, e anche quando è sterile, anche quando muore vergine, tiene in sé latenti tutti i tesori di affetto materno, che non ha potuto versare sul capo dei proprii figli. La donna, che non può esser madre, spande la propria maternità sui fratelli, sui figli dei fratelli, sui poveri, sui malati. Anche le
7. Corrente femminista che, con metodi anche radicali, chiedeva il diritto di voto per le donne. METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi le caratteristiche della morale vittoriana nella sfera pubblica e in quella privata. b Realizza una tabella sulla famiglia vittoriana i cui indicatori siano le scritte “Uomo” e “Donna”. Compilala inserendo le caratteristiche dei rispettivi ruoli. c Descrivi per iscritto il significato del termine “vittoriano” nel linguaggio comune, quale significato assume la casa per l’uomo e per la donna in questo periodo e come questo rispecchia la suddivisione dei ruoli nel nucleo familiare.
moltissime donne intelligenti e di cultura, ma che esse non fossero «femmine sane e perfette»: le letterate, per quanto se ne annoverassero molte fra le sue amiche, non erano dunque per lui delle “vere donne”. Come spiegato nel seguente brano, tratto dal volume Fisiologia della donna (1893), la donna era per Mantegazza – e per la cultura dominante al suo tempo – essenzialmente una madre. Nelle parole dello studioso, tuttavia, si comincia a intravedere l’idea per cui la donna è messa in una posizione di subordinazione rispetto agli uomini non tanto dalla natura, bensì dalle leggi e dalle consuetudini.
suore di carità, quando non sono bigotte ignoranti o fanatiche, son sempre madri. Tutte le altre differenze psichiche della donna, le buone come le cattive, si raggruppano intorno a questa fondamentale missione della maternità; e quando questa le manca, è sempre una creatura incompleta o anormale. Nota a tutti e a tutti ripugnante la virago1, coi baffi, col pelo sul seno, coi fianchi stretti, le membra asciutte e la voce maschile; ma abbiamo molte virago psichiche, più ripugnanti ancora della prima. In amore attaccano e non aspettano; o non desiderano mai l’uomo; amano gli esercizii violenti; la caccia e fors’anche la guerra; hanno gesti senza grazia e cuore senza tenerezze. Amano comandare e maledicono la sorte, che ha loro negato la gioia suprema di calzar stivali e di portar calzoni. Se la donna è più sensibile, è perché deve essere avvertita dei pericoli, che minacciano i suoi figliuoli ed anche perché è più debole di noi. È più civetta, perché deve sedurre l’uomo, il padre dei suoi figli futuri; è più astuta, più bugiarda, più avveduta, perché astuzia, menzogna e accortezza son tutte armi difensive e che tengono il luogo della forza.
La donna, checché ne dicano i suoi detrattori, che per lo più hanno studiato le donne nelle case di bordello2 o nelle facili avventure di viaggio, è più costante di noi in amore; perché nel suo compagno deve serbare il difensore dei proprii figli. Una gran parte delle differenze psichiche della donna provengono poi dall’oppressione, in cui è tenuta quasi sempre dall’uomo, che nelle razze inferiori le sovrasta col vigore dei muscoli, nelle razze alte coll’energia del pensiero. Credo che non vi sia ancora una società, selvaggia o civile che sia, dove la donna sia al posto che le spetta. Le leggi son sempre fatte da noi3; e da questa vetta dell’organismo sociale fino alle consuetudini quotidiane della vita, essa è messa sempre al disotto di noi e rappresenta una casta oppressa. Noi fumiamo, ma le donne non devono
1. Donna dotata di atteggiamenti e di forza simili a quelli considerati caratteristici del sesso maschile e, quindi, “virile”. 2. Luogo in cui si esercita la prostituzione. 3. Dagli uomini.
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FARESTORIA Discriminazioni e pregiudizi in Europa e negli Stati Uniti di fine ’800
fumare che di nascosto. […] Si ride di un uomo, che prende una sbornia, si sputa in faccia a una donna che beve troppo. L’infedeltà del marito è una leggerezza, nella donna un delitto; e se cediamo la destra alla donna sul marciapiede delle nostre vie, le neghiamo però il voto amministrativo. Usiamo alle nostre donne mille piccoli riguardi, che chiamiamo galanterie, ma son tutte concessioni del forte al debole, del protettore al protetto; commettendo sempre verso di lei grandi ingiustizie. Questa posizione gerarchica impone alla donna tutte le piccole astuzie e, dicia-
molo pure, tutte le piccole bassezze dello schiavo, che deve prendersi coll’astuzia, colla menzogna, col sotterfugio il suo posto al sole. Impara a conoscere presto le debolezze del proprio padrone e le studia e le coltiva, per farsene strumento di speculazione od anche di pura giustizia. Conosce il valore della propria bellezza, e la coltiva, e perfeziona coll’arte e l’esercizio, la tattica della seduzione e la strategia della civetteria. Il padrone le concede il pane, ma le nega il vino; ed essa impara a beverlo di nascosto, come fanno le nostre cameriere e i nostri cuochi.
160 P. GAY VIRILITÀ IN PERICOLO
P. Gay, L’educazione dei sensi. L’esperienza borghese dalla regina Vittoria a Freud, Feltrinelli, Milano 1984, pp. 152-56.
L’idea secondo la quale le donne impegnate sul fronte politico non fossero delle “vere donne” era molto diffusa su entrambe le sponde dell’Oceano Atlantico. In questo brano, lo storico statunitense di origine tedesca Peter Gay (1923-2015) traccia
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Il primo tentativo organizzato di liberare le donne dalla gabbia della dipendenza e di ripensare gli ideali della vita domestica fu […] una reazione ritardata a un insulto vergognoso e gratuito. Mentre i contemporanei ostili al movimento delle donne ne denunciavano l’aggressività, in realtà si trattò di una controffensiva di fronte a una serie di offese e frustrazioni intollerabili. Nel 1840 Elizabeth Cady Stanton, Lucretia Mott1 e altre delegate al congresso antischiavistico mondiale di Londra non erano state fatte sedere fra i delegati e avevano dovuto seguire i lavori congressuali da spettatrici. È da notare che, già allora, alcuni uomini riconobbero l’incoerenza dei riformatori, che avrebbero dovuto raddrizzare i torti e che, invece, trattavano le donne da inferiori. […] La Stanton e la Mott si sentirono offese dalla discussa decisione degli antischiavisti di escluderle dal congresso, trovandola illogica e irritante. Ma passarono all’azione solo otto anni dopo: nel luglio 1848 Elizabeth Cady Stanton organizzò un convegno a Seneca Falls nello stato di New York per discutere dei diritti delle donne e decidere eventuali iniziative. […] Il convegno di Seneca Falls approvò un’entusiasmante «Dichiarazione di sentimenti e di propositi», che si richiamava esplicita-
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi quelli che, secondo l’autore, sono i segni di inferiorità e le caratteristiche positive della donna. b Cerchia quella che per Mantegazza è la vera vocazione della donna e sottolinea le motivazioni di questa convinzione. c Evidenzia le cause dello stato di minorità di alcune donne. d Spiega per iscritto quali sono le convinzioni di Mantegazza legate al contesto storico-culturale in cui vive e quali sono le convinzioni che, in modo “innovativo”, prendono in considerazione i condizionamenti sociali a cui sono sottoposte le persone e le relative incoerenze.
un vivace ritratto degli inizi dei movimenti femminili statunitensi, animati da attiviste impegnate inizialmente per l’abolizione della schiavitù. L’attività politica di queste donne fu da più parti sbeffeggiata e sminuita: esse erano considerate donne “virili”, dedite erroneamente ad attività maschili. Questi giudizi erano frequenti anche in Europa, come dimostrano gli analoghi commenti pubblicati in Francia e in Gran Bretagna.
mente alla Dichiarazione di Indipendenza. Era un documento ordinato, coerente e ragionevole, come il convegno l’aveva elaborato. La risoluzione che rivendicava il diritto di voto alle donne apparve così audace che a mala pena fu presentata, e, una volta presentata, fece fatica a passare. […] Nonostante questi limiti, il convegno vide la nascita del movimento delle donne, la prima seria avvisaglia di femminismo. Le femministe di altri paesi furono incoraggiate a scrivere manifesti, avanzare richieste e organizzare associazioni. Mentre a Seneca Falls aveva dominato la moderazione, la reazione degli oppositori fu immediata e furiosa, quasi irrazionale. Oratori e giornalisti si fecero beffe delle femministe e dei loro sostenitori, ironizzando perfino sul loro sesso. Prendendo la parola al convegno femminista di Rochester del 1852, un certo Mandeville, pastore protestante ad Albany, definì le attiviste del movimento una «specie ibrida, per metà donne e per metà uomini, non appartenenti a nessuno dei due sessi». […] Sempre nel 1853, il New York Herald pubblicò un velenoso editoriale sulle «donne asessuate», in cui si insinuava che erano diventate attiviste perché troppo brutte per trovare marito: […] «Queste donne mancano di ogni attrattiva. Sono,
in genere, delle ossute zitelle o delle donne rimaste probabilmente deluse nel loro tentativo di impossessarsi dei pantaloni e dei diritti dei loro disgraziati padroni». I sostenitori del movimento non ebbero migliore fortuna: nel 1854 l’Albany Register, dopo aver descritto le attiviste come «donne asessuate» […], passò a parlare degli uomini. Erano dei «deboli», degli illusi, […] in ogni caso, uomini «legati al grembiule di qualche donna virile». […] Questi polemisti si divertivano delle loro spiritosaggini, ma dietro le loro facezie si nascondeva l’ansia. Nel 1866 l’Albany Evening Journal riferiva che il senatore Lane del Kansas aveva presentato una petizione firmata da «centoventiquattro signore di Lawrance, belle, intelligenti e colte», che chiedeva un emendamento costituzionale, che proibisse la discriminazione dei cittadini sulla base del sesso. «Ma scommettiamo», commentava il Journal con pesante sarcasmo, «l’osso del collo che le signore in questione non sono
1. Elizabeth Cady Stanton (1815-1902) e Lucretia Mott (1793-1880) furono due attiviste statunitensi impegnate sui fronti dell’abolizione della schiavitù e dei diritti delle donne.
né belle né colte. […] In fatto da tabacco da fiuto ne sanno una più del diavolo». […] Nello stesso anno, la New York Tribune metteva in ridicolo, con lo stesso tipo di linguaggio, una petizione del New England a favore del voto alle donne: «La più sicura panacea per i mali di cui si lamentano le firmatarie della petizione sono una bella culla di vimini e un bambino con le fossette nelle guance». […] Questo atteggiamento […] non era limitato agli Stati Uniti. In Francia gli uomini della seconda metà del secolo vedevano nella donna intellettuale e interessata alla politica una creatura asessuata e innaturale. […] Sociologi e storici, vignettisti e romanzieri in preda al panico le raffiguravano assetate di sangue mentre spingevano folle esaltate a compiere atti di crudeltà, tra cui anche la castrazione. Il famigerato episodio del Germinal di Zola2, in cui una folla di inferocite mogli di minatori mozza il pene a un droghiere usuraio e lascivo3, rendeva soltanto un po’ teatrale un’idea
abbastanza diffusa. […] Nella seconda metà del secolo, la femme-homme diventò uno spettro che i maschi terrorizzati cercavano di esorcizzare: era il nemico mortale della famiglia, che demoliva la fiducia dell’uomo in se stesso e distruggeva la reale vocazione della donna. Si faceva violenza alla natura, all’esperienza e agli insegnamenti cristiani e stoltamente si teneva in poco conto l’invisibile presenza domestica della donna. Gli inglesi concordavano. Non c’era bisogno di importare dagli Stati Uniti o dalla Francia la parola d’ordine della donna mascolina. «La sola cosa che agli uomini non piace è la donna-uomo,» sentenziava nel 1869 sulle colonne del Quarterly Review Montagu Burrows, titolare della cattedra di storia moderna a Oxford, che vedeva nella «donna universitaria» il tipico esemplare di quell’essere ibrido. «Il tipo maschile e il tipo femminile devono essere tenuti distinti. Le fanciulle che non possono procurarsi un’istruzione supe-
161d LOUISE MICHEL LE DONNE DELLA COMUNE DI PARIGI
L. Michel, La Comune, Editori Riuniti, Roma 1969 (ed. or. 1898), pp. 119-21; 215; 220.
Gli eventi che si verificarono a Parigi tra il 1870 e il 1871 [►18_3] ebbero come protagoniste, nelle piazze e nelle strade, le donne, che si distinsero tanto nelle attività di assistenza Le donne e la difesa della Repubblica Fra i più ardenti lottatori, che combatterono l’invasione e difesero la repubblica come l’aurora della libertà, le donne sono in buon numero. Si è voluto fare delle donne una casta, e sotto la forza che le schiaccia attraverso gli avvenimenti, la divisione si è compiuta; non ci hanno consultato, per questo, e noi non dobbiamo consultare nessuno. Il mondo rinnovato ci riunirà a tutta l’umanità libera, nella quale ognuno avrà il proprio posto. […] Tutte le società femminili, non pensando che alle condizioni tristi in cui vivevano, si unirono alla Società di soccorso per le vittime della guerra in cui le borghesi, le mogli di quei membri della difesa nazionale che avevano difeso così poco, furono eroiche. […] Si diede prova di grande generosità; i soccorsi furono dati, anche
riore attraverso i genitori, i fratelli e gli amici, studiando in casa o andando ad ascoltare conferenze, devono poter trovare rifugio nella professione di istitutrice; ma, per l’amor del cielo, non consideriamo l’‘universitaria’ la donna moderna.» 2. Émile Zola (1840-1902), scrittore naturalista francese autore del Germinal (1885). 3. Sensuale in modo sgradevole.
METODO DI STUDIO
a Individua i singoli episodi descritti e rendili riconoscibili scrivendo al lato del testo la data e il luogo in cui si verificarono. Quindi evidenzia per ognuno di essi gli eventi significativi e sottolinea, se descritto, il relativo significato politico e culturale. b Indica le caratteristiche attribuite alle donne dedite alla politica negli episodi descritti. c Descrivi le cause che, secondo l’autore, determinano gli atteggiamenti e le reazioni di chiusura degli uomini nei confronti delle lotte di emancipazione femminile.
ai feriti e di aiuto dei combattenti, quanto negli scontri veri e propri. Tra esse una delle più importanti fu l’insegnante Louise Michel (1830-1905), militante anarchica che si distinse per la costante presenza sulle barricate della Parigi rivoluzionaria. Nella sua autobiografia La Comune, pubblicata nel 1898, Michel ha dato conto del protagonismo femminile in questi eventi.
suddivisi, pur di sollevare un poco tutti gli affanni, pur di impedire ancora e sempre di arrendersi. Se qualcuno davanti al Comitato di soccorso per le vittime della guerra avesse parlato di capitolazione sarebbe stato messo alla porta […]. V’erano le donne di Parigi, fiere lì come nei sobborghi. […] Certo è che le donne amano la rivolta. Non noi valiamo più degli uomini, ma il potere non ci ha ancora corrotte. […] Quanti tentativi fecero le donne nel ’71, tutte e ovunque! […] Nelle ambulanze, nei comitati di vigilanza e nelle officine municipali, specialmente a Montmartre, le signore Poirier, Excoffon, Blin, Jarry trovavano il mezzo perché tutte avessero un salario. La marmitta1 rivoluzionaria, con la quale durante tutto l’assedio la signora Lemel, della camera sindacale dei legatori2, impedì, non so come, a migliaia di persone
di morir di fame, fu un vero sforzo di devozione e di intelligenza. Le donne non si chiedevano se una cosa era impossibile: bastava che fosse utile, e riuscivano a condurla a termine. […] Mi è rimasto ben nella mente il giorno in cui vennero a trovarmi nella mia scuola le signore Poirier, Blin, Excoffon per fondare il Comitato di vigilanza delle donne. Era sera, dopo la lezione: erano sedute contro il muro, la Excoffon colle sue trecce bionde arruffate, mamma Blin già vecchia con un cappellino di lana, e la signora Poirier con un cappuccio di tela indiana rossa. Senza perdersi in complimenti, mi dissero: – Bisogna che voi veniate con noi. – Ed io risposi loro: – Vengo.
1. Grande pentola. 2. Rilegatori di libri.
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FARESTORIA Discriminazioni e pregiudizi in Europa e negli Stati Uniti di fine ’800
La difesa della Comune Con la bandiera rossa alla testa, le donne che erano passate avevano la loro barricata a piazza Blanche. Vi erano là Elisabeth Dmitrieff, la signora Lemel, Malvina Poulain, Blanche Lefebvre, Excoffon. André Léo era a quelle delle Batignolles. Più di diecimila donne nei giorni di maggio, sparse od unite, combatterono per la libertà. Ero alla barricata che sbarrava l’entrata del viale Clignancourt; là venne a trovarmi Blanche Lefebvre. […] Io e Blanche ci abbracciammo; essa ritornò alla sua barricata. […] Le leggende più strane corsero sulle pétroleuses3. Le pétroleuses non esistette-
ro. Le donne combatterono come leoni; ed io fui l’unica a gridare: il fuoco, il fuoco davanti a quei mostri! Non le combattenti, ma disgraziate madri di famiglia, che nei quartieri invasi si credevano protette da qualche utensile che mostravano per far vedere che andavano a procurare cibo per i loro bambini (una ciotola di latte, ad esempio), erano considerate incendiarie, portatrici di petrolio e messe al muro! Quanto le attesero i loro piccini! Alcuni bimbi in braccio alle madri venivano fucilati con esse; i marciapiedi erano cosparsi di cadaveri! 3. Secondo una leggenda infondata diffusa
162 R. MITCHELL LE DONNE BIANCHE NELLA GUERRA CIVILE AMERICANA
R. Mitchell, La guerra civile americana, il Mulino, Bologna 2003, pp. 61-63; 88-90.
La guerra civile americana è considerata come uno dei primi esempi di «guerra totale» [►FS, 168], che coinvolse integralmente la popolazione, tanto per le distruzioni della guerra quanto per la mobilitazione e la diffusione della propaganLe donne del Nord
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L’Unione si affidava al settore privato, oltre che per la fornitura dei mezzi necessari al combattimento, anche per garantire assistenza ai soldati: associazioni di volontariato espletavano funzioni che di solito si pensa debbano essere svolte dal governo. Tali associazioni prendevano a modello quelle dell’anteguerra e dunque, di norma, il loro vertice era composto da uomini, mentre il personale era prevalentemente femminile. […] Il settore in cui l’opera dei volontari si rivelò maggiormente significativa […] fu quello dell’assistenza infermieristica. Trovandosi a dover affrontare esigenze medico-sanitarie senza precedenti, l’esercito dell’Unione si rivolse alle donne perché svolgessero i compiti infermieristici. Clara Barton, che nel dopoguerra fondò la Croce Rossa statunitense, si prese cura dei soldati dell’armata del Potomac fin quasi al termine del conflitto, pur senza svolgere incarichi militari formali, e contribuì anche alla localizzazione dei dispersi. Dorothea Dix, propugnatrice delle riforme istitu-
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
dagli antirivoluzionari, alcune donne che difesero la Comune – le cosiddette pétroleuses – appiccarono diversi incendi a Parigi, usando appunto il petrolio, per distruggere la città prima della sconfitta dei rivoluzionari. Si trattava, in realtà, di una voce mirante a dipingere la Comune di Parigi come un esperimento barbaro e contro natura. METODO DI STUDIO
a Spiega a quale evento fa riferimento il racconto e quali elementi permettono di comprenderlo. b Sottolinea i ruoli avuti dalle donne durante gli eventi descritti e sintetizzali attraverso dei titoli che scriverai al lato del testo. c Le parole dell’autrice lottano anche contro l’immagine della donna diffusa nel senso comune. Descrivi per iscritto di quali immagini si tratta e da quali elementi lo capisci.
da. Nel seguente brano, lo studioso statunitense Reid Mitchell esamina il ruolo nel conflitto delle donne, che non solo si impegnarono nell’attività infermieristica, ma si trovarono spesso a sostituire gli uomini – arruolati come soldati grazie alla leva obbligatoria – nelle attività agricole e industriali. L’impegno femminile non ottenne, tuttavia, alcun riconoscimento alla fine del conflitto: gli uomini ripresero i loro posti di lavoro e l’allargamento del suffragio non incluse le donne.
zionali già prima della guerra, si propose come sovrintendente delle infermiere per conto dell’esercito; la sua infelicissima richiesta che tutte le infermiere fossero brutte e ultratrentenni non deve offuscarne l’immagine di grande organizzatrice e pioniera della funzione infermieristica come campo preferibilmente femminile. Tuttavia, il «requisito» cui fece riferimento indica che uomini e donne ritenevano la figura dell’infermiera accettabile solo se il rapporto fra infermiera e paziente si modellava su quello tra madre e figlio. […] La guerra chiamò a raccolta le donne, che dalle loro case andarono nelle fabbriche e nei campi, oltre a subentrare agli uomini nell’insegnamento e nel lavoro impiegatizio governativo. Com’era prevedibile, durante la guerra aumentò la prostituzione […]. Migliaia di donne prestarono poi la loro opera di volontariato cucendo federe e sferruzzando calzini, raccogliendo fondi per associazioni di beneficienza, organizzando petizioni o recandosi a Port Royal e in altre località del Sud occupato per insegnare agli schiavi affrancati. La Women’s National Loyal League, fondata
da Susan B. Anthony ed Elizabeth Cady Stantion, sollecitava l’abolizione delle schiavitù e il suffragio femminile. Tuttavia la guerra non produsse alcun effetto durevole sulla condizione femminile nel Nord: come succede di solito, quando gli uomini tornarono a casa si riappropriarono delle vecchie funzioni e dei vecchi impieghi. Il suffragio femminile non fece grandi progressi; anzi, con grande disappunto delle leader del movimento suffragista, […] il Quindicesimo emendamento, che affrancava gli uomini di colore, non riconosceva alle donne il diritto di voto. Le donne del Sud I giudizi degli storici sulle donne sudiste sono disparati: alcuni le considerano più devote alla causa dei loro uomini, altri affermano che l’abbandono della causa da parte loro segnò la condanna della Confederazione, e c’è addirittura chi sostiene che entrambi i punti di vista sono veri, a seconda del momento della breve vita della Confederazione che si prende in esame. Le donne persuasero gli uomini
ad arruolarsi come volontari e poi li implorarono di fare ritorno a casa […]. Proprio come succedeva nel Nord, anche nella Confederazione le fabbriche assumevano le donne e, anche se la cultura del Sud opponeva forse maggiore resistenza al lavoro femminile fuori casa, i sudisti avevano bisogno di molta più manodopera di quanta ne servisse all’Unione. A ogni modo, in linea di massima le donne del Sud, bianche o nere, erano abituate a lavorare duramente, e quando vennero impiantate le prime fabbriche tessili la manodopera era costituita da donne bianche. Come nel Nord, anche le donne del Sud diventarono infermiere e amministratrici di ospedali. Sally Louisa Tompkins, per esempio, gestiva un ospedale privato a Richmond e, per mantenerla in tale posizione, Jefferson Davis la nominò capitano dell’esercito confederato. La maggior parte delle donne bianche, comunque, si assunse la gestione delle fattorie o delle piantagioni, circostanza che rappresentò un drastico cambiamento
soprattutto per quelle che appartenevano alla classe superiore: far valere l’autorità sugli schiavi era sempre stato compito degli uomini e richiedeva un senso del potere padronale estraneo alla tradizione femminile. La diversa situazione demografica di Nord e Sud era un elemento d’importanza cruciale nell’esistenza delle donne americane: nel Sud c’erano più donne capofamiglia perché, in proporzione, era morto un maggior numero di uomini. Inoltre, molte più sudiste rimanevano nubili. Infine, l’abolizione della schiavitù distrusse il ruolo della «padrona della piantagione», anche se gli usi sociali connessi a tale ruolo rimasero in vigore ancora molto a lungo. George C. Rable e Drew Gilpin Faust1 hanno dimostrato non solo che la guerra apportò mutamenti minimi nei ruoli correlati al genere per quanto riguarda le signore del Sud, ma anche che queste stesse donne si erano duramente impegnate per tenere viva una continuità con il passato: «Alla fine della guerra l’appog-
163d FREDERICK DOUGLASS LA VITA DEGLI SCHIAVI NERI NEL SUD
F. Douglass, Memorie di uno schiavo fuggiasco, a c. di B. Maffi, manifestolibri, Roma 1992, pp. 45-47; 51-55.
Frederick Douglass (1818-1895) fu uno dei più importanti sostenitori del movimento abolizionista negli Stati Uniti d’America. Separato dalla madre nell’infanzia, dopo esser stato Nacqui a Tuckahol, presso Hillsborough [...] nel Maryland. Non ho un’idea precisa della mia età perché non ho mai visto un documento ufficiale che la registrasse. [...] Non ricordo di aver mai trovato uno schiavo che sapesse dire in quale giorno fosse venuto al mondo. [...] Mio padre era un bianco [...]. Correva pure voce, o almeno si sussurrava, che fosse il mio padrone; ma dell’esattezza di questa storia io non so nulla, essendomi stato precluso il modo di saperlo. Infatti, mia madre e io fummo separati ch’ero piccolissimo [...]. È abitudine corrente, nella parte del Maryland dalla quale son fuggito, strappare i figli alle loro madri in età tenerissima. [...] Qui [a Baltimora], anche, gli schiavi di tutte le altre fattorie ricevevano la razione mensile di cibo, e annuale di vestiario. Quanto alla prima, spettavano agli schia-
gio di molte donne alla Confederazione vacillò, ma di rado esse misero in questione i dogmi razziali, sessuali e di classe della società di cui facevano parte». Joan E. Cashin2 ha giustamente sostenuto che quella delle donne sudiste del periodo antecedente alla guerra era una «cultura della rassegnazione»; se il conflitto sortì qualche effetto, fu quello di rafforzare tale senso di rassegnazione. 1. Studiosi della guerra civile americana. 2. Storica statunitense, nata nel 1956. METODO DI STUDIO
a Sottolinea le informazioni relative ai ruoli svolti dalle donne durante la guerra civile americana e sintetizza questi ultimi in titoletti che scriverai al lato del testo. b Descrivi per iscritto le differenze fra i ruoli e mestieri svolti dalle donne del Nord e del Sud e spiegane le cause. c Evidenzia la parte del testo in cui vengono descritti gli effetti nella società americana postbellica del protagonismo delle donne durante la guerra.
venduto a vari padroni, riuscì soltanto nel 1838 a fuggire e a trasferirsi nel Nord del paese. Negli Stati settentrionali Douglass cominciò una lunga attività pubblica in favore dell’abolizione della schiavitù, ricostruita nella sua autobiografia del 1845. Era la prima volta che l’orrore della schiavitù e le condizioni degli schiavi, nonché i comportamenti e la mentalità degli schiavisti, venivano descritti da un nero.
vi, uomini e donne, otto libbre di carne di maiale, o l’equivalente in pesce, e otto galloni di farina, la seconda comprendeva due camicie di tela grezza, un paio di pantaloni di tela come le camicie, una giacca, un paio di pantaloni per l’inverno in quel panno ruvido che si usava per i negri, un paio di calze lunghe e uno di scarpe; cose che, messe insieme, non potevano costare più di sette dollari. La razione per gli schiavi-bambini era consegnata alle rispettive madri, o alle vecchie che ne avevano cura; ma quelli inabili al lavoro agricolo non ricevevano né scarpe, calze e giacca, né pantaloni; il loro vestiario comprendeva due camicie di tela grezza all’anno, e se queste si logoravano rimanevano nudi fino al prossimo giorno di distribuzione. [...] L’aspetto della piantagione-madre […] era quello di un villaggio di campagna.
Tutte le operazioni meccaniche per tutte le fattorie vi erano compiute: fabbricazione e riparazione delle scarpe, dei ferri da cavallo, dei carri e carretti, delle botti, tessitura dei panni, macinazione del grano, tutto vi si faceva. [...] Anche il numero delle abitazioni cospirava a farne una cosa a sé nel vicinato: non per nulla gli schiavi la chiamavano Great House Farm, grande fattoria-casa. Pochi privilegi erano più ambiti dagli schiavi delle fattorie esterne, che quello d’essere scelti per una commissione alla Great House Farm cosa che, nella loro mente, evocava idee di grandezza. [...] Gli uomini scelti per recarsi alla Great House in vista delle razioni mensili per sé e i loro compagni di sventura, mostravano un bizzarro entusiasmo. Lungo il cammino facevano risuonare i vecchi fitti boschi, per miglia e miglia intorno, di canti
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FARESTORIA Discriminazioni e pregiudizi in Europa e negli Stati Uniti di fine ’800
sfrenati in cui si esprimevano insieme la gioia più intensa e la tristezza più profonda. [...] Quei canti narravano una storia di sofferenze, che, allora, superava le mie deboli capacità di comprensione: erano toni alti, lunghi, profondi; spiravano il lamento e esalavano la preghiera di anime colme di amarissima angoscia. [...] A queste canzo-
ni io faccio risalire la prima e confusa percezione del carattere disumanante della schiavitù; una percezione avuta allora, e di cui non posso più liberarmi. [...] Gli schiavi cantano di più quando sono più infelici. Le loro canzoni rappresentano le pene del loro cuore; e essi ne traggono conforto solo come un cuore dolente trae conforto dalle lacrime.
164 B. LEVINE LA DEMOCRAZIA MULTIRAZZIALE E I SUOI PROBLEMI
B. Levine, La guerra civile americana. Una nuova storia, Einaudi, Torino 2015, pp. 371-75.
Dopo l’abolizione della schiavitù nel 1865, nel 1868 i neri ottennero il diritto di votare e di essere eletti. La loro partecipazione politica fu il culmine di un processo che vide la popolazione afroamericana avere, per la prima volta, la possibilità di muoversi liberamente, di cambiare lavoro, di ricostruire le famiglie smembrate dalla compravendita di schiavi. Essi iniziarono a fondare proprie scuole, istituzioni culturali e
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Nella primavera 1865, circa mezzo milione di schiavi in un modo o nell’altro era diventato libero dai loro padroni. Ma la stragrande maggioranza della popolazione rimaneva formalmente in schiavitù. Nelle aree del Sud meno coinvolte dalla guerra e dall’occupazione dell’immediato dopoguerra, i padroni tenevano in catene alcuni schiavi anche dopo il crollo della Confederazione. Alcuni proprietari di schiavi in Texas e in alcune remote zone della Georgia informarono i loro lavoratori che nulla era cambiato, e continuarono a comportarsi in base a questa messinscena. […] Una ragazza georgiana di nome Charity Austen aveva dodici anni quando era finita in guerra. Molti anni dopo ricordò: «Il capo ci ha detto che Abraham Lincoln era morto […] e noi eravamo ancora schiavi. […] Rimanemmo così un altro anno dopo la liberazione». A quel punto «scoprimmo finalmente di essere liberi e ce ne andammo». Alla fine, come nel caso di Charity Austen, i tentativi di conservare lo schiavismo di nascosto fallirono. […] Ma la speranza più radicata e diffusa […], quella di evitare un cambiamento radicale nella società del Sud, continuava a esistere. Anche se un essere umano non poteva più possedere legalmente un altro essere umano, forse gli stessi fini potevano essere raggiunti con altri mezzi. Forse poteva essere imposta una forma di schiavismo
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le informazioni sulla vita dell’autore che sono generalizzabili ed estendibili alla condizione schiavile. b Spiega per iscritto in che modo era organizzata la piantagione dal punto di vista degli approvvigionamenti per gli schiavi e cosa era loro concesso mensilmente e annualmente. c Sottolinea il significato dei canti degli schiavi.
università. Accanto a queste nuove forme di libertà, tuttavia, si svilupparono nuove tipologie di dipendenza economica, che determinarono per i neri nuove forme di discriminazione e subordinazione. Parallelamente, l’odio razziale contro i neri si fece sempre più diffuso e assunse forme sempre più violente, fatte di spedizioni notturne, bastonature, frustate, mutilazioni, assassinii, linciaggi, con lo scopo di restaurare la cosiddetta “supremazia bianca”. Nella ricostruzione dello storico statunitense Bruce Levine, tuttavia, la popolazione afroamericana non tornò più a vivere le terribili condizioni del periodo schiavista.
meno assoluta – una forma che, se non soddisfacente come lo schiavismo del vecchio Sud, poteva rivelarsi ancora più vantaggiosa per gli imprenditori rispetto al lavoro autenticamente libero. […] Nel 1865 e nel 1866, il successore di Lincoln, Andrew Johnson, concesse ai governi statali e locali appena eletti (dominati in molte località dagli ex leader della Confederazione) di approvare leggi destinate a imporre «questo tipo di schiavismo» – per riportare la gente di colore nelle piantagioni e mantenerla in una situazione di semischiavitù. Note con il nome di black codes, queste leggi negavano molti dei diritti fondamentali degli ex schiavi liberati, compreso il diritto di circolare liberamente; di cercare nuove occupazioni; di scegliersi i datori di lavoro; cambiarli o contrattare con loro; e persino di godere della potestà sui propri figli. La maggioranza repubblicana del Congresso, gli afroamericani e l’esercito degli Stati Uniti bloccarono questo tentativo nell’epoca del dopoguerra nota come «Ricostruzione». In questo periodo, la popolazione di colore lavorava per ricostruire le proprie famiglie e per creare scuole e istituzioni comunitarie religiose e secolari, si dava un’istruzione e si mobilitava politicamente. Il Congresso bocciò i black codes e respinse i risultati delle elezioni del 1865-66, caratterizzate da una supre-
mazia bianca. Non intendeva consentire ai sudisti bianchi di applicare un nuovo tipo di statuto servile agli ex schiavi, né intendeva tollerare il tentativo dei coltivatori di riprendere il controllo politico del Sud e di esibire nuovamente i muscoli a Washington. Non intendeva permettere ai nemici della rivoluzione, ormai vinti, di annullare le sue conquiste. Il partito repubblicano emendò con successo la Costituzione degli Stati Uniti nel 1868 e nel 1870 per garantire la piena eguaglianza e il pieno godimento dei diritti politici (incluso il diritto di voto) agli ex schiavi. […] E il solo fatto di estendere il diritto di voto e il diritto di ricoprire una carica poteva fornire al partito repubblicano il tipo di elettorato che gli era necessario per governare il Sud del dopoguerra. Su queste basi, i repubblicani riuscirono a creare nuovi tipi di governo statale nel Sud […]. Tra i nuovi funzionari c’erano persone di colore, alcune delle quali erano state liberate prima della guerra, mentre altre erano diventate libere solo grazie alla guerra stessa. […] Le forze impegnate a ripristinare la supremazia bianca lanciarono una campagna aspra e violenta fatta di terrore e intimidazione contro gli ex schiavi liberati e i loro alleati bianchi nel Sud. Quando le prime unità sudiste del partito repubblicano furono stroncate da questi attacchi e i repubblicani
del Nord si tirarono indietro e diventarono più conservatori, la Ricostruzione andò in pezzi. […] Un’élite sudista risorta si accinse a imporre di nuovo la supremazia bianca e una tirannica disciplina del lavoro, privando gli ex schiavi liberati di molti dei loro diritti civili e politici. Negli anni Novanta del XIX secolo si giunse a una segregazione e a una subordinazione ancora più assolute, ancora più rigide – il sistema «Jim Crow»1, che sarebbe durato sino oltre alla metà del secolo successivo. […] Ma anche se obbligata a fare marcia indietro rispetto alle sue posizioni più avanzate, la seconda rivoluzione americana non fu mai del tutto detronizzata. […] Lo smantellamento dello schiavismo – l’appropriazione senza compenso della proprietà dell’élite e l’emancipazione di quattro milioni di esseri umani – rimase un fatto centrale e inamovibile del dopoguerra. […] I neri del Sud dopo la Ricostruzione furono obbligati a fare marcia indietro verso lo schiavismo, ma non ritornarono mai più nello schiavismo. Milioni di neri americani non potevano più essere comprati o venduti come articoli di mobilia o capi di bestiame. […] I braccianti neri si trovarono a dover subire un sistema di lavoro noto come «mezzadria», che li sfruttava e li opprimeva e li costringeva a rimanere in povertà. Ma questo sistema non aveva eguali in rigore e brutalità con il regime di lavoro del Sud prima della guerra. Il tenore di vita
medio della popolazione di colore crebbe sensibilmente durante i quindici anni che seguirono la guerra civile. E persino nel baratro sociale della fine del XIX secolo, i proprietari terrieri non poterono mai obbligare i braccianti a lavorare ai ritmi disumani che un tempo lo schiavismo aveva considerato la norma. Fattore altrettanto importante, i frutti dell’emancipazione contribuirono a far progredire la causa per ottenere una libertà e un’eguaglianza maggiori. La più ampia libertà di azione che la distruzione dello schiavismo portò con sé permise
1. Le Jim Crow Laws furono una serie di leggi, emanate a partire dalla fine degli anni ’80 dell’800 e in vigore fino al 1965, miranti a mantenere la segregazione razziale degli afroamericani negli Stati Uniti, in base al principio formale del «separati ma uguali».
PALESTRA INVALSI
1 La frase «alcuni proprietari di schiavi [...] informarono i loro lavoratori che nulla era cambiato, e continuarono a comportarsi in base a questa messinscena» vuol dire: [ ] a. che alcuni proprietari negarono la fine della Confederazione e della schiavitù. [ ] b. che alcuni proprietari di schiavi assunsero dei lavoratori per sostituire gli schiavi perduti organizzando una vera e propria messinscena. [ ] c. che alcuni proprietari avevano finto di avere degli schiavi e che questa finzione era durata anche dopo la fine della guerra. [ ] d. che alcuni proprietari fecero approvare delle leggi note con il nome di black codes con l’obiettivo di porre fine alla messinscena della schiavitù. 2 La seguente affermazione è coerente con quanto si sostiene nel testo? «Dopo la ricostruzione le condizioni di vita dei neri del Sud tornarono ai livelli prebellici.» [ ] a. Coerente [ ] b. Non coerente 3 Il testo che hai letto è... [ ] a. uno studio tratto da una rivista scientifica. [ ] b. una fonte storica della seconda metà dell’800. [ ] c. un paragrafo di un testo storiografico. [ ] d. un articolo divulgativo.
165d JOSEPH RUDYARD KIPLING IL FARDELLO DELL’UOMO BIANCO
J.R. Kipling, Poesie, Mursia, Milano 1987, pp. 126-29.
Alla fine dell’800, l’idea del colonialismo come missione civilizzatrice in terre lontane ebbe larga fortuna nei paesi occidentali, non solo tra i ceti dirigenti, ma anche in grande parte dell’opinione pubblica. Uno dei sostenitori più convinti delle imprese coloniali fu lo scrittore e poeta inglese Joseph Rudyard Kipling (1865-1936), nato a Bombay (oggi MumTake up the White Man’s burden – Send forth the best ye breed – Go bind your sons to exile To serve your captives’ need; To wait in heavy harness, On fluttered folk and wild – Your new-caught, sullen peoples, Half-devil and half-child.
alla gente di colore di instaurare vincoli familiari più solidi e di costruire strutture organizzative più stabili, e quindi di prepararsi a lottare in modo più efficace per l’eguaglianza dei diritti, quando il miglioramento delle condizioni di vita da allora in poi lo rese possibile.
bay), in India. Nella poesia The White Man’s Burden, scritta nel 1899, in occasione dell’occupazione delle Filippine da parte degli Stati Uniti [►19_3], Kipling, sentendosi rappresentante di una stirpe eletta, quella anglosassone, invita gli statunitensi a non scoraggiarsi di fronte all’“ingratitudine” dei popoli sottomessi. Il poeta elogia la difficile missione dell’uomo bianco, incaricato di diffondere un messaggio di civiltà in terre inospitali. Un «fardello» da sostenere, che nobilita i colonizzatori.
Addossatevi il fardello del Bianco – Mandate i migliori della vostra razza – Andate, costringete i vostri figli all’esilio Per servire ai bisogni dei sottoposti; Per custodire in pesante assetto Gente irrequieta e sfrenata – Popoli truci, da poco soggetti, Mezzo demoni e mezzo bambini.
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FARESTORIA Discriminazioni e pregiudizi in Europa e negli Stati Uniti di fine ’800
Take up the White Man’s burden – In patience to abide, To veil the threat of terror And check the show of pride; By open speech and simple, An hundred times made plain, To seek another’s profit, And work another’s gain.
Addossatevi il fardello del Bianco – Resistere con pazienza, Celare la minaccia del terrore E frenare l’esibizione dell’orgoglio; In parole semplici e chiare, Cento volte rese evidenti, Per cercare il vantaggio altrui, E produrre l’altrui guadagno.
Take up the White Man’s burden – The savage wars of peace – Fill full the mouth of Famine And bid the sickness cease; And when your goal is nearest The end for others sought, Watch Sloth and heathen Folly Bring all your hope the naught.
Addossatevi il fardello del Bianco – Le barbare guerre della pace – Riempite la bocca della Carestia E fate cessare la malattia; E quando più la mèta è vicina, Il fine per altri perseguito, Osservate l’Ignavia e la Follia pagana Ridurre al nulla tutta la vostra speranza.
Take up the White Man’s burden – No tawdry rute of kings, But toil of sert and sweeper – The tale of common things. The ports ye shall not enter, The roads ye shall not tread, Go make them with your living. And mark them with your dead.
Addossatevi il fardello del Bianco – Non sgargiante governo di re, Ma fatica di servo e di spazzino – La storia delle cose comuni. I porti in cui non entrerete, Le strade che non calpesterete, Andate, costruitele coi vostri vivi, E segnatele coi vostri morti!
Take up the White Man’s burden – And rep his old reward; The blame of those ye better, The hate of those ye guard – The cry of hosts ye humour (Ah, slowly!) toward the light: – «Why brought ye us from bondage, Our loved Egyptian night?».
Addossatevi il fardello del Bianco – E cogliete la sua antica ricompensa: Le accuse di chi fate progredire, L’odio di chi tutelate – Il grido delle masse che attirate (Ah, lentamente!) verso la luce: «Perché ci avete tolto dalla schiavitù, La nostra amata notte egiziana?».
Take up the White Man’s burden – Ye dare not stoop to less – Nor call too loud on Freedom To cloak your weariness; By all ye cry or whisper, By all ye leave or do, The silent, sullen peoples Shall weigh your Gods and you.
Addossatevi il fardello del Bianco – Non osate piegarvi a un compito inferiore – E non vociferate troppo di Libertà Per mascherare la vostra stanchezza; Da tutto ciò che gridate o mormorate, Da tutto ciò che fate o tralasciate, I popoli truci e silenziosi Peseranno voi e i vostri Dèi.
Take up the White Man’s burden – Have done with childish days – The lightly proffered laurel, The easy, ungrudged praise. Comes now, to search your manhood Through all the thankless years, Cold, edged with dear-bought wisdom, The judgment of your peers!
Addossatevi il fardello del Bianco – Basta coi giorni dell’infanzia – L’alloro offerto con leggerezza, La lode facile e non lesinata. Mette ora alla prova la vostra maturità Per gli anni ingrati che attendono, Reso cauto da una dura esperienza, Il giudizio dei vostri pari!
METODO DI STUDIO
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a Spiega che tipo di fonte è questa e per quale motivo e in quale occasione è stata scritta. b Leggi con attenzione le strofe e sintetizza il messaggio di ognuna al lato del testo.
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
LEGGERE UNA FONTE ICONOGRAFICA 14 LA VITA DI UNO SCHIAVO AMERICANO [litografie pubblicate da W.A. Stephens, Philadelphia 1863; Library of Congress, Washington]
Questa serie di piccole litografie (composta in tutto da 12 pezzi) racconta la vita di un nero negli anni che videro gli Stati Uniti teatro della guerra civile e molti neri passare dalla condizione di schiavi a quella di uomini liberi. La prima immagine rappresenta il protagonista nei campi di cotone: nessun indizio lo dice, ma tutti capiscono che non è un bracciante libero, è uno schiavo. Le figure successive, infatti, lo vedono portato via in catene, costretto ad abbandonare il figlioletto e la moglie, che implora il nuovo padrone di comprarli insieme. Nelle mani del nuovo padrone, l’uomo viene maltrattato (le punizioni con la frusta erano molto frequenti) tanto da decidere di ribellarsi, uccidere il suo sovrintendente e fuggire attraverso le paludi
per andare ad arruolarsi nell’esercito dell’Unione. Il giovane ha conquistato la libertà, ma trova la morte combattendo per i nordisti: la sua ricompensa sta nell’aver donato la sua vita per la gloria della nazione. GUIDA ALLA LETTURA
a Descrivi il protagonista di queste vignette e le sue vicende. b Osserva con attenzione le espressioni dei protagonisti e le loro azioni. Descrivi quindi il carattere che l’autore attribuisce al protagonista principale. c Spiega qual è, secondo te, il messaggio di queste immagini e argomenta la tua posizione facendo riferimento a quanto hai potuto osservare.
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FARESTORIA Discriminazioni e pregiudizi in Europa e negli Stati Uniti di fine ’800
166 A. STEPHANSON IL RAZZISMO NELL’IDEOLOGIA COLONIALISTA
A. Stephanson, Destino manifesto. L’espansionismo americano e l’Impero del Bene (1995), Feltrinelli, Milano 2004, pp. 121-24.
Lo storico di origine svedese Anders Stephanson, nel suo volume Destino manifesto, ha analizzato l’idea, ricorrente nella cultura politica statunitense, del presunto ruolo messianico che gli Stati Uniti dovrebbero svolgere nella storia del mondo contemporaneo. In queste pagine l’autore spiega
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Il concetto di razza pervadeva ogni ambito della società ed era avvalorato dall’affermazione del discorso scientifico (o pseudoscientifico). Poteva indicare qualsiasi cosa, da un particolare gruppo linguistico all’intera umanità; ma in generale si trattava di una categoria essenzialista, utilizzata per descrivere i caratteri intrinseci di un dato gruppo, in particolare degli «anglosassoni», dai quali si riteneva emanasse la maggior parte delle cose buone [...]. Lo stesso istinto razziale che aveva condotto gli ariani fuori dall’Asia centrale (oppure gli anglosassoni fuori dalle foreste tedesche) stava adesso portando i loro discendenti americani verso la costa del Pacifico: «L’aspirazione razziale a essere una grande nazione». A questa aspirazione si doveva pertanto ubbidire. Intervenendo, per esempio, sull’annessione delle Hawaii nel 1898, il deputato del Missouri Charles F. Cochran la celebrò come «semplicemente un altro passo nell’avanzata della libertà e della civiltà» e «nella conquista del mondo da parte delle razze ariane». [...] Le altre razze, viceversa, erano o pericolose o non idonee. Alla prima categoria appartenevano i vigorosi slavi, con i quali si prevedeva una futura resa dei conti. Alla seconda categoria, ritenuta in declino, appartenevano praticamente tutti i gruppi non europei (e spesso gli europei di origine «latina»). I neri americani venivano generalmente classificati come stranieri. [...] Così, dunque, la continua espansione delle leggi razziali istituite a livello statale contro i neri (gli «incapaci» interni) si saldava, dal punto di vista logico, con la necessità di tenere al loro posto gli stranieri assoggettati fuori dal paese. L’assunzione del controllo di territori extracontinentali era una novità, che sollevava inevitabilmente una serie di questioni spinose. Innanzitutto, essa appariva notevolmente simile al colo-
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
quanto tale visione abbia perso progressivamente il suo carattere democratico e liberale finendo per fare proprio, sul finire dell’800, il mito di una superiorità della razza bianca e, in particolare, delle popolazioni anglosassoni. Per questo motivo, dopo la conquista statunitense di Cuba, Portorico e delle Filippine [►19_3], si impose una rigida barriera alla concessione della cittadinanza statunitense agli abitanti di quei paesi, considerati barbari e inferiori e quindi inadatti alla democrazia.
nialismo ovvero all’imperialismo europeo: idea non facilmente digerita in una ex colonia. [...] Si tentò, perciò, di dargli qualche altro nome: impero della pace, impero dell’amore, impero dell’intelletto, impero della libertà e altre formulazioni poetiche. Un’altra strategia, collegata alla prima, fu quella di istituire una distinzione fra il colonialismo illuminato britannico e tutte le altre forme di colonialismo fondate sulla forza. Come dimostrato in India e altrove, gli inglesi avevano «già realizzato in maniera meravigliosamente perfetta» il tipo di «impero democratico» che gli americani erano adesso «destinati a creare». Perciò, [...] gli americani avrebbero cercato di emulare gli inglesi, trasformando il colonialismo in una forma di tutela, in una preparazione all’autogoverno repubblicano da istituire, quando fosse arrivato il momento adatto in un futuro più o meno prossimo. Si poteva persino definirlo «nuovo imperialismo» [...]. Quando effettivamente iniziò l’attività di amministrazione delle colonie, gli osservatori dovettero compiere notevoli sforzi per riuscire a distinguere la dominazione americana dalla precedente dominazione spagnola. Non fu sempre una cosa semplice. Nelle Filippine, per esempio, le forze statunitensi trovarono utile imitare la politica spagnola dei reconcentrados, deportando i contadini in «villaggi strategici» fortificati [...], cioè proprio la politica adottata dagli spagnoli a Cuba anni prima, che aveva causato scandalo umanitario negli Stati Uniti e che era stata un’importante ragione dell’entrata in guerra. [...] C’erano anche quelli che non avevano remore ad abbracciare il colonialismo puro e semplice, ritenendolo una cosa buona e niente affatto incompatibile con la democrazia di casa propria. Che una nazione presumibilmente fondata sull’idea che «tutti gli uomini sono creati uguali» potesse ora dominare popolazio-
ni assoggettate non costituiva una difficoltà concettuale. Una volta classificate come incapaci o infantili, queste popolazioni potevano venire inserite nella stessa categoria degli esclusi di casa propria, categoria che comprendeva le donne, i neri e gli indiani. A questo proposito, ci si poteva direttamente ispirare a una lunga esperienza interna, cioè alla gestione delle popolazioni indiane assoggettate. La domanda che attraversa tutto il XIX secolo era stata quella di come classificarle: erano dentro o fuori gli Stati Uniti? L’interessante risposta fu regolarmente: nessuna delle due cose, perché, nonostante il graduale ridimensionamento, il loro status di nazioni indipendenti non rese, comunque, mai possibile la loro inclusione e la concessione della cittadinanza.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le informazioni relative all’idea che i colonizzatori avevano delle razze. b Evidenzia le informazioni relative al rapporto esistente, nell’ideologia colonialista, fra razze e colonizzazione. c Spiega per iscritto a cosa fa riferimento «L’aspirazione razziale [degli anglosassoni] a essere una grande nazione» facendo delle esemplificazioni.
167 C. PETRACCONE L’UNITÀ D’ITALIA E LA SCOPERTA DEL SUD
C. Petraccone, Le “due Italie”. La questione meridionale tra realtà e rappresentazione, Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 5-7; 79-82.
Già prima dell’Unità, alla popolazione dell’Italia meridionale erano attribuite molte caratteristiche negative: era considerata pigra, irrequieta, poco interessata all’azione politica. Questi Un’indole apatica, passiva, instabile: da questo giudizio prese corpo progressivamente il timore che l’estensione del processo unitario all’Italia meridionale avrebbe potuto mettere a rischio il suo stesso esito, non solo per la scarsa partecipazione dei napoletani, ma anche perché unire popoli così diversi tra loro avrebbe potuto costituire un elemento di debolezza dell’Italia che si voleva costruire. Certo, la preoccupazione che la sottolineatura delle differenze potesse raffreddare gli entusiasmi e rallentare il compimento dell’opera di unificazione spinse Cavour e i suoi collaboratori a non esprimere in pubblico la loro percezione negativa di una realtà politica e sociale tanto diversa dalle aspettative. Essa, infatti, non affiorò nelle discussioni parlamentari che sancirono l’annessione delle province meridionali del Regno d’Italia. Quegli stessi uomini, però, manifestarono apertamente tutta la loro grande delusione negli scambi epistolari assai intensi di quei mesi che, se servirono a dare informazioni indispensabili sulle popolazioni meridionali, diffusero anche all’interno della classe dirigente un’immagine fortemente negativa del Sud, di cui l’«indole» della popolazione diventò subito l’elemento caratterizzante. Coloro che furono inviati a Napoli con compiti di governo e di amministrazione delle nuove province prima della proclamazione del Regno d’Italia attribuirono ai napoletani la colpa delle difficoltà che incontravano nel gestire la transizione. […] I giudizi di chi avvertiva la difficoltà quotidiana di governare una popolazione ben presto definita «ingovernabile» si arricchirono col passar del tempo di notazioni che, pur articolandosi maggiormente rispetto alle rappresentazioni iniziali, ne accentuarono gli elementi negativi, ponendo le basi di quello che in breve tempo sarebbe diventato lo stereotipo del meridionale pigro, corrotto e vile e del Mezzogiorno «cancrena» dell’Italia.
pregiudizi si rafforzarono nella seconda metà dell’800, grazie soprattutto alle teorie della cosiddetta “scuola antropologica”, secondo la quale l’arretratezza del Sud sarebbe stata la conseguenza dell’inciviltà della presunta “razza mediterranea”. La storica italiana Claudia Petraccone sottolinea come queste teorie assumessero delle connotazioni razzistiche che già dai contemporanei furono interpretate come simili a quelle diffuse sulle popolazioni dei paesi colonizzati o che si puntava a colonizzare.
A loro volta, le impressioni, i racconti, i contatti spesso superficiali e assai rapidi, che avevano costituito il modo principale dell’incontro tra settentrionali e meridionali, diedero origine a una serie di comportamenti quotidiani e di provvedimenti legislativi che modificarono radicalmente e in brevissimo tempo i sentimenti di entusiasmo e di sostegno con cui la popolazione napoletana aveva accolto i garibaldini. Nel giro di qualche mese i «fratelli del Settentrione» si trasformarono da liberatori in conquistatori e si diffuse inizialmente a Napoli, e poi anche nelle province dell’ex Regno delle Due Sicilie, un malcontento che si trasformò in molti casi in delusione e talora anche in risentimento e contribuì a far riaffiorare anche in molti liberali moderati che avevano aderito agli ideali unitari italiani il sentimento di un’identità napoletana, da mantenere in vita anche nella nuova entità statale. […] Venuto meno l’entusiasmo dei primi anni postunitari, nell’ultimo decennio del secolo si diffuse nel paese la sensazione di trovarsi di fronte a una crisi profonda, che coinvolgeva tutti gli aspetti della società italiana. Fu soprattutto la cosiddetta scuola antropologica a contribuire al dibattito sulle origini della crisi e fu essa [...] a dare veste scientifica e diffusione alla tesi secondo cui i meridionali erano «una delle cause precipue1 della presente decadenza italiana». Nel corso della discussione si sviluppò un nuovo concetto di nazione, intesa come realtà etnografica strettamente dipendente dalle condizioni geografiche e climatiche in cui vivevano i popoli che avrebbero dovuto comporla. La scuola antropologica, sulla scorta del metodo positivistico, individuò nelle differenze etnografiche tra le «due Italie» la causa prima delle gravi difficoltà che stava incontrando, dopo la nascita dell’unità politica, il processo di formazione della nazione. La presunta scoperta di rilevanti differenze tra i dati fisici e biologici dei
meridionali e dei settentrionali fu messa in rapporto con quelle difficoltà, portando alla conclusione che lo Stato nato nel 1861 non coincideva con la nazione. […] In Italia una diffusione assai ampia alle tesi della scuola antropologica applicate alla questione meridionale fu data da un giovane studioso siciliano, Alfredo Niceforo, che tra il 1897 e il 1901 pubblicò tre opere di carattere divulgativo destinate a suscitare discussioni e polemiche assai vivaci […]. Il loro elemento unificante era la constatazione dello stato di decadenza di un’Italia definita «fiacca e anemica» […]. All’origine vi era il fatto che al suo interno vivevano «due società ben diverse per grado di civiltà, per vita sociale, per colore morale»: l’Italia del Sud si presentava «con una struttura morale e sociale che rammentava2 tempi primitivi e fors’anco quasi barbari, una struttura sociale propria delle civiltà inferiori» […]. Per risalire alle cause dell’inferiorità dell’Italia meridionale, […] Niceforo chiamò in causa l’esistenza di due razze diverse che popolavano le «due Italie»: «l’Italia è formata da due stirpi ben dissimili tra loro, anzi di caratteri fisici e psicologici del tutto diversi; una di queste stirpi popola il nord e il centro, l’altra il sud e le isole». Le due razze erano costituite dai «mediterranei» al Sud e dagli «arii» al Nord, fino alla Toscana. […] La discussione sulle tesi di Niceforo fu aperta in maniera assai vivace da Napoleone Colajanni3, che, in un opuscolo intitolato significativamente Per la razza maledetta (1898), attaccò direttamente […] tutta la scuola antropologica […].
1. Principali. 2. Ricordava, faceva pensare. 3. Napoleone Colajanni (1847-1921), uomo politico siciliano.
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FARESTORIA Discriminazioni e pregiudizi in Europa e negli Stati Uniti di fine ’800
Per Colajanni […] le cause dell’inferiorità del Mezzogiorno non andavano cercate nell’antropologia, ma nei fattori sociali ed economici. Le tesi sull’inferiorità razziale dei meridionali costituivano per lui la conferma che la sua interpretazione del rapporto di tipo coloniale che dopo l’unità si era stabilito tra il Nord e il Sud era giusta e che, a maggior ragione, era preoccupante la definizione di Niceforo della razza «mediterranea» come «ina-
dattabile, impossibilitata a progredire e ad evolversi, cristallizzata», poiché essa prefigurava per il Sud un futuro simile a
quello che le potenze coloniali riservavano ai popoli conquistati.
METODO DI STUDIO
a Individua le tappe che portarono alla creazione dell’idea dell’esistenza di due razze diverse che popolavano le «due Italie» e agli stereotipi ad esse legati. Quindi rendile visibili attraverso dei titoli che scriverai al lato del testo e che trascriverai sul quaderno. b Sintetizza sul quaderno ogni tappa da te individuata nel punto precedente, mettendone in rilievo le dinamiche e i protagonisti storici. c Spiega perché, secondo te, il brano è stato intitolato L’Unità d’Italia e la scoperta del Sud.
PISTE DI LAVORO
DAI DOCUMENTI ALLA STORIA 1 Dopo aver letto il documento scritto da Douglass [►163d] e il brano di Levine [►164] e aver studiato la FONTE ICONOGRAFICA 14 ricostruisci i cambiamenti che gli schiavi d’America si trovarono a vivere con la fine della guerra civile americana citando opportunamente le fonti. Descrivi, infine, i risultati delle lotte antischiaviste di questi anni. 2 Scrivi un testo di circa 20 righe su come sopravvivono gli stereotipi sulla natura della donna e sul ruolo a cui è chiamata nella società malgrado le lotte militari e civili a cui molte partecipano. Fai riferimento ai brani di Bédarida [►158], di Gay [►160], di Mitchell [►162] e ai documenti scritti da Mantegazza [►159d] e da Michel [►161d]. Evidenzia nei documenti presi in considerazione i concetti che intendi utilizzare nelle tue argomentazioni e le parti delle fonti storiche che intendi citare e numerale in ordine crescente. Quindi, indica fra parentesi, all’interno del tuo elaborato, i concetti o le citazioni a cui fai riferimento. Scegli un taglio e un titolo per il tuo elaborato e realizza la scaletta degli argomenti che intendi seguire.
IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 3 Facendo riferimento alle fonti e ai documenti storiografici del tema trattato, scrivi un testo argomentativo di circa 30 righe sulla tesi sostenuta nella parte introduttiva della sezione e riportata qui di seguito: «Nella seconda metà dell’800, nonostante gli indiscutibili progressi scientifici e tecnologici, si registrarono ben pochi cambiamenti sotto il profilo dei valori morali più diffusi. In generale, infatti, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti era ancora forte quella cultura che considerava le donne, gli afroamericani o le popolazioni di gran parte dell’Asia e dell’Africa come individui meno intelligenti e capaci e, dunque, bisognosi di protezione». Prima di scrivere, individua nei testi i passaggi che possono aiutarti a costruire il tuo discorso. Trascrivili brevemente sul quaderno e utilizzali per costruire una mappa concettuale che userai come scaletta della tua argomentazione.
ARMI, TELEGRAFO E FERROVIE: TECNOLOGIA, IDENTITÀ NAZIONALE E GUERRA ALLA FINE DELL’800
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Le grandi innovazioni tecniche figlie della prima e della seconda rivoluzione industriale non ebbero effetti solo nel settore della produzione: esse, anzi, comportarono cambiamenti imprevedibili e irreversibili tanto nel settore delle telecomunicazioni quanto in quello bellico. La tecnologia industriale, infatti, fu sempre più impiegata per fini militari. Il primo esempio di «guerra industriale» o, come è stato detto in seguito, di «guerra totale», fu costituito dalla guerra civile americana: come messo in luce dallo storico italiano Arnaldo Testi [►168], in quel contesto l’utilizzo di nuove armi si unì a quello di nuovi sistemi di comunicazione (il telegrafo) per dar vita a una nuova forma di conflitto. La produzione di armi più efficaci ebbe, però, i suoi effetti più importanti nelle conquiste coloniali. Se inizialmente, nella prima fase di penetrazione coloniale, le tecnologie chiave furono i battelli a vapore e l’impiego profilattico del chinino (un alcaloide che serviva a prevenire la malaria, che avrebbe potuto facilmente decimare gli occidentali in Asia e in Africa), nella successiva fase di conquista furono i
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
fucili e le mitragliatrici a giocare un ruolo di primo piano. Secondo lo studioso statunitense Daniel R. Headrick [►169], infatti, le armi si fecero gradualmente sempre più potenti e precise, consentendo un indubbio vantaggio tecnologico agli occidentali. Nella successiva fase di consolidamento del dominio imperiale, basato sull’accentuazione dello sfruttamento economico delle colonie, furono invece le linee di navigazione a vapore, il Canale di Suez, i cavi telegrafici sottomarini e le ferrovie coloniali a rivestire un’importanza fondamentale. Nel mondo occidentale, e soprattutto in Gran Bretagna, a partire dagli anni ’40 dell’800 iniziò infatti una vera e propria fase di “febbre delle ferrovie”. I fautori della ferrovia sognavano di diffondere in tutto il pianeta rotaie e treni e, tra tutti i paesi, era soprattutto la colonia britannica dell’India a sembrare averne un particolare bisogno, come messo in luce dagli storici Tony Ballantyne e Antoinette Burton [►170]. L’introduzione delle ferrovie, inoltre, comportò dei rilevanti cambiamenti culturali ed ebbe un grande impatto sulle società che ne furono attraversate. Stefano Maggi [►171] illustra, nel brano proposto, come la diffusione delle linee ferroviarie in Italia rafforzò lo sviluppo della coscienza nazionale e, dunque, costituì un veicolo di nazionalizzazione delle masse.
168 A. TESTI LA GUERRA CIVILE AMERICANA: UNA GUERRA TOTALE
A. Testi, La formazione degli Stati Uniti, il Mulino, Bologna 2013, pp. 171-73; 202; 212-13.
Intorno alla metà dell’800, gli Stati Uniti furono attraversati da un grande progresso tecnologico: nuovi mezzi di trasporto (il treno e il transatlantico a vapore) e nuovi modi di comunicare (il telegrafo) consentirono di avvicinare non solo le due coste del continente, ma anche tutto il paese I nervi del paese: notizie e velocità La conquista dello spazio fu accompagnata dalla conquista del tempo, cioè dalla velocità di comunicazione. In pochi decenni tutto cambiò, e il contrasto fra il prima e il dopo era drammatico. […] Le straordinarie virtù della stampa e del telegrafo, delle ferrovie e delle altre applicazioni della tecnologia a vapore, accelerarono i tempi della vita politica e imperiale, commerciale e quotidiana. Diedero agli americani una nuova idea dello spazio. Intorno al 1860, grazie ai battelli transatlantici a vapore che stavano sostituendo le navi a vela, il continente nordamericano era a nove giorni di viaggio dall’Inghilterra, molto più vicino all’Europa. Grazie alle ferrovie, che avevano velocità due o tre volte superiori a quelle delle carrozze a cavalli, anche l’immenso paese divenne più piccolo e accessibile. Per alcuni si trattava di velocità spaventose, strumenti di Satana per confondere le anime degli uomini; per altri, di segni tangibili di progresso. Per tutti, l’impressione era che le distanze si contraessero. Le nuove macchine, scrisse un periodico, trionfavano «sul tempo e sullo spazio […] annullando ogni ostacolo sul mare e sulla
all’Europa. Per Arnaldo Testi (nato nel 1947), uno dei maggiori studiosi italiani della storia statunitense, questi progressi tecnologici manifestarono le loro conseguenze più evidenti nella guerra civile americana, che può essere considerata una delle prime «guerre totali». Essa, infatti, utilizzando le nuove tecnologie, coinvolse totalmente anche la popolazione civile degli Stati del Nord e di quelli del Sud e convogliò tutte le loro risorse – economiche e propagandistiche – nello sforzo bellico.
terra» (1846). Con un salto d’immaginazione, anche i nuovi territori nel lontano ovest sembrarono a portata di mano, partecipi della vita collettiva. […] Il telegrafo fu salutato come un mezzo per tenere insieme la nazione e per rafforzare la democrazia, proprio mentre milioni di persone si muovevano verso ovest. […] L’innovazione era in effetti radicale. Per la prima volta nella storia si operava una vera separazione fra la comunicazione di informazioni e il trasporto di cose e persone. Fino ad allora le informazioni avevano viaggiato alla velocità del messaggero umano che le portava; ora non era più così. […] Il telegrafo influenzò il modo di operare della stampa. Rese la raccolta di notizie da tutto il paese e, in prospettiva, dal mondo velocissima e accurata, ma anche costosa. Per sopportare meglio i costi alcuni quotidiani americani fondarono la Associated Press (1848), un’agenzia cooperativa che forniva informazioni a tutti i giornali abbonati. […] La guerra totale La guerra durò quattro anni, dal 1861 al 1865, e fu una guerra totale. Dopo esser-
si inizialmente affidate ai volontari, entrambe le parti ricorsero alla coscrizione obbligatoria, la prima nella storia del paese. In tutto, la Confederazione arruolò 900.000 uomini, l’Unione più di 2 milioni, di cui 500.000 nati all’estero. Il numero di morti fu altissimo, oltre 750.000 secondo le stime più recenti (la cifra accettata finora era circa 620.000). il totale delle vittime fu superiore a quello patito dagli Stati Uniti in tutte le guerre precedenti e successive, comprese quelle mondiali del Novecento. Anche i civili pagarono prezzi elevati, ne morirono circa 50.000, in genere per cause indirette, per la distruzione di risorse e proprietà, per le cattive condizioni di vita, per fame e malattie. Ciò accadde soprattutto nel sud, dove si svolse gran parte dei combattimenti. Città come Richmond, Charleston e Atlanta furono distrutte; le campagne furono ridotte in rovina. Il costo complessivo del conflitto fu di 20 miliardi di dollari, una cifra eguale a cinque volte la somma delle spese del governo federale dalla fondazione al 1865. L’enormità di queste cifre fu dovuta ai caratteri nuovi assunti dalla guerra, che fu condotta da grandi masse, con tecnologie industriali e armi micidiali. L’artiglieria e
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FARESTORIA Armi, telegrafo e ferrovie: tecnologia, identità nazionale e guerra alla fine dell’800
i fucili di Springfield1 falciavano i soldati; se non uccidevano subito, provocavano ferite infette che uccidevano più tardi. La vita di trincea, il cibo avariato e la pessima igiene uccisero più delle battaglie (a ciò fu dovuto il 60% dei morti del nord). Inoltre la guerra divenne lotta per la vittoria senza condizioni. I contendenti si battevano per valori assoluti, per l’indipendenza o per la riunificazione nazionale; ogni compromesso equivaleva alla sconfitta. Alla Confederazione, in verità, bastava difendersi, tenere in scacco il nemico, continuare a resistere. Non così all’Unione, che per vincere doveva cancellare l’avversario, occuparne il territorio, sottometterlo. Negli ultimi due anni del conflitto, il nord scatenò contro il sud tutto il suo potenziale distruttivo, e lo travolse. […] Soprattutto nel nord, la bontà della causa presso l’opinione pubblica fu sostenuta dalla maggioranza dei mezzi di comunicazione di massa. I giornali popolari, ormai diffusissimi, e sempre più diffusi proprio per l’interesse suscitato dagli straordinari eventi bellici, «coprirono» la guerra con un’intensità senza precedenti. Inviarono centinaia di reporter su tutti i fronti al seguito delle truppe. Grazie al
telegrafo, i loro dispacci arrivarono con rapidità alle redazioni dei quotidiani e quindi ai lettori, nelle città e nelle campagne. Gli americani seppero quindi in tempo reale di operazioni militari, strategie e tattiche, vittorie e sconfitte, atti di eroismo veri o presunti. I periodici settimanali e mensili aggiunsero la dimensione visuale: sketch di campi di battaglia disegnati da artisti sul posto, e vignette satiriche di commento. Il cartoonist di origini tedesche Thomas Nast, sul settimanale illustrato «Harper’s Weekly», divenne molto influente; era un unionista convinto, e per il patriottismo del suo lavoro fu definito da Lincoln «il nostro miglior sergente reclutatore». E poi c’era una novità, la fotografia. Campi di battaglia, ufficiali e soldati, morti e feriti furono ripresi da centinaia di fotografi. Non era un lavoro facile. Le apparecchiature erano ingombranti e difficili da trasportare, i tempi di posa lunghi richiedevano l’immobilità dei soggetti; quindi le immagini erano statiche, e tuttavia molte di esse erano impressionanti proprio per questa loro staticità. Per la prima volta era possibile vedere i corpi dei caduti sparsi sul terreno, coperti di sangue, mutilati, guardarli in viso, guar-
169 D.R. HEADRICK ARMI E GUERRE COLONIALI
D.R. Headrick, Il predominio dell’Occidente. Tecnologia, ambiente, imperialismo¸ il Mulino, Bologna 2011, pp. 227-35.
Il rapporto tra le innovazioni tecnologiche e le conquiste coloniali europee in Africa e in Asia è stato molto stretto: le macchine a vapore, il perfezionamento delle armi da fuoco e le scoperte della medicina, che consentirono di sconfiggere la malaria che aveva tenuto lontano per secoli gli europei dall’interno dell’Africa, furono infatti fonda-
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Il XIX secolo fu, dopo il XVI, quello contrassegnato dalla maggiore e più spettacolare espansione della potenza europea nel mondo. […] A partire dagli anni trenta e quaranta, giunse una nuova era in cui l’industrializzazione e i progressi della scienza resero sempre più facile, economico e allettante per gli europei dedicarsi alle guerre di conquista. […] Fu un nuovo cambiamento tecnologico – l’invenzione di nuove armi da fuoco e la loro ineguale diffusione nel mondo – a rendere così rapido il «nuovo imperialismo» del secondo Ottocento. Il XIX secolo superò ogni altro per numero di innovazioni nel settore delle armi da fuoco. Le innovazioni che aumentavano
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
darli negli occhi, contemplare da lontano la morte. Le fotografie raggiunsero il grande pubblico in maniera indiretta; per essere stampate sui giornali dovevano venire riprodotte a mano in incisioni di legno (xilografie), perdendo in immediatezza e intimità drammatica. Gli operatori più intraprendenti, e fra essi il più famoso, Mathew Brady, cercarono di divulgarle e di ricavarne un profitto vendendone le copie, producendo album e libri, organizzando mostre. Fecero sensazione. Ma quale effetto avessero sul morale e sulla determinazione dei cittadini a proseguire il grande macello è difficile dire. 1. Città del Massachusetts.
METODO DI STUDIO
a Cerchia le innovazioni tecnologiche descritte e sottolinea quelle che ritieni essere le principali parole chiave afferenti alle relative caratteristiche o agli effetti. Quindi trascrivile sul quaderno e argomenta la tua scelta per iscritto. b Spiega per iscritto perché la guerra civile americana viene definita «guerra totale» e quale ruolo hanno avuto in essa le innovazioni tecnologiche descritte.
mentali per l’avvio delle imprese coloniali. La tecnologia costituisce, dunque, un elemento necessario, anche se non sufficiente, per spiegare il nuovo imperialismo in Africa e in Asia. Secondo lo storico Daniel R. Headrick (nato nel 1941), a rendere possibile, rapida e poco costosa la cosiddetta «corsa per l’Africa» fu proprio la rivoluzione nel settore delle armi da fuoco, figlia della rivoluzione industriale e conseguenza delle rivalità tra gli Stati europei e tra essi e gli statunitensi.
la facilità di ricaricare, la rapidità nel fare fuoco nonché l’accuratezza e la varietà dei proiettili conferirono a coloro che disponevano dei nuovi fucili la capacità di dominare e soggiogare coloro che non ne possedevano. Le cause di queste innovazioni furono tre: le rivalità tra le nazioni europee e le guerre negli Stati Uniti; una cultura che esaltava e premiava l’invenzione; e l’industrializzazione nel mondo occidentale che fornì armi nuove e potenti. Fino agli anni quaranta l’arma da fuoco standard per i militari fu il moschetto a canna liscia ad avancarica1. […] Sparava un proiettile rotondo con una certa precisione fino a una cinquantina di metri, ma
raramente superava la settantina di metri di gittata2; da qui l’ammonizione ai soldati di non sparare fin quando non avessero visto il bianco degli occhi del nemico. Caricare quei fucili era un’operazione complessa che doveva essere effettuata stando in piedi e che sovente richiedeva un minuto; solo i soldati perfettamente addestrati erano in grado di caricare e fare fuoco tre volte in un minuto. Poiché la polvere da sparo nello scodellino prendeva fuoco gra-
1. Che si carica dalla parte anteriore. 2. La massima distanza che possono raggiungere i proiettili.
zie a una scintilla della pietra focaia, questo tipo di fucili era sensibile all’umidità e non si poteva pretendere che facesse fuoco più di sei o sette volte su dieci tentativi. Si diceva che i soldati sparassero una quantità di piombo pari al proprio peso per ogni nemico ucciso. […] Il lungo periodo di conservatorismo tecnologico nella fabbricazione dei fucili terminò dopo le guerre napoleoniche. La prima innovazione significativa fu l’innesco a percussione3. […] I fucili a percussione facevano cilecca solo 4,5 volte su mille spari, il che rappresentava un grande progresso rispetto ai fucili a pietra focaia che si inceppavano 411 volte su mille. […] L’invenzione successiva fu il fucile ad ago, […] adottato dall’esercito prussiano nel 1842. Si trattò del primo fucile a retrocarica4 prodotto in grandi quantità, un’arma con la quale si poteva caricare e sparare da cinque a sette volte al minuto e dalla posizione prona anziché in piedi. […] Nel 1848 il capitano Minié dell’esercito francese sviluppò un proiettile cilindrico con testa conica e base cava che si espandeva al momento dello sparo. Il proiettile era abbinato a una quantità premisurata di polvere da sparo in una cartuccia di carta. Con questo proiettile i fucili potevano essere caricati facilmente e rapidamente […]. Nei primi anni cinquanta gli eserciti francese e inglese cominciarono a sostituire i loro moschetti con i fucili usando i proiettili Minié. I risultati furono stupefacenti. A cento metri un fucile Minié colpiva il bersaglio il 94,5 per cento delle volte contro il 74,5 per cento del moschetto; a quattrocento metri i fucili Minié colpivano il bersaglio il 52,5 per cento delle volte contro solo il 4,5 per cento dei moschetti. […] Il ritmo delle innovazioni continuò negli
anni settanta. Dopo estenuanti esperimenti, l’esercito britannico adottò un nuovo fucile, il Martini-Henry […]. Aveva un calibro5 inferiore al predecessore, e ciò voleva dire che i soldati potevano portare più munizioni. Usava cartucce di ottone ben più affidabili delle precedenti di carta. Era affidabile e preciso oltre settecento metri. Fu adottato, con numerose modifiche, fino alla prima guerra mondiale e assai utilizzato nelle guerre coloniali britanniche in Africa. […] Il progresso tecnologico non si fermò qui. Tre altre innovazioni costrinsero gli eserciti a sostituire i loro fucili obsoleti con modelli più aggiornati. Una fu l’introduzione dell’acciaio al posto del ferro […]. L’acciaio era molto più robusto e durevole del ferro per le canne da fuoco […]. La polvere da sparo, in uso fin dal XIV secolo, emetteva un fumo nero che tradiva la posizione del tiratore […]. Nel 1885 il chimico francese Paul Vieille inventò una miscela di celluloide e alcol etilico che non solo esplodeva senza fumo […] ma era assai più potente e impartiva al proiettile in canna una velocità assai più elevata rispetto alla polvere da sparo. […] Come scrisse uno storico, i nuovi proiettili provocavano «ferite orribili, il foro d’entrata è appena visibile, ma quello d’uscita somiglia a un imbuto […] la carne è ridotta a poltiglia». Un’ultima «miglioria» particolarmente sinistra fu l’invenzione di proiettili a testa cava o piatta che si espandevano a fungo nel momento in cui colpivano la carne, producendo un foro della grandezza di un pugno. […] Erano pensati espressamente per la guerra coloniale secondo il ragionamento per cui «le tribù selvagge […] non si facevano impressionare a sufficienza dalle pallottole» […].
170 T. BALLANTYNE • A. BURTON MODERNITÀ IMPERIALE E FERROVIE
T. Ballantyne, A. Burton, Imperi e mire globali, in Storia del mondo, 5, I mercati e le guerre mondiali, 1870-1945, a c. di E.S. Rosenberg, Einaudi, Torino 2015, pp. 379-83; 390-92.
La costruzione delle ferrovie incise profondamente sul processo di costituzione e sul mantenimento dei grandi imperi: esse costituirono, infatti, un importante strumento di potere e di conquista del territorio. Solo l’India britannica, tuttavia, conobbe Secondo Karl Marx, «ferrovie, locomotive e telegrafi elettrici [...] sono organi della volontà umana sulla natura [...] organi del
I generali erano interessati a molte altre armi oltre ai fucili […]. Nei contesti coloniali furono più importanti le mitragliatrici. La prima fu la Gatling, prodotto della guerra civile americana. Questo mostro a canne multiple poteva sparare fino a tremila colpi al minuto, ma spesso si inceppava o si surriscaldava. […] La prima mitragliatrice a rivelarsi d’uso pratico nelle guerre coloniali fu la Maxim, brevettata dall’americano Hiram Maxim nel 1884. Era un fucile automatico a canna singola […] e poteva sparare undici colpi al secondo. […] L’acciaio, la polvere senza fumo, le cartucce in ottone e le molte parti di precisione di cui le armi da fuoco erano composte richiedevano fabbriche di tipo industriale. Solo i paesi industrializzati avevano i mezzi per fabbricare tali armi. Soltanto i maggiori paesi europei e gli Stati Uniti disponevano delle acciaierie, degli impianti chimici e delle fabbriche di armi necessari per produrre quanto serviva per armarsi. Le repubbliche latinoamericane importavano quello che potevano permettersi. Il resto del mondo era molto più indietro. 3. Forma di accensione delle cariche basata sull’urto di un percussore sopra una piccola quantità di esplosivo (contenuto nella capsula dell’innesco) altamente sensibile. 4. Che si carica dalla parte posteriore. 5. Diametro della canna.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi le cause e i vantaggi delle innovazioni militari descritte e rendi riconoscibili queste ultime cerchiandone il nome. b Spiega per iscritto in che modo lo sviluppo della tecnologia bellica favorì le imprese coloniali citando anche degli esempi.
un intenso sviluppo ferroviario: la prima linea fu aperta già nel 1853 e nel 1870 la rete indiana contava 8 mila chilometri. In pochi anni fu così costruita la quarta rete ferroviaria al mondo in ordine di lunghezza, superata solo da quelle degli Stati Uniti, del Canada e della Russia. In questo brano, lo storico neozelandese Tony Ballantyne (nato nel 1972) e la storica statunitense Antoinette Burton (nata nel 1961) analizzano l’impatto delle innovazioni tecnologiche sui contesti coloniali, con particolare riferimento allo sviluppo delle reti ferroviarie.
cervello umano creati dalla mano umana: capacità scientifica oggettivata», disponibile alle nazioni industriali.
Queste tecnologie furono indispensabili a un industrialismo marcatamente espansionistico, e furono anche alla base
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FARESTORIA Armi, telegrafo e ferrovie: tecnologia, identità nazionale e guerra alla fine dell’800
di sistemi imperiali alimentati e plasmati da questa forma di organizzazione economica. Ferrovie e telegrafi sono esempi della massima importanza […]. Poiché richiedevano investimenti molto elevati in termini di capitale e di lavoro, pianificazione dettagliata, continua manutenzione e un sistema sostanzialmente manageriale, questi complessi della comunicazione diventarono gli elementi fondamentali della pratica imperiale dal 1870 in poi. […] Questa fase, iniziata con l’avanzamento del naviglio a vapore e conclusasi con l’avvento delle linee aeree […], fu testimone di una serie di sviluppi tecnologici che moltiplicarono le possibilità degli occidentali di spingersi in luoghi remoti ed «esotici» per motivi diversi: filantropici, turistici, riformatori o tutt’e tre insieme. Alla base di questo impulso allo sviluppo delle nuove modalità di trasporto e di connessione transnazionale c’erano motivi economici quali l’esigenza di aprire nuovi mercati e il forte fabbisogno di materie prime; ciò nondimeno una conseguenza di portata globale fu la trasformazione delle relazioni sociali tra colonizzatore e colonizzato. […] Dato il grande contributo alla costruzione delle ferrovie in più continenti, non è esagerato affermare che i lavoratori asiatici furono fondamentali nei processi che, in questo periodo, contribuirono a collegare varie parti del mondo. […] Uno degli aspetti meno studiati dei sistemi imperiali di comunicazione e di trasporto è quello dei corpi dei colonizzati, vera e propria materia prima della creazione di questi sistemi di collegamento. Le industrie capitalistiche impiegarono lavoratori asserviti da contratto a termine, nuovi migranti, manovali delle caste inferiori e popolazioni tribali seminomadi per disboscare, prosciugare paludi e preparare il territorio alla costruzione delle «autostrade»
dell’impero quali linee telegrafiche e ferroviarie, reti stradali e attrezzature portuali. Furono in primo luogo i lavoratori non bianchi a erigere l’impero sobbarcandosi i compiti più duri e logoranti. A causa del loro inserimento in gerarchie del lavoro razzializzate1, i lavoratori non bianchi diventarono particolarmente vulnerabili. Furono in gran parte i loro corpi a essere stroncati da malattie quali il colera e l’influenza epidemica, mentre treni e piroscafi a vapore solcavano da una parte all’altra gli oceani e attraversavano migliaia di confini a velocità impressionante. […] Dopo il 1870, vapore ed elettricità furono fondamentali per lo sviluppo di tutte le economie coloniali britanniche. Per quanto riguarda le colonie tropicali, le ferrovie furono cruciali per accedere a merci di valore e per trasportare prodotti finiti e forza lavoro nelle grandi città portuali, veri e propri gangli del sistema imperiale britannico. In India, reti ferroviarie estese e articolate collegavano all’economia imperiale sia gli empori più remoti sia i centri più importanti. Nello stesso tempo, la ferrovia si rivelò d’importanza strategica nel «Grande gioco»2 con la Russia nel nord-ovest dell’India e nell’Asia centrale. La rete ferroviaria indiana fu ritenuta d’importanza vitale per contrastare la crescente influenza del potere imperiale russo in Asia centrale, influenza data anche dall’estensione della sua rete ferroviaria caspica e trans-caspica. Il sistema ferroviario indiano, che superò per estensione quello metropolitano nel 1895, era noto per il suo elevato livello tecnico, per i ponti impressionanti che attraversavano le grandi via d’acqua dell’Asia meridionale, per la gestione rigorosa. […] Il circuito coloniale indiano metteva in collegamento i centri commerciali dell’entroterra con la costa, ma le sue linee ferroviarie attraversavano,
171 S. MAGGI RETE FERROVIARIA E NAZIONALIZZAZIONE DELLE MASSE
S. Maggi, Le ferrovie, il Mulino, Bologna 2003, pp. 90-94.
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Nell’Italia preunitaria, la prima ferrovia era stata aperta nel 1839 nel Regno delle Due Sicilie: si trattava, tuttavia, di una rete molto breve (poco più di 7 km), che collegava solo Napoli e Granatello di Portici. La costruzione di una rete ferroviaria su larga scala fu invece successiva alla costituzione di uno Stato unitario e divenne uno dei simboli della nuova unità nazionale consentendo agli italiani di entrare in contatto tra loro. Le reti preunitarie vennero così trasformate in una rete
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
spesso, strade e direttrici di movimento esistenti, tagliando fuori alcune città sede di mercati consolidati e vie d’acqua importanti. Di conseguenza, vennero a crearsi nuove diseguaglianze economiche intraregionali interregionali che si coagularono rapidamente lungo le linee ferroviarie dell’impero. Queste trasformazioni confermano che gli investimenti britannici nelle ferrovie indiane rispondevano all’intento di conferire all’economia indiana un rinnovato orientamento verso l’esterno, fondamentale per trasformare un’economia pensata per l’esportazione di tessuti in una fonte importante di materie prime e in uno sbocco di merci di produzione britannica. Per contro, le colonie africane della Gran Bretagna, con l’eccezione dell’Unione Sudafricana, disponevano di reti ferroviarie ridotte e sottocapitalizzate, realizzate, inoltre, più tardi che in India. […] In linea generale si trattò […] di linee costose e inefficienti. L’Africa tropicale non fu mai inserita altrettanto saldamente dell’India nell’Impero britannico né, del resto, in nessun altro impero europeo. 1. Basate sull’appartenenza etnica. 2. Il conflitto diplomatico tra Gran Bretagna e Russia per il controllo del Medio Oriente e dell’Asia centrale, che ebbe corso per tutto il XIX secolo. METODO DI STUDIO
a Cerchia i nomi delle innovazioni presentate, sottolineane i maggiori vantaggi apportati ed evidenziane l’ambito e il continente di applicazione. b Argomenta per iscritto la seguente frase: «Queste tecnologie furono indispensabili a un industrialismo marcatamente espansionistico, e furono anche alla base di sistemi imperiali alimentati e plasmati da questa forma di organizzazione economica».
nazionale: nel 1861, la rete ferroviaria del Regno d’Italia era estesa per circa 2 mila km e nel 1866, al momento dell’annessione del Veneto, raggiunse i 5 mila. Al momento della conquista di Roma, la rete ferroviaria nazionale era sviluppata per 6 mila km. Nel corso di un decennio, era dunque triplicata: delle 34 province inizialmente non raggiunte dalla ferrovia, ne rimanevano solo 9. Nel seguente brano, lo storico Stefano Maggi (nato nel 1966) illustra le trasformazioni culturali che accompagnarono la diffusione delle linee ferroviarie, tutte dirette al processo di nazionalizzazione delle masse.
Nell’Italia preunitaria, spostarsi da una regione all’altra era assai lento anche dopo l’attivazione delle prime strade ferrate1 […]. Persino gli orologi della penisola parlavano linguaggi diversi. Nell’Italia del primo Ottocento, infatti, in alcune zone il calcolo dell’ora rimaneva differente da quello normale dell’Europa, che per convenzione partiva dalla mezzanotte come punto fisso per il conteggio delle ore. A Torino, Parma e Firenze il tempo era calcolato così, ma l’orologio del campanile veniva rimesso a posto in base al mezzogiorno solare, che determinava differenze di vari minuti tra un luogo e l’altro a seconda della latitudine e soprattutto della longitudine. In altre parti del paese, invece, il conteggio cominciava al tramonto, con tutti i problemi che ciò determinava per i mutamenti di luce secondo la stagione: l’orario ufficiale, quindi, cambiava ogni primo giorno di ogni mese, dato che l’orologio batteva le una un’ora dopo il tramonto del sole. Il problema, comunque, non era insormontabile visto che quasi nessuno controllava l’orario […]. Tale situazione cambiò, nella penisola italiana come negli altri paesi, con l’avvento della ferrovia, che diminuendo in misura precedentemente impensabile i tempi di percorrenza e dando vita a una rete nazionale, richiese l’uniformità dell’orario come condizione indispensabile per la circolazione dei treni. Fu così necessario standardizzare l’orario tra le diverse città, e l’unità della nazione fu accompagnata dall’unità di tempo. Poco dopo la proclamazione del Regno d’Italia, si cominciò un primo coordinamento degli orari ferroviari: le strade ferrate della parte occidentale della penisola vennero regolate al tempo di Torino, mentre quelle venete, rimanendo al momento separate sotto l’Austria, si rifacevano al tempo di Verona, in anticipo di 13 minuti su Torino. Infine i treni toscani, che non
erano ancora collegati agli altri, viaggiavano secondo il tempo di Firenze, in anticipo di 15 minuti su quello di Torino. Nel 1866, con l’annessione del Veneto, venne poi emanato un decreto su proposta del ministro dei Lavori pubblici, con il quale fu stabilito che: Il servizio dei convogli nelle ferrovie, quello dei telegrafi, delle poste, delle messaggerie e dei piroscafi postali nelle Province continentali del Regno d’Italia, verrà regolato col tempo medio di Roma a datare dal giorno in cui sarà attivato l’orario delle strade ferrate per la prossima stagione invernale 1866-67. […]
Prima ancora di diventare capitale d’Italia, Roma aveva quindi cominciato a dare l’orario a tutta la penisola. Le ferrovie vennero infine coordinate con l’ora dell’Europa centrale, in anticipo di 10 minuti su quella di Roma, nell’agosto 1893. La rete ferroviaria e l’apertura dei valichi alpini avevano perciò portato un eccezionale mutamento: aumentando i contatti interni e internazionali avevano reso necessario uniformare l’orario continentale. La diversa misura del tempo, dell’orologio delle stazioni cominciò progressivamente a diffondersi in città e paesi, determinando una razionalizzazione dei comportamenti sociali. Da ricordare che all’arrivo del treno si accompagnò in genere l’inedita possibilità di trasmettere notizie in tempo reale da un luogo all’altro. In Italia la prima applicazione del telegrafo si ebbe nel giugno 1847 lungo la linea Pisa-Livorno, per opera di Carlo Matteucci, docente di fisica dell’Università di Pisa, che poi divenne direttore dei telegrafi granducali. Limitato inizialmente ai dispacci di interesse pubblico o necessari per il movimento dei treni, l’uso del telegrafo fu poi allargato ai privati sulla base di un listino prezzi reso pubblico sull’esempio delle tariffe ferroviarie. Dalla Toscana, il servizio telegrafico si estese in altri Stati e nel 1860 la penisola contava
12.000 km di linee telegrafiche, con 248 uffici. Le linee si svilupparono ulteriormente negli anni seguenti, raggiungendo pure i centri non toccati dai binari, ma ogni paese dotato di ferrovia riceveva in genere i dispacci telegrafici nell’apposito ufficio situato all’interno della stazione. […] Il legame fra treno e telegrafo continuava così a ramificarsi in giro per l’Italia […]. Treno e telegrafo determinarono importanti progressi nelle comunicazioni attraverso la penisola e nella diffusione dei giornali. La ferrovia permise il trasporto della stampa quotidiana a lungo raggio, mentre le linee telegrafiche consentirono di stampare in città diverse i giornali nazionali, facilitandone la distribuzione; inoltre fecero sì che la stampa locale ricevesse le novità importanti in tempo reale, rivoluzionando il lavoro di redazione e diffondendo in maniera capillare le informazioni. Anche la posta cominciò a utilizzare il treno e a garantire un servizio certo, economico e veloce, con orari prefissati per imbucare le buste e ristretti termini di consegna; si verificò così una sostenuta crescita della corrispondenza, che portò a espandere gli sportelli e i portalettere, nonché a introdurre una semplificazione degli adempimenti per spedire tramite il francobollo, apparso in Italia tra il 1850 nel Lombardo-Veneto e il 1858 nel Regno delle Due Sicilie, cioè in piena epoca di sviluppo ferroviario. 1. Ferrovie.
METODO DI STUDIO
a Cerchia i nomi delle innovazioni tecnologiche descritte e sottolinea le più importanti conseguenze sulla vita delle persone. b Spiega perché gli orari negli Stati preunitari non erano coincidenti e perché e in che modo furono allineati. c Descrivi il rapporto fra ferrovia e telegrafo e quali innovazioni permise quest’ultima scoperta.
PISTE DI LAVORO
LO STORICO RACCONTA 1 Descrivi sinteticamente in testi di massimo 5 righe i seguenti argomenti affrontati in questo sottopercorso storiografico: a. Le innovazioni militari di comunicazione protagoniste della guerra civile americana e i loro effetti. Fai riferimento al brano di Testi [►168]. b. Il ruolo giocato dalle nuove armi nelle conquiste coloniali. Fai riferimento al brano di Headrick [►169].
c. Il ruolo delle linee ferroviarie in Italia nella nazionalizzazione delle masse. Fai riferimento al brano di Maggi [►171]. 2 Facendo riferimento all’intero sottopercorso, scrivi un testo descrittivo di circa 15 righe in cui racconti in che modo le grandi innovazioni tecniche della seconda rivoluzione industriale comportarono cambiamenti imprevedibili e irreversibili tanto nel settore delle telecomunicazioni quanto in quello bellico.
787
FARESTORIA Armi, telegrafo e ferrovie: tecnologia, identità nazionale e guerra alla fine dell’800
CITTÀ E CAMPAGNE NELL’ITALIA POSTUNITARIA Il completamento dell’unificazione italiana comportò grandi cambiamenti politici, sociali e culturali, che ebbero dei riflessi anche nel settore urbano e produttivo del paese. Sul fronte dello sviluppo delle città, uno dei maggiori contraccolpi fu avvertito a Napoli che però, come analizzato dallo storico Francesco Barbagallo [►172], mantenne il suo aspetto di metropoli europea nonostante la perdita del suo ruolo di capitale di un regno. D’altro canto, nuove città dovettero adattarsi al nuovo ruolo di capitale: per un breve periodo, come raccontato da Raffaele Romanelli [►173], fu il turno di Firenze e poi, come ricostruito da Vittorio Vidotto [►174], quello di Roma. Una realtà diversa è quella presentata nel brano di Giuseppe Colombo [►175d], uomo politico e pioniere della Milano industriale, che descrive lo sviluppo del più importante centro economico della penisola. La seconda parte della sezione si concentra, invece, sulla situazione dell’agricoltura italiana e sul suo rapporto con il Risorgimento. La condizione delle campagne fu, infatti, al centro delle tesi di Antonio Gramsci [►176d] sulla «mancata rivoluzione agraria» e la mancata promozione di un ceto di piccoli proprietari contadini da parte della sinistra risorgimentale: queste tesi, riprese nel secondo dopoguerra dalla storiografia marxista per sostenere l’insuccesso del Risorgimento in campo economico e sociale, furono duramente contestate dallo storico liberale Rosario Romeo [►177]. Legato alle interpretazioni di Romeo è il brano di Guido Pescosolido [►178], che evidenzia come l’arretratezza delle campagne caratterizzasse tutta la penisola e non fosse dunque limitata all’Italia meridionale.
172 F. BARBAGALLO NAPOLI: UNA METROPOLI ANCORA EUROPEA
F. Barbagallo, Napoli, Belle Époque, Laterza, Roma-Bari 2015, pp. 99-103.
Nel 1861, con l’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia, Napoli cessò di essere una grande capitale. Per
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Fare i conti con Napoli è complicato. Una città con una storia plurimillenaria, forgiata dall’insediamento delle più diverse civiltà, venute dal bacino del Mediterraneo o discese dal Nord Europa. Una grande capitale europea, sempre ai vertici dell’alta cultura, ma segnata dall’analfabetismo della sua plebe eccessiva e anche di aristocratici potenti. Un riformismo troppo presto interrotto nell’intensa stagione dell’illuminismo e degli inizi di una dinastia indipendente, un tentativo di rivoluzione aristocratico-borghese sventato nel 1799 dalla reazione plebea guidata dalla Chiesa1, nell’eterno conflitto tra potenze straniere. Le contraddizioni di Napoli, che dalla natura ha avuto il privilegio di stendersi in un sito tra i più suggestivi del mondo, toccano l’apice nel periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento. È questo il momento in cui l’Italia intraprende la strada della modernità capitalistica di tipo industriale, agganciandosi all’Europa più avanzata, dalla quale era ancora ben lontana al momento dell’Unità, nel 18612. È ora che il Mezzogiorno vede crescere la distanza dal Settentrione d’Italia. E inizia ad aggra-
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
molto tempo, si è ritenuto che fosse iniziato allora per la città un periodo di decadenza. Tale tesi è stata però messa in discussione dallo storico Francesco Barbagallo (nato nel 1945), secondo il quale anche nei decenni successivi la città partenopea continuò a essere una metropoli europea, pienamente inserita nel clima intellettuale e culturale del resto del continente.
varsi la «questione meridionale» […]. Certo Napoli non era più la capitale di un grande regno, che aveva largamente sfruttato per il suo fastoso splendore. [...] L’immagine nettamente prevalente di Napoli nei primi decenni unitari è quella di una città in decadenza, una «città regia» che non riesce a trasformarsi in «città borghese», una metropoli ancora tra le più popolose d’Europa ma il cui fascino appare compromesso dalla «scoperta» delle miserabili condizioni di vita della gran parte dei suoi abitanti. Limitiamoci a considerare le riflessioni e i giudizi di uno solo tra i grandi interpreti della realtà napoletana nel primo cinquantennio italiano: Giustino Fortunato3 [...]. Nella corrispondenza napoletana dell’estate 1878 alla «Rassegna settimanale» di Sidney Sonnino e di Leopoldo Franchetti4 il trentenne giornalista, seguace della Destra storica […], delineava in pochi tratti efficaci, degni del pittore che avrebbe voluto essere, la struttura della capitale nel regno borbonico: Godendo il monopolio delle importazioni nell’interno e delle esportazioni all’estero per
un gran numero di derrate, Napoli era una città assolutamente commerciale, senza industrie, senza manifatture, senza lavoro di officine: le arti e i mestieri non traevano alimento se non da’ soli bisogni immediati della vita quotidiana, e tutta la ricchezza era compendiata nelle rendite de’ proprietarii e ne’ profitti delle industrie di provincia, ne’ lucri del commercio locale e nelle spese varie e improduttive del governo. […]
Eppure vent’anni dopo, a fine secolo, quando ancora non era stato sconfitto il tentativo reazionario del re Umberto I e 1. Sulla rivoluzione napoletana del 1799 [►8_10]. 2. ►FS, 178. 3. Giustino Fortunato (1848-1932) fu uno storico e un politico italiano di origine lucana. È considerato, per il suo interesse nel cercare una risoluzione della cosiddetta «questione meridionale», uno dei primi e principali esponenti del meridionalismo. 4. Sidney Sonnino (1847-1922) fu un importante esponente della Destra storica: tra il 1893 e il 1896 fu ministro del Tesoro e delle Finanze. Leopoldo Franchetti (1847-1917), anche lui appartenente alla Destra storica, fu giornalista e meridionalista.
le leggi eccezionali del premier, il generale Pelloux, non s’erano ancora infrante contro l’ostruzionismo parlamentare di liberali e democratici, sarà proprio Fortunato a rigettare il concetto di «decadenza» riguardo alla condizione di Napoli e del Mezzogiorno […]: Il progresso, grazie all’unità, il progresso morale è stato letteralmente enorme – scriveva […] nel settembre del 1899 –. E perciò io sono stato e sono tra que’ pochissimi, che ridono in faccia a’ piagnoni, sempre che i piagnoni versan lagrime su la così detta «decadenza». Decadenza ci sarà stata, se mai, nella rimanente Italia: qui no; cento e cento volte no. [...]
In effetti il tema della decadenza di Napoli, sul finire dell’Ottocento, era diffuso rispetto a due grossi problemi: la perdita del ruolo di città-capitale e le miserabili condizioni di vita di un popolo che contava centinaia di migliaia di persone. C’era anche la scarsissima propensione politica dei ceti che avrebbero dovuto essere dirigenti, e questo era un addebito difficile da negare alla precedente dinastia. Ma […] Napoli mostrava di avere ancora
una notevole vitalità. Era sempre la città italiana di maggiore rilievo e respiro europeo. Aveva intellettuali e qualche politico capaci di indicare soluzioni possibili per migliorare il presente e prospettare un futuro più positivo. I progetti c’erano, qualche realizzazione anche. Insomma, non si poteva dire una «città morta» [...]. Napoli era una città antica e allo stesso tempo moderna, quale la stava faticosamente, lentamente, contraddittoriamente realizzando la ristrutturazione urbanistica operata a partire dal Risanamento. Certo il nuovo volto della città, risplendente nei quartieri e nei palazzi e villini recenti del Vomero e di Chiaia5 allietati dallo stile liberty e floreale, finiva per accrescere la tendenza largamente prevalente alla rendita urbana, in una città in cui l’attività più diffusa era quella del «padrone di case». [...] Ma c’era pure una Napoli attiva nei commerci e nelle attività imprenditoriali. Certo non era Milano, né le altre due città del nascente «triangolo industriale». [...] Tra Ottocento e Novecento, però, Napoli vive davvero la sua Belle Époque6, che non è fatta solo di luminosi café chantant e seducenti
173 R. ROMANELLI L’ITALIA A FIRENZE
R. Romanelli, L’Italia a Firenze, in Gli anni di Firenze, Laterza, Roma-Bari 2013, pp. 151-63.
Dopo l’Unità d’Italia, il 27 marzo 1861, Roma era stata designata capitale del nuovo Regno: molte furono però le difficoltà che le classi dirigenti italiane dovettero affrontare prima di poIl 19 novembre 1864, con 317 voti a favore e 70 contrari, la Camera subalpina votò la legge riguardante il trasferimento della capitale del Regno d’Italia a Firenze. […] La gran maggioranza […] intendeva il trasferimento come provvisorio, […] una provvisorietà misurata non tanto in anni (cosa riservasse l’avvenire non si sapeva, a occhio si immaginava una quindicina di anni), ma significata dalla natura stessa di Firenze. [...] Se la scelta di Firenze ratificava in se stessa la provvisorietà, questo era dovuto al fatto che Firenze non aveva le caratteristiche per essere la capitale autorevole di un Regno nazionale. […] Dunque bene Firenze come capitale leggera, come non-capitale. [...] Per chi l’accettava come capitale, ed era la maggioranza, Firenze si
chanteuses7, ma anche di iniziative economiche e progetti politici, di espressioni culturali di elevato livello e delle prime, originali forme della cultura di massa. Una città, quindi, che non sembra affatto ripiegata nella nostalgia di una mitica età aurea, quando un popolo intero cantava, felice di poter vivere all’aperto per il dolce clima e di sfamarsi grazie alla benevola magnanimità di sovrani e signori. 5. Quartieri ricchi di Napoli. 6. Periodo tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900 che, soprattutto in Francia, fu caratterizzato dalla vita spensierata delle classi agiate. 7. I café chantant (o “caffè concerto”) erano caffè dove si svolgevano spettacoli di varietà di cui erano protagoniste le chanteuses.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi quelli che possono essere definiti i punti di debolezza e di forza di Napoli dopo l’Unità d’Italia. b Spiega in cosa consiste la tesi confutata da Barbagallo e su quali considerazioni si basa la teoria sostenuta dallo storico.
ter mettere in pratica questo obiettivo. Per allentare la tensione intorno alla questione di Roma, nel 1864 fu deciso un provvisorio trasferimento della capitale d’Italia da Torino a Firenze. In questo brano, lo storico Raffaele Romanelli (nato nel 1942) [►FS, 150] descrive i cambiamenti urbanistici e culturali che questo trasferimento comportò nella città toscana.
presentava come città adatta perché non era, né era previsto che fosse, il centro forte di un grande Regno. Sarebbe stata una capitale debole di uno Stato che vantava tante città importanti e gloriose. […] All’inizio fu un arrivo molto rumoroso, un’ondata travolgente e subitanea. Si guardino i tempi dell’operazione. Votata la legge a novembre, […] a dicembre cominciò il trasloco. In sei mesi era compiuto. Il che ci parla di una buona efficienza, sia da parte governativa che da parte della città, che istituì una commissione apposita. [...] Per i fiorentini l’effetto fu doppiamente impressionante, per i numeri e il tono di tutta la faccenda. Nel Granducato – dove non c’era mai stata politica parlamentare – l’intera amministrazione era ristretta
in palazzo Vecchio. Era poca cosa, e non dava molto nell’occhio. Ora fu diverso. Dedicato il salone dei Cinquecento alla Camera e quello dei Duecento al Senato, la pubblica amministrazione sciamò nella città. Il ministero degli Esteri si insediò a palazzo della Signoria, il ministero della Guerra andò a piazza San Marco, quello degli Interni a palazzo Medici-Riccardi, l’Istruzione nel convento di San Firenze, i Lavori Pubblici a Santa Maria Novella, e così via enumerando. Nell’alta società si impose un tono nuovo. Piombò la corte, con il suo seguito di cavalli e dame. Il due febbraio 1865 Vittorio Emanuele lasciò Torino e fu accolto trionfalmente a Firenze. Si insediò a palazzo Pitti e ci si trovò benissimo. […] Arrivarono i politici, e tanta gente che contava.
789
FARESTORIA Città e campagne nell’Italia postunitaria
Non furono pochi i nobili che con l’occasione comprarono e si stabilirono a Firenze, città da sempre gradevole e gradita ai forestieri. […] La città aveva allora 118.000 abitanti, ed era già in fibrillazione dal punto di vista demografico. Vent’anni prima, nel 1844, ne aveva 81.000. Si calcolò che ora arrivassero un 25-30.000 persone. Non solo i buoni nomi del Parlamento e della Corte, burocrati e politici, ma anche diplomatici, giornalisti, affaristi e grandi elettori, spesso con i loro servitori al seguito. Commercianti stranieri aprirono nuovi esercizi, con un tono meno paesano, con la merce ben esposta in teche di vetro, per l’appunto le vetrine. Mescite e «vinaini» lasciarono il campo ai caffè, e accanto al vino si cominciarono a bere i liquori, per l’innanzi sconosciuti. Immigrati e nativi confrontarono comportamenti, stili di vita, insofferenze, stereotipi, leggende. […] E poi c’era il problema delle abitazioni. Pare che planassero su Firenze speculatori piemontesi e lombardi a fare incetta di stabili, ad accaparrarsi interi palazzi da subaffittare, dividere in appartamenti, sopraelevare. Certo è che aumentarono gli affitti, e non mancarono tumulti, specie quando si cominciò a sfrattare e a demolire, come per il nuovo mercato a San Lorenzo che prese il posto del mercato vecchio, quello che un denigratore aveva definito «cloaca massima di pestilenze, di esalazioni colerose, di miasmi mefitici». […]
Si è detto che Firenze era intesa come capitale provvisoria. E dunque non si mise mano a grandi piani legati alle funzioni di governo […]. I ministeri dilagarono soprattutto negli ex conventi. La commissione parlamentare che riferiva sul disegno di legge relativo al trasferimento – che, come si è detto, era una legge di bilancio – raccomandava che non si spendesse troppo, e si utilizzassero gli edifici religiosi. [...] Ma per tornare dentro le mura, va detto che per le funzioni di capitale, oltre a non progettare edifici ministeriali, non fu pensata allora alcuna edificazione nuova, di forte segno simbolico. [...] Con poche eccezioni […], gli incisivi interventi che rimodellarono il centro della città finirono col darle un nuovo volto mimetizzandosi però con l’esistente, e per lo più consistendo in aperture, allargamenti e allineamenti di strade ai quali si era messa mano già prima dell’Unità. [...] Il segno della modernità ottocentesca italiana è appunto in questa integrazione, e da lì nasce la gelosa difesa di una tradizione urbana che non distinguendo più tra antico e moderno si oppone ad ogni novità, fosse pure un austero porticato moderno sul retro d’un museo. Il fenomeno non è solo fiorentino. Proprio la formazione dello Stato nazionale dette nuovo vigore all’antico policentrismo urbano che caratterizza l’Italia. L’avvento d’un regime liberalborghese di dimensioni e respiro europei ebbe questo effetto, di
174 V. VIDOTTO ROMA CAPITALE D’ITALIA
V. Vidotto, Roma contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2006, pp. 63-71.
Con l’annessione al Regno d’Italia e l’acquisizione del ruolo di capitale, a Roma venne avviato un vasto programma di investimenti e interventi. Si trattava di imprimere alla città quello sviluppo e quella modernizzazione urbanistica che,
790
La conquista italiana impose un ritmo più accelerato alle trasformazioni urbanistiche della città. Ma la decisione di fondo, destinata a condizionare l’intero sviluppo urbano, era già stata presa pochi anni prima. Con la concentrazione delle linee ferroviarie a Termini e la costruzione della stazione a partire dal 1867, l’espansione urbana, in questa fase, non poteva che collocarsi nella zona est della città.
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
mobilitare un nuovo orgoglio e un nuovo dinamismo cittadino. Ovunque le amministrazioni comunali posero mano a spese d’abbellimento, d’arredo e di decoro urbano, presero ad allineare strade e aprir piazze, erigere fontane e monumenti, a espellere vecchi mercati e sventrare insalubrità e brutture, a convocare esposizioni nazionali e internazionali, e a fondare banche di credito, ben presto gettando le finanze dei comuni nel baratro finanziario che da allora entrò a far parte dello scenario economico nazionale. La faccenda crebbe con gli anni, e i rinnovi urbani trovarono il loro stile guarda caso nel neogotico o nel neorinascimentale, richiami diversamente orientati, ma sempre alle glorie della civiltà comunale e signorile che presto coprirono l’intero arco dei riferimenti simbolici a cui poteva ricorrere l’Italia borghese […]. Qui pure si fonda la centralità nazionale di Firenze riconosciuta come una delle principali matrici della nuova italianità proprio per il suo profilo medievale e rinascimentale. METODO DI STUDIO
a Sottolinea le caratteristiche che rendevano Firenze non adatta al ruolo di capitale d’Italia. b Individua i cambiamenti che comportò il trasferimento a Firenze della capitale rendendoli riconoscibili con dei titoli al lato del testo. c Spiega per iscritto per quale motivo si scelse Firenze come capitale provvisoria e quale impatto ebbe il trasferimento sull’organizzazione della città.
contrariamente alle altre grandi capitali europee, Roma non aveva conosciuto nei due secoli precedenti. Il brano che segue, tratto da Roma contemporanea di Vittorio Vidotto (nato nel 1941), prende in esame i cambiamenti della città all’indomani del completamento dell’unità, mettendo in rilievo il ruolo svolto dall’iniziativa privata, dal Comune e dallo Stato.
La struttura urbana della capitale non aveva subito sostanziali modifiche negli ultimi due secoli […]. Il centro «direzionale» si era consolidato lungo l’asse del Corso e intorno a piazza Colonna e l’impianto esistente si era rivelato [...] in grado di assorbire, nel breve periodo, le nuove funzioni grazie agli espropri e alla soppressione delle case religiose. In più la città mancava di percorsi agevoli di
collegamento fra il centro e la stazione ferroviaria. Quelli esistenti erano stretti e tortuosi, privi di quella ampiezza e monumentalità che lo sviluppo dei trasporti imponeva. La stazione a Termini e l’urbanizzazione […] intorno alle Terme di Diocleziano non avevano solo la forza del fatto compiuto: ad essa si sommò presto quella degli interessi di investitori e speculatori – banche
e finanzieri – che avevano cominciato ad acquistare in quella zona e si affiancò la scelta politica, sostenuta innanzitutto da Sella, di costruire la nuova città dei ministeri lungo l’asse da Porta Pia verso il Quirinale. Modernità ferroviaria e modernità degli assetti burocratici e statali dovevano concentrarsi nella città alta. Terreni a ville, giardini, orti e vigne punteggiati di ruderi grandiosi e modesti: tutto il quadrante est e nord-est – l’altipiano romano entro le mura aureliane e oltre –, non disabitato ma non ancora o non più urbano, si offriva come lo spazio più naturale per lo sviluppo della città. La collocazione dei ministeri rafforzava la necessità di completare la direttrice, già implicita […], lungo la valle di S. Vitale che separava Quirinale e Viminale, fino al piano e alla saldatura con il Corso. […] La reggia al Quirinale, la stazione e i ministeri di via XX Settembre determinano in questa fase uno sbilanciamento a est della città. Seguiranno dieci anni dopo due altre decisioni volte a riportare l’equilibrio al centro e poi a ovest, sotto la spinta anche qui della politica e degli interessi speculativi, ma questa volta divaricati. Politica la decisione di collocare il grande monumento a Vittorio Emanuele sul versante nord del Campidoglio di fronte al Corso. Speculativa quella del nuovo quartiere Prati di Castello al di là del Tevere, reso attraversabile solo a partire dal marzo 1879 con il ponte provvisorio di Ripetta. Per quanto definita precocemente nelle sue linee generali […] la politica urbanistica manifestò incertezze e perplessità nel dotarsi di un piano regolatore generale, che l’autorità della legge avrebbe trasformato in strumento operativo per eccellenza. La storia e le tradizioni particolari di Roma, la non cancellabile dimensione religiosa che attribuiva alla città una duplicità tutelata da poteri forti e diffusi, i vincoli di un passato grandioso e mitizzato, tutto con-
giurava a rendere culturalmente e idealmente ardua la progettazione di una nuova capitale. […] Allora, e più volte in seguito, le decisioni più forti furono prese dal potere esecutivo centrale offuscando e scavalcando il Comune, luogo in cui gli interessi contrastanti – impliciti ed espliciti – si esprimevano spesso in modo reciprocamente paralizzante. A ciò si aggiunse il sistematico mancato collegamento delle iniziative fra Stato e Comune. Come ricordava Marcello Piacentini1 tracciando un bilancio delle vicende edilizie nel 1952, «ogni Ministero, ritenendosi superiore all’autorità del Comune, ha voluto scegliere la sua sede [...] senza tener conto delle necessità generali». [...] Negli stessi primi anni Settanta vennero definite le convenzioni per i nuovi quartieri. La prima fu quella […] relativa alle aree intorno a Termini e al primo tratto di via Nazionale, stipulata già nel marzo 1871. Del novembre è quella dell’Esquilino. Seguirono fra il 1872 e il 1873 quelle relative al Celio, a Castro Pretorio, alla zona di S. Maria Maggiore. Le convenzioni venivano stipulate con i proprietari dei terreni e/o con le imprese costruttrici: il Comune otteneva una cessione di aree destinate a strade o piazze che si impegnava a urbanizzare, fornendo i servizi essenziali e le fognature; proprietari e imprese vedevano approvati i loro piani, acquisivano il diritto di edificare e, in virtù di una dichiarazione di pubblica utilità, quello di espropriare. Con il largo consenso delle forze rappresentate nel Consiglio comunale l’espansione della città procedeva sotto la spinta dell’iniziativa privata […]. Era il trionfo della «speculazione». […] Il Comune, salvo la velleitaria e fallita iniziativa del sindaco Pianciani2 di costituire un demanio di aree comunali, non si poneva il problema di porre dei vincoli agli interessi economici nell’edilizia. Lo Stato, per parte sua, dava
175d GIUSEPPE COLOMBO MILANO INDUSTRIALE
G. Colombo, Milano Industriale, in L. Cafagna (a c. di), Il Nord nella storia d’Italia. Antologia politica dell’Italia industriale, Laterza, Bari 1962, pp. 39-46.
A una Italia agricola e arretrata si affiancavano anche zone caratterizzate da un’economia moderna e collegata ai principali mercati internazionali, soprattutto nel Nord Italia. È questo il contesto in cui si sviluppò la città di Milano. Nel seguente articolo, Giuseppe Colombo (1836-1921), ingegnere,
vita, come s’è visto, ad iniziative non coordinate al disegno urbano complessivo e contemporaneamente forniva forza di legge alle pratiche di intervento nella città. La ricostruzione del ruolo di questi due momenti istituzionali, Stato e Comune, e della loro spesso conflittuale relazione consente di leggere tutta la storia di Roma contemporanea, nelle sue accelerazioni e nei suoi ritardi. [...] I grandi lavori furono accompagnati da una costante conflittualità fra gli ingegneri del Comune che rivendicavano un ruolo sistematicamente negatogli dagli organi dello Stato, dal Genio civile. Presto, già dopo la metà degli anni Settanta, gli elevati costi delle trasformazioni urbane e l’accumularsi delle difficoltà nel completamento dei progetti intrapresi imposero un terreno di incontro. Questo passaggio fu favorito da Emanuele Ruspoli3: come sindaco, nel 1878, avviò il Comune a stipulare quella convenzione con lo Stato […] che con la legge speciale del 1881 diede nuovo slancio e respiro alle trasformazioni della città. 1. Marcello Piacentini (1881-1960), architetto e urbanista. 2. Luigi Pianciani (1810-1890), fu sindaco della capitale nel 1872-74 e nel 1881-82. 3. Emanuele Ruspoli (1837-1899) fu sindaco di Roma dal 1877 al 1880.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea i cambiamenti che comportò il trasferimento a Roma della capitale e rendili riconoscibili con dei titoli al lato del testo. b Individua l’apporto dell’iniziativa privata, del Comune e dello Stato ai cambiamenti descritti e rendili riconoscibili con dei titoli che scriverai al lato del testo. c Spiega per iscritto quali furono i cambiamenti di Roma all’indomani del completamento dell’unità, e metti in rilievo il ruolo svolto dall’iniziativa privata, dal Comune e dallo Stato.
imprenditore e uomo politico (fu più volte ministro e presidente della Camera nel 1899), descrive il carattere industriale della città lombarda, tra i maggiori centri economici della penisola e capofila di una complessa rete industriale, che legava le campagne al centro urbano. Lo sviluppo economico milanese si differenziava inoltre dai modelli consueti, basati soprattutto sulle grandi fabbriche meccaniche e siderurgiche: Milano aveva un’economia di tipo manifatturiero, incentrata su produzioni artigianali di altissima qualità e raffinatezza.
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FARESTORIA Città e campagne nell’Italia postunitaria
Milano non ha né la forza idraulica necessaria, né la mano d’opera a buon mercato che si richiede per le grandi industrie tessili, come quelle del cotone, del lino e della lana; né sarebbe forse desiderabile che le avesse. Sono industrie che possono far la fortuna d’un distretto o d’una regione; ma le masse d’operai, che esse agglomerano nelle loro vaste e squallide sale, non sono ospiti da desiderare in una città, soprattutto in epoche di crisi industriali e politiche. Tuttavia la fabbricazione delle stoffe operate di seta, dei velluti, dei nastri, dei passamani, dei veli, dei tessuti elastici, degli scialli di lana, la tintoria, la stampa e l’apparecchiatura dei tessuti ne compensano la mancanza senza offrire gli stessi pericoli, poiché si tratta di industrie, nelle quali l’arte, la moda, la sceltezza della mano d’opera hanno un valore predominante, e che, perciò, trovano in una città gli elementi più adatti a farle nascere e sviluppare. [...] All’infuori delle officine di costruzione di macchine, di una cartiera, e di pochissime altre fabbriche, Milano manca di opifici a grande impianto [...]. Gli opifici a grande impianto non possono, è vero,
fiorire in Milano; ma i capitali milanesi li vanno a installare dove le circostanze sono loro più propizie, dove c’è abbondanza d’acqua e maestranza numerosa e a buon mercato, allo sbocco delle valli che confluiscono dalle Alpi alla pianura di cui Milano è il centro. In Milano ha la sua sede la direzione dell’azienda, qui si fa il commercio delle materie prime e dei prodotti delle vaste fabbriche sparse lungo il corso dell’Olona e del Lambro e persino di quelle installate allo sbocco delle valli bergamasche e bresciane. [...] È in questo senso che Milano può essere considerato come il centro industriale più attivo d’Italia. [...] La grande industria, adunque, fa sentire alla città i suoi benefici effetti, ma non è localizzata nella città stessa. In questa, invece, fioriscono tutte quelle fabbricazioni, che non troverebbero al di fuori l’alimento senza cui non possono vivere. Tali sono le industrie che, in più o meno grande misura, dipendono dall’elemento artistico, dalla moda. [...] Si sarà visto come l’attività industriale milanese si estrinsechi soprattutto [...] nelle manifatture che mirano a soddisfare ai bisogni del lusso, che si esercitano
176d ANTONIO GRAMSCI LA RIVOLUZIONE AGRARIA MANCATA
A. Gramsci, Il Risorgimento, Einaudi, Torino 1949, pp. 103-4.
Intellettuale dai vasti interessi oltre che uomo politico, il leader comunista Antonio Gramsci (1891-1937) coniugò, nelle sue riflessioni, le concezioni marxiste con una tradizione “nazionale” di impronta storicistica. In queste note sul Risorgimento, scritte nel 1934-35 mentre era in carcere per la sua militanza politica, Gramsci critica la politica dei democratici, il cui
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Perché il Partito d’Azione non pose in tutta la sua estensione la questione agraria? Che non la ponessero i moderati era ovvio: l’impostazione data dai moderati al problema nazionale domandava un blocco di tutte le forze di destra, comprese le classi dei grandi proprietari terrieri, intorno al Piemonte come Stato e come esercito. La minaccia fatta dall’Austria di risolvere la quistione agraria a favore dei contadini, minaccia che ebbe effettuazione in Galizia contro i nobili polacchi a favore dei contadini ruteni, non solo gettò lo scompiglio tra gli interessi in Italia, determinando tutte le oscillazioni dell’aristocrazia […], ma paralizzò lo stesso Partito d’Azione, che in questo terreno
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
senza sussidio di forza motrice, o per lo meno senza esigere un grande consumo di forza, che si fanno meglio in piccoli laboratori o col sistema della fabbricazione a domicilio per conto e sotto la direzione di forti ditte commerciali, piuttosto che in quelle manifatture che si esercitano in colossali opifici, con un numeroso personale operaio e con un vistoso dispendio di forza. In una parola, l’industria milanese è piuttosto un’industria di dettaglio; essa produce più nel genere fino, elegante, costoso, che si smercia in misura modesta, ma compensa col prezzo le minori proporzioni della vendita, che non nel genere usuale e a buon mercato, che si fabbrica in grande scala, e che richiede appunto perciò dei mezzi adeguati alla produzione, cioè molta forza e molta mano di opera a poco prezzo. METODO DI STUDIO
a Cerchia il tipo di industria legata al tessile esistente a Milano e sottolinea il parere dell’autore a riguardo. b Descrivi sinteticamente il tipo di industria esistente a Milano e il pubblico verso cui questa era diretta.
principale compito sarebbe dovuto essere quello di mobilitare attorno al loro programma le grandi masse contadine sposandone le rivendicazioni essenziali e facendosi promotori di una profonda trasformazione sociale nelle campagne. I democratici, raccolti nel Partito d’azione fondato nel 1853 da Giuseppe Mazzini, sarebbero invece venuti meno alla loro funzione storica (quella che era stata svolta dai giacobini durante la Rivoluzione francese) e si sarebbero ridotti a «un organismo di agitazione e propaganda al servizio dei moderati».
pensava come i moderati e riteneva «nazionali» l’aristocrazia e i proprietari e non i milioni di contadini. Solo dopo il febbraio ’53 Mazzini ebbe qualche accenno sostanzialmente democratico […], ma non fu capace di una radicalizzazione decisiva del suo programma astratto. È da studiare la condotta politica dei garibaldini in Sicilia nel 1860, condotta politica che era dettata da Crispi: i movimenti di insurrezione dei contadini contro i baroni furono spietatamente schiacciati e fu creata la Guardia nazionale anticontadina; è tipica la spedizione repressiva di Nino Bixio nella regione catanese1, dove le insurrezioni furono più violente. Eppure […] la quistione agraria era la molla per far entrare in
moto le grandi masse […]. In alcune novelle di G. Verga ci sono elementi pittoreschi di queste sommosse contadine, che la Guardia nazionale soffocò col terrore e con la fucilazione in massa. Questo aspetto della spedizione dei Mille non è stato mai studiato e analizzato. La non-impostazione della quistione agraria portava alla quasi impossibilità di risolvere la quistione del clericalismo e dell’atteggiamento antiunitario del Papa. Sotto questo riguardo i moderati furono molto più arditi del Partito d’Azione: è
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vero che essi non distribuirono i beni ecclesiastici fra i contadini, ma se ne servirono per creare un nuovo ceto di grandi e di medi proprietari legati alla nuova situazione politica, e non esitarono a manomettere la proprietà terriera, sia pure solo quella delle Congregazioni. Il Partito d’Azione, inoltre, era paralizzato, nella sua azione verso i contadini, dalle velleità mazziniane di una riforma religiosa, che non solo non interessava le grandi masse rurali, ma al contrario le rendeva passibili
di una sobillazione contro i nuovi eretici. L’esempio della Rivoluzione francese era lì a dimostrare che i giacobini, che erano riusciti a schiacciare tutti i partiti di destra fino ai girondini sul terreno della quistione agraria e non solo a impedire la coalizione rurale contro Parigi ma a moltiplicare i loro aderenti nelle province, furono danneggiati dai tentativi di Robespierre di instaurare una riforma religiosa, che pure aveva, nel processo storico reale, un significato e una concretezza immediata.
177 R. ROMEO CRITICA ALLA TESI DI GRAMSCI
R. Romeo, Risorgimento e capitalismo, Laterza, Bari 1959, pp. 28-39.
La tesi gramsciana della «rivoluzione agraria mancata» [►FS, 176d] è stata ampiamente discussa e criticata da un grande storico di formazione liberale, Rosario Romeo (19241987), autore di studi fondamentali sullo sviluppo industriale
METODO DI STUDIO
a Sottolinea con colori diversi le posizioni del Partito d’azione e dei moderati rispetto alle questioni politiche descritte. b Evidenzia la domanda iniziale del brano. Quindi individua i nuclei concettuali della risposta data da Gramsci e rendili riconoscibili attraverso dei titoli che scriverai al lato del testo. c Spiega per iscritto quale fu l’atteggiamento del Partito d’azione nei confronti della questione agraria e descrivi quelle che, secondo Gramsci, ne sono le motivazioni.
in Italia. In due articoli apparsi nel 1956 e nel 1958 sulla rivista «Nord e Sud» e poi pubblicati nel volume Risorgimento e capitalismo (1959), Romeo contestò la plausibilità dell’alternativa rivoluzionaria delineata da Gramsci. Muovendo poi da un confronto con la storia agraria francese, egli individuò nella frammentazione della proprietà terriera (conseguenza di un ipotetico rovesciamento dei rapporti sociali nelle campagne) un ostacolo al processo di industrializzazione.
È su uno sfondo di debole sviluppo del sviluppo del capitalismo nelle campagne manda e dall’altra andando a fecondare capitalismo cittadino e di incipiente capitalismo agrario che va studiato il significato della mancata rivoluzione contadina auspicata da parte marxista. In un paese come l’Italia del sec. XIX, dove già la borghesia aveva posto le mani su buona parte della proprietà ecclesiastica nell’età napoleonica [...] e dove l’introduzione del codice di Napoleone aveva già cancellato ogni differenza giuridica tra proprietà feudale e proprietà borghese, una rivoluzione contadina mirante alla conquista della terra avrebbe inevitabilmente colpito [...] anche le forme di più avanzata economia agraria, liquidando gli elementi capitalistici dell’agricoltura italiana per sostituirvi un regime di piccola proprietà indipendente, e imprimendo all’Italia agricola una fisionomia, appunto, di democrazia rurale. A tutto ciò si sarebbe certo accompagnata la liquidazione dei residui feudali; fatto, questo, grandemente positivo nel quadro dei rapporti agrari italiani. Ma nel processo generale dello sviluppo capitalistico in Italia questa rivoluzione avrebbe avuto un valore assai diverso: e basta guardare alle conseguenze della Rivoluzione nelle campagne francesi per rendersene conto. [...] È un fatto incontestabile ch’essa bloccò in pari tempo lo
francesi. [...] Senonché, l’arresto del capitalismo agrario francese venne in buona parte fronteggiato e compensato dalla poderosa ascesa del capitalismo finanziario, industriale e commerciale, che [...] aveva già raggiunto un alto grado di sviluppo nei secoli precedenti. Che è appunto la condizione fondamentale che mancava in Italia [...]. Una volta liquidato dalla rivoluzione contadina il più progredito capitalismo agrario, e nella generale debolezza di quello industriale e mobiliare, il paese avrebbe subito un colpo d’arresto nella sua evoluzione a paese moderno, e non solo sul piano della vita economica, ma in genere dei rapporti civili e sociali. [...] Una fonte importante dell’accumulazione capitalistica fu la politica connessa alla fondazione e allo sviluppo dello Stato unitario, che fin dalle origini convogliò grosse quantità di risparmio forzato verso l’esecuzione di grandi opere pubbliche (per esempio costruzioni ferroviarie), favorì le speculazioni finanziarie collegate con la espansione del debito pubblico, stimolò talune industrie con la politica degli armamenti ecc. [...]. Rendite e profitti agrari danno vita a una corrente che irrora tutta l’economia urbana, da una parte stimolando la do-
e ad ampliare nuove iniziative e intraprese. Cioè: la formazione del capitale necessario allo sviluppo della produzione industriale [...] si realizza solo nel corso del XIX secolo in Italia [...]; questo capitale si forma essenzialmente nelle campagne, e soprattutto a spese dei ceti contadini più poveri. [...] La funzione storica della classe dirigente risorgimentale, e in primo luogo dei moderati, sul piano economico-sociale, sarà dunque di conquistare (e garantire) le condizioni politiche necessarie al compimento di questo processo a spese dei contadini, e di convogliarne i proventi verso una linea di moderno sviluppo economico quale fu quella inaugurata con il liberismo di Cavour e della Destra [...]. E però, quanto più era arretrato in Italia lo sviluppo del capitalismo industriale e commerciale, tanto più gravi sarebbero state le conseguenze di una rivoluzione agraria che, difendendo i contadini dallo sfruttamento, avrebbe però travolto l’unica forma di capitalismo esistente, destinato a funzionare, nelle condizioni storiche dell’Italia, come meccanismo essenziale dell’accumulazione e trasferimento dei redditi agricoli al servizio dello sviluppo urbano e industriale. Tutto ciò vale, naturalmente, solo per le
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FARESTORIA Città e campagne nell’Italia postunitaria
regioni dell’Italia centro-settentrionale: ma, a parte l’unicità del problema, non essendo pensabile che il Partito d’azione potesse scatenare la rivoluzione dei contadini nel Sud senza che il moto si estendesse al Nord, è da tenere presente che proprio nel Nord sussistevano le condizioni «oggettive» per l’affermarsi di una democrazia rurale, che nel Sud avrebbe
trovato probabilmente ostacoli insuperabili nell’estrema arretratezza e povertà dell’agricoltura meridionale, oltre che nell’eccesso di popolazione contadina. [...] La rivoluzione agraria sembra configurarsi più come un elemento d’arresto che come un elemento d’impulso in questo processo, nelle particolari condizioni storiche dell’Italia.
178 G. PESCOSOLIDO ARRETRATEZZA E AGRICOLTURA ALL’INDOMANI DELL’UNITÀ
G. Pescosolido, Arretratezza e sviluppo, in G. Sabbatucci, V. Vidotto, Storia d’Italia, 2, Il nuovo stato e la nuova società civile, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 224-43.
Ponendosi sulle stesse linee interpretative proposte da Rosario Romeo [►FS, 177], che avevano una visione positiva dell’a-
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Il carattere di fondo dell’economia italiana al momento dell’unità era ancora l’arretratezza economica e la povertà della maggior parte della popolazione rispetto alle aree europee più forti. […] Nel 1861 ventuno milioni di abitanti (26,1 considerando gli attuali confini) vivevano su un territorio interessato da estesi fenomeni di dissesto idrogeologico, carente di risorse minerarie di rilevante entità e valore, sprovvisto, se si prescinde da quella idrica, di consistenti fonti di energia naturale utilizzabili ai livelli di sviluppo tecnologico dell’epoca. […] I dati sulla natura e sul tipo di utilizzazione della superficie territoriale del regno sono […] ritenuti abbastanza attendibili. Nel 1861 l’8,4% del territorio era del tutto improduttivo e della superficie agraria e forestale il 9,6% era costituito da terreni incolti, il 18,6% da boschi, il 23,2% da prati e pascoli permanenti. La superficie dei seminativi ascendeva al 44,2% (di cui solo il 4,4 avvicendati) mentre quella delle colture legnose sarebbe stata pari al 4,4%. Su circa 26 milioni di ettari di superficie agraria e forestale i terreni paludosi si aggiravano intorno al milione di ettari, con concentrazione particolare nella bassa valle del Po e nelle zone costiere del Mezzogiorno. […] Quest’agricoltura, che, nonostante i progressi fatti segnare, specie in alcune regioni e in particolari branche, restava nell’insieme ancora abbastanza al di sotto dei livelli di produttività di altre agricolture europee, al momento dell’unità costituiva comunque il settore dell’economia nazionale di gran lunga dominante. Secondo il censimento del 1861 alle attività primarie
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
METODO DI STUDIO
a Sottolinea quelli che sarebbero stati, secondo Romeo, gli effetti di una rivoluzione contadina per la conquista della terra. b Individua e descrivi gli elementi emersi dal confronto fra la situazione italiana e quella francese. c Spiega per iscritto quale rapporto individua Romeo tra sviluppo del capitalismo industriale e commerciale e la possibile rivoluzione agraria.
zione dello Stato unitario, lo storico Guido Pescosolido (nato nel 1947) si è interrogato sull’arretratezza dell’Italia al momento dell’Unità, in particolare nel settore agricolo. Pescosolido ha così evidenziato un’effettiva arretratezza rispetto alle aree più avanzate dell’Europa, sottolineando però come la parte meridionale e quella settentrionale della penisola non registrassero tra loro differenze di rilievo.
era addetto circa il 70% della popolazione attiva […]. Nella formazione del prodotto lordo privato le attività agricole concorrevano con uno schiacciante 58% […]. Sarebbe errato attribuire, con riferimento alla situazione italiana di metà Ottocento, agli aggettivi «sottosviluppato» ed «arretrato» tutto il peso che essi assumono oggi […]. Tuttavia a metà Ottocento le aree europee nelle quali si registravano meccanismi di accelerazione rapida dei processi di sviluppo economico e di modernizzazione complessiva erano divenute più numerose ed estese di un secolo prima. Queste aree erano chiaramente individuabili, oltre che in Inghilterra e Francia, anche in Belgio, Germania, Svezia, Boemia, Moravia, Austria e sono molteplici e chiare le indicazioni di una loro superiore prosperità e di un più avanzato stadio di sviluppo economico rispetto all’Italia. Rispetto ad esse il ritardo di tutte le aree della penisola italiana caratterizzate dalla presenza di attività manifatturiere era aumentato, ed era ancora in crescita al momento dell’unità. I principali indicatori dello sviluppo economico e civile dell’Italia denunciavano uno stato di arretratezza abbastanza coerente con le precarie condizioni di vita della popolazione della penisola. […] Il discorso sull’esistenza e sull’entità del divario economico tra Nord e Sud d’Italia al momento dell’Unità ha assunto un suo peso particolare nell’ambito del dibattito sulle origini e sulla natura del carattere dualistico dello sviluppo economico italiano e dell’intera questione meridionale. […] Per quel che riguarda […] l’entità del diva-
rio intorno al 1861, va precisato subito che, pur esistendo una diversità abbastanza marcata in alcuni aspetti della vita civile, proprio nel settore industriale lo svantaggio meridionale appare di scarso rilievo […]. Per la verità le indicazioni di cui disponiamo su scala regionale segnalano, nei valori assoluti, una superiorità del Nord nella dotazione di attrezzature e nei valori della produzione industriale. […] Divari importanti esistevano in altri settori e componenti della vita economica e civile, in particolare nel sistema dei trasporti e nei livelli di alfabetizzazione, ed anche, in minor misura, in quello agricolo, ma non in quello industriale. […] Meno nette di quanto sono apparse sino ad alcuni anni addietro potrebbero […] risultare le distanze in termini di valore della produzione agraria e in termini di reddito complessivo. Non c’è dubbio che le strutture agrarie, le tecniche di coltura, le forme dell’insediamento, il grado di liquidazione sia dell’economia del latifondo che della microproprietà contadina, così come il generale processo di mercantilizzazione1 dell’economia agraria si presentassero nel Mezzogiorno ancora in uno stadio meno evoluto rispetto al Settentrione. […] R.S. Eckaus2 […] tentò di quantificare il dislivello complessivo della produzione agricola pro capite, giungendo alla conclusione che
1. Produzione destinata al mercato. 2. Richard S. Eckaus (nato nel 1926), economista.
per la prima il vantaggio del Nord rispetto al Sud negli anni dell’unità fosse di almeno il 20%, e che per il secondo si collocasse tra il 15 e il 25%. Tale valutazione del dislivello nella produzione agraria è stata ritenuta abbastanza attendibile e in buona parte lo è. Va tuttavia notato che […] essa trova la sua motivazione fondamentale nella distribuzione del valore della produzione di seta greggia e nella distribuzione del patrimonio bovino, decisamente squilibrate a favore del Nord. Nella cerealicoltura invece la superiorità del Sud appare netta sia in termini globali, sia in termini di disponibilità pro capite. […] Il che ovviamente non significa che i sistemi agrari del Nord e del Sud non fossero contrassegnati da profonde diversità di varia natura. Le differenze di fondo per-
manevano (rapporti di produzione, panorama delle colture, distribuzione della proprietà fondiaria, orografia3, geomorfologia). Esse segnalavano anche potenzialità di sviluppo diverse. Tuttavia al momento dell’unità non si traducevano in un accentuato dislivello in termini di reddito pro capite. Se a ciò si aggiunge che per la componente del processo di modernizzazione, ossia lo sviluppo industriale, si deve parlare di due livelli non di sviluppo, ma di arretratezza, di pochissimo lontani l’uno dall’altro, credo si possa concludere che un divario nello sviluppo economico tra Nord e Sud d’Italia al momento dell’unità certamente esisteva, ma che esso presentava dimensioni vistose soprattutto in termini di viabilità terrestre e di livello dello sviluppo di alcuni importanti aspetti della vita civile. Di ritardo economico grave si deve
parlare invece rispetto ai paesi europei più dinamici ed era una situazione, questa, condivisa abbastanza largamente da tutta la penisola. 3. Distribuzione dei rilievi montuosi.
METODO DI STUDIO
a Evidenzia le caratteristiche del territorio italiano al momento dell’Unità. b Realizza un grafico a torta con i dati relativi alla destinazione d’uso del territorio e scrivi una breve didascalia a commento. c Individua e sottolinea con colori diversi le caratteristiche dell’Italia meridionale e settentrionale dopo l’Unità e sintetizzale in alcune parole chiave. Quindi descrivi la situazione complessiva dell’Italia utilizzando le parole chiave individuate.
PISTE DI LAVORO
LO STORICO RACCONTA 1 In che modo la nuova realtà nazionale condizionò l’impianto urbanistico di città come Firenze, Napoli e Roma? Prima di rispondere alla domanda, rileggi con attenzione i brani di Barbagallo [►172], Romanelli [►173] e Vidotto [►174] e realizza una tabella comparativa fra le città citate indicando gli eventi significativi con le relative date, i cambiamenti subentrati e gli elementi di continuità col passato. Facendo riferimento alla tabella realizzata scrivi un testo di circa 15 righe per rispondere alla domanda iniziale. 2 Dopo aver letto i brani di Colombo [►175d], Gramsci [►176d], Romeo [►177] e Pescosolido [►178] individua le informazioni relative alle condizioni economiche del Nord e del Sud Italia e
trascrivile schematicamente sul quaderno, citando l’autore di riferimento. Descrivile quindi in un testo di circa 20 righe facendo riferimento ai brani su cui si basa il tuo elaborato. IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 3 Leggi con attenzione i brani di Gramsci [►176d], Romeo [►177] e Pescosolido [►178] ed evidenzia le letture storiografiche sostenute dagli autori. Riassumile per iscritto indicando il nome dello storico di riferimento. Quindi indica per ognuno di esse gli eventi e le considerazioni che le sostengono ed esprimi, infine, il tuo parere argomentandolo e facendo riferimento a quanto hai studiato fino a questo momento.
LE GRANDI POTENZE E I LORO IMPERI COLONIALI I testi e i documenti di questa sezione illustrano i sistemi di alleanze, gli equilibri internazionali e la nascita dei sistemi imperiali nel secondo ’800. Si inizia con un brano dello storico Alan John Percival Taylor [►179], in cui sono descritti i meccanismi e le logiche che regolavano i rapporti tra le grandi potenze, protagoniste della politica europea e mondiale per tutto il secolo. Segue un documento, tratto dal trattato della Triplice alleanza [►180d] che, nel 1882, legò l’Italia agli imperi centrali. La storica italiana Patricia Chiantera-Stutte [►181] chiarisce come in questo scenario le grandi potenze basarono il loro potere sulle teorie elaborate da alcune nuove scienze sociali in via di definizione, prima tra tutte la geopolitica. Parallelamente, la geopolitica fornì anche le fondamenta ideali per giustificare il colonialismo di fine ’800, oggetto della seconda parte di questa sezione. Nei primi due brani, lo storico statunitense Raymond F. Betts [►182] analizza i fattori politici all’origine della corsa alle colonie, mentre il tedesco
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FARESTORIA Le grandi potenze e i loro imperi coloniali
Wolfgang Reinhard [►183] si concentra sugli aspetti economici della dominazione europea e, dunque, sul fenomeno dello sfruttamento coloniale. Nell’ultimo brano, infine, Nicola Labanca [►184] espone la graduale colonizzazione della Somalia da parte dell’Italia, frutto di un delicato equilibrio diplomatico con la Gran Bretagna.
POTENZE
179 A.J.P. TAYLOR L’EUROPA DELLE GRANDI
A.J.P. Taylor, L’Europa delle grandi potenze, Laterza, Bari 1961, pp. 5-12.
Dal 1848 fino alla prima guerra mondiale il sistema delle relazioni internazionali fu regolato da un complesso di princìpi e valori condivisi dalle grandi potenze. A ricostruire la natura e il funzionamento di questo equilibrio politico europeo è stato lo storico inglese Alan John Percival Taylor (1906-1990),
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L’Europa ha conosciuto pace e guerra in misura quasi eguale, e deve i suoi periodi di pace all’equilibrio delle Potenze: nessuno Stato ha mai posseduto tanta forza da conquistare tutti gli altri, e la gelosia reciproca delle Grandi Potenze ha salvato anche i piccoli Stati, che da soli non avrebbero potuto salvarsi. Le relazioni fra le Grandi Potenze hanno determinato la storia dell’Europa. [...] La soluzione più semplice all’anarchia [...] è che una Potenza soggioghi tutte le altre, soluzione che in Europa si è ripetutamente proposta. Filippo II di Spagna e Luigi XIV1, forse, aspiravano all’egemonia sull’Europa; certamente vi aspirò Napoleone. Nel 1848, [...] erano passati appena trent’anni dal tentativo napoleonico di egemonia e si supponeva generalmente che la Francia avrebbe rinnovato il tentativo. La fondazione del Secondo Impero sembrò giustificare questi timori, ma di fatto Napoleone III non ebbe nulla di imperiale tranne il nome, e l’equilibrio delle Potenze sopravvisse quasi intatto alla sua sfida. I tentativi francesi ebbero termine nel 1870. Seguì un nuovo equilibrio e solo dopo trent’anni di pace cominciò a farsi evidente che la Germania aveva preso il posto della Francia, come potenziale conquistatrice dell’Europa. La prima guerra mondiale fu, da parte dei nemici della Germania, una guerra diretta a conservare o ristabilire l’equilibrio delle Potenze; ma, nonostante la sconfitta della Germania, l’equilibrio europeo non fu ristabilito. [...] Si sbaglierebbe tuttavia narrando la storia internazionale come semplice storia dell’equilibrio delle Potenze, interrotto dai tentativi dei singoli conquistatori. Gli uomini hanno tentato di sostituire lo Stato sovrano
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
studioso di politica internazionale, autore di numerosi saggi, tra cui L’Europa delle grandi potenze (1954). In questo brano, Taylor analizza i caratteri fondamentali e le evoluzioni del sistema di relazioni tra i principali Stati europei, impegnati a estendere e conservare la propria supremazia sul resto del mondo. Questo equilibrio fu irrimediabilmente sconvolto dalla prima guerra mondiale, che segnò l’inizio di una nuova epoca per le relazioni tra i paesi europei.
tanto con una schiacciante forza armata quanto con una legge morale universale [...]: nel secolo XVI il cattolicesimo romano della Controriforma, alla fine del XVIII le idee della Rivoluzione francese e i Diritti dell’Uomo. Coloro che contrastarono Napoleone non sostenevano semplicemente la sovranità degli Stati, ma opponevano ai Diritti dell’Uomo il conservatorismo delle tradizioni e dell’ossequio. La «solidarietà monarchica» fu un credo quanto il radicalismo, e nel 1848 non ci si aspettava nuove manovre dell’equilibrio delle Potenze, ma si guardava ad una più grande guerra di religione, tra la Santa Alleanza da una parte e la Rivoluzione dall’altra. [...] Sarebbe stato motivo di sorpresa per gli uomini del 1848 apprendere che la storia internazionale delle due generazioni successive avrebbe riguardato principalmente l’equilibrio delle Potenze e non una guerra di religione o un tentativo di egemonia universale. Le rivoluzioni del 1848 segnarono la fine dell’ossequio all’ordine costituito, sia all’interno che nelle relazioni internazionali; però il sistema esistente sopravvisse alle rivoluzioni [...]. Gli uomini dell’Ottocento consideravano il loro secolo come un’epoca di agitazione e di sconvolgimenti; pure essa fu straordinariamente stabile nelle relazioni internazionali se paragonata non solo col caos del XX secolo, ma anche coi secoli che la precedettero. [...] Le Grandi Potenze che scatenarono la prima guerra mondiale nel 1914 erano le stesse Grandi Potenze che avevano fatto il Congresso di Vienna nel 1814 [...]. Pur rimanendo le stesse, le Grandi Potenze ebbero i loro alti e bassi. La Francia guadagnò territori nel 1860 e ne perdette di più nel 1871, l’Austria ne perdette nel
1859 e nel 1866 più di quanti ne guadagnò nel 1878, la Russia riprese nel 1878 quello che aveva perduto nel 1856. Tutte, eccetto l’Austria-Ungheria, conquistarono vasti territori fuori d’Europa nei trent’anni dopo il Congresso di Berlino. [...] Le Grandi Potenze, come implica il loro nome, erano organizzazioni per la potenza, cioè, in definitiva, per la guerra; potevano avere anche altri scopi – il benessere delle loro popolazioni o la grandezza dei loro sovrani, – ma il banco di prova di una Grande Potenza era la sua capacità di fare la guerra. Sarebbe troppo semplice dire che una Grande Potenza è tale quando può guardare fiduciosamente a una guerra contro qualsiasi altra Potenza [...]. Anche la più grande delle Potenze era restia a combattere da sola contro una coalizione, e la più debole di esse poteva fare una figura rispettabile in un conflitto generale fra le Grandi Potenze. In ogni caso la differenza fra le Grandi Potenze era minore di quella fra una qualsiasi di esse ed il più forte degli Stati minori. 1. Filippo II di Spagna (1527-1598), figlio di Carlo V, re di Spagna, di Napoli, di Sicilia, di Portogallo e duca di Milano, di Borgogna e delle Fiandre. Luigi XIV (1638-1715), re di Francia. METODO DI STUDIO
a Evidenzia la definizione di «grande potenza» e sottolinea la descrizione delle relative caratteristiche principali. b Individua le interruzioni della pace dal 1848 alla prima guerra mondiale e rendile riconoscibili attraverso dei titoli che scriverai al lato del testo. Quindi sottolinea le cause che determinarono queste interruzioni. c Spiega a cosa sono dovuti i periodi di pace in Europa secondo l’autore e quali ne sono le cause.
180d LA TRIPLICE ALLEANZA
E. Anchieri, Antologia storico-diplomatica, Ispi, Milano 1941, pp. 224-25.
La firma della Triplice alleanza tra Germania, Austria e Italia [►21_8] segnò un momento importante nell’evoluzione del sistema europeo delle relazioni internazionali e rappresentò un elemento essenziale dell’equilibrio costruito da Bismarck. Come quasi tutti i trattati del periodo, essa aveva carattere difensivo (scattava cioè solo in caso di aggressione a uno dei contraenti da parte di terzi) e si proponeva il fine di tuLe LL. MM.1 l’Imperatore d’Austria, Re di Boemia, ecc., e Re Apostolico di Ungheria, l’Imperatore di Germania, Re di Prussia e il Re d’Italia, animati dal desiderio di accrescere le garanzie della pace generale, di rafforzare il principio monarchico e di assicurare con ciò stesso il mantenimento intatto dell’ordine sociale e politico nei loro rispettivi Stati, si sono accordati di concludere un trattato che, per la sua natura essenzialmente conservatrice e difensiva, non persegue che lo scopo di premunirli contro i pericoli che potrebbero minacciare la sicurezza dei loro Stati e la pace dell’Europa. Art. I. Le alte parti contraenti si promettono reciprocamente pace ed amicizia, e non entreranno in nessuna alleanza od impegno diretto contro uno dei loro Stati. Esse s’impegnano a procedere ad uno scambio di idee sulle questioni politiche ed economiche di carattere generale che potessero presentarsi, e si promettono inoltre il loro mutuo appoggio nel limite dei propri interessi. Art. II. Nel caso che l’Italia, senza provocazione diretta da parte sua, fosse per qualsiasi motivo attaccata dalla Francia, le due altre parti contraenti saranno tenute a prestare alla parte attaccata aiuto e
assistenza con tutte le loro forze. Questo stesso obbligo incomberà all’Italia nel caso di una aggressione non direttamente provocata dalla Francia contro la Germania. Art. III. Se una o due delle alte parti contraenti, senza provocazione diretta da parte loro, venissero ad essere attaccate e a trovarsi impegnate in una guerra con due o più grandi potenze non firmatarie del presente trattato, il «casus foederis»2 si presenterà simultaneamente per tutte le alte parti contraenti. Art. IV. Nel caso che una grande potenza non firmataria del presente trattato minacciasse la sicurezza degli Stati di una delle alte parti contraenti e la parte minacciata si vedesse perciò obbligata a farle la guerra, le due altre si obbligano ad osservare verso il loro alleato una benevola neutralità. Ciascuna di esse in questo caso si riserva la facoltà di prendere parte alla guerra, se lo giudicherà opportuno, per fare causa comune con il suo alleato. Art. V. Se la pace di una delle alte parti contraenti venisse ad essere minacciata nelle circostanze previste dagli articoli precedenti, le alte parti contraenti si concerteranno in tempo utile sulle misure militari da prendere in vista di una even-
181 P. CHIANTERA-STUTTE LA NASCITA DELLA GEOPOLITICA COME SCIENZA AL SERVIZIO DELLA POLITICA
P. Chiantera-Stutte, Il pensiero geopolitico. Spazio, potere e imperialismo tra Otto e Novecento, Carocci, Roma 2014, pp. 11-13; 23-39.
La scienza geografica non costituisce un sapere neutro. Essa, La geografia, intesa come scienza geografica, non detiene il monopolio sulla definizione degli spazi. I presupposti su cui molti geografi o geopolitici fondano la
telare l’equilibrio fra le potenze: in realtà serviva a isolare e indebolire la Francia, contro cui implicitamente era diretta. Si noti anche, nel preambolo, l’accenno esplicito alla solidarietà dinastica e conservatrice fra le tre corti. Il testo di questo, come di altri trattati, era destinato a restare segreto: fu infatti conosciuto solo alla conclusione della prima guerra mondiale, quando i trattati furono resi pubblici dal governo rivoluzionario russo, che voleva con ciò denunciare la politica imperialistica delle grandi potenze europee. tuale cooperazione. Esse s’impegnano fin da ora, in tutti i casi di partecipazione comune ad una guerra, a non concludere né armistizio né pace né trattato, se non di comune accordo fra di loro. Art. VI. Le alte parti contraenti si promettono reciprocamente il segreto sul contenuto e sull’esistenza del presente trattato. Art. VII. Il presente trattato resterà in vigore per lo spazio di cinque anni, a partire dal giorno dello scambio delle ratifiche. Art. VIII. Le ratifiche del presente trattato saranno scambiate a Vienna entro un termine di tre settimane o prima se potrà farsi. 1. Loro Maestà. 2. Caso che impone l’aiuto reciproco tra alleati. METODO DI STUDIO
a Cerchia i nomi e i ruoli dei firmatari ed evidenzia l’obiettivo del trattato. b Scrivi per ogni articolo un titolo che ne sintetizzi i contenuti. c Individua da tre a cinque parole chiave che possano sintetizzare il valore politico di questo trattato e i suoi obiettivi e argomenta la tua scelta per iscritto.
anzi, si è sviluppata nel corso dell’800 a stretto contatto col potere politico, di cui è diventata, in un certo senso, “complice”. È questa l’origine della «geopolitica», cioè della scienza che studia l’interazione tra fattori geografici e azione politica. I primi passi di questa scienza nel contesto degli Stati di potenza sono ripercorsi nel seguente brano dalla storica Patricia Chiantera-Stutte (nata nel 1966).
loro concezione di spazio, le loro «mappe mentali» sono formati nell’ambito di una disciplina – la geografia – che intrattiene rapporti specifici col potere politico. […]
La geografia politica è particolarmente «esposta» all’influenza della politica: essa accompagna le conquiste coloniali, misurando e permettendo il controllo dei ter-
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FARESTORIA Le grandi potenze e i loro imperi coloniali
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ritori d’oltremare; essa legittima la definizione dei confini interni ai continenti, in caso di guerre e nuovi accordi politici; essa sostiene i progetti imperialisti e definisce le zone di influenza, permettendo alle grandi potenze di penetrare e controllare altri Stati […]. La geopolitica non è solo una scienza geografica, ma è anche l’arte del potere geografico: geopolitici come Mackinder, Haushofer e Bowman furono al contempo geografi e consiglieri politici. La loro attività politica non era indipendente dalla loro funzione scientifica, anzi, essi usarono coscientemente nel campo politico quell’autorità che proveniva dalla loro conoscenza scientifica. […] Secondo il geografo britannico John Agnew il passaggio dalla geopolitica «civilizzatrice», caratterizzata dalle scoperte e dalla conquista dei «nuovi continenti», alla geopolitica naturalizzata, e cioè alla concezione dell’universo chiuso, ormai noto e sfruttato fino ai suoi confini, è un’esperienza fondamentale a partire dalla metà dell’Ottocento. Il mondo e i rapporti politici vengono «naturalizzati»: i popoli sono divisi fra imperialisti e colonizzati; gli Stati sono definiti attraverso i loro bisogni naturali, biologici, di territori e risorse; il gioco del potere nel mondo diventa a somma zero, e cioè dove una nazione vince e l’altra perde […]. Questa trasformazione è segnata dall’inserimento nella scienza geografica europea di una nuova prospettiva e di nuovi metodi di ricerca, quelli della geografia politica, e, successivamente della geopolitica, adottati in Inghilterra da Halford Mackinder, in Francia da Paul Vidal de la Blache e in Germania da Friedrich Ratzel e poi in Svezia da Rudolf Kjellen. La nuova disciplina geopolitica traduce le ansie e la presa di coscienza di una nuova realtà politica e sociale tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento: la percezione di un mondo globalizzato, sempre più interdipendente grazie alle invenzioni tecnologiche e allo sviluppo del capitalismo e della finanza internazionale […]. Un profondo mutamento dell’idea di spazio e di tempo attraversa il XIX secolo: una vera e propria accelerazione del tempo e un restringimento dello spazio […] dovuti anche al progresso tecnologico e scientifico. A partire da allora e fino ad oggi, le informazioni, la cultura e i flussi di beni e persone si spostano
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velocemente, in modo da realizzare una profonda interdipendenza fra i vari spazi del pianeta. […] Tale cambiamento del sistema internazionale è accompagnato, a sua volta, da una nuova riflessione teorica e dalla formulazione di nuovi modelli politici e di relazioni internazionali. Politicamente l’Ottocento è contrassegnato da due tendenze apparentemente contrapposte: da un lato il successo del nazionalismo e di conseguenza della formula dello Stato-nazione e, dall’altro, l’imperialismo. L’Europa domina il mondo e impone i suoi modelli politici e culturali al resto del pianeta, esercitando il suo potere in due modi: attraverso la politica di potenza, usata anche con azioni aggressive, e attraverso l’egemonia, realizzata tramite l’imposizione di pratiche e regole commerciali e con la diffusione di suoi modelli culturali. La nazione e l’impero costituiscono, in questa prospettiva, i due attori principali dei rapporti internazionali a livello globale. […] L’impero coloniale assicura la stabilità all’Europa ottocentesca da un punto di vista politico ed economico, attraverso la creazione di una forte interdipendenza fra la madre patria e le colonie […]. La coscienza dell’interdipendenza dei processi economici, politici e culturali e la realizzazione della diversità delle culture sfociano nella ricerca di modelli scientifici in grado di ordinare le civiltà e estrapolarne i caratteri essenziali, e nella pratica e teoria dei diritti universali. La concezione estetizzante della cultura extraeuropea, considerata come esotica, propria del mondo settecentesco erudito, lascia il posto alle classificazioni «scientifiche» delle differenze tra i popoli e le culture […]. In particolare, una delle nuove scienze veicola le tensioni politiche del tempo in un nuovo linguaggio scientifico: la scienza geografica […]. La geografia, in particolare, detiene un ruolo preminente tra le scienze: essa assume un doppio status accademico e politico, ovvero è definita in ambito accademico come una nuova disciplina separata dalla storia e dalla politica, e, insieme, viene impiegata come «consulente» del potere politico. Diventa uno «strumento dello Stato» […]. In Europa la sua legittimazione scientifica è indiscussa, sia perché è l’unica disciplina che rivendica per sé, a livello globale, l’autorità di esaminare gli spazi e i territori con
dei metodi, un lessico e delle procedure scientifiche, sia perché essa esercita un potere assoluto per la definizione legittima dei territori politici e dei confini statali, che, a loro volta, sono oggetto dell’esercizio del potere politico e delle contese internazionali […]. Questa interrelazione del potere politico col sapere scientifico si manifesta in particolare nell’accertamento dei confini durante l’imperialismo coloniale: la spartizione delle colonie è preceduta da accordi – o conflitti – politici, che non possono prescindere dal riferimento al sapere geografico e cartografico. La geografia e la cartografia acquistano, così, insieme un valore simbolico e una funzione pratica per l’esercizio del potere politico: sono strumenti per guidare la conquista e la spartizione dello Stato coloniale e, allo stesso tempo, rappresentano il potere dei governi e della scienza occidentali. […] È evidente l’intreccio fondamentale fra la scienza geografica […] e una specifica concezione politica e storica. La politica […] fonda il sapere geografico, poiché è sottintesa alla concezione di uno specifico ordine spaziale. In altre parole, la necessaria relazione fra un popolo, un territorio e uno Stato indicano il quadro e il limite entro i quali lo sviluppo storico è possibile, razionale e necessariamente incanalato: il rapporto politico organico ed essenziale del popolo col territorio guida l’agire politico «giusto» e fornisce, insieme, il presupposto del lavoro del geografo. Il geografo, allora, nello scoprire le leggi naturali e il «piano della natura», individua il perfetto ordine politico e, allo stesso tempo, il fine della storia umana.
METODO DI STUDIO
a Sottolinea le azioni politiche descritte legittimate dalla geografia e rendile riconoscibili attraverso dei titoli che scriverai al lato del testo. b Evidenzia la definizione di geopolitica e sottolineane le caratteristiche principali. c Spiega per iscritto in cosa consiste la geopolitica e quali cambiamenti culturali e politici ne favorirono la nascita.
182 R.F. BETTS LE CAUSE DEL COLONIALISMO
R.F. Betts, L’alba illusoria. L’imperialismo europeo nell’Ottocento, il Mulino, Bologna 1986, pp. 93-97.
Lo storico statunitense Raymond F. Betts (1925-2007), studioso del colonialismo, affronta in questo brano il dibattito sui fattori che spinsero le potenze europee a impegnarsi nella competizione imperialistica di fine ’800-inizio ’900. L’autore sottolinea Anche se non segnò la fine dell’espansione europea, Fascioda1 costituì in ogni caso un momento importante, forse un momento culminante. Il fatto che gli Europei fossero giunti proprio nel cuore di un continente che fino a quel momento avevano in pratica ignorato nelle loro grandi decisioni politiche, fa perlomeno pensare a un cambiamento di atteggiamenti che sconfina quasi in uno stato di un’esaltazione politica. Ed è proprio questo ritmo più rapido che contraddistingue immediatamente la politica internazionale del «nuovo imperialismo» e giustifica il fatto che si definisca la sua più importante manifestazione come «la contesa per l’Africa». La confusione politica che si diffuse nel mondo a seguito di questa multiforme espansione trova il suo complemento, sia pure su scala più modesta, nelle ricerche degli storici sulle sue cause. [...] Fin dall’inizio, piuttosto che certe personalità furono certe forze a dominare i modelli causali. Tra questi modelli, nessuno ha esercitato tanta attrazione quanto quello di derivazione nettamente marxista. Secondo tale modello, il capitalismo industriale estendendosi a nuovi mercati e cercando nuove zone per gli investimenti industriali promosse l’imperialismo in quanto strumento per ottenere maggiori profitti. Che tali profitti siano stati realmente ottenuti [...] è del tutto irrilevante rispetto alla premessa di base di questa tesi: il fine economico. [...] Contro queste tesi orientate sull’economia, gli storici convinti del Primat der Aussenpolitik2 hanno ritenuto che generatore dell’imperialismo fu il dinamismo del sistema europeo di Stati. Quando la politica di potenza dovette cercare altri spazi al di fuori del piccolo continente europeo, in cui l’unificazione dell’Italia e della Germania aveva eliminato i centri tradizionali di scontro e di spartizione territoriale, nuovi champs de manoeuvre3 si cercarono o si trovarono in Africa, nel Vicino Oriente e nell’Estremo Oriente. Nell’ambito di quest’ipotesi, che si basa
l’importanza delle ragioni economiche nella corsa all’acquisizione di colonie in Africa e in Asia, ma ricorda anche i fattori politici e culturali che alimentarono quel processo. Le guerre coloniali fecero infatti da cemento interno dinanzi alle crescenti tensioni sociali dei singoli paesi, evocando una superiorità etnica e nazionale capace di mobilitare in favore dei governi settori significativi dell’opinione pubblica europea.
in primo luogo sull’analisi delle attività diplomatiche e su una valutazione del concetto di equilibrio di potere, figurano appunto la rivalità anglo-francese e quella franco-tedesca. Contro queste interpretazioni, [...] sta la più influente tra le teorie recenti, quella che postula l’esistenza di imperi «informali» (acquisiti per via commerciale) e «formali» (annessi politicamente), che mirano entrambi all’espansione economica. Questa tesi, secondo cui l’imperialismo britannico rimase una funzione permanente dello sviluppo economico interno e che dimostra come le annessioni nell’età vittoriana di mezzo furono altrettanto significative che in seguito, nega l’unicità, la subitaneità e l’intensità del «nuovo imperialismo». Infine, studi recenti che capovolgono l’impostazione tradizionale e che hanno studiato certi avvenimenti soprattutto in Africa, hanno cercato di modificare l’impostazione eurocentrica [...]. Secondo questa linea di ricerca, i fattori locali avrebbero provocato il coinvolgimento politico, a volte non previsto e non desiderato nelle capitali europee. Di conseguenza, il colonialismo, ossia l’attività coloniale locale, avrebbe preceduto l’imperialismo, ossia la politica nazionale. [...] Se non si intravvede una soluzione generale del problema, non si fanno però molti passi avanti affermando soltanto che in ogni esempio storico di conquiste coloniali operarono fattori di varia natura. [...] Il fatto che questi coinvolgimenti politici dell’Europa in tutto il mondo siano avvenuti in un ben preciso momento storico pone il problema dell’analogia delle cause generali. Ora che la tesi del «nuovo imperialismo» è stata seriamente riabilitata, è tanto più auspicabile che si prendano in considerazione quegli aspetti insoliti nell’azione e nei propositi che lo differenziano in modo significativo dall’espansione immediatamente precedente. Se nell’analisi storica contemporanea il termine «crisi» non fosse tanto abusato, esso potrebbe egregiamente riassumere
quel repentino concorso di condizioni interne e di attività diplomatiche che indusse gli uomini politici ed i teorici europei a convogliare i numerosi e disparati decreti relativi alle colonie in una politica espressa a livello nazionale e in un’ideologia dell’imperialismo. Lo si potrebbe anche chiamare l’imperialismo «ansioso», la preoccupata risposta alle pressioni socio-economiche che sembravano minacciare tanto il primato del mondo europeo quanto la posizione interna delle élites di governo. [...] L’Europa, un insieme di Stati in reciproca competizione e di società in preda al disordine economico, fu quindi spinta a inaugurare un’èra dell’imperialismo. Può essere vero che non furono certi atteggiamenti a provocare eventi politici di grande portata; tuttavia essi concorsero a plasmarli e a dirigerli. Offrendosi un reciproco supporto, l’«imperialismo dell’azione», esercitato da coloro che si trovavano sul posto e si adeguavano alle condizioni locali, si combinò con la «mentalità imperialistica» che sensibilizzò in egual misura statisti e cittadini spingendoli a interessarsi di ciò che accadeva al di là delle frontiere nazionali, e spesso al di fuori del loro controllo immediato. 1. Fascioda, località sudanese, nel 1898 divenuta oggetto di un contenzioso tra truppe francesi e britanniche che sembrò poter scatenare un conflitto tra i due paesi. 2. Primato della politica estera. 3. Campi di manovra.
METODO DI STUDIO
a Cerchia i nomi delle spiegazioni storiografiche descritte e sottolineane le caratteristiche più rilevanti. b Sottolinea le cause dell’imperialismo europeo. c Spiega in cosa consiste «la contesa per l’Africa» e quali sono state le sue caratteristiche salienti secondo gli orientamenti storiografici descritti.
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FARESTORIA Le grandi potenze e i loro imperi coloniali
183 W. REINHARD LO SFRUTTAMENTO ECONOMICO DELLE COLONIE
W. Reinhard, Storia del colonialismo, Einaudi, Torino 2002, pp. 278-82.
Lo storico tedesco Wolfgang Reinhard (nato nel 1937) ha descritto, nel suo studio dedicato al colonialismo europeo, lo sfruttamento economico delle colonie da parte degli Stati europei. Il seguente brano è dedicato all’Africa nella seconda metà dell’800. Inizialmente gli europei si limitarono a praticare in colonia una politica di mera depredazione delle
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Come nella maggior parte dei casi, anche in Africa l’economia coloniale esordì come economia di rapina, una sorta di saccheggio in grande stile, che raggiunse il suo culmine nelle colonie del Congo. Si trattava di fare il più rapidamente possibile bottino dei prodotti naturali come l’avorio e il caucciù, sfruttando nel modo più brutale gli indigeni, senza effettuare il minimo investimento nel paese. [...] Ma le crisi di cui abbiamo fatto menzione, a cui si aggiunse la disastrosa flessione del boom del caucciù naturale nel 1910, portarono a riconoscere, già negli anni che precedettero lo scoppio della prima guerra mondiale, che lo sviluppo delle colonie, la mise en valeur1 e un trattamento che si prendesse cura della forza-lavoro africana erano tutti, a ben vedere, nell’interesse dell’Europa. [...] In Africa dapprima rivestì un ruolo cruciale il fatto di poter disporre del fattore di produzione «terra». Come nella maggior parte delle culture extraeuropee, la proprietà privata senza restrizioni secondo lo ius romano era in quel continente sconosciuta. Tuttavia, si può dire che la terra non era senza padroni, giacché su di essa avanzava pretese una rete complessa di gruppi e individui. Le amministrazioni coloniali tendevano in caso di bisogno a dichiarare proprietà dello Stato quella terra che agli occhi degli Europei appariva senza padrone e ad assegnarla a coloni bianchi o a società con capitali. Venne introdotta inoltre la possibilità per gli Africani di possedere in regime di proprietà privata la terra, a cui si accompagnavano la registrazione, la tassazione e altre spiacevolezze che spesso facevano sì che la terra finisse nelle mani dei creditori o degli acquirenti bianchi. Vi furono però anche casi in cui i rapporti di proprietà africani vennero rispettati a svantaggio dei bianchi. Nella regola quanto più antica era la colonia e quanto più numerosi vi si erano insediati i bianchi, tanto più la terra passava dagli Africani agli Europei. Ma le circostanze cambiavano di colonia in colonia. […]
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
risorse economiche, soprattutto dei prodotti naturali o delle ricchezze minerarie. Successivamente cercarono di «mettere a valore» i territori coloniali, assegnando la maggior parte delle terre a società europee. Inoltre, benché talvolta fosse permesso ai contadini africani di divenire proprietari, le loro produzioni erano comunque obbligatoriamente indirizzate verso prodotti da esportare sul mercato internazionale. Ciò legava le economie di molti paesi africani alle oscillazioni degli scambi esteri, a cui potevano far fronte soltanto le grandi società commerciali occidentali.
Le strategie di politica agraria sono strettamente legate alla forma predominante di sfruttamento della terra. Al mantenimento della proprietà della terra nelle mani degli Africani non doveva corrispondere assolutamente una mera economia di sussistenza, bensì la produzione da parte dei contadini africani di cash crops (colture da esportazione) per il mercato mondiale. A ciò si contrapponevano le aziende dei coloni bianchi e le piantagioni delle società con capitali, che potevano essere aziende dedite all’allevamento del bestiame o alla coltura, a loro volta, di prodotti destinati al mercato. [...] La coltivazione di cash crops da parte dei piccoli contadini africani rappresenta una forma di economia primitiva a basso costo con però scarse prospettive di commercializzazione [...]. A ciò si aggiunga il fatto che per le monocolture si instaura la tipica dipendenza dal mercato mondiale con elevata suscettibilità a periodi di crisi. [...] Cotone, lana, caucciù, mais, olio di palma, cacao e arachidi nel 1913 rappresentavano solo il 20,2 per cento delle esportazioni africane, nel 1935 il 25,14 per cento, mentre il 55,9 e il 53,5 per cento del ricavato delle esportazioni era rispettivamente dovuto a oro, diamanti e rame. Dal punto di vista dell’economia mondiale l’Africa era una colonia di giacimenti [...]. La distribuzione degli investimenti rispecchia la geografia della produzione. [...] Gli investitori sia pubblici sia privati, durante l’epoca coloniale, investirono il loro denaro in primo luogo nel settore delle esportazioni in senso lato. Il risultato fu uno sviluppo unilateralmente orientato al commercio estero, vale a dire agli interessi economici degli Europei anziché all’economia africana, cioè uno sviluppo economico dalla forte connotazione coloniale. Se guardiamo la carta geografica, ancora oggi possiamo ricavare una siffatta conclusione dal più importante investimento statale, la costruzione delle ferrovie2. [...] Tale
costruzione ha creato un sistema di linee ferroviarie d’approccio gravitanti sulle città portuali, sistema che non rispondeva alle esigenze del continente, bensì al suo sfruttamento da parte degli Europei. Quando il commercio rappresentava il grande affare con l’Africa, la cosa era più vera per il continente nel suo complesso che per le potenze coloniali, poiché il peso che l’Africa ebbe nella loro bilancia commerciale rimase tutto sommato modesto fino all’epoca del secondo conflitto mondiale. Erano piuttosto certe branche industriali e imprese commerciali a trarre il maggior beneficio non solo dal commercio, ma anche dalle misure intraprese dai governi per creare infrastrutture. Per il bilancio dello Stato dei paesi europei l’Africa potrebbe essere stata un affare in perdita, mentre per i privati i guadagni furono enormi, ma poco si sa della loro entità e dei loro effetti in madrepatria. Ciò dipende in parte dalla struttura delle imprese. Mentre sul versante africano tale commercio fino a un certo grado rimase commercio di scambio, [...] sul versante europeo ormai non si trattava più di società puramente nazionali, in quanto nel commercio africano l’epoca delle «multinazionali» fece ben presto la sua comparsa. 1. Messa a valore, valorizzazione. 2. FS, 170.
METODO DI STUDIO
a Cerchia i nomi delle merci prodotte per le esportazioni e sottolineane le caratteristiche commerciali quando descritte. b Sottolinea gli atteggiamenti e le politiche commerciali attuate dagli europei in Africa. c Individua e descrivi gli effetti dello sfruttamento e del commercio coloniale mettendo in rilievo quello che ti sembra possa essere il giudizio espresso da Reinhard.
184 N. LABANCA GLI AROMI E I SOGNI SOMALI
N. Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, il Mulino 2007, pp. 85-90.
Le politiche coloniali italiane della fine dell’800 furono strettamente legate allo spirito imperiale del Regno UniSe l’origine dell’espansione italiana in Eritrea poté essere detta un «accidente» della politica britannica, potremmo definire quella in Somalia «un accidente dell’accidente». […] Dopo l’apertura del Canale di Suez, nel 1875 truppe egiziane – dopo essersi fermate a Massaua – si erano spinte sino alle coste di quello che era ancora noto come il favoloso e sconosciuto paese di Punt, o Ofir, o Benadir «terra degli aromi». Al più tardi da quella data la Somalia aveva attratto l’attenzione degli esploratori e, con essi, dei governi europei. Nel Vecchio Continente si conosceva poco quella che sarebbe poi divenuta la Somalia. Alla base, vi era anche una certa complessità della situazione locale. L’interno del paese aveva assistito, da secoli, agli spostamenti delle popolazioni nomadi di pastori somali. […] Divisi in grandi famiglie claniche, aggregazioni riconoscentisi in un’unica discendenza agnatizia1 ma non legate a uno specifico territorio e non sempre operanti come unità politiche; in clan, entità più «politiche» e più legate ad una qualche esclusività territoriale ma non necessariamente insediate in territori definiti […]; e poi ancora in sottoclan, in lignaggi primari e secondari, sino ai più piccoli gruppi pagatori di tributi, i somali dovevano nel complesso apparire all’occhio ottocentesco europeo un popolo accomunato da una religione (quella musulmana) ma estremamente articolato e frazionato. […] La frammentazione del grande territorio dei somali fu forse la più evidente fra le eredità lasciate dagli europei. Fra di essi, i francesi erano nell’area sin dal 1839 e con il 1859 avevano ottenuto il porto di Obock. Fra il 1885 e il 1888 l’insediamento si rafforzò e nel 1894 Parigi ottenne da Menelik II l’autorizzazione ad avviare i lavori della ferrovia che avrebbe collegato Gibuti con Addis Abeba: tale operazione ridusse definitivamente l’importanza come sbocco al mare dei prodotti etiopici (oltre che dell’italiana Assab) della britannica Zeila. Anche i britannici erano da tempo nell’area. Da secoli in India […] e dal 1839 ad Aden, al momento del loro sopravvenuto controllo dell’Egitto nel 1882 essi avevano
to e ai rapporti diplomatici con esso. In particolare, come analizzato nel seguente brano dallo storico Nicola Labanca (nato nel 1957), ciò fu evidente nel caso dell’espansione – inizialmente solo commerciale – italiana in Somalia.
«ereditato» da Cairo un qualche rapporto con le sue stazioni marittime lungo il mar Rosso sino appunto in Somalia. […] Ancora una volta, come per l’Eritrea, l’Italia arrivò in Somalia via Gran Bretagna. Idee e progetti italiani sulla Somalia non erano mancati. Mentre i britannici andavano a Zeila, Menelik nell’Ogaden e la Conferenza di Berlino era in corso, Cristoforo Negri (1809-1896)2 suggerì di inviare una spedizione in quell’area. […] Efficace, anche se condotta con modi non sempre diplomatici e urbani, sembrò ai governi italiani la presenza a Zanzibar del commerciante Vincenzo Filonardi (18531916). Questi, fattosi finanziare dal Banco di Roma una sua campagna commerciale, poté sollecitare e cogliere al volo l’offerta del sultano locale (24 ottobre 1886) di rilevare i porti di Chisimaio, Brava, Merca, Mogadiscio e Uarsceich. In un primo momento, nel timore che l’accordo assumesse un valore troppo smaccatamente antitedesco, nei mesi che avrebbero dovuto condurre al rinnovo italiano della Triplice, fu Roma (gli Esteri di Di Robilant) a frenare. Ma in un secondo momento nel 1888-1989, con l’avvento di Crispi, tutto fu rimesso in moto. A quel punto l’azione italiana agì sui due teatri della Obbia-Migiurtinia e di Zanzibar. Per ambedue l’interessamento di Londra fu decisivo. Sul primo teatro, dopo aver ottenuto il benestare britannico secondo cui l’Italia sarebbe stata la «benvenuta sulla costa dei Somali», di nuovo il Filonardi, aiutato dalla presenza di navi militari italiane, ottenne che il sultano di Obbia firmasse una richiesta di protettorato (8 febbraio 1889). Analogamente avvenne per il sultano dei Migiurtini (7 aprile 1889). Si trattò di accordi rimasti a lungo poco più di pezzi di carta, che permettevano una sovranità italiana più formale che sostanziale, e comunque limitata ai principali approdi costieri. Essi in ogni caso stabilivano titoli di possesso coloniale. Più complessa, perché relativa a città e territori strategicamente e economicamente più interessanti, fu l’azione verso Zanzibar. Una prima volta (8 febbraio 1889) il contatto fu vanificato dal com-
portamento inurbano di Filonardi, che giunse ad insultare il sultano locale. Qualche mese più tardi, grazie ai buoni uffici britannici, fu possibile raggiungere un accordo (3 agosto 1889). Esso prevedeva che il sultano passasse alla Imperial British East African Company, e che questa transitasse all’Italia, i diritti sui suddetti porti del Benadir (trasferimento datato 18 novembre 1889). Una successiva convenzione fra Italia e Zanzibar (12 agosto 1892) perfezionò l’accordo. […] Mentre Filonardi continuava i propri affari, mescolando cariche pubbliche e interessi privati, l’Italia poteva affermare di disporre di un’altra colonia. A nessuno sfuggiva che, a parte quelli di Filonardi e di pochissimi altri, non c’erano concreti interessi economici italiani in atto in Somalia. […] Le sabbie somale non si confacevano nemmeno alla retorica colonialista italiana che cercava terre da coltivare per l’emigrazione italiana. Insomma, l’Italia non sapeva cosa fare della Somalia. Essa, al massimo, poteva tornare utile per l’accerchiamento dell’Etiopia, che pochi mesi prima aveva denunciato il trattato di Uccialli. Anche per tali vie, la Somalia si connetteva all’Eritrea. Colonia solo strategica (o al massimo commerciale, ma con tanti dubbi) […] fu presto chiaro che per la Somalia non era possibile pensare a spese paragonabili a quelle per l’Eritrea. […] Invece di edificare per il nuovo possedimento uno Stato coloniale sia pure in sedicesimo, come si stava facendo per l’Eritrea, l’11 maggio 1893 venne fondata la «Società V. Filonardi & C.». La Società, o compagnia, ricevette dal governo l’esercizio triennale del possedimento e una sovvenzione annua di trecentomila lire. In cambio la società Filonardi avrebbe dal canto suo corrisposto al sultano di Zanzibar un canone annuo per l’affitto dei porti e ai due sultani di Obbia e dei Migiurtini un personale appannaggio […].
1. Forma di discendenza che passa dal padre al primo figlio maschio. 2. Politico e scrittore italiano.
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FARESTORIA Le grandi potenze e i loro imperi coloniali
Con tale colonialismo «indiretto» (attraverso una compagnia privata) il governo aveva diversi scopi. Mirava a mettersi al riparo dalle critiche prevedibili dei conservatori non convinti di dover impegnare il Paese in ulteriori espansioni e da quelle sicure degli anticolonialisti. Riduceva il rischio di vedersi coinvolto, come sarebbe accaduto in Eritrea, in pericolose spedizioni nell’interno. E nel frattempo manteneva un proprio diritto su territori formalmente assai ampi.
PALESTRA INVALSI
1 L’autore del testo si propone di: [ ] a. dimostrare che l’Italia colonizzò la Somalia per accerchiare l’Etiopia. [ ] b. dimostrare che in Somalia l’Italia attivò una forma di colonialismo indiretto, traendo dei vantaggi da questa formula. [ ] c. dimostrare che la colonizzazione in Somalia apportava grandi vantaggi economici. [ ] d. dimostrare che l’impresa coloniale in Somalia aveva caratteri antitedeschi. 2 La seguente affermazione è coerente con quanto si sostiene nel testo? “La colonizzazione della Somalia avvenne, come le altre politiche coloniali italiane della fine dell’800, in coerenza con lo spirito imperiale del Regno Unito e con i rapporti diplomatici con esso.” [ ] a. Coerente [ ] b. Non coerente
PISTE DI LAVORO
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DAI DOCUMENTI ALLA STORIA 1 Scrivi un brano descrittivo di massimo 15 righe sui sistemi di alleanze e sugli equilibri internazionali legati alla nascita dei sistemi imperiali nel secondo ’800 a partire dal brano di Taylor [►179] e dal trattato della Triplice alleanza [►180d]. Evidenzia le informazioni e i concetti che intendi utilizzare nelle tue argomentazioni e le parti del documento storico che intendi citare e numerale in ordine crescente. Quindi, indica fra parentesi, all’interno del tuo elaborato, i concetti o le citazioni a cui fai riferimento. 2 Esamina le riflessioni portate avanti nei testi di Chiantera-Stutte [►181] e di Betts [►182] e realizza sul tuo quaderno un triangolo ai cui vertici scriverai le espressioni “scienze sociali”, “politica di potenza” e “colonialismo” e alcune parole chiave che ne condensano il valore storico-politico. Realizza quindi un testo argomentativo in cui analizzi il possibile rapporto fra queste tre espressioni nel contesto storico della seconda metà dell’800 argomentando le parole chiave da te individuate.
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
3 La politica coloniale è un fenomeno complesso che agisce su
più livelli, da quello delle motivazioni economiche a quello della legittimazione culturale a quello degli equilibri politici. Descrivi questi diversi aspetti a partire dai brani del sottopercorso. Seleziona quelli che ti sembrano più rilevanti ed evidenzia al loro interno i concetti che intendi utilizzare nelle tue argomentazioni e le parti del trattato che intendi citare e numerale in ordine crescente. Quindi, indica fra parentesi, all’interno del tuo elaborato, i concetti o le citazioni a cui fai riferimento. Scegli un taglio e un titolo per il tuo elaborato.
IL CONFRONTO STORIOGRAFICO 4 A partire dal brano di Betts [►182] schematizza il dibattito sui fattori che spinsero le potenze europee a impegnarsi nella competizione imperialistica di fine ’800-inizio ’900. Sulla base di quanto hai studiato fino a questo momento, indica la spiegazione che ritieni maggiormente condivisibile. Argomenta il tuo punto di vista in un testo di massimo15 righe.
COMPITO DI STORIA Scrivi un «saggio breve» sull’argomento indicato di seguito, facendo riferimento ai brani di Bédarida [►158], Mantegazza [►159d], Gay [►160], Michel [►161d], Mitchell [►162], Levine [►164], Stephanson [►166] e Petraccone [►167]. Puoi utilizzare tutti i brani o solo alcuni di essi. Individua un titolo che renda esplicito il tema e il taglio che hai scelto per il tuo elaborato. Se lo ritieni opportuno, suddividi il tuo elaborato in paragrafi.
Argomento I pregiudizi razziali e culturali nella seconda metà dell’800 Organizza il tuo elaborato utilizzando la seguente scaletta: a. Lettura e comprensione • Individua nei brani indicati le informazioni relative ai pregiudizi culturali e razziali cerchiando i soggetti verso cui erano rivolti i pregiudizi. Riscrivili schematicamente sul quaderno mettendo in rilievo le date significative, le aree geografiche di interesse e i soggetti storici coinvolti. b. Individuazione e analisi dei passaggi significativi in relazione alle questioni chiave affrontate nell’elaborato Evidenzia nei brani: • le cause dei pregiudizi individuati; • le conseguenze sociali di questi pregiudizi; • le azioni attuate per sconfiggere questi pregiudizi. c. Contestualizzazione storica • Individua il tipo di società in cui i pregiudizi perduravano e le caratteristiche che ne consentivano il perdurare. • Ci sono stati eventi storici legati alle battaglie contro i pregiudizi? Segna sul quaderno le coordinate storiche, i soggetti coinvolti da una parte e dall’altra e gli sviluppi di tali eventi. d. Interpretazione e problematizzazione • Quali riflessioni ti suscita la compresenza degli indiscutibili progressi scientifici e tecnologici della seconda metà dell’800 con quella cultura che considerava alcuni esseri umani meno intelligenti e capaci di altri?
Manifesto pubblicitario per il Giardino zoologico di acclimatazione, Parigi [Fondazione Primoli, Roma] A partire dagli anni ’70 dell’800 diventò popolare nelle grandi città europee l’idea di presentare, in un ambiente ricostruito, alcuni “campioni” di popolazioni esotiche, lontane, spesso quelle stesse popolazioni che erano state da poco colonizzate. Nel corso delle grandi esposizioni universali, ma anche nei giardini zoologici (diventati zoo umani per l’occasione), il cittadino medio europeo aveva la possibilità di “vedere” al di là di una rete metallica com’erano gli abitanti, oltre che gli animali, di quei continenti nei quali alcuni suoi connazionali stavano “portando il progresso e la civiltà”. I “selvaggi” portati in Occidente venivano truccati secondo gli stereotipi in vigore: il loro abbigliamento doveva risultare assai particolare in modo da sembrare qualcosa di assolutamente diverso rispetto al colto uomo occidentale. Gli zoo umani contribuirono a tracciare la frontiera intangibile tra i due mondi che si incontravano rafforzando gli stereotipi che gli europei avevano dei popoli esotici da civilizzare, e di sé stessi, gli unici in grado di portare la luce della civiltà.
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STORIAeAMBIENTE ECONOMIA COLONIALE E AMBIENTE
IMPERIALISMO E AMBIENTE Nella seconda metà del ’700 il botanico francese Bernardin de Saint Pierre notava: Non so se caffè e zucchero siano essenziali alla felicità dell’Europa, so però bene che questi due prodotti hanno avuto molta importanza per l’infelicità di due grandi regioni del mondo: l’America fu spopolata in modo da avere terra libera per piantarli; l’Africa fu spopolata per avere le braccia necessarie alla loro coltivazione.
Mondo «una segheria apparentemente incessante, capace di tenere a galla le sue navi e i suoi salotti riforniti di tavoli, sedie e scrivanie eleganti», scrisse lo storico David Arnold. Questo processo si intensificò durante le prime fasi dell’industrializzazione, perché il carbone di legna alimentava le fornaci che producevano ferro e ghisa. Il legno era fortemente richiesto anche nelle industrie minerarie, per i puntelli dei pozzi, come nella costruzione delle strade ferrate.
IL SISTEMA DELLE PIANTAGIONI E LE CONSEGUENZE SULL’AMBIENTE: Come abbiamo già visto [► STORIA E AMBIENTE, p. 242], enormi IL CASO DEL BRASILE [da S.W. Mintz, Storia dello zucchero. Tra politica e cultura, Einaudi, Torino 1990, epigrafe]
furono le conseguenze sull’ambiente della colonizzazione europea: l’introduzione di nuove piante, animali e, se pur involontariamente, di malattie nelle colonie determinò una radicale trasformazione dell’ecosistema dei paesi colonizzati. Analizzeremo ora gli effetti ambientali dello sfruttamento economico delle colonie, negli anni in cui le politiche imperialiste di espansione territoriale ed economica delle grandi potenze europee ed extraeuropee raggiunsero i massimi livelli di intensità.
INDUSTRIALIZZAZIONE E DEFORESTAZIONE
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Il primo e principale effetto dello sfruttamento coloniale fu una generalizzata deforestazione. Il legname era considerato una risorsa strategica fondamentale per i paesi europei, necessario per la costruzione e la manutenzione delle flotte militari e mercantili. Se durante il Medioevo e la prima età moderna gli europei avevano abbattuto le foreste del continente, soprattutto in Gran Bretagna, Olanda, Spagna e Portogallo, con l’espansione degli imperi si cominciò a prelevare il legname dalle colonie. L’Europa impiantò nel Nuovo
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Le foreste furono abbattute anche per ricavare un’altra risorsa: la terra coltivabile. L’espansione dell’agricoltura giocò un ruolo significativo nel declino delle foreste nelle colonie delle zone tropicali, soprattutto quando in Occidente crebbe la domanda di prodotti come zucchero, tè, caffè, cioccolato e tabacco, le cui coltivazioni furono localizzate nelle colonie. La canna da zucchero è un prodotto tropicale e subtropicale, che ha un ciclo di coltivazione lungo anche più di un anno. Spagnoli e portoghesi ne inaugurarono la coltivazione su piccola scala a Madeira e nelle Canarie, finché il sistema di piantagione non fu messo a punto nei Tropici, soprattutto nelle isole caraibiche (Grandi Antille) e nel Nord-Est del Brasile. Le piantagioni non erano solo imprese agricole: poiché gran parte del processo di trasformazione industriale della canna (bollitura, scrematura e riduzione del succo) avveniva nelle stesse piantagioni, erano una sorta di sintesi fra campo e fabbrica. Richiedevano alti investimenti di capitali: c’era bisogno di impianti, di numerosa manodopera (per la quale si ricorse alla importazione di schiavi africani) e di ampi spazi, perché la coltivazione causava il rapido
◄ Una
moderna piantagione di canna da zucchero in Africa
▼ La
pianta della canna da zucchero tagliata
depauperamento del terreno [► STORIA E AMBIENTE, p. 242]. L’agricoltura intensiva basata sulle piantagioni ebbe un impatto devastante sulle foreste dei paesi produttori. Complice anche l’industria dell’estrazione di oro e diamanti, il Brasile perse più della metà della foresta subtropicale della costa atlantica. La monocoltura dello zucchero, inoltre, lasciava poco spazio alle colture ad uso alimentare, determinando nuovi flussi di esportazioni dall’Europa alle colonie, come chiarisce lo storico francese Fernand Braudel: «Per nutrire una colonia in America – spiega l’abate Raynal [che scrisse nel 1770 Histoire philosophique et politique des établissements et du commerce des Européens dans les deux Indes, N.d.A.] – bisogna coltivare una provincia in Europa», poiché le colonie zuccheriere non sono in grado di nutrirsi da sole: la canna lascia poco spazio ai rari “quadri” di colture ad uso alimentare. È il dramma della monocoltura zuccheriera del Nord-Est brasiliano, delle Antille, del Sous marocchino. Nel 1783 l’Inghilterra invia nelle proprie Indie occidentali – soprattutto in Giamaica – 16526 barili di carne salata di bue e di maiale, 5188 pezzi di lardo, 2559 barili di trippe conservate. In Brasile l’alimentazione degli schiavi è assicurata con i barili di merluzzo di Terranova, con la carne do sol dell’interno e ben presto il charque [carne disidratata, N.d.A.], trasportato dalle navi dal Rio Grande do Sul. Nelle Antille la provvidenza è il bue salato e la farina delle colonie inglesi d’America: queste si procurano in cambio lo zucchero e il rum. [F. Braudel, Civiltà materiale, economia e capitalismo. Le strutture del quotidiano (secoli XV-
XVIII), Einaudi, Torino 2006, p. 201]
L’IMPATTO AMBIENTALE DELLA DIFFUSIONE DEL TÈ: LE COLONIE INGLESI IN INDIA Insieme con lo zucchero si diffusero in Europa, oltre al tabacco, tre bevande eccitanti originarie di territori d’oltremare: il tè (Cina), il caffè (penisola Araba) e il cacao (Messico): vennero alla ribalta insieme allo zucchero ed i loro successi coincisero e si legarono. Consumate inizialmente dalle classi ricche per il loro alto costo, progressivamente tè, caffè e cioccolato entrarono a far parte dei desideri anche delle classi più basse. L’antropologo Sidney Mintz ci racconta della diffusione del tè fra le classi popolari inglesi:
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STORIA E AMBIENTE Economia coloniale e ambiente
Dal momento in cui il tè e le bevande gemelle divennero consumo dei lavoratori, vennero servite calde e dolcificate. Adatte ai bisogni di persone per le quali l’apporto di calorie doveva diminuire nel corso del XVIII secolo e per le quali una bevanda dolce e calda doveva sembrare particolarmente gradita considerata la loro dieta e il clima inglese, queste bevande divennero rapidamente popolari. Man mano che gli inglesi ne bevvero quantità sempre maggiori, le bevande stesse divennero sempre più tipicamente inglesi almeno in due sensi: da un lato per un processo di ritualizzazione, dall’altro per il fatto che – almeno per un altro secolo o due – esse sarebbero state prodotte sempre più nelle colonie britanniche. [S.W. Mintz, Storia dello zucchero. Tra politica e cultura, cit., p. 113]
Dopo la rivoluzione industriale, il tè divenne la bevanda ideale per i lavoratori dell’industria. Infatti, l’apporto energetico prodotto dal tè (che aumenta se viene zuccherato) non solo accresce l’efficienza muscolare ma favorisce la concentrazione. Pane, formaggio e tè divennero gli elementi principali della dieta delle famiglie operaie inglesi; il carrello del tè fu introdotto su larga scala nelle fabbriche, i chioschi per la sua distribuzione nelle nuove stazioni ferroviarie e alla fine del XIX secolo il
tè entrò a far parte delle razioni degli eserciti inglese e americano. Con l’aumento della domanda interna di tè si rafforzò l’esigenza per l’Inghilterra di rendersi indipendente dalla produzione e dalle importazioni cinesi. Fin quando se ne importavano piccole quantità, infatti, il tè poteva essere pagato con altre merci, ma con l’aumento del consumo questo sistema di pagamento si fece troppo esoso. Far uscire dalla Cina semi di tè, per piantare gli arbusti in climi a loro congeniali, era un’impresa rischiosa: il governo cinese aveva promesso una ricompensa a chi catturasse mercanti sospettati di aver fatto uscire illegalmente semi o piante, un atto ritenuto una sorta di «sabotaggio botanico». La Royal Society of Arts di Londra promise un premio a chi si dimostrasse in grado di produrre e lavorare il tè cinese nelle colonie britanniche; il governatore generale dell’India, lord Bentinck, creò un comitato per analizzare la questione, tra i cui membri figuravano uomini d’affari e studiosi di botanica. All’inizio del XIX secolo, l’acquisizione dei possedimenti indiani in Birmania e nella zona nord-orientale dell’Assam permise agli inglesi di trovare un luogo non solo adatto alla coltivazione, ma anche dove la pianta
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La raccolta del tè a Sumatra fine XIX sec.
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
Raccoglitrici di una piantagione di tè in Sri Lanka [foto di Dannis Keller] La coltura del tè, introdotta fra ’700 e ’800 in alcuni paesi orientali, come l’India, lo Sri Lanka, la Cina, dai colonizzatori europei (soprattutto inglesi e olandesi), ha profondamente modificato, oltre che impoverito, il paesaggio e l’economia di questi luoghi.
selvatica del tè era già diffusa. Nell’Assam le foreste furono rase al suolo con il fuoco (perché la pianta del tè cresceva bene sulla cenere), per fare spazio a piantagioni grandi migliaia di ettari, come raccontano gli antropologi Alan e Iris Macfarlane: Il processo aveva inizio con il disboscamento della giungla, seguito dalla semina dei cespugli di tè e di alberi che, con la loro ombra, li proteggessero dal sole. [...] Nelle piantagioni dell’Assam i cespugli di tè erano disposti con cura in file ordinate, non sparsi casualmente nello stato quasi selvatico di quelle cinesi, o in lunghe siepi come in Giappone; e l’applicazione delle conoscenze di chimica e di agraria, unita alla continua sperimentazione dei terreni e dei pesticidi, dei metodi di coltivazione, potatura ed essiccamento, erano attuate con rigore quasi pari a quello di un’operazione militare. I braccianti erano stipati nelle “linee”, minuscole abitazioni simili a tende o baracche, e sottoposti a rigidissimi orari di lavoro. [A. Macfarlane, I. Macfarlane, Oro verde. La straordinaria storia del tè, Laterza, Roma-Bari 2004, pp. 208-9]
Staccata la delicata gemma apicale e le giovani foglie dell’arbusto, iniziava la trasformazione della materia prima (le foglie verdi) nel prodotto finale (il tè nero, seccato e confezionato), con l’uso sempre più ampio di tecniche e macchinari industriali (rullatrice, essiccatrice, frantumatrice, impacchettatrice). L’isola di Ceylon (Sri Lanka) e l’In-
dia sostituirono così la Cina come fornitore di tè, mentre il capitale britannico controllava sia la produzione che il mercato dell’esportazione e l’accesso al consumatore dell’«oro verde». Attorno al 1900 in Assam esistevano 764 piantagioni che ogni anno producevano circa 66 milioni di tonnellate di tè per l’esportazione. Oltre al tè non dobbiamo dimenticare la presenza in India delle piantagioni di indaco (un colorante naturale), cotone, oppio. La conquista britannica ebbe, in generale, un forte impatto sulle foreste pluviali della regione e sulla vita delle comunità locali. Le foreste, infatti, erano sfruttate da più villaggi e costituivano una parte vitale dell’economia locale: fornivano grandi quantitativi di bambù, legna da ardere, erbe medicinali, resina, miele, incenso, tinture, spazi per il pascolo. Foreste, quelle tropicali e subtropicali, che erano molto più ricche di biodiversità, cioè di specie diverse sia di animali che di piante, rispetto a quelle delle zone boreali e temperate. La sistematica distruzione delle foreste era stata portata avanti dalla Compagnia delle Indie orientali, anche come misura contro i gruppi tribali che vi si rifugiavano e tendevano a sottrarsi al suo controllo, con lo scopo di ottenere la sedentarizzazione forzata dei gruppi nomadi o seminomadi. Era una pratica che gli inglesi avevano già applicato in Irlanda e Scozia, ma questa volta ebbe caratteristiche peculiari, come mette in luce lo storico Michelguglielmo Torri: 807
STORIA E AMBIENTE Economia coloniale e ambiente
In particolare la distruzione delle foreste, attuata sia per impedire che potessero servire da copertura per ribelli potenziali o attuali, sia per depredarne le risorse, assunse dimensioni tali da essere, probabilmente, la causa di percepibili variazioni nell’ecosistema verificatesi nel medesimo periodo, quali l’aumento dei venti caldi nella pianura gangetica e la diminuzione del livello dei fiumi nell’estremo Sud. Il processo d’espansione della frontiera interna non era, in effetti, nulla di nuovo nella storia del subcontinente. Esso era stato portato avanti con vigore se non da tutti, da alcuni almeno degli stati precoloniali modernizzatori. Tuttavia, ciò che fece della politica perseguita dalla Compagnia qualcosa di qualitativamente nuovo (comportando, fra l’altro, la quasi completa distruzione delle foreste nella maggior parte del subcontinente) furono la sistematicità e le dimensioni di tale politica. [M. Torri, Storia dell’India, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 397]
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Nel Sud-Est asiatico, soprattutto in Malesia e Indonesia, si diffusero anche le piantagioni di caucciù, che alla fine del XIX secolo si rivelarono particolarmente redditizie vista la domanda di gomma innescata dalla nuova industria automobilistica.
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▲ Piantagione
di alberi da caucciù
▼ La deforestazione di numerosi ettari di foresta pluviale nel Borneo (Malesia) [foto di M. Klum] Un primo passo verso l’impoverimento del suolo e la desertificazione è la deforestazione, attuata per ricavare legname pregiato ma anche, e soprattutto, per fare spazio all’agricoltura (di solito grandi monocolture come la palma da olio) o all’urbanizzazione. Le antiche foreste pluviali del Sarawak, uno dei due Stati del Borneo, sono state eradicate per far posto alle piantagioni di palme e alle strade di accesso.
L’ECONOMIA DI RAPINA. IL CASO DELL’AFRICA In Africa l’economia coloniale esordì come economia di rapina, un saccheggio su vasta scala, in cui si prelevarono il più rapidamente possibile prodotti naturali, sfruttando brutalmente le popolazioni locali e senza effettuare investimenti nel paese. La produzione delle colture da esportazione, le cosiddette cash crops (che si può tradurre con “colture da reddito”) avvenne in modalità diverse da colonia a colonia. In alcuni casi la proprietà della terra fu lasciata ai piccoli contadini, in altri furono privilegiate le grandi piantagioni gestite da società europee, in altri ancora (come in Togo e Camerun) scoppiarono conflitti perché i proprietari di piantagioni si erano appropriati delle terre più fertili. Le conseguenze furono ad ogni modo simili: uno sviluppo orientato al commercio estero in modo unilaterale, vale a dire agli interessi economici degli europei anziché all’economia africana; la forte dipendenza delle monocolture dal mercato mondiale, con il rischio di un’elevata debolezza nei periodi di crisi, quando i prezzi delle colture da esportazione scendevano. L’Africa era fornitrice di caffè, cacao, banane, prodotti ricavati dalla palma da olio, arachidi, cotone. Si scoprì che diverse colonie erano anche ricche di giacimenti minerari: il Sudafrica, la Rhodesia del Nord, ossia l’attuale Zambia (dotata di giacimenti di rame), la regione meridionale del Congo (ricca di rame, oro, diamanti). Fu nel Congo Belga che l’economia di rapina raggiunse il culmine, quando il sovrano Leopoldo II, che governò la colonia come un domi▲ La
colonizzazione dell’Africa 1887 [copertina de «La Caricature»] Il continente africano è oggetto di molti appetiti nella vignetta satirica francese.
◄ Lo
sfruttamento delle piantagioni di caffè nel Camerun
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STORIA E AMBIENTE Economia coloniale e ambiente
nio personale fra il 1885 e il 1908, si assicurò il monopolio sull’avorio e sul caucciù, estratto sfruttando duramente la popolazione locale. Questi sviluppi complessivi, con la crescente interrelazione nell’economia globale di diverse zone, non cambiarono forma e caratteri dei paesi industrializzati, come mette in luce Eric Hobsbawm: Trasformarono il resto del mondo, in quanto lo mutarono in un complesso di territori coloniali e semicoloniali che si andarono sempre più specializzando nella produzione di uno o due prodotti primari da esportare nel mercato mondiale, dai cui capricci dipendevano interamente. La Malesia significò sempre più gomma e stagno, il Brasile caffè, il Cile nitrati, l’Uruguay carne, Cuba zucchero e sigari. [...] Le fortune dei paesi in questione erano sempre più una funzione del prezzo del caffè (che nel 1914 già produceva il 58% del valore delle esportazioni brasiliane e il 53% di quelle colombiane), del caucciù e dello stagno, del cacao, della carne e della lana. [E.J. Hobsbawm, L’età degli Imperi. 1875-1914, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 75-77]
DOPO LA DECOLONIZZAZIONE
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I rapporti commerciali iniqui ed ecologicamente distruttivi non sono terminati con la decolonizzazione, ossia la conquista dell’indipendenza da parte dei paesi afro-asiatici sin allora soggetti al dominio coloniale che si verificò dopo la seconda guerra mondiale. Anzi risultano ancora drammaticamente attuali. La crisi finanziaria scoppiata nel 2007-8, con il crollo di Wall Street e delle borse mondiali, stimolò diversi attori del settore finanziario ad investire nei cosiddetti beni rifugio, l’oro, il petrolio, ma anche i prodotti alimentari di base, come mais, grano e riso. Il corollario è stato l’investimento diretto nelle terre da coltivare, con gruppi finanziari che hanno comprato partecipazioni nello sfruttamento di appezzamenti agricoli in Brasile, Indonesia o in paesi africani. Negli ultimi anni si è così innescato il fenomeno del land grabbing, la “corsa alle terre”: milioni di ettari in buona parte del Sud del mondo sono stati dati in affitto a imprenditori stranieri, aziende multinazionali, fondi di investimento, per essere destinati a produrre alimenti o biocarburanti [► STORIA E AMBIENTE, p. 242] destinati alle esportazioni, in prevalenza verso il Nord del mondo. L’Etiopia, ad esempio, ha lanciato un piano di affitto a lungo termine di un’ampia parte dei suoi terreni ad investitori sauditi e indiani, ma anche europei. I canoni di affitto mol-
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Locandina del network Pan Asia Pacific che inaugura il “Giorno dei senzaterra” Il Pan Asia Pacific è una rete formata da oltre 100 organizzazioni nella regione dell’Asia del Pacifico, che combatte l’uso di pesticidi, promuove un’agricoltura ecologica e sostenibile e la conservazione della biodiversità. Scopo finale delle sue campagne è promuovere una società basata sulla giustizia sociale e di genere, sulla distribuzione equa delle risorse produttive, sulla sicurezza ambientale e sulla sostenibilità. Con la campagna «No Land, No Life!» (“Nessuna terra, nessuna vita!”), il Pan Ap vuole contrastare il fenomeno del land grabbing, che impoverisce la biodiversità, oltre che le popolazioni locali, a favore dei grandi gruppi industriali.
to bassi, sommati al basso costo della manodopera, hanno reso particolarmente allettante la prospettiva di investire nel paese africano. La domanda è cresciuta dopo la crisi alimentare del 2007-8, quando i prezzi degli alimenti di base sono saliti alle stelle e i tumulti per fame hanno incendiato alcuni Stati africani, asiatici e centro-americani, ma hanno suscitato allerta e preoccupazione anche nei paesi arabi del Golfo. Negli Emirati e in Arabia Saudita si è rafforzata la necessità di garantirsi altrove la produzione dei beni alimentari di cui i paesi avevano bisogno, in luoghi più fertili
e dal clima migliore, come l’Etiopia, appunto – destinata a diventare il «granaio del Golfo Persico». I casi sono numerosi, come quello del governo del Madagascar, che stipulò un accordo con la Daewoo per cedere gratis alla multinazionale sud-coreana la metà della terra coltivabile del paese, per produrre mais e palma da olio. Svelato dal «Financial Times» l’accordo suscitò proteste tali da costringere il capo del governo alle dimissioni. In Tanzania, invece, sono state frequenti le espropriazioni fatte con l’inganno ai danni di numerosi piccoli villaggi e delle loro terre comuni, cedute da poteri pubblici spesso corrotti ad investitori (prevalentemente europei) che si sono lanciati nel business dei biocarburanti. La Tanzania, infatti, è un luogo ideale per la coltivazione della canna da zucchero per etanolo, della palma da olio, della jatropha, dal cui seme si estrae un olio che può essere usato come combustibile nei motori. La coltivazione della soia (gestita da un ristretto numero di multinazionali) non ha avuto conseguenze ambientali e sociali meno gravi nel Mato Grosso do Sul, regione occidentale del Brasile al confine con il Paraguay – come ci racconta il giornalista Stefano Liberti: Il paesaggio è verde ma piatto: non ci sono alberi. Solo piantagioni che si estendono a perdita d’occhio. Un tempo qui c’era il cerrado, un ambiente tropicale simile alla savana, ecosistema con un elevatissimo tasso di biodiversità. Oggi, ci sono prevalentemente colture di soia. Il Mato Grosso do Sul, insieme allo stato gemello più a nord (il Mato Grosso), al Paraguay, a parte della Bolivia e all’Argentina orientale, costituisce la cosiddetta «repubblica unita della soia», una distesa di milioni di ettari dove si coltiva la «piantina miracolosa» i cui semi sono usati in tutto il mondo come mangime per gli animali,
ma anche sotto forma di olio in diversi alimenti per gli esseri umani. I campi di soia, di cui il Brasile è il secondo esportatore mondiale, sono stati creati e spianati nel corso degli ultimi decenni da una corsa all’Ovest che ricorda da vicino quella del Far West nordamericano. [...] Sloggiati dal proprio territorio, confinati in riserve anguste, spesso usati come manodopera a basso costo, gli indios continuano a rivendicare – con scarse possibilità di successo – il possesso delle terre occupate dai latifondisti, i cosiddetti fazenderos. Oggi nel Mato Grosso do Sul 11.000 guaranì vivono in una riserva di 3500 ettari, letteralmente assediata dalle grandi piantagioni di soia. Chi si ribella a questa situazione, che l’ex ministro dell’Ambiente e leader ecologista brasiliana Marina Silva non ha esitato a definire «apartheid sociale», spesso viene ucciso: nel 2008, ci sono stati 60 omicidi di indigeni in Brasile, 42 dei quali a danno di guaranì nel Mato Grosso do Sul. [S. Liberti, Land Grabbing. Come il mercato delle terre crea il nuovo colonialismo, Minimum Fax, Roma 2015, p. 181]
Inoltre, dal 1950 più di 5 milioni di chilometri quadrati di foresta tropicale sono stati abbattuti per produrre legname e beni agricoli da esportare (caffè, carne di manzo, biocarburanti derivanti da canna da zucchero e soia). Mentre la deforestazione continua, soprattutto nel Sud del mondo, non è cessata né mutata l’importanza delle foreste. Queste, infatti, forniscono da sempre i cosiddetti «servizi ecologici»: prevengono l’erosione del suolo, riducendo il rischio di inondazioni e frane, proteggono le riserve idriche, restituiscono umidità all’atmosfera, aiutando a regolare il clima. Funzioni a cui, di fronte alle minacce del riscaldamento globale e della sovrappopolazione del pianeta, non possiamo rinunciare.
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STORIA E AMBIENTE Economia coloniale e ambiente
LABORATORIO DI EDUCAZIONE AMBIENTALE LE CARTE RACCONTANO. SISTEMA DELLE PIANTAGIONI E IMPATTO AMBIENTALE (SECOLI XVIII-XIX) 1 Immagina di essere il cartografo dell’«Atlante-Nigrizia», la rivista mensile edita dai missionari comboniani: ti è stata commissionata la realizzazione di una carta tematica sul sistema delle piantagioni (piante alimentari e industriali) introdotto nei secoli XVIII-XIX dagli europei nei loro possedimenti coloniali. Per avere una rappresentazione d’insieme del fenomeno, riporta sul planisfero le piante coltivate in ciascun continente; per ciascuna di esse inventa un simbolo e inseriscilo nella legenda. Correda infine la carta di un commento di sufficiente ampiezza (minimo 150 parole), in cui metti in evidenza il rapporto tra deforestazione e agricoltura intensiva delle piantagioni nei possedimenti coloniali europei, secoli XVIII-XIX.
canna da zucchero
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IL SUD DEL MONDO TRA CASH CROPS E LAND GRABBING 2 Abbiamo imparato che i rapporti commerciali iniqui tra paesi industrializzati e paesi afro-asiatici sono andati ben oltre la metà del XX secolo. Spiega in un testo (max 10 righe) in che modo i paesi industrializzati continuano a perpetrare l’economia di rapina nei confronti dei paesi afro-asiatici, soffermandoti su un caso di studio a scelta tra quelli proposti nel testo. ALLARME FORESTA AMAZZONICA! 3 All’inizio del XX secolo la foresta amazzonica si estendeva su quasi 6 milioni di km2; oggi invece essa è ridotta a circa 4 milioni di km2. Dal 1960, infatti, quasi un terzo del patrimonio boschivo è stato abbattuto per fare spazio ad altre attività economiche.
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Quali attività economiche si sono sviluppate grazie alla deforestazione e a vantaggio di chi va l’arricchimento in questi settori? Che effetto ha tutto questo sull’ambiente naturale e su chi vive all’interno della foresta? È proprio vero che lo sviluppo economico dei paesi su cui essa si estende dipende dalla deforestazione?
U6 LE GRANDI POTENZE E L’IMPERIALISMO
Per rispondere a questi interrogativi lancia una ricerca su Internet, digitando “deforestazione foresta amazzonica”. Discuti in classe il risultato della tua ricerca con i compagni e l’insegnante di Storia e insieme valutate se esistono interventi sulla foresta amazzonica che possono portare reali benefici alle popolazioni locali.
SOS NARCO-DEFORESTAZIONE! 4 Hai mai sentito parlare del «Corridoio Biologico Mesoamericano», l’area verde ricompresa fra Honduras, Guatemala e Nicaragua famosa per la sua biodiversità? Bene (anzi, male!), essa è oggetto da qualche decennio a questa parte di un fenomeno chiamato narco-deforestazione. L’allarme è stato dato nel 2014 da un ricercatore della Northern Arizona University che ha scoperto il fenomeno casualmente, monitorando la biodiversità di alcune zone, e ha poi pubblicato un articolo sulla rivista americana «Science». Per saperne di più sulla narco-deforestazione, lancia una ricerca su Internet e indaga su quali siano le ragioni che spingono i narcotrafficanti sudamericani a operare una tale distruzione dell’ambiente e quali sono i rischi per la preziosa biodiversità del «Corridoio Biologico Mesoamericano». Realizza infine un PowerPoint in cui sintetizzare i risultati della tua ricerca, corredandola di immagini.
L’ECONOMIA DI RAPINA AI TEMPI DELLA GLOBALIZZAZIONE 5 Come abbiamo imparato, il controllo del territorio e delle sue risorse naturali e umane è stato il principio-guida dell’espansione coloniale europea sin dal suo avvio, nel XVI secolo. In tempi recenti, una nuova forma di colonizzazione ha preso piede: è il cosiddetto land grabbing, che in italiano significa “accaparramento di terre” (suoli agricoli e acqua) e di territori (sistemi sociali e ambientali). Il fenomeno consiste in investimenti speculativi da parte dei poteri forti della finanza (europei, americani, arabi) e delle multinazionali operanti nel settore agroalimentare, i quali si assicurano concessioni o contratti d’affitto pluridecennali su grandi estensioni di terra fertile in Africa, America Latina e Asia. Per approfondire questo fenomeno di dimensioni planetarie, ti invitiamo a fare una ricerca in Rete sull’argomento. Digita nella maschera di ricerca di Google “unimondo.org”: nella barra di navigazione, clicca su “Guide”, poi ancora su “Sviluppo” e infine su “Land grabbing” e prendi appunti. Leggi attentamente le domande di seguito proposte e reperisci le risposte nel documento. Crea poi uno spot pubblicitario per sensibilizzare l’opinione pubblica sul fenomeno. Per la realizzazione dello spot puoi utilizzare i mezzi tradizionali o i nuovi media.
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Da quali scopi è guidato il land grabbing? Chi sono gli attori politici, economici e sociali direttamente coinvolti nel land grabbing? ● Quali sono le aree maggiormente attraenti per gli investitori?
● Cosa fa la Banca Mondiale di fronte al land grabbing? ● Come l’Onu concilia l’obiettivo della sicurezza alimentare grabbing? ● Le Ong e la lotta al land grabbing.
con il land
COSA PUOI FARE TU? 6 Il land grabbing è strettamente connesso al problema dell’accesso al cibo da parte dei paesi del Sud del mondo. Unimondo.org ha lanciato nel 2012 una campagna di sensibilizzazione intitolata Sulla fame non si specula. Digita nella maschera di ricerca di Google “sullafamenonsispecula.org” e informati su cosa puoi fare tu per combattere la speculazione alimentare.
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STORIA E AMBIENTE Economia coloniale e ambiente
GLOSSARIO
A accaparramento speculativo, 55 acciaio, 598 amish, 252 anarchismo, 408 animismo, 716 Asse ecclesiastico, 728 assolutismo, 35 autocrazia, 676 B boicottaggio, 256 bucaniere/filibustiere, 195 burocrazia, 95 C calmiere, 288 capitalismo, 407 cartello/trust, 598 catasto, 96 censimento, 5 collegio uninominale, 725 collettivismo, 197 colpo di Stato, 288 commessa, 597 compagnia commerciale, 193 Comune, 667 confederazione/federazione, 261 cooperative di consumo, 407 creolo, 456 D deficit pubblico, 277 democrazia teocratica, 254 demografia, 5 distillazione del carbon fossile, 341 domicilio coatto o confino, 745
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E ecosistema, 205 egemonia, 48 emendamento, 264
GLOSSARIO
enciclica, 590 esotismo, 207 extraterritorialità, 734 F famiglia, 6 fedecommesso, 296 filantropia, 20 G gabella, 10 generi coloniali, 16 geopolitica, 63 ghigliottina, 284 ghisa/altoforno, 341 Gran Bretagna, 58 guerre franco-indiane, 255 guerriglia, 314 I idealismo, 399 imposte dirette, imposte indirette, 499 Indice dei libri proibiti, 30 indio, 456 induismo, 179 J Junker, 662 L laico, 35 lavoro salariato, 333 lealista, 459 Legge salica, 61 legittimismo, 422 libbra, 339 libertà in negativo/libertà in positivo, 403 libertino, 80 M macchine utènsili, 336 mandarino, 180 meccanizzazione, 333 melassa, 199
melting pot, 694 metropoli, 581 mezzadria, 10 millet, 174 monopolio, 70 monopolio della forza legittima, 396 monopolio, 598 movimento operaio, 407 N nobiltà di spada/nobiltà di toga, 48 O oscurantismo, 83 P
pamphlet, 79
patria/nazione, 402 pellagra, 723 petrolio, 600 philosophe, 79 piante industriali, 561 pila/dinamo, 601 plebiscito, 309 pool, 598 principe elettore, 66 prodotto interno lordo (Pil), 721 produttività, 5 produzione/produttività, 336 proletariato, 410 protettorato, 702 puddellaggio, 341 puritani, 252 R reazionario, 405 resa, 14 rotazione triennale, 13 S samurai, 185 sciiti/sunniti, 175 secessione, 689
segregazione razziale, 692 seminativo, 561 separatismo, 472 settore terziario, 721 sinistra, centro, destra, 282 sistema delle caste, 179 socializzazione, 588 società civile, 404 società per azioni, 576 società/famiglia patriarcale, 572 sovranità popolare, 35 sperimentale, 28 spesa pubblica, 736 statistica, 397 Stato accentrato, 318 stato civile, 296 statuto, 483 suffragio universale/suffragio censitario, 262 svalutazione della moneta, 9 T taglia, 10 tasso di natalità/mortalità, 5 telegrafo, 578 titolo di Stato, 277 totalitarismo, 287 transazione finanziaria, 578 transumanza, 563 U ultrarealisti/ultras, 431 urbanesimo/urbanizzazione, 582 V vaccinazione, 6 W Whigs/Tories, 58
INDICE DEI NOMI
Avvertenza Sono in corsivo i numeri di pagina che rimandano alle didascalie delle immagini.
A Abbās I il Grande, scià di Persia, 175. Abbattista, Guido, 363-364, 373, 375. Abdulcelil Çelebi Levni, 235. Adam, Brother, 78. Adams, John, 258, 258, 259, 353. Agostino, santo, 50. Akbar, sovrano moghul, 178, 179. Albert, Alexandre Martin, detto, 439-440. Alberti, Leon Battista, 6. Alberto di Sassonia-Coburgo, 580, 674. Alekseev, Fëdor, 69. Alessandro I Romanov, zar di Russia, 314, 314, 316, 423, 670. Alessandro II Romanov, zar di Russia, 70, 676-677, 677. Alessandro III Romanov, zar di Russia, 664. Alfieri, Vittorio, 471. Algarotti, Francesco, 99. Alì, 175. Allen, Robert C., 384, 387. Altusio, Giovanni (Johannes Althusius), 35. Alula, ras d’Etiopia, 741. al-Wahhab, Muhammad ibn ‘Abd, 374. Amman, Jacob, 252. Andrews, Robert, 120. Angeli, Heinrich von, 674. Angiò, dinastia, 490. Anna d’Asburgo, regina consorte di Francia, 48. Anna Romanova, 68. Anna Stuart, regina d’Inghilterra, 8, 58, 71. Ansell, Charles, 314. Appert, Ernest-Eugène, 668. Arabi Pascià, 706. Ariès, Philippe, 129. Aristotele, 26, 31, 462. Arkwright, Richard, 337, 337, 384. Armellin, Bruno, 220. Armellini, Carlo, 489. Arminio, Jacobus Harmensz, detto, 34. Arnold, David, 804. Arnout, Jules, 575. Asburgo, dinastia, 8, 18, 48, 53, 53, 62, 176.
Bertry, Nicolas Henri Jeaurat de, 278. Besant, Annie, 771. Betts, Raymond F., 795, 799. Bevilacqua, Piero, 560. Biagini, Eugenio Federico, 541, 555. Bierstadt, Albert, 244. Biffi, Giovanni Battista, 92. Billaud-Varenne, Jacques-Nicolas, 360. Binelli, Carlo, 502. Bismarck, Herbert von, 665. Bismarck, Otto von, 607, 659, 662663, 663, 664-665, 665, 667, 669-670, 670, 671, 702, 706, 732, 739, 747, 797. Bixio, Nino, 508, 732. Black, Joseph, 338. Blanc, Louis, 408, 439-440, 520. Blanqui, Auguste, 408-409, 520. Bloch, Marc, 157, 162. Blondel, Merry-Joseph, 425. Bobbio, Norberto, 35, 518, 520. Bockmann, A., 665. Bodicon, Barbara Leigh Smith, 555. Bodmer, Karl, 261, 465. Boilly, Louis-Léopold, 6, 283. Bolívar, Simón, 429, 457, 458, 458, 459-460, 460. Bonaparte, Giuseppe, 314, 319. Bonaparte, Luigi, 439. Bonaparte, Luigi Napoleone, vedi Napoleone III. Borbone, dinastia, 48, 53, 70-71, 82, 100, 296, 297, 314, 319, 319, 323, 422423, 431, 433, 487, 508, 553, 671, 746. Boucher, François, 208. Boulanger, Georges, 673. Boulton, Matthew, 338-339. Bouvet, Joachim, 227. Boyle, Robert, 31. Brahe, Tycho, 27. Braudel, Fernand, 170, 561, 805. Brecht, Bertolt, 30. Bridgewater, Francis Egerton, duca di, 334. Briggs, Asa, 650. Bright, John, 674. Brissot, Jacques-Pierre, 280, 288, 360. Brockedon, William, 550. Brown, Ford Madox, 334. Browning, Robert, 555.
Ashurst Stansfeld, Caroline, 555. Ashurst Venturi, Emilia, 555. Aurangzeb, sovrano moghul, 179. B Babbage, Charles, 618. Babeuf, François-Noël, 290, 543. Babur il Conquistatore, 178. Bacone, Francesco (Francis Bacon), 29, 38-39, 84, 138, 142. Baczko, Bronislaw, 368. Bailly, Jean Sylvain, 275. Bakunin, Michail, 408, 588, 588, 668, 741. Balbo, Cesare, 479-480. Ballantyne, Tony, 783, 785. Balzac, Honoré de, 615, 617. Bandiera, Attilio, 479, 490. Bandiera, Emilio, 479, 490. Banks, Joseph, 204. Banti, Alberto Mario, 540-541. Barbagallo, Francesco, 788. Barbagallo, Lina, 747. Barbagli, Marzio, 628. Barras, Paul, 290. Barrett Browning, Elizabeth, 555. Bartolena, Cesare, 512. Bassi, Ugo, 542. Baumgarten, Alexander, 90. Bayer, Friedrich, 605. Bayle, Pierre, 34, 38. Bayly, Christopher A., 373-374. Beales, Derek, 541, 555. Beauharnais, Eugenio, 314. Beaumont, Gustave de, 462. Beccaria, Cesare, 90, 92, 92, 93, 99, 146, 152, 481. Becker, Gary, 113. Bédarida, François, 769-770. Bell, Alexander Graham, 602. Bellavitis, Anna, 124. Bellini, Gentile, 235. Bentham, Jeremy, 40, 89. Bentinck, William, 319, 806. Benz, Carl Friedrich, 600. Béraud, Jean, 571, 653. Berchet, Giovanni, 489, 542-543. Bernard, Claude, 643. Bernard, Émile, 717. Bertani, Agostino, 736. Bertaux, Jacques, 283.
Brownscombe, Jennie Augusta, 254. Bruno, Giordano, 30, 32. Buffon, George-Louis Leclerc, conte di, 86. Buhari, Abdullah, 235. Buonarroti, Filippo, 290, 294, 543. Burgo, Giovan Battista de, 237. Burke, Edmund, 292, 401. Burstin, Haim, 363, 367. Burton, Antoinette, 783, 785. Bury, Thomas Talbot, 651. Byron, Ada, 400. Byron, Allegra, 401. Byron, George Gordon, 399-401, 430, 431, 528, 530. C Cabet, Étienne, 409. Cadorna, Raffaele, 732. Cady Stanton, Elizabeth, 772. Cafagna, Luciano, 541, 550. Cafiero, Carlo, 741, 763. Cammarano, Fulvio, 759, 762. Cammarano, Michele, 733, 740. Campanella, Tommaso, 38. Campi, Alessandro, 528. Canella, Giuseppe, 427. Cantù, Cesare, 479. Capponi, Gino, 426, 479. Capuana, Luigi, 752. Caracalla, imperatore romano, 749. Caracciolo, Francesco, 297. Cardigan, James Brudenell, conte di, 661. Cardini, Franco, 233, 237. Carducci, Giosuè, 731. Carli, Gian Rinaldo, 101. Carlo I Stuart, re d’Inghilterra, 56. Carlo II d’Asburgo, re di Spagna, 53. Carlo II Stuart, re d’Inghilterra, 39, 55, 59, 273. Carlo III di Borbone, re di Napoli e re di Spagna, 63, 72, 94, 100, 100. Carlo V, re di Spagna, 796. Carlo V d’Asburgo, imperatore del Sacro romano impero, 53, 470. Carlo V di Lorena, 176, 238-239. Carlo VI d’Asburgo, imperatore del Sacro romano impero, 53, 61.
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INDICE DEI NOMI
816
Carlo X di Borbone, re di Francia, 275, 431-432, 432. Carlo XII, re di Svezia, 67. Carlo Alberto di Savoia, re di Sardegna, 472, 480, 483-488, 500, 546, 548. Carlo Emanuele III di Savoia, re di Sardegna, 100. Carlo Felice di Savoia, re di Sardegna, 472. Carlo Magno, imperatore del Sacro romano impero, 666. Carlyle, Thomas, 703. Caroli, Rosa, 759, 767. Carra, Jean-Louis, 360. Cartesio (René Descartes), 29-30, 84, 138, 140-142. Cartwright, Edmund, 337, 341. Casati, Gabrio, 383, 727, 735. Cassatt, Mary, 606. Castaldi, Andrea, 475. Castelli, Benedetto, 138, 144. Castro, José Gil de, 458. Caterina II, zarina di Russia, 68, 69, 69, 70, 94, 99. Cattaneo, Carlo, 101, 481, 485, 509, 540, 547, 726, 747. Cavallari, Alberto, 639, 642. Cavallotti, Felice, 736. Cavour, Camillo Benso, conte di, 395, 477, 499-500, 500, 501, 501-502, 504-508, 510-511, 541, 548, 550-551, 553, 556, 579, 678, 723-724, 729, 730, 733. Čechov, Anton, 676. Cellarius, Andrea, 27. Cenni, Quinto, 488. Cernuschi, Enrico, 488. Cézanne, Paul, 717. Chamberlain, Joseph, 676, 703, 710. Champin, Jean-Jacques, 440. Champollion, 301, 301. Chardin, Jean-Baptiste-Siméon, 172. Chartier, Roger, 146, 154. Chassériau, Théodore, 463. Chataignier, Alexis, 308. Chateaubriand, François-AugusteRené de, 363, 368, 399, 401, 518. Châtelet, Gabrielle-Émilie, marchesa du, 82. Chávez, Hugo, 458. Chhatrapati Shivaji, sovrano indiano, 213. Chiantera-Stutte, Patricia, 795, 797. Cianfarelli, Nicola, 87. Cigola, Giovanni Battista, 401. Cipolla, Carlo Maria, 384. Ciriacono, Salvatore, 108, 110.
INDICE DEI NOMI
Clark, William, 259. Clavière, Étienne, 360. Clemenceau, Georges, 672. Clemente XI (Giovanni Francesco Albani), papa, 157. Clemente XIV (Giovan Vincenzo Antonio Ganganelli), papa, 95. Clermont, Clara, 401. Cobden, Richard, 435. Colajanni, Napoleone, 781. Colbert, Jean-Baptiste, 16, 48, 50-52. Cole, Henry, 580. Coleridge, Samuel Taylor, 399. Collot d’Herbois, Jean-Marie, 360, 370. Colombo, Cristoforo, 456. Colombo, Giuseppe, 788, 791. Comenio (Jan Amos Komenský), 38. Comte, Auguste, 574. Condorcet, Nicolas de Caritat, marchese di, 78, 376. Confucio (K’ung fu Tzu), 180, 180, 181, 185, 227. Constant, Benjamin, 313, 401, 518, 521. Cook, James, 201-203, 203-204. Cooper, W.D., 257. Copernico, Niccolò, 26, 30, 138, 232. Coppino, Michele, 735, 735. Corday, Charlotte, 291. Cort, Henry, 341, 384. Cortés, Hernán, 243. Cosmacini, Giorgio, 639, 643. Costa, Andrea, 736, 741. Costaz, Louis, 618. Coubert, Gustave, 408. Couder, Auguste, 325. Couthon, Georges, 287-288. Criscuolo, Vittorio, 374, 378. Crispi, famiglia, 746. Crispi, Francesco, 477, 507-508, 555, 744-747, 747, 748, 748, 759, 761. Crompton, Samuel, 337. Cromwell, Oliver, 34, 55, 57, 273, 530. Crosby, Alfred W., 242, 244. Crowe, Eyre, 344. Crowley, Ambrose, 389. Cruikshank, George, 425. Cunningham, Hugh, 124, 129, 625, 627. Cuoco, Vincenzo, 296, 297, 401, 542. Curie, Ève, 601. Curie, Irène, 601. Curie (Skłodowska), Marie, 600, 600, 601. Curie, Pierre, 600-601.
Currier, Nathaniel, 577. D Daimler, Gottlieb, 600. d’Alembert, Jean-Baptiste, 78, 84, 163. Damiens, Robert-François, 54. D’Angelo, Rosina, 746. Dante Alighieri, 399, 476. Danton, Georges-Jacques, 279, 288, 360. Darby, Abraham, 342. Darwin, Charles, 569, 572, 572, 573, 573, 574, 574. Daumier, Honoré, 410. David, Jacques-Louis, 8, 272, 301, 311, 315, 324. Davis, Jefferson, 691. Dawson, George, 555. d’Azeglio, Massimo, 481, 499-500, 540, 546. Debucourt, Louis-Philibert, 79. De Cesare, Michelina, 727. Defoe, Daniel, 201, 207. Defrance, Léonard, 206. De Francesco, Antonino, 374, 381. Delacroix, Eugène, 399, 402. Deledda, Grazia, 752. della Croce, Johann Nepomuk, 97. Della Gatta, Saverio, 296. Delpiano, Patrizia, 146, 150. De Nittis, Giuseppe, 571. Denon, Dominique Vivant, 374, 377. Depretis, Agostino, 734-736, 736, 739, 744, 761. Derby, Lord, 674. De Roberto, Federico, 759, 766. De Sade, Donatien-AlphonseFrançois, 274. Deseine, Claude-André, 287. Desmoulins, Camille, 279, 288, 360. Dewald, Jonathan, 115, 117. Dewerpe, Alain, 615. d’Houdetot, Sophie, 78. Dickens, Charles, 476, 650. Diderot, Denis, 78, 82, 84-85, 163. Diesel, Rudolf, 600. Disraeli, Benjamin, 674, 674, 675676, 703. Dolza, Luisa, 639. Donghi, Felice, 485. Doré, Gustave, 620, 650. Dostoevskij, Fëdor, 676. Douglass, Frederick, 770, 775. Doyle, William, 115, 119. Drago, Maria, 476.
Du Barry, Marie-Jeanne Bécu, contessa, 54. Ducos, Roger, 298. Duggan, Christopher, 540, 542, 759, 761. Dunlop, John Boyd, 599. Durando, Giovanni, 486. Du Tillot, Guillaume-Léon, 100. E Eckaus, Richard S., 794. Edison, Thomas Alva, 602. Edoardo VII, re del Regno Unito, 675. Eiffel, Alexandre-Gustave, 599, 610. El-Gabarti, Abdel Rahman, 374, 377. Elgin, Thomas Bruce, 301. Elisabetta I, zarina di Russia, 63, 68, 70. Elisabetta II, regina del Regno Unito, 675. Elven, Tetar van, 508. Emler, Bonaventura, 442. Engels, Friedrich, 333, 395, 408-410, 437, 477, 518, 521, 523, 615, 619, 650, 742. Enghien, Louis-Antoine-Henri di Borbone-Condé duca di, 314, 314. Enrico IV di Borbone, re di Francia, 34, 425. Epicuro, 359. Erasmo da Rotterdam, 33-34. Erichsen, Virgilius, 69. Esopo, 710. Euclide, 27. Eugenia de Montijo, 705. Eugenio di Savoia, 71, 72, 240. F Farga i Pellicer, Rafael, 588. Farini, Luigi Carlo, 723. Faroqhi, Suraiya, 233, 235. Fattori, Giovanni, 753, 753. Favray, Antoine de, 171. Federico I Barbarossa, imperatore del Sacro romano impero, 490. Federico II di Hohenzollern, re di Prussia, 62, 65-66, 81-82, 94, 98-99, 99, 147. Federico Guglielmo, imperatore di Germania, 674. Federico Guglielmo il Grande Elettore, 67. Federico Guglielmo IV, re di Prussia, 443-444. Ferdinando I d’Asburgo, imperatore d’Austria, 429, 443, 472.
Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, 474, 484-485, 487-488. Ferdinando III di Lorena, 423, 426. Ferdinando VII di Borbone, re di Spagna, 425, 429, 429. Fergola, Salvatore, 474. Ferrari, Giuseppe, 482, 503. Ferrone, Vincenzo, 146, 149. Ferry, Jules, 672. Festa, Egidio, 138, 143. Fichte, Johann Gottlieb, 320, 321, 399, 402, 528, 531. Filangieri, Gaetano, 92. Filippo d’Orléans, reggente di Francia, 54. Filippo di Borbone, 72. Filippo II, re di Spagna, 796. Filippo V, re di Francia, 61. Filippo V di Borbone, re di Spagna, 53. Flesselles, Jacques de, 274-275. Folchi, Ferdinando, 470. Fonseca Pimentel, Eleonora de, 297. Fortunato, Giustino, 788. Foscolo, Ugo, 489, 542, 746. Fossombroni, Vittorio, 166. Foucault, Michel, 115, 122. Fourier, Charles, 408, 519. Fournier-Sarlovèze, Joseph Raymond, 322. Francesco I di Lorena, imperatore del Sacro romano impero, 62, 72. Francesco I, imperatore d’Austria, 423. Francesco II d’Asburgo, imperatore del Sacro romano impero, 314, 316, 538. Francesco II di Borbone, re delle Due Sicilie, 507, 509, 764. Francesco IV d’Asburgo-Este, 423, 472-473. Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria, 443, 670, 693, 739. Franchetti, Leopoldo, 788. Franklin, Benjamin, 258, 260, 353, 365, 375. Friedman, Milton, 435. Fuller, Margaret, 555. Fulton, Robert, 345. Furet, François, 351, 359. G Gabé, Nicholas-Edward, 432. Gainsborough, Thomas, 120. Galanti, Giuseppe Maria, 100. Galdi, Matteo Angelo, 296. Galeno, 31. Galiani, Ferdinando, 92.
Galilei, Galileo, 28, 28-29, 30, 30, 32, 39, 138, 141, 143-144. Galvani, Luigi, 87. Gamba, Teresa, 401. Gambetta, Léon, 665. Gambogi, Raffaello, 738. Garavaglia, Gianpaolo, 131, 136. García Márquez, Gabriel, 459. Gardner, Alexander, 688. Garibaldi, Anita (Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva), 510-511, 552, 554-555. Garibaldi, Giuseppe, 395, 477-478, 487-490, 499, 503, 505, 507-508, 508, 509, 509, 510-511, 511-512, 541-542, 552-555, 666, 731, 731, 733, 746-747, 762. Garibaldi, Ricciotti, 555. Garrison, William Lloyd, 556. Gatti, Francesco, 759, 767. Gauguin, Paul, 717, 717. Gavazzi, Alessandro, 542. Gay, Peter, 769, 772. Geffels, Frans, 177. Genovesi, Antonio, 91. Gérard, François, 317. Geremek, Bronisław, 20. Gérôme, Jean-Léon, 297. Giacomo I Stuart, re d’Inghilterra, 254. Giacomo II Stuart, re d’Inghilterra, 55-57, 135. Giannetti, Renato, 635, 637. Gianni, Francesco Maria, 102. Giannone, Pietro, 91. Giansenio, Cornelio, 50, 132. Gibbon, Edward, 86. Gill, André, 672. Gioberti, Vincenzo, 480, 480, 544. Gioia, Melchiorre, 296. Giolitti, Giovanni, 745-747. Giorgio I Hannover, re di Gran Bretagna, 58-59. Giorgio II Hannover, re di Gran Bretagna, 58-59. Giorgio III Hannover, re di Gran Bretagna, 59, 202, 352. Giorgio Federico di Waldeck, 239. Giovanna II, regina di Navarra, 61. Giovanni (Jan) III Sobieski, re di Polonia, 173, 177, 239. Giovanni Senzaterra, re d’Inghilterra, 352. Giuntini, Andrea, 639, 641. Giuseppe II d’Asburgo, imperatore consorte del Sacro romano impero, 8, 99, 97-98, 165. Giuseppina di Beauharnais, 310, 314-315, 315.
Giustiniano, imperatore romano, 312. Gladstone, William, 674, 674, 675-676. Gobelins, famiglia, 51, 581. Gobineau, Arthur de, 207. Godineau, Dominique, 124, 126, 369. Goethe, Johann Wolfgang von, 399, 529. Gomar, François, 34. Goodwin, Jason, 233-234. Gosse, Thomas, 204. Gouges, Olympe de, 363, 371. Goya, Francisco, 319. Gramsci, Antonio, 788, 792-793. Grant, Charles Jameson, 434. Grant, Ulysses, 689-691. Greenfield, Kent Robert, 560. Greuze, Jean-Baptiste, 130. Gricci, Giuseppe, 213. Grilli di Cortona, Pietro, 528, 538. Grimaldi, Claudio Filippo, 226. Grimm, Friedrich Melchior von, 78. Grove, Richard, 247. Grozio, Ugo (Huig van Groot), 34, 35, 40. Gueniffey, Patrice, 351, 355. Guerin, Jean-Baptiste, 405. Guerra, Francesco, 727. Guerrazzi, Francesco Domenico, 479, 487-488, 542. Guglielmo I, imperatore di Germania, 664-666, 670. Guglielmo II, imperatore di Germania, 665, 674. Guglielmo III d’Orange, re d’Inghilterra, 55-56, 56, 57-58, 136137, 273. Guglielmo IV, re del Regno Unito, 674. Guiccioli, Alessandro, 401. Guillotin, Joseph-Ignace, 284. Guizot, François, 433. Guyse, Jacques de, 172. H Hagnauer, Eugene, 439. Hamilton, Alexander, 259-260, 264, 481. Hancock, John, 258. Hannover, dinastia, 8, 56, 58-59. Hargreaves, James, 337, 337. Harvey, William, 31, 31. Hauck, Johann Ludwig, 294. Haupt, Heinz-Gerhard, 629, 633. Haussmann, Georges-Eugène, 585, 586, 653. Haydn, Franz Joseph, 97.
Hayek, Friedrich, 435. Hayez, Francesco, 489, 542. Headrick, Daniel R., 783-784. Heath, William, 603. Hébert, Jacques-René, 280, 288, 292. Hegel, Friedrich, 402. Helman, Isidore Stanislas, 279. Helvétius, Claude-Adrien, 150. Hemings, Sally, 259. Herder, Johann Gottfried, 399. Hermet, Guy, 528-529. Hertz, Heinrich Rudolf, 643. Hewes, Gordon W., 171. Highmore, Joseph, 85. Hobbes, Thomas, 35-36, 36. Hobsbawm, Eric J., 339, 615, 621, 659, 810. Hobson, John A., 703. Hoffmann, Heinrich, 607. Hogarth, William, 15, 21, 21, 59. Hohenzollern, dinastia, 66, 664. Holbach, Paul Henri Dietrich, barone d’, 84. Hopkins, Samuel, 364. Howe, William, 258. Hsia, Florence C., 226, 231. Huber, Jean, 78. Hudson, Pat, 384, 390. Hue, Jean-François, 286. Hullin, Pierre-Augustin, 275. Hume, David, 87. Hunt, Henry, 425. Hunt, Lynn, 146, 156, 351, 363, 365. Hutcheson, Francis, 225. Huxley, Thomas Henry, 573. Huygens, Christiaan, 32. I Ieva, Frédéric, 115-116. Induno, Gerolamo, 489, 731. Innocenzo XI (Benedetto Odescalchi), papa, 177. Isabey, Jean-Baptiste, 289. Israel, Jonathan, 351, 361. Ives, James, 577. J Jacini, Stefano, 737. Jackson, Andrew, 462. Jaurès, Jean, 273. Jay, John, 481. Jefferson, Peter, 258. Jefferson, Thomas, 257, 258, 259260, 264, 352-353, 375, 465. Jenner, Edward, 6, 607. Jerrold, William Blanchard, 620. Jevons, William Stanley, 649.
817
INDICE DEI NOMI
Jolliot, Frédéric, 601. Jones, Eric L., 165. Juáres, Benito, 693. K Kangxi, imperatore della Cina, 180-181. Kant, Immanuel, 66, 90, 146, 154, 481. Kara Mustafa, 176-177, 238, 240. Karim, Abdul, detto Munshi, 675. Kaunitz, Wenzel Anton von, 97. Kennedy, John Fitzgerald, 464. Keplero, Giovanni, 27, 138. Kerridge, Eric, 388. Kertzer, David I., 625, 628. King, Martin Luther, 749. Kipling, Joseph Rudyard, 703, 770, 777. Kircher, Athanasius, 227. Klaus, Anton, 443. Klein, Herbert S., 219, 224. Knapp, Georg Friedrich, 118. Koch, Robert, 604. Kocka, Jürgen, 615. Kossuth, Lajos, 403, 442. Koyré, Alexandre, 27. Krüger, Paul, 709, 710. Krupp, famiglia, 346. Kuhn, Thomas, 138. Kuliscioff, Anna, 742, 743. Kunisada, Utagawa, 184. Kutuzov, Michail, 316.
818
L Labanca, Nicola, 796, 801. Labriola, Antonio, 742. La Fayette, Gilbert Motier de, 276, 279, 279. La Harpe, Jean-François de, 78. La Marmora, Alfonso, 504. Lamartine, Alphonse de, 530. Lambertenghi, Luigi, 92. Lamennais, Félicité de, 405. Landes, David Saul, 226, 230, 384, 386, 635-636. Langevin, Paul, 601. Las Cases, Emmanuel de, 379. Lassalle, Ferdinand, 520, 587. La Tour, Maurice Quentine de, 54, 86. Latrobe, Benjamin Henry, 253. Launay, Bernard-René Jourdan, marchese de, 275. L’Aurora, Enrico Michele, 296. Lavoisier, Antoine-Laurent, 87. Law, John, 54. Ledoux, Claude-Nicolas, 397.
INDICE DEI NOMI
Lee, Robert, 689-690, 690, 691. Lefebvre, Georges, 311. Lega, Silvestro, 752, 753. Leggiero, maggiore, 554. Legros, Alphonse, 435. Leibniz, Gottfried Wilhelm, 29, 226-227. Leight, Augusta, 400. Lenin (Vladimir Il‘ič Ul‘janov), 703. Lennon, John, 209. Léon, Pauline, 370. Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Pecci), papa, 744. Leopoldo I d’Asburgo, imperatore del Sacro romano impero, 176177. Leopoldo I, re del Belgio, 674. Leopoldo II di Toscana, 484-485. Leopoldo II, re del Belgio, 706, 706, 707, 809. Leopoldo II d’Asburgo, imperatore consorte del Sacro romano impero, 8, 94, 98, 101, 101, 102, 146, 152, 166. Le Roy Ladurie, Emmanuel, 108. Lessing, Gotthold Ephraim, 85, 90. Leutze, Emanuel Gottlieb, 258. Levine, Bruce, 770, 776. Lewis, Meriwether, 259. Liberti, Stefano, 811. Liebig, Justus von, 345. Lin, Zexu, 715. Lincoln, Abraham, 254, 688, 688, 689, 691. Lindsay, Lisa A., 219. List, Friedrich, 379. Livingston, Robert, 258, 353. Livingstone, David, 703. Locke, John, 34-37, 40, 58, 81, 84, 91, 129, 260, 403. Logsdail, William, 587. Lombardi, Daniela, 124, 128, 625626. Lombe, John, 389. Lombe, Thomas, 389. Londonio, Francesco, 21. Longhi, Alessandro, 18. Longhi, Pietro, 18. Longo, Alfonso, 92. Longoni, Emilio, 412. Losurdo, Domenico, 518, 523. Louverture, Toussaint, 455, 455. Louvois, François Michel Le Tellier, marchese di, 52. Ludd, Ned, 343. Ludovico Guglielmo di BadenBaden (Türkenlouis, Luigi il Turco), 240.
Luigi XIV di Borbone, detto Re Sole, re di Francia, 16, 34, 48-49, 49, 50-51, 51, 52-55, 57, 70, 71, 80, 93, 121, 131-132, 146, 196, 269, 425, 796. Luigi XV di Borbone, re di Francia, 54, 54, 55, 208, 274, 274. Luigi XVI di Borbone, re di Francia, 269, 271, 273-276, 277, 279, 280, 282-283, 287, 363, 368, 372. Luigi XVIII di Borbone, re di Francia, 323, 425, 425. Luigi Filippo d’Orléans, re di Francia, 275, 432-433, 439, 530, 667, 671, 673. Lumière, Auguste, 603. Lumière, Louis, 603. Lupo, Salvatore, 564, 759, 764. Luxemburg, Rosa, 703. Luzzatto, Sergio, 477. M Macfarlane, Alan, 807. Machiavelli, Niccolò, 471, 547. Madison, James, 365, 481. Maggi, Stefano, 783, 786. Maistre, Joseph de, 405. Makoko, re del Congo, 704. Malanima, Paolo, 108, 111. Malatesta, Errico, 741, 763. Malinverno, Vincenzo, 731. Mallet, Jean-Baptiste, 313. Malpighi, Marcello, 31. Malthus, Thomas Robert, 5. Mameli, Goffredo, 488, 490, 490. Manara, Luciano, 488. Manin, Daniele, 484, 485, 487, 503. Mannucci, Enrico Joy, 363, 369. Mantegazza, Giacomo, 475. Mantegazza, Paolo, 769, 771. Manzoni, Alessandro, 479, 542. Maometto, 175. Marat, Paul, 280, 291. Marchiondi, Paolo, 406. Marconi, Guglielmo, 578. Maria II Stuart, regina d’Inghilterra, 55-58, 136, 273. Maria Amalia di Sassonia, regina consorte di Spagna, 100. Maria Antonietta d’Asburgo, regina di Francia, 280, 287-288, 315. Maria Luisa d’Asburgo, imperatrice consorte dei francesi, 315, 423. Maria Teresa d’Asburgo, 53, 61. Maria Teresa d’Austria, imperatrice consorte del Sacro romano impero, 8, 62, 72, 94, 96, 97, 97, 98, 101, 165, 280. Mario, Alberto, 555.
Marlborough, John Churchill, duca di, 71. Marmontel, François, 78. Maroncelli, Pietro, 472, 472. Marrel, Jacob, 174. Martens, Conrad, 573. Martin, Pierre, 598. Martineau, Harriet, 771. Marx, Karl, 332-333, 344, 395, 408-410, 437, 476-477, 518-521, 523, 587-588, 619, 668, 741-742. Mascilli Migliorini, Luigi, 373, 376. Mason, George, 365. Mason, W.G., 343. Massimiliano I d’Asburgo, imperatore del Messico, 693. Matania, Edoardo, 473. Mayer, Arno J., 615, 623. Mazzanti, Lucrezia, 470. Mazzarino, Giulio, 48. Mazzini, Giuseppe, 395, 403, 471, 475, 475, 476, 476, 477, 477, 478, 478, 479-481, 487-490, 502, 509-511, 528, 537, 540, 545-546, 555, 587, 747, 792. Mazzoleni, Marcantonio, 143. Meade, George Gordon, 691. Medici, famiglia, 28, 72. Medici, Ferdinando II de’, 237. Mehmet II, detto il Conquistatore, sultano ottomano, 234-235. Mehmet IV, sultano ottomano, 177, 237. Meissonier, Jean-Louis-Ernest, 506. Melbourne, William Lamb, visconte di, 674. Menelik, negus di Etiopia, 747, 748. Mengs, Anton Raphael, 102. Menotti, Ciro, 473. Menzel, Adolph, 99. Merck, Heinrich Emanuel, 605. Mersenne, Marin, 30. Metternich, Klemens von, 317, 421, 421, 423, 442, 472, 528, 537. Meucci, Antonio, 602. Meyer, Henry, 748. Meynier, Charles, 321. Michau, Théobald, 9. Michel, Louise, 769, 773. Michelena, Arturo, 460. Mickiewicz, Adam, 403. Mierevelt, Michiel van, 34. Mignard, Pierre, 49. Milbanke, Anne Isabella, 400. Mill, John Stuart, 404-405, 518, 522. Millet, Jean-François, 580, 752. Milton, John, 30. Ming, dinastia, 180, 229, 232.
Minghetti, Marco, 734, 736. Mintz, Sidney, 805. Mirabeau, André Boniface Louis Riqueti, visconte di, 369. Mirabeau, Gabriel-Honoré Riqueti, conte di, 271, 369. Mitchell, Reid, 769, 774. Mitterrand, François, 601. Modigliani, Amedeo, 208. Mohammad Reza Pahlavi, scià di Persia, 749. Mohammed Ahmed, 706. Mokyr, Joel, 384, 388. Molière (Jean-Baptiste Poquelin), 50. Moltke, Helmuth Karl Bernhard von, 663, 664, 665. Monet, Claude, 583, 680, 680, 681, 681. Monroe, James, 459, 465. Montagu, Edward, 236. Montagu, Mary Wortley, 233, 236. Montanelli, Giuseppe, 487-488. Montesquieu, Charles-Louis de Secondat, barone di, 80-81, 90, 99, 146, 157, 225, 403, 462. Montmasson, Rosalie, 555, 747. Moreau, Jean Victor Marie, 311. Morishima, Michio, 759, 768. Moro, Tommaso, 34. Morse, Samuel Finley, 578. Mosley, Stephen, 384, 391, 652. Mott, Lucretia, 772. Mozart, Wolfgang Amadeus, 97, 97. Müller, Bertha, 675. Murat, Gioacchino, 314, 471. Muratori, Ludovico Antonio, 91. Murri, Augusto, 608. Mutsuhito, imperatore del Giappone, 697. Mytens, Martin van il Giovane, 97. N Nankivell, Frank Arthur, 709. Napoleone Bonaparte, imperatore dei francesi, 65-66, 87, 99, 251, 275, 278, 290, 294-296, 297, 298, 300, 308, 308, 309-312, 314, 314, 315, 315, 316-319, 319, 321, 321, 322, 322, 323, 323, 324, 324-325, 373-374, 376-380, 382, 404, 421-422, 429, 455, 455, 456, 458, 471, 504, 507. Napoleone III, imperatore dei francesi, 324, 441, 463, 489, 504, 504, 505-507, 510, 512, 585, 590, 654, 660-661, 663-674, 693, 703, 705, 731732, 734. Napolitano, Nicola, 765. Nasmyth, James, 340. Necker, Jacques, 270, 272.
Nelson, Horatio, 298, 315. Neri, Pompeo, 101-102. Newcomen, Thomas, 338, 338. Newton, Isaac, 29, 81, 84, 86, 138140, 573. Nightingale, Florence, 771. Nobel, Alfred, 599. Nolde, Emil, 208. Novaro, Michele, 490. Nugent, Laval, 486. O Oberdan, Guglielmo, 739. O’Brien, Patrick Karl, 384-385. Orazio, 536. Orsini, Felice, 504, 504. Ossoli, Angelo, 555. Osterhammel, Jürgen, 226, 229, 635, 638. O’Sullivan, Timothy H., 691. Oswalt, Philipp, 655. Otto, Nikolaus, 600. Outram, Dorinda, 146, 158. Owen, Robert, 407, 407, 409, 519. Ozananm, Antoine-Frédéric, 406. Ozouf, Mona, 363, 372. P Pacchiotti, Giacinto, 608. Pacinotti, Antonio, 601. Pagano, Mario, 296-297. Paine, Thomas, 363, 375. Palmieri, Vincenzo, 728. Paolo IV (Gian Pietro Carafa), papa, 30. Paracelso, 31. Parsons, Charles, 461. Pascal, Blaise, 50. Pasteur, Louis, 6, 604. Pathé, Charles, 643. Patini, Teofilo, 752, 752. Patmore, Coventry, 770. Patriarca, Silvana, 540, 544. Paxton, Joseph, 580. Pazzagli, Carlo, 566. Peel, Robert, 433-435. Pellico, Silvio, 472, 472, 489. Pellizza da Volpedo, Giuseppe, 742. Pennell, Joseph, 599. Pepe, Guglielmo, 471, 543. Perego, Antonio, 92. Perry, Matthew, 696. Pescosolido, Guido, 788, 794. Peters, Karl, 704. Petersson, Niels P., 635, 638. Petraccone, Claudia, 770, 781.
Petrarca, Francesco, 471. Piacentini, Marcello, 791. Pianciani, Luigi, 791. Pica, Giuseppe, 764. Picasso, Pablo, 208. Pietro I il Grande, zar di Russia, 67-68, 68, 70-71, 392. Pietro III, zar di Russia, 63, 68-70. Pietro Leopoldo, vedi Leopoldo II d’Asburgo. Pillepich, Alain, 374, 382. Pilo, Rosolino, 507. Pio VI (Giannangelo Braschi), papa, 98, 100, 281, 295. Pio VII (Gregorio Luigi Barnaba Chiaramonti), papa, 312, 314, 315, 426. Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti), papa, 480, 482, 484-486, 486, 489, 542, 589-590, 731-732, 734. Pisacane, Carlo, 408, 488, 503, 503. Pissarro, Camille, 585, 653. Pitagora di Samo, 140. Pitocchetto, Giacomo Ceruti, detto il, 19, 21, 21. Pitt, William il Vecchio, 60, 60. Plutarco, 286. Polanyi, Karl, 219, 223. Polo, Marco, 182. Pombal, Sebastião José de Carvalho, marchese di, 197. Pomeranz, Kenneth, 226, 228. Pompadour, Jeanne Antoinette Poisson, marchesa di, 54, 55, 208. Potëmkin, Grigorij, 69. Price, Roger, 518, 526. Proudhon, Pierre-Joseph, 408, 408, 481-482, 519, 587. Puccinelli, Antonio, 480. Pufendorf, Samuel, 35. Pugačëv, Emeljan, 11, 99. Pugh, John S., 710. Pusterla, Attilio, 730. Puttkamer, Johanna von, 664. Q Qianlong, imperatore della Cina, 231. Qing, dinastia, 180, 229, 231-232. Quesnay, François, 87. R Racine, Jean, 50. Radetzky, Joseph, 485, 488. Ranza, Giovanni Antonio, 381. Rapport, Mike, 518, 525. Rattazzi, Urbano, 501, 727. Raynal, Guillaume-Thomas, 86. Réattu, Jacques, 299.
Redi, Francesco, 31. Regnault, Jean-Baptiste, 358. Reinhard, Wolfgang, 131, 134, 219, 221, 796, 800. Rembrandt, Harmenszoon van Rijn, 33. Renan, Ernest, 528, 532. Renoir, Pierre-Auguste, 570. Re Sole, vedi Luigi XIV. Rho, Giacomo, 232. Rhodes, Cecil, 709. Riall, Lucy, 541, 552. Ricardo, David, 89, 409. Ricasoli, Bettino, 479. Ricci, Giovanni Battista, 182, 230. Ricci, Matteo, 181-183, 226-227, 232. Ricci, Scipione de’, 102. Richardson, Samuel, 85, 85, 128, 156. Richelieu, Armand-Jean du Plessis duca di, 48, 50. Ricuperati, Giuseppe, 115-116. Rieger, Albert, 705. Robert, Hubert, 301. Robespierre, Augustin, 287, 310. Robespierre, Maximilien, 278, 280, 286-288, 288, 289, 291-292, 292, 310, 351, 359-360, 368, 371, 445. Robinson, John, 338. Roca, Manuel, 429. Rockefeller, John D., 693. Roebling, John Augustus, 610, 610. Roebling, Washington, 610. Romagnani, Gian Paolo, 108, 114. Romanelli, Raffaele, 518, 759, 788789. Romeo, Rosario, 541, 556, 788, 793794. Rösener, Werner, 115, 118. Rosmini, Antonio, 479. Rossi, Mario G., 759, 763. Rossi, Paolo, 138, 142-143. Rossi, Pellegrino, 487. Rossini, Gioacchino, 504. Rouget de Lisle, Joseph, 290. Rousseau, Jean-Jacques, 81, 83, 85, 129, 146, 154, 156, 159, 225, 273, 278, 287, 402. Rowlandson, Thomas, 11. Rucellai, Giulio, 102. Ruffini, Jacopo, 476. Ruffo, Fabrizio, 296, 297. Ruggieri, Michele, 182-183. Ruocco, Giovanni, 131-132. Rush, Benjamin, 364-365. Ruspoli, Emanuele, 791. Russo, Vincenzio, 296-297. Rutherford, Ernest, 601.
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INDICE DEI NOMI
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S Sackville, John Frederick, 366. Sáenz, Manuela “Manuelita”, 459. Saffi, Aurelio, 488-489. Saint-Jorioz, Carlo Bianco di, 543. Saint-Just, Louis Antoine de, 287288, 359. Saint-Lambert, Jean-François de, 78. Saint Pierre, Bernardin de, 804. Saint-Simon, Claude-Henri de, 407408, 519. Saint-Simon, Lautrec de, 369. Salvirch, Giuseppe, 295. San Martín, José de, 458-459. Santander, Francisco de Paula, 459. Santarosa, Santorre di, 431, 472. Sarpi, Paolo, 143. Sarti, Raffaella, 108-109. Savoia, dinastia, 72, 72, 315, 429, 485. Savorgnan di Brazzà, Pietro, 704, 704. Schall von Bell, Johann Adam, 181, 231-232. Schelling, Friedrich Wilhelm Joseph, 399. Schiaparelli, Ernesto, 301. Schiller, Friedrich, 399. Schivelbusch, Wolfgang, 629, 632. Schreck, Johann (Giovanni Terrenzio), 232. Schumpeter, Joseph A., 336. Schwegman, Marjan, 553. Sciuti, Giuseppe, 503. Scott, Walter, 399, 476. Selim I, sultano ottomano, 234. Sella, Quintino, 730, 734. Sereni, Emilio, 165, 565. Serse, re di Persia, 553. Severn, Joseph, 398. Shah Jahan, sovrano moghul, 178. Shapin, Steven, 138, 140. Sharples, James, 413. Shelley, Percy Bysshe, 398, 401, 476. Sherman, Roger, 258, 353. Siemens, Karl Wilhelm, 598. Sieyès, Emmanuel Joseph, 271, 298, 310. Signorini, Telemaco, 723. Simpson, William, 661. Sismondi, Simonde de, 401, 518. Sisto V (Felice Peretti), papa, 20. Skelton, Martha, 258. Skłodowska, Bronia, 600. Smiles, Samuel, 615-616.
INDICE DEI NOMI
Smith, Adam, 87-89, 225, 344, 409, 435. Smith, Anthony David, 528, 535. Soboul, Albert, 273. Soddy, Frederick, 601. Sofocle, 40. Solera Mantegazza, Laura, 771. Solimano I il Magnifico, sultano ottomano, 174, 175, 234, 237-238, 240. Sonnino, Sidney, 788. Sorrieu, Frédéric, 404. Spencer, Herbert, 574. Speri, Tito, 488. Spinelli, Altiero, 481. Spinoza, Benedetto, 33-34. Sprat, Thomas, 142. Staël, Anne-Louise Germaine Necker, baronessa di, 310, 313, 399, 401, 518. Stanislao Poniatowski, re di Polonia, 68. Stanley, Henry Morton, 704. Stearns, Junius Brutus, 262. Stein, Heinrich Friedrich Karl von, 320. Stephanson, Anders, 770, 780. Stephenson, George, 345, 345-346. Stephenson, Robert, 345. Stevens, Frederick William, 212. Stoye, John, 233, 238. Stuart, dinastia, 55-56, 58, 273, 530. Sucre, José Antonio, 459. Sullivan, Louis Henry, 586. Sustermans, Giusto, 237. Swebach, Jacques François Joseph, 277. T Tagliapietra, Andrea, 154. Talleyrand-Périgord, CharlesMaurice de, 271, 279, 421-422. Tanucci, Bernardo, 100. Tasman, Abel, 201. Tavanti, Angelo, 102. Taylor, Alan John Percival, 664, 795-796. Taylor, Frederick Winslow, 344. Tenniel, John, 674. Tennyson, Alfred, 770. Teodosio, imperatore romano, 312. Testi, Arnaldo, 363, 782-783. Tetar Van Elven, Pietro, 725. Thibault, 441. Thiers, Adolphe, 667-668. Thiesse, Anne-Marie, 528, 534. Thököly, Imre, 176.
Thomas, Sidney Gilchrist, 598. Tocqueville, Alexis de, 391, 404, 462463, 518, 649. Todorov, Tzvetan, 146-147. Tokugawa, dinastia, 185, 695, 767. Tokugawa Ieyasu, 185. Tolomeo, Claudio, 202. Tolomeo V Epifane, faraone d’Egitto, 301. Tolstoj, Lev, 316, 676. Tommaseo, Niccolò, 485. Torri, Michelguglielmo, 807. Townshend, Charles, 163. Toyotomi, clan, 185. Toyotomi Hideyoshi, 184. Trampus, Antonio, 146, 153, 351, 358. Trevithick, Richard, 384. Trigault, Nicolas, 232. Trivulzio di Belgioioso, Cristina, 485. Trumbull, John, 258. Tull, Jethro, 163. Turati, Filippo, 742, 743, 743. Turgenev, Ivan Sergeevič, 676. Turner, Frederick Jackson, 464. U Uhde, Fritz von, 590. Unterberger, Ignaz, 91. Ure, Andrew, 618. V Van Gogh, Vincent, 717. Vanvitelli, Luigi, 100. Vassa, Gustavus, 219-220. Veit, Philipp, 537. Vella, Felicita, 746. Venturi, Carlo, 555. Verdi, Giuseppe, 489, 542, 705. Verga, Giovanni, 752. Verne, Jules, 577. Verri, Alessandro, 92, 92, 481. Verri, Pietro, 92, 92, 481. Vesalio, Andrea, 31. Vico, Giambattista, 91. Vidotto, Vittorio, 566, 788, 790. Vieusseux, Giovan Pietro, 426, 479, 542. Villani, Pasquale, 629-630. Virchow, Rudolf, 644. Virgilio, 399, 536. Visconti di Saliceto, Giuseppe, 92. Vittori Romano, H., 504. Vittoria, regina d’Inghilterra, 213, 580-581, 664, 673-675, 712, 712, 770.
Vittoria di Sassonia-Coburgo, imperatrice di Germania, 674. Vittorio Amedeo II di Savoia, 72. Vittorio Emanuele I di Savoia, re di Sardegna, 426, 472. Vittorio Emanuele II di Savoia, re d’Italia, 72, 488, 499, 503, 507-508, 510-511, 725, 732, 733. Volta, Alessandro, 87, 87, 601. Voltaire (François-Marie Arouet), 34, 78, 81-83, 83, 86, 98, 99, 131, 146, 149, 151, 153-154, 274. Vries, Jan de, 108, 113. Vryzakis, Theodoros, 430. W Walpole, Robert, 58. Wang Pan, 182. Warren Roebling, Emily, 610. Washington, George, 257-258, 258, 259-261, 264. Watt, James, 337-339, 339. Weber, Max, 17, 768. Wehler, Hans-Ulrich, 528, 533. Weitling, Wilhelm, 409. Wellington, Arthur Wellesley, duca di, 323. Wengenroth, Ulrich, 635. Wenzel, Franz, 509. Werner, Anton von, 664. Wheatcroft, Andrew, 233, 239. White, Jessie, 555. Wiesner, Merry E., 124-125. Wilde, Oscar, 681. Windthorst, Ludwig, 669. Wollstonecraft, Mary, 401. Wood, Gordon S., 351, 354. Wordsworth, William, 476. Wright, Richard, 60. Wrigley, Edward Anthony, 386. Y Yoshitoshi, 697. Young, Arthur, 163. Yu Wen-Hui, Emmanuele, detto Pereira, 183. Z Zagrebelsky, Gustavo, 40, 678. Zanardelli, Giuseppe, 744. Zhou, dinastia, 227. Zhou Chengwang, sovrano cinese, 227. Zhou Wuwang, sovrano cinese, 227. Zola, Émile, 615, 621, 773. Zucconi, Guido, 583, 629, 631, 654.