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Italian Pages 150 [152] Year 2022
Iole Fargnoli (a cura di) «Heimat di tutti i giuristi»
Il contributo di Philipp Lotmar al diritto romano
Quaderni dell’Archivio Giuridico Sassarese
Collana diretta da Giovanni Maria Uda
Comitato scientifico Luigi Balestra, Francesco Capriglione, Maria Rosa Cimma, Claudio Colombo, Maria Floriana Cursi, Andrea Di Porto, Iole Fargnoli, Roberto Fiori, Lauretta Maganzani, Dario Mantovani, Maria Rosaria Maugeri, Fabio Padovini, Salvatore Patti, Andrea Zoppini.
Quaderni dell’Archivio Giuridico Sassarese
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Iole Fargnoli, Urs Fasel, Sabrina Lo Iacono
«Heimat di tutti i giuristi» Il contributo di Philipp Lotmar al diritto romano a cura di Iole Fargnoli
Volume stampato con il contributo del “Romanistisches Institut” dell’Università di Berna
© 2021, INSCHIBBOLETH EDIZIONI, Roma. Proprietà letteraria riservata di Inschibboleth società cooperativa, via G. Macchi, 94 – 00133 – Roma
www.inschibbolethedizioni.com e-mail: [email protected] Quaderni dell’Archivio Giuridico Sassarese ISSN: 2724-1769 n. 2 – luglio 2021 ISBN – Edizione cartacea: 978-88-5529-291-7 ISBN – Ebook: 978-88-5529-292-4
Copertina e Grafica: Ufficio grafico Inschibboleth Immagine di copertina: Philipp Helmer, ritratto di Philipp Lotmar, olio su tela (1879) (© Universität Bern, Romanistisches Institut)
Philipp Lotmar nel 1896 in uno schizzo del figlio Fritz.
INDICE
Premessa
p. 13
I. Iole Fargnoli, Philipp Lotmar e la critica della teoria interpolazionista 1. La fase “critica” nella produzione scientifica lotmariana: il passo da truppa di retrovia 2. L’apprezzamento dei grandi maestri dell’epoca per la teoria interpolazionista 3. «Pensare di guarire un testo, mentre gli si trasmette una malattia»: la critica lotmariana a Gradenwitz 4. «Triboniano è un nuovo Papiniano»? Il disagio di Lotmar 5. Conclusioni
p. 17 p. 23 p. 32 p. 37 p. 40
II. Urs Fasel, Philipp Lotmar nella facoltà dell’Università di Berna e all’ombra di Eugen Huber 1. La Facoltà bernese sul finire del Diciannovesimo secolo 2. Il debutto della Svizzera nella codificazione: diritto penale o diritto civile? 3. La chiamata di Eugen Huber: veni vidi vici 4. Il successo: viene data priorità alla codificazione civile
p. 41 p. 42 p. 43 p. 46
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INDICE
5. Philipp Lotmar in quel contesto 6. Il «cosiddetto amico» 7. L’interrogativo aperto sui lavori di revisione di Eugen Huber del Diritto delle obbligazioni 8. Conclusione interlocutoria: il gigante e i sette nani
p. 49 p. 50 p. 54 p. 55
III. Iole Fargnoli, Tra error e locatio conductio. Il percorso scientifico di Philipp Lotmar 1. L’ispirazione dal goethiano «mondo di errore» 2. La cattedra bernese 3. La parentesi giuslaboristica 4. L’error in diritto romano 5. Le ragioni della mancata pubblicazione del suo opus magnum romanistico 6. Le due anime lotmariane
p. 57 p. 60 p. 63 p. 68 p. 72 p. 76
IV. Sabrina Lo Iacono, Ea quae in testamento deleta sunt nella dottrina di Philipp Lotmar 1. Tre testimonianze di errore nella cancellazione delle tabulae testamentarie quali esempi di “Vertretungsstellen” nell’opera di Philipp Lotmar 2. Ea quae in testamento deleta sunt 3. L’irrilevanza dell’erronea cancellatura quale revoca testamentaria. Il contributo della dottrina di Philipp Lotmar
p. 79 p. 85 p. 94
V. Iole Fargnoli, Philipp Lotmar e la litis contestatio nel processo criminale 1. Premessa 2. Le carriere parallele di Philipp Lotmar e Moriz Wlassak a cavallo tra i due secoli
p. 97 p. 98
INDICE
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3. Il confronto sull’origine del processo formulare 4. L’alterco sulla litis contestatio nel processo criminale 5. La reazione storiografica 6. Conclusioni
p. 104 p. 107 p. 114 p. 118
Scritti romanistici di Philipp Lotmar
p. 121
Bibliografia
p. 127
Indice delle fonti
p. 149
Premessa
«Gemeinsame geistige Heimat aller Rechstgelehrte1»: con queste parole Philipp Lotmar (1850-1922) definisce il diritto romano nel suo lavoro sul contratto contrario alla morale nel diritto a lui contemporaneo. Con la pregnante espressione più o meno traducibile in italiano con «patria spirituale comune dei giuristi2», lo studioso mette infatti in evidenza quanto l’esperienza giuridica romana rappresenti il fondamento imprescindibile di ogni branca del diritto e costituisca, fuori dal tempo, anche in rapporto a un istituto così difficilmente inquadrabile per la sua posizione in bilico tra diritto e morale, la chiave di lettura e di comprensione dei problemi giuridici («juristische Anschauungsund Verständigungsmittel»3). La densa pagina scritta da Lotmar in avvio della sua monografia sull’“unmoralischer Vertrag” consente di cogliere la convinzione
P. Lotmar, Der unmoralische Vertrag, insbesondere nach gemeinem Recht, Leipzig 1896, p. 7. 2 P. Lotmar, Il contratto contrario alla morale, in P. Lotmar, La giustizia e altri scritti, a cura di I. Fargnoli-L. Nogler, Milano 2020, p. 106. Nell’antologia italiana, che per la prima volta mette a disposizione saggi o estratti di opere di Lotmar sia in diritto romano sia in teoria del diritto sia in diritto del lavoro, il termine «Rechtsgelehrte» viene tradotto con «studiosi di diritto». In realtà il termine, arduo da rendere in italiano, sta a indicare coloro che si sono formati nello studio del diritto, per cui si è optato in questa sede per «giuristi». Altro termine di difficile resa in italiano è «Heimat», solo parzialmente traducibile con «patria»: si è pertanto scelto, per il titolo del volume, di mantenere il termine in lingua tedesca. 3 Al riguardo, cfr. I. Fargnoli, Sulla divaricazione tra diritto e morale nell’esperienza giuridica romana, in Il ruolo delle clausole generali in una prospettiva multidisciplinare, a cura di R. Sacchi, Milano 2021, pp. 397 ss. 1
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PREMESSA
maturata da Lotmar quarantaseienne, più o meno in concomitanza con un suo iniziale interesse dimostrato per il contratto di lavoro nei lavori della codificazione tedesca4, che lo avrebbe portato nel 1902, partendo dalla locatio conductio, a pubblicare il primo poderoso volume sull’“Arbeitsvertrag”5, diventando uno dei padri fondatori della disciplina giuslaboristica. Lo studioso, dopo avere definito a parole il diritto romano «Heimat di tutti i giuristi», di lì a poco ne avrebbe dimostrato nei fatti la vitalità, mettendo le sue competenze romanistiche a pietra d’angolo6 di una nuova disciplina giuridica che sarebbe poi cresciuta esponenzialmente con la dimensione e l’importanza della materia oggi a tutti nota. Non può negarsi che – proprio grazie al suo impegno ricostruttivo che partiva dal Corpus iuris civilis per andare poi in un’altra direzione – Lotmar sia oggi più conosciuto come uno dei padri fondatori del diritto del lavoro in Europa piuttosto che come romanista. La decisione di mettere a disposizione con il presente volume in lingua italiana alcuni dei contributi7 sulle sue ricerche romanistiche, riunendo scritti P. Lotmar, Der Dienstvertrag des zweiten Entwurfes eines Bürgerlichen Gesetzbuches für das Deutsche Reich, in Archiv für soziale Gesetzgebung und Statistik, 8, 1895, pp. 1-74. 5 P. Lotmar, Der Arbeitsvertrag nach dem Privatrecht des deutschen Reiches, I, Leipzig 1902, pp. XXII-827. 6 Sulla funzione del diritto romano nella concezione di Lotmar del contratto di lavoro, rinvio a M. Pennitz, «Dass das Recht veraltet, kommt nur daher, dass das leben fortschreitet…». Zu Einfluss und Funktion des römischen Rechts bei Philipp Lotmars Konzeption vom Arbeitsvertrag, in Philipp Lotmar – letzter Pandektist oder erster Arbeitsrechtler?, a cura di I. Fargnoli, Frankfurt am Main 2014, pp. 73 ss. 7 Gli scritti riuniti nel volume riprendono, nell’ordine dei capitoli: I. Fargnoli, Poche ombre sugli entusiasmi coevi. Letture critiche della teoria interpolazionistica di Otto Gradenwitz tra Germania e Italia, in Gradenwitz, Riccobono und die Entwicklung der Interpolationenkritik. Gradenwitz, Riccobono e gli sviluppi della critica interpolazionistica, a cura di M. Avenarius-C. Baldus-F. Lamberti-M. Varvaro, Tübingen 2018, pp. 239-254; U. Fasel, Philipp Lotmar in der damaligen Fakultät und im Schatten von Eugen Huber, in Das römische Recht vom Error. Philipp Lotmars opus magnum. Forschungsband zum Kolloquium 2019 an der Universität Bern, a cura di I. Fargnoli-U. Fasel, Bern 2020, pp. 109-122; I. Fargnoli, Tra error e locatio conductio. Il percorso scientifico di Philipp Lotmar (1850-1922), in Studi in onore di Giorgio De Nova, II, Milano 2015, pp. 1173-1193; S. Lo Iacono, L’errore nella cancellazione delle tabulae e la dottrina di Philipp Lotmar, in LRonline, 4
PREMESSA
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sparsi in volumi e sillogi pubblicati tra Italia, Svizzera e Germania, intende tentare, per quanto possibile, di porre riparo a ciò. L’opera mira infatti a mettere in risalto non solo l’austero e sobrio magistero di Lotmar, ma anche il suo rigoroso metodo di studio del diritto romano e la latitudine di interessi che lo portò con impegno inesausto ad affrontare i temi più diversi della disciplina, come la critica del testo proprio nel momento genetico della temperie interpolazionista, l’istituto dell’errore nelle sue complessità dogmatiche e con l’aspirazione ad affrontare una materia trasversale a tutto il diritto romano, a prescindere da distinzioni tra profili privatistici e pubblicistici, e infine il processo criminale in rapporto alle difficoltà di ricostruirne il funzionamento in età classica. Nella raccolta degli scritti la sequenza scelta è quella cronologica in rapporto alla vita e alla produzione di Lotmar. Tale opzione si propone di fare cogliere al meglio alcuni passaggi del suo faticoso percorso scientifico ed accademico tra confronti più o meno pungenti con suoi contemporanei, le cui opere avrebbero avuto ben più eco delle sue nella letteratura successiva, come Otto Gradenwitz e Moriz Wlassak, e tormentate convivenze con colleghi di grande peso politico, come Eugen Huber, unico artefice e redattore del Codice civile svizzero promulgato nel 1912. Iole Fargnoli Milano-Berna, estate 2021
2020: https://europeanlegalroots.weebly.com/uploads/5/6/9/8/5698451/lo_iacono_lr_online_2020.pdf; I. Fargnoli, Nel prisma degli studi sul processo romano. Il dissidio scientifico tra Moriz Wlassak e Philipp Lotmar, in corso di pubblicazione in Minima epigraphica et papyrologica, 2021.
I
Philipp Lotmar e la critica della teoria interpolazionista Iole Fargnoli
Sommario: 1. La fase “critica” nella produzione scientifica lotmariana: il passo da truppa di retrovia. – 2. L’apprezzamento dei grandi maestri dell’epoca per la teoria interpolazionista. – 3. «Pensare di guarire un testo, mentre gli si trasmette una malattia»: la critica lotmariana a Gradenwitz. – 4. «Triboniano è un nuovo Papiniano»? Il disagio di Lotmar. – 5. Conclusioni.
1. La fase “critica” nella produzione scientifica lotmariana: il passo da truppa di retrovia Nel 1888 un giovane Philipp Lotmar (1850-1922), ancora senza cattedra, pubblicò una coraggiosa recensione alla monografia di Otto Gradenwitz (1860-1935). Lo studioso tedesco stava attraversando un particolare momento della sua produzione scientifica1. In un arco di tempo ben preciso della sua vita, Lotmar si dedicò infatti quasi esclusivamente a recensire opere fresche di stampa. Nell’arco dei diciassette anni che
Di lì a poco, nello stesso anno, Lotmar avrebbe finalmente vinto la cattedra a Berna in Svizzera dopo più di dieci anni di attesa; al riguardo cfr. J. Rückert, Philipp Lotmars Konzeption von Freiheit und Wohlfahrt durch “soziales Recht” (1850-1922), in Philipp Lotmar. Schriften zu Arbeitsrecht, Zivilrecht und Rechtsphilosophie, a cura di J. Rückert, Frankfurt am Main 1992, p. XXVII e I. Fargnoli, Einleitung, in Philipp Lotmar – letzter Pandektist oder erster Arbeitsrechtler?, a cura di I. Fargnoli, Frankfurt am Main 2014, pp. VII s. Cfr. infra in questo paragrafo e § III.2. 1
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IOLE FARGNOLI
vanno dal 1874 al 1891 redigette infatti ben trentadue recensioni, affrontando anche argomenti non romanistici2. Di queste la maggior
Rec. a G.M. von Kujawa, Tabellen zur Rechtsgeschichte, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 16, 1874, pp. 419 ss.; Rec. a T. Loewenfeld, Actio de in rem verso, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 17, 1875, pp. 550 ss.; Rec. a L.A. von Arnesberg, Pandekten, X ed., in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 23, 1881, pp. 194 ss.; Rec. a R. Leonhard, Der Irrthum bei nichtigen Verträge nach römischem Rechte. I. Die dem Einflusse des Irrthums ausgesetzten Bestandtheile des Vertrages, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 25, 1883, pp. 368 ss.; Rec. a R. Leonhard, Der Irrthum bei nichtigen Verträge nach römischem Rechte. II. Die Ausführung der Lehre, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 26, 1884, pp. 220 ss.; Rec. a A.S. Schultze, Privatrecht und Prozess, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 26, 1884, pp. 637 ss.; Rec. a J. Baron, Geschichte des römischen Rechts I, in Göttingische Gelehrte Anzeigen, 13/14, 1885, pp. 580 ss.; Rec. a H. George, Soziale Probleme, tr. F. Stöpel, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 7, 07.02.1885, coll. 209 ss.; Rec. a F. Reitzenstein-E. Nasse, Agrarische Zustände in Frankreich und England, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 11, 07.03.1885, coll. 350 ss.; Rec. a G. Gross, K. Marx, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 14, 28.03.1885, col. 468; Rec. a K.J. Seitz, Römische possessio e F. Kahn, Römisches Frauenerbrecht, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 29, 11.7.1885, coll. 970 ss.; Rec. a L. Pninski, Sachbesitzerwerb nach gem. Recht, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 41, 03.10.1885, coll. 1419 ss.; Rec. a V. Puntschart, Fundamentale Rechtsverhältnisse des röm. Privatrechts, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 49, 28.11.1885, coll. 1673 ss.; Rec. a L. Bridel, La femme et le droit, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 6, 30.01.1886, coll. 191 ss.; Rec. a E. Strohal, Succession in den Besitz, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 14, 27.03.1886, coll. 468 ss.; Rec. a J. Voigt, Vom Besitz des Sequesters nach dem römischen Recht zur Zeit der classischen Jurisprudenz, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 24, 05.06.1886, coll. 829 ss.; Rec. a H.A. Post, Ethnologische Jurisprudenz, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 25, 12.06.1886, coll. 858 ss.; Rec. a F. Kniep, Vacua possessio I, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 35, 21.08.1886, coll. 1199 ss.; Rec. a A. Langfeld, Die Lehre vom Retentionsrecht nach gemeinem Recht, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 35, 21.08.1886, coll. 1199 ss.; Rec. a E. Danz, Die Forderungsüberweisung, Schuldüberweisung und die Verträge zu Gunsten Dritter nach gemeinem Recht, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 44, 23.10.1886, coll. 1528 ss.; Rec. a L. Felix, Entwicklungsgeschichte des Eigentums II, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 46, 06.11.1886, coll. 1590 ss.; Rec. a L. Mitteis, Obligation, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 52, 18.12.1886, coll. 1786 ss.; Rec. a O.E. Hartmann, Der Ordo Judiciorum und die Judicia extraordinaria der Römer I: Über 2
I – LA CRITICA DELLA TEORIA INTERPOLAZIONISTA
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parte, ventitré, furono pubblicate nel “Literarisches Centralblatt für Deutschland”, dodici invece andarono in stampa nella rivista “Kritische Vierteljahrschrift”. Chiunque si sia cimentato in questo genere letterario, conosce l’impegno che costa leggere attentamente l’opera e individuarne i profili da evidenziare per diffonderla e contribuire al progresso della scienza giuridica, ma è consapevole anche, dopo il tanto lavoro, dello scarso impatto scientifico che è proprio di regola del commento a opere altrui. Se le dodici recensioni per la “Kritische Viertelja-
die römische Gerichtsverfassung, parte 2, completato ed edito da A. Ubbelohde, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 28, 1886, pp. 313 ss.; Rec. a A. Scheurl, Römisches Besitzrecht, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 7, 12.02.1887, coll. 212 ss.; Rec. a J.E. Kuntze, Die Obligationen im römischen und heutigen Recht und das Ius extraordinarium der römischen Kaiserzeit. Zwei Abhandlungen, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 21, 21.05.1887, coll. 712 ss.; Rec. a E. Pfersche, Privatrechtliche Abhandlungen, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 26, 25.06.1887, coll. 879 ss.; Rec. a C. Bruns, Fontes iuris romani antiqui, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 38, 17.09.1887, coll. 1305 ss.; Rec. a M. Voigt, Über die staatsrechtliche possessio und den ager compascurus der römischen Republik, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 48, 26.11.1887, coll. 1626 ss.; Rec. a O. Gradenwitz, Die Ungültigkeit obligatorischer Rechtsgeschäfte, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 45, 05.11.1887, coll. 1531 ss.; Rec. a T. Engelmann, Die custodiae praestatio nach römischem Recht, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 4, 21.01.1888, coll. 117 ss.; Rec. a O. Gradenwitz, Interpolationen in den Pandekten, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 29, 14.07.1888, coll. 979 ss.; Rec. a K. von Czychlarz, Eigentumserwerbsarten, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 35, 25.08.1888, coll. 1192 ss.; Rec. a F. Endemann, Über die civilrechtliche Wirkung der Verbotsgesetze nach gemeinem Rechte, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 38, 15.09.1888, coll. 1309 ss.; Rec. a E. Hruza, Über das lege agere pro tutela, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 20, 1888, pp. 183 ss.; Rec. a L. Enneccerus, Rechtsgeschäft, Bedingung und Anfangstermin I, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 2, 05.01.1889, coll. 55 ss.; Rec. a M. Wlassak, Römische Prozeßgesetze I, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 31, 1889, pp. 481 ss.; Rec. a O. Wendt, Lehrbuch der Pandekten, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 32, 1890, pp. 517 ss.; Rec. a H. Pflüger, Die sogenannten Besitzklagen des römischen Rechts, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 34, 1892, pp. 35 ss.; Rec. a M. Wlassak, Römische Prozeßgesetze II, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 35, 1891, pp. 161 ss.
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hrschrift” possono essere spiegabili con il rapporto con il maestro Brinz3, per le ventitré scritte per il “Literarisches Centralblatt für Deutschland”, si pone l’interrogativo di che cosa spinse Lotmar a dedicare così tanto tempo ed energia a questa attività. Allo scopo è utile ricordare gli scopi di tale rivista. Il “Literarisches Centralblatt für Deutschland”, fondato nel 1850, pubblicava recensioni in tutti i campi disciplinari. Era diretta da Friedrich Karl Theodor Zarncke, professore di lingua e letteratura tedesca che, per certi periodi, fu al contempo redattore responsabile e curatore della rivista nonché anche recensore4. Funzione della rivista era quella di dare una visione d’insieme, oggi non più neanche astrattamente immaginabile, della produzione scientifica in tutti gli ambiti dello scibile umano5. È attestato che i recensori percepissero un compenso, anche se era piuttosto contenuto6. Si pone allora la questione di che cos’altro giustificasse la fatica. Se anche in un primo momento le recensioni venivano addirittura pubblicate senza firma, la possibilità poi di figurare come autore di un giudizio critico avrebbe motivato il lavoro7. Lotmar lesse e commentò per quelle pagine lavori romanistici e non. Furono quindi forse entrambi, sia il compenso sia la possibilità di fare circolare il suo nome in ambito accademico, a muovere la dedizione di Lotmar in quest’attività. A ciò si aggiunge un ulteriore elemento. Lotmar aveva provato la critica sulla propria pelle in occasione del suo lavoro sulla contravindicatio, pubblicato nel 18768. In sintesi, aveva sostenuto che la contravindicatio nella legis actio sacramenti in rem non doveva
Dal 1872, dal numero 14, fino alla sua morte nel 1887, Brinz fu curatore della rivista “Kritische Vierteljahrschrift”. 4 Si veda sul tema l’approfondimento di T. Lick, Friedrich Zarncke und das “Literarische Centralblatt für Deutschland”. Eine buchgeschichtliche Untersuchung, Wiesbaden 1993, pp. 133 ss. 5 T. Lick, Friedrich Zarncke, cit., p. 3. 6 T. Lick, Friedrich Zarncke, cit., pp. 183 ss. 7 T. Lick, Friedrich Zarncke, cit., p. 173. 8 P. Lotmar, Kritische Studien in Sachen der Contravindication, München 1878, p. 56. 3
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avvenire nei termini che Gaio descrive nelle sue Istituzioni, ma era solo eventuale. Tuttavia, gli argomenti da lui sostenuti erano stati respinti dalla letteratura dell’epoca9. Persino il suo stimato maestro Brinz lo aveva recensito duramente10. Verosimilmente per questa ragione negli anni successivi Lotmar produce pochissimo di suo e sicuramente nessun lavoro monografico. Lo rivela lui stesso in una lettera scritta all’amico economista Karl Bücher11, denunciando l’ipocrisia che emergeva dalle pubblicazioni più recenti. Evidenzia infatti come mancasse onestà scientifica in chi scriveva. Non venivano formulate critiche sincere e ciò era evidente nel fatto che autori non più in vita venivano trattati peggio di quelli vivi, invece il professore famoso molto meglio dei novellini. Chi non si adattava: hic niger est. L’amarezza di Lotmar deriva inoltre dalla consapevolezza che criticare autori in vita o noti studiosi già in cattedra fosse inopportuno. Ironizza, affermando che, in tali casi, era meglio tacere o ululare con i lupi, cioè – fuor di metafora – sarebbe stata espressa un’opinione cui nessuno avrebbe prestato ascolto. Alla luce di queste notazioni, cristallizzate nella lettera a Bücher, sembra potersi ritenere che anche per questa prassi accademica che in quel momento lo amareggiava profondamente, da lui non condivisibile, Lotmar preferì tacere e non pubblicare nulla di suo per anni. Fu forse questo a indurlo a dedicarsi con umiltà alla lettura di numerose pubblicazioni altrui e a commentarle. Lo conferma lui stesso in un’altra lettera a Bücher12, in cui denomina il momento che sta vivendo una fase difficile e riconosce di avere quasi ritrosia
Per un quadro della questione, si rinvia a M. Varvaro, Riflessioni sui rapporti fra dogmatica giuridica e storia del diritto nel pensiero di Philipp Lotmar, in Philipp Lotmar, a cura di I. Fargnoli, cit., pp. 23 ss. 10 A. Brinz, Zur Contravindication in der Legis actio sacramento in rem, in Festgabe zum Doctor-Jubiläum des Herrn Professors Dr. Leonhard von Spengel im Auftrage der Juristenfacultät zu München überreicht von Alois Brinz und Konrad Maurer Weiland Mitgliedern des philologischen Seminares zu München, München 1877 (rist. Aalen 1981), pp. 93 ss. 11 Lettera a Karl Bücher del 25.02.1883 (Kalliope - Staatsbibliothek zu Berlin). 12 Lettera a Karl Bücher del 28.07.1887 (Kalliope - Staatsbibliothek zu Berlin). 9
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a mettere per iscritto qualcosa di suo; si rallegra di avere consegnato alle stampe almeno un articolo13. In questi anni Lotmar ampliò la sua cultura giuridica e, tramite tale percorso, diventò un giurista a tutto tondo, capace di affrontare anche settori del diritto per lui fino a quel momento sconosciuti. In effetti la sua successiva monografia sarebbe stata pubblicata più di dieci anni dopo il suo lavoro sulla contravindicatio. Solo nel 1902 avrebbe infatti visto le stampe il primo volume della sua trattazione monografica sul contratto di prestazione di fare14, cui sarebbe seguito di lì a poco il secondo volume15. La sua poderosa opera pionieristica avrebbe contribuito a fondare il diritto del lavoro moderno16. La fase della critica altrui nella produzione scientifica lotmariana si sarebbe infatti presto avviata al tramonto. All’inizio del 1888 – un anno per lui decisivo, perché dopo più di dieci anni da “Privatdozent” finalmente conseguiva una cattedra a Berna – scriveva una lettera a Zarncke17, il curatore del “Literarisches Centralblatt”. Lotmar lo ringrazia delle parole lusinghiere sulle recensioni da lui redatte e per l’incoraggiamento a scriverne altre. Lascia tuttavia trapelare una certa stanchezza che gli proveniva da questo lavoro di
13 P. Lotmar, Über ‘Plus est in re, quam in existimatione’ und ‘Plus est in opinione, quam in veritate’, in Festgabe zum Doctor-Jubiläum des Herrn Geheimen Raths und Professors Dr. Johann Julius Wilhelm von Planck in München, München 1887, pp. 57 ss. 14 Sulla traduzione di “Arbeitsvertrag” con “contratto di prestazione di fare”, cfr. L. Nogler, Nota di traduzione, in P. Lotmar, La giustizia e altri scritti, a cura di I. Fargnoli-L. Nogler, Milano 2020, pp. 250 ss. 15 P. Lotmar, Der Arbeitsvertrag nach dem Privatrecht des Deutschen Reiches, I, Leipzig 1902 e II, Leipzig 1908. Al riguardo M. Pedrazzoli, Philipp Lotmar e il diritto del lavoro italiano, in Philipp Lotmar, a cura di I. Fargnoli, cit., pp. 148 ss. 16 Cfr., in particolare, H. Sinzheimer, Philipp Lotmar, in Jüdische Klassiker der Deutschen Rechtswissenschaft, a cura di H. Sinzheimer, Frankfurt am Main 19532, pp. 207-224, e H. Titze, Philipp Lotmar, in Deutsches Biographisches Jahrbuch, 11, 1929, pp. 175 ss.; si rinvia inoltre agli atti di due convegni bernesi: Forschungsband Philipp Lotmar (1850-1922). Colloquium zum 150. Geburtstag. Bern 15./16. Juni 2000, a cura di P. Caroni, Frankfurt am Main 2003 e Philipp Lotmar, a cura di I. Fargnoli, cit. 17 Lettera a Friedrich Zarncke del 02.01.1888 (Kalliope - Staatsbibliothek zu Berlin).
I – LA CRITICA DELLA TEORIA INTERPOLAZIONISTA
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“reporter letterario”. Da quel momento in poi avrebbe scritto altre quattro recensioni, compresa quella a Gradenwitz. A Zarncke Lotmar esterna la differenza tra la produzione scientifica propria e la critica alla produzione altrui, definendo la prima come «tango della letteratura» e la seconda, con riferimento alla sua attività degli ultimi anni, come il «passo delle truppe di retrovia»18. In una successiva lettera allo stesso curatore della rivista racconta di avere preso servizio all’università di Berna, di volere restituire tre libri e di essere in ritardo con due altri ancora da recensire19. Di lì a poco Lotmar rifiuta di recensire la “Palingenesia” di Lenel e la “Geschichte der römischen Rechtsquellen” di Paul Krüger20. Del mese di dicembre sono le sue ultime tre lettere a Zarncke21, in cui ribadisce di avere imparato molto da questa attività, ma di non volere recensire altri due libri sui quali era intervenuto un malinteso in relazione ai tempi di consegna. Quasi irritato per l’equivoco, scrive di avere deciso di restituirli in modo che venissero assegnati a qualche altro studioso. L’ultima sua recensione, per la “Kritische Vierteljahrschrift”, è di qualche anno dopo22.
2. L’apprezzamento dei grandi maestri dell’epoca per la teoria interpolazionista La monografia di Otto Gradenwitz recensita da Lotmar nel 1888 era appena andata alle stampe23. Si fondava con essa la teoria inter-
18 Così traduco un po’ liberamente l’incisiva espressione tedesca: «mein Krähwinkler Landsturmschritt». 19 Lettera a Friedrich Zarncke dell’08.10.1888 (Kalliope - Staatsbibliothek zu Berlin). 20 Lettera a Friedrich Zarncke del 04.11.1888 (Kalliope - Staatsbibliothek zu Berlin). 21 Lettere a Friedrich Zarncke del 18.12, 25.12 e del 29.12.1888 (Kalliope Staatsbibliothek zu Berlin). 22 P. Lotmar, Rec. a M. Wlassak, Römische Prozeßgesetze II, cit., pp. 161 ss. 23 O. Gradenwitz, Interpolationen in den Pandekten, Berlin 1887. Lo stesso autore anticipava, un anno prima, in un breve contributo, alcuni aspetti del suo
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polazionistica e un metodo che sarebbe diventato il più importante indirizzo della romanistica di quei decenni fino circa alla prima metà del ventesimo secolo24. Gradenwitz non fu il primo a supporre la presenza di interpolazioni nei testi giustinianei. Già nel 1882 Fridolin Eisele aveva scritto un saggio, pubblicato però nel 1886, lavorando a tale ipotesi sul piano generale25. E anche Alfred Pernice nei suoi volumi di “Labeo” aveva dato prova di sospettare della maggior parte dei testi giustinianei, giudicandoli spesso rimaneggiati dai compilatori26. Tuttavia, Gradenwitz fu il primo a elaborare un metodo per individuare le interpolazioni in modo sistematico27. Interessante è accennare, prima di considerare la recensione di Lotmar, quali furono le spontanee reazioni della letteratura dell’epoca a questo orientamento innovativo. In particolare, nell’immediatezza della pubblicazione del lavoro monografico “Interpolationen in den Pandekten”, andarono alle stampe, soprattutto in riviste tedesche e italiane, letture critiche dell’opera a firma di diversi importanti studiosi dell’epoca. Le si vogliono qui menzionare in ordine cronologico. 2.1. Ancora non era finito l’anno 1887 che andò alle stampe la recensione di un filologo, il tedesco Wilhelm Kalb28. Nel breve testudio: O. Gradenwitz, Interpolationen in den Pandekten, in ZSS, 7, 1886, pp. 45 ss. 24 L’apice di tale teoria sarebbe stato raggiunto con il radicalismo di Gerhard von Beseler: G. von Beseler, Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen, I, Tübingen 1910; Id., Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen, II, Tübingen 1911; Id., Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen, III, Tübingen 1913; Id., Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen, IV, Tübingen 1920; Id., Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen, V, Tübingen 1931. 25 F. Eisele, Zur Diagnostik der Interpolationen in den Digesten und im Codex, in ZSS, 7, 1886, pp. 15 ss.; cfr. anche Id., Beiträge zur Erkenntnis der Digesteninterpolationen, in ZSS, 13, 1892, p. 138. 26 A. Pernice, Labeo. Römisches Privatrecht im 1. Jahrhundert der Kaiserzeit, I-V, Halle 1874-1900. 27 Cfr., in particolare, O. Gradenwitz, Interpolationen in den Pandekten 1887, cit., p. 15 in cui l’autore intitola la sezione C “Methoden der Auffindung”. 28 W. Kalb, Rec. a O. Gradenwitz, Interpolationen in den Pandekten, in Archiv für Lateinische Lexikographie und Grammatik mit Einschluss des älteren Mittel-
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sto lo studioso, che dieci anni dopo avrebbe coniato la fortunata espressione «caccia alle interpolazioni» con un lavoro monografico dedicato al tema29, evidenzia l’importanza di individuare interpolazioni nel Digesto ed elogia la ricerca di Gradenwitz e la prova che viene data dei rimaneggiamenti giustinianei grazie sia all’uso comparativo dell’“Index zu den Digesten”, ma anche del punto di vista filologico e di quello contenutistico30. Kalb coglie peraltro l’occasione per sottolineare come Gradenwitz non sia affatto il primo a riconoscere la presenza di interventi nel testo classico e cita importanti nomi dei secoli passati come Cuiacio e Fabro31. Auspica poi che, nel prosieguo della ricerca, si possa arrivare a un ordinato elenco dei «giustinianismi», in modo da individuare altre interpolazioni, e conclude riconoscendo di non potersi occupare dei profili giuridici che, in quanto filologo, non gli competono32. Incisivo fu poi, nel 1888, il contributo di Otto Lenel33. Lo studioso tedesco era già all’epoca un grande maestro, giacché nel 1883 aveva pubblicato la prima edizione della sua monumentale opera sull’editto perpetuo34, che raggiungerà la sua terza e ultima versione, ad oggi insuperata, nel 192735. Nella recensione Lenel loda l’opera di Gradenwitz, qualificandola un lavoro eccellente36. Evidenzia in particolare come, da un lato, il volume sveli interpolazioni nei testi giustinianei di cui nessuno sospettava e, dall’altro, dimostri in modo convincente altri rimaneggiamenti dei compilatori che fino a quel
lateins als Vorarbeit zu einem Thesaurus Linguae Latinae mit Unterstützung der k. bayerischen Akademie der Wissenschaften, 4, 1887, pp. 644 s. 29 W. Kalb, Die Jagd nach Interpolationen der Digesten, Nürnberg 1897. 30 W. Kalb, Rec. a O. Gradenwitz, cit., p. 644. 31 W. Kalb, Rec. a O. Gradenwitz, cit., p. 644. 32 W. Kalb, Rec. a O. Gradenwitz, cit., p. 645. 33 O. Lenel, Rec. a O. Gradenwitz, Interpolationen in den Pandekten, in ZSS, 9, 1888, pp. 177 ss. 34 O. Lenel, Das edictum perpetuum. Ein Versuch seiner Wiederstellung, Leipzig 1883. 35 Per una traduzione in lingua italiana della “Parte prima” dell’opera, si veda O. Lenel, Il sistema dell’editto. Parte prima. L’editto perpetuo. Un tentativo di ricostruzione, tr. it. I. Fargnoli, Milano 2012. 36 O. Lenel, Rec. a O. Gradenwitz, cit., p. 177.
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momento erano stati solo ipotizzati. Pur esprimendo la difficoltà di sintetizzare un lavoro caratterizzato soprattutto da analisi critiche dei singoli testi, Lenel prova a dare conto dei contenuti dei diversi capitoli del volume. Condivide la ferma convinzione di Gradenwitz, secondo cui un’interpolazione non è mai del tutto improbabile perché ai compilatori fu espressamente consentita da Giustiniano l’alterazione dei testi classici. Pertanto, è corretto dubitare non solo di singole parole o di espressioni, ma anche di intere frasi37. Lenel pone in evidenza i due metodi deduttivi, utili all’individuazione di un’interpolazione. Il primo metodo utilizza elementi esterni, procedendo per esempio tramite il confronto con fonti sicuramente genuine o tramite l’osservazione delle inscriptiones. Il secondo metodo si basa invece su elementi interni, come può essere il contenuto del passo o la sua forma alla luce del lessico e della grammatica. Secondo Lenel, Gradenwitz è un maestro nell’applicare questo secondo metodo. Lenel riprende, a questo punto, in modo sostanzialmente adesivo, i singoli risultati ottenuti da Gradenwitz, pur mettendone in evidenza alcune criticità. Concorda infatti con Gradenwitz che alcuni termini in uso nel Digesto, come coadunare e satisdationem dare, sono sospetti, ma per parole come adimplere e celebrare è dell’idea che si tratti di usi anche classici. Qualche dubbio viene espresso dal recensore anche in relazione al termine regressus, che, ritenuto da Gradenwitz indice di probabile interpolazione, non prova, secondo Lenel, l’intervento compilatorio, come è dimostrato da alcuni testi che sono da ritenere rimaneggiati, al massimo alla luce del contenuto, per esempio D. 13.7.22.4. Inoltre, a Gradenwitz è da rimproverare il fatto di non avere preso in considerazione altre testimonianze giurisprudenziali in cui tale termine compare38. Lenel sospetta inoltre che l’espressione in casu, ritenuta da Gradenwitz indice di sicuro rimaneggiamento, potrebbe non essere tale in tutte le ipotesi in cui compare39. Più tagliente è la critica in tema di edit-
O. Lenel, Rec. a O. Gradenwitz, cit., p. 178. O. Lenel, Rec. a O. Gradenwitz, cit., p. 178. 39 O. Lenel, Rec. a O. Gradenwitz, cit., p. 179. 37 38
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to pretorio. Lenel ritiene del tutto improbabile il sospetto d’inserimento sistematico, nel linguaggio del pretore, di actionem dare al posto di iudicium dabo. Infatti, il termine actio, come dimostra per esempio l’espressione contraria actio, sarebbe classico40. Di particolare rilievo è l’attenzione dedicata all’espressione actio praescriptis verbis. Lenel condivide pienamente i sospetti di Gradenwitz, adducendo altri argomenti a sostegno di questi e mantenendo l’orientamento nel senso del carattere institicio di questa denominazione anche nella terza edizione della sua ricostruzione dell’editto41. Tuttavia, rispetto a Gradenwitz, il recensore non è convinto del rimaneggiamento del noto testo di D. 19.5.5, concordando però infine sul carattere giustinianeo della condictio propter poenitentiam42. Critico è infine il recensore in merito alla questione dell’interpretazione di negozi giuridici, in particolare in materia successoria. Non sarebbe vero che nei testi classici prevalgano sempre i verba sulla voluntas. Infatti, anche i giuristi classici, evidenzia Lenel, in caso di dubbia interpretazione del testamento, si appellano all’interpretazione più riconducibile alla volontà del testatore. In altre parole, la prevalenza della volontà sulle parole non sarebbe necessariamente sinonimo di interpolazione. 2.2. Anche dall’Italia cominciarono a levarsi voci in relazione al nuovo studio. Fu Contardo Ferrini il primo studioso italiano a recensire Gradenwitz nello stesso anno 188843. Ferrini riprende il concetto d’interpolazione fissato dall’autore, definita come «un mutamento che le commissioni giustinianee hanno introdotto nei testi accolti nelle loro compilazioni pei fini di queste compilazioni medesime», con l’esclusione quindi delle corruzioni degli amanuensi,
O. Lenel, Rec. a O. Gradenwitz, cit., p. 179. O. Lenel, Das edictuum, cit., §§ 112, 302. 42 O. Lenel, Rec. a O. Gradenwitz, cit., p. 181. 43 C. Ferrini, Rec. a O. Gradenwitz, Interpolationen in den Pandekten, in Archivio Giuridico Filippo Serafini, 40, 1888, pp. 163 ss., ora in Opere di Contardo Ferrini. II. Studi sulle fonti del diritto romano, a cura di E. Albertario, Milano 1929, pp. 519 ss. 40 41
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anteriori o posteriori alla compilazione e delle modifiche subite dalle Istituzioni gaiane nel testo delle Istituzioni imperiali. Il recensore suggerisce tuttavia al recensito di non tralasciare le fonti greco-romane che a volte contengono tracce di testi genuini e possono essere parimenti utili per individuare un’interpolazione. Altrettanto importante è rivalutare i sospetti sui singoli testi con riferimento anche alle tre masse di Bluhme, per verificare se le singole sottocommissioni abbiano operato con i medesimi criteri. Più nel dettaglio, rispetto alla prima serie di quattro parole, proposte come «sempre interpolate» (adimplere, coadunare, satisdationem dare e celebrare), lo studioso italiano mostra sostanziale accordo con Gradenwitz. Invece mostra perplessità – come già Lenel – rispetto all’idea che altri termini, come cumulus, regressus, in casu e licentia habere, siano necessariamente segnali per l’interprete nella direzione di una possibile falsificazione del testo. Ferrini guarda poi con favore i risultati delle ricerche di Gradenwitz sul termine actio, ponendosi su di una linea antitetica rispetto a Lenel. Ritiene infatti che Giustiniano abbia spesso sostituito il termine actio a iudicium. Con riferimento all’actio praescriptis verbis il recensore è invece sulla medesima linea di Gradenwitz e di Lenel, nel senso di ritenere la locuzione di mano compilatoria44. Sulla questione della prevalenza della voluntas rispetto ai verba quale tendenza giustinianea non presente presso i classici, Ferrini, come Lenel, suggerisce prudenza al recensito. Dalla lettura delle decisioni raccolte nelle Pandette in materia testamentaria emergerebbe infatti come già i giuristi classici ammettessero l’interpretazione del testamento che meglio rispondesse alla volontà del testatore. Pur non condividendo ogni passaggio, il romanista italiano evidenzia infine come l’opera recensita arrivi a fondare addirittura una scienza dell’esegesi, determinando un’ondata di rinnovamento nell’indagine giuridica45. Ferrini condivide il rilievo che le interpolazioni non solo erano state ordinate da Giustiniano, ma erano
C. Ferrini, Rec. a O. Gradenwitz, cit., pp. 524 s. C. Ferrini, Rec. a O. Gradenwitz, cit., p. 526.
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anche richieste dalla natura dell’opera e conclude con la notazione che l’Italia non può che approfittare dei risultati ottenuti in Germania, esprimendo altresì l’auspicio che anche gli studiosi italiani possano presto dimostrare quello che sanno fare sul fronte della critica testuale. 2.3. Sempre dall’Italia, nello stesso anno, veniva pubblicata la presa di posizione di Vittorio Scialoja46. Rispetto a quella di Ferrini è più prudente. Infatti, dopo avere ripercorso le diverse parti dell’opera “Interpolationen in den Pandekten”, Scialoja esprime alcune perplessità sui risultati cui Gradenwitz è pervenuto. Da una parte, concorda con l’autore sul fatto che i compilatori fecero largo uso della facoltà di interpolare i testi classici, sostenendo che non sia lecito adoperare i testi giustinianei come fonti storiche per il diritto pregiustinianeo «se prima non se ne sia accertata la genuinità»47. Dall’altra, Scialoja ritiene che circa la metà dei testi tramandati nel Digesto potrebbe essere genuina. In sostanza, lo studioso riconosce che, nel libro di Gradenwitz, vi siano vere e preziose ricchezze, nonostante, rimanendo nella metafora, non tutto sia da «prendersi per buona moneta ad occhi chiusi»48. I vizi dei testi presenti nelle Pandette e nel Codice potrebbero avere infatti diverse cause, come per esempio errori o aggiunte dei copisti, e non costituirebbero necessariamente interpolazioni tribonianee. In definitiva, Scialoja apprezza il metodo applicato da Gradenwitz, ma gli rimprovera di avere trascurato alcuni aspetti importanti, come per esempio verificare se l’inserimento di interpolazioni – qui in linea con l’opinione ferriniana – sia stato posto in atto in eguale misura nelle tre masse individuate dal Bluhme o invece sia prevalente in singoli libri del Digesto.
46 V. Scialoja, Rec. a O. Gradenwitz, Interpolationen in den Pandekten, in BIDR, 1, 1888, pp. 148 ss., ora in Studi giuridici. I. Diritto romano I, a cura di V. Scialoja-L. Trompeo, Roma 1935, pp. 378 ss. 47 V. Scialoja, Rec. a O. Gradenwitz, cit., p. 382. 48 V. Scialoja, Rec. a O. Gradenwitz, cit., p. 382.
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2.4. Nello stesso 1888 uscì, sempre in Italia, una nota a firma di Pietro Cogliolo49. Lo studioso, genero e allievo di Filippo Serafini, pur prevedendo a ragione che la ricerca di interpolazioni avrebbe di lì a poco ampiamente attirato l’attenzione degli storici del diritto romano, è il primo a esprimere rilievi veramente pungenti al lavoro di Gradenwitz. Muove innanzitutto una critica, evidenziando come Gradenwitz abbia spesso attribuito a Triboniano un istituto giuridico sulla base del solo fatto che nel testo classico si trovino alcune frasi modificate. Ciò finisce per trasformare un’interpolazione formale in una sostanziale. In realtà va usata cautela nel decidere l’esistenza di un’interpolazione sulla base del mero fatto che nel testo compaiano un termine o una costruzione grammaticale che apparentemente non appartengono all’epoca del giurista. Infatti, sintassi e termini latini non rimangono ovviamente, nel corso del tempo, sempre uguali a se stessi. Cogliolo rimprovera inoltre a Gradenwitz di non avere avvertito la differenza fra interpolazioni e glossemi50, definendo questi ultimi come mutamenti testuali che non sono attribuibili ai compilatori, ma alle scuole forensi di epoca precedente che usavano glossare i libri di studio. Di questi ultimi, gli esempi principali sarebbero D. 2.14.10 pr. e D. 19.1.5.1, in cui vengono attribuiti a giuristi classici istituti che non potevano al loro tempo conoscere. In sostanza, secondo Cogliolo non sempre la «non classicità» del testo conduce alla modificazione testuale per opera dei compilatori. Alcuni passi sarebbero realmente interpolati, mentre altri «si dicono essere, ma non sono interpolati»51. Concorda sul fatto che D. 18.1.58 sia effettivamente interpolato dalle parole sive autem fino alla fine52. Un’altra vera interpolazione s’incontra in D. 27.6.11.3, ove Ulpiano anticiperebbe una soluzione giuridica attestata posteriormente in C. 5.13.6.
49 P. Cogliolo, La storia del diritto romano e le interpolazioni nelle Pandette, in Archivio giuridico Filippo Serafini, 41, 1888, pp. 188 ss. 50 P. Cogliolo, La storia, cit., p. 189. 51 P. Cogliolo, La storia, cit., p. 190. 52 P. Cogliolo, La storia, cit., p. 191.
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Cogliolo non è invece d’accordo con la critica testuale di D. 5.3.5 pr., in cui Gradenwitz vede un’interpolazione giustinianea53. A parte il discutibile «sapore poco classico»54 di dare satisdationem e malle, al posto di rerum restitutio e velle, nonché l’idea che l’interpretazione di Lenel del testo non convincerebbe, mancherebbe – secondo Cogliolo – una prova del rimaneggiamento. Piuttosto che ritenere il testo non autentico, è più opportuno cercare – come si rivela possibile – una nuova interpretazione dello stesso. Particolarmente approfondita è la questione dell’actio praescriptis verbis. Cogliolo critica Gradenwitz, prendendo una posizione diversa rispetto ai rilievi, qui citati, dei ben più noti Lenel55 e Scialoja. Anticipando con ciò la letteratura successiva, Cogliolo è dell’idea che tale azione generica non sia stata inventata dai compilatori, ma apparterrebbe al diritto classico che conosceva già per esempio la condictio come azione «senza contenuto fisso e qualitativamente determinato»56. In definitiva, Gradenwitz esagererebbe nell’attribuire a Giustiniano rimaneggiamenti e, in ogni caso, i compilatori avrebbero piuttosto modificato la forma che la sostanza dei testi. 2.5. Nell’anno successivo, nel 1889, veniva pubblicata, questa volta in Germania, la recensione di Paul Krüger57. Dalla penna del noto collaboratore di Theodor Mommsen alle edizioni del Corpus iuris civilis erompe un vero e proprio elogio dell’opera. La monografia di Gradenwitz viene definita un ricco contributo per la comprensione dei testi tramandatici, da paragonarsi, per importanza, all’effetto che porterebbe alla ricerca romanistica il ritrovamento di nuove fonti58. Nella recensione – stringata a confronto delle al P. Cogliolo, La storia, cit., p. 191. P. Cogliolo, La storia, cit., p. 191. 55 Per la citazione diretta della posizione di Lenel, cfr. P. Cogliolo, La storia, cit., p. 191. 56 P. Cogliolo, La storia, cit., p. 195. 57 P. Krüger, Rec. a O. Gradenwitz, Interpolationen in den Pandekten, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 31, 1889, pp. 322 ss. 58 P. Krüger, Rec. a O. Gradenwitz, cit., p. 325. 53 54
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tre menzionate – sono richiamati primariamente i criteri indicati da Gradenwitz per individuare la presenza di un’interpolazione, come ad esempio l’evidente illogicità di un ragionamento oppure la presenza di determinati termini o espressioni. Vengono poi riferiti alcuni casi concreti d’interpolazione proposti dal recensito, che Krüger risulta condividere, come per esempio i termini adimplere, regressus o l’espressione actio praescriptis verbis, cartine di tornasole di un rimaneggiamento di mano compilatoria. L’elogio viene tessuto soprattutto nella parte finale della recensione in cui viene evidenziato come i numerosi sospetti avanzati da Gradenwitz possano di primo acchito non convincere, perché l’autore non ne fornisce una spiegazione approfondita. Ma, se si guarda più a fondo – così afferma Krüger con una formula un po’ vaga –, se ne percepisce pienamente, almeno per la maggior parte, la fondatezza.
3. «Pensare di guarire un testo, mentre gli si trasmette una malattia»: la critica lotmariana a Gradenwitz Dal coro di elogi più o meno entusiasti dell’opera di Gradenwitz si discosta apertamente, oltre a Pietro Cogliolo, anche Philipp Lotmar, autore della più graffiante recensione al manifesto interpolazionistico. Nella rivista tedesca “Literarisches Centralblatt für Deutschland”59 Lotmar biasima soprattutto la superficialità del metodo adottato da Gradenwitz, oltre a evidenziare gli errori e le negligenze che emergono dall’opera60. I due studiosi si erano già incontrati scientificamente l’anno prima, quando Lotmar aveva recensito l’abilitazione berlinese di Gradenwitz61. In comune avevano sia la nazionalità tedesca sia l’origine ebraica e di conseguenza la faticosa carriera accademica in un’epoca complessa per chi, da ebreo in Germania, aspirava alla cattedra.
Sulla rivista cfr. Cfr. supra § I.1. P. Lotmar, Rec. a O. Gradenwitz, Interpolationen, cit., col. 979. 61 P. Lotmar, Rec. a O. Gradenwitz, Ungültigkeit, cit., coll. 1531 ss. 59 60
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Tuttavia, Gradenwitz divenne cristiano62, mentre Lotmar preferì evitare una conversione di convenienza63. Nel recensire “Interpolationen in den Pandekten”, Lotmar evidenzia con brutale chiarezza l’infondatezza della teoria. Non è possibile ricostruire il diritto classico tramite la mera eliminazione di disarmonie e asimmetrie dei testi. Delle 200 testimonianze giuridiche che Gradenwitz ritiene essere palesemente interpolate, Lotmar crede che soltanto all’incirca in 30 di esse la modifica sia oggettivamente dimostrabile. E la non autenticità di tali testi sarebbe ormai già provata da tempo64. Per quanto riguarda le altre 170 fonti, Gradenwitz non sarebbe stato in grado di fornire – a giudizio di Lotmar – alcuna prova convincente dei rimaneggiamenti compilatori. L’affermazione che la modifica sia «evidente e indubbia» non è sufficiente a dimostrare alcunché. Lotmar ritiene che, per potere sostenere l’esistenza di un’interpolazione, sia necessario un argomento probante, una condicio sine qua non65. Lotmar si oppone, nello specifico, agli argomenti linguistici utilizzati da Gradenwitz. Afferma che è sì utile analizzare tutti gli usi giuridici e non giuridici di età pregiustinianea e giustinianea, ma che la semplice constatazione che una parola o una modifica compaiono più spesso in Giustiniano e meno di frequente nel Digesto Cfr. O. Gradenwitz, Otto Gradenwitz, in Die Rechtswissenschaft der Gegenwart in Selbstdarstellungen, a cura di H. Planitz, III, Leipzig 1929, pp. 41-88, in particolare p. 70. Note sono le difficoltà che, ciononostante, incontrò Gradenwitz. Theodor Mommsen intervenne sì nei suoi confronti, ma per fargli avere un congedo onorevole, non essendo stato soddisfatto di come, con eccessive acribia e lentezza, lavorasse al progetto dell’“Index zu den Digesten”. Di lì a poco, nel 1895, Gradenwitz ebbe sì una cattedra in Germania, ma per i primi anni in una propaggine estremamente orientale del territorio nazionale, a Köningsberg: sul punto cfr. S. Rebenich, Theodor Mommsen. Eine Biographie, München 2012, pp. 162 ss. 63 Sulla circostanza che Lotmar, pur non essendo praticante (cfr. I. Fargnoli, Einleitung, cit., p. XV), decise di rimanere coerente alla sua origine, cfr. la lettera di raccomandazione per Lotmar che Karl Bücher scrisse in data 08.09.1888 all’indirizzo dell’università bernese (Staatsarchiv Bern). 64 P. Lotmar, Rec. a O. Gradenwitz, Interpolationen, cit., col. 980. 65 P. Lotmar, Rec. a O. Gradenwitz, Interpolationen, cit., col. 980; ribadisce tale posizione in Id., Die Litiskontestation im römischen Akkusationsprozess, in Schweizerische Zeitschrift für Strafrecht, 31, 1918, p. 274. 62
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non basta66. A volte Gradenwitz avrebbe semplicemente frainteso i testi, perché spesso mancanze o modifiche testuali possono essere proprio ascritte all’imprecisione e alla lacunosa trasmissione scritta delle fonti classiche da parte dei compilatori pregiustinianei. Lotmar è inoltre sicuro che, in alcune delle fonti qualificate da Gradenwitz come interpolate, la mano dei compilatori sia certamente da escludere. Per svolgere correttamente una ricerca delle interpolazioni, è – a giudizio di Lotmar – necessaria la competenza di uno storico del diritto. Solo studiando la storia del testo è possibile capire se sia o meno attribuibile al diritto classico. Con un argomento che non compare in nessun’altra delle recensioni menzionate, Lotmar biasima inoltre l’assoluta insufficienza del materiale esaminato da Gradenwitz. Mette in particolare in rilievo quanto esiguo sia il numero dei passi presi in considerazione nell’opera rispetto alla mole dei testi del Digesto. Ancora meno rappresentativo risulta essere questo campione alla luce del fatto che già il materiale del Digesto rappresenta solo un ventesimo dell’intera giurisprudenza classica. Come già Cogliolo, pur verosimilmente all’insaputa l’uno dell’altro67, anche Lotmar critica la mancata considerazione da parte di Gradenwitz della fase di trasmissione dei testi e della possibilità che essi siano già stati modificati in una fase precedente all’età giustinianea. Ipotizza che esistessero diversi livelli di testi, anche con rielaborazioni pregiustinianee tramite glossemi68 e ribadisce tale idea anche successivamente in due suoi diversi contributi69. Respinge in sostanza il bipolarismo, tipico della critica interpolazionistica, tra diritto classico e diritto giustinianeo. Questa intuizione che i glossemi, e quindi le alterazioni precedenti all’età giustinianea, avrebbero corrotto i testi, sarebbe poi stata approfondita da Ernst Immanuel
P. Lotmar, Rec. a O. Gradenwitz, Interpolationen, cit., col. 981. Entrambe le pubblicazioni escono nell’anno 1888. 68 Lo sostiene in P. Lotmar, Rec. a O. Gradenwitz, Interpolationen, cit., col. 980. 69 Cfr. P. Lotmar, Marc Aurels Erlass über die Freilassungsauflage, in ZSS, 33, 1912, p. 313 e Id., Die Litiskontestation, cit., p. 269. 66
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Bekker70 e da Emilio Albertario71. L’ipotesi delle stratificazioni testuali sarebbe stata sviluppata decenni dopo. Infatti, Hans Niedermeyer72, tramite il confronto tra i testi ulpianei della Collatio e i corrispondenti nel Digesto, avrebbe sostenuto che molti attacchi ai testi classici sono da collocare nella seconda metà del terzo secolo. Nel 1945 Levy avrebbe adottato lo stesso metodo, applicandolo alle Pauli Sententiae. Peraltro, la pietra miliare del metodo storico-critico sarebbe stata posata ancora successivamente da Franz Wieacker73. Nonostante il suo pensiero rimase all’epoca poco noto, Lotmar anticipa in sostanza orientamenti di molto successivi alla sua morte74. Non solo fa riferimento alla scarsità del materiale utilizzato e all’importanza di studiare la storia di un testo, ma sostiene anche che le testimonianze del Digesto siano state per la grandissima parte abbreviate, con conseguenze importanti nella comprensione del testo75. Lotmar conclude la recensione, evidenziando quanto il lavoro di Gradenwitz, sulla base di un’empiria apparente, apra il rischio di
E. Bekker, Rec. di Ciceros Rede pro Q. Roscio Comedo, rechtlich beleuchtet und verwertet von H. H. Pflüger, in ZSS, 25, 1904, p. 395. 71 E. Albertario, Glossemi e interpolazioni pregiustinianee, in Atti del Congresso Internazionale di Diritto Romano (Bologna e Roma XVII-XXVII aprile MCMXXXIII), a cura di V. Scialoja-E. Albertario et al., I, Pavia 1934, pp. 385411, ora in Studi di diritto romano. V. Storia. Metodologia. Esegesi, Milano 1937, pp. 377 ss. 72 H. Niedermeyer, Vorjustinianische Glossen und Interpolationen und Textüberlieferung, in Atti del Congresso Internazionale, a cura di in V. Scialoja-E. Albertario et al., cit., pp. 351 ss. 73 F. Wieacker, Textstufen klassicher Juristen, in ZSS, 77, 1960, pp. 494 ss., che evidenzia come sia necessario seguire la storia del testo piuttosto che quella del suo contenuto giuridico. 74 Sulla modernità di Lotmar si veda il saggio di T. Finkenauer, Philipp Lotmar (1850-1922) – zur Modernität eines Pandektisten, in Philipp Lotmar, a cura di I. Fargnoli, cit., in particolare pp. 5 ss. 75 P. Lotmar, Rec. a O. Gradenwitz, Interpolationen, cit., coll. 980 s. Sarebbe stato poi Tony Honoré con i suoi studi sullo stile dei giuristi classici ad approfondire questo profilo, cfr. T. Honoré, Justinian’s Digest. Character and Compilation, Oxford 2010, pp. 107 s. e già Id., Some Suggestions for the Study of Interpolations, in TR, 49, 1981, pp. 225 ss.; Id., Techniques of Interpolations: D.33.4.1517, in Sodalitas. Scritti in onore di A. Guarino, a cura di V. Giuffrè, VI, Napoli 1984, pp. 2723 ss. 70
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speculazioni76. Con lucidità e uno sguardo lungo, l’allievo di Brinz va oltre a quanto sostenuto nello stesso anno da Cogliolo, prevedendo che la teoria interpolazionistica, se avesse avuto seguito, avrebbe potuto portare a un circolo vizioso, a una spirale nel lavoro pratico sui testi sulla base di questo strumentario critico. Nessun testo sarebbe più stato libero da sospetti di interpolazione. Il tema delle interpolazioni non era nuovo a Lotmar. Lo studioso ipotizza già nella sua dissertazione77, il suo primo lavoro scientifico, alcuni interventi compilatori. Nella sua monografia sulla contravindicatio critica poi una modifica testuale che Philipp Eduard Huschke78, senza argomenti probanti, apportava al testo di Gai. 4.16 e afferma che non si può «pensare di guarire un testo, mentre gli si trasmette una malattia»79. Facendo ricorso a una metafora, lo studioso paragona tale intervento nel testo a quello di medico che fa ammalare un paziente con il fine di curarlo. Successivamente rimane di questa idea con riferimento agli interpolazionisti in generale e paragona le loro proposte di alterazione testuale alle cure del “Doktor Eisenbart”80, dalla nota canzone goliardica sul medico di epoca seicentesca, di nome Johann Andreas Eisenbart, noto per avere esercitato la sua attività un po’ alla cieca, amputando di qua e di là e portando così spesso i suoi pazienti alla morte. Anche altrove non lesina freddure nei confronti degli interpolazionisti. Sostiene che gli eccessi costituiscono una specificatio del testo81. Chi cerca di intervenire su un testo introduce in esso materia estranea con lo stesso risultato che produce la specificazione di una
P. Lotmar, Rec. a O. Gradenwitz, Interpolationen, cit., col. 980. P. Lotmar, Über causa im römischen Recht. Beitrag zur Lehre von den Rechtsgeschäften, München 1875, passim. 78 E. Huschke, Die Multa und das Sacramentum in ihren verschiedenen Anwendungen, Leipzig 1874, p. 430. 79 P. Lotmar, Kritische Studien, cit., p. 106. 80 P. Lotmar, Die Litiskontestation, cit., p. 275. Sul punto T. Finkenauer, Philipp Lotmar, cit., p. 11. 81 P. Lotmar, Die Verteilung der Dosfrüchte nach Auflösung der Ehe, in Jherings Jahrbücher für die Dogmatik des heutigen römischen und deutschen Privatrechts, 33, 1894, p. 296. 76
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cosa sulla cosa stessa e per riflesso sulla proprietà su di essa: non è più neanche possibile riconoscere la testimonianza di partenza. Del resto, non può ritenersi ogni inserimento compilatorio un cambiamento novandi animo82. I compilatori non erano certo stolti ed erano ben lungi dal volere creare contraddizioni nel testo83. Lotmar si pone anche l’interrogativo pratico di come i compilatori avrebbero potuto fare a inserire un’interpolazione e poi a ricordarsi della stessa altrove e a ripeterla84. In altre parole, i giustinianei sarebbero ben potuti intervenire su alcuni passi e dimenticare sistematicamente di farlo in altri85. Parimenti non si può credere che i giuristi classici non si siano mai sbagliati e abbiano sempre argomentato in modo coerente86. Anzi, anche a loro possono essere attribuiti errori di scuola87.
4. «Triboniano è un nuovo Papiniano»? Il disagio di Lotmar Come visto, Lotmar redasse la recensione a Gradenwitz in un momento particolare della sua vita, dedicata pressoché esclusivamente a letture critiche. Proprio in questa fase si accorgeva di quanto fosse per lui stimolante la materia della critica interpolazionistica sulla scia della lettura di “Interpolationen in den Pandekten”. È il carteggio con Karl von Amira88 a rivelarlo esplicitamente. Da esso emerge, in particolare, quanto Lotmar fosse sbalordito dalla lettura della menzionata recensione di Paul Krüger a Gradenwitz89. Ne appare addirittura irritato e la chiama «encomio di
P. Lotmar, Marc Aurels, cit., p. 363. P. Lotmar, Marc Aurels, cit., p. 369. 84 P. Lotmar, Zur Geschichte des interdictum quod legatorum, in ZSS, 31, 1910, p. 151. 85 P. Lotmar, Zur Geschichte, cit., pp. 139, 148. 86 P. Lotmar, Rec. a O. Gradenwitz, Interpolationen, cit., col. 980. 87 P. Lotmar, Die Vertheilung, cit., p. 259. 88 Le quasi mille pagine di una corrispondenza durata quarantasette anni sono conservate nella “Bayerische Staatsbibliothek”, München, Amiraiana I. 89 Cfr. supra § I.2.5. 82 83
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terzo grado»90. Lotmar dichiara di esserci piuttosto andato piano nella sua critica a Gradenwitz e di avere letto il libro due volte prima di formulare con cautela le sue pagine. Aggiunge inoltre di avere pronti i materiali per motivare la sua opinione. Tuttavia, afferma di sentirsi isolato e di avere gradito il conforto di qualcuno che condividesse la sua convinzione. Si domanda che cosa avrebbe detto Eisele di fronte a una simile opera e chiede ad Amira di parlargli personalmente o comunque di riferirgli se avesse detto qualcosa al riguardo, visto che Eisele insegnava – come Amira in quegli anni – a Friburgo. Queste sue considerazioni sembrano confermare che Lotmar all’epoca non conoscesse, al di fuori di quella di Krüger, le altre recensioni, qui menzionate, all’opera “Interpolationen in den Pandekten” e, in particolare, quella di Cogliolo. In una successiva lettera91 lo studioso torna sul tema con maggiore serenità, è meno incerto di avere colto nel vero nel giudicare Gradenwitz. Si è reso conto di come Krüger non sia sempre attendibile. Infatti, lo studioso ha espresso apprezzamenti persino sul lavoro di Alfred Schultze92, qualificando pregno di significato e stimolante un contributo invece, secondo Lotmar, del tutto raffazzonato. Subito dopo torna sul tema della sua recensione e racconta di essere venuto a conoscenza di come Gradenwitz non avesse affatto gradito il rigore della sua penna. È in questa stessa lettera che Lotmar ribadisce che gli sarebbe piaciuto scrivere qualcosa di più dettagliato sul tema, per motivare la sua presa di posizione contraria. Tuttavia, per ciò ci volevano tempo e voglia. Soprattutto dice di non volersi impegnare a scrivere un lavoro per poi andare in giro a mendicare con il manoscritto, alla ricerca di un luogo di pubblicazione. La riflessione maturata in quegli anni lo portava a volersi occupare più ampiamente del tema, ma ciò, dal suo pun-
Amiraiana I, Lettera del 15.03.1889. Amiraiana I, Lettera del 07.04.1889. 92 A. Schultze, Erörterungen zur Lehre von der Veräusserung der in Streit befangenen Sache und der Cession des geltend gemachten Anspruchs, Breslau 1886. 90 91
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to di vista, avrebbe addirittura significato – dato il successo della teoria di Gradenwitz – non trovare nessuno disposto a dare alle stampe il suo contributo. Lotmar torna sull’argomento nella sua corrispondenza privata tre anni dopo. Prova a chiedere nuovamente ad Amira se, almeno ora, Eisele non ritenesse raccapriccianti gli eccessi degli interpolazionisti, sempre più estremi93. Racconta di avere letto il nuovo volume di Pernice, “Labeo”, e di essere rimasto di stucco. Ricorre a un’iperbole. Gli interpolazionisti azzardano talmente tanto che potrebbero arrivare a ritenere che Ferdinando Bol, allievo di Rembrandt, sia Rembrandt stesso e che Triboniano sia addirittura Papiniano. Attribuirebbero a Triboniano una tale grandezza e un tale spessore da ritenerlo come uno dei migliori giuristi dell’antichità quale era Papiniano. Aggiunge che, se la letteratura romanistica avesse proceduto su tali versanti, avrebbe preferito, piuttosto che rimanere romanista, diventare storico del diritto medioevale e moderno, andando ad ascoltare le lezioni dell’amico Amira. Ne emerge nitidamente un vero e proprio disagio dello studioso per come l’opinione da lui espressa sugli eccessi degli interpolazionisti rimanesse – per usare una metafora da lui utilizzata in altro contesto94 – un «ululato con i lupi», mentre la teoria di Gradenwitz continuava ad attecchire e a incontrare consensi. Proprio la percezione del successo del metodo esposto nelle “Interpolationen in den Pandekten” avrebbe verosimilmente contribuito a portare Lotmar, di lì a poco, a imboccare un’altra via. Si sarebbe effettivamente allontanato per più di un decennio dal diritto romano, non per dedicarsi – come accennava scherzosamente ad Amira – alla storia del diritto medioevale e moderno, bensì per investire le sue energie su un ambito ancora più lontano dal diritto romano, quello della regolamentazione del mondo del lavoro.
Amiraiana I, Lettera del 22.05.1892. Cfr. supra § I.1.
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5. Conclusioni Già dal numero delle recensioni nei due anni successivi emerge quanto il manifesto interpolazionista sia stato dirompente. Inoltre, più di un grande maestro della romanistica dell’epoca si prodigò con sollecitudine a tessere l’elogio della nuova metodologia quale elaborata da Gradenwitz. Più di Pietro Cogliolo fu Philipp Lotmar, nel vasto plauso, una voce palesemente fuori dal coro. Colui che, ai tempi della redazione della recensione, era ancora un docente senza cattedra non rifiutava per principio le interpolazioni, ma disapprovava apertamente gli eccessi di tale teoria. Peraltro, la sua recensione rimase pressoché sconosciuta. Che il lavoro di Gradenwitz presentasse dei punti problematici, sembra difficile da negare. Dall’apprezzamento con cui viene accolto dai grandi nomi dell’epoca, è tuttavia chiaro che questi restassero in seconda linea, offuscati della forza innovativa della ricerca. Un particolare angolo visuale sull’impatto che ebbe la pubblicazione all’epoca ci proviene poi dalla lettura della corrispondenza di Lotmar. In un periodo dedicato dallo studioso interamente alla valutazione critica delle opere altrui, emerge il suo sincero stupore di fronte alle reazioni dei più eminenti studiosi dell’epoca. La corrispondenza rivela altresì che a Lotmar la questione premeva molto e che gli sarebbe piaciuto approfondire la materia, al fine di motivare nel dettaglio ogni sua singola critica al manifesto interpolazionistico. Tuttavia, conscio di non potersi opporre validamente da solo al consenso generale che, nell’immediatezza della pubblicazione, avvertiva quasi unanime, Lotmar non realizzò mai il suo proposito.
II
Philipp Lotmar nella facoltà dell’Università di Berna e all’ombra di Eugen Huber* Urs Fasel
Sommario: 1. La Facoltà bernese sul finire del Diciannovesimo secolo. – 2. Il debutto della Svizzera nella codificazione: diritto penale o diritto civile? – 3. La chiamata di Eugen Huber: veni vidi vici. – 4. Il successo: viene data priorità alla codificazione civile. – 5. Philipp Lotmar in quel contesto. – 6. Il «cosiddetto amico». – 7. L’interrogativo aperto sui lavori di revisione di Eugen Huber del Diritto delle obbligazioni. – 8. Conclusione interlocutoria: il gigante e i sette nani.
1. La Facoltà bernese sul finire del Diciannovesimo secolo Nel 1888 fu chiamato all’Università di Berna Philipp Lotmar, che continuò a insegnare nella Facoltà di Giurisprudenza fino al 1922. Nell’arco di pochi mesi furono chiamati dal medesimo Ateneo anche diversi altri professori, tra i quali, nell’anno 1892, uno che avrebbe segnato in modo particolare la storia del diritto elvetico: Eugen Huber (1849-1923). L’ampio (per le dimensioni della Facoltà dell’epoca) ricambio fu determinato dalla scomparsa nel giro di pochi anni della precedente generazione di giuristi: Johann Jakob Leuenberger (1823-1871), Walther Munzinger (1830-1873)1,
* Traduzione italiana di Linda De Maddalena. 1 Al riguardo cfr. U. Fasel, Bahnbrecher Munzinger, Gesetzgeber und Führer der katholischen Reformbewegung (1830-1873), Bern 2003. Già Karl Oftinger voleva elevare Walther Munzinger accanto a Eugen Huber nel «Pantheon dei
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Carl Eduard Pfotenhauer (1802-1891), Gustav König (1828-1892). Presero servizio a Berna Carl Hilty (1833-1909), Albert Zeerleder (1838-1900), Alexander Reichel (1853-1921), Virgile Rossel2 (18581933) e soprattutto Carl Stooss3 (1849-1934). Su quest’ultimo intendo soffermarmi, in quanto costituì una sorta di antagonista di Eugen Huber e comunque una figura di rilievo nella Facoltà. A ciò si intreccia – con un ruolo non irrilevante – la storia della codificazione svizzera.
2. Il debutto della Svizzera nella codificazione: diritto penale o diritto civile? Quando nel 1798 Napoleone creò la Repubblica Elvetica, determinando l’istituzione per la prima volta nel nostro Paese di un’unica corte suprema4, si nutriva già il proposito di uniformare il diritto civile dei cantoni svizzeri. Ma non ebbe seguito. Peraltro, la Repubblica Elvetica ci portò un Codice penale unitario5. Con la fine dell’esperienza napoleonica, durata solo cinque anni, questo codi-
migliori legislatori» (cfr. K. Oftinger, Handelsrecht und Zivilrecht, in SJZ, 50, 1954, pp. 153-163, ivi p. 155 nt. 6). 2 Rossel venne chiamato su iniziativa del consigliere di governo Gobat contro la volontà della Facoltà. Su questo episodio cfr. R. Feller, Die Universität Bern 1834-1934, Bern/Leipzig 1935, p. 322; inoltre: U. Fasel, Eugen Hubers Vorlesungen, Bern 2014, p. 44. 3 Cfr. ancora più dettagliatamente: L. Gschwend, Carl Stooss (1849-1934). Original-kreativer Kodifikator und geschickter Kompilator des schweizerischen Strafrechts. Reflexionen zu seinem 60. Geburtstag, in Schweizerisches Zeitschrift für Strafrecht, 112, 1994, pp. 26-56. Sulla vicenda in cui Carl Stooss avrebbe cercato di fare chiamare Eugen Huber a Vienna, cfr. U. Fasel, Wiener Episode des Schweizer Gesetzgebers Eugen Huber, in Beiträge zur Rechtsgeschichte Österreichs, Wien 2020, pp. 19-29. 4 Cfr. R. Pahud de Mortanges, Schweizerische Rechtsgeschichte, Zürich/St. Gallen 20172, p. 183, nr. a margine 239, con il rinvio all’organizzazione gerarchica a tre livelli: i tribunali distrettuali, i tribunali cantonali e il tribunale federale elvetico. 5 Nel 1799 venne promulgato il Codice penale della Repubblica Elvetica, che ricalcava quasi letteralmente il Codice penale francese del 1791. Già nel 1798 la
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ce fu tuttavia sostituito nel 1803 di nuovo con le leggi cantonali6. Ciò non impedì che, durante i primi due terzi del Diciannovesimo secolo, si presupponesse che sarebbe stato innanzitutto il diritto penale a essere codificato. La convinzione era concretamente supportata dal pregevole progetto7 di un codice svizzero di diritto penale, presentato nel 1892 da Carl Stooss, con il geniale sistema duale di pene e di misure; con esso tutti pensarono che la codificazione di diritto penale avesse imboccato la via verso il traguardo. Tuttavia, fu poi lo stesso Carl Stooss – agendo peraltro su incarico della Facoltà – a dare indirettamente una svolta decisiva a quello che sarebbe stato il suo primato nella storia della codificazione elvetica: chiamò Eugen Huber nella Facoltà di Berna e cambiò così verosimilmente il corso degli eventi.
3. La chiamata di Eugen Huber: veni vidi vici L’opera “Sistema e storia del diritto privato svizzero” fu scritta da Eugen Huber negli anni tra il 1886 e il 1893. Fu un’apoteosi. Già nel 1889 l’Università di Basilea voleva avere lo studioso nella sua Facoltà, offrendogli al contempo il ruolo di Presidente del Tribunale8, nel 1890 l’Università di Losanna gli proponeva la chiamata unitamente a un prestigioso impegno nel Tribunale Federale e nel 1892 l’Università di Zurigo gli offriva di essere successore del suo maestro Aloys von Orelli (1827-1892). Huber, che al tempo insegnava a Halle a.d. Saale, rifiutò le propotortura, nella misura in cui era ancora ricorrente nella prassi, fu abrogata in tutta l’Elvezia. Cfr. M. Pieth, Strafrechtsgeschichte, Basel 20202, pp. 62, 85. 6 Finita l’esperienza della Repubblica Elvetica, i cantoni si diedero nuovamente codici penali propri, a tal punto che fino agli anni Ottanta del Diciannovesimo secolo, dunque fino al momento in cui si compirono i primi sforzi per un diritto penale federale, sono attestati più di 40 codici cantonali, cfr. R. Pahud de Mortanges, Schweizerische Rechtsgeschichte, cit., p. 251. 7 Cfr. R. Pahud de Mortanges, Schweizerische Rechtsgeschichte, cit., p. 271. 8 Cfr. le lettere da Basilea del 1889; U. Fasel, Eugen Hubers Vorlesungen, cit., nr. a margine 79.
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ste9. Declinò anche altre che gli furono fatte, ad esempio da Strasburgo e da Vienna. Huber era apprezzato e fortemente ricercato. Accettò di tornare in Svizzera come professore10 quando Carl Stooss gli accennò che avrebbe potuto occuparsi dei lavori di codificazione del Codice civile. Dopo che Stooss lo cercò a Halle a.d. Saale11, Eugen Huber discusse personalmente le condizioni alle quali sarebbe stato disposto a tornare a Berna12: a. Per prima cosa trattò sul piano economico: con 10.000,00 franchi di stipendio annuale voleva ottenere il doppio di ciò che un professore ordinario guadagnava a quei tempi13. b. In secondo luogo dettò egli stesso (sic!) per la Facoltà bernese le condizioni di assunzione che Carl Stooss firmò con riserva di ratifica14 e che poi, una volta rientrato a Berna, fece confermare dal Direttore per l’educazione Gobat e dalla Facoltà. c. In terzo luogo dettò (di sua iniziativa) un’agenda dei lavori per l’uniformazione del diritto civile che il Consiglio Federale confermò solo a posteriori15. M. Rümelin, Eugen Huber. Preisverteilungsrede, Tübingen 1923, p. 14; U. FaEugen Hubers Vorlesungen, cit., nr. a margine 116 con ulteriori riferimenti. 10 Cfr. sull’operato di Stooss, già U. Fasel, Eugen Hubers Vorlesungen, cit., pp. 42 ss. 11 Nonostante fosse solo un professore onorario, Stoos era a quel tempo Preside. La sua ambizione di portare l’Università di Berna a essere la prima facoltà della Svizzera grazie alla chiamata di Huber (cfr. U. Fasel, Eugen Hubers Vorlesungen, cit., p. 43, con ulteriori riferimenti) si realizzò transitoriamente in quegli anni in cui il Codice civile svizzero fu promulgato ed entrò in vigore. 12 C.A. Gasser, Philipp Lotmar 1850-1922, Professor an der Universität Bern. Sein Engagement für das Schweizerische Arbeitsrecht, Frankfurt am Main 1997, p. 45 ritiene che Huber avesse direttamente dettato alla Direzione per l’educazione le sue condizioni, ipotesi del tutto verosimile. 13 Il 17 giugno 1892 il Governo bernese nominò Eugen Huber professore ordinario di Diritto privato svizzero con CHF 10.000,00 di stipendio e nello stesso giorno il Consiglio federale lo incaricò (su iniziativa di Louis Ruchonnet) di uniformare il diritto civile svizzero, R. Feller, Die Universität, cit., p. 322. 14 Così Carl Stooss in una lettera del 06.07.1923 a Emil Zürcher, così S. Holenstein, Emil Zürcher (1850-1926) – Leben und Werk eines bedeutenden Strafrechtlers, Zürich 1996, p. 430, ivi soprattutto nt. 635. 15 Così S. Holenstein, Emil Zürcher, cit., p. 430, con ulteriori rinvii alle fonti. 9
sel,
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Giustamente Carl Stooss concluse in seguito: «Ho dato spazio al legislatore civile e ho tolto vita al legislatore penale. Non sarei venuto all’Università di Vienna e non sarei dovuto andare all’Università di Graz se non mi fossi adoperato per Huber»16. Per quanto riguarda la posizione degli altri componenti della Facoltà, emerge anche la vicenda di Woldemar Marcusen, chiamato nello stesso anno e nominato professore ordinario per Diritto romano e Diritto comparato. Quando fu noto che Huber, in qualità di professore di Diritto civile svizzero, voleva tenere anche i corsi di Diritto svizzero delle obbligazioni, Diritto privato bernese e anche di Diritto civile federale, Diritto privato svizzero comparato, Storia del diritto svizzero e bernese ed eventualmente corsi sulla Teoria generale del diritto e sul Diritto tedesco, il Direttore per l’educazione modificò conseguentemente la materia d’insegnamento di Marcusen: fu cancellato il suo corso di Diritto comparato e gli fu assegnato quello di Diritto privato internazionale17. A Marcusen non rimase altro che accettare questa proposta del Direttore dell’educazione, dal momento che era alla ricerca da tempo di una posizione da professore. Già al momento della sua chiamata si riconosce dunque quel meccanismo che in seguito si rivelerà costante: Eugen Huber è perno e cardine, determina, fissa le linee, definisce i dettagli, tutti gli altri, anche se altrettanto significativi dal punto di vista scientifico o della loro funzione, sono nel migliore dei casi collaboratori oppure, per usare una metafora ecclesiastica, chierichetti del sommo sacerdote Huber18. La situazione rimane la stessa, talvolta anche in modo più evidente, sino alla sua morte.
Qui citato secondo S. Holenstein, Emil Zürcher, cit., p. 431. C.A. Gasser, Philipp Lotmar, cit., p. 45. 18 Cfr. Pio Caroni che attribuisce suggestivamente al successo di Huber la dimensione del mito, cfr. P. Caroni, Il mito svelato, in ZSR, 110.1, 1991, pp. 381419. 16 17
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4. Il successo: viene data priorità alla codificazione civile Per capire la Facoltà bernese di quegli anni e il ruolo predominante di Eugen Huber in essa, non basta fare riferimento alle vicende della sua assunzione oppure alla sua idea di retribuzione, ma è necessario anche descrivere il suo successo: l’uniformazione del diritto civile fu infatti anteposta e, invece, il geniale progetto di diritto penale di Carl Stooss attese quasi 50 anni prima di diventare codice. Perché venne uniformato prima il diritto civile, nonostante Carl Stooss già nel 1888 avesse ricevuto dal Consiglio Federale l’incarico di creare un codice penale svizzero e avesse proposto in concreto l’unificazione dei diritti penali cantonali con la pubblicazione nel 1890 dell’opera in due volumi “Die schweizerischen Strafgesetzbücher zur Vergleichung zusammengestellt” e nel 1893 del progetto di Codice penale “Vorentwurf zu einem Schweizerischen Strafgesetzbuch”? Di una moltitudine di concause19 vorrei oggi sottolineare quelle rilevanti in questo contesto: – Abile strategia: Eugen Huber era un maestro di strategia. Volle fin dall’inizio nominare una commissione di esperti20 e coinvolse nel suo progetto cerchie di specialisti il più vaste possibile. Stooss, invece, rifiutava di designare commissioni di esperti. – I collegamenti: Huber era straordinariamente ben connesso con la politica. Quale ex capo redattore del quotidiano “Neue Zürcher Zeitung”21 ed ex professore basilese, con pareri giuridici redatti per la politica e nella politica, conobbe in particolare Ernst
Si rinvia su questo punto all’ampio lavoro di S. Holenstein, Emil Zürcher, cit., ivi pp. 410 ss. e anche a U. Fasel, Sachenrechtliche Materialien. Von den ersten Entwürfen bis zum Gesetz 1912, Basel 2005, pp. 4 ss. 20 Cfr., sulla situazione nel diritto penale, L. Gschwend, Carl Stooss, cit., p. 33, con rinvii sulla costituzione di una commissione di esperti nel diritto penale composta da 25 membri il 19.09.1893, in cui peraltro si generarono ampie difformità di vedute. 21 Cfr. U. Fasel, Eugen Huber als Chefredaktor der NZZ, Bern 2014. 19
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Brenner22, che pure aveva una posizione importante per l’uniformazione del diritto civile. Inoltre, era spesso scelto come giornalista non solo nel Palazzo federale, ma più tardi anche nel Parlamento federale ed era ad esso collegato come nessun altro professore dell’epoca23. – L’ausilio del collega di Facoltà Rossel: Virgile Rossel, in seguito chiamato la «conscience écrite du code civil suisse», riuscì abilmente a fare inserire all’ordine del giorno in Parlamento il tema della priorità del Codice civile svizzero e la spuntò insieme a Huber. Anche se Rossel e Huber si trovavano molto meno vicini rispetto a quanto lo erano stati negli anni precedenti, Eugen Huber nominò il suo collega di Facoltà collaboratore in funzione dell’uniformazione del diritto civile e così indirettamente anche suo collaboratore24. Una volta di più emerge come Eugen Huber, perno e cardine, abbia strumentalizzato tutti gli altri come meri chierichetti. – Huber si impegnò molto nell’ottenimento, che avvenne gradualmente, della competenza federale (per la legiferazione in diritto privato): aa) Nonostante la promulgazione della Costituzione federale nel 1848, i cantoni mantennero in un primo momento la sovranità per la legiferazione in diritto privato. Solo nel 1874 la Confederazione riuscì a uniformare il diritto dei traffici quotidiani, ossia il diritto
Cfr. complessivamente al riguardo L. Schwizer, Ernst Brenners Einfluss auf die Rechtseinheit. Leben und Wirken eines bedeutenden Schweizer Justizministers (1856-1911), Bern 2015. 23 Ciò spiega il motivo per il quale a richiedergli pareri furono non solo molti parlamentari, ma anche molti consiglieri federali. 24 Lo stesso Virgile Rossel scrisse in seguito di avere accompagnato il cammino di Huber per circa 20 anni, come suo «collega, vicino e amico» (V. Rossel, Eugène Huber. Impressions et souvenirs d’un ami, in Wissen und Leben, 16, 1923, pp. 679-689, in particolare p. 679. Su Rossel, anche U. Fasel, Eugen Hubers Vorlesungen, cit., p. 44 (in riferimento all’operato individuale del Direttore in merito alla chiamata di Rossel) e p. 49. Rossel fu quindi giudice federale dal 1912 al 1932 e collaborò così in maniera decisiva all’applicazione pratica del Codice delle obbligazioni nelle decisioni del Tribunale federale. Il fatto che egli rimase anche in seguito in contatto con Eugen Huber è già dimostrato dalle questioni poste a costui da parte di tale organo. 22
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delle obbligazioni (come «code unique»25) e quello dei titoli di credito26. Nonostante il Codice delle obbligazioni abbia determinato un grande slancio per la Svizzera e si sia dimostrato molto valido nella prassi, non era in alcun modo scontato che anche il rimanente diritto civile27 sarebbe stato trasferito alla competenza federale. In questo contesto il Consiglio federale incaricò il tattico e smaliziato Huber di redigere un proclama sui vantaggi dell’unitarietà del diritto, magistralmente illustrato grazie al fondamentale contributo di Pio Caroni28. bb) Eugen Huber non solo si mise sotto i riflettori, ma realizzò una vera e propria campagna personale per l’unitarietà del diritto nella Confederazione, fra le altre cose anche con un appello pubblico al popolo svizzero. In ciò ebbe successo: nel 1898 la Confederazione ottenne la competenza federale per il restante diritto civile29 ed Eugen Huber fu il vincitore celebrato della campagna che fino a quel momento aveva fatto tremare il Consiglio federale. Egli aveva con successo “ruotato” il remo nella direzione dell’unitarietà del diritto, dell’unitarietà del diritto civile, ma anche e soprattutto: nella direzione di sé stesso. Eugen Huber fu il celebrato redattore della codificazione, anche se nel 1910, nonostante il roboante successo, per altre ragioni30 non si sentì così felice.
Cfr. ampiamente (anche grazie al carteggio fra Bluntschli e Munzinger) U. Fasel, Bahnbrecher Munzinger, cit., pp. 68 ss. 26 Cfr. U. Fasel, Handels- und obligationenrechtliche Materialien, Bern/Stuttgart/Wien 2000, che raccoglie interamente i testi introduttivi e i lavori preparatori del Codice delle obbligazioni svizzero. 27 Così il tenore letterale del precedente art. 64 Cost. Cfr. su questo, in particolare, P. Caroni, Drei historische Studien zu Art. 64 BV, Basel/Frankfurt am Main 1986. 28 Da ultimo P. Caroni, Privatrecht im 19. Jahrhundert. Eine Spurensuche, Basel 2015. 29 Cfr. R. Pahud de Mortanges, Schweizerische Rechtsgeschichte, cit., p. 263. 30 Il 4 aprile 1910 morì Lina Huber alle 2 di mattina. Cfr. V.E. Müller, Liebe und Venunft, Lina und Eugen Huber, Baden 2016, p. 172, anche con la citazione delle parole scritte direttamente da Eugen Huber: «Come morì la mia Lina». 25
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5. Philipp Lotmar in quel contesto La situazione di Philipp Lotmar nella Facoltà bernese era alquanto diversa. Cerco di sintetizzare il confronto sulla base di alcuni concetti chiave. Nessun contatto con la politica cantonale e federale: Philipp Lotmar, anche perché di nazionalità tedesca, non aveva contatti né con la politica cantonale né con la politica federale. Se conosceva consiglieri federali, si trattava di contatti superficiali, mentre Eugen Huber aveva con la politica un rapporto costante, come è provato dalla redazione, da parte sua, nell’arco di trent’anni, di pareri giuridici per incarico di diversi consiglieri federali. Nessuna battaglia comune insieme ai colleghi: Mentre Huber e Rossel, dapprima tra colleghi, poi nelle commissioni di esperti e in Parlamento, combatterono in prima linea per l’unitarietà del diritto svizzero, per comparire a questo proposito come – per utilizzare un’espressione di Eugen Huber – «compagni d’armi spirituali», Lotmar era per la maggior parte escluso da queste battaglie comuni e venne, se non ignorato del tutto, a malapena considerato. L’atteggiamento politico: mentre Huber fu eletto nel Consiglio nazionale come liberale nel partito di maggioranza, che lo ha supportato nelle consultazioni sul Codice civile, Philipp Lotmar era estraneo a queste situazioni di potere, come socialdemocratico quasi eccentrico31 nel mondo di allora, e tale isolamento avrebbe contri-
Dal 1910 Eugen Huber scrisse ogni giorno una lettera alla moglie defunta; su questo cfr. anche S. Hofer, Eugen Huber ganz privat. Zur Edition seiner Brieftagebtücher, in ZBJV, 155, 2019, pp. 2-11. Per la messa in rete di questa corrispondenza privata degli anni 1910, 1911 e 1912, si rinvia al link: https://bop. unibe.ch/ehb. Da una di queste, quella del 28.03.1916, si evince che Eugen Huber lesse un articolo di Lotmar sull’interruzione dello sciopero e sul diritto allo sciopero, qualificandone il tono come qualcosa che «quasi spaventa ogni lettore non socialdemocratico». Già prima, nella lettera del 28.06.1916, Huber menzionò alla moglie defunta un colloquio intercorso con Lotmar, del quale aveva avuto poco piacere. Sulla fede politica di Lotmar, cfr. anche infra III.2. 31
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buito, oltre alla sua origine ebrea, a ostacolare qualsiasi sua chiamata in una facoltà tedesca32. La materia: il Diritto romano andava perdendo la sua posizione centrale come materia di diritto vigente. Dopo la promulgazione del Codice delle obbligazioni e quella del Codice civile, esso manteneva sì la sua funzione formativa, ma non aveva più un ruolo di primo piano come diritto privato vigente. Le nuove codificazioni occupavano una posizione centrale anche in ambito universitario, gli studenti volevano (come anche ora vogliono) formarsi sul diritto in vigore e il Diritto romano perse gradualmente ore di insegnamento. Rispetto al Diritto civile, insegnato da Eugen Huber, redattore del Codice civile, il Diritto romano faticava a tenere il passo. Ne derivava ovviamente un diverso peso accademico dei due colleghi all’interno della Facoltà.
6. Il «cosiddetto amico»33 Questa situazione non poteva certamente non influenzare il rapporto personale fra Eugen Huber e Philipp Lotmar, come in particolare Iole Fargnoli34 ha puntualmente ricostruito, anche se a tal proposito vanno distinte due fasi: A) La fase iniziale Lotmar era inizialmente molto ben predisposto verso Huber, a tal punto che scrisse al suo amico Amira in una lettera dell’11 dicembre 1892: «Il nostro nuovo collega mi convince molto, è un uomo
Cfr. L. Nogler, Philipp Lotmar – letzter Pandektist und erster Arbeitsrechtler, in Das römische Recht vom Error. Philipp Lotmars opus magnum. Forschungsband zum Kolloquium 2019 an der Universität Bern, a cura di I. Fargnoli-U. Fasel, Bern 2020, p. 126 nr. a margine 294. 33 [N.d.t. Traduco così l’espressione tedesca «sog. Dutzfreund» che letteralmente significa: il «cosiddetto amico cui ci si rivolge con la forma familiare» anziché con quella di cortesia]. 34 I. Fargnoli, Zwischen Begeisterung und Bitterkeit. Eugen Huber im Spiegel von Philipp Lotmars Briefen, in Die Macht der Tradition im Dienstbarkeitsrecht und Eugen Huber, a cura di I. Fargnoli-U. Fasel, Bern 2016, pp. 15-31. 32
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serio e senza pretese»35. Dunque, dapprima il romanista tedesco stimò personalmente molto il nuovo collega e dichiarò di volersi avvicinare a lui, e forse in questo potrebbe aver giocato un ruolo pure il fatto che anche la moglie di Huber era di origine tedesca36. Alla malattia della moglie di Lotmar37 potrebbe collegarsi il fatto che in una lettera dell’11.12.1892 ad Amira Lotmar stesso riferì che «la mia situazione domestica non mi permette ancora di avere con lui [Huber] scambi sociali»38. A questa prima fase di entusiasmo appartiene anche un accenno al valore scientifico del lavoro di Huber39. In una lettera del 4 settembre 1895 scrive: «Sono stato due giorni occupato al convegno dell’associazione svizzera dei giuristi. Il collega Huber, che si occupa da tre anni, essendone stato incaricato, della stesura del progetto di un Codice civile svizzero, ha di questo elaborato il Diritto matrimoniale ed ereditario e ha tenuto in suddetto convegno un intervento interessante e brillante sul relativo Diritto ereditario. Nel suo progetto egli assegna allo Stato un’aspettativa ereditaria molto consistente (al posto delle tasse di successione), cosa che provoca un certo clamore, anche all’estero»40. Certamente a Lotmar era sfuggito in questa valutazione che i lavori di Munzinger sul Diritto dei beni matrimoniali e sul Diritto ereditario erano serviti a Huber almeno da fonte d’ispirazione41.
I. Fargnoli, Zwischen Begeisterung, cit., p. 19. Su di lei ampiamente: V.E. Müller, Liebe, cit. 37 Cfr. infra § III.2. 38 I. Fargnoli, Zwischen Begeisterung, cit., p. 19. 39 Sulla base di I. Fargnoli, Zwischen Begeisterung, cit., p. 21 sotto. 40 Qui citato secondo I. Fargnoli, Zwischen Begeisterung, cit., p. 22. 41 Cfr. già H. Fritzsche, Der Schweizerische Juristenverein 1861-1960, Basel 1961, p. 62, che rappresenta: «Il lettore avrà seguito con trasporto come qui il giovane maestro in arrivo strinse la mano al suo predecessore che se ne era andato prematuramente». Con ciò si lascia capire che il giovane Eugen Huber – al posto di König – memorizzò il contenuto di una relazione orale di Munzinger, da cui estrasse il suo proprio contributo scritto: Studien über das eheliche Güterrecht der Schweiz. Nach Notizen zu einem Vortrag, gehalten in der schweizerischen Juristenversammlung in Luzern (1872) aus dem Nachlass des verstorbenen Prof. Dr. W. Munzinger, in ZBJV, 10, 1874, pp. 161 ss. 35 36
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B) La fase successiva Emergono tre possibili ragioni del progressivo raffreddamento del rapporto di Lotmar con Huber: a) Per ogni passo in avanti compiuto verso la creazione di un diritto civile unitario, Huber acquisiva gradualmente una maggior autorità all’interno della Facoltà. Alla morte di Albert Zeerleder nell’anno 1900, gli interventi di Eugen Huber resero impossibile un concorso regolare per valutare possibili candidati a sostituirlo e, al posto di Zeerleder, il governo nominò, sull’(unica) proposta di Huber, Max Gmür42 da docente privato a docente straordinario, fatto che vanificò tutte le aspettative che Lotmar poteva avere sulla chiamata43. Anche in Facoltà era chiaro: Huber era il perno e il cardine, gli altri componenti della stessa erano nel migliore dei casi figuranti. b) Conformemente al motto di Verena Müller: «Follow the money»44, anche il denaro giocò un ruolo45: il 12.09.1912 Lotmar presentò la richiesta per aumentare il suo compenso dagli attuali CHF 4.000 a CHF 7.000 annuali, cifra che si può ritenere modesta in considerazione del fatto che Eugen Huber dall’inizio del suo impiego nell’anno 1892 ricevette CHF 10.000. Lotmar motivò la richiesta con i costi elevati dei generi alimentari e con la diminuzione delle lezioni che aveva portato a un minore compenso. Inoltre, i nuovi professori ricevevano CHF 6.000 e non 4.000 come lui, che già da due dozzine di anni lavorava all’Università di Berna. Il Direttore delle finanze non accolse la richiesta, citò altri professori che godevano di uno stipendio di soli CHF 4.500 e stabilì che Lotmar avrebbe percepito CHF 6.000 al posto dei CHF 7.000 da lui richiesti. In una lettera del 21.09.1912 il Direttore delle finanze, in merito allo stipendio di Huber di CHF 10.000, aggiunse: «Non abbiamo biso-
Huber, come lo stesso scrisse alla moglie defunta (lettera del 20.01.1917), non era sempre d’accordo con Gmür: mentre quest’ultimo era favorevole al rifiuto della domanda di Crone di abilitarsi (dopo averlo incoraggiato a presentarla), Huber era per il suo accoglimento e in ciò concordava con Lotmar. 43 I dettagli in I. Fargnoli, Zwischen Begeisterung, cit., pp. 24 ss. 44 V.E. Müller, Liebe, cit. 45 Cfr. in generale anche: C.A. Gasser, Philipp Lotmar, cit., pp. 51 ss. 42
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gno di giustificare ulteriormente la retribuzione del Prof. Huber». La differenza di retribuzione rispetto a Huber era per il Direttore delle finanze ovvia, e in ciò si mostrò la differente valutazione di valore dell’Università di Berna rispetto ai due colleghi. c) Dal punto di vista scientifico Huber e Lotmar erano rimasti estranei in questo periodo, nonostante le loro diverse competenze talvolta si sovrapponessero: – Lotmar, come primo esperto del diritto del lavoro, avrebbe potuto essere utile a Huber nei suoi lavori di revisione. Ma il primo non fu mai né richiesto né coinvolto dal secondo. Non appena Lotmar presentò le sue proposte di revisione sul diritto del contratto di servizi (“Dienstvertrag”), uscì un articolo nel NZZ secondo il quale le proposte di Lotmar sarebbero state possibili solo in teoria. Inoltre, durante la riunione dell’associazione dei giuristi si rimproverò a Lotmar di non conoscere i reali rapporti di lavoro della Svizzera46. Per lui, il cui impegno a Berna durava da circa 20 anni, questo fu un pugno sul viso. Tutte le proposte di Lotmar furono respinte all’assemblea, nonostante lo studioso avesse dato ampia dimostrazione della sua competenza in diritto del lavoro. – Assenza totale di riferimenti a Lotmar nei suoi pareri: nei pareri giuridici da lui redatti47, Huber cita continuamente colleghi, soprattutto Theo Guhl, Paul Mutzner, ma anche Walther Burckhardt, non menziona invece mai Lotmar. E di più: non lo cita mai neanche in diritto del lavoro, il settore in cui Lotmar si era distinto: non lo nomina, infatti, né in un parere sulle questioni del contratto collettivo di lavoro48 né sul contratto individuale di lavoro49. Ancora peggio
I. Fargnoli, Zwischen Begeisterung, cit., p. 27. Sono stati pubblicati in più volumi tutti i pareri di Huber dal 1911 al 1923, cfr. U. Fasel, Eugen Hubers Gutachten 1918-1923, Bern 2018; Id., Eugen Hubers Gutachten 1916-1917, Bern 2018; Id., Eugen Hubers Gutachten 1914-1915, Bern 2018; Id., Eugen Hubers Gutachten 1911-1913, Bern 2019. 48 Parere del 21.10.1913, ora pubblicato in: U. Fasel, Eugen Hubers Gutachten 1911-1913, cit., pp. 520-522. 49 Parere del 4.05.1911, ora in U. Fasel, Eugen Hubers Gutachten 1911-1913, cit., pp. 32-34. 46 47
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si dimostra la situazione in un parere del 18.04.191350: Huber preferisce citare Windscheid anziché chiamare in campo il collega di Facoltà Lotmar. Lotmar deve aver percepito ciò come un’insolenza (anche se qui si pone la questione se Lotmar conoscesse nel dettaglio lo sconfinato numero di pareri redatti da Eugen Huber). Questa opportunità mancata è un’altra prova che Eugen Huber, come si è detto, si considerava come perno e cardine, gli altri restavano più che altro figuranti. Questo atteggiamento non poteva non avere un impatto sul rapporto tra i due colleghi51: in una lettera del 23.11.1902 Lotmar qualificò ironicamente e amaramente Eugen Huber come «cosiddetto amico» e da allora si rivolse a lui verosimilmente solo con la forma di cortesia.
7. L’interrogativo aperto sui lavori di revisione di Eugen Huber del Diritto delle obbligazioni Lotmar ha posto per primo un interrogativo fondamentale e sino ad ora la discussione in merito è rimasta dietro le quinte e merita di essere valorizzata nella prospettiva di una relativizzazione della figura di Huber52. In una lettera a Karl von Amira Lotmar scrive, a proposito della revisione che Huber fece del Codice delle obbligazioni del 1883, promulgato insieme al Codice civile nel 1912: «Io stesso mi ritrovo
50 Parere del 18.04.1913, ora in U. Fasel, Eugen Hubers Gutachten 1911-1913, cit., pp. 424-427 con la citazione alle Pandette di B. Windscheid, Lehrbuch des Pandektenrechts, II, a cura di T. von Kipp, Leipzig 19009, pp. 497 ss. 51 Ciò valse certamente per entrambi: il 15.03.1916 Huber scrisse nella lettera alla moglie defunta che il concerto serale del giorno prima si era dignitosamente concluso. Era stata suonata la musica di un difficile pezzo per quartetto di Beethoven, ma la serata era stata disturbata da un saluto vistoso di R.W. e da uno «sguardo ostile di Lotmar». 52 In questa direzione già U. Fasel, Die Lehre des sozialen Privatrechts, in Eugen Huber (1849-1923), Bern 1993, pp. 3-21; P. Caroni, Il mito svelato, cit., pp. 381-491.
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[…] bloccato dal compito di redigere un parere su di una parte del nuovo progetto del diritto svizzero delle obbligazioni. Questo progetto, un vero sfregio, dovrebbe incoronare il lavoro di Huber»53. Lotmar ha fondato inconsapevolmente quella corrente di pensiero che critica Eugen Huber quale esperto del Diritto delle obbligazioni, con riferimento soprattutto al suo lavoro di revisione, e che fu seguita anche da altri fino ad oggi: ad esempio, Andreas Von Tuhr criticò il lavoro di Eugen Huber quale esperto della materia delle obbligazioni54 e nella Svizzera francese emerse soprattutto la critica di Paul Piotet, che flagellò Huber con parole taglienti55. Fu peraltro Eugen Bucher a criticare in maniera più incisiva l’autore della revisione del Codice delle obbligazioni: spiegò più volte oralmente che Eugen Huber non capiva assolutamente niente di diritto delle obbligazioni e presentò un ampio resoconto sul nervosismo della revisione56.
8. Conclusione interlocutoria: il gigante e i sette nani Anche se non tutti i verbali di Facoltà sono noti e la corrispondenza di Huber è stata per ora insufficientemente studiata57, emer-
Qui citato secondo I. Fargnoli, Zwischen Begeisterung, cit., p. 15. Cfr. già U. Fasel, Handels-, cit., p. 1453, con l’avvertenza di Andreas von Tuhr (Allgemeiner Teil des schweizerischen Obligationenrechts, I, Tübingen 1924, in particolare p. 280 nt. 56) riportata letteralmente [N.d.t. qui in traduzione italiana]: «La redazione dell’art. 61 comma 3 è comprensibile solo nella logica del BGB e fallisce completamente nel sistema del Codice delle Obbligazioni […]. Il fatto che il legislatore (mosso dalla previsione dell’art. 67 comma 2 che disciplina una situazione analoga, ma non identica) abbia seguito senz’altro il modello tedesco mi appare come svista spiacevole tale da scuotere l’affidamento nella sostanza della revisione del Codice». 55 Già U. Fasel, Handels-, cit., p. 1436, nt. 48, con il rinvio a Paul Piotet, La réduction successorale e la répartition conventionnelle du bénéfice de l’union conjugale, aujourd’hui et demain, in ZSR, 101, 1982, p. 260 nt. 36. Qui Piotet scrive: «Come altrove […] la modifica qui voluta da Eugen Huber non è felice». 56 E. Bucher, Hundert Jahre schweizerisches Obligationenrecht: Wo stehen wir heute im Vertragsrecht?, in ZSR, 102, 1983, pp. 251 ss., in particolare pp. 275 ss. 57 Lo stato delle fonti offrirebbe molto di più sul tema se fossero utilizzabili i verbali dei consigli di Facoltà e se la corrispondenza di Eugen Huber fosse edita. 53
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ge già un risultato: si può partire dal presupposto che all’interno della Facoltà di diritto dell’Università di Berna Eugen Huber fosse il gigante e che gli altri componenti fossero «i sette piccoli nani»58, politicamente, tatticamente, ma anche per importanza. Neppure la straordinaria produzione scientifica di Philipp Lotmar riuscì a modificare questo squilibrio.
Tuttavia, ad oggi non esiste un solo progetto di pubblicare l’intero lascito delle sue lettere, che per lo più sonnecchiano nell’Archivio federale di Berna. 58 La metafora del gigante con i nani prende spunto da un articolo di J.-P. Dunand, Le code Napoléon comme modèle des codes civils des cantons suisses romands, in A l’Europe du troisième millénaire. Mélanges offerts à Giuseppe Gandolfi, IV, Milano 2009, pp. 1927-1958.
III
Tra error e locatio conductio Il percorso scientifico di Philipp Lotmar Iole Fargnoli
Sommario: 1. L’ispirazione dal goethiano «mondo di errore». – 2. La cattedra bernese. – 3. La parentesi giuslaboristica. – 4. L’error in diritto romano. – 5. Le ragioni della mancata pubblicazione del suo opus magnum romanistico. – 6. Le due anime lotmariane.
1. L’ispirazione dal goethiano «mondo di errore» A chi da questa alta dimora guardi l’Impero, quant’è grande, sembra un incubo, dove l’informe genera l’informe, lecitamente l’illecito comanda e di errore tutto un mondo si dispiega.1
Con le parole «mondo di errore», escerpito dai versi del Faust del maggiore poeta tedesco, Johann Wolfgang Goethe, Philipp Lotmar esordisce nella sua opera romanistica, “L’errore in diritto romano”2.
J.W. Goethe, Faust, tr. it. F. Fortini, Verona 19762, vv. 4782-4786, p. 443 (da questa traduzione sono ripresi anche i successivi passaggi citati); si riporta il testo anche in lingua originale da Faust I, in Goethes Werke, Tübingen 1828: «Wer schaut hinab von diesem hohen Raum / Ins weite Reich, ihm scheint’s ein schwerer Traum, / Wo Missgestalt in Missgestalten schaltet, / Das Ungesetz gesetzlich überwaltet / Und eine Welt des Irrtums sich entfaltet». 2 Riprendo qui alcune considerazioni pubblicate in lingua tedesca in “Einleitung” e “Lotmars unpubliziertes Werk”, in Philipp Lotmar – letzter Pandek1
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Mefistofele ha accompagnato Faust al palazzo imperiale davanti a Massimiliano I, duca di Baviera. I due sono nella sala del trono e il cancelliere, pronunciando le parole citate, evidenzia come il mondo reale differisca molto spesso dall’idea che se ne ha. In effetti, chi osserva il paese dall’alto potrebbe essere indotto a credere che a dominare siano l’ordine e la giustizia3, mentre in realtà a regnare è solo il disordine e l’illegalità risulta più forte della legge4. La dotta citazione letteraria non è la sola rinvenibile nelle duemila pagine dell’opera sull’error o, più in generale, nella sua intera produzione scientifica. Da grande appassionato di letteratura5, Lotmar si lasciava spesso ispirare da essa. Pregnante esempio è il titolo della relazione che tenne nel 1889 e pubblicò nel 18936: “Del
tist oder erster Arbeitsrechtler?, a cura di I. Fargnoli, Frankfurt am Main 2014, pp. VII-XXI e pp. 47-71. Sulla passione di Lotmar per Goethe cfr. I. Fargnoli, Einleitung, in Das römische Recht vom Error. Philipp Lotmars opus magnum. Forschungsband zum Kolloquium 2019 an der Universität Bern, a cura di I. FargnoliU. Fasel, Bern 2020, pp. 11 ss. 3 H. Arens, Kommentar zu Goethes Faust II, Heidelberg 1989, p. 58. 4 H. Arens, Kommentar, cit., p. 58. Il tema dell’errore o, più precisamente, l’espressione «mare di errore» compare anche nel Faust I; si tratta dei versi in cui Faust confida a Mefistofele la sua ansia nei confronti della verità (Faust I, vv. 10641067): «Beato chi ancora ha speranza / di scampare a questo pelago di errori! / Quello che non si sa ci servirebbe / e non ci serve quello che si sa». 5 Così M. Gmür, Professor Philipp Lotmar, gest. 29. Mai 1922, in ZBJV, 63, 1922, p. 268. 6 Le due conferenze “Vom Rechte, das mit uns geboren ist” e “Die Gerechtigkeit”, di cui i testi integrali sono ora in P. Lotmar, Schriften zu Arbeitsrecht, Zivilrecht und Rechtsphilosophie, a cura di J. Rückert, Frankfurt am Main 1992, pp. XXVII, 5 ss. e 48 ss. e su cui si veda Id., Philipp Lotmar. Ein Rechtsphilosoph von Rang, in Forschungsband Philipp Lotmar (1850-1922). Colloquium zum 150. Geburtstag. Bern 15./16. Juni 2000, a cura di P. Caroni, Frankfurt am Main 2003, pp. 135-140, furono tenute a Berna. In particolare, la seconda, che riprende il concetto aristotelico di giustizia, avrebbe sollevato reazioni per l’impostazione socialdemocratica; cfr. al riguardo le parole amaramente autoironiche di Lotmar in Amiraiana I, Bayerische Staatsbibliothek (BSB) München, Lettera del 14.12.1890: «ich hätte in besagtem Vortrag sozialdemokratischen Anschauungen gehuldigt». Le circa milleducento pagine di lettere scritte da Lotmar all’amico e collega, Karl von Amira, storico del diritto prima a Friburgo e poi a Monaco, rappresentano una straordinaria fonte sia sulla biografia sia sul lavoro di Lotmar, dato che i due storici, amici dai tempi dell’università, si scrivevano con frequenza persino setti-
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diritto nato con noi”. Lotmar, conquistato dall’immagine suggestiva creata dalla penna del suo concittadino di Francoforte sul Meno nella pessimistica reazione di Mefistofele al proposito di Faust di studiare giurisprudenza7, indaga su se «il diritto che è nato con noi» costituisca effettivamente una chimera e coglie così l’occasione per approfondire questioni giuridico-filosofiche come il concetto di diritto, il rapporto tra diritto naturale e diritto positivo, tra diritto positivo e politica nonché tra diritto ed etica. Già a 33 anni Lotmar cominciò lo studio sull’errore, come egli stesso scrive al suo amico e collega storico del diritto medioevale e moderno di Monaco, Karl von Amira, raccontando nel 1895 di avere intrapreso a lavorare all’opera già dodici anni prima8. In questa stessa lettera del 1895 Lotmar scrive anche di dedicare regolarmente alcune ore al giorno all’error; riferisce inoltre che già qualcuno gli avesse chiesto se il libro fosse già stato pubblicato9 e di come questo interesse per le uova non ancora deposte fosse per lui, come per una vecchia gallina, motivo di orgoglio10. Cinque anni prima raccontava che Rudolf von Jhering – ad un incontro a Zurigo in occasione dello “Schweizer Juristentag” – si sarebbe sostanzialmente preso gioco di lui per il suo impegno infinito su questo tema11. La sua opera sull’error in diritto romano, cui Lotmar dedicò poi in modo esclusivo gli ultimi sei anni della sua vita, è rimasta purtroppo
manale; le lettere di Amira a Lotmar sembrano invece, allo stato, non essere sopravvissute al tempo. 7 J.W. Goethe, Faust I, cit., vv.1970-1979: «Non posso fargliene una gran colpa, / so come va con quella disciplina. / Leggi e diritti si ereditano / come un’eterna malattia. Si strascicano / da una generazione all’altra, si propagano / di luogo in luogo, piano piano. / La ragione diventa assurdità, / il pubblico vantaggio una calamità; / che disgrazia essere un postero! / Quanto al diritto che è nato con noi, / purtroppo, mai che se ne parli». 8 Amiraiana I, Lettera del 06.01.1895: «der alte, nun schon ein Dutzend Jahre alte und von dir protegierte Error». 9 Amiraiana I, Lettera del 21.04.1895. 10 Amiraiana I, Lettera del 21.04.1895. 11 Amiraiana I, Lettera del 22.09.1890: «Jhering […] hat mich wegen meiner Beschäftigung mit dem alten Error (über der er im Reinen ist) gewissermassen ausgelacht».
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inedita fino alla pubblicazione postuma del 201912. Non potè paradossalmente mai vedere queste uova, da lui tanto agognate e a cui dedicò gran parte della sua esistenza.
2. La cattedra bernese Nato l’8 settembre del 1850 a Francoforte sul Meno, Lotmar conseguì il titolo di dottore di ricerca nel 1875 con l’opera “Sulla causa in diritto romano”13 presso l’università di Monaco di Baviera sotto la guida di Alois von Brinz (1820-1887), che, accanto a Rudolf von Jhering e a Bernhard Windscheid, era al vertice della scuola pandettistica14. Nell’anno 1876 Lotmar si abilitò all’università di Monaco di Baviera “Sulla legis actio sacramento in rem”15. In quegli anni lo studioso approfondì diversi istituti del diritto romano soprattutto privatistici16, investì molto tempo in numerosissime recensioni17 anche su argomenti non romanistici, dimostrando una grande apertura mentale e desiderio di approfondire i più diver P. Lotmar, Das römische Recht vom Error, a cura e con introduzione di I. Fargnoli, I-II, Frankfurt am Main 2019. Sulle ragioni cfr. infra § III.5. 13 P. Lotmar, Über causa im römischen Recht. Beitrag zur Lehre von den Rechtsgeschäften, München 1875. 14 Al riguardo J. Rückert, Philipp Lotmars Konzeption, cit., pp. 133 ss. 15 P. Lotmar, Zur legis actio sacramento in rem, München 1876. Circa il rapporto tra dogmatica e storia in questa monografia e, più in generale, nell’opera di Lotmar, v. M. Varvaro, Riflessioni sui rapporti fra dogmatica giuridica e storia del diritto nel pensiero di Philipp Lotmar, in Philipp Lotmar, a cura di I. Fargnoli, cit., pp. 23-46. 16 Tra l’altro pubblicò: Kritische Studien in Sachen der Contravindication, München 1878; Über ‘Plus est in re, quam in existimatione’ und ‘Plus est in opinione, quam in veritate’, in Festgabe zum Doctor-Jubiläum des Herrn Geheimen Raths und Professors Dr. Johann Julius Wilhelm von Planck in München, München 1887, pp. 57 ss.; Die Verteilung der Dosfrüchte nach Auflösung der Ehe, in Jherings Jahrbücher für die Dogmatik des heutigen römischen und deutschen Privatrechts, 33, 1894, pp. 225 ss.; Der unmoralische Vertrag, insbesondere nach Gemeinem Recht, Leipzig 1896. Circa l’opera romanistica di Lotmar, v. T. Finkenauer, Philipp Lotmar (1850-1922) – zur Modernität eines Pandektisten, in Philipp Lotmar, a cura di I. Fargnoli, cit., pp. 1 ss. 17 Cfr. supra § I.1. 12
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si ambiti del diritto e, più in generale, delle scienze sociali. La sua maggiore occupazione è però in questi anni l’aggiornamento e la continuazione del manuale di Pandette del suo maestro von Brinz, di cui Lotmar pubblicò, dopo la morte dello stesso von Brinz nel 1887, il terzo volume della seconda edizione, edito nel 1888. Successivamente scrisse per intero il quarto e ultimo volume, che vide le stampe nel 189218. A questo punto della sua vita Lotmar non aveva ancora una cattedra. Già nel 1876 con la sua abilitazione aveva ottenuto la “Privatdozentur”, ma trascorse quasi dieci anni senza riuscire ad avere una posizione universitaria. Partecipò a diverse selezioni concorsuali, alle università di Friburgo, Kiel, Erlangen e Zurigo19, ma, nonostante la sua solida formazione e il valore delle sue pubblicazioni, non ottenne il successo meritato. Questo suo lunghissimo limbo fu senz’altro favorito dalla sua origine ebrea20, ma forse ancora di più dalla sua fede politica21. Dal 1878 infatti Lotmar era iscritto al partito socialdemocratico in un’epoca in cui i socialdemocratici erano notoriamente ritenuti in Germania un pericolo per l’ordine sociale borghese del Reich22. Nel 1885 Lotmar fece domanda per l’università di Berna, ma gli fu preferito il famoso Julius Baron23. Baron però abbandonò ben presto l’università svizzera per tornare in Germania24, lasciando il
Si tratta della seconda sezione del terzo volume e del quarto volume: A. von Brinz, Lehrbuch der Pandekten, a cura di P. Lotmar, III-IV, Erlangen/Leipzig 1889-1892. 19 M. Reinhart, Berner Romanistik im 19. Jahrhundert, in Forschungsband Philipp, a cura di P. Caroni, cit., p. 63. 20 Cfr., al riguardo, J. Rückert, Philipp Lotmars Konzeption, in P. Lotmar, Schriften zu Arbeitsrecht, cit., p. XXVII; E. Weber, Pioniere der Freiheit. Hundert Lebensbilder bedeutsamer Vorkämpfer für Freiheit, Recht und Kultur, Bern 1943, p. 99; M. Rehbinder, Einleitung, in Schweizerisches Arbeitsvertragsrecht. Forderungen an den Gesetzgeber, a cura di M. Rehbinder, Bern 1991, p. 10 nt. 8. 21 M. Reinhart, Berner Romanistik, cit., p. 41. 22 H. Bartel-W. Schröder-G. Seeber, Das Sozialistengesetz, 1878-1890, Berlin 1980, p. 8. 23 Al riguardo si veda M. Reinhart, Berner Romanistik, cit., p. 41. 24 All’Università di Bonn. 18
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posto vacante. Per lungo tempo, dopo avere partecipato alla procedura, Lotmar non ottenne nessuna risposta dall’università bernese, ma un giorno gli arrivò una busta con una tassa consistente a carico del destinatario. Esitò – come raccontò successivamente25 – ad accettarla, ma poi si risolse di pagare per poterne leggere il contenuto: proprio quella busta conteneva l’esito della selezione in cui Lotmar era proclamato vincitore e gli veniva proposta la chiamata in ruolo26. Nella città, sede dal 1834 di un ateneo e da poco scelta come sede del Consiglio Federale e del Parlamento svizzero, Lotmar trovò subito una sistemazione abitativa. In una lettera scrive ad Amira di avere l’impressione di essere in campagna, pur vivendo a pochi minuti di distanza dall’università27. Con la sua sensibilità per le questioni sociali e il suo cuore socialdemocratico si sentiva vicino al popolo svizzero28. La moglie e i figli si trasferirono con lui29, ma la moglie ben presto si ammalò, tanto da dovere trascorrere gli ultimi anni della sua vita in un istituto di cura a Monaco di Baviera. Lotmar fu quattro volte Preside negli anni accademici 1889/1890, 1899/1900, 1905/1906, 1912/1913 e anche Rettore dell’allora giovane Ateneo nel 1897/1898. Lotmar avrebbe dato un importante contributo anche alla città di Berna. Pare infatti che sia lui l’autore della scritta «Curia Confoederationis Helveticae» che troneggia oggi in lettere dorate sulla facciata anteriore del Palazzo Federale30. L’edificio fu costruito su progetto dell’architetto Hans Willem Auer31, ma nel primo progetto di Auer nel 1885 su tale facciata si trova solo la scritta in tedesco «Bundesrathaus»32. È noto che 25 Si trattava di circa 30 franchi svizzeri, si veda la testimonianza di M. Gmür, Professor, cit., p. 265. 26 M. Gmür, Professor, cit., p. 265. 27 Amiraiana I, Lettera del 18.11.1888. 28 Amiraiana I, Lettera del 18.11.1888: «obwohl ich doch meiner politischen Gesinnung nach meinen neuen Landsleuten viel näher bin als er». 29 Amiraiana I, Lettera del 18.11.1888. 30 Così secondo il racconto di Paula Lotmar: si veda M. Rehbinder, Einleitung, cit., p. 16. 31 Al riguardo v. L. Neidhart, Das frühe Bundesparlament. Der erfolgreiche Weg zur modernen Schweiz, Zürich 2010, pp. 257 s. 32 M. Bilfinger, Das Bundeshaus in Bern, Bern 2009, p. 16.
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Auer dal 1890 al 1904 era professore straordinario di architettura all’università di Berna33. Pur non esistendo prove al riguardo, è da presumersi che fosse in contatto con Lotmar e avesse potuto approfittare della profonda conoscenza della lingua latina del suo collega romanista. Lotmar non lasciò mai più Berna e vi insegnò fino all’età di 72 anni.
3. La parentesi giuslaboristica L’importanza della sua ricerca romanistica, che si estende per quasi mezzo secolo, trova riconoscimento nella letteratura34, ma Lotmar è soprattutto noto in tutta Europa come giuslaborista35. È nei suoi primi anni bernesi che si incuriosì alle problematiche M. Bilfinger, Das Bundeshaus, cit., p. 18. Cfr. J. Hofstetter, Das romanistische Werk von Philipp Lotmar, in Forschungsband Philipp Lotmar, a cura di P. Caroni, cit., pp. 1 ss. 35 Su Lotmar come padre fondatore del diritto del lavoro si vedano soprattutto: H. Sinzheimer, Philipp Lotmar, in Jüdische Klassiker der Deutschen Rechtswissenschaft, Frankfurt am Main 19532, pp. 207 ss. e H. Titze, Philipp Lotmar, in Deutsches Biographisches Jahrbuch, 11, 1929, pp. 175 ss.; cfr. anche T. Ramm, Die Parteien des Tarifvertrages. Kritik und Neubegründung der Lehre vom Tarifvertrag, Stuttgart 1961, pp. V, VII; R. Dubischar, Zur Entstehung der Arbeitsrechtswissenschaft als Scientific Community, in Recht der Arbeit, 43, 1990, p. 83; E. Dorndorf, Lotmars Arbeitsvertrag, in Forschungsband Philipp Lotmar, a cura di P. Caroni, cit., p. 81; Schweizerisches Arbeitsvertragsrecht, cit., p. 7; J. Rückert, Frei und sozial: Arbeitsvertrags-Konzeptionen um 1900 zwischen Liberalismen und Sozialismen, in Zeitschrift für das Arbeitsrecht, 23, 1992, pp. 225, 245; P. Lotmar, Schriften zu Arbeitsrecht, cit., p. XLIV; C.A. Gasser, Philipp Lotmar 1850-1922, Professor an der Universität Bern. Sein Engagement für das Schweizerische Arbeitsrecht, Frankfurt am Main 1997, pp. 121 ss.; L. Nogler, Philipp Lotmar (1850-1922), in Lavoro e Diritto, 11, 1997, pp. 205 ss.; Id., Lotmars Aufklärung der Arbeitsverträge: manches Unrecht kann den Verlust seines Inkognitos nicht überleben, in Philipp Lotmar, a cura di I. Fargnoli, cit., pp. 101-110; E. Picker, Arbeitsrecht als Privatrecht. Zur Leitidee der frühen Arbeitsrechtsdogmatik bei Lotmar und Jakobi, in Festschrift für Richardi zum 70. Geburtstag, a cura di G. Annuss-E. Picker-H. Wissmann, München 2007, pp. 141, 148; T. Geiser, Philipp Lotmar und seine Bedeutung für das schweizerische Arbeitsrecht, in Philipp Lotmar, a cura di I. Fargnoli, cit., pp. 111 ss.; F. Hartmann, Der Einfluss Philipp Lotmars auf die Entwicklung des deutschen Arbeitsrechts, in Philipp Lotmar, a cura di I. Fargnoli, cit., pp. 127 ss.; M. Pe33
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del lavoro36. Nel 1895 usciva un suo saggio sul contratto di servizi (“Dienstvertrag”) nel secondo protoprogetto del BGB37. In esso Lotmar esordiva con la locatio conductio operarum dei Romani, introdotta in origine come alternativa alla manodopera schiavile. Egli raccontava di essersi allontanato per qualche tempo dal Corpus Iuris Civilis, per redigere un articolo in qualità di dilettante38. Aggiunge di avere sottoposto il frutto del suo lavoro all’amico Cato, promettendo di dare successivamente il testo ad Amira: «Sie wird dir, nachdem sie noch etwas geputzt und geschält worden ist, dir einst als Drucksache vorgesetzt werden»39. Il nome del famoso censore romano era verosimilmente il soprannome dell’amico Theodor Loewenfeld (1849-1919)40, la cui iscrizione al partito democratico – come a Lotmar – non favorì la carriera e così gli fu di ostacolo la sua origine ebrea41. A differenza di Lotmar però non vinse mai la cattedra e alla fine si dedicò con successo alla professione di avvocato42. Dopo una dissertazione e un’abilitazione in Diritto romano, Loewenfeld pubblicò nel 1889 un contributo dirompente sul contratto di servizi nella prima bozza del BGB43. Il cosiddetto Cato fu drazzoli,
Philipp Lotmar e il diritto del lavoro italiano, in Philipp Lotmar, a cura di I. Fargnoli, cit., pp. 145 ss. 36 Al riguardo si veda I. Fargnoli, Philipp Lotmar und der Schweizer Juristentag, in Berner Gedanken zum Recht. Festgabe der Rechtswissenschaftlichen Fakultät der Universität Bern für den Schweizerischen Juristentag 2014, a cura di P.V. KunzJ. Weber-A. Lienhard-I. Fargnoli-J. Kren Kostkiewicz, Bern 2014, pp. 531 ss. 37 P. Lotmar, Der Dienstvertrag des zweiten Entwurfes eines bürgerlichen Gesetzbuches für das Deutsche Recht, in Archiv für soziale Gesetzgebung und Statistik, 8, 1895, pp. 1 ss., ora in P. Lotmar, Schriften zu Arbeitsrecht, cit., pp. 99 ss. 38 Amiraiana I, Lettera del 06.01.1895. 39 Amiraiana I, Lettera del 06.01.1895. 40 In tale senso J. Rückert, Loewenfeld, in Neue Deutsche Biographie, 15, 1987, p. 91; non persuasivo è che Cato sia un non meglio identificabile avvocato di Monaco, come ritiene M. Rehbinder, Einleitung, cit., p. 9. 41 Così J. Rückert, Philipp Lotmars Konzeption, cit., p. XVII, sulla base anche delle memorie del figlio di Loewenfeld: P. Loewenfeld, Memoiren, New York (Typoskript, Leo-Baeck-Institut), che però non mi sono state accessibili. 42 J. Rückert, Loewenfeld, cit., p. 91. 43 T. Loewenfeld, Über den Dienst-, Werk- und Auftragsvertrag nach dem Entwurfe des bürgerlichen Gesetzbuches. Mit besonderer Rücksicht auf die Verhältnisse der Rechtsanwaltschaft, der medizinischen Praxis und anderen wissenschaftlichen
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una persona incisiva nella vita di Lotmar. Di lui subisce l’ascendente e, percorrendo la via dello studio del contratto contra bonos mores e di temi trasversali come la giustizia o la libertà44, si allontanò – seppure temporaneamente45 – dal Corpus Iuris fino a fondare una nuova disciplina. È su questa via che Lotmar giunse alla monumentale monografia in due volumi “Il contratto di prestazione di fare in diritto tedesco”, di cui pubblicò nel 1902 il primo volume con grande successo di critica, come attesta persino la penna di Max Weber, e nel 1908 il secondo46. Solo un anno prima Lodovico Barassi aveva pubblicato il suo volume sul contratto di lavoro nel diritto positivo47 e creato la dicotomia tra lavoro autonomo e subordinato. Prima dei legislatori nazionali in materia, gli studi pionieristici sul lavoro non conoscevano i confini statuali. Nella seconda edizione dell’opera 1915-1917, Barassi cita Lotmar centinaia di volte e non tratta alcun tema che non delinei un confronto con Lotmar. Lotmar, aprendo il
Berufen, in Gutachten aus dem Anwaltsstande über die erste Lesung des Entwurfes eines Bürgerlichen Gesetzbuches, Berlin 1890, pp. 858 ss. 44 Mi riferisco al testo sovracitato: Vom Rechte, das mit uns geboren ist. Die Gerechtigkeit. Zwei Vorträge, Bern 1893, e alla sua prolusione rettorale: Die Freiheit der Berufswahl. Rektoratsrede gehalten am 4. Dezember 1897, Leipzig 1889, pp. 47 s. 45 Sul punto si veda supra § I.4 e infra § III.4. 46 In questi anni Lotmar dava alle stampe anche diversi altri saggi in materia, ora ripubblicati in P. Lotmar, Schriften zu Arbeitsrecht, cit., e in Schweizerisches Arbeitsvertragsrecht, a cura di M. Rehbinder, cit.: Die Tarifverträge zwischen Arbeitgebern und Arbeitnehmern, in Archiv für soziale Gesetzgebung und Statistik, 15, 1900, pp. 1-122; Versuch einer gesetzlichen Regelung des Tarifvertrages, in Soziale Praxis, 11, 1901-1902, coll. 349 ss.; Dienstvertrag, in Handwörterbuch der Schweizerischen Volkswirtschaft, Socialpolitik und Verwaltung, a cura di N. Reichesberg, I, Bern 1903, pp. 773-782; Der Dienstvertrag im Entwurf des Zivilgesetzbuches. Ein Gutachten, in Schweizerische Blätter für Wirtschafts- und Sozialpolitik, 13.1, 1905, pp. 257-282; Die Mai-Aussperrung, in Gewerbe und Kaufmanngerichte, 13, 1907-1908, coll. 225 ss.; Empfiehlt sich eine gesetzliche Regelung des gewerblichen Tariffvertrages?, in Deutsche Juristen-Zeitung, 13, 1908, coll. 902 ss.; Gutachten, in Zum Streit der Werkspensionskassen. Darlegungen und Aktenstücke, a cura di F. Krupp AG, Essen 1908. 47 L. Barassi, Il contratto di lavoro nel diritto positivo, Milano 1901, 2a ed. 1915, rist. a cura di M. Napoli, Milano 2003.
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diritto privato alla salvaguardia del lavoratore, che sino a quel punto era tutelato fondamentalmente solo dal diritto pubblico, rivoluzionò la struttura del contratto: il lavoratore diventava, da oggetto, soggetto dell’obbligazione giuridica. Il contratto di lavoro cessava di essere un mero scambio di diritti patrimoniali48. Non solo. Con la sua opera Lotmar fondava il contratto di tariffa (“Tarifvertrag”) alla base del contratto collettivo: le regole del contratto individuale risultano irrinunciabili anche per organizzare il lavoro industriale49. Peraltro, nella concezione di Lotmar il contratto collettivo è subordinato alla disciplina privatistica; ciò significa che la sua applicazione diretta ai contratti individuali del lavoro deve derivare dalla volontà delle parti. È un contratto collettivo che può denominarsi “privatrechtlich-mandatarisch”50 per sottolineare che i lavoratori dovevano aderire con un mandato dato al sindacato al contenuto del contratto collettivo oppure approvarlo in un momento successivo51. Il contratto collettivo lotmariano diventa una forma universalmente necessaria e viene recepita in Germania, Svizzera e in Italia52. Fondamentali contributi sono stati dati in materia anche da Giuseppe Messina che, partendo da Lotmar, fonda il contratto collettivo italiano, pur prevedendone la non inderogabilità, e da Hugo Sinzheimer che dal “Tarifvertrag” lotmariano arriva al “korporativer Arbeitsnormenvertrag”53. Lotmar si concentrò poi sul diritto del lavoro svizzero nel delicato momento precedente alla promulgazione congiunta del Codice delle obbligazioni e del Codice civile che consentiva una revisione delle norme. L’effettivo punto di partenza per la regolamentazione nel Codice delle obbligazioni svizzero fu la sua relazione al convegno dei giuristi svizzeri nel 1902 sul contratto di servizi54. Grazie al T. Geiser, Philipp Lotmar, cit., pp. 116 ss. M. Pedrazzoli, Philipp Lotmar, cit., pp. 148 ss. 50 F. Hartmann, Der Einfluss, cit., p. 136. 51 F. Hartmann, Der Einfluss, cit., pp. 125 ss. 52 M. Pedrazzoli, Philipp Lotmar, cit., pp. 159 s. 53 M. Pedrazzoli, Philipp Lotmar, cit., p. 150. 54 Der Dienstvertrag im künftigen schweizerischen Civilrecht, in ZSR, 43, 1902, pp. 507-556; Referat für die 40. Jahresversammlung des schweizerischen Juristen48 49
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suo contributo le norme dedicate al contratto di lavoro nel codice svizzero aumentarono da 12 a 4455. In Germania Lotmar ricevette, il 21 marzo del 1921, la laurea honoris causa dalla facoltà di giurisprudenza dell’università di Colonia per la sua opera pionieristica in diritto del lavoro. Delicato è l’interrogativo che, a questo punto, si pone sul ruolo che il diritto romano ebbe negli scritti giuslaboristici di Philipp Lotmar56. Egli dedicò «al diritto del lavoro le sue forze formatesi grazie al diritto romano57», in particolare derivando dal diritto romano i pilastri della sua costruzione sul lavoro e cioè la bipartizione tra lavoro e retribuzione, rispettivamente il lavoro a cottimo dalla locatio operis e il lavoro retribuito dalla locatio operarum58. Significativa in questo ambito è anche una lettera datata il 24 dicembre 1921 indirizzata all’amico Karl von Amira, in cui Lotmar descrive il suo stupore riguardo a un’affermazione di Hugo Sinzheimer. L’importante studioso a lui contemporaneo affermava che il diritto del lavoro ha le sue radici «nella commendatio, assoggetta-
vereins in Sarnen (ora in Schweizerisches Arbeitsvertragsrecht, a cura di M. Rehbinder, cit., pp. 43-83); Referat und Diskussion zum Dienstvertrag, in Protokoll der 40. Jahresversammlung des schweizerischen Juristenvereins vom 22. Sept. 1902, in ZSR, 21, 1902, pp. 607-642 (ora in Schweizerisches Arbeitsvertragsrecht, a cura di M. Rehbinder, cit., pp. 87-117); al riguardo si veda I. Fargnoli, Philipp Lotmar und der Schweizer Juristentag, cit., p. 531. 55 Si veda anche Das neue schweizerische Obligationenrecht und der Arbeitsvertrag, in Gewerbe und Kaufmanngerichte, 17, 1911-1912, coll. 145 ss. (ora in Schweizerisches Arbeitsvertragsrecht, a cura di M. Rehbinder, cit., pp. 149160). 56 In quale misura in Lotmar il diritto romano e quello del lavoro abbiano tra loro interagito e come l’uno abbia influenzato l’altro, è stato recentemente analizzato da M. Pennitz, «Dass das Recht veraltet, kommt nur daher, dass das Leben fortschreitet». Zu Einfluss und Funktion des römischen Rechts bei Philipp Lotmars Konzeption vom Arbeitsvertrag, in Philipp Lotmar, a cura di I. Fargnoli, cit., pp. 73 ss. 57 E. Eichholzer, Philipp Lotmar, in Gewerkschaftliche Rundschau, 46, 1954, pp. 63 s. 58 Sulla locatio operarum, v. P. Lotmar, Der Arbeitsvertrag nach dem Privatrecht des Deutschen Reiches, II, Leipzig 1908, pp. 920-939.
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mento personale del tempo feudale» e «non solo nella locatio operarum romana»59. Scosso da tale lettura, Lotmar chiedeva ad Amira dove si potesse approfondire questo istituto con cui il vassallo si affidava al signore feudale. Questo passaggio, tratto dall’epistolario privato, lascia intuire abbastanza inequivocabilmente, nell’opera lotmariana, l’intreccio consapevole tra le moderne regole del lavoro e la loro matrice romanistica.
4. L’error in diritto romano Dopo l’uscita del secondo volume della sua monumentale opera giuslavoristica, Lotmar pubblicò una serie di saggi su varie tematiche del lavoro60, ma tornò poi al diritto romano, in un primo momento alternando saggi su vari temi61 e lasciandosi infine attrarre prima gradualmente e poi in via esclusiva dalla sua passione per l’error.
H. Sinzheimer‚ Grundzüge des Arbeitsrechts. Eine Einführung, Jena 1920, p. 18. 60 Streikarbeit, in Jahrbuch der Angestelltenbewegung, 5, 1911, pp. 83 ss.; Die Idee eines einheitlichen Arbeitsrechts, in Gewerbe und Kaufmanngerichte, 18, 19121913, coll. 277 ss.; Lohnabzüge für Wohlfahrtseinrichtungen, in Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik, 36, 1913, pp. 735 ss.; Lohnabzug wegen vorzeitiger Aufhebung eines gewerblichen Akkordes. Ein Gutachten, in Archiv für bürgerliches Recht, 38, 1913, pp. 282 ss.; Ist Zugehörigkeit zu einem feindlichen Staat ein Entlassungsgrund?, in Gewerbe und Kaufmanngerichte, 20, 1914-1915, coll. 41 ss.; Streikbuch und Streikarbeit. Ein Kapitel aus dem Privatrecht des Streikes, in Arbeitsrecht. Jahrbuch für das gesamte Dienstrecht, 2, 1914-1915, pp. 265 ss.: si vedano le ripubblicazioni di questi contributi in P. Lotmar, Schriften zu Arbeitsrecht, cit., e Schweizerisches Arbeitsvertragsrecht, a cura di M. Rehbinder, cit. 61 Dopo la pubblicazione del secondo volume si dedicò a nuovi temi sia del diritto successorio, sia delle persone e della famiglia, sia processuali. Cfr. Zur Geschichte des interdictum quod legatorum, in ZSS, 31, 1910, pp. 89 ss.; Lex Julia de adulteriis und incestum, in Mélanges P.F. Girard. Etudes de droit romain, II, Paris 1912, pp. 119 ss.; Marc Aurels Erlass über die Freilassungsauflage, in ZSS, 33, 1912, pp. 304 ss.; Die Litiskontestation im römischen Akkusationsprozess, in Schweizerische Zeitschrift für Strafrecht, 31, 1918, pp. 249 ss. 59
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Già in passato aveva pubblicato in tema di errore, come lo scritto: “De plus est in re quam in existimatione e plus est in opinione quam in veritate” del 1887 o nella seconda edizione del manuale sulle Pandette del maestro von Brinz, in particolare nella seconda parte del terzo e del quarto volume. In tema aveva anche redatto due recensioni su Leonhard: “L’errore come causa dei contratti nulli”, nel 1882 e nel 188362. Il suo manoscritto sull’errore è composto da trentacinque fascicoli contenenti circa duemila pagine, scritte quasi interamente a mano con il gotico corsivo. Fu ordinato e arricchito di un indice sommario dal figlio di Philipp Lotmar, Fritz Lotmar, che lo cedette poi all’allievo di Lotmar, Eduard Eicholzer, docente di diritto privato all’università di Zurigo e funzionario federale nel settore del diritto del lavoro. Nel 1965 le duemila pagine manoscritte passarono nelle mani di Alexander Beck, ordinario di diritto romano all’università di Berna e poi all’allievo Joseph Hofstetter, ordinario di diritto romano presso l’università di Losanna, che lo ha ora consegnato al “Romanistisches Institut” dell’università di Berna. Grazie ad un finanziamento del Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica per il biennio 2015-2017 si è potuti arrivare, in un lavoro ricostruttivo e di edizione durato quattro anni, alla pubblicazione postuma. I primi ventitré fascicoli, e cioè la totalità dell’opera che Lotmar fece in tempo a rivedere una seconda volta secondo la ricostruzione di Fritz, sono ora editi con la casa editrice Klostermann dell’Istituto Max-Planck per la storia giuridica europea63. L’opus magnum roma-
Rec. a R. Leonhard, Der Irrthum bei nichtigen Verträge nach römischem Rechte. I. Die dem Einflusse des Irrthums ausgesetzten Bestandtheile des Vertrages, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 25, 1883, pp. 368-431; Rec. a R. Leonhard, Der Irrthum bei nichtigen Verträge nach römischem Rechte. II. Die Ausführung der Lehre, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 26, 1884, pp. 220-277. Di poco precedente fu, in quegli anni sul tema, l’opera di E. Zitelmann, Irrtum und Rechtsgeschäft. Eine psychologisch-juristische Untersuchung, Leipzig 1879. 63 P. Lotmar, Das römische Recht vom Error, a cura e con introduzione di I. Fargnoli, I-II, Frankfurt am Main 2019. 62
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nistico di un grande giurista, noto finora soprattutto quale uno dei fondatori del diritto del lavoro moderno, è finalmente accessibile64. Dalla prefazione e da più punti del testo, risulta chiaro che Lotmar aveva pianificato di aggiungere una seconda parte all’opera, che sarebbe quindi stata in due volumi. Altrettanto evidente è che la pubblicazione dei due volumi non sarebbe dovuta avvenire contemporaneamente. Infatti, Lotmar aveva già scritto un’introduzione definitiva, pensata però solo per il primo tomo. La sua opera principale sul diritto del lavoro, “Il contratto di prestazione di fare”, anch’essa suddivisa in due volumi, il primo pubblicato nel 1902 e il secondo sei anni dopo, nel 1908, gli serviva probabilmente da modello. Nel secondo volume dell’opera inedita, Lotmar avrebbe voluto parlare delle conseguenze giuridiche dell’error e completare in questo modo le conoscenze sul concetto di error. Lotmar era consapevole che la divisione in due volumi presupponeva una separazione della problematica sostanzialmente unica. Infatti, consapevole che per entrambi gli aspetti dovesse attingere alle stesse fonti, riconosceva che «anche nella caccia non si possono inseguire contemporaneamente due lepri»65. Il secondo volume sarebbe potuto risultare significativamente più breve, in quanto Lotmar non avrebbe avuto bisogno di «soffermarsi sui passi dei Digesti giuridicamente irrilevanti e avrebbe potuto trattare i dati strutturali dell’error come acquisiti»66. Pur in un’epoca che costituiva il crepuscolo della Pandettistica, la struttura dell’opera riflette, da un lato, il tipico metodo pandettistico. Ciò che interessava ai pandettisti era, infatti, il sistema in sé; nuovi concetti dovevano essere dedotti da concetti precedentemente inseriti nel sistema e logicamente collegati, in modo da essere modellati in forma di una «piramide» (Begriffspyramide)67. E Cfr. I. Fargnoli, Die posthume Publikation eines romanistischen Meisterwerks von Philipp Lotmar, in P. Lotmar, Das römische Recht vom Error I, a cura di I. Fargnoli, cit., pp. VII-XXXII. 65 P. Lotmar, Das römische Recht vom Error I, a cura di I. Fargnoli, cit., p. 9. 66 P. Lotmar, Das römische Recht vom Error I, a cura di I. Fargnoli, cit., p. 10. 67 F. Wieacker, Privatrechtsgeschichte der Neuzeit, Göttingen 19672, pp. 430 ss; K. Larenz, Methodenlehre der Rechtswissenschaft, Berlin/Heidelberg/New York 19916, pp. 19 ss. 64
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Lotmar cercava di produrre diritto sulla base di deduzioni rigorosamente scientifiche, puntando a creare – per quanto consta – un vero e proprio sistema dell’errore. Egli stesso nello scambio epistolare con Amira parla di sé come pandettista, quando racconta all’amico dei suoi obblighi didattici: «ein Pandektist muss herkömmlich ein Übriges thun»68. Il primo volume è composto, a sua volta, da due parti: nella prima Lotmar tratta le fattispecie del Digesto che costituiscono o contengono un error, mentre nella seconda si concentra sul concetto di error, il quale viene sviluppato con metodo deduttivo e in base a casi concreti: «la nozione dell’error romano dovrebbe emergere da tali dati». Tra i casi di error Lotmar separa innanzitutto i passi del Digesto che presentano il verbo errare da quelli che contengono la parola error. I primi sono poi a loro volta suddivisi in tre diverse sottocategorie: i passi riferiti a un evento esterno, interno o esterno e infine interno. I secondi invece si dividono in error con funzione di sostantivo o di avverbio; i sostantivi, allo stesso modo di errare, possono essere riferiti a un externum, a un internum o a un internum et externum. Lotmar si occupa successivamente dei passi in cui il termine errore è altrimenti espresso, i quali si suddividono in sostituzione totale o parziale del termine. Tra i passaggi di sostituzione totale l’autore distingue l’error esterno, quello interno e quello esterno e interno. Lo stesso vale per la sostituzione parziale obiettiva, mentre quella soggettiva comprende casi simili all’error che sostituiscono o definiscono i dati di fatto obiettivi. A seconda dell’uso linguistico, i passi sono poi suddivisi in tre gruppi principali. Risulta decisiva la maniera in cui si sbaglia. Il primo gruppo prevede casi nei quali il comportamento sbagliato è un’omissione, il secondo quelli in cui si profila una condotta attiva
68 Amiraiana I, Lettera del 13.04.1889. Per un’approfondita riflessione sull’interrogativo “essere o non essere pandettista”, si veda S. Meder, Philipp Lotmar und die Methode der Pandektisten. Zugleich ein Beitrag zum Verhältnis von Rechtsgeschichte und Rechtsdogmatik, in Das römische Recht, a cura di Fargnoli-Fasel, cit., pp. 65 ss.
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e il terzo quelli in cui la condotta è sbagliata non in quanto tale, ma a causa dell’estensione, delle parti o dell’oggetto. Nel caso in cui l’omissione non è trattata esplicitamente, il passo appartiene al terzo e non al primo gruppo. Lotmar distingue poi l’attuale termine “errore” (Irrtum) da “error”, in quanto il concetto attuale di “Irrtum” in tedesco si estende a volte in misura maggiore e a volte minore rispetto a quello di error romano69: error non si riferisce per esempio a errori su eventi futuri, però comprende anche il dissenso inconsapevole, che non rientra nell’“Irrtum”. Dall’altro lato, Lotmar esprimeva chiaramente di non volere applicare ai testi romani un concetto di errore predefinito, bensì di partire rigorosamente dalle fonti; per questo motivo metteva in crisi la suddivisione del grande maestro Savigny70 tra errore proprio e improprio, distinzione non presente nelle fonti ed effettuata in base a un criterio discutibile. Lotmar criticava quindi, in questa prospettiva, il metodo della Pandettistica, evidenziando come i Romani non conoscessero una dottrina sull’errore, e intendeva in questo ambito superarlo.
5. Le ragioni della mancata pubblicazione del suo opus magnum romanistico Nonostante il lavoro che si estende per più di due lustri, Lotmar non pubblicò mai neanche il primo volume del suo “L’error in diritto romano”. La letteratura ha già affrontato la questione della mancata pubblicazione dell’opera alla ricerca delle motivazioni. Al riguardo si possono distinguere due linee di pensiero. Da un lato, si è ritenuto che il tema avesse perso la sua rilevanza pratica a causa della sopravvenuta codificazione e che, nel fallimento del suo pro69 P. Lotmar, Das römische Recht vom Error I, a cura di I. Fargnoli, cit., pp. 8 s. 70 Von Savigny era il maestro di Adolf August Friedrich Rudorff, che era, a sua volta, maestro di Alois von Brinz.
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getto lungo una vita, traspaia la rassegnazione di chi avesse cominciato a temere che fosse superata l’attualità del suo opus magnum71. D’altra parte, si è pensato al problema pratico della mancanza di un finanziamento. Infatti, la situazione economica di Lotmar era oltremodo critica; aveva investito la quasi totalità del suo patrimonio in prestiti obbligazionari a sostegno della Germania nella prima guerra mondiale e, con la disfatta tedesca, aveva perso tutto. Per ragioni economiche Lotmar continuò ad insegnare regolarmente fino all’età di settantadue anni72. Così poteva aumentare il suo stipendio, perché al tempo gli studenti presenti erano tenuti a pagare un gettone per la presenza a lezione. Cessò di insegnare solo su ordine dei medici di sospendere temporaneamente lo sforzo didattico per un semestre. Nella sua ultima lettera prima di morire, del 24 aprile 1922, Lotmar scrisse che finalmente avrebbe avuto più tempo per dedicarsi all’error, sebbene le ferie forzate per malattia non giovassero affatto alla sua condizione economica. Tuttavia, l’ipotesi che Lotmar non abbia pubblicato l’opera per mancanza di fondi viene smentita da un’affermazione attestata nello scambio epistolare con Karl von Amira in una lettera del 29 dicembre 1920. In relazione alla pubblicazione dell’opera sulla pena di morte, che Amira aveva in programma, Lotmar descriveva le sue difficoltà, informandosi sulle soluzioni adottate dall’amico in previsione della pubblicazione e osservava che in Svizzera, «come in altri paesi neutrali», collette di danaro potevano supportare la ricerca scientifica e la relativa pubblicazione. Il problema poteva in sostanza essere risolto, se si riuscivano a raccogliere contributi per coprire i costi della stampa. Anche l’ipotesi della codificazione non coglie nel vero. Al tempo della sua abilitazione Lotmar era convinto che lo studio della storia giuridica poteva essere finalizzato al miglioramento del diritto vigente. Secondo Lotmar, il diritto romano avrebbe dovuto giocare un ruolo importante nell’evoluzione del diritto. Già nella sua opera C.A. Gasser, Philipp Lotmar, cit, p. 69. Al tempo non era ancora previsto in Svizzera il pensionamento per raggiunti limiti di età. J. Rückert, Philipp Lotmars Konzeption, cit., p. XXXVII. 71 72
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giovanile “Sulla legis actio sacramento in rem” lo studioso scrisse che la storia del diritto non può limitare la sua funzione all’essere una chiave di comprensione del diritto vigente73. Ma la promulgazione del codice del 1912 non ebbe – per quanto consta – alcuna influenza sulla sua ricerca scientifica. È infatti evidente dal suo epistolario che, negli ultimi anni della sua vita, Lotmar lavorò solo al diritto romano. Il 12 luglio 1921 Lotmar scrisse ad Amira del «duro lavoro» e dei dubbi sulla possibilità di terminare «il suo corpus» e lo ringraziò per aver qualificato il suo lavoro un’«opera magnifica». Nello stesso anno scriveva come, dopo un soggiorno in ospedale, sperava di potere finalmente scrivere: «Nei giorni che mi rimangono di ferie dopo il mio ritorno a casa, potrò dedicarmi all’error»74. Nella lettera del 26 ottobre 1915 mise in rilievo che durante la settimana la sua attività didattica stava «sempre in primo piano a discapito dell’error»; l’error era la sua passione costante e contemporaneamente il suo tormento. Ma la prova più persuasiva si ha dalla lettura della lettera dell’8 marzo 1922, in cui Lotmar scrive all’amico Amira che stava lavorando all’error da sei anni e perciò aveva «rimandato, costretto dalla necessità» di informarsi sulla letteratura uscita in diritto del lavoro, in quanto «le mie forze non sono sufficienti per svolgere un doppio lavoro, tanto più che il diritto del lavoro, a partire dalla legiferazione statuale, è giunto ad una svolta, come mostra l’impressionante aumento della produzione»75. Ormai Lotmar osservava lo schiudersi delle sue altre uova e la crescita della sua creatura da lontano. Da ciò si desume inequivocabilmente che Lotmar era persuaso di procedere al solo studio delle fonti romane, prescindendo completamente dal diritto moderno. Dopo la pubblicazione sul contratto di lavoro, Lotmar sembra tornare alla verità storica per mezzo della sua ricerca in ambito del diritto romano e abbandonare del tutto il diritto vigente. 73 P. Lotmar, Kritische Studien, cit., pp. 1 ss. e 29 ss.; al riguardo M. Varvaro, Riflessioni, cit., pp. 31 ss. 74 Amiraiana I, Lettera del 24.04.1922. 75 Amiraiana I, Lettera del 08.03.1922.
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Per quanto mi consta, Lotmar non arrivò alla pubblicazione libro perché non lo aveva ancora terminato. È vero che, poco dopo la morte di Lotmar, il suo allievo Max Gmür scrisse: «fortunatamente negli ultimi mesi il lavoro è stato portato avanti [da Lotmar] a tal punto che, costituendo un lascito scientifico di grande valore per i posteri, può essere pubblicato76». Secondo il suo allievo l’opera avrebbe dovuto essere stampata subito dopo la sua scomparsa. Lotmar dava l’impressione anche ai suoi collaboratori più stretti che l’opera fosse conclusa o stesse per essere conclusa. Ma dalla lettura del manoscritto, soprattutto nella sua parte finale, è evidente che il lavoro non era finito. Le numerose note a margine di diverse pagine del manoscritto sono – per quanto consta – un indizio di un’ansiosa e indefessa continuità del lavoro. Alla mancata conclusione hanno sicuramente contribuito problemi di salute e l’età che rendevano più lento il lavoro, ma anche la complessità dell’incombenza della quale Lotmar si era fatto carico. L’error è un fenomeno trasversale che interseca tutte le sfere del diritto. Il proposito di trovare e analizzare in modo esauriente tutti i passi del Digesto è una sfida di spaventose dimensioni. Per dare un’idea della mole: con la possibilità odierna di cercare le parole error o errare utilizzando supporti elettronici, si ha – già ad una prima sommaria ricerca – il risultato di più di cinquecento passi, soltanto nelle fonti che ci sono state tramandate. Forse anche per questo Lotmar era affascinato dal tema. Voleva avere contezza di tutte le fonti per poi forse avere il terreno per costruire lui una dottrina dell’errore e dominare infine il «mondo di errore»; nella sua introduzione all’errore afferma: «Una dottrina romana dell’error, può essere stata costruita soltanto dai posteri. Ma è mai stata costruita finora?77». Alla luce di tutto ciò sembra potersi congetturare che Lotmar intendesse creare per l’errore quel sistema che era riuscito con grande successo a creare per il contratto di lavoro.
M. Gmür, Professor, cit., p. 268. P. Lotmar, Das römische Recht vom Error I, a cura di I. Fargnoli, cit., XXIII e nt. 83. 76
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6. Le due anime lotmariane «Non si possono servire due padroni contemporaneamente: la necessità pratica e la verità storica»: così si esprimeva Lotmar nel presentare il suo studio sull’error78. Lo studioso esprime così la sua consapevolezza dell’impossibilità di studiare il diritto romano e, al contempo, soddisfare le esigenze della prassi e quindi del diritto vigente. Questa consapevolezza diventa ancora più nitida nel cruciale punto di transizione dal diritto delle Pandette alle codificazioni varate nel suo Paese di origine e in quello adottivo. Se si può proiettare la metafora goethiana sul piano degli interessi scientifici, si trovano nello stesso Faust, da Lotmar tanto amato, i versi che rispecchiano questa tenace contrapposizione: «Dentro il cuore, ah, mi vivono due anime e una dall’altra si vuole dividere».79
Come Faust, Lotmar percepiva due anime dentro di sé. All’inizio della sua carriera, nel sistema dell’usus modernus Pandectarum che storicamente precede le codificazioni, Lotmar lavorò per tenerle insieme, calzando perfettamente il ruolo del pandettista soprattutto nella continuazione del volume delle Pandette del suo maestro. Poi intervennero i profondi mutamenti del suo tempo e le moderne codificazioni che portarono al declino della Pandettistica e del suo metodo. Lotmar seppe cavalcare questo momento di cambiamento e si accorse che, a differenza di Faust, poteva dividere le due anime o meglio valorizzarle una alla volta. Si risolse così negli anni della sua maturità di percorrere separatamente le due vie. In un primo momento, lasciandosi ispirare dalle necessità della prassi, utilizzò la sua formazione romanistica e i concetti derivati dal diritto romano a servizio del diritto moderno, contribuendo con ciò a fondare
78 P. Lotmar, Manoscritto 33-197c, accessibile su http://www.archivwissenschaft.ch/Lotmar.html. 79 J.W. Goethe, Faust I, vv. 1112-1113: «Zwei Seelen wohnen, ach! In meiner Brust / Die eine will sich von der andern trennen».
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il diritto del lavoro. Data un’importante risposta al suo anelito di giustizia sociale, Lotmar abbandonò tale via e dedicò interamente gli ultimi anni della sua vita al solo diritto romano e a quell’opera sull’errore iniziata ormai quasi quarant’anni prima, ma che più di ogni altra gli stava a cuore.
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Ea quae in testamento deleta sunt nella dottrina di Philipp Lotmar Sabrina Lo Iacono
Sommario: 1. Tre testimonianze di errore nella cancellazione delle tabulae testamentarie quali esempi di “Vertretungsstellen” nell’opera di Philipp Lotmar. – 2. Ea quae in testamento deleta sunt. – 3. L’irrilevanza dell’erronea cancellatura quale revoca testamentaria. Il contributo della dottrina di Philipp Lotmar.
1. Tre testimonianze di errore nella cancellazione delle tabulae testamentarie quali esempi di “Vertretungsstellen” nell’opera di Philipp Lotmar Philipp Lotmar (1850-1922), giusromanista e giusprivatista vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, studiò ampiamente la materia dell’errore nel diritto romano1, sulla quale scrisse una monografia monumentale, “Das römische Recht vom Error”, che tuttavia, probabilmente perché incompiuta, non giunse mai a pubblicare e che solo di recente, nel 2019, è stata data alle stam Per altra letteratura più recente sul tema dell’errore, si vedano: P. Voci, L’errore in diritto romano, Milano 1937; Id., Errore (diritto romano), in ED, 15, Milano 1966, pp. 229-235; J.G. Wolf, Error im römischen Vertragsrecht, Köln/Graz 1961; U. Zilletti, La dottrina dell’errore nella storia del diritto romano, Milano 1961; L. Winkel, Error iuris nocet. Rechtsirrtum als Problem der Rechtsordnung, Zutphen 1985; J.D. Harke, Si error aliquis intervenit. Irrtum im klassischen römischen Vertragsrecht, Berlin 2005; M. Schermaier, L’errore nella storia del diritto, in Roma e America, 24, 2007, pp. 185-255. 1
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pe2. Quello dell’errore fu un tema che affascinò il giurista, anche per la molteplicità delle sue manifestazioni nel mondo del diritto, sin dalla sua giovinezza – su di esso iniziò infatti a scrivere all’età di 33 anni – e che lo accompagnò, sebbene con intervalli, anche lunghi3, sin negli ultimi giorni della sua vita. Infatti, ancora in una lettera del 24 aprile del 1922, ossia di soli alcuni giorni antecedente alla sua dipartita, destinata all’amico e collega storico del diritto medioevale e moderno di Monaco, Karl von Amira, Lotmar espresse l’intenzione di volere lavorare più assiduamente all’errore4. Sebbene già nel penultimo decennio dell’Ottocento pubblicò alcuni scritti su tale argomento5, il suo scopo era quello di stendere P. Lotmar, Das römische Recht vom Error, a cura e con introduzione di I. Fargnoli, I-II, Frankfurt am Main 2019. Cfr. infra nt. 8. 3 Durante questi periodi in cui sospese l’indagine sull’errore, si occupò di altri temi, anche non romanistici. Lotmar, ad esempio, si dedicò ampiamente e con fortuna soprattutto al diritto del lavoro. La sua pionieristica ricerca in materia, che raggiunse massimo lustro con la pubblicazione della monografia in due volumi (1902 e 1908): “Il contratto di prestazione di fare in diritto tedesco”, diede prosperosi frutti, conducendo – tra l’altro – al riconoscimento della tutela del lavoratore nell’ambito del diritto privato e rendendo il giurista noto in tutta Europa nel ruolo di giuslavorista, aspetto per il quale ancora oggi è maggiormente conosciuto. Sul punto si veda I. Fargnoli, Tra error e locatio conductio. Il percorso scientifico di Philipp Lotmar (1850-1922), in Studi in onore di Giorgio De Nova, II, Milano 2015, pp. 1180 ss. (ora in questo volume, supra § III.3) e, su Lotmar come padre fondatore del diritto del lavoro, ivi p. 1180 nt. 36 (ora in questo volume, supra § III.3, p. 63 nt. 35). 4 Più nello specifico sulla ricostruzione delle fasi di lavoro di Lotmar al tema dell’errore, si veda I. Fargnoli, “L’errore in diritto romano” di Philipp Lotmar (1850-1922) tra storia e dogmatica, in Antologia romanistica ed antiquaria, a cura di L. Gagliardi, II, Milano 2018, pp. 298 ss., ed Ead., Die posthume Publikation eines romanistischen Meisterwerks von Philipp Lotmar, in P. Lotmar, Das römische Recht, cit., pp. X ss. 5 Nel 1883 e nel 1884 scrisse due recensioni ai due volumi di R. Leonhard sull’errore causa dei contratti nulli: P. Lotmar, Rec. a R. Leonhard, Der Irrthum bei nichtigen Verträge nach römischem Rechte. I. Die dem Einflusse des Irrthums ausgesetzten Bestandtheile des Vertrages, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 25, 1883, pp. 368-431; Id., Rec. a R. Leonhard, Der Irrthum bei nichtigen Verträge nach römischem Rechte. II. Die Ausführung der Lehre, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 26, 1884, pp. 220-277. Nel 1887: Id., Über ‘Plus est in re, quam in existimatione’ und ‘Plus est in opinione, quam in veritate’, in Festgabe zum Doctor-Jubiläum des 2
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una monografia nella quale, perseguendo la verità storica, fondare una teoria dell’errore trasversale – poiché ne interseca tutte le sfere – all’intero diritto romano. Come accennato, purtroppo Lotmar non riuscì a raggiungere il suo obiettivo e a terminare l’opera che aveva principiato sul tema, che nelle sue intenzioni doveva constare di due parti, da pubblicarsi in due volumi con uscita editoriale non contemporanea. La seconda parte, che avrebbe dovuto illustrare le conseguenze giuridiche dell’error, completando in questo modo la trattazione di tale concetto, fu infatti solo iniziata6. La prima parte, invece, composta da ventidue fascicoli quasi interamente manoscritti e contenenti circa duemila pagine, è stata ora (insieme al primo fascicolo della seconda parte) organizzata7, trascritta (con ragguardevole difficoltà, stante la scrittura di Lotmar in gotico corsivo – oggi non più in uso –) e, appunto, recentemente pubblicata in due volumi a cura di Iole Fargnoli8. Nel primo, Lotmar riporta e studia, senza farsi influenzare da elementi esterni e ricercando la verità storica dei testi, quelle fattispecie del Corpus Iuris Civilis (e non solo) in cui si sviluppa il tema dell’error9; nel secondo, invece, prendendo le mosse proprio
Herrn Geheimen Raths und Professors Dr. Johann Julius Wilhelm von Planck in München, München 1887, pp. 57-115. Curò poi la seconda edizione del manuale delle Pandette di Alois von Brinz, rielaborando parte del terzo volume e l’intero quarto: A. von Brinz, Lehrbuch der Pandekten, a cura di P. Lotmar, Erlangen/ Leipzig 18922. Cfr. I. Fargnoli, “L’errore in diritto romano”, cit., p. 300. 6 Sul punto è opportuno specificare che Lotmar era consapevole che «la divisione in due volumi presupponeva una separazione della problematica [dell’errore] sostanzialmente unica» (I. Fargnoli, Tra error e locatio conductio, cit., p. 1187 [ora in questo volume, supra § III.4]). P. Lotmar, Das römische Recht, cit., p. 9. 7 Una prima organizzazione fu compiuta da Fritz Lotmar, figlio del giurista, che dispose anche un indice sommario e una ricostruzione grafica del lavoro del padre, individuando quali parti furono dal genitore riviste e quali invece erano rimaste solo in bozza. 8 Sui motivi della non pubblicazione dell’opera da parte dello stesso Lotmar, dettata con probabilità dalla non conclusione del lavoro, cfr. I. Fargnoli, Tra error e locatio conductio, cit., pp. 1189 s. (ora in questo volume, supra § III.5). 9 Si tratta di un lavoro, quello di ricerca e di analisi dei passi che fanno riferimento, esplicitamente e non, all’errore, di immensa mole. Cfr. I. Fargnoli, Tra error e locatio conductio, cit., p. 1192 (ora in questo volume, supra § III.5), la qua-
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dalla precedente analisi dei casi concreti e prescindendo completamente dal diritto moderno e da qualsiasi formulazione aprioristica10, sviluppa con metodo induttivo il concetto di error del diritto romano: «… so ist der römische Error am kürzesten zu definieren als unbewusste Abweichung vom Richtigen. Die Zergliederung dieses Begriffes ergibt als dessen Hauptbestandteile die Abweichung vom Richtigen und das Unbewusstsein derselben»11. Al fine ineludibile di orientarsi all’interno del cospicuo materiale individuato in tema di errore, Lotmar lo divise sulla base di criteri ricavati dai testi stessi, prescindendo da postulati e sovrastruttule, per rendere evinti della portata dell’impegno, riferisce che «con la possibilità odierna di cercare le parole error o errare utilizzando supporti elettronici, si ha – già ad una prima sommaria ricerca – il risultato di più di cinquecento passi, soltanto nelle fonti che ci sono state tramandate». 10 Sulle «due anime» di Lotmar, quella di pandettista e quella di storico del diritto, cfr. I. Fargnoli, Tra error e locatio conductio, cit., pp. 1193 s. (ora in questo volume, supra § III.6); Ead.,“L’errore, cit., pp. 295 ss. Il giurista, nella prefazione della sua monografia sull’errore, scrive una vera e propria dichiarazione metodologica, criticando l’uso del diritto romano conformato all’esigenza pratica. Pertanto, allo studio delle fonti sul tema, per Lotmar non può applicarsi un concetto predefinito di errore; anzi, questo deve essere ricavato proprio da esse; P. Lotmar, Das römische Recht, cit., pp. 12 ss. Cfr. I. Fargnoli, “L’errore in diritto romano”, cit., pp. 302 ss.; Ead., Die posthume Publikation, cit., pp. XVIII ss. Cfr. anche R. Cardilli, Philipp Lotmar e la dottrina dell’errore, in Tesserae Iuris, 1.1, 2020, pp. 135151, in particolare pp. 148 s., che mette in luce come in realtà in Lotmar il suo background di pandettista abbia influenzato il suo lavoro, tant’è che nel libro II l’interpretazione dei testi antichi è volta a ricostruire un concetto unitario di errore. 11 P. Lotmar, Das römische Recht, cit., p. 953. Il giurista definisce quindi l’errore «come divergenza inconsapevole da ciò che è giusto, distinguendo così un elemento oggettivo, la divergenza dal giusto, dall’elemento soggettivo, l’inconsapevolezza della stessa», I. Fargnoli, “L’errore in diritto romano”, cit., p. 308. Cfr. anche R. Cardilli, Philipp Lotmar, cit., soprattutto pp. 144 ss. Per la critica al concetto di errore formulato da Savigny, I. Fargnoli, “L’errore in diritto romano”, cit., pp. 309 ss. Sul percorso scientifico di Philipp Lotmar, sulla sua produzione scientifica, sulla rilevanza da lui assunta nel panorama dottrinale europeo, sul suo opus magnum romanistico si vedano: I. Fargnoli, Einleitung, in Philipp Lotmar – letzter Pandektist oder erster Arbeitsrechtler?, a cura di I. Fargnoli, Frankfurt am Main 2014, pp. VII-XXI; Ead., Lotmars unpubliziertes Werk, in Philipp Lotmar, a cura di I. Fargnoli, cit., pp. 47-71; Ead., Tra error e locatio conductio cit. (ora in questo volume, supra, pp. 57-77); Ead., “L’errore in diritto romano”, cit.; Ead., Die posthume Publikation cit.; R. Cardilli, Philipp Lotmar cit.
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re12. Nel primo libro emerge dunque una tripartizione delle fonti: il primo capitolo (“Die error- und errare-Stellen”) raccoglie quelle in cui ricorre il sostantivo error, variamente declinato, o il verbo errare, variamente coniugato; il secondo (“Die Vertretungsstellen”) riunisce quelle in cui sono impiegate formulazioni sostitutive di error o errare; il terzo (“Die Umschreibungsstellen”) contiene quelle che ricorrono a perifrasi per veicolare il concetto di errore, senza l’impiego di particolari vocaboli. Le fonti che saranno approfondite nel presente contributo appartengono alla seconda categoria, quella dei Vertretungsstellen. Nello specifico, tenuto conto delle sue ulteriori suddivisioni interne, i passi rientrano nei Vertretungsstellen con sostituzione totale, riferiti a un errore esterno (ossia l’errore attinente alla manifestazione esterna della volontà) e in cui la sostituzione avviene mediante avverbio13. L’avverbio che in essi sostituisce i termini error/errare è inconsulto o inconsulte (e, in D. 28.4.1, come si vedrà, anche incaute). Lotmar in primo luogo riporta testualmente e per intero la costituzione di Diocleziano e Massimiano tradita in C. 6.23.12.1 e ne enuncia sinteticamente il contenuto: le cancellazioni e le sovrascritture delle tabulae testamentarie, che – specifica – possono verificarsi da sole o in associazione le une con le altre, non riguardano die Solemnität, ma die Echtheit del testamento; è dunque necessario
Si tratta di criteri sia testuali, ossia desumibili dalla lettera del testo, sia contenutistici, in relazione alla tipologia di errore commesso. Cfr. I. Fargnoli, “L’errore in diritto romano”, cit., pp. 304 ss. 13 La categoria dei Vertretungsstellen, infatti, si suddivide a seconda che la sostituzione dei due lemmi (error, errare) sia totale (e, se lo è, le fonti sono ancora ripartite a seconda che l’error sia esterno – ossia incidente solo sulla manifestazione esterna della volontà –, interno – ossia incidente sulla formazione interna al soggetto della sua volontà – o esterno e interno allo stesso tempo) o solo parziale. I Vertretungsstellen in cui vi è una sostituzione totale e in cui l’errore risulta essere esterno sono poi suddivisi a seconda che la sostituzione avvenga con un avverbio, un sostantivo o un verbo. Sull’intera organizzazione dell’opera di Lotmar si veda I. Fargnoli, Tra error e locatio conductio, cit., pp. 1188 s. (ora in questo volume, supra § III.4); Ead., “L’errore in diritto romano”, cit., pp. 303 ss.; Ead., Die posthume Publikation, cit., pp. XX ss. e il chiaro schema in P. Lotmar, Das römische Recht, cit., pp. 1 ss. 12
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determinare se tali modifiche siano state effettuate volontariamente dal testatore (o con la sua approvazione) o se siano state realizzate da qualsiasi altro erroneamente (inconsulte, appunto). Lotmar specifica che si apre così una chiara struttura a due vie: da un lato, la cancellazione volontaria, dall’altro, per quanto a lui interessa, la cancellazione effettuata ab altero inconsulte, ossia con noncuranza, in modo errato (in difetto di autorizzazione) e senza consapevolezza dell’eliminazione erronea. Il giurista richiama poi anche D. 28.4.1 pr.-3 e D. 37.2.1, in cui individua l’impiego dell’avverbio inconsulto (o di inconsulte, e di incaute) nello stesso significato riconosciutogli in C. 6.23.12.114, e successivamente arricchisce l’esame delle fonti con una riflessione utile sul piano della futura delineazione del concetto di error. Lotmar, infatti, in riferimento ai passi affrontati, specifica che l’errore indicato avverbialmente da inconsulto/inconsulte è pienamente rappresentato sia nel suo elemento oggettivo sia in quello soggettivo. Pertanto, il giurista già qui mette in evidenza quelli che sono, nella sua teoria, i due elementi dell’errore e che ne costituiscono il fulcro concettuale. L’elemento oggettivo consiste nella deviazione dal corretto/vero (die Abweichung vom Richtigen) e quindi non rappresenta una manifestazione del soggetto della condotta errata, ma la condotta stessa in sé e ciò da cui si devia. La condotta deviata può appartenere indifferentemente al mondo interno del soggetto – ossia a una falsa rappresentazione della realtà – o, come accade nelle fonti qui richiamate, a quello esterno a esso. L’elemento soggettivo, invece, consiste nell’inconsapevolezza della deviazione stessa (das Unbewusstsein derselben). Esso è indipendente dalla condotta esterna, che può difatti anche essere accompagnata dalla consapevolezza della deviazione (mentre, quando la condotta è interna, l’inconsapevolezza della falsità è ad essa congenita e da essa inseparabile). Tuttavia, nella te14 Lotmar richiama altresì C. 5.74.1, di cui ha trattato in precedenza nell’opera e di cui ha messo in dubbio l’autenticità (P. Lotmar, Das römische Recht, cit., p. 101), attribuendo anche all’inconsulto impiegato nel suo testo il medesimo significato riconosciutogli in C. 6.23.12.1.
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oria elaborata da Lotmar, affinché l’errore incida sull’atto compiuto e abbia rilevanza giuridica per il diritto romano, sono necessarie sia l’esistenza oggettiva dell’error sia l’inconsapevolezza dello stesso15.
2. Ea quae in testamento deleta sunt A questo punto appare interessante guardare più da vicino le tre fonti che Lotmar propone quali esempi di fattispecie in cui, in presenza di una condotta erronea esterna, i termini error/errare sono sostituiti dagli avverbi inconsulto/inconsulte (e incaute) e che, tra le diverse testimonianze riguardanti l’alterazione16 del contenuto delle tabulae testamentarie attestate dal Corpus Iuris Civilis, sono particolarmente significative. D. 28.4.1 (Ulp. 15 ad Sab.): pr. Quae in testamento legi possunt, ea inconsulto deleta et inducta nihilo minus valent, consulto non valent: id vero quod non iussu domini scriptum est, pro nihilo est. “legi” autem sic accipiendum non intellegi, sed oculis perspici quae sunt scripta: ceterum si extrinsecus intelleguntur, non videbuntur legi posse. sufficit autem, si legibilia sint inconsulto deleta sive ab ipso sive ab alio, sed nolentibus. “inducta” accipiendum est et si perducta sint. 1. Quod igitur incaute factum est, pro non facto est, si legi potuit: et ideo, etsi novissime, ut solet, testamento fuerit adscriptum: “lituras inductiones superductiones ipse feci”, non videbitur referri ad ea quae inconsulto contigerunt. proinde et si inconsulto superscripsit induxisse se, manebunt et si ademit, non erunt adempta. 2. Sed si legi non possunt quae inconsulto deleta sunt, dicendum est non deberi, sed hoc ita demum, si ante consummationem testamenti factum est. 3. Sed consulto quidem deleta exceptione petentes repelluntur, inconsulto vero non repelluntur, sive legi possunt sive non possunt, quoniam, si totum testamentum non exstet, constat valere omnia
P. Lotmar, Das römische Recht, cit., pp. 954 ss. Cfr. però nt. 29. Quando si parla di “alterazione”, “correzioni”, “modifiche”, ci si riferisce alle cancellature con qualsiasi modalità effettuate e di qualsiasi tipo (tout court o accompagnate da sovrascrittura, con semplice copertura dello scritto o con sua raschiatura ecc.). Cfr. nt. seguente. 15 16
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quae in eo scripta sunt. et si quidem illud concidit testator, denegabuntur actiones, si vero alius invito testatore, non denegabuntur.
I passi di Ulpiano qui riportati, tratti dal titolo 28.4 – De his quae in testamento delentur inducuntur vel inscribuntur – riassumono tutta la casistica sul tema delle cancellature operate sul contenuto delle tabulae testamentarie17. Nel principium si afferma che le disposizioni testamentarie che siano state involontariamente raschiate o cancellate (inconsulta deleta et inducta) dal testatore o da altri, ma che comunque risultino ancora leggibili, sono valide (nihilo minus valent); quando, invece, esse siano state raschiate o cancellate volontariamente, sono invalide (non valent)18. Il giurista specifica poi che ciò che è stato scritto senza l’autorizzazione del testatore è da ritenersi come non fatto (pro nihilo est)19. Di seguito Ulpiano chiarisce quando si possa rite17 Sebbene nel frammento, come anche nella rubrica stessa di D. 28.4 e in altre fonti giuridiche – anche nelle altre qui analizzate –, siano impiegati termini diversi per indicare le modifiche apportate al testo delle disposizioni testamentarie, essi designano solo modalità diverse di cancellazione (talvolta accompagnate da una nuova scrittura). Pertanto, la disciplina a esse applicabile risulta essere la medesima. Sul significato da attribuire ai vari vocaboli, si veda F. Scotti, Il testamento nel diritto romano. Studi esegetici, Roma 2012, pp. 493 ss., ntt. 1, 17, 18, 19: deleo (e così sembrerebbe anche perduco) è utilizzato per indicare l’attività del cancellare, nel senso dell’eliminazione totale dello scritto (ad esempio, mediante suo raschiamento); induco, nel significato di “coprire uno scritto spianando la cera”; inscribo, per indicare lo scrivere qualcosa al disopra di parole o frasi già esistenti; liturae è impiegato sia con il significato di “cancellature” sia di “correzioni”; superductio indica il “disegno di una linea sopra le parole in un documento”. Cfr. anche Oxford Latin Dictionary, I e II, Oxford 20122. 18 Le fonti sono chiare nell’escludere la concessione della bonorum possessio secundum tabulas nei confronti dell’erede cancellato, dando rilevanza alla volontà del testatore che abbia operato la cancellatura animo adimendi. In tal senso anche D. 37.11.8.3 (Iul. 24 Dig.): Is autem, cuius nomen in testamento voluntate testatoris perductum est, sicut ad adeundam hereditatem, ita ad petendam bonorum possessionem scriptus non intellegitur, quamvis nomen eius legatur. Cfr. M. Bohacek, Il problema della revoca non formale del testamento nel diritto classico e giustinianeo, in Studi in onore di Pietro Bonfante nel 40. anno d’insegnamento, IV, Milano 1930, p. 317. 19 Cfr. H.J. Wieling, Testamentsauslegung im römischen Recht, München 1972, p. 199.
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nere che le disposizioni testamentarie siano ancora leggibili, con la conseguente applicabilità della disciplina dallo stesso in precedenza enunciata. Esse lo sono non quando vengono comprese grazie a elementi esterni allo scritto, ma quando si distinguono con la vista. Nel primo paragrafo è ribadito quanto sostenuto nel precedente: le modifiche che siano state fatte distrattamente (incaute), se rendono comunque possibile la lettura dello scritto, si considerano come non avvenute. Ciò anche quando il testatore, in una clausola del testamento, abbia preventivamente dichiarato di essere l’autore delle abrasioni, delle cancellature e delle sovrascritture contenute nel documento testamentario (lituras inductiones superductiones ipse feci). Il giurista, infatti, anche in questo caso dà rilevanza alla volontà del testatore e ritiene che, permanendo la possibilità di cancellature involontarie, la sua dichiarazione non debba estendersi a esse (quod igitur incaute factum est, pro non facto est). A maggior ragione non avranno valore le cancellature che il testatore abbia dichiarato di aver fatto inconsulto, come risulta dalla seconda parte del paragrafo. Nel secondo paragrafo si prospetta una diversa fattispecie: quella delle disposizioni che siano state raschiate involontariamente (inconsulto), ma che legi non possunt. In questo caso, sulla base di esse, non può concedersi la bonorum possessio secundum tabulas e le locuzioni cancellate non avranno alcun valore20. Il paragrafo 3 riprende entrambe le fattispecie relative alle cancellature affrontate nei passi precedenti, specificando i rimedi processuali riconosciuti, a seconda dei casi, agli eredi legittimi o testamentari. Il giurista, in primo luogo, afferma che possono essere respinti con un’eccezione coloro che chiedono l’adempimento delle Sulla frase finale del paragrafo, che sembrerebbe ammettere la concessione della bonorum possessio secundum tabulas quando l’alterazione involontaria che ha reso lo scritto illeggibile sia stata fatta post consummationem testamenti, cfr. F. Scotti, Il testamento, cit., p. 498 nt. 23. Ulpiano si starebbe qui riferendo al testamento civile; cfr. infra nt. 24. D’altronde, una cancellatura successiva al perfezionamento del testamento pretorio avrebbe sempre comportato la revoca dello stesso, poiché, per poterla effettuare, si sarebbero dovute alterare necessariamente le tabulae (rottura del linum e dei sigilli) con conseguente impossibilità di garantire la loro autenticità. 20
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disposizioni testamentarie che siano state cancellate volontariamente dal testatore. Quando, invece, le disposizioni siano state cancellate erroneamente (inconsulto), l’exceptio non può essere concessa. Ciò, scrive Ulpiano, sia quando esse siano leggibili sia quando non lo siano (sive legi possunt sive non possunt), perché, anche nel caso in cui il testamento non esista più per intero, tutto quanto in esso è stato scritto ha comunque valore21. In quest’ultimo paragrafo, affermandosi che la cancellatura realizzata inconsulto avrebbe determinato la concessione agli eredi testamentari dell’azione per l’adempimento delle disposizioni rimosse anche quando avesse reso illeggibile lo scritto, si nota un contrasto con quanto dichiarato dal giurista nel precedente paragrafo 2 e con quanto si legge in altri passi del Digesto, ad esempio in D. 37.2.1, altra fonte citata da Lotmar a cui qui si è fatto riferimento. D. 37.2.1 (Paul. 3 ad Sab.): Heredi, cuius nomen inconsulto ita deletum sit, ut penitus22 legi non possit, dari bonorum possessio minime potest, quia ex conjectura non proprie scriptus videretur, quamvis, si post prolatas tabulas deletum sit testamentum, bonorum possessio competat. nam et si mortis tempore tabulae fuerint, licet postea interierint, competet bonorum possessio, quia verum fuit tabulas exstare.
Nella chiusa del terzo paragrafo, il giurista tratta anche della distruzione delle tabulae: quando essa sia stata operata consulto dal testatore, l’esperibilità delle azioni successorie sarà negata dal pretore agli eredi testamentari e ai legatari; quando, invece, la distruzione sia stata effettuata da un terzo invito testatore, le azioni non saranno denegate. 22 L’avverbio penitus può essere tradotto con: «affatto», indicando così la completa illeggibilità dello scritto («All’erede il cui nome sia stato involontariamente cancellato così da non potersi leggere affatto…»), oppure con: «in modo completo», indicando sì che il nome dell’erede è illeggibile, ma non per intero («All’erede il cui nome sia stato involontariamente cancellato così da non potersi leggere in modo completo…»). Qualsiasi traduzione si scelga di adottare, il significato e la soluzione del frammento non cambiano. Infatti, sia nel caso in cui il nome sia parzialmente illeggibile sia quando lo sia del tutto, non può essere garantita l’individuazione certa della persona dell’erede voluto dal testatore e, dunque, il pretore non potrà concedere la bonorum possessio secundum tabulas a colui che sia stato riconosciuto come tale solo presuntivamente. Cfr. poco oltre nel testo di D. 37.2.1. 21
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Da questo testo, escerpito dal titolo 37.2 del Digesto – Si tabulae testamenti extabunt –, infatti, si deduce che, nel caso in cui una cancellatura abbia reso il nome di un erede illeggibile, il pretore non potrà concedergli la bonorum possessio secundum tabulas, in quanto la volontà del testatore non è, in tale situazione, propriamente conoscibile (quia ex conjectura non proprie scriptus videretur). La soluzione è la medesima anche nel caso in cui l’inductio sia avvenuta inconsulto (ad opera di terzi o del testatore stesso). Difatti, non è possibile «sopperire alla illeggibilità mediante la semplice congettura»23.
23 C. Sanfilippo, Corso di diritto romano. Evoluzione storica della hereditas, Napoli 1946, p. 169; cfr. H.J. Wieling, Testamentsauslegung, cit., p. 198. Si veda supra D. 28.4.1.2. Da quamvis a exstare il frammento prospetta una seconda (quamvis-competat) e una terza fattispecie (nam-exstare), prettamente attinenti alla rubrica in cui D. 37.2.1 si colloca: “Se ci saranno le tavole del testamento”. La prima tratta della cancellatura effettuata dopo l’apertura del testamento; post prolatas tabulas, infatti, sembrerebbe fare riferimento alla procedura descritta in Paul. Sent. 4.6.1: Tabulae testamenti aperiuntur hoc modo, ut testes vel maxima pars eorum adhibeatur, qui signaverint testamentum: ita ut agnitis signis rupto lino aperiatur et recitetur atque ita describendi exempli fiat potestas ac deinde signo publico obsignatum in archivum redigatur, ut, si quando exemplum eius interciderit, sit, unde peti possit e, in particolare, all’esibizione delle tavole testamentarie ai testimoni che le avevano sigillate, affinché riconoscessero i sigilli e le loro sottoscrizioni. Si veda anche C. 6.32.2. Cfr. G.G. Archi, Interesse privato e interesse pubblico nell’apertura e pubblicazione del testamento privato (Storia di una vicenda), in IURA, 20, 1969, pp. 379 ss., 398 ss.; F. Arcaria, Per la storia dei testamenti pubblici romani: il ‘testamentum apud acta conditum’ ed il ‘testamentum principi oblatum’, in Studi per Giovanni Nicosia, I, Milano 2007, pp. 183, 189 ss. In tale circostanza, Paolo afferma che all’erede cancellato (anche quando il suo nome sia illeggibile, totalmente o parzialmente) spetti la bonorum possessio secundum tabulas. La concessione, in questo caso, della bonorum possessio si spiega in virtù del fatto che la cancellazione sia avvenuta dopo l’apertura del testamento e non prima (ovviamente, non ad opera del testatore, ma da un terzo inconsulto o contro la volontà del de cuius – la circostanza non è specificata –). La cancellatura successiva all’apertura, infatti, non esclude la conoscibilità del nome dell’erede testamentario, essendovi stata la lettura pubblica del contenuto del testamento ed essendo esso quindi noto. La medesima soluzione si accoglie per l’ultima fattispecie contemplata dal frammento, ossia quella riguardante la distruzione delle tavole testamentarie successiva all’apertura del testamento (prolatae risulta essere qui sottinteso, stante il nam con cui inizia la proposizione e che collega l’ultima fattispecie a quella precedente). Anche in questo caso è concessa la bonorum possessio secundum tabulas in ragione del fatto che la distruzione sia avvenuta dopo l’apertura del testamento
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Dunque, la spiegazione più plausibile alla soluzione prospettata da Ulpiano nel paragrafo 3 di D. 28.4.1 è stata individuata nell’ipotesi secondo cui il giurista si starebbe qui riferendo alle tabulae considerate come testamento civile e alla revoca quiritaria, che originariamente non dava valore alla loro modifica materiale, ma solo alla nuncupatio24.
e che, quindi, non si pongono problemi di autenticità e/o conoscibilità dello stesso. Cfr. F. Scotti, Il testamento, cit., pp. 721 ss. Dalla lettura e dall’analisi delle tre fattispecie – stanti: gli istituti concessi dal pretore; l’esclusione della bonorum possessio secundum tabulas nel caso di una cancellatura che, sebbene fatta inconsulto, abbia reso illeggibile lo scritto (se si fosse trattato di testamento civile, l’alterazione non avrebbe avuto valore giuridico, rilevando, per tale negozio, solo la nuncupatio: sarebbe stata unicamente più difficoltosa la prova del contenuto della disposizione cancellata); gli effetti collegati alla cancellatura del contenuto delle tabulae e alla loro distruzione successive all’apertura del testamento (che, se si fosse trattato di testamento civile, sarebbero stati gli stessi anche antecedentemente all’apertura) – si deduce che il testamento a cui il frammento fa riferimento sia un testamento pretorio. 24 Ulpiano starebbe qui facendo riferimento a un testamento civile in cui le cancellature siano state effettuate post consummationem testamenti, ossia dopo il suo perfezionamento e, dunque, dopo la nuncupatio. Le alterazioni inconsulto factae non assumono valore di revoca, nonostante l’illeggibilità delle disposizioni cancellate, perché per il testamento civile le tabulae hanno mero valore probatorio e il loro contenuto può essere provato con qualsiasi strumento di prova. Le cancellature operate volontariamente, invece, valgono come revoca informale, che, non riconosciuta dal diritto civile, era ammessa e tutelata dal diritto pretorio. Cfr. infra nt. 28. Altri indizi in favore della natura civile del testamento qui preso in considerazione dal giurista si evincono anche dalla disciplina richiamata a fine paragrafo: quoniam, si totum testamentum non exstet, constat valere omnia quae in eo scripta sunt. et si quidem illud concidit testator, denegabuntur actiones, si vero alius invito testatore, non denegabuntur, che poteva trovare applicazione solo per il testamento civile: l’alterazione totale del testamento o la sua distruzione, se involontarie, non avranno rilevanza e il pretore non negherà le azioni agli eredi testamentari; se volontarie, invece, varranno come revoca informale del testamento civile e il pretore denegherà loro le azioni. Cfr. M. Bohacek, Il problema, cit., pp. 332 ss.; C. Sanfilippo, Corso, cit., pp. 170 ss.; S. Serangeli, Studi sulla revoca del testamento in diritto romano. Contributo allo studio delle forme testamentarie, I, Milano 1982, pp. 239 ss.; F. Scotti, Il testamento, cit., pp. 493 ss. Quest’ultimo (pp. 494 ss.) ritiene in realtà che tutte le fattispecie affrontate nel frammento si riferiscano al testamento civile. Tuttavia, per quel che riguarda il principium e il primo paragrafo, da un lato, non paiono esserci indizi testuali in
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Anche la costituzione di Diocleziano e Massimiano tradita in C. 6.23.12.1, che, come si è visto, è riportata testualmente e per intero da Lotmar, tratta il tema delle cancellature, limitandosi però ad affermare la necessità di individuarne la diversa origine, senza esplicitare quali distinti effetti essa comporti sul testamento. C. 6.23.12.1 (Impp. Diocletianus et Maximianus): De his autem, quae interleta sive supra scripta dicis, non ad iuris sollemnitatem, sed ad fidei pertinet quaestionem, ut appareat, utrum testatoris voluntate emendationem meruerunt, vel ab altero inconsulte deleta sunt, an ab aliquo falso haec fuerint commissa. (a. 293)
La costituzione, appartenente al titolo 6.23 – De testamentis: quemadmodum testamenta ordinantur – del Codice giustinianeo, concerne un testamento nel quale siano state operate delle cancellature o delle sovrascritture (quae interleta sive supra scripta dicis). La fattispecie non attiene alla questione delle formalità previste dal diritto per la validità del testamento (trattata nel paragrafo precedente della medesima costituzione: C. 6.23.12 pr.25), ma ad fidei pertinet. Gli imperatori spiegano che, qualora appunto vi siano state alterazioni di tal fatta del contenuto delle tabulae, sarà doveroso verificare se esse siano state apportate per volontà del testatore o da un altro soggetto, inavvertitamente (inconsulte) o per falsificare l’atto di ultima volontà del de cuius.
tal senso, dall’altro, le soluzioni adottate non sembrano adattarsi alla struttura di tale forma testamentaria. 25 C. 6.23.12. pr. (Impp. Diocletianus et Maximianus): Si unus de septem testibus defuerit vel coram testatore omnes eodem loco testes suo vel alieno anulo non signaverint, iure deficiat testamentum (a. 293). Qui gli imperatori attestano la necessità, ai fini della validità del testamento, della presenza contestuale dei sette testimoni e dell’apposizione dei sigilli da parte di costoro alla presenza del testatore. Stanti le formalità richieste dalla costituzione, risulta chiaro che essa faccia riferimento a un testamento pretorio. Infatti, com’è noto, a differenza del testamento per aes et libram, quello pretorio era valido quando le volontà del de cuius fossero state scritte su delle tabulae ceratae semptem signis signatae, a nulla rilevando che fossero state compiute la nuncupatio orale e le gestualità richieste dalla mancipatio.
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I tre passi sopra sinteticamente analizzati affrontano e risolvono, dunque, questioni attinenti alle conseguenze che si accompagnano alla cancellazione di disposizioni testamentarie. Ripercorrendone schematicamente il contenuto, D. 28.4.1 pr.-3 e D. 37.2.1 illustrano gli effetti delle cancellature del testo delle tabulae in base alla loro origine. Si possono prospettare due situazioni. Una prima situazione è quella in cui le cancellature abbiano reso illeggibile lo scritto; in tal caso, anche quando esse siano avvenute inconsulto per mano del testatore o di un altro, le disposizioni depennate non potranno avere effetto alcuno, poiché la volontà del testatore non può conoscersi con certezza, ma solo supporsi26. La seconda situazione è quella in cui le cancellature non abbiano reso illeggibile lo scritto. In tale evenienza, la giurisprudenza tardoclassica fonda le proprie decisioni sull’effettiva volontà del defunto, valutando caso per caso l’origine delle alterazioni: quando siano state fatte volontariamente dal testatore, esse dovranno valere come revoca di quanto cancellato; se, invece, siano state effettuate inconsulto dal testatore medesimo o da un altro inconsulto o invito testatore, le disposizioni cancellate saranno valide. La successiva C. 6.23.12.1, poi, avverte semplicemente che, nel caso di cancellature del testo delle tabulae, dovrà essere tenuto in considerazione il motivo per cui esse furono operate e, sebbene non specificate nel testo, le soluzioni accolte e ribadite sul punto dalla cancelleria imperiale dioclezianea dovettero essere presumibilmente le stesse di quelle tramandateci dai due testi di Ulpiano e Paolo traditi nei Digesta. Queste tre testimonianze si collocano allora nell’ambito di quella evoluzione che, a partire dall’epoca classica, ha caratterizzato sia (e soprattutto) il testamento civile sia quello pretorio e che, mossa dalla sentita esigenza di attribuire rilevanza (solo – quando possibile –) alla effettiva volontà del testatore e a ogni sua variazione27,
26 Fanno eccezione le cancellature effettuate inconsulto post consummationem testamenti, quando si tratti di testamento civile. Cfr. supra nt. 24. 27 La tendenza della giurisprudenza classica a far prevalere la voluntas del de cuius sui verba nelle vicende testamentarie si può individuare già nel famoso episodio della causa Curiana – sebbene in tema di interpretazione del testamento – e,
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ha condotto al progressivo riconoscimento di una sempre maggiore libertà di revoca testamentaria, mediante l’ammissione di sue nuove forme, integrate da comportamenti concludenti che incidevano sulla consistenza e integrità materiale delle tabulae e del loro contenuto28. quindi, già in età repubblicana. Cfr. J. Stroux, Summum ius, summa iniuria. Ein Kapitel aus der Geschichte der interpretatio iuris, Leipzig/Berlin 1926, pp. 9 ss.; I. Fargnoli, Der letzte Wille von Coponius. Auslegung und Rhetorik in einem antiken Rechtsstreit, in Willkür und Freiheit im römischen und schweizerischen Erbrecht, a cura di I. Fargnoli-U. Fasel, Bern 2017, pp. 39 ss. Sulla sempre maggiore attenzione alla volontà del testatore nell’ambito dell’interpretazione del testamento, tra gli altri: F. Longchamps de Bérier, Il rispetto per la volontà del de cuius sull’esempio dei fedecommessi romani, in Revue Internationale des droits de l’Antiquité, 45, 1998, pp. 481 ss. Si veda anche D. 50.17.12: in testamentis plenius voluntates testantium interpretamur. Una progressiva maggiore libertà di revoca del testatore si raggiunse anche con il superamento del principio di unicità del testamento e, dunque, con la possibilità di conciliare i contenuti di due o più atti mortis causa, quando compatibili. Si veda D. 28.5.93. Cfr. C. Sanfilippo, Corso, cit., pp. 173 ss. 28 Il testamento civile classico per aes et libram, poggiandosi sulla nuncupatio orale del testatore (totale o c.d. di rinvio), poteva inizialmente essere revocato solo mediante la confezione di un successivo testamento perfetto e valido, che avrebbe sostituito in toto quello anteriore. Tit. Ulp. 23.2: Rumpitur testamentum mutatione, id est si postea aliud testamentum iure actum sit. La distruzione o l’alterazione delle tabulae non avrebbero avuto per esso alcun valore (solo ne sarebbe stata difficile la prova del contenuto); cfr. Gai. 2.151. Valeva il principio: semel testator, semper testator (D. 28.2.13.1; D. 28.4.14). La regola civile – anche per influenza del testamento militare, della disciplina del fedecommesso e del codicillo, del progressivo lavorio giurisprudenziale e imperiale – ha via via subito numerose eccezioni e aperte riforme, volte a dare rilevanza alla volontà del de cuius: il pretore, di fronte a revoche informali, intervenne iniziando a concedere la bonorum possessio sine tabulis a favore degli eredi legittimi oppure a denegare l’azione all’erede testamentario (ad esempio, D. 28.4.1.3; D. 28.4.2; D. 28.4.3; D. 28.4.4; D. 34.9.12; D. 34.9.16.2; C. 6.35.4). Cfr. C. Sanfilippo, Corso, cit., pp. 149 s., 157 ss.; S. Serangeli, Studi, cit., pp. 7 nt. 3, 215 ss., 218 ss., 220 nt. 35, 250 ss.; F. Arcaria, Per la storia, cit., pp. 177 ss.; F. Scotti, La pluralità di tabulae testamentarie: fonti letterarie e casistica giurisprudenziale, in Rivista Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana, 15.14, 2016, pp. 20 ss. Sul testamento militare, che, in forza dei privilegi riconosciuti ai soldati a partire da Cesare in ragione dell’imperitia militis, era libero da qualsiasi osservanza delle norme civili o pretorie sia per la sua costituzione che per la sua revoca, rilevando solo la serietà e l’accertabilità della volontà del de cuius, si vedano: Gai. 2.109; I. 2.11 pr.; D. 29.1.15.1; D. 29.1.19 pr.; D. 29.1.34.1; C. 6.21.14; cfr. G. Gandolfi, Prius testamentum ruptum est, in Studi in onore di Emilio Betti, III, Milano 1962, pp. 224 s.; O.E. Tellegen Couperus, Testamentary succession in the constitutions of Diocletian, Zutphen 1982, pp. 44 ss., 190 s.;
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3. L’irrilevanza dell’erronea cancellatura quale revoca testamentaria. Il contributo della dottrina di Philipp Lotmar La collocazione delle fonti giuridiche romane nella griglia sistematica che Philipp Lotmar elabora in base al tipo di errore cui esse fanno riferimento e in base alle modalità con cui esso viene espresso (con il sostantivo error, variamente declinato, o il verbo errare, variamente coniugato, con termini e parti del discorso sostitutivi o con espressioni equivalenti che veicolano il medesimo concetto) ne garantisce una disamina maggiormente aderente alla loro realtà storico-giuridica e al loro carattere topico e casistico, determinando una maggiore attenzione al dato testuale e il superamento della costruzione pandettistica, che, in chiave di astrazione, tendeva a ridurre a un concetto unitario la complessa questione dell’errore, che veniva inteso quale elemento incidente sulla validità del negozio giuridico e ritenuto fondato sul distinguo tra errore-motivo ed errore nella dichiarazione.
C. Sanfilippo, Corso, cit., p. 150. Sulla revoca del fedecommesso: D. 32.18; cfr. C. Sanfilippo, Corso, cit., pp. 159 ss.; M. Marrone, Istituzioni di diritto romano, Firenze 20063, pp. 642 ss. Per la revoca del codicillo: D. 28.3.12.1.; D. 28.4.1.5; D. 34.4.16; cfr. C. Sanfilippo, Corso, cit., pp. 159 ss., 173 ss.; M. Marrone, Istituzioni, cit., pp. 646 s. Il testamento pretorio, poiché il ius honorarium guardava a esso essenzialmente dal punto di vista materiale-documentale, poteva essere revocato anche semplicemente distruggendo o alterando le tavole testamentarie. Infatti, requisito per la concessione della bonorum possessio secundum tabulas era la loro integrità, così come quella del linum e dei sigilli. Dunque, in caso contrario il pretore avrebbe concesso la bonorum possessio ab intestato – anche contro la volontà del testatore – per la venuta meno di quelle formalità che (non avendo alcuna rilevanza la nuncupatio) garantivano l’autenticità del negozio testamentario (si vedano: D. 37.11.1.24 e D. 38.6.3). Cfr. M. Bohacek, Il problema, cit., pp. 314 s.; C. Sanfilippo, Corso, cit., pp. 166 ss. Per queste caratteristiche sue proprie, il testamento pretorio era idoneo a modellarsi senza sforzo sulla volontà del testatore. Nonostante questa sua attitudine, anche in materia di testamento pretorio si è assistito a un processo volto ad attribuire, in materia di revoca, sempre più rilevanza all’effettiva voluntas del de cuius. Sul tema dell’evoluzione della revoca del testamento in relazione alla sempre maggiore rilevanza riconosciuta alla volontà del testatore, si veda anche S. Lo Iacono, Ambulatoria est voluntas defuncti? Ricerche sui “patti successori” istitutivi, Milano 2019, pp. 210 ss.
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Tale collocazione permette dunque una lettura in chiave diversificata delle fonti, in cui l’errore risulta avere una differente incidenza sull’efficacia dell’atto compiuto in ragione di diversi fattori relativi, ad esempio, alla qualificazione giuridica del negozio (atto mortis causa o inter vivos, formale o causale, negozio unilaterale o contratto) e alle conseguenze strettamente pratiche che l’errore ha determinato. Nello specifico per ciò che concerne le testimonianze giuridiche in questa sede esaminate, il loro inquadramento nell’ambito della materia dell’errore e, in particolare, nella categoria dell’errore esterno, stimola la riflessione su di esse e consente di arricchire il relativo quadro delle conoscenze e di guadagnare un diverso angolo prospettico per guardare alle stesse, giungendo così a porre in evidenza il ruolo assunto dall’erronea cancellatura nella revoca testamentaria. Difatti, l’errore che incide sul contenuto del testamento e che si estrinseca in alterazioni dello scritto (cancellazioni tout court o sovrascritture) assume rilevanza nel pensiero giuridico tardoclassico quale elemento che, non espressivo della volontà del testatore, deve essere preso in considerazione al fine di valutare se possa o meno parlarsi di revoca di quanto cancellato. Dunque, guardando dalla prospettiva dell’errore a D. 28.4.1 pr.-3, D. 37.2.1 e C. 6.23.12.1, si acquisisce consapevolezza del fatto che, secondo la giurisprudenza tardoclassica – e la soluzione fu presumibilmente accolta e ribadita, anche se non è specificato, altresì dalla cancelleria imperiale dioclezianea –, quando le cancellature abbiano reso illeggibile lo scritto, l’errore non rivestirà alcun ruolo nella determinazione delle loro conseguenze: le cancellature varranno in ogni caso come revoca29. Quando, invece, la leggibili-
Sebbene anche in tale situazione, seguendo la tesi di Lotmar, la contemporanea esistenza dell’elemento soggettivo e di quello oggettivo dell’errore avrebbe dovuto comportare la rilevanza giuridica dello stesso nella fattispecie, incidendo sugli effetti del negozio, essa è esclusa da motivazioni di tutela della certezza della volontà del de cuius. Cfr. supra ntt. 22 e 23 e, in particolare, D. 37.2.1. Fa eccezione la cancellatura effettuata post consummationem di un testamento civile; cfr. supra nt. 24. 29
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tà sia garantita, all’intervenuto errore verrà riconosciuta rilevanza: in questo caso, infatti, la disciplina tracciata dalle fonti guarda con favore alla tutela della voluntas del testatore e, pertanto, alla cancellatura effettuata erroneamente non si riconoscerà valore di revoca di quanto depennato.
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Philipp Lotmar e la litis contestatio nel processo criminale Iole Fargnoli
Sommario: 1. Premessa. – 2. Le carriere parallele di Philipp Lotmar e Moriz Wlassak a cavallo tra i due secoli. – 3. Il confronto sull’origine del processo formulare. – 4. L’alterco sulla litis contestatio nel processo criminale. – 5. La reazione storiografica. – 6. Conclusioni.
1. Premessa Philipp Lotmar e Moriz Wlassak (1854-1939) non si conobbero probabilmente mai personalmente1. Ebbero tuttavia più di un’occasione di contatto sul piano scientifico. L’iniziativa fu tutte le volte di Lotmar: una prima volta, nel momento della pubblicazione del primo e poi del secondo volume di Wlassak sulle leggi che introdussero il processo formulare e una seconda volta sul processo criminale. Infatti, il raffinato studioso del processo privato, definito già dai suoi contemporanei «Meister der klassischen Prozeßrechtstheorie»2, dal cui contributo non poteva prescindere nessun inter-
Nelle lettere che Lotmar scrisse all’amico e collega Karl von Amira il nome di Wlassak, scritto peraltro Wlaßak, compare un’unica volta, nella lettera del 25.02.1892 e solo in relazione a un rilievo sulla recensione scritta da Lotmar al primo volume delle “Prozeßgesetze”. Lotmar fa riferimento a un verosimile commento critico di Amira nel senso che la recensione avrebbe potuto esplicitare meglio i suoi contenuti al lettore che non conoscesse il volume recensito. 2 Così lo definisce L. Mitteis, Rec. a M. Wlassak, Zum römischen Provinzialprozess, in Sitzungsberichte der Akademie der Wissenschaften in Wien, 190.4, 1919, pp. 1 ss. e in ZSS, 20, 1919, p. 360. 1
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prete del processo romano3, dopo essersi ampiamente dedicato alla ricostruzione del processo formulare e alla sua genesi4, fu attratto dall’indagine sul processo penale e nel 1917 diede alle stampe una monografia5. A margine di quest’ultima Lotmar, ormai alle soglie dei settant’anni, intervenne con un saggio critico6, cui seguì un’aspra reazione di Wlassak.
2. Le carriere parallele di Philipp Lotmar e Moriz Wlassak a cavallo tra i due secoli Pur essendo pressoché contemporanei ed entrambi di lingua tedesca, origine e carriera di Lotmar e Wlassak rivelano importanti punti di divergenza. 2.1. Philipp Lotmar nacque a Francoforte l’8 settembre del 18507. Nel 1875 conseguì a Monaco, sotto la guida di Alois von Brinz (1820 Così L. Wenger, Moriz Wlassak, in ZSS, 60, 1940, pp. XXI in un passaggio dell’accorata commemorazione: «Keine prozessuale Arbeit hier bei uns und auswärts erscheint auch heute, die nicht auf den vom Chronisten nun pflichtgemäß aufzuzählenden Arbeiten Wlassaks fußte» e altrove (p. XXXIX): «Aber das wesentliche ist und bleibt der römische Zivilprozeß. Dessen Darstellung ist ohne Wlassak nicht mehr denkbar», specificando che nel complesso Wlassak avrebbe dedicato al processo privato ben sessanta anni della sua vita. 4 M. Wlassak, Römische Prozeßgesetze. Ein Beitrag zur Geschichte des Formularverfahrens, I, Leipzig 1888, e II, Leipzig 1893. Nel tempo intercorso tra la pubblicazione dei due volumi Wlassak dava alla stampa quattro contributi su singole questioni del processo formulare, raccolti in M. Wlassak, Miszellen, in ZSS, 9, 1888, pp. 382-387, oltre a quello che a distanza di tempo si rivelò il più fortunato: Die Litiskontestation im Formularprozess, in Festschrift zum fünfzigjährigen Doktorjubiläum von Bernhard Windscheid am 22. Dezember 1888, Rostock 1889, pp. 55-138. 5 M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung im Kriminalrecht der Römer, Wien 1917. 6 P. Lotmar, Die Litiskontestation im römischen Akkusationsprozess, in Schweizerische Zeitschrift für Strafrecht, 31, 1918, pp. 249 ss. 7 Per una ricostruzione del suo percorso biografico, intellettuale e accademico si vedano: J. Rückert, Philipp Lotmars Konzeption von Freiheit und Wohlfahrt durch “soziales Recht” (1850-1922), in P. Lotmar, Schriften zu Arbeitsrecht, 3
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1887), il dottorato sul tema tradizionalmente privatistico della causa8. Nell’anno 1876 si abilitò a Monaco su un tema di storia del processo, quello per legis actiones9. “Privatdozent”, pronto a candidarsi per l’insegnamento universitario, cominciò a incontrare serie difficoltà. Se Wlassak accumulava successi quasi a tamburo battente, vincendo in tutte le sedi universitarie in cui si candidava fino ad arrivare all’ambito ateneo viennese da cui proveniva, Lotmar trascorse quasi dieci anni senza riuscire a ottenere una cattedra. Aveva compiuto trentotto anni quando prese servizio a Berna, nella città da poco divenuta sede del Parlamento svizzero. Si trasferì con i figli e la moglie10, che tuttavia, ammalatasi dopo poco, trascorse gli ultimi anni della sua vita in un istituto di cura a Monaco. È nei primi anni bernesi che Lotmar scrisse non una, ma due recensioni, una per ognuno dei volumi di Wlassak11. Da anni attraversava una fase in cui era interamente concentrato a recensire opere fresche di stampa12: in un arco di tempo quasi ventennale, dal 1874 al 1893, arrivò a redigere ben trentadue recensioni, affrontando anche argomenti non romanistici. La quartultima edita nel 1889 e l’ultima nel 1891 sono proprio quelle ai due volumi di Wlassak. Consolidata così la sua formazione giuridica a tutto campo, anche al di fuori del Corpus Iuris Civilis, Lotmar ebbe una nuova
Zivilrecht und Rechtsphilosophie, a cura di J. Rückert, Frankfurt am Main 1992, pp. XVI ss. e I. Fargnoli, Einleitung, in Philipp Lotmar – letzter Pandektist oder erster Arbeitsrechtler?, a cura di I. Fargnoli, Frankfurt am Main 2014, pp. VII ss. 8 P. Lotmar, Über causa im römischen Recht. Beitrag zur Lehre von den Rechtsgeschäften, München 1875. 9 P. Lotmar, Zur legis actio sacramento in rem, München 1876. 10 Amiraiana I, Lettera del 18.11.1888. 11 P. Lotmar, Rec. a M. Wlassak, Römische Prozeßgesetze I, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 31, 1889, pp. 481-488; Id., Rec. a M. Wlassak, Römische Prozeßgesetze II, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 35, 1891, pp. 161-175. 12 Sul punto rinvio a I. Fargnoli, Poche ombre sugli entusiasmi coevi. Letture critiche della teoria interpolazionistica di Otto Gradenwitz tra Germania e Italia, in Gradenwitz, Riccobono und die Entwicklung der Interpolationenkritik. Gradenwitz, Riccobono e gli sviluppi della critica interpolazionistica, a cura di M. AvenariusC. Baldus-F. Lamberti-M. Varvaro, Tübingen 2018, pp. 239-254 e supra § I.1.
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svolta nella produzione scientifica e giunse a occuparsi della regolamentazione del lavoro, pubblicando nel 1902 il primo13 e nel 1908 il secondo volume sul contratto di prestazione di fare14. Lo sforzo di organizzare sistematicamente una materia, fino a quel momento non dotata di una propria autonomia rispetto al diritto privato, fu apprezzata15 persino dalla penna di Max Weber16. Egli dedicò «al diritto del lavoro le sue forze formatesi grazie al diritto romano»17, in particolare derivando da esso le impalcature categoriali del lavoro, a partire dalla bipartizione tra lavoro e retribuzione, rispettivamente il lavoro a cottimo dalla locatio operis e il lavoro retribuito dalla locatio operarum18. A Lotmar è ascritto anche il merito di avere ideato il contratto di tariffa (“Tarifvertrag”) alla base del contratto collettivo, applicando le regole del contratto individuale all’organizzazione del lavoro industriale19. È nel 1921 che Lotmar ottenne finalmente il suo primo e unico riconoscimento accademico nel suo Paese d’origine: il dottorato honoris causa, conferitogli dall’università di Colonia20. Lotmar continuò ad insegnare a Berna fino all’età di 72 anni. P. Lotmar, Der Arbeitsvertrag nach dem Privatrecht des deutschen Reiches, I, Leipzig 1902. 14 P. Lotmar, Der Arbeitsvertrag nach dem Privatrecht des deutschen Reiches, II, Leipzig 1908. 15 Il padre fondatore del diritto del lavoro in Italia, Ludovico Barassi, nella seconda edizione del suo volume cita un centinaio di volte il contributo monumentale di Lotmar: L. Barassi, Il contratto di lavoro nel diritto positivo, Milano 1901, 2a ed. 1915, rist. a cura di M. Napoli, Milano 2003. 16 M. Weber, Rec. a P. Lotmar, Der Arbeitsvertrag. Nach dem Privatrecht des Deutschen Reiches, Erster Band, in Archiv für soziale Gesetzgebung und Statistik, 16, 1901, p. 723, che definisce il primo volume di Lotmar «vorzügliche Leistung». In questi anni Lotmar dava alle stampe anche diversi altri saggi in materia, ora ripubblicati in P. Lotmar, Schriften zu Arbeitsrecht, cit., e in Schweizerisches Arbeitsvertragsrecht, a cura di M. Rehbinder, cit. 17 E. Eichholzer, Philipp Lotmar, in Gewerkschaftliche Rundschau, 46, 1954, pp. 63 s. 18 Sulla locatio operarum, si veda P. Lotmar, Der Arbeitsvertrag II, cit., pp. 920939. 19 M. Pedrazzoli, Philipp Lotmar e il diritto del lavoro italiano, in Philipp Lotmar, a cura di I. Fargnoli, cit., pp. 145-160. 20 Per la riproduzione del documento originale di conferimento del titolo, si 13
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2.2. Moriz Wlassak nacque a Brünn21, all’epoca parte dell’impero austro-ungarico, il 20 agosto 1854, e nel 1872 iniziò gli studi all’università di Vienna, dove imparò ad apprezzare lo studio del diritto romano grazie ad Adolf Exner (1841-1894). Si dottorò nel 187722. Nel 1879, dopo un periodo di formazione a Berlino anche con Carl Georg Bruns e a Gottinga, dove approfittò degli insegnamenti di Rudolf von Jhering23, Wlassak si abilitò a Vienna sulla storia della negotiorum gestio24. Quasi immediatamente dopo, appena venticinquenne, conseguì una cattedra: nell’autunno del 1879 venne infatti chiamato come professore straordinario nell’università di Czernowitz25, la sede ordinariamente assegnata, a causa della sua collocazione geografica ai confini orientali dell’impero, a chi cominciava la carriera26. Wlassak aveva ormai spiccato il volo: a Czernowitz rimase ben poco, solo cinque semestri, e nel 1882 ottenne una chiamata a Graz, divenendo l’anno successivo professore ordinario27. Solo due anni dopo, nel 1884, venne chiamato a Breslavia, da dove pubblicò i due volumi sulla genesi del processo formulare28. Da Breslavia si trasferì poi nel 1895 a Strasburgo. È nella città alsaziana che Wlassak trascorse quelli che chiamò poi gli anni più belli della sua vita. Qui conobbe Otto Lenel (1849-1925), con cui si legò in una profonda e duratura amicizia. È proprio a Wlassak che Lenel dedicò la sua fatica ricostruttiva
veda A. Wacke, Eröffnungsansprache, in Das römische Recht vom Error. Philipp Lotmars opus magnum. Forschungsband zum Kolloquium 2019 an der Universität Bern, a cura di I. Fargnoli-U. Fasel, Bern 2020, p. 29. 21 Oggi Brno, seconda città per dimensioni della Repubblica Ceca. 22 L. Wenger, Moriz Wlassak, cit., pp. IX ss. e G. Wesener, Moriz Wlassak, in Geschichte der Rechstwissenschaftlichen Fakultät der Universität Graz. I. Römisches Recht und Naturrecht, a cura di G. Wesener, Graz 1978, pp. 60-66. 23 L. Wenger, Moriz Wlassak, cit., p. XI. 24 M. Wlassak, Zur Geschichte der Negotiorum Gestio. Eine rechtshistorische Untersuchung, Jena 1879. 25 Oggi in territorio ucraino. 26 «Damals herkömmliche Anfangsstation der österreichischen Provinz»: L. Wenger, Moriz Wlassak, cit., p. XI. 27 Sul suo periodo a Graz, si veda G. Wesener, Moriz Wlassak, cit., p. 21. 28 M. Wlassak, Römische Prozeßgesetze I, cit.
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dell’Editto perpetuo: «allo studioso e all’amico, in grato ricordo del periodo in cui abbiamo lavorato insieme»29. Con queste sentite parole Lenel evidenziava non solo il suo legame amicale con il grande processualista, ma anche la loro vicinanza scientifica30, quasi sorprendente alla luce del successo che conseguirono entrambi su versanti diversi della materia processuale. Ambedue studiarono con passione il processo romano con stretti intrecci di interessi: se Wlassak si occupò della genesi del processo formulare, Lenel si dedicò anima e corpo all’editto con uno sforzo che, a distanza di quasi cento anni, non è mai più stato tentato da altri e continua a costituire un faro per la romanistica. La contiguità degli studi è dimostrata anche dagli approfondimenti specifici sulla litis contestatio, su cui Wlassak aveva pubblicato un contributo dirompente31 e che Lenel si prodigò a spalleggiare32 dopo i rilievi di Theodor Mommsen. Mommsen aveva criticato Wlassak, rinunciando tuttavia a farne persino il nome, ritenendolo uno studioso raffinato, ma astioso, e rimproverandogli la tendenza ad alterarsi, là dove non sarebbe necessario33.
O. Lenel, Das edictum perpetuum. Ein Versuch seiner Widerherstellung, Leipzig 19273. Per una traduzione in lingua italiana della prima parte si veda: O. Lenel, Il sistema dell’editto. Parte prima. L’editto perpetuo. Un tentativo di ricostruzione, tr. it. I. Fargnoli, Milano 2012, pp. 1-92. 30 Sul reciproco influsso, in particolare delle teorie di Wlassak sul lavoro all’editto perpetuo di Lenel, ma anche sulla recensione di Wlassak a Lenel, pubblicata in due sedi diverse (M. Wlassak, Rec. a O. Lenel, Edictum perpetuum, in Deutsche Literaturzeitung, 4, 1883, pp. 932 ss., e, in una versione più ampia, in Grünhüts Zeitschrift für das Privat- und öffentliches Recht, 12, 1885, pp. 225-266), si veda L. Wenger, Moriz Wlassak, cit., p. XIX. 31 M. Wlassak, Die Litiskontestation, cit., pp. 55 ss. 32 O. Lenel, Zur Form der klassischen Litiskontestation, in ZSS, 24.1, 1903, pp. 329-343. Sulla questione si rinvia a L. Wenger, Moriz Wlassak, cit., p. XXIII s.: «doch bedeutet freilich Lenels Abhandlung […] zugleich eine in wesentlichen zustimmende Anerkennung». 33 T. Mommsen, Iudicium legitimum, in ZSS, 12, 1891, pp. 267-284, in particolare p. 268: «Wenn ich es unterlasse, auf jene unmittelbar einzugehen, so geschieht es, weil die neuste Behandlung der Frage durch einen ebenso feinen wie irritablen Forscher mir in Abbrechen der directen Discussion zu fordern scheint; die Sache selbst wird auch ohne Altercation behandelt werden könnte». 29
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Tuttavia, il confronto quotidiano tra Wlassak e Lenel dovette venire meno. È del 1900 la chiamata a Vienna di Wlassak, che, nonostante il dispiacere di abbandonare Strasburgo34 e di allontanarsi da quel vivace milieu culturale, non poteva rifiutare: tornava così nella sua università di origine. Dal 1914 Wlassak diventò membro della “Akademie der Wissenschaften Wien”, dal 1917 entrò a fare parte della “Bayerische Akademie der Wissenschaften”35 e nel 1934, in occasione del suo ottantesimo compleanno, fu insignito honoris causa del titolo di doctor rerum politicarum. Negli anni viennesi continuò gli studi sul processo, ampliando le sue ricerche anche al processo penale, su cui pubblicò nel 1917 una monografia, per poi concentrarsi, con un lavoro uscito nel 1919, sul processo provinciale. Da Vienna non si mosse più, rifiutando nel 1908 la chiamata a Monaco. Negli anni viennesi visse, sul piano personale, la dolorosa e precoce perdita della moglie, da cui aveva avuto una figlia36. 2.3. Anche se risulta sempre un po’ azzardato comparare biografie e carriere diverse, si può facilmente cogliere, già in questa estrema sintesi, che lo studioso austriaco visse in proscenio della vita accademica: risultò sempre vincitore delle cattedre per cui concorse e ottenne in vita riconoscimenti insigni, tra cui gli inviti a fare parte delle più prestigiose accademie e associazioni intellettuali dell’epoca. Al contrario, Lotmar faticò lungamente a ottenere l’unica cattedra, perdipiù fuori dai confini del suo Paese natale, vivendo quasi nelle retrovie37 dell’ambiente accademico tedesco a lui con L. Wenger, Moriz Wlassak, cit., p. XIII. Sulle prestigiose accademie e associazioni, anche al di fuori del mondo di lingua tedesca, di cui Wlassak era membro (“Sächsiche Akademie”, “Tschechische Akademie”, “Deutsche Gesellschaft der Wissenschaften und Künste” a Praga, “Reale accademia di Bologna”, “Accademia di Palermo” come membro corrispondente, “Istituto di storia del diritto romano di Catania” come membro onorario, “Riccobono Seminar” dell’Università Cattolica di Washington), si veda la precisa ricostruzione di L. Wenger, Moriz Wlassak, cit., p. XL. 36 L. Wenger, Moriz Wlassak, cit., p. XIV. 37 Il termine è utilizzato da Lotmar con riferimento, tuttavia, solo al suo lavoro di recensore che lui stesso qualifica «mein Krähwinkler Landsturmschritt», cfr. supra I.1. 34
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temporaneo. Del suo sostanziale isolamento l’esilio svizzero appare, al contempo, la causa e l’effetto. Solo al crepuscolo della sua vita, Lotmar ottenne dalla Germania il riconoscimento di un dottorato honoris causa, conseguito in una materia diversa rispetto a quella in cui si era dottorato e più a lungo applicato.
3. Il confronto sull’origine del processo formulare 3.1. Il primo momento di incontro tra i due studiosi, in occasione della pubblicazione del primo volume di Wlassak del 1888 sulle leggi che introdussero il processo formulare, fu abbastanza sereno. Il rapporto tra iudicia legitima e giurisdizione municipale appassionava Wlassak, che quattro anni dopo “Edict und Klageformel”, pubblicava una monografia sulle “Prozeßgesetze” e cioè sulle leggi alle origini dell’introduzione del processo formulare: lex Aebutia, lex Iulia privatorum e lex Iulia iudiciorum. In particolare, l’autore cerca di trovare un collegamento tra tali leggi e il noto passo di Gai. 4.103-10438. Nel 1889 Lotmar, affatto estraneo agli studi del processo, essendosi abilitato in tema di legis actio sacramento in rem39 e avendo pubblicato sul tema della contravindicatio una successiva monografia40, diede alle stampe la sua recensione41.
Omnia autem iudicia aut legitimo iure consistunt aut imperio continentur. Legitima sunt iudicia, quae in urbe Roma vel intra primum urbis Romae miliarium inter omnes cives Romanos sub uno iudice accipiuntur; eaque e lege Iulia iudiciaria, nisi in anno et sex mensibus iudicata fuerint, expirant. et hoc est, quod vulgo dicitur e lege Iulia litem anno et sex mensibus mori. 39 P. Lotmar, Zur legis actio, cit. 40 P. Lotmar, Kritische Studien in Sachen der Contravindication, München 1878; sulla questione di metodo affrontata all’inizio di questo volume, di straordinaria profondità per l’allora giovane studioso, si veda: M. Varvaro, Riflessioni sui rapporti fra dogmatica giuridica e storia del diritto nel pensiero di Philipp Lotmar, in Philipp Lotmar, a cura di I. Fargnoli, cit., pp. 23-46 e I. Fargnoli, “L’errore in diritto romano” di Philipp Lotmar (1850-1922) tra storia e dogmatica, in Antologia romanistica ed antiquaria, a cura di L. Gagliardi, II, Milano 2018, pp. 293-312, in particolare pp. 295 s. 41 P. Lotmar, Rec. a M. Wlassak I, cit., pp. 481-488. 38
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Lo studioso, ormai di adozione bernese, mette in dubbio il supposto collegamento della lex Aebutia e delle leges Iuliae con i iudicia legitima, in contrapposizione ai iudicia imperio continentia. In particolare, non sarebbe così certo che siano state queste leggi a introdurre i iudicia legitima né – sulla base della nota fonte gaiana – che i giudizi precedenti alla lex Iulia iudiciaria avessero durata illimitata42. Il suo orientamento fu di lì a poco sostenuto da Theodor Mommsen che, criticando implicitamente Wlassak43, sostenne che, se il nome legitimum fosse derivato dalla lex Aebutia, anche i iudicia imperio continentia avrebbero dovuto essere legitima44. Secondo Lotmar nulla osta a che i iudicia legitima fossero più antichi degli imperio continentia e che si chiamassero così contrapponendosi non agli imperio continentia, ma ad altri giudizi, per esempio quelli decisi da arbitri privati45. Sarebbe stata la lex Iulia a prevedere un termine di 18 mesi a questi giudizi e, al contempo, a introdurne altri con la denominazione di imperio continentia46. Questi spunti critici nulla tolgono al merito dell’opera di Wlassak, che Lotmar ritiene di grande valore: «so bleibt uns nich Vieles und, wie wir meinen, das Meiste übrig»47. La qualifica istruttiva, condotta con metodo e scritta in modo chiaro e ne apprezza l’attento uso delle fonti nonché la scrupolosa consultazione della letteratura in materia48. 3.2. Nel frattempo – era il 1891 – andò alle stampe anche il secondo volume delle “Prozeßgesetze” di Wlassak, professore ancora a Breslavia. Pur avendo già deciso di porre fine alla sua fase di impegnato recensore49, Lotmar decise di valutare anche questo P. Lotmar, Rec. a M. Wlassak I, cit., p. 487. Cfr. supra § V.2.2, in particolare nt. 33. 44 T. Mommsen, Iudicium legitimum, cit., pp. 278 s. Lotmar lo rileva nella sua seconda recensione: P. Lotmar, Rec. a M. Wlassak II, cit., p. 162. 45 P. Lotmar, Rec. a M. Wlassak I, cit., p. 487. 46 P. Lotmar, Rec. a M. Wlassak I, cit., p. 488. 47 P. Lotmar, Rec. a M. Wlassak I, cit., p. 488. 48 P. Lotmar, Rec. a M. Wlassak I, cit., pp. 481 ss. 49 Cfr. supra § I.1. 42 43
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volume e concludere il lavoro intrapreso sul tema50. Nel suo contributo, pubblicato nel 1893, Lotmar apprezza innanzitutto la virata dell’autore sull’origine dei iudicia legitima. Infatti, nel secondo volume Wlassak riconosce che i iudicia legitima siano preesistenti alla lex Iulia51 e che la lex Aebutia si sarebbe limitata a legalizzare il processo formulare accanto al processo per legis actiones52. Lotmar si limita a tre rilievi critici: innanzitutto non ci sarebbero fonti a sostegno di un’introduzione dei iudicia legitima tramite la lex Aebutia53; inoltre, la denominazione iudicium legitimum non viene ricondotta da nessuna fonte alla lex Aebutia o alla lex Iulia, perché Gaio non ha precisato il significato di legitimum54. Infine, Lotmar ritiene che, alla luce dei pochi elementi che si conoscono della lex Aebutia e della lex Iulia e di quello che si sa sul significato pratico o sul valore dei iudicia legitima in contrapposizione ai iudicia imperio continentia, il recensito abbia esagerato nel suo estro ricostruttivo e avrebbe fatto meglio a usare maggiore prudenza55. A parte queste critiche, Lotmar valuta il lavoro ancora più pregevole del primo volume ed evidenzia il valore epocale di questi studi ricostruttivi56. Il recensore ci tiene anche a elogiare l’instancabile diligenza di Wlassak, nonché la sua estrema precisione nell’individuazione e nell’uso delle fonti epigrafiche e letterarie57. P. Lotmar, Rec. a M. Wlassak II, cit., pp. 161-175. P. Lotmar, Rec. a M. Wlassak II, cit., p. 162. 52 A Lotmar non interessa qui soffermarsi sull’altro aspetto del lavoro di Wlassak e su cui si concentra poi l’autore in M. Wlassak, Zum römischen Provinzialprozess, Wien 1919, p. 10 nt. 18, e cioè sull’ipotesi che i iudicia legitima fossero giudizi rientranti nella giurisdizione di magistratus populi romani sia a Roma sia nelle civitates romanae e che, in queste ultime, non si svolgessero iudicia imperio continentia, anche perché i magistrati locali erano privi d’imperium. Su alcuni profili della problematica si vedano I. Fargnoli, http://europeanlegalroots.weebly. com/uploads/5/6/9/8/5698451/fargnoli.pdf, e Ead., Si eam rem in urbe Roma… iudicari iussisset. Sulla “legittimità” dei giudizi nella lex Irnitana, in IURA, 60, 2012, pp. 246-268. 53 P. Lotmar, Rec. a M. Wlassak II, cit., p. 171. 54 P. Lotmar, Rec. a M. Wlassak II, cit., p. 171. 55 P. Lotmar, Rec. a M. Wlassak II, cit., p. 173. 56 P. Lotmar, Rec. a M. Wlassak II, cit., p. 175. 57 P. Lotmar, Rec. a M. Wlassak II, cit., p. 175. 50 51
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4. L’alterco sulla litis contestatio nel processo criminale 4.1. Ventiquattro anni dopo la conclusione della sua opera sulle leggi in materia di processo formulare, Wlassak, ormai accademicamente affermato e da diversi anni nella sede viennese, dimostrò di essersi voluto cimentare con il processo penale: nel 1917 pubblicò la sua monografia nella collana della “Akademie der Wissenschaften in Wien”58. Fu verosimilmente indotto a ciò dai rilievi mossi da Mommsen sulla linea di confine tra iudicium privatum e iudicium publicum59 e in effetti mira con il volume a mettere in discussione la tesi di Mommsen, secondo il quale il processo criminale avrebbe conosciuto la litis contestatio, abolita in un secondo momento e reintrodotta poi dai giuristi severiani60. Wlassak confuta anche la ricerca di Naber61, che, sulla base dell’Oratio Claudii, ipotizzava che nel processo pubblico regolato dalla lex Iulia sarebbe comparsa una litis contestatio come accordo62. Nonostante due fonti di età severiana, D. 48.16.15.5 (Macer 2 publ.)63 e D. 48.2.20 (Mod. 2 poen.)64, attestino la litis contestatio, entrambe le testimonianze sono
M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung im Kriminalrecht, cit. Si veda anche la relativa relazione, in Anzeiger, Kaiserliche Akademie der Wissenschaften in Wien, Philophisch-historische Klasse, 54. Jahrgang 1917, Wien 1917, pp. 16 ss. Sull’appartenenza di Wlassak alla prestigiosa accademia viennese delle scienze, si veda supra § V.2.2. 59 L. Wenger, Moriz Wlassak, cit., p. XXXIV. Si veda anche supra § V.2.2. 60 T. Mommsen, Römisches Strafrecht, Berlin 1899, pp. 392 s. 61 S.A. Naber, Observatiunculae de iure romano, in Mnemosyne, 28, 1900, pp. 414 s. 62 M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung. Abwehr gegen Philipp Lotmar, in Sitzungsberichte Akademie der Wissenschaften in Wien, 194.4, 1920, pp. 48 ss. 63 Qui post inscriptionem ante litem contestatam anno vel biennio agere non potuerint variis praesidum occupationibus vel etiam civilium officiorum necessitatibus districti, in senatus consultum non incident. 64 Ex iudiciorum publicorum admissis non alias transeunt adversus heredes poenae bonorum ademptionis, quam si lis contestata et condemnatio fuerit secuta, excepto repetundarum et maiestatis iudicio, quae etiam mortuis reis, cum quibus nihil actum est, adhuc exerceri placuit, ut bona eorum fisco vindicentur: adeo ut divus Severus et Antoninus rescripserunt, ex quo quis aliquod ex his causis crimen contraxit, nihil ex bonis suis alienare aut manumittere eum posse. Ex ceteris vero 58
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da ritenersi interpolate: secondo Wlassak il processo criminale non avrebbe affatto conosciuto la litis contestatio65. Sorprendentemente Lotmar trovò le energie di tornare alla sua giovanile passione per il processo e recensì anche questo lavoro di Wlassak. Nel 1918 lo studioso di adozione bernese non solo aveva chiuso da tempo la sua fase di impegno alle recensioni, ma aveva anche girato lo sguardo altrove, contribuendo a fondare la nuova disciplina del diritto del lavoro ed era già di nuovo tornato al diritto romano, in particolare, allo studio sul tema dell’errore, anch’esso scelto in età giovanile66. Ci ritornò con un contributo – di ben trenta pagine, pubblicato nella rivista penale svizzera – che, pur apparendo come un saggio, costituisce una vera e propria ampia e dettagliata recensione al lavoro monografico di Wlassak67. Sintetizzandosi il pensiero di Lotmar68, il processo criminale non avrebbe mai fatto a meno della litis contestatio. Tale passaggio sarebbe stato necessario per interrompere i tempi processuali, ma anche per fissare la contesa. I giuristi severiani avrebbero dato un loro contributo sul punto, ma si sarebbero limitati a introdurre un nuovo effetto e cioè l’ereditarietà della pena della confisca. Di lì a poco uscì anche la recensione a Wlassak di Paul Koschaker (1879-1951)69, che, prima ancora di considerare l’opera recendelictis poena incipere ab herede ita demum potest, si vivo reo accusatio mota est, licet non fuit condemnatio secuta. 65 M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung im Kriminalrecht, cit. 66 P. Lotmar, Das römische Recht vom Error, a cura e con introduzione di I. Fargnoli, I-II, pp. XXXII-1126; su cui gli studi raccolti nel volume Das römische Recht vom Error, a cura di I. Fargnoli-U. Fasel, cit. Per una ricostruzione del suo lavoro all’errore, iniziato nel 1883, si veda anche e I. Fargnoli, L’inedito di Philipp Lotmar pubblicato nel XXI secolo, in LRonline, 2020: https://europeanlegalroots.weebly.com/uploads/5/6/9/8/5698451/fargnoli_elr_compressed.pdf 67 P. Lotmar, Die Litiskontestation, cit., pp. 249 ss. 68 Per i passaggi del suo ragionamento si rinvia infra, nella prospettiva della critica di Wlassak, § V.4.2. 69 P. Koschaker, Rec. a M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung im Kriminalrecht der Römer, in Sitzungsberichte Akademie der Wissenschaften in Wien, 184.1, 1917, p. 252; in ZSS, 40, 1919, pp. 364-370. Sull’amicizia tra Wlassak e Koschaker, cominciata all’epoca in cui, nel 1905, Wlassak valutò positivamente il lavoro di abilitazione di Koschaker e continuata costantemente negli anni, si
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sita, definisce le critiche mosse da Lotmar una «sehr beachtliche und ausfürhliche Anzeige»70 per concludere nel senso che Lotmar non ha affatto intenzione di confutare la dottrina di Wlassak71. Per quanto mi consta, Koschaker prende sì posizione a favore di Wlassak, ma – diversamente da quanto è stato sostenuto72 – non scrive una recensione di segno opposto a quella di Lotmar. La sua recensione riporta i contenuti della monografia, riconoscendone i meriti, ma anche evidenziandone alcune lacune73. Inoltre, Koschaker antepone la discussione delle critiche di Lotmar all’esposizione dei contenuti del volume recensito, apprezzando, come appena detto, la completezza e la profondità dei rilievi formulati. 4.2. A Wlassak non bastò la tiepida presa di posizione dell’amico Koschaker. Tre anni dopo, nel 1920, replicò a Lotmar in ben cinquantaquattro pagine infervorate74. Con esse sembra confermare l’impressione che Mommsen aveva avuto di lui, quando lo qualificò uno studioso astioso e irascibile75. Wlassak comincia nel rimproverare a Lotmar di ignorare alcune sue opere e di essere lontano ormai dal diritto romano, visto l’interesse per qualcosa di molto lontano
veda P. Koschaker, Selbstdarstellung, in Österreichische Geschichtswissenschaft der Gegenwart in Selbstdarsellungen, a cura di N. Grass, II, Innsbruck 1951, p. 110. 70 P. Koschaker, Rec. a M. Wlassak, cit., p. 364. 71 P. Koschaker, Rec. a M. Wlassak, cit., p. 365: «Es ist anscheinend nicht die Absicht Lotmars, die Lehre Wlassaks eingehend zu bekämpfen, und es mag daher genügen, kurz die von ihm beigebrachten Argumente zu würdigen». 72 Non vedo pertanto elementi che autorizzino a qualificare le recensioni di Lotmar e Koschaker due reazioni opposte in rapporto all’opera di Wlassak, come sostenuto di recente da T. Beggio, A obra centenária: Moriz Wlassak, Anklage und Streitbefestigung im Kriminalrecht der Römer, in Interpretatio Prudentium, 2.2, 2017, pp. 17-38, in particolare p. 33. 73 P. Koschaker, Rec. a M. Wlassak, cit., in particolare p. 370, con riferimento all’applicazione pratica, oltre che alla elaborazione teorica, della litis contestatio da parte dei bizantini, afferma: «ich möchte weniger optimistisch denken möchte als der Verf. denken» e «doch sie sind dies Probleme, die kaum erst gestellt sind, geschweige denn, daß ihre Lösung versucht wurde». 74 M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung im Kriminalrecht, cit., pp. 3-57, in cui (p. 4) non manca di evidenziare la presa di posizione di Koschaker. 75 T. Mommsen, Iudicium legitimum, cit., p. 276, cfr. supra § V.2.2.
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dal mondo antico, come il diritto del lavoro76. Omette o non si accorge che, nei quattordici anni trascorsi dalla pubblicazione del secondo volume della monografia sull’“Arbeitsvertrag”, Lotmar non solo aveva ricominciato a pubblicare di diritto romano, ma negli ultimi quattro anni se ne stava occupando a tempo pieno, lavorando prevalentemente alla monografia sull’errore77. Il tono continua a essere acceso e sgradevole nei confronti di Lotmar anche nel prosieguo. Wlassak articola la sua replica in nove diversi punti. Innanzitutto, critica il metodo del recensore e, in particolare, la lettura del termine litis contestatio con riferimento alle sole conseguenze, mentre per i giuristi essa costituiva piuttosto una condotta, come deriva dalle espressioni che ricorrono nelle fonti, come agere, petere, litigare, iudicium accipere78. Secondo Wlassak, Lotmar confonde le acque prescindendo dall’analisi delle fonti, al solo fine di volere confutare la sua tesi che l’accusa si contrappone dalla litis contestatio nel senso che non è funzionalmente rapportabile ad essa79. Il secondo punto della replica si concentra a smentire il tentativo di Lotmar di dimostrare che l’accusa non era necessariamente unilaterale, dato che il magistrato doveva accettare l’accusa
76 M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung im Kriminalrecht, cit., p. 4: «der Verfasser hat die vorher enge Verbindung mit der romanistischen Literatur in den letzten Jahrzehnten merklich gelockert». 77 Prova del fatto che Lotmar fosse concentrato al lavoro sull’errore in diritto romano, è la lettera del’8 marzo 1922 all’amico Amira (Amiraiana I). Qui lo scrivente raccontava di lavorare all’error da sei anni in cui stava rimandando l’impegno sulla materia giuslaboristica, arricchitasi nel frattempo di tanta letteratura, in quanto le sue forze non erano sufficienti a svolgere una doppia attività. Ne deriva che, facendosi il rapido calcolo, Lotmar non si concentrava sul diritto del lavoro dal 1916 e quindi da due anni quando scrisse la recensione a Wlassak. In questa fase, oltre ad avere ripreso il lavoro sull’errore, Lotmar pubblicò anche altri lavori romanistici: Zur Geschichte des Interdictum quod legatorum, in ZSS, 31, 1910, pp. 89-158; Marc Aurels Erlaß über die Freilassungsauflage, in ZSS, 33, 1912, pp. 304-382; Lex Julia de adulteriis und incestum, in Mélanges P.F. Girard. Etudes de droit romain, II, Paris 1912, pp. 119-143. 78 M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung. Abwehr, cit., p. 5. 79 M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung. Abwehr, cit., p. 6: «Meiner Meinung nach steht die Anklage im Gegensatz zur Streitbefestigung; nach Lotmar fällt das eine mit dem anderen völlig oder so gut wie ganz zusammen».
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(nominis receptio) e l’accusato difendersi attraverso l’opposizione di praescriptiones80. Ciò è talmente insostenibile, secondo Wlassak, che non è neanche necessario confutarlo: «Die Nichtigkeit dieser und ähnlicher Einwendungen liegt wohl offen zutage»81. Inoltre, secondo Lotmar, la litis contestatio nel processo privato non era necessariamente bilaterale, mentre per Wlassak lo era sia nel processo per legis actiones sia in quello formulare e consisteva in una condotta delle parti basata sull’intesa82. Nel terzo paragrafo Wlassak tocca ancora la concezione di litis contestatio, la cui bilateralità secondo Lotmar cozza con l’interdictum reddere del processo interdittale, che, secondo Wlassak, non è tuttavia una litis contestatio83. Né c’entrerebbe la peculiarità della litis contestatio nella cognitio extra ordinem che Lotmar lamenta non essere stata approfondita da Wlassak84. Con il quarto punto lo studioso austriaco fa riferimento al ruolo interventivo del pretore in caso di mancata comparizione 80 M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung. Abwehr, cit., p. 8: «Die Erhebung der Anklage soll nicht Einseitiges sein, weil der Beamte nomen recipere muß, weil der Beschuldigte Präskriptionen vorbringen, weil er die Abklage sonst bestreiten soll». 81 M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung. Abwehr, cit., p. 8. 82 M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung. Abwehr, cit., p. 8: «Nicht minder anfechtbar ist sein Versuch, die Zweiseitigkeit der Litiskontestatio des Zivilprozesses in Frage zu stellen» e p. 9: «Hiermit scheint mir die vertragliche Grundlage aller Legisaktionen dargetan, die sich aus formellen Handlungen und Gegenhandlungen zweier Parteien zusammensetzen». 83 M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung. Abwehr, cit., p. 13: «Der Rezensent gebraucht also im vorstehenden Satze selbst “Litiskontestation” im “tatbeständlichen”, d.h. im richtigen Sinne, und ist demnach wirklich bereit, ohne Anhalt in den Quellen und in schneidendem Widerspruch mit ihnen, das interdictum redditum “tatbeständlich” als Litiskontestation anzuerkennen» e p. 14: «Während das interdictum reddere – ein amtliches Dekret – für die Römer zweifellos keine Litiskontestatio war und auch niemals so genannt wurde, […] trägt doch der Rezensent kein Bedenken, aus dem Interdikt eine “Streitbefestigung” zu machen». 84 M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung. Abwehr, cit., p. 15: «Als dritte Art einer klassischen Streitbefestigung, die dem von mir aufgestellten Typus nicht entsprechen soll, hält mir Lotmar S. 259 f. die Litiskontestatio im Extraordinarverfahren entgegen. Ob für diesen Prozeß schon die klassischen Juristen den Namen litis contestatio gebrauchten, den die Digesten wie der Codex mehrmals – nicht bloß in den Stellen, die L. anführt – aufweisen, diese Frage habe ich
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della parte, che invece Lotmar riferirebbe solo a una fase più arcaica, senza peraltro precisare di quale si tratta85, e all’inesistenza di una litis contestatio che potesse venire in essere tramite decisione del pretore contro la volontà del convenuto86. Nel quinto paragrafo Wlassak contesta la concezione che Lotmar espone, sulla scorta di Keller87, di una litis contestatio nel senso di un episodio che avveniva in una fase preliminare senza che ci fosse una denominazione unitaria: è sorprendente – secondo Wlassak – che Lotmar abbia dissotterrato una concezione che l’autorità di Lenel aveva confutato88. Con il sesto punto Wlassak passa alle fonti esaminate da Lotmar. Fa riferimento alla comparazione del processo privato e di quello pubblico, confutando l’interpretazione che Lotmar dà dei due testi in tema di iudicia publica89. Nel settimo paragrafo Wlassak ribadisce i suoi sospetti di interventi interpolatori sui passi esaminati da in meiner Abhandlung (S. 181 f.) noch in Schwebe gelassen. Doch mag sie hier einstweilen für bejaht gelten». 85 M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung. Abwehr, cit., p. 16: «Allein damit gibt er sich, wenn ich recht verstehe, noch keineswegs zufrieden. In der “späteren (?) Zeit” habe die den indefensus treffende Beschlagnahme seines Vermögens nicht ausgereicht, um “direkten Zwang zu jener Einwilligung überflüssig zu machen”» e p. 20: «Weshalb dieser sehr kräftige Zwang in “späterer Zeit” (wann?) nicht ausgereicht haben soll, und wie sich dann der von Lotmar sogenannte “direkte Zwang”, d. h. wohl die Kontestation durch den Magistrat, zu dem älteren System verhalten mochte, darüber werden wir im Dunkeln gelassen». 86 M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung. Abwehr, cit., pp. 17 ss., p. 17: «Hiernach hätten wir neben Formelprozessen, die auf Parteieneinigung beruhen, auch solche anzunehmen, die der Gerichtsbeamte gegen den Willen des Verklagten (oder gar beider Parteien?) durch sein Dekret (“Entscheid”) begründet. Allein den Widersinn eines so vom Prätor aufgenötigten Prozeßplans und Rechtsstreits, den eine von den Parteien zurückweist, hat schon 1894 O. Lenel mit treffenden Worten festgestellt». 87 F.L. Keller, Über Litis Contestation und Urtheil nach classischem Römischem Recht, Zürich 1827. 88 M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung. Abwehr, cit., p. 26: «Und nicht weniger Verwunderung dürfte es erregen, wenn man den Rezensenten die Ausgrabung des von Keller aufgestellten “weiteren” Begriffes betreiben sieht, während er durchaus keine Neigung verrät, dieses, nach Lenels entschiedener Ablehnung besonders auffallende Unternehmen irgendwie zu rechtfertigen». 89 M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung. Abwehr, cit., p. 30: si tratta dei citati passi di D. 48.16.15.5 (Macer 2 publ.) e D. 48.2.20 (Mod. 2 poen.).
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Lotmar90. L’ottavo paragrafo è dedicato alla trasmissibilità ereditaria della pena quale risulterebbe dal passo di Modestino, mentre per Wlassak rimane dubbio se ciò accadesse al momento della sentenza o dell’accusa91. Con l’ultimo paragrafo di questo contributo Wlassak vuole rafforzare la propria ipotesi della mano giustinianea che avrebbe modificato i testi classici, con l’intenzione di avvicinare il processo criminale classico a quello privato92. A sostegno cita il passo iniziale dell’ultimo titolo delle Istituzioni giustinianee93 che dichiara inequivocabilmente – a giudizio dell’autore – la magna diversitas tra giudizi privati e giudizi pubblici. Già solo una lettura attenta di questa testimonianza giustinianea avrebbe dovuto convincere Lotmar della palese erroneità delle sue osservazioni94. 4.3. Lotmar non replicò. Dalla sua corrispondenza con Amira non emerge alcun riferimento alla questione. Del resto, le lettere da lui scritte ad Amira in questo periodo si stavano diradando sempre di più, oltre a diventare sempre più concise. Lo studioso tedesco aveva ormai compiuto i settant’anni, con qualche problema, oltre
In particolare, in relazione a D. 48.2.20 (Mod. 2 poen.): M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung. Abwehr, cit., pp. 41 ss. 91 M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung. Abwehr, cit., pp. 44 ss., p. 44 s.: «so darf sie vielleicht doch nutzbar gemacht werden für die Lösung der von Lotmar in richtiger Fassung gar nicht aufgeworfenen Frage, ob die Verurteilung des Beschuldigten oder ob schon die fertige Anklage als das Ereignis anzusehen sei, das maßgebend ist für den Eintritt der Strafvererbung». 92 M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung. Abwehr, cit., pp. 51 ss., p. 51: «Meiner Einsicht nach ist die “lis contestata” des fr. 20 cit. von Tribonian eingeschoben». 93 I. 4.18 pr.: Publica iudicia neque per actiones ordinantur nec omnino quicquam simile habent ceteris iudiciis, de quibus locuti sumus, magnaque diversitas est eorum et in instituendis et in exercendis. 94 M. Wlassak, Anklage und Streitbefestigung. Abwehr, cit., p. 57: «Von den verglichenen Prozeßarten konnte also unmöglich gesagt werden: nec omnino quicquam simile habent, wenn es wahr wäre, was mein Gegner behauptet, daß die Römer das litem contestari hier wie dort im Gebrauche hatten. Und ebensowenig durfte von einer magna diversitas in instituendis iudiciis die Rede sein, wenn die römischen Prozeßordnungen gerade in dem entscheidenden, die Eigenart des Rechtsganges bestimmenden Punkte Übereinstimmung gezeigt hätten». 90
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che di salute95, anche economico96, dimostrato dal fatto che era costretto a continuare a insegnare anche in tarda età per raggranellare i contributi versati degli studenti sulla base della frequenza, come lui stesso racconta il 22 aprile 192297. Inoltre, sentendo che gli venivano meno le forze, era concentrato sul lavoro in tema di errore, che gli premeva concludere e pubblicare. Nella stessa lettera, l’ultima delle numerosissime scritte ad Amira a partire al 1875, Lotmar riferiva con soddisfazione che finalmente avrebbe avuto più tempo per dedicarsi all’error, sebbene le ferie forzate per malattia non giovassero affatto alla sua condizione economica. Una manciata di giorni dopo si spense.
5. La reazione storiografica 5.1. La letteratura successiva è tornata più volte sulla storia del processo formulare e, pur discostandosi in parte dalle tesi di Wlassak, vi è stata una loro sostanziale conferma, tanto che ancora negli anni Novanta del Ventesimo secolo Talamanca pronunciava il noto «Zurück zu Wlassak»98. Ci sono state alcune precisazioni come quella di Franco Bonifacio, che, riprendendo un’osservazione di Per esempio, nella lettera 12.7.1921 (Amiraiana I), Lotmar racconta di una operazione e di una degenza ospedaliera di 8 giorni. 96 Nella lettera del 14.11.1920 (Amiraiana I), Lotmar specifica a proposito delle preoccupazioni economiche: «Sie werden wohl wiederkehren, wenn ich das Lehramt niederlege, was ich nicht mehr lange verschieben kann. Denn für die Schlussredaktion des bewussten Buches, die angefangen hat, brauche ich in Anbetracht meines Lebensalters mehr Zeit als die, welche die Lehrtätigkeit übrig lässt». E un mese dopo, in una lettera del 29.12.1920 (Amiraiana I): «Wir haben zur Zeit den Besuch von Heinz, der freilich im Wirtshause logiren muss, da mein Häuschen durch die Fritzfamilie besetzt ist. Da drei lebhafte Kinder dazu gehören, so kannst Du dir vorstellen, dass es an Ruhestörungen nicht fehlt. Mit herzlichen Grüssen von Haus zu Haus Dein treuer Lotmar». 97 Amiraiana I, Lettera del 24.04.1922. 98 Cfr., in particolare, M. Talamanca, Il riordinamento augusteo del processo privato, in Gli ordinamenti giudiziari nella Roma imperiale. Princeps e procedure dalle leggi Giulie ad Adriano. Atti Copanello 1996, a cura di F. Milazzo, Napoli 1999, p. 64. 95
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Lotmar, ritiene che un giudizio non sia legittimo per il solo fatto di essere regolato da una lex99. Nonostante il frammento Atestino e la Rubria parlino di legge, ciò non significa che i giudizi nella Gallia Cisalpina fossero legittimi, per cui risulta forzato denominare legitima i giudizi municipali, semplicemente variando il significato da attribuire al termine legitima100. Mario Talamanca critica, da parte sua, la possibilità che, nella distinzione gaiana in 4.103-109, coesistessero categorie diversificate di iudicia legitima che si sarebbero affiancate a quella introdotta dalla lex Iulia e dalla lex Aebutia101. Neanche la lex Irnitana fornirebbe elementi per estendere ai giudizi municipali il regime – al di là della mors litis – dei iudicia legitima o quello dei iudicia imperio continentia, né introduce l’idea che si sancisse per essi una specifica disciplina102. La mancanza di imperium per i magistrati municipali non sarebbe poi rilevante perché potrebbe essere in astratto possibile che la lex Iulia municipalis riproducesse il regime dei giudizi legittimi, ancorandoli ad altri referenti diversi dall’imperium103. Dopo queste riflessioni, Talamanca sposta i termini del problema, affrontando la questione di quale sia il significato di tali iudicia prima e dopo la legge Giulia, in altri termini di quale sia l’accezione pregnante di iudicium legitimum104. Prima di tale legge, i iudicia legitima sarebbero sì esistiti, ma avrebbero avuto un significato diverso dalla valenza solo processuale quale descritta da Gai. 4.103-104, che prevedeva per i giudizi legittimi la durata di diciotto mesi riferita sia a processi fondati su azione civile sia su azione pretoria105. Concen-
99 F. Bonifacio, Iudicium legitimum e iudicium imperio continens, in Studi in onore di V. Arangio-Ruiz, II, Napoli 1953, p. 213. 100 In tale senso F. Bonifacio, Iudicium, cit., p. 214. Cfr. P. Lotmar, Rec. a M. Wlassak II, cit., p. 171 e supra § V.3.2. 101 M. Talamanca, Il riordinamento, cit., pp. 248 ss. 102 M. Talamanca, Il riordinamento, cit., p. 249. 103 M. Talamanca, Il riordinamento, cit., p. 247 nt. 707. 104 M. Talamanca, Il riordinamento, cit., p. 249. 105 M. Talamanca, Il riordinamento, cit., p. 240. Cfr. in questa direzione già B. Schmidlin, Das Rekuperatorenverfahren. Eine Studie zum römischen Prozess, Freiburg 1963, p. 110.
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trandosi quindi sul diverso profilo del significato del termine legitimus in questo contesto, Talamanca ritiene di concordare sui dati enucleati da Wlassak, ma di qualificarli irrilevanti una volta che la questione sia correttamente impostata106. 5.2. Per quanto riguarda la litis contestatio nel processo criminale, gli studi sono stati molto meno intensi, ma la tesi di Wlassak non è mai stata sostanzialmente messa in discussione. Peraltro, è da rilevare che, nel suo commiato a Wlassak, Leopold Wenger si limita, pur senza risparmiarsi sulla grandezza dello studioso compianto nelle ricerche sul processo privato, a ricordare fugacemente il suo contributo penalistico e lo fa insieme alla replica di Lotmar107. Tornano specificamente sul tema dell’alterco tra due studiosi che hanno insegnato a Milano: Giovanni Pugliese e Arnaldo Biscardi. Nel suo contributo Pugliese tiene in grande considerazione l’ipotesi di Wlassak sull’inesistenza della litis contestatio nei iudicia publica108, ritenendola quella da condividersi «con ogni probabilità», ma lascia aperta la possibilità che i testi severiani non siano interpolati dai giustinianei e che sia esistita una litis contestatio nel processo pubblico senza che avesse, come nel processo privato, natura di accordo109. Anche Arnaldo Biscardi si occupa della questione e, pur senza approfondire le critiche elaborate da Lotmar a Wlassak, le considera molto poco convincenti110. Peraltro, la sua indagine porta a confermare quello che sosteneva Lotmar e cioè che il processo criminale abbia conosciuto una litis contestatio sicuramente in età severiana, ma in generale anche in età classica, la quale avrebbe fissato il rap M. Talamanca, Il riordinamento, cit., p. 249, in particolare nt. 713. Adesivi, in rapporto a tale opinione, sembrano essere gli studi successivi F. Bertoldi, La lex Iulia iudiciorum privatorum, Torino 2003. 107 L. Wenger, Moriz Wlassak, cit., p. XXXIV. 108 G. Pugliese, Processo privato e processo pubblico, in Rivista di diritto processuale, 3, 1948, pp. 3-49. 109 G. Pugliese, Processo, cit., pp. 15 s. 110 A. Biscardi, Sur la litis contestatio du procès criminel, in RIDA, 7, 1960, p. 309. 106
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porto giudiziario come irrevocabilmente costituito in tutti i suoi effetti111. Il risultato finale cui Biscardi perviene è quello di ritenere che i Romani vollero dare unità al fenomeno giudiziario e che questo disegno unitario possa addirittura costituire un modello per il diritto odierno, nella direzione di una procedura civile e penale che possano avvicinarsi l’una all’altra112. A livello manualistico, peraltro, la tesi di Wlassak pare del tutto dominante, giacché, nelle trattazioni sui iudicia publica, non si trova menzione dell’intervento di una litis contestatio o di un momento a essa analogo113. Da ultimo, ad occuparsi del tema è stato Tommaso Beggio, che, concentrando il suo recente contributo proprio sulla monografia penalistica del grande processualista, ha elogiato il valore dell’opera a distanza di cento anni, affermando in termini entusiastici: «Il fatto che quest’opera abbia ricevuto minore eco presso la dottrina romanistica, qualunque ne possa essere il motivo, rispetto ad altre
A. Biscardi, Sur la litis contestatio, cit., p. 359. Condivide la posizione di Biscardi, M. Bianchini, Le formalità costitutive del rapporto processuale nel sistema accusatorio romano, Milano 1964, p. 64, su cui si veda, in particolare, la recensione di W. Waldstein, in ZSS, 82, 1965, p. 436: l’autore evidenzia come, alla luce degli studi di G. Jahr (Litis contestatio. Streitbezeugung und Prozeßbegründung im Legisaktionen- und im Formularverfahren, Köln-Graz 1960), che superano la qualificazione wlassakiana della litis contestatio del processo privato come un contratto, l’ipotesi dell’ammissibilità di una litis contestatio nel processo criminale non risulti più così inverosimile: «Durch die damit eröffnete neue Sicht fallen viele Schwierigkeiten weg, die gegen die Annahme einer litis contestatio im Strafverfahren standen und für Wlassak noch unübersteigbar waren». Nel senso che l’espressione litis contestatio possa intendersi come perfezionamento dei sollemnia accusationis, cfr. C. Venturini, Accusatio adulterii e politica costantiniana (per un riesame di CTh. 9.7.2), in SDHI, 54, 1988, pp. 66 ss., ora (da cui si cita) in Studi di diritto delle persone e di vita sociale in Roma antica. Raccolta di scritti, a cura di A. Palma, Napoli 2014, p. 60 nt. 88 e F. Botta, Legittimazione, interesse ed incapacità all’accusa nei publica iudicia, Cagliari 1996, p. 206 e nt. 375 in cui l’autore mette in rilievo che il tema è «tra i più dibattuti e meno risolti della nostra materia». 112 A. Biscardi, Sur la litis contestatio, cit., p. 359. 113 Si vedano, per esempio, B. Santalucia, Diritto e processo penale nell’antica Roma, Milano 19982, pp. 76 s. e F. Botta, La repressione criminale, in Storia di Roma, a cura di A. Schiavone, Torino 2016, pp. 205-230. 111
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scritte da Wlassak non ne intacca minimamente il valore, che ad una lettura attenta risulta anzi notevole»114. A mio modo di vedere, una valutazione dell’opera, soprattutto con riferimento alla questione della litis contestatio, meriterebbe maggiore approfondimento. Inoltre – come visto115 – la qualificazione della posizione di Lotmar su Wlassak nettamente contrapposta a quella di Koschaker116 fraintende nella sostanza i contenuti del contributo di quest’ultimo, che riporta sì le critiche di Lotmar, ma non manca di esprimere anche un apprezzamento al riguardo.
6. Conclusioni Per tre volte Lotmar si occupò delle ricerche di Wlassak, esprimendo sì le sue critiche, ma non senza fare emergere stima e apprezzamento per la ricerca svolta. Agli spunti critici di Lotmar sull’origine del processo formulare Wlassak non rispose. Sul processo criminale – erano nel frattempo trascorsi più di vent’anni – Wlassak decise invece di replicare e lo fece con tono risoluto e polemico. La storiografia successiva non ha mai dubitato – pur non avendolo sempre apertamente esplicitato – che ad averla spuntata, nella disputa sul processo criminale, sia stato Wlassak, ricordandolo come il più grande studioso di processo della romanistica di tutti i tempi117. Anche in vita il successo accademico di Wlassak non favorì certo la discussione sul tema alla luce delle critiche di Lotmar che non ebbero di fatto eco. Dopo Lotmar nessuno si è cimentato con eguale intensità con la critica all’idea di Wlassak e quindi con l’interrogativo dell’esistenza o meno, nel processo criminale, di un momento paragonabile alla
T. Beggio, A obra centenária, cit. Cfr. supra § V.4.1. 116 T. Beggio, A obra centenária, cit., pp. 17-38. 117 Si veda, da ultimo, T. Beggio, A obra centenária, cit., in particolare p. 35. 114 115
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litis contestatio del processo privato, benché il problema ancora aperto – a maggior ragione dopo la cessazione della temperie interpolazionistica – lo meriti.
Scritti romanistici di Philipp Lotmar* 1
1874 −− Rec. a G.M. von Kujawa, Tabellen zur Rechtsgeschichte, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 16, 1874, pp. 419-421. 1875 −− Rec. a T. Loewenfeld, Actio de in rem verso, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 17, 1875, pp. 550-555. −− Über causa im römischen Recht. Beitrag zur Lehre von den Rechtsgeschäften (Diss. iur.), München 1875, pp. VIII-179. 1876 −− Zur legis actio sacramento in rem, München 1876, pp. VI-145. 1878 −− Kritische Studien in Sachen der Contravindication (Habilitationsschrift), München 1878, pp. IV-181.
* Per un elenco completo di tutti gli scritti e quindi anche di quelli non romanistici, si veda P. Lotmar, La giustizia e altri scritti, a cura di I. Fargnoli-L. Nogler, Milano 2020, pp. 337 ss.; un’accurata raccolta delle pubblicazioni è già in J. Rückert, Schriftenverzeichnis Lotmar, in P. Lotmar, Schriften zu Arbeitsrecht, Zivilrecht und Rechtsphilosophie, a cura di J. Rückert, Frankfurt am Main 1992, pp. LXXIX-LXXXIII.
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SCRITTI ROMANISTICI DI PHILIPP LOTMAR
1881 −− Rec. a L.A. von Arnesberg, Lehrbuch der Pandekten, X ed., in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 23, 1881, pp. 194-196. 1883 −− Rec. a R. Leonhard, Der Irrthum bei nichtigen Verträgen nach römischem Rechte. I. Die dem Einflusse des Irrthums ausgesetzten Bestandtheile des Vertrages, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 25, 1883, pp. 368-431. 1884 −− Rec. a R. Leonhard, Der Irrthum bei nichtigen Verträgen nach römischem Rechte. II. Die Ausführung der Lehre, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 26, 1884, pp. 220-277. 1885 −− Rec. a J. Baron, Geschichte des römischen Rechts I, in Göttingische Gelehrte Anzeigen, 13/14, 1885, pp. 580-584. −− Rec. a K.J. Seitz, Grundlagen einer Geschichte der römischen possessio, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 29, 11.07.1885, coll. 971-973. −− Rec. a F. Kahn, Römisches Frauen-Erbrecht, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 29, 11.07.1885, coll. 973 s. −− Rec. a F. Hofmann, Kritische Studien im römischen Rechte, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 40, 26.09.1885, coll. 1385-1387. −− Rec. a L. Pninski, Der Thatbestand des Sachbesitzerwerbs nach gem. Recht I, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 41, 03.10.1885, coll. 1419-1421. −− Rec. a V. Puntschart, Die fundamentalen Rechtsverhältnisse des röm. Privatrechts, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 49, 28.11.1885, coll. 1673-1675.
SCRITTI ROMANISTICI DI PHILIPP LOTMAR
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1886 −− Rec. a E. Strohal, Succession in den Besitz nach römischem und heutigem Recht, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 14, 27.03.1886, coll. 468 s. −− Rec. a J. Voigt, Vom Besitz des Sequesters nach dem römischen Recht zur Zeit der classischen Jurisprudenz, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 24, 05.06.1886, coll. 829 s. −− Rec. a A. Langfeld, Die Lehre vom Retentionsrecht nach gemeinem Recht, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 35, 21.08.1886, coll. 1199 s. −− Rec. a E. Danz, Die Forderungsüberweisung, Schuldüberweisung und die Verträge zu Gunsten Dritter nach gemeinem Recht, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 44, 23.10.1886, coll. 1528-1530. −− Rec. a O.E. Hartmann, Der Ordo Judiciorum und die Judicia extraordinaria der Römer I: Über die römische Gerichtsverfassung, parte 2, completato ed edito da A. Ubbelohde, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 28, 1886, pp. 313-341. 1887 −− Rec. a A. Scheurl, Zur Lehre vom römischen Besitzrecht, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 7, 12.02.1887, coll. 212 s. −− Rec. a J.E. Kuntze, Die Obligationen im römischen und heutigen Recht und das Ius extraordinarium der römischen Kaiserzeit. Zwei Abhandlungen, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 21, 21.05.1887, coll. 712-714. −− Rec. a C.G. Bruns, Fontes iuris romani antiqui, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 38, 17.09.1887, coll. 1305 s. −− Rec. a M. Voigt, Über die staatsrechtliche possessio und den ager compascurus der römischen Republik, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 48, 26.11.1887, coll. 1626 s.
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−− Rec. a O. Gradenwitz, Die Ungültigkeit obligatorischer Rechtsgeschäfte, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 45, 05.11.1887, coll. 1531 s. −− Über ‘Plus est in re, quam in existimatione’ und ‘Plus est in opinione, quam in veritate’, in Festgabe zum Doctor-Jubiläum des Herrn Geheimen Raths und Professors Dr. Johann Julius Wilhelm von Planck in München, München 1887, pp. 57-115. 1888 −− Rec. a F. Endemann, Über die civilrechtliche Wirkung der Verbotsgesetze nach gemeinem Rechte, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 38, 15.09.1888, coll. 1309 s. −− Rec. a E. Hruza, Über das lege agere pro tutela, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 30, 1888, pp. 183-188. −− Rec. a T. Engelmann, Die custodiae praestatio nach römischem Recht, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 4, 21.01.1888, coll. 117 s. −− Rec. a O. Gradenwitz, Interpolationen in den Pandekten, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 29, 14.07.1888, coll. 979-981. −− Rec. a K. von Czyhlarz, Die Eigentumserwerbsarten des Pandektentitels de adquirendo rerum dominio, 41, 1, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 35, 25.08.1888, coll. 1192 s. 1889-1894 −− Curatela e integrazione di A. von Brinz, Lehrbuch der Pandekten, III e IV, II ed., Erlangen 1889/1892/1894. 1889 −− Rec. a L. Enneccerus, Rechtsgeschäft, Bedingung und Anfangstermin I, in Literarisches Centralblatt für Deutschland, 2, 05.01.1889, coll. 55 s.
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−− Rec. a M. Wlassak, Römische Prozeßgesetze I, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 31, 1889, pp. 481-489. −− Curatela e integrazione di A. von Brinz, Lehrbuch der Pandekten, III, II parte: Die Familienrechte und die Vormundschaften, II ed., Erlangen/Leipzig 1889, pp. XIV-587-896. 1890 −− Rec. a O. Wendt, Lehrbuch der Pandekten, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 32, 1890, pp. 517-530. 1892-1894 −− Curatela e integrazione di A. von Brinz, Lehrbuch der Pandekten, IV: Die Handlungen, II ed., Erlangen/Leipzig 1892/1894, pp. VI-549. 1892 −− Rec. a H. Pflüger, Die sogenannten Besitzklagen des römischen Rechts, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 34, 1892, pp. 35-45. 1893 −− Rec. a M. Wlassak, Römische Prozeßgesetze II, in Kritische Vierteljahresschrift für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 35, 1893, pp. 161-175. 1894 −− Die Verteilung der Dosfrüchte nach Auflösung der Ehe, in Jherings Jahrbuch für die Dogmatik des bürgerlichen Rechts, 33, 1894, pp. 225-298. 1896 −− Der unmoralische Vertrag, insbesondere nach gemeinem Recht, Leipzig 1896, pp. X-198. 1910 −− Zur Geschichte des interdictum quod legatorum, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte/Romanistische Abteilung, 31, 1910, pp. 89-158
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1912 −− Lex Julia de adulteriis und incestum, in Mélanges P.F. Girard. Etudes de droit romain, II, Paris 1912, pp. 119-143. −− Marc Aurels Erlass über die Freilassungsauflage, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte/Romanistische Abteilung, 33, 1912, pp. 304-382. 1918 −− Die Litiskontestation im römischen Akkusationsprozess, in Schweizerische Zeitschrift für Strafrecht, 31, 1918, pp. 249279. 2019 −− Das römische Recht vom Error, edizione postuma con introduzione e a cura di I. Fargnoli, Frankfurt am Main 2019, pp. XXXII-1123.
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Quaderni dell’Archivio Giuridico Sassarese | 2 Collana diretta da Giovanni Maria Uda
Philipp Lotmar (1850-1922) definiva nel 1896 il diritto romano «gemeinsame geistige Heimat aller Rechstgelehrte», nella convinzione che l’esperienza giuridica romana rappresenti il fondamento imprescindibile di ogni branca del diritto e costituisca la chiave di lettura e di comprensione dei problemi giuridici. Di lì a poco Lotmar tradusse nei fatti questa sua convinzione, mettendo le sue competenze romanistiche a pietra d’angolo dell’architettura del diritto del lavoro, di cui è considerato uno dei padri fondatori in Europa. Il volume concentra in un’unica sede contributi in lingua italiana sulle sue ricerche romanistiche, mirando a testimoniare, oltre al suo faticoso percorso accademico e scientifico, la latitudine di interessi che lo portò ad affrontare – sempre con grande serietà e rigore scientifico – i temi più diversi della disciplina.
Con saggi di: Iole Fargnoli (Università degli Studi di MilanoUniversität Bern), Urs Fasel (Université Fribourg), Sabrina Lo Iacono (Università degli Studi di Milano).
€ 8,00
ISBN ebook 9788855292924