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Italian Pages 376 Year 2010
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43.
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Gianfranco Casadio Gli ultimi avventurieri. Il film storico nel cinema italiano (1931-2001) Dal Medioevo al Risorgimento
Musica, cinema, immagine, teatro Collana diretta da Gianfranco Casadio
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I volumi di Gianfranco Casadio sulla storia del cinema pubblicati in questa collana
1. Il grigio e il nero. Spettacolo e propaganda nel cinema italiano degli anni Trenta (19311943), Ravenna 1989 2. Adultere fedifraghe innocenti. La donna del “neorealismo popolare” nel cinema italiano degli anni Cinquanta, Ravenna 1990 3. Telefoni bianchi. Realtà e finzione nella società nel cinema italiano degli anni Quaranta (in collaborazione con Ernesto G. Laura e Filippo Cristiano), Ravenna 1991 4. Opera e cinema. La musica lirica nel cinema italiano dall’avvento del sonoro ad oggi, Ravenna 1995 5. La guerra al cinema. I film di guerra nel cinema italiano dal 1944 al 1996, Vol. 1° - Dal Risorgimento all seconda guerra mondiale, Ravenna1997 6. La guerra al cinema. I film di guerra nel cinema italiano dal 1944 al 1996, Vol. 2° - Dalla seconda guerra mondiale alla Resistenza, Ravenna 1998 7. Col cuore in gola. Assassini, ladri e poliziotti nel cinema italiano dal 1930 ad oggi, Ravenna 2002 8. Se sei vivo spara! Storie di pistoleri, banditi e bounty killers nel western “all’italiana” (1942-1998), Ravenna 2004 9. I mitici eroi. Il cinema “peplum” nel cinema italiano dall’avvento del sonoro ad oggi (1930-1993), Ravenna 2007 10. Gli ultimi avventurieri. Il film storico nel cinema italiano (1931-2001). Dal Medioevo al Risorgimento, Ravenna 2010
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Gianfranco Casadio
GLI ULTIMI AVVENTURIERI Il film storico nel cinema italiano (1931-2001) Dal Medioevo al Risorgimento
LONGO EDITORE RAVENNA
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Questo volume, pubblicato con il patrocinio del Sindacato Nazionale dei Critici Cinematografici Italiani – Sezione Emilia Romagna-Marche, è nato come completamento dell’indagine sul cinema italiano di genere iniziata ventun anni fa con il volume Il grigio e il nero, è l’ultimo della serie e rappresenta anche il secondo dei cinque volumi dedicati al cinema storico (gli altri sono – non in ordine di uscita – I mitici eroi, La guerra al cinema vol. I, Il grigio e il nero e La guerra al cinema vol. II). Un ringraziamento particolare va a Maurizio Baroni di Castelfranco Emilia che per molti volumi della collana ha messo a disposizione il prezioso materiale della sua collezione di fotobuste da cui si è attinto per la maggior parte delle illustrazioni e tutti coloro che, con il loro contributo economico, sia per i precedenti che per il presente volume, ne hanno permesso la pubblicazione.
ISBN 978-88-8063-667-0 © Copyright 2010 A. Longo Editore snc Via P. Costa, 33 – 48121 Ravenna Tel. 0544.217026 – Fax 0544.217554 e-mail: [email protected] www.longo-editore.it All rights reserved Printed in Italy
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Premessa
Con questo volume si chiude un lavoro e una ricerca iniziati ventuno anni fa con il volume Il grigio e il nero sul cinema italiano del ventennio fascista cui sono seguiti altri nove volumi. Il tentativo di raccogliere in una collana la storia del cinema italiano per generi finisce qui anche se molto ci sarebbe ancora da scrivere, purtroppo ci vorrebbero almeno dieci anni di meno di età per poter proseguire nell’impresa. È pur vero che i generi rimasti scoperti sono ben rappresentati da pubblicazioni apparse sia prima che nel ventennio in cui ci siamo occupati di questa nostra storia. Ci si riferisce, per esempio, alla miriade di libri scritti, con criteri assimilabili ai nostri, sul Neorealismo; due per tutti: il quaderno della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia del 1951 realizzato con il contributo di Antonio Petrucci, Gian Luigi Rondi, Ermanno Contini, Gaetano Carancini e Mario Verdone e quello di Alberto Farassino curato in occasione del 7° Festival Internazionale del Cinema Giovani del 19891. Un altro genere sufficientemente sviluppato è quello riferito alla “commedia all’italiana”. Anche qui due testi importanti: uno di Enrico Giacovelli e, meglio ancora, i due volumi curati da Pietro Pintus e Riccardo Napolitano, questi ultimi comprendenti anche il genere comico che fa parte della famiglia della commedia2. Il film musicale, da noi affrontato con Opera e cinema, riguardava principalmente il film operistico, però il genere musicale non è rimasto scoperto dal lato canzonettistico o del film rivista; infatti la lacuna è stata coperta da Renato Venturelli che si è occupato di elencare e analizzare i cosiddetti “musicarelli”3 e da Simone Arcagni che invece ha analizzato anche il musical e il film-rivista4.
1 Il neorealismo italiano, Venezia, Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, 1951; Alberto Farassino (a cura di), Neorealismo. Cinema italiano 1945-1949, Torino, EDT, 1989. 2 Enrico Giacovelli, La commedia all’italiana. La storia, i luoghi, gli autori, gli attori, i film, Roma, Gremese Editore, 1990; Pietro Pintus, Commedia all’italiana. Parlano i protagonisti, Roma, Gangemi Editore, 1985; Riccardo Napolitano, Commedia all’italiana. Angolazioni controcampi, Roma, Gangemi Editore, 1986. 3 Renato Venturelli, (a cura di), Nessuno ci può giudicare. Il lungo viaggio del cinema musicale italiano 1930/1980, Roma, Farenheit 451, 1998. 4 Simone Arcagni, Dopo Carosello. Il musical cinematografico italiano, Alessandria, Edizioni Falsopiano, 2006.
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Premessa
Non va dimenticato, a completamento di questo breve excursus sul non fatto, che restano purtroppo scoperti – sempre secondo l’approccio di questa collana, poiché testi su questi generi ce ne sono moltissimi – il film drammatico, melodrammatico e il film di mafia, solo succintamente indicati ed elencati in Adultere, fedifraghe e innocenti e in Col cuore in gola, generi che invece andavano affrontati con pubblicazioni autonome. Come pure i generi horror e fantascientifico che hanno riempito le sale italiane dagli anni ’60 agli anni ’80. Fortunatamente ci hanno pensato Antonio Tentori e Luigi Cozzi con i loro ponderosi libri pubblicati dalle edizioni di Profondo Rosso di Roma5. È sperabile che il tutto non muoia qui e che altri, più giovani di chi scrive, siano interessati a colmare le lacune segnalate e che l’editore abbia la voglia e l’interesse per proseguire in questa opera. È comunque importante essere riusciti a completare in forma assai esaustiva, il discorso sulla storia nel cinema con i cinque volumi: I mitici eroi che affronta, oltre al film mitologico, il film storico dall’antico Egitto alla mitica Grecia, dall’Impero di Roma e Bisanzio alle invasioni barbariche; Gli ultimi avventurieri che copre il periodo che va dal Medioevo al Rinascimento, da Napoleone alla restaurazione monarchica e ai moti insurrezionali degli stati preunitari; il primo volume de La guerra al cinema che va dal Risorgimento alla Prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo; Il grigio e il nero che affronta il ventennio fascista e il secondo volume de La guerra al cinema che va dalla Resistenza alla guerra in Vietnam. Quattromila anni di storia, raccolti in 1166 film. Nella premessa de Il grigio e il nero, a proposito di questi film, scrivevamo: «Il film storico ha un posto di primo piano nel “cinema fascista”, anche se grande era la confusione, fra i critici di allora, tra cinema storico e cinema in costume. Ne è un esempio il fatto che film del genere “veneziano” – cosiddetti perché ambientati nella Venezia dei Dogi –, come Il Cavaliere di San Marco (1939) di Gennaro Righelli, Il ponte dei Sospiri (1940) di Mario Bonnard, Il bravo di Venezia (1941) di Carlo Campogalliani, I due Foscari (1942) di Enrico Fulchignoni; oppure film come Un’avventura di Salvator Rosa (1940) di Alessandro Blasetti, Beatrice Cenci (1941) di Guido Brignone, La cena delle beffe (1941) sempre di Blasetti, Giuliano de’ Medici (1941) di Ladislao Vajda, Lucrezia Borgia (1942) di Hans Hinrich, solo per citarne alcuni, altro non erano che film in costume e non storici, in quanto tratti da soggetti di fantasia o in cui la storia era usata solo come pretesto per evadere da una realtà quotidiana. Si tratta infatti di un cinema avventuroso più che storico e può benissimo essere affiancato alla serie salgariana de Il Corsaro nero (1936) di Amleto Palermi, I pirati della Malesia (1941) di Enrico Guazzoni, Capitan Tempesta e Il Leone di Damasco (1942) di Corrado D’Errico, ecc.»6. Non molto dissimile dal nostro giudizio è quello di Francesco Savio che, a proposito di questi film realizzati durante il fascismo, scriveva: «Col ’39, e fino al ’43,
5 Antonio Tentori, Luigi Cozzi, Guida al cinema gotico italiano: Horror made in Italy, Roma, Profondo Rosso, 2007; Luigi Cozzi, Space men. Il cinema italiano di fantascienza, Roma, Profondo Rosso, 2007. 6 Gianfranco Casadio, Il grigio e il nero. Spettacolo e propaganda nel cinema italiano degli anni Trenta (1931-1943), Ravenna, Longo, 1989, pp. 7-8.
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Premessa
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si assiste alla resistibile espansione del cinema in costume (che è cosa un po’ diversa dal film storico […]): romanzi come I promessi sposi, Manon Lescaut, Addio amore, Resurrezione, Storia di una capinera, e, sul versante popolare, Il fornaretto di Venezia e Il ponte dei sospiri; drammi come Il re si diverte, Tosca, Kean, I mariti, Fedora, Tristi amori, Jeanne Doré, Don Cesare di Bazan, La cena delle beffe (che bel film); personaggi fra storia e leggenda come il Marco Visconti di Tommaso Grossi, Beatrice Cenci, Pia de’ Tolomei, Lucrezia Borgia, Luisa Sanfelice, Fra Diavolo: e 1’elenco potrebbe voltar pagina. Se i film bianchi [l’autore si riferisce alle commedie dei cosiddetti “telefoni bianchi”] partono per la tangente di una glabra irrealtà contemparanea, questi cercano lo spazio di manovra nelle zone franche del passato, e intanto, in forza della loro accuratezza, aspirano a colmare il grande vuoto aperto, sul nostro mercato, dalla rarefazione e, presto, dalla scomparsa del cinema statunitense, conseguente al rifiuto americano di sottostare all’incauto Decreto Legge del 4 settembre 1938 (“Istituzione del Monopolio per 1’acquisto, 1’importazione e la distribuzione in Italia, Possedimenti e Colonie dei filmi cinematografici provenienti dall’estero”). Ove la si confronti al gran successo della produzione bianca, quella in costume ebbe minor fortuna: ma sarebbe ingiusto disconoscere che, in certi film Scalera, non si respirasse un’aria hollywoodiana, almeno sotto il profilo di una incoraggiante falsità. Altro suo merito, questo non piccolo, fu di addestrare tecnici e maestranze alla familiarità con il costume d’epoca, e così pure con le architetture, gli arredi e i fabbisogni; propiziando, per vie esterne si capisce, la beata esplosione formalistica»7. Naturalmente la regola non vale solo ed esclusivamente per i film degli anni Trenta e Quaranta a cui le citazioni sopra riportate facevano riferimento, ma anche per i decenni successivi in cui questo genere cinematografico ha trovato spazio nelle produzioni nazionali e visibilità sugli schermi cinematografici. I film che seguono, come nel caso de I mitici eroi, non è che eccellano per la preziosità dei loro contenuti, la recitazione degli attori o la bravura dei registi, anzi, nella maggior parte dei giudizi coevi sulle riviste specializzate o sui quotidiani o settimanali a tiratura nazionale, questi film vengono spesso ignorati. Pertanto, come purtroppo è già accaduto in precedenti volumi, ci si è dovuti rifugiare nei giudizi, del tutto insignificanti, del Centro Cattolico Cinematografico apparsi sulle schede delle Segnalazioni Cinematografiche indirizzate ai cinema di parrocchia. I film storici (o pseudo tali) analizzati sono complessivamente 386, suddivisi in nove gruppi che corrispondono ad altrettanti capitoli: «Le dame, i cavalieri, l’arme e gli amori» (48), «Eroi di mille avventure» (87) «Vittime e eroine» (28), «Il diavolo e l’acqua santa» (29), «Avventure orientali» (20), «I figli del Nord e della steppa» (30), «Gli ultimi avventurieri» (26), «Da Napoleone alla breccia di Porta Pia» (22), «Amori e avventure tra romanzo, parodia ed erotismo» (95), comprendenti tutti i film erotico-medievali, i cosiddetti “decamerotici”. Come per gli ultimi due volumi pubblicati, per i film erotici ci si è limitati alla citazione dei titoli, del nome del regista, dei due o tre attori principali e a un bre7 Francesco Savio, Ma l’amore no. Realismo, formalismo, propaganda e telefoni bianchi nel cinema italiano di regime (1930-1943), Milano, Sonzogno, 1975, p.IX.
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Premessa
vissimo accenno alla trama del film, in quanto in molti casi sono di interesse talmente scarso – eccezion fatta per alcuni film d’autore come quelli di Pier Paolo Pasolini (Il Decameron, I racconti di Canterbury) Luigi Comencini (Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova veneziano), Carmelo Bene (Don Giovanni), Federico Fellini (Casanova di Federico Fellini) – da fare apparire, quelli dei gruppi precedenti, dei capolavori. Come è ormai consuetudine della collana, ad ogni capitolo seguono la filmografia critica dei film con i Cast & Credit, la trama, la critica coeva, mentre in calce al libro sono riportati la bibliografia e l’indice dei film. Le illustrazioni sono tratte da fotobuste provenienti dalla collezione di Maurizio Baroni di Castelfranco Emilia, dalla collezione dell’autore e dalle collezioni di alcuni amici, mentre le foto sono state ricavate, elettronicamente, da fotogrammi dei film esaminati. Gianfranco Casadio
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I.
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LE DAME, I CAVALIER, L’ARME E GLI AMORI
1. Signorotti e tiranni Quello che salta immediatamente agli occhi, inutile dirlo, è che i cinematografari (si intendono con questa parola, per alcuni offensiva, non solo i registi, ma i produttori, i soggettisti e gli sceneggiatori) avevano una sola visione e un’idea in testa di chi doveva essere un “signorotto e un tiranno”: i Borgia, fratello e sorella. Poi seguivano a ruota i Medici, ma staccati di varie lunghezze. Infatti su diciannove film con questo tema, ben dieci sono dedicati ai Borgia, sei ai Medici, uno ai Visconti, uno a Berengario e uno ai Chiaramontesi e Malaspini, questi ultimi però nati solo dalla fantasia di Sem Benelli. Ma chi erano i Borgia? I Borja, di origine spagnola, si trasferirono in Italia verso la metà del XV secolo, ma chi ci interessa veramente sono: Rodrigo, poi divenuto Papa Alessandro VI, e i suoi figli. Giovanni, Duca di Candia e di Benevento che morì assassinato (e pare che la gelosia del fratello Cesare non fosse estranea alla sua morte); Cesare, Duca di Valentinois (da cui il nome di Valentino), quindi Signore delle Romagne, dell’Umbria e delle Marche a scapito dei signorotti locali da lui sconfitti in battaglia; Lucrezia, Contessa di Pesaro, Duchessa di Bisceglie e di Ferrara e, ultimo, Jofré, Principe di Squillace. I soggettisti e sceneggiatori dei film che esamineremo si sono interessati solo di Cesare e di Lucrezia presentandoli come viscidi e subdoli assassini sempre pronti ad uccidere per il proprio piacere. Non fu così. Cesare Borgia fu sicuramente un uomo spregiudicato e crudele, ma fu semplicemente un uomo del Rinascimento che seppe condensare virtù e difetti della sua epoca. È vero che le sue imprese furono agevolate dal pontificato del padre Alessandro VI, ma è altrettanto vero che l’ambizioso progetto di costruirsi uno stato proprio che abbracciasse la gran parte d’Italia, a scapito delle Signorie dell’Italia centrale, fu tutto suo dimostrando abilità nelle armi e nella politica. Alla morte del padre fuggì da Roma in rivolta contro i Borgia e si rifugiò in Navarra dove morì in battaglia nel 1507 a soli trentadue anni. Lucrezia, l’avvelenatrice, la divoratrice d’uomini, l’ape regina, così illustrataci da questi film, era una bellissima donna, colta, amante delle arti, fedele al marito Alfonso d’Este che amò e rispettò per tutta la vita (era stata sposata altre due volte, ma tutte e due le volte per ragioni politiche: la prima a dodici anni con Giovanni Sforza, matrimonio poi annullato dal padre per farla sposare, diciottenne, con un Aragonese: il Duca di Bisceglie. Matrimonio avversato da Cesare che lo fece an-
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Capitolo primo
nullare a modo suo, cioè facendo uccidere il cognato). Morì anch’essa assai giovane – non aveva ancora compiuto trentanove anni – e se sono giunte fino a noi un’infinità di accuse e leggende infamanti sul suo conto, queste furono dovute solo alla crudeltà e alla dissolutezza del fratello e del padre. Il primo film della serie è Lucrezia Borgia di Hans Hinrich del 1940. Sicuramente è l’unico film in cui Lucrezia, qui nel film alla corte del Duca d’Este suo marito, ci viene presentata come una donna virtuosa e, a causa della sua bellezza, continuamente insidiata da numerosi spasimanti, cosa che suscita la gelosia del marito, ma anche se ci scappa il morto – lo sventurato spasimante Alessandro Strozzi – questo non è per opera della nostra Lucrezia. Anche se un po’ statico e teatrale il film non è certo dei peggiori, con una brava Isa Pola nei panni della Duchessa e di Friedrich Benfer in quelli di Alessandro Strozzi. Ma si tratta di una mosca bianca nel panorama borgiano. Con La congiura dei Borgia di Antonio Racioppi del 1958, vediamo entrambi i fratelli uniti per vendicarsi di alcuni nobilastri che si erano ribellati e tramavano ai danni del Valentino. Nonostante il titolo roboante che crea l’aspettativa di morti, pugnali insanguinati, calici di vino debordanti veleno e strangolamenti vari, il film appare più una commedia degli equivoci che un dramma a fosche tinte. In quanto a recitazione è meglio sorvolare. Due film del 1959: il primo di Giuseppe M. Scotese è La notte del grande assalto che pasticcia attorno alla storia di due fratelli i Conti Fabio e Isabella (non meglio identificati) proprietari di un castello che fa gola ai Borgia. Il grande assalto del titolo è quello di Marco Sforza che tenta di scacciare “la sanguinaria famiglia” dal castello, riconquistarlo e sposare la bella Isabella. Il secondo film ha ancora per tema la notte (forse perché la notte si presta bene ai misfatti) ed è Le notti di Lucrezia Borgia di Sergio Grieco, dove alla poveretta viene affidata la parte della vorace amante di un giovin nobile povero che per risolvere la situazione è costretto ad andare a letto con la famelica duchessa, ma capito che sta dalla parte sbagliata quando conosce una pulzella avversa ai Borgia, si batte contro di loro e impalma la fanciulla. Una frastornato Jacques Sernas, conteso fra Belinda Lee e Michèle Mercier, e un poco convincente Franco Fabrizi nei panni di Cesare Borgia, contribuiscono a tenere in piedi l’avventura. Avventura che continua nel 1963 con il film di Pino Mercanti, Il Duca nero. Un film di cappa e spada, ambientato in Romagna e girato nel Castello di San Leo che funge da Rocca di Forlì difesa da Caterina Sforza. Il film contiene di tutto: intrigo, tradimenti, avvelenamenti, duelli, mistero e, se così si può definire, anche un lieto fine. Tutto sommato per il pubblico degli spettacoli domenicali delle 14,30 deve essere stato uno spettacolo divertentissimo con tanto di ragazzini esaltati dai duelli magistralmente diretti da Franco Fantasia, ma per il resto, nonostante gli sforzi di Cameron Mitchell e Conrado Sanmartin, certamente no. Fa seguito nel 1966 il film di Sergio Corbucci L’uomo che ride, un film che, prendendo spunto dall’omonimo dramma di Victor Hugo, ne stravolge i contenuti, trasporta il nostro personaggio in un’altra terra e in un’altra epoca e lo fa capitare in mezzo ai Borgia. Il povero Jean Sorel, nella parte di Bello, lo sfregiato costretto a portare la maschera per non mostrare l’orribile ferita che lo ha privato di mezza faccia, si fa convincere da Cesare Borgia a farsi la plastica facciale per diventare il
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Le dame, i cavalier, l’arme e gli amori
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sosia perfetto di Astorre Manfredi per poi ucciderlo e sostituirlo. Ma il piano fallisce e il Bello si schiera dalla parte del Principe Manfredi. Film invedibile. Torna di nuovo sugli schermi nel 1968, per opera di Osvaldo Civirani, Lucrezia. Anche in questa pellicola l’immagine di Lucrezia è quella tradizionale della donna malvagia, scostumata e perversa. A nulla vale la presenza di una bella e brava attrice come Olinka Berova e di Lou Castel nella parte dei due infami fratelli; il film resta un inutile spreco di denaro da parte della produzione e, nonostante i tentativi di riabilitare alcuni generi da parte di certa critica, era ed è un brutto film. Diversi anni dopo André Colbert, alias Luciano Ercoli, per la precisione nel 1974, realizza Lucrezia giovane, dove Ercoli che è pure soggettista e sceneggiatore, dimostra di avere letto la storia familiare dei Borgia, tanto è vero che nel film figura il matrimonio di Lucrezia con Giovanni Sforza e lo scioglimento dello stesso per un’impotenza coeundi inventata da Papa Alessandro VI. Vi è pure l’uccisione del fratello Giovanni, Duca di Candia, per opera di Cesare che ne era geloso perché innamorato della sorella (la teoria dell’incesto di Cesare nei confronti della sorella, e nel film pare anche di Giovanni, è tutta da dimostrare). Che poi la guerra contro Caterina Sforza sia causata dalla voglia di far dimenticare ai potenti dell’epoca l’uccisione del proprio fratello è una pure invenzione. Come è un’invenzione che Lucrezia fosse incinta di tal Pierotto, luogotenente di Cesare, ma è pur vero che Alfonso d’Aragona fu fatto uccidere da Cesare che, in più, uccide anche Pierotto. Nella realtà i tempi non coincidono: la guerra contro Caterina Sforza iniziò nel 1501 mentre Giovanni fu ucciso nel 1503 e Alfonso d’Aragona fu ucciso nel 1500 mentre Caterina era incinta di suo marito e non di Pierotto, pura invenzione cinematografica. Tutto sommato il solito pasticciaccio. Ultimo film della serie è stato Le notti segrete di Lucrezia Borgia che Roberto Bianchi Montero ha girato nel 1982. Che si sentisse la necessità di questo film è tutto da vedere. Indeciso se fare un film sui quattro moschettieri o su Zorro, Montero ha optato per i Borgia mettendo al centro della vicenda Lucrezia. Film inutile, visto da pochi, ritirato quasi subito dalle sale per la magrezza degli incassi, definito “insipido filmaccio” da Mario Calderale su «Segnocinema», non si capisce perché sia stato riproposto due anni dopo. Abbiamo tenuto per ultimo il film di Guido Brignone La maschera di Cesare Borgia anche se fu realizzato nel 1941. Perché? Semplice, perché con questo film si naviga totalmente nell’assurdo. È vero che anche L’uomo che ride in quanto ad assurdità non scherza (vedi l’intervento chirurgico di plastica facciale), però il “temibile” Valentino afflitto da una misteriosa malattia che appare ad intermittenza colpendo faccia e mani è una trovata decisamente balorda. Ma veniamo ai film sui Medici. Prima però di passare ad analizzarli è bene fare un piccolo cenno sulla famiglia medicea riguardante il periodo preso in esame dai film. Lo spaccato di vita fiorentina riguarda cinque membri della famiglia: Lorenzo, detto il Magnifico, vissuto dal 1449 al 1492, il fratello Giuliano, nato nel 1453 e assassinato nel 1478 – vittima della congiura dei Pazzi, nobile famiglia fiorentina avversa ai Medici, ordita con la complicità del Cardinale Salvati e con la benedizione di Papa Sisto IV, in cui rimase ferito anche il Magnifico –; Alessandro Duca di Urbino, nipote di Lorenzo, nominato Duca di Firenze da Carlo V. Nato nel 1510 governò tirannicamente e fu assassinato da un sicario agli ordini del cugino Loren-
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Capitolo primo
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zino (o Lorenzaccio) nel 1537; Lorenzino cugino di Alessandro, nato nel 1514 e assassinato a sua volta a Venezia nel 1547 da un sicario di Cosimo, successore di Alessandro e figlio di Giovanni dalle Bande Nere. Una bella famiglia non c’è che dire! Nel 1935 Guido Brignone realizza il primo film sulla famiglia fiorentina, Leorenzino de’ Medici. Il film racconta la storia del piano tramato da Lorenzino ai danni del cugino Alessandro, dissoluto e tiranno, non tanto spinto da amor patrio (come in realtà fu), ma per interessi personali: come amante offeso. Alessandro viene ucciso da un soldato, la cui fidanzata era stata sedotta dal Duca, inviato da Lorenzino e qualche anno dopo anche Lorenzino, che dopo l’uccisione del cugino si era rifugiato a Venezia, seguirà la sua sorte. Buona l’interpretazione da parte degli attori anche se le impersonificazioni di Alessandro e di Lorenzino, che all’epoca dei fatti avevano rispettivamente 27 e 23 anni, sono svolte da Camillo Pilotto e Alessandro Moissi che, anche quando avevano 15 anni, ne dimostravano 40. Nel 1941 l’ungherese Laszlo Vajda gira Giuliano de’ Medici che tenta di raccontare “la congiura dei Pazzi” titolo col quale era uscito nelle sale prima che Mussolini lo facesse ritirare per “lesa maestà”, cioè per avere criticato troppo le dittature. Ritirato dalla produzione, ridoppiato ed emendato di alcune scene decisamente antididattoriali, il film ritornò in sala ma, svuotato di ogni contenuto drammatico, si rivelò uno sterile melodramma nonostante l’impegno di attori come Juan De Landa, Osvaldo Valenti e Carlo Tamberlani. Luigi Zampa nel 1943, realizza L’abito nero da sposa che, per via della guerra, terminerà solo nel 1945. Ancora una volta la vittima è Giuliano de’ Medici che viene incolpato di un delitto che non ha commesso e che stava per rimetterci la testa se non fosse intervenuto con astuzia il fratello Cardinale Giovanni. La vicenda si svolge a Roma molto prima della “congiura dei Pazzi” e l’autore del delitto, e dell’intrigo ai danni di Giovanni, è Andrea Strozzi interpretato da un poco convinto Carlo Tamberlani. Con il quarto ed ultimo film della serie si ritorna a Lorenzino. Sono passati dieci anni dal film di Brignone e nel 1951 Raffaello Pacini esce con il suo Lorenzaccio. Il film riprende il dramma dell’uccisione del Duca Alessandro a seguito del complotto del cugino Lorenzino, detto Lorenzaccio, ma l’interpretazione, troppo teatrale (anche se non è citato nei titoli di testa, il film si rifà al dramma in prosa ottocentesco “Lorenzaccio” di Alfred de Nusset), di attori come Giorgio Albertazzi, Anna Maria Ferrero e Arnoldo Foà – nonostante qualche battuta o situazione comica – risulta a volte pesante e stucchevole. Una nota a parte meritano i due film su Giovanni de’ Medici detto delle “Bande Nere”. Il primo dedicato a questo mitico capitano di ventura è appunto Giovanni delle Bande Nere che Sergio Greco realizza nel 1956 (non dobbiamo però dimenticare il film Condottieri che Luigi Trenker realizzò nel 1937 e che fu il primo dei film ad enfatizzare l’eroismo di questo personaggio)1. Si tratta di un film di avventure senza infamia e senza lode, con un’interpretazione scialba e a volte stentata che rende il film decisamente povero. Diverso invece il risultato ottenuto da Ermanno 1
Gianfranco Casadio, Il grigio è e il nero, cit., pp. 23-24 e 29-31.
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Le dame, i cavalier, l’arme e gli amori
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Olmi con Il mestiere delle armi che realizza nel 2001. Si tratta di un film, che anche se qualcuno ha lamentato la sua lentezza e le luci cupe che lo accompagnano – senza capire, evidentemente, i riferimenti ai pittori fiamminghi a cui si è ispirato – è uno dei lavori più belli e completi che il regista bergamasco abbia mai realizzato. Sempre per rimanere in Toscana, anche se i personaggi interessati dal film sono il prodotto del dramma teatrale omonimo di Sem Benelli, Alessandro Blasetti nel 1941 realizza La cena delle beffe. Film amato e odiato, criticato da molti e scimmiottato in alcune delle battute storiche che Amedeo Nazzari pronuncia nel film come “Chi è con me beva con me e chi è contro di me peste lo colga” con quel suo accento sardo che lo fa sembrare più un mugiko del Volga che un fiorentino doc, il film resta una pietra miliare nel panorama cinematografico dell’epoca. Si tratta di uno dei migliori film di Blasetti che ha la capacità di passare dal tocco poetico de La corona di ferro2 al dramma aspro e duro di questo film. Ottime le interpretazioni nella parte di Neri Chiaramontesi dell’ingenuo e furente Amedeo Nazzari, il cui accento sardo stride messo in bocca al suo personaggio e del sempre ottimo Osvaldo Valenti, un subdolo, infido, cinico e sadico Giannetto Malaspini, così come sono bravi tutti gli altri attori da Memo Benassi a Lauro Gazzolo, da Elisa Cegani a Clara Clamai (che ingiustamente è passata alla storia più per il suo seno nudo che per l’interpretazione della cortigiana Ginevra) e via via tutti gli altri. Dopo le Romagne e la Toscana, saliamo verso Milano e la Lombardia con due film. Il primo è Marco Visconti del 1941 di Mario Bonnard e il secondo Il tiranno del Garda del 1954 di Ignazio Ferronetti. Marco Visconti, abbastanza aderente alla realtà storica per quanto riguarda i personaggi e altrettanto aderente al romanzo di Tommaso Grossi per quanto riguarda i fatti, è un film pulito, ben interpretato e, non vorremmo dirlo, un po’ troppo caramelloso. È indubbiamente un melò con un lieto fine per la coppia dei due giovani innamorati Bice del Balzo e Ottorino Visconti (Mariella Lotti e Roberto Villa) e il sacrificio del vecchio innamorato Marco Visconti (Carlo Ninchi), ciononostante l’ambientazione, i costumi e la recitazione sostengono molto bene la storia. L’altro film Il tiranno del Garda è un filmetto un po’ scarso in cui Lotario e Berengario sono affiancati ad un personaggio carnevalesco, Lupo Bianco, che se ne va in giro mascherato in difesa dei pescatori del lago e alla fine abbatterà il tiranno (in questi film c’è sempre un tiranno da abbattere) per far tornare la pace sul Garda.
2 Gianfranco Casadio, I mitici eroi. Il cinema “peplum” nel cinema italiano dall’avvento del sonoro a oggi (1930-1993), Ravenna, Longo, 1989, pp. 102, 147, 152.
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Capitolo primo
LORENZINO DE’ MEDICI di Guido Brignone
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Anno di edizione 1935 Produzione: Manenti Film; Direttore di produzione: Romolo Laurenti; Soggetto: Tomaso Smith; Sceneggiatura: Tomaso Smith; Fotografia: Ubaldo Arata; Montaggio: Giacomo Gentilomo; Suono: Giovanni Bianchi; Scenografia: Guido Fiorini; Arredamento: Luigi Petricca; Costumi: Gino C. Sensani; Musica: Umberto Mancini; Interpreti: Alessandro [Alexander] Mozzi, Camillo Pilotto, Germana Paolieri, Uberto Palmarini, Sandro Salvini, Maria Denis, Teresa Franchini, Guido Barbarisi, Jole Capodoglio, Raimondo Van Riel, Sandro Calmieri, Mario Steni, Giovanni Dal Cortivo, Mario Ferrari, Sandro Calmieri, Danilo Calamai, Jole Capodaglio; Durata: 85’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Cines-Caesar di Roma. OSSERVAZIONI: Alessandro Mozzi è l’attore austriaco di origine italiana Alexander Mozzi. LA STORIA: Firenze, nella prima metà del ’500, è tiranneggiata dal Duca Alessandro de’ Medici che ha al suo fianco, come compagno di bagordi, il cugino Lorenzino. Costui, a cui importava impedire che la sua amata Bianca Strozzi fosse rapita dal dissoluto Duca più che per un sincero amor patrio, imbastisce una congiura, sfruttando per il suo scopo l’odio di un soldato del Duca a cui il tiranno aveva violentato la fidanzata. Lorenzino raggiunge il suo obiettivo: il Duca Alessandro viene assassinato, ma dopo qualche tempo anche lui farà la stessa fine a Venezia, dove si era rifugiato, per mano dei sicari di Cosimo De’ Medici. LA CRITICA: «Brignone ce lo presenta [Lorenzino] soltanto come intrigante politico […] limitando il dramma, inoltre, ai pochi mesi di sua vita fiorentina che precedettero l’assassinio di Alessandro. Poco, perché i non informati riescano a farsi un’idea di colui che fu chiamato l’emulo di Bruto e delle ragioni che lo spinsero a far causa comune coi fuorusciti e a sfruttare per i suoi fini personali (l’apparente gelosia amorosa è, per Lorenzino, una finta come la passione patriottica) l’esasperazione del popolo contro il tiranno. A giudicare dal film, Lorenzaccio non agì che come amante offeso e una delle più oscure tragedie storiche, si riduce a una rivalità tra due cugini, causata dal comune amore per una donna; e il suo protagonista a un infido cortigiano disistimato anche dai congiurati che avversa ne’ loro piani. Il film termina con una didascalia di deplorazione per l’azione delittuosa, dicendoci che ebbe il suo meritato castigo a Venezia. […] Dal punto di vista cinematografico, Lorenzino de’ medici non è privo di qualità. Pur slegato com’è (difetto della sceneggiatura), interessa e ha scene ben impostate e drammaticamente efficaci. Manca piuttosto di originalità […] come nelle scene di masse (il corteo carnevalesco, ad esempio, che avrebbe richiesto grandi cure e al quale Lorenzino, ideatore di un tale divertimento pagano, avrebbe dovuto partecipare) è sciatto. Il meglio del film sono gli interpreti, scelti tra i più valenti attori di teatro di posa e per loro merito l’opera si sostiene e ha prestigio». (Enrico Roma, in «Cinema Illustrazione», n. 11, 13 mar. 1935). LUCREZIA BORGIA di Hans Hinrich Anno di edizione 1940 Produzione: Scalera Film; Direttore di produzione: Massimo Calandri; Soggetto: tratto dal
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Le dame, i cavalier, l’arme e gli amori
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racconto omonimo di Luigi Bonelli; Sceneggiatura: Tomaso Smith; Aiuto-regia: Tullio Covaz; Fotografia: Otello Martelli; Montaggio: Eraldo Da Roma; Suono: Franco Robecchi; Scenografia: Gustavo Abel; Costumi: Rosi Gori; Musica: Giuseppe Mulè; Direzione musicale: Cuccia; Interpreti: Isa Pola, Federico Benfer, Carlo Ninchi, Nerio Bernardi, Pina De Angelis, Luigi Almirante, Guido Lazzaroni, Nicola Malacca, Giulio Tempesti, Lina Marengo, Nicola Maldacea, Luigi Zerbinati, Giovanni Stupii, Anna Pirani Maggi; Durata: 75’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Scalera Film di Roma. OSSERVAZIONI: Federico Benfer è l’attore italo-tedesco Friedrich Benfer, mentre il nome di battesimo di Massimo Calandri è la versione autarchica di Max. LA STORIA: Lucrezia, sposa del Duca di Ferrara, conduce una vita di moglie onesta, ciononostante il sospettoso marito la fa spiare continuamente. Infatti molti uomini la insidiano, ma a nessuno si concede. Solo uno, lo Strozzi, riesce ad ottenere un appuntamento durante un’assenza del Duca. Lucrezia però, si pente quasi subito e, per disdire l’incontro, invia allo Strozzi un lettera che detta ad una dama sua amica. La lettera viene intercettata e inviata al Duca, il quale sopraggiunge deciso a fare giustizia. L’amica di Lucrezia, per salvarla, si autoaccusa di avere lei una relazione con lo Strozzi. E mentre questi viene ucciso da uno spasimante della Duchessa, costei riconquista, grazie al sacrificio della sua amica, la fiducia del Duca. LA CRITICA: «Di “Lucrezie” nella nostra infanzia ne vedemmo diverse sullo schermo, nei vecchi anonimi film di allora, e di essi ci è restato ancora vivo il ricordo di alcuni “quadri” e il sapore di donna malvagia e corrotta che quei lavori ci presentavano. Oggi ci siamo trovati dinanzi un’altra Lucrezia Borgia che si è voluto a tutti i costi salvare se non nelle manifestazioni “pubbliche” della sua vita, per lo meno nella sua struttura morale. […] Non staremo qui a discutere sulla veridicità della storia narrata, sull’esattezza o meno di una cronaca troppo lontana e troppo poco documentata, anche perché nel cinema come in ogni altra forma d’arte, siamo convinti che la verità conti ben poco e debba ben poco interessare. L’abilità del soggettista, dello sceneggiatore, del regista è stata proprio qui messa alla prova, in quel saper sorvolare, cioè, nei particolari e nei dettagli di una vita troppo poco chiara e forse troppo pericolosa per l’assunto del lavoro. […] Isa Pola porta abbastanza bene il suo personaggio. […] Gli attori che lavorano al fianco da Carlo Ninchi a Lazzerini, da Nerio Bernardi a Benfer ci sono sembrati al loro posto, né il peso che simili personaggi avevano nel racconto poteva far pretendere di più». (Giuseppe Isani, in «Cinema», n. 109, 10 gen. 1941). LA CENA DELLE BEFFE di Alessandro Blasetti Anno di edizione 1941 Produzione: Cines; Produttore: Giuseppe Amato; Direttore di produzione: Jacopo Comin; Soggetto: dal poema drammatico omonimo di Sem Benelli; Sceneggiatura: Alessandro Blasetti, Renato Castellani; Fotografia: Mario Craveri; Montaggio: Mario Serandrei; Suono: Vittorio Trentino; Scenografia: Virgilio Marchi; Arredamento: Ferdinando Ruffo; Costumi: Gino Sensani; Musica: Giuseppe Becce; Interpreti: Amedeo Nazzari, Osvaldo Valenti, Clara Calamai, Elisa Cegani, Luisa Ferida, Valentina Cortese, Memo Benassi, Piero Carnabuci, Lauro Gazzolo, Alberto Capozzi, Alfredo Varelli, Nietta Zocchi, Silvio Bagolini, Umberto
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Capitolo primo
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Sacripante, Aldo Silvani, Gildo Bocci, Anna Carena, Carlo Minello, Adele Garavaglia, Margherita Bagni, Antonio Acqua, Lilla Brignone; Durata: 85’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. OSSERVAZIONI: Osvaldo Valenti, come spesso succedeva a causa della sua voce stridula, è doppiato da Sandro Ruffini. LA STORIA: Tra Neri Chiaramontesi e Giannetto Malaspini corre un odio feroce alimentato da una serie di atroci beffe e di spietati scherni. Per vendicarsi di un ultimo smacco subito da Neri, Giannetto lo attira, con la scusa di una cena di pace, in casa di un suo amico ed aizzandolo nel suo amor proprio lo induce a fare una bravata in una taverna malfamata. Nella bettola Giannetto ha fatto spargere la voce che il Chiaramontesi è diventato matto, così che al suo arrivo tutti gli balzano addosso per impedirgli di nuocere. La notizia della pazzia di Neri si sparge in breve per la città e Giannetto si reca da Ginevra, cortigiana preferita di Neri, sicuro di non avere sorprese. In un sotterraneo dove è stato condotto saldamente legato, il Neri, sempre più furente, è esposto al ludibrio pubblico, ma grazie alla compassione di una fanciulla, riesce a farsi liberare. Appena libero non pensa che a vendicarsi di Giannetto e aspetta la notte sicuro di trovarlo da Ginevra. Ma Giannetto, prevedendo la mossa del suo nemico, fa trovare nel letto, con Ginevra, il fratello di Neri che verrà trucidato al posto del Malaspini. All’atroce rivelazione Neri impazzisce veramente. LA CRITICA: «La cena delle beffe che, per essere un’opera teatrale, più di quanto avvenga in un romanzo o in un racconto, alla parola si affida prima che alle immagini, aveva bisogno di un intenso. profondo lavoro dal quale quelle immagini dal nuovo nascessero. Così non ha inteso Blasetti che di Sem Benelli ha conservato nel suo film persino quel monotono incedere del verso endecasillabo. Se, poi, lo stesso Blasetti, avesse saputo superare 1’irrompente truculenza alla quale, naturalmente, il tema narrativo. le conduceva e si fosse del tutto abbandonato al ritmo figurativo che alcuni scorci della vicenda che i personaggi stessi suggerivano, forse avremmo visto rivivere in quelle architetture, in quegli splendidi costumi cinquecenteschi disegnati da Sensani, la grande ispirazione che guidò i nostri antichi pittori, da Piero della Francesca al Ghirlandaio, dal Pollaiolo al Mantegna. Forse avremmo avuto da Blasetti un’opera fra le sue più plastiche. […] Diremo in breve degli attori. Clara Calamai soggiace al pornografico senza alcun intento artistico: è una statuaria Ginevra, che nella sua inespressività fa blocco con le false architetture. Valentina Cortese fabbrica miele. come la più laboriosa delle api, ma si rivela ancora inesperta. Nazzari ha trovato qualche momento buono, ma la insistente cantilena della sua voce e il suo sguardo freddo indicano ancora una volta. quanto lavoro avrebbe da compiere, per meritare onorevolmente il posto che la produzione e il pubblico gli hanno assegnato nel cinema italiano. […] Osvaldo Valenti […] nella parte di Giannetto ha scatti bellissimi, ma che risultano come tanti frammenti, come magnifici saggi di recitazione diversi l’uno dall’altro, appartenenti ora ad un personaggio ora ad un altro. Pur essendo, Giannetto, continuamente oscillante nei suoi sentimenti, doveva avere una sua coerenza psicologica. L’illuminazione di Craveri ci è parsa accurata e studiata; oseremmo affermare, però, che non fosse sempre coerente alla sua sensibilità. Ogni ambiente svelato dalle luci sembrava volersi ribellare ad una impostazione troppo teatrale per celarsi in un più morbido e tonale chiaroscuro. Craveri o Blasetti non hanno saputo decidersi, ma osservando con attenzione negli angoli dei quadri, dove quei toni chiaroscurali si annidano, ben chiaramente si comprende quale avrebbe voluto essere la vera ispirazione. Tutto sommato, ci è sembrata questa la cosa più interessante del film». (Giuseppe De Santis, in «Cinema», n. 137, 10 mar. 1942).
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Le dame, i cavalier, l’arme e gli amori
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GIULIANO DE’ MEDICI di Ladislao Vajda
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Anno di edizione 1941 Produzione: S.A. Cinematografica Sol; Produttore: Andrea De Robilant; Direttore di produzione: Piero Cocco; Soggetto: Luigi Ugolini; Sceneggiatura: Ferruccio Cerio, Carlo Rolva, Andrea De Robilant; Aiuto-regia: Sergio Grieco; Fotografia: Alberto Fusi; Montaggio: Mario Serandrei; Suono: Mario Faraoni; Scenografia: Enrico Verdozzi, Antonio Tagliolini; Costumi: Gino Sensani; Musica: Alessandro Cicognini; Interpreti: Conchita Montenegro, Juan De Landa, Osvaldo Valenti, Leonardo Cortese, Carlo Tamberlani, Laura Nucci, Alanova, Luis Hurtado, Paolo Stoppa, Augusto Marcacci, Edoardo Toniolo, Juan Calvo, Fedele Gentile, Renato Navarrini, Giovanni Onorato, Antonio Acqua, Lea Migliorini; Durata: 85’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Pisorno di Tirrenia. OSSERVAZIONI: Il nome di battesimo del regista ungherese Ladislao Vajda è la versione autarchica di Laszlo. Il film ebbe vita difficile. Uscito col titolo La congiura dei Pazzi, fu ritirato per ordine di Mussolini che ne permise l’uscita, ribattezzandolo Giuliano de’ Medici, solo dopo che il regista lo fece ridoppiare di sana pianta censurando tutte quelle parti che mettevano in cattiva luce ogni forma di dittatura. LA STORIA: Nel 1477 Lorenzo de’ Medici è l’uomo più potente di Firenze. La famiglia de’ Pazzi è da sempre in lotta con i Medici, per contendere loro il potere politico e gli affari di banca, e tenta di rovesciare Lorenzo con ogni mezzo. Il fratello del Magnifico, il giovane Giuliano, ha sposato segretamente una fanciulla, il cui padre è all’oscuro di tutto. Ma i Pazzi, venuti a conoscenza di tale segreto, convincono il vecchio padre a riparare l’oltraggio subito e vendicare l’onore della figliuola che nel frattempo ha avuto un bimbo da Giuliano. La vendetta viene consumata e il giovane Giuliano ucciso, ma il popolo fiorentino, che ha compreso che dietro quell’omicidio c’era la famiglia de’ Pazzi, ne fa giustizia sommaria. Lorenzo esilia la vedova di suo fratello, ma alleva il nipote che sarà poi Papa Clemente VII. LA CRITICA: «Ma davvero certa gente crede che si sia disposti perennemente a immaginare un passato fatto di parrucche e di spade, di velluti e di palagi, tirato fuori a piè pari dalle casse ammucchiate dietro le quinte di tutti i teatri? Ecco, ad esempio, questo Giuliano de’ Medici dove la mania del fatto annega dietro l’esagerato amore per le tinte tutto il sapore umano di una vicenda che uomini veri in carne ed ossa vissero un giorno e dove i toni nascono non dal costrutto di un racconto o dai fatti ma artificiosamente dagli elementi troppo elaborati di contorno. Peccato, perché nella regia di questo film e nell’impeto che sta alla base di molte delle recitazioni di questa pellicola era forse nascosto il cammino buono, quello che avrebbe potuto portare al giusto porto. Quell’idea di commercializzare anche la storia ha guastato in gran parte le buone scorte. Vorremmo film storici in cui i protagonisti parlassero il linguaggio degli uomini e non del melodramma». (Giuseppe Isani, in «Cinema», n. 117, 10 mag. 1941). MARCO VISCONTI di Mario Bonnard Anno di edizione 1941 Produzione: CIF, S.A. Consorzio Italiano Filmi; Direttore di produzione: Carlo Benetti;
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Capitolo primo
Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Tommaso Grossi; Sceneggiatura: Oreste Gasperini, Vico Lodovici, Vittorio Nino Novarese; Aiuto-regia: Mario Monicelli; Fotografia: Mario Albertelli; Montaggio: Renzo Lucidi; Suono: Carlo Passerini; Scenografia: Piero Filippone; Arredamento: Vittorio Nino Novarese; Costumi: Vittorio Nino Novarese; Musica: Giulio Bonnard; Interpreti: Carlo Ninchi, Mariella Lotti, Roberto Villa, Alberto Capozzi, Guglielo Barnabò, Ernesto Almirante, Mario Gallina, Augusto Di Giovanni, Alfredo De Antoni, Cesare Fantoni, Nico Pepe, Edoardo Toniolo, Renato Navarrini, Vittoria Carpi, Saro Urzì, Cesare Polacco; Durata: 108’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Marco Visconti, uno dei più potenti vassalli del Duca di Milano, incontra la figlia del Conte del Balzo la cui impressionante rassomiglianza con la madre defunta riapre nel cuore del condottiero, che un tempo l’aveva amata, una ferita mai chiusa. Venti anni prima infatti, Marco Visconti aveva dovuto rinunciare a sposare la donna che amava perché costei era stata costretta dalla famiglia a preferirgli il nobile e ricco del Balzo. Un cugino del Visconti si innamora della fanciulla, ma Marco è deciso a impedire queste nozze perché vuole sposare lui stesso la ragazza. Il suo cuore generoso però, dopo una violenta crisi – durante la quale si batte in torneo con il proprio cugino – domina la passione e, liberata la ragazza che era stata rapita da un suo fedele cortigiano, la riconsegna al cugino. LA CRITICA: «Il film storico è un po’ come l’abito in vendita già bell’e confezionato. Si finisce per trovare sempre chi lo metterà addosso con soddisfazione e colui al quale si adatterà a pennello.[…] Il film è piaciuto, 1’incontro delle due fantasie, quella dei creatori di questa pellicola e quella della gente è avvenuto. perfettamente. […] Queste cose possono in sede critica. venir valutate come pregi o difetti, e qui sta ciò che maggiormente conta, l’essenza stessa del film Marco Visconti ha dei pregi, senza dubbio rilevanti. C’è ad esempio una cura preziosa e giudiziosa nei costumi, negli arredamenti, nei paesaggi che solo raramente abbiamo incontrato nel film storico […] questo Marco Visconti è un esempio di buon gusto e di misura. Non così ci è apparsa la sottolineatura di certe situazioni, più ancora di certe parti. C’è insomma, come spesso accade, eccessiva bontà nei buoni e troppo dichiarata e calcata malvagità nei cattivi. Ottorino Visconti è tanto angelo da dimenticarsi di essere un uomo e di stare sulla terra, come Mariella Lotti sembra non rammentarsi che il suo ruolo è di donna e non di figura uscita da una pittura dell’epoca. Tutto sommato però, in grazia soprattutto di un montaggio che ci è sembrato veramente agile e rispondente alla tumultuosità di questa storia, il film ha una sua vita ben definita e delineata. Non buona ci è sembrata la recitazione dei caratteristi di secondo e di terzo piano che (pare impossibile che solo da noi non si riesca a crearne dei nuovi e di maggior rendimento) pecca come al solito di eccessività e di piccolo teatro». (Giuseppe Isani, in «Cinema», n. 115, 10 apr. 1941). LA MASCHERA DI CESARE BORGIA di Duilio Coletti Anno di edizione 1941 Produzione: Vi-Va Film; Produttore: Vittorio Vassarotti; Direttore di produzione: Vittorio Vassarotti; Soggetto: Arrigo Benedetti, Mario Pannunzio, ispirato ad un racconto di Niccolò Machiavelli; Sceneggiatura: Duilio Coletti, Arrigo Benedetti, Mario Pannunzio, Primo Zeglio; Aiuto-regia: Primo Zeglio; Fotografia: Jan Stallich; Montaggio: Maria Rosada; Suono: Arrigo Usigli, Umberto Picistrelli; Scenografia: Enrico Verdozzi, Antonio Tagliolini; Costumi: Bianca Bacicchi; Musica: Piero Giorgi; Direzione musicale: Ugo Giacomozzi; Inter-
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Le dame, i cavalier, l’arme e gli amori
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preti: Osvaldo Valenti, Elsa De Giorgi, Enrico Glori, Carlo Tamberlani, Augusto Marcacci, Egisto Olivieri, Corrado De Cenzo, Mario Siletti, Renato Chiantoni, Gildo Bocci, Evaristo Signorini, Carlo Costantino, Nico Pepe; Durata: 75’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Jacopo Bentivoglio per vendicarsi del tradimento perpetrato dal Duca Valentino a Senigallia allo scopo di ampliare i suoi possedimenti, riesce, sotto false spoglie, ad entrare alla corte dei Borgia e durante una festa mascherata ferisce l’ambasciatore di Venezia credendolo Cesare Borgia. Bentivoglio, scoperto, viene condannato a morte, ma l’intervento della fidanzata, da tempo desiderata dal Borgia, lo impedisce. Mentre la ragazza sta per cedere alle voglie del Borgia, la strana malattia che lo colpisce periodicamente e che gli deturpa il volto e le mani, si manifesta. In preda allo sconforto il Duca allontana da sé la ragazza e fa grazia della vita al giovane. LA CRITICA: «È un film basato esclusivamente sulle naturali reazioni psicologiche del protagonista, che è affetto, in questa storia, da una strana malattia che gli deturpa di tanto in tanto il volto. Insomma è un Cesare Borgia intimo, quello che la regia di Coletti ci presenta, un Cesare Borgia umano e schiavo dei piccoli fatti umani. […] Osvaldo Valenti ha interpretato la figura del protagonista con vivacità e con nervosa, e quasi inafferrabile recitazione. La parte si addice, questa volta, ottimamente all’attore». (Giuseppe Isani, in «Cinema», n. 127, 10 ott. 1941). L’ABITO NERO DA SPOSA di Luigi Zampa Anno di edizione 1943-45 Produzione: Vi.Va. Film; Produttore: Vittorio Vassarotti; Direttore di produzione: Folco Laudati; Soggetto: tratto dal dramma “Il Cardinale” di J. Parker; Sceneggiatura: Mario Pannunzio, Ennio Flaiano, Riccardo Freda, Gherardo Gherardi, Luigi Zampa; Aiuto-regia: Aldo Quinti; Fotografia: Gabor Pogany, Aldo Tonti; Montaggio: Maria Rosada; Suono: E. Palmieri; Scenografia: Fulvio Jacchia; Costumi: Bianca Emanuele; Musica: Piero Giorgi; Direzione musicale: Pietro Sassoli; Interpreti: Fosco Giachetti, Jacqueline Laurent, Renato Chiantoni, Enzo Fiermonte, Fausto Guerzoni, Manoel Roero, Aldo Silvani, Carlo Tamberlani, Domenico Viglione Borghese, Emilio Setacci, ; Durata: 88’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà e, in esterni, nei dintorni di Roma. OSSERVAZIONI: Le riprese del film furono interrotte per gli avvenimenti dell’8 settembre e ultimate nel 1945. Oltre agli attori stranieri, ad eccezione di Fosco Giachetti, tutti gli attori principali (Tamberlani, Fiermonte, Viglione Borghese e la Paoli) furono doppiati. LA STORIA: Nella Roma rinascimentale, il Capitano di ventura Strozzi uccide il banchiere Chigi perché gli ha rifiutato la mano della figlia Berta, fidanzata con il giovane Giuliano de’ Medici, fratello del Cardinale Giovanni. Del delitto viene accusato Giuliano che è arrestato e tradotto alle carceri papaline. Il vero assassino rivela al Cardinale Giovanni nel confessionale di essere lui l’autore del delitto, ma il Cardinale non può far nulla per salvare il fratello, condannato dal tribunale al patibolo, perché legato dal vincolo della confessione. Ma poco prima dell’esecuzione, il Cardinale con uno stratagemma, in presenza di testimoni nascosti, fa confessare allo Strozzi il delitto compiuto. In extremis, mentre la mannaia è già levata,
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Capitolo primo
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il boia viene fermato e Giuliano è salvo. LA CRITICA: «La riduzione del noto lavoro teatrale non risulta cinematograficamente felice e il dramma rimane freddo e distaccato. Inadeguata la recitazione». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XIX Anno 1944-45, Roma 1946, p. 92) LORENZACCIO di Raffaello Pacini Anno di edizione 1951 Produzione: R.G. Film; Produttore: Luigi Rovere; Direttore di produzione: Antonio Musu; Soggetto: Nino Vittorio Novarese, Raffaello Pacini, Giampiero Pucci; Sceneggiatura: Nino Vittorio Novarese, Raffaello Pacini, Giampiero Pucci; Aiuto-regia: Amleto Panocchia; Fotografia: Renato Del Frate; Montaggio: Rolando Benedetti; Suono: Giovanni Canavero; Scenografia: Gastone Simonetti; Costumi: Maria De Matteis; Musica: Carlo Rustichelli; Interpreti: Giorgio Albertazzi, Anna Maria Ferrero, Arnoldo Foà, Folco Lulli, Franca Marzi, Lia Di Leo, Marcello Giorda, Giorgio Capecchi, Silvio Bagolini, Carlo D’Angelo, Natale Cirino, Mercedes Brignone, Fedele Gentile, Piero Pastore, Alessandro Fersen, Mario Belli; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Studi Fert di Torino. LA STORIA: Lorenzo de’ Medici, detto Lorenzaccio, la cui condotta aveva provocato la collera di Papa Clemente VII, suo zio, che lo fa bandire dallo Stato Pontificio, fugge a Firenze dove ordisce un piano per liberare a qualunque costo la sua città dalla crudele tirannia del Duca Alessandro, suo cugino. Il caso lo fa mettere in contatto col Duca, che si dimostra benevolo nei suoi confronti. Per acquistare la sua fiducia si associa alle sue dissolutezze e diviene complice dei suoi illeciti amori. Riesce con subdoli maneggi ad isolarlo, mentre, senza compromettersi, incoraggia il malcontento che serpeggia nella popolazione. Preso contatto coi fuorusciti, capeggiati dagli Strozzi, induce questi a ritornare a Firenze. Il suo matrimonio con Luisa Strozzi dovrebbe offrire ai congiurati l’occasione propizia per disfarsi del tiranno, ma quando gli sgherri degli Strozzi occupano il palazzo ducale, Lorenzo denuncia, ad Alessandro, il complotto. I congiurati lo considerano un traditore, ma Alessandro avrà in lui cieca fiducia. Lorenzo promette al Duca di mettere nelle sue mani la sua stessa fidanzata, Luisa, e lo convince a recarsi di notte a casa sua dove, con l’aiuto d’un sicario, lo uccide a pugnalate. Ma Luisa, credendo che Lorenzo l’abbia venduta al Duca, s’uccide. A Lorenzo non resta che fuggire dopo aver invano proclamato ai cittadini l’avvenuta liberazione. LA CRITICA: «Al Lorenzaccio di Alfred de Nusset (1834), “dramma in prosa”, imperniato sull’assassinio del duca di Firenze Alessandro de’ Medici, cugino di Lorenzo, ad opera di quest’ultimo, la presente pellicola, pur non palesandolo, vuole rifarsi. Raffaello Pacini è un regista […] che ha, del film “storico” una concezione semplicistica, fuori dal tempo (e dalla storia), modellata secondo il consueto stampo per cui un personaggio di qualche secolo fa, automaticamente si tramuta, quasi per arcana esigenza, in vuota marionetta. E marionette, goffamente infagottate in abiti cinquecenteschi, sono tutti i legnosi personaggi di questo drammone farsesco nel quale vien meno, a un certo punto, pur quella diligenza formale e tecnica che fa di una simile corrente uno “spettacolo” a volte insopportabile». (F. Colombo, in «Rassegna del Film», n. 7, ott. 1952).
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IL TIRANNO DEL GARDA di Ignazio Ferronetti
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Anno di edizione 1954 Produzione: Nuova Benaco Film; Direttore di produzione: Emanuele Sangiorgi, Cesare Seritti; Soggetto: Domenico Magagnotti, Paolo Zanoni; Sceneggiatura: Michelangelo Frieri, Costantino Dal Maso, Ennio Monese; Aiuto-regia: Ennio Monese, Luciano Romoli; Fotografia: Vincenzo Seratrice; Montaggio: Giuliana Atenni; Scenografia: Ottorino Volpi; Costumi: Gino Arduino; Musica: Franco Casavola; Canzoni: Raffaele Tenaglia; Interpreti: Irene Genna, Gilbert Pauls, Virginia Belmont, Elio Steiner,Tamara Lees, Costantino Dal Maso, Linda Montez, Leo Sandri, Alberto Sorrentino, Franca Aldovrandi, Silvana Olbi, Sergio Bagnasco, Giusto Radice, Ubaldo Zollo, Umberto Perbellini, Giuseppe Lugo; Durata: 85’. Produzione realizzata in esterni nella zona del Grada. LA STORIA: A causa della minore età di Lotario, re d’Italia, la reggenza del Regno viene affidata a Berengario d’Ivrea, ma il favore del popolo è tutto per Lotario e per sua moglie Adelaide. Questo spinge Berengario a far avvelenare Lotario e, nel 945, a farsi nominare re d’Italia e a relegare in un castello sul Garda Adelaide. I pescatori del luogo, stanchi delle angherie dei soldati di Berengario, spronati da Lupo Bianco, un prode mascherato, si ribellano. Interviene Adelaide, che riesce a calmare gli animi. Berengario, per neutralizzarla, vorrebbe farla sposare con suo figlio Adalberto, ma al deciso rifiuto della donna, la fa rinchiudere in una cella. I pescatori, informati da Lupo Bianco, si preparano ad insorgere. Berengario sguinzaglia le sue spie. La damigella d’onore di Adelaide, Beatrice di Borgogna, preoccupata per la sorte di Lupo Bianco, cerca di avvertirlo, ma al suo ritorno nel castello viene a sua volta imprigionata. Allora Lupo Bianco, alla testa dei pescatori, assalta il castello e, dopo aver liberato le prigioniere, si toglie la maschera e si scopre che è il fidanzato di Beatrice ch’essa ha sempre ritenuto un vigliacco. Fatta giustizia, la pace torna a regnare sul Garda. LA CRITICA: «È un lavoro molto debole. La ribellione dei pescatori appare una giusta reazione alle angherie ed ai soprusi del tiranno: il nobile contegno di Adelaide e la generosità di Lupo Bianco danno alla vicenda un’impronta positiva». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXXVI, Anno 1954, Roma 1954, p. 236) GIOVANNI DALLE BANDE NERE di Sergio Grieco Anno di edizione 1956 Produzione: P.O. Film; Produttore: Ottavio Poggi; Direttore di produzione: Ottavio Poggi; Soggetto: Ottavio Poggi, Carlo Veo, tratto dal romanzo omonimo di Luigi Capranica; Sceneggiatura: Alessandro Continenza, Italo De Tuddo, Carlo Veo; Aiuto-regia: Mario Caiano; Fotografia: Alvaro Mancori; Montaggio: Enzo Alfonsi; Suono: Mario Amari, Venanzio Braschi; Scenografia: Ernest Kromberg; Arredamento: Massimo Tavazzi; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni, Giovanna Natili; Musica: Roberto Nicolosi; Direzione musicale: Carlo Savina; Interpreti: Vittorio Gassman, Anna Maria Ferrero, Gérard Landry, Philippe Hersent, Silvio Bagolini, Mario Colli, Emma Baron, Ubaldo Lay, Andrea Aureli, Gino Scotti, Ame-
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Capitolo primo
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deo Trilli, Remo De Angelis, Giulio Battiferri, Siro Carme, Fedele Gentile, Loris Gizzi, Fanny Landini, Bruno Moschela, Piero Palermini, Edda Soligo, Edoardo Toniolo; Durata: 95’. Produzione realizzata negli Studi I.N.C.I.R.- De Paolis. LA STORIA: Giovanni de’ Medici, figlio di Caterina Sforza, è a capo di una compagnia di ventura detta dalle Bande Nere. Durante un’incursione Giovanni incontra Emma, che ignora chi egli sia, e se ne innamora. Ma, scoprendo chi è veramente Giovanni, cioè l’uomo che ella ritiene responsabile della morte della madre e del fratello, lo lascia. Emma si ritira in convento, ma quando apprende che Giovanni è morente a causa di una ferita riportata durante la battaglia contro coloro che lo hanno venduto al nemico, accorre al suo capezzale per dargli il suo perdono. LA CRITICA: «Si trattava di ricostruire i fatti d’arme del primo Cinquecento nell’Italia percorsa dalle milizie straniere e da quelle dei nostri condottieri al loro soldo. Giovanni dei Medici detto dalle Bande Nere, ebbe, nei ventotto anni che visse, vicende complesse e contrastanti sicché la leggenda se ne impadronì prima della storia: si sa di lui che fu coraggioso, spietato, privo di ritegni morali; e che morì per le ferite riportate a Borgoforte, combattendo contro i lanzichenecchi di Frundsberg al servizio di Carlo V. […] I due terzi del film stentatamente si reggono; ma l’ultima parte, è deliberatamente grottesca. Invano Vittorio Gassman si sforza di dare, qui, alla sua interpretazione accenti di validità cinematografica; sullo schermo egli appare spesso un’intruso. Del resto, né Constance Smith (Emma) né Anna Maria Ferrero (Anna) né gli altri attori fanno meglio di lui: il solo interprete credibile è Philippe Hersent, nella parte del frate gaudente». (Lan. [Arturo Lanocita], in «Corriere della Sera», 23 giu. 1957). LA CONGIURA DEI BORGIA di Antonio Racioppi Anno di edizione 1958 Produzione: Diamante Film; Produttore: Dino Santambrogio; Direttore di produzione: Silvano Scarpellini; Soggetto: Nino Vittorio Novarese, Antonio Racioppi; Sceneggiatura: Nino Vittorio Novarese, Antonio Racioppi, Giorgio Costantini, Fernando Morandi, Remo Chiti; Fotografia: Aldo Greci; Montaggio: Dolores Tamburini; Suono: Mario Faraoni; Scenografia: Franco Lolli; Arredamento: Giulio Sperabene; Costumi: Giovanni Natili; Musica: Gian Stellari, Guido Robuschi; Interpreti: Frank Latimore, Constance Smith, Alberto Farnese, José Jaspe, Gisèle Gallois, Valeria Fabrizi, Flora Carosello, Tommaso Gizzi, Gino Buzzanca, Andrea Fantasia, Gildo Bocci, Carla Strobel, Nino Marchesini, Giorgio Costantini; Durata: 88’. LA STORIA: Cesare e Lucrezia Borgia vogliono recuperare un documento che prova il tradimento di alcuni nobili ai danni del Valentino. I due fratelli incaricano Guido di Belmonte di recarsi nel castello di Rovena dove il documento è custodito e di portarglielo. Guido, amico dei Duchi di Rovena, non vorrebbe accettare l’incarico, ma quando i Borgia prendono in ostaggio il suo amico Enzo è costretto ad accettare. Non fidandosi di lui, i Borgia gli mettono alle costole Falconetto, uno scudiero di loro fiducia. A Rovena Guido si innamora di Simonetta, la figlia del Duca, mentre Falconetto s’innamora di una cameriera, di nome Oretta. Ma nel castello ci sono altre due persone che vorrebbero impadronirsi del documento sperando di ottenere un lauto compenso dal Valentino. Esse sono un capitano che progetta
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Le dame, i cavalier, l’arme e gli amori
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di fuggire poi col documento e con la moglie del Duca, e l’intendente del castello che vorrebbe diventarne il proprietario. Ma nonostante duelli, amori e tradimenti, i vari contendenti non riescono a mettere le mani sul documento e Guido non potrà portare a termine la missione. A Cesare Borgia, quando giungerà al castello, non resterà che ritornare a Roma, portando con sé prigionieri il capitano e l’intendente. LA CRITICA: «Il titolo invita a prepararsi ad un piatto forte e drogato; ci si attende intrighi foschi, decessi frequenti, calici a metà pieni di vino e a metà di veleno. Nemmeno l’ombra del dramma, invece, in questo film a colori, da Antonio Racioppi dedicato alle platee pronte alla risata e di bocca buona. […] Per dare l’idea dell’umorismo che circola in questa strana pellicola, riferiremo la battuta con la quale il protagonista si rivolge al duca Valentino: “Credevo di avere la faccia tosta prima d’aver visto la vostra”. Dopo di che non ci si meraviglierà se lo stesso personaggio, presentato a Cesare a Lucrezia, osserva: “le belle famiglie italiane”. Implicati nella “congiura”: Constance Smith, Giselle Gallois, Valeria Fabrizi, Carla Strober (tutte convenientemente scollate)». (Anonimo, in «Corriere della Sera», 3 mar. 1959). LA NOTTE DEL GRANDE ASSALTO di Giuseppe M. Scotese Anno di edizione 1959 Produzione: Italcaribe, Contact Organisation P.I.P.; Produttore: Angelo Facenna, Giuseppe M. Scotese; Direttore di produzione: Carlo Vignati; Soggetto: Arnaldo Marrasu, Giuseppe M. Scotese; Sceneggiatura: Arnaldo Marrasu, Giuseppe M. Scotese; Aiuto-regia: Vincenzo Gamma; Fotografia: Pier Ludovico Pavoni; Montaggio: Otello Colangeli; Suono: Mario Del Pezzo, Renato Cadueri; Scenografia: Antonio Visone, Franco Urbini; Costumi: Maria Luisa Panaro; Musica: Carlo Rustichelli; Direzione musicale: Pier Luigi Urbini; Interpreti: Fausto Tozzi, Agnès Laurent, Kerima, Sergio Fantoni, Alfredo Varelli, Olga Solbelli, Gianni Rizzo, Sandrine, José Jaspe, Giacomo Rossi Stuart, Ignazio Leone, Bruno Corelli, Aldo Pini, Luisa Mattioli, Raf Baldassarre, Remo De Angelis, Fausto Guerzoni, Arrigo Peri, Alberto Farnese; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Studi Incir De Paolis di Roma. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Nella versione francese, dal titolo Sous les griffes des Borgia diretta da Louis Duchesse, furono aggiunte alcune scene che non compaiono nella versione italiana. LA STORIA: Il Conte Fabio vive con la sorella Isabella in un castello ambito dai Borgia. L’arrivo di Marco Sforza scaccia definitivamente la sanguinaria famiglia e gli fa trovare anche l’amore, Isabella, che diventerà sua moglie. LA CRITICA: «Si tratta di un film spettacolare realizzato con una certa larghezza di mezzi, ma il soggetto è convenzionale e l’interpretazione mediocre» (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLVI, Anno 1959, Roma 1959, p. 233)
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Capitolo primo
LE NOTTI DI LUCREZIA BORGIA di Sergio Grieco
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Anno di edizione 1959 Produzione: Musa Cinematografica, Fides; Produttore: Carlo Caiano; Direttore di produzione: Alberto Damiani; Soggetto: Aldo Segri, Mario Caiano; Sceneggiatura: Aldo Segri, Mario Caiano; Aiuto-regia: Mario Caiano; Fotografia: Massimo Dallamano; Montaggio: Enzo Alfonsi; Suono: Amelio Verona; Scenografia: Saverio D’Eugenio; Arredamento: Massimo Tavazzi; Costumi: Vittorio Rossi; Musica: Alessandro Derewitsky; Interpreti: Belinda Lee, Jacques Sernas, Arnoldo Foà, Michèle Mercier, Marco Tulli, Franco Fabrizi, Lily Scaringi, Germano Longo, Nando Tamberlani, Ricardo Valle, Stellio Candelli, Gianni Loti, Raf Baldassarre, Ivano Staccioli; Durata: 110’. Produzione realizzata negli Studi Pisorno di Tirrenia . OSSERVAZIONI: Aldo Segri è lo pseudonimo di Sergio Grieco. LA STORIA: Federico degli Alberici, nobile ma povero, dopo aver vissuto a lungo alla corte dei Borgia, braccio destro di Cesare e amante, suo malgrado, di Lucrezia, comprende di stare dalla parte sbagliata quando si rende conto delle loro infamie. Innamoratosi di Diana, una coraggiosa fanciulla avversaria dei fratelli, combatterà insieme a lei per il trionfo della giustizia. LA CRITICA: «Un episodio della vita della famigerata Lucrezia Borgia, abbondantemente romanzato, ha servito di spunto per il soggetto di questo film realizzato con evidente impegno, ma con risultati che non possono dirsi eccellenti. Il pregio maggiore è costituito forse dalla buona sceneggiatura e dall’eccellente colore» (A. Albertazzi, in «Intermezzo», n. 15, 15 ago. 1959). IL DUCA NERO di Pino Mercanti Anno di edizione 1963 Produzione: Rodes Cinematografica, Hispamer Film; Produttore: Tullio Bruschi; Direttore di produzione: Luigi Panini D’Oliva; Soggetto: Mario Amendola, Tullio Bruschi, Max Di Thiene; Sceneggiatura: Mario Amendola; Aiuto-regia: Gianfranco Baldanello; Fotografia: Antonio Macasoli; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Suono: Goffredo Salvatori; Scenografia: Alfredo Montori; Arredamento: Piero Filippone; Costumi: Maria Luisa Panaro; Maestro d’armi: Franco Fantasia; Musica: Giorgio Fabor; Interpreti: Cameron Mitchell, Conrado Sanmartin, Gloria Milland, Grazia Maria Spina, Franco Fantasia, Gloria Osuña, Giovanni Vari, Gino Maculani, Manuel Castiñeiras, Dina De Santis, Robert Dean, Nino Persello, Gianni Solaro, Silvio Bagolini, Antonio Casagrande, Alberto Cevenini, Lilly Darelli, Piero Germini, Renato Navarrini, Wladimiro Picciafuochi; Durata: 105’. Produzione realizzata in esterni alla Rocca di San Leo nel Feltrino. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-spagnola. Il titolo della versione spagnola del film è El Duque Negro. LA STORIA: La Rocca di Forlì, tenuta da Caterina Sforza, resiste a Cesare Borgia che l’ha
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Le dame, i cavalier, l’arme e gli amori
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cinta d’assedio. Durante l’assedio, viene ordita una congiura contro il Duca, detta del Garofano Rosso, che sembra destinata ad avere successo. I congiurati fanno incontrare Cesare con una bellissima donna, Ginevra, che ha il compito di sedurlo e avvelenarlo. Però Ginevra finisce con l’innamorarsi di Cesare che, a sua volta, s’innamora di lei. Caterina, informata che Cesare ha raggiunto i suoi all’assedio di Forlì, ordina alle sue truppe una sortita disperata dalla Rocca per ucciderlo. Nel corso della battaglia Cesare sta per soccombere, ma Riccardo Brancaleone, suo luogotenente, gli salva la vita. Per premiarlo, Cesare lo nomina comandante delle truppe. Intanto Ginevra ha ricevuto l’ordine di avvelenare Cesare. Quando il Duca si reca da lei, si accorge che il vino è avvelenato, ma Ginevra, per dimostrargli il suo amore, beve il vino e muore. Cesare per scoprire il capo della congiura, fa spargere la voce che anche lui è morto avvelenato. Mescolatosi ai congiurati, scopre che il capo della congiura è il suo fidatissimo amico Riccardo Brancaleone, toltasi la maschera, Cesare uccide tutti, tranne Riccardo che fugge presso Caterina. Durante l’assalto finale alla Rocca, Riccardo viene ucciso da Cesare che si dimostra invece generoso con Caterina conducendola a Roma al suo fianco. LA CRITICA: «Il lavoro pieno di ingenuità e anacronismi rievoca un personaggio storico, trattato alla stregua dei protagonisti avventurosi dei film di cappa e spada con relativa vittoria finale e un pizzico di doppio gioco. Manca ogni tentativo di indagine psicologica. Nel complesso regia e recitazione modeste. Pur nelle sue incongruenze, il film finisce per esaltare e rendere simpatica la figura di questo personaggio privo di scrupoli» (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LII, Anno 1962, Roma 1962, p. 206) L’UOMO CHE RIDE di Sergio Corbucci Anno di edizione 1966 Produzione: Sanson Film, Cipra; Produttore: Joseph Fryd; Direttore di produzione: Massimo De Rita; Soggetto: Filippo Sanjust, Luca Ronconi, Franco Rossetti, A. Bertolotto, A. Lello, A. Issavenderis, Sergio Corbucci che si sono ispirati a personaggi creati da Victor Hugo; Sceneggiatura: Filippo Sanjust, Luca Ronconi, Franco Rossetti, A. Bertolotto, A. Lello, A. Issavenderis, Sergio Corbucci; Aiuto-regia: Franco Rossetti; Fotografia: Enzo Barboni; Montaggio: Mario Serandrei; Scenografia: Alessandro Dell’Orco, Piero Poletto; Arredamento: Riccardo Domenici; Costumi: Filippo Sanjust, Marcella De Marchis; Musica: Carlo Savina; Interpreti: Jean Sorel, Lisa Gastoni, Edmund Purdom, Ilaria Occhini, Linda Sini, Gianni Musy Glori, Nino Vingelli, John Bartha, Gino Pernice, Dom Moore, Adriano Corneli, Pierre Clement, Livia Contardi, Ferdinando Poggi; Durata: 105’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo della versione francese del film è L’homme qui rit. LA STORIA: Ai tempi dei Borgia, a Jesi, in un circo ambulante, lavora una coppia formata da una giovane cieca, Dea, e da Bello, un acrobata dal volto mascherato perché sfregiato. La quiete della cittadina è sconvolta quando le truppe di Orsini e Vitelli, nemici di Cesare Borgia, attaccano e conquistano il castello del Duca. Bello, chiamato in aiuto da Lucrezia, la porta in salvo, mentre Cesare, ha la meglio sugli avversari. Ma la sete di dominio spinge il sanguinario Duca a studiare un piano per eliminare un suo rivale: Astorre Manfredi che si era guadagnato l’affetto di Dea suscitando la gelosia di Bello. Cesare Borgia, fa operare
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Capitolo primo
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da un medico straniero il volto di Bello in modo da renderlo perfettamente uguale a Manfredi; quindi proponendo una finta alleanza al suo rivale, mette in atto un diabolico progetto in occasione del matrimonio di Dea con Manfredi. Ma Bello scoprirà la malvagità del Duca e si schiererà dalla parte del Principe Manfredi. LA CRITICA: «Il film risulta del tutto superficiale e popolato di personaggi incredibili ed evanescenti. Di mestiere la regia e l’interpretazione» (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LIX, Anno 1966, Roma 1966, p. 114) «Una rilettura pasticciata del classico di Victor Hugo L’uomo che ride ridicolizzato da uno spostamento di luogo e di tempo, cioè nell’Italia dei Borgia […]. Casino totale. Victor Hugo non c’entra per niente. Ronconi ancor meno. Corbucci si trova più a suo agio in altri generi. Un disastro, anche se la foto di Barboni è ancora molto bella e la scena di sesso tra lo sfigurato e la Gastoni mi piace molto». (Marco Giusti, Dizionario dei film italiani stracult, Edizioni Frassinelli, Milano 2004, p. 893). LUCREZIA di Osvaldo Civirani Anno di edizione 1968 Produzione: Denwer Film, Vienna Film, Otto Durer Film; Produttore: Osvaldo Civirani; Produttore associato: Wilhelm Sorger; Ispettore di produzione: Albino Moranti, Domenico Conti; Soggetto: Osvaldo Civirani, Joffé Rudel, Wilhelm Sorger; Sceneggiatura: Osvaldo Civirani, Joffé Rudel, Wilhelm Sorger; Aiuto-regia: Wanda Tuzi, Hermann Wolf; Fotografia: Osvaldo Civirani; Montaggio: Nella Mannuzzi; Suono: Enzo Silvestri; Scenografia: Paola Mugnai, Giorgio Bertolini; Arredamento: Luigi Gervasi; Coreografia: Gino Landi; Costumi: Mario Giorsi; Musica: Lallo Gori; Interpreti: Olinka Berova, John Garko, Lou Castel, Nina Sandt, Giancarlo Del Duca, Dada Gallotti, Franco Ressel, Leon Askin, Ivan G. Scatuglia, Corrado Monteforte, Ernesto Colli, Fedele Gentile, Anna Maria Polani, Luciano Doria, Rate Furlan, Paolo Herzl; Durata: 102’. Produzione realizzata negli Studi Incir De Paolis di Roma. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-austriaca. Il titolo della versione austriaca del film è Lucrezia Borgia. Il nome di battesimo del maestro Gori, indicato come Lallo, è Coriolano, mentre il nome anglofono di Garko è Gianni. LA STORIA: A Roma, il malgoverno dei Borgia e la vita dissoluta di Lucrezia, hanno portato il malcontento sia fra le alte cariche della Chiesa che fra il popolo. Il Duca Valentino cerca di stroncare con la forza ogni accenno di ribellione. Ma Fabrizio Aldovrandi, i cui genitori sono stati uccisi dai Borgia, si è dato alla macchia con alcuni uomini, attaccando e beffando i soldati del Duca. Un giorno, ferito leggermente in uno scontro, Fabrizio si rifugia in un convento dove, chiusavi dal fratello, si trova Lucrezia che lo nasconde diventandone l’amante. Tornata a corte, Lucrezia continua la sua relazione con Fabrizio, incontrandosi con lui di nascosto nei boschi. Ma ben presto le guardie del Valentino li scoprono e stanno per avere la meglio sugli uomini del giovane, che ordina loro di disperdersi. Lucrezia si fa promettere dal fratello la salvezza di Fabrizio accettando di sposare, in cambio, Alfonso d’Aragona.
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Le dame, i cavalier, l’arme e gli amori
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LA CRITICA: «Lucrezia è la provvidenza degli sceneggiatori in cattive acque con la storia: già deformata dai contemporanei, la sua immagine è passata ai posteri sotto i tratti di una Messalina […]. Prodotto ibrido, esitante tra il cappa e spada classico e il sexy specializzato». (J. Zimmer, in «Saison ’72», 1972) «Malgrado il cast, la presenza forte di Olinka Berova, star cecoslovacca che avrebbe meritato miglior fortuna, e di Lou Castel come i fratellini del crimine Lucrezia e Cesare Borgia, il film, almeno nel ricordo di allora, era un completo disastro. Brutto schermo, brutta storia, poco sesso e poca avventura. Non aiutano moltissimo attori come Franco Ressel o Ivan Scratuglia a costruire una qualche tensione». (Marco Giusti, Dizionario dei film italiani stracult, Edizioni Frassinelli, Milano 2004, p. 456). LUCREZIA GIOVANE di André Colbert Anno di edizione 1974 Produzione: T.R.A.C.-Torino Roma Attività Cinematografiche; Direttore di produzione: Claudio Grassetti; Soggetto: Luciano Ercoli; Sceneggiatura: Luciano Ercoli; Aiuto-regia: Giorgio Maulini; Fotografia: Aldo De Robertis; Montaggio: Angelo Curi; Suono: Roberto Alberghini; Scenografia: Carlo Gentili; Costumi: Carlo Gentili; Musica: Franco Micalizzi; Interpreti: Simonetta Stefanelli, Massimo Foschi, Ettore Manni, Anna Orso, Paolo Malco, Elisabeth Turner, Raffaele Curi, Aldo Reggiani, Piero Lulli, Fred Robsham, Doro Corrà, William Bogart, Rose Marie Keller, Giovanni Petrucci, Alessandro Petrella; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Studi Elios R.T.A.. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-tedesca. Il titolo tedesco del film è Die Sünden der Lucrezia Borgia. André Colbert è lo pseudonimo con cui Luciano Ercoli firma il film. William Bogart è lo pseudonimo di Guglielmo Spoletini. LA STORIA: Per interessamento del Cardinale Sisto di Monreale, viene annullato il matrimonio tra Lucrezia Borgia e Giovanni Sforza, nipote di Ludovico il Moro. L’affare è condotto in porto per procurare più forti alleanze ad Alessandro VI e dietro la falsa giustificazione dell’impotenza dello sposo. Cesare Borgia, innamorato incestuosamente della sorella, uccide il proprio fratello, Duca di Candia. Poi, per far dimenticare il suo misfatto, inizia una campagna di guerra in Romagna, contro Caterina Sforza. Lucrezia, intanto, viene promessa sposa ad Alfonso d’Aragona. Nessuno però sa che è in cinta di Pierotto, il luogotenente di Cesare, Quest’ultimo, tornato vittorioso dalla guerra, elimina prima Pierotto, poi Alfonso d’Aragona, che ha già sposato sua sorella. Il papa, alla luce di questi nuovi misfatti, è costretto a separare i suoi due figli e ad allontanarli da sé. LA CRITICA: «I riferimenti alle figure di Alessandro VI, Lucrezia e Cesare Borgia, il Duca di Candia e Alfonso di Aragona, anche se richiamati da qualche dialogo e persino da qualche presuntuosa didascalia, sono soltanto una scusa per contrabbandare un prodotto di erotismo sfacciato e continuato le cui scene, legate alle suaccennate figure, finiscono per essere anche un insulto all’obiettività e eccellono per volontà dissacratrice» (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXVII, Anno 1974, Roma 1974, p. 139)
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«Tentativo non riuscitissimo di trattare la vita di Lucrezia Borgia con il volto e il corpo un po’ troppo casalinghi e tranquilli di Simonetta Stefanelli, poi moglie di Michele Placido, e abbastanza impacciata nel ruolo di fatalona. Meglio il resto del cast di trucidi maschi legati all’avventuroso» (Marco Giusti, Dizionario dei film italiani stracult, Edizioni Frassinelli, Milano 2004, p. 456) LE NOTTI SEGRETE DI LUCREZIA BORGIA di Roberto Bianchi Montero Anno di edizione 1982 Produzione: Dief Cinematografica, Diasa Producciones Cinematograficas; Produttore: Armando Novelli; Soggetto: Ramon Vincente Llido; Sceneggiatura: Piero Regnoli, Ramon Vincente Llido; Fotografia: Angelo Lannutti; Montaggio: Cesare Franchini; Scenografia: Amedeo Mellone; Musica: Michel Serfran; Interpreti: Sherpa Lane, Gorge Hilton, Willey Reynolds, Maria Salerno, Marino Masè, Titto Garcia, Françoise Pierrot, Mario Novelli, Carmen Carrion, Rafael Fernandez; Durata: 85’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-spagnola. Il titolo spagnolo del film è La noche segreta de Lucrezia Borgia. Si tratta dell’ultimo film di Roberto Bianchi Montero. Françoise Pierrot era una star del film hard. Del film, che ha avuto scarsa visibilità nelle sale e in televisione, non si sa molto, di conseguenza mancano molti dati tecnico-artistici e critici. LA STORIA: Duccio, a capo di una banda di fuorilegge che taglieggia chiunque attraversi i boschi e le campagne attorno a Roma, sequestra il Duca d’Alba, inviato dal Re Filippo d’Aragona per ricevere un diploma di benemerenza cattolica per il suo re in cambio di una raccolta di diamanti offerti dal sovrano per riconoscenza. Il Duca, per salvarsi la vita, offre a Duccio i diamanti. Il bandito, travestito da spagnolo, si reca alla corte di Lucrezia Borgia spacciandosi per l’accompagnatore del Duca: Lucrezia se ne innamora a prima vista. Intanto Cesare Borgia, affiancato dalla sorella, trama per impedire le trattative del Duca con il Papa. Infatti il Valentino aveva promesso il diploma di benemerenza al Re di Francia che l’avrebbe abbondantemente ricompensato. Duccio torna a palazzo sotto l’identità del Duca, ma viene riconosciuto da Lucrezia che è disperata per doverlo sopprimere per aiutare il fratello. Duccio si reca al pranzo d’onore offertogli da Cesare Borgia ma, avvisato da Lucrezia, evita di bere il vino avvelenato. Ucciso il vero Duca d’Alba, che intanto era riuscito a liberarsi, Duccio viene minacciato da Cesare Borgia che pretende che gli consegni i diamanti. Questi però si trovano già al sicuro e Duccio se ne serve per avere salva la vita. Nel duello finale Duccio riesce a salvarsi e a fuggire con i suoi uomini. LA CRITICA: «Il film, lento e stucchevole, ha una grande pesantezza morale […] ne risulta uno spettacolo di bassa lega […] con ogni genere di variazioni malsane. Sguaiataggine e trascuratezza scenografica (vedi gli interruttori della luce nelle camere!) si aggiungono a qualificare il misero prodotto commerciale» (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LCIII, Anno 1982, Roma 1982, p. 174) «Insultante filmastro su Lucrezia Borgia e il suo tempo. Avventure e amori, intrighi e tradimenti all’insegna del cattivo gusto e dell’approssimazione più becera» (Mario Calderale, Tutti i film dell’anno in «Segnocinema», n. 9, sett. 1983) «Che cosa abbia spinto la distribuzione a rimettere in circolazione questo insipido filmaccio
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non è possibile neppure immaginare, visti anche i magrissimi risultati economici ottenuti. Lucrezia Borgia e la sua corte sono al centro di avventure, intrighi, passioni, “cucinati” nel modo più ovvio oggi rinvenibile nel cinema di basso intrattenimento» (Mario Calderale, Tutti i film dell’anno in «Segnocinema», n. 19, sett. 1985) IL MESTIERE DELLE ARMI di Ermanno Olmi Anno di edizione 2001 Produzione: Cinema 11, RAI Cinema, Studio Canal, Taurus Produktion; Produttore: Alessandro Calosci; Direttore di produzione: Federico Boldrini Parravicini; Soggetto: Ermanno Olmi; Sceneggiatura: Ermanno Olmi; Aiuto-regia: Andrea Marrari; Fotografia: Fabio Olmi; Montaggio: Paolo Cottignola; Suono: Danilo Maroni; Scenografia: Luigi Marchione; Arredamento: Stefano Paltrinieri; Costumi: Francesca Sartori; Maestro d’armi: Angelo Ragusa; Effetti Speciali: Franco Traversari, Massimo Ciaraglia, Pasquale Catalano; Musica: Fabio Vecchi; Interpreti: Hristo Jivkov, Sergio Grammatico, Dimitar Ratchkov, Fabio Giubbani, Sasa Vulicevic, Dessy Tenekedjieva, Sandra Ceccarelli, Giancarlo Belelli, Paolo Magagna, Nikolas Moras, Claudio Tombini, Aldo Toscano, Michele Zattera, Vittorio Corcelli, Franco Palmieri, Paolo Roversi, Francesca Lonardelli; Durata: 103’. Produzione realizzata nei Teatri di posa della Boyana Film S.p.A. (Bulgaria) e, in esterni, nel Palazzo Ducale di Mantova, a Soncino (CR), a Torre Pallavicina (BG) e a Ferrara. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-franco-tedesca. Il titolo francese del film è Le metier des armes. Buona parte degli esterni e tutte le scene di battaglia sono state girate in Bulgaria. LA STORIA: Giovanni de’ Medici, detto Giovanni dalle Bande Nere, nel 1526, a soli ventotto anni, è capitano dell’armata pontificia nella campagna contro i Lanzichenecchi di Carlo V. Richiesto da tutti i principi per la sua grande esperienza nel combattimento all’arma bianca, viene tradito dall’avvento delle armi da fuoco. Mentre sta cercando di fermare, fra Mantova e Ferrara, i Lanzichenecchi che stanno calando su Roma, comandati da Zorzo Frundsberg, viene colpito ad una gamba da un falconetto e muore, dopo una lunga agonia, il 30 novembre. LA CRITICA: «Muovendo dall’ispirazione manzoniana delle tragedie, Olmi ripropone il tema della storia che muore negli uomini e dura nei luoghi, attraverso una raffinatissima sintesi evocativa. […] Un film sulla giovinezza, anche, e sulla vecchiaia che la contempla, dove il tema dell’umiltà viene recuperato al radicale conflitto fra corpo e spirito con squarci di inusitato e mobilissimo erotismo. E di affascinante assimilazione pittorica, infine, dove la memoria padano-lombarda di Savoldo e Moretto si sposa con le densità fiamminghe, e l’alternanza delle inquadrature è un omaggio alla dialettica, squisitamente filmica, fra stasi e movimento» (T.[ullio] M.[asoni], Il mestiere delle armi, p. 63, in Annuario del cinema. Stagione 2000-2001, Edizioni Cineforum, Bergamo 2001).
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Capitolo primo
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2. Storie di intrighi e di madonne Abbiamo raccolto qui si seguito quei film che non solo hanno come protagoniste delle possibili eroine con le loro relazioni pericolose, ma anche quelli che mettono in luce gli intrighi e i maneggi dei potenti, dei principi della Chiesa e di scaltri sudditi dei vari signorotti. A proposito di intrighi e di maneggi di un principe della Chiesa, non poteva mancare la trasposizione cinematografica della commedia di Alfredo Testoni, Il Cardinale Lambertini che Parsifal Bassi porta sullo schermo nel 1934. Ottima l’interpretazione di Ermete Zacconi nella parte del cardinale e quella di Giulietta De Riso, però la pellicola risente troppo della sua impostazione teatrale che la rende statica e poco cinematografica. Cosa ben diversa è la versione che Giorgio Pastina dà del film nel 1954, con un ottimo Gino Cervi nei panni che furono di Zacconi e quelle di Carlini e della Gray in quelli dei due innamorati. Cervi ne farà poi il suo cavallo di battaglia portando la commedia di Testoni sui palcoscenici per molti anni. Ma non sono solo i potenti ad aggirare con la loro astuzia le leggi e i regolamenti vigenti, anche un bifolco, come Mastro Landi, può cercare di aggirarli. Questo è ciò che Giovacchino Forzano ci racconta con il film Maestro Landi del 1935, tratto da una sua commedia nella quale un bifolco, appunto, stanco di spezzarsi la schiena nei campi, decide di andare in città in cerca di un mestiere più semplice. Però l’unico lavora disponibile è quello del boia, lavoro che accetta perché si sapeva in Firenze che il Granduca finiva sempre per concedere la grazia. Così se la passa per un certo tempo, ma un giorno la grazia non arriva e il povero Landi deve usare la scure. Panico e depressione dell’improvvisato boia non sfuggono al Granduca che rimanda il Landi a lavorare i campi. Troppo impacciata l’interpretazione di Odoardo Spadaro, in verità poco adatto alla parte di boia, sia pure fittizia. Film decisamente diverso, pieno di brio e di freschezza, è La prima donna che passa girato da Max Neufeld nel 1940, con una splendida Alida Valli. La donna, oggetto di una scommessa, diventa vittima innocente di una bravata da parte di cortigiani annoiati. Tutto si risolverà in un duello per riscattare l’onore della ragazza. Anche se il soggetto è piuttosto banale, la Valli riempie di sé tutto lo schermo.. In La regina di Navarra (1942) di Carmine Gallone, l’intrigo e le trame sono condotte da una donna, Margherita di Valois, che fa unire in matrimonio il fratello, Francesco I di Francia, con la sorella di Carlo I di Spagna che lo tiene prigioniero. Ottime le qualità, non solo diplomatiche, di Elsa Merlini nei panni di Margherita, ma soprattutto per la sua recitazione che, unita a quelle di Cialente e Bernardi, fanno del film un bello spettacolo. Gli intrighi messi in atto da una sceneggiatura prolissa e pesantemente melodrammatica – tratta dal dramma “La Gioconda” di Victor Hugo – che sta alla base del film Il tiranno di Padova che Max Neufeld realizza nel 1946, non soddisfano per nulla il palato del pubblico italiano. Il film ebbe scarsissima accoglienza, forse in parte dovuta anche al fatto che uscì nelle sale solo nel 1948 quando ormai questo genere non interessava più nessuno e il revival degli anni ’50 era ancora di là da venire. Le cose infatti cambiano nel 1953 quando Vittorio Cottafavi porta sugli schermi
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Le dame, i cavalier, l’arme e gli amori
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Il Cavaliere di Maison Rouge. Non è certamente un “capolavoro”, ma la sua “mediocrità” non si discosta molto dalla media dei film popolari di cappa e spada che, dagli anni ’50, ritornano di moda mantenendo per circa vent’anni un primato quasi inesauribile. Questa volta la storia ci porta in Francia dove una sorta di Primula Rossa si mette a capo di un gruppo di monarchici per salvare il Delfino e Maria Antonietta. Naturalmente tutti sappiamo come è andata a finire, ma ciò non toglie che, grazie anche a una discreta recitazione degli interpreti, il film abbia comunque destato un certo interesse non solo presso il pubblico delle periferie, ma anche in quello delle sale di prima visione. Con Il sacco di Roma, dello stesso anno, di Ferruccio Cerio, la vicenda narrata ci riporta in Italia nella Roma rinascimentale. Infatti non deve trarre in inganno il titolo, non abbiamo a che fare con Attila, ma con i Lanzichenecchi che, al soldo degli spagnoli, sullo sfondo di una diatriba fra gli Orsini e i Colonna, mettono a ferro e a fuoco la città eterna. Risultato piuttosto scarso specie nelle scene di massa e con una recitazione che, nonostante l’impegno degli attori, non decolla. Per rimanere sempre in tema di mercenari che assediano una città nell’Italia del ’400/’500, questa volta una piccola città dell’Appennino centrale, l’anno successivo Antonio Marchi e Luigi Malatesta propongono Donne e soldati. Ci si chiede se era necessario un lavoro a quattro mani per realizzare un simile prodotto. Scadente è dir poco; ciò che meraviglia è che fra gli sceneggiatori, anche se non accreditato, figura Marco Ferreri. Matarazzo si cimenta nello stesso anno con il film La nave delle donne maledette, dove la sua vocazione a narrare le traversie e i martirii di donne innocenti vittime della violenza e del volere altrui3, si manifesta attraverso le disavventure di una povera May Britt, vittima designata. Si entra in pieno feuilleton con il film I misteri di Parigi del 1957 di Fernando Cerchio. Tratto dal romanzo popolare omonimo di Eugène Sue, il film si trascina fra intrighi, violenze fisiche e morali, in puro stile ottocentesco. Nel film, come ovvio, c’è di tutto: i barboni della “corte dei miracoli”, principi, fuorilegge, poco di buono che si rivelano degli angeli, bimbi rapiti e, naturalmente, povere donne vittime innocenti della violenza altrui. Interpreti modesti con altrettanto modesta interpretazione. Con I reali di Francia di Mario Costa del 1959, gli intrighi sono amplificati dal fatto che a quelli tradizionali della cultura occidentale si aggiungono quelli della cultura islamica. L’intreccio amoroso fra il cavaliere Rolando e la bella saracena Suleima alla fine di rocambolesche avventure, sarà coronato dalle tanto sospirate nozze. Il cast di questo genere cinematografico si consolida per il periodo ’60-’70 e, tranne la variabile degli attori principali, rimarrà pressoché invariato per quanto riguarda quelli di contorno. Buona l’ambientazione, la fotografia e il colore. Un prodotto che comincia a piacere anche alla critica, quella d’Oltralpe, naturalmente. Marco Polo, sottotilotato La grande avvenura di un italiano in Cina, è una co-
3 Per ogni ulteriore notizia sulla predilezione di Raffaello Matarazzo a narrare storie di donne umiliate ingiustamente, si veda Gianfranco Casadio, Adultere fedifraghe innocenti. La donna del “neorealismo popolare” nel cinema italiano degli anni Cinquanta, Ravenna, Longo, 1990.
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Capitolo primo
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produzione con la Francia del 1961 di Hugo Fregonese. Il film mette in luce più gli aspetti amorosi e guerreschi dell’esploratore veneziano che non quelli avventurosi e commerciali che in effetti ebbe. In ogni modo gli intrighi, questa volta cinesi del primo ministro imperiale, vengono sventati da Marco Polo e dal cugino del Gran Kan, tanto da guadagnarsi la fiducia dell’imperatore. Molto mediocre il risultato e, nonostante il cast internazionale, la recitazione non si eleva oltre un modesto livello. Anche Angelica, prodotto tipicamente francese, trova spazio nella nostra cinematografia per opera di Steno, al secolo Stefano Vanzina, con il film Rose rosse per Angelica, realizzato nel 1965. Tratto da uno dei racconti di Alexander Dumas, e non dagli ultranoti romanzi della coppia Anne e Serge Golon, non ha come interprete Michèle Mercier nel ruolo della sfortunata e orgogliosa Angelica, bensì Raffaella Carrà, il film si fa apprezzare, se così si può dire, come un racconto d’avventure ben congegnato e con una regia e una recitazione convenzionali, ma efficaci. Un salto di vent’anni ci porta al 1983 con il film di Giacomo Battiato, I paladini. Storia d’armi e d’amori. Nel film gli intrighi e gli intrecci amorosi fra cristiani e saraceni si sprecano: la crociata Bradamante con il guerriero saraceno Ruggero e la sorella di lui, Isabella con il cristiano Rolando. Favola inverosimile dove botte e duelli si alternano a scene amorose e dove i protagonisti principali sono più belli che bravi. È Pupi Avati che conclude questo gruppo di film con Magnificat del 1993. Un film diverso per il regista bolognese, che si può riallacciare al suo primo film Balsamus, l’uomo di Satana del 1968 e al successivo I Cavalieri che fecero l’impresa del 2001. Questo film racconta cinque storie dell’Alto Medioevo collocandole alla vigilia dell’anno 1000, ambientate nella terra di Malfole, che faceva parte della Pentapoli nell’Appennino dell’Italia Centrale, con uno stile asciutto e ben documentato che insinua negli spettattori la voglia di prendere in mano alcuni classici della storia medievale citati dal regista. «Un film insolito, colto e suggestivo, che ci porta in un’epoca pochissimo nota a chi non si diletta di storia: Quell’Alto Medioevo in cui l’eco della cultura romana, la religione cristiana e i costumi pagani si mischiarono nell’ardore della fede, nel fanatismo dei mistici e nella barbarie della violenza più efferata».4
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Giovanni Grazzini, in «L’indipendente», mag. 1993.
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Le dame, i cavalier, l’arme e gli amori
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IL CARDINALE LAMBERTINI di Parsifal Bassi
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Anno di edizione 1934 Produzione: Elios Film; Produttore: Armando Zanotta, Sergio Morpurgo; Soggetto: tratto dalla commedia omonima di Alfredo Testoni; Sceneggiatura: Parsifal Bassi, Armando Zanotta; Fotografia: Otello Martelli; Montaggio: Parsifal Bassi; Scenografia: Otha Sforza; Costumi: Caramba; Musica: Pietro Clausetti; Interpreti: Ermete Zacconi, Giulietta De Riso, Ermes Zacconi, Franco Becci, Fernanda Fassy, Letizia Bovini, Maria Wronska, Pia De Doses, Aldo Silvani, Giuseppe Galeati, Calisto Bertramo, Luciano Molinari, Antonio Vittorio Servolini, Isa Miranda, Edoardo Borelli, Giuseppe Zacconi; Durata: 72’. Produzione realizzata negli Stabilimenti della Milano Film alla Bovisa (Mi). OSSERVAZIONI: Caramba è lo pseudonimo del regista del muto Luigi Sapelli. Nel film figurano alcune sequenze a colori realizzate da Emilio Roncarolo. LA STORIA: Siamo a Bologna nel 1739. Carlo, figlio del cameriere del Cardinal Lambertini è innamorato, riamato, della figliastra del Gonfaloniere Pietramelara che è stata promessa al figlio del conte Davia. Quando i parenti della ragazza scoprono la relazione, mandano la giovane in convento, ma Carlo, scoperto dove si trova, la rapisce e si rifugia con lei nel palazzo del Cardinale. Gli spagnoli assediano il palazzo per liberare la ragazza promessa al loro comandante, ma il Cardinale, con una serie di sotterfugi riesce a fare sposare i due giovani. In seguito, chiamato a Roma, il Cardinale Lambertini diventerà Papa. LA CRITICA: «Siamo in pieno teatro. E c’era da prevederlo. […] Il Bassi ha creduto bene di attenersi, fedelissimamente, alla charpente originale e di fotografare, pressoché immutate, le scene principali dell’opera drammatica, frondandola appena del superfluo, e conservandone il suo procedimento episodico, spesso scucito. Peccato, Con simile argomento, con gli interpreti e con i mezzi che aveva a disposizione (si parla di un milione di spesa), il regista e Armando Zanotta avrebbero potuto realizzare qualcosa di più che un documento zacconiano […]. Zacconi si è rivelato […] fotogenico al massimo. Potrà darci, se lo sappiamo adoperare, qualche superba interpretazione filmistica. Molto efficace e autorevole Giulietta de Riso, graziosa la Fassy, e brave, in genere, tutte le rappresentanti del gentil sesso. Tra gli uomini, ricorderò il Silvani, il Becci, il Galeati». (Enrico Roma, in «Cinema Illustrazione», n. 13, 28 mar. 1934). MAESTRO LANDI di Giovacchino Forzano Anno di edizione 1935 Produzione: Consorzio Vis Tirrenia; Produttore: Giovacchino Forzano; Direttore di produzione: Odon Berlioz; Soggetto: dalla commedia omonima di Giovacchino Forzano; Sceneggiatura: Giovacchino Forzano; Fotografia: Mario Albertelli; Montaggio: Giacinto Solito; Scenografia: Antonio Valente; Musica: Gioacchino Forzano; Interpreti: Odoardo Spadaro, Ugo Ceseri, Pina Torniai, Gemma Bolognesi, Giorgio Capecchi, Corrado Racca, Guglielmo Mazzoni, Augusto Ammannati, Alfredo Sainati; Durata: 78’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Pisorno di Tirrenia.
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Capitolo primo
LA STORIA: Un contadino, stanco della vita dei campi, decide di scendere in città, ma giunto a Firenze non riesce a trovare un lavoro stabile che lo soddisfi, finché non accetta di fare il boia nelle carceri del Granduca, fidando nel fatto che il Granduca concedeva in genere la grazia ai condannati a morte. Un giorno però capita che la grazia non viene concessa e il pover’uomo, preso dall’angoscia, non sa come fare. Il Granduca allora, venuto a conoscenza della sua storia, concede la grazia al condannato ed esonera l’improvvisato boia dal servizio rimandandolo a lavorare i campi. LA CRITICA: «L’amore dei particolari (che sono il meglio del film) ha preso la mano al regista e perciò l’azione ne risulta diluita, spesso stagnante. E il dramma arriva tardi, contenuto in troppo brevi scene. Odoardo Spadaro s’è attenuto ai suoi abituali virtuosismi del varietà, canticchiando stornelli e ariette. Ma nella scena in cui deve rivelare ai parenti convenuti in Firenze qual sia l’impiego governativo ottenuto (che è quello del boja agli ordini del Granduca Leopoldo II) dà prova di essere anche un eccellente attore drammatico. Efficaci, al suo fianco, la Bolognesi e il simpatico Cèseri». (Enrico Roma, in «Cinema Illustrazione», n. 20, 15 magg. 1935). LA PRIMA DONNA CHE PASSA di Max Neufeld Anno di edizione 1940 Produzione: Italcine; Direttore di produzione: Carlo Della Posta; Soggetto: Alessandro De Stefani; Sceneggiatura: Alessandro De Stefani; Fotografia:Tino Santoni; Montaggio: Vincenzo Zampi; Suono: Franco Croci; Scenografia: Ottavio Scotti; Arredamento: Cesare Pavani; Costumi: Fabbrizio Carafa; Musica: Carlo Innocenzi; Interpreti: Alida Valli, Carlo Lombardi, Ninì Gordini Cervi, Giuseppe Rinaldi, Lisa Varna, Giuseppe Pierozzi, Achille Majeroni, Guglielmo Barnabò, Augusto Marcacci, Oltinto Cristina, Renato Malavasi, Erminio D’Olivo, Emilio Petacci, Giulia Domini, Michele Malaspina, Giulio Dani; Durata: 82’. Produzione realizzata negli Studi SAFA. LA STORIA: A Parigi, nella seconda metà del XVII secolo, il primo ministro del Re Luigi XV scommette con due cortigiani che entro la mezzanotte riuscirà a conquistare la prima donna che passa per strada e, per confermare la conquista, si affaccerà al balcone di casa della donna sedotta. Si tratta di una truffa, infatti nella casa della donna, si è introdotta una ex amante del ministro il quale ha ordito il tutto allo scopo di estorcere la somma scommessa. Il ministro si affaccia al balcone scatenando l’ira del fidanzato della giovane compromessa, che lo sfida a duello per vendicarne l’onore. La conseguente caduta in disgrazia del ministro presso il Re, il suo arresto e poi la confessione che chiarisce l’innocenza della ragazza fanno sì che si riappacifichino gli animi. LA CRITICA: «Alida Valli ha dimostrato di saper essere la stessa qualunque siano i panni che le vengono messi addosso e qualunque sia l’epoca che le fa da contorno. […] Anche questa volta, benché l’apparato scenico sia da gran soggettone, il nocciolo di questa faccenda è sul piano della solita trama sentimentale. […] Ma sembra che ciò che vi è di irrimediabilmente convenzionale in queste storie non basti a chi le dirige e le mette in circolazione. Cosicché si va a tirar fuori anche tutto il convenzionale che è già stato detto e ripetuto su un’epoca, su certi circoli, su certa mentalità. E tornano così per l’ennesima volta damine e cavalieri, soldati della guardia e cortigiani. Tornano i dialoghi mille volte detti e ridetti, le
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situazioni già rappresentate, scritte, cantate, musicate, in tutte le lingue e in tutti i suoni. Sembra davvero che la fantasia si sia a poco a poco esaurita, e cerchi nella ripetizione di contenuti e di forme ormai viete di illudere se stessa o gli altri». (Giuseppe Isani, in «Cinema», n. 114, 25 mar. 1941). LA REGINA DI NAVARRA di Carmine Gallone Anno di edizione 1942 Produzione: Juventus Film; Direttore di produzione: Raffaele Colamonici; Soggetto: Sergio Amidei ispirato alla commedia omonima di Eugène Scribe; Sceneggiatura: Sergio Amidei, Carmine Gallone; Fotografia: Arturo Gallea; Montaggio: Nicolò Lazzari; Suono: Nello Di Paolo; Scenografia: Arturo Abkhasi, Alfredo Montori; Costumi: Titina Rota, Marina Arcangeli; Musica: Franco Casavola; Interpreti: Elsa Merlini, Gino Cervi, Clara Calamai, Leonardo Cortese, Valentina Cortese, Renato Cialente, Greta Gonda, Nerio Bernardi, Paolo Stoppa, Margherita Bagni, Wanda Capodaglio, Oreste Fares, Adriano Vitale, Enzo Musumeci-Greco; Durata: 85’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. OSSERVAZIONI: Alla scneggiatura collaborò, non accreditato, Giacomo Debenedetti. LA STORIA: Dopo la sconfitta di Pavia, Francesco I Re di Francia – prigioniero a Madrid di Carlo I Re di Spagna – viene liberato grazie all’abilità diplomatica della sorella Margherita di Valois che fa in modo che il fratello sposi Eleonora, sorella di Carlo. Margherita, poi, riuscirà a fare saltare il matrimonio di Carlo con l’Infanta del Portogallo e a sposare Enrico d’Albret, futuro Re di Navarra. LA CRITICA: «La regina di Navarra non è tra le maggiori opere galloniane. […] La vicenda, presa di peso dalla storia, ha spunti così poetici, ricchi e tempestosi, che non si è potuto utilizzarli tutti. È avvenuto che, utilizzandone solo alcuni, si è restati con il disappunto di non avere rammentati gli altri. […] Ma intendiamoci si tratta sempre di un film spettacoloso. Talune fiacchezze di ritmo non annullano sempre i motivi dell’emozione e del diletto. E poi ci sono attori (come Elsa Merlini, come Renato Cialente, tutto intelligenza, finezza e malinconia, come Nerio Bernardi, sempre più zoliano, sempre più vero e diabolico) che trasformano in oro tutto quello che toccano, che rendono lieve e incantevole tutta la materia che cade nelle loro mani». (Diego Calcagno, in «Film», n. 17, 26 apr. 1942). IL TIRANNO DI PADOVA di Max Neufeld Anno di edizione 1946 Produzione: Scalera Film; Produttore: Max Calandri; Direttore di produzione: Vittoro Barattolo; Soggetto: tratto dal dramma “La Gioconda” di Victor Hugo; Sceneggiatura: Angelo Bianchini D’Abbraccio, Max Neufeld, Raffaele Saitto; Aiuto-regia: Carlo Saitto; Fotografia: Giusppe Caracciolo; Montaggio: Eraldo Da Roma; Suono: Saul Vangelista; Scenografia: Ottavio Scotti, Luigi Scaccianoce; Musica: Amilcare Ponchielli, Renzo Rossellini; Interpreti: Caudia Calamai, Carlo Lombardi, Elsa De Giorgi, Alfredo Varelli, Nino Pavese, Gior-
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Capitolo primo
gio Piamonti, Erminio Spalla, Carlo Micheluzzi, Olga Vittoria Gentilli, Memo Benassi, Cristina Veronesi, Andreina Carli; Durata: 91’. Produzione realizzata negli Studi Scaleera Film di Venezia. Content accessed by Alma Mater Studiorum - Univ. di Bologna [IP address 137.204.24.180] on 03/12/2018
OSSERVAZIONI: Il film uscì nelle sale solo nel 1948 ed ebbe scarsa accoglienza. LA STORIA: Caterina ama segretamente Rodolfo, un giovane proscritto, ma il padre della ragazza, un senatore, la obbliga a fidanzarsi con Angelo Malipieri, Podestà di Padova. Scoperta la relazione, il Consiglio dei Dieci ordina l’arresto di Rodolfo che viene incarcerato, ma il giovane riesce a fuggire e ad unirsi alla compagnia della nota ballerina Tisbe, protetta dal Podestà, e riesce a raggiungere Padova. Intanto Caterina sposa Malipieri che la tiene prigioniera nel suo palazzo. Dopo varie avventure che vedono coinvolti Tisbe, Caterina, Rodolfo, un confidente del Consiglio dei Dieci e lo stesso Malipieri, Rodolfo riesce a vendicarsi dei torti subiti e a fuggire con Caterina. LA CRITICA: «Il dramma che forma l’oggetto di questo film appartiene al più vieto romanticismo ed è trattato in modo da mettere in luce, senza alcuna attenuazione, tutta la falsità di un’arte ormai sorpassata». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXI, Anno 1947, Roma 1947, p. 179). IL CAVALIERE DI MAISON ROUGE di Vittorio Cottafavi Anno di edizione 1953 Produzione: Produzioni Venturini; Produttore: Giorgio Venturini Direttore di produzione: Ermanno Pavarini; Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Alexandre Dumas Sceneggiatura: Alessandro Ferraù, Giuseppe Mangione, Vittorio Cottafavi; Aiuto-regia: Carla Ragionieri; Fotografia: Arturo Gallea; Montaggio: Loris Bellero; Suono: Giovanni Canavero; Scenografia: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Costumi: Maud Srudthoff, Lucia Belfadel; Musica: Enzo Carabella; Interpreti: Renée Saint Clair, Yvette Lebon, Alfred Adam, Armando Francioli, Vittorio Sanipoli, Franca Marzi, Marcel Perez, Luigi Tosi, Giancarlo Regis, Piero Fumelli, Olga Solbelli, Ermanno Pavarini, Giuseppe Chinnici; Durata: 96’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Fert di Torino. LA STORIA: Dopo il processo e l’uccisione di Luigi XVI, Maria Antonietta e il figlio attendono che si compia il loro destino. Il Cavaliere di Maison Rouge alla testa di un gruppo di fedeli monarchici sta lavorando per salvare la regina. Arruolatosi nella Guardia Nazionale sotto falso nome, fa amicizia con il capitano Maurizio Linday addetto alla sorveglianza dei prigionieri. Linday si innamora di una dama, moglie di uno del gruppo dei monarchici, che riesce a comunicare alla regina il piano per farla evadere. Ma Maria Antonietta sorpresa mentre sta bruciando un biglietto sospetto, viene separata dal Delfino che viene affidato al calzolaio Simon. Linday fugge da Parigi per evitare l’arresto e il posto di capo delle guardie viene affidato a Simon. Maria Antonietta viene ghigliottinata e il Cavaliere di Maison Rouge viene ferito mortalmente da Simon, ma prima di morire lo uccide. LA CRITICA: «Il film risulta in complesso mediocre, benché l’interpretazione sia discreta». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXXIII, Anno 1953, Roma 1953, p. 207).
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«Storia dei vari tentativi fatti dai monarchici per salvare Maria Antonietta dalla ghigliottina. Interessante in alcuni momenti, monotono in altri, il film non riesce a sollevarsi ad un livello un po’ elevato, malgrado la buona prestazione degli interpreti». (U. Tani, in «Intermezzo», n. 14/15, 15 ago. 1954). IL SACCO DI ROMA di Ferruccio Cerio Anno di edizione 1953 Produzione: Laura Film; Produttore: Mario Francisci; Direttore di produzione: Carlo Bessi; Soggetto: Alessandro Ferraù, Giusppe Mangione, Mario Francisci; Sceneggiatura: Alessandro Ferraù, Giusppe Mangione, Mario Francisci; Aiuto-regia: Gianfranco Baldanello; Fotografia: Tonino Delli Colli; Montaggio: Mario Bonotti; Suono: Raffaele Del Monte, Pietro Sceriffo; Scenografia: Giulio Bongini; Arredamento: Veniero Colasanti; Costumi: Vittorio Nino Novarese; Musica: Franco Ferrara; Interpreti: Pierre Cressoy, Hélène Remy, Vittorio Sanipoli, Luigi Tosi, Anna Maria Bugliari, Alfredo Varelli, Valerio Tordi, Mario Ferrari, Franco Fabrizi, Aldo Fiorelli, Mimo Billi, Giampaolo Rosmino, Norma Bellinzaghi, Bettina Metcalf Bugnano, Lina Battaglini, Bruno Baschiera, Aldo Bettoni, Maurizio Di Nardo, Nino Marchetti, Diana Orsini, Attilio Torelli, Mariolina Bovo, Omero Lucchi; Durata: 98’. LA STORIA: Nel 1527 Roma sta per essere invasa dalle truppe spagnole e dai Lanzichenecchi. Le famiglie Orsini e Colonna, in lotta fra loro, sembra che non se ne curino. I più giovani delle due famiglie, Angela Orsini e Massimo Colonna si amano e si sposano segretamente, ma durante la cerimonia il padre di Angela, avvertito del fatto, interviene e sfida Massimo in duello. Il giovane si destreggia per evitare lo scontro, ma un sicario di Tancredi Serra, pretendente alla mano di Angela, uccide l’Orsini e del delitto viene accusato Massimo che fugge da Roma. Però quando la città è assediata, vi fa ritorno per combattere. In breve ogni difesa è superata e gli ultimi difensori si rifugiano in Castel Sant’Angelo. Il giovane Colonna, radunati una schiera di coraggiosi romani con l’aiuto di Fanfulla da Lodi riesce a spezzare l’accerchiamento dei nemici e libera i difensori del Castello. Il sicario morente confessa ad Angela la verità sulla morte di suo padre così che i due giovani si possono sposare. LA CRITICA: «È un lavoro mediocre, che per la messa in scena spettacolare può interessare pubblici non molto esigenti». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXXIV, Anno 1953, Roma 1953, p. 140). «Un altro film storico italiano che come doti spettacolari è inferiore a Nerone e Messalina, anche se la trama desta un certo interesse. Tutto l’insieme però viene presentato in modo piuttosto farraginoso e confuso e con un eccessiva predilezione per i toni ora cupi ora enfatici che rendono inefficiente l’onesta prestazione degli interpreti». (U. Tani, in «Intermezzo», n. 9/10, 31 magg. 1954). IL CARDINALE LAMBERTINI di Giorgio Pastina Anno di edizione 1954
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Capitolo primo
Produzione: Italica Film, Vox Film; Direttore di produzione: Manlio Maria Morelli; Soggetto: tratto dalla commedia omonima di Alfredo Testoni; Sceneggiatura: Edoardo Anton, Oreste Biancoli, Giorgio Pastina; Aiuto-regia: Salvatore Rosso; Fotografia: Rodolfo Lombardi; Montaggio: Renato Scandolo; Suono: Tullio Parmeggiani; Scenografia: Peppino Piccolo; Arredamento: Gino Brosio; Costumi: Veniero Colasanti; Musica: Carlo Rustichelli; Direzione musicale: Franco Ferrara; Interpreti: Gino Cervi, Nadia Gray, Arnoldo Foà, Sergio Tofano, Paolo Carlini, Tino Buazzelli, Carlo Romano, Virna Lisi, Tullio Altamura, Ignazio Balsamo, Agnese Dubbini, Loris Gizzi, Gualtiero Isnenghi, Mario Mazza, Armando Migliari, Emilio Petacci, Mario Siletti, Rita Glori, Alfredo Salvadori, Gianni Agus, Loris Bazzocchi, Aldo Fiorilli, Natale Cirino, Piero Pastore, Pietro Tordi, Leonardo Severini, Maurizia Ranzi, Libero Grandi, Teresa Moggi, Corrado Annicelli; Durata: 103’. Produzione realizzata negli Stabilimenti della Scalera Film . OSSERVAZIONI. Si tratta del remake del film omonimo di Parsifal Bassi. LA STORIA: Nel 1739 il Cardinale Lambertini, poco prima di diventare Papa, riesce a portare all’altare, con un sotterfugio, il figlio del suo cameriere e la figlia di una contessa, avversa alle nozze. LA CRITICA: «È la trasposizione cinematografica della nota commedia di alfredo Testoni, della quale il film segue abbastanza fedelmente lo svolgimento. Discreta, ma alquanto discontinua, la regia; buona l’interpretazione di Gino Cervi e degli altri attori». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXXVII, Anno 1955, Roma 1955, p. 20). «La recitazione di Cervi è ricca, colorita, arguta: la sua bella interpretazione dà di più a questo drammone di cappa e spada che Pastina, con dubbia fedeltà all’originale, ha tratto dalla cordiale e bonaria commedia […]. Si aggiunga a tutto questo una brutta sceneggiatura e una fotografia peggiore, piatta e buia». (Anonimo, in «Festival», n.129, 18 giu. 1955). DONNE E SOLDATI di Antonio Marchi, Luigi Malerba Anno di edizione 1954 Produzione: S.I.C. (Società Italiana Cinematografica); Produttore: Luciana Momigliano; Soggetto: Luigi Malerba; Sceneggiatura: Antonio Marchi, Luigi Malerba, Luciana Momigliano; Fotografia: Gianni Di Venanzo; Montaggio: Eraldo Da Roma; Suono: Eraldo Giordani; Scenografia: Vincenzo Del Prato; Arredamento: Maurizio Serra Chiari; Costumi: Maurizio Serra Chiari; Musica: Teo Usuelli; Interpreti: Marcella Mariani, Sandro Samarè, Marco Ferreri, Gaia Servadio, Emanuele Dell’Orto, Giuseppina Vicari, Bruno Blankesteiner, Joseph Reigsigel, Franz Herbert, Hans Passler, Hermann Atzwanger, Enrico Magretti, Anna Arbertelli; Durata: 88’. Produzione realizzata in interni ed esterni al Castello di Torrechiara e in quello di Montechiarugolo nel Parmense . OSSERVAZIONI: Alla scneggiatura collaborò, non accreditato, Marco Ferreri. Le canzoni del 1400 sono state adattate da Teo Usuelli e cantate da Sandro Samarè. LA STORIA: Verso il 1400 una piccola città dell’Appennino emiliano è assediata da un
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Le dame, i cavalier, l’arme e gli amori
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gruppo di mercenari. Il castello è tenuto da un malvagio duca che comanda uno sparuto nucleo di guardie e soldati malmessi. I due comandanti nemici, nonostante l’approssimarsi dell’inverno e la scarsità di cibo, decidono di continuare la lotta. I sacrifici degli assediati e la stanchezza degli assedianti finiscono per convincere i contendenti a porre termine alle ostilità con qualche morto e un matrimonio fra una contadina del luogo e un mercenario. LA CRITICA: «Si tratta di un lavoro scadente: soggetto insulso e sconclusionato, regia inefficace, recitazione e fotografia pessime. Si salvano in parte, le canzoni». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXXVII, Anno 1955, Roma 1955, p. 168) LA NAVE DELLE DONNE MALEDETTE di Raffaello Matarazzo Anno di edizione 1954 Produzione: Excelsa Film; Direttore di produzione: Alfredo De Laurentiis; Soggetto: tratto dal romanzo “Histoire de 130 femmes” di Leon Cozlan; Sceneggiatura: Aldo De Benedetti, Ennio De Concini, Raffaello Matarazzo; Aiuto-regia: Silvio Amadio; Fotografia: Aldo Tonti; Montaggio: Leo Catozzo; Suono: Mario Amari, Paolo Uccello; Scenografia: Piero Filippone; Arredamento: Mario Chiari; Costumi: Dario Cecchi; Musica: Nino Rota; Interpreti: Kerima, May Britt, Ettore Manni, Tania Weber, Rita Andreana, Anna Arena, Ignazio Balsamo, Giorgio Capecchi, Eduardo Cianelli, Romolo Costa, Edoardo De Santis, Rosetta Dei, Augusto Di Giovanni, Paolo Dola, Maria Dominiani, Marcella Rovena, Bianca Maria Fabbri, Silvana Fabbri, Fedele Gentile, Fanny Landini, Patrizia Lari, Elvy Lissiak, Vera Nizamis, Giovanna Ralli, Flo’ Sandon’s, Olga Solbelli, Luigi Tosi, Gualtiero Tumiati, Lia Perez, Anna Vivaldi; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Ponti-De Laurentiis. OSSERVAZIONI: La canzone “Malatierra” di G.P. Redi è cantata da Flo’ Sandon’s. LA STORIA: Una nobildonna commete un infanticidio, ma del delitto è accusata un’ingenua ragazza che viene deportata al posto suo nelle colonie d’America. Un avvocato non crede alla colpevolezza della giovane, si imbarca clandestino sulla stessa nave, e scopre la vera colpevole che anch’essa si trova a bordo. La dura vita a cui sono sottoposte le deportate le inducono a ribellarsi e ad impadronirsi della nave, ma una terribile tempesta uccide tutti tranne la giovane e l’avvocato che, raggiunta terra su una scialuppa, riesce a provarne l’innocenza. LA CRITICA: «Neppure per un secondo il pubblico crede che la Britt si rifiuti di accontentare i parenti ricchi. Ormai questa attrice non ha altra funzione nel cinema che quella della “vittima designata”». (Marino Onorati, in «Film d’oggi», n. 9, 4/11 mar. 1954) I MISTERI DI PARIGI di Fernando Cerchio Anno di edizione 1957 Produzione: Prora Film, Faro Film, C.ie Française de Prod. Cinematographiques; Direttore
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Capitolo primo
di produzione: Giampaolo Bigazzi; Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Eugène Sue; Sceneggiatura: Ottavio Alessi, Ugo Guerra, Damiano Damiani, Caro Canaille, Fernando Cerchio; Aiuto-regia: Giorgio Rivalta; Fotografia: Sergio Pesce; Montaggio: Maria Rosada; Scenografia: Giorgio Scalco; Musica: Enzo Carabella; Interpreti: Frank Villard, Lorella De Luca, Jacques Castelot, Yvette Lebon, Matteo Spinola, John Kitzmiller, Giulio Battiferri, Elena Zareschi, Clara Ristori, MauriceTeynac, Arturo Bragaglia, Giulio Calì, Olga Solbelli, Umberto Sacripante, Marianna Leibi, Mino Loisi, Giuseppe Lo Giudice, Rita Toscano; Durata: 95’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo francese del film è Les mystères de Paris. LA STORIA: Rodolfo, Principe di Gerolstein, chiamato al capezzale di Matilde, sua fidanzata in gioventù, riceve da lei in punto di morte la supplica di rintracciare il figlio Germain prima che lo trovi il marito, un poco di buono evaso dal carcere, ne faccia un delinquente come lui. Rodolfo, per adempiere alla promessa, si trasforma in un barbone e si mescola alla gente dei bassifondi. Maria, una cantante amica d’infanzia di Germain sente per caso le domande che Rodolfo fa in giro e corre ad avvisare il giovane. Decidono di fuggire insieme. Germain si reca a incassare del denaro, ma viene sequestrato dal padre. Intanto Sara, la moglie separatasi da Rodolfo tanti anni prima, si reca dal notaio Ferrand preoccupata perché ha visto il marito travestito aggirarsi nei sobborghi di Parigi. Ferrand, che è il capo della malavita, cerca Maria e la fa rapire. Durante il tafferuglio Sara rimane ferita mortalmente e chiede di essere portata a casa del marito. Prima di morire rivela al marito che la figlia è viva. Rodolfo, che nel frattempo ha ritrovato Germain, si precipita con il ragazzo dal notaio e, capeggiando i mendicanti, ingaggia una lunga lotta contro i fuorilegge. Maria viene salvata, ma Ferrand fugge in carrozza. Sarà il padre di Germain a ucciderlo morendo egli stesso. LA CRITICA: «I personaggi della vicenda, tratti dal noto romanzo popolare di Eugenio Sue, sono mossi da sentimenti elementari. Il film però è realizzato con dignità, il racconto è discretamente fluido, l’nterpretazione è modesta». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLII, Anno 1957, Roma 1957, p. 119) I REALI DI FRANCIA di Mario Costa Anno di edizione 1959 Produzione: Schermi Produzione; Produzione: Alberto Manca; Direttore di produzione: Adriano Merkel; Soggetto: Vittorio Calvino; Sceneggiatura: Nino Stresa; Aiuto-regia: Mario Tota; Fotografia: Augusto Tiezzi; Montaggio: Otello Colangeli; Suono: Enzo Silvestri, Renato Cadueri; Scenografia: Saverio D’Eugenio; Arredamento: Emilio D’Andrea; Costumi: Anna Maria Fea, Enzo Bulgarelli; Maestro d’armi: Franco Fantasia; Musica: Carlo Innocenzi; Interpreti: Chelo Alonso, Rick Battaglia, Gérard Landry, Liana Orfei, Livio Lorenzon, Gino Marturano, Paola Quattrini, Andrea Scotti, Franco Fantasia, Cesare Fantoni, Luisella Boni, Carlo Tamberlani, Dino D’Aquilio, Olga Solbelli; Durata: 85’. Produzione realizzata negli Stabilimenti della Titanus . LA STORIA: Rolando, Conte di Besançon, su ordine del Re Luigi VII, si reca al castello di Chateaurouge per riaccompagnare alla reggia i principi Filippo e Maria. Il Regno non è
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Le dame, i cavalier, l’arme e gli amori
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sicuro a causa delle scorrerie degli arabi provenienti dalla Spagna. Rolando cattura Suleima, figlia del capo arabo, per farsene scudo durante il viaggio, ma durante la notte la fanciulla viene fatta fuggire dal capitano Gontrano che spera di ricevere un lauto compenso dagli arabi. Nel tentativo si smascherare il traditore, Rolando si scontra più volte con gruppi saraceni, ma viene ferito. Soccorso da Suleima che lo nasconde e lo cura, Rolando guarisce rapidamente. Intanto Achirro, padre di Suleima, viene ucciso da Basirocco, un generale arabo che voleva prendere il suo posto, e fa prigioniera Suleima, ma la ragazza riesce a fuggire e a raggiungere Rolando che organizza i contadini sfuggiti alle razzie degli arabi e attacca il castello per smascherare il traditore e liberare i due principini che stavano per essere consegnati a Basirocco da Gontrano. Quando Rolando e i suoi stanno per essere sopraffatti dagli arabi e dal traditore con i suoi mercenari, arriva Luigi VII alla testa delle sue truppe mette in fuga i nemici. Gontrano viene ucciso, i principini liberati e Rolando e Suleima ottengono dal Re il consenso per le nozze. LA CRITICA: «Il film, ricco di colpi di scena, è bene ambientato e interpretato con sufficiente mestiere. Buoni il colori e la fotografia. La vicenda si conclude col trionfo dei buoni che sventano le torbide macchinazioni dei malvagi». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLVII, Anno 1960, Roma 1960, p. 20) MARCO POLO di Hugo Fregonese Anno di edizione 1961 Produzione: Panda Cinematografica, Transfilmorsa; Produttore: Ermanno Donati, Luigi Carpentieri; Direttore di produzione: Gianni Minervini, Lucio Orlandini; Soggetto: Piero Pierotti, Oreste Biancoli; Sceneggiatura: Piero Pierotti, Oreste Biancoli, Duccio Tessari, Antoinette Pellevant; Fotografia: Riccardo Pallottini; Montaggio: Ornella Micheli; Suono: Leopoldo Rosi, Mario Amari; Scenografia: Aurelio Crugnola; Arredamento: Aurelio Crugnola; Costumi: Mario Giorsi; Coreografia: Franca Bartolomei; Musica: Angelo Francesco Lavagnino; Direzione musicale: Carlo Franci; Interpreti: Rory Calhoun, Yoko Tani, Robert Hundar, Camillo Pilotto, Pierre Cressoy, Michael Chow, Thien Houng, Antonio Cianci, Paola Falchi, Anna Maestri, Spartaco Nale, Ada Passeri, Roberto Paletti, Angelo Galassi, Franco Ressel, Jeanine Tramony, Bianca Pividori, Franco Ammirata; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Studi Incir-De Paolis. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Sottotitolo del film: La grande avventura di un italiano in Cina. Il titolo francese del film è Marco Polo (L’aventure d’un italien en Chine). Robert Hundar è lo pseudonimo di Claudio Undari. Del Marco Polo ne fu fatta una seconda versione nel 1982 per la regia di Giuliano Montaldo. Si tratta di un film televisivo, prodotto dalla RAI in collaborazione con la Vides International, della lunghezza di 10 ore di proiezione, andato in onda in otto puntate su RaiUno dal 5 dicembre 1982 al 23 gennaio 1983. LA STORIA: Marco Polo, lasciata Venezia, inizia il suo viaggio in Oriente. Giunto in Mongolia, arriva in Cina attraversando la muraglia cinese con l’aiuto di una guida. Il Gran Khan, avvisato del suo arrivo, dà ordini perché sia accolto con tutti gli onori, ma Marco Polo è già finito in carcere per una zuffa con le guardie del Khan. Scarcerato, Polo racconta al Gran Khan che durante il viaggio si è imbattuto in un suo cugino che, con altri ribelli, si è rifugiato
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Capitolo primo
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sui monti. Costoro si sono ribellati, non contro il Khan, ma per le vessazioni messe in atto dal suo primo ministro nei confronti del popolo. Il primo ministro informato di ciò, fa imprigionare il Gran Khan e cerca di far catturare Polo che però fugge e raggiunge i ribelli. Assieme calano su Pechino, liberano il Gran Khan e uccidono il primo ministro. Ritornata la pace, Marco Polo riprende il suo viaggio. CRITICA: «Si tratta di un modesto film avventuroso ispirato assai alla lontana al viaggio di Marco Polo, che è presentato sulla falsariga di Casanova. Debole la regia; modesta l’interpretazione; senza rilievo la fotografia a colori». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LI, Anno 1962, Roma 1962, p. 266) ROSE ROSSE PER ANGELICA di Steno Anno di edizione 1965 Produzione: Flora Film, West Film, Llama Film, Cineurop; Produttore: Leo Cevenini, Vittorio Martino, Italo Zingarelli; Direttore di produzione: Roberto Palaggi, Rafael Cuevas; Soggetto: tratto da un racconto di Alexander Dumas; Sceneggiatura: Marcello Ciorciolini, Leo Cevenini, Roberto Gianviti, Steno, Natividad Zaro; Aiuto-regia: Mariano Laurenti; Fotografia: Mario Capriotti; Montaggio: Giuliana Attenni; Scenografia: Ivo Battelli, Antonio Cortes; Costumi: Maria Baronj, Flora Bonocore; Maestro d’armi: Enzo Musumeci Greco; Musica: Angelo Francesco Lavagnino; Interpreti: Jacques Perrin, Raffaella Carrà, Michèle Girardon, Carlos Estrada, Jacques Castelot, Mario Feliciani, Giulio Bosetti, Maria Padovan, Sandro Moretti, Chris Huerta, Renato Chiantoni, José Maria Caffarel, Enrique Navarro, Armando Furlai, Enzo Musumeci Greco, Saturnino Cerra; Durata: 110’. Produzione realizzata negli Studi Cineaste di Madrid e Incir-De Paolis. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-ispano-francese. Il titolo spagnolo del film è El caballero de la rosa roja, quello francese Le chevalier à la rose rouge. Steno è il nome d’arte di Stefano Vanzina, mentre il vero nome di Raffaella Carrà è Raffaella Pelloni. Il film non ha nulla a che vedere con la serie di film francesi sulle avventure di Angelica interpretati da Michèle Mercier, tratta dai romanzi di Anne e Serge Golon. LA STORIA: Il Conte Enrico de Verlaine ama due cose: le rose e le donne. Fra queste vi è Antonietta, moglie di un alto ufficiale di polizia. Un giorno conosce Angelica, locandiera del Gallo d’Oro, che lo respinge. Tornato a casa trova un ospite inatteso. Costui è il Marsigliese, il capo di una banda di patrioti per metà briganti e per metà difensori della libertà. La morte del Marsigliese, l’amore di Angelica per costui e la spietata repressione del capo della polizia, fanno maturare in Enrico sentimenti patriottici. Aprofittando del fatto che la vera identità del Marsigliese non era nota alle autorità, ne prende il posto continuandone le gesta. Quando le cose volgono al peggio, la rivoluzione francese permette a lui e alla giovane Angelica di mettersi in salvo. LA CRITICA: «Si tratta di un film d’avventure abbastanza ben congegnato, sia pure per mezzo di figure ed ambienti quanto mai usuali e convenzionali. Di mestiere l’interpretazione e la regia». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LIX, Anno 1966, Roma 1966, p. 115)
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Le dame, i cavalier, l’arme e gli amori
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«Cultissima versione italiana di Angelica con Raffaella Carrà nel ruolo di Michèle Mercier, anche se in Francia e in Spagna non si punta affatto su questo aspetto, ma lo si lancia più propriamente come un avventuroso tratto da Dumas […]. Allora [quando uscì] nessuno considerò molto il film, che aveva un aspetto un po’ scialbo non così lucente come i veri Angelica. E Steno non sembrava a suo agio nel cappa e spada». (Marco Giusti, Dizionario dei film italiani stracult, Edizioni Frassinelli, Milano 2004, pp. 728-729) I PALADINI. STORIA D’ARMI E D’AMORI di Giacomo Battiato Anno di edizione 1983 Produzione: Vides Produzioni; Produttore: Franco Cristaldi, Nicola Carraro; Direttore di produzione: Franco Ballati; Soggetto: Giacomo Battiato; Sceneggiatura: Giacomo Battiato; Aiuto-regia: Ignazio Agosta; Fotografia: Dante Spinotti; Montaggio: Ruggero Mastroianni; Suono: Mario Bramonti; Scenografia: Luciano Ricceri; Arredamento: Paolo Biagetti; Costumi: Anna Cecchi; Maestro d’armi: Franco Fantasia; Effetti speciali: Luciano Byrd; Musica: Cooper & Hughes; Interpreti: Zeudi Araya, Barbara De Rossi, Rick Edwards, Leigh McCloskey, Ron Moss, Maurizio Nichetti, Tanya Roberts, Giovanni Visentin, Tony Vogel, Lina Sastri, Lucien Bruchon, Pierluigi Conti, Massimo De Rossi, Virgilio Daddi, Aurelio Gatti, Robert Stafford, Ottaviano Dell’Acqua, Bobby Rhodes, Augusto Funari, Alfredo Bini; Durata: 98’. Produzione realizzata in esterni in Sicilia: a Siracusa e nelle località di Linguaglossa e Nicolosi (Catania), Tindari (Messina), in Calabria a Camigliatello (Cosenza) e nel Lazio a Soriano nel Cimino (Viterbo). OSSERVAZIONI: Alla sceneggiatura parteciparono anche Luciano Vincenzoni e Sergio Donati che, per contrasti con la produzione, ritirarono la loro firma. LA STORIA: Tratto da alcuni brani della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, la storia racconta della guerra imminente fra cavalieri cristiani e saraceni. Durante il tragitto per raggiungere i rispettivi accampamenti, si intrecciano storie d’amore fra Bradamante, giovane guerriera cristiana, e il giovane principe saraceno Ruggero che, secondo la profezia di una maga, è destinato a morire per mano di Rolando. Quest’ultimo innamorato di Isabella, che viene fatta prigioniera da Bradamante, la cerca dappertutto deciso a liberarla. Ruggero riuscirà a sfuggire al proprio destino grazie all’amore della guerriera Morfisa. LA CRITICA: «Fiaba pittorica e per ragazzi, e lavanda oculare per chi voglia purgarsi lo sguardo. Dove si racconta, in un Medioevo reinventato sulle pendici dell’Etna, di come la vergine Bradamante, crociata in Terrasanta, s’invaghisca del guerriero saracino Ruggero, e la sorella di costui, l’appetitosa Isabella, finisca fra le braccia del cristiano Rolando. Senza alcun rispetto, come è giusto nelle favole, dello storico e del verosimile, con un vago ricordo del mondo ariostesco e l’ambizione di realizzare un colosso italiano (coprodotto con gli USA) che ripeta l’invito a fare l’amore anziché la guerra, slacci la fantasia popolare, e sia esportabile in tutto il mondo rivendicando le virtù del cinema spettacolare per grande schermo. Sicché niente che impensierisca, ma un bel lavoro sulle immagini, appunto perché l’occhio si ristori anche con qualche riferimento ai classici dell’arte italiana inclini all’astratto, e tutte le suggestioni che possono derivare da paesaggi essenziali, scenografie metafisiche, ingegnosi costumi, e botte da orbi. C’è da capire perché Luciano Vincenzoni e Sergio Donati, coautori della sceneggiatura, abbiano ritirato la loro firma». (Giovanni Grazzini, in «Corriere della Sera», 22 ott. 1983)
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Capitolo primo
MAGNIFICAT di Pupi Avati
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Anno di edizione 1993 Produzione: Duea Film, Istituto Luce-Italnoleggio Cinematografico, Penta Film, Union P.N.; Produttore: Antonio Avati, Giorgio Leopardi; Direttore di produzione: Francesco Guerrieri; Soggetto: Pupi Avati; Sceneggiatura: Pupi Avati; Aiuto-regia: Gianni Amadei; Fotografia: Cesare Bastelli; Montaggio: Amedeo Salfa; Suono: Raffaele De Luca; Scenografia: Giuseppe Pirrotta; Costumi: Sissi Parravicini; Musica: Riz Ortolani; Voce narrante: Nando Gazzolo; Interpreti: Luigi Diberti, Arnaldo Ninchi, Massimo Bellinzoni, Dalia Lahav, Lorella Borlotti, Eleonora Alessandrelli, Massimo Sarchielli, Brizio Montinaro, Marcello Cesena, Consuelo Ferrara, Vincenzo Crocitti, Andrea Scorzoni, Davide Celli, Eugenia Abbati, Miriam Autori, Ilaria Amaldi, Diana Anselmo, Santi Bellina, Salvatore Billa, Flavio Bisone, Michelangelo Brancato; Durata: 95’. Produzione realizzata in esterni a Todi e a Gualdo Cattaneo (Perugia). LA STORIA: Verso la fine dell’anno mille a Malfole, nell’Appennino tosco-emiliano la vita scorre in modo rassegnato fra l’Abbazia e il Monastero della Visitazione dove vivono in clausura frati e suore e dove è custodita una tunica della Vergine Maria. Margherita, ancora bambina, figlia di una famiglia povera è avviata al monastero dove non è consentito alle novizie di parlare fra loro se non a gesti. Roza, una prostituta in cinta del Re, anche lei è diretta all’Abbazia; se partorirà un maschio sarà elevata al rango di madre del futuro Re, se invece sarà una femmina, entrambe faranno una brutta fine. Per il feudo si aggirano anche Folco e Baino, due giustizieri del Re che girano di borgo in borgo, per punire chi si è macchiato di un reato più o meno grave. Tanti altri episodi sottolineano la vita del feudo in un’epoca triste, violenta e rassegnata. LA CRITICA: «Un film complesso e profondo, forse fra i più riusciti di Pupi Avati. Il regista ripropone, anche se con toni e modalità diverse rispetto alle sue opere precedenti, una atmosfera tipica della vita italiana, in una rivisitazione agrodolce di luoghi, personaggi e situazioni che hanno in qualche modo caratterizzato i nostri attuali comportamenti culturali. Per realizzare il progetto sono stati consultati centinaia di testi, con una precisione “certosina” che ha garantito accuratezza e scrupolosità nella descrizione di un’epoca per molti aspetti affine alla nostra, nell’ultimo decennio del Millennio successivo». (Daniela Sanzone, in «Film. Tutti i film della stagione», n. 3, magg.-giu. 1993).
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3. Scienziati, filosofi, poeti, artisti e modelle Il film biografico ebbe molta fortuna nel periodo compreso fra gli anni Trenta e Quaranta, perché il fascismo voleva che la vita e le gesta delle “italiche genti” fosse esaltata dal cinematografo. Questa tendenza, anche se in modo molto meno enfatico, fu mantenuta anche negli anni seguenti. Qui di seguito abbiamo raccolto solo i personaggi distintisi nell’arte, nella letteratura e nelle scienze, distribuendo in vari capitoli quelli distintisi in altre discipline. La vita di Benvenuto Cellini, e la storia della fusione del suo Perseo, è immortalata da Giovacchino Forzano nel 1939 con il film Sei bambine e il Perseo, in cui le sei bambine del titolo sono le nipotine dell’artista fiorentino. Il film è decisamente interessante anche se sarebbe stato meglio che lo svilupparsi del racconto fosse più incalzante e non si disperdesse nel descrivere troppo pedantemente particolari non del tutto indispensabili alla vicenda. Efficace l’interpretazione di Augusto Di Giovanni nella parte del Cellini anche se, in certi momenti, sembra più il Mangiafuoco di Pinocchio anziché un artista sensibile e misurato. Cellini è oggetto di un altro film, Il magnifico avventuriero che Riccardo Freda realizza nel 1963. Questa volta il regista non si limita ad un episodio della vita artistica del nostro eroe, ma racconta, romanzandola, la vita del grande orafo, incisore, fonditore, scultore, falsario, ladro, diplomatico, inventore, costruttore di armi, difensore di Roma e chi più ne ha più ne metta. Certo che Freda e il suo sceneggiatore Sanjust di fantasia ne avevano, resta però il fatto che alla fine riescono a confezionare un buon film di avventure. Un altro artista, questa volta un pittore, è immortalato da Goffredo Alessandrini nel 1941 nel film Caravaggio, il pittore maledetto. Titolo appropriato in un personaggio che alla genialità dell’artista alternava la violenza e l’irascibilità di un delinquente comune. Il film attraversa tutta la vita dell’artista bergamasco, dal suo arrivo a Roma all’uccisione in duello di un gentiluomo per l’onore di una donna, dall’esilio a Malta al suo ritorno clandestino a Roma e alla sua morte per malaria nella paludi Pontine. Ottima ed efficace l’interpretazione di Amedeo Nazzari nella parte di Caravaggio, la cui recitazione sopra le righe si sposa perfettamente con il carattere iroso dell’originale. Un altro pittore, l’urbinate Raffaello Sanzio, è oggetto del film La fornarina, realizzato nel 1944, in piena Repubblica Sociale, da Enrico Guazzoni e con interprete principale quella che era stata (e qui un po’ di gossip non ci sta male) l’amante di Joseph Goebbels (e per questo esiliata da Hitler), la bellissima attrice cecoslovacca Lida Baarova5 nella parte di Margherita Luti figlia di un fornaio di Trastevere, detta “la Fornarina” e modella di Raffaello. Il film, tra leggenda e storia, si vede volentieri anche se Walter Lazzaro ci presenta un Raffaello febbricitante e tisico sempre in procinto di morire. Quattro anni dopo, nel 1948, ancora un pittore, Leonardo da Vinci, è portato
5 Gianfranco Casadio (a cura di), Le “Goebbels Girls”: Le dive del terzo Reich. Da L’Angelo Azzurro a Amanti folli. Metamorfosi e germanizzazione dello spirito femminile nel cinema nazista, Ravenna, ACIT/RA. Deutsch-Italienischer Kulturverein, Provincia di Ravenna, 2005.
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Capitolo primo
sullo schermo questa volta da Luigi Maria Giachino nel film L’ultima cena. Anche in questo caso, come per il Cellini con il Perseo, il regista si concentra su un particolare della vita dell’artista: la realizzazione dell’Ultima Cena nel refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano. Ma per arrivare a questo inserisce nel film la storia del personaggio che presterà il volto a Gesù. Ciò che ne esce è un penoso prodotto mal condotto e mal recitato di cui poco o nulla si salva. L’anno successivo, nel 1949, Gregory Ratoff dirige Cagliostro, una coproduzione italo-americana sul controverso ipnotizzatore, taumaturgo, indovino, mago e imbroglione. Condotto in modo caotico dal regista russo-americano Ratoff, il film risulta un polpettone molto poco storico e che, se si salva, lo si deve solo all’interpretazione (per la verità un po’ gigionesca) di Orson Welles. Sull’argomento ritorna nel 1974 Daniele Pettinari con la sua versione del Cagliostro che, nonostante sia un fumettone, è molto più vicino alla realtà storica di quello di Ratoff. L’efficacia dell’interpretazione di Bekim Fehmiu nella parte del medico telepatico, allievo del monaco Messmer, crea però alcune perplessità. Nel 1966 Luciano Salce si cimenta con un film biografico di un altro pittore che, in un certo senso, ci può ricondurre a Cagliostro (dal momento che anche lui sarà processato dall’Inquisizione con l’accusa di negromanzia), si tratta del film El Greco, che narra la vita romanzata di Kiriakos Theotocopulos detto “El Greco”. Nonostante l’impegno di Mel Ferrer e le entuisiastiche recensioni dei critici francesi, il film non si eleva oltre il livello avventuroso e, in certi momenti, cade persino nel feuilleton ottocentesco (vedi la soluzione del vecchio pittore che, ignaro, insegna a dipingere al figlio avuto dall’amante morta in convento). Un altro film ambientato in Spagna e riguardante un famoso scrittore è Le avventure e gli amori di Miguel Cervantes del vecchio regista americano Vincent Sherman girato nel 1967. Sarà per Sherman l’ultimo film della sua carriera iniziata nel 1939, dopo aver recitato come attore per più di dieci anni prima di dedicarsi alla regia. Anche in questo film la fantasia supera la realtà e la vita dell’autore del Don Chisciotte la si ritrova farcita di avventure galanti, piratesche e diplomatiche. Nel Galileo di Liliana Cavani del 1968, la tendenza invece cambia e il film, a differenza di quelli di cui abbiamo parlato, affronta la storia con una certa veridicità. Il film ripercorre la vita, le scoperte e le intuizioni scientifiche dello scienziato pisano: dall’insegnamento di matematica all’Università di Padova alla sua nomina a flosofo e matematico di corte da parte di Cosimo II, dal suo incontro a Venezia con Giordano Bruno a propugnatore delle teorie copernicane, per finire, per via della diffusione delle nuove teorie, condannato al carcere per volere del Santo Uffizio. Chiude il gruppo il film Giordano Bruno del 1973, di Giuliano Montaldo. Quasi a complemento di quanto detto a proposito di Galileo, Bruno finisce nelle mani dell’Inquisizione che lo considera un eretico per via delle sue teorie filosofiche. A lui andrà peggio di Galileo perché finirà torturato e infine sul rogo. Ottima la prestazione di Gian Maria Volonté nei panni di Giordano Bruno, ma il film fu criticato sia da destra che da sinistra perché Montaldo, nell’affrontare la storia drammatica dell’ex abate domenicano, ha spinto troppo il pedale sull’attualizzazione della vicenda portando persone e situazioni agli anni Sessanta-Settanta. «Così da un film velleitario, si alimenta un mito di Giordano Bruno adeguato alle manipolazioni psicopolitiche del nuovo centro-sinistra: un po Solgenitzin e un poco Trockij. E nasce
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il sospetto d’una polemica teleguidata: non evocazione del frate nolano, ma esorcismo contro ogni possibilità d’una pericolosa resurrezione della sua epopea»6.
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Roberto Tessari, in «Cinema Nuovo», n. 227, gen./feb. 1974.
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Capitolo primo
SEI BAMBINE E IL PERSEO di Giovacchino Forzano
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Anno di edizione 1939 Produzione: Pisorno Cinematografica; Direttore di produzione: Mino Donati, Giacomo Forzano; Soggetto: Giovacchino Forzano; Sceneggiatura: Giovacchino Forzano; Aiuto-regia: Raffaello Pacini; Fotografia: Aldo Tonti; Montaggio: Giovacchino Forzano; Suono: Raul Magni; Scenografia: Antonio Valente; Costumi: Antonio Valente; Musica: Giovacchino Forzano; Interpreti: Augusto Di Giovanni, Elena Zareschi, Manlio Mannozzi, Mariù Gleck, Flori Rianetti, Tani Biancofiore, Anna Maria Torniai, Scilla Sclanizza, Giulio Tempesti, Giuliana Toci, Giuseppe Addobbati, Alfredo Robert, Giulio Paoli, Alfredo De Antoni, Vinicio Sofia, Umberto Sclaniza, Aroldo Ficarra, Carla Candiani, Silvio Bagolini, Giotto Tempestini; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Pisorno di Tirrenia. LA STORIA: Benvenuto Cellini, rientrato a Firenze dalla Francia, viene incaricato di fondere una statua da erigersi in Piazza della Signoria, rappresentante il Perseo vincitore sulla Medusa. Con l’aiuto dei suoi allievi, di sua sorella vedova e delle sei nipotine, contro mille difficoltà, ostacolato dai suoi nemici, riesce in una notte di tempesta a fondere quello che sarà il suo capolavoro. LA CRITICA: «Forzano ha avuto la mano felice e con una sapienza che si può chiamare “mestiere” ma non è per questo meno efficace, ha saputo portarci a vedere le cose più belle di Palazzo Vecchio, bisogna dire che il film è particolarmente, ed è tutto, felice; sia in questa parte, che diremo. documentaria (ma non è fredda, né arida), sia dove riproduce l’epoca e l’atmosfera della Firenze cinquecentesca. Anche gli interpreti – con Augusto Di Giovanni in prima fila – sono scelti tutti a meraviglia (solo il Duca è un po’ immobile e teatrale), e le piccole nipoti di Benvenuto sono di per sé sole un capolavoro». (Mino Doletti, in «Film», n. 1, 6 gen. 1940) «Quando attacca il film storico, Forzano parte da un pregiudizio; che tutto ciò che vi apparirà deve essere vero. […] Questi puntigli non sono affatto utili né necessari per costruire un’opera d’arte. Occorre invece liberarsi di tutto ciò che è precisamente storico, cronistico, usato, per dare, con elementi creati appositamente l’impressione di una realtà più esatta, artistica». (Patrizio Rossi [Ennio Flaiano], in «Cine Illustrato», n. 3, 17 gen. 1940) CARAVAGGIO (IL PITTORE MALEDETTO) di Goffredo Alessandrini Anno di edizione 1941 Produzione: Elica Film; Produttore: Francesco Curato; Direttore di produzione: Aldo Salerno; Soggetto: Bruno Valeri, Vittorio Verga; Sceneggiatura: Bruno Valeri, Akos Tolnay, Riccardo Freda, Gherardo Gherardi, Goffredo Alessandrini; Aiuto-regia: Umberrto Scarpelli, Antonio Dell’Arno; Fotografia: Aldo Tonti; Montaggio: Giancarlo Cappelli; Suono: Franz Croci; Scenografia: Salvo D’Angelo; Arredamento: Salvo D’Angelo, Ciampi; Costumi: Veniero Colasanti; Musica: Riccardo Zandonai; Interpreti: Amedeo Nazzari, Clara Calamai, Lamberto Picasso, Nino Crisman, Lauro Gazzolo, Beatrice Mancini, Olinto Cristina, Maria Dominiani, Achille Majeroni, Renato Malavasi, Salvatore Furnari, Olga Vittoria
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Gentilli, Mario Mazza, Vinicio Sofia, Umberto Spadaro, Luigi A. Garrone, Tino Scotti, Franco Castellani, Amina Pirani Maggi; Durata: 105’. Produzione realizzata negli Studi SAFA di Roma. LA STORIA: Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, si trasferisce a Roma nel 1588 dove svolge la sua attività di pittore, passando dalla miseria più nera al fasto più sfacciato. Assicurandosi ordinazioni prestigiose per mezzo di persone altolocate, il suo lavoro diviene sempre più importante. A causa del suo carattere litigioso e violento, uccide un gentiluomo in duello a causa di una donna, ed è costretto a lasciare Roma. Sbarcato a Malta ricomincia la sua attività artistica e conosce nuova gloria tanto da essere nominato cavaliere dell’Ordine. Desideroso di ritornare a Roma, intraprende il viaggio di ritorno e sbarca clandestinamente nei pressi di Roma. Nonostante gli sia stato rilasciato un salvacondotto, prima di poterlo ricevere, muore colpito da malaria nelle paludi pontine dove si nascondeva alla polizia. LA CRITICA: «Amedeo Nazzari, alla fisionomia non troppo definita del suo personaggio, ha dato vita con un’interpretazione, complessa, duttile, intelligentissima, che fino ad oggi è certo la migliore di questo nostro bravo interprete. […] Le scenografie di Silvio D’Angelo e i costumi di Veniero Colasanti, ricchi di sapore; la fotografia di Aldo Tonti ha risolto di inquadratura in inquadratura notevoli problemi di chiaroscuro, e intelligente e preziosa com’è, deve ritenersi, del film, validissima collaboratrice». (Mario Gromo, in «La Stampa», 7 feb. 1941) «Il grosso del film è riuscito. Amore, avventure, diatribe d’arte son bene raccontati, attraverso un seguito di quadri fortemente chiaroscurati, nei quali passa la vita cortigiana e plebea della Roma papale del ’600, con tipi ben disegnati, dettagli saporiti e mordenti». (F[ilippo] S[acchi], in «Corriere della Sera», 27 feb. 1941) LA FORNARINA di Enrico Guazzoni Anno di edizione 1944 Produzione: E.I.A. Mediterranea Film; Direttore di produzione: Carlo Borsari; Soggetto: tratto dal romanzo di Tullio Gramantieri, ispirato ad “una visione” di Sem Benelli; Sceneggiatura: Alberto Casella, Tullio Gramantieri, Giorgio Pàstina, Tomaso Smith; Aiuto-regia: Augusto Poggioli; Fotografia: Giuseppe La Torre; Montaggio: Duilio A. Lucarelli; Scenografia: Virgilio Marchi; Arredamento: Lucio Talleri, Ferdinando Ruffo di Calabria; Costumi: Emma Calderini; Musica: Ezio Carabella, Giuseppe Savignone; Interpreti: Lida Baarova, Walter Lazzaro, Anneliese Uhli, Loredana, Luigi Pavese, Amilcare Pettinelli, Ugo Sasso, Giorgio Costantini, Vinicio Sofia, Cesare Fantoni, Pio Campa, Nino Marchesini, Amina Pirani Maggi, Rinaldo Geleng, Ernesto Zanon, Cesare Polesello, Pia De Doses, Emilio Petacci; Durata: 96’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. OSSERVAZIONI: Dopo essere stata allontanata nel 1938 da Berlino dallo stesso Hitler per salvare il matrimonio di Goebbels che si era follemente innamorato di lei, Lida Baarova – divenuta famosa durante il nazismo fin dal suo debutto nel 1935 con il film Barcarola di Gerhard Lamprecht – si trasferì dapprima a Praga, poi in Italia dove girò diversi film. LA STORIA: Chiamato a Roma da Papa Giulio II nel 1506 per decorargli il suo apparta-
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Capitolo primo
mento in Vaticano, Raffaello Sanzio, per lavorare attorno al quadro “La Fornarina”, ha, per modella, una bellissima ragazza di Trastevere, che diviene la sua amante. La ragazza ispirerà l’artista anche per alcune Madonne degli affreschi da lui realizzati in Vaticano, ma una nobildonna, gelosa della ragazza, la fa rapire. Dopo lunghe e angosciose ricerche che minano nel fisico e nel morale il pittore, Raffaello riesce a ritrovarla, ma la sua salute, ormai compromessa, lo porterà presto alla tomba il giorno del Venerdì Santo. LA CRITICA: «Le indicazioni che la voce popolare ha portato fino a noi, e che il Vasari aveva avallato inserendole in una delle sue “Vite”, fanno sì che la Fornarina sia stata individuata in Margherita Luti, figlia di Francesco da Siena, fornaio di Trastevere. […] In questo film che porta sullo schermo la vita di una procace ragazza di Trastevere, resa nota dall’uomo che ella ebbe la fortuna di incontrare e di innamorare, capiremo il tormento di Raffaello uomo, di fronte al miracolo della sua arte immortale». (G. C., in «Film», n. 43, 24 ott. 1942) «La linea della trama si altalena tra leggenda, storia e accomodante fantasia. Con un po’ di buona volontà, potete pur credere vivi i personaggi mascherati». (Fabrizio Sarazani, in «Il Tempo», 8 ott. 1944). «Il film strutturalmente si riallaccia ai vecchi romanzi d’appendice, bolsi di complicazioni episodiche, ampollosità dialettale, vieti artifizi […], anche se esiste qualche intenzione culturale nella presentazione dei capolavori dell’Urbinate, troppo sfacciatamente tenta suscitare la morbosa curiosità del pubblico». (M. Meneghini, in «L’Osservatore Romano», 18 ott. 1944). L’ULTIMA CENA di Luigi Maria Giachino Anno di edizione 1948 Produzione: I.C.E.T. (Industrie Cinematografiche e Teatrali), Artisti Associati; Produttore: Ferruccio Caramelli, Giorgio Venturini; Supervisore alla regia: Charles Reisner; Soggetto: Giorgio Venturini, Luigi Maria Giachino, Leo Benvenuti, Paola Ojetti; Sceneggiatura: Giorgio Venturini, Luigi Maria Giachino, Leo Benvenuti, Paola Ojetti; Aiuto-regia: Leo Benvenuti; Fotografia: Arturo Gallea; Montaggio: Luigi Maria Giachino Scenografia: Ernesto Nelli, Mario Grazzini; Costumi: Maria De Matteis; Musica: Mario Nascimbene; Interpreti: Bruno Barnabè, Kathleen Rooney, David Peel, Carlo Righini, Jasmine Dee, Giuliana Rivera, Gino Del Signore, Domenico Viglione Borghese, Piera Gandolfo, Frederich Bradschaw, Maria Da Venezia; Durata: 86’. Produzione realizzata negli Studi Icet . OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-americana. Il titolo inglese del film è Last Supper Circa le insinuazioni di Albertazzi su «Intermezzo», che il film abbia avuto più registi, non si è riusciti a trovare notizia che le avvalori, se non che la supervisione alla regia sia dell’americano Charles Reisner. LA STORIA: Leonardo Da Vinci, incaricato dai frati di Santa Maria delle Grazie di decorare una parete del refettorio con una raffigurazione dell’Ultima Cena, trova nel giovane Franco del Mortaro il volto ideale per rappresentare Gesù. Franco è innamorato di una giovane di umili origini, ma i suoi parenti ostacolano questa relazione. Convinta da una zia a rinunciare a Franco, la ragazza si ritira in convento. Il giovane quasi impazzito, lascia la casa paterna
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e vaga per il mondo, ma a Genova viene derubato e accusato di assassinio. Nonostante egli si dichiari innocente, viene condannato a una lunga detenzione e quando esce di prigione si unisce a dei malviventi e si dà alla malavita. Leonardo, una notte, lo vede in una taverna e senza sospettare chi sia, lo ritrae perché il suo volto potrebbe essere giusto per la figura di Giuda. LA CRITICA: «È un film di normale fattura. Buona la regia, accurata la ricostruzione storica, efficace l’interpretazione del protagonista». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXVI, Anno 1949, Roma 1949, p. 274) «Di questo film, che qualcuno ha cominciato e qualcun altro ha cercato di condurre a termine, nessuno in definitiva ha voluto assumersi la piena responsabilità. E, come tutte le cose iniziate malamente, è riuscito un lavoro davvero penoso. Il soggetto sarebbe stato interessante […], ma la piatta e maldestra realizzazione e la recitazione addirittura dilettantesca, gli hanno tolto ogni valore e ogni attrattiva». (A. Albertazzi, in «Intermezzo», n. 7, 15 apr. 1951). CAGLIOSTRO di Gregory Ratoff Anno di edizione 1949 Produzione: United Artists; Produttore: Edward Small, Dario Sabatello; Direttore di produzione: Giorgio Papi; Soggetto: tratto da Joseph Balsamo, mémories d’un médicien di Alexandre Dumas; Collaborazione alla regia: Silvano Balboni; Sceneggiatura: Charles Bennet; Aiuto-regia: Alberto Cardone, Leon Lenoir; Fotografia: Ubaldo Arata, Anchise Brizzi, Otello Martelli; Montaggio: Renzo Lucidi, James McKay, Fred Feitshans; Suono: Frank Cleverly; Scenografia: Jean D’Eaubonne, Ottavio Scotti; Arredamento: Gino Brosio; Costumi: Ottavio Nino Novarese, Georges Annenkov; Musica: Raoul Santell; Interpreti: Orson Welles, Nancy Guild, Akim Tamiroff, Frank Latimore, Valentina Cortese, Margot Grahame, Stephen Bekassy, Berry Kroeger, Raymond Burr, Charles Goldner, Gregory Gay, Lee Kresel, Aniello Mele, Franco Corsaro, Nicholas Bruce, Ronald Adam, Tamara Shayne, Giuseppe Varni, Rosina Galli, Maria Antonietta Pavese, Milly Vitale, Valentino Bruchi, Silvana Mangano, Filippo Minelli; Durata: 105’. Produzione realizzata, in molti interni, al Quirinale. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-americana. Il titolo inglese del film è Black Magic. Durante le riprese morì l’operatore Ubaldo Arata. Fra gli interpreti figurano anche la Principessa Vassileikoff, la Baronessa Vredeun, il Principe Volkonski e il Conte Orloff. LA STORIA: Nato a Palermo, Cagliostro, rapito dagli zingari in tenera età, viene liberato dai gendarmi del Visconte De Montaigne che fa impiccare Maria, la sua madrina zingara. A Vienna, il celebre Messmer scopre le sue doti di ipnotizzatore che diventeranno, per lui, un’arma. Torna in Francia per vendicarsi del Visconte De Montaigne, e scopre che è il capo di un complotto tendente a screditare la Delfina Maria Antonietta; per fare ciò si servirà di una sosia della Delfina. Ma Cagliostro si intromette nel piano del Visconte e, servendosi degli stessi personaggi messi in campo da costui, organizza un incontro con la finta Maria Antonietta e il nobile traditore. Fa credere a quest’ultimo che la Delfina, ora Regina, vuole da lui una collana di brillanti che vale un milione. La falsa notizia desta scandalo e De Mon-
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Capitolo primo
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tagne viene tradotto alla Bastiglia dove è seguito da Cagliosto. Al processo succede un tafferuglio: Cagliostro fugge, ma viene raggiunto dall’ex fidanzato della falsa Maria Antonietta e ucciso in duello. LA CRITICA: «La vicenda è eccessivamente complessa e caotica; ma le scene risultano cinematograficamente efficaci. La vicenda ci fa seguire la carriera fortunata di un uomo, che si vale, senza scrupoli, dei suoi non comuni poteri. Ma giunto all’apice della fortuna, il malvagio precipita». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXV, Anno 1949, Roma 1949, p. 229) «Il primo esempio di collaborazione italo-americano non può purtroppo dirsi riuscito. Si tratta di un polpettone pseudo-storico pieno di ingenuità e di incongruenze, nel quale domina incontrastata la bizzarra figura di attore di Orson Welles, che è entrato nel suo personaggio forse per affinità fisiche o morali». (S. Nati, in «Intermezzo», n. 11/12, 15/30 giu. 1949). IL MAGNIFICO AVVENTURIERO di Riccardo Freda Anno di edizione 1963 Produzione: Panda, Hispamer Film, Les Films Du Centaure; Produttore: Ermanno Donati, Luigi Carpentieri; Direttore di produzione: Lucio Brompani; Soggetto: Filippo Sanjust; Sceneggiatura: Filippo Sanjust; Aiuto-regia: Michel Autine, Goffredo Unger; Fotografia: Julio Hortas, Raffaele Masciocchi; Montaggio: Ornella Micheli; Scenografia: Aurelio Crugnola; Arredamento: Franco Fumagalli; Costumi: Marisa Crimi; Effetti Speciali: Eros Baciucchi; Musica: Francesco De Masi; Interpreti: Françoise Fabian, Brett Halsey, Claudia Mori, Jacinto San Emeterio, Andrea Bosic, José Nieto, Diego Michelotti, Elio Pandolfi, Carla Calò, Felix Dafauce, Giampiero Littera, Dany Paris, Bruno Scipioni, Umberto D’Orsi, Sandro Dori, Felix Fernandez, Gianni Solaro, Carmelo Ariale, Mirko Valentin, Rossella Como, Bernard Blier; Durata: 90’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-franco-spagnola. Il titolo dell’edizione francese è L’aigle de Florence, quello spagnolo Las aventuras de Benvenuto Cellini, poi cambiato in El magnifico aventuriero. Antoinette Pellevant ha curato l’adattamento per l’edizione francese LA STORIA: Storia romanzata di Benvenuto Cellini che, da artigiano sconosciuto e di pochi scrupoli, che non esita a rubare agli altri orafi il necessario per vincere una gara indetta dal Granduca di Firenze, arriva a diventare componente di una missione del Re di Francia alla corte pontificia. Qui si conquista la benevolenza di Papa Clemente VII anche se, per conquistare Lucrezia, non esiterà a fabbricare monete false. Imprigionato, il Papa lo farà liberare per affidargli la difesa di Roma minacciata dai Lanzichenecchi. La corte si rifugia in Castel Sant’Angelo e i Lanzichenecchi metteranno a sacco la città. Cellini allora raggiunge Carlo V che corre in soccorso di Roma e la salva. Così Cellini sarà perdonato e potrà ritornare in Firenze. LA CRITICA: «Il film che narra in chiave romanzata alcuni episodi dell’avventurosa vita di Cellini, presenta accanto a numerose ingenuità, alcune descrizioni ben riuscite. Regia ed interpretazioni di buon mestiere». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LIV, Anno 1963, Roma 1963, p. 150)
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EL GRECO di Luciano Salce
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Anno di edizione 1966 Produzione: Arco Film, Les Films du Siècle; Direttore di produzione: Eliseo Boschi; Soggetto: Guy Elmes, Luigi Magni, Massimo Franciosa, Luciano Salce; Sceneggiatura: Guy Elmes, Luigi Magni, Massimo Franciosa, Luciano Salce; Aiuto-regia: Emilio Miraglia; Fotografia: Leonida Barboni; Montaggio: Nino Baragli; Suono: Renato Cadueri; Scenografia: Luigi Scaccianoce; Costumi: Danilo Donati; Musica: Ennio Morricone; Direzione musicale: Bruno Nicolai; Interpreti: Mel Ferrer, Rosanna Schiaffino, Mario Feliciani, Giulio Donnini, Adolfo Celi, Renzo Giovanpietro, Gabriella Giorgelli, Franco Giacobini, Fernando Rey, Angel Aranda, Nino Crisman, Rossana Martini, Andrea Bosi, Giulio Farnese, Santiago Ontanon, John Francis Lane; Durata: 96’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italofrancese. Il titolo francese del film è Le Gréco. LA STORIA: Nell’estate del 1557, El Greco viene chiamato a Toledo per affrescare una chiesa. Qui si innamora di Jeronima de las Queva, figlia di un aristocratico, ma questa relazione è fortemente contrastata per pregiudizi sociali e per invidia della sua rapida ascesa. Al Re Filippo II, recatosi a Toledo, El Greco dona un dipinto, “L’adorazione nel nome di Gesù” dove è rappresentato anche il sovrano. Esaltato dall’apparente favore del sovrano, durante una festa bacia Jeronima. Scoperto viene sfidato a duello e ferito gravemente. Guarito, i due amanti continuano a vedersi segretamente, ma i suoi nemici lo denunciano all’inquisizione per negromanzia. Arrestato e sottoposto a tortura, tiene testa al Grande Inquisitore, ma ormai ammalato e sofferente, ammette le sue colpe e viene liberato. Jeronima, chiusa in convento, muore nel dare alla luce un bambino, figlio del pittore. Passano gli anni e un giorno El Greco inizia ad insegnare pittura a un giovane apprendista che è il figlio che ha avuto da Jeronima. LA CRITICA: «Questo film, malgrado susciti qualche volta emozioni o vibrazioni drammatiche, non solo non offre un valido ritratto del celebre pittore romanzandone gratuitamente la vita ma non riesce nemmeno ad imporsi validamente sul piano dello spettacolo. Mediocre l’interpretazione». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LX, Anno 1966, Roma 1966, p. 236) «Un bel soggetto che non toccava a Mel Ferrer da anni […]. L’esistenza romanzesca del personaggio non ha avuto bisogno d’essere ulteriormente romanzata dagli sceneggiatori, la realtà storica era là per guidarli […]. Non film d’arte sull’arte dunque, ma prima di tutto un dramma umano». (Anonimo, in «Cinérevue», n. 23, 9 giu. 1966). LE AVVENTURE E GLI AMORI DI MIGUEL CERVANTES di Vincent Sherman Anno di edizione 1967 Produzione: Protor Film, Prisma Film, Procinex; Produttore: Pier Luigi Torri, Alexander Salkind; Direttore di produzione: Michelangelo Ciafré; Soggetto: tratto dal romanzo di Bruno Franck; Sceneggiatura: Enrique Llovet, Henry Bay; Aiuto-regia: Isidoro Ferri; Fo-
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Capitolo primo
tografia: Edmund Richard; Montaggio: Margherite Ochoa; Suono: Pietro Spadoni; Scenografia: Enrique Allaçon, Luciano De Nardi; Costumi: Luis Arguello; Effetti Speciali: Manoel Baquero; Musica: Jean Ledrut; Direzione musicale: André Girard; Interpreti: Horst Bucholz, Gina Lollobrigida, Louis Jourdan, José Ferrer, Francisco Rabal, Fernando Rey, Soledad Miranda, Lewis Jordan, Antonio Casas, Angel Del Pozo, Ricardo Palacios, Maurice De Canonge, José Jaspe, Claudine Dal Mas, José Nieto, Enzo Curcio, Gaudenzio Di Pietro, Andrès Mejuto; Durata: 118’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-franco-spagnola. Il titolo francese del film è Les aventures extraordinaires de Cervantes e quello spagnolo Cervantes. Poppi e Pecorari avanzano dei dubbi circa la regia di Sherman. Sul Dizionario del cinema italiano. I film vol. III (A/L). Tutti i film italiani dal 1960 al 1969, pubblicato da Gremese (edizione in brossura, 2007), riportano testualmente: «Non è infrequente incontrare testi che attribuiscono la regia del film a Isidoro Fery (che è, al contrario, solo l’aiuto) e altri che considerano Vincent Sherman lo pseudonimo di Isidoro Ferri». Tesi che non è condivisa da Maurizio Ponzi che, in Gina Lollobrigida, Gremese, 1982, scrive: «Si può notare che Vincent Sherman è un altro dei vecchi registi che la Lollobrigida ha incontrato agli sgoccioli della loro carriera. […] Sherman – ex attore negli anni trenta, che diresse la Hayworth in Trinidad – diede l’addio alla regia con Cervantes». In quanto a Isidoro Fery, indicato da Poppi e Pecorari, altri non è che lo pseudonimo di Isidoro Ferri. Henry Bay è lo pseudonimo di Enrico Bomba. Per l’edizione anglofona viene aggiunto, fra gli sceneggiatori, David Karp. LA STORIA: Miguel Cervantes, inviato a Roma dal Cardinale Acquaviva come diplomatico, si invaghisce di Giulia, una bellissima cortigiana, dalla quale, per una serie di circostanze, deve separarsi. Poco incline alla diplomazia, Cervantes lascia l’incarico e si arruola per combattere i turchi a Lepanto dove rimane ferito. Mentre sta tornando in Spagna viene catturato dai pirati saraceni e portato ad Algeri dove cerca di organizzare una fuga che però fallisce. Alla fine, grazie ai suoi compagni di prigionia, a una parte degli abitanti di Algeri e al governatore stesso, Cervantes viene riscattato e può tornare in patria dove scriverà il Don Chisciotte in cui il personaggio di Dulcinea gli sarà ispirato da una bella fanciulla conosciuta durante la sua prigionia ad Algeri. LA CRITICA: «Fastoso, ma di discutibile fattura, il lavoro risulta una storia fin troppo romanzata della vita del celebre personaggio. Incidono negativamente il ritmo troppo lento dell’azione e l’intonazione generale priva di un valido contenuto. Modesta l’interpretazione e piuttosto approssimativa la regia». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXII, Anno 1968, Roma 1968, p. 103) GALILEO di Liliana Cavani Anno di edizione 1968 Produzione: Fenice Cinematografica, Rizzoli Film, Kinozenter; Produttore: Leonardo Pescarolo; Soggetto: Tullio Pinelli, Liliana Cavani con la collaborazione di Fabrizio Onofri, liberamente ispirato alla vita di Galileo Galilei; Sceneggiatura: Tullio Pinelli, Liliana Cavani con la collaborazione di Fabrizio Onofri; Consulenza storica: Boris Ulianich; Aiuto-regia: Lina Macrelli; Fotografia: Alfio Contini; Montaggio: Nino Baragli; Scenografia: Ezio Frigerio; Costumi: Ezio Frigerio; Musica: Ennio Morricone; Direzione musicale: Bruno Nico-
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lai; Interpreti: Cyril Cusack, Gigi Ballista, Piero Vida, Gheorghi Kolaiancev, Paolo Graziosi, Maia Dragomanska, Mila Dimitrova, Lou Castel, Giulio Brogi, Miroslav Mindov, Novena Kokanova, Vittorio Duse, Jean Rougel, Claudio Cassinelli, Gheorghi Cerkelov; Durata: 108’. Presentato alla XXIX Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 1968. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-bulgara. LA STORIA: A Padova, dove insegna fisica, Galilei riceve in dono un vecchio binocolo che egli trasforma in modo da farne un rudimentale telescopio col quale inizia a studiare l’universo. Arriva così alla conclusione che sia il sole e non la terra al centro dell’universo. Invitato a Roma dall’autorità ecclesiastica per spiegare le sue teorie, Galilei viene consigliato dal cardinale Bellarmino e dallo stesso Pontefice ad abbandonare queste teorie che lo avrebbero portato all’eresia. Galilei, tornato a Firenze, continua invece i suoi studi e pubblica il Sidereus Nuncius. Denunciato viene arrestato e il libro sequestrato. Sottoposto ad interrogatori dall’Inquisizione e temendo la tortura, Galilei abiura solennemente davanti al tribunale dell’Inquisizione. LA CRITICA: «Nel film, lo scienziato viene colto nella sua attività didattica a Padova, quando insegna ancora le vecchie teorie sull’universo alle quali non crede più. A Venezia, Galileo incontra Giordano Bruno, spretato, perseguitato dall’inquisizione. Quando quest’ultimo viene arrestato e trasferito a Roma dove sarà condannato al rogo, Galileo, e con lui i suoi allievi più illuminati, sono convinti della veridicità delle teorie copernicane. […] La Cavani ha spogliato Galileo degli orpelli che la tradizione iconografica ci ha tramandato nei secoli. […] Il suo lavoro ha un taglio televisivo che appiattisce un po’ tutta la storia, “distanziandola” invece di attualizzarla, e non riesce mai ad andare oltre i limiti di un onesto artigianato. Alcune sequenze sono comunque figurativamente assai belle […]; altre denotano invece una sconcertante immaturità di mestiere […]. Questi scompensi narrativi, assieme all’infelice caratterizzazione di alcuni personaggi minori […], uniti al solito commento musicale effettistico di Morricone, limitano di molto l’interesse del film». (Flavio Ruffatto, in «Cinema Nuovo», 198, mar./apr. 1969) GIORDANO BRUNO di Giuliano Montaldo Anno di edizione 1973 Produzione: Compagnia Cinematografica Champion, Les Films Concordia; Produttore: Carlo Ponti, Leonardo Pescarolo; Soggetto: Lucio De Caro, Giuliano Montaldo Piergiovanni Anchisi; Sceneggiatura: Lucio De Caro, Giuliano Montaldo Piergiovanni Anchisi; Aiutoregia: Antonio Gabrielli, Lorenzo Magnolia, Vera Pescarolo; Fotografia: Vittorio Storaro; Montaggio: Antonio Siciliano; Scenografia: Sergio Canevari; Arredamento: Ennio Balletti; Costumi: Enrico Sabbatini; Musica: Ennio Morricone; Direzione musicale: Bruno Nicolai; Interpreti: Gian Maria Volonté, Charlotte Rampling, Hans Christian Blech, Mark Burns, Renato Scarpa, José Qualio, Massimo Foschi, Mathieu Carrière, Giuseppe Maffioli, Mario Bardella, Corrado Gaipa, Daniele Vargas, Anna Maria Pescatori, Alberto Plebani, Piero Vida, Franco Balducci, Gian Carlo Badessi, Amerigo Alberani, Jean-Marc Davennes, Carlo Benetti; Durata: 110’.
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Capitolo primo
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OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Fu trasmesso su “Antenne 2” il 19 giugno 1979 con lo stesso titolo. LA STORIA: Prendendo a pretesto una processione commemorativa della vittoria dei cristiani a Lepanto – che si svolge a Venezia – Giordano Bruno espone in salotti di amici le sue idee filosofiche. Queste sono ritenute eretiche dalla Chiesa, che condannano una religione che fa uso della violenza per affermare il suo credo. Giovanni Mocenigo, suo ospite, impaurito per le tesi dell’ex domenicano-filosofo, lo denuncia all’Inquisizione. Rivestiti gli abiti talari Giordano Bruno affronta gli interrogatori cui è sottoposto e, nonostante l’opposizione del Patriarca di Venezia, viene trasferito a Roma. Qui sostiene ancora fieramente le sue tesi: la verità e la scienza contro la Chiesa, il culto della religione contro le religioni, presenza di Dio in ogni particella della materia, rifiuto dei dogmi fondamentali del Cristianesimo. Bruno viene torturato e ridotto ad un relitto umano senza rinnegare nulla del suo pensiero. Morirà sul rogo il 17 febbraio 1600. LA CRITICA: «L’ambiguità e l’inconsistenza dello scenario in cui agisce e patisce il protagonista trovano […] il loro esatto riscontro nell’inorganicità di quest’ultimo. L’eclettico oscillare di Montaldo fra ipotesi di discutibile storiografia e di insicuro impegno politico fa del suo Giordano Bruno un contestatore idealista trasferito fra atmosfere barocche, o un bizzarro eretico del Seicento travestito da Allende. E al pubblico cui non possono giungere le ragioni filosofiche d’un martirio subìto in nome di concetti ardui o addirittura esoterici, non possono dire nulla di nuovo le ragioni politiche imprestategli dall’intenzione esterna del regista». (Roberto Tessari, in «Cinema Nuovo», n. 227, gen./feb. 1974) CAGLIOSTRO di Daniele Pettinari Anno di edizione 1974 Produzione: Rodolfo Putigliani Produzioni Cinematografiche s.r.l.; Produttore: Rodolfo Putigliani; Direttore di produzione: Enzo Boetani, Giuseppe Collura; Soggetto: tratto dalla novella “Cagliostro il taumaturgo” di Pier Carpi; Sceneggiatura: Pier Carpi, Enrica Buonaccorti, Daniele Pettinari; Aiuto-regia: Gianni Siragusa; Fotografia: Giuseppe Pinori; Montaggio: Adriano Tagliavia; Suono: Antonio Forrest; Scenografia: Giorgio Desideri; Musica: Manuel De Sica; Direzione musicale: Alessandro Blonksteiner; Interpreti: Bekim Fehmiu, Curd Jürgens, Evelyn Stewart, Rosanna Schiaffino, Massimo Girotti, Robert Alda, Luigi Pistilli, Anna Orso, Adolfo Lastretti, Luigi Montini, Alessandro Haber, Gaby Verusky, Tonino Pierfederici, Franco Ressel; Durata: 105’. Produzione realizzata negli Studi Dear Film di Roma. OSSERVAZIONI: Evelyn Stewart è lo pseudonimo di Ida Galli. LA STORIA: Alessadro Balsamo, Conte di Cagliostro, appresi dal monaco Messmer i segreti della medicina e della telepatia, viaggia per l’italia assieme alla sua compagna Serafina. Conosce ed entra nelle grazie di Papa Clemente VII per avere guarito un cardinale acquistando celebrità in tutta Europa. La curia romana, preoccupata per l’ascendente che ha sul Pontefice e per il suo potere che si consolida giorno per giorno, decide di incriminarlo. La Sacra Inquiszione lo condanna a morte prendendo a pretesto le sue terribili profezie, ma il Papa non ratifica la condanna e Cagliostro finisce i suoi giorni racchiuso nelle segrete della Fortezza di San Leo nel Montefeltro.
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Le dame, i cavalier, l’arme e gli amori
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LA CRITICA: «Il film, che vorrebbe essere una ricostruzione storico-biografica, è un fumettone tra il misterico e l’anticlericale che, nello scoperto intento di fare del Cagliostro un simbolo di idealità mai dallo stesso impersonate, manipola liberamente tutto, dalla cultura alla cronaca del tempo, dai motivi rivoluzionari alla fondazione della Massoneria Egiziana […]. Non basta per configuarere questo spettacolo a livello dignitoso la cura posta nelle scenografie e la corretta fotografia. Avendo chiaramente la pretesa di essere una denuncia contro la Chiesa, […], esigerebbe ben altra quadratura critica e ben altra aderenza alla realtà storica». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXVIII, Anno 1975, Roma 1975, p. 375)
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II.
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EROI DI MILLE AVVENTURE
1. Ribellioni e vendette tra feudi e signorie nell’Italia dell’anno Mille I piccoli e grandi eroi che affollavano il panorama dei mille staterelli: principati, ducati, feudi, signorie, contadi, ecc., che dominavano l’Italia fino all’Unità, si sprecano nei tanti film che li hanno immortalati. E poco importa che trattino di personaggi inventati o veramente vissuti, quello che importa è il verosimile, la possibilità cioè che quei personaggi sembrino veri per poter entrare nella mente e nel cuore di un pubblico popolare alla ricerca di un modello, di un idolo da venerare. Così i cavalieri senza nome, i falchi rossi, i principi ribelli, i capitani neri, i principi della maschera rossa, i falchi d’oro, i capitani di fuoco e così via, arricchirono a poco a poco la fantasia di ragazzi, fanciulle, cameriere, sartine e militari in libera uscita. Il fenomeno inzia negli anni Trenta, ma è solo negli anni ’50 e ’60 che raggiunge il livello più alto – numerico si intende – perché la qualità dei contenuti delle pellicole lascia piuttosto a desiderare. Gli attori che, in un balenar di spade, meglio di tutti impersonavano gli eroi sugli schermi erano Amedeo Nazzari e Maurizio D’Ancora, negli anni Trenta e Quaranta e, nel dopoguerra, Massimo Serato, Frank Latimore e Lex Barker. Il primo di questi film è L’ambasciatore di Baldassarre Negroni del 1936. Un film dalla trama complicata dove si distingue per bravura Maurizio D’Ancora nelle vesti del Cavaliere di Sant’Elmo eroe della vicenda. Segue, nel 1940, Fanfulla da Lodi dell’attore Carlo Duse, qui alla sua prima regia cinematografica. Il film racconta l’impresa della “Disfida di Barletta”, lo scontro d’arme realmente avvenuto il 13 settembre 1503, fra tredici campioni italiani e tredici francesi, per lavare l’offesa al valore italiano fatta da questi ultimi. Fra i cavalieri italiani vi era appunto anche Fanfulla da Lodi qui interpretato da Ennio Cerlesi. Sullo stesso argomento Alessandro Blasetti, due anni prima, aveva realizzato Ettore Fieramosca1 che resta comunque decisamente più interessante sotto tutti i punti di vista, soprattutto per la superba interpretazione di Gino Cervi nei panni del campione italiano. Nel 1941 dalla Puglia si salta al Nord e precisamente a Milano dove uno spaesato Amedeo Nazzari (non ancora liberatosi del tutto dalle atmosfere del personaggio di Caravaggio finito di girare da poco) è Bernardino Visconti, Il cavaliere senza nome, alias il manzoniano “Innominato”, nel film di Ferruccio Cerio.
1
Gianfranco Casadio, Il grigio e il nero, cit., pp. 22, 25, 31-32.
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Capitolo secondo
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Dente per dente, che Marco Elter porta sullo schermo nel 1943, pur essendo liberamente tratto da una commedia2 di William Shakespeare, è ambientato nel Ducato di Milano e il duca Angelo, anche se non ne viene mai indicato il nome, dovrebbe essere un Visconti. Ma l’esperimento di Elter alla fine risulta perlomeno fallimentare e privo di qualsiasi spunto registico che ne giustifichi la messa in scena. Un fatto di eroismo nel Regno di Sardegna del 1700 messo in atto da un fantomatico Conte di Valfreda è narrato nel film L’invasore di Nino Giannini del 1943. L’invasore del titolo è l’Austria e l’atto eroico è messo in atto dal solito Amedeo Nazzari. Purtroppo per lui il Giannini era un regista di serie C, per di più il film, men che mediocre, fu interrotto per cause belliche, ripreso solo dopo molti anni e non ebbe distribuzione fino al 1950. Nel 1947 Pino Mercanti realizza due film, I cavalieri dalle maschere nere e Il principe ribelle, che si svolgono entrambi nella Sicilia oppressa dagli stranieri. Il cavaliere dalla maschera nera e il principe ribelle è sempre Massimo Serato che, a capo degli insorti, riporta la libertà nella sua terra. Ma nonostante l’impegno di Serato (che un grande attore non lo è mai stato), i due film sono prolissi, si scopiazzano a vicenda (sorge il sospetto che alcune scene siano state montate in entrambi i film) e la recitazione di tutti i componenti del cast lascia a desiderare. Uno dei più brutti film di Carlo Ludovico Bragaglia è Il Falco Rosso del 1949. Diretto in modo incredibilmente sciatto da un regista, per altri versi brillante, come Bragaglia e recitato in maniera a dir poco dilettantesca da attori di discreto successo come Jacques Sernas, venuto alla ribalta come nuova promessa del cinema italiano (anche se di nascita e di cultura franco-lituana) con Gioventù perduta di Pietro Germi e Il mulino del Po di Alberto Lattuada, o come Tamara Lees che andava per la maggiore in quegli anni, Il Falco Rosso è il solito film in cui un nobile diseredato si ribella alla prepotenza degli invasori, organizza il popolo e finisce col trionfare. Niente di originale, anzi un leit motiv che accompagnerà tutti, o quasi, i film di quel periodo. Un’altra rivolta, questa volta al posto dei normanni ci sono gli angioini, è al centro del film di Giorgio Pastina, Vespro Siciliano del 1949 e l’eroe è Giovanni da Procida che Roldano Lupi interpreta con poca convinzione. Per Il Capitano Nero del 1950, ci si mettono in due, Alberto Pozzetti e Giorgio Ansoldi, ma il risultato non cambia. Il film risulta il solito, ennesimo, prodotto in cui la vittima designata si ribella, sconfigge i suoi nemici e sposa la bella castellana. Ma pare che il pubblico di allora fosse insaziabilmente attratto da queste storie. Ancora nel Sud, ancora i normanni e, ancora una rivolta, l’eroe che torna dall’esilio, capeggia la ribellione, sconfigge i normanni ed entra vincitore nella sua città. Questa, in sintesi, la storia de Il Leone di Amalfi che, sempre nel 1950, realizza Pietro Francisci, facendo sfoggio di attori come Vittorio Gassman, Carlo Ninchi, Arnoldo Foà e la bella Milly Vitale, senza raggiungere, peraltro, alte vette. Marco Ludovico Bragaglia, dopo il flop de Il Falco Rosso, si riscatta un poco riproponendo nel 1955 un altro falco, Il Falco d’Oro. Curiosa la passione di Bragaglia per i falchi, questa volta però non ripropone la storia del solito diseredato che ri ribella, ma una storia d’amore controversa fra i rampolli di due famiglie rivali. Una storia non 2
Measure for Measure di William Shakespeare.
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Eroi di mille avventure
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proprio originale, anche se non finisce in tragedia come quella dei disgraziati amanti di Verona. Convincente l’interpretazione di Anna Maria Ferrero, Nadia Gray e Massimo Serato che rendono vedibile il film. Ne Il mantello rosso di Giuseppe Maria Scotese, sempre del 1955, il nemico da abbattere è un fiammingo e se ne farà carico Luca de’ Bardi, detto “Mantello Rosso” per via del suo camouflage. Film che si muove con una certa spigliatezza anche se Bruce Cabot e Fausto Tozzi ci sembrano un po’ impacciati nei rispettivi ruoli. Anche il colore rosso non scherza per presenza in questi film. Infatti nello stesso anno Leopoldo Savona esordisce con Il Principe della Maschera Rossa, meno vistosa del mantello di Scotese, ma pur sempre di colore rosso. È Frank Latimore che torna alla ribalta impugnando la spada (certamente più credibile di Fausto Tozzi), ma la storia non si discosta dalle altre e alla fine, scacciato l’usurpatore, il principe mascherato verrà acclamato dal popolo. Dal rosso al nero. Questa volta il segno distintivo del vendicatore è il nero e il regista, Laszlo Kish, non sapendo dove collocarlo, lo mette nella spada di Steve Barxley. Il Cavaliere della spada nera del 1956 però, colore a parte, non si discosta dal livello di quanti lo hanno preceduto. Per il tempo residuo che manca all’inizio del decennio successivo si sono succeduti una manciata di film, sette per l’esattezza, i cui contenuti e le cui qualità artistiche si possono accomunare liberamente. Nel 1956, Lo spadaccino misterioso di Sergio Grieco, nel 1957 due film: Il Conte di Matera di Luigi Capuano e Il Diavolo Nero di Sergio Grieco; nel 1958 Il Cavaliere del castello maledetto di Mario Costa; nel 1959 tre film: L’Arciere Nero di Piero Pierotti, Capitan Fuoco di Carlo Campogalliani e Il terrore della Maschera Rossa di Luigi Capuano. I primi due anni del decennio successivo sono stati un po’ il canto del cigno di questo sottogenere cinematografico, tre film nel 1960: Il Cavaliere dai cento volti di Pino Mercanti, I masnadieri di Mario Bonnard e La rivolta dei mercenari di Piero Costa. Ma è col 1961 che si sparano gli ultimi fuochi d’artificio. Si realizzano ben sei film: Capitani di ventura di Angelo Dorigo, La congiura dei 10 di Baccio Bandini, La spada della vendetta di Luigi De Marchi, Spade senza bandiera di Carlo Veo, La vendetta della Maschera di Ferro e La spada nell’ombra di Luigi Capuano. Poi, l’anno successivo abbiamo un solo film, Il Capitano di ferro di Sergio Grieco, infine una pausa di due anni e, nel 1964, Il ribelle di Castelmonte di Vertunnio De Angelis, poi il vuoto assoluto. La sparuta e debole critica di quegli anni ripeteva stancamente che si trattava di film «di modesta fattura», oppure che si trattava «dei soliti film drammatici in costume» con «invocazioni di libertà e di giustizia, vendette e duelli», o che si trattava di film in cui «l’interpretazione è modesta», o ancora che si trattava «dei soliti film di cappa e spada» con «i consueti ingredienti» e ancora che non vi era nulla di nuovo e che vecchi apparivano gli «espedienti narrativi, l’ovvietà dei fatti e personaggi già ripetutamente collaudati in numerose altre opere del genere». L’esaurirsi dell’interesse produttivo per questi film fu determinato dall’apparire, negli anni Sessanta e Settanta, di due nuovi generi: il cosiddetto Western “all’italiana”3 inaugurato da Sergio Leone nel
3 Gianfranco Casadio, Se sei vivo spara! Storie di pistoleri, banditi e bounty killers nel western “all’italiana” (1942-1998), Ravenna, Longo, 2004.
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Capitolo secondo
1964 con Per un pugno di dollari e i film polizieschi “all’taliana”4 i cosiddetti poliziotteschi, in cui facevano la parte del leone Mario Bava, Bruno Corbucci, Riccardo Freda, solo per citarne alcuni. Ma il filone non era del tutto esaurito. Vent’anni dopo, nel 1986, Jean-Jacques Arnaud porta sullo schermo il fortunato romanzo storico poliziesco di Umberto Eco Il nome della rosa. Forse è azzardato inserirlo in questa parte del libro, è però vero che si tratta di un film ambientato nel 1300 circa con tutte le contraddizioni e le verità di quel periodo storico: c’è la chiesa, l’isolamento dei monasteri, l’eresia, la paura dell’ignoto e dell’inspiegabile, l’uso della ragione sulla superstizione (ciò che esploderà soltanto quattro secoli d’opo con l’illuminismo), l’Inquisizione, il rogo per le streghe e gli eretici, ma soprattutto l’ignoranza e l’arroganza del potere. Contro tutto ciò lotta l’abate Guglielmo (uno straordinario Sean Connery) che facendo valere il suo orgoglio intellettuale sulla grettezza della superstizione, riuscirà a raggiungere la verità. Passeranno altri dieci anni poi, nel 1997 Sergio Rubini dirige e interpreta Il viaggio della sposa un film apparentemente diverso dai suoi precedenti lavori minimali come, per esempio, La stazione, ma l’ambientazione secentesca non deve trarre in inganno, si tratta pur sempre del rapporto incomprensibile di due mondi e di due culture diverse che separano i due protagonisti. Buone le prestazioni di Rubini e di Giovanna Mezzogiorno. Chiude nel 2001 Pupi Avati con I cavalieri che fecero l’impresa, inventandosi le gesta di cinque cavalierei crociati che trafugano la Sacra Sindone (al posto del Graal) ai templari, che la custodivano nel ducato di Tebe, con l’intento di portarla in Francia, ma la fede non basta loro a evitare di essere massacrati. Il film si richiama alle atmosfere che il regista bolognese aveva già affrontato in Balsamus e, soprattutto, in Magnificat.
4 Gianfranco Casadio, Col cuore in gola. Assassini, ladri e poliziotti nel cinema italiano dal 1930 ad oggi, Ravenna, Longo, 2002.
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Eroi di mille avventure
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L’AMBASCIATORE di Baldassarre Negroni
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Anno di edizione 1936 Produzione: L’ENIC; Direttore di produzione: Carlo J. Bassoli; Soggetto: Commedia musicale di Francesco Pasinetti, Roberto Zerboni basata sul vaudeville “Le diplomate” di Eugenio Scribe; Sceneggiatura: Francesco Pasinetti, Raffaello Matarazzo e Roberto Zerboni; Fotografia: Otello Martelli; Montaggio: Gilberto Bertocchi; Suono: Franco Croci.; Scenografia: Domenico Sanzone; Arredamento: Enzo Lizzani; Costumi: Gino Sensani; Musica: Pietro Sassoli; Interpreti: Leda Gloria; Luisa Ferida; Maurizio D’Ancora; Cesare Zoppetti; Enzo Biliotti; Romolo Costa; Achille Maieroni; Vasco Creti, Tina Lattanzi; Durata: 75’. Produzione realizzata negli Stabilimenti SAFA. LA STORIA: L’Ambasciatore di Spagna don Miguel è inviato a Modena per concludere il matrimonio tra la Infanta Cristina e don Paolo, nipote ed erede del Granduca. Anche il Re di Sassonia ha pero inviato il proprio ambasciatore per combinare le nozze dello stesso Duca Paolo con la principessa di Sassonia. Mentre i due ambasciatori si combattono con le piu sottili armi della diplomazia la figliola di don Miguel, che è innamorata riamata del Cavaliere Lelio di Sant’Elmo, vede osteggiato il proprio sogno dal padre. Ma il giovane cavaliere riesce, più che altro aiutato dalla fortuna, a dipanare la matassa diplomatica aggrovigliatasi anche per il fatto che il Duca Paolo è già segretamente coniugato. L’ambasciatore di Spagna apprezza così le virtù diplomatiche del Cavaliere di Sant’Elmo e acconsente finalmente alle sue nozze con la propria figliola. LA CRITICA: «Realizzato dal conte Negroni – vecchia volpe della nostra cinematografia – L’ambasciatore è caratterizzato da un dinamismo che, in parte, supplisce alla pesantezza della trama. [...] La rivelazione di questa pellicola è Maurizio D’Ancora, che dimostra di possedere spiccate doti di comicità. [...] Ottimi gli esterni, buona la fotografia, discreto il commento musicale. [...] Nel complesso, un buon film». (Anonimo, in «Popolo d’Italia», 18 lug. 1936). FANFULLA DA LODI di Carlo Duse Anno di edizione 1940 Produzione: Titanus; Direttore di produzione: Giovanni B. Seyta; Supervisore alla regia: Romano Mengon; Soggetto: Leo Bomba; Sceneggiatura: Leo Bomba, Carlo Duse; Fotografia: Vaclav Vich; Montaggio: Giancarlo Cappelli; Scenografia: Ottavio Scotti; Costumi: Emma Calderini; Maestro d’armi: O. Selmi; Musica: Ezio Carabella; Interpreti: Germana Paolieri, Osvaldo Valenti, Carlo Duse, Guido Celano, Ennio Carlesi, Rubi Dalma, Luigi Carini, Mario Mazza, Anita Farra, Riccardo Billi, Achille Majeroni, Cesare Zappetti, Cesare Fantoni, Piero Pastore, Tino Scotti, Renato Navarrini; Durata: 80’. Produzione realizzata alla Farnesina negli Stabilimenti Titanus. OSSERVAZIONI: Il film, secondo «Bianco e Nero» e Chiti e Lancia nel loro Dizionario del Cinema Italiano pubblicato da Gremese, asseriscono che il film è diretto a due mani: l’altro regista sarebbe Giulio Antamoro, ma nelle recensioni d’epoca questo nome non compare.
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Capitolo secondo
LA STORIA: Un bieco signorotto, assalta il castello di un vecchio e nobile signore, lo conquista, imprigiona padrone e servi e li fa morire di stenti. Si mette poi sulle tracce della figlia del castellano che, insieme ad un cugino, è riuscita a fuggire con l’aiuto del capitano Fanfulla da Lodi. Purtroppo per loro la soldataglia del signorotto raggiunge e cattura i due fuggiaschi. Interviene allora di nuovo Fanfulla da Lodi che con i suoi uomini attacca il castello, lo riconquista e libera i prigionieri. LA CRITICA: «Fanfulla da Lodi è veramente ciò che vuol essere; una edizione cioè popolaresca e impetuosamente ingenua di un episodio che trae con sé storia e leggenda in una di quelle misture alla Zévago che portano facilmente all’entusiasmo. La regia di Carlo Duse procede a colpi di gran cassa, ma è, tra tanto rumore di ferraglia, di armi, di galoppate e di duelli, veramente efficace […]. Carlesi, Valenti, Celano, il Duse stesso e la Paolieri, in una recitazione di non specifica marca sono però al loro posto e non vanno valutati sotto angoli visuali che il film non si è proposto». (Giuseppe Isani, in «Cinema» n. 88, 25 feb. 1940). IL CAVALIERE SENZA NOME di Ferruccio Cerio Anno di edizione 1941 Produzione: I.N.A.C.-SAGIF; Produttore: Antigono Donati; Direttore di produzione: Franco Vaghi; Soggetto: Ilia A. Minnelli; Sceneggiatura: Ferruccio Cerio, Cesare Mariani, Carlo Rolva; Aiuto-regia: Sergio Grieco; Fotografia: Aldo Tonti, Renato Del Frate; Montaggio: Otello Colangeli; Suono: Emilio Rosa; Scenografia: Enrico Verdozzi, Antonio Tagliolini; Arredamento: Arturo Mercurio; Costumi: Veniero Colasanti; Musica: Alessandro Derevitsky; Interpreti: Amedeo Nazzari, Mariella Lotti, Neda Naldi, Mario Ferrari, Carlo Tamberlani, Vera Carmi, Corrado Racca, Guglielmo Barnabò, Fausto Guerzoni, Oscar Ariani, Rolando Costantino, Amina Pirani Maggi, Amedeo Trilli, Giana Ferrero, Umberto Spadaro, Vittorio Duse, Fedele Gentile, Giulio Tempesti; Durata: 85’. Produzione realizzata negli Studi della Titanus. LA STORIA: Bernardino Visconti, facendo credere di essere l’ambasciatore di Genova, rientra nel Ducato di Milano da dove era stato bandito per un delitto che avveva commesso in passato. Ricongiuntosi con la fanciulla che ama, ottiene molte concessioni e rafforza i rapporti diplomatici esistenti. Ma Gomez, suo acerrimo nemico e geloso dei suoi successi, lo aggredisce rimanendone ucciso ma, assieme a lui, muore anche il padre della ragazza. La fanciulla disperata si chiude in convento e Bernardino in preda al dolore diventa il “Cavaliere senza nome”, ovvero “l’Innominato”. LA CRITICA: «Questo Cavaliere senza nome è […] proprio un esempio di sconfinamenti materiali e spirituali che tradiscono purtroppo la grana grossa di tutto il lavoro. […] Non è soltanto sui duelli, sulle ribalderie, sui retroscena a chiaro e scuro che può poggiare, con certezza di riuscita un film, tanto meno poi, quando gli attori non hanno, per difetto di soggetto, una linea ben definita, un carattere che li identifichi come nel nostro caso. […] Amedeo Nazzari sostiene un ruolo che non è affatto consono alla sua personalità d’attore. Troppi “caravaggeschi” ricordi influiscono, e non certo positivamente, sul suo comportamento scenico». (G.[iuseppe] I.[sani], in «Cinema» n. 131, 10 dic. 1941).
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Eroi di mille avventure
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DENTE PER DENTE di Marco Elter
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Anno di edizione 1943 Produzione: Atlas; Produttore: Giuseppe Gallea; Direttore di produzione: Yorick Gentile; Soggetto: tratto dalla commedia “Measure for Measure” di William Shakespeare; Sceneggiatura: Enrico Ribulsi, Guglielmo Usellini; Fotografia: Antonio Marzari; Montaggio: Marco Elter; Scenografia: Piero Filippone; Arredamento: Guglielmo Borzone; Musica: Giovanni Fusco; Interpreti: Carlo Tamberlani, Caterina Boratto, Nelli Corradi, Loredana, Osvaldo Genazzani, Memo Benassi, Alfredo Vivarelli, Cesco Baseggio, Lamberto Picasso, Amelia Chellini, Claudio Ermelli, Arturo Bragaglia, Federico Collino; Durata: 83’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Fert di Torino. LA STORIA: Durante la sua assenza Vincenzo, Duca di Milano, affida la reggenza al cugino Angelo noto per la sua saggezza e obbedienza alla legge. Si scopre invece che si tratta di un individuo malvagio e corrotto, che non si fa scrupolo di insidiare l’onestà della fanciulla amata dal giovane cugino, ricattandola in cambio della vita del fratello da lui imprigionato e condannato a morte con l’accusa di congiura. Ma al suo ritorno il Duca mette tutto a posto e commina la giusta punizione all’infedele cugino Vincenzo. LA CRITICA: «Il film prende lo spunto, addirittura, da una delle più discusse commedie di Shakespeare […] ma il regista Elter non si è davvero mostrato all’altezza del soggetto e tanto meno della commedia, la quale è deliziosamente carica di popolaresca superstizione, di spiritualismo biblico, di decisa ed argutissima ironia». (F. Senzani, «Il Giornale d’Italia», 16 lug. 1943). «Non si riconosce quasi il soggetto né si giustificano i motivi che determiano il procedere del tiranno che assume su Milano il potere nell’assenza del Duca. La regia di Elter raggiunge il massimo dell’elementarità ed è tutt’altro che chiarificatrice. La vicenda è inzeppata di episodi inutili, come quello della cavalcata e della caccia al cervo. I movimenti di macchina risultano arbitrari. Le masse sono adoperate senza criterio». (Francesco Càlleri, in «Film», n. 30, 24 lug. 1943). L’INVASORE di Nino Giannini Anno di edizione 1943 Produzione: Produttori Associati, Imperator, Sovrania; Produttore: Federico D’Avack; Direttore di produzione: Silvio Lodi; Soggetto: Nino Giannini; Sceneggiatura: Alberto Consiglio, Gherardo Gherardi, Nino Giannini, Roberto Rossellini, Giovanni Del Lungo; Aiuto-regia: Gerardo De Angelis; Fotografia: Tony Frenguelli; Montaggio: Nino Giannini; Musica: Edoardo Micucci; Interpreti: Miria di San Servolo, Amedeo Nazzari, Osvaldo Valenti, Armando Falconi, Olga Solbelli, Liana Serena, Aldo Silvani, Gildo Bocci, Ciro Berardi, Emilio Petacci, Astorre Pederzoli, Maria Pitti, Mirella d’Arni, Pons de Leon; Durata: 75’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. OSSERVAZIONE: Il film fu interroto per cause belliche e ripreso nel 1949. Distribuito so-
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Capitolo secondo
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lamente nella stagione 1950-51, ebbe scarsa distribuzione e non fu recensito dalla stampa. LA STORIA: Nel XVIII secolo durante la guerra di successione, il Regno di Sardegna viene attaccato dall’Austria. Il castello di Diana, moglie del Conte di Valfreda, viene occupato dalle truppe austriache. Il Cavalier Roger, componente dello stato maggiore austriaco, è stato un vecchio spasimante di Diana e vorrebbe approfittare della situazione. Ma Diana rifiuta le sue avances. Il Conte Valfreda, incaricato di far saltare un ponte presso il castello, viene avvistato dal nemico e si rifugia dalla moglie che lo nasconde. Roger si insospettisce e si reca nell’appartamento della contessa, si imbatte però nel conte che lo atterra e si impadronisce dei suoi vestiti per fuggire. Fatto saltare il ponte, il Conte apre così la strada ai piemontesi che si impadroniscono del castello e lui può battersi in duello col Cavaliere e ucciderlo. LA CRITICA: «Si tratta di un lavoro mediocre». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXVII, Anno 1950, Roma 1950, p. 26) I CAVALIERI DALLE MASCHERE NERE di Pino Mercanti Anno di edizione 1947 Produzione: O.F.S. (Organizzazione Filmistica Siciliana); Produttore: Francesco Gorgone, Girolamo Gorgone; Direttore di produzione: Natale di Cristina; Soggetto: tratto dal romanzo I Beati Paoli di William Galt; Sceneggiatura: Giuseppe Zucca, Ovidio Imara, Lionello De Felice, Luigi Chiarini, Pino Mercanti; Aiuto-regia: Salvatore Rosso, Enzo Provenzale, Edmondo Affronti; Fotografia: Piero Portalupi; Montaggio: Mario Serandrei; Scenografia: Peppino Piccolo; Arredamento: Peppino Piccolo; Costumi: Gino Morici; Musica: Pietro Ferro; Direzione musicale: Oscar Massa; Interpreti: Otello Toso, Lea Padovani, Massimo Serato, Paola Barbara, Mario Ferrari, Paolo Stoppa, Carlo Ninchi, Michele Abbruzzo, Umberto Spadaro, Rosolino Bua, Gaspare Lupo, Francesco A. Bertini; Durata: 115’. OSSERVAZIONI: William Galt è lo pseudonimo di Luigi Natoli. LA STORIA: La setta dei “Beati Paoli” lotta contro i soprusi e le violenze della dominazione straniera nella Sicilia del XVII secolo. Violante, la fidanzata di Blasco, un paesano orfano, viene rapita da un signorotto. Blasco è un valido spadaccino e giura di liberare la sua promessa sposa. Con una commendatizia del priore del convento dove è stato allevato, si reca a Palermo per invocare l’aiuto del Capitano di Giustizia a cui ha salvato la moglie dalle mani dei Beati Paoli. Conquistato il favore del Capitano che lo nomina comandante delle guardie, trova Violante che era tenuta prigioniera dal figlio del Capitano. Blasco ferisce il rivale, ma perde di nuovo le tracce della fidanzata. Dopo varie avventure, scopre che il Capitano è suo zio e che ha fatto uccidre il fratello, padre di Blasco, per impadronirsi dei suoi averi. Per opera dei Beati Paoli, il Capitano di Giustizia viene giustiziato e Blasco, reintegrato nei suoi diritti, ritrova Violante e la sposa. LA CRITICA: «Ispirandosi ai film di “cappa e spada”, Pino Mercanti ha realizzato questo film che ha il merito di avere ottimi esterni ben fotografati. La trama è quella che è e il film ha qualche lungaggine: Mercanti avrebbe fatto bene a prendere le forbici, dimostrando così il coraggio di tagliare se stesso». (E. Fecchi, in «Intermezzo», n. 16, 31 ago. 1948).
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Eroi di mille avventure
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«Si tratta di un dramma in costume a forti tinte, allestito con intenti spettacolari e senza eccessive preoccupazioni artistiche o tecniche. Il violento contrasto tra elementi del tutto negativi ed elementi idealmente positivi dà al lavoro un carattere melodrammatico». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXIII, Anno 1948, Roma 1948, p. 204). IL PRINCIPE RIBELLE di Pino Mercanti Anno di edizione 1947 Produzione: O.F.S. (Organizzazione Filmistica Siciliana); Direttore di produzione: Natale Di Cristina; Soggetto: Giuseppe Zucca, Mario Serandrei, Lucio Battistrada; Sceneggiatura: Giuseppe Zucca, Guglielmo Lo Curzio, Aldo Franchi, Ercole Melati; Aiuto-regia: Enzo Provenzale, Salvatore Rosso, Edmondo Affronti; Fotografia: Giuseppe La Torre; Montaggio: Mario Serandrei; Suono: Mario Amari; Scenografia: Peppino Piccolo; Costumi: Gino Morici; Musica: Gioacchino Angelo; Interpreti: Massimo Serato, Mariella Lotti, Otello Toso, Mario Ferrari, Paolo Stoppa, Umberto Spadaro, Luigi Tosi, Giovanni Onorato, Anna Silena, Giovanni Grasso, Natale Cirino, Rosolino Bua, Arturo Dominici, Gaspare Lupon, Gioia Gaetani, Francesco A. Bertini.; Durata: 90’. Produzione realizzata, in esterni ed interni, in Sicilia. OSSERVAZIONI: Tani, nella sua recensione su «Intermezzo», confonde La Torre, direttore della fotografia, con Portalupi. LA STORIA: La Sicilia è oppressa dagli Asburgo ma Francesco, Principe di Sant’Agata, si ribella e si mette a capo dei patrioti. Tutti, popolo e Chiesa, parteggiano per i patrioti, detti “I lupi”, ma purtroppo il sostegno della Spagna, che era stato promesso, viene a mancare e a poco a poco gli insorti vengono decimati. Per salvare un suo fido catturato e condannato a morte, il Principe di Sant’Agata cattura Cristina, la figlia del Viceré, e la scambia con il condannato. Nel tentativo di recuperare una reliquia fatta rubare dal Viceré e restituirla all’Arcivescivo, Francesco di Sant’Agata viene catturato e viene visitato in carcere da Cristina che è innamorata di lui. Francesco la sopraffà e, con indosso i suoi vestiti fugge, ma viene catturato. Il Viceré induce l’Arcivescovo a condannarlo al rogo per eresia accusandolo di essere l’autore del furto della reliquia, ma quando il fuoco è stato già acceso, Cristina e il popolo insorto lo salvano dalla morte. LA CRITICA: «Si tratta di un lavoro mediocre. Il soggetto è poco felice, la regia ha scarsa efficacia. Discreta la fotografia». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXV, Anno 1949, Roma 1949, p. 184) «Ha molti difetti, ma in complesso non è brutto. È prolisso e spesso si sofferma su inutili particolari. La fotografia di Portalupi è quasi sempre bellissima, mentre l’interpretazione, discontinua, risente della mancanza di un regista abile e di polso». (E. Fecchi, in «Intermezzo», n. 8, 30 apr. 1950)
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Capitolo secondo
IL FALCO ROSSO di Carlo Ludovico Bragaglia
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Anno di edizione 1949 Produzione: Forum Film; Produttore: Raffaele Colamonici, Umberto Montesi; Soggetto: Bruno Valeri; Sceneggiatura: Vittorio Nino Novarese, Fulvio Palmieri; Fotografia: Carlo Montuori; Montaggio: Mario Sansoni; Suono: Kurt Doubrawsky; Scenografia: Alberto Boccianti; Costumi: Vittorio Nino Novarese; Musica: Franco Casavola; Interpreti: Jacques Sernas, Paul Müller, Tamara Lees, Victor Ledda, Carla Calò, Pietro Tordi, Ugo Sasso, Piero Palermini, Gemma Bolognesi, Arturo Bragaglia, Anna Di Lorenzo, Renato Valente, Nino Javert; Durata: 87’. LA STORIA: In Italia, durante l’occupazione normanna, uno dei principi invasori si è impossessato di un feudo instaurando un regime di violenza e soprusi. Il giovane Duca, figlio del legittimo signore, torna in Italia e, per rientrare in possesso del feudo avìto, gioca d’astuzia. Si fa passare per un poeta greco e viene accolto al castello. Ma il giovane conduce una doppia vita: di giorno è un fatuo e imbelle poeta, di notte è l’impavido Falco Rosso che dà del filo da torcere agli uomini dell’usurpatore. Un giorno assalta il corteo della promessa sposa di quest’ultimo e la rapisce. Dopo un certo tempo la rispedisce al castello, ma l’usurpatore, credendo che non sia più degna di lui, la fa sposare al poeta greco. Costui, prendendo le vesti del Falco Rosso, attira fuori dalle mura l’usurpatore e i suoi e l’uccide in battaglia. Acclamato dal popolo rientra in possesso dei suoi feudi. LA CRITICA:. «È un dramma a forti tinte, pieno di retorica, realizzato assai mediocremente». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXVII, Anno 1950, Roma 1950, p. 54) «È incredibile che in un’epoca come la nostra possano essere ancora proiettate pellicole come questa diretta da Bragaglia: eppure bisogna arrendersi all’evidenza. L’intero film è un impasto di dilettantismo e di insipienza cinematografica che non riesce nemmeno a centrare il ridicolo. Gli attori hanno recitato conformemente al livello della pellicola, con supremo sprezzo della loro reputazione». (F. Gabella, in «Intermezzo» n. 7, 15 apr. 1950) VESPRO SICILIANO di Giorgio Pastina Anno di edizione 1949 Produzione: Epica Film; Produttore: Giuseppe D’Angelo; Direttore di produzione: Piero Cocco; Soggetto: Giorgio Pastina; Sceneggiatura: Fulvio Palmieri, Emilio Cecchi, Domenico Meccoli, Oreste Biancoli, Giorgio Pastina; Aiuto-regia: Paolo Heusch; Fotografia: Domenico Scala; Montaggio: Mario Serandrei; Scenografia: Gino Morici; Costumi: Maria De Matteis; Musica: Enzo Masetti; Interpreti: Marina Berti, Clara Calamai, Roldano Lupi, Steve Barclay, Paul Müller, Ermanno Randi, Aldo Silvani, Carlo Tamberlani, Aroldo Tieri, Gianni Glori, Felice Minotti, Gabriele Ferzetti, Francesco A. Bertini; Durata: 95’. LA STORIA: Sotto il dominio di Carlo d’Angiò la Sicilia è in fermento. Elena di Paternò promessa a Giovanni da Procida è costretta da Carlo d’Angiò a sposare il Governatore di
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Eroi di mille avventure
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Palermo. Giovanni da Procida, informato, rientra dall’esilio e prepara la rivolta. Inseguito dagli uomini del capitano Droet, si rifugia in casa di un mugnaio, Tommaso, che lo mette in salvo. Droet conosce così Laura, la bella figlia di Tommaso e la vuole per sé. Laura è promessa a un giovane pescatore e suo padre cerca di affrettare le nozze. Ma Droet arresta il mugnaio che verrà poi ucciso in un conflitto a fuoco. Durante le nozze di Laura col pescatore, Droet cerca di rapirla, ma lo sposo la difende e l’uccide. Scoppia così la rivolta, detta dei Vespri Siciliani, capeggiata da Giovanni da Procida. Il Governatore tenta di fuggire ma viene ucciso e la Sicilia è liberata. LA CRITICA: «Si tratta di un lavoro molto debole, che però potrà destare l’interesse di pubblici popolari». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXVI, Anno 1949, Roma 1949, p. 278) IL CAPITANO NERO di Alberto Pozzetti, Giorgio Ansoldi Anno di edizione 1950 Produzione: Cooperativa Tecnici Cinematografici; Direttore di produzione: Mario Colambassi; Soggetto: Corrado Capparuccia; Sceneggiatura: Alberto Consiglio, Corrado Capparuccia, Virgilio Sabel, Ettore Maria Margadonna; Aiuto-regia: Corrado Capparuccia; Fotografia: Carlo Montuori; Montaggio: Vittorio Solito; Suono: Ennio Sensi; Scenografia: Alfredo Montori; Arredamento: Camillo Del Signore; Costumi: Fabrizio Carafa D’Andria; Musica: Raffaele Gervasio; Interpreti: Steve Barcley, Marina Berti, Mario Ferrari, Paul Müller, Marisa Merlini, Fedele Gentile, Roberto Risso, Andrea Checchi, Silvana Muzi, Carlo Borelli, Lucio Benetti, Amedeo Trilli, Leo Garavaglia, Franco Jamonte, Mario Danieli, Riccardo Foti, Sergio Merolle; Durata: 96’. LA STORIA: Il Conte Marco Adinolfi, uno dei tanti signorotti che vivono nell’Italia del Cinquecento, ha due rivali: il Duca Riano di Corvara e il suo vassallo Giuliano Garlandi. Costoro gli violentano la sorella e gli uccidono due fratelli. Dopo tutta una serie di vicissitudini Marco uccide Garlanti sotto gli occhi dell’amante e, penetrato nel castello del Duca, lo uccide e sposa Barbara Vivaldi, la bella nipote del Governatore e promessa sposa del duca di Corvara. LA CRITICA: «La legge del taglione sembra essere la norma suprema nel mondo prospettato dalla vicenda […]. Il film appare frammentato e in qualche punto oscuro; ma l’ambiente fazioso del Cinquecento è riprodotto con una certa efficacia». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXIX, Anno 1951, Roma 1951, p. 128) «Da un film d’avventura […] questo si è ridotto ad essere un film comico contro la volontà dei due suoi registi che avevano cercato (e per questo si erano uniti) di dargli una parvenza cinematografica. Ma la loro palese incapacità è riuscita a far loro ottenere un successo inaspettato. Successo di ilarità generale». (F. Gabella, in «Intermezzo» n. 20/21, 15 nov. 1951)
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Capitolo secondo
IL LEONE DI AMALFI di Pietro Francisci
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Anno di edizione 1950 Produzione: Oro Film, Laura Film; Produttore: Mario Francisci; Direttore di produzione: Carlo Bessi; Soggetto: Pietro Francisci; Sceneggiatura: Raul De Sarro, Fiorenzo Fiorentini, Pietro Francisci; Aiuto-regia: Giorgio Graziosi; Fotografia: Rodolfo Lombardi, Guglielmo Lombardi; Montaggio: Ornella Micheli; Scenografia: Flavio Mogherini; Musica: Carlo Rustichelli; Direzione musicale: Fernando Previtali; Interpreti: Vittorio Gassman, Milly Vitale, Elvy Lissiak, Carlo Ninchi, Sergio Fantoni, Ugo Bertucci, Adele Bishop, Piero Carini, Spartaco Conversi, Augusto Di Giovanni, Cesare Fantoni, Arnoldo Foà, Achille Majeroni, Afro Poli, Roberto Risso, Umberto Silvestri, Antonio Crast, Anna Di Lorenzo, Michele Capezzoli, Mario Ferrari; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Studi Safa-Palatino. OSSERVAZIONI: Il film fu rimesso in circolazione con qualche taglio (ridotto a 75’) nel 1961, con il titolo Il ribelle di Amalfi. LA STORIA: Nel 1703 i normanni si impadroniscono di Amalfi uccidendo tutti gli oppositori, compreso il Doge Stefano. Mauro, figlio del Doge, viene salvato da alcuni fedeli amici. Crescerà lontano della sua patria; ormai adulto, viene a sapere delle sue origini e si mette a capo di un gruppo di valorosi per attaccare la piazzaforte. Il tradimento di Eleonora, una giovane gelosa delle attenzioni che Mauro ha nei confronti di Diana, mette a rischio l’intera operazione, ma Mauro e i suoi compagni riusciranno a capovolgere la situazione, a sconfiggere i normanni e ad entrare trionfanti ad Amalfi. LA CRITICA: «Per ricalcare le orme di una produzione mercantile oltreoceanica, il film adegua infatti con canoni tradizionali tutte le risorse turistico-artistiche e muliebri della nostra terra». (E. Gualdoni, in «Intermezzo» n. 21, 25 nov. 1950) IL FALCO D’ORO di Carlo Ludovico Bragaglia Anno di edizione 1955 Produzione: P.O. Film; Produttore: Ottavio Poggi; Direttore di produzione: Domenico Bologna; Soggetto: tratto da Don Gil dalle calze verdi di Tirso De Molina; Sceneggiatura: Alessandro Continenza, Italo De Tuddo; Aiuto-regia: Mario Mariani; Fotografia: Alvaro Mancori; Montaggio: Enzo Alfonsi; Suono: Venanzio Biraschi, Raffaele Del Monte; Scenografia: Ernest Kromberg; Arredamento: Massimo Tavazzi; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Maestro d’armi: Enzo Musumeci Greco; Musica: Ezio Carabella; Interpreti: Anna Maria Ferrero, Nadia Gray, Massimo Serato, Carletto Sposito, Charles Fawcett, Rose Alba, Arturo Bragaglia, Umberto Sacripante, Valeria Fabrizi, Mariangela Giordano, Enzo Musumeci, Aldo Pini, Bruno Smith, Frank Latimore; Durata: 90’. LA STORIA: Nel Senese del XVII secolo due famiglie rivali, i Montefalco e i Della Gertrude, si fanno costantemente la guerra. Morto il signore di Montefalco, la vedova vorrebbe stabilire una pace duratura con il matrimonio di suo figlio Massimo con la bella figlia di Ubaldo Della Gertrude, Ines. Contraria a questa unione è Fiammetta, la figlia del maestro d’armi di casa
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Eroi di mille avventure
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Montefalco, segretamente innamorata di Massimo. Fiammetta, abile spadaccina, vivace e dinamica, vestendo abiti maschili e mascherata, mette in atto scaramucce e attacchi che riaccendono gli antichi rancori, fino a far saltare il progetto di matrimonio. Alla fine Fiammetta sposerà Massimo e la pace tornerà egualmente in quell’angolo del Senese. LA CRITICA: «Il film si giova di una discreta interpretazione e di un buon cinemascope: per merito soprattutto della diligente regia, il lavoro risulta in complesso spigliato e divertente». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXXIX, Anno 1956, Roma 1956, p. 196). IL MANTELLO ROSSO di Giuseppe Maria Scotese Anno di edizione 1955 Produzione: Trio Film, Franca Film, Centre Cinéma; Direttore di produzione: Elios Vercelloni; Soggetto: Albino Principe; Adattamento: Giuseppe Maria Scotese, Albino Principe, Jacopo Corsi, Riccardo Pazzaglia; Sceneggiatura: Albino Principe, Guglielmo Santangelo; Aiuto-regia: Riccardo Pazzaglia; Fotografia: Adalberto Albertini; Montaggio: Renzo Lucidi; Scenografia: Lamberto Giovagnoli; Costumi: Ugo Pericoli; Musica: Gino Marinuzzi jr; Interpreti: Fausto Tozzi, Patricia Medina, Jean Murat, Bruce Cabot, Colette Déreal, Guy Mairesse, Lyla Rocco, Domenico Modugno, Nyta Dover, Jean François Calvé, Erminio Spalla, Franco Caruso, Edoardo De Santis, Janine Fusier Gir, Giacomo Rossi Stuart, Franco Fantasia, Andrea Fantasia, Giulio Battiferri; Durata: 95’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo francese del film è Les Révoltés. LA STORIA: Luca, figlio di Cosimo de’ Bardi, barbaramente fatto uccidere, dal Capitano Raniero d’Anversa detto il Fiammingo, non si da pace finché non avrà vendicato la morte del padre. Trasformatosi in un misterioso cavaliere mascherato e dal mantello rosso, attacca sistematicamente le guardie del Fiammingo battendole sempre. Una sera fa fallire una spedizione punitiva che il Fiammingo aveva ordinato al suo braccio destro, detto il Guercio, ai danni di Ser Guerlandi, amico del padre di Luca. Il giovane convince i figli del Guerlandi ad unirsi a lui e, insieme, catturano il Guercio che accusa il Fiammingo di essere l’assassino di suo padre. Dopo una serie di avventurose situazioni Luca, capitanando una sommossa popolare, si scontra in duello col Fiammingo e lo uccide. LA CRITICA: «Il film ha le caratteristiche dei lavori del genere, dai quali non si distingue per particolari pregi. Buone alcune scene di movimenti, recitazione un po’ fiacca». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXXVIII, Anno 1955, Roma 1955, p. 170) IL PRINCIPE DALLA MASCHERA ROSSA di Leopoldo Savona Anno di edizione 1955 Produzione: Trionfalcine; Produttore: Giovanni Addessi; Direttore di produzione: Giuseppe
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Capitolo secondo
Fatigati; Soggetto: Giovanni Addessi; Sceneggiatura: Vittorio Carpignano, Massimo Mida, Leopoldo Savona; Aiuto-regia: Vittorio Carpignano; Fotografia: Vincenzo Seratrice; Montaggio: Gabriele Varriale; Suono: Adolfo Alessandrini; Scenografia: Ottavio Scotti; Arredamento: Enzo Bulgarelli; Musica: Carlo Innocenzi; Interpreti: Frank Latimore, Maria Fiore, Yvonne Furneaux, Camillo Pilotto, Elio Steiner, Livio Ardan, Luisa Gambarelli, Mario Sailer, Vince Barbi, Loris Bazzocchi, Sante Simeone, Luciano Benetti, Tony Angeli, Sergio Fantoni; Durata: 90’. OSSERVAZIONI: Massimo Mida è Massimo Puccini, Mida era lo pseudonimo che si era dato quando scriveva su «Cinema» e che poi ha mantenuto. Livio Ardan è lo pseudonimo di Livio Lorenzon. LA STORIA: Il Principe Filippo della Scala viene assassinato dal Capitano Alberico per ordine del Duca Altichieri che si impossessa così del Principato. Masuccio, figlio dell’ucciso, si mette in salvo fuggendo. Dieci anni dopo, a sostegno del popolo vilipeso dall’usurpatore, appare un vendicatore chiamato “il Principe dalla maschera rossa”. Nessuno sa chi sia, ma la sua fama eccita gli animi del popolo oppresso. Isabella, figlia del ricco banchiere Ser Gaspare, rifiuta di sposare il Capitano Alberico, perché infatuata del misterioso Principe. Per vendicarsi Alberico fa uccidere il banchiere sotto gli occhi della figlia e le fa credere che ad ucciderlo sia stato il Principe dalla maschera rossa. La fanciulla giura di vendicarsi e, travestita da zingarella, si reca nel campo dei ribelli. Ma mentre sta per pugnalare il Principe scorge un medaglione al collo del giovane che lei, in giovane età, aveva regalato a Masuccio. Fra i due, chiarita ogni cosa, rinasce l’amore, ma una gitana, per gelosia denuncia Masuccio ad Alberico che lo fa arrestare, ma poi, pentita, lo fa liberare. Masuccio uccide in duello Alberico, il Duca Altichieri viene scacciato ed il popolo acclama Masuccio signore del Principato. LA CRITICA: «È un lavoro modesto: la vicenda nella quale abbondano i convenzionalismi e le ingenuità, appare alquanto frammentata. Mediocri la regia e la recitazione». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXXVIII, Anno 1955, Roma 1955, p. 57) IL CAVALIERE DALLA SPADA NERA di Laszlo Kish Anno di edizione 1956 Produzione: Romana Film; Produttore: Fortunato Misiano; Direttore di produzione: Franco Misiano; Soggetto: Alberto D’Amario; Sceneggiatura: Gino Visentini, Franco Perrone; Collaboratore alla regia: Luigi Capuano; Aiuto-regia: Giuseppe Mariani; Fotografia: Augusto Tiezzi; Montaggio: Renato Scandolo; Suono: Franco Gropponi, Raffaele Del Monte; Scenografia: Alfredo Montori; Arredamento: Camillo Del Signore; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Maestro d’armi: Enzo Musumeci Greco; Musica: Carlo Innocenzi; Interpreti: Steve Barcley, Marina Berti, Otello Toso, Fulvia Franco, Carlo Tamberlani, Luigi Tosi, Enzo Fiermonte, Piero Palermini, Rita Rosa, Margherita Nicosia, Gianni Baghino, Carlos Lamas, Amina Pisani Maggi, Natale Cirino, Rodolfo Lodi, Piero Pastore, Zoe Incrocci, Nerio Bernardi; Durata: 88’. Produzione realizzata negli Studi I.N.C.I.R.-De Paolis. OSSERVAZIONI: Il nome di Luigi Capuano non figura nei titoli di testa.
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Eroi di mille avventure
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LA STORIA: Il Conte Ludovico viene ucciso il giorno delle nozze. Laura, la sua vedova, è decisa a vendicarlo. Circondata da uno stuolo di pretendenti, attratti non solo dalla sua bellezza, ma anche dal suo ricco feudo, si destreggia con abilità. Fra questi vi è un assiduo corteggiatore, il Marchese di Altamura che, privo si scrupoli, assalta il castello approfittando dell’assenza dello scudiero della contessa, Marco, e di una buona parte dei suoi uomini. Appreso dalla madre che il patrigno è morto e che l’ha lasciato erede del titolo di Conte e del feudo e che il Marchese di Altamura ha assalito il castello della Contessa e ha sopraffatto la guardia, Marco corre in aiuto degli assediati. Avuta ragione degli uomini del Marchese, affronta quest’ultimo – che è l’assassino del Conte Ludoivico – in duello e lo uccide. Laura, che vede Marco con la maschera del Cavaliere dalla spada nera di cui è segretamente innamorata, appresa la sua vera identità che lo rivela suo pari, accetta di sposarlo. LA CRITICA: «La discreta regia e la mediocre recitazione rendono il film di modesto valore artistico». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XL, Anno 1956, Roma 1956, p. 234) LO SPADACCINO MISTERIOSO di Sergio Grieco Anno di edizione 1956 Produzione: P.O. Film; Produttore: Ottavio Poggi; Soggetto: Ottavio Poggi; Sceneggiatura: Carlo Veo, Sergio Grieco; Aiuto-regia: Mario Caiano; Fotografia: Renato Del Frate; Montaggio: Enzo Alfonsi; Scenografia: Ernest Kromberg; Arredamento: Alberto Tavazzi; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Maestro d’armi: Enzo Musumeci Greco; Musica: Enzo Carabella; Interpreti: Frank Latimore, Fiorella Mari, Gérard Landry, Tamara Lees, Enrico Glori, Gianni Luda, Giulio Battiferri, Andrea Aureli, Remo De Angelis, Nino Milano, Linda Del Faro, Antonio Corevi; Durata: 90’. OSSERVAZIONI: Fra gli sceneggiatori Aldo Segri, alias Sergio Grieco, anche se citato da più fonti, non è accreditato LA STORIA: Il Duca Ubaldo di Roccamontana, ordisce una congiura contro Alfonso d’Este per impadronirsi dei territori soggetti agli Estensi e consegnarli agli spagnoli. Per conseguire i suoi scopi, fa assassinare il Conte Maurizio d’Arcidosso fedele agli Estensi, poi chiede a Laura, figlia dell’ucciso, di sposarlo. Contro tali propositi si pone il Conte Riccardo degli Argentieri, fedelissimo degli Estensi ed innamorato di Laura. Nasce un conflitto senza quartiere fra i due e, dopo varie peripezie, Riccardo, che gode del favore del popolo, riesce ad entrare nel castello di Roccamontana, libera Laura che languiva prigioniera nei sotterranei, affronta il Duca Ubaldo e lo uccide in duello. LA CRITICA: «È un film di avventure di modesta fattura: regia incolore, recitazione mediocre. Le scene di battaglia e di lotte riescono poco convincenti. (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XL, Anno 1956, Roma 1956, p. 236) IL CONTE DI MATERA di Luigi Capuano
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Capitolo secondo
Anno di edizione 1957 Produzione: Romana Film; Produttore: Fortunato Misiano; Direttore di produzione: Franco Misiano; Soggetto: Raffaele Dettole; Sceneggiatura: Vincenzo Talarico; Aiuto-regia: Giuseppe Mariani, Raffaele Dettole; Fotografia: Augusto Tiezzi; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Suono: Guido Tardone, Emilio Rosa; Scenografia: Alfredo Montori, Giancarlo Bartolini Salimbeni; Arredamento: Camillo Del Signore; Costumi: Giancarlo Salimbeni; Musica: Michele Cozzoli; Direzione musicale: Pier Luigi Urbini; Interpreti: Virna Lisi, Otello Toso, Giacomo Rossi Stuart, Eva Vanicek, Aldo Bufi Landi, Paul Müller, Wandisa Guida, Emilio Petacci, Guido Celano, Nietta Zocchi, Armando Migliari, Bruna Celati, Pasquale De Filippo, Renato Chiantoni, Pietro De Vico, Erminio Spalla, Carlo Tamberlani, Edoardo Toniolo, Nerio Bernardi, Nazareno Zamparla, Elena Sedlak, Amedeo Trilli, Ugo Sasso, Emilia Diaz, Corrado Annicelli; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Titanus-Appia. LA STORIA: Il Duca di Matera muore in esilio dopo che il Conte di Tramontana si è impadronito della sua città. Paolo, figlio del Duca, gli giura sul letto di morte che lo vendicherà e scaccerà da Matera l’usurpatore. Intanto il Conte di Tramontana impone i più umilianti balzelli feudali ai sudditi di Matera. Le numerose rivolte sono soffocate nel sangue. Greta, la figlia del Conte il cui carattere è diametralmente opposto a quello del padre, conosce fortuitamente il giovane Paolo, che in seguito scoprirà essere il figlio dello spodestato Duca, e se ne innamora. Il padre vorrebbe sposarla al suo uomo di fiducia, Filiberto, che però è solo interessato ad impossessarsi del ducato. Quando il Conte viene a sapere che Gisella, la sorella di Paolo, ha sposato il Conte Mario Del Balzo, la fa rapire. Quest’ultima infamia fa esplodere la rabbia del popolo che, guidato da Mario e Paolo assalta il castello. Filiberto imprigiona Greta e uccide il Conte di Tramontana, ma arrivano gli insorti che uccidono Filiberto e liberano Gisella e Greta che sposerà Paolo ormai nuovo signore di Matera. LA CRITICA: «È uno dei soliti film drammatici in costume, né vi mancano alcuni tra i consueti ingredienti: invocazioni di libertà e di giustizia, vendette e duelli; amori e passaggi segreti. Il lavoro non ha pretese artistiche. Non appare riuscito il tentativo di introdurre nella vicenda drammatica elementi comici. Discreta la recitazione, buona la fotografia». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLIV, Anno 1958, Roma 1958, p. 259) IL DIAVOLO NERO di Sergio Grieco Anno di edizione 1957 Produzione: P.O. Film; Produttore: Ottavio Poggi; Soggetto: Ottavio Poggi; Sceneggiatura: Ottavio Poggi, Sergio Grieco; Aiuto-regia: Mario Caiano; Fotografia: Alvaro Mancori; Montaggio: Enzo Alfonsi; Scenografia: Ernest Kromberg; Arredamento: Giovanna Natili; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Maestro d’armi: Enzo Musumeci Greco; Musica: Roberto Nicolosi; Interpreti: Gerard Landry, Milly Vitale, Maurizio Arena, Leonora Ruffo, Andrea Aureli, Giulio Battiferri, Nino Crisman, Ughetto Bertucci, Mariangela Giordano, Enrico Olivieri, Giorgio Ubaldi, Renato Montalbano, Gino Scotti, Nazzareno Zamparla, Nadia Gray; Durata: 82’. Produzione realizzata negli Studi I.N.C.I.R.-De Paolis. LA STORIA: Nel 1525, durante l’invasione spagnola, Lorenzo di Roccabruna, invece di opporsi con le armi, come hanno fatto quasi tutti le altre signorie, ha accolto gli invasori nel suo
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Eroi di mille avventure
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ducato nella speranza di suggellare la pace con il matrimonio della nipote isabella con uno dei figli del Re di Spagna. Ma i sudditi del Duca non sono d’accordo e combattono gli spagnoli guidati da un giovane mascherato detto “Diavolo nero”. Pochi conoscono la sua vera identità, fra questi vi è Ruggero che lo aveva liberato dalla prigione del Duca. A Ruggero il “Diavolo nero” confida di essere un vecchio amico di Giovanni, fratello di Lorenzo, da lui fatto uccidere, che lo aveva allevato come un figlio ed era tornato a corte per vendicare Giovanni, sotto il falso nome di Osvaldo. Mentre stanno parlando arrivano alla fattoria i gendarmi di Lorenzo, Osvaldo fugge, ma viene catturata Stella, fidanzata di Ruggero e figlia del fattore. Osvaldo riconosce in lei la vera figlia di Giovanni e la libera mentre Ruggero alla testa dei popolani assalta il castello. Osvaldo si batte con Lorenzo e l’uccide, Stella, legittima erede del Ducato sposa Ruggero e Isabella sposa Osvaldo. LA CRITICA: «È un film modesto che tenta inutilmente di recare qualche elemento di interesse all’inconsistente vicenda. L’interpretazione è modesta ». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLI, Anno 1957, Roma 1957, p. 179) IL CAVALIERE DEL CASTELLO MALEDETTO di Mario Costa Anno di edizione 1958 Produzione: Romana Film; Produttore: Fortunato Misiano; Direttore di produzione: Fortunato Misiano; Soggetto: Sergio Corbucci, Piero Vivarelli; Sceneggiatura: Sergio Corbucci, Piero Vivarelli; Aiuto-regia: Mario Tota; Fotografia: Augusto Tiezzi; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Suono: Bruno Francisci, Bruno Moreal; Scenografia: Alfredo Montori; Arredamento: Camillo Del Signore; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Maestro d’armi: Franco Fantasia; Musica: Michele Cozzoli; Direzione musicale: Franco Ferrara; Interpreti: Massimo Serato, Irene Tunc, Luisella Boni, Pierre Cressoy, Carlo Tamberlani, Luciano Marin, Livio Lorenzon, Rina Mascetti, Miranda Campa, Aldo Bufi Landi, Ugo Sasso, Emilio Petacci, Umberto Nencioni, Giovanni Vari, Amedeo Trilli, Natale Cirino, Franco Fantasia, Gianni Baghino, Maria Sima, Guido Battiferri, Vinicio Sofia, Andrea Fantasia; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Studi I.N.C.I.R.-De Paolis. LA STORIA: Ugone di Colleferro, imprigionato il Conte Oliviero, suo zio, cerca di ottenere una lettera che documenti la cessione a lui dei diritti sul feudo. Al rifiuto, Ugone richiama al castello Isabella, figlia del Conte, col proposito di obbligarla a sposarlo e a diventare così il legittimo proprietario del feudo. Il malumore serpeggia fra i contadini taglieggiati da Ugone, che incominciano a ribellarsi aiutati da un misterioso cavaliere mascherato, il Cavaliere Nero. Isabella rifiuta le proposte del cugino e spera anche lei nel Cavaliere Nero come salvatore suo e del feudo. Ma gli eventi precipitano e Isabella per salvare il padre finisce per accettare di sposare il cugino. Ma al momento delle nozze ricompare il Cavaliere Nero che è Giannetto, un compagno d’infanzia di Isabella, allora Ugone, facendosi scudo della Contessina, cerca di fuggire, ma la sua amante lo accoltella alla schiena per vendicarsi di essere stata abbandonata. Il Conte viene liberato e la Contessina sposerà Giannetto. LA CRITICA: «Si tratta di uno dei soliti film di cappa e spada, che contiene i consueti ingredienti. Al lavoro, che non vanta particolari pregi, non manca però un certo tono di dignitoso mestiere. Buono il colore». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLV, Anno 1959, Roma 1959, p. 166)
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Capitolo secondo
L’ARCIERE NERO di Piero Pierotti
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Anno di edizione 1959 Produzione: Diamante Cinematografica; Produttore: Dino Santambrogio; Direttore di produzione: Dilvano Scalpellini; Soggetto: Giacomo Gentilomo, Giorgio Costantini, Piero Pierotti; Sceneggiatura: Giacomo Gentilomo, Giorgio Costantini, Piero Pierotti; Aiuto-regia: Gennaro Balistrieri; Fotografia: Aldo Greci; Montaggio: Dolores Tamburini; Suono: Mario Faraoni; Scenografia: Franco Lolli; Arredamento: Giulio Sperabene; Costumi: Maria Luisa Panaro; Maestro d’armi: Franco Fantasia, Andrea Fantasia; Musica: Tarcisio Fusco; Interpreti: Gerard Landry, Federica Ranchi, Livio Lorenzon, Carla Strober, Franco Fantasia, Renato Navarrini, Fulvia Franco, Erno Crisa, Jolanda Addolori, Nino Marchesini, Tom Felleghi, Andrea Fantasia, Stelio Candelli, Isarco Ravaioli, Piero Pastore, Ivy Holzer, Amedeo Trilli, Ignazio Leone, Nello Pazzafini, Gino Scotti, Gianni Baghino, Sandro Baranger, Renato Montalbano; Durata: 91’. Produzione realizzata nei Teatri di Posa dell’Istituto Nazionale LUCE. LA STORIA: I cugini Lodrisio e Ludovico vogliono impossessarsi del feudo detenuto dallo zio Alvise. Per fare ciò si unisce a loro anche Ubaldina, una donna perfida, e insieme uccidono il Conte di Sant’Elia che sospetta di loro. Fanno poi in modo che i sospetti ricadano su Corrado, il figlio del Conte, che è costretto a fuggire e diventa un bandito, l’Arciere Nero. Per avere dalla loro parte Corrado, i malfattori dichiarano che l’assassino del Conte è il loro zio Alvise. Costui viene imprigionato assieme alla figlia Ginevra, ma i due cugini ben presto, per rivalità e gelosia, entrano in conflitto. Corrado, che è ormai certo che il padre sia stato assassinato da loro, li uccide; stessa sorte capiterà ad Ubaldina. Ma in mezzo a tanta strage anche Alvise rimarrà ucciso. L’arrivo del Principe pone fine alle ostilità e Corrado e Ginevra finiranno per sposarsi. LA CRITICA: «Si tratta di un film di avventura a sfondo storico, nel quale crudeltà, nefandi progetti, corruzione, violenze, duelli, ecc. sono i consueti ingredienti, mescolati senza troppe preoccupazioni. Modeste la regia e la recitazione, che si lasciano travolgere dalla farraginosa e spesso poco credibile vicenda». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLVI, Anno 1959, Roma 1959, p. 206) CAPITAN FUOCO di Carlo Campogalliani Anno di edizione 1959 Produzione: Transfilm Importazione Distribuzione; Soggetto: Gino Mangini, Isabella Conino, Emimmo Salvi; Sceneggiatura: Vittorio Nino Novarese, Carlo Campogalliani, Gino Mangini, Isabella Conino; Aiuto-regia: Romolo Girolami, Gino Mangini; Fotografia: Adalberto Albertini; Montaggio: Carlo Campogalliani; Suono: Bruno Moreal, Pietro Ortolani; Scenografia: Oscar D’Amico, Giuseppe Ranieri; Arredamento: Giorgio Desideri; Costumi: Giovanna Natili Del Chiappa; Musica: Carlo Innocenzi; Direzione musicale: Tito Petralia; Interpreti: Lex Barker, Rossana Rory, Massimo Serato, Carla Calò, Herbert Bohme, Dante Maggio, Paul Müller, Piero Lulli, Livio Lorenzon, Furio Meniconi, Luigi Cimara, Umberto Fiz, Andrea Scotti, Luigi Tosi, Gino Scotti, Luigi Guasco, Lilly Furia, Tonino Stoppa, Anna Maria Ferrero; Durata: 90’.
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Eroi di mille avventure
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LA STORIA: Alla fine del XIII secolo un fiumiciattolo divide le terre del giusto e onesto Conte Gualtiero di Roccalta da quelle del brutale e feroce Barone Oddo di Sarra. Un bracconiere, Pietro, viene sorpreso a cacciare nelle terre di Gualtiero che lo lascia libero. Pietro, insieme ai suoi amici, aiuta un certo Rocco a fuggire dalle terre di Oddo e a rifugiarsi nelle terre di Gualtiero. Poi aiuta anche altre persone ad attraversare il fiume e a trovare rifugio nelle terre del Conte, tanto da meritarsi il nome di Capitan Fuoco. Il Barone Oddo, per vendicarsi, fa uccidere il Conte e fa credere alla figlia Elena che l’autore del delitto è Capitan Fuoco. Quindi offre il suo appoggio e i suoi soldati per combattere il bandito, il tutto con lo scopo di appropriarsi del feudo e sposare la Contessina. Ma Capitan Fuoco dimostra alla fanciulla la sua innocenza, sconfigge i soldati del Barone e uccide quest’ultimo in duello. Il lieto fine è inevitabile. LA CRITICA. «Il film è del genere “cappa e spada”, dove Lex Barker è una specie di Robin Hood ai tempi dell’Italia del XIII Secolo, divisa in una infinità di piccoli feudi, i cui sudditi erano sottoposti spesso a soprusi e angherie d’ogni genere. Consueta ingenuità e recitazione modesta». (U. Tani, in «Intermezzo» n. 3, 15 feb. 1959) IL TERRORE DELLA MASCHERA ROSSA di Luigi Capuano Anno di edizione 1959 Produzione: Jonia Film, I.N.C.I.R.; Direttore di produzione: Fernando Felicioni; Soggetto: Marcello Ciorciolini; Sceneggiatura: Marcello Ciorciolini, Luigi Capuano, Roberto Gianviti, Vittorio Metz; Aiuto-regia: Daniele Luisi; Fotografia: Carlo Montuori; Montaggio: Antonietta Zita; Suono: Raffaele Del Monte, Franco Groppioni; Scenografia: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Arredamento: Camillo Del Signore; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Maestro d’armi: Franco Fantasia, Andrea Fantasia; Musica: Carlo Innocenzi; Interpreti: Lex Barker, Chelo Alonso, Liana Orfei, Livio Lorenzon, Franco Fantasia, Elio Provetto, Enrico Glori, Ugo Sasso, Bruno Scipioni, Luigi Tosi, Oscar Andriani, Arturo Bragaglia, Mario Meniconi, Benito Stefanelli, Eugenia Tavoni, Marco Guglielmi, Riccardo Billi, Durata: 90’. Produzione realizzata negli Studi I.N.C.I.R.-De Paolis. LA STORIA: Marco, un soldato di ventura, si reca con alcuni compagni nel castello di Roccarosa, residenza di un feudatario violento e spietato, per offrire i suoi servigi. Ben persto si rende conto della malvagità del suo signore e lo abbandona per unirsi ai ribelli che hanno giurato di abbattere il tiranno. I ribelli sono comandati da un temerario che si fa chiamare Maschera Rossa. Jolanda, nipote del feudatario, cerca di convincere lo zio ad essere più umano, mentre Karina, una zingara sua amante. lo spinge ad azioni sempre più crudeli. Marco viene catturato e condannato a morte, ma i ribelli assaltano il castello, lo salvano e il tiranno e la zingara vengono uccisi. Marco scopre così che sotto la Maschera Rossa si nascondeva Jolanda, la fanciulla, che aveva amato fin dal primo momento che l’aveva vista. LA CRITICA: «Il film si rifà ad un immaginario episodio storico: ma tanto la vicenda che i personaggi sono convenzionali, cosicché il lavoro ha scarso interesse. Interpretazione mediocre, regia di mestiere». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLVII, Anno 1960, Roma 1960, p. 107)
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Capitolo secondo
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IL CAVALIERE DAI CENTO VOLTI di Pino Mercanti Anno di edizione 1960 Produzione: Romana Film; Produttore: Fortunato Misiano; Direttore di produzione: Fortunato Misiano; Soggetto: Luigi Emmanuele, Sergio Sollima; Sceneggiatura: Luigi Emmanuele, Sergio Sollima, Piero Pierotti; Aiuto-regia: Gianfranco Baldanello, Bruno Rasia; Fotografia: Carlo Bellero; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Suono: Emilio Ciaffarini; Scenografia: Alfredo Montori; Arredamento: Camillo Del Signore; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni, Italia Scandariato; Maestro d’armi: Franco Fantasia; Musica: Michele Cozzoli; Interpreti: Lex Barker, Liana Orfei, Anny Alberti, Herbert Boehme, Tina Lattanzi, Alvaro Piccardi, Gérard Landry, Dina De Santis, Livio Lorenzon, Franco Fantasia, Fedele Gentile, Roberto Altamura, Ignazio Balsamo, Giulio Battiferri, Giovanni Vari, Nadia Brivio, Renato Izzo, Lata Rios, Virginia Onorato, Attilio Bossio, Gianni Solaro; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Studi della Titanus. LA STORIA: Il cavaliere Massimo d’Arce è inviso al Duca Ambrogio di Pallanza ed è costretto a vivere confinato nelle sue terre. Ciò non toglie che il giovane si incontri segretamente con i figli del Duca, Ciro e Bianca. Un altro nemico di Massimo è il nobile Fosco di Vallebruna che non gli perdona di averlo battuto ad una giostra e di avergli rubato una splendida gorgiera d’oro. Quando il Duca promette la mano di Bianca a Fosco, Ciro si ribella, si rifugia da Massimo che lo persuade a ritornare dal padre e gli consegna una lettera e la gorgiera che dovrà portare al Santuario di San Giorgio. Ma durante il viaggio Ciro viene ucciso da un sicario di Fosco che accusa Massimo del delitto. Il cavaliere allora, deciso a smascherare il subdolo individuo, lo batte in duello e lo costringe a confessare la verità. Chiarito l’intrigo Massimo verrà perdonato dal Duca che gli concederà la mano di Bianca. LA CRITICA: «Si tratta di una delle solite vicende che sono proprie dei film di cappa e spada. Regia e interpretazione modeste». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLVIII, Anno 1960, Roma 1960, p. 137) I MASNADIERI di Mario Bonnard Anno di edizione 1960 Produzione: Galarea Film, Leda Film; Produttore: Mario Pellegrino; Direttore di produzione: Mario Pellegrino; Soggetto: Nino Minutolo; Sceneggiatura: Nino Minutolo, Mario Bonnard; Aiuto-regia: Ettore Maria Fizzarotti; Fotografia: Marco Scarpelli; Montaggio: Nella Nannuzzi; Suono: Guido Nardone; Scenografia: Amedeo Mellone; Arredamento: Massimo Tavazzi; Musica: Giulio Bonnard; Direzione musicale: Carlo Franci; Interpreti: Daniela Rocca, Antonio Cifariello, Salvo Randone, Yvonne Sanson, Livio Lorenzon, Debra Paget, Aldo Bufi Landi, Gianni Solaro, Giulio Donnini, Leopoldo Valentini, Mino Doro, Nerio Bernardi, José Torres, Franco Ressel, Consalvo Dell’Arti, Renato Chiantoni, Mario Passante, Tony Di Mitri, Ignazio Balsamo, Roberto Paoletti, Ettore Ribotta, Fernando Baldoni, Folco Lulli; Durata: 110’. LA STORIA: Leonetto Ardenghi, innamorato di Alba di Portoreale, la sottrae alle interessate brame del Duca di Bolsena, che l’ha fatta rapire per convincere suo padre a non ostacolarlo
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Eroi di mille avventure
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nei progetti di conquista del potere. Il giovane riesce ad uccidere il perfido Duca, ad ottenere la grazia e infine ad unirsi all’amata. LA CRITICA: «Un film in costume, fin troppo fedele agli orrnai triti espedienti avventurosi che regolano immancabilmente lo aviluppo delle opere appartenenti a questo popolaresco e prolifico genere». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. L, Anno 1961, Roma 1961, p. 52) LA RIVOLTA DEI MERCENARI di Piero Costa Anno di edizione 1960 Produzione: Prodas Film, Chapalo Film; Produttore: Antonio Canelli; Direttore di produzione: Attilio Tosato, Julian Esteban; Soggetto: Piero Costa; Sceneggiatura: Carlo Musso, Edoardo Faletti, Piero Costa, Antonio Bocacci; Aiuto-regia: Gianfranco Baldanello, Claudio Costa; Fotografia: Godofredo Pacheco; Montaggio: Mario Serandrei; Suono: Alessandro Sarandrea; Scenografia: Saverio D’Eugenio; Arredamento: Camillo Del Signore; Costumi: Franca Nardelli; Maestro d’armi: Franco Fantasia; Musica: Carlo Innocenzi; Direzione musicale: Carlo Franci; Interpreti: Virginia Majo, Conrado Sanmartin, Livio Lorenzon, Carla Calò, Susanna Canales, John Kitzmiller, Luciano Benetti, Franco Fantasia, Pilar Cansino, Marilù Sangiorgi, Tomas Blanco, Marco Tulli, Alfredo Majo, Amedeo Trilli, Xan Dan Bolas, Angel Del Pozo, Franco Pesce, Alberto Cevenini, Enzo Fiermonte; Durata: 98’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-spagnola. Titolo spagnolo del film è Los mercenarios. LA STORIA: Nel Friuli, la Duchessa Patrizia è rassegnata a sposare il Principe Stefano pur di evitare che il suo ricco feudo venga invaso dal crudele e avido Conte Keller, suo vicino. Un aiuto imprevisto le viene da Lucio di Rialto, un capitano di ventura entrato da poco al suo servizio, che sconfigge duramente le milizie del Conte Keller. Costui, deciso a vincere, offre a Lucio qualsiasi cifra purché passi al suo servizio. Lucio accetta, ma solo per seguire da vicino le mire del Conte, poiché ama, riamato, la Duchessa. Scoperto l’inganno Lucio e i suoi vengono gettati in prigione e il Conte può così attaccare il castello. I difensori del castello sono ormai in procinto di cedere, quando sopraggiunge Lucio, che è riuscito a liberarsi, e rovescia le sorti della battaglia. Keller viene ucciso e Lucio, rinunciando all’amore della Duchessa, parte con i suoi uomini in cerca di nuove avventure. LA CRITICA: «Nulla di nuovo offre il film per quel che riguarda la struttura, gli espedienti narrativi, l’ovvietà di fatti e personaggi già ripetutamente collaudati in numerose altre opere del genere. Va sottolineata una certa pulizia formale ed una fotografia, in genere, brillante». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. L, Anno 1961, Roma 1961, p. 69) CAPITANI DI VENTURA di Angelo Dorigo Anno di edizione 1961
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Capitolo secondo
Produzione: Artix Cinematografica; Produttore: Aldo Bianchi; Soggetto: Paolo Lombardo; Sceneggiatura: Paolo Lombardo, Antonio Boccacci; Aiuto-regia: Gianfranco Baldanello; Fotografia: Aldo Greci; Montaggio: Renato Cinquini; Suono: Pietro Sceriffo, Mario Amari; Scenografia: Ivo Battelli; Musica: Aldo Piga; Direzione musicale: Pier Luigi Urbini; Interpreti: Mario Petri, Wandisa Guida, Franca Parisi, Ralf Baldassarre, José Jaspe, Andrea Fantasia, Nico Musco, Cesira Vianello, Lido Pini, Renato Navarrini, Benito Stefanelli, Gianni Loti, Franco Odoardi, Paolo Solvay, Paul Müller, Gérard Landry; Durata: 89’. Produzione realizzata nei teatri di posa Inter Studio. LA STORIA: Il Principe Giuliani è incaricato dalla Santa Sede di ritirare il tesoro della Chiesa d’Oriente, affidato al Conte Romualdi di Ancona, e di portarlo a Roma. Durante il viaggio viene assalito da una banda di mercenari slavi comandati da Hans. Durante l’imboscata il Principe viene catturato e la scorta trucidata. Il socio di Hans, il Conte Fulcino, entra così in possesso delle lettere credenziali che il Papa aveva consegnato a Giuliani per ritirare il tesoro. Facendosi passare per il Principe, Fulcino riesce ad impossessarsi del tesoro, ma il Conte Romualdi, scoperto l’inganno, incarica Brunello Montenotte di liberare Giuliani e di mettere in salvo il tesoro destinato al Papa. Attraverso varie avventure, come quella di liberare Rosalba dalle grinfie di Fulcino che voleva esercitare su di lei lo “jus primae noctis”, il cavaliere riesce nell’impresa. Giuliani liberato, Hans arrestato, Fulcino ucciso e il tesoro consegnato al Papa. LA CRITICA: «Si tratta di un mediocre film di avventure. Poco convincente la recitazione e di mestiere la regia. Discontinuo il colore». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. L, Anno 1961, Roma 1961, p. 107) LA CONGIURA DEI 10 di Baccio Bandini Anno di edizione 1961 Produzione: Compagnia Cinematografica Mondiale, Monica Film, Cipra; Produttore: Jacques Bar; Direttore di produzione: Bianca Lattuada; Soggetto: tratto dal romanzo Swordsman of Siena di Anthony Marshall; Sceneggiatura: Michael Kanin, Fay Kanin, Alec Coppel, Sandro Continenza, Dominique Fabre; Aiuto-regia: Franco Cirino; Fotografia: Tonino Delli Colli; Montaggio: Renzo Lucidi, Monique Isnardon, Robert Isnardon; Suono: Kurt Doubrawsky; Scenografia: Alberto Boccianti, Franco Lolli; Arredamento: Giorgio Mecchia Maddalena; Costumi: Dario Cecchi; Musica: Mario Nascimbene; Direzione musicale: Franco Ferrara; Interpreti: Stewart Granger, Sylva Koscina, Christine Kaufmann, Riccardo Garrone, Tullio Carminati, Alberto Lupo, Claudio Gora, Marina Berti, Carlo Rizzo, Tom Felleghi, Fausto Tozzi, Fanfulla, Antonio Ricci, Giulio Marchetti, Mario Passante, Loris Gizzi, Evi Malandi, Ignazio Dolce; Durata: 94’. Produzione realizzata negli Studi della Titanus di Roma. OSSERVAZIONI: Coproduzione Italo-francese: Il titolo della versione francese è Le mercenaire, diretta da Etienne Périer. Fanfulla è lo pseudonimo di Luigi Visconti. LA STORIA: Don Carlos, governatore spagnolo di Siena, chiama al suo servizio l’avventuriero inglese Thomas Stanwood in occasione delle sue nozze con Orietta Arconti e di quelle della di lei cugina Serenella con il proprio bieco cugino Hugo. Ma nell’ombra manovra la
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Eroi di mille avventure
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“Congiura dei 10” che mira a riportare la libertà alla città di Siena. Thomas prende contatto con i ribelli che sono capeggiati da Orietta e si impegna a partecipare al torneo che Don Carlos vuole assegnare al cugino Hugo. Un sicario è incaricato di uccidere Thomas, ma la freccia a lui diretta uccide una donna del popolo. Questo diventa il segnale della rivolta. Thomas uccide Hugo e sposa Orietta. LA CRITICA: «Un film di cappa e spada che non si discosta dai soliti schemi, ma è tuttavia diretto con un certo mestiere e interpretato in modo discreto almeno per quanto riguarda il protagonista. Vivaci i colori». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LII, Anno 1962, Roma 1962, p. 212) LA SPADA DELLA VENDETTA di Luigi De Marchi Anno di edizione 1961 Produzione: Classic Film; Produttore: Enzo Fava; Soggetto: tratto da un manoscritto del XVII secolo di Anonimo milanese; Sceneggiatura: Luigi Demar; Fotografia: Carmelo Petralia; Montaggio: Otello De Angeli; Suono: Giovanni Canavero; Scenografia: Luigi De Marchi; Costumi: Dario Della Corte; Maestro d’armi: Dario Mangiarotti; Musica: Aldo Piga; Interpreti: Frank Latimore, Patricia Luz, Gian Luigi Marianini, Franco Trompea, Giulio Montano, Walter Ortis, Pitta De Cecco, Egidio Casolari, Anita Todesco, Maria Luisa Garoppo, Howard Vernon, Dario Mangiarotti, Gil Delamare, Enzo Fisichella, Kevey Janos, Tina Alberti, Teresa Olivella, Gigetta Morano, Danik Pattison; Durata: 90’. Produzione realizzata nei Teatri di posa della FERT di Torino. OSSERVAZIONI: Luigi De Marchi, firma la sceneggiatura e la regia con lo pseudonimo L.[uigi] Demar. LA STORIA: Siamo nel 1625 e mentre il Governatore di Milano Don Gonzalo de Cordova è all’assedio di Casale, il suo vice tiranneggia il popolo per accattivarsi le simpatie degli occupanti spagnoli. Costui progetta di sposare una donna di nobile casato, Diana, che entrerà in possesso di un considerevole patrimonio il giorno delle nozze. Mette in atto il suo piano con la complicità della sorella di lei, ma la fanciulla è innamorata di Marco, un soldato di ventura. La sera in cui il tiranno intende rapire la fanciulla, Marco lo attacca e nello scontro che ne segue la fanciulla viene colpita a morte. Marco, addolorato, dichiara una guerra spietata contro il vicegovernatore che alla fine sarà sconfitto e ucciso. LA CRITICA: «Il film, di fattura piuttosto modesta, non ha altri intenti, che quello di offrire uno spettacolo avventuroso e ricco d’azione ad un pubblico di poche esigenze, senza impegnarsi troppo nell’approfondimento psicologico dei personaggi e nella ricerca di una maggiore credibilità della vicenda narrata». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LI, Anno 1962, Roma 1962, p. 207) SPADE SENZA BANDIERA di Carlo Veo Anno di edizione 1961
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Capitolo secondo
Produzione: A.D. Cinematografica; Produttore: Lello Luzi; Direttore di produzione: Silvano Scarpellini; Soggetto: Carlo Veo; Sceneggiatura: Carlo Veo, Andrea Gava; Aiuto-regia: Giulio Pannacciò; Fotografia: Aldo Greci; Montaggio: Nella Nannuzzi; Suono: Mario Del Pozzo, Raffaele Nardelli; Scenografia: Giorgio Giovannini; Arredamento: Massimo Tavazzi; Costumi: Giorgio Desideri; Effetti Speciali: Fausto Valerio; Musica: Carlo Innocenzi; Direzione musicale: Pietro Argento; Interpreti: Folco Lulli, Leonora Ruffo, Claudio Gora, Renato Speziali, Mara Berni, Piero Lulli, Gérard Landry, José Jaspe, Ivano Stacciali, Enzo Doria, Dina De Santis, Gianni Perelli, Nadia Lara, Fedele Gentile, Franco Pizarro, Piergiorgo Gragnani, Enzo Staiola, Bruno Tocci; Durata: 90’. LA STORIA: Pianora, 1360. Gigliola, adottata in tenera età dal Signore di quelle terre, è da questi destinata a sposare un anziano principe. Ma la giovane ama lo scudiero Cino, che aggredisce il principe e lo uccide. Imprigionato e condannato a morte, Cino evade e si dà alla macchia con Gigliola. Ben presto il giovane diventa il capo di un gruppo di sbandati che derubano ricchi e potenti. Della situazione approfitta il Barone di Belvarco, che riesce a far sì che i suoi contadini credano che Cino e i suoi, una volta sconfitti i vari feudatari, diventeranno spietati oppressori di ogni libertà. Convinti di ciò, si uniscono ai soldati del Barone e attaccano il rifugio dell’ex scudiero e dei suoi: Cino e Gigliola muoiono nello scontro. LA CRITICA: «Ambientato in un medioevo approssimativo e romanzesco, il film si snoda attraverso una serie non del tutto coerente di vicende drammatiche e sentimentali, cui si mescolano confuse intenzioni storico-sociali. Nel complesso, il film non esce dai limiti assai modesti segnati da una regia anonima e faticosa e da una recitazione scarsamente puntuale». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLIX, Anno 1961, Roma 1961, p. 128) LA VENDETTA DELLA MASCHERA DI FERRO di Francesco De Feo Anno di edizione 1961 Produzione: Mida Film, Comptoir Française du Film; Produttore: Francsco Thellung; Direttore di produzione: Silvio Amadio; Soggetto: Silvio Amadio, Ruggero Jacobbi, Francesco De Feo; Sceneggiatura: Silvio Amadio, Ruggero Jacobbi, Francesco De Feo; Aiuto-regia: Alfonso Brescia; Fotografia: Raffaele Masciocchi; Montaggio: Luciano Cavalieri; Suono: Pietro Ortolani; Scenografia: Piero Poletto; Arredamento: Ennio Michettoni; Costumi: Adriana Berselli; Maestro d’armi: Andrea Fantasia; Musica: Carlo Innocenzi; Interpreti: Michel Lemoin, Wandisa Guida, Andrea Bosic, Jany Clair, Giovanni Materassi, Tiziana Casetti, Mimmo Poli, Francesco De Leone, Nando Tamberlani, Erminio Spalla, Silvio Bagolini, Andrea Fantasia, Marco Tulli, Piero Pastore, Emma Baron; Durata: 85’. Produzione realizzata negli Studi Incir-De Paolis. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Titolo francese del film è La vengeance du Masque de Fer. LA STORIA: Nel XVII secolo due cavalieri, Marco e Andrea, sono assaliti da un gruppo di armati nei pressi di Pinerolo. Marco, che è il figlio del Conte di Pinerolo, viene fatto prigioniero e Andrea, creduto morto, viene lasciato sul terreno. Il giovane viene tratto in salvo da un pastorello, Astolfo, che è l’artefice dell’attentato. Costui annuncia al vecchio Conte e a sua figlia Cristina che Marco è morto. Invece è suo prigioniero ed ha il volto celato da una ma-
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Eroi di mille avventure
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schera di ferro. Andrea cerca inutilmente di farlo evadere. Il Conte muore e Astolfo ricatta Cristina mostrandole il fratello imprigionato e chiedendole di sposarlo in cambio della sua libertà. Durante la cerimonia nuziale Andrea irrompe nella cappella del castello, fugge con Cristina e libera Marco che può affrontare Astolfo, lo vince, e gli impone, come punizione, la maschera di ferro sul volto. LA CRITICA: «Gli usuali ingredienti del film avventuroso, manipolati senza eccessiva fantasia da una regia frettolosa e disattenta. La recitazione è mediocre, discreta la fotografia a colori». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. L, Anno 1961, Roma 1961, p. 153) «Questo film si iscrive nella tradizione di quelli italiani di cappa e spada […] in concorrenza con l’ondata dei peplum; è anche il primo film di Michel Lemoine che, a suo dire, fu scelto per la sua conoscenza dell’equitazione e della scherma. E ciò la dice lunga sulla elaborazione di questo tipo di produzioni». (S. Champenier, in «Saison ‘76», Parigi 1976) LA SPADA NELL’OMBRA di Luigi Capuano Anno di edizione 1961 Produzione: Romana Film; Produttore: Fortunato Misiano; Soggetto: Gino De Santis; Sceneggiatura: Gino De Santis, Sergio Sollima; Aiuto-regia: Giancarlo Romitelli; Fotografia: Carlo Bellero; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Suono: Pietro Ortolani, Alberto Bartolomei; Scenografia: Alfredo Montori; Arredamento: Franco D’Andrea; Costumi: Walter Patriarca; Musica: Michele Cozzoli; Interpreti: Tamara Lees, Livio Lorenzon, Mario Valdemarin, Germano Longo, Gianni Rizzo, Gabriella Farinon, Pina Cornel, Lydia Johnson, Loris Gizzi, Gianni Solaro, Diego Michelotti, Gianni Baghino, Ignazio Balsamo, Luciano Bonanni, Tullio Altamura, Piero Pastore, Ugo Sasso, Giovanni Vari; Durata: 95’. LA STORIA: La Contessa Ottavia della Rocca vive con la figlia Lavinia nel castello che un tempo fu degli Altavilla. Nel castello vive anche Braccio, un subdolo individuo che mira ad impossessarsi del feudo. Costui si mette in urto con una tribù di zingari che vive nelle vicinanze e di cui fa parte Fabrizio, l’unico Altavilla scampato alla strage vent’anni prima. Fabrizio e Lavinia si incontrano per caso ed è amore a prima vista, ma gli sgherri di Braccio li sorprendono e Fabrizio viene arrestato. Per ritorsione gli zingari rapiscono Lavinia e propongono uno scambio. Braccio, cui poco importa della vita di Lavinia, non accetta e uccide la contessa. Fabrizio, liberatosi, corre a salvare Lavinia, quindi torna al castello, uccide Braccio e, ritornato in possesso del feudo e del titolo, sposa Lavinia. LA CRITICA: «Un modesto film che ripete puntualmente situazioni e schemi già ampiamente sfruttati. Il colore, i costumi e le avventure di guerra, potranno forse soddisfare i gusti di un pubblico poco esigente». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLIX, Anno 1961, Roma 1961, p. 221)
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Capitolo secondo
IL CAPITANO DI FERRO di Sergio Grieco
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Anno di edizione 1962 Produzione: Taurisano Film; Produttore: Jean Licastri Papè; Direttore di produzione: Lello Luzi; Soggetto: Aldo Segri, Fabio De Agostani, Stipe Delic; Sceneggiatura: Aldo Segri, Fabio De Agostani, Stipe Delic; Aiuto-regia: Filippo Perrone, Giulio Pannacciò, Stipe Delic; Fotografia: Guglielo Mancori; Montaggio: Enzo Alfonsi; Suono: Bruno Moreal; Scenografia: Oscar D’Amico; Costumi: Mario Giorsi; Maestro d’armi: Aldo Cecconi; Musica: Carlo Savina; Interpreti: Gustavo Rojo, Barbara Steele, Mario Petri, Fred Williams, Susan Terry, Andrea Aureli, Fedele Gentile, Lilly Barelli, Andrea Scotti, Leopoldo Valentini, Pasquale Basile, Nando Angelini, Relja Basic, José Gregorio, Vladimir Krustulovic, Drago Mitrovic, Liliana Palazzo, Niksa Stefanini, Antonio Basile; Durata: 88’. Produzione realizzata in esterni in Jugoslavia. OSSERVAZIONI: Aldo Segri è lo pseudonimo di Sergio Grieco. Il nome di battesimo di Niksa Stefanini è Nicola. LA STORIA: Furio, un capitano di ventura chiamato il Capitano di Ferro, al ritorno da una guerra trova la sua famiglia sterminata dai Lanzichenecchi comandati da Gualtiero von Raushwich. Il Conte di Guastalla, al quale Furio ha messo a disposizione la sua spada, gli ordina di persuadere con le buone Gualtiero a rinunciare alle sue terre. Ma Furio incendia il campo dei Lanzichenecchi e rapisce Floriana, una sua antica fiamma divenuta ora la donna di Gualtiero, col risultato di essere licenziato dal Conte. Una zingara viene a sapere che Gualtiero trama per uccidere il Conte e informa Furio, ma quando questi arriva nel luogo dove si svolgerà l’attentato, trova il Conte impiccato. Ne nasce una furibonda battaglia nel corso della quale Furio uccide Gualtiero. LA CRITICA: «Cappa e spada senza infamia e senza lode». (Film.TV.it) IL RIBELLE DI CASTELMONTE di Vertunnio De Angelis Anno di edizione 1964 Produzione: Industrie Cine Televisive; Direttore di produzione: Luigi Massarini; Soggetto: tratto da un racconto di Luigi Monelli ed Enrico Bomba; Sceneggiatura: Aldo Barni; Aiutoregia: Maurizio Pradeaux; Fotografia: Angelo Baistrocchi; Montaggio: Mario Arditi; Suono: Pace Ercoli; Scenografia: Amedeo Mellone; Costumi: Rosalba Menichelli; Musica: Aldo Piga; Interpreti: Gérard Landry, Annie Alberti, Luciano Benetti, Aldo Bufi Landi, Liana Trouché, John Kitzmiller, Franco Pizzarro, John Turner, Anna Maria Aveta, Calogero Reale, Felice Minotti, Giulio Calì, Ivano Staccioli; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Studi Elios G.S.C. e, in esterni, a L’Aquila, nel castello di Balsorano. LA STORIA: Corre l’anno di grazia 1659. L’Italia è un mosaico di staterelli dove principi, duchi, conti e marchesi lottano tra di loro per la conservazione o l’ampliamento dei loro domini. Chi ne va di mezzo è sempre il popolo minuto, contadini, artigiani, costretti a pagare esosi tributi e a sopportare violenze e ruberie di ogni sorta. Così procedevano le cose anche
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Eroi di mille avventure
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nel Ducato di Castelmonte, dove la spietata e insaziabile avidità del Duca Alberico aveva oltrepassato ogni limite, fino al giorno in cui appare sulla scena un nobile cavaliere, il Conte Marco degli Ammannati, ben deciso a vendicare quei soprusi e a restituire la libertà al popolo oppresso e angariato. LA CRITICA: «Un film che narra una mediocre e usualissima vicenda con scarsi mezzi e con tecnica rudimentale». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LVII, Anno 1965, Roma 1965, p. 187) IL NOME DELLA ROSA di Jean-Jacques Arnaud Anno di edizione 1986 Produzione: Cristaldi Film, Neue Constantin Film, Les Films Ariane, RAI-Radio Televisione Italiana; Produttore: Franco Cristaldi, Bernd Eichinger; Direttore di produzione: Franco Coduti; Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Umberto Eco; Sceneggiatura: Andrei Birkin, Gerard Brach, Howard Franklin, Alain Godard; Aiuto-regia: Gianni Arduini, Victor Touriansky; Fotografia: Tonino Delli Colli; Montaggio: Jane Seitz; Suono: Frank Jahn; Scenografia: Dnte Ferretti; Arredamento: Francesca Lo Schiavo; Costumi: Gabriella Pescucci; Effetti Speciali: Adriano Pischiutta; Musica: James Horner; Interpreti: Sean Connery, F. Murray Abraham, Elya Askin, Feodor Chaliapin jr., William Hockey, Michael Lonsdale, Ron Perlman, Volker Prechtel, Helmut Qualtinger, Leopoldo Trieste, Franco Valobra, Valentina Vargas, Christian Slater; Durata: 125’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-tedesco-francese. Il titolo della versione tedesca è Der Name der Rose, quello della versione francese è Le nom de la rose. LA STORIA: Frate Guglielmo da Baskerville, insieme al giovane novizio Adso da Melk, nell’autunno del 1327 giunge in un monastero benedettino dove, qualche tempo prima, è morto, in circostanze misteriose, un monaco. Dopo il suo arrivo muore un altro monaco. Per Gugliemo è fin troppo evidente che il misterioso assassino, che marchia le sue vittime, si annida nel monastero. Pur senza avere l’autorizzazione dell’abate, Guglielmo comincia ad ispezionare la biblioteca segreta dell’abbazia, ricca di volumi rarissimi e preziosi. Al monastero giunge infine l’Inquisitore che, sbrigativamente, decide di mandare al rogo i presunti responsabili dei delitti. Frate Guglielmo e Adso, non convinti di quella versione, tornano nella biblioteca decisi a chiarire una volta per tutte il mistero. In un’atmosfera da incubo scoprono una verità sconvolgente. LA CRITICA: «Con questo film, liberamente tratto dal libro omonimo di Umberto Eco, ci troviamo catapultati in pieno medioevo col suo oscurantismo religioso, superstizioni, credulità popolare, inquisizione, ignoranza e paura dell’ignoto e dell’inspiegabile. […] Dobbiamo riconoscere al regista il merito di essersi servito da una fotografia eccezionale, di scenografia e costumi ineccepibili, di aver ben riprodotto la figura dell’inquisitore con la sua cieca intransigenza e chiusura mentale e i suoi metodi disumani. Bella l’ambientazione nel monastero con le sue trappole, trabocchetti, botole, labirinti, passaggi segreti, oscurità più o meno profonde; felice la scelta dei personaggi: Guglielmo (l’abile attore Sean Connery) unico uomo razionale e disincantato al di sopra delle parti che alla grettezza medioevale oppone il suo orgoglio intellettuale e la sua capacità di studioso alla ricerca della verità. Indovinati tutti gli
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Capitolo secondo
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altri protagonisti orrendi, deformi, malati, cinici, brutali, delicati, mistici, venali, opportunisti, ipocriti. Il film è denso di rimandi storici, religiosi e filosofici». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. CI, Anno 1986, Roma 1986, pp. 185/187). IL VIAGGIO DELLA SPOSA di Sergio Rubini Anno di edizione 1997 Produzione: Cecchi Gori Group-Tiger Cinematografica; Produttore: Vittorio Cecchi Gori, Rita Rusic; Direttore di produzione: Daniele Passani; Soggetto: Umberto Marino, Sergio Rubini; Sceneggiatura: Umberto Marino, Sergio Rubini, Filippo Ascione, Raffaele Nigro; Aiutoregia: Dominick Tambasco; Fotografia: Italo Petriccione; Montaggio: Angelo Nicolini; Suono: Tullio Morganti; Scenografia: Luca Gobbi; Arredamento: Roberta Casale; Costumi: Maurizio Millenotti; Musica: Germano Mazzocchetti; Interpreti: Sergio Rubini, Giovanna Mezzogiorno, Carlo Mucari, Franco Javarone, Umberto Orsini, Maria Rosaria Salerno, Santo Bellina, Daniel Berquiny, Bruno Cariello, Michele De Virgilio, Mario Porfito, Natale Russo; Durata: 104’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Nel Seicento Porzia, una giovane di nobile condizione, viene prelevata dal convento dove è stata educata, in Abruzzo, per raggiungere il suo promesso sposo a Bari. Durante il viaggio la scorta viene sterminata dai banditi; si salvano solo lei e un rozzo stalliere di nome Bartolo. I due decidono di proseguire il viaggio irto di difficoltà, non ultima la differenza di cultura e condizione che li divide. Incontri imprevisti, rischi di ogni sorta, vita di stenti, contraddistinguono il loro viaggio. Ma man mano che proseguono nel loro viaggio, molte delle barriere che li separano cadono. Porzia impara gradualmente cos’è la vita, ben diversa da quella insegnatale dalle monache, e Bartolo, da servo rozzo e ignorante, si dimostra un maestro di vita che a sua volta impara da lei la scrittura e la lettura. La vicinanza sta per far scattare l’attrazione amorosa fra i due giovani, ma le loro differenze e l’arrivo a destinazione impediranno un simile errore. LA CRITICA: «Con il ricorso ad un’atmosfera storica, Rubini sembra voler uscire dalla propria ispirazione minimale. Ma è una sorta di specchio per le allodole visto che, gratta gratta, vien fuori quasi la stessa idea su cui si reggevano La stazione e La bionda. Ancora due mondi diversi che s’incontrano, si aiutano reciprocamente fino a smussare l’ignoranza o la saccenteria che li contraddistingue, e poi si perdono. Per il resto il film conferma ancora una volta l’impressione che in certo cinema italiano manchi, anche laddove sarebbe necessario, un adeguato sforzo di tipo culturale. Cosa leggono i nostri autori, quali film vedono? Non basta la presenza di Raffaele Nigro in sede di sceneggiatura a evitare pressopochismi di genere e indecisioni soprattutto di tipo linguistico». (Attilio Coco, in «Segnocinema», n. 93 sett./ott. 1998). I CAVALIERI CHE FECERO L’IMPRESA di Pupi Avati Anno di edizione 2001 Produzione: Duea Film, Quinta Comunications, RaiTV; Produttore: Antonio Avati, Tarak
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Eroi di mille avventure
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Ben Ammar, Mark Lombardo; Direttore di produzione: Antonio Gallo; Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Pupi Avati; Sceneggiatura: Pupi Avati; Aiuto-regia: Gianni Amadei, Luigi Spoletini, Roberto Farina; Fotografia: Pasquale Rachini; Montaggio: Amedeo Salfa; Suono: Mario Dalli Monti; Scenografia: Giuseppe Pirrotta; Arredamento: Simona Migliotti; Costumi: Nanà Cecchi; Maestro d’armi: Walter Siccardi; Effetti Speciali: Danilo Bollettini, Renato Agostini; Musica: Riz Ortolani; Interpreti: Raul Bova, Edward Furlong, Marco Leonardi, Stanislas Merhar, Thomas Kretschmann, F. Murray Abraham, Carlo Delle Piane, Gigliola Cinquetti, Edmund Purdom, Yorgo Voyagis, Loris Loddi, Franco Travisi, Sarah Maestri, Romano Malaspina, Cesare Cremonini, Luca Forcina; Durata: 147’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà e, in esterni, in varie località dell’Umbria, della Puglia, della Toscana e del Lazio, in modo particolare nel Parco Nazionale del Gargano e nell’Oasi del Lago di Vico. LA STORIA: Luigi IX detto il Santo, re di Francia, sovrano casto e pio, muore nell’assedio di Tunisi del 1270. Durante la ritirata alcuni nobili Templari trafugano la santa Sindone e la trasportano nel ducato di Tebe, in Grecia. Cinque giovani cavalieri, sospinti da segni divini e stimolati da un vecchio monaco devoto al defunto sovrano, partono alla conquista della reliquia. La strada è piena di insidie, di morte, di soprusi, di dolori, di fede sincera frammista a superstizione. Alla fine, i cinque giovani giungono al luogo dove viene conservata la Sindone. Si tratta, adesso, di impossessarsene, ricondurla in Francia e soprattutto affidarla alle persone giuste. Ma l’impresa non avrà l’esito che essi speravano. LA CRITICA: «Usando la Sindone al posto del Graal, Avati cerca di ricreare sullo schermo l’epos leggendario del medioevo avventuroso, chiamandone a raccolta tutti gli archetipi (dal tema del viaggio iniziatico e picaresco al motivo dell’amicizia virile) e declinandoli in uno scenario che sa di sangue e di fango, di corpi bruciati vivi e di pance sventrate, di lame che affondano nella carne e di teste mozzate. Tra horror e fantasy, con un gusto del truculento che richiama certi antichi toni gotici del regista emiliano (Balsamus, La casa dalle finestre che ridono, Zeder)». (gi.ca. [Gianni Canova], in «Segnocinema», n. 111 sett./ott. 2001)
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Capitolo secondo
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2. … e nel resto d’Europa Registi e sceneggiatori, come è ovvio pensare, non si limitarono ad inventare e raccontare storie e avventure che si svolgevano entro i confini geografici dell’Italia, ma spinsero i loro interessi ben oltre. La Francia e la Spagna furono il loro terreno preferito, anche se non mancarono incursioni nell’Inghilterra di Robin Hood. Ma veniamo ai film. Il primo di questi è Capitan Fracassa del 1940, portato sugli schermi da Duilio Coletti. Si tratta di un classico della letteratura francese dell’800 tratto dall’omonimo romanzo di Théophile Gautier, purtroppo Coletti non riesce a rendere l’aspetto ironico presente nel romanzo, con l’aggravante anche di una mediocre recitazione degli attori del cast. Di questo film, nel 1990, fu fatta un’altra versione per opera di Ettore Scola, Il viaggio di capitan Fracassa, ma anche Scola appesantisce il suo lavoro che stenta a decollare e a poco valgono la bravura di Massimo Troisi e Ornella Muti il cui intervento è solo episodico, semmai servono ad evidenziare la carenza del resto del lavoro. Dalla Francia di Capitan Fracassa, Riccardo Freda trasferisce in Spagna l’ambientazione del suo Don Cesare di Bazan del 1942. Il film, tratto dall’omonima commedia di Adolphe Dannery e Dumanoir, è piacevolmente diretto da un ottimo Freda e interpretato con estrema bravura da Gino Cervi nella parte di uno Zorro sui generis che libera la Catalogna dai congiurati che vorrebbero staccarla dal regno di Spagna. Brava anche l’attrice tedesca Anneliese Uhlig. Come ha scritto di lei Mario Orsoni in Filmlexicon, «la sua avvenenza ebbe particolare risalto in un film italiano di Riccardo Freda, Don Cesare di Bazan, ove appariva nelle vesti quanto mai decorative di una donna spagnola del ’600: una figura di ragguardevole fascino ed eleganza che sembrava uscita da un quadro del Velasquez»5. Si ritorna in Francia con Il figlio di Lagardière del 1952, di Ferdinando Cerchio. La coppia Rossano Brazzi, Milly Vitale questa volta convince e, pur essendo uno dei soliti polpettoni dove succede di tutto, il film può divertire. Si rimane sempre sul suolo francese, questa volta con un soggetto piuttosto abusato in Francia6 e cioè l’ennesima trasposizione cinematografica del romanzo di Paul Feval figlio, Cartouche, portato sullo schermo da Gianni Vernuccio nel 1953 con il titolo Le avventure di Cartouche in una coproduzione italo-americana con Richard Baseart nella parte del famoso spadaccino. Con Capitan Fantasma di Primo Zeglio del 1953, si salta di nuovo in Spagna in un’avventura più che altro marinara e il cui protagonista è il solito Frank Latimore. Dall’oro della Corona di Spagna, salvato dal Capitan Fantasma, torniamo sul suolo francese con Il Prigioniero del re di Giorgio Rivalta e Richard Pottier del 1954. Il re in questione è Luigi XIV, il prigioniero è il suo fratello gemello e il film non è che un’altra versione tratta da La Maschera di ferro di Alexandre Dumas padre. Giacomo Gentiluomo gira nel 1958 Il cavaliere senza terra, un film a dir poco
5 M.[ario] O.[rsini], in Filmlexicon degli autori e delle opere, vol. VII, T-Z, Roma, Edizioni di Bianco e Nero, 1967, pp. 558-559. 6 Cartouche, roi de Paris (Cartouche il bandito), 1949, di Guillaume Radot con Roger Pigaut; Cartouche, 1962, di Philipe de Broca con Jean Paul Belmondo e Claudia Cardinale, solo per citarne alcuni.
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Eroi di mille avventure
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risibile e recitato in modo dilettantesco da attori come Gérard Landry, Constance Smith e Alberto Farnese, solo per citarne alcuni. Come avevamo anticipato, anche Robin Hood è fra gli eroi di queste mille avvenure. A portarlo sullo schermo è Giorgio Simonelli nel 1961 con il film Robin Hood e i pirati. Pirati che aiuteranno, a un certo punto della storia, il nostro eroe (qui impersonato dal noto “Tartan” Lex Barker) a sconfiggere il perfido Brooks. Robin Hood apparirà in altri tre film Il trionfo di Robin Hood di Umberto Lenzi del 1962, questa volta con Don Burnett e, nel 1970, Robin Hood l’invincibile arciere di José Luis Merino con Charles Quiney che impersona il terzo Robin. Giorgio Ferroni realizza, sempre nel 1970, L’arciere di Fuoco. A metà fra il corsaro-acrobata Burt Lancaster de Il corsaro dell’Isola Verde di Robert Siodmak del 1952 e il titano-acrobata Giuliano Gemma di Arrivano i titani di Duccio Tessari del 1962, Ferroni ci presenta un Robin Hood acrobatico e divertente, sempre interpretato dal “titano” Giuliano Gemma in stato di grazia. Sempre per rimanere in tema un altro film, questa volta di Giuseppe Vari, è I normanni del 1962. Una coproduzione italo-francese interpretata da Cameron Mitchell sulle dispute anglo-francesi per il posesso della Normandia. Riccardo Freda nel 1962, tenta il remake del film, sempre da lui diretto vent’anni prima, Don Cesare di Bazan con Le sette spade del vendicatore, senza nemmeno sfiorare i meriti dell’originale anche se i mezzi più moderni lo rendono più accessibile ai gusti del pubblico degli anni Sessanta. Sulla scia del successo del colossal americano El Cid che Anthony Mann aveva realizzato l’anno prima con Charlton Heston e Sophia Loren, nasce La spada del Cid, del 1962, di Miguel Iglesias. Ma Iglesias fa del suo film una penosa performance e gli attori certamente non l’aiutano se anche la critica francese, sempre generosa nei confronti di questi film di cappa e spada, rileva che la recitazione è «degna di un teatrino di serie B in una cattiva serata»7. Dalla Spagna al Portogallo il passo è breve e nel 1963 Umberto Lenzi tenta con L’invincibile cavaliere mascherato di uscire dagli schemi triti e ritriti dei film storico-avventurosi del periodo, ma senza riuscirci e realizzando un prodotto «noioso e senza brio». Un po’ meglio va a Ferdinando Baldi che nello stesso anno realizza Sfida al re di Castiglia in cui, districandosi con mestiere nella farraginosa serie di intrighi e truculente avventure, Baldi è supportato da un cast adeguato e con una buona interpretazione. Due anni dopo Amerigo Anton, alias Tanio Boccia, firma La rivincita di Ivanoe decisamente un discreto film di avventure ben interpretato e diretto con mestiere che si rifà, senza nasconderlo, a Ivanoe che Richard Thorpe aveva realizzato nel 1952 con Robert Taylor e Joan Fontaine. Il titolo non deve trarre in inganno, ma La spada normanna del 1970 di Roberto Mauri, è sempre dedicato a Ivanoe. Il film però è di valore di molto inferiore a quello di Tanio Boccia. Sempre del 1970 è il film La grande avventura di Scaramouche di Piero Pierotti. Il film narra le avventure di un comico italiano che con una compagnia di guitti gira per la Francia e si trova, suo malgrado, coinvolto negli intrighi del cardinal Mazza7
R. Tabès, in «Saison ’64», Parigi 1964.
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Capitolo secondo
rino. Non entusiasmante per ritmo e recitazione, il film non presenta grandi motivi di interesse. Nel 1984 Maurizio Scaparro porta sullo schermo Don Chisciotte che più che un’opera cinematografica, per via della scelta scenografica lenta, giocata sul taglio delle luci e il modo singolare delle riprese, si configura meglio come messa in scena teatrale.
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Eroi di mille avventure
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CAPITAN FRACASSA di Duilio Coletti
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Anno di edizione 1940, Produzione: Vi.Va.; Produttore: Vittorio Vassarotti; Direttore di produzione: Simon Gui; Soggetto: tratto dal romanzo Le capitaine Fracasse di Théophile Gautier; Sceneggiatura: Arrigo Benedetti, Duilio Coletti, Mario Pannunzio, Piero Tellini; Aiuto-regia: Andrea Spadoni; Fotografia: Jan Stallich; Montaggio: Maria Rosada; Suono: Umberto Picistrelli; Scenografia: Antonio Tagliolini, Enrico Verdozzi; Costumi: Bianca Baccini; Musica: Piero Giorgi; Interpreti: Elsa De Giorgi, Clara Calamai, Osvaldo Valenti, Nerio Bernardi, Giorgio Costantini, Olga Vittoria Gentilli, Dina Perbellini, Egisto Olivieri, Renato Chiantoni, Mario Siletti, Nico Pepe, Pia De Doses, Franco Coop; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Nel XVII secolo, sotto il nome d’arte di Capitan Fracassa, un nobile decaduto si unisce a una compagnia di attori girovaghi. Una rivalità d’amore l’oppone a un prepotente signorotto che rapisce l’attrice giovane, oggetto della contesa, e, per reazione, la compagnia dà l’assalto al castello. Capitan Fracassa sfida a duello il signorotto, lo ferisce e ottiene la mano della fanciulla che scopre essere la cugina del rapitore. Più tardi, a Parigi, verrà reintegrato nel nome e nei beni del suo casato. LA CRITICA: «Se vi è un libro che è tutto un impasto di allegra ironia pur trattando di elementi non privi di una degna sentimentalità nella pittoresca cornice del seicento spadaccino e galante, questo è il Capitan Fracassa di Gauthier. Nel film l’atmosfera è del tutto mutata, e in una estrema povertà di significato tutto si adombra sotto aspetti che non legano poi in fondo al tono della storia e più ancora alla maniera con la quale il film è costruito. Tutto sembra fermo e come impacciato in questo lavoro, e perfino attori quali la De Giorgi, la Calamai e Costantini non rendono assolutamente le parti che hanno da svolgere. Peccato, perché proprio da un tema come questo con altra mano si sarebbero potute ottenere cose di ben altra struttura». (Giuseppe Isani, in «Cinema», n. 107, 10 dic. 1940). DON CESARE DI BAZAN di Riccardo Freda Anno di edizione 1942 Produzione: Elica, Artisti Associati; Produttore: Riccardo Freda; Direttore di produzione: Piero Cocco; Soggetto: tratto dalla commedia “Don César de Bazan” di Adolphe Dannery e P.F.P. Dumanoir; Sceneggiatura: Vitaliano Brancati, Riccardo Freda, Cesare Zavattini; Aiutoregia: Fede Arnaud; Fotografia: Mario Craveri; Montaggio: Rolando Benedetti; Suono: Tommaso Barberini; Scenografia: Gastone Medin; Arredamento: Guglielmo Borzone; Costumi: Gino G. Sensani, Maria De Matteis; Musica: Franco D’Achiardi; Interpreti: Gino Cervi, Anneliese Uhlig, Enrico Glori, Paolo Stoppa, Enzo Biliotti, Giovanni Grasso, Carlo Duse, Antonio Marietti, Alfredo Robert, Sandrino Moreno, Anna Maria Dionisi, Ermanno Donati, Antonio Acqua, Armando Francioli; Durata: 76’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Pisorno di Tirrenia. OSSERVAZIONI: Il film è stato rieditato nel 1960 con il titolo La lama del giustiziere e, nel
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Capitolo secondo
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1962, lo stesso Freda ne fece un remake dal titolo Le sette spade del vendicatore (vedi). LA STORIA: Nella Spagna del 1650, durante il regno di Filippo IV, un nobile cavaliere, Don Cesare di Bazan, viene coinvolto e accusato di intrighi e congiure ordite dall’ambasciatore francese e dal primo ministro del re spagnolo, congiure che hanno lo scopo di proclamare l’indipendenza della Catalogna. Grazie alla sua abilità di spadaccino Don Cesare riesce a liberarsi da tali intrighi e ad informare il re del complotto. Di lui si innamora una bellissima dama che con le sue false accuse, dovute a ricatto, lo aveva inguaiato. Facendosi credere morto dai congiurati con una finta fucilazione, Don Cesare si vendica dei suoi avversari sgominandoli in duello. LA CRITICA: «Un film come questo può uscire dagli schemi – non più che in parte, intendiamoci – solo affidandosi al gusto a al decoro. E la visione che Il Don Cesare di Freda ci offre, non ingiuria nemmeno per un istante il nostro “pudore”, la nostra suscettibilità; al contrario, blandisce le nostre debolezze “decadentistiche”, e – va da sé – con una disarmante finezza. In una cornice tanto decorosa, le avventure dello zorresco cavaliere riescono, pur rimanendo sul terreno della convenzione, ad assumere un piacevole valore di arabesco; e l’arabesco, giustamente, soverchia il dramma. Tutto è saggiamente affidato alle “squisitezze”. […] Con la medesima sicurezza, il regista guida e dispone tutti gli elementi molteplici della realizzazione: ed è giusto notare la scioltezza e la disinvoltura con cui egli dirige i suoi attori, tra i quali spiccano Cervi, come sempre intenso e sicuro e la bella, davvero velasquiana Anneliese Uhlig». (Vice, in «Cinema», n. 151, 10 ott. 1942). IL FIGLIO DI LAGARDÈRE di Fernando Cerchio Anno di edizione 1952 Produzione: Venturini Produzione Cinematografica; Produttore: Giorgio Venturini; Direttore di produzione: Vieri Bigazzi; Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Paul Feval figlio; Sceneggiatura: Leo Benvenuti, Giuseppe Mangione, Fernando Cerchio; Aiuto-regia: Carla Ragionieri; Fotografia: Arturo Gallea; Montaggio: Renzo Lucidi; Suono: Giovanni Canavero; Scenografia: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Arredamento: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Musica: Enzo Carabella; Interpreti: Rossano Brazzi, Milly Vitale, Simone Renant, Antoine Balpêtré, Vittorio Sanipoli, Nerio Bernardi, Beppe Tranico, Nico Pepe, Raymond Cordy, Olga Vittoria Gentilli, Franco Balducci, Cesare Bettarini, Gabrielle Dorziat; Durata: 82’. LA STORIA: Il Conte di Lagardère viene assassinato da Peyrolles la cui figlia, Matilde, cameriera in casa del Conte, aveva l’incarico di ucciderne il figlioletto Filippo. Costei però non ha il coraggio di commettere un simile gesto e, rapito il bambino, lo affida a una famiglia di pescatori. Vent’anni dopo Filippo, giovane soldato, salva la vita della marchesina Olimpia di Chevergny che viaggia in compagnia del cavaliere Zeno. Più tardi in una taverna Filippo viene aggredito, ma con l’aiuto del sergente Cocardasse mette in fuga gli aggressori. La somiglianza di Filippo con il defunto Lagardère insospettisce qualcuno e la notizia arriva all’orecchio del Marchese di Chevergny. Questi però viene assassinato. L’autore del delitto è il cavaliere Zeno, amante di Matilde, che freme dalla voglia di togliere di mezzo anche Filippo. Peyrolles è felicissimo della cosa, ma Matilde, avendo scoperto che l’intenzione di Zeno nasce dal fatto che la vuole lasciare per Olimpia e di non essere la figlia di Peyrolles,
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avvisa Filippo della tresca. Allora Peyrolles la uccide, ma a sua volta sarà ucciso da Cocardasse. Vistosi perduto Zeno rapisce Olimpia e fugge ma, raggiunto da Filippo, viene da questi ucciso in duello. LA CRITICA: «La vicenda, alquanto macchinosa, è condotta con buon ritmo. Discreta l’interpretazione». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXXII Anno 1952, Roma 1952, p. 251). LE AVVENTURE DI CARTOUCHE di Gianni Vernuccio Anno di edizione 1953 Produzione: Venturini Produzione Cinematografica, R.K.O. Radio Pictures; Produttore: Giorgio Venturini; Direttore di produzione: Leopoldo Imperiali; Soggetto: Tullio Pinelli, Giampaolo Callegari, Piero De Bernardi, Louis Stevens; Sceneggiatura: Tullio Pinelli, Giampaolo Callegari, Piero De Bernardi, Louis Stevens; Aiuto-regia: Luciano Sacripanti; Fotografia: Massimo Dallamano; Montaggio: Loris Bellero; Suono: Raffaele Del Monte; Scenografia: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Musica: Goffredo Petrassi; Direzione musicale: Giovanni Fusco; Interpreti: Richard Basehart, Patricia Roc, Massimo Serato, Isa Barzizza, Akim Tamiroff, Nerio Bernardi, Adolfo Geri, Nino Marchetti, Enzo Fiermonte, Charles Fawcett, Gianna Baragli, Celeste Almieri, Aldo De Franchi; Durata: 87’. Produzione realizzata negli Studi Fert di Torino. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-americana. Il titolo della versione americana è Cartouche diretta da Steve Sekely. Il film ha circolato in seconda visione, e in tempi recenti anche in televisione, con il titolo Cartouche e con i titoli di testa in inglese. LA STORIA: Jacques da Maudy, per salvare il padre ingiustamente accusato di avere assassinato il Principe di Barillet, se ne assume la responsabilità e fugge all’estero. Rientrato qualche tempo dopo di nascosto in Francia incontra l’attrice Violante che al collo ha un gioiello che era stato di suo padre. Sottrattolo di nascosto viene mostrato al padre che lo riconosce. Il gioiello era stato la causa del delitto di cui si era addossata la colpa Jacques. Violante, ospitata con gli altri comici della compagnia nel castello paterno, confessa a Jacques che il gioiello lo aveva avuto dal Marchese di Salpière. Costui invita i comici nel suo castello e Violante trova nel forziere di Salpière una lettera compromettente per il Duca di Vaubranche, nipote del Principe di Barillet. Jacques, travestitosi da Cartouche, si unisce alla compagnia di attori e trova nel forziere del castello un testamento non olografo dove il principe nomina Vaubranche suo erede universale. Costui tenta di fare arrestare Jacques che, costretto a battersi con lui, lo ferisce mortalmente: prima di morire confessa di essere stato lui ad uccidere suo zio. LA CRITICA: «La storia di Cartouche, più volte portata sullo schermo in Francia, ritorna in questo film italiano di un certo impegno ma di non grande valore. Buono il colore, lodevole l’interpretazione, ma non eccezionali i requisiti commerciali». (U. Tani, in «Intermezzo», n. 12/13, lug. 1955).
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Capitolo secondo
CAPITAN FANTASMA di Primo Zeglio
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Anno di edizione 1953 Produzione: Athena Cinematografica; Produttore: Ermanno Donati, Luigi Carpentieri; Direttore di produzione: Silvio Clementelli; Soggetto: Gino De Santis; Sceneggiatura: Gino De Santis, Primo Zeglio, Ennio De Concini, Age e Scarpelli; Aiuto-regia: Mariano Laurenti; Fotografia: Marco Scarpelli, Carlo Carlini; Montaggio: Mario Serandrei; Suono: Alberto Bartolomei; Scenografia: Alberto Boccianti; Arredamento: Gino Brosio; Costumi: Dario Cecchi; Maestro d’armi: Enzo Musumeci Greco; Musica: Carlo Rustichelli; Direzione musicale: Ugo Giacomozzi; Interpreti: Frank Latimore, Anna Maria Sandri, Maxwell Reed, Paola Barbara, Tino Buazzelli, Mario Carotenuto, Gianni Cavalieri, Juan De Landa, Sergio Fantoni, Fedele Gentile, Carlo Tamberlani, Cesare Fantoni, Mario Feliciani, Aldo Giuffrè, Carlo Lombardi, Franco Marturano, Enzo Musumeci Greco, Franco Pastorino, Nico Pepe, Edoardo Toniolo, Maria Grazia Sandri; Durata: 92’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. OSSERVAZIONI: Age & Scarpelli è lo pseudonimo usato dai due più noti sceneggiatori di commedie del cinema italiano. Il loro vero nome era Agenore Incrocci e Furio Scarpelli. LA STORIA: Nel 1808, durante la guerra franco-spagnola, il capitano Miguel de Cubanil a causa di un duello in cui l’avversario rimane ucciso, è espulso dall’Accademia d’artiglieria. Imbarcatosi su una nave comandata da Inigo Da Costa, parte per una delicata missione. In alto mare la nave incontra un altro vascello da cui vengono trasbordate due passeggere: Consuelo, figlia del Governatore dell’Avana e la sua governante Soledad. Ma anche l’oro della Corona di Spagna viene trasbordato sulla nave del capitano Da Costa per essere poi sbarcato sull’isola di San Antonio. Da Costa, il suo aiutante Nebbia e il nostromo hanno però in animo di impadronirsi dell’oro e di scaricarne solo un quarto sull’isola. Miguel e un suo amico scoprono tutto e con le due ragazze si mettono in salvo salvando l’oro della Corona, atto che gli varrà il reintegro nel suo grado di capitano. LA CRITICA: «Capitam Fantasma è l’ultimo scialbo esempio di quella nutrita serie che ha per illustri rappresentanti Zorro, Capitan Blood, Robin Hood e gli altri difensori dei deboli che la letteratura popolare ci dispensa settimanalmente e ha portato alla notorietà. Il protagonista Frank Latimore non ha né l’aspetto atletico né la capacità acrobatica per figurare bene in un ruolo che andrebbe a pennello a Burt Lancaster o a Errol Flynn». (Vice, in «Festival» n. 79, 3 lug. 1954). IL PRIGIONIERO DEL RE di Giorgio Rivalta, Richard Pottier Anno di edizione 1954 Produzione: Venturini Produzioni Films; Produttore: Giorgio Venturini; Direttore di produzione: Vieri Bigazzi; Soggetto: tratto dal romanzo Le masque de fer di Alexandre Dumas padre; Sceneggiatura: Dominique Vincent, Jacques Viot; Fotografia: Arturo Gallea; Montaggio: Loris Bellero; Scenografia: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Musica: Enzo Carabella; Interpreti: Pierre Cressoy, Andrée Debar, Armando Francioli, Nerio Bernardi, Adolfo Geri, Marcello Giorda, Luigi Tosi, Xenia Valdesi, Olga
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Eroi di mille avventure
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Solbelli, Miranda Campa, Sergio Bergonzelli; Durata: 86’.
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OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo della versione francese del film è Le masque de fer diretta da Richard Pottier. LA STORIA: Enrico non sa che è fratello gemello del re Luigi XIV. Un giorno viene arrestato e condotto nella fortezza di Pinerolo dove gli viene applicata una maschera di ferro che gli copre coompletamente il viso, maschera che non si dovrà togliere. A nulla valgono le proteste della Regina madre: nessuno deve sapere della sua esistenza. Elisabetta, figlia del padrino di Enrico e innamorata di lui, riesce a fare liberare il prigioniero. Intanto scompare la Regina madre, che prima di morire confida il suo segreto a Rosa, una damigella di corte e la invita ad informare il Re della situazione. Enrico nel frattempo decide di incontrare il Re per informarlo dei soprusi patiti. Lo incontra nelle Fiandre tra i suoi soldati. Ma parlando con il Re, capisce che nemmeno lui è libero di agire come vuole, ma deve agire solo nell’interesse della Francia. All’insaputa del Re, Enrico viene di nuovo arrestato e obbligato a portare la maschera di ferro, ma Luigi XVI lo fa liberare: Enrico potrà vivere liberamente la sua vita, ma lontano dalla Francia. LA CRITICA: «La vicenda, tratta da un romanzo di Alessandro Dumas, non è condotta in modo da destare molto interesse. Discreto il colore». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXXVI Anno 1954, Roma 1954, p. 9). IL CAVALIERE SENZA TERRA di Giacomo Gentilomo Anno di edizione 1958 Produzione: Diamante Film; Direttore di produzione: Silvano Scarpellini; Soggetto: Vittorio Nino Novarese; Sceneggiatura: Antonio Raccioppi, Remo Chiti, Giorgio Costantini, Paolo Lombardo, Fernando Morandi; Fotografia: Anchise Brizzi; Montaggio: Dolores Tamburini; Scenografia: Franco Lolli; Arredamento: Giulio Sperabene; Costumi: Giovanna Natili; Musica: Enzo Carabella; Interpreti: Gérard Landry, Constance Smith, Alberto Farnese, Giacomo Rossi Stuart, Valeria Fabrizi, Wandisa Guida, Franco Fantasia, Ivano Staccioli, Nino Musco, Andrea Fantasia, José Jaspe, Gino Buzzanca, Ettore Bevilacqua, Nino Marchesini, Pietro Tordi, Diego Pozzetto, Alfredo Bianchini, Mario Passante, Renato Montalbano, Cristina De Angelis, Luciano Manara, Michele Zentillini; Durata: 86’. LA STORIA: Rolando Senza Terra, capitano di ventura, intende liberare Laura prigioniera del Conte Riziero il cui intento è quello di ospitare nel suo castello il Re di Francia e ucciderlo a tradimento. Rolando attacca di sorpresa il castello, ma il tentativo fallisce. Un secondo tentativo, dopo un inziale successo, si risolve a favore di Riziero grazie all’intervento di alcuni suoi amici che riescono a catturare Rolando. L’arrivo del Re di Francia sembra dare la vittoria a Riziero, ma Rolando liberatosi, uccide l’avversario, salva la vita al Re e libera la bella Laura che diviene sua sposa. LA CRITICA: «Tutto è semplicistico e superficiale: trama, regia, recitazione». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLVI Anno 1959, Roma 1959, p. 45).
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Capitolo secondo
ROBIN HOOD E I PIRATI di Giorgio Simonelli
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Anno di edizione 1961 Produzione: FI. C. IT. (Finanziaria Cinematografica Italiana); Produttore: Leo Bomba, Carlo Infascelli; Direttore di produzione: Enrico Bomba; Soggetto: Edoardo Anton, Marcello Ciorciolini, Leo Bomba, Carlo Infascelli, Enrico Spadorcia; Sceneggiatura: Edoardo Anton, Marcello Ciorciolini, Leo Bomba, Carlo Infascelli, Enrico Spadorcia; Aiuto-regia: Enrico Spadorcia, Giuliano Carmineo; Fotografia: Raffaele Masciocchi; Montaggio: Dolores Tamburini; Suono: Remo Palmieri; Scenografia: Lamberto Giovagnoli; Arredamento: Camillo Del Signore; Costumi: Dina Di Bari; Musica: Gian Stellari, Guido Robuschi; Interpreti: Lex Barker, Jakie Lane, Rossana Rory, Mario Scaccia, Walter Barnes, Edith Peters, Giulio Donnini, Renato Chiantoni, Mario Passante, Marco Tulli, Gino Buzzanca, Renato Maddalena, Renato Terra Caizzi, Umberto Sacripante, Edda Soligo, Enrico Salvatore, Mario Ambrosino, Giovanni Vari, Amalia Bracale, Lilian Nguyen, Ignazio Balsamo, Antonio Corevi, Italo Gasperini, Jeanine Hendy, Gloria Hendy, Anna Malasardi, Sergio Mioni, Subkmanati Rukmini, Alberto Togliani, Corrado Zingaro, Bruno Tocci; Durata: 95’. LA STORIA: Tornato in patria dopo essere scampato a degli agguerriti pirati, Robin Hood scopre che suo padre è stato ucciso da Brooks, che poi si è impadronito della sua contea. Mettendo da parte vecchi risentimenti e cosciente di non potersi battere da solo, Robin Hood chiede aiuto ai pirati e nelle lotte che seguono sconfigge Brooks. A coronamento della vittoria i pirati festeggiano Robin Hood, che sposerà la bella Kareen. LA CRITICA: «Riproporre i vecchi eroi delle storie rocambolesche incontra sempre il favore di un certo pubblico e appunto a questi aficionados Simonelli si raccomanda con la narrazione delle gesta di un Robin Hood in versione piratesca, che peraltro non muta né il tono, né il succo dell’originale [...]. Lex Barker ha il piglio e la prestanza adatti alla modesta ma gagliarda bisogna». (G. Ciaccio, in «Rivista del Cinematografo», n. 6, giu. 1961). I NORMANNI di Giuseppe Vari Anno di edizione 1962 Produzione: Galeata S.p.A., Lyre Societé Cinéatograficque; Direttore di produzione: Paolo Mercuri; Soggetto: Nino Stresa; Sceneggiatura: Nino Stresa; Aiuto-regia: Marcello Crescenzi, Teodoro Ricci; Fotografia: Marco Scarpelli; Montaggio: Lina Caretini; Suono: Kurt Doubrawsky; Scenografia: Giorgio Giovannini; Arredamento: Massimo Tavazzi; Costumi: Tina Grani; Maestro d’armi: Otello Polci; Musica: Roberto Nicolosi; Direzione musicale: Pierluigi Urbini; Interpreti: Cameron Mitchell, Geneviève Grad, Ettore Manni, Philippe Hersent, Piero Lulli, Paul Müller, Ralf Baldassarre, Livia Contardi, Toni Di Mitri, Pietro Marescalchi, Gianni Solaro, Franca Bettoia; Durata: 91’. Produzione realizzata nei Teatri di posa Titanus Appia e Titanus Farnesina di Roma. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Titolo francese del film è Les vikings attaquent.
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Eroi di mille avventure
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LA STORIA: Nel IX secolo alcune tribù normanne vengono ospitate dagli inglesi nella Contea D’Anglon. Valfredo, Barone di Saxon, che mira al regno e alla giovane regina, imprigiona il re Dagoberto e accusa i normanni di averlo ucciso. Il Conte Oliviero D’Anglon, scoperta la tresca, tenta di difenderli, ma, accusato di tradimento, si rifugia dai normanni. Qui incontra Svletania, la figlia di Olaf, il capo dei normanni, che gli rivela che Svletania non è sua figlia, ma è la figlia di Dagoberto che egli aveva salvata vent’anni prima durante l’assalto ad una nave inglese. Dopo molte lotte Olaf e Oliviero riescono a liberare il Re Dagoberto e a uccidere Valfredo, poi Oliviero e Svletania si sposano. LA CRITICA: «Si tratta di un film storico-avventuroso di modesta fattura che ricalca senza fantasia precedenti modelli del genere. Regia e interpretazione mediocri. Discreta l’ambientazione». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LII Anno 1962, Roma 1962, p. 106). LE SETTE SPADE DEL VENDICATORE di Riccardo Freda Anno di edizione 1962 Produzione: Adelphia Compagnia Cinematografica, C.E.F. Francisco Film; Direttore di produzione: Luciano Cattania; Soggetto: Filippo Sanjust; Sceneggiatura: Filippo Sanjust, Riccardo Freda; Aiuto-regia: Marcello Avallone; Fotografia: Raffaele Masciocchi; Montaggio: Franco Fraticelli; Suono: Leopoldo Rosi; Scenografia: Antonio Martini; Arredamento: Antonio Martini; Maestro d’armi: Bruno Ukmar; Effetti Speciali: Eros Baciucchi; Musica: Franco Mannino; Interpreti: Brett Halsey, Beatrice Altariba, Giulio Bosetti, Gabriele Antonini, Mario Scaccia, Gabriele Tinti, Alberto Sorrentino, Jacopo Tecchio, Anita Todesco, Jacques Stany; Durata: 90’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Titolo francese del film è Sept epées pour le roi. Si tratta del remake del film Don Cesare di Bazan che lo stesso Freda aveva realizzato, come opera prima, nel 1942. LA STORIA: Dopo alcuni anni di guerra trascorsi al servizio del Re Filippo II di Spagna, don Carlos di Bazan torna nelle sue terre. Durante la sua assenza lo sleale cugino ha preso il suo posto e usurpato i suoi averi. Dopo avventurose peripezie don Carlos riuscirà infine a far valere i suoi diritti ed a riconquistare il maltolto. LA CRITICA: «La stessa storia del film d’esordio di Freda, “Don Cesare di Bazan”, diventa un colorato e travolgente gioiello del cappa e spada all’italiana, con accenni gotici». (Film.TV.it). LA SPADA DEL CID di Miguel Iglesias Anno di edizione 1962 Produzione: Alexandra Produzioni Cinematografiche, Cintora Produciones Cinematograficas; Produttore: Virgilio De Blasi, Victor M. Tarruella; Direttore di produzione: Nino Milano;
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Capitolo secondo
Soggetto: Ferdinando Baldi, Alfredo Giannetti, A. Navarro Linares; Sceneggiatura: Ferdinando Baldi, Alfredo Giannetti, A. Navarro Linares; Aiuto-regia: Francisco Perez Dolz; Fotografia: Francisco Marin Herrera; Montaggio: Otello Colangeli; Suono: Roberto Matteoli; Scenografia: Antonio Visone; Costumi: Manuel Montañola; Maestro d’armi: Andrea Fantasia; Musica: Carlo Savina; Interpreti: Sandro Moretti, Chantal Deberg, Daniela Bianchi, Roland Carey, Ileana Grimaldi, José Luis Pellicena, Andrea Fantasia, Luis Induñi, Fernando Cebrian, Daniel Martin, Felix De Pomes, Frank Oliveras, Andrei Mejuto, Helen Padget, Ray Miles; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Studi I.N.C.I.R.-De Paolis e, in esterni, in Spagna a San Juan de las Abadesas e Ripoll. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-spagnola. Il titolo spagnolo del film è Las hijas del Cid. LA STORIA: Nella Spagna dell’XI secolo, i Conti Carrion rubano la spada del Cid, simbolo delle sue mitiche vittorie contro i guerrieri mori. Il Re di Castiglia ordina loro di restituirla immediatamente, ma costoro si rifiutano e chiedono l’aiuto di Baranguer, un mercenario, che scatena con i propri uomini una serie di sanguinosi combattimenti contro le truppe del Re. Alla fine i Conti Carrion saranno sconfitti e Baranguer esiliato. LA CRITICA: «Fra tutta la paccottiglia sfornata attingendo a figure storiche, questo film si salva in qualche modo, sia perché la vicenda si sviluppa quasi esclusivamente tra situazioni avventurose non legate alla realtà storica, sia per una certa dignità nella realizzazione che, sostenuta anche da una interpretazione di discreto mestiere, gli conferisce un interesse spettacolare». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LIV, Anno 1963, Roma 1963, p. 162). «Uno scenario assolutamente denudato di ogni verosimiglianza, difficile da seguire e ancora più difficile da comprendere. Una interpretazione degna da teatrino di serie B in una cattiva serata, un colore inespressivo […] danno a questa Spada del Cid un aspetto dei più sciatti». (R. Tabès, in «Saison ‘64», Parigi 1964). IL TRIONFO DI ROBIN HOOD di Umberto Lenzi Anno di edizione 1962 Produzione: Buena Vista Produzione Italiana Film; Produttore: Tiziano Longo; Direttore di produzione: Aurelio Serafinelli; Soggetto: Giancarlo Romitelli, tratto dal romanzo Robin Hood di Alexandre Dumas padre; Sceneggiatura: Gianfranco Romitelli, Moraldo Rossi; Aiuto-regia: Giancarlo Romitelli; Fotografia: Angelo Filippini; Montaggio: Nella Nannuzzi; Suono: Franz Croci; Scenografia: Giuseppe Ranieri; Costumi: Giorgio Desideri; Musica: Aldo Piga; Interpreti: Don Burnett, Vincenzo Musolino, Germano Longo, Enrico Luzi, Gaia Germani, Arturo Dominici, Samson Burke, Philippe Noel, Vinicio Sofia, Daniela Igliozzi, Edda Ferronao, Gianni Solaro, Giovanni Pazzafini, Jurica Djiacovic, Mauro Mannatrizio, Janez Vrhovec, Marks Furlan; Durata: 90’. LA STORIA: Da anni Robin Hood, signore di Sherwood, vive alla macchia. Con la morte di Re Enrico il nobile ribelle, sperava di poter godere di un’amnistia generale, invece nulla. Il malcontento della popolazione e dei fuorilegge, si fa sempre più sentire e le file degli uo-
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Eroi di mille avventure
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mini di Sherwood si vanno sempre più ingrossando. Fra i nuovi adepti ci sono Gugliemo il Rosso, ultimogenito di Sir Gamwel e Alan Clare, nobile decaduto e valente soldato. Dopo una serie di colpi di mano ai danni di Elwine di Nottingham, quest’ultimo si allea con il Conte Goodman e con Sir Tristano di Galboroung, che aspira alla mano della figlia di Elwine, Isabella, e la situazione per Robin si fa molto seria. Ma ad un tratto tutto sembra volgere in suo favore poiché Riccardo Cuor di Leone è tornato dalla Terra Santa e, assunto il potere, marcia contro i traditori. Robin Hood corre in aiuto del suo Re ed ottiene, in compenso, l’amnistita generale per sé e per i suoi uomini e il consenso alla nozze con Anna, sorella di Alan Clare il quale, a sua volta, sposerà la Contessina Isabella di Nottingham. LA CRITICA: «Solita avventura del bel principe ribelle, e solito finale a doppio lieto fine, con nozze varie e amnistia generosamente concessa da Riccardo Cuor di Leone (ma anche generosamente conquistata da Robin Hood). Ingenuo, privo di originalità, interpretato piuttosto fiaccamente». (Anonimo, in «Avanti!», 14 apr. 1963). L’INVINCIBILE CAVALIERE MASCHERATO di Umberto Lenzi Anno di edizione 1963 Produzione: Romana Film; Produttore: Fortunato Misiano; Soggetto: Gino De Santis; Sceneggiatura: Gino De Santis, Umberto Lenzi, Luciano Martino, Guido Malatesta; Aiuto-regia: Giancarlo Romitelli; Fotografia: Augusto Tiezzi; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Suono: Pietro Ortolani, Bruno Moreal; Scenografia: Peppino Piccolo; Arredamento: Franco D’Andria; Costumi: Walter Patriarca; Musica: Angelo Francesco Lavagnino; Interpreti: Pierre Brice, Hélène Chanel, Daniele Vargas, Aldo Bufi Landi, Carlo Latimer, Gisella Arden, Massimo Serato, Nerio Bernardi, Amedeo Trilli, Romano Ghini, Clara Bindi, Tullio Altamura, Ignazio Balsamo, Giovanni Pazzafini, Sina Relli, Gino Maturano, Gino Soldi, Piero Pastore, Eleonora Morana, Salvatore Campochiaro, Attilio Torelli, Guido Celano; Durata: 90’. LA STORIA: Nel 1670 una terribile epidemia di peste scoppiata in Portogallo raggiunge la Spagna nella regione di Higuera, dominata dall’equivoco Alcade Don Luis. Questi, dopo aver ucciso il legittimo rappresentante del governo, per paura dell’epidemia si rinchiude nel castello. Arriva in paese un misterioso cavaliere mascherato che difende i deboli dalle angherie dell’Alcade. Nello stesso tempo arriva al castello il figliastro di Don Luis, Diego, un giovane pavido a cui è stata promessa in sposa Carmencita, la figlia del legittimo Alcade assassinato. Con tale matrimonio Don Luis spera di impadronirsi del ricco patrimonio della fanciulla, ma il misterioso cavaliere mascherato, che è un valoroso ufficiale spagnolo, distrugge i suoi piani uccidendolo in duello. LA CRITICA: «La vicenda, che ricalca i soliti schemi dei film di cappa e spada, denota una totale mancanza d’inventiva, trascinandosi avanti a fatica in un contesto noioso e senza brio. Regia e interpretazione più che modeste». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LIV, Anno 1963, Roma 1963, p. 33).
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Capitolo secondo
SFIDA AL RE DI CASTIGLIA di Ferdinando Baldi
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Anno di edizione 1963, Produzione: Alexandra Cinematografica, Procensa; Produttore: Virgilio De Blasi; Direttore di produzione: Nino Milano; Soggetto: Ferdinando Baldi, Piero Pierotti, Adriano Bolzoni; Sceneggiatura: Ferdinando Baldi, Piero Pierotti, Adriano Bolzoni; Aiuto-regia: Roberto De Blasi; Fotografia: Francisco Marin; Montaggio: Otello Colangeli; Suono: Maria Del Pezzo, Mario Morigi; Scenografia: Antonio Visone; Costumi: Gabriella Gabrielli; Maestro d’armi: Fredy Unger; Effetti speciali: Manuel Vaquero; Musica: Carlo Savina; Interpreti: Mark Demon, Maria Teresa Orsini, Rada Rassimov, Carlos Estrada, Paolo Gozlino, Andrei Mejuto, Fernando Cebrian, José Luis Pellicena, Anna Maria Surdo, Fredy Unger, Ricardo Valle, German Greck, Adriana Ambesi, Luis Vilar, Antonio Moreno, Vittoria Prada; Durata: 97’. Produzione realizzata negli Studi Incir-De Paolis. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-spagnola. Il titolo spagnolo del film è El rey cruel. Il vero nome di battesimo di Fredy Unger è Goffredo. LA STORIA: Nel 1360 Pedro I di Spagna per rafforzare l’alleanza con la Francia ottiene la mano di Bianca di Borbone. Durante il viaggio per raggiungere il promesso sposo, Bianca sosta presso Enrique, fratellastro di Pedro, e se ne innamora. L’ira di Pedro, umiliato, si scatena furibonda contro Enrique e, a causa delle sue incontenibili pazzie, finisce per essere abbandonato dagli amici. Il matrimonio con Maria Coronel sembra placare il suo furore. Ma la lotta fra i due fratellastri continua e in una delle tante scaramucce fra i due rimane uccisa la regina Maria. Pedro è afflitto dal dolore ed è deciso a porre fine alla guerra civile. Nel recarsi ad un incontro col fratellastro cade però in un’imboscata tesagli da costui e rimane ucciso. Allora il padre della Regina, il vecchio Coronel, stanco di tanti massacri, aiutato dai sudditi desiderosi di vendicare il loro re, uccide Enrique. LA CRITICA: «La vicenda si presenta molto confusa nella trama e piuttosto truculenta negli elementi narrativi. Il ritmo del racconto è vivo e sostenuto con evidente forzatura nella ricerca di effetti spettacolari. Interpretazione, regia e fotografia di discreto mestiere». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LV, Anno 1964, Roma 1964, p. 163). LA RIVINCITA DI IVANOE di Amerigo Anton Anno di edizione 1965 Produzione: Tevere Film; Produttore: Roberto Capitani; Direttore di produzione: Roberto Capitani; Soggetto: Arpard De Riso, Nino Scolaro; Sceneggiatura: Arpard De Riso, Nino Scolaro; Aiuto-regia: Mario Casalini; Fotografia: Romolo Garroni; Suono: Pietro Vesperini; Scenografia: Amedeo Mellone; Arredamento: Amedeo Mellone; Costumi: Walter Patriarca; Maestro d’armi: Franco Pasquetto; Musica: Giuseppe Piccillo; Direzione musicale: Carlo Franci; Interpreti: Clyde Rogers, Gilda Lousek, Andrea Aureli, Duilio Marzio, Glauco Onorato, Nando Tamberlani, Adriana Gorini, Tullio Altamura, Vladimiro Tuicovich, Nerio Bernardi, Marco Pasquini, Vladimiro Picciafuochi, Renato Terra, Furio Meniconi; Durata: 90’.
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Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. OSSERVAZIONI: Nei titoli di testa manca il nome del montatore, ma viene indicata solo l’assistente al montaggio. Poppi e Pecorari riportano come montatore, nel loro più volte citato Dizionario del Cinema Italiano pubblicato da Gremese, Amerigo Anton, alias Tanio Boccia, senza indicarne la fonte. LA STORIA: Nel castello degli Hastings si sta tramando per ottenere dal debole Re Giovanni Senza Terra l’imprimatur di legalità all’usurpazione delle terre di Ivanhoe. Costui lotta per riconquistare i suoi diritti, per liberare i suoi sudditi dalla tirannide e far tornare la pace. Combattono al suo fianco i ribelli Sassoni guidati da Lockey. Ivanhoe, dopo aver liberato Artù, fratello di Rowena sua promessa sposa, si conquista il diritto di sposarla sfidando in torneo Bernard di Hastings e sconfiggendolo. Il matrimonio però annullerebbe tutte le mire degli Hastings che tramano affinché ciò non avvenga. Ivanhoe allora fa prigioniero il Conte di Brian, che Re Giovanni ha destinato come sposo di Rowena, si sotituisce a lui e penetra nel castello. Durante la cerimonia delle nozze i ribelli di Ivanhoe danno l’assalto al castello uccidendo Bernard di Hastings. Alla notizia che Riccardo Cuor di Leone è sbarcato in Inghilterra Re Giovanni autorizza le nozze di Rowena con Ivanhoe e lo reintegra nei suoi diritti dinastici. LA CRITICA: «La vicenda storico-fantastica, che non presenta spunti o trovate originali nei confronti dei molti altri film del genere, punta soprattutto, dai costumi alle situazioni, sull’effetto spettacolare a cui contribuiscono in modo determinante il colore ed il grande schermo. Regia ed interpretazione denotano un discreto mestiere». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LVIII, Anno 1965, Roma 1965, p. 3). L’ARCIERE DI FUOCO di Giorgio Ferroni Anno di edizione 1970 Produzione: Oceania Produzioni Internazionali Cinematografiche, Talia Film, Les Films Corona; Direttore di produzione: Manuel Torres; Soggetto: Ennio De Concini; Sceneggiatura: Giorgio Stegani Casolari, Manuel Torres Larredo, André Tranché; Aiuto-regia: Filiberto Fiaschi; Fotografia: Giuseppe Pinori; Montaggio: Antonietta Zita; Suono: Alberto Moretti; Scenografia: Arrigo Equini; Costumi: Elio Micheli; Maestro d’armi: Neno Zamperla; Musica: Gianni Ferrio; Interpreti: Giuliano Gemma, Mario Adorf, Mark Damon, Luis Davila, Silvia Donisio, Helga Linè, Daniele Dublino, Lars Bloch, Nello Pazzafini, Manolo Zarzo, Pierre Cressoy, Nazareno Zamperla, Gianni De Luca, Giulio Donnini, Vittorio Fanfoni, Antonio Pica, Valerio Colombaioni, Furio Meniconi, Gaetano Imbrò; Durata: 107’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Giovanni Senza Terra, pur non avendone avuta l’investitura, siede sul trono del fratello Riccardo Cuor di Leone, partito per le Crociate e dato per morto. Il nobile Henry di Nottingham si ribella alla tirannia dell’usurpatore e, capeggiando un gruppo di ribelli col nome di Robin Hood, si nasconde nella foresta di Sherwood da dove, con rapide e frequenti sortite, procura grossi fastidi al tiranno. Con l’aiuto dello Sceriffo di Nottingham, Giovanni riesce a catturare con l’inganno Robin e a tradurlo nelle carceri del castello accusandolo dell’assasinio di Re Riccardo. Ma quando sta per essere giustiziato, sarà proprio l’arrivo inaspet-
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Capitolo secondo
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tato di Riccardo Cuor di Leone a ripristinare la giustizia, a salvare Robin e a punire l’usurpatore. LA CRITICA: «L’ingenuità del racconto è compensata da una serie di caratterizzazioni, da un ritmo sempre sostenuto, dall’umorismo e dalle acrobazie degli scontri che costituiscono la vera essenza dello spettacolo». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXI, Anno 1971, Roma 1971, p. 5). LA GRANDE AVVENTURA DI SCARAMOUCHE di Piero Pierotti Anno di edizione 1970 Produzione: Garigliano Film; Produttore: Armando Bertuccioli, Antonio Palumbo; Direttore di produzione: Antonio Palumbo; Soggetto: Piero Pierotti; Sceneggiatura: Piero Pierotti; Fotografia: Silvio Fraschetti Pistola; Montaggio: Francesco Bertuccelli, Sergio Buzi; Suono: Emilio Puglielli; Scenografia: Aldo Piovarini; Costumi: Lina Nerli Taviani; Scene acrobatiche: Sergio Mioni; Musica: Carlo Savina; Interpreti: Christian Hay, Rick Freyberg, Milly Vitale, Erna Schurer, Vito Pandolfi, Franco Mazzieri, Amedeo Trilli, Franco Fantasia, Virgilio Ponti, Liana Nova, Adler Gray, Renato Navarrini, Gaetano Scala; Durata: 89’. LA STORIA: Tiberio Fiorilli, in arte Scaramouche, un comico italiano che vive e lavora in Francia, salva una giovane donna, Rossana, da un grupo di sicari. Rossana è un agente del Cardinale Mazzarino che sta indagando per scoprire i nomi di alcuni congiurati che vogliono uccidere il Re di Francia, chiede a Scaramouche di aiutarla. Lasciata la compagnia, Scaramouche inizia il suo girovagare per la Francia finché non si imbatte in Sir Brooke, un baronetto franco-inglese, che è uno dei principali cospiratori. Introdottosi nel castello di Brooke, trova la lista dei congiurati e la consegna alla regina. Terminata la missione torna alla sua compagnia di teatranti per abbandonarla ben presto per altre avventure. LA CRITICA: «Privo di elementi spettacolarmente validi, piuttosto lento nel ritmo ed elementare nella costruzione del racconto, il film non presenta motivi di interesse». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXX, Anno 1970, Roma 1970, p. 120). ROBIN HOOD L’INVINCIBILE ARCIERE di José Luis Merino Anno di edizione 1970 Produzione: Cinematografica Lombarda, Hispamer Film, Tyrys Film; Direttore di produzione: Riccardo Merino; Soggetto: Piero Pierotti, liberamente tratto dal romanzo omonimo di A.[lessandro] Dumas p.[adre]; Sceneggiatura: Piero Pierotti; Aiuto-regia: Gilberto Squizzato; Fotografia: Umberto Lanzanò; Montaggio: Sandro Lena; Suono: Nello Boccaso; Scenografia: Eduardo Torre de la Fuente; Costumi: Gloria Cardi; Musica: Bruno Nicolai; Interpreti: Charles Quiney, Franca Polesello, Pasquale Basile, Paola Senatore, Antonio Vidal Molina, Alfredo Calles, Pasquale Simeoli, Carina Monti, Claudio Trionfi; Durata: 95’. Produzione realizzata nei Teatri di Posa Icer-De Paolis di Milano.
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OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-spagnola. Il titolo spagnolo del film è Robin Hood, el arquero invencible. LA STORIA: Sir Allan Clare, in viaggio con la sorella Anna alla volta del castello di Nottingham per sposare Isabella, figlia del Barone Alwise, viene assalito da alcuni malviventi, ma Robin Hood lo salva. La comitiva prosegue poi il suo viaggio, ma giunta a Nottingham, Alwise non rispetta il patto stretto con Allan Clare e lo fa rinchiudere in carcere. Robin Hood interviene ancora e libera Clare aiutandolo perché possa concludere il suo progetto di nozze, ma il Barone lo impedisce. Anzi concede la mano di Isabella a Sir Tristano, secondo i loschi accordi con lui conclusi. Robin, il giorno delle nozze, soatituisce Isabella con Margherita, la cuoca del Barone. Grazie alla presenza dei suoi uomini in chiesa mescolati fra il pubblico, Robin sventa la reazione del Barone e lo costringe a dare il suo consenso alle nozze di Isabella con Sir Allan. LaA CRITICA: «Un film avventuroso di modeste pretese che, realizzato con incerto mestiere, si avvale tuttavia di un’appropriata ambientazione che è il suo maggior motivo di interesse». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXX, Anno 1971, Roma 1971, p. 85). LA SPADA NORMANNA di Roberto Mauri Anno di edizione 1970 Produzione: Oceania Produzioni Internazionali Cinematografiche, Talia Film, Les Films Corona; Direttore di produzione: Manuel Torres Larredo; Soggetto: Piero Regnoli; Sceneggiatura: Piero Regnoli; Aiuto-regia: Sergio Barbonese; Fotografia: Sandro Mancori; Montaggio: Adriano Tagliavia; Suono: Alberto Moretti; Costumi: Giulia Deriu; Maestro d’armi: Rinaldo Zamperla; Musica: Roberto Pregadio; Interpreti: Mark Damon, Luis Devila, Krista Nell, Manolo Zarzo, Aveline Federica, Vassili Karis, Nello Pazzafini, Aldo Berti, Linda Sini, Spartaco Conversi, Valerie Forgues, Luis Texada, Vittorio Fanfoni, Gaetano Imbrò, Franco Daddi, Alan Collins; Durata: 99’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-franco-spagnola. Il titolo francese del film è Le retour d’Ivanhoe, quello spagnolo è La espada normanda. Nei titoli di testa non è accreditata la scenografia che viene attribuita da Poppi e Pecorari, nel loro Dizionario del Cinema Italiano pubblicato da Gremese, ad Arrigo Equini e Enrique Alarcon. Alan Collins è lo pseudonimo di Luciano Pigozzi. LA STORIA: Nell’anno 1000, alla morte di Re Enrico, Stefano Cunningam si impadronisce del potere con la forza e si fa incoronare Re d’Inghilterra e di Scozia. Dieci anni dopo il giovane Ivanhoe, tornato in patria dalla Terra Santa dove ha combattuto contro i mori, trova il paese devastato dalla violenza di Stefano. Arrestato per la sua avversione all’usurpatore, incontra York, ex consigliere di Re Enrico anch’esso in carcere, che lo informa che la “Spada Normanna”, simbolo del potere del Re d’Inghilterra e di Scozia, non è nelle mani di Stefano, ma è custodita da un clan scozzese fedele alla dinastia del defunto re: la spada di Stefano è solo una copia. Ivanhoe riesce a fuggire di prigione, trova la vera spada, si mette alla testa della ribellione popolare, scaccia Stefano dal trono e consegna la corona alla figlia legittima di Re Enrico.
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Capitolo secondo
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LA CRITICA: «L’approssimativa ricostruzione ambientale e la modesta sceneggiatura collocano il film su un livello piuttosto mediocre». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXI, Anno 1971, Roma 1971, p. 49). DON CHISCIOTTE di Maurizio Scaparro Anno di edizione 1984 Produzione: Teatro Popolare di Roma, Cooperativa Servizi Audiovisivi, Istituto Luce-Ital Noleggio Cinematografico, RAI; Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Miguel de Cervantes; Sceneggiatura: Rafael Azcona, Tullio Kezich, Maurizio Scaparro; Fotografia: Luigi Verga; Montaggio: Nino Baragli; Scenografia: Giantito Burchiellaro; Costumi: Lele Luzzati; Musica: Eugenio Bennato; Interpreti: Pino Mico, Peppe Barra, Concetta Barra, Sandro Nerli, Franco Alpestre, Marina Gonfalone, Isa Gallinelli, Giulio Farnese, Marisa Mantovani, Evelina Nazzari; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. OSSERVAZIONI: Presentato al San Francisco Film Festival. LA STORIA: Alonso, Cavaliere della Mancia, si ribattezza Don Chisciotte, rispolvera una vecchia armatura e si procura un cavallo vecchio e sfiancato, Ronzinante. Convince il popolano Sancho a seguirlo come scudiero e si inventa giganti da combattere, schiavi da liberare, principesse da salvare, sfide e duelli con imbattibili cavalieri da vincere. Dileggiato dai compaesani che lo scherniscono o lo assecondano sfidandolo e disarcionandolo più volte, viene legato e ingabbiato e riportato al villaggio dove, in un lampo di lucidità, si rende conto della propria infelicità e si abbandona alla morte. LA CRITICA: «Del capolavoro seicentesco di Miguel Cervantes il film riprende gli episodi principali, ma – con una scelta scenografica originale – il regista li svolge elegantemente all’interno di labirintiche e inquietanti strutture chiuse, che grazie alla fotografia di Luigi Verga, all’impasto del colore livido e opprimente, al contrasto tagliente delle luci e all’uso singolare della macchina da presa, sembrano ricreare le ossessive involuzioni della mente vacillante del personaggio e la tristezza interiore che lo abita. […] La scelta scenografica condiziona però il ritmo del film, conferendogli più volte un andamento teatrale e appesantendolo con la sovrabbondanza verbale propria del palcoscenico». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XCVIII, Anno 1985, Roma 1985, p. 224). IL VIAGGIO DI CAPITAN FRACASSA di Ettore Scola Anno di edizione 1990 Produzione: Cecchi Gori Group-Tiger Cinematografica, Mass Film, Studio E.L., Gaumont Film, Gaumont Production; Produttore: Mario Gori, Vittorio Gori, Franco Committeri, Luciano Ricceri; Direttore di produzione: Franco Cremonini, Carmine Parmigiani; Soggetto: Vincenzo Cerami, Fulvio Ottaviano, Silvia Scola, tratto dal romanzo Capitan Fracassa di Théophile Gautier; Sceneggiatura: Ettore Scola, Furio Scarpelli; Aiuto-regia: Franco Angeli; Fotografia: Luciano Tovoli; Montaggio: Raimondo Crociani, Francesco Malvestito; Suono:
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Pierre Befve; Scenografia: Luciano Ricceri, Paolo Biagetti; Arredamento: Ezio Di Monte; Costumi: Odette Nicoletti; Effetti Speciali: Adriano Pischiutta, Giancarlo Mancini, Nello Cappelli; Musica: Armando Trovaioli; Direzione musicale: Renato Serio; Interpreti: Massimo Troisi, Ornella Muti, Vincent Perez, Emmanuelle Béart, Lauretta Masiero, Toni Ucci, Massimo Wertmüller, Remo Girone, Ciccio Ingrassia, Jean-François Terrier, Tosca D’Aquino, Claudio Amendola, Giuseppe Cederna, Mariangela Giordano, Marco Messeri, Renato Nicolini, Tommaso Bianco, Marisa Elia, Naike Rivelli, Lucio Rosato, Patrizia Sacchi; Durata: 130’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà.. OSSERVAZIONI: Il film ha ottenuto i seguenti premi: Nastro d’argento a Luciano Ricceri e Paolo Biagetti per la migliore scenografia; Nastro d’Argento a Odette Nicoletti per i migliori costumi; David di Donatello 1990-91 a Luciano Tovoli per la migliore fotografia; David di Donatello 1990-91 a Luciano Ricceri e a Paolo Biagetti per la Migliore scenografia; Ciack d’Oro a Odette Nicoletti per i migliori costumi. Coproduzione italo-francese. Titolo francese del film è Le voyage du capitaine Fracasse. LA STORIA: In Guascogna, nella prima metà del Seicento, una compagnia di teatranti giunge in prossimità della dimora del giovane Barone di Sigognac, che vive con il suo vecchio servitore nella miseria e nella noia più completa. L’arrivo dei commedianti cambia totalmente la sua vita, e infatti il Barone entra a far parte della compagnia nel ruolo di Capitan Fracassa, rimasto vacante dopo la morte dell’attore Matamoro, e si innamora di Isabella, l’attrice giovane. Il suo esordio avviene nel castello del Marchese di Bruyère dove in scena combatte e si impappina nel recitare suscitando l’ilarità dei nobili presenti e finisce a duellare con il Duca di Valleombrosa. Il giovanotto ha la peggio. Raccolto dai suoi compagni di avventura, prosegue il viaggio verso Parigi, ma senza Isabella che lo abbandona per il Duca. Sigognac, guarito dalle ferite, fa buon viso a cattiva sorte e confortato dall’amore di Serafina, l’altra attrice giovane della compagnia, raggiunge Parigi trionfando come Capitan Fracassa nelle recite per il popolo. LA CRITICA: «Uno spettacolo di illusionismo, un inchino e un’occhiata di tralice al teatro in cui finzione e realtà si danno la mano, un campionario di eleganze formali. Ma anche un film dove circola aria fredda, e la favola stenta a fiorire in metafora dell’oggi, con tanti temi che serpeggiano nel racconto senza confluire nella malinconia metastorica alla quale forse aspira. […] Se Il viaggio di Capitam Fracassa persuade meno di altri di Scola, sarà forse perché troppi hanno messo le mani nel romanzo di Gautier, ciascuno tirando acqua al proprio mulino, per cui i personaggi hanno assunto maggiore spessore psicologico tuttavia faticando a formare un organico tessuto, a dargli costante agilità di ritmo, a rendere omogenea l’estraniazione con cui certe battute incongrue sottolineano la finzione. Quanto alle figure di Pulcinella e Serafina, affidate all’autorevole coppia Massimo Troisi-Ornella Muti, esse godono d’un trattamento privilegiato da parte del copione che dà all’uno e all’altra un sottofondo, […] espresso dagli attori con la consueta bravura». (Giovanni Grazzini, in «Il Messaggero», 3 nov. 1990).
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3. Tutti per uno I nove film che seguono sono tutti, o quasi, ispirati ai romanzi di Alexandre Dumas padre. Chi in gioventù non ha letto almeno un libro o un cineromanzo, un giornalino o visto un film con D’Artagnan e i tre moschettieri? È difficile pensare che ci sia qualcuno che non conosce D’Artagnan, Portos, Athos e Aramis. Forse è questo il motivo del grande successo che i quattro eroi d’Oltralpe hanno avuto fra la fine degli anni Quaranta e la fine dei Cinquanta con incassi che vanno da un minimo di 120 a un massimo di 310 milioni (si pensi che il costo di questi film si aggirava all’incirca fra i 20 e i 30 milioni) mentre l’incasso medio dei film italiani a fine sfruttamento era stato nel 1949 di 106 milioni e nel 1959 di 265 milioni. Resta comunque un mistero il fatto che durante il ventennio fascista, o almeno dall’avvento del sonoro8, film con questi personaggi non se ne fecero e nonostante che l’EIAR di Torino avesse portato al massimo della notorietà e del successo, dal 1934 al 1937, la commedia radiofonica parodistica “I Quattro Moschettieri” di Nizza e Morbelli, abbinata al concorso delle figurine della Perugina. Alcune figurine erano pressocché introvabili o rare, prima tra tutte quella del “Feroce Saladino”. Il concorso legato alla raccolta delle figurine non fu un fatto limitato all’aspetto pubblicitario della ditta dolciaria della Buitoni, ma divenne una vera e propria mania nazionale. Se ne occuparono i giornali, fu girato un film con Angelo Musco che si intitolava Il feroce Saladino, come la figurina più difficile della raccolta, si creò un vero e proprio mercato delle figurine con le quotazioni delle più rare che, in alcuni casi, vennero falsificate. L’Italia sembrava impazzita, ma ciononostante di film con i quattro personaggi dumasiani non se ne fecero fino al 1949. Ed è appunto in quell’anno che Riccardo Freda portò sugli schermi Il figlio di D’Artagnan che, guarda caso, anche se ispirato ai racconti di Dumas padre, è basato su un soggetto scritto dallo stesso Freda (anche se celato sotto lo pseudonimo di Dick Jordan). Probabilmente D’Artagnan ebbe un figlio, Dumas non ce lo dice, quindi chi è in grado di smentire Freda? Resta comunque il fatto che Freda, come Albertazzi fa rilevare su «Intermezzo», ha “sceneggiato alla garibaldina” il film tanto che “le fasi salienti dell’azione sono state svolte in maniera così incredibile da compromettere quello che poteva esserci di buono”9. Una pausa di qualche anno poi Vittorio Cottafavi ci riprova portando sullo schermo uno dei romanzi meno noti di Dumas padre, “Le bourreau de Lille” realizzando, nel 1952, Il boia di Lilla in cui i protagonisti principali sono Athos e Milady interpretati – in modo dignitoso – rispettivamente, da Rossano Brazzi e Yvette Lebon. È poi la volta di Joseph Lerner, di cui non si sa nulla anche se qualcuno lo indica come un fantomatico regista americano (probabilmente è lo pseudonimo di qualcuno
8 Aldo Bernardini in Il cinema muto italiano 1905-1909 riporta un I tre moschettieri di Mario Caserini, prodotto dalla Cines nel 1909 e Vittorio Martinelli in Il cinema muto italiano 1919 riporta un I quattro moschettieri di Filippo Costamagna, prodotto dalla Albertini Film di Torino nel 1919. Non risultano altri film italiani con i personaggi inventati da Dumas fino al 1949. 9 A. Albertazzi, in «Intermezzo», n. 13, 15 apr. 1950.
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Eroi di mille avventure
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che non si voleva far riconoscere, ma che molti indicano, anche se lui lo ha negato più volte, in Mauro Bolognini), che nel 1954 realizza I cavalieri della Regina che è il racconto classico dei tre moschettieri che tutti conoscono. In realtà si tratta del primo di quattro episodi di un serial, prodotto dalla Thetis Film, che avrà un seguito in Gli sparvieri del re, dello stesso anno, Le avventure dei tre moschettieri, sempre dello stesso misterioso Joseph Lerner, portato sugli schermi l’anno seguente, e La spada imbattibile del 1957, questa volta diretto da Hugo Fregonese. Si tratta di lavori modesti e di poche pretese, ma il pubblico non fece alcuna distinzione sul valore artistico delle pellicole apprezzando i duelli di Jeff o Jeffrey Stone nel ruolo di D’Artagnan. Nel 1959 Siro Marcellini, che è anche autore del soggetto, dirige I Cavalieri del diavolo che, naturalmente sono i quattro moschettieri, solo che a guidarli non è D’Artagnan, ma un certo Riccardo, interpretato dall’ormai noto Frank Latimore, per salvare la bella Luisa di Valency, con le sembianze di Gianna Maria Canale, insidiata dal perfido Duca di Vars. Ormai il ghiaccio è rotto e, lasciati da parte i romanzi di Dumas padre, soggettisti e sceneggiatori si scatenano a chi inventa storie sempre più fantasiose e avventurose con protagonisti i moschettieri del re. Così Siro Marcellini ci riprova tre anni dopo, nel 1962, con Il colpo segreto di D’Artagnan in cui i nostri eroi si trasformano in altrettanti Zorro, marchiando la fronte dei loro nemici con la punta delle spade. Non paghi di raccontare storie esaltanti di un eroe ormai consolidato come il mitico D’Artagnan, il vecchio e celebre Abel Gance scomoda anche Edmond Rostand nel film Cyrano e D’Artagnan del 1963 in una coproduzione italo-francese con il Cadetto di Guascogna José Ferrer e il Moschettiere del Re Jean-Pierre Cassel. I produttori, memori del successo ottenuto una decina di anni prima, nel 1951 da José Ferrer nel film di Michael Gordon Cyrano de Bergerac, vollero ripeterlo con questo ibrido cinematografico, e ci riuscirono. A conclusione del ciclo, sempre nello stesso anno, Fulvio Tului esordisce con la sua opera prima (e unica) D’Artagnan contro i tre moschettieri nel quale, a dispetto del titolo, dopo dissapori apparentemente insormontabili, i nostri amici finiscono per fare la pace e mantenere fede al loro motto “tutti per uno e uno per tutti”.
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Capitolo secondo
IL FIGLIO DI D’ARTAGNAN di Riccardo Freda
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Anno di edizione 1949 Produzione: Augustus Film, Api Film; Produttore: Umberto Montesi, Raffaele Colamonici; Soggetto: Dick Jordan; Sceneggiatura: Dick Jordan; Aiuto-regia: Valentino Trevisanato; Fotografia: Sergio Pesce; Montaggio: Roberto Cinquini; Suono: Umberto Picistrelli; Scenografia: Alberto Boccianti; Costumi: Maria De Matteis; Musica: Carlo Jacchino; Interpreti: Gianna Maria Canale, Piero Palermini, Carlo Ninchi, Franca Marzi, Paolo Stoppa, Peter Trent, Enzo Fiermonte, Nerio Bernardi, Ugo Sasso, Piero Tordi, Luigi A. Garrone, Miranda Campa, Furio Meniconi, Mario Meniconi; Durata: 86’. OSSERVAZIONI: Dick Jordan è lo pseudonimo di Riccardo Freda. LA STORIA: Perseguitato da un misterioso cavaliere che ha ucciso il priore del convento dove è novizio, Raoul D’Artagnan è deciso a trovare il colpevole. Lascia il saio e raggiunge il padre che sta dirigendo delle operazioni militari contro gli olandesi. Qui conosce un Duca e una graziosa fanciulla. Continuando nel suo proposito di rintracciare l’assassino del priore, oggetto di un attentato ordito dal misterioso cavaliere assassino. Fallito l’attentato, costui fa in modo che Raoul venga accusato di tradimento e condannato a morte. La sentenza non viene eseguita perché Raoul si offre per un’azione suicida, nel corso della quale ha modo di smascherare il vero traditore, che è il Duca, lo uccide in duello e viene riabilitato. LA CRITICA: «I soggetti avventurosi a sfondo storico hanno notevole importanza in un’industria cinematografica, ma vanno trattati con la cura necessaria ad evitare difetti assai più appariscenti che nei film basati su vicende di vita contemporanea. Questo film di Freda è sceneggiato alla garibaldina ed è proprio qui che si possono ritrovare le sue manchevolezze maggiori. Le fasi salienti dell’azione sono state svolte in maniera così incredibile da compromettere quello che ci poteva essere di buono nel lavoro». (A. Albertazzi, in «Intermezzo», n. 13, 15 apr. 1950). IL BOIA DI LILLA di Vittorio Cottafavi Anno di edizione 1952 Produzione: Produzione Venturini, Atlantis; Produttore: Giorgio Venturini, Nino Martegani; Direttore di produzione: Carlo Serrutini; Soggetto: tratto da Le bourreau de Lille di Alexandre Dumas padre; Sceneggiatura: Siro Angeli, Giorgio Capitani, Vittoriano Petrilli, Vittorio Cottafavi; Aiuto-regia: Giorgio Capitani; Fotografia: Vincenzo Seratrice; Montaggio: Renzo Lucidi; Suono: Nino Artuso; Scenografia: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Musica: Renzo Rossellini; Interpreti: Rossano Brazzi, Yvette Lebon, Armando Francioli, Jean Roger Caussimon, Raymond Cordy, Vittorio Sanipoli, Maria Grazia Francia, Massimo Serato, Nerio Bernardi, Enzo Fiermonte, Renato De Carmine, Nico Pepe, Lina Marengo, Ebe Vinc; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Studi Fert di Torino OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo dell’edizione francese è Milady et les Mousquetaires.
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Eroi di mille avventure
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LA STORIA: Una trama complicatissima che vede una “Lady” fuggire con un seminarista, farselo amante e sposare il conte de La Fère che, dopo aver saputo del suo non limpido passato, la vuole uccidere ed è convinto di averlo fatto. Finalmente, con 1’aiuto di de La Fère, divenuto nel frattempo moschettiere del re, finirà sul patibolo uccisa da un boia che, guarda caso, è il fratello del seminarista. LA CRITICA: «Ispirato alla storia e alle avventure dei famosi moschettieri di Dumas, Il boia di Lilla narra di un’avventura di quasi normale amministrazione, senza sollevarsi molto al di sopra della mediocrità. Gli interpreti fanno del loro meglio per rimanere a galla». (S. Nati, in «Intermezzo», n. 11/12, 30 giu. 1953). I CAVALIERI DELLA REGINA di Joseph Lerner (Mauro Bolognini) Anno di edizione 1954 Produzione: Thetis Film; Direttore di produzione: Elio Scardamaglia; Soggetto: tratto dal romanzo I tre moschettieri di Alexandre Dumas padre; Sceneggiatura: Ennio De Concini, Ivo Perilli, John Rich, Golfiero Colonna, Mauro Bolognini; Fotografia: Piero Ludovico Pavoni; Montaggio: Giancarlo Cappelli, Edmondo Lozzi; Scenografia: Alfredo Montori; Arredamento: Elso Valentini; Musica: Mario Nascimbene; Interpreti: Jeff Stone, Domenico Modugno, Sebastian Cabot, Paul Campbell, Marina Berti, Tamara Lees, Paul Müller, Paola Borboni, Enzo Fiermonte, Roldano Lupi, Gianni Cavalieri, Carlo Rizzo, Alfredo Rizzo, Edmond Ryan, Michael Tor, Liana Del Balzo, Alessandro Fersen, Carlo Giustini; Durata: 80’. Produzione realizzata negli Studi della Titanus. OSSERVAZIONI: Quasi tutte le fonti danno Mauro Bolognini come co-regista o, addirittura, come unico regista. Secondo Chiti e Poppi, nel più volte citato Dizionario del cinema italiano, Bolognini in un’intervista negò la propria collaborazione al film, se non come aiuto, molto marginale, del regista. LA STORIA: D’Artagnan e i tre moschettieri ricevono dalla Regina di Francia l’incarico di scortare dalla Spagna a Parigi l’Infanta, promessa sposa del Delfino Luigi. Ma gli sgherri del Principe di Condé ne seguono i movimenti e, prima dell’arrivo dei moschettieri alla frontiera, rapiscono l’Infanta e mettendo al suo posto, nella carrozza che i moschettieri prendono in consegna, la contessa di Lebrun, amante di Condé. In attesa di scoprire dove si trova l’Infanta i moschettieri portano a corte Jacqueline, una giovane popolana che viene fatta passare per la principessa. Saputo che la vera Infanta è prigioniera nel castello della contessa di Lebrun, i moschettieri vi si precipitano, ma vengono sopraffatti e imprigionati. Intanto la Regina è in pericolo minacciata da Condé. In soccorso dei moschettieri arriva una compagnia di spagnoli che li aiutano a liberare l’Infanta, a ristabilire l’ordine e ad essere premiati dalla Regina. LA CRITICA: «Se non avesse l’handicap di un soggetto trito e ritrito avrebbe potuto essere un film discreto». (E. Fecchi, in «Intermezzo», n. 18, 30 set. 1955). «Si tratta di un’ennesima rifrittura delle avventure dei moschettieri. La vicenda è confusa, piena di inveroisimiglianze e d’incongruenze. Mediocri la regia e la recitazione, passabile il colore». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXXVII, Anno 1955, Roma 1955, p. 146).
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Capitolo secondo
LE AVVENTURE DEI TRE MOSCHETTIERI di Joseph Lerner
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Anno di edizione 1955 Produzione: Thetis Film; Soggetto: liberamente tratto dal romanzo I tre moschettieri di Alexandre Dumas padre; Sceneggiatura: Mark Druk, Martin Stern; Fotografia: Pier Ludovico Pavoni; Montaggio: Giancarlo Cappelli, Edmondo Lozzi; Scenografia: Enzo Valentini; Costumi: Safas; Maestro d’armi: Enzo Musumeci Greco; Musica: Mario Nascimbene; Interpreti: Paul Campbell, Domenico Modugno, Sebastian Cabot, Peter Trent, Dawn Addams, Edmund Rayan, Irene Papas, Helen Blake, Enzo Fiermonte, Victor De La Fosse; Durata: 84’. Produzione realizzata negli Studi della Titanus. OSSERVAZIONI: Il film fa parte di un serial (il primo della serie era I cavalieri della regina v.), dedicato ai personaggi inventati da Dumas. Uscì sugli schermi nel 1957 con notevole ritardo. LA STORIA: Il Re di Francia ordina ai quattro moschettieri di riportare in Francia la Duchessa spagnola di Manté, rapita dal Duca Pellettier e portata nel suo castello di Monteverde per sposarla. Con la complicità del prete officiante delle nozze, i quattro penetrano nel castello, ma sono sopraffatti dai soldati del Duca. Portati al suo cospetto apprendono che anche lui vorrebbe sbarazzarsi della donna avida solo di ricchezze. Spacciandosi per ricchissimi gentiluomini, i quattro convincono la Duchessa a seguirli, ma fuori dal castello le rivelano la loro identità. Poiché la Regina non vuole la Duchessa a corte, i quattro moschettieri la riaccompagnano in Spagna. Ma presto debbono tornarvi per consegnare al fratello della Duchessa dei documenti compromettenti. Dopo varie traversie riescono nell’impresa. LA CRITICA: «Si tratta di un lavoro semplicistico ed ingenuo». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLII, Anno 1955, Roma 1957, p. 34). LA SPADA IMBATTIBILE di Hugo Fregonese Anno di edizione 1957 Produzione: Thetis Film; Soggetto: liberamente tratto dal romanzo I tre moschettieri di Alexandre Dumas padre; Sceneggiatura: Mark Druk; Fotografia: Pier Ludovico Pavoni; Montaggio: Giancarlo Cappelli, Edmondo Lozzi; Scenografia: Enzo Valentini; Costumi: Safas; Maestro d’armi: Enzo Musumeci Greco; Musica: Mario Nascimbene; Interpreti: Jeffrey Stone, Paul Campbell, Sebastian Cabot, Peter Trent, Domenico Modugno, Enzo Fiermonte, Irene Papas, Victor De La Fosse; Durata: 83’. Produzione realizzata negli Studi della Titanus. OSSERVAZIONI: Altro episodio del serial dedicato ai personaggi inventati da Dumas prodotti dalla Thetis Film (v. I cavalieri della regina e Le avventure dei tre moschettieri). LA STORIA: Un cortigiano fedele al Re muore in circostanze misteriose e D’Artagnan sospetta del Marchese di Sasquinet. Costui passa al contrattacco e D’Artagnan deve guardarsi dagli sgherri del Marchese. Salva Maria de Foix dalle grinfie del capo della Banda degli “In-
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Eroi di mille avventure
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cappucciati”, che fa capo al Marchese, e trovate le prove della colpevolezza di quest’ultimo, convince il Re a fare giustizia mentre lui trova la serenità con Maria. LA CRITICA: «Si tratta di un lavoro modesto. La trama è un succedersi di duelli, di cavalcate, di tirate retoriche. Recitazione convenzionale». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLII, Anno 1957, Roma 1957, p. 90). I CAVALIERI DEL DIAVOLO di Siro Marcellini Anno di edizione 1959 Produzione: Galassia Film; Produttore: Giulio Fiaschi; Direttore di produzione: Ilo Rovelli; Soggetto: Siro Marcellini; Sceneggiatura: Carlo Alberto Chiesa, Siro Marcellini; Aiuto-regia: Franco Baldanello; Fotografia: Luciano Trasatti; Montaggio: Edmondo Lozzi; Suono: Adriano Taloni; Scenografia: Oscar D’Amico; Costumi: Maria Luisa Panaro; Maestro d’armi: Andrea Fantasia; Musica: Carmine Rizzo; Interpreti: Frank Latimore, Gianna Maria Canale, Emma Danieli, Antonio De Teffé, Andrea Aureli, Gabriella Pallotta, Mirko Ellis, Andrea Fantasia, Loris Gizzi, José Jaspe, Federica Ranchi, Pasquale De Filippo, Carlo Bressan, Nino Musco, Regina Dainelli, Fedele Gentile, Nunzio Gallo; Durata: 90’. LA STORIA: Nel 1555 la Francia è in preda al caos più totale. Alla corte di Enrico II domina la moglie Caterina de’ Medici con i suoi intrighi. Nel Sud gli Ugonotti spingono i nobili a staccarsi dalla autorità reale e, nel Delfinato, il Duca di Vars tenta di impadronirsi della regione e di sposare Luisa di Valency. Ma Luisa non acconsente e quando ritorna in patria Riccardo, reduce dalla guerra di Spagna, lo invita a lottare con lei contro il Duca. Riccardo accetta e con l’aiuto dei quattro moschettieri uccide il Duca dopo un aspro duello. LA CRITICA: «Il lavoro ricalca i noti schemi, propri dei film di cappa e spada, ma la scenografia e i costumi sono curati in modo particolare. Discreta regia e interpretazione». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLVI, Anno 1959, Roma 1959, p. 90). IL COLPO SEGRETO DI D’ARTAGNAN di Siro Marcellini Anno di edizione 1962 Produzione: Liber Film, Les Films Agiman; Produttore: Ottavio Poggi; Direttore di produzione: Nino Battiferri; Soggetto: Ottavio Poggi; Sceneggiatura: Ottavio Poggi, Milton Krims; Aiutoregia: Filiberto Flaschi; Fotografia: Alvaro Mancori; Montaggio: Roberto Cinquini; Suono: Franco Groppioni; Scenografia: Amedeo Mellone; Arredamento: Ernest Kromberg; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Maestro d’armi: Franco Fantasia; Musica: Carlo Rustichelli; Interpreti: George Nader, Mario Petri, Magali Noël, Georges Marchal, Alessandra Panaro, Franco Fantasia, Raf Baldassarre, Giulio Marchetti, Andrea Fantasia, Romano Giomini, Piero Pastore, Massimo Serato; Durata: 94’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo dell’edizione francese è Le secret de D’Artagnan.
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Capitolo secondo
LA STORIA: Nella Parigi del 1632, il Cardinal Richelieu incarica D’Artagnan e Porthos di smascherare gli organizzatori di una congiura contro il Re di Francia. I due scoprono il loro nascondiglio e D’Artagnan assicura il Cardinale che riconoscerà i capi della congiura dal segno che farà con la punta della spada sulla loro fronte. I due moschettieri sorprendono i congiurati nel palazzo del Duca di Montersan e tengono fede alla promessa fatta al Cardinale marchiando la fronte dei capi della rivolta dopo aspri e movimentati duelli. LA CRITICA: «Deludente film di cappa e spada, zeppo di ingenue bravate e di luoghi comuni». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LII, Anno 1962, Roma 1962, p. 109). CYRANO E D’ARTAGNAN di Abel Gance Anno di edizione 1963 Produzione: GE.SI. Cinematografica, C.C. Champion, Circe Prod., Costantini Film, Agata Film; Produttore: Maleno Malenotti, Carlo Ponti, Nino Costantini; Regia 2ª unità: Nelly Kaplan; Direttore di produzione: Luigi Ceccarelli, Armand Becué; Soggetto: tratto dai romanzi di Alexandre Dumas e dal Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand; Sceneggiatura: Abel Gance; Aiuto-regia: Maurizio Lucci, Louis Pascal; Fotografia: Otello Martelli, Raymond Picon-Borel; Montaggio: Eraldo Da Roma; Suono: Ivo Benedetti; Scenografia: Jean Douarinou; Arredamento: Mario Rappini; Costumi: Dario Cecchi; Maestro d’armi: Enzo Musumeci Greco; Musica: Michel Magne; Interpreti: José Ferrer, Jean-Pierre Cassel, Sylva Koscina, Daliah Lavi, Philippe Noiret, Ivo Garrani, Laura Valenzuela, Rafael Rivelles, Michel Simon, Julian Mateos, Gabrielle Dorziat, Henri Cremieux, Polidor, Carlo Dori, Massimo Pietrobon, Mario Passante, Guy Henry, Robert Morel, Vanni Lisenti, Bartha Barri, Davide Montemurri, André Lauriault, Vincent Parca, Josette La Roche, Fernando Cebrian, Diego Michelotti; Durata: 133’. Produzione realizzata negli Studi Cosmopolitan di Tirremia OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo dell’edizione francese è Cyrano et D’Artagnan. LA STORIA: Cyrano e D’Artagnan giunti a Parigi si arruolano rispettivamente nei Cadetti di Guascogna e nei Moschettieri del Re. Ben presto si impongono per il coraggio con il quale si battono contro gli uomini di Richelieu. Nel corso di una festa conoscono due celebri cortigiane di cui si innamorano. Ma il caso vuole che Cyrano si accompagni alla donna amata da D’Artagnan e viceversa. Alla fine l’equivoco è chiarito e le due coppie coronano il loro sogno d’amore. LA CRITICA: «Tutti i personaggi più pittoreschi collocati dalla storia o dalla fantasia letteraria nella Francia del XVII secolo sono concentrati in questo film di Abel Gance, il più anziano patriarca della regia cinematografica a grande spettacolo. Se il racconto avesse contenuto entro limiti più ragionevoli il miscuglio di motivi parodistici e farseschi, avventurosi e piccanti, non sarebbe privo di un certo piglio spiritoso e godibile, come attestano molte movimentate sequenze specie nella prima parte, condotte all’estremo assurdo. Invece esso si stempera via via in troppe appendici marginali e il giuoco, quantunque sempre abbastanza effervescente, finisce col mostrare la corda al limite di rottura. Resta da segnalare il variopinto grottesco della recitazione di José Ferrer, al quale Jean-Pierre Cassel non riesce ad adeguarsi,
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Eroi di mille avventure
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e tanto meno Daliah Lavi e Sylva Koscina». (L.[eonardo] A.[utera], Film usciti a Roma dal I°-VIII al 30-IX-1963, in «Bianco e Nero», n. 11, nov. 1963). D’ARTAGNAN CONTRO I TRE MOSCHETTIERI di Fulvio Tului Anno di edizione 1963 Produzione: Jonia Film; Produttore: Felice Felicioni; Direttore di produzione: Fernando Felicioni; Soggetto: Tito Carpi, Roberto Gianviti; Sceneggiatura: Tito Carpi, Roberto Gianviti; Aiuto-regia: Albertro Cardone; Fotografia: Oberdan Trojani; Montaggio: Antonietta Zita; Scenografia: Alfredo Montori; Arredamento: Camillo Del Signore; Costumi: Vera Marzot; Maestro d’armi: Franco Fantasia; Musica: Carlo Savina; Interpreti: Fernando Lamas, Walter Barnes, Roberto Risso, Franco Fantasia, Gloria Milland, Gabriele Antonini, Andreina Paul, Piero Lulli, Ugo Sasso, Carla Calò, Ignazio Leone, Romano Ghini, Carlo Lombardi, Fedele Gentile, Franco Ressel, Andrea Fantasia, Enzo Maggio, Benito Stefanelli, Lepoldo Valentini, Anita Todesco; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Studi Incir-De Paolis. LA STORIA: Il Cardinale Mazzarino progetta di far sposare Olimpia Mancini, sua nipote, con Carlo II d’Inghilterra, ospite alla corte di Parigi, ma il giovane non accetta e si rifugia nel castello del Principe di Condé, avversario di Mazzarino. Il Cardinale ordina a D’Artagnan di ricondurre il giovane Re a Parigi. D’Artagnan cerca allora i suoi vecchi compagni i quali, però, pensano che riconsegnare il Re a Mazzarino sia una mossa sbagliata. Così, all’insaputa di D’Artagnan rapiscono Carlo II ma, a sua volta, D’Artagnan lo rapisce ai suoi tre ex compagni e lo accompagna a Parigi. I tre moschettieri fanno fuggire Carlo II dalle prigioni di Mazzarino e riescono ad informare la Regina delle intenzioni del Cardinale. La Regina promette a Carlo II di aiutarlo a tornare sul trono, ma Olimpia Mancini fa a sua volta rapire Carlo II e lo consegna agli emissari del dittatore Cromwell. D’Artagnan e i tre moschettieri, riconciliatisi, inseguono gli inglesi, li sconfiggono, liberano il Re d’Inghilterra e vengono premiati dalla Regina LA CRITICA: «Una modesta storia avventurosa che ricorda i soliti schemi del film di cappa e spada. Anche se condotta con mestiere, l’opera si mantiene costantemente su un piano di mediocrità. Buoni il colore e la fotografia». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LIV, Anno 1963, Roma 1963, p. 148).
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Capitolo secondo
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4. All’ombra della Serenissima Un altro filone interessante del cinema storico-avventuroso è il genere “veneziano”, cosiddetto perché ambientato nella Venezia dei Dogi. Questo genere, a differenza di quello dei moschettieri, affonda le sue origini negli anni Trenta per poi proseguire negli anni Quaranta e Cinquanta, e infine esaurirsi all’inizio degli anni Sessanta. Il calo di interesse da parte di produttori e registi, come abbiamo già scritto, fu determinato dall’apparire, negli anni Sessanta e Settanta, del Western e dai polizieschi “all’italiana”. Quello che è curioso è che l’anno in cui è uscito l’ultimo film del genere “veneziano” coincide con quello dell’ultimo film dei moschettieri: il 1963. Si può notare una certa continuità nei film anteguerra con quelli postbellici. E non solo per la coerenza registica (Carlo Campogalliani dirige un film nel 1941 e un altro nel 1946), ma anche per quanto riguarda la produzione (la Scalera ne produce cinque prima della guerra e uno dopo la guerra) e i soggetti (dal romanzo Il fornaretto di Francesco Dall’Ongaro sono stati tratti tre film, uno nell’anteguerra e due nel dopoguerra, così come da Le Pont des Soupirs di Michel Zévaco: uno nell’anteguerra e due nel dopoguerra). Molti di questi film non sono banali e scontati come invece è accaduto per i film di avventure che abbiamo già esaminato nelle pagine precedenti, anzi qualcuno ha un certo valore come, ad esempio, Il Fornaretto di Venezia del 1939 di Duilio Coletti che firma il film con lo pseudonimo John Bard. Ci sembra interessante l’entusiastico giudizio che Cesare Zavattini riporta su «Tempo»: “Venezia, sogno e incubo di tanti cinematografari, fa da scenario con grande naturalezza, senza i soliti pali dall’ombra che tremola nell’acqua. C’e una festa di gondole che richiama la fantasia tranquillizzante del Canaletto. Il lungo elenco degli attori non poteva essere composto più ragionatamente e gustosamente di così. Enrico Glori entrato ormai nei classici come fellone, Elsa De Giorgi ringiovanita e tenerissima, Osvaldo Valenti quasi danzante per la giustificata sicurezza di sé, Roberto Villa troppo adolescente ma disinvolto ed appassionato”10. Un’altra versione del Fornaretto è quella di Giacinto Solito che appare sugli schermi nel 1952 con il titolo La storia del Fornaretto di Venezia. La parte dello sfortunato giovane è affidata a Marco Vicario che diventerà poi regista (famosi I sette uomini d’oro e Il grande colpo dei sette uomini d’oro) e marito di Rossana Podestà che ha diretto in molti film. Ma a parte questa novità il film è ben lontano dall’essere paragonato al film di Coletti. La terza e ultima versione di questo soggetto è di Duccio Tessari una decina di anni dopo, nel 1962, che riprende il titolo della prima versione del film, Il Fornaretto di Venezia. Interpretata da Jacques Perrin, nella parte del Fornaretto, il film si distacca dalle versioni precedenti per il suo contenuto sociale e politico con il quale tenta di trovare un aggancio con la contemporaneità. Torniamo al 1940 con il film di Mario Bonnard Il Ponte dei Sospiri. Ottimo il cast e buona la recitazione di tutti gli attori, ma Bonnard cade nell’errore, accuratamente evitato da Coletti, di rappresentare una Venezia di maniera, da cartolina illu10
Cesare Zavattini, in «Tempo», n. 23, 2 nov. 1939.
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Eroi di mille avventure
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strata ad uso e consumo turistico, che serve solo a sdrammatizzare, anziché accrescere la tensione del film. Un pochino meglio va Antonio Leonviola con la sua versione del 1952 (che a differenza del film di Bonnard si distacca molto dal romanzo da cui dovrebbe essere tratto il soggetto e che è una delle cause per cui il regista voleva rifiutarne la paternità). Infatti il suo Sul Ponte dei Sospiri si può associare ad uno dei tanti film di cappa e spada con il solito Frank Latimore che è adatto quasi esclusivamente ai ruoli in cui deve incrociare la spada. Dodici anni dopo (curioso che se ne facesse una versione ogni dodici anni), nel 1964, Piero Pierotti, questa volta fedele al romanzo, ci presenta la sua versione de Il Ponte dei Sospiri. L’unica nota di rilievo è che il film è a colori, per il resto, sia la conduzione registica che l’interpretazione degli attori, sono indubbiamente scarse. Nel 1941, sempre negli studi della Scalera Film, viene prodotto Il Bravo di Venezia di Carlo Campogalliani che riesce a realizzare un film interessante, pieno di tensione e bene interpretato da uno statico (come al solito) Rossano Brazzi, qui nella parte, e accolto favorevolmente dal pubblico. Nel 1942 Corrado D’Errico esce con una doppietta: Capitan Tempesta e Il Leone di Damasco. I film sono stati girati contemporaneamente in quanto costituenti un dittico tratto dai romanzi omonimi salgariani ed entrambi attribuiti a D’Errico che in effetti iniziò a girarli, ma non riuscì a portarli a termine perché morì all’improvviso prima che i film fossero terminati. A concluderli furono chiamati rispettivamente Umberto Scarpelli e Enrico Guazzoni. Nonostante l’intervento a più mani (si pensi che Capitan Tempesta fu addirittura iniziato da Hans Hinrich prima di essere affidato a D’Errico), i due film sono molto ben fatti e procedono con piglio serrato e convincente, come pure l’interpretazione di Carlo Ninchi (“Il Leone di Damasco”) e Carla Candiani (“Capitan Tempesta”) sono del tutto convincenti. I due Foscari del 1942 di Enrico Fulchignoni, tratto dal dramma di George Byron, è molto ben diretto da un regista alla sua prima ed unica prova registica in un lungometraggio. Buone le interpretazioni di Carlo Ninchi e Rossano Brazzi (i due Foscari) e di Elli Parvo che assicurano il successo di pubblico, e in parte della critica. Cinque anni dopo nel 1947, Max Calandri ritorna sul tema e realizza Sangue a Cà Foscari con Massimo Serato, ma il film non si eleva sopra i livelli dei film del genere, anzi l’interpretazione non migliora certo la banalità delle riprese della rappresentazione turistica di Venezia. L’ultimo film della Scalera di genere “veneziano” appare nel 1946 per mano di Carlo Campogalliani ed è La gondola del diavolo che è un complicato (e alquanto ingenuo) film giallo ambientato nella Venezia dei Dogi. Nel 1949 l’inglese John Brahm, coadiuvato da Marino Girolami, dirige Il ladro di Venezia, una coproduzione italo-britannica che avrebbe dovuto essere un colossal di imitazione hollywoodiana, invece il risultato fu piuttosto fiacco e banale nonostante l’impegno di Maria Montez nel mostrare le sue fattezze e quello di Paul Christian e Massimo Serrato nell’esibirsi in abili duelli. È Gianni Puccini a realizzare nel 1951 Il Capitano di Venezia con l’intento di elevare il livello dei film prodotti fino a quel momento ma, purtroppo ciò che ne risulta è un pasticciaccio che spesso cade nel ridicolo e a nulla vale avere affidato a Leonardo Cortese il ruolo del protagonista togliendolo all’inflazionato Massimo Serato, il film ci mostra «una vicenda farraginosa, complicata e confusa, realizzata medio-
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Capitolo secondo
cremente. Ambientato nel secolo XIII, il film non teme di presentare una Venezia ricca di campanili settecenteschi e perfino di parafulmini e di antenne radio»11. Non bastava scomodare Byron per I Due Foscari, ci si mette anche Pierre Billon che, nel 1952, con una produzione italo-francese, chiama in causa William Shakespeare e porta sullo schermo Il mercante di Venezia. Ma nonostante l’impegno di Michel Simon, nella parte del mercante, e lo stuolo di bravi attori che lo circondano, il film risulta freddo e svolto teatralmente. Nello stesso anno Max Calandri, celatosi sotto lo pseudonimo di William French, torna al cappa e spada con un film tutto leggerezza, tranne che per il protagonista, Vasito Bastino, piuttosto goffo; si tratta del film Il moschettiere fantasma. Nel 1953 Gian Paolo Callegari, scrittore e sceneggiatore di successo alla sua seconda fatica registica, realizza I Piombi di Venezia, con scarso successo. Il film sparì ben presto dalle sale e le speranze che molti critici avevano riposto su Callegari svanirono (farà altri quattro film con intervalli lunghissimi gli uni dagli altri) L’attore Roberto Mauri, che esordì nella regia nel 1958 realizzando oltre una ventina di film di genere di serie B, realizza nel 1963 Il piarata del diavolo coprodotto con la Yugoslavia, interpretato da Richard Harrison e consistente in uno sconclusionato fumetto. Sempre nello stesso anno Pino Mercanti, abile e poliedrico confezionatore di film di genere avventuroso, sentimentale, western e poliziesco, è l’autore del film Il vendicatore mascherato che, nel suo genere, è discretamente divertente e portato avanti con mestiere e fantasia. La stessa cosa si può dire per Il boia di Venezia, sempre del 1963, di Luigi Capuano, altro regista dalle caratteristiche e capacità di abile confezionatore di storie avventurose, drammatiche e sentimentali che, con buon mestiere, affronta le svariate situazioni e intrighi ordite contro il protagonista del suo film. È sempre Capuano, nello stesso anno, a chiudere il ciclo di film “veneziani” con Il Leone di San Marco che, con buon mestiere, porta il protagonista, Gordon Scott, a sconfiggere i nemici della Serenissima e a sposare la sua Rossana interpretata da una inespressiva Gianna Maria Canale.
11 Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXXVIII, Anno 1955, Roma 1955, p. 52.
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IL FORNARETTO DI VENEZIA di John Bard
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Anno di edizione 1939 Produzione: Vi.Va.; Direttore di produzione: Max Calandri; Soggetto: Luciano Doria, tratto dal dramma Il fornaretto di Francesco Dall’Ongaro; Sceneggiatura: Tomaso Smith; Aiutoregia: Primo Zeglio; Fotografia: Jan Stallich; Montaggio: Maria Rosada; Suono: Umberto Picistrelli; Scenografia: Enrico Verdozzi, Antonio Taglioni; Arredamento: Umberto Paolini; Costumi: Bianca Bacicchi; Musica: Piero Giorgi; Interpreti: Roberto Villa, Elsa De Giorgi, Clara Calamai, Osvaldo Valenti, Enrico Glori, Gero Zambuto, Carlo Tamberlani, Letizia Bovini, Ermanno Roveri, Renato Chiantoni, Stefano Sibaldi, Cesare Polacco, Mario Ersanilli, Carlo Mariotti, Cesare Zoppetti; Durata: 73’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. OSSERVAZIONI: John Bard è lo pseudonimo usato da Duilio Coletti come trovata pubblicitaria della produzione. LA STORIA: A Venezia, durante il Rinascimento il grande Inquisitore, sospettando che sua moglie se la intenda col proprio cugino, incarica un suo bravo di ucciderlo. Poco prima del delitto il figlio di un fornaio, detto il Fornaretto, aveva minacciato il cugino della moglie dell’Inquistore perché sospettava che gli insidiasse la fidanzata. Poiché il mattino successivo al delitto il Fornaretto viene trovato nei pressi del cadavere con nella gerla il fodero del pugnale con cui è stato ucciso l’uomo, e quindi viene accusato dell’omicidio. Mentre l’Inquisitore sta per pronunciare la sentenza di morte un patrizio che ha scoperto la verità denuncia il vero colpevole e l’Inquistore, sentendosi perduto, si uccide. LA CRITICA: «Il film […] è venuto fuori di primissimo ordine […]. Guizzar di lame, sgorgar di lacrime, balenar d’occhiate. È una filastrocca che potrebbe descrivere il film meglio di qualunque critica ma che forse non saprebbe rendergli l’onore che merita. Onore che bisogna rendere anche all’operatore il quale, ad esempio, nella scena di amore e di riconciliazione che ha lugo nel carcere e nel duello tra il Loredano e il Mocenigo ha saputo manovrare luci e ombre con rara perizia». (Paola Oietti, in «Film», n. 43, 28 ott. 1939). IL PONTE DEI SOSPIRI di Mario Bonnard Anno di edizione 1940 Produzione: Scalera Film; Direttore di produzione: Cesare Zanetti; Soggetto: tratto dal romanzo Le Pont des Soupirs di Michel Zévaco; Sceneggiatura: Tomaso Smith, Mario Bonnard; Aiuto-regia: Camillo Apolloni; Fotografia: Massimo Terzano; Montaggio: Eraldo Da Roma; Suono: Piero Cavazzuti; Scenografia: Gustavo Aber; Costumi: Domenico Gaido; Musica: Giulio Bonnard; Interpreti: Paola Barbara, Mariella Lotti, Otello Toso, Giulio Donadio, Elli Parvo, Adele Garavaglia, Virgilio Riento, Erminio Spalla, Bella Starace Sainati, Giorgio Capecchi, Giacomo Meschini, Nicola Maldacea, Dino Di Luca, Emilio Petacci, Renato Chiantoni, Raimondo Van Riel, Carola Lotti; Durata: 107’. Produzione realizzata negli Studi della Scalera Film. LA STORIA: Un capitano della Serenissima viene ingiustamente condannato a morte con
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Capitolo secondo
false accuse per invidia e gelosia. Riesce ad evadere saltando dal Ponte dei Sospiri e cerca di scoprire chi lo ha accusato ingiustamente per riscattare il proprio onore. Il Doge, che non ha mai creduto alla sua colpevolezza, assume l’inchiesta e viene a scoprire che il vero colpevole è il marito di sua figlia. Il capitano viene riabilitato e gli viene affidato il comando di una spedizione contro i turchi, Il giovane parte con nell’animo la promessa d’amore della figlia del Doge sposata, contro la sua volontà, con chi lo aveva accusato. LA CRITICA: «Il Ponte dei Sospiri condensa in un’ora e mezza di spettacolo quella ricchezza di scene, quella abbondanza di colori, quella vera e propria opulenza di ambientazione, che i film di quindici o venti anni fa erano usi diluire in diversi episodi che duravano settimane di programmazione. […] Tra gli attori la Elli Parvo e Riento con le loro parti di secondo piano ci sono sembrati i migliori e quelli che più di ogni altro danno sapore completo ed efficace alle scene che costruiscono. […] La retoricità del finale, le cui inquadrature cadono nell’illustrazione pomposa, rappresenta il maggior difetto del lavoro». (Giuseppe Isani, in «Cinema», n. 87, 10 feb. 1940). IL BRAVO DI VENEZIA di Carlo Campogalliani Anno di edizione 1941 Produzione: Scalera Film; Direttore di produzione: Cesare Zanetti; Soggetto: Carlo Campogalliani, Alberto Spaini; Sceneggiatura: Carlo Campogalliani, Alberto Spaini; Aiuto-regia: Ugo Amadoro; Fotografia: Otello Martelli; Montaggio: Eraldo Da Roma; Suono: Adolfo Alessandrini; Scenografia: Gustavo Abel, Amleto Bonetti; Arredamento: Paolo Reni; Costumi: Domenico Gaido, Rosi Gori; Musica: Umberto Mancini; Interpreti: Rossano Brazzi, Paola Barbara, Valentina Cortese, Gustav Diesel, Erminio Spalla, Emilio Cigoli, Carlo Duse, Romano Calò, Giacomo Meschini, Giulio Paoli, Cesare Fantoni, Giuseppe Pierozzi, Angelo Dessy, Pina Gallini, Achille Majeroni, Emilio Petacci, Eugenio Duse; Durata: 85’. Produzione realizzata negli Studi della Scalera Film. LA STORIA: Un gentiluomo, bandito in seguito a un delitto passionale, viene catturato e condannato a morte. Il Consiglio dei Dieci, che ha incarcerato con lui anche il figlio innocente, gli propone salva la vita, per sé e per suo figlio, se accetta l’incarico di Bravo di Venezia, una specie di boia segreto. Il gentiluomo decaduto accetta, ma una sera si trova davanti, quale vittima designata, il suo stesso figlio e, per salvarlo, perde la vita. Il figlio, riconosciuto in seguito innocente, può sposare l’amata fanciulla. LA CRITICA: «Il film come tale è riuscito. Piene di una folla di personaggi, come nei romanzi popolari della fine dell’Ottocento, le fila del racconto, il regista dimostra di averle sempre ben strette in pugno, e di saperle muovere con la necessaria efficacia. I casi dello sventurato Bravo riescono perfettamente a stimolare in questo film la platea e portarsela dietro entusiasta e piena di partecipazione fino agli eventi conlusivi». (Giuseppe Isani, in «Cinema», n. 127, 10 ott. 1941).
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CAPITAN TEMPESTA di Corrado D’Errico
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Anno di edizione 1942 Produzione: Scalera Film; Direttore di produzione: Cesare Zanetti; Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Emilio Salgari; Sceneggiatura: Alessandro De Stefani, Omar Salgari; Aiuto-regia: Tullio Covaz; Fotografia: Massimo Terzano; Montaggio: Eraldo Da Roma; Suono: Franco Robecchi; Scenografia: Gustavo Abel, Amleto Bonetti; Costumi: Rosi Gori; Musica: Amedeo Escobar; Interpreti: Doris Duranti, Dina Sassoli, Carlo Ninchi, Adriano Rimoldi, Annibale Betrone, Raffaele Rivelles, Erminio Spalla, Nicola Perchicot, Carlo Duse, Carla Candiani, Juan Calvo, Giovanni Onorato, Giulio Tempesti, Giulio Battiferri, Gina Moneta Cinquini, Emilio Petacci, Renato Chiantoni, Adriano Micantoni; Durata: 85’. Produzione realizzata in versione italiana e spagnola negli stabilimenti della Scalera Film di Roma. OSSERVAZIONI: Il film ha cambiato diversi registi durante la lavorazione. Dapprima Hans Hinrich, che si ritira e a lui subentra Corrado D’Errico che poi, deceduto durante la lavorazione, viene sostituito da Umberto Scarpelli. Raffaele Rivelles è lo spagnolo Rafael Rivelles e Nicola Perchicot è l’attore Nicolas Diaz Perchicot. Nella versione spagnola, il cui titolo è El capitan Tormenta, la parte di Carlo Ninchi è sostenuta da Luis Hurtado, e quella di Doris Duranti da Carmen Navascues. LA STORIA: Durante 1’assedio di Famagosta da parte dei turchi, 1’animosa figlia del Governatore Bragadin per salvare la fortezza assediata e per amore del fidanzato, Marcello Corner, incaricato dagli assediati d’una segreta missione presso la Serenissima, indossa la corazza e sotto il none di “Capitan Tempesta” compie prodigi di valore penetrando fin nel castello di Hussif, dove la bella Haradya, nipote del capo musulmano, seduce e sevizia i prigionieri veneziani tra i quali si trova anche l’amato Marcello Corner. In seguito ad una serie di avventurose vicende, grazie anche all’intervento del “Leone di Damasco”, nobile e cavalleresco combattente di parte turca, i due fidanzati possono coronare il loro sogno d’amore. LA CRITICA: «Fra le recenti riduzioni salgariane è certo, fino a oggi, la migliore. Perché ha il franco piglio di chi manipola questi fatti quasi sempre come 1’avventura per 1’avventura e questi uomini come burattini scaraventati ora a destra ora a sinistra dal volere di quell’avventura. Perché il racconto prosegue serrato senza concedersi mezzi toni; perché a un bel gesto di generosità fa puntualmente da controfigura il bieco fellone di turno […]. Il movimentatissimo film s’inquadra a Famagosta, durante 1’assedio che nel 1570 il governatore della Serenissima dovette sostenere contro il turco; e narra le prodezze di Capitan Tempesta, e del Leone di Damasco […]. Sono tra gli efficaci interpreti Doris Duranti, Carlo Ninchi, Adriano Rimoldi, Dina Sassoli, Carla Candiani ed Erminio Spalla, che macisteggia». (Mario Gromo, in «La Stampa», 5 feb. 1942). I DUE FOSCARI di Enrico Fulchignoni Anno di edizione 1942 Produzione: Scalera Film; Direttore di produzione: Cesare Zanetti; Soggetto: tratto dal dramma The Two Foscari di George Byron; Adattamento: Gaetano Campanile Mancini; Sce-
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Capitolo secondo
neggiatura: Michelangelo Antonioni, Mino Doletti, Enrico Fulchignoni; Aiuto-regia: Michelangelo Antonioni; Fotografia: Ubaldo Arata; Montaggio: Dolores Tamburini; Suono: Pietro Cavazzuti, Renato Ciancaleoni; Scenografia: Amleto Bonetti; Arredamento: Paolo Reni; Costumi: Rosi Gori, Domenico Gaido; Musica: Giuseppe Verdi; Direzione musicale: Fernando Previtali; Interpreti: Carlo Ninchi, Rossano Brazzi, Elli Parvo, Memo Benassi, Nino Crisman, Regina Bianchi, Cesare Fantoni, Erminio Spalla, Gero Zambuto, Carlo Duse, Egisto Olivieri, Arturo Bragaglia, Olga Solbelli, Ciro Berardi, Agnese Dubbini, Carlo Bressan, Marcella Toschi, Michele Ricciardini, Nino Marchesini, Giulio Battiferri, Grazia Lucenti, Felga Lauri; Durata: 85’. Produzione realizzata negli Studi della Scalera Film. LA STORIA: Le famiglie dei Foscari e dei Faredana sono insanabili nemiche. Il giorno dell’elezione di Francesco Foscari a Doge, il capo della famiglia Faredana muore di crepacuore. Il figlio ritiene responsabile della morte il Foscari e giura vendetta. Con la falsa testimonianza di un soldato, accusa Jacopo, figlio del neo eletto Doge, di alto tradimento. Arrestato, Jacopo Foscari viene rinchiuso ai Piombi, ma da qui riesce a fuggire. Riacciuffato viene accusato di un altro delitto: l’uccisione del giudice incaricato dell’istruttoria. Al processo, quando ormai tutto è perduto, il giovane Foscari riesce a dimostrare la sua innocenza. Ma la tensione è troppo forte per l’anziano genitore e, prima di poter riabbracciare il figlio ormai libero e scagionato, muore. LA CRITICA: «Era viva l’attesa di questo primo film di Folchignoni, già affermatosi come regista teatrale, un giovane che dovrebbe voler dire una sua parola; c’era forse anche da attendersene l’errore audace, o la pretesa più o meno polemica; il suo film, invece, ne è immune. Molto accurato, rivela una conoscenza del mestiere davvero rara in un esordiente; ma quel mestiere, anche se calibrato e sorvegliato, non esce per ora dalla convenzione e guida così sicuramente in porto un film dai toni sovente popolari, destinato a ineteressare il vasto pubblico, ma non ancora a rivelarci la personale e inconfondibile promessa di un nuovo regista; anche se qua e là siano evidenti alcune ricerche formali di composizione, ispirate da pittori veneti dell’epoca. […] Sovente fastosa la scenografia; le musiche verdiane sono state dirette dal Previtali». (Mario Gromo, in «La Stampa», 23 dic. 1942). IL LEONE DI DAMASCO di Corrado D’Errico Anno di edizione 1942 Produzione: Scalera Film; Direttore di produzione: Cesare Zanetti; Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Emilio Salgari; Sceneggiatura: Alessandro De Stefani, Omar Salgari; Fotografia: Massimo Terzano; Montaggio: Eraldo Da Roma; Suono: Tullo Parmegiani; Scenografia: Gustavo Abel; Arredamento: Amleto Bonetti; Costumi: Domenico Gaido; Musica: Amedeo Escobar; Interpreti: Doris Duranti, Carlo Ninchi, Adriano Rimoldi, Carla Candiani, Dina Sassoli, Raffaele Rivelles, Carlo Duse, Nicola Perchicot, Erminio Spalla, Nicolas Diaz Perchicot, Annibale Betrone, Rafael Rivelles, Giulio Battiferri, Renato Chiantoni, Vittorio Duse, Achille Majeroni, Emilio Petacci; Durata: 85’. Produzione realizzata in versione italiana e spagnola negli stabilimenti della Scalera Film di Roma.. OSSERVAZIONI: Vale, per quanto riguarda la regia, ciò che si è scritto a proposito del film Capitam Tempesta (v.), i due film, infatti, sono stati realizzati contemporaneamentea; l’unica differenza è data dal fatto che per la prima parte del dittico salgariano la regia è assunta da
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Umberto Scarpelli, mentre per la seconda è assunta da Enrico Guazzoni. Nella versione spagnola, il cui titolo è El León de Damasco, la parte di Carlo Ninchi è sostenuta, come nella prima parte del dittico, da Luis Hurtado, e quella di Doris Duranti da Carmen Navascues. Rafael Rivelles e Nicolas Diaz Perchicot partecipano ad entrambe le versioni. LA STORIA: Si tratta di un altro episodio dell’assedio di Famagosta da parte dei turchi. Al comandante la flotta vencziana in viaggio per recare aiuto agli assediati, viene rapito per mano dei turchi, l’amato figlioletto e il bimbo è preso in ostaggio per trattare la resa della città. Il “Leone di Damasco” valoroso e cavalleresco condottiero turco, è disgustato dalla slealtà dei propri compagni d’arme e, fattosi cristiano, passa nelle file del nemico. In un succedersi di avventure drammatiche e movimentate i turchi sono sconfitti, la città liberata e il bambino riconsegnato ai propri genitori. Il “Leone di Damasco” però pagherà con la vita il suo eroismo. LA CRITICA: «Per Il Leone di Damasco, che è il seguito di Capitan Tempesta, si dovrebbe ripetere quello che s’e detto a sazietà degli altri film salgariani, e ridiscutere se sia o no opportuno portare Salgari nel cinematografo. Non è il caso di farlo: basterà dire che questo film dimostra maggiore scioltezza ed esercizio rispetto a quelli precedenti; che la messinscena è più ricca; e che gli attori fanno bene, bene, s’intende, come è possibile in parti che nessuno saprebbe prendere troppo sul serio». (G[uido] P[iovene], in «Corriere della Sera», 16 apr. 1942). LA GONDOLA DEL DIAVOLO di Carlo Campogalliani Anno di edizione 1946 Produzione: Scalera Film; Direttore di produzione: Angelo Bianchini D’Alberico; Soggetto: Max Calandri, tratto da un’antica leggenda veneziana; Sceneggiatura: Marcello Pagliero, Carlo Campogalliani; Fotografia: Mario Albertelli, Antonio Marzari; Montaggio: Eraldo Da Roma; Suono: Alberto Caracciolo; Scenografia: Ottavio Scotti, Luigi Scaccianoci; Musica: Umberto Mancini; Interpreti: Carlo Lombardi, Loredana, Erminio Spalla, Nino Pavese, Alfredo Varelli, Flora Marino, Letizia Quaranta, Carlo Micheluzzi, Mario Sailer, Giorgio Piamonti, Giorgia Piccoli, Giorgio Malvezzi, Cristina Veronesi, Edgardo Pellegrini; Durata: 101’. Produzione realizzata negli Studi della Scalera Film. LA STORIA: Nella Venezia ducale, suscita scalpore una serie di delitti compiuti di notte in modo misterioso e coincidenti col passaggio di una gondola che la fantasia popolare chiama la “gondola del diavolo”. I sospetti cadono su un gondoliere fino a poco tempo prima disoccupato e che ora dispone di molto denaro di cui asserisce di non poter rivelare la fonte. Anche la figlia sospetta del padre e quando il padre del suo fidanzato viene assassinato, ella confida alla futura suocera i suoi sospetti. In seguito il fidanzato della ragazza viene imprigionato perché viene trovato accanto a un’ennesima vittima, tuttavia riesce a fuggire e a rintracciare il vero colpevole che è il cancelliere del Doge. LA CRITICA: «La sceneggiatura non è certo pregevole, ed il film risulta quindi frammentario nella sua narrazione. Molte sono le puerilità e molto pure “il vecchio stile”, ma tuttavia il film si segue abbastanza volentieri». (L’Operatore, in «Intermezzo», n. 3, 15 feb. 1948).
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Capitolo secondo
SANGUE A CA’ FOSCARI di Max Calandri
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Anno di edizione 1947 Produttore: Giovanni Proto; Direttore di produzione: Angelo Bianchini D’Alberico; Soggetto: Max Calandri; Sceneggiatura: Max Calandri, Gian Maria Cominetti; Fotografia: Giuseppe Caracciolo; Scenografia: Luigi Scaccianoce; Musica: Umberto Mancini; Interpreti: Massimo Serato, Inge Borg, Loredana, Giuseppe Rinaldi, Erminio Spalla, Carlo Lombardi, Carlo Micheluzzi, Tatiana Farnese, Silvia Manto, Giulio Oppi, Attilio Ortolani, Max Breier, Cristina Veronesi; Durata: 80’. LA STORIA: I Visconti cercano di fare eleggere Doge di Venezia un loro fido, ma un cavaliere mascherato, il “Cavaliere della rosa”, si oppone a questi intrighi. Con l’aiuto di una donna, i Visconti riescono a conoscere la vera identità del Cavaliere e, accusandolo falsamente di assassinio, lo fanno condannare dal Consiglio dei Dieci. La donna, pentita, cerca di farlo fuggire, ma fallisce; allora, disperata, si uccide non prima di avere confessato a un padre cappuccino la verità. In seguito alla testimonianza del cappuccino il Cavaliere della Rosa viene liberato e i colpevoli assicurati alla giustizia. LA CRITICA: «Venezia […] non ha fortuna nel cinema […]. Pare impossibile che non si sappia ritrarre che i luoghi comuni della città. A conti fatti non si può che rimpiangere un’occasione perduta […]. Serato e la Borg non contribuiscono a migliorare le sorti del film». (G. Oddone, in «Hollywood», n. 42, 1947). IL LADRO DI VENEZIA di John Brahm Anno di edizione 1949 Produzione: Sparta Film; Produttore: Dario Sabatello, Robert Haggiag; Collaborazione alla regia: Marino Girolami; Direttore di produzione: Antonio Rossi; Soggetto: Salvatore Cabasino; Sceneggiatura: Salvatore Cabasino, John Brahm, Jesse Lasky jr.; Aiuto-regia: Salvatore Cabasino; Fotografia: Anchise Brizzi; Montaggio: Renzo Lucidi; Suono: Adolfo Alessandrini; Scenografia: Ottavio Scotti, Luigi Scaccianoce; Costumi: Nino Novarese; Musica: Alessandro Cicognini; Interpreti: Maria Montez, Paul Christian, Massimo Serato, Camillo Pilotto, Gualtiero Tumiati, Faye Marlowe, Aldo Silvani, Luigi Saltamerenda, Guido Celano, Paolo Stoppa, Umberto Sacripante, Mario Bisesti, Vinicio Sofia, Nando Tamberlani, Luigi Tosi, Leon Lenoir, Liana Del Balzo, John Fostini, Massimo Pianforini, Gaetano Verna, Aldo Bettoni, Mirella Uberti, Adriano Ambrogi, Jackie Frost, Claudio Giammi; Durata: 105’. Produzione realizzata negli Studi della Scalera Film di Venezia-Roma. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-britannica. Il titolo dell’edizione inglese è The Thief of Venice. Il film fu prodotto inizialmente dalla Venezia Film con produttore Giuseppe Barattolo, poi passò alla Sparta Film con produttore Dario Sabatello che lo terminò. LA STORIA: A Venezia, Scarpa, il Grande Inquisitore, mira al potere supremo sulla Repubblica. Approfittando dell’assenza da Venezia dell’Ammiraglio Disani, amico del Doge, fa avvelenare quest’ultimo, il Consiglio dei Dieci gli è favorevole, e la sua elezione a Doge è
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Eroi di mille avventure
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assicurata. Per liberarsi di Disani, impegnato nella guerra contro i turchi, Scarpa non invia rinforzi cosicché la flotta di Venezia è distrutta e Disani accusato dal Grande Inquisitore di incapacità è sottoposto alla furia dei veneziani. Contarini, portabandiera dell’Ammiraglio si schiera col suo comandante e viene posto al bando. Scarpa cerca di indurre la figlia di Disani a sposarlo; Contarini, rifugiatosi nella “Corte dei Miracoli”, libera i consiglieri nemici di Scarpa e prepara la rivolta. Per trovare il denaro necessario ad armare il popolo, si mette a capo di una banda di ladri. Armato il popolo la rivolta scoppia nel giorno fissato per il matrimonio del Grande Inquisitore che, affrontato da Contarini in duello, viene da questi ucciso. LA CRITICA: «Realizzato per essere un grosso spettacolo il film ha raggiunto lo scopo. Lotte, duelli, agguati, intrighi e seni di Maria Montez “a tutte le ore”! Se lo si dovesse analizzare, allora sarebbero guai seri; tutto l’elemento amoroso del film è trattato così da cani (nel senso più esteso della parola) che lo spettatore, anche il più ingenuo, non può trattenere il riso. Tecnicamente il film sbalordisce all’inizio con alcune riprese d’eccezione, poi cade nell’usuale, malgrado alcune suggestive riprese di Venezia notturna». (E. Fechi, in «Intermezzo», n. 1, 15 gen. 1951). IL CAPITANO DI VENEZIA di Gianni Puccini Anno di edizione 1951 Produzione: Italica Film; Direttore di produzione: Leopoldo Savona; Soggetto: Tullio Moretti; Adattamento: Luigi Bonelli, Celso Maria Garatti; Sceneggiatura: Sergio Grieco, Gianni Puccini; Aiuto-regia: Giovanni Loy; Fotografia: Gianni Di Venanzo; Montaggio: Enzo Alfonsi; Suono: Raoul Magni, Franco Croci; Scenografia: Arrigo Equini; Arredamento: Aurelio Crugnola; Costumi: Luigi Latini De Marchi; Musica: Mario Zafred; Interpreti: Leonardo Cortese, Andrea Checchi, Mariella Lotti, Franco Balducci, Angela Faranda, Catherine Halward, M. Meniconi, Piero Pastore, David Sten, Giuseppe Taffarel, Pietro Tordi, Xenia Valderi, Dante Maggio, Angelo; Durata: 85’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Safa-Palatino di Roma. OSSERVAZIONI: Giovanni Loy è Nanni Loy. LA STORIA: La Repubblica di Venezia fa da mediatrice tra i Signori di Verona e Vicenza dopo anni di lotte. La pace viene suggellata dal matrimonio tra Ezzelino, signore di Verona, e Ginevra, sorella del signore di Vicenza. Ginevra, anche se ama il giovane e aitante “Capitano di Venezia”, non può opporsi alle nozze che, per i due tiranni, sono un pretesto per nuovi tradimenti. Ezzelino, con i suoi armati travestiti da giocolieri, si reca al banchetto nuziale con il proposito di fare una strage. Il Capitano di Venezia, anch’esso travestito da giocoliere, si aggrega al gruppo ben deciso ad impedire il matrimonio. Durante il banchetto scoppia una zuffa furiosa durante la quale il Capitano di Venezia rapisce Ginevra e la porta in un posto sicuro. Fallisce il matrimonio e la precaria tregua mentre gli scontri continuano finché i due contendenti decidono di scontrasi in singolar tenzone. Ezzelino uccide il signore di Vicenza, ma il Capitano di Venezia, nel nome della Serenissima, sfida Ezzelino e lo uccide. LA CRITICA: «Il fatto che questo film abbia dovuto essere condotto a termine alla meno peggio, giustifica in buona parte i numerosi e vistosi difetti che fanno di esso uno spettacolo di ben scarso valore. Le pecche più appariscenti, tuttavia, sono quelle relative al montaggio,
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Capitolo secondo
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talmente caotico da rendere spesso estremamente ardua la comprensione del racconto». (A. Albertazzi, in «Intermezzo», n. 4/5, 15 mar. 1954). IL MERCANTE DI VENEZIA di Pierre Billon Anno di edizione 1952 Produzione: Venturini Film, Elisée Film; Produttore: Giorgio Venturini; Direttore di produzione: Vieri Bigazzi; Soggetto: tratto dall’opera teatrale omonima di William Shakespeare; Sceneggiatura: Pierre Billon, Louis Ducreaux, Giuseppe Mangione, Corrado Sofia; Fotografia: Arturo Gallea; Montaggio: Loris Bellero; Suono: René Forget; Scenografia: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Costumi: Maud Strudthoff; Musica: Giovanni Fusco; Interpreti: Michel Simon, Massimo Serato, Anurée Debar, Armando Francioli, Giorgio Albertazzi, Liliana Tellini, Olga Solbelli, Marika Spada, Carletto Sposito, Gualtiero Tumiati, Nerio Bernardi, Clara Auteri Pepe, Franco Balducci, Franco Giacobini, André Hildebrand, Alberto Collo, Paola Mori, Pamela Palma, Toni Di Mitri; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Studi Fert di Torino. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo dell’edizione francese è Le Marchand de Venise. LA STORIA: La ricca Porzia, per soddisfare una delle clausole del testamento paterno, potrà sposare solo quello dei suoi tre pretendenti che scoprirà in quale dei tre cofanetti, che presenterà loro, è contenuto il suo ritratto. Bassanio, nobile veneziano innamorato di Porzia, è uno dei tre pretendenti, ma poiché la gara si svolgerà nel castello di Belmonte, residenza di Porzia, il giovane è disperato perché avrebbe bisogno di 3.000 ducati per potersi presentare vestito degnamente a lei. Si rivolge all’amico armatore Antonio, che essendo al momento sprovvisto di denaro, lo chiede all’ebreo Shylock. Costui, volendosi vendicare di vecchi torti subiti da Antonio, gli concede i 3.000 ducati a patto che, se entro quaranta giorni non li restituirà, dovrà farsi togliere dal corpo una libbra di carne. Poiché, a causa della peste, il Doge ha dovuto chiudere il porto impedendo alle navi di entrare e di uscire, Antonio non può pagare il debito e Shylock pretende la sua libbra di carne. Davanti alla corte di giustizia, Porzia, travestita da giureconsulto, viene in aiuto di Bassanio (che è il vincitore della gara fra i pretendenti) e propone che a Shylock venga concessa la libbra di carne, purché si impegni, pena la vita, a non versare neanche una goccia di sangue. La proposta è accettata, ma l’usuraio è battuto. LA CRITICA: «Non si può certo affermare che questa sia una riduzione cinematografica ideale del dramma di Shakespeare: la realizzazione è men che mediocre e l’interpretazione risulta fredda e manierata». (S. Nati, in «Intermezzo», n. 13/14/15, lug./ago. 1953). IL MOSCHETTIERE FANTASMA di Max Calandri Anno di edizione 1952 Produzione: Lloyd Film; Produttore: Ferruccio Biancini; Supervisore alla regia: Luciano
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Doria; Soggetto: Gian Maria Cominetti, Max Calandri; Sceneggiatura: Gian Maria Cominetti, Piero Monfisani; Fotografia: Fernando Risi; Montaggio: Max Calandri; Scenografia: Nino Maccarones; Interpreti: Vasito Bastino, Tamara Lees, Rossana Podestà, Elio Steiner, Clara Calamai, Carlo Ninchi, Isa Pola, Gianni Rizzo, Inge Borg, Diego Carlini, Alberto Paolone, Mario Sailer, Enzo Hassan, Costantino Dal Maso, Sivia Manto; Durata: 85’. OSSERVAZIONI: Max Calandri firma il film con lo pseudonimo William French. LA STORIA: A Venezia nel XVII secolo un gruppo di nobili ordisce una congiura per impadronirsi del potere, con l’appoggio del grande inquisitore, Badoero, che aspira a diventare Doge. Gli intrighi però sono contrastati da un giovane patrizio, Claudio Venier, e da alcuni suoi amici. Badoero, accusato dai patrioti di tradimento, si difende accusando, a sua volta, Venier che viene imprigionato e condannato a morte. Liberato dagli amici il giorno dell’esecuzione, Venier diviene un cavaliere fantasma e l’incubo dei suoi nemici. Nominato un nuovo doge, Badoero, per ingraziarselo, chiede la mano di sua figlia Ornella, innamorata di Venier. Badoero, per sbarazzarsi del rivale, fa circolare la voce che Venier è figlio naturale del Doge, ma viene smascherato e, affrontato da Venier, rimane ucciso in duello. Claudio Venier sposa Ornella e avrà l’onore del comando di una spedizione in difesa della Repubblica. LA CRITICA: «In un film che vorrebbe essere di cappa e spada, di agilità, di prontezza, di cadute, di duelli, non è possibile vedere un Vasito Bastino che si muove con una leggerezza da ippopotamo». (E. Fecchi, in «Intermezzo», n. 11/12, 30 giu. 1954). LA STORIA DEL FORNARETTO DI VENEZIA di Giacinto Solito Anno di edizione 1952 Produzione: O.C.I.; Produttore: Angelo Proia; Direttore di produzione: Giuseppe Palumbo; Soggetto: Luciano Doria; Sceneggiatura: Arpad De Riso, Vana Arnould; Fotografia: Alvaro Mancori; Montaggio: Cesare Ardolino, Loris Bellero; Suono: Leopoldo Rosi; Scenografia: Piero Filippone; Costumi: Ugo Pericoli; Musica: Tarciso Fusco; Interpreti: Marco Vicario, Vira Silenti, Mariella Lotti, Doris Duranti, Paolo Carlini, Arnoldo Foà, Loris Gizzi, Stanislao Cappello, Raf Pindi, Gino Scotti, Luciano Rebeggiani, Fosca Freda, Renato Chiantoni, Attilio Dottesio, Isarco Ravaioli, Paolo Dola, Cesare Vieri, Mariliana Delli, Sergio Bergonzelli; Durata: 92’. OSSERVAZIONI: Si tratta del remake del film Il fornaretto di Venezia girato da Duilio Coletti nel 1939 (v.), tratto dal dramma Il Fornaretto di Francesco Dall’Ongaro. LA STORIA: Variazioni sul tema della triste storia del fornaio veneziano detto “Il Fornaretto”. LA CRITICA: «Le tristi vicende del povero fornaretto veneziano sono già state portate sullo schermo, sia muto che sonoro e questa nuova versione contiene tutti gli elementi adatti a commuovere […]. Il film non è inferiore a tante brutte produzioni che circolano attualmente nelle nostre sale». (U. Tani, in «Intermezzo», n. 7, 15 apr. 1953).
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Capitolo secondo
SUL PONTE DEI SOSPIRI di Antonio Leonviola
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Anno di edizione 1952 Produzione: Produzioni Cinematografiche Bomba & C.; Produttore: Enrico Bomba; Direttore di produzione: Aldo Salerno Quinti; Soggetto: Luigi Bonelli; Sceneggiatura: Guido Malatesta, Carlo Bernari, Weis Ruffilli, Giancarlo Vigorelli, Luigi Monelli, Ezio D’Errico; Aiuto-regia: Enrico Moscatelli; Fotografia: Antonio Giordani; Montaggio: Roberto Cinquini; Suono: Oscar Pacelli; Scenografia: Giorgio De Chirico eseguita da Virgilio Marchi; Arredamento: Ferdinando Ruffo; Costumi: Marina Arcangeli; Maestro d’Armi: Enzo Musumeci Greco; Musica: Carlo Innocenzi; Direzione musicale: Ezio Carabella; Interpreti: Frank Latimore, Maria Frau, Françoise Rosay, Edward Cianelli, Luciana Vedovelli, Carlo Micheluzzi, Gisella Sofio, Lauro Gazzolo, Angiola Maria Faranda, Armando Guarneri, Bianca Maria Fabbri, Patricia Deren, Paolo Rocca, Gino Anglani, Maria Colonna, Enrico Moscatelli, Massimo Girotti; Durata: 87’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA:. Il Conte Folengo, eroe della Serenissima, detto “Capitan Vessillo”, mentre combatte contro i turchi, è chiamato in patria dallo zio, il Grande Inquisitore, che ha in animo di fargli sposare la figlia di un ricco banchiere. Ma il giovane è innamorato di Bianca, una compagna di collegio della ragazza. Bianca è la figlia di Marco Spada da anni prigioniero ai Piombi con l’accusa di uxoricidio. Spada però è innocente e il vero colpevole è un bandito che ha ucciso, oltre alla moglie di Spada, anche il Conte Zaccaria Folengo di cui ha assunto l’identità e poi è riuscito a farsi nominare Grande Inquisitore. Capitan Vessillo, insieme a Bianca, trova le prove dell’innocenza di Spada e messo al corrente il Doge e il Consiglio dei Dieci, l’impostore assassino viene arrestato e decapitato, mentre Spada viene reitegrato nei suoi titoli e diritti e Capitan Vessillo può sposare Bianca. LA CRITICA: «Sono note le vicende di questo film che hanno indotto il regista a rifiutarne la paternità […]. La pellicola, comunque, non manca di buone qualità: il dialogo è vivace e brillante, la ripresa di alcune sequenze è molto abile (notevole specialmente quella del duello tra le due rivali) e la trama, malgrado qualche difetto di impostazione, è piuttosto divertente». (A. Albertazzi, in «Intermezzo», n. 21, 30 nov. 1953). I PIOMBI DI VENEZIA di Gian Paolo Callegari Anno di edizione 1953 Produzione: Venturini Produzione: Produttore: Giorgio Venturini; Direttore di produzione: Leopoldo Imperiali; Soggetto: Gian Paolo Callegari; Sceneggiatura: Gian Paolo Callegari, Vittoriano Petrilli, Celso Maria Garatti, Giuseppe Mangione; Aiuto-regia: Luciano Sacripanti; Fotografia: Massimo Dallamano; Montaggio: Loris Bellero; Suono: Raffaele Del Monte; Scenografia: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Costumi: Maud Strudthoff; Musica: Enzo Carabella; Interpreti: Armando Francioli, Massimo Serato, Franca Marzi, Maria Grazia Francia, Giorgio Albertazzi, Luigi Tosi, Amparo Rivelles, Roberto Risso, Nerio Bernardi, Enzo Fiermonte, Fiorella Ferrero, Nico Pepe, Lina Toccafondi; Durata: 88’. Produzione realizzata negli Studi Fert di Torino e, in esterni, a Venezia.
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Eroi di mille avventure
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LA STORIA: Il Comandante della flotta della Serenissima, Orsenigo, tornato in patria dopo una spedizione contro i ribelli dalmati, approfittando dell’assenza del Doge, sobillato dall’ambiziosa consorte, presenta al Consiglio dei Dieci una falsa relazione degli avvenimenti chiedendo la condanna a morte del capo dei ribelli e della figlia Nicla fatti prigionieri. Bragadin, giovane ufficiale, della flotta, innamorato di Nicla, accusa Orsenigo di avere saccheggiato villaggi pacifici appropriandosi di un ingente bottino. Ciononostante il Consiglio dei Dieci condanna a morte il prigioniero e consegna a Orsenigo Nicla come schiava. D’accordo con Tintoretto, Bragadin invia un messaggio per avvertire il Doge e lo invita a ritornare. Ma la moglie dell’ammiraglio fa uccidere il messaggero. Bragadin, deciso a difendere la fanciulla, affronta Orsenigo, ma viene arrestato e condannato a morte assieme e lei. Allora Tintoretto alla testa degli amici di Bragadin, scatena una rivolta che li porta alla vittoria; nel frattempo il Doge torna a Venezia, i colpevoli vengono puniti e Bragadin e Nicla si sposano. LA CRITICA: «I Piombi di Venezia […] viene affidato a Gian Paolo Callegari […] dopo l’esordio dell’anno precedente in Eran trecento che non aveva corrisposto alle attese di una parte della critica che aspettava Callegari dopo il buon esordio come scrittore. […] Dopo ventitre sceneggiature e otto aiuto-regie, era interessante vedere alla prova Callegari che lavorava sulle convenzioni del film di genere, in particolare lo storico. [...] I Piombi di Venezia è un’altra delle pellicole scomparse nel buio dei maceri [...]. Armando Francioli ricorda un periodo faticosissimo di esterni a Venezia […] ed interni a Torino per I Piombi di Venezia, girando di giorno e viaggiando di notte fra le due città» (L. Ventavoli, Pochi, maledetti e subito: Giorgio Venturini alla Fert 1952-1957, Museo Nazionale del Cinema, Torino, 1992). IL PIRATA DEL DIAVOLO di Roberto Mauri Anno di edizione 1963 Produzione: Walmar Cinematografica, Triglav Film; Produttore: Gisleno Procaccini, Aldo Piga; Direttore di produzione: Michelangelo Ciafrè; Soggetto: Roberto Mauri; Sceneggiatura: Mario Colucci, Roberto Mauri; Aiuto-regia: E. Mollica; Fotografia: Angelo Baistrocchi; Montaggio: Mariano Arditi; Suono: Giannetto Nardi; Musica: Aldo Piga; Interpreti: Richard Harrison, Walter Brandi, Anna Maria Ubaldi, John Turner, Paolo Solvay, Lorenzo Artale, Anita Todesco, Liana Dori, Lilly Landers, Demeter Bitenc, Maretta; Durata: .86’ Produzione realizzata negli Studi dell’Istituto Nazionale Luce di Roma. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-jugoslava. Paolo Solvay è lo pseudonimo di Luigi Balzella. Non sono accreditati: Scenografia, Arredamento e Costumi. La stessa coproduzione con la Triglav Film di Lubjana non è accreditata nei titoli di testa. LA STORIA: Sui territori della Serenissima, in Dalmazia, i pirati turchi compiono audaci scorrerie e terrorizzano le popolazioni con crudeltà d’ogni genere. Marco Trevisan, di ritorno da Venezia nella sua città, mentre si aspetta festose accoglienze per le prossime nozze, è assalito e catturato dagli uomini di Rabenek, il pirata del diavolo. Marco viene gettato nelle prigioni della cittadella, ma il suo amico Ranieri distrugge con una brillante azione la nave dei pirati che si trovano cosi immobilizzati sulla terra ferma. Una ragazza turca, Alina, si innamora di Marco ma il giovane le rivela il suo affetto per la sua fidanzata Velia, anch’essa prigioniera di Rabenek. Alina generosamente libera Marco che si ricongiunge con Ranieri e insieme preparano la trappola per distruggere le forze del pirata. Rabenek sopravvive alla
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Capitolo secondo
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sconfitta ma Marco lo affronta e lo uccide in duello. Liberata Velia, insieme potranno affrontare il loro futuro in una città ormai libera dai saraceni. LA CRITICA: «Si tratta di una inverosimile ed arruffata vicenda narrata in chiave di scadente fumetto. Regia, interpretaziome, ambientazione e fotografia sono del tutto approssimative». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LV, Anno 1964, Roma 1964, p. 102). IL VENDICATORE MASCHERATO di Pino Mercanti Anno di edizione 1963 Produzione: Lux Film, Ultra Film, C.C. Lux de France; Direttore di produzione: Danilo Marciani; Soggetto: Nino Lillo; Sceneggiatura: Marcello Fondato; Aiuto-regia: Edmondo Affronti, Lucio Romeo; Fotografia: Carlo Bellero; Montaggio: Franco Fraticelli; Suono: Alberto Bartolomei; Scenografia: Alfredo Montori; Costumi: Italia Scandariato; Maestro d’armi: Ferdinando Poggi; Musica: Gioacchino Angelo; Interpreti: Guy Madison, Lisa Gastoni, Jean Claudio, Ingrid Schöller, Gastone Moschin, Vanni Materassi, Dina De Santis, Nino Persello, Lucy Bomez, Umberto Silvestri, Renato Terra Caizzi, Nando Poggi; Durata: 90’. OSSERVAZIONI. Coproduzione italo-francese. Il titolo della versione francese è Les Plombs de Venise. Il film ha circolato anche in Italia con il titolo I Piombi di Venezia. LA STORIA: Venezia, inizio del secolo XVI. Massimo Tiepolo, un valoroso uomo d’arme, viene invitato dal suo amico, Luca Badoer, a prender parte alla congiura contro il Doge Pietro Gradenigo, ormai diventato un tiranno della Repubblica. Massimo rifiuta, ma allorché gli sgherri del Doge scoprono le fila dell’organizzazione e torturano a morte il giovane Luca, egli si scuote dalla sua indifferenza e diventa capo dei congiurati. La moglie di Gradenigo, Elena, delusa per essere stata respinta da Tiepolo, di cui è innamorata, lo denuncia e lo fa rinchiudere ai Piombi. In seguito alle suppliche appassionate di Caterina Ziani, la fidanzata del giovane, ella stessa lo libera dalla sua cella. Così Massimo può mettersi al comando del popolo, che nel frattempo si è sollevato, e dopo una furiosa lotta, sgominati i nemici, riesce a far deporre il Doge tiranno. LA CRITICA: «Ingenuo e modesto racconto che all’avventura sacrifica ogni motivo di credibilità». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LV, Anno 1964, Roma 1964, p. 89). IL PONTE DEI SOSPIRI di Piero Pierotti Anno di edizione 1964 Produzione: Panda Cinematografica, Estela Film; Produttore: Ermanno Donati, Luigi Carpentieri; Direttore di produzione: José Maria Rodriguez; Soggetto: tratto dal romanzo “Le Pont des Soupirs” di Michel Zévaco; Sceneggiatura: Duccio Tessari, Oreste Biancoli, Piero Pierotti, Giampaolo Callegari, Carlo Campogalliani; Aiuto-regia: Joaquin Romero Marchent;
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Eroi di mille avventure
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Fotografia: Luciano Trasatti, Rafael Pacheco; Montaggio: Ornella Micheli; Suono: Alessandro Sarandrea; Scenografia: Aurelio Crugnola; Costumi: Franco Loquenzi; Maetro d’armi: Gaetano Scala; Musica: Angelo Francesco Lavagnino; Interpreti: Brett Halsey, Gianna Maria Canale, Vera Silenti, Burt Nelson, Conrado Sanmartin, Lilly Darelli, Andrea Bosic, Marco José Davo, Paolo Gozlino, José Nieto, Giovanni Pazzafini, Nino Persello, Perla Cristal, Bruno Scipioni; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Studi De Paolis – In. C.I.R. di Roma e Ballesteros di Madrid e, in esterni, a Venezia. OSSERVAZIONI: Si tratta del remake del film Il Ponte dei Sospiri girato da Mario Bonnard nel 1940 (v.), tratto dal romanzo Le Pont des Soupirs di Michel Zévaco. Coproduzione italospagnola. Il titolo della versione spagnola è El puente de los suspiros. Nei titoli di testa appare, prima del nome del regista Pierotti, la scritta “Un film di Carlo Campogalliani”. LA STORIA: Variazioni sul tema della storia del capitano della Serenissima imprigionato e infamato per gelosia. LA CRITICA: «La nota vicenda, ingenua e incredibile, è riproposta con non poche lacune tecniche e con soluzioni narrative scarsamente efficaci. Discreti il colore e la fotografia». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LV, Anno 1964, Roma 1964, p. 132). IL BOIA DI VENEZIA di Luigi Capuano Anno di edizione 1963 Produzione: Liber Film; Produttore: Ottavio Poggi; Direttore di produzione: Nino Battiferri; Soggetto: Ottavio Poggi; Sceneggiatura: Arpad De Riso, Luigi Capuano; Aiuto-regia: Gianfranco Baldanello; Fotografia: Alvaro Mancori; Montaggio: Antonietta Zita; Suono: Fiorenzo Magli; Scenografia: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Musica: Carlo Rustichelli; Interpreti: Lex Barker, Guy Madison, Alessandra Panaro, Mario Petri, Alberto Farnese, Giulio Marchetti; Durata: 95’. Produzione realizzata negli Stabilimenti De Paolis Incir di Roma. LA STORIA: Nella Venezia del XVII secolo il Doge Giovanni Bembo è odiato a morte da Guarnieri, un pirata che spadroneggia nell’Adriatico, perché crede che il Doge sia il responsabile della morte di suo figlio. Al pirata si oppone Sandrigo, il figlio adottivo del Doge, e nemico del Grande Inquisitore, divisi da ragioni sentimentali. Entrambi infatti amano la stessa donna, Leonora, che però è attratta da Sandrigo. L’Inquisitore allora, per sbarazzarsi di Sandrigo, lo fa imprigionare con l’accusa di cospirazione e condannare alla decapitazione. Quando la mannia sta per calare sul suo collo, il boia, che altri non è che Guarnieri che si era fatto assumere sotto false spoglie per colpire meglio il Doge, da un tatuaggio scopre che Sandrigo è suo figlio che aveva creduto morto, è allora la scure si abbatte sull’Inquisitore. LA CRITICA: «Un modesto film drammatico-sentimentale in cui gli intrighi, gli amori, le lotte e la scontata soluzione sostituiscono ogni approfondimento psicologico. Di mestiere la recitazione». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LV, Anno 1964, Roma 1964, p. 137).
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Capitolo secondo
IL FORNARETTO DI VENEZIA di Duccio Tessari
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Anno di edizione 1963 Produzione: Ultra Film, Lux Film, Gaumont International; Direttore di produzione: Danilo Marciani; Soggetto: liberamente tratto dal dramma Il Fornaretto di Francesco Dall’Ongaro; Sceneggiatura: Marcello Fondato, Duccio Tessari; Aiuto-regia: Nino Zanchin; Fotografia: Carlo Carlini; Montaggio: Franco Fraticelli; Suono: Guido Nardone; Scenografia: Luigi Scaccianoce; Arredamento: Sergio Donà; Costumi: Maria Baroni; Musica: Armando Trovajoli; Interpreti: Michèle Morgan, Enrico Maria Salerno, Sylva Koscina, Jacques Perrin, Stefania Sandrelli, Gastone Moschin, Fred Williams, Ugo Attanasio, Mario Brega, Massimo Ceccato, Antonio Cremonese, Frederick Hall, Mario Lombardini, Nino Persello, Lucio Rama, Luigi Rumor, Jacques Stany, Renato Terra, Rosaria Tornatore, Antonio Segurini, Rodolfo Lodi, Luciano Gerardelli; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Studi Ceria di Trieste e, in esterni, a Venezia. OSSERVAZIONI: Si tratta dell’ennesimo remake del film Il Fornaretto di Venezia girato da Duilio Coletti nel 1939 (v.), tratto dal dramma Il Fornaretto di Francesco Dall’Ongaro e da Giacinto Solito nel 1952 (v.). Coproduzione italo-francese. Il titolo della versione francese è Le procès des Doges. LA STORIA: Variazioni sul tema della triste storia del fornaio veneziano detto “Il Fornaretto”. LA CRITICA: «Duccio Tessari […] possiede una padronanza di mestiere e un gusto figurativo […] che potrebbero essergli invidiati da molti suoi colleghi più anziani. Peccato che egli abbia sprecato il suo talento e le sue genuine predispozioni rispolverando la scontatissima cronaca cinquecentesca di Dall’Ongaro: È pur vero che il suo Fornaretto, puntando soprattutto sulle implicazioni sociali e politiche che, nel clima della Venezia dogale, la vicenda poteva comportare, non sottace alcuni riflessi moderni e si distingue da ogni precedente versione; ci sfugge tuttavia l’opportunità di affidarsi ad un simile canovaccio per imbastire una satira di risonanze contemporanee». (L.[eonardo] A.[utera], Film usciti a Roma dal I°VIII al 30-IX-1963, in «Bianco e Nero», n. 11, nov. 1963). IL LEONE DI SAN MARCO di Luigi Capuano Anno di edizione 1963 Produzione: Liber Film; Produttore: Ottavio Poggi; Direttore di produzione: Nino Battiferri; Soggetto: Ottavio Poggi; Sceneggiatura: Arpad De Riso, Luigi Capuano; Aiuto-regia: Gianfranco Baldanello; Fotografia: Alvaro Mancori; Montaggio: Antonietta Zita; Suono: Fiorenzo Magli; Scenografia: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Costruzioni esterne: Ernest Kromberg; Costumi: Elio Micheli; Musica: Carlo Rustichelli; Interpreti: Gordon Scott, Gianna Maria Canale, Rick Battaglia, Alberto Farnese, Giulio Marchetti, Franca Bettola, Feodor Chaliapin, Mirko Ellis, Franco Fantasia, John Bartha, Giulio Maculani, Attilio Severini, Anna Maria Padoan; Durata: 85’. Produzione realizzata negli Stabilimenti De Paolis In. Ci.R. di Roma. LA STORIA: Nel Seicento Venezia è preoccupata per le scorrerie che gli uscocchi compiono
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Eroi di mille avventure
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nell’Adriatico. Il figlio del Doge vorrebbe combattere i pirati, ma il padre lo vuole destinato alla carriera diplomatica. Ciononostante, sotto le spoglie di un misterioso capitano con le insegne di San Marco, guida un gruppo di valorosi veneziani che danno filo da torcere ai pirati. Durante una delle sue scorrerie si innamora di Rossana, una popolana che si è unita agli uscocchi. Dopo molte avventure il figlio del Doge riesce a sconfiggere i pirati, a rivelare la sua identità e a sposare Rossana. LA CRITICA: «Le solite avventure condite di tranelli, sorprese e duelli affidati ad una regia di ordinaria amministrazione». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LV, Anno 1964, Roma 1964, p. 17).
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III.
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VITTIME E EROINE
1. Quando le donne si chiamavano madonne Sarebbe sbagliato pensare che l’eroismo, il coraggio e l’ardire siano caratteristiche solo di pochi ma intrepidi eroi di sesso maschile. Infatti molte furono le eroine che si sacrificarono o furono sacrificate, nei racconti e nei romanzi da cui vennero tratte le storie passate su pellicola. Certo, molte di queste eroine assomigliano a quelle divenute famose grazie ai film del neorealismo popolare di materazziana memoria e quindi senza impugnare una spada, ma attraverso intrighi e macchinazioni (delle più scaltre abbiamo già parlato in un precedente capitolo) o, per le più disgraziate, il patimento e il sacrificio. I registi che hanno trattato questo genere di personaggi, sono sempre i soliti, sia che si tratti di film in costume o no. Così scrivevamo a proposito di costoro, e del loro atteggiamento nei confronti della donna, delle sue disgrazie e delle sue virtù, in Adultere fedifraghe innocenti: «registi come Mario Costa, Mario Bonnard, Carlo Campogalliani, Guido Brignone, Ladislao Vajda, oltre a quelli già citati [il riferimento era a Edgar Neville e Carmine Gallone], che faranno parte della compagine di registi autori delle storie piu strampalate e inverosimili tanto care al pubblico di “massa” degli anni QuarantaCinquanta, già si erano cimentati, ed erano divenuti famosi per film in costume, o tratti da romanzi popolari ottocenteschi, negli anni a cavallo della guerra».1 Questo genere di film, prendendo le mosse dall’anteguerra, arriva sugli schermi nel 1935, col film di Guido Brignone, Ginevra degli Almieri, ispirato ad una leggenda popolare fiorentina del XV secolo. L’eroina è Elsa Merlini che è l’ottima interprete dell’assurda storia che sostiene il film, per altro ben diretto, coadiuvata da un’interpretazione sobria ed elegante di Amedeo Nazzari, suo partner, qui al suo esordio cinematografico. Sempre Brignone nel 1941, realizza la prima versione sonora di Beatrice Cenci2, a
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Gianfranco Casadio, Adultere fedifraghe innocenti, cit., p. 30. del muto furono prodotte tre versioni del film: nel 1909 per la regia di Mario Caserini con Fernanda Negri-Pouget, nel 1910 per la regia di Gerolamo Lo Savio con Francesca Bertini e nel 1926 per la regia di Baldassarre Negroni con Maria Jacobini. Aldo Bernardini in Archivio del Cinema Italiano, vol. 1 a p. 141, cita il film di Lo Savio correttamente nel 1910, ma poi non ne dà riscontro nel volume Il cinema muto italiano, 1910, sempre da lui curato per «Bianco e Nero». A confermare però l’esistenza di questo film è il Filmlexicon degli autori e delle opere che, a p. 1107 del volume III, H-L, riporta il film di Lo Savio con la Bertini prodotto nel 1910. 2 All’epoca
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Capitolo terzo
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cui ne faranno seguito altre due. La parte della sfortunata giovane è affidata da Brignone a Carola Höhn3, che aveva già diretto l’anno precedente in Mamma con Beniamino Gigli. L’attrice tedesca svolge la sua parte con convincente ingenuità affidandosi alle mani esperte del regista milanese, ma romano d’adozione. Nel 1956 Riccardo Freda presenta la sua versione del dramma storico-popolare, che appassionò il popolo romano sul finire del 1500 e che sedusse Stendhal, Dumas padre, Shelley e Guerrazzi. Questo è forse uno dei migliori lavori di Freda, oltre a far conoscere un’ottima Micheline Presle che riesce a rendere Beatrice una donna ambigua, e per nulla ingenua, al contrario di come l’aveva rappresentata la Höhn nel film di Brignone. Chiude la triade Lucio Fulci nel 1969 portando sullo schermo una versione per certi versi più ingarbugliata e grossolana che, pur mantenendo una certa fedeltà storica ai fatti realmente accaduti, non convince del tutto. Torniamo al 1941 quando Esodo Pratelli porta sullo schermo la storia di Pia De’ Tolomei. Già apparsa tre volte sugli schermi del muto4 e immortalata soprattutto da Dante nella Divina Commedia, la gentildonna senese – uccisa dal marito erroneamente geloso (Pia era innocente e fedele) – appare in un altro film di Sergio Grieco realizzato nel 1958. La versione di Pratelli raggiunge alti toni drammatici grazie anche all’interpretazione di Germana Paolieri, mentre invece la versione di Grieco è molto più popolaresca, senza alcuna pretesa artistica. Proseguendo in questa passeggiata tra i film degli anni Quaranta, ci si imbatte, nel 1941, in una delle tante versioni dei Promessi sposi, la prima dall’avvento del sonoro5, di Mario Camerini. Di tutte le versioni cinematografiche questa è sicuramente la migliore sia per l’impegno produttivo che ne fa uno dei colossal del momento, sia per l’ottima regia di Camerini e per la bravura della coppia Gino Cervi e Dina Sassoli che danno vita e credibilità alle figure dei due personaggi manzoniani, Renzo e Lucia. Nel 1963 Mario Maffei ne dà una sua versione puerile e fumettistica che fa rimpiangere il film di vent’anni prima. Tratto dal dramma teatrale di Sem Benelli, l’instancabile Guido Brignone realizza, nel 1942, La Gorgona. La piatta sceneggiatura e la staticità delle riprese, fortemente influenzate dalla impostazione teatrale del lavoro, fanno del film uno scadente prodotto aggravato da un’impacciata Mariella Lotti e da un Rossano Brazzi sempre più imbalsamato. Il primo film dedicato a Genoveffa di Brabante è di Primo Zeglio ed è del 1947. La vicenda, tratta dalla Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze, non è avvincente e si trascina stancamente, mal supportata dai protagonisti che non si distinguono certamente per bravura. «Con tanti lavori che la letteratura moderna ci offre, non avremmo pensato che si dovesse ricorrere alla stantia ‘Genoveffa di Brabante’ per realizzare un film meno che mediocre»6. Come se non bastasse nel 1951 il regista
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Un’altra delle attrici tedesche dell’UFA trasferitesi in Italia nel 1940-42. Le precedenti versioni del film furono realizzate da: Mario Caserini nel 1908, Gerolamo Lo Savio nel 1910 e Giovanni Zannini nel 1921. 5 Ci furono altre cinque versioni del romanzo di Alessandro Manzoni in epoca muta realizzate da: Mario Morais nel 1908; Ugo Falena nel 1911; Ubaldo Maria Del Colle e Ernesto Maria Pasquali nel 1913; Eleuterio Rodolfi sempre nel 1913 e Mario Bonnard nel 1922, in due episodi. 6 A. Venturelli, in «Hollywood», n. 22, 31 mag. 1947. 4
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Vittime e eroine
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austriaco Arthur Maria Rabenalt ripropone il soggetto con il film La leggenda di Genoveffa, noto anche come La vendetta di Brabante, con pari risultato anche se, in questo film, Rossano Brazzi (nella parte del conte Sigfrido) e Anne Vernon (in quella di Genoveffa), fanno di tutto per migliorarne il livello. Chiude con la terza versione, lo spagnolo José Luis Monter nel 1965 che si affida ad Alberto Lupo per la parte del conte Sigfrido, ma senza ottenere risultati migliori. I quattro film dedicati a La Monaca di Monza, di manzoniana memoria, traggono tutti origine dal romanzo omonimo di Giovanni Rosini. Il primo, del 1947, è di Raffaello Pacini con Paola Barbara nelle vesti di Gertrude de Leyva, la celebre Monaca, e Rossano Brazzi in quella del conte Egidio suo amante. Il film è men che mediocre e le critiche coeve al riguardo non furono molto generose nei confronti di Brazzi: «Girare un film storico in luoghi autentici […] è economico, ma rende più difficile la fusione fra ambienti e personaggi, aumentando il tono carnevalesco del film […]. Difficilmente superabile il ridicolo della recitazione di Brazzi nella scena della morte […] una serie di smorfie che […] credevamo di competenza esclusiva dei malati di costipazione»7. Fa seguito il film di Carmine Gallone del 1961 con la coppia Giovanna Ralli e Gabriele Ferzetti nelle parti che furono della Barbara e di Brazzi, ma i due attori non riescono ad entrare nella parte, poco aiutati da uno stanco ultra settantenne Gallone, e il tono non si eleva. Eriprando Visconti nel 1968, abbandonando il romanzo di Rosini (come in parte aveva fatto Gallone), si affida a documenti d’epoca ad alla ricostruzione degli atti processuali del 1608, portando sugli schermi La Monaca di Monza. Una storia lombarda, con Anne Heywood e Antonio Sabáto. L’operazione riesce solo in parte e, nonostante i mugugni della stampa cattolica (cosa che di solito avviene quando si criticano gli atteggiamenti della Chiesa), il film mostra una ricostruzione di ambienti e costumi molto fedeli all’epoca e alla “verità” storica. L’ultima Monaca è portata sullo schermo da Luciano Odorisio nel 1986 col titolo La Monaca di Monza. Eccessi, delitti, misfatti. Il film, sceneggiato da uno stuolo di personaggi fra cui Piero Chiara e Carlo Lizzani, pur distaccandosi dalle precedenti versioni per l’impegno dei suoi autori, non ebbe miglior fortuna. «Questa ennesima versione della storia della celebre monaca avrebbe dovuto essere diretta proprio da Carlo Lizzani, ormai specializzato in deliri religiosi al femminile. […] Morto Piero Chiara, che era l’autorevole sceneggiatore, e rifiutando Lizzani l’impegno della regia, il produttore Giovanni Di Clemente si affidò a Luciano Odorisio […]. Purtroppo il film, che punta su un cast giovanilistico e sulla bellissima Myriem Roussel nei panni della monaca, rimane congelato un anno, esce malamente e con poco interesse di tutti»8. Riccardo Freda nel 1949 propone Il Conte Ugolino, ispirato al celebre personaggio dantesco e tramandatoci dalla storia, esattamente quarant’anni dopo l’unica versione cinematografica realizzata nel 1909, in epoca muta, per opera di Giovanni Pastrone. Anche questo film però «non si discosta molto dai centoni in costume propri dell’epoca; sovrabbondanti di scene statiche, attori di contorno impacciati nei costumi, dialoghi enfaticamente pomposi»9. 7
R. Cicale, in «Hollywood», n. 128, 1948. Marco Giusti, Dizionario dei film italiani stracult, Milano, Edizioni Frassinelli, 2004, p. 519. 9 Vittorio Martinelli, Filmografia ragionata, in Gianfranco Casadio [a cura di], Dante nel cinema, Ravenna, Longo, 1996, p. 114. 8
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Capitolo terzo
Due le versioni di Paolo e Francesca, i tragici amanti di Rimini resi celebri dalla Divina Commedia di Dante, portati sullo schermo10. La prima del 1949 è di Raffaello Matarazzo. Il ruolo della protagonista viene assegnato ad Odile Versois, una delicata attrice francese, sorella della più celebre Marina Vlady e scomparsa in giovane età. È 1’interprete ideale, accanto ad un truce Andrea Checchi nei panni di suo marito Gianciotto, ed al bel Armando Francioli in quelli di Paolo. Il film «ebbe un vasto consenso di pubblico, anche se la critica dell’epoca lo ignorò – come accadeva per tutti i film di questo regista – senza nemmeno andarlo a vedere»11. La seconda di Gianni Vernuccio, che ne è anche il montatore e l’operatore alla macchina, è del 1969. «Mentre il pubblico disertò le sale, la critica si espresse nei confronti del film senza mezzi termini: una attualizzazione della vicenda alla stregua di un foto-fumetto, un’interpretazione, a parte il noto Gerard Blain, capitato chissà come in questo marasma, di un gruppetto di comparse elevate al rango di attori, una scenografia di cartapesta, nulla riuscì indenne»12. Con questa deprimente impresa si chiude la serie dei film sugli “amanti di Rimini”. Nel 1952, Giorgio W. Chili realizza La principessa della Torre di Fuoco, suo secondo film a soggetto. Mescolando storia e fantasia il regista costruisce un film troppo cupo e lento nel suo svolgimento tanto da destare noia nello spettatore. Buona l’interpretazione e alcune scene di battaglie che, solo in questo caso, godono di un ottimo montaggio. Sempre di Chili, appare sugli schermi nel 1959, Caterina Sforza. La Leonessa di Romagna. Il regista si cimenta ancora una volta con un film storico in cui l’intervento degli sceneggiatori altera un poco la realtà dei fatti, ma tutto sommato rimanendo abbastanza fedele alla storia. Buono il cast e l’interpretazione dei protagonisti; ancora una volta efficaci le scene di battaglia. Pochi anni dopo, nel 1962, Luigi Demar, alias Luigi Latini De Marchi, gira La notte dell’Innominato, un pasticcio ispirato al personaggio manzoniano dei Promessi sposi, la cui vicenda nulla ha a che fare con il romanzo, ma è solo pretesto per spacciare per prodotto elevato l’ennesimo film di cappa e spada. Nel 1972, Nelo Risi, fratello del più famoso Dino, realizza il suo penultimo film, La colonna infame, tratto dall’omonimo romanzo di Alessandro Manzoni. Il film è incentrato sulla peste del 1630 a Milano, che porta in primo piano la figura degli untori e della superstizione che li ha creati. “La colonna Infame”, fatta erigere dai giudici che condannarono al rogo Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Mora – sulla casa distrutta di quest’ultimo – a perenne memoria di coloro che diffondevano la peste, tornò, in seguito, a vergogna dei giudici che la fecero erigere. Il film è una fonte preziosa di riferimenti pittorici e storici ed è arricchito dalla valida interpretazione di Helmut Berger, Vittorio Caprioli e Francisco Rabal.
10 In epoca muta furono realizzati altri cinque film che avevano come protagonista Francesca Da Polenta, tre con il titolo Francesca da Rimini, e realizzati da: Mario Morais nel 1908; Ugo Falena nel 1910 e Mario Volpe e Carlo Dalbani nel 1922. Gli altri due furono, nel 1917 Amor che a nullo amato di Eduardo D’Accursio e, nel 1919, … la bocca mi baciò tutta tremante di Ubaldo Maria Del Colle. 11 Vittorio Martinelli, ivi, p. 119. 12 Vittorio Martinelli, ibidem.
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Vittime e eroine
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È del 1973 La Badessa di Castro di Armando Crispino tratto da Stendhal. Crispino, regista di discrete capacità, dirige questo film con scarsa convinzione, puntando più sugli aspetti erotici che non su quelli storico-formali. Ciò che ne risulta è un prodotto di scarso rilievo e l’attenzione del pubblico è attratta più dalle fattezze di Barbara Bouchet quando si spoglia che non quando recita nella parte della Badessa. Sergio Grieco confeziona, nel 1973, Le scomunicate di San Valentino, sulla scia della Monaca di Monza scopiazzandone il soggetto. Anche la giovane Lucita Fuentes finisce in convento contro la sua volontà e il suo amante Estéban, ferito, capita (guarda caso) nel convento dove si trova l’amata che lo cura. Qui il regista mescola le carte e murata viva ci finisce non la peccatrice, ma la badessa che si era innamorata del giovane amante. Il film è poca cosa e giustamente Morandini rileva che «fa un po’ pena vedere, fra tante filodrammatiche, un’attrice come Françoise Prevost imbarcata su questa galera»13 . Il film Sepolta viva di Aldo Lado del 1973 è tratto dal romanzo d’appendice di Marie Eugénie Saffray14 con un’Agostina Belli molto abile nelle scene di nudo (o quasi) mentre lascia molto a desiderare quanto a recitazione. Forse non è un caso se il film termina con Agostina incinta. Nel 1974 appare Il figlio della sepolta viva di André Colbert, alias Luciano Ercoli, tratto da un racconto di Carolina Invernizio, che è il seguito del film precedente e non ne è di certo migliore. Il film con cui si conclude il nostro excursus è La coda del diavolo di Giorgio Treves del 1986. L’accurata ricostruzione storica, affrontata con buon mestiere e con buone scenografie, fanno di questo film uno dei migliori realizzati per mettere in evidenza il potere repressivo della Chiesa nelle Fiandre del 1500. Ottima l’interpretazione di Isabelle Pasco nella parte della prostituta ribelle e orgogliosa del proprio mestiere.
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M. Morandini, in «Il Giorno», 18 ago. 1974. Nel 1948 Guido Brignone ne realizzò una sua versione tratta dallo stesso romanzo della Saffray che però ambientò in un’altra epoca, nel regno delle Due Sicilie durante i moti risorgimentali, e quindi non è stato preso in considerazione. 14
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Capitolo terzo
GINEVRA DEGLI ALMIERI di Guido Brignone
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Anno di edizione 1935, Produzione: Capitani Film, ICAR; Direttore di produzione: Aldo Vergano; Soggetto: Luigi Bonelli, Ivo Perilli, ispirato ad una leggenda popolare fiorentina del XV secolo; Sceneggiatura: Guido Brignone, Luigi Bonelli, Ivo Perilli; Aiuto-regia: Giuseppe Fatigati, Piero Caserini; Fotografia: Ubaldo Arata; Montaggio: Giuseppe Fatigati; Suono: Vittorio Trentino; Scenografia: Gastone Medin; Costumi: Titina Rota; Musica: Gian Luca Tocchi; Interpreti: Elsa Merlini, Umberto Palmarini, Ugo Ceseri, Amedeo Nazzari, Guido Riccioli, Maurizio D’Ancora, Ermanno Roveri, Luigi Almirante, Tina Lattanzi, Dirce Bellini, Mario Gallina, Carlo Duse, Pina Gallini, Vinicio Sofia, Loris Gizzi, Nino Altieri, Guido Barbarisi, Giorgio Covi, Pina De Angelis, Enzo De Felice, Adele Garavaglia, Ida Mezzera, Luigi Mottura, Giuseppe Pierozzi, Giuseppe Ricagno, Mauro Serra; Durata: 87’. Produzione realizzata negli Studi della Cines. LA STORIA: Nella Firenze del XV secolo, Ginevra, una giovane di ottimo casato, da poco sposata con un uomo impostole dal padre, cade in una profonda depressione che sfocia in catalessi. Creduta morta, viene messa nel sepolcro. Si sveglia e fugge dalla tomba; corre a casa per chiedere aiuto, ma i suoi parenti la credono un fantasma e la scacciano con un’infinità di scongiuri. Viene soccorsa da un pittore che le concede ospitalità, ma costui si trova nei guai perché viene accusato di trafugamento di cadavere. Viene processato e sarà Ginevra a salvarlo davanti al giudice. Pur di non contraddire ciò che avvenuto, il giudice dichiara morta la vecchia Ginevra e riconosce nella giovane al suo cospetto una nuova Ginevra che potrà unirsi al pittore di cui nel frattempo si è innamorata. LA CRITICA: «È un buonissimo film, destramente sceneggiato, sorvegliato nella produzione con un abile e calcolato equilibrio di elementi che dovrebbe renderlo gradito ad ogni tipo di pubblico. Brignone ha diretto molto bene, facendo animate e pittoresche le scene di preparazione della prima parte, alcune delle quali, se non fossero state tagliate a tempo, avrebbero avuto molte probabilità di diventare prolisse». (F.[ilippo] Sacchi, in «Corriere della Sera», 12 dic. 1935). BEATRICE CENCI di Guido Brignone Anno di edizione 1941 Produzione: Manenti Film; Produttore: Giulio Manenti; Direttore di produzione: Eugenio Fontana; Soggetto: Tomaso Smith; Sceneggiatura: Tomaso Smith; Aiuto-regia: Luigi Carpentieri, Carlo Duse; Fotografia: Giovanni Stallich; Montaggio: Vincenzo Zampi; Suono: Vittorio Trentino; Scenografia: Guido Fiorini; Arredamento: Guido Fiorini; Costumi: Gino C. Sensani; Musica: Alberto Gislanzoni; Interpreti: Carola Höhn, Giulio Donadio, Osvaldo Valenti, Tina Lattanzi, Elli Parvo, Sandro Ruffini, Luigi Pavese, Enzo Fiermonte, Marcello Giorda, Nino Marchesini, Aulo D’Azio, Arturo Bragaglia, Pina Gallini, Emilio Petacci, Gualtiero De Angelis, Giovanni Dal Cortivo, Roberto Pasetti; Durata: 80’. Produzione realizzata negli Studi del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
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Vittime e eroine
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OSSERVAZIONI: Giovanni Stallich è Jan Stallich. Molti degli attori principali sono doppiati: dalla Höhn alla Parvo, da Bragaglia a Fiermonte a Valenti. LA STORIA: Il Conte Francesco Cenci, in esilio con tutta la famiglia nel suo castello in Abruzzo, viene assassinato. Il suo cadavere viene trovato in fondo ad un burrone che si apre sotto la finestra della sua stanza. Inizia un processo in cui tutti i membri della famiglia sono sospettati poiché il Conte li aveva sottoposti ad ogni forma di tirannia e crudeltà. La maggiore indiziata risulta però la figlia Beatrice, notoriamente restìa a sottoporsi alle angherie del genitore e decisa ad opporgli una fiera resistenza. Poiché non vi sono prove a suo discarico, la fanciulla viene condannata a morte mediante decapitazione. Quando si scopre la verità che dimostra la fanciulla innocente, ormai la sentenza è stata eseguita. LA CRITICA: «Beatrice Cenci fu, a quanto risulta, un pochino meno ingenua e innocente di quanto non voglia farci credere questo film; ma dopo Lucrezia Borgia anche Beatrice Cenci meritava la sua riabilitazione di brava figliola innamorata e predestinata […]. La poca fedeltà storica nulla toglie al valore artistico del film che è tra i nostri migliori: senza inutili sfarzi, senza eccessive mostre di arazzi e di damaschi, senza alcun eccesso recitativo». (Vice, in «Film», n. 49, 6 dic. 1941). PIA DE’ TOLOMEI di Esodo Pratelli Anno di edizione 1941 Produzione: Manderfilm; Direttore di produzione: Luigi Giacosi; Soggetto: Luigi Bonelli; Sceneggiatura: Guglielmo Usellini, Esodo Pratelli; Aiuto-regia: Paolo Moffa; Fotografia: Arturo Gallea; Montaggio: Ignazio Ferronetti; Suono: Bruno Brunacci; Scenografia: Virgilio Marchi; Arredamento: Virgilio Marchi; Costumi: Marina Arcangeli; Musica: Francesco Mander; Interpreti: Germana Paolieri, Nino Crisman, Carlo Tamberlani, Lauro Gazzolo, Cesco Baseggio, Dina Perbellini, Carlo Romano, Gemma D’Alba, Emilio Baldanello, Daniella Drei, Amedeo Trilli, Michele Riccardini, Luigi Tempesti, Antonio Marietti, Nino D’arnoldi, Idolo Tancredi, Alma Guerrini; Durata: 78’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà; le riprese del castello sono state effettuate nella Fortezza di Montalcino (SI). LA STORIA: Pia de’ Tolomei, una nobile fanciulla toscana, riceve la visita del proprio fratello durante l’assenza del marito Nello, impegnato in guerra. Il fratello di Pia, che era proscritto da Siena, giunge di nascosto dalla sorella, ma Ghino, un amico del marito che ama segretamente Pia, riferisce al marito che la moglie lo tradisce. Nello gli crede ciecamente; rinchiude la moglie nel suo castello in Maremma e si allontana con l’intento di non rivederla più. La donna, oppressa dalla solitudine, è insidiata dalla corte serrata di Ghino, falso amico del marito, che cerca di possederla. Nel tentativo di sfuggirgli precipita da un balcone ferendosi mortalmente. Il marito, che nel frattempo ha avuto le prove dell’innocenza di Pia, si precipita al castello in tempo per raccogliere l’ultimo respiro della sventurata. LA CRITICA: «Questa Pia de’ Tolomej nella sua drammaticità, certamente di non sottile grana, raggiunge gli effetti voluti di spettacolo passionale a forti tinte; è cioè, come suol dirsi, spettacolare quanto basta per assicurare una discreta rispondenza nel pubblico. Germana Paolieri si muove certamente con maggior misura di tutti gli altri e i casi di Pia cui ella ridà vita portano facilmente, grazie alla sua degna recitazione, ad un certo interesse e a quel tanto
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necessario di pietosa drammaticità». (Giuseppe Isani, in «Cinema», n. 128, 25 ott. 1941). «Nel 1941, su soggetto di Luigi Bonelli, Esodo Pratelli ripropone sugli schermi la sorte di Pia de Tolomei. […] Il film, che si giova dell’interpretazione della brava Germana Paolieri, è realizzato con larghezza di mezzi». (Vittorio Martinelli, Filmografia ragionata, in Gianfranco Casadio [a cura di], Dante nel cinema, Ravena, Longo, 1996, p. 115). I PROMESSI SPOSI di Mario Camerini Anno di edizione 1941 Produzione: Lux Film; Direttore di produzione: Valentino Brosio; Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Alessandro Manzoni; Sceneggiatura: Mario Camerini, Ivo Perilli, Gabriele Baldini; Aiuto-regia: Giulio Morelli; Fotografia: Anchise Brizzi; Montaggio: Mario Serandrei; Suono: Giovanni Paris; Scenografia: Gastone Medin; Arredamento: Gino Brosio; Costumi: Gino Sensani; Musica: Ildebrando Pizzetti; Direzione musicale: Fernando Previtali; Interpreti: Gino Cervi, Dina Sassoli, Ruggero Ruggeri, Armando Falconi, Enrico Glori, Carlo Ninchi, Luis Hurtado, Evi Maltagliati, Ines Zacconi, Franco Scandurra, Gilda Marchiò, Dino Di Luca, Enzo Biliotti, Lauro Gazzolo, Giacomo Meschini, Carlo Duse, Bruno Calabretta, Elodia Maresca, Olinto Cristina, Antonio Marietti, Elvira Bonecchi, Loris Gizzi, Margherita Bagni, Giovanni Onorato, Domenico Serra, Aldo Silvani, Amedeo Trilli; Durata: 112’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Alla vigilia del matrimonio fra Renzo e Lucia, due giovani lombardi, Don Abbondio, il prete che li deve sposare, viene minacciato da due bravi al soldo di un signorotto locale che si è incapricciato della ragazza. Il prete, impaurito, escogita tutti i trucchi possibili per ritardare il matrimonio, finché la verità viene a galla e Fra’ Cristoforo, interpellato dai due giovani, consiglia Renzo di rifugiarsi a Milano da dei suoi parenti e a Lucia di rifugiarsi in un convento e affidarsi alle cure di una potente monaca. Ma un giorno la fanciulla viene rapita e portata nel castello di Don Rodrigo che però, preso dal rimosrso, libererà la ragazza. Intanto Renzo viene sorpreso dalla peste che imperversa a Milano e, accusato di essere un untore, si rifugia nel lazzaretto dove gli è stato detto che si trova Lucia. Dopo aver incontrato morente il signorotto causa dei suoi mali e averlo perdonato, ritrova Lucia ormai guarita. LA CRITICA: «Questo grandioso, accuratissimo film è un’altra bella affermazione per gli uomini e le attrezzature del nostro cinema. Dietro all’avvicendarsi dei fotogrammi dei Promessi sposi c’è infatti tutta una vasta e molteplice impresa produttiva, alimentata dalle collaborazioni più diverse, regia, interpreti e masse, tecnici e maestranze. Questa mobilitazione è durata, in parte, circa un anno, tutta, più di un semestre; e non senti nel film la minima sbavatura tecnica, la sua fattura è sempre eccellente. […] Una ventina di attori di primo piano, una quarantina di sfondo, centocinquanta giorni di lavorazione ininterrotta: basterebbero questi tre dati a presentare l’eccezionalità dell’impresa, posta di fronte a un assunto irto di difficoltà e di pericoli. […] Gino Cervi ha composto un Renzo franco e popolaresco, vivo e sicuro; e l’interpretazione che di Lucia ci dà Dina Sassoli, questa quasi recluta del nostro cinema, è di quelle che non si dimenticano». (Mario Gromo, in «La Stampa», 25 dic. 1941).
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LA GORGONA di Guido Brignone
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Anno di edizione 1942 Produzione: Artisti Associati, Florentia Film; Direttore di produzione: Mario Zama; Soggetto: tratto dal dramma omonimo di Sem Benelli; Sceneggiatura: Tomaso Smith, Guido Brignone; Aiuto-regia: Tullio Covaz, Luigi Carpentieri; Fotografia: Otello Martelli; Montaggio: Dolores Tamburini; Suono: Tullo Parmegiani; Scenografia: Enrico Miniati; Costumi: Rosi Gori, Domenico Gaido; Musica: Enzo Masetti; Interpreti: Mariella Lotti, Rossano Brazzi, Camillo Pilotto, Piero Carnabuci, Annibale Betrone, Lauro Gazzolo, Tina Lattanzi, Achille Majeroni, Cesare Fantoni, Enza Delbi, Gorella Gori, Giulia Martinelli, Emilio Cigoli, Dino Di Luca; Durata: 85’. Produzione realizzata negli Studi della Scalera Film. LA STORIA: Durante la lotta dei pisani contro i pirati saraceni che infestano il Mediterraneo, una fanciulla, Spina di Pietro, detta “La Gorgona” viene consacrata vergine nazionale e incaricata di alimentare la lampada votiva fino al ritorno dei combattenti. Ma un giovane fiorentino Lamberto Finquinaldo, deluso per non essere stato nominato capo della spedizione contro i saraceni, si vendica privando della verginità la giovane, che ha ceduto a Lamberto perché perdutamente innamorata di lui, ma sentendo di aver mancato alla sacra consegna si getta dall’alto di una torre . Il giovane Lamberto, in preda al rimorso, si toglie la vita. LA CRITICA: «È di moda Sem Benelli: ancora una volta scontiamo le colpe dei padri! Mai spettacolo ci è sembrato più pacchiano e più brutale di questo. Neanche il più piccolo segno di una liberazione dagli schemi teatrali. Una fatica di trasposizione dal dramma che non deve essere costata gran che agli sceneggiatori. Vi appaiono Mariella Lotti, persa senza alcuna speranza in espressioni d’una piattezza sconfinata e Rossano Brazzi più legato che mai alle comuni consuetudini del buon recitare». (Giuseppe De Santis, in «Cinema», n. 156, 25 dic. 1942). GENOVEFFA DI BRABANTE di Primo Zeglio Anno di edizione 1947 Produzione: Vi.Va. Film; Produttore: Vittorio Vassarotti; Direttore di produzione: Ernesto Gentili; Soggetto: Evelina Levi, Fulvio Palmieri, Primo Zeglio, tratto da una leggenda del 1100; Sceneggiatura: Evelina Levi, Fulvio Palmieri, Primo Zeglio; Aiuto-regia: Italo Cremona; Fotografia: Gabor Pogany; Montaggio: Primo Zeglio; Scenografia: Italo Cremona; Costumi: Italo Cremona; Musica: Pietro Giorgi; Direzione musicale: Mario Carta; Interpreti: Gar Moor, Harrier White, Oretta Fiume, Enrico Glori, Guido Notari, Nerio Bernardi, Ugo Sasso, Dino Baronetto, Mario Siletti, Felice Minotti, Chicco Glori, Aristide Garbini, Bruno Giustini, Domenico Viglione Borghese, Giorgio De Lullo, Luigi Pavese; Durata: 90’. LA STORIA: Il Conte Sigfrido, aggredito da un gruppo di ribaldi e ormai in fin di vita, viene trasportato dal suo cavallo al castello del Duca di Brabante, suo amico, e curato amorevolmente da sua figlia Genoveffa. Sigfrido guarisce e si innamora della fanciulla, la sposa e torna con lei al suo castello. Ma la felicità dei due sposi dura poco, perché Sigfrido parte per la guerra e lascia la giovane moglie alle cure del suo amico, il Conte Gore, suo amministra-
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Capitolo terzo
tore. Ma Gore si innamora pazzamente di Genoveffa e la assedia con le sue pretese. Poiché la Contessa gli resiste, la getta in prigione dove partorisce. Gore approfitta della situazione per accusare la giovane sposa di Sigfrido di adulterio con un servo a lei fedele. Sigfrido, tornato dalla guerra, viene informato del fatto e ordina che adultera e bambino vengano uccisi, ma i carnefici, impietositi, li lasciano in vita abbandonandoli nella foresta. Con un messaggio vergato col sangue, Genoveffa informa il marito della sua innocenza. Sigfrido allora uccide il traditore, va alla ricerca della moglie e del figlio e li riporta al castello. LA CRITICA: «In questo lavoro, che ha per soggetto una pia leggenda, manca l’atmosfera religiosa. L’ambiente feudale è riprodotto con cura ma nell’insieme il film risulta artisticamente scadente». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXI, Anno 1947, Roma 1947, p. 100). LA MONACA DI MONZA di Raffaello Pacini Anno di edizione 1947 Produzione: A.CI.F. (Artisti Cinematografici Fiorentini); Produttore: Armando Greco; Direttore di produzione: Ernesto Gentili; Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Giovanni Rosini; Sceneggiatura: Raffaello Pacini, Primo Zeglio, Gian Piero Pucci, Mario Chiari; Aiuto-regia: Italo Cremona; Fotografia: Gabor Pogany; Montaggio: Rolando Benedetti; Scenografia: Italo Cremona; Costumi: Italo Cremona; Musica: Carlo Innocenzi; Interpreti: Paola Barbara, Carlo Tamberlani, Rossano Brazzi, Anna Brandimarte, Bella Starace Sainati, Carlo Duse, Sandro Ruffini, Marcello Giorda, Cesare Fantoni, Lisa Corelli, Guido Lazzarini, Wanda Capodaglio, Zora Piazza, Mignon Cocco, Dante Nello Carapelli; Durata: 94’. LA STORIA: La principessina Gertrude de Leyva divenuta monaca, suo malgrado, per volontà del padre, gode di particolari privilegi come quello di avere un appartamento tutto suo all’interno del monastero. Una sera si introduce nel suo appartamento il conte Egidio, un fuorilegge, che cerca asilo. Il conte resta colpito dalla bellezza della fanciulla e le dichiara il suo amore. La tresca giunge all’orecchio del fratello di Gertrude che sfida a duello Egidio, ma rimane ucciso. Egidio chiede a Gertrude di fuggire con lui a Roma per implorare dal Papa lo scioglimento dei votii, ma in realtà la conduce a Firenze dove vengono riconosciuti. Gertrude viene ricondotta a Milano dove il Cardinal Borromeo la persuade a tornare in convento e chiedere perdono a Dio. Egidio non si rassegna e tenta ancora di persuadere la giovane a fuggire con lui, ma viene da lei respinto. Inseguito dagli armati del Principe de Leyva viene ucciso. LA CRITICA: «Dalle non molte pagine che il Manzoni le ha dedicato nel suo romanzo la tragica figura di Gertrude de Leyva s’erge viva e indimenticabile. Ma di questa qui c’è poco o nulla; c’è invece un film in costume del Seicento, non migliore, né peggiore di tanti altri». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXII, Anno 1947, Roma 1947, p. 147).
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Vittime e eroine
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IL CONTE UGOLINO di Riccardo Freda
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Anno di edizione 1949 Produzione: Forum Film, A.P.I. Film; Produttore: Raffaele Colamonici, Umberto Momi; Soggetto: Luigi Monelli, ispirato all’omonimo personaggio dell’Inferno di Dante; Sceneggiatura: Stefano Vanzina, Mario Monicelli; Aiuto-regia: Valentino Trevisanato; Fotografia: Sergio Pesce; Montaggio: Roberto Cinquini; Scenografia: Alberto Boccianti; Costumi: Maria De Matteis; Musica: Alessandro Cicognini; Interpreti: Carlo Ninchi, Gianna Maria Canale, Peter Trent, Piero Palermini, Carla Calò, Luigi Pavese, Ugo Sasso, Ciro Berardi, Armando Guarnieri; Durata: 86’. Produzione realizzata negli Stabilimenti SAFA di Roma. LA STORIA: Il Conte Ugolino della Gherardesca, uno degli uomini più potenti della Repubblica di Pisa, è un buon padre, ma non disdegna avventure extraconiugali, ed è inviso alle altre famiglie nobili pisane. Contro di lui il Cardinale Ruggeri, che si finge suo amico, ordisce un complotto dal quale risulta che il Conte si è macchiato di alto tradimento. Ritenuto quindi responsabile della disfatta della battaglia della Meloria contro la Repubblica di Genova, Ugolino viene murato vivo, con i suoi figli e con i nipoti maschi, nella Torre dei Gualanti. La figlia, Emilia, nonostante sia riuscita a smascherare il complotto e abbia denunciato i veri colpevoli, che saranno poi fatti arrestare dal Papa, non potrà sottrarre Ugolino e i suoi congiunti all’orribile fine cui sono destinati LA CRITICA: «Il finale del film di Freda è tutto centrato sul volto squadrato con l’accetta di Ninchi, sulle sue tesissime espressioni di terrore e di furia, ma evita allo spettatore la truculenza che può essere suggerita dalla vicenda. Ninchi non si vede pertanto “sollevare la bocca dal fiero pasto”, come recita la cantica dantesca, perché Freda, con molta raffinatezza, compie un’elissi narrativa, lasciando in sospeso, come del resto avviene nel testo dantesco, ciò che effettivamente avviene dentro la segreta della torre». (Vittorio Martinelli, Filmografia ragionata, in Gianfranco Casadio, a cura di, Dante nel cinema, Ravenna, Longo, 1996, p. 114). PAOLO E FRANCESCA di Raffaello Matarazzo Anno di edizione 1949 Produzione: Lux Film; Produttore: Valentino Brosio; Direttore di produzione: Giuseppe Bordogni; Soggetto: tratto dalla vicenda immortalata da Dante Alighieri; Sceneggiatura: Vittorio Nino Novarese, Vittorio Calvino, Raffaello Matarazzo; Aiuto-regia: Giuliano Betti; Fotografia: Mario Montuori; Montaggio: Mario Serandrei; Scenografia: Ottavio Scotti; Arredamento: Gino Brosio; Costumi: Veniero Colasanti; Musica: Alessandro Cicognini; Interpreti: Odile Versois, Armando Francioli, Andrea Checchi, Aldo Silvani, Dedi Ristori, Nino Marchesini, Angela Lavagna, Roberto Murolo, Enzo Musumeci Greco, Guido Morisi, Giulio Tomasini, Segio Fantoni, Felice Minotti, Giuseppina Gerbino; Durata: 85’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Titanus e, in esterni, nelle rocche di Rimini, Ravenna, Forlimpopoli, Imola e Gradara. LA STORIA: Durante l’assedio di Ravenna, Paolo Malatesta, fratello di Gianciotto, Signore
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Capitolo terzo
di Rimini, per costringere la città alla resa per fame decide di distruggere i magazzini del grano. Entrato a Ravenna viene scoperto e ferito, ma riesce a salvarsi grazie all’intervento di una giovane che lo nasconde in un convento. Frattanto Gianciotto decide di mettere fine alla guerra sposando la figlia del Conte Guido da Polenta, Signore di Ravenna. Paolo, rientrato al campo, viene inviato nuovamente a Ravenna per sposare per procura la fanciulla. Arrivato in città, scopre che la donna che deve sposare per conto di Gianciotto è la medesima che lo ha salvato e che lui ama, riamato. A Rimini Francesca, che mal sopporta il marito, non resiste all’amore di Paolo. Non ci sarà che un solo bacio, ma sarà sufficiente per decretare la loro condanna a morte. LA CRITICA: «Approssimativa quanto deplorevole versione cinematografica della storia di Francesca da Rimini, che non ha neppure i pregi che non dovrebbero mancare ai film dedicati al grosso pubblico. L’interpretazione, come tutto il resto, lascia a desiderare». (A. Albertazzi, in «Intermezzo», n. 19, 15 ott. 1950). «Paolo e Francesca ebbe un vasto consenso di pubblico, anche se la critica dell’epoca lo ignorò – come accadeva per tutti film di questo regista – senza nemmeno andarlo a vedere. Riproposto venticinque anni dopo alla “personale” di Matarazzo al Festival di Avignone, il film venne ritenuto opera piena d’invenzione, con una purezza di stile che ricordava l’atmosfera musicale dei melodrammi italiani». (Vittorio Martinelli, Filmografia ragionata, in Gianfranco Casadio [a cura di], Dante nel cinema, Ravenna, Longo, 1996, p. 119). LA LEGGENDA DI GENOVEFFA di Arthur Maria Rabenalt Anno di edizione 1951 Produzione: Venturini Film; Direttore di produzione: Guido Paolucci; Soggetto: Lino De Joanna, tratto dalla Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze; Sceneggiatura: Lino De Joanna, Corrado Pavolini, Carlo Terron, Giuseppe Dall’Ongaro; Aiuto-regia: Antonio Capua; Fotografia: Massimo Dallamano; Montaggio: Loris Bellero; Suono: Nino Artuso; Scenografia: Vieri Bigazzi; Arredamento: Vieri Bigazzi; Costumi: Lucia Belfadel; Musica: Giovanni Fusco; Interpreti: Rossano Brazzi, Anne Vernon, Gianni Santuccio, Edmea Lari, Enzo Fiermonte, Elena Borgo, Pietro Tordi, Arrigo Peri, Viglione Borghese, Pino Vidale, Piero Carnabuci, Emilio Baldanello, Raf Pindi, Franco Fabrizi, Martina, Gianni; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Stabilimenti I.C.E.T. di Milano. LA STORIA: Si tratta del remake del film Genoveffa di Brabante, girato da Primo Zeglio nel 1947 (v.), ispirato alla medesima leggenda. Il film da noi visionato porta il titolo La vendetta di Brabante. LA CRITICA: «Un modesto film italiano diretto da un viennese, che riprende un argomento popolare già precedentemente portato sullo schermo. Gli interpreti dimostrano impegno e buona volontà, senza peraltro riuscire ad elevare di molto il livello artistico e il tono generale del lavoro». (A. Albertazzi, in «Intermezzo», n. 7/8, 30 apr. 1952).
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Vittime e eroine
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LA PRIGIONIERA DELLA TORRE DI FUOCO di Giorgio W. Chili
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Anno di edizione 1952 Produzione: L.I.A. Film (Lavoratori Italiani Associati); Produttore: Fernando Moscato, Nello Di Paolo; Direttore di produzione: Roberto Capitani; Soggetto: Alfred Nibjo jr.; Sceneggiatura: Alfred Nibjo jr, Giorgio W. Chili; Aiuto-regia: Ettore Salvi, Giancarlo Arbaci; Fotografia: Oberdan Troiani; Montaggio: Nino Baragli; Suono: Franco Groppini, Enrico Palmieri, E. Cianfarani; Scenografia: F.E. Galli; Costumi: F.E. Galli; Effetti Speciali: C. Battistelli; Musica: Carlo Rustichelli; Interpreti: Elisa Cegani, Milly Vitale, Ugo Sasso, Carlo Giustini, Attilio Dottesio, Nino Manfredi, Oscar Andriani, Carlo Ninchi, Cesare Fantoni, Franco Pesce, Memmo Carotenuto, Mario Galli, Vera Hutton, Sergio Nicoletti, Mario Sailer, Diego Pozzetto, Girolamo Favera, Secondo Zeglio, Giulio Calì, Ada Colangeli, Rossano Brazzi; Durata: 88’. LA STORIA: Nell’Emilia del Quattrocento le più potenti famiglie erano costantemente in lotta fra loro. Fra Cesco Maltivoglio e Marco Pepli non correva buon sangue, ciononostante Cesco, durante la guerra contro i turchi, salva la vita a Marco. I due giovani si giurano eterna amicizia. Tornato al castello Cesco apprende che la sorella tiene prigioniera in una torre la giovane Germana della Valle che era stata rapita molti anni prima dal più giovane dei Maltivoglio, atto che gli era costata la vita. Col tempo Cesco si innamora della ragazza, senza confessarglielo, ma ogni tentativo di liberarla trova l’opposizione della sorella. Intanto i Pepli, alleatisi con i Borgia, stanno per iniziare una guerra contro i Maltivoglio. Marco, in nome della segreta amicizia, avverte Cesco del pericolo ma conosce Germana e se ne innamora, riamato. Quando le truppe dei Pepli assediano il castello, Cesco scopre la relazione fra Germana e l’amico che, sentendosi tradito, lo fa rinchiudere in una segreta. I Pepli riescono ad entrare nel castello, ma Marco salverà ancora una volta i Maltivoglio, obbligando Cesco a ricredersi. Disperato per avere dubitato dell’amico, Cesco si getta nella mischia e viene ferito mortalmente. LA CRITICA: «Ispirato ad una leggenda nella quale fanno la loro comparsa anche personaggi della storia, questo film appare troppo cupo e troppo monotono per poter destare un reale interesse. Notevoli alcuni pregi di montaggio nelle sequenze belliche, per le quali sorge però il dubbio che si sia fatto largo uso di materiali di repertorio». (A. Albertazzi, in «Intermezzo», n. 11/12, 30 giu. 1953). BEATRICE CENCI di Riccardo Freda Anno di edizione 1956 Produzione: Electra Compagnia Cinematografica, Franco London Film; Direttore di produzione: Luigi Sanjust; Sceneggiatura: Jacques Remy, Filippo Sanjust; Aiuto-regia: Piero Mussetta; Fotografia: Gabor Pogany; Montaggio: Riccardo Freda, Giuliana Taucer; Suono: Ennio Sensi; Scenografia: Arrigo Equini; Arredamento: Maurizio Serra; Costumi: Filippo Sanjust; Musica: Franco Mannino; Interpreti: Micheline Presle, Gino Cervi, Fausto Tozzi, Frank Villard, Laudine Dupuis, Antonio De Teffé, Mireille Granelli, Emilio Petacci, Guido Barbarisi, Vittorio Vaser, Isabella Raffi, Carlo Mazzoni; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Sta-
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Capitolo terzo
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bilimenti di Cinecittà. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo della versione francese è Béatrice Cenci. In alcuni testi viene indicato Attilio Riccio come soggettista e Maurizio Serra Chiari come costumista, mentre nei titoli di testa il nome del soggettista non appare e come costumista è indicato Filippo Sanjust. LA STORIA: Si tratta del remake del film Beatrice Cenci, girato da Guido Brignone nel 1941 (v.), ispirato al medesimo fatto storico. LA CRITICA: «Presentata dignitosamente questa nuova versione cinematografica della storia della famiglia Cenci, ha avuto in Riccardo Freda un regista attento e coscienzioso, sì che questo film può essere ritenuto la sua cosa migliore». (U. Tani, in «Intermezzo», n. 20/21, 15 nov. 1956). PIA DE’ TOLOMEI di Sergio Grieco Anno di edizione 1958 Produzione: Do.Re.Mi., Procinex; Produttore: Carlo Infascelli; Soggetto: Carlo Infascelli; Sceneggiatura: Carlo Infascelli, Edoardo Anton, Leo Bomba, Giuseppe Mangione; Aiutoregia: Paolo Moffa; Fotografia: Tino Santoni; Montaggio: Alma Tedeschi; Scenografia: Peppino Piccolo, Beni Montresor; Costumi: Beni Montresor; Musica: Carlo Rustichelli; Interpreti: Ilaria Occhini, Jacques Sernas, Arnoldo Foà, Bella Darvi, Marcella Rovena, Renato Terra, Giulio Calì, Conrad Andersen, Tom Felleghy, Marco Paoletti, Edoardo Toniolo, Franca Mazzoni, Umberto Sacripante, Ivano Staccioli, Renato Chiantoni, Edoardo Micantoni, Raf Baldassarre, Fausto Guerzoni; Durata: 102. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Si tratta del remake del film Pia de’ Tolomei, girato da Esodo Pratelli nel 1941 (v.), ispirato al medesimo fatto storico. LA CRITICA: «Il semplicistico lavoro, che non ha intenti d’arte, si rivolge evidentemente ad un pubblico di scarse pretese. Regia e recitazione adeguate al soggetto». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLV, Anno 1958, Roma 1958, p. 44). «In piena stagione di peplum ritorna sullo schermo per la quinta volta – per ora l’ultima, ma non è detta la parola – la vicenda immortalata dai versi «Ricordati di me che son la Pia: Siena mi fé: disfecemi Maremma». Responsabile ne è Sergio Grieco, un regista che si è sempre mosso nel cinema di genere mercantile e minimo, ed il film che ne risulta è lineare, semplicistico, senza alcun intendimento artistico, rivolto ad un pubblico di scarse pretese». (Vittorio Martinelli, Filmografia ragionata, in Gianfranco Casadio [a cura di], Dante nel cinema, Ravenna, Longo, 1996, p. 115). CATERINA SFORZA La leonessa di Romagna di Giorgio W. Chili
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Anno di edizione 1959 Produzione: Consorzio Caterina Sforza Produzione Film; Direttore di produzione: Mario Colambassi; Soggetto: Giorgio W. Chili, Fred Niblo jr.; Sceneggiatura: Giorgio W. Chili, Cesare Meano; Fotografia: Angelo Baistrocchi; Montaggio: Ettore Salvi; Scenografia: Francesco P. Volta; Costumi: Luciana Angelini; Musica: Carlo Rustichelli; Interpreti: Virna Lisi, Roberto Risso, Sergio Fantoni, Alberto Farnese, Carlo Giuffré, Loris Gizzi, Nazareno D’Aquino, Giulio Donnini, Cesare Fantoni, Ennio Crisa, Caprice Chantal, Laura Nucci, Mimmo Palmara, Laura M. Rocca, Adriano Micantoni, Fedele Gentile, Dino D’Aquilio, Roy Ciccolini, Raffaella Pelloni, Vittorio Duse, Nerio Bernardi, Alfredo Zammi, Esperia Pieralisi, Polidor, Ugo Sasso, Delia Orman; Durata: 93’. OSSERVAZIONI: Raffaella Pelloni in seguito diventerà nota come Raffaella Carrà. LA STORIA: Nel 1476 Galeazzo Sforza, marito di Caterina, viene assassinato; cinque anni dopo Caterina sposa il Conte Girolamo Riario, Duca di Imola e Forlì. La contessa seppe conquistarsi l’affetto del popolo stanco dei metodi brutali del marito da cui ebbe cinque figli. Girolamo cadde vittima di una congiura capeggiata dagli Orsi, ma Caterina, con abilità, riuscì a sconfiggerli. In seguito sposò Giacomo, un soldato. Anch’egli cadde vittima di una congiura capeggiata da Ottaviano, primogenito di Caterina. Il terzo marito di Caterina fu Giovanni de’ Medici da cui nacque Giovanni Ludovico. Cesare Borgia le propose di fare sposare ad Ottaviano la sorella Lucrezia, ma il rifiuto di Caterina fece scoppiare la guerra con il Borgia. Durante l’assedio della Rocca di Castrocaro, Giovanni de’ Medici morì e Caterina fu sconfitta, col tradimento, dal Valentino che la portò a Roma e la costrinse a subire le sue imposizioni. Tempo dopo, nel convento delle Murate ove è in fin di vita, Caterina fa ancora in tempo a vedere il figlio Giovanni che in seguito diventerà famoso come Giovanni delle Bande Nere. LA CRITICA: «Si tratta di un lavoro modesto, realizzato con scarso impegno». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLVI, Anno 1959, Roma 1959, p. 241). GENOVEFFA DI BRABANTE di José Luis Monter Anno di edizione 1965 Produzione: Imprecine, Hispamer Film; Soggetto: Riccardo Freda, tratto dal romanzo Leyenda aurea di Jacopo da Varazze; Sceneggiatura: Riccardo Freda; Aiuto-regia: Lamberto Benvenuti; Fotografia: Stelvio Massi, Julio Ortas; Montaggio: Anna Amadei, Antonio Jimeno; Suono: Guido Nardone; Scenografia: Tedy Vilalba; Arredamento: Carlo Leva; Costumi: Carlo Leva; Musica: Carlo Rustichelli; Direzione musicale: Pier Luigi Urbini; Interpreti: Alberto Lupo, Maria José Alfonso, Angela Rhu, Stephen Forsyth, Andrea Bosic, Antonella Della Porta, Beni Deus, Rosita Yarza, Umberto Raho, Franco Balducci, Bruno Scipioni, Loris Loddi; Durata: 80’. Produzione realizzata in Spagna. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-spagnola. Il titolo della versione spagnola è Genoveva de Brabante. Anche se in tutti i testi consultati viene indicato come regista Riccardo Freda, nei titoli di testa compare solo quello dello spagnolo José Luis Monter.
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Capitolo terzo
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LA STORIA: Si tratta di un altro remake del film Genoveffa di Brabante, girato da Primo Zeglio nel 1947 (v.) e del film La leggenda di Genoveffa o La vendetta di Brabante (v.) girato da Arthur Maria Rabenalt nel 1951, ispirato al medesimo fatto. LA CRITICA: «Un lavoro senza pretese, caratterizzato da qualche ingenuità sul piano della ricostruzione storica, ma, in sostanza, diretto con discreto mestiere e con un certo senso dello spettacolo». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LVII, Anno 1965, Roma 1965, p. 123). LA MONACA DI MONZA di Carmine Gallone Anno di edizione 1961 Produzione: Globe Films International, Produzione Gallone, Paris Elysées Films; Produttore: Henry Lombroso; Soggetto: Lucia Drudi Demby, Giuseppe Mangione, Carmine Gallone, tratto da documenti dell’epoca; Sceneggiatura: Lucia Drudi Demby, Giuseppe Mangione, Carmine Gallone; Collaborazione alla regia: Franco Cirino; Fotografia: Tonino Delli Colli; Montaggio: Nicolò Lazzari; Suono: Umberto Picistrelli; Scenografia: Franco Lolli; Arredamento: Franco Lolli; Costumi: Dina Di Bari; Musica: Giovanni Fusco; Direzione musicale: Franco Ferrara; Interpreti: Giovanna Ralli, Gabriele Ferzetti, Lilla Brignone, Elisa Cegani, Heléne Chanel, Mario Feliciani, Fosco Giachetti, Alberto Lupo, Evi Maltagliati, Rosy Mazzacurati, Corrado Pani, Sandro Pistolini, Luciano Pigozzi, Robert Porte, Giulia Rubini, Lia Coppelli, Emma Grammatica, Gino Cervi; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo dell’edizione francese è La religieuse de Monza. LA STORIA: Si tratta del remake del film La Monaca di Monza, girato da Raffaello Pacini nel 1947 (v.), tratto dal medesimo romanzo di Giovanni Rosini ispirato al personaggio manzoniano. Rispetto al film di Pacini vi è solo il cambio del nome di battesimo della monaca che qui si chiamaVirginia anziché Gertrude e il finale truculento con la monaca che muore murata viva nell’eremo. LA CRITICA: «Film di mediocre fattura, privo di approfondimenti drammatici, tutto esteriore nello sviluppo psicologico e narrativo. Regia e recitazione di scarso rilievo». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LI, Anno 1962, Roma 1962, p. 293). LA NOTTE DELL’INNOMINATO di Luigi Demar Anno di edizione 1962 Produzione: Tabor Film; Direttore di produzione: Attilio Tosato; Soggetto: Luigi De Marchi; Sceneggiatura: Luigi De Marchi; Fotografia: Carmelo Petralia; Montaggio: Otello Colangeli; Suono: Sandro Ochetti, Alessandro Sarandrea; Scenografia: Luigi Latini De Marchi; Co-
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stumi: Dario Della Corte; Maestro d’armi: Janos Kavej; Musica: Aldo Piga; Interpreti: Dan Harrison, Charito Ruiz Maldonado, Mirko Ellis, Anita Todesco, Anna Bolens, Italo Alfaro, Thea Valentino, Igino Bonazzi, Ariano Praga, Renato Rossigni, Adolfo Fenoglio, Claudio Ruffini, Armando Albanese, Lorella De Luca, Fosco Giachetti; Durata: 90’. Produzione realizzata in esterni a Torino. OSSERVAZIONI: Luigi Demar è lo pseudonimo con cui si firma, nei titoli di testa, Luigi Latini De Marchi. LA STORIA: Nella notte del rapimento di Lucia, l’Innominato ripercorre la sua vita. Molti anni prima una carovana di gitani andalusi era alle porte di Milano. Tra questi c’erano Esteban con sua madre, la fidanzata Maria Dolores, e la sorella di quest’ultima, Carmencita che, innamorata di Esteban ricorre ad ogni mezzo per ostacolare le nozze. In un tafferuglio da lei prodotto, la sorella muore uccisa dagli sgherri. I carri degli zingari vengono distrutti ed i pochi superstiti, tra cui Esteban e la madre, sono costretti alla fuga. Carmencita diventa la moglie del governatore ed Esteban un bandito che ruba il grano e l’oro agli spagnoli per darli al popolo Per il capriccio di Carmencita, la madre di Esteban, arrestata e accusata di stregoneria, muore. Esteban continua la sua vita di bandito e diventa il terribile Innominato, che giungerà infine alla conversione per opera di Lucia e del Cardinale Federico LA CRITICA: «Orrendo pasticciaccio di cappa e spada ispirato al personaggio manzoniano che, sul punto di convertirsi dopo aver rapito Lucia Mondella, ricorda la sua vita». (Anonimo, La notte dell’Innominato, in «Mymovies.it»). I PROMESSI SPOSI di Mario Maffei Anno di edizione 1963 Produzione: Cineproduzioni E. Bistolfi, Copercines; Produttore: Emo Bistolfi; Soggetto: tratto dall’omonimo romanzo di Alessandro Manzoni; Sceneggiatura: Silver Bem, Mario Guerra, Maria Luisa Garoppo, José Mallorqui, Vittorio Vighi; Fotografia: Tino Santoni, Julio Ortas; Montaggio: Giuliana Attenni; Suono: Kurt Doubrawsky; Scenografia: Franco Lolli; Costumi: Maria Luisa Panaro; Musica: Carlo Rustichelli; Direzione musicale: Franco Ferrara; Interpreti: Gil Vidal, Maria Silva, Manuel Manolo Monroy, Carlo Campanini, Ivo Garrani, Ilaria Occhini, Arturo Dominici, Lilla Brignone, Umberto Rabo, Paolo Carlini, Amalia Rodriguez, Miguel S. Del Castello, Nando Angelini, Maria Piazzai, Alfonso Rojas, Lorenzo Robledo; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Stabilimenti della Titanus-Farnesina e, in esterni, in Spagna a Toledo e nei suoi dintorni. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-spagnola. Il titolo della versione spagnola è Los novios. Silver Bem è lo pseudonimo di Emo Bistolfi. LA STORIA: Si tratta del remake del film I promessi sposi, girato da Mario Camerini nel 1941 (v.), tratto dal medesimo romanzo manzoniano. LA CRITICA: «Ci pare di ricordare che Maffei dovesse realizzare un film sull’emigrazione meridionale a Torino (e che l’avesse anche iniziato, fra numerose difficoltà e veti). Ci ritroviamo con un’edizione “popolare” e fumettistica del Manzoni, girato in Spagna, “l’unico
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Capitolo terzo
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paese ove fosse possibile ritrovare analoghe condizioni ambientali e sociali”. Auguri». (Anonimo, in «Cinema Nuovo», n. 169, mag./giu. 1964). «Dell’opera manzoniana il film conserva unicamente la traccia, con abbondanti lacune e sproporzioni. La regia è superficiale, a volte ingenua, aggravata da una recitazione elementare e da una colonna sonora banale e invadente». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LV, Anno 1964, Roma 1964, p. 138). LA MONACA DI MONZA Una storia lombarda di Eriprando Visconti Anno di edizione 1968 Produzione: Clesi Cinematografica San Marco; Produttore: Silvio Clementelli; Direttore di produzione: Felice D’Alisera; Soggetto: tratto da documenti e dalla ricostruzione degli atti del processo celebrato a Milano nel 1608; Sceneggiatura: Gian Piero Bona, Eriprando Visconti; Aiuto-regia: Angelo Rossi; Fotografia: Luigi Kuveiller; Montaggio: Sergio Montanari; Suono: Carlo Palmieri; Scenografia: Flavio Mogherini; Arredamento: Ennio Michettoni; Costumi: Danilo Donati; Musica: Ennio Morricone; Direzione musicale: Bruno Nicolai; Interpreti: Anne Heywood, Antonio Sabáto, Hardy Kruger, Tino Carraro, Luigi Pistilli, Anna Maria Alegiani, Margherita Lozano, Giovanna Galletti, Caterina Boratto, Renzo Giovanpietro, Laura Belli, Maria Michi, Rita Calderoni, Pier Paolo Capponi, Giulio Donnini, Francesco Carnelutti, Michel Bardinet, Carla Gravina; Durata: 102’. Produzione realizzata negli Stabilimenti IN.CI.R.-De Paolis. LA STORIA: Si tratta di un altro remake del film La Monaca di Monza, girato da Raffaello Pacini nel 1947 (v.) e da Carmine Gallone nel 1961 (v.), ispirato al personaggio manzoniano e al medesimo del romanzo di Giovanni Rosini. Anche nel film di Visconti la monaca si chiama Virginia e pur finrendo rinchiusa nella sua cella in perpetuo, dopo tredici anni, per intercessione del nuovo Papa, la pena le sarà condonata e, in più, sarà reintegrata nel ruolo di Badessa, LA CRITICA: «Dai documenti storici relativi al personaggio manzoniano, l’autore ha estratto i fatti più appariscenti e più forti, calcando con mano pesante mille diverse situazioni senza misura, gusto e rispetto sia per la verità storica, sia per i personaggi ridotti a manichini e al cui dramma, anche per il banale dialogo, non fa alcun cenno. Una certa cura formale, la ricostruzione di ambienti e di costumi, non sollevano il lavoro dalla sua sostanziale mediocrità». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXVI, Anno 1969, Roma 1969, p. 154). BEATRICE CENCI di Lucio Fulci Anno di edizione 1969 Produzione: Filmena; Produttore: Giorgio Agliani; Direttore di produzione: Adriano Merkel; Soggetto: Roberto Gianviti, Lucio Fulci; Sceneggiatura: Roberto Gianviti, Lucio Fulci; Aiuto-
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Vittime e eroine
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regia: Tiziano Cortini; Fotografia: Erico Menczer; Montaggio: Antonietta Zita; Suono: Leopoldo Rosi, Carlo Diotallevi; Scenografia: Umberto Turco; Costumi: Mario Giorsi; Musica: Angelo Francesco Lavagnino, Silvano Spadaccino; Interpreti: Tomas Milian, Adrienne La Russa, Georges Wilson, Antonio Casagrande, Raymond Pellegrin, Pedro Sanchez, Mavie, Amedeo Trilli, Umberto D’Orsi, John Bartha, Mirko Ellis, Massimo Sarchielli, Max Steffen Zacharias, Stefano Orpedisano; Durata: 99’. Produzione realizzata negli Studi Incir-De Paolis. OSSERVAZIONI: Pedro Sanchez è il nome d’arte di Ignazio Spalla. LA STORIA: Si tratta di un altro remake del film Beatrice Cenci, girato da Guido Brignone nel 1941 (v.) e da Riccardo Freda nel 1956 (v.), ispirato al medesimo fatto storico anche se con un finale ancora più cruento. LA CRITICA: «Da un fatto tramandatoci dalla storia e dalla tradizione popolare, cui si mantiene fedele, l’autore ne ha fatto un dramma grandguignolesco confuso e grossolano, cogliendo ogni occasione per esacerbare gli aspetti più foschi e truculenti del racconto». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXVIII, Anno 1970, Roma 1970, p. 71). PAOLO E FRANCESCA di Gianni Vernuccio Anno di edizione 1969 Produzione: Caboto Pictures; Produttore: Oscar Righini; Direttore di produzione: Emilio Curi; Soggetto: Romano Ferrara; Sceneggiatura: Romano Ferrara; Fotografia: Gianni Vernuccio; Montaggio: Gianni Vernuccio; Scenografia: Giorgio De Dauli; Costumi: Giorgio De Dauli; Musica: Bruno Nicolai; Interpreti: Francesca Righini, Gérard Blain, Elsa Boni, Samy Pavel, Miriam Crotti, Ben Salvador, Theo Colli, Nico Balducci, Ivana Novak, Gabriella Lepori, Luigia Pierdominici, Leda Massari; Durata: 97’. OSSERVAZIONI: Theo Colli è Teo Teocoli. LA STORIA: Si tratta del remake del film Paolo e Francesca, girato da Raffaello Matarazzo nel 1949 (v.), ispirato, con qualche variazione sul tema, al medesimo episodio della Divina Commedia di Dante. LA CRITICA: «Tipico prodotto di certo fumettismo cinematografico moderno, il film presenta una serie di personaggi privi di conistenza psicologica, immersi in situazioni incredibili e preda di travolgenti quanto fatali passioni. Elementare nella tecnica, il film ottiene effetti involontariamente ridicoli proprio in quelle che dovrebbero essere le scene più drammatiche della vicenda». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXIV, Anno 1973, Roma 1973, p. 106). «Dulcis in fundo, nel 1971, spunta un ennesimo Paolo e Francesca, prodotto con molta improntitudine e pochi soldi da una non meglio identificata “Caboto-Pictures”. Ne è regista, montatore ed anche operatore alla macchina, Gianni Vernuccio. […] Mentre il pubblico disertò le sale, la critica si espresse nei confronti del film senza mezzi termini: una attualizza-
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Capitolo terzo
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zione della vicenda alla stregua di un foto-fumetto, un’interpretazione, a parte il noto Gérard Blain, capitato chissà come in questo marasma, di un gruppetto di comparse elevate al rango di attori, una scenografia di cartapesta, nulla riuscì indenne». (Vittorio Martinelli, Filmografia ragionata, in Gianfranco Casadio [a cura di], Dante nel cinema, Longo, Ravenna 1996, p. 119). LA COLONNA INFAME di Nelo Risi Anno di edizione 1972 Produzione: Filmes; Direttore di produzione: Cecilia Bigazzi; Soggetto: Nelo Risi, tratto dall’opera omonima di Alessandro Manzoni; Sceneggiatura: Vasco Pratolini, Nelo Risi; Aiuto-regia: Monica Felt; Fotografia: Giulio Albonico; Montaggio: Gian Maria Messeri; Suono: Massimo Jaboni; Scenografia: Giuseppe Bassan; Arredamento: Eugenio Liverani; Costumi: Vera Marzot; Musica: Giorgio Gaslini, Giuseppe Verdi; Interpreti: Helmut Berger, Vittorio Caprioli, Francisco Rabal, Lucia Bosè, Pier Luigi Aprà, Salvo Randone, Sergio Tofano, Steffen Zacharias, Annabella Incontrera, Daniele Dublino, Philippe Hersent, Dino Mele, Feodor Chaliapin, Evar Maran, Filippo De Gara, Ernesto Colli, Francesco D’Adda, Roberto Maldera, Ferdinando Murolo, Pietro Fumelli; Durata: 105’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. OSSERVAZIONI :Monica Felt è lo pseudonimo di Monica Venturini. LA STORIA: Nel 1630, mentre a Milano infuria la peste, Guglielmo Piazza, commissario di sanità del rione di porta Ticinese, viene accusato da due sciocche donnette, che hanno male interpretato un suo gesto di aver “unto” i muri di una strada per spargere il contagio. Arrestato, il Piazza si proclama innocente finché vinto dalle torture e sperando in una illusoria impunità che gli è stata promessa non solo si confessa colpevole ma accusa anche di complicità un povero barbiere, Giacomo Mora, asserendo di aver comprato proprio da lui l’unguento pestifero. Torturato a sua volta, anche il barbiere cede. Contando di giovarsi dell’intoccabilità dei potenti i due tentano come ultima disperata difesa, di coinvolgere nel loro processo un nobile spagnolo. Il potente però viene assolto mentre gli sventurati Mora e Piazza dopo aver attraversata la città legati su un carro e dopo aver subito la mutilazione della mano destra e lo stritolamento delle ossa, sono arsi vivi. Dove sorgeva la casa del Mora, che viene demolita, le autorità fanno erigere a perenne testimonianza dell’iniquità dei due “untori”, la cosiddetta “Colonna Infame”. LA CRITICA: «Era nell’aria da anni il progetto di portare sullo schermo La storia della colonna infame (1840) di Alessandro Manzoni […]. L’ha realizzato ora […], Nelo Risi […], avvalendosi per il testo della collaborazione di Vasco Pratolini. […] Così com’è il film risulta la cronaca, in buona parte nota o prevedibile, di una clamorosa ingiustizia (la colonna infame eretta sulla casa distrutta del condannato Gian Giacomo Mora, tornò a infamia dei giudici che ne ordinarono l’erezione). Operazione intellettualistica […], il film è prezioso nei riferimenti alla pittura secentesca dai lombardi a Caravaggio e puntuale nel ricorrere alla Messa da requiem di Verdi nei momenti più intensi: non altrettanto felice appare nella recitazione, diseguale nei singoli contributi quanto appiattita dal doppiaggio a un livello radiofonico». (Tullio Kezich, in «Panorama», 3 mag. 1973).
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Vittime e eroine
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LA BADESSA DI CASTRO di Armando Crispino
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Anno di edizione 1973 Produzione: Claudia Cinematografica; Produttore: Gino Mordini; Direttore di produzione: Sergio Bollini; Soggetto: tratto dal racconto L’Abbesse de Castro di Stendhal; Sceneggiatura: Lucio Manlio Battistrada, Armando Crispino; Aiuto-regia: Francesco Longo; Fotografia: Gabor Pogany; Montaggio: Carlo Reali; Suono: Raul Montesanti; Scenografia: Antonio Visone; Costumi: Adriana Spadaro; Musica: Carlo Savina; Interpreti: Barbara Bouchet, Pier Paolo Capponi, Eveline Stewart, Antonio Cantafora, Mara Venier, Luciana Turina, Ciro Ippolito, Stefano Oppedisano, Serena Spaziani, Jole Fierro, Giancarlo Maestri, Marcello Fusco, Franca Lumache, Giuseppe Pertile, Paolo Granata, Patrizia Valturri; Durata: 102’. Produzione realizzata nei Teatri di Posa De Paolis-In.ci.R. LA STORIA: Nel secolo. XVI, Elena dei Signori di Campireali, suora per forza nel convento di Castro (la madre volle sottrarla all’amato Giulio Branciforti), sfoga le sue repressioni con l’esercizio dell’autorità, viene così a trovarsi in un rapporto amore-odio col vescovo, che riesce a sostituirsi nelle grazie di lei al Branciforti. In un’alternanza di furori erotici, penitenze sanguinose, lugubri cerimonie e festini sguaiati, la badessa sottrae alla punizione del Vescovo un frate sorpreso con una monaca e ne agevola la fuga finché i due, accerchiati dalle milizie vescovili, si suicidano. Denunziati gli arbitri e la tresca da una monaca aspirante badessa e gelosa del prelato, l’inquisizione arresta, tortura e interroga le varie consorelle mentre il Vescovo e la Badessa, che è incinta di lui, attendono la loro sorte. La principessa Campireali riesce a corrompere il tribunale in favore della figlia e fa intervenire il redivivo Branciforti, ma troppo tardi. La Badessa, saputo in salvo il bimbo appena partorito in carcere, si suicida per non tradire il Vescovo LA CRITICA: «Si tratta di un lavoro assai modesto e privo di vigore espressivo. Della storiaccia, tratta dal racconto omonimo di Stendhal, non va contestata tanto la eventuale storicità del nucleo narrativo, quanto l’opportunità di trasferirla sugli schermi in modo così volgare e soprattutto la sua utilizzazione ai fini di un rozzo anticlericalismo e quale pretesto per esporre un campionario di atrocità, sacrilegi, erotismo anche contro natura, di pseudo-reliquie putrefatte e mostruose, di idiozie che offendono anche le più modeste intelligenze (come l’affermazione che l’elezione di una badessa coinvolga l’infallibilità della Chiesa)». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXVI, Anno 1974, Roma 1974, p. 238). «Armando Crispino, subito messe da parte le ascendenze letterarie e i significati, ha puntato sull’intrigo e al drammone storico, utilizzando i grevi e convenzionali moduli dell’erotismo di questo genere di film, sia pure con un certo decoro formale e ambientale. Inverosimile monaca, l’attraente Barbara Bouchet convince di più quando si spoglia». (P. Virgintino, in «Gazzetta del Mezzogiorno», 27 lug. 1974). LE SCOMUNICATE DI SAN VALENTINO di Sergio Grieco Anno di edizione 1973 Produzione: Claudia Cinematografica; Produttore: Gino Mordini; Soggetto: Gino Mordini,
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Capitolo terzo
Sergio Grieco; Sceneggiatura: Max Vitali, Sergio Grieco; Aiuto-regia: Massimo Carocci; Fotografia: Emore Galeassi; Montaggio: Mario Gargiulo; Scenografia: Carlo Castaldi; Costumi: Carlo Castaldi; Musica: Lallo Gori; Interpreti: Françoise Prevost, Jenny Tamburi, Paolo Malco, Franco Ressel, Corrado Gaipa, Gino Rocchetti, Piero Anchisi, Bruna Beani, Dada Gallotti, Adriana Facchetti, Cinzia Greco, Eleonora Spinelli, Aldina Martano, Franca Scagnetti, Barbara Herrera, Calisto Calisti. Durata: 90’. LA STORIA: Nella Spagna del ’500, i giovani Lucita Fuentes e Estéban Albornos, appartenenti a famiglie rivali si amano, ma sono costretti dalle avverse circostanze a dividersi. Lei finisce in un convento, lui si dà alla macchia. Ferito, Estéban trova rifugio nel convento di Lucita, dove una perversa badessa s’innamora di lui. Respinta, per vendetta, la religiosa cerca di consegnare all’Inquisizione Lucita, ma ottiene soltanto di essere murata viva. Estéban finalmente riesce a liberare l’amata. LA CRITICA: «È un prodotto di serie del filone erotico-sadico-conventuale che ha il suo capostipite letterario in La monaca di Monza e che di recente ha trovato un nuovo impulso con il successo, non immeritato, di Le monache di Sant’Arcangelo [...]. In ricordo del passato fa un po’ pena vedere, fra tante filodrammatiche, un’attrice come Françoise Prevost imbarcata su questa galera». (M. Morandini, in «Il Giorno», 18 ago. 1974). SEPOLTA VIVA di Aldo Lado Anno di edizione 1973 Produzione: Euro International Films, C.A.P.A.C.; Direttore di produzione: Pietro Innocenzi; Soggetto: Claudio Masenza, Antonio Troisio, tratto dal romanzo omonimo di Marie Eugénie Saffray; Sceneggiatura: Claudio Masenza, Antonio Troisio, Aldo Lado; Aiuto-regia: Ruggero Miti; Fotografia: Mario Vulpiani; Montaggio: Alberto Gallitti; Scenografia: Fiorenzo Senese; Costumi: Fiorenzo Senese; Maestro d’armi: Sergio Sagnotti; Musica: Ennio Morricone; Direzione musicale: Bruno Nicolai; Interpreti: Agostina Belli, Maurizio Bonuglia, Fred Robshan, Dominique Darel, Monica Monet, François Perrin, Arturo Trina, Daniele Dublino, Edda Valente, Patrizia De Clara, Pat Morin, Gianni Di Benedetto, Luigi Antonio Guerra, Laura Betti, José Quaglio; Durata: 110’. Produzione realizzata negli Studi De Paolis e, in esterni, in Val d’Aosta nei Castelli di Fenis e Issogne. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Non si conosce il titolo della versione francese né si sa se sia mai stato distribuito in Francia. LA STORIA: Philippe, duca di Cambise, ha sposato Cristina, la figlia di un pescatore. I due fratelli del duca, Ferdinand e Gael, fanno rapire la donna (che è incinta) facendo credere che sia morta. Nel frattempo Gael, respinto per l’ennesima volta dalla sua amata, si uccide; mentre Philippe, scoperto l’inganno (è stato avvisato da Giovanna la Pazza) sfida a duello Ferdinand. LA CRITICA: «Primo esempio del piccolo genere dei romanzi d’appendice che andò di moda negli anni ’70 […]. Nel film di Lado si nota anche la presenza di Claudio Masenza soggettista e sceneggiatore. […] Divertente. Agostina Belli è notevolissima mentre si agita seminuda nel letto e il cattivo Maurizio Bonuglia non è da meno». (Marco Giusti, Dizionario dei film italiani stracult, Milano, Frassinelli, 2004, p. 765).
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Vittime e eroine
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IL FIGLIO DELLA SEPOLTA VIVA di André Colbert
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Anno di edizione 1974 Produzione: T.R.A.C. (Torino Roma Attività Cinematografiche); Produttore: Enzo Doria; Direttore di produzione: Claudio Grassetti; Soggetto: André Colbert, liberamente tratto dai romanzi di Carolina Invernizio; Sceneggiatura: André Colbert; Aiuto-regia: Giorgio Maulini; Fotografia: Aldo De Robertis; Montaggio: Angelo Curi; Suono: Roberto Alberghini; Scenografia: Carlo Gentili; Costumi: Carlo Gentili; Maestro d’armi: Rocco Lerro; Musica: Franco Micalizzi; Direzione musicale: Alessandro Blonksteiner; Interpreti: Fred Robsham, Eva Czemeris, Pier Maria Rossi, Gabriella Lepori, Anna Fadda, Gianni Cavina, Salvatore Puntillo, Aldo Cecconi, Piero Lulli, Liliana Gerace, Romano Moretti, Vittorio Fanfoni, Carla Mancini, Patrizia Fanelli; Durata: 90’. OSSERVAZIONI. André Colbert è lo pseudonimo con cui Luciano Ercoli si firma nei titoli di testa. Il film è il seguito della Sepolta viva di Aldo Lado del 1973 (v.) LA STORIA: La Duchessa di Cambise commette ogni sorta di angherie sulle sue popolazioni. Un misterioso pellegrino muto, Damy, sa che il vero duca di Cambise è il giovane François, la cui madre Cristine è stata rinchiusa in una torre e il padre assassinato. Un frate, P. Lebois, conferma con una testimonianza scritta la verità di questa asserzione. La Duchessa di Cambise quando scopre di essere solo figlia di una serva scatena la sua ferocia ed elimina tutte le persone che potrebbero testimoniare presso il Re di Francia, Luigi XV, per farla deporre. Un buffone di corte, Polly, aiuta François e i suoi compagni, ma la Duchessa fa rapire anche Elisabeth, la fidanzata di François. Dopo alterne vicende, tutti i personaggi cattivi finiscono male, anche la falsa Duchessa di Cambise muore in un bagno di acido nel quale voleva distruggere Elisabeth. François è riconosciuto dal Re quale vero Duca di Cambise, e associa al suo trionfo Elisabeth, fra la gioia di tutto il popolo, finalmente libero dalle angherie della falsa Duchessa. LA CRITICA: «Il film è piuttosto farraginoso come racconto e modesto nella interpretazione; è discutibile e scabroso per le prolungate scene di violenza e di cattivo gusto, al limite della decenza». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXVII, Anno 1974, Roma 1974, p. 206). «Il meno conosciuto dei Carolina Invernizio-movies nati e rapidamente scomparsi nei primi anni ’70. Ercoli si francesizza per l’occasione (André Colbert…). Il cast però è modesto». (Marco Giusti, Dizionario dei film italiani stracult, Milano, Frassinelli, 2004, p. 316). LA CODA DEL DIAVOLO di Giorgio Treves Anno di edizione 1986 Produzione: Cinema & Cinema, Sandor Produzioni, Istituto Luce, Ital Noleggio Cinematografico, RAI-Radiotelevisione Italiana, Selena Audiovisuel, Alliance Film Communication, FR 3; Produttore: Paolo Zaccaria, Lise Fayolle; Soggetto: Vincenzo Cerami; Sceneggiatura: Vincenzo Cerami, Giorgio Treves, Pierre Dumayet; Fotografia: Giuseppe Ruzzolini; Mon-
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Capitolo terzo
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taggio: Carla Simoncelli; Musica: Egisto Macchi; Interpreti: Robin Renucci, Isabelle Pasco, Piera Degli Esposti, Paolo Rossi, Franco Citti, Maurizio Donadoni, Andrej Seweryn, Gianfranco Barra, Valeria Magli, Serge Spira, Erland Josephson, Carole Bouquet; Durata: 89’. OSSERVAZIONI: Coproduzione Italo-francese. Il titolo della versione francese è Le mal d’aimer. LA STORIA: In un piccolo paese nelle Fiandre alla fine del XV secolo esiste, nel recinto di St. Clément, un lebbrosario diretto dal dottor Robert Briand. È un luogo che somiglia a un lager, in cui vivono individui di difficile catalogazione: Marie Blanche, una prostituta fiera della sua condizione, un sordomuto, Eleonore, una pazza, altri personaggi pervasi da follia. Briand, che è innamorato della prostituta, cerca di curarla per liberarla del demonio che secondo lui la possiede. La ragazza cerca di resistere; costringe Briand ad accettare la sua condizione. L’uomo, attraverso questo rapporto, comprende la vera natura dell’esistenza e dell’amore. LA CRITICA: «Lebbra, sifilide, Aids: le pestilenze sono malattie reali o strumenti del potere per imporre regimi di repressione? La problematica del soggetto di Vincenzo Cerami è impaginata con rara eleganza nelle immagini di questo insolito film d’esordio, firmato da Giorgio Treves e già premiato con il David di Donatello. [...]. Considerato da alcuni il nuovo Gérard Philipe, Renucci dà adeguato rilievo a un personaggio in perpetua crisi. Ma il film, nella sua eloquente correttezza, ha qualcosa di algido che lo trasforma in un teorema senza passione». (Tullio Kezich, in «Panorama», aprile 1987) LA MONACA DI MONZA Eccessi, delitti, misfatti di Luciano Odorisio Anno di edizione 1986 Produzione: Clemi Cinematografica, Reteitalia; Produttore: Giovanni Di Clemente; Soggetto: Gino Capone; Sceneggiatura: Gino Capone, Carlo Lizzani, Luciano Odorisio, Piero Chiara; Aiuto-regia: Donatella Maiorca; Fotografia: Romano Albani; Montaggio: Enzo Meniconi; Suono: Mario Dallimonti; Scenografia: Massimo Razzi; Costumi: Enrico Luzzi; Musica: Pino Donaggio; Direzione musicale: Natale Massara; Interpreti: Alessandro Gassman, Myriem Roussel, Renato De Carmine, Augusto Zucchi, Flaminia Lizzani, Almerica Schiavo, Nicoletta Boris, Cirus Elias, John Francis Lane, Alina De Simone, Coralina Cataldi Tassoni, Leonardo De Carmine, Marika Ferri, Francesca Maria Lesnoni, Gea Martire, Francesco Scali, Francesco Acquaroli, Luciano Baglioni, Andrea Baker, Stefania Bifano, Achille Brunini, Laura Devoti, Riccardo Diana, Tezzy Jemma, Julian Jenkins, John Karlsen, Jorge Krimer, Alfredo Moretti, Clelia Piscitello, Peter Pitsch, Franco Pistoni, Massimo Sarchielli, Federica Tessari, Eugenia Zanelli, Berta Dominguez; Durata: 98’. LA STORIA: Si tratta di un ulteriore remake del film La Monaca di Monza, girato da Raffaello Pacini nel 1947 (v.), da Carmine Gallone nel 1961 (v.) e da Eriprando Visconti nel 1968 (v.), tratto dal medesimo romanzo di Giovanni Rosini. Ancora una volta però la monaca cambia nome e si chiamerà, questa volta, Maria Virginia, nome leggermente diverso dalla Virginia di Gallone e Visconti. Anche Odorisio dice la sua sul finale. La Monaca non sarà condannata in perpetuo alla segregazione, ma sarà condannata a soli tredici anni.
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Vittime e eroine
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LA CRITICA: «Documentazione accurata, ambientazione d’epoca di rara finezza, con la suggestiva fotografia di Romano Albani nel ricreare la religiosità conventuale ed il cupo evolversi degli avvenimenti, una regia di Odorisio attenta e precisa, che non scade nel facile erotismo da “guardoni”, il film presenta Myriem Roussel […], una suor Virginia sensibile, sensuale; ed Alessandro Gassman, un Osio truce, ribaldo ed infelice». (E. Nuara, in «Ciack si gira», n. 1, gen. 1988).
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IV.
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IL DIAVOLO E L’ACQUA SANTA
1. Storie d’autore allegre e licenziose L’aver raccolto in questa parte del libro i film realizzati da autori seri, e universalmente riconosciuti come maestri del cinema italiano, senza una classificazione logica e coerente, uniti solo dal fatto che si tratta di film che spaziano fra l’anno Mille e gli albori del’Ottocento, ha il solo scopo di salvaguardare certi capolavori da quel minestrone di film che hanno caratterizzato il genere comico-erotico-storicoavventuroso del periodo preso in esame. Autori come Camerini, Lattuada, Scola, Monicelli, Rosi, Comencini, Pasolini, Bene, Fellini, Troisi non potevano essere accomunati ad autori come Maffei, Crispino, Vernuccio, Odorisio, Guerrini, Alfaro, Amadio, Callegari, Vivarelli, Infascelli e cento altri ancora, da qui l’idea di raccogliere, come in un mazzo, quelli che riteniamo siano il meglio del genere. Cominciamo con Camerini e Il cappello a tre punte del 1935, tratto dal romanzo El sombrero de tres picos di Pedro de Alaćon. Il film, divertente, ben diretto e affidato ad una coppia di artisti quali Eduardo e Peppino De Filippo, affiancati da Leda Gloria e Dina Perbellini, non si spinge oltre certi limiti nelle situazioni piccanti risentendo del clima perbenista del periodo. Camerini, forse conscio di tutto ciò, pensò di riprendere il suo progetto e, vent’anni dopo ripropose il film con il titolo La bella mugnaia, questa volta senza porsi limiti e, a volte, anche tradendo la spontaneità della prima versione, con un esuberante Vittorio De Sica, una prorompente Sophia Loren, affiancati da un Marcello Mastroianni, un po’ giuggiolone, e da una maestosa Yvonne Sanson. Nel 1965 Alberto Lattuada trae, da una commedia di Nicolò Machiavelli, il film omonimo La mandragola. Nonostante i mugugni di qualche critico a cui non era piaciuto come Lattuada aveva interpretato Machiavelli, il film convince e diverte. Il piccante ed erotico racconto è magistralmente interpretato da una bella e brava Rosanna Schiaffino nella parte di Lucreazia, da un Nicla, il suo stupido e stolto marito, ben impersonato da Romolo Valli, da un affascinante e scaltro Philippe Leroy nelle vesti di Callimaco e da un subdolo, quanto bravo, Jean Clode Brialy in quelli di Ligurio. La commedia erotica cinquecentesca continua con Pasquale Festa Campanile che nello stesso anno della Mandragola, realizza Una vergine per il principe, con una disinvolta, quanto brava, Virna Lisi e un mattatore domato come Vittorio Gassman nelle vesti di un Gonzaga che deve dare prova di virilità (usando come cavia
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Capitolo quarto
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la Lisi) prima di congiungersi in matrimonio con una De’ Medici. Sempre Gassman è il protagonista del film di Ettore Scola, L’Arcidiavolo, del 1966. Cronologicamente realizzato dopo il film L’Armata Brancaleone di Mario Monicelli, il film di Scola, rifacendosi ad un Rinascimento sui generis in cui Gassman fa sfoggio del suo italiano aulico – che abbiamo sentito per la prima volta nel film di Monicelli – pone a fianco del “mattatore” uno strano Belzebù interpretato da un claunesco Mickey Rooney. L’Armata Brancaleone di cui si diceva prima è sicuramente uno dei più bei film degli anni Sessanta e non solo. Giacomo Gambetti così scriveva su «Bianco e Nero»: «Monicelli pensava al film da anni, e al centro della sua storia c’è sempre stato un gruppo di cialtroni disperati e rozzi che vagavano per 1’Italia dell’alto medioevo alle prese con ambizioni spropositate ai loro mezzi materiali e intellettuali. La linea del racconto è questa, arricchita da fatti e controfatti, da divagazioni spettacolari, da personaggi collaterali, da brani non sempre altrettanto essenziali anche se scattanti, sul piano pratico. Una soluzione che non è soltanto di superficie ma si incastra con brio nel viluppo del racconto è quella della lingua che i protagonisti parlano, un misto gergale romanesco-maccheronico-volgare pre-dantesco che si adatta con pertinenza alla loro psicologia rozza e al loro aspetto fisico primitivo”1. Fra i tanti siparietti ed episodi nei quali il gruppetto di straccioni guidati da Brancaleone si imbattono, non va dimenticato quello che Grazzini nel recensire il film definisce «da antologia» e cioè l’incontro con la famiglia di Teofilatto dei Leonzi che ci pare «un esplicito riferimento alla Ravenna bizantina, anche se mai direttamente nominata. Infatti Gian Maria Volonté, che impersona Teofilatto dei Leonzi, ultimo rampollo un po’ bastardo degli ultimi Duchi di Bisanzio, portando la strampalata compagnia di Brancaleone nella dimora-castello-fortezza della sua famiglia, ci permette di vedere ambienti vagamente ispirati all’architettura di San Vitale; i costumi degli abitanti del palazzo del nobile bizantino sono anche questi vagamente ispirati ai mosaici di Sant’Apollinare Nuovo (vedi per esempio il copricapo di Teofilatto) e anche gli stessi nomi delle persone (ad esempio Barbara Steel, zia di Teofilatto, si chiama Teodora) richiamano la storia ravennate»2. Forse Monicelli, nel pensare al personaggio di Volonté, alla sua famiglia e alla località ove questa risiedeva, poteva aver pensato ad una fantastica e agonizzante Ravenna bizantina o di quel che ne restava. L’anno seguente Francesco Rosi è l’autore di una originale e succulenta fiaba, C’era una volta. La Sophia Loren de La bella mugnaia, ritorna nella sua Napoli secentesca come la contadinella Isabella e riesce a conquistarsi, novella Cenerentola, un principe spagnolo: Omar Sharif. Non ricorrerà alla scarpetta di vetro, ma a sette gnocchi e ad una pila di piatti sporchi da lavare. Isabella non riuscirà, per via di una magia esattamente al contrario di ciò che era avvenuto per Cenerentola, a battere le concorrenti, ma sposerà ugualmente il principe. Luigi Comencini nel 1969 realizza Infanzia, vocazione e prime esperienze di
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Giacomo Gambetti, in «Bianco e Nero», n. 5 mag. 1966. Gianfranco Casadio, Il cinema a Ravenna. Luoghi, personaggi e film dalle origini agli anni Ottanta, Ravenna, Longo, 1992, p. 54. 2
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Il diavolo e l’acquasanta
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Giacomo Casanova veneziano. Film che mostra, non il solito dongiovanni ormai noto a tutti, ma l’adolescenza e la giovinezza dell’amatore veneziano quando vestiva l’abito talare e le sue prime esperienze amorose. Buono il cast composto da attori di prim’ordine, l’idea di conservare la cadenza del dialetto veneto, la composizione delle scenografie e l’uso del colore. Mario Monicelli, visto il successo ottenuto da L’Armata Brancaleone, ci riprova nel 1970 con un seguito, Brancaleone alle crociate. Il film, pur accolto favorevolmente dal pubblico, non dice nulla di nuovo e poco si discosta dal primo, venendo a mancare quella curiosità e quell’interesse che aveva suscitato il primo Brancaleone. Pier Paolo Pasolini fra il 1970 e il 1974, darà vita al progetto della “Trilogia della vita” che, abbandonando il pessimismo e la tragedia barbarica e primitiva che erano rappresentati da film come Il Vangelo secondo Matteo (1964), Edipo re (1967) e Medea (1969), ritrarrà un mondo popolare gioioso e pieno di vita, sensuale e privo di qualsiasi senso di colpa nei confronti del peccato. Nascono così Il Decameron nel 1970, I racconti di Canterbury nel 1972 e Il fiore delle Mille e una notte nel 1974. Pasolini, anziché ambientare in Toscana il suo Decameron, sceglie Napoli reinventandosi sette storielle del Decamerone, mettendo in risalto lo spirito furfantesco ed eroticamente sfrenato dei suoi personaggi traendone dei racconti di un certo stile e lirismo, ma al tempo stesso dissacranti. «La scelta di Pasolini di ambientare il Decamerone di Boccaccio in una Napoli carnale e mefitica, in una città devastata eppure misteriosamente felice, contrappuntata da chiese fastose e vicoli rigurgitanti di miseria e voglia di vivere, risponde a una eccellente intuizione espressiva ma è anche la spia che rivela la coerenza dell’operazione pasoliniana che, nello spostare il discorso su tematiche e modalità molto diverse, lo aggancia però a un’identica esigenza d’autore. Alla vitalità laica e anticlericale della società borghese toscana del Trecento (descritta da Boccaccio), Pasolini sostituisce l’innocenza primitiva di un popolo relegato (o autorelegatosi) ai margini della Storia, che può ancora esprimersi nella sua lingua originaria (il dialetto) e nell’esaltazione della sessualità»3. Allargando la sua indagine al medioevo inglese, Pasolini si rivolge allo scrittore Geoffrey Chaucer e alla sua opera i Canterbury Tales, da cui trae, nel 1972, I Racconti di Canterbury, passando, con estrema naturalezza, dalla Caserta antica del Decameron ai luoghi descritti da Chaucer. «Nella sua versione Pasolini accentua il versante “notturno” dell’erotismo che governa 1’agire dei vari personaggi, il cui vitalismo perciò, cosi prepotentemente esaltato nel Decameron, si stempera laddove la morte si insinua nel tessuto multiforme della vita, insidiandola fino al finale trionfo: come nell’ultima, bellissima sequenza del film, una livida immagine apocalittica appena corretta dall’episodio della burla sognata dal frate scornato»4. Continuando la sua ricerca con la “Trilogia della vita”, Pasolini estende il suo interesse ad un altro medioevo, appartenente ad una cultura diversa da quella occidentale latina e anglosassone, spostando l’attenzione sul Medio Oriente fantastico e fiabesco delle novelle orientali “Alf Laylah Wa-Laylah”, traendone, nel 1974, Il fiore delle Mille e una notte. Ma il tentativo di tuffarsi in un passato primitivo per
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Piero Spila, Pier Paolo Pasolini, Roma, Gremese, 1999, p. 99. Immagini del Medioevo nel cinema, Bari, Dedalo, 1993, p. 61.
4 Vito Attolini,
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Capitolo quarto
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conferire ai suoi personaggi degli impulsi vitali limpidi e puri, si rivelò solamente un sogno ben presto smentito dallo stesso Pasolini nella sua abiura della “Trilogia della vita”: «Sto dimenticando com’erano prima le cose. Le amate facce di ieri cominciano a ingiallire. Mi è davanti, pian piano senza alternative il presente»5. Carmelo Bene del 1970 porta sugli schermi un suo Don Giovanni frenetico e astruso, «un altro dei ‘capricci’ cinematografici di Carmelo Bene: come gli altri, pieno di estro emotivo e posto sotto il segno del dissidio e della lacerazione barocca»6. L’allievo prediletto di Pasolini, Sergio Citti, per emulare il maestro, porta sullo schermo, nel 1973, Storie scellerate. Ma la storia di Bernardino e Mammone che muoiono ridendo, mentre il boia fa il suo mestiere, non convincono e non divertono (né tantomeno commuovono) e, tranne qualche rara intuizione, pongono il film alla stregua dei tanti “decamerotici” che affollano le sale negli anni Settanta. Un altro film, realizzato nel 1976, che fa discutere, ma nel segno opposto al film di Citti, è Il Casanova di Federico Fellini. Così si espresse Kezich su Panorama: «È il grande argomento delle discussioni di fine anno, ognuno vuol dire la sua: Fellini ha tradito Casanova, Fellini ha reinventato Casanova, il film è tetro, il film è un’esperienza affascinante. Di sicuro c’è che ancora una volta il riminese si è collocato, con un’opera eccezionale, al centro del dibattito sul cinema contemporaneo»7. Nel 1984, Mario Monicelli, dopo i film di Brancaleone, ritorna sugli schermi con un’altra storia del suo originale medioevo, Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno. Il racconto di Giulio Cesare Croce era già stato ridotto cinematograficamente più volte, ma il film di Monicelli ha una marcia in più8. Il quartetto: Tognazzi, Arena, Nichetti e Sordi, conferiscono al film quel tocco di umorismo amaro e, al tempo stesso, divertente che fanno del Bertoldo uno degli esempi del miglior cinema italiano anche se, per sua sfortuna, uscì quasi contemporaneamente ad un’altra pietra miliare del cosiddetto cinema italiano “medievale”: Non ci resta che piangere di Roberto Benigni e Massimo Troisi, apparso nelle sale nello stesso anno. Lasciamo ogni commento alla penna di Giovanni Grazzini in questo stralcio della sua recensione apparsa sul «Corriere della Sera»: «Il maggior punto di forza è ovviamente nella recitazione dei due attori che hanno avuto la buona idea di mettersi insieme. Provenienti da due universi comici tanto diversi, Troisi e Benigni inseriscono agevolmente i propri personaggi in una struttura narrativa libera e vivace che ne valorizza le reciproche virtù in un gioco verbale e mimico senza soste. Firmando insieme la regia, anche come autori, Benigni e Troisi si dividono il merito già acquistato facendo l’uno la spalla dell’altro, improvvisando pause e battute, e favorendo quello straniamento linguistico e figurativo che dà gaiezza al passatempo»9. Chiude la rassegna ancora Monicelli nel 1987 con I pìcari, un film in cui la vena
5 Vito Attolini,
ivi, p. 62. L. Pestelli, in «La Stampa», 15 apr. 1973. 7 Tullio Kezich, in «Panorama», 4 gen. 1977. 8 Una versione di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno fu realizzata nel 1936 da Giorgio C. Simonelli e un’altra nel 1953, da Mario Amendola e Ruggero Maccari. 9 Giovanni Grazzini, in «Corriere della Sera», 27 dic. 1984. 6
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Il diavolo e l’acquasanta
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del regista, ben lungi dall’esaurisrsi, si scatena in un insieme comico e sarcastico in una Spagna del XVI secolo dissacrata dai “soliti ignoti”, dai prodi di “Brancaleone” o dagli “amici miei” di monicelliana memoria, qui impersonati da Giannini, Montesano, Gassman e Manfredi, che danno il meglio di loro stessi creando divertimento e divertendosi recitando. È ancora di Giovanni Grazzini il seguente commento del «Corriere della Sera»: «Valendosi dei costumi creati da Lina Nerli Taviani con un felice connubio di fantasia e pittura d’epoca, ricavando effetti suggestivi dall’esperta fotografia di Tonino Nardi, Monicelli assicura l’alta qualità visiva dello spettacolo, cui corrispondono la grazia sinistra di certi passaggi […] e lo scaltrito ingegno dei molto autorevoli interpreti convenuti per la bisogna. Giancarlo Giannini ed Enrico Montesano fanno rispettivamente Guzmán e Lazarillo con giocoso impegno, Vittorio Gassman è un hidalgo tagliato su misura, Nino Manfredi mette in debito risalto l’abiezione del vecchio cieco”10.
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Giovanni Grazzini, in «Corriere della Sera», 19 dic. 1987.
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Capitolo quarto
IL CAPPELLO A TRE PUNTE di Mario Camerini
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Anno di edizione 1935 Produzione: Lido Film; Direttore di produzione: Giuseppe Amato; Soggetto: tratto dal romanzo “El sombrero de tres picos” di Pedro de Alarcón; Sceneggiatura: Ercole Patti, Ivo Perilli, Mario Soldati; Aiuto-regia: Ivo Perilli; Fotografia: Massimo Terzano; Montaggio: Fernando Tropea; Suono: Giovanni Bianchi; Scenografia: Piero Filippone; Costumi: Gino Sensani; Musica: Ernesto Tagliaferro, Nicola Valente; Direzione musicale: Antonio Antonini; Interpreti: Eduardo De Filippo, Peppino De Filippo, Leda Gloria, Dina Perbellini, Enrico Viarisio, Arturo Falconi, Giuseppe Pierozzi, Cesare Zoppetti, Cesarino Barbetti, Amalia Pellegrini, Tina Pica, Gorella Gori; Durata: 85’. Produzione realizzata negli Stabilimenti della Cines. LA STORIA: Ci troviamo a Napoli sotto la dominazione spagnola. Il governatore aspira alle grazie di una bella contadina e per raggiungere il suo intento ne fa arrestare il marito. Questi, riuscito a sfuggire alle guardie, torna a casa ma scoperta la presenza del Governatore si vuol vendicare del presunto tradimento. Trafuga il cappello caratteristico e il mantello del Governatore e, così travestito, entra a palazzo per raggiungere la Governatrice. La bella quanto fedele contadina riesce però scaltramente a lasciare in asso lo spagnolo e ad evitare la vendetta del marito. LA CRITICA: «È un film spedito, divertente, grazioso. Forse quello che gli manca è un po’ più di piccante nella sceneggiatura e un po’ più di fantasia caricaturale nei caratteri. Quando dico piccante non dico indecente, e nemmeno salace: si poteva giocare con più malizia sugli equivoci dell’intrigo, lasciando fino a un certo punto lo spettatore nel dubbio, sul come fossero andate veramente le cose tra Carmela e il governatore, e Luca e la governatoressa. Questo piccolo gioco innocente avrebbe dato alla farsa maggior tensione, e quindi maggior comicità». (F.[ilippo] S.[acchi], in «Corriere della Sera», 28 feb. 1935). LA BELLA MUGNAIA di Mario Camerini Anno di edizione 1955 Produzione: Lux Film; Produttore; Carlo Ponti, Dino De Laurentiis; Direttore di produzione: Giuseppe Bordogni; Soggetto: Mario Camerini, Ennio De Concini, Augusto Camerini, Sandro Continenza; Sceneggiatura: Mario Camerini, Ennio De Concini, Augusto Camerini, Sandro Continenza; Aiuto-regia: Otto Pellegrini; Fotografia: Enzo Serafin; Montaggio: Mario Serandrei; Suono: Mario Morigi; Scenografia: Guido Fiorini; Arredamento: Giorgio Harrimann; Costumi: Dario Cecchi, Maria Baroni; Musica: Angelo Francesco Lavagnino; Interpreti: Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Vittorio De Sica, Yvonne Sanson, Paolo Stoppa, Mario Passante, Carletto Sposito, Virgilio Riento, Silvio Bagolini, Elsa Vazzoler, Michele Riccardini, Amalia Pellegrini, Emilio Petacci, Angela Lavagna, Vittorio Braschi, Nino Marchesini, Carlo Pisacane, Giancarlo Cobelli, Pietro Tordi, Gianni Luda, Felice Minotti, Grazia Giannelli; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Si tratta del Remake del film Il cappello a tre punte che lo stesso regista aveva
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Il diavolo e l’acquasanta
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realizzato vent’anni prima, nel 1935 (v.). LA CRITICA: «Nella recente edizione […] la signorilità di Camerini trova una nobile conferma anche se, come in ogni “bis” non si trova la freschezza e la spontaneità della prima esecuzione […]. A controbilanciare il maggiore impegno produttivo sono intervenuti molti elementi negativi. Tra questi, la figura del governatore che è stata completamente travisata dalla esuberante e “divertita” presenza di De Sica, il quale ha voluto aggiungere alla carica ironica contenuta nel personaggio originale una tinteggiatura clownesca spesso sconnessa e inverosimile. […] Oggi il film ha perduto il valore polemico che ebbe nel 1934 (non sono invano passati vent’anni); restano soltanto vive la felicità della storia e la lezione morale». (Anonimo, in «Cinema», n. 155, 25 nov. 1955). LA MANDRAGOLA di Alberto Lattuada Anno di edizione 1965 Produzione: Arco Film, Lux Cinématographique de France; Produttore: Alfredo Bini; Direttore di produzione: Eliseo Boschi; Soggetto: tratto dalla commedia omonima di Niccolò Machiavelli; Sceneggiatura: Luigi Magni, Stefano Strucchi, Alberto Lattuada; Fotografia: Tonino Delli Colli; Montaggio: Nino Baragli; Suono: Giannetto Nardi; Scenografia: Carlo Egidi; Arredamento: Massimo Gavazzi, Umberto Turco; Costumi: Danilo Donati; Musica: Gino Marinuzzi; Interpreti: Rosanna Schiaffino, Philippe Leroy, Romolo Valli, Armando Bandini, Nilla Pizzi, Pia Fioretti, Donato Castellaneta, Ugo Attanasio, Mino Bellei, Jacques Herlin, Walter Pinelli, Luigi Leone, Renato Montalbano, Jean-Claude Brialy, Totò; Durata: 103’. Produzione realizzata nei Teatri di Posa dell’Istituto Luce. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo dell’edizione francese è La Mandragore. Targa d’Oro del David di Donatello 1966 a Rosanna Schiaffino. LA STORIA: Callimaco, fiorentino di ricca famiglia, ritorna a Firenze dalla Francia, attratto dalla fama dell’avvenenza di Lucrezia, moglie del notaio Nicia Calfucci. Da Ligurio, abituale frequentatore di casa Calfucci, Callimaco viene a sapere che il notaio, preoccupato per la mancanza di un erede, cerca ogni rimedio utile contro la sterilità della moglie. Dopo qualche inutile tentativo di Callimaco per avvicinare Lucrezia, Ligurio, per denaro, gli propone un suo piano. Il giovane patrizio, fingendosi un esperto medico francese, convince Nicia a far prendere alla moglie un pericoloso infuso a base di mandragola. La pozione elimina la sterilità ma provoca la morte del primo uomo che tocca la donna che l’ha bevuta. Il notaio, famoso per la sua credulità, accetta e consente che una persona, presa a caso e ignara di tutto, vada a letto con sua moglie per prendere su di sé l’effetto della mandragola. Intanto Ligurio con l’aiuto di Timoteo, un frate corrotto, convince Lucrezia della liceità dell’esperimento. Naturalmente il vagabondo scelto a caso è Callimaco e Lucrezia si trova così bene che, dimenticata la propria onestà, eleggerà Callimaco a proprio stabile amante. LA CRITICA: «Troppa è la distanza fra Machiavelli e Lattuada perché la triste avventura di Nicia possa acquistare nuovi significati e nuovo sapore senza tradire quelli originari. Il film diguazza così nel putridume della commedia senza averne la cristallina forza poetica e il lucido intento accusatore. Stilisticamente il film rivela un solido e accurato mestiere, né si può accusare l’interpretazione di insufficienza: Rosanna Schiaffino è una Lucrezia abbastanza
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Capitolo quarto
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ferina anche se troppo esibizionista; Romolo Valli è un Nicia credibile nella sua stolidità; Philippe Leroy è un disinvolto Callimaco; Totò un malizioso e divertente Fra’ Timoteo; Jean Claude Brialy un estroso Ligurio e Nilla Pizzi una accettabile e volonterosa madre». (Vincenzo Bassoli, in «Cineforum», n. 50, dic. 1955). UNA VERGINE PER IL PRINCIPE di Pasquale Festa Campanile Anno di edizione 1965 Produzione: Fair Film, Orsay Film; Produttore: Mario Cecchi Gori; Direttore di produzione: Mario De Biase; Soggetto: Pasquale Festa Campanile; Sceneggiatura: Ugo Liberatore, Giorgio Prosperi, Pasquale Festa Campanile; Aiuto-regia: Gabriele Palmieri; Fotografia: Roberto Gerardi; Montaggio: Otello Colangeli; Suono: Mario Faraoni; Scenografia: Pier Luigi Pizzi; Costumi: Pier Luigi Pizzi; Musica: Luis Enriquez Bacalov; Interpreti: Vittorio Gassman, Virna Lisi, Philippe Leroy, Vittorio Caprioli, Maria Grazia Buccella, Alfredo Bianchini, Paola Borboni, Giusi Raspani Dandolo, Jacques Herlin, Claudie Lange, Luciano Mondolfo, Francesco Mu1è, Esmeralda Ruspoli, Mario Scaccia, Leopoldo Trieste, José Luis De Villalonga, Vittorio Duse, Anna Maria Guarnieri, Tino Buazzelli; Durata:110’. Produzione realizzata nei Teatri di Posa Titanus Appia di Roma. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo della versione francese è Une vierge pour le prince. LA STORIA: Ottenuto 1’annullamento del suo matrimonio con Margherita Farnese, Vincenzo Gonzaga è obbligato a sposarsi al più presto con una ricca nobildonna e ciò per procurare alla famiglia una cospicua dote. La prescelta è Eleonora de’ Medici. Prima delle nozze, però, il giovane principe è obbligato per contratto a dimostrare la propria virilità, messa in dubbio dai parenti della futura sposa, congiungendosi con una vergine. Costei, povera ragazza del popolo, aiuterà il principe ad una onorevole prova e riceverà in premio un marito e una buona dote. LA CRITICA: «Il film, adattando i toni della commedia farsesca a uno sconcertante episodio storico, presenta, per mancanza di estro e fantasia nella trattazione, una comicità tutta esteriore che cade sovente in una licenziosa volgarità. La superficialità nel disegno dei personaggi caricaturati nel modo più banale, la mancanza di rispetto al più elementare buon gusto, e persino lo scarso sfruttamento della naturale fastosità d’ambiente e di costumi cooperano ad abbassare notevolmente il livello del lavoro». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LIX, Anno 1966, Roma 1966, p. 15). L’ARCIDIAVOLO di Ettore Scola Anno di edizione 1966 Produzione: Fair Film; Produttore: Mario Cecchi Gori; Direttore di produzione: Armando Morandi; Soggetto: Ruggero Maccari, Ettore Scola; Sceneggiatura: Ruggero Maccari, Ettore Scola; Aiuto-regia: Dino De Palma, Don Carlos Dunaway; Fotografia: Aldo Tonti; Montag-
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gio: Marcello Malvestito, Tatiana Casini; Suono: Guido Ortensi; Scenografia: Luciano Ricceri; Arredamento: Ezio Altieri; Costumi: Maurizio Chiari; Maestro d’armi: Franco Fantasia; Effetti Speciali: Armando Grilli; Musica: Armando Trovajoli; Interpreti: Vittorio Gassman, Claudine Auger, Mickey Rooney, Ettore Manni, Liana Orfei, Annabella Incontrera, Sherill Morgan, Luigi Vannucchi, Giorgia Moll, Gabriele Ferzetti, Milena Vukotic, Giovanni Scratuglia, Marco Tulli, Roberto De Simone, Ugo Fangareggi, Paolo Di Credito, Franco De Rosa, Paolo Montagna, Ernesto Colli; Durata: 96’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà e in esterni a Montepulciano (Siena) e dintorni. LA STORIA: Nell’anno 1478, Papa Innocenzo VIII e Lorenzo de’ Medici concludono una pace soddisfacente dopo un lungo periodo di ostilità. All’inferno le potenze demoniache, con a capo Belzebù, si mettono in allarme e decidono di passare al contrattacco inviando sulla terra l’Arcidiavolo Belfagor in sembianze umane ed il suo valletto Adramelek. Belfagor, sostituendosi a Franceschetto Cybo, figlio di Innocenzo VIII che muore suicida, si presenta in sua vece alla corte medicea e, giunto al momento di celebrare le nozze con Maddalena de’ Medici, provoca un nuovo stato di guerra rifiutando la sposa. Successivamente, Belfagor costringe Maddalena a mostrarsi nuda alla finestra del palazzo. Ma dopo questo affronto la donna, travestita da militare, lo fa cadere nelle mani della soldataglia proprio quando Belzebù, scontento per il comportamento di Belfagor, gli ha tolto i poteri demoniaci. Ridotto ad uomo, Belfagor sale sul rogo; ma quando le fiamme ne stanno lambendo il corpo divenuto mortale, Maddalena interviene e gli salva la vita. LA CRITICA: «Gassman ha definitivamente abbracciato il Cinquecento: vestito di broccato, con collari plisettati, la calzamaglia sgargiante e l’italiano aulico se ne va cavalcando il suo destriero per i sentieri del revival rinascimentale. Questa volta veste i panni del Belfagor di Machiavelli, l’arcidiavolo ben noto, senza però alcun riferimento al grande scrittore fiorentino». (Paolo Pillitteri, «Avanti!», 27 dic. 1966). L’ARMATA BRANCALEONE di Mario Monicelli Anno di edizione 1966 Produzione: Fair Film, Les Films Marceau; Produttore: Mario Cecchi Gori; Direttore di produzione: Mario De Biase; Soggetto: Age, Scarpelli, Monicelli; Sceneggiatura: Age, Scarpelli, Monicelli; Aiuto-regia: Renzo Marignano, Dino Di Palma; Fotografia: Carlo Di Palma; Montaggio: Ruggero Mastroianni; Suono: Guido Ortensi; Scenografia: Piero Gherardi; Costumi: Piero Gherardi; Maestro d’armi: Alfio Catalbiano; Effetti speciali: Armando Grilli; Musica: Carlo Rustichelli; Interpreti: Vittorio Gassman, Catherine Spaak, Folco Lulli, Gian Maria Volonté, Maria Grazia Buccella, Carlo Pisacane, Fulvia Franco, Ugo Fangareggi, Pablo Tito Garcia, Gianluigi Crescenzi, Joaquin Diaz, Alfio Caltabiano, Luis Induni, Pippo Starnazza, Carlos Ronda, Luigi Sangiorgi, Juan C. Carlos, Barbara Steele, Enrico Maria Salerno; Durata: 119’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà e, in esterni, in varie località della Toscana e del Lazio. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo dell’edizione francese è L’armée Brancaleone. Vincitore di un Nastro d’Argento per la fotografia, la musica e i costumi. Age è lo pseudonimo di Agenore Incrocci, il nome di battesimo di Scarpelli è Furio.
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Capitolo quarto
LA STORIA: Un cavaliere in viaggio per prendere possesso del feudo di Aurocastro, viene assalito dai briganti che dopo averlo sopraffatto lo gettano in un fosso. Un membro della banda, avendo trovato la pergamena che attesta l’investitura del feudo, convince l’amico Brancaleone a sostituirsi al cavaliere. Brancaleone si mette al comando dei briganti ma lungo il percorso per Aurocastro incappa in diverse avventure: l’incontro con Teofilatto ed i suoi bizantini, l’occupazione e la fuga da una città in preda alla peste, il salvataggio di una stravagante promessa sposa. Giunta infine al feudo, l’armata viene assalita dai Saraceni ma è salvata dai guerrieri comandati dal cavaliere che era stato aggredito dalla banda. Per Brancaleone ed i suoi uomini non resta che partire per una Crociata in Palestina. LA CRITICA: «Rimediando alla disorganicità del racconto con una fantasia ironica che serpeggia inesausta in ogni sequenza (soltanto sul finire un poco si slenta; ma almeno in un quadro quello della famiglia bizantina, è da antologia), Monicelli ha firmato un film in cui gli antichi sapori dei Soliti ignoti s’impastano felicemente col gusto antiretorico della Grande guerra. Se il divertimento è assicurato dal bizzarro amalgama linguistico, dal rilievo delle macchiette, dal tono parodistico di tutte le situazioni, l’estrema eleganza formale e lo splendore figurativo espressi dalla fotografia a colori di Carlo Di Palma e dai favolosi costumi di Piero Gherardi pongono L’Armata Brancaleone tra i film di cui si serberà più grata memoria». (Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 10 apr. 1966). C’ERA UNA VOLTA di Francesco Rosi Anno di edizione 1967 Produzione: Compagnia Cinematografica Champion, Les Films Concordia; Produttore: Carlo Ponti; Direttore di produzione: Gianni Cecchin, Claudio Mancini; Soggetto: Tonino Guerra, Raffaele La Capria, Giuseppe Patroni Griffi, Francesco Rosi; Sceneggiatura: Tonino Guerra, Raffaele La Capria, Giuseppe Patroni Griffi, Francesco Rosi; Aiuto-regia: Marco Guarnaschelli, Roberto Pariante; Fotografia: Pasquale De Santis; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Suono: Claudio Maielli; Scenografia: Piero Poletto; Costumi: Giulio Coltellacci; Maestro d’armi: Franco Fantasia; Musica: Piero Piccioni; Interpreti: Sophia Loren, Omar Sharif, Georges Wilson, Leslie French, Dolores Del Rio, Marina Malfatti, Anna Bogara, Rita Forzano, Rosa Maria Martino, Carlotta Barilli, Fleur Mombelli, Anna Liotti, Renato Pinciroli, Carlo Pisacane, Giacomo Furia, Chris Huerta, Giovanni Tarallo, Valentino Macchi, Enzo Cannavale, Beatrice Greeck, Pasquale Di Napoli, Vincenzo Danaro, Pietro Carloni, Kathleen St. John, Gladys Dawson, Francesco Coppola, Salvatore Ruvo, Luciano Di Mauro, Luigi Criscuolo, Francesco Lo Como; Durata: 103’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà e, in esterni nel Tavoliere delle Puglie e alla Certosa di Padula (PG). OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo dell’edizione francese è La belle et le cavalier. LA STORIA: Presso Napoli nel XVII secolo, sotto la dominazione spagnola, Rodrigo, un principe spagnolo, incontra casualmente una bella e fiera contadina, Isabella, dalla quale si fa preparare sette gnocchi. Poco prima, infatti, San Giuseppe da Copertino aveva consigliato al principe di sposare la ragazza che gli avesse preparato sette gnocchi. Ma Isabella ne mangia uno e la profezia di San Giuseppe non si avvera. Passerà un po’ di tempo durante il quale Isabella, fatta rinchiudere per punizione in una botte dal principe, riuscirà a fuggire e a introdursi
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nella reggia come sguattera. Qui Rodrigo finalmente la ritrova, e obbligato dal re padre a scegliere entro otto giorni la sua sposa fra le sette principesse delle sette province del reame, impone come prova alle damigelle di lavare mucchi di piatti senza romperli, sicuro che Isabella vincerà. Ma un raggiro manda a monte il disegno di Rodrigo perché è proprio Isabella a rompere più piatti di tutte. Isabella però riesce a smascherare il trucco messo in atto da una delle principesse e a sposare il principe Rodrigo. LA CRITICA: «Una buona fiaba dev’essere realistica nei particolari; niente di peggio di una fiaba evanescente e vaporosa. Nel caso di C’era una volta…, non mi sembra che il tentativo di Rosi sia fallito. Direi piuttosto che è rimasto a metà, non è riuscito interamente. Il “vaporoso”, per fortuna è evitato, tutto accade in un mondo vero. Il mondo vero dell’Italia del Sud. Scarso è invece l’apporto di quella fantasia aneddotica che fa scintillare il racconto, e fa da contrappeso alle convenzioni immutabili tra cui esso si svolge. […] Le magie (nel film) avvengono alla buona, sul piano del vivere quotidiano; streghe e stregoni, e santi che agiscono come stregoni vivono mescolati a tutti: possono essere chiunque, il sagrestano, l’oste, la donna che vende le uova o il commensale all’osteria. La magia è un fatto spicciolo, una usanza corrente ». (Guido Piovene, in «La Fiera Letteraria», n. 46, 16 nov. 1967) INFANZIA, VOCAZIONE E PRIME ESPERIENZE DI GIACOMO CASANOVA VENEZIANO di Luigi Comencini Anno di edizione 1969 Produzione: Mega Film; Produttore: Franco Cittadini, Stenio Fiorentini; Direttore di produzione: Armando Govoni; Soggetto: Suso Cecchi D’Amico, Luigi Comencini; Sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, Luigi Comencini; Aiuto-regia: Silla Bettini, Giancarlo Santi; Fotografia: Ajace Parolin; Montaggio: Nino Baragli; Suono: Fiorenzo Magli; Scenografia: Piero Gherardi; Arredamento: Piero Gherardi; Costumi: Piero Gherardi; Musica: Fiorenzo Carpi; Direzione musicale: Bruno Nicolai; Interpreti: Leonard Whithing, Maria Grazia Buccella, Lionel Stander, Raoul Grassilli, Wilfrid Brambell, Tina Aumont, Mario Scaccia, Claudio De Kunert, Silvia Dionisio, Sara Franchetti, Isabella Savona, Cristina Comencini, Clara Colosimo, Ennio Balbo, Evi Maltagliati, Gino Segurini, Elisabetta Fanti, Sofia Dionisio, Umberto Raho, Gino Santercole, Arnaldo Momo, Mario Peron, Jacques Herlin, Linda Sini, Pino Belli, Patrizia De Clara, Erminio De Rossi, Maria Cristina Farnese, Maria Franchin, Antonio Gallo, Giovanna Manfredonia, Loredana Martinez, Ida Meda, Lelia Meneghetti, Giacomina Palma, Gigi Reder, Carlo Russo, Fernanda Vitali, Nino Vingelli, Sandro Dori, Liana Del Balzo, Senta Berger; Durata: 132’. LA STORIA: Figlio di attori, il piccolo Giacomo Casanova, rimasto orfano di padre, viene affidato dalla madre, ansiosa di liberarsi di lui, alla protezione di un nobile tanto avaro quanto pieno di sé. Inviato a studiare a Padova, Giacomo, malnutrito e peggio alloggiato, viene preso a benvolere e ospitato in casa da Don Gozzi, un prete generoso ma intransigente e severo, il quale, notata la viva intelligenza del bambino, lo avvia, come unico mezzo per farsi strada fra i potenti, agli studi ecclesiastici. Tornato a Venezia, in veste d’abate, ed entrato nelle grazie di un patrizio, Giacomo tiene, per merito suo, la prima predica in chiesa al termine della quale trova, mescolati ai soldi della questua, alcuni biglietti amorosi. Quando s’accorge che le donne, dame e converse comprese, cominciano a ronzargli attorno, la sua vocazione vacilla; si fa iniziare all’amore da una meretrice; poi promette a una contessina, che la madre
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ha destinato al convento, di fuggire con lei; ma appena scopre che la ragazza vuol diventare sua moglie, 1’abbandona al suo destino e, gettato per sempre 1’abito talare, inizia con due compiacenti amiche della ragazza la sua carriera di impenitente libertino. LA CRITICA: «Accostandosi al personaggio storico di Casanova (1725-1798) e alle sue “Memoires” (un classico della letteratura erotica di ogni tempo), Comencini e i suoi collaboratori non hanno puntato allo sfruttamento degli aspetti piu decisamente commerciali della ricchissima biografia del grande amatore; hanno invece preferito ricercare una spiegazione della sua personalità negli anni dell’adolescenza e della giovinezza. Era questa una strada difficile e impegnativa, che avrebbe potuto deludere le attese di quanti, affezionati alla convenzionale mitologia sovrappostasi in due secoli al personaggio reale, sarebbero stati sconcertati da un così radicale mutamento di prospettiva. In un regista sempre attento al rendimento commerciale dei suoi prodotti e alle prese con un investimento finanziario di notevoli proporzioni questa scelta non poteva certo arrivare fino alle estreme conseguenze: ma già essa era tale da sottrarre il film al pericolo del luogo comune e della banalità. […] Alla resa dei conti quindi il film ha un senso e un interesse soprattutto per 1’omaggio che esso rende a tutto un mondo artistico e culturale che ben raramente è stato trasposto sullo schermo con tale eleganza e proprietà. Da questo punto di vista 1’impresa di Comencini è di tutto rispetto: anche per merito degli ottimi dialoghi (che conservano le deliziose cadenze del dialetto veneziano), delle sapienti e colte invenzioni nelle scenografie e nei costumi, e dei suggestivi effetti cromatici ottenuti dalla fotografia di Aiace Parolin». (Aldo Bernardini, in «Bianco e Nero», n. 11/12, nov./dic. 1969). BRANCALEONE ALLE CROCIATE di Mario Monicelli Anno di edizione 1970 Produzione: Fair Film, O.N.C.I.C. Algier; Produttore: Mario Cecchi Gori; Direttore di produzione: Alfredo Melidoni; Soggetto: Age, Scarpelli, Mario Monicelli; Sceneggiatura: Age, Scarpelli, Mario Monicelli; Aiuto-regia: Mario Forges Davanzati; Fotografia: Aldo Tonti; Montaggio: Ruggero Mastroianni; Suono: Umberto Picistrelli; Scenografia: Mario Garbuglia; Arredamento: Emilio D’Andria; Costumi: Mario Garbuglia, Ugo Pericoli; Maestro d’armi: Remo De Angelis; Musica: Carlo Rustichelli, Direzione musicale: Gianfranco Plenizio; Interpreti: Vittorio Gassman, Adolfo Celi, Stefania Sandrelli, Beba Loncar, Luigi Proietti, Lino Toffolo, Paolo Villaggio, Sandro Dori, Gianrico Tedeschi, Pietro De Vico, Alberto Plebani, Augusto Mastrantoni, Renzo Marignano, Arnaldo Fabrizio, Christian Alegny, Norman David Shapiro, Gildo Di Marco, Edda Ferronao, Franco Balducci, Orazio Stracuzzi, Remo Bonarota, Enrico Ribulsi, Abu Djamel, Mokthar Dib, Hassan Hassani, Hilmi Said, Raymond Louzoum, Ali Mansourane, Maurice Pouillet; Durata: 116’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà e, in esterni, in Algeria. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-algerina. Il titolo della versione francofona è Brancaleone s’en va-t’aux croisades. Age è lo pseudonimo di Agenore Incrocci, il nome di battesimo di Scarpelli è Furio. LA STORIA: In viaggio con una torma di straccioni alla conquista del Santo Sepolcro, Brancaleone da Norcia perde in battaglia tutti i suoi compagni, per cui, disperato, invoca la morte. Però quando questa arriva chiede una proroga, che gli viene concessa. Salvata la vita a un
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neonato, figlio di un re normanno, si rimette in cammino con una nuova, cenciosa armata per riportarlo al padre, partito per le Crociate. Strada facendo, strappa dal rogo una giovane strega, accoglie nel suo seguito un lebbroso e, infine, scorta il papa Gregorio VII in visita a uno stilita. Risolta una contesa fra il pontefice e l’antipapa Clemente III, Brancaleone, dopo aver scoperto che il lebbroso è in realtà una principessa, riconsegna il bimbo al padre che lo nomina barone. Sceso in campo contro il fratello del sovrano normanno, alleatosi con i Mori, Brancaleone perde la contesa ad opera della giovane strega, che si è innamorata di lui. Vagando nel deserto si incontra con la morte, venuta a saldare il conto. Ancora una volta, però, Brancaleone riesce a salvarsi, poiché è la strega a immolarsi per lui. LA CRITICA: «Non dissimile dal primo Brancaleone l’elemento di maggiore gradevolezza spettacolare di questo secondo capitolo del “serial” è la lingua: un dialetto italiota misto di romanesco, di accentuazioni tardomedioevali e di latino dei “papiri” goliardici […]. Dietro la vistosa spettacolarità del prodotto risultano evidenti sia un certo lavoro di ricerca linguistica, di documentazione sociologica e di rievocazione ambientale; sia la volontà di nascondere, nel gioco, una pur contenuta volontà di demistificazione di tempi oscuri e niente affatto cavallereschi». (Anonimo, in «Avanti!», 29 dic. 1970) IL DECAMERON di Pier Paolo Pasolini Anno di edizione 1970 Produzione: P.E.A. (Produzioni Europee Associate), Les Productions Artistes Associés, Artemis Film; Produttore: Franco Rossellini; Direttore di produzione: Mario De Biase; Soggetto: tratto da “Il Decameron” di Giovanni Boccaccio; Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini; Aiuto-regia: Sergio Citti, Umberto Angelucci Fotografia: Tonino Delli Colli; Montaggio: Nino Baragli, Tatiana Morigi; Suono: Pietro Spadoni; Scenografia: Dante Ferretti; Arredamento: Andrea Fantacci; Costumi: Danilo Donati; Musica: a cura di Pier Paolo Pasolini con la collaborazione di Ennio Morricone; Interpreti: Franco Citti, Ninetto Davoli, Jovan Jovanovic, Vincenzo Amato, Angela Luce, Giuseppe Zigaina, Gabriella Frankel, Vincenzo Cristo, Pier Paolo Pasolini, Giorgio Iovine, Salvatore Biliardo, Vincenzo Ferrigno, Luigi Seraponte, Antonio Diddio, Mirella Catanesi, Vincenzo De Luca, Erminio Nazzaro, Giovanni Filadoro, Lino Crispo, Alfredo Sivoli, Guido Alberti, Giacomo Rizzo, E. Iannotta Carrino, Vittorio Vittori, Monique Van Voren, Enzo Spitaleri, Luciano Telli, Annie Margherite Latrove, Gerard Exel, Wofgang Hilling, Franco Marletta, Vittorio Fanfoni, Uhle Detlef, Gianni Rizzo, Adriana Donnorso, E. Maria De Julius, Patrizia De Clara, Guido Mannari, Michele Di Matteo, Giovanni Esposito, Giovanni Scagliola, Giovanni Davoli; Durata: 107’. Produzione realizzata in esterni a Napoli e dintorni. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-franco-tedesca. Il titolo dell’edizione francese e quello dell’edizione tedesca sono identici al titolo originale. Vincitore dell’Orso d’Argento al Festival del Cinema di Berlino nel 1971. LA STORIA: Il film racconta alcune novelle di Boccaccio, cui fanno da legame, nella prima parte, la storia di Ser Cepperello che, ingannando un prete con una falsa confessione, si vede trasformato in Ser Ciappelletto e adorato come santo; nella seconda Andreuccio, un pittore impegnato in un affresco, viene derubato di tutti i suoi soldi da una giovane che si finge sua sorellastra. Spacciandosi per sordomuto, Masetti viene accolto in un convento di suore, dalle
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Capitolo quarto
quali si lascia sedurre, per poi crollare esaurito. Lisabetta, cui i fratelli hanno ucciso il giovane amante, taglia la testa al cadavere per conservarla in casa sotto una pianta di basilico. Caterina e Ricciardo, dopo essersi amati, vengono uniti in matrimonio dagli stessi compiaciuti genitori della giovane. Tingoccio torna dall’aldilà per rivelare al timorato Meuccio che far all’amore non è considerato un peccato. Fingendo di volerla trasformare in cavalla, Danno Gianni si gode la moglie di un ingenuo contadino. L’infedele Peronella induce il marito a entrare in una giara, per impedirgli di scoprire il suo amante, al quale subito si concede. LA CRITICA: «Si tratta di una reinvenzione di alcune novelle del Boccaccio, che il regista (e sceneggiatore) ha ambientato nel napoletano, accentuando le caratteristiche plebee e furfantesche dei loro personaggi e colorendone le sfrenatezze sessuali. Di tanto in tanto, compaioni momenti di lirismo. Il film è stato raccontato con un certo gusto e con spirito dissacrante. Alle volte l’autore non è riuscito ad amalgamare i diversi materiali componenti l’opera». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXII, Anno 1972, Roma 1972, p. 181). DON GIOVANNI di Carmelo Bene Anno di edizione 1970 Produzione: Carmelo Bene; Soggetto: Carmelo Bene, ispirato all’omonimo dramma di Lorenzo da Ponte; Sceneggiatura: Carmelo Bene; Fotografia: Mario Masini; Montaggio: Mauro Contini; Interpreti: Carmelo Bene, Salvatore Vendittelli, Lydia Mancinelli, Gea Marotta, Vittorio Bodini; Durata: 80’. LA STORIA: Stanco delle facili conquiste sentimentali, Don Giovanni si invaghisce di una ragazza in preda ad una sorta di mania pseudo religiosa consistente nel raccogliere ogni genere di oggetti sacri, ma non riesce a farla sua. Il famoso libertino cerca di conquistarla anche chiedendo l’aiuto della madre della ragazza, sua ex amante, senza alcun risultato. Allora cerca di assecondare le sue manie donandole oggetti sacri ed arrivando a presentarsi a lei nelle sembianze del Crocifisso. Tentativi vani. Dopo il fallimento di tutti questi espedienti, la giovane rivela di essere in attesa di un figlio. LA CRITICA: «La caotica stravaganza, il frenetico montaggio, il gusto per il repellente, gli abbaglianti impasti di luci e colori sono gli elementi capaci, di volta in volta o simultaneamente, di sorprendere, attrarre o sgomentare lo spettatore. Nel film emergono ben chiari atteggiamenti antireligiosi e marcati accenti di anarchismo distruttivo». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXI, Anno 1971, Roma 1971, p. 107). I RACCONTI DI CANTERBURY di Pier Paolo Pasolini Anno di edizione 1972 Produzione: P.E.A. (Produzioni Europee Associate), Les Productions Artistes Associés; Produttore: Alberto Grimaldi; Direttore di produzione: Alessandro von Normann; Soggetto: tratto
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dai Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer; Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini; Aiuto-regia: Sergio Citti, Umberto Angelucci; Fotografia: Tonino Delli Colli; Montaggio: Nino Baragli; Suono: Primiano Muratori; Scenografia: Dante Ferretti; Arredamento: Kenneth Muygleston; Costumi: Danilo Donati; Effetti Speciali: Luciano Aurellotti; Musica: a cura di Pier Paolo Pasolini con la collaborazione di Ennio Morricone; Interpreti: Hugh Griffith, Laura Betti, Ninetto Davoli, Franco Citti, Josephine Chaplin, Alan Webb, Pier Paolo Pasolini, J.P. Van Dyne, Vernon Dortcheff, Adrian Street, Derek Deadmin, Nicholas Smith, George Datch, Dan Thomas, Michael Balfour, Jenny Runacre, Peter Cain, Daniele Buckler, John Francis Lane, Settimo Castagna, Athol Coats, Judy Stewart Murray, Tom Baker, Oscar Fochetti, Willounghby Goddard, Peter Stephens, Giuseppe Arrigo, Elisabetta Genovese, Gordon King, Patrick Duffett, Erman Howell, Albert King, Eileen King, Heather Johnson, Robin Asquith, Martin Whelar, John Mclaren, Edward Monteith Kervin, Franca Sciutto, Vittorio Fanfoni; Durata: 126’. Produzione realizzata in esterni in Inghilterra nelle città di Canterbury, Cambridge, Bath, St. Ossyth, Laver Marney, Lavenham, Warwich, Wells e Chipping Campden. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo dell’edizione francese è Les contes de Canterbury. Vincitore dell’Orso d’Oro al Festival del Cinema di Berlino nel 1972. LA STORIA: I componenti di un pellegrinaggio a Canterbury raccontano a turno delle novelle. Lo studente Nicola conquista la moglie del ricco e collerico legnaiolo Giovanni sfruttandone la superstizione. Alano e Giovanni, due studenti, si vendicano del mugnaio Simkin ladro di farina. Il candido e festoso Perkin viene cacciato da molti padroni finendo esposto alla gogna. La “donna di Bath” distrugge con la sua insaziabilità cinque mariti ereditandone le sostanze. Un impenitente scapolo sessantenne si decide a prendere in moglie la giovanissima Maggio. Un frate sparla di un cacciatore di streghe e questo narra di un frate condotto all’inferno a visitare il luogo dove sono finiti i suoi confratelli, e di un altro frate bramoso dell’anima e delle sostanze di un morente. Un venditore di indulgenze racconta una storia surreale e simbolica sui pericoli della cupidigia, poi tenta con scarso risultato di vendere ai pellegrini le sue reliquie. LA CRITICA: «Come già per Decameron, accade che il prolifico Pasolini […] portando sullo schermo otto novelle di Chaucer, il poeta inglese del Trecento da lui stesso qui interpretato con simpatica ironia, e aggiungendovi qualche siparietto di dubbio gusto, confezioni uno spettacolo per le masse che ha grandi meriti nell’ordine paesistico e scenografico ma che stringe poca sostanza poetica e morale […] e nel rapporto fra realistico e fantastico perde colpi (soprattutto nella piuttosto scipita seconda parte). Sicché quel gran senso vitale che il film dovrebbe glorificare a scorno delle ideologie, e quella idealizzazione del medioevo cui dovrebbe condurre la nausea dell’oggi, sono assai piu godibili nella composizione figurativa e nella visionaria interpretazione ambientale, spesso d’alta classe, che sulla tastiera emotiva e tonale delle varie novelle, mosse intorno ai soliti casi salaci e piccanti di mariti cornuti, di vecchi lascivi, di donne vogliose e ragazzi all’assalto». (Giovanni Grazzini, in «Corriere della Sera», 5 lug. 1972). STORIE SCELLERATE di Sergio Citti Anno di edizione 1973 Produzione: P.E.A. (Produzioni Europee Associate), Les Productions Artistes Associés; Pro-
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Capitolo quarto
duttore: Alberto Grimaldi; Direttore di produzione: Alessandro von Normann; Soggetto: Vincenzo Cerami, Sergio Citti, Pier Paolo Pasolini; Sceneggiatura: Vincenzo Cerami, Sergio Citti, Pier Paolo Pasolini; Aiuto-regia: Umberto Angelucci; Fotografia: Tonino Delli Colli; Montaggio: Nino Baragli; Scenografia: Dante Ferretti; Costumi: Danilo Donati; Musica: Francesco De Masi; Interpreti: Franco Citti, Ninetto Davoli, Nicoletta Machiavelli, Silvano Gatti, Enzo Petriglia, Sebastiano Soldati, Elisabetta Genovesi, Ennio Panosetti, Fabrizio Mennoni, Oscar Fochetti, Giacomo Rizzo, Pino Andruccioli, Francesco Saracini, Gianna Aieta, Gianni Rizzo, Santino Citti, Christian Alegny, Ezio Garofalo, Piero Morgia, Giuliana Orlandi, Silvana Perlucci, Roberto Simmi.; Durata: 105’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo dell’edizione francese è Histoires scélérates. LA STORIA: Bernardino e Mammone, due giovani ladri che vivono di espedienti, si raccontano a vicenda alcune storie ambientate nella Roma rinascimentale, tutte incentrate su adulterii e tradimenti e tutte concluse tragicamente. Tra di esse spicca quella del duca di Ronciglione, il quale si evira davanti alla moglie, dopo averne ascoltato la confessione d’infedeltà. Condannati a morte per rapina, i due ladri muoiono giustiziati, ridendo a crepapelle dopo un ennesimo racconto di gelosia e morte LA CRITICA: «L’ormai stanco ripiego di raccontare storie rivela l’incapacità di raccontare una storia, incapacità confermata, in questo film, dall’assenza di un qualsiasi impegno interpretativo. Tutta la narrazione è inoltre segnata pesantemente da un sovrano disprezzo per il pubblico, un disprezzo accentuato dalla rinunzia ad ogni tentativo di elevazione e riscatto. Né vale la pena frugare la fetida materia alla ricerca di un messaggio: lo impediscono buonsenso e buongusto, mentre non mancano abbondanti sintomi di coprofilia». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXVI, Anno 1974, Roma 1974, p. 176). IL FIORE DELLE MILLE E UNA NOTTE di Pier Paolo Pasolini Anno di edizione 1974 Produzione: P.E.A. (Produzioni Europee Associate), Les Productions Artistes Associés; Produttore: Alberto Grimaldi; Direttore di produzione: Mario Di Biase; Soggetto: Pier Paolo Pasolini, tratto dalla raccolta di novelle orientali “Alf Laylah Wa-Laylah”; Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini, Dacia Maraini; Aiuto-regia: Unberto Angelucci, Peter Sheperd; Fotografia: Giuseppe Ruzzolini; Montaggio: Nino Baragli, Tatiana Casini Morigi; Suono: Luciano Welisch; Scenografia: Dante Ferretti; Costumi: Danilo Donati; Musica: Ennio Morricone; Interpreti: Ninetto Davoli, Franco Merli, Inse Pellegrini, Franco Citti, Teresa Bouclé, Margaret Clementi, Luigina Rocchi, Francesco Paolo Governale, Zeudi Biasolo, Elisabetta Vito Genovese, Alberto Argentini, Salvatore Sapienza, Barbara Grandi, Gioacchino Castellina, Abadit Ghidei, Salvatore Verdetti, Luigi Antonio Guerra, Francelise Noel, Christian Alegny, Jocelyn Munchenbach, Jeanne Gauffen Mathieu, Franca Sciutto; Durata: 125’. Produzione realizzata in esterni in Etiopia, nella Repubblica Araba dello Yemen, nella Repubblica Democratica Popolare dello Yemen, in Iran e nel Nepal. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo dell’edizione francese è Les mille et
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une nuits. Vincitore del Gran Premio Speciale della Giuria al Cannes del 1974 dove fu presentato in una versione di 155’. LA STORIA: Partendo dalla vicenda di Nur-el-Din e della bella schiava Zumurrud, che egli perde, cerca e infine ritrova, il film narra di due giovani che attirano fanciulli e fanciulle, li fanno accoppiare per scoprire chi di loro ami di più; quindi Aziz è costretto a subire l’evirazione per aver tradito la donna per cui aveva abbandonato la fidanzata; Tagi riesce a far innamorare di sé una principessa a tal punto da indurla a uccidere il padre; due prìncipi, dopo vicende sanguinose, si fanno bonzi. LA CRITICA: «Si conclude con questo film l’extravagante lettura esistenziale e sensuale del mondo proposta da Pasolini con le ultime opere, ed è come se la tessitura orientale della storia e la rasserenante dolcezza del paesaggio avessero stemperato e addolcito i furori espressivi del regista. Ai set claustrofobici e ribollenti di umanità e di passioni, si sostituiscono uomini sorridenti e ospitali, città dal colore della sabbia, torri merlate e cortili segreti, oasi di verde e carovane che spariscono dietro le dune. Un mondo magicamente sospeso nella ineluttabilità degli accadimenti, quasi un laboratorio segreto in cui con il tempo lineare dell’eternità si mettono in scena le solite vicende dell’esistenza: l’amicizia e il tradimento, la felicità e il dolore, l’amore e la rinuncia». (Piero Spila, Il fiore delle Mille e una notte, in Pier Paolo Pasolini, Roma, Gremese, 1999, p. 109). IL CASANOVA DI FEDERICO FELLINI di Federico Fellini Anno di edizione 1976 Produzione: P.E.A; Produttore: Alberto Grimaldi; Direttore di produzione: Lamberto Pippia; Soggetto: liberamente tratto dalle Storie della mia vita di Giacomo Casanova; Sceneggiatura: Federico Fellini, Bernardino Zapponi; Aiuto-regia: Maurizio Mein; Fotografia: Giuseppe Rotunno; Montaggio: Ruggero Mastroianni; Suono: Oscar De Arcangelis; Scenografia: Danilo Donati; Arredamento: Emilio D’Andria; Costumi: Danilo Donati; Effetti Speciali: Adriano Pischiutta; Musica: Nino Rota; Direzione musicale: Carlo Savina; Interpreti: Donald Sutherland, Tina Aumont, Cicely Browne, Carmen Scarpitta, Clara Algranti, Daniela Gatti, Margareth Clementi, Olimpia Carlisi, Silvana Fusacchia, Mario Cencelli, Chesty Morgan, Leda Lojodice, Sandy Allen, Clarissa Mary Roll, Daniel Emilfork Berestein, Luigi Zerbinati, Hans Van Der Hock, Dudley Sutton, John Karlese, Alessandra Belloni, Marika Rivera, Angelica Hansen, Marjorie Belle, Marie Parquet, Elisa Mainardi, Jean-Claude Verné, Gennaro Ombra, Gengher Gatti, Francesco De Rosa, Renée Lorena, Dan Van Husen, Mariano Brancaccio, Diane Kourys, Michel Crocher, Veronica Nava, Carli Buchanan, Mario Gagliardo; Durata: 150’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Vecchio e malandato, Giacomo Casanova, bibliotecario nel castello di Dux in Boemia, rievoca la sua vita densa di amori e di avventure. Prima, da giovane, a Venezia dove, incarcerato per le sue sregolatezze, evade dai Piombi e comincia a vagare per le corti europee conducendo una vita brillante, ricca di amori, di truffe, di onori. Con il passare del tempo però il suo successo si va appannando; molte porte gli si chiudono in faccia, la degradazione fisica e morale va attenuandosi con sempre maggiore celerità. Trova infine rifugio presso un nobile boemo, che però lo esibisce come un ridicolo fantasma del passato. Ma lo spirito di Casanova è irriducibile ed egli lo fa rivivere e perpetuare scrivendo di notte le sue memorie.
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Capitolo quarto
LA CRITICA: «A 57 anni Fellini sorprende per la sua capacità creativa, per la trasposizione della sua poetica nella dimensione dei grandi sogni. Il suo armamentario mitologico è quello di sempre: la madre, la provincia, la donna posseduta e non conosciuta, le avventure ribalde, il giro del mondo per sfuggire all’idea della morte. Stavolta le immagini, ritagliate dalle Memorie casanoviane, illuminano un Settecento di fantasia, tanto più vero quanto decisamente antifilologico». (Tullio Kezich, in «Panorama», 4 gen. 1977) BERTOLDO, BERTOLDINO, CACASENNO di Mario Monicelli Anno di edizione 1984 Produzione: Filmauro; Produttore: Luigi De Laurentiis, Aurelio De Laurentiis; Direttore di produzione: Mario Di Biase; Soggetto: liberamente tratto dall’omonimo racconto di Giulio Cesare Croce; Sceneggiatura: Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Suso Cecchi D’Amico, Mario Monicelli; Aiuto-regia: Amanzio Todini; Fotografia: Camillo Bazzoni; Montaggio: Ruggero Mastroianni; Suono: Gaetano Carito; Scenografia: Lorenzo Baraldi; Arredamento: Massimo Tavazzi; Costumi: Gianna Gissi; Effetti Speciali: Giovanni Corridori; Musica: Nicola Piovani; Interpreti: Ugo Tognazzi, Lello Arena, Maurizio Nichetti, Alberto Sordi, Annabella Schiavone, Carlo Bagno, Pamela Denise Roberts, Margherita Pace, Isabelle Illiers, Gigi Bonos, Jole Silvani, Donald Michael Stumpf, Pietro Zardini, Mario Zazza, Fiorella Bettoja, Franco Adducci, Patrizia La Forte, Aristide Caporale, Michele Caruso, Cecilia Cerocchi, Carlo Colombardo, Amelia Del Frate, Rosa Fanali, Edoardo Florio, Giuseppe Terranova, Vanessa Vitale; Durata: 126’. Produzione realizzata negli Studi De Paolis e, in esterni a Marano Lagunare, nei pressi di Grado, in Val di Susa e in Cappadocia (Turchia) LA STORIA: Mentre regna Alboino, Bertoldo passa da una burla all’altra. E, villico sornione e astuto qual è, riesce sempre o quasi a farla franca, sebbene la moglie Marcolfa e il figlio Bertoldino lo coinvolgano in imprese sballate. Tra queste, il recupero che padre e figlio faranno di un’oca e di un otre di vino, che Marcolfa ha dato a Fra’ Cipolla in cambio di una piuma, caduta dalle ali dell’Arcangelo Gabriele. Fra’ Cipolla è un mistificatore che, girando per le campagne, sfrutta la dabbenaggine dei contadini e avrà anche lui le sue disavventure. Bertoldo incorre volta a volta sia nella simpatia che nel corruccio del Re, la cui figlia dovrebbe sposare il debole ed anziano Esarca di Ravenna. Ma ciò non avverrà e lei, invece, impalmerà un giovane ed aitante pittore che sarà fatto cavaliere, mentre Bertoldo, dopo essere stato condannato all’impiccagione ed esserne sfuggito per un suo marchingegno verbale, verrà infine graziato e fatto barone da Alboino. Però Bertoldo resterà sempre un saggio ed un semplice e morirà, così, nel compianto di tutti, Alboino compreso, mentre Bertoldino, durante la vicenda sposatosi con una fanciulla un po’ tocca come lui, assicurerà con Cacasenno la continuità della stirpe. LA CRITICA: «Terza incarnazione cinematografica del furbacchiotto in cui Giulio Cesare Croce (1550-1609), poligrafo emiliano, raccolse 1’antico elogio del villico di cervello fino, portata sullo schermo da Mario Monicelli, come già fecero Giorgio Simonelli nel ’36 (interprete Cesco Baseggio) e la coppia Amendola-Maccari nel ’54, per far ridere le brigate, ma convogliandovi spunti e umori buffoneschi presi anche da altri novellieri, al fine di rendere omaggio a un motivo gnomico-farsesco largamente popolare. E con un’ambizione: di calare gli elementi realistici, inerenti al personaggio del bifolco, in una cornice fiabesca, sì da sfiorare il grottesco-magico, alludendo nel contempo al conflitto universale fra il misero e il po-
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tente col mettere a confronto Bertoldo e Alboino, il re che si compiace e s’indigna della sua irriverenza. […] Questo Bertoldo […], non si distende in ilare racconto, sicché il film diverte e istruisce assai meno di quanto si poteva sperare conoscendo 1’arguto libretto da cui prende le mosse […] si lascia perciò godere nella cornice spettacolare, degna del miglior cinema italiano (con qualche eco di Pasolini), e nei timbri comici dei suoi interpreti. Di stile e generazione diversa, per cui al greve ma sagace Ugo Tognazzi, che è appunto Bertoldo, si affianca un lunare Maurizio Nichetti (un Bertoldino che fa il Cretinetti), e all’Alberto Sordi che caratterizza nel ridicolo fra’ Cipolla, replica, nei panni del dispotico Alboino, un Lello Arena il quale si sforza, con qualche disagio, di far ridere quanto gli altri». (Giovanni Grazzini, in «Corriere della Sera», 22 dic. 1984). NON CI RESTA CHE PIANGERE di Roberto Benigni, Massimo Troisi Anno di edizione 1984 Produzione: Yarno Cinematografica, Best Intrenational Film; Produttore: Mauro Berardi, Ettore Rosbach; Soggetto: Massimo Troisi, Roberto Benigni; Sceneggiatura: Massimo Troisi, Roberto Benigni, Giuseppe Bertolucci; Aiuto-regia: Roberto Aristarco; Fotografia: Giuseppe Rotunno; Montaggio: Nino Baragli; Suono: Massimo Loffredi; Scenografia: Francesco Frigeri; Arredamento: Osvaldo Desideri; Costumi: Ezio Alfieri; Effetti speciali: Giovanni Corridori; Musica: Pino Donaggio; Direzione musicale: Natale Massara; Interpreti: Massimo Troisi, Roberto Benigni, Paolo Bonacelli, Ezio Alfieri Peynado, Amanda Sandrelli, Carlo Monni, Livia Venturini, Iole Silvani, Loris Mazzocchi, Nicola Morelli, Mario Diano, Peter Boom, Fiorenzo Serra, Stefano Gragnani, Giuliano Mariani, Ronaldo Bonacchi; Durata: 108’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà e, in esterni, alcune scene sono statre girate nel “Parco la Selva di Paliano” (Frosinone). LA STORIA : Saverio, maestro elementare e il bidello Mario, fermi con la macchina a un passaggio a livello che non si apre mai, cercano una via d’uscita d’emergenza, vengono sorpresi da un temporale e riparano per la notte in una vecchia locanda, nella quale si destano l’indomani inspiegabilmente immersi in un improbabile anno 1492. Tentano goffamente di assumere l’abbigliamento, il linguaggio e le usanze dell’epoca e si trovano implicati in farsesche avventure, finché a Saverio spunta l’idea – visto che è il 1492 – di correre in Spagna a fermare Cristoforo Colombo, per impedirgli di scoprire l’America, da cui vengono infiniti mali, a cominciare dal vezzo linguistico dell’okey diffuso fra noi in maniera così pecoreccia. Nel tragitto incorrono in altre avventure, fra le quali l’incontro con un’amazzone di colore e poi con Leonardo Da Vinci, che tentano di erudire sulle novità scientifiche, con la loro saputa ignoranza anni ‘80, per cui ritardano e arrivano a Palos dopo che Colombo è già salpato. Mentre, sfiniti, si apprestano a ritornare sui propri passi, avvertono lo sbuffare e lo sferragliare di una locomotiva. Speranzosi, si precipitano verso i binari, sicuri di esser riapprodati al secolo XX, se non che dalla locomotiva si sporge compiaciuto Leonardo che ha capito tutto e ha imparato la lezione. Ai due compari non resta che piangere. LA CRITICA: «Troisi e Benigni si sono visibilmente divertiti a fare il film […]. Dalla prima all’ultima inquadratura la sequela dei loro duetti è pressoché inarrestabile, la cornice è ridotta al minimo e così l’apporto del costumista e dell’arredatore; anche la fotografia di “mastro” Rotunno inquadra con sobrietà estrema la magnificenza del paesaggio toscano. Senza dubbio la comicità di Benigni, folletto estroverso, imprevedibile e sanguigno, è distante da quella di
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Capitolo quarto
Troisi, introversa, stralunata, “di rimessa”. Ma per integrarsi i partner si sono comportati come coniugi di un buon matrimonio, ciascuno rinunciando a una parte di sé, […] e talvolta, a beneficio dell’intesa, scambiandosi i ruoli. Quando la strana coppia si accinge a vergare l’epistola al Savonarola, anche per avvertirlo amabilmente del rischio che corre di bruciare come i suoi perseguitati, a dettarla non è il maesto Saverio, come si potrebbe immaginare, bensì il bidello Mario […]. L’altro si limita a scrivere con la penna d’oca […] e ad ammirare l’eloquenza letteraria dell’amico. Spetta comunque di diritto al maestro, che sa le date della storia, segnalare l’imminente partenza da Palos delle tre caravelle. Qui l’invettiva è in puro stile Benigni. Bisogna assolutamente evitare la scoperta dell’America per il bene dell’umanità e degli indiani, ma soprattutto per il bene della sorella che sarà al riparo del militare Nato che l’ha lasciata dopo sei anni di fidanzamento». (Ugo Casiraghi, Non ci resta che piangere, in “Capolavori italiani n. 5”, inserto redazionale supplemento al n. 47 de «l’Unità», 25 feb. 1995). I PÌCARI di Mario Monicelli Anno di edizione 1987 Produzione: Clemi Cinematografica, Producciones D.I.A.; Produttore: Giovanni Di Clemente; Direttore di produzione: Domenico Lo Zito; Soggetto: Suso Cecchi D’Amico, Piero De Bemardi, Leo Benvenuti, Mario Monicelli, ispirato al famoso romanzo spagnolo Lazarillo De Tormes ( 1554) di autore ignoto.; Sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, Piero De Bernardi, Leo Benvenuti, Mario Monicelli; Aiuto-regia: Giacomo Campitoti, Andrei Vich; Fotografia: Tonino Nardi; Montaggio: Ruggero Mastroianni; Suono: Mario Dallimonti; Scenografia: Enrico Fiorentini; Arredamento: Giancarlo Capuani; Costumi: Lina Nerli Taviani; Musica: Lucio Dalla, Mauro Malavasi; Interpreti: Giancarlo Giannini, Enrico Montesano, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Giuliana De Sio, Bernard Blier, Paolo Hendel, Vittorio Caprioli, Enzo Robutti, Blanca Marsillach, Maria Casanova, Juan Carlos Naya, Aldo Sambrell, German Cobos, Claudio Bisio, Sal Borgese, Chris Huertas, Maria Luisa Armenteros Gonzales, Jesus Guzman, Blaki, Gaetano R. Capillo, Adriano Cappelli, Donatella Ceccarello, Adriano D. Chiaramida, Nicoletta Della Corte, Ennio Drovandi, Sabrina Ferilli, Alejandra Fierro, Sabrina Knaflitz, Patrizia La Fonte, Eduardo Mac Gregor, Antonello Orru, Lino Salemme; Durata: 128’. Produzione realizzata in esterni in varie località della Spagna. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-spagnola. Il titolo dell’edizione spagnola è Los alegres picaros. LA STORIA: In Spagna nel XVI secolo, due vagabondi, Lazzarillo De Tormes e Guzmán De Alfarache, sono alla continua ricerca di cibo e di un tetto. Proveniente da una famiglia poverissima, in cui la madre faceva la prostituta, Lazzarillo viene affidato a un cieco crudele dal quale però scappa. Guzmán, a sua volta, figlio di un baro morto sul patibolo, dopo un’amara esperienza in casa di nobili, ha scelto di vivere per conto proprio. I due si incontrano su una nave di forzati e diventano amici: durante un ammutinamento salvano la vita al capitano che li nomina suoi attendenti, ma la ciurma li butta a mare. Tornati a terra vengono denunciati ma evitano l’arresto grazie ad una ragazza, Ponzia. Poi si dividono: Guzmán si mette al servizio di Hidalgo, un nobile squattrinato che, prima di essere imprigionato per debiti, gli regala il suo cavallo. Lazzarillo viene ingaggiato da una compagnia di comici per ricoprire parti drammatiche e conquista l’ammirazione di una suora. Dopo molto tempo i due picari si rincon-
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trano e decidono di mettersi in società facendo prostituire una bella ragazza, Rosario, ma la giovane incontra un vecchio ricco e va con lui. I due pìcari si lasciano di nuovo, ma si ritrovamo in seguito sul patibolo: Lazzarillo è l’aiuto del boia e Guzmán è il condannato a morte. Ma Lazzarillo salva la vita all’amico e insieme riprendono la vita vagabonda. LA CRITICA: «Mario Monicelli [...] con I pìcari conferma una vena inesauribile, fresca e vivace. Una vena che continua a essere, come fu fin dagli esordi nel 1949, una sintesi originale fra umorismo e critica di costume, sbeffeggiante e amara, giocosa e drammatica; e, dal punto di vista prettamente cinematografico, un’armonia fra parti maggiori e minori, ottimi caratteristi, un miscuglio linguistico di tipi e inflessioni. [...] Monicelli ha dipinto una Spagna dura, aspra, inedita, senza fiori e colori, ne corride o mantille, contrapponendo l’immensa ricchezza di pochi alla desolante poverta della moltitudine; ma anche 1’ingenuità alla furbizia, la spocchia alla beffa; la crudeltà al divertimento. I pìcari di Monicelli sono I soliti ignoti, Brancaleone e la sua armata di pezzenti; gli Amici miei: personaggi senza tempo, e perciò anche attuali e riconoscibili ovunque, con la loro carica di ribalderia, di disprezzo delle convenzioni e con una gran voglia di divertirsi». (Vittorio Spiga, «Il Resto del Carlino», 19 dic. 1987).
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Capitolo quarto
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2. Per amore di Cristo Il Medioevo è stato un periodo particolarmente prodigo, per la Chiesa, in fatto di santi e beati, molto di più delle epoche successive. Il cinema italiano ha dedicato alcuni film anche a questa particolare categoria di personaggi e, se si fa eccezione per Rossellini, Zeffirelli e la Cavani – per altro attratti dalla figura dello stesso santo – lo sparuto gruppo di registi che se ne sono occupati appartiene ad una categoria che potremmo definire di serie B e C. Nel cercare di approfondire la storia dei santi (almeno quelli portati sullo schermo) si scoprono cose allucinanti sulla loro vita. Prendiamo ad esempio Santa Rita, portata sullo schermo da Antonio Leonviola nel 1943 col film Rita da Cascia, che entra in convento come suora dell’Ordine agostiniano, non prima di avere contribuito – sia pure inconsapevolmente – a fare ammazzare, nel tentativo di redimerlo, suo marito (un poco di buono) dai suoi ex compari e di aver fatto uccidere, per intervento “divino”, i suoi due figli per impedire loro di cadere nel peccato assassinando i responsabili del delitto. Si potrebbe dire... una cara persona da cui è bene stare lontani per non cadere nella sua “misericordia”. Nel film tutto questo viene fuori molto bene dato che, gran parte del racconto, verte sulla vita laica della santa e la povera Elena Zareschi, peraltro molto brava, ce la mette tutta per farsi odiare dal pubblico, ma idolatrare dalla stampa cattolica che esalta il film per aver «messo in rilievo la santità della protagonista […] con evidente e toccante sincerità»11. Nel 1945 è Giuseppe Maria Scotese che si dedica a San Benedetto con il film Il sole di Montecassino, altrimenti noto come S. Benedetto il dominatore dei barbari. Il regista parte da lontano, dalla seconda guerra mondiale e dalle devastazioni da essa portate all’abbazia di Montecassino, per introdurre la storia del santo raccontata da un sacerdote ad un ufficiale inglese. Questa idea registica viene poi utilizzata in seguito da altri colleghi di Scotese. Fosco Giachetti è un San Benedetto fosco (ci si scusi il bisticcio) e tetro, a volte ingenuo, diretto malamente in un film in cui pare non credere neppure il regista. Non basta ad Oreste Palella essere stato assistente, nel suo periodo americano, dei registi Frank Capra e John Ford in film quali Orizzonte perduto e Ombre rosse, per riuscire a darci, nel 1947, un’opera convincente con Caterina da Siena. E non è bastato nemmeno aver dato la parte della santa e di sua madre a Regana De Liguoro e alla madre dell’attrice Rina De Liguoro (rispolverandola chissà da quale angolo del cinema muto), per avere quella affinità e familiarità che avrebbero dovuto avere i due personaggi. Ciò che ne è uscito – a parte la pietosa interpretazione – è uno zibaldone in cui la De Liguoro (figlia) sembra più una press agent che una aspirante santa. Come se ciò non fosse bastato, Palella ci riprova nel 1957 riproponendo il suo film con il titolo ambiguo di Io Caterina, che poteva riferirsi a qualsiasi Caterina, anche l’imperatrice di tutte le Russie. Difficile fare un film peggiore del precedente, eppure Palella ci riesce. Chissà dove aveva trovato le sue attrici, come Nora Visconti per sempio, di cui non si sa nulla e la cui recitazione è inesistente e tale da fare rimpiangere Regana De Liguoro.
11 Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XVII, Anno 1943, Roma 1943, p. 70.
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Il diavolo e l’acquasanta
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Pietro Francisci, come avevamo anticipato, è uno di quei registi, come Leonviola, che trova più semplice partire dal presente per narrare la storia di un santo, ed è così che realizza nel 1949, Antonio di Padova. Ma Francisci non sembra trovarsi a suo agio con questo genere di film, tant’è vero che non riesce a legare narrativamente il passato col presente, le due parti risultano slegate ed è l’oggi che ci scapita. Bravi Aldo Fiorelli nella doppia parte di Fernando e di Sant’Antonio e Aldo Fabrizi in quella di Ezzelino da Romano. Un’altra storia di martirio, di disgrazie e di delitti è raccontata nel film di Mario Bonnard del 1949, Margherita da Cortona, film che conferma quanto detto all’inizio: i santi, per diventare tali, dovevano sopportare tutte le angherie e le infamie possibili quali prove di ammissione alla santità. Santa Margherita, rappresentata, poco santamente, dalla maggiorata fisica Maria Frau, prima di decidersi ad entrare in convento, deve difendersi dalle avances dell’amante della matrigna; si innamora di un giovane nobile di Cortona osteggiata sia dall’amante della matrigna che da suo padre. Margherita si lascia dominare da un impulso e va a vivere dal giovane nobile, che però viene ucciso dall’amante della matrigna e dal fratello della promessa sposa del giovane che, per il dolore, si uccide. Nel frattempo è scoppiata la peste e Margherita si dedica agli ammalati, fra i quali la matrigna. Alla fine, morti tutti, si ritira in convento. C’è ancora una santa prima di affrontare i tre film su San Francesco: Santa Chiara. Il film, diretto da Raffaello Pacini nel 1960, è La tragica notte di Assisi in cui l’attenzione principale si concentra sul miracolo che la santa compie contro i saraceni nella notte del 24 settembre 1239 salvando Assisi dalla distruzione. Anche il film di Pacini non brilla per eccellenza. Tralasciando la parte della vita della santa e del suo rapporto con San Francesco, il film è il solito fumettone, ad uso e consumo di fedeli di facile credulità, che rasenta il grottesco quando Leda Nergroni, nei panni di Chiara, avanza verso i saraceni con l’ostensorio in mano che brandisce come un gagliardetto. Ma veniamo a San Francesco che è stato portato per la prima volta sullo schermo da Roberto Rossellini nel 1950 col film Francesco giullare di Dio. Film dal contenuto ben diverso dai film di pari genere che lo hanno preceduto, si suddivide in undici episodi tratti da I Fioretti di Francesco di Assisi che mettono in risalto la riforma francescana, ed è narrato in chiave neorealista ed interpretato, ad eccezione di Aldo Fabrizi, da autentici frati o comunque da persone prese dalla vita reale. «Attraverso I fioretti di San Francesco Rossellini recuperò la struttura ad episodi di Paisà. La differenza è che qui i protagonisti dei vari episodi sono quasi sempre gli stessi e ciò produce l’effetto di una maggiore continuità del racconto. Noi spettatori sentiamo il tangibile godimento che Rossellini prova nel trovarsi fra gli interpreti che più ama: non attori veri, ma vera gente. La semplicità dell’ideologia francescana si sovrappone alla ricerca tecnica di Roberto, che mira sempre più all’essenzialità, alla pulizia narrativa, all’annullamento della presenza della macchina da presa. Anche qui, come in L’amore e Stromboli, la recitazione porta il segno dello straordinario rapporto che Roberto sa instaurare con i suoi interpreti. Egli ha bisogno di sentirsi legato ai suoi attori. Francesco giullare di Dio è forse il suo film migliore per ciò che concerne la recitazione degli attori non professionisti»12. 12
Stefano Masi, Enrico Lancia, I film di Roberto Rossellini, Roma, Gremese, 1987, pp. 50-52.
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Capitolo quarto
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Liliana Cavani girò per la RAI Radiotelevisione Italiana e trasmesso in due puntate su RAIUno, il 6 e l’8 maggio del 1966, Francesco d’Assisi che fu il secondo film dedicato al Santo, ma che non prenderemo in considerazione in quanto fiction televisiva. Sarà invece Franco Zeffirelli l’autore di una seconda versione della vita di Francesco nel 1971 col film Fratello Sole sorella Luna. Così commentò il film Giovanni Grazzini sul «Corriere della Sera»: “Quanto vi sia di storicamente plausibile nel fare di Francesco, vissuto in tempi tanto diversi dai nostri, un contestatore della società basata sul profitto e sui piaceri terreni, e quanto questo derivi dai soprassalti d’un generico spiritualismo che propone esempi irripetibili, ogni spettatore giudicherà secondo le proprie sensibili antenne. Sta di fatto che il film, per la sua celebrazione di valori caduti in desuetudine e per di più resi sospetti dall’essere stati fatti propri da gruppi hippies giudicati poco meno che sovversivi, è destinato a fertili dibattiti»13. Nel 1989 Liliana Cavani ritorna con Francesco portando finalmente sul grande schermo il film che aveva realizzato più di vent’anni prima per la televisione. Sostituito Lou Castel con Mickey Rourke, il cui successo avuto due anni prima con 9 settimane e ½ non si era ancora spento, l’opera lasciò alcuni critici perprlessi. Ma non tutti la pensarono così: «Mickey Rourke infonde la sua innata problematicità, la sua naturale insoddisfazione, i suoi teneri occhi color castagna di bosco, i suoi enormi piedi scalzi, i suoi denti spezzati e ingialliti [...]. Gli umbri amano particolarmente questo loro fratello, e da più parti si sono levate voci di dissenso sulla ipotetica lettura della sua vita, sulla scelta di un attore accostato dai più a esotiche spalmature [...]. Il Francesco che esce dalle due ore e mezza di sala buia rimane invece aggrappato dentro con una insolita forza di penetrazione. C’è un nodo di commozione che stringe alla gola, e non è solo Mickey-Francesco a darcelo: è Helena Bonham Carter, Chiara di una forza quasi feroce. Sono i giovani attori che in clima di totale fraternità hanno creato un supporto inestimabile per bravura e dedizione. [...] Sempre sostenuti dalla ispirazione contagiosa di Rourke e dalla costante attenzione della regia, tesa a personalizzare ogni presenza, a dare spessore a ogni storia. [...] Ci pare un film pieno d’amore, di fuoco che divora, urgente con i difetti e i pregi di un’urgenza”14.
13 14
Giovanni Grazzini, in «Corriere della Sera», 11 mar. 1972. Cristina Bravini, in «Corriere dell’Umbria», 23 mar. 1989.
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Il diavolo e l’acquasanta
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RITA DA CASCIA di Leon Viola
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Anno di edizione 1943 Produzione: Alcine, Artisti Associati; Direttore di produzione: Aldo Salerno; Soggetto: Celestino Spada; Sceneggiatura: Celestino Spada, Leon Viola; Consulenza ecclesiastica: Padre V. Calisto Vanzin; Aiuto-regia: Manolo Cattaneo; Fotografia: Giovanni Pucci; Scenografia: Pietro Filippine, Alfredo Manzi; Arredamento: G. Bonifazi; Musica: Pietro Sassoli, Lorenzo Perosi, Franz Schubert; Interpreti: Elena Zareschi, Ugo Sasso, Paolo Di Ferdinando, Marcello Giorda, Elodia Maresca, Augusto Marcacci, Teresa Franchini, Giampaolo Rosmino, Aleardo Ward, Beatrice Mancini, Ada Nucci, Laura Nucci, Umberto Spadaro, Elio Marcuzzo, Adele Garavaglia, Stefano Sciaccaluga; Durata: 83’. Produzione realizzata negli Stabilimenti della Titanus. OSSERVAZIONI: Leon Viola è lo pseudonimo di Antonio Leonviola. Montaggio e costumi non sono accreditati. Chiti e Lancia nel loro Dizionario del cinema italiano, attribuiscono il montaggio a Gisa Radicchi Levi. LA STORIA: La giovane Rita, esempio di cristiane virtù nella pace della propria famiglia, anela di poter entrare in convento e farsi monaca. Un tristo uomo chiede asilo nella sua casa e, affascinato dalla grazia di lei, la domanda in moglie. Rita comprende che la sua missione di bene si può svolgere anche come sposa e come madre e acconsente alle nozze prodigandosi per la redenzione del proprio marito. Dopo un doloroso e triste periodo di crisi in cui l’uomo non sa rinunciare alla sua vita perversa, la fiduciosa costanza di Rita ha il sopravvento ed egli si redime. Dopo vari anni, il marito cade vittima di un tranello tesogli dai suoi compagni di un tempo. I suoi due figli giurano di vendicarlo e inutilmente Rita li scongiura di perdonare. Mentre essi stanno per realizzare il loro criminoso piano essa, straziata, chiede al cielo di farli morire piuttosto che vederli cadere in peccato. I giovani infatti sono uccisi da un colpo di folgore e la sventurata donna, privata dei suoi affetti più cari, aspira di nuovo a vestire l’abito monacale. Un nuovo miracoloso intervento esaudisce il suo voto, e la santa donna chiude la sua esistenza nel raccoglimento e nella preghiera. LA CRITICA: «Il maggior difetto del film consiste nella sceneggiatura sproporzionata, che dedica quattro quinti di spazio alla vita laica di Rita, e uno sparutissimo quinto alla sua vita ecclesiastica. […] Il film merita tuttavia d’essere visto, per la pervicacia con cui Elena Zareschi […] domina la scena». (Vice, in «Film», n. 40, 9 ott. 1943). «Il dramma intimo e familiare che mette in rilievo la santità della protagonista, è reso con evidente e toccante sincerità, raggiungendo talvolta dei toni di un soffuso lirismo. Merito di una sapiente regia e di una controllata interpretazione». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XVII, Anno 1943, Roma 1943, p. 70) IL SOLE DI MONTECASSINO di Giuseppe Maria Scotese Anno di edizione 1945 Produzione: CO.LI.TO.; Produttore: Maleno Malenotti; Direttore di produzione: Maleno
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Capitolo quarto
Malenotti; Soggetto: Diego Fabbri, Giovanna Emery Soria, Giuseppe Maria Scotese, Arnaldo Genoino, Giorgio Lastricati, Mario Monicelli; Sceneggiatura: Diego Fabbri, Giovanna Emery Soria, Giuseppe Maria Scotese, Arnaldo Genoino, Giorgio Lastricati, Mario Monicelli; Aiutoregia: Arnaldo Genoino; Fotografia: Carlo Montuori; Montaggio: Fernando Tropea; Suono: Mario Amari; Scenografia: Clelia Colombo, Pietro Filippone; Costumi: Clelia Colombo; Musica: Giovanni Fusco; Interpreti: Fosco Giachetti, Lilianne Laine, Alfredo Varelli, Adriana Benetti, Manoel Roero, Nino Pavese, Giampaolo Rosmino, Anna Maria Padoan, Virgilio Tomassini, Walter Grant; Durata: 84’. OSSERVAZIONI: Il film fu rieditato con il titolo S. Benedetto il dominatore dei barbari che è il titolo della copia da noi visionata. LA STORIA: Il racconto inizia con le immagini dell’Abbazia di Montecassino distrutta dai bombardieri angloamericani che causarono, il 15 febbraio 1944, circa 230 morti – atto di inutile crudeltà contro il quale invano si era speso il Pontefice chiedendo agli Alleati di risparmiare quell’antico monumento della Cristianità – mentre la povera gente fugge come può, chiedendosi come mai Dio abbia dimentcato di proteggere quel sacro luogo. Per tutta risposta un sacerdote racconta le vicende biografiche di Benedetto da Norcia, proprio per dimostrare che l’Italia è stata, in ogni tempo, preda di differenti orde barbariche alle quali la santità di Benedetto, dei suoi monaci e della sua Regola hanno dato una risposta duratura, capace di contrastare le peggiori avversità. All’inizio dell’anno 500, il nobile Benedetto, stanco e nauseato della vita molle e priva di ideali che conduce nel suo ambiente, rispondendo ad un appello interiore, si ritira per dedicare la sua vita alla meditazione e alla preghiera. Dopo molti anni di raccoglimento e di intensa vita spirituale, trascorsi nell’eremo di Subiaco, ricchi di benèfici frutti per lui e per tutti coloro che lo avvicinano e dopo aver gettato le basi del grande ordine monastico, il santo si reca a Montecassino dove in un triste periodo di guerre e di devastazioni, fonda la famosa abbazia, oasi di pace e faro di cristianità. LA CRITICA: «Il film pur non raggiungendo un rilevante livello artistico, è tuttavia condotto ed interpretato con lodevole impegno e risulta spettacolarmente interessante». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XIX, Anno 1946, Roma 1946, p. 121) «Il senso complessivo del film – ingiustamente dimenticato come tanti lavori del periodo, non allineati con i dogmi “neorealisti” – ribadisce la grandezza di Roma, della sua cultura pacificatrice, generata essenzialmente dal suo essere divenuta la città cardine del cristianesimo, ne ricorda l’afflato universale e protesta apertamente contro le distruzioni attuate nella penisola da angloamericani e tedeschi, entrambi, in qualche modo, discendenti degli antichi Goti (tra l’altro l’abbazia era già stata distrutta una prima volta nel 577 dai Longobardi. Anche la vita di Benedetto si svolge in un’epoca di guerre brutali (quella delle numerose invasioni babariche, nonché della guerra greco-gotica del 535-553) alle quali contrappone la capacità di cercare sempre la via della conciliazione, della comprensione reciproca e del mutuo soccorso. Ricordando il provocatorio scempio del bombardamento dell’Abbazia, il lavoro contesta in modo aperto e coraggioso gli eccessi dei nuovi vincitori (il film esce esattamente un mese dopo le tragedie atomiche di Hiroshima e Nagasaki), rincuora gli Italiani e ammonisce i combattenti di ogni fazione». (Giuseppe Rausa, Storia del cinema italiano. Gli anni Quaranta, 2003, www.giusepperausa.it)
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CATERINA DA SIENA di Oreste Palella
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Anno di edizione 1947 Produzione: Cigno Film; Direttore di produzione: Mario Calambassi; Soggetto: Fernando Leonardi, tratto dalla vita e dalle lettere di Santa Cateria da Siena; Sceneggiatura: Fernando Leonardi, Oreste Palella; Fotografia: Alfredo Lupo; Scenografia: Angelo D’Arpino; Musica: Leopoldo Perez Monsignore, G.C. Carignani; Interpreti: Regana De Liguoro, Rina De Liguoro, Teresa Mariani, Ugo Sasso, Mario Ortensi, Diego Muni, Guido Martinelli, Arturo Saccarino, Armando Michettoni, Luigi A. Garrone, Mario Nocerini, Giuseppe Pais, Tino Scotti, Carmen Di Sciullo, Bruno Rizzi, Attilio Torelli, Marcello Bonini Olas, Leila Umbriana, Guido Gentilini; Durata: 85’. LA STORIA: A sette anni Caterina Beneincasa ha la prima visione di Gesù e si promette al Signore. La madre, Lapa, cerca di opporsi alle manifestazioni di religiosità della figliola e vorrebbe avviarla al matrimonio. Ma Caterina dichiara che il suo sposo è Gesù. La sua pietà, la sua fermezza le ottengono l’appoggio di suo padre Giacomo e del suo confessore, fra’ Tommaso. Nel 1363 Caterina diventa mantellata nell’ordine di San Domenico. La sua vita austera e la sua pietà destano ammirazione, ma le attirano delle critiche. Nel 1374 il Capitano generale dell’Ordine Domenicano approva la sua dottrina. Ritornata a Siena, si prodiga nell’assistenza degli appestati. L’esilio avignonese dei Papi favorisce, in Italia, la ribellione al Papato. Caterina scrive ai fiorentini ribelli ed al Papa due celebri lettere, poi si reca ad Avignone ed induce Gregorio XI a riportare a Roma la sede pontificale. La santa compie continui miracoli e, il 29 aprile 1380, Caterina muore nella sua piccola cella conventuale. LA CRITICA: «A certi argomenti e a certi personaggi bisognerebbe accostarsi con maggiore preparazione, con mezzi meno limitati ed anche con una buona dose di rispetto […]. A vedere il film si ha l’impressione che ad un certo momento sia sorta la necessità di condurlo rapidamente a termine, bene o male, non potendosi altrimenti spiegare alcune lacune fin troppo evidenti […]. L’interpretazione risente delle deficienze generali del film, tra le quali non va dimenticato lo zoppicante commento musicale». (L’operatore, in «Intermezzo», n. 5, 15 mar. 1948). ANTONIO DI PADOVA di Pietro Francisci Anno di edizione 1949 Produzione: Oro Film; Produttore: Mario Francisci; Direttore di produzione: Carlo Bessi; Soggetto: Pietro Francisci, Giorgio Graziosi; Sceneggiatura: Raoul De Sarro, Fiorenzo Fiorentini, Pietro Francisci, Giorgio Graziosi; Aiuto-regia: Giorgio Graziosi; Fotografia: Mario Bava; Montaggio: Pietro Francisci; Scenografia: Flavio Mogherini; Costumi: Flavio Mogherini, Giovanni Mayer; Musica: Carlo Innocenzi; Direzione musicale: Ezio Carabella; Interpreti: Aldo Fiorelli, Silvana Pampanini, Carlo Giustini, Alberto Pomerani, Manoel Roero, Luigi Pavese, Ugo Sasso, Lola Baccini, Nino Pavese, Pietro Pastore, Mario Ferrari, Anna Di Lorenzo, Dianora Veiga, Cesare Fantoni, Guido Notari, Valerio Tordi, Riccardo Mangano, Carlo Duse, Vittorio Cramer, Antonio Crast, Nino Capricciosi, Armando Guarneri, Sergio Fantoni, Paola Dalgas, Giovanni Onorato, Felice Minotti, Aldo Fabrizi; Durata: 78’. Produzione realizzata negli Studi Oro Film, Safa Palatino.
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Capitolo quarto
LA STORIA: La moglie di un giovane pittore scomparso in guerra va in chiesa per pregare S. Antonio da Padova perché faccia ritornare suo marito. Dopo qualche tempo il pittore ricompare. Aveva perduto la memoria per una ferita alla testa, recuperandola il giorno in cui la moglie si era rivolta a S. Antonio. Dopo il pellegrinaggio alla Basilica del Santo, il loro figlio Fernando, leggendo un libro su S. Antonio che ne rievoca la vita, rimane colpito e confida al padre di aver deciso di indossare la tonaca. Nel frattempo si alternano gli episodi della vita del Santo: al contatto coi primi seguaci di S. Francesco, egli si avvicina al francescanesimo, parte per il Marocco come missionario e poi si ritira in un eremo in meditazione e preghiera. Ecco l’episodio dell’ubiquità: ecco la conversione di Ezzelino. Questi episodi si intrecciano con scene di oggi e con quelle del dissidio tra i genitori sui sentimenti religiosi di Fernando. LA CRITICA: «Cinema e vite di santi non sono mai andati d’accordo [...]. Francisci ha avvertito il pericolo e ha messo una variante: un filo conduttore ambientato nel mondo d’oggi [...] ma è proprio in questa parte moderna che s’è lasciato prendere la mano dalla retorica [...] di sapore deamicisiano. Le due parti non riescono [...] ad amalgamarsi, con grande difetto dell’unità dell’opera. Eccellente [...] la misurata interpretazione di Aldo Fiorelli [...] e di Aldo Fabrizi, tutto scatti e urla». (Ernesto G. Laura, in «Hollywood», n. 199, 1949). MARGHERITA DA CORTONA di Mario Bonnard Anno di edizione 1949 Produzione: Secolo Film, Scalera Produzione; Produttore: Alberto Manca; Direttore di produzione: Folco Laudati; Soggetto: tratto da un’idea di Guglielmo Zorzi; Sceneggiatura: Cesare Vico Lodovici, Mario Bonnard, Edoardo Lulli, Nino Scolaro; Aiuto-regia: Nino Scolaro; Fotografia: Leonida Barboni; Suono: Enrico Calmieri, Tullo Parmeggiani; Scenografia: Virgilio Marchi; Costumi: Rosi Gori; Musica: Giulio Bonnard; Interpreti: Maria Frau, Isa Pola, Aldo Nicodemi, Galeazzo Benti, Mario Pisu, Giovanni Grasso, Lorenza Mari, Virginia Balestrieri, Carlo Tamberlani, Mino Doro, Raimondo Van Riel, Lorenza Mari, Fulvio Battistini, Riccardo Billi, Domenico Serra, Anna Lind, Giovanna Galletti, Rita Andreana, Arnaldo Moschetti, Diego Pozzetto, Irene Gay; Durata: 115’. Produzione realizzata negli Studi della Scalera Film. LA STORIA: Margherita, fanciulla di rara bellezza, vive a Laviano, presso Cortona, con il padre e la giovane matrigna Lucia. Questa ha un amante, Marco, il quale non nasconde le sue attenzioni per Margherita, suscitando la gelosia della matrigna. Margherita, mentre è al pascolo con le pecore, incontra Arsenio, nobile giovane di Cortona. I due giovani si innamorano, ma Marco, che li ha visti insieme, li denuncia al padre di Margherita che decide di chiuder la figlia in convento. Arsenio porta in casa propria Margherita ma viene ucciso da Marco con la complicità di Rinaldo degli Uberti, fratello di Francesca, promessa ad Arsenio. Francesca per il dolore si avvelena. A Margherita appare il Redentore che la esorta a non temere l’ostilità dal padre di Arsenio e dei contadini. Intanto scoppia la peste: Margherita si dedica agli ammalati, guardata dapprima con ostilità, poi ammirata per i miracoli compiuti. Lucia denuncia Marco che l’ha abbandonata, accusandolo dell’assassinio di Arsenio; il giovane degli Uberti per il rimorso si uccide. Margherita assiste e conforta la matrigna morente di peste. Dopo aver compiuto molte opere buone, Margherita si consacra interamente a Dio.
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Il diavolo e l’acquasanta
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LA CRITICA: «Il lavoro riesce, in complesso, interessante; benché la recitazione sembri poco spontanea». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXVII, Anno 1950, Roma 1950, p. 158) FRANCESCO GIULLARE DI DIO di Roberto Rossellini Anno di edizione 1950 Produzione: Rizzoli Film; Produttore: Giuseppe Amato; Direttore di produzione: Luigi Giacosi; Soggetto: Roberto Rossellini, ispirato ai Fioretti di Francesco d’Assisi; Sceneggiatura: Roberto Rossellini, Federico Fellini, Padre Felix Morlion, Padre Antonio Lisandrini; Aiutoregia: Marcello Laurino, Brunello Gay; Fotografia: Otello Martelli Montaggio: Jolanda Benvenuti; Suono: Eraldo Giordani, Raffaele Del Monte; Scenografia: Virgilio Marchi; Arredamento: Giuseppe Rissone; Costumi: Marina Arcangeli; Musica: Renzo Rossellini; Canti liturgici: padre Enrico Buondonno; Interpreti: presi dalla vita reale, Aldo Fabrizi; Durata: 91’. OSSERVAZIONI: Presentato all’XI Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 1950. Fra gli interpreti, non accreditata, Arabella Lomaître. LA STORIA: Il film sviluppa undici episodi, tratti dai Fioretti, nei quali si manifesta lo spirito della riforma francescana. Vi è illustrato un breve periodo della vita della prima comunità francescana, dal ritorno di Francesco da Roma al momento della separazione dai discepoli, inviati a predicare la parola di Dio in tutto il mondo; servono da introduzione al racconto alcuni quadri riproducenti affreschi del Duecento e del Trecento sulla vita di Francesco. Ecco i titoli dei singoli episodi: Rivotorto occupato dall’asino; La nuova casetta e frate Ginepro; Preghiera di Francesco e arrivo di Giovanni il semplice; Elogio di frate fuoco; Meravigliosa cena con sorella Chiara; Francesco bacia il lebbroso; Un pranzo per quindici giorni; Carità di frate Ginepro; Nuova terribile avventura dell’ingenuo Ginepro; Dov’è la perfetta letizia; Molte sono le vie del Signore. LA CRITICA: «Partendo dalla generica premessa che il Poverello d’Assisi portò luce in un mondo diviso dal peccato e dalle lotte fratricide, e rinunciando ad ogni sviluppo storicistico, a Rossellini non rimaneva che tentare l’elzeviro cinematografico. Ed elzeviri sono infatti i vari episodi: la loro natura è prettamente letteraria e formalistica, ricca di riferimenti pittorici di origine facilmente individuabile, i quali si tramutano spesso in dignitosa calligrafia: come ad esempio nel capitolo dell’incontro di Chiara con Francesco, dove il candore di quei frati, di quei “cari folli”e “amorosi giullari” saltellanti e trepidanti, è suggerito con estrema e primitiva semplicità». (Guido Aristarco, in «Cinema», n. 146, 15 set. 1950). IO CATERINA di Oreste Palella Anno di edizione 1957 Produzione: Arcere Fil, Arena Cinematografica; Direttore di produzione: Silvano Castellini; Soggetto: Oreste Palella, Arrigo Pecchioli; Sceneggiatura: Oreste Palella, Arrigo Pecchioli;
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Capitolo quarto
Aiuto-regia: Franco Cirino; Fotografia: Riccardo Pallottini, Domenico Scala; Montaggio: Gisa Radicchi Levi; Scenografia: Mario Moretti; Costumi: Ugo Castellana; Musica: Leopoldo Perez Bonsignore; Interpreti: Nora Visconti, Folco Lulli, Pina Renzi, Guido Celano, Alfredo Varelli, Vince Barbi, Paolo Benny, Nino Marchesini, Renato Malavasi, Elisabetta Maggio, Cristina Pall, Ivan Berti, Adele Ferrari, Filippo Scelzo, Rossana Montesi, Edoardo De Santis, Raffaella Moro, Ivo Lorenzini, Michele Zentillini, Lamberto Picasso; Durata: 82’. LA STORIA: Si tratta del remake del film Caterina da Siena dello stesso Oreste Palella del 1947 (v.), sulla vita, molto romanzata, di Santa Caterina. LA CRITICA: «È un film di modesta fattura, semplicistico nel suo svolgimento, interpretato con scarsa convinzione. Ambientazione di maniera». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLI, Anno 1957, Roma 1957, p. 225) LA TRAGICA NOTTE DI ASSISI di Raffaello Pacini Anno di edizione 1960 Produzione: Chiara Film; Produttore: Mario Francisci; Direttore di produzione: Elio Tarquini; Soggetto: Giampiero Pucci, Andrea Maroni; Sceneggiatura: Giampiero Pucci, Tatiana Demby, Raffaello Pacini; Aiuto-regia: Mauro Severino; Fotografia: Giovanni Pucci; Montaggio: Otello Colangeli; Suono: Luigi Pallavicini; Scenografia: Alessandro Manetti; Arredamento: Alessandro Manetti; Costumi: Adriana Monaco; Musica: Carlo Innocenzi; Direzione musicale: Carlo Franci; Interpreti: Leda Negroni, Antonio Pierfederici, Carlo Giustini, Evi Maltagliati, Franca Badeschi, Enzo Doria, Mariella Monti, Fedele Gentile, Margareta Puratich, Aniello Mele, Violetta Chiarini, Alberto Plebani, Lalla Gianoli; Durata: 95’. Produzione realizzata negli Studi del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. LA STORIA: Ad Assisi nel 1219 Chiara, della famiglia degli Scifi, sente la vocazione alla povertà e benché promessa sposa a Lorenzo e contro il parere della madre Ortolana e dello zio Monaldo, decide di seguire il Poverello che per lei fonda un ordine religioso femminile. Divenuta Superiora, Chiara vive con le suore in estrema povertà, chiedendo l’elemosina. Quando il Vescovo di Assisi decide che Francesco non debba frequentare il convento femminile, ella ne soffre crudelmente. La madre e lo zio sono ormai convinti della vocazione di Chiara, il cui esempio è stato seguito dalla sorella Agnese, e, in seguito, anche dalla sua stessa madre. Monaldo rimane solo e quando le truppe saracene assediano Assisi, egli impugna nuovamente la spada. Un gruppo di soldati, guidati da un traditore, assale il convento, che viene difeso dagli uomini della città. Monaldo viene ferito mortalmente, ma prima di morire puà vedere i nemici ricacciati da Chiara, che li fronteggia tenendo alto l’Ostensorio col Santissimo Sacramento. LA CRITICA: «La vita di Santa Chiara torna periodicamente sugli schermi, sempre più fumettistica ad uso e consumo del circuito delle sale parrocchiali. Stavolta la storia è centrata sulla notte del 24 settembre 1239, quando per l’intercessione della Santa i saraceni lasciarono Assisi». (Anonimo, «Nuovo Spettatore Cinematografico», n. 30, 31 apr. 1962).
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Il diavolo e l’acquasanta
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FRATELLO SOLE SORELLA LUNA di Franco Zeffirelli
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Anno di edizione 1971 Produzione: Euro International Film, Vic Film; Produttore: Luciano Perugia, Dyson Lovell; Direttore di produzione: Mario Di Biase; Soggetto: Suso Cecchi d’Amico, Lina Wertmüller, Franco Zeffirelli; Sceneggiatura: Suso Cecchi d’Amico, Lina Wertmüller, Franco Zeffirelli; Aiuto-regia: Carlo Conti, Rinaldo Ricci; Fotografia: Ennio Guarnieri; Montaggio: Reginald Mills; Scenografia: Lorenzo Mongiardino; Arredamento: Lorenzo Mongiardino; Costumi: Danilo Donati; Musica: Riz Ortolani; Interpreti: Graham Faulkner, Judi Bowker, Leigh Lawson, Kenneth Cranham, Michael Feast, Nicholas Willar, Valentina Cortese, Lee Montagne, John Sharp, Adolfo Celi, Francesco Guerrieri, Alfredo Bianchini, Massimo Foschi, Carlo Hindermann, Carlo Pisacane, Rossano Attolico, Guido Lollobrigida, Franca Mazzoni, Piero Baldini, Renato Terra, Franca Sciurro, Gianni Pulone, Alec Guinness ; Durata: 137’. Produzione realizzata negli Studi di Posa del Centro Dear di Roma. OSSERVAZIONI: Premio David di Donatello 1972 per la miglior regia a Franco Zeffirelli. Coproduzione italo-britannica. Titolo della versione inglese è Brother Sun and Sister Moon. Ulteriore versione della vita di San Francesco d’Assisi. LA STORIA: Francesco, figlio del ricco mercante Pietro di Bernardone e di Pica, è un giovane allegro e scanzonato, che trascorre le sue giornate in compagnia degli amici. Scoppiata la guerra tra Perugia e Assisi, anche Francesco vi partecipa, quasi come a un gioco: ne ritorna, invece, stremato e ferito nello spirito. Dopo lunga meditazione, il giovane, mosso da amore per i poveri e gli umili rinuncia ai beni materiali, e si ritira in una chiesetta in rovina, dedicata a San Damiano, che egli ricostruisce con l’aiuto dei suoi primi seguaci. Lo raggiungono i suoi vecchi amici, ai quali si aggiunge la giovane Chiara. Votati a vivere d’elemosina, giudicati matti dai loro concittadini, Francesco e i suoi fratelli hanno contro anche la Chiesa. Deciso a far valere le proprie ragioni, e a chiedere consiglio al Papa, Francesco si reca a Roma, dove Innocenzo III, dopo averlo ascoltato, si prostra ai suoi piedi. LA CRITICA: «[Il film] merita grande attenzione anche per le eleganze figurative con cui Zeffirelli, reduce da film scespiriani, si inventa un’immagine cattivante di Francesco, lo colloca in una suggestiva cornice ambientale, e cerca di esprimerne il travagliato trapasso dai gaudi mondani ai trionfi dell’anima». (Giovanni Grazzini, in «Corriere della Sera», 11 mar. 1972). FRANCESCO di Liliana Cavani Anno di edizione 1989 Produzione: Karol Film, RAI-Radiotelevisione Italiana, Istituto Luce-Italnoleggio Cinematografico, Royal Film; Produttore: Giulio Scanni, Roberta Cadringher Soggetto: Liliana Cavani; Sceneggiatura: Liliana Cavani, Roberta Mazzoni; Aiuto-regia: Paola Tallarigo, Roberto Palermini; Fotografia: Giuseppe Lanci, Ennio Guarnieri; Montaggio: Gabriella Cristiani; Scenografia: Danilo Donati; Arredamento: Danilo Donati; Costumi: Danilo Donati; Effetti speciali: Giancarlo Mancini, Adriano Pischiutta; Musica: Vangelis; Interpreti: Mickey
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Capitolo quarto
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Rourke, Helena Bonham-Carter, Paolo Bonacelli, Mario Adorf, Fabio Bassotti, Hans Zischler, Andrea Ferreol, Riccardo di Torrebruna, Alexander Dubin, Edward Farrelly, Stanko Molnar, Paolo Proietti, Paco Reconti, Diego Ribon, Maurizio Schmidt, Peter Berling, Hans Zischler; Durata: 148’. Produzione realizzata in esterni a Perugia e dintorni. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-tedesca. Il titolo della versione tedesca è Franziskus. Ha ottenuto un David di Donatello nel 1989 per la migliore scenografia a Danilo Donati. LA STORIA: Sullo stesso argomento sono stati girati Francesco giullare di Dio di Roberto Rossellini nel 1950 (v.), e Fratello Sole sorella Luna di Franco Zeffirelli nel 1971 (v.). Si tratta, in un certo senso, del remake del film Francesco d’Assisi che la stessa Cavani aveva girato per la RAI Radiotelevisione Italiana e trasmesso in due puntate su RAIUno, il 6 e l’8 maggio del 1966. LA CRITICA: «Se Francesco d’Assisi è una figura particolarmente amata dai registi italiani, ciò è doppiamente vero per Liliana Cavani, che, a distanza di ventidue anni dal lungometraggio d’esordio, ha realizzato un nuovo Francesco […]. Il film è strutturato in base a flashback, che tuttavia non frammentano l’insieme filmico. […] Lo sforzo sicuramente più positivo e interessante, visto il tipo di interpretazione perseguita, è quello di non ricondurre l’opera ad un insieme di dati biografici, ma di far sì che vengano assorbiti all’interno del maturarsi della fede e dello scatenarsi delle crisi personali di Francesco». (Fabio Matteuzzi, in «Cineforum», n. 283, apr. 1989).
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1. Elsa Merlini e Amedeo Nazzari in Ginevra degli Almieri (1940) di Guido Brignone.
2. Amedeo Nazzari in Caravaggio il pittore maledetto (1941) di Goffredo Alessandrini.
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3. Manifesto del film Lorenzino de’ Medici (1935) di Guido Brignone.
4. Roberto Villa ne Il Fornaretto di Venezia (1939) di John Bard.
5. Isa Pola in Lucrezia Borgia (1940) di Hans Hinrich.
6. Amedeo Nazzari in La cena delle beffe (1941) di Alessandro Blasetti.
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7. Manifesto del film Il Conte di Brechard (1938) di Mario Bonnard.
8. Fotolocandina del film Marco Visconti (1941) di Mario Bonnard.
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9. Manifesto del film Un’avventura di Salvator Rosa (1940) di Alessandro Blasetti.
10. Manifesto del film I promessi sposi (1941) di Mario Camerini.
11. Fotolocandina del film Pia de’ Tolomei (1941) di Esodo Pratelli.
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12. Elsa Merlini, Gino Cervi, Paolo Stoppa, Clara Calamai in La regina di Navarra (1942) di Carmine Gallone.
13. Manifesto del film I due Foscari (1942) di Enrico Folchignoni.
14. Manifesto del film La Gorgona (1942) di Guido Brignone.
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15. Manifesto del film Don Cesare di Bazan (1942) di Riccardo Freda.
16. Manifesto del film Il mercante di schiave (1942) di Duilio Coletti.
17. Amedeo Nazzari ne Il Cavaliere senza nome (1941) di Ferruccio Cerio.
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18. Fotolocandina del film Antonio di Padova (1949) di Pietro Francisci.
19. Fotolocandina del film Paolo e Francesca (1949) di Raffaello Matarazzo.
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20. Fotolocandina del film La storia del Fornaretto di Venezia (1952) di Giacinto Solito.
21. Fotolocandina del film Sigfrido (1957) di Giacomo Gentilomo.
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22. Fotolocandina del film Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (1953) di Mario Amendola e Ruggero Maccari.
23. Manifesto del film Il Ladro di Venezia (1949) di John Brahm.
24. Fotolocandina del film Giovanni delle Bande Nere (1956) di Sergio Grieco.
25. Manifesto del film I Normanni (1962) di Giuseppe Vari.
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26. Fotolocandina del film Il Cavaliere del castello maledetto (1958) di Mario Costa.
27. Fotolocandina del film Il Cavaliere senza terra (1958) di Giacomo Gentilomo.
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28. Fotolocandina del film Capitan Fuoco (1959) di Carlo Campogalliani.
29. Fotolocandina del film El Cid (1961) di Anthony Mann.
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30. Fotolocandina del film Il vendicatore mascherato (1963) di Pino Mercanti.
31. Fotolocandina del film La Mandragola (1965) di Alberto Lattuada.
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32. Fotolocandina del film L’armata Brancaleone (1966) di Mario Monicelli.
33. Fotolocandina del film Il Decameron (1970) di Pier Paolo Pasolini.
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34. Fotolocandina del film La colonna infame (1972) di Nelo Risi.
35. Fotolocandina del film Giordano Bruno (1973) di Giuliano Montaldo.
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36. Fotolocandina del film Il fiore delle mille e una notte (1974) di Pier Paolo Pasolini.
37. Manifesto del filma La Monaca di Monza (1961-62) di Carmine Gallone.
38. Manifesto del filma Il viaggio di Capitan Fracassa (1990) di Ettore Scola.
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39. Fotolocandina del film Il viaggio della sposa (1997) di Sergio Rubini.
40. Manifesto del film I cavalieri che fecero l’impresa (2001) di Pupi Avati.
41. Manifesto del film Il mestiere delle armi (2001) di Ermanno Olmi.
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V.
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AVVENTURE ORIENTALI
1. Crociati, saraceni, predoni e saladini Cinquanta, sessanta anni fa non esistevano le scuole coraniche dei talebani, l’intifada palestinese, l’organizzazione terroristica Al-Qaida, il fondamentalismo islamico; tutto parte dal 1979 con la fine della guerra afgana condotta dai russi, con la cacciata dello Scia Reza Pahlevi dal trono di Persia e con la nascita delle Repubbliche islamiche in Iran, Pakistan, Iraq, Afghanistan, Sudan e Mauritania. Dagli anni Quaranta fino alla metà degli anni Settanta, tutto ciò che era orientale era fiabesco. Gli sceicchi, gli emiri, i bej, gli sceriffi, i beduini, le oasi del deserto, gli harem, le odalische, tutto era avvolto in un sogno fantastico che suscitava pruriti peccaminosi nei giovanotti, nelle fanciulle e nelle più mature spettatrici delle platee di tutto il mondo alla vista di Rodolfo Valentino nei panni del “figlio dello sceicco”. E se gli arabi (o islamici) erano cattivi, questi erano solo i predoni del deserto, ma a loro ci pensavano la Legione Straniera e i suoi eroi come Gary Cooper in Beau Geste. Sì, è vero, c’erano i mori contro cui si scatenarono le crociate, c’erano i pirati saraceni che infestavano le acque del Mediterraneo, c’erano i turchi che premevano sui territori della Serenissima, ma fra essi c’erano anche degli eroi romantici che facevano dimenticare, con il loro misterioso fascino, il colore della pelle, la diversa religione e il fatto che, essendo diversi da noi, erano dei nemici. Negli anni Quaranta un solo esempio, Il mercante di schiave del 1942 di Duilio Coletti, il cui titolo poco ha a che fare con il melò che in effetti è. Tratto dal romanzo I fuggiaschi di Ferdinando Paolieri, è infatti la storia d’amore travagliata fra Enzo Fiermonte, un pirata algerino, (che si rivelerà essere un cristiano rapito da piccolo e allevato dai pirati) e Annette Bach (attricetta tedesca nota per avere interpretato nel 1940 il film anti ebraico Süss l’ebreo del regista nazista Veit Harlan), una bella isolana che sposerà in extremis l’ex pirata prima che questi muoia di febbri malariche. Debole e ingenuo il film, scarsa la recitazione. Un salto di una decina d’anni poi, nel 1951, Pietro Francisci gira Le meravigliose avventure di Guerrin Meschino, anch’esso tratto da un romanzo del XIV secolo di Andrea da Barberino. Il film narra la storia di Guerrino, di ignote origini, e di Elisabetta, figlia dell’Imperatore di Costantinopoli. Come tutti i romanzi cavallereschi dell’epoca, il film finisce “bene”, ma nonostante l’impegno di Francisci e degli attori, il lavoro non ebbe quel successo che avrebbe potuto avere se fosse stato realizzato con maggiori mezzi fra cui il colore che all’epoca furoreggiava nelle pellicole d’oltre Oceano.
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Capitolo quinto
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Girato in Turchia per dare più vigore e credibilità alla vicenda, La sultana Safyé di Giuseppe De Martino del 1953, è la prima (e forse l’unica del periodo) coproduzione italo-turca. Brava Maria Frau nella parte della sultana veneta del Cinquecento, ma il difetto maggiore del film è ancora una volta la mancanza del colore. Pietro Francisci ci riprova, questa volta a colori, con un altro film di imprese cavalleresche, Orlando e i paladini di Francia del 1956, liberamente tratto da L’Orlando Furioso e da L’Orlando innamorato dell’Ariosto. La scelta di attori come Rick Battaglia e Rossana Schiaffino, oltre ad un uno stuolo di altri validi interpreti, portò al film un notevole successo di pubblico anche se, in verità, molte inegenuità e lacune non mancano. Il corsaro della Mezza Luna del 1957 di Giuseppe Maria Scotese è un altro film in cui il pirata saraceno della storia altri non è che un nobile italiano finito da piccolo fra i pirati per colpa di un bieco usurpatore, ma alla fine viene fatta giustizia, i pirati scacciati e il nobile-ex pirata riprende possesso del titolo e delle sue proprietà. Scarso il film e modesta l’interpretazione di John Derek e di Gianna Maria Canale. Di scena questa volta è Torquato Tasso col suo poema La Gerusalemme liberata portata sullo schermo da Carlo Ludovico Bragalia nel 1957. Questo è il secondo tentativo di realizzare un film dal poema1 e, per quanto riguarda Bragaglia, molto più avvezzo a trattare commedie leggere che non poemi epici (si contano sulle dita di una mano i film di cappa e spada e peplum da lui diretti), ne esce piuttosto malconcio nonostante la presenza fra gli attori di Francisco Rabal, Rick Battaglia, Silva Koscina e Gianna Maria Canale. Conclude gli anni Cinquanta La scimitarra del saraceno di Piero Pierotti del 1959. La vicenda si svolge a Rodi, nei mari Egeo e Adriatico fra turchi e veneziani che, alla fine, avranno la meglio grazie a Massimo Serato che batterà Lex Barker (il temibile saraceno della scimitarra del titolo), anche se l’interpretazione, compresa quella della bella Chelo Alonso, è piuttosto discutibile. Arriviamo così agli anni Sessanta ed è Tanio Boccia che inaugura la serie nel 1960 con Il conquistatore d’Oriente. È una storia tutta saracena e i soliti Rick Battaglia e Gianna Maria Canale (ormai specializzatisi in questo genere) sono musulmani al cento per cento, ma nonostante la variante delle loro origini, il film non si salva dalla mediocrità. Con L’arciere delle Mille e una notte di Antonio Margheriti del 1961, entriamo nel vivo della favolistica orientale. Nel film c’è tutto l’apparato fantasioso tipico del genere che alimenta il racconto: principi impegnati in gare per conquistare il cuore (e il potere) della bella Jamila, interpretata da Rossana Podestà, malvagi, intrighi, odalische, il tutto condito con un po’ di magia e dalla presenza dell’aitante Tab Hunter. Il 1961 è un buon anno per questi film. Ne saranno realizzati altri quattro. Il primo di questi, continuando nella magia e nel fantastico, è Il ladro di Bagdad di Bruno Vailati. Per realizzarlo si è ricorsi ad una coproduzione con la Francia e gli Stati Uniti chiamando l’americano Thomas Howard a creare gli effetti speciali e
1
Enrico Guazzoni portò sullo schermo La Gerusalemme liberata nel 1918, sonorizzata poi nel
1935.
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Avventure orientali
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Steve Reeves a impersonare il buono e generoso ladro Karim. Ancora calato nel mondo fantastico de Le mille e una notte è Le meraviglie di Aladino di Mario Bava con Donald O’Connor nella parte del fortunato Aladino, con Vittorio de Sica nelle vesti di uno strano e improbabile genio della lampada e Aldo Fabrizi che, nonostante sia un sultano musulmano, non rinuncia a parlare in romanesco. Più che un fantasy la pellicola è un film comico (e neanche tanto). Lasciando il fantastico per tornare alla storia Mario Tota2 realizza Solimano il conquistatore, una coproduzione italojugoslava, incentrata sulla gesta di Solimano che alla testa delle orde ottomane tenta l’invasione dell’Europa puntando su Vienna; i suoi progetti però, ripresi da Ibrahim Pascià dopo la sua morte, vengono in parte vanificati dalle gesta dell’eroe slavo Orlovich e dal sacrificio dei suoi uomini. Dignitosa l’interpretazione di Loris Gizzi nelle vesti di Solimano, di Edmond Purdom in quelle di Ibrahim Pascià e di Stane Potokar in quelle di Orlovich. Chiude la serie La spada dell’Islam di Enrico Bomba, un film fantasma coprodotto con l’Egitto che in Italia apparve in pochissime sale e che pochi hanno visto. Un’altra coproduzione con l’Egitto la tenta l’anno seguente Fernando Cerchio con Lo sceicco rosso. Si tratta di un film d’avventure ambientato nel Marocco di fine Ottocento il cui plot è perfettamente identico alle decine di film ambientati nell’Italia e nell’Europa medievali o rinascimentali in cui un tiranno usurpatore finisce per essere ucciso dal legittimo erede che, in incognito e mascherato, riporta la pace nella sua terra alla testa del popolo in rivolta. Unica variante: i costumi e il paesaggio. Con Emimmo Salvi si ritorna alla favola con il film Le sette fatiche di Alì Babà prodotto nello stesso anno, film di poche pretese. Un altro film caotico e, per alcuni aspetti, ridicolo, è Le verdi bandiere di Allah in cui nell’isola di Sant’Antioco, un miscuglio di popoli (veneziani, spagnoli, greci, turchi e persino la Chiesa, nella persona di fra’ Medicina) tramano e ordiscono congiure e al tempo stesso le sventano con l’aiuto di tre donzelle. Il tutto si conclude con un’esplosione in cui la fortezza dell’isola salta per aria. Interpretazione e regia sono del tutto approssimative. Un ennesimo film di avventure ambientato in Spagna durante l’occupazione ottomana è I cento cavalieri, diretto da Vittorio Cottafavi nel 1965. Pur non dicendo nulla di nuovo, il film è condotto con mestiere e gli attori sono convincenti, anche se la Lualdi bamboleggia un po’ troppo. Non poteva mancare Sinbad il marinaio a questi appuntamenti con l’esotico, solo che in Sinbad contro i sette saraceni che Emimmo Salvi realizza nel 1965, il nostro eroe, Dan Harrison, non è neanche una pallida controfigura di Douglas Farirbanks jr3 che ne è stato l’interprete originale.
2 Roberto Poppi e Mario Pecorari riportano, nel 3° volume del Dizionario del cinema italiano. I film. Tutti i film italiani dal 1960 al 1969 edito da Gremese, che la regia del film è del regista jugoslavo Vitroslav Mimica, ma i titoli di testa della copia da noi visionata riportano quello di Mario Tota, regista semi sconosciuto, anche se molto attivo come aiuto-regista, specie di Mario Costa, e qui, pare, alla sua unica performance come regista. Inoltre non sembra che sia sufficiente ritenere che la paternità del film sia di Mimica per il solo fatto che egli abbia ringraziato il maestro Francesco De Masi in occasione dei due LP pubblicati nel 1979 con le musiche del film; in fondo Mimica è uno degli autori del film sia come soggettista e sceneggiatore, sia come supervisore alla regia. 3 Douglas Fairbanks jr. impersonò il glorioso avventuriero nel 1947 nel film Simbad the Sailor di Richard Wallace.
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Capitolo quinto
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Alcuni anni dopo, nel 1973 è Piero Francisci che scomoda di nuovo Sinbad con il film Simbad e il Califfo di Bagdad. Cambia l’interprete (non in meglio purtroppo) ma il risultato non cambia anche se vi sono alcune movimentate scene abbastanza azzeccate. Un deciso cambio di registro lo si ha nel 1973 quando Gianfranco Mingozzi realizza il film Flavia la monaca musulmana. Questo film anomalo, poco congeniale a un regista misurato e malinconico come Mingozzi, è ridondante di violenza: squartamenti, decapitazioni, torture, impalamenti, scorticamenti, violenze carnali e altro, tanto che la storia delle incursioni saracene sulle coste italiane nel XIV e nel XV secolo e del dramma di Flavia, delle popolazioni e delle religiose violate, passa in secondo piano. «Curioso, violento film di monache con idee a metà tra il soft spinto e il film d’autore. Mingozzi, da parte sua, ci mette una buona conoscenza del mondo del meridione, uno strano erotismo, mentre Raniero Di Giovambattista, autore del soggetto e direttore di produzione, punterà poi decisamente all’hard. Ne viene fuori un film che ha i suoi estimatori, comunque mai banale, con Florinda Bolkan bella monaca che sta dalla parte dei musulmani, odia talmente gli uomini della sua razza da volerli vedere tutti impalati. Ma verrà tradita anche dagli arabi. Rivenduta come schiava, alla fine verrà scorticata viva dai cristiani. Notevole il sogno di Flavia con la ragazza nuda dentro la vacca morta. C’e anche qualche impalamento brutale. Del resto tutto il film è eccessivo e stravagante»4. Dopo la sferzata di Mingozzi, si ritorna l’anno dopo al “normale”, se così si può dire, con l’Orlando Furioso di Luca Ronconi. Un’opera decisamente teatrale, e assai poco cinematografica, tratta da un lavoro televisivo realizzato in cinque episodi e portato sullo schermo, in cui il modo di recitare, la tecnica della ripresa, gli effetti speciali (ottimi per il palcoscenico, ma improponibili per il cinema) lo rendono invedibile. «È […] innegabile che, sul grande schermo, privo della unità logico-narrativa [del] video, L’Orlando di Ronconi non ha la resa che dovrebbe, perché la misura del cinema non gli si addice [...]. Ed è un peccato perché le invenzioni sono eccellenti e il fascino dell’ambientazione risplende di inquietudini; ma la parola, sia pure dell’Ariosto, non riempie lo schermo»5. Anche «Segnalazioni Cinematografiche» non fu da meno nel giudizio: «Le declamazioni, di tipo teatrale, hanno una grande varietà di toni: enfasi, ironia, mistero, serietà della follia, leggerezza della favola; ma tutte, dalle più valide alle meno felici, sembrano stonare con il mezzo cinematografico»6.
4
Marco Giusti, Dizionario dei film italiani stracult, Milano, Frassinelli, 2004, pp. 320-321. Maurizio Porro, in «Corriere della Sera», 11 gen. 1975. 6 Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXVIII, Anno 1975, Roma 1975, p. 310. 5
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Avventure orientali
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IL MERCANTE DI SCHIAVE di Duilio Coletti
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Anno di edizione 1942 Produzione: Colosseum; Direttore di produzione: Giampaolo Bigazzi; Soggetto: tratto dal romanzo I fuggiaschi di Ferdinando Paolieri; Sceneggiatura: Cesare Vico Lodovici, Nicola Manzari, Duilio Coletti; Aiuto-regia: Vittorio Cottafavi; Fotografia: Aldo Tonti; Montaggio: Maria Rosada; Suono: Umberto Picistrelli; Scenografia: Enrico Verdozzi, Antonio Tagliolini; Costumi: Bianca Bacicchi; Musica: Piero Giorni; Direzione musicale: Roberto Caggiano; Interpreti: Annette Bach, Enzo Fiermonte, Elena Zareschi, Enzo Morisi, Augusto Di Giovanni, Dino Di Luca, Roberto Bianchi, Ernesto Bianchi, Eugenio Duse, Cesare Polacco; Durata: 83’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Durante una incursione dei corsari algerini in un’isola del Tirreno, Alì, loro capo, si imbatte in Fiamma, fiera e bellissima isolana, e malgrado la sua resistenza la violenta. Non avendo fatto in tempo a fuggire viene catturato da alcuni isolani che tentano di ucciderlo. Posta di fronte al suo seduttare 1’odio della donna si tramuta in amore e lo aiuta a fuggire. Alì torna in Algeria dove apprende di essere nativo dell’isola e di essere stato rapito da bambino dai musulmani. Preso dalla nostalgia e dall’amore per Fiamma, ritorna dalla ragazza, che vive, con il suo bambino, in una capanna, ripudiata da tutti. I due decidono di sposarsi, ma osteggiati dai paesani sono costretti a fuggire dall’isola. Nella desolata Maremma Alì è colto dalla febbre che lo riduce in fin di vita. Sposa in extremis Fiamma in una chiesetta. LA CRITICA: «Il film ha il merito di ringiovanirti di vent’anni. Sembra di tornare al 1920, quando si proiettavano drammi a forti tinte, […] quando i piu scalmanati gridavano “Ecco i nostri!”. Sopra una cupa storia d’amore tra la figliuola d’un pescatore e un pirata saraceno che alla fine rivela di essere un cristiano rapito ancor fanciullo dai pirati e cresciuto con essi, si sviluppa tutto il film, che è narrato con estrema ingenuità e nel quale ogni cosa e terribilmente convenzionale». (Diego Calcagno, in «Film», n. 19, 9 mag. 1942). LE MERAVIGLIOSE AVVENTURE DI GUERRIN MESCHINO di Pietro Francisci Anno di edizione 1951 Produzione: Oro Film; Produttore: Mario Francisci; Direttore di produzione: Carlo Bessi; Soggetto: tratto dal libro omonimo di Andrea da Barberino; Sceneggiatura: Alessandro Ferrau, Giorgio Graziosi, Fiorenzo Fiorentini, Pietro Francisci, Raoul De Sarro, Weiss Ruffilli; Aiuto-regia: Giorgio Graziosi; Fotografia: Giovanni Ventimiglia; Montaggio: Pietro Francisci; Scenografia: Giulio Bongini; Costumi: Vittorio Nino Novarese; Musica: Nino Rota; Interpreti: Gino Leurini, Leonora Ruffo, Aldo Fiorelli, Giacomo Giuradei, Tamara Lees, Cesare Fantoni, Ugo Sasso, Anna Di Leo, Sergio Fantoni, Franco Silva, Antonio Amendola, Giampaolo Rosmino, Camillo Pilotto, Alberto Plebani, Maria Piazzai, Rosanna Galli, Gianni Luda; Durata: 88’. LA STORIA: Guerrino, detto “il meschino”, per via delle sue origini ignote vive alla corte di Costantinopoli. Ciononostante frequenta i figli dell’imperatore, Elisabetta ed Alessandro; anzi tra Elisabetta e Guerrino vi è una certa attrazione. Costantinopoli è assediata dai turchi
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Capitolo quinto
e poiché l’assedio si prolunga, i belligeranti decidono che uno dei figli del principe turco si batterà con Alessandro. Le sorti delle guerra dipenderanno dall’esito del duello. Nel combattimento il turco, ormai prossimo alla vittoria, sfida a singolar tenzone chiunque voglia battersi con lui. Guerrin Meschino accetta il combattimento e, col viso nascosto dalla visiera, affronta il turco e lo vince. Liberata così la città dall’assedio Guerrino va in cerca dei suoi genitori, che un usurpatore ha privato della signoria di Scutari. Giunto a Scutari, con l’aiuto di Alessandro, che è alla ricerca d’Elisenda, prigioniera del principe turco, sconfigge e uccide questi e l’usurpatore. Guerrino libera Elisenda e i genitori e potrà finalmente sposare l’amata Elisabetta. LA CRITICA: «Nonostanie la bravura, la fotogenia degli attori, la sua bellezza d’insieme il bianco e nero per detti film non puo reggere nei confronti della concorrenza straniera che si attacca agli speciali technicolor come base per conquistare diversi pubblici». (B. Brognara, in «Hollywood), 341, 29 mar. 1952). LA SULTANA SAFIYÉ di Giuseppe Di Martino Anno di edizione 1953 Produzione: Mario Trombetti, Efi Kollektif Sirket; Direttore di produzione: Bianca De Silva; Soggetto: G.D. Martin, Fikri Rutkay, Antonio Santoni, Michele Nesci, da un’idea di Mario Trombetti; Sceneggiatura: G.D. Martin, Fikri Rutkay, Antonio Santoni, Michele Nesci; Collaborazione alla regia: Mario Trombetti; Aiuto-regia: Michele Nesci; Fotografia: Renato Del Frate; Montaggio: Antonietta Zita; Scenografia: Gastone Simonetti; Costumi: Luciana Angelini; Musica: Gino Filippini; Interpreti: Maria Frau, Mahir Ozerden, Carlo Giustini, Mariolina Bovo, Bruna Corrfi, Atif Kaptan, Carla Cald, Rita Caruso, Cahit Irgat, Franca Tamantini, Enzo Fiermonte, Maria Dominiani, Marcella Daviland, Gipsy Kiss, Andre Hildebrand, Afro Poli; Durata: 85’. Produzione realizzata in interni ed esterni prevalentemente in Turchia . OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-turca. G.D. Martin è lo pseudonimo di Giuseppe Di Martino. La regia della versione turca è stata diretta da Fikri Rutkay. LA STORIA: Alla fine del Cinquecento a Venezia, durante un ricevimento in onore di un’ambasceria turca, Cecilia Venier, bella e nobile fanciulla, viene adocchiata da un dignitario turco, che la fa rapire per presentarla al giovane Murad, figlio del Sultano. La giovane, spinta dall’ambizione, acconsente a sposare Murad, che le assegna il nome Safiye (la pura). Le attenzioni del giovane Murad destano le gelosie delle altre donne dell’harem e 1’odio della madre del principe, che tende alla veneziana molte insidie. I turchi intanto attaccano le repubbliche marinare e conquistano Cipro e Paro: ma vengono in seguito sconfitti. Morto il vecchio sultano, Murad sale al trono e Safiye può far valere la sua personalità esercitando la propria influenza sui rapporti veneto-turchi. Il gran visir, che è stato sempre un fautore della pace, accoglie volentieri un’ambasceria veneta. Gravi e tragici avvenimenti si succedono a Costantinopoli: il gran visir viene ucciso per ordine della madre di Murad, la quale a sua volta verrà uccisa. Venuto a mancare anche Murad, a Safiye, divenuta Sultana Madre, incombe il compito di educare il giovane figlio Mehemet. che dovrà reggere un giorno il vasto impero. Da Costantinopoli ella lancia intanto il suo messaggio di pace.
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Avventure orientali
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LA CRITICA: «L’iniziativa di narrare la storia della sultana Safiye e di realizzare il film in esterni ed interni che hanno 1’innegabile pregio dell’autenticità non era affatto sbagliata. Ma al film mancano molte cose: innanzitutto il colore». (U. Tani, in «Intermezzo», n. 14/15, 15 ago. 1955). ORLANDO E I PALADINI DI FRANCIA di Pietro Francisci Anno di edizione 1956 Produzione: Italgamma Film; Direttore di produzione: Carlo Bessi; Soggetto: Pietro Francisci, Giorgio Graziosi, tratto dall’Orlando furioso e dall’Orlando innamorato; Sceneggiatura: Pietro Francisci, Gaio Fratini, Giorgio Graziosi, Ennio De Concini; Aiuto-regia: Piero Nuccorini; Fotografia: Mario Bava, Renato Del Frate; Montaggio: Pietro Francisci, Gigliola Rosmino; Suono: Attilio Nicolai; Scenografia: Giulio Bongini; Arredamento: Arrigo Breschi; Costumi: Adriana Monaco; Maestro d’armi Enzo Musumeci Greco; Musica: Angelo Francesco Lavagnino; Direzione musicale: Alberto Paletti; Interpreti: Rick Battaglia, Rosanna Schiaffino, Lorella De Luca, Fabrizio Mioni, Ugo Sasso, Ivo Garrani, Franco Cobianchi, Cesare Fantoni, Giampaolo Rosmino, Claudio Undari, Gianni Luda, Antonio Amendola, Furio Meniconi, Rossella Como, Lina Tomassini, Lamberto Antinori, Nando Cicero, Attilio Severini, Pietro Tordi, Anna Di Lorenzo, Germano Longo, Gino Buzzanca, Nino Marchetti, Mimmo Palmara, Alberto Archetti, Gina Rovere, Maria Valente, Aldo Tomassoni, Clelia Matania, Vittorio Sanipoli; Durata: 110’. Produzione realizzata negli Studi INCOM di Roma. LA STORIA: Tra i paladini di Carlo Magno e i capi saraceni hanno luogo sanguinosi scontri. Per la bella Angelica scoppiano contese tra i principi saraceni tanto che Agramante chiede una tregua, alla quale Re Carlo acconsente. Nel frattempo Agramante, invia Angelica nel campo cristiano convinto che la sua bellezza susciterà accese passioni e gelosie tra i paladini indebolendo così l’avversario. Le previsioni del saraceno si avverano: infatti Orlando e Rinaldo si innamorano entrambi di Angelica. Intanto Gano di Maganza, invidioso dei due paladini, ne approfitta per i suoi perfidi disegni. Sfrutta la gelosia e i rancori che l’amore per Angelica ha fatto sorgere tra Orlando e Rinaldo per calunniare il primo. In seguito Orlando e Rinaldo si riappacificano e intanto Gano convinto di essersi liberato di loro, ha fatto prigioniero Re Carlo con la figlia Alda e sta per consegnarli ad Agramante. Scoperto il tradimento i due paladini si scagliano sul traditore e, aiutati dai prodi cavalieri che Orlando ha chiamati col suono del suo corno, lo costringono a fuggire. Gano si rifugia presso Agramante, che disgustato della sua perfidia lo uccide. LA CRITICA: «Un film spettacolare realizzato con largo impegno di masse [...] la vicenda è piena di movimento e può interessare malgrado le ingenuità e gli anacronismi che presenta». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLI, Anno 1957, Roma 1957, p. 58). IL CORSARO DELLA MEZZALUNA di Giuseppe Maria Scotese Anno di edizione 1957
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Capitolo quinto
Produzione: Glomer Film Produzioni, So.Fra.Dis.; Produttore: Enzo Merolle; Direttore di produzione: Ignazio Luceri; Soggetto:, Alma Neille, Riccardo Pazzaglia, Giuseppe Maria Scotese; Sceneggiatura: Alma Neille, Ken Ousely, Riccardo Pazzaglia, Mario Amendola, Giuseppe Maria Scotese; Aiuto-regia: Daniele Luisi; Fotografia: Adalberto Albertini; Montaggio: Nino Baragli; Scenografia: Saverio D’Eugenio; Arredamento: Franco Fontana; Costumi: Ugo Pericoli; Musica: Renzo Rossellini; Direzione musicale: Alberto Paoletti; Interpreti: John Derek, Gianna Maria Canale, Ingeborg Schöner, Alberto Farnese, Raf Mattioli, Camillo Pilotto, Fanny Landini, Gianni Rizzo, Mimmo Poli, Yvette Masson, Alberto Sorrentino, Amina Pirani Maggi, Carlo Hintermann, Ignazio Leone, Anna Maria Mustari, Silvio Lillo, Graziella De Victor, Furio Meniconi, Raf Baldassarre, Fausto Guerzoni, Paul Müller; Durata: 95’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Incir-De Paolis e Istituto Luce. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo della versione francese è La belle et le corsaire. LA STORIA: Un giovane penetra nel castello del barone di Camerlata, ma viene catturato e imprigionato nei sotterranei senza rivelare la sua identità. Sta per arrivare al castello la Duchessa Margherita, sorella di Francesco I re di Francia, che sarà ospite del barone per qualche giorno. La notizia viene comunicata dal capitano delle guardie, Guy de Sancerre, ad Angela, la nipote del barone. Margherita arriva col suo seguito, ma durante il banchetto vengono attaccati dalla nave corsara del pirata saraceno Nadir El Krim. I corsari mettono a ferro e a fuoco il villaggio nelle vicinanze del castello; poi il luogotenente di Nadir grida agli assediati che la Duchessa dovrà consegnarsi a loro come ostaggio. Il castellano fa vestire ad Anna i panni della Duchessa e consegna la nipote ai pirati. Angela scopre che Nadir El Krim è un cavaliere la cui famiglia è stata sterminata da un capitano di ventura che altri non è che Guy de Sancerre. Il giovane che langue nei sotterranei del castello è Vasco, il fratello del cavaliere, ormai moribondo per le ferite riportate. Mentre Angela ritorna al castello Nadir El Krim vi penetra coi suoi, ma l’arrivo della cavalleria di Francesco I capovolge la situazione. I corsari fuggono, ma Nadir rimane e rivela al re il suo vero nome, Paolo di Monterosso, e svela la vera identità di Guy de Sancerre. I due si battono e Paolo lo uccide. Francesco I riparte con la Duchessa, mentre Angela e Paolo si sposeranno. LA CRITICA: «È un film di avventure senza pretese artistiche, con alcune indovinate ricostruzioni sceniche e costumi appropriati. Nonostante varie ingenuità e una recitazione modesta la vicenda non manca di un certo interesse». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLII, Anno 1957, Roma 1957, p. 252). LA GERUSALEMME LIBERATA di Carlo Ludovico Bragaglia Anno di edizione 1957 Produzione: Max Production Italiana; Produttore: Ottavio Poggi; Direttore di produzione: Ottavio Scotti; Soggetto: liberamente tratto dal poema di Torquato Tasso; Sceneggiatura: Alessandro Continenza; Aiuto-regia: Roberto Cinquini; Fotografia: Rodolfo Lombardi; Montaggio: Renato Cinquini; Scenografia: Ernest Kromberg; Arredamento: Massimo Tavazzi; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Effetti Speciali: Joseph Nathanson; Musica: Roberto Nicolosi; Interpreti: Francisco Rabal, Sylva Koscina, Gianna Maria Canale, Rick
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Avventure orientali
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Battaglia, Philippe Hersent, Andrea Aureli, Livia Contardi, Alba Arnova, Nando Tamberlani, Cesare Fantoni, Edoardo Toniolo, Carlo Hintermann, Ugo Sasso, Leonardo Bragaglia, Fedele Gentile, Giulio Battiferri, Fernanda Ghia, Terry Ferrone, Joe Camel, Tomas Torres; Durata: 102’. LA STORIA: Mentre sta per unirsi ai Crociati che assediano Gerusalemme, Tancredi si imbatte in Clorinda, una guerriera mussulmana di stirpe regale, ed entrambi si innamorano. Ma il dovere li chiama su fronti diversi. I dissensi che dividono i cristiani sono deleteri per il morale dei crociati e i mussulmani ne approfittano. Si hanno così le improvvise sortite di Argante e Clorinda e l’arrivo della bella Armida, la cui presenza nel campo cristiano inasprisce i contrasti fra i capi. Innamoratosi di Armida, Rinaldo abbandona il campo. Tra Argante e Tancredi ha luogo un epico duello che si conclude in parità; dopodiché Goffredo di Buglione ordina l’attacco generale alle mura di Gerusalemme con le torri che i Crociati hanno costruite. I saraceni tentano di rovesciare le sorti della battaglia con una sortita in cui Tancredi combatte con un misterioso guerriero e, dopo averlo abbattuto, scopre che si tratta di Clorinda. Prima di morire la fanciulla rivela a Tancredi tutto il suo amore e chiede di essere battezzata. Sopraggiunge Argante, che si lancia su Tancredi; il crociato lo uccide, ma a sua volta rimane gravemente ferito. Intanto Rinaldo, liberatosi di Armida, torna al campo, rincuora i crociati e si lancia per primo sulle mura di Gerusalemme. LA CRITICA: «Considerati i decenni trascorsi, considerato 1’apporto dello schermo panoramico e del colore, considerati i passi da gigante fatti dal cinema [...I dobbiamo dire che questa nuova versione della Gerusalemme ne esce assai malconcia dal confronto con la vecchia edizione del 1918 diretta da Guazzoni». (U. Tani, «Intermezzo», n. 1/2, 31 gen. 1958). LA SCIMITARRA DEL SARACENO di Piero Pierotti Anno di edizione 1959 Produzione: Romana Film; Produttore: Fortunato Misiano; Soggetto: Luciano Martino, Bruno Rasia, Piero Pierotti; Sceneggiatura: Luciano Martino, Bruno Rasia, Piero Pierotti; Aiuto-regia: Gianfranco Baldanello; Fotografia: Augusto Tiezzi; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Suono: Bruno Moreal, Pietro Ortolani; Scenografia: Alfredo Montori; Arredamento: Camillo Del Signore; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Musica: Michele Cozzoli; Interpreti: Lex Barker, Chelo Alonso, Massimo Serato, Graziella Granata, Daniele Vargas, Gianni Rizzo, Luigi Tosi, Michele Malaspina, Enzo Maggio, Anna Arena, Bruno Corelli, Giulio Battiferri, Clara Bindi, Ignazio Balsamo, Alberto Cinquini, Ugo Sasso, Gino Scotti, Franco Jamonte, Erminio Spalla, Amedeo Trilli, Genevieve Audry, Valeria Gramignani, Nadia Brivio, Franco Fantasia, Ubaldo Lay, Nino Musco, Takis Kavuras, Renato Navarrini, Evelina Laudani, Gina Mascetti, Elena May, Teresa Volpe, Corinne Capri, Paolo Prestano, Stefania Re, Paolo Fiorino, Francesco Cerullo; Durata: 104’. Produzione realizzata negli Studi Incir-De Paolis. LA STORIA: Durante una scorreria, il famoso pirata Dragut si impadronisce di alcuni documenti segreti inviati a Rodi dalla Repubblica di Venezia e rapisce Blanca, la figlia del Governatore dell’isola. Quest’ultimo libera dal carcere un avventuriero, il capitano Drago, affidandogli l’incarico di rintracciare la figliola e di riportargliela insieme ai dacumenti. Drago riesce a farsi arruolare nella ciurma di Dragut e ad avvicinare la fanciulla; ma, sco-
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Capitolo quinto
perto, è condannato a morire di fame e di stenti nel deserto. Myriam, la principessa delle oasi, ritrova il malcapitato e lo porta in salvo. Intanto Bianca riesce a sottrarsi a Dragut e raggiunge il capitano. Myriam s’innamora dell’avventuriero e sarebbe disposta ad opporsi ai piani di Dragut; ma quando vede che il suo affetto non è ricambiato e che il capitano Drago ama Bianca, decide di vendicarsi e si unisce nuovamente a Dragut. I due capitani si affrontano in uno scontro navale nel quale Dragut e Myriam periscono; mentre Drago e Bianca si salvano e tornano insieme a Rodi. LA CRITICA: «Si tratta di un lavoro mediocre e farraginoso; l’interpretazione ha carattere dilettantistico». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLVII, Anno 1960, Roma 1960, p. 6). IL CONQUISTATORE D’ORIENTE di Amerigo Anton Anno di edizione 1960 Produzione: Tabos Film, Euro Associata; Produttore: Diego Boccanera; Direttore di produzione: Michelangelo Ciafrè; Soggetto: Tanio Boccia; Sceneggiatura: Mario Moroni, Gianni Mauro; Aiuto-regia: Mario Moroni; Fotografia: Luciano Trasatti, Vincenzo Seratrice; Montaggio: Mario Sansoni; Suono: Biagio Fiorelli, Franco Villa; Scenografia: Piero Filippone; Arredamento: Ennio Michettoni; Costumi: Adriana Berselli; Musica: Giovanni Fassino; Interpreti: Gianna Maria Canale, Rick Battaglia, Irene Tunc, Edda Ferronao, Attilio Torelli, Riccardo Ferri, Miriam Cordella, Aldo Pini, Riccardo Montalbano, Paul Müller, Tatiana Farnese, Franco Balducci, Giulio Donnini, Fosco Giachetti; Durata: 95’. Produzione realizzata nei Teatri di Posa della Dino De Laurentiis Cinematografica. OSSERVAZIONI: Amerigo Anton è lo pseudonimo con il quale Tanio Boccia firma il film. Nei titoli di testa a Montalbano è stato attribuito il nome di battesimo di Riccardo anziché Renato. LA STORIA: Dakar ha usurpato il trono a Nadir, figlio del legittimo sultano. Un giorno al palazzo viene partata la principessa Fatima, rapita dai soldati dell’usurpatore. Dakar decide subito di farne la regina del suo harem. Katicia, incaricata di preparare la principessa per la cerimonia nuziale, si commuove per la sorte della sfortunata fanciulla e la fa fuggire. Fatima, impadronitasi di una barca, fugge lungo il fiume ma, se non fosse per Nadir, finirebbe nelle rapide. Tra i due giovani nasce l’amore. Intanto le guardie si mettono sulle tracce della principessa finendo per trovarla assieme a Nadir. Portati entrambi al palazzo, Nadir viene chiuso nelle prigioni. Ma Katicia riesce a falo fuggire e, raccolto un piccolo esercito, riconquista il regno e piomba nel palazzo reale proprio il giorno in cui Dakar sta per sposare Fatima. Dakar è sconfitto e sul trono salirà Nadir con al suo fianco Fatima. LA CRITICA: «Avventure in costume di un baldo eroe conteso da una bella malvagia e da una buona e pura, e alle prese con nemici che vincerà immancabilmente pochi minuti prima della fine. Superproduzione risibile, infantilismo e paccottiglia». (Anonimo, «Nuovo Spettatore Cinematografico», n. 28/29, feb. 1962).
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Avventure orientali
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L’ARCIERE DELLE MILLE E UNA NOTTE di Antonio Margheriti
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Anno di edizione 1961 Produzione: Titanus; Soggetto: Bruno Vailati, Augusto Frassinetti, Filippo Sanjust, Giorgio Prosperi; Sceneggiatura: Bruno Vailati, Augusto Frassinetti, Filippo Sanjust, Giorgio Prosperi; Fotografia: Gabor Pogany; Montaggio: Mario Serandrei; Scenografia: Flavio Mogherini; Musica: Mario Nascimbene; Interpreti: Tab Hunter, Rossana Podestà, Umberto Melnati, Dominique Boschero, Renato Baldini, Mario Feliciani, Giustino Durano; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Studi della Titanus. LA STORIA: A Damasco signoreggia, incontrastato tiranno, il principe Baktiar, il quale dovrà rinunciare al suo potere il giorno in cui la legittima erede del trono, Jamila, troverà uno sposo degno di lei. In una gara tra i piu potenti signori della regione riesce vincitore un oscuro contendente, Hassan, di cui Jamila subito s’innamora. Nella serie di intrighi di ogni genere orditi da Baktiar per impedire le nozze di Jamila, si inseriscono forze magiche di ogni genere, buone e cattive, ed infine si scopre che Hassan è figlio di Re Hakim, ucciso da Baktiar. Superate tutte le prove la vicenda si conclude con la vittoria di Hassan sui malvagi oppositori. La riconquista del regno segna anche il coronamento del sogno d’amore fra i due giovani principi. LA CRITICA: «Finalmente Antonio Margheriti poté dare sfogo a tutta la sua fantasia e voglia di stupire con questo film di grosso budget prodotto dalla Titanus e dalla M.G.M. L’arciere delle Mille e una notte, un film ricco di azione ed avventura, sempre alleggerite con toni da commedia, ispirato a Le Mille e una notte. Questo film fu il primo vero successo di Antonio Margheriti, soprattutto in America, dove conquistò il pubblico grazie alla sua straordinaria abilità nell’integrare i trucchi ottici con le scene d’azione». (Edoardo Margheriti, in www.Antonio Margheriti.com, 24 mag. 2004).
IL LADRO DI BAGDAD di Bruno Vailati Anno di edizione 1961 Produzione: Titanus, Lux de France; Produttore: Bruno Vailati, Joseph E. Levine; Direttore di produzione: Nello Meniconi; Soggetto: Augusto Frassinetti, Filippo Sanjust, Bruno Vailati; Sceneggiatura: Augusto Frassinetti, Filippo Sanjust, Bruno Vailati; Aiuto-regia: Roberto Pariante, Robert Fiz; Fotografia: Tonino Delli Colli; Montaggio: Gene Ruggiero; Scenografia: Flavio Mogherini; Arredamento: Massimo Tavazzi, Giuseppe Ranieri; Costumi: Georges Benda, Giorgio Desideri; Effetti Speciali: Thomas Howard; Musica: Carlo Rustichelli; Direzione musicale: Carlo Savina; Interpreti: Steve Reeves, Giorgia Moll, Edy Vessel, Arturo Dominici, Daniele Vargas, Antonio Battistella, Luigi Visconti, Giancarlo Zarfati, Gina Mascetti, Giampaolo Rosmino, Georges Chamarat, Anita Todesco, Walter Grant, Mario Passante, Chignone, Tony Radecki, Franco Cobianchi, Frazier Rippy, Edoardo Bergamo, Paul Steffen, Gail Pearl, Ignazio Dolce, Mohamed Agrebi; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Studi della Titanus.
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Capitolo quinto
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OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-franco-americana. Il titolo della versione francese è Le voleur de Bagdad, quella americana è The Thief of Bagdad. La regia, per la versione americana e come supervisore, è di Arthur Lubin, uno specialista di storie fiabesche e fantastiche. LA STORIA: Perché la principessa di Bagdad guarisca da una misteriosa malattia occorre 1’influsso magico di una introvabile rosa azzurra. Il sultano, disperato, promette di dare la figlia in sposa a chi troverà il fiore misterioso. In gara con principi famosi e valenti guerrieri, Karim, un ladro di Bagdad, si pone alla caccia della rosa azzurra e dapo numerose peripezie riesce a trovarla. Al ritorno Karim trova Bagdad assediata dai mercenari del principe Osman, intenzionato a prendere con la forza la principessa ammalata. Allora Karim, alla testa di un esercito magico, scaturito da un gioiello offertogli da un misterioso personaggio, sconfigge Osman, libera la città e riesce a guarire la pincipessa, della quale diviene poi sposo felice. LA CRITICA: «Sullo sfondo dell’immaginario Oriente delle Mille e una notte, la favola si snoda con ricchezza di avventure e di magici interventi, non sempre esenti da una certa ingenuità». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLIX, Anno 1961, Roma 1961, p.167). LE MERAVIGLIE DI ALADINO di Mario Bava Anno di edizione 1961 Produzione: Lux Film, Lux Compagnie Cinématographique de France; Supervisione-regia: Henry Levin; Direttore di produzione: Massimo Patrizi; Soggetto: Stefano Strucchi, Duccio Tessari; Adattamento: Franco Prosperi, Silvano Reyna, Pierre Very; Sceneggiatura: Paul Tuckaoe; Aiuto-regia: Alberto Cardone; Fotografia: Tonino Delli Colli; Montaggio: Maurizio Lucidi; Suono: Vittorio Trentino; Scenografia: Flavio Mogherini; Arredamento: Massimo Tavazzi, Raniero Cochetti; Costumi: Rosine Delamare; Musica: Angelo Francesco Lavagnino; Interpreti: Donald O’Connor, Vittorio De Sica, Aldo Fabrizi, Michèle Mercier, Noelle Adam, Mario Girotti, Fausto Tozzi, Raymond Bussieres, Milton Reid, Alberto Farnese, Marco Tulli, Franco Ressel, Vittorio Bonos, Adriana Facchetti, Giovanna Galletti; Durata: 99’. Produzione realizzata negli Studi del Centro Sperimentale di Cinematiografia. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo della versione francese è Les mille et une nuits. LA STORIA: Aladino, un giovanetto di Bagdad, sogna ricchezze e avventure. Un giorno sua mamma gli regala una lampada ad olio. Aladino nel prenderla in mano si accorge che è magica e che racchiude un genio che gli dice di esprimere tre desideri. Nel frattempo il Gran Visir vuole per sé una principessa che invece è promessa sposa ad un Principe buono. Il Gran Visir segue la carovana del buon Principe con l’intento di assalirlo. Dopo una feroce battaglia Aladino, che si trova nel mezzo della mischia, viene catturato dal maligno Visir assieme al Principe. I due riescono però a sfuggire alla morte nel deserto e, smascherate le intenzioni del Gran Visir, il Principe potrà riprendersi la promessa sposa. Aladino, con l’aiuto del Genio della lampada, riesce a uccidere in duello il Gran Visir. Il Principe regnerà felice e il genio può tornare al desiderato riposo.
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Avventure orientali
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LA CRITICA: «Aladino e la sua lampada magica dalle Mille e una notte a Cinecittà. Le variazioni sono molte, e non entusiasmanti. Ci sono le amazzoni, c’è una ragazza per Aladino, c’è un Genio-De Sica che si allunga e rimpicciolisce a volontà, e un incredibile Aldo Fabrizi sultano in romanesco». (Anonimo, in «Nuovo Spettatore Cinematografico», n. 30/31, apr. 1962) «La debole regia, realizzando con approssimativa superficialità l’ingenua fiaba, ha puntato sulla mimica grossolana e sulle azioni maldestre del protagonista e sulle esibizioni femminili. Sfocati e supeflui gli interventi di alcuni attori qualificati». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. L, Anno 1961, Roma 1961, p.136). SOLIMANO IL CONQUISTATORE di Mario Tota Anno di edizione 1961 Produzione: Astor Film, C.F.S. Kosutnjak; Direttore di produzione: Adriano Merkel; Supervisione-regia: Vitroslav Mimica; Soggetto: Vitroslav Mimica, Mario Caiano, Stipe Delic; Sceneggiatura: Vitroslav Mimica, Mario Caiano, Stipe Delic; Aiuto-regia: Stipe Delic, Fernando Trebitsch; Fotografia: Giuseppe La Torre; Montaggio: Enzo Alfonsi; Suono: Fausto Ancillai; Scenografia: Alfredo Montori; Arredamento: Bruno Cesari; Costumi: Giorgio Desideri; Maestro d’armi: Pietro Ceccarelli; Effetti Speciali: Celeste Franzi, Wilfrido Traversi; Musica: Fiancesco De Masi; Interpreti: Edmund Purdom, Giorgia Moll, Alberto Farnese, Luciano Marin, Evi Maltagliati, Loris Gizzi, John Mc Douglas, Silvio Bagolini, Amedeo Trilli, Nando Tamberlani, Raf Baldassarre, Enzo Doria, Mira Tapaviza, Nada Kasapich, Vladimir Medar, Andrea Aureli, Stane Potokar; Durata: 105’. Produzione realizzata negli Studi dell’Istituto Luce e, in esterni, in Jugoslavia. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-Jugoslava. Il titolo del film dell’edizione jugoslava è Sulejman Velicanstveni. John Mc Douglas è lo pseudonimo di Giuseppe Addobbati. LA STORIA: Verso il 1500 i Turchi puntano su Vienna con l’intenzione di invadere 1’Europa. Giunti presso la città di Samograd conquistano e devastano un villaggio, catturandone i bambini. Grazie al valore di Orlovich, signore di Samograd, i piccoli prigionieri sono liberati con un improvviso contrattacco che sorprende la guarnigione turca. Ma 1’arrivo di Solimano tra le file ottomane prelude a nuovi, piu violenti assalti. Orlovich affida ad un valoroso e giovane guerriero, Ivan, il compito di raggiungere Vienna e chiedere aiuti, che però non verranno concessi. Il feroce Ibrahim Pascià, succeduto a Solimano morto per una sincope, guida i suoi guerrieri alla distruzione di Samograd. Tutti gli uomini validi agli ordini di Orlovich cadono valorosamente nella battaglia, mentre il giovane Ivan riesce a condurre in salvo al di là delle paludi donne e bambini. LA CRITICA: «Il ricordo degli antichi fatti d’arme serve come spunto al film per navviare un’avventurosa vicenda, intessuta di drammatiche situazioni non prive di ingenuità e di un pizzico di retorica. Di mestiere sia la regia che la recitazione». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LI, Anno 1962, Roma 1962, p. 23).
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Capitolo quinto
LA SPADA DELL’ISLAM di Enrico Bomba
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Anno di edizione 1961 Produzione: FI.C.IT. (Compagnia Cinematografica Italiana), Ramses Naguib, MISR.Co.; Produttore: Enrico Bomba; Direttore di produzione: Marcello Giannini; Supervisione-regia: Andrew Marton; Soggetto: Enrico Bomba; Sceneggiatura: Enrico Bomba; Aiuto-regia: Giuliano Carnimeo; Fotografia: Marcello Masciocchi; Montaggio: Enzo Alabiso; Suono: Bruno Moreal, Massimo Jaboni, Remo Palmieri; Scenografia: Lamberto Giovagnoli; Costumi: Dina Di Bari; Interpreti: Rashdi Abaza, Lubna Abdel, Ahmed Mazhar, Ema Andi, Franco Carelli, Federico Chentrens, Mario Dionisi, Luisa Mattioli, Folco Lulli, Silvana Pampanini; Durata: 97’. Produzione realizzata in esterni in Egitto. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-egiziana. Il titolo dell’edizione egiziana è Wa Islamah. Il film ha fatto solo una breve apparizione nelle sale italiane. LA STORIA: Prima di venire ucciso da un gruppo di congiurati, il Sultano dell’Islam riesce a porre in salvo la flglia Gihad ed il giovane principe Mamuth, affdandoli alla protezione d’un devoto amico, Salim. Questi, per fare perdere ai sicari le tracce dei due giovani, li affida ad un mercante di schiavi, il quale vende la fanciulla alla regina Shagaret e Mamuth al principe Aibek. Dopo quindici anni Salim, che è divenuto cieco, ritrova sia Gihad che Mamuth. Intanto la regina Shagaret fa assassinare Aibek, dopo averlo sposato, e viene uccisa, a sua volta, dalla sua prima moglie. Rimasto vacante il sultanato, nell’imminenza di una invasione tartara, i dignitari della corte affidano a Mamuth il comando dell’esercito dell’Islam che questi conduce alla vittoria. Tornata la pace, Mamuth viene acclamato Sultano ed avrà accanto a sé sul trono l’amata Gihad. LA CRITICA: «Tutti gli elementi tradizionali nel genere avventuroso sono presenti in questo film, realizzato con superficiale approssimazione: in un fastoso quanto improbabile ambiente esotico. Di mestiere sia la regia che la recitazione». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LI, Anno 1962, Roma 1962, p. 24). LO SCEICCO ROSSO di Fernando Cerchio Anno di edizione 1962 Produzione: Explorer Film ’58; Produttore: Bruno Turchetto; Direttore di produzione: Gian Maria Messeri; Soggetto: Gino De Sanctis; Sceneggiatura: Florestano Petrilli, Remigio Del Grosso, Luigi Capuano, Arrigo Montanari; Aiuto-regia: Giuseppe Abbrescia; Fotografia: Elio Polacchi; Montaggio: Gino Talamo; Suono: Raffaele Del Mont; Scenografia: Antonio Visone; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni, Antonio Visone; Riprese in Egitto: Charles Lifshitz; Musica: Francesco De Masi; Interpreti: Charming Pollock, Luciana Gilli, Rosalba Neri, Ettore Manni, Mel Welles, Pietro De Vico, Glauco Onorato, Giulio Battiferri, Ahmed Amer, Alberto Archetti, Marcello Sensi; Durata: 92’. Produzione realizzata in esterni in Egitto. LA STORIA: Marocco, 1865. Mentre Hassan è al potere, 1’avversario Ajabar medita la ri-
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Avventure orientali
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conquista del trono. Frattanto arriva alla corte di Hassan un architetto spagnolo, di nome Ruiz, che ha avuto modo di conoscere i ribelli e di innamorarsi di Amina, la figlia di Ajabar. Allorché le guardie di Hassan catturano alcuni fedeli di Ajabar insieme alla giovane Amina, interviene un personaggio leggendario: lo Sceicco Rosso, già ucciso a tradimento dagli emissari di Hassan. Ajabar solleva il popolo contro l’usurpatore Hassan. Lo Sceicco Rosso salva Amina da morte certa e quindi uccide Hassan. Conclusa la battaglia, il misterioso guerriero manifesta la sua identità: è Ruiz, tornato per vendicare la morte del padre, il valoroso Sceicco Rosso. In un clima di pacificazione un sereno avvenire attende Ruiz ed Amina. LA CRITICA: «Trattasi di un modesto film avventuroso, privo degli slanci e delle suggestioni spettacolari propri del genere. Mentre la fotografia e l’amibientazione sono discretamente efficaci, la regia e l’interpretazione denunciano un’evidente debolezza». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LII, Anno 1962, Roma 1962, p. 57). LE SETTE FATICHE DI ALÌ BABÀ di Emimmo Salvi Anno di edizione 1962 Produzione: Avis Film, Rosa Film; Direttore di produzione: Cristoforo Nicotra; Soggetto: Emimmo Salvi; Sceneggiatura: Emimmo Salvi, Benito Ilforte, Ambrogio Molten; Aiutoregia: Carlo Ferrero, Antonio Tarroni; Fotografia: Mario Parapetti; Montaggio: Enzo Alfonsi; Suono: Giuseppe Mangione, Bruno Moreal; Scenografia: Vittorio Corte, Aurelio Santi; Costumi: Mario Giorsi; Maestro d’armi Luigi Ciavarro, Aldo Gasparri; Musica: Marcello Giombini; Interpreti: Bella Cortez, Rod Flash, Furio Meniconi, Amedeo Trilli, Liliana Zagro, Omero Gargano, Caridad Fuentes, Salvatore Furnari, Mario Zagardi, Yvonne Sirè, Mario Pollentin, Giovanni Silvagni, Aristide Massari; Durata: 90’. LA STORIA: Alì Babà riceve l’incarico di trasportare dalla città di Sesamo una corona aurea e di consegnarla a Hassam, un capo arabo. Questi e il suo popolo sono in balìa di Mustafà, un tiranno prepotente che li ha vinti in battaglia. Per amore di pace per il suo popolo, il capo ha deciso di consegnare il tesoro al tiranno. Ma Alì Babà, temendo un inganno, si rifiuta di farlo. Nasconde le sue truppe in una segreta “Valle delle Ombre” e si presenta a Mustafà per patteggiare, ma viene arrestato e sottoposto a tortura. Riesce a fuggire con l’aiuto di Loto, promessa sposa del tiranno e figlia di Hassam, che fugge con lui. Alla fine dopo numerose peripezie il popolo si solleva, Alì sconfigge e cattura Mustafà e sposa Loto. LA CRITICA: «Goffo, confuso, dcbolissimo racconto invano animato da alcune malcerte sequenze di tortura e di battaglia. L’interpretazione è estremamente modesta. La regia del tutto imsignificante». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LII, Anno 1962, Roma 1962, p. 163). LE VERDI BANDIERE DI ALLAH di Guido Zurli Anno di edizione 1962
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Capitolo quinto
Produzione: Itala Prod. Film, Dubrava, Globus Film; Produttore: Franco Caruso; Direttore di produzione: Fernando Cinquini; Supervisione-regia: Giacomo Gentiluomo; Soggetto: Umberto Lenzi; Sceneggiatura: Umberto Lenzi, Sergio Leone, Bebo Marrosu, Adriano Bolzoni, Guido Zurli; Aiuto-regia: Giulio Pannacciò; Fotografia: Luciano Transatti, Franco Villa; Montaggio: Otello Colangeli; Suono: Pietro Spadoni; Scenografia: Oscar D’Amico; Arredamento: Danilo Zanetti; Costumi: Mario Giorsi; Maestro d’armi: Ferdinando Poggi; Effetti Speciali: Oscar Verdenelli; Musica: Guido Robuschi, Gian Stellari; Direzione musicale: Gian Stellari; Interpreti: Jose Suarez, Linda Cristal, Cristina Gajoni, Mimmo Palmara, Walter Barnes, Vittorio Sanipoli, Hélène Chanel, José Jaspe, José Torres, Renato Montalbano; Durata: 100’. Produzione realizzata in esterni in Jugoslavia. LA STORIA: Siamo nel ’500 nell’isola di Sant’Antioco. La sua fortezza inespugnabile è nelle mani di un governatore ambizioso, Demetrios, che, corrotto dall’oro francese, cerca di sabotare la tregua che regna tra la Spagna e l’Impero dei Turchi. Alla corte del Sultano il Vizir Ibrahim cospira con Demetrios per impadronirsi del trono. In questa rete di intrighi si incontrano Dionigi, capitano della Serenissima, Giafer, fedelissimo al Sultano e comandante dello “Sparviero” e Fra’ Medicina. Fra pericoli e insidie di ogni genere, i tre riescono ad avere le prove del tradimento di Ibrahim e delle ambizioni di Demetrios. Con l’aiuto di tre fanciulle, Isabella, fldanzata di Dionigi, Rosellana ed Alima, fanno in modo che il Sultano abbia la certezza della congiura ordita da Ibrahim e lo possa punire. Nello scontro finale Isabella fa saltare la fortezza, ma rimane uccisa e con lei Demetrios, la cui fine riporta la senenità a Sant’Antioco. Il tutto si conclude con le nozze tra Dionigi ed Alima. LA CRITICA «L’intricata serie di incredibili avventure di cui è impossibile anche una vaga ambientazione storica, è narrata con stile di scadente fumetto. La ricerca dell’effetto spettacolare non riesce a far passare inosservate le numerose ingenuità ed incongruenze. Interpretazione e regia sono del tutto approssimative». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LV, Anno 1964, Roma 1964, p. 5). I CENTO CAVALIERI di Vittorio Cottafavi Anno di edizione 1965 Produzione: Domiziana Internazionale Cinematografica, Productores Cinematograficos Unidos, International Germania Film; Direttore di produzione: Eduardo De La Fuente; Soggetto: Vittorio Cottafavi, Giorgio Prosperi; Sceneggiatura: Vittorio Cottafavi, José Maria Otero, Giorgio Prosperi, Enrico Ribulsi; Fotografia: Francisco Marin; Montaggio: Maurizio Lucidi; Suono: Domenico Guria; Scenografia: Ramiro Gomez; Costumi: Vittorio Rossi; Maestro d’armi: Giorgio Ubaldi; Musica: Antonio Perez Olea; Interpreti: Mark Damon, Antonella Lualdi, Gastone Moschin, Wolfgang Preiss, Barbara Frey, Rafael Alonso, Hans Nielsen, Manuel Gallardo, Salvatore Furnari, Giorgio Ubaldi, Enrico Ribulsi, Mario Feliciani, Arnoldo Foa; Durata: 125’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà e, in esterni, in Spagna. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-spagnola-tedesca. Il titolo della versione spagnola è Los cien caballeros. LA STORIA: In un villaggio della Castiglia, durante la tregua d’armi tra i cristiani e i Mori,
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Avventure orientali
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la vita scorre tranquilla, allorché un gruppo di guerrieri mussulmani guidati dallo sceicco Abel-Galbon si stabilisce nell’abitato approfittando della cortese ospitalità dell’Alcalde. Ben presto gli ospiti riveleranno le loro vere intenzioni, che sono quelle d’impadronirsi del paese e di assoggettarne gli abitanti. Ucciso l’Alcalde la rivolta matura lentamente fino ad esplodere in una lotta aperta. Gli abitanti del villaggio, abbandonate le case, nominano loro capo don Gonzalo e si apprestano a riconquistare il paese con le armi, aiutati da un frate esperto in cose militari. Dopo alterne vicissitudini lo scontro decisivo tra i due eserciti volgerà a favore dei cristiani, che scacceranno definitivamente i Mori dalla loro terra. LA CRITICA: «Cottafavi, come noto, gode di molta popolarità presso la critica francese e quella nostrana di derivazione, a tal punto che a Parigi gli hanno dedicato un numero speciale di una rivista specializzata. Anche questo Cento cavalieri, come precedenti lavori dello stesso regista, è un’opera della “gastronomia in costume” con pretese allegoriche allude a una primordiale e immaginaria arma atomica. Si ha soprattutto l’impressione che Cottafavi si diverta molto, e in particolare alle spalle di chi dedica gli “strumenti della critica” per scoprirlo e studiarlo». (Anonimo, «Cinema Nuovo», n. 183, set./ott. 1966). SINBAD CONTRO I SETTE SARACENI di Emimmo Salvi Anno di edizione 1965 Produzione: Avis Film; Produttore: Emimmo Salvi; Direttore di produzione: Aldo Occhipinti; Soggetto: Emimmo Salvi; Sceneggiatura: Benito Ilforte, Sergio Tocci; Aiuto-regia: Antonio Tarroni; Fotografia: Mario Parapetti; Montaggio: Enzo Alfonsi; Suono: Bruno Moreal; Scenografia: Giuseppe Ranieri; Costumi: Giovanna Natili; Musica: Italo Fischetti; Interpreti: Dan Harrison, Gordon Mitchell, Bella Cortez, Caroll Brown, Nat Koster, Mike Moore, Tony Di Mitri, Lilly Zander, Frank Doria, Attilio Severini, Maria Pia Conte, Tonino Stoppa, Renato Terra Caizzi, Mario Russo, Alberto Conversi; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Studi Incir-De Paolis. OSSERVAZIONI: Caroll Brown, Nat Koster e Mike Moore sono gli pseudonimi di Carla Calò, Luigi Tosi e Amedeo Trilli LA STORIA: Gli Yeriti, gente fiera e combattiva, decisi a ribellarsi alle crudeltà di Homer, il dispotico governatore della città di Cufra, inviano, dalle montagne ove sono rifugiati, Sinbad il marinaio perché si presenti quale campione popolare al torneo che dovrà svolgersi per l’elezione del nuovo reggente. Durante la missione Sinbad sta per essere catturato dai soldati di Homer, ma viene soccorso dalla principessa Fatma, con la quale intreccia un affettuoso legame sentimentale. Durante lo svolgimento del torneo, mentre Homer e Sinbad si affrontano, le schiave dell’harem, guidate da Giuki, un nano amico dell’eroe, riescono a liberarsi; il popolo si solleva e gli Yeriti ribelli penetrano nella città. Abbattuti i tiranni, la giustizia può definitivamente trionfare e l’avvenire presentarsi lieto per coloro che erano stati perseguitati. LA CRITICA: «Il lavoro non riesce a superare i limiti di un più che modesto film d’avventura, carente di logica narrativa, privo di autenticità storico-geografica, mediocre nella tecnica di ripresa». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LVIII, Anno 1965, Roma 1965, p. 51).
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Capitolo quinto
FLAVIA LA MONACA MUSULMANA di Gianfranco Mingozzi
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Anno di edizione 1973 Produzione: P.A.C. (Produzioni Atlas Consorziate), Cinephonic, R.O.C.; Direttore di produzione: Raniero Di Giovanbattista; Soggetto: Raniero Di Giovanbattista, Sergio Tau, Francesco Vietri; Sceneggiatura: Fabrizio Onofri, Gianfranco Mingozzi, Bruno Di Geronimo, Sergio Tau; Aiuto-regia: Cesare Landricina, Claudio Ventura; Fotografia: Alfio Contini; Montaggio: Ruggero Mastroianni; Suono: Benedetto Conversi; Scenografia: Giovanni Fratalocchi; Arredamento: Giovanni Fratalocchi; Costumi: Guido Josia; Maestro d’armi: Pasquale Basile; Musica: Nicola Piovani; Interpreti: Florinda Bolkan, Maria Casares, Claudio Cassinelli, Anthony Corlan, Spiros Focas, Diego Michelotti, Rajka Juri, Jill Pratt, Franca Gray, Laura De Marchi, Edoardo Filipone, Ciro Ippolito, Giuseppe Pertile, Valentino Macchi, Guido Celano, Stefano Trabalza, Marie Agnès Nobecourt, Maria Teresa Poggi, Jole Silvani, Carla Mancini, Luigi Antonio Guerra; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Studi Gestione Palatino e, in esterni, a Trani e ad Ostuni. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo dell’edizione francese è Flavia, la défroquée. LA STORIA: Nel 1400, durante una delle tante incursioni saracene sulle coste italiane, la piccola Flavia assiste alla decapitazione di un giovane cavaliere turco che poco prima le aveva salvato la vita. Alcuni anni dopo Flavia entra in convento, seguita, per volere del padre, dal giovane ebreo Abraham come segretario e uomo di fiducia. Gli orrori del mondo, visibili anche dal convento, induriscono Flavia e la inducono e proclamare la superiorità delle donne sugli uomini, spesso vili e imbelli. La monaca si allea con Achmet, un capo saraceno, gli concede il suo amore e ottiene da lui il possesso della contrada. In seguito ella conduce i saraceni attraverso un passaggio segreto all’interno di un cittadella assediata. Ne segue un massacro, durante il quale Abraham viene ucciso e Flavia perde i sensi. Al risveglio si ritrova sola sulla spiaggia deserta. I saraceni sono scomparsi e Flavia catturata da armati cristiani, si avvia, vestita della bianca tunica e con la croce che le pende sul petto, verso il colle della morte dove l’aspetta il supplizio, ormai insensibile a tutto quello che la circonda. LA CRITICA: «Si sgranano sullo schermo orrori da Krafft-Ebing: decapitazioni con teste che volano, la castrazione sanguinolenta di un cavallo, una violenza carnale perpetrata nel recinto dei maiali, la tortura di una suora ignuda con piombo fuso e relativo strappo a fuoco di un capezzolo, frustate come piovessero, la sodomizzazione di un ribaldo […], visioni esaltate di vampirismo e di cannibalismo, impalamenti vari e la messa a morte conclusiva della protagonista tramite scuoiamento. In un tale delirio di macelleria è difficile riconoscere il nostro Mingozzi, che certo è più nelle sue corde quando cita se stesso, cioè il suo documentario La tarantata, nella scena delle ossesse che invadono il convento». (Tullio Kezich, in «Panorama», 27 giu. 1974). SIMBAD E IL CALIFFO DI BAGDAD di Piero Francisci Anno di edizione 1973
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Avventure orientali
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Produzione: Buton Film; Produttore: Umberto Russo di Pagliata, Vittorio Russo; Direttore di produzione: Mario Pellegrini; Soggetto: Pietro Francisci; Sceneggiatura: Pietro Francisci; Aiuto-regia: Renzo Girolami; Fotografia: Gino Santini; Montaggio: Pietro Francisci, Otello Colangeli; Suono: Roberto Alberghini; Costumi: Maria Luisa Panaro; Maestro d’armi: Franco Fantasia; Musica: Alessandro Alessandroni; Interpreti: Robert Malcolm, Sonia Wilson, Gigi Bonos, Spartaco Conversi, Franco Fantasia, Eugene Walter, Paul Oxon, Maria Luisa Biscardi, Mark Davis, Eva Maria Grubmuller, Carla Mancini, Alessandro Perrella; Durata: 101’. LA STORIA: Stanco di fare il marinaio, Simbad torna al suo paese dove scopre che la sua casa e tutti i suoi beni sono stati confiscati. Vittima di due imbroglioni, Firùz e Bamàn, si ritrova con loro, contro la propria volontà, su una nave che reca la bella Sherazade in moglie al crudele Califfo di Bagdad. Trovato in compagnia della giovane, viene abbandonato in mare con Firùz e Bamàn su una scialuppa destinata a naufragare su un isolotto. Tra i relitti di una nave cinese Simbad scopre un aerostato, col quale si innalza e raggiunge Bagdad. Straordinariamente somigliante al Califfo, egli viene convinto da alcuni funzionari che vogliono spodestarlo, a prenderne il posto. Il complotto riesce, ma Simbad, che ha trovato l’amore di Sherazade, rinuncia al potere e parte con lei per altri lidi. LA CRITICA: «È un modesto film d’avventure, i cui soli pregi stanno nell’ambientazione, sfruttata peraltro con scarsa fantasia, e nel ritmo, discretamente movimentato». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXVI, Anno 1974, Roma 1974, p. 158). ORLANDO FURIOSO di Luca Ronconi Anno di edizione 1974 Produzione: N.O.C. Cin.ca, RAI-TV; Produttore: Bruno Paolinelli; Direttore di produzione: Francesco Merli, Bruno Ridolfi; Soggetto: tratto dal poema di Ludovico Ariosto; Sceneggiatura: Edoardo Sanguineti, Luca Ronconi; Aiuto-regia: Filiberto Fiaschi; Fotografia: Vittorio Storaro, Arturo Zavattini; Montaggio: Pino Giomini; Scenografia: Pier Luigi Pizzi; Costumi: Pier Luigi Pizzi; Musica: Giancarlo Chiaramello; Interpreti: Massimo Foschi, Mariangela Melato, Ottavia Piccolo, Sergio Nicolai, Giacomo Piperno, Carlo Valli, Hiram Keller, Guido Mannari, Cesare Gelli, Rodolfo Lodi, Luigi Sportelli, Antonio Soldati, Luigi Soldati, Erika Dario, Germano Longo, Luigi Diberti, Ettore Manni, Michele Placido, Vittorio Sanipoli, Carlo Foschi, Claudio Milan, Carlo Montagna, Paolo Bonetti, Alessio Orano, Yorgo Voyagis, Marzio Margine, Sergio Doria, Paolo Turco, Pino Manzari, Carlo De Mejo, Rodolfo Bandini, Luigi Basagaluppi, Carla Tatò; Durata: 113’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà, a Villa Farnese (a Caprarola presso Viterbo) e alle Terme di Caracalla. OSSERVAZIONI: Il film fu prodotto per la televisione e trasmesso da RAIUno in cinque episodi nel 1975 e precisamente il 16 e 23 febbraio e il 2, 9 e 16 marzo. Il cast comprendeva molti altri attori che nella versione cinematografica non compaiono. LA STORIA: Il film narra i seguenti episodi ariosteschi: Angelica, inseguita da numerosi ammiratori – tra cui Rinaldo e Ferraù – finisce nuda e incatenata ad uno scoglio, vittima offerta all’Orca marina; Ruggero, a cavallo dell’Ippogrifo, la libera dal mostro. Orlando, errabondo alla ricerca dell’amata, viene chiamato in causa dalle avventure complesse di Olimpia
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Capitolo quinto
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in bilico tra i suoi capricci, il tristo promesso Bireno e 1’usurpatore Cimosco; Orlando poi uccide l’Orca e, alla fine, impazzisce quando scopre che Angelica ha donato il suo affetto a Medoro. Agramante assedia Parigi e le dà fuoco; nel corso della reazione di Carlo Magno viene ucciso il giovane re Dardinello; Medoro accorre per seppellirlo ma viene ferito e il suo amico Cloridano muore; Angelica guarisce Medoro e se ne innamora. LA CRITICA: «Le scelte bizzarre del Ronconi e dei suoi collaboratori, pur attirando ammirazione per l’originalità e evidente serietà di impegno, puntualmente cozzano contro ciò che lo spettatore ha atteso, immaginato, desiderato. […] I cavalli, le navi, i mostri, trainati da corde, spinti da inservienti, scivolanti su rotaie, non appagano anche se il gioco è scoperto volutamente e il regista ha l’avvertenza di svelare i segreti dei trucchi. Nel suo complesso, fermo restando che il lavoro merita considerazione per l’impegno realizzativo e per la sempre apprezzabile funzione di portare al pubblico i tesori della cultura del passato, si può supporre che otterrà ampi consensi, giudizi dubitosi e persino dissensi». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXVIII, Anno 1975, Roma 1975, pp. 310-311).
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VI.
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I FIGLI DEL NORD E DELLA STEPPA
1. Dai ghiacci del Nord al gelo della steppa Dopo il caldo e l’arsura dei deserti africani, la nostra attenzione si sposta sulle gelide regioni del Nord spaziando dalle terre dei Nibelunghi a quelle dei Vichinghi, senza trascurare le fredde steppe dei Mongoli. Anche questi popoli, che di romantico hanno ben poco e che, semmai, evocano paure e terrori che provocarono ai nostri antenati in occasione delle loro cicliche invasioni dell’ormai scricchiolante Impero romano, sono stati oggetto di diversi film negli anni Sessanta. Il primo di questi, il cui titolo la dice lunga, è Il terrore dei barbari di Carlo Campogalliani del 1959. Steve Reeves, una spece di Ercole, e Chelo Alonso, la cui duttilità a trasformarsi da odalisca a figlia del gelido Nord è sorprendente, sono i protagonisti di una pellicola di avventure in cui compaiono Alboino che invade il Nord Italia, il giovane erculeo e ribelle che si oppone all’invasione e lo combatte, la figlia del governatore della regione e il suo amore per il ribelle. Se si aggiunge poi che il film è condotto con esperienza e che gli attori sono all’altezza del compito loro affidato, è comprensibile il successo del film. Guido Malatesta nel 1960, da parte sua, gira La furia dei barbari; si passa dal terrore alla furia, ma la sostanza non cambia anche se, questa volta, la furia si scatena tutta Oltralpe fra gli abitanti di villaggi barbari. Altri due attori riciclati dei deserti africani, Edmond Purdom e Rosanna Schiaffino, sono i protagonisti del film che però è poca cosa. «Le ingenuità e le banalità, le forzature narrative e le grossolanità storiche non si contano, e poiché il film, ove si eccettui qualche battaglia ben realizzata, manca anche del dovuto piglio avventuroso, è facile intuire quale sia il livello dell’opera»1. Chelo Alonso non conosce ostacoli e, con gran disinvoltura, lascia i barbari nelle fredde foreste del Centro Europa per unirsi ai Tartari delle gelide steppe dell’Asia centrale divenendo, nel film di Sergio Grieco del 1960, La regina dei tartari e, naturalmente, con gli occhi a mandorla. Il film non vale molto, come del resto molti altri di questo genere, ma questo in modo particolare tant’è che Francesco Mininni in «Magazine Italiano tv» ironizza: «Vorremmo consigliarvi un buon dentifricio antitartaro, ma non ce ne viene in mente nessuno. Risolvete il problema evitando accuratamente di vedere il film».
1
G. Ciaccio, in «Rivista del Cinematografo», n. 4/5, magg. 1961.
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Capitolo sesto
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Lasciamo per ora le steppe asiatiche, spostiamoci più a Nord ed entriamo nel mondo vichingo. Qui incontriamo Giacomo Gentilomo con il film L’ultimo dei vichinghi girato sempre nel 1960. È un dignitoso film d’avventure, diretto con mestiere da Gentilomo e interpretato con professionalità da Cameron Mitchell ed Edmund Purdom, mantenendosi «costantemente su un piano di interesse spettacolare cui non è estranea la suggestione dei costumi e il fascino che esercita quel popolo [...]. I pregi del film si riferiscono ai valori puramente formali, ma dato il genere, l’apprezzamento è valido per la regia di Gentilomo»2. Rimaniamo fra i Vichinghi dove, nel film di Mario Bava del 1961, Gli invasori, troviamo ancora due fratelli di stirpe reale, uno dei quali è sempre Cameron Mitchell mentre l’altro è Giorgio Ardisson. Dopo vent’anni dalla loro separazione, ignari del loro legame, si scontrano combattendo in campi avversi. Quando si scoprono dello stesso sangue, il solito guastafeste ne uccide uno così che il superstite lo sostituirà nel comando del popolo vichingo. «La storia è abituale, ma la realizzazione è simpatica e vivace: un film d’awenture favolose con un clima adatto ai ragazzi ma che, grazie alle peripezie fotografiche di Bava, può piacere anche ai grandi meno intellettualizzati»3. Saltando da un luogo all’altro, nello stesso anno Leopoldo Savona riporta l’attenzione del pubblico fra i Mongoli dell’Asia centrale con il film I mongoli in cui, nientemeno che Jack Palance, nelle vesti di Ogotai figlio di Gengis Khan, è l’interprete principale. Il film è discontinuo, lento e impacciato nella prima parte, si movimenta ed acquista vivacità e interesse nella seconda. La risposta va cercata nel fatto che Leopoldo Savona, nonostante la supervisione del regista americano André De Toth, viene sostituito per le scene di battaglia e di massa da Riccardo Freda. I francesi, coproduttori del film, si accanirono sui giornali contro Savona, in modo particolare Bernard Tavernier che così severamente si espresse: «Durante un’ora e un quarto, sotto la direzione d’un italiano qualunque (e non certo di André De Toth, come dicono i titoli), la storia procede blandamente e niente eleva la regia al di sopra d’una nullità riposante: la camera anchilosata, il colore brutto, la sceneggiatura infantile e anche incoerente [...]. Improvvisamente, venticinque minuti prima della fine, si assiste ad un cambiamento stupefacente: la camera si mette a marciare, gli attori a recitare convenientemente, le inquadrature diventano belle [...] queste qualità traspariscono nettamente nella battaglia finale [...]. Perché questa differenza di stile? La risposta è semplice e si riduce a due parole: Riccardo Freda. In effetti quest’ultimo rimpiazza l’ipotetico regista dell’inizio per dirigere la fine, riuscendo a ‘piazzare’ il suo abituale omaggio a Eisenstein ed a salvare il film dal disastro»4 . Un salto indietro di quasi mille anni e ci troviamo alla corte di Alboino nel film di Carlo Campogalliani, sempre del 1961, Rosmunda e Alboino. Si tratta della arcinota storia di Rosmunda e della lotta fra Goti e Longobardi e della fine di Alboino. Aprofittando della presenza in Italia di Jack Palance, reduce dalle riprese de I mongoli, Campogalliani affida all’attore americano la parte di Alboino e a Eleonora
2
G. Ciaccio, ivi. in «Nuovo Spettatore Cinematografico», n. 30/31, apr. 1962. 4 Bernard Tavernier, in «Cinema 61», dic. 1961. 3 Anonimo,
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I figli del Nord e della steppa
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Rossi Drago quella di Rosmunda. Il film nonostante la presenza dell’attore americano e i soldi della coproduzione hollywoodiana, anche se non accreditata, non eccelle. Nello stesso anno le lotte fra Circassi e Kirghisi trova spazio nel film di Primo Zeglio Le sette sfide. Questa volta i due contendenti sono Ivan, Ed Fury – al secolo Edmund Holovick – e Amok, Furio Meniconi che si combatteranno fino ad uccidersi a vicenda. A goderne è il terzo personaggio Kir, Gabriele Antonini. Una favola mal raccontata, un po’ violenta, e recitata alla meno peggio. I Tartari ritornano con il film omonimo di Ferdinando Baldi, ancora del 1961, che per fare di più di chi lo ha preceduto, coinvolge nel film attori come Orson Welles e Victor Mature. Si tratta della lotta fra i Vichinghi del Volga capeggiati da Burundai, interpretato da Orson Welles e i Tartari comandati da Victor Mature nelle vesti di Oleg, ma nonostante lo sfoggio di attori celebri, il cinemascope, i colori vivaci e le musiche roboanti di Renzo Rossellini, il film non esce dalla solita routine. Rimanendo ancora nelle steppe asiatiche Giacomo Gentiluomo dirige una coproduzione con la Francia in cui il cast internazionale ancora una volta non basta a fare del film un buon prodotto. Ci riferiamo a Mel Ferrer, Yvonne Furneaux e alla bella Leticia Roman, ne I lancieri neri del 1962, che «si mostrano completamente inespressivi». Dello stesso anno è il film di Piero Regnoli Il re Manfredi, un film scadente e interpretato in modo dilettantesco da attori come Moira Orfei, Ken Clark e Gérard Landry che prende in giro la storia, pur di fare spettacolo, senza riuscire a convincere nessuno, neanche gli spettatori di bocca buona. Sullo stesso registro è il film di Tanio Boccia I predoni della steppa del 1964, sempre con l’incredibile Moira Orfei e con Kirk Morris, pseudonimo di Adriano Bellini, coinvolti in una storia per nulla originale, mal condotta e altrettanto mal interpretata. Ritorniamo in Scandinavia con il film Erik il vichingo di Mario Caiano del 1965. Il film, che questa volta coinvolge due cugini anziché due fratelli come nei film precedenti sui Vichinghi, vede Giuliano Gemma e Gordon Mitchell impegnati nei ruoli principali. Se non fosse per alcune fondamentali incongruenze come il fatto che l’America, pur non essendo ancora stata scoperta è parte dell’ambientazione della storia – forse perché «gli autori del film hanno già visto parecchi western», come rileva Dupuich, in «Saison ’72» – resta comunque apprezzabile la ricostruzione scenografica, soprattutto negli esterni e l’esuberante, ma simpatica interpretazione dell’eclettico Gemma. Ancora i Vichinghi sono i protagonisti della pellicola di Emimmo Salvi Il tesoro della foresta pietrificata, dello stesso anno. I guerrieri scandinavi calano verso Sud, nella Foresta Nera, per cercare la spada d’oro e il tesoro dei Nibelunghi, ma questi ultimi sono custoditi e difesi da Sigmund e da Brunilde, regina delle Valchirie, che sono protetti dal Dio Wotan. A voglia Hunding di provarci a prendere il tesoro, ma se ne pentirà amaramente. Questa leggenda nibelungica vede di nuovo impegnato Gordon Mitchell nel ruolo del vichingo Hunding, mentre i ruoli di Sigmund e di Brunilde sono affidati rispettivamente a Ivo Payer e Pamela Tudor, ma dalla regia, alla recitazione e all’ambientazione, tutto è assai poco convincente.
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Capitolo sesto
IL TERRORE DEI BARBARI di Carlo Campogalliani
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Anno di edizione 1959 Produzione: Standard Produzione; Direttore di produzione: Antonio Greco; Soggetto: Emimmo Salvi, Gino Mangini; Sceneggiatura: Gino Mangini, Nino Stresa, Carlo Giuseppe Taffarel, Campogalliani; Aiuto-regia: Romolo Girolami, Sergio Bergonzelli; Fotografia: Adalberto Albertini; Montaggio: Franco Fraticelli; Suono: Piero Ortolani, Bruno Moreal; Scenografia: Oscar D’Amico; Arredamento: Camillo Del Signore, Emilio D’Andria; Costumi: Giorgio Desideri, Giovanna Natili; Musica: Carlo Innocenzi; Direzione musicale: Franco Ferrara; Interpreti: Steve Reeves, Chelo Alonso, Giulia Rubini, Luciano Marin, Livio Lorenzon, Arturo Dominici, Furio Meniconi, Carla Calò, Fabrizio Capucci, Gino Scotti, Amedeo Trilli, Ugo Sasso, Renato Terra, Carla Foscari, Andrea Checchi, Bruce Cabot; Durata: 93’. Produzione realizzata negli Studi Incir-De Polis di Roma. LA STORIA: Nell’anno 568 d.C., Alboino, re dei Longobardi, invade e soggioga l’Italia settentrionale. La popolazione è fatta segno a barbariche violenze. Tra i superstiti dei massacri c’è Emiliano, uomo dotata di forza erculea che, per vendicare le violenze, i soprusi e gli eccidi, si dà alla macchia con pochi seguaci per lottare contro gli invasori. A causa della sua forza fisica riesce ben presto ad impressionare i guerrieri del Duca Delfo, governatore della regione, seminando fra loro un terrore superstizioso. La fama delle gesta di Emiliano giunge fino a Re Alboino, che ordina la cattura del ribelle. Emiliano però si innamora della figlia di Delfo e in lui nasce un conflitto interiore. Per ottenere la salvezza di alcuni ostaggi si costituisce al nemico. L’amore di Landa per il giovane ribelle induce Delfo ad un atto di indulgenza; lascia libero Emiliano, ma paga con la vita il suo nobile gesto. I superstiti del villaggio, riuniti intorno ad Emiliano e Landa, varcano i confini e lasciano per sempre la loro terra. LA CRITICA: «Il film di Campogalliani riapre la grande stagione dei film storico-mitologici in versione muscolare, un filone del cinema italiano apprezzatissimo dal pubblico già ai tempi del muto. E sono proprio queste prime opere a offrire il massimo splendore, per ambientazioni, costumi e perizia tecnica […]. Va riconosciuto che grande merito hanno anche i protagonisti, tutti all’altezza delle aspettative della platea. Nel Terrore dei barbari all’emergente Steeve Reeves, culturista di bellissimo aspetto, si affiancano i ben piazzati (e più espressivi) Bruce Cabot e Livio Lorenzon, e soprattutto Chelo Alonso, una ballerina cubana dal fisico e dal volto singolarmente moderni». (Massimo Moscati, Il terrore dei barbari, in «Kolossal. Il cast, le scene, le curiosità», n. 41, Fabbri Editori, Milano 2002).
LA FURIA DEI BARBARI di Guido Malatesta Anno di edizione 1960 Produzione: Arion; Produttore: Mario Bartolini, Giuliano Simonetti; Direttore di produzione: Michelangelo Ciafré; Supervisione-regia: Gino Mangini; Soggetto: Gino Mangini; Sceneggiatura: Gino Mangini, Umberto Scarpelli; Fotografia: Vincenzo Seratrice; Montaggio: Mario Sansoni; Suono: Mario Bartolomei; Scenografia: Pier Vittorio Marchi, Alfonso Russo; Arredamento: Pier Vittorio Marchi, Alfonso Russo; Costumi: Giorgio Desideri; Maestro
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I figli del Nord e della steppa
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d’armi: Andrea Fantasia; Musica: Gian Stellari, Guido Robuschi; Interpreti: Edmund Purdom, Rossana Podestà, Livio Lorenzon, Daniele Vargas, Andrea Fantasia, Vittoria Febbi, Amedeo Novelli, Nicola Stefanini, Giulio Massimini, Raffaella Pelloni, Luciano Marin, Ljubica Jovic, Simonetta Simeoni; Durata: 102’. Produzione realizzata negli Studi Interstudio di Roma e, in esterni, in Jugoslavia. OSSERVAZIONI: Amedeo Novelli è lo pseudonimo di Amedeo Trilli, mentre Raffaella Pelloni è il vero nome di Raffaella Carrà. LA STORIA: Siamo nel 568 d.C., Kovo, capo del villaggio di Ruter, violenta e uccide la moglie di Toryok, capo del villaggio di Nyssia, poi fugge e si unisce ai longobardi di Alboino in marcia verso l’Italia. Due anni dopo, Kovo ritorna a Ruter con Lianora, bella fanciulla veronese, ed una schiera di longobardi. Toryok, che ha sempre pensato alla vendetta, scatena la guerra e distrugge il villaggio di Ruter. Kovo circonda Nyssia con le sue schiere. Disgustata dalla violenza di Kovo, Lianora tenta di lasciarlo, ma egli la trattiene con la forza. Una notte Toryok cattura Lianosa e le orde di Kovo, per liberarla, attaccano Nyssia. L’attacco è respinto a fatica ma la madre e il fratello di Toryok rimangono uccisi. Allora Toryok, per costringere Kovo a battersi con lui, minaccia di uccidere Lianora. Kovo accetta la sfida ma viene ucciso. I longobardi lasciano Nyssia; tornata la pace tra Lianora e Toryok fiorisce l’amore. LA CRITICA: «È uno dei tanti film in costume, che presenta una semplice e poco originate vicenda, in un ipotetico ambiente barbaro. Ingenua la regia, modesta la recitazione: qualche seena di massa, ricca di movimento, non sembra sufficiente a giustificare l’arruffata trama». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLVIII, Anno 1960, Roma 1960, p. 185). LA REGINA DEI TARTARI di Sergio Grieco Anno di edizione 1960 Produzione: Columbus Film, Comptoir Français du Film; Produttore: Italo Zingarelli, Ancleto Fontini; Direttore di produzione: Italo Zingarelli; Soggetto: Marcello Ciorciolini, Rate Furlan; Sceneggiatura: Marcello Ciorciolini, Rate Furlan; Aiuto-regia: Mario Caiano; Fotografia: Alfio Contini; Montaggio: Enzo Alfonsi; Suono: Franco Groppioni; Scenografia: Alberto Boccianti; Costumi: Mario Giorsi; Musica: Bruno Canfora; Interpreti: Chelo Alonso, Jacques Sernas, Folco Lulli, Chiquita Coffelli, Piero Lulli, Andrea Scotti, Pietro Tordi, Philippe Hersent, Raf Baldassare, Mario Petri; Durata: 100’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo dell’edizione francese è La reine des Barbares. LA STORIA: Due tribù tartare: quella dei Balas, capeggiata da Igor e quella dei Neri, capeggiata da Malock, sono in perenne lotta. Malock si innamora, respinto, di Tania, donna guerriera alleata dei Balas. Il tentativo di conquistare la città fortificata di Kwarizim va a vuoto varie volte, causando la morte di molti guerrieri Balas, tra cui Igor e il fratello minore Chagatai. Un ennesimo assalto guidato da Tania avrebbe risultati catastrofici se non intervenisse Malock con la sua tribù. Conseguita la vittoria, Tania si unirà a lui.
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Capitolo sesto
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LA CRITICA: «I Tartari infuriano e saccheggiano le terre conquistate, guidati dalla bella regina; ruscirà a fermarla solo l’amore per uno dei soliti fusti di cartapesta». (Anonimo, in «Nuovo Spettatore Cinematografico», n. 28/29, feb. 1962). L’ULTIMO DEI VICHINGHI di Giacomo Gentilomo Anno di edizione 1960 Produzione: Tiberius Film, Criterion Film; Soggetto: Arpad De Riso, Luigi Mondello, Guido Zurli; Sceneggiatura: Arpad De Riso, Guido Zurli, Giacomo Gentilomo; Aiuto-regia: Giancarlo Marmol; Fotografia: Enzo Serafin; Montaggio: Gino Talamo; Scenografia: Saverio D’Eugenio; Costumi: Maria Luisa Panaro; Maestro d’armi: Benito Stefanelli; Musica: Roberto Nicolosi; Interpreti: Cameron Mitchell, Edmund Purdom, Isabelle Corey, Hélène Remy, Andrea Aureli, Aldo Bufi Landi, Nando Tamberlani, Corrado Annicelli, Mario Feliciani, Nando Angelini, Carla Calò, Giorgio Ardisson, Piero Lulli, Benito Stefanelli; Durata: 95’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo della versione francese è Le dernier des Vikings. LA STORIA: Nell’VIII secolo d.C., con la nave carica di bottino, Harald ed il suo più giovane fratello Guntar tornano in patria. Qui però un usurpatore, Sveno, dopo aver ucciso il loro padre e dispersi i vichinghi, s’è rinchiuso nel suo inaccessibile castello. Egli progetta di rafforzare il proprio potere facendo sposare la propria sorellastra Hilde col re di Danimarca. Harald si presenta al castello di Sveno con l’identità dell’ambasciatore danese Godruno ch’egli ha fatto prigioniero. Ma l’ambizioso e crudele Haakon, libera Godruno e riduce in fin di vita Guntar che tentava di avvertire il fratello del pericolo. Harald, scoperto, riesce a fuggire dal palazzo di Sveno e a liberare il fratello Guntar in tempo perché il giovane, prima di morire, gli riveli il tradimento di Haakon. Harald, dopo aver ucciso il traditore, assalta il castello di Sveno, lo espugna ed uccide l’usurpatore. Potrà quindi rientrare in possesso del regno avito e sposare Nilde. LA CRITICA: «Avvalendosi saprattutto del facile fascino dei costumi e della vivacità di frequenti battaglie, botte e duelli, il film non manca di qualche interesse spettacolare, anche se il tono generale sia generico e superficiale. La recitazione e la regia non escono dai limiti di un sufficiente mestiere». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLIX, Anno 1961, Roma 1961, p. 86). GLI INVASORI di Mario Bava Anno di edizione 1961 Produzione: Galatea Film, S. C. Lyre, Criterion Film; Direttore di produzione: Massimo De Rita ; Soggetto: Oreste Biancoli, Piero Pierotti, Mario Bava; Sceneggiatura: Oreste Biancoli, Piero Pierotti, Mario Bava; Aiuto-regia: Francesco Prosperi, Teodoro Ricci; Fotografia: Mario Bava; Montaggio: Mario Serandrei; Suono: Roberto Mattioli; Scenografia: Giorgio Giovan-
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I figli del Nord e della steppa
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nini; Arredamento: Massimo Tavazzi; Costumi: Mario Giorsi, Tina Loriedo Grani; Musica: Roberto Nicolosi; Direzione musicale: Pier Luigi Urbini; Interpreti: Cameron Mitchell, Alice Kessler, Ellen Kessler, Giorgio Ardisson, Andrea Checchi, Jacques Delbò, Franco Giacobini, Raffaele Baldassarre, Enzo Doria, Gianni Solaro, Franco Ressel, Livia Contardi, Folco Lulli, Françoise Cristophe; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Titanus Appia di Roma. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo della versione francese è La ruée des Vikings. LA STORIA: I Vichinghi, vengono sconfitti dai britanni, ed il loro Re, Harald, cade in combattimento. Dei due figli, Iron ed Erich, il primo, viene salvato dalla sua gente, mentre il secondo, raccolto dalla Regina di Britannia, Alice, viene da questa adottato. Vent’anni dopo, Iron marcia alla testa dei Vichinghi contro la Britannia. Erich, nominato duca di Helford, assume il comando della flotta della Regina. Nel corso di un duello fra i due, da un tatuaggio che portano sul petto si accorgono di essere fratelli. Ma mentre esultano per l’incontro, un sicario colpisce a morte con una freccia Iron. Questi muore, ed Erich sostituisce il fratello nel comando dei Vichinghi. LA CRITICA: «Un film avventuroso dagli sviluppi tanto scontati quanto improbabili realizzato senza eccessivo impegno. L’autore si e rifatto a clichés ben noti sfruttando tutti gli ingredienti tipici del genere. Discreta l’interpretazione, buona la fotografia a colori». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LI, Anno 1962, Roma 1962, p. 35). I MONGOLI di Leopoldo Savona Anno di edizione 1961 Produzione: Royal Film, France Cinema Production; Produttore: Guido Giambartolomei; Direttore di produzione: Carlo Bessi; Regia scene di battaglia: Riccardo Freda; Supervisione-regia: André De Toth; Soggetto: Ugo Guerra, Luciano Martino, Ottavio Alessi, Alessandro Ferrau; Sceneggiatura: Ugo Guerra, Luciano Martino, Ottavio Alessi, Alessandro Ferraù; Aiuto-regia: Alberto Cardone; Fotografia: Aldo Giordani, Renato Del Frate; Montaggio: Otello Colangeli; Suono: Leopoldo Rosi, Roy Mangano, Sandro Ochetti; Scenografia: Ottavio Scotti; Arredamento: Arrigo Breschi; Costumi: Enzo Bulgarelli; Musica: Mario Nascimbene; Direzione musicale: Franco Ferrara; Interpreti: Jack Palance, Anita Ekberg, Antonella Lualdi, Franco Silva, Roldano Lupi, Gabriella Pallotta, Pierre Cressoy, Gabriele Antonini, George Wang, Laurence Montaigne, Gianni Garko; Durata: 115’. Produzione realizzata negli Studi De Laurentiis Cinematografica e, in esterni, a Belgrado. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo della versione francese è Les mongols. LA STORIA: Nel 1420, sotto la minaccia dell’invasione mongola, una dieta di principi, riunita a Varsavia, propone ai Mongoli ogni diritto sulle terre già da loro conquistate purché rinuncino ad altre pretese. Stefano di Cracovia viene incaricato di trattare con gli invasori. In assenza di Gengis Khan suo figlio Ogotai, su istigazione della ambiziosa Huluna, respinge
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Capitolo sesto
ogni proposta. A stento Stefano sfugge ad un attentato e si mette in cerca del campo di Gengis Khan, ma viene ferito dai mongoli e viene salvato da alcuni pastori. Finalmente, rimessosi, Stefano trova il condottiero mongolo, che è disposto a trattare, ma ogni speranza è delusa: infatti per impedire ogni trattato di pace Ogotai uccide il padre. È la guerra. Dopo alterne vicende, Stefano di Cracovia attira le orde di Ogotai in una palude e gran parte dei cavalieri mongoli muore affogata compresa la perfida Huluna. Ogotai vistosi sconfitto si suicida. Stefano, vincitore, rientra a Varsavia alla testa dell’esercito vittorioso. LA CRITICA: «I mongoli […], diretto da Leopoldo Savona con la supervisione dell’americano Andre de Toth, è una superproduzione in cinemascope, non priva di una grossolana efficacia spettacolare e di un certo ritmo nelle scene di battaglia tra le scatenate orde asiatiche (condotte da Jack Palance nelle vesti del figlio di Gengis Khan) ed i “resistenti” polacchi, avampasto della civiltà europea e cristiana; ma è opera del tutto inadatta a una competizione culturale, destinata com’è chiaramente al sollazzo delle platee popolari di tutto il mondo». (Guido Cincotti, in «Bianco e Nero», n. 7/8, ago. 1961) ROSMUNDA E ALBOINO di Carlo Campogalliani Anno di edizione 1961 Produzione: Titanus; Direttore di produzione: Renato Parravicini; Soggetto: Paola Barbara, Primo Zeglio; Sceneggiatura: Roberto Gianviti, Alessandro Ferraù; Aiuto-regia: Ettore Fizzarotti, Luigi Petrini, Teodoro Ricci; Fotografia: Raffaele Masciocchi; Montaggio: Mario Serandrei; Suono: Giulio Tagliacozzo; Scenografia: Giorgio Giovannini; Arredamento: Massimo Tavazzi; Costumi: Giuliana Ghidini; Maestro d’armi: Ferdinando Poggi; Musica: Carlo Rustichelli; Direzione musicale: Carlo Savina; Interpreti: Jack Palance, Eleonora Rossi Drago, Guy Madison, Carlo D’Angelo, Edy Vessel, Andrea Bosic, Ivan Palance, Vittorio Sanipoli, Raf Baldassarre, Guido Celano, Guido Manfrino, Lamberto Antinori, Roberto Altamura, Calisto Calisti, Edda Ferronao, Elio Folgaresi, Franco Jamonte, Renato Mori, Amina Pirani-Maggi, Robert Hall, Barbara Nardi, Walter Grant, Alfredo Marchetti, Vittorio Vaser, Spartaco Nale, Aldo Pini, Wladimiro Picciafuochi, Nicola Solari, Vladimiro Tuicovich, Olga Romanelli, John Camel, Giovanni Vari, Elio Bonadonna, Angelo Boscariol, Mario De Persio, Vittorio Cuocolo; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Stabilimenti della Titanus. LA STORIA: Per non aver evitato la rovinosa battaglia contro i longobardi, il gepido Amalchi viene accusato di tradimento dal suo re Cunimondo e rimosso dal grado. Il capo dei longobardi, Alboino, pago della vittoria, desidera allearsi con i Gepidi per muovere guerra a Roma. Come pegno di tale alleanza Alboino chiede in sposa Rosmunda la quale, pur essendo moglie di Amalchi dal quale ha avuto un figlio, accetta la proposta per il bene della propria gente. In un torneo è però ucciso il fratello di Alboino. Irato, il longobardo, che ignora che l’uccisione è stata tramata da un consigliere di Cunimondo in combutta con Bisanzio, fa strage dei Gepidi e costringe Rosmunda al matrimonio. Ma Amalchi, riunite le disperse tribù del suo popolo, assale d’improvviso la reggia dei longobardi ed uccide Alboino. LA CRITICA: «I lontani eventi stortci, tema del film, non han suggerito ai realizzatori altro che le consuete disgressioni romanzesche ed avventurose, superficiali e prevedidili, ravvivate alla meglio dalla facile spettacolarità di scene e di costumi». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. L, Anno 1961, Roma 1961, p. 128).
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I figli del Nord e della steppa
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LE SETTE SFIDE di Primo Zeglio
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Anno di edizione 1961 Produzione: Adelphia Compagnia Cinematografica, Dubrava Film; Produttore: Emimmo Salvi; Direttore di produzione: Roberto Onori; Soggetto: Emimmo Salvi; Sceneggiatura: Sabatino Ciuffini, Sergio Leone, Ambrogio Molteni, Roberto Natale, Emimmo Salvi, Giuseppe Taffarel, Primo Zeglio; Aiuto-regia: Giuliano Betti; Fotografia: Adalberto Albertini; Montaggio: Franco Fraticelli; Suono: Bruno Moreal; Scenografia: Oscar D’Amico; Arredamento: Camillo Del Signore; Costumi: Giovanna Del Chiappa; Maestro d’armi: Bruno Ukmar; Musica: Carlo Innocenzi; Direzione musicale: Franco Ferrara; Interpreti: Ed Fury, Elaine Stewart, Roldano Lupi, Furio Meniconi, Gabriele Antonini, Paola Barbara, Omero Gargano, Beila Cortez, Franco Ukmar, Sergio Ukmar, Bruno Ukmar, Rela Basic, Renato Terra Caizzi; Durata: 96’. Produzione realizzata in esterni a Zagabria e dintorni. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-jugoslava. LA STORIA: Il Khan, stanco delle dispute tra Ivan capo dei Circassi, e Amok, capo dei Kirghisi, impone ai due rivali sette sfide: colui che ne uscirà vincitore avrà la supremazia sul rivale. Ivan riesce a superare tutte le prove e mentre sta per uccidere Amok, viene colpito a tradimento da una freccia. Prima di cadere a terra, Amok brucia il volto di Ivan con una torcia e scaglia la sua tribù contro quella di Ivan mettendola in fuga. Il Khan, nel tentativo di domare la rivolta, viene ucciso da Amok che cattura Kir, il fratello di Ivan, e lo rinchiude nelle carceri del palazzo, dov’è rinchiusa anche Suani, figlia del Khan. Amok autaproclamatosi Khan, cerca di convincere Suani a diventare sua moglie, ma Suani rifiuta e riesce a far fuggire Kir. Frattanto Ivan, curato da Tamara, una schiava che lo ama, si è nascosto sulle montagne e tutte le tribù lo proclamano loro capo. Amok trova il nascondiglio di Ivan e uccide Tamara. Ivan, accecato dall’odio, si getta all’inseguimento di Amok e lo uccide. Anche Ivan rimane ferito mortalmente, ma prima di morire affida a Kir il comando di tutte le tribù e Suani, salita sul trono, lo vorrà al suo fianco. LA CRITICA: «È uno dei tanti film del genere pseudo storico, che presenta una vicenda piuttosto elementare, in un ipotetico ambiente barbaro. Numerose scene di massa, ricche di movimento, non sono del tutto sufficienti a rendere qualitativamente buona la pellicola». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLIX, Anno 1961, Roma 1961, p. 224). I TARTARI di Ferdinando Baldi Anno di edizione 1961 Produzione: Lux Film, Dubrava Film; Direttore di produzione: Renato Jaboni, Elios Vercelloni; Supervisione-regia: Richard Thorpe; Soggetto: Domenico Salvi, Sabatino Ciuffini, Oreste Palella, Gaio Fratini, Ambrogio Molteni; Sceneggiatura: Domenico Salvi, Sabatino Ciuffini, Oreste Palella, Gaio Fratini, Ambrogio Molteni; Aiuto-regia: Giorgio Gentili, Ambrogio Molteni; Fotografia: Amerigo Gengarelli; Montaggio: Maurizio Lucidi; Suono: Kurt Doubrawsky; Scenografia: Pasquale Dal Pino, Oscar D’Amico; Arredamento: Antonio Fra-
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Capitolo sesto
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talocchi; Costumi: Giovanni Natili; Maestro d’armi: Franco Fantasia; Effetti Speciali: Costel Grozea; Musica: Renzo Rossellini; Direzione musicale: Pier Luigi Urbini; Interpreti: Orson Welles, Victor Mature, Liana Orfei, Arnoldo Foà, Bella Cortez, Folco Lulli, Luciano Marin, Furio Meniconi, Pietro Ceccarelli, Renato Terra, Spartaco Nale; Durata: 90’. Produzione realizzata in esterni in Jugoslavia. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-jugoslava. LA STORIA: Oleg, capo dei Vichinghi dei territori bagnati dal Volga, si reca col fratello Eric nell’accampatnento dei Tartari, comandati da Togrul che propone ad Oleg un’alleanza contro gli Slavi. Il vichingo rifluta e Togrul lo colpisce. Nella furiosa rissa che ne segue, il capo dei Tartari muore. Il fratello Burundai, inferocito, dopo aver abusato di Helga, consorte di Oleg e sua prigioniera, l’abbandona alla soldataglia. A sua volta Samja, figlia di Burundai, è in mano dei Vichinghi e ci si accorda sullo scambio delle prigioniere. Ma Helga, disperata, al momento dello scambio, si getta da una torre. Oleg la raccoglie e la trasporta in un forte vichingo dove Helga muore dopo aver detto tutto al marito. Oleg, furioso, vorrebbe vendicarsi su Samja, ma il fratello Eric gli corfessa che attende un bimbo suo. Eric e Samja stanno per essere giudicati dal tribunale degli anziani, quando il forte viene assalito dai Tartari. Nella battaglia che si scatena, sia Burundai che Oleg muoiono, ma Eric e Samja troveranno la salvezza su una nave vichinga. LA CRITICA: «Il film affida esclusivamente le sorti agli elementi spettacolari e platealmente suggestivi dell’avventurosa vicenda, senza però uscire dai limiti di quella genericità e superficialità che caratterizzano il più delle volte opere appartenenti a questo genere». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLIX, Anno 1961, Roma 1961, p. 207). I LANCIERI NERI di Giacomo Gentilomo Anno di edizione 1962 Produzione: Royal Film, France Cinema Production; Produttore: Guido Giambartolomei; Soggetto: Ugo Guerra, Luciano Martino, Ottavio Alessi; Sceneggiatura: Ugo Guerra, Luciano Martino, Ottavio Alessi; Aiuto-regia: Renzo Cerrato; Fotografia: Raffaele Masciocchi; Montaggio: Otello Colangeli; Suono: Mario Morigi, Giovanni Rossi, Sandro Occhetti; Scenografia: Piero Filippone; Arredamento: Luigi Gervasi; Costumi: Mario Giorsi; Effetti Speciali: Eugenio Ascani; Musica: Mario Nascimbene; Direzione musicale: Pier Luigi Urbini; Interpreti: Mel Ferrer, Yvonne Furneaux, Leticia Roman, Jean Claudio, Lorella De Luca, Arturo Dominici, Nando Tamberlani, Annibale Ninchi, Franco Silva, Renato De Carmine, Mirko Ellis, Claudio Biava, Remo De Angelis, Giulio Battiferri, Umberto Raho; Durata: 95’. Produzione realizzata negli Studi Titanus Farnesina di Roma e, in esterni, in Jugoslavia. OSSERVAZIONI: Produzione italo-francese. Il titolo della versone francese è Les lanciers noires. LA STORIA: Sergio di Tula, che aspira a succedere al re Stefano III, raggiunge la città di Dubno con l’intento di ottenere da Jassa, la regina dei Kirghisi, la liberazione della bella principessa Mascia. Jassa gli annuncia che Mascia è morta in un tentativo di fuga, quindi lo
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I figli del Nord e della steppa
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seduce e gli offre il comando dell’esercito kirghiso. Frattanto Andrea, fratello di Sergio, ha ottenuto dal re Stefano III il comando del suo esercito e raggiunge a Dubno il fratello. Ma qui giunto viene arrestato per ordine di Jassa. Andrea in prigione incontra Mascia che è ancora viva, ma prigioniera di Jassa. Riuscito a fuggire, Andrea, al comando delle sue truppe, sconfigge l’esercito guidato dal fratello. Sergio, prima di morire riconosce il suo tradimento. La pace torna nel regno di Stefano e Mascia e Andrea si sposano. LA CRITICA: «Grandi mezzi e poco d’altro è ciò che ci offre la pellicola che commentiamo. Non basta certo la spettacolarità a redimere un prodotto basato esclusivamente su di essa. [...] Gli interpreti, di un certo rendimento in altre occasioni [...] si mostrano qui completamente inespressivi». (J. Picas, in «Fotogramas», n. 934, 9 set.1966). IL RE MANFREDI di Piero Regnoli Anno di edizione 1962 Produzione: Retix Cinematografica; Soggetto: Paolo Lombardo; Sceneggiatura: Paolo Lombardo, Piero Regnoli; Aiuto-regia: Paolo Lombardo; Fotografia: Vitaliano Natalucci; Montaggio: Enzo Alfonsi; Suono: Bruno Moreal; Scenografia: Ivo Battelli; Arredamento: Camillo Del Signore; Costumi: Maria Luisa Panaro; Musica: Aldo Piga; Interpreti: Ken Clark, Moira Orfei, Gérard Landry, Piero Lulli, Renata Monteduro, Carla Calò, Joe Kamel, Nino Musco, Daniela Regnoli, Beryl Cunningham, Aldo Peri, Piero Leri, Anita Berti, Vittorio Andrè, Gianni Loti, Renato Navarrini; Durata: 90’. OSSERVAZIONI: Il film uscì nel 1962 con scarso successo di pubblico. Rieditato nella stagione 1963/ 64 col titolo Lo sterminatore dei barbari, non ebbe miglior esito. LA STORIA: Alla morte del re tedesco, il Consiglio dell’impero invia in Italia Berthold di Staufenholer, per assumere la reggenza in nome di Alberico, il giovanissimo erede. Il principe Manfredi, contrariato da questi avvenimenti, rimanda Berthold in Germania e trattiene sua figlia Grenda, quale ostaggio. La donna per vendicarsi, convince Riccardo di Casale, luogotenente di Manfredi, a far credere al suo capo che Alberico è morto e che pertanto, per diritto di successione, egli può ascendere al trono. Il Consiglio dell’impero interviene e Alberico scende in Italia per eliminare Manfredi che viene sconfitto insieme ai suoi alleati. Solo il suo fedele scudiero, Astolfo, riesce a salvarsi e con un gruppo d’insorti affronta e punisce il traditore Riccardo. LA CRITICA: «Si tratta di un modestissimo lavoro che sembra igorare le pur interessanti vicende storiche da cui prende l’avvio per soffermarsi su abusati pretesti sentimentali ed avventurosi. Del tutto insufficiente l’interpretazione e scadente il colore». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LV, Anno 1964, Roma 1964, p. 194). I PREDONI DELLA STEPPA di Amerigo Anton Anno di edizione 1964
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Capitolo sesto
Produzione: Cineluxor; Produttore: Luigi Rovere; Direttore di produzione: Renato Panetuzzi; Soggetto: Mario Moroni; Sceneggiatura: Mario Moroni, Amerigo Anton; Aiuto-regia: Mario Casalini; Fotografia: Aldo Giordani; Montaggio: Tanio Boccia; Suono: Luigi Puri; Scenografia: Carlo Agate, Angelo Zambon; Costumi: Walter Patriarca; Effetti Speciali: Eugenio Ascani; Musica: Carlo Rustichelli; Interpreti: Kirk Morris, Moira Orfei, Ombretta Colli, Daniele Vargas, Giulio Donnini, Ugo Sasso, Peter White, Attilio Dottesio, Anna Mazzelli, Luigi Scavran, Sina Scarfoni, Gabriella Schettini, Franco Pechini, Claudio Mazzulli, Marco Pasquini, Furio Meniconi; Durata: 95’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. OSSERVAZIONI: Amerigo Anton è lo pseudonimo di Tanio Boccia e Kirk Morris quello di Adriano Bellini. LA STORIA: Sandar, capo di una tribù di predoni, rapisce Samira, figlia di Yesen e promessa sposa del potente Altan, per ottenere un grosso riscatto, ma i predoni cadono in un’imboscata tesa dai soldati di Yesen. Sandar, insieme con il fido Kublay e Samira, riesce però a mettersi in salvo. Innamorato della fanciulla, Sandar restituisce Samira al padre, ma Yesen invia la figlia ad Altan il quale, per tutta risposta, s’impadronisce di tutti i territori di Yesen. Sandar intanto, alla ricerca di Samira, viene arrestato. Kublay lo libera mentre Altan cerca di conquistare la città di Khotan. Sandar sfida a duello Altan e lo uccide. Yesen, morente, designa Sandar suo successore e dà il suo eonsenso alle nozze con Samira. LA CRITICA: «Condotto sulla falsariga delle precedenti, analoghe produzioni, questo film procede stancamente senza trovare nuovi elementi narrativi che possano suscitare un sia pur minimo interesse. Regia ed interpretazione assai modeste». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LVI, Anno 1964, Roma 1964, p. 18). ERIK IL VICHINGO di Mario Caiano Anno di edizione 1965 Produzione: Nike Cinematografica, AS films Producción; Produttore: Luigi Mondello, Josb Maria Ramos; Soggetto: Arpad De Riso, Nino Scolaro; Sceneggiatura: Arpad De Riso, Nino Scolaro; Aiuto-regia: Angelo Sangermano, Francisco Ariza; Fotografia: Enzo Barboni; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Suono: Umberto Picistrelli; Scenografia: Luciano Vincenti; Arredamento: Bruno Cesari; Costumi: Maria Luisa Panaro; Musica: Carlo Franci; Interpreti: Gordon Mitchell, Giuliano Gemma, Eli Mc White, Elisa Montes, Eduardo Fajardo, Beni Deus, Lucio De Santis, Fedele Gentile, Alfio Caltabiano, Al Parker, Roland Gray, Aldo Pini, Roby Ceccacci, Fortunato Arena, Gianni Solaro, Franco Morici, Aldo Bufi Landi, Carrol Brown, Erno Crisa; Durata: 95’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà e, in esterni, in Spagna. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-spagnola. L’edizione spagnola è intitolata Erik, el vikingo. Eli Mc White è lo pseudonimo di Eleonora Bianchi e Carrol Brown quello di Carla Calò. LA STORIA: Alla morte del re dei Vichinghi il potere passa al figlio di lui, il vile e subdolo Eiolf, ed al coraggioso e audace cugino Erik. A causa dei soprusi del re danese sulla popolazione vichinga, Erik decide di cercare una nuova terra al di là del grande mare. Dopo una
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I figli del Nord e della steppa
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lunga ed avventurosa navigazione, il gruppo di vichinghi, fra i quail sono anche due sicari di Eiolf incaricati di ucciderlo, Erik sbarca sul continente americano. Qui stabilisce amichevoli relazioni con una tribù indigena, ma suscita le ire di un capo indiano a causa di una principessa della tribù. Numerosi sono gli ostacoli causati dalle malvage trame dei due sicari di Eiolf che, per la loro avidità di oro, causeranno l’insuccesso della spedizione. Tornato in patria, Erik accusa Eiolf delle sue sinistre intenzioni e questi troverà la morte al termine di una disperata fuga. LA CRITICA: «Il film, costruito secondo le regole piuttosto disinvolte e superficiali che caratterizzano il filone pseudo-storico, presenta la sua unica novità nell’ambientazione di personaggi vichinghi in territori dell’ancora non scoperta America. Regia ed interpretazione sono di modesta qualità». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LVII, Anno 1965, Roma 1965, p. 106). IL TESORO DELLA FORESTA PIETRIFICATA di Emimmo Salvi Anno di edizione 1965 Produzione: Asteria Film, Olga Chart; Produttore: Emimmo Salvi, Olga Chart, Piera Fea; Direttore di Produzione: Antonio Raffa; Soggetto: Emimmo Salvi; Sceneggiatura: Luigi Tosi, Adriano Antonelli, Benito Ilforte, Emimmo Salvi; Aiuto-regia: Piero Nuccorini, Graziella Marsetti; Fotografia: Mario Parapetti; Montaggio: Enzo Alfonsi; Suono: Pietro Ortolani; Scenografia: Peppino Ranieri; Arredamento: Tonino Fratalocchi; Costumi: Giovanna Natili, Raffaele Simonella; Maestro d’armi: Pietro Ceccarelli; Musica: Ralf Ferraro e “La cavalcata delle Walkirie” di Richard Wagner; Interpreti: Gordon Mitchell, Ivo Payer, Eleonora Bianchi, Pamela Tudor, Mike Moore, Nat Koster, Puccio Ceccarelli, Franco Doria, Attilio Severini, Franco Beltramme, Lella Cattaneo, Giorgio Tesei, Ivan Scratuglia, Luisa Rivelli; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Studi Incir-De Paolis di Roma. OSSERVAZIONI: Mike Moore è lo pseudonimo di Amedeo Trilli. LA STORIA: Il Dio Wotan ha affidato al forte Sigmund e a Brunilde, la regina delle Walchirie, il compito di difendere la spada d’oro e il tesoro dei Nibelunghi. Un esercito di Vichinghi, capeggiato da Hunding, attraversa la Foresta Nera, e, dietro i suggerimenti della strega Odrun, avanza verso la Valle Pietrificata dove sono custoditi la spada d’oro e il tesoro dei Nibelunghi. Sigmund inizia a combattere con tutte le sue forze, ma Hunding lo costringe a ritirarsi nella valle. Siglinde, una vichinga innamorata di Sigmuud, lo segue ovunque, suscitando la gelosia della sorella Erika, che fa catturare i due con uno stratagemma. Sigmund, liberato dai Nibelunghi, si rifugia nella Valle Pietrificata e la difende dagli attacchi dei Vichinghi, aiutato dalle Walchirie. Hunding in un duello con Sigmund, resta ucciso. LA CRITICA: «Il film, vagamente ispirato alle leggende nibelungiche, è un fumettistico racconto in costume, dalla regia, recitazione e ambientazione assai poco convincenti. La colonna sonora, si avvale di frequente della nota “Cavalcata” wagneriana». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LVIII, Anno 1965, Roma 1965, p. 6).
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2. Viva lo Zar, abbasso lo Zar Nell’immaginario collettivo lo Zar, la Zarina, i Cosacchi, i mugichi, la steppa, la Siberia, le nevi pressoché perenni, le slitte, gli amori, i tradimenti, i duelli, sono tutti frammenti di storia tramandataci dai romanzi Guerra e pace, I Cosacchi, Anna Karenina di Lev Tolstoj, Dubrowskij di Alexander Puskin, o La steppa di Anton Čechov, oppure Taràs Bul’ba di Nikolaj Gogol’, da cui poi sono stati tratti altrettanti film. Il primo di questi film , anche se non ha l’onore di discendere da una delle opere letterarie dei grandi scrittori russi, è il dignitoso film di Mario Soldati e del co-regista russo Fedor Ozep, La principessa Tarakanova del 1938. Senza bisogno di ricalcare le adulatrici parole di Mino Doletti su «Film», non è difficile dire che si tratta di un buon film, ben diretto e ben interpretato da ottimi attori di un cast internazionale dove ben figuravano i nostri Anna Magnani, Memo Benassi, Antonio Centa, Enrico Glori e anche Alberto Sordi nella sua prima piccola interpretazione cinematografica. Nel 1949, dieci anni dopo, Jacopo Comin e il co-regista Sidney Salkov per la versione inglese, girano un remake del film col titolo La rivale dell’Imperatrice interpretato da Valentina Cortese e ancora da Antonio Centa. «La storia romanzata della Tarakanova è tornata sui nostri schermi con questo film del quale onestamente non si può dire male, poiché è stato realizzato con una certa larghezza di mezzi e perché è stato diretto con brio e spigliatezza per quanto riguarda alcune sequenze d’azione»5. Il primo però a cimentarsi con la letteratura russa è Riccardo Freda che nel 1946, con le macerie della guerra ancora per le strade, realizza Aquila nera. Si tratta di un buon film per i ragazzi (ma anche per gli adulti), ben recitato ed eccitante per coloro che erano alla ricerca disperata di eroi. Rossano Brazzi, emulo di Rodolfo Valentino che per primo portò sullo schermo l’eroe puskiniano, è l’eroe di turno che pronuncia la frase rimasta famosa che, se detta da chiunque sarebbe stata normale, pronunciata invece da quelle labbra prensili che si ritrovava, risulta infelice. Verso la fine del film infatti, togliendosi la maschera e svelandosi al suo nemico, esclama: «Sono il conte Vladimiro Dubrowskij che i vili e le canaglie chiamano Aquila Nera» e poi sfoderando la spada si getta in duello ed uccide il malvagio Petrovic, l’assassino di suo padre. Qui i ragazzotti presenti in sala si scatenavano con urla e battendo i piedi per la gioia. Il film ebbe un seguito. Nel 1951 Riccardo Freda ripropone Rossano Brazzi nelle vesti di Dubrowskij, nel film La vendetta di Aquila Nera. È vero che una storia che ha avuto successo una volta non è detto che debba per forza fare il bis, eppure, anche se un po’ stanco e privo di quell’aura di mistero che aveva il primo film, in cui il protagonista si muoveva sotto le spoglie di un pavido professore per poter poi esplodere in tutto il suo ardimento al momento opportuno, questo secondo film, con tutti gli intrighi e i colpi di scena che si susseguno, non manca di avvincere e coinvolgere il pubblico. È ancora Aquila Nera il soggetto del film di William Dieterle del 1958, Il vendicatore che aveva come sottotitolo Dubrowsky. «Ispirandosi a costruzioni ambientali e storiche ben definite e ricche di elementi avventurosi, il film, nel dipanare la sua trama, dà a questi ultimi il massimo rilievo, accentuandone 5
F. Gabella, in «Intermezzo», n. 5, 15 mar. 1951.
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I figli del Nord e della steppa
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il valore spettacolare. Alcune evidenti esagerazioni nel disegno dei caratteri e il frequente ricorso a schemi e luoghi comuni tradiscono una certa superficialità»6.Una quindicina di anni dopo Guido Malatesta ritorna sulla saga dei Dubrowskij con un quarto film, Il figlio di Aquila Nera con Mimmo Palmara nelle vesti del figlio dell’eroe, ma nonostante il film fosse ben fatto e discretamente interpretato non riscosse quel successo di pubblico che ebbero i primi tre della serie. I tempi erano decisamente cambiati: nel 1967 era già esploso il western all’italiana e Sergio Leone aveva già monopolizzato le sale con la trilogia del dollaro (Per un pugno di dolari, 1964, Per qualche dollaro in più, 1965 e Il buono, il brutto, il cattivo, 1966). A cimentarsi, questa volta con la letteratura russa, è Nunzio Malasomma che, nel 1947, porta sugli schermi il romazo Hadij Murad di Lev Tolstoj col titolo Il Diavolo Bianco. Chissà perché, ma è intuibile dal successo che l’anno precedente aveva fatto crescere il prestigio dell’attore, viene scelto per la parte del “Diavolo” Rossano Brazzi. Il film si discosta molto dal romanzo e dal precedente film di Alexandre Wolcoff, ma ciò non diminuisce l’impegno registico, l’interpretazione di Brazzi e la riuscita del film. «La trama non ha alcun punto di contatto, salvo l’ambiente, con l’omonimo film interpretato nel muto da Mosjoukine7, e narra una storia che ricorda molto le movimentate gesta di Zorro»8. Anche il film di Malasomma ha un’appendice familiare. Infatti Guido Brignone, nel 1953, gira Ivan, il figlio del Diavolo Bianco che del romanzo di Tolstoj conserva solo il cognome del protagonista e che, a differenza dell’altro film, è poco interessante e per nulla originale. Ma non è ancora finita, perché Riccardo Freda nel 1959 si cimenta anch’esso con lo stesso soggetto e gira Agi Murad. Il Diavolo Bianco. Il film fu confezionato appositamente su Steve Reeves che voleva uscire dal cliché dei film mitologici che aveva interpretato fino a quel momento, ma la regia non è una delle migliori di Freda, tant’è che l’attacco alla diligenza e l’assalto finale risentono molto delle analoghe scene girate in Aquila Nera. Liberamente tratto da un altro romanzo di Tolstoj è I cosacchi di Giorgio Rivalta del 1959. La solita ambiguità di molte coproduzioni, inducono alcuni ad attribuire la regia a Victor Touriansky che invece, molto probabilmente, fu solo il supervisore alla regia. A parte ciò la pellicola è un discreto film di avventure con un buon cast di attori: da Edmund Purdom a John Drew Barrymore, da Giorgia Moll a Elena Zareschi. Il romanzo che sta alla base di Col ferro e col fuoco di Fernando Cerchio e Sergio Bergonzelli del 1961, è invece del polacco Henryk Sienkiewicz, noto per essere l’autore di Quo Vadis? da cui vennero tratte diverse versioni cinematografiche. «Un film italo-francese realizzato a quattro mani, con un cast di notevole caratura internazionale che mantiene le promesse del romanzo omonimo da cui è tratto. Col ferro e col fuoco è il capolavoro di Henryk Sienkiewicz che, prima di Quo uadis?, ha con-
6 Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLV Anno 1959, Roma 1959, p. 99. 7 Ivan Mosjoukine interpretò il personaggio di Andre Midwani nel film del tedesco Alexandre Wolcoff, Der Weisse Teufel (Il diavolo bianco) nel 1929. 8 L’Operatore, in «Intermezzo», n. 3, 15 feb. 1948.
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Capitolo sesto
sacrato la fama dello scrittore polacco»9. Il cast di cui si fa cenno nella critica di Massimo Moscati sono: Jeanne Crain, Pierre Brice, Elena Zareschi, Akim Tamiroff e Raoul Grassilli. Il passo dal romanzo alla storia lo compie Umberto Lenzi con il film Caterina di Russia del 1962. Il film, sufficientemente fedele alla realtà storica (ma non per questo meno avventuroso di quelli tratti da storie di fantasia), è, tutto sommato, un lavoro dignitoso che, anche se realizzato con pochi mezzi, riesce a superare ogni difficoltà grazie a ingegnose soluzioni registiche. Buono anche il cast che vede impegnati, fra gli altri, Hildegarde Neff e Sergio Fantoni. Ferdinando Baldi si cimenta invece con il racconto Taras Bul’ba di Nikolaj Gogol da cui trae, nel 1963, Taras Bulba il cosacco. Il film, pur risultando discreto, fu sfortunato perché uscì subito dopo Taras, il magnifico di J. Lee Thompson con Yul Brynner e Tony Curtis al cui paragone lo slavo Wladimir Medar e François Poron risultarono poca cosa. A modificare il livello dei film fin qui realizzati, abbassandone il tono, è Il terrore dei mantelli rossi di Mario Costa sempre del 1963, un film di cappa e spada monotono e pieno di ingenuità a cui gli attori non danno nessun contribuito per elevarne i contenuti. Nel 1970 Eriprando Visconti trae dal romanzo Michele Strogoff di Jules Verne il film Strogoff. Non era la prima volta che un regista italiano si cimentava con questo personaggio, Carmine Gallone lo aveva già fatto in Francia10. Quello che ne risulta è un buon film di avventure, uno spettacolo popolare ricco di movimento, «una puntuale ricostruzione storica e di costume […] che allarga le qualità narrative di Visconti anche sul piano del grande spettacolo»11. Ben recitato da un cast internazionale di attori come John Philip Law, Mismy Farmer, Hiram Keller e i nostri Delia Boccardo e Claudio Gora, ebbe un buon successo di pubblico, oltre che di critica. Diverso risultato ebbe invece Il giorno del furore dell’esordiente, e rimasto tale, Antonio Calenda, del 1972, film tratto dal romanzo omonimo del russo Mikail Lermontov che risulta «narrativamente diseguale e incerto nella linea ideologica», ma «benché i caratteri siano scarsamente penetranti, il racconto sia condotto in modo un po’ confuso e certe pieghe psicologiche non si adattino a una struttura più da fumetto che da dramma scespiriano, il film è molto curato nella composizione figurativa»12. Chiude la serie dei film avventurosi russi quello di Mario Siciliano – più avvezzo ai western all’italiana prima e all’erotico-pornografico poi – I leoni di Pietroburgo del 1972. Un film scarsamente interessante nonostante la buona fotografia, ma che
9 Massimo Moscati, Col ferro e col fuoco, in «Kolossal. Il cast, le scene, le curiosità», n. 44, Milano, Fabbri Editori, 2002. 10 Carmine Gallone, nel 1956, aveva diretto in Francia il film Michele Strogoff di produzione francese e con cast e crediti francesi, con la sola eccezione di Silva Koscina. 11 Claudio Camerini, Visconti Eriprando, in Filmlexicon degli autori e delle opere - Sezione Italia, Aggiornamenti e integrazioni 1972-1991, Roma, Centro Sperimentale di Cinematografia-Nuova Eri Edizioni, 1992, p. 1052. 12 Giovanni Grazzini, in «Corriere della Sera», 27 gen. 1973.
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I figli del Nord e della steppa
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si avvale di «una sceneggiatura un po’ approssimativa, i dialoghi impossibili e gli interpreti modesti»13. Come è stato già detto il western è il nuovo genere avventuroso che si fa strada in quegli anni e che poco dopo sarà a sua volta surclassato dal “poliziottesco”; non c’è più spazio per l’avventura europea di fine Ottocento.
13 A.
Santuari, in «Paese Sera», 1 giu. 1972.
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Capitolo sesto
LA PRINCIPESSA TARAKANOVA di Mario Soldati, Fedor Ozep
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Anno di edizione 1938 Produzione: Film Internazionali; Produttore: Roberto Dandi; Direttore di produzione: Gian Paolo Bigazzi; Soggetto: André Lang, Ladislas Vajda; Sceneggiatura: Mario Soldati, Evelina Levi; Aiuto-regia: Gianni Franciolini; Fotografia: Curt Courant, Massimo Terzano, Renato Del Frate; Montaggio: Ferdinando M. Poggioli; Suono: Ovidio Del Grande; Scenografia: André Andreieff, Guido Fiorini; Arredamento: Ettore Corsi; Costumi: Annenkoff, Marina Scialiapin; Musica: Riccardo Zandonai, Renzo Rossellini; Interpreti: Annie Vernay, PierreRichard Willm, Anna Magnani, Roger Karl, Suzy Prim, Memo Benassi, Antonio Centa, Abel Jacquin, Enrico Glori, Alberto Sordi, Amedeo Trilli, Cesare Zoppetti, Rolando Costantino, Mario Mari, Vasco Cataldo, Enrico Gozzo, Germano Sabatano, Germana Vivian, Teodoro Pescara Pateras, Wilma Grazia, Giovanni Stupin, Guglielmo Morresi; Durata: 95’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo francese del film è Tarakanowa. Il regista della versione francese è Fedor Ozep, mentre Mario Soldati è responsabile solo della versione italiana. Anna Magnani, Guglielmo Sinaz, Antonio Centa e Memo Benassi figurano solo nella versione italiana, mentre gli altri attori italiani partecipano ad entrambe le versioni. Il vero nome di Andreieff è Andrei e quello di Vajda è Laszlo. LA STORIA: Il Conte Orloff viene inviato dalla Zarina a Venezia con l’ordine di rapire la Principessa Tarakanowa, presunta legittima erede al trono di Russia e condurla prigioniera a Pietroburgo. Ma succede l’imprevisto: durante il viaggio il giovane Conte si innamora, riamato, della Principessa. Giunti in Russia il Conte tenta l’impossibile per salvare la giovane cercando di farla evadere, ma fallisce e finirà sul patibolo con l’amata. LA CRITICA: «La principessa Tarakanowa è un grande film. Un grande film che fa onore alle possibilità di combinazioni internazionali che si offrono alla cinematografia italiana. Altro discorso, però, sarebbe il decidere se è anche un film riuscito. E, allora, forse, si potrebbero allineare delle riserve, prima tra tutte quella della freddezza che pervade l’opera e che, di una storia dolce e patetica, fa, spesso, una vicenda meccanica ed artificiosa. Altra riserva si può fare sull’interpretazione: all’infuori della Vernay […] gli altri, ivi compreso l’astro Pierre Richard Wilhlm […] sono convenzionali e fiacchi. Si aggiunga che la sceneggiatura è, spesso, difettosa, arbitraria, arruffata; e si avrà il quadro approssimativo del film. Allora, dov’è che è grande, questo film? In tutto il resto: nella scenografia, portentosamente ricca ed efficace; nel livello della produzione, che è altissimo; nel “colore”, che è indovinato e arricchito dai mezzi abbondantemente profusi». (Mino Doletti, in «Film», n. 13, 29 mar. 1941). AQUILA NERA di Riccardo Freda Anno di edizione 1946 Produzione: C.D.I. (Cininematografica Distributori Indipendenti); Produttore: Nino Angioletti; Direttore di produzione: Dino De Laurentiis; Soggetto: tratto dal racconto Dubrowskij
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I figli del Nord e della steppa
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di Alexander Puskin; Sceneggiatura: Mario Monicelli, Steno, Riccardo Freda; Aiuto-regia: Giorgio Lastricati; Fotografia: Rodolfo Lombardi, Guglielmo Lombardi; Montaggio: Otello Colangeli; Scenografia: Arrigo Equini; Costumi: Vasco Glori; Musica: Franco Casavola; Interpreti: Rossano Brazzi, Irasema Dilian, Gino Cervi, Rina Morelli, Harry Feist, Paolo Stoppa, Inga Gort, Pietro Sharoff, Luigi Pavese, Cesare Polacco, Gina Lollobrigida, Angelo Calabrese, Piero Pastore, Ugo Sasso, Mario Siletti, Yvonne Sanson, Magda Forlenza, Loris Gizzi, Armando Francioli, Felice Romano, Angelo Bassanelli, Dante Nello Carapelli, Pietro Ciriaci; Durata: 109’. Produzione realizzata a Roma. Molte sequenze, come quella della festa, sono stata girate al Quirinale. OSSERVAZIONI: Steno è lo pseudonimo di Stefano Vanzina. Gina Lollobrigida, nelle vesti di una schiava circassa, e Yvonne Sanson appaiono per la prima volta sullo schermo. LA STORIA: Mentre il giovane Dubrovskij è all’Accademia militare di Mosca, i possedimenti di famiglia sono occupati dal malvagio Kirila Petrovic. Venutone a conoscenza, Dubrovskij si precipita a casa e inizia ad organizzare la resistenza contro l’usurpatore indossando una maschera e facendosi chiamare Aquila Nera. Nel corso dell’assalto ad una diligenza, il giovane ha modo di conoscere e quindi di innamorarsi di Masha, la figlia di Petrovic, ignara delle malefatte paterne. Quindi decide di sfidare il nemico nella sua stessa dimora facendosi passare per un insegnante di .francese. Smascherato, viene tratto in salvo dal pronto arrivo dei suoi uomini. Uccide in duello il malvagio Petrovic e ne sposa la figlia. LA CRITICA: «Il film è diretto con mano abile che ha saputo sfruttare talune situazioni drammatiche rendendo il film spettacolarmemte interessante». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XX Anno 1946, Roma 1946, p. 227). IL DIAVOLO BIANCO di Nunzio Malasomma Anno di edizione 1947 Produzione: Manenti Film; Produttore: Giulio Manenti; Direttore di produzione: Romolo Laurenti; Soggetto: Gaspare Cataldo, tratto dal romanzo Hadij Murad di Lev Tolstoj; Sceneggiatura: Nunzio Malasomma; Aiuto-regia: Luigi Carpentieri, Alberto D’Aversa; Fotografia: Rodolfo Lombardi; Scenografia: Arrigo Equini; Arredamento: Mario Rappini; Costumi: Gino C. Sensani;; Musica: Ezio Carabella; Interpreti: Rossano Brazzi, Annette Bach, Roldano Lupi, Aldo Silvani, Harry Feist, Mario Ferrari, Lea Padovani, Vittorio Sanipoli, Vittorina Benvenuti, Angelo Calabrese, Armando Francioli, Filippo Scelzo, Folco Lulli, Nino Marchetti, Piero Lulli, Pietro Tordi, Franco Balducci, Mario Gallina, Lina Marengo, Cesare Fantoni, Dante Nello Carapelli, Carlo Jachino, Cesare Lancia, Elena Maltzeff; Durata: 85’. OSSERVAZIONI: Renzo Avanzo e Gabriele Varriele sono, non accreditati, collaboratore alla sceneggiatura il primo e montatore il secondo. LA STORIA: Il “Diavolo bianco” è un misterioso capo di ribelli, che conduce la lotta contro il governatore di una ricca provincia caucasica, facendosi paladino dei deboli e degli oppressi. Questo nome leggendario e la personalità misteriosa, che la fantasia popolare ha creato, celano in realtà un giovane principe del capoluogo, che gode dell’amicizia e del favore dello stesso ignaro governatore. Il giovane, fa il doppio giuoco, all’insaputa anche della propria fi-
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Capitolo sesto
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danzata che, affascinata dalla figura leggendaria del ribelle, finisce con l’odiarlo quando questi impersona il proprio fidanzato. La storia prosegue con questo gioco di equivoci ed alternarsi di sentimenti e termina con spettacolosi duelli, nei quali tutti i tiranni ricevono il dovuto castigo. Viene in luce la vera personalità del principe Andrej, che riacquista la stima e l’affetto della fanciulla amata. LA CRITICA: «Come film di movimento è senza dubbio riuscito ed anche in maniera eccellente [...]. La notevole larghezza di mezzi [...] impiegati [...] non mancherà di dare i suoi frutti, anche se esso nulla aggiunge, dal punto di vista artistico, alla notorietà del suo regista e degli interpreti». (L’Operatore, in «Intermezzo», n. 3, 15 feb. 1948). LA RIVALE DELL’IMPERATRICE di Jacopo Comin, Sidney Salkov Anno di edizione 1949 Produzione: Scalera Film, Tuscanica Film, Valiant Film; Produttore: Dario Sabatello, Anthony Havelock; Direttore di produzione: Cesare Zanetti; Soggetto: Jacques Companez; Sceneggiatura: Doreen Montgomery, Hagar Wilde; Aiuto-regia: Piero Musetta, Ernest Roger; Fotografia: Tonino Delli Colli, Erwin Hiller; Montaggio: Nino Baragli, Peter Graham Scott; Scenografia: Wilfred Shingleton; Arredamento: Sergio Donà; Costumi: Vittorio Nino Novarese; Musica: Hans May; Interpreti: Antonio Centa, Valentina Cortese, Richard Green, Isa Pola, Greta Gynt, Hugh French, Charles Goldner, Guido Notari, Cippi Valli, Alfredo Di Leo, William Tubbs, Giulio Donnini, Dino Galvani, Giannantonio Porcheddu, Enzo Musumeci Greco; Durata: 89’. OSSERVAZIONI: Si tratta del remake del film La principessa Tarakanova di Mario Soldati e Fedor Ozep. Coproduzione italo-britannica. Il titolo inglese del film è Shadow of the Eagle. Nella versione inglese, diretta da Sidney Salkov, gli attori italiani Isa Pola, Antonio Centa e Guido Notari furono sostituiti rispettivamente da Zinnie Barnes, Walter Rilla e Dennis Vance. LA STORIA: Storia d’amore fra la Principessa Tarakanova e il Conte Orloff inviato a Venezia dalla Zarina Caterina II, gelosa della nobildonna, con l’ordine di riportare la Principessa in Russia con l’accusa di volerle usurpare il trono. Ma fra i due giovani nascerà l’amore. LA CRITICA: «È un film di normale fattura, cui non mancano gli elementi indispensabili alla conquista d’un felice successo». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXVIII, Anno 1950, Roma 1950, p. 219). LA VENDETTA DI AQUILA NERA di Riccardo Freda Anno di edizione 1951 Produzione: A.p.i. (Associati Produttori Indipendenti) Film; Produttore: Carlo Caiano, Umberto Momi; Direttore di produzione: Domenico Bologna; Soggetto: Riccardo Freda, Ennio De Concini, Sandro Continenza; Sceneggiatura: Riccardo Freda, Ennio De Concini, Sandro Continenza; Aiuto-regia: Antonio Greco; Fotografia: Tony Frenguelli; Montaggio: Otello
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I figli del Nord e della steppa
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Colangeli; Suono: Raffaele Del Monte, Giovanni Nesci; Scenografia: Piero Filippone; Arredamento: Egidio Campori; Costumi: Werther; Musica: Renzo Rossellini; Interpreti: Rossano Brazzi, Gianna Maria Canale, Vittorio Sanipoli, Peter Trent, Attilio Dottesio, Nerio Bernardi, Fausto Guerzoni, Ileana Simova, Dante Carapelli, Giovanni Del Panta, Franco Iamonte, Arnaldo Mochetti, Guido Moroni Celsi, Raffaele Tana, Ughetto, Guido Sissia, Franca Marzi; Durata: 96’. Produzione realizzata negli Stabilimenti S.A.F.A. di Roma. LA STORIA: Il Conte Vladimiro Dubroski, detto Aquila Nera, durante la guerra di Crimea, comanda un reggimento di cosacchi. Un giorno scopre che il capitano Cerniceski è una spia del nemico e lo fa arrestare. Il governatore di Minsk, nemico giurato di Dubroski, libera Cerniceski e convince lo Zar di agire contro Dubroski. Mentre questi è alla guerra, il governatore e i suoi sicari uccidono la moglie e i servi del Conte e rapiscono il figlio, Andrea, che diviene muto per lo spavento. Dubroski giura di vendicarsi e cattura la sorella di Cerniceski, Tatiana; ma il capitano è già stato assassinato per ordine del governatore. Allora Dubroski libera Tatiana che, credendo che suo fratello sia stato ucciso da lui, si allea al governatore e valendosi del figlio di Dubroski come esca, fa catturare Aquila Nera che viene inviato in Siberia. Fuggito dalla prigionia, rapisce Tatiana e sta per ucciderla, quando il piccolo Andrea, riacquistando improvvisamente la parola, glielo impedisce. Uccisi il governatore e i suoi sicari, Dubroski sposa Tatiana che ormai lo ama. LA CRITICA: «Avventure di cosacchi caserecci, continuazione del film Aquila Nera che già vide Brazzi nelle vesti del protagonista, è un lavoro, che sebbene sia stato realizzato con povertà di mezzi, fa sentire qua e là l’unghia del leone. Complessivamente questo drammone a forti tinte non manca di sequenze abbastanza efficaci, anche se prolisso e talvolta ingenuo». (F. Gabella, in «Intermezzo», n. 16, 31 ago. 1952). IVAN, IL FIGLIO DEL DIAVOLO BIANCO di Guido Brignone Anno di edizione 1953 Produzione: Manenti Film; Direttore di produzione: Romolo Laurenti; Soggetto: Glauco Pellegrini, Leo Benvenuti; Sceneggiatura: Leo Benvenuti, Age, Furio Scarpelli, Gaspare Cataldo, Guido Brignone; Aiuto-regia: Sandra De Stefani; Fotografia: Mario Montuori; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Suono: Mario Amari; Scenografia: Ottavio Scotti; Arredamento: Mario Rappini; Costumi: Mario Rappini; Musica: Armando Fragna; Interpreti: Paul Campbell, Nadia Gray, Arnoldo Foà, Sandro Ruffini, Erica Vaal Pahlen, Alda Mangini, Nando Bruno, Mario Feliciani, Alberto Sorrentino, Nerio Bernardi, Guido Celano, Ugo Sasso, Agostino Salvietti, Pietro Tordi, Franco Pastorino, Nuto Navarrini; Durata: 102’. OSSERVAZIONI: Age è lo pseudonimo di Agenore Incrocci. LA STORIA. Verso la fine dell’Ottocento, Ivan viene inviato ad Erzerum, alla testa di uno squadrone di cosacchi, con l’incarico di riprendere all’Emiro Abdul un ingente tesoro. Cavalcando coi suoi verso Erzerum, Ivan raggiunge le vetture di viaggio della principessa Alina, imprigionate nel fango, e le libera. Ad Erzerum Ivan rivede Alina, cugina di Abdul e sua fidanzata, incontro che suscita la gelosia di Abdul. Questi, volendo ripigliarsi il tesoro, predispone l’assalto del campo russo, durante il quale i cosacchi vengono sterminati e l’eccidio viene attribuito ai ribelli armeni. Ivan essendosi allontanato per incontrare Alina, sfugge al
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massacro e condotto da Miriam, giovane armena perseguitata dai Kurdi e da lui in precedenza salvata, raggiunge sulle montagne i ribelli armeni. Messosi a capo dei ribelli Ivan, con l’aiuto di Alina, penetra con i suoi uomini nel palazzo di Abdul, riesce a ristabilire l’ordine e, tornata la pace, fa ritorno in Russia con Alina e col tesoro. LA CRITICA: «Per le sue incongruenze la vicenda risulta poco interessante; la realizzazione è mediocre». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XXXIV Anno 1953, Roma 1953, p. 237). IL VENDICATORE Dubrowsky di William Dieterle Anno di edizione 1958 Produzione: Hesperia Film, Vardar Film; Produttore: Luigi Rovere, Gojko Sekulovic; Direttore di produzione: Aka Petrowski; Soggetto: Gino De Santis, Akos Tolnay, tratto dalla novella Dubrowsky di Alexandr Puskin; Sceneggiatura: Gino De Santis, Akos Tolnay; Aiutoregia: Corrado Sofia, Stoje Cjulibrak; Fotografia: Aldo Giordani; Montaggio: Roberto Cinquini; Suono: Luigi Puri; Scenografia: Luigi Scaccianoce; Arredamento: Dimce Marcovski; Costumi: Mira Glisic; Musica: Carlo Rustichelli, Direzione musicale: Franco Ferrara; Interpreti: John Forsythe, Rosanna Schiaffino, William Dieterle, Nerio Bernardi, Paul Dahlke, Giulio Donnini, Guido Celano, Johanna Hofer, Sima Janicievic, Ilia Dgiuvalekov, Lia Milosevic, Iovan Janieievic, Bogidar Drnie, Mavid Popovic, Victor Giulibrk, Dragutin Felba; Durata: 117’. Produzione realizzata in Jugoslavia sia in esterni che negli Studi di Kosjutnak di Belgrado e Tehnof di Skopje. OSSERVAZIONI. Coproduzione italo-jugoslava. Il titolo della versione jugoslava è Dubrowski. LA STORIA: Verso la fine dell’Ottocento, un ex ufficiale russo, ritiratosi a vita privata, è perseguitato dal barone Kirila Petrovich che, con documenti falsi, si fa dichiarare padrone legittimo dei beni dell’ex ufficiale. Questi, per il dolore, muore per un collasso cardiaco; ma prima di morire riesce ad informare del sorpruso il figlio Vladja Dubrowaky, giovane ufficiale della guardia. Per far pagare al barone il suo crimine, Vladja fa credere di essere morto nell’incendio della propria casa poi, alla testa di un gruppo di contadini, inizia una guerriglia contro il barone. Saputo che Petrovich attende un istitutore francese, Vladja si sostituisce a questi e, una volta in casa del barone, trova i documenti falsificati e se ne impadronisce. Scoperto fugge con Masha, la flglia del barone, innamorata di lui. Vladja consegna i documenti al Governatore e chiede un nuovo processo per scagionare suo padre. L’avrà, ma non senza combattere una violenta battaglia contro il barone. LA CRITICA: «Lo stesso soggetto di L’Aquila Nera ha dato vita a questo film, buono nel suo insieme, anche se freddo. L’azione lascia lo spettatore indifferente e – salvo alcuni rari momenti – non dà assolutamente alcun brivido, né suscita interesse». (E. Fecchi, in «Intermezzo», n. 4, 28 feb. 1959).
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I figli del Nord e della steppa
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AGI MURAD – IL DIAVOLO BIANCO di Riccardo Freda
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Anno di edizione 1959 Produzione: Majestic Film, Lovcen Film; Produttore: Mario Zama; Direttore di produzione: Tommaso Sagone, Milan Zmukic; Regia 2a unità: Leopoldo Savona; Soggetto: tratto dal romanzo “Hadij Murad” di Lev Tolstoj; Sceneggiatura: Gino De Santis, Akos Tolnay; Aiutoregia: Odoardo Fiory, Milo Djuganovic; Fotografia: Mario Bava, Frano Vodopivec; Suono: Ovidio Del Grande; Scenografia: Kosta Krivokapic; Arredamento: Andrea Fantacci; Costumi: Filippo Sanjust; Maestro d’armi: Enzo Musumeci Greco; Musica: Roberto Nicolosi; Direzione musicale: Pier Luigi Urbini; Interpreti: Steve Reeves, Georgia Moll, Scilla Gabel, Renato Baldini, Gerard Herter, Milivoj Zivanovic, Nikola Popovic, Jovan Gec, Niksa Stefanini, Milivoj Mavid Popovic, Marija Tocinoski, Pasquale Basile, Goffredo Ungaro; Durata: 98’. Produzione totalmente realizzata, in interni ed esterni, in Jugoslavia. OSSERVAZIONI: Si tratta del remake del film Il diavolo bianco girato da Nunzio Malasomma nel 1947 (v.), tratto dal romanzo “Hadij Murad” di Lev Tolstoj. Coproduzione italojugoslava. Il titolo della versione jugoslava è Bijeli djavo. Il montaggio non è accreditato, ma sicuramente è di Riccardo Freda. LA STORIA: Variazioni sul tema delle avventure del “Diavolo bianco” che lotta contro i prepotenti facendosi paladino dei deboli e degli oppressi. LA CRITICA: «Hanno un certo interesse i movimenti di masse, che però non bastano a compensare le ingenuità della trama e della debole regia. Recitazione di mestiere; buoni il colore e la fotografia». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLVI Anno 1959, Roma 1959, p. 91). I COSACCHI di Giorgio Rivalta Anno di edizione 1959 Produzione: Vanguard Film, Faro Film. Explorer Film, C.F.P.C.; Produttore: W. Touriansky; Direttore di produzione: Gian Paolo Bigazzi; Supervisione-regia: W. Touriansky; Regia 2ª unità: Giorgio Capitani; Soggetto: Victor Touriansky, Damiano Damiani, liberamente tratto da I Cosacchi di Lev Tolstoj; Sceneggiatura: Damiano Damiani, W. Touriansky, Ugo Liberatore; Aiuto-regia: Paolo Bianchin; Fotografia: Massimo Dallamano; Montaggio: Antonietta Zita; Suono: Luigi Puri, Raffaele Del Monte; Scenografia: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Arredamento: Carlo Gentili; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Effetti Speciali: Joseph Natanson; Musica: Giovanni Fusco; Direzione musicale: Carlo Savina; Interpreti: Edmund Purdom, John Drew Barrymore, Giorgia Moll, Elena Zareschi, Pierre Brice, Erno Crisa, Grazia Maria Spina, Louis Seigner, Mario Pisu, Laura Carli, Mara Berni, Fjodor Chaliapin, Nerio Bernardi, Maria Badmajev, Marilù Sangiorgi, Adolfo Geri, Nino Marchetti, Fedele Gentile, Enzo Fiermonte, Silvio Bagolini, Alessandro Biava, Marino Albanese, Antonio Cervesato, Sandra Gazzoni, Andrea Fantasia, Franco Fantasia, Massimo Girotti; Durata: 115’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà e in Jugoslavia in collaborazione con la CFS Cosutnjak e l’Unità dell’Armata Popolare Jugoslava.
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Capitolo sesto
OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo della versione francese è Les cosaques. Nei titoli di testa viene indicato «Un film di W. Touriansky» e, alla fine dei titoli, «Regia di Giorgio Rivalta», quindi sembra giusto indicare Touriansky come supervisore alla regia. Il vero nome del regista russo, indicato come W. Touriansky, è Viktor Tourjansky. Rivalta ha al suo attivo pochissimi film ed è più noto per avere curato le versioni italiane di film in coproduzione o di avere collaborato alla regia con altri registi. LA STORIA: I Circassi, capeggiati da Chamil, non sopportano la dominazione russa. Per ricattare Chamil, il governo russo prende in ostaggio Jamal, il suo giovane figlio, che più tardi frequenterà a Pietroburgo la scuola degli allievi ufficiali. Benché fedele alle proprie origini, Jamal, essendo ufficiale, è leale allo Zar al punto che gli salva la vita in un attentato. L’atto di eroismo viene premiato dallo Zar con grande indignazione di suo padre. Nel frattempo Chamil ha ripreso la guerriglia e il governo russo invia contro di lui le truppe del principe Voronzoff mentre Jamal viene incaricato di convincere suo padre a deporre le armi. Quando Chamil apprende il motivo della sua missione lo fa mettere in prigione come traditore. JamaI riesce a fuggire e va a combattere a fianco di Chamil contro le truppe di Voronzoff tentando ancora di convincere il padre a rinunciare alla guerra, ma Chamil è irremovibile. Quando i suoi seguaci stanno per essere sopraffatti, ed egli stesso è ferito, vedendo che Jamal sta per arrendersi, gli spara. La morte di Jamal fa comprendere a Chamil che la sua impresa è definitivamente fallita. LA CRITICA: «È un film di avventure in costume, con elementi romanzeschi e sentimentali, realizzato con l’impiego di numerose masse. Qualche scena di guerra ha un certo valore spettacolare: si tratta però, in complesso, di un lavoro modesto». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLVII, Anno 1960, Roma 1960, p. 68). COL FERRO E COL FUOCO di Fernando Cerchio Anno di edizione 1961 Produzione: Europa Cinematografica, C.F.F.P.; Direttore di produzione: Piero Ghione, Aleksander Krstic; Soggetto: Ugo Liberatore, Remigio Del Grosso, Enrico Ribulsi, tratto dal romanzo di Henry Sienkiewicz; Sceneggiatura: Ugo Liberatore, George St. George; Regia 2ª unità: Sergio Bergonzelli; Aiuto-regia: Pasquale De Florio; Fotografia: Pier Ludovico Pavoni, Angelo Lotti; Montaggio: Antonietta Zita; Suono: Fernando Pescetelli, Raffaele Del Monte; Scenografia: Arrigo Equini; Arredamento: Paolo Janni; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Maestro d’armi: M. Dimitrijevitch; Musica: Giovanni Fusco, Francesco De Masi; Interpreti: Jeanne Crain, Pierre Brice, Elena Zareschi, Akim Tamiroff, Raoul Grassilli, Bruno Nessi, Eleonora Vargas, Gabriella Andreini, Nerio Bernardi, Nando Angelini, Alberto Stefanini, Marcello Selmi, Alberto Marescalchi, Alberto Archetti, Milena Vukotic, John Drew Barrymore, Gordon Mitchell; Durata: 105’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà e, in esterni, in Jugoslavia in collaborazione con la Società Kosutnjak. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo della versione francese è Par le fer et par le fou.
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I figli del Nord e della steppa
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LA STORIA: Nel XVII secolo, nell’Ucraina annessa alla Polonia, i ribelli capeggiati dal cosacco Chmelnickji mettono a ferro e a fuoco il territorio per cacciare i dominatori. Il colonnello degli ussari Jan Ketusky, inviato dal governo di Varsavia per assumere il comando del forte Kudak, lungo il viaggio conosce Elena e il comandante della guarnigione Bohun, un ucraino che si è schierato con i Polacchi, sanguinario e spietato persecutore dei ribelli. L’amore che subito nasce tra Jan ed Elena suscita la violenta gelosia di Bohun fidanzato della fanciulla. La rivalità tra il polacco e l’ucraino spinge quest’ultimo a reazioni scellerate: mentre Ketusky con i suoi ussari raggiunge Kudak, Bohun rapisce Elena e si allea con Chmelnickji e le armate tartare giunte dalla Crimea. Nonostante la strenua resistenza, il forte cade nelle mani dei ribelli e Ketusky è fatto prigioniero. Liberato dal capo cosacco a cui aveva salvato la vita, Jan riesce a riunirsi ad Elena e a raggiungere la fortezza di Cegrin, attaccata da preponderanti forze nemiche. Quando tutto sembra perduto, giunge in soccorso l’armata polacca. LA CRITICA: «Il film, girato con larghezza di mezzi, ne mantiene l’impianto di grandioso affresco storico, privilegiando il versante avventuroso e sentimentale, perché i riferimenti dell’autore a precise pagine di storia patria potevano risultare poco comprensibili al grande pubblico». (Massimo Moscati, Col ferro e col fuoco, in «Kolossal. Il cast, le scene, le curiosità», n. 44, Fabbri Editori, Milano 2002). CATERINA DI RUSSIA di Umberto Lenzi Anno di edizione 1962 Produzione: Romana Film, S.N.C.; Produttore: Fortunato Misiano; Direttore di produzione: Nino Misiano; Soggetto: Guido Malatesta, Umberto Lenzi; Sceneggiatura: Guido Malatesta, Umberto Lenzi Aiuto-regia: Roberto Giandalia; Fotografia: Augusto Tiezzi; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Suono: Franco Groppioni, Bruno Moreal; Scenografia: Peppino Piccolo; Arredamento: Franco D’Andria; Costumi: Walter Patriarca; Musica: Angelo Francesco Lavagnino; Interpreti: Hildegarde Neff, Sergio Fantoni, Giacomo Rossi Stuart, Angela Cavo, Ennio Balbo, Leonardo Botta, Vera Besusso, Gianni Solaro, Enzo Fiermonte, Tina Lattanzi, Romano Ghini, Tullio Altamura, Franco Iamonte, Bernard Faber, Luigi D’Acri, Raoul Grassilli; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Studi: Incir-De Paolis di Roma e, in esterni, nei dintorni di Zagabria con la collaborazione della Dubrava Film . OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo della versione francese è Catherine de Russie. LA STORIA: A Pietroburgo, nel 1761, la popolazione è stremata dalla miseria. Grigorij Orlov, capitano dei cosacchi, si oppone all’ordine di Pietro di aprire il fuoco sulla folla manifestante e viene deportato. A corte, Caterina, umiliata dal contegno rozzo del marito, non respinge la corte dell’affascinante polacco Poniatovski. Con la morte dell’imperatrice Elisabetta, Pietro diventa zar e si dimostra del tutto inadeguato a regnare. Nel frattempo Orlov fugge dalla prigionia e raggiunge Pietroburgo proprio mentre una disposizione del sovrano obbliga i reggimenti cosacchi a indossare divise tedesche. Orlov si rifiuta ed è nuovamente arrestato. Pietro decide anche di far arrestare Caterina, per poi eliminarla, ma la donna passa all’azione: fa liberare Orlov e con lui raggiunge le truppe cosacche, che dichiarano deposto Pietro, proclamano Caterina zarina di tutte le Russie e sconfiggono l’esercito dello zar. Pietro viene arrestato e Caterina, insieme a Orlov, rientra trionfalmente a Pietroburgo.
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Capitolo sesto
LA CRITICA: «Sia pure con qualche invenzione narrativa, il film è tutto sommato fedele agli eventi e mette in risalto l’abilità registica di Umberto Lenzi, capace di dare dignità di kolossal storico a un’opera realizzata con pochi mezzi. Con azzeccati “tagli di macchina” che danno l’illusione di trovarsi realmente a Pietroburgo, e grazie anche a un’accorta scenografia, Caterina di Russia è una pellicola da riscoprire. Ottimo il cast, formato in massima parte da attori di origine teatrale». (Massimo Moscati, Caterina di Russia, in «Kolossal. Il cast, le scene, le curiosità», n. 62, Milano, Fabbri Editori, 2002). TARAS BULBA IL COSACCO di Ferdinando Baldi Anno di edizione 1963 Produzione: I.A.C. (Associazione Internazionale Cinematografica), I.D.C. Produzioni Cinematografiche; Direttore di produzione: Giovanni Solito; Collaborazione-regia: Henri Zaphirathos; Soggetto: tratto dal romanzo Taras Bulba di Nikolaj Gogol; Sceneggiatura: Ennio De Concini; Fotografia: Amerigo Gengarelli; Montaggio: Renzo Lucidi; Costumi: Mario Giorsi; Musica: Guido Robuschi, Gian Stellari; Interpreti: Wladimir Medar, François Poron, Lorella De Luca, Georges Reich, Fosco Giachetti, Erno Crisa, Mirko Ellis, Dada Gallotti, Huc Santana, Silvia Sorente, Andrea Scotti; Durata: 92’. Produzione realizzata negli Studi Icet di Milano e, in esterni, in Jugoslavia. LA STORIA: Taras Bulba, per fare dei suoi figli, Ostap e André dei guerrieri, li richiama da Dubno, in Polonia, dove stavano compiendo gli studi, quindi, volendo rendere del tutto indipendenti i Cosacchi dalla Polonia, cerca di convincere le tribù ad unirsi per combattere sia i Polacchi che i Tartari. Ma un gruppo di Tartari, al servizio dei Polacchi, tradisce Taras Bulba che è colto di sorpresa e André viene fatto prigioniero e condotto dal Voivoda di Dubno. Questo episodio convince i Cosacchi a marciare su Dubno. André riesce a fuggire ed a raggiungere il padre che, ottenuta una prima vittoria sui Polacchi, chiede come prezzo di pace la figlia del Voivoda, Nadia. La fanciulla si offre spontaneamente, ma André, ribellatosi al padre, la riporta in città e si schiera coi Polacchi. Nella furibonda battaglia che segue, Nadia ed André vengono uccisi riportando, con la disperazione dei due padri, la pace fra i popoli in lotta. LA CRITICA: «Tratto dal racconto (1835) di Nikolaj V. Gogol e sceneggiato da Ennio De Concini e girato in Iugoslavia, è un similwestern senza infamia e senza lode». (Laura, Luisa, Morando Morandini, Taras Bulba il cosacco, in “Il Morandini. Dizionario dei film”, Zanichelli Editore, Bologna 2005). IL TERRORE DEI MANTELLI ROSSI di Mario Costa Anno di edizione 1963 Produzione: P.A.ME.C. (Produttori Associati Mercato Comune), Tibre Produzione, Hispamer Films, Radius Productions.; Direttore di produzione: Francesco Paolo Prestano; Soggetto: Nino Lillo; Sceneggiatura: Nino Lillo, Edoardo Falletti; Aiuto-regia: Mario Tota; Fotografia: Julio Ortas; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Suono: Bruno Moreal, Manlio Magara; Sceno-
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I figli del Nord e della steppa
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grafia: Jean-Paul Coutant Labourer; Arredamento: Luigi Gervasi; Costumi: Rosalba Menichelli; Maestro d’armi: Luciano Benetti, Benito Stefanelli; Musica: Carlo Rustichelli; Interpreti: Tony Russell, Scilla Gabel, Yves Vincent, Jacques Dacqmine, Carla Calò, Benito Stefanelli, Pilar Clemens, Alfonso Rojas, Luciano Benetti, Pietro Tordi, Tony Soler, Sergio Prestano, Nerio Bernardi, Gianni Solaro, Nino Marchetti, Nando Angelini, Beni Deus, Claude Brasseur; Durata: 94’. Produzione realizzata, in esterni, in Jugoslavia. . OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-franco-spagnola. Il titolo dell’edizione francese è Les cavaliers de la terreur e quello dell’edizione spagnola Las jinetes del terror. LA STORIA: Nel 1600, nel ducato di Bled, misteriosi cavalieri rossi spargono ovunque il terrore e la morte. Il duca di Bled, preoccupato per la situazione, chiama Mirko, un capitano di ventura, per affidargli il compito di catturare i cavalieri rossi. Ma Mirko pone come condizione di avere in moglie Cristina, la figlia del Duca. Cristina, odia Mirko, uomo prepotente ed arrogante, ed è innamorata di Paolo, un nobile cavaliere. Approfittando di una rivolta popolare, Mirko fa uccidere il duca di Bled e costringe Cristina a sposarlo. Paolo però scopre che il capitano è il capo dei cavalieri misteriosi, lo smaschera e lo sfida a duello uccidendolo. Paolo, tornata la pace, potrà finalmente sposare Cristina. LA CRITICA: «Si tratta di un film di cappa e spada di non eccessive pretese e assai limitato nella struttura narrativa. Le numerose ingenuità che costellano il racconto appesantiscono ancor più la monotona vicenda». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LIV, Anno 1963, Roma 1963, p. 121). IL FIGLIO DI AQUILA NERA di James Reed Anno di edizione 1967 Produzione: Romana Film; Produttore: Fortunato Misiano; Soggetto: Umberto Lenzi; Sceneggiatura: Piero Pierotti, Gianfranco Clerici, Guido Malatesta; Aiuto-regia: Gianfranco Clerici; Fotografia: Augusto Tiezzi; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Suono: Pietro Ortolani; Scenografia: Piervittorio Marchi; Arredamento: Carlo Gentili; Costumi: Walter Patriarca; Musica: Angelo Francesco Lavagnino; Interpreti: Dick Palmer, Edwige Fenech, Frank Ressel, Ingrid Schöeller, Andrew Ray, Ivy Holzer, Loris Gizzi, Massimo Carocci, Franco Pasquetto, Tullio Altamura, Luciano Catenacci, Ugo Adinolfi, Silvana Venturelli, Gualtiero Isnenghi, Pietro Tordi, Rosanna Chiocchia, Valentino Macchi; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Stabilimenti In.ci.r.-De Paolis di Roma. OSSERVAZIONI: James Reed è lo pseudonimo di Guido Malatesta e Dick Palmer quello di Mimmo Palmara. LA STORIA: Sotto le spoglie del frivolo Alessio Andrejevic si cela il figlio di Aquila Nera, leggendario eroe dei cosacchi. Lo zar Alessandro II ha nominato Governatore del Caucaso il feroce generale Volkonsky. Alessio, adottato il nome di battaglia del padre, si pone alla testa di un gruppo di valorosi cosacchi compiendo arditi colpi di mano ai danni di Volkonsky. Durante un’incursione nel Palazzo del Governatore per liberare tre compagni, Alessio vien fatto prigioniero, ma la giovane Natascia, nipote del capitano Romanoff, riesce a farlo fuggire. Volkonsky ordina all’armata di muovere contro di lui ma, nella violenta battaglia, risul-
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Capitolo sesto
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tano vincitori i cosacchi. Ucciso Volkonsky in duello, Aquila Nera incarica il capitano Romanoff di presentare allo zar le richieste del popolo cosacco: libertà e completa autonomia. LA CRITICA: «Un film avventuroso imbastito con tutti i luoghi comuni del “genere”, ma discreto nel ritmo e diretto con un certo mestiere». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLVII, Anno 1960, Roma 1960, p. 68). STROGOFF di Eriprando Visconti Anno di edizione 1970 Produzione: Sancrosiap, Films Corona, CCC Filmkunst; Produttore: Sansone Chroscicki; Direttore di produzione: Marcello Papaleo, Antonio Raffa; Soggetto: tratto dal romanzo Michele Strogoff di Jules Verne; Sceneggiatura: Giampiero Bona, Eriprando Visconti, Stefano Strucchi; Aiuto-regia: Rinaldo Ricci; Fotografia: Luigi Kuveiller, Riccardo Pallottini; Montaggio: Franco Arcalli; Suono: Primiano Muratori, Leopoldo Rosi; Scenografia: Sergio Canevari; Arredamento: Giacomo Calò Carducci; Costumi: Marilù Carteny; Maestro d’armi: Benito Stefanelli; Musica: Teo Usuelli; Direzione musicale: Alberto Zedda; Interpreti: John Philip Law, Mimsy Farmer, Hiram Keller, Delia Boccardo, Donato Castellaneta, Claudio Gora, Bianca Dorian, Jacques Maury, Herbert Fux, Enzo Fiermonte, Jean Pierre Dorat, Gianni Di Benedetto, Quinto Parmeggiani, Daniele Costantini, Osvaldo Peccioli, Carmine Torre, Kurt Meisel, Elizabeth Bergner, Christian Marin; Durata: 101’. Produzione realizzata negli Studi Elios Film di Roma e negli Studja Za Igralni Filmi di Sofia. Esterni in Bulgaria. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-franco-tedesca. Il titolo dell’edizione francese è Michel Strogoff, quello tedesco Der kurier des Zaren. LA STORIA: Il conte Michele Strogoff, ufficiale dell’esercito zarista, viene inviato a Irkutsk, in Siberia, per avvertire il Granduca, fratello dello zar, dell’imminente assalto dei tartari, ribelli al potere centrale. Travestito da mercante di cavalli, Michele, viaggia in compagnia di Nadia, una giovane signora diretta in Siberia per unirsi al marito. Mentre i due finiscono con l’innamorarsi, un ex-ufficiale zarista, Ivan Ogareff, che s’è ribellato ai militari e s’è unito ai tartari, scopre la vera identità di Strogoff, lo fa prigioniero e lo tortura finché crede di averlo accecato. Curato da Nadia, però, Michele recupera la vista e, dopo aver fatto giungere il suo messaggio a1 Granduca, si unisce ai rinforzi giunti in suo soccorso. Sconfitti i tartari, Ogareff viene fucilato, ma Michele non può essere felice perché deve rinunciare a Nadia che ha deciso di restare col marito. LA CRITICA. «Un dignitoso film avventuroso che ripropone, con alcune variazioni, il popolare personaggio. Realizzato con buon mestiere, il lavoro è spettacolarmente ricco e movimentato, suggestivo nell’ambientazione ed efficace nel disegno dei personaggi». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXX, Anno 1971, Roma 1971, p. 16). IL GIORNO DEL FURORE di Antonio Calenda Anno di edizione 1972
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I figli del Nord e della steppa
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Produzione: Dama Film, Lowndes Production; Produttore: Marcello Danon, Harry Saltzman; Direttore di produzione: Marcello Papaleo, Gianni Cecchin, Maurizio Marvisi; Soggetto: tratto dal romanzo di Mikail Lermontov; Sceneggiatura: Ugo Pirro, Antonio Calenda, Edward Bond; Aiuto-regia: Nello Vanin; Fotografia: Alfio Contini; Montaggio: Sergio Montanari; Suono: Derek Leather, John Stevenson; Scenografia: Franco Nonnis, Dario Micheli; Arredamento: Franco Nonnis, Dario Micheli; Costumi: Danilo Donati; Musica: Riz Ortolani; Interpreti: Oliver Reed, John Mc Enery, Carole André, Claudia Cardinale, Zora Velcova, Raymond Lovelock, Giuseppe Pisegna, Paola Tedesco, Adalberto Rossetti, Raffaele Uzzi, Sergio Doria, Gianni Pulone, Giorgio Dolfin, Alfredo Senarica, Mario Proietti, Leonardo Pantaleo; Durata: 118. Produzione realizzata, in esterni, in Bulgaria. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-britannica. Il titolo della versione inglese è Fury. LA STORIA: Palizyn, ricco e spietato possidente, sposato e padre di Yuri, vive nella sua casa di campagna temuto da decine di servi, ignorando la moglie e struggendosi per Irene, una giovinetta che ha preso con sé dopo averle ucciso i genitori. Un giorno Palizyn assume un giovane storpio, Vadim. fratello di Irene, di cui ignorava l’esistenza. Vadim ha un solo scopo: vendicarsi di Palizyn distruggendo lui e la sua famiglia. Sobillati i servi a ribellarsi, Vadim approfitta dell’aggressione contro i proprietari terrieri riuniti per accogliere un vescovo, e scatena contro di loro una moltitudine di servi e di mendicanti che, infuriati per la morte di una prostituta, li massacrano. Scampati alla morte, Palizyn, Yuri e Irene si ritrovano in una cava, dove Palizyn violenta la giovinetta e uccide il figlio, ma muore ucciso da un gruppo di ribelli guidati dal cosacco Pugacev i quali, sfuggiti al controlio di Vadim, uccidono anche Irene. LA CRITICA: «Il film risente di una elaborazione scenaristica insufficiente. Infatti, alla sceneggiatura si debbono le sue maggiori carenze: una narrazione poco equilibrata e delle ideologie molto incerte. Alla regia, invece, vanno ascritte le gradevoli scenografie bulgare, l’ottima fotografia. le attinenti musiche e le convinte interpretazioni. Puntando più sulle contorte psicologie dei personaggi e sulle disumanità, che non sui fenomeni sociali conseguenti, il film è pieno di passioni sfrenate e non manca di pagine aberranti». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXIV, Anno 1973, Roma 1973, p. 126). I LEONI DI PIETROBURGO di Mario Siciliano Anno di edizione 1972 Produzione: Metheus Film; Produttore: Mario Siciliano; Soggetto: Mario Siciliano, Dean Craig, Stefan Topaldjikov; Sceneggiatura: Mario Siciliano, Dean Craig, Stefan Topaldjikov; Aiuto-regia: Piero Regnoli, Stefan Topaldjikov; Fotografia: Gino Santini; Montaggio: Giancarla Fusco; Suono: Antonio Forrest; Scenografia: Luciano Vincenti; Costumi: Karole; Musica: Gianfranco Plenizio; Interpreti: Mark Damon, Erna Schurer, Gary Wilson, Barbara O’Neil, Frank Farrel, Anthony Lee, Joe Wall, Carla Mancini, Dean Craig, Dadov, Stefan Peicev; Durata: 98’. OSSERVAZIONI: Dean Craig è lo pseudonimo di Piero Regnoli e Frank Farrel quello di Franco Fantasia. A proposito dell’accredito per i costumi vi è una contraddizione: nei titoli di testa è riportato il nome di Karole, mentre in quelli di coda Osanna Guardini.
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Capitolo sesto
LA STORIA: Circa un secolo fa, in Russia, Eldar Kan, ignaro di discendere da una famiglia nobile, guida un gruppo di disperati, che combattono in difesa degli oppressi, mettendo in difficoltà i signorotti locali. Fra questi, ce ne sono due che, a causa delle imprese di Eldar Kan, non riescono a costituire una potente signoria con l’unione delle rispettive famiglie. Perciò fanno prigioniera la ragazza di Eldar Kan, Tamila, che però viene liberata. Eldar Kan è sfidato a duello da Pavel la cui fidanzata, Anastasia, uccide un amico di Eldar Kan che, per vendetta, la fa prigioniera e la porta al suo campo. Ma Tamila è gelosa e libera Anastasia. Eldar Kan tenta di riprenderla, ma viene fatto prigioniero dai cosacchi. Mentre sta per essere fucilato viene riconosciuto come nobile da Pavel e processato dalla setta dei “Leoni di Pietroburgo” per aver tradito la nobiltà. Il padre di Anastasia fa assalire dai suoi cosacchi un villaggio e, per impedire ulteriori stragi, Eldar Kan è pronto a sacrificarsi. Ferito a tradimento da Pavel, che nel frattempo ha ucciso il proprio padre, viene fatto uccidere dal padre di Anastasia che permette a Eldar Kan di allontanarsi insieme con Tamila. LA CTITICA: «Il film, prendendo a modello la figura leggendaria di Robin Hood e trasferendola in una Russia ottocentesca pervasa da anacronistici fremiti di rinascita sociale, tenta di vestire con panni vistosi un manichino informe. La puerilità degli episodi, gli scompensi della sceneggiatura, le assurdità delle ambientazioni, rendono del tutto risibile il tentativo di suggerire un discorso di fondo». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXIII, Anno 1972, Roma 1972, p. 165).
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VII.
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GLI ULTIMI AVVENTURIERI
1. Storie di pirati e corsari Chi da ragazzo non si è entusiasmato alle avventure dei pirati e dei corsari che, sotto il vessillo nero col teschio e le tibie incrociate, solcavano i mari fra arrembaggi e duelli? È difficile pensare che vi siano persone che non abbiano mai sentito nominare Morgan il pirata, il capitano Black o i salgariani Corsari Nero, Rosso, Verde o chi non sapesse di Jolanda, figlia del Corsaro Nero, o che la Tortuga era la base caraibica di tutti i pirati, bucanieri e filibustieri i cui nemici erano le marinerie spagnole, inglesi, francesi e portoghesi. Mentre negli anni Trenta e Quaranta sono gli eroi salgariani a trionfare, dagli anni Cinquanta in poi, sono tutti gli altri. Di questi ci occuperemo e, come vedremo, molti pirati non erano dei delinquenti incalliti assetati di sangue; molto spesso erano dei nobili travolti dalla violenza di potenti che si erano impadroniti delle loro terre e dei loro titoli e che si erano dati alla pirateria coltivando la speranza di poter un giorno fare valere i propri diritti. I corsari invece erano ex pirati – molto spesso ufficiali di marina caduti in disgrazia – diventati una specie di mercenari avendo ottenuto la patente di corsaro da un qualche regnante; essi combattevano per lui senza comprometterne la politica. Così, per esempio, Morgan, Blood e Sir Fancis Drake combattevano per la Corona britannica mentre Surcouf per il re di Francia. Nel 1951 Primo Zeglio affronta il tema con il film La vendetta del corsaro con Jean Pierre Aumont, un conte fattosi pirata per vendicare la morte del padre e terrorizzare la marineria spagnola, e con la bella Maria Montez, purtroppo scomparsa poco dopo la fine del film. Si tratta di un discreto lavoro, movimentato e interpretato con impegno, un film che non ha certo deluso gli amanti del genere. Qualche anno di pausa poi, nel 1958, Sergio Grieco propone Il pirata dello Sparviero Nero, con Gerard Landry, in cui sono più le battaglie di terra che le avventure di mare. A riparare a questa carenza ci pensa ancora Primo Zeglio nel 1960 con Morgan il pirata in cui l’instancabile Steve Reeves che, dopo il forzuto mitologico e l’eroe cosacco, si cala nelle vesti di Morgan per conquistare Panama all’Inghilterra. È poi la volta di Domenico Paolella, sempre nel 1960, con I pirati della costa. Un film considerato pessimo dalla critica che dubita possa risultare attraente per qualcuno, persino per dei ragazzi, definendo Paolella un regista «con un certo me-
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Capitolo settimo
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stiere ma non si nota» e che «l’intera vicenda naufraga paurosamente nel ridicolo». Non pago dell’insuccesso ottentuto, Paolella, nello stesso anno, (forse con l’eccedenza del materiale girato per I pirati della costa, visto che era stato anch’esso prodotto dalla Romana Film), ci riprova con Il terrore dei mari. Anche questo film fu severamente accolto dalla critica che, se si fa eccezione per alcune indulgenze sulle scene di duelli e sul colore, è pressoché unanime nel giudicare che Il terrore dei mari «pare il terrore degli schermi. Una storia già raccontata mille volte, senza attori in grado di reggere il film e con un regista di normalissima amministrazione»1. Mario Costa con la Venere dei pirati – anche questo film è del 1960 – porta sullo schermo una piratessa. Non è una novità, c’erano state anche le salgariane Jolanda, figlia del Corsaro Nero, e la cugina Manuela, figlia del Corsaro Verde, ma quelle erano figlie d’arte visto il mestiere dei loro padri; Gianna Maria Canale, invece, nelle vesti di Sandra, diventa piratessa per vocazione e non per origine familiare. Questa volta Costa, nonostante il debole e scontato soggetto, se la cava con dignità. Gianna Maria Canale e Massimo Serato si danno da fare mettendocela tutta. Ormai rotto il ghiaccio con le donne pirata, Umberto Lenzi, nel 1961, esce con Le avventure di Mary Read, in cui è Lisa Gastoni ad impugnare la spada e a battersi contro i soprusi, ma con scarsi risultati artistici o, quanto meno, di mestiere. Si ricorre anche a registi stranieri per risollevare il genere. Si incarica lo spagnolo Eugene Martin, che si firma Jean Martin, di girare Il conquistatore di Maracaibo, sperando che la comunanza di lingua con i nativi della località caraibica faccia miracoli, ma il risultato non cambia di molto. Nel film c’è di tutto: c’è Maracaibo, la Tortuga, il capitano Drake, governatori corrotti, tradimenti, arrembaggi e duelli finali, ma il risultato è sempre lo stesso. Primo Zeglio tenta il film biografico, sempre nel 1961, con Il dominatore dei sette mari con sottotitolo (nel caso non si fosse capito vedendo il film) Sir Francis Drake; ma anche se ad interpretare il famoso corsaro della Regina d’Inghilterra chiama Rod Taylor, il film non decolla risultando debole sia nel soggetto che nella recitazione e nella stessa regia. Sempre nel 1961 un altro straniero, Tulio Demicheli, alias Tullio Demichelli, regista argentino-messicano, è chiamato per girare Il figlio di Capitan Blood interpretato da Sean Flynn, ma il risultato è solo un modesto film d’avventure anche se «lo spettacolo è animato, Sean Flynn […], un po’ infantile di volto, ma con buona disposizione ginnica e destrezza nel maneggiare la spada […]. Ci sono lotte marittime e terrestri […] amore ardente e cataclismi naturali»2. Domenico Paolella insiste con i suoi pirati realizzando ancora nel 1961, anno particolarmente ricco di film pirateschi, Il giustiziere dei mari con Richard Harrison e Michèle Mercier. Il film, pur con tutti i limiti del genere trattato, riesce a divertire e a farci chiudere un occhio sulle carenze della regia che, nonostante il mestiere che Paolella ha alle spalle, a volte risulta infantile. È la volta di Mario Costa e di Gordon il Pirata Nero che nel 1961 Riccardo Montalban, Vincent Price, Giulia Rubini e Liana Orfei portano a un discreto sucesso. 1 2
Francesco Mininni, in «Magazine Italiano tv», 1961. Donald, in «Cinema en 7 dias», 29 set. 1962.
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Gli ultimi avventurieri
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Questa volta la regia è controllata e condotta secondo i criteri tipici dei film di avventura anche se più incline al genere cappa e spada che a non a quello corsaro. A cambiare registro ci pensa Steno, alias Stefano Vanzina, che sdrammatizza il racconto – senza per questo perdere quell’aura di avventura tipica del genere – ammantando di un sano umorismo I moschettieri del mare da lui diretto con un certo brio. Il cast è stranamente internazionale e la parte principale del film, che comporta un’interpretazione spesso comica, è affidata a tre attori “seri”: Aldo Ray, Philippe Clay e Charming Pollock. «Il film è impostato sulle eroicomiche vicende di tre personaggi correttamente interpretati. Il racconto scorre velocemente attraverso originali trovate e felici intuizioni, Il regista ha diretto con buon mestiere»3. Sono ancora del 1961 i due film di Domenico Paolella girati all’insegna delle tibie incrociate: Le prigioniere dell’Isola del Diavolo e Il segreto dello Sparviero Nero, che riprende un personaggio già portato sullo schermo da Sergio Grieco. L’aver accomunato i due film ad un unico destino è la dimostrazione del valore che tali lavori hanno anche se le due storie sono per certi aspetti diverse e gli interpreti come Michèle Mercier e Guy Madison nel primo e Lex Barker e Nadia Marlova nel secondo si impegnano in modo serio. La regia dei due film purtroppo è quella che è e, tranne il secondo per certi aspetti spettacolari, sono da dimenticare. Piero Regnoli, che chiude il 1961 con il film Lo Sparviero dei Caraibi interpretato da Johnny Desmond nel ruolo di Olivares, cerca di risollevare le sorti della pirateria, e in parte ci riesce, con un spettacolo vivace anche se in certe scene è un po’ brutale. Con La Tigre dei sette mari Luigi Capuano nel 1962 affida ad Antony Steel e a Gianna Maria Canale il compito di divertire. La tigre in questione è una piratessa, Consuelo, che Gianna Maria Canale impersona e che finirà per sposare William, Antony Steel, rinunciando al tesoro del pirata “il Tigre”, suo padre. Un altro film di discreta fattura è Il mistero dell’isola maledetta del 1963 di Piero Pierotti. Rock Stevens, alias Peter Lupus, Halina Zalewska, Ted Carter e Dina De Santis sono gli interpreti principali in una sorta di storia, simile a mille altre, in cui i cattivi pagano con la vita e i buoni trionfano. Dean Vert, ovverossia Vertunnio De Angelis, nel 1964 gira L’uomo mascherato contro i pirati. Attenzione, non si tratta dell’Uomo Mascherato di fumettistica memoria (The Phantom, “l’Ombra che cammina”, creato da Lee Falk e pubblicato in Italia da «L’Avventuroso» a partire dal 1936), ma di un pirata che si mette la maschera per non farsi riconoscere. Un film povero di idee, concepito come un fumetto, diretto e interpretato modestamente. I sette mari vengono citati più volte, questa volta è per esaltare le gesta di Surcouf nel film di Sergio Bergonzelli Surcouf l’eroe dei sette mari del 1967. Il film, che nelle intenzioni del regista avrebbe dovuto essere un film storico, in realtà parte dagli stessi concetti dei film d’avventura dei pirati caraibici e lo sfondo storico in cui si svolge è solo un pretesto di scarso rilievo, come scarso è il risultato. Non pago, Bergonzelli riprende nello stesso anno il tema e dedica un altro film, che ne è in re3 Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LI, Anno 1962, Roma 1962, p. 149).
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Capitolo settimo
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altà il seguito, all’eroe francese: Il grande colpo di Surcouf. Stessi attori per questo Surcouf n. 2, in cui il celebre corsaro è impersonato da Gérard Barray in una storia esaltata dal tecnicolor e riservata principalmente ai ragazzini e a coloro che hanno nostalgia per i film della loro infanzia. Ancora un tesoro conteso fra un losco individuo e un romantico pirata che prende le difese della bella principessina e legittima proprietaria, per diventarne poi il devoto consorte, lo troviamo nel film I pirati dell’Isola Verde realizzato da Ted Kaplan, alias Ferdinando Baldi, girato nel 1969, ma apparso soltanto nel 1978 con una breve programmazione in alcune città. Un’altra pellicola di scarsa programmazione è il film di Tony Mulligan, alias Antonio Mollica, Il corsaro del 1970. Ancora un tesoro, ancora i soliti nemici: portoghesi, inglesi, francesi, assedi e battaglie «è un piccolo ‘digest’ di tutte le situazioni nelle quali si sono trovati i corsari venuti prima di questo nella ‘storia del cinema’, e ci si cura poco delle articolazioni»4. Il corsaro nero di Vincent Thomas del 1970, che nulla ha a che fare con il Conte di Ventimiglia, fratello del Corsaro Rosso e del Corsaro Verde di salgariana memoria, è un film di una certa fattura che narra le avventure di capitan Blackie interpretato da un divertente Terence Hill, abile con la spada come lo è con la colt in Lo chiamavano Trinità, girato nello stesso anno. Chiude questo nutrito gruppo di film di pirati I corsari dell’Isola degli Squali dello spagnolo José Luis Merino del 1972. «Il film si ispira a quei vetusti racconti avventurosi basati sulle prodezze dei corsari convertiti al vivere civile e all’attività colonizzatrice, e, come questi, possiede una trama modesta ed è stato realizzato in modo approssimativo»5. Con questo film si chiude un’era per lasciare definitivamente il posto al western incombente.
4
J.J. Dupuich, in «Saison ’72», 1972. Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXIV, Anno 1973, Roma 1973, p. 158. 5 Anonimo,
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LA VENDETTA DEL CORSARO di Primo Zeglio
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Anno di edizione 1951 Produzione: Athena Cinematografica; Produttore: Ermanno Donati, Luigi Carpentieri; Direttore di produzione: Piero Bigerna; Soggetto: Ernesto Sabbi; Sceneggiatura: Primo Zeglio, Fede Arnaud, Alberto Liberati; Aiuto-regia: Fede Arnaud; Fotografia: Gabor Pogany; Montaggio: Mario Serandrei; Scenografia: Alfredo Montori; Arredamento: Gino Brosio; Costumi: Dario Cecchi, Maria Baroni; Musica: Carlo Rustichelli; Interpreti: Jean Pierre Aumont, Maria Montez, Milly Vitale, Roberto Risso, Enrico Glori, Paul Müller, Mario Castellani, Franca Tamantini, Mimi Aylmer, Sidney Gordon, Piero Pastore, Saro Urzì, Olmsted Remington, John Myhers, André Hildebrand, Vittoria Febbi, Manuel Serrano, Umberto Aquilino, Claudio Morgan; Durata: 100’. LA STORIA: Il conte di Roccabruna, per vendicare la morte del padre ucciso a tradimento dal governatore di Cartagena, e liberare la sorellastra, ch’egli tiene prigioniera, si fa corsaro. La sua nave, la “Folgore”, diviene il terrore della marineria spagnola. La vita del conte è un susseguirsi d’audaci imprese e d’avventure romanzesche: duelli, rapimenti, scalate a munitissimi torrioni, fughe leggendarie. Il conte s’innamora d’una donna bellissima, vedova d’un fratello del governatore, e questa da prima, punta da gelosia, lo tradisce, ma poi per rimediare al male fatto, gli offre il suo valido aiuto. Col suo appoggio il conte potrà battere il governatore e liberare la sorella, legittima erede dal trono del Darien. LA CRITICA: «L’attrattiva maggiore di questo film è sicuramente la povera Maria Montez, recentemente scomparsa. Ma oltre a ciò, la pellicola ha un certo movimento, si snoda piuttosto bene e fra i film di cappa e spada italiani si difende in maniera ottima. Come in film del genere sia la logica, la topografia, sia la tecnica cinematografica e sia la stessa interpretazione, lasciano a desiderare, ma ciò ha un rilievo assai secondario. Sono lavori che vanno presi come sono». (E. Fecchi, in «Intermezzo», n. 20/21, 15 nov. 1951). IL PIRATA DELLO SPARVIERO NERO di Sergio Grieco Anno di edizione 1958 Produzione: Emmepi Cinematografica, Comptoir Frangois de Productions Cinématografiques; Produttore: Carlo Pescino, Giorgio Pescino; Soggetto: Sergio Grieco; Sceneggiatura: Sergio Grieco, Enzo Alfonsi, Guido Zurli; Aiuto-regia: Guido Zurli; Fotografia: Vincenzo Seratrice; Montaggio: Enzo Alfonsi; Scenografia: Saverio D’Eugenio; Arredamento: Luigi D’Andria; Costumi: Giulia Mafai; Musica: Roberto Nicolosi; Interpreti: Gerard Landry, Mijanou Bardot, Ettore Manni, Andrea Aureli, Pina Bottin, Eloisa Cianni, Andrea Miano, Germano Longo, Leopoldo Valentini, Piero Giagnoni, Giulio Battiferri, Raf Baldassarre, Franco Cobianchi, Maurizio Piacentini; Durata: 92’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo della versione francese è Le pirate de l’Epervier Noir. LA STORIA: Nell’anno 1550 Manfredo s’impadronisce del Ducato di Monteforte e lo regge
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Capitolo settimo
tirannicamente, dopo aver cacciato il vecchio duca. Una banda di saraceni assoldati dall’usurpatore, assalta il paese dove il vecchio signore si è rifugiato, e lo uccide: i figli del duca si salvano miracolosamente. Intanto Riccardo, fedele alla memoria dell’ucciso, inizia con un gruppo di coraggiosi la lotta contro Manfredo: lo sostiene l’amore di Elena, la figlia maggiore del defunto duca. Con una sortita Manfredo riesce a catturare Elena e minaccia d’ucciderla se Riccardo non si darà prigioniero. Il giovane si consegna a Manfredo, ma poi riesce a fuggire. Elena, cedendo alle minacce di Manfredo, acconsente a sposarlo, ma durante la festa nuziale Riccardo penetra coi suoi nel castello e dopo accanita lotta vince il suo rivale e lo uccide in un cruento duello. Liberato dalla tirannia, Monteforte festeggia il suo salvatore; ma l’amore e la mano di Elena saranno per Riccardo il premio più ambito. LA CRITICA: «Il film, condotto secondo gli schemi consueti, è un lavoro modesto. La regia ha accentuato alcuni elementi della vicenda senza ottencre risultati adeguati. Fotografia ed ambientazione mediocre». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLIV, Anno 1958, Roma 1958, p. 242). MORGAN IL PIRATA di Primo Zeglio Anno di edizione 1960 Produzione: Lux Film, Adelphia Cinematografica, Compagnie Cinématographique de France; Direttore di produzione: Aldo Pomilia; Supervisione-regia: André De Toth; Soggetto: Filippo Sanjust, Primo Zeglio, Attilio Riccio, André De Toth; Sceneggiatura: Filippo Sanjust, Primo Zeglio, Attilio Riccio, André De Toth; Aiuto-regia: Alberto Cardone; Fotografia: Tonino Delli Colli; Montaggio: Maurizio Lucidi; Suono: Fausto Ancillai; Scenografia: Gianni Polidori; Costumi: Filippo Sanjust; Maestro d’armi: Enzo Musumeci Greco; Effetti Speciali: Eros Baciucchi; Musica: Franco Mannino; Interpreti: Steve Reeves, Valérie Lagrange, Chelo Alonso, Ivo Garrani, Armand Mestral, Giulio Bosetti, Lydia Alfonsi, Giorgio Ardisson, Angelo Zanolli, Dino Malacrida, Anita Todesco; Durata: 103’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo dell’edizione francese è Capitaine Morgan LA STORIA: Henry Morgan, essendo in schiavitù, viene comperato da Ynes, figlia del Governatore di Panama. Innamoratosi della donna, viene deportato su un galeone spagnolo ma se ne impadronisce con gli altri prigionieri che lo riconoscono come loro capo. Egli indirizza la nave all’isola di Tortuga, riscatta Ynes, che era stata fatta prigioniera, e riprende il mare. Morgan compie imprese straordinarie, stringe alleanza con l’Inghilterra, e tenta d’impadronirsi di Panama; ma l’impresa non riesce. Organizzata una seconda spedizione, cerca di accostarsi alla città per via di terra e riesce a conquistarla. Nel palazzo del Governatore trova un immenso bottino; ma il pensiero di Ynes, che egli crede lontana, in viaggio per la Spagna, lo rattrista. La troverà invece viva sotto un monte di cadaveri, e giurerà a se stesso di non staccarsi più da lei. LA CRITICA: «Si tratta di un ingenuo e modesto film di avventure, cui conferiscono una certa attrattiva il suo carattere spettacolare, l’uso violento del colore e alcune scene di massa. Recitaztone artigianale». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLVIII, Anno 1960, Roma 1960, p. 187).
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I PIRATI DELLA COSTA di Domenico Paolella
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Anno di edizione 1960 Produzione: Romana Film, Societé Nouvelle de Cinematographie; Produttore: Fortunato Misiano; Soggetto: Luciano Martino, Ugo Guerra, Bruno Rasia; Sceneggiatura: Luciano Martino, Ugo Guerra, Bruno Rasia; Aiuto-regia: Gianfranco Baldanello; Fotografia: Augusto Tiezzi; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Suono: Giovanni Bianchi; Scenografia: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Arredamento: Franco D’Andria; Costumi: Itala Scandariato; Musica: Michele Cozzoli; Interpreti: Lex Barker, Estella Blain, Livio Lorenzon, Liana Orfei, Loris Gizzi, John Kitzmiller, Nino Vingelli, Ignazio Balsamo, Nando Angelini, Gianni Solaro, Enzo Fiermonte, Corrado Annicelli, Tullio Altamura, Giovanni Vari, Nada Cortese, Eleonora Morana, Franco Iamonte, Gianni Baghino, Pasquale De Filippo, Giulio Nazzaro, Giulio Battiferri, Pina Cornel, Sina Relli, Giulio Amauli, Giuseppe Chinnici, Gerard Landry; Durata: 99’. Produzione realizzata negli Stabilimenti della Titanus. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo della versione francese è Les pirates de la côte. LA STORIA: Il capitano Luis De Monterey è degradato in seguito ad un insuccesso navale a seguito del quale il carico d’argento che trasportava cade in mano ai pirati. Condannato ai lavori forzati a vita, prima di giungere al bagno penale capeggia l’ammutinamento dei condannati, si impadronisce della nave e si trasforma in corsaro facendo rotta verso la Tortuga. I pirati fanno prigioniera Isabella, sorellastra del governatore di Ispaniola, ma Luis, segretamente innamorato di lei, la fa fuggire. Scoppiata la guerra fra la Spagna e l’Inghilterra, i pirati si alleano alla Spagna. Solo l’Olonese, un pirata in combutta con il governatore, trama di consegnare agli inglesi le navi spagnole e quelle dei pirati. Luis, scoperto il tradimento, salva la flotta, sconfigge il nemico, viene riabilitato e sposa Isabella. LA CRITICA: «Per realizzare un film avventuroso non crediamo occorrano particolari ispirazioni o geniali trovate, ma Domenico Paolella è riuscito nell’impresa impossibile di dar vita a un’opera che riesce financo a scontentare i ragazzi meno esigenti. In questo film [...] i luoghi comuni dominano incontrastati e l’intera vicenda naufraga paurosamente nel ridicolo». (G. Ciaccio, in «Rivista del Cinematografo», n.1, gen. 1961). IL TERRORE DEI MARI di Domenico Paolella Anno di edizione 1960 Produzione: Romana Film, Societé Nouvelle de Cinématographie; Direttore: Fortunato Misiano; Soggetto: Luciano Martino, Ugo Guerra; Sceneggiatura: Luciano Martino, Ugo Guerra; Aiuto-regia: Umberto Lenzi; Fotografia: Carlo Bellero; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Suono: Mario Del Pezzo; Scenografia: Alfredo Montori; Arredamento: Franco D’Andria; Costumi: Itala Scandariato; Musica: Michele Cozzoli; Interpreti: Don Megowan, Emma Danieli, Livio Lorenzon, Philippe Hersent, Germano Longo, Loris Gizzi, Annie Alberti, Corrado Annicelli, Franco Iamonte, Gianni Baghino, Nando Angelini, Cesare Lancia, Tullio Altamura, Pasquale De Filippo, Doro Corrà, Francesco Di Leone, Giancarlo Nicotra, Paolo
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Capitolo settimo
Fratini, Serenella Speziani Testa, Sina Relli, Nada Cortese, Vera De Polla, Gino Soldi, Mario Tellini, Silvana Pampanini; Durata: 100’. Produzione realizzata negli Studi Incir-De Paolis.
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OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo dell’edizione francese è La terreur des mers. LA STORIA: Scampato alla strage dei bucanieri operata dall’astuto e crudele Guzman, braccio destro del governatore di Maracaibo, il giovane Jacques giura vendetta. Raccolto da un valoroso pirata, Rock “il brasiliano”, Jacques diviene a sua volta uno dei più temuti avversari della marina spagnola. Intanto Guzman, furioso per non aver ottenuto la mano di Elisa, figlia del Governatore, medita di vendicarsi sia del Governatore sia del corsaro. Ma ad ostacolare le sue macchinazioni è Jacques il quale ama, riamato, Elisa. Nelle alterne fasi della lotta il giovane cade prigioniero degli Spagnoli, ma durante la battaglia decisiva, liberato dai suoi compagni, egli affronta Guzman e lo uccide. Placato l’antico odio, Jacques ed Elisa prendono il mare verso nuove avventure LA CRITICA:. «Personaggi e vicende proprie di un fortunato ciclo avventuroso sono tolti di peso dal loro libresco mondo e trasportati sullo schermo. La trasposizione però acuisce l’elementare ingenuità strutturale degli uni e delle altre, trasformandole in vistose carenze ed insufficienze descrittive. Resta solo il facile fascino dell’avventura, dei duelli e dello smagliante colore». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. XLIX, Anno 1961, Roma 1961, p. 99). LA VENERE DEI PIRATI di Mario Costa Anno di edizione 1960 Produzione: Max Production; Produttore: Ottavio Poggi; Direttore di produzione: Rino Merolle; Soggetto: Kurt Nachman, R. Olsen, Ottavio Poggi; Sceneggiatura: Nino Stresa; Aiutoregia: Mario Tota; Fotografia: Raffaele Masciocchi; Montaggio: Renato Cinquini; Suono: Alessandro Sarandrea, Raffaele Del Monte; Scenografia: Ernesto Kromberg; Arredamento: Amedeo Mellone; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Maestro d’armi: Franco Fantasia; Musica: Carlo Rustichelli; Interpreti: Gianna Maria Canale, Massimo Serato, Scilla Gabel, Livio Lorenzon, Moira Orfei, Paul Müller, José Jaspe, Giustino Durano, Andrea Aureli, Franco Fantasia, Nando Tamberlani, Giulio Battiferri, Luigi Marturano, Gianni Solaro, Anna Maria Mustari, Raf Baldassarre; Durata: 76’. Produzione realizzata negli Stabilimenti De Paolis-Incir di Roma. LA STORIA: Il Duca Zulian e sua figlia Isabella tiranneggiano nel ducato di Doruzza. Cesare di Santacroce, promesso sposo di Isabella, fa liberare Mirko, capitano di mare, e sua figlia Sandra; ma Isabella tende un’imboscata a Mirko e fà imbarcare Sandra come schiava su una nave. Mirko, salvatosi, si impadronisce della nave e si dà alla pirateria con Sandra. Ben presto Sandra, per le sue gesta, diviene la “Venere dei pirati”. Il conte di Santacroce si offre di catturare la corsara; ma appresa la verità, passa dalla parte dei ribelli. Introdotta Sandra nel castello del Duca, il Conte viene scoperto in sua compagnia e dichiara che il suo gesto era un trucco per catturarla. Sandra, credendosi tradita, stà già per essere impiccata, ma il Conte corre in suo aiuto. I due si battono disperatamente e, quando stanno per soccombere, arrivano i pirati che, con l’aiuto della popolazione insorta, irrompono nel castello. Il Duca, colpito a
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morte da Mirko, confessa che Sandra è la legittima duchessina di Doruzza. Vent’anni prima il Duca aveva ordinato a Mirko di ucciderla; ma Mirko l’aveva invece allevata come una figlia. Santacroce e Sandra si sposano e Isabella si ritira in un convento. LA CRITICA: «La solita piratessa che lotta per salvare il suo popolo dal tiranno. Le si allea un nobile assetato d’amore e di giustizia e la coppia trionfa in un finale da “arrivano i nostri”. E salirà sul trono». (Anonimo, in «Nuovo Spettatore Cinematografico», n. 20, mar. 1961). LE AVVENTURE DI MARY READ di Umberto Lenzi Anno di edizione 1961 Produzione: Romana Film; Produttore: Fortunato Misiano; Direttore di produzione: Nino Misiano; Soggetto: Ugo Guerra, Luciano Martino; Sceneggiatura: Ugo Guerra, Luciano Martino; Aiuto-regia: Tersicore Kolosoff; Fotografia: Augusto Tiezzi; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Suono: Alessandro Sarandrea; Scenografia: Alfredo Montori; Arredamento: Franco D’Andria; Costumi: Walter Patriarca; Musica: Gino Filippini; Interpreti: Lisa Gastoni, Jerome Courtland, Agostino Salvietti, Germano Longo, Edoardo Toniolo, Loris Gizzi, Gianni Solaro, Gisella Arden, Dina De Santis, Anna Arena, Walter Licastro, Eleonora Morana, Bruno Scipioni, Tullio Altamura, Mimmo Poli, Giulio Battiferri, Franco Iamonte, Nada Cortese, Ignazio Balsamo, Maria Teresa Angelé, Gualtiero Isnenghi, Piero Pastore, Luigi D’Acri, Walter Barnes; Durata: 89’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Incir-De Paolis. OSSERVAZIONI: Si tratta dell’opera prima del regista Umberto Lenzi. LA STORIA: Sul finire del XVII secolo, Mary, in seguito a un furto, creduta un uomo, viene tradotta nelle carceri di Londra e messa in cella con un certo Peter. Peter è il figlio di un lord e si è fatto arrestare per scommessa. Mary fugge dalla prigione e, conosciuta la verità su Peter, addolorata perché innamorata di lui, si arruola come mozzo sulla nave del corsaro del re, Capitan Poof. Fattasi un nome per il suo coraggio, alla morte di Capitan Poof, Mary prende il comando della nave. L’Inghilterra, per porre fine alla pirateria, manda nei mari infestati dai pirati un grosso incrociatore: al comando di Peter, figlio di Lord Goodwin. Mary fa cadere in un tranello Peter: si fa trovare sulla nave di Capitan Poof all’isola di S. Salvador dove gli svela la verità poi, fattagli consegnare una spada si batte con lui a duello. Peter ha la meglio, ma salva la vita alla donna che ormai ama. LA CRITICA: «Pur avvalendosi di consueti elementi spettacotari il film, diretto e tnterpretato con scarso mestiere, non riesce a superare gli angusti limiti di un modesto artigianato». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. L, Anno 1961, Roma 1961, p. 274). IL CONQUISTATORE DI MARACAIBO di Jean Martin Anno di edizione 1961 Produzione: Cineproduzioni Associate, Procusa Film, Epoca Films; Produttore: Leonardo
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Capitolo settimo
Martin; Direttore di produzione: Manolo Torres, Attilio Tosato; Direzione artistica: Gianfranco Parolini; Soggetto: Gianfranco Parolini, Giovanni Simonelli; Sceneggiatura: Gianfranco Parolini, Giovanni Simonelli; Aiuto-regia: Paco Perez Dolz, Giovanni Simonelli; Fotografia: Francesco Izzaielli; Montaggio: Antonio Jimeno; Suono: Giuseppe Turco; Scenografia: Francisco Canet; Costumi: Vittorio Rossi; Maestro d’armi: Joe Baldi; Effetti Speciali: Ramon Leros; Musica: Albert Asins Arbb; Interpreti: Hans von Borsody, Brigitte Corey, Helga Line, Carlo Tamberlani, Carlos Casaravilla, Jany Clair, Conrad Anderson, Luis Induni, Jose Marco Davo, Luis Polack, Livia Contardi, Shorty; Durata: 90’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-spagnola. Il titolo della versione spagnola è Los corsarios del Caribe. Jean Martin è il regista spagnolo Eugene Martin. Brigitte Corey è lo pseudonimo di Luisella Boni. LA STORIA: Alan Drake, capo di una nave pirata, per il tradimento di un compagno viene accusato di furto. Drake fugge dalla Tortuga per recarsi in America: durante il viaggio incontra un galeone spagnolo attaccato dai pirati e lo salva. Si reca quindi, scortando il galeone, a Maracaibo, sperando di incontrare El Valiente che, quando non è in mare, vive a Maracaibo. Drake, accolto con onore per aver salvato una nave spagnola, viene denunciato al Governatore da Brasseur, il pirata traditore che lo aveva falsamente accusato di furto. Viene perciò arrestato e condannato a morte. L’attacco dei pirati, capeggiati da Brasseur, a Maracaibo, salva Drake, che si affianca agli spagnoli sconfiggendo i pirati. Si viene a scoprire che El Valiente, il pirata mascherato, è Moira, una donna cara al governatore, che però, per amore di Drake, ha deciso di cambiar vita. Quando Drake insegue Brasseur, quest’ultimo prima di essere ucciso riesce a colpire El Valiente. Morta Moira, Drake, perdonato dalle autorità spagnole, riprende il mare. LA CRITICA: «Avventure piratesche nel mar dei Caraibi, con governatori cattivi e pirati buoni, che hanno una giusta vendetta da compiere, e ci riescono». (Anonimo, in «Nuovo Spettatore Cinematografico», n. 28/29, febb. 1962). IL DOMINATORE DEI SETTE MARI (Sir Francis Drake) di Primo Zeglio Anno di edizione 1961 Produzione: Adelphia Compagnia Cinematografica; Produttore: Attilio Riccio; Direttore di produzione: Paolo Moffa; Supervisione-regia: Rudi Mate; Soggetto: Filippo Sanjust; Sceneggiatura: Filippo Sanjust, Sabatino Ciuffini, George St. George, Lindsay Galloway; Aiutoregia: Sabatino Ciuffini; Fotografia: Giulio Gianini; Montaggio: Franco Fraticelli; Scenografia: Nicola Cantatore; Arredamento: Antonio Martini, Brunello Serena, Adele Tosi; Costumi: Filippo Sanjust; Musica: Franco Mannino; Interpreti: Rod Taylor, Hedy Vessel, Keith Mitchell, Irene Worth, Basil Dignam, Mario Girotti, Anthony Dawson, Gianni Cajafa, Esmeralda Ruspoli, Marco Guglielmi, Arturo Dominici, Gianni Solaro, Umberto Raho, Adriano Vitale, Jacopo Tecchio, Luciano Melani, Giulio Bosetti, Rosella D’Aquino, Aldo Bufi Landi, Bruno Ukmar, Giuseppe Abbrescia, Anna Santasiero, Wanda Brizio; Durata: 90’. LA STORIA: Dopo una serie di mirabolanti imprese contro gli spagnoli, Drake con i suoi
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Gli ultimi avventurieri
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uomini torna in Inghilterra, dove è in corso un tentativo di liberare Maria di Scozia, che è stata imprigionata da Elisabetta, ed uccidere la Regina d’Inghilterra. Drake, naturalmente, è al servizio di Elisabetta e riesce a sventare il complotto. I congiurati e la stessa Maria di Scozia saranno decapitati, mentre uno degli uomini di Drake, innamorato di una giovane donna che a sua insaputa era stata implicata nel complotto, sposerà la ragazza grazie all’intervento della stessa regina. Quindi il famoso pirata riprende il largo con i suoi uomini verso nuove avventure. LA CRITICA: «Film avventuroso assai modesto sia per la trama, che per la regia e la recitazione». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LII, Anno 1962, Roma 1962, p. 105). IL FIGLIO DEL CAPITANO BLOOD di Tulio Demicheli Anno di edizione 1961 Produzione: C.C.M., Benito Berojo; Soggetto: Casey Robinson; Arturo Rigel; Sceneggiatura: Casey Robinson; Arturo Rigel; Aiuto-regia: Augusto Fenollari, Mara Di Paolo; Fotografia: Alejandro Ulloa; Montaggio: Renato Cinquini, Antonio Ramirez; Scenografia: Piero Filippone; Arredamento: Enrique Alarqon; Musica: Angelo Francesco Lavagnino; Interpreti: Sean Flynn, Alessandra Panaro, Jose Nieto, Ann Todd, John Kitzmiller, Roberto Camardiel, Raf Baldassarre, Fernando Sancho, Ray Martino, Luisa De Cordoba, Carlos Casaravilla, Ettore Ribotta, Simonetta Simeoni, Angeles Macua, José Maria Caffarel; Durata: 90’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-spagnola. Il titolo della versione spagnola è El hijo del capitan Blood. Tulio Demicheli è il regista argentino-messicano Tullio Demichelli. LA STORIA: Robert Blood, figlio del corsaro, lascia l’America per andare a studiare in Inghilterra. Durante il viaggio la nave viene catturata dai pirati. Anche Robert è fatto prigioniero e maltrattato come gli altri malcapitati. Tuttavia non si perde d’animo e, arrivato alla Tortuga, si impadronisce della nave corsara e ne diventa il comandante. Salva la giovane Abby, che ha conosciuto all’inizio del viaggio e di cui s’è innamorato. Giunto a Port Royal per portare la ragazza al sicuro, Robert apprende che il governatore tiranneggia la popolazione e ha revocato la concessione della libertà agli schiavi. Anche la madre del giovane Blood ha dovuto subire i soprusi del governatore. Robert decide di attaccare la fortezza. Dopo un furioso combattimento, grazie anche a un forte terremoto che sconvolge la città, riesce ad avere ragione dei difensori e a riabbracciare la madre che si è salvata all’interno di una chiesa. LA CRITICA: «Trattasi di un modesto film d’avventure, che risulta abbastanza monotono per l’assenza di scene ed episodi di suggestivo vigore spettacolare. Mentre la fotografia e l’ambientazione risultano discretamente cfficaci, la regia e la recitazione sono alquanto deboli». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LII, Anno 1962, Roma 1962, p. 105).
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Capitolo settimo
IL GIUSTIZIERE DEI MARI di Domenico Paolella
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Anno di edizione 1961 Produzione: Documento Film, Le Louvre Film; Produttore: Gianni Hecht Lucari; Direttore di produzione: Paolo Giovanardi; Soggetto: Ugo Guerra, Luciano Martino; Sceneggiatura: Ugo Guerra, Luciano Martino; Aiuto-regia: Pietro Nuccorini; Fotografia: Carlo Bellero; Montaggio: Otello Colangeli; Suono: Fiorenzo Magli, Sandro Occhietti; Scenografia: Aldo Tomassini Barbarossa; Arredamento: Andrea Fantacci; Costumi: Walter Patriarca; Effetti Speciali: Giovanni Battistelli; Musica: Egisto Macchi; Interpreti: Richard Harrison, Michèle Mercier, Roldano Lupi, Marisa Belli, Paul Müller, Carlo Hintermann, Italo Saini, Romano Giovini, Liliane Nguyen, Walter Barnes; Durata: 85’. Produzione realizzata negli Studi dell’Istituto Nazionale Luce di Roma. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo della versione francese è Le Boucanier des Isles. LA STORIA: Alla fine del ’700, lungo le coste dell’Australia alcune centinaia di deportati vennero sottoposti a dure persecuzioni e obbligati alla pericolosa pesca delle perle. David Robinson, figlio d’un dignitario della corte inglese caduto in disgrazia, è ufficiale di marina agli ordini del capitano Redway. Giunto a Freeland, in Australia, e ritrovati padre e fratello, si mette nei guai per aver difeso alcuni deportati e, degradato, viene condannato a morte. Fugge insieme ad un filibustiere olandese e diventa pirata. In questa sua nuova veste combatte il suo antico comandante Redway, colpevole di numerose rapine, e dopo varie peripezie lo sconfigge e riesce a compiere la sua opera di giustizia portando la pace in quelle zone. LA CRITICA: «L’azione di questo simpatico film si svolge in Australia nel secolo scorso, nel mar dei Coralli e nel Pacifico. Benché realizzato sulle coste del Meditenaneo, riesce a conservare un tono particolare che si trova raramente in produzioni di questo genere. Non abbiamo mai avuto molta stima (su questa rivista) per il regista Paolella [...]. Per una volta saremo indulgenti, dal momento che il suo bucaniere ci ha molto divertito, cosa assai rara in questo genere di film». (R.Tabes, in «Image et Son», n. 163, giu. 1963). GORDON IL PIRATA NERO di Mario Costa Anno di edizione 1961 Produzione: Max Production; Direttore di produzione: Nino Battiferri; Soggetto: John Byrne, Ottavio Poggi; Sceneggiatura: John Byrne, Ottavio Poggi; Aiuto-regia: John Alarino, Alberto Salvatori; Fotografia: Carlo Bellero; Montaggio: Renato Cinquini; Suono: Raffaele Del Monte, Fiorenzo Magli; Scenografia: Ernest Kromberg, Amedeo Mellone; Arredamento: Ernest Kromberg, Amedeo Mellone; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Maestro d’armi: Luigi Marturano; Musica: Carlo Rustichelli; Interpreti: Ricardo Montalban, Vincent Price, Giulia Rubini, Liana Orfei, Mario Feliciani, Giustino Durano, Gisella Sofio, José Jaspe, Edoardo Toniolo, Gino Marturano, Andrea Fantasia, Franco Fantasia, Giulio Battiferri, Romano Giomini, Paolo Pieri, Adriano Vitali, Van Aikens, Wilbert Bradley, Mario Rezzera; Durata: 91’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Incir-De Paolis e, in esterni, sul Lago di Garda.
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LA STORIA: Per smascherare Tortuga, uno dei capi-pirati, implicato nel traffico degli schiavi, Gordon, detto il Pirata Nero, si reca a San Salvador, base dell’iniquo commercio, nascondendosi sotto le mentite spoglie di un proprietario di piantagioni. Gordon, allorché smaschera Romero, il segretario del Governatore, quale responsabile della tratta degli schiavi, è accusato da Tortuga ed imprigionato. Ben presto Gordon è liberato da Manuela, la figlia del governatore che, a sua volta, viene catturata da Romero e da Tortuga per ritorsione. Dopo furiosi combattimenti, Gordon uccide Tortuga, imprigiona Romero e libera Manuela. Il governatore affida allora a Gordon la reggenza di una piccola isola popolata di schiavi liberati e gli concede la mano di Manuela. LA CRITICA: «Trattasi di un film di cappa e spada, realizzato secondo gli schemi tipici del genere e diretto con discreta perizia e pulizia formale. La vicenda è scontata e non sempre suscita il dovuto interesse, difettando completamente di spunti spettacolari. Mediocre l’interpretazione; senza rilievo la fotografia». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LI, Anno 1962, Roma 1962, p. 102). I MOSCHETTIERI DEL MARE di Steno Anno di edizione 1961 Produzione: Morino Film, France Cinéma Productions; Direttore di produzione: Massimo Patrizi; Soggetto: Marcello Fondato, Roberto Gianviti, Vittorio Metz, Steno, tratto da un’idea di Ennio De Concini; Sceneggiatura: Marcello Fondato; Aiuto-regia: Fernando Cicero; Fotografia: Carlo Carlini; Montaggio: Giuliana Attenni; Suono: Vittorio Trentino, Bruno Moreal; Scenografia: Gianni Polidori; Arredamento: Ranieri Cocchetti; Costumi: Gianni Polidori; Maestro d’armi: Ferdy Unger; Effetti speciali: Sergio Scalia; Musica: Carlo Rustichelli; Interpreti: Anna Maria Pierangeli, Charming Pollock, Aldo Ray, Philippe Clay, Robert Alda, Raymond Bussieres, Carlo Ninchi, Mario Scaccia, Carla Calò, Mario Siletti, Cesare Fantoni, Gino Buzzanca, Piero Tordi, Furio Meniconi, Lamberto Antinori, Erika Jorgen; Durata: 110’. Produzione realizzata negli Studi della Titanus. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo della versione francese è Ils étaient trois filibustiers. Steno è lo pseudonimo di Stefano Vanzina. Il nome di battesimo di Unger è Goffredo. LA STORIA: Pierre, Moreau e Gosselin fuggono dalla Francia e si arruolano nella filibusta. La nave sulla quale sono imbarcati viene affondata ma i tre riescono a salvarsi salendo su un galeone senza essere visti. Con uno stratagemma riducono prigioniero l’equipaggio, arruolano una ciurma di pirati e puntano verso Maracaibo. Qui i tre si qualificano come capitano e ufficiali della nave. Dopo molte avventure, Pierre sposa la figlia del governatore e gli altri due vengono nominati conti. LA CRITICA: «Avventure di pirati viste [...] sotto un aspetto umoristico che rende piu gradevole il racconto. Steno ha diretto il film con l’intento di renderlo per quanto possibile diverso dal solito schema delle storie piratesche. In buona parte vi è riuscito, ben coadiuvato dagli interpreti». (U. Tani, in «Intermezzo», n. 11/12, 30 giu.1962).
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Capitolo settimo
LE PRIGIONIERE DELL’ISOLA DEL DIAVOLO di Domenico Paolella
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Anno di edizione 1961 Produzione: Documento Film, Le Louvre Film; Produttore: Gianni Hecht Lucari; Direttore di produzione: Paolo Giovanardi; Soggetto: Domenico Paolella, tratto dall’inchiesta del 1848 Gli orrori della Guyana; Sceneggiatura: Domenico Paolella; Aiuto-regia: Piero Nuccorini; Fotografia: Carlo Bellero; Montaggio: Otello Colangeli; Suono: Fiorenzo Magli; Scenografia: Aldo Tomassini Barbarossa; Arredamento: Walter Patriarca, Andrea Fantacci; Costumi: Anna Maria Palleri; Effetti Speciali: Giovanni Battistelli; Musica: Egisto Macchi; Interpreti: Guy Madison, Michè1e Mercier, Federica Ranchi, Paul Müller, Marisa Belli, Tullio Altamura, Carlo Hintermann, Antonella Della Porta, Fernando Piazza, Roldano Lupi, Gisella Arden, Vera Besusso, Claudine Damon, Margaret Rose Keil; Durata: 90’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo francese del film è L’ile des filles perdues. LA STORIA: In un penitenziario della Guyana nel XVIII secolo il tenente Le Favre sottopone ad una esistenza durissima tutte le prigioniere. Ne fa uccidere una, Janette, che ha organizzato una fuga. Con un tranello, un pirata, Herry, si sostituisce a Le Favre per portare via dall’isola l’ingente tesoro conservato nel forte. Herry si innamora della sorella di Janette, Martine. Dopo alterne vicende vi è uno scontro finale, nel corso del quale Le Favre viene ucciso dalla stessa Martine. Berry che non è altri che un patriota francese parte con Martine. LA CRITICA: «Trattasi di un film ingenuo, intessuto su una vicenda avventurosa di debole ispirazione. La realizzazione è di mediocre livello, dando luogo ad un risultato spettacolare molto modesto». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. L, Anno 1961, Roma 1961, p. 195). IL SEGRETO DELLO SPARVIERO NERO di Domenico Paolella Anno di edizione 1961 Produzione: Romana Film; Produttore: Fortunato Misiano; Soggetto: Domenico Paolella, Sergio Sollima; Sceneggiatura: Domenico Paolella, Sergio Sollima; Aiuto-regia: Tersicore Kolosoff; Fotografia: Carlo Bellero; Montaggio: Iolanda Benvenuti; Suono: Mario De1 Pezzo; Scenografia: Alfredo Montori; Arredamento: Franco D’Andria; Costumi: Walter Patriarca; Musica: Gino Filippini; Interpreti: Lex Barker, Livio Lorenzon, Nadia Marlova, Germano Longo, Pina Cornel, Loris Gizzi, Dina De Santis, Gisella Arden, Tullio Altamura, Corrado Annicelli, Zulina Badaloni, Ignazio Balsamo, Nadia Brivio, Gino Buzzanca, Giuseppe Chinnici, Nada Cortese, Linda De Felice, Francesco De Leone, Franca Dolbek, Ho Fu Ling, Walter Licastro, Gabriella Patrignani, Sina Scarfoni, Erina Torelli, Walter Barnes; Durata: 92’. Produzione realizzata negli Studi Incir-De Paolis e, in esterni, sul Lago di Garda. LA STORIA: Nella prima metà del XVII secolo, il comandante Carlos De Herrera per la Spagna e lo “Sparviero Nero” per l’Inghilterra, si contendono alcuni importanti documenti di stato, caduti in mano dei pirati. Per impadronirsene, Carlos ed un suo sergente, Rodriguez, si arruolano nella ciurma del pirata Calico Jack. Il pirata assalta una nave spagnola con a
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Gli ultimi avventurieri
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bordo Leonora, fidanzata di Carlos. Per salvarle la vita, Carlos convince Calico a chiedere un grosso riscatto ed inserisce nel messaggio una richiesta d’aiuto alle truppe spagnole. Leonora intanto scopre che il sergente Rodriguez è lo “Sparviero Nero”. La situazione per Carlos si fa presto disperata ed è costretto alla resa. Leonora riesce però a bruciare i documenti, che erano nascosti in un candelabro. Ma l’arrivo delle truppe spagnole capovolge la situazione. Il pirata allora ordina ai suoi uomini di uccidere Leonora e tutte le donne spagnole che sono con lei. Lo “Sparviero Nero” si pone al fianco di Carlos contro l’orda sanguinaria. Le truppe spagnole hanno il sopravvento e sbaragliano i pirati, ma lo “Sparviero Nero”, facendo scudo col proprio corpo a Carlos, muore. I documenti sono salvi: Leonora, infatti, aveva bruciato solo alcune inutili carte. LA CRITICA: «Della macchinosa vicenda, narrata con accenti non privi d’ingenuità e di inverosimiglianza, vengono sottolineati gli aspetti più superficialmente spettacolari: battaglie ed arrembaggi, idilli e duelli, intrighi ed eroismi sono presentati nello sgargiante fascino di luoghi esotici e di costumi pittoreschi». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. L, Anno 1961, Roma 1961, p. 195). LO SPARVIERO DEI CARAIBI di Piero Regnoli Anno di edizione 1961 Produzione: Nord Film Italiana, Remarch Film; Produttore: Tiziano Longo; Direttore di produzione: Umberto Borsato, Alfonso Donati; Soggetto: Piero Regnoli; Sceneggiatura: Gian Paolo Calligari, Piero Regnoli; Aiuto-regia: Giancarlo Romitelli; Fotografia: Aldo Greci; Montaggio: Mariano Arditi; Suono: Pietro Seriffo; Scenografia: Giuseppe Ranieri; Arredamento: Alessandro Schird; Costumi: Vilelma Vitaioli; Maestro d’armi: Sergio Sagnotti; Musica: Aldo Piga; Direzione musicale: Pier Luigi Urbini; Interpreti: Johnny Desmond, Yvonne Monlaur, Armando Francioli, Piero Lulli, Franca Parisi, Walter Brandi, Elvy Lissiak, Vincenzo Musolino, Graziella Granata, Amedeo Trilli, Carlo Lombardi, Franco Santi, Nino Marchesini, Mara Garden, Susan Terry, Carla Foscari, Paolo Solvay, Riccardo De Santis, Claudio Undari; Durata: 103’. OSSERVAZIONI: Paolo Solvay è lo pseudonimo di Luigi Balzella. LA STORIA: Un gruppo di schiavi ribelli, guidati da Juan Rodrigo Olivares conquistano un fortino spagnolo in un’isola delle Antille. In seguito si impossessano di un vascello e, con le loro scorrerie, rendono famoso Olivares in tutti i Caraibi. Questi si imbatte in Aña Maria de la Fuentes, nipote del vicerè e, ignorandone l’identità, le permette di raggiungere la sua destinazione Nel frattempo l’Inghilterra ha dichiarato guerra alla Spagna e l’unico uomo in grado di fermare gli inglesi è Olivares. Il capitamo Esteban convince il pirata a sostenere la causa spagnola. L’impresa contro gli inglesi riesce, ma Olivares per il tradimento di un pirata, viene imprigionato e condannato a morte. Gli inglesi fanno fuggire Olivares che, pur di salvare Aña Maria che ama, si lancia con il suo galeone carico di esplosivo contro l’ammiraglia inglese. Le due navi colano a picco con tutti gli uomini e Aña Maria si consolerà col capitano Esteban, che l’ha sempre amata. LA CRITICA: «Regnoli ha realizzato una bella avventura marittima [...] brillantemente messa in scena [...] tutta su un ritmo truculento [...]. Un film anodino, condotto con brio [...] rilassante». (R. Tabes, in «Saison ’64», 1964).
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Capitolo settimo
LA TIGRE DEI SETTE MARI di Luigi Capuano
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Anno di edizione 1962 Produzione: Liber Film, Euro International Films; Produttore: Ottavio Poggi; Soggetto: Nino Battiferri; Sceneggiatura: Arpad De Riso, Luigi Capuano, Ottavio Poggi; Aiuto-regia: Gianfranco Baldanello; Fotografia: Alvaro Mancori; Montaggio: Renato Cinquini; Suono: Fiorenzo Magli; Scenografia: Amedeo Mellone; Arredamento: Ernest Kromberg; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Maestro d’armi: Bruno Ariè; Musica: Carlo Rustichelli; Interpreti: Gianna Maria Canale, Anthony Steel, Grazia Maria Spina, Andrea Aureli, Carlo Ninchi, John Kitzmiller, Carlo Pisacane, Nazzareno Zamperla, Pasquale De Filippo, Giulio Battiferri, Romano Giomini, Renato Izzo, Ernesto Calindri; Durata: 96’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Elios di Roma. LA STORIA: Un famoso pirata, detto “Il tigre”, che batte i mari con la sua nave, decide di lasciare il comando. La successione è contesa in duello tra un uomo della ciurma e William: vince quest’ultimo. Il perdente, un traditore al servizio del governatore spagnolo, uccide “Il tigre” e incolpa William, che sta per essere impiccato ma un attacco degli spagnoli lo impedisce. Consuelo, figlia del “Tigre”, fugge e diviene una piratessa, la “Tigre dei mari”. Un giorno William incontra Consuelo e, per dimostrarle che non è l’assassino del padre, si introduce nel palazzo del governatore per smascherare il traditore, ma viene arrestato. Consuelo assale il castello e lo libera, ma entrambi vengono a loro volta catturati e ottengono la libertà rivelando alla moglie del governatore il luogo dove è celato il tesoro del “Tigre”. LA CRITICA: «Si tratta di un modesto film, avventuroso, ingenuo e dalle soluzioni scontate. È confezionato su misura per i ragazzi, ma non è riscattato da pagine di efficacia spettacolare. Dignitosa l’interpretazione; senza pregi particolari la regia e la fotografia». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LII, Anno 1962, Roma 1962, p. 209). IL MISTERO DELL’ISOLA MALEDETTA di Piero Pierotti Anno di edizione 1963 Produzione: Romana Film; Produttore: Fortunato Misiano; Direttore di produzione: Nino Misiano; Soggetto: Piero Pierotti, Arpad De Riso; Sceneggiatura: Piero Pierotti, Arpad De Riso; Aiuto-regia: Giancarlo Romitelli; Fotografia: Augusto Tiezzi; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Suono: Dino Fronzetti; Scenografia: Pier Vittorio Marchi; Arredamento: Francesco D’Andria; Costumi: Walter Patriarca; Musica: Angelo Francesco Lavagnino; Interpreti: Rock Stevens, Halina Zalewska, Arturo Dominici, Monique Renaud, Ted Carter, Dina De Santis, Mike Moore, Loris Gizzi, Nando Angelini, Nino Vingelli, Attilio Dottesio, Rosy De Leo, Salvatore Borgese, Ignazio Balsamo, Franco Jamonte, Gianni Baghino, Aldo Cristiani, Gaetano Scala, Emilio Messina, Gino Soldi, Riccardo Castelli, Luigi D’Acri; Durata: 93’. Produzione realizzata negli Studi Incir-De Paolis e, in esterni, a Peschiera del Garda. OSSERVAZIONI: Rock Stevens è lo pseudonimo di Peter Lupus e Mike Moore quello di Amedeo Trilli.
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LA STORIA: Il galeone di Pedro Valverde, avvista un rottame al quale è aggrappato il Capitan Navarro il quale, prima di morire, rivela che a ridurlo così è stato Malik, un feroce pirata. Giunto a Puerto Suarez, Pedro incontra il governatore, Don Alvarado, che lo presenta alla figlia Blanca e ad Alma, sua fidanzata. Mentre Pedro, per incarico di Don Alvarado, inizia le indagini su Malik e sulla sua ignota complice, incontra spesso Alma, che gli dimostra simpatia. Durante una festa al palazzo del governatore, Malik e i suoi pirati lo assaltano. Tuttavia il piano del bandito fallisce grazie all’intervento di Pedro. Giunti altri rinforzi governativi, tutte le forze regolari convergono sull’Isola Maledetta ove i pirati hanno la loro base. Nello scontro decisivo, Alma viene smascherata e trova la morte e Malik e suoi uomini vengono sterminati. Tornata la calma Pedro e Blanca si sposano. LA CRITICA: «Il film che non esce dai limiti di un normale racconto di avventure, è realizzato con discreto mestiere». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LVIII, Anno 1965, Roma 1965, p. 37). L’UOMO MASCHERATO CONTRO I PIRATI di Dean Vert Anno di edizione 1964 Produzione: Rio Film; Produttore: Pino Addario; Direttore di produzione: Gianni Solitro, Alcide Amicucci; Soggetto: Dino Sant’Ambrogio; Sceneggiatura: Aldo Barni, Dino Sant’Ambrogio, Giorgio Costantini; Aiuto-regia: Gennaro Balistrieri, Tony Petretto; Fotografia: Antonio Belviso; Montaggio: Mariano Arditi; Suono: Alfredo Neri; Scenografia: Demofilo Fidani; Costumi: Mila Vitelli Valenza; Effetti Speciali: Agostino Possanza; Musica: Felice Di Stefano; Direzione musicale: Alessandro Nadin; Interpreti: George Hilton, Claude Dantès, John Warren, José Torres, Tony Kendall, Pietro De Vico, Gina Rovere, Luciano Benetti, Lucio De Santis, Mario Zicavo, Stefano Oppedisano, Luigi Antonio Guerra, Antonio Bullo, Emanuele Valtana, Giorgio Costantini, Amerigo Leoni, Roberto Maldera, Paolo Reale, Angelo Santamiantini, Aida Salazar, Bruna Baino, Nino Musco, Monica De Santis, Laura Forest, Adriana Tucci, Ruth Van Hagen, Christiane Papts, Christa Windisch; Durata: 87’. Produzione realizzata negli Studi della Titanus. OSSERVAZIONI: Dean Vert è lo pseudonimo di Vertunnio De Angelis e Tony Kendall è quello di Luciano Stella. LA STORIA: Il pirata Garcia terrorizza gli oceani con la sua nave. Un giorno incrocia una nave spagnola comandata da Gomez; l’abborda e la cola a picco. Il feroce pirata vuole sbarazzarsi di tutti i prigionieri ad eccezione delle donne che pensa di vendere al mercante Ramirez; ma il secondo, Juarez, lo convince a concedergli in sposa la principessa Anna che acconsente perché ha capito che è uno trucco per proteggerla. Nell’isola presso la quale i pirati hanno il loro rifugio, mentre arriva Ramirez per il suo turpe mercato, appare un misterioso uomo mascherato. È lo stesso Juarez, che con il suo intervento decide le sorti della sollevazione finale. La principessa Anna si allontana con la speranza che Juarez finisca presto la sua missione e possa raggiungerla. LA CRITICA: «Il film, puerile e fumettistico nella sua concezione, è ancor piu deludente come realizzazione, essendo tecnicamente assai modesto». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LVIII, Anno 1965, Roma 1965, p. 186).
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Capitolo settimo
SURCOUF L’EROE DEI SETTE MARI di Sergio Bergonzelli
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Anno di edizione 1967 Produzione: Arco Film, Producciones Cinematográficas Balcazar, Edic; Produttore: Luigi Nannarini; Direttore di produzione: Valentin Sallent, Luigi Nannerini; Soggetto: Jacques Severac, Georges De La Grandiere, tratto dal romanzo Surcouf di Françoise Limares; Sceneggiatura: José Antonio De La Loma, Giovanni Simonelli; Aiuto-regia: Tony Puente, Antonio Di Paola; Fotografia: Juan Gelpi; Montaggio: Jean-Michel Gautier; Suono: Pietro Spadoni; Scenografia: Juan Alberto Soler; Costumi: Roman Calatayud; Maestro d’armi: Fernandino Poggi; Effetti Speciali: John Fulto, Antonio Parra; Musica: Georges Garvarentz; Interpreti: Gérard Barray, Antonella Lualdi, Terence Morgan, Géneviève Casile, Alberto Cevenini, Rossella Bergamonti, Frank Oliveras, Vidal Molina, Gérard Tichy, Armand Mestral, Aldo Sambrell, Monica Randal, Caffarel, Tomas Blanco, Georges Rigaud; Durata: 95’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-ispano-francese. Il titolo della versione spagnola è El tigre de los siete mares, quello della versione francese è Surcouf, le tigre des 7 mers. LA STORIA: Il tenente Robert, detto Surcouf, deluso dal rifiuto di Maria Cristina, parte per Port Louis, dove il Governatore gli affida il comando d’una nave col compito di rompere il blocco degli inglesi. Nonostante 1’inferiorità delle forze, Surcouf riesce a vincere. Gli viene perciò assegnata una nave corsara più veloce e in poco tempo egli mette fuori combattimento molte navi inglesi. Tornato in Francia con tutti gli onori, avrà finalmente 1’amore di Maria Cristina. LA CRITICA: «Si tratta di un film d’avventura dove oltre alle incongruenze narrative ed alla superticialità delle vicenda, si nota una realizzazione assai dilettantistica». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXI, Anno 1967, Roma 1967, p. 163). IL GRANDE COLPO DI SURCOUF di Sergio Bergonzelli Anno di edizione 1967 OSSERVAZIONI: Il cast e il credit tecnico di questo film sono gli stessi del film Surcouf l‘eroe dei sette mari (v.), di cui costituisce il seguito o, meglio, la seconda parte. Come per il film precedente si tratta di una coproduzione italo-ispano-francese. Il titolo della versione francese è La vengeance de Surcouf. Durata: 97’. LA STORIA: Mentre sta festeggiando la nascita del secondo figlio, l’ex corsaro Surcouf è chiamato da Napoleone per una nuova missione contro il nemico di sempre: l’Inghilterra. Si tratta di recuperare preziosi documenti bellici su un’isola occupata dagli avversari. Portata felicemente a termine l’azione, Surcouf torna in patria ed affida la sua nave al fratello Nicolas. Questi, scambiato per Surcouf, è fatto prigioniero dal governatore inglese dell’isola e condannato all’impiccagione. Surcouf, con un manipolo d’uomini fidati, riesce ancora una volta ad avere la meglio e salva il fratello.
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Gli ultimi avventurieri
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LA CRITICA: «Si tratta di un film avventuroso, realizzato con abbondanti ingenuità e con una tecnica dilettantistica» (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXI, Anno 1967, Roma 1967, p. 162). I PIRATI DELL’ISOLA VERDE di Ted Kaplan Anno di edizione 1969 Produzione: Società Ambrosiana Cinematografica, Izaro Film; Direttore di produzione: Julian Esteban; Soggetto: Mario Di Nardo, Federico De Urrutia; Sceneggiatura: Mario Di Nardo, Federico De Urrutia; Aiuto-regia: Jaime D’Ors; Fotografia: Rafael Pacheco; Suono: José Luis L. Sobre; Scenografia: Eduardo Torre De La Fuente; Arredamento: Piero Filippone; Costumi: Piero Filippone; Interpreti: Dean Reed, Alberto De Mendoza, Annabella Incontrera, Mary Francis, Tomas Blanco, Florinda Chico, Tito Garcia, Paolo Gozlino, Pedro Luis Lozan, Sal Borgese, Leslie Bailey, José Luis Chinchilla, Antonio De Martino, Adriano Corneli, Mario Dani, Francesco Gulà; Durata: 97’. Produzione realizzata in esterni ad Almeira, in Spagna. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo spagnola. Il titolo della versione spagnola è Los corsarios. Ted Kaplan è lo pseudonimo di Ferdinando Baldi. Non sono accreditati, nei titoli di testa: Musica e Montaggio. LA STORIA: Il pirata Alan Drake, naufraga nel Mare dei Carabi e prende terra, con i superstiti della propria ciurma, nei possedimenti della principessa Isabella. Il trono della Principessa dei Caraibi è insidiato dal Duca di Burt e dai pirati di Juan Cortez. I pirati di Alan vengono ingaggiati da Isabella per mezzo del fedele sir Ashley. Il Duca trova il modo di imprigionare Alan e i suoi ma, con l’aiuto dalla Principessa, travestita da ballerina, essi raggiungono Santo Tomé insieme a lei. Gli animosi pirati penetrano nel covo di Juan Cortez e ne distruggono le difese. Alan Drake ingaggia un duello con Cortez e lo contringe a smascherarsi, rivelando che egli è in realtà il Duca di Burt. Vinta la battaglia e recuperato il tesoro della Principessa Isabella, questa dispensa onori e doni a tutti e ad Alan confessa finalmente il suo amore. LA CRITICA: «Di fumettistica avventurosità, la pellicola è uno spettacolo semplice ricco di trovatine diverse e del tutto innocenti». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXXVI, Anno 1979, Roma 1979, p. 10). IL CORSARO di Tony Mulligan Anno di edizione 1970 Produzione: King Film International, Copercines; Soggetto: Eduardo Maria Brochero; Sceneggiatura: Eduardo Maria Brochero, Mike Ashley, Nico Ducci, Tony Mulligan; Fotografia: Emilio Foriscot; Montaggio: Vincenzo Alabiso; Musica: Angelo Francesco Lavagnino; Interpreti: Robert Woods, Tania Alvarado, Chris Huerta, Pat Nigro, Fernando Calvo, Anna Zinnemann, Marina Brengola, Giuliano Giunti, Mariella Palmich; Durata: 89’.
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Capitolo settimo
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OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-spagnola. Il titolo della versione spagnola è El corsario. Tony Mulligan è lo pseudonimo di Antonio Mollica e Mike Ashley quello di Mino Roli. LA STORIA: Il pirata inglese Jeffrey Brook, persa la propria nave in una scommessa con il collega Samuele, viene catturato dai francesi assieme ai fidi Miccia e Bonaccia e deportato su un isola deserta. Durante il viaggio in mare riesce a liberarsi dai ceppi e a impadronirsi della nave, con la quale affronta Samuele e i suoi pirati, sterminandoli. Approdato su un isola occupata dai portoghesi, si accorda con un inglese, Jackson Smith, per penetrare nel forte e impadronirsi dell’oro per acquistare armi. Il fortilizio viene conquistato da Jeffrey e dai suoi uomini e l’isola liberata dai portoghesi. Rinunciando ad appropriarsi dell’oro, Brook riprende la via dei mari. LA CRITICA: «Un film di assai scarsa efficacia spettacolare, realizzato in modo confuso e approssimativo». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXIX, Anno 1970, Roma 1970, p. 148). IL CORSARO NERO di Vincent Thomas Anno di edizione 1970 Produzione: Capricorno Transcontinental Pictures, A.B.C. Producciónes; Produttore: Gabriele Silvestri; Direttore di produzione: Luciano Catenacci, Antonio Liza; Soggetto: Enzo Gicca Palli; Sceneggiatura: George Martin; Aiuto-regia: Ferdinando Merighi, Federico Canudas; Fotografia: Jaime Deu Casas; Montaggio: Romeo Ciatti; Suono: Goffredo Salvatori; Scenografia: Juan Alberto Soler; Costumi: Giuseppe Cesare Monello; Maestro d’armi: Pasquale Basile; Musica: Gino Peguri; Interpreti: Terence Hill, Bud Spencer, Edmund Purdom, Silvia Monti, George Martin, Monica Randall, Alan Collins, Luciano Lorcas, Diana Lorys, Sal Borgese, Fernando Bilbao, Gustavo Re, Peter Boul, Paolo Magalotti, Carlo Reali, Pat Basil, Giuliano Dover, Aldo Cecconi; Durata: 103’. Produzione realizzata negli Studi Incir-De Paolis. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-spagnola. Il titolo della versione spagnola è El corsario negro. Vincent Thomas è lo pseudonimo di Enzo Gicca Palli, Terence Hill quello di Mario Girotti, Bud Spencer quello di Carlo Pedersoli, Alan Collins quello di Luciano Pigozzi, Luciano Lorcas quello di Luciano Catenacci e Pat Basil quello di Pasquale Basile. Il titolo, nonostante l’evidente plagio, non ha nulla a che fare con l’omonimo romanzo di Emilio Salgari e i film da questo tratti. LA STORIA: Un corsaro inglese, capitan Blackie, associatosi con un avventuriero spagnolo, che si spaccia per un nobile, ottiene dal vicerè di Spagna nei Caraibi – del quale ha comperato, a un’asta di schiavi, la moglie Isabella fatta prigioniera da altri pirati – un cospicuo riscatto per la donna, alla quale, dopo averla amata, restituisce la libertà. Caduto nelle mani del vicerè egli viene liberato dai suoi compagni di ventura, coi quali decide di impadronirsi di un carico d’oro diretto in Spagna. Riuscito ad avere la meglio su alcuni corsari concorrenti e a sventare i tranelli del vicere, egli si getta con i suoi uomini all’arrembaggio della nave che trasporta l’oro e ne annienta l’equipaggio, concludendo l’impresa con l’uccisione, in duello, dello stesso vicerè. Insensibile, quindi, alle lusinghe di Isabella, che gli prospetta una felice vita in Spagna come suo consorte, capitan Blackie riprende la via dei mari, verso nuove avventure.
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Gli ultimi avventurieri
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LA CRITICA: «Un film d’avventura realizzato con scarsi mezzi e ancor meno inventiva». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXI, Anno 1971, Roma 1971, p. 115). I CORSARI DELL’ISOLA DEGLI SQUALI di José Luis Merino Anno di edizione 1972 Produzione: Duca International, Carthago Film; Direttore di produzione: José Luis Jerez, Piero Ghione; Soggetto: José Luis Merino; Sceneggiatura: José Luis Merino; Fotografia: Emanuele Di Cola; Montaggio: José Luis Pelaez; Musica: Francesco De Masi; Interpreti: Stan Cooper, Charles Quiney, Maria Pia Conte, Isarco Ravaioli, Maria Dolores Tovar, Pasquale Basile, Santiago Rivera, Antonio Mayans, José Cardenas, José Marco, Mariano Vidal Molina J. Perez; Durata: 90’. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-spagnola. Il titolo della versione spagnola è La rebelión de los Bucaneros. Stan Cooper è lo pseudonimo di Stelvio Rosi. Non sono accreditati, nei titoli di testa: Aiuto-regia, Suono, Scenografia, Arredamento e Costumi. LA STORIA: Verso la fine del ’700, un gruppo di ex bucanieri, comandati da Martin McDonald, si insedia, con il consenso della Regina d’Inghilterra, nell’isola di Horn, detta l’Isola degli Squali. I loro propositi di vivere pacificamente sull’isola contrastano con le mire di un commerciante francese. Costui, e il capitano Mallory, che odia McDonald, cercano di indurre gli ex pirati a ribellarsi in modo da poterli cacciare dall’isola. Imprigionato, assieme con molti degli uomini, Martin evade e si impadronisce di una nave. Mentre Mallory lo attende coi soldati a Horn, McDonald fa vela verso la sede del governatore, Sir Arthur Moore, e lo informa delle malefatte del capitano Mallory. Allora Sir Arthur degrada Mallory e gli ordina di lasciare per sempre quei luoghi e nomina Martin governatore di Horn. Il commerciante francese tenta di uccidere McDonald, ma muore per mano di uno degli uomini di Martin. LA CRITICA: «Anche se è troppo gracile per meritare considerazione o per sostenere discorsi di sostanza, a esso va obiettivamente riconosciuto il merito di una impostazione etica ineccepibile». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXIV, Anno 1973, Roma 1973, p. 158).
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VIII.
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DA NAPOLEONE ALLA BRECCIA DI PORTA PIA
1. La rivoluzione francese e Napoleone La rivoluzione francese, Napoleone e le sue imprese, furono esaltate da una decina di film, la metà dei quali girati prima della guerra. Tranne per pochi isolati casi, non si può dire che, in epoca fascista, la simpatia di produttori, soggettisti e registi fosse rivolta ai mitici Marat, Danton e Robespierre, anzi la rivoluzione francese era malvista e film come Fiordalisi d’oro sono decisamente filomonarchici. Infatti Fiordalisid’oro di Giovacchino Forzano del 1935, tratto dal suo dramma omonimo, esalta le gesta di due controrivoluzionari, un conte – che fa una brutta fine – e una donna, che cercano di salvare e far fuggire in Inghilterra i figli di Re Luigi. Forse è uno dei migliori film di Forzano, infatti «nel complesso il film è spedito e drammatico, nel senso che è pieno di battute drammatiche ed è, dal punto di vista della scioltezza e della dosatura dei passaggi, il più cinematografico forse dei film di Forzano»1. Forzano sarà poi l’autore di una pellicola su Napoleone Bonaparte, Campo di maggio del 1935, che non è qui esaminata perché già compresa nel libro dedicato ai film di propaganda fascista2 Ancora tratto da un altro dramma di Forzano sulla rivoluzione francese, ma questa volta diretto da Mario Bonnard, è Il Conte di Bréchard del 1938. Misuratamente interpretato da Amedeo Nazzari nelle vesti del conte, e da Luisa Ferida, sua moglie, Bonnard-Forzano salva loro la vita, perché fa morire Robespierre prima che la ghigliottina si abbatta sulle loro teste riuscendo a «far sentire la rivoluzione senza insanguinare i protagonisti e le masse»3. Altri due film, diciamo pre-napoleonici, sono Fra’ Diavolo di Luigi Zampa del 1942 e La leggenda di Fra’ Diavolo di Leopoldo Savona, realizzato vent’anni dopo. Entrambi i film sono tratti dalla commedia omonima di Luigi Bonelli e Giuseppe Romualdi ma, mentre il film di Zampa è ben diretto e interpretato dall’ex pugile Enzo Fiermante, in piena ascesa artistica, il film di Savona scade spesso nel melodramma popolare. Fiermonte svolge, con ironia e divertendosi, il ruolo del gaglioffo napoletano capace di imporre agli occupanti francesi umiliazioni, beffe e colpi di
1
Sandro De Feo, in «Il Messaggero», 12 dic. 1935. Cfr. Gianfranco Casadio, Il grigio e nero, cit, p. 32. 3 A. di B.P., in «Cine-Magazzino», n. 46, 15 gen. 1938. 2
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Capitolo ottavo
scena degni di un attore di lungo corso. Decisamente inferiore l’interpretazione di Tony Russel nel film di Savona che manca di quell’ironia che aveva caratterizzato il film di Zampa. Un altro film, questa volta in chiave decisamente comica, è I tromboni di Fra’ Diavolo, di Giorgio Simonelli, sempre del 1962, film di cui ci occuperemo più avanti. Le pellicole di argomento napoleonico invece, dopo il film di Forzano Campo di maggio, prendono il via con I due sergenti di Enrico Guazzoni del 1936, tratto dal romanzo omonimo di Paolo Lorenzini. Interpretato con efficacia da Mino Doro e Gino Cervi, non nuovo a drammoni lacrimosi di tipo ottocentesco, il film di Guazzoni rispolvera un dramma che in epoca muta fu portato sugli schermi ben quattro volte4. Nel 1939 Duilio Coletti affronta un’altra commedia, La sposa dei re, tratta da Ugo Falena, film, che nonostante gli sforzi di Elsa De Giorgi è condotto in maniera dilettantesca. Jean Delannoy porta Gina Lollobrigida alle stelle con Venere imperiale in una coproduzione italo-francese del 1962. La parte di Paolina Bonaparte piacque talmente alla Lollobrigida da farne quasi una malattia. È vero che sia la critica che la produzione ne sono stati complici assegnandole sia il Nastro d’Argento che il David di Donatello, è però anche vero che Delannoy ha fatto un film più improntato sullo sfarzo dei costumi e degli ambienti e sullo sfolgorante colore della fotografia patinata di Pogany che non sulla personalità e sulla vitalità di un personaggio così vivo e al tempo stesso così controverso come quello della sorella preferita di Napoleone. Visto che il film fu fatto uscire maliziosamente a Natale, non resta che dare ragione in toto a Giovanni Grazzini quando scrive che «Venere imperiale ha buoni numeri per essere considerato, tra i film natalizi, il più elegante e prezioso… Insomma un film degno del miglior artigianato natalizio»5 e nulla più. Nel 1963 per mano di Leopoldo Savona viene prodotto L’ultima carica, in cui i patrioti sono contro l’invasione napoleonica e combattono per la liberazione del Paese (naturalmente si parla del Sud) dagli invasori però, a dire il vero, non si capisce molto bene se i patrioti siano filoborbonici oppure contro tutti. Sta di fatto che il protagonista scaglia i suoi contro i francesi in un’ultima disperata carica e li sconfigge. Questo pasticciatissimo film mal diretto e interpretato in modo dilettantesco ebbe scarsissima attenzione da parte del pubblico. Un film che illustra un interessante antefatto su quello che succederà poi a Waterloo, è Per un pugno d’eroi, una coproduzione italo-tedesca di Fritz D. Umgelter, in cui un pugno di soldati prussiani tiene testa a Napoleone permettendo all’esercito prussiano di riorganizzarsi e battere poi Napoleone a Waterloo. Ricco di battaglie e fatti d’arme, è carente come soggetto e interpretazione. L’ultimo film della serie è Waterloo di Serghej Bondarciuk de1969. Si tratta di un colossal coprodotto, senza badare a spese, con l’allora Unione Sovietica dove 4 Le quattro versioni del film I due sergenti realizzate prima dell’avvento del sonoro sono: la prima nel 1909 realizzata, senza indicazione del regista, dalla Itala Film; la seconda nel 1913 da Ubaldo Maria Del Colle; la terza nel 1914 realizzata, senza indicazione del regista, dalla Società Anonima Ambrosio e l’ultima nel 1922 da Guido Brignone. 5 Giovanni Grazzini, in «Corriere della sera», 24 dic. 1962.
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Da Napoleone alla breccia di Porta Pia
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sono stati girati tutti gli esterni delle battaglie. È un film ben fatto con tutta la prolissità tipica dei film del regista russo, in cui alla verbosità e alla staticità dei personaggi – vedi l’interpretazione di Rod Steiger nelle vesti dell’Imperatore – si alterna la lucidità e la perfezione stilistica delle riprese della battaglia finale. «Un film realizzato con grande ricchezza di mezzi e un mestiere convenzionale al cui centro è l’epico scontro di Waterloo. […] Lo svolgimento della battaglia, oltre ad essere ricostruito con rara ricchezza è una resa spettacolare notevole»6.
6 Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXIX, Anno 1970, Roma 1970, p. 177.
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Capitolo ottavo
FIORDALISI D’ORO di Giovacchino Forzano
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Anno di edizione 1935 Produzione: Produzione Forzano; Direttore di produzione: Giacomo Forzano; Soggetto: dal dramma omonimo di Giovacchino Forzano; Sceneggiatura: Giovacchino Forzano; Aiutoregia: Giulio Scarnicci; Fotografia: Mario Albertelli; Montaggio: Giacinto Solito; Suono: Raoul Magni; Scenografia: Antonio Valente; Musica: Michel Levine; Direzione musicale: E. Rocchi; Interpreti: Marie Bell, Annibale Ninchi, Fosco Giachetti, Silvana Jachino, Pier Alcover, Gino Sabbatini, Valentino Bruchi, Pio Campa, Annibale Biano, Giovanna Scotto, Athos R. Natali, Pietro Olivieri; Durata: 83’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Tirrenia. OSSERVAZIONI: Il film è stato girato in doppia versione: italiana e francese. Il titolo della versione francese è Pour la Reine, con interpreti, a fianco di Marie Bell, Simone Bourdeau, Henri Rollan, Alcover, Paul Amiot, Jacques Berlioz. Non è accreditato il costumista. LA STORIA: Nel luglio del 1793 la Francia è governata dal Comitato di salute pubblica, con Danton alla testa. Il giorno seguente l’uccisione di Marat, un conte viene arrestato, tradotto a Parigi, processato e ghigliottinato. La sua giovane vedova si reca a Parigi, per cercare di recuperare gli abiti che il conte portava. A Parigi viene a contatto con Samson, il giustiziere, che le dice che gli abiti del conte sono stati consegnati ad una giovane donna, che li ha richiesti. Aiutata da un membro della Convenzione, si mette alla ricerca della donna. La testimonianza di Samson l’aiuta a capire che si tratta di una sua amica la quale, per nascondere le vere ragioni, dichiara di essere stata l’amante del conte. Risulta invece che essi stavano cospirando per far fuggire dal Tempio i figli del Re. Sul punto di venire arrestate, le due dame e i loro amici, riescono a fuggire e, coll’aiuto di alcuni fedeli, si imbarcarcano per l’Inghilterra. lA CRITICA: «Questa pellicola piena di teatrale drammaticità, echeggiante di belle frasi romanticamente sonore, corrusca di sciabole brandite e di lame da ghigliottina alzate e riabbassate, non mi sembra, per altro, il miglior saggio della fervorosa attività cinematografica di Giovacchino Forzano». (D.[ino] F.[alconi], in «Popolo d’Italia», 5 dic. 1935). I DUE SERGENTI di Enrico Guazzoni Anno di edizione 1936 Produzione: Manderfilm; Direttore di produzione: Valentino Bruchi; Soggetto: tratto dal romanzo omonimo di Paolo Lorenzini; Sceneggiatura: Nunzio Malasomma, Carlo Bernard; Aiuto-regia: Gino Talamo; Fotografia: Arturo Gallea, Augusto Tiezzi; Montaggio: Gino Talamo; Suono: Raoul Magni; Scenografia: Virgilio Marchi; Musica: Pietro Clausetti; Interpreti: Evi Maltagliati, Gino Cervi, Mino Doro, Luisa Ferida, Ugo Cèseri, Antonio Centa, Nella Maria Bonora, Lamberto Picasso, Vera Dani, Margherita Bagni, Enzo Biliotti, Tatiana Pavoni, Matilde Casagrande, Ivana Diani, Titti Leimüller, Giuliana Gianni, Jole Tinta, Alida Altenburger, Valentino Bruchi, Emilio Petacci, Nicola Maldacea, Giovanna Scotto, Umberto Casilini, Leo Chiostri, Giovanni Menichetti, Giovanni Giachetti; Durata: 93’. Produzione realizzata negli Stabilimenti S.A. Pisorno di Tirrenia.
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Da Napoleone alla breccia di Porta Pia
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OSSERVAZIONI: Carlo Bernard è lo pseudonimo di Carlo Bernari. Arredamento e Costumi non sono accreditati. LA STORIA: Due sergenti dell’esercito napoleonico impietositi da una povera madre contravvengono al cordone sanitario che isola un villaggio infestato dal vaiolo, lasciando passare la donna. Condannati a morte, scampano alla fucilazione perché il colpevole dell’atto spionistico, in seguito al quale uno dei due sergenti, accusato falsamente, aveva perso il grado d’ufficiale e cominciato una nuova vita, si costituisce tempestivamente. La clemenza dell’Imperatore restituisce la libertà all’ufficiale riabilitato ed al sergente. LA CRITICA: «Tornano “I due sergenti al cordone sanitario” che fecero la lacrimosa delizia dei nostri nonni [...]. Una materia simile – così dinamica e popolare – non poteva restare indifferente allo schermo. Ecco infatti la realizzazione cinematografica – una realizzazione svelta e forte, nitida e persuasiva, quale poteva darla un “esperto” come Guazzoni – […]. Il racconto, a forti tinte, come si diceva un tempo, fila che è una bellezza, avvinghiando l’attenzione dello spettatore, tenendolo col cuore sospeso e palpitante nel turbine di avvenimenti melodrammatici. Vero e genuino “spettacolo”, il film si giova della bella ambientazione napoleonica, della sanguigna e schietta recitazione del Cervi e del Cèseri, di una limpida fotografia e di un sapiente montaggio “narrativo”». (Anonimo, in «Cinema», n. 9, 10 nov. 1936). IL CONTE DI BRÉCHARD di Mario Bonnard Anno di edizione 1938 Produzione: EIA-Amato; Produttore: Giuseppe Amato; Direttore di produzione: Teofilo Mariani; Soggetto: tratto dalla commedia omonima di Giovacchino Forzano; Sceneggiatura: Mario Bonnard, Amedeo Castellazzi, Aldo Vergano; Aiuto-regia: Amedeo Castellazzi ; Fotografia: Vaclav Vich; Montaggio: Eraldo Judiconi; Suono: Raoul Magni; Scenografia: Antonio Lozzi, Virgilio Marchi; Arredamento: Mario Rappini; Costumi: Virgilio Marchi; Musica: Giulio Bonnard; Interpreti: Amedeo Nazzari, Luisa Ferida, Camillo Pilotto, Ugo Cèseri, Mario Ferrari, Romano Calò, Maria Donati, Franco Coop, Armando Migliari, Tina Lattanzi, Carlo Tamberlani, Aristide Garbini, Giorgio Capecchi, Febo Mari, Floriana Mortesei, Giovanni Dal Cortivo, Vinicio Sofia, Carlo Duse, Silvio Bagolini; Durata: 95’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Tirrenia. LA STORIA: Durante la rivoluzione francese vengono confiscati i beni al nobile conte di Bréchard. Il capo del Comitato di salute pubblica, già suo antico servitore, gli ordina di sposare una ragazza del popolo pena la ghigliottina. Senza indugi il giovane conte sposa la figlia del suo ex servitore. I due, stando insieme, finiscono con l’innamorarsi, ma i rivoltosi continuano a perseguitarli, li arrestano nuovamente e quando sta per scoccare l’ora per salire sul patibolo, arriva in tempo la notizia della destituzione di Robespierre e quindi la fine del Terrore. Entrambi hanno così salva la vita. LA CRITICA:. «Questo film, per la ricchezza e l’impiego dei mezzi, è una bella vittoria del produttore; e, per la loro bravura indiscutibile, di tutto un gruppo d’interpreti. Amedeo Nazzari è un conte di Bréchard maschio e vigoroso, un magnifico gentiluomo di campagna, più vicino alle sue terre e ai suoi cavalli che alle galanti feste della corte […]. Luisa Ferida, a ogni sua nuova apparizione, si va facendo sempre più netta e sicura, quasi incisiva, sempre piu aiu-
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Capitolo ottavo
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tata da una fotogenia rara […], con la bella fotografia del Vich. Il dramma è notissimo, inutile ricordarne la trama; il film segue fedelmente le scene del Forzano, fino a introdurne nella sceneggiatura blocchi compatti che qua e là potevano essere scarniti» (Mario Gromo, in «La Stampa», 1 gen. 1938). LA SPOSA DEI RE di Duilio Coletti Anno di edizione 1939 Produzione: Apulia; Direttore di produzione: Ciro Berardi; Soggetto: dalla commedia omonima di Ugo Falena; Sceneggiatura: Duilio Coletti, Primo Zeglio; Aiuto-regia: Primo Zeglio; Fotografia: Frederik Fuglsang; Montaggio: Otello Colangeli; Scenografia: Leo Longanesi.; Arredamento: Prediliano Beni, Francesconi; Costumi: Prediliano Beni, Francesconi; Musica: Piero Giorgi; Interpreti: Elsa De Giorgi, Augusto Marcacci, Achille Majeroni, Mario Pisu, Nita Gualdi, Dina Perbellini, Laura Solari, Norma Nova, Calisto Bertramo, Emilio Cigoli, Ernesto Calindri; Durata: 68’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Due sorelle, figlie di un commerciante di tessuti di Tolone, s’innamorano, riamate, di due fratelli: uno di essi è l’ancora sconosciuto Napoleone Bonaparte. Una delle sorelle, Giulia, sposa il giovane Giuseppe Bonaparte, mentre l’altra, Desiderata, vede il proprio innamorato partire per la guerra, dopo essere stato nominato generale. Alla notizia che dopo le trionfali battaglie in Italia e in Egitto, Napoleone sta per essere incoronato imperatore e sposerà la Beauharnais, Desiderata cade nella depressione piu profonda, trovando conforto solo nell’amicizia del conte Bernadotte. Quando, anni dopo, Napoleone rivede la fanciulla, nonostante sia ancora innamorato di lei, acconsente a farle sposare Bernadotte. A corte, Desiderata, si compromette per difendere Paolina, sorella di Napoleone, sulla quale circolano troppe voci di una sua condotta libertina. Venuto a conoscenza dei fatti, Napoleone, commosso, concede a Bernadotte e alla sua sposa la corona di Svezia. LA CRITICA: «Dire che il film è riuscito sarebbe azzardato, ma siamo d’estate ed in questa stagione, si sa, conviene essere indulgenti. [...] Accontentiamoci dunque di ammirare la delicata bellezza di Elsa De Giorgi, attraentissima nelle sontuose vesti del primo impero, e l’accurata recitazione di Augusto Marcacci, di Mario Pisu e di tutti gli altri». (Film [Giuseppina Setti], in «Il Lavoro », 22 ago. 1939). FRA’ DIAVOLO di Luigi Zampa Anno di edizione 1942 Produzione: Fotovox; Direttore di produzione: Guido Paolucci; Soggetto: tratto dalla commedia omonima di Luigi Bonelli e Giuseppe Romualdi; Sceneggiatura: Luigi Zampa, Nicola Manzari; Aiuto-regia: Ettore Giannini; Fotografia: Giovanni Vitrotti; Montaggio: Rolando Benedetti; Scenografia: Ivo Battelli; Costumi: Giovanni Spellani; Musica: Costantino Ferri, Umberto Paoletti; Interpreti: Enzo Fiermonte, Laura Nucci, Elsa De Giorgi, Carlo Romano, Cesare Bettarini, Loris Gizzi, Renato Chiantoni, Agostino Salvietti, Corrado De Cenzo, Tino Erler, Remo Loy; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Pisorno di Tirrenia.
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Da Napoleone alla breccia di Porta Pia
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LA STORIA: Nel 1799 Michele Pezza, mezzo soldato e mezzo brigante; detto “Fra’ Diavolo”, combatte con le sue masnade tra i monti della Campania per cacciare dal Regno di Napoli i francesi che lo avevano invaso per crearvi la Repubblica Partenopea. Riuscito nell’intento, il nuovo governo lo ricolma di onori e quindi può sposare una nobile napoletana che amava da tempo. A lungo andare però quella vita inoperosa tra gli agi e le ricchezze gli dà la nostalgia dell’esistenza avventurosa che ha sempre condotto e quando i francesi tornano nuovamente alla carica, egli è ben felice di ricostituire le sue bande irregolari per dare battaglia senza quartiere, finché sopraffatto dal numero viene catturato e condannato a morte. Grazie all’intervento di una influente dama di lui innamorata, egli viene liberato a condizione di sottomettersi ai francesi. Durante il viaggio verso Napoli, Fra’ Diavolo riesce a fuggire e svanisce tra le sue montagne entrando nella leggenda. LA CRITICA: «Povero e pulito, questo Fra’ Diavolo di Zampa. Ci sembra che il regista abbia saputo muoversi con spontanea effcacia tra le macchiette popolaresche del racconto: dal punto di vista del mestiere anonimo, una prova dove niente c’è da eccepire. O solo questo: che nel montaggio si riscontrano inutili indugi, a chiusura di molte scene, su fondi vuoti. Ci voleva tanto a tagliar qualche metro ogni volta? E che nel dirigere la De Giorgi e la Nucci, non sempre Zampa ha trovato la giusta energia. Mentre è chiaro che i progressi di Fiermonte sono legati alla saggia e intonata avvedutezza del regista. Un film nella “media”, risolto senza troppi guai; è uno spettacolo che funziona, come si suol dire». (Vice, in «Cinema », n. 143. 10 giu. 1942). LA LEGGENDA DI FRA’ DIAVOLO di Leopoldo Savona Anno di edizione 1962 Produzione: Era Cinematografica, G.A Produzione Cinematografica; Produttore: Giovanni Addessi; Direttore di produzione: Felice D’Alisera, Stipe Gardulic; Soggetto: Ennio De Concini, Franco Giraldi, Nicola Manzari, Luciano Martino; Sceneggiatura: Ennio De Concini, Franco Giraldi, Nicola Manzari, Luciano Martino; Aiuto-regia: Giorgio Trentin, Stojan Culierk; Fotografia: Claudio Racca; Montaggio: Otello Colangeli; Suono: Roberto Matteoli, Mario Morigi; Scenografia: Gastone Carsetti; Ambientazione: Enzo Bulgarelli; Costumi: Franco Loquenzi; Musica: Angelo Francesco Lavagnino; Direzione musicale: Carlo Savina; Interpreti: Tony Russell, Haya Harareet, Mario Adorf, Claudia Mori, Mario Valdemarin, Giacomo Furia, Nino Vingelli, Milla Sannoner, Roger Louis, Mika Balok, Stole Arangelovic, Niksa Stefanini, Mavid Popovic, Ilia Ivezic, Teddy Sotosek, Amedeo Nazzari; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Incir-De Paolis e, in esterni, in Jugoslavia con la collaborazione della Film Service di Lubiana. OSSERVAZIONI: Sullo stesso argomento sono stati girati diversi film sia comici I tromboni di Fra’ Diavolo, di Giorgio Simonelli nel 1962, (v.) che “seri” Fra’ Diavolo di Luigi Zampa nel 1942, (v.). Si tratta, in un certo senso, del remake, vent’anni dopo, del film di Zampa dal quale, la trama, non si discosta. LA CRITICA: «Qualche buona sequenza all’inizio. Cavalcate [...] combattimenti a cavallo [...] paesaggi di foreste [...] pianure bionde e montagne aride sono belli [...]. Purtroppo gli amori di Fra’ Diavolo e le sue dichiarazioni infiammate di patriottismo prendono un tale sopravvento che si cade nella verbosità e nel melodramma». (J. Lajeunesse, «Saison ’64», 1964).
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Capitolo ottavo
VENERE IMPERIALE di Jean Delannoy
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Anno di edizione 1962 Produzione: Royal Film, Cineriz, S.N.E. Gaumont, France Cinéma Productions; Produttore: Angelo Rizzoli, Guido Giambartolomei; Direttore di produzione: Lucio Bompani; Soggetto: Jean Aurenche, Rodolphe M. Arlaud, Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Jean Delannoy; Sceneggiatura: Jean Aurenche, Rodolphe M. Arlaud, Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Jean Delannoy; Aiuto-regia: Fernando Cicero; Fotografia: Gabor Pogany; Montaggio: Otello Colangeli; Suono: Bruno Brunacci, Mario Morigi, Sandro Ochetti; Scenografia: René Renoux; Arredamento: Ferdinando Ruffo; Costumi: Giancarlo Bartolini Salimbeni; Effetti Speciali: Franco Celli; Musica: Angelo Francesco Lavagnino; Direzione musicale: Carlo Savina; Interpreti: Gina Lollobrigida, Stephen Boyd, Raymond Pellegrin, Micheline Presle, Gabriele Ferzetti, Lilla Brignone, Giulio Bosetti, Ernesto Calindri, Gianni Santuccio, Maria Laura Rocca, Marco Guglielmi, Andrea Checchi, Giustino Durano, Nando Tamberlani, Kathy O’Brien, Claudio Catania, Evi Maltagliati, Andrea Bosic, Liana Del Balzo, Van Prince, Feodor Chaliapin, Elsa Albani, Umberto Raho, Giulio Marchetti, Jacques Stany, Anneke Sanders, Antoinette Weynen, Piero Palermini, René Dominis, Sacha Porgowsky, Giuseppe Addobbati, Pino Ferrara, Attilio Dottesio, Nadia Catani, Carlo Pennetti, Lino Mattera, Curt Lowens, Massimo Girotti; Durata: 145’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo dell’edizione francese è Vénus Impériale. Nastro d’argento e David di Donatello 1962, a Gina Lollobrigida come migliore attrice protagonista. LA STORIA: Paolina Bonaparte, sorella prediletta di Napoleone, è una fanciulla esuberante ed amante della bella vita. La sua leggerezza provoca irritazione nella cognata Giuseppina, che vedendosi sottrarre un certo Canouville, suo amante, convince Napoleone ad imporre un marito alla sorella. Così avviene, Paolina sposa il maresciallo Leclerc. Il matrimonio non muta il carattere della giovanissima sposina e, per evitare lo scandalo, i coniugi Leclerc vengono mandati alle Antille. Qui Paolina resta vedova e ritorna a Parigi dove sposa il principe Borghese. Con il nuovo marito si trasferisce a Roma ed anche qui prosegue la sua vita improntata alla massima leggerezza e dà grande scandalo arrivando a posare nuda per lo scultore Canova. Questa statua viene vista da Canouville, che si trova a Roma, e subito tra i due comincia una relazione che ha termine solamente con il precipitare degli avvenimenti internazionali. C’è la campagna di Russia. Canouville muore e Napoleone è sconfitto. Paolina sarà la sola della famiglia a seguire il fratello all’isola d’Elba e ad aiutarlo nella fuga. L’ultimo amore della principessa sarà il musicista Giovanni Pacini. LA CRITICA: «Questa venere [...] è troppo lunga da digerire e ci si annoia abbastanza ai suoi numerosi amori [...]. Malgrado le bellissime immagini di Pogany si stenta a credere che in Italia si pensi alla signora Lollobrigida come alla vera Paolina Bonaparte. Sarebbe servito a questa storia, non un regista portato allo scherzo, ma uno dotato di vitalità da infondere ai suoi personaggi. In definitiva, non succede niente in questo film solenne e tirato a lucido e l’epopea napoleonica si riassume in due colpi di sciabola e nel passaggio di quattordici cavalieri sulla collina». (P. Br., «Saison ‘64», 1964).
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Da Napoleone alla breccia di Porta Pia
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L’ULTIMA CARICA di Leopoldo Savona
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Anno di edizione 1963 Produzione: Telefilm International; Produttore: Giovanni Addessi; Direttore di produzione: Alfonso Donati; Soggetto: Giovanni Addessi; Sceneggiatura: Nicola Manzari, Ugo Moretti; Fotografia: Claudio Racca; Montaggio: Otello Colangeli; Suono: Mario Morigi, Sandro Ochetti; Scenografia: Franco Loquenzi; Arredamento: Franco Loquenzi; Musica: Egisto Macchi; Direzione musicale: Bruno Nicolai; Interpreti: Tony Russel, Haya Harareet, Barbara Nelli, Arturo Dominici, Giacomo Furia, Oreste Lionello, Anna Maria Surdo, Franco Balducci, Aldo Bufi Landi, Renato Terra, Amedeo Trilli, Benito Stefanelli, Marco Morandi; Durata: 94’. OSSERVAZIONI: Non sono accreditati: Aiuto-regia e Costumi. LA STORIA: Durante l’occupazione napoleonica in Italia, Rocco Vardarelli, mezzo brigante e mezzo patriota, tenta di formare una banda per liberare il suo paese dalle truppe che lo taglieggiano. Mentre si reca da Fiamma, la sua ragazza, Rocco conosce Claudia, una bella aristocratica che viaggia con il governatore, e se ne innamora. Claudia ricambia il suo amore, ma poiché lo consiglia di mettersi agli ordini proprio di quel governatore che si è arricchito sfruttando gli abitanti del paese, Rocco rifiuta e torna da Fiamma e dai suoi compagni. Mentre il giovane studia la situazione, le truppe borboniche attaccano e distruggono Itri che si è ribellata ai loro soprusi. Rocco decide quindi di combattere con ogni mezzo le forze del governatore. Il giovane ha intanto rivisto Claudia e l’amore fra i due si riaccende. Ma durante un appuntamento segreto le truppe del governatore irrompono ed arrestano Rocco che si crede tradito dalla ragazza. Sarà invece lei, a prezzo della sua vita, che riuscirà a liberarlo. Rocco si pone quindi alla testa dei suoi fidi e vince la sua causa con un’ultima disperata battaglia. LA CRITICA: «Realizzato con pochissinzi mezzi, diretto con approssimazione ed interpretato con assoluta insufficienza, il film risulta un modestissimo prodotto artigianale». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LVI, Anno 1964, Roma 1964, p. 11). PER UN PUGNO D’EROI di Fritz D. Umgelter Anno di edizione 1967 Produzione: Rapid Film, P.E.A.; Produttore: Wolf C. Hartwig; Direttore di produzione: Ludwig Spitaler; Soggetto: Werner P. Zibaso, Sergio Donati; Sceneggiatura: Werner P. Zibaso, Sergio Donati; Aiuto-regia: Abe Schnyder, Federico Cianfarini; Fotografia: Rolf W. Castel; Montaggio: Herb Taschner, Eugenio Alabiso; Suono: Willy Schwadorf, Elio Pacella; Scenografia: Antal Greiner; Effetti Speciali: Charly Baumgartner; Musica: Angelo Francesco Lavagnino; Interpreti: Horst Frank, Valeria Ciangottini, Franco Fantasia, Ben Becker, Charles Figné, Luigi Ciavarro, Marty Litt, Robert C. Kraft, John Pleva, Francis L. Rudnyck, Volkert Kraeft, Geza Tordy, Janos Czany, Gyorgy Gonda, Geza Ferdinandy, Ferenc Kiss, Erzsi Orsolya, Ferenc Zenthe, György Bánffy; Durata: 90’.
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Capitolo ottavo
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OSSERVAZIONI: Coproduzione minoritaria italiana con la Germania. Il titolo della versione tedesca è Eine Handvoll Helden. Charles Figné è lo pseudonimo di Karl Heinz Fiege e Marty Litt è quello di Martin Luttge. Arredamento Costumi non sono accreditati. LA STORIA: Il film narra le drammatiche vicende dell’esercito prussiano in rotta dopo la sconfitta di Jena subìta dalle truppe napoleoniche. Raccogliendo i superstiti, gli sbandati e i disperati, il capitano Bruck riesce a formare un manipolo che terrà testa ai francesi. Lui e molti dei suoi lasceranno la vita sul campo di battaglia, ma nel frattempo l’esercito prussiano potrà riorganizzarsi e di lì a poco trionferà definitivamente a Waterloo. LA CRITICA: «Non privo di vistose ingenuità, di poco credibili espedienti narrativi, di evidenti artificiosità, il lavoro può comunque soddisfare gli appassionati di questo tipo di spettacolo per le innumerevoli azioni guerresche che nel film, quasi incessantemente, si succedono». (Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXIII, Anno 1968, Roma 1968, p. 196). WATERLOO di Serghej Bondarciuk Anno di edizione 1969 Produzione: De Laurentiis Cinematografica; Mosfilm; Produttore: Dino De Laurentiis, Thomas Carlile; Direttore di produzione: Guglielmo Ambrosi, Mario Abussi, Vladimir Fridman; Soggetto: Vittorio Bonicelli; Sceneggiatura: Vittorio Bonicelli, Serghej Bondarciuk, H.A.L. Craig; Aiuto-regia: Vladimir Dostal, Allan Elledge; Fotografia: Armando Nannuzzi; Montaggio: E.V. Mikhajlova; Scenografia: Mario Garbuglia, Ferdinando Giovannoni, S. Valiusehk, A. Menialhikov; Arredamento: Emilio D’Andria; Costumi: Maria De Matteis, Ugo Pericoli, Nadjezda Buzina; Maestro d’armi: Franco Fantasia; Effetti Speciali: Giulio Molinari; Musica: Nino Rota; Direzione musicale: Bruno Nicolai; Interpreti: Rod Steiger, Christopher Plummer, Orson Welles, Gianni Garko, Ivo Garrani, Jack Hawkins, Virginia McKenna, Andrea Checchi, Rupert Davies, Veronica De Laurentiis, Donald Donnelly, Franco Fantasia, Vladimir Drujnikov, Philippe Forquet, Orso Maria Guerrini, Charles Millot, Ian Ogilvy, Willoughby Gray, Orazio Orlando, Richard Heffer, Eughenj Samoilov, Roger Green, Jeffry Wickham, Valentino Skulme, Oleg Vidov, Charles Borromel, Michael Wilding, Susan Wood, Ghennadj Yudi, Serghej Zakhariazde, Dan O’Heerlhy, John Savident, Terence Alexander, Irin Skobtseva, Peter Davies, Adrian Brine, Karl Liepinsc, Coli Watson, Giorgio Sciolev, Jean Louis, Vasilij Livanov, Victor Murganov, Giuliano Raffaelli, Filippo Perego, Valentin A. Koval, Boris Molcianov, Attilio Severini, Massimo Della Torre, Andrej Yurenev, Aldo Cecconi, Vasilij Plaksin, Rino Bellini, Camillo A. Rota, Rotislav Jankowskij, Oleg Mikhajlov, Lev Poliakov, Christian Janakiev, Armando Bottin, Gheorghj B. Rybakov, Vlaslav Bledis, Sergio Testori, Antonio Anelli, Franco Ceccarelli, Felix Eynas, André Esterhazy; Durata: 123’. Produzione realizzata negli Studi De Laurentiis e, in esterni, in Unione Sovietica. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-sovietica. La versione sovietica conserva lo stesso titolo. Suono non accreditato. LA STORIA: Costretto ad abdicare, l’imperatore Napoleone Bonaparte si rifugia nell’isola d’Elba, mentre sul trono di Francia si insedia il re Luigi XVIII. L’esilio dell’imperatore, però, non dura a lungo: alla testa di un migliaio di fedelissimi Bonaparte torna in patria dove trova
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Da Napoleone alla breccia di Porta Pia
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ad attenderlo, con l’ordine di arrestarlo, il maresciallo Ney, già suo fedele compagno d’armi. In realtà, affascinati da Napoleone, Ney e i suoi uomini lo acclamano di nuovo come imperatore: mentre Luigi XVIII fugge, Bonaparte rientra trionfante a Parigi. Il suo intento è regnare in pace, ma inglesi, prussiani e belgo-olandesi decidono di allearsi per liberarsi di lui. Formato un esercito, Napoleone si dirige allora verso Bruxelles ma nella piana di Waterloo trova, a contrastarne l’avanzata, gli inglesi di lord Wellington. Scoppiata la battaglia, Napoleone sembra uscirne vittorioso, ma quando, in aiuto di Wellington, giungono i prussiani di Blücher, la situazione si capovolge. Nonostante i loro eroici tentativi di resistenza a oltranza, i francesi vengono annientati: per Napoleone non resta che un esilio senza ritorno nell’isola di Sant’Elena. LA CRITICA «In metà del film, forse più, c’è la battaglia, che Bondarciuk mette in scena con bravura, impegno, diligenza […] con mezzi tecnici abbondanti. Nell’altra metà ci sono parole, situazioni psicologiche, altre parole, pianti di Napoleone […], raccolti alla meglio da una sceneggiatura volonterosa ma mediocre e disordinata, di fronte al desiderio di essere documentata, aggiornata, globale. Di una ingenuità addirittura elementare tutto l’antefatto […]. Per il resto, Rod Steiger fa quel che può in un personaggio che soggetto e sceneggiatura gli offrono statico e inconsistente». (G.[iacomo] G.[ambetti], in «Bianco e Nero», n. 11/12, dic. 1970).
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Capitolo ottavo
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2. Ribellioni e sommosse negli Stati preunitari Un altro gruppo di film che caratterizzano il periodo e che spaziano dalla storia alla fantasia, è quello dedicato alle ribellioni (con sentore un po’ precoce del Risorgimento) che si accendono nei vari stati pre-unitari senza alcuna differenza temporale fra Seicento o Ottocento. Nessuno di questi film è tratto da romanzi anche se fra gli autori dei soggetti figurano illustri personaggi come Ugo Scotti Berni, Tito Silvio Mursino, alias Vittorio Mussolini, Victor Pahlen, l’unico filo che li lega è la ricerca della libertà. Il primo è Un’avventura di Salvator Rosa del 1940 di Alessandro Blasetti che deve a Ugo Scotti Berni l’originalità del soggetto e gran parte del successo. Ottima la regia e la recitazione di Gino Cervi e Luisa Ferida che «si muovono in una luce dove sembra fotografata l’aria stessa che circola intorno a loro»7. All’epoca il film fu accolto da consensi umanimi. Francesco Càllari su «Film» scrisse, «questo film ci dà la speranza e la fiducia nel nostro cinema»8. Giuseppe Isani, su «Cinema», a sua volta scrisse «ci è stata data la gioia di vedere quello che incondizionatamente noi consideriamo il migliore film italiano prodotto dal 1930 in poi»9. Ennio Flaiano su «Cine Illustrato», anch’egli entusiasta, rilevò che «il film è senza dubbio uno dei più riusciti della nostra cinematografia»10. E potremmo continuare. Sempre nel ’600, e sullo stesso argomento, Mario Bonnard ambienta La fanciulla di Portici, che però, pur essendo un buon film, non riesce a raggiungere i livelli di quello di Blasetti. Carlo Ninchi interpreta la parte di Tommaso Aniello detto “Masaniello” e Luisa Ferida quella della sorella Lucia. «La messa in scena è ricca e ben curata, l’interpretazione conta su ottimi attori tra i quali risalta la forza di ottima lega di Luisa Ferida, eccellente in queste parti di popolana e l’aitante sicurezza di Carlo Ninchi»11. Buona anche la prova di Roberto Villa nelle vesti di Alfonso, figlio del vicerè spagnolo. Del film fu fatto un remake nel 1952 da Giorgio Ansoldi dal titolo La muta di Portici con Paolo Carlini nella parte che era stata di Carlo Ninchi e Flora Mariel in quella della Ferida, con scarsi risultati. Nel 1942 ci si mette anche Vittorio Mussolini con un suo soggetto per il film Luisa San Felice che Leo Menardi si incarica di portare sullo schermo. «Poteva essere un ottimo film, e che, pur destinato ad un vasto successo popolare, ottimo certo non è. Una vicenda famosa e commovente, degli attori simpatici, uno sfondo fragoroso, delle opportunità di propaganda; eppure la noncuranza della scelta, per ogni episodio, per ogni frase, per ogni espressione, fanno sì che le emozioni puntualmente si disperdano”12. E a nulla valgono gli sforzi di Laura Solari, di Massimo Serato e di Carlo Ninchi. Con Tempesta sul golfo del 1943 di Gennaro Righelli si conclude la parte di film realizzati durante il Ventennio. Ambientato nella Napoli dei Borboni (tutti i film fi7
Francesco Càlleri, in «Film», n. 6, 10 feb. 1940. Francesco Càlleri, Ibidem. 9 Giuseppe Isani, in «Cinema», n. 87, 10 feb. 1940. 10 Ennio Flaiano, in «Cine Illustrato», n. 8, 21 feb. 1940 11 A. Ceretto, in «Gazzetta del Popolo», 10 nov. 1940. 12 Irene Brin, in «Cine Illustrato», n. 45, 8 nov. 1942. 8
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Da Napoleone alla breccia di Porta Pia
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nora esaminati sono ambientati nel Regno delle Due Sicilie) poco prima della rivoluzione francese e della conseguente Repubblica Napoletana, il film è quasi tutto giocato sulla figura di Ferdinando II di Borbone abilmente interpretato da Armando Falconi non del tutto nuovo a questo personaggio (nel 1935 aveva interpretato lo stesso re nel film di Enrico Guazzoni Il re burlone). Nel 1949 Carlo Borghesio finalmente cambia zona geografica ed ambienta nel Granducato di Toscana del ’700 il film di fantasia Capitan Demonio. Interpretato da Adriano Rimoldi nelle vesti di un leggendario spadaccino terrore del bargello di Firenze, il film è il solito film di cappa e spada dove, alla fine, i buoni trionfano e i cattivi pagano. Ma la vacanza toscana dura poco, infatti ci pensa Giuseppe Maria Scotese a riportare nello stesso anno l’attenzione del pubblico nel Napoletano con il film I pirati di Capri. Girato senza limiti di mezzi, con un cast internazionale: Louis Hayward, Binnie Barnes, Alan Curtis e Linda Christian oltre ai nostri Mariella Lotti, Massimo Serato, Franca Marzi ed Eleonora Rossi Drago, il film però non si discosta dai soliti del genere storico-avventuroso. Nel 1951 ci prova Mario Soldati con Le avventure di Mandrin. Il film, ambientato nel Delfinato e in Savoia, esalta le gesta del Robin Hood francese realmente vissuto ai tempi di Luigi XV. La regia di Soldati è ottima e il film è realizzato decorosamente con una buona interpretazione di Raf Vallone nella parte del fuorilegge, così come pure la Pampanini, prodiga di provocanti scollature, non se la cava tanto male. Soldati, dopo alcuni film decisamente comici con protagonista Walter Chiari (l’ultimo dei quali è una specie di parodia di Zorro), sceglie la strada del film d’avventure e di cappa e spada, a lui cara, realizzando questo film con tono serio e convinto. «Decisamente più equilibrato il riutilizzo che Soldati, assieme a Bassani, Augusto Frassineti e Vittorio Nino Novarese, compie delle vicende di Mandrin per il film successivo, in cui Walter Chiari viene sostituito da Raf Vallone e il personaggio femminile ha di nuovo il volto, e soprattutto il corpo, di Silvana Pampanini [era già apparsa nuda nella parte di Poppea in O.K. Nerone]. L’uscita di scena di Chiari, a favore di un attore drammatico e al massimo ‘brillante’ come Vallone, sembra del resto inevitabile in presenza di un cappa e spada molto classico, e solo venato di toni comicheggianti. Questa volta, poi, le implicazioni ‘politiche’ legate alla figura del Robin Hood francese, Louis Mandrin, vissuto al tempo di Luigi XV e morto nel 1775 a soli trent’anni, sembrano contare non poco, e la presenza di un coproduttore d’Oltralpe, la Cormoran Film di Parigi, deve aver giocato a favore di un adattamento particolarmente rispettoso nei confronti di un personaggio caro ai francesi»13. Giorgio Cristallini riporta nel Regno del Sud la sua attenzione col film La prigioniera d’Amalfi del 1953 che affronta, diagonalmente, la disgraziata vicenda di Carlo Pisacane. Infatti l’avvenimento storico non è che un pretesto per raccontare la vicenda contrastata di due giovani innamorati che alla fine, grazie all’arrivo dei garibaldini, vengono salvati dai “malvagi” borbonici e, naturalmente, si sposano. Nonostante la discutibile partecipazione del cantante Narciso Parigi, molto in voga allora, nella parte del protagonista Paolo, il film scorre abbastanza bene.
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Luca Malavasi, Mario Soldati, Milano, Il Castoro Cinema, n. 220, ott.-nov.-dic. 2004, p. 110.
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Capitolo ottavo
Da Amalfi alla Lucania, sempre per rimanere nel Regno di Napoli, il passo è breve e Umberto Lenzi realizza Duello nella Sila nel 1962. I duellanti del titolo, sono il brigante Rocco Gravina, reo di avere ucciso e violentato una fanciulla, che viene eliminato dal fratello di lei, a sua volta ucciso da un altro brigante, che muore anche lui per l’intervento dei gendarmi borbonici che fanno una strage. Nonostante la presenza di Fernando Lamas nella parte del fratello vendicatore e quella di Armand Mestral in quella di Gravina, il film non è certo uno dei migliori di Lenzi. L’ultimo film degli anni Sessanta è di Luigi Magni Nell’anno del Signore, interpretato magistralmente da Nino Manfredi nella parte di Pasquino, Robert Hossein di Montanari, Renaud Verlay di Targhini, Ugo Tognazzi del Cardinal Rivarola, Enrico Maria Salerno del capitano Nardoni e Alberto Sordi del frate confessore, narra la storia dei carbonari Montanari e Targhini, gli ultimi ad essere ghigliottinati nello Stato Pontificio nel 1825 per avere attentato alla vita del principe Spada accusato di tradimento. Così commenta Luigi Magni quel fatto: «Qui a Piazza del Popolo, appiccicata in alto vicino alla caserma e posta lì all’inizio del secolo da un’associazione libertaria, c’è la lapide di Targhini e Montanari che vi furono decapitati nel 1825. La gente non ci credeva, e quando usciva dal cinema faceva la fila per andare a vedere, a constatare. Al tempo del fascismo era stata cancellata dalla lapide la dicitura ‘la pena di morte ordinata dal papa’ e fu Antonello Trombadori, dopo la Liberazione, a battersi affinché venisse riportato il testo primitivo»14. Chiude definitivamente la serie l’altrettanto bel film di Mario Monicelli Il Marchese del Grillo. Monicelli non si smentisce mai, sia che affronti l’epoca contemporanea sia che si tratti di un film in costume, e non importa l’epoca storica (L’Armata Brancaleone ne è un esempio), il risultato è sempre ottimo. «Solo un Monicelli in gran forma poteva affrontare una simile materia senza cadere nella farsaccia e nelle volgarità cui certi film in costume (anche interpretati da Sordi stesso) ci hanno abituato. Il regista, invece, pur mantenendo sempre un alto grado di spettacolarità, che strappa frequenti e convinte risate, ha composto un affresco, spietato e divertito, grottesco e affettuoso, arguto e meditato, su un mondo in sfacelo, su una classe devitalizzata, su abitudini e costumi i cui segni, più incisivi di quanto si pensa, ancora permangono nella società italiana»15. Protagonista assoluto del film è uno splendido Alberto Sordi, qui in una delle migliori interpretazioni di tutta la sua carriera, nella doppia veste del Marchese e del carbonaio ubriacone Gasperino. «Nel doppio ruolo Sordi si scatena, occupa la scena, ammicca, gigioneggia, si traveste, mugola da ubriaco e sghignazza da nobile, architetta scherzi micidiali, piroetta, straparla e lancia verso il fedele pubblico una vera sequela di turpiloqui da ‘alta’ e ‘bassa’ società. Eppure non si cade mai nel pecoreccio (tranne che per la macchietta della sorella, triviale ed insistita) perché Sordi e Monicelli ne estraggono una specie di campionario della bêtise contemporanea»16.
14 Franco Montini, Piero Spila (a cura di), Il mondo di Luigi Magni. Avventure, sogni e disincanto, Roma, ERI - Edizioni Radio Televisione Italiana, 2000, p. 111. 15 V. Spiga, in «Il Resto del Carlino», 24 dic. 1981. 16 Valerio Caparra, in «Il Mattino», 27 dic. 1981.
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Da Napoleone alla breccia di Porta Pia
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UN’AVVENTURA DI SALVATOR ROSA di Alessandro Blasetti
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Anno di edizione 1940 Produzione: Stella; Direttore di produzione: Leo Menardi; Consulenza artistica: Corrado Pavolini; Soggetto: tratto liberamente da una trama di Ugo Scotti Berni; Sceneggiatura: Corrado Pavolini, Alessandro Blasetti, Renato Castellani; Fotografia: Vaclav Vich; Montaggio: Mario Serandrei, Alessandro Blasetti; Suono: Giovanni Paris; Scenografia: Virgilio Marchi; Costumi: Gino Sensani; Maestro d’armi: Enzo Musumeci Greco; Musica: Alessandro Cicognini; Direzione musicale: Pietro Sassoli; Interpreti: Gino Cervi, Luisa Ferida, Rina Morelli, Osvaldo Valenti, Ugo Cèseri, Umberto Sacripante, Paolo Stoppa, Enzo Biliotti, Carlo Duse, Mario Mazza, Piero Pastore, Jone Salinas, Mario Pucci, Leone Papa, Giorgio Gentile, Rudi Dal Prà, Gino Massi, Nino Eller, Ada Colangeli, Giuseppe Bordanaro; Durata: 90’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. LA STORIA: Salvator Rosa si reca nel Ducato di Torniano per riposare dopo un lungo periodo di lavoro e di attività politica, che il pittore svolgeva in forma romantica e misteriosa sotto la maschera del famigerato “Formica”. È costui un amico del popolo, abilissimo spadaccino ed audacissimo inventore di beffe ai danni del Viceré di Napoli e del suo consigliere Conte Lamberto. Purtroppo, però, anche a Torniano il Rosa ritrova le prepotenze del Conte Lamberto, che non solo aspira alla mano della capricciosa duchessa, ma opprime i popolani del contado. Egli allora riprende la figura del “Formica” e comincia un suo pericoloso gioco per battere il Conte e impedirgli di sposare la duchessa e di impossessarsi così delle terre. Ma contemporaneamente deve riuscire a conservare la fiducia dei sospettosi contadini. La destrezza del suo piano e l’abilità della sua tecnica schermistica lo portano alla vittoria. LA CRITICA: «Il film è senza dubbio uno dei più riusciti della nostra cinematografia: vorremmo dire il più riuscito se il regista Blasetti non si fosse troppo preoccupato di quello che è il suo antico chiodo, la macchina da presa, le “belle” fotografie [...], la recitazione è stata, si può dire superiore persino al film. Qui bisogna subito dire che Gino Cervi ha reso il personaggio con un gusto e una severità rare; ne da meno è stata Rina Morelli benissimo addobbata nei suoi abiti velasqueziani, quest’attrice sembra avere assorbito tutta l’esperienza delle grandi “sophisticated” americane e avervi aggiunto una sua particoalre dote di italiana delicatezza. Luisa Ferida, non è stata inferiore e i suoi periodi ruggiti sono veramente piacevoli». (Ennio Flaiano, in «Cine Illustrato», n. 8, 21 feb. 1940) LA FANCIULLA DI PORTICI di Mario Bonnard Anno di edizione 1940 Produzione: Artisti Associati; Direttore di produzione: Ferruccio Biancini; Soggetto: Mario Bonnard, Alberto Consiglio, da un’idea di Augusto Turati; Sceneggiatura: Ferruccio Biancini, Mario Bonnard, Alberto Consiglio; Fotografia: Mario Albertelli; Montaggio: Mario Bonotti; Suono: Emilio Rosa; Scenografia: Pietro Filippone; Arredamento: Mario Rappini; Costumi: Gino C. Sensani; Maestro d’armi: Enzo Musumeci Greco; Musica: Giulio Bonnard; Interpreti: Luisa Ferida, Carlo Ninchi Giuditta Rissone, Giulio Donadio, Roberto Villa, Armando Migliari, Franco Rondinella, Oretta Fiume, Giacomo Moschini, Nicoletta Parodi, Luigi Pa-
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Capitolo ottavo
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vese, Giorgio Capecchi, Liana Del Balzo, Nino Pavese, Carlo Duse, Oreste Fares, Pina Piovani, Giulio Battiferri, Giovanni Onorato, Luigi Erminio D’Olivo, Alfredo Menichelli; Durata: 88’. Produzione realizzata negli Stabilimenti Pisorno di Tirrenia . LA STORIA: Nel 1647, durante la dominazione spagnuola a Napoli, il popolo, capeggiato da Tommaso Aniello, detto “Masaniello”, cospira contro il Vicerè. Il figlio del Vicerè, che ha celato la propria identità, ha un bambino dalla sorella di Masaniello. Questo episodio è utile ad una nobile napoletana nella sua lotta contro il Vicerè; ma il padre contro ogni opposizione del figliolo fissa senz’altro le nozze che ha deciso per lui con una patrizia spagnola. La sorella di Masaniello e il bimbo vengono rapiti e chiusi in un convento. Ma il giorno delle nozze scoppia la rivolta, il figlio del Vicerè nega il proprio consenso innanzi all’altare e, scoperto il rifugio della ragazza e del bambino, regolarizza la propria posizione. Il Vicerè, facendo di necessità virtù, approva le nozze e nomina Masaniello capitano generale del popolo. LA CRITICA: «Verso la fine scoppia […] una rivolta: e conferisce ad alcuni quadri una consolante andatura dinamica ed avventurosa. Ma non valgono, i pochi metri in cui i popolani e pescatori, armati di randelli, hanno ragione di alabardieri con morione e corazza e di archibugieri col cappello a staio ornato di piume, a riscattare “un film” montato per tre quarti con inquadrature di interni, e nel quale i pochi esterni evitano scrupolosamente ogni eccessiva ampiezza di campo: forse per non tradire certi edifici che potrebbero essere, oltre che case popolari di Napoli, “isbe” di un villaggio russo» .(R[osario] A[ssunto], in « Bianco e Nero», n. 11/12, nov./dic. 1940). LUISA SAN FELICE di Leo Menardi Anno di edizione 1942 Produzione: A.C.I. (Alleanza Cinematografica Italiana); Direttore di produzione: Alberto Tronchet; Soggetto: Tito Silvio Mursino, Franco Riganti; Sceneggiatura: Luigi Chiarelli, Gherardo Gherardi, Leo Menardi; Fotografia: Vaclav Vich, Piero Portalupi; Montaggio: Fernando Tropea; Scenografia: Virgilio Marchi; Costumi: Marina Arcangeli, Ilse Neumann; Musica: Renzo Rossellini; Interpreti: Laura Solari, Massimo Serato, Carlo Ninchi, Osvaldo Valenti, Annibale Betrone, Armando Migliari, Hilde Sessak, Ada Dondini, Egisto Olivieri, Luigi Pavese, Giovanni Grasso, Rina De Liguoro, Jole Ferrari, Giorgio Capecchi, Francesco Balsamo, Stelio Carnabuci; Durata: 75’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. OSSERVAZIONI: Tito Silvio Mursino è lo pseudonimo anagrammatico di Vittorio Mussolini. Aiuto-regia, Suono e Arredamento non sono accreditati. LA STORIA. Luisa Sanfelice, nobildonna napoletana, durante l’asservimento agli inglesi del governo dei Borboni, ospita nella sua casa un patriota ferito; lo cura e lo sottrae alle ricerche della polizia. Tra i due nasce un idillio ma il giovane si rivela avido ed egoista e quando la sua vita è in pericolo, dopo la effimera esistenza della repubblica napoletana, fugge abbandonando la donna che aveva in grembo il frutto del loro amore. I Borboni ritornati al potere e istigati dall’odio degli inglesi mandano al patibolo gli sfortunati rivoluzionari e tra essi anche la Sanfelice, la quale, pochi giorni dopo aver dato alla luce la sua creatura, viene giustiziata tra il cordoglio di tutti i napoletani che invano avevano implorato la grazia.
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LA CRITICA. «Voglio solo, questa volta, parlare della sceneggiatura di Luisa San Felice. “Gli autori” avevano nelle mani un soggetto di quelli ad effetto sicuro [...]. C’è la puerpera condannata a morte, c’è il bimbo che nasce in carcere, c’è il grande amore, c’è l’olocausto della vita per una grande idea, c’è, signori miei, il patibolo. [...] E se non piangi di che pianger suoli? E, difatti, il film intenerisce e commuove. Esso finisce con la lama della mannaia che cade sul collo liliale della sventurata eroina. Laura Solari mi è parsa bella sotto il grande cappello a conchiglia. Non potete immaginare come mi piacciono quei vestiti, quelle trine. Non sono per l’età della pietra, né per quella del ferro, né per quella dell’oro. Sono per l’età della trina». (Diego Calcagno, in «Film», n. 39, 26 sett. 1942). TEMPESTA SUL GOLFO di Gennaro Righelli Anno di edizione 1943 Produzione: Lux Film; Direttore di produzione: Fabio Franchini; Soggetto: Ettore M. Margadonna, Ennio Cerlesi; Sceneggiatura: Gennaro Righelli, Ettore M. Margadonna, Ennio Cerlesi; Fotografia: Mario Albertelli; Montaggio: Gabriele Varriale; Suono: Franco Croci; Scenografia: Gastone Medin; Arredamento: Gino Brosio; Costumi: Vittorio Nino Novarese; Musica: Franco Casavola; Interpreti: Armando Falconi, Andrea Checchi, Adriana Benetti, Anneliese Uhlig, Mario Ferrari, Maria Jacobini, Camillo Pilotto, Marina Doge, Filippo Scelzo, Doris Hild, G. Van Hulsen, Lamberto Picasso, Augusto Marcacci, Mario Brizzolari, Albino Principe, Piero Carnabuci, Rubi Dalma; Durata: 85’. Produzione realizzata negli Stabilimenti SAFA di Roma. LA STORIA: Re Ferdinando II regge con sagacia e bonomìa le sorti del Regno delle Due Sicilie. Fra i suoi più devoti collaboratori c’è il capitano Capace a cui affida importanti e delicati incarichi. Costui ama, riamato, una gentile fanciulla napoletana a cui era morto il padre, esiliato per ordine del Re. Questo ha fatto della giovane una accesa nemica della monarchia, e ed è causa di disaccordo tra i due fidanzati. Ma poi si viene a sapere che la ragazza non è figlia del rivoluzionario, bensì del fratello del monarca, fuggito all’estero. In seguito agli intrighi dell’ambasciatrice d’Inghilterra, innamorata e gelosa di lui, il capitano è coinvolto in un attentato terroristico e sta per essere condannato a morte. Il buon re, sia pure acciaccato dai malanni e prossimo a morire, riesce a mettere le cose in chiaro, smaschera i colpevoli e ristabilisce l’armonia tra i due fidanzati. LA CRITICA: «Tempesta sul golfo un po’ di tempesta deve averla scatenata anche nell’animo del regista Gennaro Righelli, verso il quale la critica dei quotidiani ha fatto [...] la faccia feroce. Una maggiore fantasia, nel soggetto, nella sceneggiatura e nel dialogo avrebbero dato al film ben altro spicco. [...] Righelli ci offrirà presto una prova degna del suo passato. Del resto, Armando Falconi è un Ferdinando II così perfetto che dal cielo il Ferdinando II vero può mandargli solo baci e benedizioni». (Diego Calcagno, in «Film», n. 19, 8 mag. 1943). CAPITAN DEMONIO di Carlo Borghesio Anno di edizione 1949 Produzione: I.C.E.T.; Produttore: Giorgio Venturini; Direttore di produzione: Vieri Bigazzi;
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Capitolo ottavo
Soggetto: Luigi Bonelli; Sceneggiatura: Leo Benvenuti, Luigi Bonelli, Carlo Borghesio, Paola Ojetti; Aiuto-regia: Leo Benvenuti; Fotografia: Arturo Gallea; Montaggio: Rolando Benedetti; Scenografia: Ernesto Nelli; Arredamento: Ernesto Nelli; Costumi: Lucia Belfadel; Maestro d’armi: Rodolfo Terlizzi; Musica: Mario Nascimbene; Direzione musicale: Ugo Giacomozzi; Interpreti: Adriano Rimoldi, Mery Martin, Nerio Bernardi, Luigi Tosi, Beniamino Maggio, Jole Ferri, Luisella Beghi, Teresa Legnani, Piero Tordi, Renato De Carmine, Arrigo Peri, Rodolfo Terlizzi, Alberto Archetti, Gianni Lova, Luigi Benvenuti, Nella Bartoli, John Pasetti; Durata: 90’. LA STORIA: Nella Firenze granducale del secolo XVIII, il Bargello fa rapire la prima ballerina, favorita del Granduca, perché mantiene relazioni con gli affiliati ad una società segreta e si presume sia in possesso d’importanti documenti. Per liberarla gli affiliati alla setta segreta ricorrono a Capitan Demonio, un avventuriero, eroe di gesta leggendarie e terrore degli sgherri del Bargello. Capitan Demonio libera infatti la bella prigioniera e la porta con sé nel suo rifugio, ma la ragazza, disgustata dalle spavalderie dell’avventuriero, fugge a Firenze per chiedere la protezione del Granduca. L’avventuriero, innamorato della bella fanciulla, la segue, salvandola ancora dalle insidie del Bargello che sta preparando un colpo di stato per impadronirsi del potere, ma Capitan Demonio riesce a smascherare il traditore, denunciandolo al Granduca che lo fa arrestare. Capitan Demonio viene nominato Bargello, ma rinuncia alla carica per sposare la bella artista che ricambia ormai il suo appassionato sentimento. LA CRITICA: «Adriano Rimoldi e un discreto attore [...], per la nostra produzione “cappa e spada” è l’unico interprete capace di rinnovare i fasti d’un Douglas nazionale. Purché non strafaccia, come ci è capitato di vedere nel corso di questo film, in cui certi suoi atteggiamenti non controllati dal regista hanno stonato nel complesso figurativo». (F. Gabella, in «Intermezzo», n. 9/10, 21 mag. 1951). I PIRATI DI CAPRI di Giuseppe Maria Scotese Anno di edizione 1949 Produzione: I.C.S (Industrie Cinematografiche Sociali); Produttore: Nicolò Theodoli; Direttore di produzione: Pietro Bigerna; Soggetto: Golfiero Colonna, Giorgio Moser, Bruno Valeri, tratto da un’ idea di Victor Pahlen; Sceneggiatura: Sidney Alexander; Aiuto-regia: Giorgio Moser, Golfiero Colonna; Fotografia: Anchise Brizzi; Montaggio: Renzo Lucidi; Suono: Vittorio Trentino, Eraldo Giordani; Scenografia: Guido Fiorini; Costumi: Dario Cecchi; Maestro d’armi: Enzo Musumeci Greco; Musica: Nino Rota; Interpreti: Louis Hayward, Mariella Lotti, Massimo Serato, Binnie Barnes, Alan Curtis, Franca Marzi, Eleonora Rossi Drago, Mikhail Rasumny, William Tubbs, Alberto Califano, Michel Sorel, Eric Oulton, Jone Morino, Erminio Spalla, Gajo Visconti, Fedele Gentile, Adriano Ambrogi, Angelo Dessy, Gilberto Severi, Enzo Musumeci Greco, Franco Pesce, Liana Del Balzo, Lajos Onodj, Nino Javert, Riccardo Foti, May Doro, Ilario Malaschini, Mario Auritano, Giorgio Moser, Linda Christian; Durata: 104’. LA STORIA: Il conte di Amalfi, favorito della Regina di Napoli, capeggia sotto il nome di “Scirocco” la congiura contro il governo assoluto. Una nave borbonica con un carico di armi viene assalita a Capri da un gruppo di ribelli comandato da “Scirocco”. La nave ospita Maria Villalta, venuta a Napoli, per conoscere il proprio fidanzato, il conte di Amalfi. Mentre i con-
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Da Napoleone alla breccia di Porta Pia
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giurati si riuniscono a Villa Marina, la polizia li sorprende e ne arresta una parte: gli altri, tra cui il conte, riescono a fuggire. Il conte, travestito, si reca da Maria Villalta per restituirle una collana sottrattale da uno dei suoi uomini e le spiega gli scopi del movimento rivoluzionario. L’azione della polizia spinge i liberali ad agire in fretta e, per risparmiare alla sovrana i pericoli di una fuga, il conte la convince a firmare un armistizio ed a nominare primo ministro Pignatelli, capo dei liberali. Il barone Olstein, capo della polizia, tenta di uccidere il conte, ma è lui ad essere ucciso. Il conte di Amalfi può finalmente sposare Maria. LA CRITICA: «Film piuttosto ambizioso, almeno a giudicare dal cast internazionale [...] mantiene solo in parte le sue promesse e si rivela adatto sopprattutto ad interessare le platee dei cinema rionali. Realizzato con larghezza di mezzi, interpretato in maniera adeguata al suo genere, offre soltanto un interesse relativo agli spettatori più smaliziati». (A. Albertazzi, in «Intermezzo», n. 17, 15 set. 1950). LE AVVENTURE DI MANDRIN di Mario Soldati Anno di edizione 1951 Produzione: I.C.S. (Industrie Cinematografiche Sociali), Cormoran Film; Produttore: Nicolò Theodoli; Soggetto: Mario Soldati, Vittorio Nino Novarese, Augusto Frassineti; Giorgio Bassani; Sceneggiatura: Mario Soldati, Vittorio Nino Novarese, Augusto Frassineti; Giorgio Bassani; Aiuto-regia: Cesare Olivieri, Agostino Richelmy; Fotografia: Mario Montuori; Montaggio: Roberto Cinquini; Suono: Mario Bartolomei; Scenografia: Guido Fiorini; Costumi: Vittorio Nino Novarese; Musica: Mario Nascimbene; Direzione musicale: Franco Ferrara; Interpreti: Raf Vallone, Silvana Pampanini, Michèle Philippe, Roland Armontel, Jacques Castelot, Gualtiero Tumiati, Vinicio Sofia, Giulio Donnini, Michele Malaspina, Nietta Zocchi, Piero Capanna, Marino Di Fulvio, Rodolfo Lodi, Riccardo Rioli, Alberto Rabagliati; Durata: 102’. Produzione realizzata negli Studi della Titanus. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo francese. Il titolo della versione francese è Mandrin, le chevalier sans loi. LA STORIA: Ai tempi di Luigi XV, nel Delfinato e in Savoia fiorisce il contrabbando: i soldati inviati a combatterlo, si fanno corrompere. Coinvolto in un tafferuglio, un soldato, Mandrin, viene arrestato e condannato a morte, ma fugge e si unisce ai contrabbandieri. Costituita una banda al suo comando si fa presto un nome. La fama di Mandrin giunge anche alla corte di Versailles dove la favorita del Re, per conoscerlo, accetta un invito del Governatore del Delfinato. Giunta sul posto, viene ricevuta dal brillante intendente del Governatore col quale passa la notte. Quando la mattina dopo la marchesa scopre che l’intendente altri non era se non Mandrin, ne ordina l’arresto. Condannato a morte, Mandrin viene liberato dai suoi compagni guidati da Rosetta, la locandiera. Ma sarà la marchesa che, commossa dall’amore di Rosetta per il bandito, interverrà in suo favore permettendogli di ripassare il confine con lei. LA CRITICA: «A Mandrin è dedicato questo film italo-francese. Nell’edizione italiana (e forse anche in quella francese) non mancano gli strali di facile lega contro la Francia “dei re Luigi”. Uno strale piu appuntito era nella poesia di Prevert intitolata “ Les belles familles”. Ma questo paragone letterario potrebbe far pensare a significati che il film non si sogna
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Capitolo ottavo
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di avere, racchiuso com’è nei limiti di un’avventura di cappa e spada resa un po’ provocante dalla scollatura di Silvana Pampanini». (Vice, in «Cinema Nuovo», n. 4, 1 feb. 1953). LA MUTA DI PORTICI di Giorgio Ansoldi Anno di edizione 1952 Produzione: Produzioni Fontana; Produttore: Giacinto Solito; Soggetto: Alessandro De Stefani; Sceneggiatura: Alessandro De Stefani, Giacinto Solito, Giorgio Ansoldi; Aiuto-regia: Cesare Ardolino; Fotografia: Alvaro Mancori; Montaggio: Cesare Ardolino; Suono: Leopoldo Rosi; Scenografia: Veniero Colasanti; Costumi: Veniero Colasanti; Musica: Costantino Ferri; Interpreti: Flora Mariel, Doris Duranti, Paolo Carlini, Octavio Senoret, Umberto Sacripante, Raf Pindi, Gino Scotti, Paolo Dola, Luciano Rebeggiani, Maurizio Di Nardo, Turi Randaccio, Giulio Battiferri, Stanislao Capello, Raffaele Tana, Franco Jamonte, Renato Petrilli, Isarco Ravaioli, Simona Andreassi, Sergio Cortona, Maria Pia Spini, Lia Lena; Durata: 85’. LA STORIA: Si tratta del remake del film che Mario Bonnard aveva girato nel 1940, La fanciulla di Portici (v.), di cui mantiene l’impianto narrativo. LA CRITICA: «È un film appartenente al genere romantico popolare che narra una vicenda assai nota, già in precedenza portata sullo schermo. Il lavoro è men che mediocre, non ha molte qualità e anche commercialmente non sembra troppo forte». (U. Tani, in «Intermezzo», n. 9/10, 31 mag. 1954). LA PRIGIONIERA DI AMALFI di Giorgio Cristallini Anno di edizione 1953 Produzione: Glomer Film; Produttore: Enzo Merolle; Direttore di produzione: Tiziano Longo; Soggetto: Giorgio Cristallini; Sceneggiatura: Giorgio Cristallini, Piero Regnoli; Fotografia: Alvaro Mancori; Montaggio: Nino Baragli; Suono: Adriano Taloni; Scenografia: Lamberto Giovagnoli; Arredamento: Arrigo Breschi; Interpreti: Luciana Vedovelli, Narciso Parigi, Piero Lulli, Paul Müller, Marisa Merlini, Isa Querio, Linda Sini, Loris Gizzi, Alberto Sorrentino, Dina Sassoli, Guido Celano, Cesare Polacco, Maria Dominiani, Piero Palermini, Amina Pirani Maggi, Francesco Di Marco; Durata: 94’ . OSSERVAZIONI: Aiuto-regia, Costumi e Musica non sono accreditati. LA STORIA: Cinque giovani di Amalfi tentano di unirsi a Pisacane. Fallito il tentativo del patriota napoletano, i giovani vengono attaccati dalle guardie borboniche ed uno di loro, Paolo, rimane ferito. Rifugiatisi in un convento di suore, Paolo è curato e rivede la contessina Anna Maria di Valbruna che amava da tempo. Il Barone Cangemi, tutore di Anna Maria, che vive nella villa dei Valbruna, informato dell’arrivo dei patrioti, avverte la polizia, I giovani fuggono, ma Paolo ed Anna Maria vengono arrestati. Anna Maria viene liberata grazie all’intervento di Cangemi, che vuole sposarla, ma di fronte al rifiuto della fanciulla, la rinchiude in una torre insieme alla madre paralitica che muore in un incendio. Anna Maria si salva, ma
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perde la memoria. Nel frattempo le truppe borboniche sono state sconfitte dai garibaldini, ai quali si sono uniti i giovani patrioti. Cangemi tenta di fuggire; ma viene raggiunto e ucciso. Anna Maria riacquista la memoria e sposa Paolo. LA CRITICA: «Ispirato all’epoca garibaldina, questo film appare, nell’insieme, migliore di quanto si potesse prevedere. Non è certamente un film di livello elevato, ma si lascia seguire malgrado qualche ingenuità nel soggetto e qualche incertezza nella realizzazione [...]. L’elemento patriottico è sfruttato con notevole senso della misura». (A. Albertazzi, in «Intermezzo», n. 3, 15 feb. 1954). DUELLO NELLA SILA di Umberto Lenzi Anno di edizione 1962 Produzione: Romana Film; Produttore: Fortunato Misiano; Soggetto: Ugo Guerra, Luciano Martino; Sceneggiatura: Ugo Guerra, Luciano Martino Aiuto-regia: Vana Caruso; Fotografia: Augusto Tiezzi; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Suono: Mario Faraoni; Scenografia: Peppino Piccolo; Arredamento: Franco D’Andria; Costumi: Walter Patriarca; Musica: Gino Filippini; Interpreti: Fernando Lamas, Liana Orfei, Armand Mestral, Enzo Cerusico, Nino Vingelli, Vincenzo Musolino, Loris Gizzi, Edoardo Toniolo, Gino Buzzanca, Daniela Igliozzi, Franco Iamonte, Ignazio Balsamo, Gino Marturano, Amedeo Trilli, Emma Baron, Nada Cortese, Gianni Magetti, Diego Michelotti, Vladimiro Picciafuochi, Lisa Gastoni; Durata: 96’. Produzione realizzata negli Studi Incir-De Paolis. LA STORIA: Nel Regno delle Due Sicilie, nella Lucania del 1855, Rocco Gravina vive di brigantaggio con la sua banda. Violenta e uccide una ragazza che andava a raggiungere il fratello Antonio. Questi, scoperto il delitto, entra a far parte della banda di Rocco con lo scopo di scoprire il colpevole e dopo varie avventure, riesce a vendicare la morte della sorella. Antonio sarà a sua volta ucciso da un brigante e l’unico superstite della banda troverà poi la morte in un conflitto a fuoco coi gendarmi borbonici. LA CRITICA: «Una vicenda scontata e piena di luoghi comuni, diretta con scarsa convinzione. Recitazione di mestiere; buona la fatografia a colori».(Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LII, Anno 1962, Roma 1962, p. 140). NELL’ANNO DEL SIGNORE di Luigi Magni Anno di edizione 1969 Produzione: San Marco Cinematografica, Les Films Corona, Francos Film; Produttore: Bino Cicogna; Direttore di produzione: Camillo Teti; Soggetto: Luigi Magni; Sceneggiatura: Luigi Magni; Aiuto-regia: Roberto Pariante; Fotografia: Silvano Ippoliti; Montaggio: Ruggero Mastroianni; Suono: Mario Bramonti, Mario Amari; Scenografia: Carlo Egidi; Arredamento: Dario Micheli; Costumi: Lucia Mirisola; Musica: Armando Trovatoli, Interpreti: Nino Manfredi, Enrico Maria Salerno, Claudia Cardinale, Robert Hossein, Renaud Verlay, Britt Ekland, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi, Franco Abbina, Bruno Erba, Pippo Franco, Maria Cristina Farnese, Emilio Marchesini, Piero Nistri, Stefano Oppedisano, Bob Mc Quary, Stefano Riva,
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Capitolo ottavo
Marco Tulli; Durata: 115’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà e, in esterni, a Castel Santangelo e nei dintorni di Roma.
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OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo francese del film è Les conspirateurs. LA STORIA: A Roma, nel 1825, il compito di reprimere i tentativi rivoluzionari dei gruppi liberali è affidato al cardinale Rivarola e al colonnello Nardoni. Quando il ciabattino Cornacchia viene a sapere che don Filippo Spada ha denunciato i compagni, avvisa due carbonari, Leonida Montanari e il giovane Angelo Targhini, i quali aggrediscono Spada per ucciderlo, ma lo feriscono soltanto. Giuditta, che convive con Cornacchia, cerca di indurre i due congiurati ad abbandonare Roma, ma inutilmente. Condotti alla presenza di Spada, vengono riconosciuti e arrestati. Il processo, si conclude con la loro condanna a morte. Cornacchia rivela a Giuditta di non essere quel ciabattino analfabeta e pusillanime che tutti ritengono ma il temuto “Pasquino”, l’inafferrabile voce di Roma che mette alla berlina, con le sue satire, il governo pontificio. Cornacchia compie un inutile tentativo presso il cardinale Rivarola per salvare la vita dei due carbonari ma inutilmente. Così Montanari e Targhini vengono ghigliottinati sulla pubblica piazza. LA CRITICA: «A Roma, in piazza del Popolo, una lapide ricorda ancora l’esecuzione capitale dei carbonari Leonida Montanari e Angelo Targhini avvenuta il 23 novembre 1825, proprio sul finire dell’anno in cui papa Leone XII aveva bandito il giubileo. Romanista appassionato e coautore di Rugantino, Luigi Magni ha tratto lo spunto del suo secondo film dalle cronache oscure del protorisorgimento: è un quadro storico ignorato dai libri di scuola, dove cardinali e sbirri opprimono il popolo all’ombra della ghigliottina». (Tullio Kezich, in «Panorama», 1969). IL MARCHESE DEL GRILLO di Mario Monicelli Anno di edizione 1981 Produzione: Opera Film Produzione, Gaumont; Produttore: Luciano De Feo; Direttore di produzione: Francesco Casati, Giuseppe Auriemma, Marc Maurette; Soggetto: Bernardino Zapponi, rielaborato da Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Tullio Pinelli, Mario Monicelli; Sceneggiatura: Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Mario Monicelli, Tullio Pinelli, Alberto Sordi; Aiuto-regia: Amanzio Todini; Fotografia: Sergio D’Offizi; Montaggio: Ruggero Mastroianni; Suono: Franco Borni; Scenografia: Lorenzo Baraldi; Arredamento: Massimo Tavazzi; Costumi: Gianna Gissi; Musica: Nicola Piovani; Interpreti: Alberto Sordi, Paolo Stoppa, Caroline Berg, Riccardo Billi, Flavio Bucci, Elena Daskowa Valenzano, Cochi Ponzoni, Marc Porel, Pietro Tordi, Leopoldo Trieste, Giorgio Gobbi, Isabelle Linnart, Tommaso Bianco, Marina Confalone, Elena Fiore, Alfredo Cohen, Isabella De Bernardi, Andrea Bevilacqua, Angela Campanella, Giuseppe Fumelli, Ettore Geri, Salvatore Jacono, Jacques Herlin, Elisa Mainardi, Gianni Di Pinto, Ivan De Paolo, Renzo Rinaldi, Camillo Milli, Bruno Rosa, Sandro Signorini; Durata: 127’. Produzione realizzata negli Stabilimenti di Cinecittà. OSSERVAZIONI: Coproduzione italo-francese. Il titolo della versione francese è Le Marquis s’amuse.
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Da Napoleone alla breccia di Porta Pia
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LA STORIA: Il marchese Onofrio del Grillo per sfuggire alla monotonia di una famiglia opprimente e ad alcuni incarichi prestigiosi ma poco gratificanti (è Cameriere Segreto di papa Pio VII) si abbandona sovente ad inventare burle, tanto volgari quanto geniali. L’incontro con Gasperino, un carbonaio ubriacone e malridotto, ma che gli somiglia come una goccia d’acqua, gli ispira la burla piu straordinaria. Fa sì che il poveretto, inconsapevolmente (per il troppo vino bevuto) prenda il suo posto nella vita di tutti i giomi, creando inevitabile sconcerto fra i congiunti e nell’ambiente papale. Il papa, che si e accorto della burla, intendendo dare una lezione al suo incorreggibile dipendente, ne decreta la condanna a morte. Tutta una sceneggiata, naturalmente, che non servirà di certo a modificare 1’indole del terribile marchese. LA CRITICA: «Il film si vede con piacere. Benché il carattere del protagonista non sia molto incisivo rispetto alla vivace coroncina di aneddoti e di macchiette, […] lo spettacolo vale la spesa, e 1’esito tutto sommato è migliore di quello ottenuto recentemente da altri film romaneschi in costume. Si sente che Monicelli, passando dal pirandellismo alla farsa, dalla commedia leggera alla satira di costume, si è divertito a ricreare un’epoca ben ricca di colori e di sapori, quasi fosse una stampa d’autore, e a lasciarne intravvedere scorci ameni e gravi. Mattatore del film e ovviamente Alberto Sordi, ottimo ancora una volta, e soprattutto nella parte del carbonaio talora mirabile. […] Parolacce? Non più di quante facciano parte del lessico familiare romanesco». (Giovanni Grazzini, in «Corriere della Sera», 24 dic. 1981).
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IX.
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AMORI E AVVENTURE TRA ROMANZO, PARODIA ED EROTISMO
Come accennato in premessa, analogamente agli ultimi due volumi pubblicati, per i film analizzati in questo capitolo, ci si è limitati alla citazione dei titoli, del nome del regista, dei due o tre attori principali ed un brevissimo accenno alla trama del film (evitando di riportare le critiche del tempo che – quando ci sono – sono piuttosto impietose). Infatti in molti casi questi lavori sono di interesse talmente scarso da non meritare di più, ad eccezione di alcuni film erotici d’autore quali quelli di Pier Paolo Pasolini (Il Decameron, I racconti di Canterbury), Luigi Comencini (Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova veneziano), Carmelo Bene (Don Giovanni) e Federico Fellini (Casanova di Federico Fellini) (v. cap. IV). Abbiamo inserito in questo capitolo anche film come quelli relativi alle avventure salgariane, realizzati prevalentemente per ragazzi; ciò è avvenuto più per ragioni di spazio che non di qualità, dato che molti di essi sono stati realizzati dignitosamente come quelli, ad esempio, di Marco Elter, Mario Soldati, Enrico Guazoni o Giacomo C. Simonelli. 1. Emilio Salgari tra pirati e corsari Il cinema non poteva ignorare i romanzi d’avventura di Emilio Salgari e infatti non lo fece. Molti furono i film tratti dai testi salgariani ritenuti i migliori racconti del genere, non solo per i ragazzi, tant’è che anche il cinema muto si interessò a questo prolifico autore1. Difficile trovare chi non abbia letto in gioventù qualche romanzo salgariano: dai racconti dei pellerossa, ai tigrotti di Mompracem, dai corsari delle Antille agli eroi di Famagosta. Ma chi era Salgari? Emilio Salgari nacque a Verona nel 1862 e morì suicida il 25 aprile del 1911. Studiò per diventare capitano di marina, ma non arrivò mai ad esserlo. Navigò le coste dell’Adriatico per tre mesi, ma non viaggiò mai nei paesi lontani in cui ambientò la maggior parte dei suoi romanzi, che immaginò rimanendo sempre alla sua scrivania, leggendo libri di viaggi e studiando atlanti geografici per documentarsi. Nel 1883 riscosse notevole successo con il romanzo La tigre della Malesia, pubblicato a puntate sul giornale «La nuova Arena», ma non ne ebbe nes1 Anche se in forma decisamente minore, il cinema muto si interessò ai personaggi di Emilio Salgari. Nel 1921 Vitale De Stefano girò Il Corsaro Nero.
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Capitolo nono
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sun ritorno economico significativo. Nel 1892 sposò Ida Peruzzi, attrice di teatro, e si trasferì a Torino. Dal 1892 al 1898, sotto contratto con l’editore Speirani, pubblicò una trentina di opere. Nel 1897 venne insignito da Umberto I del titolo di “Cavaliere della Corona d’Italia”. Molti suoi romanzi ebbero grande successo, ma a causa della sua ingenuità ne beneficiarono solo gli editori. Le difficoltà economiche lo perseguitarono fino alla fine. Nel 1910 la salute mentale della moglie lo costrinse a farla ricoverare in manicomio. Era un forzato del lavoro. I contratti l’obbligavano a scrivere tre libri l’anno costringendolo a ritmi pazzeschi. Finché i nervi non cedettero. La mattina del 25 aprile del 1911 lasciò sulla scrivania tre lettere ed uscì con un rasoio in tasca. Fu trovato con la gola e il ventre squarciati. In mano stringeva ancora il rasoio. Si uccise come avrebbe potuto uccidersi uno dei suoi personaggi: facendo harakiri. I due cicli principali in cui si possono raggruppare i suoi romanzi furono quello dei Corsari delle Antille e quello dei Piarti della Malesia da cui furono tratti la maggior parte dei film (molti altri film, per esempio, Capitan Tempesta (v) e Il Leone di Damasco (v), furono tratti dai suoi romanzi non facenti parte di questi due cicli principali). 1.1. Il ciclo dei pirati delle Antille Il primo romanzo ad attirare l’attenzione dei cineasti italiani è Il Corsaro Nero che Amleto Palermi porta sullo schermo nel 1936. L’esordiente Ciro Verrati, nella parte del protagonista, convince più come spadaccino che come attore, mentre la splendida Silvana Jachino fa bella mostra di sé. Buon successo di pubblico, è piacevole ancora oggi da vedere «realizzato senza economia, con navi vere, con abbordaggio vero di eccellente effetto […], con duelli epici, personaggi generosi ed eroici, visioni di mare e di tempeste bellissime e tremende, ecc…ecc…»2. Del film viene fatto un remake nel 1976 da Sergio Sollima con Terence Hill e Bud Spencer, in uno dei soliti film divertenti della coppia inventata da Enzo Barboni in Lo chiamavano Trinità; «un film da vedere, non foss’altro che per curiosità e per una certa immaginazione d’una infanza perduta!»3. È poi la volta di Enrico Guazzoni con La figlia del Corsaro Verde del 1941. Il Corsaro Verde è, per chi non lo sapesse, fratello del Corsato Nero e del Corsaro Rosso ed è interpretato nel film di Guazzoni da Fosco Giachetti, mentre la figlia è una bella e conturbante Doris Duranti: «Fosco Giachetti è nato per la parte che sostiene. Efficacissima accanto a lui Doris Duranti»4 . Subito dopo, per continuare nella saga di famiglia, Marco Elter si cimenta con Il figlio del Corsaro Rosso del 1942. Nel film «si assiste ad ogni sorta di baruffe,
2 Vice,
in «La Rivista del Cinematografo», nov. 1936. P. Gaulier, in «Saison ’73», 1973. 4 Vice, in «La Stampa», 30 gen. 1941. 3
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Amori e avventure tra romanzo, parodia ed erotismo
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equivoci, duelli e sparatorie amene, delizie e fantasia della nostra adolescenza»5. Buona l’interpretazione di Vittorio Sanni (che poi cambierà il nome in Sanipoli) nella parte del figlio dell’illustre pirata e di Luisa Ferida in quella della focosa Carmen. Primo Zeglio, nel remake dello stesso film realizzato nel 1958, affida a Lex Barker la parte del figlio del pirata salgariano ma, nonostante l’impegno dell’attore americano, il risultato è quello di un «normale film di avventure […] realizzato con mezzi modesti e tecnica inadeguata»6. Dopo una pausa di diversi anni, con l’aiuto di Mario Soldati, arriva nel 1952, un’altra cugina, Jolanda la figlia del Corsaro Nero. Con Jolanda esordisce l’attrice svedese May Britt che però se la cava poco bene. «Soldati gioca a vestirla, svestirla (ne mostra perfino un seno) e travestirla, assegnandole una triplice identità – Jolanda, Jolly, Enrico di Montenero – e un triplice ruolo – damigella di nobili natali, corsaro, saltimbanco – ma il tentativo rimbalza contro un imbarazzante monotonia recitativa»7. Allora Soldati, senza indugio e nello stesso anno, ci riprova con i tre fratelli: il Rosso, il Nero e il Verde ne I tre corsari, ma con scarsi risultati. Ettore Manni (il Nero), Cesare Danova (il Verde) e Renato Salvatori (il Rosso) nelle mani di Soldati non riescono ad esaltare le gesta degli eroi salgariani tanto da suscitare l’ira di non pochi critici come, per esempio, Zannino che su «Rassegna del Film», tuona: «È un pasticcio grossolano, un ‘divertimento’ inutile. Tratto da ‘Il Corsaro Verde’, esso ci ha offesi non tanto nel gusto, quanto nel ricordo delle affascinanti storie scritte da Emilio Salgari per i nostri teneri anni»8. Ma la saga dei corsari figli e nipoti del Conte di Ventimiglia non finisce qui, infatti Marco Elter con il film Gli ultimi filibustieri del 1943, ci riporta nelle isole caraibiche dove il figlio del Corsaro Rosso, sempre interpretato da Vittorio Sanni, e Loredana nella parte di sua sorella Neala, se la debbono vedere con un truce Osvaldo Valenti nella solita parte del cattivo che alla fine muore. Ma il film non convince Dino Falconi che su «Il Popolo d’Italia» scrive «Salgari sullo schermo non risulta molto convincente. Nessun regista, finora, nessuna realizzazione hanno saputo rappresentare gli ingenui eroismi e le candide truculenze dei suoi avventurosi racconti»9. Chiude il ciclo delle Antille L’avventuriero della Tortuga di Luigi Capuano, girato nel 1965 e con un Rick Battaglia abbastanza convincente. Un film che propone personaggi salgariani piuttosto sfruttati, ma condotto con sufficiente vivacità e mestiere.
5
F. Sarazani, in «Il Giornale d’Italia», 20 giu. 1943. U. Tani, in «Intermezzo», n. 16/17, 15 set. 1960. 7 Luca Malavasi, Mario Soldati, cit., p. 118. 8 F. Zannino, in «Rassegna del Film», 11 feb. 1953. 9 Dino Falconi, in «Il Popolo d’Italia», 12 feb. 1943. 6
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Capitolo nono
IL CORSARO NERO di Amleto Palermi
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Anno di edizione 1936 Produzione: Artisti Associati. Con Ciro Verratti, Silvana Jachino, Ada Biagini, Nerio Bernardi, Cesco Baseggio, Checco Durante, Guido Celano, Piero Carnabuci, Romolo Costa, Olinto Cristina, Alfredo Martinelli, Polidor, Diego Pozzetto, Eugenio Duse, Silvio Bagolini. Durata: 96’. LA STORIA: Dopo la morte del Corsaro Rosso per mano del Governatore di Maracaibo, il fratello, assunto il nome di Corsaro Nero, decide di vendicarsi assaltando il porto venezuelano. Nel mar dei Caraibi cattura un galeone spagnolo sul quale si trova, sotto altro nome, la figlia dell’odiato nemico. Quando scopre la verità, il Corsaro l’abbandona in mare su una scialuppa. La ragazza, salvata, viene condotta a Maracaibo dove scopre d’essere solo una figlia adottiva. E quando il Corsaro Nero, dopo un furioso combattimento, espugna la città e uccide il governatore, potrà impalmare la fanciulla della quale s’è innamorato. LA FIGLIA DEL CORSARO VERDE di Enrico Guazzoni Anno di edizione 1941 Produzione: Manenti Film. Con Doris Duranti, Fosco Giachetti, Camillo Pilotto, Mariella Lotti, Enrico Glori, Sandro Ruffini, Tina Lattanzi, Polidor, Carmen Navasquez, Ernesto Almirante, Primo Carnera, Mario Siletti, Nino Marchetti. Durata: 76’. LA STORIA: Sotto mentite spoglie e sotto falso nome, il figlio del governatore di una repubblica sudamericana s’infiltra tra i corsari per poterli catturare e per sgominare le terribili bande che infestano i mari. Il suo piano è temerario, tuttavia supera brillantemente alcune prove prima di essere ammesso nella pirateria; viene però scoperto e condannato a morte, ma salvato dalla figlia del Corsaro Verde, innamoratasi di lui. Con l’aiuto degli uomini fedeli alla fanciulla sbaraglia i pirati e libera le colonie occupate e i mari del Sud. IL FIGLIO DEL CORSARO ROSSO di Marco Elter Anno di edizione 1942 Produzione: Bellamacina e Cuffaro per la B.C. Con Vittorio Sanni, Luisa Ferida, Memo Benassi, Loredana, Pina Renzi, Aldo Silvani, Idolo Tancredi, Domenico Viglione Borghese, Felice Minotti. Durata: 80’. LA STORIA: Il marchese di Montelimar, governatore di Las Palmas, ha fatto assassinare il Corsaro Rosso e ne ha rapita la figlia fingendosi poi suo zio. Il suo intento è quello di piegarla al proprio volere e farsi sposare per ereditare una ingente fortuna. Ma il figlio dell’ucciso sventa l’inganno e, affrontando intrighi e tradimenti, dopo una dura lotta riesce a fare giustizia del malvagio governatore e a liberare la propria sorella.
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Amori e avventure tra romanzo, parodia ed erotismo
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GLI ULTIMI FILIBUSTIERI di Marco Elter
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Anno di edizione 1943 Produzione: Bellamacina e Cuffaro per la B.C. Con Vittorio Sanipoli, Loredana, Osvaldo Valenti, Nerio Bernardi, Pina Renzi, Aldo Silvani, Idolo Tancredi, Domenico Viglione Borghese, Virgilio Botti, Enrico Gozzo, Felice Mintoti. Durata: 82’. LA STORIA: Il governatore di un’isola dei Caraibi è venuto a sapere che il figlio del Corsaro Rosso e sua sorella sono eredi di un favoloso tesoro. Per avidità chiede la mano della fanciulla, che però rifiuta perché è innamorata di un ufficiale della guardia. Infuriato, il governatore fa rapire la fanciulla e aggredire il fratello da uomini prezzolati e, dopo che costui li ha uccisi in duello, lo fa arrestare per costringere la ragazza alle nozze. L’ufficiale innamorato fa liberare il fratello di lei che, con i suoi fidi filibustieri, assalta il palazzo, insegue il governatore che è fuggito e lo uccide nella grotta dove è custodito il tesoro tanto ambito dal malvagio. Con i suoi filibustieri e con l’aiuto degli indiani, espugna la fortezza portando la libertà a tutti e concedendo alla propria sorella di sposare l’amato ufficiale. JOLANDA LA FIGLIA DEL CORSARO NERO di Mario Soldati Anno di edizione 1952 Produzione: Carlo Ponti e Dino De Laurentiis. Con May Britt, Marc Lawrence, Renato Salvatori, Barbara Florian, Umberto Spadaro, Guido Celano, Ignazio Balsamo, Joop van Hulzen, Domenico Serra, Alberto Sorrentino, Gianni Luda, Pina Piovani, Silvio Bagolini, Ubaldo Lay. Durata: 95’. LA STORIA: Con l’aiuto del pirata Morgan la bella Jolanda decide di vendicare la morte del padre, il Corsaro Nero. Il perfido conte di Medina, responsabile del delitto, non tarda a pagare con la morte le sue colpe e la fanciulla può finalmente vivere felice. I TRE CORSARI di Mario Soldati Anno di edizione 1952 Produzione: Carlo Ponti e Dino De Laurentiis. Con Ettore Manni, Cesare Danova, Renato Salvatori, Marc Lawrence, Barbara Florian, Gualtiero Tumiati, Ignazio Balsamo, Ubaldo Lay, Joop Van Hulsen, Marga Cella, Alberto Sorrentino, Lilly Cerasoli, Tiberio Mitri. Durata: 98’. LA STORIA: I tre figli del conte di Ventimiglia – assassinato da Van Gould – finiscono prigionieri in America. Dopo alcuni anni fuggono e nella nuova veste di corsari vendicano il padre.
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Capitolo nono
IL FIGLIO DEL CORSARO ROSSO di Primo Zeglio
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Anno di edizione 1958 Produzione: Athena Cin.ca. Con Lex Barker, Sylvia Lopez, Vira Silenti, Luciano Marin, Vicky Lagos, Diego Michelotti, Franco Fantasia, Antonio Crast, Luigi Visconti, Giorgio Costantini, Roberto Paoletti, Gianni Solaro, Elio Pandolfi, Livio Lorenzon, Saro Urzi. Durata: 96’. Remake del film omonimo di Marco Elter del 1942 (v.). LA STORIA: Il figlio del Conte di Ventimiglia, detto il Corsaro Rosso, ingaggia una lunga e dura lotta per vendicare il padre e per liberare la sorella, prigioniera di un losco governatore. L’AVVENTURIERO DELLA TORTUGA di Luigi Capuano Anno di edizione 1965 Produzione: Liber Film, Eichberg Film. Con Guy Madison, Inge Schöner, Rick Battaglia, Nadia Gray, Andrea Aureli, Aldo Bufi Landi, Mino Doro, Linda Sini, Giulio Marchetti, Giulio Battiferri, Aldo Cristiani, Bruno Arie. Durata: 97’. LA STORIA: Pedro Valverde, pirata della Tortuga, spacciandosi per un nobile spagnolo, si fidanza con le più ricche fanciulle dei Caraibi, sparendo al momento delle nozze con la dote della malcapitata incautamente anticipatagli. Il gioco continua finché si innamora di una nobile fanciulla, la principessa Soledad, giunta a Santa Cruz per prendere possesso di una favolosa eredità. Sulle ricchezze della fanciulla ha posto gli occhi il governatore di Santa Cruz, Alfonso di Montelimar, il quale rivela a Soledad la vera identità di Pedro. Alla fine, Pedro riesce a smascherare i loschi disegni del governatore e, convinta Soledad dell’autenticità dei propri sentimenti, la sposa salpando con lei verso nuovi, più sereni lidi. IL CORSARO NERO di Sergio Sollima Anno di edizione 1976 Produzione: Rizzoli Film. Con Kabir Bedi, Carole André, Mel Ferrer, Angelo Infanti, Tony Renis, Mariano Rigillo, Dagmar Lassander, Sonja Jeanine, Jackie Basehart, Sal Borgese, Eddie Fay, Guido Alberti, Franco Fantasia, Niccolò Piccolomini, Pietro Torrisi. Durata: 126’. Remake del film omonimo di Amleto Palermi del 1936 (v.) LA STORIA: Deciso a vendicarsi di Van Gold, che gli ha ucciso i fratelli, il duca Emilio di Ventimiglia, detto il Corsaro Nero, s’innamora proprio di sua figlia. La lascia a malincuore e parte alla volta di Maracaibo, in compagnia di un gruppo di corsari (interessati al tesoro dello spietato governatore). Il Duca è fatto prigioniero, ma una volta libero, riesce ad uccidere il nemico. Infine si ritrova con l’amata e con lei parte per nuove avventure.
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Amori e avventure tra romanzo, parodia ed erotismo
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1.2. Il ciclo dei pirati della Malesia Il primo film dedicato al pirata malese che faceva tremare il suo irriducibile nemico inglese lord Brook, viene realizzato da Enrico Guazzoni nel 1941 col titolo I pirati della malesia . Luigi Pavese nelle vesti di Sandokan, e Massimo Girotti, in quelle del suo fido Tremal Naik, in questo film sono però impegnati contro la terribile setta dei Thugs, fanatici adoratori della dea Kalì, e non a combattere il signore di Sarawak. Sarà così anche nel film dello stesso anno, che ne è il seguito, dal titolo Le due tigri di Giacomo C. Simonelli, in cui gli stessi protagonisti se la debbono vedere ancora con i Thugs che non erano riusciti a debellare nel film precedente. I severi critici del tempo non apprezzarono gli sforzi dei due registi, degli interpreti e degli scenografi tant’è che è solo «l’inesperto Girotti ad essere il più a posto come attore», mentre «una bella donna come la Calamai non può essere un’eroina salgariana per il troppo evidente ecceso dei suoi doni», in quanto alle scene «il tempio dei Thugs andrà bene per l’Aida, ma non va bene per Salgari. Gli ingenui suoi illustratori della prima maniera, ecco i fedeli interpreti visivi che bisognava seguire»10. Dovranno passare più di vent’anni per trovare un altro film con Sandokan come protagonista, è Sandokan, la tigre di Mompracem di Umberto Lenzi del 1963. Siamo nel periodo dei forzuti mitologici e uno di questi, Steve Reeves, è chiamato ad interpretare l’eroico capo dei «tigrotti di Mompracem». Con lui è Andrea Bosic nella parte di Yanez, il fedele amico olandese di Sandokan, ma in questo film, nonostante l’impegno di regista e interpreti, «le avventure dell’immaginario eroe salgariano trasferite sullo schermo perdono alquanto della loro spontaneità ed immediatezza e dell’alone esotico che le circondava»11. Sandokan riappare ne I pirati della Malesia, sempre di Lenzi, nel 1964. Interpretato ancora da Steve Reeves e Andrea Bosic negli stessi ruoli del film precedente, con l’aggiunta di Mimmo Palmara nella parte di Tremal Naik, Alessandro Barrera in quella di Kammamuri e Leo Anchoriz in quella di lord Brook, il film risulta un «modesto, elementare temino svolto sullo spunto offerto dal romanzo di Salgari» anche se va detto che «Lenzi non manca però di professionalità e senso dello spettacolo»12. Nello stesso anno Luigi Capuano porta sullo schermo Sandokan alla riscossa. Pur con nuovi attori nelle parti principali: Ray Danton è Sandokan, Guy Madison è Yanez, Alberto Farnese è Tremal Naik, Sandro Moretti è Kammamuri e Mario Petri è sir Charles Brook, l’interpretazione non migliora e risulta alquanto mediocre. Il film è altresì di modesto e scarso valore tecnico ed artistico. Non pago, Capuano, ancora nel 1964, senza cambiare attori, ci riprova con Sandokan contro il leopardo di Sarawak, che è il seguito del film precedente. Questa volta Capuano riesce a dare credibilità alla storia, rimanendo più aderente al ro-
10 Volpone
[Pietro Bianchi], in «Il Bertoldo», 14 nov. 1941. Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LV, Anno 1964, Roma 1964, p. 66. 12 Anonimo, in «Intermezzo», mag. 1965. 11
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Capitolo nono
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manzo e guidando bene i suoi attori dando «alla vicenda il carattere fantastico ed avventuroso voluto da Salgari, servendosi soprattutto di azioni spettacolari»13. Sergio Sollima realizza nel 1975 un kolossal per la Tv che viene trasmesso in sei puntate e suddiviso in due parti per le sale cinematografiche, dal titolo Sandokan. È il film che porta al successo l’attore indiano Kabir Bedi che faticherà a liberarsi dalle vesti di Sandokan per diversi anni. A proposito del film Paolo Mereghetti nel Dizionario dei film così si esprime: «Azione, intermezzi sentimentali e divagazioni folcloristiche: ciò che sembrava spettacolare per il piccolo schermo, risulta inadeguato per il grande. Azzeccato, comunque, il cast» tuttavia «tutti i nodi della prima parte vengono al pettine, imponendo alla seconda un taglio più aspro e drammatico. Ma restano tutti i difetti degli sceneggiati televisivi in versione condensata». È il trionfo di Sollima che, occupando la TV in prima serata per sei settimane con un alto grado di ascolto, attira su di sé l’attenzione dei produttori. «Sergio Sollima è un cineasta smaliziato, avendo alle spalle un’industria che di strada ne ha percorsa parecchia e che ha imparato ad allestire prodotti impeccabilmente confezionati. E, tuttavia, se il progresso delle tecnologie cinematografiche è evidente [...] l’infantilismo è rimasto immutato e imperdonabile, malgrado la scusa, che è poi una motivazione, di voler parlare agli infanti, come se per volgersi ai più piccoli interlocutori occorresse essere infantili»14. Il successo ottenuto invoglia Rizzoli, nel 1977, ad affidare sempre a Sollima la realizzazione del film La tigre è ancora viva: Sandokan alla riscossa. Con l’aiuto degli stessi attori Sollima riesce ad avere lo stesso successo del film precedente ed ottiene altresì il passaggio televisivo in due puntate. Il film è un miscuglio tratto da vari racconti e romanzi salgariani sul pirata malese «comunque ne è venuto fuori un film divertente e movimentato, un film che piacerà molto ai ragazzi, ma anche a quei genitori che nella loro giovinezza sono stati presi dalle accese e lampeggianti pagine dello scrittore veronese»15. Chiudiamo con Il tesoro del Bengala del 1953 di Gianni Vernuccio. In verità questo film avrebbe dovuto trovare collocazione in altro luogo per via della data in cui è stato realizzato, ma pur essendo tratto da un racconto di Salgari e ambientato in India, non rientra nella saga di Sandokan, per cui lo abbiamo messo in chiusura ai film salgariani. Interpretato da Sabù (che aveva già interpretao in Italia Il principe ladro o Buongiorno Elefante di Gianni Francolini nel 1951), il film non piacque alla critica, ma al pubblico sì dal momento che incassò, a fine sfruttamento, più di 151 milioni di lire dell’epoca. «Nelle intenzioni questo film a colori avrebbe dovuto rivestire un’importanza superiore alla normalità. Purtroppo, per i suoi numerosi difetti, tecnici ed artistici, e per lo scarso interesse che suscita negli spettatori, quelle intenzioni sono rimaste solo sulla carta e non hanno avuto nessun sviluppo sullo schermo»16.
13 Anonimo,
Segnalazioni Cinematografiche, ivi, p. 145. Mino Argentieri, in «Rinascita», 30 apr. 1976. 15 V. Bossoli, in «Il Resto del carlino», 24 dic. 1977. 16 A. Albertazzi, in «Intermezzo», n. 7/8, 30 apr. 1954. 14
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Amori e avventure tra romanzo, parodia ed erotismo
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I PIRATI DELLA MALESIA di Enrico Guazzoni
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Anno di edizione 1941 Produzione: Sol Film. Con Massimo Girotti, Clara Calamai, Camillo Pilotto, Luigi Pavese, Sandro Ruffini, Nino Pavese, Greta Gonda, Arturo Bragaglia, Anita Farra, Cesare Fantoni, Enzo Gerio, Oreste Onorato, Otello Toso. Durata: 90’. LA STORIA: La fanatica setta indiana dei Thugs tiene prigioniera una fanciulla bianca della quale s’innamora un giovane indù che l’ha conosciuta casualmente. Il giovane penetra nel covo, ma viene scoperto e fatto prigioniero. Il capo della setta, un sanguinario adoratore della dea Kalì, gli propone salva la vita a patto che compia un attentato nei confronti del governatore britannico. Ma il giovane fallisce e viene catturato dagli inglesi, i quali saranno a loro volta sconfitti durante una sommossa provocata dalla «Tigre della Malesia», un ardente sostenitore della liberazione del suo popolo dal giogo inglese. Il giovane indù, liberato, cercherà la fanciulla amata e riuscirà a sottrarla al capo dei Thugs, che voleva immolarla alla crudele dea. LE DUE TIGRI di Giacomo C. Simonelli Anno di edizione 1941 Produzione: Sol Film. Con Massimo Girotti, Luigi Pavese, Sandro Ruffini, Alanova, Cesare Fantoni, Enzo Gerio, Giovanni Onorato, Arturo Bragaglia, Amedeo Trilli, Bruno Smith, Agnese Dubbini, Delia Cancellotti, Virgilio Tomassini, Toto Majorana, Mario Liberati. Durata: 85’. LA STORIA: Il fanatico capo della setta indiana dei Thugs rapisce una fanciulla per farne la sacerdotessa della dea Kalì; su richiesta del padre, Sandokan con i suoi fidi compagni e i tigrotti di Mompracem si mette alla sua ricerca. Dopo varie peripezie la trovano nel tempio e in un violento scontro con i fanatici seguaci della setta, riescono a liberarla. IL TESORO DEL BENGALA di Gianni Vernuccio Anno di edizione 1953 Produzione: Venturini Film. Con Sabù, Luisella Boni, Luigi Tosi, Ananda Kumar, Georges Poujouly, Carla Calò, Manuel Serrano, Nino Marchetti, Rita Caruso, Raf Pindi, Pamela Palma. Durata: 90’. LA STORIA: Alcuni portoghesi, sbarcati sulle coste del Bengala, sono venuti a sapere che nel villaggio, nel tempio della dea Parvati, è custodito un prezioso rubino e decidono di impadronirsene. Per ottenerlo promettono a Uzake, capo del villaggio, quindici fucili in cambio del gioiello. Una notte viene rubato il prezioso rubino, un ragazzo dà l’allarme e, liberato Ainur, oppositore di Uzake che lo aveva imprigionato, insieme a lui insegue il ladro cui viene strappato il gioiello. Ainur giunge in tempo col rubino nel tempio prima che Karima, sua fi-
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Capitolo nono
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danzata, sia immolata alla dea per placarla e svela le losche macchinazioni di Uzake, che uccide in duello. Ainur viene riconosciuto nuovo capo e, al fianco di Karima, vivrà in pace e felice. SANDOKAN, LA TIGRE DI MOMPRACEM di Umberto Lenzi Anno di edizione 1963 Produzione: Filmes Cinematografica, C.C.F. Production. Con Steve Reeves, Geneviève Grad, Andrea Bosic, Rik Battaglia, Mario Valdemarin, Leo Anchoriz, Ananda Kumar, Enzo Fiermonte, Maurice Poli, Gino Marturano, Nazzareno Zamperla. Durata: 95’. LA STORIA: La Malesia è sotto il dominio inglese e poiché il padre di Sandokan è stato imprigionato, suo figlio, con l’aiuto di alcuni tigrotti e del fido Yanez, tenta di catturare il governatore ed il comandante militare. Gli inglesi lo inseguono, ma Sandokan riesce ad avere la meglio e trovare l’amore fra le braccia della nipote del governatore. I PIRATI DELLA MALESIA di Umberto Lenzi Anno di edizione 1964 Produzione: Filmes Cinematografica, Sirius, Ocean Film. Con Steve Reeves, Jacqueline Sassard, Mimmo Palmara, Andrea Bosic, Nando Gazzolo, Pierre Cressoy, Leo Anchoriz, Giuseppe Addobbati, Alessandro Barrera, Rick Battaglia, Nazzareno Zamperla. Durata: 110’. Remake del film omonimo di Enrico Guazzoni del 1941 (v.). LA STORIA: Sandokan, col suo equipaggio, raggiunge la nave sulla quale viaggia Hada, principessa di Sarawak. Dalla sua testimonianza apprende che un lord inglese, Brook, si è sostituito al padre sul trono. Sandokan le promette aiuto e dopo molte peripezie restituisce al raja il suo regno, non prima di aver sopraffatto gli inglesi e ucciso in duello Brook. SANDOKAN ALLA RISCOSSA di Luigi Capuano Anno di edizione 1964 Produzione: Liber Film, Eichberg Gmbh. Con Ray Danton, Guy Madison, Franca Bettoja, Mario Petri, Alberto Farnese, Sandro Moretti, Mino Doro, Giulio Marchetti, Raf Baldassarre, Nando Poggi, Isarco Ravaioli. Durata: 91’. LA STORIA: Il giovane Sandokan apprende che il sultano di Sarawak, suo padre, è stato ucciso in circostanze tragiche da loschi individui che ora siedono sul suo trono. Sandokan, in compagnia del fido Yanez, dopo mille avventure, riesce a scacciare gli usurpatori.
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Amori e avventure tra romanzo, parodia ed erotismo
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SANDOKAN CONTRO IL LEOPARDO DI SARAWAK di Luigi Capuano
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Anno di edizione 1964 Produzione: Liber Film, Eichberg Gmbh. Con Ray Danton, Guy Madison, Franca Bettoja, Mario Petri, Alberto Farnese, Sandro Moretti, Aldo Bufi Landi, Nando Poggi, Giulio Marchetti, Franco Fantasia, Adriano Vitale, Giuliana Farnese. Durata: 90’. LA STORIA: Dopo aver spodestato chi aveva usurpato il trono del padre, Sandokan è nuovamente impegnato in una dura lotta per salvare la moglie Samoa, rapita per vendetta. Mille pericolose peripezie, poi la liberazione dell’amata e il duello finale con il responsabile del rapimento, che muore. SANDOKAN di Sergio Sollima Anno di edizione 1975 Produzione: Titanus, Rai TV, O.R.T.F., Bavaria. Con Kabir Bedi, Philippe Leroy, Carole André, Andrea Giordana, Hans Caninemberg, Adolfo Celi, Svahim Bin Othman, Gangesh Kumar, Franco Fantasia, Milla Sannoner, Renzo Giovanpietro, Aziz Joffa, Malik Sel Amad, Mohamed Azad. Tratto dal ciclo malese di Emilio Salgari. Film televisivo trasmesso in sei puntate dall’11 gennaio all’8 febbraio 1976 e apparso in sala in due parti rispettivamente di 126’ e di 115’. LA STORIA: Parte prima - Sandokan e il portoghese Yanez, stanno combattendo gli Inglesi che spadroneggiano in Malesia per mezzo della Compagnia delle Indie e del governatore James Brooke. Il ribelle, figlio del deposto Maragià, catturato, viene curato da Lady Marianna nipote di lord Guillonk. Prima che la Tigre di Mompracem venga riconosciuta, tra la ragazza e il ribelle malese nasce l’amore. Sandokan fugge insieme alla ragazza amata che ne diviene la sposa. Soccorsi da Yanez, i due innamorati si mettono in salvo. Sandokan, tuttavia, viene nuovamente catturato e condannato a morte. Marianna, per salvarlo, deve fingere di credere alla sua morte apparente e assistere al suo seppellimento in mare. Sandokan si salva; ma rimane separato dalla moglie. Parete seconda - Marianna sta partendo per l’Inghilterra e Yanez, sotto falso nome, si presenta presso lord Guillonk per avvisare la giovane donna che Sandokan è vivo, ma viene scoperto e arrestato da Sir Brooke. Sandokan assale il convoglio di Marianna, uccide il capitano Fitzgerald e cattura Brooke che scambia con l’amico. Nel corso del viaggio verso Mompracem, Yanez celebra le nozze di lady Marianna e Sandokan. Per un anno l’aristocratica inglese vive felicemente accanto al suo uomo prodigandosi per i suoi sudditi. Lo sconfitto Brooke non intende però lasciare in vita una repubblica che è divenuta un simbolo di irredentismo per tutta la Malesia. Provocata una epidemia di colera, Brooke assalta l’isola di Sandokan, assai provata, con ingentissime forze. Marianna muore nel corso della fuga. Yanez e Sandokan, con soli tre superstiti, attendono la morte sul mare. Vengono invece raggiunti da altri ribelli con i quali sperano di ricostituire il regno della Tigre.
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Capitolo nono
LA TIGRE È ANCORA VIVA: SANDOKAN ALLA RISCOSSA di Sergio Sollima
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Anno di edizione 1977 Produzione: Rizzoli film. Con Kabir Bedi, Philippe Leroy, Massimo Foschi, Nestor Garay, Mirella D’Angelo, Thérèse Ann Savoy, Adolfo Celi, Sal Borgese, John S., Ahmad Petit. Tratto dal ciclo malese di Emilio Salgari. Film televisivo trasmesso in due puntate, il 26 dicembre 1979 e il 2 gennaio 1980, dopo il suo sfruttamento in sala. Durata: 130’. LA STORIA: Sandokan, ritiratosi in India dopo la morte di Marianna, viene richiamato dalla coraggiosa Jamilah a liberare Mompracem dalla tirannia del sultano Abdullah e di lord Brook.
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2. Non ci resta che ridere Come abbiamo scritto in altre occasioni, non c’è genere cinematografico che non sia stato messo in ridere o parodiato e il film d’avventure non fa certo eccezione. Giorgio C. Simonelli propone nel 1936 il suo Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, capostipite delle tre versioni cinematografiche del celebre romanzo di Giulio Cesare Croce. Le altre due sono di Mario Amendola e Ruggero Maccari del 1953 e, la più celebre, di Mario Monicelli del 1984 della quale abbiamo già parlato. Del film di Simonelli, Sandro De Feo su «Il Messaggero» scrive: «Simonelli merita un bravo soprattutto per la disciplina dell’interpretazione e per certe studiate ma saporose composizioni […], che sono le cose migliori del film»17, mentre i film di Amendola e Maccari sono mal riusciti, impostati più sulle varie gags e sulle battute di Vinicio Sofia, Alberto Sorrentino e Enrico Luzi che si muovono sullo schermo come burattini. Per rimanere in un approssimativo evo antico avente per tema le crociate, il solito Simonelli trent’anni dopo Bertoldo, nel 1968, propone I due crociati i quali altri non sono che Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. L’amena coppia se ne esce con una serie infinita di battute sceme e con gli insopportabili contorcimenti facciali di Franco Franchi per tutto il film. Come se ciò non bastasse, nello stesso anno un altro regista, Giovanni Grimaldi, impegna ancora la famigerata coppia di attori siciliani per il film Don Chisciotte e Sancho Panza. «La storia è […] ricca, naturalmente, di paradossi e di imprese avventurose, con qualche puntata in campo moralistico e psicologico non ben riuscita»18. Per quanto l’ormai celebre coppia, il loro modo di recitare è sempre più schizofrenico. Il Cavaliere inesistente che Pino Zac si impegna a portare sullo schermo nel 1968, è una paradossale vicenda, originale e divertente, che utilizza attori, disegni animati e figure ritagliate dalla carta. La storia è tratta da un racconto di Italo Calvino ambientato ai tempi di Carlo Magno. Nel 1969, e sempre attorno all’anno mille, Franco Indovina realizza Tre nel mille. Il film è una specie di rivisitazione intellettualistica de L’armata Brancaleone, con Carmelo Bene, Giancarlo Dettori e Franco Parenti che, nonostante l’impegno di Indovina, risulta smorto e privo di verve, anche se non tutti la pensano così. «Stavolta Franco Indovina, un regista sempre attento ai valori formali, ha impaginato con finezza di tagli e sobrietà di colori le avventure di tre straccioni attraverso un’Italia turbata dal superstizioso terrore del millennio atteso come fame del mondo»19. Rimanendo sempre ancorato allo stesso periodo storico, Bruno Corbucci si cimenta con un altro personaggio famoso Il prode Anselmo e il suo scudiero, rispettivamente Alighiero Noschese e Enrico Montesano. Il film è un’insieme di gags non sempre divertenti, di battutacce di cui i due protagonisti – e l’insieme degli altri comici che li circondano – sono fonte inesauribile, di situazioni scollacciate e scabrose – spesso blasfeme – che fecero infuriare il Centro Cattolico Cinematografico
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Sandro De Feo, in «Il Messaggero», 19 lug. 1936. in «Il Resto del Carlino», 16 ott. 1968. 19 Tullio Kezich, in «Panorama», mar. 1971. 18 Vice,
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Capitolo nono
che così tuonò: «Si tratta del solito coacervo informe di idiozie nelle quali sono rilevabili solo l’ottusità, la compiaciuta sconcezza di situazioni, di dialogo e di immagini, la infima qualità dell’interpretazione, il tutto non riscattato da qualche buona ambientazione, facile a reperirsi nel centro di Italia. Notevole la bruttezza della fotografia. Insopportabile l’insistito dileggio, talvolta sacrilego, di persone sacre e devozioni che meriterebbero quantomeno rispetto»20. Chiude il periodo medievale Dagobert di Dino Risi del 1984. Il film di Risi fu in un certo senso boicottato dalla Gaumont, che lo distribuiva assieme a Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno di Monicelli al quale diede la preferenza. Oltre a ciò un altro elemento che contribuì al suo fallimento fu che Coluche, sul quale il film era stato pensato, in Italia godeva di poca popolarità e le sue scurrilità più che divertire infastidirono il pubblico. Nemmeno in Francia il film ottenne «accoglienza migliore. Definito totalmente falso storicamente, messo in piedi solo per dare occasione a Coluche di mostrare il sedere e concertare una serie di flatulenze e scurrilità, è stato infine segnalato come il punto piu basso della carriera di Dino Risi»21. Dall’Evo antico e dal Medioevo si passa con disinvoltura al 1500 con il film Soldato di ventura del 1975 che Pasquale Festa Campanile gira per rinverdire le gesta della Disfida di Barletta, resa celebre dal film di Alessandro Blasetti Ettore Fieramosca, di cui questo è il remake in chiave spaghetti western. Certo Campanile punta sulle smargiassate del protagonista, Bud Spencer, più che esaltare le gesta dei cavalieri italiani contro i prepotenti francesi. «La pellicola […] ripercorre gli eventi storici con spirito beffardo e goliardico, evitando il rischio della semplificazione parodistica e rinunciando a soffermarsi sulla ricostruzione scrupolosa degli avvenimenti per privilegiare l’analisi della ‘commedia umana’. […] La regia attenta e briosa di un valido artigiano come Festa Campanile offre i momenti migliori nella curata sequenza iniziale dell’assedio alla città e nel lungo combattimento finale all’arma bianca»22. Lasciate le pesanti corazze ed impugnate le spade, ecco il film Allegri masnadieri di Marco Elter del 1937, un film appositamente costruito per i fratelli Giorgio e Guido De Rege e dove il soggetto e gli altri interpreti non sono che un pretesto e dove «povertà di dialoghi e scarsa vita alle macchiette secondarie, fanno scolorire la caricatura dell’ambiente piratesco e l’avventura sentimentale […] è condotta con tanta esitazione da rimanere spolpata e fredda»23. Anche Totò se la deve vedere con i pirati ed è nel film di Fernando Cerchio Totò contro il pirata nero del 1964. Il nostro si immedesimerà tanto nella parte che alla fine diventerà lui stesso il capo di una nave pirata. Pur non essendo uno dei migliori film di Totò, gags, mottetti, smorfie e piroette, che solo lui sa fare, ci accompagnano fino alla parola fine.
20 Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXXV, Anno 1973, Roma 1973, p. 114 21 Marco Giusti, Gianni Buttafava (a cura di), Dagobert (Le bon roi Dagobert), in «Il Patalogo», n. 8/9, Milano, Ubulibri, 1986, p. 38. 22 Marco Bertolino, Ettore Ridola, Bud Spencer & Terence Hill, Roma, Gremese Editore, 2002, p. 62. 23 Filippo Sacchi, in «Corriere della Sera», 21 ott. 1937.
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Amori e avventure tra romanzo, parodia ed erotismo
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Dai pirati ai moschettieri del re di Francia il passo è breve così che Carlo Ludovico Bragaglia confeziona nel 1963 I quattro moschettieri dove, i suddetti sono Aldo Fabrizi, Erminio Macario, Nino Taranto e Carlo Croccolo. Naturalmente si tratta di quattro impostori che si spacciano per moschettieri, ma i quattro nelle mani di Bragaglia sono divertenti anche se qualcuno è un po’ schizzinoso in proposito. «L’avventuroso romanzo di Alessandro Dumas è interpretato qui in chiave parodistica. Una delle tante farse all’italiana, dialettale e sboccata, dove solo raramente si incontra la battuta buona»24. Ma su questo argomento c’è anche il film di Silvio Amadio del 1973, Li chiamavano i tre moschettieri… invece erano quattro. Il film, tutto incentrato attorno ad un orinale d’oro, è invedibile. «Lazzi, scemenze e quiproquo, ma la materia è quella che è, l’ironia forzata (anzi inesistente), la recitazione e le altre componenti del filmetto modeste assai»25. Fuori schema, ma sempre nel ’600, si svolge il film di Tonino Cervi Il malato immaginario del 1979. Un grande Alberto Sordi per il famoso e avarissimo personaggio reso celebre da Molière. «Questa libera riduzione cinematografica della divertente e acuta commedia di Molière vive delle contraddizioni che spesso caratterizzano i film italiani [...]. Che Sordi sia un gran qualunquista ce l’aveva già ricordato [...], fortunatamente questo Malato immaginario [...] riconferma anche per l’ennesima volta che è un attore grande, grandissimo, come pochi, tanto che gli si perdonano di buon grado la faciloneria nel trattare certi argomenti e gli eccessi»26. Rimanendo sempre in Francia e pescando tra i film di successo, Giorgio C. Simonelli realizza la parodia del celebre film di Korda, Io sono la primula rossa (Il sanculotto), del 1954, con Renato Rascel. Il risultato non è certo dei migliori e il film fu bersagliato dalla critica. riportiamo quanto apparso, con indignazione, su «Cinema Nuovo». «Non è certo di Rascel che vogliamo qui dir male, quanto dello squallido film confezionato dal Simonelli, il cui stile partigianesco è fatto di confusione, di trasandatezza e di inutile spreco di comparse; nonché del testo dei numerosi sceneggiatori»27. Ancora protagonista la rivoluzione francese nel film I due sanculotti del 1966 sempre di Giorgio C. Simonelli. Questa volta i due protagonisti sono la coppia Franco Franchi e Ciccio Ingrassia che, attraverso voli pindarici e pasticci allucinanti, mescolando rivoluzione francese, sanculotti, Napoleone, ecc., ribadiscono, «ancora una volta, uno dei topoi della propria comicità: l’assoluta estraneità agli eventi contingenti, tanto più evidente in un contesto così connotato dal punto di vista iconografico come quello della Francia rivoluzionaria. Appetiti atavici, inadeguatezza nell’affrontare ogni tipologia di situazione, interpretazione fallace della realtà sono le leve che fanno scattare i meccanismi fondamentali delle gags. I due passano dunque attraverso le disavventure più improbabili, venendo inconsapevolmente a con-
24 Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LIV, Anno 1963, Roma 1963, p. 14. 25 A. Santuari, in «Paese Sera», 25 nov. 1973. 26 P. Sola, in «La Rivista del Cinematografo», n. 2, feb. 1980. 27 Anonimo, in «Cinema Nuovo», n. 53, 25 feb. 1955.
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Capitolo nono
tatto con i personaggi chiave delle vicende storiche e riuscendo sempre a sopravvivere a duelli, esecuzioni, rivoluzioni, conflitti bellici»28. Ed ora è il turno dell’epopea napoleonica ad essere sbeffeggiata da Renato Rascel nel film di Carlo Borghesio Napoleone del 1951. Peccato che Borghesio, invece di puntare su una satira di costume – e Rascel avrebbe avuto le capacità di sostenerne il ruolo – abbia invece scelto la strada della parodia «scivolando sul piano della farsa, intesa nella accezione peggiore del termine perché di essa la pellicola conserva soltanto i caratteri deteriori, cioè meccanici ed esterni»29. Tratto approssimativamente dal famoso (in Francia) personaggio nato dalla penna di Rafael Sabatini, Enzo Girolami realizza nel 1975, Le avventure e gli amori di Scaramouche, interpretato da Michael Sarazin. Purtroppo il risultato non è dei migliori. Infatti il «film di Enzo G. Castellari è il pasticcio comico-avventuroso più indigesto che si potesse intrecciare attorno alla figura del favolistico Scaramouche. [...]. Nei panni di Scaramouche compare quel Michael Sarrazin che fece ben sperare nelle proprie possibilità d’interprete in Non si uccidono così anche i cavalli? [...]. Nei panni di un Napoleone stucchevolmente idiota compare un insopportabile Aldo Maccione [...]. Completa il cast una Ursula Andress che non nasconde certo la sua fulgida bellezza, ma che non riesce più a celare neppure la sua assoluta inespressività»30. Con ancora sullo sfondo la figura di Napoleone incombente, è il film di Gianni Francolini Ferdinando I re di Napoli del 1959, un film in cui appaiono i migliori attori comici, e non, della nostra cinematografia, dai tre De Filippo a De Sica, da Aldo Fabrizi a Renato Rascel, da Nino Taranto a Pietro De Vico. Non importa se la realtà storica è falsata e se i napoletani appaiono avversi al loro re, quello che conta è che in questa Napoli immaginaria il suo re burattino – ben interpretato da Peppino De Filippo – che se ne va in giro, senza essere riconosciuto, per bettole e vicoli per divertirsi alle spalle dei suoi sudditi, è una trovata cinematograficamente valida. Finalmente gli odiati francesi, sulle note della “Marsigliese”, arrivano a Napoli e scacciano il re per imporre la Repubblica ma I tromboni di Fra’ diavolo tentano di impedirlo. Il film del 1962, di Giorgio C. Simonelli, è interpretato dalla coppia Tognazzi-Vianello, divenuta celebre negli anni precedenti grazie alla TV, nelle vesti dei “tromboni” (cosiddetti per via del fucile a tromba, arma caratteristica dei briganti del Sud) e da Francisco Rabal in quelle di Fra’ Diavolo. Un filmetto leggero e piacevole dove la coppia di comici non esagera mai e recita con la solita leggerezza nota al pubblico televisivo del sabato sera di allora. Passando dal Regno delle Due Sicilie allo Stato della Chiesa di alcuni secoli prima, ci imbattiamo in Nel giorno del Signore di Bruno Corbucci del 1970. Si tratta della storia di Raffaello Sanzio e della Fornarina posta in chiave farsesca, «una farsa verbosa, senza costrutto né comicità, condotta e interpretata con molta faciloneria e con un’ambientazione sovente anacronistica rispetto agli avvenimenti cui fa da sfondo»31. 28 Marco Bertolino, Ettore Ridola, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, Roma, Gremese Editore, 2003, p. 34. 29 Franco Valobra, in «Rassegna del Film», 1 feb. 1952. 30 M. Cavagnaro, in «Corriere Mercantile», 24 gen. 1976. 31 Anonimo, Segnalazioni Cinematografiche, Centro Cattolico Cinematografico, vol. LXVIII, Anno
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Chiude questo gruppo di film Rugantino di Pasquale Festa Campanile del 1973. Tratto dall’omonima commedia musicale di Garinei e Giovannini, ispirata ai versi di Gioacchino Belli e Cesare Pascarella, è la storia d’amore un po’ bullesca di Adriano Celentano nei panni di Rugantino – vistosamente a disagio con un vernacolo che non è il suo – e di sua moglie Claudia Mori in quelli di Rosetta, sullo sfondo della Roma dei Papi. Il film però «non ha trovato il dominatore in Adriano Celentano che […] bada più che altro a celentaneggiare per le pigre delizie dei suoi fans»32.
1970, Roma 1970, p. 158. 32 L. Pestelli, in «La Stampa», 27 ott. 1973.
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Capitolo nono
BERTOLDO, BERTOLDINO E CACASENNO di Giorgio C. Simonelli
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Anno di edizione 1936 Produzione: Consorzio Autori Produzione Film Italiani S. A. Roma. Con Cesco Baseggio, Umberto Sacripante, Fausto Guerzoni, Giampaolo Rosmino, Anita Farra, Silvana Jachino, Marcello Spada, Olga Capri, Luigi Erminio D’Olivo, Vinicio Sofia, Vasco Creti, Enzo Biliotti. Durata: 86’. LA STORIA: Avventure e disavventure del grullo Bertoldo che, in compagnia dello sciocco figlio Bertoldino e dell’altrettanto sciocco nipote Cacasenno, sventa i piani di un signorotto prepotente che, ai danni del signore di un piccolo regno, cerca di sposare la principessa, erede al trono, innamorata invece di un bel menestrello. ALLEGRI MASNADIERI di Marco Elter Anno di edizione 1937 Produzione: Vittoria Film/Artisti Associati. Con Assia Noris, Giorgio De Rege, Guido De Rege, Camillo Pilotto, Mino Doro, Olivia Fried, Virgilio Riento, Calisto Bertramo, Eugenio Duse, Claudio Ermelli, Rosanna Schettina, Federico De Martino. Durata: 77’. LA STORIA: Allo scopo di evitare un matrimonio non gradito una ragazza fugge di casa insieme a due servi balordi e malaccorti, con i quali si imbarca su un brigantino capitanato da corsari e dove si trova prigioniero l’uomo del quale è innamorata. Costui, liberatosi, provoca il naufragio del brigantino e porta in salvo la ragazza e i due servi, ottenendo alla fine la mano della giovane. NAPOLEONE di Carlo Borghesio Anno di edizione 1951 Produzione: P.D.C. (Produzione Distribuzione Compagnia Cinematografica Italiana). Con Renato Rascel, Marisa Merlini, Carlo Ninchi, Loris Gizzi, Nico Pepe, Sergio Tofano, Pietro Tordi, Mario Siletti, Raimondo Vianello, Corrado Annicelli, Gianni Cajafa, Pier Luigi Pelitti, Mimmo Billi. Durata: 100’. LA STORIA: Nell’aula deserta di una scuola due statue, Giulio Cesare e Napoleone, scendono dai piedistalli ed incominciano a chiacchierare tra loro. Napoleone racconta a Giulio Cesare la sua vita e le sue gesta, che appaiono in una nuova luce. Napoleone, in realtà, era animato da scarso spirito militare. Destinato alla guarnigione di Parigi, si innamora di una fervente rivoluzionaria, ma sposa poi Giuseppina, per soffocare lo scandalo di un suo potente amico e quindi viene spedito in Italia, dove la fortuna l’assiste e col suo piccolo esercito passa di vittoria in vittoria. L’invasione dell’Egitto e della Russia sono frutto di equivoci, ma quando Napoleone, per amor di una donna, si propone di vincere una vera battaglia, va in-
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contro alla sconfitta di Waterloo. Quando l’aula si riempie di nuovo le due statue risalgono sui piedistalli e tornano a osservare, immobili, le umane vicende. BERTOLDO, BERTOLDINO E CACASENNO di Mario Amendola, Ruggero Maccari Anno di edizione 1953 Produzione: Felix Nova Film. Con Vinicio Sofia, Alberto Sorrentino, Enrico Luzi, Nerio Bernardi, Fulvia Franco, Achille Togliani, Otello Toso, Eva Vanicek, Vera Rol, Armando Guarneri. Durata: 85’. Remake del film omonimo di Giorgio C. Simonelli del 1936 (v.). LA STORIA: Siamo nel medioevo: Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, giunti in un principato, si danno da fare per evitare che lord Wilmore sposi la principessa e conquisti il trono. Ci riusciranno dopo tragicomiche avventure. La fanciulla sposerà il cantore Brunello. IO SONO LA PRIMULA ROSSA Il Sanculotto di Giorgio C. Simonelli Anno di edizione 1954 Produzione: Cinefilms. Con Renato Rascel, Flora Medini, Kerima, Luigi Pavese, Lauro Gazzolo, Nietta Zocchi, Eva Vaniceck, Mara Werlen, Sergio Fantoni, Nino Milano, Pina Gallini, Cesare Fantoni, Gina Rovere, Ettore Jannetti, Giuseppe Porelli. Durata: 78’. LA STORIA: Durante la Rivoluzione francese si trovano, faccia a faccia, due Primule Rosse. Il primo è uno strano personaggio che aiuta i rivoluzionari, il secondo un nobile inglese che, per scappare dalla moglie, si è rifugiato in Francia e si spaccia per il misterioso giustiziere. Avventure, equivoci e lieto fine.
FERDINANDO I RE DI NAPOLI di Gianni Franciolini Anno di edizione 1959 Produzione: Titanus. Con Peppino De Filippo, Titina De Filippo, Eduardo De Filippo Vittorio De Sica, Aldo Fabrizi, Renato Rascel, Nino Taranto, Memmo Carotenuto, Pietro De Vico, Jacqueline Sassard, Rosanna Schiaffino; Durata: 105’. LA STORIA: Il re Ferdinando si “diverte” a frequentare Napoli sotto false spoglie. Intorno a lui, ignaro di tutto, nasce la rivolta contro il suo potere assoluto. Quando se ne accorgerà sarà troppo tardi: Napoleone sta per arrivare in città e lui si dà alla fuga.
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Capitolo nono
I TROMBONI DI FRA’ DIAVOLO di Giorgio Simonelli
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Anno di edizione 1962 Produzione: Produzioni D.S., Agata Film. Con Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello, Francisco Rabal, Jackie Lane, Moira Orfei, German Cobos, Maria J. Cuadra, Alberto Bonucci, Fernando Sancho. Durata: 90’. LA STORIA: Fra’ Diavolo è un brigante che crea enormi problemi ai francesi durante il Regno di Napoli. Il colonnello Chamonis, per liberarsene, decide di dargli la caccia. Il patriota ribelle, che è nascosto in un convento di frati con la sua promessa sposa, viene catturato, ma i religiosi lo salvano dando anche una bella lezione agli odiati francesi. I QUATTRO MOSCHETTIERI di Carlo Ludovico Bragaglia Anno di edizione 1963 Produzione: Titanus, Société Générale de Cinématographie. Con Peppino De Filippo, Aldo Fabrizi, Erminio Macario, Nino Taranto, Carlo Croccolo, Lisa Gastoni, Carla Marlier, John Francis Lane, Francesco Mulé, Franco Ressel, Alberto Bonucci, Nino Terzo, Milena Vukotic. Durata: 105’. LA STORIA: Quattro ladruncoli indossano i panni dei moschettieri e riescono a farsi consegnare dalla regina i gioielli destinati ad un lord inglese. La disperazione della sovrana li commuove e quindi riconsegnano il maltolto, consolandosi rubando l’anello del cardinale Richelieu. TOTÒ CONTRO IL PIRATA NERO di Fernando Cerchio Anno di edizione 1964 Produzione: Liber Film. Con Totò, Mario Petri, Mario Castellani, Maria Grazia Spina, Aldo Giuffrè, Giacomo Furia, Pietro Carloni, Aldo Bufi Landi, Franco Ressel. Durata: 102’. LA STORIA: Disavventure di un ladruncolo che se la deve vedere con alcuni terribili pirati. Dopo peripezie di ogni genere, il nostro riuscirà a sconfiggere i nemici e a diventare lui stesso comandante di una nave pirata. I DUE SANCULOTTI di Giorgio Simonelli Anno di edizione 1966 Produzione: Flora Film, Variety Film. Con Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Barbara Carroll,
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Amori e avventure tra romanzo, parodia ed erotismo
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Heidi Hansen, Umberto D’Orsi, Luigi Pavese, Adriano Micantoni, Giustino Durano, Oreste Lionello, Silvano Tranquilli, Gina Mascetti. Durata: 90’. LA STORIA: Nella Francia della Rivoluzione, due sprovveduti sono coinvolti in avventure mirabolanti e pericolose, dalle quali ogni volta usciranno per it rotto della cuffia e non certo grazie al loro acume. DON CHISCIOTTE E SANCHO PANZA di Giovanni Grimaldi Anno di edizione 1968 Produzione: Claudia Cinematografica. Con Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Fulvia Franco, Umberto D’Orsi, Mirella Panfili, Franco Giacobini, Liana Trouchè, Ivan Scratuglia, Enzo Garinei, Alfredo Rizzo, Eleonora Morana, Livio Lorenzon, Maria Capparelli, Paolo Carlini. Durata: 105’. LA STORIA: Don Chisciotte, volendo emulare le gesta dei cavalieri erranti, parte con il fido scudiero Sancio Panza per cercare la gloria che gli deriverà dal suo intervento in favore degli umili. Strabilianti imprese rinsalderanno i suoi convincimenti. I DUE CROCIATI di Giuseppe Orlandini Anno di edizione 1968 Produzione: Italian International Film. Con Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Janet Ahgren, Fiorenzo Fiorentini, Umberto D’Orsi, Ignazio Leone, Marco Tulli, Enzo Andronico, Fabio Testi, Antonietta Fiorito, Furio Meniconi, Loris Gizzi. Durata: 100’. LA STORIA: Il nobile Ciccio di Braghelunghe assolda un caporale di ventura, Franco. Ridotti in miseria i due, decidono di seguire Goffredo di Buglione nella crociata contro i Saraceni. Nonostante la loro incapacità i due porteranno alla vittoria i prodi di Goffredo. IL CAVALIERE INESISTENTE di Pino Zac Anno di edizione 1969 Produzione: Istituto Nazionale Luce. Con Hana Ruzickova, Stefano Oppedisano, Evelina Vermigli Gori, Pilar Castel, Adriana Facchetti, Marina Fiorentini, Rita Oriolo Forzano, Dina Perbellini, Rosabianca Scerrino, Rita Perego, Nunù Sanchioni, Tony Erè. Durata: 97’. LA STORIA: Un tale si presenta come il nobile Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni, che però non esiste. La sua armatura è piena di niente, eppure si muove, parla sentenziando e finisce per seccare i compagni d’armi e lo stesso re Carlo Magno, un vecchietto distratto e simpaticissimo. Una presenza scomoda questo Cavaliere, simbolo di tutte le retoriche di questo mondo, con la sua insopportabile magniloquenza che finisce per dissolversi nel nulla. L’armatura si affloscia a terra e di Agilulfo non rimane che quella carcassa di latta.
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Capitolo nono
TRE NEL MILLE di Franco Indovina
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Anno di edizione 1969 Produzione: Nexus Film, RaiTv. Con Carmelo Bene, Giancarlo Dettori, Franco Parenti, Folco Lulli, Gabriella Giorgelli, Gordon Mitchell, Geoffrey Copleston, Philippe Hersent, Cosimo Cinieri, Federico Boido, Anna Maestri, Charles Rolands, Puccio Ceccarelli. Durata: 99’. LA STORIA: Un cavaliere e due soldati, quando sta per finire il primo millennio e si teme la fine del mondo, errano per l’Italia vivendo incredibili avventure (s’imbattono nel papa, combattono battaglie non loro, son scambiati per indemoniati, ricevono in dono un castello e titoli nobiliari, sono condannati a morte ma si salvano, ecc.). All’alba del 1001, nulla essendo successo, i tre giungono ad una casa che il cavaliere riconosce come sua, ma vi trova la moglie già sistemata con un altro. Ai tre non rimane che rimettersi in cammino. NEL GIORNO DEL SIGNORE di Bruno Corbucci Anno di edizione 1970 Produzione: Selenia Cinematografica, P.C.E. Produzioni Cinematografiche Europee. Con Igli Villani, Fred Robsham, Erminio Macario, Carlo Dapporto, Francesco Mulè, Ira Fürstenberg, Sidney Chaplin, Vittorio Caprioli, Checco Durante, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Mario Carotenuto, Umberto D’Orsi, Franca Valeri, Gino Bramieri, Enrico Luzi, Lino Banfi, Gianfranco D’Angelo, Paolo Panelli, Carlo Pisacane. Durata: 92’. LA STORIA: A causa del suo amore per il pittore Raffaello, di cui si è invaghita anche una nobile, la giovane popolana Margherita finisce nei guai, proprio ad opera della rivale che l’accusa di omicidio. Grazie al pittore, Margherita dimostrerà la sua innocenza, mentre la vera colpevole sarà inviata al confino. IL PRODE ANSELMO E IL SUO SCUDIERO di Bruno Corbucci Anno di edizione 1972 Produzione: Dino De Laurentis Cinematografica, Internazionale MA.CO. Con Alighiero Noschese, Enrico Montesano, Tamara Baroni, Erminio Macario, Mario Carotenuto, Lino Banfi, Maria Baxa, Femi Benussi, Sandro Dori, Rosalba Neri, Renzo Montagnani. Durata: 95’. LA STORIA: Anselmo di Mongibello sfida a singolar tenzone Ottone e lo vince con l’inganno. Mentre prosegue il suo viaggio verso Roma, scortato da Gian Puccio, per consegnare una reliqua al papa, deve contrastare il furibondo rivale che lo insegue. Prima di giungere a destinazione Anselmo e Gian Puccio vivono mille avventure. A Roma, sarà ancora una volta lo sfortunato e inetto Ottone a subire una ennesima, atroce beffa.
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Amori e avventure tra romanzo, parodia ed erotismo
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LI CHIAMAVANO I TRE MOSCHETTIERI... INVECE ERANO QUATTRO di Silvio Amadio
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Anno di edizione 1973 Produzione: Minerva Film, Puma Film. Con Tony Kendall, Ettore Manni, Stan Cooper, Gino Santercole, Setna Seyn, Silvio Spaccesi, Luciana Turina, Carla Mancini, Ivano Staccioli. Durata: 95’. LA STORIA: I quattro moschettieri sono incaricati di portare a termine una missione poco edificante, ma essenziale per mantenere intatto il potere dei regnanti di Francia: recuperare un orinale d’oro che l’amante della regina ha portato con sé scambiandolo per un cappello! RUGANTINO di Pasquale Festa Campanile Anno di edizione 1973 Produzione: Filmes Cinematografica, Clan Film. Con Adriano Celentano, Claudia Mori, Grazia Maria Spina, Riccardo Garrone, Guglielmo Spoletini, Renzo Palmer, Toni Ucci, Sergio Tofano, Pippo Franco, Ernesto Colli, Renato Baldini, Anna Maria Bottini, Paolo Stoppa, Elio Pandolfi, Enzo Robutti. Durata: 110’. LA STORIA: Roma 1830. Il popolano Rugantino scommette con gli amici che in breve tempo conquisterà la bella Rosina, moglie di Gnecco, gelosissimo e violento. Quando quest’ultimo è costretto al confino per aver ucciso un corteggiatore della moglie, Rugantino, approfittando della favorevole occasione, riesce nel suo intento. Gnecco, informato, ritorna a Roma ma trova la morte per mano di un cospiratore. Del delitto verrà però accusato il povero Rugantino che accetta di essere giustiziato per amore di Rosina. LE AVVENTURE E GLI AMORI DI SCARAMOUCHE di Enzo Girolami Anno di edizione 1975 Produzione: Zefilm Film, Lisa Film, Jadran Film. Con Michael Sarrazin, Ursula Andress, Aldo Maccione, Giancarlo Prete, Michael Forrest, Salvatore Borgese, Romano Puppo, Massimo Vanni, Alex Togni, Damir Mejovsec, Gisela Hahn, Karin Field, Riccardo Garrone, Alan Collins, Renzo Marignano, Edy Biagetti, Enzo Fiermonte, Dante Cleri. Durata: 105’. LA STORIA: Nella Francia prenapoleonica Scaramouche, a causa del suo irrinunciabile amore per le donne, per sottrarsi alle reazioni di mariti inferociti si improvvisa dapprima barbiere del generale Bonaparte, poi è scambiato per un terrorista, partecipa alla campagna d’Italia e, sempre a causa di avventure amorose, combina ulteriori disastri. Infine, essendo anche un bravo spadaccino, in compagnia dell’amico “Fischio”, sventa un attentato contro il generale ordito da Chagrin.
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Capitolo nono
SOLDATO DI VENTURA di Pasquale Festa Campanile
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Anno di edizione 1975 Produzione: Mondial Te. Fi., Cité Film, Les Films Jacques Leitienne, Labrador Film, Impeci. Con Bud Spencer, Jacques Dufilho, Angelo Infanti, Andrea Ferreol, Eros Pagni, Mario Scaccia, Mariano Rigillo, Philippe Leroy, Renzo Palmer, Oreste Lionello, Marc Porel, Frederic De Pasquale, Mario Pilar, Jacques Herlin, Enzo Cannavale, Nerina Montagnani. Durata: 115’. Remake (in chiave comica), del film Ettore Fieramosca del 1938 di Alessandro Blasetti. LA STORIA: Nei primi anni del 1500, i cavalieri francesi assediano gli spagnoli rinchiusi nella città di Barletta. Poiché il loro atteggiamento è sprezzante, gli italiani, capeggiati da Ettore Fieramosca, li sfidano a singolar tenzone: 13 cavalieri locali contro 13 francesi. Inizia così la celebre disfida di Barletta. IL MALATO IMMAGINARIO di Tonino Cervi Anno di edizione 1979 Produzione: Mars Produzione Cinematografica. Con Alberto Sordi, Laura Antonelli, Giuliana De Sio, Stefano Satta Flores, Vittorio Caprioli, Marina Vlady, Bernard Blier, Ettore Manni, David Pontremoli, Christian De Sica, Carlo Bagno, Eros Pagni, Victoria Zinny, Laura Lattuada, Dino Emanueli, Calogero Assaretto, Giovanni Baghino. Durata: 107’. LA STORIA: Roma, 1673. Il vecchio e ricchissimo Argante vive chiuso nel suo mondo fingendosi malato, incurante di ciò che di brutto succede intorno. Accettato e accudito solo dalla servetta Tonina e dal valletto Vincenzo, Argante è però vittima di tutti gli altri che gli ruotano attorno: il dottor Purgone che lo maltratta, l’amministratore che lo truffa, la moglie che non lo sopporta più e lo tradisce. Consigliato da Tonina, Argante si finge morto e scopre tutto il marcio che ha in casa. Scacciati gli intrusi, Argante sposa la sua servetta e, finalmente, decide di tornare a passeggiare per la città. DAGOBERT di Dino Risi Anno di edizione 1984 Produzione: Gaumont, FR 3, Stand’Art, Filmedis, Opera Film Produzione, Archimede International. Con Michele Colucci, Michel Serrault, Ugo Tognazzi, Carole Bouquet, Isabella Ferrari, Michel Lonsdale, Venantino Venantini, Karin Mai, Francesco Scali, Antonio Vezza, Sabrina Siani, Marcello Bonini Olas, Isabella Dandolo, Federica Paccosi. Durata: 112’. LA STORIA: Dagobert, re dei Franchi, sentendo sulla coscienza il peso di troppi peccati, decide di partire alla volta di Roma per implorare l’assoluzione del Papa. Giunto a destinazione, Dagobert, invece del vero papa Honorius, trova ad attenderlo un sosia che non solo lo assolve senza alcuno scrupolo, ma gli propone anche di sposarsi con la bella Hemere, figlia dell’im-
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Amori e avventure tra romanzo, parodia ed erotismo
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peratore di Bisanzio. Ciò per ottenere un’alleanza politica. Se non fosse per il fido Oratius, l’ingenuo Dagobert cadrebbe nel tranello. Ritornata la spedizione in terra di Francia (intanto a Roma il vero papa è stato rimesso sul soglio), Oratius, che ha conosciuto nella capitale italiana i piaceri del lusso, uccide il povero Dagobert con una spilla avvelenata e ne prende il posto.
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Capitolo nono
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3. Gli imitatori della trilogia pasoliniana Il successo della “trilogia della vita” di Pier Paolo Pasolini (Il Decameron, I racconti di Canterbury e Il fiore delle mille e una notte, v. cap. IV), diede la stura a un’innumerevole schiera di scimiottatori che si lanciarono a confezionare una miriade di film volgari e di pessima imitazione. Non tutti i registi che si lanciarono in questa impresa sono da considerarsi di serie “b”, alcuni di loro trovarono poi la loro strada in altri generi realizzando opere di un discreto livello, ma la maggioranza rimasero inutili quanto dannosi imitatori dei successi altrui. Per seguire un criterio di suddivisione di questi film, li abbiamo ripartiti in tre gruppi: “i decamerotici” – che sono i più, “i canterburiani” e “le notti oltre il mille”. 3.1. I decamerotici Anche se con Pasolini non ha nulla a che fare, abbiamo deciso di partire con il film Boccaccio di Marcello Albani, girato nel 1940, perché per primo si occupa del poeta fiorentino – anche se mostrato in una chiave diversa: non tratta dei suoi racconti, ma della sua vita amorosa – che è una commedia degli equivoci giocata dai due nipoti di Boccaccio, uno maschio e l’altra femmina, tratta dall’omonima e celebre operetta di Franz von Suppé. Dopo questo prologo ci addentriamo nel vivo della materia riportando i film quasi tutti uguali, più o meno ricchi di stupidità, oscenità e bella mostra di nudi di attricette (molte delle quali finirono al porno) e che gli stessi registi, o produttori, distinsero con un numero progressivo. Il fenomeno si esaurì nel triennio 1971-1973. Nel 1971 escono Una cavalla tutta nuda di Franco Rossetti; Decameron n. 2… le altre novelle del Boccaccio (come se Pasolini se le fosse dimenticate) di Mino Guerrini e Decameron n. 3… le più belle donne del Boccaccio, di Italo Alfaro. Ma è il 1972 che ha visto le sale italiane invase da questi film: Beffe, licenze e amori nel Decameron segreto di Giuseppe Vari; Boccaccio di Bruno Corbucci; Le calde notti del Decameron di Gian Paolo Callegari, Il Decameron nero di Piero Vivarelli; Il Decameron proibito di Carlo Infascelli; Decameron n. 4. Le più belle novelle del Boccaccio di Paul Maxwell, alias Paolo Bianchini; Decameron proibitissimo di Franco Martinelli, alias Marino Girolami; Decameron ’300 di Mauro Stefani, alias Renato Savino; Decameroticus di Pier Giorgio Ferretti; Novelle galeotte d’amore (dal Decamerone) di Antonio Margheriti. Il tutto termina nel 1973 con due titoli che sono tutto un programma: Novelle licenziose di vergini vogliose di Aristide Massaccesi e Quant’è bella la Bernarda tutta nera e tutta calda di Lucio Dandolo, alias Lucio Giachini che è l’ultimo “decamerotico” ufficiale. Dello stuolo di attrici e attricette che fanno bella mostra di sé e dei loro tesori per niente ne citiamo solo alcune: Beba Loncar, Malisa Longo, Femi Benusssi, Orchidea De Santis, Beryl Cunningham, Djbrill Diop, Mimma Gori, Krista Nell, Gabriella Giorgelli, Mariangela Giordano. Che dire di questi film? Si può dire tutto e niente. Il coro di critiche che si levò sui giornali fu unanime nel condannarli sparando a zero su di essi. Alcuni esempi: «Atmosfera godereccia con l’occasione di qualche grassa risata. Una qualche cura è posta nel delineare i caratteri delle vogliose donne boc-
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Amori e avventure tra romanzo, parodia ed erotismo
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caccesche»33 (Decameron n. 3… le più belle donne del Boccaccio); «Questo di Paolo Bianchini (che per pudore si firma Paul Maxwell) è, ad esempio, uno dei più scadenti prodotti di questo filone, tra quelli che abbiamo avuto occasione di vedere»34 (Decameron n. 4. Le più belle novelle del Boccaccio); «Le storie boccaccesche non sono dunque finite. […] In questo film di Lucio Dandolo, farcito come di consueto di trivialità e di insulsaggini, se ne propinano addirittura sei»35 (Quant’è bella la Bernarda tutta nera e tutta calda). E potremmo continuare.
33 A.
Santuari, in «Paese Sera», 17 giu. 1972. M. Caravagnaro, in «Corriere Mercantile», 9 giu. 1973. 35 M.G., in «Il Resto del Carlino», gen. 1976. 34
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Capitolo nono
BOCCACCIO di Marcello Albani
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Anno di edizione 1940 Produzione: Venus-Scalera. Con Clara Calamai, Osvaldo Valenti, Silvana. Jachino, Luigi Almirante, Virgilio Riento, Osvaldo Genazzani, Anita Farra, Bice Parisi, Nera Novella, Pia De Doses, Nando Tamberlani, Giuseppe Zago. Durata: 80’. LA STORIA: È la storia di due falsi Boccaccio, nipoti del grande fiorentino, maschio l’uno e femmina l’altra, cugini e promessi sposi. Per ripicca d’amore la femmina, in panni maschili, fa concorrenza al cugino nelle sue imprese amorose. Ed è sulla confusione che nasce dai due Boccaccio che è imperniata l’intera commedia. UNA CAVALLA TUTTA NUDA di Franco Rossetti Anno di edizione 1971 Produzione: Hubris Film. Con Don Backy, Barbara Bouchet, Renzo Montagnani, Leopoldo Trieste, Vittorio Congia, Carla Romanelli, Piero Vida, Renato Cortesi, Enzo Rispoli, Ghigo Masino, Nella Barbieri. Durata: 100’. LA STORIA: Durante il viaggio dal paese natio a Volterra dove devono portare un’ambasciata al vescovo, due amici, Gulfardo De’ Bardi e Folcacchio Folcacchieri, s’imbattono in una bella contadina, Gemmata, sposa di Niccolò: facendo credere all’ingenuo marito di poterla trasformare in cavalla, Folcacchio cerca di godersi la donna, ma deve poi rinunciarvi. Giunti a Volterra, si presentano al vescovo, ma avendo offeso il prelato, vengono condannati al rogo. Salvati in extremis, si rifugiano in un convento, dove rubano un forziere pieno di monete d’oro, ma vengono scoperti e debbono riconsegnare il maltolto. DECAMERON N. 2... LE ALTRE NOVELLE DEL BOCCACIO di Mino Guerrini Anno di edizione 1971 Produzione: Compagnia Generale Cinematografica. Con: V Giornata - Novella X: Enzo Pulcrano, Claudia Bianchi, Salvatore Giocondo; III Giornata - Novella VIII: Mario Brega, Mariangela Giordano, Marcello Di Falco; VIII Giornata - Novella VIII: Fortunato Cecilia, Lidia Caroncini, Enzo Rinaldo; III Giornata - Novella IV: Pupo De Luca, Antonella Murgia, Fausto Di Bella; VII Giornata - Novella VII: Filippo De Gara, Doris Kristanel, Luigi Miglietta; III Giornata - Novella X: Camille Keaton, Heinrich J. Rudisser. Durata: 100’. LA STORIA: Intorno ad un tavolo, alcuni commensali raccontano alcune novelle licenziose: 1) La sposa di Pietro di Vincione, trascurata dal marito, si consola con un giovincello; il marito tradito si vendica a suo modo. 2) La moglie di Ferondo si lamenta con un abate, il quale, con uno strattagemma, approfitta di lei che partorirà un bambino che l’ingenuo marito chiamerà Benedetto. 3) La giovane Alibec vuole conoscere la fede cristiana e diviene l’amante
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Amori e avventure tra romanzo, parodia ed erotismo
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dell’eremita Rustico. 4) A Padova, lo studente fiorentino Anichino diventa servo di Egano per sedurne la moglie Beatrice, che acconsente e che per dimostrare la sua fedeltà, fa bastonare il padrone dal servo. 5) Messer Puccio, deciso a farsi santo, si fa crocifiggere per terra mentre Don Felice si gode la moglie Isabetta. 6) Spinelloccio si intrattiene con la moglie del fratello Zeppo; ma questi, scoperta la tresca, si vendica con la cognata. Quando il gioco viene scoperto si passa all’amore di gruppo. DECAMERON N. 3... LE PIÙ BELLE DONNE DEL BOCCACIO di Italo Alfaro Anno di edizione 1971 Produzione: Victor Produzione. Con Beba Loncar, Femi Benussi, Marina Malfatti, Angela Covello, Pier Paola Bucchi, Giovanni Elsner, Roy Bosier, Antonella Murgia, Alberto Atenari. Durata: 103’. LA STORIA: 1) Una donna, accusata d’adulterio, si mostra nuda al giudice e viene assolta. 2) Ricciardetto, per conquistare l’amata, finge d’ignorarla. 3) Lidia tradisce il marito in sua presenza, facendogli credere si tratti di un prodigio. 4) Una vedova, indecisa tra due uomini, ne sceglie un terzo. 5) Una moglie riesce a convincere il marito di essergli fedele nonostante abbia in camera ben due amanti. 6) Un marito geloso è fatto fesso dalla moglie; come se non bastasse si pente per la sua assurda gelosia. 7) Un frate divide la donna che si è portata in convento col suo superiore per evitare le sue ire. BEFFE, LICENZE E AMORI NEL DECAMERONE SEGRETO di Giuseppe Vari Anno di edizione 1972 Produzione: Corinzia Cinematografica, Tangra Productions. Con Malisa Longo, Patrizia Viotti, Antonella Patti, Claudia Bianchi, Renzo Rinaldi, Carla Mancini, Luciano Troiani, Josiane Tanzilli, Jaime Manca Graziadei, Wanda Pollini, Franca Tedeschi, Anna Mallarini, Giacomo Rizzo. Durata: 95’. LA STORIA: Il poeta Cecco Angiolieri al seguito di una compagnia di guitti, seduce ogni donna che incontra sul suo cammino, comprese la moglie del capocomico, quella di un poetastro, nonché una bella monaca. BOCCACCIO di Bruno Corbucci Anno di edizione 1972 Produzione: Dino De Laurentiis Cinematografica, International Manufactoring Company, Columbia. Con Enrico Montesano, Alighiero Noschese, Isabella Biagini, Pia Giancaro, Pascale Petit, Hé1ène Chanel, Maria Baxa, Sylva Koscina, Andrea Fabbricatore, Pippo Franco, Bernard Blier, Raymond Bussieres, Lino Banfi, Toni Ucci, Franca Dominici, Mario Carote-
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Capitolo nono
nuto, Guido Celano, Rosita Pisano, Luca Sportelli, Giacomo Furia. Durata: 92’.
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LA STORIA: Alcune novelle di Giovanni Boccaccio liberamente adattate, che hanno per protagonisti Buffalmacco, Calandrino, Cagastraccio, Lambertuccio da Cecina, ecc. LE CALDE NOTTI DEL DECAMERON di Gian Paolo Callegari Anno di edizione 1972 Produzione: Ester Cinematografica. Con Don Backy, Femi Benussi, Orchidea De Santis, Salvatore Puntillo, Pupo De Luca, Maria Teresa Baldoni, Krista Nell, John Bartha, Marcelle Ginette Bron. Durata: 90’. LA STORIA: Mandud, arabo fasullo finito prigioniero di Gianfigliazzo al ritorno da una crociata, riesce ad andare a letto con la di lui moglie per essere entrato furtivamente in possesso della chiave che ne apre la cintura di castità. Quando finalmente il padrone di casa può a sua volta godersi la moglie, gli giunge l’ordine di ripartire per un’altra crociata. IL DECAMERONE NERO di Piero Vivarelli Anno di edizione 1972 Produzione: Alfredo Bini. Con Beryl Cunningham, Djbrill Diop, Serigne N’Diaye Gonzales, Line Senghor, Isabelle Dallo, Yama Phaha, Josy Mc Gregor, Fatou Diame, Jacqueline Scott, Mamadou Diep, Char Seik. Durata: 100’. LA STORIA: Un menestrello narra alcune novelle: 1) Un artigiano riesce a conquistare una regina, laddove avevano fallito re e principi. 2) Un trucco crudele rende inoffensiva una giovane sposa che aveva ridotto a stracci marito e amanti. 3) Tradito dalla moglie, un marito si finge cieco per sorprendere la fedifraga e punirne gli amanti. 4) Una prostituta si vendica dei suoi accusatori, svergognandoli in pubblico. 5) Un giovane dotato di organo sessuale abnorme, riesce infine a trovare la donna con cui convivere. IL DECAMERONE PROIBITO di Carlo Infascelli Anno di edizione 1972 Produzione: Roma Film Produzioni Cinematografiche. Con Dado Crostarosa, Carlos De Carvalho, Orchidea De Santis, Gabriella Giorgelli, Malisa Longo, Mario Maranzana, Giacomo Rizzo, Paolo Rosani, Margareth Rose Keil. Durata: 85’. Ferruccio, recatosi in un convento per recapitare un messaggio, è convinto a farsi frate. Destinato alla cerca è concupito da monna Fiorenza che, nonostante le resistenze del fraticello, riesce infine ad averlo. Due pittori, incaricati di dipingere l’effigie del podestà, si trastullano con sua moglie e con quella del suo scudiero...
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Amori e avventure tra romanzo, parodia ed erotismo
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DECAMERON N. 4. LE PIÙ BELLE NOVELLE DEL BOCCACCIO di Paul Maxwell
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Anno di edizione 1972 Produzione: Compagnia Generale Cinematografica. Con Mariangela Giordano, Ciccio Antonacci, Nino Musco, Anna Odessa, Lee Banner, Mimma Gori, Enzo Pulcrano, Suzy Kuster, Claudia Bianchi, Fernando Mopago. Durata: 86. LA STORIA: 1) Per raggiungere l’amante Ghita ubriaca il marito, che, pur sospettando, finisce ridicolizzato dalla consorte. 2) Calandrino, che ha ereditato una certa somma, è gabbato dagli amici che gli fanno credere di essere incinto. 3) Un frate, che sta facendo l’amore con la moglie di un tale, riesce a convincerlo che quello è l’unico sistema per curare sua moglie dai vermi. 4) Una donna, per convincere un giudice di non essere responsabile della morte dell’amico, ripete con lui l’amplesso incriminato. 5) Un frate suo malgrado concupisce una ragazza fingendosi l’arcangelo Gabriele, ma rimedia soltanto bastonate. DECAMERON PROIBITISSIMO di Franco Martinelli [Marino Giriolami] Anno di edizione 1972 Produzione: Claudia Cinematografica. Con Enio Girolami, Riccardo Garrone, Gianni Musy Glori, Elio Balletti, Franco Agostini, Enzo Andronico, Krista Nell, Maurizio Merli, Bruna Beani, Katia Chiani, Gianni De Luca, Adriana Facchetti, Malisa Longo, Leonora Vivaldi. Durata: 92’. LA STORIA: 1) Un frate, costretto suo malgrado a giacere con una brutta donna, è sorpreso dal suo superiore. 2) Un uomo, per conquistare la donna che ama, paga una megera che costringe il marito a cedergliela. 3) Un priore punisce un suo fraticello per averlo sorpreso con una ragazza e, rimasto solo, se la gode. 4) Una moglie riesce a far stare fuori di casa il marito e a spassarsela con l’amico pittore. 5) Per star solo con la donna che ama, Rinaldo finge di essere stato aggredito. 6) Agilulfo fa tagliare i capelli al servo Rainero, reo di adulterio, per smascherarlo davanti al boia; per salvarlo anche tutti gli altri servi si son fatti radere a zero. DECAMERON ’300 di Mauro Stefani [Renato Savino] Anno di edizione 1972 Produzione: Toro International Film, Italian International Film. Con Osvaldo Ruggeri, Rosalba Neri, Christa Linder, Emilio Marchesini, Enzo Maggio, Piero Gerlini, Romano Bernardi, Vincenzo Ferro, Carla Mancini, Giuseppe Lo Presti, Claudio De Davide, Gianna Pacetti, Aldo Rendine, Beniamino Maggio, Giancarlo Bonuglia, Sergio Serafini. Durata: 92’. LA STORIA: Per condurre sulla retta via il figlio scapestrato, il signorotto Giovanni Attelano ottiene per lui la mano della figlia di Rampladi, Firdalba. Falcotto e Firdalba avranno cia-
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Capitolo nono
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scuno 15.000 fiorini a nozze compiute e a condizione che vi giungano vergine lei e lui in astinenza. La ragazza viene accompagnata dalla nutrice e dal servo Toro; ma, prima di raggiungere il cerusico che ne dovrà costatare la verginità, è fatto oggetto di numerosi attentati carnali. I danni e le beffe spetteranno tanto a Falcotto quanto al futuro suocero. DECAMEROTICUS di Pier Giorgio Ferretti Anno di edizione 1972 Produzione: Flora Film, National Cinematografica. Con Umberto D’Orsi, Riccardo Garrone, Pupo De Luca, Orchidea De Santis; Aldo Bufi Landi, Sandro Dori, Pino Ferrara, Marina Fiorentini, Gabriella Giorgelli, Christa Nell, Corrado Olmi, Margaret Rose Keil. Durata: 96’. LA STORIA: 1) Un marito si sostituisce al confessore per scoprire i tradimenti della moglie. Nonostante le precauzioni prese, l’uomo viene comunque tradito, ma finisce per convincersi della fcdeltà delta moglie. 2) Un giudice per vendicarsi delle burle che subisce da Lambertuccio, chiede a Leonetto di cornificare Lambertuccio. Invece i due vanno con la moglie del giudice. 3) Un uomo chiede a un giovane di andare a letto con la propria moglie per potersela spassare con l’amante. Ma la moglie mette in atto un piano che porterà il consorte a finire nel suo letto. 4) Un guaritore approfitta della moglie di uno scimunito che assiste, consenziente, all’adulterio. 5) Due mercanti si confidano il sistema escogitato per evitare che le mogli li cornifichino. Scoperto l’uno il segreto dell’altro, i due non hanno problemi a godersi le due donne. NOVELLE GALEOTTE D’AMORE (DAL DECAMERONE) di Antonio Margheriti Anno di edizione 1972 Produzione: Seven Film. Con Alberto Atenari, Marlene Rhan, Louis La Torre, Eva Maria Geubmuller, Gastone Pescucci, Martina Orlop, Remo Capitani, Annie Carol Edel. Durata: 95’. LA STORIA: 1) Il furbo Bulfardo, per pagare la donna con cui vuole fare l’amore, si fa prestare i soldi dal marito di lei, un usuraio, quindi gli comunica di averli restituiti alla moglie. 2) Un medico riesce a convincere il crociato Federico che il figlio nato durante la sua lunga assenza non è frutto d’adulterio. 3) Roberto e la zia Sismonda escogitano un ingegnoso piano per eludere la sorveglianza del geloso Enricuccio. 4) Elisa riesce a far l’amore con molti uomini nonostante la cintura di castità. Il marito, però, ha trovato il sistema per punire gli amanti. NOVELLE LICENZIOSE DI VERGINI VOGLIOSE di Aristide Massaccesi Anno di edizione 1973
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Produzione: Elektra Film. Con Gabriella Giorgelli, Margaret Rose Keil, Enza Sbordone, Antonio Spaccatini, Paolo Casella, Mimmo Poli, Marco Mariani, Attilio Dottesio, Tony Askin, Enzo Pulcrano, Stefano Oppedisano, Fausto Di Bella, Lucia Modugno, Evelyn Melcher. Durata: 95’. LA STORIA: In sogno, Giovanni Boccaccio, finito all’Inferno, ascolta le storie di alcuni dannati che hanno vissuto licenziosamente. QUANT’È BELLA LA BERNARDA TUTTA NERA E TUTTA CALDA di Lucio Dandolo [Lucio Giachin] Anno di edizione 1973 Produzione: C.G. Italia. Con Mariangela Giordano, Mario Brega, Claudia Bianchi, Fortunato Cecilia, Dada Gallotti, Marcello Di Falco, Enzo Pulcrano, Barbara Marzano, Luigi Antonio Guerra, Mirella Rossi, Fabio Garriba. Durata: 89’. LA STORIA: Un mago, mentre svolge le sue mansioni, diletta alcuni creduloni raccontando loro sei storielle piccanti.
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Capitolo nono
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3.2. I canterburiani Anche l’altro film di Pasolini I racconti di Canterbury fu preso d’assalto, anche se in modo minore, dai soliti noti che non fecero altro che proporre gli stessi film “decamerotici” limitandosi a cambiare i nomi dei protagonisti da italiani a inglesi e ad ambientare le loro risibili storie nel Regno Unito. Infatti noteremo che gli stessi registi realizzeranno nel 1972 tre film: Gli altri racconti di Canterbury di Mino Guerrini che, con la poca fantasia che si ritrova, si limita a cambiare la parola “Decamerone” con “Canterbury”; Canterbury n. 2. Nuove storie d’amore del ’300 di John Shadow, alias Aristide Massaccesi e Canterbury proibito di Italo Alfaro. Nel 1973 si trova il vezzo di cambiare nome ai racconti chiamando il film Mario Caiano I racconti di Viterbury. Nel giudizio apparso su «Il Giorno» si racchiude quello di tutti gli altri giornali a proposito di questo filone cinematografico: “ La via italiana all’erotismo ha perso una buona occasione per progredire: se davvero qualcuno si può ancora divertire […] con i racconti di Viterbury, c’è da sentirsi accapponar la pelle. […] Ogni risata in sala […] suona come una mitragliata alla coscienza civile”36.
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M.P., in «Il Giorno», 2 nov. 1973.
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GLI ALTRI RACCONTI DI CANTERBURY di Mino Guerrini
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Anno di edizione 1972 Produzione: Transeuropa Film. Con Enza Sbordone, Antonio Di Leo, Francesco D’Adda, Alida Rosano. Gianfranco Quadrini, Giacomo De Michelis, Amelia Sassaroli, Giuseppe Volpe, Vincenzo Maggio, Mirella Rossi, Rolando Prosperi, Leonora Vivaldi, Francesco Angelucci, Gianni Ottavini, Teodoro Corrà, Samuel Montealegre, Mariama Camara, Fortunato Cecilia, Assunta Costanzo, Roberto Borelli; Durata: 96’. LA STORIA: 1) Un uomo, tradito dalla moglie con il signore di Brindisi che l’ha presa contro natura, la punisce nello stesso modo. 2) Per sfuggire al marito violento, Olimpia si finge morta e si rifugia in un convento, dove tutti i frati ne approfittano. Rimasta incinta viene resuscitata e, gridando al miracolo, riconsegnata al marito. 3) Un uomo, che crede che l’orrenda moglie sia morta, vuol godersi la giovane servetta, ma sul più bello la consorte resuscita. 4) La moglie di uno scultore, che lo tradisce, non solo evita la vendetta del marito, ma lo prende anche a bastonate. 5) Un oste, che ospita una coppia di sposi ebrei, fingendosi attaccato dai briganti, rinchiude gli avventori nella porcilaia e resta solo con la sposina. 6) Farinello vuol tradire la moglie, ma non sa che l’amante si è accordato con lei. Poiché giace, senza accorgersene, con la legittima consorte dimostrando grande vigoria, è costretto a ripetuti, estenuanti rapporti. CANTERBURY N. 2. NUOVE STORIE D’AMORE DEL ’300 di John Shadow [Aristide Massacesi] Anno di edizione 1972 Produzione: Roberto Loyola Cinematografica. Con Patrizia Adiutori, Rick Battaglia, Shirley Corrigan, Rick Boyd, Giacomo De Angelis, Dada Gallotti, Franco Mazzieri, Alex Rebar, Gualtiero Rispoli, Claudio Ruffini. Durata: 87’. LA STORIA: 1) Rimasta sola poiché il marito è partito per la guerra, una giovane donna tenta di resistere ad un corteggiatore. Per respingerlo decide di concedersi solo se lui le procurerà... l’impossibile. 2) Una donna coltiva desideri sessuali inconfessabili. Un giovane, che si è innamorato di lei, cerca di esaudirli procurandole una muta di cani. La poveretta finisce sbranata. 3) La Morte, impersonata da un tesoro, fa giustizia di tre persone che l’avevano sfidata. Per accaparrarsi il danaro i tre si uccidono a vicenda. 4) Un re paga il riscatto per riavere la figliastra di cui s’è invaghito. I rapitori s’impossessano dei soldi, ma gli restituiscono una prostituta. CANTERBURY PROIBITO di Italo Alfaro Anno di edizione 1972 Produzione: Victor Produzione Cinematografica. Con Femi Benussi, Magda Konopka, Patrizia Viotti, Rosemarie Lindt, Rosita Torosh, Paola Corazzi, Enza Sbordone, Ben Corra, Fausto Tommei. Durata: 100’.
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Capitolo nono
LA STORIA: 1) Due giovani s’invaghiscono della stessa ragazza, ma lei preferisce un terzo corteggiatore. 2) Una ragazza con poco cervello è l’oggetto di atroci scherzi. 3) La moglie di ser Brunetto è concupita da tre uomini; uno di loro raggiungerà lo scopo. 4) Grazie a un vescovo che chiude un occhio, due suore se la spassano con altrettanti frati, convinte d’aver gabbato il prelato. 5) Non avendo altro per dimostrare la sua estraneità di fronte ad una accusa di adulterio, un frate usa le proprie mutande, spacciandole per sacra reliquia. 6) Alcuni animali dimostrano, parlando fra loro, che alcuni proverbi hanno rispondenza con la realtà. 7) Un uomo, volendo accontentare due donne insieme, è ridotto dalle stesse ad una larva in brevissimo tempo. I RACCONTI DI VITERBURY di Mario Caiano Anno di edizione 1973 Produzione: Jarama Film. Con Rosalba Neri, Peter Landers, Christa Linder, Toni Ucci, Orchidea De Santis, Rosemarie Lindt, Linda Sini, Tommy Polgar, Giacomo Rizzo, Clara Colosimo, Renzo Rinaldi, Mario Frera, Fausto Di Bella, Rajka Juri, Puccio Ceccarelli, Poldo Bendandi, Lorenzo Fineschi: Durata: 92’. LA STORIA: 1) Antonio, marito inesperto, trascorre la prima notte di nozze con la suocera, che s’improvvisa maestra di sesso. 2) Un uomo (ghibellino) che vuol raggiungere la fidanzata (guelfa) passando per la finestra, dopo esser caduto decine di volte, rinuncia alla ragazza. 3) Una moglie vuol tradire il marito con un frate, ma è ostacolata da un diabolico tacchino. 4) Una ragazza, ingannando la madre, riesce a fare l’amore col suo innamorato. 5) Dapprima restia a far l’amore col marito, una volta rotto il ghiaccio, lo riduce in fin di vita. 6) La moglie di un mugnaio, consenziente il marito, fa lavorare alla macina gratuitamente i suoi amanti. 7) Un uomo, con astuzia, si libera del fratello di una ragazza che vorrebbe obbligarlo ad un matrimonio riparatore.
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Amori e avventure tra romanzo, parodia ed erotismo
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3.3. Le “notti” oltre il mille Con le imitazioni de Il fiore delle Mille e una notte si conclude questo sgangherato filone cinematografico che ha saccheggiato i film della “trilogia della vita” pasoliniana. Anche questi film, come per i “Canterburiani”, sono tre, usciti nel 1972 e uno nel 1973. Le avventure più o meno esotiche che popolano queste pellicole sono, come per gli altri che li accompagnano, al limite del pornografico, senza mai superarlo e, al tempo stesso, privi di qualsiasi spunto erotico. Nel 1972 escono Finalmente… le mille e una notte di Antonio Margheriti; Le mille e una notte all’italiana di Carlo Infascelli, che dimentica l’Oriente e ambienta le sue “notti” in Occidente (tant’è che i francesi lo intitolarono Canterbury interdit); Le mille e una notte… e un’altra ancora di Enrico Bomba. Mentre nel 1973, parafrasando un altro film idiota37, esce Quando i califfi avevano le corna di Amasi Damiani. In quanto alla critica ci piace ricorrere ancora a quella del quotidiano «Il Giorno» e riferita al film di Infascelli: «L’impressione è che più in basso di così sia difficile scendere. Definire questo film ‘erotico’ è dargli una patente di qualità che non merita: infatti il vero erotismo è anche frutto di intelligenza. Ma questa squallida serie di barzellette volgari (e fuori tempo) non offre alcuna giustificazione. […] Ci sono sempre i frati, le femmine gaudenti, i mariti cornuti e gabbati, il tutto a beneficio di un pubblico sottosviluppato con tentazione masochista»38.
37 38
Ci si riferisce a Quando le donne avevano la coda di Pasquale Festa Campanile uscito nel 1970. M.P., in «Il Giorno», 19 gen. 1973.
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Capitolo nono
FINALMENTE... LE MILLE E UNA NOTTE di Antonio Margheriti
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Anno di edizione 1972 Produzione: Medusa Distribuzione, Pink International Film. Con Barbara Bouchet, Femi Benussi, Barbara Marzano, Esmeralda Barros, Pupo De Luca, Gastone Pescucci, Berto Atenari, Ignazio Leone, Barbara Betti, Annie Carol Edel, Gino Milli, Vassili Karis, Gigi Ballista. Durata: 92’. LA STORIA: Per eccitare un sultano, divenuto impotente, i suoi consiglieri convocano alcuni novellieri affinché raccontino storie capaci di risvegliare i sensi del loro signore. LE MILLE E UNA NOTTE ALL’ITALIANA di Carlo Infascelli Anno di edizione 1972 Produzione: Produzioni Cinematografiche Roma Film, Societe Nouvelle de Cinematographie. Con Malisa Longo, Mariama Camara, Carlos De Carvalho, Elio Crovetto, Mario Frera, Jacques Herlin, Fiorella Masselli, Maurizio Merli, Salvatore Puntillo, Giacomo Rizzo. Durata: 87’. LA STORIA: Due amici artisti, più che alla scultura e alla pittura, si dedicano alla conquista di fanciulle, maritate e non. LE MILLE E UNA NOTTE... E UN’ALTRA ANCORA di Enrico Bomba Anno di edizione 1972 Produzione: Cinematografica Vascello. Con Vinicio Sofia, Angela Bo, Dada Gallotti, Stefano Lo Curcio, Alessio Gaspa, Mario Brega, Enrico Miotti, Barbara Marzano, Mariarosa Chimenti, Sergio Parlato, Mariama Camara, Bruno Scipioni, Luigi A. Guerra, Valeria Mongardini. Durata: 87’. LA STORIA: Il sanguinario sultano Shaliar, che fa decapitare tutte le vergini che pretende ogni notte nel suo letto, salva la vita a due di loro (figlie del gran Visir) poiché lo intrattengono piacevolmente raccontandogli novelle piccanti. Dopo mille notti di racconti, la più giovane delle due è addirittura eletta a regina. QUANDO I CALIFFI AVEVANO LE CORNA di Amasi Damiani Anno di edizione 1973 Produzione: Elettra Cinematografica. Con Pia Giancaro, Giorgia Tani, Aldo Bufi Landi, Bar-
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tolomeo Sciarra, Margaret Rose Keil, Rosemarie Lindt, Andrea Aureli, Angela Bo, Empedocle Buzzanca, Spartaco Conversi, Sergio Galli, Fedele Gentile, Sofia Lievi, Imelde Marani, Gordon Mitchell. Durata: 90’. LA STORIA: Tradito dalla moglie, il califfo di Bagdad si vendica uccidendo ogni notte una ragazza, dopo aver fatto l’amore con lei. Sheerazade, figlia del Visir, ottiene dal padre di essere presentata al califfo, al quale la prima notte racconta una novella. Conquistato dalla fanciulla e speranzoso di averla ancora con sé, il califfo rinuncia ad ucciderla. Dopo molte notti fra i due nasce l’amore.
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4. Altre storie sollazzevoli Il filone erotico, o pseudo tale, non si esaurisce con i film di imitazione pasoliniana, e nemmeno è iniziato con esso. È vero che vi sono film di un certo interesse realizzati, in ogni epoca del cinema sonoro, da autori di un certo valore, ma è altrettanto vero che si tratta di poche unità su un totale di 32 film. Per motivi principalmente classificatori, e non di merito, abbiamo suddiviso questi film in vari gruppi cercando di dare una certa omogeneità alla materia. Ne escono così tre gruppi diversi. 4.1. Nuove storie di Don Giovanni e Casanova Don Giovanni e Casanova (come detto nel precedente capitolo IV) rappresentano i libertini per eccellenza tanto che i loro nomi sono diventati sinonimo di donnaiolo e di seduttore. I film che hanno per soggetto la vita e le gesta di Don Giovanni sono tre: Don Giovanni di Dino Falconi del 1942; Il maestro di Don Giovanni di Vittorio Vassarotti e Milton Krims del 1953 e Le calde notti di Don Giovanni di Alfonso Brescia del 1971. Tentare paragoni fra i tre film è cosa impossibile considerando la diversità di argomento e delle epoche in cui i film sono stati girati. Il primo è la classica storia di Don Giovanni Tenorio e della sua vita da seduttore fino al banchetto finale con tanto di statua del Commendatore che lo schiaccia ponendo fine ai suoi peccati. Il secondo è più che altro un film a sfondo politico in cui il maestro del titolo è un vecchio e bolso Errol Flynn, difficilmente credibile come valente tombeur de femmes, che diventa un difensore delle istituzioni. Il terzo è un film d’avventure senza pretese e solo in minima parte erotico, poiché il seduttore, per la quasi totalità del racconto, si batte per salvare una fanciulla. Anche i film dedicati a Casanova sono tre: Arma bianca di Ferdinando M. Poggioli del 1936; Il cavaliere misterioso di Riccardo Freda del 1948; Le avventure di Giacomo Casanova di Stefano Vanzina del 1954. Il primo è poco più di un film giallo dove il nostro donnaiolo da indiziato diventa colui che smaschera il vero colpevole. Ancora un furto sta alla base del secondo film che porta il nostro seduttore fino in Russia a recuperare una lettera compromettente per la moglie del Doge di Venezia. Nel terzo invece, dopo un apparente pentimento del seduttore veneziano fintanto che giace prigioniero nei Piombi, Casanova si rivela, una volta libero, quello che in effetti è: un inguaribile peccatore. Di quest’ultimo film «Cinema Nuovo» sottolinea che «è un raro, forse unico esempio di film galante realizzato in Italia, perché è l’incontro discretamente felice dell’erotismo e dell’umorismo. Purtroppo la realizzazione non è all’altezza del testo […] trascurando qualsiasi sforzo per dare a Casanova degli ambienti degni di tanto personaggio, uno dei più belli della nostra letteratura settecentesca»39.
39 Anonimo
in «Cinema Nuovo», n. 53, 25 feb. 1955.
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ARMA BIANCA di Ferdinando M. Poggioli
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Anno di edizione 1936 Produzione: Neuroni Film. Con Leda Gloria, Mimy Almieri, Nerio Bernardi, Enzo Biliotti, Tina Lattanzi, Romolo Costa, Oreste Bilancia, Cesare Zappetti. Durata: 70’. LA STORIA: Giacomo Casanova, mentre si trova alloggiato nella locanda di Berceto nel Ducato di Parma, viene accusato di un furto, che non ha commesso, ai danni della Duchessa. In seguito Casanova, arrestato per omicidio, riesce a liberarsi con l’aiuto di una ballerina innamorata di lui, a scoprire il vero assassino (che è anche l’autore del furto di Berceto) e a sventare un complotto per uccidere il Duca. DON GIOVANNI di Dino Falconi Anno di edizione 1942 Produzione: Scalera. Con Adriano Rimoldi, Dina Sassoli, Elena Zareschi, Rina Morelli, Carla Candiani, Paolo Stoppa, Piero Carnabuci, Giorgio Costantini, Guglielmo Barnabò, Cesare Fantoni, Vittorio Capanna. Durata: 85’. LA STORIA: La classica vicenda di don Giovanni Tenorio, beato fra le donne. Almeno sino a quando la statua del Commendatore non gli rovina addosso. IL CAVALIERE MISTERIOSO di Riccardo Freda Anno di edizione 1948 Produzione: Lux Film. Con Vittorio Gassman, Maria Mercader, Yvonne Sanson, Gianna Maria Canale, Eli Parvo, Antonio Centa, Giovanni Hinrich, Dante Maggio, Guido Notari, Tino Buazzelli, Sandra Mamis, Vittorio Duse, Aldo Nicodemi, Renato Valente; Durata: 93’. LA STORIA: Alcuni agenti al servizio di Caterina di Russia riescono a mettere le mani su una lettera compromettente per la moglie del Doge di Venezia e del furto viene accusato il fratello di Casanova, segretario del Doge. Giacomo, venuto a conoscenza dell’arresto del fratello – nonostante sia bandito da Venezia – arriva di nascosto nella città lagunare e, correndo il rischio di farsi catturare, incontra il fratello di nascosto. Poi, per salvarlo, Casanova insegue fino in Russia gli autori del furto e impedisce che il documento cada nelle mani di Caterina. Tornato a Venezia con la lettera compromettente la consegna a chi di dovere, ottiene la liberazione del fratello, e riparte. IL MAESTRO DI DON GIOVANNI di Vittorio Vassarotti, Milton Krims Anno di edizione 1953
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Produzione: Vi-Va Film, G.B. Mahon. Con Errol Flynn, Gina Lollobrigida, Cesare Danova, Roldano Lupi, Nadia Gray, Paola Mori, Alberto Rabagliati, Silvio Bagolini, Renato Chiantoni, Mimo Billi, Pietro Tordi, Riccardo Rioli, Mara Berni, Puccio Pintabona, Rosanna Galli, Yvonne Furneaux. Durata: 95’. LA STORIA: Renzo e Raniero, dopo una permanenza all’estero, tornano in patria, ma sono costretti a fuggire per via di un editto del ministro Pavoncello che vuole tutti i sudditi sposati. Di Renzo s’innamora Francesca, sorella di Raniero. Il giovane torna sui suoi passi e dopo aver ridotto all’impotenza il ministro che voleva spodestare il duca e governare con poteri assoluti, decide di unirsi alla sua bella innamorata. LE AVVENTURE DI GIACOMO CASANOVA di Stefano Vanzina Anno di edizione 1954 Produzione: Orso Film, Iris Film, C.F.P.C. Con Gabriele Ferzetti, Corinne Calvet, Marina Vlady, Nadia Gray, Carlo Campanini, Mara Lane, Irene Galter, Lia Di Leo, Anna Amendola, Aroldo Tieri, Arturo Bragaglia, Fulvia Franco, Florence Arnaud, Nico Pepe, Ursula Andress, Nuri Neva, Giacomo Furia. Durata: 95’. LA STORIA: Dal carcere in cui è rinchiuso, Casanova ripensa alla sua vita avventurosa e ai suoi infiniti amori. Giunge alla conclusione che forse è arrivato il momento di tagliare con il passato, ma una volta evaso il nostro non sa resistere al richiamo femminile e conquista la prima donna che incontra. LE CALDE NOTTI DI DON GIOVANNI di Alfonso Brescia Anno di edizione 1971 Produzione: Luis Film, Fenix Film. Con Robert Hoffmann, Barbara Bouchet, Edwige Fenech, Ira Fürstenberg, Annabella Incontrera, Lucretia Love, Pepe Calvo, Adriano Micantoni, Emma Baron, Franco Marletta, Maria Montez. Durata: 110’. LA STORIA: Don Giovanni Tenorio, temuto dai mariti perché è un grande seduttore, è costretto ad abbandonare il suo paese per ordine del governo e si reca in Oriente dove diviene amico di Selim. Questi gli rivela che una stupenda fanciulla è tenuta prigioniera in un castello del Marocco; don Giovanni sfida l’impossibile per liberarla ed è costretto a sopportare prove di ogni genere, comprese quelle erotiche.
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4.2 Ragionando con l’Aretino Come è avvenuto per Boccaccio anche I ragionamenti di Pietro Aretino sono stati sacheggiati nel famigerato 1972. Sei sono i film che gli toccano e il cui valore e contenuto non si discostano molto dai film “decamerotici”. Dal momento che sono tutti uguali ne elenchiamo gli edificanti titoli in ordine alfabetico: … e si salvò solo l’Aretino Pietro con una mano davanti e l’altra dietro di Silvio Amadio; La bella Antonia prima monica e poi dimonia di Mariano Laurenti; L’Aretino nei suoi ragionamenti sulle cortigiane, le maritate e… i cornuti contenti di Enrico Bomba; I giochi proibiti dell’Aretino Pietro di Piero Regnoli; Le notti peccaminose di Pietro l’Aretino di Manlio Scarpelli e Racconti romani di un’ex novizia di Pino Tosini. Per tutti basta ciò che scrive Reggiani su «La Stampa»: «Forse non basterebbe l’ingegno congiunto di Fellini e Bergman a portare sullo schermo ‘I Ragionamenti’ di Pietro l’Aretino, i quali non sono soltanto una raccolta di oscenità ribalde, ma un grande esempio di lingua, un affresco nel quale la lussuria si confonde con l’angoscia e la bellezza dei corpi è insidiata da una laida decadenza. [...] Tutto è sopraffatto dall’onda delle storielline stanche e scurrili. [...] Qui il pretesto cinquecentesco è veramente degradato alla barzelletta»40.
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S. Reggiani, in «La Stampa», 27. 8.1972.
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Capitolo nono
... E SI SALVÒ SOLO L’ARETINO PIETRO CON UNA MANO DAVANTI E L’ALTRA DIETRO di Silvio Amadio Content accessed by Alma Mater Studiorum - Univ. di Bologna [IP address 137.204.24.180] on 03/12/2018
Anno di edizione 1972 Produzione: Cinematografica Vascello. Con Carla Brait, Giorgio Favretto, Vincenzo Ferro, Franca Gonella, Silvio Spaccesi, Elisa Mainardi, Gabriele Villa, Arnaldo Fabrizio, Valentino Macchi, Dorit Henke, Ivana Novak, Luigi Miglietta, Amelia Perbellini. Durata: 85’. LA STORIA: Le tre vogliose figlie di madonna Violante se la spassano con ogni uomo di cui intuiscono le capacità amatorie, non disdegnando neppure i frati. L’ARETINO NEI SUOI RAGIONAMENTI SULLE CORTIGIANE, LE MARITATE E... I CORNUTI CONTENTI di Enrico Bomba Anno di edizione 1972 Produzione: Cinematografica Vascello. Con Luciano De Ambrosis, Geraldine Stewart, Fiorella Masselli, Marisa Traversi, Wilma Truccolo, Silvio Spaccesi, Giancarlo Badessi, Franca Gonella. Durata: 87’. LA STORIA: Una madre apprende da un’amica che le sue figlie hanno, in passato, tenuto comportamenti tutt’altro che irreprensibili. Le racconta dunque le loro storie, con dovizia di particolari piccanti. LA BELLA ANTONIA PRIMA MONICA E POI DIMONIA di Mariano Laurenti Anno di edizione 1972 Produzione: Flora Film, National Cinematografica, Lea Film. Con Edwige Fenech, Piero Focaccia, Riccardo Garrone, Dada Gallotti, Elio Crovetto, Luciana Turina, Renato Cecilia, Romano Malaspina, Umberto D’Orsi, Tiberio Murgia, Josiane Tanzilli, Sandro Dori, Carla Mancini, Gianni Pulone, Malisa Longo, Lucretia Love. Durata: 83’. LA STORIA: Costretta dal padre a non sposare l’amato, Antonia entra in un convento che è assai simile ad un bordello ed è frequentato dai frati di un altro vicino luogo di preghiera. Qui giunge, vestito da suora, l’innamorato di Antonia. Scoperto l’intrigo, il padre della giovane acconsente finalmente al matrimonio. Una volta sposata, l’ormai smaliziata ed esperta fanciulla si dedicherà alla conquista di uomini, iniziando proprio il giorno del banchetto nuziale. I GIOCHI PROIBITI DELL’ARETINO PIETRO di Piero Regnoli Anno di edizione 1972
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Amori e avventure tra romanzo, parodia ed erotismo
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Produzione: Parf Cinematografica. Con Femi Benussi, Tony Kendall, Shirley Corrigan, Angela Covello, Rosemarie Lindt, Orchidea De Santis, Luigi Crivello, Franco Mazzieri, Luigi Montini. Durata: 94’. LA STORIA: Quattro donne finiscono davanti al giudice, condottevi da amanti e mariti con imputazioni tutte inerenti la loro infedeltà. Il giudice alla fine le assolve poiché ha capito che anche lui potrà trarre profitto dalla loro disponibilità. LE NOTTI PECCAMINOSE DI PIETRO L’ARETINO di Manlio Scarpelli Anno di edizione 1972 Produzione: Cineproduzioni Peg. Con Adriana Asti, Gianni Musy Glori, Piero Vida, Elena Veronese, Giacomo Rizzo, Lucia Modugno, Carla Mancini, Belinda Bron, Luciana Turina, Ignazio Leone, Ennio Biasciucci, Giuseppe Alotta, Franco Ferrini, Melù Valente. Durata: 98’. LA STORIA: La prostituta Longobarda, volendo avviare la figlia Prudenza al “mestiere”, durante il viaggio verso Roma, per istruirla, le racconta novelle amorose. In realtà la fanciulla non ha bisogno di ammaestramenti, poiché è già esperta e pronta a ben figuarare. RACCONTI ROMANI DI UN’EX NOVIZIA di Pino Tosini Anno di edizione 1972 Produzione: Boxer International Film. Con Francis Blanche, Gino Cervi, Tania Lopert, Karim Mayer, Ezio Sancrotti, Claudio Pellegrini, Luciana Turina. Durata: 90’. LA STORIA: Un cantastorie narra una novella (che Pietro Aretino avrebbe raccontato a Leone X) di cui è protagonista Nanna, giovane novizia che a contatto con la depravazione imperante in un convento, diventa, dopo essersi infelicemente sposata, una prostituta. Avuta una figlia, una volta adolescente, invece di avviarla alla vita religiosa, le insegna l’arte del meretricio.
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Capitolo nono
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4.3 Le (dis)avventure del Ruzzante ed altri ancora All’infuori dei tre film di apertura degli anni Sessanta, i cui argomenti sono diversi da tutti quelli che sguono, anche in questa raccolta – circoscritta al triennio 1971-73 – trova posto l’accozzaglia di film barzellettieri ambientati nel ’500 e a cui gran parte della produzione italiana di quegli anni si dedicò. La cintura di castità41 di Pasquale Festa Campanile del 1967 è un pretesto per fare quattrini mettendo insieme un cast internazionale d’eccezione accostando a Monica Vitti, Tony Curtis, Hug Griffith e John Richardson in un film in costume ricco di sfavillanti colori e privo di qualsiasi interesse; Isabella duchessa degli angeli di Bruno Corbucci del 1969 è un film di cappa e spada che gli autori tentano di rinverdire con scene di sesso e nudità. Il terzo Zenabel di Ruggero Deodato, è un film di semplici avventure, ma lo abbiamo inserito qui poiché i francesi nelle loro recensioni lo definiscono, a differenza di quanto si vede nella versione italiana, appartenente al filone eroticoporno. Nel 1971 viene prodotto un film del genere “eroticus”, La betìa, ovvero in amore, per ogni gaudenza, ci vuole sofferenza di Gianfranco De Bosio, tratto dai racconti del commediografo padovano Angelo Beolco detto il Ruzzante. «Ruzante ha molti titoli per diventare un classico di attualità. […] De Bosio tenta l’operazione spregiudicata di trapiantar(lo) nel contesto della commedia all’italiana»42, senza peraltro riuscirci. Nel 1972, sempre dal Ruzzante, viene tratto Fiorina la vacca. Il cast femminile, composto dalle seducenti e procaci fanciulle, Janet Agren, Ewa Aulin, Angela Covello, Graziella Galvani, Jenny Tamburi, ecc. è diretto senza fantasia da Vittorio De Sisti; «il repertorio è il solito: mogli insoddisfatte e vogliose, fanciulle avide di sensazioni e così via»43. Fanno seguito, sempre nel 1972, altre tredici pellicole: Racconti proibiti… di niente vestiti di Brunello Rondi; La Calandria di Pasquale Festa Campanile; Come fu che Masuccio Salernitano, fuggendo con le brache in mano, riuscì a conservarlo sano di Silvio Amadio; Confessioni segrete di un convento di clausura di Luigi Balzella; Fratello homo, sorella bona di Mario Sequi; Jus primae noctis di Pasquale Festa Campanile; Meo Patacca di Marcello Ciorciolini; Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno di Adalberto Alberini; Le monache di Sant’Arcangelo di Domenico Paolella; Quando le donne si chiamavano madonne di Aldo Grimaldi; Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda di Mariano Laurenti; Sollazzevoli storie di mogli gaudenti e di molti penitenti di Romano Gastaldi e Il tuo piacere è il mio di Claudio Racca. Mentre le tre pellicole del 1973 sono: ...e continuavano a mettere lo diavolo ne lo inferno di Adalberto Alberini; Donne e magia con satanasso in compagnia di Roberto Bianchi Montero e Fra’ Tazio da Velletri di Romano Scandariato. Non staremo qui di seguito a dar conto del “valore” di questi film, ci limiteremo a riportare alcune citazioni, le più interessanti, apparse su quotidiani e giornali del-
41 Con lo stesso titolo nel 1949 Camillo Mastrocinque realizzò un film rivista con Nino Taranto che nulla ha a che fare con l’argomento trattato in questo capitolo. 42 T. Kezich, in «Panorama», dic. 1972. 43 F.S., in «Il Secolo XIX», 1 giu. 1973.
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l’epoca. «La Calandria rivisitata da Pasquale Festa Campanile fa […] un curioso effetto. Si ride, ma senza allegria»44; a proposito di Confessioni segrete di un convento di clausura Pruzzo scrive: «Questi pochi cenni alla materia che passa sullo schermo dovrebbero chiarire a sufficienza che ci troviamo di fronte all’ennesimo prodotto del sottobosco decameronico e di un tale livello che, a confronto, le ‘osterie’ di goliardica memoria possono definirsi opere poetiche»45; mentre per Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda Roberto Chiti rincara la dose: «Ambientato nel solito Trecento, il film […] con una comicità di grana grossa e con l’ormai stucchevole esibizione di nudi integrali, cerca di riempire gli abissali vuoti narrativi dovuti ad una sceneggiatura arruffata»46. Da ultimo ...e continuavano a mettere lo diavolo ne lo inferno che è «zeppo di intermezzi che vorrebbero essere comici e sono solo deprimenti, il film è di quelli che accelerano le manie depressive»47.
44
Pietro Bianchi, in «Il Giorno», 4 gen. 1973. Piero Pruzzo, in «Il Secolo XIX», 11 dic. 1973. 46 Roberto Chiti, in «Il Lavoro», 23 dic. 1973. 47 M.P. in «Il Giorno», 1 ago. A973. 45
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Capitolo nono
LA CINTURA DI CASTITÀ di Pasquale Festa Campanile
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Anno di edizione 1967 Produzione: Julia Film. Con Monica Vitti, Tony Curtis, Hugh Griffith, John Richardson, Ivo Garrani, Nino Castelnuovo, Francesco Mulè, Franco Sportelli, Gabriella Giorgelli, Mimmo Poli, Leopoldo Trieste, Ugo Adinolfi, Dada Gallotti. Durata: 108’. LA STORIA: Boccadoro, popolana vivace e attaccabrighe, s’innamora del principe Guerrando e tanto ordisce che riesce a farsi sposare. Il marito, che deve partire per le Crociate, fa indossare alla moglie un’umiliante cintura di castità. Partito il principe, Boccadoro lo insegue e dopo un’attentato alle sue virtù da parte del sultano Ibn-El-Rashid, lo raggiunge sul campo di battaglia. Alla fine i due sposi fanno ritorno in patria. ISABELLA DUCHESSA DEI DIAVOLI di Bruno Corbucci Anno di edizione 1969 Produzione: Cinesecolo, I.N.D.I.E.F., Hape Film. Con Brigitte Skay, Mimmo Palmara, Fred Williams, Elina De Witt, Sal Borgese, Mario Novelli, Renato Baldini, Enzo Andronico, Gioia Desideri, Giacomo Furia, Loris Gizzi, Furio Meniconi, Lucia Modugno, Alberto Sorrentino, Mario De Vico, Tino Scotti. Durata: 85’. LA STORIA: Allevata dagli zingari dopo il massacro della sua famiglia, Isabella è decisa a vendicarsi di von Nutter e a riavere i suoi beni. Sfregia in volto il barone, che d’ora in poi sarà costretto a portare una maschera. Costui, dopo aver tentato di punire Isabella, è condannato a morte dagli amici di lei, ma riesce a fuggire. Isabella torna in possesso dei suoi beni e sposa il suo spasimante Gilbert. ZENABEL di Ruggero Deodato Anno di edizione 1969 Produzione: I.C.A.R., Pierson Productions, Gemini Pictures International. Con Lucretia Love, John Ireland, Lionel Stander, Nicola Mauro Parenti, Fiorenzo Fiorentini, Elisa Mainardi, Luigi Leoni, Ignazio Leone, Nassir Cortbawi, Christine Davray, Agostino De Simone, Beatrice Benzi, Carlo Pisacane. Durata: 99’. LA STORIA: Una ragazza apprende di essere figlia di un duca spagnolo ucciso da un usurpatore. Alla testa di un gruppo di agguerrite fanciulle, la giovane decide di vendicare il padre e dopo molte avventure, aiutata anche da un bandito napoletano, raggiunge il suo scopo. Detronizzato l’assassino del genitore, la coraggiosa ragazza rinuncia al trono per amore del bandito di cui si è innamorata.
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LA BETÌA, OVVERO IN AMORE, PER OGNI GAUDENZA, CI VUOLE SOFFERENZA di Gianfranco De Bosio
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Anno di edizione 1971 Produzione: Finarco, Merope Cinematografica, Kosutnjak. Con Nino Manfredi, Rosanna Schiaffino, Smoki Samardi, Mario Carotenuto, Lino Toffolo, Eva Ras, Olivera Markovic, Franco Pesce, Boban Petrovic, Claudio Trionfi. Durata: 99’. LA STORIA: Il ricco Nale è sposato con Tamia, ma è anche l’amante della prosperosa e insaziabile Betìa; Nale tenta di convincere Betìa a sposare il goffo Zilio, di lei sinceramente innamorato, promettendole di continuare a soddisfarla nel talamo. Una volta giunto alle nozze, Zilio cerca di eliminare il concorrente pugnalandolo. Nale, creduto morto, scopre che la moglie lo tradisce con Bazzarello. Infine i cinque risolveranno ogni loro problema decidendo di vivere allegramente insieme. RACCONTI PROIBITI... DI NIENTE VESTITI di Brunello Rondi Anno di edizione 1972 Produzione: Chiara Film Internazionali. Con Tina Aumont, Janert Agren, Rossano Brazzi, Barbara Bouchet, Enzo Cerusico, Magali Noël, Antonio Falsi, Silvia Monti, Leopoldo Trieste, Venantino Venantini, Karin Schubert, Monica Strebel, Mario Carotenuto, Ben Ekland, Norberto Botti, Didi Perego. Durata: 103’. LA STORIA: Il pittore ser Lorenzo, un libertino che col consenso di papa Borgia gozzoviglia in un convento di suore, riceve l’incarico di iniziare al sesso Uccio, figlio di ser Uguccione. Dopo avergli raccontato storie licenziose, Lorenzo conduce Uccio al castello di madonna Lucrezia. Il giovanotto, dopo aver appreso l’arte di amare e rubato il decreto pontificio di Lorenzo, prende il suo posto nel convento. LA CALANDRIA di Pasquale Festa Campanile Anno di edizione 1972 Produzione: Filmes Cinematografica. Con Lando Buzzanca, Salvo Randone, Agostina Belli, Cesare Gelli, Barbara Bouchet, Giusi Raspani Dandolo, Grazia Maria Spina, Mario Scaccia, Franco Fantasia, Roberto Antonelli, Toni Ucci, Ignazio Leone, Giuliana Calandra, Clara Colosimo, Stefano Oppedisano. Durata: 103’. LA STORIA: Lidio, un giovanotto famoso per le sue conquiste femminili, dopo aver sopportato la gogna, scommette col duca Ferruccio di conquistare anche Fulvia, detta Calandria, ingenua moglie del vecchio Calandro. Travestitosi da donna per sostituire una istitutrice, riesce persino a suscitare le voglie del marito, ma soprattutto conquista la giovane, cornificando il vecchio che, nella sua stupidità viene convinto di essere incinto. Ma per Lidio non tutto va per il verso giusto; inseguito per 1’ennesima malefatta, finisce per essere castrato.
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Capitolo nono
COME FU CHE MASUCCIO SALERNITANO, FUGGENDO CON LE BRACHE IN MANO, RIUSCÌ A CONSERVARLO SANO di Silvio Amadio Content accessed by Alma Mater Studiorum - Univ. di Bologna [IP address 137.204.24.180] on 03/12/2018
Anno di edizione 1972 Produzione: Domizia Cinematografica. Con Romano Bernardi, Gianni Musy Glori, Piero Lulli, Giulio Donnini, Elio Balletti, Rina Franchetti, Lina Alberti, Giorgio Favretto, Vincenzo Ferro, Dorit Henckel, Barbara Marzano, Carmen Silva, Silvio Spaccesi, Melù Valente. Durata: 94’. LA STORIA: Due buontemponi, travestendosi di volta in volta da preti, frati e finanche cardinali, truffano il prossimo o favoriscono situazioni illecite. CONFESSIONI SEGRETE DI UN CONVENTO DI CLAUSURA di Luigi Balzella Anno di edizione 1972 Produzione: C.R.C.. Con Mark Damon, Rosalba Neri, Krista Linder, Angelo Bassi, Ivana Novak, Renato Lupi, Alfredo Rizzo, Leo Valeriano, Mirella Rossi, Giuseppe Mattei, John Turner, Angela Bo. Durata: 80’. LA STORIA: Per evitare l’ira e le botte di inferociti mariti cornificati, un giovanotto è costretto a vestirsi da frate e a cercare rifugio in un convento. Qui, si rende conto con piacere che le monachelle sono preda ancor più facile delle mogli altrui frettolosamente abbandonate. FIORINA LA VACCA di Vittorio De Sisti Anno di edizione 1972 Produzione: Juma Film. Con Janet Agren, Felice Andreasi, Gastone Moschin, Ewa Aulin, Mario Carotenuto, Rodolfo Baldini, Angela Covello, Attilio Duse, Graziella Galvani, Gianni Macchia, Piero Vida, Marcello Bonini Olas, Jenny Tamburi. Durata: 103’. LA STORIA: Una vacca di nome Fiorina, che il suo proprietario Ruzante vende per raccogliere la somma necessaria per andare in guerra, passa di padrone in padrone per giungere infine nella stalla del ricco Beolco. Costui ha per amante la povera ma bella moglie di Ruzante, che porta lo stesso nome della vacca. Quando il marito torna dalla guerra, la donna si rifiuta di seguirlo, avendo trovato una sistemazione più comoda. A Ruzante non resta che ripartire per la guerra. FRATELLO HOMO, SORELLA BONA di Mario Sequi Anno di edizione 1972
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Produzione: Capitolina Produzioni Cinematografiche. Con Sergio Leonardi, Christa Nell, Nazareno Natale, Antonia Santilli, Elio Marconato, Patrizia Adiutori, Gabriella Giorgelli, Loredana Mongardi, Francesco D’Adda, Amedeo Timpani, Anna Maria Panaro, Bruna Olivieri, Andrea Padovan, Lorenzo Piani. Durata: 91’. LA STORIA: Una giovinetta è promessa sposa dal presunto padre ad un vecchio laido. Il vero padre, aiutato da monaci e monache di un convento vicino, aiutano la malcapitata, con ogni mezzo a loro disposizione, affinché possa coronare il suo sogno d’amore con il giovane che ama. JUS PRIMAE NOCTIS di Pasquale Festa Campanile Anno di edizione 1972 Produzione: Clesi Cinematografica, Verona Produzione. Con Lando Buzzanca, Renzo Montagnani, Marilù Tolo, Felice Andreasi, Toni Ucci, Paolo Stoppa, Gino Pernice, Alberto Sorrentino, Giancarlo Cobelli, Ely Galleani, Roberto Antonelli, Guido Lollobrigida, Gianni Magni, Franco Pesce, Carla Mancini. Durata: 109’. LA STORIA: Giunto al potere grazie ad un matrimonio d’interesse, Aregardo da Ficulle sottopone i suoi sudditi a ogni genere d’angheria, compreso l’esercizio del diritto allo “jus primae noctis”. Unico a contrastarlo è Gandolfo che, infine, riesce a ripagarlo con la stessa moneta, ovvero godendosi davanti a lui la nuova promessa sposa e cacciandolo dal feudo. MEO PATACCA di Marcello Ciorciolini Anno di edizione 1972 Produzione: Explorer Film ‘58, Euro International Film. Con Luigi Proietti, Enzo Cerusico, Mario Scaccia, Marilù Tolo, Rosalba Neri, Francesco Mulè, Nanda Primavera, Marco Tulli, Adriano Micantoni, Marcello Turilli, Attilio Dottesio, Aristide Caporale, Renato Cecilia, Ettore Arena, Mario Cianfarelli, Alvaro Vitali. Durata: 124’. LA STORIA: Il cavallaro di Trastevere Meo Patacca diviene suo malgrado un eroe della cristianità, grazie alle false notizie propagate da sua moglie Nuccia. Nominato crociato, Meo diventa istruttore di un gruppetto di disperati e compie imprese ingloriose che però il clero cerca di esaltare. Esortato a votare la propria vita al cristianesimo (lui anticlericale), Meo comprende finalmente di essere soltanto una pedina nelle mani della chiesa e fugge per sempre da Roma. METTI LO DIAVOLO TUO NE LO MIO INFERNO di Adalberto Albertini Anno di edizione 1972
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Capitolo nono
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Produzione: Cinemar, Esteban Cinematografica. Con Antonio Cantafora, Margareth Rose Keil, Fortunato Arena, Melinda Pillon, Mario De Vico, Antonio De Vico, Bredi Todini, Gennarino Pappagalli, Renate Schmidt, Silvana Gabor. Durata: 85’. LA STORIA: Il pittore Ricciardo, per dimostrare che portare a letto le donne altrui non è l’unico suo passatempo, si adopera affinché il suo paese, tagliato fuori dal percorso che porta i pellegrini a Roma per l’Anno Santo, riesca a trarre beneficio dalla circostanza. Il podestà non fa, però, in tempo a tributargli onori, che scopre il giovanotto a giacere con sua moglie. Condannato all’evirazione, Ricciardo è salvato da una bella nobildonna. LE MONACHE DI SANT’ARCANGELO di Domenico Paolella Anno di edizione 1972 Produzione: P.A.C. (Produzioni Atlas Consorziate), Roma; Splendida Film, Les Films Jacques Leitienne. Con Anne Heywood, Luc Merenda, Ornella Muti, Martine Brochard, Muriel Català, Claudia Gravi, Duilio Del Prete, Pier Paolo Capponi, Claudio Gora, Luigi Antonio Guerra, Gianluigi Chirizzi. Durata: 103’. LA STORIA: Secondo una regola in vigore da sempre, la superiora eletta nel convento di Sant’Arcangelo, concede al proprio casato illustre il diritto di sfruttare alcune miniere d’oro dell’America Latina. Quando la carica sta per essere assegnata per la morte della vecchia badessa, due concorrenti, madre Lavinia e madre Giulia, si combattono per la supremazia senza esclusione di colpi, giungendo fino al delitto. L’inchiesta, ordinata dall’arcivescovo di Napoli, fa luce su tutte le nefandezze e le colpevoli subiranno pene esemplari. QUANDO LE DONNE SI CHIAMAVANO MADONNE di Aldo Grimaldi Anno di edizione 1972 Produzione: Princeps, Italian International Film, Erka Cinematografica, Transeuropa, Dieter Geissler Filmproduktion. Con Edwige Fenech, Vittorio Caprioli, Don Backy, Stefania Careddu, Jurgen Drews, Paolo Turco, Antonia Brancati, Carlo De Mejo, Mario Carotenuto, Francesca Benedetti, Carletto Sposito. Durata: 94’. LA STORIA: In un tribunale si celebra il processo contro madonna Giulia rea di aver tradito il marito Romildo col focoso Mercuzio. Intanto tre giovani, giunti in città per assistere al processo, si dilettano con tre fanciulle dopo aver a lungo combattuto per conquistarle. Il processo vede infine l’assoluzione di madonna Giulia che, come ringraziamento, si concede al magistrato Cecco. QUEL GRAN PEZZO DELL’UBALDA TUTTA NUDA E TUTTA CALDA di Mariano Laurenti
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Anno di edizione 1972
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Produzione: Lea Film. Con Edwige Fenech, Pippo Franco, Karin Schubert, Umberto D’Orsi, Pino Ferrara, Alberto Sorrentino, Renato Malavasi, Renato Montalbano, Carla Mancini, Ermelinda De Felice, Ettore Arena, Gabriella Giorgelli. Durata: 91’. LA STORIA: Un giovanotto tenta ogni espediente per poter restar solo con la bella Ubalda, di cui si è invaghito. Non ci riesce e, dopo mille avventure, finisce per perdere anche la moglie. SOLLAZZEVOLI STORIE DI MOGLI GAUDENTI E DI MOLTI PENITENTI di Romano Gastaldi Anno di edizione 1972 Produzione: Transglode Italiana. Con Monica Audras, Marzia Damon, Francesca Romana Davila, Attilio Dottesio, Ari Hanow, Stefano Oppedisano, Maria Pia Regoli, Antonio Spaccatini, Gianni Ucci, Tony Askin, Giorgio Dolfin, Pasquale Fasciano, Vera Drudy. Durata: 85’. LA STORIA: 1) Lucrezia ricatta la cognata Antonia avendola scoperta insieme all’amante Ignazio e si fa pagare il silenzio dividendo con lei l’uomo. 2) Una giovane donna fa innamorare di sé il suo confessore. Lo costringe a rubare per lei le elemosine e infine rivela tutto al marito che lo evira. 3) Avaro è gelosissimo, un marito si fa tuttavia beffare dalla moglie che ospita l’amante travestito da servetta. IL TUO PIACERE È IL MIO di Claudio Racca Anno di edizione 1972 Produzione: Naxos Film. Con Ewa Aulin, Femi Benussi, Barbara Bouchet, Aldo Giuffrè, Sylva Koscina, Lionel Stander, Leopoldo Trieste, Erna Schürer, Umberto Raho, Anna Maestri, Pupo De Luca, Marisa Solinas, Giacomo Furia, Franco Corteggiani, Imelde Marani, Attilio Dottesio. Durata: 97’. LA STORIA: 1) Un abate esorta una giovane nobildonna a comportarsi in maniera lussuriosa. 2) Un cardinale, durante un pantagruelico pranzo, narra storie sconce. Una purga costringe, intanto, i commensali a precipitose fughe. 3) Una donna ha un figlio da un frate con il quale si era “divertita”. 4) Una donna spagnola, amante di un cardinale, ottiene da costui l’assoluzione per essersi concessa a re Francesco I. 5) Convocati al congresso di Costanza, numerosi prelati s’azzuffano per ottenere i favori di una donna di malaffare. 6) Un marchese si consola con una prostituta non potendo far l’amore con la moglie, amante del re. ... E CONTINUAVANO A METTERE LO DIAVOLO NE LO INFERNO di Adalberto Alberini Anno di edizione 1973
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Produzione: Spider Film, C.A.I.P. (Cinematografica Associata Internazionale Produzione). Con Antonio Cantafora, Mimmo Baldi, Renato Baldini, Rose Marie Lindt, Mario Frera, Giuliana Giuliani, Bruno Boschetti, Enzo Siniscalchi, Gennarino Pappagalli. Durata: 87’. LA STORIA: Ricciardetto, in Germania, s’innamora della figlia d’un signorotto ma scappa quando sente odor di matrimonio. Cerca di raggiungere il suo paese vestito da frate ed è ospitato in un convento di suore, con tutte le conseguenze del caso. Coinvolto in altre avventure, infine giunge a casa dove, per aver smascherato un impostore, è ricompensato con mille ducati d’oro e il titolo di barone. DONNE E MAGIA CON SATANASSO IN COMPAGNIA di Roberto Bianchi Montero Anno di edizione 1973 Produzione: Irpinia Cinematografica. Con Dada Gallotti, Enzo Biasciucci, Bruna Beani, Antonio La Raina, Sandro Dori, Antonella Dogan, Luciano Rossi, Marlene Mayer, Walter Pinelli. Durata: 95’. LA STORIA: 1) Buffalmacco vuol beffare Cecco facendogli credere che una botte si riempie di monete d’oro se dentro vi balla una donna nuda (in questo caso sua moglie...). Cecco non ci casca e si vendica. 2) Un mago sfrutta l’ingenuità di una ragazza, che vuol conoscere l’amore, per possederla insieme agli amici. La bravata porterà tutti in prigione. 3) Dopo aver celebrato it matrimonio fra una strega e il diavolo, il “sacerdote” si sostituisce a lui nel letto della sposa. 4) Un impiegato scopre che i suoi successi sul lavoro non dipendono da magia, ma dalla moglie che se la intende con il principale. 5) Un sacerdote sposa due giovani, poi si trasforma in guardone. 6) Una donna si rivolge ad un mago poiche il marito, di tanto in tanto, dimostra scarsa potenza. E quando ciò accade si consola con lui. 7) Per conquistare una maga un giovanotto si finge pederasta e chiede di essere guarito. FRA’ TAZIO DA VELLETRI di Romano Scandariato Anno di edizione 1973 Produzione: Taro Film. Con Ray O’Connor, Glauco Onorato, Christa Linder, Margaret Rose Keil, Edmondo Tieghi, Eva Gabriel, Dada Gallotti, Luciana Turina, Claudia Bianchi, Linda Sini. Durata: 90’. LA STORIA: Un buontempone che brama sedurre fanciulle si fa passare per fra’ Tazio da Velletri, che ha fama di taumaturgo, per avere facile accesso alle loro case. Questo provoca guai al vero frate che è costretto ad abbandonare l’abito. In convento ci andrà volentieri l’usurpatore, ben felice di continuare le sue “imprese” con le monache.
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Bibliografia
Per una bibliografia sul cinema italiano, si rimanda ai precedenti volumi da Il grigio e il nero. Spettacolo e propaganda nel cinema italiano degli anni Trenta a I mitici eroi. Il cinema “peplum” nel cinema italiano dall’avvento del sonoro a oggi (1930-1993), pubblicati in questa stessa collana a partire dal 1989 fino al 2006 e alle note in essi contenute. Qui di seguito si riportano, a completamento – oltre alle opere di carattere generale – solo quei testi che sono stati consultati per la stesura di questo volume, senza pretese di esaustività. Poiché il materiale bibliografico su tale genere cinematografico, pubblicato sia in epoca fascista che in epoca attuale, è estremamente scarso, si è ritenuto di elencare soprattutto il materiale utilizzato nel corso della ricerca. Opere di carattere generale e repertori ANONIMO, Segnalazioni cinematografiche, voll. I-CXLVII, Roma, Centro Cattolico Cinematografico, 1934-2009. Francesco SAVIO, Ma l’amore no. Realismo, formalismo, propaganda e telefoni bianchi nel cinema italiano di regime (1930-1943), Milano, Sonzogno, 1975. Giovanni GRAZZINI, Gli anni Sessanta in cento film, Bari, Laterza, 1977. Giovanni GRAZZINI, Gli anni Settanta in cento fllm, Bari, Laterza, 1978. Gianni RONDOLINO (a cura di), Dizionario Bolaffi del cinema italiano. 1, I registi, Torino, Giulio Bolaffi Editore, 1979. Franca FALDINI, Goffredo FOFI, L’avventurosa storia del cinema italiano, voll. I-II, Milano, Feltrinelli, 1981. Tullio KEZICH, Il mille film. Dieci anni al cinema italiano 1967-1977, Milano, Mondadori, 1983. Paolo MEREGHETTI, Dizionario dei film 1998, Milano, Baldini & Castoldi, 1997. Laura, Luisa, Morando MORANDINI, Il Morandini. Dizionario del film 1999, Bologna, Zanichelli, 1998. Roberto CHITI, Roberto POPPI, Dizionario del cinema italiano. I film dal 1945 al 1959, vol. 2, Roma, Gremese, 1991. Aldo BERNARDINI (a cura di), Archivio del Cinema Italiano. Il cinema sonoro 1930-1969, Roma, ANICA Edizioni, 1992. Roberto POPPI, Mario PECORARI, Dizionario del cinema italiano. I film, dal 1960 al 1969, vol. 3, Roma, Gremese, 1992. Gian Piero BRUNETTA, Storia del cinema italiano, voll. 2-4, Roma, Editori Riuniti, 1993. Aldo BERNARDINI (a cura di), Archivio del Cinema Italiano. Il cinema Sonoro 1970-1990, Roma, ANICA Edizioni, 1992. Roberto CHITI, Enrico LANCIA, Dizionario del cinema italiano. I film, dal 1930 al 1944, vol. 1, Roma, Gremese, 1993
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Bibliografia
Aldo BERNARDINI (a cura di), Archivio del Cinema Italiano. Il cinema Sonoro 1990-1995, Roma, ANICA Edizioni, 1995. Roberto POPPI, Mario PECORARI, Dizionario del cinema italiano. I film, dal 1970 al 1979, vol.4, tomo 1, A/L, Roma, Gremese, 1996. Roberto POPPI, Mario PECORARI, Dizionario del cinema italiano. I film, dal 1970 al 1979, vol.4, tomo 2, M/Z, Roma, Gremese, 1996. Marco GIUSTI, Dizionario dei film italiani stracult, Milano, Frassinelli, 2004. Roberto POPPI, Dizionario del cinema italiano. I film, dal 1980 al 1989, vol. 5, tomo 1, A/L, Roma, Gremese, 2000. Roberto POPPI, Dizionario del cinema italiano. I film, dal 1980 al 1989, vol. 5, tomo 2, M/Z, Roma, Gremese, 2000. Enrico LANCIA, Dizionario del cinema italiano. I film, dal 1990 al 2000, vol. 6, tomo 1, A/L, Roma, Gremese, 2001. Enrico LANCIA, Dizionario del cinema italiano. I film, dal 1990 al 2000, vol. 6, tomo 2, M/Z, Roma, Gremese, 2002. Saggi, studi critici e opuscoli Jean A.GILI, Film storico e film in costume, in Riccardo Redi (a cura di), Il cinema italiano sotto il fascismo, Venezia, Marislio, 1979. Mino ARGENTIERI, Cinema storia e miti, Napoli, Tullio Pironti, 1984. Gianfranco CASADIO, Il grigio e il nero. Spettacolo e propaganda nel cinema italiano degli anni trenta (1931-1943), Ravenna, Longo, 1989. Gianfranco CASADIO, Ernesto G. LAURA, Filippo CRISTIANO, Telefoni bianchi. Realtà e finzione nella società e nel cinema italiano degli anni Quaranta, Ravenna, Longo, 1991. Vito ATTOLINI, Immagini del Medioevo nel cinema, Bari, Dedalo, 1993. Emanuela MARTINI, Stefano DELLA CASA (a cura di), Riccardo Freda, Bergamo, Bergamo Film Meeting ’93, 1993. Gianfranco CASADIO (a cura di), Dante nel cinema, Ravenna, Longo, 1996. Gianfranco Miro GORI, Patria diva. La storia d’Italia nei film del ventennio, Firenze, La casa usher, 1998. Cinema nel Medioevo, in S. PITTALUGA, M. SALOTTI (a cura di), Cinema e Medioevo, Genova, Edizioni del DARFICLET, 2000, pp. 7-27. Massimo SCAGLIONE, Le dive del ventennio. Ingenue, maliziose, fatali o popolane ma soprattutto… italiane, Torino, Lindau, 2003. Massimo SCAGLIONE, I divi del ventennio. Per vincere ci vogliono i leoni…, Torino, Lindau, 2005.
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Indice dei film
... E continuavano a mettere lo diavolo ne lo inferno, 1973, di Adalberto Albertini, 350, 351, 357 ... E si salvò solo l’Aretino Pietro con una mano davanti e l’altra dietro, 1972, di Silvio Amadio, 347, 348 Abito nero da sposa (L’), 1945, di Luigi Zampa, 14, 20 Agi Murad. Il Diavolo Bianco, 1959, di Riccardo Freda, 243, 251 Allegri masnadieri, 1937, di Marco Elter, 318, 322 Altri racconti di Canterbury (Gli), 1972, di Mino Guerrini, 338, 339 Ambasciatore (L’), 1936, di Baldassarre Negroni, 61, 65 Antonio di Padova, 1949, di Pietro Francisci, 183, 187 Aquila Nera, 1946, di Riccardo Freda, 242, 246 Arcidiavolo (L’), 1966, di Ettore Scola, 162, 168 Arciere delle mille e una notte (L’), 1961, di Antonio Margheriti, 210, 219 Arciere di Fuoco (L’), 1970, di Giorgio Ferroni, 91, 103 Arciere nero (L’), 1959, di Pietro Pierotti, 63, 78 Aretino nei suoi ragionamenti sulle cortigiane, le maritate e... i cornuti contenti (L’), 1972, di Enrico Bomba, 347, 348 Arma Bianca, 1936, di Ferdinando M. Poggioli, 344, 345 Armata Brancaleone (L’), 1966, di Mario Monicelli, 162, 163, 168, 294, 317 Avventura di Salvator Rosa (Un’), 1940, di Alessandro Blasetti, 292, 295 Avventure dei tre moschettieri (Le), 1955, di Joseph Lerner, 109, 112
Avventure di Cartouche (Le), 1953, di Gianni Vernuccio, 90, 95 Avventure di Giacomo Casanova (Le), 1954, di Stefano Vanzina, 344, 346 Avventure di Mandrin (Le), 1951, di Mario Soldati, 293, 299 Avventure di Mary Read (Le), 1961, di Umberto Lenzi, 260, 267 Avventure e gli amori di Scaramuche (Le), 1975, di Enzo Girolami, 320, 327 Avventure e gli amori di Miguel Cervantes (Le), 1967, di Vincent Sherman, 48, 55 Avventuriero della Tortuga (L’), 1965, di Luigi Capuano, 307, 310 Badessa di Castro (La), 1973, di Armando Crispino, 139, 155 Beatrice Cenci, 1941, di Guido Brignone, 135, 140 Beatrice Cenci, 1956, di Riccardo Freda, 135, 147 Beatrice Cenci, 1969, di Lucio Fulci, 135, 152 Beffe, licenze e amori nel Decamerone segreto, 1972, di Giuseppe Vari, 330, 333 Bella Antonia prima monica e poi dimonia (La), 1972, di Mariano Laurenti, 347, 348 Bella mugnaia (La), 1955, di Mario Camerini, 161, 162, 166 Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, 1936, di Giorgio C. Simonelli, 317, 322 Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, 1953, di Mario Amendola, Ruggero Maccari, 317, 323 Bertoldo, Bertoldino, Cacasenno, 1984, di Mario Monicelli, 164, 178, 317, 318 Betìa (La), ovvero in amore, per ogni gaudenza, ci vuole sofferenza, 1971, di Gianfranco De Bosio, 350, 353 Boccaccio, 1940, di Marcello Albani, 330, 332
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362 Boccaccio, 1972, di Bruno Corbucci, 330, 333 Boia di Lilla (Il), 1952, di Vittorio Cottafavi, 108, 131 Boia di Venezia (Il), 1963, di Luigi Capuano, 118, 131 Brancaleone alle Crociate, 1970, di Mario Monicelli, 163, 172 Bravo di Venezia (Il), 1941, di Carlo Campogalliani, 117, 120 C’era una volta, 1967, di Francesco Rosi, 162, 170 Cagliostro, 1949, di Gregory Ratoff, 48, 53 Cagliostro, 1974, di Daniele Pettinari, 48, 58 Calandria (La), 1972, di Pasquale Festa Campanile, 350, 351, 353 Calde notti del Decameron (Le), 1972, di Gian Paolo Callegari, 330, 334 Calde notti di Don Giovanni (Le), 1971, di Alfonso Brescia, 344, 346 Canterbury n. 2. Nuove storie d’amore del ‘300, 1972, di John Shadow [Aristide Massacesi], 338, 339 Canterbury proibito, 1972, di Italo Alfaro, 338, 339 Capitan Demonio, 1949, di Carlo Borghesio, 293, 297 Capitan Fantasma, 1953, di Primo Zeglio, 90, 96 Capitan Fracassa, 1940, di Duilio Coletti, 90, 93 Capitan Fuoco, 1959, di Carlo Campogalliani, 63, 69 Capitan Tempesta, 1942, di Corrado D’Errico, 117, 121, 306 Capitani di ventura, 1961, di Angelo Dorigo, 63, 81 Capitano di ferro (Il), 1962, di Sergio Grieco, 63, 86 Capitano di Venezia (Il), 1951, di Gianni Puccini, 117, 125 Capitano Nero (Il), 1950, di Alberto Pozzetti, Giorgio Ansoldi, 62, 71 Cappello a tre punte (Il), 1935, di Mario Camerini, 161, 166 Caravaggio (Il pittore maledetto), 1941, di Goffredo Alessandrini, 47, 50 Cardinale Lambertini (Il), 1934, di Parsifal Bassi, 32, 35 Cardinale Lambertini (Il), 1954, di Giorgio Pastina, 32, 39 Casanova di Federico Fellini (Il), 1976, di Fe-
Indice dei film derico Fellini, 164, 177, 305 Caterina da Siena, 1947, di Oreste Palella, 182, 187 Caterina di Russia, 1962, di Umberto Lenzi, 244, 253 Caterina Sforza. La leonessa di Romagna, 1959, di Giorgio W. Chili, 138, 148 Cavaliere dai cento volti (Il), 1960, di Pino Mercanti, 63, 80 Cavaliere dalla spada nera (Il), 1956, di Laszlo Kish, 63, 74 Cavaliere del castello maledetto (Il), 1958, di Mario Costa, 63, 77 Cavaliere di Maison Rouge (Il), 1953, di Vittorio Cottafavi, 33, 38 Cavaliere inesistente (Il), 1969, di Pico Zac, 317, 325 Cavaliere misterioso (Il), 1948, di Riccardo Freda, 344, 345 Cavaliere senza nome (Il), 1941, di Ferruccio Cerio, 61, 66 Cavaliere senza terra (Il), 1958, di Giacomo Gentilomo, 90, 97 Cavalieri che fecero l’impresa (I), 2001, di Pupi Avati, 34, 64, 88 Cavalieri dalle maschere nere (I), 1947, di Pino Mercanti, 62, 68 Cavalieri del diavolo (I), 1959, di Siro Marcellini, 109, 113 Cavalieri della regina (I), 1954, di Joseph Lerner, 109, 111 Cavalla tutta nuda (Una), 1971, di Franco Rossetti, 330, 332 Cena delle beffe (La), 1941, di Alessandro Blasetti, 15, 17 Cento Cavalieri (I), 1965, di Vittorio Cottafavi, 211, 224 Cintura di castità (La), 1967, di Pasquale Festa Campanile, 350, 352 Coda del diavolo (La), 1986, di Giorgio Treves, 139, 157 Col ferro e col fuoco, 1961, di Fernando Cerchio, 243, 252 Colonna infame (La), 1972, di Nelo Risi, 138, 154 Colpo segreto di D’Artagnan (Il), 1962, di Siro Marcellini, 109, 113 Come fu che Masuccio Salernitano, fuggendo con le brache in mano, riuscì a conservarlo sano, 1972, di Silvio Amadio, 350, 354 Confessioni segrete di un convento di clausura, 1972, di Luigi Balzella, 350, 351, 354
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Indice dei film Congiura dei Borgia (La), 1958, di Antonio Racioppi, 63, 82 Congiura dei 10 (La), 1961, di Baccio Bandini, 12, 24 Conquistatore d’Oriente (Il), 1960, di Tanio Boccia, 210, 218 Conquistatore di Maracaibo (Il), 1961, di Jean Martin, 260, 267 Conte di Bréchard (Il), 1938, di Mario Bonnard, 281, 285 Conte di Matera (Il), 1957, di Luigi Capuano, 63, 75 Conte Ugolino (Il), 1949, di Riccardo Freda, 137, 145 Corsari dell’isola degli squali (I), 1972, di José Luis Merino, 262, 279 Corsaro (Il), 1970, di Antonio Mollica, 262, 277 Corsaro della mezzaluna (Il), 1957, di Giuseppe Maria Scotese, 210, 215 Corsaro Nero (Il), 1936, di Amleto Palermi, 306, 308 Corsaro Nero (Il), 1970, di Vincent Thomas [Enzo Gicca Palli], 262, 278 Corsaro Nero (Il), 1976, di Sergio Sollima, 306, 310 Cosacchi (I), 1959, di Giorgio Rivalta, 243, 251 Cyrano e D’Artagnan, 1963, di Abel Gance, 109, 114 D’Artagnan contro i tre Moschettieri, 1963, di Fulvio Tului, 109, 114 Dagobert, 1984, di Dino Risi, 318, 328 Decameron (Il), 1970, di Pier Paolo Pasolini, 163, 173, 305, 330 Decameron n. 2... le altre novelle del Boccacio, 1971, di Mino Guerrini, 330, 332 Decameron n. 3... le più belle donne del Boccacio, 1971, di Italo Alfaro, 330, 331, 333 Decameron n. 4. Le più belle novelle del Boccaccio, 1972, di Paul Maxwell [Paolo Bianchini], 330, 331, 335 Decameron proibitissimo, 1972, di Franco Martinelli [Marino Giriolami], 330, 335 Decameron ‘300, 1972, di Mauro Stefani [Renato Savino], 330, 335 Decamerone nero (Il), 1972, di Piero Vivarelli, 330, 334 Decamerone proibito (Il), 1972, di Carlo Infascelli, 330, 334 Decameroticus, 1972, di Pier Giorgio Ferretti, 330, 336
363 Dente per dente, 1943, di Marco Elter, 62, 67 Diavolo bianco (Il), 1947, di Nunzio Malasomma, 243, 247 Diavolo nero (Il), 1957, di Sergio Grieco, 63, 76 Dominatore dei sette mari [Sir Francis Drake] (Il), 1961, di Primo Zeglio, 260, 268 Don Cesare di Bazan, 1942, di Riccardo Freda, 90, 93 Don Chisciotte, 1984, di Maurizio Scaparro, 92, 106 Don Chisciotte e Sancio Panza, 1968, di Giovanni Grimaldi, 317, 325 Don Giovanni, 1942, di Dino Falconi, 344, 345 Don Giovanni, 1970, di Carmelo Bene, 162, 174, 305 Donne e magia con satanasso in compagnia, 1973, di Roberto Bianchi Montero, 250, 358 Donne e soldati, 1954, di Antonio Marchi, Luigi Malerba, 33, 40 Duca nero (Il), 1963, di Pino Mercanti, 12, 26 Due Crociati (I), 1968, di Giuseppe Orlandini, 317, 325 Due Foscari (I), 1942, di Enrico Fulchignoni, 117, 121 Due sanculotti (I), 1966, di Giorgio Simonelli, 319, 324 Due sergenti (I), 1936, di Enrico Guazzoni, 282, 284 Due tigri (Le), 1941, di Giorgio C. Simonelli, 311, 313 Duello nella Sila, 1962, di Umberto Lenzi, 294, 301 El Greco, 1966, di Luciano Salce, 48, 55 Erik il Vichingo, 1965, di Mario Caiano, 231, 240 Falco d’oro (Il), 1955, di Carlo Ludovico Bragaglia, 62, 72 Falco rosso (Il), 1949, di Carlo Ludovico Bragaglia, 62, 70 Fanciulla di Portici (La), 1940, di Mario Bonnard, 292, 295 Fanfulla da Lodi, 1940, di Carlo Duse, 61, 65 Ferdinando I re di Napoli, 1959, di Gianni Franciolini, 320, 323 Figlia del Corsaro Verde (La), 1941, di Enrico Guazzoni, 306, 308 Figlio del Capitano Blood (Il), 1961, di Tulio Demicheli, 260, 258
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364 Figlio del Corsaro Rosso (Il), 1942, di Marco Elter, 306, 308 Figlio del Corsaro Rosso (Il), 1958, di Primo Zeglio, 307, 310 Figlio della sepolta viva (Il), 1979, di Luciano Ercoli, 139, 157 Figlio di Aquila Nera (Il), 1967, di Guido Malatesta, 243, 255 Figlio di D’Artagnan (Il), 1949, di Riccardo Freda, 108, 110 Figlio di Lagardère (Il), 1952, di Fernando Cerchio, 90, 94 Finalmente... le mille e una notte, 1972, di Antonio Margheriti, 341, 342 Fiordalisi d’oro, 1935, di Giovacchino Forzano, 281, 284 Fiore delle Mille e una notte (Il), 1974, di Pier Paolo Pasolini, 163, 176, 330, 341 Fiorina la vacca, 1972, di Vittorio De Sisti, 350, 354 Flavia la monaca musulmana, 1973, di Gianfranco Mingozzi, 212, 226 Fornaretto di Venezia (Il), 1939, di John Bard, 116, 119 Fornaretto di Venezia (Il), 1963, di Duccio Tessari, 116, 132 Fornarina (La), 1944, di Enrico Guazzoni, 47, 51 Fra Diavolo, 1942, di Luigi Zampa, 281, 286 Fra’ Tazio da Velletri, 1973, di Romano Scandariato, 350, 358 Francesco giullare di Dio, 1950, di Roberto Rossellini, 184, 161 Francesco, 1989, di Liliana Cavani, 183, 189 Fratello homo, sorella bona, 1972, di Mario Sequi, 350, 354 Fratello sole sorella luna, 1971, di Franco Zeffirelli, 184, 191 Furia dei Barbari (La), 1960, di Guido Malatesta, 229, 232 Galileo, 1968, di Liliana Cavani, 48, 56 Genoveffa di Brabante, 1947, di Primo Zeglio, 136, 143 Genoveffa di Brabante, 1965, di José Luis Monter, 137, 149 Gerusalemme Liberata (La), 1957, di Carlo Ludovico Bragaglia, 210, 216 Ginevra degli Almieri, 1935, di Guido Brignone, 135, 140 Giochi proibiti dell’Aretino Pietro (I), 1972, di Piero Regnoli, 347, 348 Giordano Bruno, 1973, di Giuliano Montaldo,
Indice dei film 48, 57 Giorno del furore (Il), 1972, di Antonio Calende, 244, 256 Giovanni dalle Bande Nere, 1956, di Sergio Grieco, 14, 23 Giuliano de’ Medici, 1941, di Ladislao Vajda, 14, 19 Giustiziere dei mari (Il), 1961, di Domenico Paolella, 260, 270 Gondola del diavolo (La), 1945, di Carlo Campogalliani, 117, 123 Gordon il pirata nero, 1961, di Mario Costa, 260, 270 Gorgona (La), 1942, di Guido Brignone, 136, 143 Grande avventura di Scaramouche (La), 1970, di Piero Pierotti, 91, 104 Grande colpo di Surcouf (Il), 1967, di Sergio Bergonzelli, 261, 276 Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova veneziano, 1969, di Luigi Comencini, 162, 171, 305 Invasore (L’), 1943, di Nino Giannini, 62, 67 Invasori (Gli), 1961, di Mario Bava, 230, 234 Invincibile cavaliere mascherato (L’), 1963, di Umberto Lenzi, 91, 101 Io Caterina, 1957, di Oreste Palella, 182, 189 Io sono la Primula Rossa (Il Sanculotto), 1954, di Giorgio C. Simonelli, 319, 323 Isabella duchessa dei diavoli, 1969, di Bruno Corbucci, 350, 352 Ivan, il figlio del Diavolo Bianco, 1953, di Guido Brignone, 243, 249 Jolanda la figlia del Corsaro Nero, 1952, di Mario Soldati, 307, 309 Jus Primae Noctis, 1972, di Pasquale Festa Campanile, 350, 355 Ladro di Bagdad (Il), 1961, di Bruno Vailati, Arthur Lubin, 210, 219 Ladro di Venezia (Il), 1949, di John Brahm, 117, 124 Lancieri neri (I), 1962, di Giacomo Gentilomo, 231, 238 Leggenda di fra’ Diavolo (La), 1962, di Leopoldo Savona, 281, 287 Leggenda di Genoveffa (La), 1951, di Arthur Maria Rabenalt, 137, 146 Leone di Amalfi (Il), 1950, di Pietro Francisci, 62, 72 Leone di Damasco (Il), 1942, di Corrado D’Er-
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Indice dei film rico, 117, 122, 306 Leone di San Marco (Il), 1963, di Luigi Capuano, 118, 132 Leoni di Pietroburgo (I), 1972, di Mario Siciliano, 244, 257 Li chiamavano i tre Moschettieri... invece erano quattro, 1973, di Silvio Amadio, 319, 327 Lorenzaccio, 1951, di Raffaello Pacini, 14, 22 Lorenzino de’ Medici, 1935, di Guido Brignone, 14, 16 Lucrezia, 1968, di Osvaldo Civirani, 13, 28 Lucrezia Borgia, 1940, di Hans Hinrich, 12, 16 Lucrezia giovane, 1974, di Luciano Ercoli, 13, 29 Luisa San Felice, 1942, di Leo Menardi, 292, 296 Maestro di Don Giovanni (Il), 1953, di Vittorio Vassarotti, Milton Krims, 344, 345 Maestro Landi, 1935, di Giovacchino Forzano, 32, 35 Magnificat, 1993, di Pupi Avati, 34, 46, 64 Magnifico avventuriero (Il), 1963, di Riccardo Freda, 47, 54 Malato immaginario (Il), 1979, di Tonino Cervi, 319, 328 Mandragola (La), 1965, di Alberto Lattuada, 161, 167 Mantello rosso (Il), 1955, di Giuseppe Maria Scotese, 63, 73 Marchese del Grillo (Il), 1981, di Mario Monicelli, 294, 302 Marco Polo, 1961, di Hugo Fregonese, 33, 43 Marco Visconti, 1941, di Mario Bonnard, 15, 19 Margherita da Cortona, 1949, di Mario Bonnard, 183, 188 Maschera di Cesare Borgia (La), 1941, di Duilio Coletti, 13, 20 Masnadieri (I), 1960, di Mario Bonnard, 63, 80 Meo Patacca, 1972, di Marcello Ciorciolini, 350, 355 Meraviglie di Aladino (Le), 1961, di Mario Bava, 211, 220 Meravigliose avventure di Guerrin Meschino (Le), 1951, di Pietro Francisci, 209, 213 Mercante di schiave (Il), 1942, di Duilio Coletti, 209, 213 Mercante di Venezia (Il), 1952, di Pierre Billon, 118, 126 Mestiere delle armi (Il), 2001, di Ermanno Olmi, 15, 31
365 Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno, 1972, di Adalberto Alberini, 350, 355 Mille e una notte all’italiana (Le), 1972, di Carlo Infascelli, 341, 342 Mille e una notte... e un’altra ancora (Le), 1972, di Enrico Bomba, 341, 342 Misteri di Parigi (I), 1957, di Fernando Cerchio, 33, 41 Mistero dell’isola maledetta (Il), 1963, di Piero Pierotti, 261, 274 Monaca di Monza (La), 1947, di Raffaello Pacini, 137, 144 Monaca di Monza (La), 1961, di Carmine Gallone, 137, 150 Monaca di Monza. Una storia lombarda (La), 1968, di Eriprando Visconti, 137, 152 Monaca di Monza. Eccessi, misfatti, delitti (La), 1986, di Luciano Odorisio, 137, 158 Monache di Sant’Arcangelo (Le), 1972, di Domenico Paolella, 350, 356 Mongoli (I), 1961, di Leopoldo Savona, Riccardo Freda, 230, 235 Morgan il pirata, 1960, di Primo Zeglio, 259, 264 Moschettiere fantasma (Il), 1952, di Max Calandri, 118, 126 Moschettieri del mare (I), 1961, di Stefano Vanzina, 261, 271 Muta di Portici (La), 1952, di Giorgio Ansoldi, 292, 300 Napoleone, 1951, di Carlo Borghesio, 320, 322 Nave delle donne maledette (La), 1954, di Raffaello Matarazzo, 33, 41 Nel giorno del Signore, 1970, di Bruno Corbucci, 320, 326 Nell’anno del Signore, 1969, di Luigi Magni, 294, 296 Nome della rosa (Il), 1986, di Jean-Jacques Arnaud, 64, 87 Non ci resta che piangere, 1984, di Roberto Benigni, Massimo Troisi, 164, 179 Normanni (I), 1962, di Giuseppe Vari, 91, 98 Notte del grande assalto (La), 1959, di Giuseppe M. Scotese, 12, 25 Notte dell’Innominato (La), 1962, di Luigi Latini De Marchi, 138, 150 Notti di Lucrezia Borgia (Le), 1959, di Sergio Grieco, 12, 26 Notti peccaminose di Pietro l’Aretino (Le), 1972, di Manlio Scarpelli, 347, 349 Notti segrete di Lucrezia Borgia (Le), 1982, di Roberto Bianchi Montero, 13, 30
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Novelle galeotte d’amore (dal Decamerone), 1972, di Antonio Margheriti, 330, 336 Novelle licenziose di vergini vogliose, 1973, di Aristide Massaccesi, 330, 336 Orlando e i Paladini di Francia, 1956, di Pietro Francisci, 210, 215 Orlando Furioso, 1973, di Luca Ronconi, 212, 227 Paladini (I) - Storia d’armi e d’amori, 1983, di Giacomo Battiato, 34, 45 Paolo e Francesca, 1949, di Raffaello Matarazzo, 138, 145 Paolo e Francesca, 1969, di Gianni Vernuccio, 138, 153 Per un pugno d’eroi, 1967, di Fritz D. Umgelter, 282, 289 Pia de’ Tolomei, 1941, di Esodo Pratelli, 136, 141 Pia de’ Tolomei, 1958, di Sergio Grieco, 136, 148 Picari (I), 1987, di Mario Monicelli, 164, 180 Piombi di Venezia (I), 1953, di Gian Paolo Callegari, 118, 128 Pirata del diavolo (Il), 1963, di Roberto Mauri, 118, 129 Pirata dello Sparviero Nero (Il), 1958. di Sergio Grieco, 259, 263 Pirati dell’isola verde (I), 1969, di Ferdinando Baldi, 262, 277 Pirati della costa (I), 1960, di Domenico Paolella, 259, 260, 265 Pirati della Malesia (I), 1941, di Enrico Guazzoni, 311, 313 Pirati della Malesia (I), 1964, di Umberto Lenzi, 311, 314 Pirati di Capri (I), 1948, di Giuseppe Maria Scotese, 293, 298 Ponte dei Sospiri (Il), 1940, di Mario Bonnard, 116, 119 Ponte dei Sospiri (Il), 1964, di Piero Pierotti, 117, 130 Predoni della steppa (I), 1964, di Tanio Boccia, 231, 239 Prigioniera della torre di fuoco (La), 1952, di Giorgio W. Chili, 138, 147 Prigioniera di Amalfi (La), 1953, di Giorgio Cristallini, 293, 300 Prigioniere dell’isola del Diavolo (Le), 1961, di Domenico Paolella, 261, 272 Prigioniero del re (Il), 1954, di Giorgio Rivalta, Richard Pottier, 90, 96
Indice dei film Prima donna che passa (La), 1940, di Massimiliano Neufeld, 32, 36 Principe dalla maschera rossa (Il), 1955, di Leopoldo Savona, 63, 73 Principe ribelle (Il), 1947, di Pino Mercanti, 62, 69 Principessa Tarakanova (La), 1938, di Mario Soldati, Fedor Ozep, 242, 246 Prode Anselmo e il suo scudiero (Il), 1972, di Bruno Corbucci, 317, 326 Promessi sposi (I), 1941, di Mario Camerini, 136, 142 Promessi sposi (I), 1963, di Mario Maffei, 136, 151 Quando i califfi avevano le corna, 1973, di Amasi Damiani, 341, 342 Quando le donne si chiamavano madonne, 1972, di Aldo Grimaldi, 350, 356 Quant’è bella la Bernarda tutta nera e tutta calda, 1973, di Lucio Dandolo [Lucio Giachin], 330, 331, 337 Quattro moschettieri (I), 1963, di Carlo Ludovico Bragaglia, 319, 324 Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda, 1972, di Mariano Laurenti, 350, 351, 356 Racconti di Canterbury (I), 1972, di Pier Paolo Pasolini, 163, 174, 205, 330, 338 Racconti di Viterbury (I), 1973, di Mario Caiano, 338, 340 Racconti proibiti... di niente vestiti, 1972, di Brunello Rondi, 350, 353 Racconti romani di un’ex novizia, 1972, di Pino Tosini, 347, 349 Re Manfredi (Il), 1962, di Piero Regnoli, 231, 239 Reali di Francia (I), 1959, di Mario Costa, 33, 42 Regina dei Tartari (La), 1960, di Sergio Grieco, 229, 233 Regina di Navarra (La), 1942, di Carmine Gallone, 32, 37 Ribelle di Castelmonte (Il), 1964, di Virtunnio De Angelis, 63, 86 Rita da Cascia, 1943, di Leon Viola, 182, 185 Rivale dell’imperatrice (La), 1949, di Jacopo Comin, Sidney Salkov, 242, 248 Rivincita di Ivanoe (La), 1965, di Tanio Boccia [Amerigo Anton], 91, 102 Rivolta dei mercenari (La), 1960, di Piero Costa, 63, 81
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Indice dei film Robin Hood e i pirati, 1961, di Giorgio Simonelli, 91, 98 Robin Hood l’invincibile arciere, 1970, di José Merino, 91, 104 Rose rosse per Angelica, 1965, di Stefano Vanzina, 34, 44 Rosmunda e Alboino, 1961, di Carlo Campogalliani, 230, 236 Rugantino, 1973, di Pasquale Festa Campanile, 321, 327 Sacco di Roma (Il), 1953, di Ferruccio Cerio, 33, 39 Sandokan, 1975, di Sergio Sollima, 312, 315 Sandokan alla riscossa, 1964, di Luigi Capuano, 311, 314 Sandokan contro il leopardo di Sarawak, 1964, di Luigi Capuano, 311, 315 Sandokan la tigre di Mompracem, 1963, di Umberto Lenzi, 311, 314 Sangue a Ca’ Foscari, 1947, di Max Calandri, 117, 124 Sceicco rosso (Lo), 1962, di Fernando Cerchio, 211, 222 Scimitarra del saraceno (La), 1959, di Piero Pierotti, 210, 217 Scomunicate di San Valentino (Le), 1973, di Sergio Grieco, 139, 155 Segreto dello Sparviero Nero (Il), 1961, di Domenico Paolella, 261, 272 Sei bambine e il Perseo, 1939, di Giovacchino Forzano, 47, 50 Sepolta viva, 1973, di Aldo Lado, 139, 156 Sette fatiche di Alì Babà (Le), 1962, di Emimmo Salvi, 211, 223 Sette sfide (Le), 1961, di Primo Zeglio, 231, 237 Sette spade del vendicatore (Le), 1962, di Riccardo Freda, 91, 99 Sfida al Re di Castiglia, 1963, di Ferdinando Baldi, 91, 102 Simbad e il califfo di bagdad, 1973, di Piero Francisci, 212, 226 Sinbad contro i 7 Saraceni, 1965, di Emimmo Salvi, 211, 225 Sollazzevoli storie di mogli gaudenti e di molti penitenti, 1972, di Romano Gastaldi, 350, 357 Soldato di ventura, 1975, di Pasquale Festa Campanile, 318, 328 Sole di Montecassino (Il), 1945, di Giuseppe Maria Scotese, 182, 185 Solimano il conquistatore, 1961, di Vitroslav
367 Mimica, 211, 221 Spada del Cid (La), 1962, di Miguel Iglesias, 91, 99 Spada dell’Islam (La), 1961, di Enrico Bomba, Andrew Marton, 211, 222 Spada della vendetta (La), 1961, di Luigi De Marchi, 63, 83 Spada imbattibile (La), 1957, di Hugo Fregonese, 109, 112 Spada nell’ombra (La), 1961, di Luigi Capuano, 63, 85 Spada Normanna (La), 1970, di Roberto Mauri, 91, 105 Spadaccino misterioso (Lo), 1956, di Sergio Grieco, 63, 75 Spade senza bandiera, 1961, di Carlo Veo, 63, 83 Sparviero dei Caraibi (Lo), 1961, di Piero Regnoli, 261, 273 Sposa dei re (La), 1939, di Duilio Coletti, 282, 286 Storia del Fornaretto di Venezia (La), 1952, di Giacinto Solito, 116, 127 Storie scellerate, 1973, di Sergio Citti, 164, 175 Strogoff, 1970, di Eriprando Visconti, 244, 256 Sul Ponte dei Sospiri, 1952, di Antonio Leonviola, 117, 128 Sultana Safiyé (La), 1953, di Giuseppe Di Martino, 210, 221 Surcouf l’eroe dei sette mari, 1967, di Sergio Bergonzelli, 261, 276 Taras Bulba, il cosacco, 1963, di Ferdinando Baldi, 244, 254 Tartari (I), 1961, di Ferdinando Baldi, Richard Thorpe, 231, 237 Tempesta sul Golfo, 1943, di Gennaro Righelli, 292, 297 Terrore dei barbari (Il), 1959, di Carlo Campogalliani, 229, 232 Terrore dei mantelli rossi (Il), 1963, di Mario Costa, 244, 254 Terrore dei mari (Il), 1960, di Domenico Paolella, 260, 265 Terrore della maschera rossa (Il), 1959, di Luigi Capuano, 63, 79 Tesoro del Bengala (Il), 1953, di Gianni Vernuccio, 312, 313 Tesoro della foresta pietrificata (Il), 1965, di Emimmo Salvi, 231, 241 Tigre dei sette mari (La), 1962, di Luigi Capuano, 261, 274 Tigre è ancora viva: Sandokan alla riscossa
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368 (La), 1977, di Sergio Sollima, 311, 316 Tiranno del Garda (Il), 1954, di Ignazio Ferronetti, 15, 23 Tiranno di Padova (Il), 1946, di Max Neufeld, 32, 37 Totò contro il Pirata Nero, 1964, di Fernando Cerchio, 318, 324 Tragica notte di Assisi (La), 1960, di Raffaello Pacini, 183, 190 Tre corsari (I), 1952, di Mario Soldati, 307, 309 Tre nel Mille, 1969, di Franco Indovina, 317, 326 Trionfo di Robin Hood (Il), 1962, di Umberto Lenzi, 91, 100 Tromboni di fra’ Diavolo (I), 1962, di Giorgio Simonelli, 282, 320, 324 Tuo piacere è il mio (Il), 1972, di Claudio Racca, 350, 357 Ultima carica (L’), 1963, di Leopoldo Savona, 282, 289 Ultima cena (L’), 1948, di Luigi Giachino, 48, 52 Ultimi filibustieri (Gli), 1943, di Marco Elter, 306, 309 Ultimo dei Vichinghi (L’), 1960, di Giacomo Gentilomo, 230, 234 Uomo che ride (L’), 1966, di Sergio Corbucci, 12, 27 Uomo mascherato contro i pirati (L’), 1964, di
Indice dei film Vertunnio De Angelis, 261, 275 Vendetta del corsaro (La), 1951, di Primo Zeglio, 259, 263 Vendetta della Maschera di Ferro (La), 1961, di Francesco De Feo, 63, 84 Vendetta di Aquila Nera (La), 1951, di Riccardo Freda, 242, 248 Vendicatore (Il) (Dubrowski), 1958, di William Mieterle, 242, 250 Vendicatore mascherato (Il), 1963, di Pino Mercanti, 118, 130 Venere dei pirati (La), 1960, di Mario Costa, 260, 266 Venere imperiale, 1962, di Jean Delannoy, 282, 288 Verdi bandiere di Allah (Le), 1962, di Guido Zurli, 211, 223 Vergine per il principe (Una), 1965, di Pasquale Festa Campanile, 161, 168 Vespro Siciliano, 1950, di Giogio Pastina, 62, 70 Viaggio della sposa (Il), 1997, di Sergio Rubini, 64, 88 Viaggio di Capitan Fracassa (Il), 1990, di Ettore Scola, 90, 106 Waterloo, 1969, di Serghej Bondarciuk, 282, 290 Zenabel, 1969, di Ruggero Deodato, 350, 352
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Indice generale
Premessa
p.
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I. Le dame, i cavalier, l’arme e gli amori 1. Signorotti e tiranni Lorenzino de’ Medici, p. 16 – Lucrezia Borgia, p. 16 – La cena delle beffe, p. 17 – Giuliano de’ Medici, p. 19 – Marco Visconti, p. 19 – La maschera di Cesare Borgia, p. 20 – L’abito nero da sposa, p. 21 – Lorenzaccio, p. 22 – Il tiranno del Garda, p. 23 – Giovanni dalle Bande Nere, p. 23 – La congiura dei Borgia, p. 24 – La notte del grande assalto, p. 25 – Le notti di Lucrezia Borgia, p. 26 – Il Duca nero, p. 26 – L’uomo che ride, p. 27 – Lucrezia, p. 28 – Lucrezia giovane, p. 29 – Le notti segrete di Lucrezia Borgia, p. 30 – Il mestiere delle armi, p. 31.
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2. Storie di intrighi e di madonne Il Cardinale Lambertini, p. 35 – Maestro Landi, p. 35 – La prima donna che passa, p. 36 – La regina di Navarra, p. 37 – Il tiranno di Padova, p. 37 – Il cavaliere di Maison Rouge, p. 38 – Il sacco di Roma, p. 39 – Il Cardinale Lambertini, p. 39 – Donne e soldati, p. 40 – La nave delle donne maledette, p. 41 – I misteri di Parigi, p. 41 – I reali di Francia, p. 42 – Marco Polo, p. 43 – Rose rosse per Angelica, p. 44 – I paladini. Storia d’armi e d’amori, p. 45 – Magnificat, p. 46.
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3. Scienziati, filosofi, poeti, artisti e modelle Sei bambine e il Perseo, p. 50 – Caravaggio (Il pittore maledetto), p. 50 – La Fornarina, p. 51 – L’ultima cena, p. 52 – Cagliostro, p. 53 – Il magnifico avventuriero, p. 54 – El Greco, p. 55 – Le avventure e gli amori di Miguel Cervantes, p. 55 – Galileo, p. 56 – Giordano Bruno, p. 57 – Cagliostro, p. 58. II. Eroi di mille avventure 1. Ribellioni e vendette tra feudi e signorie nell’Italia dell’anno Mille L’ambasciatore, p. 65 – Fanfulla da Lodi, p. 65 – Il cavaliere senza nome, p. 66 – Dente per dente, p. 67 – L’invasore, p. 67 – I cavalieri dalle maschere nere, p. 68 – Il principe ribelle, p. 69 – Il Falco Rosso, p. 70 – Vespro siciliano, p. 70 – Il Capitano Nero, p. 71 – Il Leone di Amalfi, p. 72 – Il falco d’oro, p. 72 – Il mantello rosso, p. 73 – Il principe dalla maschera rossa, p. 73 – Il cavaliere dalla spada nera, p. 74 – Lo spadaccino misterioso, p. 75 – Il conte di Matera, p. 75 – Il Diavolo Nero, p. 76 – Il cavaliere del castello maledetto, p. 77 – L’arciere nero, p. 78 – Capitan Fuoco,
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370 p. 78 – Il terrore della Maschera Rossa, p. 79 – Il cavaliere dai cento volti, p. 80 – I masnadieri, p. 80 – La rivolta dei mercenari, p. 81 – Capitani di ventura, p. 81 – La congiura dei 10, p. 82 – La spada della vendetta, p. 83 – Spade senza bandiera, p. 83 – La vendetta della Maschera di Ferro, p. 84 – La spada nell’ombra, p. 85 – Il capitano di ferro, p. 86 – Il ribelle di Castelmonte, p. 86 – Il nome della rosa, p. 87 – Il viaggio della sposa, p. 88 – I cavalieri che fecero l’impresa, p. 88. 2. … e nel resto d’Europa Capitan Fracassa, p. 93 – Don Cesare di Bazan, p. 93 – Il figlio di Lagardère, p. 94 – Le avventure di Cartouche, p. 95 – Capitan Fantasma, p. 96 – Il prigioniero del re, p. 96 – Il cavaliere senza terra, p. 97 – Robin Hood e i pirati, p. 98 – I normanni, p. 98 – Le sette spade del vendicatore, p. 99 – La spada del Cid, p. 99 – Il trionfo di Robin Hood, p. 100 – L’invincibile cavaliere mascherato, p. 101 – Sfida al re di Castiglia, p. 102 – La rivincita di Ivanoe, p. 102 – L’arciere di fuoco, p. 103 – La grande avventura di Scaramouche, p. 104 – Robin Hood l’invincibile arciere, p. 104 – La spada normanna, p. 105 – Don Chisciotte, p. 106 – Il viaggio di Capitan Fracassa, p. 106.
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3. Tutti per uno Il figlio di D’Artagnan, p. 110 – Il boia di Lilla, p. 110 – I cavalieri della regina, p. 111 – Le avventure dei tre moschettieri, p. 112 – La spada imbattibile, p. 112 – I cavalieri del diavolo, p. 113 – Il colpo segreto di D’Artagnan, p. 113 – Cyrano e D’Artagnan, p. 114 – D’Artagnan contro i tre moschettieri, p. 115.
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4. All’ombra della Serenissima Il Fornaretto di Venezia, p. 119 – Il Ponte dei Sospiri, p. 119 – Il bravo di Venezia, p. 120 – Capitan Tempesta, p. 121 – I due Foscari, p. 121 – Il Leone di damasco, p. 122 – La gondola del diavolo, p. 123 – Sangue a Ca’ Foscari, p. 124 – Il ladro di Venezia, p. 124 – Il capitano di Venezia, p. 125 – Il mercante di Venezia, p. 126 – Il moschettiere fantasma, p. 126 – La storia del Fornaretto di Venezia, p. 127 – Sul Ponte dei Sospiri, p. 128 – I Piombi di Venezia, p. 128 – Il pirata del diavolo, p. 129 – Il vendicatore mascherato, p. 130 – Il Ponte dei Sospiri, p. 130 – Il boia di Venezia, p. 131 – Il Fornaretto di Venezia, p. 132 – Il Leone di San Marco, p. 132.
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III. Vittime e eroine 1. Quando le donne si chiamavano madonne Ginevra degli Almieri, p. 140 – Beatrice Cenci, p. 140 – Pia de’ Tolomei, p. 141 – I promesi sposi, p. 142 – La Gorgona, p. 143 – Genoveffa di Brabante, p. 143 – La monaca di Monza, p. 144 – Il conte Ugolino, p. 145 – Paolo e Francesca, p. 145 – La leggenda di Genoveffa, p. 146 – La prigioniera della torre di fuoco, p. 147 – Beatrice Cenci, p. 147 – Pia de’ Tolomei, p. 148 – Caterina Sforza, p. 148 – Genoveffa di Brabante, p. 149 – La monaca di Monza, p. 150 – La notte dell’Innominato, p. 150 – I promessi sposi, p. 151 – La monaca di Monza. Una storia lombarda, p. 152 – Beatrice Cenci, p. 152 – Paolo e Francesca, p. 153 – La colonna infame, p. 154 – La badessa di Castro, p. 155 – Le scomunicate di San Valentino, p. 155 – Sepolta viva, p. 156 – Il figlio della
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sepolta viva, p. 157 – La coda del diavolo, p. 157 – La monaca di Monza. Eccessi, delitti, misfatti, p. 158. IV. Il diavolo e l’acqua santa 1. Storie d’autore allegre e licenziose Il cappello a tre punte, p. 166 – La bella mugnaia, p. 166 – La Mandragola, p. 167 – Una vergine per il principe, p. 168 – L’arcidiavolo, p. 168 – L’armata Brancaleone, p. 169 – C’era una volta, p. 170 – Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova veneziano, p. 171 – Brancaleone alle crociate, p. 172 – Il Decameron, p. 173 – Don Giovanni, p. 174 – I racconti di Canterbury, p. 174 – Storie scellerate, p. 175 – Il fiore delle mille e una notte, p. 176 – Il Casanova di Federico Fellini, p. 177 – Bertoldo, Bertoldino, Cacasenno, p. 178 – Non ci resta che piangere, p. 179 – I pìcari, p. 180.
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2. Per amore di Cristo Rita da Cascia, p. 185 – Il sole di Montecassino, p. 185 – Caterina da Siena, p. 187 – Antonio di Padova, p. 187 – Margherita da Cortona, p. 188 – Francesco Giullare di Dio, p. 189 – Io Caterina, p. 189 – La tragica notte di Assisi, p. 190 – Fratello sole sorella luna, p. 191 – Francesco, p. 191.
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V. Avventure orientali 1. Crociati, saraceni, predoni e saladini Il mercante di schiave, p. 213 – Le meravigliose avventure di Guerrin Meschino, p. 213 – La sultana Safiyé, p. 214 – Orlando e i paladini di Francia, p. 215 – Il corsaro della Mezzaluna, p. 215 – La Gerusalemme liberata, p. 216 – La scimitarra del saraceno, p. 217 – Il conquistatore d’Oriente, p. 218 – L’arciere delle mille e una notte, p. 219 – Il ladro di Bagdad, p. 219 – Le meraviglie di Aladino, p. 220 – Solimano il conquistatore, p. 221 – La spada dell’Islam, p. 222 – Lo sceicco rosso, p. 222 – Le sette fatiche di Alì Babà, p. 223 – Le verdi bandiere di Allah, p. 223 – I cento cavalieri, p. 224 – Sinbad contro i sette saraceni, p. 225 – Flavia la monaca musulmana, p. 226 – Simbad e il califfo di Bagdad, p. 226 – Orlando furioso, p. 227.
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VI. I figli del Nord e della steppa 1. Dai ghiacci del Nord al gelo della steppa Il terrore dei barbari, p. 232 – La furia dei barbari, p. 232 – La regina dei Tartari, p. 233 – L’ultimo dei Vichinghi, p. 234 – Gli invasori, p. 234 – I Mongoli, p. 235 – Rosmunda e Alboino, p. 236 – Le sette sfide, p. 237 – I Tartari, p. 237 – I lancieri neri, p. 239 – Il re Manfredi, p. 239 – I predoni della steppa, p. 239 – Erik il vichingo, p. 240 – Il tesoro della foresta pietrificata, p. 241.
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2. Viva lo Zar, abbasso lo Zar La principessa Tarakanova, p. 246 – Aquila Nera, p. 246 – Il Diavolo Bianco, p. 247 – La rivale dell’Imperatrice, p. 248 – La vendetta di Aquila Nera, p. 248 – Ivan, il figlio del Diavolo Bianco, p. 249 – Il vendicatore (Dubrowski), p. 250 – Agi Murad - Il Diavolo Bianco, p. 251 – I cosacchi, p. 251 – Col ferro e col fuoco, p. 252 – Caterina di Russia, p. 253 – Taras Bulba il cosacco, p. 254 – Il terrore dei mantelli rossi,
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p. 254 – Il figlio di Aquila Nera, p. 255 – Strogoff, p. 256 – Il giorno del furore, p. 256 – I leoni di Pietroburgo, p. 257. VII. Gli ultimi avventurieri 1. Storie di pirati e corsari La vendetta del corsaro, p. 263 – Il pirata dello Sparviero Nero, p. 263 – Morgan il pirata, p. 264 – I pirati della costa, p. 265 – Il terrore dei mari, p. 265 – La venere dei pirati, p. 266 – Le avventure di Mary Read, p. 267 – Il conquistatore di Maracaibo, p. 267 – Il dominatore dei sette mari (Sir Francis Drake), p. 268 – Il figlio del capitano Blood, p. 269 – Il giustiziere dei mari, p. 270 – Gordon il pirata nero, p. 270 – I moschettieri del mare, p. 271 – Le prigioniere dell’Isola del Diavolo, p. 272 – Il segreto dello Sparviero Nero, p. 272 – Lo Sparviero dei Caraibi, p. 273 – La Tigre dei sette mari, p. 274 – Il mistero dell’isola maledetta, p. 274 – L’uomo mascherato contro i pirati, p. 275 – Surcouf l’eroe dei sette mari, p. 276 – Il grande colpo di Surcouf, p. 276 – I pirati dell’Isola Verde, p. 277 – Il corsaro, p. 277 – Il Corsaro Nero, p. 278 – Il corsari dell’isola degli Squali, p. 279.
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VIII. Da Napoleone alla breccia di Porta Pia 1. La rivoluzione francese e Napoleone Fiordalisi d’oro, p. 284 – I due sergenti, p. 284 – Il conte di Bréchard, p. 285 – La sposa dei re, p. 286 – Fra’ Diavolo, p. 286 – La leggenda di Fra’ Diavolo, p. 287 – Venere imperiale, p. 288 – L’ultima carica, p. 289 – Per un pugno d’eroi, p. 289 – Waterloo, p. 290.
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2. Ribellioni e sommosse negli Stati preunitari Un’avventura di Salvator Rosa, p. 295 – La fanciulla di Portici, p. 295 – Luisa San Felice, p. 296 – Tempesta sul golfo, p. 297 – Capitan Demonio, p. 297 – I pirati di Capri, p. 298 – Le avventure di Mandrin, p. 299 – La muta di Portici, p. 300 – La prigioniera di Amalfi, p. 300 – Duello nella Sila, p. 301 – Nell’anno del Signore, p. 301 – Il marchese del Grillo, p. 302.
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IX. Amori e avventure tra romanzo, parodia ed erotismo 1. Emilio Salgari tra pirati e corsari 1.1. Il ciclo dei pirati delle Antille Il Corsaro Nero, p. 308 – La figlia del Corsaro Verde, p. 308 – Il figlio del Corsaro Rosso, p. 308 – Gli ultimi filibustieri, p. 309 – Jolanda la figlia del Corsaro Nero, p. 309 – I tre corsari, p. 309 – Il figlio del Corsaro Rosso, p. 310 – L’avventuriero della Tortuga, p. 310 – Il Corsaro Nero, p. 310.
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1.2. Il ciclo dei pirati della Malesia I pirati della Malesia, p. 313 – Le due tigri, p. 313 – Il tesoro del Bengala, p. 313 – Sandokan, la Tigre di Mompracem, p. 314 – I pirati della Malesia, p. 314 – Sandokan alla riscossa, p. 314 – Sandokan contro il Leopardo di Sarawak, p. 315 – Sandokan, p. 315 – La Tigre è ancora viva: Sandokan alla riscossa, p. 316.
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2. Non ci resta che ridere Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, p. 322 – Allegri masnadieri, p. 322 – Napoleone, p. 322 – Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, p. 323 – Io
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sono la Primula Rossa, p. 323 – Ferdinando I Re di Napoli, p. 323 – I tromboni di Fra’ Diavolo, p. 324 – I quattro moschettieri, p. 324 – Totò contro il Pirata Nero, p. 324 – I due sanculotti, p. 324 – Don Chisciotte e Sancho Panza, p. 325 – I due crociati, p. 325 – Il cavaliere inesistente, p. 325 – Tre nel mille, p. 326 – Nel giorno del Signore, p. 326 – Il prode Anselmo e il suo scudiero, p. 326 – Li chiamavano i tre moschettieri… invece erano quattro, p. 327 – Rugantino, p. 327 – Le avventure e gli amori di Scaramouche, p. 327 – Soldato di Ventura, p. 328 – Il malato immaginario, p. 328 – Dagobert, p. 328. 3. Gli imitatori della trilogia pasoliniana 3.1. I decamerotici Boccaccio, p. 332 – Una cavalla tutta nuda, p. 332 – Decameron n. 2… Le altre novelle del Boccaccio, p. 332 – Decameron n. 3… Le più belle donne del Boccaccio, p. 333 – Beffe, licenze e amori nel Decamerone segreto, p. 333 – Boccaccio, p. 333 – Le calde notti del Decameron, p. 334 – Il Decamerone nero, p. 334 – Il Decamerone proibito, p. 334 – Decameron n. 4. Le più belle novelle del Boccaccio, p. 335 – Decameron proibitissimo, p. 335 – Decameron ’300, p. 335 – Decameroticus, p. 336 – Novelle galeotte d’amore (dal Decamerone), p. 336 – Novelle licenziose di vergini vogliose, p. 336 – Quant’è bella la Bernarda tutta nera e tutta calda, p. 337.
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3.2. I canterburiani Gli altri racconti di Canterbury, p. 339 – Canterbury n. 2. Nuove storie d’amore del ’300, p. 339 – Canterbury proibito, p. 339 – I racconti di Viterbury, p. 340 .
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3.3. Le “notti” oltre il mille Finalmente… le mille e una notte, p. 342 – Le mille e una notte all’italiana, p. 342 – Le mille e una notte… e un’altra ancora, p. 342 – Quando i califfi avevano le corna, p. 342.
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4. Altre storie sollazzevoli 4.1 Nuove storie di Don Giovanni e Casanova Arma bianca, p. 345 – Don Giovanni, p. 345 – Il cavaliere misterioso, p. 345 – Il maestro di Don Giovanni, p. 345 – Le avventure di Giacomo Casanova, p. 346 – Le calde notti di Don Giovanni, p. 346.
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4.2. Ragionando con l’Aretino … e si salvò solo l’Aretino Pietro con una mano davanti e l’altra dietro, p. 348 – L’Aretino nei suoi ragionamenti sulle cortigiane, le maritate e… i cornuti contenti, p. 348 – La bella Antonia prima monica e poi dimonia, p. 348 – I giochi proibiti dell’Aretino Pietro, p. 348 – Le notti peccaminose di Pietro l’Aretino, p. 349 – Racconti romani di un’ex novizia, p. 349.
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4.3. Le (dis)avventure del Ruzzante ed altri ancora La cintura di castità, p. 352 – Isabella duchessa dei diavoli, p. 352 – Zenabel, p. 352 – La Betìa, ovvero in amore, per ogni gaudenza, ci vuole sofferenza, p. 353 – Racconti proibiti… di niente vestiti, p. 353 – La Calandria, p. 353 – Come fu che Masuccio salernitano, fuggendo con le brache in mano, riuscì a conservarlo sano, p. 354 – Confessioni
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374 segrete di un convento di clausura, p. 354 – Fiorina la vacca, p. 354 – Fratello homo, sorella bona, p. 354 – Jus primae noctis, p. 355 – Meo Patacca, p. 355 – Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno, p. 355 – Le monache di Sant’Arcangelo, p. 356 – Quando le donne si chiamavano madonne, p. 356 – Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda, p. 356 – Sollazzevoli storie di mogli gaudenti e di molto penitenti, p. 357 – Il tuo piacere è il mio, p. 357 – … e continuavano a mettere lo diavolo ne lo inferno, p. 357 – Donne e magia con Satanasso in compagnia, p. 358 – Fra’ Tazio da Velletri, p. 358. Bibliografia
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Indice dei film
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Finito di stampare nel mese di dicembre 2010 per A. Longo Editore in Ravenna da Tipografia Moderna
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