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Italian Pages 855 Year 1989
Collezione di Elettrotecnica ed Elettronica (I volumi con l'asterisco sono pubblicati; gli altri in preparazione)
Piano della Co/lezione: 1. FRANCESCO BAROZZI e FERDINANDO GASPARINI, Fondamenti di elettrotec-
nica: elettromagnetismo* 2. GIUSEPPE BroRCI, Fondamenti di elettrotecnica: circuiti* 3. FILIPPO C!AMPOLINI, Fondamenti di elettrotecnica: macchine elettriche (tomo I*; tomo II) 4. ERCOLE DE CASTRO, Fondamenti di elettronica: fisica elettronica ed elementi di teoria dei dispositivi* 5. _-, Fondamenti di elettronica: circuiti elettronici 6 ..· GUIDO = \ \ \
jjj lvi_.°'
'Pv
V
dv3
è la velocità media delle cariche, cosiddetta di migrazione, velocità che, nelle ipotesi fatte, è praticamente costante in A t. La densità di corrente complessiva J si ottiene sommando la [I-2,11] su tutte le specie; si ha quindi, per la densità di corrente complessiva:
[I-2, 13] valgono ovviamente anche le: [I-2,14]
e
per l'intensità di corrente e per la carica che attraversano una superficie orientata S. Osserviamo che la [l-2,13] rende conto di come possa ave·rsi corrente in una situazione che sia, come suol dirsi, «neutra», nella quale si abbia I:es=O. Tipico è il caso in cui si ha a che fare con due specie,· l'una positiva, di densità e+, e l'altra negativa e_ tali che e+ +e_ = O; la J è in questo caso: [I-2,15] per cui, per avere J ;:i= O con e+ + e,.. = O basterà che < v + >
;:i=
< v_ > .
§ I-2]
Corrente elettrica e sua intensità. Densità di corrente
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È quanto si verifica nei metalli e negli elettroliti (1) dove la corrente (detta di conduzione) è dovuta allo scorrimento relativo tra specie diverse sostenuto, come meglio vedremo nel Capitolo III, da campi di forze. Si può mostrare, inoltre, che la formulazione della densità di corrente tramite lo spazio delle fasi comprende, oltre ai casi della convezione e della conduzione, anche quelli in cui il flusso di cariche delle singole specie è dovuto a disuniforme densità (correnti di diffusione) (2). Possono
(1) Ricordiamo in proposito che nei metalli la conduzione viene interpretata con la migrazione di elettroni nell'ambito del reticolo atomico in un regime fortemente collisionale, migrazione prodotta in generale da un campo di forze. Essa è consentita agli elettroni che, in relazione agli stati energetici che possono loro competere in assenza di campo secondo le regole quantistiche, possono subire l'azione del campo, e, come meglio vedremo nel Capitolo III, migrare nel reticolo senza risentire dei legami con gli atomi rispettivi (vengono detti perciò elettroni liben). Ci si riconduce così al modello grossolano del «gas di elettroni liberi» che, sotto l'azione del campo, è interessato da un movimento di insieme ostacolato dalle collisioni tra gli elettroni e gli atomi del reticolo stesso. L'ordine di grandezza per la densità degli elettroni liberi nei metalli è di 1023 / cm3, mentre quello della velocità di migrazione è delle frazioni di mm/s per densità di corrente dell'ordine degli A/mm2 • Nelle soluzioni elettrolitiche la conduzione è data dalla migrazione in versi opposti, per effetto di un campo di forze, degli ioni di specie diversa (positivi e negativi) nei quali si dissociano le molecole del soluto interagendo con quelle del solvente. In un gas si può avere corrente solo se vi è attivato un processo di ionizzazione: di rimozione, cioè, di uno o più elettroni dagli atomi, per effetto di collisioni con altri atomi o ioni e con elettroni di sufficiente energia, ovvero in conseguenza dell'assorbimento di fotoni; la conduzione in un gas ionizzato è quindi costituita fondamentalmente dalla migrazione, sotto l'azione di un campo, di elettroni e di ioni. L'ordine di grandezza della densità dei portatori di entrambi i segni di un gas fortemente ionizzato (plasma) a pressione e temperatura ordinarie è 1019/ cm3 • Ricordiamo, a proposito della conduzione nei gas, che talvolta la condizione di neutralità non è rispettata: si è, come suol dirsi, in regime di carica spaziale con densità Q + + Q- :;,t. O. Più complesse sono le modalità con cui viene interpretata la conduzione nei materiali semiconduttori (come cristalli di silicio e di germanio con addittivi di varia natura); ritorneremo più avanti su questo argomento (vedi Capitolo III) e rimandiamo comunque il lettore all'opera di E. DE CASTRO: Fondamenti di Elettronica, di questa Collana, per una trattazione esauriente. Ricordiamo, infine, che non può aversi praticamente corrente quando gli elettroni, per passare dagli stati energetici caratteristici dei loro legami con gli atomi a quelli che consentirebbero la conduzione, necessitano di sollecitazioni eccedenti quelle prodotte dai campi di usuale intensità (è quanto si verifica negli isolanti solidi - come il vet_ro, la carta, la mica ecc., liquidi- come gli oli minerali, e gassosi - come l'aria ed i gas nobili in assenza di agenti ionizzanti; vedi Cap. II a pag. 127).
(2) Tipico è il caso di un gas ionizzato (o di un semiconduttore) nel quale vi sia, appunto, una disuniforme distribuzione di portatori in agitazione termica; l'analisi di questo caso mostra che il flusso di cariche è diretto in senso contrario al gradiente di concentrazione ed è a questo proporzionale.
26
Le sorgenti dei campi elettrici e magnetici
[Cap. I
aversi, inoltre, casi in cui la velocità media della singola specie valutata con la [I-2,12] è diversa da zero, mentre è nulla la velocità mediata nel tempo della singola particella; ciò avviene per le correnti di magnetizzazione (vedi I-4). Queste, come si vedrà, a loro volta rientrano nella formulazione data per la densità di corrente che ci appare, quindi, dotata di larga generalità. Quando si sia in presenza di cariche legate in aggregati dipolari, la [I-2,13] può rendere conto, come si vedrà in (I-5), anche delle correnti dovute alla polarizzazione elettrica variabile nel tempo e al movimento di distribuzioni di dipoli (correnti di polarizzazione). Con riferimento a cariche di una data specie distribuite su una superficie I: (con densità superficiale e:d e su questa in moto con velocità media < ur; > radente a I:, possiamo senz'altro considerare la corrispondente densità di corrente superficiale: [I-2,16] che ha le dimensioni di una densità di corrente per metro lineare. Consideriamo su I: un arco AB di una linea 'Y, e sia v il versore punto per punto normale a 'Y radente a I: e di verso arbitrario; l'intensità della corrente superficiale (per la specie considerata) che attraversa l'arco AB secondo il verso di v è data dalla: [I-2,17] Se vi sono più specie in moto si applicano anche in questo caso le considerazioni svolte per le distribuzioni volumetriche; vale ovviamente una relazione analoga alla [I-2,14] tra la carica che attraversa l'arco AB di 'Y secondo v nell'intervallo t 1 + t2 e l'intensità della corrente. Va messo in luce che la linea 'Y attraversata da ir; ('y) può rappresentare l'intersezione tra la superficie I: e un'altra superficie orientata I:*; in tal caso la I:* è attraversata in corrispondenza di AB da una corrente di intensità ±ir; (con il segno + se il versore v ha componente positiva secondo v*). Osserviamo inoltre che una situazione descritta in termini di densità di corrente superficiale ha carattere di singolarità quando la si consideri come situazione limite per la densità di carica e la relativa densità di corrente. Concludiamo la presentazione su scala macroscopica delle correnti legate al moto delle cariche illustrando come viene schematizzata una distribuzione lineare di cariche di una certa specie di densità f/-y~che migra · lungo una curva 'Y con velocità media < u'Y > ; la situazione viene descritta con un vettore funzione di punto su 'Y e a questa tangente:
§ I-2]
Corrente elettrica e sua intensità. Densità di corrente
27
[I-2,18] vettore che ha le dimensioni di una intensità di corrente. La curva può venire orientata ad arbitrio con un versore tangente t 7 e si può considerare senz'altro l'intensità della corrente «in un punto» P della linea così orientata: [I-2,19] Anche in questo caso, se vi sono più specie in moto l'intensità di corrente complessiva si ottiene sommando i contributi delle varie specie; vale anche qui, ovviamente una relazione analoga alla [I-2,14] tra la carica che «attraversa il punto» considerato, secondo il verso di t 7 , nell'intervallo t 1 + t 2 e l'intensità della corrente. Va messo poi in evidenza che il punto P può essere l'intersezione della linea 'Y con una superficie orientata I:*; in tal caso la I:* è attraversata in corrispondenza di P da una corrente di intensità ±i7 (con il segno + se il versore t 7 ha componente positiva secondo v*). Osserviamo infine che anche una situazione descritta in termini di corrente lineare (corrente filiforme) ha carattere di singolarità quando la si considera in un modello nel quale le cariche e le correnti sono definite per il tramite delle corrispondenti densità volumetriche.
I-3. Dipoli magnetici e loro distribuzioni Una corrente filiforme i7 che percorre una curva chiusa 'Y (arbitrariamente orientata) di dimensioni trascurabili nella scala macroscopica costituisce, come suol dirsi, un dipolo magnetico amperiano elementare "puntiforme" (1) (fig. I-3.1). Sia LiS il vettore d'area comune a tutte le superfici orlate da 'Y (2), con orientamento congruente con quello di 'Y secondo la regola del cavatap-
(1) Tale denominazione trova giustificazione nel fatto che le azioni magnetiche prodotte da una spiralina percorsa da corrente coincidono, a parte un fattore, con quelle prodotte da un magnete naturale di piccole dimensioni; dette azioni, come illustreremo in dettaglio nel Capitolo IV, sono analoghe a quelle elettriche prodotte da un dipolo elettrico di momento allineato con quello del dipolo magnetico come appresso definito. È sottinteso che l'intensità i1 ha ugual valore in tutti i punti di -y.
(2) Si dimostra facilmente che data una curva chiusa -y il vettore d'area S = JlsdS è il medesimo per ogni superficie avente 'Y per contorno.
28
Le sorgenti dei campi elettrici e magnetici
[Cap. I
LlS
Fig. 1-3.1. Dipolo magnetico amperiano elementare.
pi (1); si chiama momento magnetico del dipolo il vettore: [I-3,1]
Am=i1 AS
il cui verso, osserviamo, è indipendente dall'orientamento arbitrario assegnato a 'Y ma si rovescia con l'inversione del riferimento (perciò si dice che Am è uno pseudo-vettore). Tale definizione si applica senz'altro anche a un percorso di dimensioni qualsiasi interessato uniformemente dalla corrente i7 : il suo momento magnetico è senz'altro:
[I-3,2]
Analogamente a quanto abbiamo visto nel caso dei dipoli elettrici possiamo concepire un continuo di dipoli magnetici (2); cioè considerare la (1) Tale posizione implica l'usuale assunzione di un riferimento diretto (vedi Al1). Se il riferimento è inverso, il vettore d'area è opposto a quello ora considerato.
(2) Ricordiamo che i momenti magnetici su scala microscopica possono essere ascritti sia alle orbite elettroniche attorno ai nuclei sia intrinsecamente ai singoli elettroni di massa me e carica - e. Una semplice analisi mostra che il rapporto (detto giromagnetica) tra il momento magnetico e il momento angolare (momento della quantità di moto) vale -e/2me nel caso delle orbite; le esperienze (S.J. BARNETI, 1914; A. EINSTEIN e W .J. DE HAAs, 1915; O. STERN e W. GERLACH, 1922) indicàno il valore -e/me per il rapporto giromagnetica riferito al momento angolare intrirzseco (spin). Il momento angolare orbitale è quantizzato (ipotesi di N. BoHR, 1913) secondo multipli interi di-lf= h/2ir dove h =6.62161 8 • 10- 34 joule·s è la costante che M. PLANK (1858-1947) individuò (1900) per la quantizzazione energetica del corpo nero, e che divenne fondamentale per la fisica quantistica. Lo spin è a sua volta quantizzato secondo h/2; risultano pertanto quantizzati anche i momenti magnetici, entrambi secondo multipli di m 8 =-fr(el2me). In base ai valori della massa e della carica elettronica (vedi pag. 16) si ha m 8 = 9.27408· 10- 24 A ·m2 (magneto_ne di Bohr). Ritorneremo (Capitolo IV) sul comportamento macroscopico della materia polarizzata magneticamente.
§ I-3]
Dipoli magnetici e loro distribuzioni
29
somma dei momenti magnetici dei dipoli contenuti in un volumetto fisicamente infinitesimo per giungere, in analogia con [I-1,5], alla: [I-3 ,3]
om=Mor
per il momento om del volumetto elementare or. Il vettore M è funzione, in generale, del punto,e del tempo ed ha le dimensioni di una corrente riferita a una lunghezza (Alm); viene denominato momento magnetico specifico (1). È concepibile anche una distribuzione superficiale di dipoli magnetici per la quale il momento associato all'areola oI: è: [I-3,4]
momento magnetico superficiale specifico. Se Mr; è un vettore normale a I: avente lo stesso modulo in tutti i punti di questa superficie si ha, in I:, un doppio strato magnetico uniforme o, come si suol dire, una lamina magnetica. Le dimensioni fisiche di Mr; sono quelle di una corrente. Il valore di tale corrente esprime la potenza della lamina. te azioni a distanza prodotte dalle correnti e dai dipoli magnetici saranno affrontate a partire dal Capitolo IV, dedicato all'elettromagnetismo in regime stazionario. e Mr; è il
I
I-4. Distribuzioni di cariche e di correnti equivalenti alle distribuzioni di dipoli (elettrici e magnetici)
Nei prossimi Capitoli metteremo in evidenza il dato di esperienza consistente nel fatto che le azioni a distanza prodotte dalle cariche e dalle correnti sono linearmente dipendenti da queste, ed osserveremo che la dipendenza lineare sussiste anche tra le azioni a distanza prodotte dai dipoli (elettrici o magnetici) e i loro momenti; passando allora alla consi(1) Si tratta, in realtà, di uno pseudovettore (infatti, secondo quanto abbiamo detto in sede di definizione di ~m, il verso di M si rovescia con l'inversione del riferimento da direti;o a inverso).
30
Le sorgenti dei campi elettrici e magnetici
[Cap. I
derazione degli effetti prodotti dalle distribuzioni volumetriche caratterizzate dalle funzioni vettoriali P ed M faremo intervenire, quali sorgenti di azioni a distanza, i momenti dei dipoli elementari contenuti in determinati volumi, ciascuno dei quali avrà un suo momento complessivo:
oppure
jjjvMdr.
In questo paragrafo mostreremo che tali momenti complessivi possono essere riferiti, anziché alle distribuzioni di dipoli, a distribuzioni volumetriche e superficiali di cariche (o di correnti nel caso magnetico) che diremo equivalenti, avvertendo che l'equivalenza va intesa esclusivamente ai fini della valutazione del momento (elettrico o magnetico) complessivo. Ci si rende subito conto che, ove ciò sia possibile per qualsiasi volume (anche fisicamente infinitesimo) della regione di interesse, le azioni a distanza prodotte dai dipoli contenuti nel volume che si considera potranno essere calcolate assumendo come sorgenti le cariche o le correnti equivalenti e sfruttando formalismi più semplici di quelli basati sulle sorgenti dipolari. Si aggiunga, inoltre, che le distribuzioni equivalenti consentiranno di assimilare agevolmente il comportamento della materia polarizzata (elettricamente o magneticamente) nei modelli matematici che esprimono le azioni (elettriche o magnetiche) delle distribuzioni volumetriche e superficiali di cariche «libere» (non legate, cioè, da legami dipolari) e di correnti «vere» (dovute cioè a migrazioni effettive di cariche; migrazioni che non si verificano, come abbiamo visto, nelle regioni interessate da distribuzioni di M). Le funzioni vettoriali M e P si assumono generalmente continue. Le eventuali superfici di discontinuità si indicano, al solito, con 2:; sono tipiche quelle che delimitano le regioni occupate da materia polarizzata. Su ogni~ la discontinuità si suppone data tramite la divergenza o il rotore superficiale (vedi [AT-3,11] e [Al-3,16]). Pertanto, se [P] = P 2 - P 1 e [M] = M 2 M 1 sono i «salti» di Pedi M attraverso 2: orientata (con il suo versore ni:;) dalla faccia i alla 2, si scrive senz'altro: [I-4,1]
e
e si nota che queste espressioni sono diverse da zero quando vi siano, rispettivamente, discontinuità nelle componenti normali di P e tangenziali
§ I-4]
Distribuzioni equivalenti di cariche e di correnti
31
di M. Si osserva inoltre che la divr: P è omogenea con una densità superficiale di carica, e che il rotr: M è ùn vettore radente a I: omogeneo con una densità superficiale di corrente (1). Nelle regioni di regolarità per P e M, la div P ed il rot M si possono senz'altro considerare grandezze
omogenee con una densità volumetrica di carica e con una densità di corrente, rispettivamente. Con queste premesse sviluppiamo la questione dell'equivalenza separatamente per P ed M, avvertendo che le considerazioni che seguono implicano un frequente riferimento alle proprietà dei campi vettoriali in genere; tali proprietà sono state raccolte e sinteticamente illustrate in una apposita Appendice che, pertanto, va intesa, in relazione agli espliciti richiami, come parte integrante del testo. In particolare, ai fini che ora ci interessano, è necessario rifarsi ai teoremi generalizzati della divergenza e di Stokes (vedi [Al-3,12] e [Al-3,171).
Consideriamo un insieme di regioni polarizzate elettricamente e sia S una superficie che le racchiude sviluppandosi laddove P è nullo; nel volume V racchiuso da Svi siano, in generale, superfici I: di discontinuità per le componenti normali di P (vedi fig. 1-4.1 dove sono state evidenziate, quali superfici I:, quelle che delimitano le regioni polarizzate). Tenendo presente il teorema della divergenza nella forma generalizzata (vedi [Al-3,121) possiamo scrivere (2):
[l-4,2]
(1) Il quadro andrebbe completato introducendo, accanto alla divi; P, il rati; P e, accanto al rati; M, la divi; M. Particolare rilievo assume quest'ultima, come vedremo; precisiamo tuttavia che la considerazione di tali grandezze non è richiesta ai fini delle equivale~e che qui ci interessano. Notiamo subito che sullà superficie ~ che delimita una regione V polarizzata, la div E P è formalmente costituita da una densità superficiale di carica pari a -Pn se Pn è la componente di P normale a~ uscente da V. Nel caso magnetico il rati; M è formalmente costituito da una densità di corrente superficiale e cioè da un vettore radente a ~. di modulo uguale a quello del componente tangente M, di Me diretto in modo.da formare con M, ed ni; una terna ortogonale diretta (vedi fig. I-4.1 per il caso elettrico e, più avanti, la fig. I-4.2 per il caso magnetico). (2) Abbiamo fatto intervenire il segno - per ragioni di opportunità in relazione al risultato finale (vedi [I-4,4] e [I-4,5]).
32
[Cap. I
Le sorgenti dei campi elettrici e magnetici
fP]
G)
r· I
✓/--.:::-...:- ..... ,
-
= -P,
div,:,P=n,:,·(-P 1)= -P~;
(!,:,=
-div,:,P=P~
div,:,P=n,:,·(-P,)= -P:;;
(!,:,=
-div,:,P=P:;
= -P: er1= -er:.
p~ \
o.i;,
Fig. I-4.1. Regione polarizzata elettricamente in modo uniforme; divergenze superficiali dì P sulle superfici di discontinuità per Pn (vedi anche pag. 30).
dove il primo termine, che indichiamo con Qp del campo microscopico valutato in un volumetto fisicamente infinitesimo centrato nel punto. Non ci soffermiamo sulle delicate analisi che portano a questa conclusione ma riteniamo utile, comunque, svolgere alcune semplici considerazioni che aiutano la comprensione del legame enunciato tra i campi E0 ed < Emicr > . Consideriamo anzitutto una distribuzione di N cariche puntiformi uguali di densità finita in una sfera fisicamente infinitesima di volume .6. V. Ciascuna carica (di valore q e di posizione r;) produce nella sfera un campo il cui valore medio E;cm> nella sfera di raggio .6.R è facilmente calcolabile e vale (vedi A3-21):
1 { )
Vedi D.
GRAFFI,
1972, pag. 99 e sgg.
Teoria matematica dell'elettromagnetismo, Patron, Bologna,
§ II-3]
Proprietà del c. e. prodotto da più cariche puntiformi
59
sommando su tutte le N cariche contenute in .6. V si ottiene, per il valore medio del campo da esse prodotto: ~E-< >=_!!_ 'm L::.V
(--1 ~ r.) 3so
'
=_!?_ N
(--1 ~ r.) . 3so
'
Si riconosce, a questo punto, che il modulo di questa espressione è senz'altro infinitesimo (infatti nella sfera di raggio L::.R al crescere di N la I~ r;I si mantiene inferiore a N· L::.R). Al campo infinitesimo suddetto si affianca il contributo, mediato nel volumetto .6. V, del campo Eest prodotto dalla distribuzione di carica esterna a .6. V; in base a quanto esposto è questo il contributo prevalente, e si dimostra che il valor medio di Eest coincide con il valore del campo effettivo prodotto dalla distribuzione esterna nel centro della sfera; ed è proprio questo il campo E 0 che si calcola tramite l'integrale [II-3,7] con il procedimento al limite a suo tempo indicato. Si ha dunque E 0 = < Emicr> con riferimento al volumetto sferico fisicamente infinitesimo; è possibile estendere la dimostrazione ad un volumetto di forma generica. Vedremo l'importanza di queste considerazioni quando esamineremo il campo prodotto dagli aggregati dipolari, quando cioè si sia in presenza di distribuzioni di cariche positive e negative. Le [II-3,8] e [II-3,9] individuano pertanto v ed E 0 in tutto lo spazio nelle ipotesi fatte (1); analisi ulteriori, che omettiamo, portano a riconoscere le seguenti importanti proprietà: a) il potenziale elettrostatico dato dalla [II-3,9] è continuo e ammette
dappertutto derivate prime continue (anche sulle superfici attraverso le quali e presenta discontinuità di prima specie); b) il campo elettrostatico E 0 dato dalla [II-3,8] è continuo dappertutto; e) la (E0 = - grad v) si applica dappertutto; d) nelle regioni in cui e, oltre che continua, è anche derivabile, esistono, continue, le derivate seconde div (2) rispetto ad x, y, z e pertanto esistono, continue, le derivate rispetto ad x, y, z di Box, Boy ed Boz• Da tutto ciò segue l'estensione al campo E 0 dovuto ad una distribu(1) La funzione
e sia limitata e generalmente continua.
(2) Dobbiamo osservare che, a tal fine, non è sufficiente la continuità di e; precisiamo d'altro canto che la condizione di derivabilità è inutilmente restrittiva. Per la derivabilità delle componenti di E 0 basta che e soddisfi a una particolare condizione (di Holder, vedi A2-9); le derivate di tali componenti risultano, in tal caso, continue.
60
Il campo elettrostatico
[Cap. II
zione volumetrica, delle proprietà illustrate per le cariche puntiformi. Vale cioè la [II-3,2], e si può senz'altro affermare che il campo elettrostatico è dappertutto conservativo: la sua circuitazione per una linea chiusa qualunque è dunque nulla, ossia: [II-3,10]
Nelle regioni in cui E 0 è regolare (continuo insieme con le derivate delle sue componenti) è senz'altro concepibile il rot E 0 e si ha senz'altro (teorema di Stokes, vedi [Al-3,15]):
I
[II-3,11]
rot E 0 =0
il campo E 0 è dunque irrotazionale e ciò in armonia con l'identità: rot (grad)=O (1). Si può infine aggiungere che vale per E 0 il teorema di Gauss nella forma [II-3,6]. Infatti con riferimento ad una superficie chiusa qualsiasi S si dimostra immediatamente che il flusso di E 0 uscente da S è proporzionale alla carica q = V Q d T situata all'interno del volume V contenuto e delimitato da S. Basta, a tal fine, considerare il flusso come composto dei flussi elementari prodotti dalle cariche puntiformi infinitesime Q d T, e si ha:
m
[II-3,12] in virtù del principio di sovrapposizione. In base alla definizione di divergenza Al-3b è immediato, a questo punto, riconoscere che nelle regioni in cui Q è nulla il campo E~ è a divergenza nulla, cioè solenoidale; nelle regioni in cui Q è continua si ha senz'altro: [II-3,13]
div E 0 =!?_ So
(1) La continuità di E 0 fa sì che il rot E0 definito come in A2-3 (in base al limite del rapporto tra circuitazione ed area) è concepibile (ed è nullo) anche nei punti in cui le derivate delle componenti sono discontinue (sulla superficie di discontinuità per e).
§ II-3]
Proprietà del c. e. prodotto da più cariche puntiformi
61
Poiché E 0 = - grad v, risulta:
[11-3, 14]
div (gradv) =
Q
che in coordinate cartesiane si scrive:
[11-3,15]
La funzione potenziale data dalla [11-3,3] soddisfa dunque all'equazione di Poisson (vedi Al-9). Soddisfa quindi all'equazione di Laplace [11-2,9] (ed è pertanto armonica) nelle regioni in cui Q = O (2). In via generale la determinazione del campo prodotto da una distribuzione volumetrica di carica è richiesta per due tipi di problemi: 1) la distribuzione Q essendo nota dappertutto, si richiede il calcolo del campo in un dòminio esteso all'intero spazio. In questo caso si procede partendo dal calcolo della funzione potenziale [11-3,9] e, quale passo successivo, calcolandone il gradiente (vedi [11-3,8]); 2) la distribuzione Q è assegnata all'interno di una regione limitata, e della v si conoscono i valori al contorno di tale regione, ovvero, sempre sul contorno, i valori della derivata normale. Secondo quando illustrato in Al-11 questo problema risulta analiticamente ben posto; implica in genere l'unicità della soluzione delle equazioni di Laplace o di Poisson e, negli aspetti che maggiormente interessano i nostri scopi, si presenta nelle formulazioni di Dirichlet o di Neumann (pag. 602).
Ritorneremo sul punto 2 più avanti (vedi paragrafo 11-8) anche per la sua rilevanza fisica, particolarmente significativa nel caso in cui la co(1) Ciò vale senz'altro laddove e è continua e derivabile; la condizione di derivabilità è peraltro inutilmente riduttiva ferma restando la continuità (vedi nota (1) a pag. 59). (2) La forma omogenea della [II-3,15] era stata stabilita nel 1785 da P.S. LAPLACE per il potenziale del campo gravitazionale; si devono a S.D. Po1ssoN (1813) le impostazioni per il campo elettrostatico. Nello stesso anno, come già ricordato, K.F. GAUSS dimostrò il teorema della divergenza. Si deve poi a G. GREEN (1828) una prima sistemazione complessiva.della fisica-matematica del campo elettrostatico.
62
Il campo elettrostatico
[Cap. II
noscenza di v sul contorno è dovuta alla «equipotenzialità» delle superfici di conduttori circondati da materiali isolanti. Qui vogliamo peraltro evidenziare che le equazioni di Poisson e di Laplace rivestono f ondamentale importanza nei riguardi dei problemi relativi ai campi elettrici statici e, come vedremo a tempo debito, dei campi magnetici in regime stazionario; è pertanto indispensabile, per approfondire le tematiche relative, ricorrere alle proprietà delle funzioni armoniche e alle tecniche di soluzione delle equazioni proposte, in relazione alle condizioni al contorno poste dalla particolare configurazione fisica. Gli aspetti principali di tali questioni sono stati da noi raccolti nell'Appendice Al (par. da 6 a 10) che costituisce senz'altro parte integrante del testo. Molte sono le trattazioni esaurienti di tale argomento, classico della fisica-matematica; particolarmente approfondita è senz'altro quella data da O.D. KELLOG (1). Ritorneremo comunque sul problema con maggiore generalità nel paragrafo II-8, come abbiamo già detto.
II-4. Proprietà del campo elettrostatico prodotto da distribuzioni superficiali di carica. Capacità Consideriamo nello spazio vuoto una distribuzione superficiale di carica caratterizzata dalla densità QE su una superficie I:. L'importanza pratica di tali strati semplici di carica risiede nel fatto che, come meglio vedremo in seguito (pag. 67), sui corpi conduttori in equilibrio elettrostatico la carica è distribuita sulle superfici, e che anche gli isolanti possono ricevere cariche superficiali; ricordiamo, inoltre, quanto illustrato in [I-4] sulla possibilità di ricondurre gli effetti di una discontinuità di P attraverso I: a quelli della presenza su I: di una opportuna QE•
Il campo E0 è senz'altro esprimibile, se la superficie si sviluppa alfinito, tramite la funzione potenziale:
[II-4,1]
V
(P) = ke
rr Jh
QE
(Q) d L,Q
rQP
dei cui simboli è noto. il significato. (1) O.D. KELLOG: Foundation of potential theory, Springer, Berlin, 1967, ristampa della prima edizione del 1925. ·
§ II-4]
Campo prodotto da distribuzioni superficiali di carica
63
Si riconosce facilmente che la [11-4,1] definisce una v (P) che è armonica al di fuori di I; e continua attraverso I:. Tale circostanza implica anche la continuità, attraverso I:, delle derivate di v secondo direzioni tangenti a I:; si ha pertanto la continuità delle componenti del campo tangenti a I:. Si riconosce altresì la seguente proprietà fondamentale del campo di semplice strato: la componente Eon secondo la normale a I: non è continua attraverso I: e la discontinuità è proporzionale a QI> Tale proprietà si rivela (vedi fig. II-4.1) applicando il teorema di Gauss ad un cilindretto discoidale con le basi ÀI: 1 e ÀI: 2 addossate ad un elemento ÀI:; se n è il versore della normale orientato dalla pagina 1 a quella 2, il flusso di E 0 uscente dalle basi del cilindretto vale (Eo,_,, -E0 ,.) ÀI:, e coincide (a parte il fattore 1/s0), conia carica racchiusa dal cilindretto stesso.
Si ha, in definitiva:
[11-4,2]
Ricordando la definizione di divergenza superficiale [Al-3,11], si può scrivere:
[11-4,3]
Fig. 11-4.1. Campo attraverso uno strato superficiale di densità Q,. nel vuoto; si ha la continuità delle componenti t~genziali mentre le componenti normali sono discontinue:
E2n-E1n= 12 1/eo.
64
Il campo elettrostatico
[Cap. II
relazione che estende la [II-3,13] al caso dello strato semplice. Tenendo conto della continuità della componente tangenziale si può scrivere, in luogo di [II-4,2]: [II-4,4]
il vettore che esprime la discontinuità del campo è dunque normale alla superficie (1) ed è concorde o discorde con il versore a seconda del segno di QI;In base alle considerazioni svolte siamo in grado di dimostrare che è. possibile distribuire una carica Q.i:; su una superficie chiusa I: in modo che I: sia equipotenziale, e che ciò si attua in un unico modo. Si consideri a tal fine la funzione armonica v* che assume su I: un valore unitario (v; = 1) ed ha un comportamento normale all'infinito (tenda a zero almeno come R- 1); tale funzione è univocamente determinata secondo Dirichlet (vedi Al-11), ed è costante entro I:. Essa è sostenuta da una carica Q; distribuita su I: con la densità Q; = - s0 av* I an (2). Si può ora distribuire su I: la carica assegnata Q.i:; ·con la densità er: = e; Qr;I Q; e si consegue senz'altro quanto si voleva: il potenziale di I: assume a sua volta il valore, univocamente determinato:
~
[II-4,5]
~-
Si riconosce altresì che ogni altra distribuzione superficiale della ca-
(1) Se ne traggono alcune importanti particolarità, fra cui: a) una carica uniformemente distribuita su una superficie piana infinitamente estesa produce nei due semispazi un campo uniforme ad essa normale tale che: E0
=
-E0
(Il=
ei:/(2 s0)·n; (n orientato da 1 a 2);
b) nel caso in cui da una parte di I: (per fissare le idee su I: 1) il campo è nullo, si ha dall'altra parte E0 = (ei/ s0 ) n; tale valore dipende, come si vede, soltanto dal valore di eE nel punto considerato. Ricordando che E0 = - grad v, si ha dunque per la derivata di v secondo la normale nei punti aderenti a I: nel vuoto: [II-4,4] -dv/dn= e1:ls0 • (2) Tale derivata va valutata nei punti esterni a I: nelle immediate prossimità di questa. Si noti che el è positiva.
§ II-4]
Campo prodotto da distribuzioni superficiali di carica
65
rica assegnata QE non è compatibile con l'equipotenzialità di I: (1). Con tale dimostrazione abbiamo evidenziato l'importanza che assume la grandezza costituita dalla carica globalmente distribuita su I: quando il potenziale di questa assume il valore unitario. La denominiamo definitivamente con CE e si ha:
[II-4,6]
CE=
i (- &o aanv*) d I;
'1l' E
si tratta, come abbiamo visto di una grandezza che dipende esclusivamente dalla geometria della superficie I:. È immediato, a questo punto, riconoscere che la carica QE che compete a I: quando il suo potenziale (ossia la tensione tra I: e l'infinito), assume il valore VE è data dalla: [II-4,7]
QE=CE VE
, ,
nella quale il coefficiente positivo CE è, lo ripetiamo, indipendente da QE e da VE in quanto determinato solo dalla geometria di I:. Il coefficiente CE viene denominato capacità di I: rispetto all'infinito. Nel Sistema Internazionale l'unità di misura per la capacità è il farad (2) (simbolo F) corrispondenfe al rapporto coulomb/volt; nel medesimo sistema il valore di &0 si esprime in farad/metro, e il numero indicato in [II-1,3] è appunto riferito a questa unità (in unità gaussiane la capacità si esprime in centimetri; lF=cJmis· 10- 9 cm). Passiamo ad alcuni esempi.
a) per una superficie sferica di raggio rE la capacità CE si calcola immediatamente. La simmetria della configurazione impone infatti la seguente espressione, valida esternamente a I:, per la funzione armonica che assume valore unitario su I: (e, ovviamente nei punti interni
a I:):
v*= 1 ·__:::_rr-r
[11-4,8]
,
(1) La differenza tra due distribuzioni caratterizzate dalla stessa carica complessiva è una distribuzione che dà luogo, su I:, a cariche di segno opposto il che è incompatibile con la equipotenzialità di I: nel campo prodotto esclusivamente da tali cariche.
(2) In onore di M.
FARADAY
(1791-1867).
66
[Cap. II
Il campo elettrostatico
per cui, in base alla [Il-4,6]:
[II-4,9]
La capacità di una sfera è dunque proporzionale al suo raggio (Clrr,=100 pF/m). Notiamo, per inciso, che la capacità della sfera terrestre è di circa 600 microfarad e che una sferetta di 2 cm di diametro ha la capacità di circa 1 pF (1 picofarad= 10- 12 F). b) Per-una superficie generata dalla rotazione di una ellisse attorno all'asse maggiore (ellissoide allungato) si perviene alla: [Il-4,10]
I Cr,=41rs0 ✓a2-b 2 [In (a+ ✓a 2 -b 2) b- 1- I , 1
1
dove a e b sono rispettivamente i semiassi maggiore e minore dell'ellisse. Se a ;i,>- b si può assumere: [II-4,11] Per a -+ b si riottiene la capacità della sfera. Le superfici equipotenziali sono a loro volta ellissoidi di rotazione generate da ellissi confocali a quella che genera I:. c) Per una superficie generata dalla rotazione dell'ellisse precedente attorno all'asse minore (ellissoide schiacciato) si perviene alla:
[II-4,12]
Per b
-+
[II-4,13]
O si ottiene la capacità di un disco di raggio a: c(disco)
= 8 So a
I.
Questi e altri esempi sono trattati in dettaglio nell'Appendice A3.
§ II-4]
Campo prodotto da distribuzioni superficiali di carica
67
Ritorneremo più avanti su queste questioni; ricordiamo però senz'altro che il caso astratto appena descritto corrisponde a quanto accade in pratica quando si conferisce ad un corpo conduttore una carica QE e lo si lascia isolato nello «spazio vuoto» di costante dielettrica s0 • La carica QE si distribuisce sulla superficie in modo da annullare il campo all'interno mentre tutto il corpo assume un potenziale definito, VE, rispetto all'infinito. Si costituisce, come suol dirsi, un equilibrio elettrostatico per il caso considerato; sulle forze che, in tali condizioni, agiscono sulle cariche (e, pertanto, sulle superfici) si dirà J:!el paragrafo II-12. L'importanza del concetto di capacità deriva dal suo impiego ricorrente e dalle notevoli generalizzazioni. Ci basta per ora sottolineare, con riferimento al caso illustrato, che la conoscenza di CE risolve sia il problema di determinare il potenziale assunto da I: quando su di essa viene distribuita una carica assegnata, sia il problema inverso di determinare la carica una volta assegnato il potenziale di I: rispetto all'infinito. L'osservazione sembra banale ma, come vedremo più avanti, serve ad impostare gli analoghi problemi nel caso di più corpi conduttori.
II-5. Campo dei dipoli puntiformi. Interazioni tra dipoli puntiformi Consideriamo nel ruolo di sorgente elementare un dipolo «puntiforme» di momento op q·oh e sia oEP il campo che esso produce nello spazio vuoto; campo che è senz'altro armonico dappertutto tranne nel punto O in cui è collocato il dipolo (vedi fig. II-5.1). Per calcolare oEP ci si può valere sia della funzione potenziale scalare v sia della funzione potenziale vettore A seguendo la procedura descritta in nota (1).
(1) Sia q·f (r0) la funzione (ad esempio il potenziale scalare, una componente del potenziale vettore o del campo, ecc ... ) che esprime l'azione che ci interessa in P 0 della carica q centrata in O. L'azione in P 0 del dipolo è data senz'altro da:
tale espressione conduce a presentare l'azione del dipolo puntiforme di momento lìp=q·lìh con la combinazione lineare delle componenti di lìp:
a1I
a1I
--
OX
P=Po
Òpx-/ìy
òfl
Òpy-P=Po
OZ
/ìp_ . 4
P=Po
68
Il campo elettrostatico
[Cap. II
Tale procedimento porta al quadro riepilogativo seguente (1):
con [11-5,1] con
L'espressione di oEp, con riferimento ai simboli della fig. 11-5.1 (nella quale l'as~e del dipolo coincide con l'asse z) è la seguente:
[11-5,2]
q -O -q
Fig. II-5.1. Dipolo «puntiforme» centrato nell'origine; composizione dei campi e·versori di riferimento.
(1) L'uguaglianza tra - grad ovP e rot oAP si può anche vedere riconoscendo che ovP e oAP possono essere fatti derivare da un unico campo oU = op/r tramite le: e
Si ha senz'altro rot (rot oU) = grad (div oU) e, in definitiva, l'uguaglianza suddetta.
§ II-5]
Campo dei dipoli puntiformi
69
z
equipotenziali
Fig. II-5.2. dipolo.
Linee di flusso(---) e tracce delle superfici equipotenziali per il campo di
nella figura (II-5.2) sono rappresentate le linee vettoriali del campo oEP' Vale anche la: [II-5,2'] Vanno subito notate, per le funzioni scalari e vettoriali suddette, le loro simmetrie rispetto all'asse del vettore op (l'asse z di figura) e le loro dipendenze dar (i potenziali decrescono come r- 2 e il campo come r- 3 ) e da rJ (che interviene con le funzioni cosrJ e senrJ sulle componenti radiali e meridiane, rispettivamente). Osserviamo poi che un dipolo elementare immerso in un campo elettrico uniforme E0 è soggetto ad una coppia il cui momento oC rispetto a un polo qualsiasi è dato dalla: [II-5,3]
oC=opXE0
tale coppia tende ad allineare il dipolo concordemente al campo. Se questo non è uniforme la [II-5,3] esprime ancora il momento risultante delle forze agenti sul dipolo rispetto al punto in cui è centrato il dipolo stesso;
70
Il campo elettrostatico
[Cap. II
sul dipolo viene esercitata anche una forza che vale: [II-5,4]
oF=(op·V)Eo
I (1)
Il momento delle forze (rispetto a un polo generico O) agenti sul dipolo situato in r è dato dalla:
oC=rXo F+op xE0 Un dipolo di prova fornisce quindi informazioni non solo sul valore del campo ma anche su come esso varia nell'intorno del punto su cui è collocato; un dipolo allineato concordemente col campo viene «risucchiato» verso le zone di campo più intenso. Quanto appena riferito ci porta a considerare l'azione a distanza di più dipoli puntiformi collocati nello stesso punto come dovuta in prima approssimazione a un dipolo il cui momento è la somma (vettoriale) dei singoli momenti. Va però osservato che a un momento risultante nullo non corrisponde, in via rigorosa, un campo risultante nullo; lo si potrebbe vedere considerando aggregati di dipoli dotati di particolari simmetrie (quadripoli, ottupoli) per i quali il campo si può valutare «differenziando» opportunamente il campo della struttura immediatamente più semplice. Risultano per il potenziale dipendenze del tipo r- a 1: le linee di E vengono deviate rispetto alla normale allontanandosi da questa. Avvertiamo sin d'ora che l'ipotesi ei::=0 sulle superfici di discontinuità tra dielettrici di caratteristiche diverse in una configurazione elettrostatica non può, in pratica, ritenersi ammissibile. Il punto sarà ripreso nel prossimo paragrafo, nel quale vedremo come la ei:: è determinata dalle conducibilità (ancorché modestissime) dei mezzi coinvolti.
86
Il campo elettrostatico
[Cap. II
La soluzione del modello presentato non è in generale di semplice individuazione, ed è resa difficile dal fatto che non si conosce la distribuzione di P ma soltanto il legame che, tramite la suscettività dielettrica, viene stabilito fra P ed E (tale legame viene poi trasferito, per comodità, in quello fra D ed E). Approfondiremo le cose nel prossimo paragrafo. Assai più complessa è la situazione nel caso di dielettrici anisotropi, a proposito della quale ci limitiamo a dire che nel caso di linearità il legame fra D ed E è costituito da tre relazioni scalari lineari (tra ciascuna componente di De le tre componenti di E). I coefficienti su formano una matrice simmetrica e sono le componenti del tensore dielettrico (vedi in Al-21 un cenno introduttivo alle analisi tensoriali.) (1).
(1) Nei riguardi del comportamento dei materiali dielettrici ci siamo limitati a richiamare gli aspetti che confluiscono nella considerazione, in elettrostatica, del modello lineare e isotropo. Vogliamo però sin da ora precisare che le considerazioni svolte non sono sufficienti per la interpretazione di quanto accade in regime dinamico (campi variabili nel tempo) e, inoltre, sono ben lungi dall'esaurire, sia pure schematicamente, la complessa fenomenologia dei materiali dielettrici (vedi, per un quadro schematico complessivo, RosTAGNI, op. cit., voi. Il, pag. 128 e sgg.; dove vengono in particolare descritti i principali fenomeni di ferroelettricità, piroelettricità e piezoelettricità). Riteniamo utile, peraltro, fornire i dati delle costanti dielettriche relative di alcune sostanze:
Quarzo Mica Vetro pyrex Porcellana Carta Resina fenolica (bachelite) Carta impregnata Polietilene Nylon Alcoli · Acqua (20°C) Olio per trasf. Aria (p = 1 atm)
4,3 5,7+6,5 4,0+6,0 2,7+2,9 2,0+2,5 5,7+7 3,2+3,8 1,6+2,4 3,7+5,5 =30 80 2,2 1,00059
Particolarmente delicata è la determinazione della costante dielettrica per i buoni conduttori; il suo valore, peraltro, non si scosta apprezzabilmente da •quello dello spazio vuoto. Su tali argomenti ritorneremo sommariamente a pag. 125 e nel paragrafo VIII-8.
§ II-8]
Soluzioni del modello dell'elettrostatica
87
II-8. Soluzioni del modello dell'elettrostatica Per la corretta impostazione, e quindi per la ricerca della soluzione dei problemi della elettrostatica nel caso lineare e isotropo, costituisce fondamentale premessa l'aver individuato se e sotto quali condizioni si ha l'unicità per la soluzione stessa. È agevole trattare sotto questo aspetto il caso del campo in una regione V, contenente mezzi polarizzabili e sorgenti distribuite con densità e, racchiusa da una superficie I: sulla quale è assegnato (a meno di una costante) il valore ·Vi: del potenziale o quello della componente normale del campo. Si dimostra infatti che per due campi E 1 ed E 2 , che entro I: ammettono le stesse sorgenti, si ha in generale (posto AE=E2-E1, AD=D2-D1, AV=V2-Vi): [II-8,1] e nelle condizioni da noi ipotizzate l'integrale di destra è nullo (1). La proporzionalità tra AE e AD comporta dunque: [II-8,2]
HL IAEl
2
dr=O ,
il che può verificarsi allora e solo che sia, in ogni punto di V, A E= O; la soluzione è pertanto unica (2). Con tali premesse assume evidente significato la determinazione, sia pure attraverso procedimenti particolari, di soluzioni per il modello [II7, 13] in base ad assegnate condizioni di contorno. Il modello [II-7, 13] è stato formulato esplicitando le funzioni vettoriali E e D. Ponendo E= grad v si passa alla formulazione per il poten(1) Per lo scalare (Av·AD) si ha infatti (vedi Al-39): div (Av·AD)= =Av·div (AD)-AE·AD e, nel nostro caso, div (AD)=O per la coincidenza delle sorgenti di D 2 e D 1; applicando il teorema della divergenza si ottiene J:a [II-8,1]. Se è assegnato il potenziale, su I: si ha poi A v = cost e l'identità delle sergenti comporta ADn·dI:=0; se è assegnata la componef\te normale si ha direttamente ADn=O.
fE
(2) Ciò vale anche nel caso non lineare purché la relazione tra D ed E sia monotona. Il fatto poi che nella regione considerata vi siano superfici di discontinuità per e non altera la conclusione, come si può mostrare ricorrendo alla generalizzazione del teorema della divergenza e al modello [II-7,13] che coinvolge la divergenza superficiale di D.
88
Il campo elettrostatico
[Cap. II
ziale; questo deve soddisfare l'equazione: [Il-8,2 ']
div(s gradv) = -
Q
(1)
con le prescritte condizioni al contorno. Diamo in nota un cenno di raccordo con gli sviluppi analitici conseguenti, che sono presentati in Appendice. Qui ci limitiamo a presentare taluni aspetti che riteniamo particolarmente istruttivi e significativi per le applicazioni. Un primo insieme di problemi è costituito dai casi in cui sono assegnate le sorgenti al finito (con distribuzioni volumetriche o superficiali) e il mezzo è caratterizzato da una costante dielettrica s (x, y, z) funzione continua e derivabile. Se il mezzo è omogeneo, la soluzione è immediata in quanto essa coincide con quella dello spazio vuoto per il campo del vettore D (2) e si ha senz'altro:
[ II-8,3]
~ ~
Osserviamo inoltre che per assegnate distribuzioni spaziali di s simili fra loro, il campo E è inversamente proporzionale ai valori che s assume nel punto considerato. Il fattore di capacità, definito in [II-4,10] come rapporto tra la carica distribuita su una superficie equipotenziale I; e la tensione Vi: tra questa e l'infinito, è dato a sua volta dalla: [II-8,4]
Cr; = Sr Cor;
I,
(1) Classico è pertanto il problema di determinare il potenziale in una regione note le sorgenti in essa contenute, la distribuzione spaziale di s, e i valori del potenziale o della sua derivata normale sulla frontiera. Particolare rilievo assumono i procedimenti basati sulle funzioni ausiliarie di Green, (vedi Al-11,5) che riguardano il caso di mezzo uniforme e, pertanto, la soluzione dell'equazione di Laplace (sorgenti nulle) o di Poisson. I problemi relativi (di Dirichlet o di Neumann a seconda che sul contorno sia specificato il potenziale o la sua derivata normale) sono presentati in Al11 per quanto riguarda l'impostazione analitica; esempi sono sviluppati nell' A3. (2) Nel modello [II-7,13] basta eseguire la sostituzione E=D/s (con s=costante) nelle espressioni dei rotori di E; ne risulta, per D, un modello che non dipende da s.
§ II-8]
Soluzioni del modello dell'elettrostatica
89
ove Co;; è il valore assunto nel caso dello spazio vuoto. Poiché sr è sempre maggiore dell'unità si ha un incremento della capacità quando si è in presenza di un dielettrico materiale; vale a dire che, a parità di tensione, la carica assunta dalla superficie I: è maggiore di quella che si ha nel caso del vuoto (o dell'aria) (1). Quando il dielettrico non è omogeneo è opportuno anzitutto riconoscere come si sviluppa la disomogeneità rispetto al campo che si avrebbe in condizioni omogenee, per esempio nel vuoto (E0). Caratterizzata la non omogeneità con i! vettore grads (o con grad s- 1 a seconda dei casi) ci si rende conto agevolmente che è molto semplice (e significativo per le applicazioni) trattare il caso in cui i gradienti suddetti e il campo E 0 sono paralleli; quando cioè le superfici a s= cost sono anche equipotenziali del campo E 0 • Prescindiamo, per il momento, da superfici di discontinuità, e teniamo presente l'irrotazionalità di E=D/s. Tenendo conto di Al-40, si ha in generale:
[II-8,5]
1s
(1)s XD=O
D rot-=-rotD+grad -
s
il modello per D può essere pertanto presentato, in generale, come segue:
div D=e [II-8,6]
rot D
==:: -
s grad ( : ) x D
Sia D 0 la soluzione del caso omogeneo (div D 0 = Q; rot D 0 = O); se D0 e grad 1/ s sono paralleli il campo D 0 costituisce la soluzione (che è unica) (1) Va osservato sin d'ora che, in concreto, il campo elettrico non può superare nei dielettrici valori oltre i quali la proprietà isolante è compromessa (vedi II-14) e ciò si riflette nei valori delle tensioni sopportabili; anticipiamo inoltre che l'energia delle configurazioni elettrostatiche è proporzionale ai prodotti cariche x tensioni. Da ciò spesso la convenienza di servirsi di tensioni ridotte con cariche di valore elevato e, pertanto, di realizzare elevati valori per la capacità.
90
Il campo elettrostatico
[Cap. II
anche per il caso presentato. In definitiva, se la disomogeneità del dielettrico è caratterizzata nel modo descritto, il vettore D non è influenzato dalla presenza del dielettrico (1) e coincide con quello che si ha nel caso omogeneo. Non altrettanto avviene per il campo e.lettrice che è dato, in ogni punto, dalla E= D 0 / s. Si intuisce che tali circostanze si verificano anche nel caso in cui vi siano superfici di discontinuità per la s purché esse coincidano con superfici normali a D 0 (dielettrici stratificati). Osserviamo, con riferimento alla capacità C1: data dalla [II-4,10], che è immediato valutare come si modifica il valore della capacità stessa quando una regione compresa tra due superfici equipotenziali viene «riempita» con uno strato dielettrico di costante relativa sr- A parità di carica sulla ~ la tensione ~ v tra le superfici suddette passa a ~ vI sr mentre, al di fuori del dielettrico, il campo resta inalterato. A conti fatti la capacità diventa:
[II-8,7]
e·E
dove V1: è la tensione tra la superficie ~ e l'infinito nello spazio vuoto. Notiamo che per ~vlV1: l si ritrova, ovviamente, la [II-8,4]. Riteniamo opportuno osserv_are che quanto abbiamo qui esposto circa il comportamento di un sistema elettrostatico in presenza di dielettrici non omogenei, e in particolare stratificati, trova limitata rispondenza nella realtà. Si osserva infatti che la continuità della componente normale di D attraverso le superfici di separazione tra materiali diversi è verificata nell'ipotesi che non vi siano cariche distribuite sulle superfici stesse; circostanza, questa, che si ha, come vedremo più avanti (paragrafo III-5), solo nell'ipotesi che i dielettrici adiacenti siano caratterizzati da costanti dielettriche proporzionali alla conducibilità. In sostanza si anticipa sin d'ora che, in regime stazionario, la distribuzione del campo elettrico è essenzialmente dettata dal fatto che i materiali dielettrici non sono isolanti perfetti; questa ipotesi, che è stata alla base della nostra (1) Ciò, ovviamente, nell'ipotesi che l'introduzione di mezzi materiali non alteri la distribuzione delle sorgenti: ciò è concepibile se gli isolanti introdotti sono «perfetti» nel senso che in essi non si manifestano fenomeni di conduzione e, pertanto, di migrazione di cariche libere.
§ II-8]
Soluzioni del modello dell'elettrostatica
91
trattazione non corrisponde dunque, in linea generale, alla realtà (1). Ritorneremo in dettaglio sull'argomento quando tratteremo il regime stazionario di corrente e i regimi variabili. II-9. Sistema elettrostatico lineare. Condensatori Consideriamo un insieme di n superfici chiuse b; prive di punti comuni sulle quali pensiamo distribuite cariche Q; in modo tale da rendere le superfici stesse a una a una equipotenziali: è quanto accade quando si conferiscono le cariche Q; a corpi conduttori delimitati dalle superfici b; (2) verso gli isolanti che supponiamo costituiti da dielettrici lineari e isotropi. In tali condizioni siamo ovviamente portati a generalizzare il concetto di coefficiente di capacità introdotto nel paragrafo II-4 con riferimento al sistema semplice definito da un'unica superficie chiusa. Consideriamo perciò n funzioni v;, ciascuna delle quali è il potenziale che vale zero all'infinito (3) e su tutte le superfici considerate, esclusa la b; ove assume il valore unitario (4); se nel sistema elettrostatico da noi considetato i potenziali assunti dalle b; valgono V;, si riconosce immediatamente che la funzione potenziale per il sistema complessivo vale: [II-9,1]
(1) Basti pensare, ad esempio, che lo strato sopra considerato non sia isolante perfetto; l'equilibrio elettrostatico comporterà sulle sue frontiere due distribuzioni superficiali di carica che annullano il campo entro lo strato; si riconosce che le densità delle distribuzioni suddette coincidono con le divergenze superficiali di P nell'ipotesi di s, - cx,_ La capacità, intesa ancora come rapporto tra Qr: e la tensione tra be l'infinito, assume quindi in tal caso il valore:
1
Cr;=C0r - - . 11v
1-Vr;
(2) Si fa l'ipotesi che non vi siano altre cariche oltre quelle indicate e si rileva che l'intero volume racchiuso da b; è equipotenziale insieme con b;. Ciò vale anche per involucri conduttori; l'equipotenzialità si verifica nello spessore dell'involucro, che consideriamo delimitato dall'unione delle due superfici, interna ed esterna.
(3) Con tale dizione intendiamo che la funzione considerata tende a zero almeno come 1/R quando la distanza R dall'origine tende all'infinito. (4) Se il dielettrico è omogeneo la determinata (vedi pag. 87).
v; è armonica; essa è comunque univocamente
92
Il campo elettrostatico
[Cap. II
funzione che assume valori al contorno coincidenti con quelli prefissati. In base alla derivata di v secondo la direzione della normale è possibile esprimere la carica Q; su ciascuna delle superfici tramite le: [11-9,2] Q;=i
]\:;
s(-dv)d2i; dn
che esprimono i flussi di D uscenti dalle superfici Li;; tali flussi, come sappiamo, coincidono con le cariche distribuite sulle Li; stesse. Scomponendo la v della [11-9 ,2] secondo la [11-9, 1] si ottiene: Ql =C11 V1 +C12 Vi+••••· C1n Vn,
[11-9,3]
Q2= C21 V1 + C22 V2+ ····· C2n Vn,
r= 1, 2, ... n
con:
[11-9,4]
v;,
coefficienti che, per il carattere della dipendono soltanto dalla geometria del sistema ivi compresa, ovviamente, la distribuzione dei dielettrici (1). In particolare, C 11 è la carica assunta da 2, 1 quando il suo potenziale è unitario e quelli delle altre superfici e dell'infinito sono tutti nulli; C 12 è la carica assunta da 2i 1 quando è unitario il potenziale di 2i 2 mentre quello di 2, 1 e quelli delle altre 2, e dell'infinito sono tutti nulli (e così via). Le costanti Crr veng~mo dette coefficienti di capacità propria e le Crs coefficienti di capacità mutua. Quanto ai segni di questi coefficienti osserviamo subito che nella situazione che definisce la capacità propria si ha l'identità tra il segno della carica e quello del potenziale del condut(1) La dipendenza delle [Il-9,4] dalla costante dielettrica in aderenza alle superfici è solo apparente: le dv;ldn dipendono, infatti, dalla distribuzione di sin tutto il
campo.
§ II-9]
Sistema elettrostatico lineare. Condensatori
93
tore che la sostiene, mentre nel caso della capacità mutua la carica del conduttore a potenziale nullo non può essere di segno concorde con quello del potenziale dell'unico conduttore a potenziale diverso da zero. Si ha dunque:
e
[II-9,5]
Il modello [II-9,3] lascia aperto il campo a ulteriori considerazioni basate sulla possibilità di definire in modo opportuno altri coefficienti di capacità. Uno spunto importante è fornfro dall'introduzione delle capacità:
[II-9,6]
ciascuna delle quali esprime la carica assunta da ì:r quando questa assume il potenziale unitario assieme a tutte le altre rispetto all'infinito (capacità parziale di ì:rrispetto all'infinito). Ponendo inoltre c;s= -Crs si riconosce subito che si ha: Q1 = c;1 V1 + c;2 (Vi - V2) + ... c;n (V1 - Vn),
[II-9, 7]
Q2 = c;1 (Vi- V1) + c;2 V2 + ... c;n (V2 - Vn),
Q3= ...
In sostanza ciascuna carica viene espressa come combinazione lineare delle tensioni tra il conduttore che la porta e tutti gli altri (comprendendo tra questi un conduttore infinitamente lontano) a potenziale nullo. I coefficienti c;s (r~s) della combinazione suddetta vengono denominati capacità parziali mutue; non sono mai negative e per esse vale la reciprocità: [II-9,8]
(r~s)
Ad esempio, c;2 è la carica assunta da Ì: 1 quando il potenziale di Ì: 2 vale 1 mentre quello di Ì: 1 con quelli delle altre e l'infinito sono tutti nulli.
[Cap. II
Il campo elettrostatico
94
Per stabilire la reciprocità consideriamo, per lo stesso insieme di corpi conduttori, due situazioni (per fissare le idee nello spazio vuoto): la prima con cariche Q; e potenziale v che sulle I: assume i valori v 1 = 1; v2 = O, v3 = O ecc.; la seconda con cariche Qf e potenziale v' che sulle I: assume· i valori v{ = O, v{ = I, v; = O ecc. In base alla formula di Green Al-64 e al teorema della divergenza si può scrivere:
lr:, (vgradv')·d~ =f r:
[II-9,9]
(v' gradv)·d~2
1
•
2
Tenendo conto che V= 1 su I: 1 e v' = 1 su I:2 , ne consegue, per il significato degli integrali suddetti, Q { = Q2 e pertanto C 12 = C21 , ossia Ci2 = c; 1 •
Fondamentale importanza riveste il caso di due corpi conduttori con cariche uguali e di segno opposto (Q 1 = - Q 2 = Q), sistema cui si dà il nome di condensatore (vedi fig. II-9. la); i due conduttori (le armature del condensatore) sono separati dal mezzo isolante (1). Indicando con V= Vi - V2 la tensione tra l'armatura 1 con carica Q e l'altra con carica I
.,,,.,.---
+ ///
......
....
,
9/ \
I l
+ ++
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I
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a)
b)
Fig. II-9.1. Schematizzazione del campo per i condensatori. Caso a): il campo si estende sino all'infinito; caso b): il campo è confinato entro l'involucro conduttore. (1) I prilni condensatori di caratteristiche rilevanti per le applicazioni furono realizzati da P. van MusSHENBROECK (1692-1761) presso l'università di Leyda (1745); essi erano formati da un bicchiere (o «bottiglia») di vetro rivestito all'interno e all'esterno da sottili lamine d'argento. I prilni condensatori «in aria» (1759) si devono a T.U. HocH (1724-1802) detto Aepinus.
§ II-9]
Sistema elettrostatico lineare. Condensatori
95
- Q, si ha senz'altro, particolarizzando la [II-9, 7]:
[II-9,lOa] [II-9,lOb] per cui si ricava: [II-9,11]
Q=CV
l
con C {capacità del condensatore) positiva per le convenzioni assunte. Si ha senz'altro:
[II-9,12]
)-I
1 1 C=C;2+ ( - . +-. Cu C22
I potenziali delle armature rispetto all'infinito sono legati dalla (1): [II-9,13]
(t 2: O)
per cui: [II-9,14]
v 1-
l+t
e
t
V 2 =-V-. 1 +t
Nelle applicazioni le armature sono configurate in modo da dar luogo ad opportune localizzazioni del campo elettrico. In generale si cerca di far si che il contributo delle capacità G; 1 e c;2 alla capacità C del con-·· densatore sia trascurabile rispetto a quello della capacità parziale mutua c;2 [vedi II-9,12] (3). Così facendo si ottiene senz'altro per la capacità del condensatore: [II-9,15] (1) Basta sommare [II-9,lOa] con [II 0 9,10b].
è; 1 = C~ si ha V1 =...., V2 = V/2. Basta, a tal fine che uno solo dei coefficienti c; 1 e C-22 sia molto piccolo.
(2) Nel caso in cui (3)
96
Il campo elettrostatico
[Cap. II
Ciò si realizza collocando le due armature [vedi fig. II-9.lb] una all'interno dell'altra (realizzando pertanto un involucro conduttore delimitato dalla superficie I: 2 costituita da I: 2 int e I: 2 esJ; si riscontra infatti immediatamente essere e; 1 = O per l'armatura interna e i;= O (vedi [II-9,13]). Si ha pertanto, sempre nell'ipotesi di aver conferito cariche uguali e di segno opposto alle due armature, V 1 = V e V2 = O; la superficie dell'involucro è a potenziale nullo rispetto all'infinito per cui, nella regione esterna all'involucro, il campo è rigorosamente nullo e la carica Q2 = - Q1 è dislocata esclusivamente su I: 2 int· Più in generale (ammettendo cioè di conferire alle armature interna ed esterna due cariche di valore generico), osserviamo che le equazioni del sistema [Il-9, 1O] diventano: Q1=C;2 V, Q2 = - c;2
v + c;2 V2
,
e si interpretano nel modo seguente. Posto:
la carica dell'armatura interna dislocata su I: 1 vale:
e quella complessiva dell'armatura esterna dislocata su I: 2 im e I: 2 est:
La carica complessiva del sistema Q1 + Q2 vale dunque:
che si riconosce distribuita sulla faccia esterna I: 2 est dell'involucro conduttore; sulla faccia I: 2 int è distribuita, come nel caso precedente, la carica -Q: La carica Q' risulta dunque indipendente dalla differenza di potenziale V e va quindi presa in considerazione separatamente dalle cariche + Q e - Q. Pertanto il legame fra Q e V sussiste sempre nella forma:
§ II-9]
Sistema elettrostatico lineare. Condensatori
97
Q=CV
dove con V si designa al solito la tensione fra le armature, con Q la carica posseduta dall'armatura interna e, con segno opposto, dalla faccia interna dell'involucro. Le due cariche + Q e - Q vanno dunque intese come cariche interne al dispositivo, distinguendole dalla carica esterna Q' menzionata più sopra. Si sottolinea ane;ora in tal modo il fatto che le cariche ± Q agiscono come sorgenti di un campo che resta confinato all'interno del dispositivo e precisamente nell'intercapedine fra le due armature, mentre la carica Q' costituisce la sorgente del campo esterno. L'esempio più semplice di un tal sistema è rappresentato dal condensatore sferico, costituito da due armature sferiche concentriche per le quali risulta (dielettrico omogeneo):
[11-9,16]
se con r 1 e r 2 si indicano i raggi delle sfere interna ed esterna, rispettivamente. Come si vede, la capacità del condensatore è r 2 /(r2 -1) volte quella della sfera interna isolata (con r 1 = 1 m e r2 - r 1 = 1 mm si ha C=O,l µ,Fcon e=e0). Per armature cilindriche concentriche (cavo coassiale) si ha quale capacità per unità di lunghezza (dielettrico omogeneo): 1
Cll=21re (1n ;:)-
(per r 2 =2.7 r 1 si ha Cli= =21re= =55 pF/m con e=e0). La delimitazione della regione interessata dal campo in un condensatore può ottenersi anche se le armature non sono interne una all'altra ma sono sufficientemente estese e abbastanza vicine. Tipico è il caso del condensatore «piano» nel quale due armature di area S sono separate da un dielettrico omogeneo (di spessore uniforme s). Il campo è, in prima approssimazione, uniforme tra le due armature e vale Vis, mentre la carica distribuita sulla superficie S vale e Vis. La capacità di tale conden-
98
Il campo elettrostatico
[Cap. II
satore è dunque, con approssimazione (1) tanto migliore quanto meglio sono realizzate le condizioni geometriche suddette: [II-9, 17]
I e~,~ I·
La fig. II-9.2 rappresenta schematicamente un condensatore; il suo «stato» eJettrico viene specificato o con la carica Q = Q1 = - Q2 , o con la tensione V. Il legame tra la carica e la tensione coinvolge la capacità del condensatore; esso è dato dalla [II-9,11] se, come abbiamo fatto sinora, si conviene di considerare la tensione tra l'armatura che porta la carica Q e l'altra (tale convenzione è la più usuale, ma sin d'ora vogliamo sottolinearne l'arbitrarietà). Nella fig. II-9.2 la freccia con il simbolo V sta a indicare che Vè la tensione (differenza di potenziale Vi - V2) che si ha tra il puntò indicato dalla freccia e l'altro (2). La tensione V viene comunemente denominata.tensione ai morsetti del condensatore. L'importanza di queste precisazioni, che al momento possono sembrare pedanti, si renderà evidente via via che nella trattazione diventeranno sempre più frequenti i riferimenti a schematizzazioni del tipo qui introdotto. Vogliamo sottolineare ad ogni modo sin d'ora che, con i modelli presentati in questo paragrafo, siamo pervenuti a legami lineari tra grandezze integrali (cariche, tensioni) per il tramite di coefficienti basati
Fig. II-9.2.
Schematizzazione di un condensatore.
(') Si trascura, applicando la formula seguente, il cosiddetto «effetto dei bordi». (2) Molti adottano, nella rappresentazione con una freccia di V= V 1 - Vi, la convenzione opposta; non si è ancora raggiunto un accordo definitivo in sede normativa.
§ II-9]
Sistema elettrostatico lineare. Condensatori
99
sulla geometria e le caratteristiche fisiche complessive del sistema considerato. Tali procedimenti, che per il momento riguardano sistemi stazionari nel tempo, consentono di passare da modelli tridimensionali a modelli di dimensione «zero» e costituiscono una linea fondamentale di approfondimento di concetti importanti per gli elettrotecnici. Si tratta del cosiddetto «passaggio dai campi alle reti», passaggio che verrà gradualmente esemplificato a partire dal prossimo paragrafo.
11-10. Schematizzazioni circuitali. Reti di condensatori Alla fine del paragrafo precedente abbiamo posto in evidenza l'importanza concettuale e pratica della schematizzazione del condensatore con un elemento caratterizzato da una coppia ordinata dL terminali (morsetti) tra i quali esiste la tensione V e ai quali sono assegnate le cariche ± Q. È per noi, questo, il primo esempio di bipolo, e si tratta di un oggetto in questo caso «targato» dalla relazione fondamentale Q = CV. Di qui siamo portati ad associare, al modello più complesso dato dalle (11-9,7], un oggetto più «sofisticato» che, poi vedremo, rientra nella classe più generale delle reti di bipoli; a questo punto, si tratta di una rete di condensatori ideali. Analizzando ciascuna delle equazioni [11-9,7] vediamo che ciascuna delle n cariche risulta formalmente scomposta in un insieme di altre n e che ognuna di queste è legata, tramite un opportuno coefficiente di capacità, alla tensione tra il supporto della carica medesima e gli altri supporti; tra questi comprendiamo anche !'«infinito» che, possiamo dire, è n
il supporto della carica Qco =
~
Q; (1).
I
Possiamo esprimere tutto ciò tramite le n relazioni: [Il-10, 1]
Q1=Q1co+Q12+ ... Qin,
[Il-10,2]
Q2
Q21 + Q2co + ••• Q2n ,
(1) Tale affermazione è fondata sull'applicazione del teorema di Gauss a una superficie che racchiude le n cariche Q;.
100
Il campo elettrostatico
[Cap. II
con: [II-10,3] essendo inoltre, per via della reciprocità: [II-10,4] Tutto ciò induce a considerare schematizzazioni del tipo di fig. II-10.1 e 10.2 nella quale è stata messa in evidenza una rete di condensatori, struttura topologica fondamentale per l'elettrotecnica. Ad ogni supporto per le cariche corrisponde un nodo e a ogni coppia Qrs= -Qsr un lato tra il nodo r e il nodo s; un insieme di lati scelti a formare un percorso chiuso costituisce una maglia. Nelle figure sono stati messi in opportuna evidenza anche i lati tra i singoli nodi e l'infinito (1) cui corrisponde, nella rete, un nodo particolare con la carica: [II-10,5] che, come abbiamo già anticipato, vale anche: [II-10,6] La fig. II-10.3 presenta lo schema per n = 2 e Q = Q 1 = - Q2 Quale componente essenziale del sistema elettrostatico va sempre considerato il globo terrestre. La «terra», come suol dirsi, può essere schematizzata come una sfera conduttrice (ancorché di grande disomogeneità) di dimensioni enormi rispetto a quelle di un elettrodo qualsiasi del sistema allestito sulla sua superficie. (1) Va qui evidenziato il comportamento di un sistema di conduttori tra i quali ve ne è uno che «circonda» tutti gli altri (vedi il caso particolare di fig. II-10.2). In tal caso sono nulle le capacità parziali di tutti i conduttori interni verso l'oo; la rete_ di condensatori è pertanto costituita dal poligono completo relativo ai conduttori interni e l'involucro, e da un condensatore «tra» l'invçilucro e l'oo. In tali condizioni le tensioni sui lati del poligono sono indipendenti dalla carica eventualmente assegnata all'involucro e, pertanto, dalla tensione da esso assunta verso l'oo. Se all'esterno dell'involucro vi sono altri corpi conduttori, questi a loro volta danno luogo a un poligono di condensatori che, con quello precedente, ha solo un vertice comune, quello corrispondente all'involucro. Il campo interno dipende solo dalle cariche conferite agli elettrodi interni. Tali proprietà si sfruttano in pratica quando si intende realizzare un sistema «chiuso» o «schermato», cioè sottratto all'influenza di corpi «estranei» al sistema stesso. L'involucro costituisce appunto uno schermo elettrostatico.
§ II-10]
Schematizzazioni circuitali. Reti di condensatori
101
C*
~0J
e•~~
7c•
"~" 00
Fig. II-10.1.
Rete di condensatori associata a 3 corpi isolati.
2
int} Q,
4 4 est
C-1;,
1 Qx
-(Q1
+
Q2
+
Q3
+
Q4)
Fig. II-10.2. Tre corpi conduttori isolati circondati da un involucro conduttore; schematizzazione con la rete di condensatori.
Q
~
LJ
~
C=Q=C*+ l V i2 1 1 -+C'[i
C':h
Fig. II-10.3. Corpi carichi di segno opposto; schematizzazione con le capacità parziali (rispetto all'a e mutua,. c; 2 è «in parallelo» con la «serie» delle capacità c; 1 e C'22 •
102
Il campo elettrostatico
[Cap. II
Stando così le cose si riconosce che, nella rete di condensatori concepita per l'intero sistema, la capacità parziale tra la terra e l'infinito è assolutamente prevalente rispetto alle capacità parziali tra i singoli elettrodi e l'infinito. La terra e l'infinito sono pertanto da considerarsi allo stesso potenziale: il valore di quest'ultimo è assunto pari a zero per semplicità. Per un sistema di n elettrodi vale sempre il modello [II-9,7]. Le capacità c;r sono però da valutarsi quali capacità parziali dei singoli elettrodi rispetto alla terra e all'infinito (c;' 1 è la carica assunta da 1 se il suo potenziale assieme a quello di tutti gli altri elettrodi è unitario mentre il potenziale della terra e dell'infinito è nullo). La capacità parziale c; 2 è la carica assunta dall'elettrodo 1 quando esso è collegato a terra con tutti gli altri, tranne l'elettrodo 2 cui viene assegnato il potenziale -1. Le relazioni [II-10,1; II-10,2; ... ] unitamente alla [II-10,5] costituiscono le cosiddette equazioni ai nodi; le equazioni [II-10,3] sono le cosiddette equazioni costitutive per i lati; completano il quadro le cosiddette equazioni alle maglie che implicano le tensioni sui lati. Per ogni maglia si può scrivere: [II-10,7] dove la sommatoria si riferisce ai lati della maglia, con il segno + o applicato allatensione Vrs (di per sé positiva, negativa o nulla) a seconda che il «passaggio» da ras sia concorde o discorde con un verso arbitrariamente prefissato di percorrenza della maglia. Esula dai limiti che ci siamo imposti l'analisi del modello complessivo che ne risulta (1): sia dal punto di vista della sua ridondanza, sia per come può essere impiegato per passare dalle cariche alle tensioni o viceversa (2). Concludiamo peraltro mettendo in evidenza una fondamentale (1) Queste questioni sono affrontate nel volume della collana riguardante i «circuiti»; ne è autore G. BIORCI (UTET, Torino, 1972).
(2) Ricordiamo in proposito che se a una rete generica di condensatori viene conferita una carica Q in un nodo A e - Q in un altro nodo B, tutti gli altri nodi essendo scarichi, il modello costituito dalle equazioni ai nodi e alle maglie fornisce la semplice relazione tra Q e VA 8 :
ove C,q (capacità equivalente per la "porta" AB) è funzione delle capacità c;s del modello. L'applicazione più semplice è quella del calcolo della capacità equivalente per i condensatori in parallelo (C,q= l:C;) e per quelli in serie (C;/ = 1: C1 1).
§ II-10]
Schematizzazioni circuitali. Reti di condensatori
103
proprietà formale di questi sistemi. Per ciascun lato rs consideriamo due grandezze, la prima sia una carica arbitraria (che indichiamo con Q,s= - Qs,) e la seconda sia la differenza tra due potenziali arbitrari attributi ai nodi di estremità (indichiamola con V,s= V,- Vs); associamo inoltre a ciascun nodo la grandezza Q;= I:s Q;s• Per ciascun lato è possibile considerare il prodotto Q,s V,s e formare la somma di tali prodotti, estesa a tutti i lati. Risulta (si tenga presente la [II-10,6]): I; Q,s (V,- Vs)= V, I; Q,s+ •·•· Voo I; Qoos=
[II_-10,8]
=
Vi
= Q,
Q, + ••• Vco Qoo=
(V, - V )+ ••• Qn (Vn- Voo). 00
Tale relazione induce, per il momento, una sua lettura formale che, peraltro, è utile premessa per un approfondimento fisico e tecnico. Teniamo infatti presente che Q,s (V,- Vs) esprime formalmente una energia associata al lato r-s mentre Q; V; esprime formalmente una energia associata al nodo i-mo; possiamo dire che la [II-10,8] stabilisce un bilancio tra l'energia (formale) complessiva dei lati e l'energia (formale) complessiva dei nodi. Tale risultato, anche se puramente formale, è di fondamentale importanza; lo vedremo (pag. 108) con riferimento all'energia del campo elettrostatico. Rileviamo intanto chè ci troviamo di fronte a una prima formalizzazione di un fondamentale principio di conservazione per le reti. II-11. Energia di cariche puntiformi e di distribuzioni volumetriche e superficiali nel vuoto. Energia elettrostatica. Energia di dipoli puntiformi e delle distribuzioni di dipoli Un primo insieme di considerazioni energetiche riguarda il lavoro W che è necessario compiere dall'esterno per allestire nel vuoto una configurazione di n cariche puntiformi a partire da posizioni molto lontane da quelle finali e tra loro, ammettendo che nello stato iniziale la singola carica puntiforme sia già «formata» come tale; non si ipotizza infatti, per il momento, una sua «diluizione» all'infinito. Il lavoro W si calcola agevolmente; esso è indipendente dal modo con cui si perviene alla configurazione finale e si dimostra che vale la somma dei lavori compiuti per posizionare le cariche a due a due. Si ha cioè:
W=
1 41rso
I: q, qs ,
r,s
(r-:;z=s,
senza ripetizione)
104
Il campo elettrostatico
[Cap. II
ovvero:
[II-11, 1]
dove v; (q;) è il potenziale prodotto nella posizione assunta da q;da tutte le altre cariche. È appropriato denominare W come energia mutua (o di posizione) del sistema di n cariche, in quanto corrisponde al lavoro che è necessario fornire per passare da una situazione in cui l'interazione tra le cariche è nulla, ad una nuova situazione in cui le cariche sono state portate a interagire mutuamente tra loro (1). È facile rendersi conto, con un adeguato passaggio al limite, che il lavoro necessario per aggregare una carica di valore finito in un volumetto infinitesimo tende all'infinito nel formalismo classico astratto cui facciamo riferimento. In sostanza, se attribuiamo il livello zero all'energia del sistema quando le cariche sono completamente diluite, siamo portati ad attribuire un livello energetico infinito allo stato (per noi iniziale) caratterizzato da cariche puntiformi di valore finito e tra loro non interagenti; partendo da tale livello e svolgendo sul sistema il lavoro W (2) dato dalla [II-11,1] si perviene alla configurazione finale. Si riconosce che è possibile interpretare l'energia mutua W come la variazione di una funzione di stato del sistema e precisamente della funzione:
[II-11,2]
1 ( ) Si parte, già l'abbiamo detto, dall'ipotesi che le cariche puntiformi di valore finito siano già «formate» per cui W non comprende il lavoro necessario per la loro formazione.
(2) Osserviamo che W può, in generale, essere una quantità di entrambi i segni. Essa risulta nulla se nella posizione finale le forze agenti sulle singole cariche sono nulle; tale asserzione non è ovvia (vedi B. CROSIGNANI, P. D1 PORTO, Am. J. Phys., 9, 1979, pag. 876) e sottolineiamo inoltre che una tale configurazione di equilibrio è sempre instabile. Proprietà, questa, che riguarda in tutta generalità le configurazioni di equilibrio elettrostatiche (teorema di S. EARNSHAW, 1842): si può osservare infatti che una carica immersa in un campo elettrostatico nel vuoto in un punto P in cui il campo è nullo, una volta spostata in P+ dP risentirà di una forza che, per un insieme di direzioni associate ai dP, tenderà ad allontanarla da P. Essendo infatti divE=O, le linee del campo non possono mai essere tutte confluenti verso P.
§ II-11]
Energia elettrostatica
105
nella quale l'integrale di volume è esteso a tutto lo spazio ed E è il valore del campo elettrico nello stato considerato (1). La We viene denominata energia elettrostatica e appare come l'integrale di volume di una densità di energia diffusa in tutto lo spazio vuoto in quanto connessa al campo: [Il-11,3]
We
1
1 D2
1
2
2
2
- s0 E2=--=-ED So
seguendo tale impostazione si è portati ad attribuire a ogni elemento
or
(1) Si consideri E come somma dei campi E; prodotti dalle singole cariche q; nella posizione finale; si ottiene, con passaggi che omettiamo: n
(*)
E2=I:E'T+EE;•E;' I
dove E;= -grad vf è il campo prodotto da tutte le cariche tranne la q;. La We della [Il-11,2] risulta pertanto così composta: (**)
m
dove we(l) = 1/2 So V= (I; E'T) d 7 è il valore assunto da we nello stato iniziale del nostro processo, come si può facilmente riconoscere. Analizziamo ora il secondo termine di(**). Consideriamo per ciascuna carica q;, una superficie sferica I:; ad essa concentrica e ricordiamo l'identità: (grad v;) · E;= div (v; E;)-v; · div E; . Nei punti esterni alla sfera si ha div E;=O; tenendo conto che all'oo il prodotto v;E; tende a zero come R- 3 , si applichi il teorema della divergenza al dominio V Vsrera• Orientando la I:; verso l'esterno si ottiene: 00 -
fff
jjj V,:x,-Vsfera
E;"(-grad v;) dr=
ff
v; E;"d~; .
JJEsfera
Al tendere a zero del raggio della sfera i due termini di questa relazione tendono all')]}v=•··• che è quello da calcolare nella(**) (l')]}vsrera tende infatti a zero, come è facile riconoscere). L'integrale esteso a I:srcra tende senz'altro al prodotto v; q/ s0 dove v; è calcolato nel punto in cui è collocata q;. Dalla(**) si ottiene pertanto quanto è asserito nel testo e cioè, per l'energia mutua [II-11,1]:
Il campo elettrostatico
106
[Cap. II
l'energia elettrostatica elementare, legata al campo, oWe= we o-r (1). Viene immediato, a questo punto, valutare l'energia elettrostatica di una distribuzione volumetrica nel vuoto di carica di densità Q che produce la funzione potenziale v. Si ha infatti:
[II-11,4]
come è facile dimostrare tenendo presente che E= - grad v, Li 2 v = - Q I Bo e applicando il teorema della divergenza al lemma di Green riportato in Appendice [Al-7,1] (2). La [II-11,4] mette in chiara evidenza come sia formalmente possibile attribuire l'energia al campo (con densità Bo E 2 /2), ovvero alle cariche (con densità Q v/2). In elettrostatica non ha senso parlare di una localizzazione dell'energia; sarà lo studio dei campi in regime dinamico a farci considerare l'energia come distribuita in tutto lo spazio (tramite il campo) invece che localizzata là dove sono le cariche. L'energia elettrostatica di una distribuzione superficiale si valuta analogamente, ancora applicando il teorema della divergenza al ricordato lemma di Green; in questo caso il teorema della divergenza implica anche il termine di divergenza superficiale. Risulta, in definitiva:
(1) Nella [II-11,3] abbiamo fatto uso della posizione D = &oE, così come essa è stata introdotta nei sistemi razionalizzati di unità di misura. Più in generale si dovrebbe scrivere: 1
1 D2
1
2
2 77 So
2
D 77
w =-soE2 = - =-E2
•
con il solito significato di 77. Nel sistema gaussiano, in cui So= 1/4'1!" ed 77=4'1!", si ha dunque: 1 D2 1 1 E2 W.=--=--=-DE . 2 471" 2 4'1!" 2 (2) Si ha infatti lgradvl 2 = -v·~ 2 v+div (v gradv): integrando su un volume sferico tendente all'infinito, il termine superficiale che discende dalla divergenza tende a zero.
§ II-11]
Energia elettrostatica
107
[II-11,5]
relazione che appare come un'ovvia estensione della [II-11,4]. Particolare importanza riveste il caso in cui ~ è equipotenziale, è dotata di carica Qr; e assume il potenziale Vr: rispetto all'infinito. Si ha immediatamente, ricorrendo alla capacità definita a suo tempo [II-4,7]:
[Il-11,6]
relazioni che, tra l'altro, mettono chiaramente in luce la possibilità di considerare opportune analogie con il caso meccanico ed elastico. Ricordiamo che l'energia elettrostatica We esprime in generale il livello energetico del sistema rispetto a quello di riferimento (livello zero) concepito con le cariche diluite all'infinito. Nel caso delle cariche puntiformi essa comprende, quindi, il lavoro We 1 , di per sé infinito, necessario per la loro «formazione». Nei casi delle distribuzioni volumetriche e superficiali, essa esprime il lavoro finito necessario per allestire le distribuzioni stesse a partire dalla completa diluizione; si può dire che, nel caso delle distribuzioni, l'energia mutua e l'energia elettrostatica coincidono (1). (1) Il lavoro di formazione delle cariche puntiformi, di per sé infinito, può essere considerato come il limite cui tende il lavoro per aggregare la distribuzione volume" trica di una carica assegnata q in una sfera il cui raggio r0 tende a zero. Si perviene, per un raggio generico, alla seguente espressione:
q2
1
6
W=---e 2 41rs0 ·r0 5
Se la distribuzione della carica q è superficiale si ha invece:
w: =_!__ e
q2
2 47reo·ro
È facile verificare l'uguaglianza tra tali espressioni e l'energia elettrostatica. Nel caso in cui le densità di carica (volumetrica o superficiale) sono 'limitate, si osserva che il lavoro di formazione tende a zero se r0 ->0.
108
Il campo elettrostatico
[Cap. II
È immediato generalizzare la [II-11,6] al caso di più superfici equipotenziali nello spazio vuoto; si ha ovviamente (Vcx,=0):
[II-11,7]
1 W e =-~Q-V 2 I I
Ricordiamo a questo punto il bilancio [II-11,8] del paragrafo precedente relativo alla rete di condensatori; si perviene subito, tenendo conto della [Il-11, 7], alla espressione per l'energia elettrostatica del sistema di n conduttori carichi nello spazio vuoto: [II-11,8] che mette in luce il ruolo esplicato dalle capacità parziali. Nella schematizzazione di fig. II-9.2 si è quindi condotti a considerare, per il singolo condensatore di capacità C sottoposto alla tensione V, l'energia elettrostatica:
[II-11,9]
1 1 Q2 1 W = - CV2=--=- QV e 2 2 C 2
Nel paragrafo II-13 vedremo la generalizzazione di queste formulazioni ai casi in cui si abbia a che fare con dielettrici materiali a comportamento lineare e isotropo. Concludiamo questo paragrafo con l'espressione dell'energia mutua di un insieme di dipoli puntiformi, riconoscendo anzitutto che un dipolo di momento op situato in un p11nto P in cui il campo vale E possiede un'energia: [II-11,10]
oW=
-op·E (1) .
(1) Si tratta infatti del lavoro che le forze elettrostatiche applicate al dipolo svolgono per disporre le estremità del dipolo sulla superficie equipotenziale passante per P; il lavoro delle forze per uno spostamento ulteriore del dipolo da P all'infinito è nullo.
§ II-11]
Energia elettrostatica
109
Nel caso di due dipoli si ha senz'altro: [Il-11,11] dove E; è il campo prodotto da op 2 nel punto in cui è posizionato op 1; analogamente per E;. L'energia mutua di n dipoli, cioè il lavoro che è necessario svolgere su di essi per posizionarli a partire dall'infinito vale senz'altro: l
[II-11,12]
n
oW= - 2 °" "i' op--E~ 1
1'
ove E; è il campo prodotto nel punto ove è collocato il dipolo di momento op; da tutti gli altri dipoli. La [Il-11,12] è analoga all'espressione dell'energia di posizione di un sistema di cariche puntiformi (vedi [II-11,1]). Per allestire una distribuzione volumetrica di dipoli caratterizzata dalla funzione vettoriale P (momento elettrico specifico) a partire da una «diluizione» all'infinito dell'insieme da costituire si deve svolgere un lavoro che risulta:
[11-11,13]
espressione analoga a quella della distribuzione volumetrica di carica (EP è il campo nel volumetto dr). È immediato riconoscere che tale lavoro coincide con l'energia elettrostatica del campo EP nel vuoto; si ha cioè (1):
[11-11,14]
11-12. Forze tra conduttori carichi nel vuoto
In base alle considerazioni svolte in (11-11) per il calcolo del lavoro necessario per allestire le configurazioni di cariche, è agevole valutare le {1) Basta porre P=Pirr+ P.01 e ricordare (vedi [II-6,16]) che Pirr= -
m (P,01· Ep) dT=O; per la irrotazionalità di E (vedi Al, pag. 582). V=
S0
Ep. Inoltre
[Cap. II
Il campo elettrostatico
110
forze elettriche agenti sui conduttori carichi immersi nello spazio vuoto (1). Si può infatti ricorrere, a tal fine, al bilancio energetico del processo derivante dalla traslazione rigida elementare di uno o più conduttori, spostamento compatibile con i vincoli del sistema in esame. Supponiamo, per fissare le idee, di spostare di d~ idx uno dei conduttori mantenendo invariata la carica di ciascuno dei conduttori del sistema; l'energia elettrostatica avrà subìto una variazione elementare:
awe dW=-
[II-12,1]
e
ax
I dx Po
dove We (x, y, z) esprime l'energia stessa in funzione della posizione del conduttore, ossia delle coordinate di un punto qualsiasi ad esso associato rigidamente; punto che nella posizione iniziale P 0 è di coordinate (x0 , y 0 , z 0 ). La dWe si ha a spese del lavoro dL= -Fxdx compiuto dall'esterno sul conduttore, ove Fx è la componente secondo l'asse x della risultante F delle forze di origine elettrica agenti sul conduttore medesimo, equilibrata dalla risultante -F delle forze esterne (nel processo elementare da noi considerato il moto sia infinitamente lento sì da poter ritenere il sistema in equilibrio istante per istante); si ha allora: [II-12,2] per cui: [II-12,3]
Fx = -
awe I ax
in P 0 , a cariche costanti
Va tenuto ben presente che la funzione We esprime l'energia elettrostatica che entra in gioco al variare della posizione del conduttore, assunta come costante la carica di ciascun conduttore. È su tale presupposto che si basa il bilancio [II-12,2] nel quale intervengono esclusivamente il lavoro esterno e ~a variazione di energia elettrostatica (sistema elettricamente isolato). È possibile concepire una seconda modalità e cioè: dar luogo allo spostamento d ~ mantenendo costante il valore del potenziale assunto da ciadell'energia elettroscun conduttore. In questo caso la variazione d
w:
(1) Va oltre i nostri limiti interpretare come tali forze, agenti sullo strato di cariche superficiali, si trasferiscono alla struttura reticolare, e pertanto si possono considerare quali forze ponderomotrici.
§ II-12]
Forze tra conduttori carichi nel vuoto
111
statica (ovviamente diversa da quella del caso precedente) corrisponderà alla somma del lavoro dL compiuto dall'esterno sul conduttore e del lavoro dL * necessario per recare a ciascun conduttore la carica d Qi necessaria per mantenere costanti i potenziali (1). Si ha senz'altro: dL* = 'i:,vidQi
[Il-12,4]
che, in base alla [Il-11,8] corrisponde al doppio di dW; valutata a vi= costante. Si ha dunque: [II-12,5]
dL= -dW;
per cui: [II-12,6]
Fx=
a/ I in P
aw*
a potenziali costanti
0,
relazione nella quale va tenuto ben presente che la funzione W; esprime l'energia elettrostatica al variare della posizione del conduttore, quando si assuma come costante il potenziale di ciascun conduttore. Le [II-12,3] e [II-12,6] esprimono dunque la stessa forza tramite due diverse modalità di calcolo: [Il-12, 7]
awe -
ax
I
-aw; --
Po
ax
I Po
proprietà che potrebbe dedursi anche formalmente per via analitica in base alle espressioni formali di We (energia in funzione delle cariche) e di W; (energia in funzione dei potenziali). Nel caso del condensatore, esplicitando la sola dipendenza da x, in base alla [Il-11,9] si ha: [Il-12, 8]
we (x) -1- Q5 C(x) 2
e
w; (x)
C(x)
n 2
(1) Anche in questo caso si ipotizza un movimento lentissimo per cui il sistema «passa» attraverso una successione continua di stati di equilibrio. Bisognerebbe, altrimenti, tener conto delle variazioni di energia cinetica e, più in generale, di tutte le forme di energia che possono venire coinvolte (come l'energia che può essere irradiata per via elettromagnetica, ad esempio).
Il campo elettrostatico
112
[Cap. II
energie che, ovviamente, coincidono nella posizione iniziale (x=x0 ), essendo .Q0 e V0 i valori della carica e della tensione nella posizione iniziale legate dalla Q0 = C (x0 ) Vo- Applicando le [II-12,3] e [II-12,6] si ottiene:
[II-12,9] [II-12,10]
= _ dC(x)-
F
I
1
dx
x
Q6=
xo 2
I n
dC(x) dx xo 2
Quanto esposto evidenzia anche formalmente il fatto che le forze elettrostatiche agenti sui conduttori (più in generale, sulle cariche) hanno versi diretti secondo movimenti cui corrisponde una diminuzione del1' energia elettrostatica se il sistema è isolato (nel caso del condensatore le forze agiscono con versi congruenti con un aumento della capacità e, pertanto, si tratta di forze attrattive tra le armature). Ciò si inquadra nella proprietà del tutto generale riguardante l'energia associata al sistema: questa, compatibilmente con i vincoli, assume il minimo valore (1). Con argomentazioni analoghe a quelle svolte per le forze si perviene alla formulazione dei momenti delle forze rispetto ad un polo O di riferimento. Assunto un riferimento cartesiano ortogonale in O, si possono considerare le rotazioni dell'armatura attorno a ciascuno degli assi, caratterizzate dalle coordinate angolari a, (3, 'Y· Le funzioni C (a), ... esprimono la capacità in funzione delle coordinate angolari. La componente Mx rispetto all'asse x del momento M delle forze rispetto al polo O nella posizione caratterizzata dalla coordinata angolare a 0 vale dunque, in armonia con [II-12,9] e [II-12,10]:
[II-12,11] [II-12,12]
I
dC (a)-1 Q2 Mx=da "oT=
n
=dC(a)I
da
o:0
2
(1) Con riferimento alla distribuzione delle cariche sulle superfici dei conduttori vale la seguente proprietà generale (teorema di W. Thomson): le cariche si dispongono in modo da rendere minima l'energia elettrostatica. Ciò, ovviamente, per una assegnata configurazione e per assegnati valori delle cariche di ciascun conduttore.
§ II-12]
Forze tra conduttori carichi nel vuoto
113
e analoghe per My e Mz. Anche i momenti agiscono sul sistema isolato con versi congruenti con una diminuzione dell'energia elettrostatica. Risulta dunque che in condizioni di equilibrio elettrostatico (forze e momenti nulli), l'energia del sistema isolato è minima. Le considerazioni qui svolte sono la traccia elementare del contesto fisico-matematico nel quale sono inquadrabili, in generale, i bilanci energetici nei sistemi elettrostatici. Per un condensatore la cui tensione è una funzione generica della carica ± Q delle armature e di una «distanza» x tra due punti delle stesse possiamo esprimere senz'altro il bilancio: [II-12,13]
-Fx (Q,x)·dx+ V(Q,x)·dQ=dW(Q,x)
dove Fx è la componente secondo l'asse x della forza elettrica agente sull'armatura mobile del condensatore che reca la carica Q, dx e dQ'sono incrementi arbitrari delle variabili indipendenti x e Q, d W è il differenziale esatto di una funzione di stato W (Q,x); V· d Q è il lavoro elettrico erogato dal generatore nel processo lentissimo considerato. Risulta allora dalla [II-12,13] per dx=O: [II-12,14] per cui (assumendo W (O, x) = O): [II-12,15]
W(Q 0 , x)=
foo
Jo
V(Q, x) dQ
È questa l'espressione generalizzata dell'energia elettrostatica del condensatore (fig. II-12.1). Introducençlola nella [II-12.13] si ottiene, ponendo dQ O:
[II-12,16]
a
Fx (Qo, x)= - -
ax
)Qo V(Q, x) dQ o
che generalizza il calcolo della forza in base alla variazione dell'energia W (Q, x) a «carica costante». Come si vede, il caso trattato nel testo è quello del legame lineare tra V e Q per un assegnato valore di x e cioè V=Q·C(x)- 1 •
Il campo elettrostatico
114
[Cap. II
Q
V
Fig. II-12.1. La curva rappresenta il legame tra la carica Q e la tensione V per un valore fissato x della «distanza» tra le armature. L'area lii rappresenta l'energia [II-12, 15]; l'area = rappresenta la coenergia [11-12,18].
Se indichiamo con Q (V, x) la funzione che esprime la carica in funzione della tensione e della «distanza» x tra le armature, riconosciamo che si ha senz'altro (vedi fig. II-12.1): [II-12,17]
W(Q 0 , x)+ W* (V0 , x)=Qo Vo
dove:
[II-12,18]
rvo
W* (V0 , x)= Jo Q (V, x) dV
è la funzione di stato della tensione e della distanza tra le armature denominata coenergia elettrostatica. In base alla [II-12,17] le derivate parziali rispetto a x di W e W* sono uguali e di segno opposto per Q = Q 0 e V= V0 : si conclude, in base a [II-2, 13], che .F'.-c è data anche dalla:
[II-12, 19]
Fx(Vo, x)
-
a
ax
jvo Q (V, x) dV o
che esplicita il calcolo della forza a tensione costante. Osserviamo che nel caso lineare l'energia e la coenergia coincidono. Esula dai nostri limiti l'approfondimento ulteriore che di questo ar-
§ II-12]
Forze tra conduttori carichi nel vuoto
115
gomento si può fare inquadrandolo nel formalismo lagrangiano e hamiltoniano della meccanica analitica. Esteso correttamente ai sistemi elettromeccanici esso fornisce il supporto per la più generale e rigorosa trattazione della conversione elettromeccanica dell'energia (1). Il calcolo delle forze agenti sui conduttori in equilibrio elettrostatico può essere svolto anche in base alle forze che agiscono sulle cariche distribuite sulle loro superfici. Restiamo al caso in cui i conduttori sono immersi nello spazio vuoto e ricordiamo ·quanto illustrato a pag. 64 nei riguardi del campo sulla faccia esterna b + di una superficie be dotata di densità superficiale QE in una situazione in cui il campo internamente a be è nullo. Si ha E+ QE/s0 ·n (vedi nota di pag. 64) con n diretto verso la regione interessata dal campo, e si può dire senz'altro che la carica QE dbe, propria dell'areola dbe situata in corrispondenza, contribuisce a E+ con la parte E+ /2; tale carica produce a sua volta, su b _, un campo - E+ /2 che, sommato a quello dovuto a tutte le altre cariche, vale zero. Si conclude che l'azione di tutte le altre cariche su QE dbe si manifesta con un campo, continuo attraverso be, che vale E+/2. Sulla superficie del conduttore agisce pertanto una forza specifica (con dimensioni di una pressione):
[II-12,20]
E+
Q;,
2
2s0
1 2
QE -=--=-- I l = - So
E2 n
diretta in ogni caso verso lo spazio isolante e di valore coincidente con la densità di energia elettrostatica. L'integrazione di fE sulla superficie be chiusa che delimita il conduttore fornisce laforza risultante:
[IÌ-12,21] tale risultato, tenendo conto che s0 E 2 /2 è l'energia elettrostatica specifica, è congruente con le valutazioni energetiche appena svolte. (1) Vedi in proposito la recente monografia di P. HAMM0ND, Energy methods in Electromagnetism, Clarendon Press, Oxford, 1981. Vedi anche WoonsoN et al. in
bibliografia.
116
Il campo elettrostatico
[Cap. II
Col procedimento analitico sviluppato in nota (1) si dimostra che la forza F può valutarsi tramite una opportuna integrazione superficiale estesa a una qualsiasi superficie chiusa che, svolgendosi nel vuoto, racchiude il conduttore. Si ottiene: [II-12,22] relazione che induce varie considerazioni. Va osservato anzitutto che l'interazione tra le cariche racchiuse da una superficie I: e il campo è riportata a una formale integrazione attraverso I:, integrazione nella quale intervengono esclusivamente i valori del campo su I:. La [II-12,22] evidenzia, per la forza elementare d F E che si trasmette attraverso d I:, le due componenti seguenti: 1) d F 1 = s0 E E n dI: diretta secondo E o nel verso opposto a seconda che E sia diretto verso l'esterno o verso l'interno; 2) dF 2 = -(soE2 /2) dl:, diretta verso l'interno. Si riconosce subito che se il campo è ortogonale a I: (che in tal caso è equipotenziale) si riottiene la [II-12,21], estesa peraltro a una superficie equipotenziale generica che racchiude il conduttore; la forza d F E che si
(1) Le cariche distribuite con densità e in una regione V racchiusa da una superficie generica I: sono sottoposte alla forza risultante: F= li]" e Edr. Nello spazio vuoto si ha e= e0 div E e la componente generica di F può così esprimersi: (*)
F;=e0
HL (E;divE) dr=e 11L [div(E;E)-E·gradE;] dr 0
nella quale, tenendo presente che rotE = O, si può porre:
Applicando alle (*) il teorema della divergenza e la proprietà AI-46 si ottiene:
È per semplicità che abbiamo sviluppato il caso della distribuzione volumetrica; l'estensione alle distribuzioni superficiali, che possono considerarsi come caso limite delle distribuzioni volumetriche, è ovvia.
§ II-12]
Forze tra conduttori carichi nel vuoto
117
trasmette attraverso d I: è diretta verso l'esterno indipendentemente dal verso di E; si è portati dunque a concepire una «trazione» specifica secondo le linee di forza di valore pari all'energia elettrostatica specifica. Se il campo è invece radente a I:, sull'elemento d I: agisce formalmente una pressione, diretta verso l'interno e pertanto normalmente alle linee di forza, che vale ancora we. Osserviamo che, in base alla [II-12,22], è possibile esprimere la forza F come: [II-12,23]
introducendo cioè la forza specifica superficiale:
[II-12,24]
ove n è il versore, diretto verso l'esterno, ortogonale ad I:. È immediato riconoscere che il modulo di fr: è indipendente dall'orientazione di d I: e vale:
[II-12,25]
1 fr:=-eoE2 · 2
V
Fig. II-12.2. La superficie ì:: racchiude una regione V. La forza complessiva in V si può calcolare integrando su ì:: la forza elementare fi: dì:: con fi: data dalla [II-12,24]. Nella figura vengono individuati direzione e verso di fi;.
118
Il campo elettrostatico
[Cap. II
Elementari considerazioni geometriche applicate alla [II-12,24] mostrano inoltre che la direzione orientata di fi.; forma con n nel piano di n e di E un angolo doppio di quello formato da ne da E (fig. II-12.2). Si riconosce ancora che il verso di E non ha influenza sufi.: e, come già abbiamo visto, che si esercita soltanto una trazione quando E è ortogonale a d I: e soltanto una pressione quando E è radente a I:. La considerazione delle singole componenti di fi.: in base alla [II-12,24] mostra che ciascuna di esse è una combinazione lineare delle componenti di n; la matrice simmetrica Il TE Il della trasformazione (1) costituisce un tensore uE (vedi Al-21) che, applicato al versore n, fornisce il vettore f i.: che esprime lo sforzo (omogeneo con una pressione) che, nella formalizzazione adottata, «si trasmette» attraverso I:. La simmetria della matrice Il TE Il, come un'analisi dimostrerebbe, garantisce inoltre che il momento delle forze superficiali rispetto a un punto qualsiasi coincide con il momento delle forze che agiscono nel volume rispetto allo stesso punto). Osserviamo che l'utilità del calcolo delle forze secondo tali procedure risiede essenzialmente sul fatto che il calcolo tridimensionale relativo al volume è ricondotto a uno bidimensionale su superfici per le quali, in generale, larga è la scelta possibile (2). Tale possibilità conduce in molti casi a sfruttare per il calcolo particolari condizioni di simmetria o situazioni ben definite su particolari contorni superficiali: tali circostanze rendono talora agevole un calcolo che, per via diretta (cioè in base alle E;- E2 l2
(')
\\TE\\=
EyEx E,Ex
ExEy E;-E2 /2 E,Ey
ExEz EyEz
E7;-E2l2
Txy Tyy Tzy
T.-.:z Ty, Tzz
Lo sforzo f agente sull'areola di versore n è esprimibile in un riferimento cartesiano ortogonale tramite la:
ove Tx, .•• sono i «vettori componenti» del tensore 'ii'E
:
Tx= Txxix+ Tyxiy+ Tzxi, ecc. (2) È istruttivo, ad esempio, riconoscere che, nel caso di due cariche puntiformi di ugual valore, la F = ~i:: fr; dLJ estesa a una superficie qualsiasi che racchiude una delle due cariche fornisce, ovviamente, la forza data dalla legge di Coulomb. Il calcolo è particolarmente semplice se viene svolto per il piano di simmetria. Così pure, con riferimento a un dipolo elementare in un campo uniforme E, si riconosce che il momento delle forze superficiali distribuite su una sfera centrata sul dipolo coincide con il momento p x E della coppia esercitata sul dipolo.
§ II-12]
Forze tra conduttori carichi nel vuoto
119
forze di volume), sarebbe, nella maggioranza dei casi, praticamente impossibile, almeno per via analitica. Lo studio delle forze in gioco nel campo secondo quanto appena esposto è dovuto a J. C. MAXWELL (1) che ha formalizzato la concezione di M. FARADAY (1831) del dielettrico striato dalle linee di forza del campo, linee «materializzabili» come fili elastici tesi longitudinalmente e contemporaneamente tendenti a distaccarsi tra di loro (2). 11-13. Energia in presenza di dielettrici materiali e comportamento dei medesimi
·
Estendiamo quanto abbiamo illustrato nel paragrafo 11-11 ai sistemi elettrostatici nei quali siano presenti materiali dielettrici, proponendoci, in primo luogo, di esprimere il lavoro necessario per allestire nel sistema stesso una distribuzione volumetrica di carica. Consideriamo pertanto un processo elementare nel quale una distribuzione iniziale Q viene variata di ò Q: se v è il potenziale (nullo all' oo) prodotto da Q e dalla polarizzazione iniziale, il lavoro esercitato sulle cariche durante tale processo vale: [11-13,1]
ò W=
))L~
(v·òe) dT ,
ovvero (3) (sistemi di unità razionalizzati): [11-13,2]
1 { ) Il tensore 'TI"E è denominato tensore degli sforzi elettrici nel vuoto (di Maxwell). È a J.C. MAxWELL (1831-1879) che si deve la prima e fondamentale sintesi teorica
dell'elettromagnetismo, presentata nel suo celebre Trattato (A Treatise on electricfty and magnetism, Clarendon Press, Oxford, 1873). Al Trattato sono dedicati due volumi della Collana UTET «I classici della scienza» a cura di E. AGAZZI, 1972. (2) È suggestivo, a tal fine, riconoscere come una porzione di tubo di flusso di E nel vuoto delimitata da due equipotenziali è «in equilibrio» come risultante delle trazioni esercitate sulle superfici di estremità e della pressione esercitata sulla superficie laterale. Magistrale è l'esposizione di questi concetti data da G. FERRARIS (vedi pag. 486) nelle sue Lezioni (vedi bibliografia).
(3) Basta ricordare che oe = div oD, E= - grad v e che pertanto v · oe = v div oD =div(v·oD)+EoD per ottenere, in relazione a un volume V finito: 1iJ (v·oe) dr=i; (v·oD)·dI:+ mv(E·oD) dr, dove I:racchiude V; estendendo l'integrazione a tull:o lo spazio, l'integrale di superficie tende a zero (!'integrando v·oD varia come r- 3 mentre la superficie di integrazione varia come r2). Da ciò la [II-13,2].
120
Il campo elettrostatico
[Cap. II
notiamo subito che l'integrazione [II-13,1] è di fatto estesa alle regioni in cui oQ ;,=O, mentre la [II-13,2] interessa le regioni in cui sono diversi da zero i campi. Se D = s E con s funzione scalare di punto indipendente da E (mezzo lineare e isotropo) e costante durante il processo elementare considerato, si riconosce che o W coincide con la variazione elementare d We del1' energia (energia elettrostatica):
msE d7=+ HLOOED d7=+ HLOO~ d7= 2
We=+
2
Voo
[II-13,3] (1)
=+ HLOO
QVd7
L'energia We corrisponde dunque, sulla base delle considerazioni sinora svolte, al lavoro che è necessario sviluppare sulle cariche per costituire lo stato elettrico caratterizzato dai valori finali (2) E e D in un sistema nel quale i materiali dielettrici sono stati considerati in posizione fissa durante il processo (&=costante punto per punto). Nelle varie espressioni di We sopra riportate si evidenziano, così come a suo tempo mostrato per lo spazio vuoto, le densità di energia (o energie specifiche):
[II-13,4]
We
1 1 1 D2 -E·D=-sE2 = - 2 2 2 s
e: [II-13,5]
±
V
'
delle quali la prima (densità di energia elettrostatica) è legata al campo ed (1) Questo passaggio non ha bisogno di spiegazioni essendo analogo a quello sviluppato nella nota (3) della pagina precedente. (2) Nelle relazioni di questo paragrafo vengono spesso indicati con lo stesso simbolo i campi considerati durante i processi e i campi «finali»; ciò non dovrebbe, peraltro, generare confusione.
§ II-13]
Energia in presenza di dielettrici materiali
121
è quindi formalmente distribuita dappertutto mentre la seconda è legata alla localizzazione delle cariche (1). È pertanto possibile, a questo punto, generalizzare le formulazioni dell'energia elettrostatica date per le reti di condensatori alla fine del paragrafo. In particolare, l'energia elettrostatica di un condensatore di capacità C= srCo è senz'altro:
Con le considerazioni sinora svolte siamo pervenuti a stabilire la cor. rispondenza tra la We (funzione dello stato elettrico del sistema in esame) e il lavoro svolto sul sistema in un processo che prevede la collocazione preliminare (con campo nullo) dei dielettrici nella loro posizione definitiva (il lavoro svolto è nullo in tale fase) e la successiva graduale allocazione delle cariche in presenza dei dielettrici, che si polarizzano di conseguenza. Allo stato finale si può peraltro giungere facendo variare in modo arbitrario dal valore iniziale a quello finale sia la densità di carica sia la costante dielettrica: il lavoro complessivo, sarà in questo caso svolto in parteesulle cariche e in parte sui dielettrici. Si può pensare, ad esempio, di stabilire prima la distribuzione Q nel vuoto nelle regioni di interesse e di prelevare poi i dielettrici dall'infinito per portarli nella loro posizione finale mantenendo Q costante. Il lavoro complessivamente svolto è anèora We (2), ma esso è scomponibile in una quota da attribuire al trasporto delle cariche nel vuoto, W (cariche), e in una quota, W (diel), corrispondente al lavoro svolto per posizionare i dielettrici. Si ha
(1) Come per lo spazio vuoto, non riteniamo di dover approfondire in questa sede la questione della localizzazione dell'energia elettrostatica; per il momento possiamo ritenere accettabili le espressioni per la densità di energia che, integrate nello spazio, forniscono il valore complessivo W, dell'energia elettrostatica del sistema. Negli integrandi si possono infatti aggiungere, senza alterare il risultato dell'integrazione, il prodotto interno tra due campi vettoriali qualsiasi purché l'uno irrotazionale e l'altro solenoidale, entrambi normali all'infinito (vedi Al, pag. 599). Si può controllare, ad esempio, che si perviene allo stesso valore W, utilizzando altre densità energetiche locali espresse in base ai campi come E· 0 0 /2, ovvero in base alle sorgenti come (v 0 Q - P · E 0 )/2. Ricordiamo che con v 0 , E 0 e D 0 indichiamo le grandezze relative allo spazio vuoto prodotte dalla carica distribuita con densità Q.
(2) Altrimenti, sarebbe possibile organizzare operazioni cicliche in un sistema di forze conservativo con bilancio non nullo per l'energia somministrata in ogni ciclo.
122
Il campo elettrostatico
[Cap. II
senz'altro, con ovvio significato dei simboli:
[Il-13,6]
))L"' CEo·D )dr
W(cariche)=+
0
e: [II-13,7]
D
W(diel)
We- W(cariche)=+
con D 0 =B0 E 0
))L"' (E·D-E ·D 0
0)
dr.
Tenendo presente la nota di pag. 121 e ponendo E= E0 + Eµ, Bo E 0 +Dµ, si ottiene intanto:
[Il-13,8] . D'altro canto s1 ha EP=
Pirr f-Psol . . -=----(vedi [II-6,16] e sgg.) per cm Bo
Bo
(vedi ancora la nota di pag. 121):
[II-13,9]
W(diel)= - +
))L"' (P·E
0)
dr
integrazione che, di fatto, è estesa alle regioni interessate dalla presenza dei dielettrici. Le espressioni [II-13,6] e [II-13,9] possono essere ricavate anche dall'analisi preliminare di un processo elementare caratterizzato da variazioni contestuali della carica e della costante dielettrica. La variazione elementare dell'energia elettrostatica specifica è così esprimibile: dwe
[II-13,10]
1
2
d(E·D)
=E·dD-
1
2
E·dD+
1
2
(D·dE-E·dD)=
E 2 ·dB; (1)
il primo termine, integrato a tutto lo spazio, esprime il lavoro compiuto sulle cariche, mentre l'integrale del secondo esprime il lavoro (negativo (1) Ai fini dell'integrazione estesa a V.,, si può fare riferimento anche alla variazione di energia specifica v d 12 - (E 212) d s.
§ II-13]
Energia in presenza di dielettrici materiali
123
se d s > O) compiuto sui dielettrici materiali nel processo elementare considerato. Nel primo dei due casi da noi considerati (d s= O) «lavora» solo il primo termine con i valori dei campi dovuti alle cariche e alla polarizzazione indotta da queste. Nel secondo caso, invece «lavora» in una prima fase ancora solo il primo termine con i valori dei campi E 0 e D 0 dovuti alle cariche nel vuoto; nella seconda fase (di introduzione dei dielettrici), il primo termine dà contributo nullo, come si può facilmep.te verificare (1), mentre l'integrazione del secondo estesa a V esprime il lavoro che viene svolto sul dielettrico per disporlo nella configurazione voluta. Si controlla agevolmente che tale integrazione conduce proprio all'espressione [II-13,9] di w(diel) (2), che è negativa. Le considerazioni appena svolte ci hanno dunque portato a definire lo stato energetico dei sistemi elettrostatici comprendenti dielettrici lineari e isotropi (3) mediante l'energia We data dalle [II-13,3], energia che, lo ripetiamo, è uguale al lavoro che è necessario svolgere per realizzare i campi nel sistema in esame. Possiamo quindi generalizzare quanto già visto nel caso dei campi nel vuoto: considerare cioè We come una energia «assorbita» dal sistema durante la «carica» e quindi «restituita» durante un processo di «scarica» del sistema stesso. E ciò vale, ovviamente, non solo per le distribuzioni volumetriche di carica ma anche per le distribuzioni superficiali. 00
(1) Gli incrementi di D sono solenoidali per cui
m (E·dD) dr=O. V=
(2) Si ha infatti -E2 de=D·dE-E·dD; ponendo D=D 0 +Dp e E=E 0 +Ep si ottiene, tenendo conto che dE 0 e dD 0 sono nulli: 1
E
dEP
dDP
0 --E2de= --·d(D -eOp E )+D P · 2 2 P 2 - EP · 2.
Nell'integrazione estesa a V"' il contributo degli ultimi due termini è nullo (EP è irrotazionale e DP è solenoidale). Si potrà in definitiva considerare il termine: Eo Eo --·d(D -eOE)= --·dP 2 P P 2
la cui integrazione, prima locale tra O e P, poi estesa a V"', fornisce appunto la [Il13,9].
(3) La espressione dell'energia del sistema come integrale di volume dell'energia specifica (1 /2) E· D vale anche nel caso non isotropo purché la relazione tra E e D sia costituita da un tensore (tensore dielettrico) le cui componenti siano funzioni solo del posto (vedi pag. 86).
124
Il campo elettrostatico
[Cap. II
Tutto questo non deve peraltro indurci a credere che si possa in ogni caso parlare di energia We «immagazzinata» nei termini sopra riferiti. È vero invece, e lo si riconosce facilmente, che tale punto di vista può essere giustificato solo quando il sistema interagisce con l'esterno solo tramite il lavoro elettrico svolto e quando è, nello stesso tempo, garantita la costanza di s; in generale, però, questo non è il caso. Se ad esempio (come avviene per la massima parte dei dielettrici materiali) svaria con la temperatura (e= s (1)), le due condizioni ora ricordate non possono verificarsi contemporaneamente perché la costanza di s implica quella di T, e fa costanza di T non si ottiene senza scambio di calore. Considerazioni termodinamiche più approfondite portano a concludere che la quantità di calore q che è necessario somministrare al dielettrico in un processo isotermo di carica, con riferimento all'unità divolume, vale: [II-13,11] Quanto sopra ci porta dunque a concludere, ricordando il primo principio della Termodinamica, che l'energia interna specifica del sistema sul quale viene svolto, per unità di volume, il lavoro we= 112 (E· D), varia della quantità: [II-13,12] Osserviamo che se la suscettività xe=Csr-1) è inversamente proporzionale alla temperatura (sostanze polari, vedi [II-7, 7]), si ha q < O(è cioè necessario asportare calore perché il processo si mantenga isotermo); in tal caso si ottiene facilmente dalle [II-13,11] e [II-13,12] che la variazione di energia interna coincide con l'energia elettrostatica s0 E 2 12 dello spazio vuoto sottoposto al campo elettrico E dovuto sia alle cariche libere sia alla polarizzazione; l'ulteriore quota di lavoro fornita, pari a (1) Si ha dunque, in generale: Lìw,=Lìu-q;
nel processo isotermo q=Lì (S1) dove S è l'entropia specifica. La variazione di w, coincide dunque con la variazione della funzione di stato (u - S1), cioè dell'energia libera specifica.
§ II-13]
Energia in presenza di dielettrici materiali
125
(sr- l) we, viene asportata come calore nel processo isotermo concepito per la carica. In un processo rigorosamente isotermo concepito per la scarica si estrae dal sistema «tutta» l'energia specifica we purché ad esso si somministri il calore Iq I per unità di volume. In un processo adiabatico di carica, sempre nel caso in cui d s/ dT < O, si ha un riscaldamento del dielettrico: in relazione peraltro alla capacità termica in gioco la variazione di temperatura è di entità assolutamente trascurabile (1). È quanto accade solitamf;nte in pratica. Abbiamo ritenuto opportuno soffermarci su questi aspetti termodinamici per dare risalto al fatto che, anche nel caso di linearità ed isotropia, il comportamento dei dielettrici nel campo elettrico si inquadra in una visione ben più ampia di quella consentita dal modello elettrostatico puro e semplice. Aggiungiamo ancora, sempre con riferimento ai casi trattati, che per mantenere la costanza di s durante i processi è necessario che il materiale non risenta degli effetti di forze interne come ad esempio quelle dovute all'azione di un campo elettrico disuniforme sulla polarizzazione; tali forze producono, in genere, deformazioni nel materiale (elettrostrizione, vedi pag. 131) e conseguenti variazioni della costante dielettrica. Ricordiamo anche un altro importante effetto elettromeccanico reversibile, ben noto col nome di piezoelettricità: a una pressione (o trazione) su un cristallo secondo assi particolari può corrispondere (in assenza di un centro di simmetria) una polarizzazione secondo assi ortogonali e viceversa. Tipici materiali piezoelettrici sono il quarzo (classico ne è l'impiego nei dispositivi elettromeccanici, in particolare quelli per la stabilizzazione delle frequenze di oscillazioni elettriche), il sale di Seignette (tartr.ato doppio di sodio e potassio cristallizzato con acqua) e i titanati (quello di bario, in particolare, che presenta una costante dielettrica relativa molto elevata, dell'ordine di varie migliaia). Il sale di Seignette, il titanato di bario ed altre analoghe sostanze cristalline presentano, oltre alle caratteristiche piezoelettriche, comportamenti cosiddetti ferroelettrici in analogia ai comportamenti ferromagnetici (di ben maggiore rilevanza pratica e che saranno trattati più avanti, vedi Capitolo IV). Una volta sottoposte ad un campo esterno, le sostanze suddette rimangono
(1) L'ordine di grandezza della variazione si determina subito ammettendo che il calore q dato dalla [II-13,11] dia luogo in un dielettrico con calore specifico C, a un riscaldamento a T=q/C. Si può verificare che, con i campi elettrici praticamente accettabili alla temperatura ambiente negli isolanti di comune impiego, si ottengono per a Tvalori dell'ordine del milionesimo di kelvin.
126
Il campo elettrostatico
[Cap. II
polarizzate anche dopo l'annullarsi del campo stesso. Per annullare la polarizzazione residua è necessario applicare un campo contrario a quello iniziale di valore opportuno. La polarizzazione residua è peraltro mascherata dalle cariche libere che emergono sulle superfici, cariche che possono venire evidenziate facendo diminuire, o addirittura scomparire, la polarizzazione mediante azioni termiche (piroelettricità). Questi cenni hanno soltanto lo scopo di indicare gli aspetti più significativi dei complessi fenomeni che si presentano nel comportamento dei materiali dielettrici: si deve aggiungere che quanto abbiamo riferito ha sempre come presupposto la «lentezza» di tutti i processi considerati, lentezza necessaria per poter attribuire ai processi medesimi i caratteri della quasi-stazionarietà, e per descrivere quindi la loro evoluzione nel tempo come una successione di stati di equilibrio. Ben diversa si presenta la situazione quando i fenomeni variano nel tempo in modo da non consentire la quasi-stazionarietà; ovviamente, in tal caso, lo studio dei fenomeni diventa più complicato, ed i problemi più difficilmente risolvibili; non è peraltro nòstro compito occuparci a fondo di questa materia, e pertanto diamo in merito soltanto un cenno indicativo. Un campo elettrico alternativo di frequenza! produce una polarizzazione che segue, istante per istante, la legge di corrispondenza: P = xeE, del regime statico solo quando f è, per così dire, «sufficientemente bassa». In tale situazione tutti i meccanismi presenti nel dielettrico contribuiscono alla polarizzazione. Facendo crescere la frequenza a partire dalla situazione di cui si è detto, si riconosce che, uno dopo l'altro, i suddetti meccanismi risentono della dinamica temporale imposta dall'esterno. Lo si avverte, in primo luogo, nel meccanismo della polarizzazione per orientamento, ed il fatto si spiega facilmente pensando che le rotazioni delle strutture nucleari che vi sono interessate subiscono fortemente, per così dire, l'effetto dell'«attrito interno», e conseguentemente appaiono via via sempre più ridotte nell'ampiezza (1); il comportamento si riconduce quindi per le frequenze più alte a quello della sola polarizzazione elettronica. Questa infatti risente della frequenza solo quando si è prossimi alle frequenze naturali di vibrazioni degli atomi, al campo, cioè, delle frequenze luminose (vedi anche VIII-8). A ciascun ciclo di polarizzazione si accompagna, nelle condizioni non conservative descritte, un lavoro non nullo. I valori di D per E crescente (1) Tipico è, per esempio, il comportamento dell'acqua, che a 20°C vede ridursi la
s, da 80 a 1.7 + 1.8 nell'intervallo tra 109 e 1012 Hz, e del ghiaccio, per il quale lariduzione si ha tra 102 e 105 Hz (a -1 °C).
§ II-13]
Energia in presenza di dielettrici materiali
127
non coincidono con quelli che si hanno quando E diminuisce; in particolare si riscontrano valori non nulli della polarizzazione quando il campo elettrico è nullo. Siamo in presenza, come suol dirsi, di un ciclo di isteresi. Il lavoro assorbito per unità di volume in un ciclo è l''l'cic1oE·dD, e corrisponde, in opportuna scala, all'area del ciclo stesso. Il lavoro medesimo si ritrova sotto forma di calore ( 1). Concludiamo ricollegandoci a quanto esposto alla fine del paragrafo II-8 sottolineando il fatto che i dielettrici·non sono, in generale, isolanti perfetti. Con modalità molto diverse a seconda dello stato di aggregazione, si presentano migrazioni di cariche libere crescenti con i valori dei campi applicati; come vedremo in III-5, la presenza della conduzione, ancorché modestissima, può intervenire in modo consistente a modificare il comportamento del sistema sia sotto il profilo della distribuzione dei campi sia sotto il profilo energetico. Quando poi il campo applicato supera certi limiti si innescano nel dielettrico meccanismi che compromettono le loro proprietà isolanti. Lo studio dei fenomeni di scarica nei gas, nei liquidi e nei solidi esula dai limiti della nostra esposizione; riferiamo soltanto che l'intensità del campo per la quale si ha l'innesco (rigidità dielettrica) non dipende soltanto dal materiale con particolare riguardo alle impurità (e al fatto che i meccanismi sono molto diversi a seconda dello stato di aggregazione) ma anche dalla configurazione geometrica e dalle dimensioni del sistema, dalla natura e dallo stato degli elettrodi, nonché dalle condizioni di smaltimento del calore (tipici sono i fenomeni di instabilità termica o di ionizzazione per urto) (2) (3). È in questo quadro che si individuano i limiti per l'energia elettrostatica «accumulabile» in un dato volume. Si tratta di energie dell'ordine di alcuni MJ/m3 (teniamo presente che 1 m 3 d'acqua col baricentro all'altezza di 1 m dal suolo possiede, rispetto al suolo, un'energia potenziale (1) La dissipazione di energia che si ha nella polarizzazione alternativa riscalda il dielettrico ed è alla base di vari trattamenti termici industriali (riscaldamento per perdite dielettriche). (2) Nella vastissima letteratura riguardante i dielettrici ci limitiamo a segnalare E. e B.R. voN HIPPEL, in bibliografia.
DuRAND
(3) A titolo indicativo riportiamo i valori della rigidità dielettrica per alcuni isolanti gassosi, liquidi e solidi di largo impiego nelle costruzioni elettromeccaniche: Aria a pressione e temperatura necessarie 30 kV /cm Olio minerale 100 " 200 Ebanite, vetro, porcellana Mica 500 "
128
Il campo elettrostatico
[Cap. II
di circa 10 MJ). Vedremo in seguito (pag. 267) che nel campo magnetico si possono accumulare energie anche 105 volte maggiori, a parità di volume.
II-14. Forze nei dielettrici Un dielettrico polarizzato è sottoposto, in quanto tale, a forze di volume e a forze di superficie; il loro calcolo può essere affrontato con procedimenti che fanno riferimento ad una delle impostazioni seguenti: a) analisi del bilancio tra il lavoro delle forze per spostamenti elemen-
tari del dielettrico e delle cariche e la variazione dell'energia elettrostatica del sistema; b) estensione formale del tensore degli sforzi di Maxwell, così come l'abbiamo individuato a pag. 118; c) composizione, a livello macroscopico, delle forze agenti sui dipoli elementari sulla base di formulazioni del tipo [II-5,4]. Sviluppiamo anzitutto il primo dei procedimenti indicati, le cui conclusioni saranno di guida, come vedremo, per lo svolgimento degli altri due, che pure sono essenziali per una migliore comprensione di un argomento particolarmente delicato. Consideriamo una distribuzione volumetrica di carica in un dielettrico lineare e isotropo con costante dielettrica s funzione continua del punto (1); consideriamo inoltre per lo stesso dielettrico, concepito come supporto delle cariche e dei dipoli, la densità di massa Q m in generale anch'essa funzione del punto. Diamo al supporto una deformazione arbitraria (entro i limiti consentiti dai vincoli esterni ai quali il sistema è ancorato) e caratterizzata, come spostamento infinitesimo, da una funzione~ continua del punto (2). Si ha una variazione dWe dell'energia elettrostatica del sistema, e dimostreremo che d we f* • ~ d 7 dove -f *, vettore omogeneo con una densità volumetrica di forza, è definito punto per punto indipendentemente da ~- D'altro canto, se sulle cariche e sui dipoli contenuti nel volumetto d T agisce la forza f d T di origine elet-
mv~
1 ( ) L'applicazione dei risultati ai casi in cui vi sono discontinuità di e si può ottenere con opportuni passaggi al limite.
(2) Non vi è somministrazione (né sottrazione) di carica al sistema durante lo spostamento.
§ II-14]
Forze nei dielettrici
129
trica, vale il bilancio tra diminuzione di energia elettrostatica e lavoro svolto (1), nella forma: [II-14,1] il che comporta, per l'arbitrarietà di~: [II-14,2]
f= -f*
È essenziale dunque, per la valutazione delle forze, identificare la funzione vettoriale f*. Ai fini del calcolo della funzione f * è utile partire dalla seguente espressione della variazione di energia specifica (vedi [II-13, 10]):
1 dwe=Vdg--E2 ds,
[Il-14,3]
2
nella quale E - grad v è il campo elettrico presente nel sistema, mentre dg e d s esprimono le variazioni locali per la densità di carica e la costante dielettrica conseguenti alla modificazione ipotizzata; una volta stabilite le relazioni che legano dg e d s allo spostamento ~, passeremo al calcolo della variazione complessiva di We che, come vedremo, assumerà proprio la forma cercata [II-14,1]; si potrà quindi applicare la [II14,2] per ricavare la densità volumetrica di forza f agente nel volumetto infinitesimo dr. Per quanto riguarda dg della [Il-14,3], in base alla legge di continuità [1-5,3] si riconosce che: [II-14,4]
dg=
div {g ~)
e il termine corrispondente nella dWe=
lllv~ (dwe) dr assume la for-
ma (2): [II-14,5]
dWe(e)=
JJL~
(gradv) g·~dr=
-HL~
(g E·~) dr
(1) Tale bilancio è, per così dire, «estratto» dal quadro complessivo del bilancio energetico relativo al processo ipotizzato; esso comprende il lavoro di deformazione e la variazione di energia elastica, gli eventuali scambi di calore e le variazioni di energia interna, il lavoro delle forze gravitazionali e le variazioni di energia potenziale. Non intervengono, nel nostro caso, generatori elettrici esterni. (2) Basta, al solito, tener presente che v div (e~)= div (v ·e~)- e~· grad v e applicare il teorema della divergenza ad una sfera il cui raggio tende all'oo.
130
Il campo elettrostatico
[Cap. II
relazione che, in base alle considerazioni svolte, fornisce il contributo a f dovuto alle cariche:
[II-14,6]
Per quanto riguarda la va"riazione locale ds della costante dielettrica, ricorrendo alla legge di continuità per la massa e alla dipendenza di s dalla densità materiale Q "" si perviene (1) alla:
[Il-14,7]
ds= -~·grads-{J div~
con
87 m
il contributo corrispondente alla d We, in base alla [II-14,3], assume pertanto la forma:
[II-14,8]
dWe
(dieI)=+
i L~
[(E2 grads)·~+/J E 2 div~] dr
Il primo termine dell'integrando è già nella forma di prodotto scalare tra lo spostamento ~ e una grandezza omogenea con una densità volumetrica di forza; il secondo, come si può controllare, può essere senz'altro sostituito (2), ai fini dell'integrazione, col termine - ~- grad ([JE2), (1) La e va considerata come funzione di punto e del tempo; una semplice analisi mostra che la variazione «sostanziale» De per la materia che, all'istante zero, occupa il volumetto dT centrato in P e all'istante dt ha subito lo spostamento~. vale: (*)
De=e(P+t dt)-e(P)=~·grade+de.
D'altro canto De= (del d Qm) (D Qm) dove Dem è la variazione sostanziale di Qm• Per Dem e dQm valgono relazioni analoghe alla(*) e alla [II-14,4]. Si ricava facilmente: Dem= - em div~
e, per sostituzioni successive, si ha senz'altro la relazione del testo per de . (2) Si ha al solito, {3E1- div~= div ({3E1- ~) - ~ •grad ({3E1-); l'integrazione a una sfera di raggio che tende all'oo e l'applicazione del teorema della divergenza forniscono senz'altro la validità della sostituzione proposta.
§ II-14]
Forze nei dielettrici
131
anch'esso dèl tipo richiesto. Si ottiene in definitiva, quale contributo f(dieI> a f dovuto alla polarizzazione (H. HELMOLTZ, 1881):
[II-14,9]
-
f (diel) -
- -
1
2
2 1 2 E grad 8 +- grad ((3 E )
2
nella quale il primo termine è dovuto alla disomogeneità del dielettrico; il secondo, denominato termine di elettrostrizione, interviene anche nel caso di dielettrico omogeneo quando il campo è disuniforme. Quest'ultimo termine, per il fatto di essere il gradiente di una funzione che si annulla al di fuori del dielettrico (dove (3 = O), non dà luogo a forza o momento risultanti su un corpo isolante nello spazio vuoto ma, come meglio si vedrà in seguito, solo ad uno stato tensionale interno. La verifica sperimentale della validità locale della [II-14,9] pone problemi rilevanti in un contesto che è ancor oggi dibattuto. Esperimenti recenti danno credito alla [II-14,9] rispetto ad altre che ne differiscono per il termine di elettrostrizione (vedi la monografia di I. BREVIK: «Experiments in phenomenological electrodynamics» in Physics Reports, 52, 3, 1979, pag. 134, particolarmente aggiornata sulla controversia). Prima di passare ad alcune ulteriori considerazioni sulla [II-14,9] che, lo ripetiamo, vale nel caso di linearità e isotropia (1), vogliamo collegarlo alle altre due modalità di calcolo elencate all'inizio di questo paragrafo, quella formalizzata tramite il tensore degli sforzi e quella sviluppata in base alle azioni elementari. Cominciamo da quest'ultima, ricordando [II-5,4] che la forza agente su un dipolo elementare di momento op immerso in un campo E vale (op· grad) E, e osservando subito che il passaggio alla densità volumetrica di forza (P · grad) E, con P = (8 - s0) E, comporta la assunzione, ai fini del calcolo della forza agente su ciascun dipolo elementare, della disuniformità propria del campo macroscopico E anzichè di quella del campo microscopico. La non liceità di tale assunzione è confermata dal confronto tra (P· grad) E e l'espressione [II-14,9] (1) Va qui tenuto conto che i solidi presentano un comportamento anisotropo quando sono sede di uno stato tensionale che in generale consta anche di sforzi ditaglio; le considerazioni che stiamo svolgendo trascurano questo aspetto, e pertanto si applicano senza particolari cautele ai dielettrici fluidi nei quali lo stato tensionale è riconducibile ad una funzione scalare di punto (la pressione) e a sforzi esclusivamente normali alle superfici.
Il campo elettrostatico
132
[Cap. II
di fcctieI> ottenuta per la via energetica; risulta infatti, tenendo presente che P=(s-s0) E: (P · grad) E= -
1 2
(s- s0) grad E 2 =
1 2
1 2
= - - E2 grad s + - grad (s- s0) E2 =
[II-14,10]
=fcctieI)-
1
2
2
grad [{3-(s-s0)] E ,
relazione che evidenzia il ruolo della funzione [/3-(s- s 0)] nel confronto da noi impostato. In base ad una semplice analisi svolta per i dielettrici la cui suscettività (sr-1) è data dalla formula di Clausius-Mossotti (1), si riconosce subito che /3, dato dalla [II-14,7], è diverso da (s-s 0); precisamente, per i dielettrici in questione: [II-14,11] ove, lo ricordiamo, r è il coefficiente che interviene nella espressione del campo efficace Eerr E+ sP/ e0 (vedi [II-7,4]). Esprimendo /3 in tal modo nella [11-14, 10] si ottiene: [II-14,12]
r
f (diel) = (P •grad) E+- grad P 2 2s0
(1) Si ha (vedi [II-7,6]): &-&o 1 &o x.= na/(1- .ì na) = - - , per cui-=--+ .ì &o
na
&-&0
ove n (numero di dipoli per unità di volume) è proporzionale a Qm; si ha dunque f3 = Qm (del d Qm) = na [d (e- &0 ) / d (na)] da cui, con facili sostituzioni, la [II-14, 11]. (2) Osserviamo che fcdiel) può esprimersi anche tramite il campo Eerr=E+ (.ì / e0) P che, come mostrato a pag. 81, può, sotto certe ipotesi, essere assunto come il campo che effettivamente agisce per costituire la polarizzazione. Da [II-14,12] si ottiene:
.ì
f (dici)= (P . grad) Eerr + - p
X
rot p ,
&o
dove vien messo in luce il ruolo di Eerr anche ai fini della determinazione della forza specifica. Osserviamo che il rotP è nullo nelle regioni di omogeneità e, più in generale, quando E e grad e sono paralleli (dielettrico stratificato secondo superfici normali al campo); si ha infatti in tal caso: rotP=rot (e-&0) E= -Exgrade=0 .
§ II-14]
Forze nei dielettrici
133
Va notato subito che ai fini della valutazione della forza F(ctieI) complessivamente agente su un dielettrico scarico, lineare e isotropo nel vuoto, sono tra loro coincidenti i risultati che si ottengono integrando f data dalla [II-14,9], ovvero (P · grad) E, ovvero -(1/2 E 2) grads, su un volume V delimitato da una superficie b che, sviluppandosi nel vuoto comprende il corpo; la differenza tra le formulazioni locali è infatti il gradiente di una funzione che si annulla sulla frontiera b del volume considerato. Si ha dunque, in base alle [II-14,9] e [II-14,12]: F(diel)=
JJL fdiel dr= JJL (P·grad) E dr=
[II-14,13] =
-+ jjj
2
v (E grads) dr
espressione che ci porta ad evidenziare altri aspetti significativi (1). Soffermiamoci anzitutto sul caso in cui un corpo dielettrico omogeneo (s= cast) è immerso nello spazio vuoto; si riconosce allora che il contributo alla F(dieI) proviene, in via formale, esclusivamente dalla forza agente ~ullo strato superficiale sul quale si sviluppa la discontinuità di s. Si tratta di svolgere opportuni passaggi al limite nella [II-14,13], tenendo conto che attraverso la superficie b che delimita il dielettrico si conservano il componente tangenziale Et di E e la componente normale Dn di D = sE. Si ottiene facilmente la seguente espressione per il valore della densità superficiale di forza che tiene conto soltanto del termine che deriva dal gradiente superficiale di s (2):
[II-14,14]
2 1 ( Et+ -(s-s 0) 2
2)
S En So
(1) Va anche osservato, ma omettiamo la dimostrazione, che è possibile esprimere la forza risultante integrando sul volume del corpo la densità volumetrica E ( - div P); ricordando che - div P esprime la densità Q P della carica legata, si ottiene, quale ulteriore espressione della forza specifica la seguente, molto semplice, che evidenzia la densità di carica totale: f= Q,E=(Q-divP) E.
(2) Qui En è valutata nel dielettrico.
134
Il campo elettrostatico
[Cap. II
forza diretta dal dielettrico materiale verso il vuoto. Si riconosce che il corpo è attratto verso le regioni di campo più intenso. Sottolineiamo che l'espressione di ff non comprende il contributo ff che deriva dalla considerazione, nello strato superficiale, del termine f" = (1/2) grad {3 E 2 che compare nella espressione [Il-14,9] di fcweI)• Si ottiene, nello strato (qui E è il campo nel dielettrico): [II-14,15] e tale forza specifica è diretta verso il dielettrico materiale (1). D'altro canto, la risultante F f dell'integrazione di ff sulla superficie che delimita il dielettrico in questione è bilanciata dalla forza F" risultante dall'integrazione, estesa alla regione di uniformità per e, della densità volumetrica f". Ciò vale sia per quanto riguarda la forza risultante (si ricordi che f" è il gradiente di una funzione che si annulla fuori del dielettrico) sia per quanto riguarda il momento (2) rispetto ad un punto qualsiasi. Sono queste le considerazioni che giustificano il ricorso alla espressione - (1 /2) E2 grad s per il calcolo della forza e del momento risultante e, nel caso di omogeneità del dielettrico, il ricorso esclusivo alla forza superficiale f f. Così facendo però, si trascura un insieme di forze di effettorisultante nullo ma che intervengono peraltro a determinare lo stato tensionale del dielettrico sottoposto al campo. Lo stato tensionale si manifesta dunque anche in assenza di un effetto risultante che, se diverso da zero, è in equilibrio sotto l'azione di vincoli esterni e/o di forze divolume non elettriche. Ricordiamo, a questo punto, che le considerazioni svolte valgono (1) Osserviamo che con {3 dato dalla [Il-14,11]
fy; = n (ff. - H.) =
1 (s,-1) 2 --2 3
et= 1/3 si ha:
&0
(2 E;;-P,) n ;
la forza è pertanto diretta verso l'esterno se E,=0, e verso l'interno se En=O. Se il dielettrico è un fluido nel quale le forze ponderomotrici specifiche sono uguali a gradp (ove p è la pressione idrostatica), si ha nel primo caso una prevalenza della pressione esterna rispetto a quella interna, viceversa nel secondo caso. (2) Si ha infatti, ponendo f" =gradif,,, f" xr=rot(if,,r); inoltre, vedi [Al-3,30],
mv rot (if,,r) dr= Ji:( -if,,r) x d.'E; ma nel nostro caso 1/t= (1/2) {3E2 vale zero su .'E. Si
annulla, pertanto, il momento risultante
mv è il valore medio dei tempi intercorrenti tra l'ultima collisione e l'istante t0 ; < T > coincide pertanto anche con il valore medio dei tempi intercorrenti tra !0 e la prima collisione subita da parte degli elettroni, sempre a partire dall'istante !0 • In termini statistici si può dire che la probabilità d'urto per un elettrone nell'intervallo elementare dt a partire da un qualsiasi istante vale dt/ < r >.
Forza elettrica specifica «totale»
§ III-2]
143
esprime la conducibilità dovuta agli elettroni per il materiale in esame, grandezza che è entro ampi limiti indipendente dai valori del campo. In generale la conduzione è dovuta a portatori di specie diversa (oltre agli elettroni, gli ioni positivi e nègativi negli elettroliti e nei gas ionizzati, le lacune positive nei semiconduttori). Per la singola specie, a seconda del suo segno, si ha (vedi [III-2,5]): [III-2,6] con l'ovvio significato dei simboli. In generale, la forza specifica fs = Fs/ Iqs I è composta in effetti anzitutto da una quota ± E dovuta al campo elettrostatico E, ovviamente indipendente dalla specie in gioco; ma è a questo punto che evidenziamo il fatto fondamentale della presenza, almeno in talune regioni, di una quota ulteriore della forza specifica: la indichiamo con f; e facciamo la posizione: [III-2,7]
f; =
±E;,
per cui
fs = ±(E+ E;)
Risulta dunque, ponendo E 1 es>= E+ E;: [III-2,8] Vedremo subito il ruolo fondamentale esplicato dalle grandezze E; nel rendere possibile la conduzione stazionaria in quanto responsabili della conversione energetica in atto. La densità di corrente complessiva I:Js=J sarà così esprimibile (legge di Ohm alle grandezze specifiche (1)): [III-2,9]
J = a E 1 = a (E+ E*)
I,
(1) S. OHM formulò (1826) il legarne tra le tensioni V e le intensità di corrente I in regime stazionario per i conduttori metallici, filiformi e omogenei (vedi III-6) di sezione S e lunghezza I nel modo seguente:
us--f-----,[ .
[~ I-=
Nel sistema SI la conducibilità si esprime in (AIV)lm; e il rapporto volt/ampere viene espresso in ohm (O); il rapporto A I V viene espresso in siemens (S) in onore di W. VON SIEMENS (1816-1892), cui si deve il primo sviluppo su larga scala industriale delle applicazioni elettriche e, in particolare, la realizzazione dei primi campioni a mercurio per la resistenza elettrica (vedi A2 a pag. 661). In unità SI, la conducibilità si esprime in S/m; la resistività (u- 1) si esprime in (VIA)·m e, pertanto, in ohm· metro (O· m) o, più di frequente, tramite i relativi sottomultipli (per i buoni conduttori, ad esempio, in µ,O·m=O mrn2 /m).
144
Conduzione elettrica in regime stazionario
[Cap. III
con:
[IIl-2,10] [IIl-2,11]
avendo posto: [III-2,12]
questa relazione esprime il valore medio delle E; pesate con le corrispondenti conducibilità. Siamo così pervenuti anche per il mezzo conduttore ad esprimere il legame costitutivo tra due funzioni vettoriali J e E1 tramite una funzione scalare a, la conducibilità elettrica del mezzo. Nella espressione dellaforza specifica totale E1 emerge in tutta evidenza la sua componente E* che a buon titolo, come subito vedremo, viene denominataforza elettromotrice specifica impressa (1). È infatti la presenza di E*, funzione vettoriale a rotore non identicamente nullo, che rende possibile la corrente in regime stazionario: se rot E* = Oil campo E1 è irrotazionale per cui:
il che, essendo a > O, comporta J = O. Introducendo dunque il rot E1 = rot E* e considerando anche i rotori superficiali, possiamo senz'altro presentare il modello per la conduzione stazionaria: (1) Il vettore E* viene spesso denominato campo impresso; tale dizione è impropria in quanto, in generale, le forze impresse possono agire sulle cariche non in quanto tali ma sui loro supporti e, pertanto, esse non sono in tal caso la manifestazione di azioni a distanza. Va qui inoltre osservato che secondo la [III-2,9] sono sempre concordi i versi della forza specifica totale e della densità di corrente; nulla si può dire invece, in generale, circa i versi di E e E* rispetto al verso di J, punto per punto. Se E* e J hanno componenti discordi l'uno rispetto all'altro, si usa denominare E* forza controelettromotrice specifica impressa; vedremo peraltro che I' (E*· J) d T è sempre positivo. Siamo quindi portati a dire che E* e J sono «in media» concordi.
mv~
(2) Ciò in base alla proprietà, più volte ricordata, del prodotto interno tra un campo irrotazionale e uno solenoidale (vedi Al-3e).
Forza elettrica specifica «totale»
§ III-2]
div J =0 ;
145
divi: J =0 ;
[III-2,13]
J=crEr rot Er = rot E*
roti:; Er = Ili: X (K~ - Ej)
Il caso più semplice, anche se soltanto istruttivo, è quello in cui tutto lo spazio è omogeneo (cr= costante). Dato E*, è infatti immediato, almeno in linea di principio, determinare· Er, e quindi J = E/ cr. La forza specifica totale Er è infatti solenoidale (in quanto div E,= (1 / cr) div J = O), ed il suo rotore coincide con quello di E*; si può dire allora che Er coincide con il componente solenoidale di E*. Si ha dunque E,= Et0 1), mentre il campo elettrostatico E Er - E* = Et 1) - E* coincide, a sua volta con - Eòrr>· La fig. III-2.1 illustra la situazione nel caso in cui E* sia diverso da zero e uniforme in un dominio limitato. Come si vede, all'interno del dominio si ha E, Et 1) = E* - Eòrr> =E*+ E, mentre all'esterno si ha Er Et 1) = E. Nella regione del generatore la densità di corrente è prodotta dall'azione combinata di E* e del campo elettrostatico; nella regione in cui E*= O, la densità di corrente è prodotta esclusivamente dal campo elettrostatico. Nel modello [III-2,13] si ravvisa, dunque, anche se non esplicitamente, il ruolo fondamentale esplicato dal «campo impresso» E* tramite i 0
0
0
Etr=
-E
G] E
0
=O b)
a)
Fig. III-2.1.
e)
Conduzione stazionaria nello spazio omogeneo: 0
a) nella regione V il «campo impresso» E è diverso da zero; nella regione complemen0
tare E =0; b) linee del campo E, che coincide dappertutto con Ecs00 ;
e) linee del campo Ec;"i che coincide dappertutto con - E. 0
All'interno di V si ha E,= E +E= (E che interviene nella espressione [III-2,3] della mobilità. L'ipotesi più semplice, e alla quale si restò per lungo tempo ancorati per la cinetica del gas elettronico, è stata quella del gas perfetto (P. DRUDE, 1900), caratterizzato dalla funzione di distribuzione per le velocità di Maxwell-Boltzmann. In tal senso sono state sviluppate le analisi successive (H.A. LORENTZ, 1909 - vedi bibl.) ma l'ipotesi del gas elettronico, va detto subito, rendeva conto solo in parte di importanti evidenze sperimentali riguardanti, in primo luogo, il raccordo tra le proprietà elettriche e le proprietà termiche del materiale metallico. Per quanto riguarda la conducibilità termica (il coefficiente (vedi [111-2,5]) (a velocità tipiche del livello di Fermi il libero cammino medio tra una collisione e l'altra è di centinaia di spazi reticolari!) e la dipendenza pressoché lineare della resistività con la temperatura. Tale comportamento viene interpretato ricordando che lo stato energetico degli elettroni risente molto poco della temperatura, e concependo un modello di meccanica ondulatoria (2) nel quale le interazioni tra gli elettroni e il reticolo sono correlate allo stato energetico di vibrazione dei «centri diffusori» del reticolo stesso, stato che dipende, invece, dalla temperatura: si riconosce infatti che la probabilità di interazione (inversamente proporzionale a < 7 > e pertanto direttamente alla resistività) cresce con il quadrato dell'ampiezza delle vibrazioni e, pertanto, linearmente con la temperatura. Alle bassissime temperature anche tale modello non trova riscontro sperimentale: si ipotizza che diventino dominanti gli effetti delle impurità e delle imperfezioni che introducono deviazioni nella periodicità strutturale dei centri diffusori del reticolo. Passiamo senz'altro a un insieme di dati nu\
(1) La quota modestissima di calore specifico molare dovuta al gas degenere di elettroni è dunque proporzionale a T, in accordo con l'esperienza anche alle bassissime temperature. (2) All'elettrone in moto con velocità v viene associata un'onda di lunghezza 'A=hlmv («onda diL. DEBROGLIE», 1924)=h/✓2 m W. Assumendo come limite inferiore per À quel~o corrispondente all'energia di Fermi [III-3,5], si trova che À è maggiore di 2a dove a è il passo reticolare. Nell'ipotesi di ioni fissi, non si hanno interazioni tra elettroni e il reticolo.
§ III-3]
Conducibilità dei metalli ...
153
merici significativi ricordando che la legge di Ohm è verificata nei metalli in campi di densità di corrente che ricoprono largamente i campi di impiego. La dipendenza dalla temperatura della resistività di parecchi metalli puri è ben esprimibile, per temperature superiori a qualche decina di kelvin, con la: [III-3,6] ove Qt'J e Qo sono le resistività alle temperature {} e {} 0 ed a è il coefficiente di temperatura relativo alla temperatura di riferimento {}0 (per varie sostanze la dipendenza suddetta fornisce resistività quasi nulle alle bassissime temperature). L'elenco seguente è indicativo in proposito (1): Q (a 20°C) (µ,D·m=D mm 2 /m)
Alluminio Argento Ferro Mercurio Nichel Oro (molto puro) Piombo Platino Rame Stagno Tungsteno Zinco
0.028 + 0.030 0.016 + 0.017 0.090 + 0.150 0.96 0.072+0.078 0.024 0.022 0.10 0.0173 + 0.0179 O.Il+ 0.12 0.055 0.060
a (a 20°C) (°C-1)
3.7•10- 3 3.8· 10- 3 4.5. 10- 3 0.89· 10- 3 6-10- 3 3.4· 10- 3 3.9• 10- 3 3.6• 10- 3 3.9• 10- 3 4.3· 10- 3 4.5•10- 3 3.7•10- 3
Le leghe metalliche sono caratterizzate da resistività più elevate di quelle dei singoli componenti e, inoltre, la dipendenza dalla temperatura è molto meno marcata; l'elenco che segue riguarda leghe di comune impiego per l'elettrotecnica per gli scopi di volta in volta indicati: (1) I valori effettivi di resistività risentono della purezza e del trattamento tecnologico (termico e/ o di lavorazione meccanica); i dati qui riportati sono pertanto da assumersi come largamente indicativi. Ricordiamo che della variazione della resistività con la temperatura è essenziale tener conto nelle costruzioni elettromeccaniche (per una variazione di 50°C si ha un incremento del 20% nella maggioranza dei casi), e che ad essa si fa ricorso per la realizzazione di termometri elettrici.
154
Conduzione elettrica in regime stazionario
[Cap. III
Q (a 20°C) (µO·m=n mm 2 /m)
Leghe per campioni di resistenza: Costantana (55% Cu+450Jo Ni) Manganina (84% Cu+40Jo Ni+ 120Jo Mn) Nichelina (670Jo Cu+300Jo Ni+30Jo Mn)
0.50 0.45 0.40
2-10- 5 1.5· 10- 5 1.5 · 10- 4
Leghe per condutture elettriche: Aldrey (990Jo Al+0.60Jo Si+0.40Jo Mg)
0.032
3.6·10- 3
Leghe per stufe e forni elettrici: Nichelcromo (800Jo Ni + 200Jo Cr)
1.0
1 · 10- 4
Leghe per lamierini magnetici (vedi V-4): Ferro-silicio (da 1 a 40Jo di Si)
0.25 + 0.45
4•10- 3
Altre leghe: Acciaio Siemens-Marten Bronzo Ottone Ghise
0.18 0.018 + 0.02 0.085 0.8
3.10- 3 4·10- 3 1-10- 3 7.5• 10- 3
Come abbiamo visto, tramite il gas di elettroni liberi, ~onsiderato come un «gas degenere» in una «scatola» equipotenziale regolato dalla statistica di Fermi-Dirac, si interpreta in modo soddisfacente il comportamento della maggior parte dei conduttori metallici. È peraltro possibile inquadrare quanto esposto in una più generale visione di insieme, messa a punto negli ultimi decenni, che rende conto del comportamento molto diversificato dei solidi rispetto alla conduzione. Essa tiene conto della struttura reticolare nella individuazione dei livelli energetici ammissibili da parte di tutti gli elettroni presenti nella struttura; viene di conseguenza valutato in quale misura essi possano essere· «svincolati» dalla struttura stessa per costituire quel «gas degenere» che, più o meno denso, è il responsabile primo della conduzione. Ciò porta a giustificare i comportamenti, molto diversificati, dei solidi rispetto alla conduzione; tali comportamenti hanno portato, come sappiamo, alla loro classificazione in buoni conduttori (Q = 10-s Qm), semiconduttori (Q = 10- 4 + 107 Qm) e isolanti (Q > 1012 Qm). Rinviando ai trattati specializzati per uno studio approfondito (1), riteniamo opportuno sintetizzare i punti salienti delle interpretazioni e, al solito, presentare alcuni dati numerici. Abbiamo già osservato che le considerazioni svolte riguardavano gli elettroni del metallo che, per la loro dislocazione periferica rispetto ai (1) Vedi ad esempio, l'opera di E. DE CASTRO in questa Collana.
§ III-3]
Conducibilità dei metalli. ..
155
nuclei del reticolo, potevano ritenersi in movimento su una «platea» pressoché equipotenziale; anzi, come spesso si dice, in una «buca di energia potenziale» a fondo piatto (1). La dislocazione regolare dei nuclei positivi nel reticolo cristallino determina, invece, una distribuzione periodica del potenziale, nel cui ambito vanno identificati gli stati energetici accessibili per tutti gli elettroni: da quelli più «interni» (e perciò più strettamente «legati» ai nuclei), a quelli più «esterni», nel rispetto del principio di esclusione di Pauli. Il risultato delle complesse analisi condotte.in merito si presenta, qualitativamente, in una forma abbastanza semplice. Questa rispecchia l'incidenza che ha sulla distribuzione energetica degli stati ammissibili l'interazione tra gli atomi del reticolo: ciascun livello di energia (potenziale+ cinetica) tipico per una coppia di elettroni di un atomo singolarmente preso si suddivide in un numero elevatissimo di livelli ammissibili per gli elettroni del cristallo, livelli che sono finemente distribuiti in «bande» di ampiezza ben definita. A partire pertanto dalle energie più basse, si susseguono, come suol dirsi, bande «permesse» e bande «proibite»; all'interno delle bande permesse è dunque diversa da zero la densità g (W) degli stati ammissibili e, pertanto, è diverso da zero il numero dnmax:=2 g (W) dW di elettroni che possono occuparli. Nelle bande proibite la densità degli stati ammissibili è zero (g (W) = O). Ciò premesso, si tratta di riconoscere lo stato di effettiva occupazione delle bande da parte degli elettroni. Così come abbiamo visto nel caso degli «elettroni nella scatola», il numero di elettroni dn che occupa i livelli compresi tra W e W + d W è una frazione p ( W) del numero massimo dnmax appena citato; p (W) è ancora la funzione di probabilità secondo la statistica di Fermi-Dirac (vedi fig. 111-3.1), funzione che dipende dalla temperatura e il cui diagramma si disloca sull'asse delle Wa seconda del valore dell'energia di Fermi Wp- Si tratta, lo ricordiamo, dell'energia per cui la probabilitàp (W) è del 50%; nella fig. 111-3.1 è evi(1) Seguendo questa linea si ammette che il confinamento degli elettroni sia dovuto a un «salto» della loro energia potenziale localizzato sulla superficie che delimita il metallo. Il «salto» può essere giustificato, in via qualitativa, ammettendo che il gas di elettroni, di per sé espansivo, si «estenda» verso l'esterno quel tanto che basta per costituire, con gli ioni del reticolo, un doppio strato superficiale di carica: il campo elettrico all'interno dello strato agisce sugli elettroni impedendone la fuoriuscita. Ricordiamo che la differenza tra il valore assoluto dell'energia caratteristica del salto e l'energia di Fermi (indicativa della massima energia cinetica degli elettroni nel metallo) costituisce il cosiddetto lavoro di estrazione, parametro che interviene nel1' analisi quantitativa dell'emissione termoelettronica.
156
Conduzione elettrica in regime stazionario
[Cap. III
p(W)
0,5 ----------
Fig. III-3.1.
Coefficiente di probabilità nella statistica di Fermi e Dirac (vedi [III-3,3]).
denziata l'incidenza della temperatura nel determinare come, nell'intorno di WF, si passa da p (W) = 1 a p (W) = O. L'ampiezza dell'intervallo di transizione, centrato su WF è di circa 4kT, che è sempre molto minore di WF (1). Si comprende, a questo punto, che è la «posizione» della energia WF rispetto alla successione delle bande permesse e delle bande proibite, il parametro che, a una data temperatura, determina lo stato di occupazione dei livelli ammissibili. Ricordando la fig. III-3.1, grosso modo si può dire che per W < WF- 2 k T i livelli sono tutti «occupati» e che per W > WF+ 2 k Ti livelli sono tutti «vacanti» (allo zero assoluto tutti i livelli al di sotto di WF sono occupati e quelli al di sopra tutti vacanti). Nella successione delle bande assume, poi, fondamentale importanza il «salto» o «gap» di energia Li Wc che separa la banda di sommità (la banda di conduzione) da quella immediatamente inferiore (la cosiddetta banda di valenza) (2). Dalla «posizione» dell'energia di Fermi rispetto alle bande emerge la seguente classificazione: 1) casi in cui WF è situata entro una banda permessa. La banda stessa non è completamente riempita; ne risultano senz'altro proprietà di buona conduzione in quanto gli elettroni degli stati più energetici possono, per effetto del campo elettrico applicato dall'esterno, incrementare la loro energia (essere accelerati dal campo), perché è loro consentito di passare ai livelli vacanti immediatamente superiori; (1) Alla temperatura ambiente si ha 4 k T = 0.12 e V. (2) Talora si ha una parziale sovrapposizione tra le due bande nel senso che per il cristallo si intrecciano gli stati ammissibili che derivano da due livelli ben distinti per l'atomo singolo. ·
§ III-3]
Conducibilità dei metalli ...
157
2) casi in cui WF è situata nell'intervallo che separa la banda di valenza da quella di conduzione. Allo zero assoluto la banda di conduzione è vuota e tutti gli stati della banda di valenza sono occupati; l'energia che può essere trasferita dal campo agli elettroni non è sufficiente a far superare ad essi il «salto» di energia che intercorre tra le due bande. Allo zero assoluto il cristallo si comporta dunque come un perfetto isolante; all'aumentare della temperatura il suo comportamento è completamente diverso a seconda dell'ampiezza del «salto» confrontata con l'energia kT. Se il «salto»~ W 0 tra le bande è relativamente piccolo, l'aumento di energia connesso all'incremento di T si concretizza con la transizione di un certo numero di elettroni dai livelli più alti della banda di valenza a quelli più bassi della banda di conduzione. La banda di conduzione viene quindi occupata: ciò costituisce predisposizione favorevole alla azione del campo esterno e, in definitiva, alla conduzione dovuta agli elettroni che migrano nel verso opposto al campo applicato; ma anche il parziale svuotamento della banda di valenza favorisce la conduzione in quanto il campo determina la migrazione, ad esso concorde, delle «lacune», cioè degli stati di «mancanza» di carica negativa conseguenti al passaggio di corrispondenti elettroni negativi alla banda superiore. L'analisi dettagliata del moto degli elettroni rimasti nella banda di valenza (numerosissimi rispetto alle lacune), porta dunque a considerare le lacune come portatori (fittizi) di una carica elementare positiva (uguale e contraria a quella dell'elettrone); la presenza di una lacuna crea una situazione locale di squilibrio che rende probabile l'occupazione della lacuna stessa da parte di un elettrone vicino che colma il difetto esistente lasciandosi alle spalle una nuova lacuna. Tutto avviene come si fosse spostata la carica positiva elementare della lacuna primitiva (1). In definitiva, un cristallo siffatto presenta una conducibilità elettrica crescente con la temperatura (in quanto domina l'aumento della densità di portatori) e di valore intermedio tra quelli tipici dei conduttori metallici e degli isolanti. Siamo, come suol dirsi, in presenza di materiali semiconduttori. Quelli maggiormente impiegati sono il Silicio e il Germanio (per i quali il «salto» suddetto è ::::: 1 e V), la cui resistività alla temperatura ambiente è rispettivamente di 230 n cm e di 47 n cm. Le circostanze sud(1) Vi sono anche tra i metalli situazioni in cui la conduzione è dovuta in misura consistente anche alle lacune. Tipici sono i casi dello Zinco, del Berillio e del Cadmio, per i quali si presenta, come vedremo nel paragrafo IV-10, una apparente anomalia nell'effetto Hall.
158
Conduzione elettrica in regime stazionario
[Cap. III
dette sussistono per molte altre sostanze (citiamo in particolare il Selenio, gli Arseniuri e gli Antimoniuri di Gallio e di Indio). Se, a differenza di quanto sopra, il «salto» Li W0 che intercorre tra banda di conduzione e banda di valenza è molto maggiore di k T, il numero degli elettroni presenti nella banda di conduzione e quello delle lacune nella banda di valenza è modestissimo alla temperatura T. In tali condizioni il cristallo si presenta come isolante (vedi ad esempio il diamante, ossia il carbonio puro per il quale il «salto» citato è di = 6 e V corrispondenti a circa 60 000 kelvin!; il carbonio allo stato amorfo, la grafite, è invece conduttore). Lo sviluppo delle nozioni riguardanti i semiconduttori ci porterebbe molto lontano, al di fuori dei limiti che ci siamo imposti. Completiamo la nostra esposizione sommaria accennando ai cosiddetti semiconduttori estrinseci, cioè ai semiconduttori il cui comportamento rispetto alla conduzione viene profondamente alterato dalla presenza, artificialmente realizzata, di tracce di opportune impurità. Se queste presentano livelli occupati da elettroni molto vicini alla banda di conduzione (livelli donatori di elettroni alla banda stessa) si ha la conduzione per elettroni (o, come suol dirsi, di tipo n); se invece presentano livelli vacanti molto vicini alla banda di valenza (livelli accettori di elettroni che lasciano lacune nella banda stessa) si ha la conduzione per lacune detta di tipo p. Il primo caso si realizza con il drogaggio del semiconduttore intrinseco tetravalente (Si, Ge) con atomi di elementi pentavalenti (Fosforo, Arsenico, Antimonio); il secondo con il drogaggio dello stesso semiconduttore con atomi di elementi trivalenti (Boro, Alluminio, Indio). Si ottengono innalzamenti consistenti della conducibilità che rispecchiano, ovviamente, l'entità del drogaggio. Per esempio, la conducibilità del germanio-n a. temperatura ambiente è all'incirca dieci volte quella del germanio puro se la concentrazione del donatore è di una parte su 108 • Concludiamo queste note rinviando il lettore ai trattati specialistici per gli approfondimenti necessari per la comprensione dei dispositivi a stato solido, su cui si fonda lo sviluppo dell'elettronica; dispositivi fondamentalmente basati sulle proprietà conduttrici unidirezionali delle giunzioni tra semiconduttori di tipo n e di tipo p (raddrizzatori a semiconduttori) e sulla possibilità di controllarne lo stato di conduzione (transistori, realizzati da I. BARDEEN, W .H. BRITTAIN e W. SHOCKLEY nel 1947 e, via via, gamme diversificate di dispositivi di prestazioni notevolissime). A tutta questa materia è dedicato il quarto volume di questa Collana (1).
(1) E.
DE CASTRO, op.
cit.
§ III-3]
Conducibilità dei metalli ...
159
Per quanto riguarda il comportamento alle bassissime temperature va senz'altro ricordato che nel campo tra 1 K e 20 K vari metalli (tra questi il mercurio, il piombo, lo stagno, il niobio) presentano il fenomeno della superconduttività (scoperto da H. KAMERLINGH ONNES nel 1911 e definitivamente interpretato nel 1957 da J. BARDEEN, L.N. CooPER e J.R. SHRIEFFER): per ciascuno dei metalli in questione è definita una temperatura critica di transizione Te al di sotto della quale la resistività è ridotta praticamente a zero per cui la corrente in un circuito superconduttore permane in pratica indefinitamente senza che vi sia alcuna sorgente impressa (va tenuto presente, però che la superconduttività dipende dal campo magnetico nel senso che vi è un campo critico al di sopra del quale la proprietà è «distrutta»). Diamo i valori di Te per i casi più significativi:
Sn 3.72
Hg
4.2
Pb 7.22
Nb
8.9
La conduzione nei metalli e nei semiconduttori non comporta modificazioni dello stato chimico delle sostanze coinvolte; ciò non accade, come subito vedremo, nelle soluzioni elettrolitiche. La conduzione nelle soluzioni, Io ricordiamo, è dovuta alle migrazioni in versi opposti, per effetto di un campo di forze, degli ioni di specie diversa (positivi e negativi, ciascuno dotato di un numero di cariche elementari pari alla valenza) prodotti per dissociazione elettrolitica delle molecole del soluto interagenti con quelle del solvente (le forze di attrazione tra gli ioni di segno opposto responsabili delle aggregazioni molecolari vengono infatti fortemente indebolite dai rilevanti fenomeni di polarizzazione dielettrica dovuti alla elevata suscettività dei solventi; tipica è l'acqua che ha Xe = 80). La relazione tra la densità di corrente e la forza specifica nelle regioni del conduttore che escludono le superfici di contatto con gli elettrodi è ancora del tipo [IIl-2,8] dove le specie sono quelle ioniche. Riportiamo alcuni dati a puro titolo orientativo, sottolineando anzitutto che le mobilità ioniche sono molto modeste, sia perché le masse degli ioni sono notevoli sia perché vi è un effetto di trascinamento da parte dei singoli ioni di molecole neutre polarizzate; la con(1) Recentissima è stata la messa a punto di particolari materiali (a base di terre rare) per i quali la transizione è a 97 K. Rivoluzionario è il ruolo che si va consolidando per la superconduttività nelle costruzioni elettromeccaniche (vedi, ad. es., F. MooN in bibl.).
160
Conduzione elettrica in regime stazionario
[Cap. III
ducibilità cresce comunque con la temperatura mentre diminuisce, nel contempo, la viscosità. (J
(Slm)
Acqua (1) distillata Acqua di fiume Acqua di mare Acqua potabile Sol. 10% di Cu SO 4 " di H 2 SO4 " diNaOH
(20 °C) ( " ) ( (
" "
) ) (18 °C) ( " ) ( " )
0.2 + 1.10- 4 10-2 3 10-2 3.2 39 31
Sottolineiamo, sempre a proposito delle soluzioni, che alla conduzione tramite le specie ioniche si associa un corrispondente trasporto di materia attraverso la soluzione stessa; se v è la valenza della specie considerata, alla migrazione di un numero N di ioni di massa M/ NA (M;=massa di una mole ionica, NA numero di Avogadro, vedi A2 a pag. 661, ossia il numero di ioni per mole) si accompagnano la carica IQ I e v Ne la massa M = N (M/NA). Ne risulta la proporzionalità tra M e IQI (legge di Faraday, 1833): [III-3,7] dove Me=M;lv è la massa dell'equivalente chimico della specie e la costante F= eNA esprime la carica associata _all'equivalente chimico; tale carica non dipende dalla specie considerata; essa viene denominata faraday e si ha (2): 1 faraday=9,648470· 104 coulomb/ mol Si riconosce che il rapporto m; Me/ F esprime per la specie ionica considerata la massa trasportata da un coulomb. La grandezza m; viene denominata equivalente elettrochimico (per il rame m; = 0.3295 · 10- 3 g/ C e per l'argento m; 1.1180· 10- 3 g/C) (vedi A2-2 per la definizione del(1) Il grado di dissociazione (molecole dissociate/molecole totali) della acqua pura è, alla temperatura ordinaria, di 1.8· 10- 9 •
(2) Ricordiamo quanto abbiamo esposto in proposito nella nota di pag. 16.
§ III-3]
Conducibilità ... dei gas ...
161
la unità pratica di misura per l'intensità di corrente, l'ampere internazionale, tramite l'equivalente elettrochimico dell'argento).
La corrente di conduzione nei gas è dovuta alla migrazione (sotto l'azione di un campo di forze) degli elettroni e degli ioni presenti nel gas quali risultano dai processi di ionizzazione e ricombinazione in atto, ovvero dagli apporti che possono provenire dagli elettrodi. Gli agenti ionizzanti possono essere esterni o interni. Tra i primi vanno annoverate le radiazioni elettromagnetiche naturali a bassissima lunghezza d'onda (raggi ultravioletti, raggi X) o artificiali, i raggi cosmici, la radioattività naturale. I secondi sono essenzialmente costituiti dalle collisioni tra atomi o tra atomi ed elettroni di sufficiente energia. Tale energia può essere anche quella termica (1), ma va soprattutto evidenziata l'energia cinetica che viene acquisita per effetto delle forze applicate tra un urto e l'altro dagli elettroni e dagli ioni per un sufficiente valore del campo applicato. Si comprende, pertanto, come sia la pressione a esplicare un ruolo essenziale, e come sia limitato l'ambito entro cui può considerarsi valida la linearità tra la densità di corrente e la forza specifica. In assenza di ionizzazione per urto per effetto del campo e per valori molto modesti della densità di corrente J, la densità volumetrica dei portatori di carica di entrambi i segni si può ritenere, in prima approssimazione, indipendente da J: essa corrisponde all'equilibrio statistico che si instaura tra la produzione di coppie ione-elettrone da parte del1' agente ionizzante e i processi di ricombinazione. La legge di Ohm alle grandezze specifiche è quindi abbastanza bene verificata (con valori di conducibilità molto modesti) fino a quanto si può trascurare l'incidenza della asportazione di ioni e di elettroni da parte della corrente stessa. Quando le cariche asportate da un certo volume sono in numero prevalente rispetto a quello delle ricombinazioni la densità di corrente non cresce più con il campo ma ne diventa indipendente: essa è infatti imposta dal numero di coppie che, nel volume considerato, sono prodotte nell'unità di tempo dall'agente ionizzante esterno. Si perviene, in defi(1) Ricordiamo che l'energia cinetica acquisita da un elettrone sotto la differenza di potenziale di I volt (1 elettronvolt= 1 e V= 1.6 · 10- 19 J) corrisponde all'energia ci-
netica di massima probabilità nella distribuzione di Maxwell-Boltzmann alla temperatura T= 11600 K, tale cioè che: kT= 1.6· 10- 19 J ,
con k= 1.38 · 10- 23 J I K (=costante di Boltzmann). Le energie necessarie per la io-. nizzazione variano da alcuni e V (sodio 5 .1, cesio 3 .9) alle decine di e V (mercurio 10.4, neon 21.6, elio 24.6).
162
Conduzione elettrica in regime stazionario
[Cap. III
nitiva, ad un regime di saturazione: al crescere del campo la densità di corrente cresce molto poco attestandosi al valore di saturazione J5 (1). Quando il campo riesce a conferire sufficiente energia ai portatori tra un urto e l'altro (dominante è l'azione degli elettroni), si innesca un processo di ionizzazione per urto e la corrente prende a crescere considerevolmente all'aumentare del campo: essa può mantenersi anche in assenza di agenti ionizzanti esterni e, una volta innescato il processo, la corrente può stabilizzarsi con valori del campo più modesti di quelli inizialmente applicati. Non rientra nei limiti di questa trattazione l'analisi complessa dei fenomeni di scarica, ove intervengono la natura, la pressione e la temperatura del gas, la natura e le condizioni degli elettrodi, la geometria del sistema (2); ci basta qui aver dato un cenno sufficiente a mostrare quanto siano ristretti, per i gas, i limiti entro cui si può considerare verificata la legge di Ohm alle grandezze specifiche a causa dei f enomeni di saturazione e di ionizzazione per urto, non avendo considerato quanto accade alla superficie degli elettrodi (con particolare riguardo alla emissione termoelettrònica). Concludiamo riferendo che nei gas rarefatti ad altissima temperatura (dalle decine di e Vin su) si ha una ionizzazione praticamente completa, ed in tali condizioni la legge di Ohm alle grandezze specifiche può ancora ritenersi valida; contrariamente a quanto accade nei solidi, ove i centri diffusori sono attestati su un reticolo regolare, la frequenza delle collisioni tra gli elettroni e gli ioni, anch'essi in preda all'agitazione termica, diminuisce all'aumentare della temperatura. Diamo, in proposito, l'espressione della conducibilità: [111-3,8]
1 5.10- 2 12 a= · T3 siemenslm lnA
dedotta da L. SPITZER e R. HARM (1953) per un gas completamente ionizzato (vedi SPITZER in bibl.) con una carica elementare per ogni ione (il
(1) Per un gas di densità molecolare n0 e nel quale vengono prodotte f3 n0 coppie nell'unità di tempo in un volume V= SI (con S ortogonale alla migrazione) si ha ovviamente: ls · S = ((3 n0 e) V da cui: ls=f3n 0 e·l .
Ad esempio, per f3 n0 = 10 /m • s (ionizzazione naturale· da raggi X in aria a pressione ordinaria) e i= 1 m si ha Js= 1.6 f.LÀ/m 2 • 13
3
(2) Fòndamentali su tutti questi aspetti sono stati i contributi di J.E. TowNSEND (1868-1957); nel quadro della vastissima letteratura sulle scariche nei gas vedi in particolare J.M. MEE e J.D. CRAoos nonché J.D. CoBINE, in bibliografia.
§ III-3]
Conducibilità ... dei gas ...
163
parametro A dipende dalla densità elettronica e dalla temperatura; nei campi di maggiore interesse, e cioè per densità comprese tra 109 e 10 19 / cm3 e temperature tra 103 e 107 K il In A è compreso tra 5 e 20). Osserviamo che un gas completamente ionizzato di densità particellare dell'ordine di l0 14/cm 3 assume la conducibilità del rame a temperature dell'ordine di 107 K = l ke V quali si raggiungono nei plasmi di interesse termonucleare (vedi A. ROSTAGNI, op. cit., vol. III, pag. 1033).
III-4. Generatori di forza elettromotrice (pile voltaiche, accumulatori, cenni su altri tipi di generatori) La distribuzione spaziale della forza specifica impressa E*, la sua natura ed il suo ruolo nella trasformazione energetica connessa con la sua presenza, non si individuano agevolmente; si tratta di problemi complessi ed il cui esame presenta in sede teorica aspetti di natura chimicofisica e conoscenze di struttura della materia che esulano dalla base culturale presupposta per la nostra esposizione. Questa avrà perciò un carattere necessariamente elementare e descrittivo; comporterà dunque notevoli semplificazioni. A titolo di premessa, citiamo in quest'ottica, e con un cenno interpretativo, i seguenti fenomeni:
a) un corpo conduttore omogeneo e scarico nel vuoto non dà luogo ad alcuna manifestazione elettrica esterna. D'altro canto (vedi pag. 155), bisogna ammettere che il potenziale medio nell'interno del conduttore differisca da quello esterno per una quantità costante positiva (1) cui si dà il nome di potenziale intrinseco: vi sia cioè, per l'energia potenziale degli elettroni, una «buca». Il livello energetico degli elettroni liberi è peraltro più elevato: di quantità che, come sappiamo, sono distribuite secondo la statistica di Fermi e Dirac (allo zero assoluto il valore massimo di tali quantità è l'energia di Fermi [III-3,4]). Con riferimento a uno strato superficiale, si può pensare all'equilibrio tra un «campo impresso» E*, localizzato nello strato, che tenderebbe a «espellere» gli elettroni, e un campo elettrostatico dovuto a un doppio strato di carica: un' «atmosfera» di elettroni esterna che induce uno strato equivalente positivo all'interno. 1 ( )
Questo «salto di potenziale» si oppone all'uscita degli elettroni liberi dal metallo. Esso viene determinato analizzando la diffusione di fasci elettronici sulle superfici metalliche (esperienze di C. DAVISSON e L.H. GERMER, 1927 su monocristalli di nichel); si riscontrano valori da 10 a 20 V per i vari metalli.
164
Conduzione elettrica in regime stazionario
[Cap. III
b) se due metalli di natura diversa vengono posti a contatto (in modo cioè che gli atomi superficiali dei due corpi si trovino a distanze confrontabili con le distanze interatomiche proprie), nell'aria circostante si manifesta un campo elettrostatico ascrivibile.a una differenza V21 tra i potenziali dei punti dell'isolante vicinissimi alle superfici I:20 e I: 10 che separano i due corpi dallo spazio isolante. La V21 è indipendente dalla forma dei conduttori e dalla estensione del loro contatto, mentre dipende dalla loro natura chimica e dalle condizioni fisiche (in primo luogo la temperatura) (1). Ad esempio, nel caso dello zinco, 2, e del rame, 1, si ha, a temperatura ambiente, V21 =0.78 V. In ciò consistono l'«effetto Volta» e la legge che lo regola (2). Bisogna dunque ammettere che, ferma restando la neutralità dell'insieme, un metallo si carichi positivamente rispetto all'altro: nel caso del rame e dello zinco, che vi sia un travaso di elettroni dallo zinco al rame attraverso il contatto. Ai fini interpretativi ci limitiamo a dire che, nel determinare l'effetto Volta, esplica un ruolo essenziale, per ciascun metallo, l'energia che un elettrone dovrebbe acquisire per uscire dal metallo stesso; quando vi è il contatto, l'equilibrio si stabilisce quando la probabilità per gli elettroni dei due metalli di attraversare la superficie in entrambi i sensi è la stessa. Si carica dunque positivamente il metallo per il quale l'energia suddetta è minore; l'equilibrio si raggiunge quando la tensione che insorge tra i due metalli assume il valore V21 che compensa le differenze di comportamento. Si ha cioè:
nella quale Li W esprime, per il metallo in questione, il lavoro di estrazione: l'energia data dalla differenza tra la «profondità» della buca ·di energia potenziale e il livello «energetico» degli elettroni liberi espresso dall'energia di Fermi alla temperatura di lavoro: Anche in questo caso si può parlare di una forza specifica impressa localizzata sulla superficie di contatto contrastata dal campo elettrostatico dovuto alla tensione V21 • (1) I valori Vi e V2 del potenziale rispetto all'infinito sono quelli imposti dalla neutralità dell'insieme. (2) Le tensioni per effetto Volta fra ciascun elemento metallico e un metallo di riferimento definiscono la serie voltaica; rispetto al rame, le tensioni dei vari metalli a temperatura ambiente (in volt), sono le seguenti: Na: 2,37; Mg: 1,20; Al: 0,95; Zn: 0,78; Pb: 0,54; Fe: 0,13; Hg: 0,07; Ag: -0,05; Pt: -0,24; grafite: -0,51.
§ III-4]
Generatori di forza elettromotrice
165
c) immergendo un metallo (ad esempio: rame) in una soluzione elettrolitica di un suo sale (ad esempio: solfato di rame) si nota inizialmente un passaggio di ioni metallici Cu + + nell'elettrolita e quindi una cor. rente di ioni diretta dal metallo verso il liquido. Anche in questo caso la corrente cessa dopo breve tempo; quando cioè la carica negativa assunta dal rame e quella positiva acquistata dalla soluzione avranno dato luogo ad un campo elettrostatico uguale ed opposto alla forza impressa specifica che, in questo caso, risulta dal contrasto tra la pressione di soluzione del metallo nell'elettrolita e la pressione osmotica dovuta agli ioni di rame della soluzione. d) in una situazione non omogenea a causa di forti differenze di concentrazione, si manifestano fenomeni di diffusione dell'elettrolita nel solvente con tendenza a produrre l'uniformità della soluzione. Poiché l'elettrolita è dissociato in ioni di massa diversa, che diffondono indipendentemente con velocità di diffusione diverse, gli ioni più veloci tendono a prevalere là dove la soluzione è più diluita. L'equilibrio si stabilisce per l'azione concomitante del campo elettrostatico che insorge a causa della separazione delle cariche. Questa elencazione è stata fatta con lo scopo di meglio far comprendere alcune origini della forza specifica impressa E* (a fronte della natura elettrica di E) e il suo ruolo nell'espressione della legge di Ohm alle grandezze specifiche: J =a (E+E*) .
Ribadiamo che la forza impressa specifica è presente soltanto laddove essa è prodotta (ad es. all'interno dell'elettrolita); all'esterno, nello spazio vuoto oppure occupato da dielettrici, la E* è sempre uguale a zero, a differenza di E che, quale campo elettrostatico, si manifesta invece dappertutto. Essendo E un campo elettrostatico, la sua circuitazione lungo una linea chiusa è nulla; non così, in generale, per E*. La sua circuitazione lungo una linea chiusa costituisce la forza elettromotrice lungo quella linea. Sui fenomeni che si manifestano al contatto fra conduttori diversi e sulla tendenza degli atomi dei conduttori metallici a passare in soluzione sotto forma di ioni, si basa il funzionamento delle pile cosiddette voltaiche o elettrolitiche di cui intendiamo occuparci ora brevemente; caratteristica di questi dispositivi è la capacità di produrre nei circuiti correnti elettriche persistenti per un tempo relativamente lungo.
166
Conduzione elettrica in regime stazionario
[Cap. III
Per illustrare, sia pure in modo elementare, il funzionamento di una pila è necessario considerare anzitutto una «catena» isoterma di conduttori diversi, a contatto l'uno col successivo; in generale questa catena può comprendere anche soluzioni elettrolitiche. Siano inoltre metallici il primo e l'ultimo elemento della catena. In generale, per l'insieme delle considerazioni qui svolte, nello spazio isolante si manifesta un campo elettrostatico e indichiamo con Vn 1 la tensione tra la superficie esterna dell'ultimo elemento e il primo. Si possono presentare due casi: a) la tensione Vn 1 coincide con la tensione caratteristica dell'effetto Vol-
ta che si ha nel contatto diretto tra il metallo «n» e il metallo 1. I conduttori che, disposti in catena come si è detto, danno luogo alla circostanza appena esposta vengono denominati di prima classe (si tratta dei metalli, delle loro leghe, del carbone). Se si chiude la catena non viene turbato l'equilibrio e non si ha circolazione di corrente (fig. III4. la); b) la coincidenza descritta in a) non si verifica; tale circostanza è legata
alla presenza di almeno un conduttore elettrolitico (conduttore di seconda classe). Se si chiude la catena viene turbato l'equilibrio: il sistema si assesta su un regime stazionario caratterizzato da una corrente che persiste molto a lungo: nell'interno della soluzione avviene trasporto di materia con reazioni chimiche che sono accompagnate da una variazione di energia interna del sistema. Un dispositivo così formato è dunque un generatore elettrico di tipo elettroçhimico (fig. III4.lb). La realizzazione più semplice (quella cioè che utilizza il minimo numero di conduttori) è la cosiddetta pila di Volta che nelle forme realizzate dello stesso inventore (1799) è composta di tre soli conduttori attivi: due di prima classe ed uno di seconda classe. Nella scelta di Volta i conduttori sono lo zinco, il rame ed una soluzione acquosa di acido solforico. Non analizzeremo questa pila, che ha oggi soltanto interesse storico; ci occuperemo invece di un sistema a quattro elementi (pila di J. DANIELL, 1836) che sembra più istruttivo e semplice per la descrizione del . funzionamento. La pila Daniell è rappresentata nella fig. III-4.2. Ai due elettrodi (conduttori di prima classe: Cu e Zn) si collega il «circuito esterno» (non indicato in figura). I conduttori di seconda classe (soluzioni acquose di CuSO4 e ZnSO 4) sono contenuti nei due scomparti del recipiente e separati l'uno dall'altro da un setto poroso (ad esempio di porcellana non verniciata) che impedisce alle due soluzioni di mescolarsi, consentendo tuttavia il passaggio degli ioni sotto l'azione delle forze
167
Generatori di forza elettromotrice
§ III-4]
a) Fig. III-4.1.
Schematizzazioni di catene chiuse di contluttori diversi:
a) tutti i tratti sono di «prima classe»: si ha I= O; b) uno dei tratti è di «seconda classe»: si ha I r= O.
Fig. III-4.2.
Pila Daniell.
elettriche. I due elettrodi sono immersi nelle soluzioni dei rispettivi sali e cioè: il rame nella soluzione di solfato di rame e lo zinco nel solfato di zinco. La «catena» di questo sistema elettrochimico è pertanto la seguente: Zn IZnS04(so/) Il CuS04(sol) ICu
'
e la chiusura si ha nel collegamento esterno. Nel circuito circola corrente, ascrivibile senz'altro, nel tratto metallico esterno, a migrazione di elettroni dallo zinco al rame. Al passare della corrente si nota: a) l'elettrodo di zinco perde peso, b) l'elettrodo di rame aumenta di peso,
e) aumenta la concentrazione di solfato di zinco, d) diminuisce la concentrazione di solfato di rame.
168
Conduzione elettrica in regime stazionario
[Cap. III
I fenomeni si svolgono come segue: a) al polo negativo si ha scioglimento dello zinco e risulta:
Zn - zn++ +2e--. Gli ioni arricchiscono la soluzione e gli elettroni migrano verso il polo positivo lungo il circuito esterno. b) al polo positivo si ha deposito di rame e cioè:
Cu++ +2e-- - Cu
,
ed il rame metallico arricchisce l'elettrodo; la perdita di ioni impoverisce la soluzione di CuSO 4 • Il risultato dal punto di vista elettrico è un passaggio di elettroni dal polo negativo (Zn) al polo positivo (Cu) lungo il collegamento esterno e quindi una corrente positiva secondo il verso che «va» dal polo positivo a quello negativo. A ciò corrisponde la migrazione di ioni attraverso il setto poroso all'interno della cella. Complessivamente si ha: Zn+Cu++ - zn++ +Cu A questa reazione si accompagna una diminuzione dell'energia interna posseduta dal sistema. Nel bilancio delle energie a tale diminuzione fa riscontro la produzione di energia elettrica e di calore. La f.e.m. della pila Daniell è circa 1.09 V e il suo funzionamento è reversibile. Se, con un generatore esterno, la cella è sottoposta a corrente di segno contrario, si ripristinano le condizioni iniziali. Non è qui il caso di descrivere la struttura ed il funzionamento delle pile voltaiche che hanno avuto ed hanno pratico impiego. Tralasciamo perciò di indicare i vantaggi conseguibili con la scelta di particolari materiali o di peculiari forme, dato che tutto ciò ci porterebbe fuori dal programma prefissato (1). Accenneremo invece (ancora molto sommariamente) alle pile reversibili meglio note col nome di accumulatori. A tale scopo sottolineiamo anzitutto che, come mostra l'esperienza, al pas(1) Ricordiamo però l'importanza metrologica della pila di E. WESTON (1893), sommariamente descritta nell'Appendice 2. Citiamo ancora, per il loro larghissimo uso, le pile a secco ( = 1.5 V) nelle quali l'elettrolita (una soluzione di cloruro di ammonio) è «immobilizzato» da sostanze inerti gelatinose (silice e amianto); gli elettrodi sono di zinco amalgamato e di carbone circondato da biossido di manganese che agisce da depolarizzante (vedi nota della pag. seguente).
§ III-4]
Generatori di forza elettromotrice
169
saggio della corrente in una cella elettrolitica gli elettrodi si polarizzano e che, successivamente, invertendo la corrente, si depolarizzano (1) (2). Un accumulatore funziona dunque nel seguente modo: nella fase di carica, essendo sottoposto all'azione di un generatore (ad esempio una dinamo, vedi VIl-9), gli elettrodi si polarizzano e quindi si formano i depositi di cui si è detto in nota; nella fase di scarica, invece, l'apparecchio (non più collegato con il generatore ma, per esempio, a un utilizzatore resistivo) agisce autonomamente generando una corrente di segno opposto a quello della corrente di carica. Contemporaneamente si esauriscono i depositi elettrolitici che si erano formati nella fase precedente. Poiché il persistere di questa corrente più a lungo possibile è l'esigenza pratica fondamentale per questi apparecchi, si ricorre a particolari artifizi intesi a favorirne la polarizzazione ed a rallentarne la depolarizzazione. Conviene, fra l'altro, dimensionare in modo opportuno la forma e l'estensione degli elettrodi. Dei vari tipi ancora oggi in uso, quello che ha maggior diffusione e si conosce meglio, è l'accumulatore al piombo. Nella sua versione originale (G. PLANTÈ, 1860) esso è costituito da una cella simmetrica composta di due elettrodi di piombo uguali, simmetricamente disposti ed immersi in una soluzione di acido solforico saturata con PbSO 4 ; la catena voltaica allo stato originale è simmetrica e non dà f.e.m .. Se la cella viene alimentata con un generatore a corrente continua assistiamo al depositarsi di Pb metallico sull'elettrodo a potenziale minore (catodo) e di ossido di piombo all'altro (anodo). La catena assume pertanto la forma:
cui corrisponde una f.e.m. di 1,9 + 2, 1 V col PbO 2 positivo. La deposizione può continuare fino a quando sono disponibili ioni Pb provenienti dal passaggio in soluzione del PbSO 4 presente nella fase solida. (1) Il fenomeno consiste nel prodursi di depositi solidi sugli elettrodi e sul fondo del recipiente, nonché nello sviluppo di gas. Lo stato degli elettrodi risulta modificato e, nel caso della pila, si forma una forza controelettromotrice il cui valore dipende dalla natura degli elettrodi e della soluzione. L'effetto è dannoso al buon funzionamento del dispositivo. Una corrente di verso opposto depolarizza gli elettrodi e tende a ripristinare lo stato iniziale. Nella pila la polarizzazione è un effetto parassitario e, come tale, va eliminato o impedito (pile a depolarizzante); negli accumulatori invece è fenomeno essenziale al buon funzionamento e va accentuato.
(2) Si veda ad esempio G. KORTOM, Trattato di Elettrochimica, tradotto da A. Cattaruzza, Ed. Piccin, Padova, 1968.
170
Conduzione elettrica in regime stazionario
[Cap. III
Agli elettrodi (catodo e anodo, rispettivamente) avvengono le seguenti reazioni: carica scarica
Pb+S0 4 -
carica
Pb0 2 +SOi- +4•H3 Q+ +2e-
scarica
che danno la reazione globale: carica
Essa mostra che durante la carica aumenta la concentrazione di H 2 S04 nell'elettrolita; inversamente alla scarica (1). La f.e.m. della cella (o elemento) può essere calcolata in base ai potenziali elettrodici rilevabili dalle tabelle che si trovano nei testi di elettrochimica e risulta di 2.1 V circa. Quanto si è detto non tiene conto di fenomeni secondari che durante il funzionamento alterano la f .e.m. e dei quali non ci è possibile dare conto. Ci limitiamo a segnalare gli aspetti essenziali della caratteristica di carica e scarica di un accumulatore (fig. III-4.3). V
3
carica scarica
2
Fig. IIl-4.3.
4
6
8
t (ore)
Processi di carica e scarica di un elemento di accumulatore al piombo.
(1) Ricordiamo che per il funzionamento dell'accumulatore è essenziale il processo di «formazione»: con cariche e scariche ripetute gli elettrodi diventano porosi e pertanto sede più efficiente delle reazioni chimiche. La formazione viene oggi resa più breve con particolari processi di costruzione degli elettrodi (rivestimento con ossidi di Pb, C. FAURE, 1880).
§ III-4]
Generatori di forza elettromotrice
171
Nellafase di carica la f.e.m. sale rapidamente all'inizio a 2,1 V e quindi continua a crescere ma molto lentamente. A 2,2 V circa comincia a svilupparsi ossigeno alla piastra positiva e a 2, 3 V idrogeno alla piastra negativa; a questo punto la carica è completa. Se si continua l'alimentazione dell'apparecchio continua lo sviluppo di idrogeno e di ossigeno e la f .e.m. ritorna al valore di circa 2, 1 V. Nella successiva fase di scarica si nota una diminuzione rapida della f.e.m. (fino a circa 2 V) che rimane praticamente costante a questo valore per lungo tempo, cioè fino a quando la f.e.m. non è scesa al valore di 1,8 V che indica il limite al di sotto del quale la continuazione della scarica deteriorerebbe l'accumulatore. La capacità di un accumulatore è la quantità di elettricità che esso può fornire nel processo di scarica e si misura generalmente in amperora (1 Ah= 3600 coulomb); si realizzano capacità dell'ordine di 10 + 20 Ah per kg di piombo impiegato. Il regime di scarica tipico è dell'ordine di 10 ore. Di un accumulatore (o di una batteria di accumulatori) interessa anche conoscere il rendimento con riferimento sia al rendimento in quantità (di elettricità) sia al rendimento in energia. Il primo è definito dal rapporto fra la quantità di elettricità erogata nella scarica e la quantità necessaria per la carica. Questo rendimento è in generale elevato (94+96%). Il rendimento in energia è invece definito dal rapporto fra l'energia restituita nella scarica e quella fornita per la carica. Questo rendimento è dell'ordine del 75 + 85%. Molti altri fenomeni dovrebbero essere qui riferiti per richiamarne l'importanza pratica e ricordare le leggi che li regolano, sia pure nei termini elementari dei quali abbiamo dato esempio. Ci limitiamo intanto ad accennare agli effetti cosiddetti termoelettrici evidenziati da T. J. SEEBECK (1821), J.C. PELTIER (1834), W. THOMSON (1856). In un circuito chiuso formato per giunzioni (saldature) tra le estremità di due fili metallici diversi (ad esempio: di ferro l'uno e di nichel l'altro) si manifesta una corrente elettrica I se viene mantenuta una differenza di temperatura fra le saldature. Questo fenomeno ha il nome di effetto Seebeck; la forza impressa che determina il fenomeno è collegabile al salto di temperatura in corrispondenza delle saldature. Si possono, ovviamente, realizzare pile termoelettriche con una successione di saldature «calde» e «fredde»; nel perfezionamento di questi dispositivi fondamentale fu l'apporto dato da M. MELLONI con la sua pila di bismuto-antimonio (1830). Si dà il nome di effetto Peltier al fenomeno che, in certo senso, può dirsi inverso dell'effetto Seebeck: si tratta del «salto» di temperatura di se-
172
Conduzione elettrica in regime stazionario
[Cap. III
gno opposto che si riscontra tra le saldature ogni volta che, dall'esterno, si produce una corrente concorde con I. L'entità di questi fenomeni dipende dalla natura delle sostanze coinvolte; le forze elettromotrici per effetto Seebeck vanno da alcuni µ V per grado (rame - costantana) a qualche m V I grado nelle giunzioni tra semiconduttori di tipo diverso. Riscaldando un conduttore metallico in modo da produrre disuniformità di temperatura nella sua massa (ad esempio una sbarra di rame riscaldata in una delle sue estremità) si determina un processo di diffusione degli elettroni liberi dalle zone più calde verso quelle più fredde (effetto Thomson). Ne consegue una separazione di cariche e quindi un campo elettrico che agisce in direzione opposta a quella di una forza impressa collegabile al gradiente di temperatura nei singoli punti del metallo (si hanno, per questa via, forze elettromotrici dell'ordine di 1 µ V per grado; il «segno dell'effetto» si presenta, peraltro, in taluni casi (Al, Pb, Pt) opposto a quello prevedibile con la semplice interpretazione qui data). L'approfondimento ulteriore dovrebbe riguardare le forze elettromotrici che si producono per l'azione della luce sulle giunzioni fra un semiconduttore e un metallo o fra semiconduttori di tipo n e di tipo p (effetto fotovoltaico); dispositivi, questi ultimi, su cui si fonda, con risvolti applicativi notevoli, la conversione di energia solare in energia elettrica. In tutti i dispositivi cui si è fatto cenno esplica un ruolo dominante la conduzione; le forze elettromotrici che si mettono in gioco sono relativamente modeste mentre le intensità di corrente possono essere elevate. Completamente al di fuori di questo schema è la generazione di tensioni elevatissime attraverso tecniche di separazione e convezione di cariche (macchine elettrostatiche); a parte il significato storico della maggior parte di queste macchine, citiamo soltanto il generatore di R.J. v AN DE GRAAFF (1935) nel quale il «rifornimento di carica» agli elettrodi avviene attraverso una cinghia isolante senza fine; per questa via, con tecniche sempre più raffinate, si è arrivati a produrre tensioni di vari milioni di volt con finalità specifiche della sperimentazione fisica (accelerazione di ioni, in particolare). 111-5. Analisi del modello della conduzione stazionaria. Bilanci energetici. Legge di Joule. Consideriamo il modello [111-2,13] della conduzione stazionaria supponendo che la conducibilità a sia diversa da zero dappertutto e che le
§ III-5]
Analisi del modello della conduzione stazionaria
173
sorgenti (costituite, come sappiamo dal paragrafo III-2, dalla distribuzione del rotòre del campo impresso, F = rot E*) si sviluppino al finito. In tali ipotesi, è immediato riconoscere che J risulta univocamente determinata {1); si osserva nel contempo che due «campi impressi» E; ed E; che differiscano per un campo irrotazionale qualsiasi producono la stessa J. Un assegnato regime di conduzione stazionaria caratterizzato dal campo di corrente (solenoidale) J può quindi essere sostenuto dalla varietà dei campi impressi E* che ammettono quale ,:otore: J
rot E* =rot- . (2)
[III-5, l]
(J
Il campo elettrostatico conservativo E= - E*+ J / nel volumetto dr. Indicando con El(sJ la forza specifica totale per la specie in esame, si ha senz'altro, in base alla [I-2,11] e alla legge di Ohm alle grandezze specifiche [III-2,9]:
dalla quale, ponendo dQ5 =dJ:J 5 , si ottiene senz'altro la [III-5,1] (1). Possiamo a questo punto considerare il bilancio tra potenze specifiche, immediatamente ricavabile in via formale dalla legge di Ohm (2) alle grandezze specifiche:
[III-5,4]
Si esprime così il fatto che la potenza specifica generata (lavoro svolto per unità di volume e unità di tempo dalle forze elettromotrici specifiche E;) sopperisce alla potenza dissipata in calore per effetto Joule e alla potenza elettrica specifica - E· J s: quest'ultima è l'energia potenziale che (1) Si può in sostanza notare come la legge di Joule (che esprime il calore sviluppato in funzione della corrente), la legge di Ohm (che esprime il legarne tra corrente e campo di forze) e l'uguaglianza tra calore e lavoro costituiscono un insieme di tre relazioni tra di loro dipendenti: da due qualsiasi di esse si deduce infatti la terza. La prima deduzione teorica della legge di Joule in base al principio di conservazione del1' energia si deve a R.CLAUSIUS (1852).
(2) Basta moltiplicare scalarrnente per Js la Js = us (E+ E;).
180
Conduzione elettrica in regime stazionario
[Cap. III
nell'unità di volume e nell'unità di tempo viene acquisita dalle cariche della specie considerata migrante nel campo elettrostatico E (1). Quando la conduzione riguarda più specie di portatori si può considerare il bilancio:
[III-5,5]
. ./2 E:;=E* +E=Jla e I: Js=J. Si noti che si ha Js=(a/a) J: la densità di corrente è «ripartita» tra le varie specie di portatori proporzionalmente alle rispettive conducibilità quando la forza specifica totale è la stessa per le varie specie di portatori.
§ III-5]
Analisi del modello della conduzione stazionaria
181
Nei riguardi del bilancio energetico globale ottenuto integrando la [III-5,5] a tutto lo spazio, la prima proprietà da evidenziare è il fatto che il contributo del termine relativo all'energia potenziale è nullo {1); ciò esprime la compensazione perfetta che vi è tra l'acquisizione di energia potenziale che si verifica per le cariche migranti nelle regioni in cui ( - E· J) è positivo (densità di corrente e campo elettrostatico «discordi», densità di corrente e forza elettromotrice specifica «concordi») e la diminuzione di energia potenziale che si verifica nelle regioni complementari (densità di corrente e campo elettrostatico «concordi»). Da ciò si deduce quale ulteriore proprietà fondamentale il fatto che lo sviluppo globale di calore corrisponde al lavoro globale delle forze elettromotrici. Si ha pertanto, con riferimento alle potenze:
[III-5,6]
[III-5,7] dove Pe, Pg, e P J sono rispettivamente la potenza globale in gioco nel campo elettrostatico (che è sempre nulla), la potenza globale messa in gioco dalle forze elettromotrici (la chiameremo potenza generata) e la potenza globalmente dissipata per effetto Joule. Siamo ora in grado di mettere in evidenza il ruolo esplicato dal campo elettrostatico nella conversione energetica in atto; basta a tal fine disaggregare lo spazio in due regioni complementari (1 e 2) e, nei bilanci energetici relativi, tener presente che è sempre Pe o)+ Pe c2>= O. Si ha dunque, con ovvio significato dei simboli: [III-5,8]
(1) La deduzione è ovvia trattandosi dell'integrale esteso a tutto lo spazio del prodotto interno tra una funzione vettoriale irrotazionale (E) e una solenoidale (J) (vedi Al-3e, pag. 661). (2) Osserviamo che, tranne le PJ, ciascun termine che compare nelle [III-5,8] può essere di entrambi i segni (ciò vale, in particolare, per le potenze generate; se negative si è in presenza di forze controelettromotrici); dovrà essere sempre, peraltro:
P 8 cl)+P8 c2i=P 8 =P/~O .
182
Conduzione elettrica in regime stazionario
[Cap. III
Tali relazioni mostrano la corrispondenza tra l'energia potenziale acquisita (perduta) dalle cariche in una regione nella migrazione in presenza del campo elettrostatico e quella perduta (acquisita) nella regione complementare. Particolarmente significativo è il caso in cui uno dei due termini Pg è zero (ad esempio, sia Pgc2i = O). In tal caso, nella regione (1), l'energia generata nell'unità di tempo Pg oi (che coincide con la totale potenza generata) viene in parte convertita in calore nella regione stessa (PJ che si «trasmette» attraverso I: da 1 a 2 può essere pertanto senz'altro considerata come potenza elettrica «in uscita» dalla regione V, e «in entrata» nella regione V2 ; per quest'ultima, a sua volta:
(1) Si ha infatti, in generale (vedi [Al-3,21]) div (Ex H) = H ·rot E-E·rot H; nel nostro caso rot E=0 e rot H=J. Applicando il teorema della divergenza si ha dunque:
li::
S•dl:=
iiL
(-E•J)d7=Pe(l)=
-Pe(2),
dove d l: è orientata dalla regione (1) alla (2). Osserviamo che S non è definito· in modo univoco, in quanto il potenziale vettore H è definito a meno del gradiente di una funzione scalare qualsiasi; due diverse determinazioni di S non alterano peraltro l'integrale esteso alla superficie chiusa I:. Il vettore H viene qui introdotto per via formale; il suo significato fisico apparirà in tutta la sua fondamentale portata nel capitolo dedicato al campo elettromagnetico (Capitolo IV).
§ III-5]
Analisi del modello della conduzione stazionaria
183
Una ulteriore osservazione sul vettore S che, in base a [III-5,9], è ortogonale al campo elettrico: un tubo elementare di corrente nel quale agisca soltanto E vede la sua superficie laterale «attraversata» dal flusso di S. Ciò accade, ovviamente, anche per un tratto di filo conduttore immerso in un isolante. Se il filo conduttore costituisce un circuito chiuso con un tratto generatore, la superficie tubolare che lo delimita è attraversata da un flusso di S che, complessivamente, è nullo. Nel tratto «generatore» si ha un flusso di S positivo che «entra» nell'isolante attraverso la superficie laterale del tratto e un flusso di ugual valore che «esce» dall'isolante attraverso la superficie laterale del tratto complementare. Il bilancio, come si è visto, è garantito dalla irrotazionalità di E, e cioè dalla stazionarietà del regime considerato: l'isolante «assorbe» ed «eroga», nell'unità di tempo, la stessa quantità di energia. In condizioni non stazionarie il campo E non è, come vedremo, irrotazionale, e il flusso di S attraverso la superficie tubolare anzidetta è diverso da zero. Ci limitiamo per ora a dire che ciò accade, in particolare, nella fase in cui la corrente passa da zero al valore che le compete in regime stazionario: si è portati pertanto a concepire la regione isolante come un serbatoio di energia il cui livello è costante nelle fasi stazionarie ed è variabile nei regimi dinamici. Sono, questi, concetti che preciseremo nel Capitolo IV, ma che riteniamo opportuno siano qualitativamente acquisiti sin da ora. Passiamo ad evidenziare una proprietà molto significativa della potenza PJ complessivamente sviluppata per effetto Joule. Consideriamo, accanto al campo J, un campo fittizio J' =: - O òF
= idi
X
B
Fig. IV-5 .2. Forza agente su un tratto elementare percorso da corrente immerso in campo magnetizzato.
--- ------- ------------
---------+ -----~--- . --. __ . . . . . . . . ." ---- --- -- --....... ..... ------ --- ----- ----, ----==---:--.. . . . . __ . . . , ______q
..........
------
----
F0
= qv
-- ..... B
--.... _
____
X
B
.......... ...._ ..... ,
....... ........
'
.................. .....
....................... -,..____..... _,
---Fig. IV-5.3. gnetico.
Forza mozionale agente su una carica positiva in moto in un campo ma-
ne si affianca a quella che coinvolge il dipolo amperiano puntiforme di prova di momento om e che appare come la generalizzazione della [IV-5,10]: il momento delle forze agenti su om rispetto al punto in cui è collocato il dipolo vale: [IV-5,11]
oC=omxB
con B comunque variabile nello spazio e nel tempo. L'insieme delle considerazioni svolte sinora ci ha portato dunque a considerare B come il tramite di interazioni che hanno, come protagoniste, le quantità di moto elettriche qv. Con una limitazione, però: che queste, intese come sorgenti del campo, non sono mai state sinora considerate come entità a se stanti ~a come elementi costitutivi di correnti stazionarie (vedi i dipoli amperiani, la distribuzione Jm=rot M, le correnti chiuse filiformi). Emerge sin da ora, pertanto, l'esigenza di individuare l'azione elettro-magnetica prodotta da una quantità di moto puntiforme qv su cariche o su dipoli fermi o in moto rispetto all'osservatore; riteniamo peraltro opportuno rinviare questo fondamentale ar-
§ IV-5]
Modello dell'elettromagnetismo in regime stazionario
245
gomento a valle di una più approfondita analisi delle proprietà del campo magnetico delle correnti stazionarie e dei magneti, proprietà alle quali sono dedicati i prossimi paragrafi. IV-6. Campo magnetico prodotto nello spazio vuoto da correnti stazionarie. Potenziale vettore. Formula di Biot-Savart Riprendiamo, per il campo magnetico Rrodotto nello spazio vuoto dalle correnti stazionarie, il modello differenziale [IV-5,1]: div B0 =0
[IV-6,1]
rot Bo=µo J
nel quale il termine di sorgente è costituito dalla distribuzione volumetrica della densità di corrente stazionaria J. Alla determinazione di B 0 si può pervenire trattando direttamente il modello differenziale (1); allo (1) La solenoidalità di B 0 comporta: B 0 = rot A 0
I
e quindi
rot (rot A 0) = µo J
Scegliamo per il potenziale vettore A 0 _un vettore solenoidale; in base alla identità vettoriale rot (rot u) = grad (div u)-A2 u, si tratta allora di trovare, posto u = A 0 , un vettore solenoidale A 0 tale che:
Questa equazione vettoriale comporta, per le componenti cartesiane di A 0 e J:
equazioni scalari formalmente analoghe alla equazione di Poisson per il potenziale elettrostatico (vedi [Il-3, 15]). Esprimendone le soluzioni normali all'infinito (vedi Al-9) e componendo il vettore si ottiene l'espressione:
Una semplice analisi, basata sul fatto che div J = O, mostra che si tratta di un vettore a divergenza nulla; esso è pertanto il vettore A 0 da noi cercato (potenziale vettore). Le prime formulazioni del campo magnetico tramite il potenziale vettore si devono a F. VON NEUMANN (1845).
246
Magnetostatica e introduzione all'elettromagnetismo
[Cap. IV
stato della nostra esposizione possiamo però utilizzare senz'altro le formule del paragrafo IV-3 che esprimono il potenziale vettore Am e l'induzione Bm considerando, al posto delle correnti fittizie di magnetizzazione (di densità Jm), le correnti vere (di densità J, di conduzione o di convezione). Introduciamo dunque il potenziale vettore per il campo prodotto dalle correnti; in base alle [IV-3,3 e 4] si ha senz'altro (1):
[IV-6,2]
per il potenziale vettore del campo prodotto (in assenza di mezzi magnetizzati) dalla distribuzione J di correnti vere, e:
[IV-6,3]
per l'induzione magnetica corrispondente. Le espres~ioni suddette valgono senz'altro se il punto P appartiene alle regioni in cui J = O; la convergenza degli integrali è peraltro assicurata anche laddove J ~ O, e B 0 (P) esprime il vettore induzione ivi riscontrabile con esperienze di elettrodinamica. Analoghe relazioni valgono per le correnti superficiali di densità JE. Quando la distribuzione è lineare (correnti filiformi) vale la sostituzione:
[IV-6,4]
I dl=J dr
in cui I è l'intensità della corrente nel circuito 'Y al quale appartiene l'elemento di, di verso concorde con quello di riferimento per I; conse(1) Le formulazioni generali relative a questo paragrafo prevedono la sostituzione di µ 0 con 1/ -y (in unità gaussiane 1/ = 4 1r e -y = 1/e).
§
IV-6]
Campo magnetico. Potenziale vettore
247
guentemente, essendo I indipendente da Q:
[IV-6,5] [IV-6,6]
sono le espressioni del potenziale vettore e della induzione magnetica prodotti nel vuoto da una corrente filiforme I nel circuito orientato 'Y. In base alla [IV-6,6] possiamo dire che alla sorgente elementare (I dlQ) in Q va imputato formalmente il contributo elementare a B 0 :
[IV-6,7]
Con riferimento alla fig. IV-6.la si ha: [IV-6,8]
µ
sen IJ
0 oB o=-·Idi · -r241r Q
Si tratta della celebre formula che gli studi di P.S. Laplace, B. Biot e F. Savart mostrarono conforme ai risultati delle esperienze da questi ultimi condotti sulle azioni magnetiche delle correnti filiformi, in particolare quelle prodotte da una corrente rettilinea indefinita (1820). Le linee di B 0 (vedi fig. IV-6.lb) sono circonferenze su piani ortogonali al conduttore e con esso centrate; il valore di B 0 è dato dalla
[IV-6,9]
(legge di Biot-Savart) ,
mentre il verso risente del segno di I. Con I> O il verso di B 0 è quello di rotazione di una vite destrogira che avanza secondo il verso di riferimento per la corrente (vedi figura). Nell'Appendice 3 il caso viene trattato in dettaglio. Osserviamo inoltre che la densità di corrente J può comprendere an-
248
Magnetostatica e introduzione all'elettromagnetismo
[Cap. IV
I> O
a)
b)
Fig. IV-6.1. a) riferimenti per il calcolo di 6B0 , formalmente prodotto dalla sorgente elementare J dlQ; b) campo della corrente rettilinea indefinita.
che termini convettivi come è stato messo in evidenza per la prima volta da H.A. RoWLAND (1878) che produsse un campo magnetico apprezzabile con la rotazione in verso contrapposto delle armature di un condensatore piano carico. La [IV-6,7] induce dunque a considerare, quale sorgente di oB 0 , l'insieme delle cariche in migrazione nel tratto elementare I dlQ. Se teniamo presente che I dlQ esprime la quantità di moto elettrica contenuta nel tratto, siamo portati a dire che una carica puntiforme q in moto uniforme con velocità v rispetto all'osservatore produce nel punto P l'induzione magnetica corrispondente alla [IV-6, 7], con la semplice introduzione della quantità di moto qv al posto di /dlQ:
[IV-6,10]
B (P)=~ qvxiQP
47!"
l72p
Nel Capitolo VIII, pag. 568, vedremo che questaformula è valida per
§ IV-6]
249
Campo magnetico. Potenziale vettore
velocità molto piccole rispetto alla velocità c della luce (1); circostanza, questa, che pone un delicato problema di raccordo con la legge di Biot e Savart per il filo rettilineo, e con la [IV-6,6] che esprime l'induzione prodotta da un circuito filiforme. A questo punto della trattazione non siamo però ancora in grado di spiegare come l'applicazione a un intero circuito della formula esatta fornisce risultati coerenti con la legge di Biot e Savart per il filo rettilineo nonché con la [IV-6,6]; diciamo solo che tale coerenza scaturisce dal fatto che il fenomeno da noi considerato è stazionario (la densità di corrente è _rigoro.samente solenoidale). Tutta la questione sarà riesaminata più avanti (Capitolo VIII); osserviamo peraltro, prima di lasciare questo argomento, che l'induzione B 0 è così esprimibile: [IV-6,11]
SI
dove E0 è il campo elettrico prodotto in P dalla carica q collocata in Q (2). Non ci soffermiamo ulteriormente, a questo punto, sul calcolo dei campi prodotti dalle correnti stazionarie nel vuoto applicando la legge dell'azione elementare o tramite il potenziale vettore; passiamo invece a completare il quadro esponendo l'ulteriore modalità che riconduce il calcolo al potenziale scalare prodotto da distribuzioni di dipoli equivalenti alla distribuzione di corrente. Le esemplificazioni sono state da noi raccolte nell'Appendice 4, dove trovano posto le descrizioni dei campi, valutati con le varie modalità, di conduttori rettilinei indefiniti, spire circolari, solenoidi, avvolgimenti toroidali ecc ... (1) Il fattore correttivo è una funzione K (vi e, r'J) dove {} è l'angolo trave r: 2
K
l-v /c v2
2 (
312
K
->
v
1 per -;;
->
)
O ,
( 1 - c2 sen 2 {}) formula accertata da O. HEAVISIDE (1888), vari anni prima della sua deduzione relativistica (vedi pag. 568).
(2) Il campo magnetico H 0 è, come abbiamo visto, la forza agente sulla (ipotetica) carica magnetica unitaria ferma rispetto all'osservatore che vede la carica q in moto con la velocità v. Un altro osservatore in moto con la carica q non registra alcun campo magnetico, ma sulla (ipotetica) carica magnetica unitaria in moto con velocità v* = -v registrerebbe una forza pari proprio a v* x D = v x D. Siamo dunque di fronte, per così dire, a una «legge di Lorentz magnetica» del tutto simmetrica rispetto alla Fv=q (vxB) da noi presentata nel paragrafo IV-5 (vedi [IV-5,10]). Vedi CuLLWICK, Elettromagnetism and relativity, Longmans,-London 1957.
Magnetostatica e introduzione all'elettromagnetismo
250
[Cap. IV
IV-7. Campo magnetico prodotto nello spazio vuoto dalle correnti stazionarie. Potenziale scalare
Quanto abbiamo esposto per il calcolo di B 0 ha evidenziato la procedura che impiega una funzione vettoriale ausiliaria, il potenziale vettore A 0 , e da questa trae B 0 come rot A 0 . Si tratta, dunque, di una sequenza che parte da sorgenti a carattere vettoriale (la distribuzione di J) e coinvolge in ogni passo funzioni vettoriali. Ritorniamo per un momento al campo magnetico dovuto alle distribuzioni di dipoli (IV-3) per ricordare che, in quel caso, alla procedura che impiega il potenziale vettore Am a partire dalle sorgenti J m = rot M, si affianca quella che utilizza una funzione scalare ausiliaria, il potenziale scalare 1/lm a partire dalle sorgenti Qm -div P m; da 1/lm si trae il campo Hm come ( grad 1/lm). Procedura, quest'ultima, i cui vantaggi analitici sono evidenti in quanto essa opera, in buona parte, su una sola funzione scalare - la 1/lm - anziché su tre (le componenti di A 0). È ovvio, pertanto, chiedersi se è possibile - anche nel caso delle distribuzioni di corrente - valersi di una modalità di calcolo che impieghi un potenziale scalare invece del potenziale vettore. Ci si rende però subito conto della difficoltà intrinseca al fatto che l'induzione B 0 prodotta dalle correnti non è conservativa; d'altro canto, se si pensa ai campo prodotto da circuiti (filiformi o no) percorsi da corrente, si può seriz' altro dire che nelle regioni in cui la densità di corrente è zero il campo magnetico è irrotazionale (rot B 0 = O laddove J O, vedi [IV5, 1]). È da ciò che consegue la limitazione intrinseca alla descrizione del campo magnetico prodotto dalle correnti nel vuoto tramite un potenziale scalare: essa può essere impostata solo all'esterno dei conduttori percorsi da corrente, ma tenendo conto del fatto che la circuitazione di H
.,,,.,..----
/
/
-- ,,, ,,.. ....
/
I
lri
I
\
1Jl1 - 1Jl2 = 1Jli. Fig. IV-7 .1.
/
I
fY2 €91 ' ' ' ....... _ _ ..... ...... ..._ ________ 12
\
1Jl1 = 1/Ji.; 1Jl2 = 1Jli
/
\ \.
1Jli = 112
Tensioni magnetiche e potenziali scalari.
-----
Po
§ IV-7]
Campo magnetico. Potenziale scalare
251
lungo un percorso chiuso 'Y è in ogni caso proporzionale alla corrente l «concatenata» con lo stesso percorso (e ciò vale, ovviamente, anche se il percorso si sviluppa ali' esterno dei conduttori, laddove cioè rot H =O). Vale cioè la fondamentale relazione (legge della circuitazione magnetica, di Ampère) (1):
[IV-7,1]
Orbene, nelle regioni in cui H 0 è irrotazionale consideriamo la funzione (tensione magnetica tra P e P 0 lungo 'Yi): Po
[IV-7,2]
1/11 (P)=
J
H 0 ·dl ,
P, 'Y1
riferita a un percorso qualsiasi 'Yi che, nella regione considerata, congiunge il punto variabile P a un punto fisso P 0 , così come in elettrostatica. La dipendenza di i/; 1 dal percorso di integrazione assume però, in questo caso, un aspetto tutto particolare. Dato 'Yi, si possono infatti in primo luogo considerare tutti i percorsi 'Y{ ••• che con 'Yi formano percorsi chiusi che non concatenano corrente, e per ciascuno di questi calcolare la corrispondente i/; 1 (P): per tutti questi, percorsi si ha senz'altro, in virtù della legge della circuitazione, lo stesso valore i/; 1 (P). Si osserva però che, in relazione alla disposizione dei conduttori, si possono considerare altri percorsi 'Y 2 ciascuno dei quali forma con 'Yi un percorso chiuso concatenato con correnti di intensità complessiva 112 tale che 0 0 1 12 , r1 H 0 • di- , r2 H 0 ·di= i/; 1 (P) - i/;2 (P), con ovvi significati per i
f;
J;
(1) Tale proprietà corrisponde, in forma integrale, alla rot H 0 = J, tenuto conto che I è il flusso della densità di corrente attraverso le superfici I: orlate da -y e orientate in modo congruente con -y. La formulazione generale della legge della circuitazione è la seguente:
ih H·dl=-1-I; 'j' Y
e
in unità gaussiane Kem=- . 411"
Kem
252
Magnetostatica e introduzione all'elettromagnetismo
[Cap. IV
simboli. Per tutti i percorsi che con -y 2 formano percorsi chiusi non concatenati con correnti si ha dunque lo stesso valore t/; 2 (P) = t/; 1 (P)-112 • Così facendo siamo portati a considerare un potenziale scalare polidromo: a ciascun punto possono essere associate tensioni (come t/; 1 e t/; 2 ) di valore diverso, tutte però tali che differiscono tra loro di una quantità costante pari alla corrente concatenata con i percorsi chiusi, come abbiamo visto. Con riferimento alle due funzioni t/; 1 (P) e t/; 2 (P) che così si individuano si ha senz'altro: [IV-7,3]
Ho= - gradp t/; 1= - gradp 1/12
La fig. IV-7.1 illustra quanto abbiamo esposto per il campo dovuto a un conduttore filiforme indefinito normale al piano del foglio. Non è però difficile porre rimedio agli inconvenienti di questa situazione e lo si fa, generalmente, ricorrendo ad un artificio assai semplice che passiamo a descrivere applicandolo al caso di un circuito filiforme chiuso. Si immagina di aver associato alla linea che rappresenta l'asse del circuito una superficie regolare I: 1 (aperta) arbitrariamente scelta fra quelle che hanno per orlo la linea data (e la si suppone orientata rispetto al verso di riferimento assunto per la corrente del circuito rispettando la consueta regola). Alla superficie I: 1 vengono attribuite le funzioni di un diaframma invalicabile: la regione che vogliamo considerare non comprende dunque i punti di I: 1 • Si è reso così impossibile il concatenamento del circuito elettrico con un qualsiasi percorso chiuso nella regione da noi considerata. È a questo punto immediato constatare che per un percorso «quasi chiuso» -y* avente inizio e termine sul diaframma in punti situati da bande opposte e infinitamente vicini si i:nanifesta tra gli estremi (A ed A ' nella fig. IV-7.2) una differenza di potenziale magnetico: [IV-7,4] Il «salto» di potenziale magnetico è evidentemente identico in corrispondenza di tutti i punti di I: 1 • La superficie I: 1 è dunque una superficie di discontinuità per il potenziale magnetico scalare. L'artificio proposto trasferisce dunque il discorso sul potenziale magnetico scalare dall'esame di una funzione polidroma continua a quello di una funzione monodroma, trasformando un dominio a connessione
§ IV-7]
Campo magnetico. Potenziale scalare
253
y
Fig. IV-7 .2. La superficie I: 1 orlata da -y costituisce un «diaframma» che rende connesso il dominio.
multipla in un dominio semplicemente connesso. La situazione che ne consegue è identica a quella che si ha sostituendo alla spira orientata percorsa dalla corrente luna lamina magnetica di superficie 2:: (vedi 1-3) in posizione coincidente con quella del diaframma sopra menzionato (orientata in modo congruente alla spira) e caratterizzata dai momenti elementari Mr. d~Q=Id".I,Q• Ricordiamo infatti (vedi [IV-3,1]) che i/po-
p
p
{I
l1
;I, ljl
/1/
;I/ /// 1 '/
/2
I /
I
I I
,
I
I
I
QP
H0
Fig. IV-7.3.
=-
J_ gradp Q (P) 4.n:
Angolo solido che sottende un circuito orientato.
254
Magnetostatica e introduzione all'elettromagnetismo
[Cap. IV
tenziale scalare del campo prodotto da una lamina magnetica ha l' espressione (1): [IV-7,5]
ossia:
[IV-7,5']
M I 1/; 0 (P) =_E Q (P) = - Q (P) 41r 41r
in cui Q (P) è l'angolo solido (2) sotto il quale è visto il contorno della lamina dal punto P in cui si calcola 1/;0 • Come abbiamo detto, la funzione 1/; 0 è discontinua su I: ed infatti si può verificare che in due punti situati a distanza infinitesima uno dall'altro da bande opposte di I: l'angolo solido ha valori fra loro differenti di 41r. La discontinuità di 1/;0 attraverso I: è dunque: [IV-7,6]
Per quanto riguarda il campo H 0 si ha senz'altro: [IV-7,7]
H 0 (P) = - gradp 1/;0 = -
I gradp Q (P) 41r
-
L'Appendice 4 è dedicata a varie semplici applicazioni di questi con(1) Nella formulazione generale al posto di Mr:, e di I vanno, rispettivamente, Mr:,IK,m e I/Kem; in unità gaussiane K,m=cl41r. (2) Ricordiamo la definizione dell'angolo solido elementare dO, sotto il quale un'areola orientata d~Q collocata all'estremità Q del raggio vettore rQP centrato in Q è vista da un punto P (vedi fig. IV-7 .3): dO = d~Q. iQP
. r2
L'angolo solido sotto il quale ima sfera orientata verso l'interno è vista da un punto interno è 41r; l'angolo solido, grandezza di base «supplementare» del sistema SI, si esprime in steradianti (vedi pag. 661).
§ IV-7]
Campo magnetico. Potenziale scalare
255
cetti; qui ci limitiamo a dire che la via di calcolo tramite il potenziale scalare porta a effettive semplificazioni quando si ha a che fare con circuiti filiformi per i quali la considerazione dell'angolo solido è immediata. Non altrettanto accade per le correnti distribuite che, ai fini del calcolo del potenziale scalare, dovrebbero essere scomposte secondo circuiti (o «filamenti») elementari. Osserviamo infine che non è difficile riconoscere che si ha: [IV-7,8]
relazione che va confrontata con l'espressione [IV-6, 7] della legge elementare, che ritroviamo combinando la [IV-7 ,8] con la [IV-7, 7]. Quanto sopra ci conduce ad accennare, più in generale, al problema di associare a una data distribuzione di corrente nel vuoto (caratterizzata dalla densità J), una distribuzione di dipoli (caratterizzata dalla funzione vettoriale M) che sia ad essa «equivalente», nel senso che le distribuzioni di B prodotte da J e da M siano identiche. Ciò per poter sviluppare il calcolo di Hm tramite il potenziale scalare associato a M e valutare poi B con la B = µ 0 0, e di vari ordini di grandezza superiori a quella del rame. Nei metalli ci si aspetta RH < O ip. virtù della conduzione elettronica; vi sono invece casi in cui accade l'opposto (cobalto, zinco, cadmio, manganese, berillio). Ciò si spiega ammettendo che in tali elementi la conduzione sia dovuta alle lacune (vedi III, pag. 157) anziché agli elettroni. (2) Sottolineiamo però che l'effetto Hall non può essere trascurato nei gas ionizzati rarefatti immersi in campi magnetici intensi. Citiamo inoltre le applicazioni per la misura dei campi magnetici (sonde di Hall). 1 ( )
§ IV-11]
Energia di posizione delle correnti
271
Caratterizziamo la posizione di 'Y tramite quella di un tetraedro ad essa rigidamente collegato; in particolare associamo alle coordinate di uno dei vertici (il punto P) lo scalare corrispondente al valore cl>* del flusso di B* concatenato con 'Y (pag. 257). In tal modo, per mezzo di traslazioni rigide di 'Y, possiamo dare a cl>* (P) il carattere di una funzione continua dei punti P dello spazio. Immaginiamo ora uno spostamento elementare d ~ che porti P dalla «posizione» P alla (P + d ~) e proponiamoci la valutazione formale del lavoro: [IV-11,1]
dL=F·d~ ,
che le forze agenti sulla corrente I (di risultante F) sviluppano di conseguenza. Serve allo scopo la formula elementare [IV-5,9] che ci dà: [IV-11,2]
dL=~'Y (ldsxB*)·d~
Indichiamo con v il versore della normale alla striscia anulare di superficie flS generata da 'Y nel corso dello spostamento d~ (vedi fig. IV11.1); si riscontra, con le assunzioni fatte, che dsx d~ v·d (flS) e quindi, con semplici manipolazioni della [IV-11,2]: dL= -I
1Ls (B*·v) d(flS)
Dunque (1):
I
[IV-11,3]
dL =ld*
I.
Per la definizione di gradiente di una funzione scalare (nel nostro caso cl>* (P)) si ha: del>*= grad cl>*· d ~ ; risulta infine, in base alla [IV-11,3], la seguente espressione della forza: [IV-11,4]
F=l grad cl>*
(1) La variazione (P + d~)- *(P) del flusso concatenato * vale infatti: d* =
HAs B* · ( -v) d (LlS)
.
272
Magnetostatica e introduzione all'elettromagnetismo
[Cap. IV
In questa relazione è interessante notare, tra l'altro, che se I > O la Jorza F agisce nella direzione e nel verso di massimo accrescimento del flusso concatenato *
cp•
P
da cui l'energia di posizione di 'Y nel campo prodotto da 'Y* (1): [IV-11,10]
e: [IV-11,11]
F = - grad
Wpos
Inoltre, l'uguaglianza fra il lavoro Wpos sviluppato dalle forze del campo nel trasferimento del circuito 'Y dalla posizione P all'infinito (mantenendo fermo 'Y*) ed il lavoro Wt0 s sviluppato dalle forze del campo per portare all'infinito il circuito 'Y* (con 'Y fermo) è conforme alla relazione di reciprocità: [IV-11,12]
Tcl> * = I* cl>
sulla quale torneremo diffusamente in seguito (2). (1) Nella formulazione generale si ha Wpas = - Kem I éf:>* / 7J. In unità gaussiane Kem17J= l/c per cui Wp 0 ,= -(1/c) Jéf:>*. (2) · L'esserci soffermati soltanto sulle traslazioni rigide del circuito 'Y rispetto a -y* non è, ovviamente, limitativo. Si riconosce infatti che il lavoro delle forze del campo in un movimento rigido traslo-rotatorio che porti il circuito 'Y da una posizione in cui il flusso concatenato vale éf:>f a un'altra nella quale il flusso vale éf:>f, vale, quale semplice estensione della [IV-11,5]:
[IV-11,10']
§ IV-11]
Energia di posizione delle correnti
275
Si ha quindi senz'altro: 1 1 wpos = --Jéf,* --J*éf, 2 2
Nel caso di più circuiti interessa il lavoro delle forze del campo nel trasferimento all'infinito di tutti i circuiti presenti mantenendo costanti le correnti. Tale lavoro, che indichiamo ancora con Wpos, non dipende dall'ordine con cui gli spostamenti si pensa~o effettuati; tenuto conto della Particolare rilievo hanno, in questo contesto, le rotazioni attorno a un asse orientato
x, rispetto al quale la posizione del circuito è definita dalla sola coordinata angolare cx. Individuata la funzione
; (cx), si ha senz'altro, per due «posizioni» cx 1 e cx2 :
Il lavoro svolto è, in tal caso, esprimibile tramite il momento Cx delle forze rispetto all'asse x. È immediato riconoscere che:
Analoghe espressioni valgono per i momenti Cy ({3) e Cz (-y) rispetto ad altri due assi y e z che con x formano una terna trirettangola di origine O. Le Cx, Cy, Cz sono le componenti del vettore C0 che esprime il momento risultante dei momenti delle forze rispetto ad O. Al variare di O cambia, in generale, il momento C0 tranne, come sappiamo dalla Meccanica Razionale, per i punti delle rette parallele alla forza risultante F data dalla [IV-11,4]: lungo ciascuna di queste rette C0 è infatti costante. Noto il momento C0 è subito determinato il momento rispetto ad un punto O' qualsiasi caratterizzato da r' = O7 O. Si ha infatti:
I
C0 ,=C 0 +r'XF
Stiamo dunque considerando il circuito come un corpo rigido: la retta di azione per la risultante può essere scelta in modo che il momento delle forze, rispetto alla retta stessa, sia a questa parallelo. La retta in questione costituisce l'asse centrale per il circuito, cioè l'asse baricentrico del sistema di forze parallele costituite dalle componenti delle forze secondo la direzione della loro risultante. Il momento rispetto all'asse centrale assume, come è noto, il minimo tra tutti i valori possibili; l'«atto di moto» del circuito è costituito quindi da una traslazione elementare secondo l'asse centrale e da una rotazione elementare rispetto allo stesso asse. Semplici considerazioni portano a concludere che l'asse centrale è comune ai due circuiti 'Y e -y* i quali, pertanto, sono sottoposti ad una attrazione o repulsione secondo l'asse centrale e ad una torsione rispetto allo stesso asse.
276
Magnetostatica e introduzione all'elettromagnetismo
[Cap. IV
relazione di reciprocità sopra evidenziata, si ricava dunque per l'energia di posizione delle correnti dell'insieme di n circuiti nello spazio vuoto: [IV-11,13]
nella quale la sommatoria è estesa a tutti i circuiti; ; è il flusso concatenato con I; prodotto da tutte le correnti. Teniamo presente però che 4>; -+ oo se il circuito è rigorosamente filiforme. Dedichiamo perciò l'attenzione alla ricerca di una espressione dell'energia magnetica applicabile alle correnti comunque distribuite. Pensiamo perciò di suddividere i circuiti massicci in filamenti elementari, ciascuno corrispondente a un tubo di flusso di sezione infinitesima, e di (1) Si riconosce facilmente che l'energia di «formazione» di un circuito rigorosamente filiforme percorso da corrente di intensità finita tende all'infinito (così come tende all'infinito, lo ricordiamo, l'energia necessaria ad aggregare una carica puntiforme di valore finito); ciò è dovuto ai valori non limitati che i campi assumono a distanza infinitesìma dai «fili». D'altro canto i circuiti filiformi con intensità finita sono enti astratti: per i campi dei circuiti reali, ancorché «quasi» filiformi, non vi sono singolarità e la loro considerazione della Wm data dalla [IV-12,6] non pone problemi, almeno in linea di principio.
(2) La formulazione generale prevede: 1 ·1 1 B2 w =-BH=- Jlolf1-=- 2 m 2 1J 2 2 /lo 7] con le ovvie conseguenze per il sistema gaussiano (/lo= 1147!"; 7/ = 471").
§ IV-12]
Energia magnetica delle correnti
283
considerare, per ciascuno dei «filamenti» così concepiti, la corrente infinitesima che gli compete. Per un filamento generico indichiamo con: [IV-12,12]
dl=J·dS ,
l'intensità della corrente che lo percorre e con ép il flusso di B concatenato con il filamento stesso. A questo insieme di tubi infinitesimi si applica la formula [IV-12,11] opportunamepte trasformata in:
[IV-12,13]
dove S è una superficie generica che «taglia» trasversalmente tutti i circuiti di corrente. Indichiamo inoltre con 'Y una linea qualunque di corrente e con A il potenziale vettore del campo magnetico prodotto da tutto l'insieme delle correnti considerate; si ha B rot A e, applicando il teorema di Stokes (vedi [Al-3,15]):
[IV-12,14]
é.P= ~ A·dl 1
Introducendo é.P nella [IV-12,13] si ottiene, con un'analisi che omettiamo, l'espressione cercata di Wm (1):
[IV-12,15]
dove l'integrazione s'intende estesa a tutte le regioni occupate dalle cor(1) La formulazione generale prevede:
Wm=_l_.__!_ 2
Kem7/
per cui,
rrf
JJJ V=
(J·A) dr,
m unità gaussiane wm = 2 .__!_ mA· J d T. e
2
284
Magnetostatica e introduzione all'elettromagnetismo
[Cap. IV
r'"enti (1), e cioè dalle sorgenti del campo. Vedremo nel prossimo paragra-
fo che questa formula costituisce la premessa necessaria per esprimere Wm esclusivamente in base alla distribuzione della densità di corrente. L'analogia con l'elettrostatica si rileva facilmente nel confronto tra quest'ultima formula e la [Il-11,4]: si notano i ruoli analoghi delle rispettive sorgenti (la densità di carica Q e la densità di corrente J) e dei corrispondenti potenziali (il potenziale scalare z· e il potenziale vettore A). Avvertiamo anche qui che non vi sono per ora ragioni che inducano a privilegiare una visione generale dei fenomeni basata sull'ipotesi dell'appartenenza al campo (e quindi della distribuzione nello spazio) delle energie elettrostatica e magnetica. Parlandone a suo tempo abbiamo già detto che nei regimi stazionari non si hanno evidenze di carattere generale a favore dell'ipotesi di «appartenenza» dell'energia al campo piuttosto che alle sorgenti (e viceversa) e che perciò si farà ricorso caso per caso alla formalizzazione dei problemi in base all'ipotesi giudicata più conveniente. Più avanti si vedrà invece come, in via del tutto generale, l'esame dei fenomeni variabili nel tempo, ed in particolare quelli dell'elettromagnetismo, rende indispensabile il riferimento ad un unico modello: quello cioè in cui domina il concetto della ripartizione dell'energia nello spazio tramite il campo.
IV-13. Ulteriori espressioni della energia magnetica. Coefficienti di autoinduzione e di mutua induzione L'espressione [IV-12,15] dell'energia magnetica Wm quale integrale esteso a tutto lo spazio della «densità» 1/2 (A· J) consente di passare alla
(') A questo risultato si perviene facilmente ricorrendo alla nota identità vettoria-
le: A·rot H-H·rot A=div (HxA) e alle sostituzioni rot A= B, rot H = J. In base al teorema della divergenza applicato a una sfera di raggio R-+ oo si ha senz'altro, con semplici considerazioni:
+HL~
H·B
dr=+
i L~
A·J dr.
§ IV-13]
Ulteriori espressioni della energia magnetica
285
seguente formulazione basata sulla distribuzione della densità di corrente solenoidale J: [IV-13,1] nella quale il calcolo è esteso a tutte le coppie di volumi elementari che compongono la regione V in cui J ~ O (con ripetizione) (1). In vista dell'applicazione della [IV-13~1] ai circuiti, supponiamo che la densità di corrente J sia diversa da zero in due regioni Vi e Vi, ferma restando la sua solenoidalità. Nel calcolo di Wm data dalla [IV-13,1] si può procedere sommando i risultati ottenuti con integrazioni parziali riguardanti:
Vi; b) le coppie (con ripetizione) P e Q che appartengono a Vi;
a) le coppie (con ripetizione) P e Q che appartengono a
e) le coppie (senza ripetizione) per le quali il punto P appartiene a mentre Q appartiene a V2 ; d) le coppie (senza ripetizione) per le quali il punto Q appartiene a mentre P appartiene a Vi.
Vi Vi
Indichiamo con Wll il risultato dell'integrazione nel caso a), con W22 l'analogo risultato per il caso b), con W12 e W21 i risultati che si ottengono rispettivamente per i casi e) e d); la struttura della formula [IV-13,1] ci mostra che il risultato del caso d) coincide con quello del caso e) e quindi che: [IV-13,2] Pertanto: [IV-13,2']
(1) La dimostrazione è immediata. Si ha infatti:
da cui la [IV-13,1] e il significato del simbolo
Jh::v·drpdrQ. Si può inoltre dimostra-
re che la convergenza dell'integrale non pone problemi.
286
Magnetostatica e introduzione all'elettromagnetismo
[Cap. IV
Il primo addendo di questa somma può essere formalmente considerato quale energia propria della regione Vi, energia che si calcola con la:
[IV-13,3]
che risulta dall'adattamento della formula [IV-13,1] al caso a). L'integrazione, lo ripetiamo, è estesa a tutte le coppie di volumi elementari d-r 1 e dr{ relative alla disaggregazione della regione Vi, con ripetizione. Per l'energia propria della regione 2 vale ovviamente la formula analoga alla [IV-13,3]. Infine per l'energia W 12 (energia magnetica mutua di una regione rispetto all'altra) si ha:
[IV-13,4]
nella quale l'integrazione è estesa a tutte le coppie di volumi elementari (d-r 1 e d-r2 ) relative alla disaggregazione delle regioni Vi e V2 , senza ripetizione. Sottolineiamo che sinora non abbiamo fatto alcuna ipotesi sulle regioni Vi e Vi; se ciascuna delle due regioni costituisce un circuito è agevole evidenziare in queste formule le intensità 11 e 12 delle correnti dei circuiti (1). Poniamo anzitutto: e
nelle quali le j sono funzioni vettoriali f) che dipendono esclusivamente dalla geometria delle due distribuzioni J 1 e J 2 ; esse pertanto non sono dipendenti dai valori 11 . e 12 delle correnti, ma dal modo con cui esse si distribuiscono. 1 ( )
I segni di 11 e / 2 vengono valutati rispetto ai versi arbitrari di riferimento assunti per i due circuiti. (2) Omogenee con l'inverso di una superficie. Si noti che le j sono dirette secondo il verso di riferimento (arbitrario) assunto per le J.
§ IV-13]
Ulteriori espressioni della energia magnetica
287
In luogo di [IV-13,3] e [IV-13,4] si può scrivere allora rispettivamente:
[IV-13,5]
(µo ))
__ l W 112 41r
ji·j{ d T1 d T1') 1I 2 Vi·Vi
,
rii'
e analogamente per W22 ; inoltre: [IV-13,6]
Le espressioni fra parentesi (che indichiamo con L 1 , L 2 e M 12 = M 21 = M) hanno carattere puramente geometrico (a parte il fattore µ 0) e, lo ripetiamo, sono indipendenti dalle intensità 11 e 12 • Possiamo allora concludere dicendo che la posizione:
[IV-13,7]
la analoga per L 2 , e la:
[IV-13,8]
definiscono, per il sistema composto dai due circuiti, tre parametri indipendenti dalle intensità delle correnti e caratteristici della geometria del sistema comprendendo, in questa, anche il modo con cui le correnti sono distribuite nei circuiti. I primi due vengono denominati coefficienti di autoinduzione e il terzo coefficiente di mutua induzione (1). (1)_ Tali d(;nominazioni traggono giustificazione dai fenomeni di induzione elettromagnetica, come vedremo nel prossimo paragrafo. ·
288
Magnetostatica e introduzione all'elettromagnetismo
[Cap. IV
Si ha dunque:
[IV-13,9]
Per quanto riguarda l'uso dei parametri L e M è opportuno anzitutto evidenziare la loro chiara utilità in tutti quei casi in cui le funzioni vettoriali j = J / I hanno un carattere esclusivamente geometrico. A vvertiamo in proposito sin da ora che nei regimi variabili si ha, in generale, una dipendenza di j dal tempo: ad esempio, in un regime sinusoidale di pulsazione w non vi è, in generale, identità di fase tra le oscillazioni isofrequenziali della corrente I del circuito e le oscillazioni della densità locale di corrente J. I coefficienti Le M sono dunque parametri che, in regime non stazionario, variano nel tempo in modo correlato a come varia nel tempo la distribuzione della corrente nell'uno o nell'altro conduttore. Ciò si verifica, come vedremo, nei circuiti non filiformi e, in tali casi, la considerazione dei coefficienti L ed M così come li abbiamo definiti può risultare complicata e, in sostanza, inutile (1). Ribadiamo peraltro il fatto che in regime stazionario i coefficienti in questione dipendono esclusivamente dalla geometria, e che tale proprietà si mantiene anche nei regimi lentamente variabili (ad esempio nei regimi sinusoidali a bassa frequenza), così come vedremo nel Capitolo VI dedicato ai regimi cosiddetti quasi-stazionari. Nell'Appendice 4 vengono presentati vari esempi di calcolo secondo le formulazioni qui presentate. Se il sistema è formato da due conduttori filiformi (con riferimento, ad esempio, a [IV-13,8]), si ha: e
(1) Metteremo però più avanti in luce che se il campo magnetico prodotto dalle correnti 11 e 12 si sviluppa prevalentemente all'esterno dei conduttori (interessandoli, quindi, solo in minima parte) le energie Wi, W22 e W 11 risentono poco della distribuzione delle densità di corrente a parità, ovviamente, di 11 e di 12 • In prima approssimazione si potranno pertanto assumere quali coefficienti L ed Mi valori calcolabili in base ad una distribuzione delle correnti opportuna per il calcolo (ad esempio, nel caso di conduttori omogenei di sezione costante, la distribuzione uniforme). Tali considerazioni risulteranno più chiare quando avremo messo in evidenza il ruolo dei coefficienti in questione nell'esprimere i legami tra le correnti e if[ussi cor1;catenatj con i circuiti che definiremo in IV-15.
§
IV-13]
Ulteriori espressioni della energia magnetica
289
per cui: [IV-13,10]
Si tratta della formula di F. von Neumann, valida per il calcolo del coefficiente di mutua induzione tra due· circuiti filiformi, essendo dimostrato che l'integrale da risolvere converge in ogni caso. Applicata al calcolo del coefficiente di autoinduzione, la stessa formula porterebbe alla considerazione dell'integrale: [IV-13,11] che si rivela invece non convergente. Quest'ultima formula, pertanto, non è utilizzabile; il calcolo del coefficiente di autoinduzione di circuiti filiformi rimane affidato alla [IV-13,7] e non può prescindere dalla considerazione dello «spessore», ancorché molto modesto, del filo conduttore cui la si applica (circuito «quasi filiforme»). Ricordiamo ancora che quel che si è detto nel presente paragrafo variferito a circuiti semplici (cioè privi di diramazioni) in regime stazionario. Si può dire, ai sensi delle [IV-3, 7] [IV-3, 8], che: il coeffidente di autoinduzione di un circuito si identifica col rapporto fra il doppio dell'energia propria di quel circuito e il quadrato dell'intensità della corrente che lo percorre, mentre il coeffidente di mutua induzione fra due circuiti si identifica col rapporto fra il doppio dell'energia mutua dei due circuiti considerati ed il prodotto delle correnti che circolano in essi.
I coefficienti di autoinduzione sono quantità intrinsecamente positive: lo si deduce immediatamente da [IV-13,7] avendo presente che l'energia magnetica propria di un qualunque circuito percorso da corrente è sempre positiva.L'energia mutua W 12 , invece, può essere positiva oppure negativa in quanto i versi della densità di corrente nei due circuiti sono indipendenti l'uno dall'altro. Il segno di M coincide o no con quello di W12 a seconda ch_e 11 e 12 siano o no dello stesso segno. L'energia Wm non può mai essere negativa e pertanto l'espressione [IV-13,9] non può mai assumere valori negativi qualsiasi siano i segni di 11 e di 12 •
290
Magnetostatica e introduzione all'elettromagnetismo
[Cap. IV
Una semplice analisi, che omettiamo, mostra che, in conformità a tale circostanza, si ha sempre:
[IV-13,12] Nel caso di uguaglianza è formalmente possibile, con correnti 11 e 12 diverse da zero, ottenere W,n = O. La relazione che deve essere verificata è la seguente (vedi [IV-13,9]):
[IV-13,13] a seconda che M ~ O. Si comprende che la condizione M2 = L 1L 2 , cosiddetta di accoppiamento magnetico perfetto, non è fisicamente realizzabile in modo rigoroso: l'annullarsi di Wm comporta l'annullarsi del campo dovunque, e ciò può ottenersi in senso stretto solo con una completa compenetrazione fisica dei due circuiti. L'accoppiamento perfetto è dunque un'astrazione; si ha sempre:
[IV-13,14]
con O :;; Ik I < 1. Se Ik I è prossimo a uno dei due circuiti si dicono fortemente accoppiati; se k = O i due circuiti sono completamente disaccoppiati. Al parametro k (di solito assunto con lo stesso segno di M) si dà il nome di coefficiente di accoppiamento; di converso il fattore mai negativo:
[IV-13,15]
a~ 1-k2
viene denominato coefficiente di dispersione magnetica. Il coefficiente di autoinduzione prende anche il nome di induttanza e il circuito viene denominato induttore; il coefficiente di mutua induzio-
§ IV-13]
Ulteriori espressioni della energia magnetica
291
ne, a sua volta, mutua induttanza. L'unità Sl per la misura di questi parametri è stata denominata henry (H, henry-> J / A 2 ) (1). Si riconosce infine facilmente che l'energia 2 W 12 coincide con la va-
riazione di energia magnetica che si ha nel processo di «posizionamento» dei due circuiti partendo da una distanza infinita. Tale variazione è uguale e opposta ali' energia di posizione Wpos di un circuito rispetto al1' altro, (vedi [IV-11,20]) energia che, data la geometria dei singoli circuiti, è funzione della posizione reciproca. Tale funzione può essere formalizzata seguendo la procedura illustrata all'inizio del paragrafo IV-11; in base alla [IV-13,8] e alle considerazioni appena svolte risulta intanto: ·
dove P (x, y, z) è il punto che definisce la «posizione» del circuito per il quale concepiamo gli spostamenti secondo la procedura ricordata. Si ha allora, per la forza F 12 esercitata dal circuito 2 sul circuito 1: [IV-13,16]
F 12 = - grad wpos = 11/2 grad M (P)
I.
Si ha ovviamente F 21 = - F 12 , e le forze sono dirette nel verso congruente con l'aumento del coefficiente di mutua induzione se 11 e 12 sono (1) J. HENRY (1797-1878), fisico americano, condusse negli USA, quasi contemporaneamente a Faraday, esperienze sistematiche sui fenomeni di induzione elettromagnetica evidenziando in particolare quelli autoinduttivi (1832).
La formulazione generale per le principali relazioni di questo paragrafo, partendo dalla [IV-13,1], è data da (vedi anche [IV-12,11]):
m... =..!_ ~Kem1J ~I; 1 L (oM)=:§_ m ... ; L = - _!_. Jjj Kem1J I Wm=..!__._k
2 47r
Jjj
2
47r
4 In unità gaussiane ~0 = : e K.m=_!:_ (vedi pag. 216) per cui Wm=~ e
l
47r
2~
1
lÌJ ...
e
lrr
L=--. In unità elettromagnetiche ~0 =47r e K.m=- per cui Wm=-)JJ··· e e I 47r 2 L
I
=- = m ... ; si noti che L risulta espresso in cm. A 1 henry corrispondono 109 cm.
292
Magnetostatica e introduzione all'elettromagnetismo
[Cap. IV
dello stesso segno (correnti «concordi» tendono ad avvicinarsi, correnti «discordi» tendono ad allontanarsi) (1). Discorso analogo vale per i momenti; si perviene a un formalismo analogo alla [IV-13,16] per il momento C 12 delle forze agenti sul circuito 1 rispetto a un polo generico O. Indicando con Mx (a) la funzione che esprime il coefficiente di mutua induzione tra i due circuiti in base a una coordinata angolare a attorno a un asse (x) passante per O, la componente di C 12 rispetto a x vale senz'altro:
[IV-13,17]
Analogamente per le altre componenti rispetto agli altri due assi per i quali vanno considerate le funzioni My (13) e Mz (-y) delle rispettive coordinate angolari (3 e 'Y. Si ha ovviamente C 12 = - C21 • Il momento delle forze ponderomotrici determina rotazioni nel senso dell'aumento del coefficiente di mutua induzione se 11 e 12 sono dello stesso segno. In questa ipotesi, se un circuito è vincolato e per l'altro sono consentite le rotazioni attorno a un punto, quest'ultimo circuito assume l'orientamento per cui il coefficiente di mutua è massimo (minimo, se 1112 < O). In tutti i casi si tratta di una posizione di equilibrio stabile nella quale l'energia di posizione del circuito mobile nel campo dell'altro assume il minimo valore mentre l'energia_ magnetica (valutata a correnti costanti) assume il valore massimo; còmpatibilmente con i vincoli, si intende.
IV-14. Sistemi con più di due cirèuiti L'energia magnetica di un insieme di n correnti circolanti in n circuiti nello spazio vuoto, può essere valutata sommando le energie proprie dei singoli circuiti e, con ripetizione, le energie mutue delle coppie che si ottengono associando i circuiti due a due (2). Nel caso semplice di due cir(1) Parliamo qualitativamente di correnti «concordi» quando l'energia magnetica mutua è positiva (vedi [IV-13,4]) . .e::
(2) Stiamo parlando di un campo che all'esterno dei conduttori si stabilisce nel vuoto e di conduttori che non presentano polarizzazione magnetica; ricordiamo che in regime stazionario i coefficienti L ed M dipendono esclusivamente dalla geometria; ribadiamo che se i circuiti sono filiformi la costanza di questi coefficienti è ben verificata anche nel regime quasi stazionario, come vedremo nel Capitolo VI.
§ IV-14]
Sistemi con più di due circuiti
293
cuiti la [IV-13,9] si può scrivere nella forma: [IV-14,1] da cui, generalizzando:
[IV-14,2]
dove con M.ik si indica il coefficiente di mutua per una coppia generica U, k) di circuiti appartenenti al sistema considerato. I coefficienti con due indici uguali tengono il posto dei coefficienti di autoinduzione; si ha cioè: [IV-14,3] È appena il caso di ripetere che, nel caso di circuiti quasi filiformi, l'espressione analitica dei coefficienti .M.ik è data dalla formula [IV-13, 8] mentre quella dei coefficienti Lk è data dalla formula [IV-13, 7]; formule nelle qualij= 1 e k=2. La definizione U#k):
[IV-14,4] coincide con quella enunciata nel paragrafo precedente: il coefficiente di mutua induzione per la coppia U, k) di circuiti appartenenti ad un sistema dato vale il rapporto tra il doppio dell'energia mutua (Wjk) di quella coppia agente da sola ed il prodotto (l.Jk) delle due correnti che la compongono. Analogamente dicasi per i coefficienti di autoinduzione sulla falsariga di [IV-13, 8].
IV-15. Flussi concatenati con i circuiti e corrispondenti significati dei coefficienti L e M. Circuiti formati da più spire. Riluttanza e permeanza equivalenti.
L'energia magnetica di un qualunque sistema di tubi di flusso di J chiusi elementari nello spazio vuoto, si esprime in base alle [IV-12,11],
294
Magnetostatica e introduzione all'elettromagnetismo
[Cap. IV
e [IV-12,15] con la: [IV-15, 1] nella quale con r si indica il flusso di induzione magnetica concatenato con il «filamento» r-mo caratterizzato dalla corrente di intensità elementare Alr (1). Consideriamo ora, per fissare le idee, l'insieme dei termini relativi a un solo circuito, ad esempio il primo, interessato da 11 ; tale insieme fornisce alla Wm il contributo W 1 così esprimibile:
dove la grandezza tra parentesi è un flusso di induzione (lo indichiamo con 1) e la sommatoria 2: 1 è limitata ai filamenti del circuito 1. Conciascuno di questi, lo ripetiamo, è concatenato il flusso r dovuto a tutte le correnti. Si ha senz'altro, in base alla [IV-14,2]:
[IV-15,2]
Il flusso 1 è la media tra i flussi r concatenati con le correnti AI,., media pesata su queste ultime (di somma 11}. Si giustifica così la considerazione di 1 quale flusso concatenato con il circuito 1, flusso di valore finito se il circuito non è rigorosamente filiforme. Si potrà scrivere pertanto per ciascuno degli n circuiti: [IV-15,3] con ~i=Li coefficiente di autoinduzione del circuito j. ~ k è il coefficiente di mutua induzione per la coppia generica U, k) di circuiti appartenente al sistema; tutti tali coefficienti rispondono alle definizioni e proprietà enunciate. 1 ( ) Si tenga ben presente che , è il flusso dell'induzione B prodotta da tutti i filamenti in questione.
Flussi concatenati con i circuiti
§ IV-15]
295
Se tutte le correnti sono nulle tranne lk (k"i"'j), allora tutti i termini della somma [IV-15,3] sono nulli tranne éf!jk=M.iklk; in tali condiziòni si ha pertanto:
[IV-15,4]
~ ~
da cui la seguente ulteriore definizione per M.ik: per due circuiti nello spazio vuoto il coefficiente di mutua induzione è il rapporto fra il flusso di induzione concatenato con uno dei due circuiti suddetti e l'intensità della corrente che percorre l'altro quando la corrente nel primo è nulla. Volendo in modo analogo riferirsi al coefficiente di autoinduzione di un circuito nel vuoto, si dirà che tale coefficiente è il rapporto fra i/flusso di induzione concatenato col circuito e l'intensità della corrente che lo percorre quando le correnti di tutti gli altri circuiti sono nulle:
[IV-15,5]
Nel caso di un sistema di due soli circuiti (1 e 2), il flusso concatenato con il circuito 1 è dato da: [IV-15,6] con: éf! 11 = flusso concatenato con il circuito 1) prodotto dalla corrente 11
soltanto; éf! 12 = flusso concatenato con il circuito 1) prodotto dalla corrente 12
soltanto. Altrettanto dicasi del flusso éf!2 concatenato con il circuito 2). Nel caso di due soli circuiti si ha dunque:
[IV-15,7]
296
Magnetostatica e introduzione all'elettromagnetismo
[Cap. IV
È opportuno, a questo punto, approfondire alcuni aspetti riguardanti i flussi concatenati con i circuiti quasi filiformi (vedi pag. 289). Si riconosce anzitutto che, in prima approssimazione, i flussi concatenati con le linee vettoriali di J che si sviluppano nei fili conduttori differiscono molto poco tra loro in quanto, in generale, queste linee sono tra loro molto vicine e il campo si annulla nei punti di una linea all'interno del filo. Questa circostanza facilita molto i calcoli dei coefficienti Led M· essi infatti possono essere affrontati, anziché sulla base delle formulazioni energetiche, sulla base dei flussi concatenati con linee geometriche chiuse che si sviluppano secondo gli assi dei fili o sulla superficie dei fili stessi. Con riferimento a una di queste linee ('y), il flusso con essa concatenato è dato da:
[IV-15,8]
dove l'integrale è esteso a una qualsiasi delle superfici ~'Y orlata da 'Y· Ma possiamo dire anche che:
[IV-15,9]
ossia che il flusso è esprimibile con la circuitazione del potenziale vettore A lungo la linea chiusa 'Y orientata in modo congruente con E'Y. Con queste precisazioni possiamo senz'altro affrontare le configurazioni in cui ciascun circuito è formato da più «spire» (1): la spira è un tratto di circuito con le estremità molto ravvicinate (vedi fig. IV-15.1) e'ne costituisc Te non si può avere magnetismo spontaneo e l'applicazione di un campo esterno dà luogo a un comportamento paramagnetico; si riconosce che, per bassi campi, la suscettività magnetica fornita dal modello vale (e l'esperienza conferma) per T considerevolmente maggiore di Te (vedi [V-3,7] per la costante C):
I ~ ~ I
[V-4,6]
Xm
T
Te
(legge di Curie-Weiss)
Prima di considerare più da vicino il confronto tra le indicazioni del
o
TITc
Fig. V-4.2. Magnetizzazione spontanea in funzione della temperatura. (1) Meglio sarebbe in proposito non parlare di magnetizzazione spontanea ma di magnetizzazione residua o permanente: ·che permane, cioè, una volta annullato il campo dopo un processo che abbia portato alla saturazione, o quasi.
§ V-4]
Ferromagnetismo
337
modello e l'esperienza per T < Te, va osservato che la [V-4,5] consente di individuare l'ordine di grandezza per il coefficiente di Weiss w in base ai valori misurati per le temperature di Curie Te (vedi nota di pag. 334), agli ordini di grandezza riscontrati per Ms ( = 105 A/m), e assumendo Pm pari a un magnetone di Bohr (pm = µ 0 m 8 ). Risultano per w valori del1' ordine di 104 e, pertanto, valori per il campo interno assolutamente non prevedibili in base ad analisi classiche (del tipo, ad esempio, di quelle che portano alla considerazione del campo locale nei dielettrici, vedi pag. 80). Va inoltre osservato che il magnetismo «,spontaneo» (M ;t= O con H = O e T < Te) è macroscopicamente osservabile con facilità solo a valle di un processo di magnetizzazione, ancorché caratterizzato da campi modesti. I valori così elevati dei coefficienti di Weiss vengono spiegati attraverso complessi meccanismi quantistici di interazione tra i momenti magnetici (1) (da spin non compensati) degli atomi limitrofi nel reticolo cri-
(1) Ricordiamo le fondamentali esperienze che hanno consentito di correlare le proprietà dei materiali ferromagnetici ai momenti intrinseci degli elettroni. Si tr.atta anzitutto dei cosiddetti effetti giromagnetici: - l'effetto evidenziato da S.J. BARNETI (1914) costituito dalla magnetizzazione assunta da una sbarretta ferromagnetica messa improvvisamente in rotazione; - l'effetto evidenziato da A. EINSTEIN e W.J. DEHAAs (1915) costituito dal momento angolare assunto da una sbarretta ferromagnetica improvvisamente sottoposta a magnetizzazione secondo l'asse. Entrambi gli effetti si interpretano in base alla conservazione del momento angolare del sistema formato dagli elettroni (di per sé dotati di momento angolare) e dal reticolo: a una variazione del momento degli elettroni deve corrispondere una variazione opposta del momento del reticolo e viceversa. Il segno degli effetti corrisponde alla carica negativa degli elettroni mentre le analisi quantitative hanno mostrato che il rapporto giromagnetica da assegnare al singolo elettrone è il doppio di quello ascrivibile ad un'orbita con ragionamenti elementari (pari a -e/2 m.). L'analisi della struttura fine delle righe spettrali emesse in campo magnetico (effetto Zeeman «anomalo», noto dalla fine del secolo scorso) e l'esperienza di O. STERN e W. GERLACH (1922) sulle deflessioni dei fasci atomici (o molecolari) in campi magnetici fortemente disuniformi aprirono poi la strada al concetto di spin (S.A. GouosMIT e G.E. UHLENBECK, 1925) come proprietà intrinseca dell'elettrone. La proprietà è caratterizzata da un momento angolare quantizzato con due soli valori possibili ( ± l /2·h/21r) per la sua componente secondo una qualsiasi direzione prestabilita (h =6,6 · 10- 27 J · s) e da un momento magnetico che, in armonia con i risultati dei citati effetti giromagnetici, ha come componenti ± m 8 (m 8 = magnetone di Bohr, vedi pag. 28). Il valore molto elevato del coefficiente di W eiss è stato interpretato da una teoria di interazione tra gli spin basato sulla impostazione quantistica data da W. HEISENBERG (1928). Si tratta di interazioni a corto raggio per le quali non può essere dato nessuno spunto intuitivo su basi classiche.
338
Materiali, circuiti e reti magnetiche
[Cap. V
stallino. Tali meccanismi portano a configurazioni stabili con orientazioni parallele a un particolare asse cristallografico per gli atomi di cristalli di dimensioni relativamente notevoli (dell'ordine delle decine di µm), i cosiddetti domini di Weiss; per T < Te i domini assumono magnetizzazioni prossime alla saturazione (saturazione spontanea microscopica) in assenza di campi esterni. La magnetizzazione macroscopica, sempre in assenza di campo esterno, è peraltro nulla; la configurazione complessiva consiste infatti di una fitta suddivisione in domini variamente orientati, così da dar luogo ad una compensazione di insieme. L'entità della suddivisione rispecchia uno stato di minima energia: alla suddivisione indefinita fanno contrasto le forze che tendono a orientare concordemente gli spin. Da un dominio all'altro si passa attraverso «pareti» di piccolo spessore con gradualità, nel senso che i momenti degli atomi adiacenti nelle pareti formano piccoli angoli fra loro. L'azione del campo esterno avviene secondo fasi successive. Per valori modesti del campo si dà luogo ad uno spostamento graduale delle pareti e alla crescita contestuale dei domini il cui momento forma minori angoli rispetto al campo; per campi più intensi si hanno delle variazioni brusche della orientazione di sottodomini che si allineano con quelli adiacenti che sono «i più concordi» al campo; si ha poi una rotazione progressiva sino alla saturazione macroscopica (1). Quest'ultima fase ri-
(1) Non ci soffermiamo sulla evidenza sperimentale. Ricordiamo soltanto che i domini vengono osservati con tecniche microscopiche (F. BITTER, 1932) e che la magnetizzazione discontinua viene rilevata per via elettroacustica (effetto scoperto da H. BARKHAUSEN, 1919). Particolare importanza assumono oggi le tecniche di diffrazione dei neutroni dai cristalli. La sommaria descrizione da noi data riguarda il comportamento del ferro, del nichel, del cobalto, e di varie loro leghe anche con altri elementi non ferromagnetici che si comportano come le ferromagnetiche (vedi Tabella a pag. 343). Va però evidenziato che vi sono sostanze nelle quali i meccanismi di interazione portano a una configurazione reticolare magnetica stabile che, anziché da domini saturi variamente orientati, è costituita da due sottoreticoli magnetizzati in senso opposto e compensati. Questi materiali (ad esempio i monossidi, i bicloruri e i bifluoruri di Fe, Co ecc.) vengono detti antiferromagnetici (F. NÉEL, F. BITTER, J.H. VAN VLECK negli anni '30) e presentano la struttura bireticolare per temperature inferiori ad un valore critico TN (temperatura di Née[) dell'ordine di qualche decina di K. Per T < TN la suscettività è di valore molto modesto e cresce con la temperatura; per T > TNil comportamento è paramagnetico e la Xm decresce con T secondo la:
e xm= T+ r~·
(T
> TN)
corrispondente alla legge di Curie-Weiss [V-4,6]. Il valore di
Po
è dell'ordine del
§ V-4]
Ferromagnetismo
339
chiede campi molto intensi, mentre le prime due vengono completate con campi che sono centinaia (e anche migliaia) di volte più piccoli di quelli che si dovrebbero impiegare se il comportamento fosse paramagnetico. Alle variazioni nelle dimensioni dei domini si accompagnano tensioni interne rilevabili anche a livello macroscopico (magnetostrizione). Una volta subito il processo di magnetizzazione, se si azzera il campo esterno il materiale resta macroscopicamente magnetizzato. Al quadro interpretativo che abbiamo delineato è possibile riferire le principali proprietà macroscopiche dei materiali ferromagnetici, proprietà che risentono anche dei processi di lavorazione cui i materiali vengono sottoposti (tempre, ricotture, laminazioni a freddo, raffreddamenti sotto campi esterni ecc.) oltreché, ovviamente, delle composizioni (con le connesse proprietà strutturali) e delle impurità. Un primo criterio per i confronti fa riferimento all'entità dell'isteresi: al fatto, già ricordato, che lo stato di magnetizzazione non è univocamente determinato dal campo applicato ma dalle vicende che il materiale ha subito. Ci si basa, in concreto, sulle caratteristiche di magnetizzazione, cioè sui diagrammi che forniscono, secondo la direzione di riferimento, il valore in grandezza e segno dell'induzione B in funzione del campo magnetizzante H per provini omogenei (1). In figura (V-4.3) è rappresentata una vicenda tipica di magnetizzazione; si distinguono una curva di prima magnetizzazione (tratto OA) e, a partire dal punto A, un processo ciclico che, come si vede, non si richiude esattamente. Se il campo magnetizzante viene invertito tra i valori ±HM, l'evoluzione si assesta su cicli simmetrici di isteresi. Al variare di HM varia l'ampiezza dei cicli. Il raggiungimento della centinaio di K, ma il significato di Po è solo formale (la «temperatura di Curie» per un materiale antiferromagnetico è formalmente al di sotto dello zero assoluto e vale - 71f). Esulano dai nostri limiti le interpretazioni dell'antiferromagnetismo; completiamo però il quadro evidenziando che esso si può considerare come un caso particolare di situazioni più generali nelle quali i momenti dei sottoreticoli non si compensano. Ciò avviene nelle ferriti (di formula x+ +Fe{ + +0 4 , come la magnetite Fe+ +Fe{ + +0 4 , la ferrite di bario ecc.) da cui il nome diferrimagnetismo al comportamento che, in effetti, si presenta macroscopicamente come ferromagnetico, ma in materiali di bassissima conducibilità; è questa la circostanza che ne caratterizza le principali applicazioni (vedi R.S. ELLIOT in bibl.; citiamo anche, sotto un profilo storico-divulgativo, il divertente racconto della sua vita da parte di F. BITTER, tradotto nella Piccola Bibl. Einaudi, 1960).
(1) In condizioni di omogeneità si può assumere, quale campo magnetizzante H, quello prodotto nel vuoto dai circuiti percorsi da corrente. Precisiamo che B e H sono le componenti (uniche) di Be H secondo la direzione di riferimento.
340
Materiali, circuiti e reti magnetiche
[Cap. V
B
Fig. V-4.3.
Magnetizzazione ciclica di un materiale ferromagnetico.
saturazione è evidenziato dal fatto che, per campi sufficientemente intensi, l'incremento AB corrispondente a un incremento AH è lo stesso che si avrebbe nel vuoto e cioè µ 0 AH. Il ciclo di isteresi che viene assunto come termine di paragone è quello descritto a partire dalla saturazione; i principali parametri usualmente considerati per la caratterizzazione dei legami B-H sono:
- le permeabilità relative differenziali valutate lungo la curva di prima magnetizzazione secondo la: 1 dB µr (d) = µo dH ,
-
-
-
in particolare quella iniziale (B = O, H = O) e quella massima; il valore della magnetizzazione di saturazione P m corrisponde l'intensità di corrente I del circuito elettrico semplice, mentre alla circuitazione i/; di H lungo il percorso chiuso 'Y (jorza magnetomotrice del circuito magnetico) corrisponde la circuitazione 8 di E* (forza elettromotrice del circuito elettrico). Alla resistenza elettrica del tubo di flusso, data dalla [III-6,11], corrisponde senz'altro la grandezza (riluttanza del circuito magnetico) 1
[V-6,2]
e
th
I
m--,; r,· jL (~;) ds di'
si ha:
[V-6,3]
i/;=
I,
con
if;=Nl
(1) I campi H e B dati dalle [V-6,1] soddisfano senz'altro le relazioni rot H=J e B = µ,H. La div B = O è a sua volta verificata nelle regioni di omogeneità (in quanto div H*=O e µ,=cost); sulla superficie 2:: di separazione tra «ferro» e «aria», la divergenza superficiale di B è zero in quanto B è radente a 2::.
(2) Si sottolinea che il campo H è irrotazionale nel tubo di flusso, ma non è conservativo; la sua circuitazione è diversa da zero sui percorsi chiusi che concatenano le correnti. (3) Nella formulazione generale if;=Nl/K,m.
350
Materiali, circuiti e reti magnetiche
[Cap. V
Si può dire dunque che forza magnetomotrice ff=NI e flusso di induzione magnetica sono tra loro proporzionali; il loro legame viene espresso sia tramite la le ascisse delle due precedenti caratteristiche. Se indichiamo con t/; 1 e t/;2 i valori delle tensioni magnetiche che insistono s,.ui singoli tratti si ha:
[V-7,8] e
ff = t/; 1 + t/;2 =Nl ;
il calcolo di t/; 1 richiede dunque la conoscenza della caratteristica di magnetizzazione del materiale ferromagnetico nella forma H=H(B). La curva risultante esprime la relazione cercata:
[V-7,9]
4>=4> (Nl) .
Il procedimento si estende senz'altro al calcolo di circuti magnetici con più di due elementi in serie. Per un circuito magnetico con elementi in parallelo (fig. V-7.11) il problema consiste, in generale, nel determinare il flusso risultante: [V-7,10]
Fig. V-7 .11.
Nuclei ferromagnetici «in parallelo».
364
Materiali, circuiti e reti magnetiche
[Cap. V
N/
Fig. V-7 .12.
Costruzione della caratteristica per il dispositivo della fig. V-7 .11.
in funzione della forza magnetomotrice dell'avvolgimento che si suppone formato da N spire concatenate con tutti i flussi cl>;. Nel caso semplice di due soli nuclei per ciascuno dei quali siano individuabili le caratteristiche il risultato si ottiene tracciando le caratteristiche if:? 1 (Ni) e èf? 2 (Ni) e sommandone le ordinate (figg. V-7.11 e V-7.12).
V-8. Circuiti magnetici semplici con dispersione L'errore che si commette trascurando la dispersione magnetica nei circuiti magnetici di forma e dimensioni usuali non è in generale tale da imporre vistose correzioni, ma quando queste sono necessarie il loro calcolo è complicato e laborioso. È peraltro vero che la modestia degli errori da correggere rende valido il ricorso a drastiche semplificazioni come ora vedremo, quando non sia il caso di valersi di metodi adatti per la soluzione numerica del problema mediante calcolatore. In ogni caso il problema generale è quello solito, in cui si chiede di determinare la f.m.m. necessaria a produrre un dato valore èf? del flusso di induzione magnetica in una sezione determinata dal sistema (per lo più quella del traferro), essendo note struttura, forma e dimensioni del dispositivo. Qui si considera il caso in cui il nucleo è semplice, cioè privo di diramazioni; di esso, naturalmente, si suppone data la caratteristica di magnetizzazione. Il nucleo convoglia la maggior parte del flusso in un traferro, e sull'area S dell'una e dell'altra delle due superfici del traferro si suppone debba stabilirsi il flusso èf?. Si nota subito che a causa della dispersione il nucleo non costituisce un
§ V-8]
Circuiti magnetici semplici con dispersione
365
tubo di flusso; il flusso di B varia infatti da sezione a sezione del nucleo in quanto la differenza tra i valori dei flussi che attraversano due sezioni qualunque è senz'altro uguale al flusso che attraversa la superficie laterale del tronco compreso fra le due sezioni medesime, come richiesto dalla solenoidalità di B. Risulta in questi casi opportuna la suddivisione del circuito magnetico in tratti, suddivisione da pensarsi effettuata nel migliore dei modi in vista della successiva correzione da operare sui valori dei flussi. Pertanto in luogo di [V-7, 7] si scriverà: [V-8,1]
dove ; è il valore del flusso nel tratto considerato. Posto genericamente 4>;= a; si ha: n
[V-8,2] L'unica differenza formale fra questa espressione e la [V-7,7] riguarda la presenza in quest'ultima dei coefficienti a; in generale diversi da
1:,
Fig. V-8.1. Rappresentazione di flussi dispersi (vedi M. STAFL in bibl., pag. 122); questa figura è diventata la «sigla» della Conferenza internazionale sul calcolo dei campi statici e quasi-statici (©ompumag).
366
Materiali, circuiti e reti magnetiche
[Cap. V
tratto a tratto e maggiori dell'unità. Ci limitiamo qui a dire che la difficoltà nei calcoli dei coefficienti a; risiede nella complessa geometria del campo magnetico esterno al nucleo del dispositivo. La fig. V-8 .1 rappresenta le linee di flusso disperso in una configurazione cilindrica nella quale la corrente di eccitazione (non rappresentata) è uniformemente distribuita sulle superfici I.; 1 e I.;2 del nucleo di elevata permeabilità; le linee indicate sono le tracce delle pareti cilindriche dei tubi di flusso.
V-9. Circuito magnetico con magneti permanenti Il caso in cui il flusso di induzione è prodotto da un magnete permanente viene trattato nel paragrafo 7 di A4. Tale argomento è indicativo dei problemi che si incontrano quando si deve tener conto dell'isteresi.
V -1 O. Reti magnetiche
Nel paragrafo V-5 abbiamo già parlato delle reti magnetiche, strutture composte da nuclei magnetici di permeabilità elevata (eventualmente interrotti da traferri) e nelle quali si individuano senza ambiguità nodi, rami e maglie così come nelle reti elettriche; i nuclei sono immersi nell'aria e ciascun ramo, arbitrariamente orientato, è in generale concatenato con uno o più avvolgimenti che, con riferimento al verso di riferimento adottato per il ramo, mettono in gioco le forze magnetomotrici ff; (1). Se si trascurano le dispersioni, ciascun ramo è caratterizzato dal flus~o ;; se il comportamento del sistema è lìneare si può ammettere, infine, di conoscere la riluttanza CR; del ramo stesso, parametro positivo costante e indipendente da ;. Stando così le cose, è immediata la individuazione del modello matematico per la rete sulla base delle equazioni che si possono scrivere per i suoi nodi e per le sue maglie.
Per ciascun nodo della rete magnetica si ha infatti: [V-10,1]
(1) Nel caso di un avvolgimento si ha cioè Ef;= (±)N/; ove interviene il segno + se il verso di riferimento di l; si concatena positivamente con il verso di riferimento assunto per il ramo. È ovvio come si deve procedere nel caso di più avvolgimenti.
§ V-10]
Reti magnetiche
367
dove la sommatoria riguarda i flussi dei rami che incidono sul nodo in esame; intervengono poi con lo stesso segno entro la parentesi i rami i cui riferimenti confluiscono sul nodo e con il segno opposto gli altri. Per ciascuna maglia arbitrariamente orientata si esprime anzitutto la forza magnetomotrice complessiva EF della maglia componendo le f .m.m. dei lati di competenza. Si ha cioè; [V-10,2]
EF= b (±)·~;
I'
facendo intervenire il segno + per i rami il cui riferimento è concorde con quello della maglia, e viceversa per gli altri. Alla forza magnetomotrice EF corrisponde l'integrale circuitale di H lungo la maglia ovvero, per motivi analoghi a quelli svolti per il circuito magnetico semplice, la I: ( ±) (R/!> ;, nella quale i segni intervengono allo stesso modo che per le EF;. Si ha dunque per ogni maglia della rete magnetica: [V-10,3]
b ( ±) EF; = I: ( ±) (R;tl> i
I.
Valgono, è ovvio, tutte le considerazioni svolte nel Capitolo III per le reti elettriche per la individuazione di insiemi di equazioni ai nodi con caratteristiche di indipendenza e di completezza, e così pure per le maglie. Quanto appena esposto esprime dunque l'analogia tra rete magnetica e rete elettrica, analogia nei riguardi della quale, peraltro, è opportuno fare qualche precisazione e cioè: 1) la forza magnetomotrice EF; messa in gioco dagli avvolgimenti concatenati con il ramo i-mo non coincide, in generale, con la circuitazione, riferita al ramo stesso, del campo impresso H* il quale, per suo conto, risente anche dei contributi dovuti a tutti gli altri avvolgimenti. Nell'analogia elettrica riferita al ramo si dovrebbe introdurre una forza elettromotrice corrispondente alla circuitazione del campo impresso H* lungo il ramo. Ma si osserva subito che la questione sollevata è ininfluente ai fini della correttezza della equazione di maglia [V-10,3]. La circuitazione estesa alla maglia dei contributi a H* dovuti ad avvolgimenti che non riguardano la maglia stessa è infatti nulla; alla circuitazione di H* lungo la maglia contribuiscono esclusivamente gli avvolgimenti di pertinenza della maglia con la loro forza magnetomotrice. La [V-10,3] rispecchia proprio tali circostanze e, pertanto, nell'analogia elettrica si può senz'altro considerare, ramo per ramo, una f .e.m. e corrispondente alla f.m.m. EF; degli avvolgimenti di pertinenza al ramo stesso.
Materiali, circuiti e reti magnetiche
368
[Cap. V
2) Con riferimento a due nodi generici (r, s), e a un percorso 'Y qualsiasi che li congiunge all'esterno dei rami e degli avvolgimenti, si può 5 esprimere la tensione magnetica tra due nodi ,f;rs = ] H · d sin base alle grandezze di un ramo (o di un insieme di rami) cli'~ li collega. Si ha senz'altro, nel caso di un unico ramo: [V-10,4]
1/lrs= Efsr- Cfls/±'sr
I,
con ovvio significato dei simboli. Si osserva che nella regione esterna ai nuclei e agli avvolgimenti il campo H è irrotazionale. A tale campo contribuiscono sia il campo impresso H* (in generale non nullo nella regione considerata), sìa il campo Hm prodotto dalla materia magnetizzata. Alla tensione magnetica 1/lrs tra i nodi re s corrisponde, nella rete elettrica «equivalente», la differenza tra i potenziali degli stessi nodi. Da un insieme di equazioni indipendenti ai nodi e alle maglie e che sia completo si possono trarre i flussi nei vari rami della rete in funzione delle intensità di corrente nei singoli avvolgimenti. Risulterà: [V-10,5]
dove i coefficienti CP sono omogenei con permeanze i cui segni dipendono dalle scelte effettuate per i riferimenti dei flussi e delle correnti. Si moltiplichi la [V-10,5] per ±N1 a seconda della congruenza o meno tra i riferimenti assunti per 1 e 11 : si ottiene il flusso concatenato con l'avvolgimento CD, Np per cui, a secondo membro, i coefficienti ±,NfCP11 , ±N1N 2 CP12 sono i coefficienti di auto e mutua induzione (1). Si ha: [V-10,6]
con:
Lu= ICP11 I M
e
M12=
± CP12N 1N 2 ecc ... ,
formulazione utile per le applicazioni (2), come vedremo in VI-16.
(1) Il coefficiente ±NI6\ 1 è sempre positivo. (2) Per approfondire le «equivalenze» con le reti elettriche vedi G. FIORIO, Reti magnetiche e circuiti equivalenti di trasformatori, «L'Energia Elettrica», 1, 1962, pag. 29 e segg.
CAPITOLO
VI (*)
REGIMI QUASI-STAZIONARI
Vl-1. Note introduttive
Consideriamo la configurazione studiata per la conduzione stazionaria nel Capitolo III. Ammettiamo che il mezzo sia dappertutto dissipativo e, ove diversamente non specificato, siano a, s, µ, funzioni continue (1). Supponiamo inoltre, per fissare le idee, che il sistema sia completamente «scarico» all'istante t=O, a partire dal quale lo pensiamo sollecitato da una forza specifica impressa E*(t); ci proponiamo di analizzare l'evoluzione spazio-temporale del sistema a partire dall'ipotizzato stato iniziale «di quiete». I modelli da cui partire sono quelli, già trattati, dell'elettrostatica, della conduzione stazionaria e dell'elettromagnetismo stazionario; con la consapevolezza, però, che essi vanno modificati per tener conto della variabilità nel tempo delle grandezze in gioco, a cominciare dalla funzione vettoriale E*(t). Le modifiche rispetto al regime stazionario derivano dai fatti seguenti:
- la densità di corrente J non è, in generale, solenoidale per la variabilità temporale della carica contenuta in una generica superficie chiusa; - il campo elettrico E non è, in generale, conservativo per la variabi(*) In questo Capitolo le grandezze sono.sempre espresse in unità del SI.
(1) Si tratta della continuità rispetto alle coordinate spaziali; ci limitiamo inoltre ai casi in cui u, e eµ. si possono considerare indipendenti dal tempo.
Regimi quasi-stazionari
370
[Cap. VI
lità temporale del flusso di induzione magnetica concatenato con una generica linea chiusa. Nei modelli citati insorgono dunque, quali termini di sorgente la
- aelat = div J (vedi [I-5,3]) e - aB/at =rot E (vedi [IV-16,10]); la non
solenoidalità di J comporta, inoltre, una modifica della rot H = J, come vedremo. L'argomento sarà trattato nella sua formulazione generale nel Capitolo VIII. Per una sua presentazione graduale, in questo Capitolo rinunciamo alla generalità per fermare preliminarmente l'attenzione su due situazioni «limite» così caratterizzate:
a) sistemi nei quali è possibile trascurare, istante per istante e dappertutto, il campo elettrico solenoidale prodotto dalla variazione temporale dell'induzione magnetica B rispetto al campo elettrostatico irrotazionale sommato alla forza specifica impressa E*. In tali casi: - si adotta senza modificazione alcuna il modello dell'elettrostatica, per cui resta valida la irrotazionalità di E: rot E O ; - viene modificato il modello della conduzione stazionaria sostituendo la solenoidalità di J con l'equazione di continuità (vedi [I-5,3]):
ae at
divJ=-- ai fini del calcolo del campo magnetico (1) si fa riferimento al modello dell'elettromagnetismo stazionario, con la sostituzione, per ora giustificabile solo dal punto di vista formale, della densità di corrente J con la cosiddetta densità di corrente totale (2): [VI-1,1]
8]
. '
quest'ultima, in virtù dell'equazione di continuità e della div D
e,
1 ( ) Calcolo necessario per valutare, sia pure in modo approssimativo, gli effetti del campo stesso.
(2) Sulla portata di tale definizione, fondamentale per l'elettromagnetismo, torneremo già alla fine di queste note introduttive (pag. 373).
§ VI-1]
Note introduttive
371
è solenoidale. Con tale modifica formale assume la necessaria coerenza l'espressione del rot H, per il quale si ha, appunto:
[VI-1,2]
- l'energia elettrostatica è prevalente rispetto all'energia magnetica;
b) sistemi nei quali è possibile trascurare, istante per istante e dappertutto, il campo irrotazionale di corrente legato alla variazione temporale della densità di carica Q• In tali casi: · - si adotta senza variazione alcuna il modello dello elettromagnetismo stazionario, per cui resta valida la solenoidalità di J: div J=O ;
- viene modificato il modello della conduzione stazionaria sostituendo la irrotazionalità di E con la legge locale dell'induzione elettromagnetica [IV-16,10]:
aB at
rot E= - - ai fini del calcolo del campo elettrostatico Eq (1), si fa riferimento al mode.llo della conduzione stazionaria; si tratta cioè di determinare E= a- 1 J-E* e poi (2): [VI-1,3]
dove A è il potenziale vettore solenoidale di B (si ha cioè rot A= B e div A=O); - l'energia magnetica è prevalente rispetto all'energia elettrica. Diciamo subito che non è facile dare criteri generali che consentano di riconoscere, in via preliminare, se è possibile adottare l'una o l'altra delle semplificazioni che portano a considerare un sistema come di tipo a o b; ritorneremo su questo problema più avanti, quando le considerazioni (1) Calcolo necessario per valutare, sia pure in modo approssimato, l'evoluzione della densità di carica.
(2) Se A è il potenziale vettore solenoidale di B, il campo indotto E;nd coincide con a Al a t. Di tali funzioni vettoriali sono uguali infatti sia la divergenza (che è nulla), sia il rotore (che è -aB/at). Questo punto verrà sviluppato in dettaglio in Vl-11.
372
Regimi quasi-stazionari
[Cap. VI
che avremo svolto nel merito avranno reso più familiari i concetti e i formalismi relativi alle due classi di sistemi. Riconosciamo comunque sin d'ora, per le due classi, le seguenti proprietà, per così dire speculari: a) nella classe a il campo elettrico è costituito esclusivamente dal campo
elettrostatico prodotto dalla distribuzione di carica che si ha nel1'istante t; si può dire dunque che l'evoluzione temporale del campo elettrico è costituita da una successione di stati stazionari ciascuno dei quali è coerente con il modello dell'elettrostatica considerato all'istante t; b) nella classe b il campo magnetico· è costituito esclusivamente dal
campo prodotto dalla distribuzione (solenoidale) di densità di corrente che si ha nell'istante considerato; si può dire dunque che la evoluzione temporale del campo magnetico è costituita da una successione di stati stazionari, ciascuno dei quali è coerente con il modello dello elettromagnetismo stazionario considerato all'istante t. Appaiono dunque appropriate, alla luce di quanto sopra, le denominazioni rispettive di regime quasi-stazionario elettrico per il caso a, e di regime quasi-stazionario magnetico per il caso b. Evidenziamo peraltro sin d'ora che, in linea di principio, nessuno dei due regimi è proponibile in via rigorosa (1); d'altro canto, lo sviluppo graduale di questi argomenti costituirà utile premessa per l'impostazione del modello valido in generale per l'elettromagnetismo su scala macroscopica, modello costituito dalle equazioni di Maxwell (Capitolo VIII). Concludiamo questa nota introduttiva riportando l'attenzione sulla densità di corrente «totale» J 1 (vedi [Vl-1,1]), affermando anzitutto che la sua definizione è del tutto generale; essa riguarda infatti le funzioni vettoriali J e D in tutti i casi, e perciò anche quando il campo elettrico non è irrotazionale. Così pure è del tutto generale la sua proprietà di solenoidalità. Si ha dunque, sempre e dovunque nei punti regolari, div J 1 = O; (1) Dal punto di vista formale si potrebbe, peraltro, ricorrere alle seguenti proposizioni: a) si ha un regime quasi-stazionario elettrico nei sistemi in cui «si abbia» µ,=O dappertutto; b) si ha un regime quasi-stazionario magnetico nei sistemi in cui «si abbia» s= O dappertutto. Tali posizioni, ancorché formalmente lecite, sono assurde dal punto di vista fisico. Entrambi i casi presuppongono infatti un valore infinito per la velocità di propagazione dei fenomeni elettromagnetici.
§ VI-I]
Note introduttive
373
è facile inoltre constatare che in corrispondenza di eventuali superfici 2:: di discontinuità per J e D si ha sempre divr;J1 = O. La J 1 è la somma di J e di aD/at. Quest'ultima grandezza viene denominata densità di corrente di spostamento; essa fu concepita nel 1861 da Maxwell che comunicò le sue idee con una lettera a lord Kelvin; ma la portata geniale di tale concessione fu resa nota da Maxwell solo qualche anno dopo (1865), con la celebre formulazione generale della legge locale della circuitazione che approfondiremo nel Capitolo VIII:
[Vl-1,4]
aD rot H=J +-=Jr at
Tenendo presente la definizione [II-9,°16] di D si ha: [Vl-1,5] dove il termine ap I at ha un chiaro contenuto fisico: esso esprime infatti una vera e propria densità di corrente dovuta ai movimenti su scala microscopica delle cariche di polarizzazione (vedi [1-5,7]). Come tale essa può essere associata a J per cui possiamo scrivere: [Vl-1,6] J1
aP) +eoat=Jv+Soat (J+at aE
aE
~
con~ -
La Jv viene spesso denominata densità di corrente «vera», funzione vettoriale che, in generale, è scomponibile in una componente irrotazionale Jv(irr) e in una solenoidale Jv(sol); e così pure, in generale, il campo E sarà E=Eirr+E501 • È immediato allora riconoscere (1)_ che J1 è così composta: [Vl-1,7]
aEsol J/ = Jv(sol) + So a (
(1) Infatti: aEsol
aEÌCT
Jt = Jv(sol) + eo •af + Jv(ìrr) + Go •a( ;
la somma degli ultimi due addendi è zero; essa infatti ha rotore nullo (ovviamente) e divergenza pure nulla (come è immediato controllare in base all'equazione di continuità e alla div Go E.rr= e,01a1J-
Regimi quasi-stazionari
374
[Cap. VI
e cioè: - dalla componente solenoidale Jv(soI) della densità di corrente vera; - dalla componente solenoidale e0 aE50 / at della densità di corrente di spostamento dello spazio vuoto. Possiamo dire, a questo punto:
a) nel regime quasi stazionario elettrico abbiamo assunto E irrotazionale e abbiamo quindi trascurato E501 ; pertanto la densità di corrente totale coincide con la componente solenoidale della corrente vera:
b) nel regime quasi stazionario magnetico abbiamo assunto J solenoidale e, pur in presenza di E50 i, abbiamo trascurato ogni altro contributo alla densità di corrente totale, che pertanto coincide con J:
Concludiamo queste note evidenziando che sono talora riconoscibili. classi più ampie di quasi-stazionarità. Rimandiamo la loro considerazione a valle della trattazione dei regimi quasi stazionari ipotizzati sinora (paragrafo VI-14). VI-2. Regime quasi-stazionario elettrico (mezzo continuo) Il modello da considerare, alla luce di quanto esposto, è dunque il seguente:
[VI-2,1]
div D Q; D=eE; rot E=O;
J= O (vedi fig. VI-8.1) sia occupato da un materiale conduttore omogeneo di conducibilità Cf e permeabilità µ. La densità di corrente sia diretta secondo l'asse x; in base alla [VI-6,3] si ha dunque, in assenza di campo impresso nel semispazio: [VI-8,1] A una relazione analoga soddisfa l'induzione magnetica che è diretta secondo l'asse y, come è facile rendersi conto. Si ha inoltre Ex= JJ Cf e Hy =By!µ; dalla rot E= - aBI at si ha pertanto: [VI-8,2]
400
Regimi quasi-stazionari
[Cap. VI
.
z
Fig. VI-8.1. z ~ o.
Riferimenti assunti per illustrare la diffusione nel semispazio conduttore
Restringiamo per il momento le nostre considerazioni al regime sinusoidale di pulsazione w = 21rf; tra i fasori !.x e fb (che sono funzioni della sola z) sussistono le relazioni corrispondenti alle [VI-8,1] e [Vl-8,2] (1): [VI-8,3] [VI-8,4] nelle quali le funzioni in gioco dipendono dalla sola z ed è stato messo in evidenza un parametro fondamentale per la diffusione dei campi in regime sinusoidale. Si tratta di:
[VI-8,5]
omogeneo con una lunghezza e che viene denominato spessore di penetrazione per le ragioni che presto chiariremo. (1) Alla derivazione rispetto al tempo corrisponde, nella rappresentazione con i fasori, la moltiplicazione per il fattorejw (vedi [Al-20, 7]).
§ VI-8]
Diffusione del campo magnetico e della corrente
401
Osserviamo subito che l'integrale generale della [VI-8,3] è immediatamente esprimibile in base alle radici À1 e À2 dell'equazione algebrica associata (1); esso assume la forma: [VI-8,6]
nella quale C I e C 2 sono fasori da determinarsi. Il primo di questi, ove non nullo, comporterebbe un termine dj ampiezza crescente con z, cioè con la distanza del punto considerato dalla superficie I: del conduttore. Resta quindi da considerare solo il secondo (C2) che, come risulta dalla [VI-8,6] coincide con il fasore :f,.x(O) che esprime la densità di corrente su I:, cioè sulla frontiera del semispazio conduttore. Abbiamo dunque: [VI-8,7]
lx(z)=l.,,.(O)·exp[-(l+J)~]
e, dalla [VI-8,4]: [VI-8,8]
1-j
H(z)=-·oJ . -Y 2 ,c__x
Ritorniamo nel dominio del tempo: se Jx(o,t) = J0 sen w t si ha senz'altro, in base alle relazioni appena esposte: [VI-8,9]
e: [VI-8,10]
Il campo magnetico, diretto secondo l'asse y oscilla in ritardo di un ot· (1) Si tratta dell'equazione: À1,2=
l+j ±-0-
[Cap. VI
Regimi quasi-stazionari
402
tavo di periodo rispetto alla densità di corrente e si smorza allo stesso modo. L'esame delle [VI-8,9] e [VI-8,10] mostra che siamo in presenza di una propagazione ondosa diretta secondo la normale alla superficie I:, con ampiezze che si smorzano esponenzialmente nel semispazio conduttore secondo il fattore s-z10 • Un osservatore che si muovesse lungo l'asse z con una velocità: [VI-8,11]
v=wo
(velocità della fase)
I ,
vedrebbe, appunto, un fenomeno smorzato nel tempo secondo il fattore s-z10 = s-w1• D'altro canto l'ampiezza dell'oscillazione si riduce del fattore s- 1 a una distanza odalla superficie. Si perviene così a questo primo significato dello «spessore» o, quale indice concreto dell'addensamento superficiale della corrente; da ciò dunque una prima giustificazione della denominazione che gli è stata data. I campi presentano una certa consistenza sino a profondità pari a 4+ 8 o; i calcoli (1) mostrano che l'ampiezza della oscillazione della corrente contenuta a partire da una profondità pari a 4 osino all'infinito è circa l' 1OJo rispetto all'ampiezza della corrente complessiva (2). Lo spessore di penetrazione è strettamente legato alla lunghezza d'onda della propagazione ondosa, cioè della minima distanza tra una coppia di punti caratterizzati da oscillazioni in fase tra loro. Se/= w/21r è la frequenza, ed essendo À v If, si ottiene dalla [VI-8, 11]: [VI-8,12]
La fig. VI-8.2 rappresenta l'andamento secondo z della densità di corrente Jx al varjé:l.re del tempo. Le relazion(stabilite conducono ad ulteriori proprietà dello spessore di penetrazione o. Premettiamo che la [VI-8,10] mostra che l'ampiezza del campo magnetico per z= Ovale J 0 0/Y2; essa peraltro corrisponde al(1) Vedi in proposito la vasta monografia, già citata, di C. Emm: Effetto di pelle in «L'Elettrotecnica» vol. XXXV, 4 bis, pagg. 188 e sgg., 1948.
(2) Si può far riferimento alla corrente che attraversa una striscia normale all'asse x e profondità/ secondo y.
Diffusione del campo magnetico e della corrente
§ VI-8]
403
J_/l,11
0.7
Jx
= JM
s --10 - sen ( w t -
z)
5
z
J wt=O
e
7r
8 -=21r 4
Fig. VI-8.2. Andamento spazio-temporale della densità di corrente Jx nel semispazio z ;;;, O in regime sinusoidale. Le curve da O a 8 esprimono Jx a partire da wt=O sino a wt=21r, e sono scandite secondo wAt=1rl4.
l'ampiezza IM della corrente che attraversa una striscia ortogonale all'asse x di profondità unitaria secondo l'asse y (vedi fig. VI-8.3). Si ha dunque: [VI-8,13]
espressione che, come subito vedremo, si collega in modo significativo alla potenza Joule PJ (media in un periodo) complessivamente sviluppata nel volume evidenziato nella fig. VI-8.3. Si ha infatti: l Po )CO 1 Po o PJ= I·- (e-z 10) 2 dz= I·--·- ; a2 0 a2 2
Regimi quasi-stazionari
404
[Cap. VI
X
z
y
Fig. VI-8.3. Regione illimitata di sezione trasversale (1 ·l) sul piano z=O; la potenza Joule in essa sviluppata è identica a quella messa in gioco nello «spessore» lì dalla densità di corrente uniforme J=Illì· I, dove I è l'intensità della corrente che attraversa la striscia illimitata nel piano x=O.
in base alla [VI-8,13] e introducendo il valore efficace l=IM/vi della corrente nella striscia considerata si ottiene:
[VI-8,14]
~. ~
vale a dire: la potenza Joule coincide con quella che si avrebbe se la corrente di valore efficace I fosse uniformemente distribuita su una sezione rettangolare di larghezza ò e profondità unitaria. Con la [VI-8,10] abbiamo evidenziato che il campo magnetico (diretto secondo y) oscilla in ritardo di 1r/4 rispetto alla densità di corrente (che è diretta secondo x). Consideriamo il vettore S =Ex H = u- 1 J x H sulla superficie ~ che delimita il semispazio conduttore; esso è diretto secondo l'asse z e si ha: [VI-8,15] In base alle [VI-8,9] e [VI-8,10] si riconosce che Sz è composto da un termine costante Sm (il valore medio in un periodo) e da un termine oscil-
§ VI-8]
Diffusione del campo magnetico e della corrente
405
latorio di pulsazione 2w. Tenendo conto dello sfasamento ricordato, il valore medio di Sz in un periodo vale: 1r 1 Po o S =---cosm =B2 rcmax)~ (vedi [VIl-6,4 e 6,5]); sostituendo si ottiene ancora la [VII-6,8]. Il momento C,. dato dalla [VII-6,13] può essere facilmente ricondotto ai valori delle correnti che circolano nell'avvolgimento di statore e in quello di rotore, di N 1 e N 2 spire rispettivamente (1). Si ha senz'altro: [VII-6,14] e analogamente per B2rcmaxl· Si ha pertanto:
[VII-6,15]
dove CR è un coefficiente di riluttanza (2) dato da:
[VII-6,16]
~ ~
(1) Le spire di ciascun avvolgimento dovranno essere distribuite opportunamente lungo il traferro per produrre la distribuzione superficiale di corrente ad andamento sinusoidale lungo il traferro stesso. Una volta orientati gli avvolgimenti, resta definito, per ciascuno di essi, l'asse geometrico, con la solita congruenza; è definito pertanto, di volta in volta, il segno dell'intensità di corrente.
(2) Si ha: CR = 2 CR,, dove CR, è la riluttanza del traferro se fosse attraversato da una induzione uniforme (CR,= 1/µ.0 ·2t' /Se).
476
Elementi di elettromeccanica
[Cap. VII
asse magnetico della / distribuzione rotorica / /
statore
/
t.-rotore
{}
,
o asse magnetico della distribuzione statorica
I
I I
1
2n
a
b)
a)
Fig. VII-6.3. a) rappresentazione degli avvolgimenti di statore e rotore; b) andamenti dell'induzione radiale prodotta dallo statore (B 1,) e dal rotore (B 2,).
Per i due avvolgimenti di rotore e di statore si può d'altro canto considerare il coefficiente di mutua induzione_ quale funzione M(o) dell'angolo o che intercorre tra i loro assi geometrici considerati nell'ordine indicato; nel nostro caso o è quindi l'angolo tra l'asse dell'avvolgimento rotorico e quello dell'avvolgimento statorico (esso coincide con l'angolo {} di cui sopra o con {} + 1r a seconda che i segni delle correnti siano o no coincidenti). Possiamo porre senz'altro M =M0 coso, dove M 0 è il valore (positivo) diMper o=O. Ricordando la [IV-15,4] e la [VII-6,15] si ottiene senz'altro:
[VII-6,17]
e
È immediato anche riconoscere che in prima approssimazione si ha, per i coefficienti di autoinduzione dei due avvolgimenti:
[VII-6,18]
N'f (R
§ VII-7]
Principi di funzionamento della macchina sincrona trifase
477
VII-7. Principi di funzionamento della macchina sincrona trifase Il dispositivo che abbiamo illustrato rappresenta la schematizzazione elementare su cui basare lo studio delle macchine rotanti a corrente alternata. Rinunciando alla generalità, analizziamo il caso in cui il rotore, alimentato con corrente costante 12 > O, ruota con velocità angolare w nel verso indicato (vedi fig. VII-7 .1) rispetto allo statore; a differenza del dispositivo elementare appena descritto, quest'ultimo è munito di tre avvolgimenti (a, b, c, di egual numero di spire N 1 con gli assi geometrici a 0°, 120° e 240°, vedi figura). Le correnti ia, ib e ic siano sinusoidali nel tempo, di ugual pulsazione w e di pari ampiezza IM; le correnti ib e ic siano sfasate in ritardo rispetto a ia di 1/3 e di 2/3 del periodo dell'oscillazione sinusoidale rispettivamente. È immediato riconoscere che il campo magnetico da esse prodotto si manifesta, nel traferro, con una distribuzione sinusoidale lungo il traferro stesso, rotante (1) con la velocità angolare w nel verso indicato e con un'ampiezza corrispondente a
b
Fig. VII-7.1. Avvolgimenti «di indotto» di una macchina trifase. È rappresentata una sola bobina per ogni fase; le correnti i0 , ib, ic sono date dalle [VII-7, I] e i campi B Bb e Be sono i campi corrispondenti per t= O. Per t > O l'asse magnetico del campo risultante è caratterizzato dall'anomalia wt. Il rotore non è indicato; esso è eccitato da corrente continua e il suo asse geometrico è caratterizzato per t= Odall'anomalia o(vedi [VII-7,2]). 0 ,
1 ( ) Ciascuna corrente produèe un'induzione radiale distribuita sinusoidalmente lungo il traferro e oscillante nel tempo. Componendo le tre distribuzioni si ottiene il cosiddetto campo rotante: le configurazioni di campo in istanti diversi sono sovrapponibili per rotazione (vedi Appendice 4-8 che riteniamo parte integrante del testo).
EleIJlenti di elettromeccanica
478
[Cap. VII
una forza magnetomotrice pari a (3/2) N 1 IM. L'asse magnetico di questa distribuzione assume all'istante t l'anomalia wt rispetto all'asse geometrico di i se: 0
[VII-7,1]
i
0
IM COS wt, ib=IM COS ( wt-i·21!"), ic=IM COS (wt-~·211").
Nel contempo, sia (wt+o) l'anomalia dell'asse geometrico di rotore. I flussi concatenati con gli avvolgimenti di statore valgono senz'altro:
cpu(t)=L 1 ia(t)+I2M0 ·cos(wt+o) , [VII-7,2]
1 cpit) = L 1 ib(t) + I 2M 0 • cos (wt . + o - -· 3 211") , 2
cpc(t) =L 1 ic(t) + l 2M 0 ·cos(wt+ o-j°211") , dove L 1 ed M 0 sono dati dalle [VII-6,17 e 18]; il flusso concatenato con l'avvolgimento di rotore è invece costante, attesa la sincronia ipotizzata tra la rotazione del rotore e del campo prodotto dalle correnti statoriche. Ciò posto, ci possiamo raccordare, in base alle considerazioni svolte nel paragrafo VII-3, al bilancio relativo a dt tra l'energia elettrica assorbita (diminuita del calore Joule), la variazione di energia magnetica e il lavoro Cz wdt delle forze ponderomotrici. Tenendo conto che nel nostro caso l'energia magnetica è costante nel tempo (1), si riconosce senz'altro la costanza nel tempo del momento Cz della coppia ponderomotrice; in base al bilancio suddetto, esso è senz'altro così esprimibile: _[VII-7,3]
i é (z)=---2.--
V+ s
-j-z
>-
Sia y = z0 - z la distanza dall'estremità e poniamo z(y) = z(y)/ Zc. Si verifica che (y) è legato a z(y) = r(y) + jx(y) dalla:
e
[VIII-7,12]
é(y)= z(y)-l
zCY)+ 1
1 ( ) Il termine tecnico largamente in uso per Zu è impedenza di utilizzazione, o impedenza di carico.
542
La formulazione maxwelliana dell'elettromagnetismo
[Cap. VIII
Posto a=211"·y/;\ si ha inoltre dalla [VIII-7,11]: Q (y)=i1oe-j2cx'
[VIII-7, 13]
dove Ò.u è il coefficiente di riflessione (noto), valutato all'estremità, Ò.u= Qly=o• Questa relazione viene in pratica utilizzata tramite un abaco grafico («carta» di P .H. SMITH, 1939); la illustriamo nellafig. VIII-7.4. Casi di particolare V
y
I
u
Fig. VIIl-7.4. «Carta» di P.H. SMITH per la determinazione dell'impedenza lungo una linea senza perdite. I punti del piano (u, v) interni alla circonferenza 'Y di raggio unitario rappresentano i coefficienti u + jv. Se nella [VIII-7, 12] zvaria restando costante la sua parte reale r0 , il punto che eprime descrive una circonferenza; analogamente, se zvaria restando costante la sua parte immaginaria x0 • Sono pertanto rappresentate le due famiglie di circonferenze al variare di r 0 e di x 0 (per quest'ultimo sono stati considerati entrambi i segni).
e=
e
Siano, ad es., r0 = .6 ex0 = .4 (puntoA). Datoy/}. ( = .1 nell'esempio), secondo la [VIIl7;13] si passa a (y) con la rotazione indicata, facilitata dalla graduazione della circonferenza -y*. Si ottiene r(y) = 1.3 e x(y) = .7.
e
§ VIII-7]
Onde nelle strutture bifilari
543
interesse sono quelli in cui: 12 0 =0 (Zu= 1, linea «adattata», non vi è onda «riflessa»); Qo= -1 (zu=O, linea in cortocircuito, le onde riflesse e incidenti hanno la stessa ampiezza, risulta un'onda stazionaria con ventre di corrente all'estremità); Qo= 1 (zu - oo, linea aperta, si ha ancora l'identità tra le ampiezze delle due onde, risulta un'onda stazionaria con ventre di tensione all'estremità).
Le considerazioni svolte in questo paragrafo intendono fornire solo lo spunto iniziale per lo studio della propagazione elettromagnetica «guidata» da supporti materiali; in particolare, come abbiamo visto, da pareti perfettamente conduttrici. Restando al caso studiato, la prima modificazione da introdurre riflette il fatto che la resistività dei supporti non è nulla, come da noi ipotizzato. Il modo elementare con cui si tiene conto di questo fatto consiste nel modificare la prima delle [VIII-7 ,6] nel modo seguente: [VIII-7, 14]
av az
-=
ai at
-R*i-L*-
dove R* è la resistenza per unità di lunghezza della struttura; si comprende quanta cautela debba esser posta in queste procedure se si tien conto dell'effetto pelle. Così pure, il fatto che l'isolante non è perfetto può essere assimilato nella seguente modifica della seconda delle [VIII-7, 6]: [VIII-7,15]
ai az
·-=
-G*v-C*
av at
dove G* è la conduttanza «trasversale» per unità di lunghezza della struttura. Rinviando alle trattazioni specialistiche ci limitiamo a dire che in regime sinusoidale l'integrazione delle [VIII-7,10] e [VIII-7,11] non offre difficoltà; le onde che emergono dall'analisi non conservano l'ampiezza, che si attenua esponenzialmente (1). La lunghezza /0 del tratto di linea lungo il quale l'ampiezza si riduce di Er 1 risulta, secondo questa via:
(1) Anche la velocità di fase (vedi pag. 534) si modifica di conseguenza e diventa funzione di w. Fondamentali sono stati su questi argomenti i contributi dati da O. HEAVISIDE; egli raccolse i suoi lavori nel celebre trattato Electromagnetic theory (vedi bibliografia).
544
La formulazione maxwelliana dell'elettromagnetismo
[Cap. VIII
dove a è funzione di w. Si ha: 1
1
2
2
a 2 =-(G* R*-C* L*w 2)+- ✓ (R* 2 +w 2 L* 2)
(G* 2 +w 2 C* 2)
Particolarmente critica resta peraltro l'analisi della congruenza delle equazioni così semplicisticamente modificate, e le equazioni di Maxwell. Dai limiti che ci siamo imposti esula anche l'impostazione generale della propagazione guidata che, in campi di frequenze adeguati, si può realizzare in strutture cilindriche costituite da una sola parete conduttrice (guide d'onda rettangolari o circolarl). La struttura matematica del campo elettromagnetico nelle guide costituisce, si può dire, un corpo disciplinare autonomo (vedi G. FRANCESCHETTI in bibliografia, C.G. SoMEDA, op. cit.).
VIII-8. Le equazioni di Maxwell in presenza di mezzi materiali polarizzabili Se vi sono mezzi polarizzabili (elettricamente e/ o magneticamente) le equazioni di Maxwell nella forma [VIII-2,7] relativa allo spazio vuoto vanno modificate di conseguenza, introducendo le funzioni vettoriali P ed M che caratterizzano, istante per istante, lo stato di polarizzazione elettrica e magnetica. Si avrà dunque: [VIII-8,1]
D=s0 E+P e B=µ, 0 (H+M)
con il significato familiare dei simboli. Fermo resta il legame tra J e la densità della carica libera: [VIll-8,2]
divJ
mentre si ha, quale generalizzazione delle [VIII-2, 7]:
aD at ' aB rotE=-at ' rot H=J +-
[VIII-8,3]
div B=O div D=e
§ VIII-8] Le equazioni di Maxwell in presenza di mezzi polarizzabili
545
Possiamo dire che le relazioni suddette esprimono, a liveilo macroscopico, quanto si può dire in via del tutto generale, in quanto lasciano impregiudicati i legami che si hanno tra i vari campi in gioco in relazione al comportamento elettromagnetico della materia coinvolta; ritorneremo più avanti su questo punto, in quanto riteniamo opportuno integrare subito le relazioni stabilite con le proprietà energetiche ad esse correlate. Supponiamo per semplicità, che nella regione V delimitata da 2:; i mezzi conduttori e polarizzabili siano in quiete e non vi siano forze elettromotrici impresse. Sia Pr:. il flusso di S = E 0 H entrante in V attraverso 2:;. Seguendo la procedura del paragrafo VIIl-4., si può applicare il teorema di Poynting e stabilire il seguente bilancio relativo all'intervallo dt: [VIIl-8,4]
Pr, dt=ooCm+dW0
dove d oCm è il lavoro elementare compiuto dai campi elettrico e magnetico ~ulle cariche libere e sui dipoli (elettrici e magnetici) contenuti in V mentre dW0 è l'incremento dell'energia elettromagnetica di densità (1/2 · e0 .E2 + 1/2 · µ 0 H2) relativa allo spazio vuoto. È a nostro avviso fondamentale, a questo punto, completare il quadro energetico combinando la [VIII-8,1] con il bilancio impostato in base al 1° principio della termodinamica applicato al sistema materiale racchiuso da 2:;: [VIII-8,5] dove o O entro V, se per t=O sono assegnate dappertutto, entro V, le funzioni vettoriali E ed H unitamente a E* e, inoltre, se è assegnato su I: l'andamento per t;;:: O della componente tangenziale di uno dei due campi E e H. La prova di tale enunciato si basa su un lemma relativo al caso in cui le condizioni iniziali ed E* siano nulle, e così pure la condizione sul contorno; semplici ragionamenti, che sviluppiamo in nota, mostrano che l'unica soluzione possibile, in queste circostanze, è la soluzione nulla (1). Ciò premesso, si ritorni al nostro problema, e si ipotizzi che per esso vi siano due soluzioni ovviamente ottemperanti alle stesse condizioni iniziali e al contorno; e a parità di E*. Orbene, anche la differenza tra le due soluzioni è soluzione dell'equazione di Maxwell in V, ma, per ipotesi, con condizioni iniziali e al contorno nulle e in assenza di E*; per il
(1) Siano AE e AH le due funzioni vettoriali da considerare. Per esse vale il teorema di Poynting nella forma [VIII-4,2] con E*=O e S=O (per l'annullarsi della componente tangente di uno_dei due campi). Si ha allora: d (Wm+ W,) dt
-
jjj .T2
-dr,;;;,O; va
il caso negativo è però impossibile essendo, per i campi AE e AH, l'energia iniziale nulla e non potendo essa assumere valori negativi. Essa permane quindi al valore nullo assieme ai campi AE e AH.
§ VIII-9]
Considerazioni sull'unicità delle soluzioni
551
lemma sopra riportato la differenza tra le soluzioni è la soluzione nulla, e l'unicità è pertanto senz'altro dimostrata. Per il regime sinusoidale si pone il problema della unicità della soluzione sinusoidale entro V, assegnata la componente tangenziale (sinusoidale) su I: di E o H, e la funzione vettoriale sinusoidale E*. Il ragionamento da svolgere si basa anche qui sul lemma relativo alle condizioni assegnate nulle; la nota della pagina precedente mette in luce che, in tali condizioni, l'unicità della soluzione (quella nulla) si ha solo se il mezzo è dissipativo (a sia dappertutto non nulla). In presenza dunque di dissipazione si ha senz'altro l'unicità. Nel caso, invece, di dissipazione nulla, si riscontra la possibilità di campi elettrici e magnetici oscillanti entro V sostenuti dall'uguaglianza tra i valori medi delle energie del campo elettrico e del campo magnetico (è quanto accade, nelle cosiddette cavità risonanti) (1). · Ci si chiede, a questo punto, quale riscontro abbiano, nei sistemi reali, le condizioni per l'unicità; le considerazioni che seguono (2) sono, nel merito, indicative nei riguardi del problema, e favoriscono la comprensione del «passaggio dai campi ai circuiti» quando le condizioni al contorno possono stabilire un interessante raccordo tra regioni in cui è ammissibile la quasi-stazionarietà e altre in cui il modello elettromagnetico deve essere coinvolto in tutta generalità. Ricordiamo che lo studio dei campi porta in effetti a considerare configurazioni di campo descrivibili tramite legami significativi tra grandezze scalari di tipo integrale (tensioni, correnti, flussi di induzione e spostamento, forze elettromotrici e magnet_omotrici...). D'altro canto viene costituita, su base assiomatica autonoma, la «teoria delle reti» i cui oggetti (componenti n-polari, bipolari in particolare) vengono associati ciascuno a due insiemi di grandezze (tensioni e correnti) legati tra loro da relazioni che caratterizzano il componente; nell'ambito di tale teoria le tensioni e le correnti sono, come sappiamo, tra loro vincolate dai relativi principi per le maglie e i «nodi». È pertanto naturale che si cerchi di individuare le configurazioni elettromagnetiche che possano trovare corrispondenza nell'ambito della teoria delle reti di n-poli (di bipoli in particolare) e possano quindi essere assimilate nella stessa. Le trattazioni che sviluppano questo tema, e la nostra tra queste, partono dal considerare particolari strutture le quali - precisate in dettaglio - consentono di delineare condizioni ed approssimazioni spazio(1) Per la situazione in questione vale la proprietà [VIII-5,12] nella quale Qi:; e Q8 sono entrambe nulle. I campi sono diversi da zero se < wmagn > = < wel >. (2) Vedi
s. BOBBIO e F. GASPARINI, nota citata a pag. 545.
552
La formulazione maxwelliana dell'elettromagnetismo
[Cap. VIII
temporali sufficienti, caso per caso, a definire per ciascun oggetto tensioni e correnti nonché a stabilire legami specifici tra tali grandezze (è quanto abbiamo fatto nel Capitolo VI dedicato ai regimi quasi-stazionari). Ciò che interessa osservare a proposito di tali procedimenti è il fatto che essi sottintendono un passaggio preliminare unificante che andrebbe messo in evidenza. Tale passaggio parte dalla considerazione che un sistema elettromagnetico a n terminali disposti su una superficie chiusa ~ per poter essere considerato corrispondente ad un n-polo della teoria delle reti deve soddisfare a due condizioni: a) la possibilità di definire, sulla base del campo, l'insieme solenoidale
delle correnti e quello irrotazionale delle tensioni in corrispondenza dei suoi terminali; b) che sia possibile, date le condizioni iniziali del campo all'interno, de-
terminare in modo univoco l'evoluzione delle tensioni a partire dalle correnti o viceversa. In relazione a quanto sopra si riconosce che un sistema caratterizzato da legami costitutivi lineari delimitato da un involucro di resistività nulla, forato in corrispondenza di terminali conduttori filiformi normali a ~. soddisfa completamente alla condizione b), se le dimensioni dei fori e dei fili tendono a zero. Come risultato di tale processo al limite, infatti, una volta assegnata l'evoluzione della intensità di corrente nei singoli terminali filiformi, risulta imposto il componente tangente H 1 (ancorché singolare) del campo magnetico sulla corona circolare isolante che circonda ciascun terminale; sul resto di ~ risulta imposto ed uguale a zero il componente tangenziale E 1 del campo elettrico. L'aver assegnato in tal modo su ~ i componenti tangenti di H o di E implica, per condizioni iniziali pure assegnate, l'unicità della evoluzione dei campi per il sistema considerato; ciò quale estensione del teorema innanzi dimostrato. Date pertanto le condizioni iniziali e le correnti, risultano determinati i campi e quindi le tensioni tra i terminali; queste non dipendono dai percorsi, così come richiesto dalla condizione a). Si riconosce d'altra parte che i sistemi descritti non sono assimilabili quali n-poli nella teoria delle reti in quanto le caratteristiche del campo, esternamente agli involucri, non consentono che in generale siano verificate, per la rete, la solenoidalità delle correnti nei «tagli» (vedi pag. 197) e la irrotazionalità delle tensioni lungo i «rami» delle maglie. Rientrano in questo quadro gli effetti degli accoppiamenti capacitivi tra gli involucri, che incidono sulla solenoidalità delle correnti nei «tagli» che cir-
§ VIII-9]
Considerazioni sull'unicità delle soluzioni
553
condano i componenti, e dei flussi variabili concatenati con le maglie della rete che incidono sulla irrotazionalità delle tensioni valutate lungo i rami relativi. La conclusione formale è che i principi delle tensioni e delle correnti possono essere imposti solo se gli n-poli così concepiti sono immersi in un «mondo» in cui si possano trascurare an;a te aB/a t: e cioè, nel caso non si vogliano considerare restrizioni temporali, in un «mondo» (del tutto astratto) di permeabilità elettrica e magnetica «nulle». Osserviamo in proposito che questa condizione formale riguarda soltanto lo spazio esterno agli involucri, mentre nessuna restrizione spaziotemporale è imposta al campo nelle regioni interne. Inoltre, l'annullarsi di seµ, esternamente agli n-poli implica ivi l'annullarsi di Be D, ma non di E e H. A questo proposito vale la pena di osservare che il vettore di Poynting è radente a I: in tutti i punti «adiacenti» all'involucro conduttore, ma il suo flusso in corrispondenza delle «corone» isolanti che circondano i terminali è pari al corrispondente prodotto tra l'intensità della corrente e la tensione tra terminale e involucro. Va oltre i nostri limiti l'approfondimento ulteriore di questa tematica. In sede conclusiva di questo Capitolo (vedi VIII-12), e di tutta la nostra esposizione, riprenderemo il filo di questo discorso, che rappresenta un passo ulteriore della nostra riflessione sul passaggio dai campi ai circuiti. Si comprende comunque che, per formalizzare il funzionamento in regione sinusoidale del sistema da noi ipotizzato, è fondamentale stabilire, per ciascuno degli n-poli, l'insieme delle relazioni tra i fasori delle correnti e quelli delle tensioni. Il problema è, in generale, di ardua soluzione; una volta risolto, il funzionamento dell'n-polo è caratterizzato sulla base della sua struttura interna e delle grandezze valutate ai suoi terminali. Queste ultime vengono poi assimilate nel modello della rete di connessione tra gli n-poli.
VIII-1 O. I potenziali elettromagnetici. I potenziali ritardati Nei Capitoli II e IV abbiamo visto l'utilità di introdurre i potenziali scalare e vettore per lo studio dei campi in regime stazionario; ciò era consentito dalla irrotazionalità del campo elettrico (per cui E= - grad cp) e dalla solenoidalità dell'induzione magnetica (per cui B=rot A). L'estensione al regime dinamico è formalmente semplice in quanto la solenoidalità di B permane, e si può quindi introdurre l'insieme delle funzioni vettoriali A tali che rot A= B. Se si considera poi l'insieme delle fun-
554
La formulazione maxwelliana dell'elettromagnetismo
[Cap. VIII
zioni vettoriali (E+ aAl at) si riconosce subito che il loro rotore è nullo (1); a ciascuna di esse si può allora associare l'insieme delle funzioni scalari cp tali che: [VIII-10,1]
grad cp= -(E+
a;) .
Ad ogni funzione vettoriale A tale che rot A B corrisponde dunque, per il campo elettromagnetico in esame, una funzione scalare che, in base alla [VIII-10,l], è definita a meno di una funzione arbitraria della variabile temporale. Ciò posto, il problema della determinazione del campo elettromagnetico può essere impostato sulla ricerca di una coppia (A, cp) tra le infinite che forniscono il campo in esame tramite le: B=rotA [VIII-10,2]
E= -gradcp
aA at
Notiamo subito che B ed E calcolati in base a una qualsiasi coppia (A, cp) soddisfano due tra le quattro equazioni di Maxwell, e cioè div B = O e rot E= - BI t. Basta quindi imporre ad (A, cp) di soddisfa-
a a
re alle condizioni derivanti dalle altre due equazioni che comprendono i termini di sorgente e e J. Limitandoci allo spazio vuoto, abbiamo rot B = µ 0 J + Bo aEl at e div E= eI B0 ; sostituendo in queste relazioni le [VIII-10,2] si ottiene, con passaggi che omettiamo, che ai nostri fini basta trovare una soluzione delle equazioni:
[VIII-10,3]
a 2
Lì 2 A
acp)
A = -µ J+grad ( div A+ 1 1 -0 2 2 c at2 . C at
La struttura di queste relazioni induce subito a chiedersi se esistono soluzioni tali che il termine in parentesi sia nullo, per la semplificazione 1 ( )
Basta ricordare che rot (E+aA/at)=rot E+aB/at=O.
§ VIII-10]
I potenziali elettromagnetici. I potenziali ritardati
555
che ciò comporterebbe al problema. La risposta al quesito è positiva (1) per cui basta trovare una coppia (A, r,o) che soddisfi le:
1 ar,o divA+--=0 2 c
condizione di H.A. Lorentz
at
e
[VIII-10,4]
. eo 1 a2 A Lì 2 A --= c2 at2
-n
,-o
J
A questo punto si osserva che le ultime due equazioni contengono ciascuna una sola funzione incognita, r,o e A rispettivamente; esse sono, inoltre formalmente identiche. Viene allora da chiedersi quanto vale, per una loro soluzione (A, r,o), la funzione scalare del pqnto e del tempo J; (P, t) = div A+ 1/ c2 ar,ol at, e cioè il primo membro della prima equazione, quella che esprime la condizione di Lorentz. Una semplice analisi, che omettiamo (2), mostra che J; soddisfa la:
[VIII-10,5]
Lì2 J;-
a2 c.:-- at
ae)
,1; = - µ, ( div J + _12 - 0 2
at
nella quale il termine di destra si annulla, come sappiamo. Lo scalare J; (1) Se (A 0 , cp 0) è soluzione delle [VIII-10,3] si riconosce che lo è anche (A, cp) purché A=A 0 - gradx e cp= cp0 + ax!at, con x funzione scalare arbitraria del punto e del tempo. La completa arbitrarietà dix consente di passare da (A 0 , cp 0) a (A, cp) tali che div A+(l/c2)•acp/at=O. Basta, a tal fine, che x soddisfi la:
1 a2 x . 1 a
Sulle espressioni ottenute per dE e dH si possono svolgere alcune importanti considerazioni:
560
La formulazione maxwelliana dell'elettromagnetismo
[Cap. VIII
a) le componenti del campo magnetico e del campo elettrico risultano
formalmente proporzionali a!_ dl; b) il fattore e-j(wrlc> pone in luce una propagazione con velocità di fase c=l/~;
c) quando r tende a zero, e cioè quando wrl c ~ l (campo a piccola distanza), la [VIII-11,3] diviene approssimativamente: [VIII-11, 5]
I sen/J·dl dH"'=41rr2
in accordo con la legge elementare dell'elettromagnetismo in regime stazionario. Le componenti di E tendono rispettivamente a:
[VIIl-11, 6]
21 cos/J·dl d!J.r=-j -4 3 7r lJor W
'
I sen/J·dl dEe= - j - - - -3 41reor w la loro dipendenza da r, tramite 1/ r 3 , coincide con quanto noto per il campo elettrostatico prodotto da un dipolo elettrico. L'operatore j denota una quadratura nel tempo tra dE e i, dovuta al fatto che quando la corrente i è massima, le cariche alle due estremità del dipolo sono nulle, mentre il loro modulo è massimo quando i= O. Quando invece wr/c"p 1 (campo a grande distanza) le componenti divengono rispettivamente:
[VIIl-11, 7]
[.sen/J·dl (~) e-j(wrlc) ' 41rc r _µof.sen/J·dl ( w) -j(wrlc) dEe=J e , 4 7r r
mentre invece, eccezion fatta per i punti ove risulta Isen /J I ~ 1, d!J.r risulta trascurabile rispetto a d!ie• Da ciò e dalle precedenti espressioni si riconosce che i campi elettrico e magnetico sono tra loro ortogonali e giacciono sul piano tangente alla sfera di centro O. Il vettore di Poynting
§ VIII- I I]
Campo elettromagnetico irradiato da un dipolo oscillante
561
ad essi associato ha direzione radiale e i campi sono in fase tra loro: il vettore di Poynting è quindi in ogni istante un vettore centrifugo. Il valor medio del suo modulo (I= valore efficace di i) vale: [VIII-11,8] risulta allora che la potenza è massima lungo il piano equatoriale e nulla lungo l'asse del dipolo ele_mentare. La po.tenza media che attraversa una sfera centrata in O, è indipendente dal suo raggio r; infatti, introducendo nella [VIII-11,8] i noti parametri: c
21rc
f
w
À=-=-
_~o ' Z oSo
ed integrando l'espressione ottenuta di dP 0 sulla superficie sferica di raggio r, si ottiene: [VIII-11,9]
(d0
2
2 ilPo =-1rPZ 3 o À
Introducendo il parametro: [VIII-11, 10]
R=
~
1rZ0
(~0
2 ,
(resistenza di radiazione del dipolo elementare), la [VIII-11,9] si può scrivere nella forma: [VIII-11,11]
I
i1P0 =RP
J
.
Si osserva poi che l'ampiezza dei campi è proporzionale a wlr; per trasmettere a grande distanza è necessario forzare la frequenza. La [VIII-11,5] mostra che in tutto lo spazio le linee del campo magnetico sono circonferenze giacenti in piani normali all'asse z. La [VIII11, 7], associata alla considerazione che d!J.r a grande distanza risulta
562
La formulazione maxwelliana dell'elettromagnetismo
[Cap. VIII
z
o
Fig. VIII-11.2. Linea del campo elettrico prodotto dal dipolo oscillante. Figura "estratta" dalla elaborata rappresentazione originale di H. HERTZ; v. M. BRILLOUIN in bibliografia.
sensibile rispetto a dli.a ove Isen (} I ~ 1, consente di rendersi intuitivamente conto dell'andamento delle linee del campo elettrico a grande distanza (cfr. fig. VIII-11.2). Due linee vettoriali del campo dE che distano, in direzione radiale, di mezza lunghezza d'onda, sono orientate in verso opposto e si raccordano, in prossimità dell'asse z, come indicato in figura, in virtù della componente !J.r• VIII-12. Osservazioni conclusive sul «passaggio campi-circuiti» A quèsto punto, ormai quasi conclusivo, della nostra esposizione, possiamo anzitutto inquadrare i vari «passaggi» dai campi ai circuiti (e alle"reti) a suo tempo incontrate nella teoria generale del campo elettromagnetico. Con riferimento ad una dinamica temporale generica emerge con chiarezza che, ai fini della quasi-stazionarietà, è necessario che il tempo di transito del fenomeno elettromagnetico attraverso la struttura considerata sia molto piccolo rispetto a un tempo caratteristico della dinamica temporale stessa. Con maggior precisione si tratta di confrontare il tempo di transito r=Llc, dove L è la massima dimensione spaziale della struttura, con il minimo intervallo temporale T durante il quale si hanno variazioni delle grandezze in gioco di una certa consistenza: per i regimi sinusoidali, Tpuò essere assunto pari al periodo delle oscillazioni. Il criterio r ~ T si traduce in quello, equivalente, del confronto tra Le la lunghezza d'onda À.; vale a dire, è necessario, per la quasi-stazionarietà, che À ~ L. Si tratta, lo sottolineiamo, di indicazioni necessarie ma non suf-
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Osservazioni conclusive sul «passaggio campi-circuiti»
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ficienti. Indicazioni ulteriori si hanno poi dall'analisi della struttura sotto il profilo dell' «unicità» del suo comportamento, nello spirito del teorema del paragrafo VIII-9 e delle considerazioni schematiche svolte subito dopo. La condizione À ► L è d'altro canto essenziale se si vuol mantenere limitata la potenza irradiata, come mostra la relazione [VIII-11,9] secondo la quale la potenza «va» col quadrato di (I dl/À) 2 • Si osserva poi che in una situazione in cui I sia, a sua volta, proporzionale alla frequenza (come accade in un dipolo oscillante a carica imposta), la poienza «va» come À- 4 • Le considerazioni svolte mirano, in effetti a inquadrare nella teoria elettromagnetica il funzionamento delle strutture che, abbiamo visto, possono essere rappresentate tramite «costanti concentrate» e cioè con modelli zero-dimensionali (vedi VI-16). In questo capitolo abbiamo visto peraltro che schematizzazioni di tipo circuitale possono essere adottate, sotto certe ipotesi, anche in situazioni nelle quali non si può prescindere dalla dipendenza spazio-temporale, come nelle strutture bifilari: il modello [VIII-7 ,6] è, in effetti; un modello circuitale mono-dimensionale o, come suol dirsi, a costanti distribuite. Tale impostazione, può, per certi aspetti, venire estesa anche alle strutture di supporto alla propagazione guidata. La chiave risolutiva anche per queste impostazioni è data sempre dal teorema di unicità presentato in VIII-9. La questione della legittimità del passaggio dai campi ai circuiti è dunque argomento che, in generale, è delicato e difficile. Essa presenta aspetti problematici sui quali, come abbiamo detto all'inizio della nostra esposizione, è necessario insistere, con l'obbiettivo di pervenire a una migliore classificazione dei problemi e a formulazioni complessive di sufficiente chiarezza e rigore.
VIII-13. Elettromagnetismo e Relatività (cenno riassuntivo) La nostra esposizione, dedicata alle formalizzazioni dell'elettromagnetismo in vista delle applicazioni, ha seguito la via della progressiva generalizzazione, analizzando i fatti e gli esperimenti da un punto di osservazione che, anche se non esplicitamente richiamato, è sempre stato il laboratorio terrestre. Sinora, pertanto, non ci siamo occupati di un aspetto fondamentale la cui rilevanza teorica e concettuale si è rivelata enorme: l'inquadramento della teoria elettromagnetica nel contesto delle esperienze intese a ricercare da un lato gli effetti del moto delle sorgenti del campo elettromagnetico (le luminose in primo luogo) rispetto
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La formulazione maxwelliana dell'elettromagnetismo
[Cap. VIII
al sistema di riferimento, e dall'altro come uno stesso fenomeno elettromagnetico si presenta a osservatori che siano tra loro in moto relativo. Per gli aspetti legati alla luce e alla sua interazione con i corpi in moto si tratta di problematica antica: antecedente, cioè, alla teoria maxwelliana (ci limitiamo a ricordare le esperienze di A.H. FIZEAU, 1853, sulla velocità della luce nell'acqua in movimento e l'interpretazione meccanicistica datane da A.J. FRESNEL). Con la teoria elaborata da Maxwell fu poi necessario «fare i conti» a valle di talune esperienze fondamentali che furono condotte alla fine del secolo scorso e all'inizio di questo. Il loro scopo (1) era affascinante dal punto di vista speculativo e, per la verità, poco rilevante o addirittura collaterale, da punto di vista pratico. Ma da esse, e dall'approfondimento teorico che ne seguì, emersero sotto una luce nuova, e si chiarirono, i concetti fisici dello spazio e del tempo, si corresse la meccanica newtoniana, e si confermò la validità della teoria maxwelliana, nel contesto di un principio di estrema semplicità, denominato Principio della Relatività Speciale, che già abbiamo richiamato nella nota introduttiva (vedi pag. 4). In questo paragrafo, conclusivo della nostra esposizione, presentiamo i risultati della teoria che rivestono maggiore importanza per l'elettromagnetismo dei sistemi in movimento. Non ci addentriamo nelle giustificazioni, che pretenderebbero altri livelli espositivi e concettuali; metteremo però in evidenza taluni aspetti che non possono essere trascurati nemmeno in prima approssimazione. Diciamo anzitutto che il travaglio concettuale, sperimentale e formale che ha sotteso il processo di chiarificazione culminato con le celebri enunciazioni di A. EINSTEIN («Zur Electrodynamik bewegter korper», Ann. d. Phys. XVII, sept. 1905) è stato di tale rilevanza (2) che sarebbe obbligatorio riprenderne i passi essenziali. Rinviamo invece, per questo,
(1) Si tratta degli esperimenti di A.A. MICHELSON (1881) poi ripetuti con E.W. MoRLEY (1887); nell'ipotesi che le onde elettromagnetiche (la luce) si propagassero con la velocità e rispetto ad un mezzo immateriale immobile (l'«etere») essi cercarono, con metodi e strumentazioni ottiche sempre più raffinate e sicure, di rivelare il movimento della terra rispetto all'ipotetico etere cosinico: inutilmente, come fu confermato dalle numerose ripetizioni dei successivi decenni. Il problema fu affrontato anche dal punto di vista elettrodinainico (F.T. TROUTON e H.R. NOBLE, 1903) analizzando le forze (o le coppie) elettrodinainiche che si dovrebbero riscontrare sulle armature di un condensatore carico, fermo rispetto al laboratorio terrestre ma in moto rispetto all'ipotetico etere cosinico. (2) Di particolare importanza furono i contributi di G.F. FITZEGERALD, di H.A. LoRENTZ e di H. PoINCARÈ che nel 1904 enunciò il Principio della Relatività Speciale.
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Elettromagnetismo e Relatività
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alle trattazioni specifiche (in un contesto vastissimo vedi, ad esempio, il trattato di MùLLER, e inoltre CuLLWICK - bibl., ma anche DE CASTRO nel libro di Fisica elettronica di questa Collana, e poi èHu, ADLER, FANO, e BoBBIO, GATTI in bibl.) per dare rilievo alla formulazione finale, che si può condensare in pochi, semplici enunciati. Ne esporremo poi le principali conseguenze per l'elettromagnetismo macroscopico. Tutto si riconduce alla validità della seguente proposizione (Principio della Relatività Speciale): le leggi della fisica sono invarianti rispe,tto alla totalità dei sistemi di riferimento inerziali (1); ciò vale, pertanto, anche per le leggi che riguardano i fenomeni elettromagnetici. Assodata la validità delle equazioni di Maxwell per la rappresentazione dei fenomeni elettromagnetici, ne consegue la costanza della velocità di propagazione nel vuoto dei fenomeni stessi (in sintesi, della velocità della luce) nella totalità dei riferimenti inerziali (2). Si comprende come tali circostanze abbiano imposto una revisione critica dei concetti di spazio e tempo, cp.e si riflette sulle trasformazioni delle coordinate spaziali e temporali nel passaggio da un sistema inerziale Sa un altro S' in moto uniforme rispetto al primo. Se gli assi (x, y, z) e (x', y', z') coincidono all'istante t= O e il moto di S' è diretto secondo gli assi x ex' con velocità v rispetto a S, le trasformazioni lasciano invariate le coordinate y e z mentre i legami tra x, x' et, t' sono dati da: x'
=~ (x-vt)
x=,: (x' +vt')
[VIII-13,1]
con:
-y=g 1
[VIII-13,2]
-
c
(1) Vedi nota a pié della pag. 4 circa la definizione di sistema inerziale. Il sistema ancorato al Laboratorio terrestre è inerziale solo in prima approssimazione. (2) Una conferma sperimentale recente nell'ambito della fisica nucleare è stata data da T. ALVAGER, F. FARLEY, KrELLMAN J.M., WALLIN I. (Phys. Letters, 260, 1964).
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La formulazione maxwelliana dell'elettromagnetismo
[Cap. VIII
Si tratta delle trasformazioni che Lorentz aveva formalmente individuato molto tempo prima della sintesi di Einstein, nel tentativo di interpretare l'esperienza di Michelson senza abdicare dall'idea dell'etere immobile. Perciò esse vanno sotto il nome di trasformazioni di Lorentz. Nel passaggio da un sistema di riferimento a un altro cambiano le coordinate spaziali e temporali e, assieme a queste, i valori delle grandezze fisiche in gioco. Ciò che non cambia è la forma delle equazioni che le lega. Restando all'elettromagnetismo nel vuoto diamo pertanto anzitutto le trasformazioni tra i campi elettrici (E e E') e tra le induzioni magnetiche (Be B'). La componente di E parallela a v non si modifica; la componente ortogonale E.L diventa invece: [VIII-13,3]
E: ='Y (E.L +vxB)
Altrettanto per B: [VIII-13,4]
Per le densità di carica, a sua volta, si ha: [VIII-13,5]
e'='Y ( e -v·J) " c2
Per le densità di corrente: [VIII -13 , 6]
Nell' ~pprossimazione 'Y = 1 (ossia v2 I c2 - O) si ritrovano formulazioni di agevole interpretazione, tranne per un aspetto particolare, relativo alla trasformazione della densità di carica cui vogliamo dedicare, nell'inserto che segue, un'attenzione particolare, in quanto il termine v·J/c2, che si aggiunge a e nella trasformazione [VIII-13,5] non è, in generale, trascurabile. La sua «giustificazione» è, come si vedrà, relativistica (1). (1) L'esempio che segue è tratto, con qualche adattamento, dalla nota di D.L. Relativity of Moving Circuits and Magnets, «Am. J. of Phys.», 2, pag. 262, 1961.
WEBSTER:
§ VIII-13]
Elettromagnetismo e Relatività
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Si abbia il solenoide lungo di figura VIII-13.1 in moto con velocità v rispetto all'osservatore S (vedi fig. VIII-13.1). Nel sistema S' in moto col solenoide si ha E' =0 mentre B' è diverso da zero all'interno del solenoide dove è uniforme. Si vuol trovare E nell'ipotesi v ~ e per cui B' = B. La trasformazione relativistica [VIII-13, 3] fornisce senz'altro: E= -vxB'
[VIII-13, 7]
all'interno del solenoide e zero al di fuori. La [VIII-13,51, nella quale Q' = O, ci dice inoltre che si ha una densità di carica Q = v · J / c2 positiva nella metà superiore del solenoide e negativa nell'altra; se si sviluppano i conti si trova che essa fornisce esattamente la metà del campo E (nel sistema di riferimento S) all'interno del solenoide. Essa produce, inoltre, un campo elettrico anche al1' esterno. Ma nel sistema Sil campo elettrico è prodotto anche da aB/at, che è diverso da zero in relazione al moto del solenoide. Si riconosce che il contributo di aB/at è uguale a quello di Q all'interno (fornendo in totale il campo E= vxB) e lo compensa esattamente all'esterno. È un esempio, questo, delle semplificazioni che può introdurre il punto di vista relativistico.
Il punto di vista relativistico è di ausilio fondamentale per mettere a punto le relazioni costitutive per i mezzi in movimento, anche nel limite v ~ c. II procediment