Filosofia della musica. Tarda antichità e medioevo 8843042890, 9788843042890

I rapporti fra musica e filosofia nell mondo antico furono profondi. La matematica musicale pitagorica fornì la chiave p

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Filosofia della musica. Tarda antichità e medioevo
 8843042890, 9788843042890

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Musica La cultura medievale ereditò l'idea pitagorico-platonica che la musica fosse una scienza matematica, i cui saperi, fondati sull'idea dell'armonia musicale quale riflesso dell'ordine cosmico, introducevano al pensiero filosofico. Attraverso Agostino, Marziano Capella e Boezio, la scienza della musica entrò nelle scuole monastiche medievali, ponendosi a fondamento della teoria del canto liturgico in una complessa convergenza di prassi musicale, estetica, teologia e cosmologia. All'avvio del xu secolo, la riscoperta della filosofia aristotelica, la nuova concezione della scienza e le complesse innovazioni del linguaggio polifonico concorsero a trasformare in profondità la concezione della musica, aprendo la strada all'affermarsi del principio dell'autonomia del comporre musicale e gettando le basi per la nascita della moderna scienza acustica. L'esposizione storica di questo volume- accessibile ad ogni lettore ma rigorosa nel riferimento alle fonti documentarie- coniuga la musica, la filosofia e la scienza, considerando il pensiero musicale come luogo privilegiato per delineare gli elementi di continuità e i nodi di demarcazione nella storia intellettuale del Medioevo occidentale, e nel più largo tessuto di relazioni fra mondo antico, medievale e moderno.

Cecilia Panti, ricercatrice in Storia della filosofia medievale presso l'Università di Roma Tor Vergata, si occupa di filosofia naturale e del pensiero sulla musica nel Medioevo; ha pubblicato, oltre a studi in riviste e miscellanee, il volume Moti, virtù e motori celesti nella cosmologia di Roberto Grossatesta (Firenze 2001) e l'edizione

del Diffinitorium musicae di Giovanni Tinctoris (Firenze 2004).

ISBN 978-88-430·4289-0

€ 22,60

STUDI SUPERIORI/ 5 4 1 I L PENSIERO MUSICALE Serie diretta da Fabrizio Della Seta

Senza la musica nessuna scienza è perfetta. Isidoro di Siviglia

A Filippo

e

Paolo

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso Vittorio Emanuele n, 229 ooi86 Roma, telefono o6 42 8 I 84 I 7 fax o6 42 74 79 3I

Siamo su: http://www.carocci.it http://www.facebook.com/caroccieditore http://www.twitter.com/caroccieditore

Cecilia Panti

Filosofia della musica T arda Antichità e Medioevo

Carocci editore

Questo volume fa parte della serie "Il pensiero musicale" diretta da Fabrizio Della Seta. Volumi usciti: Fabrizio Della Seta, Beethoven: Sinfonia Eroica. Una guida Michela Garda, L'estetica musicale del Novecento: tendenze e problemi Stefano La Via, Poesia per musica e musica per poesia: dai trovatori a Paolo Conte Giorgio Pagannone, W A. Mozart: concerto per pianoforte e orchestra K 491 in Do minore Paolo Russo, Berlioz: Sinfonia fantastica. Una guida Nella stessa serie sono in preparazione: Angela Ida De Benedictis, Musica e tecnica: produzione e riproduzione del suono nel xx secolo Massimiliano Locanto, I. Stravinskij: La sagra della primavera. Una guida Gloria Staffieri, L'opera italiana. Una guida

1a ristampa, gennaio 2017 1a edizione, maggio 2008 © copyright 2oo8 by Carocci editore S.p.A., Roma

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione,

è vietato riprodurre questo volume

anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Introduzione

II

I.

Filosofia e musica fino alla tarda Antichità

I5

r.r.

Una disciplina che misura il movimento Il Timeo di Platone: l'armonia del cosmo e del­ l'uomo

I5

! .2 .

1.2.1. La matematica platonica e pitagorica l 1.2.2. L'anima del mon­ do l 1.2.3. L'armonia e l'uomo

Aristotele I .3. I. Politica VIII: la funzione educativa e catartica della musica l 1.3.2. La classificazione delle scienze: armonica matematica e armoni­ ca secondo l'udito l 1.3.3· L'acustica aristotelica e i Problemi: il suono come movimento ordinato

La tradizione neopitagorica e Nicomaco di Gerasa

35

I ·4· I. Matematica del suono: la musica come scientia de numero relato l

1.4.2. Fisica del suono e scienza armonica: Pitagora e i martelli del fab­ bro

! .5 .

Calcidio e il commento al Timeo: la musica come di­ sciplina artificialis

39

1.5.1. Tecnica e artificiosa ratio l 1.5.2. La scala dei suoni e l'affinità fra numeri, canto e linguaggio

r .6 . ! .7 .

Macrobio: armonia universale e curiositas musicale Marziano Capella: la musica nell'enciclopedia dei sa­ peri 1.7.1. La difesa della cultura pagana e le artes cyclicae l 1.7.2. Armo­ nia e musica in prospettiva neoplatonica l 1.7.3· Armonia, metrica e ritmica

7

45 50

FILOSOFIA DELLA MUSICA

2.

Musica e cultura cristiana

2. I .

La trasmissione del sapere nella tarda Antichità la­ tina I Padri della Chiesa e la musica Agostino

2.2 .

6I

2.3.r. De ordine: la razionalità delle arti e la musica come disciplina delectandi l 2.3.2. De musica: la musica come scientia bene modulandi, la ritmica e la metrica l 2.3.3. n sesto libro del De musica: la fisiologia della sensazione e la riconduzione del tempo a unità l 2.3+ Le Con­ fessioni e l'esegesi ai Salmi: dal canto al giubilo

Boezio

86

2.4.r. La musica come scienza speculativa l 2.4.2. La moralitas musi­ cale e i tre generi di musica mondana, umana e strumentale l 2.4-3- n suono e la consonanza: problemi di matematica e di estetica musica­ le l 2.4+ La notazione musicale

La musica e il sapere enciclopedico

I05

2.5.r. Cassiodoro l 2.5.2. Isidoro di Siviglia



3.I.

La musica come scienza e come arte nell'età carolin­ gia (secoli Ix-x) La concezione carolingia della musica e la nascita del canto gregoriano Includere e citare: le prime glosse a Marziano Capella e a Boezio

I I3

I I3 I I8

3.2.r. La riscoperta di Boezio e la formazione della Glossa maior in Institutionem musicam l 3.2.2. Le glosse alle Nozze, la forma del suo­ no e la musica celeste

3 .3 .

Giovanni Scoto : razionalità ed estetica dell' armonia universale

I28

3.3.r. L'estetica musicale l 3.3.2. Armonia cosmica e d eliocentrismo nelle Annotationes e nella Glossa attribuite a Giovanni Scoto

3 ·4·

La nuova musica disciplina: problemi speculativi e pratici dei primi trattati di musica 3·4·!. La rilettura della divisione boeziana della musica in mundana, humana e instrumentalis l 3.4.2. La teoria del canto piano: verso la matematizzazione dello spazio sonoro l 3 ·4-3- La teoria della polifo­ nia: Musica enchiriadis e la fondazione razionale dell'ars musica

8

I 39

IND ICE



4.2.

4·3 · 4·4·

I secoli XI e XII . Ars musica e ars cantus fra cultura monastica e scuole cattedrali

!5 3

Studi matematici e scientifici nell'xi secolo: Gerberto d'Aurillac, Oddone e il monocordo L'opera pedagogica di Guido d'Arezzo 4.2.1. ll monocordo, la notazione e la solmisazione l 4.2.2. Musici, cantori, filosofi e il pensiero estetico di Guido d'Arezzo

Ildegarda di Bingen Le scuole e la cultura delle arti liberali 4·4·1. L'enciclopedia delle arti nelle scuole monastiche: Ugo di San Vittore ed Herrade di Landsberg l 4.4.2. Le arti e la cultura naturali­ stica: Adelardo di Bath, la scuola di Chartres e Giovanni di Salisbury

4· 5 ·

Musica e teoria della musica nei secoli

XI-XII

4·5·1. Nova cantica, novum organum l 4.5.2. Le arti del trivio e la po­ lifonia nei trattati musicali dell'XI e XII secolo



Il secolo

5 . I.

La musica nella cultura scientifica universitaria e ari­ stotelica La musica come arte liberale e scientia media

5 .2 .

XIII .

La musica all'università

1 99

1 99

202

5.2.1. Arte e/o scienza? Roberto Grossatesta e Vincenzo di Beauvais l 5.2.2. La musica come scienza subalterna e l'obiectum auditus: Gros­ satesta e Roberto Kilwardby l 5.2-3- Alberto Magno e Tommaso d'A­ quino: la musica scienza media e l'arte speculativa l 5.2.4. L'acustica nella filosofia naturale scolastica: il suono come qualità dell'aria e come fenomeno luminoso l 5.2.5 L'opinione dei maestri delle Arti: la Guida dello studente l 5 .2.6. Giovanni di Garlandia: la proporzione come oggetto della musica e il color musicale l 5.2.7. Girolamo di Moravia, una prospettiva tomista di inquadramento della disciplina musicale

5·3·

Il problema del tempo nella musica 5.3. I. La continuo 5·3·3· Da la misura

5 ·4·

226

natura del tempo nella filosofia scolastica: un discreto nel l 5.3.2. Gli sviluppi della polifonia nel XIII secolo l Giovanni di Garlandia a Giovanni de Grocheio: il tempo e dalla modalità al mensuralismo

L'estetica musicale fra teoria e prassi 5 +I . Estetica francescana: suono, ritmo e danza in Ruggero Bacone e in Dante Alighieri l 5.4.2. Tommaso d'Aquino: arte liberale e teoria del bello artistico l 5·4· 3. La musica come scienza pratica: materia e forma dell'oggetto artificiale in Giovanni de Grocheio

9

2 37

FILOSOFIA DELLA MUSICA

6. 6.!.

Il pensiero musicale nella tarda Scolastica La via moderna e l'Ars nova 6.I.I. n dibattito sulla scienza e il movimento "occamista" l 6.!.2. n dibattito sull'Ars nova

6.2.

Ars antiqua e Ars nova: dalla scienza all'arte della musica, dal discreto al continuo temporale

257

6.2.1. Giovanni de Muris: arte ed esperienza, teoria e pratica della musica l 6.2.2. Tempo continuo e misura del tempo musicale in Gio­ vanni de Muris: una concezione occamista? l 6.2.3. Giacomo di Liegi e la difesa dell 'Ars antiqua: la scienza musicale in prospettiva agosti­ niana l 6.2.4. La natura discreta del tempo musicale

M archetto da Padova e il nuovo " pitagorismo " plenitudo vocis

275

6.3.1. La divisione del tono l 6.3.2. Tempo musicale e

6.5 .

Nicola Oresme e la concezione dello spazio acustico : un'estetica del suono intensibile La teoria della musica nella svolta culturale umanistica 6.5.1. Le Quaestiones musicae (Paris, BNF, 7372) l 6.5.2. Ugolino da Orvieto: novità e tradizione nella Declaratio musicae disciplinae l 6.5.3. Giovanni Ciconia e la Nova musica: il musico compositore alle soglie dell'Umanesimo

Sigle Bibliografia Testi citati

Indice dei nomi

3 37

IO

Introduzione

Secondo quanto Platone narra nel Pedone, Socrate ricevette più volte, in sogno, l'ordine di fare musica. Socrate era certo che il sogno lo incitasse a fare proprio ciò che già faceva, poiché la filosofia, secondo lui, era la musica più alta. Basterebbe questo richiamo a rendere pal­ pabile quanto fossero profonde le connessioni fra musica e @osofia nel mondo antico e nella successiva cultura medievale; ciononostante, né i pensatori dell'Antichità né quelli del Medioevo individuarono in tale relazione un contesto di saperi esplicitamente definito " filosofia della musica " . Questa locuzione, applicata al mondo antico e medie­ vale, come il titolo del presente volume propone, è un concetto sto­ riografico che possiamo estendere a indicare la riflessione sulla musi­ ca in senso lato, ovvero ciò che gli intellettuali, i musicografi, i filoso­ fi, i teologi o gli scienziati pensavano che essa fosse. Il nodo centrale di riflessione di tale tradizione di pensiero, che delimita l'oggetto d 'indagine di questo libro, è quindi il concetto di "musica " nel Me­ dioevo, il quid est musica secondo i pensatori che si collocano dal volgere dell'età antica, tra i secoli IV e v dell'era cristiana, alla fine del XIV secolo. Nella cultura della tarda Antichità e del Medioevo latino la musi­ ca era anzitutto una scienza, cosa che rende subito evidente la diffe­ renza con il concetto moderno di "musica " come arte. Nel mondo greco antico, in realtà, il termine mousiké, ricalcato dal latino musica, ebbe un'accezione vastissima, comprensiva di tutte le espressioni arti­ stiche che implicavano il suono, il ritmo, la danza e la poesia. Tutta­ via, la speculazione filosofica sulla musica si interessò per lo più a un aspetto particolare, e tutto sommato marginale, del fenomeno sonoro , cioè la misura delle altezze dei suoni, che potevano essere espresse attraverso rapporti matematici. La matematica musicale, o scienza ar­ monica, sviluppatasi nell'ambito della scuola pitagorica, forniva infatti una chiave di lettura per interpretare la struttura ordinata del mondo, come espose Platone nel Timeo. A partire dall'opera di commento a

II

FILOSOFIA DELLA MUSICA

questo testo, la riflessione sulla musica aspirò a realizzare un punto di convergenza fra estetica, matematica e cosmologia. Gli autori latini ereditarono queste riflessioni, e collocarono la scientia musicae, insie­ me all'aritmetica, alla geometria e all'astronomia, nel quadrivium, la " quadruplice via " alla conoscenza, che a sua volta introduceva al sa­ pere filosofico. Trasmessa da sant'Agostino, da Marziano Ca pella e da Boezio, che ne reinterpretarono i contenuti alla luce delle profonde trasformazioni dell'ideale antico di paidéia, la scienza della musica, a partire dall'età carolingia, innestò un fecondo e complesso dialogo con la pratica del canto liturgico. Emergeva, infatti, in Occidente, un nuovo " oggetto " di indagine musicale, il canto della Chiesa, percepito quale concreta espressione sonora di un' armonia celeste che è ordine divino prowidente. Far quadrare le strutture melodiche del canto gregoriano con i principi teorici della matematica musicale antica, ri­ scoperta nell'opera di Boezio, sarà esercizio lungo e complesso per i musici altomedievali, ma proprio l'incontro della musica speculativa con la practica fu l'evento cardine da cui scaturì l'ars musica, cioè, potremmo dire, la " dimensione teorica " della prassi musicale. Il XIII secolo segnò l'ingresso della scienza aristotelica in Occiden­ te, e la musica speculativa di Boezio subì una nuova trasformazione, che mise in crisi il suo nesso inscindibile con l' aritmetica, proiettando la disciplina musicale nel contesto della filosofia naturale e della fisi­ ca. Nel processo di riassetto teoretico, il pensiero sulla musica do­ vette confrontarsi con l'ampia discussione dottrinale sulla natura della scienza e sul metodo scientifico sviluppatasi nelle università: la musica è una scienza teorica o pratica? Le conoscenze musicali sono mate­ matico-speculative o tecnico-operative? Le risposte date a queste do­ mande dimostrano come la disciplina della musica, insegnata nelle fa­ coltà delle Arti, costituiva per i maestri un caso complesso e un ban­ co di prova dell'epistemologia scolastica . Il XIII secolo fu anche l'età del decollo della polifonia d'arte, e fu proprio dall'emergente bisogno di organizzare in via normativa il costrutto di linee melodiche differenti che cominciò a manifestarsi, nei trattati di teoria musicale, l'urgenza di misurare con gli strumenti della matematica l' altro parametro sonoro : il tempo. L'approccio a questa nuova problematica, nella seconda metà del secolo, lascia emergere la ricerca da parte dei teorici della musica di un coerente appoggio filosofico, di una presa di coscienza sui concet­ ti di " tempo " e " spazio " , applicati alle argomentazioni su ritmo, armo­ nia e consonanza. L'oggetto sonoro, al volgere del secolo, è divenuto a pieno titolo un prodotto dell'arte umana, un compositum artificiale il cui fine è quello di suscitare piacere attraverso la bellezza della forma, cioè la proporzionalità di tutte le sue componenti. Le regole del com-

I2

I NTRODUZI ONE

porre furono riconosciute come presupposti intimamente connessi al­ l'espressione artistica; e tutto ciò non poté che risvegliare l'attenzione sui temi della bellezza e dell'arte, col conseguente ampliamento , e a tratti stravolgimento, dei fondamenti matematico-speculativi della teo­ ria musicale. Con l'avvio della stagione umanistica, che affermò il prin­ cipio dell'autonomia del comporre musicale, i nodi dottrinali dell' anti­ ca filosofia della musica iniziarono a sciogliersi - e su questo snodo fondamentale si interrompe il presente volume -, ma è chiaro che l'ere­ dità dei suoi saperi continuò ad alimentarsi secondo modalità e sensi bi­ lità nuove, aprendo la strada da un lato alla nascita della moderna scienza acustica, dall'altro alla successiva collocazione dell'estetica mu­ sicale nell'ambito della @osofia dell'arte. Dal quadro generale dei contenuti di questo volume, che ho qui riassunto, il lettore può intravedere negli sviluppi della filosofia della musica medievale i prodromi dell'estetica musicale, cioè di quel setto­ re della filosofia dell' arte che ha per oggetto il bello in musica. Ugual­ mente, può ricercare i fondamenti della scienza acustica nelle specu­ lazioni sulla matematica musicale. Il fatto che il pensiero medievale sulla musica, pur rinnovando i propri contenuti, rimase pressoché fe­ dele alla specificità dei suoi fondamenti speculativi, rende questo set­ tore d'indagine un luogo privilegiato per tracciare le linee di conti­ nuità e i momenti di svolta sia nell'ambito della stessa cultura medie­ vale, sia nel più largo tessuto di relazioni fra il mondo antico, medie­ vale e moderno. In questo senso, il percorso storico che viene qui tracciato non mira solo a delineare una " storia " del pensiero musicale medievale, ma vorrebbe evidenziare anche un problema storiografico di fondo. La storiografia storico-@osofica, infatti, investigando sulle origini della scienza moderna, ha ormai riconosciuto un rapporto di continuità con la scienza medievale , rapporto esaminato in ambito lo­ gico , matematico, fisico e astronomico, e sondato nella sua complessi­ tà anche da più recenti ricerche sull'esoterismo, la medicina, l' alchi­ mia. La musica, antica sapienza matematica che percorse tutta l'età di mezzo, e che fu insegnata nei luoghi in cui approdò la filosofia ari­ stotelica e si accese il dibattito sulla scienza, non è stata finora collo­ cata in tale contesto di ricerca. Inoltre, il pensiero musicale in età ri­ nascimentale e nel periodo della rivoluzione scientifica, che è stato studiato in maniera più organica, non è stato ancora messo concreta­ mente in rapporto con la speculazione musicale medievale. L 'idea umanistica del " ritorno agli antichi" ha fatto perdurare la convinzione che scienziati, filosofi e musici del Rinascimento si applicassero ex nova a problematiche trattate dai teorici greci e romani, dimentican­ do che l'età medievale provvide a rifornire umanisti e accademici di

FILOSOFIA DELLA MUSICA

una solida base metodologica per le loro argomentazioni, se non ad­ dirittura di specifiche nozioni tecniche. Su queste aporie questo volu­ me intende richiamare l' attenzione. La filosofia della musica nel Medioevo è qui messa a fuoco se­ condo un'impostazione cronologica e con taglio manualistico, seguen­ do il pensiero dei principali filosofi e teorici della musica del mondo latino medievale. Alcuni temi di base, tuttavia, attraversano costante­ mente lo svolgersi delle argomentazioni: 1 . se e perché la musica è una scienza; 2 . qual è l'oggetto della disciplina musicale; 3 · come si colloca la musica nel panorama generale delle scienze; 4· cos'è l'arte musicale; 5 . cos'è il suono musicale; 6. la teoria del bello in musica. Nella presentazione di problemi così vasti e complessi è stato inevita­ bile operare selezioni e tagli drastici, che balzeranno all'attenzione sia di chi si occupa di storia della musica, sia di chi si occupa di storia della filosofia o della scienza. La scelta è stata quella di concentrarsi sui momenti di svolta e sulle riflessioni più significative, nella coscien­ za che questo volume è una proposta nuova, e non solo in ambito italiano, indirizzata anche al lettore non specialista. Lo stimolo a realizzare questo libro è frutto di una convergenza interdisciplinare, che prima ancora che su queste pagine si è stra tifi­ cata nella mia formazione. Dall'insegnamento di Marta Cristiani e di Fabrizio Della Seta ho maturato un'immagine del Medioevo nella quale mi risulta difficile separare i contesti disciplinari con linee di demarcazione precise. Ho scoperto con piacere, nel corso degli anni di ricerca, che questo mio sentire è largamente condiviso dagli stu­ diosi e dalle studiose con cui ho avuto l'onore e la fortuna di con­ frontarmi.

I

Filosofia e musica fino alla tarda Antichità

I. I

Una disciplina che misura il movimento La definizione più comune della musica nella tarda Antichità è quella per cui essa è la scienza o la capacità di modulare bene. Musica est scientia bene modulandi, afferma ad esempio Sant'Agostino in un ben noto passo del suo dialogo De musica ( I , 2 , 2; cfr. PAR. 2 . 3 . 2 ) . Questa definizione si avvicina molto a quanto troviamo nella trattatistica mu­ sicale greca antica. Negli Elementi di armonica di Aristosseno ( 3 5 4- 3 00 a.C.) la musica è definita come la disciplina che esamina il movimento discontinuo della voce, il quale è regolato da specifiche leggi, come è ribadito anche nel De die natali di Censorino, il gram­ matico e scrittore latino del III secolo, conosciuto e molto citato nel Medioevo . Una simile idea è presente poi in Aristide Quintiliano ( III­ IV sec. d.C . ) , in Tolomeo e in molti altri scrittori di musica. In breve, nessuno fra i filosofi e i musicografi dell'età classica e della tarda An­ tichità reputa che la musica non sia una disciplina, ovvero un insieme di saperi, che insegna come "muovere " la voce o il suono nella ma­ niera corretta, secondo una specifica misura . Come infatti prontamen­ te sottolinea Agostino, la modulatio altro non è che movimento, ovve­ ro : «abilità attraverso la quale si ottiene che qualcosa sia mossa bene» , per cui «non possiamo dire che qualcosa sia mossa bene se non mantiene la misura» (Agostino, 1 9 97, p. 9 [I , 2, 3 ] ) . Questo prin­ cipio primo e fondamentale che associa alla disciplina della musica la funzione di insegnare la misura corretta del movimento fu universal­ mente accolto nella cultura tardoantica, nonostante la divergenza , an­ che profonda, nell'individuare quale fosse !"' oggetto " in movimento da misurare. La questione, del resto, affondava le radici in tempi re­ moti , essendo già rintracciabile nel contesto del concetto greco di mousiké. Quest 'ultima includeva infatti manifestazioni molteplici lega-

FILOSOFIA DELLA MUSICA

te alla capacità di dirigere correttamente il movimento nei gesti del corpo (nella danza e nella ginnastica) e nell'emissione della voce (nel­ le varie forme e modalità di attività poetica e canora) , e a queste fun­ zioni era variamente accompagnata la maestria tecnica nella composi­ zione ed esecuzione strumentale. L'antica mitologia greca legata al­ l'invenzione della musica - con i ben noti nomi di Apollo, di Dioni­ so , delle Muse - e la variegata presenza di espressioni musicali, cano­ re e strumentali, nell'Antichità offrono una ricchissima testimonianza delle molte direzioni nelle quali si dipanava il concetto di "musica " . M a fin dalle documentazioni più antiche alla mousiké era comunque accordato uno specifico valore educativo, e quindi disciplinare, da af­ fiancare a quello ricreativo, proprio in virtù dell'ordine e della misura che essa imprimeva ai vari "moti " che ne caratterizzavano la multi­ forme natura. Nel De musica dello Pseudo-Plutarco (III sec. d.C . ) , a proposito delle funzioni della musica, troviamo scritto che secondo Omero e Aristosseno la musica modera e riconduce alla condizione di quiete e bilanciamento l'animo eccitato, «grazie all'ordine e all'e­ quilibrio insiti in essa» (Plutarco, 2 ooo, pp. 2 1-2 [43 ] ) . Pur facendo risalire ad Omero dottrine probabilmente posteriori, ciò che eviden­ zia lo Pseudo-Plutarco è che la pratica musicale antica offriva la ca­ pacità di regolare e ordinare i moti dell'anima proprio in quanto la natura della mousiké era quella di creare ordine nel movimento dei suoni e dei gesti. Tale componente disciplinare, o "disciplinante " , della musica s i indirizzò nella tradizione culturale greca in due dire­ zioni. Da una parte nello sviluppo di un 'arte citarodica e auletica ba­ sata su un corpus di regole trasmesse attraverso l'insegnamento in scuole e consuetudini compositive (i n6moi) , dall'altra in una dimen­ sione teorico-speculativa indirizzata alla comprensione del fenomeno sonoro nelle sue proprietà essenziali. I primi a indirizzarsi verso que­ sta seconda linea di interessi furono i pitagorici (dal v sec. a.C . ) , e si può affermare che una vera e propria dimensione filosofica nell' ap­ proccio alla musica nacque all'interno di tale tradizione di studi. Nella tradizione pitagorica, ad esempio in Filolao (Reale, 2 oo6, pp. 84 3 -5 [frammento 6] ), la scoperta, attribuita al maestro Pitagora, per cui i rapporti numerici semplici esprimevano le consonanze dei suoni aveva assunto un'importanza fondamentale alla luce della dot­ trina fisica che individuava nel numero la sostanza (arché) della realtà materiale . La grande intuizione dei pitagorici fu il ritenere la misura matematica lo strumento unico e certo, cioè scientifico, per compren­ dere l'ordine e l'unità del mondo. In forza dunque del riconoscimen­ to che il movimento fisico dal quale si genera il suono è misurabile e che specifici rapporti numerici costituiscono la "natura " delle conso16

I . FILOSOFIA

E

M U S I C A F I N O ALLA T ARDA ANTI CHITÀ

nanze musicali, la musica entrò con i pitagorici nel quadro disciplina­ re delle " scienze della misura " , come l'aritmetica e la geometria , nel contesto delle quali fu infine formalizzata da Platone. Le ricerche ma­ tematiche dei pitagorici portarono a configurare la disciplina musicale come l'esempio più evidente dell'universale fusione o " armonia " che il numero realizza nell'opposizione delle cose; le consonanze musicali furono dunque assunte a modello dell'unità del molteplice e della concordia del discordante, venendo quindi a identificarsi come prin­ cipio di tutte le armonie dell'universo, da quelle cosmiche a quelle psicologiche, come affermato ancora da Filolao (ivi, pp. 845 -7 [fram­ mento r o] ) . Come il mondo del corpo, così anche quello dell'anima era infatti dominato dal principio dell'armonia; anzi, nel pensiero pi­ tagorico l'anima stessa è armonia in quanto sintesi o mescolanza di contrari, come affermerà Aristotele in L)anima (I, 4, 407b3o-3 2 ) . Il valore etico-pedagogico della musica, che come è stato accennato ca­ ratterizzava l'antica mousiké, si precisa quindi nel pitagorismo anche in senso psicologico, sviluppandosi nell'idea della musica come medi­ cina dell'anima. Il potere della musica di "muovere " l'anima solleci­ tando o placando le affezioni e i turbamenti ebbe un significato enor­ me nella cultura greca classica, e nell'età di Pericle il filosofo e politi­ co Damone di Oa, di scuola pitagorica, dette avvio a una vera e pro­ pria teoria etica della musica, elaborando la dottrina dell' éthos musi­ cale , cioè della corrispondenza fra specifici generi musicali, che Plato­ ne definirà harmoniai, e determinati caratteri o stati d'animo. La concezione filosofica della musica sviluppata dalla scuola pita­ gorica si diramò quindi in più contesti di approfondimento, psicolo­ gico , cosmologico, fisico , che furono poi ripresi e approfonditi in una nuova e originale sintesi da Platone, in particolare nella Repubblica e nelle Leggi. N ella prima il filosofo ateniese articola il discorso sulla musica in una duplice direzione. Da una parte, la musica è intesa come arte e prassi (téchne) produttrice di piacere, e in questo senso è dunque soggetta alla severa critica che il filosofo muove alle varie espressioni artistiche, anche se il suo uso, limitato a specifiche tipolo­ gie melodiche, è raccomandato ai cittadini-guerrieri dello Stato ideale proprio perché induce serenità nell'anima. Dall'altra, la musica è in­ vece colta come scienza meramente speculativa, necessaria alla forma­ zione del filosofo governante della città ideale. Insieme all'aritmetica, alla geometria, alla stereometria (scienza dei solidi) e all'astronomia, la musica o scienza armonica è per Platone una disciplina che nella sua forma più perfetta non si occupa delle cose sensibili (in questo caso della teoria del suono materiale), ma della conoscenza dei nume­ ri e dei loro rapporti, come affermato nel settimo libro della Repub-

FILOSOFIA DELLA MUSICA

blica (5 3 oe-5 3 r d) . Questo celebre passo, oltre a rendere chiaro il punto di vista del filosofo sulla finalità della scienza musicale, è fon­ damentale anche perché sottolinea la preminenza che in Grecia aveva assunto un diverso contesto dottrinale relativo alla teoria della musi­ ca. È quello degli " armonici " , cioè dei musici il cui interesse era indi­ rizzato allo studio delle consonanze musicali attraverso un approccio meramente empirico al suono, basato per Platone sul fallace senso dell'udito: «col misurare infatti tra loro gli accordi e i suoni percepiti dall'orecchio, essi [pratici della musica] , al par degli astronomi, si af­ faticano a cose che non vengono a capo di nulla» (Platone, r98 r , p . 2 65 [vn , 5 3 r a] ) . Tale affermazione rende evidente come due scienze matematiche, la musica e l' astronomia, avessero un interesse applicati­ vo dal quale, secondo Platone, era necessario astrarsi per poter fon­ dare scientificamente i loro contenuti dottrinali. Questo approccio speculativo è presente nel Timeo, dove il filosofo ateniese sviluppò in senso filosofico il rapporto fra la teoria armonica e l' armonia cosmica, nel quadro della spiegazione dell'origine dell'anima del mondo (cfr. PAR. r . 2 . 2 ) . Il Timeo, che avrà un'importanza enorme nella cultura tardoantica e nel Medioevo, costituì il primo e imprescindibile punto di riferimento per inquadrare il rapporto fra la musica e la filosofia. Alla corrente "matematica " della musica, dominante nel pensiero pitagorico e nel platonismo, fece tuttavia da contraltare una diversa concezione della musica , che possiamo definire " fisica " , di derivazio­ ne aristossenica. Riscoperta e apprezzata solo nel Rinascimento, que­ sta differente tendenza, fondata sull'analisi qualitativa e sensibile del suono musicale (della quale i " pratici della musica " ricordati da Pla­ tone sembrerebbero essere i progenitori) , non mancherà di essere di­ scussa anche in età medievale, ma resterà soprattutto un punto di ri­ ferimento critico, in forza dell'inquadramento sostanzialmente negati­ vo che ne dette Boezio. Il concetto di "scienza musicale " che il Me­ dioevo ereditò dalla tarda Antichità fu dunque, in sintesi, quello di una disciplina preposta a misurare matematicamente il "movimento " sonoro. Grazie anzitutto alla classificazione aristotelica della scienza h armonica fra gli altri settori della conoscenza teoretica (pAR. r . 3 .2 ) , tale disciplina venne stabilmente formalizzata, e costituirà insieme ad aritmetica, geometria e astronomia il sistema delle cosiddette scienze quadriviali o méthodoi, secondo la formula adoperata da Nicomaco (PAR. r .4. r ) . Le stesse discipline andranno infine a inserirsi nel qua­ dro delle artes cyclicae, esprimenti la totalità del sapere erudito e il sistema complessivo dell'educazione intellettuale nella cultura classica latina. Nella formulazione di Cicerone e di Varrone, la matematica musicale rientrò dunque nell'impianto generale delle artes libera/es, r8

I.

FILOSOFIA E MUSICA FINO ALLA T ARDA ANTICHITÀ

divulgato dagli scrittori pagani della tarda latinità, soprattutto Macra­ bio, Marziano Capella e Boezio. Ma nel concetto di "musica" eredita­ to e rielaborato dai medievali troviamo implicata non solo questa di­ mensione scientifico-matematica propria della disciplina, ma anche la sua peculiare affinità con la filosofia e la teologia, l'etica e la psicolo­ gia, la filosofia naturale e la cosmologia: insomma, con tutti quei dif­ ferenti settori del pensiero e della scienza nei quali si insinuavano i concetti di armonia, ordine, proporzione, misura. A tutto ciò, inoltre, va aggiunta un'ulteriore trattazione della "misura del movimento " nel contesto musicale, anch'essa elaborata nella manualistica tecnica anti­ ca e di notevole rilevanza nella successiva teoria musicale medievale, cioè quella ritmica e metrica attinente alla scansione e intonazione poetica. Lo vedremo soprattutto con Agostino (PAR. 2 . 3 .2 ) . Queste differenti angolazioni nelle quali è articolata l a musica come disciplina che misura il movimento e la sua collocazione nel contesto del sapere @osofico sono qui messe a fuoco a partire dalle loro prime radici culturali - platonismo, pitagorismo e aristotelismo e nella sintesi delle trattazioni latine dei secoli IV-VI dell'era cristiana. Queste ultime furono le fonti di riferimento dirette per i manuali di teoria musicale e per le speculazioni sulla musica nelle opere filosofi­ che fino almeno alla fine dell'alto Medioevo (cioè fino circa alla metà del XII secolo) , quando la riscoperta della filosofia naturale e della teoria della scienza di Aristotele getterà le basi per una revisione dei fondamenti filosofici e scientifici della disciplina, la quale, nel frattem­ po, era divenuta anche lo strumento teorico dell'ars musica, della teo­ ria del comporre.

Il

Timeo

I.2

di Platone: l'armonia del cosmo e dell'uomo

!.2.!.

LA MATEMATICA PLATONICA E PITAGORICA

Il Timeo è il dialogo filosofico della tarda maturità di Platone che racconta " con verosimiglianza" l'organizzazione razionale dell'univer­ so fisico attraverso un grandioso mito cosmologico. Fu l'unica opera del filosofo ateniese conosciuta nel Medioevo , anche se in traduzione parziale e attraverso la mediazione del commento di Calcidio. Il Ti­ meo fu considerato il testo fondamentale di accesso alla filosofia pla­ tonica, poiché delineava in forma di trattato - pur se nella sostanza resta un dialogo - la teologia, l'etica, la gnoseologia e la @osofia na­ turale del grande pensatore. La sua riscoperta si colloca a partire dal

FILOSOFIA DELLA MUSICA I secolo a.C. e le manifestazioni più importanti di tale interesse furo­ no la parziale traduzione del testo curata da Cicerone e la fervente opera esegetica di molti autorevoli rappresentanti del medioplatoni­ smo, come Apuleio e Plutarco ( I d.C . ) , e della scuola peripatetica ari­ stotelica. Inoltre, anche matematici e scienziati del calibro di Teone di Smirne ( I-II sec. d.C . ) e Nicomaco nutrirono un profondo interesse per il Timeo, che poneva fondamentali problematiche scientifiche, matematiche e musicali (o, per meglio dire, armoniche) . Anche nel Commentum in Somnium Scipionis di Macrobio si trovano ampi rife­ rimenti al Timeo, mediati attraverso il commento di Porfirio a que­ st' opera, e anche attraverso questo canale il pensiero platonico fu co­ nosciuto alla latinità medievale. Nel Timeo, il pitagorico Timeo di Locri offre un " racconto " di come il Demiurgo, la somma divinità artefice, creò il mondo, il suo ordine, il tempo, il movimento e tutte le creature a partire dall'eterni­ tà delle idee e dal caos della materia primordiale. La sezione di testo (ca pp. VII e VIII ) che qui interessa mettere in evidenza concerne il racconto della creazione dell'anima del mondo, che il Demiurgo pla­ sma secondo rapporti matematici proporzionali, tali da rendere l'ani­ ma stessa, e il mondo da essa animato attraverso il movimento, il più perfetto animale (vii, 3 3 a) . Prima di soffermarci sul testo, occorre evi­ denziare che Platone propone qui un'interpretazione originale della nozione pitagorica degli enti matematici che ebbe una profonda in­ fluenza nella tradizione platonica successiva. È bene tener presente questa fondamentale distinzione fra la dottrina del numero nel primo pitagorismo e nel platonismo in quanto la trattazione matematica del­ la musica trasmessa al Medioevo, soprattutto quella di Boezio , pur appoggiandosi al nome autorevole di Pitagora, si inquadra in realtà nella vasta corrente del platonismo. Per il pitagorismo delle origini il numero è l'essenza del reale, poiché ne costituisce la natura fondante. Anche se sono pensabili in sé, astratti dalla materialità, i numeri " sussistono " nel sensibile. L'indagine matema­ tica consente dunque di risolvere il problema della physis, cioè della na­ tura e origine degli enti corporei. Per Platone, invece, la realtà degli enti matematici non è intrinseca alla realtà sensibile: il mondo sensibile non è " composto" di numeri, il punto fisico non corrisponde a quello geome­ trico, come per i pitagorici, ma il cosmo nella sua interezza è ordinato e misurato attraverso il numero, che come afferma il Timeo è il modello al quale guarda il Demiurgo nella costruzione dell'universo. Il numero è quindi una realtà indipendente e autonoma dal punto di vista antologico, ma intermedia fra intelligibile e sensibile: è infatti mediatore fra i due ordini di essere, quello sensibile (il mondo naturale) e quello intelligibile

20

I.

FILOSOFIA E MUSICA FINO ALLA T ARDA ANTICHITÀ

(l'idea o " cosa in sé " che costituisce la vera essenza di ogni sensibile) . Il concetto di numero che i medievali ereditano è saldamente ispirato all'i­ dea platonica di "mediatore " , " connettore " e "legame" espressa dal Ti­ meo. Le matematiche, scienze del numero, rivestono perciò un'importan­ za enorme nella filosofia platonica. In particolare, esse servono a passare dal piano delle apparenze sensibili, soggette a mutabilità e al divenire, al piano delle certezze scientifiche. Nella Repubblica, libro VII, Platone esa­ mina le quattro discipline matematiche fondamentali: l'aritmetica, che verte sul calcolo astratto, la geometria, scienza degli enti immutabili, l'a­ stronomia, scienza del movimento perfetto e immutabile, la musica, scienza dell'armonia. Queste discipline devono essere praticate da ogni aspirante filosofo; esse infatti lo preparano alla scienza suprema che Pla­ tone chiama " dialettica " , la scienza dell"' essere in sé " o idea. Non stare­ mo qui ad addentrarci in una delle più complesse e dibattute formulazio­ ni filosofiche di tutti i tempi; ci basti ribadire, per restare al problema delle discipline matematiche e del loro rapporto con la filosofia, che le idee sono: r . realtà indipendenti conoscibili dall'uomo, 2 . criterio di giu­ dizio che l'uomo usa per valutare le cose naturali, e infine 3 . cause delle cose particolari. Le scienze matematiche sono quindi strade di accesso alla dialettica, o filosofia, in quanto il loro oggetto, cioè il numero, è sta­ bile, vero e intelligibile, come lo sono le idee. D'altra parte, le matemati­ che sono anche l'unica strada per una conoscenza del mondo sensibile, il quale partecipa del numero e della misura: tutto ciò che nel divenire na­ turale può essere misurato e matematicamente determinato diviene dun­ que un campo di applicazione delle matematiche, e così assurge a cono­ scenza scientifica. La conoscenza della natura, però, non è mai converti­ bile in toto in scienza matematica, proprio perché la realtà è soggetta a un continuo trasformarsi. Ecco allora che il Timeo, dedicato all'indagine sul cosmo naturale, sottolinea che del mondo sensibile si potrà avere solo conoscenza verosimile, e non vera, cioè scientifica (29c-d) . 1.2 .2.

' L ANIMA DEL MONDO

Il cosmo platonico descritto nel Timeo è un immenso corpo vivente forgiato da un'intelligenza artefice mirante al bene, il Demiurgo, il quale opera contemplando un modello ideale, intelligibile e immuta­ bile (le idee) e producendone una copia corporea e sensibile (il co­ smo fisico) . Il corpo fisico dell'universo è composto dal Demiurgo a partire dai quattro elementi empedoclei (terra, aria, acqua e fuoco) , uniti insieme secondo la proporzione geometrica continua, la più per­ fetta poiché il prodotto dei termini medi è uguale a quello degli 2I

FILOSOFIA DELLA MUSICA

estremi 1• Al composto così ottenuto egli dà una forma perfettamente sferica e liscia e un movimento adeguato, cioè quello circolare e uni­ forme (vn , 3 I c-34a) . L'atto di traslazione del modello ideale nel cor­ po reale dell'universo si compie però attraverso la creazione dell'ani­ ma del mondo, principio vivente plasmato dal Demiurgo già prima della creazione del corpo, perché senz ' anima quest'ultimo sarebbe stato privo di esistenza. L'anima del mondo è una mescolanza di tre principi costitutivi (dell'essenza, del medesimo e dell'altro) , che con­ tribuiscono a renderla una realtà allo stesso tempo autonoma e inter­ mediaria: è autonoma poiché partecipa dell"' essenza " , pur essendo distinta sia dalle idee che dal corpo sensibile, è intermediaria essendo composta dal "medesimo " (ha, potremmo dire, una sua identità) e dall"' altro " (e quindi partecipa alla pluralità) . Il Demiurgo opera sull'anima del mondo dividendola in parti pro­ porzionali, in modo da costruire una successione di proporzioni corri­ spondenti a quelle che formano gli intervalli nella gamma dei suoni di una scala musicale diatonica, analoga nei suoi valori intervallari a quella di una scala pitagorica; ma, occorre ribadire, nessun passo del Timeo accenna in modo esplicito a tale correlazione, né a una risultante sonora della costruzione: l'harmonia dell'anima del mondo è solo matematica. Vediamo in sintesi come si realizza. L'anima è suddivisa dal Demiurgo in due serie di parti, definite dai numeri I , 2, 4, 8, basati sulla successio­ ne geometrica doppia (cioè 2°, 2\ 2 \ 23) e I , 3, 9, 27, basati sulla successione geometrica tripla (cioè 3°, 3\ 3\ 33). Dalle due serie, che formano due successioni in proporzione geometrica continua ( I : 2 = 2 : 4 4:8 e I :3 3 :9 9: 27), vengono poi " ritagliate " altre parti, ottenute individuando ulteriori legami proporzionali, che il De­ miurgo calcola in base alla proporzione armonica e a quella aritmetica 2• Fra ogni numero e il successivo vengono perciò a trovarsi altri due numeri, i medi proporzionali armonico e aritmetico: =

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I. Platone si riferisce alla proporzione geometrica continua con due medi, come, ad esempio, è la proporzione fra i due numeri cubici 8 (23) e 27 (33), che ha per medi geometrici I2 : I 8 I 8 : 27. li medio geometrico è tale che il suo I2 e I 8 . La proporzione è: 8 : I2 quadrato è pari al prodotto degli estremi, owero: I2 x I2 8 x I8 e I8 x I8 I2 x 27. 2. Sulla proporzione geometrica continua cfr. nota 1 . Nella proporzione aritmeti­ ca il termine medio supera il primo di quanto l'ultimo supera il medio. Ad esempio nella proporzione fra I e 2, il medio aritmetico è 3h. Infatti 3h I + Ih e 3h 2- Ih. Nella proporzione armonica il termine medio supera il primo di una parte del primo termine uguale alla parte dell'ultimo termine per la quale esso supera il medio. Ad esempio nella proporzione fra I e 2 il medio armonico è 4/3 . Infatti esso supera I I + I/3 e 4/3 di I/3 di I ed è superato da 2 da I/3 di 2. Cioè: 4/3 2 - 2/3 . =

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22

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I . FILOSOFIA

E

MUSICA FINO ALLA T ARDA ANTICHITÀ

Serie doppia: I - 4/3 - 3/2 - 2 - 8/3 - 3 - 4 - r 6/3 - 6 - 8 ; Serie tripla: I - 3/2 - 2 - 3 - 9/2 - 6 - 9 - 2 7 l2 - r 8 - 2 7.

Il Demiurgo ha così formato due serie che presentano delle costanti, in quanto i valori del rapporto fra ogni termine e il successivo sono rego­ lari. Nella serie doppia le costanti sono 4/3 e 9/8 , nella tripla 4/3 e 3/2 3 • Ricordo per inciso, ma il Timeo non ne fa menzione, che tali costanti esprimono nella teoria musicale pitagorica gli intervalli discen­ denti di quarta (4/3 ), quinta (3/2 ) e tono (9/8 ) . A questo punto, il Demiurgo compie l'operazione finale, mettendo insieme le due serie, in modo però che ogni intervallo di 4/3 , presente tanto nella serie doppia che nella tripla, sia " riempito " dall'intervallo di 9/8 , che sta due volte in quello di 4/3 con l'avanzo della frazione (leimma) 2 5 6/243 , rapporto che in ambito musicale esprime l'intervallo di semitono minore discen­ dente. La serie dei rapporti così individuati definisce gli intervalli dei suoni, dal più acuto al più grave, nella scala diatonica di modo dorico, analoga nei suoi valori a quella pitagorica. Si riportano i valori mate­ matici, indicando con T la distanza di tono e con L il semitono (leim­ ma) . La scala discendente ha la successione di quattro ottacordi con­ giunti, formati ciascuno da due tetracordi dorici disgiunti, più un te­ tracordo finale seguito da due toni 4 (FIG. L I ) . FIGURA

I. I

Struttura matematico-musicale dell'anima del mondo

1 T 2.T �L �T J? �T !.ilL 2 T 2.T �L �T J T �T 2_�l4T_if �L�T 6T �T 2_i.3L8T9T�L�.!.T12T �T�L16T18T 8È �T 24T27 2 16 8 64 3 2 16 128 4 32 3 8 64 2 16 3 4 32 8 3 4 3 Iottacordo

IIottacordo

mottacordo

IVottacordo

3 · Per trovare questi valori occorre dividere ogni termine per il precedente. Nella 9/8; 9/8 ; 2 : 3l2 serie doppia: 4/3 : I 4/3 ; 3l2 : 4/3 4/3 ; 8/3 : 2 4/3 ; 3 : 8/3 4/3 ; I 6/3 : 4 4:3 4/3 ; 6 : I 6/3 9/8 ; 8 : 6 4/3 . Nella serie tripla : 3 l2 : I 3l2 ; 4/3 ; 9 : 6 312 ; 2 : 312 4/3 ; 3 : 2 312 ; 9 12 : 3 312 ; 6 : 912 3 12 ; 2712 : 9 4/3 ; 27 : I 8 I 8 : 2 71 2 312. 4· Nella teoria musicale greca, il tetracordo è un insieme di quattro suoni i cui estremi sono a intervallo di quarta giusta. La disposizione degli intervalli interni cam ­ bia nelle varie tipologie. Nel caso del Timeo, la disposizione degli intervalli interni è sempre tono-tono-semitono (leimma), corrispondente al tetracordo dorico. La disgiun­ zione fra due tetracordi è data da un intervallo di tono centrale, detto mése. L'otta­ cordo è una struttura scalare di otto suoni, dati dalla successione di due tetracordi. =

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23

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FILOSOFIA DELLA MUSICA

Dopo aver così strutturato l'anima del mondo, il Demiurgo sceglie le "parti " da assegnare alle rispettive " parti" del corpo universale. Così, l'anima è divisa in due sezioni, ciascuna piegata a formare una circon­ ferenza. Le due circonferenze si incrociano a x; una è interna, l'altra esterna. Il principio motore che fa muovere quest'ultima - e, con essa, anche la più interna - è la natura del "medesimo " , che abbiamo visto essere un principio generativo dell'anima stessa. Il moto che l'anima imprime è circolare e uniforme, e ruota verso destra il corpo dell'uni­ verso: nel sistema astronomico geocentrico questa circonferenza corri­ sponde all'equatore celeste, il circolo massimo attorno al cui asse l'uni­ verso compie una rotazione completa nelle 24 ore. Il principio motore che muove la circonferenza interna è invece quello della natura del­ l"' altro " , anch'essa principio costitutivo dell'anima, che sposta verso si­ nistra il circolo stesso. Quest'ultimo è l'eclittica, l'immaginaria circonfe­ renza celeste inclinata rispetto all'equatore e delimitata dai segni zodia­ cali, che nel sistema geocentrico è descritta dal Sole nel suo movimento annuale intorno alla Terra, e il cui moto è di direzione contraria al moto dell'universo. Questa stessa circonferenza dell'eclittica è utilizzata nel Timeo anche per " ritagliarne " sette circoli interni (le orbite dei pia­ neti) , le cui misure sono date dalle due serie geometriche unite insieme r , 2, 3 , 4, 8, 9, 2 7 . Platone non offre una spiegazione dettagliata dei moti planetari, che vanno in direzione contraria gli uni agli altri, limi­ tandosi a segnalare che tre sono uguali in velocità (cioè Sole, Venere e Mercurio), mentre gli altri quattro (Luna, Marte, Giove e Saturno) sono disuguali fra loro e rispetto agli altri tre. Questo passaggio (VIII, 3 6d) è all'origine delle successive speculazioni filosofico-musicali sul­ l' armonia dell'universo e sulla musica delle sfere . Sebbene Platone non faccia qui menzione di un suono " fisico " prodotto dai pianeti, nella parte finale della sua Repubblica (x, 6 r 7a-b), nel racconto del mito di Er, afferma che otto Sirene, collocate in corrispondenza a ogni pianeta e al cielo delle stelle fisse, emettono ciascuna un suono tale che la loro armonia costituisce un immenso accordo. 1.2.3.

' ' L ARMONIA E L UOMO

Tenendo conto che l'anima del mondo è stata ripartita secondo gli intervalli della scala musicale pitagorica, ne consegue che nel sistema cosmologico di Platone essa muove e dà vita al corpo dell'universo secondo le leggi matematiche dell'armonia musicale. La musica, come abbiamo ribadito, è per Platone la disciplina scientifica dell'armonia, cioè del movimento misurato, e poiché il cosmo si muove seguendo i

I.

FILOSOFIA E MUSICA FINO ALLA T ARDA ANTICHITÀ

dettami della sua anima, secondo i principi matematici e armon1c1 che ne costituiscono l'essenza, vi è una corrispondenza necessaria fra r armonia cosmica e quella che è oggetto della disciplina musicale. Ma Platone, nel Timeo, non pone un'esplicita relazione fra l'armonia nella teoria pitagorica della musica e il costrutto armonico dell'uni­ verso . L'harmonia cosmica è il modello perfetto, scevro da ogni con­ tatto con la sensibilità. A esso l'uomo, microcosmo di anima e corpo che è immagine imperfetta del perfetto macrocosmo, deve guardare per ristabilire «nei suoi circoli» l'armonia originaria. La sensibilità della musica serve dunque all'uomo, non all'universo . Proseguendo nella spiegazione di come il Demiurgo procede alla generazione degli esseri viventi (xvr, 46e-47e) , Platone parla del beneficio enorme che arriva all'uomo dai sensi della vista e dell'udito: le sensazioni sono infatti il "movimento , che il corpo umano subisce dalle impressioni esteriori. Se l'uomo è ben nutrito ed educato - torna qui, appena ac­ cennato, un tema ampiamente trattato da Platone nella Repubblica , riesce a dirigere senza errori i propri sensi, così da percepire contem­ plando l'universo la perfetta armonia che lo governa; la stessa che l'uomo ascolta nell'armonia sensibile, dono delle Muse, e che lo aiuta a ricomporre i «giri dell'anima» in lui divenuti discordi (xvr, 47 d-e) . Ecco dunque che nella psicologia delineata da Platone anche la "musicoterapia , consente all'uomo di ritornare allo stato di equilibrio e di perfetto bilanciamento psicofisico che è obiettivo specifico del sapiente, il quale, attraverso la speculazione matematica della scienza armonica, si accorda alla perfezione universale. Raggiungere il bilan­ ciamento può quindi essere un'operazione che si compie anche a par­ tire dalla meno nobile sensibilità acustica . Questo accade perché la musica sensibile, per Platone, influenza l'anima umana in quanto que­ st'ultima è immagine o imitazione di qualità morali; infatti, la struttu­ ra armonico-matematica dell'anima del mondo è riprodotta nelle ani­ me individuali umane, dunque ogni melodia, essendo movimento mi­ surato, imita più o meno fedelmente la struttura armonica perfetta dell'universo, quella che nella sua forma sensibile più compiuta è l' harmonia della scala pitagorica, che più da vicino la ricalca. Se dun­ que la costruzione delle armonie musicali e la natura dell' anima uma­ na giustificano l'imprescindibilità dell'influsso emotivo esercitato dalla musica , solo l'educazione nelle discipline matematiche permette di volgere in terapia tale influenza: -

Ora, la cura di tutte le parti è per tutti una sola, dare a ciascuna parte ali­ menti e movimenti appropriati. E della nostra parte divina sono movimenti affini i pensieri e le circolazioni dell'universo. È dunque necessario che eia25

FILOSOFIA DELLA MUSICA

scuno segua quelli, e i circoli guasti in sul nascere nella nostra testa li correg­ ga imparando le armonie e le circolazioni dell'universo, e renda simile, se­ condo la sua antica natura, il contemplante al contemplato, e fattolo simile raggiunga il fine di quest'ottima vita, che gli dèi hanno proposto agli uomini per il tempo presente e per l'awenire (Platone, 1 9 84 , pp. 443-4 [xLIII, 90d] ) .

Queste «quattro pagine di greco», come osserva Andrew Barker (2 oo2 , p. r 2 7 ) , relative alla struttura armonica del cosmo furono il testo platonico chiave attorno al quale si dibatterono i successivi au­ tori platonici e pitagorici, oltre che quelli di scuola peripatetica, nel­ l' accostarsi alla filosofia del maestro. Al di là delle divergenze di ana­ lisi e delle differenti prospettive di ricerca, tutti condivisero la neces­ sità di partire dalla complessità di questo testo ; la sfida che Platone riservava ai sapienti aveva infatti il fascino irresistibile di accordare la mente umana all'immensità dell'universo. Con queste stesse pagine, la scienza della musica entrava stabilmente nell'evoluzione del pensiero filosofico.

I.3

Aristotele 1 . 3 . 1.

POLITICA VIII: LA FU:'\ZIONE EDUCATIVA E CATARTICA DELLA MUSICA

Il pensiero di Aristotele sulla musica non si distinse per particolare originalità, tanto che per lo Pseudo-Plutarco il filosofo di Stagira fu , rispetto alla musica, un seguace di Pitagora (Plutarco , 2ooo , pp. 75 -9 [2 3 ] ) ; ma alcuni aspetti del suo pensiero furono in realtà essenziali nella tarda Antichità per mettere a fuoco il rapporto fra la musica e la filosofia e per collocare la prima nel contesto dei saperi teoretici. Anche Aristotele, come Platone, distingue un'arte della musica da una teoria della musica , cioè tende a valutare su due piani diversi la competenza tecnico-pratica nell'arte dei suoni, in particolare nella ca­ pacità di suonare uno strumento musicale, e la dimensione speculati­ va implicata nella scienza armonica, il cui oggetto di indagine era l'organizzazione dello spazio sonoro in rapporti intervallari aritmeti­ camente determinati, secondo l'impostazione astratta di scuola pitago­ rica. In tal senso, non sembra che Aristotele abbia tenuto gran conto dell'indirizzo empirico della nuova " scuola " di Aristosseno, che fu suo allievo. Il pensiero aristotelico sulla collocazione dottrinale della scienza armonica ebbe rilevanza fin dalla tarda Antichità, perché svi­ luppato negli Analitici secondi, le cui tesi essenziali furono accessibili

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FILOSOFIA E MUSICA FINO ALLA T ARDA ANTICHITÀ

nel pensiero tardoantico , anche quello di tradizione pitagorico-plato­ nica, come ad esempio in Nicomaco. Al contrario, la musica come arte dei suoni è presa in esame da Aristotele nella Politica, libro VIII, che fu disponibile in Occidente solo nella tarda età medievale, grazie alla traduzione di Guglielmo di Moerbeke, del 1 2 6o-8o circa. Le que­ stioni sulla musica affrontate in questo contesto ebbero quindi rilievo solo nell'ultima fase della filosofia medievale. Oltre alla trattazione nella Politica, alcuni temi di rilevanza musicale sono parte dei cosid­ detti Problemi pseudoaristotelici, una serie di questioni filosofiche ed etiche di scuola peripatetica che circolarono in Occidente a partire dal XIV secolo sotto il nome di Aristotele. C'è poi un ulteriore ambito del pensiero del filosofo di Stagira che influì nella teorizzazione della musica , cioè lo studio fisico del suono, elaborato nel secondo libro del trattato L}anima. Quest'ultimo cominciò a circolare fra i latini solo a partire dalla metà del XII secolo, contestualmente agli altri scritti aristotelici di filosofia naturale e agli stessi Analitici secondi, e fu fondamentale unitamente a questi per determinare un nuovo in­ quadramento disciplinare della scienza della musica. Per quanto riguarda la pratica musicale, Aristotele ne giustifica la fruizione e l'utilità per il beneficio che può trarne l'uomo libero. L' at­ tività pratica di suonare uno strumento o cantare, in sé servile, è ac­ cettata nella Politica limitatamente al suo valore psicagogico, cioè come mezzo di godimento e di svago per l'anima. Questa attività ha quindi una sua valenza pedagogica, in quanto anche il riposo e il pas­ satempo necessitano di essere indirizzati eticamente: si deve pensare che la musica promuove in qualche modo la virtù, perché, come la ginnastica dà al corpo una certa qualità, così anche la musica è in grado di dare una certa qualità al carattere, in quanto abitua a poter godere i veri piaceri, oppure concorre in qualche modo alla ricreazione intellettuale e alla cultura dello spirito [. . . ] . Ma forse, si potrebbe pensare, lo studio della musica da parte dei ragazzi è in funzione del divertimento che potranno ave­ re una volta diventati uomini e pienamente sviluppati [ . . . ] . La prima ricerca è se non dobbiamo o dobbiamo includere la musica nell'educazione e qual è il suo valore tra i tre sui quali si sono mossi dubbi, se cioè vale come educa­ zione o come divertimento o come ricreazione intellettuale. È ragionevole ri­ portarla a tutt 'e tre e in verità pare che ne partecipi dawero (Aristotele, 1 996, pp. 270- 1 [VIII, 5 , 1 3 3 9a22 -b r 5 ] ) .

L a pratica della musica h a quindi un significato in età giovanile, in quanto introduce il giovane all'apprezzamento della musica stessa, così da renderlo capace, da adulto, di giudicare quest'arte, potendo godere appieno ed in modo opportuno del piacere che suscita nell'a-

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nima. La prospettiva è dunque diversa da quella proposta da Platone nel terzo libro della Repubblica, nel quale l'esercizio lecito della musi­ ca era finalizzato alla cura dell'anima col sanarne le disarmonie, cosa che solo determinati tipi di harmoniai potevano realizzare. Come per i pitagorici e per Platone, anche per Aristotele la musica è una medi­ cina dell'anima, ed esistono anche per lui differenti tipi di passioni che la musica suscita in forza della diversità di éthos, di " carattere " , abbinato a ogni specifico genere melodico e a ogni diverso tipo di ritmo, tuttavia la funzione psicagogica per Aristotele è individuale, non collettiva. Se la musica serve, è perché è utile al singolo uomo, non al bene dello Stato. Oltretutto, Aristotele riconosce anche al "volgo " , ai plebei, il diritto di svagarsi con la musica, e anzi reputa che proprio questa gente sia quella più portata ad apprezzare i modi musicali più devianti, proprio in forza della natura servile e incolta della loro anima. Aristotele procede quindi a una sorta di tripartizio­ ne della musica: quella adatta all'educazione dei giovani la chiama " etica " , mentre gli altri due generi, la " pratica " e !"' entusiastica " , ser­ vono a scopi ricreativi, per il riposo e per la " catarsi " . Con questo termine, egli intende riferirsi alla "musicoterapia " , cioè al modo in cui la musica placa gli animi esaltati, nervosi o impauriti. Questi canti e musiche liberatorie hanno nel pensiero aristotelico un valore positi­ vo , e non negativo come in Platone. Il principio su cui si fonda Ari­ stotele è infatti quello per cui il rimedio delle passioni dell'anima non consiste nel contrastarle, ma nel farle sfogare attraverso un mezzo ar­ tificiale che imita la stessa passione; e la musica, nei suoi diversi gene­ ri melodici e ritmici, ha tali capacità.

1 .3 . 2 . LA CLASSIFICAZIONE DELLE SCIENZE: ' ARMONICA MATEMATICA E ARMONICA SECONDO L UDITO Di tutt 'altro tenore rispetto alla " pratica " è l'inquadramento aristo­ telico della scienza armonica, che , come accennato, viene presa in esame non nei suoi specifici contenuti disciplinari, ma in relazione al posto che occupa nel contesto dei saperi scientifici e in rapporto alla filosofia. Contrariamente a Platone, che identifica la filosofia nella dialettica, scienza somma dell'essere rispetto alla quale le scienze matematiche sono preparatorie e propedeutiche (PAR. r . 2 . 1 ) , per Aristotele la filosofia è una scienza analoga a molte altre. La sua eminenza non deriva dal fatto che include in sé le altre scienze, ma dal fatto che si occupa dell' aspetto fondamentale e comune di tutta la realtà, cioè l'essere (Metafisica, VI) . Quanto a metodologia,

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infatti, la filosofia o filosofia prima, più nota con il nome di metafi­ sica, è identica alle altre. Le scienze sono quindi divise in ragione del loro oggetto di indagine , non del loro metodo di inquisizione. Nel sesto libro della Metafisica Aristotele distingue tre tipi di scien­ ze: 1 . le teoretiche, che si occupano delle sostanze ; 2 . le pratiche, che vertono sulle azioni dell'uomo; e 3 · le poietiche, che concerno­ no la produzione di oggetti . Affinché un corpo di conoscenze possa dirsi scientifico, per Aristotele è necessario che sottostia a determi­ nate condizioni, cioè che assuma a oggetto d'indagine un carattere o una particolarità delle cose , e che formuli dei principi generali o assiomi atti a distinguere la natura specifica dell'oggetto indagato. La scienza è per Aristotele sempre la ricerca delle cause, condotta attraverso la dimostrazione che parte da premesse vere per giungere a una conclusione prima sconosciuta, che rivela " un perché " , una causa. La verità e universalità della conclusione dipendono dalla va­ lidità del procedimento logico-deduttivo, la cui massima espressione è il sillogismo scientifico . Poiché il procedimento sillogistico garan­ tisce la verità delle scienze, il sistema conoscitivo aristotelico è logi­ co-ontologico, ovvero identifica le strutture e i caratteri essenziali delle realtà indagate nelle proposizioni valide che su di esse si for­ mulano. È il cosiddetto " postulato ontologico " , che caratterizza la teoria della scienza fino all'età di Ockham . Quanto alle cose che si possono indagare scientificamente nel­ l' ambito teoretico, Aristotele distingue due tipi di sostanze, quelle im­ mobili, che sono conosciute solo dall'intelligenza e non cadono sotto i sensi, e quelle mobili, che costituiscono il mondo fisico e cadono sotto la sensibilità. Le prime sono chiamate intelligibili e sono l' intel­ letto umano e le intelligenze motrici che tengono in movimento l'uni­ verso , entrambe " oggetti " della filosofia prima (che Aristotele chiama anche teologia) , mentre le seconde sono le sostanze sensibili e sono oggetto della scienza fisica, la quale comprende la filosofia naturale (scienza dei corpi inanimati) , la biologia (scienza dei corpi animati) e la psicologia (scienza dell'anima) . Accanto alla filosofia prima e alla fisica sta un'ulteriore disciplina teoretica, la matematica. Quest'ultima considera nei corpi naturali solo quei caratteri che si riducono a quantità, e rispetto alle altre due occupa quindi una posizione parti­ colare: Infatti la fisica si occupa di enti che esistono separatamente ma non sono immobili, e dal canto suo la matematica si occupa di enti che sono sì immo­ bili, ma che forse non esistono separatamente e sono come presenti in una

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materia, invece la scienza prima si occupa di cose che esistono separatamente e che sono immobili (Aristotele, r 988b, p. 1 7 5 [VI, ro26ar 2 - r 6] ).

La quantità, ribadisce Aristotele, non è una sostanza, ma una caratte­ ristica della sostanza. Ora, avendo stabilito che la scienza teoretica si occupa di sostanze, risulta necessario capire in che senso possa esser­ ci scienza della quantità. Aristotele torna sul problema nel libro XIII della Metafisica con una complessa argomentazione, che continua nel libro XIV adducendo ragioni contro la teoria platonica del numero matematico quale entità intermedia fra numero reale e ideale. Nel li­ bro XIII Aristotele sottolinea l'esistenza di enti matematici caratteriz­ zati dalla sola " quantità " , ma specifica che questi enti non sono so­ stanze, ma " stanno " nelle sostanze sensibili pur essendo concepibili come " separati " o " astratti " . Questo ragionamento tocca da vicino anche la scienza armonica, in quanto Aristotele ribadisce che il suo oggetto di indagine, non identificandosi con il suono in senso genera­ le (che è infatti oggetto della scienza fisica) è tuttavia "inerente" al suono ( xni , 2, 1 077a i - I 9 ) . Gli enti matematici esistono quindi «in un determinato senso» , e non in senso assoluto. Essendo enti «secondo la nozione», sono oggetto di scienza, anzi, della forma più perfetta di scienza: così vi saranno proposizioni e scienze che studiano gli oggetti mobili, non considerandoli, però, in quanto mobili, ma soltanto in quanto corpi, e con si­ derando a loro volta i corpi solamente in quanto superfici o solamente in quanto linee, oppure in quanto divisibili o in quanto indivisibili ma occu­ panti una posizione, o semplicemente in quanto indivisibili [ . . . ] . Lo stesso ragionamento va esteso anche all'armonica e all'ottica, giacché nessuna di queste due scienze si occupa di oggetti in quanto questi siano visione o suo­ no, ma in quanto sono linee o numeri (quantunque le linee e i numeri siano particolari affezioni della visione o del suono) [ . . . ] . Ogni tipo particolare di indagine verrebbe condotto nel migliore dei modi, se si ponesse come sepa­ rato quello che non è separato, come fanno, appunto, l'aritmetico e il geo­ metra (ivi, pp. 3 80-2 [XIII, 3 , ro77b27- I 078a2 3 ] ) .

I l valore delle scienze matematiche, fra cui l' armonica, è quindi som­ mo se riferito alle proprietà dell'ente matematico considerato separa­ tamente, non se verte sulla quantità implicata nell'ente naturale. A questo proposito, Aristotele ribadisce anche che l'indagine matemati­ ca non è puramente speculativa, ma è etica ed estetica, cioè volta allo studio del bene e del bello, che essa valuta negli effetti e nei rapporti logici delle quantità. Infatti

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sono in errore quanti vanno dicendo che le scienze matematiche non tratta­ no affatto né di ciò che è bello, né di ciò che è buono. Queste scienze, in realtà, ne parlano e ne discutono nel modo migliore. Anche se esse non no­ minano apertamente il bene e il bello, ma si limitano ad indicarne gli effetti e i logici rapporti, ciò non vuoi dire che non se ne occupino. Le più alte forme del bello sono l'ordine e la simmetria e il definito, e queste cose sono messe sommamente in rilievo dalle scienze matematiche. E poiché queste forme (vale a dire l'ordine e il definito) si manifestano chiaramente come produttrici di molti effetti, è ovvio che i matematici devono considerare, in un certo qual modo, come causa anche quella di cui stiamo parlando, ossia il bello. Ma di questo argomento tratteremo più diffusamente altrove (ivi, pp. 3 82-3 [ I 078a3 1 - I 078b5 ] ) .

Purtroppo non ci è giunta l a trattazione matematica del bello e del buono progettata da Aristotele, ma ulteriori specificazioni sul modo di operare delle scienze matematiche e su come esse rivelino le cause dei loro oggetti sono invece presenti negli Analitici secondi (I , 2 4 , 85 b 1 8 - 8 6a5 ) , che vertono sulla teoria della scienza. Aristote ­ le riconosce infatti alle matematiche il carattere scientifico in senso più proprio, perché gli assiomi e le definizioni su cui queste scien­ ze fondano le conclusioni sono assolutamente primi e certi . Ora, il punto essenziale sviluppato da Aristotele è che gli assiomi o propo ­ sizioni universali sono colti attraverso induzione, cioè a partire dal­ la sensazione . Come infatti abbiamo visto, gli enti matematici non esistono separati dalle cose sensibili, ma sono " astratti " dalla mente al momento in cui l'oggetto è considerato solo rispetto alla quanti­ tà. In tal modo , gli enti matematici sono l'oggetto peculiare delle dimostrazioni universali, di quelle " del perché " (o propter quid, come diranno i latini) , e dunque sono «oggetti universali» della scienza (ivi, 86a5 - 1 o) . Ricapitolando: non esiste scienza se non attraverso la dimostrazio­ ne sillogistica che parte da premesse indimostrabili. Le premesse si fondano sull'esperienza e sono di per sé evidenti e certe. Gli assiomi matematici sono certissimi, poiché l'ente matematico comprende una sola qualità degli enti sensibili, la quantità, pensata come separata, dunque applicabile indistintamente a tutte le cose sensibili dello stes­ so genere. Ecco quindi che anche la scienza armonica v erte sull'ente matematico, pur occupandosi di una realtà fisica, il suono, la cui quantità è concepita come se fosse astratta dalla materia. Ma nel caso della scienza armonica, così come dell'astronomia, la stessa quantità può essere studiata anche per come effettivamente è nei corpi natura­ li . Dunque, vi sono due tipi di scienza armonica, quella secondo l'u­ dito e quella secondo la matematica:

FILOSOFIA DELLA MUSICA

Alcune di queste scienze, poi, sono per così dire sinonime. Ad esempio [ . . ] si dà il nome di teoria della musica tanto ad una certa scienza mate­ matica quanto ad una certa scienza fondata sull'udito. In realtà, in tutti questi casi il sapere che un qualcosa è spetta agli osservatori di quanto cade sotto i sensi, mentre il sapere perché qualcosa è spetta ai matematici. Questi ultimi possiedono infatti le dimostrazioni delle cause, e spesso non sanno che un qualcosa sussiste, così come awiene a coloro che considera­ no l'oggetto universale, e sovente non conoscono, per mancanza di osser­ vazione diretta, alcuni degli oggetti singoli (Aristotele, 1 988a, p. 292 [I, r 3 , 78b40-79a6] ) . .

Il sapere matematico universale, dunque, non serve alla conoscenza delle cose sensibili, ma alla conoscenza delle cause. Per accedere alla conoscenza degli oggetti sensibili è necessario inoltrarsi in quelle scienze che studiano il " come " e il " che cosa " . Tali scienze, che come le matematiche sono logico-deduttive, spesso assumono come postula­ ti di partenza le conclusioni di quelle. Perciò, la scienza della musica può avvalersi di dimostrazioni aritmetiche assumendole come princi­ pi, dai quali procedere per via dimostrativa giungendo a conclusioni proprie della musica, e non della matematica (I, 7, 75 b 1 5 - r 6) . Ciò implica una sorta di subordinazione fra le scienze, dalle matematiche " pure " della causa a quelle " applicate " , che vertono sulle sostanze sensibili. Ma Aristotele allarga la concezione della scienza anche a un tipo di sapere che non è meramente speculativo. Nell'Etica introduce l'i­ dea di una scienza pratica, cioè volta all 'azione, e di una scienza poietica , volta alla produzione, entrambe centrate su oggetti di in ­ dagine la cui natura è contingente . Questa riflessione consentirà, al­ l'indomani dell'ingresso di Aristotele nell'Occidente latino, di svi ­ luppare una feconda riflessione sulle finalità del sapere . Applican­ dosi alle condizioni dell'agire e alle funzioni del produrre umano, la conoscenza troverà il suo fine nel fare e nell'operare concreti, indi­ rizzati al bene e al bello. A partire dal XIII secolo, l'introduzione del concetto di " arte " come pensiero che guida a un fine attraverso la realizzazione di un prodotto sarà approfondita nella riflessione sul­ l'arte della musica, che acquisirà una sfumatura di significato nuova rispetto alla concezione di " arte liberale " . L' arte musicale non sarà mero sinonimo di scienza armonico-matematica , ma si estenderà ad includere un " abito " (habitus) , una disposizione, dell'anima a c com ­ pagnata da ragionamento vero che dirige il produrre (Etica, VI , 4 , I 1 40a i - 2 3 ) .

I.

FILOSOFIA E MUSICA FINO ALLA T ARDA ANTICHITÀ ' I . 3. 3 . L ACUSTICA ARISTOTELICA E I PROBLEMI: IL SUONO COME MOVIME:\'TO ORDINATO

La teoria della musica tocca nel sistema aristotelico anche la riflessio­ ne sul suono , che, oggetto della sensibilità, rientra nell'ambito di inte­ resse della scienza fisica. Essendo prodotto dal movimento, esso viene trattato nel contesto delle scienze naturali, che considerano gli enti in movimento. Aristotele ne parla nel secondo libro del trattato L'ani­ ma, capitolo 8 , unendo l'approfondimento sul suono a quello sull'u­ dito . L'aspetto di maggior rilievo che emerge da questo testo è la funzione dell'aria, la quale deve muoversi " in massa " in modo com­ patto e senza dispersione per poter trasmettere il suono, prodotto dall'urto violento di due corpi solidi «l'uno contro l'altro e contro l'aria» (vrn , 4 1 9b2 o) . Il suono è quindi un tipo di movimento conti­ nuo dell'aria, cioè è una sua qualità transeunte, mentre la voce è il suono degli esseri animati. La differenza fra acuto e grave nella voce è ricondotta da Aristotele a una distinzione di sensazione uditiva, data dalla rapidità o lentezza del movimento dell'aria. L'acustica, dunque, si riduce a osservazioni abbastanza generiche, tuttavia Ari­ stotele pone, almeno in linea di principio, un postulato di un certo interesse relativo alla definizione qualitativa del suono. Nel trattato Il senso e i sensibili ( 3 , 439b r 9 -44oa2 7 ) , parlando delle gradazioni delle qualità, egli specifica che i rapporti esprimibili attraverso numeri sem­ plici contigui, ad esempio 3 a 2 o 4 a 3 , sono quelli che risultano più gradevoli alla sensazione; ciò avviene tanto nei colori (intesi come gradazioni di proporzione fra presenza del bianco e del nero) quanto negli accordi dei suoni. Il fatto che alcuni suoni siano più gradevoli di altri risulterebbe quindi dalla loro definibilità in termini di rappor­ ti numerici semplici, come risulta dal principio pitagorico delle con­ sonanze, ma ciò non esclude in via di ipotesi che molti suoni, così come molti colori, possano essere espressi anche da rapporti non de­ finibili numericamente. La differenza starà nella loro minore " purez­ za " , empiricamente traducibile in minore gradevolezza. Un'ulteriore annotazione sul suono la troviamo infine nello scritto Il cielo, libro n, capitolo 9, dove Aristotele confuta la tesi dei pitago­ rici per cui il cielo risuona armonicamente. Pur sostenendo che la struttura del cielo è armonica, Aristotele nega che i corpi celesti pos­ sano generare suono, in quanto essi si muovono insieme alle loro sfe­ re, mentre per produrre il suono è necessario che un corpo si muova in un mezzo in quiete. Così, come una nave che si muove trascinata dalla corrente non fa rumore, ugualmente i corpi celesti trasportati dalle loro sfere sono silenziosi. Al momento della riscoperta della @o33

FILOSOFIA DELLA MUSICA

sofia naturale aristotelica, questi temi entreranno nella discussione sulle questioni di acustica, che, pur estranee alla matematica della musica , prenderanno sempre più spazio nella teoria musicale, una volta riconosciuto, con Aristotele, che l'oggetto "primo " di questa di­ sciplina è appunto il suono, del quale solo per astrazione si considera la proprietà quantitativa. La tendenza all'indagine empirica sulla musica si accentua nei Problemi attribuiti ad Aristotele, una raccolta di questioni relative alla filosofia naturale che avrà notevole diffusione agli inizi del XIV secolo , grazie al commento che ne fece Pietro d 'Abano nel 1 3 03 - r o. Alcune delle questioni affrontate nei Problemi sono da attribuirsi ad Aristote­ le , mentre altre provengono dalla sua scuola, ma comunque tutte, pur nella varietà dei temi trattati, tendono a conformarsi agli insegnamen­ ti dello Stagirita, dunque possono considerarsi, se non la sua, tuttavia una sorta di prosecuzione della sua dottrina. Anche nel caso della musica i Problemi tendono a confermare le idee aristoteliche, approfondendone la dottrina sia in ambito fisico che in relazione all' éthos musicale. In particolare, alcuni problemi si occupano di questioni che articolano in maniera più puntuale pro ­ prio l' approccio empirico alla musica, precisando anzitutto il modo in cui il movimento sonoro ha un rapporto di somiglianza con le qualità morali, tema che lo stesso Boezio porrà in apertura del suo trattato sulla musica (PAR. 2 .4 . 2 ) . Avendo definito il suono un pro­ dotto del movimento , i Problemi chiariscono perché i suoni sola­ mente, composti da una componente ritmica e una melodica, e non gli altri sensibili, siano provvisti di éthos: ritmi e melodie hanno in­ fatti rapporti di somiglianza con le qualità morali, in quanto suoni e azioni sono entrambi movimenti. È il movimento la chiave di acces­ so alle qualità morali dei suoni, non perché i moti dell' anima deb ­ bano essere ricondotti ai moti perfetti dell'universo, come in Plato­ ne, ma perché l'azione umana, così come il suono, altro non è che movimento. Ogni movimento prodotto dall'uomo, sia nel compiere le sue azioni che nel produrre il suono, è quindi implicitamente morale, essendo la moralità una proprietà caratteristica dell'uomo soltanto. L'uomo infatti si muove e muove le cose imprimendo una regolarità e una misura al movimento prodotto, e perciò ogni movi­ mento che si accorda nella proporzione e che si ordina nelle sue parti è conforme alla natura. In questa conformità consiste il piace­ re naturale (Aristotele, 2 002 , p . 2 89 [xix, 3 8 ] ) . Nella tradizione ari­ stotelica la matematica dei suoni non è negata, anzi, è proprio in forza della quantità implicata nel movimento che si giustifica l'inda­ gine scientifica in ambito musicale e anche l'indagine " etica " sulla 34

I.

FILOSOFIA E MUSICA FINO ALLA T ARDA ANTICHITÀ

musica, come confermano i Problemi. Ma, pur rimanendo valido questo principio , ciò che interessa veramente al musico non è spe­ culare sulle cause, come un matematico , quanto invece investigare il " come " e il " cosa " : il suo peculiare campo d'azione è in definitiva la scienza armonica "secondo l'udito " .

1 .4

La tradizione neopitagorica e Nicomaco di Gerasa 1 .4- 1 .

MATEMATICA DEL SUONO:

LA MUSICA COME SCIENTIA DE NUMERO RELATO

La manualistica musicale tardoantica che interpreta la musica come scienza il cui oggetto di studio è la misura aritmetica del suono si rifà, come abbiamo visto, all'antica tradizione pitagorica, in larga par­ te accolta e divulgata negli scritti di Platone, in particolare nel Timeo, e abbracciata nelle successive correnti del neopitagorismo, del medio­ platonismo (cioè il platonismo affermatosi dal I sec. a.C . al II d.C.) e, infine, del neoplatonismo. Un autorevole rappresentante del neopita­ gorismo fu Nicomaco di Gerasa, matematico vissuto fra il I e il II secolo d.C . , noto alla latinità medievale grazie soprattutto a Boezio , che utilizzò i suoi scritti nel De institutione arithmetica e nel De insti­ tutione musica. Oltre alle dottrine esposte da Nicomaco, gli autori la­ tini del tardo ellenismo ricavarono una sintesi dell'inquadramento matematico della musica anche in scritti di contenuto eclettico, come il dialogo De musica dello Pseudo-Plutarco e il De die natali di Cen­ sorino (entrambi del III sec . d.C . ) , nei quali sono raccolte numerose notizie sulla musica riferite ai pensatori greci antichi, da Pitagora ad Aristosseno, da Platone a Tolomeo. Quello che Nicomaco e i manuali d 'età ellenistica presentano è un inquadramento pitagorico e platoni­ co della disciplina musicale, che prelude a una trattazione della bar­ monica, cioè di quella branca della teoria musicale che verte sulla mi­ surazione degli intervalli. Nicomaco si basa sull'idea pitagorica che la realtà è conoscibile scientificamente grazie alla sua struttura armonica, fondata sul nume­ ro , inteso come proprietà oggettiva del cosmo ( cfr. anche PAR. r .2 . r ) . Partendo da tale presupposto filosofico, ne consegue che l'aritmetica, scienza del numero considerato per se stesso, è implicata da tutte le altre scienze matematiche, cioè la musica, la geometria e l' astronomia, ma non ne implica alcuna. Così Nicomaco, nella sua Introduzione al­ l'aritmetica, illustra il rapporto fra aritmetica e musica: 35

FILOSOFIA DELLA MUSICA

Poiché il quanto è considerato sia in vista di se stesso senza alcuna relazione con un altro, per esempio pari, dispari, perfetto, e simili, sia relativamente a un altro che esiste già ed è concepito in relazione ad esso, per esempio dop­ pio di, più grande di, più piccolo di, metà di, una volta e mezzo di, una volta e un terzo di, e simili, è evidente che due metodi conoscitivi si occupe­ ranno ed esamineranno partitamente tutto quanto riguarda l'investigazione del quanto: l'aritmetica per il quanto preso in se stesso, la musica per il quanto in relazione ad altro [. . . ] . Non soltanto ciò che è in sé è generato prima di ciò che è relativo ad altro, come grande è anteriore a più grande che, ricco a più ricco che, uomo a padre, ma anche le consonanze musicali, quarta, quinta, ottava, sono denominate secondo il numero. Similmente an­ che i rapporti armonici sono totalmente numerici: la quarta è epitrita, la quinta emiola, l'ottava doppia (Nicomaco, r 866, pp. 5 -6 [r, 3 , r ] ; trad. in Stabile, 2oo r , p. r4).

La coppia aritmetica-musica definisce le discipline del " quanto " , cioè del " discreto " o moltitudine, mentre l a coppia geometria-astro­ nomia ( ambedue implicate dall'aritmetica) quelle del " quanto gran­ de " , cioè del " continuo " o magnitudine . Tale distinzione nelle disci­ pline matematiche o méthodoi, come le definisce Nicomaco, traccia un percorso conoscitivo che, nella successione data, costituisce il ti­ pico curriculum " pitagorico " negli studi quadriviali. Questa succes­ sione, che sarà ripresa da Boezio nella sua classificazione delle quat­ tro discipline del quadrivium, comportò un particolare inquadra­ mento del concetto di "movimento misurato " nella definizione della musica. Come già accennato, la musica come disciplina del movi­ mento (del corretto muovere la voce) è ben presente nell'Antichità e permase nel Medioevo. Nella tradizione pitagorica, però, la musi­ ca è concepita come disciplina della relazione; ora, occorre ribadire che anche in questa tradizione non viene mai meno la riconduzione del principio di relazione a quello di movimento, soprattutto quan­ do si passa dal piano delle definizioni a quello dell'analisi . Nella manualistica musicale greca di orientamento pitagorico-platonico si vedano ad esempio i manuali tradotti da Zanoncelli ( 1 990) - la discussione sul tipo di moto implicato dalla voce e/o dallo strumen ­ to musicale nell'emissione sonora costituisce sempre l'argomento d 'avvio dello studio della scienza armonica, come sarà anche in Boezio . Dov'è dunque, se c'è, lo iato fra la scientia de numero relato ad aliud e la scientia bene movendi? Per mettere a fuoco il problema riferiamoci al Manuale di armoni­ ca di Nicomaco (Zanoncelli, 1 990, p . 1 45 [2] ) , dove si afferma che i pitagorici erano soliti classificare la voce umana in due specie, conti­ nua e discontinua (diastematica) . Mentre la prima specie è tipica del

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FILOSOFIA E MUSICA FINO ALLA T ARDA ANTICHITÀ

parlato , la seconda concerne l'intonazione musicale. La voce diaste­ matica si sofferma infatti su ciascuna nota , facendo sentire la variazio­ ne in altezza verificatasi di volta in volta, in modo che la linea melo­ dica risultante sembri un'addizione di suoni, accostati l'uno all' altro , separabili e facilmente identificabili. La voce diastematica rivela quin­ di l'altezza di ciascun suono. Ciò premesso, risulta naturale per Nico­ maco partire dal suono per arrivare a definire le modalità delle sue aggregazioni nel canto. Causa naturale del suono musicale è il movi­ mento, poiché, come Nicomaco sottolinea , esso è prodotto da un cor­ po che si muove in un mezzo elastico. Le variazioni di movimento provocate da alterazioni nella velocità del corpo sono la causa che determina una differente altezza del suono, e tali variazioni sono di­ pendenti dalla quantità. Questa teoria acustica ha la sua origine nella scuola aristotelica (PAR. 1 . 3 . 3 ) , ma, differentemente da quella, Nico­ maco mette in rilievo come la natura del movimento musicale sia di tipo aritmetico , cioè determinata dalla relazione fra due discreti. Ogni suono musicalmente accettabile corrisponde infatti a un valore pro­ porzionale distinto e quantificabile rispetto al suono di valore unita­ rio, espresso dal rapporto I: I (l'unisono, o assenza di intervallo) . Se dunque la natura fisica del fenomeno acustico include l'indetermina­ tezza propria di ogni corpo che si muove - così come di ogni effetto di tale movimento, qual è il suono - la natura matematica della musi­ ca la esclude a priori. Se la relazione fra due suoni non è esprimibile in un rapporto proporzionale, non si ha un intervallo musicale. La musica è allora, in tale prospettiva, «la scienza di relazioni quantitati­ ve riguardanti il movimento della voce» (ivi , p. I 84 ) .

1 -4.2.

FISICA DEL SUONO E SCIE:\'ZA ARMONICA: PITAGORA E I MARTELLI DEL FABBRO

La concezione della musica come movimento, da quanto è stato d eli­ neato, è ben presente anche nella tradizione pitagorica e nel p la toni­ smo, che intesero il "movimento ben proporzionato " quale rapporto matematico espresso da suoni di altezza diversa. Non a caso, il se­ condo capitolo del Manuale di armonica, nel quale Nicomaco intro­ duce la fisica del suono, si apre con una considerazione sull'armonia cosmica platonica, considerata il fondamento e l'origine delle note musicali e di ogni armonia terrena, quest'ultima non essendo altro che l'immagine imperfetta della perfetta eufonia astrale. Segue, nel capitolo successivo, una valutazione di come il numero metta ordine nel mondo dei suoni prodotti dagli strumenti musicali. Qui, Nicoma37

FILOSOFIA DELLA MUSICA

co opera una netta frattura fra la scienza acustica, intesa come studio del suono, e la scienza armonica, relativa alle altezze. Egli sottolinea che i suoni sono determinati dai rapporti stabiliti in base alla gran­ dezza del corpo in movimento, alla sua velocità e alla fluidità del mezzo di trasmissione, ma nel riferire l'aneddoto di come Pitagora scoprì i rapporti matematici delle consonanze musicali (dunque di come fondò la scienza armonica) , emerge che solo i parametri intera­ mente quantificabili sono determinanti nella generazione, e in conse­ guenza nello studio, degli intervalli musicali. La chiave di volta della scoperta pitagorica è il peso, unica proprietà fisica dei martelli a esse­ re determinata attraverso il numero: La tradizione dice che Pitagora ha scoperto la quantlta numericamente espressa dagli intervalli di quarta, quinta e ottava, che è la loro unione, nonché il tono disposto tra i due tetracordi, e che la scoperta sia avvenuta così. Un giorno, mentre fissava il suo pensiero sulla possibilità di trovare un qualche mezzo strumentale che soccorresse l'udito, sicuro e inoppugna­ bile, come quelli di cui con il compasso, il regolo o anche la diottra di­ spone la vista [ . . . ] , passò accanto a una fucina e, per un caso del destino, udì martelli che battevano il ferro sull'incudine producendo insieme suoni pienamente consonanti fra loro, ad eccezione di due. Riconobbe tra di essi le consonanze di ottava, quinta e quarta; capì che l'intervallo tra quinta e quarta, in sé dissonante, era parte integrante del maggiore dei due [cioè: la differenza, o distanza, fra quinta e quarta, intervalli consonanti, è l'interval­ lo di tono, in sé dissonante] . Felice quasi un dio lo avesse guidato nella sua ricerca, entrò di corsa nella fucina e con esperimenti diversi scoprì che la differenza fra i suoni dipendeva non dalla forma dei martelli, né dalla forza di chi li vibrava o dalla deformazione del ferro percosso, ma dalla loro mole; rilevati accuratamente pesi e contrappesi esattamente uguali a quelli dei martelli, tornò a casa. Qui [ . . . ] appese quattro corde uguali per materiale, numero di capi, spessore e torsione e poi attaccò un peso alla loro estremità inferiore. Colpì quindi le corde [ . . . ] ritrovando le suddette consonanze [ . . . ] estese l'esperimento a vari strumenti musicali [ . . . ] e sem­ pre gli si ripropose uguale e senza eccezioni ciò che la sua mente guidata dal numero aveva saldamente afferrato. Definendo ipate il suono corri­ spondente al valore di 6, mese quello di 8, in rapporto sesquiterzo, para­ mese quello di 9, un tono sopra la mese e perciò in rapporto sesquiottavo, n et e quello di r 2, integrò gli intervalli mancanti del genere diatonico con suoni risultati da proporzioni, subordinando l'ottacordo ai valori numerici consonanti: doppio, sesquialtero, sesquiterzo, e alla loro differenza, il se­ squiottavo (Zanoncelli, 1 990, pp. 1 57 - 9 [vi , 248] ) .

L o scopo finale a cui mira il racconto della " scoperta" della natura numerica della musica è rivelato poco oltre nel testo , quando Nico -

I.

FILOSOFIA E MUSICA FINO ALLA T ARDA ANTICHITÀ

ma co propone un'esegesi dei passaggi del Timeo platonico relativi alla genesi dell' anima del mondo per via di divisione matematica . Il testo è infatti inquadrato ed esplicitato nella sua valenza musicale. Se il Timeo aveva sottaciuto , come abbiamo visto, la corrispondenza fra la teoria armonica e l'armonia cosmica, proprio per affermare la netta distanza fra il mondo naturale e quello celeste, la tradizione pitagorico-platonica farà di questa corrispondenza il suo cavallo di battaglia. La mente guidata dal numero «afferra con certezza», dice Nicomaco nel testo sopra riportato, la natura delle strutture musica­ li, in quanto nella loro forma più compiuta tali strutture sono copia conforme dell'armonia cosmica. La prospettiva è quella di una ri­ conduzione del concetto di " armonia " , che il pitagorismo originario intendeva come composizione di contrari, a quello tecnico di pro­ porzione, e nella fattispecie a quelle proporzioni armoniche che de­ finiscono la compagine unitaria e omogenea del cosmo. In tale con­ testo, è evidente l'importanza attribuita al tema dell'armonia delle sfere. Come giustamente osservato da Luisa Zanoncelli, nel neopita­ gorismo «si avvertiva la necessità di dimostrare con cura il processo induttivo dai suoni concreti al suono astratto , stabile oggetto del sa­ pere; e si doveva, per converso , indicare la strada opposta nel lega­ me di partecipazione-imitazione fra le note dell'ottava e la inudibile musica degli astri» (ivi, p. 1 6 ) . Il valore euristico della scienza ar­ monica è dunque approfondito, poiché l'esatta comprensione del­ l' armonia musicale è concreta stra da di accesso alla profondità del­ l'universo e delle sue ragioni, cioè alla filosofia. Nicomaco, in so­ stanza , allarga le maglie delle possibilità offerte dalle scienze mate­ matiche per l' accesso alla filosofia. Se la sua concezione del mondo resta quella di un platonico, la sua idea della scienza si fonda inve­ ce, in ultima istanza, sull'aristotelismo (PAR. 1 . 3 .2 ) , una duplice im ­ postazione che sarà determinante anche nella concezione medievale della disciplina musicale, e nei suoi rapporti con la filosofia.

I.5

Calcidio e il commento al Timeo: la musica come disciplina artificialis 1 .5 . 1 .

TECNICA E ARTIFICIOSA RATIO

La @osofìa medioplatonica sviluppò un interesse particolare per il Ti­ meo di Platone, che si manifestò nella messa a punto di commentari specialistici, volti a discutere sezioni o problemi specifici sollevati dal 39

FILOSOFIA DELLA MUSICA

testo. Fra questi è possibile collocare anche il commentario di Calci­ dio, autore cristiano la cui biografia è tuttora oscura, ma che sembra essere vissuto entro la fine del IV secolo, dunque in un'età in cui il medioplatonismo si estingueva, sotto la spinta della nuova visione fi­ losofica neoplatonica, legata ai nomi di Plotino e Porfirio. Il nostro interesse per questo commentario è dato dal fatto che l'autore accom­ pagnò la sua esegesi con una parziale traduzione latina del Timeo, che, unitamente al commentario, fu l'unico testo di Platone conosciu­ to nel Medioevo. Il commento calcidiano ebbe una notevole diffusio­ ne in età carolingia e presso gli autori della scuola di Chartres, nel XII secolo ; la più recente storiografia si sta interrogando ancora sui modi di trasmissione di quest'opera e sulla sua effettiva fortuna in età me­ dievale, ma, !imitandoci alla sola dottrina armonica, è innegabile che questo testo ebbe un ruolo significativo nell'inquadrare matematica­ mente il problema della musica cosmica (Meyer, 2003 ) , nella teorizza­ zione delle prime forme di polifonia nel x secolo, nella classificazione delle consonanze e, infine, nel contesto della matematica musicale ad­ dirittura nell'età dell'Ars nova (Meyer, Wicker, 2ooo). La traduzione e il commento di Calcidio sono parziali. Il testo del Timeo si interrompe a 5 3 c r , mentre il commento concerne solo le sezioni 3 r c-5 3 c . Il tutto è preceduto da una lettera prefatoria dello stesso Calcidio, che illustra apertamente lo scopo della sua impresa. L'autore afferma che il Timeo è un 'opera oscura, non per esposizio­ ne, ma perché le sue argomentazioni si fondano su un ragionamento tecnico (artificiosa ratio) , per cui ogni questione ivi presente può esse­ re affrontata e capita dal lettore solo appoggiandosi a specifiche disci­ pline specialistiche: Ora, in rapporto a quest'opera [il Timeo] , in cui si tratta del modo di essere della realtà universale, del principio causale e del fine di tutto ciò che l'uni­ verso racchiude in sé è stato inevitabile che sorgessero varie controversie [ . . . ] . In una situazione di questo genere era necessario ricorrere ad ogni con­ tributo chiarificatore di natura tecnica che potesse essere fornito da disci­ pline di rigorosa scientificità, quali l'aritmetica, l'astronomia, la geometria e la musica, affinché ogni singolo tema potesse essere compiutamente esplicato per mezzo di argomentazioni coerenti ed omogenee alla sua natura. Da ciò derivava l'assoluta impossibilità di una qualche comprensione dei contenuti da parte di coloro che non possedevano una competenza tecnica specifica in tali discipline, proprio come chi non conosce una lingua straniera ( Calcidio, 2003 , pp. 1 1 3 -5 [r, 2 ] ) .

È inevitabile riconoscere nelle discipline matematiche quadriviali le protagoniste dell'esposizione di Calcidio: il suo occhio indagato re si

I.

FILOSOFIA E MUSICA FINO ALLA T ARDA ANTICHITÀ

posa infatti su quei passaggi del testo platonico che sono interpreta bi­ li solo alla luce della matematica, ed è facile verificare come tutte le questioni messe a fuoco siano riconducibili al tema fondamentale del­ l' opera, annunziato nella lettera prefatoria: la giustizia che governa l'universo per volontà e disposizione divina, e che si riflette tanto nel­ l' ordine del mondo, quanto in quello delle istituzioni umane. Nell'ordine dei temi trattati, la modulatio sive harmonia occupa il terzo posto, preceduta r . dalla nascita del mondo e 2 . dalla creazione dell'anima, successione che rispetta la trattazione platonica. La spie­ gazione di come il Demiurgo opera nella divisione dell'anima, se­ guendo le serie geometriche doppia e tripla (cfr. PAR. r .2 . 2 ) , non pre­ senta considerazioni originali, salvo la necessità stessa di ricondurre subito la discussione matematico-proporzionale degli intervalli ai principi della disciplina musicale. Insomma, applicando quanto affer­ mato nel proemio, Calcidio rende palese che solo la musica , disci­ plina tecnica, consente di fare chiarezza sulle oscure operazioni de­ miurgiche. Nel commentario, perciò , si prospetta un'inedita funzione della disciplina musicale: alle tecniche o artificiosae rationes della scienza armonica è attribuita una valenza conoscitiva che va al di là del sapere musicale, in quanto introduce alla comprensione filosofica del reale. Al tempo di Calcidio, la teoria musicale comprendeva un corpus di saperi ampio, variegato e autonomo dal contesto filosofico e speculativo, anche se continuava a farvi costante riferimento. Abbia­ mo visto, ad esempio , che il Manuale di armonica di Nicomaco inse­ risce il tema timaico dell'armonia cosmica all'interno della trattazio­ ne musicale (PAR. r .4.2 ) , come accade in molta altra trattatistica tar­ doantica, per dare un fondamento filosofico inoppugnabile alla teo­ ria armonica. Ora, il commentario di Calcidio al Timeo compie l'o­ perazione inversa: Calcidio " spiega" le oscurità di Platone attraverso la téchne disciplinare, ritenuta una strada esegetica autonoma e vali­ da per comprendere la struttura armonica del cosmo . L'impiego dei saperi musicali, così come degli altri saperi matematici, si accompa­ gna quindi in Calcidio all'adesione al principio gnoseologico dell'ari­ stotelismo (PAR. 1 . 3 . 2 ) , che pone le discipline della quantità come la forma più rigorosa di scienza. Così, se l'unica modalità utilizzabile da Platone per parlare coerentemente della natura - poiché nel suo sistema parlarne scientificamente non è possibile è quella del mito verosimile, questo stesso mito è ormai divenuto un racconto inintelli­ gibile e oscuro, un sermo alienigenus, come dice Calcidio, che solo chi conosce il linguaggio disciplinare può decifrare. Due sono le principali questioni affrontate da Calcidio nella sua esegesi della co -

FILOSOFIA DELLA MUSICA

struzione armonica del cosmo : I . la rappresentazione musicale delle divisioni proporzionali dell'anima e 2 . la relazione fra strutture musi­ cali e linguistiche. Vediamone in sintesi i contenuti. 1.5.2.

LA SCALA DEI SUO:\'! E L ' AFFINITÀ FRA NUMERI, CANTO E LINGUAGGIO

Le tappe che corrispondono alla strutturazione proporzionale dell'a­ nima del mondo (PAR. 1 . 2 .2 ) vengono spiegate da Calcidio in una se­ zione specifica del testo, dedicata all'harmonùz musicale (Calcidio, 2 003 , pp. I 87-97 [n, 40-45 ] ) . Nei codici medievali, a partire dal x secolo, la spiegazione è accompagnata anche da alcuni diagrammi esplicativi a forma di lambda. Il primo propone una semplice rap­ presentazione delle due serie delle prime potenze del 2 e del 3 nelle quali il Demiurgo divide l'anima: 3

2 8

4

9

Il secondo diagramma raffigura invece una nuova sequenza numerica, individuata da Calcidio moltiplicando gli stessi numeri per 6, cifra che esprime una particolare perfezione aritmetica nel pensiero pitago­ rico, in quanto equivale alla somma dei suoi divisori ( I , 2 e 3 ) . C alci­ dio spiega come usare la nuova sequenza per rappresentare con nu­ meri interi le medietà proporzionali fra le due serie, medietà necessa­ rie per trovare gli intervalli musicali indicati da Platone. Ad esempio, l'ottava ( 6 : I 2) è suddivisa in quarta + quinta ( 6 : 8 : I 2 ) , in quinta + quarta (6 : 9 : I 2 ) e in quarta + tono + quarta (6 : 8 : 9 : I 2 ) . Ecco uno schema del diagramma: 6

8 - -- - - - --9

9------------ I 2

I2 -- - - - ----------- I8

I 6 - -- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -2 7

I 8 -- -- - - - - - - - - - - - - - - - - - -- - - - - - -- - -3 6

2 4 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - --54

32 --------------------------------------------8 I

3 6 -- - -- - ------- - -- - ---- - -- - - ------ - ------- - -- - ---- I o 8

4 8 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - I 62

I . FILOSOFIA E MUSICA FINO ALLA T ARDA ANTICHITÀ

FIGURA ! . 2 La scala matematico - musicale di Calcidio

I 92 T-----..24 2I6 T ---------- 2 7 243 S------------- I 3 256 T-------------------- 3 2 288 ------------------------T 36 324 T ------------- ----------------4 0 ,5 3 64,5 S- -------------------------------- I 9 ,5 3 84 T-------------- --------------------------48 432

M a il ragionamento non s i ferma qui. Come terzo passaggio per " rico­ struire " le divisioni dell'anima del mondo, Calcidio propone una scala di suoni nella quale le consonanze individuate nel secondo passaggio sono ulteriormente scomposte, di nuovo utilizzando numeri interi, per arrivare infine alla successione di toni e semitoni proposta nel Timeo. Si parte stavolta dal numero I 9 2 , che, essendo multiplo di 2, 8 e 3 , consente di calcolare gli intervalli di quinta, di tono e di quarta con numeri interi. Calcidio procede computando dapprima la quarta ( 1 92 : 2 5 6) , poi gli intervalli interni di tono ( I 92 : 2 I 6 ) , tono (2 I 6 : 243 ) e semitono o leimma (243 : 2 5 6 ) , e infine, misurato il tono intermedio (25 6 : 2 8 8 ) , passa a definire matematicamente il secondo tetracordo, fino ad arrivare all'intervallo diapason , di ottava ( I 92 : 3 84), per poi ricominciare con l'ottava successiva. Nella FIG . 1 .2 , che si richiama al terzo diagramma lamboide presente in codici medievali del commento, riportiamo in numeri cardinali tutti i termini delle proporzioni nell'am­ bito della prima ottava, i relativi intervalli di tono (T) e semitono (S) e le differenze fra i termini 5• Lo schema potrà essere utilmente compa­ rato con quello che abbiamo proposto in riferimento al Timeo (FIG. I . I ) : si noterà la medesima successione di toni e semitoni nella scala costruita. C alcidio stabilisce così un legame forte fra la matematica degli in­ tervalli e la teoria della musica, e la sua lettura dell'armonia cosmica quale scala di suoni aiuterà i teorici, a partire dall'età carolingia, a interpretare gli intervalli musicali in termini interamente matematici, 5 · Nello stesso schema si può notare che la differenza numerica nell'ambito del­ l'ottava ( 3 84 - I 92 I 92) è data dalla somma delle differenze fra i termini di cia­ scuna proporzione interna (24 + 27 + I 3 + 32 + 36 + 40,5 + I9,5 I92 ) . =

=

43

FILOSOFIA DELLA MUSICA

con l'intervallo di ottava inteso quale principio di costruzione della scala stessa. Se osserviamo la FIG . r . 2 , notiamo che la successione di toni e semitoni fra 1 92 e 3 84 (TTSTTTS) , in senso ascendente, corri­ sponde all'attuale scala di do maggiore. La scala calcidiana fu utiliz­ zata in età medievale a partire dal x secolo a fini teorici, per l'intona­ zione delle canne dell'organo e, raramente, per l'intonazione del mo­ nocordo (Meyer, 2 007 , pp. 6 2 - 6 ) , ma non ebbe un'utilità specifica per il canto. Il commento di Calcidio, oltre alla corrispondenza fra l'armonia cosmica e la scala matematica, presenta un affondo sugli intervalli dei suoni che rende palese come la competenza nella téchne musicale vada ben oltre la necessità di spiegare il sermo alienigenus platonico. Si tratta della correlazione fra la struttura matematica degli intervalli musicali e i parametri delle altezze intervallari della voce umana nel canto. La breve digressione è introdotta da un'affermazione che ebbe molto seguito nella teoria medievale della musica: c'è, dice Calcidio , un rapporto di stretta corrispondenza fra linguaggio parlato e canto. Le parole pronunciate e quelle intonate, infatti, si fondano su struttu­ re analoghe che si organizzano per addizione, a partire da un minimo elementaris. Tale parallelismo era, in realtà, già stato proposto da Ari­ stosseno, molti secoli prima, ma su basi teoriche del tutto differenti. Nel parlato questo minimo è la singola lettera alfabetica, poi articola­ ta in sillaba e infine in parola; mentre nel canto, composto «di modi e numeri» (modis numerisque) , le strutture minime sono i singoli suo­ ni (pthongi) , dalla cui aggregazione si formano gli intervalli (diastema­ ta) , dalla unione dei quali sono infine generate le strutture scalari (sy­ stemata; Calcidio, 2 003 , pp. 1 9 3 -5 [r, 44] ) . Il discorso di Calcidio si sposta quindi sulla corrispondenza fra vox e sonus: la conoscenza del fatto musicale parte dal suono, la cui origine fisica è la vibrazione più o meno intensa. La stessa caratteristica la ritroviamo nel suono della voce umana, che è perciò analogo a quello strumentale. Dalle varia­ zioni dell'impulso della voce, combinate con variabile criterio fra nota acuta e grave, sorge infatti la symphonia, la quale unisce insieme i moduli, le note singole. Calcidio mette perciò in parallelo il modulus vocale e il suono (pthongus) : il primo è la nota singola intonata nel canto, il secondo ogni suono musicale codificato dalla scienza armo­ nica. I moduli, a loro volta ordinati in successione, formano modi o symphoniae, cioè strutture intervallari, che, nella teoria armonica, equivalgono agli intervalli musicali (diastemata) espressi in rapporti matematici. Calcidio, insomma, affronta lo studio della vocalità uma­ na attraverso un parallelismo con la teoria armonica degli intervalli . Dunque, a buon diritto egli afferma che il cantus è formato da modi e 44

I.

FILOSOFIA E MUSICA FINO ALLA T ARDA ANTICHITÀ

da numeri: se il numerus è propriamente ritmo della scansione sillabi­ ca, già di per sé esprimibile nel rapporto matematico fra lunga e bre­ ve, anche il modus vocale è esprimibile con rapporti numerici, quello fra gli estremi della consonanza e quelli individuabili dai moduli che " riempiono " tale consonanza, e che esprimono l'altezza scalare delle note intermedie. Nella breve spiegazione di Calci dio notiamo un'attenzione parti­ colare al contesto della vocalità: la teoria della musica si " aggancia " non solo all'acustica, ma anche alla realtà del processo di fonazione, rilevando nell'intonazione della voce umana la medesima radice mate­ matica che fonda la scienza armonica . Una nuova tendenza comincia, qui, a farsi strada, ma ci vorranno ancora alcuni secoli prima che pos­ sa essere sviluppata del tutto: la musica sta diventando anche un 'ars, una disciplina tecnica che teorizza la prassi esecutiva, in particolare quella relativa al canto. Gli studiosi continuano a chiedersi come il cristiano Calcidio possa aver commentato Platone senza lasciar trape­ lare nulla della sua fede, pur dichiarata; è un problema che resta aperto, senza dubbio, ma l'attenzione dimostrata verso il cantus è già sintomo evidente che alla competenza musicale relativa alla vocalità umana egli attribuiva un valore peculiare; e furono, come vedremo, proprio i Padri della Chiesa a promuovere e sostenere tale novità.

I.6

Macrobio: armonia universale e

curiositas

musicale

La figura storica di Macrobio è ancora alquanto oscura, sebbene fra le fonti più importanti del neoplatonismo medievale vi furono pro­ prio le sue due principali opere, i Commentari al Sogno di Scipione (il titolo non tragga in inganno, perché si tratta di un commentario uni­ co, pensato come somma di due unità) e i Saturnali (lacunoso di al­ cune sezioni). Fra le varie ipotesi tentate per dare un'identità bio­ grafica a Macrobio, due delle più recenti, che lo identificano l'una con un proconsole d'Africa, l'altra con un prefetto in Italia , conver­ gono nel collocare la sua opera negli anni 420-30 d.C. Sono stati sol­ levati dubbi sul paganesimo di Macrobio e sono state rintracciate al­ cune corrispondenze fra passaggi dei Commentari e opere di san­ t'Ambrogio (questa è stata una tesi di Pierre Courcelle , molto discus­ sa) ; ciò tuttavia sembra oggi piuttosto indicare agli studiosi una so­ stanziale affinità tra la cultura neoplatonica cristiana e quella pagana del v secolo. 45

FILOSOFIA DELLA MUSICA

Come già constatato con Calcidio in relazione al Timeo (PAR. r .5 . I ) , anche il commento di Macrobio impiega il procedimento del­ l' explanatio delle sole sezioni di testo per lui di maggior interesse. Qui si tratta della sezione finale del De republica di Cicerone, cono­ sciuta col titolo Somnium Scipionis. La Repubblica ciceroniana era un dialogo filosofico di cui restano solo frammenti, di chiara ispirazione platonica. In essa, Cicerone intendeva mostrare come la costituzione repubblicana romana fosse la forma perfetta di Stato. Nel Sogno, egli pone in bocca a Scipione l'Africano, apparso in sogno al nipote Sci­ pione l'Emiliano, protagonista del dialogo, un ampio discorso sulla gloriosa ed eterna esistenza celeste riservata allo stesso Emiliano dopo la morte, parimenti gloriosa, che lo attende mentre salverà la patria conquistando Cartagine. Il dialogo onirico si svolge in cielo, sulla Via Lattea, da dove l'Emiliano ammira la bellezza e perfezione dell'uni­ verso . Ciò offre a Cicerone l'opportunità per una breve illustrazione della struttura del cosmo, ricalcata sul modello platonico, e per una specificazione a proposito dell'armonia celeste. È questa la sezione del dialogo che ha interessato maggiormente i teorici medievali della musica , i quali a loro volta illustrarono l'esegesi del testo proposta da Macrobio . Ecco i punti essenziali della dottrina dell'armonia cosmica: r . il suono è prodotto dalla rotazione delle orbite planetarie; 2. i pia­ neti più distanti dalla Terra emettono suoni più acuti e la Luna pro­ duce il suono più grave, avendo orbita più piccola e dunque minore velocità di rotazione; 3 · Venere e Mercurio, satelliti del Sole, risuona­ no all'unisono; 4· i sette suoni risultanti dipendono dalla distanza del­ le sfere dalla Terra (dal più acuto al più grave la sequenza è: stelle fisse, Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere/Mercurio, Luna) ; 5 · coloro che hanno riprodotto sulla Terra l'armonia musicale celeste, con gli strumenti musicali o con la voce, sono come coloro che si sono de di­ cati alle scienze divine; infine 6. l'armonia universale è impercepibile a causa delle rapidissime rivoluzioni dei corpi che la producono, e l'udito umano non riesce a distinguerla, così come l'occhio non può fissare il Sole. Macrobio risponde ai vari problemi messi in campo dalla visio­ ne dell'universo tratteggiata da Cicerone, organizzando la trattazio ­ ne in " blocchi " disciplinari: l' aritmetica, la geometria (più simile alla nostra geografia che alla disciplina euclidea) , la musica e l'a­ stronomia, dunque le discipline quadriviali, indagate da Macrobio attraverso due prospettive privilegiate. Da una parte quella della ve­ tustas, cioè della sincera venerazione per il sapere antico, sentito come patrimonio da salvare, proteggere e trasmettere; dall 'altra

I.

FILOSOFIA E MUSICA FINO ALLA T ARDA ANTICHITÀ

quella della curiositas, dello sguardo sul mondo che rintraccia e sco­ pre le verità partendo dall'osservazione diretta delle apparenti biz­ zarrie e delle particolarità della natura. Tenendo presenti le due prospettive, risulta evidente che l'insistenza sul tema dell' anima mundi nel corso della trattazione musicale si nutre tanto di doverosi omaggi alla tradizione solenne della filosofia di Platone, adeguata­ mente mediata da fonti neoplatoniche (Porfirio e il commento di Prodo al Timeo) , quanto di attenzione per la natura, la cui molte­ plice e variegata /acies esprime l'ordine unitario universale. Così, come Calcidio, anche Macrobio apre la sua indagine sul suono par­ tendo dai cieli. Il suono nasce dal girare vorticoso delle orbite per un principio naturale, cioè la violenta collisione di due corpi. L 'idea della collisione è di derivazione aristotelica (PAR. r . 3 . 3 ) , ma manca del tutto il concetto di vibrazione dell'aria nel mezzo di trasmissio­ ne. Se i suoni prodotti sono esprimibili con un rapporto matemati­ co, allora si ha armonia; dunque, dal girare delle sfere celesti vengono prodotti dei suoni musicali perché, da un lato, è inevitabile che dal moto nasca il suono e, dall'altro, il suono come armonia è il prodotto della razionalità intrinseca alle realtà divine (Macrobio, 1 98 1 , p. 249 [II, I , 5 -7] ) .

L a modulazione celeste è dunque s ì suono , in quanto effetto di moto, ma " razionale " , poiché scaturisce dalla ratio intrinseca all'universo: nulla di nuovo rispetto a quanto sostiene Nicomaco o Calcidio, anche se in Macrobio questa tematica è sviluppata alla luce della teologia astrale (più diffusamente trattata nei Saturnalia). E infatti, anche se egli rispetta l'ormai consolidata abitudine di riferire come Pitagora scoprì la razionalità dei suoni consonanti nell'officina del fabbro , una diversa prospettiva filosofica pervade la mitica vicenda. Contrariamente all'affermazione di Nicomaco per cui è «la mente guidata dal numero» che muove Pitagora alla scoperta (PAR. r .4-2 ), il più pragmatico Pitagora di Macrobio «ha capito con gli occhi e con le mani ciò che prima cercava col pensiero» (ivi, p. 25 I [n, I , I o] ) . Ecco dunque che d a questa osservazione, potremmo dire, empirica e sperimentale, Pitagora ha desunto la «legge dei pesi» da cui dipende la consonanza dei suoni. Macrobio procede così a illustrare la conver­ genza fra i rapporti matematici e le consonanze, ma allo stesso tempo delinea anche un computo delle stesse basato su principi musicali. Avendo individuato il più piccolo intervallo nel semitono minore (diesis o leimma) , egli identifica ogni consonanza in una somma di 47

FILOSOFIA DELLA MUSICA

toni e semitoni. Per questo motivo computa anche il tono fra le con­ sonanze, anche se poi ne elenca in via definitiva solo cinque: quarta (diatessaron) , quinta (diapente) , ottava (diapason), ottava più quinta e doppio diapason . Macrobio impiega il termine symphonia per indica­ re ogni armonia terrena scaturita dalle consonanze, mentre harmonia, usato con grande parsimonia, è riferito alla musica delle sfere, la qua­ le però, quanto a modo di produzione e "scala di valori " di costru­ zione, non è altro che un naturale proseguimento delle consonanze terrene: Ma questo numero di sinfonie riguarda la musica che, con la sua tensione, può generare il fiato umano o che può essere percepita dall'udito umano. Molto più in là si estende la soglia dell'armonia celeste, cioè fino a quattro volte il diapason e diapente [ usque ad quater diapason kai diapente] (ivi, pp. 253-5 [n, 1 , 2 4] ) .

Quanto si estende in termini di gamma acustica l'armonia cosmica? Se si interpreta «fino a quattro diapason e un diapente», l'estensione della musica celeste coincide quasi con l'ampiezza della scala musica­ le proposta nel Timeo ( PAR. r .2 . 2 ) , mancando di un solo tono a rag­ giungerla; se invece, seguendo la traduzione di Luigi Scarpa sopra proposta, si intende «fino a quattro volte il diapason e diapente», al­ lora l'armonia cosmica si estende per quattro intervalli di dodicesima (ottava + quinta) , comprendendo una gamma molto più ampia di suo­ ni 6 . Alla lapalissiana affermazione segue un richiamo alla struttura numerica del cosmo, voluta dalla prowidenza del dio artefice, e che si riflette in ogni legame proporzionale che governa l'universo. Ma c'è bisogno di un chiarimento: poiché il testo di Cicerone è oscuro, oc­ corre spiegarlo alla luce del Timeo, il quale però , a sua volta, ha biso­ gno di essere delucidato premettendo alcuni concetti chiave della di­ sciplina matematico-musicale. Nell'esegesi " al quadrato " proposta da Macrobio la teoria armonica è riferita con notevoli semplificazioni. Ma questo non è rilevante, ciò che importa è ben altro: Proprio tutti questi concetti mostrano tanto la causa del moto cosmico, che è impresso dal solo impulso dell'anima universale, quanto la necessità di

6. Secondo la lettura di Flamant ( 1 977, pp. 3 7 1 - 2 ) , per la quale cfr. anche Teeu­ wen (2 00 7, pp. r o4 -5 ) , Calcidio definirebbe l'estensione dell'armonia cosmica in quat­ tro diapason più un diapente, mentre Macrobio in quattro diapason, un diapente e un tono, coerentemente con il Timeo. Cfr. anche Richter (2oo6, pp. 5 3 1 - 8 ) .

I.

FILOSOFIA E MUSICA FINO ALLA T ARDA ANTICHITÀ

quell'armonia musicale che l'anima inserisce nel movimento da essa prodot­ to, perché connaturata ad essa fin dall'origine (ivi, p. 263 [n, 2, 24] ) .

Partendo dall'inscindibile legame causale che struttura nel movimento l'universo intero, cosmico e terreno, Macrobio può infine far conver­ gere questo tema centrale del neoplatonismo, l'armonia cosmica, con l'antica mitologia greca delle Muse, di Apollo e delle Sirene, e può far confluire la teologia astrale degli etruschi con la ratio di ogni umano comportamento, dalla cura delle esequie alla terapia medica. L' éthos musicale pervade il cosmo naturale e anche quello animale, e non c'è da stupirsene perché, come abbiamo premesso, le cause della musica sono in site nell'anima universale che da esse è appunto costituita; a sua volta poi, l'anima universale dispensa a tutti gli esseri la vita [ . . . ] . È logico dunque che il cosmo vivente sia rapito dalla musica e la causa è che l'anima celeste, da cui l'universo riceve la vita, ha preso origine dalla musica (ivi, p. 2 67 [n, 3, r r ] ) .

Con Macrobio, l a musica celeste è davvero un fondamento filosofico universale: è ragione costitutiva dell'anima del mondo, che dà vita col movimento a ogni realtà, cosmica e terrena; è, in conseguenza, primo principio causale del corpo naturale; è, inoltre, il fine teleologico, il premio di beatitudine cui aspira l'anima dopo la morte, che finalmen­ te si ricongiunge alla sua originaria armonia; ma è, ancora, legge uni­ versale che controlla e ordina il vivente, dalla conduzione delle azioni umane a quelle animali. Una suggestiva annotazione, che sarà ripresa dagli autori medie ­ vali, esprime la profonda affinità che lega la musica terrena e co­ smica: gli inni intonati agli dèi , in cui venivano usati metri diversi per strofe e antistrofe, ricalcano per Macrobio «quel primo inno che la natura ha destinato alla divinità», espresso dal moto del cielo stellato e da quello , di opposta direzione, dei pianeti (ivi, p. 2 65 [n, 3 , 5 ] ) . Per ogni singolo uomo e per ogni comunità umana, bruta o civilizzata, la musica è dunque imprescindibile, conclude Macrobio introducendo un'interessante nota antropologica di segno del tutto opposto alla psicologia platonica: non esiste musica " cattiva " , ogni uomo e ogni popolo cercano nel suono e nel canto di attingere per quanto possono a quello stato di eterna dolcezza e soavità che ogni cuore , anche il più rozzo , non può non sentire, e che perfino gli animali percepiscono come tensione naturale , esprimendola nei loro sonori gorgheggi. 49

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Marziano Ca pella: la musica nell'enciclopedia dei sa peri 1 . 7. 1 . LA DIFESA DELLA CULTURA PAGANA E LE ARTES CYCLICAE

Marziano Ca pella esercitò la professione di avvocato nell'Africa ro­ mana intorno al 43 9 , l'anno del sacco di Cartagine da parte dei Van­ dali. Cultore di lettere e arti, egli visse come Calcidio, Macrobio e Agostino in un'età drammatica per l'impero romano. Allo sfacelo del­ le istituzioni politiche si accompagnava la decadenza della cultura classica pagana, di cui Marziano è tristemente consapevole. Le mace­ rie dell'antico, che per il cristiano erano spazzate via (od opportuna­ mente modellate, come vedremo al PAR. 2 . r ) dal vento vivificante del­ la nuova fede, per il pagano erano il sacro terreno archeologico da venerare e devotamente ricostruire, fidando nella lungimiranza dei posteri. E Marziano, infatti, concepì la stesura della sua opera enci­ clopedica, Le nozze di Filologia e Mercurio, anzitutto per fornire un compendio delle arti liberali al figlio, al quale riferisce un racconto narratogli da Satira, personificazione dell'omonimo genere letterario. Marziano e Satira discutono, litigano e ricostruiscono la vicenda delle Nozze che si dipana lungo nove libri in prosa, ma con numerosi in­ serti metrici, secondo lo stile della satira menippea. Il tono della nar­ razione alterna momenti aulici e solenni a uno stile leggero, divertito, segnato dall'ironia e anche dall'autoironia ( come quando Marziano si descrive, in chiusura dell'opera, come avvocatuncolo di cause perse) . L e fonti alle quali Marziano attinse sono molteplici. È qui suffi­ dente ricordare Apuleio e Macrobio per la cornice narrativa e l'im­ pianto filosofico, l'enciclopedista latino V arrone per le arti (la sua opera Sulle discipline è andata perduta) , mentre Aristide Quintiliano è la fonte principale per la musica. Il racconto di Marziano è stato definito un romanzo teologico, costruito sulla base della tradizione fi­ losofica neo platonica e caratterizzato dall'uso costante dell'allegoria. Il carosello di simboli e personificazioni è ricchissimo, e l'ambienta­ zione è quella della corte celeste della religione astrale. Allegorici, benché dalla simbologia non univocamente definita, sono anzitutto gli sposi, il dio Mercurio e la mortale Filologia, personificazioni il primo della parola coerente, del discorso retoricamente costruito, oppure anche dell'intelletto o del principio divino, la seconda della ragione umana o dell'anima. Le loro nozze sono parimenti allegoriche, simbo­ leggiando l'ascesa dell'anima all'immortalità, grazie all'esercizio dello studio e della ragione. L'ingresso nei cieli di Filologia porterà alla sua divinizzazione, a seguito di una serie di prove che la giovane supera

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ascendendo di cielo in cielo, e meritando infine, quale dote dello spo­ so, l'omaggio delle sette Arti. La fabula si snoda in una cornice narra­ tiva che occupa i primi due libri - i più letti e commentati in età medievale e rinascimentale - e che riemerge negli altri sette, dedicati ciascuno a un'arte, opportunamente personificata; nell'ordine propo­ sto da Marziano: Grammatica (libro nr ) , Dialettica ( rv ) , Retorica ( v ) , Geometria (vr) , Aritmetica ( vn ) , Astronomia (vrn ) e infine Armonia, cioè la musica (rx ) . Il quadro festoso del matrimonio, l'attesa delle prove da superare , la regalità del corteo di dèi e semidei, di eroi e di Arti, la ricca esposizione dottrinale sono il racconto edificante, il pon­ te che traghetta l'antica Paideia e la sua desolata compagna Filosofia da un mondo che stava inesorabilmente scomparendo a un altro che emergeva fra mille difficoltà, anche culturali (indocta saecula, come annota Marziano) . L'intellettuale pagano, alle soglie del v secolo, per­ cepiva ancora il cammino di formazione attraverso i saperi come per­ corso sapienziale di aspirazione alla vita immortale. Così, fra consape­ volezza del declino e fiducia totale nei propri valori in disgrazia, Mar­ ziano tesse un romanzo dell'anima: non solo quella allegorica di Filo­ logia, ma anche la sua personale. Le Nozze fondono insieme ironia e tragedia, facendo trapelare anche al lettore moderno quanto fosse dif­ ficile, ma necessario, credere ancora nelle Muse e praticare le attività intellettuali nelle dirutae scuole filosofiche, fidando nella raffinata escatologia della religione astrale. La scelta e disposizione delle arti operata da Marziano, soprattut­ to quelle del quadrivio , è alquanto originale. Nella tradizione nicoma­ chea ( PAR. 1 .4 . ! ) , che adotta a sua volta lo schema aristotelico di divi­ sione delle scienze in teoretiche e pratiche (PAR. 1 . 3 .2 ) , le matemati­ che sono disposte nella successione : aritmetica (scienza del numero in sé) , geometria (scienza della grandezza in sé) , musica (scienza del nu­ mero in relazione , o in movimento) e astronomia (scienza della gran­ dezza in movimento), che sarà la sequenza più comune a partire da Boezio (PAR. 2 .4 . ! ) . In Marziano questa prospettiva è invece assente. È probabile che la sua inedita successione derivi da Varrone, anche se, a differenza di quest'ultimo, Marziano esclude le arti dell'archi­ tettura e della medicina (pur richiamandole esplicitamente nella lista delle artes cyclicae) . La scelta e la disposizione non sono affatto arbi­ trarie o casuali, ma del tutto coerenti con il disegno narrativo che abbiamo sopra riassunto : la risistemazione delle arti segue infatti il medesimo cammino sapienziale di Filologia. Partendo dalla formazione linguistica offerta dalle arti del trivio, fra le quali figura in posizione più alta Retorica, la scienza dell' elo-

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quenza (non sorprende la preferenza dell' avvocato Marziano, la cui fonte principale è ovviamente Cicerone) , Filologia penetra nel cuore delle discipline matematiche. Ma la chiave di lettura di queste arti non segue la natura del loro oggetto di conoscenza, come sarà in Boezio, quanto, invece, il percorso ascensionale del sapere, che parte dalle cose della terra e arriva a quelle del cielo. La polverosa e irsuta Geometria propone infatti una ricca esposizione geografica, basata su Plinio il Vecchio e Solino, in accordo con l'accezione romana e varro­ niana della disciplina, intesa etimologicamente come misurazione, e dunque anche descrizione, della Terra. La geometria euclidea, che Marziano concepisce come insieme di praecepta dell'arte geometrica (Marziano Ca pella, 2 oo r , p. 479 [VI , 703 ] ), è solo succintamente esposta in chiusura del libro. Val la pena di soffermarsi su una deli­ ziosa scenetta qui inserita da Marziano: mentre Geometria sta finendo di esporre la sua arte, intravede il dotto Euclide fra la folla degli dèi e dei sapienti coi suoi Elementi di geometria in mano; subito glieli strappa offrendoli a Giove e ai celesti, suggerendoli loro «come ma­ nuali di insegnamento» (ivi, p. 495 [VI , 724] ) . In due battute, Marzia­ no dimostra come la disciplina geometrica stesse proprio in quel pe­ riodo cambiando natura. Pitagora invece (ivi, p. 5 0 1 [VII, 7 2 9] ) e Pla­ tone, «che tra gli arcani spiega i caliginosi contenuti del suo Timeo» (ivi, p . 5 7 1 [VIII, 8 o 3 ] ) , sono i sapienti che pendono dalle labbra di Aritmetica. La disciplina è concepita come scienza del calcolo e delle misure di grandezza, la cui pratica è l'indispensabile trampolino di lancio verso lo studio del cielo. Ella è dunque fondamento delle altre arti, ma in senso assai diverso da quanto stabilito da Platone, Ari­ stotele e Nicomaco: la sua astrazione dalla materia, che per quelli è sinonimo di perfezione, è invece per Marziano segno di versatilità, necessaria per il distacco dalle cose terrene e per la proiezione verso quelle celesti. Le dita sempre intrecciate e in movimento, la testa ra­ diosa di raggi multicolori che ella magicamente riduce a unità, la ve­ ste che nasconde tutte le opere della natura: questi i tratti peculiari di Aritmetica, la quale manifesta sulla terra l'unità originaria delle mol­ teplicità divine. Astronomia è l'arte che compie il salto verso il cielo; ma non senza esitazioni, come ella stessa chiarisce: E infatti non credo che sia degno di verecondia e di correttezza spiegare i loro propri movimenti e percorsi a quelli che appunto si muovono e volere insegnare agli dèi quello che sono essi stessi a fare [ . . . ] . Tuttavia, poiché il dovere verso il Cillenio [Mercurio] , che mi educò e mi insegnò, non mi per­ mette di tacere e dato che anche la sollecitudine per la sposa mi invita a

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rivelare gli arcani della nostra materia, io non tacerò al vostro cospetto, o dèi del cielo, che vi sentirete esporre i vostri stessi cammini (ivi, p. 58 r [VIII, 8I2-8 I 3]).

Per u n seguace della religione astrale, l'astronomia è cosmologia e teologia insieme. La competenza in quest 'arte rivela la meccanica divi­ na dell'universo , ponendo la ratio umana di fronte alla perfezione lo­ gica e matematica della causalità celeste. Ma l'uomo può compiere un passo ulteriore verso la sapienza che lo innalzerà agli dèi. Attraverso lo studio della musica potrà infatti cogliere il senso di tale universale perfezione. Ecco dunque che l'arte dei suoni porta infine a compi­ mento il processo di formazione intellettuale di Filologia, e dunque della ragione umana. In Agostino (PAR. 2 . 3 . ! ) la musica è la prima delle discipline del numero, poiché «assicura la mediazione dal sensi­ bile all'intelligibile» (Cristiani, 2 007, p. 5 2 ) . In Marziano questa fun­ zione è svolta da Aritmetica, come visto sopra. In Boezio e nella tra­ dizione aristotelica la musica (PAR. 2 .4 . ! ) è la seconda arte, in ragione del suo oggetto " applicativo " . In Marziano, è l'ultima in ragione della sua natura. C 'è, insomma, un elemento centrale nella concezione filo­ sofica delineata nelle Nozze e che gradualmente si chiarisce nel pro­ gressivo avanzamento lungo la catena dei saperi umani: è l'armoniosa unità del mondo divino e del mondo naturale che l'uomo riesce a cogliere sempre più distintamente nel suo percorso sapienziale, il qua­ le è, pertanto, anche un percorso di ritorno al cielo. La musica , arte prediletta dagli dèi, è la conoscenza delle ragioni dell'armonia uni­ versale, per cui è il culmine e la mèta di questo erudito cammino .

L 7 . 2 . ARMONIA E MUSICA IN PROSPETTIVA NEOPLATONICA La personificazione della musica nelle Nozze è la fanciulla Armonia, e non Musica, che pure viene evocata nel terzo libro come arte cui spetta di trattare di ritmi e metri (Marziano Capella, 2 oo i , p. 2 o i [nr, 3 2 6] ) . Perché l'arte dei suoni non si identifica con il suo eponimo simbolico ? La risposta è solo apparentemente palese. È vero, infatti, che Armonia è allegoria dell'armonia universale, ma la sua disciplina, così come viene presentata da Marziano, verte sulla musica terrena. Introdotta da un canto di Imeneo che inneggia alle nozze, di cui Ve­ nere sollecita la consumazione, Armonia fa il suo ingresso presentan­ dosi come «un amalgama bene armonizzato delle voci di tutti gli stru­ menti» (Marziano Ca pella, I 987, p . I I 5 [rx, 905 ] ) , che induce dèi olimpici e silvani, eroi e filosofi a unirsi in un corale concentum. Ar53

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mania ha il capo risuonante, adorno, come la veste, di sonagli d'oro; regge con la destra uno scudo formato da molteplici cerchi che pro­ ducono un concerto (concinentia) di tutte le consonanze musicali (Ix, 909 ) , e con la sinistra piccole riproduzioni auree dei dilettevoli stru­ menti del teatro. La dissona suavitas degli strumenti e delle voci tace al suono della melodia emanata dallo scudo, raffigurazione dell'uni­ verso , sottolineando così che la musica celeste non è un prodotto di Armonia, ma che è lei, Armonia, a guardare alla musica celeste come a un modello. Figlia di Venere, la fanciulla è ben consapevole della sua affinità con l'amore . Ed è proprio questo cosmico sentimento a essere cele­ brato nell'inno intonato dalla virgo, nel quale ella loda una a una, cominciando da Giove, le maestà divine che reggono ciascuna il pro­ prio circolo celeste. È, questo, il canto epitalamico delle Nozze, esalta­ zione dell'armonia universale, la quale , afferma Cristante, «lega realtà celesti e terrene, con l'esemplificazione della potenza dell'amore su­ scitata proprio dalla musica» (ivi, p. r 2 , introduzione) . Cos'è dunque Armonia? La sua natura è quella di una extramundana intelligentia (Ix, 9 r o ) , che, nella prospettiva neoplatonica, è l'essere celeste mediatore e distributore sulla terra dell'azione divina. La scienza musicale umana consiste perciò nella conoscenza razionale della legge immutabile dei suoni, appresa con la mediazione dell'illuminazione intellettuale: Già da tempo certamente sento noia dei terrestri e fastidio dei mortali, e perciò do impulso alle sfere stellate del cielo: in esse è proibito esporre mi­ nutamente i precetti della mia arte perché la stessa velocità della macchina cosmica, che avanza girando, si armonizza e riconosce la melodia che si ac­ corda con gli impulsi di ogni tipo di suono prodotto dalle note musicali [. ] Poiché la inintellegibile immensità della divina potenza creatrice mi aveva ge­ nerata per dare quei vantaggi, sorella gemella del cielo, io non ho trascurato i numeri associando i fulgori celesti roteanti alle varie consonanze musicali, e questo perché ho seguito i percorsi della rivoluzione siderea e le stesse rota­ zioni dell'intero universo: ma quando quella che è la divina monade e la for­ ma prima della luce intelligibile diresse verso gli abitacoli terrestri le anime emananti dalle fonti, ricevetti l'ordine di scendere sulla terra quale modera­ trice di esse: dunque io stessa regolavo, assegnando a ciascuna cosa la sua armonia, i numeri dei movimenti razionali e gli impulsi dell'intera volontà. Ed è stato Teofrasto a elaborare la dottrina secondo cui ciò doveva valere per tutti quanti gli uomini mortali; i pitagorici hanno pure dimostrato, poi­ ché riuscivano a mitigare la ferocia dell'animo con tibie o con cetre, che un vincolo lega indissolubilmente l'anima con il corpo. E non ho ricusato di intrecciare anche alle membra numeri nascosti al loro interno: questo lo te­ stimoniano anche Aristosseno e Pitagora. Infine, io stessa ho a poco a poco . .

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rivelato, con immensa benignità, la conoscenza del mio dono (ivi, p. 1 2 9 [Ix, 92 1 -922]) 7•

Questa autopresentazione di Armonia introduce a quella che, a bre­ ve, diverrà la tripartizione boeziana della musica in mondana, umana e strumentale (PAR. 2 .4 .2 ) . Armonia, sorella del Cielo, è una intelli­ genza celeste, che ha la funzione primaria di accompagnare il volgersi dell'universo, accostando i giri di quello alle consonanze che essa produce: è evidente il richiamo alla struttura armonica dell'anima del mondo del Timeo platonico. Ma il discorso di Armonia si snoda nella prospettiva, apertamente richiamata, della dottrina neoplatonica della monade e delle ipostasi metafisiche, che introduce la fanciulla a un ulteriore compito . La monade, o Unità, nella prospettiva plotiniana è la prima ipostasi ( ''natura " ) divina, la quale emana l'Intelletto (secon­ da ipostasi) , che a sua volta emana l'Anima universale (terza ipostasi) . Quest'ultima è l'origine delle anime individuali. Nel passo di Marzia­ no, letto alla luce di questo nodo centrale della filosofia neoplatonica, Armonia acquisisce la funzione di moderatrix (Ix, 922 ) , di colei che dispensa sulla terra l'ordine dell'universo, regolando le componenti razionali dell'anima in accordo con l'equilibrio universale, e quindi moderando gli impulsi dell'umana volontà: ecco perché la musica ad­ dolcisce e placa le passioni. Tale funzione non si inscrive nella filoso­ fia del Timeo. Per Platone, infatti, l'esercizio della musica ha una va­ lenza negativa se non è condotto in accordo con la struttura armoni­ ca dell'universo, che a sua volta è colta dall'intelletto: solo la musica coerente con tale struttura può avere una funzione positiva per l'uo­ mo (PAR. r .2 . 3 ) . Per Marziano , invece, la musica è di per sé strumen­ to di conoscenza. È, appunto, una intelligentia (Ix, 9 r o) che in-forma la ragione umana. Questa concezione, come abbiamo visto, è presente anche in Macrobio, pur se non è ricondotta da lui al processo dell'e­ manatismo, e la possiamo considerare un tratto comune della cultura neoplatonica. E infatti, Armonia si proclama anche " dottrina , , cioè insieme di conoscenze che a poco a poco sono state assimilate dagli uomini, secondo quel principio di progressiva acquisizione del sapere tecnico che già in Calcidio (PAR. r .5 . r ) costituisce un elemento cen­ trale della riflessione sulla musica, e della connotazione positiva di tale scienza.

7. TI corsivo note sostituisce " scale" , impiegato da Cristante per tradurre modulo­ rum; ma modulus è la singola nota musicale, come in Calcidio (cfr. PAR. 1 .5 .2 ) . Ho sostituito inoltre consonanze a "note" (modis). Ramelli (Marziano Capella, 200 1 , p. 66 1 ) traduce rispettivamente "moduli" e " ritmi " .

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FILOSOFIA DELLA MUSICA

In conclusione, nelle Nozze c'è una linea di assoluta continuità fra la teologia astrale, l'idea di armonia cosmica e i principi fondanti del­ la scienza armonica. L'arte musicale è il vertice dell'esperienza del di­ vino che l'uomo può raggiungere attraverso il sapere ; e per questo il suo nome è Armonia, non Musica. Per Marziano essa si colloca al culmine di tutte le discipline, le assomma e le proietta in una dimen­ sione filosofica in forza del fatto che la divinità cosmica si rivela al­ l'uomo attraverso di lei. Conoscere l'armonia sensibile nei suoi fonda­ menti razionali equivale in sostanza ad aprirsi la porta del cielo e del­ l'immortalità, come infine accade a Filologia. Le Nozze rendono la musica concretamente filosofia.

I . 7. 3.

ARMONIA, METRICA E RITMICA

Dopo aver indirizzato agli dèi celesti il suo carme, Armonia inizia l'e­ sposizione dei fondamenti della sua arte. Il libro IX delle Nozze ha come fonte principale il libro I del manuale musicale di Aristide Quintiliano. Da esso deriva anzitutto la definizione stessa della musi­ ca quale cura della retta modulazione (sollertia bene modulandi) , che si realizza nelle costruzioni ritmiche e melodiche (Marziano C apella, 1 9 87, p. 1 3 3 [Ix, 93 0 ] ) . In conformità con il significato di modulatio, presente anche in Agostino (PAR. 2 . 3 . 2 ) , la musica ha come oggetto il movimento secondo misura, il movimento regolato. Ma il concetto marzianeo di " cura " (sollertia) non è identificabile con la sola téchne musicale. Marziano impiega questo termine più volte nelle Nozze per indicare l'attenzione verso l'oggetto di conoscenza, una speciale "so­ lerzia " che fonde insieme scienza e tecnica, entrambe necessarie per cogliere la peculiare natura della musica e delle altre arti liberali. Esse sono scienze in quanto discipline che insieme formano la totalità del sapere razionale, ma sono pure tecniche (nel senso usato anche da Calci dio) , poiché con gli strumenti del calcolo e della misura indaga­ no i fenomeni naturali. L' avverbio bene, infine, denota la prospettiva non solo estetica della modulazione musicale, ma anche quella etica, in quanto l'esercizio della musica apre, come abbiamo visto, alla com­ prensione del divino. Armonia divide dunque la sua esposizione in due sezioni, dedica­ te l'una alla melodica (nella quale espone i principi della scienza ar­ monica) , l' altra alla ritmica. L'esposizione sulla musica melodica, che ripercorriamo in estrema sintesi, porta alla messa a fuoco di concetti che saranno fondamentali per la teoria musicale medievale. Anzitutto la distinzione fra tono, semitono e diesis (quarto di tono) , come inter-

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FILOSOFIA E MUSICA FINO ALLA T ARDA ANTICHITÀ

valli minimi della modulatio musicale. Mentre il tono computa la di­ stanza tra due suoni contigui diversi, e dunque è propriamente uno spatium, una distanza continua divisibile (Marziano tralascia ogni in­ dicazione sulla proporzione numerica a esso associata) , il semi tono e il diesis - nelle sue varietà enarmonico (un quarto di tono) , cromatico (un terzo di tono) ed emiolio (un quarto più metà di un quarto di tono) - definiscono le distanze intermedie all'interno del tono. Mar­ ziano espone poi (rx, 93 I ) i nomi dei diciotto toni, cioè suoni musica­ li, che concorrono a formare una successione scalare (tropus) , rappre­ sentata nel systema téleion derivato dal tetracordo diatonico. Tale si­ stema (unione di tetracordi) è formato da diciotto toni/suoni, di cui r 3 comuni ai tre generi di tetracordi diatonico, cromatico ed enarmo­ nico, e cinque specifici per ciascuno dei tre generi. La descrizione è identica a quella che troviamo anche nel De institutione musica di Boezio (libro r, cap . 2 2 ) , che però tratta dei tre generi insieme, e ne rovescia l'ordine di presentazione. Marziano introduce poi lo studio delle consonanze diatessaron, diapente e diapason, abbinandole ai toni appena descritti e fornendone la rispettiva equivalenza propor­ zionale, una descrizione simile a quella di Calcidio (PAR. r .5 .2 ) . Infi­ ne, espone la dottrina delle quindici scale di trasposizione, i tropi Li­ dio, Eolio, Frigio, Ionio, Dorio e relativi Ipo- e Iper- , ai quali si ri­ chiameranno i teorici medievali e rinascimentali. A seguito di questa generale presentazione della teoria della musi­ ca Marziano propone una nuova divisione della musica in armonica, ritmica e metrica (rx, 9 3 6 ) ; e sembra ricominciare da capo l'intera trattazione. Da qui in avanti il testo concorda a tratti, talvolta molto ampi, con l'opera musicale di Aristide Quintiliano, fonte principale di tutta la sezione. Questa diversa suddivisione della musica merita un approfondimento . Semplificando una divisione della materia musicale proposta da Aristide, Marziano fa rientrare la tripartizione armonica, ritmica, metrica nel raggruppamento che egli definisce hylic6n (mate­ riale) e che in Aristide corrisponde al technic6n. Tale ambito com­ prende il suono vocale (melos) , di cui tratta l'armonica, il numero (numerus) , che riguarda la ritmica, e la parola (verbum) di pertinenza della metrica. La nuova esposizione inizia quindi con la suddivisione della voce in continua, mediana e diastematica, o discreta, quella che è pertinente alla scienza armonica: è una partizione che troviamo an­ che in Boezio e che sarà discussa a lungo, ma deriva da Aristosseno e Nicomaco (PAR. r .4 . ! ) . Marziano entra poi nel merito dell'armonica, partendo di nuovo dal suono, ma stavolta inteso come voce umana. Dunque, la stessa disciplina musicale che nella prima parte del di­ scorso di Armonia verteva sui suoni strumentali ( donde la partizione 57

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in armonica e ritmica) è qui riferita alla voce, per cui è la modulazio­ ne intonata della parola ciò che, adesso, definisce lo " spazio " della musica e l'oggetto di indagine della disciplina. Coerentemente alla nuova impostazione è introdotto il concetto di phtongus, «una parti­ cella della voce che nella tensione si realizza in un unico grado melo­ dico» (ivi, p. 1 3 9 [Ix, 939] ) , in altre parole: phtongus è un suono vo­ cale di altezza specifica. Ora, l'azione di emissione della voce, varian­ do di tensione (intentio), è recepita come alterazione in altezza. Se dunque le voci sono in sé innumerabiles, in quanto producibili a par­ tire da variazioni infinitesimali, esse di fatto corrispondono ai suoni della gamma acustica (il systema téleion) studiata nella prima parte, poiché la variazione tra le voci è recepita dall'udito in base a un mi­ nimo percepibile, che non può essere più piccolo del diesis . Ecco, dunque, che il suono e la voce, realtà fisiche le cui impercettibili va­ riazioni d'altezza formano una sorta di continuum acustico, sono a tutti gli effetti elementi singolari e " discreti" in musica, come il punto lo è in geometria e l'unità in aritmetica (Ix, 93 9-966 ) . La parte conclusiva del discorso di Armonia (Ix, 967-995 ) verte sui ritmi; manca, dunque, la trattazione della metrica. Anche questa esposizione è suddivisa in sette argomenti, ma una probabile lacuna testuale rende incerto stabilire lo stato originario del testo, che forse includeva una sezione sulla differenza fra ritmo e metro. L'avvio del discorso torna sul valore discriminante della percezione, e la tradizio­ ne alla quale Marziano si appoggia, sempre con la mediazione di Ari­ stide Quintiliano, è quella aristossenica. Ora devo esporre in breve i ritmi, cioè i numeri [ . . . ] . Il ritmo, dunque, è una particolare composizione formata di tempi percepibili dai sensi e si collega in forma e ordine certi. Viene ancora definito così: il ritmo è una catena ordi­ nata di durate diverse, in funzione del tempo e in rapporto al movimento ritmico, ottenuto per mezzo dei necessari slanci e delle necessarie pose della voce [ . . . ] , il ritmo si unisce alla materia come se fosse l'artefice oppure la forma della melodia. Il ritmo in tutte le sue manifestazioni si individua in tre modi: con la vista, con l'udito e perfino con il tatto; si individua con la vista, per esempio, nel caso di quelle figure che si ricavano dal movimento del cor­ po; con l'udito, quando ci proponiamo di cogliere il ritmo di una melodia; col tatto quando, per esempio, con le dita cerchiamo i battiti delle vene [ . . ] . Ma poiché si è detto che la vista e l'udito colgono il ritmo, anche questi si divideranno a loro volta in tre categorie: il movimento del corpo, il rapporto dei suoni e della melodia e le parole collegate tra loro da un rapporto stabili­ to tra le durate, tutti quanti questi elementi uniti formano un canto perfetto (ivi, pp. 1 5 5 -7 [IX, 968 -969] ) . .

I.

FILOSOFIA E MUSICA FINO ALLA T ARDA ANTICHITÀ

La definizione di "ritmo " è legata alla parola e alla gestualità in modo inscindibile, secondo la tradizione della mousiké greca per cui nella poesia si fondono insieme suoni, ritmi e parola. Come Marziano af­ ferma, la parola intonata (modulatio) costituisce la materia (yle) che «accomuna elementi continui e omogenei». Il ritmo funge perciò da forma (artz/ex aut species) della materia musicale, in quanto consente di far convergere il suono, la parola e il gesto, elementi tutti che con­ corrono alla definizione del canto. Questo tema assumerà una rile­ vanza notevole nella cultura cristiana , dove per " canto " si intenderà ovviamente il canto liturgico. Ma è importante anche perché definisce la corrispondenza fra l'unità di tempo ritmico nell'intonazione della sillaba e l'unità di spazio melodico nella fissazione della singola altez­ za. Marziano infatti sottolinea: Dunque il tempo primo è quello che, come l'atomo, non ammette né parti né momenti di divisione, così come il punto nella geometria, e la monade nell'aritmetica, ente assolutamente singolo e autonomo. Il tempo primo, nelle parole, si trova per mezzo della sillaba; nella melodia per mezzo del suono o dello spazio minimo 8; nel gesto per mezzo del moto iniziale del corpo, che ho chiamato schema [. .. ] il ritmo è simile in tutto al tono perché, come quel­ lo è diviso in quattro grandezze, o diesis, così anch'esso si mantiene in un ambito che si estende fino al limite massimo di un rapporto quadruplo di tempi (ivi, p. 1 5 7 [Ix, 97 1 ] ) .

L a concezione marzianea del tempo e dello spazio musicali è molto interessante e innovativa: è infatti quella di un continuum fisico in cui sono ritagliati minimi matematici indivisibili. Nello spazio musicale il minimo è il tono, di cui sono divisioni le tre diverse tipologie di die­ sis alle quali si aggiunge il semitono, come visto sopra . Nel tempo musicale, cioè nella ritmica sillabica, i tempi primi indivisibili sono parimenti quattro, perché l'impulso ritmico è determinato dal rappor­ to dei tempi secondo la proporzione delle durate: r : r (equivalenza) , 2 : r (doppio) ; 3 :2 (emiolio) ; 4 : 3 (epitrito) . Il ritmo sta nell'alternanza di arsi e tesi, slancio e posa del movimento, che sembrano indicare la parte forte e la parte debole del piede: la sillaba tonica e la sillaba atona. Sembrerebbe, insomma che Marziano abbia introdotto, forse senza neppure una piena comprensione storica del fenomeno, un ele­ mento di novità espresso nella definizione di arsi e tesi, che lasce8. Cristante traduce spatium singulare con "intervallo semplice" , ma lo spatium è per Marziano il tono, la minima distanza fra due suoni contigui di altezza diversa. Insieme al ritmo esso definisce il minimum di senso musicale.

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FILOSOFIA DELLA MUSICA

rebbe intravedere, secondo Cristante (Marziano Ca pella, 1 9 8 7 , pp. 5 6-7 ) , l'incipiente affermarsi del ritmo accentuativo. Armonia ha infine concluso il suo lungo discorso, e modulando un canto che concilia il sonno giunge al talamo di Filologia. La parte finale dell'opera, in forma poetica, è l'omaggio del racconto elaborato da Satira, che Marziano offre al figlio.

6o

2

Musica

e

cultura cristiana

2. 1

La trasmissione del sapere nella tarda Antichità latina Al volgere del IV secolo la cultura greco- romana trasmessa nella soli­ da tradizione della classicità latina subì un colpo fatale, infertole dal­ l' affermazione del cristianesimo in tutto il bacino mediterraneo. Il procedimento cristiano di appropriazione e trasformazione del siste­ ma dei saperi canonizzato in età imperiale fu esaltante e drammatico insieme, configurandosi come un evento che trasformò nel profondo il pensiero occidentale, il modo di concepire e raggiungere la cono­ scenza , i modi di trasmissione delle dottrine, il sistema dell'istruzione e la figura stessa del sapiente. La religione cristiana cominciò a inte­ grare i temi della filosofia greca fin dall'età apostolica, con l'elabora­ zione del Vangelo di Giovanni e delle lettere di san Paolo, ma il con­ fronto più diretto con la cultura pagana awenne nei secoli II e III , nella vasta produzione letteraria degli intellettuali cristiani, molto spesso vescovi o guide di comunità: i Padri della Chiesa. Questi auto­ ri si erano formati secondo il sistema dell'erudizione greca, e molto spesso avevano abbracciato la fede in età matura . La filosofia , per loro, era dunque il sistema pagano dei saperi , concezione che restò dominante fin quando Agostino , nel IV secolo, tratteggiò nel De doc­ trina christiana i cardini della filosofia cristiana, una filosofia della fede che sostituiva quella classica delle scuole. Nelle formulazioni dei primi Padri, e l'esempio più evidente è rintraccia bile in Clemente (m. 2 1 5 circa) , caposcuola della fervente comunità di Alessandria d'Egit­ to, la filosofia, pur pagana, è ricondotta all'interno dell'opera divina. Come afferma negli Stromata (Clemente Alessandrino, 1 99 1 , p. 43 [I , 5 , 2 9] ) , le arti enciclopediche servono la filosofia, così questa prepara la sapienza: con tale espressione, che già troviamo in Filone Alessan­ drino (Gérold, 1 9 3 I, p. 5 9 ) , Clemente ribadisce che la speculazione 61

FILOSOFIA DELLA MUSICA

intellettuale è voluta da Dio, dunque non può essere, in sé, un male assoluto. È la Scrittura stessa che esorta l'uomo a servirsi delle scien­ ze profane: prima delle arti enciclopediche, poi della filosofia, che è loro padrona, essendo ricerca della verità e studio della natura; ma non bisogna fermarsi a queste. La catena dei saperi rende necessario aspirare alla sapienza, scienza delle cose divine e delle loro cause: Esse [le arti] preparano a ricevere la parola di Dio [. .. ] ma è accaduto che alcuni [. .. ] abbiano trascurato la loro padrona, che è la filosofia. Alcuni di loro sono invecchiati nello studio della musica, altri in quello della geome­ tria, altri ancora in quello della grammatica, molti in quello della retorica. Ora, come le arti liberali, o, come si dice, enciclopediche, servono la filosofia che è la loro padrona, la filosofia stessa ha come fine di preparare la sa­ pienza. Infatti la filosofia non è che un'applicazione della sapienza, scienza delle cose divine ed umane e delle loro cause. La sapienza è dunque la pa­ drona della filosofia come la filosofia lo è delle discipline che la precedono [ . . . ] . La filosofia consiste nella ricerca della verità e nello studio della natura. Ora è della verità che il Signore ha detto: lo sono la verità (Clemente Ales­ sandrino, 199 1 , pp. 4 3 -5 [I, 5 , 29-32] ; cit. in Gilson, 197 3 , pp. 57-8).

Nel mondo cristiano comincia a delinearsi l'immagine della filosofia come ancella della sapienza, cioè della teologia: la filosofia, che nei suoi fondamenti aristotelici (cfr. PAR. 1 . 3 . 2 ) si occupa di verità (scien­ ze teoretiche) e di natura (scienze fisiche) , ripone ora la verità in Cri­ sto, ponendosi così come serva della sapienza teologica. Il suo compi­ to resta quello di presiedere allo studio della natura, che le arti libe­ rali realizzano ciascuna nel proprio ambito di competenze. I sette pi­ lastri della sapienza sono dunque le discipline enciclopediche, paga­ ne, dalle quali trarre i fondamenti di ogni conoscenza umana. Sulla base di questo adattamento cristiano, la ponderosa struttura della paideia classica assunse, nel corso del IV-V secolo, i tratti di un gigantesco Giano bifronte: da una parte si dispiegano le grandi sum­ mae del mondo pagano, come Le nozze di Filologia e Mercurio di Marziano Capella e il Commento di Macrobio al ciceroniano Sogno di Scipione, le quali aspiravano a celebrare l'apoteosi sacrale della tradi­ zione pedagogica dell'agonizzante latinità romana; dall'altra si affac­ ciano le nuove enciclopedie della paideia cristiana, le quali recupera­ vano, digerivano e trasformavano i contenuti dottrinali delle scienze mondane per introdurre alla profondità della verità biblica. Modelli di riferimento di queste ultime sono in Occidente il giovanile De or­ dine e il tardo De doctrina christiana di Agostino: due opere pro fon­ damente diverse nell'intento di ricondurre all'unità il sistema dei sa­ peri, ma ambedue essenziali alla formazione dell'uomo medievale. Il

2 . MUSICA E ClJL TURA CRISTIAI'\A

De ordine, come vedremo, aspira per via di ragione a ricondurre le arti liberali pagane al fondamento unitario divino della conoscenza, raggiunto attraverso un cammino intellettuale di progressiva astrazio­ ne dal sensibile all'intelligibile. Il De doctrina christiana tratteggia in­ vece, nel lungo corso dei trent'anni in cui l'opera fu compilata, un progetto molto più vasto. Il vescovo d'lppona riconosce nella sapien­ za biblica l'unica via di salvezza intellettuale e spirituale: conoscenza è quindi interpretazione della Parola di Dio dispiegata nella Bibbia. Il messaggio cristiano di salvezza deve essere aperto e praticabile per tutti, dunque la conoscenza deve guidare tutta l'umanità a Cristo: le discipline potranno avere qualcosa di pagano nelle loro formulazioni, ma il cristiano le impiegherà nella duplice finalità dell' uti et /rui, par­ tendo dalla Bibbia e rimanendo sui suoi insegnamenti. La polarità fra la riconduzione dei saperi all'unità divina, auspicata da Agostino, e la ricostruzione dei saperi, delineata da Marziano nelle sue Nozze, è, in breve, quella opposta direzione di pensiero della cul­ tura tardoantica che, come appunto il mitico Giano, si radica su un unico corpus di conoscenze, problematicamente percepito come con­ divisa radice culturale. Nella prospettiva dei pagani si tratta di racco­ gliere le macerie terrene di quel corpus per celebrarne l'immortalità e la conseguente divinizzazione, mentre in quella di Agostino e dei Pa­ dri si tratta di guardarlo sotto la luce della fede, per renderlo stru­ mento d'accesso alla razionalità divina. In tale antitetica prospettiva, non è secondario constatare che Agostino parte dalla musica, mentre Marziano vi arriva solo a conclusione della sua summa (PAR. r .7 .2 ) . Capire le ragioni di questa differenza è essenziale per affondare lo sguardo nella concezione della musica che si afferma nel mondo cri­ stiano tardoantico , concezione a sua volta alla base di ogni specula­ zione medievale sull'arte e la scienza dei suoni.

2 .2

I Padri della Chiesa e la musica In ogni religione e culto del divino è presente la musica, strettamente legata alla dimensione spirituale e alle pratiche rituali dell'uomo. Ciò vale anche per il cristianesimo, e infatti, fin dai primi secoli dell'era cristiana, la musica assunse nel contesto della vita religiosa dei cre­ denti una duplice funzione, espressa dal canto liturgico: la modula­ zione della voce magnifica l' annuncio della parola di Dio, aiutando il fedele a cogliere l'altezza del sacro mistero divino, e nello stesso tem­ po manifesta la lode dell'uomo a Dio , Signore dell'universo. Nel cri-

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stianesimo la sacralità e solennità della Parola divina sono racchiuse nel testo sacro, che non è solo preghiera e lode di Dio, ma è anzi­ tutto testimonianza diretta del mistero dell'incarnazione e resurrezio­ ne di Cristo. A partire dal Vangelo giovanneo, il campo semantico di logos e verbum si fa densissimo. Cristo è Parola di vita eterna; la pro­ clamazione e comprensione del Verbo sono quindi il nodo centrale della vita cristiana, individuale e comunitaria. Ma la musica pose agli intellettuali cristiani, uomini di chiesa, un problema di non facile so­ luzione. Se infatti l'annuncio della Parola portava ad enfatizzare la proclamazione nella solennità del canto, ogni eccesso melodico, ogni indugio o compiacimento acustico erano potenzialmente dannosi, in quanto potevano occultare il messaggio del testo scritturale. In conse­ guenza di ciò, i problemi della prassi esecutiva, che nella cultura an ti­ ca ed ellenistica pagana erano lasciati ai professionisti della musica e inquadrati quali forme di intrattenimento ed esercizio, più o meno utile, più o meno disdicevole, nella cristianità acquistarono invece un'importanza del tutto nuova, a scapito della teoria. Owiamente, si tratta della prassi del canto religioso e liturgico, mentre il canto pro­ fano, la musica strumentale e la danza furono condannati senza ap­ pello in quanto fonte di deviazione dell'anima. Benché dunque l'i­ struzione dei Padri si fondasse sulle discipline liberali ereditate dal passato , all'interno delle quali la musica, scienza matematica, era in­ quadrata con le "sorelle " quale parte di un sapere propedeutico alla sapienza, nelle loro opere non c'è discussione sui problemi di scienza armonica. Vi troviamo, invece, una molteplicità di indicazioni e rac­ comandazioni su un uso " etico " della musica e sul suo valore esteti­ co, in particolare in relazione al canto dei salmi e degli inni, che vie­ ne giustificato facendo esplicito ricorso al tema neoplatonico dell' ar­ monia cosmica. Agostino a parte, nessuno degli scrittori ecclesiastici del III , IV e v secolo in Oriente e in Occidente scrisse un trattato di mustca. Fino al I V secolo le chiese e le comunità praticarono il canto se­ condo tradizioni locali, in parte derivate dalle pratiche giudaiche, in parte mediate da influssi ellenistici . Il primo dei grandi Padri apologi­ sti che scrive in latino, il cartaginese Tertulliano (m . 240 circa) , con­ ferma nel suo Apologeticus che l'impiego del canto nelle agapi delle comunità era lasciato ai fedeli e, in certi casi, era perfino estempora­ neo: «ognuno è invitato a cantare a Dio nel cerchio dell'assemblea un canto che intona le sacre Scritture o uno di libera invenzione» (PL r , 3 9 , col. 47 7 ) . Ciò non significa che il canto di questi originari rituali liturgici non fosse strutturato e trasmesso di generazione in genera­ zione, tanto è vero che il monaco Giovanni Cassiano (m . 43 3 circa) ,

2 . MUSICA E ClJL TURA CRISTIAI'\A

raccontando nel De institutis coenobiorum un aneddoto su antichi monaci assorti in pie discussioni, descrive un procedimento di intona­ zione dei salmi secondo l'uso delle terre d'Egitto, nelle quali aveva a lungo soggiornato, simile a quello riferito da Tertulliano: volendo celebrare i riti quotidiani di preghiera, uno di quelli < monaci > si alzò ponendosi al centro, per cantare i salmi. E, mentre tutti gli altri che stavano seduti intorno, come è ora in uso fin nelle terre d'Egitto, erano con­ centrati nell'intendimento individuale di colui che intonava le parole, quello stesso cantò undici salmi con i versetti contigui in identica pronuncia, sepa­ randoli con l'inserimento di preghiere (csEL 1 7 , pp. 2 1 - 2 [2 , 5 - 6] ) .

Quale sia l'effettiva tipologia di canto qui descritta e, più in generale, come siano da interpretarsi i riferimenti alle modalità di canto cui fanno cenno gli scrittori cristiani restano problemi di pertinenza mu­ sicologica assai dibattuti ancora oggi, e di problematica messa a fuo­ co, data la totale mancanza di documentazione musicale. Ciò che in­ teressa qui sottolineare è come l'affermarsi del cristianesimo, la co­ struzione di luoghi pubblici di culto, l'evoluzione delle varie forme di consacrazione e devozione portarono ben presto in primo piano la questione del canto e del suo significato. A partire dal IV secolo si manifestò in particolare un vivace interesse verso il canto dei salmi, fenomeno che caratterizza dapprima le comunità di Palestina, Siria e Cappadocia, propagandosi poi in tutto l'Occidente. Questo fenomeno si sviluppò nelle comunità monastiche (come riferisce anche il passo di Giovanni Cassiano sopra riportato) e nel cosiddetto "monachesimo urbano " (le comunità cenobitiche di fedeli istituite intorno ai centri episcopali) , accompagnandosi a un'altra importantissima forma di canto liturgico e paraliturgico di tipo popolare, anch'esso di grande impatto in Occidente, l'innodia, sviluppata proprio nei centri cittadi­ ni e coltivata da vescovi del calibro di Ilario di Poitiers (m. 3 68) e di Ambrogio di Milano (m . 397 ) . Qual era dunque l'opinione dei Padri su tipologie di canto reli­ gioso che essi stessi praticavano nelle comunità da loro guidate? La lettera di Atanasio (m. 3 7 3 ) , vescovo di Alessandria, a Marcellino forse un monaco o un devoto intellettuale (Dyer, 2003 , pp . 2 8 - 3 0 ) riconduce la pratica del canto dei salmi alla concezione platonica del­ l'universale harmonia. Come la legge dell'armonia musicale determina il fenomeno della consonanza a partire da suoni diversi, così la legge della ragione, il logos, esige che lo stato psicofisico di disarmonia sia riportato all'equilibrio. Colui che ascolta i salmi intonati, afferma Ata­ nasio nell'Epistola a Marcellino, riconosce le parole del salmista come

FILOSOFIA DELLA MUSICA

sue proprie; le introietta, così da sentirle nella profondità di se stesso ed esserne mosso. Con un'immagine molto suggestiva, Atanasio para­ gona il canto dei salmi a uno specchio nel quale l'anima si riflette. Le parole devote e l'opportuna modulazione, simbolo dell'armonia del­ l' anima e del corpo, prima muovono l'anima, poi, condottala all' ar­ monia, placano la mente, aprendola alla pace meditativa: Accordando gli auloi secondo la legge dell'armonia, si ottiene una consonan­ za. Ora, nell'anima umana si producono diversi movimenti, quelli del giudi­ zio, del desiderio, della passione, e da questi provengono i moti del corpo. La ragione esige dunque che l'uomo non sia in uno stato di disarmonia (asymphonon) [ . . . ] . E mi sembra che a colui che intona i salmi ciò [l'intona­ zione] divenga come uno specchio, così che in essi egli riesce a percepire sia se stesso che i moti della sua anima, e, così mosso, li interpreta. E dunque colui che ascolta riceve il canto intonato come se parlasse di lui stesso e [ ... ] proverà compunzione [ . . . ] o esultanza [ ... ]. L'armoniosa lettura del salmo è una modalità che rispecchia l'atarassia del pensiero [ . . . ] . Così il Signore, il quale desidera che la melodia delle parole sia simbolo dell'armonia spirituale nell'anima, ha ordinato che le odi siano intonate e i salmi recitati col canto [ . . . ] . Modulando nel modo più bello le preghiere, il cantore apporta il ritmo nella sua anima e la conduce, così, dalla sproporzione alla proporzione (trad. ingl. in Jeffery, 2003 , p. 5 5 [PG 2 7 , 2 8 , 40] ) .

Questa armonizzazione della persona umana mediata dal canto, conti­ nua Atanasio , non è piacere estetico, come gli incolti potrebbero pen­ sare, ma ha una profonda efficacia psicologica e morale. Cosa sia questo canto applicato ai salmi non è dato saperlo, ma Atanasio ne parla come di una sorta di recitazione espansa, allargata, forse più vicina a una declamazione modulata piuttosto che a un canto pieno e dispiegato. In effetti, il richiamo esplicito alla condizione " scettica " di atarassia, di pace dei sensi e della mente, che r ascolto dovrebbe su­ scitare dopo aver mosso e poi messo a tacere le passioni, sembra più attinente a una inflessione canora "monotona" e intimista. Anche Giovanni Cassiano, nel passo sopra riportato e in ulteriori sue anno­ tazioni, sottolinea la condizione di estasi meditativa individuale indot­ ta dall'ascolto del salmo intonato; in tal senso, sembra che tutto ciò converga con l' annotazione di Agostino, che riportiamo oltre (PAR. 2 . 3 .4 ) , per il quale l'intonazione dei salmi auspicata da Atanasio era più simile al parlato che al canto. Atanasio e Cassiano, evidenziando il valore etico del canto dei sal­ mi, rispecchiarono un atteggiamento verso la musica comune alla cri­ stianità dei primi secoli? C 'è, in effetti, una tradizione di letteratura 66

2 . MUSICA E ClJL TURA CRISTIAI'\A

monastica che rifiuta la musicalità abbinata alle preghiere, giudican­ dola elemento di disturbo della compunzione e della meditazione, ma gli studi più recenti collegano queste testimonianze al monachesimo ascetico anacoreta, più che a quello cenobitico . Gli strali dei monaci cenobiti e degli ecclesiastici sono scagliati soprattutto contro la musi­ ca strumentale, la musica priva di parole che dunque, proprio in for­ za della sua capacità di ammaliare, trascina l'animo verso la corporei­ tà istintuale, lasciva e disarmonica. Ma il potere seducente del canto, in certi casi, non è invece per nulla da biasimare, come ironicamente ribadisce Ambrogio nel suo Sermo contra Auxentium, difendendo i suoi inni, strategici nella lotta all'eresia: Alcuni ritengono che abbia affascinato la gente con il canto dei miei inni. Non lo nego affatto ! Grande è il canto (carmen) del quale nulla è più po­ tente, e cos'è più potente che professare la Trinità che ogni giorno celebria­ mo con la parola davanti a tutti? (csEL 82 , 3, p. 105 [34] ) .

Giocando sul duplice significato della parola carmen , " canto , e anche ,, "incantesimo , il vescovo di Milano lascia intendere che il piacere sensibile possa essere un valore e uno stimolo positivo, se indirizzato al bene, tema col quale si confronterà apertamente, e in modo assai più problematico, il suo seguace Agostino. La Trinità è il più pro­ fondo " incantamento , , in quanto assoluta verità e sommo mistero in­ sieme. È allora giusto professare anche nella fascinazione del canto la forza dirompente di questa verità. Lo splendido inno ambrosiano Deus creator omnium ne è una delle prove più lampanti: partendo dall'armoniosa immagine di Dio creatore che stende la sua mano sul mondo, Ambrogio tratteggia la dolce visione della mente che riposa nel pensiero di Dio, e chiude affermando con forza il dogma trinita­ rio. Più volte Agostino ricorderà quest'inno, che gli servì anche per riuscire a dominare il dolore della morte di sua madre, come ammet­ te nelle Confessioni (Ix, 1 2 , 3 2 ) . C ' è dunque d a parte dei Padri una sorta di fiduciosa attesa nei riguardi della capacità psicagogica del melos e del rhythmus, owia­ mente solo se applicati alle sante parole della Bibbia, o a quelle edifi­ canti degli inni. E addirittura, come ad esempio afferma nelle sue Esposizioni sui salmi Giovanni Crisostomo, vescovo di Costantinopoli nel IV secolo, la musica è platonicamente intesa come la forza che dà lo slancio all'anima per elevarsi al pensiero filosofico: Nulla al mondo risveglia così l'anima, la munisce d'ali, la libera dagli intralci del mondo e la solleva da quelli del corpo, le dà la forza di applicarsi al

FILOSOFIA DELLA MUSICA

pensiero filosofico e di infischiarsene delle cose terrene quanto una melodia consonante e un canto divino ben ritmato (PG 4, col. 1 5 6) .

Ancora nel contesto della filosofia platonica sono d a intendersi quelle annotazioni secondo le quali la pratica del canto , e nello specifico del canto dei salmi, viene ricondotta al principio dell 'armonia cosmica. Se infatti l'uomo , microcosmo, è capace di armonizzare attraverso il canto la sua anima, ciò accade perché quello stesso canto dei salmi, istituito da Davide, rispecchia il canto angelico, che altro non è se non la versione biblica cristianizzata dell'armonia delle sfere, come pone Ambrogio nel suo Commento a dodici salmi (csEL 64 , p. 4 [ r , 2 ] ) . E ancora afferma nel suo Exaemeron : Davide pose anche i cieli dei cieli nella schiera degli esseri che lodano Dio. A sua imitazione i filosofi introdussero il movimento armonico delle sfere dei cinque pianeti, del Sole e della Luna, affermando che l'universo è tenuto in­ sieme dalle loro orbite o piuttosto dalle loro sfere. Essi pensano che tali sfe­ re, connesse e come inserite le une dentro alle altre, girino in senso inverso e con movimento contrario a tutte le altre e che da tale impulso e movimento delle sfere stesse sia prodotto un suono dolce e pieno di soavità, artistica­ mente elaborato in una gradevolissima melodia, perché l'aria, solcata da un movimento così armonicamente ordinato e capace di equilibrare i toni acuti con quelli gravi, produce un'armonia tanto varia nella sua uniformità da su­ perare la dolcezza d'ogni componimento musicale (Ambrogio, 1 979, p. 87 [n, 2, 6] ) .

L'idea dell'armonia del mondo è quindi calata nel canto g1o1oso del creato, che riflette quello celeste dei cori angelici. Questo stato di universale armonia esiste dove c'è Dio , dunque nei cieli, nel mondo e nella ecclesia dei fedeli, nelle comunità cristiane dove il creatore è lo­ dato col canto dei salmi. Con il fascino del linguaggio poetico , che rende la sua esegesi biblica una sorta di inno continuo, Ambrogio trasferisce il canto angelico sulla terra: se il coro celeste è come il calmo ondeggiare dei flutti che si stendono su isole tranquille, l'in­ gresso gioioso della plebs in chiesa è l'onda potente che si frange fra le rocce, e che si placa e distende nell'onda di riflusso, il canto comu­ nitario dei salmi (ivi, p . 1 3 5 [3 , 5 , 2 3 ] ) . L a concezione etica della musica, che in modo così limpido e sug­ gestivo è descritta dai Padri occidentali e orientali nel IV-V secolo, di­ venne un tema molto meno rilevante a partire dal VI secolo , soprat­ tutto in Occidente. Il mondo latino, infatti, a quell'epoca aveva pres­ soché concluso un lungo e importante processo di trasformazione. Il cristianesimo si stava affermando anche nei nuovi regni barbarici, la 68

2 . MUSICA E ClJL TURA CRISTIAI'\A

spinta di cristianizzazione, in particolare col pontificato di papa Gre­ gorio Magno (m . 6o4 ) e sotto lo stimolo dell'organizzazione benedet­ tina della vita monastica, si spostava più massicciamente ai margini dell'ex impero romano. Le pratiche liturgiche si assestavano e, in cer­ ta misura, si uniformavano, e le consuetudini di canto mutarono: l'in­ tonazione comunitaria dei salmi, in particolare, cessò di essere conce­ pita come una forma di meditazione e la salmodia si articolò in tipo­ logie esecutive standardizzate. Una volta innestato questo processo di formazione del repertorio liturgico, pur multiforme a seconda delle aree geopolitiche nelle quali si sviluppò , l'interesse speculativo nei ri­ guardi della musica cominciò a volgersi a un altro fine: non si rin­ traccia tanto nei confronti della questione morale del canto, quanto verso il problema della teoria su cui fondare la prassi. La necessità di inquadrare la musica nel contesto delle conoscenze scientifiche co­ mincia a fare capolino come tema di discussione e confronto anche per gli uomini di chiesa che, a breve, cominceranno a scrivere i loro primi trattati teorici. Nel IV secolo l'idea di una cultura cristiana che ha nella Bibbia il suo primo fondamento fu formulata ed elaborata da Agostino. Due secoli più tardi, quella cultura divenne la base educati­ va della società cristiana, e, in specie, delle comunità monastiche, le sole che nel collasso dell'impero romano d'Occidente e nei " secoli bui " dei regni barbarici traghettarono il sapere agli albori dell'età medievale.

2.3

Agostino 2 .3 . 1 .

DE ORDINE: LA RAZIONALITÀ DELLE ARTI E LA MUSICA COME DISCIPLINA DELECTANDI

Agostino ribadì in tarda età, nelle Retractationes, quale fosse stato l'intento che lo aveva spinto alla compilazione di manuali sulle arti liberali proprio nel momento decisivo della conversione al cattolicesi­ mo : non la celebrazione dell'antico, ma la costruzione razionale del nuovo mondo , che dal precedente doveva trarre contenuti e saperi finalizzandoli alla comprensione di un universo spirituale il quale, di per sé, è già tutto rivelato nella Scrittura e nell'Incarnazione. Nel periodo in cui mi stavo preparando a ricevere il battesimo, a Milano, cominciai a scrivere alcuni libri sulle discipline liberali. In tal modo mi ri-

FILOSOFIA DELLA MUSICA

promettevo, seguendo un percorso articolato e graduale, di giungere alla co­ noscenza delle realtà incorporee conducendovi anche gli altri, ma passando prima dalla conoscenza delle realtà corporee (ccsL 5 7 , p. 17 [I, 6] ).

La preparazione al battesimo, nell'esperienza di Agostino , coincise dunque con l' avvio del progetto di stesura dei libri sulle discipline liberali, attraverso le quali non lui solo, ma tutti i cristiani potevano accostarsi alla conoscenza del mondo naturale, porta di accesso alla conoscenza del divino . L'lpponate aveva infatti tratto la sconsolata ma illuminante conclusione, come racconta nelle Confessioni (Iv, I 6 , 3 0 ) , che le tante nozioni apprese in gioventù di geometria, musica e aritmetica, pur introducendo alla conoscenza razionale della realtà, erano prive di finalità se non si fondavano sull'atto incondizionato di fede che riconosce nel Dio cristiano il Signore dell'universo. Si accennava nel paragrafo precedente al grande impatto che ebbe su Agostino il celebre inno di Ambrogio Deus creator omnium. È proprio la forza dirompente dell'idea di un Dio creatore che plasma ogni essere del mondo a permettere ad Agostino di vedere in Colui che dà la vita l'essere nella sua pienezza, totale e unitaria. Ogni crea­ tura si pone di fronte al Creatore come "materia " imperfetta da lui plasmata, ordinata e misurata: «Non esitare ad attribuire a Dio crea­ tore ogni cosa in cui osserverai misura, numero e ordine», afferma Agostino nel De libero arbitrio (n, 20, 54) richiamandosi al celebre passo di Sapienza I I , 2 2 . Partendo da questo modo di intendere l'i­ dea plotiniana di partecipazione al divino, Agostino fu capace di fon­ dare la prima teorizzazione cristiana del sistema delle discipline libe­ rali. Ciò accade nel giovanile De ordine, scritto agli esordi della con­ versione, nel 3 86, presso il ritiro di Cassiciaco, alle porte di Milano . L'ordine divino è per Agostino la legge suprema che produce armo­ nia nel mondo, e l'ordo eruditionis è ciò che struttura l'enciclopedia dei saperi in accordo con la stessa legge. Secondo Agostino, il sapere procede da un occulto moto interiore dell'anima, l' attività razionale, la quale riesce a discernere e connettere le cose che si devono ap­ prendere (Agostino, 2 oo6, p. 4 3 9 [n , I 8, 48] ) . I sensi della vista e dell'udito sono capaci di cogliere questa potenza della ratio, ed è per ciò che il mondo ci appare organizzato secondo figure congruenti, e le sue voci risuonano rationabiliter all'orecchio . Le discipline del qua­ drivio si configurano quindi come disciplinae in delectando, veicoli privilegiati attraverso i quali l'uomo coglie nella razionalità l'ordine originario che Dio ha imposto all'opera della creazione, e che perciò lo conducono alla felicità contemplativa (n, I 2 , 3 5 ) .

2 . MUSICA E ClJL TURA CRISTIAI'\A

Al senso dell'udito perviene ogni stimolo sonoro: il suo è un com­ pito delicato, in quanto dovrà offrire al giudizio della ragione tutti gli elementi che la sonorità racchiude. Se lo stimolo sonoro è compreso nei parametri di un 'adeguata misura ritmica e di un'opportuna modu­ lazione, la sua materia diviene assimilata dalla ratio, altrimenti è pro­ dotto vilissimo, informe e, dunque, irrazionale. Ma non solo: compito dell'udito è anche quello di separare nella voce ascoltata l'elemento sonoro da quello significante. Mentre i vari aspetti del significato ver­ bale sono pertinenti alle scienze della parola - grammatica, retorica e dialettica - alla musica spetta di giudicare l'assetto fonico della voce, sia quella prodotta dall'uomo, e dunque fornita di articolazione ver­ bale, come il canto, sia quella prodotta dagli strumenti a fiato o a percussione, quindi priva di parola. Ecco dunque che Agostino ha delineato con chiarezza la motivazione che gli impone di collocare la musica alla base delle scienze delectandi, che poi altro non sono che le scienze matematiche. Dopo le discipline della parola, che servono a determinare il corretto uso del linguaggio, la musica " interpreta " la parola nel contesto della sua emissione, come uno degli aspetti del movimento sonoro. Contrariamente a Marziano Ca pella (PAR. r ·7 . 2 ) per il quale la musica è la conoscenza razionale più alta cui l'uomo può arrivare, in quanto è scienza delle ragioni del moto ordinato del cosmo da cui deriva ogni movimento sulla terra -, per Agostino la musica è comprensione del movimento fisico e organizzazione razio­ nale della materia sonora. Dalla conoscenza della musica l'uomo co­ mincia il suo cammino di esplorazione della razionalità dell'universo, che è al contempo un progressivo avvicinamento alla razionalità divi­ na. Compiere il salto significa elevarsi dall'elemento sensibile e attin­ gere a quello intelligibile. La musica, fatta di suono sensibile, sottostà alla legge del tempo, che la fa svanire se non fosse per l'opera conser­ vatrice della memoria, tema di profonda riflessione in molti scritti di Agostino, si pensi soprattutto al libro x delle Confessioni, e che tor­ nerà a dominare l'ultimo del De musica. È proprio grazie alla memo­ ria che anche i poeti pagani riuscirono ad attingere, pur attraverso testi bugiardi, alla razionalità musicale: Poiché ciò che la mente vede è sempre presente e riconosciuto come immor­ tale e i numeri apparivano di questo genere, mentre il suono, che è un dato sensibile, scorre attraverso il passato e si imprime nella memoria, e siccome la ragione ormai favoriva i poeti [. .. ] , con un mito razionale si raccontò che le Muse erano figlie di Giove e di Memoria. Perciò questa disciplina, in quanto partecipe del senso e dell'intelletto, trovò il nome di musica (Ago­ stino, 2oo6 , p. 429 [n, 14, 4 r ] ) .

FILOSOFIA DELLA MUSICA

La progressiva astrazione dalla sensibilità si attua quindi partendo dalla musica, passando poi attraverso la geometria, l'astronomia e in­ fine l' aritmetica, unica disciplina che manifesta in pieno il senso ra­ zionale dell'unità che tutto governa. La conquista del numero è un progresso consapevole nell'itinerario intellettuale compiuto da Agosti­ no: anche gli animali hanno la capacità di ordinare e unificare, ma per mero istinto. La scienza del sommo Pitagora chiude dunque il processo con il quale la ratio umana ha scalato i gradini della consa­ pevolezza filosofica (Cristiani, 2 007 , p. 2 9 ) . Quel passaggio dal sensibile all'intelligibile che organizza l a strut­ tura del De ordine è anche il percorso che dovrebbe scandire il pro­ gettato affondo di Agostino nelle scienze liberali, secondo appunto l'ordine appena enunciato: Nella musica poi, nella geometria, nello studio dei moti degli astri, nelle leg­ gi dei numeri, l'ordine domina così tanto che se qualcuno ne vuole vedere la sorgente e lo stesso penetrale, o li trova lì o attraverso esse vi è condotto senza alcun errore. Tale istruzione infatti, se è usata con misura [. .. ] , nutre un soldato della filosofia, anzi un condottiero, in modo tale che per la libera volontà si innalzi e giunga a quella Misura suprema, oltre la quale né può, né deve, né desidera cercare altro; e molti ne condurrà (ivi, p. 3 87 [n, 5 , 1 4] ) .

Passare dal sensibile all'intelligibile, conducendovi anche gli altri: il sistema erudito dei saperi è, razionalmente, strada di accesso alla con­ sapevolezza della fede. 2.3.2.

DE MUSICA :

LA MUSICA COME SCIENTIA BENE MODULANDI, LA RITMICA E LA METRICA

Il dialogo De musica, suddiviso in sei libri, fu iniziato da Agostino nel ritiro di Cassiciaco e concluso in Africa. L'opera fu terminata poco prima del 3 9 r , quando Agostino fu ordinato sacerdote. La discussio­ ne fra il maestro e l'allievo verte sulla ritmica e sulla metrica e ha per scopo di condurre l'allievo alla conoscenza razionale delle leggi nu­ meriche insite nella parola e nel modo di pronunciarla. Siamo, dun­ que, in perfetta coerenza con quanto enunciato nel De ordine. Nel­ l'intenzione di Agostino alla trattazione de rhythmo avrebbe dovuto seguirne una in sei libri de melo, cioè sulla scienza armonica, come egli auspica nella lettera a Memorio (csEL 34, 2 , p. 542 [ r o r , 3 ] ) , ma l'opera non fu mai scritta. Il discorso fra maestro e allievo inizia sulle parole modus (misura) e bonus (bene), due termini il cui significato sarà fondamentale, più

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avanti nel testo, per definire la scienza della musica, ma che in prima battuta appaiono proprio per distinguere il processo mentale che at­ tribuisce senso alle parole da quello che le indaga in quanto suoni articolati. Le due diverse parole condividono infatti il pes, cioè la mi­ sura della scansione ritmica lunga-breve. Riconoscere la misura nelle parole pronunciate è compito della grammatica, mentre l'indagine sulla misurabilità dei suoni estesi nel tempo è compito della musica , che si occupa di ciò che di numerico e " artificioso , - nel senso tecni­ co di " strutturato dall'uomo , - c'è nel suono vocale articolato. Ecco dunque che il primo libro del De musica procede con la messa a fuo­ co di cosa sia modulari (muovere) e bene modulari, cioè il «muovere secondo la misura» , secondo appunto il modus r. L'appropriata mo­ dulatio vocis è ogni emissione vocale conforme a una specifica misura, a un modo, e Agostino ribadisce che ogni misura si fonda sul nume­ rus, cioè su una successione numerico-ritmica (I, 2, 3 -4 ) . In tal modo , è giustificata la definizione della musica: musica est scientia bene mo­ dulandi (I, 2 , 2 ) , dove la modulazione è movimento, mentre l'avverbio bene corrisponde all'appropriata modalità del moto. Ma perché

scientia? La risposta pone Agostino di fronte alla dottrina platonica dell' ar­ te e della conoscenza, ed è in linea con quanto esposto nel De ordine. La musica è scientia in quanto è sapere fondato sulla ragione. Le per­ cezioni uditive raggiungono l'anima, che le interpreta secondo la ra­ tio, in base a una consapevolezza che è del tutto assente negli anima­ li, i quali per istinto praticano la musica, ed è presente in modo in­ completo nell'artista . «Ti sembra che l'arte sia una forma di ragio­ ne?», chiede polemicamente il maestro ( I, 4, 6 ) . No, l' arte è una for­ ma di imitazione che solo parzialmente fa uso della ratio. Imitazione è quel modo di produrre suoni basato sulla manualità corporea che segue i sensi e la memoria (I, 5 , r o ) . Scienza è invece intellezione (in­ tellectus) che si esplica come attività libera e non finalizzata al guada­ gno o al provocare diletto per fini materiali, come l' arte dei teatranti. L'arte liberale della musica è dunque una disciplina intellettuale , una scienza.

1 . I n Agostino i l concetto d i modus (misura, temperamento, regola) è di com ­ plessa interpretazione: in ambito teologico è usato in relazione al rapporto trinitario, in quello ontologico è inteso quale principio di sussistenza nell'essere; in contesto fisi­ co è la misura che struttura le parti nell'unità del loro essere; in ambito musicale equivale al temperamento, all'ordinamento nella successione temporale, al ritmo. In proposito cfr. Pizzolato ( 1 992 ) e Bettetini ( 1 994, pp. 157 - 70).

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FILOSOFIA DELLA MUSICA

Nel secondo libro apprendiamo i fondamenti matematici di que­ sta disciplina. All'ascolto di un suono o di una parola "modulata" l'uomo prova piacere proprio perché il suo animo è allietato, anche se inconsciamente, dalla dimensio numerorum implicita nel suono stesso (n, 2 , 2 ) ; come specificato nel De ordine, la scienza musicale è una disciplina del diletto. Adesso Agostino ribadisce che il piacere per l'uomo deriva appunto dalla struttura numerica del fenomeno so­ noro, che si organizza nel tempo. Solo nel sesto libro il lettore riceve­ rà un 'adeguata spiegazione su come mai il numerus sia fonte di di­ letto acustico, mentre nel secondo e nei libri che seguono il maestro procede nella ricognizione sui rapporti numerici nei movimenti di du­ rata, cioè sulla misura del suono vocale nel tempo della scansione sil­ labica. La dimensione temporale della musica di cui si occupa Ago­ stino è dunque ritmica e metrica. La distinzione teorica fra ritmica e metrica risale almeno ad Ari­ stosseno, ed è ben presente ancora nell'età di Agostino, come anche Marziano Capella testimonia (PAR. r .7 . 3 ) . Questi due diversi settori della musica non sono discipline distinte, secondo Agostino, ma meto­ di diversi di analisi del fenomeno musicale, nella fattispecie vocale. Essi rappresentano due modi di investigazione nella poesia quantitati­ va: la ritmica indaga la proporzione, il rapporto numerico fra i piedi in base alle durate delle sillabe in lunghe e brevi e alla loro alternan­ za. La metrica, invece, investiga la misura del rapporto sulla base di una successione stabilita di ritmi, cioè il verso. Ora, la novità del De musica di Agostino è che l'indagine ritmica e metrica è condotta non per il valore che ha nella poesia classica, da cui pure Agostino ripren­ de molti esempi esplicativi, ma per il valore razionale che ha in sé. Come già specificato nel De ordine, e ribadito nel primo libro del De musica, la musica in quanto scienza si applica all'intelletto del nume­ ro. Pur partendo dalla materia sonora sensibile, la astrae dal contesto del suo uso. Ai grammatici spetta dunque la conservazione dell'arte metrica, ai musici la ricognizione intellettuale della sua struttura nu­ merica. Ma perché la ritmica e la metrica, e non piuttosto la melopea, sono il fondamento della scienza musicale? Come già detto, Agostino aveva progettato di scrivere anche un trattato de melo, rimasto irrealiz­ zato: è stato ipotizzato che egli, retore di professione, abbia voluto iniziare la sua ricerca da quel contesto di opere che padroneggiava meglio, potendo contare sulla vastissima tradizione poetica classica. Ma forse possiamo intuire anche un'altra verità, di tipo metodologico, alla base di questa scelta: dato che la musica traghetta l'uomo dalla conoscenza del sensibile a quella del razionale, l'indagine armonica si colloca su un gradino superiore e successivo rispetto alla metrica, 74

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perché fa a meno del supporto della parola, essendo rintracciabile nel solo movimento fonico della voce verso l'alto e il basso 2• Il trattato di armonia, mai realizzato, avrebbe quindi seguito quello di metrica . Comunque sia, Agostino ha lasciato nel suo De musica testimonianze preziose, che saranno assai utili ai teorici successivi della musica, an­ che se proprio allora la poesia stava subendo una totale trasformazio­ ne, passando dalla metrica quantitativa classica a quella basata sull ' ac­ cento intensivo e sul numero fisso di sillabe nel verso. Vediamo in sintesi come Agostino affronta il problema ritmico . Anzitutto, egli pone una sorta di simbiosi fra la durata nel tempo di una sillaba e lo spazio di durata da essa occupato: una qualunque sillaba breve, pronunciata con una lunghezza minima e che svanisce appena si è manifestata, occupa tuttavia nel tempo un certo spazio, ed ha una sua pur piccola durata (Agostino, 1 997, p. 7 1 [n, 3 , 3 ] ) .

Torneremo nel paragrafo successivo sul problema del tempo e della misura. Qui è sufficiente segnalare che la divisione temporale della musica è per Agostino una conseguenza del concepire la sillaba come quantità discreta, che ha nella sillaba breve l'unità di misura, corri­ spondente a un " punto spaziale " . La breve equivale al tempo unitario (un tempo) , la lunga al suo doppio ( due tempi) . L'idea del "numero­ punto " è di tradizione pitagorica, e consente di interpretare le durate come multipli di un'unità; ma, in realtà, è in Aristotele che troviamo la definizione della parola pronunciata come quantità discreta, data da addizione di unità poiché formata da sillabe lunghe e brevi intese come minimi indivisibili (Categorie, 6, 4b3 4-5 a2 ) . Ricordiamo che la sillaba è definita da Agostino suono (suono della voce) , dunque è mo­ vz'mento. Tale suono, che è già in sé quantizzato (è una quantità di­ screta, come abbiamo detto) , non è tuttavia ancora ritmo. Il ritmo infatti è dato dall'unione di sillabe, cioè dal piede. Questo a sua volta ha una sua divisione naturale nelle due parti di arsi e tesi, che sono rispettivamente la sillaba antecedente e quella conseguente. La ritmi­ ca è perciò il rapporto fra sillaba breve (B) di un tempo e sillaba lunga (L) di due tempi, cioè è il piede nelle sue quattro scansioni primarie LL (4 tempi), BB (2 tempi) , BL (3 tempi) , LB (3 tempi) e 2 . Nel IV secolo, la metrica classica era ancora a fondamento dell'innodia latina, come quella ambrosiana così cara ad Agostino, mentre i manuali di scienza armonica non erano praticabili per indagare in via razionale le melodie dei canti cristiani. Que­ sto problema sarà affrontato e risolto in età carolingia, quando la formazione del re­ pertorio gregoriano impose lo sviluppo di un'adeguata teoria armonica a sostegno del­ la prassi, come vedremo nel PAR. 3 .4.2 .

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FILOSOFIA DELLA MUSICA

nelle ulteriori articolazioni di tre e di quattro sillabe. I rapporti possi­ bili sono di uguaglianza (I : I , come nel piede LL) , doppi ( 2 : I , pie­ de LB) e sesquati (come l'emiolo 3 : 2 , piede LB-L) . Quando dunque abbiniamo nel significato rhythmus e numerus, cosa che fa esplicita­ mente anche Agostino, dobbiamo tenere a mente che il numero rit­ mico, cioè il piede, è una proporzione fra sillabe, fra "numeri spazio­ temporali " : «i piedi sono formati dalle sillabe, cioè da movimenti di­ stinti e, per così dire, articolati che si trovano nei suoni» (Agostino, I 997 , p. 75 [n , 4, 5 ] ) . Tali movimenti, come detto, sono i tempi uni­ tario e doppio della breve e della lunga . Così strutturati, i piedi non contengono alcun limite, poiché ogni rapporto che essi determinano può ripetersi potenzialmente all'infini­ to. La metrica è pertanto quel contesto di indagine che consente di misurare il ritmo, dandogli una regola. Giustamente, Agostino ribadi­ sce che ogni metro è ritmo, ma non ogni ritmo è metro ( In , I , 2 ) . E infatti il ritmo è numerus, cioè proporzione, mentre il metro è misura di proporzioni, e dunque la metrica è la disciplina che regola la com­ posizione dei versi (III , I , I ) . Le leggi del ritmo, in se stesse, non pos­ sono portare alla scienza della musica, poiché solo la misura rende conoscibile l'oggetto da conoscere. I libri III, IV e v indagano allora le varie tipologie di metri, esame in verità abbastanza tedioso forse an­ che per Agostino, il quale si preoccupa di segnalare, all'inizio del se­ sto libro, di essersi soffermato fin troppo e pueriliter su queste cose, ma il lettore sappia che ciò serve «non per rimanere con loro , ma per la necessità di ripartire» (VI, I , I ) .

2 . 3 . 3 . IL SESTO LIBRO DEL DE MUSICA : LA FISIOLOGIA DELLA SENSAZIONE E LA RICO:\'DUZIONE DEL TEMPO A U:\'ITÀ

Il libro VI è quello nel quale, capito come funziona il piacere provo­ cato dai futili versi dei poeti profani, il maestro mostra all'allievo «come fuggire quelle trappole e quale sia il luogo della più felice si­ curezza» (ivi, p. 2 7 9 [vr, I , I ] ) . Si tratta, ora, di passare dalle realtà corporee a quelle incorporee, e l'indagine prenderà le mosse, come ben noto, dall'analisi del primo verso dell'inno ambrosiano Deus crea­ tar omnium, di cui Agostino, coerentemente con i suoi assunti, esami­ na la sola scansione sonora, evitando di riferirsi al contenuto semanti­ co dei verba pronunciati. Prima di addentrarci su questo tema, è però opportuno inserire una breve annotazione su un passo delle Confessioni (xn, 29, 40) , che meriterebbe una più ampia discussione per il suo grande interesse fi-

2 . MUSICA E ClJL TURA CRISTIAI'\A

losofico ed estetico, in cui Agostino mette a fuoco il rapporto fra suo­ no e canto, fra la materia acustica e la sua forma artistica. Il pro­ blema è generato dalla discussione che egli sta conducendo sui con­ cetti di "materia" e di "forma " , ed è volto a dimostrare come la "ma­ teria " suono non sia precedente nel tempo alla sua determinazione formale, al suo essere canto. Dice Agostino che quando cantiamo emettiamo dei suoni già formati. Fra suono e canto c'è tuttavia una priorità " di origine " . Il suono, infatti , precede il canto in quanto for­ nisce la materia informe, priva di ogni determinazione, rispetto alla quale il canto è forma, cioè determinazione e compimento: Non è vero infatti che noi emettiamo in un primo tempo dei suoni privi di forma e senza alcuna melodia, e che in un secondo tempo li adattiamo e modelliamo dando loro forma di canto [. . ] . Infatti, quando si canta, si sente il suono del canto, senza che prima ci sia un suono informe [ . . . ] ; il canto non è soltanto un suono, ma anche un bel suono [ . . . ] poiché non è il canto ad aver ricevuto forma per diventare suono, ma il suono ad aver ricevuto forma per diventare canto (ccsL 27, p. 239 [xn, 29, 4o] ) . .

I l suono ascoltato è un'unità in cui l a componente melodico-ritmica funge da "forma " , cioè determinazione che rende percepibile e rico­ noscibile l'oggetto sonoro. Quando il suono si presenta alla ricezione sensibile, esso contiene già quelle caratteristiche che consentono all'a­ nima di "interpretarlo " . Alla luce di tale assunto si spiega la com­ plessa dottrina della sensazione presente nel sesto libro del De musi­ ca, basata sul principio unificante del numero ritmico . Grazie al nu­ merus sonoro il ritmo sensibile è conoscibile dal principio razionale dell'anima, la quale pure è ritmica nella sua immateriale essenza. L'uomo, infatti, è un' anima che si serve di un corpo: l' anima vivifica il corpo, vigila su di esso ed è l'assoluta protagonista anche del pro­ cesso sensitivo. Essa non subisce alcunché dai sensi, ma «agisce con maggior attenzione su ciò che il corpo subisce e queste azioni [ . . . ] non le sono nascoste» (Agostino, 1 997, p. 2 99 [VI, 5 , r o ] ) . Perciò, afferma il De musica, quando il corpo subisce uno stimolo acustico , come quello del verso ambrosiano, formato da numeri so­ nantes (o corporales, poiché comprendono anche il ritmo della danza e di ogni altro movimento visibile) , si generano i numeri del senso, i quali «si trovano nello stesso sentire dell'udito» e «sono portati via dal silenzio» (ivi, p. 2 8 3 [vi , 2 , 3 ] ) . Ma le impressioni corporee non svaniscono nel nulla, perché la memoria ha l'immenso "magazzino " dei suoi numeri, i recordabiles, che sono una sorta di imprinting nel­ l' anima dei numeri corporei, tanto che «al presentarsi di altri numeri 77

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simili < a quelli già uditi > ritorna al pensiero un moto dell'anima non cancellato, e questo è quello che si dice il ricordo» (ivi, p. 3 1 9 [vi , 8 , 2 2 ] ) . Senza questi numeri della memoria l'anima non potrebbe attivarsi per procedere nel giudizio estetico . Infatti, essa opera attra­ verso numeri, o, potremmo dire, " scansioni ritmiche " simili a quelle recepite dal corpo e conservate nella memoria. Questi sono di due tipi: gli occursores, cioè quelli già chiamati "numeri del senso " e che sono deputati alla comprensione della sensazione, e i "progressivi " (progressores) , quelli «che ci accorgiamo che sono nell'atto dell'anima quando anche in silenzio e senza ricordare l'anima produce qualcosa di numerico nella successione temporale» (ivi, p. 307 [VI , 6, 1 6] ) , Si tratta, cioè, dei numeri-ritmi prodotti dall'uomo, sia in modo conscio, come nell'inventarsi un canto, sia inconscio, come nel battito del cuo­ re. Ecco, quindi, i cinque tipi di numeri, elencati per ordine di " meri­ to " , dal più spirituale al più materiale: del giudizio, progressivi, cc­ cursori (o "del senso " ) , della memoria e infine del suono (o corpo­ rei) . Tutta questa complessità di numeri intermedi non ha altro fine che connettere l'azione dell'anima alla ricettività del corpo, giustifi­ cando come essa operi sugli organi di senso tramite un 'azione co­ sciente, emotiva (un a//ectus) , la quale è, in fin dei conti, la stessa consapevolezza della modificazione corporea subita: è questa, filosofi­ camente parlando, la cosiddetta "natura intenzionale " della sensazio­ ne (Vanni Rovighi, 1 962 ) . L a specifica facoltà di giudizio che h a l'anima è quindi un nume­ rus, che fa sì che ogni verso, nel suo proprio genere, cioè nel modus che lo contraddistingue, sia percepito come piacevole se rispetta il modus correlato nell'anima, o sgradevole se non lo fa. Ma Agostino ribadisce un'importante precisazione: sebbene i numeri del giudizio siano i soli a potersi dire immortali, giacché permangono «nella natu­ ra stessa dell'uomo» oltre e al di là di quelli della memoria, tuttavia anch'essi sottostanno ai limiti delle durate temporali (vi, 7 , 1 7 e 1 8 ) . Le facoltà di giudizio sono infatti connaturate alla creatura che le possiede, e sono a essa proporzionali, perché a ogni vivente «è stato attribuito, in proporzione con l'universo, il senso dello spazio e del tempo» (Agostino, 1 997, p. 3 1 3 [VI , 7, 1 9] ) . In proporzione al corpo e al tempo dell'universo, il corpo e il tempo dell'uomo hanno proprie dimensioni, attraverso le quali il senso si adatta all'azione umana. I numeri del giudizio sono dunque i «comandanti latenti» di tutti gli altri numeri dell'anima: sono loro che, frenandoci dal fare movimenti disarmonici - anche quando ci grattiamo, dice Agostino, rispettiamo ritmo e armonia - ci suggeriscono al contempo «che Dio è creatore di ogni essere vivente, e che quindi lo si deve credere con certezza

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autore di ogni convenienza e concordia» (ivi, p. 3 1 5 [ vr, 8, 2 0] ) . In conseguenza, ogni processo fisico nel quale è implicata la ricezione ritmica, come l'ascolto di un canto, si apre al giudizio estetico dell'a­ nima, se solo l'anima vi pone attenzione. Tale giudizio altro non è che la riduzione all'unità operata dall'anima stessa, cioè la compren­ sione della coesione profonda fra la struttura ordinata di colui che sente e del sentito; una coesione fondata sulla consapevolezza che il senziente non è solo un "misurante " , ma anche un "misurato " . Ecco, dunque, che l' allievo è giunto alle soglie della verità intelligibile: ades­ so che sa su cosa si basa il giudizio estetico, è pronto per il passo finale. Una nozione musicale molto interessante è introdotta proprio nel passaggio chiave che segna l'ingresso, potremmo dire, all"'esteti­ ca " dell'intelligibile: Dunque queste cose belle piacciono a causa del numero in cui, come abbia­ mo già mostrato, si ricerca l'uguaglianza. D'altra parte tale numero non si trova soltanto nella bellezza pertinente all'udito e che si fonda sul movimen­ to dei corpi, ma anche nelle stesse forme visibili [ . . . ] . Dalla luce hanno origi­ ne tutti i colori, ed è infatti il colore che ci provoca piacere nelle forme dei corpi: che altro cerchiamo dunque nella luce e nei colori, se non ciò che si armonizza con i nostri occhi? Ci distogliamo da una luce troppo forte e non vogliamo guardare quel che è troppo oscuro, così anche per quanto riguarda i suoni fuggiamo da quelli troppo assordanti e non ci piacciono quelli che paiono un sussurro. Il problema non consiste negli intervalli di tempo [cioè nelle pause che stanno al posto delle sillabe] ma nello stesso suono, che è come la luce di tali numeri e al quale è opposto il silenzio, come le tenebre si oppongono ai colori (ivi, p. 349 [VI, r 3, 3 8] ).

Finora Agostino ha parlato del suono della voce, riducibile alla scan­ sione sillabica della parola pronunciata, ma il suono in senso lato, cui si oppone il silenzio, è ogni tipo di audizione che include la tempora­ lità musicale, cioè i numeri-ritmi, la cui riconduzione all'unità è prin­ cipio primo di godimento estetico. Quando un suono è troppo flebile o assordante, afferma Agostino, l'anima lo rifiuta perché nell'esiguità o nell'eccesso di volume esso tende a confondersi col suo opposto, col non suono, con un "vuoto " non misurabile. Agostino, in questo stesso passaggio, ribadisce però la differenza fra silenzio e pausa mu­ sicale, cioè fra il non suono e l'intervallo temporale vuoto di suono, ma non di durata. La metrica agostiniana prevede perciò una teoriz­ zazione della pausa quale divisione spaziale di tempo, o intervallo mi­ surato di silenzio (ivi, p. 3 3 1 [vr , r o , 2 7] ) . Il che significa, in altre parole, che nel flusso sonoro l'azione unificante del giudizio è possi­ bile perché ogni durata, di suono e di pausa, è numerabile. 79

FILOSOFIA DELLA MUSICA

Questo discorso, com 'è evidente, tocca il problema del tempo e della sua misurazione, un tema denso e controverso in Agostino. La trattazione più estesa sull'argomento occupa il libro XI delle Confes­ sioni, dove il vescovo d'lppona giunge al rifiuto dell'idea aristotelica di " tempo " come misura del movimento degli astri, e lo riconduce invece all'interiorità: il tempo è distensione dell'animo, che interio­ rizza in successione gli eventi passati (nella memoria) , presenti (nel­ l'attenzione) e futuri (nell'attesa) . Nella complessità della formulazio­ ne agostiniana, possiamo !imitarci a evidenziare solo la palpabile rela­ zione fra il tempo in senso lato e l'idea di "tempo ritmico " , scandito dalla sillaba. Il tempo sta per Agostino in relazione con la misura del­ la percezione sensibile, nella quale il percepito stesso è principio di misura, come sottolineato nelle Confessioni (xr, 1 6 , 2 1 ) . Ora, la silla­ ba è il minimo percettivo nell'articolazione della parola (PAR. 2 . 3 .2 ) , ed è per questo che essa è " tempo " , breve o lungo, e in conseguenza è "misura " del tempo ritmico. Dove non c'è criterio di misura cessa la percezione consapevole, e cessa anche la percezione del tempo . Ciononostante, Agostino scarta l'idea che la più piccola misura della sillaba possa misurare il tempo in senso assoluto, poiché può variare a piacimento la velocità con la quale la sillaba stessa è pronunciata (XI, 2 6 , 3 3 ) . Né i giri immensi dei cieli né il più piccolo suono artico­ lato della voce sono, in se stessi, criterio unico e invariabile di misura per il tempo, il quale, tuttavia, è percepito proprio, e solo , in quanto è misurato. Illuminante l'affermazione nell'esegesi del Salmo 1 03 : «dove c'è Dio non ci sono sillabe, perché egli non ha divisioni di tempo ; e questo non ci sorprenda, perché egli è sceso nelle nostre particelle (particulas) di suoni quando ha assunto la debolezza della nostra carne» (ccsL 40, p. 1 5 2 1 [ 1 03 , 4, 1 ] ) . Dio , al di sopra del tem­ po, è entrato nel tempo come Verbo incarnato, Parola vivente; solo così egli si è rivelato all 'uomo, divenendo " criterio di misura " per l'uomo stesso. E in lui, creatore di tutta la realtà, l'uomo trova il principio unico e solo di riconduzione all'uguaglianza e all'unità . Nella legge di riconduzione all'unità rivelatasi all'anima attraverso la formulazione del giudizio estetico, l'intelletto umano, ancora per via di ragione, è costretto a constatare che solo in Dio è riposta la causa della bellezza, perché solo Dio può essere il principio superiore che conduce di nuovo all'uno: lui solo, trino e uno , ha creato la mol­ teplicità nella struttura numerica ordinata all'unità. Nessuna creatura, suggerisce Agostino nel De musica, neppure l'uomo razionale, può creare l'ordine unitario se non ha un modello di riferimento; l'uomo J?UÒ " fare ordine " perché è immagine del modello divino (vr, 1 4 , 46 ) . E , insomma, la verità del Deus creator a unire sensibile a intelligibile, Bo

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a ricondurre ogni " sensazione" di bellezza, ogni conscia o inconscia "numerazione dell'esperienza " al suo modello unitario. Così, l'ultimo genere di numeri è quello degli aeterni, delle leggi immutabili dell'u­ niverso che sono nella mente divina e che rispecchiano il mistero in­ sondabile del rapporto trinitario. Torniamo dunque, esorta il maestro in chiusura del De musica, all'inno ambrosiano, ma stavolta attendia­ mo con fiducia al significato profondo delle sue parole: Il numero infatti inizia dall'uno, è bello per l'uguaglianza e la similitudine e si congiunge secondo un ordine. Pertanto chiunque ammetta che non c'è nessuna natura che, per essere ciò che è, non tenda all'unità [ . ] deve anche ammettere che tutte le cose che sono state fatte, quali siano e per quanto grandi siano, derivano da un solo principio, per mezzo di una forma a lui uguale e simile, con quella ricchezza di bontà, per cui nella carità più grande si uniscono fra loro in uno, e uno da uno. Perciò quel verso che abbiamo proposto: Deus creator omnium, non è solo gradevole all'orecchio per il suo­ no articolato sui numeri, ma molto di più all'anima per la pura verità del contenuto (Agostino, 1 997 , p. 373 [VI, 1 7 , 56-57] ) . ..

2 . 3 ·4· L E

CONFESSIONI

E L ' ESEGESI AI SALM1:

DAL

CANTO AL GIUBILO

Il sesto libro del De musica si apre, come appena visto, con una inda­ gine sulla modulazione ritmica del verso ambrosiano e si chiude af­ fermando la verità significata dalle sue parole, molto più gradite all'a­ nima di quanto non lo sia al corpo la piacevolezza della loro sonorità. Il rapporto fra la parola e il suono che la significa ha per Agostino un rilievo particolare, che è opportuno richiamare per introdurre l'esame del suo problematico giudizio sull'opportunità del canto dei salmi e degli inni. Come si è detto nel PAR. 2 . 2 , la riflessione patristica sul canto salmodico è ampia fra IV e v secolo, segno del consolidarsi di una prassi musicale diffusa, per quanto oggi difficile da inquadrare nella sua effettiva modalità esecutiva. Anche Agostino si confrontò con questa tipologia di canto sacro, e gli studi interpretativi hanno messo in luce una inclinazione controversa nelle sue annotazioni: Agostino prende le distanze dal piacere della melodia, ma non può negarne il fascino, oscilla fra la potenza dell'emozione indotta dal canto e il bisogno di totale distacco, cui si accompagna la ripulsa e la condanna, salvo poi esaltare il piacere sonoro del vocalizzo puro nel­ l'esperienza del giubilo, la voce " di puro suono " priva di parola, gri­ do e canto di lode a Dio. Senza voler ridurre la complessità del pensiero e del tormento agostiniano a una banale risposta chiarificatrice, possiamo leggere i 81

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passaggi in questione, almeno i più significativi, alla luce di quanto è stato puntualizzato nei paragrafi precedenti, per vedere se e come le formulazioni teoriche abbiano condizionato l'esperienza concreta del­ la musica che Agostino poté avere. Iniziamo da due brani dei libri IX e x delle Confessioni, in cui il vescovo d'lppona mette a fuoco il po­ tere di fascinazione del canto dei salmi, riferendolo alla sua personale esperienza d' ascolto: E fummo battezzati, e si dileguò da noi l'inquietudine della vita passata [ . . . ] . Quanto piansi commosso violentemente dalle voci della tua chiesa che risuo­ navano soavemente nei tuoi inni e cantici ! Quelle voci fluivano nelle mie orecchie e la verità si scioglieva nel mio cuore, e da là sgorgava un senti­ mento di commozione; le lacrime scorrevano e mi facevano bene (ccsL 2 7 , p. r 4 r [rx, 6, r 4] ) . I piaceri dell'udito mi hanno impigliato e soggiogato più tenacemente, m a tu mi hai sciolto e liberato. Lo confesso, ora mi rilasso un poco alle melodie che vivificano le tue parole quando sono intonate con voce soave ed esperta (artificiosa) , non, però, da rimanerci inchiodato, ma da potermi rialzare quando voglio. [. .. ] e sento che tutti i sentimenti della nostra anima, in ac­ cordo con la loro diversità, hanno nella voce e nel canto specifiche modalità (modos) , delle quali non so per quale arcana corrispondenza essi si eccitino. Ma il piacere della mia carne, cui non bisogna permettere di sfibrare la men­ te, spesso mi seduce allorquando il senso non si rassegna a rimanere secondo nell'accompagnare la mente, e, pur debitrice a quella di essere accolto, tenta addirittura di precederla e guidarla. Qui pecco senza awedermene, e poi me ne awedo (ivi, p. r 8 r [x, 3 3 , 49] ) .

I canti affidati alla voce artificiosa ( al PAR. 2 . 3 .2 è stato sottolineato che la musica si occupa di ciò che di numerico e "tecnico " c'è nel suono articolato) soggiogano quando il modus dell'intonazione è così efficace nell'eccitare l'anima da distoglierla dall'attenzione alle parole . Ma se le parole della Bibbia sono Verità, perché l'anima se ne disto­ glie? Agostino è così tormentato da questo problema da convincersi della necessità di rivedere la prassi della recita intonata dei salmi; in tal senso, l'intonazione "moderata " proposta da Atanasio (PAR. 2 . 2 ) sarebbe d a preferirsi, m a non sempre, perché il canto è anche uno stimolo positivo per l' animo troppo debole: Allora rimuoverei dalle mie orecchie e da quelle della stessa Chiesa ogni me­ lodia delle soavi cantilene con cui si accompagnano abitualmente i salmi da­ vidici; e in quei momenti mi sembra più sicuro il sistema che ricordo di aver udito spesso attribuire al vescovo alessandrino Atanasio: questi faceva recita­ re al lettore i salmi con una flessione della voce così lieve da sembrare più

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vtcma a una declamazione che a un canto. Quando però mi tornano alla mente le lacrime che versai udendo i canti della chiesa ai primordi della mia fede riconquistata, e la commozione che ancor oggi suscitano in me non il canto, ma le parole cantate, se cantate con voce limpida e la modulazione più conveniente, riconosco di nuovo la grande utilità di questa pratica. Così oscillo fra il pericolo del piacere e la constatazione dei suoi effetti salutari, e sono piuttosto incline, pur non emettendo una sentenza irrevocabile, ad ap­ provare l'uso del canto in Chiesa, così che lo spirito troppo debole assurga al sentimento della devozione attraverso il piacere dell'ascolto. Tuttavia, quando mi capita di sentirmi mosso più dal canto che dalle parole cantate, ammetto che sto commettendo un peccato da espiare, e allora preferirei non sentir cantare. Ecco il mio stato (ivi, pp. r 8 r -2 [5o] ) .

L o stato d i commozione al quale è indotto l'animo nell'ascolto del can­ to sacro deriva in primo luogo dalla flessione melodico-ritmica delle voces, ma la voce serve anche per la comprensione: essa trasmette all'u­ ditore le parole della Bibbia. Nella concezione dialettica di Agostino capire una parola significa avere già nella mente il suo significato, an­ che se a uno stato latente e nascosto. Ascoltando una parola scono­ sciuta non se ne comprende il senso; per arrivare al senso occorre ave­ re la " parola interiore " , la "parola del cuore " , insomma: significa cono­ scerne già il significato . La musica è dunque pericolosa per l'animo che non ha la pienezza del significato, e che in conseguenza viene mosso solo dal suono, e non è colpito dal senso. Ora, se il sentimento che i suoni inducono è positivo, questo può giovare anche all'anima, che così si apre con miglior disposizione alla comprensione del senso, ma se i suoni sono troppo " affascinanti " possono indurla, all'opposto, a distrarsi. Il canto ambrosiano che Agostino neoconvertito ascoltò fu positivo: non fu certo quello a provocare la conversione, ma fece sì che la "presenza latente " di Dio nel cuore «si sciolse» nell'evidenza della verità. Ma l'animo debole, che non ha ancora accolto la verità nel cuo­ re, è come chi ascolta una parola di cui non ri-conosce il significato; per questo il diletto dell'udito può essere dannoso, persino peccamino­ so: può infatti distogliere dal significato proprio quando invece il si­ gnificato dovrebbe imporsi. Tuttavia, la forza motiva del suono puro difficilmente può essere domata: anche quando l'anima sta salda sul significato, la vis verbi talvolta cede alla vis soni. È dunque giusto che il flexus modicus, più vicino alla pronuncia parlata, sia adottato per moderare, in questi casi, la sovreccitazione dell'anima. Leggendo sotto questa luce i passi sul canto sacro , dobbiamo ri­ conoscere che la dottrina agostiniana, scomponendo la fonetica dalla semantica della parola, implica l'imprescindibilità del piacere suscita­ to dalle melodie. L'anima deve perciò stare salda sul significato per

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non farsi soggiogare dal diletto del suono . Il dilemma se accogliere o no il canto sacro dipende dunque dall'essenziale e irrisolvibile pro­ blema di tenere sotto controllo il moto di affetto che fatalmente si accompagna all'ascolto del canto. C'è però un tipo di canto che è puro vocalizzo ma che non incor­ re nel pericolo della deviazione: si tratta del giubilo. Così ne parla Agostino nelle Enarrationes in Psalmos, nell'esegesi del Salmo 3 2 : Ognuno chiede come cantare a Dio. Canta a Lui, ma canta bene. Egli non vuole che le sue orecchie vengano offese. Canta bene, fratello. Se davanti a un buon intenditore di musica ti è detto "canta, per far lui piacere " , tu, se non sei istruito nell'arte musicale, tremi nel cantare per non dispiacere a quel musico. [. . . ] Come potresti offrire una tecnica di canto così elegante da non dispiacere in alcun modo ad orecchie così perfette? Ecco, allora, che Egli ti dà il modo (modum) del canto: non cercare le parole, come se tu potessi rendere manifesto come Dio si diletti. Canta nel giubilo: questo è cantare bene a Dio, cantare nel giubilo. E cos'è mai cantare nel giubilo? Comprendere, senza poter spiegare a parole ciò che si canta col cuore. E infatti coloro che cantano nel raccolto , o nella vendemmia, o in altre impe­ gnative occupazioni, non appena iniziano ad eccitarsi per la gioia dalle paro­ le dei canti, come stracolmi di così grande letizia da non poterla spiegare a parole, non pronunciano più le sillabe delle parole, e prorompono in un suo­ no di giubilo. Il giubilo è un suono che significa (significans) che il cuore partorisce ciò che non può dire. E a chi conviene questo giubilo se non a Dio ineffabile? Ineffabile è infatti ciò che non si può fare; ma se non lo puoi fare e non lo puoi tacere, cosa resta se non giubilare, in modo che il cuore gioisca senza parola, e l'immensa vastità della gioia non subisca la limitatezza delle sillabe? (ccsL 3 8 , pp. 2 5 3 -4 [32, n, 8, v. 3 ] ) .

Questo tipo di esperienza canora sine verbis, essendo priva delle pa­ role della Bibbia dovrebbe essere pericolosa e deviante per l'anima; eppure è per il vescovo d'lppona un 'esperienza assoluta, non solo emozionale, ma mistica. Essa porta al massimo del godimento fisico congiungendosi alla vetta sublime dell'ineffabilità, che solo in un suo­ no disarticolato esprime l'inesprimibile. «Il suono del cuore è conoscenza», ribadisce ancora Agostino nel­ la sua esegesi al Salmo 99: la parola " cuore " (cor) ha per lui un va­ stissimo campo semantico. Essa significa la mente, l'interiorità, le operazioni intellettuali che l'anima compie. Cantare "nel cuore " vuoi dire cercare con la mente un modo adeguato di esprimere la gioia di " sentire " la presenza di Dio. Ma nessuna parola umana può dilettare Dio, solo Dio può far sì che l'animo umano esprima in modo adegua­ to la gioia verso un " oggetto " così alto della mente. Dio stesso allora

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dà il modus del canto, cioè suggerisce, nel cuore di colui che vuole lodarlo, la "misura giusta , nell'emissione della voce, che permette di muovere uno specifico stato d'animo. La mediazione della parola è inutile e impossibile. Cantare in giubilazione è quindi intellegere, cioè concepire la parola illuminante di Dio come modus cantandi. Ecco , allora, che alla domanda «cosa diletta Dio?» Agostino risponde: «Dio si diletta nel giubilo». La voce senza parola e senza sillabe, che mani­ festa il modus dell'illuminazione divina, diventa "tutta suono , , perde il limite e la misura e si distoglie dal tempo: non è più mediatrice di conoscenza (chi può avere conoscenza di Dio attraverso la parola? ) , m a di intellezione pura e sovrabbondanza di sentimento. L'ineffabili­ tà canora della lode a Dio , allora, non si confonde affatto con la me­ lodia che può trascinare l'animo verso il basso . Il giubilo è «suono significante» non perché traduce in parola un concetto, ma perché " si ,, fa segno della gioia partorita dal cuore illuminato da Dio . Il rapporto fra il canto sine verbis e la sua valenza mistica è me­ diato dalla parola latina iubilatio o iubilum più tardi si affermerà il attestata in autori d'età ellenistica e dallo stesso maschile iubilus Agostino come rustica vox, cioè grido di gioia degli agricoltori. Ago­ stino è ben consapevole del significato corrente del termine, vivo an­ cora ai suoi tempi, visto che lo utilizza più volte per restituire il senso di un'esperienza altrimenti inenarrabile. È alquanto significativo che l'Ipponate ritenga la voce umana lo strumento essenziale per esprime­ re il giubilo. Fra i Padri latini anteriori ad Agostino, il canto di giubi­ lo appare nell'esegesi dei salmi solo per indicare il grido di gioia del popolo d'Israele levato a Dio. Nella patristica greca tale grido si con­ nota di un elemento d'ineffabilità e trascendenza, mentre nella Vulga­ ta iubilum appare con minore frequenza, essendo rimpiazzato per lo più con vocz/eratio, lo schiamazzo, l'acclamazione ad alta voce. Ilario di Poitiers distinse il giubilo, grido di contadini, dal grido vittorioso dell'esercito, mentre Ambrogio usa rare volte iubilatio. Nell'Enarratio in psalmum primum afferma che il salmo «cantatur ab imperatoribus, iubilatur a populis» (PL 1 4 , col. 925 [9, 74 r c] ) , e con questa annota­ zione egli ribadisce la connotazione del giubilo come forma canora corale e popolare, contro l'intonazione musicale davidica e regale dei salmi. Agostino, perciò , risulta essere il primo fra i Padri che si riferì all'esperienza del giubilo come canto individuale di lode , e gli studio­ si di storia della liturgia e di musica si sono chiesti a che tipo di con­ testo musicale il giubilo agostiniano abbia potuto corrispondere. Oggi si tende a pensare che questo vocalizzo fosse una forma di lungo me­ lisma congiunto alla salmodia responsoriale , ma i passi che sono stati riportati, e altri del tutto consoni a questi, sembrano invece ricondur-

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lo a una dimensione canora non standardizzata, interiore e m1st1ca. Ciò non toglie, tuttavia, che il giubilo descritto da Agostino fosse un 'esperienza musicale concreta, esemplata sul modello dei "vocaliz­ zi , : non le bibliche acclamazioni del popolo o le urla vittoriose dell'e­ sercito, ma le grida festose del mondo contadino. Il piacere soggio­ gante della suavis et artificiosa vox che tanto tormentava Agostino si sublima e quasi si riscatta nel piacere ineffabile dell'unica, vera, melo­ dia pura, quella che Dio stesso detta nel cuore e che, restituita in accenti d'incontenibile letizia, sola riesce ad allietarlo.

2 .4

Boezio 2 .4. 1 . LA MUSICA COME SCIENZA SPECULATIVA Potrà risultare fuori luogo collocare in questo capitolo sulla prima concezione cristiana della musica una ricognizione sul pensiero musi­ cale di Boezio , il quale, al di là della vecchia questione sulla sua ade­ sione al cristianesimo , non si interessa affatto al canto cristiano e ai problemi di "etica, musicale che invece alimentavano la letteratura patristica . Ma, al di là del fatto che il suo De institutione musica co­ stituì il presupposto teorico imprescindibile per la teorizzazione me­ dievale della musica, c'è una ragione profonda che accosta Boezio alla cultura cristiana, e in particolare ad Agostino. Entrambi, pur seguendo percorsi e finalità non sempre concordi, inserirono il sapere musicale all'interno di una costruzione filosofica razionale del sistema delle conoscenze. In questo percorso la loro po­ sizione si distacca da quella di Marziano o Macrobio, per i quali l'iter conoscitivo è un processo salvifico " autoreferenziale , , da realizzarsi nella pratica delle attività intellettuali. Per Agostino, come abbiamo detto, la salvezza è Cristo, per il cui tramite ogni settore del sapere umano si apre alla dimensione della fede. Il fine della conoscenza, quindi, non è salvifico in sé, ma è strumentale all'accoglienza dell'uni­ ca verità, una verità che redime, eleva l'uomo e al contempo lo radica nel mondo, obbligandolo all'annuncio della Parola: una prospettiva teologica ed escatologica del sapere imprescindibile per la dottrina cristiana. Per Boezio la questione è più complessa. Egli non fu moti­ vato alla formulazione di una cultura cristiana da opporre a quella pagana, ma non fu neppure un seguace dell'ideale classico pagano di salvezza intellettuale. La sua opera si inscrive fra accese dispute teolo­ giche, nelle quali si fronteggiavano Roma e Bisanzio, e il faticoso e 86

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precario consolidamento del regno goto di Teodorico, che lo porterà fino ad un'ingiusta condanna a morte (5 24-25 ) . Egli, nobile romano formatosi nella tradizione culturale greca e in quella politica della classe senatoriale, intraprese un programma di studio che esplicita nel suo secondo commento al trattato Dell'espressione di Aristotele : tra­ durre e commentare tutte le opere di Aristotele e di Platone e pro­ porre una sintesi della metodologia aristotelica e della metafisica pla­ tonica. L'amore per la conoscenza fu per lui, anzitutto, un valore mo­ rale universale che si incarnava nella razionalità filosofica, la quale sola poteva condurre l'uomo alla libertà. Questo tema forte, sul quale Boezio chiude il suo capolavoro, La consolazione della Filosofia, scrit­ to in attesa della condanna, è sviluppato nella prospettiva platonica e cristiana del sommo Bene e della Provvidenza che regge il mondo: Filosofia, personificazione del sapere razionale, conduce Boezio a concepire Dio come giudice onnipotente, di fronte al quale l'uomo è libero e responsabile. Il cammino nelle conoscenze e l'itinerario dei sa peri non innalza, dunque, all'erudito distacco dal mondo, ma, come per Agostino, trasforma il punto di vista dell'uomo, calandolo nel mondo e facendo sì che egli vi riconosca le tracce del divino. In que­ sto senso Boezio, ultimo dei romani, è stato letto come autore cri­ stiano , ed è cristiano . Da lui, i medievali trarranno l'aspirazione alla convergenza di Platone e Aristotele, sui suoi scritti formeranno le basi del pensiero logico, la concezione della scienza e, non ultima, l'organizzazione dei saperi nelle discipline liberali. Traduzione e commento sono per Boezio le due operazioni intel­ lettuali necessarie a capire la cultura classica greca, ma questa com­ prensione non è, in se stessa, lo scopo della conoscenza: una cosa è possedere la ragione, afferma nel suo commento alle Categorie di Ari­ stotele, altra è servirsene. Servirsi della ragione implica attraversare le svariate forme di conoscenza che la classicità ha trasmesso, restituen­ dole come parti di un sapere unitario e coerente, fondato sulla meto­ dologia di indagine tracciata da Aristotele, e indirizzato alla ricerca della verità. Questo fondamentale assunto è già tutto chiarito nell'in­ troduzione al De institutione arithmetica, dove Boezio formula, per la prima volta in Occidente, l'organizzazione delle discipline matemati­ che nel quadrivio (quadrivium) , la quadruplice via alla conoscenza (ccsL 94A, p. I I [I, I ] ) . Il trattato aritmetico di Boezio è una tradu­ zione abbastanza fedele dell'Introduzione all'aritmetica di Nicomaco , ed è in totale sintonia coi presupposti filosofici nicomachei (PAR. 1 ·4· I ) . Anche Boezio esordisce nel nome di Pitagora, riconducendo alla sapienza delle cose immutabili la quadruplice via che «manifesta la solerzia di una giusta comprensione» (ivi, p. 9 ) . «Sapienza è la co-

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noscenza e la piena comprensione di quelle cose che sono vere», con­ tinua Boezio; per cui, se manca l'indagine anche su una di queste scienze particolari, non si giunge alla pienezza della verità. Perché? Secondo Boezio, perché le quattro discipline vertono sullo studio del­ le essenze (essentiae) , le quali sono intese come determinazioni immu­ tabili dell'essere, che ne definiscono la natura. Le essenze o formae, come anche le chiama Boezio, non possono essere oggetto di scienza finché restano legate all'apparenza mutevole dei corpi sensibili. Esse lo diventano solo quando la mente le coglie nell'immutabilità del loro essere e nella permanenza del loro stato. Dunque, per Boezio l'iter conoscitivo nelle matematiche non segue la logica di un progredire dal sensibile all'intelligibile, che pur variamente interpretato segnava i percorsi ascensionali di Marziano C a pella ( PAR. 1 .7 . 2 ) , Macrobio (PAR. 1 .6) e Agostino (PAR. 2 .3 . r ) , ma segue invece la ratio disciplinare che distingue le varie modalità di accostamento intellettuale alle /ormae della realtà. Solo una completa esplorazione di tutti i modi in cui l'in­ telletto coglie queste forme consente di giungere a una scienza piena e integrale dell'essere (esse) . Boezio inizia con l' aritmetica perché, conformemente all'impostazione nicomachea, è l' accesso più imme­ diato della razionalità umana all'essenza della quantità, anche se il numero "in sé , si pone al vertice delle essenze, quale principio unifi­ catore e primo 3 . Nel De institutione musica è riproposto il medesimo assunto, in apertura del secondo libro, che esordisce anch'esso nel nome di Pi­ tagora: Primo fra tutti, Pitagora chiamò lo studio della sapienza col nome di filoso­ fia, la quale implicava la conoscenza e la disciplina di ciò che si dice "essere" in senso proprio e vero. E riteneva che "essere" fossero quelle cose che non crescono e non diminuiscono e non si trasformano per alcun accidente. Que­ ste sono le figure, le grandezze, le qualità, le relazioni e tutte quelle cose che pensate per sé sono immutabili, congiunte ai corpi cambiano e si trasforma­ no in corrispondenza alle molte trasformazioni delle cose mutevoli (Boezio, r 867 , pp. 2 2 7-8 [n, 2 ] ) .

L e " essenze , sembrano quindi corrispondere alle categorie aristoteli­ che: sostanza, qualità, quantità, relazione, luogo, tempo, posizione, 3 · Una lettura diversa è stata tuttavia proposta da Charnberlain ( 1 970) e ripresa da Chadwick ( r 986, p. 1 3 9), per cui nella prospettiva aperta dalla Consolazione della Filosofia la musica si porterebbe più avanti verso il vertice di perfezione sapienziale rispetto all'aritmetica. Mentre quest'ultima guida l'intelletto alle verità immutabili, la musica penetra nell'ordine provvidenziale della realtà, riflesso dall'armonia universale.

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condizione, azione e passione (Categorie, 4, rb 2 5 -2 7 ) . Come queste, esse hanno infatti una funzione logica e ontologica, servono cioè a offrire una corretta definizione di ogni ente reale, attribuendogli le sue determinazioni essenziali. Tuttavia, vi è un elemento neopitagori­ co e neoplatonico in relazione all 'idea boeziana delle " essenze " , le quali, pur intese come categorie, sono ricondotte al principio genera­ le della quantità, cioè alla loro matematizzazione. Il concetto è ribadito più volte nel corso del De institutione musica, e in particolare è evidenziato all'inizio del libro v, nel quale Boezio imposta un confronto fra le posizioni di Pitagora-Nicomaco, di Ari­ stosseno e di Tolomeo sull'oggetto della musica. Infatti, prima di entra­ re nel merito delle rispettive opinioni, Boezio propone una riflessione sulla vis armonica, «la capacità umana di valutare con l'udito le diffe­ renze fra suoni gravi e acuti in base al senso e alla ragione» (ivi, p . 3 5 2 [v, 2 ] ) . Il senso, afferma Boezio, procede per via di somiglianza, rap­ portando le percezioni a concetti della mente in modo confuso, mentre la ragione opera nella certezza. Ciò accade perché il senso percepisce le essenze, qui chiamate species, nelle loro determinazioni materiali e quindi mutevoli, «mentre la ragione le coglie al di là della loro comu­ nione col soggetto materiale e dunque le coglie nell'integrità e verità» (ibid. ) . Del resto, la manchevolezza dei sensi si rivela sempre più man mano che la mente opera su tali "forme " . Se, per esempio, tracciamo un segmento, abbastanza facilmente ne possiamo calcolare " a occhio " la metà, ma con difficoltà siamo in grado di valutarne un quinto, un ottavo, o frazioni ancora più piccole. La dimensione materiale di un oggetto va dunque " astratta" dall'oggetto e trattata come se non fosse in esso, come se fosse, appunto, una misura matematica. Ugualmente accade per i suoni, rispetto ai quali Boezio offre un esempio interessan­ te: supponiamo di aver individuato una differenza di tono fra un suono e un altro. Se il nostro orecchio non è preciso e l'intervallo non è esattamente quello di tono, un ulteriore tono aggiunto a quello, e poi un altro e poi un semitono renderanno ancora più macroscopico l'erro­ re iniziale della percezione, e l'intervallo risultante di quinta (tono + to­ no + tono + semitono) sarà anche all'orecchio del tutto stonato. È quin­ di solo nell'astrazione e successiva matematizzazione delle specie, o for­ me o essenze che dir si vogliano, che consiste la facoltà di giudicare rettamente e di giungere alla verità. Sempre richiamandosi a Pitagora, Boezio pone una distinzione nell'ambito della quantità che è indispensabile all'attribuzione di uno specifico oggetto d'indagine a ciascuna disciplina quadriviale. Le quantità sono o moltitudini o grandezze. Moltitudine è la quantità di­ screta, la cui essenza consiste nella numerabilità, cioè nella ricondu-

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zione dei "tanti " che la compongono ad una somma di " unità " : mol­ titudine è un gregge, un popolo , un coro, e ogni insieme in cui l'uni­ tà del tutto è data per aggregazione di entità minime indivisibili di identica specie (una pecora, un uomo, un corista ) . Grandezza è inve­ ce la quantità continua, la cui essenza consta dell'occupazione di uno spazio: essa si distingue in fissa e mobile. Se l'aritmetica è la disci­ plina del numero in sé, della moltitudine, la musica è la disciplina che studia sì la moltitudine, dunque la numerabilità, ma rapportata ad altro da sé; la geometria è la scienza delle grandezze in quiete, mentre l'astronomia delle grandezze in movimento (ivi, pp. 2 2 8-9 [n, 3 ] ) . La conoscenza musicale è quindi conoscenza delle proporzioni matematiche che esprimono le relazioni fra suoni: le relazioni sono nei suoni, ma sono pensate come se fossero astratte dalla materialità. Il suono per Boezio, come vedremo nel paragrafo seguente, è effetto di un movimento, quindi non ha esse stabile, cioè determinazioni im­ mutabili, se non in quanto il movimento è concepibile come rapporto fra altezze acustiche diverse. Al contrario di Agostino, che "matema­ tizza " l'elemento fonico della voce, la sillaba (PAR. 2 . 3 .2 ) , Boezio se­ gue i precetti della scienza armonica platonico-pitagorica e, con Nico­ maco, individua nella misurabilità delle differenze di altezza ciò che costituisce l'essenza immutabile nella speculazione musicale, la " for­ ma " non soggetta all'incertezza della sensazione e, dunque, aristoteli­ camente, l'oggetto vero di conoscenza. La musica così intesa, in convergenza con le altre tre discipline sorelle, è quindi una scienza teoretica ( PAR. r . 3 .2 ) o, come dicono i latini, speculativa. Un approfondimento su questo concetto è offerto nell'opuscolo teologico De Trinitate, dove Boezio puntualizza il prin­ cipio epistemologico neoplatonico per cui ogni scienza teoretica ha uno specifico oggetto di conoscenza che viene indagato attraverso un 'appropriata metodologia operativa. In accordo con la divisione aristotelica ( PAR. r . 3 . 2 ) , le scienze speculative sono ripartite in: r . na­ turali, che si occupano delle forme dei corpi nella materia e in movi­ mento; 2 . matematiche, che si occupano delle forme dei corpi astratte dalla materia e dal movimento, ma che, essendo sostanzialmente nella materia, da essa non si possono separare; e infine 3 . teologiche, astratte e separate dalla materia. Ora, prosegue Boezio, «nelle scienze naturali è opportuno indagare per via di ragione (rationabiliter) , in quelle matematiche per via scientifica (disciplina/iter) e infine nelle teologiche per via di intellezione (intellectualiter)» (PL 64 , n, col. 1 2 5 oAB) . I tre approcci alle discipline teoretiche individuano appun­ to i tre modi operativi di cui l'intelligenza umana è dotata per cono­ scere la realtà a diversi livelli ontologici: solo le matematiche sono

2 . MUSICA E ClJL TURA CRISTIAI'\A

scienze, cioè saperi disciplinari, che colgono la realtà naturale secon­ do quegli aspetti di immutabilità propri delle essenze intelligibili. La conoscenza disciplinare, chiarisce Boezio nel suo commento ai Topici di Cicerone (PL 64, I , col. I 045B) , è la dimostrazione, la logica apo­ dittica che conduce a dimostrazioni necessarie partendo da premesse certe. Le essenze immutabili dei numeri, delle grandezze e dei loro rapporti individuabili nella mutevolezza della realtà sono perciò con­ nesse dalla mente umana nella rigorosa struttura della dimostrazione aristotelica . Le matematiche forniscono assiomi, teoremi, dimostrazio­ ni e calcoli inoppugnabili, perciò esse sole sono disciplinae. Un problema assai dibattuto dagli studiosi di Boezio concerne la funzione del quadrivio come "ingresso, alla filosofia o come " parte , della filosofia. Tenendo a mente che la definizione di filosofia è «ricerca della sapienza», cioè del vero, come ribadito nel primo commento all'Isa­ goge di Porfirio (PL 64, I , col. I oD), ne emerge che le discipline qua­ driviali si inquadrano anzitutto come metodiche di indagine sulle essenze immutabili, fondate sulla dimostrazione. Le discipline sono quindi " stru­ menti , della filosofia o, con termine nicomacheo, méthodoi (PAR. 1 .4. I ) . Al di sopra delle discipline sta l'intelletto puro, che attinge alle forme senza materia, e dunque all'unico essere il quale, dice Boezio nel De Trinitate, è veramente l'unità: somma Sapienza e sommo Bene (PL 64, VI , col. I 255A) . In conclusione, la filosofia tende alla pienezza della sapienza grazie a tre diversi contesti teoretici: con la quadruplice scienza disci­ plinare comprende gli intelligibili, cioè le essenze immutabili della realtà materiale; con la conoscenza fisica verte sui sensibili, ovvero gli enti naturali valutati nella loro determinazione mutevole; e infine con la teo­ logia attinge alle sostanze che Boezio, nel primo commento all'Isagoge (PL 64, I , col. I IB), chiama intellettibili, individuate nell'entità divina e nell'intelligenza umana astratta da ogni sensibilità. Quando dunque Boe­ zio ribadisce all'inizio del De institutione arithmetica che è necessario percorrere il quadrivio «per raggiungere la verità» e quindi la sapienza ( ccsL 94A, p. I I [I, I ] ) , non sta affermando che la filosofia, ricerca di sapienza, si esaurisce nelle discipline, ma che il quadrivio esaurisce tutte le possibilità di indagine disciplinare, cioè dimostrativa, degli intelligibili.

2 .4.2 . LA

MORALITA5

MUSICALE E I TRE GENERI DI MUSICA MONDANA, UMANA E STRUMENTALE

Il De institutione musica fu composto in età giovanile, attorno al 5 I o, forse a seguito del De institutione arithmetica, ma il testo si interrom­ pe a metà di una frase del capitolo I 9 del quinto libro: Boezio sta

FILOSOFIA DELLA MUSICA

riferendo le idee del primo libro degli Armonici di Tolomeo, ed è ve­ rosimile che le parti mancanti siano in realtà disperse. Tolomeo tratta di musica umana e cosmica nel terzo libro del suo trattato, e Boezio ne promette un'indagine che, invece, non ci è giunta. È stato dunque ipotizzato che Tolomeo fosse stata la fonte di Boezio per queste parti perdute, ma anche altre fonti tardoantiche potrebbero essere state nel­ la mente del filosofo romano: come abbiamo visto nel capitolo 1 , il medioplatonismo e il neoplatonismo avevano interpretato in chiave di teoria musicale la struttura armonica del cosmo e della psiche, seguen­ do la dottrina delineata nel Timeo platonico . Del resto, la vexata quae­ stio della o delle fonti su cui Boezio " costruì " il suo trattato di musica è ancora in larga parte aperta: è una m era sintesi dell'opera perduta di Nicomaco sull'armonia o una compilazione dottrinale desunta da fonti diverse? È un'opera compilativa o è invece uno scritto originale e coe­ rente col programma scientifico delineato da Boezio? Quest'ultimo è il problema che qui interessa chiarire; e quindi, dopo che è stato esa­ minato come Boezio collochi la disciplina musicale fra le scienze spe­ culative, è d'uopo valutare se a tale intendimento si confaccia la trat­ tazione degli specifici problemi musicali. Il De institutione musica si apre con un affondo sulla natura della sensazione: le facoltà percettive sono proprie di ogni vivente, e le per­ cezioni in sé sono sempre chiare, anche se non lo è affatto la natura dei sensi (Boezio , 1 8 67, pp. 1 7 8-9 [I , r ] ) . Come sappiamo, per Boezio non c'è scienza in senso proprio della mutevolezza del divenire, ma solo di quegli aspetti " essenziali " delle cose che l'intelligenza umana concepisce come se fossero separati dalla materia. Coerentemente con questo assunto , Boezio afferma: l'osservazione di un oggetto di forma triangolare o quadrata è immediata e in­ tuitiva per tutti, ma capire la natura del quadrato o del triangolo richiede una mente matematica. Questo vale anche per la sensazione uditiva, la cui potenza (vis) è capace di captare così bene i suoni che non solo li giudica e ne conosce le differenze, ma perfino se ne diletta se sono dolci e concordi, e ne soffre se sono disordinati e incoerenti. In conseguenza, essendoci quattro discipline ma­ tematiche, le altre investigano la ricerca della verità, ma la musica si congiunge non solo alla speculazione, ma anche alla moralità (moralitati) . Nulla è infatti così proprio (proprium) dell'umanità che abbandonarsi a dolci modi (modis) e sentirsi contratti da quelli discordanti e [ . . . ] naturalmente con un certo impulso (a//ectu) spontaneo < tutti > sono così trascinati dai modi musicali che non c'è età che non provi diletto di una dolce melodia (ivi, pp. 1 79-80 [I, r ] ) .

I l presupposto scientifico della musica è fin d a subito sottolineato in coerenza con la teorizzazione dei saperi disciplinari, ma Boezio ag92

2 . MUSICA E ClJL TURA CRISTIAI'\A

giunge qui un elemento nuovo nella sua definizione della disciplina musicale: contrariamente alle altre matematiche, essa prevede anche un legame con una " proprietà " umana che Boezio definisce moralitas. Il proprium è, nella logica aristotelica, uno dei cinque predicabili; cioè è quella caratteristica peculiare che appartiene in modo permanente a tutti gli individui di una stessa specie, e solo a quelli. Una proprietà umana è ad esempio il ridere, che è un'affezione (a//ectum) tipica e unica di questa specie. N el De institutione musica Boezio si rifà quin­ di alla dottrina del proprium come a//ectio, e infatti tutta la spiegazio­ ne che completa il proemio ( cap. r ) è volta a dimostrare che la mora­ litas è una proprietà affettiva permanente dell'uomo; e ciò è fatto partendo dal Timeo di Platone e dalla teoria della similitudo. Per Platone, dice Boezio, la musica è in ogni uomo, e il piacere che spontaneamente suscita deriva dal suo ordine intrinseco, che a sua volta riflette nella somiglianza quello dell' anima universale. La si­ militudo è amica, la dissimilitudo è odiosa e contraria, e da qui deriva­ no per Boezio i cambiamenti dei costumi (mores) . «La gente gode nei modi musicali per la loro somiglianza ai propri costumi» (ibid. ) , quin­ di la musica è costumata se, come afferma Platone nella Repubblica, è quella di cui gode un popolo costumato. La progressiva esposizione a musiche non confacenti trasforma anche i costumi dello Stato, dun­ que il senso di moralitas che Boezio intende quale proprietà affettiva dell'uomo è, in sostanza, l'idea platonica di éthos: costume, carattere, inclinazione, e anche consuetudine. Ma cosa c'entra questo con la di­ sciplina musicale? Boezio lo spiega così:

È infatti manifesto che non c'è nessun ingresso alle conoscenze disciplinari

migliore dell'udito. Poiché dunque per l'udito i ritmi e i modi scendono fino all'animo, non si può dubitare che, conformemente a come sono, influenzino e conformino la mente (ivi, p. r 8 r [I, r ] ) .

Sulla base di un richiamo implicito al trattato Sul senso ( r , 437a5 - r 5 ) di Aristotele, il principio dell'eccellenza dell'udito si fonda sull'idea che esso trasmette conoscenza in quanto è mediatore degli insegna­ menti attraverso la parola; ma per Boezio tale ingresso alla conoscen­ za si accompagna anche al moto di affezione implicato dalla modula­ zione ritmico-melodica della parola. Tutto sommato , non siamo molto distanti da Agostino ! E infatti, la conclusione del ragionamento, sup­ portato da molti esempi addotti dalle fonti classiche sul potere della musica, è che «l'essere (status) della nostra anima e del corpo è com­ posto delle stesse proporzioni con le quali sono congiunte le modula­ zioni armoniche» (ivi, p. r 86 [I , r ] ) , che è un'idea analoga a quella 93

FILOSOFIA DELLA MUSICA

dei numeri- ritmi agostiniana (PAR. 2 . 3 . 3 ) . Se dunque la musica è così insita nell'animo umano, compito della scienza musicale sarà indagare quelle proprietà immutabili che vi si possono individuare , con una sorta di atto introspettivo . Tali " essenze " sono le proporzioni che for­ mano i canti e che «scendono fino all'animo»: E così la musica è talmente insita in noi che non ne potremmo essere privi, anche volendolo. Per la qual cosa la forza intellettuale deve essere orientata affinché ciò che è insito in natura anche la scienza possa assumerlo alla com­ prensione (ivi, p. r 87 [I, r ] ) .

I n sintesi: Boezio intende dare un valido fondamento scientifico alla disciplina musicale, in conformità con la sua idea di disciplina quale scienza teoretico- dimostrativa delle forme immutabili, ma prima di ar­ rivare a questo deve ricondurre a proprietà immutabile anche quanto della musica sembra sfuggire all'analisi scientifica, cioè !"'emozione " , il moto dell'animo, che sempre e inevitabilmente accompagna l a rice­ zione delle melodie. Se, infatti, scienza è la ricerca del vero, e se la verità si indaga solo per via dimostrativa, come potremmo mai dire che la musica è una scienza, dato che è vissuta dagli uomini come un 'affezione dell'anima, qualcosa per cui l'anima è eccitata, nel bene e nel male? La risposta di Boezio è coerente con i suoi presupposti teoretici sulla natura della scienza: la ragione può infatti assumere a oggetto di scienza solo la proprietà della musica che risulti immutabi­ le e mentalmente separabile dalla materia, cioè solo la proporzione che esprime in termini quantitativi la differenza in altezza dei suoni. Ma avendo interpretato, come abbiamo visto, l' éthos musicale alla luce della dottrina aristotelica del proprium e di quella platonica del­ l' armonia universale , egli riconduce a una dimensione scientifica an­ che il carattere emozionale della musica. Anzi, proprio la dottrina dell' éthos musicale è finalizzata a giustificare l'applicazione della stes­ sa scienza della musica a tre diverse realtà, tutte e tre connesse, sia internamente sia reciprocamente, dal «potere dell'armonia». È la cele­ bre tripartizione della musica nei tre generi mundana, humana e instru­ mentalis, introdotta in apertura del secondo capitolo, libro 1, del De institutione musica, divisione che costituisce la nozione più nota, a partire dal Medioevo, della concezione boeziana di questa disciplina. Cominciamo dalla musica del mondo, suddivisa nelle tre specie dei corpi celesti, degli elementi e del tempo. Per Boezio, in conformi­ tà con Nicomaco, la musica dei corpi celesti è sonora, e presenta un «rapporto ordinato» di modulazione corrispondente al ratus orda del moto dei pianeti, ma l'effettiva risultante sonora è discussa in breve 94

2 . MUSICA E ClJL TURA CRISTIAI'\A

(r, 27 ), riferendo due opposte soluzioni, quella di Nicomaco e quella di Cicerone, e rimandando l'indagine a una trattazione successiva, non pervenutaci. Tenendo conto dei percorsi compiuti dai pianeti nelle loro rotazioni, assimilabili a lunghezze di corde, risulta che il pianeta Saturno è quello la cui orbita descrive un giro maggiore, e dunque il suo suono è il più grave. Al contrario, assumendo come fa Cicerone (PAR. r .6) che la velocità di rotazione, e non la lunghezza del percorso, vada rapportata all'altezza del suono, ne risulta una mo­ dulazione contraria, per cui Saturno produce il suono più acuto . Nel­ la TAB. 2 . 1 (ripresa da Teeuwen, 2 007 , p. 1 07 ) , le due disposizioni proposte da Boezio sono paragonate ad altre due popolari ipotesi di "musica delle sfere " , con indicazione delle distanze intervallari di tono (T) e semitono (S) . TABELLA 2 . !

Le scale musicali planetarie nelle diverse fonti

Cicerone Boezio)

l\'icomaco (in Boezio)

T s T T s T T 6 ascendente

T T s T T s

(in

Terra-Luna Luna-Mercurio Mercurio-Venere Venere-Sole Sole-Marte Marte-Giove Giove-Satumo Saturno-firmamento totale toni: direzione:

5

discendente

Plinio

Marziano Capella

I I , 20

II, 1 69 - 1 99

Historia naturalis,

T s s T+S T s s T+S

7

ascendente

De nuptiis,

T s s T+S s s s T+S 6 + rh ascendente

Insieme alla realtà celeste, per Boezio anche la realtà terrena elemen­ tare presenta armonia fra le sue componenti, infatti i quattro elementi (terra, aria, acqua e fuoco) , che compongono ogni sostanza materiale, sono in equilibrio e proporzione, come già specificato nel Timeo (PAR. r .2 . 2 ) . Infine, l'armonia si ritrova nella terza " realtà" considera­ ta da Boezio, cioè nel corso ciclico del tempo scandito dalle rotazioni celesti, e che ha effetto sull'alternarsi proporzionato ed equilibrato delle stagioni. Pure questo concetto non può che riportarci al Timeo, al passo in cui il Demiurgo crea il tempo astrale come «immagine dell'eternità che si muove secondo il numero» (vnr, 37a) . L a musica umana è stata già introdotta in apertura di trattato, e Boezio ribadisce brevemente, in conformità a quanto detto , che è at­ traverso un'analisi interiore che si avverte come l'anima, il corpo e la 95

FILOSOFIA DELLA MUSICA

loro combinazione nel composto umano (le tre " specie " del " genere " musica umana) siano retti da una mirabile proporzionalità: siamo dunque ancora in piena sintonia con l'idea platonica di armonia ma­ ero e microcosmica esposta nel Timeo, ma Boezio si richiama anche ad Aristotele (L'anima, III , 9, 4 3 2 a2 6 ) , ribadendo che le due compo­ nenti, razionale e irrazionale, dell'anima devono essere in perfetto equilibrio per la giusta armonizzazione psichica: armonia è congiun­ zione di contrari, dunque com-presenza di elementi opposti (Boezio, r 8 67 , pp . r 8 8-9 [I, 2 ] ) . Infine, l a musica strumentale è quella realizzata attraverso gli stru­ menti, i quali definiscono le tre rispettive specie: strumenti che pro­ ducono suono per mezzo di tensione (come gli strumenti a corda) , strumenti che impiegano un mezzo per veicolare il suono (come i flauti con l'aria o l'organo con l'acqua) e infine strumenti che produ­ cono suono per percussione su un corpo rigido (come le campane) . La discussione inizia e resta su quest'ultimo genere di musica, l'unico che verrà di fatto trattato nei libri che ci sono rimasti, e i problemi affrontati nella seconda parte del primo libro sono una breve sintesi di quelli che Boezio esporrà con più ampiezza negli altri quattro: il suono musicale, la definizione di consonanza, la determinazione di ogni intervallo consonante come somma di intervalli minimi di tono e semitono, la distinzione numerica fra semitono maggiore e minore, la dimostrazione che il semitono non è la metà del tono, lo studio delle corde e dei loro nomi, e infine la divisione della melodia nei tre gene­ ri diatonico, cromatico ed enarmonico e l' applicazione dei tre generi alla disposizione delle corde. Alla fine del primo libro Boezio ritorna su questioni metodologiche, proponendo una nuova riflessione sulla natura della consonanza e una definizione della figura del musicus che sarà tanto celebre nel Medioevo: Quanto è più nobile la scienza musicale nella conoscenza della sua teoria che nell'esecuzione e nell'atto pratico ! Tanto quanto il corpo è superato dalla mente [ . . . ] . Perciò il musico è colui che ha ottenuto la conoscenza del canto per mezzo della ragione giudicante, non al servizio della prassi ma nel domi­ nio della speculazione [ . . . ] . Tre, dunque, sono le tipologie < di uomini > che operano nell'arte musicale. Il primo è chi agisce sugli strumenti, il secondo chi compone poesie, il terzo chi giudica l'opera strumentale e la poesia. Ma quello che opera sugli strumenti, in essi ripone tutto il suo lavoro, come sono i citaredi [ . . . ] . Il secondo genere [ . . . ] è quello dei poeti, che non tanto in base alla speculazione e alla ragione, quanto per un certo istinto naturale sono portati a poetare, e anche questo genere va escluso dalla musica. Il ter­ zo è quello di chi ha la capacità di giudicare così da poter valutare i ritmi, le melodie e la poesia nel suo insieme. La qual cosa, poiché consiste tutta nella

2 . MUSICA E ClJL TURA CRISTIAI'\A

ragione e nella speculazione, in maniera propria spetterà alla musica, e musi­ co è dunque colui che possiede la facoltà di giudicare, secondo la speculazio­ ne e la suddetta ragione conveniente alla musica, su ritmi, modi, generi delle melodie, sulle loro combinazioni e su tutte quelle cose che tratteremo, non­ ché sui carmi dei poeti (ivi, pp. 224-5 [I, 34] ) .

Queste parole, che chiudono il primo libro, servono come ponte per aprire il secondo, che riparte dalla definizione di filosofia come studio della sapienza, e cioè conoscenza «di ciò che è» quanto al proprio e al vero ( cfr. PAR. 2 .4 . 1 ) , per poi entrare, dopo aver ripreso le defini­ zioni di suono e di consonanza già anticipate nel primo libro, nel me­ rito degli assiomi e delle dimostrazioni di matematica musicale , che occupano la seconda parte del secondo libro e l'intero terzo libro. 2 ·4· 3 . IL SU0:'\0 E LA CONSO:'\ANZA: PROBLEMI DI MATEMATICA E DI ESTETICA MUSICALE

La vasta trattazione di matematica musicale esposta nel De institutio­ ne musica fu un imprescindibile punto di riferimento per i teorici me­ dievali della musica. Qui di seguito, ne sintetizziamo i contenuti dot­ trinali più significativi e utili per inquadrare il rapporto fra filosofia e musica . L a consonanza, come già stabilito d a Boezio nel primo libro del De institutione musica, è l'oggetto proprio della scienza musicale, ma per arrivare alla sua definizione occorre prima definire il suono. Que­ st'ultimo è frutto di un impulso scaturito da un movimento; cioè è una «percussione dell'aria che giunge fino all'udito» (Boezio, I 867 , p. 1 89 [r , 3 ] ) , in analogia con la definizione aristotelica (PAR. 1 . 3 . 3 ) . Più veloce è il movimento, più acuto è il suono, e la velocità dipende a sua volta dal fatto che il movimento nel suo complesso è dato dalla somma di piccoli movimenti che lo generano, corrispondenti, per esempio, a ogni singola oscillazione di una corda. Il suono è avvertito come unico dall'udito, ma in realtà è composto da " piccoli suoni " : più acuto è il suono, più numerosi sono i movimenti, dunque i suoni "singoli" che lo compongono. È quindi la pluralitas che fa la diffe­ renza fra i suoni, e la misurazione del rapporto fra due " pluralità nu­ meriche " consente di stabilire infine cosa sia la consonanza, cioè la soave concordia di suoni fra loro dissimili riportata all'unità (ivi, p. 1 9 1 [r , 3 ] ) . Come Boezio ribadisce (I, 8 ) , il suono impiegato in musi­ ca è «un'incidenza della voce adatta al melos», al canto . È il suono che i greci chiamano phtongus, e che è modulato secondo intervalli di altezza. Poiché il suono modulato è anzitutto oggetto di sensazione, 97

FILOSOFIA DELLA MUSICA

Boezio aggiunge alla definizione della consonanza anche una valuta­ zione dell'impatto che essa ha a livello uditivo: «la consonanza è me­ scolanza di un suono acuto e di uno grave che stimola l'udito con dolcezza e uniformità» (ivi, p. 1 95 [I, 8 ] ) , mentre la dissonanza è la mescolanza «dura e sconveniente» di due suoni . Dovendo dunque fondare la scienza musicale sull'" oggetto " consonanza, quanto alla sua natura numerico-proporzionale, Boezio passa a individuare quali rapporti la esprimano: saranno queste proporzioni a rendere conto sia della reductio in unum che della suavitas attribuite alla consonan­ za. Sono i ben noti rapporti semplici determinati dai multipli doppio, triplo e quadruplo e dai superparticolari sesquialtero e sesquiterzo, secondo la consolidata tradizione pitagorica 4 • E proprio a Pitagora è ricondotta, ancora appoggiandosi a Nicomaco (PAR. 1 .4 .2 ) , la scoperta di tali rapporti matematici (ivi, pp . 1 96-8 [I, I o] ) ; ma è interessante notare almeno una differenza con l'esposizione di Nicomaco. Entram­ bi individuano nel peso, proprietà numerica immutabile dei corpi, la chiave di volta per abbinare suoni consonanti a proporzioni semplici; tuttavia, mentre Nicomaco fa appello al valore del metodo " speri­ mentale " pitagorico basato sul razionale impiego di appropriati stru­ menti di misura, Boezio ribadisce ancora una volta l'idea aristotelica di "scienza " come conoscenza dimostrativa del vero (PAR. 1 . 3 .2 ) . Nes­ suno strumento tecnico è così preciso da poter consentire certezza di risultato, quindi: ritenendo tutto ciò [cioè i sensi e gli strumenti tecnici] inconcludente e de­ gno di nessuna fiducia, < Pitagora > si impegnò a lungo nel cercare per quale ragione, con fermezza e stabilità, potesse egli conoscere gli intervalli delle consonanze. Passeggiando così soprappensiero davanti ad una fucina, gli accadde quasi provvidenzialmente di sentire che gli impulsi dei martelli formavano da suoni diversi una certa concordanza. Sbalordito da ciò che a lungo cercava [ . . . ] ritenne che fosse la forza degli operai a causare la diversi­ tà dei suoni uditi; e per capirlo meglio ordinò che si scambiassero i martelli. Ma la proprietà (proprietas) dei suoni non era data dai muscoli degli uomini, bensì dai martelli. Appena lo capì, ne esaminò il peso, ed essendo questi cinque, individuò che avevano peso l'uno doppio dell'altro quelli che risuo­ navano in consonanza diapason [ . . . ]. Tornato dunque a casa, con un esame 4· In sintesi : doppio = 2 : I = diapason (ottava) ; triplo = 3 : I = diapente + diapason (dodicesima) ; quadruplo = 4 : I = doppio diapason (doppia ottava) ; se­ squialtero = 3 : 2 = diapente (quinta) ; sesquiterzo = 4 : 3 = diatessaron (quarta). Gli intervalli sono calcolati in senso discendente: la teoria musicale medievale li interprete­ rà in senso ascendente, per cui i valori sono ribaltati: ottava = I : 2; quarta = 3 : 4; quinta = 2 : 3 ecc. Le consonanze sono rintracciate all'interno dei primi quattro nu­ meri naturali ( I , 2, 3, 4) la cui somma è Io, numero pitagorico perfetto.

2 . MUSICA E ClJL TURA CRISTIAI'\A

più ampio giudicò se in queste proporzioni stesse tutta la ragione delle con ­ sonanze [ . . . ] . E così individuò la regola, di cui parleremo più avanti, che proprio da quella esperienza trasse tale nome; ma non si tratta della riga di legno con cui misurare le grandezze delle corde e dei suoni, bensì del meto­ do d'indagine stabile e fermo che non fa sbagliare alcun inquirente per indi­ zi dubbi (ivi, pp. 1 97-8 [I, r o] ) .

Il confronto con il passo di Nicomaco riportato al capitolo preceden­ te (PAR. r .4 . 2 ) rende chiaro come nell'ottica di Boezio la scoperta pi­ tagorica debba essere scientifica non solo nei risultati, ma anche nei presupposti. Per questo motivo né i sensi né gli strumenti tecnici pos­ sono esserne alla base. L'unica operazione, tutta mentale, che Pitago­ ra deve compiere è quella di capire quale sia la proprietas del suono che non cambia al variare di tutti gli altri aspetti accidentali; una vol­ ta individuatala nel peso dei magli, è sufficiente considerarne il valore numerico immutabile per arrivare alla legge della consonanza, alla re­ gula scientifica. I successivi esperimenti condotti a casa non sono al­ tro che " riprove " di una verità già acquisita. Il secondo libro del De institutione musica inizia l'indagine sulle consonanze seguendo il metodo geometrico euclideo , e quindi ponen­ do in primo luogo le definizioni degli assiomi, per poi passare alle dimostrazioni desunte dagli assiomi (ivi, p. 2 3 I [n, 5 ] ) . Secondo Ari­ stotele, gli assiomi della scienza musicale sono principi che hanno di­ mostrazione in sede aritmetica, dunque la musica è subalterna all'ari­ tmetica (PAR. r . 3 .2 ) . Anche se Boezio non rende esplicito il legame di subalternità, egli di fatto offre una sintesi di questioni matematiche già esposte nel De institutione arithmetica, facendovi preciso riferi­ mento. Per la presente ricognizione è sufficiente ricordare la distin­ zione che egli pone fra proporzione e proporzionalità (ivi, pp. 2 4 I -2 [n, I 2 ] ) . Come già detto, i suoni sono conoscibili scientificamente in forza della loro riducibilità a un rapporto proporzionale, come 2 : I , 4 : 3 ecc . , che definisce la loro differenza in altezza, l'intervallo fra i due . Dunque, indagare le combinazioni di intervalli diversi implica operare su proporzioni di proporzioni: questa è la proporzionalità, definita come insieme di proporzioni equivalenti. Mentre la propor­ zione individua un singolo rapporto, la proporzionalità si fonda sul principio della medietà proporzionale, che è alla base del legame di due o più rapporti. Tale legame, a sua volta, è continuo se il termi­ ne medio è uno (ad esempio I : 2 2 : 4 ) , mentre è disgiunto se ve ne sono due ( I : 2 = 3 : 6 ) . Nell' ambito della proporzionalità conti­ nua, sono tre le relazioni di interesse musicale: aritmetica (con la quale Boezio determina i valori degli intervalli cromatici ed enarmo=

99

FILOSOFIA DELLA MUSICA

nici) , geometrica e armonica ( che danno i valori delle consonanze perfette) . Proporzione aritmetica: il termine medio supera il primo di quanto l'ultimo supera il medio. Ad esempio nella proporzione continua 2 : 4 = 4 : 6, 4 su­ pera 2 di 2 unità, le stesse per cui 6 supera 4· Proporzione geometrica: il termine medio è tante volte maggiore del primo termine di quante l'ultimo è maggiore del medio. Ad esempio nella propor­ zione 2 : 4 = 4 : 8, 4 è 2 volte maggiore di 2 (2 x 2 = 4) , così come 8 è 2 volte maggiore di 4 (4 x 2 = 8 ) . Proporzione armonica: il termine medio supera il primo di una frazione del primo uguale alla frazione dell'ultimo termine per la quale il termine medio è superato dall'ultimo. Ad esempio nella proporzione 2 : 3 = 3 : 6, 3 supera 2 di r che è la metà di 2, ed è superato da 6 di 3 , che è la metà di 6. In 2 + (2 : 2) e 3 = 6 - (6 : 2 ) . cifre: 3

Come s i può constatare, l a proporzionalità continua permette di "scomporre " una singola proporzione in ulteriori proporzioni connes­ se da un legame, il termine medio: questo è l'assioma che consente di interpretare ogni intervallo musicale come inclusivo di molti altri rap­ porti, che a loro volta ne includeranno altri ancora. Ora, poiché il principio di riduzione dei rapporti è quello verso l'uguaglianza ( I : I ) , ecco che lo studio dei rapporti proporzionali fra i suoni equivale alla riconduzione all'unità nello studio dei numeri (ivi, p. 244 [n , I 5 ] ) . C 'è così un preciso assunto estetico che guida l a matematica musica ­ le, che consiste nel riconoscere il principio unitario , inteso come equivalenza, quale fondamento primo della regula della consonanza. Ma come l'unità non è numero , essendo il presupposto della nume­ rabilità, così l'uguaglianza non è consonanza, essendo il presupposto della proporzionalità, del numero relazionato ad aliud. Dunque, più vicini all'unità sono i termini proporzionali, maggiore sarà la perfe­ zione espressa dalla proporzione stessa, ma l'uguaglianza è al di fuo­ ri della perfezione musicale. Per Boezio, al vertice della perfezione nella consonanza sta il rapporto più semplice individuato a partire dall'uguaglianza, cioè il doppio. A sua volta, tale rapporto non è scindibile in ulteriori rapporti multipli, ma solo in due rapporti su­ perparticolari, il sesquialtero e il sesquiterzo (2 : I = 3 : 2 x 4 : 3 ) . Doppio, sesquialtero e sesquiterzo corrispondono alle prime tre con­ sonanze, di ottava, quinta e quarta; e da esse si formano le ultime due : ottava più quinta ( dodicesima, cioè 2 : I x 3 : 2 = 3 : I ) e otta­ va + quinta + quarta o doppia ottava (cioè 2 : I x 3 : 2 x 4 : 3 = 4 : I ) , anche queste espresse da proporzioni multiple. Ottava più quarta I OO

2 . MUSICA E ClJL TURA CRISTIAI'\A

(undicesima) è invece esclusa dalle consonanze, essendo espressa da un superparziente , infatti 2 : 1 x 4 : 3 = 8 : 3 5 • Se il secondo libro è dedicato alla matematica delle consonanze, il terzo entra nel merito della composizione proporzionale delle stesse, e quindi verte sugli intervalli di tono e semitono. Il problema princi­ pale, oggetto di più dimostrazioni sia aritmetiche che geometriche, ri­ guarda l'impossibilità di dividere il tono, espresso dal rapporto se­ squiottavo ( 9 : 8 ) , in due semitoni del medesimo valore proporzionale. La ricerca dei valori adeguati per i microintervalli, che desterà note­ vole interesse in età medievale, è preliminare all'indagine condotta nel quarto libro, poiché consente di individuare i rapporti ai quali abbinare le note del sistema perfetto greco di notazione, come ve­ dremo nel paragrafo seguente. Infine, il quinto libro ha come fonte primaria Tolomeo, la cui posizione interessa Boezio in quanto si pone come intermedia fra la matematica pitagorica della musica e l'impo­ stazione empirica di Aristosseno, che studia i suoni musicali come qualità (v, 9 ) . Boezio sembra concedere a Tolomeo il valore scientifi­ co di alcuni suoi argomenti, ad esempio l' annoverare fra le conso­ nanze perfette anche l'undicesima (ottava + quarta) , somma di due consonanze esclusa da Boezio in quanto espressa da un superparzien­ te ( 8 : 3 ) . Ma se su questo punto l'esitazione è palpabile, è invece chia­ ro come Boezio non sia affatto convinto delle dottrine di Aristosseno, di cui critica e confuta: I . la teoria per cui l'ottava sarebbe divisibile in sei toni interi, e la controprova è dapprima fornita con una dimo­ strazione aritmetica (n, 3 I ) e poi con una dimostrazione geometrica (v, I4) ; 2 . la teoria per cui il tono sarebbe divisibile in due parti uguali, anche qui fornendo una controprova aritmetica (III, I ) ; e infi­ ne 3 · la divisione dei tetracordi (v, I 6) , la quale è confutata, invece, ricorrendo allo stesso sistema empirico aristossenico, perché alcuni intervalli che per Aristosseno caratterizzerebbero i differenti tipi di tetracordi «sono così piccoli che l'orecchio non è affatto in grado di apprezzarli» (ivi, p. 3 7 I [v, I 8] ) . Boezio, in conclusione, interpreta come un arbitrio il principio di divisione " qualitativa " dello spazio sonoro proposto da Aristosseno: ne è talmente convinto che, dove 5 · Nel rapporto multiplo l'antecedente contiene il conseguente un numero pari di volte (esempio 2 : I , 4 : 2 ecc. ), nei superparticolari l'antecedente contiene il conse­ guente una volta più una parte frazionaria del conseguente. In particolare è sesquialte­ ra la proporzione in cui la parte frazionaria è la metà del conseguente, come 3 : 2 , in 2 + I (I è la metà di 2 ) ; mentre è sesquiterza quella in cui l'eccedenza è quanto 3 un terzo, come 4 : 3 , in quanto 4 3 + I ( I è un terzo di 3 ) . Infine, i superparzienti sono le proporzioni in cui l'antecedente contiene tutto il conseguente, anche più vol­ te, e parti frazionarie del conseguente: ad esempio 8 : 3, dove 8 3 + 3 + I + 1. =

=

=

IOI

FILOSOFIA DELLA MUSICA

può, sottolinea come anche all'orecchio ripugni tale divisione. L'idea che lo spazio sonoro sia un continuum indagabile scientificamente solo previa divisione matematica è un assunto così forte in Boezio che diverrà assiomatico per tutto il Medioevo. L'ultimo libro del De institutione musica rende manifesta questa impostazione mettendo in relazione le posizioni di Pitagora, Aristosseno e del "mediatore " To­ lomeo, il quale attribuiva «uguale importanza all'orecchio e all'intel­ letto, in modo che nulla possa essere contrario all'uno o all'altro» (ivi, p. 3 5 5 [v, 3 ] ) . Ma la concessione paritetica è solo apparente, perché Boezio ribadisce, ancora una volta, che la validità della perce­ zione risiede nella ragione, cioè nella capacità che ha l'intelletto uma­ no di astrarre le forme o " essenze " dalle determinazioni materiali transeunti (ivi, pp. 3 5 1 -4 [v, 2 ] ) .

2 4 4 LA NOTAZIONE MUSICALE ·

·

-

Il De institutione musica di Boezio è l'unica opera tardoantica sulla musica che affronta in modo sistematico il problema della notazione musicale, sia attraverso il calcolo matematico applicato al sistema gre­ co di organizzazione dei suoni, sia attraverso l'adozione di simboli al­ fabetici per indicare le altezze della gamma musicale. Questa tratta­ zione influì enormemente sullo sviluppo della musica medievale nel momento in cui divenne necessario trasmettere un repertorio standar­ dizzato di melodie, come vedremo nel capitolo seguente. La definizio­ ne boeziana di una gamma, o " sistema " , di suoni musicalmente uti­ lizzabili fu la premessa indispensabile per arrivare a concepire il flus­ so sonoro di ogni canto come organizzazione di singoli suoni definiti e individuati ciascuno da un 'altezza specifica, inclusa nella gamma stessa, e quindi annotabile per iscritto ; e la notazione, a sua volta, fu la premessa per uno sviluppo sistematico della teoria musicale. Lo studio della gamma dei suoni è condotto da Boezio nel quarto libro, partendo dal sistema greco di abbinare un simbolo alfabetico alla " corda " che produce uno specifico suono di una successione pre­ disposta. Lo strumento musicale di riferimento è la cetra. Boezio chiama nota o notula ciascun simbolo alfabetico, che organizza in uno schema di altezze comprese fra due ottave, ricalcando il cosid­ detto " sistema perfetto greco " nel modo lidio. Occorre tenere a men­ te che l'antica notazione greca non fa riferimento a un 'altezza consi­ derata come base della gamma (una "tonica " , potremmo dire), ma a una disposizione intervallare di suoni fissi e mobili nell'ambito del te! 02

2 . MUSICA E ClJL TURA CRISTIAI'\A

tracordo, corrispondente a un intervallo di quarta giusta. L'insieme di due tetracordi, che possono essere congiunti o disgiunti (cioè separati da un intervallo di tono) , consente di creare una gamma più ampia di suoni, l' ottacordo, che, ampliato con l'aggiunta di altri due tetracordi, permette di definire una scala di suoni corrispondente all'estensione media della voce umana (due ottacordi , in pratica due ottave) . Si trat­ ta, com'è risaputo, di una struttura teorica che non trova riscontro col significato musicale originario delle aggregazioni dei tetracordi nella musica greca antica. Tuttavia, tale gamma fu determinante , nel­ l'impostazione boeziana, per l'organizzazione dello spazio musicale a partire dall'intervallo di ottava (diapason), all'interno del quale ven­ gono definiti con note appropriate gli intervalli di quinta, quarta, tono, semitono, doppia ottava ecc. La gamma della doppia ottava è quindi matematizzata, e il passaggio dal sistema delle " corde, alla mi­ surazione dei suoni in intervalli proporzionali è mediato attraverso un trattato attribuito a Euclide sulla divisione del monocordo: la Sectio canonis, o Divisio regulae o ancora Divisio monochordi (Iv, 5 ) . Grazie a esso, Boezio ritrova negli ormai noti rapporti di ottava, quinta, tono ecc. (stavolta gli intervalli sono definiti in senso ascendente) le note che fissavano il sistema perfetto dei suoni. Il metodo di indagine mes­ so a punto in questa sezione del De institutione musica (Iv, 2 - I 3 ) col­ lega tre diversi procedimenti: I . aritmetica degli intervalli, 2 . divisione geometrica della corda del monocordo e 3 . riconduzione di ogni divi­ sione ottenuta alla nota corrispondente della gamma. Ma Boezio compie un passo ulteriore: egli abbandona la nomenclatura greca del­ le note e ne propone una conforme, espressa dall'alfabeto latino (Iv, I 4 ) . Applicando poi i parametri numerici definiti nel secondo e terzo libro, ogni nota è abbinata a un numero intero, a partire dagli estre­ mi della gamma. Semplificando (Boezio impiega, in realtà, due se­ quenze alfabetiche diverse) , nel registro più alto (hyperbolaion) le ti­ pologie di tetracordo sono calcolate a partire dal valore aritmetico della nota più acuta ( 2 . 3 04 ) : tetracordo néte hyperbolaion paranéte hyperbolaion trite hyperbolaion néte diezeugménon

diatonico

cromatico

enarmonico

2 . 304 2 . 592 2 .9 1 6 3 ·072

2 . 304 2.736 2.9 1 6 3 ·072

2 . 304 2.9 16 2 . 994 3 ·072

La gamma delle note all'interno di due ottave, dalla più acuta alla più grave, è computata nello schema: I 03

FILOSOFIA DELLA MUSICA

O N M L K I H G F E D C B A

néte hyperbolaion (tetracordo ampliato) paranéte hyperbolaion trite hyperbolaion néte diezeugménon (tetracordo disgiunto) paranéte diezeugménon trite diezeugménon paramése mése lichanòs méson (tetracordo medio) parhypdte méson hypdte méson lichanòs hypat6n (tetracordo più basso) parhypdte hypat6n hypdte hypat6n proslamban6menos (il suono più basso)

(valore

=

2 .3 04)

(valore

=

3 .07 2 ) quarta giusta

(valore

=

4 . 6o8) I ottava

(valore

=

9 2 1 6 ) n ottava .

Mantenendo fissa la disposizione degli intervalli in base all'accordatu­ tono, S semitono, con T tono di ra dorica STT, dove T congiunzione dei due tetracordi, avremo sette species di ottava. Il procedimento, studiato nei capitoli 14 e 15 del libro IV, definisce i sette modi, o tropi o toni: =

r.

=

hypdte hypat6n - paramése

2 . parhypdte hypat6n - trite diezeugménon 3 . lichanòs hypat6n - paranéte diezeugménon 4· hypdte méson - néte diezeugménon

5 . parhypdte méson - trite hyperbolaion 6 . lychanòs méson - paranéte hyperbolaion 7 . mése - néte hyperbolaion

=

STTSTTT TTSTTTS TSTTTST STTTSTT TTTSTTS TTSTTST TSTTSTT

misolidio lidio frigio dorico ipolidio ipofrigio ipodorico

I teorici medievali misero in relazione questa metodica di costruzione delle scale di trasposizione col sistema dei modi o toni liturgici grego­ riani, considerando anche l'aggiunta di un ulteriore modo, l'ipermiso­ lidio, computato da Tolomeo, che ripete l'ipodorico all'ottava supe­ riore (Iv, r 5 ) 6. La questione della presunta derivazione greca dei modi gregoriani è stato un tema di grande dibattito musicologico; ma, al di là della questione, i modi così costruiti consentirono ai me­ dievali di organizzare lo spazio musicale sul diapason, l'intervallo di ottava, la cui espressione matematica è data dall'intervallo doppio 6. Sulla nomenclatura cfr. Atkinson ( 1 990, pp. 490 - r ) : anche se usati da Boezio come sinonimi, modus indica per lo più la scala di trasposizione (come equivalente latino di tonos o tropos della teoria greca) , mentre tonus l'intervallo matematico di tono (9/8 ) .

2 . MUSICA E ClJL TURA CRISTIAI'\A

(2 : r ) , o dalla metà ( r : 2 ) , se consideriamo l'ottava in senso ascen­ dente. Boezio non trasse da tale intuizione tutte le conseguenze che avrebbe potuto, prima fra tutte quella di nominare i suoni a partire dal ritorno dell'ottava, secondo il sistema che oggi pratichiamo e che fu introdotto solo attorno al Mille (PAR. 3 ·4·2 ) . Questa acquisizione, per noi immediata e scontata, fu in realtà una difficile conquista, rag­ giunta in varie tappe. Mentre dunque l'ottava era riconosciuta il car­ dine della matematica musicale, l'intervallo di quarta (il tetracordo) rimase alla base della costruzione delle scale musicali, sostituito dal­ l' esacordo grazie a Guido d'Arezzo . Di fatto, fu solo alla fine del xv secolo che si assestò il sistema eptacorde delle sette note, sia nella notazione che nella metodica di costruzione della gamma dei suoni.

2 .5

La musica e il sapere enciclopedico 2 .5 . I .

CASSIODORO

N ello stesso clima politico in cui visse Boezio operò anche il romano Cassiodoro (490 ca.-5 8o) . Coinvolto anch'egli nel progetto politico culturale teodoriciano e grande ammiratore di Boezio, ne lodò l'im­ pegno come traduttore in una celeberrima lettera, scritta verso il 5 07 - r o, quando Cassiodoro era al servizio del re Teodorico, nella quale afferma: «Grazie alle tue traduzioni il musi co Pitagora e l'a­ stronomo Tolomeo sono letti come itali, l'aritmetico Nicomaco e il geometra Euclide si ascoltano come ausoni, il teologo Platone e il lo­ gico Aristotele discutono con voce dei quirini, ed inoltre restituisti ai siculi un Archimede laziale» (ccsL 96, p. 49 [I, 45 , 4] ) . Al di là della complessità di interpretazione di questo passaggio, che ha suscitato notevole dibattito, ciò che Cassiodoro sembra suggerire è che i testi della cultura antica delle disciplinae, della logica aristotelica, della me­ tafisica (teologia) platonica e della meccanica di Archimede, qui men­ zionati, dovrebbero costituire il corpus di conoscenze fondamentali per realizzare il progetto perseguito da T eodorico di fondare una nuova unità geopolitica italiana sotto il regno dei goti. Di tale pro­ getto l'opera di Boezio, insigne traduttore, avrebbe costituito il sigillo intellettuale e scientifico, riportando alla latinità la totalità della cultu­ ra greca. Ma le cose andarono diversamente, sia perché Boezio poté solo in parte completare il suo progetto culturale (PAR. 2 .4. r ) , che nella convergenza fra grecità e latinità non assegnava alcun ruolo alla "germanicità " , sia perché la renovatio teodoriciana si arrestò col rapi! 05

FILOSOFIA DELLA MUSICA

do declino del regno goto. Tuttavia, Cassiodoro trovò una strada al­ ternativa per poter, se non ampliare, almeno conservare la cultura della tradizione classica romana nel caos delle istituzioni politiche. Egli si ritirò infatti nel monastero di Vivarium, in Calabria, da lui stesso fondato nel 55 5 , e vi organizzò una biblioteca . Quanto delle traduzioni e delle opere boeziane poté farvi pervenire è materia di dibattito, ma non c'è dubbio che il programma educativo al quale aspirò a dare avvio all'interno del monastero non fu quello di Boezio , ma quello dell'agostiniana De doctrina christiana: i sa peri profani van­ no custoditi e utilizzati nel contesto di una ricerca erudita che si fon­ da sulla Bibbia; il loro valore è quello di strumenti esegetici. L'opera più ampia di Cassiodoro, le Institutiones divinarum et sae­ cularium litterarum, scritta ormai in età avanzata per i monaci di Viva­ rium e giuntaci in tre diverse redazioni, include un libro, il secondo, interamente dedicato alle arti liberali, noto come De artibus et disci­ plinis liberalium litterarum. Qui C assiodoro paragona le sette arti ai sette pilastri del biblico tempio di Salomone, il tempio della Saggezza (Proverbi IX, 1 ) . L'immagine, che sarà universalmente adottata nell'alto Medioevo per inquadrare il rapporto fra la filosofia e le discipline libe­ rali, pone senza dubbio le sette arti a fondamento di ogni umano sape­ re, ma, così facendo, ne delimita lo scopo e l'utilità. Abbracciando l'ideale di una sapienza tutta fondata sulla Bibbia, i contenuti disci­ plinari si esaurivano infatti nell'impegno interpretativo di passi biblici che, quanto alla musica, alludono al canto, agli strumenti musicali, alla perfezione dell'opera della creazione e alla rispondenza fra l'armonia del creato e l'armonia interiore. Questa tendenza, che Cassi odoro per primo manifesta, «di rifare l'opera di V arrone ad uso dei cristiani» (Gilson, 1 97 3 , p. 2 1 2 ) fu a tutti gli effetti obiettivo condiviso dagli ecclesiastici e dai monaci eruditi delle successive generazioni, come Isi­ doro di Siviglia e Beda, nel " buio " dei secoli VII e VIII. Un mito storiografico oggi assai dibattuto è quello della cultura boeziana di Cassiodoro. Limitando lo sguardo alla disciplina che qui interessa inquadrare, risulta infatti difficile da spiegare la sostanziale ignoranza che Cassiodoro dimostra nei confronti del De institutione musica, soprattutto se si tiene conto del suo esplicito richiamo alla traduzione boeziana del musicus Pitagora nel passo della lettera sopra citato . Boezio non " tradusse " Pitagora se non in senso metaforico, poiché, come abbiamo visto (PAR. 2 .4 . 3 ) , il De institutione musica esordisce nel nome di Pitagora, innestandosi sulla tradizione della musica speculativa platonico-pitagorica trasmessa da Nicomaco; in tal senso possiamo giustificare l'allusione di Cassiodoro. Tuttavia, la di­ stanza fra il contesto teoretico musicale boeziano e l'inquadramento 1 06

2 . MUSICA E ClJL TURA CRISTIAI'\A

della musica offerto da Cassiodoro nel secondo libro delle sue Istitu­ zioni è notevole. Qui il monaco di Vivarium elenca molti musici del passato : i greci Alipio, Euclide, Tolomeo, e soprattutto Gaudenzio , che egli afferma di conoscere nella traduzione latina oggi perduta di Muziano , i latini Albino - il cui trattato sulla musica, citato anche da Boezio, è andato perduto - e Censorino (la sezione musicale nel De die natali) , ma anche Varrone e infine Agostino: «Infatti anche Ago­ stino scrisse sei libri sulla musica, nei quali mostrò che la voce umana può naturalmente avere suoni ritmici e un'armonia modulabile in sil­ labe lunghe e brevi» (Cassiodoro, I 96 I , p. I49 [n , 5 , I o] ) . Boezio non c'è nell'elenco, e le notizie che Cassiodoro trasmette sulla disci­ plina musicale sono abbastanza scarne. La definizione della musica come scientia bene modulandi deriva da Agostino o da Censorino, così come ne deriva l'accenno all'armonia dell'universo e all'idea che il ritmo cardiaco è regolato da ritmi musicali. Il resto della discussio­ ne sulla musica verte sulla triplice divisione in armonica, ritmica e metrica, probabilmente ricavata da Alipio, ma che abbiamo incontra­ to anche in Marziano (PAR. 1 . 7 . 3 ) e, anche se non come definizione, in Agostino (PAR. 2 . 3 . 2 ) . Da Gaudenzio proviene poi la discussione sulle sei consonanze (Cassiodoro vi include infatti l'intervallo di undi­ cesima , ottava + quarta, che Boezio aveva invece rifiutato), mentre la descrizione dei I 5 toni, presentati nello stesso ordine in cui appaiono in Aristide Quintiliano, probabilmente è conosciuta attraverso Albi­ no. La discussione sulla teoria musicale è quindi ridotta a poca cosa, e non sembra organicamente connessa all'esposizione sulla struttura dei saperi, che apre il secondo libro delle Istituzioni. Qui infatti Cas­ siodoro segue più da vicino il De arithmetica di Boezio, che affianca ad altre fonti, come Rufino (Pizzani, I 9 8 6 ) , proponendo una distin­ zione fra le artes, cioè la grammatica, la retorica e la dialettica (il "tri­ vio " medievale) , e le disciplinae, cioè aritmetica, musica , geometria e astronomia. La questione della natura speculativa della musica è messa in evi­ denza con l'inquadrare questa e le altre discipline sorelle quali sotto­ divisioni della filosofia inspectiva (termine che in Rufino equivale alla boeziana filosofia teoretica) , le cui partizioni sono: naturalis, cioè la fisica; doctrinalis, le discipline matematiche; e divina, la teologia. Nes­ suna novità, dunque, è prospettata da Cassiodoro, anche se è oppor­ tuno sottolineare come egli indirizzi in senso nuovo l'idea di " scienza musicale " , che nelle sue parole si allarga a comprendere tutte le azio­ ni della vita, da quelle biologiche a quelle razionali e relazionali, come il linguaggio, in quanto tutte sottoposte ai numeri musicali

(rhythmi) : I 07

FILOSOFIA DELLA MUSICA

La scienza della musica è presente in tutte le azioni della nostra vita, so­ prattutto se osserviamo i comandamenti del Creatore e adempiamo con mente pura alle regole da lui fissate: infatti è dimostrato che ogni parola pronunciata e ogni movimento interiore provocato in noi dalla pulsazione delle vene è collegato mediante i numeri musicali al potere dell'armonia. La musica, infat­ ti, è la scienza dell'esatta modulazione; se viviamo sotto virtù siamo sempre sotto tale disciplina. Quando ci comportiamo in modo ingiusto non abbiamo musica, e anche il cielo e la terra e tutto ciò che si compie per dispensa divina non esiste senza disciplina musicale (Cassiodoro, 1 96 1 , p. 1 43 [n, 5 , 2 ] ) .

2.5.2.

ISIDORO DI SIVIGLIA

Il potere dell'armonia richiamato da Cassiodoro, con la sua ricaduta sul piano dell'etica cristiana, fu puntualmente ripreso nelle Etimologie dell'enciclopedista Isidoro, vescovo di Siviglia nel regno visigoto spa­ gnolo del VII secolo (lsidoro, I 9 I I , III , I 7, 3 ) . La terra iberica sotto il dominio dei visigoti fu un esempio felice, anche se poco duraturo, di convivenza romano-germanica. lsidoro fu un attivissimo uomo di chiesa e un fervente divulgatore culturale: trasmise della filosofia anti­ ca quanto poté reperire dai Padri . A differenza di Cassiodoro, egli indirizzò la sua opera intellettuale non ai monaci, ma agli ecclesiastici e alla dirigenza politica del regno, contando di sollevare il modesto livello culturale del clero e dei funzionari. Essi sono i destinatari della sua vasta opera enciclopedica e didattica, un notevole serbatoio di in­ formazioni per la cultura medievale, limitato dal punto di vista specu ­ lativo, ma di enorme interesse pedagogico. Il lavoro di Isidoro contie­ ne infatti una panoramica dei saperi in vario modo pervenuti dalla tradizione tardoantica e dai Padri su trivio, quadrivio, diritto, storia della Chiesa, medicina, politica, biologia, tecniche, botanica, tutto unificato e reso accessibile attraverso una sistematica uniformazione linguistica derivata dall'adozione del latino a unica lingua culturale. La ricerca etimologica è per Isidoro il solo criterio metodologico per "fare ordine " nella massa delle informazioni e per assimilare, più che discutere o analizzare, il patrimonio intellettuale raccolto. La verità dei contenuti informativi sulle " cose " del mondo, ricercata nell'evi­ denza dell'analisi lessicale, annulla l'idea del cammino erudito verso la sapienza, segnato dal distacco dalla materialità e dal mondo e mi­ rante all'approdo verso la spiritualità. Gli oggetti, gli esseri naturali, le istituzioni umane e tutto ciò che è nell'opera della creazione, così come nella Bibbia, è conoscibile in quanto è elencato , catalogato e interpretato in forza del valore significante del linguaggio: questo è il I 08

2 . MUSICA E ClJL TURA CRISTIAI'\A

senso che Isidoro attribuisce alla enkuklios paideia e che segnerà la fortuna della sua opera nei secoli seguenti. Isidoro sistema la totalità dei saperi all'interno di un'onnicompren­ siva sapientia cristiana, la quale coincide in tutto con la philosophia pagana, di cui è fedele continuatrice, come afferma nei Di/ferentiarum libri: «gli antichi chiamarono filosofia la sapienza, cioè la conoscenza di tutte le cose umane e divine» (PL 8 3 , col. 93 [n, 3 9 , 1 49] ) . Sapienza o filosofia è l'insieme delle conoscenze delineate nelle Etimologie, e organizzate secondo una suddivisione dei saperi che accoglie la scom­ posizione tripartita in physica, ethica e logica. Questa !ripartizione - al­ ternativa a quella aristotelica in theoretica, practica, poietica - è fatta risalire a Platone, ma in realtà affonda le sue radici in un' annotazione ciceroniana (De /inibus, IV) ripresa anche nell'ottavo libro del De civi­ tate Dei agostiniano. L'etica è quella delle quattro virtù cardinali, la logica è bipartita in dialettica e retorica (la grammatica è lo strumento organizzatore del sapere) , mentre la physica è un coacervo di cono­ scenze che espande il quadrivio, aggiungendo ad aritmetica, geome­ tria, musica e astronomia anche l'astrologia, la meccanica e la medici­ na. In Isidoro la distinzione introdotta da Cassiodoro fra arti e disci­ pline ha minor rilievo e l'attribuzione delle scienze del numero alla physica, o "filosofia naturale " , organizza i saperi secondo una metodo­ logia di tipo etimologico-grammaticale. Anche la musica risente di questa diversa impostazione concettuale. Lo deduciamo dalla defini­ zione della disciplina, che conviene riportare per esteso: La musica è l'arte che concerne la voce e la gestualità, che ha in sé una certa disposizione dei numeri e del suono con la conoscenza della giusta modula­ zione. Questa consta di tre modalità, nel suono, nelle parole e nei numeri (PL 83 , col. 94 [II, 3 9 , 1 5 1 ] ) .

L'attenzione verso l a pratica musicale e perfino coreutica della musica sembra fare capolino in lsidoro molto più che in Cassiodoro, il quale resta comunque la sua fonte principale anche nell'elaborazione dei sa­ peri musicali. Il De institutione musica di Boezio è invece assente, ed è chiaro dalla definizione sopra riportata come la matematica musica­ le sia relegata inter pares fra la conoscenza del " suono " e quella delle " parole " . È proprio il contesto delle parole, dunque della grammati­ ca, che più interessa Isidoro, secondo l'impostazione metodologica adottata. E questo è dimostrato fin dall'esordio della trattazione musi­ cale nelle Etimologie, che inizia dalla definizione etimologica, ricon­ dotta all'arte delle Muse, con un manifesto richiamo al De ordine di Agostino (PAR. 2 . 3 . 1 ) : 1 09

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Musica è la perizia della modulazione che consiste nel suono e nel canto. Si chiama musica per derivazione dalle Muse [ . . . ] poiché attraverso di esse come volevano gli antichi si cercava il carattere (vis) dei poemi e la modu­ lazione della voce, il cui suono, essendo cosa sensibile, passa nel tempo e si imprime nella memoria. Perciò i poeti ritenevano che le Muse fossero fi­ glie di Giove e della Memoria, e infatti se i suoni non sono ritenuti dalla memoria umana, periscono, perché non possono essere scritti (Isidoro, I 9 I I , III, I 5 , I - 2 ) .

I l suono (sonus) e l a voce umana (vox) sono il vero oggetto dell'arte musicale. Componente principale della voce, il suono perisce se non è impresso nella memoria, della quale può invece fare a meno la pa­ rola grazie all'ausilio della scrittura. L'annotazione, che sembra evi­ denziare la paradossale assenza del concetto di notazione musicale in Isidoro (il quale risulterebbe all'oscuro perfino della notazione alfabe­ tica greca) , pone in effetti di fronte al nodo centrale del suo pensiero sulla musica, cioè l'inscindibile relazione fra il suono , la sua articola­ zione nel linguaggio e la funzione eminente della memoria nella tra­ smissione melodica. L'identificazione fra suono musicale e vox è tale da influire anche sulla divisione in generi della musica. Come già in Marziano e Ago­ stino, Isidoro tripartisce la musica in armonica, ritmica e metrica. La musica armonica distingue i suoni acuti da quelli gravi, ed è praticata da coloro che cantano con la propria voce, come i teatranti e i cori­ sti; la ritmica definisce se il suono si adatta bene o male alle parole, mentre la metrica distingue le tipologie di versi. Ma all'interno della tripartizione Isidoro introduce una ulteriore divisione del suono, il quale, essendo "materia" (materies) dei canti, ha una triplice natura: è armonico il suono melodioso della voce umana, organico quello che è insufflato negli strumenti a fiato , ritmico quello degli strumenti a per­ cussione. In questa divisione dello " spazio " sonoro negli strumenti che lo producono, Isidoro inserisce la sua indagine sulle qualità del suono e della voce, che è, appunto , lessicologica: il suono è chiaro o scuro o acuto o dolce; la voce è aspra , cieca, soffocata, ampia, di­ messa e via qualificando. In questo modo, Isidoro espande la termi­ nologia musicale, aggiungendo le parole dell"'estetica " dei suoni a quelle della " tecnica " , generando problematiche polisemie. Prendia­ mo ad esempio la parola tonus, che abbiamo già visto indicare in Boezio e in Marziano sia l'intervallo di tono (9/8) sia una scala di trasposizione ( chiamata pure " tropo " o "modo " ) . In Isidoro " tono " è anche una modalità di awio vocale sull'acuto (acuta enuntiatio vocis) , oltre che, come in Cassiodoro, «una quantità che consiste nell' accenI lO

2 . MUSICA E ClJL TURA CRISTIAI'\A

to o nella durata della voce» (lsidoro, I 9 I I , III , 20, 7 ) , la quale ultima definizione rimanda forse alla distinzione fra ritmica accentuativa (la quantità di emissione vocale nella sillaba forte e debole) e metrica (la durata temporale della sillaba lunga e breve) . Anche l' affondo nella musica organica e ritmica consente di allar­ gare lo sguardo su ciò che concerne il mondo delle voci, stavolta strumentali. L'esposizione organologica concerne gli strumenti della tradizione biblica, sui quali Isidoro esercita la forza argomentativa delle sue etimologie moraleggianti. Come le voci sono classificate in base alle qualità e alla tipologia di emissione sonora, così gli strumen­ ti sono esplorati nella forma, nei materiali e nella tecnica di costruzio­ ne, i quali concorrono a determinarne i significati simbolici ed etici. Inutile sottolineare la fortuna che ebbero queste pagine, che, trasmes­ se anche in estratti, contribuirono ad alimentare la letteratura peda­ gogica dell'età carolingia, e ben oltre. A poca cosa, invece, si riduce la matematica musicale, che interessa a Isidoro solo nell'ottica di dare un fondamento all'armonia cosmica: Ma questa ratio dei numeri, così come si trova nell'universo in virtù del moto circolare dei pianeti, si trova anche nel microcosmo [cioè nell'uomo] , ben al di là della voce, a tal punto che senza la sua perfezione l'uomo, sprovvisto di tale armonia, non può sussistere (ivi, III, 2 3 , 2 ) .

I l contenuto musicale delle Etimologie, dunque, s i differenzia d a quello che l a tradizione boeziana e anche agostiniana consegnerà al Medioevo; tuttavia, lo stimolo suscitato dall'attenzione di Isido­ ro a esplorare la realtà del fenomeno musicale nelle sue compo­ nenti qualitative favorì una rilettura e attualizzazione anche di te­ matiche speculative, in particolare della dottrina neoplatonica del­ l' armonia del mondo. Questo è ciò che accade nella cosid detta Musica Isidori, un testo connesso alla tradizione ispanica dei ma­ noscritti delle Etimologie, consistente in annotazioni esplicative a una serie di figure geometriche e diagrammi musicali inseriti fra la trattazione della musica e quella della geometria (il testo è edito come opera autonoma in PL 82 ) . Il responsabile dei diagrammi si riconduce alla tradizione del commentario oggi perduto di Porfirio al Timeo di Platone, e il riferimento della più complessa delle fi­ gure è alla serie dei numeri dell 'anima del mondo . La particolarità più interessante di questo schema , oggetto di recente studio (Hu­ glo , 2 003 ) , è l'aver sostituito alla scala strumentale greca una scala vocale che sembra riconducibile all 'antico repertorio ispani co di canti liturgici. L' anonimo compilatore della Musica Isidori avrebbe, III

FILOSOFIA DELLA MUSICA

così , mostrato il principio pitagorico che tutto è numero adattan­ do una concreta gamma vocale, quella nella quale le melodie li­ turgiche erano costituite, alla scala matematica greca, anticipando un processo che si sarebbe realizzato solo nell'età carolingia col recupero del De institutione musica boeziano .

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La musica come scienza e come arte nell'età carolingia (secoli IX- x)

3·1

La concezione carolingia della musica e la nascita del canto gregoriano Le basi politiche che consolidarono in Gallia il regno dei franchi sono da ricercarsi nell'impegno di difesa contro longobardi e bizanti­ ni che il re Pipino il Breve accordò al papa nel 754· Quando C arlo Magno salì al trono, volse la politica paterna nel grandioso progetto di una renovatio imperù' consacrata dal capo della Chiesa, un evento politico e culturale di enorme portata, nel quale una tendenza storie­ grafica oggi dibattuta ha visto l'atto di nascita dell'Europa moderna. Il programma promosso da Carlo e comunemente definito " rinascita carolingia " si configurò come un evento che affiancava l'impegno pe­ dagogico alla riorganizzazione politica, sociale ed economica del nuo­ vo impero cristiano, il quale arrivò a estendersi su tutta l'Europa cen­ trale. Per redigere il suo programma, Carlo, semianalfabeta, aveva bi­ sogno di un uomo di grande cultura e autorità, qualità che spiccava­ no nella figura di Alcuino di York, monaco inglese che il sovrano conobbe a Pavia nel 7 8 I , e al quale affidò la sorte culturale del re­ gno. Alcuino redasse numerosi manuali e insegnò ai funzionari, ma non fu solo maestro; anzi, fu soprattutto un infaticabile promotore culturale: attivò una vasta circolazione di testi nei monasteri, nelle scuole affiancate alle più importanti cattedrali e nella scuola del pa­ lazzo reale di Aquisgrana, la schola patatina, dove egli stesso rimase per quasi tutto il resto della sua vita; fondò, inoltre, numerosi scri­ ptoria, le biblioteche monastiche impegnate nella conservazione e co­ piatura dei codici . La cultura monastica occupata nei secoli preceden­ ti a s alvare il patrimonio culturale del passato - tanta parte in questo processo lo ebbe proprio il monachesimo inglese e irlandese, di cui Alcuino era figlio - era adesso chiamata a un compito forse ancora

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più arduo: assicurare il successo del progetto politico-culturale di Carlo. «Includere e citare», come afferma Kurt Flasch (2 002 , p. 5 ) , sono i termini nei quali possiamo riassumere l'essenza della civiltà carolin­ gia. Includere: il programma culturale promosso dall'élite intellettuale della corte palatina, sotto la guida di Alcuino, mirava a recuperare la tradizione erudita classica della romanità imperiale, ponendola in una linea di continuità con la sapienza biblica cristiana trasmessa dai Pa­ dri. La coesione delle due radici culturali del nuovo impero, romani­ las e christianitas, confermava la razionalità dell'operazione politica compiuta da Carlo. Citare: il recupero del passato non era solo in funzione della conservazione politico-amministrativa interna, garantita da un 'adeguata preparazione intellettuale dei funzionari e della gerar­ chia ecclesiastica, ma doveva anche essere manifestazione esteriore dell' autorevolezza del nuovo potere attraverso l'imitazione dell'unica autorità diretta continuatrice dell'impero romano, cioè l'impero d'O­ riente. La dignità del nuovo contesto cristiano-germanico era nella di­ mostrazione che i franchi proteggevano e portavano avanti l'eredità del passato , avendola fatta propria non da usurpatori, ma da legittimi eredi. Grazie a questa acuta strategia politica e culturale Carlo poté utilizzare i simboli dell'impero bizantino, ma avanzando la pretesa della propria distinzione e auctoritas. L' attività didattica che si delinea nelle scuole carolingie ha dunque una componente rilevante nella ripresa della tradizione enciclopedica tardoantica, che però, per la necessità di un'erudizione più pragmati­ ca e accessibile, rinuncia alla trattazione sistematica, e interiorizza il modello pedagogico di Cassiodoro e di Isidoro. Un catalogo dell'xi secolo della biblioteca della cattedrale di Puy attribuisce ad Alcuino un'opera «De dialectica, rethorica, musica, arithmetica, geometria, astronomia» . Il testo, che non ci è giunto, sembrerebbe un manuale sulle arti liberali, con l'esclusione della grammatica, la quale, come già in Isidoro (PAR. 2 .5 . 2 ) , era lo strumento metodologico per la trattazio­ ne di tutte le discipline. Ciò che Alcuino si proponeva di fare è ben espresso in una delle sue lettere a Carlo: edificare in Francia una nuo­ va Atene, superiore all'antica «perché quella senza altro insegnamento che le discipline di Platone ha brillato della scienza delle sette arti, ma questa supera in dignità tutta la sapienza di questo mondo, perché è, in più, arricchita della pienezza dei sette doni dello spirito santo» ( cit. in Gilson, 1 97 3 , p. 2 3 2 ; PL r oo , col. 2 82 [Ep 86] ) . Anche l a musica è intesa a palazzo, così come in ogni vescovado e monastero, secondo i dettami dell'Epistola de litteris colendis e dell'E­ pistola generalis di Carlo (MGH, Capitularia regum Francorum r , 2 9 , p. .

3· LA MUSICA COME SCIENZA E COME ARTE 1'\ELL ' ETÀ CAROLII'\GIA ( SECOLI

IX-X)

79 e 3 0, p. 8o), come una disciplina da insegnare insieme alle altre arti del quadrivio; del resto, pure il sovrano si faceva istruire nel computo e nell'astronomia da Alcuino. Ma per quanto concerne la musica, un poema, attribuito ad Alcuino, che illustra gli usi della vita di corte, ribadisce: «Il maestro cantore Idito istruiva i ragazzi nel can­ to sacro affinché cantassero con piena voce i dolci suoni e imparasse­ ro che la musica sta nei versi, nei numeri e nel ritmo» (MGH, Poeta­ rum latinorum 1 , 26, 2 4 6 ) . Idito a parte, che forse indica solo una tipologia ideale di maestro di musica, è innegabile che le tre classiche partizioni nelle quali la disciplina era suddivisa nella tarda Antichità (nell'ordine qui dato: metrica, armonica e ritmica) costituiscono tre prospettive ancora attuali di approccio alla musica, intesa come arte del canto. In effetti, anche se è sempre ben presente in età carolingia l'idea che la musica fosse una scienza, è avvertito con chiarezza che il canto, ovviamente quello liturgico, è musica , perciò rientra nel qua­ dro della nuova cultura enciclopedica quale " oggetto " specifico di questa disciplina. Questa inclusione determina delle difficoltà, che re­ stano irrisolte: mentre nelle opere enciclopediche e nelle sezioni teori­ che dei primi trattati musicali il canto liturgico è considerato oggetto della scienza musicale, il primo approccio verso una sua codificazione è pratico, e non si inquadra nel contesto disciplinare. Parimenti, le parole che definiscono il canto o la modalità del cantare nelle opere enciclopediche e nella primissima trattatistica musicale sono desunte dalla Bibbia, più che dalla prassi canora coeva, ed entrano nella trat­ tazione musicale secondo il principio che la conoscenza di un " ogget­ to " sta nel significato delle parole che lo designano, o che ne des cri­ vono gli attributi, come in Isidoro (PAR. 2 .5 .2 ) . Questo significato è appunto illuminato dalla Bibbia, che volge la descrizione del mondo in interpretazione morale e spirituale. Un esempio eloquente in tal senso è il De naturis rerum, o De universo, opera del più prestigioso allievo di Alcuino, Rabano Mauro, monaco del monastero di Fulda intorno alla metà del IX secolo. In questa enciclopedia dei saperi, destinata a durevole fortuna, il fonda­ mento metodologico che rende coerente la raccolta di dati è quello del rapporto diretto fra il "nome " e la " cosa " che il nome designa. Soffermiamoci sulla musica, riconosciuta da Rabano fra le discipline ancelle della filosofia, la quale è identificata con la sapienza cristiana, ed è dunque anche valore morale e corretta conduzione della vita. La sezione musicale del De universo organizza gli argomenti proprio in virtù dell'elevazione spirituale dell'uomo, resa possibile dalla lettura biblico-simbolica delle " cose " su cui verte la disciplina, fra le quali assumono rilievo anche gli strumenti musicali. Sono gli strumenti bi1 15

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blici, e non quelli reali, esclusi da ogni pratica liturgica, ad alimentare il catalogo di Rabano, e l'interesse verso di loro sta tutto nella natura simbolica della peculiare "voce " di ciascuno. Prendiamo ad esempio il salterio: Il salterio, nome greco per il nabulum degli ebrei e il laudatorium dei latini, di cui il Salmo afferma exsurge psalterium et cithara (Salmo 54) a differenza della cetra ha forma di trapezio e ha dieci corde [. .. ] . Il salterio viene popo­ larmente chiamato così prendendo il nome dal cantare (psallere) che si eleva dagli inferi ai cieli attraverso il movimento della mano, la quale suona le cor­ de dal basso in alto, mentre il coro risponde alla sua voce (PL r 8 , 4, coli. 496- 5 00) .

L'idea platonica di " armonia cosmica " , simboleggiata dal salterio che lega terra e cielo nell'accordo delle sue corde risuonanti, ha un equi­ valente nel canto corale di lode a Dio; non un canto " del cuore " , ma " del coro " , della chiesa. Come abbiamo già osservato, i Padri, Ago­ stino e lo stesso Boezio impiegarono i concetti di " ordine " , "misura " e " armonia musicale " quali modalità di lettura unitaria del creato e dell'uomo. In età carolingia, con l'avvio della riforma liturgica voluta da Carlo Magno, questo stesso tema sarà impiegato a giustificazione della pratica del canto sacro, che da modalità di intonazione della preghiera legata al pluralismo dei riti delle singole comunità cristiane e a tradizioni locali, divenne linguaggio universale della Chiesa, che l'autorità imperiale tutelava e amministrava attraverso le gerarchie ec­ clesiastiche. Così, la riflessione teorico-musicale rinacque nell'età ca­ rolingia, dopo la sua eclisse in età patristica, anche per supplire alla necessità di legittimare l'ordine universale del mondo, che, adesso, si incarnava nell'ideale di universalitas attribuita al canto liturgico del­ l'impero carolingio, il canto gregoriano. Che il canto gregoriano si sia storicamente sviluppato per iniziati­ va del potere politico è confermato dall'Admonitio generalis (MGH, Capitularia regum Francorum r, 2 2 , 8o, p. 6 r ) , nella quale Carlo Ma­ gno prescrive per tutto il clero l'uso del cantus romanus (il repertorio della Chiesa di Roma portato oltralpe) , in forza dell'autorità dei patti già intercorsi fra suo padre Pipino e il papa. Il profondo significato teologico e politico di questo evento è anzitutto testimoniato dalla propaganda che lo accompagnò, la quale mirava a stabilire l'origine divina e " rivelata" delle formule melodiche del nuovo canto . Questa tradizione si originò proprio all'interno della corte imperiale e fu tra­ mandata in forma letteraria da un intellettuale dell'élite palatina, Pao­ lo Diacono, e in forma iconografica da un cospicuo gruppo di illurr6

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strazioni presenti in manoscritti che datano dal IX al XIII secolo. Il canto gregoriano sarebbe stato trasmesso direttamente dallo Spirito Santo a papa Gregorio Magno (m. 6o4 ) , insigne riformatore liturgico e Padre di massima autorità per la cultura cristiana occidentale. Nella tradizione iconografica, il papa stesso, nascosto dietro una tenda, det­ ta a un monaco le formule melodiche che gli vengono suggerite dalla colomba divina e che il monaco a sua volta mette per iscritto. La realtà storica dell'evoluzione e affermazione del canto gregoriano fu ovviamente diversa, ed è oggi ancora in buona parte avvolta nell'o­ scurità; tuttavia è palese che il nuovo repertorio di canti fu frutto del­ la volontà imperiale di uniformare le melodie e i testi liturgici sul mo­ dello, in realtà, della tradizione gallicana locale, sulla quale influì (o aveva influito, secondo modalità ancora non sufficientemente chiarite) la tradizione melodica dell' antico canto della Chiesa romana, svilup­ pato nel VII-VIII secolo. Comunque sia stato prodotto e trasmesso, la leggenda dell'origine del nuovo repertorio franco-romano - come i musicologi tendono a chiamare il canto gregoriano - rende esemplare la modalità stessa nella quale si delineò il rapporto fra la prassi musicale e la teoria che ben presto vi si accompagnò. Riassumiamo questo nesso in cinque punti fondamentali: r . il nuovo canto va imposto a tutte le chiese e ai monasteri dell'impero perché è canto divino; 2 . la sua autorevolezza è giustificata dal fatto che è stato trasmesso direttamente dall' auctoritas di papa Gregorio Magno, riformatore della Chiesa; 3 . il canto grego­ riano è segno concreto dell'armonia universale realizzata sulla terra attraverso la mediazione sacerdotale (rappresentata dal papa) , la qua­ le interpreta e annuncia la parola di Dio alla cristianità; 4 · il canto liturgico, in forza della sua divinità, deve essere trasmesso nell 'inte­ grità della sua originaria formulazione, e dunque necessita di essere scritto , affinché venga praticato universalmente e uniformemente; infi­ ne 5 . il compito della trasmissione è affidato al monaco amanuense, che nell'organizzazione gerarchica della società e della Chiesa detiene il ruolo di " diffusore " della conoscenza attraverso la scrittura. È faci­ le intuire come queste preoccupazioni portarono a una vera e propria rivoluzione nella concezione della musica e nella sua teorizzazione. L'imposizione del nuovo canto fece sì che una musica viva e concreta divenisse oggetto di attenzione speculativa, perché argomentare sul canto gregoriano non significava solo giustificarne l'autorità, quanto anche indagare le modalità della sua effettiva organizzazione melodi­ ca, che la necessità di trasmissione obbligava a restituire in forma scritta. Con l' affermarsi del canto gregoriano, il recupero della scritI I7

FILOSOFIA DELLA MUSICA

tura musicale alfabetica trasmessa da Boezio e il suo graduale abbina­ mento con quella neumatica, presente in nuce e in varie tipologie fin dall'vrn secolo, divennero , almeno nei presupposti teorici, l'unico mezzo per trasmettere fedelmente il repertorio r . Ma per rendere pos­ sibile tale abbinamento era prima necessario elaborare un'idea del movimento melodico come successione di altezze vocali determinate e misurabili; occorreva, cioè, matematizzare il flusso sonoro della voce. Ciò che a noi sembra scontato, ovvero che ogni suono musicale corri­ sponde a un'altezza determinata rappresentabile in segni grafici, fu in realtà una conquista complessa, grazie alla quale la musica occidenta­ le acquisì una dimensione teorica imprescindibile dalla prassi e dalla notazione. Come la scrittura minuscola carolina uniformò le grafie degli scriptoria monastici consentendo la circolazione dei manoscritti e facilitandone la lettura, così la scrittura della musica, gradualmente formalizzata nei trattati musicali, consentì la circolazione del reperto­ rio liturgico in tutta l'Europa, trasmettendo insieme a esso i principi teorici che ne avevano reso possibile la codifica. Senza tema di ecces­ si, possiamo dire che questa non facile operazione segnò l'atto di na­ scita della cultura musicale occidentale.

3 ·2

Includere e citare: le prime glosse a Marziano Capella e a Boezio 3 .2 . 1 . LA RISCOPERTA DI BOEZIO E LA FORMAZIONE DELLA GLOSSA MAIOR IN INSTITUTIONEM MUSICAM

Come sopra accennato, la cultura carolingia ebbe quale suo obiettivo primario quello di raccogliere l'eredità del passato romano per inte­ grarla nella struttura della nuova civiltà cristiana. Non deve dunque sorprendere che proprio con l'avvio intellettualmente " felice " dell'im­ pero riprenda anche la circolazione dei maggiori trattati musicali tar­ doantichi, quello incluso da Marziano Capella nel suo De nuptiis e

1 . La questione della nascita di notazioni neumatiche, che cioè fanno uso di se­ gni per indicare l'altezza dei suoni, è assai dibattuta. Qui ricordiamo solo che studi recenti (Atkinson, 2003 ) hanno evidenziato l'impiego dagli accenti prosodici gramma­ ticali (acuto, grave e circonflesso) come segni di notazione in glosse d'età carolingia all'Ars maior di Donato (la più famosa opera grammaticale nel Medioevo) e al libro m delle Nozze di Marziano, che verte sulla grammatica.

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3· LA MUSICA COME SCIENZA E COME ARTE 1'\ELL ' ETÀ CAROLII'\GIA ( SECOLI

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quello di Boezio. Le due opere, come abbiamo visto, sono del tutto diverse per finalità, struttura e in buona parte anche per i contenuti, ma entrambe fornirono una solida base per cominciare a ragionare sulla musica nei termini di una fondazione teorica della prassi. Que­ sto processo può essere riletto come succedersi di tre distinti momen­ ti: 1 . un iniziale inquadramento della teoria armonica musicale pre­ sente in Marziano e in Boezio nel contesto della collocazione della musica fra le arti liberali (il De musica di Agostino, trattando di ritmi­ ca e metrica , suscitò minore interesse) ; 2 . una successiva fase in cui la fondazione della musica come disciplina costituì materia introduttiva alla prima trattatistica sul canto gregoriano; 3 . un terzo momento nel quale la teoria armonica matematica fu impiegata nella prassi del can­ to piano, cioè del canto gregoriano, e nelle prime forme di polifonia. Nel suo insieme, tale processo coinvolse l'evoluzione della scrittura sulla e della musica in tutto il IX secolo . È opportuno ribadire che il De institutione musica di Boezio è l'unica opera di teoria musicale giunta dalla tarda Antichità che rende esplicito attraverso il calcolo matematico il sistema greco di organizzazione dei suoni (PAR. 2 .4.4): questa sezione dell'opera è quella che ha influito di più sulla nascita della teoria musicale medievale. Infatti, se l'inquadramento della mu­ sica fra le scienze matematiche giunse all'età carolingia attraverso una tradizione ininterrotta (anzitutto da Agostino, Cassiodoro e Isidoro) , la fondazione della prassi musicale e della sua scrittura su un sistema matematico di organizzazione dei suoni è legata unicamente al recu­ pero dell'aritmetica musicale di Boezio e alla capacità che ebbero i teorici di metterla in relazione con la struttura del canto gregoriano e dei suoi criteri di ornamentazione, in particolare la polifonia. «Un si­ stema di suoni è la premessa per una notazione della musica, la nota­ zione a sua volta è la premessa per uno sviluppo della polifonia, dato che quest'ultima può funzionare solo con un impiego sistematico de­ gli intervalli musicali» (Bernhard, 2 007 , pp. 8 1 -2 ) . L a prima citazione del De institutione musica di Boezio oggi co­ nosciuta risale al Liber o/ficialis di Amalario, dell'82 3 , e verte sulla dottrina dell' éthos musicale: Amalario, monaco del monastero di Metz , compiva numerose missioni diplomatiche per l'imperatore e in­ segnava alla scuola della corte, dove è verosimile che circolassero i primi codici in cui l'opera di Boezio era trasmessa. Le prime forme di commento a Boezio e a Marziano Capella sono infatti da ricondurre nell'ambito della scuola palatina, a partire dalla metà del IX secolo. Il corpus di glosse a Boezio , la cosiddetta Glossa maior in institutionem musicam Boethii, è stato ricostruito ed edito sulla base di un accura1 19

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tissimo lavoro filologico , per cui risulta agevole distinguere le prime riflessioni sulla musica boeziana da quelle dei secoli successivi , che andarono ad accrescere l'opera di commento trasmessa di codice in codice. Le più antiche glosse si limitavano per lo più alla comprensio­ ne del testo, sia per quanto concerne l'inquadramento filosofico della disciplina musicale, sia per l'interpretazione dei difficili calcoli mate­ matici del terzo libro. Gli anonimi studiosi che per primi le redasse­ ro , pertanto, non intesero, o non seppero, confrontare le dottrine boeziane con la musica liturgica. Molto ricche di commenti sono so­ prattutto le pagine d'avvio del trattato, sulla musica mondana e uma­ na. Fra queste, una glossa del IX secolo , ripetuta in molti codici suc­ cessivi, interpreta la musica humana come vox hominis, tanto che il processo di fonazione è equiparato «alla tacita potenza razionale del­ l' anima, che, unita al corpo, prorompe in suono» (Bernhard, Bower, 1 993 , 1 3 1 , p. 1 02 ) . Come vedremo più avanti, nella prima trattatistica musicale questo passaggio di significato della musica umana, da ar­ monia del microcosmo a musica vocale, sarà fondamentale per fonda­ re una scienza della musica il cui oggetto è appunto la voce umana che si esprime nel canto liturgico. Grande attenzione è riservata dalle glosse anche alla fisiologia della sensazione, riletta nell'ottica della fi­ losofia agostiniana; rispetto a questo tema spicca ad esempio un grup­ po di annotazioni che si richiamano al vescovo d 'lppona e a Calcidio (ivi, 1 9- 2 2 , pp. 3 -6 ) . Non mancano , com'è ovvio , le mediazioni delle principali fonti enciclopediche, Cassiodoro e Isidoro, ma anche Mar­ ziano è talvolta impiegato per illustrare o confrontare le idee di Boe­ zio. Fra le glosse che ci riconducono all' attualizzazione dei contenuti del De institutione musica possiamo ad esempio ricordarne una risa­ lente all'xi secolo sul tema della musica humana, nella quale, appog­ giandosi a Cassiodoro, lo scoliaste propone un parallelismo fra l'idea­ le monastico di vita e la realizzazione dell'armonia interiore, di cui il mondo dei suoni è simbolo: Cassiodoro dice: la musica è la disciplina che indaga le differenze e le affi­ nità di cose relazionabili, cioè i suoni. Essa, giustamente, è posta per spiega­ re le somiglianze delle cose spirituali, poiché il suo concento si fonda nella virtù della concordanza. Infatti, sia che recitiamo un salmo sia che ci accin­ giamo volontariamente a fare qualcosa per volere di Dio, conciliamo < que­ ste cose > in modo appropriato in grazia di una dolcissima armonia (ivi, 6 r 6 , p. 74) .

Parimenti interessanti sono le annotazioni relative all'idea dell ' anima del mondo, che lo stesso glossatore illustra (ivi, 1 8 3 , pp. 24-6) in 1 20

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un 'ampia postilla basata sul commentario di C alcidio al Timeo. Tutta­ via, il materiale che riesce a trarre dalla sua fonte è alquanto sem­ plificato. Nella sua esposizione dell'organizzazione matematico-musi­ cale delle parti dell'anima, il glossatore si limita a riferire la struttura delle due serie geometriche del 2 e del 3 (PAR. r .5 .2 ) , senza fare cen­ no all'ulteriore divisione secondo il medio aritmetico e armonico, che consente la costruzione della scala pitagorica utilizzata nel Timeo. Così, l'armonia universale si limita per l'anonimo scoliaste alla con­ cordanza delle consonanze perfette diapason, quarta, quinta , doppio diapason e diapason + quinta. Né altre indicazioni matematiche più approfondite appaiono in altre glosse sulla musica mondana, rispetto alla quale gli scoliasti sono soprattutto interessati a capire come mai non la si possa udire sulla terra (ivi, 54, pp. 92 - 3 ) . Tuttavia, una glos­ sa risalente al x secolo (ivi, 1 08, pp . 98-9) evidenzia l'opposizione fra la soluzione prospettata da Boezio e quella proposta da Marziano , tema sul quale, come vedremo più avanti, i glossatori delle Nozze si confrontavano con maggiore impegno. Ma la prima lettura di Boezio consentì anche un primo tentativo di confronto fra la teorizzazione dello spazio sonoro e la prassi musi­ cale del canto piano. Ad esempio, la distinzione fra suoni uguali e ineguali in altezza introdotta da Boezio (r, 3 ) è chiarita da uno scolia­ ste del x secolo attraverso un esempio " protonotazionale " (Bernhard, Bower, 1 993 , 1 5 0 , p. 1 2 5 ) , perché l'incipit dell'antifona Astiterunt re­ ges è sormontata da un tratto continuo per indicare suoni della stessa altezza, mentre il passaggio terre et da trattini discendenti, indicanti suoni di altezze diverse. Sempre in glosse del x secolo (ivi, 1 43 , 146, 1 5 1 e 1 5 3 , pp . 1 99-20 1 ) , le misure delle principali consonanze, diapa­ son, diapente, diatessaron e tonus ( cioè ottava, quinta, quarta e tono) , " scoperte " d a Pitagora, sono invece esemplificate grazie alla notazio­ ne musicale sovrapposta all'incipit di alcune antifone, che si ritrovano anche nei trattati musicali di Aureliano di Réome e di Reginone di Priim (PAR. 3 ·4 · ! ) · È però curiosa l'idea, formulata dal glossatore, di interpretare le quattro consonanze come espressione dei modi proto, deutero, trito e tetrardo, i primi quattro modi gregoriani, facendo in­ tendere che gli intervalli in questione fossero specifici degli incipit di ciascuno dei modi ! La teoria dei modi, esposta da Boezio nel libro rv, fu di primo interesse per i glossatori del testo , che però la inter­ pretarono alla luce di una diversa concezione modale , consolidatasi nella pratica e trasmessa oralmente a partire dai modelli bizantini del­ le scale di trasposizione. Il concetto di "modalità " in Boezio fu infatti all'origine di molti fraintendimenti , che infine portarono alla forma121

FILOSOFIA DELLA MUSICA

lizzazione degli otto modi gregoriani 2• È dunque palese come il trat­ tato speculativo di Boezio interessasse sì per la comprensione della musica quale disciplina matematica, ma fosse anche percepito come una ( almeno potenziale) risorsa per la prassi musicale. Man mano che il corpus di glosse si ampliava, nei secoli x e XI , le annotazioni divennero sempre più specifiche e indirizzate alla com­ prensione della matematica musicale. L'interesse per l'approccio ma­ tematico alla musica è manifestato soprattutto nella cosiddetta " tradi­ zione tedesca " di glosse, che talvolta si spinge in dimostrazioni di li­ vello alquanto avanzato, sia sulla misurazione delle consonanze, sia sui microintervalli, che impongono ai glossatori di maneggiare rap­ porti frazionari e numeri interi assai complessi nel disagevole sistema romano di numerazione. Uno di questi interventi è attribuito a Ful­ berto di Chartres (m. 1 02 0 ) , siamo quindi ormai ben fuori dalla " pri­ ma" ricezione boeziana. Dalla rapida sintesi dei contenuti delle prime glosse al De institutione musica che è stata qui tracciata, si può capire come la lettura di Boezio abbia messo in moto un complesso mecca­ nismo di esplorazione dei contenuti teoretici musicali; e questa prima fase di approccio alla musica speculativa fu il presupposto necessario che permise la "traslazione " della disciplina boeziana a fondamento della nascente trattatistica musicale.

3.2.2. LE GLOSSE ALLE

NOZZE,

LA FORMA DEL SUONO E LA MUSICA CELESTE

Di concezione e impostazione differenti rispetto alle prime glosse all'o­ pera musicale di Boezio sono le annotazioni e i commentari all'opera di Marziano Capella. Anzitutto, mentre la prima era un'esposizione si­ stematica e manualistica della teoria armonica tardoantica, le Nozze erano invece la più vasta opera pagana sulle discipline del trivio e qua­ drivio nella loro totalità, ed erano supportate da un complesso appara­ to speculativo neoplatonico mediato dalla religione astrale tardoimpe2. Nella musica tardoantica furono codificati due sistemi modali. TI primo, teori­ co, da Boezio (PAR. 2 .4.4), l'altro nella musica liturgica bizantina (octoéchos). I tonari gregoriani, repertoriando canti trasmessi oralmente, si richiamavano al sistema bizanti­ no, che prevedeva otto modi (échoi) di organizzazione scalare. I teorici carolingi mise­ ro in relazione gli échoi col sistema di Boezio, e ne risultarono gli otto modi gregoria­ ni: i quattro " autentici" proto, deutero, trito e tetrardo, e i rispettivi " plagali " , tutti privi di intervalli più piccoli del semitono. I modi furono nominati con la nomen­ clatura greca: dorico, frigio, lidio, misolidio e i rispettivi ipodorico, ipofrigio, ipolidio, ipomisolidio. Nel XVI secolo ne furono introdotti altri quattro: eolio, ipoeolio, ionico e ipoionico; ma ne rimasero in uso solo due, eolio e ionico, i moderni modi maggiore e minore. Sui modi e la modalità si veda la recente sintesi di Caldwell (2 007) .

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riale (PAR. 1 .7 . r ) . Sulle Nozze si confrontarono i maggiori studiosi del­ l' età tardocarolingia, e gli interessi nei confronti di questo testo varca­ vano, owiamente, i limiti della scienza musicale. Il testo di Marziano fu ricopiato molte volte in età carolingia, e circa cinquanta copie soprav­ vissute sono databili al solo IX secolo. I primi manoscritti risalgono all'83 0-40, e furono prodotti nelle scuole più rinomate del tempo: Au­ xerre, Corbie e Reims. Una tradizione di questi marginalia, che fu attri­ buita dapprima a Dunchad e poi a Martino di Laon, due dotti monaci irlandesi, è oggi ritenuta anonima, ma le annotazioni del periodo caro­ lingio che presentano il materiale più ricco dal punto di vista dell'ela­ borazione dottrinale sono quelle ascritte, non senza polemiche, al mag­ giore intellettuale della corte di Carlo il Calvo, il filosofo irlandese Gio­ vanni Sco to Eriugena. Egli annotò l'opera verso la metà del IX secolo, mentre negli anni che seguirono la rinascenza carolingia il monaco Re­ migio di Auxerre (m. 904) compilò un lungo commento utilizzando le tradizioni anteriori. Fu proprio quest'ultimo il commento più utilizzato in epoche successive, ma i temi di maggior rilievo dottrinale, in parti­ colare il problema della musica celeste, sono articolati da Remigio sulla base delle glosse di Giovanni e degli anonimi, sulle quali quindi ci concentriamo. Non parleremo in modo specifico dell'opera di Remigio, ma è opportuno ricordare che questo erudito monaco fu versato in tutte le arti liberali, in particolare la grammatica, la dialettica e la musi­ ca, e fu anche esegeta biblico. Molte sue idee si riconnettono alla dot­ trina di Giovanni Scoto, e in particolare la sua dottrina della cono­ scenza umana. L'uomo, secondo Remigio , possiede in sé tutte le arti, le quali furono oscurate dal peccato originale; ma ognuno le può ricon­ quistare attraverso uno sforzo impegnativo. Tutti, dunque, hanno in sé il principio delle arti, anche se solo pochi, dopo faticosi studi, diventa­ no infine dialettici o grammatici o musici (un'idea che, due secoli dopo, sarà ripresa anche da Ildegarda di Bingen, cfr. PAR. 4.3 ) . Una considerazione di questo tipo del rapporto fra il sapere scientifico e la natura dell'uomo mette ben in evidenza come gli intellettuali altome­ dievali intesero il compito di educare e apprendere: un difficile e labo­ rioso impegno finalizzato alla salvezza dell'anima. Le note a Marziano ascritte a Giovanni Scoto verranno esaminate più oltre, alla luce anche di altri aspetti del suo pensiero estetico, men­ tre, fra i primi commenti, ci interessa qui il corpus anonimo di glosse ai libri I, n e IX del testo marzianeo (Teeuwen, 2002 ) già attribuiti a Dun­ chad e Martino, perché sono ricchi di annotazioni relative al tema del­ l'armonia cosmica. L'anonimo o, meglio, gli anonimi primi commenta­ tori di Marziano - sembra infatti rintracciabile in queste glosse un con123

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testo di organizzazione corale di lettura e interpretazione - vi riservano lunghi commenti, i quali riflettono gli ampi dibattiti che si suppone siano stati all'ordine del giorno nel circolo intellettuale della corte fran­ ca, soprattutto a partire dal successore di Carlo Magno, Ludovico il Pio (8 r4-8 4 o) fino al regno di Carlo il C alvo (m. 877 ) . L'astronomia fu infatti un tema di grande interesse fin dall' awio della rinascita caro­ lingia, sia perché vennero raccolte le diverse tradizioni astronomiche e computistiche dell'Antichità, dando così nuovo impulso anche allo stu­ dio dell'astronomia cosmografica, sia perché il lascito astronomico del­ la classicità romana, contraddistinto dalle religioni astrali, come nelle Nozze, era capace di offrire modelli e immagini mitiche al simbolismo regale: per fare un esempio, il mantello regale di Carlo il Calvo rap­ presentava la mappa completa della volta celeste. Riemerse, inoltre, l'a­ strologia, fiorita nell'impero romano, stimolando la discussione sul de­ terminismo e sul significato degli eventi celesti. Non stupisce allora, in tale contesto, che l'impegno esegetico dei glossatori delle Nozze sia concentrato sul problema della musica delle sfere. Rispetto alla duplice possibilità che abbiamo visto in Boezio (PAR. 2 .4 . 2 ) e alla scala pitagorica delineata nel Timeo (PAR. r .2 .2 ) , Marziano offrì un'opportunità interpretativa più complessa, poiché sostenne la dottrina dell'eliocentrismo di Vene re e Mercurio, già adombrata nel Timeo e sviluppata anche nel commento di Macrobio al Somnium Scipionis. Ma Marziano non è coerente: quando tratta di astronomia (libro vn) afferma che i due pianeti girano attorno al Sole , il quale a sua volta gira attorno alla Terra, ma nel libro n, quan­ do Filologia percorre le sfere dei pianeti, dispone le orbite in ordine progressivo, con il Sole al centro. È dunque evidente un certo suo imbarazzo, se non forse una vera e propria confusione, nella spiega­ zione dell'armonia dell'universo, intesa come insieme di suoni pro­ dotti dal moto planetario. Tale confusione stimolò la riflessione dei primi commentatori, i quali ci hanno lasciato alcune notevoli annota­ zioni sulla " fisica " del suono celeste 3 • Il Sole si muove secondo un'armonia, e in questo passo < di Marziano > si designa la mancanza di forma dei suoni. Infatti la cetra, se tesa, produce un suono intelligibile [ . . .] ; quando è rilassata, emette una melodia con mancanza di forma del suono [ . . . ] . Per esempio: quando si infila nella cetra la prima corda, emette un suono molto rilassato e molto grave, senza nessuna bellez-

3· Una traduzione italiana di queste annotazioni è in Ramelli (2oo6), qui riadatta­ ta con alcuni cambiamenti.

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za. Qualora però la si tenda, assume una certa forma, che nella gamma dei modi musicali è chiamata modo ipodorico, ossia modo posto al di sotto del dorico (Teeuwen, 2002 , p. 2 r r [9, 24] ) . Le Muse sono associate ad Apollo [cioè al Sole] anche per una ragione fisica dei < loro > caratteri. Come infatti la mése, ossia il suono mediano della mu­ sica terrena, detiene il primato in ogni modo musicale, così il Sole detiene quello della musica celeste, la quale ha nove ordini, a motivo dei sette piane­ ti più la sfera celeste e la Terra stessa. Essa [mése] possiede la proporzione di ogni mancanza di forma di consonanza e di ogni materia di suoni. [ . . . ] Come il Sole nell'armonia celeste e la mése nella lira creano un tetracordo, così fa la lingua nella voce (ivi, pp. 2 1 2 -4 [ r 2 , 20] ) . Fra il cielo e la terra intercorre un tetracordo doppio, ossia due tetracordi. Infatti, il numero sette dei pianeti produce due tetracordi. La prima corda è il circolo lunare, la seconda è quella di Mercurio, la terza è quella di Venere, la quarta quella del Sole, poiché occupa sia la fine del tetracordo precedente sia l'inizio di quello seguente, come la mese, la nota mediana in musica. Dunque, il secondo tetracordo è quello in cui la prima corda è il circolo solare, la seconda quello di Marte, la terza quello di Giove, la quarta quello di Saturno (ivi, p. 206 [5 2 , r 3 ] ; trad. in Ramelli, 2006, p. 692).

In questi passi notiamo come i primi lettori di Marziano si sforzino di interpretare il fenomeno sonoro come fenomeno fisico, anche quando esso avviene nei cieli; e siccome l'organizzazione dei suoni che essi derivano dalle Nozze è quella greca dei sistemi di tetracordi, dove acquista un ruolo fondamentale la mése, il tono centrale che congiunge due tetracordi successivi, tale ruolo nella musica celeste è attribuito al Sole, che qui detiene il posto mediano fra i pianeti, così come Apollo, simboleggiato dallo stesso Sole, è " al centro " delle nove Muse e le presiede. Dunque, Sole/Apollo è principio ordinatore del­ l' armonia celeste, come il disco solare è principio regolato re dell' ar­ monia in natura. Nella musica celeste " accordata " dal Sole/mése se l'astro cambiasse la sua intonazione tutti gli altri suoni planetari ver­ rebbero trasformati. In esso risiede dunque il principio della bellezza dell'armonia cosmica. A partire da questo presupposto, l'abbinamento di Apollo (princi­ pio di armonia musicale) al Sole (principio di armonia cosmica) è fi­ nalizzato anche a una particolare funzione, sottolineata nella prima e seconda glossa sopra riportate, cioè quella di " dare forma " al suono cosmico/musicale, rendendolo armonico. Il verbo formare e l'avverbio in/ormiter sono utilizzati a un duplice livello. Da una parte, la "for­ mazione" della materia sonora è data dall' atto di tendere la corda 1 25

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principale della cetra, che fa passare il suono da non formato a for­ mato, cioè da non musicale a musicale, così che le altre corde derivi­ no da esso la loro giusta accordatura. Dall'altra parte, il processo di "formazione , del suono è inteso in senso filosofico, come operazione ,, che " dà forma , che fa passare la materia sonora a uno stato di perfe­ zione formale, cioè musicale, esteticamente apprezzabile (notare nella prima glossa come la mancanza di forma si traduca in termini di as­ senza di bellezza). Come sottolinea Teeuwen (2007 , p. 1 03 ) l'idea di una materia sonora informe, la quale deve passare attraverso un prin­ cipio fisico ordinatore o " formante , per divenire musica, è già pre­ sente in Agostino, nelle Confessioni (xn, 29, 40; passo riportato al PAR. 2 . 3 . 3 ) e non è da escludere che Agostino possa essere stato la fonte della glossa 4• Non solo; questa idea diviene ancora più rilevan­ te in una successiva annotazione, nella quale il principio di " forma­ zione , è esteso alla musica naturale. Il glossatore discute il significato attribuito da Marziano (Ix, 9 3 6 ) al genere "ilico , o "materiale , della musica, che consta di suono, ritmo e parole: Il primo genere [di musica] è quello "ilico, , nel quale si trovano le forme. Ora, delle forme, tre sono le specie, delle quali la prima è nei suoni, la se­ conda nei numeri, la terza nelle parole. Ebbene la prima, quella che si trova nei suoni, riguarda l'armonia. Infatti non si ricercano in essa parole prowiste di qualche significato, ma soltanto dei suoni uniti tra loro da un qualche rap­ porto, come sono le sequenze presso i cantori. La seconda, invece, che ri­ guarda i ritmi, non richiede null'altro se non un ritmo armonizzante di suoni che non significano nulla, oppure che significano qualcosa a prescindere da una definizione precisa, come è la scansione dei versi. La terza, poi, è quella che riguarda le parole e si chiama metrica: non solo richiede suoni determi­ nati da lunghezze e ritmi precisi, ma impone anche che essi abbiano un qual­ che significato (Teeuwen, 2002 , p. 326 [360, 8] ) .

I n questo passo il glossatore mette a fuoco come il genere hylic6n discusso da Marziano sia quello nel quale risiedono le /ormae del suo­ no, raggruppate in tre specie : forme sonore, forme ritmiche e forme metriche. Come si può notare, il glossatore riprende la tradizionale partizione agostiniana e marzianea della musica in armonica, ritmica e metrica, e la impiega in senso " fisico-grammaticale , , quale espressio-

4 · L'idea di " materia" implicata da Agostino è quella di " recettore delle forme " , capax /ormarum, presente anche nel Timeo e in Calcidio, che definisce la materia rece­ ptaculum omni /orma carens. È quindi possibile che l'anonimo glossatore si sia appog­ giato a una di queste fonti.

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ne della struttura formale associata alla materia sonora : la specie ar­ monica ha un significato nel solo rapporto proporzionato fra le altez­ ze dei suoni (tale rapporto è infatti l'unico principio " formante " del suono ) ; la specie ritmica include anche il significato determinato dalle lunghezze reciproche dei suoni, cioè le " forme " del numero date dal­ le sillabe lunga e breve; la metrica, infine, vi unisce un terzo significa­ to, quello della struttura del verso, e soprattutto vi include un senso, quello delle parole. Come abbiamo visto sia a proposito di Isidoro (PAR. 2 .5 .2 ) che della cultura carolingia (PAR. 3 . 1 ) , nell'alto Medioevo la conoscenza era fondata sulla grammatica, disciplina che introduce al significato del nome rivelando la verità della cosa che il nome desi­ gna. Il glossatore dimostra qui che tale concezione è alla base della sua classificazione della musica, la quale infatti ha il suo apice nella musica vocale , unica modalità sonora che possa realizzare la specie più alta , cioè più formata, di musica, quella metrica prowista delle "forme" dell 'altezza, della durata e del linguaggio. Nella glossa sopra riportata si fa menzione anche di un genere specifico di musica vocale, la sequentia, come fosse una tipologia di canto che prevede una melodia libera da ritmo fisso e da parole , e la cui /orma è dunque solo nella proporzione delle altezze dei suoni . Difficile stabilire se l' annotazione sia originale o sia un'aggiunta po­ steriore, poi inglobata nella trasmissione delle glosse. La seconda op­ zione sembra a tutta prima confermata dal fatto che il commento a Marziano stilato da Remigio di Auxerre, dopo oltre mezzo secolo dal­ la stesura delle glosse anonime (dell'83o circa), riprende tutta la glos­ sa parola per parola (Ramelli, 2 oo6, p. 1 66o) , senza il passaggio sulla sequenza. Ma la questione potrebbe risolversi in altro modo . Il termi­ ne sequentia appare per la prima volta come termine di una particola­ re prassi musicale nel Liber o/ficialis di Amalario, redatto attorno all'82 3 , dove si legge che l' animo del cantore è toccato dal versetto alleluiatico per cui «egli prorompe in un giubilo che i cantori chiama­ no sequenza, e che non necessita di parole pronunciate» (Cattin, 1 99 1 , p. 1 1 6 ) . Il giubilo, che nella pratica corrente era un versetto alleluiatico intonato dopo il canto del graduale, è qui ricondotto al significato agostiniano di puro vocalizzo di lode , privo di parole e di ritmo (PAR. 2 . 3 .4 ) . Quindi, è evidente che il significato attribuito dal glossatore a sequentia coincide proprio con la sequentia musicale de­ scritta da Amalario. Così, l'assenza della notazione in Remigio sareb­ be da intendersi come voluta omissione: infatti, alla fine del IX secolo la sequenza non era più un vocalizzo puro, ma era fornita di testo , per cui l' annotazione dell'anonimo, ormai fuori luogo e scorretta, fu 127

FILOSOFIA DELLA MUSICA

soppressa 5• Comunque sia, i richiami presenti nella glossa ai concetti di "forma " e "materia " nella discussione sulla fisica del suono dimo­ strano come i primi lettori di Marziano fossero interessati a una com­ prensione più profonda del fenomeno musicale, rispetto alla quale comincia a farsi pressante l'esigenza di rapportare i discorsi sulla mu­ sica " scoperti " nei testi degli autori antichi alla pratica coeva del c an­ to: il richiamo alla sequentia evidenzia che per interpretare ciò che gli antichi avevano detto della musica era necessario anche compiere uno sforzo per adattare i loro contenuti a contesti musicali più noti.

3·3

Giovanni Scoto: razionalità ed estetica dell'armonia universale 3 · 3 · ! . L ' ESTETICA MUSICALE Giovanni Scoto Eriugena ( 8 r o-877 circa) , irlandese come sottolineano i due appellativi che lo designano, fu il più eminente intellettuale di età carolingia. Curiosamente, non sembra aver avuto dignità ecclesia­ stica, e la sua attività prevalente presso la corte di Carlo il Calvo sem­ bra essere stata quella di maestro delle arti liberali. La sua fama si diffuse a seguito del suo intervento in una difficile disputa teologica sulla predestinazione al peccato, che egli risolse attraverso lo stru­ mento rigoroso della dialettica, tanto che la tesi da lui sostenuta, cen­ trata sulla non predestinazione, gli valse un paio di condanne eccle­ siastiche. Giovanni fu un profondo conoscitore della lingua greca, fat­ to ormai raro alla sua epoca, e che gli permise di tradurre molte ope­ re dei Padri greci e soprattutto il Corpus Areopagiticum, l'insieme de­ gli scritti neoplatonici allora attribuiti a Dionigi, apostolo delle Gallie. Di Giovanni è inoltre un'importante Omelia al Prologo del Vangelo di San Giovanni, in cui la fiducia nelle capacità della ragione filosofica di cogliere l'annuncio della Rivelazione cristiana costituisce il perno dell'identificazione ivi operata fra religione e filosofia. A lui, infine, si 5· I problemi sollevati dall'annotazione sulla sequentia sono notevoli, data l 'enor­ me discussione musicologica su questa forma musicale, che si originò quale fioritura e abbellimento del canto gregoriano. Qui basti ricordare che attorno all'85o il monaco di San Gallo Notker Balbulus dichiara di aver dato avvio alla prassi di aggiungere testi ad sequentias sull'esempio appreso da un monaco di Jumièges, nella regione occi­ dentale dell'impero franco. Poiché Remigio muore verso il 904, è probabile che nella seconda metà del IX secolo la nuova tipologia di sequenza fosse ormai diffusa, tanto da far cadere in disuso l'antica forma di vocalizzo.

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deve la prima grande opera metafisica dell'Occidente medievale, il

Periphyseon, o De divisione naturae, nel quale, ancora attraverso la dialettica, il mondo naturale è interpretato quale teo/ania, cioè " mani­ festazione del divino " . Quest'ultima opera contiene una vasta esposizione sui concetti di " armonia " e " sinfonia " , che troviamo articolati anche nei commenti all'opera dello Pseudo-Dionigi e, in nuce, nelle Annotazioni e nella Glossa alle Nozze, due diverse versioni di commento a Marziano, che sembrano essere state stilate da Giovanni nel suo primo periodo d'in­ segnamento. Le annotazioni su Marziano presentano molti punti di contatto anche con il commento anonimo che abbiamo sopra esami­ nato, ma rispetto a quest'ultimo si illuminano di una maggiore coe­ renza argomentativa. Alcune, di cui diamo qui uno stralcio, vertono sul concetto di " disciplina " in rapporto alla " sapienza " : E Filologia, in verità, indica l'esercizio della ragione, mentre Mercurio l 'elo­ quenza del discorso, come se nelle anime dei discenti si fossero congiunti, in una sorta di connubio, gli studi della sapienza, così, senza difficoltà, è agevo­ le giungere alla conoscenza e all'acquisizione delle arti liberali (Giovanni Scoto, 1 9 3 9 , p. 3 [proemio] ) . I n modo opportuno Virtù rammenta che Filologia è sua congiunta, poiché l'esercizio della ragione non può essere separato dalla virtù, né la virtù può esserlo dalla ragione, poiché si uniscono sempre in modo stretto, reciproca­ mente (ivi, p. 27 [ r 7 , 5 ] ) .

L a figura di Filologia è immagine dello studio disciplinare (studium rationis) che, unito all'eloquenza (simboleggiata da Mercurio) , con­ sente di leggere il percorso ascensionale della sposa come l'elevarsi dell'anima alla verità, che è anche la sua origine. In tale prospettiva, le discipline liberali cessano di essere strumenti propedeutici all'inter­ pretazione delle Scritture, come già in Isidoro, o discipline di inse­ gnamento per il nobile e l'ecclesiastico carolingio, ma divengono veri e propri " doni divini " , qualità possedute dall'anima umana con le quali l'uomo procede nell'investtgatio naturae, cioè nel riconoscimen­ to della presenza di Dio nel mondo. La celebre sentenza delle Anno­ tazioni per cui «nessuno entra nel cielo se non attraverso la filosofia» (ivi, p. 207 [5 7 , 1 5 ] ) sottintende che l'autore di tutte le arti è Dio , il quale " entra " nell'opera della creazione affinché il creato, e massima­ mente l'uomo, possano a lui ritornare . Entrare in cielo è un ritorno verso l'origine, che si estende a tutti gli uomini attraverso la salvezza collettiva dell'umanità, una tesi eriugeniana assai dibattuta. La deifica-

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tio, come Eriugena chiama il processo di ritorno a Dio, è consentita dagli strumenti intellettuali, i quali sono stati dati da Dio proprio per questo scopo : in fondo, anche Filologia, fanciulla terrena, è deificata grazie all'esercizio delle arti liberali. Il senso e l'obiettivo della ricerca filosofica , riassunta nelle arti, sono allora quelli di rendere manifesta la fede attraverso un cammino di autoconsapevolezza filosofica. Come Eriugena afferma nel suo De praedestinatione, sulla scia di Agostino (De vera religione, v, 8 ) : «la vera filosofia è vera religione, la vera reli­ gione è vera filosofia» (cccM 5 0, I , r ) . Questo rapporto toglie ogni carattere di ancillarità alla filosofia, la quale in Eriugena è l'investiga­ zione razionale attraverso cui l'uomo ri-conosce la presenza di Dio nel mondo e nel sé. Arrivare alla conoscenza delle cose significa scoprire in esse la manifestazione del divino; e quindi, per entrare nel tema che qui in­ teressa focalizzare, l'apprensione della struttura armonica nei suoni altro non è per Giovanni Scoto che il riconoscimento dell'armonia dell'universo, la quale coincide con l'universale teofania. La musica entra a pieno titolo nella convergenza fra filosofia e teologia, poiché apre la mente all'investigazione razionale del creato. Nel Periphyseon Giovanni definisce la musica come «la disciplina che grazie al lume dell'intelletto studia l'armonia di tutte le realtà esistenti in movimento e in quiete, conoscibili attraverso le proporzioni naturali» (cccM r 6 r , p . 48 [I, 2 7 ] ) . A questa arte risulta appropriato il nome di Harmonia, attribuitole da Marziano. Giovanni, infatti, ha ben chiaro il rapporto fra la profondità del pensiero musicale fondato sulle regole immuta­ bili e razionali dell'armonia - le quali, presenti nei rapporti fra i suo­ ni, si estendono a tutti gli aspetti del creato - e la pratica dell'arte, che, privata di tale fondamento speculativo, è come se fosse priva di " senso , . Interessante, in proposito, la simbologia di Euridice e Orfeo nelle Annotazioni alle Nozze, che è stata oggetto di recente ind agine (Mainoldi, 2 007 ) . L'etimologia di Euridice è tratta dalla Mitologia di Fulgenzio, per il quale essa significa pro/unda diiudicatio, cioè " pro­ fondo giudizio , , ma è interpretata nelle Annotazioni in modo da at­ tribuirle una valenza filosofica, pur nei limiti della medesima deriva­ zione etimologica. Euridice è infatti pro/unda intentio, cioè " penetran­ ,, ,, te ragionamento , " profondo significato . Posto che questa glossa sia davvero del filosofo irlandese (i problemi filologici e di paternità delle Annotazioni impongono la massima cautela al riguardo) , essa illustra come Giovanni intese la disciplina musicale: un insieme di regole fon­ date sull'interiore ratio giudicante, la cui consapevolezza dà " senso , alla pratica della musica. Per Eriugena il senso più profondo della musica affonda nel dominio dell'intelletto, i cui contenuti sono inat130

3· LA MUSICA COME SCIENZA E COME ARTE I'\ELL 1 ETÀ CAROLII'\GIA ( SECOLI I X - X )

tingibili alla stessa ratio. Orfeo, dunque, è assurto a simbolo dell'im­ possibilità di esprimere nella musica sensibile la profondità speculati­ va della musica stessa. A sostegno che tale concezione dell'arte musi­ cale è in linea proprio con il pensiero dello Scoto vi sono alcune af­ fermazioni del Periphyseon , in cui il filosofo ribadisce come la vis mu­ sicale consista nella capacità che ha il senso uditivo di percepire la bellezza delle concordanze musicali grazie al sensus interior al quale «non è nascosta la razionale mescolanza e la conveniente composizio­ ne delle cose» (cccM 1 65 , p. I 48 [v, 3 6] ) . L'esigenza di interpretare la prassi del canto attraverso la speculazione filosofica è quindi im­ prescindi bile nel pensiero eriugeniano sulla musica 6 . La trattazione della musica nell'opera d i Giovanni Scoto rivela, in sintesi, un interesse speculativo focalizzato sul concetto di harmonia e sulla musica come disciplina preposta alla comprensione dell'ordine universale. A partire da questi assunti, Eriugena fu capace di svilup­ pare una nozione generale del bello, la prima in Occidente dopo quella agostiniana (PAR. 2 . 3 . 3 ) , ma rispetto a quest'ultima, alla quale egli rimase debitore, la concezione dello Scoto sottolinea soprattutto il carattere automanifestativo, teofanico e luminoso della bellezza co­ smica, che, ancora nel Periphyseon , egli definisce come «qualcosa di invisibile che diventa visibile, qualcosa di incomprensibile che diventa comprensibile, attraverso un processo meraviglioso e ineffabile» (ivi, p. I 3 8 [nr, I 7] ) . Il concetto di " ineffabilità" legato alla manifestazio­ ne sensibile della bellezza era ben presente anche in Agostino, ad esempio nei passi che sono stati esaminati sul giubilo (PAR. 2 . 3 .4 ) , ma in Giovanni Scoto il carattere indescrivibile ed estatico della bellezza non è frutto di quel complesso travaglio interiore nel quale l'uomo arriva a " comprendere " la presenza illuminante di Dio, quanto è elar­ gito con gratuità dalla stessa natura divina, che si manifesta nell'opera luminosa della creazione. La bellezza si palesa nel creato, così come entra in modo mirabile nella composizione artistica prodotta dall'uo­ mo . Seguendo l'estetica neoplatonica plotiniana, raccolta attraverso lo Pseudo-Dionigi, Eriugena individua i prototipi delle idee artistiche nel Verbo divino, il quale poi le infonde nella mente dell'artista. Il prodotto dell'attività creatrice dell'uomo è perciò razionale; o, per meglio dire, il prodotto artistico è tale quando, e se, manifesta la 6. La gl ossa sull'etimologia di Euridice è presente anche nel commentario alle Nozze di Remigio d'Auxerre, ma al posto di intentio presenta la parola inventio. I passi paralleli di Eriugena e Remigio sono riportati e discussi da Mainoldi (2007, pp. r r 8 -9 ) .

FILOSOFIA DELLA MUSICA

struttura prototipica che lo "informa " ; se rivela, insomma, la sua pro­

/unda intentio. Il principio che l' armonia si realizza a tutti i livelli di realtà come un grande concerto di sinfonie (lo approfondiremo nel prossimo pa­ ragrafo in relazione al tema della musica delle sfere) è giustificato in virtù della differenza gerarchica che crea " ordine" nel creato , come Giovanni ribadisce nelle sue Esposizioni sulla Gerarchia celeste dello Pseudo-Dionigi. Solo la gerarchia e la varietà degli esseri permettono al mondo di essere armonico, dunque bello: Se infatti Dio avesse creato l'universo uniformemente, senza nessuna diffe­ renza fra i diversi ordini, e senza proprietà e livello dei vari gradi, non vi sarebbe forse alcun ordine nell'organizzazione degli enti naturali; e senza or­ dine non c'è armonia; e se non c'è armonia non c'è bellezza. E infatti, come fra cose che sono del tutto simili non c'è armonia, così, fra esse, non c'è bellezza. L'armonia è, appunto, la composizione di cose dissimili e ineguali (CCCM 3 1 , p. 1 3 8 [IX, 1 5 6-63 ] ) .

Approfondendo questo stesso concetto, un controverso passo del Pe­ riphyseon del filosofo irlandese evidenzia come l'armonia cosmica sia congiunta all'idea di armonia musicale realizzata nella consonanza che fonde insieme le voci musicali, le quali, singolarmente udite, sarebbe­ ro divergenti, in quanto di diversa intonazione. Il valore estetico di tale concezione è rilevante, perché secondo Giovanni Scoto la fusione in uno delle voci è «naturale dolcezza», solo se condotta secondo l' arte: La bellezza dell'universo creato consiste in una meravigliosa armonia di cose simili e dissimili, che si compone in una qual ineffabile unità da generi e forme varie, e secondo ordini diversi di sostanze e accidenti. Come infatti un organicum melos è prodotto dalle diverse qualità e quantità delle voci, che se disgiunte sono udite singolarmente e separatamente con diverse pro­ porzioni di innalzamento e abbassamento, mentre quando sono congiunte insieme in base a precise e razionali regole della musica nei vari tropi pro­ ducono una naturale dolcezza, così la concordia dell'universo deriva, secon­ do la sola volontà del Creatore, dalle diverse suddivisioni di un 'unica natu­ ra, che sarebbero dissonanti se venissero considerate singolarmente (cccM 1 63 , p. 29 [III, 6] ) .

Troviamo sviluppato anche in questo passo il tema dell'intrinseca ra­ zionalità dell'arte: se , come abbiamo visto, il fondamento della " ra­ gione " delle regole musicali sta nella natura più profonda della disci­ plina, la quale riconosce la struttura proporzionale e ordinata insita in

3· LA MUSICA COME SCIENZA E COME ARTE I'\ELL 1 ETÀ CAROLII'\GIA ( SECOLI I X - X )

tutti i livelli di realtà, questa stessa ratio disciplinare giustifica la bel­ lezza musicale come " naturale " , cioè naturalmente inscritta nell'uni­ versale armonia delle cose. Il canto realizzato attraverso regole razio­ nali di innalzamento e abbassamento delle altezze vocali nei tropi, cioè nei diversi modi del canto liturgico, è perciò una naturale mani­ festazione dell'equilibrio proporzionale che regge l'universo. Il che vuol dire, dal punto di vista dell'estetica musicale, che un canto è bello solo se è organizzato nella sua dimensione melodica secondo proporzione, o, qualora l'espressione organicum melos fosse interpre­ tabile con riferimento alla primissima prassi polifonica, se è struttura­ to secondo proporzione nella sua dimensione armonica 7• Ma cos'è la proporzione nel canto? Le consonanze musicali, avverte ancora il Pe­ riphyseon (cccM 1 65 , p . 148 [v, 3 6] ) , sono tali in forza della pro­ porzione individuata fra le altezze di due suoni, l'uno grave, l'altro acuto. Questa relazione implica ulteriori sistemi di rapporti (propor­ tionalitates) fra le altezze intermedie che la voce percorre nella modu ­ lazione. In Eriugena si percepisce quindi la presenza, in nuce, dell'i­ dea di musica speculativa quale disciplina matematica, che egli derivò da Marziano o, forse, addirittura dal De institutione musica di Boezio, anche se senza un esplicito riferimento. La peculiare connessione di questo tema con la vocalità umana e il canto, allora considerato l'e­ spressione più alta della musica , costituisce l'elemento di maggiore in­ teresse nell'estetica eriugeniana della musica.

3 ·3 ·2 .

ARMONIA COSMICA ED ELIOCENTRISMO NELLE ANNOTA TIONES E :\'ELLA GLOSSA ATTRIBUITE A GIOVANNI SCOTO

Come l' anonimo commento a Marziano sopra esaminato (PAR. 3 .2 .2 ) , così anche le Annotationes e l a Glossa attribuite all'Eriugena discuto­ no il tema della musica celeste, cercando di tradurre questo ideale concerto astrale nei termini di un sistema coerente di organizzazione dei suoni. Qui, il principio della razionalità dell'armonia celeste è espressione della struttura proporzionale del cosmo, di cui il suono è un inevitabile effetto. 7 . n termine organicum melos è stato oggetto di attenzione della musicologia sto­ rica, poiché sembrava contenere un riferimento alla prima pratica polifonica dell'orga­ num parallelo. Le più recenti indagini non concordano su tale ipotesi, e la possibilità di una conoscenza diretta da parte di Giovanni dei primi sviluppi del canto polifonico resta materia di discussione: un ulteriore riferimento all' organum sembra presentarsi anche nelle Annotazioni, come vedremo oltre.

133

FILOSOFIA DELLA MUSICA

Se i primi commentatori di Marziano intuirono questo principio, ma non riuscirono a trovarne una coerente applicazione nella loro "lettura " della musica celeste, le glosse attribuite a Giovanni si sforza­ no invece di delinearne le implicazioni filosofiche e cosmologiche, ac­ cusando «molti» proprio di non aver capito quale sia la «natura del tono in musica» . Sono numerosi i passi in cui torna la questione, che, a onor del vero, è risolta in modi diversi, addirittura in conflitto fra di loro (problema che sembra rimontare alla trasmissione del com­ mento, all'interno del quale potrebbero essere confluite annotazioni di diversa provenienza) . Qui ci soffermiamo solo sull'esposizione più articolata, riportando uno stralcio tratto da un'ampia sezione della Glossa in cui si intende confutare l'idea - peraltro accolta in altre annotazioni della Glossa e nelle Annotationes che l'armonia nei cieli risulti dalla distanza o dalla velocità dei pianeti. Si noterà che la solu­ zione del problema implica lo sforzo di intendere gli intervalli musi­ cali come grandezze proporzionali variabili rispetto 1 . alla posizione di opposizione o congiunzione dei corpi celesti, 2 . alla lunghezza del­ le orbite e 3 . alla velocità relativa. Il sistema di regole nel quale sono organizzati questi rapporti è dato dal Sole, che, come anche nel com­ mento anonimo, assume la funzione di mése o " regolatore " dell'ac­ cordatura del grande strumento universale: -

Ci sono infatti otto suoni, quelli dei sette pianeti e quello della sfera delle stelle fisse. Il più grave è quello di Saturno, il più acuto è invece quello della sfera < delle stelle fisse > Perciò, il suono della sfera si armonizza con quel­ lo di Saturno secondo un rapporto di quadruplo, creando un doppio diapa­ son , come nell'organo o nella lira la principale delle principali o l'ultima del­ le eccellenti [cioè la corda che dà il suono più grave e quella del più acuto] . Il suono del Sole, invece, si trova tra Saturno e la sfera, così come la mese, la mediana, si trova fra le due corde suddette: supera infatti Saturno del dop­ pio e con esso forma un accordo diapason, e a sua volta è superato del dop­ pio dalla sfera stessa, così da comporre un altro diapason. In ciò, la mirabile virtù della natura è degna di ammirazione. Infatti quello che si compone in cinque tetracordi [cioè i cinque tetracordi che comprendono tutta la gamma dei suoni naturali nella cetra] , si compie in otto suoni celesti. Ma va ricerca­ to con diligente indagine secondo quale proporzione si compia. In primo luogo, dunque, occorre comprendere che i tre pianeti situati al di sopra del Sole hanno suoni più gravi. E non senza ragione, poiché da un lato si muo­ vono in spazi del cielo più ampi, e dall'altro sono impediti dall'avere una così grande velocità dalla straordinaria celerità della sfera delle stelle fisse, rispetto alla quale compiono un percorso contrario. Infatti, quelli situati da un punto di vista locale al di sotto del Sole, poiché sono più distanti dalla velocità della sfera e compiono il loro percorso in spazi celesti più brevi, producono suoni più acuti. E per questo, non la posizione locale, bensì il .

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3· LA MUSICA COME SCIENZA E COME ARTE !\:ELL 1 ETÀ CAROLI!\:GIA ( SECOLI I X - X )

rapporto proporzionale dei suoni produce l'armonia celeste, specialmente perché la ragione non ammette un sopra e un sotto in senso locale nell'uni­ verso (Giovanni Scoto, 1 97 8 , 1 3 , 2-4 ) .

Nell'armonia celeste vi sono due diapason, cioè una distanza di due ottave. Il parametro di misura è nel Sole, mése fra il diapason più acuto, intercorrente tra il Sole stesso e la sfera delle stelle fisse, e quello più grave, tra Sole e Saturno. È interessante che Saturno sia considerato il più lento fra i pianeti, in quanto il suo moto, di oppo­ sta direzione a quello delle stelle fisse, è frenato dal corso velocissimo di queste, la cui rivoluzione totale si compie nelle 24 ore. Saturno emette quindi il suono più grave. Ma, prosegue la Glossa a seguito del passo sopra riportato, gli intervalli interni alle due ottave non sono fissi, bensì mobili a seconda degli spostamenti e della velocità dei pianeti. Il Sole, cioè, varia la sua consonanza rispetto ai pianeti a seconda della posizione spaziale che questi assumono nei loro movi­ menti: se sono in opposizione, l'intervallo è di ottava, quando si avvi­ cinano è di quinta , quando sono in congiunzione è di diatessaron, mentre la Luna e le stelle fisse producono fra loro un intervallo fisso di tono. Ecco uno schema esemplificativo dei rapporti individuati ri­ spetto al Sole, e, tenendo conto della variabilità dei moti, le varie symphoniae risultanti:

Sa turno - tono Giove - tono Marte - semitono Sole congiunto a Saturno = sinfonia minima = diatessaron (quarta) Sole congiunto a Saturno + Venere = sinfonia media = diapente (quinta) Solelmése = sinfonia perfetta diapason (ottava) con Saturno + sinfonia per­ fetta diapason con Luna Sole in congiunzione con Luna = sinfonia minima = diatessaron (quarta) Sole in congiunzione con Luna + stelle fisse = sinfonia media = diapente (quinta) - tono Venere - tono Mercurio - semitono Luna - tono Stelle /ìJSe 135

FILOSOFIA DELLA MUSICA

Tenendo conto che con Sa turno in congiunzione col Sole si forma un intervallo di quinta solo computando anche il tono Sole- Venere (il testo è ambiguo al riguardo) e che la quinta Sole-Luna computa an­ che il tono fra Luna e stelle fisse (come giustamente ribadito nella glossa) , ne consegue che il fenomeno degli intervalli musicali celesti è una sorta di " fisarmonica " guidata dal Sole, che nell'arco del doppio diapason realizza diverse tipologie di symphoniae " interne " i cui valo­ ri sono dati dai pianeti in movimento. Ma la soluzione proposta non esaurisce tutte le possibilità di formazione di sinfonie celesti. Come ribadisce la glossa, la musica astrale comprende possibilità di interval­ li sonori «al di là della capacità razionale di tutti i mortali». Non sarà mai possibile cogliere la complessità di tali armonie e l'effettiva ri­ sultanza della musica celeste; tuttavia, l'uomo può accostarsi al pro­ blema attraverso un criterio coerente di analisi e una terminologia corretta. Ci sono infatti molti modi nei quali si può parlare di tono, prosegue la glossa: toni sono gli intervalli ( cioè le distanze) fra i pia­ neti 8, le durate dei suoni (sillabe) , l'intensità della voce, e infine «vi sono i toni armonici, dei quali si tratta ora, costituiti in gravità o al­ tezza dei suoni , dai quali si forma ogni proporzionalità di sinfonie» . La necessità di " fare chiarezza" nella questione dei toni celesti con­ cerne quindi l'impiego di termini tecnici coerenti, che aiutano il rigo­ re argomentativo. Anche se i parametri matematici degli intervalli della musica astrale non sono dati in modo sistematico, la Glossa attribuita a Eriu­ gena ribadisce , insieme alla necessità di abbandonare l'idea che i suo­ ni celesti siano prodotti dalle distanze fisse dei pianeti dalla Terra, anche l'opportunità di impiegare la matematica per esprimere i loro valori, optando per una soluzione che abbini numeri aritmetici interi alle proporzioni intervallari: Dunque, causa di errori per molti risulta l'ignoranza dei toni, in quanto essi ritengono che il tono intercorrente fra la Terra e la Luna appartenga alle proporzioni dei suoni celesti, senza accorgersi, invece, che il tono musicale si costituisce solo tra due suoni, mentre la Terra, che si trova in stasi, non pro­ duce alcun suono [ . . . ]. Inoltre, mai gli intervalli musicali si misurano con un numero di stadi, bensì con la sola ascesa delle altezze, razionale e calcolabile secondo regole numeriche. Una cosa, infatti, è misurare dalla Terra alla Luna r 2 6 . ooo stadi, un'altra, invece, è calcolare 24 unità fra il numero 1 92 e il

8. Si fa qui riferimento alla misurazione delle distanze planetarie in " toni " se­ condo la procedura esposta da Plinio nella Historia naturalis.

3· LA MUSICA COME SCIENZA E COME ARTE I'\ELL 1 ETÀ CAROLII'\GIA ( SECOLI I X - X )

2 1 6 . Là c'è un tono di r 2 6 stadi, qui l'ottava parte del numero minore dà un tono di 24 (ibid. ) .

L'autore della Glossa sta pensando a d una scala musicale analoga a quella proposta da Calci dio per la sua ricostruzione dell'armonia co­ smica (PAR. r .5 .2 ) , nella quale a ogni grado corrisponde un valore numerico tale che le proporzioni intercorrenti esprimano gli inter­ valli interni alla scala stessa. La medesima procedura è presente nel De institutione musica (n, 2 8 ) , dove Boezio calcola gli intervalli di tono e semi tono nell'ambito del tetracordo partendo anch'egli dal numero 1 9 2 . La distanza di tono è quindi nella Glossa eriugeniana, come in Calcidio e in Boezio, la distanza numerica fra i due suoni espressi da 1 92 e 2 1 6, che appunto definiscono l'intervallo nel valo­ re di 24 (2 1 6 - 1 92 = 24) , corrispondente all'ottava parte di 1 9 2 . L a Glossa, dunque, prospetta una chiara idea dell'intervallo musicale come misura della differenza di altezza fra due suoni : lo stadio, riba­ disce infatti il testo, è una misura della distanza spaziale, non di quella acustica, che è calcolabile attraverso una semplice proporzio­ ne fra numeri. È palese che la musica sia una disciplina aritmetica ! Ma la parte conclusiva della Glossa si apre a una più concreta raffigurazione del concerto planetario, resa attraverso una metafora tanto interessante quanto controversa. Il cosmo risuonerebbe come un coro di cantori, le cui voci, acute o gravi che siano , sono indi­ pendenti dalla posizione in cui ogni corista si trova a cantare : Serviamoci, dunque, di un esempio grazie al quale risulti più chiaro quello che stiamo cercando di asserire. In un coro, dove molti cantori creano assie­ me una consonanza, non si prende in considerazione il luogo in cui ciascuno è situato, ma la proporzione della sua voce. Infatti, chi emette la voce più grave, in qualsiasi posizione si trovi, è necessario che detenga la proporzione più grave fra tutte le voci. Ugualmente, in qualsiasi punto del coro si trovi colui che emette la voce più acuta, è necessario che egli detenga il più acuto fra quei suoni. E vale allo stesso modo anche per quanti accompagnano gli altri con il canto: non è la loro posizione locale ad essere tenuta in conto, bensì la loro proporzionale emissione di voce nell'intero complesso della mo­ dulazione. Invano, dunque, < molti > presumono di poter racchiudere la musica celeste entro le misure degli intervalli locali. In ciò non si osserva altro che la salita e la discesa del grave e dell'acuto. Come, infatti, il grave ascende verso l'alto decrescendo, fino a sfumare infine nell'acuto, così l'acuto ugualmente discende, decrescendo fino a trovare la propria fine (ibid. ) .

Questo passaggio suscita non poche perplessità. Nel canto corale i coristi non si distinguono solo per il registro delle voci, che è autono137

FILOSOFIA DELLA MUSICA

mo dalla collocazione del cantore, ma anche per il modo di modulare i suoni di accompagnamento al canto. I cantori che accompagnano devono infatti tener conto della distanza proporzionale fra la loro voce e la voce principale alla quale si abbinano. Così , gli spostamenti planetari rispetto al Sole determinano diverse risultanze intervallari, come abbiamo osservato, che tuttavia rispettano la proporzionalità delle consonanze. Cosa però significhi in questo contesto «accompa­ gnare gli altri con il canto» non è chiaro: mentre possiamo dare per scontata nel canto liturgico monodico la " polifonia " spontanea del cantare " in parallelo " , risultante dall'unione di voci bianche e di regi­ stri maschili, diverso è invece se l'autore si riferisse qui a pratiche più complesse di " accompagnamento " , le quali sembrano invero essere suggerite dal suo richiamo alla «proporzionale emissione di voce nel­ l'intero complesso della modulazione». Come vedremo oltre (PAR. 3 ·4 · 3 ) , l' applicazione di regole specifiche di conduzione dell'accompa­ gnamento, necessarie per muoversi all'interno di intervalli musicali in­ dividuati nell'ambito di una scala sonora prestabilita, fu il fondamen­ to della prima arte polifonica sviluppatasi in Occidente, di cui la Glossa potrebbe quindi essere un primo testimone. Abbiamo qui, in­ somma, un possibile riferimento alla pratica dell' organum, l' accompa­ gnamento polifonico al canto gregoriano che, come teorizza l'autore della Musica enchiriadis (PAR. 3 ·4 · 3 ) , si realizza solo attraverso regole precise, che indicano di quanti toni la " fisarmonica " della distanza fra l'accompagnamento e la voce principale può variare, fino a ritornare all'unisono; o, come sembra affermare la Glossa, fin che, ascendendo o discendendo in altezza, la voce si congiunge (a un'altra?) all'acuto o al grave. In conclusione, la lunga glossa sul suono cosmico attribuita a Giovanni Scoto costituisce un microtrattato di teoria armonica di no­ tevole rilievo per le implicazioni filosofiche e musicali che presenta. Ricapitoliamole in sintesi, cominciando da quelle filosofiche: r . la ra­ zionalità dell'organizzazione dei suoni celesti (e della gamma dei suo­ ni naturali) fondata su precisi rapporti intervallari proporzionali; 2 . la capacità umana di cogliere tale razionalità con una diligente indagine (da cui il fondamento matematico della disciplina musicale) ; 3 · il si­ gnificato che ha il numero nella rappresentazione mentale della realtà sonora, il quale non definisce la natura del suono, ma la logica dei rapporti proporzionali fra suoni. Per le implicazioni di maggior rilie­ vo musicale ricordiamo: 4 · la percezione del fenomeno sonoro come un " complesso proporzionale " in continuo movimento; 5 · la determi­ nazione delle consonanze perfette (diapason, diatessaron, dia pente , doppio diapason) quali " punti fissi" di rapporto immutabile, al cui

3· LA MUSICA COME SCIENZA E COME ARTE 1'\ELL ' ETÀ CAROLII'\GIA ( SECOLI

IX-X)

interno si dipana la struttura mobile e variabile dei suoni intermedi che la voce umana, in analogia alla sinfonia astrale, percorre per gradi di tono e semitono; e infine 6. la possibile attenzione verso la prassi del canto liturgico nell'individuazione della "logica " degli abbellimen­ ti polifonici. La Glossa, col criticare l'incongruente idea del suono celeste basa­ to sulle distanze planetarie intese come parametri fissi di intonazione, si apre perciò a considerazioni più ampie sulla ratio della struttura armonico-matematica del cosmo, sulla "fisica " dei corpi celesti, oltre che sulla natura della vocalità umana. In questa audace costruzione, che non è certo risolta in tutti i suoi aspetti dal punto di vista mate­ matico-astronomico, ma che si distingue per l'arditezza della soluzio­ ne prospettata e per la logica argomentativa, possiamo rintracciare ancora una volta, come già osservato nelle più antiche Glossae anoni­ me, il ruolo centrale attribuito al Sole nell'organizzare tutto il sistema armonico dell'universo. A questo proposito non sarà superfluo ricor­ dare che le Annotazioni attribuite a Giovanni Scoto sostengono una posizione alquanto complessa in astronomia, accogliendo a tratti l'e­ liocentrismo prospettato da Marziano per i pianeti di Venere e Mer­ curio, a tratti optando addirittura per un eliocentrismo esteso a tutti i pianeti a eccezione di Saturno e della Terra, tesi che le Annotazioni ascrivono al Timeo platonico (Giovanni Scoto, 1 93 9 , I, 1 3 , 2 3 ) , ma che, in realtà, fu un 'idea altrimenti sconosciuta fino a Copernico.

La nuova

3 ·4· I .

musica disciplina:

3 ·4

problemi speculativi e pratici dei primi trattati di musica

LA RILETTURA DELLA DIVISIONE BOEZIA;\;A DELLA MUSICA IN MUNDANA , HUMANA E INSTRUMENTALIS

I pr11n1 scritti sulla musica d'età carolingia che ci sono pervenuti s1 possono raggruppare in due tipologie: da una parte i tonari, strumen­ ti a uso dei cantori nei quali il repertorio gregoriano è suddiviso per tipologia modale; dall'altra i commenti agli autori antichi, che si in­ terrogavano sui problemi di musica speculativa e sulla definizione matematica delle altezze nella gamma dei suoni: «la comprensione e la disposizione del repertorio dei canti da una parte, la comprensione dell'ordine matematico del sistema dei suoni dall'altra e l'armonizza­ zione di queste due opposte problematiche di base sono la questione affrontata dalla teoria musicale fino alla fine del primo millennio» 139

FILOSOFIA DELLA MUSICA

(Bernhard , 2 007 , p. 8 2 ) . I tonari d'età carolingia catalogano il reper­ torio dei canti liturgici attraverso i rispettivi incipit testuali, e il rag­ gruppamento delle melodie nel sistema modale si basa su formule melodiche riprese dalla tradizione bizantina, le quali non prevedono alcuna indicazione o simbolo musicale riferito ai parametri di altezza acustica dei suoni. Sporadiche didascalie riguardano il registro, come ad esempio «non sale verso l' acuto» o simili, ma ogni dimensione teorica o disciplinare di approccio al canto è assente. Di segno opposto sono, invece, i primi trattati musicali, anche questi nati in ambiente monastico, nei quali risulta evidente lo sforzo di interpretare la dottrina del De institutione musica, e dunque di fondare la musica come disciplina. Si tratta di tre opere collocabili fra la fine del IX e gli inizi del x secolo, la Musica disciplina di Aure­ liano di Ré6me, l' Epistula De armonica institutione di Reginone di Priim e la Musica enchiriadis, un trattato anonimo di vasta influenza, che esaminiamo nel paragrafo seguente. Nei primi due trattati - quel­ lo di Aureliano sembra essere il più antico ( 84o-6o circa) - il pro­ blema del rapporto fra musica e filosofia è posto fin nei titoli: l'uno teso a sottolineare la natura disciplinare, dunque scientifica, della mu­ sica, l'altro indirizzato ai " fondamenti di armonia " , che peraltro ri­ sulta essere anche il sottotitolo col quale l'opera musicale di Boezio era conosciuta. In entrambi, la prima parte del trattato costituisce il contesto nel quale sono discusse le sezioni speculative della musica, secondo un ordine degli argomenti che diverrà canonico: l'invenzione della musica, la sua classificazione , un'introduzione alla teoria degli intervalli e infine le scale di trasposizione (abbinate ai modi gregoria­ ni) . Aureliano utilizza Cassiodoro, Boezio e Isidoro, ma sono ricorda­ ti anche Agostino e Macrobio, i quali forniscono materiale a tutta la sezione speculativa. Il monaco apre il suo trattato con una lode all' ar­ monia del mondo: La connessione e il naturale accordo di questo mondo contengono senza dubbio una certa armonica congruenza. Infatti, se tu esaminassi come ogni cosa gioisca mentre il Sole sale più in alto, e come cioè l'aria divenga più pura, e il volto della terra si rivesta della bellezza dei fiori, e il mare si plachi dal suo impeto, capiresti che ogni creatura, unita da una mirabile armonia, si accorda con se medesima. Con quanta congruenza l'uomo stesso si adatti a questa disciplina non potrà non comprenderlo colui che avrà capito di avere tutte le cose che di solito si attribuiscono a quest'arte. Infatti egli ha in gola un condotto per cantare, nel petto una sorta di cetra, distinta, per così dire, in corde dalle fibre del polmone, e nell'alterna mutazione delle vene e delle pulsazioni l'elevarsi e l'abbassarsi < della voce > [ . . . ] . Una mente saggia po­ trà facilmente riconoscere che tutte queste cose si accordano tra loro, al pun-

3· LA MUSICA COME SCIENZA E COME ARTE 1'\ELL ' ETÀ CAROLII'\GIA ( SECOLI

IX-X)

to da non poter dubitare che la disciplina musicale manifesta in tutte le cose che sono state create la Sapienza del Creatore, e pertanto ogni creatura deve lodare con un canto senza fine il proprio Autore (csM 2 1 , pp. 59 -60 [ 1 , 1 2 - 1 6] ; trad. in Morelli, 2007 , p . 1 5 0) .

Come è evidente dalle parole di Aureliano, il concetto d i " armonia universale " è riproposto nel quadro della tripartizione boeziana della musica (cosmo, uomo, strumenti) , alla quale il monaco aggiunge an­ che una buona dose di testimonianze scritturali. Ma proseguendo nel testo, risulta chiara una precisa distanza da Boezio: anzitutto, il terzo genere di musica, quello strumentale, è escluso dalla dimensione scientifica, perché la musica degli strumenti è separata dalla ragione. Aureliano, nell'apparente rispetto di Boezio, opera di fatto una ridefi­ nizione dell'oggetto della musica disciplina: non più il suono nei suoi parametri matematizzabili, ma il canto liturgico. L' attenzione verso la voce umana, alla quale tende ogni discorso sulla musica, pervade an­ che le altre suddivisioni della disciplina. La musica mundana è ricon­ dotta agli otto modi gregoriani, e infatti proprio nel capitolo VIII , che prelude al tonario, Aureliano descrive l'armonia del cosmo specifican­ do che otto sono i toni liturgici, e otto i moti celesti, quelli dei piane­ ti e del cielo stellato. Il monaco però rinuncia a esaminare la que­ stione delle corrispondenze, anche perché «gli autori affermano che i criteri di coerenza della musica stanno nei numeri» (csM 2 r , p. 8 o [8 , 2 2 -2 8] ) : e lui, forse, si sentiva inadeguato a destreggiarsi nelle diffi­ coltà matematiche della musica cosmica. Pure la musica humana ac­ quisisce un significato nuovo, che si allontana dall'accezione di Boe­ zio e recupera invece come suo fondamento la triplice partizione tra­ smessa da Cassiodoro (PAR. 2 .5 . r ) : la musica umana è la musica voca­ le, che si divide in armonica, ritmica e metrica, cioè delle altezze, dei ritmi e dei versi. La scienza armonica, inquadrata da Boezio nella instrumentalis, in conformità con la trattatistica della tarda Antichità, è adesso un raggruppamento della musica umana, la quale, a sua vol­ ta, è intesa come musica vocale. Questa tendenza a ridefinire l'ogget­ to di indagine delle tre parti della musica la ritroviamo anche nell' ap­ parato delle prime glosse a Boezio (PAR. 3 .2 . r ) , e dimostra appunto che la dimensione della vocalità umana, espressa nel canto liturgico, è l'unico " oggetto musicale " che suscita l'interesse dei primi teorici. Anche Reginone di Priim , nella sua Epistula, segue la medesima organizzazione del materiale teorico e offre soluzioni analoghe a quel­ le di Aureliano. Ciò che egli accentua, semmai, è l'idea che la musica celeste e quella umana, anche qui intesa come musica vocale, sono «specie naturali» di musica, ispirate da Dio , e tali quindi da avere

FILOSOFIA DELLA MUSICA

«come maestro la sola natura» (es 3, 4, p. 2 3 3 ) 9 . Questa interpreta­ zione diviene canonica nei trattati musicali successivi, arricchendosi anche di tutta la tradizione numerologica variamente ricondotta a Pi­ tagora e alla Bibbia. Nel Prologo al tonario (es 2 , pp. 66-7) dell' abate Bernone di Reichenau (97 8 - 1 04 8 ) , la numerologia è fondata sulle vir­ tù del numero quattro : riconosciuto da Pitagora il significato di que­ sto numero in relazione ai rapporti fra l'anima e il corpo, esso è svi­ luppato appieno nella Bibbia, afferma Bernone, in connessione con la simbologia del salterio e degli evangelisti. Proprio al quattro è ricon­ dotta l'origine degli otto toni del canto liturgico, in modo tale da sal­ dare il tema dell'armonia che accorda anima e corpo, e cielo e terra, alla dimensione universale, divina, e quindi "naturale , ( cioè non frut­ to di artificio e arbitrio) del canto gregoriano. Tanto la musica celeste quanto quella umana si articolano nei dulces modi del canto liturgico, consolidandosi in tale inquadramento teorico come due esempi con­ vergenti di musica divina materializzata nel cielo e nella Chiesa . Le idee di "naturalità, e " divinità , del canto vanno di pari passo nel riconoscimento, come abbiamo visto anche a proposito di Giovanni Scoto, di una piena integrazione fra teologia e filosofia, fra ordine spi­ rituale e ordine naturale.

3 ·4·2.

LA TEORIA DEL CANTO PIANO: VERSO LA MATEMATIZZAZIO;\;E DELLO SPAZIO SO;\;ORO

Se la rilettura della !ripartizione boeziana della musica fa percepire una svolta innovativa nella fondazione scientifica della disciplina, non altrettanto immediata è invece la capacità dei teorici carolingi e tar­ docarolingi di applicare la matematica musicale di Boezio alla prassi del canto. Le sezioni dei loro trattati che vertono sui modi ecclesia­ stici seguono infatti le stesse modalità dei primi tonari: la definizione dei singoli modi del canto gregoriano è basata sulle formule bizantine ed è del tutto assente ogni indicazione di distanze intervallari melo di­ che. Accade, piuttosto, il contrario: gli intervalli musicali sono talvol­ ta spiegati facendo ricorso agli incipit di determinate antifone o a passaggi melodici specifici, che " chiariscono , cosa significhi dal pun9· Come sottolinea Morelli (2007 , pp. 1 6 1 -2 ) lo spostamento di significato della musica umana non implicò automaticamente un 'esclusione dell 'accezione boeziana. Ad esempio, la badessa Rosvita di Gandersheim sostiene ( PL 1 3 7 , col. 1 03 1B) che la voce rientra nella musica humana, accanto all 'armonica coaptatio dell'umano micro­ cosmo.



LA MUSICA COME SCIENZA E COME ARTE I'\ELL 1 ETÀ CAROLII'\GIA ( SECOLI I X - X )

to di vista vocale un intervallo di " diapason " o di " diatessaron " . Sof­ fermiamoci su un passo della Musica disciplina di Aureliano: Pitagora [ ... ] per primo scoprì in questo modo come la varietà delle pro­ porzioni si combini alla consonanza dei suoni. Si prendano quattro magli, che abbiano < pesi equivalenti a > i numeri 1 2 , 9, 8 e 6. Quei magli che reggevano i pesi di 12 e 6 consuonavano secondo la consonanza diapason nel rapporto doppio, come nell'antifona Inclina Domine aurem tuam, e tutte quelle che si trovano nel primo tono autentico. Il maglio di peso r 2 rispetto a quello di 9 e quello di 8 rispetto a quello di 6 facevano una consonanza diatessaron secondo la proporzione epitrita, come nell'esempio dell'antifona Con/essio et pulchritudo, e tutte le altre che sono inscritte nel tono secondo autentico (csM 2 1 , p. 62 [2 , ro-2 r ] ) .

L'esempio continua per gli altri due modi autentici, e la stessa para­ dossale situazione descritta da Aureliano, che estende a tutte le anti­ fone di un determinato modo un intervallo consonante particolare, si presenta anche nella Glossa a Boezio, come già sottolineato (PAR. 3 .2 . 1 ) . La prima trattatistica musicale prospetta quindi un apporto teoretico diversamente finalizzato rispetto a quello che caratterizzava le summae tardoantiche di teoria della musica, in particolare quelle di Agostino, Boezio e Marziano Capella, alle quali i trattatisti pure guar­ dano come modelli. La loro "teoria" deve infatti rispondere a uno specifico problema, quello di sancire anche dal punto di vista della razionalità disciplinare l'elevatissima natura del canto della Chiesa, as­ sunto a oggetto della scienza musicale. Ma se è palese il riconosci­ mento della naturalità del canto gregoriano e della sua uniformità con quello cosmico, non altrettanto palese è come poter utilizzare la ma­ tematica musicale nella " descrizione" dei movimenti melodici. Il pri­ mo tentativo fu quello di pensare le quattro consonanze perfette come strutturalmente abbinate ai quattro modi autentici del reperto­ rio gregoriano, una soluzione dalla quale traspare con chiarezza che era ancora impossibile "tradurre " una linea melodica in una succes­ sione di intervalli matematicamente determinati. Ma questa era la lo­ gica verso la quale la nascente teoria musicale stava pur tendendo. Nel x secolo Boezio divenne l'autorità incontrastata dei trattati di musica , non solo per le sezioni introduttive, ma soprattutto per l' ap­ proccio al tonario. Il lungo lavoro di interpretazione ed esplorazione delle difficili questioni della matematica musicale era ormai ben av­ viato e il canto gregoriano era pienamente diffuso nell'Occidente cri­ stiano . È ancora all'interno dei monasteri che avviene l'ultimo passo nella riorganizzazione della disciplina musicale, quello cioè della tra-

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sformazione del canto liturgico in un "oggetto " passibile di studio matematico. Ubaldo monaco di Saint Amand ( 840-930 circa) fu il primo ad applicare al canto gregoriano il sistema acustico messo a punto da Boezio: nel suo trattato De harmonica institutione l'ambitus dei singoli modi viene inscritto all'interno del sistema diatonico dei suoni messo a punto da Boezio, e rappresentato secondo la notazione greca descritta nel libro IV del De institutione musica. Come si può vedere nella FIG . 3 . 1 - tratta da Bernhard (2007 , p. 9 1 ) - una struttu­ ra scalare mése-proslamban6menos copre un'ottava dall' acuto (mése) alla nota più grave (proslamban6menos) ed è definita dagli intervalli interni tono-tono-semitono-tono-tono-semitono-tono. Questa scala è abbinata al sistema greco, descritto da Boezio, di individuazione dei suoni attraverso il nome della corda rispettiva, qui indicata anche da una serie alfabetica (I, M, P, C ecc . ) , pure ripresa da Boezio. Ma la novità di Ubaldo è che ogni altezza acustica così definita è collegata non solo all'incipit di un'antifona, ma anche all'andamento melodico della stessa, sopra il quale sono poste le lettere/ altezze per indicare l'effettiva estensione intervallare dei punti di innalzamento o abbassa­ mento della voce. FIGURA 3.1

La scala musicale e la sua applicazione al canto liturgico nel De harmonica insti­ tutione di Ubaldo

Mése T Lichanòs méson T Parhypdte méson

s

Proti i m i m p mi pc f I AN Erunt primi no-vis- si- mi m b c fc c M AN A-ve Ma- ri- a pc f f p AN Volo pater

T Lychanòs hypat6n T Parhypdte hypat6n

c Ab hac ordiri vix aliquid offertur exemplum. Est tamen huiusmodi ex antiphona: Volo pater et minister meus. f fu p m p m ii F AN Ec-ce nomen Do-mi-ni b b f f f B AN Ductus est Ihesus < in desertum >

Hypdte hypat6n

r Et ab hac fere nusquam. Et est simile

T Proslamban6menos

f-

Hypdte méson

s

p c f f superiori ex antiphona: Circumdantes. f b f f c c ff Vin-di-ca-bor in e-is bfc f b fp p pc AN Ve- ni et os-ten-de < nobis >



LA MUSICA COME SCIENZA E COME ARTE 1'\ELL ' ETÀ CAROLII'\GIA ( SECOLI IX-X)

Il sistema diatonico dei suoni preso a prestito da Boezio poteva esse­ re impiegato solo per indicare i parametri di altezza, cioè il movimen­ to verso l'acuto o il grave della voce nella singola linea melodica, in­ dividuando il semitono come altezza minima rappresentabile attraver­ so la notazione alfabetica. È evidente che molte caratteristiche del canto, tutte quelle ritmiche e " dinamiche " , continuarono a restare ap­ pannaggio della trasmissione orale, attraverso l'insegnamento diretto dal maestro ai cantori, quindi implicando notevoli variazioni e diffe­ renti soluzioni musicali, lasciate alla sensibilità degli "interpreti " . Inoltre, l a necessità di orientare l a voce al rispetto del semitono come variazione minima di altezza fece sparire la sensibilità musicale verso i microtoni, che sembrano essere stati un elemento melodico caratte­ rizzante molti repertori liturgici locali, ad esempio quello antico-ro­ mano e l'ambrosiano. Tuttavia, la razionalità del nuovo sistema pre­ valse sugli svantaggi, e la nuova tecnica si consolidò a tal punto che anche i tonari del tardo x secolo iniziarono a indicare intervalli preci­ si per le altezze iniziali e finali del brano e a stabilirne con precisione l' ambitus modale. Il trattato anonimo Alia musica tentò per la prima volta di abbinare i modi liturgici gregoriani a quelli descritti da Boe­ zio (PAR. 2 .4.4); si trattò, tuttavia, di un tentativo basato sul frainten­ dimento del senso che Boezio attribuiva ai modi, che per lui erano mere scale di trasposizione. Non ci soffermiamo sulla questione, se non per ribadire che l'origine dei modi gregoriani è uno degli argo­ menti più dibattuti dalla musicologia storica. Ciò che invece merita di essere qui sottolineato è, piuttosto, la ricerca perseguita dai trattatisti del x secolo di una notazione musicale più adatta e precisa nel rap­ presentare l'andamento melodico del loro repertorio di canti. E Boe­ zio fu l'unica autorità antica capace di offrire una soluzione a tale esigenza. Un rifacimento, anch 'esso anonimo, del trattato Alia musica, noto come Nova expositio, descrive la possibilità di un uso sistematico del­ le lettere dell'alfabeto latino. Le definizioni greche, proslamban6me­ nos, hypdte hypat6n ecc. delle corde musicali, usate da Boezio, erano infatti assai scomode per la notazione della melodia. Grazie alla serie alfabetica, a ogni modo liturgico venne attribuito un ambito definito da parametri di altezza fra loro comparabili e di facile memorizzazio­ ne. Ma l'ultimo passo verso la standardizzazione del sistema dei suo­ ni, destinato a rimanere valido fino ai giorni nostri nei paesi anglote­ deschi, si compì solo verso la fine del primo millennio, nel Dialogus de musica dello Pseudo-Oddone, che per primo usò la serie alfabetica A B C D E F G e la ripetizione di questa a intervalli di ottava. Con l'adozione di tale espediente, la matematizzazione dello spazio musi-

FILOSOFIA DELLA MUSICA

cale è compiuta: ogni altezza è calcolata all'interno dell'ottava, la qua­ le definisce lo spazio del " doppio " ( r :2 , se la direzione dell'intervallo è dal grave all'acuto), cioè del ritorno della voce sul medesimo suono , ma di registro più acuto. All'interno dell'ottava i suoni intermedi de­ finiti nel Dialogus sono altezze specifiche nella successione tono-semi­ tono-tono-tono-semitono-tono (oggi corrispondente a una scala natu­ rale di modo minore), e i valori proporzionali degli intervalli interni sono tutti calcolabili. La messa a punto del calcolo fu affidata a un supporto tecnico, il monocordo, come vedremo nel capitolo seguente (PAR. 4. r ) . Il nuovo oggetto della scienza musicale, il canto, fu dun­ que infine trasformato in quello " spazio matematico " delle altezze so­ nore nel quale è possibile " de-scrivere " il repertorio gregoriano. Sarà Guido d'Arezzo, al volgere del primo millennio, a portare a pieno compimento questa complessa metamorfosi.

LA TEORIA DELLA POLIFONIA: MUSICA ENCHIRIADIS E LA FONDAZIO:\'E RAZIONALE DELL 'ARS MUSICA

3·4·3·

Il carattere immutabile del repertorio gregoriano, alla cui giustifica­ zione teorica e normativa aveva alacremente lavorato l'élite culturale carolingia, riuscì con grande difficoltà a tenere a freno il "fattore creativo " , come Eggebrecht ( 1 996, p. 7) ha definito il desiderio ina­ lienabile di escogitare soluzioni sempre nuove nella pratica musicale. Non bisogna dimenticare che il canto gregoriano era, ed è, preghiera, intonata più volte al giorno nelle molteplici funzioni liturgiche delle comunità monastiche e del clero secolare. Se nel x secolo il reperto­ rio melodico era ormai omogeneo grazie alla formalizzazione di un unico sistema di organizzazione e rappresentazione delle altezze so­ nore, tutti i molteplici aspetti di dinamica e interpretazione che con­ correvano a " creare" il canto restavano affidati al contesto della sua esecuzione, alle necessità specifiche delle varie occasioni liturgiche, all'intenzione degli oranti, allo slancio emotivo e al trasporto spiritua­ le del cantore. Tutto questo consentiva l' aggiunta al canto gregoriano di nuovi " strati " musicali e testuali, intesi come arricchimenti, para­ frasi e ornamenti del repertorio. Il nuovo non oscurava o sorpassava il canto originale, ma lo " interpretava " a seconda delle esigenze delle comunità e delle chiese. Tropare, tropus sono le parole che defini­ scono questo processo, il quale si concretizzò in due diverse forme di arricchimento canoro. Da una parte, i lunghi passaggi melismatici, ad esempio sulla sillaba finale di Alleluia o sulla parola Kyrie, vennero " riempiti " attraverso l'impiego di testi di nuova invenzione, dando



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avvio alla rigogliosa fioritura dei tropi e delle sequenze 10 ; dall'altra, l'arricchimento della linea melodica in senso verticale, attraverso tec­ niche di differenziazione acustica fra le voci, consentì lo sviluppo delle prime forme di canto polifonico, il cosiddetto organum, il qua­ le , forse proprio per non intaccare il "livello primario " del canto gre­ goriano, trovò il suo peculiare impiego quale arricchimento del "li­ vello secondario " degli ampliamenti melodici, in particolare delle se­ quenze. La Musica enchiriadis, che potremmo tradurre Manuale di musica, è un trattato anonimo della fine del IX secolo avente per oggetto la definizione e l'uso di un sistema regolato di suoni per la conduzione del canto polifonico , l' organum, di cui l'autore esemplifica la costru­ zione utilizzando come linea melodica di base alcune sequenze del repertorio gregoriano. Questo trattato ci è giunto insieme ad altri quattro, che ne compendiano la dottrina, e a tratti la amplificano . L'autore della Musica enchiriadis conosce i trattati di Boezio e C alci­ dio, ed è consapevole che per condurre in modo appropriato lo svi­ luppo polifonico delle voci è necessario utilizzare una gamma di suo­ ni misurabili attraverso intervalli esatti. La misurazione è applicata sia a un canto dato , la sequentia, definita con esattezza nelle altezze me­ lodiche, sia alla stessa linea vocale dell'accompagnamento. È dunque confermato l'insegnamento della prima trattatistica sul canto piano circa la traducibilità della linea melodica in un complesso di suoni di diversa altezza, ciascuno dei quali rientra all'interno di una gamma prestabilita, di una " scala musicale " . Questo presupposto è fondato dal punto di vista teorico su Calcidio , il quale evidenziò l' analogia fra gli elementi della grammatica e quelli della musica (PAR. 1 .5 .2 ) . Come le parti elementari e indivisibili della voce sono le lettere dell' alfabe­ to, così gli elementi primi della linea melodica sono i singoli suoni definiti in altezza (phtongi) che l'autore chiama notae: Come le lettere dell'alfabeto sono le parti elementari e in divisibili della voce articolata, da cui sono composte le sillabe, le quali a loro volta compongono i verbi e i sostantivi con cui si forma il testo di un discorso compiuto, così le note (notae) sono gli elementi primi della voce cantata, dalla loro combina­ zione sorgono gli intervalli e dalla combinazione di questi i sistemi musicali. I suoni sono i primi fondamenti del canto, ma fra questi suoni (phtongi) non tutti sono tali, bensì solo quelli che grazie a spazi opportuni fra di essi sono adatti al canto (Schmid, 19 8 1 , 1, pp. 3 -4) .

10.

Sulla sequenza cfr. anche quanto detto sopra, alla nota



FILOSOFIA DELLA MUSICA

Come le lettere dell'alfabeto se sono congiunte a caso spesso non si accorda­ no nel combinare parole e sillabe, così nella musica vi sono solo certi inter­ valli che possono creare sinfonie: la sinfonia è infatti il dolce suonare di dif­ ferenti note tra loro congiunte. Le sinfonie semplici e prime sono tre, dalle quali si compongono le altre. Esse sono diatessaron, diapente e diapason (ivi, x, p. 2 3 ) .

Nella Musica enchiriadis è messa a punto una peculiare forma di no­ tazione, la cosiddetta "notazione dasiana " , che definisce come " suono individuo " o nota ciascuna altezza della gamma, che nel suo comples­ so si chiama systema. Quest'ultimo è costituito dall'unione di quattro tetracordi (insieme di quattro notae che coprono un intervallo di quarta) i cui intervalli interni sono sempre tono-semitono-tono , con un tono di congiunzione fra un tetracordo e l'altro. Tale sistema sca­ lare è specifico del canto, ma la possibilità di rappresentare anche il repertorio dei canti gregoriani con lo stesso metodo è solo accennata in un capitolo del trattato. Il sistema è concepito infatti per la polifo­ nia, e ha il suo peculiare obiettivo nel mettere a punto alcune tecni­ che di conduzione in parallelo delle voci, che, nonostante la continua evoluzione della prassi compositiva, restavano ancorate all'impiego delle consonanze perfette di quarta, quinta e ottava come limiti della divergenza di estensione delle voci stesse e come " approdi " conso­ nanti che realizzano accordi armoniosi, le symphoniae. In tal senso, il trattato di Calcidio riusciva assai efficace come base teorica da cui derivare la costruzione della " scala " , nonché la terminologia tecnica. Musica enchiriadis riprende ad esempio da Calcidio l'impiego della parola modulus per indicare ogni singola nota (altezza vocale) indivi­ duabile all'interno di un dato intervallo musicale, e, con Calcidio, in­ clude anche l'intervallo di undicesima (diapason + diatessaron) fra le sinfonie, al contrario di quanto aveva sostenuto Boezio (PAR. 2 .4 - 3 ) . Gli aggregati sonori risultanti nei passaggi polifonici sono rappre­ sentati dall'autore della Musica enchiriadis attraverso un sistema ste­ reometrico che visualizza l'andamento melodico di ciascuna linea vo­ cale . Il canto gregoriano è la linea melodica superiore, mentre la voce in discanto, partendo sulla stessa nota di avvio, si mantiene sulla me­ desima altezza fino a quando può porsi a una distanza di quarta, e, mantenendosi in parallelo, segue il canto fino a ricongiungersi con esso. Questa tipologia di organum per quarte parallele dimostra, come afferma la Musica enchiriadis, che l'organizzazione della polifonia se­ gue una legge precisa, implicata dalla struttura stessa del sistema di suoni utilizzato. La voce organale, cioè, non può superare certi limiti di estensione, in questo caso fissati dall'intervallo di quarta, perché



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tale procedura implicherebbe una dissonanza (inconsonantia) con la voce principale. La «legge dell'armonia musicale» prevede che «l' ac­ compagnamento venga catturato dalla voce principale, così che en­ trambe si incontrano in un solo suono» (ivi, x, p. 24) . In tal modo, il discanto realizza un concentus concorditer dissonus, una concomitanza " concordemente dissonante " fra le due voci: le dissonantiae sono in­ fatti per l'autore della Musica enchiriadis tutti gli intervalli intermedi accettabili all'interno della symphonia di quarta, nei quali l'accompa­ gnamento si può muovere liberamente. Le inconsonantiae, invece, sono quelle distanze intervallari inaccettabili, come il tritono (che ec­ cede la quarta giusta di un semitono) . È evidente che se le due voci procedessero senza attenersi a una scala predefinita di suoni , il loro canto in parallelo continuerebbe senza limitazione: è qui la differenza fra " arte " e "natura " del canto. L'arte della musica, ribadisce l'autore, sta infatti nella capacità di «condurre secondo regola il discanto». Con la Musica enchiriadis nacque la polifonia come arricchimento musicale strutturato secondo parametri misurati e definiti dello spazio acustico, grazie ai quali l' ars musica è intesa come insieme di regole teoriche indirizzate alla prassi, il cui rispetto consente di comporre "secondo l' arte " . Abbiamo osservato come il sistema di suoni che fonda la polifonia preveda un'organizzazione fissa delle altezze, defi­ nite a partire dai due intervalli minimi di tono e semitono. Le impli­ cazioni filosofiche connesse all' aver accolto tale sistema sono rivelate alla fine della Musica enchiriadis, con un percorso opposto a quello canonizzato nella trattatistica musicale, che prevede invece la parte speculativa a mo' di premessa. Musica enchiriadis parte dal canto po­ lifonico, ne precisa le regole, lo fonda come ars e infine ne giustifica i presupposti alla luce di un'idea più profonda di " razionalità " , che gli antichi sapienti individuavano a tutti i livelli di realtà (ivi, XVIII, p . 5 6 ) . È, questa, l'arcana sapienza dell'armonia universale, ma in certe cose, conclude l'autore, la profondità di tale ratio è davvero impene­ trabile: perché quel gioco di voci regolato dall'arte è gradito? Perché, conoscendo le proporzioni dei suoni, certe trasposizioni dei canti in modi diversi funzionano e altre no? Perché gli animali possono ap­ prezzare il canto? La risposta, lasciata in sospeso, ci riporta al mito di Euridice, al "profondo senso " della musica, che varrà la pena seguire in parallelo con l'interpretazione eriugeniana, sopra richiamata (PAR. 3 ·3 · ! ) : Gli antichi si immaginavano che la ninfa Euridice, moglie di Orfeo, amasse Aristeo, e che mentre scappava per inseguirlo fu uccisa dal < morso di un > serpente [ . . . ] . Ma mentre attraverso Orfeo, cioè per il bel suono del canto, è

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evocata dalle sue profondità, come fosse negli inferi, ed è portata per finzio­ ne fino all'alto di questa vita, mentre sembra che la si veda è persa; cioè perché [ . . . ] anche questa disciplina < della musica > ha in questa vita una razionalità non interamente penetrabile. E se possiamo giudicare quale sia l'opportuna struttura del canto, conoscere le qualità dei suoni e dei modi e le altre cose di quest 'arte, allo stesso modo possiamo connettere gli spazi dei suoni musicali o le sinfonie delle voci alla razionalità dei numeri, e illustrare le specifiche ragioni delle consonanze e delle dissonanze. Ma come la musica abbia tanta unità e affiliazione con la nostra anima non siamo in grado di spiegarlo chiaramente, anche se sappiamo di essere uniti a quella < musica > per una certa somiglianza. E non solo possiamo giudicare i canti per la natu­ ra specifica dei suoni, ma anche delle cose < cantate > . Infatti, è necessario che l'effetto del canto riproduca il sentimento (a//ectus) delle cose che sono cantate, così che le formule di intonazione (neumae) siano tranquille per le cose tranquille, liete in quelle gioconde, piangenti in quelle tristi; e che se ciò che è detto o fatto è aspro, sia espresso con formule aspre, repentine, sono­ re, concitate e adeguate secondo tutte le altre qualità dei sentimenti e degli eventi; e, ancora, che in unità convergano le parti dei neumi e delle parole. E nonostante il nostro giudizio possa esercitarsi in tali cose, tuttavia molte sono quelle che si nascondono sotto cause più occulte. Vi sono talvolta cose che si possono rendere ugualmente gradevoli nel canto in questo o quel tono; ma ve ne sono altre che [ . . . ] se sono trasposte, o non conservano la precedente dolcezza o divengono ripugnanti all'udito. Si dice che gli animali e gli uccelli si dilettino più con certi modi che con altri, ma perché e come queste e altre cose accadano non si può investigare facilmente. Dunque, ciò che sappiamo in questa arte, usiamolo solo nelle lodi di Dio, e quelle cose che sono state scoperte con difficile indagine dagli antichi, accogliamole nel giubilo, nel rito, nel canto, proprio quelle cose che nelle antiche generazioni non erano conosciute ai figli degli uomini, ma che ora sono state rivelate ai suoi santi. Boezio, studioso autorevole, rivela molti arcani della ragione musi­ cale, provando tutto quanto con chiarezza attraverso il magistero dei numeri, del quale, se Dio vorrà, il prossimo opuscolo conterrà qualche stralcio. Qui poniamo fine a questi discorsi (ivi, XVIII, pp. 57-8).

I temi che l'autore della Musica enchiriadis mette in gioco in chiusura di trattato rivelano una sensibilità nuova e un 'attitudine invero "mo­ derna " verso il valore e l'autonomia del canto. Le ragioni profonde (Euridice) che legano il cielo, la terra e tutte le creature in musicale armonia e che vorrebbero congiungersi all"'uomo buono " (Aristeo) costituiscono l'estrema conoscenza attingibile dalla mente umana, che la prudenza divina, con indubbia sapienza, ha negato all'uomo pecca­ tore. La musica è una disciplina che nel canto (Orfeo) lascia emerge­ re questa arcana razionalità cosmica, che però sfugge al momento in cui sembra apparire. In effetti, la disciplina musicale mostra con pie­ nezza la razionalità del suo oggetto d'indagine, la vocalità umana, at-



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traverso l'interpretazione matematica del suono e delle sue organizza­ zioni in modi e sistemi. La capacità di giudizio dell'uomo sa connet­ tere questa razionalità strutturale anche al contenuto espressivo del canto, così che il senso del testo concorra a creare la ratio del pro­ dotto artistico. La voce umana plasma nella modulazione le parole che intona, adeguando l'andamento e ! ' " espressività " di ciò che è pronunciato alle neumae I I . Non bisogna pensare che la Musica enchir­ iadis stia qui anticipando una qualche forma di anacronistica " teoria degli affetti " ; l'autore sta , piuttosto, evidenziando la consapevolezza della raggiunta capacità di inquadrare il fenomeno musicale nel con­ testo di un 'arte consapevole e razionale, che riesce a dominare l'og­ getto sonoro in tutti i suoi molteplici aspetti, grazie al supporto di una disciplina scientifica sentita come stabile acquisizione intellettua­ le. Tuttavia, qualcosa sfugge ancora alla mente. Perché certi canti possono essere trasposti in toni diversi senza che la loro gradevolezza si alteri e altri, con lo stesso procedimento, risultano inascoltabili? La dottrina musicale non riesce a dare ragione dei molteplici livelli nei quali la musica si unisce all'uomo essendone un prodotto , ma anche un modello. Si avverte con chiarezza che l'autore "sente " la musica come un fenomeno complesso, vivo e profondamente radicato nel mi­ stero della natura umana. Negli Scholica enchiriadis, un dialogo fra maestro e allievo trasmesso a seguito della Musica enchiriadis e che ne amplia la dottrina, l' apertura del dialogo chiarisce senza equivoci il supporto filosofico che fa da sostegno all'impalcatura teorica del primo linguaggio polifonico. In un certo senso, sembra che il testo inizi proprio là dove la Musica si chiude. All'allievo che chiede «come capiamo che i suoni di cui trattano i musi­ ci, che non si offrono né alla vista né al tatto, hanno dei rapporti de­ terminati matematicamente?» (ivi, p. 1 2 5 ) il maestro risponde appellan­ dosi al Timeo di Platone e all'insegnamento «di altri filosofi» , e l'e­ sposizione che ne segue ripercorre la definizione timaica della scala dei suoni partendo dalle medietà aritmetiche, geometriche e armoniche. Così, la scala calcidiana dei numeri da 1 92 a 3 84 è impiegata per defini­ re i rapporti di altezza utilizzando valori interi, come abbiamo visto accadere anche nella Glossa attribuita a Giovanni Scoto (PAR. 3 . 3 . 2 ) . Negli Scholica l a costruzione definisce una scala di suoni in cui l'ordine, dal grave all'acuto, corrisponde a quello di una moderna scala di do maggiore nell'estensione di un'ottava: tono, tono, semitono, tono (inter1 r . L'autore della Musica enchiriadis si riferisce alle specifiche formule d'intona­ zione e " melodie-modello" presenti negli Antz/onari che sintetizzano i caratteri melo­ dici salienti e le note cardine di ogni modo gregoriano.

FILOSOFIA DELLA MUSICA

vallo di congiunzione fra i due tetracordi) , tono, tono, semitono. L'aver riconosciuto l'importanza dell'ottava quale fondamento della conver­ genza nella consonanza non solo celeste, ma anche sensibile, porta a concepire l'harmonia naturalis quale regola fondante la corretta condu­ zione polifonica delle voci, organizzata nella struttura dell'ottava. In un trattato anonimo risalente ai secoli x-XI, il cosiddetto Organum di Pari­ gi, trasmesso insieme alla Musica e agli Scholica enchiriadis, questo con­ cetto dà fondamento e giustificazione alle regole dell' organum: Questa è proprio la legge dell'organo naturale, ove dalla quale si deviasse non si realizzerebbe un organo regolare, ma improprio. E anche in base al­ l'udito , a meno che una prassi più perversa abbia ottenebrato i sensi, si di­ stingue un organo più o meno retto, poiché per natura è più dilettevole quello che è più unito all'armonia naturale (ivi, p. 207 ) .

Nei primi scritti manualistici sulla polifonia che abbiamo sopra esa­ minato, e in quelli successivi che li seguono e commentano, il fonda­ mento razionale della bellezza sensibile della musica viene individuato nella consonanza dei rapporti intervallari fra i suoni simultanei, e nel­ la successione degli aggregati sonori, in particolare nei passaggi ca­ denzali che esprimono la riduzione delle consonanze perfette (di quarta e di quinta) e di quelle meno perfette (di terza e sesta) alla perfetta unità dell'ottava e dell 'unisono. Così, le stesse proporzioni studiate dalla scienza armonica boeziana giustificano razionalmente il principio costitutivo dell' harmonia naturalis, fondamento teorico della prassi dell'organum, la cui piacevolezza è sindacata dall'udito. Si deli­ nea, insomma, una sorta di "teoria del bello " , un 'estetica musicale che guarda sì al modello cosmico, ma che trova la sua vera radice nella concreta esperienza della musica.

4

I secoli XI e XII . Ars musica e ars cantus fra cultura monastica e scuole cattedrali

4· 1

Studi matematici e scientifici nell'xr secolo: Gerberto d'Aurillac, Oddone e il monocordo «0 i tempi sono duri, o sono oscure le decisioni della volontà divi­ na», afferma il monaco Guido d'Arezzo nell'Epz5tola (Guido d'Arez­ zo, 2 005 , p. 1 3 1 ) che invia al confratello Michele presso l'abbazia di Pomposa attorno al 1 03 1 - 3 2 . La preoccupazione del grande teorico musicale va ricondotta all'opposizione dei monaci pomposiani al suo tentativo di riforma del canto, ma forse la possiamo intendere anche in senso più ampio, come espressione del disagio di un uomo di chie­ sa nei confronti della difficile situazione dell'epoca, in cui il mondo ecclesiastico, messo in crisi dalla disgregazione dell'impero carolingio, stentava a ritrovare nella realtà sociale e culturale i segni tangibili del­ l'ordine divino. È proprio in questi frangenti che la Chiesa comincia­ va a macchiarsi delle gravi colpe del concubinato e della simonia, contro le quali lo stesso Guido prese posizione. Nella lettera a Michele si trova racchiuso, in stile limpido e conci­ so , il metodo pedagogico rivoluzionario messo a punto dal monaco aretino, grazie al quale chiunque avrebbe potuto «diventare un per­ fetto cantore nello spazio di un anno o al massimo di due», quando lo standard era di circa dieci anni di duro - quanto inutile, secondo Guido - apprendistato sull'Antz/onario e sotto la guida del maestro. Tempi difficili e oscuri, dunque, e densi di inquietudine quelli nei quali visse Guido, ma non tali da non innescare una consapevole spinta in avanti, un'idea di " progresso " , di speranza di miglioramento che anche il nuovo metodo musicale guidoniano emblematicamente rappresenta. Il contesto culturale e politico che aveva reso possibile la feconda produzione intellettuale del IX secolo era, in effetti, entrato in crisi nel secolo successivo. La frantumazione politica e il particola153

FILOSOFIA DELLA MUSICA

risma caratterizzanti la scena europea nell'età postcarolingia e otto­ niana si erano accompagnati a nuove devastanti invasioni di norman­ ni e ungheresi. Le faide dei signori locali e i saccheggi per terra e per mare dei nuovi barbari, ai quali andavano ad aggiungersi le pressioni degli arabi, tratteggiavano un mondo in cui sembrava che i passi avanti della pax imperiale fossero del tutto cancellati. Eppure, gli sto­ rici collocano proprio in questo difficile frangente i primi sintomi di una rinascita e di un rinnovamento che all'aprirsi del Mille sono or­ mai in buona parte avviati. La rapida cristianizzazione di normanni e ungheresi favorì nel Mediterraneo e nel cuore dell'Europa la spinta militare e politica della cristianità occidentale. La Chiesa, grazie pro­ prio all'indebolimento dell'impero, rafforzava la propria organizzazio­ ne fidando anche nell'appoggio dei potenti monasteri, rinnovati dalla riforma cluniacense e, poi, cistercense. La costruzione di nuove chiese nei più dinamici centri cittadini, descritta nelle Historiae del maggiore storico del periodo, Rodolfo il Glabro , come una gara fra i popoli della cristianità «per scrollarsi di dosso la vecchiaia», favorì il grande slancio dell'arte romanica, rinnovando il volto architettonico e arti­ stico delle città. Sul piano sociale, la riforma del diritto canonico e le crescenti esigenze delle comunità cittadine consentirono lo sviluppo di nuove scuole, nelle quali l'interesse per le arti liberali - per il tri­ vio ricordiamo in particolare la dialettica - divenne un'esigenza tanto per la Chiesa, la cui forza politica era accresciuta dalla rottura con l'impero d'Oriente ( r o54) , quanto per la società civile, che stava im­ parando a maneggiare il denaro, a gestire i commerci e a trattare col mondo arabo, allora nel pieno del suo sviluppo intellettuale e arti­ stico. Rispetto al ruolo che andarono assumendo i nuovi centri citta­ dini, basterà ricordare la loro importanza strategica nella ripresa degli studi di diritto romano, grazie ai quali verrà innescato il processo di secolarizzazione del potere governativo, proprio nel pieno dello scon­ tro fra papato e impero sfociato nella lotta per le investiture. Un nome che si abbina spesso a raffigurare la cultura della reno­ vatio avviata nell'età ottoniana è quello di Gerberto d' Aurillac (m . r oo3 ), monaco di grande levatura, formatosi in Catalogna a contatto con i fiorenti centri di istruzione arabo-spagnoli. La curiositas verso le conquiste scientifiche e matematiche della civiltà araba, forse apprese durante un periodo di studio a Cordoba, è il tratto culturale che fece di Gerberto un intellettuale eminente. La sua fama come maestro nel­ le arti del quadrivio lo portò a insegnare nella scuola prestigiosa di Reims , dove la novità del suo metodo di insegnamento, basato su un procedimento pragmatico e sull'uso di strumenti scientifici sconosciu­ ti all'Occidente latino, quali un particolare abaco e l'astrolabio, con154



I SECOL I XI E XII . ARS M USICA E ARS CAl'•.rTUS

tribuì ad alimentare la leggenda della sua " faustiana" sete di sapere. Il suo legame stretto con la corte imperiale lo portò a divenire educa­ tore di Ottone III , col quale condividerà il breve sogno di una renova­ tio imperii romanorum, coronata dalla sua elezione al soglio pontificio col nome di Silvestro II , ma precocemente conclusa dalla morte pre­ matura del giovane imperatore nel 1 002 , e, l'anno successivo, dello stesso Gerberto. L'insegnamento del maestro d'Aurillac è stato inquadrato come una sorta di oasi all'interno del deserto culturale degli studi scientifici nel tardo x secolo. Con lui si parla di avvio di una nuova cultura del quadrivio, che si sarebbe poi diffusa lungo l'XI secolo e affermata nel secolo seguente, in particolare nell'erudita scuola cattedrale di Char­ tres . In effetti, la fondazione di quella eminente scuola sembra da at­ tribuirsi proprio a un allievo di Gerberto, Fulberto, vescovo a Char­ tres dal 1 003 e cultore di medicina e di geometria. Sempre fra gli allievi di Gerberto possiamo ricordare l'abate Abbone di Fleury (m. 1 004) , che si occupò di computo e astronomia. Se dunque le tracce di una ripresa di interesse nei confronti del quadrivio e delle matema­ tiche è palpabile dalla fine del x secolo, non bisogna dimenticare che alcuni aspetti di questo rinnovato interesse sono già avviati nel corso dello stesso secolo proprio grazie al costituirsi della teoria musicale. Nel capitolo precedente è stato sottolineato come l'opera di commen­ to al De institutione musica di Boezio, soprattutto in area germanica, si orientò proprio nel x secolo alla soluzione dei complessi problemi di matematica musicale, accompagnandosi anche a un notevole impe­ gno di interpretazione del De institutione arithmetica. Il rinnovato in­ teresse verso questi studi si deve anche ad abati e monaci che si di­ stinsero per il loro contributo alla riforma monastica. All'importante monastero di Reichenau si lega Bernone (m. I 048 ) , il quale vi favorì l'introduzione della riforma cluniacense, redasse un tonario e compo­ se un trattato sul monocordo. Suo confratello fu Ermanno di Reiche­ nau (m. 1 05 4 ) , detto Ermanno Contratto, autore di una cronaca e di opere d'aritmetica, astronomia, sull'abaco, la rhythmimachia (una spe­ cie di gioco per affinare le competenze nelle determinazioni degli in­ tervalli matematici musicali) e l' astrolabio, oltre che di un trattato di musica. Possiamo ricordare ancora Guglielmo di Hirsau (m . 1 09 1 ) , autore di un trattato di musica e di uno d' astronomia. Proprio nello stesso secolo comincia anche la fioritura della vasta trattatistica sul monocordo, che svolse un ruolo essenziale nel consen­ tire una piena traduzione matematica della scala musicale. L'uso di questo strumento rimonta già alla fine del IX secolo, ed è introdotto per la prima volta negli Scholica enchiriadis (PAR. 3 ·4·3 ) . Il monocordo 155

FILOSOFIA DELLA MUSICA

era stato descritto da Boezio nel De institutione musica (Iv, r 8), dove veniva presentato come supporto tecnico utile a verificare con l' orec­ chio le consonanze risultanti dalla divisione proporzionale di una cor­ da. Utilizzando un ponticello mobile per dividere in due parti una corda tesa, era stabilita una corrispondenza fra le due lunghezze e la consonanza risultante dalla loro percussione. Ad esempio, bloccando la corda ad r/ 3 della lunghezza era possibile verificare acusticamente la relazione di diapason od ottava ( r :2 ) , intercorrente fra il suono del­ la sezione lunga r/ 3 e quello della sezione lunga 2/3 della corda ; op­ pure, bloccando la corda a 4/7 della lunghezza, era prodotta la con­ sonanza di diatessaron o quarta ( 3 :4 ) , intercorrente fra la sezione lun­ ga 3/7 e quella lunga 4/7 , e così via. Negli Scholica enchiriadis il si­ stema di divisione della corda era fatto equivalere a una moderna sca­ la in do, elaborata a partire dai numeri della scala calcidiana: la suc­ cessione di due ottave era organizzata in modo che a ogni nota corri­ spondesse una lettera dell'alfabeto latino, da A a P, secondo la nota­ zione boeziana. Questa soluzione però non trovava riscontro con una scala utile all'intonazione vocale, ma si adattava bene a quella di alcu­ ni strumenti musicali, in particolare l'organo. Inizialmente, dunque, il monocordo era più un supporto tecnico per gli artigiani e un sistema di visualizzazione dello spazio musicale utile ai teorici, che non uno strumento effettivo di didattica musicale. Ma attorno al Mille un nuo­ vo tipo di divisione della corda, introdotto nel Dialogus de musica dello Pseudo-Oddone e perfezionato da Guido d'Arezzo, consentì di adattare al monocordo una scala musicale vocale, espressa con le let­ tere A B C D E F G. Le note di questa scala vocale avevano la parti­ colarità di essere espresse dalle stesse lettere al ritorno dell'ottava, cosa che non accadeva nella scala alfabetica boeziana. È possibile che l'autore del Dialogus abbia attinto l 'idea dagli Scholica, rimaneggiando la scala strumentale "in do " di quel trattato; sta di fatto che con tale accorgimento il monocordo divenne uno strumento capace di misura­ re con facilità i valori dei gradi di una scala utilizzabile nel canto , così da poter essere impiegato per la didattica della musica, determi­ nando il successo della vasta letteratura su questo sussidio. L'atteggia­ mento pragmatico col quale lo Pseudo-Oddone e Guido introducono il monocordo va quindi di pari passo con la piena acquisizione della musica come scienza del canto, come ars cantus, il cui supporto teori­ co deve essere anzitutto messo a servizio della prassi. Il processo che nel corso del x secolo aveva portato i teorici della musica a districarsi meglio nella matematica boeziana e l'interesse di­ mostrato da maestri come Gerberto verso il sussidio pratico offerto dai nuovi strumenti di misura contribuirono a cambiare la metodolo-



I SECOL I XI E XII . ARS M USICA E A RS CAl'.rTUS

gia di approccio alla scienza musicale. Avendo ormai acquisito come suo oggetto di indagine il canto, la musica ha adesso un nuovo scopo: insegnare a cantare nel modo più perfetto ed efficace. Afferma il

Dialogus: Discepolo: Cos'è la musica? Maestro: la scienza di cantare veracemente, e il metodo per acquisire la perfezione nel canto. D: Come si fa? M: Come il maestro ti mostra anzitutto le lettere sulla tavoletta, così il musica inserisce tutte le note del canto nel monocordo. D: Cos 'è il monocordo? M: Un pez­ zetto di legno quadrato al modo di una cassetta e internamente concavo come una cetra sul quale risuona una corda, al suono della quale facilmente comprendi le diversità delle note. [ . ] D: Come fa una sola corda a intonare note molteplici e differenti? M: Le lettere alfabetiche o le note che utilizzano i musici sono poste in ordine sulla linea che corre parallela alla corda: e mentre il ponticello scorre tra la linea e la corda, accorciando o allungando la corda in corrispondenza delle lettere, restituisce mirabilmente ogni canto; e mentre si delinea un 'antifona ai fanciulli attraverso le lettere, questa è ap­ presa, grazie alla stessa corda, meglio e con più facilità che se fosse ascoltata con l'intonazione umana; ed esercitati nel giro di pochi mesi, lasciata perdere la corda, solo alla vista < delle lettere > senza esitazione intoneranno ciò che mai hanno ascoltato. D: Quello che dici è meraviglioso. I nostri cantori mai avrebbero aspirato a tanta perfezione. M: Ed errarono, fratello ! E non cer­ cando la strada, faticarono invano per tutta la vita. D: E com'è che una cor­ da insegna meglio dell'uomo? M: L'uomo canta, per quanto può e vuole, ma la corda è regolata da uomini sapientissimi con tale arte grazie alle lettere di cui ti ho detto che non può mentire, se è studiata con attenzione (es I , pp. 252-3). .

.

N egli stessi anni in cui lo Pseudo-Oddone mise a punto il suo nuovo criterio di accordatura del monocordo, Gerberto d' Aurillac portava all'attenzione degli eruditi il conflitto matematico fra le due scale mu­ sicali calcidiana e boeziana. In un trattato sull'intonazione dell'organo e la misura del monocordo che sembrano attribuibili a questo autore (Sachs, 1 97 2 ) , è infatti messa in evidenza la discordanza fra i due si­ stemi numerici coi quali Boezio da una parte e Calci dio dall'altra ave­ vano tradotto i valori proporzionali delle rispettive scale . Il problema di ricondurre alla concordanza le due misurazioni consisteva in prati­ ca in una sorta di gioco matematico, così come un gioco era anche la rhythmimachia, di cui Gerberto si era pure occupato. Questi passa­ tempi non erano fine a se stessi; piuttosto, avevano per l'erudito mo­ naco di Reims un significato filosofico preciso, quello di dissipare i dubbi circa l'incoerenza dell'ordine del mondo che gli apparenti di­ sordini numerici avrebbero lasciato trapelare. La dimostrazione mate­ matica consolidava e affermava l'idea che il mondo si regge su un 157

FILOSOFIA DELLA MUSICA

unico ordine armonico, già indagato dagli antichi filosofi Pitagora e Boezio. La consapevolezza teorica di Gerberto è esplicitata ad esem­ pio nella lettera r 87 , indirizzata a Ottone III, nella quale la potenza del numero è intesa come simbolo della totalità delle cose e della pri­ migenia unità cosmica (MGH, Die Briefe der deutschen Kaiserzeit II , p . 2 24) . S e quindi l e artes, e nella fattispecie l a musica, erano ormai ben fondate su un apparato teorico definito, grazie al quale il loro ogget­ to di indagine era divenuto materia di insegnamento e di autonoma speculazione, l'impalcatura filosofica delle discipline restava pur sem­ pre il quadro di riferimento basilare che garantiva la coerenza, l'utili­ tà e la ragione stessa dell'indagine scientifica. Ciò era vero soprattut­ to nel contesto delle comunità monastiche, perché ogni conquista dell'intelletto doveva essere inquadrata a beneficio della salvezza umana, a gloria di Dio e al servizio della devozione. Questo, tuttavia, non significava mancanza di pragmatismo; anzi , gli strumenti di sussi­ dio alla didattica come il monocordo erano tenuti in gran conto pro­ prio per i loro grandi benefici all'apprendimento. Il successo del me­ todo guidoniano , fondato anche sul monocordo, come vedremo nel paragrafo seguente, si diffuse con grande celerità nelle scuole e nei monasteri. Il canto, le sue regole, l'apprendimento furono i nodi cen­ trali della riflessione sulla musica nelle scuole monastiche lungo i se­ coli XI e xrr .

4·2

L'opera pedagogica di Guido d'Arezzo 4.2. 1 .

IL MO:\'OCORDO, LA NOTAZIO:\'E E LA SOLMISAZIONE

Il maggiore teorico musicale dell'età medievale e uno dei più cele­ brati nei secoli a seguire, Guido d'Arezzo, fu monaco presso l'abba­ zia di Pomposa nei primi decenni del Mille. Il suo coinvolgimento nella didattica della musica sembra essere stato finalizzato fin da subi­ to alla messa a punto di un metodo che facesse a meno della notazio­ ne neumatica, basandosi solo su quella alfabetica introdotta nel Dia­ logus de musica dello Pseudo-Oddone (la maggiore fonte di Guido insieme alla Musica enchiriadis) , nella quale le prime sette lettere del­ l' alfabeto erano soprascritte alle parole da intonare, indicando il suo­ no corrispondente a ogni sillaba. L'intonazione della scala era messa a punto col monocordo, del quale Guido offre nel suo Micrologus una duplice metodologia di accordatura, che porta alla stessa intona­ zione.

4 · I S E C O L I XI E X I I . ARS M USICA E A RS CA1'.rTUS

FI G U RA

4· I

Un criterio di divisione del monocordo secondo Guido d'Arezzo r i

A i

BC i

i

r

i

E F G i

i

i

D A

r

D

a

i

bb i i

1 T f T f hp �c a

d

a

E

B



b

aa

bb

e

c

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G E

c

a

F

c

F

b

cc f

Il suono di partenza, il più basso, è designato dalla lettera r, equi­ valente a un sol grave dell'attuale scala dei suoni. A esso, segue la serie delle altezze gravi A B C D E F G che completano l'ottava, mentre l'inizio della successiva serie (in lettere minuscole) a b b c d e f g delimita il registro acuto. La presenza del b (bemolle) e del b (bequadro) è introdotta per rendere conto dell'abbassamento di que­ sta nota in alcuni modi gregoriani (b, bemolle, cioè la nota designata da h, ma abbassata di un semitono rispetto a b quadrato, bequadro) . Le due ottave sono completate dalle note sovracute aa bb bb cc dd, che Guido considera superflue, ma mantiene perché, a suo dire, me­ lius est abundare quam deficere (Guido d'Arezzo, 2 005 , p. I I ) . La sca­ la copre poco più di due ottave, più o meno l'estensione di registro della voce umana. Il concetto di maggior rilievo divulgato da Guido, già presente nello Pseudo-Oddone, è quindi che il principio di divi­ sione dello spazio sonoro è fondato sull'ottava, corrispondente al ri­ torno della voce sullo stesso suono dopo averne " attraversati " sette diversi. Questo sarà un punto specifico su cui l'Aretino insiste, tanto da non riconoscere all'intervallo diapason, cioè all'ottava, lo status di consonanza, ma di piena uguaglianza delle voci. La divisione guidoniana del monocordo rappresentata nello sche­ ma (FIG. 4· I ) segue quella del Dialogus de musica. Ponendo r a un estremo, dopo aver diviso la corda in nove parti, ad Il 9 è fissata la distanza di tono da r, cioè la nota A. Da qui, si calcola di nuovo I/9 I59

FILOSOFIA DELLA MUSICA

e si trova B. Dividendo poi la corda totale in quattro, si trova C. Dividendo in quattro la corda partendo da A si trova D, e da que­ st'ultimo, sempre dividendo per quattro , G. Con lo stesso criterio, da B ricaviamo E, da C troviamo F e da quest'ultimo b. I valori delle note più acute derivano per divisione della lunghezza partendo dai suoni gravi 1 • L'abbinamento di monocordo e notazione alfabetica consente a Guido di individuare sei consonanze (consonantiae) prima del ritorno all'uguaglianza della voce sull'ottava. Solo queste sei sono ammesse nel canto, dunque l'esercizio nella loro intonazione, facilitata dal mo­ nocordo, è la regola di base per apprendere l' arte musicale: Sei sono dunque le consonanze musicali: tono, semitono, ditono [terza mag­ giore] , semiditono [terza minore] , diatessaron [quarta] , diapente [quinta] . In nessun canto, infatti, un suono può congiungersi con un altro suono, ascen­ dendo o discendendo, in modi diversi da questi. E poiché su questi pochi elementi si fonda tutta la musica, è indispensabile imprimerli nel profondo della memoria e mai desistere dall'esercitarsi fino a che non li si percepisca e riconosca appieno nell'atto del cantare: essi saranno così la chiave che ci per­ metterà di impadronirci consapevolmente, e perciò facilmente, dell'abilità del canto (ivi, IV, p. 1 5 ) 2 •

I l metodo promosso d a Guido per divenire in breve tempo esperti cantori fu osteggiato dai monaci pomposiani, e Guido si trasferì ad Arezzo, dove iniziò una stretta collaborazione con il vescovo Teodal­ do. Sotto la sua guida, i giovani cantori della cattedrale aretina pote­ rono fruire degli ulteriori sviluppi del suo metodo pedagogico: la no­ tazione su rigo con chiave e la solmisazione. Queste metodiche sono esposte nella Epistola a Michele, che Guido scrisse a un confratello pomposiano, suo antico collaboratore, in risposta a un invito a rien­ trare nell'abbazia. Il sistema guidoniano era infatti nel frattempo di­ venuto famoso, e i pueri cantores di Guido eccellevano al punto che la reputazione del loro maestro raggiunse Roma, dove papa Giovanni 1 . L'altro metodo proposto da Guido presenta gli stessi valori di divisione, ma con un minor numero di misurazioni. 2. È chiaro che, se il punto di riferimento è l'ottava, mancano altri gradi che la voce deve percorrere prima di arrivare all'ottavo suono: l'intervallo di sesta, maggiore e minore, e di settima. Questi, pur contemplati nella scala dei suoni, non sono conso­ nantiae, cioè suoni che possono essere impiegati nel canto e nella polifonia. Guido riconosce l'importanza dell'ottava, ma opera sul canto gregoriano, nel quale il tetra­ cardo è l'originaria struttura organizzativa della melodia. Sebbene egli riesca ad allar­ gare questo nucleo fino all'estensione dell'esacordo, come specificato più avanti, gli intervalli di sesta e settima ne restano fuori .

r 6o



I SECOL I XI E XII . ARS M USICA E A RS CAl'.rTUS

XIX volle che egli si recasse per illustrare il suo sistema, applicato al rinnovato Antz/onario. La notazione su rigo prevedeva che la melodia fosse rappresentata nell'altezza di ogni sillaba con neumi individuali o connessi da ligatu­ rae su un sistema di quattro righi, il tetragramma, uno dei quali defi­ niva l 'altezza con una lettera/ chiave, in genere F (il nostro fa) o C (do) posta a capo del rigo stesso, secondo il criterio ancora oggi in uso. La solmisazione, invece, fu messa a punto per rendere del tutto autonomo il cantore, anche rispetto al monocordo . Guido si servì dell'inno a san Giovanni Ut queant laxis, attribuito a Paolo Diacono , la cui linea melodica, nella versione proposta da Guido, ha la partico­ larità di iniziare su ogni emistichio a un 'altezza diversa, secondo la successione scalare C D E F G a. La nota corrispondente alla prima sillaba a partire da Ut è il suono C (do), l'ultima, sulla sillaba la (di labii) , è il suono a (la) . Così, era possibile memorizzare la successione di altezze ut = C, re = D, mi = E, fa = F, sol = G, la = a riferendosi all'intonazione dell'inno (cfr. FIG . 4 . 2 ) . FIGURA 4 . 2

L'inno U t queant laxis e la sua intonazione c

D que-

F ant

DE la-

D xis,

D

D so-

c na-

D re

E

E bris,

EFG

E ra

D ge-

EC sto-

D rum,

F

G mu-

a li

GGF tu-

D o-

D

GaG sol-

E ve

F poi-

G lu-

D ti,

a

G bi-

a i

F re-

Ga a-

a tum,

GGF san-

D et e

E lo-

F han-

D nes.

Ut

mi-

re-

fa-

la-

fì-

rum ,

Affinché con le corde vocali libere i < tuoi > servi possano cantare le tue mirabili gesta, sciogli il catarro della bocca contaminata, o san Giovanni.

La discussione musicologica sull'origine dell'inno e sull'interpretazio­ ne del testo è vasta , rimandando anche a contenuti crittografici e alla simbologia cristologica. Qui ho riportato la traduzione letterale di Rusconi (2oo7b) , il quale ha individuato nelle parole la compenetra­ zione fra il contenuto spirituale e puntuali riferimenti alla pratica del canto. L'inno sarebbe, insomma, una sorta di " preghiera del canto­ re " , il quale si affida a san Giovanni affinché lo purifichi dall'impurità r6r

FILOSOFIA DELLA MUSICA

della voce, metafora dell'impurità del cuore: un'interpretazione che è in perfetta sintonia con lo spirito pragmatico e insieme morale della riforma didattica guidoniana, e che dunque giustifica in modo plausi­ bile perché l'Aretino scelse proprio questo inno per la memorizzazio­ ne degli intervalli. Torniamo alla gamma sillabica. Una volta memorizzati i suoni che la compongono, l'accorgimento a carico del cantore che volesse impa­ rare un canto qualsivoglia era quello di denominare con le sillabe mi­ fa ogni intervallo di semitono incontrato nella melodia ascoltata, o in­ dividuato in quella scritta, mentre gli altri suoni in successione verso l'alto e verso il basso corrispondevano a intervalli di tono: ut-re , re­ mi, e fa-sol, sol-la. La struttura così composta (ut-re-mi-fa-sol-la) , det­ ta esacordo, non rispettava il principio del ritorno del suono all'otta­ va, che pure costituiva per Guido un parametro di riferimento essen­ ziale della vocalità umana 3 . La solmisazione non è infatti finalizzata a costruire una scala musicale, ma a riconoscere la posizione dell'inter­ vallo di semitono nello svolgersi della linea melodica gregoriana, la quale, essendo elaborata a partire da una data struttura modale, pre­ senta una specifica posizione dei semitoni, diversa per ognuno degli otto modi, ma tale che non meno di due toni consecutivi e non più di tre precedono e seguono il semitono stesso. Riconoscere un canto attraverso la posizione dei semitoni significa, in sostanza, attribuirgli la sua naturale appartenenza modale, che si chiarisce non al suono d'attacco, ma al dispiegarsi della melodia (Guido d'Arezzo, 2 005 , xr , p . 2 7 ) . Questa particolare attenzione per le qualità intrinseche del canto gregoriano, che la solmisazione mirava a evidenziare, è proprio la caratteristica peculiare dell'insegnamento di Guido, per il quale as­ sume un rilievo specifico lo studio delle affinità tonali fra le voces (i modi vocum esaminati nei capitoli XI-XIV del Micrologus) , fondamen­ tali nei procedimenti di trasposizione delle melodie. Come sottolinea Rusconi (2005 , p. Lv) : «La finalità del lungo excursus sull'affinità dei suoni sta nel teorizzare la possibilità di trasportare melodie o porzioni di melodie che per una ragione o per l'altra conviene cantare ad un livello tonale differente da quello usuale, innanzi tutto per evitare l'u­ so del bemolle. La prospettiva di fondo è quella di un sistema il più possibile diatonico, nel quale tutte le melodie del repertorio liturgico ritrovino una sorta di purezza originaria. Qualsiasi elemento aggiunti3 · Nel xv secolo l'ormai evidente inconveniente fu colmato dal teorico musicale Bartolomé Ramos de Pareja con l'aggiunta della sillaba si, la settima nota, il cui nome fu tratto dalle iniziali Sancte ]ohannes che chiudono l'inno.

4 · I S E C O L I XI E X I I . ARS M USICA E A RS CA N TUS

FIGURA 4 · 3 La scala dei suoni e gli esacordi (altezze) chiavi (mi4) (re4) (do4) (sib3/si3 ) Oa3) (sol 3) (fa3) (mi3) (re3 ) (do3) (sib2/si2) Oa2) (sob) (fa2) (mi2) (re2) (do2) (si I ) Oa I ) (sol i )

duro molle la sol la fa sol

ee dd cc bb/bb aa g f e d c b lb

nat. la sol molle la sol nat. la sol

G F E D

duro la sol

c

fa

B A r

altezze

esacordi

mi

re ut

fa mi

re ut

duro la sol fa

fa

mi

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fa mi

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mi

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el a dlasol csolfa bfabmi alamire gsolreut ffaut elami dlasolre csolfaut bfabmi alamire Gsolreut Ffaut Elami Dsolre Cfaut Bmi Are fut

registri

superacutae

acutae

graves

gravissimus

vo , percepito più come male necessario che come arricchimento, avrà spazio solo eccezionalmente». Non sappiamo come Guido abbia integrato nella didattica il pro­ cedimento della solmisazione esacordale con quello della notazione alfabetica, tuttavia la diffusione di entrambi è attestata già alla metà del secolo XI insieme a un meccanismo visivo , la cosiddetta mano gui­ doniana, che facilitava la costruzione degli esacordi abbinandoli alla scala alfabetica. Nella sua forma compiuta, il sistema acustico post­ guidoniano è rappresentabile nella struttura della FIG . 4· 3 . Come si può vedere nello schema, la notazione alfabetica defini­ sce l'altezza " assoluta " dei suoni, mentre la sill abazione indica il nome delle note negli esacordi costruiti su differenti registri, e distin­ guibili in: naturali, nei quali il semitono mi-fa è nella sua collocazione naturale sulle altezze E-F ed e-f; duri, con il semitono corrispondente

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al passaggio B-C, b-e e bb-cc; e molli, nei quali il semitono è fra le altezze a-b e aa-bb. Da questa rapida panoramica sul sistema guidoniano di notazione, risulta evidente come la teoria della musica venga a identificarsi con un agile bagaglio di conoscenze tecniche, tali da consentire un ap­ proccio mirato e consapevole alla prassi. Sulla chiarezza e coerenza della sua metodica Guido d'Arezzo insiste nei suoi scritti, rivendican­ do il fatto che la teoria musicale debba, e possa, essere recepita da tutti come il supporto imprescindibile per la formazione al canto e come punto di partenza per l'acquisizione delle competenze necessa­ rie alla conduzione dell' organum polifonico . La novità di Guido non nacque sul nulla: la quasi totalità degli elementi di teoria musicale che egli presenta nei suoi scritti era già sviluppata in opere prece­ denti, in particolare nella Musica enchiriadis (PAR. 3 ·4·3 ) e nel Dialo­ gus de musica dello Pseudo-Oddone (PAR. 4. r ) , ai quali egli si appog­ gia, ma la sua originalità sta nell'aver rivendicato l'autonomia dell'arte della musica rispetto a tutto ciò che della musica «meno interessa per cantare o che, fra le cose che si dicono di essa, risulta incomprensibi­ le» (Guido d'Arezzo, 2 005 , pp. 8 - 9 ) . Ciò non significa tagliare fuori dall'ambito musicale gli elementi speculativi, che Guido colloca nella sfera d'interesse del philosophus, ma inquadrare gli elementi teorici dell'arte della musica come specifici della competenza del musicus. Sembrerebbe una semplice limitazione di campo, ma in pratica fu una rivoluzione.

4.2 .2.

MUSICI, CANTORI, FILOSOFI E IL PENSIERO ESTETICO DI GUIDO D ' AREZZO

Per Guido d'Arezzo il musicus non è colui che si occupa della mate­ matica musicale, della scientia harmonica, ma colui che si occupa del suono , e nella fattispecie di quello vocale. Guido non offre una defi­ nizione esplicita di cosa sia la musica , ma a capo di uno schema in­ trodotto nel Micrologus, volto a illustrare le figure melodiche risultan­ ti dalla combinazione di intervalli ascendenti o discendenti, la tradi­ zione manoscritta inserisce una didascalia che presenta l'unica defini­ zione di musica individuabile nei trattati guidoniani, in perfetta sinto­ nia con le idee dell'autore : musica motus est vocum (Guido d'Arezzo, 2 005 , p. 43 ) , dove le voces sono i suoni della voce umana articolati nelle note. Questa definizione sembra richiamarsi, a tutta prima, a quella agostiniana di scientia bene modulandi o movendi (PAR. 2 . 3 .2 ) ,



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ma il "movimento delle note" non è, per Guido, l'oggetto di studio della disciplina matematico-musicale trasmessa dall'Antichità, bensì è la musica stessa. Cantus e musica sono equivalenti, e indicano una realtà concreta, un prodotto dell'attività umana. Ecco quindi che il vero musicus è colui che detiene l'ars musica, o ars cantus, cioè le re­ gole del canto . Non sempre nel Medioevo i due concetti di musica e cantus sono considerati identici, ma in Guido certamente lo sono. Ri­ spetto al musicus, allora, chi è il cantar? C'è una famosissima defini­ zione che l'Aretino pone in apertura alle sue Regulae rhythmicae: Musicorum et cantorum magna est distantia: isti dicunt illi sciunt, quae componit musica. N am qui facit quod non sapit diffinitur bestia.

Quello che può sembrare, e che è in genere interpretato, come segno di una netta distanza fra teoria e prassi, cioè fra i musici, che sanno i principi della musica, e i cantores, che cantano nella totale ignoranza della scienza musicale, è invece da intendersi secondo una diversa lo­ gica. Il cantore è bestia se la sua arte non si fonda sulle regole musi­ cali (quelle guidoniane, ovviamente ) , ma sull'inutile, estenuante e fal­ lace memorizzazione orale. Il vero cantore non è quest'uomo ignorante contro il quale Guido lancia i suoi strali - un'altra celebre accusa, per cui «nessuno al mon­ do d'oggi è così stupido come lo sono i cantori», apre anche il Prolo­ go all'Antz/onario -, ma è colui che apprende le regole della musica e si attiene a esse per praticare il canto . I cantori intonano (dicunt) e i musici conoscono (sciunt) «ciò che la musica lega insieme»; se dun­ que l'arte canora si riduce a un " dire " senza "sapere " , allora la stessa musica è privata di una sua componente essenziale. I cantori che non sanno cosa stanno facendo mentre cantano non fanno musica. Ma perché sarebbero animali? Il verso successivo ne dà una spiegazione un po' criptica, che è stata travisata in più traduzioni, anche per un problema di trasmissione testuale, come sottolinea Rusconi (2oo7 a) . Il testo corretto è: Ceterum tonantis vocis si laudent acumina Superabit philomela vel vocalis asina, Quare eis esse suum tollit dialectica.

Ovvero: se di una voce potente si lodano soltanto i vocalizzi acuti, allora un usignolo o perfino un'asina ragliante vinceranno, con la loro agilità, anche ciò che resta della voce umana, cioè la parola; per cui a

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torto l'arte del linguaggio priva di sé, ovvero di favella, quegli stessi animali. Altrimenti detto: il canto melodioso di chi è ignorante delle regole musicali equivale al canto istintuale di un animale, dal quale si differenzia solo per l'impiego del linguaggio. E il verso seguente con­ tinua con la stessa polemica ispirazione, biasimando coloro che canta­ no soltanto sotto la guida di un maestro, senza essere capaci di tirar fuori una sola nota per conoscenza propria. In particolare, ribadisce Guido anche nel Prologo all'Antt/onario, sono da biasimare soprattut­ to i monaci e i chierici che spendono la loro vita a praticare quella che loro ritengono essere la scienza del canto e che è invece solo «uno stupidissimo impegno» (Guido d 'Arezzo , 2005 , p. 8 8 ) . Il canto­ re, quello vero, è dunque colui che ha appreso il metodo usando il monocordo e la notazione alfabetica. Queste competenze bastano a fare del cantore un musicus? Guido non offre una risposta esplicita, ma mentre nell'esporre il suo metodo di notazione si rivolge sempre ai cantori, o a chi intende imparare il canto, egli si rivolge al musicus quando, nel Micrologus, spiega come comporre «una regolata melo­ dia» (ivi, xv, p. 3 5 ) . Al musico egli attribuisce la necessità di cono­ scere le proporzioni su cui si fonda la musica, che devono servire per mettere in relazione i suoni l'uno con l' altro «O nel numero o nel rapporto delle loro durate». A differenza del cantore, al quale è suffi­ ciente la preparazione nell'interpretazione della scrittura musicale, il musico deve possedere un bagaglio di conoscenze più ampio, che lo metta in condizione di operare scelte appropriate, nel segno non tan­ to di una corrispondenza con modelli cosmici di matematica perfezio­ ne, quanto - afferma Guido con una sensibilità veramente moderna ­ di quella «razionale libertà» che è specifica dell'arte della musica. Nel capitolo precedente del Micrologus (ivi, XIV, p. 3 3 ) , Guido si era soffermato sul tema della «dolce potenza» della musica, e aveva sottolineato che la diversità degli otto modi liturgici trova riscontro nelle diversità del carattere umano, il quale trae piacere nel modo più svariato dalle «finestre corporee» dei cinque sensi 4. Tuttavia, conclude appoggiandosi alla Musica enchiriadis (cfr. PAR. 3 ·4·3 ) , l'arte musicale si manifesta nella sua pienezza razionale solo all'onnipoten­ za divina, mentre l'uomo può percepirla parzialmente, in aenigmate. 4· TI tema dei sensi come finestre del corpo risale all'esegesi patristica. Nei Mora­ lia in ]ob di Gregorio Magno, che cita Girolamo, è però declinato in senso opposto: «per i sensi del corpo, simili a finestre, l'anima percepisce le cose esteriori e, perce­ pendo, pecca» (ccsL 143A, 2 1 , 2 , 7 ) . Guido, invece, attribuisce ai sensi corporei il valore di stimoli positivi alla conoscenza della varietà delle cose.

r 66



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Perciò, l'arte di comporre consente al musi co di attingere, per quan­ to può la natura umana, a quella " ragione profonda " della musica che c'è, ma che esula dalle sue conoscenze. È questo implicito crite­ rio di concordanza, inspiegabile all'uomo, che provoca il piacere, il diletto dell'arte aperto dalla finestra dell'udito. Conviene riportare uno stralcio del capitolo, che si apre riprendendo il parallelismo fra elementi della musica e della grammatica, gettato nella stessa Musica

enchiriadis: Come nei componimenti poetici vi sono le lettere e le sillabe, le parti, i piedi e i versi, così nella musica vi sono i suoni; uno, due o tre suoni formano le syllabae; queste da sole o con un 'altra syllaba, costituiscono un neuma o pars di una melodia; una o più partes danno luogo a una distinctio, cioè ad un opportuno punto di respirazione [ . . . ] . Il tenor cioè l'allungamento dell'ultimo suono [. . ] è come un segno di demarcazione fra queste sezioni. Bisogna che la cantilena venga scandita quasi in piedi metrici e che i suoni abbiano uno rispetto all'altro una durata doppia o dimezzata oppure tremula, cioè un te­ nor vario [ . . . ] . Soprattutto si realizzi una distribuzione dei neumi tale che [ ] siano in relazione l'un con l'altro o nel numero dei suoni, o nel rapporto delle loro durate rispondendosi ora in proporzione semplice, ora doppia, o tripla oppure secondo un rapporto sesquialtero o sesquiterzo. Pertanto il musico stabilisca con quali di questi rapporti comporre la melodia, così come il poeta decide con quali piedi comporre il verso; con la differenza che non è vincolato alla norma in modo così rigoroso, poiché sempre quest'arte ammette in sé una razionale libertà nella disposizione dei suoni. Anche se spesso non ne cogliamo il criterio, tuttavia è da considerare razionale ciò di cui la mente, sede della ragione, si diletta (ivi, xv, p. 3 5 ) . .

. . .

Questo passo è stato molto discusso in ambito musicologico per l'ine­ dita attenzione al problema delle durate . Guido non fa riferimento alle durate dei singoli suoni - problema ancora inesistente nell'ambito della teoria musicale e che si svilupperà solo con l'evoluzione dell'arte polifonica -, ma alla scansione isocrona della frase melodica (distinc­ tio) , in cui l'unico valore che cambia è quello della nota finale prece­ dente il respiro (tenor) , secondo un procedimento già tracciato negli Scholica enchiriadis. Tutto il capitolo xv del Micrologus va letto non come l'esposizione di un'estetica dell'esecuzione musicale, che sareb­ be invero anacronistica, ma come una guida alle regole del buon comporre, dalle quali la buona esecuzione sgorga spontanea. L' orga­ nizzazione proporzionale dei suoni «O nel numero» (cioè nel numero dei suoni che compongono i vari incisi melodici) «o nel rapporto del­ le loro durate» (cioè nel tipo di velocità temporale impresso dal pro­ lungamento della nota finale di ogni inciso) è quell 'idea di massima

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di un comporre equilibrato e coerente, il cui modello di riferimento è «il dolcissimo Sant'Ambrogio» (ibid. ) . Riecheggia l'ideale agostiniano della perfezione dell'innodia ambrosiana, esempio di equilibrata e gradevole composizione ritmico-melodica, tale «da creare una simili­ tudo dissimilis» che giustifica il procedere del musico descritto da Guido come quello di un poeta che lavora con i versi, non di un philosophus che riflette sulle consonanze cosmiche. Quello delle proporzioni matematiche delle consonanze è, per Guido, un problema che aveva affrontato il magnus philosophus Pita­ gora quando ancora «gli strumenti erano grossolani ed esisteva un gran numero di cantori, ma ignoranti: nessun uomo era in grado di descrivere le differenze fra i suoni e le caratteristiche di una melodia» (ivi, xx, p. 6 r ) . L'esperimento dei martelli, che Guido afferma di non sapere «secondo quale unità di misura» sia stato realizzato, «risiede ora nelle quattro note A D E a» ( cioè le distanze intervallari la, re, mi, la sono espresse dai numeri pitagorici r 2 , 9 , 8 e 6), e tale coe­ renza si verifica con il monocordo. I grandi filosofi, Boezio e Pitago­ ra, furono tali rispetto all'arte della musica perché gettarono le regole di intonazione del monocordo, ma è solo per volontà divina che, a partire da queste regole, l'arte della musica si è in seguito sviluppata (ibid.) . Autonomia, dignità e razionalità dell'arte della musica, che è riconosciuta come arte in evoluzione, in progresso, sono frutto non della natura matematica della disciplina musicale, ma della competen­ za di coloro che conoscono la "materia sonora " e le regole di condu­ zione della voce, in qualità di musici e di cantores ben preparati. Lo ribadiamo attraverso le parole chiare ed efficaci di Nino Pirrotta : L a poetica d i Guido, come l a sua estetica, è quella del canto liturgico; le melodie delle quali egli parlava sia come modelli che come imitazioni nuova­ mente composte erano destinate al servizio liturgico; [ . ] pare a me tuttavia che la musica liturgica non era tanto intesa ad esprimere la contrizione del peccatore o la sofferenza del martire quanto ad esaltare il potere conferito alla Chiesa di accordare salvazione al primo e gloria celeste al secondo. Fon­ damentalmente la musica liturgica celebra la celebrazione ed ha di rado biso­ gno di quel genere di emozionalità che divenne la preoccupazione artistica di tempi più recenti [ ] ; l'equivoca assimilazione di e//ectus ed a//ectus è anco­ ra lontana nel futuro. Più tangibile che una preoccupazione di intensità emo­ tiva è il profondo sentimento di Guido per l'efficacia dell'esecuzione. I suoi consigli sono ora principalmente indirizzati ai cantori, per beneficio dei quali procedimenti da lungo tempo onorati come il crescendo, il diminuendo e il rallentando sono descritti con chiarezza e senza nessun tentativo di raziona­ lizzazione (Pirrotta, 1 984 , p. r6) . . .

. . .

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Nonostante l'ampia diffusione della sua opera , la poetica delle "giuste proporzioni " e del proporzionato equilibrio elaborata da Guido fu pressoché isolata: pochi teorici furono così pragmaticamente motivati come Guido a uscir fuori dalle loro torri d'avorio e a far intravedere il loro senso di bellezza pur attra­ verso l'equipaggiamento intellettualistico della teoria musicale. Guido non soltanto lo fece, ma giunse quasi ad aggiungere una nuova espressione, irra­ tionalis ratio, agli oxymora medievali del genere di concordia discors e del suo similitudo dissimilis (ivi, pp. 1 8 -9) .

4·3

Ildegarda di Bingen Nell'alto Medioevo la distanza fra musicus e cantar fu un topos a più riprese messo in risalto per polarizzare lo iato fra l'attività musicale pratica, dunque inferiore, inconscia e meccanica, e quella teoretico­ speculativa, superiore e intellettuale. Benché interpretato in base a sensibilità anche molto differenti, come è stato messo in evidenza a proposito di Guido d'Arezzo, resta radicato nella mentalità del tempo il binomio facere e intelligere, destinato a permanere anche nei secoli successivi. Ciononostante, vi sono esempi che indirizzano questo stes­ so rapporto in senso del tutto diverso. È il caso di Ildegarda di Bin­ gen ( r o98- r r 79 ) , la quale insegnava che l'attività del canto era un 'esi­ genza imprescindibile dell'esistenza umana, e lo faceva utilizzando un punto di vista insolito per la nostra sensibilità, ma di grande autore­ volezza nella mentalità medievale, quello dell'autorità profeti ca. Ne parliamo in questo paragrafo per sottolineare come l'attività di canto e del comporre potesse fondarsi, in età medievale, su una esplicita giustificazione teorica relativa al fine e al senso del "fare musica " che , di fatto, non derivò né dalla trattatistica sull'ars cantus, né dalle ri­ flessioni filosofiche sulla musica disciplina. Badessa del monastero di Rupertsberg, in Renania, scienziata e vi­ sionaria, Ildegarda fu un'intellettuale di notevole profondità speculati­ va, anche se la sua cultura non aveva seguito i percorsi della forma­ zione scolastica, riservata agli uomini. Come altre erudite donne me­ dievali, ad esempio Duoda, Rosvita , Eloisa, e la sua coetanea Herrade (PAR. 4 - 4 . r ) , ella si dichiara incolta e fragile, condizione che non cor­ risponde certo a povertà culturale, quanto alla necessità di giustificare il suo impegno teoretico quale gratuito dono divino, non potendo scaturire dal precluso insegnamento delle scuole. In tal modo , la ba-

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dessa poté giustificare e far accettare alla comunità monastica di cui era responsabile, nonché all'autorità ecclesiastica, i frutti della sua speculazione. Ildegarda proveniva da una famiglia aristocratica, e fu iniziata da bambina alla vita claustrale. Come afferma la sua Vita, ella ricevette un 'educazione rudimentale da un 'aristocratica eremita, Jutta di Spanheim, anch'essa «una donna non colta» (ovviamente ! ) , ma fu capace «grazie a visioni divine di capire gli scritti dei Vangeli e dei Padri e le opere di alcuni filosofi». Le visioni di Ildegarda, alle quali talvolta si accompagnavano anche sublimi audizioni dei cori angelici, scaturivano da una condizione di profonda sofferenza e prostrazione fisica, accesa da atroci emicranie. La monaca seppe volgere questo suo sofferto privilegio , col quale conviveva fin dall'infanzia, in un or­ ganizzato progetto e prodotto culturale, affidandosi alla mediazione del suo confessore, il monaco Volmaro, per ricevere l'autorizzazione alla scrittura, che espresse nella modalità poetica e allegorica tipica del misticismo monastico, ma vicina anche agli schemi espressivi di eminenti esponenti della cultura scolastica, come il maestro di Char­ tres Bernardo Silvestre. L'approvazione papale alla divulgazione dei suoi scritti le fece acquisire l' autorevole status di profetessa. I suoi "visionari " insegnamenti, racchiusi nei suoi libri profetici e nel vasto patrimonio di canti che ha lasciato, poterono proporsi quali concrete dimostrazioni dell'ordine divino incarnato nel modello esemplare del­ la vita monastica , proprio nel drammatico momento storico in cui l'Europa, all'indomani del concordato di Worms, sperimentava l'im­ possibilità di veder realizzato nella società un qualsiasi tipo di ordine universale. Le composizioni musicali di Ildegarda comprendono il dramma Ordo virtutum, una rappresentazione poetico-musicale della lotta fra le virtù e il demonio, e un'ottantina di liriche trasmesse nella raccolta Symphoniae harmoniae caelestium revelationum, di cui sono rimasti sia i testi che la musica, presenti in due codici provenienti dal monastero ildegardiano e in altre versioni frammentarie. La musicologia odierna ha da poco avviato uno studio più sistematico sulla costituzione e sul­ la finalità di questo repertorio monodico . Le melodie della badessa sono considerate eccentriche e originali, parimenti alla sua poetica. Difficile è valutarne la struttura compositiva, poiché vi si trovano al­ ternate formule modali di derivazione gregoriana a passaggi melodici e melismi nei quali sembra prevalere l'insistenza su intervalli di quin­ ta, ottava, terza maggiore, tanto che alcuni musicologi hanno parlato di una certa "melodiosità triadica " dei suoi canti (Hughes, 1 9 8 9 , p. 3 1 6). Altra caratteristica particolare delle liriche ildegardiane è la tes­ situra, che in certi casi copre un'estensione di più di due ottave , con



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soluzioni vocali di indubbio virtuosismo. Queste peculiarità, congiun­ te alla ricchezza esuberante della sua poesia, rendono problematico attribuire alle liriche della badessa una specifica funzione per l'Ufficio delle Ore o per la Messa, anche se numerose composizioni presenta­ no, nei due codici musicali, le rubriche che ne indicano la finalità liturgica. Del resto, è innegabile che vi sia ancora una sostanziale dif­ ficoltà nel ricostruire le modalità di organizzazione delle pratiche li­ turgiche e paraliturgiche all'interno dei monasteri femminili medieva­ li , ed è altrettanto complesso definire quale potesse essere la reale competenza e preparazione delle monache nel canto . Ildegarda affer­ ma in un frammento autobiografico: «produssi anche parole e musi­ che di inni in lode di Dio e dei santi senza che nessuno me lo avesse insegnato, e li cantai, pur non avendo mai imparato a leggere la musi­ ca né a cantare» (Dronke, 1 9 84, p. 2 3 2 ) . Ella attribuisce alla volontà e alla potenza divina la capacità di comporre parole e musica dei suoi canti, oltre che l'abilità di cantarli; in altre parole, ritiene di essere artz/ex e cantar. Prestando fede a Guido d'Arezzo, che lamentava il lunghissimo e infruttuoso iter didattico dei cantori, dobbiamo ricono­ scere che Ildegarda o poté fruire in qualche modo di quel lungo ap­ prendistato, cosa assai improbabile, o doveva essere dotata di un 'in ­ nata dote musicale. Ma ancora più interessante è che per lei l a tra­ smissione delle sue musiche era avvertita come un 'esigenza. Pur non sapendo chi fu a mettere in notazione le composizioni, è evidente che la badessa concepiva l'insieme della sua produzione lirica come un " repertorio " da tramandare nell'integrità di testi e musiche. È questo il tratto teorico davvero distintivo della poetica musicale ildegardiana, e infatti i due codici musicali pervenutici furono l'uno (Dendermon­ de, Klosterbibliothek, 9) elaborato sotto la supervisione della badessa, l'altro (Wiesbaden , Landesbibliothek, 2) composto subito dopo la sua morte . Nel suo primo libro profetico, il Liber Scivias, Ildegarda introduce i testi delle sue liriche riconducendone l'origine alla sua "visione " della musica celeste: E poi vidi un'aria luminosissima, nella quale ascoltai, in tutti i significati che abbiamo detto e in modo meraviglioso , generi diversi di musiche nelle lodi gaudiose dei cittadini celesti, che perseverano tenacemente nella via della ve­ rità [ . ]. E quel suono, come voce di una moltitudine che sinfonizza nelle lodi in armonia dalle altezze celesti, diceva così: SI:\'FONIA DI SA:\'TA MARIA. O splendidissima gemma e dolce bellezza del sole, che ti è stato infuso come fonte zampillante dal cuore del Padre e che è il suo unico Verbo per il quale creò la materia prima del mondo che Eva confuse; questo verbo Dio Padre . .

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generò da te come uomo, e perciò tu sei quella luminosa materia attraverso la quale il Verbo diffuse tutte le virtù, così come trasse tutte le creature dalla materia prima (cccM 43A, pp. 6 14-5 [ni, 1 3 ] ) .

I «generi diversi di musiche» che Ildegarda raccoglie nella sua celeste audizione sono le stesse liriche che nei codici musicali sono provviste anche di notazione, mentre nel Liber Scivias appaiono solo come te­ sto : il passo qui riportato propone l'incipit della prima composizione (symphonia) dedicata alla Vergine, alla quale seguono altri canti in lode della Madonna e dei santi . L'idea che questi componimenti sia­ no il prodotto della " registrazione " dei cori angelici è rinforzata dal­ l' annotazione autobiografica sopra citata, nella quale il processo com­ positivo è presentato dalla badessa come frutto della divina volontà, senza ausilio dell'insegnamento. Ildegarda esprime nella sua voce ed espone nei suoi scritti i contenuti delle visioni secondo il comando ricevuto: clama ergo et scribe sic. L'irrompere della luce vivente nella mente di Ildegarda, inizialmente esperienza intima e segreta, diviene un comando che la forza a esprimere l'indicibile, a "incarnare " nella parola umana la pienezza di senso e l'energia prorompente dell'illu­ minazione interiore. In tal modo , la voce di Ildegarda è pro/erens, cioè riferisce la parola ricevuta rispettandone l'inflessione: come chi ascolta le parole del suo maestro le ripete secondo la modalità del linguaggio di lui, in base alla di lui volontà, esempio e dimostrazione, così tu, uomo, riferisci ciò che vedi e ascolti, e scrivilo non secondo te stesso o se­ condo altri, ma secondo la volontà di colui che conosce, vede e dispone tut­ to nei suoi profondi misteri (ivi, 43 , p. 3 [I, protestificatio] ) .

L e audizioni, ricevute d a Ildegarda sotto divina ispirazione, non in­ carnano, dunque, solo la profondità del volere divino, ma ne tratteg­ giano anche la vis soni, la modalità con la quale sono ascoltate e rece­ pite. Così, le liriche della badessa acquisiscono i tratti salienti sia del­ la perfezione armonica (o dell'idea che Ildegarda ne poteva avere) , sia dell' autorevolezza dogmatica; in tal senso, dunque, erano realmente «generi diversi di musiche», non solo per le loro peculiarità poetiche e melodiche, ma in forza dell'ispirazione divina che le aveva originate e che li rendeva " prodotti " originali, fuori dell'ordinario . Nelle liriche di Ildegarda è tema di grande rilievo l'esaltazione della figura di Maria, vertice e compimento dell 'opera divina della creazione. Maria esalta l'immaginario ildegardiano, e una delle più suggestive Symphoniae della badessa, Ave generosa, tratteggia il ventre della Sposa di Cristo come il sacro tabernacolo gravido dell'armonia



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celeste. L'incarnazione del Verbo nel grembo di Maria è il canto di lode della Vergine, è il suo giubilo, che nel verso finale della lirica è messo in parallelo al canto delle lodi radicato nella Chiesa, ispirato dallo Spirito Santo secondo l'armonia celeste: Il tuo ventre conobbe la gioia quando vi risuonò tutta la sinfonia celeste perché, Vergine, portasti il figlio di Dio dove la tua castità si illuminò in Dio. [. . .] Ora la chiesa tutta risplenda nel gaudio e risuoni nella sinfonia per la Vergine dolcissima e degna di lode, Maria, Madre di Dio. Amen (Ildegarda di Bingen, 1 998, n. 1 7 , p.

122) .

Il tema per cui la Chiesa si fa portavoce, col canto, del canto degli angeli è, come abbiamo visto (PAR. 3 ·4 · I ) , un tema ricorrente nella trattatistica musicale dall'età carolingia in avanti, che volge il tema dell'armonia cosmica e della boeziana musica mondana a giustifica­ zione dell 'origine divina del repertorio gregoriano. Nei testi poetici di Ildegarda questa stessa tradizione è approfondita secondo una diversa sensibilità, che non tocca tanto la specificità del gregoriano, quanto la natura sinfonica dell 'uomo. In tale inquadramento, il can­ to della Chiesa, riflesso del canto di Maria, è emblematizzato nel vissuto della comunità monastica, dove le monache, spose di Cristo, realizzano la maternità spirituale virginale. Dice Ildegarda nell 'otta­ va visione del terzo libro dello Scivias: «lo Spirito Santo canta (sym­ phonizat) nel tabernacolo della verginità, perché la verginità rumina sempre il verbo di Dio». Ruminare il verbo di Dio apre le profon­ dità della sapienza per la donna consacrata ; e, come leggiamo anco­ ra nello Scivias, quando per volontà divina la sapienza umana è gra­ ziata dalla dote poetica, la lode di Dio diviene canto senza fine, che rispecchia il fiume ininterrotto di lode delle «menti risonanti» dei beati (cccM 43A, pp. 5 8 2 - 3 [rn , I I , I 2 ] ) . Il canto di lode è dunque verbum ispirato da Dio e che a lui ritorna secondo i modi e le pos ­ sibilità dell'uomo: è il gaudio del ventre di Maria, rispecchiato dal canto delle vergini consacrate, è il canto della Chiesa, è la profondi­ tà del sapere ricolmo della grazia poetica, è, infine, lo stesso dono divino dello spirito profetico che obbliga alla lode di Dio. Comun­ que sia, il canto di lode è sempre ispirato da Dio ed è una profon­ da e inalienabile necessità spirituale. I73

FILOSOFIA DELLA MUSICA

I prelati di Magonza, da cui dipendeva il monastero di Ildegar­ da, ebbero modo di capire quanto fosse centrale il canto nella vita spirituale della comunità della badessa quando la obbligarono a so­ spendere la musica liturgica nel monastero come punizione per un suo altero atto di ribellione, essendosi rifiutata di disseppellire dal cimitero abbaziale un nobiluomo, morto in odore di eresia. La rea­ zione dell'ormai anziana monaca fu una veemente lettera, una sorta di manifesto della sua " poetica musicale " , nella quale , con la forza dell'autorevolezza profeti ca nient'affatto piegata dalla senilità (la let­ tera risale all'anno antecedente la morte) , è ribadita la centralità e necessità del canto sacro. Per Ildegarda, tutte le creature lodano il loro creatore in base alle proprie capacità. Mentre il diavolo non canta (e infatti nell' Orda virtutum le sue parole sono prive di musi­ ca ), Adamo , prima della caduta, ha voce angelica, cioè incarna il massimo della capacità umana di esprimere in musica la lode di Dio . Nell'uomo e nell'angelo la voce fisica è componente della spi­ ritualità, cioè dell'anima. L'anima è "sinfonica " per Ildegarda, dun ­ que symphonizat attraverso la voce. Nonostante la colpa del peccato originale, nel cuore dell'uomo continua ad albergare la grazia della predisposizione alla musica, "goccia " dell'armonia celeste che lo sta­ to adamitico contemplava e riproduceva nella pienezza delle sue ca­ pacità canore. Compito del profeta - e dunque di Ildegarda - che per ispirazione divina compone canti di lode a Dio, è suscitare la sinfonicità naturale dell'uomo, per ricongiungerlo allo stato di per­ fetta armonia . È proprio imitando i santi profeti che alcuni uomini sapienti, prosegue la badessa, inventarono diversi generi di melodie per assecondare col canto il piacere dell'anima, e, imitando il dito di Dio che plasmò Adamo, segnavano lo scorrere del canto col mo­ vimento delle loro dita. Riprendendo i temi tipici dell'esegesi p atri­ stica sulla simbologia del canto dei salmi e del salterio, Ildegarda orienta la sua difesa della musica sacra sulla base di una coerente concezione della natura sinfonica dell'essere umano , alla quale ri­ conduce l'invenzione e l'insegnamento della musica. Se i carmi di Ildegarda sono forse lontani nello stile lirico e musicale da quella che fu la musica liturgica del suo tempo - ma in certo modo sem­ brano inquadrarsi nel vasto fenomeno dei nova cantica del XII seco­ lo (PAR. 4. 5 . r ) -, la badessa non esita a ricondurre la ragione del proprio comporre alla logica dell 'ordine divino riflesso nella Chiesa militante e nella sacralità monastica, che sono istituite da Dio per la salvezza dell'uomo, anche attraverso il canto. Chi fa tacere la musi­ ca subirà condanna eterna: 1 74



I SECOL I XI E XII . ARS M USICA E A RS CA1'.rTUS

Prima del peccato [ . . ] la voce con cui Adamo cantava le lodi era come quella degli angeli, che la possiedono per la loro natura spirituale [ . . . ] . Tuttavia Dio, che nella luce della verità destina le anime degli eletti alla beatitudine, aveva già deciso di rinnovare nel corso del tempo molti cuori, quanti più poteva, inviando lo spirito della profezia [ . . . ] . E i santi profeti, ispirati dall'insegnamento dello spirito, composero non soltanto salmi e cantici , da cantare per accendere la devozione nei fedeli, ma inventarono anche diversi strumenti musicali [. .. ] . In seguito, uomini sapienti e di buo­ na volontà, imitando i santi profeti, con arte umana inventarono diversi ge­ neri di melodie per poter cantare assecondando il piacere dell'anima; e cantavano seguendo le note che indicavano coi movimenti delle dita, come per ricordare che Adamo, nella cui voce prima del peccato c'era ogni suo­ no armonioso e tutta l'arte della musica, fu formato dal dito di Dio [. .. ] . Riflettete dunque sul fatto che come il corpo di Gesù Cristo dall'integrità della Vergine Maria è nato attraverso lo Spirito Santo , così anche il canto delle lodi secondo l'armonia celeste attraverso lo Spirito Santo è radicato nella Chiesa. Il corpo infatti è l'indumento dell'anima, che ha una voce viva, e dunque è giusto che il corpo con l'anima attraverso la voce canti le lodi di Dio. Per cui anche lo spirito profetico attraverso i simboli comanda che [ . . . ] Dio sia lodato; [. .. ] tutte le arti utili e necessarie agli uomini sono state ritrovate grazie al soffio che Dio ha emesso nel corpo umano e d un­ que è giusto che in tutte le cose Dio sia lodato. E poiché talvolta nell'a­ scoltare il canto l'uomo spesso sospira e geme, poiché si ricorda della na­ tura dell'armonia celeste, il profeta, considerando sottilmente la natura profonda dello spirito e comprendendo che l'anima è sinfonica, ci esorta nel salmo a proclamare Dio sulla cetra e a lodarlo sul salterio a dieci cor­ de. Coloro che impongono il silenzio nei canti ecclesiastici di lode a Dio senza un fondato ragionamento, saranno privati della comunione delle lodi angeliche nei cieli (cccM 9 1 , pp. 63-5 [Epistola 2 3 ] ) . .

4·4

Le scuole e la cultura delle arti liberali 4-4- I . L ' ENCICLOPEDIA DELLE ARTI NELLE SCUOLE MONASTICHE: UGO DI SAN VITTORE ED HERRADE DI LANDSBERG

L'aprirsi del XII secolo è segnato dal fiorire di numerose scuole mo­ nastiche e cattedrali, spesso in aperta competizione. Il dinamismo de­ gli studi e le diverse correnti di pensiero sviluppatesi nel corso del secolo tratteggiano un profilo nuovo delle scuole, che si presentano come centri fervidi di attività culturale e come luoghi nei quali lo stu­ dioso poteva soggiornare per un periodo di formazione. I centri più avanzati persero le caratteristiche più tipiche delle scuole monastiche altomedievali, nelle quali l' appartenenza all'ordine implicava uno spe1 75

FILOSOFIA DELLA MUSICA

cifico iter educativo finalizzato alla vita consacrata. In questo diverso orientamento culturale, le arti liberali si svincolarono dal loro inqua­ dramento nell'organizzato ideale paideutico classico delle "sette so­ relle " , o per meglio dire in quello biblico delle "sette colonne " della saggezza, sia perché ciascuna arte aveva ormai imboccato un suo spe­ cifico iter specialistico e formativo - lo abbiamo visto con la musica, ma lo stesso vale per la grammatica, la dialettica, l'astronomia, la geo­ metria - sia perché molti altri interessi scientifici si erano nel frattem­ po affiancati a quelli "liberali " , primo fra tutti la medicina, che di­ venne materia specialistica di grande tradizione. È ben nota l'auto­ critica di Pietro Abelardo, eminente logico e uno dei maestri più eru­ diti della prima metà del XII secolo, il quale riconosceva nella sua Dialectica che, pur avendo studiato le discipline quadriviali, non ci aveva capito granché. La cultura, insomma, si stava orientando verso la specializzazione dei saperi. Le discipline liberali non si presentano più come un blocco com­ patto di scienze ancillari alla filosofia, ma si pongono come alternativa di studio e di preparazione ai diversi indirizzi professionali, necessità dei chierici così come degli uomini di governo e dei maestri: diritto , medicina, filosofia naturale, dialettica, grammatica sono approfonditi secondo il variegato dispiegarsi degli interessi, eruditi e pratici, dei discenti. Così, anche una scuola prestigiosa organizzata intorno allo studio del trivio, come quella vittorina di Parigi sotto Guglielmo di Champeaux , col successore di questi, Ugo di San Vittore ( I o96I I 4 1 ) , poté articolarsi in una scuola per novizi e in una istituzione pensata per i chierici esterni, indirizzando in conseguenza gli studi anche verso le arti del quadrivio e le scienze in generale, concepite nella loro totalità come un complesso di discipline formative sul mon­ do naturale. Il mondo dell'erudizione scolastica, sempre più incuriosi­ to anche dall'evoluzione delle tecniche e delle risorse strumentali ela­ borate dall'uomo a fini pratici (il monocordo, come abbiamo sottoli­ neato per la musica, ma anche l'abaco, l'astrolabio, gli utensili e gli attrezzi dell'idraulica, della meccanica, della tessitura, della guerra) , spezza il senso della contiguità delle arti e della loro finalità salvifica (la reductio ad theologiam) : le enciclopedie raccolgono un mondo che include i saperi e le cose non più (o non solo) in forza del loro valore simbolico, ma per il loro interesse operativo. In conseguenza di ciò , è il fine del miglioramento, la "bontà " dei mezzi a disposizione dell'uo­ mo che consente il vasto recupero di tutte le arti, le classiche liberali e le nuove meccaniche, sotto la grande ala della sapientia. Ciò non significò che il simbolismo teologico ne fosse escluso, ma implicò che gli schemi dell'enciclopedia del sapere, intesa ancora secondo la tra-



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dizione agostiniana come itinerario che conduce alla sapientia, mani­ festassero la finalità ideale di restaurare l'uomo , nella sua unità di ani­ ma e corpo, riconducendolo alla perfezione originaria prima del pec­ cato : anche se con diversa coscienza, è palpabile quel desiderio di ri­ costituzione del "nuovo Adamo " che abbiamo già osservato in Ilde­ garda, e che troviamo in molti maestri del XII secolo, primo fra tutti U go di San Vittore. Il maestro vittorino, sopra ricordato per l'impulso scientifico verso il quale orientò la scuola parigina da lui diretta, è l' autore di una del­ le maggiori enciclopedie del tempo, il Didascalicon. Quest'opera è strutturata con grande rigore a partire da una nozione ampia di philo­ sophia, definita come la disciplina che cerca di stabilire in maniera adeguata le ragioni di tutte le cose umane e divine. La filosofia genera la pluralità delle conoscenze attraverso una bipartizione della sapien­ tia (la somma dei saperi accessibili all'uomo) in intelligentia e scientia. L'intelligenza è teorica (speculativa) e pratica (morale) , mentre la scienza è mechanica (tecnica) e logica (discorsiva) . Questo duplice contesto di realizzazione della sapienza umana è ricondotto da U go ad una sorta di doppia sorgente: l'intelligenza dell'uomo è immagine della sapienza divina, mentre la scienza imita la natura. Tal e conside­ razione è molto interessante per l'inquadramento delle tecniche (lani­ ficio, armatura, agricoltura, teatro e molte altre) che, pur definite ser­ vili e adultere, sono tuttavia ritenute indispensabili alla formazione globale dell'uomo. Come è evidente, in Ugo permane l'orientamento platonizzante per cui ciò che imita la natura è inferiore a ciò che imi­ ta l'idea, tuttavia, il fatto che entrambe le partizioni della sapienza siano necessarie alla formazione umana consente uno sviluppo nuovo del tema classico dell'uomo microcosmo. L'uomo è il centro di con­ vergenza fra l'ordine universale e quello naturale, fra lo spirituale e il materiale, e quanto di teorico o di pratico scaturisce dal suo impegno è parte integrante della vasta compagine della conoscenza; perciò, af­ ferma Ugo , «impara tutto, e poi ti renderai conto che nulla è super­ fluo» (Ugo di San Vittore, 1 9 87 , p. 1 9 3 [VI , 3 ] ) . Arriviamo quindi alla musica. Seguendo il principio di partizione aristotelica delle scienze già ripreso da Boezio (PAR. 2 .4. 1 ) , la philoso­ phia theorica è suddivisa da Ugo nei tre grandi settori della teologia, della matematica e della fisica; e nella matematica è infine compreso il quadrivio, dunque anche la musica, nell'ormai classico ordine boe­ ziano: aritmetica, musica, geometria e astronomia. La prospettiva pla­ tonizzante tende a matematizzare le scienze della natura: come è stato osservato in relazione a Boezio, oggetto delle quattro discipline mate1 77

FILOSOFIA DELLA MUSICA

matiche è ciò che viene colto con l'intelletto. Esse vertono sullo stu­ dio della quantità che, come in Boezio, è definita un'essenza (essen­ tia) o forma (/orma) , cioè una determinazione immutabile dell'essere concreto. Ne consegue che la prospettiva di inquadramento discipli­ nare della musica non tiene conto in modo specifico dell' ars cantus così faticosamente teorizzata nell'età carolingia e pragmaticamente as­ sunta a oggetto unico di interesse del musicus da Guido d 'Arezzo; ma, di nuovo, la disciplina della musica torna a essere la scienza ma­ tematica delineata nel De institutione musica. Ugo riconosce nell' ar­ monia la chiave di accesso alle molteplici ulteriori partizioni della musica, originatesi all'interno della triplice divisione in mondana, umana e strumentale. È sparita ogni considerazione sul canto, di nuo­ vo un settore della instrumentalis, l'interesse è concentrato sulla plu­ ralità dei modi in cui l' armonia naturale si realizza nel macrocosmo e anzitutto nel microcosmo umano, e l' attenzione è puntata in partico­ lare sul variegato mondo delle attività dell'uomo : La musica si presenta in tre forme: come musica dell'universo, come musica della vita umana e come musica strumentale. La musica dell'universo si rea­ lizza nel rapporto armonioso tra gli elementi, i pianeti e i tempi: tra gli ele­ menti, nel loro peso, nel loro numero e nella loro misura; tra i pianeti, nelle loro posizioni, nei loro movimenti e nella loro conformazione; tra i tempi, nei giorni per l'alternanza di luce e oscurità; nei mesi, per la variazione delle fasi lunari crescenti e decrescenti; negli anni, per il cambiamento delle sta­ gioni [ . . . ] . La musica nella vita umana appare nel corpo, nell'anima e nella connessione di entrambi: quanto al corpo si manifesta nello sviluppo della sua vita vegetativa [ . . ] . Infine si riscontra nelle molteplici attività che sono proprie in modo speciale degli esseri razionali, alle quali presiedono le arti tecniche. Le attività delle arti tecniche sono buone, se mantengono la giusta misura e non alimentano le passioni [ . ] . La musica dell'anima si realizza nell'accordo fra le varie virtù, ad esempio fra la giustizia, la religiosità e la temperanza, ovvero nel rapporto fra le varie potenze, ad esempio della ragio­ ne, dell'ira e della concupiscenza. La musica tra il corpo e l'anima è quell'a­ micizia spontanea, per la quale l'anima si unisce intimamente al suo corpo non con una connessione materiale, ma con legami d'amore, per conferirgli il movimento e la sensibilità: a ragione di questa amicizia si dice che nessuno ha in odio il proprio corpo (E/esini, 5 , 29) [ . . . ]. La musica strumentale è di diversi tipi, a seconda che risulta dagli strumenti a percussione, come il cem­ balo e l'arpa, oppure dagli strumenti a fiato o ad aria, come il flauto e l'orga­ no, oppure dalla sola voce umana, nelle poesie e nei canti. Vi sono tre specie di intenditori di questa musica: i compositori dei testi musicali, gli esecutori che si servono dei vari strumenti, infine i critici, che esprimono giudizi ri­ guardo all'esecuzione e ai componimenti (ivi, pp. 99- r o r [n, r 2 ] ) . .

..



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Armonia è quell'amore universale che muove il cosmo per volontà di­ vina, ma che muove anche l'uomo nelle sue molteplici attività connes­ se alla vita sociale. Sotto la grande ala dell'armonia che tutto regge, la considerazione pratica e operativa della musica è solo una piccola parte del complesso equilibrio dell'universo, affidata a quella stru­ mentazione naturale (la voce umana) e artificiale (gli strumenti musi­ cali) su cui opera l'esperienza del musi co nel comporre versi, nel suo­ nare e nel giudicare queste due attività: anche se la triplice direzione verso cui si indirizza chi si occupa di musica è ripresa da Boezio (PAR. 2 .4.2 ) , a differenza di questo Ugo riconduce alla competenza del musicus non solo l'attività che giudica il prodotto musicale, ma anche quella di chi compone poesie e di chi suona. Se il Didascalicon può dirsi il prodotto più maturo del sapere en­ ciclopedico monastico del XII secolo, e dunque ben adatto a illustrare nel suo insieme la posizione della musica nel quadro delle arti libera­ li, il riferimento a un'altra famosa enciclopedia aiuta a inquadrare meglio la situazione culturale proveniente dal mondo del monachesi­ mo femminile: è l'Hortus deliciarum di Herrade di Landsberg (m. 1 1 95 ) , colta badessa alsaziana coetanea di Ildegarda di Bingen. Ben­ ché il manoscritto dell'Hortus deliciarum sia andato perduto , se ne conservano riproduzioni che hanno permesso una virtuale ricostruzio­ ne dei testi e delle moltissime miniature che formano la vasta raccolta dell"' orto " . Le miniature sono coordinate ai contenuti testuali nel ri­ spetto di un coerente progetto didattico, e formano un organico ma­ teriale esemplificativo di quel "sapere visivo " così importante nella cultura medievale, soprattutto al di fuori della ristretta élite delle scuole. L' Hortus costituisce un esempio concreto dell'erudizione mo­ nastica ancora protagonista nel panorama del XII secolo, nella quale però la centralità di Cristo si accompagna, e in modo forse non così sorprendente, anche a riferimenti classici e a interessi naturalistici. La raffigurazione delle sette arti è riprodotta qui di seguito (FIG . 4.4) . Come si può vedere, Filosofia troneggia al centro del cerchio interno, e dalla sua corona fuoriescono le tre teste della sua triplice platonica partizione ripresa da lsidoro e dai carolingi: etica, logica e fisica , che ritroviamo anche fra i maestri di Chartres, in alternativa o abbina­ mento a quella aristotelico-boeziana (teologia, matematica e fisica) . La filosofia regge un cartiglio, dove è scritto: «ogni saggezza proviene da Dio . Solo quelli che anelano a lui possono essere sapienti» . Ma a de­ limitare il campo d'azione della filosofia all'ambito delle conoscenze del mondo naturale, una didascalia nella zona inferiore avverte: «la filosofia insegna a indagare la natura di ogni cosa», e per ribadire la 1 79

FILOSOFIA DELLA MUSICA FIGURA 4-4

Le arti liberali nell' Hortus

deliciarum

sua or1gme greca sono effigiati Platone e Socrate. Una didascalia in versi recita: «Dominando sull'arte sul quale fondamento esse [le arti] sono ciò che sono, io, Filosofia, le arti a me soggette le divido in sette parti». Le arti compongono un circolo esterno intorno a Filosofia. r 8o



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Soffermiamoci sulla musica. Come le altre sorelle è personificata da una fanciulla attrezzata con il suo specifico strumentario. Musica tie­ ne un 'arpa fra le mani, e accanto a lei giacciono altri strumenti musi­ cali, la ghironda (organistrum) e la lira. Il cartiglio recita: «lo sono la musica e insegno un'arte vasta e varia». Anche se proveniente dal chiostro, l'arte liberale della musica ha ormai acquisito i tratti salienti della lieta fanciulla immaginata da Adelardo di Bath , sulla quale ci soffermiamo qui di seguito, più che quelli, ormai smessi, dell' algida extramundana intelligentia di Marziano Capella.

4.4-2.

LE ARTI E LA CULTURA NATURALISTICA: ADELARDO DI BATH, LA SCUOLA DI CHARTRES E GIOVA:\'NI DI SALISBURY

Il Didascalico n, ancora in buona parte in tessuto di sapere patristico e di citazioni bibliche, comincia a delineare un'idea di ratio segnata da una rinnovata sensibilità verso gli autori e filosofi della cultura profa­ na, come Calcidio, Macrobio, Boezio e Platone, ai quali iniziano ad affiancarsi filosofi e scienziati arabi di recente traduzione. Questo ac­ cade in modo molto più articolato e consapevole nell'opera dell'in­ glese Adelardo di Bath, uno dei promotori della nuova attenzione verso la scienza naturale e importante traduttore dall'arabo. In parti­ colare, ebbe grande successo la sua traduzione degli Elementi di Eu­ clide, che fu fondamentale per la ripresa degli studi di geometria. Modello del nuovo erudito, laico, curioso e viaggiatore, Adelardo è autore delle Naturales quaestiones, un dialogo in cui dimostra una particolare curiosità per i fenomeni e le singolarità della vita naturale, e del De eodem et diverso ( I I I O circa) , un lavoro enciclopedico che rende omaggio fin nel titolo al Timeo platonico: il "medesimo " e il " diverso " sono infatti i due principi costitutivi dell'anima del mondo (PAR. r .2 .2 ) . Sotto l'ispirazione della Consolazione della Filosofia di Boezio e delle Nozze di Marziano, Adelardo tratteggia i due principi timaici nelle personificazioni di Philocosmia e Philosophia. Poiché l'a­ nima del mondo si dispiega come fonte di ordine e armonia dell'uni­ verso, i due principi rispondono a una diversa sensibilità dell'uomo verso il creato . Philocosmia è la gioia dei sensi che ingiustamente, af­ ferma Adelardo, è interpretata come voluttà, mentre l'espressione epi­ curea indica invece quel bene sommo senza il quale non è apprezza­ bile nulla. Philocosmia è curiositas e novitas insieme, ed è lei, ad esempio, che fa amare quelle musiche meravigliose che i greci chia­ mano symphoniae. Tuttavia, l'introduzione alla musica è affidata a I8I

FILOSOFIA DELLA MUSICA

Philosophia, lo studio razionale, che presenta la sua quinta fanciulla all'attenzione di Adelardo . Musica è la più gioiosa delle personifica­ zioni delle discipline liberali: il suo strumentario sono un cembalo e un libretto, che contiene le regole e la natura di tutti i suoni. Ricor­ dando Harmonia tratteggiata da Marziano Capella (PAR. 1 .7 . 2 ) , non possiamo non notare un significativo cambiamento: se per l'algida in­ telligenza celeste descritta da Marziano la razionalità della musica è incarnata dallo scudo cosmico dell'armonia universale, per la più pragmatica e gioiosa fanciulla adelardiana è invece un agile libretto di teoria della musica. La giovane Musica non è rapita dal suono meravi­ glioso della superiore armonia cosmica , ma è invece ben radicata sul­ la terra, ove primeggia nella conoscenza di tutte le consonanze musi­ cali, e lo dimostra non soltanto «producendo con la voce melodie ben controllate e conformi a natura», ma anche nell'agilità con cui suona gli strumenti musicali (Burnett, I 9 87b, p. 69) . La scienza dei suoni è dunque rinnovata. Adelardo non ricusa Boezio; anzi, il suo inquadramento della disciplina musicale è tratto dal primo libro del De institutione musica, ma è aggiornato secondo la sensibilità del suo tempo, in cui la disciplina è identificata nell'arte dei suoni e del canto . Il medesimo slittamento si trova ad esempio nel De divisione philosophiae di Domenico Gundissalvi ( I I I o circa­ I I 8 I ) , che riadatta anche la distinzione fra musica naturale (musica naturalis) e musica artificiale (musica artis) già sviluppata dai carolin­ gi, all'interno della musica strumentale. La musica è artificiale quando è realizzata con gli strumenti fabbricati dall'uomo, mentre è naturale se il suo strumento è la voce umana; quindi, la musica instrumentalis nella sua totalità è tanto artificiale quanto naturale, è infatti «scienza della modulazione armonica che si realizza dalla concordanza di più suoni o dalla composizione di più voci» (BGPM 4, p. 97 ) . Ma tornia­ mo ad Adelardo, che in un rapido aneddoto autobiografico riesce bene a illustrare questa nuova sensibilità verso il mondo dei suoni, ormai riconosciuto stabile " oggetto " dell'ars musica. Musica sta par­ lando del potere psicagogico dell'armonia: Tu stesso ti ricorderai di quando l'anno passato, affaticato nei tuoi studi mu­ sicali in Francia, una sera, alla presenza di un maestro di quest'arte e dei suoi alunni, essi ti chiesero, e così fece la regina stessa [che era presente] , di suonare la cetra; e un ragazzino, che a malapena parlava, fu così rapito dal suono dello strumento che pieno di allegria cominciò a muovere con lo stes­ so slancio le mani e le dita, facendo ridere tutti. Ma non tutti intesero allo stesso modo la forza della musica e la causa della reazione del bambino (Burnett, I 9 87b, p. 70) .

I 82



I SECOL I XI E XII . ARS M USICA E ARS CAl'•.rTUS

Lo scopo del De eodem et diverso è quello di educare , in modo pia­ cevole e nello stile scorrevole del racconto e dell' aneddoto, i giovani nobili della corte (siamo qui nell'area di Tours) , non il futuro mona­ co. Così, la musica che Adelardo afferma di aver a lungo studiato (purtroppo non sappiamo a quale maestro egli faccia riferimento, né quale sia la " regina , che assistette alla sua esibizione) è quella richie­ sta per il perfezionamento culturale dell'uomo istruito, e che richiama alla mente più Aristotele che Platone. I contenuti disciplinari di base sono i rudimenti della matematica delle consonanze, le idee più gene­ rali sul tema dell' éthos musicale (che Adelardo peraltro declina attra­ verso una serie di aneddoti riferiti all'Inghilterra e ad altri paesi in cui ha viaggiato) e le conoscenze tecniche necessarie per suonare uno strumento. Adelardo era uno scienziato, scrisse opere sulla geometria, l'astronomia, la falconeria e aveva davvero buone competenze musica­ li, come testimoniano anche alcune glosse al De institutione musica in un codice del XII secolo, le quali menzionano il suo insegnamento in questo settore (ivi, pp. 8 r - 3 ) . Ma nel De eodem et diverso Adelardo glissa sulle questioni della teoria matematico-musicale, perché, dice, pur lodando chi le conosce «se dovessi trattare tutto, le forze mi ver­ rebbero a mancare prima di arrivare in fondo» (ivi, p. 7 1 ) . In so­ stanza, Adelardo riconosce al musicus la competenza specifica nei sa­ peri più generali di tipo matematico e tecnico, ma reputa appannag­ gio del solo philosophus quel bagaglio più ampio di conoscenze spe­ culative relative all'armonia cosmica. Anche Adelardo ricorda Pitago­ ra come filosofo, non come musico. Tutto sommato, Guido d'Arezzo è più vicino di quanto sembri. Se dunque i problemi di matematica musicale, pur riconosciuti fondamenti della disciplina, sembrano ormai fuori dalla sfera d 'inte­ resse della musica e del musico rientrando fra le questioni di perti­ nenza filosofica, tuttavia altri problemi cominciano a prendere posto nella trattazione musicale, primo fra tutti quello della fisica del suo­ no. Il tema è affrontato da molti maestri del tempo , ma qui conti­ nuiamo a riferirei ad Adelardo, che ne parla nelle sue Questioni natu­ rali, un dialogo i cui protagonisti sono lo stesso autore e un saccente nipote, il quale, alla maniera dei sofisti - come lo rimprovera Ade­ lardo - con domande insistenti e ponendo questioni sottili, cerca di far cadere lo zio in contraddizione o, peggio, di !asciarlo di stucco. Lo stile leggero e ironico della discussione lascia intravedere i temi e le nuove metodologie di insegnamento dialettico e polemico che si sviluppavano nelle scuole e che preluderanno alla quaestio e alla di­ sputa universitaria del secolo successivo. Il problema che qui interes­ sa discutere è quello sulla natura del suono. Se il suono è aria, affer-

FILOSOFIA DELLA MUSICA

ma il nipote, allora è un corpo, dunque come può trovarsi nelle orec­ chie di tanta gente se esce dalla bocca di un solo uomo? E ancora, come si può sentire il suono, che è composto di particelle aeree, col­ pendo un corpo metallico, se questo non presenta aperture? Le ri­ sposte che propone Adelardo sono interessanti soprattutto perché sono riferite al De institutione musica boeziano, che è riconosciuto come l'unica autorità in materia di fisica del suono. I maestri delle scuole e, più tardi, delle università cominceranno a ricercare in Boe­ zio l' auctoritas non solo nella matematica musicale, ma anche nella dottrina acustica, che molto più di quella sembra suscitare la loro erudita curiosità. Ma, come dovrà anche accadere col recupero di Aristotele, riconoscere l'eccellenza di un autore non significa ricalcar­ ne pedissequamente la dottrina: se anche la fonte esplicita di Ade­ lardo è Boezio, la risposta al problema della fisica del suono è fonda­ ta su un testo del tutto diverso, un anonimo commento dell'XI secolo alla Grammatica di Prisciano, le Glosulae Prisciani 5 , che ebbero vasta diffusione nelle scuole cattedrali, in particolare a Chartres. Da questo testo Adelardo desume l'idea - peraltro presente anche in Boezio della diffusione circolare dell'aria percossa e della porosità dei corpi metallici. La concezione delle arti del quadrivio nel XII secolo si aprì dun­ que al fiorire di interessi naturalistici, perseguiti tanto da intellettuali come Adelardo e come molti altri scienziati e traduttori in contatto con la cultura araba (Alessandro Neckam, Daniele di Morley, Alfredo di Sareshel, Domenico Gundissalvi) , quanto da rappresentanti di emi­ nenti scuole, fra le quali quella chartriana fu senz ' altro l'istituzione più prestigiosa nel distinguersi per sapere scientifico. Nonostante le molte questioni storiografiche relative all'effettiva continuità e fonda­ zione della scuola, non c'è dubbio che, ovunque abbiano dawero in­ segnato, i più rinomati maestri del tempo, cioè Teodorico di Chartres (m. r r 49 circa) e Guglielmo di Conches ( r o8o- r r 5 4 circa) , avevano sviluppato in linea di continuità con il loro maestro, Bernardo di Chartres , una comunità di studi che coltivava con attenzione speciale gli interessi naturalistici, fondati sulla lettura e l'approfondimento del Timeo di Platone, di cui questi studiosi ricercavano i criteri di accor­ do con il testo biblico. A Bernardo è stato attribuito il celebre motto dei "nani sulle spalle di giganti " , che esprime il senso di continuità con il passato, soprattutto quello classico, al quale questi maestri si 5 · TI problema appare anche nelle contemporanee Questioni Salernitane, una se­ rie di questioni medico -naturalistiche, alcune proprio sul tema della voce e del suono. Cfr. Burnett ( r 987b, p. 79).



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sentivano legati, ma che sottolinea anche lo slancio in avanti e l'idea di progresso innescati dai propri studi. In linea con questa coscienza, l'Heptateucon, opera enciclopedica di Teodorico, traccia l'origine del­ le sette arti sull'autorità degli antichi latini, Varrone, Plinio e infine Marziano Capella, che i "moderni " hanno poi raccolto e ordinato af­ finché, attraverso «lo spirito e la sua espressione» (cioè l'attività intel­ lettuale e l'arte del discorso) , potessero filosofare: E dunque il quadrivio illumina lo spirito, mentre il trivio fornisce un'espres­ sione elegante e razionale di quest'ultimo. È dunque evidente che l'Eptateu­ chon [insieme delle sette arti] è lo strumento unico e particolare di tutta la filosofia. Ora la filosofia è l'amore della sapienza e la sapienza è l'intera com­ prensione della verità delle cose che sono (Boezio, De inst. math. I, r ) ; nessu­ no può raggiungere nemmeno in minima parte questa comprensione se non ama. Nessuno dunque è sapiente se non è filosofo (cit. in Lemoine, 1 99 8 , p. 65 [Prologo, 3 8] ) .

L a prospettiva boeziana d i organizzazione delle arti in questo passag­ gio dell' Heptateucon (ricordiamo che il XII secolo è stato definito ae­ tas boethiana) è pressoché equivalente a quella che abbiamo già visto in Ugo di San Vittore, salvo la totale adesione all'ideale classico di sapienza, dal quale sparisce ogni necessità di riconduzione al simboli­ smo biblico. All'inquadramento generale delle scienze fa seguito, sempre nell'Heptateucon, un'esposizione più particolareggiata di cia­ scuna, e in relazione alla musica dobbiamo notare almeno una cosa: se l'auctoritas disciplinare rimane ancora Boezio, accanto a lui trovia­ mo proprio Adelardo di Bath . Le sue Quaestiones naturales godettero di grande fortuna a Chartres e la questione sul suono, alla quale ab­ biamo sopra accennato, è ripresa, ad esempio, anche da Guglielmo di Conches nel suo Dragmaticon. Questa scelta illustra la ragione più profonda che inquadra in senso nuovo le discipline scientifiche colti­ vate nella scuola. La novità, cioè, non è nelle classificazioni enciclope­ diche, ma nella teorizzazione di un nuovo indirizzo di ricerca, orien­ tato verso le cose naturali. Lo evidenziamo seguendo la dottrina di un filosofo che fu fra i maestri più influenti del XII secolo, l'inglese Giovanni di Salisbury. Giovanni ( r r 1 5 - r r 8o circa) fruì dell'educazione più all'avanguar­ dia del suo tempo, essendo stato allievo di Pietro Abelardo e dei maestri di Chartres, e seppe aggiungere al fine eclettismo della sua erudizione la sensibilità dell'elegante letterato, tanto che per lui è sta­ to adottato l'appellativo di " umanista " . La sua riflessione sui fonda­ menti della conoscenza si inquadra in due contesti. Da una parte, egli introduce drastiche limitazioni alla possibilità umana di comprendere

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per via di ragione le verità teologiche e le strutture cosmologiche: come afferma nel Policraticus (la prima opera politica medievale) , l'ordine del mondo non può essere concepito come un fatto inelutta­ bile, perché le cose sono soggette a continua mutabilità ( cccM I I 8, pp. I I 8 -9 [n , 20] ) , Dall' altra parte, egli reputa che la conoscenza umana sia un contemperarsi di esperienze concrete (le conoscenze sensibili) e di nozioni astratte (i concetti generali o universali) , fonda­ te le une sulle altre. Con un affondo intelligente e per molti versi anticipatore di una soluzione che solo la Scolastica matura riuscirà a inquadrare, dopo aver approfondito la conoscenza del metodo scien­ tifico aristotelico, Giovanni sottolinea che in tre campi soltanto la ri­ cerca umana può applicarsi con una certa possibilità di successo: la matematica, la logica e la politica. Giovanni fu un logico e un poli ti­ co, ma non un matematico, anche se egli stesso attesta, nel Metalogi­ con , di aver ricevuto un'educazione in ambito quadriviale a Chartres dal vescovo Riccardo e da Hardewinus, un teutonicus magister ( cccM 9 8 , pp. 7 I -2 [n , I o] ) . Anche se non le praticò, Giovanni seppe co­ gliere il fondamento essenziale delle matematiche, cioè il nesso che queste discipline instaurano fra la speculazione teorica e l'esperienza sensibile. Secondo Giovanni tale nesso è individuabile nella " speri­ mentazione " , che l'evoluzione delle tecniche aveva reso una caratteri­ stica imprescindibile anche dell'apprendimento teorico. Ecco come si esprime al riguardo: I concetti comuni hanno origine per induzione [cioè procedendo dal partico­ lare al generale] dalle cose singole. È impossibile infatti giungere alla consi­ derazione degli universali se non attraverso l'induzione, giacché solo attra­ verso induzioni ci divengono note tutte le nozioni astratte. Ma chi è sprowi­ sto di sensibilità è impossibilitato a fare induzioni. Il senso, infatti, è la cono­ scenza delle cose singole e non è possibile avere scienza delle cose singole se non attraverso gli universali raggiunti per induzione; né è possibile l'induzio­ ne senza la sensibilità. Dal senso infatti deriva la memoria, dalla memoria frequentemente ripetuta l'esperimento, dagli esperimenti il principio della scienza o dell'arte [ . . . ] . E così il senso corporeo, che è la prima potenza e il primo esercizio dell'anima, getta i fondamenti di tutte le arti e forma la co­ noscenza preesistente, che non solo apre la via ai primi principi, ma anche li genera (ivi, p. 147 [rv, 8]).

I problemi che questo passo mette in campo sono molto più vasti dei limiti della presente ricognizione sulle arti liberali. Basterà ricordare che il problema degli universali, ai quali qui si fa riferimento, è uno dei più articolati e complessi fra quelli che attraversano tutto il pen­ siero filosofico medievale. Allievo di Abelardo, che su questa questior 86



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ne si alienò l'amicizia dei suoi maestri, Giovanni condivise con il sommo dialettico l'idea che gli universali siano i concetti più generali della mente umana, che l'intelletto concepisce grazie alla sua capacità di astrarre le qualità comuni immanenti nelle cose. Una posizione, in sintesi, diversa sia dal realismo metafisico di tradizione platonica (per il quale gli universali sono res, essenze e modelli immateriali della realtà sensibile) sia dal nominalismo (l'universale è /latus vocis, il nome che attribuiamo a generi e specie con le quali l'intelletto rag­ gruppa le realtà individuali) . Connesso alla soluzione degli universali, il problema delle conoscenze umane si delinea quindi in Giovanni come un equilibrato bilanciamento fra l'imprescindibilità dell' espe­ rienza sensibile, con la memoria che funge da magazzino dei dati ac­ quisiti, e la coerenza dimostrativa, fondata sull'evidenza dei primi principi, a loro volta «generati» dai sensi 6. Se l'esperienza fornisce la base materiale dei saperi scientifici, la logica è la sola guida dell'e­ splorazione umana del mondo (ivi, p . 6r [n , 5 ] ) . Nel riconoscere vali­ dità a questo metodo di acquisizione del sapere scientifico, Giovanni ribadisce, però , anche un nuovo principio etico di inquadramento delle arti liberali: «disciplinae liberales virum bonum non faciunt», af­ ferma ancora nel Metalogicon (ivi, p . 49 [I , 2 2 ] ) . Solo la carità, non il sapere, dà senso morale alle conoscenze. Senza la fede non c'è sa­ pienza, e la scienza, senza carità, rende superbi. La specializzazione dei saperi ha come conseguenza il proliferare di tronfi studenti che appena entrati nelle scuole sono subito pronti a spiccare il volo come «pulcini implumi fuori dal nido» (ivi, p. r6 [I, 3 ] ) . Giovanni ribadi­ sce invece il valore della conoscenza quale frutto dell'integrazione di più competenze, il senso morale del misurare sempre le proprie capa­ cità e, non ultimo, il rispetto verso i limiti che Dio ha posto alle pos­ sibilità dell'uomo.

4·5

Musica e teoria della musica nei secoli XI-XII 4· 5 · 1 . NOVA CANTICA , NOVUM ORGANUM

Nei suoi scritti Giovanni di Salisbury delinea anche il contesto della vita culturale del suo tempo , spesso con annotazioni vivaci e detta­ gliate. Una di queste osservazioni, presente nel primo libro del Poli6 . A questi stessi argomenti si richiamerà, un secolo e mezzo dopo, Giovanni de Muris, nel sostenere i principi compositivi dell'Ars nova (PAR. 6.2. I ) .

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craticus, capitolo sesto , discute le frivolezze della vita di corte, fra le quali è ricondotta la pratica della musica, oltre a quella dei giochi, della mimica e della magia. Passi per queste ultime, afferma Giovan­ ni, che sono appunto sciocchezze, ma come poter computare la musi­ ca fra gli svaghi di corte? La difesa di quest'arte, introdotta dal filo­ sofo per sradicarne l'impiego futile e ricreativo, è giustificata attra­ verso tre argomenti: la musica è un' arte liberale, cioè una disciplina intellettuale; il suo uso liturgico è sanzionato nella Bibbia e presso i Padri; e infine, Platone, princeps philosophorum, dimostra che que­ st'arte è governata dagli stessi rapporti che regolano l'armonia dell'u­ niverso. Per Giovanni, dunque, la prassi musicale deve rispettare l'al­ to valore filosofico e teologico che fonda la disciplina musicale, alla quale l'arte deve essere naturalmente accostata. Fin qui si spinge l'au­ spicio del filosofo inglese per awiare una sorta di "moralizzazione " della musica, ma quando egli passa a fare esempi concreti della prassi depravata dei suoi tempi, la descrizione indugia su soluzioni musicali al cui fascino sembra proprio impossibile opporre resistenza: Se tu ascolti queste carezzevoli melodie, che si levano, si rispondono, risuo­ nano, diminuiscono, si intrecciano e cinguettano, penseresti che non è l'ar­ monia di uomini, ma di sirene. Ti meraviglieresti per l'agilità delle loro voci, che non hanno rivali nell'usignolo e nel pappagallo, o in altri uccelli ancora più melodiosi di loro. Questa agilità si manifesta in lunghe ascese e discese della voce, nella divisione o nel raddoppio delle note, nella ripetizione delle frasi e nella somma di tutte queste cose messe insieme. Le note acute e le acutissime sono così temperate con quelle gravi e gravissime che l'orecchio perde la capacità di distinguerle, e la mente, rilassata da tali dolcezze, è inca­ pace di giudicare ciò che ha sentito (cccM I 1 8 , p. 49 [r, 6] ).

Giovanni non specifica in quale contesto ascoltò questi meravigliosi canti, ma è assai probabile che si sia riferito a Parigi, dove soggiornò fra il I I 3 7 e il I I47, prima del suo rientro in Inghilterra al servizio del vescovo Tommaso Beckett, al quale dedica il Policraticus. Si trat­ ta, com'è evidente, di una descrizione sommaria, in cui è manifesto l'intento polemico, sottolineato dal topos del canto degli uccelli e dal ricorso al luogo comune dell' éthos musicale, qui evidenziato nella sua valenza negativa. Inoltre, Giovanni non rende conto delle effettive ti­ pologie di canti armonizzati da questi provetti cantori, benché ribadi­ sca il loro riprovevole impiego nel culto religioso. La vivida descrizio­ ne ( coerente con il suo ricorso all'esperienza come fondamento della conoscenza, al quale abbiamo accennato nel paragrafo precedente) coglie con puntualità almeno tre caratteristiche peculiari di questa musica: I . l'ampia ornamentazione melismatica (le lunghe ascese e diI 88



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scese delle voci) , 2 . una regolare struttura ritmica (rapporti di divisio­ ne o raddoppio delle durate) e 3 · la stroficità (ripetizione delle frasi) . A queste tre caratteristiche dobbiamo aggiungerne una quarta, cioè la polifonia, alla quale sembrerebbero alludere i richiami alle " rispon­ denze " , agli "intrecci " vocali e alla risultanza equilibrata di due linee melodiche di diverso registro, l'una acuta e l'altra grave. Si può pen­ sare che Giovanni abbia utilizzato con una certa ponderatezza questi termini, ma esistette davvero nella prima metà del XII secolo una ti­ pologia di canti che assommava insieme tutte queste caratteristiche? Il fatto che Giovanni dichiari che ciò accadeva («nella somma di tutte queste cose messe insieme») è forse poco plausibile, almeno se ci rife­ riamo al periodo storico in questione, anche in relazione alla polifonia sacra. Ma senz ' altro più sorprendente è un riferimento alla polifonia profana di un erudito storiografo inglese, Giraldo del Galles ( I I 47I 2 2 3 ) , nella sua Descriptio Cambriae ( I I 98 ) , ove rileva l'esistenza di una prassi spontanea di discanto non priva di artificiosità e complesse soluzioni vocali. Giraldo descrive il canto polifonico praticato nel Galles e lo confronta con quello della Northumbria; la polifonia di queste due aree geografiche, sottolinea lo storiografo, sta al di fuori dell'arte, cioè della prassi teorizzata nei trattati, ma rimonta a una tra­ dizione antica e spontanea (quasi in naturam) . I gallesi, in particolare, conducono la polifonia in modo che «tante sono le teste che intona­ no, tante le linee melodiche e le distanze intervallari» (ci t. in Egge­ brecht, I 996, p. I o [I, 3 6] ) , mentre in Northumbria la polifonia si organizza in due sole linee melodiche: l'una, grave, è come un mor­ morio , l'altra, acuta, procede in modo fiorito e gioioso. E non è irrile­ vante notare che Giraldo si riferisce a queste due tipologie canore utilizzando proprio i termini dell' ars musica: organica cantilena, sym­ phonica harmonia, tonorum dzf/erentia ecc. A un diverso tipo di arte polifonica, parimenti matura e comples­ sa nelle sue soluzioni armonico-melodiche, si riferisce anche la critica di Giovanni di Salisbury, il quale però, come accennato, sembra lan­ ciare i suoi strali contro le pratiche musicali liturgiche in Francia. Ma al di là di una m era supposizione circa l'esistenza di generi polifonici così articolati alla metà del xn secolo, ciò che invece sembra più cir­ coscrivibile nella critica di Giovanni e nelle annotazioni di Giraldo è che ogni singola caratteristica della musica (fioriture, stroficità, rego­ larità ritmica) sembra in certo modo indirizzarsi proprio al complesso di quella fervida e variegata produzione poetico-musicale che si svi­ luppò a partire dalla fine dell'XI secolo ; e dunque, volendo trovare un contesto plausibile al quale ricondurre queste osservazioni, dovrem­ mo pensare all'insieme di tali novità, che stava trasformando nel pro-

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fondo non solo i vari generi di musica, ma anche l'uso sociale di quest' arte. Fu dalla fine dell'xi secolo, ad esempio, che cominciò la fioritura della lirica trobadorica , il cui primo illustre rappresentante fu il duca Guglielmo d'Aquitania ( r o7 r - r r 2 7 ) . Altri nomi noti di trovatori ci ri­ conducono alle corti della piccola nobiltà rurale francese (Bertran de Born e J aufre Rudel) , a chierici delle scuole (P eire Cardenal) , a ricchi mercanti (Folchetto di Marsiglia) , ma anche a persone di bassa condi­ zione sociale (Bernart de Ventadorn) , oltre che a nobildonne ( contes­ sa de Dia) . Il loro repertorio si organizzava attorno alla forma strofica della canzo cortese e del sirventes politico e satirico. La tradizione iconografica dei canzonieri trasmette numerose miniature raffiguranti scene di musica e danza presso le corti, dove giullari che imbracciano gli strumenti sono accompagnati da donne che danzano e suonano il tamburello e da gruppi più o meno nutriti di strumentisti e cantori. Benché alcuni rondeaux prodotti nel contesto di questa ricca e varie­ gata produzione siano polifonici ( ad esempio quelli di Adam de la Halle) , è la monodia a campeggiare in queste composizioni. Ma il re­ pertorio monodico del tempo è rappresentato non solo dalla lirica ro­ manza, che avrà i suoi sviluppi in vaste aree geografiche dell'Europa centrale, bensì anche dalla copiosa fioritura delle liriche latine, come i conductus, in origine canti processionali che poi divengono anche po­ lifonici; i versus religiosi, fioriti soprattutto nell'abbazia di San Mar­ ziale di Limoges ; le variegate forme di cantica e cantiones, variamente provenienti dal contesto sacro e profano; e ancora i planctus, compo­ nimenti in morte o ricordo di illustri personaggi, fra i quali possiamo almeno citare i sei attribuiti a Pietro Abelardo. E, infine, dobbiamo ricordare la nuova sequentia, sviluppata proprio presso la scuola pari­ gina di San Vittore, che si avvicina al modello dell'inno abbinando alla regolarità strofica testuale il principio della stroficità melodica. Una ricchissima produzione monodica, dunque, che va sotto il nome di nova cantica si sviluppò nel corso del XII secolo, «e la denomina­ zione fa risaltare felicemente gli elementi di novità di questo reperto­ rio rispetto alla tradizione del canto gregoriano: un diverso e più inti­ mo rapporto fra testo e musica, un raffinato gusto per strutture clas­ sicamente proporzionate, l'impiego di una ornamentazione estrosa e a volte bizzarra, il compiacimento per un 'espressione musicale di volta in volta gioiosa, patetica, languida, ben lontana dalla superba oggetti­ vità della melopea gregoriana» (Della Seta, r 99 5 , p. 55 7 ) . S e poi volgiamo l o sguardo alla polifonia del XI I secolo, l a ricerca di ornamentazione e fioritura, così come la varietà di conduzione del­ le voci, emerge come caratteristica dominante. La polifonia liturgica



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si sviluppò in due forme diverse. L' organum descritto due secoli pri­ ma dalla Musica enchiriadis è divenuto nel frattempo una tipologia polifonica denominata discantus. Il procedimento "nota contro nota " delle voci gregoriana e di accompagnamento vede, ora , la voce grego­ riana nel registro più grave, segno che all'accompagnamento spetta la linea melodica più percepibile, mentre il canto liturgico funge da "so­ stegno " . Il gioco delle voci si è evoluto, portando a un uso più varie­ gato degli impasti sonori e dei vari procedimenti di incontro e intrec­ cio vocale. Al contrario, il tipo di polifonia chiamato organum (il "nuovo organum " , per i musicologi) è ora strutturato sulla tenuta al basso della melodia liturgica in lunghissime sillabe, alle quali si con­ trappone l'andamento fiorito e melismatico della voce o delle voci su­ periori. Le due tipologie furono coltivate presso l'abbazia di San Marziale di Limoges, nella Francia meridionale, dalla quale sono per­ venute tre importanti testimonianze manoscritte, che raggruppano una sessantina di brani vocali a due parti risalenti alla metà del XII secolo. Questo repertorio è stato edito con enorme difficoltà, dato che la notazione neumatica indica solo l'altezza delle note di ambe­ due le voci, lasciando così al filologo musicale l' arduo compito di in­ dividuare l'andamento ritmico dell'insieme. Altre forme di raffinata polifonia furono praticate anche nelle altre grandi cattedrali francesi, come a Chartres, dove purtroppo il bombardamento della biblioteca durante l'ultima guerra ha reso assai difficoltoso inquadrare il feno­ meno, e inoltre a Beauvais, a Sens, presso l' abbazia agostiniana di Saint e Geneviève e presso San Vittore (dove è attestata solo da fonti indirette) , e ancora, al di fuori della Francia, presso Santiago di Com­ postela, come dimostrano gli organa del Codex Calistinus, un mano­ scritto del XII secolo redatto a uso dei pellegrini per il culto di san Giacomo. Ma, soprattutto, la polifonia d'arte si sviluppò presso la cattedrale parigina di Notre Dame, che sul finire del 1 1 00 vide il fio­ rire di una imponente produzione, protrattasi fino quasi alla fine del secolo seguente, tanto che "epoca di Notre Dame " o addirittura "scuola di Notre Dame " è il modo più comune col quale la musicolo­ gia si riferisce a questo specifico contesto artistico-musicale. La musi­ ca polifonica, però, non fu appannaggio solo dell'arte colta e raffinata sviluppata presso le grandi cattedrali e abbazie, ma fu un fenomeno che, anche se non eguagliabile a questi esempi di maestria compositi­ va, è rintracciabile un po' ovunque in ambito liturgico e, dal volgere del XII secolo, anche nell'ambito della musica profana colta. Le fonti sono per lo più indirette: la polifonia del XII secolo rimase infatti una pratica musicale estemporanea (abbiamo ricordato gli accenni alla po­ lifonia "naturale " inglese raccolti da Giraldo del Galles e quelli un

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po' più controversi di Giovanni di Salisbury) ; ciò vale anche per la polifonia relativa alla liturgia, che veniva sì regolarizzata nella trattati­ stica musicale, ma era realizzata senza necessità di notazione. In tale contesto, emerse la figura di un nuovo professionista della musica, l' organizator, un perito cantore addestrato all'abbellimento polifonico del canto liturgico, che egli conduceva seguendo le prescrizioni dei trattati, ma con ampi spazi di intervento individuale. Quanto alla pro­ duzione giuntaci in notazione, se si eccettuano le testimonianze di San Marziale, Chartres, Santiago , essa è per lo più riconducibile al consolidarsi della cosiddetta scuola di Notre Dame, e al costituirsi di un repertorio nel quale alla nuova tipologia dell' organum si aggregano altre forme di polifonia d'arte, anche profana, come il conductus e il motetus. Tuttavia, i repertori musicali pervenutici relativi a quest'arte furono redatti solo nel XIII secolo , anche se illustrano la situazione della produzione musicale della cattedrale parigina a partire dal I I 6o circa. Come vedremo nel capitolo seguente (PARR. 5 . 3 .2 e 5 · 3 · 3 ) , la notazione della polifonia di Notre Dame è caratterizzata dalla pre­ senza di una misurazione delle durate delle note, la notazione moda­ le, la cui teorizzazione ci riconduce all'ambiente universitario parigino del XIII secolo .

4.5 . 2 .

LE ARTI DEL TRIVIO E LA POLIFONIA NEI TRATTATI MUSICALI DELL ' XI E XII SECOLO

Ci siamo soffermati (PAR. 4·4· I ) sulla teorizzazione della musica disci­ plina nelle enciclopedie del XII secolo, rilevando che, al di là di una generica attenzione nell'evidenziare come questa scienza matematica si configuri anche (e talvolta soprattutto) come " arte dei suoni " , è per lo più assente un riferimento concreto alla prassi musicale. A fonda­ mento teorico di quest'ultima c'era ormai una consolidata tradizione trattatistica, affidata a musici specialisti, secondo l'accezione guidonia­ na comunemente accolta. Ricordiamo di nuovo, in proposito, l'imma­ gine molto eloquente di Musica tratteggiata da Adelardo di Bath , lo strumentario della quale comprende appunto un agile trattatello mu­ sicale, nonché una cetra e una bella voce. Nei primi secoli di sviluppo della teoria della musica, dall'età ca­ rolingia fino circa all'xr secolo, gli scrittori avevano rivolto la loro at­ tenzione alla classificazione delle melodie liturgiche e alla definizione della gamma acustica (PARR. 3 .4.2 e 3 ·4·3 ) , problemi che avevano infi­ ne condotto all'organizzazione del materiale melodico all'interno di un sistema coerente di suoni, formalizzato infine da Guido d'Arezzo



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(PAR. 4 . 2 . r ) . Il canto gregoriano e le varie tecniche di ampliamento e abbellimento dello stesso erano dunque regolati da un'ars che ne sta­ biliva non solo la struttura melodico-modale, ma anche, in certo modo, la valenza estetica. A partire dall'xi secolo questo processo si è compiuto e la teoria della musica non si preoccupa più di regolarizza­ re il repertorio, quanto piuttosto comincia a porsi il problema della natura " artistica " del fenomeno musicale. Quest'ultimo è riconosciuto in tutta la sua complessità come un insieme di saperi operativi, di tecniche e di competenze atti a dare dignità a una manifestazione del­ la creatività umana che però, secondo i teorici del tempo, vive anche in una dimensione naturale e spontanea. Come sottolinea ad esempio il teorico Ari bone nel suo De musica ( r 070 circa) : «per mezzo dell' ars è reso più fine ciò che madre natura ha creato grezzo e non rifinito» (csM 2 , p. 46) ; e ribadisce ancora: Possiamo soprattutto apprezzare quanto la musica sia parte del nostro san­ gue e della nostra natura dal fatto che anche i giullari, del tutto ignari del­ l' arte musicale, possono gorgheggiare un canto profano senza errore, senza offendere alcuna regola nella varia disposizione dei toni e dei semitoni e rag­ giungendo correttamente la nota finale. Per cui, anche se non scientificamen­ te, ma per via di verosimiglianza, Platone tratta della creazione dell'anima, dicendo che è composta con proporzioni musicali. E poiché le proporzioni doppia, sesquiterza, sesquialtera e sesquiottava fanno gioire gli animi, dalle persone colte è ritenuto, con coerenza, che le anime consistano delle stesse proporzioni (ibid. ) .

È evidente, insomma, che l a riflessione sulla musica, pur richiaman­ dosi ancora al tema antico dell'armonia timaica e della rispondenza macrocosmo-microcosmo, sta cominciando a porsi in maniera più consapevole, e problematica , la questione del rapporto fra prassi e teoria , in quanto la prima è inquadrabile nella sua organizzazione normativa anche là dove non c'è un musicus che detta le regole e un cantar che le mette in atto. Questo, del resto, lo abbiamo osservato anche nelle testimonianze di intellettuali non teorici della musica , come Giraldo del Galles e Giovanni di Salisbury, che impiegano ele­ menti della terminologia " tecnica " musicale per descrivere le forme "spontanee " di polifonia. L'attenzione dei teorici comincia a volgersi al variegato mondo dei nova cantica e perfino della musica profana, alla quale si riconoscono - non senza problemi - un valore e un si­ gnificato, e, talvolta, si tributa anche una sincera ammirazione. Il rap­ porto fra artificialis e naturalis, che in età carolingia (PAR. 3 ·4· r ) era inquadrato nella contrapposizione fra la musica servile degli strumen193

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ti artificiali e la naturalis h armonia dell'armonia cosmica e del canto gregoriano, adesso, pur riproposto nei trattati, ha una valenza di se­ gno opposto , se riferita al quadro normativa dell' ars contro il proce­ dere spontaneo di natura. Come afferma agli esordi del XII secolo il fiammingo Giovanni di Affligem nel suo De musica cum tonario: «i mimi e i maestri di danza e molti altri cantano dolcemente, però non glielo ha insegnato l'arte, ma la natura» (csM I , p. 5 1 ) . Ma, soprat­ tutto, il teorico del XII secolo si pone il problema di come " parlare " di musica, di come restituire nella forma del discorso tecnico e scien­ tifico la complessità dell"' oggetto " sonoro di cui cerca di razionaliz­ zare la natura. In questo senso, la teoria della musica trova la sua più utile risorsa non tanto nella "sorella " aritmetica, quanto nelle arti del trivio . La vicinanza con le arti linguistiche è anzitutto una vicinanza d'oggetto: a essere cantato era un testo, in prosa (nel canto liturgico della Messa) , ma soprattutto in poesia. Che si trattasse di inno o se­ quenza, di conductus o di planctus o di qualsiasi altra " forma " poetica messa in musica, sorgeva in certo modo spontaneo lo stabilirsi di ana­ logie fra la costruzione della forma musicale e lo svolgersi del testo . I teorici della musica, in sostanza, orientavano le norme di organizza­ zione delle strutture melodiche sul metro e sul ritmo della lingua. Questo contesto d'abbinamento lo abbiamo già osservato a partire dalla Musica enchiriadis, e fu sviluppato da Guido d'Arezzo (PAR. 4 . 2 . 2 ) in una formulazione sistematica che è stata definita una coe­ rente " poetica musicale " (Pirrotta, 1 984) . Del resto, la tradizione ago­ stiniana della divisio musicae aveva trasmesso al Medioevo la partizio­ ne in harmonica, rhythmica, metrica, e il De musica di Agostino era riferimento autorevole per fondare l'indagine ritmico-metrica delle composizioni musicali. I successori di Guido, come Aribone, riconob­ bero e apprezzarono le idee prescrittive del monaco aretino, fondate appunto sull' analogia tra l'ordinamento del materiale verbale nel di­ scorso poetico e quello del materiale musicale nella composizione. Tuttavia, lo stesso Aribone riconobbe il superamento di questa misu ­ rata proporzione nella costruzione di neumae e distinctiones, lascian­ do intendere che la varietà delle risorse poetiche implicava ormai una varietà di soluzioni melodico-ritmiche: In tempi passati si faceva molta attenzione, non soltanto da parte dei compo­ sitori, ma anche da parte dei cantori, ad inventare e cantare ogni cosa appli­ cando proporzioni. Tale considerazione è morta da gran tempo, in verità è sepolta (csM 2 , p. 49) .

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L'esempio che adduce Aribone per sottolineare la perfetta regolarità della costruzione ritmica riguarda un'antifona di Pentecoste, in cui la struttura delle tre distinctiones (frasi musicali) formate da tredici, tre­ dici e undici neumae (gruppi di note) è abbinata all'ordinamento del discorso in periodi che hanno lo stesso numero di sillabe. Ancora, dunque, vige il principio guidoniano dell'analogia fra struttura testua­ le e unità ritmica musicale (ribadiamo: l'unità ritmica non riguarda la durata della singola nota, ma l'uniformità di scansione di tutta la fra­ se) . Poco più tardi di Aribone, Giovanni di Affligem sottolinea nel suo De musica cum tonario una caratteristica essenziale della composi­ zione musicale, cioè che il cantus debba essere variato non solo se­ cundum sensum verborum, ma anche secondo le esigenze del pubblico al quale si rivolge. È evidente che la fruizione " estetica " della musica si amplia e si diversifica anche rispetto al solo contesto liturgico (l'u­ nico ancora considerato dai trattati) , e a questa stessa esigenza di gra­ dimento è da ricondurre l'ammonizione di Giovanni al laudis cupidus modulator di non generare mai la noia (CSM I , I 8, p. I I 7 ) . Il teorico di Affligem fornisce, in proposito , una puntuale e articolata esposizio­ ne di quella che possiamo definire una " teoria semantica " della musi­ ca, in cui sono ripresi la dottrina dell' éthos musicale, l'abbinamento fra specifici effetti della musica e la loro funzione retorica, l'adegua­ mento tra forma espressiva e qualità del contenuto; ma l'orientamen­ to effettivo degli esempi musicali è di fatto sempre quello dell'analisi per via analogica, come già in Guido e Aribone: la melodia di un 'an­ tifona viene infatti suddivisa in sezioni (distinctiones) di diverso livel­ lo , così come un testo letterario è divisibile in colon , comma e perio­ dus. Traspare in questo autore il bagaglio di una cultura specialistica nell'ambito del trivio, cosa ovviamente comune nella formazione sco­ lastica dei secoli XI-XII, che a livello superficiale è dimostrata citando i grammatici Donato e Prisciano, ma a livello profondo è riscontra bi­ le nell'adozione di concetti e termini della teoria letteraria e della re­ torica. Anche la polifonia è inquadrata talvolta in questo contesto . Nel trattato sull'organo detto " di Lovanio " , del XII secolo, una sezione è dedicata alla definizione dei piedi della metrica classica, mentre un coevo commento al Micrologus di Guido, intitolato Metrologus è, come recita il titolo, un'organica trattazione di metrica. Nel trattato anonimo sull'organo detto " di Montpellier " , anch'esso ascrivibile al I I oo circa, è richiamata l'attenzione dell' organizator al principio di congruenza nel cercare la concordanza fra segmenti di testo (parole, gruppi di parole, ma anche gruppi di sillabe) e sezioni musicali, deli­ mitate dalle cadenze, cioè dal ritorno all'unità delle voci: I 95

FILOSOFIA DELLA MUSICA

Tuttavia l' organizator potrà fare cadenza (copula) tutte le volte che vorrà. Non è però consentito alla sezione (clausola) di superare gli otto suoni [ . . . ] . E di regola non si dovrà formare la cadenza né troppo di frequente né trop ­ po di rado, ma è necessario invece che tutto sia concatenato con esattezza e moderazione (Handschin, 1 930, p. 50; cit. in Eggebrecht, 1 996, p. 36).

In effetti, l'autore si appella qui a un principio generale, evitando di regolarizzare una prassi che, afferma Eggebrecht, lascia intendere come le deviazioni dalla norma siano in certo modo considerate un fatto implicito della musica polifonica. Parimenti libero è lasciato l'or­ ganizator nel condurre le varie procedure di coloritura , cioè di arric­ chimento melismatico, che abbiamo visto essere una caratteristica pe­ culiare del novum organum. E sempre a proposito delle coloriture lo stesso Giovanni di Affligem afferma: Devi anche tener presente che [ .. .] colui che fa organa può decidere in tutta libertà, se vuole, di raddoppiare o triplicare i moti semplici, oppure anche di moltiplicarli a piacimento, sempre che ciò avvenga in maniera adeguata (csM r , pp. r 6o- r ) .

È proprio il procedimento di coloritura che viene sottolineato con particolare interesse in un ulteriore trattato sull' organum, il trattato " de Lafage " , il quale recita: La voce organale però non si accorda con il relativo cantus con ugual nume­ ro di note, bensì con una illimitata pluralità e una certa mirabile flessibilità [ . . . ] formando melismi rigogliosi, come piace e come vorrà l' organizator (Seay, 1957, p. 3 5 [xv] ) .

L'elaborazione dei melismi e l a loro artistica conduzione è fatto non ancora regolarizzato dall'ars, ma tuttavia riconosciuto come caratteri­ stica specifica e particolarmente curata del canto polifonico. Se le prescrizioni dei trattatisti sono per lo più indirizzate alla condotta ar­ monica delle due o addirittura delle tre voci - rispetto alla qual cosa esse raccomandano la frequente riconduzione alle consonanze perfet­ te di quinta, quarta e ottava, oltre che all'unisono -, le loro parole lasciano intravedere la difficoltà di restituire in pieno il senso e la stessa tecnica di una produzione ricca, variegata, complessa, la cui re­ alizzazione necessitava la convergenza di saperi specialistici e teorici tanto quanto la maestria, il buon gusto e, come diremmo oggi, un perfetto " orecchio musicale " . Se ancora Giovanni di Affligem può af­ fermare che «il musico incede sempre rettamente per artem, mentre il cantore tiene la retta via prevalentemente per usum» è innegabile che



I SECOL I XI E XII . ARS M USICA E A RS CA1'.rTUS

l' ars musica si dovette incanalare verso una rispondenza più puntuale alle complessità del repertorio e ai bisogni altamente specialistici del cantar per artem, del cantar artificialis, insomma, come sottolinea Eg­ gebrecht ( 1 996, p. 62 ) , di «un musicus-cantar, uno che ha conquistato la comprensione scientifica di ciò che fa». La cultura filosofico-scien­ tifica universitaria, all'aprirsi del XIII secolo, dette una mano a questo professionista, fornendo alcuni strumenti concettuali necessari alla ra­ zionalizzazione più puntuale dello spazio acustico e alla messa a fuo­ co di un problema ormai impellente: la misurazione del tempo musi­ cale.

1 97

5

Il secolo

XIII .

La musica all'università

5·1

La musica nella cultura scientifica universitaria e aristotelica A partire dagli inizi del XIII secolo il mondo culturale medievale ini­ ziò un processo di totale ridefinizione, sotto la spinta di un nuovo ambiente intellettuale, l'università. L'awento di queste istituzioni tra­ sformò i contenuti della conoscenza, le modalità della didattica e la figura stessa dell'erudito. Sorte spontaneamente, le università medie­ vali si configuravano quali strutture preposte alla produzione del sa­ pere. L'Università di Parigi, ad esempio, la più prestigiosa del XIII secolo , scaturì dall'evoluzione delle scuole capitolari e cattedrali del secolo precedente, nelle quali si era radicalizzato il metodo di inse­ gnamento inaugurato da Abelardo, basato sul confronto dialettico. La costituzione di un corpus accademico unitario fu all'inizio soprattutto un modo per salvaguardare l' autonomia e la libertà di docenti e stu­ denti; maestri e allievi potevano infatti appartenere a classi sociali di­ verse e provenire da paesi differenti, ma entrambi erano consapevoli di far parte di una comunità " sovranazionale " , sorretta dalla dedizio­ ne all 'attività intellettuale . All'interno delle università, la facoltà delle Arti accoglieva gli stu­ denti più giovani, e li formava per circa quattro anni, fino al conse­ guimento del titolo di baccelliere, col quale si poteva accedere alle facoltà superiori di Diritto, Medicina e Teologia. La situazione com­ plessiva degli studi nelle arti , così come la si desume dagli statuti e da alcune guide e manuali composti per gli studenti, indica che i primi corsi erano dedicati al trivio (grammatica, dialettica e retorica) , men­ tre le discipline del quadrivio erano introdotte più tardi, in brevi cor­ si di studio: l'aritmetica e la musica erano insegnate su compendi dei trattati di Boezio, la geometria sugli Elementi di Euclide e l' astrono­ mia su sintesi dell'A lmagesto di Tolomeo. Come è stato più volte sot1 99

FILOSOFIA DELLA MUSICA

tolineato, lo sviluppo del sistema universitario non sarebbe stato pos­ sibile se non ci fosse stata la " rinascita " del XII secolo, che consentì un grande afflusso di nuove conoscenze attraverso una vasta e artico­ lata opera di traduzione dei testi filosofici e scientifici greci e arabi . Tra il I I oo e il I 2 00 l'Occidente conobbe infatti la geometria di Eu­ clide, l'astronomia di Tolomeo e degli astronomi arabi, le opere arabe di matematica (che tra l'altro permisero l'introduzione della numera­ zione araba e delle tecniche di calcolo algoritmico) , numerose opere di astrologia, medicina, alchimia, diritto. Ma soprattutto, dagli inizi del Duecento, maestri e scolari poterono infine accedere alla totalità del pensiero aristotelico, fino ad allora conosciuto solo limitatamente alla cosiddetta logica vetus, base dell'insegnamento della dialettica. La conoscenza di questi nuovi testi impresse una svolta al pensiero filo­ sofico scolastico, la cui storia coincise in larga parte con la ricezione, l'interpretazione e l'utilizzazione di Aristotele. La sua filosofia rappre­ sentò per gli intellettuali un sapere sistematico, da cui essi poterono derivare una pluralità di dottrine: I . una vasta esposizione dei pro­ blemi di filosofia naturale; 2 . un sistema coerente e unitario di inqua­ dramento dei molteplici fenomeni della natura sotto la causa univoca del Primo Motore; 3 . un sistema cosmologico fondato sulla centralità della Terra e il moto circolare eterno dell'universo; 4· un'esposizione della scienza generale dell'essere che individua l'essere sommo nell'at­ to puro, principio causale primo e unico; 5. un metodo scientifico rigoroso, fondato sull'apporto della conoscenza sensibile e sul rigore logico-deduttivo; 6. una dottrina psicologica e gnoseologica che indi­ vidua nell'anima umana la forma unica del corpo; 7. una dottrina eti­ ca fondata sulla teoria del fine ultimo dell'esistenza umana; e non ap­ pena la Poetica e la Politica furono disponibili, anche 8. una teoria estetica e 9. una dottrina politica. Aristotele fece il suo ingresso in Occidente accompagnato dall'o­ pera di commento dei filosofi arabi, anzitutto di Avicenna, che poté in larga parte compenetrarsi alla radicata tradizione del neoplatoni­ smo agostiniano. Ma i nuovi orientamenti filosofici aperti dall' Aristo­ tele physicus determinarono una vera e propria svolta, tanto che l' at­ tenzione di maestri e studenti verso le nuove tematiche scientifiche cominciò a essere sentita come una minaccia per la cultura cristiana e le verità di fede. Al I 2 I o e I 2 I 5 e poi al I 2 3 I risalgono le prime condanne parigine nei confronti di Aristotele, ma questo non impedì ai maestri della facoltà di Arti di includere nei loro programmi l'inse­ gnamento della filosofia naturale, continuando ad attingere all'opera del Filosofo e degli arabi , in particolare ad Averroè, il Commentatore per antonomasia, i cui scritti poterono circolare a Oxford e in altri 2 00

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IL SECOLO XIII . LA MlJSICA ALL ' UNIVERSITÀ

centri universitari con maggior libertà che a Parigi. Dalla metà del secolo gli statuti di Parigi e di Oxford sancirono infine nei loro curri­ cula l'obbligo di leggere Aristotele. Una tesi fondamentale desunta dal Filosofo e sviluppata da Tom­ maso d'Aquino afferma che ogni realtà individuale è l'unione di una materia e di una forma. La conoscenza della forma, immanente alle cose, è quindi l'avvio del sapere scientifico. Una conseguenza scaturi­ ta da tale idea, interessante, come vedremo, anche per la scienza mu­ sicale, fu che l'universale di cui si occupa la scienza è la /orma (essen­ za) della cosa reale, e non un 'essenza separata o " pensata come sepa­ rata " . Con tale assunto, la filosofia tomista sviluppò un'idea di " natu­ ra " in cui gli esseri e le cose reali hanno concretezza e autonomia antologica, non essendo più manifestazioni di una realtà superiore. L'introduzione di questa concezione fu osteggiata dalle correnti filo­ sofiche più vicine al neoplatonismo e all'agostinismo, tuttavia l'idea dell'autonomia dell'ordine naturale ne uscì consolidata e, anzi, mise i filosofi di fronte a un grave problema: il sistema aristotelico dimo­ strava infatti che le leggi fisiche del mondo potevano prescindere dai contenuti della Rivelazione cristiana. Quando, nel 1 2 70 e nel 1 2 7 7 , furono promulgate ulteriori condanne d i dottrine filosofiche, come l'unicità dell'intelletto e l'eternità del mondo, sostenute da alcuni maestri delle arti, i cosiddetti " averroisti " , furono sì colpite specifiche interpretazioni della filosofia aristotelica , ma soprattutto per sottoli­ neare la sostanziale incompatibilità fra il pensiero etico-filosofico "lai­ co " da esse delineato e i dettati della fede. A essere condannata era l'idea che vi potesse essere una doppia verità, quella della filosofia (dimostrata dalla ragione ma insostenibile nella fede) e quella della Scrittura ( contraria alla ragione ma evidente e certa per fede) . L e nuove dottrine filosofiche abbisognavano di nuovi sussidi di­ dattici e di studio , che si assestano intorno a tre principali tipologie: r . i commenti alle auctoritates, cioè ad Aristotele in ambito filosofico, alle Sentenze di Pietro Lombardo per la teologia e a Boezio per la logica e per le matematiche, fra cui la musica; 2 . le summae, ovvero i trattati sistematici di ciascun ambito disciplinare, e quindi anche di musica; e 3 . le quaestiones, cioè scritti in cui una particolare tecnica letteraria di domanda- discussione-risposta formalizzava le dispute uni­ versitarie, e anche in questo caso non mancano esempi relativi alla scienza musicale. In realtà, nelle guide di preparazione per gli stu­ denti, i contenuti specifici dell'insegnamento nella musica sembrano offrire appena un'infarinatura sulle principali dottrine dei primi due libri del De institutione musica, che dovevano essere letti de /orma, cioè come "manuali " . Ma volgendo lo sguardo alla letteratura filosofi20!

FILOSOFIA DELLA MUSICA

ca, scopriamo che gli interessi musicali risultano più articolati, verten­ do soprattutto sul problema della fondazione teoretica della discipli­ na. Questi orientamenti della riflessione sulla musica non mancarono di farsi sentire anche nell'ormai vasta trattatistica musicale, rivolta sia alla musica piana, il canto monodico gregoriano, sia alla nuova musi­ ca misurata (musica mensurabilis o mensurata) , cioè il canto polifoni­ co basato sulla misurazione del tempo musicale. Nei paragrafi che se­ guono si cercherà di tenere conto di questa variegata produzione, quella filosofica speculativa e quella specialistica dei trattati musicali, mettendo a fuoco quattro temi di fondamentale interesse per la filo­ sofia della musica: I. lo statuto della musica come scienza, 2 . la defi­ nizione dell'oggetto sonoro, 3 . la misurazione del tempo musicale e 4· la valutazione estetica della produzione musicale.

5 ·2

La musica come arte liberale e 5.2. 1 .

scientia media

ARTE E/0 SCIENZA ? ROBERTO GROSSATESTA E VINCENZO DI BEAUVAIS

Il significato della musica nel contesto delle arti liberali è messo a fuoco, all'avvio del XIII secolo, in un trattatello giovanile di Roberto Grossatesta ( I I 70 circa- I 2 5 3 ) , un filosofo inglese che si interessò di scienza e filosofia naturale anche attraverso un'importante attività di traduzione e commento di opere di Aristotele. Egli fu il primo mae­ stro della scuola francescana di Oxford, dalla quale si sviluppò uno dei centri più prestigiosi di cultura scientifica scolastica, il Merton College. Gli interessi naturalistici erano molto accentuati fra gli ingle­ si, e i maestri accolsero con entusiasmo l'irrompere dei trattati natu­ rali di Aristotele e degli arabi: se anche le artes del quadrivio rimase­ ro il contesto di primo approccio alle scienze della natura, al loro in­ terno essi fecero convergere le nuove dottrine aristoteliche con quelle della tradizione agostiniana e anche chartriana. È proprio questa con­ fluenza a emergere nel De artibus liberalibus di Grossatesta, e la rile­ vanza del trattato sta nello sviluppare un interesse particolare per la musica. Il De artibus si apre con una considerazione già approfondita da Ugo di San Vittore (PAR. 4·4· ! ) : le arti sono strumenti che servono all'uomo per giungere alla perfezione nelle varie attività della vita. L'accento posto sul loro carattere operativo le libera dalla funzione speculativa che nella tradizione boeziana ne fondava la natura più specifica, e le svincola anche dalla necessità della reductio ad theolo2 02

5.

IL SECOLO XIII . LA MlJSICA ALL ' UNIVERSITÀ

giam che abbiamo visto caratterizzare l'età altomedievale. Le arti, af­ ferma Roberto Grossatesta ( 1 986, p. 9 8 ) , sono al servizio della filoso­ fia naturale e della filosofia morale : le discipline del trivio sono pre­ poste a rendere perfetti i "moti " dell'intelletto e della volontà, mentre le arti del quadrivio consentono lo studio dei movimenti corporei. Fra queste ultime, il posto eminente spetta alla musica, che è la scien­ za del movimento regolato. In particolare, è riservata attenzione alla ritmica, concepita ancora, agostinianamente, come misura delle silla­ be. Però, l'accento posto sul suono quale effetto del moto consente a Grossatesta di dedicare alla fisica acustica una sezione del De artibus, ove egli esplora l'idea aristotelica di "moto " come ritorno verso il luogo naturale, il fenomeno della vibrazione, e quello della quiete come limite di incontro fra due moti contrari dell'aria che generano l'impulso sonoro (ivi, p. I oo ) . Questo affondo nelle dinamiche di acustica è indirizzato anche a riformulare la divisione boeziana della musica in mondana, umana e strumentale. Grossatesta sottolinea in­ fatti che la ragione per cui l'uomo ritrova la medesima armonia nei suoni, nei movimenti dei corpi (ad esempio nella danza) e nei movi­ menti degli astri dipende dal fatto che l'armonia è ciò che modera e regola i canti e la gestualità che ogni uomo produce . L'uomo , quindi, impara a giudicare con rettitudine l'armonia musicale non interioriz­ zando l'armonica proporzione dell'universo, come affermavano Ago­ stino e Boezio, ma attraverso l'esperienza spontanea e naturale di produrre suoni ritmati e gesti armoniosi: è da questi che l'uomo af­ ferra nel mondo analoghe proporzioni. Il piacere acustico si gioca dunque sull'accordo fra il ritmo prodotto dall'interiorità, quello per­ cepito coi sensi, quello immagazzinato dalla memoria e quello, ultimo a generarsi, dell'anima che «fa uso delle regole in base alle quali giu­ dichiamo i ritmi» (ibid. ) . Pur appoggiandosi alla teoria dei numeri rit­ mici di Agostino (PAR. 2 . 3 . 3 ) , Grossa testa non preordina la dimensio­ ne teologica al godimento fisico, perché «la funzione dell'arte è che essa sia la regola del nostro agire» (ivi, p. I o i ) . La riconduzione delle arti alla funzione di guida dell'uomo nel suo rapportarsi al mondo e alla natura (cioè «al moto dei corpi») fa sì che anche la musica humana rivesta una imprescindibile funzione: il mantenimento della salute fisica. Il medico che sa operare con arte musicale per sanare i movimenti corporei è il vero sapiente (ivi, p . 1 02 ) . Questa annotazione c i introduce alla questione centrale delle arti liberali: sono arti o scienze? Cioè, le conoscenze a cui indirizzano sono speculative od operative? La questione diviene rilevante nel quadro del recupero della scienza aristotelica , in quanto nella conce203

FILOSOFIA DELLA MUSICA

zione dello Stagirita la scienza è conoscenza dell'universale raggiunta per via dimostrativa, mentre l'arte è un abito mentale indirizzato a operare, come specificato nell'Etica (VI, 4, r o4oa2 o-2 3 ) . La dicotomia implicata dalla dizione " arte liberale " poneva quasi una contraddizio­ ne nei termini, aggravata dal fatto che, rispetto alle arti meccaniche, come la tessitura, le liberali erano nobili, dunque a rigore " più arti " di quelle servili. Ma allora la musica, producendo forme " concrete " come canti e melodie, è più arte o più scienza? Grossatesta - e altri dopo di lui - rispose al problema nel suo commento agli Analitici secondi di Aristotele, ricorrendo alla dottrina della subordinazione delle scienze (cfr. PAR. 5 .2 . 2 ) ; ma dalla metà del XIII secolo la que­ stione fu risolta anche attraverso una bipartizione della musica stessa in " attiva " e " speculativa " , o " pratica " e " teorica " , che andò ad af­ fiancarsi all'idea della "subordinazione " , ribadendo la doppia natura della musica: arte pratica e scienza teorica. Questa divisione derivò dalla tradizione araba, e si diffuse grazie a Vincenzo di Beauvais, che la riprese nel suo Speculum doctrinale. Vincenzo appartenne all'ordine domenicano e operò nell'ambiente intellettuale parigino. La sua vasta opera enciclopedica, lo Speculum maius, diviso nelle tre sezioni naturale, doctrinale e historiale, si collo­ ca nel contesto della fervente cultura domenicana di metà secolo, e approda a una sistemazione scientifica che riflette la riforma dei sape­ ri avviata, sulla spinta del pensiero aristotelico , dai maggiori rappre­ sentanti dell'Ordine: Alberto Magno e Tommaso d'Aquino. Sarà pro­ prio allo Speculum che alcuni teorici della musica operanti a Parigi, quali il domenicano Girolamo di Moravia e Maestro Lamberto, attin­ geranno per inquadrare la disciplina della musica dal punto di vista filosofico. Nello Speculum doctrinale la classificazione delle scienze è esemplata sul modello introdotto dal filosofo e scienziato Alfarabi ( 870-95 0) , uno dei primi ad avviare nel mondo arabo l'opera di com­ mento ad Aristotele. La sua Classificazione delle scienze fu ripresa sia nelle opere enciclopediche latine, sia in quelle degli stessi filosofi ara­ bi, in particolare Avicenna; per cui divenne una sorta di genere lette­ rario autonomo, base della più ampia enciclopedia delle scienze filo­ sofiche attestatasi nella Scolastica. Torniamo allo Speculum. Nello studio delle divisioni della musica, introdotto nel libro xv del Dottrinale, Vincenzo ricalca alla lettera la distinzione proposta da Alfarabi, dividendo la musica in attiva e spe­ culativa. Quest'ultima è suddivisa a sua volta in cinque grandi parti­ zioni, e sono queste l'oggetto di maggior interesse, perché definiscono le aree tematiche di indagine per il musico :

5.

IL SECOLO XIII . LA MUSICA ALL 1 UNIVERSIT À

Anche la musica si divide in attiva e speculativa. La proprietà dell'attiva è di trovare le armonie sensibili negli strumenti che sono preparati a ciò o per natura o per arte [ . . . ] . E così l'artefice di quest'arte non forma i neumi e le armonie e i loro altri accidenti se non secondo come sono negli strumenti, in base al loro uso comune. La speculativa invece offre la conoscenza di queste cose, e le ragioni e le cause di ognuna in base alla quale vengono composte le armonie, non secondo ciò che sono materialmente, ma in senso assoluto, separate dallo strumento e dalla materia, e le considera secondo come sono udite in base allo strumento e alla collocazione nel tempo. Questa, cioè la speculativa, si divide in cinque grandi parti. La prima riguarda i principi [ . . . ] e quale sia il modo nell'acquisizione di quei principi e come sia stata sco­ perta quest'arte e da quali cose e da quante sia composta. La seconda parte dottrinale concerne le disposizioni di quest'arte, cioè la scoperta dei neumi, la conoscenza dei numeri e delle loro specie e la dichiarazione delle loro reciproche proporzioni [ .. ] affinché chi li utilizza scelga i più opportuni per comporre armonie. La terza parte riguarda la conformità dei principi nei di­ scorsi e nelle dimostrazioni sulle specie degli strumenti artificiali [ . . . ] . La quarta riguarda le specie dei ritmi naturali che sono i metri (pondera) dei neumi. La quinta verte sulla composizione delle armonie integre, cioè di quelle che sono sottoposte ai versi metrici composti secondo l'ordine e la qualità della loro arte, ed insegna come esse siano rese più intense e più eccelse, cioè per l'astrattezza dell'intenzione per le quali sono fatte (Vincenzo di Beauvais, 1 95 9 , pp. 9 2 - 3 [xvi, r 5 ] ) . .

1

L e parole di Vincenzo definiscono una vasta articolazione di argo­ menti di pertinenza del musico speculativo, che si richiama ancora al musicus boeziano (cfr. PAR. 2 .4.2 ) , anche se le sue funzioni si fanno più precise e circostanziate, e, soprattutto, più integrate alla prassi. Benché sia discutibile che Vincenzo e gli stessi traduttori di Alfarabi possano aver avuto un'idea esatta dei contenuti della teoria musicale araba (e infatti la traduzione latina presenta non pochi problemi in­ terpretativi), tuttavia la divisione di Alfarabi fu adattata al contesto della teoria occidentale, e risultò efficace per poter introdurre anche la musica misurata, cioè la polifonia, fra gli argomenti di pertinenza teorico-speculativa. In sintesi, ecco le cinque sezioni della musica teo­ rica secondo il passo sopra riportato di Vincenzo : r . Studio introduttivo: principi della musica, loro acquisizione, scoperta del­ l' arte musicale, sue componenti.

1 . Come nota Randel ( 1 976, p. r 82 ) , l'impiego di pondus per indicare il metro ritmico deriva da un'infelice traduzione del testo di Alfarabi, che avrà un certo segui­ to nei trattati musicali.

2 05

FILOSOFIA DELLA MUSICA 2. I neumi: scoperta, specie dei neumi, proporzioni dei neumi, composizio­ ne musicale con i neumi. 3 · Gli strumenti artificiali: principi degli strumenti artificiali, specie degli strumenti, applicazione dei neumi agli strumenti. 4· I ritmi naturali come metri dei neumi. 5 . Composizione delle armonie di versi metrici.

Compariamo questo schema di massima con l'organizzazione degli ar­ gomenti nel trattato dell'inglese Walter Odington ( r 3 oo circa), la Summa de speculatione musicae, una esposizione completa e sistemati­ ca della teoria della musica: r. L'aritmetica come introduzione alla musica: assiomi, specie di inegua­ glianza, proporzioni numeriche, proporzionalità. 2 . I suoni come proporzione numerica: utilità e classificazione della musica, misura dei suoni secondo Pitagora, proporzioni di intervalli e consonanze, note musicali. 3 · Gli strumenti musicali: i tre generi armonico, cromatico e diatonico, le corde, il monocordo, organi e altri strumenti, consonanze, intervalli, specie degli intervalli. 4- Tempi e piedi ritmici: struttura del piede ritmico, tipologie di ritmi. 5 . Armonia semplice, cioè il canto piano: segni di notazione, chiavi, nomi delle note, mutazioni, generi di canto ecclesiastico, modalità e tropi. 6. Armonia composta, cioè la polifonia: valori di durata, pause, modi ritmi­ ci, legature, generi e composizione della polifonia. C'è un chiaro parallelismo con la classificazione alfarabiana: i principi generali della musica divengono la sua fondazione matematica, i neumi sono i suoni della gamma matematicamente determinati, gli strumenti artificiali sono gli strumenti musicali (di cui Odington esamina tanto gli aspetti di organologia quanto di armonica) , la ritmica classica corri­ sponde alla sezione sui ritmi naturali e infine la composizione armoni­ ca, divisa in canto piano e canto polifonico, ha un parallelo nella sezio­ ne sulla composizione delle armonie. Analoghi adattamenti li possiamo individuare in altri trattati della seconda metà del XIII secolo, ad esem­ pio in Girolamo di Moravia e in Lamberto, che si rifanno proprio ad Alfarabi e Gundissalvi, probabilmente attraverso Vincenzo di Beauvais. Lamberto, in particolare, riduce ogni argomento di pertinenza musicale al duplice binario dell'accesso "pratico " e "teorico " : Artefice è colui che, nella pratica, elabora i neumi e le armonie e i loro pos­ sibili accidenti, ed è colui che, nella teoria, insegna come queste cose posso­ no essere fatte secondo l'arte e come esse possano muovere gli affetti umani. Infatti, altro è il compito pratico, altro il teorico. Compito pratico, appunto,

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IL SECOLO XIII . LA MlJSICA ALL 1 UNIVERSIT À

è comporre armonie secondo l'arte, compito teorico è comprendere la cono­ scenza delle specie di armonie, e come e perché si compone (es r, p. 254).

Quanto poi alla polifonia, egli aggiunge che consiste nella conoscenza pratica e teorica delle specie e qualità delle armonie, delle proporzio­ ni e tipologie di durata delle note, delle misure dei tempi e della scrittura musicale (ivi, p. 2 69 ) . Come anche Vincenzo, Lamberto uti­ lizza la classificazione di Alfarabi come modello per suddividere gli argomenti di pertinenza della musica; rispetto ai contenuti musicali, però, entrambi restano ancorati a Boezio. Grazie quindi ad Alfarabi, la teoria è coniugata alla prassi, ed entrambe sono aspetti comple­ mentari della musica. Questa novità concorse a far maturare l'idea che la musica godesse di uno status speciale fra le discipline, in bilico fra speculazione e pratica. L'idea di musica come scienza subalterna e scientia media, sviluppata nei commenti agli Analitici secondi di Ari­ stotele, indirizzerà questo bilanciamento a una duplice filiazione disci­ plinare: all'aritmetica e alla filosofia naturale. 5 . 2 . 2 . LA MUSICA COME SCIENZA SUBALTER:\'A E L ' OBIECTUM GROSSATESTA E ROBERTO KILWARDBY

A UDITUS:

Una svolta decisiva nella riflessione sulle scienze matematiche, e quin­ di anche sulla musica, fu impressa nel pensiero scolastico dalla cono­ scenza degli Analitici secondi, in cui Aristotele delinea la sua conce­ zione della scienza (PAR. 1 . 3 .2 ) . Roberto Grossatesta, nel suo Com­ mentario a quest 'opera ( r 2 25 circa) , attribuì al metodo induttivo di conoscenza, che parte dall'esperienza particolare e giunge a una con­ clusione generale, un valore scientifico qualora consenta una verifica "sperimentale " delle definizioni ottenute. Questa non implica un ri­ corso effettivo alla misurazione, ma un tipo di controllo condotto con criterio matematico. La matematica, infatti, è per Grossatesta l'unica scienza vera e universale delle cause, o " del perché " (propter quid) , in quanto garantisce una conoscenza certa e una dimostrazione rigorosa, fondata su assiomi evidenti. Ma non tutte le discipline matematiche derivano i loro principi dagli assiomi. È il caso della musica e dell'a­ stronomia, che nella tradizione boeziana sono scienze matematiche applicative, o ad aliud. Ora, è proprio sull'intendimento dell' aliud che si determina la distanza fra la concezione boeziana della musica e quella sviluppata da Grossatesta sulla scia di Aristotele, e ripresa dai filosofi del suo tempo. Per Boezio la musica è una disciplina matematica perché l'aliud, il suono , è considerato in quanto quantità, concepita come se fosse 2 07

FILOSOFIA DELLA MUSICA

astratta dal suono concreto (PAR. 2 .4. r ) . Nella concezione di Grossa­ testa, invece , la scienza musicale studia le proporzioni in generale e quelle relative al suono fisico , cioè le consonanze (PAR. 5 . 2 . r ) . La mu­ sica è quindi subalterna all'aritmetica, perché utilizza gli assiomi arit­ metici, ma non verte su di essi. Sviluppando un'idea già discussa da Aristotele negli Analitici secondi (PAR. r . 3 . 2 ) , Grossatesta individua più livelli di subordinazione della musica: la scienza armonica mate­ matica, occupandosi della proporzione in generale, è subalternante ri­ spetto alla scienza armonica secondo l'udito, che studia le consonan­ ze. La seconda, infatti, trae i suoi principi dalla prima, che in questo caso funge da scienza " del perché" (propter quid) , mentre in senso assoluto non è una scienza delle cause, ma una scienza induttiva o " del come " (quia) , essendo sottoposta all'aritmetica, vera scienza causale: E la scienza del come e quella del perché differiscono [ . . .] e sono tali che l'una è subalternante, l'altra subalterna [ . . . ] e così la scienza delle consonan­ ze è subalterna all'aritmetica [ . . . ] , come il numero nelle proporzioni sonore lo è rispetto al numero nelle proporzioni in generale. [ . . . ] Così, l'armonica in base all'udito e la scienza armonica in generale entrambe si chiamano armo­ nica. Ma quando il soggetto della scienza subalterna non ha la predicazione del soggetto della subalternante, allora non condivide il nome con la scienza superiore, e quindi l'armonica non si chiama aritmetica. Il soggetto dell'arit­ metica è infatti il numero semplice concepito nelle sue relazioni assolute e non rapportate a qualcosa d'altro, ma quando al numero si congiungono de­ terminazioni relative ad altro, e da ciò si determina un composto [composi­ tum] , allora se ne fa il soggetto della musica. Il soggetto della musica, infatti, non è il numero al quale si aggiunge una relazione, ma un composto fra il numero e la relazione, e di questo composto non è predicato il numero, per­ ché la parte non si predica della totalità (Roberto Grossatesta, 1 98 1 , pp. 1 95-7 [I, 1 2 ] ) .

Il passo qui sintetizzato mette in campo molti problemi relativi ai rapporti fra le scienze naturali, che studiano gli oggetti fisici per via induttiva e in forza di una subordinazione alle scienze matematiche pure. Il fatto che la musica sia una disciplina aritmetica non implica che condivida con quest'ultima l'oggetto delle sue argomentazioni, ovvero la quantità: il numero è solo una sua componente, giacché esprime la misura del rapporto proporzionale . Il soggetto della musi­ ca nella sua totalità è un compositum, dunque il musico non deve occuparsi della quantità e applicarsi a essa in via esclusiva: così fa­ cendo egli opererebbe da aritmetico ! Così i matematici, pur cono­ scendo gli assiomi della musica, non hanno competenze musicali, 208

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perché non conoscono il quia, il " come " (ivi, p . 1 96) della musica, che si attinge per via induttiva, a partire dal suono. Pur impostando il problema da un punto di vista speculativo, Grossatesta, in fondo, ribadisce un pensiero già palesato da Guido d'Arezzo e dagli autori del XII secolo: anche se la musica ha a che fare con il numero, chi si occupa di musica non si interessa al numero, ma al suono o, meglio, al canto. In fin dei conti, il musi co "sfrutta" l'aritmetica solo come uno strumento. Volgendo lo sguardo alla produzione filosofica sulle divisioni delle scienze del XIII secolo, possiamo notare che anche i filosofi più anco­ rati alla tradizione agostiniana, come il domenicano e vescovo inglese Roberto Kilwardby (m. 1 2 7 9 ) , propongono una classificazione delle scienze simile a quella presentata da Grossatesta. Nella sua opera en­ ciclopedica, il De ortu scientiarum ( 1 247-5 0 ) , Kilwardby afferma che la scienza deve essere divisa secondo la divisione della res di cui tra t­ ta. Nell'ambito delle matematiche, la discipline consentono una gra­ duale astrazione dalla materia e dal moto , partendo dal diletto che l'occhio e l'orecchio provano nelle loro percezioni: Poiché dunque sono due i sensi più adatti alle discipline scientifiche, come dice Aristotele all'inizio della sua Metafisica [I, I , 98oa2 I b2 5] e nel trattato Del senso e dei sensibili [I, 437a3 -5 ] , cioè la vista e l'udito, dopo le scienze di cui abbiamo parlato alle quali si perviene attraverso la vista, l'uomo inizia a dilettarsi nel suono oggetto dell'udito (obiecto auditus) . E ammirandone la causa, inizia a ricercarla e così inizia a filosofare sull'oggetto dell'udito (Ro­ berto Kilwardby, I 976, p. 50 [ I 8 , I 2 6] ) .

L e scienze matematiche vertono s u cose esistenti e d esperite nella realtà, ma di cui si considerano solo il numero e la dimensione. Come in Boezio, anche per Kilwardby la musica è una disciplina della mol­ titudine. Ma mentre per il primo essa considera il numero come se fosse separato dalla cosa reale, per il secondo essa concerne invece res harmonice compositas. Troviamo dunque anche qui, come in Grossatesta, l'idea di scienza musicale quale disciplina della " compo­ sizione" , termine che indica sia la natura materiale composita dell'og­ getto sonoro, sia la consapevolezza (molto chiara in Kilwardby) che l'oggetto musicale è " composto " dall'uomo, essendo una " cosa messa insieme armonicamente " , concreta e materiale: il numero, come è considerato dal musica, è il numero materializzato (con­ cretus) con le cose naturali [ . . . ] e quindi dissi che < la musica > verte sul numero armonicamente relazionato o sulle cose adattate l'un l'altra in armo-

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nica proporzione, che è lo stesso, volendo indicare con " armonica relazione" la materializzazione e la materialità che inerisce ai numeri considerati dal musica (ivi, p. 57 [2o, 143] ) .

Questa necessità di rivolgersi all'oggetto indagato, e non alla metodo­ logia di approccio all'oggetto stesso (come era in Boezio), quale ele­ mento di discrimine fra disciplina e disciplina, assume rilievo nella musica e nelle altre scienze che vertono sull'applicazione delle mate­ matiche, quali l'ottica e l'astronomia. In altre parole: assunto che la scienza è sempre, nella prospettiva aristotelica, conoscenza degli uni­ versali ricavati dalla dimostrazione sillogistica, ne consegue che se i principi del sillogismo sono assiomi primi, evidenti e separati dalle determinazioni materiali delle cose, la scienza è pura e astratta, come l'aritmetica e la geometria; se invece gli assiomi sono le conclusioni e dimostrazioni delle scienze pure, o sono derivati dall'osservazione fe­ nomenica, allora la scienza è subalterna. In conseguenza, le scienze meccaniche sono scienze solo in minima parte, poiché si basano so­ prattutto sul senso e sulla pratica operativa; tuttavia i loro prodotti sono degni di elogio e ammirazione, poiché sono indirizzati al piacere e alla meraviglia. Roberto Kilwardby trae interessanti conclusioni sullo statuto della scienza musicale. Anzitutto la boeziana musica mondana è liquidata da lui come oscura e ignota (ivi, p. 59 [2 I , I 5 o] ) , proprio perché verte su un oggetto sconosciuto all'uomo; poi, sottolineato che Boezio si occupò di musica sonora (questo è il senso che egli attribuisce alla instrumentalis) , afferma che quest'ultima è un'arte meccanica , dunque poco scientifica, se concerne la produzione concreta della musica, mentre è scienza matematica se indaga la proporzione armonica dei suoni. Solo in quest'ultimo caso il musico dicit propter quid, cioè è latore di una scienza causale, mentre gli strumentisti e i poeti che compongono carmina hanno una scienza quia, del " come " (ivi, p . 6o [2 I , I 5 I ] ) ; quindi , nella sua accezione più ampia, «la musica è la scienza speculativa che perfeziona l'intelletto umano nella conoscenza dell'armonia sonora o dei suoni armonicamente concordati» (ivi, p. 53 [ I 8 , I 3 3 ] ) . L'accento è posto da Kilwardby sull'oggetto sonoro, e su questo punto egli critica apertamente la definizione data da Boezio (la musica è scienza de numero relato ad aliud) : il " relativo " non è il numero " astratto " , ma ciò che è conveniente alla composizione armo­ nica (ivi, p. 56 [2o, I 3 9] ). Kilwardby ribadisce, però, che ciò che è relativo alla composizione armonica resta nel campo di pertinenza dell'aritmetica, non della filosofia naturale: 2 IO

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Reputo infatti che la scienza armonica consideri le cose naturali, ma non in quanto naturali. Infatti, le stesse cose che studia l'armonico o il musica le studia anche il @osofo naturale, ma in ragione di cose diverse, e quello che studia l'armonico precede per natura ciò di cui si occupa il filosofo naturale. Questo si spiega così. I suoni vocali sono composti armonicamente, come afferma Boezio nel primo libro della Musica, e sono cose naturali mutevoli. Il filosofo naturale, dunque, considera in quelle ciò che riguarda il cambiamen­ to e la trasformazione, cioè come gli strumenti naturali in movimento muo­ vano l'aria, [ . . . ] come la voce che perviene all'udito lo trasforma e lo altera, e tutte le cose che sono di pertinenza dell'azione e della passione e del movi­ mento naturale; e le considera in se stesse come essenze dei suoni [ . . . ] . Dun­ que queste essenze ed elementi naturali dei suoni, considerate in se stesse prima di qualsiasi movimento naturale, hanno una proporzione numerale e armonica [ . . . ] . Questa proporzione numerica [ . . . ] si fonda nel numero della sonorità (in numero sonoritatis) che sta in queste cose, ed il numero è per natura precedente al moto [ .. .] , quindi la musica è più astratta della scienza naturale ed è perciò matematica, e non naturale (ivi, p. 59 [2 1 , I46- 1 5 o] ) .

Pur con un argomento prolisso e non limpidissimo , che mette sullo stesso piano la parola proferita nella scansione del discorso e la voce intonata nel canto, Kilwardby ribadisce che le essenze o forme del suono e della voce hanno una "numerosità " insita, grazie alla quale il rapporto fra suoni diversi è riducibile a unità. Obiettivo del musico è appunto considerare questa "natura " numerica, mentre il filosofo na­ turale si interessa agli aspetti concernenti la mutevolezza del suono: generazione, propagazione e ricezione all 'udito. La matematica musi­ cale, pur vertendo sul numerus concretus, è quindi più astratta della filosofia naturale, ed è antecedente a questa. 5 .2 . 3 . ALBERTO MAGNO E TOMMASO D ' AQUINO: LA MUSICA SCIENZA MEDIA E L ' ARTE SPECULATIVA

Come è stato sottolineato, nel pensiero di Grossatesta e Kilwardby, come di altri filosofi del XIII secolo nei quali permane la presenza del­ la tradizione agostiniana, l'unica scienza universale delle cause è l' arit­ metica, la più astratta delle arti liberali. Se, però, volgiamo lo sguardo alle scuole di pensiero nelle quali l' aristotelismo è più accentuato , come in Alberto Magno e in Tommaso d'Aquino, notiamo che que­ sto posto eminente spetta alla metafisica, cioè alla scienza dell ' " essere in quanto essere " . Nel suo commento alla Fisica, Alberto Magno giu­ stifica le ragioni dell'eccellenza della metafisica, affermando che tanto le matematiche quanto le scienze fisiche sono scienze " reali " (reales) , poiché in forma più o meno marcata si occupano di realtà oggettuali, 2II

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di res particolari, e non dell'essere come tale, privo di determinazioni (Alberto Magno, I 9 87, p. I [I , I , I ] ) . La tradizione neoplatonica ave­ va distinto le scienze in base alle facoltà conoscitive; di contro, l'ari­ stotelismo scolastico punta l'accento sull'oggetto di conoscenza, e quindi, secondo Alberto, il soggetto delle scienze si diversifica a se­ conda che stia nella realtà solo formalmente (secundum rationem) o materialmente (secundum esse) . Ora, se in fondo questo è quanto ave­ va affermato anche Boezio (PAR. 2 .4. I ) , tuttavia la conclusione è ri­ baltata. Per Alberto solo la metafisica indaga i principi, «poiché la quiddità dell'essenza assoluta è dell'ente universale, non contratto in alcuna parte, mentre la quiddità dell'essenza contratta nella materia quantitativa, o che ha forme contrarie di azione e passione, è dell'en­ te considerato in modo particolare» (ivi, pp. 2 - 3 ) . Gli oggetti d'inda­ gine di matematica e fisica "stanno , nella materia e nel movimento, e implicano una particolarizzazione dell'ente. Entrambe le discipline, dunque, sono particolari e subalterne, secondo un principio classifica­ torio che Alberto non desume più da Aristotele, ma dal suo commen­ tatore Avi cenna (Bertolacci, 2 o o I ) . In conclusione, la matematica non è la scienza universale causale , ma è una conoscenza particolare di­ pendente dalla metafisica. Nel suo commento al De Trinitate di Boezio, che metteva a fuoco il problema della distinzione fra le scienze speculative (PAR. 2 .4. I ) , Tommaso d'Aquino presenta una concezione ancora più critica verso la presunta eccellenza delle matematiche. Egli, infatti, non propone né una suddivisione in base alle facoltà conoscitive, né in base alle res conosciute, ma in base all' obiectum. Con questo termine, che indica la "maniera di presentarsi , delle res al soggetto conoscente (Porro , 2 ooo, pp . I 94-5 ) , il Dottore Angelico intende le modalità con cui ogni cosa esperita si rapporta a una facoltà (habitus) o a una capacità (potentia) dell'intelletto. Tommaso ribadisce: Si deve sapere, tuttavia, che quando gli abiti o le potenze si distinguono in relazione agli oggetti, non si differenziano rispetto a ogni differenza degli og­ getti, ma per quelle differenze che sono specifiche degli oggetti in quanto oggetti: l'essere animale o pianta è del sensibile in quanto sensibile, dunque su questo non si basa la distinzione sensibile, ma piuttosto sulla differenza di colore e di suono (Tommaso d'Aquino, 1 992 , p. 1 3 8 [q. 5 , a. 1 ] ) .

L' obiectum percepito non è l a res i n quanto tale, m a quella particola­ re modalità (ratio) con cui la cosa sta in rapporto alla facoltà mentale. In parole povere: "oggetto , della vista non è un albero o una casa, ma il colore, mentre " oggetto , dell'udito non è il suono in quanto 2 I2

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prodotto fisico, ma è il suono udito (obiectum auditus) . Però, afferma Tommaso, «come il soggetto sta alla scienza, così l'oggetto sta alla potenza o all'abito» (Tommaso d'Aquino, 1 984, I, p. 57 [q. r a. 7 ] ) , quindi l e discipline matematiche, il cui soggetto è speculativo solo «per via di astrazione o per via di immaginazione» (T ommaso d'A­ quino, 1 99 2 , p. r 62 [q. 6 a. r ] ) , consentono di formulare operazioni mentali che sono precluse sia alla metafisica (che è conoscenza di og­ getti realmente separati dalla materia) , sia alla fisica ( che è conoscen­ za di oggetti immanenti alla materia). In termini più semplici: l'ogget­ to sonoro stimola la mente in forza dell'immaginazione che lo " astrae " dal contesto reale, mentre astratto non è. Appoggiandosi al­ l' Etica aristotelica, Tommaso sottolinea che le matematiche sono scienze adatte ai fanciulli, proprio perché operano sull'oggetto perce­ pito per astrazione e immaginazione, e non richiedono la sperimenta­ zione implicata dalle scienze fisiche. Le matematiche sono le sole scienze a potersi fregiare del nome di artes, in quanto l'operatività mentale è costitutiva della loro natura: E dunque fra tutte le altre scienze esse sole sono chiamate arti perché non solo implicano la conoscenza, ma anche un 'operatività che è implicita alla stessa ragione, come costruire un sillogismo o dare forma a un discorso, nu­ merare, misurare, dare forma alle melodie (melodias formare) e computare il moto delle stelle (ivi, p. 1 39 [q. 5 a. r ] ) .

Tommaso introduce l'idea dell' arte liberale come arte speculativa, specificando che l'arte in senso proprio è solo quella meccanica e produttiva. L'opera della ragione, infatti, che sia un costrutto sillogi­ stico o un atto di misurare o computare, è sì un'operazione, ma non produttiva di una forma artistica. Le arti liberali non servono a " pro­ durre " , ma a "introdurre " alla scienza fisica; e anche quelle che sono più implicate dagli attributi materiali, come le scientiae subalternae già discusse da Grossatesta, fra le quali vi è appunto la musica, han­ no tuttavia un approccio più matematico che fisico all' obiectum. Esse, potremmo dire, " descrivono le percezioni" e sono quindi scienze quia, del " come " . Nel suo commento agli Analitici secondi (I, 4 1 ) Tommaso le definisce " scienze medie " , che applicano i principi mate­ matici alla materia sensibile. Dalle parole di Tommaso sembra, in conclusione, che la musica sia una scienza descrittiva, che studia l'og­ getto sonoro nella sua ratio matematizzata. Ma allora, che cosa significa quel melodias formare ricordato nel passo sopra citato? Dare forma alle melodie, in senso proprio, non implica per Tommaso dedicarsi alla composizione, ma indagare le ra213

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gioni matematiche che sottostanno al comporre. Pur partendo da pre­ messe diverse, anche Tommaso , come i filosofi suoi contemporanei, sembra incline a ritenere che il musico arrivi a comprendere la logica dei processi compositivi non per esperienza diretta del fare musica, ma attraverso un approccio matematico speculativo alla materia sono­ ra. Il musico si occupa, insomma, di suono concreto numerato , cioè delle consonanze musicali, la cui forma è la proporzione. Per Tomma­ so la specie o forma è la ratio quidditativa rei, cioè è ciò per cui co­ nosciamo che cos'è una cosa. Nel suo commento alla Fisica, egli af­ ferma al riguardo: La forma della consonanza diapason è la proporzione doppia, di due a uno, infatti le proporzioni numeriche applicate ai suoni, come se questi fossero la loro materia, costituiscono le consonanze musicali (Tommaso d'Aquino, 1 954, p. 89 [n, 5, 1 79]).

Se quindi l'oggetto udito (obiectum auditus) è una consonanza di ot­ tava, la sua "forma sensibile " è la proporzione doppia, e infatti tale proporzione, implicata dalla percezione dei due suoni, è ciò per cui ri-conosciamo che quella consonanza è appunto di ottava. Questo ar­ gomento accredita l'idea che la musica sia una scienza media, che si occup a de numero relato ad sonos: le forme sensibili dell'oggetto mu­ sicale che interessano l'intelletto sono quelle esprimibili in un rappor­ to numerico, cioè le consonanze. Nonostante l'interesse verso la res concreta sonora, anche nell'aristotelismo la matematica resta un fon­ d amento imprescindibile dell'approccio gnoseologico al mondo dei suoni. 5 .2 .4. L ' ACUSTICA NELLA FILOSOFIA NATURALE SCOLASTICA: IL SUONO COME QUALITÀ DELL ' ARIA E COME FENOMENO LUMINOSO

In conseguenza dell'affermarsi dell'idea della musica come scienza in­ termedia fra la filosofia naturale e la matematica, nel corso del XIII secolo i trattati musicali cominciarono a occuparsi anche della fisica del suono . Il trattato L)anima di Aristotele fu il principale punto di riferimento per queste indagini, in quanto inquadrava il problema dell'acustica come problema gnoseologico. Nella concezione aristote­ lica, infatti, è partendo dal suono sensibile che si innesta la possibilità di una conoscenza scientifica del suono stesso; perciò , benché l' acu­ stica sia argomento di competenza della filosofia naturale, lo studio del suono ha ripercussioni anche sul piano della matematica musicale , dunque della scienza della musica in senso lato.

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Secondo Aristotele, l'oggetto sensibile percepito è di due tipi: sen­ sibili comuni sono la grandezza, il movimento, la quiete e la figura, mentre sensibile proprio è ciò che è sentito da ogni senso in modo specifico, come il colore per la vista e l'auditum per l'udito . Nell'A ni ma (n , 1 2 , 424a) , il suono è definito una qualità esistente in potenza nel corpo sonoro, che passa all'atto , cioè si realizza concretamente, quando il corpo collide con un altro in un mezzo di propagazione come l' aria (PAR. L 3 . 3 ) . L'aria trasmette il movimento impressole fino all'udito, che recepisce, quale " oggetto " di percezione, la species sine materia o, altrimenti detto, la /orma sensibilis; infine, questa "passa " dal senso all'attenzione della mente , che opera sulle proprietà partico­ lari di cui la forma porta traccia, completando così il processo cono­ scitivo del suono. La Scolastica matura chiamerà questa forma sensi­ bile phantasma. È opportuno precisare che, nel contesto dell' aristote­ lismo, ogni realtà non ha esistenza se non nella materia; quindi, es­ sendo il suono "in atto " solo al momento della propagazione, l'aria è propriamente la sua materia. Tuttavia, la stessa aria è anche il mezzo che trasmette la forma sensibile del suono. Ecco, dunque, che i pro­ blemi di propagazione e ricezione del suono divengono argomenti di acceso dibattito fra i maestri: il suono è una res o una qualitas? La sua specie è materiale o spirituale? Due suoni che si propagano per moto contrario, come nell'eco, si annullano? L'essere del suono nel­ l' aria è diverso dall'essere del suono nel senso? Qual è la materia del suono propagato nell'acqua? Queste e altre questioni, alcune delle quali costituiscono, ad esempio, anche la trattazione di Vincenzo di Beauvais nel suo Speculum naturale, conducono a concepire il suono come un fenomeno qualitativo, dotato di esistenza instabile, debolissi­ ma e limitata nella durata. Per questo, precisa Vincenzo, non si trova nei filosofi una definizione esatta e univoca di cosa sia il suono (Mo­ relli, 2 00 1 , p . 1 02 ) . Esso non ha una materia nella quale esiste sta­ bilmente, a eccezione dell'aria, e poiché tale "esistenza " è debolissi­ ma, non può avere differenze proprie. Infatti, la distinzione fra acuto e grave dipende solo dal modo in cui l'aria è percossa (ivi, p. 1 0 1 ) . Il suono è, allora , una qualità dell'aria che presenta le caratteristiche del moto da cui dipende la sua esistenza. Tuttavia, precisa ancora Vin­ cenzo, è possibile distinguere attraverso il numero tali differenze, come attraverso il numero si distinguono i colori. Owero : quando due suoni sono recepiti in modo che la loro differenza è " rilasciata " all'udito secondo una specifica proporzione aritmetica, accade che i due suoni si connettano, come quando awiene una sovrapposizione di due colori. Nel caso dei suoni, le gradazioni possibili sono solo sette (ibid. ) : in modo assai vago, Vincenzo sembra qui riferirsi ai sette ­

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gradi della scala, che definiscono la totalità dei suoni fra i quali sono determinabili proporzioni numeriche. Vi sono però, specifica ancora il filosofo domenicano, moltissimi altri suoni non determinabili fra loro in modo proporzionale. In questa interpretazione dell'acustica aristotelica, la " specie del suono , è, in fin dei conti, ciò che definisce le caratteristiche acustiche del suono materiale. La discussione sulla natura del suono non portò quindi, nel corso del XIII secolo, a delineare una dottrina unitaria e condivisa su questo fenomeno naturale. Forse proprio per l'incapacità di formulare una risposta chiarificatrice, gli scolastici non mancarono di proporre ipo­ tesi che, in certi casi, risultano assai originali. Fra queste, una dottrina acustica sviluppata nell'ambiente scientifico di Oxford , che ebbe un certo rilievo fra i primi maestri francescani, merita di essere ricordata per la risposta che dette a due problemi: I . la connessione fra il suo­ no come fenomeno fisico e la matematica musicale e 2 . l'annoso pro­ blema della musica delle sfere. Si tratta dell'idea che il suono sia un fenomeno luminoso, ipotesi originatasi sulla base della fisica della luce elaborata da Roberto Grossatesta, la quale implicava che i feno­ meni naturali fossero manifestazioni di una sola causa, l'azione radiale celeste. Nella fattispecie, secondo Grossatesta il suono è il risultato dell'incorporazione di " atomi , di luce all'interno di particelle d 'aria (Panti, 1 99 8 ) . L'idea fu ripresa e sviluppata da un anonimo commen­ tatore del De institutione musica, operante intorno alla metà del XIII secolo , probabilmente a Oxford. Egli tentò di dimostrare come l'idea della natura luminosa del suono renda coerente il collegamento fra la fisica, l' acustica e la matematica musicale. Infatti, per questo scoliaste, la consonanza si determina quando due suoni stanno fra loro in pro­ porzione, in modo tale che la forza che genera l'impulso del primo suono sia proporzionale alla forza che genera l'impulso del secondo. Quindi, anche le velocità dei due suoni e le rispettive frequenze (il numero di oscillazioni della corda in vibrazione) avranno il medesimo rapporto proporzionale. Ma a un livello ancora più interno nella na­ tura del fenomeno sonoro , la proporzione che esprime la consonanza è il rapporto fra la quantità di luce emessa dalle particelle aeree mes­ se in movimento dalle due diverse vibrazioni. Una forza motrice più vigorosa farà fuoriuscire una luce più sottile, e dunque un suono più acuto, rispetto a un impulso meno vigoroso, che farà fuoriuscire luce meno sottile, e quindi un suono più grave: Come la proporzione della forza motrice sta alla forza motrice, così la pro­ porzione della velocità sta alla velocità e quindi la proporzione del numero

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di movimenti sta al numero di movimenti e dunque quella del suono sta al­ l' altro suono. La proporzione fra un suono e un altro è infatti come quella fra la luce incorporata che esce, che è la sostanza del suono, all'altra luce incorporata < dell'altro suono > . E una forza maggiore farà uscire una luce più sottile, come vediamo nei corpi che emettono luce visibile, dove ciò che riluce di più per grandezza e potenza illumina l'aria con una luce più chiara e sottile (cit . in ivi, pp. r5 -6).

A partire da questa singolare dottrina acustica, lo stesso glossatore afferma che la luce celeste si riversa sulla Terra sia sotto forma di luce visibile, sia incorporandosi in minuscole molecole di aria. In tal modo, essa è recepita come suono dal nostro apparato uditivo; tutta­ via, essendo questo poco sensibile alla subtilitas di quelle particelle aeree, è incapace di percepire distintamente il suono celeste. E aven­ do stabilito che la differenza in acutezza e gravità dei suoni dipende dalla proporzione di luce nei corpi sonori, tale principio è applicato anche alla musica delle sfere: le consonanze celesti scaturiscono dalla luminosità dei corpi, non dal loro moto . A testimonianza del favore che questa dottrina sulla musica cele­ ste godette attorno alla metà del XIII secolo, ricordiamo che il france­ scano inglese Guglielmo di Clifford, nelle sue questioni su L'anima ( r 245 circa), pose il quesito «se il raggio celeste che cade nell 'atmo­ sfera rarefacendola possa generare un suono» (Panti, 2 004, p. 2 2 5 ) , affermando che il suo confratello Adamo di Exeter riteneva che la musica mondana si originasse proprio dai raggi luminosi per un pro­ cesso di rarefazione dell'aria. Benché si tratti di una veloce annotazio­ ne, è interessante rilevarne la presenza qui come anche in altri trattati coevi, dove è richiamata per discutere la critica aristotelica sulla musi­ ca cosmica, esposta nel trattato Il cielo: nella Philosophica disciplina, un manuale universitario del 1 245 , nell'Opus tertium di Ruggero Ba­ cone e nella Divisio scientiarum di Arnaldo di Provenza ( r 2 5 0 circa) . L'idea che la musica mondana fosse un fenomeno luminoso consenti­ va infatti di sostenere l'idea platonica dell'armonia cosmica senza ri­ correre all'ormai inaccettabile teoria del suono prodotto dai pianeti in movimento, idea contraria alla fisica di Aristotele. L' auctoritas aristo­ telica ribadiva, invece, il principio per cui l'azione causale deriva dal complesso meccanismo di trasmissione del moto di cielo in cielo fino al mondo sublunare (Metafisica, XII) . I sostenitori della "fisica della luce " poterono perciò mantenere questa tesi essenziale, concretizzan­ dola nell'idea della causalità luminosa, estesa a comprendere anche il fenomeno sonoro. 2 !7

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5 . 2 . 5 . L ' OPINIO:'\E DEI MAESTRI DELLE ARTI: LA

GUIDA DELLO STUDENTE

Uscendo dalle discussioni filosofiche sulla natura della scienza musi­ cale e del suono ed entrando nel merito dell'insegnamento universita­ rio di questa disciplina, volgiamo l'attenzione a quei testi che rifletto­ no la consistenza e i contenuti della didattica " curricolare" . Il più noto fra i manuali d'uso alla facoltà delle Arti di Parigi è la " guida dell'esaminando " , databile verso il 1 2 3 0-40 (Lafleur, 1 99 2 ) . Qui, il problema della subalternatio musicae è ben in evidenza, così come quello, concomitante, del subiectum musicae. La Guida apre la sezione dedicata alla musica affermando che essa è la scienza «della quantità discreta mobile, cioè del suono, che è numero contratto (numerus contractus) nella proporzione della sonori­ tà» (ivi, p. 43 ) . Dopo aver liquidato la boeziana musica mondana e umana - delle quali peraltro sottolineiamo che la sonoritas fa da sog­ getto a entrambe, per cui la mondana «è pressoché sconosciuta», mentre la umana è individuata nella musica vocale, secondo la persi­ stente tradizione altomedievale - la Guida si concentra sulla strumen­ tale, la quale verte «nella dimostrazione delle caratteristiche proprie (passiones) di questa scienza relative ai toni e alle consonanze» (t'bid.) . La presentazione dei temi è affidata a sei quaestiones sulla musica, cioè a problemi che il maestro discuteva per arrivare alla formulazio­ ne della risposta. La prima questione stabilisce che la musica è «la scienza che contrae il numero nella proporzione dei suoni» (ivi, p . 44) , mentre l a seconda, richiamandosi agli Analitici secondi, pone il problema della subalternità della disciplina. La soluzione proposta dalla Guida è molto vicina a quella di Grossatesta: la subalternità in senso stretto significa che la musica desume le sue " passioni " dalla scienza subalternante, cioè dall'aritmetica; tuttavia la musica non verte sulle caratteristiche generali del numero nella sua funzio­ ne di numerante, ma su quelle del numero nello specifico della sonorità, li­ mitatamente a quanto < la natura del numero > si separa dai suoni nello specifico della proporzione (ivi, p. 45 ) .

I n altre parole: il numero sonoro è contractus nel suono, come affer­ merà anche Kilwardby (PAR. 5 .2 .2 ) , e il musico lo astrae con la mente per misurare le proporzioni nei suoni. Sullo stesso tema, la Guida tor­ na anche in una questione ulteriore: come è possibile che la musica verta sul numero contractus se la matematica è de rebus abstractis? La risposta è che la quantità discreta in movimento, soggetto della musi­ ca, è proprio il numero " contratto " nella sonorità, e questo è l'ogget­ to di studio di chi si occupa di consonanze. 218

5.

IL SECOLO XIII . LA MlJSICA ALL 1 UNIVERSIT À

Da quanto detto, la Guida presenta un'idea precisa di chi sia il musico : colui che operando sui suoni riconosce gli intervalli fra gli stessi e li studia in quanto esprimenti specifiche proporzioni. La scienza musicale verte su questi argomenti, tanto è vero che, come stabilisce un'ulteriore questione, la musica umana, cioè il canto, è scienza solo se la voce è considerata come uno strumento musicale, come quando i fanciulli imparano il canto sulle dita (ibid.) . Insomma: i principi base della teoria della musica, cioè intervalli, toni, conso­ nanze, solmisazione, fanno parte a pieno titolo della scienza della mu­ sica. E il ritmo? La risposta è a tutta prima deludente, infatti la Gui­ da, appoggiandosi alla Fisica di Aristotele, dice che il tempo è argo­ mento di pertinenza della filosofia naturale 2, perché «il musi co sep a­ ra i toni e le melodie dal tempo nel quale sono fatte, e dunque non tratta del tempo» (ibid. ) . Sebbene intorno alla seconda/terza decade del Duecento la misura del tempo nella musica fosse ormai una realtà acquisita (si pensi che la fioritura della polifonia di Notre Dame è collocabile già alla fine del secolo precedente) , l'idea che ogni singolo suono potesse essere misurato in base ad un'unità di tempo era una concezione ancora da mettere a punto. La Guida, in fondo, ci attesta un fatto che possiamo verificare anche nei trattati della musica, cioè che solo nella seconda metà del secolo il tempo entra fra le passiones della disciplina, quando, cioè, lo si comincia a considerare come mi­ sura di durata del singolo suono (PAR. 5 . 3 . 2 ) . Prima di allora, il tem­ po musicale resta, agostinianamente, la misura di durata della sillaba. E infatti, nella terza questione posta dalla Guida, nella quale si chiede se la scienza poetica sia subalterna alla musica, la risposta è che lo è solo «secondo il modo di presentarsi dei versi quanto al numero»

(ibid.) . 5 .2 . 6 . GIOVANNI DI GARLANDIA: LA PROPORZIONE COME OGGETTO DELLA MUSICA E IL COLOR MUSICALE

Dopo aver tracciato i problemi relativi allo status della musica nel contesto filosofico e dell'insegnamento curricolare della disciplina, possiamo valutare l'incidenza di queste problematiche nella coeva trattatistica musicale. I primi sentori di interesse verso i temi della fondazione scientifica della musica e del soggetto della stessa si ri­ scontrano nei trattati collocabili dalla metà del secolo, in particolare

2. Come più volte sottolineato, la scienza teoretica naturale verte secondo Ari­ stotele sulle res considerate nel tempo e nel movimento.

2 19

FILOSOFIA DELLA MUSICA

in quelli più vicini agli ambienti universitari. Fra questi, uno dei più influenti è la Musica plana di Giovanni di Garlandia, giuntaci in quat­ tro diverse redazioni più una Introductio, tutte frutto di reportationes, cioè rendiconti stesi dagli studenti sulla lezione del maestro. La prima e la terza reportatio della Musica plana si aprono con una definizione generale di scienza quale «conoscenza della cosa per come è», alla quale è abbinata una partizione in teorica e pratica, la cui distinzione è impostata sulla differenza fra speculativa e operativa, simile a quella presente in Alfarabi (pAR. 5 . 2 . I ) . Infatti, la terza re­ portatio esordisce: «Inizia qui l'arte della musica piana non misurabi­ le, che ci è stata trasmessa dagli antichi filosofi in via teorica» ( Gio­ vanni di Garlandia, I 998, p. 39) . Dunque, gli argomenti di pertinenza del canto piano sono parte della teorica della musica o, meglio, sono stati trasmessi come musica teorica. Le discipline teoriche infatti, pro­ segue Giovanni, sono la teologia, la filosofia naturale e la filosofia dottrinale, cioè le tre scienze teoretiche aristoteliche (PARR. r .3 .2 e 2 4 I ) , ma in senso proprio sono scienze solo le discipline matemati­ che, incluse nella filosofia dottrinale. Nell'ambito del quadrivio, la musica è quindi definita in tre modi, in base a come introduce allo studio scientifico del suo oggetto: ·

·

quanto al soggetto la musica riguarda il numero relativo ai suoni. Quanto all'applicazione (ad opus) la musica riguarda la moltitudine dei suoni. Quan­ to al modo (ad modum) la musica è la vera scienza del canto, e la facile via alla perfezione del canto (ivi, p. 3 ) .

Le tre definizioni, rimaneggiate da Boezio e Isidoro , rispondono a una precisa organizzazione degli argomenti di pertinenza della teoria musicale. In primo luogo, la musica ha per soggetto il numero nella sonorità, e infatti la prima parte della Musica plana verte sui fonda­ menti numerici del suono, cioè sulle proporzioni che definiscono i suoni della gamma; in secondo luogo, quanto alla sua applicazione, la musica concerne la totalità dei suoni, e quindi Giovanni passa all'e­ semplificazione sul monocordo, il sussidio cardine della musica instru­ mentalis. La struttura del sistema acustico realizzata sullo strumento consente di controllare la giustezza degli intervalli melodici nel canto piano, e perciò l'insegnamento procede mettendo in relazione i suoni del monocordo con le sillabe della solmisazione guidoniana, da cui sono definiti gli esacordi e le procedure di mutazione fra un esacordo e l'altro. Infine, la trattazione conclusiva del cursus dell'insegnamento di Garlandia, in linea con la terza definizione della musica, entra nel­ le modalità del canto e della sua perfezione formale con un'indagine 220

5.

IL SECOLO XIII . LA MUSICA ALL 1 UNIVERSIT À

sistematica sugli intervalli melodici. Sia qui che anche nel De musica mensurabili, pure attribuita a Giovanni, egli propone una classifica­ zione completa dei tredici intervalli dall'unisono all'ottava. In quest'o­ pera (Giovanni di Garlandia, 1 97 2 , p. 66), gli intervalli consonanti (concordantiae) sono riferiti alla simultaneità dei suoni, dal più conso­ nante (unisono) fino al meno consonante (terza minore), mentre gli intervalli dissonanti (discordantiae) vanno dal più (tritono) fino al meno dissonante (sesta maggiore) . Gli stessi intervalli, stavolta consi­ derati melodicamente (consonantiae) , sono elencati nella Musica plana con i rispettivi valori proporzionali. Il complesso delle due trattazioni consente di correlare concordanze e consonanze: Consonanze concordanti (intervallo melodico) = Concordanze (intervallo ar­ monico) perfette: unisono ( I : I ) e ottava ( 2: I ) medie: quarta ( 4 : 3 ) e quinta ( 3 : 2 ) imperfette: terza maggiore ( 8 I :64) e terza minore (32:27) Consonanze discordanti (intervallo melodico) = Discordanze (intervallo armo­ nico) imperfette: sesta maggiore (54:32) e settima minore ( I 6:9) medie: seconda maggiore (9:8) e sesta minore ( I 2 8 : 8 I ) perfette: settima maggiore (486:256) seconda minore (256:243 ) e tritano (729:5 I 2 ) Come ha sottolineato Meyer (2007 ) , la novità di questa organizzazio­ ne del sistema degli intervalli sta nel rendere corrispondenti i criteri di consonanza sub auditu con quelli matematico-speculativi 3 • L'inda­ gine matematica sugli intervalli, che la tradizione boeziana poneva a garanzia di un approccio scientifico alla disciplina musicale, è, adesso, sistema che giustifica l'impiego degli amalgami sonori nella costruzio­ ne delle armonie musicali: alla teoria Giovanni fa infatti seguire la de­ scrizione esemplificativa di come si devono organizzare gli intervalli armonici e melodici nei vari generi compositivi polifonici. Su quest'ultimo punto occorre specificare che lo studio delle pro­ prietà degli intervalli divenne fondamentale da Guido d'Arezzo in poi per fornire le ragioni della coerenza del costrutto melodico. Giovanni di Garlandia, col rintracciare tali proprietà nelle tredici possibili com­ binazioni di due suoni all'interno dell'ottava, mette in evidenza la 3 · Peraltro, la classificazione matematica di tutte le proporzioni intervallari corri­ sponde all'antico modello calcidiano, di derivazione timaica, fondato sulle proporzioni del 2 e del 3 (PAR. I .5 .2 ) .

22 1

FILOSOFIA DELLA MUSICA

corrispondenza fra il concetto di intervallo musicale matematico e lo spazio acustico (spatium) definito dal sistema di scrittura su righi e spazi. La sua musica plana derivata dalla " teorica " matematica è assai diversa da quella di discendenza guidoniana: infatti non è indirizzata al cantore , ma allo studente, non cerca la sua ratio nella prassi esecu­ tiva, ma nella scienza teorica che ne ha matematizzato le componenti. In fin dei conti, l'arte del canto descritta da Giovanni equivale davve­ ro alla "scienza del numero contratto nella sonorità " , come affermava la Guida dello studente. L'insegnamento impartito da Giovanni si fon­ da, perciò , ancora su Boezio, ma con una fondamentale deroga: il processo di " astrazione " del numero " contratto " nella materia sonora non comporta che il musico si debba occupare di proporzioni, ma implica invece che egli sappia operare sul suono proporzionato , cioè definito nei parametri spaziale e temporale: in altezza e ritmo . La trattatistica musicale è, ora, a suo agio nell'attribuzione di valori nu­ merici allo spazio musicale, e il musico si interessa agli intervalli e allo studio delle loro combinazioni continuando l'esperienza accumu­ lata dai teorici precedenti sul testo boeziano, per offrire regole certe alla costruzione delle melodie e all'intreccio coerente delle voci nel canto polifonico. Diverso e nuovo sarà, invece, l'approccio che porta alla matematizzazione del tempo musicale, attraverso l'elaborazione teorica della ritmica misurata, come vedremo più avanti. I teorici del­ la musica si trovarono, infatti , di fronte alla necessità di estendere la matematica delle consonanze anche l' ambito dei rapporti di durata dei suoni, per poter descrivere come, nelle composizioni polifoniche, le voci vengano fatte dialogare. La nuova esigenza la si può già nota­ re in un allargamento del concetto di harmonia, che è ora intesa sia come la boeziana scienza matematica, sia come l'insieme delle regole di una composizione "ben fatta " , per la quale è fondamentale tanto la coesione delle altezze dei suoni, quanto la proporzione delle loro durate (Panti, 2 007a, pp . 74-80). Nel corso dell'indagine sugli intervalli del De musica mensurabili appare il termine obiectum, che gli scolastici, come ad esempio Tom­ maso (PAR. 5 . 2 . 3 ) , adottano per indicare il contenuto della percezio­ ne, ciò che il senso " riceve " dalla forma sensibile. Il modo in cui Giovanni intende questo termine è riferito a uno specifico costrutto musicale, il color, che, quale oggetto dell'udito , è anche bellezza del suono : «Il colore è la bellezza del suono o l'oggetto dell'udito grazie al quale l'udito trae godimento» (Giovanni di Garlandia, 1 972 , n, p. 95 ) . Egli illustra vari tipi di color, caratterizzati da procedimenti di ripetizione di un motivo musicale o di un medesimo suono tra le voci. Ma cosa significa che un procedimento compositivo genera un 222

5.

IL SECOLO XIII . LA MlJSICA ALL 1 UNIVERSIT À

obiectum per l'udito? E perché è definito color? Il nome sottolinea il rapporto stretto che intercorre fra musica e retorica , cioè fra artificio compositivo e artificio linguistico (il color retorico, appunto) , riscon­ trato come tratto persistente e comune della concezione musicale me­ dievale (Gallo, 1 99 1 , p. r o ) , ma l'intenzione di Giovanni punta, in questo contesto, soprattutto alla dinamica fisica del processo cono­ scitivo, che parte dalla sensibilità dell'udito ed esplora le componenti strutturali, cioè proporzionali, dell'oggetto sonoro. Un passaggio, in particolare, assume rilevanza: i colores servono per far conoscere, e quindi per far piacere, «i suoni proporzionati ignoti: tanti più colori, tanto più il suono sarà conosciuto, e quindi piacevole» (Giovanni di Garlandia, 1 97 2 , n, p. 97 ). Queste poche parole non possono certo consentire immediate derivazioni filosofiche, ma pongono una pun­ tuale corrispondenza fra l'esperienza di apprendimento tramite l'a­ scolto e l'esperienza estetica, e fanno intravedere una singolare analo­ gia con l'idea di Tommaso d'Aquino sulla proporzione come /orma della consonanza ( PAR. 5 .2 . 3 ) . Come accenneremo oltre ( PAR. 5 .4.2 ) , Tommaso individua il principio di bellezza nella stessa /orma. Ora, Giovanni di Garlandia sottolinea proprio che il color è obiectum e, insieme, bellezza del suono, in quanto consente di far apprezzare i suoni proporzionati, quegli " oggetti sonori" che l'artefice ha plasmato abbinando con arte consonanze e ritmi. Gli elementi che definiscono l'esperienza conoscitiva estetica in Tommaso sembrano, in nuce, esemplati proprio dai colores descritti dal teorico parigino, a riprova che la practica e la theorica della musica costituivano, alla metà del Duecento, due modalità complementari di approccio all'oggetto so­ noro.

GIROLAMO DI MORAVIA, U:'\A PROSPETTIVA TOMISTA DI INQUADRAMENTO DELLA DISCIPLI:'\A MUSICALE

5.2.7.

Se una certa affinità fra l'idea di " bellezza " come /orma in Tommaso e di " bellezza " come color in Garlandia può essere solo intravista, più consistente è invece la presenza del filosofo d'Aquino nel Tractatus de musica ( r 2 7 2 circa) del domenicano Girolamo di Moravia, scritto per i confratelli del convento parigino di San Giacomo. L'interesse di quest'opera, per la presente indagine, sta proprio nella sua coerenza filosofica, fondata su alcuni insegnamenti tomisti esposti nella Somma di teologia e nel commento al trattato Sul cielo. L'esordio del Tractatus di Girolamo verte sul quid sit musica, e presenta una convergenza di due definizioni: «la musica è il movi-

223

FILOSOFIA DELLA MUSICA

mento delle voci consonanti fra loro in congrua proporzione» e «la musica è, secondo Boezio nel quinto libro Sulla musica, la facoltà ar­ monica che giudica la differenza di suoni gravi e acuti tramite il sen­ so e la ragione» (Girolamo di Moravia, 1 9 3 5 , r , p. 7 ) . Come si può notare, la prima si rivolge all'oggetto , la seconda alla scienza della musica, il cui obiettivo è quello di giudicare gli intervalli proporzio­ nati nel canto . Girolamo ribadisce, infatti, che mentre il senso serve alla percezione dei suoni, la ragione considera il modo con cui essi pervengono all'udito, quindi solo il sonus discretus, cioè il suono de­ terminato dalla misura della proporzione, pertiene alla musica: Diciamo dunque che il soggetto della musica è il suono discreto nella desi­ gnazione materiale (signanter) . Infatti, come il soggetto sta alla scienza, cosz' l'oggetto alla potenza o all'abito. In maniera propria è designato come ogget­ to di potenza o abito ciò sotto la cui definizione tutte le cose sono riferite alla potenza o all'abito; come, ad esempio, uomo e pietra sono riferiti alla vista in quanto sono colorati. Per cui, propriamente, è il colorato l'oggetto proprio della vista. Ma tutte le cose che sono trattate nella musica sono ri­ condotte alla definizione del suono, o perché sono lo stesso suono o perché sono finalizzate al suono come < loro > principio e fine. Per cui ne segue che il suono discreto è il vero soggetto di questa scienza. E questo è manife­ sto dagli stessi principi di questa scienza, che sono suoni determinati [ . . . ] . Ma alcuni teorici, che si concentravano sulle cose trasmesse in questa scienza e non sulla ragione secondo la quale esse sono considerate, assegnarono la materia di questa scienza o al metro (pondus) 4 o alla misura contratta nel suono. Ma queste cose sono indagate in questa scienza secondo la finalità al suono, come si chiarirà oltre (ivi, 9 , pp. 42-3 ) .

Appoggiandosi alla Somma di teologia di Tommaso d'Aquino, d i cui riprende alla lettera il parallelismo fra soggetto della scienza e oggetto della percezione (PAR. 5 .2 . 3 ) , oltre che l'idea di "ente individuale " come materia signata, Girolamo ribadisce che il soggetto della scienza musicale è il suono concreto, in quanto l'oggetto udito è ciò che ge­ nera la conoscenza. Il cambio di prospettiva determinato dall' approc­ cio tomista è palpabile: la misura e la proporzione sono solo le moda­ lità con le quali la facoltà intellettiva percepisce il suono, e quindi non sono il soggetto della scienza musicale, come invece ritenuto da Grossatesta e Kilwardby. Girolamo critica coloro per i quali il sog­ getto della musica è il "numero contratto nella sonorità " , come ad esempio avevano affermato Kilwardby e la Guida dello studente, e ri4 · L'impiego del termine pondus per indicare il metro ritmico è desunto da Alfa­ rabi, probabilmente attraverso Vincenzo di Beauvais. Cfr. nota r .

2 24

5.

IL SECOLO XIII . LA MlJSICA ALL ' UNIVERSITÀ

badisce invece con Tommaso che il soggetto della musica è il suono materiale percepito come " discreto " , cioè strutturato nelle sue com­ ponenti secondo parametri matematici. Infatti, se il suono è misurato nei suoi valori di altezza e durata, l'oggetto percepito è definibile dal­ la facoltà conoscitiva, e dunque su di esso si possono condurre le di­ mostrazioni. L'argomento sviluppato da Girolamo ci aiuta a capire perché, nonostante il drastico cambio di inquadramento filosofico, Boezio sia ancora la principale fonte di riferimento: come aveva stabi­ lito Giovanni di Garlandia, solo una completa e sistematica matema­ tizzazione dello spazio sonoro consente al musico di poter giudicare «con l'udito e con la ragione» quei suoni il cui obiectum è analizzabi­ le solo in quanto proporzione. E infatti , come specifica Girolamo parlando della musica celeste, se anche supponessimo che Pitagora poteva percepire il suono dei cieli per l'eccellenza dei suoi sensi, tut­ tavia «egli non udiva questo suono se non attraverso la specie dell'u­ dito , cioè conoscendo le proporzioni dalle quali è costituita quell' ar­ monia» (ivi, 7, p. 3 0 ) . Il giudizio sub auditu delle consonanze non può, quindi, prescin­ dere dalla matematica delle consonanze, che ne è a fondamento, ma l'autonomo criterio della percezione sensibile consente importanti de­ roghe a questo basilare principio, in nome dell'altrimenti inspiegabile gradevolezza di certi aggregati sonori, matematicamente imperfetti . È quanto stabilisce, ad esempio, Walter Odington nella sua Summa de speculatione musicae, a proposito degli intervalli di terza maggiore e minore. Esclusi dalle consonanze nella tradizione boeziana (essendo espressi dai rapporti 8 r :64 e 3 2 : 2 7 ) , sono tuttavia riammessi poiché sono vicini alle proporzioni sesquiquarta [5 :4] e sesquiquinta [6:5] , differenziate dal criterio dell'unità; dunque molti reputano che siano conso­ nanze. E anche se non si trovano in numeri consoni, tuttavia le voci umane per la loro flessibilità le portano ad una soave mescolanza (csM 14, pp. 70- 1 ) .

Dal quadro che emerge d a questa ricogntztone, sembra proprio che l'aristotelismo scolastico abbia portato a identificare la scienza/ arte speculativa della musica con un insieme di saperi che si avvaleva della matematica per gli assiomi delle proprie dimostrazioni, le quali però vertevano sugli " oggetti sonori " esperiti e creati dall'uomo; creati, cioè, secondo quello stesso criterio matematico grazie al quale essi di­ venivano soggetti della disciplina della musica . Da questo comune fondamento emersero punti di vista molteplici, che riflettono il di­ verso modo di intendere l'impianto scientifico aristotelico. Lo abbia225

FILOSOFIA DELLA MUSICA

mo potuto constatare nelle differenze, sottili ma significative, che di­ stinguono nella concezione della scienza musicale l'aristotelismo neo­ platonizzante di Grossatesta o di Kilwardby da quello di Alberto e di Tommaso. Tali differenze si ripercuotono anche fra i teorici della musica, i quali, pur tutti nutriti di principi aristotelici e di contenuti boeziani, riescono a esprimere idee diversificate sulla disciplina di cui sono maestri e divulgatori. E una simile pluralità di punti di vista emergerà anche in relazione alla concezione del tempo musicale.

5 ·3

Il problema del tempo nella musica 5·3·!.

LA NATURA DEL TEMPO :\'ELLA FILOSOFIA SCOLASTICA: UN DISCRETO NEL CONTINUO

La discussione sulla natura del tempo si snoda lungo l'età medievale attorno a una questione centrale: l'appurare se il tempo sia una pro­ prietà del mondo fisico indipendente dalla coscienza oppure uno sta­ to psicologico presupposto all'organizzazione dell'esperienza. I testi fondamentali sui quali i filosofi esercitarono la loro esegesi furono il Timeo di Platone (x, 3 7 d ) , il libro XI delle Confessioni di Agostino, il libro v della Consolazione della Filosofia di Boezio e, dal XIII secolo, la Fisica di Aristotele ( I v , I O- I 4 ) . Data la diversità di questi testi, la filosofia medievale non sviluppò una teoria unica e uniforme sul tem­ po, ma «una serie di idee culturali e religiose; un elenco di problemi [. .. ] ; dibattiti serrati, fra di loro ben connessi, ma senza risultati da tutti accettati» (Flasch, 2 ooo, p. 42 ) . Nel corso del XIII secolo la teo­ ria aristotelica del tempo si affermò su quella agostiniana. Come per la discussione sulla metodologia della scienza, anche in relazione al tempo la nuova impostazione cominciò a manifestarsi fin dal primo commento latino alla Fisica aristotelica, quello di Roberto Grossate­ sta, e attorno alla metà del secolo la discussione prese una forma più articolata e complessa, riscontrabile nei commenti alla Fisica di molti maestri universitari. Solo verso il I 2 8o, grazie alla soluzione prospet­ tata dal parigino Enrico di Gand, il problema sembrò trovare un punto di approdo condiviso. Con una formulazione sincretica, fonda­ ta sia sull'interpretazione averroista della trattazione aristotelica sia sull' agostinismo, il tempo fu definito da Enrico partim in anima e partim in re extra (Quodlibet III, questione I I ) . Cosa significa questa formulazione? Il problema di base scaturito dalla definizione aristotelica, per la quale «il tempo è il numero del 226

5.

IL SECOLO XIII . LA MlJSICA ALL 1 UNIVERSIT À

movimento secondo il prima e il poi» (Fisica, IV, I I , 2 I 9b i -2 ) , fu di connettere il tempo stesso con il movimento spaziale, risolvendo il concetto di " dimensione temporale , nel contesto matematico della misura delle cose successive, divisibili in parti. Ma la rilettura cristia­ na della dottrina aristotelica tenne sempre ben presente l'ampiezza semantica del termine tempus, estendendo questo concetto a determi­ nare anche la percezione della misura e l' atto del misurare che avvie­ ne nell'anima. Il risultato fu che si trovarono a coesistere tre diverse accezioni di tempo: r . quella aristotelica di misura del moto fisico; 2 . quella di estensione del moto e della durata e 3 . quella agostiniana di distensione dell'anima (distentio animi) . In particolare, gli scolastici sostituirono la definizione aristotelica di " tempo , quale "numero del movimento , con "misura del movimento , , consentendo così una più coerente individuazione del ruolo dell'anima umana nel numerare (problema, del resto, già sviluppato da Aristotele) . L'anima conferisce al tempo il suo complementum formale, altrimenti il tempo non sa­ rebbe nulla di diverso dal mero movimento fisico. In tale inquadra­ mento, l'approdo di Enrico di Gand è proprio indirizzato a chiarire che il continuo tem porale ha una dimensione di " discreto , , cioè nu­ m erica, proprio nell'atto dell'anima che misura. «Segnando un prima e un poi, l'anima introduce un elemento discreto nel continuo del movimento. Così, sottolinea Enrico di Gand, il tempo è continuo dal punto di vista materiale, discreto dal punto di vista formale: ma poi­ ché esso risulta alla fine dalla composizione dei due aspetti, la sua vera natura è di essere discreto nel continuo» (Porro, 2 ooo, p. 66) . Alla base dell'idea formulata da Enrico per cui il tempo è partim in anima partim in re extra, si colloca infine in modo ambiguo la conce­ zione dell'istante, inteso appunto come minimo di durata in re extra che " sostanzia , il tempo: è necessario ammettere che l'istante o il presente sono nella natura delle cose indipendentemente dall'anima [ . . . ]. E dunque si ammette che l'istante esista, per quanto debolmente, nelle cose esterne all'anima [ . . . ] , similmente si deve ammettere che nello stesso movimento esiste il tempo, in quanto il tempo deriva dal movimento per il succedersi degli istanti (cit. in Maier, 1 9 83 , p. 1 62 [Quodlibet III, q. I I ] ) .

I l tempo non è, in conclusione, l a misura degli entl 1n movimento, ma la misura del movimento stesso: tempus est mensura motus, come afferma nel suo commento alla Fisica anche Tommaso d'Aquino ( I 954, p. 2 9 8 [Iv, 20, 607 ] ) . E infatti «percepiamo il tempo quando numeriamo il prima e il dopo nel movimento», ma, «pur essendo il 227

FILOSOFIA DELLA MUSICA

numero una quantità discreta, il tempo è invece una quantità conti­ nua a causa della cosa numerata; nello stesso modo dieci misure di panno sono un continuo anche se il numero dieci è una quantità di­ screta» (ivi, p. 2 8 3 [Iv, 1 7 , 5 8 r ] ) . Dunque, la dimensione temporale è come un pezzo di stoffa in cui sono individuate delle parti in succes­ sione, che tuttavia sono tali solo perché l'anima le numera. Ma se l'atto di numerare è determinato dall'anima, ciò non implica che sia «un'intenzione dell'anima», come in Agostino, quanto «una cosa di natura» (ivi, p. 2 8 2 ) . Infatti, conclude Tommaso , il tempo misura e numera in primo luogo il movimento primo circolare, cioè il moto dell'universo nella sua quotidiana e stabile rivoluzione attorno alla Terra (naturalmente secondo la cosmologia geocentrica medievale) , e da tale misura sono dedotte le misure dei movimenti locali. In particolare , Tommaso sottolinea che il tempo è conosciuto at­ traverso l'istante (nunc) , anche se non è fatto da istanti. Pur essendo nel tempo, l'istante non ne è una parte costitutiva, né tantomeno è una sua unità minima. Tuttavia , quando si colgono nel movimento due momenti distinti, tale operazione è consentita proprio dalla perce­ zione dell'istante. Il nunc è ciò che garantisce la possibilità stessa di operare una tale distinzione. Riportiamo il passo , perché avrà una cer­ ta rilevanza anche nella concezione del tempo musicale (PAR. 5 · 3 · 3 ) :

È evidente che si h a percezione del tempo quando si colgono nel movimento

due termini distinti, e ciò che è medio tra loro. Quando infatti cogliamo due estremi distinti di un certo tratto e l'intelletto comprende trattarsi di due nunc, l'uno prima e l'altro dopo, quasi numerando il prima e il dopo nel movimento, allora diciamo che questo è tempo. Il tempo infatti sembra esse­ re determinato proprio dal nunc (ivi, p. 282 [Iv, 1 7] ; trad. in Parodi, r 9 8 r , p . ! 89 ) .

Questa prospettiva di inquadramento, che è definibile come " ontolo­ gica " in quanto attribuisce al tempo un suo essere in re extra, pur ambiguo e " debole " , in fondo non dista molto, dal punto di vista concettuale, da quanto abbiamo constatato in relazione alla natura del suono, il quale pure era per gli scolastici un ente successivo ca­ ratterizzato dalla medesima " debolezza ontologica " (PAR. 5 .2 .4 ) , come tutto ciò che è determinato dal movimento. Sulla base di questa estrema sintesi sulla concezione medievale del tempo, vediamo quindi come fu concepita la dimensione temporale nella trattatistica sulla rit­ mica della musica polifonica nel corso del XIII secolo, sugli sviluppi della quale occorre, però , fare alcune considerazioni preliminari. 228

5.

5 ·3 ·2 .

IL SECOLO XIII . LA MlJSICA ALL ' UNIVERSITÀ

GLI SVILUPPI DELLA POLIFONIA :'\EL XIII SECOLO

Dalla fine del xn secolo, i musicisti attivi presso la cattedrale di N o­ tre Dame di Parigi iniziarono a realizzare composizioni polifoniche di grande complessità, introducendo un sistema che consentiva di strut­ turare i valori di durata dei suoni. Ciò comportò una profonda tra­ sformazione nella musica polifonica, che l'arte e l'esperienza dell'or­ ganizator (PAR. 4· 5 . r ) non potevano più bastare a risolvere. Divenne infatti necessario fissare per iscritto i valori di durata delle singole note, in modo che tutte le linee melodiche del canto procedessero in sincronia. La dimensione temporale della musica andò quindi a coin­ cidere con la misura della durata del flusso melodico, idea estranea alla ritmica musicale formalizzata da Agostino, basata sulla scansione sillabica della parola (PAR. 2 . 3 .2 ) . Per rendere più concreto il senso di questo cambiamento riferiamoci alla struttura dell' organum polifonico sviluppatosi presso la "scuola" di Notre Dame di Parigi. Questo particolare tipo di composizione prevedeva sezioni di can­ to gregoriano alternate a sezioni in cui lo stesso canto veniva dilatato a dismisura nella durata della singola sillaba, al disopra della quale una o più voci inserivano dei vocalizzi. All'ascolto, la polifonia di No­ tre Dame si caratterizza proprio per l' aspetto ritmico, poiché la paro­ la è percettivamente assente, essendo ridotta alla sola vocale " estesa" nella pronuncia della sillaba, sia nel tenor gregoriano sia nelle voci in discanto. Pur in " assenza " della parola, fu proprio dalla metrica clas­ sica che furono tratti i criteri di organizzazione delle durate tempora­ li, detti modi; donde l'appellativo di ritmica e di notazione "modali " per questo genere compositivo. Il sistema grafico notazionale che fu impiegato prevedeva particolari sistemi di legatura dei neumi quadrati gregoriani, e proprio la tipologia delle ligaturae indicava visivamente al cantore il modo ritmico da seguire. La modularità ritmica era inva­ riata all'interno di definite sezioni melodiche, gli ordines, delimitate dalle pause di respiro e da un ritorno alla consonanza delle voci (ot­ tava, quinta o unisono) . Ad esempio, il primo modo implicava la scansione ritmica lunga-breve, lunga-breve ecc. , corrispondente al piede ritmico trocheo e raffigurata in notazione da una ligatura di tre note seguita da ligaturae di due note. Ma nelle sezioni dell' organum in cui il canto gregoriano originario presentava un melisma, cioè nelle cosiddette clausulae, anch'esso partecipava al gioco polifonico, per cui il valore complessivo di durata non poteva più essere stabilito en­ tro un singolo orda ritmico. Se per esempio una voce in discanto pro­ cedeva nel primo modo (lunga-breve, lunga-breve ecc.) e il tenor nel quinto (lunga, lunga ecc. ) , era inevitabile comparare le durate della 229

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lunga e della breve nel primo modo con la durata della sola lunga nel quinto, così che a essa corrispondesse la somma lunga-breve nel pri­ mo modo. Occorreva, insomma, individuare l'unità minima che misu­ rasse tutti i ritmi impiegati. Il problema di indicare un tempo, cioè un ritmo, diviene il problema di misurare il tempo, ovvero l'insieme dei ritmi scanditi con un'unità di misura comune. Nella messa a punto dei criteri di misurazione del tempo musicale si inquadra l'evoluzione della prassi polifonica, il cui esito fu il for­ marsi del vasto e variegato repertorio dell'Ars antiqua, la cui fioritura copre tutta la seconda metà del XIII secolo. La polifonia d'arte, che si espresse nelle forme del conductus e del motetus antico, è ora musica mensurata, in cui la nota singola si fa signum, portatore di un valore individuale di durata, tale che la somma di note di durata più breve diano il valore di una nota di durata più lunga. La differenza dei va­ lori è determinata dalla forma che assume la nota: la longa assume la figura della virga gregoriana (un quadratino con un tratto laterale) , la brevis quella del punctum (un quadratino) ; a esse si aggiunsero la se­ mibrevis (una losanga) e la maxima o duplex longa (un rettangolo con un tratto) . Nella formulazione teorica compiuta di tale sistema, offer­ ta nel trattato Ars cantus mensurabilis di Franco da Colonia (colloca­ bile fra il 1 2 60 e il 1 2 80) , il rapporto fra le durate è rigidamente ter­ nario: una lunga vale tre brevi, una breve tre semibrevi; ma, sempre per rispettare il principio di ternarietà, la lunga poteva perdere un terzo del suo valore in determinate successioni di note. Questo modo di intendere la ritmica musicale sembra essersi affermato a partire da­ gli sviluppi delle clausulae dell' organum di Notre Dame, in particolare quando le singole linee di canto cominciarono a essere tropate , cioè munite di un testo , generando così il motetus (mottetto) . Forse, sotto la spinta della necessità di articolare le parole, la nuova ritmica men­ surale consentiva un miglior dominio del fluire temporale dei suoni . La teorizzazione della prassi polifonica misurata comincia a d eli­ nearsi verso la metà del secolo, a partire dagli scritti di Giovanni di Garlandia. E non sarà superfluo accennare al fatto che gli sviluppi dell'Ars antiqua ebbero come protagonisti anche maestri e intellettua­ li parigini gravitanti nell'ambiente universitario. Basti pensare che Fi­ lippo il Cancelliere (m. 1 2 3 6) , filosofo e, appunto, cancelliere dell'u­ niversità parigina, è oggi accreditato come cocreatore di composizioni poetico-musicali, i conductus prosula (Payne, 2 007 ) . Le forme musicali di questa ricca produzione polifonica migrarono ben presto dall'am­ bito liturgico a quello secolare, tanto che, insieme a temi religiosi e devozionali, le liriche introducono argomenti politici, amorosi, cele­ brativi di notevole spessore e artificio poetico. 230

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5 . 3 . 3 . DA GIOVANNI DI GARLANDIA A GIOVANNI DE GROCHEIO: IL TEMPO E LA MISURA DALLA MODALITÀ AL ME:\'SURALISMO

È stato sopra sottolineato che dalla metà del XIII secolo la musica mi­

surata divenne oggetto di studio da parte dei teorici della musica. Benché fosse all'inizio inquadrata nel contesto della teoria, di cui co­ stituiva la parte conclusiva, la sua naturale collocazione fu nell'ambito della musica pratica. I teorici si preoccupavano infatti di fornire le regole di composizione polifonica, spiegando in cosa consistesse la musica misurata e quali fossero i criteri di notazione. Nei primi trat­ tati che posero questi temi, la misurazione ritmica mensurale fu mes­ sa a confronto con il sistema modale precedente (per il quale la trat­ tazione è pressoché assente) , e questo consente oggi di definire in modo abbastanza circostanziato l'intendimento di questi teorici sul tempo musicale e sulla misura dello stesso, e di valutare il loro even­ tuale ricorso alle speculazioni filosofiche coeve . Fra i primi teorici a occuparsi della misura del tempo musicale vi fu il maestro Giovanni di Garlandia (PAR. 5 .2 .6) , che nel De musica mensurabili e nel De musica mensurabili positio, entrambe reportatio­ nes dei suoi insegnamenti, presenta i fondamenti della ritmica modale (i modi antiqui, o recti o proprii) e della ritmica mensurale (modi communes o non recti) . Tralasciamo le specificazioni tecniche, ma no­ tiamo che per questo teorico i modi antichi definiscono la misura del tempo attraverso le note longa e brevis. Delle due figure ritmiche, la misura è riferita alla breve, la quale è identificata con il tempo mini­ mo indivisibile. Si noterà il linguaggio del maestro di professione , che pone una quaestio là dove occorre chiarire bene i concetti: Dunque, per non procedere con ambiguità, vediamo cosa sia la lunga retta (recta longa) e la breve retta (recta brevis) . E rispondiamo che la lunga retta è quella che contiene due brevi rette soltanto. Breve retta è quella che contie­ ne un tempo unitario. Perciò poniamo la questione: che cos'è un tempo uni­ tario? E rispondiamo che tempo unitario, per quanto concerne il nostro di­ scorso, è quello nel quale la breve retta si deve fare in un tempo tale che sia indivisibile. Ma tale tempo si ha in tre modi, cioè attraverso una voce retta (per vocem rectam) , attraverso una voce vuota (per vocem cassam) e attraverso una voce omessa (per vocem omissam) . Perciò, la breve retta si deve fare nel tempo unitario, quindi attraverso la voce retta (Giovanni di Garlandia, 1 972, p. 37).

Questo passo ha dato luogo a diverse interpretazioni, soprattutto per quanto riguarda il significato delle tre voci recta, cassa e omissa. Per il nostro scopo , è sufficiente concentrarci sulla convergenza che Gio-

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vanni stabilisce fra il concetto di " tempo indivisibile " e quello di "mi­ sura " . Ribadiamo che egli sta parlando della ritmica modale, quella per cui il tempo è organizzato in raggruppamenti di piedi ritmici (PAR. 5 . 3 .2 ) . Dunque: se la "voce retta" è quella che proferisce la silla­ ba nel tempo esatto della breve, essa coincide con il tempo minimo indivisibile, che non può corrispondere né alla "voce vuota" - la quale sembrerebbe indicare la durata di una breve computata all'interno di una nota più lunga, ad esempio la seconda metà di una sillaba intona­ ta nel tempo di una lunga - né alla "voce omessa " , che sembra indica­ re la pausa di breve. Comunque sia, è significativo che al di sotto della breve Giovanni di Garlandia non computi alcun valore. La breve è quindi, propriamente, la misura del tempo. Questo è tanto più vero se consideriamo che solo tre dei sei modi ritmici sono da lui definiti "mi­ surabili " . Si tratta del primo (B L, B L ecc . ) , del secondo (L B, L B ecc.) e del quinto (B B B ecc. ) , nei quali la breve vale esattamente il tempo minimo e la lunga (nel primo e nel secondo modo) due sole brevi. Al contrario, gli altri modi sono ultramensurabiles, o perché la lunga può acquisire in essi il valore di tre brevi o perché gruppi di brevi devono completare il valore di una lunga. Si tratta dei modi terzo (L B B, L B B ecc. ) , quarto (B B L , B B L ecc.) e sesto (L L L) . In questa idea di misura del tempo musicale, risulta evidente e sconta­ to il principio di un minimo temporale indivisibile che funge da misu­ ra; idea che, in sostanza, non si discosta granché da quella formulata da Marziano Capella e Agostino (PARR. 1 .7 . 3 e 2 . 3 .2 ) 5 • L a situazione cambia nel Tractatus de musica attribuito a Lamber­ to. Il problema del tempo è anche qui sentito con una certa proble­ maticità, e quindi è introdotto con una quaestio specifica: Poiché si può porre la questione di cosa sia il tempo, rispondiamo che il tempo, come è inteso qui < in musica > , è una certa giusta proporzione nel­ la quale deve essere fatta la breve retta, cioè in proporzione tale che possa essere divisa in due parti uguali e indivisibili, così che la voce non possa 5. Vaie la pena sottolineare che questa formulazione dei modi ritmici non segue il principio della ternarietà, ma della divisione binaria del valore della lunga, come osserva il trattatista inglese Walter Odington nella sua Summa de speculatione musicae: «La lunga presso i primi organisti aveva solamente due tempi, come nei metri, e solo in seguito fu portata alla perfezione affinché fosse di tre tempi a somiglianza della santissima Trinità, che è la somma perfezione» (csM 14, pp. 1 2 7 - 8). Nonostante Odington appartenga alla fine del XIII secolo, fa convivere pacificamente l'idea di tem­ po metrico come misura della sillaba (ivi, p. 89), con quella del tempo come conti­ nuo: «poiché il continuo è divisibile all'infinito, e il tempo è dei continui, e i suoni vocali sono misurati con i tempi, quindi saranno divisibili all'infinito» (ivi, p. 1 2 8 ) .

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avere ulteriore divisione nel tempo. Per cui il tempo si può fare in tre modi. Per voce retta, per voce vuota e per voce omessa. La voce retta è come la voce umana, che procede dal polmone; la voce vuota è il suono, non la voce, cioè voce artificiale che si fa con uno strumento, e dunque si dice vuota quando non può dare concordanza nella voce retta. Omessa è quella pro­ porzione o pausa nella quale qualsiasi figura sopra nominata [cioè le pause] si deve fare proporzionalmente secondo il più e il meno e tacitamente, col pensare la figura retta secondo ciò che qualsiasi figura contiene in sé per la sua parte (es r , p. 278).

Benché Lamberto si rifaccia all'insegnamento di Giovanni di Garlan­ dia, è evidente che per lui è caduta la necessità di individuare nella breve il valore minimo indivisibile del tempo musicale: la prassi si è evoluta nell'impiego di un valore di durata inferiore alla breve, la se­ mibreve, che assurge a unità, ma che Lamberto non nomina, limi­ tandosi a dire che la breve è divisibile in due unità minime. Il tempo minimo, pur abbinato alla breve, non è quindi più l'unità di misura, ma, dice Lamberto, «è una giusta proporzione». In conseguenza, le tre voces retta, vuota e omessa non servono più a giustificare la scelta dell'unità di misura, ma a definire le tre modalità in cui il tempo mu­ sicale si dispiega. In particolare, la voce vuota è il suono strumentale, mentre la voce omessa è la pausa, determinata dal valore della figura che la rappresenta . Questa concezione è sviluppata in modo più puntuale nel De mu­ sica mensurata dell'Anonimo di San Emmeram, che scrive nel 1 2 79. Come in Giovanni di Garlandia, la retta breve è per lui l'unità di tempo, ma differentemente da quello e da Lamberto, egli introduce una funzione specifica anche alla " voce vuota " , attribuendole il prin­ cipio della misurabilità, secondo la prassi a lui nota: il suono può essere inteso in tre modi quanto alla proporzione. Infatti nella voce vuota, cioè in quella strumentale, il suono è, e si ha oggi, in modo pro­ porzionale, tanto che la voce vuota (cassa) è detta così da quassa, cioè imper­ fetta o anche semipiena, perché diminuita attraverso vari suoni [ . . . ]. E il tempo per voce vuota, come detto, è divisibile e imperfetto quanto alle semi­ brevi, le quali si chiamano così da semus, sema, semum, cioè imper/ectus, im­ per/ecta , imper/ectum, come a dire brevi imperfette (Yudkin, 1 990, p. r o2 ) .

Cioè: il tempo minimo è la breve retta realizzata con la voce umana, ma valori al di sotto della breve, che sono valori imperfetti, detti se­ mibreves, sono praticabili con gli strumenti, per "voce vuota " : un modo sottile per significare che il minimo indivisibile vocale è, nella 233

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realtà della prassi ( almeno quella strumentale) , ulteriormente divisi­ bile ! Una simile soluzione è prospettata nell'Ars cantus mensurabilis di Franco da Colonia, il cui insegnamento è la formulazione più puntua­ le della musica misurata dell'A rs antiqua: La breve retta è quella che contiene un tempo unitario [ . . ] . Tempo unitario è quello che è minimo nella pienezza della voce [ . . ] . Ma considera che non possono essere prese più di tre semibrevi al posto di una breve retta, delle quali ciascuna si chiama semibreve minore per il fatto che è la parte minima della breve retta (csM r 8 , 5 , pp. 34-3 8) . .

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Qui il tempo minimo unitario nella voce proferita corrisponde ancora alla breve retta (mentre sono taciute la vuota e l'omessa) , ma il tempo minimo non è il valore minimo di durata, tant'è che la breve è divisi­ bile per Franco in tre semibrevi, indipendentemente dall'essere note intonate dalla voce o dallo strumento, o dall'essere pause. Il tempo minimo musicale è quindi la misura, ma è anche un misurato, in quanto la nota che lo esprime è divisibile in tre note di valore inferio­ re. La dottrina è chiara rispetto alla teoria musicale descritta, ma am­ bigua dal punto di vista concettuale . Girolamo di Moravia ne propo­ se quindi una spiegazione filosofica, appellandosi, come già specifica­ to (PAR. 5 .2 . 7 ) , alla dottrina di Tommaso d'Aquino . Girolamo ha piena coscienza che la concezione del tempo musica­ le è cambiata dal tempo dei primi teorici della modalità (come Gio­ vanni di Garlandia) ai moderni sostenitori della mensuralità (ad esempio Franco) e sente la necessità di darne conto. Anzitutto, egli ribadisce che la musica misurata concerne il «tempo armonico», qual­ cosa di diverso dal tempo naturale, ma analogo a questo; e per illu­ strare l'analogia introduce una distinzione fra il tempo e l'istante di tempo . Solo quest 'ultimo è minimo e indivisibile, ma non è certo questo che corrisponde al tempo armonico: Il tempo in musica è il tono distinto < della voce > divisibile in tre istanti. L'istante in musica è quel minimo indivisibile che nel suono udito si può percepire in modo chiaro e distinto, e che presso gli antichi teorici era detto tempo. Ma, come pare, è migliore l'opinione dei moderni, cioè di coloro che pongono una successione nel tempo armonico in base al moto che vi è sog­ getto [ . . . ] . Il tempo armonico, quindi, deve in certo modo essere assimilato al tempo naturale. E, parlando nel modo della filosofia naturale, non vi è successione se non nelle cose che sono soggette al movimento [ . . . ] . Dal fatto che numeriamo il prima e il dopo nel movimento apprendiamo il tempo, che altro non è se non numero del prima e del dopo nel moto. E quindi, poiché

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il tempo armonico è soggetto al moto progressivo, è necessario porre in esso la successione di tre istanti, che gli antichi negano col porre il tempo indivi­ sibile, cioè il singolo istante. L'istante, tuttavia, può dirsi "tempo" in modo improprio, come comunemente si dice che l'adesso temporale (nunc tempo­ ris) è un tempo brevissimo, e così salviamo l'opinione degli antichi [ . . . ] . Per­ ciò, il tempo armonico è misura di tutte le note, cioè in questa < misura > è misurata ogni nota (Girolamo di Moravia, 1 9 3 5 , 2 5 , p. r 8o) .

La situazione illustrata da Girolamo riflette la discussione sul tempo sviluppata dalla metà del XIII secolo e scaturita dall'accezione aristote­ lica. Nello specifico, sembra proprio che egli si appoggi alla dottrina di Tommaso sull'istante (PAR. 5 . 3 . r ) , qui piegata a risolvere il pro­ blema della differenza fra tempo, misura e minimo di durata nel tem­ po musicale. La soluzione è molto brillante. Girolamo, come Aristo­ tele, pone il tempo fra le res successivae, apprese attraverso la nume­ razione. Ora, se il tempo minimo fosse individuato nell'unità di misu­ ra, come facevano gli antichi teorici (cioè Giovanni di Garlandia) , esso risulterebbe indivisibile, come un singolo istante, e dunque non collocabile fra i successivi. Ricordiamo che per Tommaso l'istante non è parte costitutiva del tempo , ma è indispensabile alla sua misu­ ra, in quanto il tempo è percepito nel cogliere due momenti distinti e ciò che è medio fra loro. L'istante è quindi, per Girolamo, quel mini­ mo percettivo attraverso il quale l'udito afferra il tempo in quanto successione, per cui i minima istantanei solo impropriamente sono definiti "tempo " . Il tempo minimo armonico, successione di tre istan­ ti, è ciò che l'udito, e dunque l'anima, percepisce nel minimo vocale distinto, e che garantisce al tempo musicale di essere un movimento scandito, un " continuo discreto " ; insomma: un continuo numera bile. Il tempo minimo armonico è perciò la misura vera e propria di tutti i valori di durata. Come risulta dalle considerazioni dei teorici della musica misura­ t a, l'evoluzione della prassi compositiva portò a individuare uno iato fra minimo di durata musicale e unità di misura, che la ritmica moda­ le, fondata sul minimo sillabico della breve, non poteva certo porre. I teorici si resero consapevoli delle difficoltà terminologiche e concet­ tuali legate alla concezione del tempo nella ritmica misurata, che so t­ tostava all'evoluzione del linguaggio compositivo e della prassi nota­ zionale. Così, si rese infine necessario affrontare il problema anche dal punto di vista filosofico, come comprese Girolamo di Moravia. La sua risposta non fu l'unica tentata: una soluzione diversa fu aperta sullo scorcio del secolo da Giovanni de Grocheio, sulla cui figura tor­ neremo oltre, il quale apre la discussione sulla natura del tempo te235

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nendo presente in particolare la lettura averroista dell'idea aristoteli­ ca. Il problema che più lo interessa è quello dell'unità di misura, la quale deve riferirsi a una durata " prima e unica " , tale che da essa tutte le altre acquisiscano la possibilità di misurare. È questo il prin­ cipio in base al quale Averroè, e a seguire Alberto, Tommaso e altri scolastici, identificano la misura di riferimento nel primo cielo (il cie­ lo supremo al di sopra delle stelle fisse) , che con il suo moto circolare e uniforme misura tutti i moti particolari. Ogni cosa che misura utilizza una misura prima oppure opera in virtù di essa, come < fa > ogni movente in virtù del primo movente. Ciò che è primo in ciascun genere è causa di tutto ciò che segue, come è scritto nel decimo libro della Metafisica [x, r 1 052b r 8- r 9] . Ma la prima misura è detta tempo, sia che si trovi nella realtà, sia che esista solo nell'intelletto. Il tempo è infatti misura del moto e anche del primo moto e del primo mobile, e in conseguenza di ogni altro moto, come è sottilmente indagato nella filosofia naturale. Gli anti­ chi teorici applicarono questa misura ai suoni e alle voci, e la chiamarono, con termine comune, tempo. Ma il tempo, così come è inteso in modo specifico < in musica > , è quello spazio nel quale la voce minima, o il suono minimo, può essere proferita o si può proferire in modo pieno. Dico spazio nel quale ecc., poiché la pausa è misurata come il suono. Questa misura misura tutto il canto, così come una rivoluzione tutto il tempo [. .. ] , e taluni la dividono in due parti uguali, altri in tre, e altri ancora fino a sei. Noi diciamo che è divisi­ bile all 'infinito, perché partecipa della natura del continuo. Tuttavia, appli­ candosi ai suoni e alle voci, la consideriamo divisibile fino a ciò che può la discrezione dell'udito (Giovanni de Grocheio, 1943 , p. 54) .

I l problema che Girolamo d i Moravia aveva posto i n relazione al mi­ surante come minimum è qui interpretato puntando l'accento sulla sua natura : il misurante, essendo misura di una grandezza (di un con­ tinuo) , è esso stesso un continuo, dunque è divisibile all'infinito, an­ che se la divisione si arresta, almeno formalmente, là dove cessa la capacità di distinzione acustica. Ma il fatto che ci sia un minimo per­ cettibile non significa che la durata del suono non possa essere infini­ tesimale. Ora, prosegue Giovanni, il minimo temporale che misura la musica è stato diviso per convenzione in tre parti minime, e con tale sistema i moderni misurano linee diverse di canto; esattamente, po­ tremmo proseguire, come una qualsivoglia lunghezza assunta a unità di misura può misurare segmenti di lunghezza diversa. Grocheio in­ terpreta quindi il tempo musicale come un continuo puro, non un continuo numerabile a partire da istanti indivisibili, come invece rite­ neva Girolamo, tanto è vero che per lui l'unità di divisione è ad libi­ tum, potenzialmente infinita in piccolezza. La divisibilità all'infinito

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del continuo temporale, confermata da Grocheio e da altri teonct della musica che si collocano alla fine del XIII secolo 6, non toglie nul­ la al principio che la misura del tempo sia definita in base a un'unità convenzionale di riferimento. Da questo excursus sulla concezione del tempo nella trattatistica musicale emerge che la riflessione sulla filosofia aristotelica, mediata con sensibilità diversa, risultò importante per mettere a fuoco la di­ stinzione fra tempo, minimo temporale e unità di misura . La posizio­ ne di fondo, condivisa dai maestri che si collocano negli ultimi due decenni del secolo, è quella per cui la misura non coincide con un minimo " concreto " in divisibile, come sostenevano invece i teorici precedenti (Giovanni di Garlandia) individuando tale minimo nella sillaba breve, ma è, potremmo dire, un' " unità di senso " determinata dall'anima. Questa concezione è affermata da Girolamo di Moravia: pur considerando il tempo un continuo , egli lo concettualizza come dotato di parti minime grazie all'azione del numerare, propria dell'a­ nima. Una simile idea sarà sostenuta nel secolo seguente da Giacomo di Liegi, con ragioni filosofiche più sofisticate (PAR. 6.2 .4 ) , atte a riba­ dire la realtà antologica del tempo. Una soluzione opposta sarà inve­ ce formulata da Giovanni de Muris (PAR. 6.2 .2 ) , per il quale la misura del tempo musicale è convenzionale: una concezione già intuita da Grocheio.

5 ·4

L'estetica musicale fra teoria e prassi 5 ·4· I .

ESTETICA FRANCESCANA: SUONO, RITMO E DANZA I:'\ RUGGERO BACONE E IN DANTE ALIGHIERI

La teoria filosofico-teologica della "metafisica della luce " , che attra­ versa tutto il pensiero medievale, fu esposta nei suoi caratteri essen­ ziali da Roberto Grossatesta, e possiamo sintetizzarla in cinque tesi di base: I . la luce è la prima forma di ogni ente creato, corporeo e spiri­ tu al e; 2 . la luce emessa dai cieli e dai pianeti è la causa formale che determina le trasformazioni nel mondo naturale; 3 . l' azione dei raggi luminosi può essere studiata in maniera scientifica, secondo le leggi geometriche dell'ottica, cioè nello studio delle modalità di propaga­ zione del raggio visivo ; 4· nel processo gnoseologico, la conoscenza 6. Un ragionamento simile è in Walter Odington, come riferito alla nota prece­ dente.

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intellettiva si realizza attraverso l'illuminazione divina; 5. la luce è bel­ lezza e ornamento della creazione visibile. L'insieme di queste teorie si fonda tanto sulla diffusione in Occidente di fonti scientifiche arabe (Alkindi, Avicenna, Avicebron) , quanto sulla tradizione patristica, so­ prattutto Agostino, Basilio e lo Pseudo-Dionigi. Proprio per l'eteroge­ neità delle radici su cui si innesta e per la diversa sensibilità dei suoi interpreti, sarebbe vano cercare di delineare un sistema filosofico or­ ganico intorno alla speculazione sulla luce; tuttavia, è indubbio che la filosofia francescana se ne fece portavoce, sviluppando considerazioni interessanti anche per la concezione estetica della musica . Come sappiamo, nella speculazione musicale la misura e la pro­ porzione sono fondate sui numeri; quindi il numero è la radice della perfezione dei rapporti proporzionali, e perciò delle consonanze. In Roberto Grossatesta questo principio è mantenuto, ma con una varia­ zione di fondo: il numero è espressione di un cosmo armonico che è tale non perché numerosus, ma perché è luminosus. La luce, infatti, manifesta agli occhi la proporzionalità che pervade il cosmo sensibile e che l'udito coglie nelle modulazioni: dunque, le proporzioni musi­ cali dei ritmi, delle altezze dei suoni e dei gesti corporei nella danza altro non sono che la traduzione a livello del microcosmo umano del­ la perfezione delle proporzioni che legano insieme le componenti lu­ minose del macrocosmo, come il filosofo inglese sottolinea nel suo trattato De luce: Da quanto detto è chiaro come il dieci sia il numero perfetto dell'universo, perché ogni ente uno e compiuto ha in sé un qualcosa come la forma [cioè la luce] e l'uno, un qualcosa come la materia e il due, qualcos' altro come la composizione e il tre [cioè la luce, la materia e l'unione] , e qualcosa ancora come il composto e il quattro [luce, materia, loro unione, e loro composizio­ ne, cioè il corpo] [ . . . ] per cui ogni ente in sé uno e compiuto è rappresenta­ bile con il numero dieci [ r + 2 + 3 + 4] . Appare ormai manifesto, infine, che solo le cinque proporzioni rinvenute in questi quattro numeri: l'uno, il due, il tre e il quattro [2: r , 3 : r , 4: r , 3 : 2, 4:3] si accordano alla composizione e all'armonia di ogni composto. Per la qual cosa si danno solo queste cinque proporzioni armoniche nelle modulazioni musicali, nella danza e nei tempi scanditi dal ritmo (Roberto Grossatesta, 1 986, p. 1 2 3 ) .

Contemplare l'universo nella sua bellezza è un'esperienza che unisce la vista e l'udito, perché solo nella sinergia dei due sensi è possibile cogliere il senso più pieno dell'armonia. L'azione sinergica fra vedere e udire è una specifica condizione dell' ars musicale, come ribadito nel De ortu scientiarum di Alfarabi:

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I fondamenti della scienza musicale sono tre: il metro, la melodia e il gesto. Il metro serve a rendere proporzionali le parole, la melodia a rendere pro­ porzionali le altezze in acutezza e gravità, e questi due fondamenti sono giu­ dicati dall'udito. Il gesto invece è sottoposto al senso della vista, e la ge­ stualità serve alla coordinazione con il metro e il suono attraverso movimenti concordi e appropriati. Dunque, l'arte della musica è sottoposta a due sensi: l'udito e la vista (Alfarabi, 1 9 34, pp. 47 -8) .

Questo tema è ripreso dal francescano Ruggero Bacone, il quale ri­ corda nel suo Opus tertium che , affinché il piacere estetico sia com­ pleto, è necessaria la convergenza di bellezza visiva e uditiva. Infatti, solo l'adattamento reciproco tra metro poetico, melodia vocale, ac­ compagnamento strumentale e figurazioni appropriate del corpo nella danza consente che si realizzino quelle convenientes proportiones nelle quali è racchiuso il massimo del godimento estetico umano . I gesti della danza si conformano al canto, al suono degli strumenti e al me­ tro, con movimenti concordi e figurazioni congruenti, in modo da suscitare un piacere totale, non soltanto dell'orecchio, ma anche dell'occhio. Infatti sappiamo che l'arte strumentale, quella del canto, della metrica e del ritmo non raggiunge il diletto più completo se non si aggiungono anche la gestuali­ tà, le espressioni di esultanza e i movimenti del corpo. E tutte queste cose, rese conformi con proporzioni adeguate, sono il piacere perfetto dei due sensi (Ruggero Bacone, 1 859, p. 232).

Ma Ruggero non riferisce la positività del piacere estetico alla mera sensibilità. L'aspetto più originale del suo pensiero su questo tema è che il canto e la gestualità ritmica sono espressioni significative, che il teologo deve conoscere per poterle impiegare nella predicazione : La Scrittura è piena delle parole della musica, come giubilare, esultare, can­ tare, danzare. E queste gestualità di esultanza e gli altri movimenti del corpo devono essere conosciute dai teologi, affinché essi sappiano esprimere tutte le loro proprietà (Ruggero Bacone, 1 897 - 1 900, r, p. 2 3 6) .

L'esperienza estetica, che fa convergere l a vista e l'udito nella con­ templazione del bello " armonico " espresso nella fusione fra musica e danza, ha quindi una valenza morale . Non sarà superfluo ricordare che la danza sacra costituiva una modalità di espressione religiosa praticata dagli uomini di chiesa; e che il canto e la gestualità sono elementi caratterizzanti proprio la predicazione di san Francesco . Ba­ sterà ricordare il passo della Vita prima di Tommaso da Celano, in cui la predica del frate davanti a Onorio 111 è condotta come una 239

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danza, non di un saltimbanco, ma di un uomo bruciato dall'amore divino , che muove alla commozione. L'annotazione di Ruggero Baco­ ne sulla necessità che il teologo conosca i flexus corporis non è quindi peregrina, ma è, al contrario, mirata a offrire una giustificazione ra­ zionale all'esperienza estetica: non c'è ragione di contemplare la bel­ lezza armoniosa dei corpi se non perché è finalizzata a rivelare la pre­ senza di Dio nel creato. Luminosità, musicalità e danza che nella vita terrena aprono il cuore a pregustare la gioia della luce divina, in Dante Alighieri - le cui annotazioni sulla musica hanno ormai da tempo suscitato l' atten­ zione degli studiosi - sono il riflesso di un universo che è vera luce , dolcissima musica e ineffabili movimenti armoniosi. «La gloria di co­ lui che tutto move» (Paradiso I , 1) è la gloria di luce e virtù che regge il mondo, come Dante sottolinea nell'Epistola XIII (2 1 -2 3 ) a Cangran­ de della Scala. Il diffondersi di questa luce satura, nel Paradiso, i sen­ si di Dante, sopraffatto nella vista e nell'udito dall'eccellere del canto, della danza e dello splendore dei beati (Paradiso x, 64-66 ) . Accennia­ mo a un tema che ha acceso una lunga tradizione interpretativa solo per ribadire che, forse non per caso, proprio in chiusura dell'elogio di san Francesco pronunciato da san Tommaso, Dante sottolinea la convergenza di vista e udito nella contemplazione estatica delle danze dei beati. Siamo nel cielo del Sole , e per dare " corpo " al ruotare ca­ noro delle corone luminose il poeta ricorre al principio ottico della proporzione fra lo splendore del raggio incidente e di quello riflesso, e alla rispondenza fra l'intreccio melodico e il movimento armonioso delle anime danzanti: E moto a moto e canto a canto colse; canto che tanto vince nostre muse, nostre serene in quelle dolci tube, quanto primo splender quel ch 'e' refuse (Paradiso xn, 6-9) .

Se il canto dei beati è "sensibilmente " percepito dal poeta, l'unico riferimento esplicito a una musica mundana sonora è invece nel primo canto del Paradiso, dove Dante descrive la sua transumanazione. Qui, «la novità del suono e 'l grande lume» (ancora una sinergia acustico­ visiva) accendono le facoltà sensoriali, recuperate e restaurate nel­ l"' uomo nuovo " , nel nuovo Adamo purgato dal peccato. Questo tema, che è stato approfondito in riferimento a Ildegarda di Bingen (PAR. 4 . 3 ) , è ricondotto da Dante a una più pragmatica ragione: l'ar­ monia cosmica risuona solo per coloro che hanno ricomposto la frat-

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IL SECOLO XIII . LA MlJSICA ALL ' UNIVERSITÀ

tura fra conoscenza sensibile e intellettuale. Ma, nel cielo, risuonano gli astri o cantano i beati? La risposta la troviamo proprio nel cielo del Sole, «in cui la musi­ ca serve da modello per rappresentare il sistema di circolazione dei cieli e la struttura del cosmo celeste» (Puca, 2 00 1 , p. 2 24) . Se quindi, "trasumanando " , Dante percepisce coi sensi rinnovati la musica astra­ le, è solo ascendendo al cielo del Sole (canti x -XIV ) , ove il poeta entra nella logica della struttura astronomica del cosmo, che egli intuisce la ragione fondante di tale armonia. L'ascesa al Sole segna il passaggio dalla sfera d'influenza della Terra e della sensibilità alla sfera della contemplazione puramente intellettuale. Il cielo del Sole è la base da cui dedurre la disposizione, l'ordine e il movimento dei pianeti e del cosmo nella sua totalità, secondo la concezione già sviluppata dai ca­ rolingi e da Giovanni Scoto (PARR. 3 .2 .2 e 3 . 3 .2 ) . Dante introduce nella meccanica celeste aristotelica i deferenti e gli epicicli dell'astro­ nomia tolemaica, consentendo così ai pianeti, mobili nelle loro sfere, di risuonare muovendosi, senza incorrere nelle difficoltà poste da Ari­ stotele (PAR. 1 . 3 . 3 ) . Ma nel cielo dell'astro maggiore il poeta non sen­ te risuonare la musica delle sfere, così come non vede la meccanica dell'universo: egli affida la sua comprensione di queste realtà superio­ ri alla contemplazione della luce, della danza e del canto dei beati. Come la perfetta complessità dei tre moti celesti fondamentali (la ri­ voluzione diurna del cosmo, il moto annuale dei pianeti lungo l'e­ clittica e la p recessione dell'asse terrestre attorno al polo celeste) è esemplata nella danza della triplice corona dei beati, così l'armonia suprema dei cieli è intonata dalle loro voci, ed è un intreccio polifo­ nico di incomparabile consonanza. Se il cosmo suona, la comprensio­ ne della sua musica è negata alle possibilità umane, fintanto che la mente non si ricongiunga «al sole e alle altre stelle» nell'armonia uni­ versale del creato, «anzi l' cantar di quei che notan sempre dietro alle note degli etterni giri» (Purgatorio xxx, 92-9 3 ) . 5 .4.2. TOMMASO D ' AQUINO: ARTE LIBERALE E TEORIA DEL BELLO ARTISTICO Tommaso non dedicò un 'opera specifica all'indagine sulle arti liberali, ma tornò sul tema delle arti, e dell'arte in senso lato, in molti suoi scritti, soprattutto per mettere a fuoco il duplice status, oggettivo e soggettivo, di questa particolare attitudine (habitus) dell'uomo che unisce la conoscenza alla realizzazione di un prodotto. Arte è sia il complesso delle conoscenze necessarie alla realizzazione di un'opera , sia l'opera stessa; ma dal punto di vista dell' artista, l' arte è una quali-

FILOSOFIA DELLA MUSICA

tà o abito operativo teso a realizzare un 'opera in sé retta, e quindi anche bella, owero perfetta nel suo essere. L'arte è, dunque, una vir­ tù di colui che ha rettitudine di giudizio nella sua opera, come speci­ fica nella Summa theologiae (Tommaso d'Aquino, 1 9 84, r 6 , p. 2 3 9 [n-n , q. 4 7 a. 8] ) , approfondendo l a definizione proposta d a Aristote­ le nell'Etica: arte è corretta comprensione (ratio) delle cose produci­ bili (ivi, Io, p. I 5 5 [I-II , q. 57 a. 3 ] ) . Quindi l'arte, secondo leggi sue proprie tratte dall'esperienza o derivate dall'ispirazione individuale, produce un effetto buono e insieme bello , ed è splendore (claritas) della forma e ordine (proportio) nelle varie espressioni sensibili. Quest'ampia definizione dell'arte introduce alla concezione tomi­ sta del bello. Secondo Tommaso, il bello è proprio della forma che l'uomo contempla nelle realtà naturali, mentre il bene è un fine. Ora, poiché nel sistema tomista la forma è immanente all'oggetto (ogni ente, cioè, è un composto di materia e forma) e la contemplazione della forma è esperienza sensibile, anche l'esperienza estetica del bel­ lo sarà sensibile. Ancora nella Summa (ivi, 3 , p. 2 5 9 [I , q. 3 9 a. 8] ) Tommaso sottolinea la sostanziale identità fra la species (cioè la forma stessa) e la pulchritudo: come la forma, così la bellezza richiede inte­ gritas sive per/ectio, cioè la perfezione di tutte le sue parti, una debita proportio sive consonantia, cioè la proporzione armonica dei suoi co­ stituenti, e infine claritas, cioè chiarezza e splendore. Ma la forma si presenta alla sensazione nelle sue determinazioni concrete, quale, ap­ punto, oggetto di conoscenza (ivi, I , p. I 45 [I, q. 5 a. 4] ); la bellezza è quindi sì una qualità dell'oggetto, ma solo perché sta in relazione col soggetto, e infatti è in questa corrispondenza che scaturisce il pia­ cere estetico, esercitato tramite i sensi che più introducono a questa esperienza: la vista e l'udito. Anche Tommaso, come Ruggero Baco­ ne, ritiene che entrambi i sensi convergano nell'esperienza del piacere estetico, ma per Tommaso la bellezza non risiede nell'ente naturale in quanto tale, quanto nel visum o nell'auditum, cioè nell'oggetto della vista o dell'udito. In altre parole, sta in quelle determinazioni qualita­ tive recepite dal soggetto conoscente, che coglie chiarezza e propor­ zione in " ciò che vede " e in " ciò che sente " . E proprio sul concetto di "proporzione " Tommaso chiude il " cerchio " dell'esperienza esteti­ ca, giacché la giusta proporzione, o harmonia, che costituisce la bel­ lezza, si ha quando ciò che è percepito è conforme alla natura della cosa stessa, cioè alla sua /orma. L'ultimo argomento è la maggiore novità ai fini della specificazio­ ne del bello in musica: la debita proporzione, infatti, non è per Tom­ maso una proporzione matematica o un rapporto stabilito e preordi-

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IL SECOLO XIII . LA MlJSICA ALL ' UNIVERSITÀ

nato in qualsiasi oggetto che si manifesta ai sensi, ma è una proprietà inerente l'oggetto esperito. Così intesa, l'idea del bello non pertiene in via esclusiva all'arte, ma anche, e forse soprattutto, alla natura. In tal senso, infatti, l'arte imita la natura (ars imitatur naturam) , come recita un ben noto adagio scolastico, perché la forma di un prodotto artistico è creata dalla mente dell'artista in conformità a un modello formale naturale. La forma artistica indirizza il prodotto artistico al suo scopo, che è il diletto. E il diletto della bellezza nell'arte implica, seguendo ancora l'Etica aristotelica , il raggiungimento di un fine pra­ tico, che secondo Tommaso è positivo quando è indirizzato alla mo­ rale o alla devozione religiosa. Ciò vale in modo specifico per la mu­ sica, in quanto l'uso dei canti nelle lodi a Dio ha il fine precipuo di elevare l'animo alla devozione. Tommaso risolve con molta naturalez­ za il dilemma agostiniano sull'opportunità del canto sacro (PAR. 2 . 3 .4) affermando che, se colui che canta o ascolta il canto, trascinato dal piacere, non capisce ciò che è cantato, tuttavia sa perché si sta can­ tando, e tanto basta a suscitare in lui la devozione (ivi, r 8, pp. 2 69-73 [n-II, q. 91 a. 2 ] ) . È, questa, una risposta che sembra spazzare via ogni problematica sull'opportunità dell'arte, confidando nella connes­ sione necessaria fra il meccanismo di sollecitazione del piacere (con­ templazione della bellezza nelle percezioni sensibili) e l' attribuzione della bellezza stessa alla forma immanente. Semplificando, potremmo dire che contemplare una forma bella significa farsi consapevoli del fine proprio dell'oggetto bello. Con buona pace di Agostino, non è poi così difficile unire l'utile al dilettevole: se la forma è in sé, e non in quanto imitazione di un modello, portatrice di bellezza e armonia, allora l'intenzione della mente alla devozione converge con la con­ templazione della forma, attualizzando il fine di quest'ultima, cioè il piacere estetico.

LA MUSICA COME SCIENZA PRATICA: MATERIA E FORMA DELL ' OGGETTO ARTIFICIALE I:\ GIOVAN:\! DE GROCHEIO

5 -4 · 3 ·

L'inquadramento speculativo su cui Giovanni de Grocheio, maestro parigino che operò alla fine del XIII secolo, organizza il suo De musica presenta elementi di indubbia novità, sia nella definizione della musi­ ca come scienza, sia nell'individuazione del suo oggetto d 'indagine. Ne esaminiamo i contenuti essenziali perché sono significativi di una riflessione sulla musica che possiamo considerare come un " ponte " per introdurci al secolo successivo. 243

FILOSOFIA DELLA MUSICA

Partendo dall'idea che la disciplina musicale introduce «alla com­ pleta conoscenza di ciò che muove e delle cose mosse», un' annotazio­ ne che ricorda l' avvio del De artibus liberalibus di Grossatesta (PAR. 5 .2 . 1 ) , Grocheio sottolinea che il movimento genera il suono, il quale è obiectum di conoscenza. Ma "conoscere" il suono è un'attività sia speculativa sia operativa, indirizzata a una specifica finalità: corregge­ re i costumi e lodare Dio (Giovanni de Grocheio, 1 943 , p. 4 1 ) . Dun­ que, la musica è tanto una disciplina scientifica quanto un'arte. L'a­ spetto scientifico della musica si riassume nel " trasmettere i principi" che sono la regola di un'arte, quella del canto: Diciamo quindi che la musica è l'arte o la scienza del suono numerato consi­ derato armonicamente, deputata a cantare con facilità. E dico che è scienza in quanto trasmette la conoscenza di principi, e arte poiché regola l'intelletto pratico attraverso l'operare, e dico che riguarda il suono armonico, poiché questo è la materia specifica sulla quale essa opera, e attraverso il numero è individuata la sua forma. Infine, per cantare è comportata un 'operazione, alla quale < la musica > è deputata in senso proprio (ivi, p. 46).

Questa definizione ha una portata innovativa considerevole . La musi­ ca ha la sua propria operazione nel cantare, dice Giovanni, che è un' azione strumentale attraverso la quale l'intelletto pratico compie la sua funzione. Tale principio, i cui presupposti sono introdotti nell'E­ tica aristotelica, dove è sviluppata l'idea che la conoscenza è " pratica" se indirizza un'operazione al suo fine naturale (vr, 2, 1 03 9 a 2 2 -3 6 ) , ha l'effetto di collocare l'arte/scienza della musica non fra le discipline speculative, come stabiliva la sua appartenenza al quadrivio, ma ope­ rative 7• Nell'atto del canto , secondo Giovanni, si realizza un eserci­ zio intellettivo, che consiste nel «dare forma numerica» al suono; e questa operazione genera un prodotto artistico. Così, se per i teorici fin qui esplorati il musicus era colui che "estrae " dalla materia sono­ ra la sua " forma " matematica per poterla contemplare come oggetto d 'intellezione, nella soluzione prospettata da Grocheio il musico "in­ serisce" la forma nel suono. È lui medesimo che crea l' obiectum dell' arte:

7 . Alla fonte di questa interpretazione c'è il pensiero dei primi commentatori al­ l'Etica degli ambienti della facoltà delle Arti parigina, che a partire da Alberto Magno svilupparono l'idea di un'etica fondata sulla ragione e centrata sulla riflessione intorno al concetto di "bene" . L'inquadramento aristotelico dell'etica fra le scienze pratiche fu ripreso da Alfarabi e si diffuse in Occidente grazie alle opere enciclopediche di Vi n­ cenzo di Beauvais e di Roberto Kilwardby, anche attraverso la mediazione di Avi­ cenna e di Averroè.

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IL SECOLO XIII . LA MlJSICA ALL 1 UNIVERSIT À

Come infatti la materia naturale è determinata attraverso la forma naturale, così il suono è determinato attraverso i segni musicali (puncta) e attraverso la forma artificiale, attribuita ad esso dall 'artefice (ibid.) .

Giovanni sta parlando della forma delle opere d 'arte, contrapposta alla forma degli enti naturali. Mentre questi hanno per natura una forma propria che li "individua" in quanto corpi, gli enti artificiali prodotti dall'uomo, come ad esempio una melodia, utilizzano sì un ente naturale, cioè il suono, ma lo trattano come mero "supporto " aformale e amateriale. La vera materia dell'artefice è la gamma dei suoni musicali, la forma è il risultato del plasmare tale materia se­ condo un "modello " matematico che esiste nella mente dell'artefice. Realizzando il modello , l'artefice crea una " forma materiale " . L'insie­ me di questa argomentazione richiama molto da vicino un passo del commento di Averroè alla Metafisica, libro XII (comm . 3 6 ) , nel quale il Commentatore paragona la forma dei corpi celesti a quella delle opere d'arte: queste hanno una forma in actu, che le "individua " in quanto corpi materiali, e una forma potenziale (in abstractione) , che è il "modello " cui tende l' artefice nella loro realizzazione. Realizzando il modello, l' artefice crea appunto la "forma materiale " . Qualcosa di simile accade nei corpi celesti: attualizzando il proprio modello (la forma potenziale) essi stessi si generano come forme materiali, la cui unica caratterizzazione è il moto. Non sorprende che Grocheio possa aver tratto da Averroè la dottrina della forma dei corpi artificiali: la presenza di questo filosofo fra le fonti del teorico è ormai accertata . Giovanni sviluppa l'idea della forma e della materia nelle opere artificiali col sottolineare che i principi della musica non sono assiomi della mente ( come nelle scienze matematiche) , ma sono invece sco­ perti dall'uomo: Sebbene infatti gli uomini sempre, fin dalle origini, cantassero, per il fatto che la musica era insita naturalmente in loro, come dicono Platone e Boezio, tuttavia ignoravano i principi del canto e della musica, fino al tempo di Pita­ gora [ . . ] . E così Pitagora scoprì cosa era il diesis, il tono, la terza maggiore, la terza minore, la quarta, la quinta, l'ottava e le altre da esse composte. Questi sono i principi e la materia di cui fruisce ogni musica, e in essi intro­ duce la forma musicale. Sebbene infatti nelle cose naturali la causa efficiente è detta principio più che materia, tuttavia nelle cose artificiali la materia può dirsi principio, per il fatto che è senza atto, e la forma dell'arte gli è acci­ dentale (ivi, p. 42) . .

Contrariamente alla versione nicomachea e boeziana dell'episodio (PARR. r .4.2 , r . 6, 2 .4.3 ) , Pitagora non scopre le sole consonanze per245

FILOSOFIA DELLA MUSICA

fette, ma tutte le consonanze musicali. Questi communia sono la ma­ teria su cui opera l'artefice, introducendovi la forma artistica. Ma al­ lora , se la materia della musica è la consonanza, la sua forma è a cci­ dentale, il suo prodotto è il canto, il suo fine è l'arte del canto, tutto ciò non porta a escludere la musica dal novero delle scienze specula­ tive? Giovanni, in realtà, afferma di voler insegnare la speculatio mu­ sicae; anzi, si ripromette di renderla aperta e pubblica, mentre alcuni moderni la vorrebbero oscurare (ivi, p. 4 r ) 8. Però, ribadisce, è pur vero che «il musico, come gli altri artifices, suppone i principi della sua arte, mentre invece dimostra in modo ordinato solo le conclusio­ ni» (ivi, p. 42 ) . In altri termini: al musico non interessa "il perché , dei suoi principi (cioè perché la consonanza è matematicamente fon­ data), la sua non è scienza propter quid, non verte sugli assiomi, che pur rimangono la ragione formale del suo operare. Compito del mu­ sico è operare sulla "tavolozza , della sua materia, il suono musicale, a partire da quelle regole di composizione che gli consentono di impri­ mervi una forma matematico-proporzionale, creando un prodotto d'arte. In breve: il musico è un compositore, nell'accezione moderna del termine. Una simile formulazione della natura della musica e del compito del musico non la si ritrova in altri trattati del tempo; ma, lungi dal­ l'essere anacronistica , essa rivela la profonda trasformazione che l'i­ dea aristotelica di scienza pratica, esposta nell'Etica, aveva impresso alla disciplina speculativa della musica. Questa nuova impostazione non è solo teorica, ma è coerente con la descrizione proposta da Grocheio della pratica musicale a lui coeva. Avendo definito il canto una res artificialis, egli infatti si preoccupa di organizzare in modo ,, scientifico la trattazione di questo particolare " oggetto creato dal­ l'uomo. Perciò, nel parlare scientificamente di musica non si può pro­ cedere come se essa fosse una scienza naturale, né come se fosse una disciplina matematica (ivi, p. 43 ) , con buona pace della dottrina della subalternatio (PARR . 5 .2 . 2 e 5 .2 . 3 ) . L'ente artificiale comporta un pe­ culiare approccio disciplinare, che Grocheio delinea esaminando la natura della proporzione, intesa dai filosofi o come /orma naturale della consonanza - secondo l'idea sviluppata ad esempio da Tomma­ so d 'Aquino (PAR. 5 .2 . 3 ) , e fatta propria da Girolamo di Moravia

8. Ad esempio, l'Anonimo di San Emmeram, che scrive nel 1 2 79, raccomanda di custodire «nell 'armadio del cuore» le regole della composizione, perché ciò che è co­ nosciuto da pochi ed è reservato perde valore se divulgato a tutti. Proprio questa in­ tellettualità sembra l'obiettivo polemico di Grocheio.

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(PAR. 5 . 2 .7) - o come /orma matematica autonoma e separata, in base all'accezione di Pitagora, Platone o Boezio. Nel primo caso, è posto un legittimo dubbio : se la consonanza non esiste in natura, ma è creata dall'uomo, la proporzione non potrà certo essere la sua forma naturalis, ma sarà una /orma artificialis, separabile e " creata" dall'uo­ mo ogniqualvolta egli "produce " musica. Dunque, la filosofia naturale non ha possibilità di indagare l' ambito musicale. Anche nel secondo caso, per il quale la /orma è separata, non si può fondare una scienza della musica, poiché non è detto che una proporzione numerica im­ plichi di necessità la produzione di un suono armonico: se due rumo­ ri stanno in proporzione fra loro, il risultato non è certo una conso­ nanza ! È dunque sorprendente, afferma Grocheio con sincero stupo­ re, che Boezio, il quale conosceva così bene la filosofia di Aristotele, possa aver fondato sul numero la natura della consonanza (t'bid.) . Grocheio risolve questa strana aporia, che sembra proprio non tolle­ rare, con un' affermazione che rivela, a mio parere, un tacito richiamo alla Poetica di Aristotele. Egli infatti ipotizza che gli antichi filosofi abbiano fondato la scienza musicale sul numero al modo dei poeti, cioè metaforicamente , e non attraverso il linguaggio scientifico dimo­ strativo. Ciò non significa che essi hanno " favoleggiato " , ma, al con­ trario, che hanno espresso concetti veri attraverso similitudini. Della metafora, infatti, Aristotele afferma che «fa scorgere il simile» o «il concetto affine» (Poetica 1459a8 ) . Così, metaforicamente parlando , Grocheio stesso arriva ad affermare che le tre principali consonanze sono una "trinità al femminile " , con il diapason-madre, la diapente­ figlia e la diatessaron-spirito: Vi è infatti una prima armonia, che è come la madre, che gli antichi chiama­ vano diapason , e un 'altra come la figlia, in quella contenuta, detta diapente, e la terza, che procede da ambedue, è la diatessaron. E queste tre, ordinate insieme, rendono una consonanza perfettissima. E forse intendevano proprio questo i pitagorici, indotti dall'inclinazione naturale, non adusi a esprimere ciò con queste parole, ma parlando metaforicamente attraverso i numeri (Giovanni de Grocheio, 1 943 , p. 43).

Grocheio, insomma, adotta la stessa strategia che attribuisce ai pita­ gorici per arrivare a spiegare ciò che non si può dimostrare con pro­ cedimento sillogistico ; e si richiama di nuovo ai teorici della musica che «parlano come poeti, quando affermano che le consonanze sono sette, come i doni dello Spirito, o i pianeti, o i giorni della settimana» (ivi , p. 44) , lasciando intendere che sono idee da lui condivise, ma delle quali è impossibile chiarire il propter quid. Una consapevolezza, 247

FILOSOFIA DELLA MUSICA

tra l'altro, che lo rende cosciente del senso scientifico del "verosimi­ le " nel Timeo platonico (ibid. ) . Ricusando l a classica partizione boeziana della musica in monda­ na, umana e strumentale e anche la più nuova divisione in misurata e non misurata, Grocheio propone un'originale classificazione della musica, determinata proprio dall'oggetto di questa disciplina, creato dall'unione di materia e forma artistiche e finalizzato alla promozione della virtù, cioè il canto: Non è facile per noi dividere in modo proprio la musica, perché nella divi­ sione in senso proprio le parti che dividono devono coprire la natura dell'in­ tero diviso. Ma le parti della musica sono molte, e diverse secondo i diversi usi, i diversi idiomi e le diverse lingue in città e regioni diverse. Tuttavia, se la vogliamo dividere al modo in cui i parigini ne fruiscono e per quanto è necessario all'uso e alla convivenza nelle città [ . ] , può essere ridotta a tre settori generali. Il primo riguarda la musica semplice o civile, che chiamiamo musica del popolo, il secondo la musica composta, o regolare, o canonica, che chiamano musica misurata. E il terzo genere è quello che è realizzato da questi due e al quale questi due sono ordinati come al meglio, che si chiama canto ecclesiastico, ed è deputato alla lode del Creatore (ivi, p. 47). .

.

Una classificazione che sorprende, se non viene ricollegata al princi­ pio per cui la scienza pratica si divide secondo i modi di organizza­ zione e divisione dell'oggetto suo proprio, in questo caso la "materia formata " dal musico . Ma c'è di più . Delle tre forme di canto in cui la musica è divisa, il canto piano ecclesiastico non costituisce la "base " della musica misurata, la quale è composta da e per gli intellettuali che possono apprezzarne le subtilitates (ivi, p. 5 6 ) , e tantomeno della musica fruita dai laici «per mitigare le avversità» (ivi, p. 5 0 ) , ma è al vertice dell'arte, è il fine sommo a cui tende l'esercizio della musica, la cui funzione più alta è la lode di Dio. La "musica scienza pratica " si configura quindi come quell'insieme di saperi operativi orientati a tre diversi intendimenti, del singolo uomo come della comunità uma­ na: il bene del corpo (il cittadino, e quindi la città) , il bene dell'intel­ letto (l'intellettuale, e l'università) e il bene dello spirito (il religioso, e la Chiesa) . Attraverso un parallelismo (o, se vogliamo, una metafora) col modo in cui Aristotele ha impostato lo studio scientifico dell'ente na­ turale negli scritti Sugli animali, Grocheio imposta la descrizione del­ l' ente artificiale creato dai musi ci: prima i principi generali, che sono conosciuti confuse et universaliter; poi le caratterizzazioni di genere; infine le forme specifiche e i criteri di composizione di ciascun " ente artificiale " . Dopo aver quindi descritto la materia sonora (consonanze

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IL SECOLO XIII . LA MUSICA ALL 1 UNIVERSIT À

e concordanze) in generale, Grocheio illustra le tipologie generali dei canti, partendo da quelli fruiti nella città, ed enumerando le parti co­ stituenti ciascun genere; infine delineandone i metodi compositivi. In secondo luogo, illustra tipologie, strutture e criteri compositivi della musica mensurabilis degli intellettuali e infine, rivolgendosi al vir ec­ clesiasticus, espone le regole del canto piano, partendo dai principi regolatori (i modi stessi) , passando poi alle forme liturgiche e infine alle norme compositive 9. E così, attraverso un'organizzazione pun­ tuale delle forme musicali e delle modalità di composizione - ricchis­ simo e dettagliato materiale di studio per la moderna musicologia -, Grocheio offre all' homo practicus uno strumento scientifico che orien­ ta l'arte della musica al raggiungimento della sua naturale funzione morale «per quanto è necessaria ai cittadini e utile al bene e alla cura della città intera» e, nella sua più alta funzione, «per quanto è ne­ cessaria all'uomo di chiesa ed è finalizzata alla lode di Dio e al servi­ zio divino» (ivi, p. 5 9 ) . Grazie all'interpretazione in senso musicale dell'idea di conoscenza pratica dell'Etica aristotelica, Grocheio riesce in modo palpabile a calare nella realtà del vissuto musicale l'idea di musica come scienza pratica.

9 · È interessante notare che per Grocheio il sistema dei modi ecclesiastici è sia regola strutturale sia norma compositiva del canto piano, come per l'intelletto specu­ lativo la verità è al contempo assioma e fine della ricerca (Giovanni de Grocheio, 1 94 3 . p. 67 ) .

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Il pensiero musicale nella tarda Scolastica

6. r

La via moderna

e

l'Ars nova

6 . I . I . IL DIBATTITO SULLA SCIE:\'ZA E IL MOVIMENTO " OCCAMISTA "

Alla fine del XIII secolo i grandi dibattiti sulla natura della scienza e della conoscenza scientifica messi in moto dalla riscoperta degli Ana­ litici secondi e degli scritti di filosofia naturale di Aristotele portaro­ no a ripensare le strutture e i contenuti della conoscenza umana alla luce delle istanze imprescindibili della fede. La posizione innovativa del francescano inglese Giovanni Duns Scoto (m. I 3 0 8 ) , il Dottor Sottile, il cui insegnamento si estese dall'Inghilterra a Parigi e infine a Colonia, implicava che l'oggetto di ogni scienza corrispondesse al­ l'insieme delle verità in essa contenute. Partendo dall'idea aristotelica di scienza come dimostrazione certa fondata su premesse vere e dalla convinzione che la libera volontà divina implica la totale contingenza del mondo creato , Duns Scoto individuò nell' argomentazione sillogi­ stica un criterio di verità necessario formalmente per la mente uma­ na, ma non antologicamente. La scienza che emerge dalla prospettiva scotista è quindi solo in apparenza vicina a quella di Aristotele; se ne allontana nello svincolare la logica dall'antologia , cioè i contenuti della deduzione dialettica dalla loro corrispondenza con il piano del­ la realtà oggettiva. Ciò non voleva dire sminuire l'esperienza, anzi, per Scoto è proprio l'esperienza a fornire le premesse evidenti da cui la mente fa discendere la sua trama di proposizioni, ma queste ulti­ me non implicano alcun obbligo di relazione con il dato fattuale, bensì solo con quello logico-deduttivo. La conoscenza umana deve dunque partire dal dato sensibile e dalla conoscenza diretta degli enti singolari, che Scoto chiama " conoscenza intuitiva " , vicina sotto certi aspetti al principio agostiniano del " conoscere visivo " , immedia-

FILOSOFIA DELLA MUSICA

to e certo. In un clima di indubbio sincretismo, tale inquadramento aprì la scienza fisica, per usare un termine moderno, al "probabili­ smo " dei fenomeni e alla dinamica delle " condizioni di validità " , di contro a quelle della "verità " . S u tali elementi di partenza il confratello Guglielmo di Ockham (m. 1 3 47) innestò la sua dottrina. La centralità di questo filosofo nel pensiero della tarda Scolastica è indubbia, tanto che l'etichetta sto rio­ grafica di " occamismo " , o "movimento occamista " , è comunemente usata dagli storici della filosofia, insieme ai termini "nominalismo " e via modernorum, per indicare i tratti dottrinali più tipici del XIV seco­ lo. Limitandoci al problema della conoscenza scientifica, dobbiamo anzitutto sottolineare il rilievo enorme tributato da Ockham all'evi­ denza intuitiva del singolare come presupposto del processo conosci­ tivo. La conoscenza della realtà naturale poggia sulle solide fonda­ menta della certezza, ma non dell'evidenza . Infatti, quest'ultima si fonda sul postulato della necessità , che la conoscenza intuitiva non può garantire. In altri termini: la regolarità dei fenomeni naturali os­ servati non implica la necessità di una legge di natura che renda ne­ cessaria la regolarità stessa. Il probabilismo è quindi confermato , così come il valore della verità logica rispetto a quella ontologica. Sotto la sottile lama del famoso " rasoio di Ockham " , o principio di parsimo­ nia, cadono le naturae, le species, le essenze, le sostanze universali e ogni entità o qualità generale posta dietro al dato esperito: sia la so­ stanza che la qualità sono "singolari " . Le categorie aristoteliche per Ockham significano i nomi e i modi di significare le cose particolari, non le loro "nature " . La categoria di " quantità " , ad esempio, che tan­ ta parte ha avuto nella definizione della musica come scienza specula­ tiva, non ha altro valore significante del connotare il modo in cui si rapportano fra loro le parti di una sostanza o le gradazioni di qualità. Ugualmente il tempo, la cui problematica definizione fu messa a fuo­ co anche dai teorici della musica sullo scorcio del XIII secolo (PAR. 5 · 3 · 3 ) e che emergerà come tema dominante nella polemica sull'A rs nova, è per Ockham un termine che connota il mutamento di posi­ zione osservato e misurato dall 'uomo. Il tempo è un termine connota­ tivo, la cui realtà è quella del corpo in movimento misurato attraverso un 'unità di misura uniforme, cioè il moto del primo mobile. Come afferma Ockham nelle sue Quaestiones super Physicam: Il termine tempo significa direttamente ogni cosa significata dal termine mo­ vz'm ento e sta al posto del movimento, ma implica direttamente, o connota, l'atto con cui l'anima numera. Quindi sia l'anima sia il suo atto vengono in­ clusi nella definizione del termine tempo, non della realtà tempo, che non è

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IL P E N S IERO M U S ICALE N E L L A T ARD A S C O L A S T I C A

che il movimento del primo mobile, cioè il primo mobile stesso (cit. in Paro­ di, 1 98 1 , p. 2 1 7) 1 ,

M a l'uniformità del tempo primo celeste non implica che non vi pos­ sano essere altri tempi uniformi, da utilizzare come unità di misura. Fra questi, nelle Quaestiones super Physicam, è menzionato il " tempo uniforme mentale " : I n un'accezione ampia del termine, si può definire tempo qualsiasi movimen­ to per mezzo del quale possono essere misurati e conosciuti altri movimenti [ . . . ] . Infine, in un 'accezione ancora più ampia, si può usare il termine "tem­ po" per indicare il movimento immaginato con cui l'anima misura gli altri movimenti esterni, nello stesso modo in cui l'esperto geometra misura le grandezze esterne per mezzo di una grandezza mentale (cit . in Maier, 1 9 83 , p. 259).

Già da queste brevi citazioni si intuisce come l'indagine logico-analiti­ ca dei problemi scientifici fosse destinata a catalizzare l'attenzione dei maestri delle arti nel corso del XIV secolo. La fioritura di una vasta letteratura specialistica, in cui sono basilari l'applicazione della meto­ dologia analitica e la teoria logica della suppositio, è il sintomo più evidente che la verità delle proposizioni scientifiche si è trasformata nella valutazione delle condizioni di validità delle stesse. Benché in estrema sintesi, occorre soffermarsi su questo aspetto essenziale della tarda filosofia scolastica, per il rilievo che ebbe anche nella concezio­ ne della scienza della musica. Nella logica occamista tutti i termini designano un oggetto parti­ colare, ma i termini mentali, di contro a quelli scritti o proferiti, sono connessi al concetto della cosa, cioè significano, sono segni (signa) che "stanno per " quella cosa. Ciò vuoi dire che il termine scritto "uomo " è una convenzione, mentre il termine mentale "uomo " è significativo, perché "sta al posto di " tutti, e solo, i singoli uomini. Sempre fra i termini mentali, i connotativi, come " quantità " e " tempo " , che abbia­ mo evidenziato sopra, sono quelli che significano qualcosa primaria­ mente (nel caso di "tempo " il movimento di una cosa osservata) e qualche cosa secondariamente (l'atto di numerare dell'anima) . Infine, 1. Più precisamente, nelle Summulae sulla Fisica ( Iv, 3), specifica l'identità fra tempo e primo mobile: «Infatti, se si prende in considerazione un movimento che si sa essere uniforme, che sappiamo cioè muoversi sempre uniformemente, in modo quindi sempre uguale, per mezzo di tale movimento si potrà sapere che una cosa si muove o rimane in quiete più o meno a lungo di un'altra. È dunque inutile porre altre realtà» (cit. in Maier, 1 983 , p. 2 5 9 ) .

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FILOSOFIA DELLA MUSICA

i termmt sincategorematici, come " ogni " , "nessuno " , " tutti " ecc., "cooperano " alla significazione. Ora, poiché la conoscenza scientifica è ricondotta alle condizioni di validità delle proposizioni, la funzione dei termini nelle stesse svolge un ruolo essenziale. Questa parte della logica di Ockham concerne la dottrina della supposizione (supposi­ tio) , cioè appunto la funzione dei termini all'interno delle proposizio­ ni mentali. Con la categoria storiografica di "nominalismo occamista " gli storici della filosofia individuano, con l e riserve e le discussioni implicate da qualsiasi generalizzazione, questa peculiare soluzione al problema del significato del linguaggio umano e delle condizioni del­ la sua validità. La proposizione è quindi un complexum, formato da singoli termini (incomplexa) che denotano realtà individuali e da eventuali sincategoremi che fungono da connettori; ed essa è vera sul­ la base della coerenza del significato di ciascun termine nell'insieme della proposizione. In tal senso, quando parla di " universale " , Oc­ kham intende qualcosa di oggettivo solo nella mente, una rappresen­ tazione mentale (fictum) , o un " atto dell'anima " , che impiega un "se­ gno " per indicare un individuo, ma che si estende a significare tutti gli individui designabili con lo stesso segno. Il segno non è che la naturale espressione della cosa concepita, come afferma la Summa di logica: ogni universale è un'intenzione dell'animo che [ . . ] non differisce dallo stesso atto di intendere. Per cui [ . . ] l'intellezione con la quale comprendo l'uomo è un segno naturale degli uomini, tanto naturale quanto il gemito è il segno naturale della malattia oppure della tristezza oppure del dolore. Ed è tale segno che può stare al posto degli uomini nelle proposizioni mentali, così come la voce può stare al posto delle cose nelle proposizioni vocali ( cit. in Bottin , 1 9 82 , p. 79). .

.

L'influenza del pensiero di Ockham e dei logici di Oxford fu deter­ minante nell' ambiente universitario parigino nell'ambito degli studi di logica e di fisica fin dagli anni venti del xrv secolo . Nel I 3 24 Ockham giunse ad Avignone, e, contestualmente, cominciarono ad apparire a Parigi le prime opere che compendiavano le sue tesi più significative; ad esempio il Tractatus de successivis ( I 3 25 circa) centrato su tempo, movimento e luogo ; ma la diffusione dei principi della fisica di Oc­ kham e la costituzione di una "scuola di pensiero " rifacentesi alle sue dottrine sembrano addirittura precedere l'arrivo in Francia del fran­ cescano , visto che nello stesso I 3 2 5 Michele di Massa, maestro parigi­ no, afferma, proprio a proposito della teoria del tempo, l'esistenza di un 'opinione divulgata dagli " occamisti " , facendosi portavoce di un 254

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dibattito acceso su questo tema (Beonio Brocchieri Fumagalli, Parodi, I 996, p. 42 3 ) . Sul piano della conoscenza scientifica fu molto influente presso la facoltà parigina delle Arti il pensiero di Giovanni Buridano (m. I 3 5 9 circa) , che fu membro della commissione incaricata d i far luce sulle concezioni occamiste. Nonostante i non pochi distinguo, Buridano seppe trarre il meglio proprio dalla dottrina occamista della cono­ scenza scientifica e, traendo spunto anche da osservazioni d'esperien­ za, giunse a dei risultati di aperta rottura con la tradizione aristoteli­ ca, in particolare nell'elaborazione della sua teoria del moto (teoria dell' impetus) . Anche Buridano si fece quindi portavoce della nuova concezione della scienza , ed elaborò tre criteri di massima per poter definire un insieme di saperi come "scientifico " : I . la scienza deve essere un complesso di dimostrazioni e procedure coordinate fra loro ; 2 . non deve ammettere termini definiti da altre scienze o proposizioni dimostrate da altre scienze; 3 . la sua unità deve essere derivata da quella del suo soggetto (Tabarroni, I 997 , p. 2 03 ) . La letteratura sco­ lastica delle quaestiones si arricchì pertanto di numerosi esempi in cui, sulla base di questi criteri, venivano messe in discussione le sin­ gole discipline scientifiche ereditate dal passato, e anche la musica non si sottrasse a tale trattamento , come vedremo più avanti. La cul­ tura filosofica del XIV secolo si caratterizza quindi per il dominio del­ le tecniche di analisi logico-linguistica, per il probabilismo e per le verifiche secundum imaginationem, con le quali i maestri, continuando ancora a riferirsi ad Aristotele (e nel caso della musica a Boezio) , si adoperarono per scardinare punto per punto l'organizzazione del sa­ pere scientifico che i maestri del secolo precedente, guardando ad Aristotele, avevano faticosamente cercato di formulare. 6. 1 . 2 . IL DIBATTITO SULL 'ARS NOVA

In concomitanza con la prima diffusione della logica e della fisica oc­ camiste, nel decennio I 3 2 0-30, presso l'Università di Parigi i teorici della musica si occupano della teorizzazione della cosiddetta Ars no­ va, cioè di una nuova tecnica di notazione dei valori di durata e del ritmo messa a punto a seguito degli sviluppi del linguaggio polifonico del tardo Duecento. L'Ars nova non fu solo un modo alternativo di misurare il tempo nella polifonia, ma segnò una vera e propria inno­ vazione concettuale nell'intendere la misura del tempo nella musica. Se infatti nell'ultima fase dell'Ars antiqua l'idea di una scansione re­ golare, organizzata col criterio della misura uniforme, è pienamente 255

FILOSOFIA DELLA MUSICA

acqu1s1ta, adesso il compositore si svincola dalla necessità di sotto­ stare a un " ritmo dato " , e organizza il flusso musicale secondo para­ metri soggettivi e criteri di divisibilità emancipati dall'obbligo della perfezione ternaria, standardizzata nei primi trattati di musica mensu­ rabilis (PAR. 5 . 3 . 3 ) . I due principali teorici della nuova notazione furono Giovanni de Muris , di cui parleremo nel prossimo paragrafo, e Filippo de Vitry ( I 2 9 I I 3 6 I ) , un uomo di spicco della cultura letteraria, universitaria ed ecclesiastica francese. Ars nova è il titolo di un trattato musicale adespota, che gli è stato ascritto forse erroneamente, nel quale è esposto il nuovo sistema di notazione, esemplificato attraverso alcuni mottetti per lo più attribuiti allo stesso Vitry. I nuovi principi teorici si possono riassumere in alcuni punti essenziali: I . una pari legittimità ai valori di durata binari e ternari; 2 . la messa a punto di valori e rispettivi segni notazionali inferiori alla semibreve (cioè la minima e la semiminima); 3 · l'aumento delle tipologie di misura ritmica ; 4 · la pos­ sibilità di alternare i tipi di misura all'interno di una composizione; 5 . lo sviluppo delle tecniche di contrappunto, che soppiantarono il prin­ cipio compositivo del discanto. Proprio per consentire l' organizzazio­ ne dei puncta nei reciproci valori di durata (e nelle opportune strut­ ture intervallari) fu elaborata una serie di simboli per indicare la mi­ sura ritmica impiegata nella composizione. I signa mensurae, posti al­ l'inizio del brano e ogniqualvolta il compositore intendeva cambiare il ritmo, furono i diretti antecedenti dei nostri segni di misura (9/8 , 2/4 , 3/4 ecc.) . Queste e altre risorse, come la colorazione in rosso delle note, per la prima volta impiegata proprio in un mottetto attri­ buito a Vitry, consentivano di variare i rapporti di velocità, offrendo al compositore una vera e propria " tavolozza ritmica" da utilizzare a piacimento per organizzare gli edifici contrappuntistici. Le nuove composizioni polifoniche non mancarono di suscitare contrasti, e l' atto ufficiale di condanna fu la bolla Docta sanctorum patrum, promulgata nel I 3 24-25 da papa Giovanni XXII , un documen­ to la cui natura e il cui stesso obiettivo polemico sono oggi molto discussi dai musicologi. Questo testo infatti riflette, se non una cono­ scenza specifica dei criteri compositivi arsnovistici, almeno una viva preoccupazione per l'esorbitante impiego di strutture polifoniche nel contesto liturgico, nel quale l'uso di ritmi liberamente organizzati e di note di valore brevissimo minava l'intelligibilità della parola sacra. La costituzione Docta si appella al valore imprescindibile del canto gre­ goriano, e la genericità dei riferimenti musicali è tale da far pensare che la preoccupazione papale non riguardasse una specifica pratica di misurazione del ritmo, quanto l'eccessiva attenzione dei cantori alla -

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IL P E N S IERO M U S I C A L E N E L L A T ARD A S C O L AS T I C A

complessità della polifonia, certamente non tutta e non ovunque ars­ novistica. Non sarà così, invece, nel contesto della teoria musicale, dove la polemica si incarna nelle due opposte figure di Giacomo di Liegi, difensore degli " antichi , , e di Giovanni de Muris, la voce dei "moderni , . Le accuse di Giacomo sono mosse in un 'opera teorica di vastissimo respiro, e la sua polemica unidirezionale, visto che non c'è (o non è pervenuta) la risposta di Giovanni, acquista i toni di una disputa di enorme interesse, perché mette a fuoco il retroterra filoso­ fico e culturale dei due teorici: un giovane matematico maestro delle arti contro un attempato studioso di teologia.

Ars antiqua

6.2

e Ars nova : dalla scienza all'arte della musica, dal discreto al continuo temporale

6 . 2 . 1 . GIOVANNI DE MURIS: ARTE ED ESPERIE:\'ZA, TEORIA E PRATICA DELLA MUSICA

Giovanni de Muris ottenne il titolo di magister presso la facoltà pari­ gina delle Arti nel 1 3 2 8 , quando aveva già composto le sue principali opere teoriche di musica , cioè la Notitia artis musicae, che spiega i criteri di organizzazione ritmica seguiti dai "moderni , , la Musica spe­ culativa secundum Boethium, sulla matematica musicale, e il Compen­ dium musicae practicae, una sintesi della Notitia. Attorno al I 3 40 è testimoniabile la sua partecipazione al cenacolo intellettuale che gra­ vitava attorno alla figura eminente di Filippo de Vitry, al quale Gio­ vanni dedicò una sezione della sua opera più famosa, il Quadriparti­ tum numerorum ( 1 3 43 ) , sul problema dell'incommensurabilità in am­ bito matematico . Gli interessi nella matematica e nell'astronomia sem­ brano prevalere negli anni della maturità di de Muris, nei quali egli fu in contatto con i maggiori scienziati del tempo , come il matemati­ co Levi ben Gerson, chiamato ad Avignone per occuparsi della ri­ forma del calendario. Gli ultimi anni di de Muris sono invece oscuri, ma la dottrina trasmessa nei suoi scritti musicali divenne ben presto un imprescindibile punto di riferimento sia per l'insegnamento uni­ versitario della musica, dove la sua Musica speculativa andò a sostitui­ re lo stesso Boezio, sia per i teorici e i compositori delle generazioni successive, che si rivolsero soprattutto al Compendium e a un'opera oggi ritenuta spuria , il Libellus cantus mensurabilis, per la teorizzazio­ ne della ritmica musicale. 257

FILOSOFIA DELLA MUSICA

Obiettivo polemico di Giacomo di Liegi è proprio la Notitia artis musicae, opera di un giovane baccalaureato della facoltà delle Arti. Cosa propone questo breve trattato? Anzitutto dobbiamo ribadire che il titolo formulato da Giovanni per quest'opera fu Summa musi­ cae, non Notitia artis musicae, elemento questo di indubbia importan­ za per capire la struttura del trattato e l'organizzazione dei suoi con­ tenuti . La Summa di Giovanni è certo molto più snella di tante coeta­ nee e successive summae musicali, ma è pur sempre specifica di que­ sto genere letterario. Essa infatti verte sulla disciplina musicale nel suo insieme, ripartita nell'ormai classica divisione in teorica e pratica (PAR. 5 .2 . r ) . La parte teorica presenta una sintesi della matematica musicale boeziana e uno sguardo generale alla scala dei suoni. La pratica concerne invece la musica misurata ed è la sezione più ampia e articolata. In apertura di trattato, un prologo giustifica le ragioni della divisione stessa, e assume un significato nodale per la nostra in­ dagine, oltre che per la critica che muoverà Giacomo di Liegi. Il prologo si apre con una citazione dalla Metafisica di Aristotele, e procede conducendo un ragionamento che assembla alcuni passaggi aristotelici, volti a dimostrare che l'arte è una forma di conoscenza universale. Essa consta di una parte teorica, in cui la trattazione degli argomenti deve procedere dall'universale al particolare come nella scienza delle cause (propter quid) , e di una parte pratica, dove l' argo­ mentare procede dal particolare all'universale come nella scienza de­ gli effetti (quia; PAR. 5 . 2 .2 ) . Da queste premesse, Giovanni conclude che solo l' artz/ex (il teorico dell 'arte) si occupa scientificamente sia della teoria, di sua specifica pertinenza, sia della pratica musicale, nel­ la quale si esercitano gli esperti (i cantori e i compositori). Questa inedita messa a fuoco dei rapporti fra arte e scienza e fra teoria e prassi fu rifiutata da Giacomo, saldo, come vedremo (PAR. 6 .2 . 3 ) , nel­ la difesa della musica come scienza matematica. Vediamo quindi nella sua interezza il prologo della Notitia (le citazioni da Metafisica 1, r , 9 8 r sono qui riprodotte in corsivo) : Aristotele, principe dei filosofi, afferma nel proemio della sua Metafisica che il segno di colui che sa in maniera compiuta è il poter insegnare [98 r b7] . Ma in qualsiasi arte i teorici possono insegnare i pratici no [b9] . Infatti gli esperti ) conoscono il come, ma non conoscono il perché [a29-3o] , e appunto non fan­ no scienza quelle < competenze > che fanno sì che il fuoco arda [b4] . Ma capire e conoscere rispetto ad un )arte) lo attribuiamo più altarte che alt esperi­ mento, e dunque ritengo che gli artefici siano più sapienti degli esperti [a24-2 6] . E penso inoltre che tarte sia scienza più che tesperimento, e in/atti quelli possono) ma questi non possono insegnare [b9] . Poiché dunque tarte è degli universalz� t esperimento dei singolari [ar 5] gli universali presuppongono

6.

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i singolari, quindi l'arte presuppone l'esperienza. In vero, l'esperienza ha crea­ to l'arte [a i ] e oggi vediamo gli esperti /are più progressi di chi ha conoscenza senza esperienza [a I 3 - I 4] . Per cui in ogni arte è necessario acquisire prima la teoria, poi la pratica, affinché ciò che è conosciuto in modo universale possa essere applicato al caso singolare. Ma poiché ogni arte dipende dagli esperi­ menti [a2] , è necessario che ogni artefice in primo luogo si impegni sull'e­ sperienza dell'arte. Io, per il bene comune e per la ragione della verità, che a lungo è stata latente, mi propongo di attendere alla musica quanto all'arte, e intendo su di essa illustrare in breve prima la teorica poi la pratica, nella quale non è sconveniente che sia implicata la parte teorica (Giovanni de Mu­ ris, 2ooo, p. 58 [Prologus] ) .

Giovanni si appoggia al principio aristotelico per cui la conoscenza scientifica parte dai singolari e attraverso le esperienze ripetute e rite­ nute nella memoria (cioè l'esperimento) giunge all'universale ; ma quello che egli non riprende dalla Metafisica è la conclusione del ca­ pitolo, cioè l' affermazione che le arti, sviluppatesi per le necessità e per i piaceri della vita, hanno poi consentito la nascita di un sapere teoretico astratto propriamente scientifico, come quello delle matema­ tiche, diverso dall'arte; e infatti, conclude Aristotele, «nell'Etica ho parlato della differenza fra arte e scienza» (Metafisica 1, 1 , 9 8 1 b2 5 ) . Ora, quest'ultima considerazione infida proprio il ragionamento esposto nel prologo, teso a dimostrare che l' ars musica, essendo cono­ scenza universale, equivale alla scientia musicae 2 • Nella concezione aristotelica l'arte verte sulla giusta conduzione dell'azione umana, la scienza sulla speculazione della verità, come anche è esplicitato nel capitolo della Metafisica successivo a quello citato da Giovanni. Ma tutto questo è escluso dal prologo di de Muris, il quale, invero, non spiega neppure se solo la conoscenza propter quid o anche la quia consenta la formazione dell'universale. Stabilito che l'arte è una conoscenza universale, de Muris passa a definire, nella parte finale del prologo, la distinzione fra teoria e pra­ tica dell'arte. La teoria è conoscenza teoretica dimostrativa; e infatti la prima parte della Notitia, dedicata alla teoria, verte sulla matemati­ ca musicale. La pratica è invece induttiva, cioè procede dai singolari, ed è esposta nella seconda parte, sulla musica misurata. La teorizza­ zione della musica polifonica, dunque, rientra nella pratica della mu­ sica, come stabilito dai teorici del secolo precedente; ma Giovanni ri­ badisce tuttavia che la teoria si è storicamente fondata sull' experimen2 . Questo sarà proprio il punto di partenza di Giacomo di Liegi, che opportuna­ mente avvia il suo trattato citando l'Etica a proposito della differenza fra sapere teore­ tico e pratico ( PAR. 6.2 . 3 ) .

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FILOSOFIA DELLA MUSICA

tum, perciò l'artefice deve impegnarsi anzitutto nell'esperienza dell' ar­ te. Dove vuole andare a parare questo discorso? A una cosa in appa­ renza di poco rilievo, ma in realtà innovativa: la teoria della musica è una disciplina matematica non perché il musico " astrae " dal suono la categoria o la forma della quantità, ma perché, al contrario, impiega la quantità (o meglio la misurazione) come mezzo per coordinare l'e­ sperienza ripetuta del suono , e in tal modo "generare" l' assioma ma­ tematico. Questo principio è ricavato dagli Analitici secondi ( r ooa4 ) , e le parole di Giovanni sono molto vicine al Metalogicon di Giovanni di Salisbury (PAR. 4.4.2 , dove è riportato il passo) e al commento agli Analitici di Roberto Grossatesta, che riportiamo qui di seguito: Dal senso si genera la memoria, dalla memoria ripetuta l'esperimento, dall'e­ sperimento l'universale, che è al di là delle cose particolari, ma che tuttavia non è separato dalle cose stesse, e che è il principio e il fondamento dell'arte e della scienza (Roberto Grossatesta, r 9 8 r , p. 404, corsivo mio) .

La citazione appare alla lettera quando de Muris ripercorre l' aneddo­ to di Pitagora: Rimasero quattro < magli > , i pesi dei quali furono individuati con un espe­ rimento pratico, nelle proporzioni doppia, sesquialtera, sesquiterza e se­ squiottava [2 : r , 3 :2 , 4 : 3 , 9 : 8] . E così < Pitagora > fece esperienza, indivi­ duando le stesse proporzioni negli strumenti a corda, nelle canne, in quelli a fiato senza trovare eccezioni. E da questi esperimenti che erano radunati nella memoria ricavò l'universale, che fu il principio d'arte e di scienza (Giovanni de Muris , 2ooo, p. 66 [ r , 3 ] , corsivo mio) .

È tale la certezza che Pitagora abbia seguito il metodo sperimentale,

secondo Giovanni, che lo stesso aneddoto è riproposto anche nella

Musica speculativa secundum Boethium: E da tali esperimenti, dedotti in diversi modi e in differenti tempi [. .. ] , più volte raccolti dalla memoria trasse l'universale, che fu l'inizio dell'arte e della scienza della musica (ivi, pp. r 3 8 -4o, corsivo mio) .

L'esperienza cruciale di Pitagora fu di individuare il princ1p1o uni­ versale matematico della consonanza testando diversi strumenti op­ portunamente preparati, i quali non producevano eccezioni nei risul­ tati della misurazione. Questa è la prima "proposizione " della Musica speculativa di de Muris, tratta dal quarto " assioma " . In questo tratta­ to, infatti, i contenuti della matematica musicale sono organizzati in assiomi (suppositiones) e proposizioni, dalle quali sono infine derivate 2 60

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le conclusioni, secondo il modello euristico della Geometria euclidea. Gli assiomi sono quattro: < I > Ogni dottrina e ogni disciplina derivano da una conoscenza preceden­ te [Analitici secondi, 7 I a] . < 2 > Nulla precede la conoscenza sensibile. < 3 > Le posizioni ferme poggiano sull'esperienza ripetuta [cfr. Analitici Se­ condi, I ooa4] . < 4 > L'esperienza relativa alle cose sensibili genera l'arte [Metafisica, 98 Ia2] (Giovanni de Muris, 2ooo, p. I 3 6) .

Il primo e il quarto " assioma, sono desunti da Aristotele e sottolinea­ no che ogni complesso di saperi poggia su una conoscenza di parten­ za imprescindibile dall'esperienza; il terzo fondamento rielabora il principio aristotelico per cui le esperienze ripetute formano una co­ noscenza salda, e il secondo, in base al quale nulla precede la cono­ scenza sensibile, è anch'esso aristotelico, anche se non è rintracciabile in una citazione letterale. Insieme, i quattro assiomi aprono la pro­ spettiva di una vera e propria fondazione della scienza della musica su principi opposti a quelli della tradizione speculativa boeziana, pur restando la stessa musica speculativa equivalente alla matematica musicale. A fondamento della conoscenza musicale sta l'universale desunto dall'esperienza: universale, cioè, è il principio della misurazione, per­ ché uniforme e globalmente applicabile a ogni singola esperienza udi­ tiva: «L'udito percepisce ciò che dopo la ragione organizza e sistema in sapere e scienza, in virtù del primo assioma» (ivi, p. I 3 8 ) . Questo è quanto ha fatto Pitagora, fondando la scienza/arte della musica. N on possiamo documentare con riscontri testuali che questa conce­ zione derivi dal primo occamismo parigino; anzi, le fonti cui Giovan­ ni sembra appoggiarsi sono Roberto Grossatesta e addirittura Gio­ vanni di Salisbury. Tuttavia, fu proprio il contesto delle nuove cor­ renti di pensiero a insistere sul valore imprescindibile della conoscen­ za intuitiva del singolare. Anche per Tommaso d 'Aquino, la cui filo­ sofia rappresenta l' aristotelismo più compiuto della Scolastica, è ne­ cessario che la conoscenza parta dal singolare, ma l'ideale della scien­ za propter quid è per lui soddisfatto solo dalle conoscenze «di tipo formale o a priori, come la logica o la matematica» (T abarroni, I 997 , pp. I 9 I -2 ) . Quando invece la mente opera sui dati dell'esperienza, il criterio dell'evidenza è tale per il soggetto conoscente, ma non per la conoscenza in sé: per Tommaso «le scienze che si fondano su tali proposizioni immediate non possono aspirare a soddisfare pienamen­ te l'ideale della scienza rigorosa: esse potranno darci la conoscenza fattuale degli oggetti e degli eventi che rientrano nel loro ambito, ma

FILOSOFIA DELLA MUSICA

non la conoscenza profonda dei nessi causali» (ibid.) . La concezione occamista della scienza, invece, stabilì l'imprescindibilità dell' espe­ rienza diretta del singolare per qualsiasi conoscenza, tema sul quale si erano confrontati nel secolo precedente i maestri inglesi Roberto Grossatesta e Ruggero Bacone, nelle loro riflessioni sulle scientiae ex­ perimentales. Che l'inquadramento dell'arte della musica nella Notitia e nella Musica speculativa di Giovanni de Muris sia o non sia stato "toccato " dall'emergente occamismo, è indubbia la novità, oserei dire la " rivoluzione " , di impostazione concettuale che questo teorico in­ troduce nella tradizione speculativa boeziana. La critica di Giacomo di Liegi, infatti, prima ancora che attaccare la concezione del tempo musicale, punterà proprio a scardinare gli " assiomi " del giovane mae­ stro parigino. 6 . 2 . 2 . TEMPO CONTINUO E MISURA DEL TEMPO MUSICALE IN GIOVANNI DE MURIS: UNA CONCEZIO:\'E OCCAMISTA ?

La seconda parte della Notitia artis musicae, che verte sulla pratica dell'arte musicale, tratta, come già detto, della musica misurata. Que­ sta sezione del trattato si caratterizza per la novità della prassi che descrive, novità di cui fu cosciente lo stesso de Muris, il quale affer­ ma che i pratici (practicantes) hanno differenti opinioni al riguardo. Tale affermazione non ci sorprende: come abbiamo osservato, i "pra­ tici " , per de Muris, hanno esperienze dei singolari, cioè delle loro composizioni, che non " coordinano " nella memoria in modo da rica­ varne una conoscenza universale. L 'indagine inizia perciò da una con­ siderazione generale sul tempo, ricavata proprio da una riconduzione dello stesso all'esperienza fisica della durata acustica e a quella men­ tale dell'atto di misurare, attestanti un inquadramento filosofico in li­ nea con l'emergente occamismo (Della Seta, I 9 84) . La definizione è dedotta da una serie di considerazioni preliminari, qui di seguito riassunte: r . Il suono articolato della voce (vox) , generandosi con un movimento, fa parte delle cose successive, la cui esistenza è legata all'attimo del loro acca­ dere (Categorie, 6, 4b34-3 5 ) . 2 . Il tempo è inseparabile dal movimento , quindi l a vox deve essere misura­ ta nel tempo. 3 · Il tempo è misura del movimento continuo (Fisica, IV, II, 220a26). 4- Nella musica il tempo è la misura della voce proferita (vocis prolatae) con un moto continuo, quindi la definizione di "tempo" e di " unità di tempo" è la stessa. Questa affermazione è dedotta come conclusione dalle prime tre.

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IL P E N S IERO M U S ICALE N E L L A T ARD A S C O L A S T I C A

5. Se si individua un tempo più lungo e uno più breve che misura il più lungo, tale misura sarà della stessa specie del misurato, per cui sia a essa che al misurato spetta il nome di tempo. Questa affermazione consegue alla 4·

Dall'insieme delle premesse Giovanni infine conclude: In ogni tempo che misura la voce coloro che ci hanno preceduto hanno asse­ gnato con raziocinio un certo tipo di perfezione, ponendo come tempo quel­ lo che potesse essere diviso per tre, ritenendo che nel numero ternario stesse ogni perfezione. E perciò presero questo tempo perfetto come misura di ogni canto, sapendo che nell'arte non conviene seguire l'imperfezione; per quanto alcuni moderni l'opposto di ciò, errando, credettero di aver formula­ to (Giovanni de Muris , 2ooo, p. 74 [n, r ] ) .

D e Muris è quindi pervenuto alla conclusione che l a divisione terna­ ria del tempo musicale è stata assegnata per convenzione, cioè per la convinzione che la ternarietà fosse la perfezione, cosa che egli mantie­ ne valida, anche contro l'opinione di alcuni moderni. Quindi, l'unità di misura del tempo, che è " un certo lasso " di tempo, è un'unità con­ venzionalmente divisa per tre, ma divisibile anche per due o, poten­ zialmente, per quanto si vuole. È proprio questo che de Muris affer­ ma nel capitolo successivo, nel quale stabilisce che «l'unità < di tem­ po > , essendo un continuo, non solo è divisibile in tre, ma è partibile all'infinito in infinito» (ivi, p. 76 [n , 2 ] ) . E il ragionamento continua con un richiamo esplicito a uno dei maggiori problemi di filosofia na­ turale allora discussi, quello dei minimi naturali: Poiché dunque la voce misurata col tempo < musicale > comprende l'unione di due forme, cioè quella naturale e quella matematica, sebbene per la natura della seconda la divisione non cessi, per la prima la divisione terminerà ne­ cessariamente a un certo punto. Infatti , come si pone un termine alla natura delle cose costanti, così < si pone > un rapporto di grandezza e di aumento, e di piccolezza e diminuzione. Infatti i < filosofi > naturali dimostrano che la natura ha un massimo e un minimo. Ma la voce proferita è una forma natu­ rale, congiunta per accidente alla quantità. Dunque è necessario che abbia limiti di divisione, la grandezza dei quali nessuna voce, per quanto divisibile, può superare. E proprio questi termini noi vogliamo comprendere con il ra­ gionamento (ivi, p. 78).

Giovanni resta coerente con quanto prima aveva affermato, cioè che la misura del tempo è un continuo, potenzialmente divisibile all'infi­ nito. T ale misura, afferma adesso, è la forma matematica congiunta

FILOSOFIA DELLA MUSICA

per accidente (cioè per l'atto umano di misurare) alla voce proferita, che, in quanto forma naturale, ha invece un minimo e un massimo , cioè una durata al di sotto della quale non c'è pronuncia e una al di sopra della quale non c'è prolungamento, perché è necessario pren­ dere fiato. Il problema qui messo in campo è quello dei minima naturalia, che possiamo sintetizzare nella formulazione datane da Alberto Ma­ gno nel Commento alla Fisica (I, II, 1 3 ) : Benché nel continuo matematico non si debba postulare un minimo, nei cor­ pi fisici si postula un massimo e un minimo, poiché la natura di tutte le cose costanti è il limite e la ragione determinata della grandezza o della dimensio­ ne in piccolezza e in grandezza (cit. in Maier, 1 9 83 , p. 304) .

Il continuo nella realtà naturale, cioè un corpo esteso, contiene infini­ ti punti , tuttavia è composto di minima indivisibili che sono le parti più piccole al di sotto delle quali tale corpo perderebbe le caratteri­ stiche della propria specie; perciò , il minimo è attribuito alla forma della cosa, alle sue proprietà essenziali. I minima secundum /ormam furono ipotizzati da molti filosofi della Scolastica, fra i quali Tomma­ so, e a questa tradizione di pensiero sembra richiamarsi de Muris quando ritiene che il minimo è relativo alla forma naturale della voce, mentre la divisibilità all'infinito alla forma aggiunta nell'atto della nu­ merazione, cioè al momento in cui il suono è misurato nel tempo . Giovanni procede quindi con un interessante " esperimento " : far coincidere in modo razionale (rationabiliter) i minima e maxima natu­ ralia della voce con minima e maxima convenzionali matematici. Dopo aver sottolineato che il suono si diffonde sfericamente al modo della luce, e quindi come un corpo (Giovanni de Muris, 2 ooo, p. 8o [II , 3] ), egli usa il principio matematico di elevamento al quadrato per coordinare la "spazialità matematica " con la spazialità fisica del suono . Prendendo il 3 come numero perfetto (per convenzione) della musica, egli attribuisce il valore r al minimum vocale e 3 alla perfe­ zione della voce. In conseguenza, 9 ( 3 2 ) , 27 ( 3 3 ) e 8 r (34) sono pro­ lungamenti della voce parimenti perfetti. Questi prolungamenti di du­ rata (prolationes) sono suddivisi in quattro livelli (gradus) , rispetto ai quali ogni potenza di 3 funge da: elemento unitario, unità di misura del proprio livello ed elemento d' arrivo del livello seguente. Infine, all'interno di ciascun gradus, de Muris colloca un termine medio, ri­ cavato dall'imperfezione binaria (cioè moltiplicando l"' unità " di ogni livello per 2 ) , così da abbinare a ogni gradus tre numeri: r -2 - 3 ; 3 -6-9; 9 - 1 8 - 2 7; 2 7 -54-8 r . Nel capitolo I V , a ogni gradus è assegnato un si-

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gnum, una specifica nota musicale, che contiene tanto il principio di divisione per tre quanto quello di divisione per due a partire dalla stessa " unità di livello " . I signa sono infatti per de Muris significativa ad placitum, cioè assumono il significato «del suono numerato e misu­ rato nel tempo» che per convenzione è stato loro assegnato: Nella quale < figura quadrilatera > , come fosse un genere, è espressa ogni nota musicale, che esplica ogni modalità [cioè rapporto di misura] di qual­ siasi canto attraverso la variazione delle sue forme essenziali. E dico essenzia­ li, cioè naturali, dopo aver imposto la figura, oppure essenziali, cioè < per­ ché > relative alla forma essenziale della nota, ovvero della figura significati­ va. La nota musicale è infatti una figura quadrilatera significativa per conven­ zione del suono numerato misurato nel tempo (ivi, p. 82 [n, 4] ) .

L a nota è come u n genere, mentre l a forma assunta dalla nota Oo­ sanga, quadrato ecc.) significa una specie all'interno del genere, cioè un gradus di prolazione, di durata; così, la stessa figura può significa­ re una divisione sia binaria che ternaria, perché, potremmo dire, "si­ gnifica la specie" e non l'individuo. La forma abbinata a ogni " unità di livello " sarà quindi identica a quella del livello di cui è la perfezio­ ne, a eccezione della nota minima, che non ha livelli sottostanti, es­ sendo segno del minimum naturale della voce. Ecco lo schema dei valori di durata che de Muris pone in tabella (FIG . 6. r ) . FIGURA 6 . 1 Valori di durata nella Notitia artis musicae

1111111

3

8r

longissima

1111111

2

54

longior

27

longa

27

perfecta

11111 11111

3

11111

2



r8

imperfecta

9

brevis



3

9

brevis



2

6

brevior

3

brevissima

• •

3

3

parva



2

2

minor

l



minima

J idem J idem J idem

J

primus gradus

J

secundus gradus

J J

tettius gradus

quanus gradus

FILOSOFIA DELLA MUSICA

Il sistema di notazione delineato nella Notitia è frutto di un ap­ proccio nuovo , coerente con l'inquadramento teorico della discipli­ na musicale prospettato dallo stesso autore . È possibile ricondurre tale novità al contesto del primo occamismo? L'indagine di Della Seta ( I 984) conferma tale relazione sulla base della concezione del tempo musicale, che sia in de Muris sia in Ockham implica che non solo il tempo, ma anche l'unità di tempo sia continua. In effetti, fra i teorici della musica già Grocheio (PAR. 5 · 3 · 3 ) , partendo dall'idea di " tempo " in Aristotele e Averroè, ipotizzava la divisibilità all'infi­ nito del tempo musicale e la definizione di un parametro di misura correlato al minimo naturale della voce . Non è quindi, quella di de Muris , una concezione del tutto nuova . Gli era forse noto il trattato di Grocheio? Non lo si può affermare con certezza, tuttavia la sua procedura di misurazione del tempo musicale è davvero inedita. Mi­ surare la durata di un suono significa, per de Muris , collegare un processo mentale a una realtà sensibile (la voce) tramite l' attribuzio­ ne a essa di una quantità : la " forma naturale " , cioè la voce nella sua fisicità, e la " forma accidentale " , cioè la quantità che le è impo­ sta, comprovano il principio per cui il tempo musicale " connota " , per usare un termine occamista, un'operazione mentale , non una realtà fattuale . Un altro sintomo di vicinanza allo stesso contesto filosofico è l'i­ dea che il segno scritto della nota sia convenzionale, e assuma signifi­ cato ad placitum, a seconda di " ciò per cui sta " nella scelta del musi­ cista, in conformità con l'idea che i segni scritti sono dipendenti non dalla res, ma dal concetto (PAR. 6 . I . I ) . Cambiare il significato al segno non vuoi dire cambiare la res (la voce proferita) a cui il segno si rife­ risce, ma il suo rapporto matematico con l'unità di misura; e ciò, in ultima analisi, è possibile proprio perché il numero è una «forma ac­ cidentale» della voce, qualcosa che la determina arbitrariamente " dal­ l'esterno " . La misura può variare senza che questo implichi cambiare la "natura " della voce (la sua estensione in durata) e il suo segno, una concezione che concorda con la definizione di Ockham sul rapporto fra la cosa, la parola e il concetto mentale: Reputo che le parole (voces) siano segni subordinati ai concetti o intenzioni dell'anima [ . . . ] perché le parole sono imposte a significare quelle cose che attraverso il concetto mentale sono significate [ . . . ] ; tanto che, presa una pa­ rola che significhi un qualcosa significato dalla mente, se quel concetto mu­ tasse il suo significato, immediatamente la parola, senza variazioni, cambie­ rebbe il suo significato (Guglielmo di Ockham , 1 993 , I, pp. 5 - 6 [I, r ] ) .

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Appoggiandosi alla dottrina logica e alla concezione del tempo di Ockh am, o a quanto di queste idee poteva circolare a Parigi attor­ no al I 3 2 0 , Giovanni de Muris riesce a distinguere il segno scritto (la nota) dal concetto che rappresenta (la durata) , introducendo nel­ la not azione del tempo musicale una differenza esplicita fra il signi­ ficato naturale della nota, che indica la " specie di durata" o gradus prolationis della voce (minima, breve, lunga ecc. ) , e il significato ac­ cidentale, che invece indica la misura scelta per scandire la durata, cioè il valore ritmico binario o ternario . Tanto nel repertorio del­ l'A rs nova francese che nell'Ars antiqua il cambio di ritmo da terna­ rio a binario è un'operazione che non trasforma la grafia della nota, ma la concezione del perché il segno non cambia è, in de Muris , del tutto nuova. Per i teorici dell'Ars antiqua, e per Giacomo di Liegi che sostiene la loro concezione, la nota indica essenzialmente il nu ­ mero , cioè la ternarietà, essendo questa un elemento costitutivo del ­ la durata della vox 3 . La svolta di de Muris segna una differenza chiave nell'evoluzione della notazione musicale, ma per arrivarci, come abbiamo visto , egli dovette prima ripensare la theoria e la practica della musica, affinché anche il ragionamento sulla prassi, coerentemente col metodo sperimentale, potesse assurgere alla di­ gnità di sapere scientifico. 6.2 . 3 . GIACOMO DI LIEGI E LA DIFESA DELL 'ARS ANTIQUA: LA SCIENZA MUSICALE I:\' PROSPETTIVA AGOSTINIA:\'A

L'unico dato certo sull' autore del più ampio trattato musicale medie­ vale pervenutoci, lo Speculum musicae, è il nome, Iacobus, indicato dall' acrostico degli incipit di ognuno dei sette libri dell'opera. Alcuni accenni alla città di Parigi, l'ostentazione di una cultura nutrita del Boezio teologo e matematico, le numerose citazioni dal De ortu scien­ tiarum di Roberto Kilwardby, la disponibilità di una ricca biblioteca e la conoscenza dell'opera di Franco da Colonia, Giovanni di Garlan­ dia e Lamberto hanno portato a identificarlo con un Giacomo cano­ nico di Liegi, maestro di teologia a Parigi nel I 3 I 3 . E infatti, sebbene l'impulso che spinse questo teorico, che si autodefinisce «vecchio e antiquato», a scrivere il suo "specchio " della musica fosse il desiderio di chiarire gli errori dei moderni sostenitori della nuova dottrina della musica misurata, in realtà i suoi strali sono indirizzati contro la cultu3 · Nell'Ars antiqua le note erano sempre ternarie nel proprio valore significante; se perdevano lo stato di " perfezione " , perché inserite in particolari successioni, nel­ l'insieme il principio della temarietà doveva essere " ricostruito" .

FILOSOFIA DELLA MUSICA

ra degli artistae, ignoranti delle ragioni filosofiche e teologiche che fondano l'ormai desueta speculazione musicale. Così, un intento se­ condario, racconta Giacomo, prese il sopravvento mentre si accingeva a scrivere, conducendolo a una trattazione completa sulla musica teo­ rica e pratica, mentre la polemica sull'Ars nova è sviluppata solo nel settimo e ultimo libro. Il risultato è un'opera di vastissimo respiro, che offre una visione d'insieme di tutto lo scibile teorico musicale medievale e nello stesso tempo espone una dottrina sistematica della filosofia della musica, così come poteva essere concepita da un " arcai­ co " sostenitore dell'agostinismo neoplatonizzante, seguace dell'an tito­ mista Kilwardby. L'agostinismo neoplatonico al quale Giacomo dimostra di aderire, pur costituendo l'ispirazione filosofica dominante a Oxford, non ebbe casa esclusiva in ambiente inglese (lo stesso Kilwardby insegnò a Pa­ rigi fino al I 2 5 6 ) , ma costituì una tendenza di larghe convergenze, via via rinnovata dall'aristotelismo e dall'avicennismo. Giacomo non ri­ nuncia allo sfoggio di erudizione aristotelica, alla quale mescola, sen­ za porsi troppi problemi, l'esemplarismo platonico (csM 3 , I, I 2 , p. 42 ) , la dottrina dell'anima come sostanza (ivi, I4, p. 5 2 ) e la condan­ na della tesi averroista sull'unicità dell'intelletto (ivi, IV, 22, p. 5 5 ) , con un richiamo esplicito alla condanna parigina del I 2 7 7 . Nello stu­ dio di Della Seta ( I 984) la concezione del tempo in Giacomo è messa in relazione con la dottrina di Enrico di Gand (PAR. 5 . 3 . I ) , anche lui un agostiniano non indifferente alle suggestioni dell' avicennismo : un retroterra filosofico, insomma, nel quale Giacomo si colloca con mol­ ta naturalezza 4. Ricordiamo che nel I 3 2 5 decaddero le condanne del I 2 77 dell'aristotelismo cosiddetto " radicale " , quindi, è probabile che il clima di libero accesso ad Aristotele, congiunto ai primi fermenti occamisti, abbia costituito lo sfondo della reazione del vecchio cano­ nico di Liegi, collegata (non a torto) alla "via nuova " aperta dalla teoria e dalla pratica musicale arsnovistiche: un coacervo di tesi filo­ sofiche e musicali inaccettabili e pericolose, dal suo punto di vista. La 4 · La scuola di Alberto Magno, a Parigi e poi a Colonia, formò teologi, come Ulrico di Strasburgo, Teodorico di Vriberg ed Eckhart, che ebbero una conoscenza più puntuale del platonismo, conosciuto anche attraverso un maestro del xn secolo, Alano di Lilla. Essi maturarono un ideale di sapienza come divinalis philosophia, che metteva allo scoperto il limite intrinseco della filosofia aristotelica. Forse questa potrebbe essere una chiave di lettura anche per lo Speculum. Platone e Porfirio sono spesso citati nell'opera. Anche la musica divina, che Giacomo subalterna alla metafisica, come vedremo, sembra rivelare l 'adesione a questa corrente di platoni­ smo teologico.

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6.

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dottrina musicale che questo " antico " propone come modello è la tradizionale concezione speculativa boeziana della matematica musi­ cale . Ma Giacomo non era certo un ingenuo, e sapeva di non poter affidare allo stesso Boezio le ragioni della difesa dell'Ars antiqua. Egli mette allora in campo una "squadra " davvero notevole di auctoritates: i Padri della Chiesa, fra i quali spicca Agostino, Aristotele , di cui sono citate le opere naturali, logiche, la Metafisica, l'Etica e la Politi­ ca; e ancora Isidoro di Siviglia, Roberto Kilwardby, i commentatori antichi di Aristotele, come Simplicio e Giovanni Damasceno , e anco­ ra Platone, Porfirio, Macrobio, ma anche il matematico del XIII secolo Giordano Nemorario. Se quindi la parte apertamente polemica dello Speculum è relativa solo alla divisione del tempo musicale, tutto il trattato, fin dal proemio, insinua le premesse filosofiche e teorico-mu­ sicali su cui poi si fonderà. Lo Speculum si apre con una riflessione sul rapporto fra teorica e pratica della musica, agli antipodi, ovviamente, del prologo della No­ titia di de Muris (PAR. 6 .2 . 1 ) . La teoria è identificata da Giacomo con la scienza speculativa, che è conoscenza della verità; la pratica, in conformità all'Etica e alla Politica aristoteliche, è invece esercizio fina­ lizzato al bene morale e alla virtù 5• E così, la musica è scienza se­ condo entrambi gli aspetti di teoria e prassi: E se c'è una scienza non già soltanto teorica ma anche, in una sua parte, morale e pratica, che si confà ai diversi costumi degli uomini e ai loro diversi stati, e che perfeziona non solo l'intelletto, ma anche la volontà e l'uomo intero, anima e corpo, davvero deve essere cercata da tutti gli uomini di buona disposizione. E questa è la musica (csM 3 , r , p. 9).

Giacomo insiste: nel capitolo d'avvio del trattato, dedicato al quid sit musica, riporta la definizione data da Boezio, poi quella di Isidoro e infine di Kilwardby, postillando per ciascuna delle tre: id est scientia. Se de Muris aveva ribadito l'universalità (dunque la scientificità) del­ l'ars, Giacomo di Liegi controbatte che la musica è in senso proprio una scienza; anzi , è la scienza, in sé speculativa e teorica, che solo per estensione include la prassi. La teoria riguarda infatti un obiectum su cui l'uomo non può operare, mentre la pratica verte su un oggetto prodotto dall'uomo. Quindi, conclude Giacomo richiamandosi ad Aristotele (L'anima III , I o, 43 3 a 1 4- 1 7 ) , la musica può essere detta pratica nel suo estendersi alla prassi «così come l'intelletto speculati-

5.

Cfr. in proposito quanto detto alla nota

7

del capitolo

5.

FILOSOFIA DELLA MUSICA

vo per estensione può farsi pratico» (csM 3, I , p. r 5 ) . Ma Giacomo ribadisce che la scienza è nell'intelletto, e non si mescola con la sen­ sazione, come taluni reputano: Ogni scienza è infatti indirizzata a perfezionare l'anima, e in questo si rive­ la il suo soggetto, nel quale essa è. Ogni scienza infatti è nell'anima, attra­ verso l'intelletto, non in una potenza dei sensi, come alcuni hanno detto (ivi, p. r 6) .

La presa d i posizione è netta, perché v a a colpire l'idea che l a cono­ scenza intuitiva fornita dai sensi sia bastevole alla formazione del sa­ pere scientifico, un'accusa che estremizza la posizione per cui l'uni­ versale è desunto dall'esperienza, e che sembra puntare il dito pro­ prio contro il prologo della Notitia artis musicae e contro gli " assio­ mi " della Musica speculativa, dove appunto la cognitio sensitiva (PAR. 6 .2 . r ) è ritenuta la base di ogni conoscenza 6 . La musica è quindi una scienza, e come tale deve essere inqua­ drata nel sapere filosofico generale . La tradizione medievale aveva trasmesso l'organizzazione delle discipline matematiche nel quadro teorico delle arti del quadrivio. Giacomo riafferma questa colloca­ zione , ma evitando accuratamente di riferirsi all'idea di " arte libera­ le " . Siccome la musica è scienza e anche la filosofia è scienza, in quanto " conoscenza del vero " , egli pone in rapporto diretto la mu ­ sica e la filosofia. Appoggiandosi alla tripartizione delle scienze teo­ retiche esposta nella Metafisica (cfr. PAR. r .3 .2 ) , afferma che la mu­ sica è subalterna a tutte e tre: Ed essendovi tre parti principali della scienza teorica, come è detto nel quinto libro della Metafisica [in realtà VI, r o 2 6 a r 2 r 6 ] - cioè la naturale, che consi­ dera le cose congiunte al moto e alla materia sensibile nel loro essere e nella mente, la matematica, che guarda le cose attraverso l'intelletto < come fosse­ ro > separate dal moto e dalla materia sensibile ma non secondo il loro esse­ re, e la metafisica che non tanto attraverso l'intelletto, ma anche quanto al loro essere specula su cose separate dal moto e dalla materia sensibile - quin-

6. Difficile capire a chi potesse rivolgersi Giacomo, se non proprio a Giovanni de Muris. Ma la sua accusa, in realtà, è contro tutti quei filosofi, Tommaso d'Aquino in primis, che rifiutando l'idea di un'illuminazione dell'intelletto o dell 'esemplarismo universale si sforzavano di giustificare la formazione dei concetti a partire dalle facoltà naturali dell'intelletto. In questo contesto possiamo includere anche un autore del xn secolo, come Giovanni di Salisbury (PAR. 4 · 4 · 2 , il passo citato sulla conoscenza intel­ lettuale) . In ultima ratio, Giovanni potrebbe rivolgersi anche agli occamisti.

6.

IL P E N S IERO M U S I C ALE N E L L A T ARD A S C O L A S T I C A

di la musica nella sua generalità, quanto alle sue differenti specie, è subalterna a tutte e tre le parti. Infatti la musica celeste o divina sta sotto la metafisica, la mondana e la umana sotto la naturale, la strumentale o sonora in parte sotto la scienza naturale, in parte sotto la matematica (ivi, 8, pp. 2 8-9) .

La ragione per cui diviene necessario sottoporre la musica a tutte le scienze teoretiche riposa su quanto prima affermato, ovvero che que­ sta disciplina si estende alla prassi solo in forza di un'estensione del­ l'intelletto speculativo . Ma nell'individuare la giusta corrispondenza fra scienza teoretica e settore della musica, la tripartizione boeziana in mondana, umana e strumentale non ha una puntuale conformità: la musica celeste e la umana vengono sottoposte alla filosofia natura­ le, in quanto entrambe relative a enti congiunti al moto e alla mate­ ria; la musica strumentale è in parte sottoposta alla @osofia naturale (essendo il suono la res di cui si occupa) in parte alla matematica (essendo centrata sulle proporzioni) , mentre in collegamento con la metafisica c'è la musica celeste o divina, cioè la musica delle schiere angeliche e dei beati, una " realtà , musicale estranea alla concezione boeziana, ma da inserire nell'ottica totalizzante della divisione qui proposta. Giacomo prospetta una curiosa convergenza di elementi di aristotelismo inseriti nella tripartizione di Boezio. Volendo infatti sot­ tolineare la purezza speculativa di tutte e tre le parti della musica, egli non può fare a meno di appoggiarsi a un'idea allargata di su­ balternatio, relegando sotto l'aritmetica solo la musica strumentale. È proprio l'aritmetica a rendere universale la scienza della musica, ma per ragioni opposte a quelle avanzate da de Muris: la quantità e la proporzione sono per Giacomo in rebus, nel suono, e non sono affat­ to forme aggiunte dall'intelletto (ivi, 2 r , p. 67 ) Date queste premesse, sembra incongruo che Giacomo dedichi non poco spazio anche alla fisica del suono (libro I, capitoli 2 1 -2 9 ) . In realtà, la pur parziale subalternità della musica strumentale alla fi­ losofìa naturale è funzionale alla messa a fuoco di cosa il musico deb­ ba intendere per " oggetto " sonoro , che si presenta alla sua mente come phantasma del suono reale. Non ci avventuriamo nei meandri della trattazione, se non per sottolineare che il vasto impiego di ri­ sorse aristoteliche, soprattutto la Fisica (III , r ) , serve a Giacomo per ribadire che il moto, causa del suono, non è un mero spostamento dell'aria nello spazio, quanto è entelechia, ciò che porta a compimen­ to l'essere naturale del suono , facendone passare la forma dalla po­ tenza all'atto . Non è, insomma, la meccanica acustica al centro degli interessi del teorico di Liegi, quanto, potremmo dire, la struttura on.

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tologica del suono (e della voce). Nella sua indagine su questo tema assume rilievo l'aspetto psicologico della percezione acustica (CSM 3 , I , 2 9 , pp. 86-9o) . La questione è spinosa, e infatti Giacomo , pur prendendo le mosse, come de Muris, dall'idea aristotelica che il senso è alla base della conoscenza sensibile, ribadisce che la conoscenza universale si genera per azione dell'intelletto agente sul phantasma della sensazione (ivi, p. 86) . Giacomo dimostra di seguire la concezio­ ne gnoseologica dell'aristotelismo del XIII secolo, anche se, purtrop­ po, non dicendoci cosa intende per intelletto agente, non ci fa capire a quale contesto dottrinale si appoggi 7 • I l " fantasma " del suono è l a sua struttura numerico-proporziona­ le . Ecco quindi che lo Speculum entra nel merito della matematica generale, e di quella musicale, cominciando proprio dai concetti chia­ ve di " uno " e " unità " , per la discussione dei quali Giacomo si avvale del supporto del De unitate et uno e del De Trinitate di Boezio . Il concetto base di questa vasta indagine è che l'unità reale essenziale è l'integrità dell'ente, specchio della somma unità divina, mentre l'unità accidentale si trova in natura perché «il numero accidentale è causato dalla divisione del continuo» (ivi, I , 3 r , p. 9 3 ) 8• Ogni ente naturale, essendo una grandezza continua, include parti numerabili. La divisio­ ne del continuo implica però l"' unità della composizione " , tale da far convergere in un'unica forma accidentale le parti distinte dello stesso: le unità accidentali sono parti della composizione, ma la forma del numero è naturale e reale (ivi, 3 2 , p. 9 8 ) . In parole povere: che un panno sia lungo dieci braccia è un fatto accidentale, ma che esso sia un'unità individuata dal numero dieci è una caratteristica essenziale del panno stesso (se fosse di nove , sarebbe un altro panno) . Nono7. ll problema dell'intelletto agente dette origine a una vasta discussione nel XIII secolo. Sulla base dell'interpretazione avicenniana di Aristotele (Vanima, III, 5) emerse l 'idea che tale intelletto fosse un'intelligenza angelica o la luce divina che illumina l 'atto conoscitivo. Sigieri di Brabante, aderendo alla dottrina di Averroè, ritenne che l'intelletto agente fosse unico per la specie umana, mentre Alberto Magno e Tomma­ so, in polemica contro questa tesi, lo considerarono una facoltà individuale. Enrico di Gand, alla cui dottrina sul tempo è stato accostato Giacomo di Liegi, offrì una solu­ zione audace nel solco dell'agostinismo: l'intelletto agente era una facoltà "luminosa" dell'intelletto, atta a mostrare come phantasma universale i contenuti della conoscenza sensibile; una teoria che possiamo intravedere dietro alle parole generiche di Giacomo su questo tema. 8 . Numerus causatur ex divisione continui, una frase di Tommaso d'Aquino (Commento alla Fisica, m , 1 2 , 3 94) che entra nel novero delle sententiae aristoteliche. Sarà impiegata anche da Marchetto da Padova (PAR. 6 . 3 . 1 ) . Interessante che Giacomo aggiunga " accidentale" a "numero " , aggettivo assente in Tommaso.

6.

IL P E N S IERO M U S I C ALE N E L L A T ARD A S C O L A S T I C A

stante la complessità dell'argomentazione, è chiaro che l'idea di "uni­ tà di misura " prospettata da Giacomo è l'esatto opposto di quella di de Muris (PAR. 6.2 . 2 ) : per quest'ultimo la misura è accidentale, per­ ché determinata ad libitum dall'uomo, per Giacomo accidentale è la composizione (il continuo composto di parti), mentre la misura è es­ senziale, perché è il numero a determinare le parti della composizio­ ne stessa. Il corpo continuo è quindi un " discreto " nella realtà natu­ rale osservata dall'anima, poiché è inteso come composto; e il numero è parte naturale e reale della sua struttura. In particolare lo è la pro­ porzione, perché definisce la relazione fra le sue parti. Questa dot­ trina è la base dalla quale emerge, infine, anche la critica alla divisio­ ne del tempo musicale proposta dai teorici dell'Ars nova.

6.2 .4. LA NATURA DISCRETA DEL TEMPO MUSICALE La parte fisica della discussione sul tempo è posta da Giacomo nel primo libro dello Speculum come argomento di pertinenza della musi­ ca strumentale. In coerenza con quanto abbiamo sopra sintetizzato, il tempo è per Giacomo il numero del movimento secondo il prima e il poi; dunque la definizione aristotelica è valida. Tuttavia, il maestro di Liegi ribadisce che il numero costituisce la forma essenziale del tem­ po (al contrario di Giovanni, che lo considera forma accidentale) , e siccome la forma è entelechia, ciò che fa passare all'atto le potenziali­ tà della materia, ed è attribuita dall'anima (che numera il movimen­ to) , allora il tempo riceve dall'anima il suo essere formale, cioè il suo essere numerato. Se torniamo al passo in cui Giovanni de Muris indi­ viduava le due "forme " della voce, naturale nelle caratteristiche mate­ riali della voce stessa, artificiale nel numero attribuitole dall'anima ( PAR. 6 . 2 . 2 ) , vediamo che, all'opposto, Giacomo ritiene l'azione nu­ merante dell'anima l'esse completivum et formale del tempo. Vale la pena ricordare che per Ockham il tempo è movimento, dal punto di vista materiale. Questo è un assunto su cui anche Giacomo concorda, tuttavia per lui, in linea con la concezione di Enrico di Gand (PAR. 5 ·3 · ! ) , il tempo è essenzialmente distinto dal movimento, grazie all'a­ nima che vi individua la forma della divisione in unità (ricordiamo la formula: tempus est partim in anima, partim in re extra) . Nella conce­ zione occamista, al contrario, l'atto di numerare il tempo è una con­ notazione estrinseca, perché l'uomo sceglie l'unità di misura più ap­ propriata e la "impone " al tempo ; tesi, nelle sue linee essenziali, con­ divisa da Giovanni de Muris. Non a caso , quindi, Giacomo si appella 273

FILOSOFIA DELLA MUSICA

per la sua definizione di tempo ai teologi, dai quali ricava la distinzio­ ne fra tempo continuo e tempo discreto 9 : I l tempo è degli enti successivi, l e parti dei quali, nella loro condizione mate­ riale, non sono tutte insieme, tuttavia lo sono nell'anima, che le numera. I numeri sono infatti le parti in contemporanea, in questo differenti dalle parti di un discorso. Secondo i teologi, infatti, il tempo si divide in continuo e discreto; il tempo continuo riguarda il movimento non interrotto e non spez­ zato delle cose continue, il tempo discreto riguarda le cose discrete e divise che sono in successione, come le differenti introduzioni della forma sostan­ ziale che si succedono nella materia (CSM 3 , I , 2 5 , p. 7 8).

Con questa definizione Giacomo ha saldato insieme la sua idea del numero e dell'unità nei continui con quanto qui introduce circa la misura del continuo temporale: tale misura non è che la considerazio­ ne intellettuale del numero, che l' anima percepisce nella struttura del­ la composizione, separandola dalla successione con cui si presenta ai sensi, e contemplandola come se fosse dispiegata tutta insieme nella mente, "in contemporanea " . Si tratta di un' astrazione intellettuale che avviene grazie al processo gnoseologico di astrazione dell'universale a opera dell'intelletto agente, dopo che la percezione è stata spogliata dalle determinazioni materiali. Ecco, infine, la ragione vera per cui solo la musica strumentale si su h alterna all 'aritmetica: perché que­ st'ultima tratta dei numeri separati dalla materia per intellectum. Que­ sto è quindi il modo di esplorare la misura nel tempo : concentrarsi sul numero che definisce la successione, astraendolo dalla successione stessa. Veniamo infine al problema della misura del tempo musicale, di­ scussa nel settimo libro. L'errore che Giacomo rimprovera ai moder­ ni è il loro implicito antiagostinismo, il loro occultare l'unità che sup­ porta e indirizza ogni operazione umana sulla "materia " sonora. Solo puntando all'uno si ritrova l'ordine della composizione, e, insieme, il bene e l'utile dell'arte della musica : «l'arte, infatti, anche se concerne cose complesse, riguarda tuttavia il bene e l'utile» (ivi, vn , 45 , r r ) . Il concetto di " arte " su cui si era aperto il primo libro dello Speculum, nel nome di Aristotele, riemerge immutato alla conclusione dell' ope­ ra; ma, adesso , rivela il profondo anelito agostiniano all'inizio latente: il musico deve considerare le cose dalla cui connessione si generano L'idea di "tempo discreto" è ad esempio nella Somma di teologia di Tommaso a. 7 ) . Il contesto della discussione riguarda l'aevum e la durata nella mente dell'angelo, ed è lo stesso contesto inquadrato anche da Giacomo.

(I,



n , q. 1 1 3 ,

2 74

6.

IL P E N S IERO M U S I C A L E N E L L A T ARD A S C O L AS T I C A

l'ordine, il rapporto e la proporzione (ivi, I , 9, I 4 ) . A cosa possono mai indirizzarsi l'incomprensibilità delle parole, la mescolanza disor­ dinata delle consonanze, il continuo mutamento di valori di durata, la confusione delle misure musicali se non a solleticare una curiositas fine a se stessa (ivi, VII , 48, Io), e dunque, già di per sé, estranea al fine naturale dell'arte? Ma Giacomo si spinge oltre nella sua critica: se l'Ars nova fosse solo un mero dibattito teorico, allora, tutto som­ mato, poco male; il vero problema è invece che le imperfezioni sono estese alla prassi, così che le composizioni imperfette superano le per­ fette, i modi imperfetti quelli perfetti, e, in conseguenza, le misure imperfette quelle perfette (ivi, VII , 45 , 8 ) . La preoccupazione di Gia­ como è quindi realmente quella di Agostino (PAR. 2. 3 .4) , perché il disordine confonde l'anima, la distoglie dal suo naturale indirizzarsi all'unità, cioè, in fin dei conti, a Dio. Misurare il tempo nella musica è rivelare il discreto latente nel flusso conti­ nuo del tempo, e questo per mezzo di una serie di atti intellettivi scanditi da un tempo discreto, indivisibili, compresenti a tutta la durata fisica che essi misurano [ . . . ] . Attraverso la musica che misura il tempo l'anima intellettiva rivela a se stessa di vivere in un piano temporale diverso da quello della cor­ poreità, che l'accomuna all'angelo [ . . . ] . In altre parole, l'anima rivela a se stessa la propria immortalità (Della Seta, 1 984, p. 200) .

Alla musica Giacomo affida il difficile compito di trascendere il tem­ po della realtà fisica e di aprire la mente a una dimensione temporale più vera, quella che riesce ad arrestare il flusso e lo scorrere delle cose per arrivare a capire la loro essenziale unità, la ratio profonda della loro composizione. La sua critica alla via dei moderni diviene, così, l'obiettivo polemico di un uomo che si sente, potremmo dire, "fuori " dal suo tempo, e forse, proprio per questo, sensibile e consa­ pevole esegeta dell'afflato agostiniano verso l'eterno, «dove non c'è tempo , perché non c'è mutamento» (De musica, VI , I I , 2 9 ) .

6.3

Marchetto da Padova e il nuovo " pitagorismo " 6. 3 . I . LA DIVISIONE DEL TONO

Mentre in Francia si andava affermando nella teoria e nella prassi il nuovo sistema di misurazione ritmico, in Italia fioriva una nuova arte musicale, che è stata definita, non senza opposizioni, "Ars nova italia­ espressa nei generi polifonici na " . Anch 'essa musica mensurabilis -

2 75

FILOSOFIA DELLA MUSICA

del madrigale, della caccia e della ballata - si fondava su una mo dali­ tà di misurazione del tempo musicale che fu teorizzata nel Pomerium in arte musicae mensuratae ( I 3 2 6 circa) di M archetto da Padova, teo­ rico e compositore, già autore del Lucidarium in arte musicae planae ( I 3 I 9 circa) . M archetto mise a punto le sue opere negli anni che se­ guirono il suo impiego come musico presso la cattedrale di Padova proprio quando, intorno al I 3 05 , il medico e filosofo Pietro d'Abano iniziò a insegnare presso la prestigiosa università di quella città. È ve­ rosimile che dal contatto con il famoso (e discusso) maestro, Mar­ chetto possa aver messo a punto alcuni aspetti del quadro filosofico su cui innestò le sue teorie musicali, in particolare se si pensa che l'omaggio a Pietro è rintracciabile fin nel titolo di Lucidarium, che richiama il ben noto Lucidator, e nei non pochi riferimenti a temati­ che di medicina e fisiologia inseriti nella trattazione. Una delle sen­ tenze d' avvio del Lucidarium, ad esempio, è che i medici giudicano il movimento lento e veloce del polso attraverso la musica (Marchetto da Padova, 2 007 , I , 3 , p. 2 5 ) , tema che richiama annotazioni dello stesso Pietro presenti sia nel Conciliator sia nel suo commento ai Pro­ blemi pseudoaristotelici r o . Marchetto aveva coscienza che la teorizzazione della prassi musi­ cale del suo tempo e del suo paese necessitava di un adeguato sup­ porto filosofico, e in entrambe le sue opere dichiara, in proposito, di essersi fatto aiutare da un esperto, il domenicano Sifante da Ferrara. Purtroppo, è stato finora vano ogni sforzo fatto per dare un'identità a questo maestro, e quindi al retroterra filosofico cui si appoggiò Mar­ chetto. L'impostazione scolastica dei suoi trattati, le non poche cita­ zioni da Aristotele, per lo più desunte dai /lorilegia aristotelici, il ri­ corso compiaciuto agli autori della tradizione " antica " , fra i quali 1 0 . In entrambe le opere la messa a fuoco di tematiche relative alla musica nella sua valenza etica e medica contribuì a risvegliare l 'interesse verso l'antica tradizione pitagorico - boeziana dell' éthos musicale. Anche se qui non è possibile entrare nel me­ rito dell'argomento (in proposito cfr. Mauro, 2oo 1 b ) , ricordiamo che proprio la con­ nessione instaurata fra una scienza teoretica come la musica (così almeno è inqua­ drata da Pietro) e le scienze pratiche dell'etica e della medicina non si limita alle questioni teoriche, ma si estende a una considerazione della prassi musicale coeva. Pietro ricorda, ad esempio, il genere musicale del mottetto, di cui forse aveva avuto esperienza diretta a Parigi, e non è quindi peregrina l'osservazione del Conciliator che la misura del tempo è un elemento essenziale della musica. La risonanza che ebbe lo studio del rapporto fra musica e medicina non fu estranea, tra l'altro, anche a Francesco Petrarca, che nelle sue Invettive contro un medico si richiama a conside­ razioni analoghe a quelle fatte da Pietro, partendo dal presupposto che la musica mi­ sura la durata dei tempi e l'ampiezza degli intervalli, entrambe utili alla misurazione del pulsus.

6.

IL P E N S IERO M U S I C ALE N E L L A T ARD A S C O L A S T I C A

Boezio, Guido d'Arezzo, Isidoro di Siviglia e Remigio di Auxerre, nonché l'apertura del Lucidarium nel nome di Pitagora sono tutti ele­ menti che non contribuiscono a fare di Marchetto, a tutta prima, un seguace delle nuove tendenze filosofiche, ma piuttosto un "pitagori­ co " , come recita il titolo di uno studio autorevole (Herlinger, 1 992 ) . Eppure, a Marchetto si devono nuove e audaci teorie, destinate ad avere notevole influenza, tanto da far sorgere «una scuola di marche­ tini che disseminano gli errori del maestro per tutta l'Italia e anche al di fuori», come sottolineò ironicamente il matematico padovano Pro­ sdocimo de' Beldemandis (cit . in Herlinger, 2003 , p. 3 r 8 ) . La critica di Prosdocimo, mossa a cent'anni di distanza da quando operò Mar­ chetto, è approfondita nella sua Musica speculativa, dove egli punta il dito proprio contro gli assunti teorici del Padovano, mentre loda la sua perizia nella musica practica: E in effetti, quest'uomo fu un pratico (practicus) nella scienza musicale, e del tutto vuoto di teorica o speculativa, che tuttavia ritenne di intendere alla perfezione, tanto da avere la presunzione di aver capito ciò che ignorava del tutto (cit. in ivi, p. 309).

Gli errori teorici introdotti da Marchetto furono, per Prosdocimo, al­ meno cinque, di cui quattro riconducibili alla divisione del tono in diesis, cioè al frazionamento del rapporto di 9/8 in cinque microin­ tervalli, mentre il quinto errore concerneva l'aver individuato nel nu­ mero 3 la perfezione numerica. Tralasciando l'ultimo errore, entriamo nel merito della divisione del tono. Nel Lucidarium, Marchetto si appella a un famoso passo aristoteli­ co, «i suoni della voce sono simboli (notae) delle affezioni dell'ani­ ma» (Dell'espressione, I, r 6a3 -6) , per affermare che la nota musicale si chiama così perché è un segno visivo che manifesta come proferire la voce (Marchetto da Padova, 1 985 , pp. 92-4 [r, r o ] ) . In conseguenza, nella musica misurata, che è «il canto misurato nel tempo», le note «sono definite nel nome, nella figura e nell'essenza della quantità [ . . . ] , la quale quantità non può essere aumentata o diminuita secondo le forme e i nomi delle figure», mentre nel canto piano, cantato con no­ tazione non mensurale, la nota definisce il suono in modo meno spe­ cifico, mancando dell'indicazione di durata. Questa osservazione im­ plica una connessione fra teoria del canto piano e della musica misu­ rata: entrambe sono parti di un «genere generalissimo» che è il canto nella sua totalità e molteplicità di forme particolari, rispetto alle quali la musica misurata, proprio perché fruisce di una notazione più det­ tagliata, acquisisce un posto eminente. La polifonia non ha nulla di 2 77

FILOSOFIA DELLA MUSICA

subalterno alla monodia, anzi, la sua puntuale definizione scritta ne fa un'espressione alta e completa di musica . Qual è però, date tali premesse, l'essenza (essentia) specifica della nota nel canto piano? Marchetto la individua nel tono, gettando così le basi speculative di quella che sarà la sua originale proposta di divi­ sione del tono stesso. Il tono è un intervallo musicale definito dal rapporto di 9/8 , e Marchetto si chiede perché sia così. La sua rispo­ sta, intessuta di riferimenti numerologici, consiste nel definire un pro­ cedimento, aritmetico e geometrico insieme, volto a misurare e conte­ stualmente dividere in parti questo intervallo . Il teorico padovano parte dalla constatazione aristotelica che «il numero è determinato dalla divisione del continuo» I I . Poiché l'intervallo di tono è uno spa­ tium fra due suoni contigui, esso è una quantità continua, dunque dalla sua divisione si origina il numero. La novità di questo assunto è notevole: è vero che il suono in quanto fenomeno fisico fa parte dei "successivi" o continui, ma è del tutto inedito che il rapporto fra due suoni, cioè l'intervallo melodico, sia considerato in se stesso un conti­ nuo ! È da affermazioni come questa che si capisce quanto il "suono " di cui discute Marchetto sia, in realtà, il canto, cioè il flusso melodico nel quale le sfumature e i giochi della voce attraversano gli intervalli in un " continuo " ininterrotto. Ecco, in sintesi, il ragionamento di Marchetto: il continuo è divisibile all'infinito, quindi ogni divisione superiore a I aumenta all'infinito il numero delle sue parti (l' I quan­ titativo si può dividere in 2 , 3 , 4 parti fino all'infinito) . Ma, partendo dall'intero, le uniche divisioni che non possono essere ulteriormente divise sono quelle in 3 e in 2 parti, perché si tornerebbe di nuovo all'unità. Ad esempio, una divisione in 7 parti è scindibile in 4 + 3 parti, le 4 parti sono a loro volta divisibili in 2 + 2 , ma scindendo il 2 si ritrova l' I , dunque l'intero. Il piano del ragionamento è duplice: da una parte Marchetto pensa alle parti come sezioni del continuo , dal­ l' altra ai numeri come quantità discrete. Se è vero che scindendo il 2 si ritrova l'unità, questo non significa certo che scindendo due parti di una quantità si ritrovi l'intero della stessa ! Owiamente, Marchetto sa bene che la divisione aritmetica è distinta dalla divisione geome­ trica, ma il suo discorso punta all' " analogia " , non alla corrisponden­ za: il pitagorismo di M archetto (cioè il ricorso al numero e alla sua simbologia) serve proprio a giustificare un procedimento teorico, non una divisione effettiva. La divisione in 3 parti è quindi la prima divi­ sione maggiore, quella in 2 la prima divisione minore del continuo,

I I.

Cfr. nota 8 .

6.

IL P E N S IERO M U S I C A L E N E L L A T ARD A S C O L AS T I C A

mentre tutte le divisioni in parti maggiori di 3 si riducono all'una, all'altra o alla loro somma. La divisione in 3 è perfetta, e lo è ancor di più quella in cui ciascuna parte è a sua volta divisa in tre, in modo da avere un totale di 9 parti che divide il continuo e che rappresenta la divisione perfetta dell'intero e di ciascuna delle sue parti: appellan­ dosi a Macrobio, Marchetto afferma quindi che nel numero 9 consi­ ste «la sostanza, la natura e il rapporto totale o formale del tono» (ivi, p. 1 24 [n, 4] ) . Dopo aver dato le ragioni del perché 1 ' 8 costituisce il denomina­ tore del rapporto del tono (9/8), che qui possiamo tralasciare, Mar­ chetto procede spiegando come il tono di 9 parti si divide in 5 parti. Anche in questa argomentazione possiamo notare l' ambiguo bilancia­ mento fra aritmetica e geometria: l'intervallo di tono non ha 9 parti, bensì è nel rapporto di 9 su 8 parti. Ma Marchetto procede "sfruttan­ do " l'idea di Macrobio che il novenario sia la natura del tono, e affer­ ma che, poiché 9 è dispari, tali parti non possono essere uguali, e infatti sono ripartite in sezioni disuguali: Resta dunque che le parti dello stesso < tono > devono essere disuguali, così che I sia la prima parte, da I a 3 la seconda, da 3 a 5 la terza, da 5 a 7 la quarta, da 7 a 9 la quinta, e tale quinta parte è il quinto numero impari [cioè 9] del novenario [ . . . ] . E dunque date parti ineguali del tono a ragione consegue che da tale ineguaglianza si reputi che sia causata e individuata tale dissonanza < di semitono > , la qual cosa appare evidente nei corpi sonori, come il monocordo, dove si dimostra che le nature di questi semitoni [parti del tono] si conoscono facilmente dividendo in cinque parti lo spazio del tono. Ognuna delle cinque parti è chiamata diesis, come a dire "partizione" o " divisione" somma. Questa è la divisione maggiore che si può trovare in un tono cantabile (ivi, p. I 3 8 [n, 5 ] ) .

Per Marchetto il diesis è una sorta d i unità indivisibile d i "movimen­ to " vocale, dalla quale si originano quattro diversi tipi di semitoni. Questi, però, non si possono impiegare in contemporanea, ma due a due, poiché si formano solo "spezzando" in due parti, in modo di­ verso, l'intervallo di tono: il semitono maggiore (apotome o diatonico, di 3 diesis) è completato da quello minore (limma, o enarmonico, di 2 diesis) ; quello cromatico (4 diesis) dal diesis rimanente: Due di questi cinque uniti insieme compongono il semitono enarmonico, che è il minore e che è chiamato limma da Platone, e che contiene due diesis; tre di questi diesis fanno il semitono diatonico che è il maggiore e che è anche chiamato apotome, cioè parte maggiore del tono diviso in due; quattro diesis invece fanno un semitono cromatico [ .. .] quando un tono è diviso in due per

2 79

FILOSOFIA DELLA MUSICA

colorare una dissonanza come la terza, la sesta o la decima nel tendere ad una consonanza (ivi, pp. 1 3 8-40 [n, 6] ) .

Come si combina, allora, l a divisione in noni con quella in quinti? Marchetto non lo spiega, e questo è il maggiore problema che rende ambiguo il suo ragionamento. Jan Herlinger ( r 98 r ) , nello studiare la questione, ha separato il piano dell'argomentazione sui noni di tono dalla costruzione con di­ visione in quinti, ritenendo che il diesis di Marchetto sia semplice­ mente r/ 5 del tono, interpretazione seguita da molti musicologi, e che di fatto corrisponde all'interpretazione fattane da Prosdocimo, per il quale Marchetto aveva diviso il tono «in cinque parti uguali». Ma, come abbiamo osservato, Marchetto afferma che proprio l'ine­ guaglianza dei diesis è a fondamento del loro essere partizioni del tono, e questa annotazione, già di per sé, implica che la divisione in parti uguali debba essere esclusa. È però possibile un 'interpretazione diversa di quanto afferma Marchetto. Come si desume dal penultimo passo sopra riportato, egli concepisce l'intervallo di tono come una sezione di monocordo divisa in nove parti uguali, dove r/ 9 costituisce l'unità indivisibile che rende il tono stesso indivisibile in due frazioni uguali, o tali che l'una sia multipla dell'altra. Tali frazioni sono 4/9 contro 5/9 e 2/9 contro 7/9 , che non sono proporzionabili l'una con l'altra, nel senso che l'una non è né uguale né multipla o sottomulti­ pla alla complementare. Marchetto , cioè, avrebbe assunto il valore di 9 quale "natura " del tono per poter dare una misurazione empirica tanto alla divisione in semitono maggiore e minore, quanto a quella, da lui introdotta, in cromatico e diesis, mantenendo inalterato il prin­ cipio dell'indivisibilità in parti uguali o proporzionali del tono stesso. Questa ipotesi è rappresentabile col seguente schema:

tono

[

][ ( r/9 ) r diesis

__

o

( r l9+ rl9 ) diesis

3

[

][ ( r/9+ rl9) 5 diesis ][

semitono diatonico (5/9)

][ ( r/9+ 1/9) 7 diesis

_____

______

( r/9+ 1 /9) diesis

9

semitono enarmonico (4/9 ) ][

__

___

_______

semitono cromatico (7/9)

Poiché il tono è indivisibile in parti uguali, se i due semitoni nei quali è diviso sono il diatonico (3 diesis) e l'enarmonico (2 diesis) la loro

2 80

6.

IL P E N S IERO M U S I C A L E N E L L A T ARD A S C O L AS T I C A

differenza può essere soltanto il diesis di I /9 (dunque: 5/9 sarà la misura del diatonico e 4/9 dell'enarmonico) ; se invece il tono è diviso in semitono cromatico (4 diesis) e diesis ( I diesis) i soli valori incom­ mensurabili sono 7/9 per il cromatico e 2/9 per il diesis. Dunque, la divisione in noni giustifica bene anche l'osservazione di Marchetto che la dissonanza non dipende dal rapporto fra numeri in sé, ma è in ragione delle parti del corpo sonoro che stanno «in eccesso o difetto di proporzione» (Marchetto da Padova, I 985 , p. I 66 [n , I o] ) 1 2 • Che sia o n o questa l a soluzione intuita da Marchetto, è evidente che lo spazio acustico è per lui un continuo geometrico in re, nel flusso modulante della voce. La divisione in due parti del tono (ri­ cordiamo che il capitolo si apriva individuando nel tono !"' essenza " della voce) definisce il " senso " musicale, facendo acquisire, potrem­ mo dire, " sfumature di senso " a tutti gli intervalli. Ogni passaggio da un suono all'altro è inteso da M archetto come un fluire della voce , movimento che attraversa le minime gradazioni d'intonazione, perché proprio in esse consiste la ragione e la "misura " della consonanza (ivi, p. I 3 6 [n, 5 ] ) . Quando, dunque, Prosdocimo attacca Marchetto, egli manca di individuare l'intuizione profonda che giustifica la ne­ cessità dei diesis: obietta che non si può dividere il tono in cinque parti uguali, ma in realtà Marchetto afferma proprio il contrario, per­ ché se il tono fosse divisibile in parti uguali o proporzionali, non si creerebbero le sfumature acustiche diverse che i diesis consentono. L'annotazione di Marchetto per cui tutte le tipologie di diesis sono riscontrabili sul monocordo ci rende chiaro come la voce umana ab­ bia analogia col continuo spaziale, consentendo di generare nei suoi movimenti gradazioni d'altezza " non proporzionabili " rispetto alle proporzioni perfette delle consonanze, ma tali, proprio per questo , da dare senso alla logica delle consonanze. Non sarà superfluo ricordare che nel capitolo finale del secondo libro del Lucidarium, per chiarire quali sono le proporzioni numeriche che definiscono i semitoni, Mar­ chetto dà i rispettivi valori ai soli semitoni maggiore e minore ( I 6/ I 7 e I 7l I 8 ) , seguendo Boezio. Insomma: il sistema dei diesis costruiti dalla divisione in nove parti del tono ha un significato solo nella pra1 2 . Occorre ricordare che i semitoni di cui parla Marchetto non sono equiva­ lenti, come nel sistema temperato oggi in uso (nell'intervallo di tono la - si, la# equivale a sib). Nella musica medievale i semitoni avevano significato e intonazione diversi e, per Marchetto, anche un segno grafico diverso. Nel canto piano si impiegava solo il semitono minore, quello maggiore era usato nella polifonia e sempre nella polifonia veniva impiegato il cromatico in funzione cadenzale. Il segno # fu introdotto da Mar­ chetto per indicare proprio quest'ultimo.

28I

FILOSOFIA DELLA MUSICA

tica musicale, essendo riconducibile a un 'idea di "intervallo " come continuo vocale; altra cosa è la matematica boeziana degli intervalli, che Marchetto dimostra di conoscere, ma che , nel processo composi­ tivo, non ha alcuna funzione. 6. 3 .2 . TEMPO MUSICALE E

PLENITUDO VOCIS

In apertura del Pomerium, che verte sulla musica misurata, Marchetto manifesta l'intenzione di procedere come nelle scienze naturali, «dagli accidenti per giungere all'essenza», cioè in via induttiva, secondo i pa­ rametri della scienza quia. Si ricorderà che anche per Giovanni de Mu­ ris la musica misurata, ars practica, procede allo stesso modo (PAR. 6.2. I ) . M archetto comincia dagli " accidenti" , cioè dalle varie forme che assumono la nota musicale, la pausa e infine il punto (pontellus) 1 3 . Poi, entrando nell"' essenza " della nota, inizia a parlare del tempo: Dopo aver parlato degli accidenti che operano estrinsecamente per la misura del canto, dobbiamo occuparci di quelle cose che intrinsecamente ed essen­ zialmente attengono alla sostanza del canto, e questo in modo razionale. In­ fatti non c'è una scienza degli accidenti [ . . . ]. Ma gli elementi sostanziali e intrinseci del canto e della musica sono le note, nelle quali consiste essenzial­ mente la scienza della musica; quindi si deve trattare delle note [ . . . ] in quan­ to per mezzo di esse possiamo cantare qualcosa in modo misurato. La misu­ ra nel suo complesso consiste in una quantità e in un tempo precisi; infatti il tempo è la misura del movimento secondo Aristotele, nel quarto libro della Physica [Iv, I I , 2 I 9b i ] . A proposito del tempo bisogna quindi vedere per prima cosa in che modo venga inteso nella musica e come sia applicato alle note, per vedere poi in che modo queste note siano accolte nel canto misura­ to e in che modo siano misurate (Marchetto da Padova, 2007 , I , 2, 5 , pp. 2 8 I -3 ) .

Molte osservazioni di questo passo sono interessanti: anzitutto è rile­ vante che le note musicali siano definite l'essenza della musica, e che la musica sia considerata una scienza solo se e quando indaga l'essen­ za delle note. Gli aspetti essenziali sono due: da una parte l'altezza del suono che essa indica, il cui significato musicale, come abbiamo visto al paragrafo precedente, risiede nella natura del tono; dall' altra la durata, il cui significato risiede nella natura della breve (brevis) . 1 3 . ll "pontello" ha più funzioni per Marchetto, ma la principale è quella di de­ limitare il numero di semibrevi corrispondenti a una breve, secondo il principio della notazione italiana per cui la breve ha un valore costante, all'interno del quale le semi­ brevi assumono valore diverso in base al tempo ritmico scelto.

6.

IL P E N S IERO M U S ICALE N E L L A T ARD A S C O L A S T I C A

L'argomentazione di Marchetto, che si appoggia alla concezione del tempo musicale di Franco da Colonia, è desunta da principi-base tratti dal libro x della Metafisica ( I , 1 05 2 b i 8 - 1 9 e 3 1 -3 2 ) , in realtà rielaborando un florilegio aristotelico l 4 . Quanto al primo punto, diciamo con magister Franco che musicalmente par­ lando il tempus è l'elemento minimo nella plenitudo vocis. Spieghiamo così questa definizione: ogni cosa è resa perfetta da ciò che è minimo nel suo gene­ re, secondo Aristotele, nel decimo libro della Metafisica , e questo è chiaro. Infatti l'unità, che è il numero minimo e il principio del numero, perfeziona tutto il numero; infatti dire dieci è dire ro unità [ . . . ] . Quindi ciò che è primo e minimo in ciascun genere è la perfezione e la misura prima di tutto ciò che è nello stesso genere. Dunque, dal momento che la misura sia del canto che delle note si basa sul tempus - come si è detto -, se ne deduce che il tempo minimo che si può trovare in musica sia la causa e l'elemento perfetto del misurare. Ma il tempo, inteso come tempo astratto da ogni materia, è divisi­ bile all'infinito, così come la linea, considerata in astratto, è divisibile all'infi­ nito; poiché il nostro interesse non riguarda tale concetto di tempo (in que­ sto modo, infatti, non sarebbe possibile individuare un tempo primo indivisi­ bile) , ma riguarda il tempo nel modo in cui viene concepito in musica, allora diciamo che non un tempo minimo qualsiasi è l'elemento perfetto e unità di misura del canto, bensì il tempo musicale [ . . . ] . Questo dunque è quel tempo minimo in cui può essere formata la plenitudo vocis (Marchetto da Padova, 2007 , I , 2 , 5 . 1 , pp. 2 83 -5 ) .

L a misura prima e perfetta della musica è il minimo lasso di tempo nel quale l'uomo proferisce una nota nella pienezza della voce (in ple­ nitudine vocis) : l'unità di durata è quindi un parametro fisico percetti­ vo . Marchetto sottolinea che il tempo è divisibile all'infinito solo se separato dalla materia, come afferma anche de Muris (PAR. 6.2 .2 ) , ma è interessante notare l'opposto intendimento della stessa asserzione . Giovanni de Muris giustifica la relazione fra minimum vocale di dura­ ta e minimo mentale di misura della stessa nella corrispondenza fra la diffusione spaziale del suono e la progressione esponenziale del nu­ mero 3, Marchetto risolve invece la questione a livello di mera espe­ rienza percettiva. Proseguendo nel ragionamento, sottolinea infatti che vi sono durate inferiori alla pienezza della voce, come le fioriture

1 4 . In unoquoque genere est dare aliquod primum et minimum quod fit metrum et mensura omnium illorum quae sunt in illo genere (Hamesse, 1 974, p. 1 3 5 ) . A questo assunto Marchetto aggiunge et per/ectio, ricavandolo dalla sua propria argomentazio­ ne; dunque: primo = minimo = misura = perfezione.

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velocissime nei vocalizzi o negli abbellimenti strumentali, ma queste non sono misura del suono. Come per la divisione del tono, così an­ che per la divisione del tempo musicale l'unità di misura è ciò che dà "senso musicale " al suono, proprio perché l'unità di misura è «il mi­ nimo all'interno di un genere», non il minimo in assoluto. Siamo molto distanti da de Muris; semmai, forse, un po' più vicini a Giaco­ mo di Liegi. Grazie alla sua definizione di " tempo musicale " , Marchetto può chiarire l'uso delle misure di durata nella polifonia. La misura perfet­ ta (per/ectio) la si può ricavare solo nella durata della brevis, che cor­ risponde alla pienezza della voce, mentre attraverso il valore delle note inferiori alla breve, le semibrevi, si misura in modo imperfetto, cioè si misurano tempi imperfetti in semiplenitudine vocis, perché "partiscono " la breve (ivi, p. 82 ) . Ecco quindi che il gioco delle misu­ re si limita ai rapporti fra la longa, misurata dal tempo della breve, e la breve, e fra quest'ultima e la semibreve (espressa dalla stessa figura a losanga) , la quale divide in modo imperfetto la breve, fungendo da "misura impropria " , un po' come il diesis fungeva da divisore imper­ fetto dell'intervallo di tono. Proprio in quanto misura imperfetta, la semibreve riveste però un significato centrale in musica (in analogia con il semitono) , potendo assumere una molteplicità di valori di du­ rata che coprono anche quelli brevissimi. Ma solo la breve resta tem­ pus e misura in senso proprio. Ecco uno schema delle note e dei ri­ spettivi valori di durata (FIG . 6 . 2 ) . F I G U RA 6 . 2 Il tempo musicale e le sue divisioni nel Pomerium •

tempo per/etto l 2 3 4

a a a a

divisione: semibrevi maggiori divisione: semibrevi minori







• •

• •

• •

divisione: semibrevi minori

• • •

• • •

• • •

divisione: semibrevi minime

• • • •

• • • •

• • • •

l 2 3 4

a a a

divisione: semibrevi maggiori divisione: semibrevi minori divisione: semibrevi minime di primo grado divisione: semibrevi minime di secondo grado

senaria italica o perfetta novenaria duodenaria



tempo imperfetto a

ternaria





+ +

+ +

+ + +

+ + +

+ + + +

+ + + +

quaternaria senaria gallica o imperfetta ottonaria

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Come i diesis , dividendo il tono in parti disuguali, colorano di sfuma­ ture diverse il tono stesso, intervallo minimo da cui si generano gli altri intervalli, così le semibrevi, creando divisioni molteplici all'inter­ no della breve, determinano le sfumature ritmiche del brano, impri­ mendogli un senso musicale. Lo si può vedere, nello schema traccia­ to, in relazione alla divisione senaria: benché la senaria perfetta e quella imperfetta siano costituite dalla stessa quantità di semibrevi, i due tempi «non sono affatto la stessa cosa» (ivi, II , r , 2 , p. 3 7 9 ) . Nel­ la loro essentia sono distinti: l'uno infatti si fa nella plenitudo della voce, l'altro nella semiplenitudo della voce. Infatti, la senaria perfetta è una divisione di secondo grado della semibreve minore, mentre la senaria imperfetta una divisione di terzo grado della semibreve mini­ ma. Questa concezione della ritmica musicale è " essenzialmente '' , come direbbe Marchetto, diversa da quella dell'Ars nova francese, proprio perché è attenta a sfumature di "senso ritmico , che si tradu­ cono in parametri di riferimento imprescindibili per l'orecchio. C'è da chiedersi se questa teorizzazione ebbe rispondenza sul piano delle specificità della prassi polifonica italiana rispetto a quella coeva fran­ cese, ma questo interessante problema esula dalla presente indagine. Tuttavia, da questo sguardo sugli aspetti teoretici del Lucidarium e del Pomerium, possiamo trarre la conclusione che Marchetto non fu un practicus "vuoto di teoria '' , come Prosdocimo lo accusò di essere, bensì il primo di una nuova tipologia di musici di prossima compar­ sa, un "teorico della prassi , , che sensatamente si interrogò sulla natu ­ ra del canto, partendo dall'assunto che la nota è il vero obiectum del­ la scienza della musica. La nota scritta è un " oggetto acustico '' , non solo rappresentazione grafica del suono , ma vero e proprio signum delle strutture essenziali del movimento sonoro: altezza e durata, cioè lo spazio e il tempo della musica.

6 .4

Nicola Oresme e la concezione dello spazio acustico: un'estetica del suono intensibile Dalla metà del XIII secolo alla metà del successivo la filosofia naturale aristotelica costituì un punto di riferimento imprescindibile, accanto alla matematica boeziana, per la teoria della musica. Partendo dall'i­ dea della musica come scienza media e dalla sua subaltemità sia all'a­ ritmetica che alla fisica (PARR. 5 .2 . 2 e 5 .2. 3 ) , il ragionamento teorico musicale, pur nella complessità e divergenza di vedute, si era fatto consapevole che la realtà fisica del suono e della voce umana era la

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"materia prima " di ogni composizione. Abbiamo osservato che l'acu­ stica aristotelica fu oggetto di vivace discussione da parte dei maestri delle arti (PAR. 5 .2 .4) per le non poche aporie e generalità che la­ sciava in sospeso , e in effetti il caso dell' acustica non è che un esem­ pio di come la filosofia naturale costituisse nella Scolastica matura uno dei settori di studio più vivacemente coltivati. La fisica, o filoso­ fia naturale, comprendeva le conoscenze teoretiche relative agli enti in movimento, per cui lo studio del moto, dei concetti di " spazio " e "tempo " , della materia e delle sue proprietà, della divisibilità e di­ mensione dei corpi erano fra i suoi temi principali di riflessione. Per spiegare il movimento dei corpi i maestri avevano teorizzato l'esisten­ za di potenze, atti e motori che il sistema fisico di Aristotele presen­ tava come necessari a reggere tutta l'impalcatura dell'esistente, fonda­ ta sull'assunto che ogni mosso è tale in virtù di qualcosa che lo muo­ ve. Il merito di aver messo in questione questo principio spetta a Gu­ glielmo di Ockham, che discusse la natura del movimento non come " cosa " fisica, ma come relazione spazio-temporale: il moto non è qualcosa che si aggiunge o si trasferisce al corpo, ma è una sua con­ dizione o stato; il corpo non ha movimento, ma si trova in moto o in quiete. La svolta antologica fu netta , e attorno alla metà del XIV seco­ lo i filosofi virarono la loro attenzione dal "perché " un corpo si muo­ ve al " come " si muove, innestando così «un processo di matematizza­ zione della fisica che costituisce uno degli aspetti più innovativi e fe­ condi del pensiero del Trecento , secolo cui spetta il merito di aver diffuso un ideale epistemologico destinato a imporsi nella cultura oc­ cidentale: assumere la matematica come paradigma della razionalità scientifica, e in particolare studiare la realtà empirica con metodi quantitativi, ossia, per usare la terminologia dell'epoca, calculare» (Bianchi, I 997b, pp. 296-7 ) . L e calculationes tardomedievali furono sofismi e d esercizi logici, in linea con la tendenza, promossa dall' occamismo, a tradurre ogni problema gnoseologico e fisico in termini di analisi linguistica (PAR. 6. I . I ) . Lo sforzo maggiore dei fisici fu quello di elaborare specifici "linguaggi di misura " , cioè metodologie di esame fondate su parti­ colari tecniche di comparazione fra qualità e quantità fisiche: il lin­ guaggio dell'infinito, del continuo, dei limiti o dell'incremento e de­ cremento delle qualità era strumento di descrizione e classificazione delle molteplici forme della variabilità fisica dei corpi. Le tecniche calcolatorie furono messe a punto presso il Merton College di O x­ ford, e i filosofi che le svilupparono furono chiamati "mertoniani " o calculatores. Tre furono i risultati più significativi di questi nuovi studi: r . la "legge di Bradwardine " , formulata nel I 3 2 8 da Tomma2 86

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so Bradwardine, in base alla quale la velocità cresce aritmeticamente in proporzione al crescere geometrico del rapporto fra forza e resi­ stenza; 2 . l'indagine sulle latitudines /ormarum, che esprimeva in termini grafico-numerici le variazioni qualitative; e 3 . il "teorema della velocità media " , per cui la velocità di un corpo uniformemen ­ te accelerato è pari alla velocità raggiunta dal corpo nell'istante di mezzo dell'accelerazione, teorema formulato da Guglielmo Heyte­ sbury nel I 3 35 e ripreso e divulgato fino alla più nota riformulazio ­ ne galileiana. Fra i maestri che in ambiente parigino più si interessarono allo sviluppo dei linguaggi calcolatori vi fu Nicola Oresme, che nel I 3 5 0 offrì nel suo De con/igurationibus qualitatum et motuum un'e­ legante dimostrazione del teorema della velocità media , servendosi della geometria euclidea . Questo scienziato e matematico , che, fra l'altro , fu in diretto contatto con Filippo de Vitry, ebbe tra i suoi maggiori meriti quello di aver messo a punto un sistema grafico­ geometrico di rappresentazione delle variazioni qualitative. Per Ore­ sme, infatti, l' aritmetica manifestava una netta debolezza rispetto alla geometria nella capacità di raffigurare la realtà fisica. Nell'ulti­ mo suo scritto , il Tractatus de commensurabilitate et incommensura­ bilitate motuum caeli, Oresme immaginò un dialogo fra le due di ­ scipline sorelle, Aritmetica e Geometria. Mentre Aritmetica afferma­ va che il mondo altro non è che la materializzazione di rapporti matematici definiti e impressi da Dio al creato in numero, pondere et mensura (Sapienza, I I , 2 I ) , Geometria ribadiva che la mensura eccedeva la capacità umana di ridurre tutto in numero, prospettan­ do una molteplicità di rapporti irrazionali e incommensurabili nella costituzione del mondo che solo la mente divina era capace di go­ dere e comprendere. Il cosmo ordinato e proporzionato del Timeo platonico e della Fisica aristotelica vacillava di fronte all'apertura verso l'irrazionale , l'infinito e l'incommensurabile : l'impatto della geometria euclidea nella messa a fuoco dei problemi di filosofia na­ turale scombinò l'assunto cardine della concezione medievale del mondo desunta dall'Antichità. Nella messa a punto del modello grafico di rappresentazione delle variazioni qualitative sviluppato da Oresme giocarono un ruolo rile­ vante la tradizione dei commenti a Euclide e gli studi di ottica di Grossatesta, Ruggero Bacone e Witelo. Egli, infatti, parte dal princi­ pio che la qualità sia rappresentabile come una quantità continua, e che la misurazione delle sue variazioni possa essere resa attraverso una figura geometrica. Come nello studio del comportamento della luce le linee di incidenza e rifrazione erano rappresentate attraverso

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linee, superfici e volumi geometrici, così, nello studio delle qualità fi­ siche, le alterazioni qualitative erano ugualmente rappresentate con segni grafici. Non solo; la riduzione di tali variazioni a immagini com­ parabili fra loro , consentiva di allargare lo sguardo anche su quella che potremmo chiamare l"' estetica della forma " , perché non solo i fenomeni naturali, ma anche i loro effetti sull'uomo erano descrivibili in base alle stesse rappresentazioni. Il De configurationibus prevede infatti anche uno studio della bellezza delle immagini come effetti delle stesse. Fra le varie tipologie di qualità che Oresme studia nel suo trat­ tato c'è anche il suono, e la relativa sezione " estetica " è centrata sulla musica. Questa parte del De con/igurationibus è stata inqua­ drata in relazione agli sviluppi della teoria e della prassi polifonica (Della Seta, 1 9 8 8 ) , e l'indagine ha evidenziato un'attenzione parti­ colare dello scienziato parigino verso la pratica musicale del suo tempo, addirittura maggiore di quella che appare nella maggior parte dei trattati musicali coevi. Vediamo quali sono i tratti essen­ ziali della sua riflessione sul suono e sull'estetica musicale. La pri­ ma novità la si incontra nella definizione stessa di " suono " : «ogni suono è una qualità successiva conseguente e causata dal moto e dalla pulsazione di determinati corpi» (ivi, p. 2 5 0 [n, 1 5 ] ) . Tenen­ do presente la concezione del suono elaborata nel XIII secolo (PAR. 5 . 2 .4) notiamo come non esista più il problema di definizione: il suono è una qualità causata dal moto, afferma Oresme, non una qualità dell' aria rispetto alla quale occorra chiedersi cosa sia " for­ ma" e cosa "materia " , cosa "specie " e cosa " essenza " . Di conse­ guenza, l'interesse di Oresme è incentrato sulle caratteristiche varia­ bili, e quindi misurabili, di questa qualità. L'intensio del suono è la variabilità stessa della qualità, riscontrabile in quattro fattori che la definiscono in un dato intervallo di tempo : altezza (acuties) , intensi ­ tà (jortitudo) , interruzione (intercisio) e mescolanza (mixtio) di vi­ brazioni . T ali fattori interagiscono nei quattro livelli o " gradi " di qualità sonora: r . il singolo impulso dell'aria, impercettibile all'udi­ to; 2 . il singolo suono percettibile; 3 · la melodia, cioè l'insieme di suoni susseguenti l'uno all 'altro in modo organizzato «come in una cantilena o in un' antifona» ; 4· il canto polifonico, che si ha «quan­ do cori gradevoli mescolano modulazioni soavi» . Ogni livello di qualità sonora ha delle caratteristiche proprie che si aggiungono alle precedenti, ed è proprio dalla loro proporzionata convergenza che risulta la bellezza della musica. Conviene soffermarsi su questa messa a fuoco dell'estetica acustica, che presenta indicazioni di non 288

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piccola rilevanza, perché evidenziano la profonda sensibilità musica ­ le di Oresme, certamente maturata dalla familiarità con compositori del calibro di Filippo de Vitry. Il suono impercettibile della singola vibrazione deve avere un' al­ tezza temperata fra il grave e l'acuto , un'intensità adeguata e uni­ formità di altezza. Queste caratteristiche saranno presenti anche nel suono singolo percepibile, somma di più pulsazioni, il quale però deve aggiungervi una quantità opportuna di piccoli suoni e pause (per Oresme tra una pulsazione e l'altra c'è una pausa impercettibi­ le) e una symphonica commixtio dei piccoli suoni componenti. Que­ st'ultima è una novità interessante : per Oresme ogni suono risulta composto di " frequenze " differenti, che si succedono l'una all 'altra (ma non sono sovrapposizioni di vibrazioni, come nella moderna teoria degli armonici) . Oresme illustra questa idea con l'immagine della trottola, già presentata da Boezio nel De institutione musica (I, 3 ) , ma cambiandone il significato. Mentre Boezio pensava al suono risultante dai singoli impulsi come a un punto colorato in una trot­ tola che gira , così da sembrare una linea continua, egli immagina il suono risultante come una linea multicolore : più proporzionati sono fra loro i colori , più bello sarà l'unico colore , cioè l'unico suono , risultante. Passando alla terza specie di suono, cioè alla melodia, si entra nel merito del gusto e del bello musicale. Qui Oresme colloca un 'inte­ ressante digressione sulla pausa, che ha una chiara valenza estetica, perché l'interruzione del suono è considerata una parte costitutiva del dispiegarsi melodico, non un mero intervallo fra due suoni (Della Seta, 1 98 8 , pp. 2 3 3 -5 ) . E infatti, gli elementi di bellezza che la melo­ dia aggiunge agli altri già elencati sono tutti determinati dalla combi­ nata presenza di suono e pausa: una giusta quantità di suoni, una de­ bita variazione di altezze e una proporzionata diversificazione di in­ tensità . Infine, l'ultimo livello di qualità sonora, quello della polifonia, incorpora le ultime condizioni di bellezza: la prima è un giusto nume­ ro di voci sovrapposte, e il migliore per Oresme è di tre (due voci producono un' armonia meno compiuta, troppe generano confusione) ; la seconda è una coerente proporzione timbrica (ed è significativo che Oresme consideri anche la possibilità di mescolanza fra voce umana e strumenti) ; la terza è il giusto rapporto fra i suoni sovrappo­ sti nel generare la consonanza; la quarta è l'equilibrio di consonanze e dissonanze che si succedono l'una all'altra; la quinta è una debita variazione dell'intensità degli amalgami sonori. Giusta proporzione e giusta misura, dunque, sono i concetti chiave della bellezza della mu-

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sica, riscontrabili in tutti gli aspetti che concorrono alla generazione e all'amalgama sonoro, da quelli impercettibili a quelli più macroscopi­ ci ed evidenti all'udito. Tutte queste componenti sono, da sole e in combinazione fra loro, aspetti che definiscono anche la misurabilità del suono. Da questa panoramica possiamo quindi farci un 'idea di come l'in­ dagine calcolatoria sulle intensiones qualitative possa essere stata im­ piegata (ovviamente in modo teorico e logico-analitico) per la messa a fuoco di un problema in apparenza marginale, come quello dell'e­ stetica musicale. L'interesse di Oresme per questo "effetto " di bellez­ za che si accompagna al manifestarsi del suono è esaminato con pro­ fonda sensibilità anche in relazione ad aspetti psicologici : un suono bello ma ripetuto troppo spesso, afferma, alla fine genera più fastidio di un suono meno bello ma meno ripetuto. La bellezza, quindi, non è una ripetizione a oltranza della perfezione, ma un bilanciamento di perfezione e imperfezione, esattamente come il cosmo delineato da Oresme è una molteplicità di rapporti proporzionali, commensurabili e incommensurabili. Entrando nel vivo della musica del suo tempo , Oresme annota come taluni " ottusi " abbiano i sensi così intorpiditi da non saper distinguere la bellezz a delle sottili variazioni della voce e dei rapidi passaggi sonori; «novitas, variatio e subtilitas sono le pa­ role chiave dell'estetica trecentesca cui Oresme aderisce, e che affon­ da le sue radici in una visione del mondo che ha ridotto gli universa­ lia a nomi o concetti riservando l'esistenza reale ai soli individua» (ivi, p. 2 3 8 ) . Oresme, scienziato " rivoluzionario " nell'affermazione di una fisica del mondo aperta alla logica geometrica dell'incommensu­ rabilità e dell'infinità, forse non a caso si dimostra sensibile anche più di molti musici contemporanei alle implicazioni concettuali della subtilitas musicale. Dalla metà del XIV secolo , mentre i compositori cominciavano a sperimentare, nella cosiddetta ars subtilior, le poten­ ziali applicazioni di tecniche di aumento e diminuzione dei valori temporali e di cambi ritmici ottenuti applicando le più svariate pro­ porzioni numeriche, i maestri delle arti mettevano a punto le loro tecniche calcolatorie nella riduzione geometrica dei problemi della fi­ losofia naturale; entrambi manifestano la dimestichezza ormai acqui­ sita col linguaggio delle mensurae. Le intelligenti annotazioni di Ore­ sme sull'estetica della musica non possono che confermare, nella complessità delle trasformazioni culturali che segnano le cesure stori­ che da un'epoca all' altra, come differenti contesti della creatività e dell'intelligenza umana possano convergere a illustrare un nuovo e comune sentire.

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6.5

La teoria della musica nella svolta culturale umanistica

6.5 . 1 . LE

QUAESTIONES MUSICAE

(PARIS, BNF, 7 3 72)

L e quattro questioni d i musica qui prese in esame sono un'opera poco conosciuta. Trasmesse anonime e incomplete in un unico mano­ scritto risalente alla seconda metà del XIV secolo o al più tardi ai pri­ mi decenni del Quattrocento, sono state attribuite in via di ipotesi (Murdoch , I 97 6 ) al filosofo e matematico Biagio Pelacani da Parma, attivo fra il I 3 7 4 e il I4I I nelle maggiori università del Nord Italia. La vastità e pluralità dei temi filosofici affrontati nelle Quaestiones evidenziano l'approfondita conoscenza da parte del loro autore dei più importanti maestri del XIV secolo, Ockham, Buridano , Bradwardi­ ne, Oresme, dei quali vengono riferite e discusse le dottrine in merito a problemi di fisica, matematica, logica, ottica. Questo vasto impiego di materiale scientifico e filosofico rende le Quaestiones un'opera assai diversa dalla coeva trattatistica musicale, anche se si presenta come uno dei numerosi scritti di musica speculativa o theorica, centrati sul commento a Boezio. L'autore si occupa di quattro problemi musicali, ciascuno oggetto della rispettiva quaestio: I . se la musica sia una scienza; 2 . quale sia il suo soggetto; 3 . se la definizione del suono data da Boezio sia corretta; 4· se il massimo numero di ineguaglianza sia cinque, quaestio che si interrompe poco dopo l'inizio, lasciando l'opera incompiuta. Le quattro questioni furono prodotte per l'inse­ gnamento universitario, forse da un allievo di Biagio (Panti, I 989 e I 990) , e, secondo una recente ipotesi (Maierù , 2002 ) , vicino al filoso­ fo Mesino de' Codronchi, maestro di logica a Bologna sul finire del XIV secolo . Ma l'importanza delle quattro questioni di musica non ri­ siede solo nel contenuto filosofico " d'avanguardia " che le permea, quanto anche nel fatto che furono una fonte, seppure non esplicitata, della Declaratio musicae disciplinae di Ugolino da Orvieto, un'impo­ nente summa musicae, paragonabile a quella di Giacomo di Liegi. E U golino riprese dalle Quaestiones proprio gli elementi centrali e nuo­ vi del loro impianto speculativo, come evidenzieremo nel prossimo paragrafo. Nelle Quaestiones, la filosofia naturale e la logica dei moderni non sono impiegate solo per l' analisi di problematiche musicali, ma sono i fondamenti che garantiscono validità e certezza a una scienza compo­ sita com 'è, per l'anonimo autore, quella musicale, irriducibile agli schemi prefissati degli habitus mentali di Aristotele. Per trovare un'a­ deguata collocazione della musica nel contesto dei saperi, l'autore

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cerca di utilizzare la metodologia scientifica occamista; e la vastità di spazio dedicato alla fondazione della scienza musicale si può dire che non abbia uguali nei trattati contemporanei di musica speculativa. Ciò si rende necessario per tre motivi fondamentali: anzitutto per ve­ rificare se le conoscenze musicali siano davvero scientifiche; poi, sta­ bilito che la musica è una scienza, per valutarne la collocazione all'in­ terno delle altre scienze; infine, per garantire la correttezza e la coe­ renza nell'impiego dei metodi d'analisi extramusicali, come le latitudi­ nes /ormarum, nello studio del suono e dell'armonia. La prima quae­ stio, Utrum musica sit scientia, pone dunque in primo piano il pro­ blema di cosa sia la scienza, e la risposta prospetta una concezione che in parte deriva dal modello aristotelico esposto negli Analitici se­ condi (la scienza in senso proprio è la conoscenza ottenuta per dimo­ strazione sillogistica), in parte tende a superarlo integrandolo con al­ tri sistemi, che si fondano sull'esperienza e sulla conoscenza intuitiva, secondo quella tendenza che caratterizza la gnoseologia occamista ( PAR. 6. r . I ) . Da questo ampliamento del modello scientifico deriva una definizione di musica che supera la tradizionale divisione in "pra­ tica " e "speculativa " , intese come ambiti musicali distinti e di diversa dignità culturale. Infatti la musica viene considerata un habitus, un sapere generico, speculativo e operativo (Panti, 1 992 , p. 2 94 , seconda conclusione) , in quanto il suono , le consonanze, gli strumenti musica­ li, l'anima o il mondo non sono che alcuni fra gli infiniti "soggetti " della musica. Quest'accezione vasta dei contenuti del sapere musicale implica che l'insieme delle conoscenze incluse all'interno di tale abito mentale sia una notitia complexa vera acquisibile «attraverso la ragio­ ne, oppure la dimostrazione o anche per esperienza». Emergono , nel­ la discussione sulla conoscenza musicale, i tre criteri di massima sta­ biliti da Giovanni Buridano per poter definire un coacervo di saperi come "scienza " (PAR. 6 . r . I ) : r . la musica è un complesso di dimo­ strazioni e proposizioni logicamente verificate coordinate fra loro; 2 . la musica ammette termini definiti solo dalla scienza di cui è subalter­ na (come vedremo, la filosofia naturale) e infine 3 · la musica deriva la sua unità da quella del suo soggetto, che è l'ente in quanto propor­ zionabile. La differenza fra scienza e arte della musica si fa labile e ambigua: per l'autore è indifferente che la musica sia una disciplina speculativa o un abito artistico indirizzato alla prassi; in realtà è en­ trambe le cose, perché tanto i contenuti della teoria quanto quelli della pratica vertono sugli enti naturali. Riprendendo la teoria della subalternatio esposta negli Analitici secondi, l'autore fa quindi cadere il principio della musica come scientia media (PAR. 5 .2 . 3 ) o della sua

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solo "parziale " subalternità alla filosofia naturale. La musica è total­ mente subalterna alla filosofia naturale: Terza conclusione: la musica è subalterna alla filosofia naturale considerando la @osofia naturale in senso generale. La conclusione è provata perché nel primo libro degli Analitici secondi [I, I 3 , 78b36-3 8] Aristotele afferma che una scienza è subalterna ad un'altra quando ha i suoi principi provati in quella superiore, come la prospettiva rispetto alla geometria, com 'è evidente; ma la musica ha i suoi principi provati nella @osofia naturale [ . . .] , perché considera il tempo, il movimento, il suono, la quantità, il numero, le voci gravi e acute, le intensioni e remissioni delle voci, la loro velocità e lentezza, l'intervallo di una voce rispetto all'altra. Considera inoltre le consonanze se­ condo varie proporzioni di una voce all'altra in acutezza e gravità, e molte di queste cose che considera sono provate nella filosofia naturale, e sono pre­ supposte in musica (ivi, p. 294) .

Un evidente cambio di rotta ! Il numero altro non è che una delle tante " cose " di cui ci si può occupare in musica. L'autore non pone nessuna necessità di " astrarre " la quantità dall'ente, né di risalire al numerus concretus quale " oggetto " della musica (PARR. 5 .2 .2 e 5 .2 .3 ) . Tutte le cose che rientrano nel vasto campo d'interesse musicale fan­ no parte di questo sapere composito, che è definibile indifferente­ mente come scienza o arte, non perché procede in via sillogistica, o deriva da dimostrazioni quia o prop ter quid: la scientificità nell 'acqui­ sizione del sapere musicale è tutta giocata a livello di indagine logico­ analitica, nella relazione che si determina sul piano del linguaggio mentale fra la proposizione e i termini che la definiscono significando le cose concrete. Siamo in pieno clima occamista. I problemi di logica sono oggetto di moltissime digressioni da parte dell 'autore, egli stesso un logico. La logica ha per lui una fun­ zione essenziale nella fondazione della scienza musicale, in quanto ga­ rantisce la verità, cioè l'esattezza e la coerenza, di ogni proposizione musicale : Al quarto argomento, nel quale si afferma che la scienza riguarda gli uni­ versali, dunque < la musica non è scienza > , rispondo che la scienza riguar­ da sia le cose universali sia quelle particolari, secondo come questi particola­ ri sono riducibili ad universali. In altre parole, la musica riguarda le proposi­ zioni universali i cui termini stanno per cose particolari, e anche se talvolta sono impiegati in proposizioni particolari, ciò accade per fare esempi [ . . ] . Rispetto al nono argomento, nel quale si afferma che la musica è un acci­ dente, dunque < la musica non è scienza > , affermo che degli accidenti vi può ben essere scienza attraverso proposizioni necessarie, così come < vi può essere scienza > di cose contingenti (i vi, pp. 3 I o- I ) . .

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L'impegno scientifico del musico si concentra nel processo di verifica delle conoscenze. Ma come si può essere certi che una proposizione risponda alla verità delle cose significate? O, altrimenti detto, come si fa a capire la veridicità del significato dei contenuti mentali? La ri­ sposta è nella teoria logica della suppositio (PAR. 6. 1 . r ) , che l'autore introduce nella dodicesima conclusione della prima quaestio (ivi, p. 3 r 2 ) : il linguaggio mentale, dotato di proprie regole interpretative che non hanno relazione con il linguaggio scritto o proferito, è l'articola­ zione stessa della conoscenza nelle sue funzioni logiche. Specifici per­ corsi analitici consentono di ridurre una proposizione particolare, che verte su un soggetto individuale appreso intuitivamente, in proposi­ zione universale grazie al ruolo giocato dai sincategoremi (come om­ nis o nullus) , veri e propri connettori delle relazioni fra concetto e res corrispondente. Partendo quindi dal presupposto che tutti i contenuti della disci­ plina musicale si riducono alle condizioni di verità o falsità delle pro­ posizioni nelle quali tali contenuti sono espressi, ne segue che il cam­ po della musica è aperto allo studio del suono come qualità intensibi­ le e remissibile, come già introdotto in ambito di filosofia naturale da Nicola Oresme (PAR. 6.4) , proprio perché questo tipo di indagine si risolve in procedimenti logico-analitici matematizzati nelle tecniche calcolatorie. Lo studio sulle latitudines sonorum occupa l'intera terza questione, nella quale l' autore dimostra la piena e articolata cono­ scenza della physica contemporanea. Questa analisi non si presenta, però, molto facile, poiché, a differenza di Oresme, l'autore delle que­ stioni ha la necessità di stabilire un collegamento diretto fra i pro­ blemi di aritmetica musicale e lo studio del suono inteso come quali­ tà. La definizione che egli dà di suono è analoga a quella di Oresme: «il suono è una qualità successiva, prodotta o producibile, intensibile e remissibile». Ciò mette allo scoperto, però , un contrasto che si in­ staura nel rapporto fra la filosofia naturale, l'aritmetica e la musica, perché la definizione di suono come qualità si estende anche alla con­ sonanza, che è la proporzione fra due suoni. Ma come può essere "intensibile" un rapporto proporzionale? Procedendo, al pari di Ore­ sme, a un'indagine sistematica su come tutte le caratteristiche del suono (numero delle vibrazioni, intensità ecc.) siano calcolabili nei loro reciproci rapporti, l' autore giunge alla conclusione che l'udito è il solo e unico strumento discriminante nella comprensione delle ca­ ratteristiche sonore: se la singola vibrazione non è udibile, non è suo­ no. Il suono e la consonanza devono essere significativi, devono cioè manifestare la totalità dei loro caratteri costitutivi (Panti, 1 990, pp. 1 9-22 ) . La consonanza non è un rapporto fra numeri, ma una me-

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scolanza di suoni le cui componenti possono essere variate (in via lo­ gico-analitica) in base ai gradus qualitativi. Di conseguenza, pur per­ manendo il rapporto consonante, se i suoni non sono uditi la conso, nanza non c e. Il problema maggiore che emerge in queste argomentazioni è l'uso in contemporanea degli strumenti dell'aritmetica e della filosofia natu­ rale: l'autore si rende conto che gli uni non sono compatibili con gli altri, e tale incompatibilità si manifesta attraverso alcuni paradossi. Per chiarezza, sintetizzo uno di questi casi, desunto dalla terza questione (ivi, pp. 28-9). Prendiamo due suoni, uno di grado intensivo 2 in al­ tezza, l'altro di grado intensivo 3 . Il loro rapporto (2 : 3 ) indica una consonanza di quinta. Ora, se aumentiamo uniformemente di un gra­ do la loro intensione, essa risulterà di 3 e 4 rispettivamente; perciò, il rapporto proporzionale fra i due suoni cambia, divenendo un interval­ lo di quarta ( 3 : 4), il che è un paradosso. Come si può intuire, l' auto­ re pone un problema inconsistente, in quanto da una parte associa le consonanze a proporzioni razionali, secondo i canoni dell'aritmetica musicale, dall'altra associa i suoni a numeri che ne esprimono l'inten­ sità in altezza: l'errore emerge quando egli calcola l'intensità della con­ sonanza risultante dal loro rapporto con valori che esprimono invece l'intensità di ciascun suono. La variazione di intensità doveva essere applicata a tutto il rapporto, cioè: (2 : 3 ) + 1 . Da questo e da analoghi errori deriva la difficoltà di connettere in modo coerente lo studio aritmetico e quello fisico del suono , e dunque di unificare i principi dell'aritmetica con quelli della physica musicale. Un fallimento della neoistituita scienza della musica? In un certo senso sì , perché, al di là degli errori imputabili alla scarsa dimestichezza dell'autore coi lin­ guaggi della matematica, queste stesse incoerenze dimostrano come la nascita di una nuova teoria della musica implicasse di necessità un distacco netto da Boezio e una definitiva presa d'atto che l'oggetto di studio della musica è la res musicale, la composizione. Marchetto da Padova aveva intuito l'urgenza di questa svolta, ma per compierla fu­ rono necessari ulteriori passaggi concettuali. ...

6 . 5 . 2 . UGOLINO DA ORVIETO: NOVITÀ E TRADIZIO:\'E NELLA DECLARA TIO MUSICAE DISCIPLINAE

Se l'ambiente culturale nel quale furono composte le Quaestiones mu­ sicae era quello delle più avanzate facoltà delle Arti delle maggiori università del Nord Italia, l'ambiente in cui Ugolino da Orvieto (m. 1 45 0 circa) elaborò la sua Declaratio musicae disciplinae, che molto

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deve alle Quaestiones, è invece quello preumanistico della Ferrara estense, dove il teorico e compositore ricoprì la carica di amministra­ tore ecclesiastico al seguito di un vescovo energico e innovatore, Gio­ vanni Tavelli da Tossignano. Definita un testo di " filosofia della musi­ ca " , la Declaratio «rappresenta non soltanto una delle fatiche più am­ biziose e più rilevanti del secolo, tesa a esprimere con sistematicità e onnicomprensivamente lo scibile musicale, ma è l'unica e più grande opera sulla teoria della musica che sia stata prodotta a Ferrara per tutto il Medioevo e Rinascimento» (Lockwood , 1 9 87, p. 9 8 ) . Ciò che risalta di quest'opera è, in effetti, la sua esorbitante vastità rispetto ai bisogni sia dell'ambiente musicale di corte, interessato a una fruizione della musica per intrattenimento, sia della scuola cattedrale, ove l'in­ segnamento musicale non superava le prime rudimentali tecniche di canto e di teoria, impartite anche dallo stesso arciprete Ugolino. La Declaratio, insomma, si abbina con difficoltà alle esigenze dell' am­ biente in cui fu prodotta, e il suo "eccedere " la fa apparire un'opera più di rappresentanza che di reale impegno speculativo. L'aver poi individuato nelle Quaestiones musicae una sua fonte implicita, fa ap­ parire la Declaratio come una sorta di " centone " , anche perché è as­ sai probabile che ulteriori sue parti, in apparenza originali, siano in­ vece derivate da altre questioni di musica, non pervenuteci (Panti, 1 989) . Tuttavia, sarebbe semplicistico sminuire il significato di questa summa. A Ugolino si deve un 'organizzazione del materiale teorico volta a delineare un " cammino di sapere " coerente e razionale: prima i rudimenti dell'insegnamento musicale - cioè gli intervalli, i modi (primo libro) e il contrappunto semplice (secondo libro) -, poi il si­ stema mensurale (terzo libro , che parafrasa il Libellus cantus mensura­ bilis attribuito a Giovanni de Muris) , infine i problemi di musica spe­ culativa, quali la matematica musicale, l'acustica e la divisione degli intervalli sul monocordo (quarto e quinto libro) . Nello svolgimento progressivo di questo vasto percorso nei conte­ nuti della musica, risulta difficile delimitare un punto di separazione fra practica e speculativa e fra teoria musicale e filosofia. Ugolino aspi­ ra a raggiungere una conoscenza totale e @osofica della musica par­ tendo da ciò che è più noto, il canto piano, fino al meno noto, la musica caelestis, somma e origine di tutte le altre parti della musica, ovvero la mundana, la h umana e la instrumentalis (csM 7 , I , proemio, pp. 1 3 - 8 ) . A un secolo di distanza, riemerge la prospettiva totalizzan­ te dello Speculum di Giacomo di Liegi (PAR. 6.2 . 3 ) , ma è rilevante notare che almeno la musica misurata ha subito uno slittamento si­ gnificativo: da settore della pratica a settore intermedio fra prassi e teoria. Dice Ugolino, con enfasi retorica:

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Ecco la musica celeste, principio e origine di ogni musica mondana, umana e strumentale, dalla quale è ogni proporzione delle melodie, ogni congiunzione delle consonanze, ogni concordia delle voci ogni, se si può dire, soave e uni­ forme mescolanza delle sinfonie gravi e acute [ . . . ] , là non vi è alcuna spro­ porzione della diafonia, nessuna asperità, nessuna ineguaglianza di quella dolcissima soavità, nessuna sproporzione di quelle voci intellettuali [cioè de­ gli angeli] , nessuna distanza disordinata per arsi e tesi, cioè per elevazione e deposizione delle menti < angeliche > , la stessa identità di somiglianza di tutte queste < musiche > alla musica celeste è a lode dello stesso creatore; essa è la più alta di ogni musica, distribuita per virtù superna a quelle infe­ riori (ivi, r , p. r 6) .

Il vero scopo della conoscenza introdotta dalla musica sarebbe dun­ que il dominio dei sensi e la liberazione della ragione che porta alla conoscenza della verità, attraverso l'elevazione spirituale. In questa prospettiva la musica pratica avrebbe solo una funzione secondaria (ivi, proemio, pp. 1 4 - 5 ) . Sulla base di questa impostazione teorica, è chiaro il motivo per cui le principali autorità citate nella Declaratio siano Aristotele e Boe­ zio , eccezion fatta per il commento al trattato di Giovanni de Muris sulla musica misurata. Boezio rappresenta la tradizione speculativa, Aristotele la metodologia scientifica, ma soprattutto indirizza in senso nuovo il cammino ad supernaturalia: le abbondanti citazioni dall 'otta­ vo libro della Politica, che tratta dell'educazione musicale (PAR. 1 . 3 . 1 ) , manifestano il sincretismo culturale racchiuso nell'intento pedagogico del trattato, del resto esplicitamente dedicato «alla lode di Dio e al­ l'utilità dei discenti» (ivi, I, 3 , p. 2 1 ) . Questa motivazione di fondo sarebbe stata recepita dai contemporanei come richiamo «agli orien­ tamenti pedagogico-musicali in uso nell'istruzione dell'aristocrazia, in particolare di quella francese e dei suoi emuli italiani» (Lockwood, 1 987, p. 1 0 1 ) , che in sostanza riproponevano l'ideale greco della mu­ sica come paideia in una società che tendeva ormai a recepire la pra­ tica musicale come svago e passatempo. La Declaratio si inserirebbe dunque in un momento di passaggio fra Medioevo e Umanesimo, ca­ ratterizzato da molteplici e diversificate esigenze culturali: da una par­ te proiettato verso il recupero delle "belle lettere " , dall' altra legato ancora a un ideale scolastico di sapere, che Ugolino dimostra di condividere. Questo legame col retroterra filosofico risulta ancora più interes­ sante se teniamo conto della mediazione delle anonime Quaestiones musicae. Le sezioni che Ugolino estrapola da questo testo universita­ rio sono la fondazione della musica come scienza, lo studio della ma­ tematica boeziana delle consonanze e alcune considerazioni generali

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sul suono come qualità intensibile , ma è verosimile che anche altre sezioni della Declaratio derivino da ulteriori questioni, non pervenute­ ci. Ugolino seleziona con cura il materiale, ma talvolta sembra non comprendere fino in fondo quanto ricopia e riassume, e accade ad esempio che sminuisca e minimizzi interessanti considerazioni fatte dall'autore, o che ne fraintenda la dottrina (Panti, I 992 , pp . 2 89 e 3 I o ) . La tipologia di problemi che egli trae dalle Quaestiones, allo stato attuale delle conoscenze, induce a ritenere che la Declaratio sia un tentativo, forse non del tutto riuscito, di far uscire la musica spe­ culativa dall'ambito delle università, adattandone i contenuti alle esi­ genze di un pubblico più vasto e meno accademico , e integrandola quanto più possibile con l'insieme delle conoscenze musicali rivolte alla prassi compositiva. Nel fare ciò, Ugolino riuscì a trasmettere al­ l'Umanesimo un notevole patrimonio culturale. Merito della Declara­ tio è aver cercato di mettere in relazione la speculativa con la practica, tracciando un "cammino di sapere " che parte dalle basi della seconda (il canto piano) e giunge per tappe progressive alle vette della prima (la musica divina) . In questo percorso, l'indagine sulla musica misura­ ta costituisce una sorta di trampolino di lancio verso la speculazione. Tutto ciò colloca senz'altro Ugolino fra gli esponenti di un umani­ stico " ritorno a Boezio " , ma un ritorno mediato e filtrato anche dal "nuovo Boezio " delle Quaestiones musicae, rinnovato, appunto, dai principi della filosofia occamista e dalle calculationes dei mertoniani, a riprova dei profondi legami culturali che unirono Scolastica e Uma­ nesimo , al di là delle polemiche contro le "barbare " subtilitates me­ dievali. 6. 5 . 3 . GIOVANNI CICONIA E LA

NOVA MUSICA: IL MUSICO COMPOSITORE ALLE SOGLIE DELL 'UMANESIMO

La figura di Giovanni Ciconia ( I 3 40- I 4 I I ) , com positore e teorico n a­ tivo di Liegi e pervenuto, dopo non pochi anni di soggiorno in Fran­ cia e in Italia, all'incarico di cantar et custos della cattedrale di Pado­ va, è esemplare per mettere a fuoco la permanenza della tradizione e insieme la spinta innovativa che caratterizzano la produzione teorica musicale alle soglie dell'Umanesimo o, se vogliamo, nell"' autunno del Medioevo " . Ciconia anticipa la figura del nuovo compositore, emble­ ma dell'incontro fra le due civiltà musicali italiana e franco-fiammin­ ga , essendo il primo di una lunga e prestigiosa serie di musicisti che dalle Fiandre emigrarono verso le corti e le neoistituite cappelle mu­ sicali italiane, egemonizzando la produzione musicale colta per tutto

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il secolo e per quello successivo. Ciconia prestò il suo ingegno musi­ cale alla polifonia " alta " , in particolare quella celebrativa, inserendo il suo nome in molti dei mottetti in cui tesseva le lodi di Padova e dei nobili che si alternavano al governo della città e delle sue maggiori istituzioni. Egli inaugura la figura professionale del musico di corte e maestro di cappella, orgoglioso della propria competenza tecnica nel­ l' arte contrappuntistica, ma nel contempo capace di destreggiarsi nel­ le problematiche filosofiche della scienza musicale boeziana. Col metro della nostra sensibilità potrà sembrare strano che un "uomo nuovo " come Ciconia riprenda nella sua Nova musica, scritta negli ultimi anni padovani, la tradizione antica, anzi antichissima , dei teorici carolingi, affidando a Remigio d'Auxerre, ad Aureliano di Réòme, a Ubaldo e Bernone, alla Musica enchiriadis e ad altre fonti preguidoniane, come l'intramontabile Isidoro e naturalmente Boezio , il "pregresso " da cui la nuova arte della musica trae origine e ispira­ zione. Il prologo della Nova musica esordisce però proprio nel nome di Isidoro e Remigio, puntando a una renovatio che solo l'apporto originale dell'autore saprà dare , una volta che sia stato innestato nel solco dell'antica tradizione speculativa: Desidero perfezionare con uno stile nuovo (nova stilo) la musica antica, pro­ dotta per volontà degli antichi e che essi stessi furono incapaci di portare ad una piena scienza, abbandonando le cose inadatte, perfezionando quelle meno comprese, e aggiungendone di inedite. Chi mai degli autori scoprì le declinazioni della musica contenute nei canti secondo il modo della gramma­ tica? E chi le ha mai udite? Chi riterrebbe che questa < musica > ha acci­ denti e declinazioni come la grammatica, generi e specie come la dialettica, numeri e proporzioni come l'aritmetica? [ . . ] E voglio, inoltre, comporre quest'opera in quattro libri e otto contenuti essenziali (plenitudinibus) . Il pri­ mo libro è sulle consonanze, il secondo sulle specie dei canti, il terzo sulle proporzioni ed il quarto sulle declinazioni. I contenuti essenziali saranno le voci, le consonanze, le specie, i modi dei toni, i canti, le proporzioni, gli accidenti e le declinazioni. E tutte queste cose restituiranno la musica in modo perfetto e con una logica perfettamente descritta (Giovanni Ciconia, 1 993 ' pp . 5 3 -4) . .

Il «nuovo stile» introdotto da Ciconia, indispensabile per riversare la musica antiqua nella nova, è un metodo di indagine innovativo, fon­ dato sul rapporto di analogia fra la musica e il linguaggio. Le plenitu­ dines della musica, che per usare un termine plausibile traduciamo con " contenuti essenziali " , rimandano infatti a quei costituenti del lessico musicale che fanno della musica stessa un linguaggio, un di­ scorso . Ecco , quindi, cosa riprende Ciconia dagli antichi teorici caro299

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lingi: l'interesse verso la struttura "logica " dell'organizzazione dei suoni nel canto, intravista già da C alcidio (PAR. r .5 .2 ) e sviluppata poi dalla Musica enchiriadis (PAR. 3 ·4 · 3 ) e da Guido d'Arezzo (PAR. 4 .2 . 1 ) . Prendendo a prestito la terminologia della grammatica, della retorica e della dialettica, Ciconia mette a punto quella particolare " tecnica dello scrivere " che è la notazione musicale. Come giustamente affer­ mava Giovanni de Grocheio ( 1 943 , pp. 47 - 8 ) , «allo stesso modo in cui al grammatico fu necessaria l'arte dello scrivere e l'invenzione del­ le lettere, affinché ricordasse le parole inventate e imposte a significa­ re attraverso la scrittura, così anche al musico tale tecnica è necessa­ ria, affinché per mezzo di essa possa conservare i diversi canti com­ posti da diverse concordanze». Ciconia si riallaccia a questa tradizio­ ne dell'analogia fra musica e linguaggio, mai sopita, anche se sopraf­ fatta dall'interesse verso la matematica musicale, facendovi convergere la concezione boeziana della musica come disciplina della quantità. La novità della sua proposta sta nel fatto che al teorico della mu­ sica non interessano più il numero e la proporzione in quanto astratti dalla materia, ma in quanto essi stessi materia, cioè " contenuto essen­ ziale " del fluire melodico e armonico del canto: Dunque reputo che la materia della musica non sia in verità altro che la sua quantità che pertiene a qualcosa, cioè ai suoi contenuti essenziali (plenitudi­ nes) grazie ai quali è conosciuta la sua perfezione, cioè le note (voces) , le consonanze, le specie, i modi dei toni, i canti, le proporzioni, gli accidenti e le declinazioni (Giovanni Ciconia, 1 99 3 , p. 58).

La musica è un linguaggio che si fonda interamente sui rapporti pro­ porzionali, non solo quelli definiti dai rapporti consonanti, ma quelli che il musicista plasma e compone sfruttando la tavolozza delle possi­ bilità offerte dalle sue "lettere" , le ventidue note musicali, che i musi­ ci hanno estratto dal monocordo (ivi, p. 7 6 ) . L'intuizione acutissima di Ciconia è ridurre i " caratteri tipografici " della musica alle sole, an­ tiche sette litterae musicali, A B C D E F G, ribadendo che tutti i rapporti proporzionali che si instaurano fra di esse si riproducono al­ l'ottava superiore (a b c d e f g) e a quella ancora superiore. All'in­ terno dello spazio sonoro che le note coprono nell' ambito dell'inter­ vallo di ottava, partendo da ciascuna fino all'ottava successiva, si ri­ trovano tutte le specie possibili di intervallo, fondamento della co­ struzione della "parola sonora " . E dove i caratteri non bastano, e si renda necessario uscire dalla musica recta, le alterazioni, determinabili sul monocordo e individuate da appositi signa, consentono di creare gli infiniti colores necessari alle esigenze del canto. 300

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Ciconia polemizza apertamente contro la tecnica di solmisazione dei guidonistae, che, male interpretando la dottrina di Guido d' Arez­ zo, hanno interpolato alla logica delle sette note il criterio dell'esa­ cordo (cfr. PAR. 4.2 . 1 ) , inserendo difficoltà e astrusità da " computisti " nella lineare grammatica della musica: Se qualcuno desidera conoscere il canto musicale, in primo luogo è necessa­ rio che indaghi, sul monocordo e direttamente col canto, la posizione, l'ordi­ ne e le figure delle sette note gravi, acute e sovracute nei righi e negli spazi con le loro proprie colorazioni; poi gli intervalli e infine, dopo il primo e secondo passo, scelga o il computo, come i guidonisti, o il monocordo, che mai fallisce, come il bravo maestro (ivi, p. 303 ) .

Appoggiandosi all'autorità del passato, C iconia s i rivela, in realtà, un fedele seguace di Marchetto da Padova, probabile fonte diretta, ma mai menzionata, da cui deriva il ruolo fondamentale del monocordo non solo per individuare in modo infallibile la successione delle note e di tutte le tipologie di intervallo , ma anche per rendere evidenti all'udito le numerose colorationes della musica ficta, cioè le alterazioni cromatiche dei suoni. Come osserva Margaret Bent ( 1 984 , p. 6 ) , il monocordo, nato per esemplificare in maniera empirica la gamma dei suoni, alle soglie del Quattrocento è «un arsenale di gradazioni di al­ tezze», che i cantori selezionano e adattano alle esigenze della loro flessibile "grammatica espressiva " . Il nuovo teorico della musica può e anzi vuole derivare la sua arte dalle autorità del passato , ma vuole indirizzarla proprio a quel cantar che gli antichi musici guardavano con disdegno o con sospetto, e che invece adesso è «il bovaro , che giubila affinché i buoi trasportino con gioia l'aratro» (Giovanni Ciconia, 1 993 , p. 3 09 ) : colui che guida il canto sapendone plasmare il linguaggio in modo da muovere i più intimi sentimenti. La gamma delle possibilità " espressive " da lasciare al cantore implica una concezione del fluire melodico analoga a quel­ la incontrata in Marchetto: un continuo geometrico la cui malleabilità è rappresentata dalla duttilità (vera o presunta che sia) del monocor­ do, strumento emblema della complessa natura proporzionale della vocalità umana. Una recente indagine (Herlinger, 2 003 ) ha individua­ to proprio in Ciconia l'obiettivo nascosto della polemica del matema­ tico Prosdocimo contro Marchetto o, meglio, contro i marchetini (cfr. PAR. 6 . 3 . 1 ) . Richiamandosi all'autorità di Aristosseno mediata attraverso Boe­ zio , Ciconia propone di suddividere il tono in ventiquattresimi, calco­ lando a partire da questi i tre generi di semitono enarmonico, diato301

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nico e cromatico. Benché la costruzione sia del tutto diversa rispetto a quella di Marchetto, come quest'ultimo anche Ciconia si richiama all'autorevolezza della verifica sul monocordo (Giovanni Ciconia, 1 99 3 , p. r ro) . Il suo ragionamento procede in parallelo allo svolgersi degli argomenti discussi nella Nova musica: il linguaggio della musica si scrive attraverso le sue lettere, le sette note (libro primo) , si articola nelle "parole " che da esse si formano, cioè gli intervalli (libro secon­ do) , e in tal modo si organizza nel canto, la cui struttura grammatica­ le è rivelata e misurata sul monocordo attraverso le proporzioni (libro terzo) . Se questi tre passaggi sono stati più o meno consapevolmente e correttamente introdotti dagli antichi, con l'ultimo libro della Nova musica, il quarto , Ciconia entra infine nel merito della perfezione del canto attraverso la sua inedita metodologia pedagogico-musicale delle "declinazioni dei suoni " . Proprio come le parole della lingua latina sono definite nel genere, nel numero e nel caso, così le parole della lingua musicale sono altrettanto definibili nelle loro "strutture essen­ ziali " , nelle plenitudines, che le costituiscono. Non è qui il luogo per entrare nel merito della sintassi elaborata da Ciconia, che egli stesso sperimenta analizzando alcune antifone del repertorio gregoriano, ma il metodo da lui messo a punto non può che indurci a una considera­ zione conclusiva su ciò che è, ora, la filosofia della musica . Alle soglie del Quattrocento, l'atteggiamento dei teorici della mu­ sica è di indirizzare l'attenzione del lettore verso le forme e le struttu­ re delle composizioni musicali. L'oggetto della scienza musicale non è più la consonanza o il suono o la proporzione, ma è la res musicale stessa , il comporre strutturato secondo una logica e una grammatica propria, che il teorico deve saper interpretare e trasmettere corretta­ mente. Ciò che il nuovo musicus richiede alla sua disciplina non è di introdurlo alla competenza matematica, né di rivelargli attraverso ra­ gionamenti deduttivi o induttivi la natura proporzionale o intensiva o qualitativa dei suoni, ma è di aprirgli le porte alla " creatività " , all'arte della composizione. Il linguaggio della musica è, ormai, tutto traduci­ bile in termini proporzionali, lo spazio sonoro è un continuum di gra­ dazioni d'altezza, il tempo musicale è misurato nell'infinita possibilità aperta dalle tecniche mensurali e la scrittura notazionale è capace di farsi fedele interprete delle intenzioni del compositore: senza perdere il suo posto fra le scienze del quadrivio, la musica entra adesso , a pieno titolo, anche fra quelle del trivio , le scienze del linguaggio. Il rapporto fra musica e retorica si fa stretto e coinvolgente, perché la capacità di dominare la lingua dei suoni accende le emozioni e gli impulsi dell' anima. Suscitare piacere, gioia, devozione, compunzione e tutta la vasta gamma degli affetti dell' animo umano è il compito che 302

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IL P E N S IERO M U S ICALE N E L L A T ARD A S C O L A S T I C A

si prefigge il musico attraverso il dominio della sua arte. È in questo nuovo sentire che la filosofia della musica si indirizza a una svolta decisiva: da una parte verso l'estetica della composizione, dall'altra verso la fisica del suono. In entrambe le strade che si troverà a per­ correre, la riflessione su Boezio, mediata da numerose fonti nuove, dalla conoscenza di tutte le opere di Platone e dal recupero diretto degli scritti dei musicografi dell'Antichità, spalancherà nuove e inedi­ te prospettive di ricerca. Ma questo è un altro capitolo della sua lun­ ga e complessa storia.

Sigle

ALPhMA

BGPM CCCM CCSL es CSEL CSM GMth 2

GMth 3

GMth 5

GS MGH PG PL

Arts libéraux et philosophie au Moyen Age. Actes du quatrième congrès international de philosophie médiévale, Institut d' Études médiévales-Vrin, Montréal-Paris 1969 . Beitrage zur Geschichte der Philosophie im Mittelalter, Miin­ chen. Corpus Christianorum Continuatio Mediaevalis, Brepols, Turn­ hout 1 966 - . Corpus Christianorum Series Latina, Brepols, Turnhout 1 95 3-. Scriptorum de musica medii aevi nova series, 4 voli. , ed. E. De Coussemaker, Paris 1 874-76 (rist. Hildesheim 1 963 ) . Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, Wien r 866-. Corpus Scriptorum de Musica , The American Institute of Musi­ cology, Roma 1 950 - . Geschichte der Musiktheorie, Band 2. Vom Mythos zur Fachdiszi­ plin: Antike und Byzanz, Hrsg. von K. Volk, F. Zaminer, C. Floros, R. Harmon, L. Richter, M. Haas, Wissenschaftliche Buchgeselischaft, Darmstadt 2006. Geschichte der Musiktheorie, Band 3· Rezeption des antiken Fachs im Mittelalter, Hrsg. von F. Zaminer, Wissenschaftliche Buchgeselischaft, Darmstadt r 990. Geschichte der Musiktheorie, Band 5 . Die mittelalterliche Leh re von der Mehrstimmigkeit, Hrsg. von F. Zaminer, Wissenschaftli­ che Buchgeselischaft, Darmstadt 1 9 84. Scriptores ecclesiastici de musica sacra potissimum, 3 voli. , ed. M. Gerbert, Sankt Blasien 1 7 84 (rist. Olms, Hildesheim 1 963 ) . Monumenta Germaniae Historica, Miinchen. Patrologia Graeca, ed. J. -P. Migne, voli. r - r 6 r , Paris r 866-86. Patrologia Latina, ed. J. -P. Migne, voli. r - 22 1 , Paris 1 879 - 90.

Bibliografia

Introduzione Tra i non molti contributi italiani sulla concezione della musica nel Medioe­ vo si ricordano, fra i più recenti, la miscellanea a cura di Gallo ( I 986) , con il contributo di Eggebrecht ( I 986) , centrato sul concetto di ars musica; la mi­ scellanea a cura di L. Mauro (2oo i a) ; il volume di Mainoldi (2oo i ) , con im­ postazione tematica, e, per un 'indagine relativa all'alto Medioevo, la miscella­ nea a cura di Cristiani, Panti, Perillo (2007) . Sui rapporti fra musica e filoso­ fia cfr. il volume collettaneo a cura di Hentschel ( I 998) , e per un inqua­ dramento complessivo sulla musica come scienza matematica cfr. Hirtler ( I 995 ) . Per la prospettiva estetica cfr. Fubini ( I 976) e Guanti ( I 999), da completare con il classico volume di De Bruyne ( I 946) , con sezioni specifi­ che dedicate alla filosofia della musica, oltre che Beonio Brocchieri Fumagalli (2002) ed Eco ( I 994) , centrati sull'estetica medievale in generale. Una rifles­ sione interessante sulla connessione fra estetica musicale e filosofia della mu­ sica, sia metodologica sia inquadrata in prospettiva storica, è sviluppata da L. Goehr (2002 ) , al lemma Philosophy o/ Music della nuova edizione del New Grave Dictionary o/ Music and Musicians. Per un inquadramento complessivo dei temi della trattatistica musicale cfr. Meyer (2oo i ) ; un'indagine sistematica dei principali problemi filosofico-musicali da Boezio a Leibniz è in Haas (2005 ). Per una bibliografia più completa si consulti il bollettino bibliografi­ co MEM. Medio Evo Musicale, a cura della SISMEL, Firenze, parte terza, sezio­ ne quinta. r.

Filosofia e musica fino alla tarda Antichità

PAR. I . I Sul sapere enciclopedico e le arti liberali fra Antichità e Medioevo cfr. Hadot (2005 ) . Per una ricognizione sulla filosofia musicale antica e tar­ doantica: Mathiesen ( I 999) , con una vasta bibliografia; inoltre W allace, Mac­ Lachlan ( I 99 I ) e O'Meara (2005 ) , sulla filosofia della musica nel platonismo a partire da Nicomaco. Per una sintesi dei principali temi dell'estetica musi­ cale antica: Gérold ( I 9 3 I , pp. 54-7 I ) ; Barker (2002 ) , sulla dottrina dell'éthos; Rocconi (2007) , per il concetto di harmonia. Per le dottrine armoniche e l'a-

FILOSOFIA DELLA MUSICA

custica nell'Antichità cfr.: Zaminer (2oo6a) ; Barker ( I 989) , con traduzione inglese degli scritti teorici; Zanoncelli ( I 990, pp. 7-27), e l'appendice di R. Da Rios all'edizione degli Elementi di armonia di Aristosseno ( 1 954, pp. I 03 -29); inoltre, cfr. l'introduzione di Cornetti all'edizione dello Pseudo-Plu­ tarco (Plutarco, 2ooo). Per Filolao e i pitagorici cfr. Centrane ( I 996). r .2 Sulla musica in Platone segnalo il classico volume, nella recente traduzione italiana, di Moutsopoulos (2oo2 ) . Sul Timeo ( PAR. 1 .2. I) la biblio­ grafia è molto vasta, per cui rimando agli studi più recenti riferiti alla dot­ trina dell'anima del mondo: il volume collettaneo curato da Natali, Maso (2003 ) e il saggio di Zedda (2oo i ) . Sulla tematica dell'armonia del mondo nel Timeo è d'uopo un riferimento anche a Spitzer (2oo6, pp. 1 3 -20) , ultima edizione italiana dello studio ormai classico sulla " storia semantica" di Stim­ mung. Sulla costruzione della scala musicale pitagorica nel Timeo ( PAR. 1 . 2.2) cfr. Handschin ( I 95o) e l'apparato critico della traduzione francese del dialo­ go curata da Brisson (Platone, 2oo i , pp. 284-9 1 ) . Per gli aspetti antropologi­ ci della dottrina platonica dell'armonia ( PAR. 1 .2 . 3 ) ho fatto riferimento in particolare a Barker (2002 , pp. I I 3 -28), mentre sulle interpretazioni tardoan­ tiche del tema della musica cosmica nel Timeo, soprattutto in Nicomaco e Giamblico, cfr. O'Meara (2007).

PAR.

PAR. r . 3 La concezione musicale in Aristotele è stata studiata in vari con­ tributi. Per la funzione etica e sociale della musica nella Politica ( PAR. 1 .3 . I ) h o seguito Barker (2002 , pp. 99-I I r ) . Per l'inquadramento teoretico della scienza armonica ( PAR. r . 3 . 2 ) la bibliografia cui fare riferimento concerne gli studi sulla dottrina scientifica aristotelica, fra i quali ho tenuto presente Mer­ lan ( I 990, pp. I I 9-5 2). Sulla fisica aristotelica del suono e della voce ( PAR. 1 . 3 . 3 ) cfr. il volume di Wittman ( I 9 87) , che sviluppa questi temi in relazione alla trasmissione del De anima nel Medioevo; mentre per i Problemi si può fare riferimento all'introduzione di Ferrini alla traduzione degli stessi (Ari­ stotele, 2002 ) . Per i problemi musicali e la loro circolazione nel Medioevo rinvio a Mauro (2ooib).

1 .4 Sulla matematica musicale in Nicomaco di Gerasa ( PAR. 1 .4. I ) ho tenuto presente lo studio di Helmig (2007) , il quale mette in evidenza il pro­ blema antologico del numero e il rapporto fra numero scientifico e il concet­ to platonico di /orma. Per la scienza armonica ( PAR. I .4.2) cfr. Zanoncelli ( I 99o) , anche per la traduzione del Manuale di armonica; inoltre Stabile (2oo r ) , che presenta considerazioni riferite soprattutto all'Introduzione all'arit­ metica. In Zaminer (2oo6a, pp. I 98-2o3 ) , vi è una sintesi sulla divisione nico­ machea delle scienze, la matematica musicale e la musica delle sfere. PAR.

PAR.

I .5

I contenuti e la tradizione del commento di Calcidio al Timeo

( PAR. 1 .5 . r ) sono delineati nell'ampia introduzione di Moreschini alla sua tra­

duzione del testo (Calcidio, 2003 ) , nella quale è inquadrata anche la que­ stione del platonismo di Calcidio. L'edizione latina di riferimento è di Wa­ szink (Calcidio, I962 ) ; fra gli studi su medio e neoplatonismo, Gersh ( I 986) dedica un'ampia sezione a questo autore. In Gersh ( I 996, pp. I2 8-4 r ) è pro-

B IB L I OGRAFIA

posto un approfondimento sulla matematica musicale. Per le sezioni matema­ tiche dei commentari al Timeo cfr. Ferrari (2ooo) , mentre sui contenuti di teoria musicale in relazione all'anima del mondo ( PAR. 1 .5 .2) cfr. Huglo ( I 99oa e 2005 ) e Meyer (2007 ) , anche per la trasmissione di questo tema nel Medioevo. L'edizione latina di riferimento dei Commentarz'i di Macrobio è di PAR. r . 6 J. Willis, riprodotto e tradotto in italiano da Scarpa (Macrobio, I 9 8 I ) e Re­ gali (Macrobio, I 98 3 ) , entrambi corredati di utili introduzioni sull'opera e l'autore. Lo studio fondamentale sul pensiero filosofico di Macrobio e sulla sua concezione dell'enciclopedia delle scienze è quello di Flamant ( I 977) , alle pp. 3 5 I -8 I la teoria della musica, mentre sul platonismo di questo auto­ re cfr. Gersh ( I 986, vol. n, pp. 49 3 - 5 95 ) . Per un inquadramento complessi­ vo, anche sulla musica, cfr. Cristiani (2007 , pp. 3 5 -43). Per la musica delle sfere, in rapporto a Calcidio, cfr. Flamant e Bragard ( I 929) ed inoltre Rich­ ter (2oo6, pp. 5 3 I -8) ; per la fortuna medievale delle annotazioni di Macrobio sulla musica cfr. Meyer ( I 999) e Peden ( I 99 8 ) . 1 . 7 Il De nuptiis è stato recentemente tradotto per intero in italiano da I. Ramelli (Marziano Capella, 20o i ) , con a fronte l'edizione di J. Willis, e ampio corredo bibliografico. Nel presente volume si è fatto riferimento per il libro IX ( PARR. 1 . 7.2 e 1 . 7 . 3 ) alla traduzione di Cristante (Marziano Capella, I 987) , nonché all'introduzione (ivi, pp. I -84) e al vasto apparato di note a commento (ivi, pp. I77 -390) forniti dallo stesso studioso. Lo studio di riferi­ mento sulle scienze del quadrivio nelle Nozze ( PAR. r .7. I ) è quello di Stahl ( I 97 I ) , mentre sulla filosofia di Marziano cfr. Gersh ( I 986, vol. n, pp. 5 97-646) e, con riferimento alla tematica simbolica e filosofica del percorso ascensionale di Filologia, Cristiani (2007 , pp. 4 3 -54) . Sul concetto di " armo­ nia" in Marziano ( PAR. 1 .7.2) ho tenuto presente l'introduzione di Cristante (Marziano Capella, I 987, pp. I 3 -8), al quale mi sono riferita (ivi, pp. 47-67) anche per la concezione marzianea su ritmica e metrica ( PAR. I. 7. 3), per le quali cfr. anche Cracker ( I 95 8) . PAR.

2.

Musica

e

cultura cristiana

PAR. 2 . I Sulla trasmissione della cultura enciclopedica antica nella cristiani­ tà rimando allo studio di Marrou ( I 987, pp. I 89-2o8) , e, in relazione al VI secolo, a Cristiani ( I 997). Per il contesto pedagogico cfr. Riché ( I 984) . Sulla trasmissione della teoria musicale nella patristica latina cfr. in particolare Gé­ rold ( I 9 3 I , pp. 72 -87) e il volume di McKinnon ( I 987). PAR. 2 .2 Per la musica nella patristica greca e latina, oltre i contributi di Gérold ( I 93 I ) e McKinnon ( I 987), cfr. Jourdan-Hemmerdinger ( I 99 I ) , sulla funzione del canto nella liturgia e nell'oratoria e Quacquarelli ( I 96o) , per il rapporto fra musica, liturgica e retorica. Una suggestiva lettura della tematica dell'armonia universale in Ambrogio e in Agostino è in Spitzer (2oo6, pp.

FILOSOFIA DELLA MUSICA

2 1 -3 7 ) . Sulla salmodia nei secoli I V - V cfr. Jeffery (2003) e Dyer (2003 ) . Per Ambrogio cfr. inoltre Sesini ( 1 949) , nella sezione dedicata agli inni ambro­ siani. 2. 3 La bibliografia su Agostino è talmente vasta da rendere arduo dare riferimenti, anche limitandosi al pensiero musicale. L'edizione delle sue ope­ re è nella serie ccsL , ma per il De musica l'unica edizione rimane PL 3 2 , coli. r o8 r - r 94; il libro VI è disponibile in edizione critica con traduzione inglese a cura di J acobsson (Agostino, 2002a) e i libri I e VI sono editi, con traduzione tedesca e commento, da F. Hentschel (Agostino, 2oo2b) . Per la ricognizione sulle discipline liberali nel De ordine ( PAR. 2 . 3 . 1 ) , oltre allo studio di Marrou ( r 987 , pp. 209-38) , cfr. Hadot (2005 , pp. 3 77 -90) ; Bettetini ( 1 994) e Cri­ stiani (2007 , pp. 1 7 - 3 5 ) . Sul De musica ( PAR. 2 . 3 .2) oltre alla miscellanea cu­ rata da La Croix ( r 988), ricordo: Pizzani, Milanese ( r 99o) ; Pizzani (2003 ) , che mette in rapporto l'opera musicale di Agostino con quella di Boezio; Bettetini (2oo r ) e l'introduzione della stessa alla sua traduzione del De musi­ ca (Agostino, 1997 ) , oggi integrata alla traduzione di tutti i dialoghi (Ago­ stino, 2oo6) . Sul concetto di modus cfr. Pizzolato ( 1 992) , mentre per la musi­ ca ritmica e metrica rinvio a Cracker ( 1 95 8) e Phillips, Huglo ( r 9 85 ) . Sul sesto libro del De musica ( PAR. 2 . 3 . 3 ) , oltre gli studi già citati, si veda: per la dottrina della sensazione lo studio di Vanni Rovighi ( r 962 ) ; per la dottrina della conoscenza la monografia di O'Daly ( r 988) ; mentre sui numeri judicia­ les cfr. Novak ( 1 975 ) . Sull'estetica agostiniana cfr. Beierwaltes ( 1995 , pp. 1 5 9-86). Per il problema del tempo, segnalo il volume di Flasch ( 1 993 ) , cor­ redato da un'edizione e traduzione tedesca del libro XI delle Confessioni, la cui originale lettura ha suscitato un vivace dibattito. Una rilettura sul tema è in Cristiani ( r 996) , nel commento a corredo dell'edizione del libro X I , nelle Confessioni edite dalla Fondazione V alla; cfr. anche le precisazioni di Pizzani (2ooo) , attente al contesto della teoria della musica. Quanto all'innodia e allo iubilus ( PAR. 2 . 3 .4) ho sintetizzato i risultati di un mio studio (Panti, 20o7b) . Le traduzioni italiane dei brani dalle Confessioni e dalle Enarrationes in que­ sta sezione sono mie. Sul giubilo nel suo rapporto con la salmodia rinvio a Moneta Caglio ( 1 977). PAR.

2 .4 Lo studio di riferimento su Boezio e la sua filosofia è di Obertello ( 1 974) ; cfr. inoltre la miscellanea curata da M. Gibson ( r 9 8 r ) . La bibliogra­ fia sul pensiero di Boezio rispetto al quadrivio ( PAR. 2 .4. 1 ) è molto vasta. Un'indagine complessiva è di Chadwick ( r 986) , alle pp. 99- 1 3 9 un appro­ fondimento sulla musica, ma cfr. anche la miscellanea a cura di Galonnier (2003 ) , soprattutto lo studio di Pizzani (2003 ) , e quella a cura di Masi ( r 9 8 r ) , dedicata a Boezio e il quadrivio. Sulla divisione delle scienze nel loro rapporto con la filosofia ho seguito D'Onofrio (2oorb), ma cfr. anche Haas (2005 , pp. 5 9-65 ) . L'unica edizione latina del De institutione musica ( PARR. 2 -4.2 e 2 -4.3) è quella di Friedlein (Boezio, r 867 ) , mentre una traduzione italiana è curata da Marzi (Boezio, 1 9 90) , che ho in parte seguito per le tra­ duzioni dei brani in questi paragrafi. Le principali dottrine matematico-musi­ cali boeziane sono inquadrate nell'introduzione dello stesso Marzi (ivi, pp. PAR.

3 10

B IB L I OGRAFIA

I I -77) , da integrare con Illmer ( I 99o) e Harmon (2oo6, pp. 398-48 I ) . Per la questione delle fonti cfr. Pizzani ( I 965 ) e Bower ( I 978); inoltre Zanoncelli ( I 996) , per una discussione sulla presunta fonte perduta nicomachea. Sulla musica delle sfere rinvio a Bragard ( I 929) e a Richter (2oo6, pp. 540-54); mentre per l'estetica musicale in Boezio cfr. De Bruyne ( I 946, vol. I , pp. I -34) . PAR. 2 . 5 Per una ricognizione d'insieme sulla cultura enciclopedica agli esordi del Medioevo cfr. Beonio Brocchieri Fumagalli ( I 98 I ) ; uno studio de­ dicato agli elementi di continuità e innovazione nell'insegnamento in età alto­ medievale è di Riché (I 984) , ma nel I 999 è uscita un 'edizione francese rive­ duta e aggiornata. Sui rapporti fra Cassiodoro e Boezio (PAR. 2.5 . I ) cfr. Leo­ nardi (2004, pp. I 5 5 -87) e Lejbowicz (2003 ) . Per un inquadramento su Cas­ siodoro cfr. le due miscellanee a cura di Leanza ( I 986) , in particolare il con­ tributo di Pizzani ( I 9 86) sulle arti liberali, e Leanza ( I 993) , ancora l'inter­ vento di Pizzani ( I 993) sulla cultura musicale di Cassiodoro. Per la concezio­ ne isidoriana dell'enciclopedia dei saperi (PAR. 2 .5 . 2 ) cfr. gli studi classici di Courcelle ( I 95 9) e Fontaine ( I 95 9), mentre per la Musica Isidori rimando a Huglo (2003 ) . Sull'estetica musicale in Cassiodoro e Isidoro cfr. De Bruyne ( I 946, vol. I , pp. 3 5 - I 07) . Per una nuova interpretazione della frase isidoria­ na circa la non riducibilità dei suoni in segno notazionale si veda Sullivan ( I 999) , che pone il concetto in relazione alla cultura grammaticale e alla teo­ ria della memoria.

3 . La musica come scienza e come arte

nell'età carolingia (secoli Ix-x) PAR. 3. I

Per un 'introduzione filosofica alla cultura carolingia ho utilizzato Flasch (2002 , pp. 3 -3 2 ) , anche sulla figura di Alcuino, per la quale si tenga presente Wolff ( I 9 87 , pp. 69 - I o8), Leonardi (2004, pp. I 9 I -2 I 7 e 307 -2o) ; Cristiani ( I 995 , pp. I 3 -24) , Jeauneau ( I 975 ) ; Riché ( I 984) e, per l'estetica carolingia, De Bruyne ( I 946, vol. n) . Sulla musica nel contesto dell'enciclo­ pedia dei saperi cfr. ad esempio Beaujouan ( I 972) e Smits Van Waesberghe ( I 952) , sulla concezione carolingia della musica. Per la simbologia biblica de­ gli strumenti musicali cfr. lo studio di McKinnon ( I968) , mentre per i riferi­ menti a Rabano Mauro ho seguito Mainoldi (2oo i , pp. 24 I - 3 ) . Sull'enciclo­ pedismo cfr. ancora Leonardi (2004, pp. 289-306) . Sul canto gregoriano rin­ vio, per uno studio d'insieme, a Cattin ( I 99 I , cap . 3 ) ; ma cfr. Corbin ( 1 98 3 ) , Apel ( I998) , e McKinnon (2ooo) , per un nuovo inquadramento dei legami fra repertorio antico romano e gregoriano. Si veda inoltre Caldwell (2007) per la teoria dei modi. Sulla funzione del canto liturgico in rapporto con la retorica, la poesia e la grammatica cfr. Flynn ( I 999; soprattutto il cap. 2 , pp. 5 7 - I o6 , centrato sulla teoria della musica come ars poetica) , mentre per lo sviluppo della notazione musicale neumatica rinvio a Treitler ( I 984) e At­ kinson (2003 ) .

311

FILOSOFIA DELLA MUSICA

3 . 2 La ricezione del De institutione musica nel Medioevo ( PAR. 3 . 2 . 1 ) è stata oggetto di numerosi studi, in particolare ricordo Pizzani ( 1 98 ! ) , che traccia una dettagliata indagine sulla fortuna dell'opera fino all'xr secolo, e Bernhard (2003 e 2007) , il quale delinea le tre fasi della riscoperta e applica­ zione della teoria boeziana alla nascente teoria musicale. Per la formazione e i contenuti della Glossa maior cfr. Bernhard ( 1 990) e Bower ( 1 998), oltre che l'introduzione e l'apparato di commento all'edizione della stessa Glossa (Bernhard, Bower, 1 99 3 , 1 994, 1 996) . Sull'origine dei modi gregoriani e il concetto di modus nell'alto Medioevo cfr. Phillips ( 1 987) . Quanto alla fortu­ na medievale della sezione musicale delle Nozze di Marziano ( PAR. 3 . 2 . 2 ) , rin­ vio a Duchez ( 1 989) e a Teeuwen (2002 ) , nella sezione introduttiva all'edi­ zione delle glosse anonime. Per una sintesi sul tema dell'armonia delle sfere nelle stesse glosse cfr. anche Teeuwen (2007) . L'opera di commento a Mar­ ziano che ci è pervenuta, dalle glosse anonime a quelle di Scoto, di Remigio di Auxerre e di Bernardo Silvestre (queste ultime del xrr secolo) , è tradotta in italiano da Ramelli (2oo6) , con vasto commento, introduzione e biblio­ grafia. Le traduzioni italiane dei passi riproposti nel paragrafo sono mie, ma tengono conto della traduzione di Ramelli. Sulla teoria astronomica nei com­ menti a Marziano cfr. Eastwood (2ooo) . Sull'origine e gli sviluppi della se­ quenza medievale, alla quale si è fatto cenno in chiusura di paragrafo, si pos­ sono vedere i numerosi contributi della miscellanea curata da A. Ziino ( 1 992) , ma in particolare Bower (2003 ) , e Planchart (2007) per i primi svi­ luppi della sequenza e il suo legame con l'alleluia. PAR.

3 · 3 La visione concertante dell'armonia sviluppata nella filosofia eriu­ geniana ( PAR. 3 . 3 . 1 ) è esaminata da Gersh ( 1 996) quale paradigma di un ap­ proccio semantico al concetto di "armonia" nel Medioevo. Sull'estetica eriu­ geniana cfr. ad esempio Tatarkiewicz ( 1 979, pp. 1 1 9 -22) , mentre per i temi principali relativi alla sua riflessione musicale, cfr. Niemoller ( 1 998) , al quale rimando anche per la bibliografia precedente. Il commento a Marziano Ca­ pella attribuito a Eriugena ci è giunto in due diversi testi adespoti: le Anno­ tationes in Marcianum, tradite da un codice di Corbie ed edite da C. Lutz (Giovanni Scoto, 1 939), presentano un ampio commento ai primi due libri e sintetici commenti agli altri; le Glossae in Marcianum, tradite da un codice oxoniense e limitate al primo libro delle Nozze, sono edite da Jeauneau (Gio­ vanni Scoto, 1 978, pp. 9 1 - 1 84) . Sull'etimologia di Euridice cfr. Mainoldi (2007) , che propone anche una ricognizione sui principali problemi legati alla paternità e trasmissione delle Annotazioni e ai contenuti di interesse mu­ sicale. Per un'indagine più ampia cfr. Teeuwen (2002 ) , alla quale rimando anche per la musica cosmica ( PAR. 3 . 3 .2 ) . Ramelli (2oo6) presenta la tradu­ zione italiana di entrambe le glosse attribuite ad Eriugena, con ampio appa­ rato di commento, di cui ho tenuto conto per la mia traduzione dei passi presentati. PAR.

3 ·4 Sull'impulso degli studi di musica in età carolingia ( PAR. 3 ·4· 1 ) cfr. Smits Van Waesberghe ( 1 95 2 ) . Per la riformulazione dell'idea di musica umana e di armonia cosmica mi permetto un rinvio a Panti (2oo7a, pp.

PAR.

312

B IB L I OGRAFIA

65 -7 3 ) , ma cfr. Morelli (2007) , per un approfondimento focalizzato sugli au­ tori altomedievali. Per la messa a fuoco del processo di matematizzazione dello spazio acustico (PAR. 3 .4.2) ho seguito Bernhard (2007 ) . Sulla Musica disciplina di Aureliano rimando a Bernhard ( r 9 86) . Per Ubaldo di Saint Amand cfr. lo studio di Chartier ( 1 99 5 ) , mentre per l'anonimo Alia musica cfr. Chailley ( r 965 ) . Sulla prima teoria della polifonia nel IX secolo (PAR. 3 ·4·3) cfr. Eggebrecht ( r 984; alle pp. 1 3 -32 per la Musica enchiriadis) e, in sintesi, Eggebrecht ( 1 996, pp. ro-2 3 ) . L'edizione della Musica enchiriadis, de­ gli Scholica e degli altri trattati di polifonia a essi collegati è di Schmid ( r 9 8 r ) . Cfr. inoltre Atkinson ( 1990) , sulla funzione capitale della Musica en­ chiriadis per la nascita della prima teoria armonica occidentale, e Haas ( 1 998) , che la inquadra come strumento didattico, propedeutico all'ingresso al ragionamento filosofico.

e xn . Ars musica e ars cantus fra cultura monastica e scuole cattedrali

4 · I secoli

XI

PAR. 4· r Per una sintesi sulla società e la cultura fra IX e XII secolo cfr. Wolff ( r 987) e Leonardi (2004, pp. 404- 14) , mentre sulla cultura scientifica Grant ( r 9 83 , pp. 2 3 -30) e Cristiani ( 1 995 , cap. 2). Sulla cultura musicale di Gerberto d'Aurillac rimando a Sachs ( 1 972) e Huglo (2ooo) , mentre per il monocordo e il suo impiego nella teoria della musica e nell'intonazione stru­ mentale cfr. Meyer ( 1 996) . Sulla rhythmimachia cfr. Borst ( 1 990) . Sull'orga­ nizzazione dei suoni nel Dialogus de musica dello Pseudo-Oddone, e più in generale sul rapporto fra la gamma dei suoni e la dottrina della modalità nella teoria musicale altomedievale, cfr. Caldwell (2007) , centrato sul rappor­ to fra modalità bizantina, boeziana e gregoriana, e Cohen (2002 ) , il quale approfondisce il tema in Musica e Scholica enchiriadis, Alia musica e in Gui­ do d'Arezzo. PAR. 4.2 Per la figura e l'opera di Guido d'Arezzo (PAR. 4.2. r ) , oltre che per un'aggiornata bibliografia e una panoramica complessiva sulla teoria no­ tazionale, sulla modalità e sulla composizione polifonica, è assai esauriente l'introduzione di Rusconi (2005 ) alla traduzione italiana, curata dallo stesso studioso, degli scritti del musica aretino (Guido d'Arezzo, 2005 ) , che ho uti­ lizzato anche per le citazioni dalle opere. L'edizione di riferimento per il Mi­ crologus è quella di Smits Van Waesberghe, in csM 4· Per la divisione guido­ niana del monocordo cfr. inoltre Meyer ( 1 996, pp. XLI-XLVIII ) . Sulla conce­ zione del musicus e del cantar in Guido (PAR. 4.2.2) e l'interpretazione dei primi versi delle Regulae rhythmicae rinvio a Rusconi (2oo7a, 20o7b) . Sulla poetica guidoniana cfr. Pirrotta ( r 984, pp. 1 3 -2 7) ; per un'indagine sull'uso della terminologia retorica nella trattazione guidoniana della ritmica cfr. Cracker ( 1 958, pp. 1 2 -20) , mentre sulla ritmica dal IX al XII secolo rinvio a Phillips, Huglo ( r 985 ) .

FILOSOFIA DELLA MUSICA

4 · 3 La presente ricognizione sulla poetica musicale di Ildegarda di Bingen è basata su un mio contributo, Panti (2oo7b) , al quale rinvio anche per maggiori dettagli bibliografici. Per una ricognizione d'insieme sulla figura di Ildegarda, oltre al volume di Flanagan ( I 99 1 ) , segnalo l'introduzione di M. Cristiani alla traduzione italiana, a cura di M. Pereira, del Liber divino­ rum operum (Ildegarda di Bingen, 2003 ) . Cfr. anche la miscellanea curata da Burnett, Dronke ( 1 998) , di cui ricordo lo studio di Stevens ( I 998) , sulla fina­ lità liturgica del repertorio lirico ildegardiano. Fra i manuali di musica me­ dievale di impostazione storica, quello di Hughes ( I 989) pone in rilievo l'ori­ ginalità delle liriche della badessa dedicandole alcuni paragrafi. L'importanza della funzione profetica nella concezione ildegardiana del canto è oggetto d'indagine in Morent ( I 997). Cfr. anche Haas (2005 , pp. 25 9-7 I ) . Le opere di Ildegarda sono edite nella serie cccM, mentre per i testi delle liriche l'edi­ zione di riferimento è a cura di B. Newman (Ildegarda di Bingen, I 99 8) ; le traduzioni qui proposte sono mie, ma lo stralcio dall ' Epistola 2 3 segue la tra­ duzione di M. Pereira in Ildegarda di Bingen (2003 , pp. CLXIII-CLXIV ) . Alcu­ ni testi autobiografici inediti sono in Dronke ( I 984, pp. I 44-2 0 1 e 2 3 1 -64) . PAR.

PAR. 4·4 Sulla cultura delle arti e l'insegnamento del quadrivio nel XII seco­ lo cfr. Luscombe ( I 989) . L'edizione del Didascalicon di Ugo di San Vittore ( PAR. 4 -4. r ) è in PL I 76, coli. 739-83 8, con traduzione italiana a cura di Lic­ caro (Ugo di San Vittore, I 987), utile anche per un'introduzione ai contenu­ ti. Fra gli studi più recenti rinvio a Sicari ( I 99 I ) . L ' Hortus deliciarum è rico­ struito nel volume curato da R. Green (Herrade di Landsberg, I 979) ; per una lettura dell'iconografia della musica cfr. Eggebrecht ( I 996, pp. 5 7 -60) . Per la figura di Adelardo di Bath ( PAR. 4.4.2) cfr. la miscellanea curata da Burnett ( I 987a) , fra i cui contributi ricordo quello dello stesso curatore ( I 987b) , sulle sezioni concernenti la musica del De eodem et diverso e delle Quaestiones naturales. I riferimenti testuali sono tratti, con mia traduzione, da questo stesso studio, il quale offre il testo latino, con traduzione inglese, riveduto rispetto all'edizione di riferimento, che per entrambe le opere è nel­ la collana BGPM, voli. 4 e 3 I . Sulla concezione della musica in Gundissalvi cfr. De Bruyne ( I 946, vol. II, pp. I I 3 -5 ) . Per la scuola di Chartres cfr. Le­ moine ( 1 998) e Maccagnolo ( I 98o) ; sulla divisione delle scienze e il sapere scientifico in Giovanni di Salisbury cfr. Schioppetto (2oo i ) , mentre per la sua concezione della musica rinvio a Moioli ( I 998). PAR.

4 ·5

Per le considerazioni sugli sviluppi della polifonia nel

XII

secolo

( PAR. 4· 5 · I ) ho seguito in particolare la sintesi di Eggebrecht ( I 996, pp.

3 I -56) , con maggiori dettagli in Eggebrecht ( I 9 84) e Reckow ( I 99 5 ) . Gli ac­ cenni ai nova cantica, termine suggerito da Arlt ( I 986) per designare il varie­ gato patrimonio lirico di quel secolo, seguono la messa a fuoco di Della Seta ( I 995 ) , centrata sul rapporto tra poesia e musica. La cultura musicale di Abelardo, alla quale ho fatto cenno, è stata esaminata da Mews (2oo2 ) , che sottolinea in particolare il ruolo di Eloisa nel tentativo di riforma del reper­ torio innodico cistercense. Su musica e ars poetica ( PAR. 4.5 .2) nell'xi secolo cfr. Flynn ( I 999, pp. 73 -8o) , che offre anche un 'analisi puntuale dei passaggi

B IB L I OGRAFIA

di Giovanni di Affligem. Sul rapporto musica-parola, tema di notevole di­ battito fra gli storici della musica, mi limito a richiamare il volume di Ste­ vens ( I 986).

5. Il secolo

XIII .

La musica all'università

PAR. 5 . I La cultura filosofica e scientifica universitaria è messa a fuoco nei vari contributi della miscellanea curata da Bianchi ( I 997a) , mentre per l'inse­ gnamento nelle facoltà delle Arti cfr. i saggi del volume a cura di Weijers, Holtz ( I 997) . Sulla didattica della musica nelle università cfr. in particolare Vellekoop ( I 997); Maftre ( I 997 ) , centrato sul ruolo della filosofia aristotelica, e Weijers (2oo i ) . Lo studio fondamentale di riferimento per i rapporti fra musica e filosofia scolastica è di Haas ( I 982) , con approfondimenti e aggior­ namenti in Haas ( I 984, 2005 ) . Sulla ricezione del De institutione musica di Boezio nel XIII secolo cfr. Huglo ( I 99ob) e Meyer (2003 ) .

5 . 2 Per il De artibus di Grossatesta ( PAR. 5 .2. I ) h o usato l a traduzione dei trattati filosofici a cura di P. Rossi (Roberto Grossatesta, I 986) , la cui introduzione è utile per mettere a fuoco la dottrina del filosofo. L'edizione di riferimento è di L. Baur, nella collana BGPM, 9· Cfr. anche Tognolo ( I 969) . Per la Classificazione delle scienze di Alfarabi e la sua rilevanza in Occidente cfr. lo studio di Zonta (2oo i ) , mentre sulla classificazione della musica cfr. Randel ( I 976) . Su Vincenzo di Beauvais e la musica rimando a Morelli (2oo I ) , mentre la sezione del Dottrinale relativa alla divisione della musica è edita e studiata da Gemer (Vincenzo di Beauvais, I 959). Sulla dot­ trina delle subalternatio e delle scientiae mediae ( PARR. 5 . 2.2 e 5 .2 . 3 ) cfr. Ga­ gné ( I 969) ; Kibre ( I 969) e Weisheipl ( I 965 ) , con riferimento a Grossatesta, Kilwardby, Alberto Magno e Tommaso d'Aquino; mentre per la posizione della musica negli stessi filosofi cfr. Hirtler ( I 998). Per i concetti di numerus concretus e contractus rimando a Hentschel (2ooo; soprattutto pp. I 29-49 , con utile tavola comparativa dei termini) . Sulla divisione delle scienze in Kil­ wardby cfr. Alessio (2oo ! ) e Haas (2005 , pp. 43 I -5 ) . Le traduzioni dei passi presentate nel PAR. 5 .2.2 sono mie. Per Alberto Magno ( PAR. 5 . 2 . 3 ) cfr. Ber­ tolacci (2oo i ) ; per Tommaso d'Aquino cfr. Porro (2oo i ) e l'introduzione dello stesso studioso alla sua traduzione italiana dei commenti di Tommaso a Boezio (Tommaso d'Aquino, I 997) ; infine Toccafondi ( I 969) , sul concetto tomista di "arte liberale" . Sull'acustica ( PAR. 5 .2.4) cfr. Burnett ( I 9 9 I ) e Paul ( I 992) e, sulla ricezione della teoria aristotelica del suono, Wittman ( I 987). La Guida dello studente ( PAR. 5 .2 .5 ) è edita e studiata da Lafleur ( I 992). Cfr. anche la miscellanea Lafleur, Carrier ( I 997 ) , in particolare lo studio di Haas ( I 997) . Su Giovanni di Garlandia ( PAR. 5 . 2 . 6) ricordo che è ancora incerta la possibilità di identificarlo con l'omonimo coevo poeta e grammatico parigi­ no. Sull'autore e i suoi insegnamenti cfr. l'introduzione e il commento di Meyer alla sua edizione della Musica plana (Giovanni di Garlandia, I99 8 , pp. VI-x e I o I- 3 I ) , che ho seguito nei passi qui tradotti in italiano. Per Girolamo PAR.

FILOSOFIA DELLA MUSICA

di Moravia cfr. i vari contributi della miscellanea curata da Meyer ( I 99 2 ) , fra i quali quello di Boureau ( I 992) e Gy ( I 992) mettono a fuoco la presenza della dottrina t o mista nel Tractatus de musica . PAR. 5 · 3 Sulla concezione medievale del tempo ( PAR. 5 · 3 · r ) ho tenuto pre­ sente Maier ( I 983 , pp. I 5 5 -267); Porro ( I 996) , in particolare la sezione in­ troduttiva e quella dedicata al tempo discreto; la miscellanea a cura di Ca­ passo, Piccari (2ooo) , di cui ricordo i contributi di Flasch (2ooo) e Porro (2ooo) . Cfr. inoltre Parodi ( r 9 8 I ) , con ampia selezione di testi. Sugli sviluppi della polifonia a Notre Dame ( PAR. 5 . 3 .2) si può tenere presente Everist ( I 9 89). Per un'indagine sulla dottrina del tempo musicale nei teorici del XIII secolo ( PAR. 5 · 3 · 3 ) cfr. Gullo ( I 964) e soprattutto Tanay ( 1 999) . Un 'indagine puntuale sulla dottrina del tempo nella teoria musicale dei secoli XIII e XIV è nella tesi dottorale di T. Sucato, che desidero ringraziare per avermi reso disponibile parte della sua ricerca.

Per uno sguardo d'insieme sull'estetica francescana ( PAR. 5 ·4 · r ) , al­ PAR. 5 ·4 l'interno di uno studio complessivo sull'estetica medievale, cfr. Eco ( I 994, pp. 5 5 -65 ) , e l'ampia sezione di De Bruyne ( I 946, vol. 3 ) , centrata, quanto alla musica, su Tommaso di York e su Ruggero Bacone. Per gli studi che hanno messo a fuoco il tema della musica in Dante segnalo Pirrotta ( 1 984, pp. 20-36) e Puca (2oo i ) , che indaga sulla danza dei beati alla luce dell'ar­ monia delle sfere e della dottrina astronomica tolemaica. Sull'armonia delle sfere nel XIII secolo cfr. anche Ilnitchi (2002). Per l'estetica tomista ( PAR. 5 .4.2) mi limito allo studio di Eco ( I 982; I 994, pp. I I 3 -2 3 ) . Uno studio della teoria musicale in Grocheio ( PAR. 5 ·4· 3 ) , alla luce dell'aristotelismo e dell'a­ verroismo di questo autore è di Fladt ( 1 987). Il tema della materia e della forma in Grocheio è studiato da Bielitz ( I 98 5 ) . Per il concetto di "scienza pratica" nell'Etica mi limito a segnalare l'introduzione di Zanatta alla sua tra­ duzione dell'opera (Aristotele, 2oo i , pp. 5 - I I ) . Uno studio più articolato sul­ la figura e la dottrina musicale di Grocheio è di C. Mews, che ringrazio per avermi reso disponibile il testo in corso di pubblicazione. Lo studioso sta preparando una nuova edizione del Tractatus. Qui ho usato l'edizione a cura di Rohloff (Giovanni de Grocheio, I 94 3 ) .

6 . Il pensiero musicale nella tarda Scolastica

6 . r Per inquadrare nel suo insieme il dibattito tardomedievale sulla scienza ( PAR. 6. r . I ) si può fare riferimento al volume curato da Bianchi ( I 997a) , in particolare al contributo di Tabarroni ( I 997) , e a Bianchi, Randi ( I 99o) , il cui capitolo VI verte sulla scienza musicale. Sull'occamismo cfr. Bottin ( I 982 ) , e, per un sintetico inquadramento sul linguaggio mentale, Maierù (2oo2 ) . Per la fisica cfr. il volume di A. Maier ( I 98 3 ) , che ho qui utilizzato anche per i riferimenti testuali alle opere di Ockham. Per il concet­ to di Ars nova francese ( PAR. 6. 1 .2 ) , con riferimento particolare al trattato attribuito a Vitry, cfr. Fuller ( I 986) . Sul concetto di ars e scientia della musiPAR.

B IB L I OGRAFIA

ca nel XIV secolo, in relazione alla matematica musicale, si tenga presente Goddu ( 1 994) . Sulla bolla papale e la cultura musicale ad Avignone cfr. Bent ( 1 998). Per una messa a fuoco complessiva dei problemi di musica spe­ culativa, e soprattutto del concetto di consonanza nel XIV secolo, rimando a Hentschel (2ooo) . PAR. 6.2 Su Giovanni de Muris ( PAR. 6.2. 1 ) , anche per riferimenti biblio­ grafici aggiornati, cfr. l'edizione degli scritti, con traduzione francese, a cura di C. Meyer (Giovanni de Muris, 2ooo) , che ho utilizzato anche per i riferi­ menti testuali con mia traduzione italiana. Per la Musica speculativa cfr. Hentschel (2ooo , pp. 25 1 -8). Per la dottrina del tempo in Giovanni ( PAR. 6.2.2) ho seguito lo studio di Della Seta ( 1 984) , che ho tenuto presente an­ che per la messa a fuoco del pensiero teorico e del problema del tempo in Giacomo di Liegi ( PARR. 6.2.3 e 6.2 .4) . Un'indagine ampia sul contesto cultu­ rale sotteso alla concezione del tempo nell'età dell'Ars nova è in Tanay ( 1 999) ; per i testi @osofici sul tempo rimando a Maier ( 1 983 ) . Su Giacomo e la sua cultura @osofica cfr. anche Aertsen ( 1 998) e Sachs ( 1 998) , per i riferi­ menti alla Politica di Aristotele. Negli studi di Haas ( 1 982, pp. 402 - 1 3 ; 2005 , pp. 43 3 -8 e 45 5 -63), la figura di Giacomo è inquadrata nel contesto del "pla­ tonismo matematico" dell'ambiente di Oxford, cui si contrappone !"'aristote­ lismo fisico " di Giovanni de Muris, legato alla cultura degli artistae parigini. Le traduzioni dei passi citati dallo Speculum sono mie.

6 . 3 Per la definizione di Ars nova italiana cfr. Pirrotta ( 1 984, pp. 63 -79) , mentre sui principi della notazione ritmica italiana rinvio a Herlinger (200 1 ) . Sulla figura di Marchetto da Padova ( PAR. 6. 3 . 1 ) rimando a Herlinger ( 1 992) e allo studio ed edizione del Lucidarium a cura dello stesso studioso (Marchetto da Padova, 19 85 ) , che utilizzo per la traduzione dei passi qui riportati, per i quali tengo conto anche della recente traduzione italiana, con edizione Herlinger a fronte, a cura di Della Sciucca (Marchetto da Padova, 2007 ) . Sulla divisione del tono, argomento di vasto dibattito musicologico, ricordo il contributo di Herlinger ( 1 9 8 1 ) e Rahn ( 1 998) , con sintesi e ulterio­ re bibliografia nel commento di Della Sciucca alla sua traduzione (Marchetto da Padova, 2007 , pp. 1 88-90) . Su Prosdocimo e Marchetto cfr. ancora Her­ linger (2003 ) . Per la concezione del tempo musicale in Marchetto ( PAR. 6 . 3 . 2 ) , ho utilizzato l'apparato di commento di Sucato, pp. 2 1 1 -3 7 , alla tra­ duzione del Pomerium, curata da C. Vivarelli (Marchetto da Padova, 2007 ) , sul testo edito d a Vecchi in csM 6 . PAR.

6 . 4 Per una sintesi sui problemi scientifici principali nel XIV secolo cfr. ad esempio Grant ( 1 983 , pp. 3 1 - 1 1 6) e inoltre Bianchi ( 1 997b) e Tabarroni ( 1 997) per i linguaggi di misura. Per la messa a fuoco delle idee musicali in Oresme ho seguito Della Seta ( 1 988), che presenta anche il testo latino della sezione musicale del De configurationibus, edito da Clagett ( r 968) con tradu­ zione inglese e commento. Ulteriori considerazioni, centrate sulla matematica musicale in Oresme, sono in Goddu ( 1 994, pp. 103 0-9) . L'ampio studio di Taschow (2003 ) , in due volumi, mette a fuoco la fondazione matematica delPAR.

FILOSOFIA DELLA MUSICA

la fisica di Oresme e il perdurare di questo inquadramento nei secoli suc­ cessivi. PAR. 6. 5

La sintesi sul contenuto delle anonime quaestiones di musica (PAR. 6.5 . 1 ) scoperte da Murdoch ( 1 976) , tiene presente i risultati di alcuni miei studi: P anti ( r 989) , sulla paternità del testo e sui contenuti generali dell' ope­ ra; Panti ( 1 990) , centrato sull'occamismo dell'autore, e, per l'edizione della prima quaestio, Panti ( 1 992). Sul linguaggio mentale, anche con riferimento alle quaestiones, rinvio a Maierù (2002 ) . Sulla figura di Ugolino da Orvieto e la finalità della Declaratio musicae disciplinae (PAR. 6.5 . 2 ) , si tenga presente lo studio di Lockwood ( r 987, pp. 94- r r 6 ) , mentre per il rapporto con le Quae­ stiones rinvio ancora a Panti ( r 9 89). Le traduzioni dei passi sono mie e si basano sull'edizione curata da Seay in csM 7. Sulla figura, l'opera teorica e musicale di Giovanni Ciconia (PAR. 6.5 . 3 ) rinvio alla miscellanea a cura di P. Vendrix (2oo3a) , in particolare lo studio introduttivo di Vendrix (2oo3b) , e quelli di Bent (2003 ) , sulla grammatica musicale; Mengozzi (2 003 ) , sulla teo­ ria della musica, ed Herlinger (2003 ) , sul rapporto con la teoria musicale di Marchetto. L'edizione della Nova musica, e del De proportionibus, sulla quale ho basato la mia traduzione dei passi qui riportati, è a cura di Ellsworth (Giovanni Ciconia, 1 99 3 ) .

Testi citati

Le edizioni e traduzioni in italiano o in altre lingue moderne dei testi antichi e medievali sono indicate indicizzando i nomi italianizzati degli autori, come nel testo (Aristotele, Boezio, Guido d'Arezzo ecc.). Per le opere anonime è indicizzato l'editore. Non sono elencate le edizioni inserite nelle raccolte di cui si è fornita una sigla. L'anno fra parentesi si riferisce alla pubblicazione effettivamente utilizzata, in traduzione italiana se del caso, e nell'edizione più aggiornata, eccetto che per le ristampe anastatiche; sono segnalati anche data e luogo dell'edizione originale. ( 1 998) , {{Speculum musicae}} als Spiegel der Philosophie, in Hent­ schel ( r 998) , pp . 3 05 -2 1 . AGOSTI:\'0 ( 1 997) = Aurelio Agostino, Musica , a cura di M . Bettetini, Ru­ sconi, Milano. ID. (2ooo) , Le confessioni, a cura di M. Bettetini, trad. di C. Carena, Einaudi, Torino. ID. (2oo2a) = Aurelius Augustinus, De musica liber VI. A Critica! Edition with a Translation and an Introduction, by M. Jacobsson, Almqvist & Wiksel, Stockholm. ID. (2oo2b) = Augustinus, De musica} Bucher I und VI. Vom iisthetischen Ur­ teil zur metaphysischen Erkenntnis, Hrsg. von F. Hentschel, Hamburg (" Felix Meiner. Philosophische Bibliothek" , 5 39) . ID. (2oo6) = Aurelio Agostino, Tutti i dialoghi, introduzione e note d i G. Catapano, Bompiani, Milano. ALBERTO MAG:\'0 ( r 987) = Alberti Magni Physica, ed. P. Hossfeld, in Alberti Magni, Opera omnia, vol. IV, r -2 , Ashendorff, Miinster. ALESSIO G. c. (2oo r ) , Sul De ortu scientiarum di Robert Kilwardby, in d'Ono­ frio (2oora) , pp. 1 07-35 . ALFARABI ( 1 93 4) = H. G. Farmer, Al-Farabts Arabic-Latin Writings on Mu­ sic, The Civic Press, Glasgow (rist. Hinrichsen Edition Ltd., London 1 965 ) . AMBROGIO ( 1 979) = Sant 'Ambrogio, I sei giorni della creazione/Exaemeron, a cura di G. Banterle, Biblioteca ambrosiana-Città nuova, Milano-Roma. APEL w. ( 1 998) , Il canto gregoriano: liturgia} storia} notazione} modalità e tec­ niche compositive} con due capitoli dedicati al canto ambrosiano e al canto AERTSEN J. A.

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Indice dei nomi ��

Abbone di Fleury, I 5 5 Abelardo, cfr. Pietro Abelardo Adamo de la Halle, I 90 Adamo di Exeter, 2 I 7 Adelardo di Bath , I 8 I -5 , I92 Agostino d'lppona, I2, I5, I 8 , 50, 53, 5 6 , 6 I -4, 66-7 , 69-88, 90, 93 , I 06-7, I09- I I , I I 6, I I 9-20, I 26-7, I 3 I , I 40, I43, I 64, I 68, I77 , 200, 202 - 3 , 209, 2 I I , 2 I 9, 226-9, 2 3 2 , 2 3 8 , 243 , 25 I , 268-9, 272 , 274-5 Alano di Lilla, 268 Alberto Magno, 204, 2 I I -2, 226, 236, 244, 264, 268, 272 Albino , I 07 Alcuino di York, I I 3 -5 Alessandro Neckam, I 84 Alfarabi, 204-7, 220, 224, 2 3 8-9, 244 Alfredo di Sareshel, I 84 Alia musica , I 45 Alipio, I07 Alkindi, 2 3 8 Amalario di Metz, I I 9 , I27 Ambrogio di Milano, 45 , 65 , 67-8 , 70, 75-7, 8 I , 8 3 , 85 , I 68

Annotationes in Martianum (Giovan­ ni Scoto? ) , I29-30, I 3 3-4, I 3 9 Anonimo di San Emmeram, cfr. De musica mensurata Apuleio, 20, 5 0 Archimede, I 05 Aribone Scolastico, I 9 3 -5 Aristide Quintiliano, I 5 , 50, 5 6-8, I 07 Aristosseno, I 5 -6, I 8, 26, 35 , 44, 54, 57-8, 74, 89, I O I -2 , 30I Aristotele, I 7 -9 , 26-34, 4 I , 47, 5 I - 3 , 62 , 75 , B o, 87-9 I , 93-4, 96-9 , I 05 , I 09 , I77, I79, I 8 3 -5 , 200-4, 207 - I 5 , 2 I 7 -9, 225-7, 2 35-7, 2 4 I -4, 246-9 , 25 I -2 , 25 5 , 25 8-9, 2 6 I -2 , 266, 268-74, 276-8, 2 82 - 3 , 285 -7 , 2 9 I - 3 , 297 Arnaldo di Provenza, 2 I 7 Atanasio di Alessandria, 65-6, 82 Atkinson C. M. , I o4, I I 8 Aureliano di Réome, I 2 I , I 40- I , I 43 , 299 Averroè, 200, 2 36, 244-5 , 266, 268, 272 Avicebron, 2 3 8 Avicenna, 200, 204, 2 I 2 , 2 3 8 , 244, 268, 272

* L'indice comprende i nomi italianizzati di autori antichi e medievali, i titoli di opere anonime e i nomi degli studiosi citati nel testo. Non sono indicizzati i nomi degli studiosi citati nella Bibliografia, alle pp. 3 07 - 1 8 , i cui studi sono elencati nei Testi citati, alle pp. 3 1 9 - 36.

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FILOSOFIA DELLA MUSICA

Barker A. , 26 Bartolomé Ramos de Pareja, I 62 Basilio di Cesarea, 2 3 8 Beda il Venerabile, I o6 Bent M., 3 0 I Beonio Brocchieri Fumagalli M . T. , 255 Bernardo di Chartres, I 84 Bernardo Silvestre, I70 Bernart de Ventadorn, I 90 Bernhard M. , I I 9-2 I , I 4o, I 44 Bernone di Reichenau, I42, I 5 5 , 2 99 Bertolacci A. , 2 I 2 Bertran de Born, I 90 Bettetini M., 7 3 Biagio Pela cani da Parma, 2 9 I Bianchi L. , 286 Bibbia, Sacre Scritture, 62 -4, 67, 69, 82 -5 , I 06, I08, I I I , I I 5 , I 2 9, I42, I 76, I 8 I , I 84-5 , I 8 8, 20I , 239 E/esini, I 7 8 Proverbi, I o6 Salmi, 65 -6, 68, 8o-2 , 84-5 , I I 6, I 20, I 74-5 Sapienza, 70, 287 Boezio, I2, I 8 -2o, 3 5 -6, 5 I - 3 , 5 5 , 57, 86- Io6, I 09- I 2 , I I6, I I 8 -2 2 , I 24, I 3 3 , I 3 7 , I 3 9-45 , I47-8, I 5 0, I 5 2 , I 5 5 -8, I 68, I 7 3 , I 77 -9, I 8 I -5 , I 99 , 2 0 I - 3 , 205 , 207, 209 - I 2 , 2 I 8, 220-2 , 224-6, 245 , 247-8, 2 5 5 , 2 5 7 - 8 , 26 I -2 , 267 , 269, 27 I -2 , 276-7 , 2 8 I -2 , 285 , 289, 29 I , 295 , 297-3 0 I , 303 Bottin F. , 254 Bower C., I 20- I Burnett C. , I 82 , I 84

Calcidio, I9, 39-48 , 50, 5 5 -7, I2o- I , I 26, I 3 7 , I 47-8, I 5 I , I 56-7, I 8 I , 22 I , 300 Caldwell J., I 2 2 Cangrande della Scala, 240

Carlo n il Calvo, imperatore, I 2 3 -4 , I28 Carlo Magno, I I 3 -4, I I 6, I24 Cassiodoro, I 05 - I O , I I4, I I 9-2o, I 40-I Cattin G., I 27 Censorino, I 5 , 3 5 , I 07 Chadwick H. , 8 8 Chamberlain D. S . , 88 Cicerone, I8, 20, 46, 48, 52, 62 , 9 I , 95 , I 09 Clemente Alessandrino, 6 I -2 Copernico, cfr. Niccolò Copernico Courcelle P. , 45 Cristante L . , 54-5 , 59-60 Cristiani M. , I4, 5 3 , 72

Damene di Oa, I 7 Daniele di Morley, I 84 Dante Alighieri, 2 3 7, 240 De musica mensurata (Anonimo di San Emmeram) , 2 3 3 , 246 Della Seta F. , I4, I 90, 262, 266, 268, 275 , 288-90 Dia, contessa de, I 90 Dialogus de musica (Pseudo-Oddo­ ne) , I 45 -6, I 5 6-8, I 64 Dionigi pseudo-Areopagita, I 2 8-9, I 3 I -2 , 2 3 8 Domenico Gundissalvi, I 82, I 84, 206 Donato, grammatico, I I 8 , I 95 Dronke P., I 7 I Dunchad, cfr. GloSJae in Martianum Duns Scoto, cfr. Giovanni Duns Scoto Duoda, I 69 Dyer J . , 65

Eckhart, 268 Eggebrecht H. H. , I 46, I 89 , I 96-7 Eloisa, I 69 Enrico di Gand, 226-7, 268, 272-3

I :-.J D I C E D E I N O M I

Epicuro, I 8 I Ermanno di Reichenau (Ermanno Contratto) , I 5 5 Euclide, 5 2 , 9 9 , Io3, I 05 , I07, I 8 I , I 99-200, 26 I , 287

Filippo de Vitry, 256-7, 287, 289 Filippo il Cancelliere, 2 3 0 Filolao, I 6-7 Filone Alessandrino, 6 I Flamant J . , 48 Flasch K. , I I4, 226 Falchetto di Marsiglia, I90 Francesco d'Assisi, 2 3 9 -40 Francesco Petrarca, 276 Franco da Colonia, 230, 234, 267 , 2 83 Fulberto di Chartres, I 2 2 , I 5 5 Fulgenzio, I 3 0

Galileo Galilei, 2 87 Gallo F. A. , 223 Gaudenzio, I 07 Gerberto d' Aurillac (Silvestro II, papa) , I 5 3 -8 Gérold T. , 6 I Giacomo d i Liegi, 2 3 7 , 257-9, 262 , 267 -75 , 284, 29 I , 296 Gilson É ., 62 , Io6, I I4 Giordano Nemorario, 269 Giovanni, evangelista, 6 I, 64 Giovanni Buridano, 25 5 , 2 9 I -2 Giovanni Cassiano, 64-6 Giovanni Ciconia, 298-303 Giovanni Cotton, cfr. Giovanni di Affligem Giovanni Crisostomo, 67 Giovanni Damasceno, 269 Giovanni de Grocheio (di Grouchy) , 2 3 I , 2 3 5 -7, 243-9, 300 Giovanni de Muris, I 87, 237, 256-67, 269-7 3 , 282-4, 296-7

Giovanni di Mfligem (Giovanni Co t­ ton) , I94-6 Giovanni di Garlandia, 2 I 9 -2 3 , 225 , 2 30-5 , 237, 267 Giovanni di Salisbury, I 8 I , I 85 -9, I 92 - 3 , 260- I , 270 Giovanni Duns Scoto, 25 I Giovanni Scoto Eriugena, I 2 3 , I 2 8-39, I42, I49, 2 4 I Giovanni Tavelli da Tossignano, 2 96 Giovanni XIX, papa, I 6o- I Giovanni XXII, papa, 256 Giraldo del Galles (Giraldo Cam­ brense) , I 89, I 9 I , I 93 Girolamo, santo, I 66 Girolamo di Moravia, 204, 206, 223-6, 234-7, 246 GloJSa in Martianum Capellam ( Gio­ vanni Scoto? ) , I 29, I 3 3 -9 , I 5 I Glossa maior in Institutionem musi­ cam Boethii, I I 8-22 , I 4 I , I43 GloJSae in Institutionem musicam Boethii (Pseudo-Grossatesta) , 2 I 6-7 GloJSae in Martianum Capellam (Pseudo-Dunchad; Pseudo-Marti­ no di Laon) , I22-9, I 3 9 Glosulae Prisciani, I 8 4 Gregorio Magno, papa, 6 9 , I I 7 , I 66 Guglielmo di Aquitania, duca, I 90 Guglielmo di Champeaux, I 76 Guglielmo di Clifford, 2 I 7 Guglielmo di Conches, I 84-5 Guglielmo di Hirsau, I 55 Guglielmo di Moerbeke, 27 Guglielmo di Ockham , 29, 252-5 , 262 , 266-8, 270, 2 7 3 , 286, 2 9 I - 3 , 298 Guglielmo Heytesbury, 287 Guida dello studente (Barcellona, Ri­ poli Io9), 2 I 8-9, 222, 224 Guido d'Arezzo, I05 , I 46, I 5 3 , I 5 6 , I 5 8-69, I 7 I , I 7 8 , I 8 3 , I 92 , I 94-5 , 209, 220-2 , 277, 299-30I Gundissalvi, cfr. Domenico Gundis­ salvi

339

FILOSOFIA DELLA MUSICA

Hamesse ]. , 2 83 Handschin J., r96 Hardewinus , r 86 Herlinger I., 277, 28o, 3 0 1 Herrade d i Landsberg, r 69 , 1 75 , 1 79-8 1 Hughes A. , 1 70 Huglo M. , r r r

Ilario di Poitiers, 65 , 85 Ildegarda di Bingen, 1 2 3 , r 69-75 , 1 77, 1 79, 240 Isidoro di Siviglia, ro6, ro8- r 2 , I 1 4-5 , I 19 -20, 127, 1 2 9 , 140, 1 79 , 2 2 0 , 2 6 9 , 2 7 7 , 299

Jaufre Rudel, r 90 Jeffery P., 66 Jutta di Spanheim, 1 70

Lafleur C., 2 r 8 Lamberto (Maestro Lamberto, Pseu­ do-Aristotele) , 204, 206-7 , 2 3 2 -3 , 267 Lemoine M. , r 8 5 Levi ben Gerson, 257 Lockwood L., 296-7 Ludovico il Pio, re dei franchi, 1 24

Macrobio, 1 9-20, 45-50, 5 5 , 62 , 86, 88, 1 24, 140, r 8 r , 269, 279 Maestro Lamberto, cfr. Lamberto Maier A. , 227, 25 3 , 264 Maierù A. , 2 9 1 Mainoldi E . S., r 3o- r Marchetto da Padova, 272, 275 -85 , 2 95 , 3 0 ! -2 Martino di Laon , cfr. Glossae in Martianum Marziano Capella, r 2 , 1 9 , 5o-6o, 62 -3, 7 1 , 7 4, 86, 88, 95, 1 07, I I O ,

r r 8-2 r , 1 2 3 -6 , r28 -3o, 1 3 3 -4, 1 3 9 , 1 43 , r 8 r -2 , r 85 , 232 Mauro L., 276 Mesino de' Codronchi, 291 Metrologus, 1 95 Meyer C., 40, 44, 22 1 Michele di Massa, 254 Morelli A. , 1 4 1 -2 , 2 1 5 Murdoch J. , 2 9 1 Musica Enchiriadis, 1 3 8, 140, 1 46-5 2 , 15 8-9, r64, r66-7, 1 9 1 , 1 94, 299-300 Musica Isidori, r r r Muziano, ro6

Niccolò Copernico, r 3 9 Nicola Oresme, 285 -9 1 , 294 Nicomaco di Gerasa, r 8, 20, 27, 3 5 -9, 4 1 , 5 1 -2 , 57, 87-92 , 94-5 , 98-9, ! 05 -6, 245 Notkero Balbulo, r 2 8

Oddone, cfr. Dialogus de musica Oddone di Cluny, 1 5 3 Omero, r 6 Onorio III papa, 2 3 9 Organum " de Lafage" , r 96 Organum "di Lovanio " , r 9 5 Organum "di Montpellier" , 195 Organum "di Parigi" , 152 Ottone III, imperatore, 1 5 5 , 1 5 8

Padri della Chiesa, 45 , 6 r , 63-9, 86, ro8, r r6, r28, 1 74, r 88, 2 3 8 , 269 Panti C., 2 1 6-7, 222, 29 1 -4, 296, 298 Paolo di Tarso, 6r Paolo Diacono, r r6, r 6 r Parodi M. , 2 2 8 , 2 5 3 , 255 Payne T. B., 230 Peire Cardenal, r 90 Petrarca, cfr. Francesco Petrarca Philosophica disciplina , 2 1 7

I :-.J D I C E D E I N O M I

Pietro Abelardo, I 76, I 85 -6, I 90, I 99 Pietro d'Abano, 34, 276 Pietro Lombardo, 2oi Pipino III il Breve, re dei franchi, I I3 , I I6 Pirrotta N. , I 68-9, I 94 Pitagora/Pitagorici, I 6-2o, 2 3 , 25 -6, 3 5 -9 , 42, 47 , 52, 54, 72, 75 , 87 -90, 98-9, I O I -2 , I 05 -6, I I I - 2 , I 2 I , I 24, I42 - 3 , I 5 8 , I68, I 8 3 , 206, 225 , 245 , 247, 260- I , 276-8 Pizzani U., I 07 Pizzolato L. F. , 73 Platone, I I, I 7 -26, 28, 34-5 , 3 9-49, 52, 5 5 , 65 , 68, 73, 87, 90, 92-6, I 05 , I 09, I I I , I I 4, I I 6, I 2 I , I 24, I 26, I 39 , I 5 I , I 79-8 I , I 83 -4, I 87-8, I93, 2 I 7 , 22 I , 226, 245 , 247-8, 268-9, 279, 287, 303 Plinio il Vecchio, 52, 95 , I 3 6, I 85 Platino, 40, 5 5 , 70, I 3 I Plutarco, 20 Plutarco, pseudo (De musica) , I 6 , 26, 3 5 Porfirio, 2 0 , 40, 4 7 , 9 I , I I I , 268-9 Porro P. , 2 I 2 , 227 Prisciano, I 84 , I 95 Problemi (Pseudo-Aristotele) , 27, 3 3 -5 , 276 Proda, 47 Prosdocimo de' Beldemandis, 277, 280- I , 2 85 , 30I Pseudo-Aristotele, cfr. Lamberto Pseudo-Aristotele, cfr. Problemi Pseudo-Dionigi, cfr. Dionigi pseudoAreopagita Pseudo-Oddone, cfr. Dialogus de musica Pseudo-Plutarco, cfr. Plutarco, pseudo Puca A. , 24I

Quaestiones musicae (Paris, 7 3 7 2 ) , 29 I -8 Questioni salernitane, I 84

BNF,

Rabano Mauro, I I 5 -6 Ramelli 1 . , 5 5 , I 24-5 , I 2 7 Randel M . , 205 Reginone di Priim, I 2 I , I 40-I Remigio di Auxerre, I23, I 2 7-8, I 3 I , 277, 299 Riccardo, vescovo di Chartres, I 86 Richter L. , 48 Roberto Grossatesta, 202-4, 207-I I , 2 I 3 , 2 I 6, 2 I 8 , 224, 226, 2 37-8, 244, 260-2 , 2 87 Roberto Kilwardby, 207 , 209- I I , 2 I 8, 224, 226, 244, 267-9 Rodolfo il Glabro, I54 Rosvita di Gandersheim, I42 , I 69 Rufina, I07 Ruggero Bacone, 2 I 7 , 2 3 7 , 2 3 9-40, 242 , 262, 287 Rusconi A. , I 6 I -2 , I65

Sachs K.-J., I 5 7 Schmid H . , I47 Scholica enchiriadis, I 5 I -2 , I 67 Seay A. , I 96 Sifante da Ferrara, 276 Sigieri di Brabante, 272 Simplicio, 269 Socrate, I I, I 8o Salino, 5 2 Stabile G . , 36

I 5 5 -6,

Tabarroni A., 255, 2 6 I Teeuwen M. , 48, 95 , I 2 3 , I 25 -6 Teodaldo, vescovo di Arezzo, I 6o Teodorico, re degli ostrogoti, 87, I 05 Teodorico di Chartres, I 84-5 Teodorico di Vriberg, 268 Teofrasto, 54 Teone di Smirne, 20 Tertulliano, 64-5 Timeo di Locri, 20

34 I

FILOSOFIA DELLA MUSICA

Tolomeo Claudio, 1 5 , 35 , 89, 92 , 1 0 1 -2 , 1 04-5 , 1 07, 1 99 -200, 241 Tommaso Beckett, 1 88 Tommaso Bradwardine, 286-7, 2 9 1 Tommaso d'Aquino, 2 0 1 , 204, 2 1 1 -4, 222-8, 2 3 5 -6, 240-3 , 246, 2 6 1 , 264, 270, 272, 274 Tommaso da Celano, 239 Tractatus de successivis, 254

Ubaldo di Saint Amand, 1 44, 299 Ugo di San Vittore, 1 75 -9, 1 8 1 , 1 85 , 202 Ugolino da Orvieto, 29 1 -5 Ulrico di Strasburgo, 268

Vanni Rovighi S. , 78 Varrone, 1 8 , 50-2 , 106-7, 1 85 Vincenzo di Beauvais, 202, 204-7 , 2 1 5 , 224, 244 Volmaro, monaco, 1 70

Walter Odington, 206, 225 , 2 3 2 , 237 Wicker J.-F. , 40 Witelo, 287

Yudkin J., 2 3 3

Zanoncelli L. , 3 6 , 3 8-9

342

FILOSOFIA DELLA MUSICA

Tolomeo Claudio, 1 5 , 35 , 89, 92 , 1 0 1 -2 , 1 04-5 , 1 07, 1 99 -200, 241 Tommaso Beckett, 1 88 Tommaso Bradwardine, 286-7, 2 9 1 Tommaso d'Aquino, 2 0 1 , 204, 2 1 1 -4, 222-8, 2 3 5 -6, 240-3 , 246, 2 6 1 , 264, 270, 272, 274 Tommaso da Celano, 239 Tractatus de successivis, 254

Ubaldo di Saint Amand, 1 44, 299 Ugo di San Vittore, 1 75 -9, 1 8 1 , 1 85 , 202 Ugolino da Orvieto, 29 1 -5 Ulrico di Strasburgo, 268

Vanni Rovighi S. , 78 Varrone, 1 8 , 50-2 , 106-7, 1 85 Vincenzo di Beauvais, 202, 204-7 , 2 1 5 , 224, 244 Volmaro, monaco, 1 70

Walter Odington, 206, 225 , 2 3 2 , 237 Wicker J.-F. , 40 Witelo, 287

Yudkin J., 2 3 3

Zanoncelli L. , 3 6 , 3 8-9

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