Filosofia della logica. Nominallsmo e realismo nella logica contemporanea [1 ed.]

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Hilary Putnam

Filosofia della logica Nominallsmo e realismo nella logica contemporanea

JSEDI Istituto Editoriale Internazionale Milano

Titolo originale Philosophy 01 Logic - Editore originale Harper & Row, Publishers, New York, Evanston, San Francisco, London - Traduzione dal­ l'inglese di Donatella Cagnoni. Copyright © 1971 by Hilary Putnam - Copyright © 1975 by ISEDI Istituto Editoriale Internazionale s.p.a. via Paleocapa 6 - (20121) Milano - Italia - I diritti di traduzione, di adattamento e d i rip roduzione, totale o parziale e con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le riproduzioni fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi. Prima edizione italiana:

marzo 1975.

Indice

Introduzione

all'edizione italiana, di Donatella Cagnoni

.

9

Nota bio-bibliografica

21

Prefazione

25

1.

Che cos'è la logica

27

2.

Il dibattito nominalismo-realismo

31

3.

Il dibattito nominalismo-realismo e la logica

41

4.

Logica contro matematica

47

5.

L'inadeguatezza del linguaggio nominalistico

49

6.

Predicativismo contro impredicativismo nelle concezioni di "insieme" .

55

7.

Quanta teoria degli insiemi è realmente indispensabile per la scienza?

61

8.

Argomentazioni di necessità

65

9.

Complicazioni

77

non considerate

Introduzione all'edizione italiana

Il saggio di Hilary Putnam che viene qui presentato si in­ serisce in un dibattito che ha interessato nel corso di questo se­ colo un buon numero di filosofi e logici soprattutto statunitensi. La questione che è al centro del dibattito si presenta come una riformulazione, nell'ambito della problematica generale posta dagli sviluppi della logica, dell'antica discussione circa l'esisten­ za di "entità astratte". In che senso l'assunzione o meno dell'esistenza di tali entità interessa la logica? Come Putnam spiega dettagliatamente nel primo capitolo, uno degli scopi fondamentali della logica, fin dai tempi di Aristotele, è stato quello di caratterizzare le infe­ renze valide. Il problema di stabilire che cosa fa sì che un'in­ ferenza sia valida può ammettere, e storicamente ha ammesso, risposte varie e talvolta contrastanti, risposte che individuano formulazioni spesso molto differenti dei principi che stanno die­ tro tali inferenze. Ora, l'accettare o meno entità astratte costi­ tuisce uno degli elementi che possono portare a differenziazio­ ni nell'interpretazione di tali principi. Prendendo un esempio da Putnam, se la validità dell'inferenza "tutti gli uomini sono mortali, tutti i mortali sono insoddisfatti, quindi tutti gli uo­ mini sono insoddisfatti", viene fatta dipendere dalla transiti­ vità della relazione di inclusione tra classi (rispettivamente la classe degli uomini, dei mortali, degli insoddisfatti), l'accettare entità astratte, come le classi appunto, sembra divenire essenziale. L'obiettivo di Putnam, in questo saggio, è quello di prendere posizione nel dibattito, mostrando come l'assunzione che il "reali­ sta" fa dell'esistenza di queste entità sia pienamente giustificabile in vista delle caratteristiche di scienze come la logica, la fisica, la matematica e di mostrare come la posizione "nominalista" di rifiu­ to di tali entità risulti insostenibile ad una attenta analisi. Putnam non si propone né di fare un panorama delle diverse opinioni su questo problema, né di esplicitare interamente l'articolazione che

lO

Donatella Cagnoni

le posizioni nominalista e realista hanno ricevuto dai loro prin­ cipali rappresentanti, né, tantomeno, di esaurire con la trattazio­ ne di questo problema tutte le questioni che si possono racco­ gliere sotto il titolo Il filosofia della logica". Penso sia opportuno insistere su quest'ultimo punto (che Putnam sottolinea d'altra parte nella conclusione): infatti è sen­ z'altro vero che questo particolare dibattito si riconnette a pro­ blemi Il consacrati " come filosofici da tutta una tradizione di pensiero. Ma è anche vero che uno degli aspetti più interessanti della ricerca logica, negli ultimi cento anni, è l'aver posto alla riflessione filosofica, soprattutto in connessione con la ricerca attinente all'attività matematica, problemi nuovi e in ogni modo non riconducibili a schemi standardizzati. In sostanza, se uno degli scopi fondamentali della logica è, come si diceva, la carat­ terizzazione delle inferenze valide e se l'accettare ontologie dif­ ferenti porta a dare risposte differenti a questo problema, non bisogna d'altra parte dimenticare che proposte e risultati tra i più fecondi che siano stati dati a questo proposito, si riconnet­ tono a problemi epistemologici di altro tipo. Accennerò a due esempi che ritengo abbastanza significativi. Il primo riguarda il dibattito tra intuizionisti e formalisti svi­ luppatosi nell'ambito della problematica sui fondamenti della matematica a partire dall'inizio del secolo 1. Le due scuole hanno dato risposte diverse e entro certi limiti contrastanti cir­ ca la delimitazione delle inferenze valide. Ora, il motivo di fon­ do di queste differenziazioni si può individuare nella diversa con­ siderazione dei rapporti tra logica e matematica e nella diversa concezione dell'attività matematica stessa. Questo ha portato ad un'analisi molto profonda dei problemi legati all'inferenza: in­ ferire ad esempio l'esistenza di un ente matematico dotato di una certa proprietà, vuole dire esibire una Il costruzione" di que­ sto ente? È questa l'unica giustificazione della validità di un'in­ ferenza del genere oppure tale validità è pienamente giustificata qualora l'assunzione della non esistenza di un simile ente porti a un assurdo? E che rapporti esistono tra questi due tipi di giustificazione? I risultati (a volte anche negativi), ottenuti cer­ cando di rispondere a domande del genere, hanno costituito un l Per uno studio dettagliato di questi problemi si veda ad esempio: CORRADO MANGIONE, "La logica nel ventesimo secolo", cap. XIII, voI. VI della Storia del pensiero filosofico e scientifico di LUDOvico GEYMO­ NAT, Garzanti, Milano, 1972, e la bibliografia indicata nello stesso volume.

Introduzione all'edizione italiana

11

enorme passo avanti nella comprensione delle strutture dimo­ strative del pensiero. Altro esempio: la delimitazione delle inferenze valide è stata tracciata attraverso l'elaborazione di " calcoli logici " in almeno due modi profondamente diversi. Da un lato abbiamo calcoli logici del tipo di quelli elaborati in particolare da Frege, Russell, Hilbert, costituiti da un insieme di " principi" e di " regole " com­ pleto, cioè tale da permettere di dedurre ogni formula valida. Dall'altro lato abbiamo calcoli logici che non solo risultano com­ pleti, ma sono basati su un insieme di regole con le quali si ritiene di individuare i procedimenti " naturali " di inferenza. Questi ultimi, noti come "calcoli alla Gentzen", caratterizzano l'ambito delle inferenze valide non solo perché permettono di derivare tutto ciò che si ritiene valido, ma anche perché la forma delle dimostrazioni in questi calcoli si s vi l uppa, per così dire, secondo il percorso delle inferenze intuitive. Ora, i cal­ coli alla Gentzen si presentano oggi come una vera e propria analisi della nozione di dimostrazione, capace di enuclearne le caratteristiche più generali consentendo quindi una maggiore do­ minabilità delle teorie. Possiamo ora domandarci come si colloca il dibattito anto­ logico nel quadro estremamente vario e ricco di motivazioni differenti cui abbiamo cercato di accennare. Indubbiamente uno degli aspetti principali del dibattito è costituito dall'analis i della nozione di validità che viene fatta nell'ambito della semantica tarskiana. II concetto di verità, e quindi di validità, è analizzato da Tarski sulla base della nozione di " interpretazione " : inter­ pretare un linguaggio logico vuoI dire definire un insieme non vuoto, detto " dominio" dell'interpretazione e una funzione che assegni ai " simboli specifici " del linguaggio individui, relazioni e funzioni opportune del o sul dominio 2. Come si vede la 2 Non po tend o qui entrare in dettaglio rimandiamo per una defi­ nizione rigorosa di queste nozioni a : E. MENDELSON Introduction to Mathematical Logic, Van Nostrand, Princeton, 1963 (trad. it. Intro­ duzione alla logica matematica, Boringhieri, Torino, 1972); M.L. DALLA CHIARA SCABIA, Logica, ISEDI, Milano, 1974; A. TARSKI, "The semantic conception of truth, and the foundations of semantics", in Philosophical and Phenomenological Research, IV, 1944, ripubblicato in Readings in Philosophical A nalysis, a cura di H. FEIGL e W. SELLAR S, Appleton­ Century-Crofts, New York, 1949 (trad. it. La concezione semantica della verità e i fondamenti della semantica in Semantica e filosofia del linguaggio, a cura di L. LINSKY, Il Saggiatore, Milano, 1969). ,

"

",

12

Donatella Cagnoni

definizione di Tarski è data nella teoria degli insiemi ed è quin­ di basata essenzialmente su nozioni che fanno riferimento pro­ prio a quelle entità astratte che erano in discussione. :B soprat­ tutto da questo punto di vista ontologico che, nell'ambito del­ l'empirismo logico, questa definizione di verità ha suscitato le maggiori perplessità, in particolare dopo che Carnap riconobbe i limiti di una trattazione puramente sintattica e convenne con Tarski circa la necessità di affiancarle una dimensione seman­ tica. Come Carnap stesso ricorda: " Recentemente il problema delle entità astratte è risorto a proposito della semantica, la teoria del significato e della verità. Alcuni teorici della seman­ tica dicono che certe espressioni designano certe entità e tra queste entità includono non solo le cose materiali e concrete, ma anche entità astratte, come le proprietà designate dai pre­ dicati e le proposizioni designate dagli enunciati. Altri di fronte a questo modo di procedere obiettano vivacemente che esso viola i principi fondamentali dell'empirismo e ci riconduce ad una ontologia metafisica di tipo platonico " 3. D'altra parte, Carnap tende a mostrare come il dibattito riguardi uno pseudoproblema. :B necessario, egli sostiene, distin­ guere tra due tipi di questioni riguardanti l'esistenza di entità: questioni interne espresse da domande del tipo " esiste un nu­ mero maggiore di 100.000?'' e questioni esterne espresse da domande del tipo " esistono numeri? ". Le prime si pongono al­ l'interno di una struttura linguistica scelta per parlare, nel no­ stro esempio, del sistema dei numeri e possono venire risolte in base alle regole scelte in tale struttura. Le seconde non sono domande di carattere teorico in quanto riguardano l'accettazione o meno di una struttura linguistica . Putnam obietta a questo proposito che Carnap in effetti non offre un criterio molto chia­ ro per distinguere quando una questione deve essere conside­ rata interna o esterna 4. Inoltre, come osserva in questo saggio, senza rifarsi direttamente a Carnap, ma parlando in genere del convenzionalismo, se la scelta di una struttura linguistica è so­ stanzialmente basata, come è in Carnap, su criteri di conven­ zione e se quindi questioni interne a tali strutture hanno una 3 P. CARNAP, "Empiricism, semantics and ontology", in Revue internationale de Philosophie, XI, 1950 (trad . it. in LINSKY, op. cit.). 4 Si veda l'introduzione a Philosophy 01 mathematics, a cura di

BENACERRAF e PUTNAM, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, New Jersey,

1964.

Introliuzione all'edizione italiana

13

risposta in base all'apparato assiomatico della struttura stessa, questo vuole dire che vi è una qualche nozione di "implicazione " che permette di passare dai principi accettati per convenzione alle varie asserzioni che vengono dimostrate ; ma " la nozione di implicazione (validità del condizionale) " obietta Putnam " ha bisogno, come si è visto per essere definita, della teoria degli in­ siemi ; così il convenzionalismo, anche se corretto, presuppone la quantificazione su entità astratte come qualcosa di intelligibile indipendentemente dalla nozione di convenzione " s. Ma, se tentare di ridurre il problema ontologico a uno pseudoproblema, confinando le alternative a una scelta con­ venzionale, presenta, come si è visto, notevoli difficoltà, in che termini esso va affrontato? Nell'impossibilità di fare qui una rassegna delle molteplici voci che si inseriscono in questo di­ battito, cercheremo di precisare qualche aspetto delle posizioni di Quine e di Goodman che nei loro numerosi scritti ne offrono analisi tra le più significative e ai quali nel suo saggio Putnam fa esplicito riferimento. Guine e Goodman sono, tra l'altro, gli autori dell'articolo "Verso un nominalismo costruttivo " 6 che inizia con la dichia­ razione programmatica "Noi non crediamo alle entità astratte " ; l'introduzione a questo articolo può essere considerata come il " manifesto " del nominalismo. Come Quine ha sempre messo in evidenza, iI criterio che permette di accertare e distinguere gli impegni ontologici di una teoria è costituito dall'analisi dei valori che assumono le variabili quantificate del linguaggio del­ la teoria. "Essere è essere il valore di una variab i le " 7, scrive Quine, in quanto è dal dominio di variabilità delle variabili quantificate, cioè da ciò su cui assumiamo esse possano scor­ rere, che dipende il valore di verità della proposizione quanti­ ficata. "In generale " scrive Quine "entità di un certo tipo ven­ gono riconosciute da una teoria se e solo se si devono annove5 6

Ibid., p. 68. "Steps toward a constructive nominalism", in Journal 01 symbolic logic, XII, 1947, pp. 105-22 (trad. it. "Verso un nominalismo costrut­ tivo", in La filosofia della matematica, a cura di A. CELLUCCI, Laterza, Bari, 1967, pp. 269-98). 7 W.V. QUINE, "On what there is", in Review 01 Metaphysics, II, 1948; saggio inserito nella raccolta From a logica l point 01 view, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 196 1 (trad. it. "Su ciò che vi è", in Il problema del significato, a cura di E. MISTRETIA, Ubal­ dini, Roma, 1966, p. 16).

14

Donatella Cagnoni

rare alcune di esse tra i valori delle variabili perché le asser­ zioni siano vere " 8. Non possiamo qui soffermarci ad esaminare a fondo le mo­ tivazioni e gli esiti dell'assunzione di un tale criterio; vogliamo però osservare esplicitamente come dietro a questa scelta stia senz'altro l'analisi del concetto di esistenza come "proprietà di funzioni proposizionali" fatta da Russell e utilizzata soprattutto nell'ambito della sua " teoria delle descrizioni" 9: in effetti die­ tro il dibattito di cui ci occupiamo sta un certo modo di com­ prendere il logicismo e la filosofia dell'atomismo logico russelliani da parte dell'empirismo logico; cercheremo più avanti di met­ terne in luce almeno un aspetto a proposito della teoria delle classi. Ora, se il criterio di impegno ontologico è quello descritto sopra, la rinuncia a entità astratte andava portata avanti me­ diante la costruzione di un linguaggio nel quale le variabili non assumessero come valori enti astratti e nel quale i predicati non fossero spiegabili che nei termini di individui concreti. Nel­ l'introduzione all'articolo a cui si accennava, Quine e Goodman motivano questa determinazione sulla base di un'intuizione filo­ sofica che non potrebbe essere spiegata con " niente di più fon­ damentale" lO e portano a conferma " a posteriori" di questa intuizione il fatto che il principio di comprensione che sta alla base del l avoro di Cantor e Frege, e che afferma l esistenza in corrispondenza di ogni proprietà P di una classe di tutti e soli quegli enti che godono di P, è risultato contraddittorio. Questo principio è infatti all'origine di buona parte delle antinomie scoperte tra la fine dell' '800 e l'inizio del '900, tipica tra le quali l'antinomia di Russell. A questo proposito è forse il caso di precisare, in riferi­ mento a quanto si diceva sopra, in che senso le posizioni delle varie scuole sorte nell'ambito della problematica sui fonda­ menti della matematica, sollevata dalla scoperta delle antinomie (mi riferisco qui in particolare alla scuola formalista e intui'

8

From a logical point 01 view, cito (p. 96 della trad. it.). Si veda in particolare Logic and knowledge, Allen and Unwin, London, 1956 (trad. it. parziale in Logica e conoscenza, Longanesi, Mi­ lano, 1961), e Introduction to Mathematical Philosophy, Allen and Un­ win, London, 1919 (trad. it. Introduzione a lla filosofia matematica, Newton Compton Italiana, Roma, 1970). lO Op . cito (p. 270 della trad. it.). 9

15

Introduzione all'edizione italiana

zionista), hanno comportato che venissero considerati come le­ gittimi ambiti diversi di entità. Infatti tale divergenza, a differenza di quanto si può dire nel caso dei nominalisti, non è per queste posizioni il punto di partenza ed è bene cercare di chiarire in che senso apparenti somiglianze nascondano tipi d'approccio al problema comple­ tamente differenti. Ad esempio, nel caso degli intuizionisti, essi accettano come legittime entità che sono senz'altro " più vicine" a quanto è accettato da un nominalista piuttosto che da un realista. Ma, un conto è non accettare un'entità perché non ri­ conducibile in qualche modo a oggetti concreti e un conto è non accettarla perché non è possibile riportarla all'intuizione mediante la comprensione della sua costruzione. In quest'ultimo caso il punto di partenza non è il rifiuto o meno di un'entità sulla base di una concezione " tradizionale" di teoria della co­ noscenza, ma piuttosto un'analisi degli strumenti basilari di co­ noscenza delle verità matematiche : il rifiuto di certe entità è soltanto una conseguenza di questo approccio di fondo . Quanto poi alla posizione formalista, che viene talvolta ravvicinata, sia pure con cautela, a quella nominalista, si può dire che il punto di partenza è in questo caso la comprensione dell'infinito vista come possibilità di individuare e circoscrivere l'uso di procedimenti infinitari nei metodi matematici e, almeno secondo i progetti di Hilbert, di dimostrarne l'eliminabilità a favore di quelli finitari. Ma tutto ciò non era certo dovuto al fatto che l''' antologia" dei formalisti non fosse sufficientemente ricca, ma piuttosto al fatto che la comprensione delle inferenze matematiche richiedeva che si esplicitassero il più possibile i diversi contenuti e assunzioni. Malgrado quanto potrebbe far credere l'inizio dell'articolo al quale abbiamo fatto riferimento, la posizione di Quine vista nel suo sviluppo complessivo, non si può certo presentare come quella di un nominalista. Egli stesso scrive a proposito dell'" e­ nunciato così attraentemente deciso con cui si apre il saggio citato" che ora preferirebbe " trattare quell'enunciato interpre­ tandolo in senso ipotetico come un'asserzione di condizioni ri­ ferentesi alla costruzione intrapresa " 11. In effetti l'obiettivo di Quine è piuttosto quello di utilizzare il suo criterio di impegno antologico per riuscire a delimitare i divers i tipi di impegno 11

From a logical point 01 view, cito (p. 161 della

trad. it.).

16

Donatella Cagnoni

deIle varie teorie e a mostrare come il riferimento a entità astratte sia eliminabile almeno finché ci si muova nell'ambito della logica dei predicati del primo ordine. "In generale" scrive Quine "è importante secondo me mostrare come gli obiettivi di una certa parte della matematica si possano raggiungere con una ontologia ridotta, proprio come è importante mostrare come in matematica una dimostrazione in prima istanza non costrut­ tiva si possa effettuare con mezzi costruttivi. Che si abbia in­ teresse in progressi di questo tipo non dipende da una rigida intolleranza per le entità astratte più che da una rigida intol­ leranza per le dimostrazioni non costruttive. La cosa impor­ tante è comprendere iI nostro strumento, controllare i diversi presupposti delle diverse parti della nostra teoria e, dove si può, ridurli. Così facendo ci porremo nella migliore prospettiva per scoprire, alla fine, quali delle nostre assunzioni, che erano sempre state un punto dolente in quanto ad hoc e non intui­ tive, fossero del tutto superflue " 12. Ma in che senso la logica elementare non richiede, secondo Quine, di fare riferimento alle entità astratte? Se il criterio di impegno ontologico è dato dai valori delle variabili quan­ tificate, allora, secondo Quine, in un principio qualsiasi for­ mulato nel linguaggio della logica elementare, ad esempio quello che Putnam indica con 5'), ( V x (Sx-4Mx) 1\ V x (Mx-4Px)) V

x

(SX-4Px),

le lettere S, M, P, che compaiono non presuppongono, come spesso si ritiene, nessun riferimento a classi, ma sono soltanto lettere schematiche, prive di qualsiasi impegno antologico pro­ prio perché non quantificate. 5') è soltanto uno schema di enunciato tale che ogni suo esempio è una verità logica; asser­ zioni nelle quali invece vengono quantificati anche predicati, cioè asserzioni " del secondo ordine" come si dice usualmente, sarebbero piuttosto verità matematiche e non logiche e questo porterebbe a identificare la logica con qualcosa di perfettamen­ te immune da riferimenti a enti astratti. Come osserva però Putnam, anche se tali lettere non vengono quantificate al " pri­ mo ordine ", in realtà, quello che un logico intende asserire quando costruisce un sistema che contiene teoremi come 5') è che " i teoremi del sistema sono considerati formule valide ", 12

lbid. (p. 108 della trad.

it.).

Introduzione all'edizione italiana

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cioè "nella misura in cui fa asserzioni scrivendo teoremi come 5'), il logico fa asserzioni di validità e questo significa che impli­ citamente egli fa asserzioni del secondo ordine; infatti asserire la validità dello schema del primo ordine 5') non è altro che asserire 'V S'V M'V P (schema 5') e questa è un'asserzione del secondo ordine" 13. Per quanto riguarda Goodman, la sua posizione è invece decisamente nominalista. Anche Goodman ha dato una succes­ siva interpretazione della ormai famosa frase iniziale, ma come egli dice: "il mio cambiamento non consisterebbe in un pas­ saggio dal categorico all'ipotetico, ma dal vagamente generico al più specifico" 14. Più che in un rifiuto a riconoscere entità astratte infatti il nominalismo si configura come un rifiuto a riconoscere le classi o meglio in un rifiuto a permettere che le entità ammesse non vengano trattate come individui. E il trat­ tare le entità come individui richiede che il criterio di differen­ ziazione tra entità consista nella loro differenziazione di conte­ nuto: una volta ammesse in un sistema entità diciamo iniziali (che in particolare per Goodman possono anche essere total­ mente o parzialmente astratte), ogni cosa che si può costruire in tale sistema dalle entità di base deve essere tale da venir identificata con qualsiasi altra cosa costruita con le stesse en­ tità. Ad esempio se accettiamo come entità di base le tre lettere a, b, c, allora un sistema nel quale sia possibile costruire {a, b} e { {a} {a, b} } come entità distinte non è nominalista in quanto queste entità non differiscono rispetto al "contenuto", cioè non differiscono nei termini delle entità di base. Questo non vuole dire rifiutare le entità astratte, ma rifiutare principi di formazione che permettano di generare entità differenziate esclusivamente ad esempio in base alla complessità della loro for­ mazione e non alle entità di base che contengono. Ora, Putnam osserva che una posizione del genere ha maggiore plausibilità se è legata a qualche forma di empirismo, per cui accettando come oggetti iniziali solo enti che siano oggetto di esperienza sensibile, ogni altra entità conoscitiva va riportata in qualche modo a questi dati iniziali. Ma se, come Goodman fa, si 13

Ibid. (p. 45 del l a trad. it.). N. GOODMAN, "A world of individuals", in The Problem 01 Universals, University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 1956 (trad. it. "Un mondo di individui", in La filosofia della matematica, a cura di CELLUCCI, cit., pp. 299-320, 301). 14

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Donatella Cagnoni

accettano come possibili entità di base anche entità astratte, allora l'intera posizione, sganciata da una qualche forma di empirismo è più difficilmente sostenibile 15. 2 per questo che Putnam trattando del nominalismo tende a trascurare questa particolare posizione di Goodman. La maggior parte delle critiche rivolte da Putnam al nomi­ nalismo tendono a mostrare l'inadeguatezza di questa posizione nei confronti della scienza e soprattutto della logica e della fi­ sica. Putnam ammette che possa essere interessante una ana­ lisi delle entità che sono realmente necessarie in una scienza, ma nella misura in cui un certo tipo di entità astratte risulta indispensabile, i dubbi sulla loro esistenza perdono ragione d'essere. Il lettore potrà vagliare direttamente le varie critiche che Putnam rivolge al nominalismo. Vogliamo però osservare che uno degli aspetti più interessanti del libro è soprattutto quello di esaminare questo tipo di problemi tenendo veramente presente gli sviluppi attuali della logica: all'interno di questi sviluppi, viene a sostenere Putnam, più che affrontare questioni di esistenza sembra necessario discutere il "ruolo" delle entità che si assumono. Se, ad esempio, porre un limite alla grandezza degli insiemi che si accettano può essere interessante se si vuole stabilire che cosa è possibile ottenere sulla base di questi insiemi "ridotti", d'altra parte questo limite può risultare del tutto ar­ bitrario nella misura in cui sia possibile, rifiutandolo, giungere ad una maggiore comprensione de]]'apparato matematico, an­ che nei suoi momenti più elementari. E questo sembra essere oggi il modo più fecondo di affrontare questo problema che può forse essere maggiormente compreso se si riflette a ciò che stava dietro al tentativo di eliminazione delle classi fatto da Russell; questo tentativo russelliano ha costituito infatti una sorta di paradigma per molte delle posizioni presentate. Le clas­ si per Russell potevano essere considerate "finzioni logiche" nella misura in cui era possibile dimostrare che il loro signifi­ cato, dal punto di vista della ricostruzione logica della matema­ tica, era quello di permettere di dimostrare che ogni funzione proposizionale è equivalente ad una funZione predicativa 16 e quindi di permettere la ricostruzione della matematica su basi cito

15

Si veda ad esempio l'introduzione in BENACERRAF-PUTNAM, op.

16 Si veda per questi problemi ad esempio "Mathematical logic as based in the theory of types", in Logic and Knowledge, cit., pp. 57-103.

Introduzione all'edizio/le italiana

19

predicative, ossia all'interno della teoria dei tipi ramificati. Rus­ sell infatti dimostra che una volta assunta l'esistenza delle classi questa riduzione è sempre po ssibile . Ma, se questo è il senso dell'uso delle classi rispetto alla teoria dei tipi, allora si può senz'altro assumere come assioma che ogni funzione proposizionale è e quivalente ad una funzione pred icativa (assioma di riducibilità) e considerare le classi come "espedienti tecnici ", "simboli incompleti " il cui significato viene in sostanza ad essere quello di permettere una più facile com­ prensione di ciò che è necessario assum ere per una fondazione logica della matematic a . Infatti le classi sono "finzioni logiche " nella misura in cui il loro significato e la loro utili tà può essere "condensata " nell'assunzione dell'assioma di riducibilità: si trat­ ta per Russell di comprendere la loro funzione e su questa base limitarne il più possibile l'uso. M algrado i problemi e le perplessità che l'assioma di ridu­ cibilità ha sempre su scit ato (ai problemi e al significato di una teoria predicativa degli insiem i Putnam stesso fa riferimento in que sto saggio), non si può negare che il tentativo di analiz­ zare il senso di una nozione in modo da riuscire a estrarne gli aspetti più significativi e quindi su questa vi a elimina re m a­ gari la nozione di partenza a favore di altre più "caratteriz­ zanti ", resta uno degli aspetti fondamentali della ricerca logica. Forse solo sulla base di tentativi anche diversi di questo genere un problema come quello ontologico può oggi aprire prospettive d'indagine interessanti ed è senz'altro un merito di Putnam quello di aver " spi anat o la strada " a una ricerca di questo tipo 17.

DoNATELLA CAGNONI

17 Ringrazio il Prof. Corrado M angione e il dotto Silvio Bozzi per i preziosi consigli ricevuti sia nel corso della traduzione che nella ste­ sura di queste pagine. Naturalmente la responsabilità di eventuali sviste è soltanto mia.

Nota bio-bibliografica

Hilary Putnam è nato nel 1926 e ha ricevuto la sua forma­ zione presso l'Università di Pennsylvania, l'Università di Harvard e l'Università di California a Los Angeles dove ha conseguito il PH.D. Attualmente è docente di Filosofia all'Università di Harvard. Come testimoniano i suoi numerosi scritti, Putnam ha dato contributi fondamentali nell'area della filosofia della scienza e della logica ed è una delle figure più rappresentative del pensiero ame­ ricano contemporaneo. Ricordiamo, senza nessuna pretesa esaustiva, in particolare, i contributi portati nell'area della riflessione sulle scienze empiriche (in particolare la fisica), le ricerche sui rapporti "mente-macchina" e i risultati ottenuti nella teoria degli insiemi. Particolarmente utili al lettore italiano di quest'opera possono risultare le preziose sintesi di teoria degli insiemi: "Elementary logic and foundations of set theory" e "Foundations of set theory", pub­ blicate rispettivamente in K1ibanski, Philosophy in Mid-century, 1958-59, pp. 55-61, voI. IV e K1ibanski, Contemporary Philosophy, 1968, pp. 275-85, entrambi editi a Firenze, La Nuova Italia; l'in­ troduzione scritta in collaborazione con Benacerraf a Philosophy 01 mathematics (Prentice-Hall, Englewood Cliffs, New Jersey, 1964), e l'articolo "Mathematics and tbe existence of abstract entities", in Philosophical Studies, voI. vn, 1956. Segnaliamo inoltre per chi volesse approfondire la filosofia del­ la logica di Putnam: "Tbe thesis that mathematics is logic", in B. Russell, Philosopher 01 century, a cura di Ralph Schoenman, 1967, pp. 273-303, London, 1967 (trad. it. Russell filosolo del secolo, Longanesi, Milano, 1974), "Mathematics without foundations", in Journal 01 philosophy, voI. 64, 1967, pp. 5-22 e "Is logic empirical?", in Boston studies in Philosophy 01 science, voI. v, 1970, dedicati, i due ultimi, a due tesi cui si accenna nel capitoletto finale di que­ sto saggio.

D.C.

Filosofia della logica NominaUsmo e realismo neUa logica contemporanea

Prefazione

Un gran numero di diverse questioni filosofiche si pone in connessione con la logica. Alcune di queste questioni sconfinano nella filosofia della matematica (che, in questo saggio, non sarà nettamente distinta dalla filosofia della logica), mentre altre sconfinano nella filosofia del linguaggio e nella teoria della conoscenza. In questo saggio mi interesserò del cosiddetto pro­ blema ontologico in filosofia della logica e della matematica cioè, il problema di stabilire se le entità astratte di cui si parla in logica e in matematica esistano realmente. Aff ronterò anche la questione se nella logica stessa (in quanto distinta in generale dalla matematica) il riferimento a entità astratte sia realmente indispensabile e considererò anche in quale misura il riferi­ mento a tali entità sia necessario nella scienza fisica. Il mio scopo, in questo saggio, non è quello di presentare un quadro generale delle opinioni su tali problemi, ma di spie­ gare e difendere in dettaglio una posizione Anche se il lettore non resterà convinto della mia argomentazione, mi auguro che troverà utile questa discussione anche solo per eliminare preconcetti e stimolare ulteriormente il dibattito. .

1. Che cos'è

la logica

Iniziamo domandandoci che cos'è la logica e tentiamo di esaminare per quale ragione dovrebbe porsi, per la logica, un problema filosofico. Potremmo provare ad indagare che cosa è la logica esaminando varie definizioni di " logica ", ma questa non sarebbe una buona idea in quanto le varie definizioni, fi­ nora esistenti, riescono a combinare, in un modo o nell'altro, circolarità e inesattezza. Esaminiamo invece la logica in se stessa. Se esaminiamo la logica in se stessa, in primo luogo notia­ mo che essa, come ogni altra scienza, è soggetta a cambiamenti, talvolta molto rapidi. In secoli diversi i logici hanno avuto idee molto differenti riguardo l'ambito del loro oggetto, i metodi relativi ad esso ecc. Oggi l'ambito della logica è definito molto più ampiamente di quanto sia mai avvenuto in passato, sicché la logica, così come alcuni logici la concepiscono, giunge a in­ cludere tutta la matematica pura. Inoltre i metodi usati oggi nella ricerca logica sono quasi esclusivamente matematici. D'altra par­ te, non sembra che certi aspetti della logica subiscano grandi cambiamenti. I risultati logici, una volta stabiliti, sembrano es­ sere accettati per sempre come corretti, cioè la logica cambia non nel senso che si accettino, in secoli diversi, principi logici incompatibili, ma nel senso che lo stile e il simbolismo che si usa nello stabilire principi logici varia enormemente, e nel senso che l'ambito a cui si riferisce la logica tende a diventare sempre più ampio. Sembra saggio, allora, iniziare esaminando alcuni dei prin­ cipi che i logici hanno accettato praticamente fin dalle o rigini Un principio del genere è l a validità della seguente inferenza: .

1)

Tutti gli S sono M Tutti gli M sono P

(quindi) Tutti gli S sono P .

28

Filosofia della logica

Un altro è la Legge d'identità: 2)

x è identico a x. Un altro ancora è l'inconsistenza del seguente:

3)

p e non-p. Un ulteriore principio è la validità di:

4)

p o non-p.

Esaminiamo ora questi principi uno per uno. L'inferenza 1) è detta valida, tradizionalmente, per ogni termine S, M, P . Ma che cos'è un termine? I testi di logica contemporanea dicono usualmente che l) è valida, qualsiasi siano le classi che possono essere assegnate alle lettere S, M, P come loro estensioni. L'in­ ferenza 1) allora non diventa che un modo per dire che se una c1asse S è una sottoclasse di una classe M, e M, a sua volta, è una sottoclasse di una classe P , allora S è una sottoclasse di P . In breve, 1) nella sua interpretazione moderna, esprime pro­ prio la transitività della relazione " sottoclasse di". Ciò è ben distante da ciò che i logici tradizionali pensavano di fare quan­ do discutevano sulle Leggi del Pensiero e sui "termini". Abbiamo qui uno dei motivi di fraintendimento per quanto riguarda la scienza della logica: anche quando può sembrare che un prin­ cipio logico non abbia subito alcun cambiamento nel corso dei secoli - ad esempio scriviamo ancora: Tutti gli S sono M Tutti gli M sono P (quindi) Tutti gli S sono P è l'interpretazione che, in effetti, è cambiata considerevol­ mente. Il peggio è che vi è ancora qualche controversia su quale sia l'interpretazione "corretta". Il principio 2) è un altro esempio di un principio la cui corretta interpretazione è in discussione. L'interpretazione so­ stenuta dalla maggior parte dei logici (tra i quali chi scrive), è che 2) asserisce che la relazione d'identità è riflessiva: ogni cosa sta in questa relazione (correntemente indicata con "=" ) con se stessa. Alcuni filosofi si sentono tuttavia molto turbati alla sola idea che "=" sia una relazione. "Come possiamo rendere

Che cos'è la logica

29

il senso di una relazione", essi si chiedono, "se non come qual­ cosa in cui una cosa sta con un' altra cosa? ". Dato che niente può essere identico a qualcosa di diverso, essi ne concludono che, qualsiasi cosa "=" possa significare, non significa una re­ lazione. 3) e 4) infine sollevano il problema: per che cosa sta p? Alcuni filosofi insistono che in 4), ad esempio, p sta per un enunciato qualsiasi, mentre altri filosofi, tra i quali chi scrive, trovano un po' ridicola la teoria che la logica riguardi enunciati. Tuttavia tutto questo disaccordo su alcuni punti particolari non dovrebbe giungere ad oscurare l'esistenza di una sostanziale base di accordo tra tutti i logici, anche di secoli diversi. Tutti i logici concordano, per esempio, sul fatto che dalle premesse Tutti gli uomini sono mortali Tutti i mortali sono insoddisfatti si può validamente inferire Tutti gli uomini sono insoddisfatti, anche se talvolta non sono d'accordo sulla formulazione plU propria del principio generale che sta alla base di questa infe­ renza. In modo simile, tutti i logici concordano sul fatto che, se vi è una cosa come la Torre Eiffel, allora La Torre Eiffel è identica alla Torre Eiffel, e tutti i logici concordano sul faUo che (se vi è una cosa come "la terra") la terra è rotonda o la terra non è rotonda anche se, pure in questi casi, non si è d'accordo circa la for­ mulazione dei principi corrispondenti. Esiste cioè un corpus di "dottrina permanente" in logica; solo che essa non porta molto lontano, almeno nella m isura in cui si tratta di dare una formulazione esatta e universalmente accettabile dei principi generali.

2. n dibattito Dominalismo-realismo

A questo punto è chiaro che vi sono problemi filosofici con­ nessi con la logica ed è anche chiara almeno una delle ragioni di questo fatto: cioè, la difficoltà di trovare una qualsiasi for­ mulazione universalmente accettabile dei principi generali che tutti i logici sembrano in qualche modo accettare. Se esami­ niamo questa difficoltà appaiono più chiari altri problemi filo­ sofici connessi con la logica. I filosofi e i logici che considerano classi, numeri e simili "entità matematiche " in certo qual modo come mere finzioni, sono usualmente indicati come " nominalisti " . :a improbabile che un nominalista dica: A)

"Per tutte le classi S, M, P: se tutti gli S sono M e tutti gli M sono P, allor a tutti gli S sono P ... ". :a più probabile che scriva :

B)

"Ciò che segue si trasforma in un enunciato vero in­ dipendentemente dalle parole o frasi del genere appro­ priato che si possono sostituire alle lettere S, M, P: 'se tutti gli S sono M e tutti gli M sono P, allora tutti gli S sono P' " .

L a ragione è chiara s e non convincente: il nominalista non crede realmente che le classi esistano; cosÌ evita la formula­ zione A). "Enunciati " e "parole ", a differenza delle classi, sem­ brano essere relativamente " concreti " , cosÌ iI nominalista usa la formulazione B). :a così chiaro che parte del disaccordo sulla " corretta " formulazione dei principi logici più generali è semplicemente un riflesso del disaccordo filosofico sull'esistenza o non-esistenza di "entità matematiche " come le classi. Senza entrare nel merito di questa o quella posizione nel

32

Filosofia della logica

dibattito " nominalismo-realismo ", è comunque chiaro che B) non può essere realmente preferibile ad A). Infatti cosa può significare " una parola o frase del genere appropriato " in B)? Anche se tralasciamo il problema di che cosa esattamente costi­ tuisca il " genere appropriato " di parola o frase, dobbiamo af­ frontare il fatto che ciò che esso significa è ogni possibile parola o frase di un genere o dell'altro e che possibili parole e frasi non sono più " concrete" delle classi. Talvolta questo problema viene superato in vari modi. Un modo è quello di dire che le Il frasi " appropriate sostituibili a S, M, P sono tutti i " predicati monadici " di un certo " linguaggio formalizzato " . Un linguaggio formalizzato è dato specificando completamen­ te una grammatica insieme con i significati delle espressioni di base. Quali espressioni siano , in un linguaggo del genere, i predicati monadici (cioè nomi per classi , anche se un nomina­ lista vorrebbe morire piuttosto che chiamarli così) , viene speci­ ficato da una regola ben precisa della grammatica. Infatti , dato un linguaggio formalizzato L, la classe delle sostituzioni lecite per le lettere S, M, P in 5)

Se tutti gli S sono M e tutti gli M sono P, allora tutti gli S sono P

può essere definita molto precisamente, così che il compito di stabilire se una certa sequenza di lettere sia o no un " esempio " di 1) (come viene chiamato il risultato di una sostituzione le­ cita) , può anche essere eseguita in modo puramente meccanico, ad esempio da una macchina calcolatrice. Questo soddisfa di più gli scrupoli nominalistici: in tal caso infatti sembra che asserire la validità di 5 ) non sia certa­ mente un discorso su " classi ", ma soltanto l'asserzione che ogni esempio di 5) , (in qualche L definito), è vero , cioè l'asserzione che ogni sequenza di lettere che risponda a un certo criterio formale (essere un esempio di 5) nel linguaggio formalizzato L) è vera. E sicuramente " sequenze di lettere " sono senz'altro oggetti concreti , vero? Sfortunatamente per il nominalista, le difficoltà si moltipli­ cano ben presto. Per schema logico si intende un'espressione come 5) che si ottiene da " lettere " come S, M, P e dalle espres­ sioni della logica se-allora, ogni, qualche , o, non, identico, è (sono) ecc. Tali schemi sono stati usati dai logici , da Aristotele

Il dibattito nominalismo-realismo

33

a oggi, allo scopo di stabilire principi logici (anche se Aristo­ tele si è interessato di una classe molto ristretta di schemi, men­ tre i logici moderni esaminano tutti i possibili schemi del tipo ora descritto). Uno schema può essere, come 5) , uno schema " valido " , cioè può esprimere un principio logico " corretto " (cosa sia correttezza o validità lo vedremo più avanti), oppure può essere " non valido". Per esempio Se qualche S è P, allora tutti gli S sono P è un esempio di schema non valido, cioè di uno schema che non esprime un principio logico corretto. Già i logici antichi e medievali classificarono un gran numero di schemi come va­ lidi o non validi. Ora, definire la validità comporta ovviamente il porsi di profondi problemi filosofici. Ma, la definizione di valido che abbiamo attribuito sopra al nominalista, cioè uno schema S è valido esattamente nel caso in cui tutti gli esempi di S in qualche particolare linguaggio formalizzato L sono veri - come si vede subito, non è soddisfacente. Infatti, sicuramente quando dico che 5 ) è valido, intendo dire che è corretto indipendente­ mente dai nomi p er classi che possono essere sostituiti a S, M, P. Se qualche linguaggio formalizzato L contenesse nomi per ogni classe di cose che può essere formata, allora questo ver­ rebbe ad essere la stessa cosa che dire " tutti gli esempi di 5) in L sono veri " . Ma è un teorema della teoria degli insiemi che nessun linguaggio L può contenere nomi per tutte le colle­ zioni di cose che possono essere formate, almeno non nel caso in cui il numero di cose sia infinito. In altre parole, ciò che otteniamo quando adottiamo la pro­ posta nominalistica, non è una nozione di validità, ma una serie infinita di tali nozioni : validità in LI. validità in L2, validità in L3, dove ogni nozione si riferisce semplicemente alla " verità di tutti gli esempi " nell'appropriato Li. Potremmo tentare di evitare questa situazione dicendo che uno schema S è valido esattamente nel caso in cui tutti gli esempi sono veri in ogni L, ma allora abbiamo bisogno della nozione di tutti i possibili linguaggi formalizzati nozione che , se mai, è meno " concreta" della nozione di una " classe " . I n secondo luogo, la definizione nominalistica di validità che è stata proposta, richiede la nozione di " verità" che è una no­ zione problematica per un nominalista. Normalmente non pen•••

-

34

Filosofia della logica

siamo a oggetti materiali - ad esempio sequenze di lettere realmente scritte (costruite come piccoli mucchi di inchiostro su carta) , come a qualcosa di " vero " o " falso " ; è piuttosto ciò che le sequenze di lettere esprimono che è vero o falso. Ma il significato di una sequenza di lettere, o ciò che la sequenza di lettere " esprime " , è esattamente il tipo di entità di cui il nomi­ n alista vuole sbarazzarsi. In terzo luogo, quando parliamo di tutti gli esempi di 5), anche in un particolare linguaggio L, intendiamo tutti i possi­ bili esempi e non solo quelli che si trovano a esistere in senso nominalistico (come piccoli mucchi di inchiostro su carta) . Dire semplicemente che quegli esempi di 5) che si trovano ad essere scritti sono veri non è come dire che 5) è valido ; infatti potrebbe darsi che vi fosse un esempio falso di 5) che appunto non si trova ad essere stato scritto. Ma possibili esempi di 5) pos­ sibili sequenze di lettere - non sono realmente oggetti fisici più di quanto non lo siano le classi. Un problema sembra essere stato risolto dalle precedenti riflessioni. Non vi è nessun motivo per affe rmare che i principi logici debbano essere p i ù puri o più radicali nell'eliminare rife­ rimenti a " entità non fisiche " di quanto non si faccia general­ mente nel discorso scientifico. Il riferimento a classi di cose, e non tanto a cose, è un modo di parlare utile e comunemente accettato. Se il nominalista vuole che noi rigettiamo tale riferi­ mento, deve fornirci un modo alternativo di parlare che serva altrettanto bene, non soltanto nella logica pura, ma anche in scienze empiriche come la fisica (che è piena di riferimenti a tali entità " non-fisiche " come vettori di stato, Hamiltoniane, spazi di Hilbert ecc.) . Se egli mai vi riuscirà, questo coinvolgerà il nostro modo di formulare i principi scientifici - non solo quelli logici. Ma nello stesso tempo, non vi è alcun motivo per non introdurre formulazioni come A), in vista dei seri problemi relativi a formulazioni come B). (E, come abbiamo appena visto, B), oltre a non essere adeguato, non è nemmeno real­ mente nominalista) . In altre parole, il fatto che per A) si possano sollevare obie­ zioni in contesto nominalistico non è una difficoltà per la scienza della logica, ma una difficoltà per la filosofia del nominalismo. Non spetta alla logica, più che a qualsiasi altra scienza, confor­ mare il proprio modo di parlare alle richieste filosofiche del no­ minalismo, spetta piuttosto al nominali sta fornire una reinterpre-

Il dibattito nominalismo-realismo

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tazione soddisfacente d i asserzioni come 5 ) e d i ogni altro prin­ cipio che logici (e fisici, biologi e addirittura l'uomo della stra­ da) usano effettivamente. Anche se rifiutiamo il nominalismo in quanto richiesta di liberare, seduta stante, il nostro linguaggio scientifico da ogni riferimento a " entità non-fisiche " , non siamo tenuti, d'altra parte, a rifiutare il nominalismo come filosofia. Quelli che cre­ dono che in verità non vi sia nessun corrispettivo per nozioni come classe, numero, possibili sequenze di lettere, o che ciò che si fa corrispondere a tali nozioni sia qualche modo traslato di parlare di ordinari oggetti material i , sono liberi di continua­ re ad argomentare dal loro punto di vista, e la nostra ril u tt anza a conformare il nostro linguaggio scienti fico alle loro richieste non è assolutamente una riluttanza a d i scutere le q u e s tio n i filo­ sofiche sollevate dalla loro concezione. E q ucsto è qucllo che faremo. Possiamo cominciare conside rando le varie difficoltà che ven­ gono sollevate dalla formulazione B) ed esaminando la risposta che il nominalista può dare a queste diverse difficoltà. Innanzitutto, uno o due commenti di carattere generale. Nelson Goodman, che è il più famoso filosofo nominalista, non ha mai adottato la definizione di validità come " verità di ogni esempio ". (Questa proviene da Hugues Leblanc e Richard Mar­ tin). D'altra parte, Goodman non ha neppure preso in consi­ derazione il problema di definire la validità logica, cosi io mi sono preso la libertà di discutere il solo tentativo quasi-nomina­ listico di mia conoscenza. In secondo luogo, Goodman nega che il nominalismo sia una restrizione a entità "fisiche " . D'al­ tra parte, anche se la concezione che soltanto le entità " fisiche " (o " dati " mentali in una versione idealistica del nominalismo, o dati mentali e cose fisiche in un sistema dualistico) siano reali, può non essere la concezione che Goodman intende difendere, è la concezione che comunemente viene intesa come " nominali­ smo " , e non sembrano esserci grossi motivi per essere nomi­ nalisti indipendentemente da una qualsiasi di queste concezioni. (La distinzione tra restrizione a " entità fisiche " e restrizione a " dati mentali " o " cose fisiche e dati mentali " non sarà qui di­ scussa, poiché essa non influenza in modo significativo l a filo­ sofia della logica). Il primo argomento usato contro la formulazione B) era che essa, in effetti, rimpiazza la nostra nozione intuitiva di validità

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Filosofia della logica

con tante nozioni di validità quanti sono i possibili linguaggi for­ malizzati. Alcuni logici hanno cercato di far fronte a questa dif­ ficoltà con il seguente genere di procedimeito : sia Lo un lin­ guaggio formalizzato abbastanza ricco per poter parlare degli interi positivi e per esprimere le nozioni " x è la somma di y e " " " z e x è il prodotto di y e z . Sia Li un altro linguaggio for­ malizzato. Sia S uno schema che ha la proprietà che tutti i suoi esempi in Lo sono veri (chiamiamo questa proprietà la proprie­ tà di essere " valido-in-Lo " e, in modo analogo, diciamo uno schema " valido-in-L; " se tutti i suoi esempi in Li sono veri) . Allora è vero - e la dimostrazione può essere formalizzata in un qualunque linguaggio abbastanza ricco per contenere entrambe le nozioni di " verità in Lo " e .. verità in Lt -, che S ha an­ che la proprietà che tutti i suoi esempi in Li sono veri. In altre parole, se uno schema è valido-in-Lo, è anche valido-in-Li• Quindi, suggeriscono questi logici, definiamo semplicemente "va­ lidità " come " valido-in-Lo " . Se S è valido, seguirà allora, non per definizione, ma in virtù del teorema meta-matematico ri­ cordato sopra, che tutti gli esempi in Li sono veri, indipenden­ temente dal linguaggio Li. Così " validità" giustificherà l'asser­ zione di arbitrari esempi di uno schema (come dovrebbe, nella nozione intuitiva) . A questo si è tentati di replicare che ciò che si intende quan­ do si dice "S è valido" implica direttamente che ogni esempio di S (in ogni linguaggio formalizzato) è vero . Quello che si intende quando si dice che .. S è valido " in base alla definizione di validità proposta è che gli esempi di S in Lo sono veri ; que­ sto è soltanto un fatto matematico, e non è implicito in ciò che si intende dire quando si afferma che gli esempi di S sono veri in qualunque linguaggio. CosÌ la definizione proposta di valido non riesce assolutamente a rendere la nozione intuitiva anche se ha la stessa estensione della nozione intuitiva. Questa osservazione, d'altra parte, non è necessariamente sconvolgente. Infatti il logico nominalista può semplicemente replicare di non essere interessato a rendere la nozione .. intui­ tiva " ; è già abbastanza se egli riesce a fornirci una nozione filosoficamente accettabile (per lui) e che funziona. Comunque stiano le cose, rimane il fatto che il linguaggio Lo è tale da richiedere esso stesso la possibilità di parlare di .. entità matematiche " (precisamente numeri), e che la dimostra­ zione della proposizione che, " se S è valido-in-Lo, allora S è

Il dibattito nominalismo-realismo

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valido-in-Li " richiede la possibilità di parlare di espressioni arbitrarie di Li (cioè di tutte le possibili espressioni di Li). CosÌ in realtà, né il linguaggio Lo né il teorema meta-matematico appena ricordato può essere utilizzato da un nominalista stretto, cioè da uno che rifiuti ogni discorso su " entità matematiche " . I l secondo argomento usato era che un nominalista non può usare la nozione di " vero " . D'altra parte, questa asserzione è estremamente discutibile. Il nostro argomento era, in poche parole, che " vero " non ha alcun senso quando è applicato ad un oggetto fisico ; anche se quell'oggetto fisico è un enunciato scritto, non sono gli enun­ ciati fisici che sono veri o falsi, ma ciò che ['enunciato dice. E le cose che gli enunciati dicono, a differenza degli enunciati (scritti) stessi, non sono oggetti fisici . La risposta naturale che un nominalista dov rebbe dare qu i sarebbe, penso, distinguere tra : 6)

S è vera

e 7)

S è vera come è intesa da Oscar nel momento t.

Se S è un oggetto fisico (cioè un enunciato scritto) allora 6) ha senz'altro poco significato, salvo che come una formulazione ellittica di qualche fatto come 7). Ma 7) rappresenta una re­ lazione del tutto possibile che può o no sussistere tra una data scritta, un organismo e un tempo. (Non esaminiamo come il riferimento a " tempi " debba essere trattato dal nominalista; forse egli deve identificare un " tempo " con una conveniente se­ zione trasversale a tre dimensioni dell'intero universo spazio­ temporale a quattro dimensioni). Perché non potrebbe essere consentito al nominalista asserire che certi enunciati sono veri nel senso che essi sono nena relazione che compare in 7) con organismi e tempi opportuni? Ammesso che questa relazione è complessa, il punto della dimostrazione è per il realista quello di dimostrare che questa relazione presuppone essenzialmente l'esistenza di entità non fisiche come proposizioni, significati, o qualsivoglia cosa. Un'altra forma del secondo argomento prende la forma di " un appello al linguaggio ordinario ". CosÌ si afferma che 8)

Giovanni ha fatto un'asserzione vera

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Filosofia della logica

è " linguaggio ordinario " senz'altro corretto in certe situazioni facilmente immaginabili. Ora, vi sono due possibilità : a) che 8) implichi che le asserzioni esistano (come entità non-fisiche) ; o b) che 8) non implichi questo . Nel caso b) non vi è nessun pro­ blema; possiamo tranquillamente parlare di " asserzioni " (e, per quel che ci sta più a cuore, di " classi " , " numeri " ecc .), dato che è inteso che tali riferimenti non implicano che le asserzioni (o numeri , o classi) esistano come entità non-fisiche. Allora il nominalismo è futile, dato che le forme linguistiche di cui vuole sbarazzarsi sono filosoficamente innocue. Nel caso a), dato che 8) è vera e 8) implica l'esistenza di entità non fisiche, segue che queste entità non fisiche esistono! Cosi il nominalismo è falso ! Ma allora il nominalismo deve essere o futile o falso. Contro questo il nominalista replica che ciò che vuole fare è trovare una " funzione di traduzione " che ci permetta di rim­ piazzare enunciati come 8 ) con enunciati che non sembrino neppure implicare l'esistenza di entità non-fisiche. L'effetto di questo (procedimento) sarà, egli pensa, di fornirci una termino­ logia concettualmente meno ambigua e che riveli di più della natura della realtà di quanto non faccia la terminologia usata comunemente. Senza dubbio, enunciati come 8) sono " filosofi­ camente innocui" se intesi correttamente ; ma il problema è ren­ dere chiaro ciò che è questo intendimento corretto. Il nominalista può rafforzare un poco il suo argomento ag­ giungendo che non è necessario, d al suo punto di vista, che la funzione di traduzione preservi la sinonimia. ti. sufficiente che la proposta per capire enunciati come 8) sul modello delle loro traduzioni nominalistiche sia buona, nel senso di condurre a sempre maggiore chiarezza. Cosi il fatto che nel " linguaggio ordinario " le parole " vero " e " falso " siano usualmente applicate ad " asserzioni " non con­ vince il nominalista del fatto che o queste asserzioni esistono realmente come entità non-fisiche, o che una deviazione dal lin­ guaggio ordinario (ad esempio nella direzione di 7» è un pec­ cato intellettuale. Infine, vi è l'argomento che ciò che 7) significa è : vi è una asserzione che S " esprime " a Oscar nel momento t, e questa asserzione è vera. In base a tale argomento, 7) comporta un riferimento implicito a un'entità non fisica (ciò che S " esprime "), e cosi non è " realmente " nominalistica. Questo argomento si riduce o all'appello al linguaggio or-

Il dibattito nominalismo-realismo

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dinario ora discusso, oppure alla semplice richiesta che solo

asserzioni (costruite come entità non fisiche espresse da enun­ ciati) possano essere realmente " vere " o " false " . Dato che tale richiesta è esattamente quello che è in questione, essa finisce per non essere addirittura un argomento, ma solo un modo per eludere il problema. Tutti gli argomenti che sostengono che la nozione di verità non è utilizzabile per il nominali sta, sembrano così essere ar­ gomenti scorretti. D'altro canto, non ne segue che il nominalista abbia semplicemente diritto alla nozione. La verità (la relazione ternaria tra scritte, organismi e tempi che occo rre in 7)), non è certo una entità primitiva come " giallo ", quindi il nomina­ lista ci è debitore di qualche spiegazione su che cosa essa sia ; una spiegazione pienamente coerente con le categorie della sua metafisica. Se egli non ha la possibilità di fornirci tale spi e ­ gazione (e quale nominalista ce l'ha?), il suo d i ritto a usarc l a nozione s i f a sospetto. Prima che il lettore (o il nominalista) replichi troppo fretto­ losamente con tu quoque, è necessario ricordargli i seguenti fat­ ti : la nozione " intuitiva " di verità sembra essere inconsistente (si ricordino le ben note antinomie logiche ad essa connesse) ; ma, dato un linguaggio formalizzato L, vi è un predicato "vero-in-L " che si può usare per ogni scopo scientifico al posto della ve­ rità intuitiva (quando le asserzioni in discussione sono espresse in L) , e questo predicato ammette una definizione precisa me­ diante l'uso del solo vocabolario di L stesso più la teoria degli insiemi i . Questo non è del tutto soddisfacente - si potrebbe preferire un singolo predicato vero a una collezione infinita di predicati " vero-in-L i ", " vero-in-L/' ecc. - ma non è intol­ lerabile, e le antinomie danno forti ragioni per dubitare che una qualunque nozione di verità, applicabile a tutti i linguaggi e soddisfacente le richieste intuitive, possa essere consistente. II realista si trova quindi nella posizione non di spiegare la nozione intuitiva di verità, ma di fornire una serie di nozioni alternai Questo è stato dimostrato da A. TARSKI. Per un'esposizione di­ vulgativa vedi "The semantic conception of truth and the foundation of semantics", in Readings in philosophical analysis, a cura di FEIGL e SELLERS, Appleton Century-Crofts, New York, 1949, pp. 52-84; trad. it. "La concezione semantica della verità e i fondamenti della semantica", in Semantica e filosofia del linguaggio a cura di LINSKY, Il Saggiatore, Milano, 1 969.

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Filosofia della logica

tive da poter usare in ogni contesto scientifico in cui si voglia usare la nozione di verità e che si possono precisamente defini­ re. Ma, a tutt'oggi almeno, il nominalista non può nemmeno fare questo. Il nostro terzo argomento era che il riferimento a tutti gli enunciati del linguaggio formalizzato (o anche a tutti gli esempi di un dato schema) non è un riferimento a " scritte " (dato che difficilmente si può supporre che tutti gli infiniti enunciati di un qualunque linguaggio formalizzato siano effettivamente scritti da qualche parte), ma a entità astratte, " possibili scritte " 0 , secondo qualche autore, ai " tipi " o alle proprietà configurazionali che le scritte esemplificano. (Questi tipi sono supposti " esistere " in­ dipendentemente dal fatto che una scritta reale li esemplifichi o no e quindi essi pure sono entità non-fisiche) . Quando diciamo " tutti gli esempi di (S) sono veri " noi intendiamo anche quegli esempi che nessuno ha realmente scritto. Cosi questi .. esempi ", e specialmente quelli "potenziali " , non sono più " fisici " delle classi. Per quanto ne so io, non esiste nessuna risposta a que­ sto argomento degna di essere presa in considerazione. La nostra analisi dei tre argomenti non ha cosÌ alterato la nostra conclusione che B) non è una formulazione nominalistica. Vediamo tuttavia che, più a fondo si va nei primi due dei tre argomenti e più complessi (e anche più tecnici) essi diventano. Possiamo riassumere i risultati di questo capitolo dicendo che, per ora, il riferimento a classi, o a qualcosa di ugualmente " non-fisico ", è indispensabile nella scienza della logica. La no­ zione di " validità " logica, su cui è basata l'intera scienza, non può, almeno oggi, essere spiegata in modo soddisfacente in ter­ mini puramente nominalistici.

3. n dibattito nominalismo-realismo e la logica

Il dibattito del nominali smo col realismo è antico ed è in­ teressante riesaminare il modo in cui è stato collegato alla filo­ sofia della logica. La logica elementare, fin dal tempo di Ari­ stotele, ha enunciato principi come 2), 4), 5), ha elencato mo­ delli di inferenze valide come 1 ), e ha asserito l'incoerenza di forme come 3). La moderna " teoria della quantificazione " , co­ me viene chia m ata la branca corrispondente della logica moder­ na, o " logica del primo ordine con identità ", ha un ambito di discorso estremamente più ampio di quello della logica di Ari­ stotele, ma l'oggetto di interesse è chiaramente simile. I simboli di base sono : a)

b)

c)

d) e)

"Px " per " x è P " , e similmente, "Pxy " per "x sta nella re­ lazione P con x " , " Pxyz " per " x, y, z stanno nella relazione P" ecc. " V x " (letto : "per ogni x ") per indicare che ogni entità x soddisfa una condizione ; cioè, " V xPx " significa " ogni entità x è P". " 3 x " (letto : "vi è un x tale che " ) per indicare che q u alch e (almeno una) entità x soddisfa una condizione ; cioè, " 3 xPx " significa "vi è un'entità x che è P " . " " = (letto : " è identico a " ) per identità; cioè " x = y " si­ " gnifica " x è identico a (è una e la stessa unità di) y . " /\ per " e " , " V " per " o " , " l " per " non ", ad e se mpio, " (PxV,Qx) /\ Rx " significa "o x è P o x è non Q, e x è R " . ,

n

Inoltre i simboli � (letto " se . . . allora ) e = (letto : " se e solo se ") sono usati con le definizioni : "Px � Qx " (" Se Px allora Qx ") è un abbreviazione per " i (Px /\ i Qx) ", e " Px- Qx " è una abbreviazione per " (Px � Qx) /\ (Qx � Px) " . In questa notazione possiamo scrivere tutti i principi stabi­ liti da Aristotele. Ad esempio, 5) diventa : "

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Filosofia della logica

5')

( V x (Sx � Mx) A V x (Mx � Px» � V x (Sx � Px).

Ancora, considerando la totalità degli schemi che si possono scrivere in questa notazione, siamo condotti a considerare prin­ cipi logici potenziali che Aristotele non prese mai in considera­ zione a causa della sua abitudine a trattare generalmente con inferenze nelle cui premesse occorrono esattamente due nomi per classi. La cosa più importante, tuttavia, è che con la notazione mo­ derna, possiamo analizzare inferenze nelle quali occorrono re­ lazioni binarie o più che binarie; è stata essenzialmente l'inca­ pacità di sviluppare una logica delle relazioni che ha reso bana­ le la logica studiata prima della fine del secolo diciannovesimo e che ha reso tale logica - la logica tradizionale da Aristotele in poi, e perfino il lavoro di Boole, pur tremendamente impor­ tante come esso fu per gli sviluppi successivi - del tutto ina­ deguata all'analisi del ragionamento deduttivo nelle sue forme più complicate. Nei suoi numerosi scritti logici e filosofici, Quine ha insisti­ to sul fatto che la teoria della quantificazione non asserisce real­ mente, ad esempio, la formulazione A ) del capitolo precedente. Dal punto di vista di Quine, quando un logico costruisce un si­ stema in cui uno dei teoremi è, ad esempio, 5') non intende con questo asserire A). Piuttosto, in 5) o 5'), S, M, P sono sol­ tanto " lettere schem atichc " che stanno per predicati qualsivoglia; e ciò che il logico vuoI dire è che ogni esempio di 5) o 5') è una verità logica. Da questo punto di vista, la seguente è una " verità logica " . 9)

Se tutti i corvi sono neri e tutte le cose nere assorbono la luce, allora tutti i corvi assorbono la luce.

Ma il principio generale A) : Per ogni classe S, M, P : se tutti gli S sono M e tutti gli M sono P, allora tutti gli S sono P non è una verità logica dal punto di vista di Quine, ma una ve­ rità matematica. Ora, a me non interessa dove si tracci una linea di demar­ cazione tra logica e matematica, ma questa particolare proposta di Quine mi sembra difficilmente sostenibile. Le mie ragioni sono principalmente due. In primo luogo,

Il dibattito nominalismo-realismo e la logica

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la tradizione logica va contro Quine ; infatti, fin dall'inizio l'in­ t ere sse dei logici è stato quello di stabilire propri o principi ge­ nerali come A) e non di " tirar fuori " verità come 9) da altre verità. In secondo luogo, io non penso c he tutti gli e s empi di u no schema valido sono " veri " : alcuni sono o vviam en te privi di signific ato Per ese mpio : .

Se tutti i boojums sono snarks e tutti gli snarks sono eggelumphs, allo r a tutti i boojums sono eggelumphs l

lO)

non mi sembra un asse rto vero. Esso ha la forma di un asserto logicamente valido, ma, io penso, non è neppure un ass e rto e non è né ve ro né fa lso In effetti per dire che l O) è vero è ne­ cessaria qualche revisione delle usuali regol e logiche. Infatti è un teorem a della logica corrente che se un en un c ia to della for ma "se p e q, allora r " è ve ro , allora o p e q s o no entrambi veri e r è vero, o p è vero e q è falso e r è v ero (o falso), o p è falso e q vero e r v ero (o falso), o p e q s ono entrambi falsi e r vero (o falso). Ma nel caso di l O) le tre componenti corri­ spond enti a p, q e r no n sono né vere né false. Certo, si potreb­ be decidere di estendere la no z ione di verità e c hi amare vero ogni asserto che ha la forma di un asserto logicamente valido. Ma allora .

­

Il)

Tutti i boojums sono snarks o non tutti i boojums sono

snarks

(che ha la forma pV-,p) dovrebbe essere considerato vero e ciò risulta estremamente fuorviante, d ato che usu al men te si inten­ derebbe che chiunque asserisse I l ) sarebbe impegnato a so­ stenere che L'asserzione che tu tti i boojums sono snarks è o vera o falsa.

12 )

Secondo me, la logica, in quanto tale, non ci dice che 9) l

Putnam si riferisce a personaggi immaginari di un poemetto di

LEWIS CARROLL (pseudonimo del Rev. C.L. Dodgson) ( 1 8 3 2- 1 898), The

annotated snark (the h unting 01 the snark), Penguin Books, Harmonds­ worth, Middlesex, 1 967 a cura di Martin Gardner, pubblicato nel 1 876 sotto il titolo The hunting 01 the snark ; L. Carroll, oltre che per il famoso A lice in Wonderland (A lice nel paese delle meraviglie), è r ico r dato anche per gli studi logici e matematici, meno noti presso il vasto pubblico [NdT]. ­

44

Filosofia della logica

è vera : per sapere che 9 ) è vera devo usare la mia conoscenza del principio logico A), più la mia. conoscenza del fatto che i predicati " x è un corvo " , "x è nero " e " x assorbe la luce " sono tutti veri per le cose di una certa classe, cioè rispettivamente la classe dei corvi, la classe delle cose nere, la classe delle cose che assorbono la luce. Anche questa " conoscenza " implica una certa idealizzazione : cioè l'ignoranza del fatto che alcuni di que­ sti predicati (specialmente nero) sono, in certi casi, non preci­ samente definiti (né veri né falsi) . D'altra parte, anche se siamo disposti a fare questa idealizzazione, sapere che, ad esempio, "x è un corvo " è un predicato che è vero (a parte possibili casi ambigui) di ogni cosa di una certa classe e falso di ogni cosa del complemento di questa classe, richiede una buona cono­ scenza sia del linguaggio che del mondo. Che "x è un corvo " sia un predicato abbastanza ben defi­ nito, " x è bello " sia un predicato abbastanza mal definito, e " x è uno snark " sia privo d i significato, non è una conoscenza lo­ gica, di qualsiasi tipo di conoscenza si tratti. Vi è quindi un disaccordo tra me e Quine, dato che è pro­ prio un'asserzione come 9 ) che Quine considera " una verità logica ", mentre, secondo me, ogni asserzione del genere riflette una mistura complessa di conoscenza logica ed extralogica. Ma non è importante che il lettore sia d'accordo con me e non con Quine su questo punto . Ciò su cui io insisto, per gli scopi pre­ senti, è che la decisione di chiamare asserzioni come A) " prin­ cipi logici " non è poco motivata, sia da un punto di vista sto­ rico che da un punto di vista teorico. Certamente, c'è una pos­ sibilità di scelta, ma ciò che importa è che una scelta abbastan­ za naturale consideri asserzioni come A), che si riferiscono esplicitamente a classi, parte della logica. Negli schemi logici fin qui considerati occorre V x (per ogni individuo x) e 3 x (vi è un individuo x tale che), ma non V F e

3 F. Così, dato un " universo di discorso " siamo in grado di dire, con la notazione finora descritta, che qualche elemento dell'universo è P, scrivendo 3 xPx, ma non possiamo dire che vi è un insieme o una classe di tutti gli elementi con la proprie­ tà P (in simboli : 3 F V x (Fx =Px» , perché non abbiamo " 3 F " . I grandi fondatori della logica moderna, Frege e, sulla sua scia, Bertrand RusselI, decisero senza esitazioni di ritenere espressioni quali 3 F come facenti parte della logica, e addirittu­ ra di permettere, in logica, espressioni come V P, col significato

Il dibattito nominalismo-realismo

e

la logica

45

per ogni classe di classi, V P col significato per ogni classe di classi di clossi ecc. La mia opinione in proposito è che non vi è nessun errore nel fare questo. La loro decisione' può non essere l'unica pos­ sibile - infatti nell'introduzione dei Principia Mathematica, Russell evita accuratamente di affermare questo - ma essa rappresenta una scelta perfettamente naturale . La questione su come " tracciare la linea di demarcazione " (se si vuole veramente tracciare tale linea) tra logica e teoria degli insiemi (e quindi tra logica e matematica) è tale da non ammettere risposte se non arbitrarie. Supponiamo, d'altra parte, di decidere di tracciare la linea alla " logica del primo ordine " (" teoria della quantificazione ") e di assumere che espressioni come 3 F, 3 P ecc. appartengano alla " matematica " . Di nuovo dobbiamo affrontare il proble­ ma : quando un logico costruisce un sistema che contiene teo­ remi come 5') che cosa intende asserire? Può, beninteso, inten­ dere di non asserire niente ; può intendere esattamente di co­ struire un sistema formale non interpretato, ma allora certa­ mente non sta facendo logica. Il semplice fatto è che, secondo la grande maggioranza dei logici, l'intenzione sarebbe questa : i teoremi del sistema sono considerati formule valide. Implicita­ mente, se non esplicitamente, il logico è interessato a fare asser­ zioni della forma " cosÌ-e-cosÌ è valido ", cioè asserzioni del tipo A). Così anche la logica del primo ordine sarebbe normalmente intesa come una " metateoria " ; nella misura in cui fa asserzioni scrivendo schemi come 5') , il logico fa asserzioni di validità, e questo significa che, implicitamente, egli fa asserzioni del se­ condo ordine; infatti asserire la validità dello schema del primo ordine 5') non è altro che asserire V SV M V P (schema 5'» e questa è un'asserzione del secondo ordine. In conclusione, io credo che, a) , sia cosa piuttosto arbitraria affermare che la logica del " secondo ordine " non è " logica " , e quindi, b), anche se si afferma questo, iI senso naturale della logica del primo ordine è che scrivendo schemi del primo or­ dine, si asserisce implicitamente la loro validità, cioè si fanno asserzioni del secondo ordine. In vista di questo, è facile vedere perché e come il dibattito tradizionale nominalismo-realismo è giunto a interessare cosÌ intensamente i filosofi della logica :

46

Filosofia della logica

infatti se siamo nel giusto, iI significato naturale della logica è tale che ogni logica, anche la teoria della quantificazione, comporta un riferimento a classi, cioè p roprio a quella sorta di entità che iI nominalista vuole bandire.

4. Logica contro matematica

In base all e riflessioni precedenti, risulta estremamente dif­ ficile tracciare una linea di demarcazione non arbitraria tra lo­ gica e matematica. C'è chi pensa che questa linea debba essere identificata con la divisione tra logica del primo e del secondo ordine; ma come abbiamo appena visto, la scomoda conseguenza di questo è che le nozioni di validità e di implicazione l risul­ tano appartenere alla matematica e non alla logica. Frege, e quindi Russell e Whitehead, considerano logica non solo la logica del secondo ordine ma anche di ordine superiore (insiemi di insiemi di .. .insiemi di individui) ; questa decisione equivale a dire che non vi è nessuna linea di demarcazione tra logica e matematica ; la matematica è parte della logica. Se si vuole assumere una concezione " di mezzo " forse potremmo assumere che la " linea " in questione sia quella tra la logica del secondo e del terzo ordine. D'altra parte, non ci tormenteremo troppo con questo problema. Le questioni filosofiche che discutiamo in questo saggio riguardano la filosofia della matematica così come la filosofia della logica; e invero, noi non ci preoccuperemo di di­ stinguere i due soggetti.

l Si dice che A implica B, esattamente nel caso in cui il condi­ zionale (A -+ B) con A come antecedente e B come conseguente è valido. In breve, "implicazione è la validità del condizionale".

5. L'inadeguatezza del linguaggio nominalistico

Per " linguaggio nominalistico " si intende un linguaggio for­ malizzato le cui vari abili variano su cose individuali, in qualche modo convenuto, e le cui lettere predicative stanno per aggettivi e verbi applicati a cose individuali (come " duro ", " più grande di " , "parte di "). Questi aggettivi e verbi non debbono corrispon­ dere necessariamente a proprietà e relazioni osservabili (ad esem­ pio il predicato "è un elettrone " è perfettamente ammissibile) , però non debbono presupporre l'esistenza di entità come classi o numeri. :a stato ripetutamente posto in rilievo che un linguaggio del genere è inadeguato per gli scopi della scienza; che accettare un tale linguaggio come il solo che si sia autorizzati a usare da un punto di vista filosofico, richiederebbe praticamente il completo abbandono della matematica. A dire il vero, le restrizioni del nominalismo sono altrettanto catastrofiche per la scienza empi­ rica che per la scienza formale; non è solo la Il matematica " ma anche la fisica che saremmo costretti a liquidare. Per convincerci di ciò, consideriamo il più famoso esempio di legge fisica : la legge di gravitazione di Newton. (Il fatto che questa legge non sia rigorosamente vera è irrilevante per la nostra discussione ; la legge molto più complicata che è real­ mente vera, richiede senza dubbio ancor più matematica per la sua formulazione). La legge di Newton, come tutti sanno, afferma che vi è una forza fa b esercitata da un corpo qualsiasi a su un altro corpo b. La direzione della forza fab è verso a, e la sua grandezza F è data da :

dove g è una costante universale, Ma è la massa di a, Mb è la massa di b, e d è la distanza che separa a e b.

50

Filosofia della logica

Assumerò qui una filosofia " realistica" della fisica : cioè as­ sumerò che uno degli scopi importanti che ci proponiamo nel fare fisica consista nel tentativo di stabilire leggi " vere o quasi vere " (l'espressione è di Newton), e non soltanto costruire ponti o predire esperienze. Assumerò anche la legge data sopra co­ me corretta, anche se oggi si sa che essa è soltanto un'appros­ simazione di una legge molto più complicata. Entrambe que­ ste assunzioni dovrebbero essere accettabili per un nomina­ lista. In fondo il nominalista deve essere materialista, o così almeno mi sembra, altrimenti i suoi scrupoli non sono com­ prensibili. E nessun materialista ripudierebbe l'idea che la ma­ teria obbedisca ad alcune leggi oggettive e che uno scopo del­ la scienza consista nel tentativo di stabilirle. E l'assunzione che la legge di Newton sia vera è qualcosa che si fa solo per avere davanti agIi occhi un esempio ben definito di una legge fisica - di una legge che ha una struttura matematica (che è la ragio­ ne per la quale essa non può essere espressa in un linguaggio nominalistico), e che è comprensibile per chiunque, a differenza di quanto purtroppo accade per le leggi fisiche più complicate. Ora, il senso dell'esempio è che la legge di Newton ha un contenuto che, benché sia da un certo punto di vista perfetta­ mente chiaro (essa dice che la " forza " di gravità è direttamente proporzionale alle masse e obbedisce alla legge dell'inverso dei quadrati), trascende completamente ciò che può essere espresso in linguaggio nominalistico. Anche se il mondo fosse più sem­ plice di quanto non sia, la gravitazione fosse l'unica forza, e la legge di Newton valesse esattamente, sarebbe ancora impos­ sibile " rendere " la fisica in linguaggio nominalista. Ma come si può essere certi che le cose stanno realmente così? Anche se nessun nominali sta ha mai proposto un modo per " tradurre " asserzioni come la legge di Newton in linguaggio nominalistico, come si può essere certi che non vi sia nessun modo per farlo? Bene, consideriamo gli aspetti impliciti nella questione e non solo la legge di gravitazione stessa, ma anche i suoi ovvi pre­ supposti. La legge presuppone, in primo luogo, l'esistenza di forze, distanze e masse, non, forse, come entità reali, ma come cose che in qualche modo possono essere misurate da numeri reali. Noi richiediamo, se dobbiamo far uso della legge, un lin­ guaggio abbastanza ricco per stabilire non solo la legge stessa, ma fatti della forma "la forza fa b è rl -+- r/' , " la massa Ma è

L'inadeguatezza del linguaggio nominalistico

51

TI -+- T2, " la distanz a d è TI -+- T2 ", dove TI > T2 sono numeri razionali arbitrari. (Non è necessario, o anzi pos sibile , avere un nome per ogni numero reale, ma dobbiamo essere in grado di esp rimere stime razionali arbitrariamente precise di grandezze fisiche) . Ma nessun nominalista ha mai proposto un espediente con il quale poter tradurre asserzioni arb i tr a rie della forma "la di­ stanza d è TI -+- r/' in un linguaggio nominalistico . Inoltre, a meno che non siamo disposti a postulare l 'e sis ten za di un'infi­ nità attuale di oggetti fisici, nessuno " schem a di traduzione " di questo tipo può esistere in base aIIa seguente s e m plice argomen­ tazione : se vi è solo un numero finito di i n dividui, allora nel lin­ guaggio nominalistico formalizzato vi è solo un n umero finito di ass erzioni a due a due non equivalenti . In altre parole vi è solo un numero finito di asserzioni SI, S2 . . . S,,, t ali che per un'asserzione arbitraria S, o 5=:= SI o S==. S2 o . . . s:= S", e (per u n appropriato z) S=SI> segu a logicamente dall'asserzione "il numero di individui è N " l . Ma, se abbiamo nomi per due differenti individui nel nostro " linguaggio della fisica", cioè a e b, e pos­ siamo esprimere l'asserzione " la distan za tra a e b è un metro -+­ un centimetro " , "la distanza tra a e b è due met ri -+- un een1 Diamo una traccia della dimostrazione di questa proposizione : supponiamo, per esempio, N = 2 e introduciamo (temporaneamente) i simboli "a" e "b" per i due individui che si assumono esistere. Riscri­ viamo ogni enunciato V xPx come una congiunzione Pal\Pb e ogni enun­ ciato 3 xPx come una disgiunzione PaVPb. Così ogni enunciato S del linguaggio è trasformato in un enunciato S' senza quantificatori. Vi è solo un numero finito di enunciati atomici (assumendo che il numero di predicati primitivi del linguaggio sia finito). Se il numero di questi enunciati atomici è n, allora il numero delle funzioni di verità che si possono scrivere a partire da essi è 22". Si possono facilmente costruire 22R enunciati privi di quantificatori che corrispondono a queste 22" funzioni di verità; allora qualunque enunciato ottenuto a partire da questi n enunciati atomici mediante i connettivi vero-funzionali sarà logicamente equivalente a uno di questi enunciati T" T2, , T 220' Inoltre, se S' = TI è un teorema del calcolo proposizionale, allora è facile vedere che S = 3 a 3 b (a � b 1\ TI) è vero in ogni universo di due elementi e quindi "il numero degli individui è due" (che può essere formalizzato 3 a 3 b (a � b 1\ V x (x a Vx b» ) implica S = 3 a 3 b (a � b 1\ TI)' CosÌ se poniamo S, = " 3 a 3 b (a � b 1\ TI)", S2 " 3 a 3 b (a � b 1\ T2)" , allora 1), se il numero di individui è due, ogni enunciato S è equivalente in valore di verità a uno degli enun­ ciati SI, S2, , S 22" ; e 2), l'enunciato S = SI (per l'appropriato z1 è esso stesso implicato dall'asserzione che il numero degli individui è due. La stessa idea vale per ogni numero finito di individui. •

=

=





• •



.



=





52

Filosofia della logica

timetro " ecc., allora è chiaro che dobbiamo avere una serie

infinita di asserzioni a due a due non equivalenti. (E la non

equivalenza non si annulla data la premessa "il numero di indi­ .vidui è N " ; essa non segue logicamente dalla premessa che due qualsiasi delle precedenti asserzioni hanno lo stesso valore di verità). Così ogni " traduzione " del " linguaggio della fisica " in " linguaggio nominalistico " comporta il dissolvimento di relazio­ ni logiche : per ogni N vi sarebbero due interi n, m tali che il falso " teorema " : Se il numero di individui è N, allora la distanza tra a e b è n metri -+- un cm = la distanza tra a e b è m metri -+- un cm diventerebbe un teorema vero della logica se noi accettassimo lo schema di traduzione. Così un linguaggio nominalistico è di principio inadeguato alla fisica. L'inadeguatezza diventa ancora più chiara se esaminiamo la materia in modo meno formale. Il concetto " distanza in me­ tri " è estremamente complesso. Che cosa è implicito nel sup­ porre che una grandezza fisica come la distanza possa in qual­ che modo essere coordinata con n umeri reali? Una spiegazione (che io ritengo corretta), è la seguente. :s chiaro che la fisica esige che riconosciamo l'esistenza di entità come " punti spaziali " (o punti dello spazio-tempo nella fisica relativistica) , anche se la natura di tali entità è ben lungi dal­ l'essere chiara. I fisici spesso affermano che i punti dello spazio­ tempo sono semplicemente " eventi ", benché questo sia ovviamen­ te falso. Carnap e Quine preferiscono intendere i punti come triple di numeri reali (o quadruple di numeri reali, nel caso di punti dello spazio-tempo), d'altra parte questo sembra molto artificioso, dato che l'identità di un punto spaziale, intuitiva­ mente, non dipende da un particolare sistema di coordinate. lo preferisco intenderli come proprietà di certi eventi (o di parti­ celle, se si hanno nella propria fisica punti-particelle) in ogni modo, assumiamole per il momento proprio come entità pri­ mitive non meglio identificate che con il nome " punto ". Comun­ que si veda la questione, vi è una relazione C(x,y,Z,w) che pos­ siamo chiamare la relazione di congruenza, che è una relazio­ ne tra punti fisicamente significante e che viene espressa a parole dicendo che l'intervallo xy è congruente all'intervallo zw (dico " comunque si veda la questione ", perché vi è un serio di-

L'inadeguatezza del linguaggio nominalistico

53

saccordo tra quei filosofi che pensano che questa relazione pos­ sa essere definita operativamente e quelli, come me, per i quali tutte le definizioni cosiddette operative sono molto imprecise e per i quali la relazione deve essere assunta come primitiva in una teoria fisica). Consideriamo due punti (ad esempio, gli estremi del metro standard di Parigi a un preciso istante) e chiamiamoli al e a2 . Assumeremo per definizione che la di­ stanza tra al e a2 sia uno. Allora possiamo definire la " distanza" come una misura numerica definita per ogni due punti x, y, come segue : "la distanza tra x e y è r ", per definizione va intesa come = r, dove I è una funzione che soddisfa le seguenti cin­ que condizioni :

I(x,y) l)

2)

3)

I(w,v) è definita (e ha un valore reale non negativo) su tutti i punti w , V ; I(w,v) = O se e solo se w è ] 0 stesso punto che v ;

f(w,v)

=

I(w',v') se e solo se C(w,v,w',v') vale (cioè

se e solo se l'intervallo wv è congruente all'intervallo

w'v') ;

4)

5)

s e W,V,u sono punti allineati e v è tra w e u , allora I(w,u) = I(w,v) + I(v,u) (qui " allineati " e " tra " pos­ sono essere entrambi definiti in termini della C-rela­ zione nei modi noti, o presi anch'essi come primitivi daHa geometria fisica) ;

I(ah a2)

=

1.

Può essere dimostrato che v i è un'unica funzione I che sod­ disfa le condizioni 1)-5) 2 . Così il contenuto de11a definizione data sopra può essere espresso anche dicendo che ]a distanza è definta come il valore dell'unica funzione che soddisfa 1 )-5). Chiamiamo la spiegazione ora data una descrizione de]]a " nu­ merizzazione " 3 delle distanze di grandezze fisiche. Il punto che 2 A rigore, questo è vero soltanto se noi richiediamo che f sia una funzione continua da punti dello spazio a numeri reali. D'altra parte questa proprietà della continuità può essere espressa senza assumere di disporre già di una metrica sui punti dello spazio. Abbiamo trascurato questo particolare nel testo solo per semplificare la discussione. 3 Il termine usato in ogni testo di filosofia della scienza non è "numerizzazione" ma "misurazione". Ho coniato questo termine barbaro per sottolineare che il problema non è quello di misurare qualcosa, ma

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Filosofia della logica

importa in questo contesto è il seguente : anche se prendiamo i "punti " come individui, e la relazione " C(x,y,Z,w) " , come pri­ mitiva, nondimeno non siamo in grado di spiegare la " nume­ rizzazione " della distanza senza quantificare su funzioni (ovvia­ mente potremmo eliminare l'intero problema, identificando pun­ ti con triple di numeri reali e usando il teorema di Pitagora per ottenere una definizione di distanza ; ma allora o dovremmo spiegare la relazione " oggetto O al punto p" o lasciare la nu­ merizzazione come qualcosa di essenzialmente inspiegabile). In breve anche l'asserzione della forma " l a distanza da a " a b è r1 + r2 , dove r1 e '2 variano su numeri razionali, non può essere spiegata senza far uso della nozione da punti a numeri reali o almeno razionali. Per ogni costante 'I. '2 un'asserzione equivalente può essere costruita quantificando solo su " punti " ; m a per spiegare il significato del predicato come d i u n predicato delle variabili rl > r2. si ha bisogno di qualche nozione come fun­ zione o insieme. E la via naturale, come abbiamo visto ora, ri­ chiede pure funzioni da punti a numeri reali . È semplice per una medesima persona esprimere, in un con­ testo, convinzioni nominalistiche, e in un contesto diverso, par­ lare di distanza come di qualcosa di definito (e avente un va­ lore numerico) nel caso di punti arbitrari x,y . Tuttavia, come abbiamo appena visto, questo è incoerente. Se la numerizzazio­ ne di grandezze fi siche deve assu mere un senso, noi dobbiamo accettare nozioni come funzione e numero reale, e queste sono proprio le nozioni che il nominali sta rifiuta. Ma, se per lui non vi è nessuna possibilità di risposta, allora che cosa viene ad asserire, tutto sommato, la legge di gravitazione? Infatti questa legge non ha nessun senso, a meno che noi non siamo in grado di giustificare variabili che variano su distanze arbitrarie (e an­ che forze e masse, beninteso) .

di definire qualcosa - cioè, una corrispondenza tra coppie di punti e numeri. Il termine "misurazione" è un residuo dell'epoca dell'operazio­ nismo, quando si supponeva che la misurazione fosse antecedente alla definizione e non viceversa.

6. Predicativismo contro impredicativismo nelle concezioni di " insieme "

L'insieme { x,y } con esattamente due elementi x,y, è chiama­ to coppia non ordinata di x e y. In termini di coppie non or­ dinate si possono definire in vari modi coppie ordinate. Forse il modo più naturale, anche se non il più usuale, è questo : prendere due oggetti a e b come " etichette " . Identificare al­ lora la coppia ordinata di x e y con l'insieme { { x,a }, { y,b H, cioè con la coppia non ordinata i cui elementi sono le coppie non ordinate { x, a } e { y, b }. Adottiamo ora il simbolo < x, y > per questa coppia ordinata, cioè < x, y > è definita come { { x, a }, { y, b } }. Allora è facile vedere che per ogni x, y, u, v : < X, y >

=

< u, v >

e solo se X = u e y = v. CosÌ due " coppie ordinate " sono identiche proprio nel caso in cui i loro elementi sono gli stessi e ordinati nello stesso modo - che è tutto ciò che è richiesto da ogni definizione di coppia ordinata. In matematica, una relazione binaria è semplicemente un in­ sieme di coppie ordinate. Dato che la " coppia ordinata" è stata definita proprio nei termini di coppia " non ordinata " , e le " cop­ pie non ordinate " sono semplicemente insiemi, ne segue che la " relazione " può essere definita nei termini della sola nozione primitiva di insieme. Se R è una relazione tale che per ogni

se

u, v, y se < u,

v>

E

R

e

< u, y > E R, allora

v

=

y

allora la relazione R è chiamata " funzione " . Dato che le fun­ zioni sono state appena definite in termini di relazioni (e della nozione " = " che noi consideriamo come appartenente alla lo­ gica elementare), ne segue che la " funzione " è stata definita in termini di insieme. � ben noto che i numeri naturali 0, 1, 2, 3, possono ."

56

Filosofia della logica

venire definiti in vari modi in termini di insieme. Per esempio, possiamo identificare O con l'nsieme woto, 1 con { O }, quindi 2 con { O, l }, 3 con { O, 1 , 2 } ecc. Anche le operazioni ele­ mentari " più ", "per" ecc. possono venire tutte definite in ter­ mini di insieme. I numeri razionali vengono naturalmente iden­ tificati con coppie ordinate di numeri naturali senza divisori co­ muni (e tali che il secondo elemento della coppia ordinata non sia zero) ; e i numeri reali possono essere identificati, ad esempio con successioni di numeri razionali, dove una " successione " non è altro che una funzione definita sui numeri naturali. Così tutti gli " oggetti " della matematica pura si possono ottenere a partire dalla sola nozione di insieme : in effetti questo è quanto si preferisce fare nella matematica odierna. Quindi, invece che dire, come nel capitolo precedente, che la fisica richiede un riferimento essenziale a funzioni e numeri reali, avremmo semplicemente potuto dire che la fisica richiede nozioni come insieme, giacché le nozioni di numero e funzione possono ottenersi nei termini di questo concetto. In questo capitolo farò un rapido esame della nozione di insieme. La più famosa difficoltà connessa con la nozione di insie­ me è questa : supponiamo di assumere che 1)

2)

gli insiemi sono entità a pieno diritto, cioè cose che possiamo quantificare I ; se q> è una condizione ben definita, allora vi è un insieme di tutte le entità che soddisfano la condizione q> .

Allora assumendo anche che l a condizione " i X E X " sia ben definita), ne segue che vi è un insieme di tutti quegli insiemi X tali che X non appartiene a x. Se y è questo insieme, allora

3)

'I x (X E Y = i X EX) .

M a allora ponendo

4)

Y

per x,

Y E Y = i y Ey

e questa è una contraddizione! Ovviamente, allora, una delle nostre assunzioni era falsa. Quale potrebbe essere la responsabile? Potremmo dire che " -, x E x " non è una condizione ben definita. Ma se xE è una rey 1 Per "quantificazione" su insiemi intendiamo l'uso di espressioni come "per ogni insieme x" e "vi è un insieme x tale che".

57

Predicativismo contro impredicativismo

lazione ben definita, per insiemi arbitrari x, y, allora sembre­ rebbe che XE x e anche , x E x dovrebbero essere ben definite (nel senso di avere un valore di verità definito) su ogni insieme x. Rifiutare o l'idea che x E x sia una relazione ben definita o l'idea che gli insiemi siano entità che possiamo quantificare, si­ gnificherebbe rifiutare la teoria degli insiemi nel suo complesso. Ma allora la sola alternativa è rifiutare (o almeno limitare) 2), cosa che è molto contraria all'intuizione. Un superamento delle difficoltà è rappresentato dalla cosid­ detta teoria dei tipi. In questa teoria, " x E y " è ben definita solo se x e y sono di tipo conveniente, dove gli individui rappresen­ tano il tipo zero, insiemi di individui i l tipo uno, insiemi di " insiemi di individui il tipo due ecc. In questa teoria " , x E x non è nemmeno una formula in quanto di nessun insieme si può dire o che è o che non è elemento di se stesso . Ci si può chiedere se un insieme appartenga ad un insieme del tipo su­ periore ma non se appartenga a se stesso (o ad ogni insieme che non sia del tipo superiore). Sia R una relazione tra individui. Un insieme a. tale che per ogni x, se x E a., allora per almeno un y tale che Rxy, y E a. , sarà per il momento chiamato R-catena. Supponiamo di voler dire che vi è qualche R-catena contenente un individuo U. Al­ lora scriviamo : 3 a. (a. è una R-catena /\ U

5)

E

a.)

dove a. è una R-catena " è un'abbreviazione per " V x (X E a. � 3 y (y E a. /\ Rxy)) " . Ora l'insieme fJ d i tutti questi U - tutti gli U tali che qualche R-catena contiene U - è senz'altro un insieme secondo la teoria dei tipi, e anche secondo la maggior parte dei matematici. D'al­ tra parte una certa minoranza di matematici e filosofi obiet­ ta all'idea di un insieme del genere. Essi argomentano che definire un insieme fJ come l'insieme di tutti gli U tali che vi è una R-catena contenente U è " circolare " perché la " tota­ lità nei termini della quale è definito fJ " - la totalità di tutte le R-catene a. - potrebbe contenere fJ stesso. In generale, que­ sti matematici e filosofi dicono che un insieme non dovrebbe mai essere definito in termini di una " totalità " a meno che non sia impossibile che in tale totalità occorra questo insieme, o ogni insieme definito in termini di esso. Questo è d'altra parte piutIl

S8

Filosofia della logica

tosto vago. Ma la motivazione di tutto questo è piuttosto inte­ ressante . Supponiamo di non avere alcuna idea della nozione di " in­ sieme" e anzi, supponiamo di usare soltanto qualche linguag­ gio nominalistico N. Supponiamo ora, di decidere, un certo gior­ no, che ci sono chiare due nozioni che non sono nominalistiche, o, in ogni caso, il cui status nominalistico è discutibile : le no­ zioni di " formula " e di " verità " . In termini di queste nozioni possiamo introdurre una nozione d'insieme molto debole. Pre­ cisamente supponiamo di identificare gli insiemi con le formule del linguaggio nominalistico che hanno esattamente una varia­ bile libera x ad esempio, identifichiamo l'insieme delle cose rosse con la formula " Rosso (x) " . Spieghiamo la nozione di " appartenenza " nel modo seguente : se y è un individuo e a. è un " insieme " (cioè, una formula con una variabile libera "x"), allora " y E a. " significa che a. è vero di y, dove una formula cp (x) è vera di un individuo y esattamente nel caso in cui inter­ pretando x come un nome di y la formula è vera. Così, se a. è la formula "Rosso (x) " , abbiamo -

yE

a.

se e solo se

a.

è vera di y

cioè, se e solo se " Rosso (x) " è vera di

y

cioè, se e solo se y è rosso. CosÌ " Rosso (x) " viene ad essere " l'insieme di tutte le cose rosse ", come dovrebbe essere. Chiamo questa una nozione " debole " di insieme, perché non ha nessun senso parlare di tutti gli insiemi di individui, sia pure soltanto insiemi di tipo superiore al primo; si può, certo, par­ lare di tutte le formule, ma questo significa solo parlare di tutti gli insiemi di individui definibili in N. Se nuovi simboli primi­ tivi sono aggiunti a N, allora, in generale, la totalità di insiemi nel senso ora spiegato sarà più ampia. D'altra parte, noi pos­ siamo iterare il procedimento precedente. Cioè sia N' il lin­ guaggio ottenuto da N permettendo la quantificazione su tutti gli insiemi di individui definibili in N, N" il linguaggio ottenuto da N' permettendo la quantificazione su tutti gli insiemi di indi­ vidui definibili in N' ecc. Allora tutti questi insiemi di individui quelli definibili in N, in N', in N", . . . sono esempi di insiemi " predicativi " : ognuno di questi insiemi presuppone una totalità che è definita " precedentemente " (a partire dalla totalità degli

-

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Predicativismo contro impredicativismo

individui) e che non lo presuppone. (Si possono introdurre in­ siemi predicativi anche di tipo superiore, in termini di formule su formule, ma questo non verrà fatto qui). II punto che ci inte­ ressa ora è questo : questa nozione di insieme, la nozione predi­ cativa di insieme, è quella che può essere spiegata, a ogni dato livello della successione N, N', N", . , in termini di quantifica­ zione solo su insiemi definibili precedentemente nella succes­ sione, e questo modo complessivo di parlare di " insiemi defi­ nibili in N", " insiemi definibili in N' " ecc. può essere visto esso stesso, se si vuole, come un semplice modo di dire, spie­ gabile nei termini delle nozioni di formula e verità. In contrasto con ciò che ora si è detto, se si parla di tutti gli insiemi di individui come di una totalità ben definita, e non tanto di tutti gli insiemi definibili in un linguaggio nella successione N, N', N", , allora si dice di avere una nozione impredicativa di insieme. . .

-

. . .

7. Quanta teoria degli insiemi è realmente indispensabHe per la scienza?

Nelle pagine precedenti abbiamo sostenuto che la nozione di insieme (o qualche nozione equivalente, ad esempio, funzio­ ne), è indispensabile per la scienza. Ma ora dobbiamo doman­ darci : la scienza necessita della nozione di insieme " forte " (im­ predicativa), o solo della nozione " debole " (predicativa)? In­ fatti se siamo interessati al dibattito nominalismo-realismo nel suo complesso , non dobbiamo assumere che le sole alternative siano a) il nominalismo, e b) l'accettazione completa della no­ zione di "tutti gli insiemi " (o anche, " tutti gli insiemi di indi­ vidui n). Se tendiamo ad essere nominalisti senza riserve, allora possiamo desiderare che le nostre compromissioni non-nomina­ listiche siano sempre le più deboli possibile; e risulta estre­ mamente auspicabile limitarle alle due nozioni di verità e di formula. La verità è una nozione alla quale qualche nomina­ lista pensa di avere comunque diritto; e se le formule (nel senso di tipi di formule, siano esse realmente scritte oppure no) sono " entità astratte " , e quindi non-nominalistiche, pure, esse sono relativamente chiare. Nel caso. della matematica pura, la risposta sembra essere che una certa parte della matematica può venire sviluppata usan­ do solo la teoria degli insiemi predicativa, purché siano leciti insiemi predicativi di oggetti diversi dagli oggetti fisici. Ad esem­ pio, se consideriamo le formule stesse di N come individui di qualche altro linguaggio M e costruiamo allora una successione di linguaggi M, M', M" . . secondo la traccia data sopra, possia­ mo sviluppare almeno l'aritmetica dei numeri razionali e una rudimentale teoria delle funzioni di numeri razionali. (D'altra parte abbiamo bisogno di qualche dominio infinito di individui per " prendere l'avvio " , e questo è il motivo per il quale dobbia­ mo prendere oggetti non concreti, ad esempio formule, come .

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Filosofia della logica

individui , a meno che non vogliamo postulare l'esistenza di una infinità attuale di oggetti fisici) . Sfortunatamente, nessuna teoria soddisfacente dei numeri reali o di funzioni su numeri reali può essere ottenuta in questo modo, e questo è il motivo per il quale parecchi m atematici rifiutano il punto di vista predicativo. Tornando alla logica, cioè alla nozione di " validità " , abbia­ mo detto all'inizio di questo saggio che una nozione di validità, precisamente " la verità di ogni esempio " (ad esempio in M) , po­ trebbe essere definita in quelli che essenzialmente sono i termini della teoria predicativa degli insiemi (verità e quantificazione su formule) . Abbiamo anche visto che una nozione più soddisfa­ cente richiede l'uso dell'espressione " tutti gli insiemi " - cioè, le nozioni della teoria impredicativa degli insiemi. Tornando infine alla fisica, facciamo le seguenti considera­ zioni. A prima vista la legge di gravitazione (in questo saggio l'assumiamo come se fosse l'unica legge fisica) , richiede la quan­ tificazione su numeri reali. D'altra parte, la legge è equivalente all'asserzione che per ogni e razionale e ogni mb m2, d razio­ nali vi è un numero razionale tJ tale che se Ma

=

mI

-+-

tJ, Mb

=

m2

-+-

tJ , d

=

dI

-+-

tJ,

allora

e questa asserzione quantifica solo su numeri razionali . (Vi è il problema, d'altra parte, che la costante gravitazionale g può non essere razionale, cosa che noi qui trascureremo) . Cosi un linguaggio che quantifica solo su numeri mzionali e che misura distanze, masse, forze ecc. solo con approssimazioni razionali ( " la massa di a è mI -+- tJ") è, di principio, abbastanza potente da permettere di enunciare almeno la legge di gravitazione. Sulla base della sola teoria predicativa degli insiemi, si possono facilmente definire i numeri razionali. Anzi, si ha suffi­ ciente teoria degli insiemi per definire " il numero cardinale di S " , dove S è un insieme finito definibile di cose fisiche . Eseguire la " numerizzazione " di grandezze fisiche come distanza, forza, m assa usando approssim azioni razional i e insiemi predicativi è piuttosto complicato, ma perfettamente possibile. Così sembra

Quanta teoria degli insiemi è indispensabile per la scienza?

63

possibile (anche se complicato e scomodo) fare fisica usando solo la teoria predicativa degli insiemi. Concludendo, allora, le " necessità " insiemistiche della fisica sono sorprendentemente simili a quelle della logica pura. En­ trambe le discipline necessitano, per il loro funzionamento, di un po' della teoria degli insiemi. Entrambe le discipline possono " vivere " - o meglio sopravvivere - con la dieta da fame di soli insiemi predicativi. Entrambe possono vivere molto felice­ mente con la ricca dieta di insiemi im pre d i cativi . Possiamo al­ lora dire che, nella misura in cui la necessità di qu antific are su insiemi è un argomento per la loro esistenza - e ne discute­ remo il motivo nel prossimo capitolo - essa è un forte argo­ mento per l'esistenza almeno di insiemi predicativi, e un argo­ mento abbastanz a, ma non altrettanto, forte per l'esistenza di insiemi non -p redicativi . Quando giungiamo ai livelli supe riori della teoria degli insiemi, d'altra parte - insiemi di insiemi di insiemi - giungiamo a concezioni che oggi non sono necessarie eccetto che per la matematica pura. L'argomentazione a favore del " realismo " sostenuta in questo capitolo ha così una sua giustificazione : almeno insiemi di cose, numeri reali e funzioni da vari generi di cose a numeri reali debbono essere accettati come parte dell'armatura indisp ensabile (o quasi indispensabile) sia della logica che della fisica e come quella parte di tale arma­ tura di cui oggi s iamo tenuti ad accettare l'esistenza. Ma insiemi di tipo molto più alto e di cardinalità molto più gr ande (ad esempio più grande del continuo) , oggi vanno studiati con spi­ rito ip otetico . Un giorno essi potranno essere indispensabili proprio per stabilire leggi fisiche, come oggi lo sono i numeri razionali; allora il dubbio sulla loro " esistenza " sarà futile come oggi lo è l' estremo nominalismo. Ma per il momento pre­ sente dobbiamo con s id erarl i per quello che essi sono - esten­ sioni speculative e audaci dell'apparato matematico fondamen­ tale della scienza.

8. Argomentazioni di necessità

Fin qui ho sviluppato un'argomentazione a favore del rea­ lismo approssimativamente lungo le seguenti linee : la quantifi­ cazione su entità matematiche è indispensabile per la scienza sia essa formale o fisica; quindi dobbiamo accettare tale quan­ tificazione ; ma questo ci impone l'accettazione dell'esistenza delle entità matematiche in questione. Questo tipo di argomentazione discende, senza dubbio, da Quine che per anni ha sottolineato sia la necessità della quantificazione su entità matematiche, sia la disonestà intellettuale di negare l'esistenza di ciò che quoti­ dianamente si presuppone. Ma le argomentazioni di necessità comportano un certo numero di questioni, alcune delle quali voglio discutere qui brevemente. Una questione che può venire sollevata concerne, ad esem­ pio, il vero significato di enunciati come .. esistono numeri " , . . esistono insiemi ", . . esistono funzioni da punti dello spazio­ tempo a numeri reali " ecc. Se queste non sono assolutamente asserzioni vere e proprie, ma solo, per così dire, pseudo-asser­ zioni, allo ra nessuna argomentazione può essere una buona argo­ mentazione per credere ad esse e a fortiori le .. argomentazioni di necessità" non possono essere tali. Ma che motivo vi è per dire che " esistono numeri ", " esistono insiemi " ecc. sono asserzioni prive di senso? Potrebbe venire in mente che ci sia qualcosa che non va in esse, dal momento che ci si imbatte in esse solo in filosofia. Ma vi è qualcosa di molto dubbio in questo modo di ragionare, per quanto oggi esso possa essere di moda. Vi è una cosa da dimostrare, cioè che le locuzioni dalle quali dipendono particolari problemi filosofici sono devianti da un punto di vista linguistico. Se infatti non si può trovare nessun modo per formulare il "problema" relativo, che sia tale da non richiedere di far violenza al linguaggio, allora può essere giustificato il sospetto che il " problema " non

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Filosofia della logica

sia assolutamente un problema chiaro ; anche se le cose stanno così, con questo non si giunge a niente di certo, dato che espres­ sioni devianti linguisticamente non necessariamente sono sem­ pre letteralmente prive di significato. Ma non è certo un argo­ mento contro la genuinità di eventuali asserzioni o problemi filosofici, l'affermazione che i loro termini fondamentali sono linguisticamente devianti (o in modo più informale " strani " o " bizzarri " o qualsivoglia cosa), se questa " devianza" (o " stra­ nezza ", o " bizzarria", o qualsivoglia cosa) era solo considerata tale, in prima istanza, sulla base del dubbio principio che i ter­ mini e le asserzioni che occorrono in filosofia siano , ipso facto, devianti. Così la difficoltà (essa in effetti sembra essere più che una " difficoltà " ) consiste nel fatto che questa sorprendente ri­ chiesta non è basata su alcuna evidenza linguistica. Ogni disci­ plina ha termini e modi di dire caratteristici ; e non vi è alcun motivo perché lo stesso non sia vero nel caso della filosofia. Se, ad esempio, l'asserzione " esistono oggetti materiali " non oc­ corre fuori della filosofia, questo avviene perché solo i filosofi vogliono stabilire in base a che cosa noi possiamo ritenere ovvie tali proposizioni e solo i filosofi hanno la pazienza e la prepara­ zione professionale necessaria per analizzare una questione di giustificazione che nasconda tali d ifficoltà ; quale altra scienza ha a che fare con argomenti e giustificazioni di questo tipo? Benché si senta frequentemente dire che le proposizioni filoso­ fiche sono per loro natura 1inguisticamente (o logicamente, o " concettualmente " ) confuse, non esiste alcuna evidenza lingui­ stica che dimostri che enunciati come " esistono numeri " , " esi­ stono insiemi ", e " esistono oggetti m ateriali", per ciò che ci riguarda qui, siano linguisticamente devianti ; cioè che tali enun­ ciati contravvengano una qualsiasi norma del linguaggio natu­ rale che risulti essere tale mediante appropriati procedimenti scientifici. In altre parole, sarebbe sorprendente e importante se potes­ simo onestamente dimostrare che locuzioni che sono peculiari al discorso filosofico sono scorrette linguisticamente ; ma non ha al­ cun interesse asserire che le cose stanno così se " l'evidenza " del­ l'asserzione consiste soltanto nel fatto che certe particolari locu­ zioni che sono caratteristiche della filosofia debbono essere inesat­ te in quan to sono caratteristiche della filosofia e in quanto locu­ zioni che occorrono soltanto nel discorso filosofico sono "strane " . La forma dell'argomentazione è un perfetto circolo : viene

67

A. rgomentaz.ioni di necessità

presentato un principio P (le locuzioni occorrenti solo nel di­ scorso filosofico sono in qualche modo scorrette) ; vengono portati a sostegno del principio P molti esempi (cioè di asser­ zioni filosofiche e questioni che si pretende siano " strane ", " biz­ zarre " ecc.), ma ne viene che questi esempi comprovanti sono tali solo se viene assunto il principio P. Non nego che, storica­ mente, molte asserzioni e argomenti filosofici, siano risultati con­ tenere (e in alcuni casi dipendere essenzialmente da) locuzioni " bizzarre " rispetto a quelle standard. Ciò che io sostengo è che non vi è niente di " bizzarro " linguisticamente nelle questioni generali di esistenza (" esistono numeri? ", " esistono oggetti ma­ teriali? ") prese in se stesse, né nelle questioni generali di giusti­ ficazione o di autorizzazione (" che cosa ci autori zza a credere che gli oggetti materiali esistano?"). (Eppure questi ultimi pro­ blemi vengono respinti, e proprio mediante il ragionamento cir­ colare appena descritto, ad esempio nel libro di John L. Austin Seme and Sensibilia; ed io sono sicuro che molti filosofi respin­ gerebbero con argomentazioni simili i problemi precedenti). Fin qui, con le mie argomentazioni ho sostenuto che non vi è alcun motivo per classificare asserzioni come " esistono nu­ meri " e " esistono insiemi " come devianti da un punto di vista linguistico, a prescindere da un principio filosofico che sembra completamente fuorviante. Inoltre vi è un modo facile per su­ perare completamente questa questione. Anche se alcuni filosofi respingerebbero l'enunciato " esistono numeri " come estraneo al linguaggio normale, ciò malgrado, " esistono numeri con la pro­ prietà --" è ammesso come corretto, (e anche vero), per molti valori di " " . Per esempio " esistono numeri con la proprietà di essere primi e maggiori di 1 010 " , è ce rt a mente non deviante e vero. Allora, se si desse il caso che " esistono numeri " simpliciter non sia una locuzione del linguaggio, potremmo sem­ pre introdurla nel linguaggio s emplicemente come una nuova parafrasi, con la stipulazione aggiuntiva che " esistono numeri " deve ritenersi vera se e solo se vi è una condizione " " tale che " esistono numeri con la proprietà " è vera. Questo significa dire che : se l'enunciato --

--

--

1)

3 x (x è un numero A x è primo A x

>

1 010)

(cioè, l'enunciato così simbolizzato) è nel linguaggio, mentre

2)

3 x (x è un numero)

68

Filosofia della logica

(cioè " esistono numeri ") non è nel linguaggio, allora il linguag­ gio ordinario non è " deduttivamente chiuso " : infatti 2) è deducibile da l) nella logica standard (mediante iI teorema " 3 x (Fx 1\ Gx 1\ Hx) � 3 xFx "). Ma se il linguaggio ordinario non è deduttivamente chiuso in questo senso, allora possiamo chiuderlo deduttivamente introducendo 2) nel linguaggio, e inol­ tre, questo può essere fatto essenzialmente in un modo solo. Così possiamo benissimo considerare 2) come parte del lin­ guaggio fin dall'inizio. Abbiamo ora rifiutato il punto di vista che " esistono numeri " , "esistono insiemi" ecc. siano linguisticamente devianti, non ab­ biano un valore di verità ecc. Un secondo motivo che certi filosofi potrebbero proporre per rifiutare argomenti di necessità è il seguente : questi filosofi sostengono che le verità della logica e della matematica sono vere per convenzione. Se, in particolare, " esistono numeri " e " esistono insiemi " sono vere per convenzione, allora conside­ razioni di non necessità o di necessità sono irrilevanti. Questa posizione " convenzionalista", d'altra parte, rivela la sua debolezza, non appena viene chiesto al convenzionalista di entrare in dettaglio. In che modo esattamente la nozione di verità, applicata a enunciati in cui occorrono quantificazioni su entità astratte, può essere definita nei termini della nozione di convenzione? Anche assumendo che alcuni enunciati matema­ tici siano " veri per convenzione ", nel senso di essere imme­ diatamente veri per convenzione, e che essi possano venire catalogati, il convenzionalista ha ancora bisogno di una qualche nozione di implicazione per poter trattare quelle verità mate­ matiche che non sono, da nessun punto di vista, immediatamente convenzionali, ossia che richiedono una dimostrazione. Ma la nozione di implicazione (validità del condizionale) ha bisogno, come si è visto, per essere definita, della teoria degli insiemi; così il convenzionalismo, anche se corretto, presuppone la quan­ tificazione su entità astratte, come qualcosa di intelligibile indi­ pendentemente dalla nozione di convenzione ; la verità mate­ matica finisce per essere spiegata come vera in virtù dell'imme­ diata convenzione e della matematica - spiegazione banalmente corretta (indipendentemente dall'importante questione di stabi­ lire quanto grande sia, in matematica, il ruolo dell'elemento con­ venzionale). Inoltre, se il convenzionalista non è attento, la sua teoria della verità matematica può facilmente finire per porsi in

A rgomentazioni di necessità

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conflitto con i risultati della matematica stessa, in particolare con il teorema di GodeI. Comunque sia, la discussione di questo aspetto ci porterebbe fuori dal seminato ; per ora semplicemente non considererò il convenzionalismo perché nessuno finora è stato capace di formulare questo punto di vista in una forma precisa e che non crolli immediatamente. Un terzo argomento che i filosofi avrebbero potuto avan­ zare per respingere gli argomenti di necessità è il seguente : verso l'inizio del secolo un certo numero di filosofi sostenne che le varie entità presupposte sia nel linguaggio scientifico che in quel­ lo quotidiano - e anche per alcuni di essi - gli stessi oggetti materiali - nient'altro erano che " uti1i finzioni " , o che noi non possiamo conoscerli, in ogni modo, se non come " utili fin­ zioni " (e così possiamo ben dire che essi sono tali). Questa filo­ sofia " finzionalista " oggi sembra essere scompars a ; ma è neces­ sario prenderla in considerazione qui per un momento, non foss'altro perché essa rappresenta il modo più diretto di rifiuto dei punti di forza comprovanti gl i argomenti di necessità. Infatti il finzionalista dice, in sostanza : "sì, certi concetti - oggetto materiale, numero, insieme ecc. - sono indispensabili, ma, no, ciò non giunge a dimostrare che le entità che corrispondono a questi concetti esistono realmente. Ciò mostra soltanto che quelle 'entità' sono utili finzioni ". Se i l finzionalismo è stato respinto dal filosofo della scienza e dall'epistemologo odierno, questo mi sembra sia stato fatto, in parte, per ragioni inaccettabili. I finzionalisti consideravano quella che segue una possibilità logica : elettroni (o qua1 sivoglia cosa) potrebbero non esistere rea1 mente, ma le nostre esperienze potrebbero essere come se vi fossero rea1mente elettroni (o qual­ sivoglia cosa). In base al verificazionismo diffusosi fin dai tardi anni '20, questo è privo di significato : se p è una proposizione che potrebbe essere logicamente impossibile verificare, allora p non giungerebbe fino a rappresentare una possibilità logica. Ma in questo dibattito i finzionalisti sarebbero sicuramente nel giusto e i verificazionisti in errore : può essere assurdo, o paz­ zesco, O sciocco, O totalmente irrazionale credere che, ad esem­ pio, noi siamo tutti spiriti angelici sotto il controllo spiritua­ le di qualche intelligenza più potente il cui scopo principale è quello di ingannarci nel farci credere che vi è un mondo ma­ teriale; ma questo non è logicamente impossibile. Questo non è un saggio sul verificazionismo ; si è solo dato un esempio ap-

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Filosofia della logica

propriato per mostrare, di passaggio, che tutte le argomentazioni del verificazionista sono cattive argomentazioni . L'argomento principale, tra l'altro, mirava a sostenere che " esistono oggetti materiali" significa qualcosa che fa sì che in certe circostanze noi tendiamo ad avere certe esperienze ; ma tutti i tentativi di condurre a termine il programma di effettuare una riduzione delle asserzioni su oggetti materiali ad asserzioni su " dati sen­ sibili " è fallito completamente ed oggi sembra non vi possa essere nessun dubbio sul fatto che tale riduzione non può essere fatta. Data una grossa fetta di una teoria T contenente sia enunciati su " d ati sensibili " sia " enunciati su cose " (assu­ mendo per amor di chiarezza, che un linguaggio su " dati sen­ sibili " possa effettivamente essere costruito) , si potrebbe certo dire che gli enunciati su " dati sensibili " sono logicamente im­ plicati d a T; ma questo non significa che g li enunciati su cose, in T (e a maggior ragione nel " linguaggio " considerato indipen­ dentemente da ogni particolare teoria) debbano essere uno per uno equivalenti a enunciati su dati sensibili, in qualche acce­ zione ragionevole di " equivalente " . Un altro argomento era una specie di ricorso ad un problema aperto : " che cosa può signi­ ficare dire che esistono oggetti materiali se non che in queste e queste altre condizioni siamo portati ad avere queste e queste altre esperienze? " Ma il ricorso alla questione aperta presuppone il successo della riduzione fenomenistica. Se si ha una riduzione S' di un enunciato S su cose in un linguaggio fenomenistico, allora è senz'altro molto opportuno chiedersi : " che cosa S' si­ gnifica più di S 1 ", ma non si può porsi tale domanda retorica se non è già stato costruito S'. Un altro trucco era quello di dire : " Le pseudo-ipotesi, ad esempio quella sul diavolo, hanno solo un significato figurativo " . Oltre che rappresentare una forma di argomentazione opinabile (precisamente, l'assumere il pun­ to di vista in questione e spiegare psicologicamente la tendenza all'errore dell'avversario) questo punto di vista è anche falso. L'" ipotesi del diavolo " non è tanto un rumore che viene ad evocare qualche " rappresentazione mentale " ; essa è un enun­ ciato grammaticale di un linguaggio ; di essa possiamo fare libere traduzioni; è soggetta a trasformazioni linguistiche ; possiamo dedurre da essa altre asserzioni e anche dire quali altre la im­ plicano ; possiamo dire se è linguisticamente appropriata o inap­ propriata in un dato contesto, e se un discorso che la contiene è linguisticamente regolare o deviante. Il verificazionista potrebbe

A rgomentazioni di necessità

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ribattere : " non n e segue che essa abbia u n significato" . Ma sarebbe proprio in errore, perché ciò che vuole dire significato è essere soggetto a un certo genere di trasformazioni ricorsive, e a un certo genere di regolarità; non possiamo sapere sull'ar­ gomento più di quanto se ne sappia oggi, ma conosciamo abba­ stanza per sapere che ciò che i verificazionisti sostenevano non era un'analisi del significato ma una riformulazione della defi­ nizione basata sulla forza di persuasione. La peggiore argomen­ tazione era, d'altra parte, tra tutte, quella che si articola come segue : " se si ammette l'ipotesi del diavolo come una possibilità logica, allora si sarà soggetti allo scetticismo totale ; infatti non si sarà mai in grado di esibire alcun motivo per sostenere che essa è falsa". E se proprio uno vuole sentire una replica all'affer­ mazione che il verificazionismo, ed esso solo, può salvarci tutti dalla bolgia dello scetticismo, eccone una : se l'ipotesi del dia­ volo è costruita in modo tale da portare esattamente alle stesse conseguenze verificabili a cui porta il più plausibile sistema di ipotesi al quale noi attualmente crediamo (o alle stesse con­ seguenze verificabiIi di un qualunque sistema di ipotesi che l'uo­ mo razionale possa ritenere più plausibile), allora non è logi­ camente falso, ma è logicamente impossibile, che possa mai essere razionale credere ad essa. Infatti la razionalità richiede che quando due ipotesi Hh H2 portano alle stesse previsioni veri­ ficabiIi (o in tutti i tempi, o al presente), e Hl è a priori molto più plausibile di H2, allora Hl deve venir preferita ad H2• Se, in particolare, Hl è stata accettata e tutte le ipotesi a priori più plausibili di Hl hanno portato a previsioni false, allora non do­ vremmo rifiutare Hl semplicemente perché qualcuno ci oppone la possibilità logica del suo essere falsa . (Questa è all'incirca la " regola 4" dei Principia di Newton). Ma ci si può chiedere : " vi è realmente qualcosa come una plausibilità a priori? ". La risposta è che si può facilmente di­ mostrare che tutte le possibili logiche induttive dipendono im­ plicitamente o esplicitamente da questo : un ordinamento a prio­ ri di ipotesi sulla base della " semplicità " , o del genere di pre­ dicati che esse contengono o della forma delle leggi che pro­ pongono, o qualche altra base. Rifiutare di prendere decisioni a priori su qu ali ipotesi siano più o meno plausibili è proprio come votarsi a non fare assolutamente mai una estrapolazione induttiva dall'esperienza passata; infatti, in un dato momento, un numero infinito di ipotesi reciprocamente incompatibili sono

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Filosofia della logica

ognuna compatibile con una quantità finita di dati, così che se dichiariamo che un 'ipotesi è stata confermata, questo non è perché tutte le altre ipotesi sono cadute, ma perché tutte le restanti ipotesi sono rigettate come implausibili anche se sono in accordo e addirittura predicono l'evidenza, cioè ad un certo punto le ipotesi debbono essere rigettate su basi a priori se mai qualche ipotesi debba essere accettata. Ancora, lo scettico obiet­ terà " in base a che cosa si sa che l'ipotesi del diavolo è meno plausibile delle normali ipotesi? " . Ma la risposta è che accettare un ordinamento in base alla plausibilità non è né dare un giudi­ zio su un fatto empirico né stabilire un teorema di logica dedut­ tiva ; è una presa di posizione metodologica. Uno può dire se l'ipotesi del diavolo è o no " pazzesca " soltanto se ha preso una tale posizione; io riporto la mia presa di posizione (e parlando come uno che ha appunto preso posizione aggiungo : e la posi­ zione non solo mia, ma quella implicita o esplicita di tutti gl i uomini razoinali). Insomma, perché noi possiamo " rifiutare " l'ipotesi del diavolo non ci è richiesto di giocare senza criterio con la nozione di impossibilità logica o di non-significanza; dob­ biamo solo ammettere di aver assunto un punto di vista secondo il quale questa ipotesi è a priori meno probabile dell'ipotesi normale, e allora osservare il fatto peculiare : è una verità logica (per il modo in cui l'ipotesi del diavolo era stata costruita), che se tale ipotesi è vera, non può essere razionale credere ad essa (assumendo, peraltro, la seguente massima di razionalità : non credere ad Hl se tutti i fenomeni considerati da Hl sono consi­ derati anche da H2 , e H2 è più plausibile di Hl). Ma se è una verità logica (relativa alla precedente massima di razionalità) che sia sempre cosa irrazionale credere all'ipotesi del diavolo, allora questo è sufficente ; se abbiamo motivi validi per rifiu­ tarla, non dobbiamo necessariamente sentirei obbligati ad an­ dare oltre e tentare di dimostrare che essa non rappresenta nem­ meno una possibilità logica. Un altro modo in uso di rifiutare il finzionalismo ha le sue radici nello strumentalismo invece che nel verificazionismo. Si incontra, ad esempio, più o meno la seguente linea di ragiona­ mento : la domanda eirca la " verità " di asserzioni non può ve­ nire separata dalla domanda se è razionale accettarle, (fin qui, d'accordo), dato che è razionale accettare che p è vera proprio nel caso in cui è razionale accettare p. Ma lo scopo finale del nostro intero " sistema concettuale " è proprio la previsione e il

A rgom entazioni di necessità

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controllo dell'esperienza (o anche questo, più la " semplicità ", qualsiasi cosa essa sia). Il finzionalista ammette che il sistema concettuale di oggetti materiali (o qualsivoglia cosa) porta a previsioni esatte (o abbastanza esatte, tanto quanto ci serve per poter manipolare i dati), e che esso è semplice tanto quanto ci serve per manipolare i dati. Ma questi sono proprio i fattori dai quali dipende l'accettazione razionale ; così è razionale ac­ cettare il nostro sistema concettuale, e chiamare le proposizioni che vengono asserite in base ad esso " vere " (o " vere come può esserlo qualcosa " nella felice frase di Anthony Quinton, dato che ci riserviamo sempre il diritto di cambiare le nostre idee). Ora, vi sono senza dubbio delle felici intuizioni in questa critica al finzionalismo. Per quanto elementare possa essere il punto, è corretto ricordare al finzionalista che non possiamo separare i motivi per i quali riteniamo razionale accettare una proposizione p dai motivi per i quali riteniamo razionale accet­ tare che p sia vera. Personalmente non amo il discorso sulla semplicità, perché la semplicità in ogni sua accezione controlla­ bile (ad esempio la lunghezza delle espressioni occorrenti, o numero dei connettivi logici, o arietà dei predicati occorrenti), è solo uno dei fattori che influenzano i giudizi di relativa plau­ sibilità che lo scienziato e l'uomo razionale fa realmente, e cer­ tamente non è neppure il più importante. Ma questo non è un punto cruciale ; dobbiamo solo riconoscere che lo strumentalismo usa la parola semplicità per indicare alcuni fatti complicati di­ pendenti da molti fattori, senza tener conto di alcuni a�petti de­ vianti che la parola può avere. Il finzionalismo ammette che la potenza di previsione e la " semplicità " (cioè soprattutto la plau­ sibilità nel confronto con ipotesi rivali, come lo scienziato e l'uo­ mo razionale giudica realmente questi fatti), siano distintivi di una buona teoria e che essi rendano razionale l'accettazione di una teoria " almeno per scopi scientifici " . Ma allora - ed è l'aspetto positivo della strategia strumentalista di ritorcere que­ sta fatale domanda interna sul finzionalista - quali ulteriori motivi potrebbero mancare perché risulti razionale " credere " a una teoria? Se proprio ciò che fa sì che il finzionalista consideri gli oggetti materiali ecc. come " utili finzioni " non fa sì che egli ritenga cosa razionale considerare gli oggetti materiali " sistemi concettuali ", che cosa potrebbe rendere razionale la credenza in qualcosa? Storicamente i finzionalisti si dividono in due tipi, rispetto

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a questo genere di questione. Un finzionalista teologico come Duhem che sostiene che con la metafisica tomista (e con la metafisica soltanto) si possono ottenere proposizioni vere sulla realtà; la scienza può soltanto dimostrare che certe proposizioni sono utili per la previsione e la sistemazione dei dati. Un fin­ zionalista scettico come Hans Vaihinger che sostiene, d'altro can­ to, che niente permette di stabilire, ad esempio, che gli oggetti esistono realmente; possiamo soltanto sapere che essi sono utili finzioni. Ma nessuno dei due risulta soddisfacente. I ricercatori non compromessi con la Chiesa Cattolica non sono d'accordo sul fatto che la metafisica tomista conduca alla verità più della scienza moderna; e lo scetticismo riduce a richiesta futile e sciocca quella che sia data una giustificazione deduttiva (o in qualche modo a priori), ai modelli basilari di ricerca induttiva, o anche che essi siano abbandonati. Inoltre, vi è un aspetto par­ ticolarmente patetico in questa versione scettica del finzionalismo ; infatti Vaihinger e i suoi seguaci nella filosofia del " Come-Se " non dubitano che la scienza conduca a previsioni approssima­ tivamente corrette, e quindi essi vengono ad accettare l'induzione su un punto (incuranti dell'assenza di una giustificazione dedut­ tiva), mentre su un altro punto rifiutano di credere che la scien­ za porti a teorie vere e quindi rifiutano l'induzione (o il metodo ipotetico-deduttivo che Mill correttamente con s iderava il me­ todo più potente della scienza indutti v a) . Perché non possiamo mai credere che le teorie scientifiche siano vere? Perché, dice il finzionalista, non possiamo dare nessuna dimostrazione dedut­ tiva che esse lo siano, anche assumendo ogni possibile conoscen­ za empirica. Ma nemmeno possiamo dare una dimostrazione de­ duttiva del fatto che il sole sorgerà domani ! Il finzionalista è così uno scettico a metà; egli sceglie di accettare parzialmente l'in­ duzione (porta a un'esatta predizione dell'esperienza), ma non totalmente (non conduce a una vera credenza circa le cose) . Benché io fin qui concordi con la strategia di argomenta­ zione dello strumentalista, c'è un punto che mi lascia profonda­ mente in dubbio, la premessa che lo scopo della scienza sia la previsione dell'esperienza (o questa più la " semplicità" dove semplicità è una specie di buffo proposito a sé stante e non un criterio per un largo numero di fattori che influenzano il nostro giudizio sulle verità probabili) . Questa premessa rende facile refutare il finzionalismo : infatti se non vi è nessuna diffe­ renza tra credere p e credere che p porti a previ sioni esatte ,

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(almeno quando p è un intero sistema concettuale), allora il finzionalismo crolla immediatamente. Ma questo non è altro che verificazionismo, eccetto pe r il fatto che ora " l ' unità di si­ gnificato è l'intero sistema concettuale " . :È difficile credere che vi sia una cosa come " lo scopo della scienza" - vi sono più scopi di più scienziati; e non si dà certo il c aso che l'interesse fondamentale dello scienziato sia la previsione. Ad esempio, per alcuni s cienzi at i l'interesse fondamentale è la scoperta di c erti fatti sulle radiostelle, o sui geni, o sui mesoni, o su ciò che volete. Essi hanno bisogno di previsioni esatte per confermare le loro teorie ; non fanno certo teorie per ottenere previsioni, che in certi casi non sono di alcun interesse in se stes se , ma solo in quanto permettono di giungere a stabilire la verità o falsità di qualche teoria. Ancora, non si dà certo il caso che la sem­ plicità sia qualcosa che gli scienziati valutano come fine a se stes s a ; molti scienziati si curano della s emplicità solo perché può es sere evidenza di verità e solo qu ando è t ale . Infine la sol a differenza degna di n ot a tra le seguenti due asserzioni : 3)

Lo scopo della scienza è la previsione esatta

e 4)

Uno scopo di alcuni scienziati è sapere se è o no vero che i mesoni si comportano in questo e quest'altro modo

a parte l'incredibile pomposità di 3) (" lo scopo della scienza " a dd i ri ttu ra !) è che 3) è espressa i n linguaggio empirico. Ma perché lo scopo della scienza, ammessa l'esistenza di una cosa del gen ere , o anche gli scopi di tutti gli scienziati, dovrebbero venire e spre ssi in lingu aggio empirico più di qu an to il conte­ nuto della scienza sia e sprimibil e in tale linguaggio? Sicuramente questo è proprio un'eredità del riduzionismo ! Insomma il finzionalismo è stato complessivamente rifiutato sulla base di una cattiva ragione : perché il verificazionismo ha reso impopolare la perfettamente legittima ed elementare distin­ zione tra verit à di una teoria scientifica e verità delle sue con­ seguenze empiriche, e quindi ha tralasciato proprio il punto l'apparente frattura tra i due - che preoccupava i finzionalisti. Ma, com e si è visto, vi è un a critica al finzionalismo che non dipende dai punti di vista riduzionisti sul contenuto o lo scopo de lla scienza. La critica è semplicemente che i veri fattori che rendono razionale accettare una teoria " per s cop i scientifici "

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rendono anche razionale credere ad essa, almeno nel senso in cui si " crede " sempre alle teorie scientifiche - come un'ap­ prossimazione alla verità che probabilmente può essere miglio­ rata, e non come una verità assoluta. Il finzionalismo non sta in piedi perché (contrariamente a quanto pensa Duhem) non è in grado di fornirci un metodo per fissare le nostre credenze migliore del metodo scientifico, e perché (contrariamente a quanto pensa Vaihinger), l'assenza di una giustificazione dedut­ tiva per il metodo scientifico non dimostra assolutamente che non sia razionale accettarlo. A questo punto abbiamo esaminato la critica agli argomenti di necessità, cioè che può essere necessario credere a p, ma che p può essere ciononostante realmente falso, ed abbiamo respinto questa accusa, non per gli usuali motivi verificazionisti o stru­ mentalisti, che sembrano poggiare su false teorie, ma perché è sciocco convenire che una ragione per credere in p sia una giustificazione per accettare p in ogni circostanza scientifica, e quindi per aggiungere .. ma anche così essa non è sufficien­ temente buona " . Un tale giudizio può essere dato solo se si accetta un metodo al di là di quello scientifico come superiore al metodo scientifico ; ma io, almeno, non ho alcun interesse in questo senso.

9. Complicazioni non considerate

In questo saggio ho scelto di esaminare in dettaglio un gruppo di questioni - quelle che riguardano la necessità della quantificazione su entità astratte come insiemi - a costo di trascurarne molte altre. Un gruppo di questioni che avrei po­ tuto considerare riguarda l'esistenza di quelle che si potrebbero chiamare " costruzioni equivalenti " in matematica. Per esempio, i numeri possono essere costruiti a partire da insiemi in più modi. Inoltre, la nozione di insieme non è la sola nozione che può essere presa come basilare ; abbiamo già mostrato come la teoria predicativa degli insiemi, almeno, è in qualche modo intertradu­ cibile con discorsi su formule e verità; e anche la nozione im­ predicativa di insieme ammette vari equivalenti : per esempio, invece che identificare le funzioni con certi insiemi, come ho fatto, avrei potuto identificare gli insiemi con certe funzioni. Il mio punto di vista è che nessuno di questi approcci deve essere considerato "più vero " di ogni altro ; il dominio dei fatti ma­ tematici ammette molte " descrizioni equivalenti " : ma chiara­ mente a questa questione dovrebbe essere dedicato un intero saggio. Ancora, ho trattato per accenni l'interessante argomento del convenzionalismo. Anche se il punto di vista convenziona­ lista non è mai stato reso molto plausibile (o anche chiaro) , esso solleva dibattiti affascinanti. I l problema della misura in cui si possano rivedere i nostri principi logici di base, come sono stati rivisti i principi geometrici di base nella fisica mate­ matica, è particolarmente affascinante. Oggi, la tendenza tra i filosofi è quella di assumere che in nessun modo la logica stes­ sa abbia un fondamento empirico. lo credo che questa tendenza sia sbagliata, ma anche questo problema ho dovuto evitare più che discutere in questo saggio. Il mio scopo è stato quello di

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dare qualche idea dei molti livelli di complessità che si incon­ trano nell'affrontare anche un unico aspetto della filosofia della logica; ma spero di non aver lasciato l'impressione che l'aspetto discusso in questo libro sia l'unico.