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Italian Pages 880 [925] Year 1972
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Haec autem est dialcctica, cui guidc:m omnis vcritatis seu falsitatis discretio i1a subiecta est u1 omnis philosophiac prìndpatum du1t univcrsae doctrinae acque rcgimcn possideat. ABEUJIDO
Lockius aliiguc qui spcrnunt non intelligunt. Ncquc cnim leges intd\eçtui aut rebus clamus ad arbitrium nostrum, sed tanguam scribac fidcles ab ipsius na1urae voce latas et prolatas cxcipimus et describimus, lnimicus Pla10, sed magis inimica falsitas.
William Calvert Kneale e Martha Kneale
Storia della logica
A cura e con una premessa di Amedeo G. Conte
Giulio Einaudi editore
Questa traduzione di Tbr Dt11dopm~,ir o/ 1.oiit ~ puhblie:na su accordo con b Cl:u-endon Prcu, Olitoli Mli e \'l·Xll, Indici) e di Luca Cafitrn
(tapiioli 1vev,conte\·idonediAlbc,noC.Ome)
Indice
Premess11Jelo1r11lore o. Jnt,oJfl'zione J. Il libro lradotlo 2. LA traduzione
p. xm
Pref,zzù.mi Ji 1X1illi11m Caluert KneorJre- XXll-,119. (Sourcn in Contc:mporary Philosophv. FUNI> A. TILU.l.\.'f, ConsuJ1ing Editcir.)
r.
Il libro tradotto.
I.I.
I/libro.
L'originale inglese s'intitola The Development of Logie: alla lette· ra, Lo suiluppo della logica. Il motivo di questo understatement è che il libro non pret~nde essere completo, ma intende solo tracciare lo sviluppo e lo svolgimento della logica. 1' In realtà, il titolo originario è forviante, duplicemente forviante, e per due ragioni opposte. In primo luogo, il titolo originario è forviante poiché promette meno di quanto il libro mantenga. Questo libro, infatti, non tratta stadi (ad esempio, la logica indiana") e specie (ad esempio, la logica dialettica o la logica trascendentale") della logica che, pure, indubbiamente s'inscrivono in quello sviluppo della logica cui The Developmcnt of Logie s'intitola." In secondo luogo, il titolo originario è forviante poiché promette piU di quanto il libro mantenga. Questo libro, infatti, è una vera e propria storia della logica formale dai greci ad oggi: anzi, sino al 1969 1 la massima. Nonostante alcune discontinuità, annunciate dallo stesso William Calvert Kneale nella Prefazione alla prima edizione inglese (1962), che, con irriproducibile gioco di parole, chiama E. Torino, Paolo Boringhieri. 190,, pp. 6o8, in specie alle pp. 374 e 6o2. (Biblioteca di cultura scientifica. Serie ua:urra. 6,.l Nel volume curato d3 MASCIONE, la traduzione di Obtr Sin,i und Bcdrutunr., fan:a da Ll.lOOVICO GEYMONAT; Srnro e 1ir.ni/icato, ~ riprodotta alle pp. 374,404.
Premessa del curatore
XX.'CIII
un termine che 'significato' non è, quantunque di 'significato' sia un paronimo: 'significazione'.") Per evitare i due pericoli or ora documentati si è di principio tradotto dalla traduzione inglese dei Kneale, e non immediatamente dagli originali o mediatamente da preesistenti traduzioni italiane nei casi in cui i Kneale citassero qualcuno in traduzione inglese propria o altrui. Naturalmente, molto spesso si è collazionato e con gli originali, e con preesistenti traduzioni italiane, ma la versione dei passi che i Kneale citano in (propria o altrui) versione inglese è, di massima, una traduzione d'una traduzione. Seguendo questa linea di condotta sono arrivato (per citare un caso-limite) a tradurre dalla traduzione inglese dei Kneale persino passi di un'opera che io stesso avevo tradotto in italiano: alludo al Tractatus logico-philosophicus di Ludwig Wittgenstein, che ho citato non dalla mia traduzione italiana, ma traducendo dalla versione inglese dei Kneale.11 2.2.2.
Avvertenza terminologica.
Per scrupolo filologico, la presente traduzione spesso indica, inscrivendoli tra parentesi quadre, i termini tecnici originari. Tuttavia, non è superfluo un commento sopra la traduzione di quattro termini particolarmente ardui: essi sono 'clause', 'phrase'. 'reliability', 'en/ailment'. 'Clause'. 'Clause' si è generalmente reso con 'clausola'. In realtà, questa scelta non è molto felice: la traduzione piU corrente e pill corretta sarebbe dovuta essere non 'clausola', ma 'proposizione'. Ma alla scelta di 'clausola' da una parte mi ha obbligato il fatto che " Or. GOTIJ.Oa FllGE, Logie.i e aritmetic11 dt., 11l1 p. 6o2, ove FllEGE, ncll'Abbouo di una fette,, 11 Giuseppe Pe,no (incdi10 prima di ques11 traduzione iialianal, scrive: • A mc sembra che la tr~duzionc r,iU appropri3111 sia per il termine 'Sinn' l'iraliano 'senso' e per 'Deùulunr.' l'i11li1nQ 'signi6c..uionc'.,.Cfr.anchcibidem,p. )74,nor11. Quamunquc il sintapna 'senso e significato' sia classico (e non solian10 per rendere con Gl!Y· MONAT il fo:r.eano binomio 'Sinn ,md Btd·llog,;sms, cNotre Dame: Jourrial of Formai .Loi:k•. Il (1961).r,r,. 1,8-67.
fu). p. c:d.C.l.A.G. XIII C. i.A.G. Il
11• f!Loroso, fo Aristotdis A11. pr. Comm,mt11ria, c:J. WALLIES, 111 ALESSA:, yÉvoç, 6È -toU Et6ouç, iCT-ri -rò t~ov ), sembra intendere che i sin.coli uomini esemplificano la specie umanità, l'appartenenza come membro alla quale è indicata dall'étimo stesso della parola, e similmente il .'.:.l'llUJ animalità, l'appartenenza come membro al quale è indicata dall"i.:lirno della parola. Ma il suo linguaggio suggerisce ch'egli pensi ~si~t;t una specie chiamata 'uomo' e un genus chfamato 'animale', e difatti prosegue dicendo che uomo e animale si chiamano sostanze seconde 1 fJE,j-:E"pat. oVv etV-tat. liyov-r«t. oVo"lc:u.,otov ò civi>pwr.oc; xat -rò ~{{.)ov )... Que510 bizzarro modo di parlare fu corrente per tutta la tarda antichità, ed :mrnverso gli scritti di Boezio produsse quell'intricata questione degli 11nìversali, su cui si esercitarono le menti dei filosofi del medioevo. Il passo di Boezio che esercitò il maggiore influsso al proposito si trova all'inizio del commento alla sua traduzione dell'Isagoge di Porfirio. Questi aveva scritto in apertura della sua opera: 'Quanto al gr!11us ed alla specie, mi sia concesso di non discutere qui la que~1i,,ne se gem,s e specie esistano in realtà o si trovino semplicemente e soltanto nel pensiero, e, nel caso che esistano, se essi siano corporei od incorporei, e se siano ~~·parabili oppure esistano soltanto nelle cose sensibili e dipendentemente da esse. T.1!,: studio è infatti molto profondo e richiede un'altra e pill ampia indagine."7
~la Boezio si senti chiamato a trattare questi problemi in un modo che avrebbe, pensava, disposto la mente del lettore al resto senza introdurre un.1 troppo Jung.1 digressione." Cosf, secondo la sua dottrina, gli universali sussistono ne11e cose corporee e sensibili, ma essi stessi sono incorporei e separabili, nel pensiero, dalle cose corporee; difatti una specicr, o un genus, è una somiglianza che l'intelletto coglie tra i diversi individui, come ad esempio la similitudo humanitatis che può essere còlra ex singulis hominibus. Questa,ci dice, era l'opinione di Aristotele, che possiamo senz'altro accettare al fine dell'indagine principale, senza tuttavia presumere di decidere definitivamente contro l'opinione di Flacone, secondo il quale gli universali non solo sono pensabili separatarn..:nre dai corpi, ma possono anche esistere separatamente da essi . .. C12tilc qunndoquc esse verum et quandoque esse falsum. Esset autcm ex hoc scienti:1 Dei variabilis si enuntiabilia cognosceret per modum enuntiabilium, componendo et dividendo, sicut accidit in intcllectu nostro. 11n
Come spesso accade in filosofia, le parti di questa controversia non facevano che fraintendersi. Per liquidarla, è necessario richiamare alla men re una distinzione di cui ci occupammo trattando della logica stoica, ,·aie a dire quella fra ciò che gli uomini asseriscono, e ciò che le formulazioni verbali significano. Quello che i nominales chiamano vero nel senso basilare, è ciò che uno parlando asserisce, o potrebbe asserire, pronunciando un enunciato indicativo, e giustamente osservano che vi è un uso secondo il quale si può dire che gli uomini asseriscono in momenti differenti un'unica e stessa cosa, pronunciando in quei differenti momenti enunciati indicativi con tempi grammaticali differenti. Cosi, dopo l:1 nascita di Cristo un cristiano può difendere la veridicità delle antiche profezie dicendo: 'Cristo è nato, come i profeti predissero,' Tutravia, è un po' strano affermare, come sembra facessero i nominales, che Cbristus nasciturus est e Christus natt1s est hanno lo stesso signific:1.ro. Infatti, se le ricorrenze dei due enunciati-tipo si riferiscono allo stesso evento, è chiaro che lo fanno in diverse maniere, e vi è un uso ben fondato, secondo il quale è corretto dire che quelli che li pronunciano fonno due differenti asserzioni. Quando riferiamo ciò che affermavano i profeti, dobbiamo usare una locuzione come 'che Cristo sarebbe nato' piuttosto di 'che Cristo è nato'. D'altro canto, san Tommaso e quelli d'accordo con lui sembrano ritenere che la verità appartenga in senso fondamentale a un enunciato-tipo,o a que] qualcosa nell'intelletto che può essere significato da tale enunciato, e sono cosl portati natural,,., Iumrn11lhtolorit11,l.XIv.1,.ar.ancheQuodlibtlali11,4(17).
Logica romana e logica medioevale
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mente a dire, come Aristotele, che ciò che è vero in un momento può es. sere falso in un altro. L'uso che san Tommaso fa della parola enuntiabile è oscuro ed incerto, ma sembra chiaro che talvolta intenda con esso una formulazione verbale od altri segni, perché parla di enuntiabilia in v0 • ce o in intellectu/11 ed è degno di nota che nel passo da noi citato egli, da1la verità di un enuntiabile, scivoli a parlare della verità di una pro· positio od oratio. Dato che, comunque, quello che Dio sa della storia non può essere una formulazione verbale e neppure ciò che da essa è significato, san Tommaso è costretto a dire che quello che Dio sa è che certi enuntiabilia sono veri in un tempo e falsi in un altro. Nel conte. sto, questo ovviamente involge che il possesso della verità da parte di un enuntiabile in un momento, è esso stesso un fatto immutabile, e cos( siamo riportati a una posizione simile a quella da noi delineata nella di. samina dei nominales. Infatti, dire che la frase 'Cristo nascerà' era vera al tempo dei profeti, è soltanto affermare indirettamente, medianterife. rimento a una formulazione verbale, ciò che i profeti stessi asserivano direttamente, vale a dire che Cristo sarebbe nato dopo il loro tempo, e questo è intemporalmente vero, benché noi parlandone ora dobbiamo usare, come abbiamo fatto, la costruzione 1 sarebbe nato'. Ruggero Bacone (1214·92) e Raimondo Lullo ( 1235·1315) stanno fuori della linea generale di sviluppo, ma non si possono trascurare in un'esposizione della logica di quel periodo. Ruggero Bacone è principalmente ricordato come precursore di Francesco Bacone nella difesa del metodo empirico, e per questa ragione è stato spesso menzionato con onore, affinché fossero condannati i suoi contemporanei. E vero che i suoi scritti sul magnete e sull'arcobaleno non fecero molta sensazione, e che la grande opera con cui spe· rava d'interessare il papa ad un piano di ricerche sperimentali non ot· tenne alcun risultato; ma egli non fu il solo ad interessarsi della natura. Lo studio del quadrivium (aritmetica, geometria, astronomia, musica) e della Physica di Aristotele, per quanto potesse essere elementare e privo di originalità, tenne viva la nozione di scienza scoperta dai greci, e vi furono alcuni filosofi, specialmente tra i francescani inglesi, che cercarono di perfezionare tale retaggio. Anteriore a Bacone fu Roberto Grossatesta, che insegnò alla scuola francescana di Oxford intorno al 1224 e divenne poi vescovo di Lincoln. Il principale ostacolo ad un costante progresso scientifico non fu l'influsso del1a logica di Aristotele, né alcun'altra cosa derivata dalla Grecia, ma la mancanza di una sta111
Cfr. in panicolareSumma lhtofogica, I. XVI.
7.
La logica delle università
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bile curiosità per tutto ciò che non era menzionato dagli autori antichi, e che pareva non poter contribuire in nulla alla salvazione. Era pi\J facile ottenere l'appoggio del papa e dell'imperatore per una inqui.sitio b,1erdicae pravilali.s che per una inqui.sitio naturae. Raimondo Lullo fu un catalano che, dalla carriera militare, si volse ;1l]a religione, e mori tentando di convertire i mori dell'Africa. La sua j;1ma poggia principalmente sull'invenzione di un sistema per combinar..:: i concetti in maniera meccanica, cosf da esaurire tutte le alternative. Pare abbia avuto la strana idea che esso sarebbe servito a confutare i m;1omettani ed a diffondere la verità del1a religione cristiana. I segni dei concetti piU importanti in certi gruppi dovevano essere disposti intorno a cerchi come le punte del compasso, e le varie combinazioni si ottcnev:mo facendo ruotare i cerchi intorno a un centro comune. La scelta dei concetti fondamentali non mostra una grande abilità filosofica; e il suo metodo di combinarli non ha prodotto alcun risultato, né nella conversione dei mori, né nel progresso della scienza. Tuttavia, tale sistema, che i suoi seguaci chiamarono ars magna, ha avuto qualche inOusso sullo sviluppo della logica. Nel medioevo non fu mai interamente dimenticato e nel XVII secolo ispirò diversi tentativi di ottenere un linguaggio filosofico in cui tutte le idee complesse si potessero esprimere con la combinazione di certi segni fondamentali. In particolare, è probabile che abbia suggerito a Leibniz, direttamente o indirettamente, il suo piano per una characteristica universalis basata sui principi di un'ars
combinatoria. 1.,,
Tra i commentari ai testi classici ve ne è uno di particolare interesse, intitolato In univer.sam logicam quaestiones. Un tempo era attribuito a Giovanni Duns Scoto (r266-1308) e lo si può trovare nel primo volume dell'edizione delle sue opere pubblicata nel r639 da Luke \'V/adding, insieme ad un altro interessante trattato dal titolo De modis significandi sin? grammatica .speculativa. Oggi però quest'ultimo viene attribuito a Tommaso di Erfurt, che visse nella prima metà del XIV secolo, e le Qu,1estiones, piuttosto bizzarramente, a uno Pseudo-Scoto. Anche se non si tratta del doctor subtili.s, l'autore fu un sottilissimo logico, e la sua opera non è affatto una mera parafrasi dei testi antichi, ma una serie di discussioni su questioni suggerite dall'Isagoge di Porfirio e dall'Orgm,on di Aristotele (esclusi i Topica). Alcuni problemi sono assai lontani dal campo d'interessi degli antichi. Cosi la quae.stio 4 sul primo libro degli Analytica priora è se davvero tutte le proposizioni siano per '". Alcuni plnioolari sull'Arr m.111.n" si possono noym.• in MARTIN
.:ud D1.ig,,11m, insieme c1,n ulu:liod 1nfonn~i,oni iulb v11a Ji U.'LLO
GAIIO~Ell,
Loaic l\!achines
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Logica romana e logica medioevale
quantità universali, particolari, indefinite o singolari. L'autore fa giustamente notare che tale distinzione non può essere applicata a tutte le proposizioni ipotetiche (cioè complesse), sebbene le loro parti possano dirsi avere quantità secondo lo schema ordinario. È un'osservazione che contrasta favorevolmente con la confusa classificazione dei giudizl secondo la qualità, la quantità, la relazione e la modalità, che Kant prese per data nella Critica della ragion pura. Nelle quaestiones 25, 33 e 36 sul primo libro degli Analytica priora, lo Pseudo-Scoto ci dà la pili ingegnosa discussione di logica modale che sia stata finora scoperta in un testo del medioevo. Egli non parla di proposizioni modali dedicto e de re, ma, come san Tommaso ed Abelardo prima di lui, distingue un senrns compositus e un sensus divisus, avvalendosi di tale distinzione per elaborare una nuova teoria della conversione e del ragionamento sillogistico con proposizioni modali. In particolare, tenta di giustificare la parte controversa della teoria di Aristotele, sostenendo nella quaestio 28 che 'ex maiore de necessario in sensu diviso et minore de inesse valent modi primae figurae directe condudentes'. In piU, oltre le modalità strettamente logiche della necessità, della possibilità, della contingenza e dell'impossibilità, egli ne considera altre, espresse da parole comedubium, scitum, opinatum, apparens, volitum, dilectum; e trova che alcune di queste, ma non tutte, sono soggette a regole simili a quelle valide per le modalità logiche.'• Cosi, una proposizione con la paro1a modale scitum può essere convertita come una con necessarium, e venire allo stesso modo usata come premessa di un ragionamento sillogistico. Erano forse queste le complicazioni che facevano dire agli studenti medioevali di logica: De moda-
libus non gustabit asinus. Alcuni dei passi piU notevoli dell'opera si trovano nella quaestio 10 su] primo libro degli Analytica priora e nella quaestio 3 sul secondo libro. Si riferiscono alle consequentiae, cui i logici medioevali dedicarono molti trattati. Noi ce ne occuperemo in maniera dettagliata in una delle prossime sezioni. Guglielmo d'Ockham ( 1295 circa- I 349) è già stato menzionato in relazione alla disputa sui futuri contingenti. Recentemente i suoi scritti politici contro i diritti del papato sono stati ripubblicati, ed è ricordato come un influente nominalista, ma la sua fama di grande logico poggia
L3 logica delle università
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principalmente sulla_ m_assima conosciuta ~o_me 'il rasoio di Ockham': E,rtia non sunt mulhplrcanda praeter necessttatem. La quale senza dubbio rappresenta con esattezza la tendenza generale della sua filosofia, ma non è stata finora rintracciata in nessuno dei suoi scritti. Quella che piU le si avvicina sembra essere Numquam ponenda est pluralitas sine 1:ccessitate, che si trova nell'opera teologica sulle Sentenze di Pietro Lombardo."' I suoi piU importanti contributi alla logica furono l'Expositio aurea super artem veterem e1a Summa totius logicae. Quest'ultima venne ancora ripubblicata ad Oxford nel 167 5, ad uso dell'insegnaml'ntO, cd è degna di nota perché pare si tratti del primo tentativo di presentare tutta la logica, comprese le novità medioevali, in un'esposi7.ione sistematica. L'opera è divisa in tre libri, che si riferiscono rispetti\·amente ai termini, alle proposizioni, ai ragionamenti; e il terzo a sua \·oh,1 si divide in quattro parti, che trattano i sillogismi, la dimostrazione, le consequentiae, etc., e le fallacie. Cose interessanti si possono tro\·are in tutta l'opera, ad esempio nella teoria dei sillogismi modali, ancorn piU complicata di quella dello Pseudo-Scoto, perché prevede ragionamenti in cui una premessa è presa in sensu composito e l'altra in senm diviso. Ma i capitoli sugli universali e la suppositio, nel primo libro, e tutta la terza parte del terzo libro, sono particolarmente preziosi per il lettore che desideri conoscere le peculiarità della logica medioevale. In aggiunta a una minuta discussione sulle consequentiae, la terza parte del terzo libro contiene sette capitoli sulle obligationes ed uno sugli inrnfubilia. Quanto al pensiero di Ockham sulla suppositio terminomm, e perciò sugli universali, ce ne occuperemo nella prossima sezione, mentre i suoi contributi alla teoria delle consequentiae saranno esaminati nell'ultima sezione del presente capitolo. Dopo Ockham, numerosi logici assursero a fama europea nel XIV secolo: Walter Burleigh, che tra altro scrisse un adattamento dell'opera 1i1irm11nt si dol'rehhe lcuere 11011 ~·.-,1/111(n1
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PrrJin the Rean/ Pro11.rrss ,md Prtunt St11f( o/ Ctr/ai,, Branch(S o/ ,1,,,.1(y1is, in Rt· ,, . .,, o/ thr Th,,d Mutmz. o/ the Br11ubAssO(Ìa/1on /or the Aduntrmtnl o/ Scfrnce, He/d 1n 1/JJJ, l'l•.18,.J,i,insp,eciepp.198.;1:07. '' • TrJns3ctionsuf thc Ro}·.11 Society of Edinburgh,., Xl\' (1840), r,p. zos.16.
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L'astrazione matematica
1844 una serie di quattro saggi sopra The Foundations o/ Algebra. 11 In secondo luogo, vi furono tentativi d'inventare calcoli nuovi. H. Grassrnann, ad esempio, pubblicò nel 1844 un libro sulla Ausdehnungslehre che attua il progetto leibniziano d'un calcolo geometrico. E, dal 1844, anno in cui pubblicò il suo primo saggio sui quatemioni, Sir William Rowan Hamilton di Dublino dedicò molte energie al perfezionamento d'una nuova algebra dei numeri ipercomplessi. :È tuttavia interessante notare che Hamilton non lavorò interamente nel vuoto. I suoi sforzi furono tutti ispirati dal desiderio d'elaborare un calcolo che, per il moto nello spazio tridimensionale, facesse ciò che la teoria dei numeri complessi sembrava fare molto sodisfacentemcnte per il moto in un piano. Come i numeri complessi sono esprimibili nella forma x+yi (ove la lettera i è una abbreviazione di V-1 ), cosl i quaternioni di Hamilton sono esprimibili nella forma x+yi+zj+wk (ove le lettere i, j, k rappresentano rotazioni ìn tre piani perpendicolari l'uno all'altro). Ma, a differenza della teoria dei numeri complessi, il sistema di Hamilton ncin sodisfa tutte le regole basilari dell'algebra. Per conservare le altre regole, egli dovette abbandonare la legge commutativa per ]a moltiplicazione e dichiarare ij = -ji. Ecco perché i qua ternioni non sono riconosciuti universalmente come numeri. E lo stesso può dirsi di altre idee che furono proposte: ad esempio, delle matrici [matrices], delle quali si può forse pensare che offrano un'estensione del concetto di numero oltre il dominio dei numeri complessi.! infatti noto che una tale estensione non può operarsi senza sacrificare qualcuna delle regole che determinano il significato della parola 'numero' quale si è usata sinora in matematica. Ciò significa non che sia assurdo parlare di numeri ipercomplessi, ma che, se ne parliamo, il nostro uso è giustificato soltanto da un'analogia parziale. Come reagirono i matematici a questo progresso dai numeri naturali ai numeri complessi? Dapprima, ogni passo produsse un senso di disagio; poi, dopo un po', ogni passo apparve inevitabile. Almeno per i numeri reali il progresso fu guidato da considerazioni spaziali; ed anche i numeri immaginari, originariamente introdotti per conservare la generalità di certe strutture di calcolo, furono accettati e rispettati solo dopo che furono incorporati in una teoria dei numeri complessi con un'interpretazione spaziale. Ma ben presto, compiutasi la parte pill importante di questo sviluppo, sorsero dubbi sull'affidabilità dell'intuizione •• «Tr~nsac1ions of the Cambridge Phllosophica! Society•, \'Il, pp. 173-87, .287-300; VIII, pp.139-4.2,.1.p-,4.
Numeri e funzioni
4n
spaziale quale base di asserzioni intorno al continuo dei numeri reali. Questi dubbi non erano dovuti né a difficoltà nell'applicazione della matematica, né all'influenza della geometria non-euclidea, ma nacquero piuttosto da scoperte entro l'analisi matematica stessa. Ad esempio, fu mostrato da Bolzano, nel 1830, e poi anche da \'7eierstrass, che alcune funzioni continue non sono differenziabili." Nel linguaggio geometrico ciò sembra significare la possibilità che vi siano curve continue senza tangenti. E paradossi ancor piU sorprendenti dovevano ancora venire. Uno dei piU singolari concerne la densità dei punti razionali in una retta. Supponiamo che si siano assegnati i numeri O e r a due punti su una retta, e che si sia deciso di apporre un trattino sopra ognuno dei punti intermedi che si sono cosi fatti corrispondere ai numeri razionali:
1---T~f---1. 0
j j
I
Poiché, tra due frazioni qualsiansi, vi sono infinite frazioni, viene da presumere che ogni trattino si sovrapporrà agli altri e che la somma delle loro lunghezze non potrà non superare un'unità, per quanto piccoli possano essere i singoli trattini. Ma non è cosL Infatti, se consideriamo le frazioni O e I nell'ordine
J. !, i,¼,¾,;. i,~ .... e poi assegniamo alla prima un trattino di lunghezza eguale a i di un'unità; alla seconda, un trattino di lunghezza eguale a~· di un'unità; alla terza, un trattino di lunghezza eguale a~ di un'unità, allora la somma delle lunghezze di tutti i trattini sarà soltanto
,+i+l1+, .. =!, Certo non possiamo disegnare tutti i trattini con una matita, ma è evidente che la nostra regola di procedura assegna un trattino di lunghezza determinata, una determinata lunghezza del trattino, ad ogni frazione distinguibile, poiché ogni frazione distinguibile ha un posto nel nostro ordine. Una volta messa in dubbio l'affidabilità dell'intuizione spaziale quale fonte di conoscenza matematica, divenne necessario riesaminare tutte le dimostrazioni correntemente accettate, e il risultato fu una radicale ricostruzione della matematica da parte di uomini come Cauchy ( 17891857) e Weierstrass (1815-97). Si è detto, invero, che in analisi non si è dimostrato sodisfacentemente nulia prima del secolo XIX. Ora, in ana" La dimostrazione Ji
BDL7.ANO,
nel saggio Fu11ktivm:nl.-hre, fu pubblicata :10lo nd 1930,
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L'astrazione matematica
1isi, cosi come in geometria, il rigore richiede la formulazione esplicita di tutto ciò che sia essenziale ad una dimostrazione; troviamo cosi che nel secolo xix l'attenzione è diretta alle formule che forniscono definizioni implicite dei vari tipi di espressioni numeriche. Se queste formule siano considerate regole speciali di calcolo o, invece, assiomi onde derivare teoremi secondo le leggi generali della logica, non conta molto, purché le formule siano enunciate integralmente e siano riconosciute fondamentali. Ma viene da domandare: perché proprio queste formule? Ci ha ind6tro ad adottarle qualche necessità immanente al corso dello sviluppo? O sono, invece, esse mere convenzioni, suggerite si da interesse per la descrizione della natura o da desiderio di generalità astratta nella matematica stessa, ma insuscettibili di dimostrazione proprio in quanto mere convenzioni? Queste domande furono fatte nel secolo XIX e sono discusse tuttora. For!>e, l'impostazione giusta del problema è mostrare che l'antitesi tra scoperta ed invenzione fu concepita falsamente. :E: infatti certo che i matematici possono costruire calcoli che servano ai loro speciali interessi, ed è parimenti certo che essi non sono del tutto liberi nello scegliere convenzioni. Noi, se vogliamo, possiamo dire che Hamilton inventò i quaternioni, ma non possiamo non ammettere che né egli, né altri potevano fare un sistema di numeri ipercomplessi che sodisfacesse tutte le leggi dell'algebra valide per i numeri complessi. Comunque sia, il primo passo verso il chiarimento della questione fu la formulazione esatta delle regole dei vari calcoli che già avevano ottenuto riconoscimento. Questo passo fu fatto nel secolo XIX. Nell'ampliamento del concetto di numero, ad ogni stadio incontriamo entità di tipo nuovo definite implicitamente dalle regole d'operazione di un nuovo calcolo. Ma, in alcuni contesti, ove usiamo parlare di intieri relativi o di numeri razionali, è possibile dire tutto ciò che vogliamo dire senza parlare di numeri d'un nuovo tipo. Cosi, invece dell'equazione 3-5=-2, possiamo scrivere 3+2=5, e, invece di j=f, possiamo scrivere 5x6=1ox3. E, anche quando troviamo conveniente calcolare con intieri relativi o con numeri razionali, possiamo considerare questi numeri come coppie ordinate di numeri scelti dal tipo immediatamente inferiore e soggetti a speciali regole d'operazione. Il calcolo degli intieri relativi, ad esempio, può svilupparsi a partire da regole quali:
(a,b)-(c,d) se, eso/o se, a+d-b+c, (a, b )+(e, d)-(a+c, b+d), (a, b) (e, d)-(ac+bd,ad+bc).
Numeri e funzioni
457
A prima vista, ciò sembra strano; ma, in reàltà, per ottenere il consueto metodo di rappresentazione, basta scrivere +a e-a come abbreviazioni per le due forme standard (a, O) e (O, a), cui le nostre nuove espressioni numeriche sono riducibili secondo le nostre speciali regole del1'eguaglianza. Le regole speciali del calcolo dei numeri razionali sono, naturalmente, differenti, ma non piU complicate. Né finiscono qui le possibilità di spiegare mediante coppie ordinate; infatti, come Hamilton mostrò nel 1835, è possibile presentare il calcolo dei numeri complessi come un calcolo di coppie ordinate di numeri reali con apposite regole dell'eguaglianza, dell'addizione, della moltiplicazione, etc. Se si potesse mostrare che il discorso intorno ai numeri reali sia analogamente correlato al discorso intorno ai numeri razionali, la catena sarebbe completa e potremmo dire, nella terminologia di Russell, che tutti i numeri dei tipi superiori siano costruzioni logiche a partire dai numeri naturali. In altri termini, non sarebbe piU necessario introdurre numeri dei tipi superiori quali entità nuove scoperte per intuizionedeila continuità spaziale o temporale, poiché il discorso su essi equivarrebbe di principio ad un discorso, piuttosto complicato, intorno ai numeri naturali ed alle loro proprietà. Questo programma, che ispirò buona parte della filosofia posteriore, si chiama l'aritmetizzazione dell'analisi. Purtroppo, ai matematici moderni i numeri reali sono parsi tanto fastidiosi quanto già erano apparsi alla scuola di Pitagora. La ragione è che il calcolo dei numeri reali non si può presentare come un calcolo con insiemi finiti di numeri razionali. Non appena cominciamo a calcolare con numeri reali, ci impegniamo a parlare dell'infinito, con tutte le difficoltà che ciò comporta. Lo si vede chiaramente considerando due teorie dei numeri reali formulate nel secolo scorso. Delle due teorie dei numeri reali, la prima fu suggerita da Weierstrass e sviluppata da Cantar. In pratica, essa consiste nell'identificare un numero reale con una successione infinita di numeri razionali comunemente chiamati successive approssimazioni ad esso. In aritmetica elementare abbiamo, ad esempio, un procedimento per estrarre radici quadrate, e, per applicazione continuata di esso, possiamo calcolare il valore di V2 a tanti posti di decimali quanti noi desideriamo. Poiché -../2 è irrazionale, questo procedimento non potrà mai portare a questa conclusione, cioè ad un'espressione decimale che sia completata da degli zeri o da un periodo ricorrente di cifre, quantunque il nostro uso della frase 'calcolare il valore di V2' ci possa indurre nella tentazione di pens:J.re che vi sia qualche espressione decimale completa, cioè che V2 sia omogeneo :J.i numeri che noi chiamiamo le nostre approssimazioni. Se-
458
L'astrazione matematica
condo Cantor, il numero reale V2 può identificarsi con la successione r,4 1 1,4r, 1.414, 1,4142, etc., attraverso la quale noi procediamo quando operiamo prima ad un posto di decimali, poi a due posti, poi a tre, poi a quattro, e cosi via. La successione è potenzialmente infinita, ma noi siamo in grado di stabilire regole per calcolare con essa come con un numero, perché il succedersi dei suoi termini è fissato da una legge. L'altra delle due teorie dei numeri reali fu proposta da Dedekind in Stetigkeit und irrationale Zahlen, 1872, edè una versione moderna della teoria delle proporzioni di Eudosso. Quantunque non possiamo trovare alcun numero razionale il cui quadrato sia eguale a 2, possiamo tuttavia dividere esaustivamente i numeri razionali in numeri razionali che sono numeri positivi con quadrati maggiori di 2 e numeri razionali che invece non lo sono. Secondo Dedekind, V2 è appunto la sezione che cosi divide i numeri razionali. Se ciò suona troppo paradossale, possiamo dire che V2 è l'insieme infinito dei numeri razionali sodisfacenti Ia seconda condizione; infatti, il luogo della sezione è determinato unicamente dalla costituzione dell'insieme inferiore, formulazione che ha il vantaggio di facilitare il confronto della definizione con altre definizioni di numeri dei tipi superiori. Infatti, come gli intieri relativi, i numeri razionali, i numeri complessi, cosi anche i numeri reali sono, in questa teoria, definiti come insiemi di numeri del tipo immediatamente inferiore, ma qui, come nello schema di Cantar, l'insieme usato per definire un numero reale dev'essere infinito. Le due teorie dei numeri reali sono.equivalenti, nel senso che un calcolo deHc successioni infinite costruito secondo la prescrizione di Cantar ha la stessa struttura che un calcolo delle sezioni costruito secondo la prescrizione di Dedekind. Né v'è da stupirsi: infatti, una successione infinita convergente è lo strumento appropriato per localizzare una sezione di Dedekind, La definizione dei numeri reali·mediante insiemi infiniti di numeri razionali sembra sodisfacente nel senso che ci dà ciò che ci aspettiamo nel calcolo dei numeri reali e mette questo calcolo in relazione con il precedente calcolo dei numeri razionali. Ma essa non tiene conto della aritmetizzazione dell'analisi, se, per 'aritmetizzazione dell'analisi', intendiamo, cosi come sembra avere fatto Kronecker, la riduzione di tutti gli asserti matematici ad asserti intorno a numeri naturali. Infatti, un asserto riferentesi ad un insieme infinito di numeri razionali non si può ridurre in quel senso stretto, in cui si può invece ridurre un asserto riferentesi soltanto ad un insieme finito di particolari numeri razionali. E, se rinunciamo al programma della riduzione completa, dobbiamo
Numeri e funzioni
4,9
ancora affrontare 1a difficoltà di dimostrare la coerenza delle speciali regole da noi adottate per il nostro calcolo per i numeri reali. Come far~ ciò senza petizione di principio (ossia; senza postulare l'esistenza dei numeri che le regole devono definire)? Quantunque, nel secolo XIX, non siano state elaborate nei particolari, queste critiche riuscirono tut~ tavia a turbare alcuni matematici. Ad esempio, Frege, come Kronecker, non fu mai pienamente sodisfatto dalle teorie dei numeri reali diffuse ai suoi tempi. In altri capitoli avremo occasione d'analizzare alcune di queste diHìcoltà.
3.
Boole e l'algebra della logica.
Geometria ed algebra hanno contribuito diversamente allo sviluppo della logica matematica. La geometria, come vedemmo nella prima sezione di questo capitolo, ha offerto un campo per elaborare le nozioni dell'assiomatica, mentre l'algebra ha fornito un paradigma per la costruzione d'un calcolo logico. Già nel secolo XVII Leibniz intul una somiglianza tra disgiunzione e congiunzione di concetti da un lato e, dall'altro, addizione e moltiplicazione di numeri, ma non riusci a formulare con precisione la somiglianza né ad usarla quale base d'un calcolo della logica. Vi riusci invece George Boole ( 1815-64) in The Mathematical Analysis of Logie.•• L'idea che le formule algebriche potessero usarsi per esprimere relazioni logiche l'aveva avuta già da adolescente, quando faceva l'assistente in una scuola privata a Lincoln e si faceva un'istruzione leggendo molto. Ma il rinnovato interesse per la logica, che lo indusse a scrivere questo volumetto nel 1847, fu dovuto all'apparizione, su riviste, di lettere sulla già famosa controversia nella quale Sir William Hamilton di Edimburgo rivendicava d'aver adottato per primo la dottrina della quanti6caziol1e dei predicati, accusava di plagio Augustus De Morgan, e moveva assurde critiche contro la matematica quale elemento nell'educazione. Prima di pubblicare la propria opera, Boole scrisse a De Morgan, del quale condivideva gli interessi, ma questi stava proprio finendo la sua Formai Logie e suggerf di pubblicare i due libri prima di consultarsi sui loro risultati. I due libri apparvero cosf quasi simultaneamente, cd anzi si racconta che essi siano arrivati in libreria proprio ncl1o stesso giorno. Quantunque l'interesse di Boole per la logica matematica sia stato stimolato da un'effimera disputa, non fu certo un caso che, poco prima che egli scrivesse, si fosse molto discusso sulla natura dell'algebra. Pos" w. Kl'>EALE ha delineato la bio,:TJfia di ll-001.E in IJoole ,md rhe Rc-1"11"11/ o/ Logie. cMind•, n. 5., LVII (19~1\), pp. 1.i9•7'.
Boole e l'algebra della logica
461
siamo senz'altro presumere che egli avesse letto alcuni dei saggi di Peacock, Gregory, De Morgan e Sir William Rowan Hamilton da noi menzionati nella precedente sezione. Gregory, direttore del «Cambridge Mathematical Journal », era un suo amico personale che gli aveva dato fiducia nelle sue capacità di matematico. E, a prescindere da ciò, l'interesse estetico di Boole per la matematica lo indusse a tenere in gran conto tutti i tentativi di attingere la generalità astratta. Egli aveva conseguito una buona reputazione con un saggio del 1844 sopra A Generai Method in Analysis, ove egli contribui a generalizzare il ragionamento algebrico facendo libero uso del calcolo degli operatori, o separazione dei simboli [separation o/ symbols], come si diceva allora. Dalle opere che già erano state pubblicate Boole desunse due imporranti scoperte: (I) la possibilità di un'algebra di entità che non fossero numeri in alcun senso ordinario del terminei (n) la non necessità che le leggi, sussistenti per i tipi di numeri sino ai numeri complessi inclusi, fossero conservate tutte insieme in un sistema algebrico non applicabile a tali numeri. Con il suo genio per la generalizzazione, egli vide la possibilità di sviluppare un'algebra come un calcolo astratto suscettibile di varie interpretazioni. La concezione della logica che egli derivò da questa idea è enunciata chiaramente nella sezione introduttiva di The Mathematical Analysis o/ Logie: 'Chi conosce lo stato presente della teoria dell'Algebra Simbolica sa che la validità dei processi d'analisi dipende non dall'interpretazione, ma solo dalle leggi di combinazione dei simboli impiegati. Ogni sistema d'interpretazione che non modifichi Ja verità delle rel::izioni che si suppone sussistano tra quei simboli, è egualmente ammissibile: ecco perché gli stessi processi possono rappresentare, in uno schema d'interpretazione, la risoluzione J'un problema sulle proprietà dei numeri; in un altro schema d'interpretazione, la risoluzione d'un problema geometrico; in un terzo schema d'interpretazione, la risoluzione d'un problema di dinamica o di 011ica ... Un vero Calcolo può caratterizzarsi come un metodo il quale si fonda sull'impiego di Simboli, le cui leggi di combinazione sono note e generali, e i cui risultati ammettono un'interpretazione coerente. Che alle esistenti forme dell'Analisi sia assegnata un'interpretazione quantitativa è il risultato delle circostanze (,falle quali queste forme furono determinate, e non deve erigersi in condizione uni\'ersale dell'Analisi. E sulla base di questo principio generale che io mi propongo di stabilire il Calcolo della Logica e per esso rivendico un posto tra le forme ri.:onosciutc dell'Analisi Matematica, prescindendo l.shlm?, S 10,134. °' Sullo svilupPO dd p~nsicto di Oi:DEKISD. dr. 1uo WA:-.ç;, Tbe Axiom.iti1 (b=>a)
Assioma.
[2] [c=>(b=>a)]=>[(c=>b)=>(c=>a)]
Assioma.
[3] {[c=>(b=>a)]=>[(c=>b)=> (c=>a)J)=>((b=>a)=> {[c=>(b=>a)]=>[(c=>h) => (c=>a)l})
Da [r]: [cc,(bc,a)]=>[(c=>h)=>(c=>a)l/a; h=>a/b. Da[3]e[2].
[4] (h=>a)=>{[c=>(h=>a)]=>[(c=>h)=>(c=>a)J)
[5] ((ba)=> {[c=>(ba)] => [(c=>b)=> (c=>a)J)) =>(((b=>a) => [c=>(h=>a)l) => ((b=> a)=> [(c=>b) => (c=>a)J)) Da [2]: b=>a/c; e=>(b =>a)/b;(c=> b) => (e=>a)/a.
[6] ((ba)=> [e=> (b=>a)J) =>((ba)=> [(c=>b) => (c=>a)J) [7] (b=>a) => [cc,(bc,a)]
Da[5]e[4].
Da[r]: h=>a/a; c/b. Da[6] e[7J.
[8] (bc,a)=>[(c=>b)=>(e=>a)]
[9] ((h=>a) => [(e=> b) => (c=>a)J) => {[(h=>a) => (C=> b)J => [(b=>a) => (c=>a)l Da[2]: h=>a/c; cc,b/b; cc,a/a.
[ro] [(bc,a)=>(cc,b)]=>[(b=>a)=>(cc,a)]
Da [9] e[8].
[rr] {[(e=> b) =>a]=> [b=> (e=> b)J) => {l(c=>h)=> a)=> (b => a)) Da [10): e=> b/b; b/c. [12) [n(b=>a)b (c=>[a=>(b=>a)J) [r3) c=>[a=>(bc,a)]
[r4] [(c=>b)c,a)=>[b=>(c=>b)J [15) [(cc,b)c,a)=>(b=>a)
Da[r]: ac,(b=>a)/a; c/b. Da [12) e[r]. Da[13]: (e=>h)=>a/c;b/a;c/b. Da[rr]e[14].
La Begriffuchri/1
561
[16] {l(c=>b)=>a]:, (ba)):, ({d:> [(c:,b)::>al):,[J:,(ba)]) Da [8]: (c=>b) => a/b; b=>a/a; d/c. [17] {d=>[(c=>b)=>al} => [d => (b=>a)J
Da [16] e [15].
[18] [e=> (b=>a)J => [(e=> b) => (c=>a)l) => {le=> (b:,a)] => [b => (e=> a)]) Da [r7]: e => (b=>a)/d; C=>a/a. [19] [c:,(b=>•ll=>[b=>(c=>a)]
Da[18]e[2].
[20] [d:,(ba)]=>[b:,(dc:,a)]
Da [19]: d/c.
L'ultimo passo non è che un banale cambiamento inteso solo a reintrodurre le lettere usate da Frege nella formulazione del suo terzo assioma. Ma la scoperta delle sostituzioni, che rendono possibili gli altri passi, non è affatto un risultato banale. Usando linee orizzontali per indicare le derivazioni da una o da due premesse, noi possiamo rappresentare la parte della dimostrazione fatta da Frege con la prima delle seguenti figure,e la continuazione con la seconda figura: [2]
[1]
[":_!
bJ
[5]
[91
[2]
[4] [6]
[8]
[11]
(16]
[1]
[aj
[IO]
[1]
[7]
[8]
[1]
(12]
[8]
(14] [15]
(17] (18]
[2]
(19] (20]
Sin qui Frege è riuscito a sviluppare il suo sistema senza usare per abbreviazione altre definizioni che quella con la quale introduce le Ietrerc corsive. Ma, nella terza parte della Begri/fsschri/t, egli riconosce l'opportunità d'usare definizioni e dice che esse devono darsi nella forma '11-r ~ .l!J..', ove l'espressione nuova segue sempre il segno d'identità. Le due sbarre verticali all'inizio indicano che le definizioni sono non giudizi, ma convenzioni sopra il simbolismo. Ma ai nostri 6ni non è necess:uio considerare particolareggiatamente la terza parte della Begri/Jsschri/t. In essa, Frege intende mostrare preliminarmente come la pro-
s62
La logica generale di Frcgc
pria scrittura ideografica si presti all'esatta formulazione delle nozioni richieste dalla matematica. Quale esempio, Frege sceglie la teoria generale delle serie: esempio interessante, perché, come vedemmo nel capitolo precedente, l'induzione matematica dipende dall'ordinamento seriale dei numeri naturali e quell'ordinamento non può spiegarsi senza qt!ella teoria delle relazioni che Frege per primo incorporò sodisfacentemente nella logica. Per qualsiasi relazione , noi possiamo definire un'altra relazione~, tale che r sta a A in $' se, e solo se, r sta in$ a .6., o a qualcosa che~a in $ a .6., o a qualcosa che sta in cl) a qualcosa che sta in $ a .6., o ... etc. Nel linguaggio dei logici posteriori,$' si chiama the pro per ancestral, l'antenato proprio, di , poiché, se è la relazione di genitore a figlio, 4>' è la relazione di antenato a discendente. Frege stesso non usa questa terminologia, ma esprime la relazione derivata dicendo '.6. segue r nella -serie', ed il problema cui si volge è quello di definire la relazione derivata mediante un'espressione finita, ossia senza parlare in termini di 'etcetera', il che, a sua volta, presuppone la comprensione dell'ordine seriale. Egli la definisce dicendo che' A segue r nel1a 4>-serie' significa lo stesso che 'A possiede ogni proprietà la quale appartenga (1) ad ogni oggetto, al quale qualsiasi possessore delta proprietà stia nella relazione I?>, e (n) ad ogni oggetto, al quale r stia nella relazione'. Le due condizioni menzionate in questa definizione non sono numerate come lo saranno in versioni posteriori (inclusa quella da noi usata nel capitolo precedente), ma è chiaro che qualsiasi proprietà che le sodisfi ambedue debba appartenere ad ogni oggetto al quale r è correlato dall'antenato proprio della relazione 4>. Infatti, la seconda condizione richiede che la proprietà appartenga ai successori immediati di r, e Ja prima condizione richiede che essa proprietà sia trasmessa da tutti i successori cli r ai loro successori immediati, o, per dirla con Frege, che la proprietà sia ereditaria nella serie. La definizione equivale, perciò, ad identificare i successori di r nella 4>-serie sulla base del possesso di tutte le proprietà che sono ereditarie nella serie che comincia dar. Indubbiamente, vi possono essere proprietà che sono ereditarie in una serie e che appartengono tuttavia anche ad alcuni oggetti non nella serie ( cosf come il nasone può essere ereditario in una famiglia e tuttavia appartenere anche a persone che non sono nella famiglia). Ma, come abbiamo visto, ciò non può essere vero per tutte le proprietà ere: ditarie, poiché v'è almeno una proprietà che appartiene solo ai membri della serie: la proprietà di essere successore nella serie. Ma si noti che la definizione fregeana copre soltanto i successori di r nella ct>-serie.
La Begriflm:hri/1
J63
Se vogliamo usare la frase 'cti-serie' in modo da includere anche r, dobbiamo definire che membro è un oggetto il quale è o identico a r, o successore di r nella 41-serie. Talvolta si usa la parola 'antenato' per la relazione nella quale r sta a tutti i membri, r stesso incluso; ecco perché si parla dell'antenato proprio in connessione con la teoria di Frege. Espresso per esteso mediante l'ideografia di Frege (ossia senza usare le abbre\•iazioni da lui introdotte nelle proposizioni ( 69) e ( 76 )), l'asserto, che 1:J. segue r nella «!>-serie, assume la forma: f----..1~~-~--f(.1)
f(,) (,,;) f(I)) (x,I))
f(x). È un bell'esempio dell'uso di quantificatori còn àmbito differente, che
inoltre mostra come, in certi contesti, una funzione possa trattarsi a sua volta come argomento d'una funzione d'ordine superiore. Infatti, la lettera gotica 'f' corrisponde alla frase 'ogni proprietà' nella parafrasi italiana. Quando, nella prima parte della Begrilfsschri/t, introduce la propria notazione per la quantificazione, Frege nota questa possibilità, ed osserva che, se una lettera corsiva ricorre quale simbolo fW1Zionale, dobbiamo tenere debito conto di ciò quando facciamo sostituzioni. Ma egli non ritiene necessario provvedere appositamente a tali casi quando, nella seconda parte, formula gli assiomi della logica.
2.
Senso e referenza: oggetti e funzioni.
Nei Grundge.retze, Frege conservò tutti i simboli della Begriffsschri/t tranne '15', cui sostituf ]'ordinario segno matematico d'eguaglianza'-'. Quest'alterazione della notazione, in sé banale, segna però un cambiamento nelle idee di Frege intorno al significato, e Converrà perciò spiegarla per introdurre alle sue dottrine posteriori. Frege stesso prese le mosse di qui quando scrisse il saggio Ober Sinn u11d Bedeu-
tung. Verso l'inizio della Begriffsschri/t, Frege operò una distinzione tra giudizio, o asserzione, e contenuto. Egli non specificò esattamente che cosa dovesse intendersi per contenuto, ma, evidentemente, riteneva che un contenuto dovesse contrapporsi non solo ad un giudizio, ma anche ai segni con i quali esso era espresso, ed egli usò la seconda contrapposizione nella sua spiegazione degli asserti come 'La stella del mattino è identica alla stella della sera'. Manifestamente, questa osservazione è affatto differente nella forza da 'La stella dd mattino è identica alla stella del mattino'; epp11re, se la stella del mattino è davvero identica alla stella della sera, non possiamo spiegare la differenza tra i due asserti dicendo che nell'uno v'è riferimento alla stella della sera e nell'altro no. Come abbiamo visto, secondo Frege un asserto d'identità deve realmente vertere intorno alle espressioni che appaiono dai due lati del segno d'identità, e Frege tentò di chiarire ciò dicendo che ·~· deve considerarsi un simbolo per l'identità di contenuto tra espressioni. Ma poi s'accorse che questa non era una risoluzione sodisfacente della difficoltà. Infatti, egli comprese che, se l'asserto originario vertesse realmente non intorno al pianeta Venere, ma intorno al contenuto di certe fr.isi, esso apparterrebbe alla filologia piuttosto che all'astronomia, il che manifestamente non è, poiché la scoperta dell'identità della stella del mattino e della stella della sera fu fatta mediante l'osserva· zione e il calcolo, e non già per riflessione sull'uso delle parole. Potremmo aggiungere che anche nella filologia la difficoltà riapparirebbe non
Senso e referenza: oggetti e funzioni
565
appena cercassimo d'applicare la risoluzione proposta. Infatti, dire che b fr.1se 'la stella del mattino' ha lo stesso contenuto che la frase 'la 51 d!a della sera', non equivale forse ad asserire che il contenuto della frase 'la stella del mattino' è identico al contenuto della frase 'la stella della sera'? E, se è cosl, non dobbiamo noi aggiungere che il nostro asserto originario verte non intorno alle frasi 'la stella del mattino' e 'la stella della sera', ma intorno alle frasi 'il contenuto della frase "la stella Jd mattino .. ' e 'il contenuto della frase "la stella della sera"'? Ma neppure ciò basta; infatti la risoluzione proposta causa un regressus ad in-
finitum. Nella sua opera posteriore, Frege cerca d'eludere questa difficoltà n1)n parlando piU di contenuto ed istituendo una nuova distinzione tra senso [sense] (Sinn) e referenza [re/erence] (Bedeutung). Quando dici:imo che la stella del mattino è identica alla stella della sera, le nostre descrizioni si riferiscono alla stessa cosa, ma in maniere differenti, poiché non hanno )o stesso senso. Facendo l'asserto, noi usiamo le due descrizioni esattamente cosi come in qualsiasi altro asserto astronomico, né v'è bisogno d'escogitare un nuovo segno d'identità che, con la sua nO\•irà, suggerisca che ciò di cui stiamo parlando sono parole invece che cose. Infatti, il segno d'identità usato in matematica ha precisamente il significato da noi richiesto. Quando si dice che 2+2 _, 4, '2+2' e '4' sono ambedue usati per riferirsi ad un numero. Essi sono nomi propri d'un numero, ma nomi con sensi differenti, e l'unica differenza importante tra questo asserto e quello del nostro esempio astronomico è che qui la verità di ciò che è asserito può stabilirsi a priori. Normalmente, in tedesco le due parole che abbiamo tradotto con 'Je11se' ['senso'] e 'reference' ['referenza'] non sono contrapposte come in frcge. Sinn ha la vasta gamma di usi che ha l'inglese 'sense' ['senso'], e Bedeutung corrisponde quasi esattamente all'inglese 'meaning' ['significato']. In molti contesti, le ragioni di preferire un termine all'altro parrebbero meramente stilistiche. Ma il verbo deuten, onde derivano bcdeuten e Bedeutung, può usarsi per 'indicare', ed è forse questo che per Frege giustifica l'uso tecnico che egli fa di bedeulen. Frege non spiega le ragioni della sua terminologia, poiché egli non ammette mai che il suo uso diverga dal tedesco normale; tuttavia, eg!i rivela il suo corso di idee quando dice che una lettera gotica o corsiva, quantunque non bedeutt>t nulla, nondimeno deu/et an l'argomento d'una funzione.'
·
i,·t'
!~~~'t}l 17. [Nelrorigin~le inglese, invece di 'deuld ,m' v'(:. meno corretr3mente, 'a11J.-u.
566
La logica generale di Frege
Infatti andeuten, che significa 'accennare', è un altro derivato di deuten, e manifestamente Frege pensava che questo fatto non fosse irrilevante. Ma, quali che fossero le ragioni per le quali egli usò a quel modo la parola Bedeutung, è certo che egli le conferi una speciale significanza che essa non ha nel tedesco comune, il che rende difficile trovare una traduzione adeguata. In inglese non possiamo usare la parola 'meaning' ['significato'], poiché non è buon inglese dire che la frase 'la stella del mattino' abbia per meaning uno dei corpi celesti, quantunque possiamo dire che una persona che usi quella frase means (ossia, intende) riferirsi ad uno dei corpi celesti. Si sono proposti 'nominatum" e 'denotation'' e non mancano argomenti per ognuno di questi due termini. Infatti, ogni volta che Frege pada della Bedeutung d'un simbolo, egli sembra pronto a sostenere che il simbolo in esame è un nome, o comunque un quasi-nome; e noi possiamo certamente dire che la frase 'la stella del mattino' denota un corpo celeste. Ma nessuno dei due termioi riesce del tutto sodisfacente. 'Nominatum' sa troppo d'artificialej 'denotation' può essere forviante poiché John Stuart Mili usò 'denotation' come termine tecnico contrapposto a 'connotation', istituendo una contrapposizione che non corrisponde esattamente a quella che Frege istitui tra Bedeutung e Sinn. Non che 'reference' ['referenza'] sia del tutto sodisfacente (in effetti, è un po' strano chiamare una cosa la reference, la referenza, d'un segno), ma questa traduzione non sembra provocare fraintendimenti. E noi possiamo variare la nostra terminologia di volta in volta. Frege stesso spiega la propria distinzione dicendo che un nome proprio (che può essere una parola singola o un segno singolo, o una combinazione di parole singole o di segni singoli) esprime il suo senso, ma designo la sua referenza. Normalmente, chi usa il linguaggio per fare asserti, porre domande, impartire ordini, etc., assume che ogni segno completo distinguibile abbia e senso, e referenza. La referenza è un oggetto di qualche gene· re, ma non necessariamente un oggetto percepibile; infatti, Frege è in costante polemica con l'idea che esista solo ciò che può essere percepito, ed egli include espressamente tra i propri oggetti cose come i numeri, i luoghi, gli istanti, i periodi di tempo. Il senso, invece, è qualcosa attraverso cui l'oggetto può venire scelto come oggetto d'attenzione. Il senso non è un'idea, se, per 'idea', noi intendiamo un'immagine o qualcosa di privato ad un soggetto pensante individuale. Infatti, ogni 1 Il. CAIINAP,
J,fomi11R. 1111d Neunily.
1 .uomo oru,;01, The Nud /o, Abslriut E11tities in Stm1111tic Ana/ysis, cProc-eedings of ibc American Academy of Arts and Scicncc-u, LXXX (JUI), pp. J00-11.
Senso e referenza: oggetti e funzioni
567
comunicazione dipende dall'espressione d'un senso fatta da un uomo ad un altro uomo, e, in particolari circostanze, i segni possono avere un senso pubblico pur non avendo alcuna referenza. Ciò accade, ad esempio, quando le parole sono usate in un romanzo. Nella prefazione, un romanziere può assicurare che l'opera non si riferisce ad una persona reale, ma nondimeno noi siamo in grado di comprendere ciò che egli ha scritto. Qualcosa di simile avviene quando qualcuno espone gli asserti d'un altro senza a sua volta ascrivere referenze alle parole usate dall'altro. Cosi, uno studioso di antichità classiche può usare le parole 'Zeus' e 'Atena' in maniera del tutto intelligibile in una descrizione della mitologia greca, quantunque né lui, né i suoi lettori, credano che vi fossero persone come quelle che egli descrive sotto quei due nomi. Ma questi sono casi speciali. Nel linguaggio comune, si suppone che rutti i nomi abbiano referenze, e, in un linguaggio logicamente perfetto costruito a fini scientifici, ogni espressione che debba fungere da nome proprio avrebbe referenza. Infatti, risultano delle fallacie se si usano frasi, le quali presuppongano la verità degli asserti esisten2iali, senza che si siano provati quegli asserti. Cosi, la frase 'la serie che converge con minore rapidirà' ha un senso, ma non si riferisce a nulla, e perciò un enunciato che la contenga non serve a nulla. Né possiamo sostenere che colui che la pronunci faccia un asserto falso: infatti, presupporre non è Io stesso che asserire. Sin qui, nella teoria di Frege non v'è nulla di particolarmente discutibile. Qualcuno sarà forse sorpreso dall'uso che egli fa del1a frase 'nome proprio' per coprire espressioni come '2 +2 ', ma chi abbia obiezioni da fare al riguardo può sostituire a 'nome proprio' 'designazione' senza sostanziali alterazioni di quella dottrina. Ma le cose stanno altrimenti quando Frege aggiunge che gli enunciati hanno e senso, e referenza. Infatti, ciò equivale a trattare gli enunciati come se essi fossero nomi o design:izioni, il che è indubbiamente strano: Frege stesso ricohosce che suona strano parlare della referenza d'un enunciato, ma aggiunge che ciò è necessario per la seguente ragione:. Un enunciato intelligibile ha indubbiamente un senso, ed il senso è il pensiero che l'enunciato esprime; il pensiero è non l'atto soggettivo di pensiero in chi parla o in chi ascolta, ma il contenuto oggettivo di quell'atto soggettivo, contenuto oggettivo che può essere pensato da pill soggetti pensanti. Ma, tra gli enunciati intelligibili, ve ne sono alcuni che contengono designazioni senza alcuna referenza, o comunque designazioni per le quali non possiamo garantire che una referenza vi sia. Ad esempio, consideriamo l'enunciato 'Ulisse fu sbarcato ad Itaca mentre dormiva pro-
:;68
La logica generale di Frege
fondamente'. Sinché noi ci limitiamo a considerare quest'enunciato come una parte di un 'opera d'arte, non ci interessa se il nome 'lnisse' abbia una referenza, ma, se consideriamo quest'enunciato un asserto fatto sul serio, dobbiamo assumere che il nome 'Ulisse' designi qualcosa di cui il predicato possa affermarsi o negarsi. Ora, il pensiero rimane lo stesso, abbia 'Ulisse' o no una referenza, e quindi la richiesta {che noi facciamo nel secondo caso) della referenza cosi come del senso, deve in qualche modo connettersi con la nostra ricerca della verità. Secondo Frege, essa indica che noi ci aspettiamo una referenza per l'enunciato nella sua totalità, e precisamente il suo valore di verità, o la circostanza che l'enunciato è vero o falso. In breve, 'Ogni enunciato dichiarativo, nel quale conti la referenza delle parole, deve considerarsi un nome proprio, e la sua referenza, se referenza v'è, è o il Vero, o il Falso'.' Nella Begriffsschrift Frege ha suggerito che il suo segno di giudizio possa considerarsi equivalente a] predicato comune a tutti i giudizi: ' ••• è un fatto'. Ma ora egli respinge questa concezione. 'Si potrebbe dire "Il pensiero che :; è un numero primo è vero". Ma un esame piU attento rivela che con ciò non s'è detto qualcosa di piU che nell'enunciato semplice":; è un numero primo". L'affermazione della verità nasce in ambo i casi dalla fotin3 Jell'enundato dichi:ua1ivo, e quando non ha la sua forza usuale, - ad esempio, sulla hocca d'un attore che reciti, - anche~ Il pensiero che il :; è un nu· mero primo è vero" contiene solo un pensiero: lo stesso pensiero che l'enundaco semplice":; è un numero primoft. In conseguenza, la relazione del pensiero con il Vero non può paragonarsi alla relazione del soggetto con il predicato ... Un valore di verità non può essere p3rte d'un pensiero, cosf come non può esserne parte, p niamo, il sole: infatti, un valore di verità è non un senso, ma un oggetto." 0
Ma un valore di verità, scrive Frege, può essere la referenza d'un enun· dato. Infatti, un valore di verità dipende evidentemente dalle referenze delle parti dell'enunciato, e rimane inalterato quando un componente dell'enunciato sia rimpiazzato da un'espressione con la stessa referenza. Come disse Leibniz, 'Eadem sunt quae sibi mutuo substitui possunt salva verirnte'. Invero, 'Se non il valore di verità, quale altra cosa, la quale appartenga a tutti gli enunciati i11 genere e nella quale sia rilevante la referenza (ç) e 'l'(ç), l'asserto che à.ll>(a.)-E'l'(E) ha la stessa referenza che l'asserto che -8,--it>(a) = 'l'(a), quantunque il primo sia un asserto singolare d'identità tra due oggetti, mentre il secondo è un asserto universale secondo il quale, per ogni argomento, il valore d'una funzione è identico al valore di un'altra. Da questa spiegazione sembra naturale concludere che un campo o corso di valori è, per cosi dire, l'estensione d'una funzione. Infatti, se concepiamo una funzione come qualcosa che istituisce una correlazione tra oggetti ( tra gli oggetti che sono i suoi argomenti e gli oggetti che sono i suoi valori), possiamo forse pensare che la correlazione completata sia a sua volta un nuovo oggetto: un insieme di coppie ordinate. Ora Frege usa si, in questo contesto, la parola 'estensione' ['exlens;on'] (Umfang), ma non esattamente cosi come abbiamo suggerito noi. Secondo Frege, per un concetto (ossia, per una funzione d'un unico argomento i cui valori sono tutti valori di verità) il campo è l'estensione nel senso ordinario dei logici (ossia, l'insieme di tu!_ti gli oggetti che ricadono sotto esso). Per le altre funzioni, Frege indica i campi appropriati quando esse vengono introdotte, giustificando questa procedura frammentaria con il fatto che la condizione basilare per riconoscere l'identità di due campi non basta in sé a determinare che cosa è un campo. Dobbiamo dunque guardarci dal sopravvalutare la terminologia di Frege. Quando egli parla di fissare il campo o corso di valori, ciò che piU gli interessa è scoprire un oggello che a certi fini possa rappresentare tutte le funzioni che hanno gli stessi valori per gli stessi argomenti, e, entro i limiti imposti da questa condizione, egli considera la scelta d'un oggetto una mera questione di convenienza ed opportunità. Qualunque cosa esso sia, l'oggetto che Frege chiama campo di valori non deve certo confondersi con l'insieme dei valori che la funzione può assumere per i vad argomenti. Ciò risulta dal fatto che un concetto può assumere per valore solo l'uno o l'altro dei valori di verità, men· tre, secondo Frege, il suo campo è l'insieme degli oggètti che ricadono sotto esso. Né il campo d'una funzione nel senso di Frege deve confondersi con l'insieme di tutti i possibili argomenti che si possono menzionare nel posto d'argomento del segno funzionale. Infatti, secondo Fre· ge, og11i oggetto deve considerarsi un possibile argomento della funzione rappresentata dal segno. Cosi, l'enunciato ·2 è un uomo' ha un sen-
Senso e referenza: oggetti e funzioni
573
so, e tutt'al pili si può dire che esso designi il falso. Inoltre, Frege sostiene che una funzione matematica quale ~+1 deve definirsi in modo che ammetta altri argomenti che i numeri. Naturalmente, egli riconosce di non trovare alcun uso per una frase quale 'il sole+1 ', ma insiste che, in un linguaggio logicamente perfetto, per tale frase noi dobbiamo fornire una referenza, poiché altrimenti concetti come~+ I.,,. IO non sarebbero definiti nettamente ed i principi logici come il principio del terzo escluso non converrebbero rigorosamente ad essi. Quale regola si ponga per i casi anomali, è relativamente indifferente; ciò che è necessario è collocarli in qualche limbo per garantire che i nostri concetti siano ben definiti e che ogni nome proprio abbia una referenza. Un'interessante applicazione di questo principio è il modo in cui Frege tratta il segno da lui introdotto quale sostituto dell'articolo determinativo del linguaggio comune. Un uso importante dell'articolo determinativo è quello che se ne fa per costruire descrizioni quali 'l'uomo che scopri le orbite ellittiche dei pianeti', :f: l'uso che interessa Frege.. Nella sua teoria del senso e della referenza, egli riconosce che l'enunciazione di tale frase presuppone l'esistenza d'una e solo una cosa che ricade sotto un certo concetto, ma rifiuta di dire che chi enuncia quella frase asserisca la presupposizione. Ora, ai suoi fini, non è sufficiente che una frase operante come un nome proprio abbia referenza solo quando v'è un'unica cosa che ricade sotto un certo concetto. Perciò egli introduce una funzione \t definita da queste due stipulazioni: (1) per qualsiasi argomento identico ad un campo È{E =l::i.), ove /::i. è un oggetto, il valore della funzione è .11; (II) per qualsiasi argomento che non sodisfa questa condizione, il valore della funzione è l'argomento stesso. Di questi due casi, è il primo a corrispondere all'uso comune dell'articolo determinativo. Infatti, supponiamo che (~) sia un concetto sotto il quale ricada uno e solo un oggetto t::i.. Allora, ovviamente, il valore di c?l{~) per qualsiasi argomento è lo stesso che il valore della funzione~= .11 per lo stesso argomento. Ma questo ci autorizza a dire che àc?l(a)=É(E ..,,tJ.), e cosi otteniamo il risultato desiderato \ci(«)-\1(,-A)- A, ossia \à(a.) è il solo membro di à(a) se à(a.)è ciò che i logici avrebbero pili tardi chiamato unit-class, classe unitaria. Per conservare il principio del terzo escluso è tuttavia necessario procurare qualche referenza per '\à(a}" nel caso che (;) non sia una funzione sorto la quale ricade uno e solo un oggetto; a ciò provvede la seconda stipulazione. Infatti,
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La logica generale di Frege
poiché, ex hypothesi, non v'è alcun A tale che ri(l)(a)-f(E-A), abbiamo \(lll>(a) = (l(l)(a). Cosi, se l'italiano venisse riformato in conformità alle norme che Frege impose alla propria ideografia, colui che dicesse 'Il re di Francia è calvo' potrebbe venir accusato di fare un asserto falso. In~ vero, quantunque non si possa dire che egli asserisca implicitamente che v'è uno e solo un re di Francia, si potrebbe dire che egli faccia un asserto che, nelle circostanze politiche odierne, equivale a 'La classe dei re di Francia è calva'; e questo asserto (che ovviamente va distinto da 'I re di Francia sono calvi') certamente è non vero secondo il modo di pensare di Frege, vi siano o no dei re di Francia.
3·
La logica dei Grundgeset,e.
Esposto in termini generalissimi il proprio concetto di funzione, frcge lo pone a fondamento della propria logica, ed il nuovo programma involge reinterpretazioni dei segni da lui introdotti nella Begriffsschri/t. Certamente, il segno d'asserzione non è un segno funzionale secondo la nuova concezione di Frege, poiché non può piU interpretarsi come un'abbreviazione del predicato 'è un fatto'; ma v'è anche un senso nel quale si può dire che esso stia fuori della logica. Infatti, il segno d'asserzione serve solo a mostrare ciò che l'autore asserisce; e la logica concerne non l'asserire, ma ciò che può essere asserito. La grammatica del sistema richiede, tuttavia, che al segno d'asserzione segua un orizzontale del tipo chiamato segno di contenuto, e questo è certamente un segno funzionale. Infatti, quando il suo argomento è il Vero, ----l; ha p~r valore il Vero, e in tutti gli altri casi il Falso. Cosi, '-2+2-4', a rigore, è non un asserto, ma piuttosto un nome per il Vero, e '-2+2 = 5' e '-2' sono ambedue nomi per il Falso. L'ultimo esempio può sembrare un po' strano, ma in realtà esso è un'altra applicazione del principio fregeano per il quale qualsiasi oggetto deve considerarsi un possibile argomento d'una funzione, se è grammaticalmente possibile porre il nome dell'oggetto nel posto d'argomento del segno funzionale. In questo contesto Frege stesso non parla di possibilità grammaticale, ma che tale nozione sia necessaria appare se si considerano i due segni funzionali immediatamente successivi nella costruzione del sistema frcgeano: il segno di negazione ed il segno di condizione. Questi due segni funzionali hanno la peculiarità di non poter ricorrere che in connessione con orizzontali, e pertanto le funzioni che essi rappresentano possono assumere per argomenti solo valori di verità. Poiché queste funzioni hanno valori di verità anche per i propri valori, esse sono, per cosf dire, funzioni da valori di verità a valori di verità, cosi'. come ~ è una funzione da numeri a numeri; e, per questa ragione, i logici posteriori le hanno talvolta chiamate funzioni di verità [truth-Junc/ions].
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La logica generale di Frege
D'altra parte, I;-= t è una funzione che può assumere per argomenti oggetti di qualsiasi genere. Sinora, abbiamo menzionato soltanto funzioni che assumono per ar. gomenti uno o piU oggetti. Ma Frege riconosce che vi possono essere funzioni del secondo livello, o funzioni di funzioni, e cita, qua1i esempi, ~ip(a) e Eq,{E). Si noterà che, quando le nomina, egli indica il posto d'argomento mediante una lettera greca minuscola tratta da quella par-
te dell'alfabeto usualmente riservata alle abbreviazioni dei segni funzionali. Un terzo esempio di funzione del secondo livello è~q,(o.), che è talvolta chiamata esistenza, ma che piU propriamente dovrebbe chiamarsi possesso d'un esemplare o avere il Vero quale valore per qualche argomento. Già nelle Grundlagen Frege aveva osservato che la prova ontologica dell'esistenza di Dio era fallace poiché confondeva un concetto del secondo livello con un concetto del primo livello che un altro concetto del primo livello potrebbe involgere come uno dei suoi contrassegni o tratti.'· Per apprezzare-la giustezza di questa critica basterà considerare che Descartes tentò di provare Ia propria tesi dicendo che la divinità comporta l'esistenza cosf come la triangolarità comporta l'avere angoli interni eguali a due angoli retti. Ma solo quando scrisse i Grundgesetz.e Frege inventò una notazione per parlare in generale delle funzioni del secondo livello. Egli scrisse:
'fi---M,(/(~))' l.J,_M,(f(~)) per 'Ogni funzione del secondo livello, che sussiste per tutte le funzioni del primo livello con un unico argomento, sussiste per qualsiasi funzione del primo livello con un unico argomento'. Ciò corrisponde, naturalmente, all'assioma
1-j-f(c)
L&---t(a) da lui enunciato nella Begriffsschri/1 per le funzioni del primo livello, ma che ha un'espressione pilJ complicata poiché deve distinguere le funzioni non solo secondo il loro 1ivel1o, ma anche secondo il numero dei loro argomenti. La lettera greca minuscola entro le parentesi pi\J. interne serve, come al solito, a indicare un posto d'argomento, e che essa ricorra qui è importante poiché mostra che le funzioni del primo livello 11
Gl.,S,i.
La logica dei GrundgeseJu
,n
t che noi ora consideriamo argomenti) sono tali da avere esse stesse solo
un argomento. La corsiva maiuscola 'M'è una variabile libera la quale
indica che noi stiamo parlando di funzioni del secondo livello, e la lettera greca minuscola sottoscritta a' M' serve a mostrare che le funzioni in 1:same sono tali che possono sussistere per funzioni del primo livello
con un unico argomento. Se vogliamo generalizzare intorno alle propric1à del secondo livello ( come la transitività) che possono appartenere
solo alle relazioni con due termini (ossia, alle funzioni con due argoml!nti i cui valori sono sempre valori di verità), dobbiamo scrivere due lettere greche minuscole entro le parentesi piU interne e due lettere sottoscritte alla maiuscola corsiva. Né finiscono qui le complicazioni che insorgono quando cominciamo a parlare di funzioni di funzioni. Infatti
--J-µ
-J-µ
noi possiamo considerare 0(f(~)) e 0.,(f(~, y)) funzioni del terzo livello e tentar poi d'elaborare una notazione per parlare di rntte quelle funzioni. O ancora, noi possiamo considerare funzioni di livello Impari, come la funzione di ricadere sotto un concetto. Frcge nota queste possibilità, ma non le discute particolareggiatamente. :E: in\·ero chiaro che egli non ama neppure le complicazioni implicite nel suo simbolismo per gli asserti universali intorno alle funzioni del secondo li\'ello di funzioni del primo livello con un unico argomento. Infatti, solo una volta egli fa uso de] summenzionato assioma speciale e si rallegra d'essere riuscito ad evitare complicazioni ulteriori parlando di campi invece che delle funzioni che Ii determinano." Per Frege, l'aver introdotto la notazione per i campi fu la piU importante di tutte le innovazioni fatte nei Grundgeset;;e, poiché essa lo dispensò dal parlare di funzioni di vari livelli e gli consenti di dire ciò che egli voleva dire facendo riferimento agli oggetti." Certamente, gli oggetti cui egli si riferisce sono per la maggior parte non percepibili, ma, a differenza delle funzioni, quegli oggetti sono tutti entità complete, e, secondo Frege, è solo una debolezza della carne presumere che non vi possano essere altri oggetti c}:ie quelli che si vedono e si toccano. Per trarre tutti i vantaggi dalla sua notazione per i campi, Frege ri1iene tuttavia necessario introdurre un'altra funzione con la seguente definizione:
'Il-\~ ( ~ g ( a ) - 11 )-.an11.' L__u-lg(,)
578
La logica generale di Frege
Come sempre nelle definizioni di Frege, il definiendum appare qui a destra, e, poiché è un segno funzionale con due posti d'argomento, esso è scritto con due lettere corsive che ricorrono anche a sinistra. Ciò equivale a queste due stipulazioni: (1) per qualsiasi oggetto t:J. e qualsiasi funzione et>(~). l'espressione '.6.nEcl>(t)' ha la stessa referenza che 'cl>(.6.)'; (n) per qualsiasi oggetto .6. e qualsiasi oggetto r che non sia un campo, l'espressione A n r è un nome per la classe nulla. Cosi (se prescindiamo dalla seconda stipulazione, la quale concerne solo i casi anomali), l'espressione·~ n t' corrisponde abbastanza bene a 1 ç è un membro di ?;'. Ma dobbiamo evitare d'identificarle, poiché, nello schema di Frege, non necessariamente la funzione ct>(ç) è un concetto. Ad esempio, essa può essere la funzione numerica çz, nel qual caso 3 n E(E1)- 31. Oppure può essere la funzione È(~>E), i cui valori sono a loro volta dei campi, nel qual caso uno degli argomenti della nuova fun. zione sarà un campo di valori doppio come à.t (a.>t). Questo secondo esempio ha speciale importanza poiché Frege usa la sua nuova notazione come un modo per esprimere le relazioni. Infatti, J n ,i1(E)- /(3>E)
e pertanto
2
n(3 n,))- 2 nl(p,} -3>2.
Questa notazione non offre evidentemente alcun vantaggio in casi semplici come quello da noi scelto per illustrarla, ma sembra offrire il grande vantaggio della semplicità nei casi ove l'altra notazione richiederebbe l'applicazione dei quantificatori alle funzioni relazionali di livello superiore, e per questa ragione Frege ne fa grande uso nei successivi sviluppi del suo sistema. Ai nostri fini, non è necessario esplorare in ogni sua parte l'edificio che Frege erige sulle fondamenta da noi descritte, ma non possiamo non menzionare gli assiomi e le regole in cui egli formula la logica dei Grundgesetze. Quali assiomi, o leggi basilari, Frege pone queste sette asserzioni:iii
•• Gg.,I,S47.
Ila. f---r"--/(a)
llb. f---r"--M,(f(~))
~/(o)
~M,(f(~})
La logie-a dei Grundgesett.e
!lI.
f,--g (~f;b)))
LgS5T invece di
{[(-P.Q)vRbS)sT, L'uso del segno hilbertiano per la negazione consente d'omettere le altre parentesi, poiché la lunghezza della sbarra sovrapposta mostra con bastante chiarezza quanto dell'espressione sia negato; ed ulteriori economie si possono fare scrivendo {x)Fxo VxFx invece di (x)[F(x)], ove il quantificatore ha per àmbito solo il segno funzionale immediatamente successivo. Ma anche cosi le parentesi possono essere troppe. Questo inconveniente viene meno nella notazione affatto priva di parentesi in• ventata da Lukasiewicz. Ognuna delle lettere maiuscole che egli usa come connettivo o operatore precede i simboli cui essa si applica, e, essendo il numero di questi simboli determinato dalla definizione dell'operatore, non vi può essere ambiguità sull'interpretazione d'una formu• la ben-formata. Cosi, CKCpqpq può leggersi solo come un equivalente di [(p=>q).p]=>q; infatti, il secondo C richiede, perché possa.applicarsi, due simboli completi, che non possono non essere né il p, né il q che Ìm· mediatamente seguono C, e, analogamente, K richiede, perché possa applicarsi, due simboli completi, che non possono non essere né il Cpq, né il p che immediatamente seguono K. Gli svantaggi di questa notazione sono il radicale distacco dai costrutti delle lingue naturali e la conse· guente difficoltà di lettura. Certo, con la pratica questa difficoltà si può superare, ma la maggior parte dei logici ha preferito conservare notazioni che richiedono le parentesi. Nel séguito, noi impiegheremo soltanto la piU conosciuta di queste notazioni: la notazione di Peana, Whitehead e Russell, ma con le tegole intorno alle variabili che esponiamo in questa sezione. Ben piU radicale fu l'innovazione nel simbolismo logico suggerita nel 1924 da M. Sch0nfinkel.' Essa ha originato un nuovo modo di con· siderate la logica, e se non le dedichiamo una sezione a parte è solo perché dobbiamo limitarci ad indicare i tratti piU interessanti del nuc> vo simbolismo. ' Vbcr die &u,uine d F(.". )O.Jo. L'opera di questa scuola è nposta compiuiameare in A. N. p111oa, Fonn11l Logie.
(1) (2) (3) (4) (5)
(pvp):,p q:,(pvq) (pvq):,(qvp) [pv(qvr)J:,[qv(pvr)] (q:,r):,[(pvq):,(pvr)J.
Nel r926, Bernays mostrò che l'assioma (4) poteva derivarsi dagli altri ed era perciò superfluo.' Né questo notissimo sistema è del tutto elegante. Se i segni logici della negazione e della disgiunzione devono assumersi a primitivi, certamente essi si dovrebbero usare nella formulazione degli assiomi e delle regole d'inferenza ad esclusione di tutti gli
altri segni. Naturalmente, in questo sistema è permesso rimpiazzare P=i Q, in ogni sua ricorrenza, con -Pv Q, ma, quando si opera questo rimpiazzamento negli assiomi e nelle regole, il risultato è qualcosa di pill complicato che i sistemi di Frege e Lukasiewicz. Come vedemmo nel capitolo sull'algebra della logica, Peirce e Sheffer riconobbero la possibilità di definire la negazione e tutti gli altri connettivi della logica primaria in riferimento ad un'unica nozione primitiva. Assumendo a concetto indefinito PIQ (nel senso di Non: e P, e Q), Jean G. P. Nicod, nel 1917, mostrò che tutto il calcolo poteva basarsi sul singolo assioma [p[( q[r )][([1[( 1[1 )][((s[q )![(p[s J[(p[s )]}) con
P P[(Q[R) R quale regola d'inferenza in luogo del tradizionale modus ponens." Nella sua introduzione alla seconda edizione dei Principia mathematica, pubblicata nel 1925, Russell suggerf che questa formulazione potesse sostituirsi al sistema della prima edizione dei Prùrcipia, ma è difficile dire che la riduzione operata da Nicod sia una semplificazione che renda pili perspicua la teoria. Se ciò che si persegue è presentare i ragionamenti in maniera perspicua e naturale, il migliore insieme d'assiomi da usare con i principt di sostituzione e di separazione è quello posto da Hilbert e Bernays nel 1 934· 11 • Axiom.ili"he Unursuch11ncen Jes llum1grnkalkii!J da Prindt>ia M;1hcn1Jlica, • ~fathem•· 1ì,,chc7..dtschrift•.A:in•(1926), r,p. 30,-20. ' 1 A Red11c1ton in rhe N11mba of Primitive Propr,siliont o/ Lc>gfr, '"Procce(pc,q))=>(pc,q) (3) (pc,q)c,[(q=>r)c,(pc,r))
Il. (r) p.q"' p (2) p.qc,q (3) (pc,q)"' [(pc,r) e> (pe>q.r)]
III. (1)
pc,pvq (2)qc,pvq (3) (pc, r)"' [(qc, r)"' (p v qc,r))
IV. (r) (p~q)c, (pc,q) (2) (psq) e> (q=>p) (3) (p=>q)c,[(q=,p)c,(p~qll
V. (r) (p=>q)"' (-q=,-p) (2) pe>--p (3)--pe>p.
Qui gli assiomi sono raggruppati secondo i segni che in essi ricorrono. Prima vengono gli assiomi ove ricorre solo il segno del condizionale filoniano; poi gli assiomi ove, oltre il segno de1 condizionale, ricorre il segno di congiunzione; e cosi via. La posizione privilegiata del segno del condizionale, che ricorre da solo nel primo gruppo e con un altro segno in ognuno degli altri quattro gruppi, si deve naturalmente al fatto che esso ricorre anche nella regola di separazione. In presenza di quella regola, ogni assioma prende il posto d'una regola d'inferenza addizionale. Ad esempio, il primo assioma è equipollente alla regola il cui schema è
p
Qc,P
Certamente, questo sistema ha molti assiomi; ma ciò non è uno svantaggio, poiché ogni segno distinguibile è introdotto in maniera facilmente intelligibile (ad esempio, il segno per la disgiunzione è introdotto mediante un gruppo di tre assiomi duali ai tre assiomi per la congiunzione). Se \·ogliamo, possiamo ridurre il numero degli assiomi definendo alcuni segni in termini di altri; ma non è che cosi s'acquisti molto in chiarezza, poiché una definizione non è altro che una coppia di regole d'infe-
606
Sviluppi formali dopo Frege
renza che connettono un segno definito con un segno indefinito. Cosi come sono, questi assiomi sono tutti indipendenti, ed è interessante notare che I (1), V (1), V (2), V (3)provengono dal sistema di Fregc; I (3), dal sistema di lukasiewicz; III (2), dai Principia mathematica. In tutti questi sistemi è richiesto un principio di sostituzione per derivare teoremi da assiomi. Che tale principio possa formularsi rigorosamente è innegabile, eppure sembra improprio proporre qualcosa di simile quale regola della logica primaria paragonabile alla regola di separazione. Quando deriviamo un asserto da un altro mediante un prer cesso di sostituzione, la validità della nostra inferenza dipende dall'universalità della premessa, ma nella logica primaria l'oggetto è il ragionamento nel quale non intervenga il concetto di generalità, ed è dunque improprio che gli assiomi di tale teoria debbano essere proposizioni universali. Ciò non vuol dire che nella logica primaria un logico debba astenersi da ogni generalizzazione e limitarsi all'esemplificazione. Quale logico, egli può addurre asserti universali, ma, in questa parte della sua opera, essi dovrebbero essere solo asserti del secondo ordine, come l'asserto che qualsiasi ragionamento della configurazione
p P:,Q Q è valido. In particolare, il logico, se parla degli assiomi della logica primaria, non dovrebbe assumere, come Frege, che essi debbano essere di carattere universale ed in numero finito, ma dovrebbe essere disposto ad ammettere come assiomi tutte le proposizioni che esibiscano certe forme di validazione: ad esempio, la forma P::, (Q ::J P), la quale corrisponde al primo assioma di Frege p::, (q ::J p ). Questo espediente di dare non assiomi, ma schemi d'assioma, è dovuto a J. von Neumann,U ma si può dire che esso attui l'intento originario di Frege: presentare la logica, o almeno la logica primaria, con solo un'unica regola d'inferen· za. Purtroppo, questa semplificazione non offre alcun vantaggio pratico a chi usa la logica, poiché determinare se un asserto possa ammettersi come assioma sotto la nuova convenzione ripresenta esattamente le stesse difficoltà che determinare se un asserto possa derivarsi da un assioma sotto l'antica convenzione. Ma questa riforma ha il grande merito filosofico di distinguere chiaramente tra asserti del primo ordine ed asserti del secondo ordine. Probabilmente, Frege e coloro che lo seguirono nell'uso d'un prin11 Zur H,lberlst:ben Dcu:citthtorit, cMatbcmalische Zcitschrift•, XXVI (1927), pp. 1-46.
Metodi di presentazione: assiomi e regole
607
cipio di sostituzione furono influenzati dall'analogia dell'a]gebra, ove, come abbiamo visto, un'unica e stessa formula può usarsi talvo1ta come un asserto universale intorno ai numeri, tala1tra come un permesso di fare certe trasformazioni. Ma talvolta essi dichiararono che l'espressione dell'universalità mediante variabili libere sia solo un'abbreviazione c.lcll 'csprcssione dell'universalità mediante variabili vincolate, e, se si prende sul serio questo modo di descrivere la notazione, la teoria della logica diviene ben piU complicata di quanto essi ammettessero in origine. Infatti, se la formula d'assioma p:, (q=> p) deve considerarsi un'abbreviazione di (p)(q)[p=i(q:,p)], il caso piU semplice di derivazione da essa non può non essere in pratica che un'applicazione d'una rego-
la della logica generale corrispondente allo schema (p)F(p) . Ma le
F(Q) sole conclusioni che possiamo conseguire con questo metodo sono asserti quali La terra è piatla =i (la luna è fatta di gorgonzola =i la terra è piatta), ossia delle esemplificazioni del nostro principio logico in materia non-logica, e generalmente risultati di tale genere non interessano i logici che si basano sopra un principio di sostituzione. Molto spesso, i reorcmi che essi affermano di stabilire mediante sostituzione alle variabili sono nuovi asserti universali come r .s =i (-t => r .s), che non possono derivarsi per applicazione della summenzionata regola semplice, ma che richiedono un ragionamento molto piU complicato nella logica generale. Indubbiamente, il procedimento necess3.rio può formalizzarsi rigorosamente,u ma è piU illuminante adottare il metodo degli schemi d'assioma introdotto da von Neumann, ed argomentare nel modo se1,meme: Ogni asserto della forma P:, (Q =iP) è necessariamente vero. Ma ogni asserto della forma R.S=i(-T=iR.S) è della forma P=>(Q:,P). Dunque, ogni asserto della forma R. S :, (-T =i R. 5) è necessariamente vero. Indubbiamente, questo ragionamento dipende da un principio della logica generale (dal principio del sillogismo in Barbara), ma esso è ineccepibile in questo contesto, poiché è certo che esso appartenga al ragionamento intorno alla logica primaria, e non alla logica primaria stessa. " Il primo a porsi scrbmenic il problema fu s. u:~NIEWSKI. L'~posizione piU aa:cssibilc dcli.i l(,gica di I F.SSIE'il'SKT si trov:t nei suoi G,u11J~US1.t ein.-s ntutn SysttmJ Je, GrunJ/11gen d,:, M.i:l:m:,mk. •FunJJmcma ma1hem.i1ka•. XIV (1929). pp, 1•81.
608
Sviluppi formali dopo Frcge
Considerazioni analoghe possono opporsi alla teoria fregeana del. l'uso delle variabili funzionali nella formulazione degli assiomi della lo-, gica generale. Se la formula (x)/(x) =i /(y) deve intendersi come un'ab-. breviazione di (/)[(x)/(x) =i /(y)], è impossibile presentare la teoria delle funzioni del primo livello senza sconfinare nella teoria delle fun. zioni del secondo livello. In breve, l'unico modo per chiarire l'articola· zione della teoria logica è usare variabili speciali, come le nostre maiuscole, per esprimere la generalità nel discorso del logico stesso in quan. to discorso distinto dal discorso che il logico analizza. Si deve confessare, tuttavia, che v'è qualcosa di strano in un discorso intorno agli assiomi della logica, siano essi pochi (come nel sistema di Frege), o infiniti (come nel sistema di von Neumann). Prima di Fre· ge, i logici reputavano che fosse loro cOmpito considerare come i teore· mi seguissero dagli assiomi in discipline come la geometria, ma generalmente non tentarono di presentare come un sistema deduttivo, con assiomi e teoremi, la logica stessa. Naturalmente, non fu Frege il primo a sostenere che alcuni principt logici potessero derivarsi da altri. lnfat. ti, Aristotele ridusse tutti i sillogismi validi a Barbara o Celorent, e Crisippo dedusse i modi complessi dai propri indimostrabili. Ma Frege, seguendo alcuni spunti di Leibniz e Boole, offrf un sistema nel quale gli assiomi ed i teoremi sono non verità intorno a relazioni di conseguenza, ma truismi logici dello stesso status che il principio di non(S:,R) (S=>R):,[R=>(S=>R)l [R=>(S:,R)J:, {(S=>R) => [R:,(S=>R)l).
E la seconda di queste asserzioni può inferirsi dalla prima e dalla terza mediante la regola ( 1 ). È dunque meglio chiamare tutte quelle asserzioni truismi della logica. In un'applicazione della logica a una materia extralogica, le lettere maiuscole dei nostri schemi d'inferenza verrebbero rimpiazzate da genuine espressioni per proposizioni intorno a quella materia, e si fare~ bere le inferenze ammesse dalle regole. Ma, quando elaboriamo la logica stessa, il nostro scopo è non derivare conseguenze da premesse appartenenti ad altre scienze, ma derivare regole d'inferenza nuove, o forse pill complicate, da quelle di partenza. Poiché le regole sono, a loro volta, espressioni del secondo ordine che si possono porre in forma di principi intorno alle relazioni tra proposizioni, nella derivazione di regole da regole devono intervenire principi del terzo ordine; tuttavia, la derivazione di regole da regole può presentarsi semplicemente ricorrendo a quella deduzione schematica che Crisippo usò nella sua daborazione della logica elementare. Ecco, ad esempio, una dimostrazione della semplice regola____!!____, che abbiamo adattato a questo procedi(x) f x
mento dalla originaria dimostrazione di Bernays: 11
Fx
*
(2)
Fx:, {[R=> (S=>R)]:,fx} (t) [R=>(S=>R)]=>fx ( 6 ) [R=>(S=>R)]=>(x)fx
_ _•_ _ ( 2 ) R=>(S:,R) (x).
(x)f.< " HltBUT e ACKEO,IANN,
Grund;;ii,.c dcr 1hrorctiuhet1 Logik, cap. III, S 6, rcgo\11 T'·
Metodi di presentazione: assiomi e regole
615
I numerali alla fine delle linee orizzontali mostrano quali schemi basilari siano usati nei vari passaggi, ed è dunque chiaro che, per rendere possibile l'uso della regola ( 6) a metà della dimostrazione, noi dobbiamo supporre al principio che le lettere Re S non siano abbreviazioni di espressioni che contengono libera x. Ma non v'è altra restrizione all'interpretazione delle lettere schematiche ( tranne, naturalmente, le restrizioni generali richieste per salvare il senso), e cosi tutto il ragionamento scheletrico equivale ad una giustificazione della regola..!:...... Infatti, l'uso (x)Fx Ji questa regola deve essere corretto, se è corretto, come evidentemente è, usare le regole ( J ), (2 ), ( 6) nel modo indicato sopra. Oltre che per il metodo della dimostrazione, il nostro esempio è in1eressante poiché concerne il passaggio dalle variabili libere alle variabili vincolate nell'espressione dell'universalità. Poiché l'universalità in questione appartiene propriamente alle proposizioni del ragionamento in esame, qui non ci si allontana dal programma d'usare, ovunque sia possibile, lettere schematiche, ma il lettore può legittimamente domandare come noi otteniamo le formule con variabili libere dalle quali possiamo argomentare secondo la regola summenzionata. La risposta è questa: ai fini della logica generale, le formule, nelle quali le variabili libere siano state coerentemente sostituite alle designazioni, possono trattarsi come esempt delle stesse configurazioni che le loro formule originarie. A prima vista, questa regola per interpretare la frase 'della stessa configurazione' lascia un po' sorpresi, poiché una formula che esprime l'universalità mediante una variabile libera ha manifestamente un altro carattere logico che ognuna delle formule singolari che essa comporta. Ma noi siamo autorizzati a fare qui affidamento sul fatto che esse sono grammaticalmente simili sotto ogni aspetto che non sia l'uso delle variabili libere, come potrà mostrare un esame piU particolareggiato dell'esem· pio precedente, Secondo la regola (2) noi possiamo asserire qualsiasi proposizione esprimibile nella forma P::i ( Q ::i P) e quindi, ovviamente, qualsiasi proposizione esprimibile nella forma P::, {[R => (S => R)]::, P}. Ma anche tutte le proposizioni le cui espressioni differiscono l'una dal-
l'altra solo come FX=>{[R=>(S=>Rll=>FX} e FY=>{[R=>(S=>R)]=>FY}, ove X e Y designano cose differenti, sono di quella forma, ed è dunque permesso usare l'espressione fx::, {{R::i(S::> R)}::, Fx} al fine di asserirle congiuntamente. Proprio perché ognuna di esse può venire asserita in virtu della regola ( 2 ), può venire asserita anche la proposizione universale espressa introducendo una variabile libera in luogo d'una desi-
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Sviluppi formali dopo Frege
gnazione. Fu probabilmente la ricorrenza di tale ragionamento nella matematica ad indurre i matematici a dire talvolta che una variabile denoti ambiguamente tutti i suoi differenti valori. Noi possiamo spiegare piU correttamente i meriti della notazione dicendo che essa è un'espressione molto adeguata per i risultati dell'induzione intuitiva. Infatti, proprio quel tratto delle proposizioni singolari che giustifica la nostra generalizzazione è rappresentato dalla configurazione che noi conserviamo nella nostra espressione della generalizzazione. Per avvalerci di questo espediente in altri contesti, possiamo legittimamente assumere che la regola (5) ci consenta d'asserire tutte le proposizioni esprimibili neila forma (x)Fx:::) Fy. In altri termini: ovunque ciò sembri conveniente, noi possiamo scrivere una variabile libera invece d'una designazione genuina nel posto indicato dalla lettera schematica Y di questa regola. Se, mutatis mutandis, ci prendessimo la stessa libertà in relazione a tutte le nostre lettere schematiche, verremmo in pratica a ristabilire un calcolo come quello offerto da Frege, Whitehead e Russell. Infatti, noi potremmo allora scrivere: p=>(q=,p) [p=>(q=,r)] =>[(pc, q) => (p=,r)] (-p=,-q)=,(q=,p) (x)fx=,
/y
quali espressioni per le proposizioni ottenute usando le regole (2), (3), (4), (5), e poi derivare da queste formule, assunte a premesse, tutte le altre formule asseribili. In questo contesto, le consuete regole di sostituzione sarebbero, naturalmente, disponibili come regole derivate, poiché ogni formula che risulta dalla sostituzione ad una variabile libera dev'essere un esemplare d'uno schema del quale è un esemplare la formula data, e deve dunque potersi dichiarare a sua volta un truismo se la formula data può dichiararsi un truismo in virtU della propria configurazione. Forse si obietterà che questo modo d'ottenere un calcolo della logica con variabili libere richiede il discutibile espediente di ammettere due generi d'esemplari per i nostri schemi basilari: formule senza variabili libere e formule con variabili libere. Ma un siffatto espediente è in ogni caso richiesto dal metodo con il quale Frege presenta la logica. Infatti, come abbiamo visto, nel sistema di Frege e nei sistemi dei suoi successori la sostituzione a formule contenenti variabili libere può portare o a formule senza variabili libere, o ad altre formule che contengono variabili libere. Quando si considera la logica una teoria
Metodi di presentazione: assiomi e rl!gole
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astratta, prescindendo da1l'applicazione, si considera solo la sostituzione del secondo genere, ma la sostituzione del primo genere è essenziale quando si debba applicare il calcolo a11a dimostrazione di asserzioni extralogiche. Se rifiutiamo tale duplicità, dobbiamo abbandonare il programma di presentare la logica primaria come una teoria che comprende le proposizioni universali del primo ordine e limitarci a regole universali come quelle formulate sopra. Infatti, le variabili libere appariranno allora nella nostra logica solo cosi come esse ricorrono nella regola (6) e nel precedente esempio di derivazione, ossia al fine d'indicare quell'uso dell'induzione inruitiva che è necessario per la teoria della quantificazione, o logica generale, ma che non è necessario nella logica primaria. Ma noi possiamo ruttavia domandarci quale sistema di regole sia il piU perspicuo e piU naturale.
3. Deduzione naturale e sviluppo.
Nel 1934 G. Gentzen propose un sistema di regole per la deduzione naturale." Pili avanti, in quello stesso saggio, Gentzen mostrò che qualsiasi dimostrazione in un certo sistema correlato di logica può ridursi in una forma normale che è priva di un'operazione chiamata 'sezione' ['cut'; nell'originale tedesco, 'Schnitt'] ed è in un certo senso la pili diretta possibile. Questo teorema, che egli chiama tesi principale [main thesis] (Hauptsat::), è importante in connessione con la dimostrazione che Gentzen avrebbe poi dato della coerenza della teoria dei numeri, ed il suo interesse ha forse ind6tto qualcuno a trascurare il primo sistema. Nel simbolismo da noi adottato, le regole di questo primo sistema sono le seguenti: (1)~
P.Q p (3a)--
PvQ
(5)
.!!!_
(2a)
(3b)-Q-
PvQ
7
(6a} p -P
(II}~ (3x)Fx
(2b}
~ Q
(6b} -P
t
p
(8) p P:,Q
P:,Q
(9)~ (x)Fx
p
( ) PvQ P/R Q/R 4 R
-P
( ) ...!!2___
~
Q (lo) (x)Fx FY ( l2)
(3x}Fx Fx/P .
p
"Un1crmch11ngen iiber J11s /ugisch~ S,hlic$en, •Mat!1c1nJtische Zdischrift•, xxxix pp,176-210,-10,-Jr.
hS>Hl,
Deduzione naturale e sviluppo
619
Qui, ogni regola è presentata mediante uno schema: le regole a sinistra sono regole per l'introduzion~ dei segni formalij le regole a destra, regole per l'eliminazione dei segni formali. Quasi tutte le regole sono fa. cilmente intelligibili, ma alcuni punti postulano un commento. L'òbelo t nelle regole (5) e (6a) sta per 'il falso' (o, come forse è meglio dire, per 'l'assurdo'), ed ha un singolo schema addizionale-;che. secondo la spiegazione di Gentzen, significa 'Se sussiste il falso, sussiste qualsiasi proposizione'. La Y nelle regole ( xo) e ( r I) è una lettera schematica come le altre maiuscole, ma la x sopra la linea nella regola (9) e, analogamente, la x in Fx/P della regola (r2) sono variabili libere il cui àmbito non s'estende attraverso la linea orizzontale. La sbarra trasversale, da noi usata nella formulazione delle regole (4 ), (5 ), (7), (I2), può considerarsi un'abbreviazione di 'comporta'. Essa naturalmente intende suggerire la linea orizzontale di uno schema d'inferenza; ma, poiché essa funge grammaticalmente da verbo, i segni alla sua sinistra e alla sua destra devono considerarsi nomi, ossia designazioni di proposizioni. Una formulazione completa d'un asserto d'implicanza avrebbe dunque la forma §P/§Q,ove il segno§ è un'abbreviazione di 'che' ['that'], o 'la proposizione che' ['the propo.sition that']; ma converrà adottare la convenzione che§ possa essere assorbito dalla sbarra trasversale cosi come la congiunzione 1that' ['che'], è assorbita dal verbo '.says' ['dice'], nell'enunciato inglese 'He says it i.s hot' ['Egli dice che fa caldo']. In ambo i casi, noi semplifichiamo senza ambiguità. Gentzen, che usa la notazione[~] invece di P/Q, dice che la lettera tra parentesi quadre sta per una supposizione dalla quale la conseguenza è derivata.1' Ma il senso è lo stesso; infatti, ciò che noi talvolta chiamiamo la derivazione d'una conseguenza da una supposizione è, in realtà, il processo attraverso il quale ci convinciamo che la supposizione comporta la conseguenza. Sembra chiaro che Gentzen ha effettivamente presentato la logica in una maniera piU naturale che quella di Frege, Whitehead e Russell. Il numero delle regole in Gentzen è sf piU grande che il numero delle regole e degli assiomi nei Principia mathematica, ma qui ogni segno è in" In q~ello ~1..-sso anno, inJipendmtcmcnte, s. J,.fi,:01rs11:1 pubblicò un sasgio
o,, the R11lts
uf SupposillOlf ;,, Formo/ Logie, cS111di11 lo11ka•, nr. 1 (Vusavi:i. 19H), che elabora i risultati otte-
nuti gioi nel 1s,i6 nel seminario di J. r.ui.ASIEWICZ. Le t>OStcriori rcorie dcli.I dcdulione na1ur;1.le il metodo d"cspo5izionc di JASKOTSKI piU eh,; quello di t,lè."HZEN; ma i[ r,roi:cdimcruo di su1tgrris.cc Il teoria dello sviluppo srirgata infra.
Sè"j!11ono GD,rlF.N
620
Sviluppi formali dopo Frege
trodotto separatamente ed è possibile dimostrare le equivalenze che so. no usate nei Principia mathemalica come definizioni ) P v Q/P. Q (~3) PvQ/Q,P («3 ) (~ 3 ) Q=>R,PvQJP,R (y,) Q=>R,PvQ/PvR (y4 ) Q=>R/(PvQ)=>(PvR) .(Y4). */(Q=>R)=>[(P v Q)=>(Pv R)]
t
interessante notare che, mentre i principi che formano la materia di questo sistema sono principi dell'involuzione, le regole mediante le quali noi costruiamo le nostre dimostrazioni sono tutte regole d'inferenza, ossia regole i cui principi corrispondenti sono principi dell'impli· canza. Ma ancor piU interessante, in questa sede, è il fatto che questo sistema senza la regola a.5 sia una generalizzazione del sistema basilare di Lewis operata usando l'involuzione (la quale è una relazione tra das» o,, lhc Thcory of Deduetion, •Medcdelingen der Koninklijke Nederbndsche Ak,demie \'3n Wetcnschappcn •, LI (19~8), pp. 173-8), 321·31,
La logica modale
647
si di proposizioni), in luogo della lewisian·a implicazione stretta (la quale è una relazione tra proposizioni). Infatti, gli assiomi B1 ~ 5 e B7 di Lcwis possono tutti ottenersi da a.1 mediante semplici derivazioni come quella che abbiamo appena dato, mentre B6 può ottenersi per applicazione di ~I e r1 ad una versione semplificata di a.3. D'altra parte, Io schema p::::, Q , che egli respinge, non rappresenta una regola di que-
P/Q sto sistema. Infatti, esso non è certamente lo schema d'alcuna regola primitiva del sistema, né può essere lo schema d.'una regola derivata, rt)iché la sua conclusione è d'un ordine superiore alla sua premessa, mentre le nostre regole primitive, a prescindere da a.5, ammettono solo inferenze a conclusioni d'ordine non superiore all'ordine supremo tra le loro premesse. Quando aggiungiamo cx.5, il nostro sistema diviene una generalizzazione dd lewisiano S5. Infatti, cx.5 è una generalizzazione del principio di riduzione forte. Ciò che in pratica la nostra formulazione dice è che non v'è ) -(*/P)/[(*/P)/(*/-aP)] d 5f
- - - - - - - - ( e a)
-aP/(aP/a-aP)
(RD)
(~1)
(aP/a-aP)/a-aP(«3 ). -aP/a-aP
Secondo la nostra versione del principio di riduzione forte, qualsiasi asserto d'involuzione (e quindi, naturalmente, qualsiasi asserto d'iinplicanza) che sia vero è necessariamente vero, e qualsiasi asserto di involuzione che sia falso è necessariamente falso. Ma, presentato in questa forma, difficilmente il principio può revocarsi in dubbio. Infatti, revocarlo in dubbio equivarrebbe a dire che l'invalidità d'un sillogismo (o di qualsiasi altro ragionamento che si proponga d'essere deduttivo) può essere un fatto contingente, il che sembra patentemente assurdo. Certo, è un fatto contingente che i segni fonici o grafici usati nella presentazione d'un ragionamento abbiano i significati usualmente assegnati ad essi, ed è perciò un fatto contingente anche la circostanza che essi siano usati, in una certa occasione, nella presentazione d'un ragionamento invalido. Ma ciò è irrilevante in questa sede. Noi asseriamo soltanto questa tesi: che una o piU proposizioni non ne comportino un'al-
La logica ~odale
649
tra non è un fatto contingente, e questa ·tesi non richiede altre giustificazioni. Quando un filosofo esita ad accettare il principio di riduzione forte, possiamo fondatamente sospettare che eg1i non abbia compreso le conseguenze del suo rigetto poiché, invece di considerare esempi appropriati dell'applicazione di quel principio, egli s'è lasciato influenzare da alcuni dei molti usi ellittici delle parole modali nel linguaggio comune (ad esempio, da quell'uso che indusse Frege ad escludere dalla sua logica la modalità). Discutendo una proposizione matematica plausibile ma indimostrata (ad esempio, la congettura di Goldbach: ogni numero p:iri maggiore di due è la somma di due numeri primi), sembra naturale dire 'Questa può essere una verità necessaria, ma in questo momento non può asserirsi che essa deve essere una verità necessaria'. A tutta prima, tale discorso sembra suffragare l'ipotesi di modalità d'ordine superiore irriducibili; tuttavia, se lo analizziamo, scopriamo che esso involge tre usi differenti delle parole modali entro un unico enunciato. Infatti, mentre la frase 'verità necessaria' è intesa a comunicare quella nozione di necessità che interessava Lewis quando egli formulò il proprio calcolo, le frasi 'può essere' e 'deve essere' sono usate qui per esprimere relazioni con la conoscenza umana, e 'non può' concerne la liceità morale o linguistica. Tale mescolanza non fornisce un vero e proprio esempio contrario contro il principio di riduzione forte, e sembra impossibile che se ne possa trovare uno. Chi, infatti, desideri refutare in questo modo quel principio deve indicare una proposizione che è contingente nel senso strettamente logico, ma, in quello stesso senso, solo contingentemente contingente. Un'altra possibile fonte di dubbi sopra i principi di riduzione è una difficoltà nell'interpretazione della frase 'necessariamente vero' quale ricorre nel linguaggio comune. Nel capitolo degli Analytica priora nel quale tratta la terza figura del ragionamento sillogistico, Aristotele dice che il ragionamento Nessun uomo è un cavallo Ogni uomo è un animale Qualche cavallo non è un animale non è un sillogismo valido, o, in altre parole, che non è necessario che uomo è un cavallo.11 Ora, quest'affermazione è manifestamente una qualche cavallo non sia un animale se ogni uomo è un animale e nessun 11 A17.pr.,l.6(28"Jo).
6:;o
Sviluppi formali dopo Frege
verità della forma -o P, e quindi, secondo il principio di riduzione forte, è una verità necessaria. Ma, se cerchiamo di comunicare il nostro giudizio, che essa è una verità necessaria, mediante l'enunciato 'Ciò che Aristotele dice è necessariamente vero', si può pensare che noi intendiamo che la verità dell'asserto fatto da Aristotele segua necessariamente dall'avere egli fatto quell'asserto. Per questa ragione un illustre logico moderno ha suggerito che i principi di riduzione esigano una formulazione piU rigorosa di quella consueta. A quanto sembra, egli ammetterebbe che è necessariamente vero che non è necessario che qualche car1allo non sia un animale se ogni uomo è un animale e nessun uomo è un cavallo, ma negherebbe che ciò che Aristotele dice nel passo summenzionato è necessariamente vero, e si giustificherebbe dicendo che la frase 'necessariamente vero' possa applicarsi soltanto ad una proposizione che sia concepita in qualch~ modo particolare e debba comprendersi in relazione a quel particolare modo di concepire la proposizione." Tutto ciò è senza dubbio plausibile, ma non dovrebbe interpretarsi nel senso che ciò revochi in dubbio il principio di riduzione forte qual è presentato nella formula-oP/o-oP, né dovrebbe farci dimenticare che, dopo tutto, noi possiamo dire ciò che vogliamo dire intorno all'affermazione d'Aristotele riferendoci ad essa come tale. Infatti, non vi sarà alcun pericolo di fraintendimento se diciamo semplicemente 'L'affermazione d'Aristotele negli Analytica priora, 28'''30, è una verità necessaria', quantunque nessuno sia in grado di dire se il nostro giudizio sia corretto sinché non avrà conosciuto il contenuto dell'itfiermazione d'A· ristatele. Nel nostro desiderio di rendere giusti.zia al concetto di modalità lo, gica, siamo stati ind6tti a presentare la logica come la teoria generale di quella relazione tra insiemi di proposizioni da noi chiamata involuzione. Ne1la sezione precedente è risultato chiaro che i segni formali (o logici) della congiunzione, della disgiunzione, della negazione, del nesso filoniano, dell'universalità, dell'esistenza erano quei segni il cui senso po, teva essere pienamente reso dall'enunciazione delle regole di sviluppo per le proposizioni espresse avvalendosi di essi. Ma, nella nostra nuova versione della logica, il concetto d'involuzione è assunto a fondamentale ed i segni formali delle versioni piU usuali sono introdotti mediante regole che possiamo trattare come definizioni. Certo, le regole del nostro terzo gruppo non permettono di per sé l'eliminazione " ,._ a1uio1. A Formu/ation o/ fht ù,~it: o/ Stmt and Dt11oli1/fo11, in Strut:turt, Mahod, ami Mta11i11g: Euays in flonor of Hmry M. Sbt8tr, 1~,1, pp. )·l4. Egli menziona solo il principio dì riduzione debole e naturalmente usa un ..-scmpio diilcl"(me.
La logica modale
651
dd segni formali da tutti i contesti ove essi possono essere usati. Ma esse determinano completamente il senso dei Segni fissando quali offid essi assolvano nel ragionamento. Senza dubbio, la parola italiana 'e' può avere assonanze e suscitare associazioni d'idee non previste in yr, ma l'uso che il logico fa del punto (ossia del segno della congiunzione) è inteso a comunicare proprio il senso previsto da quella regola: né pill, né meno, e, analogamente, ognuno degli altri segni formali ha esattamente il senso previsto dalla sua regola particolare. Quantunque ognuna di tali regole tratti soltanto la ricorrenza d'un segno formale da un solo lato della sbarra trasversale, in realtà ognuna di esse è sufficiente, con le regole generali date in precedenza, ai fini dell'introduzione o dell'eliminazione del suo segno o prima o dopo la sbarra trasvers:ile. Cosi, l'espressione r/P .Q,.6. è equipollente alla coppia di asserti d'involuzione r/P, .6. e r/Q, .6.; e r/(x}Fx, .6.. può essere rimpiazzato dal segno complesso {r/Fx, .6..}. In breve, i segni formali sono particolarmente interessanti per il logico poiché si possono usare come ausilt per presentare la teoria dell'involuzione, e, per converso, non hanno posto nella logica i segni che, a differenza di questi, non possono definirsi in associazione con il segno dell'involuzione. Poiché v'è una differenza di somma importanza tra un insieme che può specificarsi per enumerazione dei suoi membri ed un insieme che, invece, può specificarsi soltanto per indicazione d'un tratto comune a tutti i suoi membri, non stupisce che la logica generale ( o funzionale), la quale tratta relazioni tra insiemi possibilmente infiniti di proposizioni specificate in riferimento a funzioni proposizionali, debba essere molto piU complicata che la logica primaria (o proposizionale) 1 la quale, invece, tratta soltanto relazioni tra insiemi finiti di proposizioni. Ma le nostre regole basilari a.1-7 sono tutte semplici, anzi banali (se cosf si può dire senza una connotazione spregiativa). E neppure qui v'è da stupirsi: la logica, infatti, tratta i caratteri generali dell'involuzione piuttosto che la sussistenza di queila relazione tra insiemi di proposizioni intorno a singole materie particolari, e dovrebbe essere fondamentalmente semplice.
5. Proposte di logiche alternative.
Nella versione della logica testé considerata, il concetto basilare che le regole identificano è una generalizzazione della relazione che giustifica l'inferenza, e perciò non può esservi dubbio sopra l'interpretazione del segno basilare. Ma un sistema come quello della Begriffsschri/t di Frege o quello dei Principia mathematica può elaborarsi prescindendo da qualsiasi interpretazione dei suoi segni, e, se studiato in questa maniera astratta, esso può utilmente considerarsi una tra piU alternative. Nel saggio del 1921 ove introdusse le tavole di verità per la logica
elementare/' E. L. Post propose un sistema formale alternativo ove ogni variabile possa assumere non piU sohanto l'uno o l'altro dei due valori di verità ve f, ma uno quulsiasi degli m differenti valori vi, v2, ... , Vm. Avendo cominciato con l'esame del sistema dei Principia mathemalica,ove i scgni-evsono assunti a primitivi.Post presentò questo nuovo sistema mediante tavole di verità per due nuove funzioni con i segni -me Ym. Per la prima funzione, la tavola di verità ha la forma indicata nella seguente figura:
p
-.P
Vale a dire, il segno ....ra è un operatore che permuta d'un posto i valori. Per la seconda funzione, la tavola di verità appare piU complicata, ma il principio di costruzione è semplice: P v,n Q assume sempre il valore superiore dei due valori appartenenti a P e Q {ossia, assume il valore che "A GmerJ{ l'heory o/ Elt!m1mtary Pror,01itio1u, «The American Journal of hbthemaiku. 163·8,.
XLIII (1921), pp.
Proposte di logiche alternative
653
è indicato da un indice sottoscritto minore). In tutto ciò, Post procede astrattamente senza suggerire che, per le proposizioni, siano concepibili piU di due valori di verità, ma poi passa a mostrare che il sistema da lui costruito può interpretarsi entro la logica ordinaria mediante le seguenti quattro convenzioni: (1) ogni elemento (rappresentato da una lettera maiuscola) è non una proposizione, ma un insieme ordinato di m- I proposizioni (rappresentate qui da lettere minuscole) tale che, se una qualsiasi di esse è vera, sono vere tutte quelle che la seguono nella successione; (n) un elemento deve avere il valore v. se esattamente r- 1 delle sue proposizioni sono false; (111) se le proposizioni di P sono espresse da p., p1, ••• , Pm-h e quelle di Q sono espresse da qi, q1, •• • , 1m-h le proposizioni di P Vm Q sono espresse da p 1 v q 11 Pi v q1, • • , , Pm-1 v qm-ii (Iv) se le proposizioni di P sono espresse da pi, Pi,.,., Pm-1, le proposizioni di -mP sono espresseda ...(p 1 v Pi v ... Pm-1), ...(p, v
Pi V·•• Pm-1) V(Pi ·Pi••• Pm-1),,, •, ...(p1 V PzV •. • Pm-1) V (p.,,_z.Pm-1). Il sistema ad m valori di Post deve o no chiamarsi una logica alternativa? La risposta a questa domanda non può non dipendere dal senso che noi diamo alla parola 'logica'. Se diamo il nome 'logica' a qualsiasi sistema che abbia certe affinità formali con il sistema di Frege, possiamo chiamare logica il sistema ad m valori di Post. Né v'è nulla d'assurdo: la stessa parola 'geometria' ha subito un analogo ampliamento. Ma, se ci prendiamo questa libertà, dovremmo riconoscere che, nel nostro nuovo uso tecnico, non è necessario che un sistema formale chiamato logica abbia una connessione con il ragionamento. In particolare, non dovremmo supporre che l'esibizione di logiche alternative in questo senso della parola 'logica' venga in qualche modo a mostrare che il sistema di Frege sia inadeguato ai fini cui era destinato, o che esso sia meramente convenzionale:'• Se, invece, affermiamo che il nome 'logica' debba riservarsi ai sistemi interpretabili in riferimento alle relazioni tra proposizioni, possiamo ancora dire che il sistema ad m valori di Post sia logico in senso lato, ma dobbiamo anche aggiungere che, a rigar di termini, esso non è una alternativa al sistema a due valori di Frege, poi~ ché l'interpretazione summenzionata presuppone come teoria sottostante il sistema di Frege (o quello dei Principia mathematica). Post stesso, alla fine del suo articolo, suggerisce che tutto il ragionamento possa tradursi nel linguaggio di qualche sistema a piU valori e che, cosf facendo, il sistema a piU valori parrebbe fondamentale, mentre il comune sistema a due valori parrebbe artificiale. Ma Post non ha spiegato '6 Nd libro M,m~·-\'afutJ Lo,.ia, 19P, J. B. IOSSER CA. R. TI!RQUl-:TTE ,i aHcngono d3 ogni 1... nrJth·o d"imerpr.::tate i fonnalismi dJ k•ro e:.aminati.
6.54
Sviluppi formali dopo Frege
come questo ragionamento possa tradursi nel linguaggio d'un sistema a piU valori, e sembra difficile, se non impossibile, annettere un signi4 ficato a questa sua ipotesi. Contemporaneamente, J. Lukasiewicz concepl l'idea d'usare un si4 sterna logico a tre valori per risolvere il problema aristotelico dei futuri contingenti." Egli scrive: 'lo posso assumere senza contradizione che la mia presenza a Varsavia in un certo momento dell'anno venturo: ad esempio, a mezzogiorno del 21 dicembre, nel presente momento non sia dedsa né positivamente, né negativamente. E. perciò po.uibi!e ma non nt:ce.uario che io in quel momento sarò presente a Varsavia. Sulla base di questo presupposto, l'asserto "lo sarò presente a Varsavia a mezzogiorno del z t dicembre dell'anno venturo'" è né vera, né falsa, nel presente momento. In fatti, se questo asserto fosse vero nel presente momento, la mia presenza futura a Varsavia dovrebbe essere necessaria, il che contradice il presupposto, e, se esso fosse falso nel presente morr.ento, la mia presenza futura a Varsavia dovrebbe essere impossibile, il che, a sua volta, contradice il presupposto. L'asserto in esame è perciò, al presente, né vero, né falso, e deve avere un terzo valore differente e da O (il falso), e da 1 (il vero), Possiamo indicare questo terzo valore con "i": esso è "il possibile", il terzo valore dopo ' il falso" e "il vero'", Ecco com'è nato il sistema a tre valori di logica proposizionale. 'lol 4
0
Se i valori di verità sono tre, le funzioni di verità devono essere ride 4 finite, o, meglio, le loro definizioni devono estendersi in modo che contemplino i casi ove uno o piU argomenti assumono il valore½- In questo contesto introdurremo il segno (PJ quale abbreviazione di 'il valore di verità di P', e, per agevolare il confronto, useremo, in luogo dell'originaria notazione di Lukasiewicz, quella di Peano-Russell. Le definizioni che egli adotta per il condizionale filoniano e per la negazione sono date nella seguente matrice:
I
½ ½
½
I
o
o
o
o
I
I
½
½
La colonna all'estrema destra indica che, per (P] - O e [PJ = I, non v'è alcun cambiamento in [-PJ, e che, per (PJ = ½, abbiamo (-PJ =- ½. Ana4 logamente, nella definizione di P=i Q, i casi vecchi sono trattati come al solito ed i casi nuovi sono trattati secondo il principio che, se il valore n O loiìcc rr&iwartofriowei, «Ruch 6lc,iolia:ny•, v (J920), pp. 169.71. " Philn1ophiube Brrr.erkimgrr, zu mrhrr,:erhB
i, o con un qualsiasi argomento che involga qiX. Vale a dire. il simbolo ~qi(qi.i)n non deve e$primere una proposizione, come invece ~Q(a)" se q:,12 è un valore di qiX. In realt:i., "q>(q,i)" dev'essere un simbolo che non esprime nulla: quindi, possiamo dire che esso non è signific:mtc. Cosi, data una qualsiasi funzione rpi, vi sono argomcmi per i quali I.i funzione non ha un valore, cd argomenti per i quali essa ha un valore."
Nel suo primo articolo intorno alla teoria dei tipi, Russell dice che un tipo può definirsi un campo di significanza [range o/ significance], ossia, la collezione di argomenti per cui una data funzione proposizio· nale ha valori; ma piU. tardi dice che le funzioni proposizionali si possono classificare in tipi secondo le entità che esse ammettono per argomenti propri. Questi due modi di descrivere le cose sono equivalenti; infatti, le considerazioni di Russell richiedono che si assuma una gerarchia delle entità. Cosi, se noi assumiamo per individui, o entità del tipo O, gli uomini, allora la saggezza, o l'essere saggio (ossia, la funzione pro· posizionale espressa da x è saggio) è del tipo x, poiché si può asserire significantemente, quantunque forse non veramente, di Socrate o Alcibiade, mentre l'essere una virtU. cardinale è del tipo 2, poiché si può as· 5erire significantemente della saggezza; e, in genere, ogni attributo è di tipo superiore alle entità delle quali lo si può asserire o negare signifi. cantemente. F, sf vero che nell'argomentazione di Russell, la quale pren· de le mosse dal principio del circolo vizioso, nulla dimostra che un attri· buto debba essere sempre del tipo immediatamente superiore alle entità delle quali lo si può asserire o negare signific:mtemente; ma questo è ciò che egli assume nello sviluppo della sua teoria, ed è necessario se, come egli manifestamente pensa, le entità dello stesso tipo devono es· sere universalmente intercambiabili nel senso che ciò che si può asserire o negare significantemente y-y.
....
'Y
Analogamente si può dimostrare l'indipendenza di ognuno degli altri tre assiomi dagli altri. Le matrici appropriate sono: a~ 'Y - oveTaut,Perm,Sumhannoscmprcunvaloredia a. a a stinto, ma non Add, poiché "~ ~ ~ " p(~vy)-~; *y a ~ 'Y 'Y 6ci~y6y
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L3 teoria dei sist(.;mi deduttivi
796
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"(
ove Tau!, Add, Sum hanno sempre un valore di-
f3 stinto, ma non Perm, poiché (yv6):,(6vy)-6;
6u.666y
v *a.
B
B i' a. a. a. a. u. B y
-y
a. -y "( a.
6
a. 6 a. 6
et
-
u.
ove Taut, Add, Perm hanno sempre un valore distinto, ma non Sum, poiché (6::>B):,[(yv6):,(yvB)J-y.
a.
Vale la pena notare che tutte le matrici usate qui per dimostra.re l'indipendenza ammettono piU di due valori, e che una di esse ammette piU di un valore distinto; ma è un errore supporre, come alcuni logici hanno supposto, che queste considerazioni si fondino sull'idea che la logica stessa possa essere a piU valori, - a meno che alla parola 'logica' si faccia coprire qualsiasi sistema astratto originariamente costruito modificando il calcolo delle proposizioni. Indubbiamente il sistema che, oltre le regole di sostituzione e di separazione, contenga solo gli assiomi Add, Perm, Sum, può, ad esempio in aritmetica, interpretarsi in modo che ogni variabile ammetta tre valori genuini; ma non lo si può qualificare logica in un senso ordinario del termine 'logica'. E, quando è trattato come una parte della logica nel senso ordinario, esso è interpretato in modo tale che T aut seqibra necessaria, seppure indipendente. In breve, le lettere greche nelle precedenti matrici a pill valori non stanno per valori di verità di proposizioni. A prescindere dalla loro importanza in metalogica, queste dimostrazioni di coerenza e d'indipendenza per una versione del calcolo delle proposizioni sono interessanti perché illustrano semplicemente e chiaramente come si può usare il concetto di modello o d'interpretazione per studiare le proprietà d'un sistema deduttivo. Invece di dire che le formule iniziali d'un calcolo comportano una formula consequenziale se, e solo se, è impossibile che quelle siano vere senza che questa sia anch'essa vera, noi possiamo dire che le formule iniziali comportano la formula consequenziale se, e solo se, questa è sodisfatta da tutte le interpretazioni che sodisfano quelle. Come abbiamo visto, questa impostazione ha il merito d'ammettere dimostrazioni d'indipendenza per esi-
La mctateoria della logica primaria
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bizione d'esempi contrari, ma può suscitare perplessità. Sinché trattiamo formule ove alcuni segni, e in particolare i segni della logica, abbiano sempre un senso fissato, è chiaro che cosa s'intenda con l'asserzione che una certa interpretazione sodisfa una formula. (In geometria, ad esempio, diciamo che. un postulato è sodisfatto da una certa interpretazione dei suoi segni extralogici se quell'interpretazione Io converte in un asserto vero.) Ma quando, come adesso nel nostro studio del calcolo delle proposizioni, tutti i segni ricorrenti nelle nostre formule devono considerarsi aperti all'interpretazione ed a1la reinterpretazione, non è pi\J immediatamente chiaro c.:he cosa s'intenda per sodisfacimento d'una formula. Se, come in un nostro esempio, un'interpretazione converte una formula in una designazione numerica invece che in un'espressione proposizionale, evidentemente il risultato non può essere un asserto vero. Ma allora perché mai qui parliamo di sodisfacimento? Nella nostra esposizione delle dimostrazioni noi abbiamo eluso la difficoltà dando una definizione ad hoc dell'interpretazione sodisfaccnte, ma sarà bene considerare Ja questione in maniera pi\J generale. Per quanto ci sforziamo d'ottenere una completa astrazione nella presentazione d'un calcolo, tuttavia dobbiamo chiarire con il linguaggio comune che certe formule assumono un valore distinto e possono, con un determinato procedimento, generare altre formule con un valore distinto. In breve, la presentazione d'un calcolo è essenzialmente una attività del secondo ordine che richiede segni che non facciano essi stessi parte del calcolo. Nelle opere di Frege e poi anche nei Principia mathematica il segno d'asserzione indica che ciò che segue il segno è considerato un truismo della logica, e le regole d'inferenza sono espressamente qualificate impegni non formulabili a loro volta nel simbolismo che è adeguato per tali truismi." Noi possiamo si astrarre, se vogliamo, dal concetto di verità (che Whitehead e Russell assumono a valore distinto nella presentazione del loro calcolo), ed anche dal concetto di proposizione, ma non possiamo non mantenere l'idea d'un valore distinto e parlare, nel linguaggio comune, della trasmissione di tale valore da alcune formule ad altre. Pertanto, ciò che è sodisfotto da un'interpretazione sono non già file di segni vuoti come (p v p) =:i p, ma postulati d'una forma quale 'Se pè in G, allora (p v p)=:i pè in G*'. In un articolo del 1934, E. V. Huntington richiamò l'attenzione sulla parte informale della teoria de11a deduzione (o calcolo delle proposizioni) nei Principia malbematica, e mostrò che tutta la teoria (inclusi ' la disdnzione tra t,:go!e e prcm.-sse fu d,i3rin1 da c. L. i>ODGSol'i (LF.11:'15 CARROLL), Wh11t tbc Tortoiu S.lid to A(hj(/es, «Mind•, 11. $., 1v (189,J, pp. 278•80.
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La teoria dei sistemi deduttivi
gli assiomi e la regola di separazione) poteva derivarsi dai seguenti otto postulati:, 1.
SePèinGcQèinG,alloraPvQèinG.
2. Se P è in G, allora-P è in G. 3. SePèinG*,alloraPèinG. 4. Se Pv Q è in G*, allora Q v P èin G*. 5. SePè in G*, alloraPv Q è in G*. 6. Se P è in G e ...p è in G*, allora P non è in G*. 7, Se P è in G e -P non è in G*, allora P è in G*. 8. Se Pv Q è inG* e-Pè in G*, allora Q è in G*.
Per facilitare il confronto, abbiamo qui mantenuto il simbolismo dei Principia mathematica (che Huntington stesso non usa), ma sia chiaro che ciò non ci vincola all'interpretazione adottata da Whitchcad e Russell e che perciò noi possiamo proporre qualsiasi interpretazione che ci aiuti a comprendere la struttura del sistema determinato dagli otto postulati. L'uso di parole italiane ne1la formulazione di questi postulati porta naturalmente con sé l'assunzione dei principi logici ordinari: da usare nella derivazione de1Ie conseguenze, ma questo è inevitabile. Quando ragioniamo intorno al ragionamento, noi non possiamo non riconoscere alcuni princip1, e l'unica questione da decidere è se permetterci un apparato dimostrativo debole o un apparato dimostrativo forte. La relativa semplicità de] sistema di postulati di Huntington si deve al fatto che egli, nel vocabolario inglese da lui usato nel formulare i postulati, ammette non solo 'if' ['se'] ed 'and' ['e'], ma anche 'noi' ['non']. L'insieme d'assiomi che Whitehead e Russell dànno per il calcolo delle proposizioni è completo: completo non soltanto in un senso debole (e precisamente nel senso che esso è sufficiente per dimostrare tutte le formule le quali sono necessariamente vere per il modo in cui sono composte con i segni vero-funzionali - e v (o con segni che, come il punto della congiunzione, sono definiti in termini di - e v )), ma anche completo nel senso forte ( ossia, nel senso che, dall'aggiunta agli assiomi d'una qualsiasi formula la quale sia composta in modo vero-funzionale con i segni del calcolo ma non sia già derivabile dagli assiomi, risulta una contradizione). Per dimostrare questo teorema di metalogica dobbiamo cominciare stabilendo alcuni lemmi. J
Indtpendcnt Pos1r,/(q v-p)].[(q v-p)::,(-p v q)] [--(-p V q) V (q v-p)J.[(q v-p)::, (-p V q)] H-p v q) v (q v-p)J.[-(q v -p) v (-p v q)] [(--p.-q) V (q v-p)].[-(q v-p) V (-p V q)] [(p. -q) V (q v-p)J.[-(q v-p) V (-p V q)] [(p. -q) v (q v-p)].[(-q .--p)v (-p v q)] [(p. -q) V (q v-p)].[(-q .p) V (-p V q)] [(p V q V -p).(-q V q V-p)].[(-q .p) V (-p V q)] [(p v q v-p).(-q v q v-p)].[(-q v -p v q).(p v-pv q)J (p V q V -p).(-q V q v-p).(-q v-p V q).(p v-p V q).
Per complicata che sia la formula di partenza, è chiaro che applicazioni successive delle operazioni precedentemente esposte devono alla fine
La metateoria delfo logica primaria
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portare ad un'espressione nelia forma normale desiderata. In qualsiasi caso particolare, la riduzione di un'espressione vero-funzionale può ese!!uirsi entro il calcolo delle proposizioni, ma anche ora la generalizzazione che ci serve per la dimostrazione di completezza si deve stabilire ragionando fuori del calcolo. Vi possono essere espressioni distinguibili in forma normale congiuntiva che sono tutte logicamente equivalenti ad un'espressione data, ma questo non importa, poiché, per il ragionamento che segue, ognuna d'esse va bene quanto qualsiasi altra. Se, dopo aver ridotto un 'espressione vero-funzionale ad un'equivalente espressione in forma normale congiuntiva, si trova, come nel precedente esempio, che ognuna delle disgiunzioni congiunte contiene qualche espressione atomica insieme con la negazione di essa, allora l'espressione originaria deve essere necessariamente vera in virtU. della sua forma e derivabile dagli assiomi del calcolo de!Je proposizioni per derivazione della sua equivalente forma normale. :È infatti facile dimostrare entro il calcolo(I) la disgiunzione di qualsiasi formula con la negazione di essa; (11) la disgiunzione d'un truismo cosl stabilito con una qualsiasi altra formula; (m) la congiunzione di qualsiasi numero di formule già dimostrate. Ma è possibile andare oltre ed asserire che ogni asserto che sia necessariamente vero in virtU. della sua forma quale funzione di verità può derivarsi in questo modo dagli assiomi del calcolo delle proposizioni. Infatti, se una delle disgiunzioni in forma normale congiuntiva d'un tale asserto non contenesse un'espressione proposizionale atomica insieme con la negazione di essa, sarebbe possibile che quella disgiunzione sia falsa, e precisamente nell'ipotesi che ogni segno proposizionale non negato in essa fosse falso ed ogni segno proposizionale negato fosse vero. E questo equivale a dire che il tutto potrebbe essere falso, il che è assurdo. Per mostrare che iJ calcolo delle proposizioni del quale ci occupiamo è completo nel senso forte, supponiamo che l'insieme degli assiomi sia ampliato per addizione d'una formula composta di variabili proposizionali e di segni vero-funzionali 'ma non derivabile dagli assiomi originari. Nella forma normale congiuntiva di questa nuova formula vi deve essere almeno una disgiunzione che non contiene una variabile proposizionale la quale sia e con, e senza un segno di negazione. Sostituiamo p ad ogni lettera che, in questa formula disgiuntiva, non sia preceduta da un segno di negazione, e -p ad ogni lettera che sia invece preceduta da un segno di negazione. Eliminando le doppie negazioni, la nuova disgiunzione può ridursi a p v p ... v p, che, a sua volta, può ridursi a p. È quindi possibile derivare p dal nostro insieme d'assiomi
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La teoria dei sistemi deduttivi
ampliato mediante i passaggi permessi. Ma un sistema che consenta ciò è autocontradittorio. Le dimostrazioni di coerenza, indipendenza, completezza considerate qui si riferiscono tutte al calcolo delle proposizioni qual è presentato da Whitehead e Russell nei Principia mathematica, ma, con opportune modificazioni, esse si possono adibire a dimostrazioni di coerenza, indipendenza, completezza d'altre versioni della logica proposizionale, ivi comprese quelle che involgono soltanto regole. Come c'è da aspettarsi,· le dimostrazioni sono specialmente semplici per quella versione che impiega soltanto regole di sviluppo. Per dimostrare la coerenza, qui è sufficiente mostrare che le regole non ci rendano possibile dimostrare qualsiasi cosa. Noi possiamo mostrare ciò trovando un'interpretazione del sistema la quale esclude la possibilità di passare da qualche formula a qualche altra formula mediante un'operazione legittima. In particolare, noi prendiamo un gruppo G per il quale le operazioni rappresentate dai nostri vari segni formali si possono definire in modo tale che G sia chiuso rispetto ad esse, ed un sottogruppo proprio G* tale che, se tutti gli elem,nti rappresentati dalle formule sopra la linea in uno dei nostri schemi di sviluppo appartengono a G*, vi deve essere almeno uno degli elementi rappresentati da una formula sotto la linea nello stesso schema che appartenga anch'esso a G*. Poiché vi sono parecchi segni operazionali, il modo piU semplice d'esporre tale interpretazione è la seguente tavola:
p Q P.Q PvQ -P P=>Q *a a a a a ~ a a ~ ~ ~ ~ a a a ~ a B a, a ~ ~ ~ ~ Se il sistema delle regole fosse incoerente, sarebbe possibile dimostrllre ogni formula, e, quindi, una formula con il valore~- Inoltre, ta1e dimostrazione sarebbe una derivazione nella quale tutte le formule iniziali potrebbero venire rimpiazzate da una formula qualsiasi e perciò da una formula con il valore a:. Ma tale derivazione non potrebbe essere una singola applicazione d"alcuna delle nostre regole, né uno sviluppo pill complesso eseguito secondo le nostre regole. Infatti, quando le formule iniziali hanno tutte il valore a, una formula con il valore ~ non si può introdurre sotto la linea Che per applicazione d'una delle regole (4), (5) o (7a); e si può mostrare in riferimento alla tavola che in ognuno di tali
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casi viene contemporaneamente introdOtta anche un'altra formula con il valore l'.I, sf che è impossibile che una successione d'applicazioni delle nostre regole costituisca uno sviluppo che porta da una formula iniziale con il valore l'.I ad una singola formula finale con il valore ~Data questa interpretazione, che si può chiamare normale poiché conforme al nostro intento originario, è possibile dimostrare l'indipendenza delle varie regole stabilendo via via per ognuna di esse un 'interpretazione modificata o anormale dei suoi segni formali, la quale lasci inalterate tutte le altre regole (nel senso che esse sono ancora incapaci di portare da un insieme di formule aventi tutte il valore l'.I ad un insieme di formule aventi tutte il valore~), ma permetta a questa regola di portare da un insieme di formule aventi tutte il valore a ad un insieme di formule aventi tutte il valore ~- Poiché per un singolo segno formale non vi sono mai piU di tre regole, ciò non è difficile. Nella lista che segue è data, per ogni regola, un'interpretazione anormale del suo segno speciale che, presa insieme con l'interpretazione normale per tutti gli altri segni, è sufficiente per dimostrare l'indipendenza di quella regola: (t) P.Q- ~
(za)
(3a) PvQ-Q (3b) PvQ-P (5)-P-~ (7a)Pc,Q-Q (7b)Pc,Q--P
P.Q-Q
(2b) P.Q-P (4) PvQ-o: (6) -P-o: (8)Pc,Q-o:.
Per una dimostrazione diretta della completezza delle nostre regole di sviluppo (I)-( 8), considerate un sistema di logica proposizionale, basta modificare la precedente dimostrazione di completezza includendo ragionamenti i quali mostrino che le regole ammettono sia la riduzione di tutte le formule vero-funzionali alla forma normale congiuntiva, sia il ragionamento con il quale si può dimostrare vera un'espressione in quella forma se ognuna delle sue disgiunzioni congiunte contiene qual~ che espressione atomica insieme con la negazione di essa. Possiamo allora procedere a mostrare che l'aggiunta di qualsiasi regola nuova non derivabile da quelle già presenti ci impegnerebbe ad accettare* /P. Qualunque sia la forma del calcolo delle proposizioni del quale ci occupiamo, inevitabilmente le eventuali dimostrazioni di coerenza, indipendenza, completezza delle sue regole e dei suoi assiomi involgeranno un ragionamento che non si può presentare entro il calcolo stesso. Abbiamo segnalato esempi di tale ragionamento nella dimostrazione, fornita da Post, della completezza del calcolo presentato nei Principia mathematica, ma avremmo potuto segnalare tale ragionamento anche
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La teoria dei sistemi deduttivi
in dimostrazioni di coerenza o d'indipendenza. Quando, infatti, si mostra che nessuna derivazione legittima, quantunque lunga, può portare da premesse con un valore distinto ad una conclusione con un valore non distinto, il ragionamento non può essere validato soltanto dai principi della logica delle proposizioni, e ciò non semplicemente perché le tesi da noi dimostrate vertono intorno al calcolo delle proposizioni (infatti, alcuni ragionamenti intorno a un calco]o possono esemp1ifìcare principi di quel calcolo), ma perché le tesi da noi dimostrate sono generali ed accessibili soltanto con un ragion3mento il quale mostri che una certa proprietà appartiene a tutti gli elementi d'una successione perché appartiene al primo elemento ed è ereditaria nella successione: il ragionamento chiamato induzione matematica. Poiché il principio di tale ragionamento trascende non solo le risorse della logica primaria (o logica proposizionale), ma anche quelle della logica generale (o teoria della quantificazione), sembra ragionevole dire che persino i teoremi elementari della metalogica, considerati in questa sezione, non appartengano alla logica stessa.
2.
La metateoria della logica generale.
Nel nostro esame della metateoria della logica generale si assuma, per semplicità, che vi siano queste sei regole: (r) P:,Q, P/Q (2) */P:,(Q:,PJ
(3) */[P:,(Q:,R)J:,[(P:,Q):,(P:,R)J (4) */(-P:,-Q):,(Q:,P) (5) */(x)Fx::>FY (6) P=i Fx/P=i(x)Fx, purché x non ricorra libera in P. Qui il sottosistema contenente le regole ( 1 )-( 4) è la parte primaria, ed il tutto è una versione semplificata del sistema dato da Frege nella Begriffrschrift, ma sempre con regole in luogo d'assiomi. Per dimostrare la coerenza di queste regole, basta mostrare che esse non ci impegnano ad accettare due formule che stiano nella stessa relazione che P e -P. All'uopo noi adottiamo l'interpretazione usata nella dimostrazione di coerenza data nella sezione precedente, ma con la clausola addizionale che si possano trascurare i quantificatori universali e che le espressioni della forma Fx si possano trattare allo stesso modo che i segni proposizionali, ossia, si possano considerare capaci d'assumere uno dei due valori a. e (3,. :E: allora manifesto che tutte le formule introdotte mediante una qualsiasi delle regole (2).(5) devono avere il valore distinto a., e che questo valore sarà conservato da tutte le formule derivate da formule del primo gruppo usando la regola (I) o la regola ( 6 ). Poiché, secondo quest'interpretazione, è impossibile che due formule, le quali stiano nella stessa relazione che P ..:-P, abbiano ambedue il valore a., è dimostrato che le regole sono coerenti. In quest:1. dimostrazione, primamente pubblicata da D. Hilbert e W. Ackermann nei Grundziige der theoretirchen Logik, 1928, la nostra interpretazione del simbolismo dell'universalità equivale in pratica
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La teoria dei sistemi deduttivi
all'assunzione che v'è esattamente un individuo nel dominio sopra il quale noi generalizziamo mediante quel simbolismo. Infatti, se vi fosse esattamente un individuo ed esso avesse il nome Y, l'espressione (x)Fx equivarrebbe a FY e sarebbe evidente che le regole (5) e (6), che sono proprie alla logica generale. non involgono alcun pericolo d'incoerenza. Nella misura in cui il nostro ragionamento è valido, assumere un dominio d'individui pill grande, e, in particolare, assumere un dominio infinito, potrebbe portare ad una contradizione. Ma, in tal caso, la contradizione risulterebbe da qualche assurdità introdotta da queH'assunzione, e non dalla logica generale in sé considerata. Quell'interpretazione banale del simbolismo dell'universalità, con cui possiamo dimostrare la coerenza di tutto l'insieme di regole, è utile anche per dimostrare l'indipendenza delle regole (1), (2), (3), (4). Infatti, quest'interpretazione rende le regole (5) e ( 6) equivalenti rispettivamente a (}') */P:oP
(6')P:oQ/P:oQ ed è possibile mostrare, adattando i metodi della sezione precedente, che nessuna delle prime quattro regole si può derivare da queste due prese insieme con le altre tre. Per mostrare l'indipendenza di (5), noi rimpiazziamo il quantificatore universale (x), ovunque esso ricorre nel nostro sistema, con-(x)-, ossia con la combinazione di segni da noi usata come quantificatore esistenziale. Allora le regole ( I )-(4) restano inalterate, e (6) si trasforma nella regola derivata P::, Fx/P::,-(x}-Fx. Ne segue che ogni regola derivabile nel sistema originario senza ricorrere a (5) deve o rimanere non alterata dalla trasformazione, o trasformarsi in un'altra regola derivata. Ma (5) diviene */-(x)-fx::,fY, che non è una regola derivata, poiché la sua aggiunta al sistema originario ci consentirebbe d'ottenere * /FX::, FY. Analogamente, per mostrare l'indipendenza di (6), noi rimpiazzia· mo (x)Fx, ovunque ricorre nel nostro sistema, con (xHFx=>Fx). Allora le regole ( I )-(4) restano inalterate, e (5) si trasforma nella banale regola derivata •/(x)-(Fx:oFx):oFY. Ma (6) diviene P:oFx/P:o(x)-(Fx => Fx ), che non è certo una regola derivata. Queste dimostrazioni di coerenza e d'indipendenza per le regole d'un sistema di logica generale senza assiomi sono un adattamento delle dimostrazioni di coerenza e d'indipendenza elaborare da Bernays per un sistema con assiomi, ma l'idea essenziale della dimostrazione di coe-
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renza è in un saggio di Jacques Herbrand." Una dimostrazione di completezza per un sistema di logica generale fu primamente pubblicata da GOdel nel r930.1 La spiegheremo piU avanti, ma, prima cli considerarla nei particolari, dobbiamo chiarire la natura cli quell'impresa. Qui, infatti, le cose sono ben piU complicate che nella sezione precedente. Il nostro insieme di regole per la logica generale non è completo nel senso forte, poiché può essere ampliato senza contradizione; vale a dire, è possibile concepire varie regole compatibili con quelle date sopra, ma non derivate da esse. Un esempio semplice è la regola */-(x)Fx :::i(x)-Fx, che, se sono disponibili segni adeguati, può porsi anche in una delle seguenti forme: */(.,)Fx v (x)-Fx, */(3x)Fx=>(x)Fx, */--[(3x)Fx .(3x)-Fx].
Aggiunger1a al nostro insieme equivarrebbe ad optare per l'interpretazione speciale che usammo nella dimostrazione di coerenza, ossia, ad operare una restrizione, per la quale il dominio degli individui ammissibili quali argomenti di funzioni proposizionali contiene solo un elemento. Infatti, come mostra chiaramente l'ultima sua versione, questa regola richiede in pratica che la formula (3x)Fx. (3x)-Fx sia falsa sotto tutte le interpretazioni di F, il che equivale II dire che il numero degli individui è minore di due. Estendendo la stessa tecnica, possono costruirsi nel modo che segue regole per limitare il dominio degli individui in esame a due, tre, o a qualsiasi numero d'individui: [xl */(x)Fxv(x)-Fx [z] */(x)Fx v (.,)(-Fx v Gx) v (x)(-Fx v-Gx) [3] */(x)Fxv(x)(-Fxv Gx)v(x)(-Fxv-Gxv Hx)v (x)(-Fxv-Gxv-Hx)
In ciascun caso, il numero indicato tra parentesi davanti ad una regola è il limite superiore di grandezza che quella regola permette ai domini di individui. Infatti, mentre lo schema proposizionale stampato dopo la sbarra trasversale nella seconda di queste regole non è valido ( ossia, • R.-definability [l-definibilità], ma egli scopri che questa equivaleva alla ricorsività, ed un anno dopo A. M. Turing dimostrò la stessa cosa per quella computabilità-con·una.macchina [computability-by-a-machine] con la quale egli aveva proposto di rendere il concetto di calcolabilitàeffettiva.11 Questa tesi è importante poiché reagisce sul problema del1a decisione, e Church se ne avvalse per dimostrare due cose; in primo luogo, l'impossibilità d'un procedimento universale di decisione per un certo frammento della teoria dei numeri; in secondo luogo, quale conseguen· za di quella impossibilità, l'impossibilità d'un procedimento universale di decisione per ]a logica generale."' Poiché la sua dimostrazione di queste conciusioni è connessa con il suo sistema della 1-conversione che questo libro non spiega, noi non tenteremo di riprodurla qui, ma con· sidereremo invece un ragionamento piU semplice costruito da Tarski, '"An Unsolu11bfr Pmbln11 of Eltmtntary Numh,.., Thtnry, cAmcrican Journal of Mathem,a. 1Ìçh,I.Vlll(19J6),pp.J4,-61.
" O" Co,nput.:sblr l'-umher,, with 1111,1pplic,1tio1110 tht EnucheiJungiprnhlem," Proc~dings of lhe London Mathematit":11 Socìct}"•, XLII (1937), pp. 110-6,: A Com,ctÌQn, ibid., XLIII (1938), pp. '4-4-46; Co,nputub1lity and >.-De/foab,lity, cTh,;: Journ;,J of Symholic Lo11ic•, 11 (193;), pp. IH-61.
" t1 Not, o" lht En1rcheiJu,i~1prohlrm, • The JournJl of Symbolic LoGic•, 1 I 1936), pp. ,10,11; A Corre F si possa dimostrare nella logica generale. Se, quindi, fosse possibile specificare un procedimento universale di decisione per la logica generale, noi saremmo sempre in grado d'accertare, con una regola meccanica, se A=> F sia un truismo della logica generale, e, pertanto, di stabilire se F sia dimostrabile in él. Ma ciò equivarrebbe a dare un procedimento universale di decisione per él, il che s'è mostrato impossibile, e pertanto si deve ammettere che non vi può essere un procedimento universale di decisione per la logica generale. Non stupisce che un sistema d'aritmetica formale del quale sia nota l'incompletezza, sia anche privo d'un procedimento universale di decisione. Ma è notevole che la logica generale, della quale s'è dimostrata la completezza ( ossia, la sufficienza per la dimostrazione di tutti gli schemi universalmente validi esprimibili nel simbolismo logico), risulti tuttavia priva di tale algoritmo. Tutti i truismi della logica generale ci sono accessibili, ma non v'è un procedimento con il quale, per qualsiasi formula data, si sia sicuri di decidere, in un numero finito di passi, se essa sia o non sia un truismo. In altri termini: per lunga che sia una ricerca sistematica ma infruttuosa, resta tuttavia ancora possibile trovare una dimostrazione.
5. Il posto della logica fra le scienze.
Nell'antichità si discusse molto se la logica fosse una branca della filosofia, come dicevano gli stoici, o una mera introduzione agli studi filosofici, come sostenevano i peripatetici. Ma la disputa era qualco:.a di pili che una controversia terminologica. Ambedue le parti consentivano sulla priorità della logica nella formazione d'un filosofo; e se gli stoici, a differenza di Aristotele, la chiamavano una parte della filosofia, era solo perché venivano dopo ed erano consapevoli nella presentazione sistematica delle loro dottrine. Ciò che nei secoli seguenti fu generalmente chiamato logica è lo studio di questioni come quelle discusse da Aristotele negli scritti dell'Orga11011; e fa novità del contributo stoico, vista retrospettivamente, consiste non in una nuova demarcazione della materia, ma nel rilievo da loro dato alle relazioni tra proposizioni in quanto distinte dalle relazioni tra universali ( tra concetti I. Ma Aristotele non determinò chiaramente l'area della logica, e perciò sono rimaste aperte importanti questioni sulla relazione tra la logica e le altre scienze. Nella dottrina si1logistica degli Analytica priora, Aristotele enuncia un certo numero di principi generali intorno ad una relazione tra classi, che egli chiama inclusione in un tutto (b, OÀ,.
JJ4.
- della logica, 46o-77, 49r. - a due valori, 469. 'algorismo', 1.64. a1!gori1mi,B,9. ahern1tive, Josichc -, 6p.6o. amplialio,301. anali1ici1~ (assetti analitici cd asserti sin1Hici): - in Kan1, 406·8. - in&lzano,416-18. - in F~ge, Jo9-10, 7l9·J0. - in Quine:, 737-38. 11n1cna10, relazione d'- [a"':,mral uli11io,r], n,, .,62. ,mltprutdicar,ur,1,1, 140. antilogisrno, }20. anlisillngismo, 36o. d;:u:irywyTj EL; "l"Ò d5Uvet"l"OV, 14. d::t6Srs~u;. d,:.,5t1x·nxii, 6, 13. ci.::t~a.vnxOI; Myo;, JI). apptlli1tio: 171.
- in Gu11liclmo di Shyrcswood, 187,88. - in Pietro Ispano, 304. argomcn10 ontologico, lJ7·)8, 4o8, J1.4. a,gumt,rlum "fortiori,,,_ lltiunctizzar.ionc della sintassi, 819,1.1. or, combi11a1orii1, 193,181, 368,69, 371.-74. asseni analitici cd asscrci sintetici, v.:di analidcit11. asserii a soggetto-prcdic110, utdi soggclfo-predic3to, asserti a-. asserti eondi2ion1li, utdi condizionali, asser-
ti-. asserti singola.ti cd asserti generali, utdi sin110lari, uscrii -, cd asscrti 11-encrali. 'asserto' ['u