Etimologia e filosofia. Strategie comunicative del filosofo nel «Cratilo» di Platone 8834311329, 9788834311325

Il Cratilo è un capolavoro del genio filosofico e artistico di Platone, in cui la questione della correttezza per natura

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Etimologia e filosofia. Strategie comunicative del filosofo nel «Cratilo» di Platone
 8834311329, 9788834311325

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Maria Luisa Gatti

Etimologia

e

filosofia

Strategie comunicative del filosofo nel «Cratilo» di Platone Prefazione di Roberto Radice

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Confesercenti il 18 dicembre 2000.

Le riproduzioni ad uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AI DRO, via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano,

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© 2006 Vita e Pensiero- Largo A Gemelli, 1-20123 Milano ISBN 88-343-1132-9

L'armonia nascosta è più potente di qudla mani­ festa. Eraclito, Fr. 54 DK

Se riuscirò a scoprire di che si tratta ne resterò dawero meravigliato: infatti sembra proprio un enigma. Platone, Carmide, 161 C-D

Ma non ti accorgi che mi lascio trascinare, per così dire, fuori dal percorso, non appena mi trovo su una strada piana? Platone, Crati/o, 414 B

Non abbiam o nulla di meglio a cui riferirei sulla verità ( ...), a meno che tu, come i poeti tragici che, quando si trovano in difficoltà, ricorrono alle mac­ chine teatrali, facendo apparire degli dèi, non voglia che anche noi ci liberiamo così dall'impac­ cio ( ... ). Difatti, tutti questi sarebbero dei sotter­ fugi, e molto ingegnosi, per chi non volesse rendere conto. Platone, Crati/o, 42 5 D 42 6 B -

PREFAZIONE

La Collana in eu� come centesimo volume, appare la monografia sul Cratilo di Maria Luisa Gatti ha già accolto cospicui studi su dialoghi plato­ nicz� ossia sul Filebo, sul Parmenide e sul Politico da parte di Maurizio Migliori', sul Sofista, da parte Giancarlo Movia2, oltre che numerose, importanti opere su Platone di Giovanni Rea/eJ, fondatore della Collana stessa, e tra gli altrz� di Karl Albert, Cornelia ]. De Vogel Michael Erler, Miche! Fattal fohn N. Findlay, Konrad Gaiser, Vittorio Hasle, Hans Kriimer, Gerhard Kriiger, Maria Teresa Liminta, Mario Montuort� Evanghélos Moutsopoulos, Pau! Natorp, fan Patocka, foseph Sei/ert, Thomas A. Szleztik, Imre Toth4. Le ricerche sul Cratilo dell'autrice rientrano nel quadro del rinnovato interesse per i dialoghi di Platone suscitato dal dibattito riguardante le cosiddette Dottrine non scritte del filoso/o di Atene. Dopo aver interpreta­ to il Cratilo per il volume che pubblica Tutti gli scritti di Platone a cura di Giovanni Reale, Maria Luisa Gattz3, considerando la profondità, la bellez­ za e l'enigmaticità del dialogo, a partire da una precisa ipotesi esegetica, incentrata su una originale scoperta relativa alle etimologie, ha deciso di cimentarsi nell'impresa della dea/razione e del commento di questo com­ plesso scritto platonico, concentrandosi innanzitutto sulle sezioni etimolo­ giche. La prospettiva ermeneutica nella quale l'autrice si riconosce in partico­ lare è quella dell'analisi del testo di Thomas A. Szleztfk6, che ha individua­ to negli scritti di Platone, e perciò pure nel Cratilo, la presenza di una strut­ tura di soccorso, con rimandi a più livelli all'interno del dialogo stesso e, se necessario, anche ad altri dialoghz� fino alla fondazione filosofica ultimati­ va. Nel corso di ampie e approfondite ricerche relative sia all'opera sia alla letteratura critica, a un certo punto, con /elice intuizione l'autrice si è accor­ ta della presenza nel Cratilo di accenni ripetuti al gioco della macchina tea­ trale che appare nella tragedia, in passi molti importanti per l'architettura delle etimologie e del dialogo complessivo. Dopo aver svolto un'accurata analisi semantica della parola J.l1JXavri (macchina teatrale, espediente), nel Cratilo e nell'intero corpus platonico, l'autrice ha intrapreso l'analisi di tutto il dialogo, dipanandone la struttu-

ROBEIITO RADICE

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ra d'insieme e le varie articolazioni. Platone nel Cratilo si basa in larga misura sull' espediente della macchina teatrale: in analogia con l'appari·zio­ ne delle divinità nel deus ex machina della tragedia, il filoso/o nello scrit­ to, presentando le etimologie si limita ad accennare (mediante giochi di parole, la duplicazione e la moltiplicazione dei termim: e frequenti riferi­ menti ironici a/linguaggio degli antichz: degli dèz: dei Barbari, delle donne) a contenuti dottrinali che non precisa ulteriormente, probabilmente per la sua peculiare concezione del rapporto fra scrittura e filosofia. Come si legge esplicitamente nell'etimologia di arte ed espediente, in Cratilo, 414 B 415 A, la J.LTJXavfJ (macchina teatrale, espediente), è /"'arti­ ficio che il filosofo utilizza per procedere più velocemente, ma senza esat­ tezza, nella comunicazione per iscritto del proprio pensiero. Rileggere, /ra gli altrz: questo passo alla luce delle analisi della Gatti /a intravedere la forza del genio filosofico e letterario di Platone: le parole Sfinge e specchio oltre che espediente, facilità, strano, cercare l'esattezza, rendere altisonan­ te come nella tragedia accompagnano l'allusione a questo procedimento più veloce e meno preciso attraverso la scrittura. Così pure, nel passo citato anche nell'epigrafe, Platone domanda espli­ citamente a Ermogene, e di conseguenza al lettore, «ma non ti accorgi che mi lascio, per così dire, trascinare fuori dal percorso», che cambio discorso, «non appena mi trovo su una strada piana»7, cioè mi avvicino ai contenuti che più mi premono? In e//ettz: prima della presente interpretazione era facile sorvolare su questa ed altre precise indicazioni metodologiche nascoste nello scritto e molte volte- come del resto è successo anche all'autrice-, nel rileggere il dialogo, si resta sorpresi per il /atto di non essersi avveduti prima di quello che era sotto gli occhi di tutti, ma che risultava in ombra, perché con/uso ad altri elementi: e ciò senza dubbio rispondeva ad una precisa strategia di Platone. Come accennavamo, l'autrice ha realizzato l'impresa della spiegazione dell'"enigma del Cratilo, a partire da accurate ricognizioni di carattere /ilo­ logico ed ermeneutico. Per individuare e decifrare tutto il complesso gioco di rimandi, allusiom: riprese, ha compiuto una rigorosa e faticosa analisi lessicale, ricercando le occorrenze di moltissime parole, nel Cratilo, e anche nel corpus platonico. L'autrice ha utzlizzato per questo soprattutto il Lessico platonico di BrandwoodB, perché il Lessico elettronico9 di Platone da me realizzato non era ancora pienamente disponibile quando la sua monografia era in fase di elaborazione. Le indagini lessicali, che anch'io considero un sussidio scien­ tifico decisivo per la ricerca nell'ambito della storia della filosofia antica, -

PREFAZIONE

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conferiscono a quest'opera un particolare carattere di precisione ed ogget­ tività. In particolare, nel caso del Cratilo, il metodo della Gatti consente di cogliere e mettere in rilievo la sapiente regia di Platone, i rimandi interm: le omissiom: le riprese, ed impediSce di essere travolti dall'infittirsi dei nomi che, come rileva l'autrice, nel procedere della discussione, diventano un vero vortice, un fiume travolgente. Nel corso dell'indagine vengono anche fatte emergere immagini assai icastiche, degne delle più celebri pagine di Platone, come quella dello spec­ chio, della Sfinge, della macchina teatrale, della pelle del leone, dello scia­ me di sapienza, del catarro degli Eraclitez: del fiume, del vortice, del con­ teggio dei nomi come se fossero votz: del sogno delle Idee, dell'(( oracolo di Crati/o, della Musa di Eutifrone, delle vertigini di Socrate. Da mettere in rilievo sono anche l'utilizzazione ironica della massima le cose belle sono difficili per alludere all'intera trattazione sui nomz: o rt/erimenti a Omero, a Esiodo e ai poeti quali fonti esoteriche di sapienza. Particolarmente belle fra le altre, sono le etimologie di Ermete, dio della comunicazione, dell'ermeneutica e dello scambio; di Iride, affascinante messaggera; di Pan, legato al nesso fra logos e totalità del reale e alla trage­ dia; di Apollo, riferito alla semplicità del principio; di Ade, correlato all'in­ visibile, al legame del desiderio e all'espressione del bello; e di Dioniso, accostato all'ebbrezza e all'intelligenza. Così pure, sono da segnalare il fuoco, associato alla causa (in un allusi­ vo passo, che connette !'('udire in segreto con la derisione degli ascoltatort}, insieme con il Sole (datore di bene, di unità e di molteplicità), con il Bene (che produce legame, e che può essere denominato mediante vari nomi con­ cernenti l'utilità e il vantaggio), e anche con la Giustizia (che viene connes­ sa con il legame unificante che penetra tutto), mentre il Bello viene colle­ gato al denominare e all'intelligenza, oltre che al difficile, l'Eros all'amare e al dire, la verità al moto divino, la menzogna alla quiete di chi dorme. I:analisi lessicale aiuta pertanto a far emergere nel dialogo un'architet­ tura pienamente coesa nell'insieme e nei particolari. Platone nel corso della discussione sui nomi tratteggia in modo coerente una sorta di enciclopedia filosofica del sapere, presentando una serie nutritissima di etimologie, in eu� come si è visto, ricorrendo a mutamenti fonetici per costruire parole cruciali ai fini della sua strategia comunicativa, richiama propri contenuti dottrinali fondativi. Il contesto in cui le etimologie si inseriscono è quello della trattazione del problema sulla correttezza per natura o per convenzione dei nomz: con­ siderata in rt/erimento alla concezione del mobzlismo universale propugna-

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ROBERTO RADICE

ta da Crati/o. ]}autrice esamina e commenta approfonditamente lo svilup­ parsi del procedimento dialettico del filoso/o, sia nella discussione con Ermogene, implicante la tesi naturalistica, in cui appaiono diverse serie eti­ mologiche, sia nella discussione con Crati/o, in cui emerge l'ipotesi conven­ zionalistica. Tutta la monografia documenta che l'elemento centrale del Cratilo, dedicato al discepolo radicale di Eraclito, è la trattazione del rapporto /ra il Movimento e la Quiete, che si implicano reciprocamente, in relazione ai nomi: il Movimento tendente all'ordine, al fine, è il /attore dominante in tutti i livelli della realtà. Le etimologie, in particolare, permettono, trasfor­ mando i nomr: di alludere alla dialettica di Movimento e Quiete nei vari gradi e ambiti, cosmologicz: antologici e antropologici. La questione dei nomi, della loro correttezza per convenzione, conside­ rata nel contesto della dottrina eraclitea del fluire universale, richiede per Platone la conoscenza delle dottrine /ondative che il dialettico possiede. Quest'ultimo, nascosto dietro la figura di Socrate, conduce maieutica­ mente alla comprensione del dialogo il /ettore che si lascia guidare in modo adeguato dalle indicazioni disseminate nello scritto, compiendo fino in fondo tutti i passi della dialettica. Già Eraclito affermava che l'oracolo di Apollo a Del/i «non dice e non nasconde, ma accenna» w. Chi non coglie gli accenni e si perde nelle deviazioni finisce, come conclude Gatti, con il frain­ tendere le parole del filoso/o, che restano per lui enigmatiche, indecifrabi­ li. l}enigma del Cratilo qui risolto e interpretato a /ondo permette al let­ tare di seguire Platone comprendendone il gioco, senza provare le vertigini e il disorientamento di chi viene trascinato e travolto dal complesso ma affascinante vortice di nomi, e si perde nel labirinto di parole così genial­ mente architettato dal filoso/o.

Roberto Radice

PREFAZIONE

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NOTE ALLA PREFAZIONE l Cfr. M. Migliori , L'uomo fra piacere, intelligenza e Bene. Commentario storico-filoso­ fico al Filebo di Platone, Introduzione di Th. A. Szlezak, Milano 1 993; Migliori, Dialettica e Verità. Commentario filosofico al Parmenide di Platone, Prefazione di H. Kramer, Introduzione di G. Reale, Milano 1990; M. Migliori, Arte politica e metretica assiologica. Commentario storico-filosofico al Politico di Platone, Prefazione di H. Kramer, Milano

1 996. 2 Cfr. G. Movia, Apparenze, essere e verità. Commentario storico-filosofico al Sofista di Platone, Prefazione di H. Kriimer, Introduzione di G. Reale, Milano 1 9942 ( 1 99 1 1 ) .

3 Cfr. G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone. Rilettura della metafisica dei grandi dialoghi alla luce delle «Dottrine non scritte», Milano 1 997 20 ( 1 984 1 ); G. Reale (curatore), Verso una nuova immagine di Platone, Saggi di W. Beierwaltes, E. Berti , M. Erler, H. Kramer, M. Migliori, G. Movia, G. Reale, Th. A. Szlezak, Milano 1 994. 4 Cfr. K. Albert, Sul concetto di filosofia in Platone, Edizione italiana a cura di P. Traverso, Introduzione di G. Reale, Milano 199 1 ; C. J. De Vogel, Ripensando Platone e il Platonismo, Introduzione di G. Reale, Traduzione di E. Peroli, Milano 1 990; M. Erler, Il senso delle aporie nei dialoghi di Platone. Esercizi di avviamento al pensiero filosofico, Introduzione di G. Reale,Traduzione di C. Mazzarelli, Milano 1 99 1 ; M. Fatta!, Ricerche sul logos. Da Omero a Platino, a cura di R. Radice, Milano 2005 ; J. N. Findlay, Platone.

Le dottrine scritte e non scritte. Con una raccolta delle testimonianze antiche sulle dottri­ ne non scritte, Introduzione e traduzione delle testimonianze antiche sulle dottrine non scritte di G. Reale, Traduzione dal testo inglese di R. Davies, Bibliografia degli scritti di Findlay di M. Marchetto, Milano 1994; K. Gaiser, Il discorso delle Muse sul fondamento dell'ordine e del disordine. Interpretazione e commento storico-filologico di Repubblica VIII 545 D 547 A, Saggio introduttivo, traduzione e indici a cura di V. Cicero, Presentazione di G. Reale, Milano 1 998; K. Gaiser, La dottrina non scritta di Platone. -

Studi sulla fondazione sistematica e storica delle scienze nella scuola platonica, Presentazione di G. Reale, Introduzione di H. Kriimer, Milano 1 994; K. Gaiser, La meta­ fisica della storia in Platone, Milano 1 9922 ; K. Gaiser, I:oro della sapienza. Sulla preghie­ ra del filoso/o a conclusione del Fedro di Platone, Introduzione e traduzione di G. Reale, Milano 1 990; K. Gaiser, Platone come scrittore filosofico. Saggi sull'ermeneutica dei dialo­ ghi platonici, Con una premessa di M. Gigante, Napoli 1984 ; K. Gaiser, Testimonia Platonica. Le antiche testimonianze sulle dottrine non scn'tte di Platone, a cura di G. Reale, con la collaborazione di V. Cicero, Milano 1 998; V. Hosle, I fondamenti dell'arit­ metica e della geometria in Platone, Introduzione di G. Reale, Traduzione di E. Cattanei, Milano 1 994 ; H. Kramer, Dialettica e definizione del Bene in Platone: Interpretazione e commentario storicojiloso/ico di Repubblica VII 534 B 3- D 2, Introduzione di G. Reale, traduzione di E. Peroli, Milano 1 9964 ( 1 989 1 ); H. Kramer, Platone e i fondamenti della metafisica. Saggio sulla teoria dei principi e sulle dottrine non scritte di Platone con una rac­ colta dei documenti fondamentali in edizione bilingue e btbliografia, Introduzione e tradu­ zione di G. Reale, Milano 200 1 6 ( 1 982 1 ); G. . Kriiger, Ragione e Passione. I:essenza del pensiero platonico, Introduzione e nota bibliografica di G. Reale , Traduzione di E. Peroli, Milano 1995 ; M. T. Liminta, Il problema della Bellezza in Platone. Analisi e interpretazio­ ne dell'lppia maggiore, Introduzione di M. Migliori, Milano 1 998; M. Montuori, Per una

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nuova interpretazione del Critone di Platone, Prefazione di G. Reale, Milano 1998; E. Moutsopoulos, La musica nell'opera di Platone, Introduzione di G. ReaJe, Traduzione di F. Filippi, Milano 2002; P. Natorp, Dottrina platonica delle Idee. Un'introduzione all'Idealismo, a cura di G. Reale e V. Cicero, Milano 1999; P. Natorp, Logos-Psyche-Eros. Met(l(.Titica alla Dottrina platonica delle Idee, a cura di G. Reale e V. Cicero, Milano 1999; J. Patocka, Platone e l'Europa, Prefazione e introduzione di M. Cajthaml, Traduzione di M. Cajthaml e G. Girgenti, Con in appendice una nota biografica su Patocka di M. Cajthaml e una bibliografia delle opere di Patocka di l. Chvatik, Milano 19982 (19971); J. M. Rist, Eros e Psyche. Studi sulla filosofia di Platone, Plotino e Origene, Prefazione di W. Beierwaltes, Traduzione dall'inglese di E. Peroli, Milano 1995; E. Rudolph (curatore), Polis e cosmo in Platone, Saggi di G. Reale, T h. A. Szlezak, A. Laks, A . Neschke-Hentschke, D. Frede, E. Rudolph, C. F. von Weizsiicker, Edizione italiana a cura di E. Cattanei, Milano 1997;J. Seifert, Ritornare a Platone. La fenomenologia reali­ sta come ri/onna critica della dottrina platonica delle idee, In appendice un testo inedito su Platone di A. Reinach, Prefazione e traduzione di G. Girgenti, Milano 2000; l. Toth, Lo schiavo di Menone. Il lato del quadrato doppio, la sua misura non-misurabile, la sua ragione irrazionale. Commentario a Platone, Menone 82 B 86 C, Introduzione, traduzio­ ne, bibliografia e indici a cura di E. Cattanei, Presentazione di G. Reale, Milano 1998. ·

' Cfr. Platone, Crati/o, Presentazione, traduzione e note di M. L. Gatti, in Tuili gli scritti, a cur-.1 di G. Reale, Milano 20003 (19911), pp. 131-190; M. L. Gatti, Lo specchio e la Sfinge. L'espediente (m echané) che «fa avanzare molto» nell'indagine sui nom� senza «cercare troppo l'esattezza», in Cratilo, 414 B 415 A e nella strategia comunicativa del Cratilo di Platone, in «Rivista di Filosofia neo-scolastica», 94 (2002), pp. 3-44. •

6 Cfr. Th. A . Szlezak, Platone e la scrittura della filosofia. Analisi di struttura dei dia­ loghi della giovinezza e della maturità alla luce di un nuovo paradigma ermeneutico, Introduzione e traduzione di G. Reale, Milano 19923 (19881); Th. A Szlezak, Come leg­ gere Platone, Milano 1991; Th. A. Szlezak, Platone e Aristotele nella dottrina del Nous di Plotino, Traduzione di A. Trotta, Milano 1997 . 7

Cfr. Crati/o, 414 B. L. Br-.1ndwood, A Word Index to Plato, Leeds 1976.

8 Cfr.

9 Cfr. Lexicon. I. Plato, Edited by R. Radice, electronic edition by R Bombacigno, Milano 2004; Lexicon. II. Plotinus, Edited by R Radice, electronic edition by R Bombacigno, Milano 2004; Lexicon. III. Aristoteles, Edited by R Radice, electronic edi­ rion by R . Bombacigno, Milano 2005. to Cfr.

DK, 22 B 93.

Introduzione

Eracle, la Sfinge e la «macchina teatrale»

L'immagine dell'eroe che indossa �. A questo punto anche Ermogene espone la propria tesi, del tutto opposta a quella di Cratilo: egli sostiene che la correttezza dei nomi si basa sulla : nesso /ra difficile, bello e denominare

Le prime parole di Socrate nel Crati/o nel suo intervento iniziale riferisco­ no al problema dei nomi una celeberrima massima di Platone, xaì..e7tà 'tà JcaÀ.a (le cose belle sono difficili). A questo punto, infatti, il filosofo incomincia a orchestrare il suo «gioco» ironico collegando con particolare allusività il rife­ rimento proverbiale alla «difficoltà» di ciò che è «bello» al problema della cor­ rettezza dei nomi per natura o per convenzione. Per approfondire fin dall'analisi del Prologo il valore di questa connessio­ ne fra «bello», «difficile» e «denominare», che svilupperemo più analiticamen­ te nel corso dei successivi Capitoli, dobbiamo occuparci in questo passo di diversi termini utilizzati da Platone, ossia 7tapOtJ.lia (massima, proverbio), xaì..e7t 6ç (difficile), PQOtOç (facile), KaMç (bello), e KaÀ.étv (denominare). n sostantivo 7tapOtj.lia (massima, proverbio) nel Crati/o, è presente solo in 384 A 8, in cui si osserva che un'antica «massima» afferma che «le cose belle sono difficili», come si è più volte ricordato 105. Parecchio significativi sono anche altri dialoghi in cui, grazie a un prover­ bio, si accenna in breve e in modo ironico a un concetto che non si intende esplicitare, o che si esprime sinteticamente. Ricordiamo innanzitutto la presenza del proverbio citato nel Prologo del Crati/o anche in Ippia maggiore, 304 E 8 nelle conclusioni, che contengono anche un'apparente rinuncia alla soluzione del problema. lvi Socrate afferma che gli sembra di aver tratto giovamento dai discorsi con Ippia e con lo Sconosciuto; ora, infatti, egli crede di comprendere a fondo il «proverbio» che ricorda che «le cose belle sono difficili». In verità Socrate può capire «a fondo» questo proverbio perché conosce la definizione del bello, cui ha fatto cenno in modo allusivo nel corso della discussione in funzione dell'interlocu­ tore in grado di capirla. Una connessione fra «difficoltà», «proverbio» e pro-

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LE COSE BELLE SONO DIFFICILI

blematica centrale del dialogo si trova anche in So/ista, 23 1 C 5 nel corso della sesta definizione del Sofista, in cui lo Straniero osserva che è giusto il «prover­ bio» che pertanto si deve esaminare la questione. Per Ermogene quel­ lo che viene assegnato a un oggetto è il suo nome, sia che venga attribuito dalla Città sia da un privato. Pertanto, si può denominare un essere che prima si chia­ mava uomo cavallo, e viceversa, sia in pubblico, sia in privato. Inoltre, per Ermogene vi sono un affermare il vero e il falso; vi sono anche un discorso vero e un discorso falso: quello che dice gli esseri come sono è vero, quello che li dice come non sono è falso. Con il discorso si può dire sia ciò che è, sia ciò che non è; anche le parti del discorso vero sono vere; le parti del discorso falso sono false. Socrate osserva allora che si potrà parlare di un nome falso e uno vero, in quan­ to parti di un discorso falso o vero. Se il nome che ciascuno ha assegnato a un oggetto è il suo, e quanti nomi vengono assegnati a un oggetto tanti esso ne ha, sia da parte di singoli, sia da parte di città, sia da Greci sia da Barbarz: la corret­ tezza consisterà nel/atto che ognuno chiami l'oggetto con il nome che gli ha asse­ gnato. Socrate chiede a Ermogene se anche per gli esseri sia come per i nomz: e perciò se l'essenza degli esseri sia relativa a ciascuno in particolare, come sostene­ va Protagora. Questi affermava che l'uomo è misura di tutte le cose, ossia che le cOJe sono come appaiono a ciascuno. Il filoso/o domanda a Ermogene se anche secondo lui sia cosz: oppure se gli sembri che le cose abbiano una stabilità nell'es­ senza. Ermogene ammette di avere già rischiato una volta di essere trascinato dalle tesi di Protagora, mentre non gli sembra che la questione stia in questo modo. Non si è lasciato affatto trascinare da esse fino ad affermare che non vi

NATURA O CONVENZIONE

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siano uomini cattivi: ha sperimentato infatti che vi sono uomini cattivi e uomini buoni, uomini stolti e uomini saggz: Se pertanto esistono uomini saggi e uomini stoltz: saggezza e stoltezza, non è possibile che Protagora dica il vero: uno non può essere più saggio di un altro se dò che sembra a ciascuno è vero per lui. Socrate fa notare a Ermogene che non dovrebbe nemmeno essere d'accordo con Eutidemo nell'affermare che tutti gli esseri siano tutti insieme in modo uguale e sempre, perché anche in questo caso non vi potrebbero essere né buoni né catti­ vi. La conclusione è allora che se tutti gli esseri non sono per tutti insieme allo stesso modo, né ciascuno degli esseri è per ciascuno in particolare, è chiaro che gli esseri hanno un'essenza stabile e non relativa a noi e che non vengono trascina­ ti in su e in giù secondo la nostra immagine.

In questa prima sezione' il conduttore dd dialogo, Socrate, affrontando Ermogene, che è convenzionalista, difende piuttosto la tesi di Cratilo della cor­ rettezza per natura dei nomi. Per il vero, come osserva in un passo molto significativo, stabilire i nomi non è affatto un'opera di poco valore e per tutti. >, i mutamenti fonetici.

ETIMOLOGIA E FILOSOFIA

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NOTE AL CAPITOLO IV

I Cfr. Crati/o, 391 2 Cfr. Crati/o, 382 3 Cfr. Crati/o, 391 4 Cfr. Crati/o, 392 5 Crati/o, 393 B. 6 Crati/o, 393 B.

7 Cfr. Crati/o, 393

C. A-C. C; 392 C. E; 393 B.

B. 8 Cfr. Omero, Iliade, XX, 74. Su questo si vedano: R. Lazzeroni, Lingua degli dèi e lingua degli uomini, in «Annali Scuola Normale Pisa», 26 ( 1957), pp. 1-25; Omero, Iliade, Milano 2000, vol. I, pp. 148- 149, nota a I, 403 -404 , e vol. II, pp. 1060- 1 06 1 , nota a XX, 73 -74. Sulla valenza ironica dell'affermazione platonica della superiorità del linguaggio degli dèi cfr. supra, Crati/o, 389 A (sul legislatore dei nomi come più raro tra gli artefici), in correlazione con la regia del dialettico, che sa domandare e rispondere, esperto nella tecnica dell'argomentazione (cfr. Crati/o, 390 C-D). Si vedano anche 397 C-D; 425 D; 43 8 C. In particolare, in 425 D l'affermazione che i «primi» nomi sono corretti perché sono stati assegnati dagli dèi viene collegata al deus ex machina nella tragedia. 9 Cfr. Brandwood, A Word Index to Plato, cit., p. 610. I O Cfr. Brandwood, cit., p. 8 14. 1 1 Cfr. Omero, Iliade, XXI, 308. 1 2 Cfr. Omero, Iliade, XIV, 29 1 . Vedi anche Omero, Iliade, con un saggio di W. Schadewaldt, introduzione e traduzione di G. Cerri, commento di A. Gostoli, testo greco a fronte, Milano 19991 , 20002 , vol. Il, pp. 787-788, nota 290-29 1 . 1 3 Cfr. Brandwood, cit., p. 955 . 1 4 Cfr. Brandwood, cit., p . 5 1 9. 1 5 Cfr. Omero, Iliade, II, 81 3-814. Vedi anche Omero, Iliade, cit., vol. I, p. 228, nota 8 13-814: qui si segnala che Batiea significa «collina dei rovi», mentre Mirina secondo il commento antico era una delle Amazzoni che invasero la Frigia. Come ci si poteva aspet­ tare già dai casi precedenti, anche il nome Batina (Batiea) appare solo in Crati/o, 392 A 7 (cfr. Brandwood, cit., p. 153 ) e il termine Mupiv11 (Mirina) ricorre solo in 392 A 7, che stiamo qui esaminando (cfr. Brandwood, cit., p. 594). 1 6 Omero, i n Iliade, V I , 402-403 , dice che Ettore chiamava i l figlio Scamandrio, men­ tre gli altri lo denominavano Astianatte, dato che Ettore, anche da solo era la salvezza di Troia. Anche questo elemento rivela la valenza ironica di questa duplice denominazione nel Crattlo, perché in Omero veniva precisato chiaramente che il nome dato da Ettore al figlio era Scamandrio, mentre qui viene fatto prevalere con una forzatura il nome Astianatte in connessione con il tema della regalità. Si veda anche Omero, Iliade, cit. , vol. II, p. 404: ivi si spiega che il nome Scamandrio è tratto da Scamandro, fiume della Troade e dio delle acque. In secondo luogo si spiega che Astianatte, che significa «signore della città», da &val; (signore) e acrtu (città) , era il nome dato dai Troiani in segno di augurio al fanciullo, per riconoscenza verso i meriti del padre. Per comprendere l'etimologia omerica occorre presupporre che il termine &val; (signore) evocasse simultaneamente l'idea di potere e di protezione di ciò su cui si ha potere. Per Ettore salvatore da solo della città si rimanda a Iliade, V, 472-474. Cfr. anche Omero, Iliade, XXII, 506. (Qui Omero afferm a solo che i

IMPARARE DA 0MERO

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Troiani soprannominavano il figlio di Ettore Astianatte) . Si veda anche Omero, Iliade, cit., vol. II, pp. 1 1 70- 1 17 1 , nota 506-507 . 17 Cfr. Brandwood, cit., p. 814. 1 8 Cfr. Brandwood , cit., p. 127. 1 9 Cfr. Omero, Iliade, V, 472-474. 20 Cfr. Omero, Iliade, XXII, 506-597 : «Astianatte, come i Troiani lo chiamavano per soprannome:/ perché a loro tu solo salvavi le porte e le lunghe mura». La traduzione ita­ liana citata è in Omero, Iliade, cit., vol. II, p. 1 17 1. 21 Crati/o, 392 E 6-7 . 22 Cfr. Brandwood, cit. , p. 33 1 . 23 Inoltre i l nome Ettore è presente i n Apologia di Socrate, 2 8 C 5; C 7; C 8: nello spie­ gare la propria missione di vivere filosofando, senza timore di morire, Socrate ricorda Achille, che non rinunciò a vendicare la morte di Patroclo uccidendo Ettore, pur sapen­ do che sarebbe perito anche lui. Ulteriormente, in Ione, 535 B 6 si tratta di Ione che reci­ ta Omero narrando di Achille che si lancia su Ettore, mentre in Ippia minore, 37 1 C l e C 5 il nome di Ettore ricorre in una citazione di Omero concernente delle menzogne di Achille. Anche in Simposio, 179 E 3 nel discorso di Fedro emerge il richiamo ad Achille che non esitò a vendicare Patroclo, pur sapendo di dover morire. Inoltre in Repubblica, III, 391 B 5 , nella trattazione di esempi di comportamenti negativi presenti nei poeti, viene citato Achille che trascina Ettore morto intorno al sepolcro di Patroclo. Infine, in Leggi, XII, 944 A 6 si tratta delle armi di Patroclo finite nelle mani di Ettore. Cfr. Brandwood, cit., p. 33 1 . 24 Cfr. Crati/o, 393 B-C. 25 Cfr. Brandwood , cit., p. 875. A proposito dei maestri di virtù, in Menone, 91 D 6 Socrate osserva ironicamente ben «strano» il giudizio di Anito su Protagora e sui Sofisti. In Pedone, 101 B l nella considerazione della spiegazione dei fenomeni antecedenti alla scoperta delle Idee Platone sottolinea che sarebbe veramente un «portento» che una cosa fosse grande a causa di una che è piccola (la testa). In Teeteto, 163 D 6 e 1 64 B 5 viene sottolineata la «mostruosità» dell'affermare che, se uno ha scienza di qualcosa, nel momento in cui ricorda questo senza vederlo, non ha scienza. Ulteriormente, in 188 C 4 si ribadisce la «mostruosità» del pensare di non conoscere quello che si conosce e cono­ scere quello che non si conosce. 26 Cfr. Brandwood, cit., p. 875. 27 Cfr. Brandwood, cit. , p. 875 . 28 Cfr. Crati/o, 393 B 9 e 394 A. 29 Cfr. Crati/o, 394 D 5. 30 Cfr. Eutidemo, 296 C 3 ed E 2. 3 1 Cfr. Ippia maggiore, 283 C 2; 300 E 7; Menone, 91 D 6. 32 Cfr. Teeteto, 163 D 6; 164 B 5 e 188 B 4. 33 Cfr. Pilebo, 14 E 3; Parmenide, 129 B 2; Pedone, 101 B l . 34 Cfr. Brandwood, cit., pp. 176- 177. 35 Cfr. anche Crati/o, 424 C-D; Teeteto, 163 B-C; 206 A. Si vedano anche Platone, Crati/o, a cura di M. Vitali, Presentazione di E Maspero, Milano 1 989, pp. 178- 179; P. Matthews, La linguistica greco-latina, in AA. VV. , Storia della linguistica, a cura di G. C. Lepschy, Volume I, Bologna 1990, pp. 196-203 . 36 Cfr. Brandwood, cit., pp. 7 10-7 1 1 . Infine, in Critone, 47 A l Socrate esortando Critone a non tener conto delle opinioni umane, osserva che la sua morte non lo dovreb-

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be «turbare». 37 Cfr. Crati/o, 3 84 C 4. 38 Cfr. Crati/o, 3 84 C 4. 3 9 Cfr. Cratilo, 384 A l . 4 0 Cfr. Crati/o, 3 84 A 1-2. 41 Cfr. Crati/o, 3 94 A 7 e B l ; 405 B l ; Gorgia, 456 B 3; 467 C 7 e C 9. 4 2 Cfr. Fedro, 270 B 6; Teeteto, 167 A 5 . 43 Cfr. Repubblica, X , 595 B 6 ; Crizia, 106 B 4 e B 5. 4 4 Cfr. Fedro, 274 E 6; 275 A 5. 45 Cfr. Repubblica, V, 459 C 2. 46 Cfr. Politico, 3 10 A 3 . 4 7 Cfr. Brandwood, cit., p . 933 . 4 8 A proposito del potere della retorica, i n Gorgia, 456 B 3 come prova della sua superiorità viene citata la sua capacità di persuadere i m alati a prendere le «medicine», o a lasciarsi operare, mentre i medici non vi riescono affatto. Successivamente, nella con­ futazione della retorica da parte di Socrate, in 467 C 7 e C 9 viene sottolineato che i mala­ ti bevono le «medicine» in vista del fine, del bene della salute, non di ciò che pare. Nell'intervento di Polemarco, in Repubblica, l, 332 C 9 si afferma che la medicina deve dare ai corpi «farmaci», cibi e bevande. In Repubblica, III, 406 D 2 si tratta del falegna­ me, che quando si ammala chiede al medico un «farmaco», in 407 D 2 si ricorda la medi­ cina che espelle i malanni con «farmaci» e incisioni, in 408 A 5 e A 7 si parla dei «farma­ ci» sparsi sulle ferite dei guerrieri omerici. Inoltre Repubblica, IV, 420 C 6 riguarda i «colori» dei dipinti, 426 A 3 i cittadini in temperanti, che non lasciano il loro tipo di vita, ma aspettano da un «farmaco» giusto di riacquistare la salute, mentre 426 B l ribadisce che non servono né «farmaci», né cauterizzazioni, né interventi di chirurgia, senza smet­ tere le intemperanze. In Filebo, 54 C l si parla degli «ingredienti», strumenti e materiali in vista della generazione e dell'essere. Fra gli esempi di ciò che è bene e utile e di ciò che è nocivo, in Protagora, 334 A 4 vengono citati cibi, bevande e «medicine». A proposito della natura dell'uomo, in Timeo, 84 E 10 si parla della difficoltà a trovare «rimedi» alle malattie. In l.Achete, 185 C 5 e C 8 vi è un esempio concernente il «farmaco» degli occhi. Leggi, l, 647 E l concerne il «farmaco» che produce paura, 649 A 3 il «rimedio» che toglie la paura. In Leggi, II, 666 B 6 si tratta del vino come «rimedio» alla durezza della vecchiaia, in 672 D 7 del vino come «medicina»; in V, 735 E l dei «rimedi» migliori ma più dolorosi in medicina e nella legislazione. In VIII, 836 B 3 si parla del «rimedio» alle peggiori perversioni; in XI, 919 B 3 dei «rimedi» cercati dai legislatori; in 932 E l dei danni alla salute arrecati dai «veleni»; in 933 D 5 dei POVflP6V11crtç (intelligenza, saggezza). Infine, in Crati/o, 432 C 2 si ipotizza un dio che in una pittura infonda alla figura movimento, anima e POVflv (giovevole), KepoaA.Éov (vantaggioso) , crUJlepov (conveniente) , ed eunopov (facile) , come vedremo6I . Si osservi che il termine x.pucr6ç (oro) nel Crati/o si trova solo in 398 A 5 a proposito della stirpe «d 'oro» non per natura, ma in quanto «buona» e «bella»62 . Se si allarga l'analisi delle occorrenze del termine xpucr6ç (oro) a tutto il corpus platonico, nella Repubblica innanzi tutto emerge un'eco del tema delle stirpi di Esiodo. Infatti, in Repubblica, III, 4 15 A 4 e B l si trova un paral­ lelo tra le classi dei Custodi e le stirpi d'oro, d'argento e di ferro del mito. Poco dopo, in 416 E 7 , 417 A 3 e A 5 appare un ulteriore cenno all'immagine: i Custodi, dato che possiedono già «oro» e argento nell'anima come dono divi­ no, non hanno bisogno di quello umano. In secondo luogo si deve osservare che in numerosi passi l'immagine dell' «oro» esprime emblematicamente contenuti di estremo rilievo. In partico­ lare, l'immagine dell'«oro della sapienza» viene associata alla sapienza, alla bel­ lezza interiore e alla temperanza63 , il paragone del fuoco che vaglia l' «oro» serve ad esprimere il tirocinio del filosofo e la purificazione mediante il ragio-

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namento64 , l'immagine dell' «oro» viene utilizzata per definire il «bello» in modo concreto, anche se inadeguato65, o ricorre in connessione con Eç (eroi) e in 3 98 D 8, in cui si afferma che quel­ li che nella lingua «attica» erano detti fJproEç (eroi) risultano pfttopEç (retori) e capaci di Èprotllv (interrogare)79. Da ultimo si osservi che il verbo 1tapayEtv (deviare, alterare, condurre) si trova nel Crati/o in alcuni passi analoghi a quello che stiamo adesso esaminan­ do. Oltre a Crati/o, 398 C 8 e D 5 , a proposito della «alterazione» da Èproç (amore) a fJproEç (eroi) , esso si trova in 400 C 9 per il nesso fra crroJ.la (corpo, salvezza) e crfìJ.la (prigione, segno) , senza «mutamento» di lettere. Inoltre in Crati/o, 407 C l il verbo riguarda «modifiche» per abbellire il nome di Atena, in 4 16 B 8 «trasformazioni» nel nome KaMv (bello) per armonia nella lun­ ghezza di una lettera, in 4 19 D 4 «mutamenti» nel nome tEp1tv6v (dilettevo­ le)SO. Si deve in sintesi rilevare che dall'analisi dell'uso del termine ilproç (eroe) in connessione con Èproç (amore), Èplicr9at (amare), illli9Eoç (semidio), ' AtttK6ç (Attico) e 1tapayEtv (alterare) emergono alcuni elementi, quali il «modificare» lettere per permettere associazioni fra nomi, il riferimento a una particolare Eç (eroi) risultano pi)topeç; (retori) ed ÈpffitflttKoi (capaci di interrogare): il genere i)protK6v (eroico) diventa una stirpe di ptitopeç; (retori) e di Sofisti8 1 . Inoltre l'aggettivo PTltOptx6ç; (retorico) , compare in Crati/o, 425 A 4. Socrate a proposito del metodo di riportare gli elementi alle cose sostiene che, come nella pittura si costruisce la figura per mezzo dell'arte del dipingere, così qui si costruisce il discorso per mezzo dell'arte onomastica o «retorica» o altro82 , In secondo luogo il termine oo(jl6ç; (sapiente) è presente nel Crati/o in diverse parti, spesso per indicare ironicamente un falso «sapiente», un Sofista83, una «sapienza» antica, dei poeti, connessa con l'Eraclitismo84 , una «sapienza» nascosta, che sfugge ai più85, Nel Prologo, come abbiamo ricordato sopra, in Crati/o, 3 9 1 C l viene affer­ mato che Callia, fratello di Ermogene, avendo pagato ai Sofisti molto denaro, viene considerato «sapiente». Inoltre, a proposito degli «eroi», in 398 D 6 si sostiene che il nome significa che erano «sapienti» e retori, abili, dialettici, essendo capaci di interrogare. -

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Dopo l'accenno allo OJ.tftvoc; croct>iac; (sciame di sapienza), in Crati/o, 402 A 5 Socrate afferma che gli sembra di vedere Eraclito parlare di antiche, «sapien­ ti» dottrine, del tempo di Crono e Rea, a cui anche Omero si riferisce. In Crati/o, 404 D l Socrate dice che per i più il nome della dea Persefone è OEt­ v6v (terribile) , mentre indica che la dea è «sapiente»; poco sotto, in 404 D 5 aggiunge che anche Ade è «sapiente». Nelle decisive riflessioni etimologiche, più volte citate, in Crati/o, 4 1 1 B 6 Socrate dichiara che agli uomini antichissimi che fissarono i nomi deve essere capitato quello che succede alla maggior parte dei «sapienti» di oggi, i quali, per il loro continuo girare alla ricerca di come stiano le cose vengono presi dalle vertigini e pensano che le cose vadano in ogni direzione. Nell'etimologia di arte ed espediente, in Crati/o, 4 14 E 3 Socrate invita Ermogene, da arbitro «sapiente», a curarsi della misura e della verosimiglianza86. Analogamente, croc�>rorepoc; (più sapiente) si trova in Crattlo, 392 D 5, a pro­ posito di Omero, che considerava i Troiani «più sapienti» delle donne, e in 399 A 5 , all'inizio dell'etimologia di «uomo», che esamineremo subito sotto, in cui Socrate sostiene che gli sembra di aver compreso in modo acuto e di correre il pericolo di diventare «più sapiente» del dovuto87. Molto significativo è il termine OEtv6c; (abile, capace, terribile), che si trova nel Crati/o in parecchi passi, in cui riguarda prevalentemente la errata creden­ za in nomi «terribili»88, le opinioni degli «esperti» di Omero89, gli «esperti» nella otaipecrtc; (distinzione) delle lettere90. In Crati/o, 395 D 8 si tratta delle sventure «terribili» che capitarono a Tantalo, in 3 96 E 4 di trovare tra i sacerdoti e i Sofisti l'uomo «capace» l'indo­ mani di compiere le purificazioni della «sapienza demonica» da cui Socrate è invasato. Oltre a Crati/o, 3 98 D 6, che riguarda gli «eroi», i quali erano sapien­ ti, retori, «abili», dialettici, capaci di interrogare, il termine si trova in 404 C 8 per il nome «terribile» della dea Persefone, in 404 E 2 per il nome «terribile» di Apollo. Per Pallade Atena, in Crati/o, 407 B l Socrate afferma ironicamen­ te che sembra che gli antichi pensassero di Atena quello che ora affermano gli «esperti» di Omero. Nell'analisi della lingua e degli esseri, in Crati/o, 424 C 7 si parla degli «esperti» nella OtatpEcrtç (distinzione) delle lettere. Infine, in Crati/o, 428 D 5 Socrate afferma che ingannare se stessi è una cosa «terribile», perché l'ingan­ natore rimarrebbe sempre vicino9t. Sottolineiamo poi che il termine otaÀEKtuc6c; (dialettico) ricorre nel Crati/o in due diversi luoghi, assai indicativi. A proposito della valutazione dell'opera del legislatore dei nomi, spettante al «dialettico», trattata nella prima parte del dialogo, come si è visto sopra, in Crati/o, 390 C 1 1 Socrate afferma che colui che «sa domandare e rispondere» è il «dialettico», mentre in 390 D 5 dichiara che opera del legislatore è fare nomi, sotto la direzione del «dialettico». Nel passo che stiamo qui esaminan­ do, in Crati/o, 398 D 7 si dice che gli «eroi» erano sapienti, retori, abili, «dia-

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lettici», essendo capaci di interrogare92, Pertanto, si può rilevare che in questa etimologia di «eroe» emerge un fattore fondamentale della filosofia di Platone. In Crati/o, 398 D 7 si associa a aoct>6ç (sapiente) anche l'essere oetv6ç (abile, capace), OtaÀEKnK6ç (dialettico) , nel senso di «capace di interrogare», in ana­ logia con 398 D 7, in cui era già stato messo in evidenza che ciò che caratteriz­ za il dialettico è «saper domandare e rispondere». Infine si deve osservare che il termine ÈPtÀ.oç (caro a Zeus) , che è un pf}J.la (una locuzione) , diventi un nome, viene tolto i&ta (iota) e la sillaba in mezzo viene pronunciata grave invece che «acuta»97. Anche il sostantivo òçutT)ç (accento acuto, acutezza) è presente solo nel passo che stiamo qui esaminando, ossia in Crati/o, 3 99 A 9: Socrate afferma

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che spesso, riguardo ai nomi, introduciamo delle lettere, ne togliamo altri, e cambiamo gli «accenti», costruendo nomi come vogliamo98, Ugualmente, l'aggettivo l3api>ç (grave, pesante) si trova innanzitutto in Crati/o, 3 99 B 2 insieme con òçUç (acuto) , riguardo a Aù cpiwç (caro a Zeus). Esso, come abbiamo già ricordato, è diventato da locuzione un nome, toglien­ do una lettera e pronunziando acuta invece che «grave» la sillaba di mezzo. Ulteriormente, in Crati/o, 4 19 C 7 a proposito di àxOnooov (oppressione) il moto viene qualificato come «pesante». Infine, riguardo alla mimesi dei nomi, in Crati/o, 423 A 4 Socrate afferma che se volessimo indicare ciò che sta in basso ed è «pesante», abbasseremmo la mano verso terra99. Analoghe considerazioni valgono anche per alcuni verbi usati nel passo che stiamo esaminando per esprimere trasformazioni nei nomi. ll verbo Èl.l.�a (alpha) e la trasformazione in grave della sillaba finale. Socrate spiega il significato del nome av9pcmtoç (uomo) in contrapposizio­ ne con gli animali che non «osservano», non «ragionano», e non «considera­ no» quello che vedono. Il nome av9pC01toç (uomo) significa che, mentre gli altri animali non sono in grado di osservare nulla di quello che vedono, né di ragionarvi, né di àva9pciv (considerarlo), l'uomo non appena ha visto, àva9pet (considera) e «ragiona» su quello che ha visto. Per questo, IJ.OVOV (unico) fra gli animali, l'av9pC07tOç (uomo) è stato detto correttamente àva9prov a 01tC01tE (colui che considera ciò che ha visto). Per comprendere più a fondo il significato di questa etimologia vediamo le occorrenze di diversi termini ad essa riferiti, a partire da av9pC01toç (uomo). Si deve innanzitutto precisare che il termine av9pC01toç (uomo) occorre nel Crati/o in molti passi. In parecchi contesti emerge la posizione intermedia del­ l'uomo, che è inferiore agli dèi e ai démonilO� e superiore agli animali 106 , oppu­ re la sua condizione mortale 1 07 , la sua capacità razionale 108 , moralel09, la distin­ zione in anima e corpo che lo caratterizzai lO . Segnaliamo poi che il verbo àva9pe'iv (considerare), su cui fa leva l'etimologia di éiv9pC01toç (uomo) occorre esclusivamente nel Crati/o, in 399 C 3 , C 4 , C 6, che stiamo qui analizzando, mentre non si trova in nessun altro testo platonico! I l . Esaminiamo, da ultimo, l'uso della lettera m.q,a (alpha) , che è presente esclusivamente nel Crati/o, in cui viene riferito a mutamenti di nomi e lettere, anche con osservazioni relative a questi «giochi»l l 2 .

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Innanzitutto, Cratilo, 3 93 E 5 riguarda l'inserimento di aÀ.qm (alpha) e di altre lettere in �frm (beta), che non danneggiano l'espressione della sua natu­ ra. Inoltre, Crati/o, 3 99 B 8 concerne il nome «uomo», che è diventato da locu­ zione nome, con la sottrazione di &ì..clla (alpha) e la trasformazione in grave della sillaba finale. A proposito di Apollo, Crati/o, 405 C 7 parla di trasformazioni di ÒjJ.OU (homou) in OÀ.clla (alpha), mentre Cratilo, 407 B 5 per Atena tratta di un uso come gli «stranieri» di OÀ.clla (alpha) al posto di �-m (eta) e di un toglimento di ima (iota) e di cftyjla (sigma). Ulteriormente, in Crati/o, 427 C 3 si associa a jJ.Éya (grande) l'aÀ.clla (alpha). Infine, in Cratilo, 43 1 E 10 l'Eracliteo osserva che quando si attribuiscono ai nomi le lettere, come l'aÀ.clla (alpha), se si toglie, si aggiunge o si muta qualco­ sa, il nome diviene subito altro. Socrate invita allora Cratilo a «stare attento» che questo metodo di ricerca non sia «inadeguato»l 13 . Si può in conclusione osservare che attraverso l'etimologia di «uomo» Platone raggiunge soprattutto due obiettivi. Innanzitutto esplicita più volte il metodo perseguito nella ricerca etimolo­ gica, che «per ora» intende sviluppare, in attesa di una «purificazione» succes­ siva: esso consiste in una «trasformazione» a piacere dei nomi. In secondo luogo, dal punto di vista del contenuto, il filosofo evidenzia la posizione peculiare dell'uomo, al centro della serie iniziata con «dio», a metà fra dèi e animali, sottolineando, mediante il nesso fra av9pro7toç (uomo) e àva9prov a 07tro7te (colui che considera ciò che ha visto) la specificità che caratte­ rizza unicamente l'uomo: il pensare, il riflettere sull'esperienza. La ricerca sulla correttezza dei nomi nella prospettiva del Movimento implica anche in questo caso tematiche antologiche, antropologiche e gnoseologiche estremamente significative. 6. Il termine IJIVZt7 (anima) (399 C - 400 B)

Ermogene aggiunge una domanda sulle componenti dell'uomo, lfiVZ1] (anima) e aropa (corpo). Socrate chiede allora all'interlocutore se intenda prima esaminare la correttezza di IJIVZt7 (anima) e poi quella di aroJ.la (corpo), e questi accetta. Quelli che hanno assegnato il nome di IJIVZt7 (anima) hanno pensato a ciò che, quando è presente nel UWJ.la (corpo), è per esso causa del vivere, permet­ tendogli di respirare refrigerando/o; invece, quando si allontana l'aval{/Vzov (ciò che rinfresca), il aO)pa (corpo) viene meno e muore. Per questo sembra che essa sia stata chiamata IJIVZt7 (anima). Vi è però qualcosa di più persuasivo di questo, -roiq GJ.llPÌ EvfJvlPpova (per quelli della cerchia di Eutt/rone), che 1CamlPpov1]­ aatev (disprezzerebbero) la spiegazione già data, constderandola grossolana. Socrate a/ferma che la lPVatq (natura) di tutto il aO)pa (corpo), in modo che esso viva e si muova, non la può ezer v (avere) e ozeiv (portare) altro che la IJIVZt7 (anima). Il filoso/o domanda anche se la lPVarq (natura) di tutti gli altri esseri

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viventi non venga ordinata e conservata, come sostiene Anassagora, da intelletto e IJfVZrl (anima). Socrate conclude allora che andrebbe bene attribuire a questa forza, che tfn)m v ozeì I('UÌ ezer (porta e possiede la natura), il nome di �VuÉZT/ (physeche) , che può essere detta IJfVZrl (anima) per eleganza. Ermogene risponde che questa risposta gli sembra più adeguata dell'altra da un punto di vista tecni­ co; Socrate ribatte che lo è, ma che l'attribuzione del nome sembra ridicola. Da ultimo vengono introdotte le etimologie di «anima» e di «corpo», prima di passare all'esame di nomi degli dèi. Nel caso di wuxi] (anima) vengono presentate due diverse etimologie: a) una in connessione con il «respirare, refrigerarsi» e b) una con il termine cllucréxn (physeche). a) La prima etimologia, più tradizionale, presenta la 'lfUXil (anima) come ainov (causa) dello çfìv (del vivere) per il cr�a (corpo) , in cui è presente, per­ ché gli fornisce il respiro e lo vivifica. Essa permette al O'a (alpha) «ha il significato» di Òf.l.OU (insieme) , i n 405 E 4 che molti che non comprendono il potere del nome sospettano che esso «indichi» qualche disgrazia. A proposito di Pan in 408 C 2 si afferma che il Myoç (discorso) «esprime» «tutto», riguardo a «Terra» in 4 1 0 B 8 si legge che essa «esprime» il suo signi­ ficato meglio se viene denominata yaia (terra). Inoltre in Crati/o, 4 1 1 D 9 si spiega che l'aggettivo «nuovi» per gli esseri «significa» che sono sempre in divenire, in 4 12 B 2 e B 8 si precisa che cosa «significhi» «sapienza», ossia, rispettivamente «raggiungere il movimento» e «contatto di questo movimen­ to». Ulteriormente, in Crati/o, 4 13 E 2 si dice che cosa «mostra» il termine «coraggio», in 4 14 B 9 che «arte» «significa» «possesso dell'intelletto», in 4 15 A 6 che «espediente» «indica» l' «avanzare molto», in 4 15 C 3 che la «viltà» dell'anima «indica» un forte legame di essa, in 4 15 C 10 che «virtù» «signifi­ ca» prima di tutto facilità. Più avanti, in Crati/o, 4 1 7 E l si aggiunge che «ciò che nuoce» «significa» «ciò che vuole afferrare», in 4 1 8 B l si sottolinea che aggiungendo o togliendo lettere si altera notevolmente il significato dei nomi, cosicché con delle piccole trasformazioni si fa loro «significare» talvolta il con­ trario. A proposito del Bene, in 4 18 E 6 per 'tÒ Mov (ciò che è doveroso, ciò che lega) viene detto che, pronunciato così, innanzitutto «esprime» il contrario di tutti i nomi riguardanti il Bene, in 4 1 9 A 3 viene precisato che 'tÒ ot'iov (ciò che attraversa) e non 'tÒ Mov (ciò che è doveroso, ciò che lega) «esprime» il Bene,

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ed è oggetto di elogio, in 4 19 A 8 si conclude che Oéov (ciò che è doveroso, ciò che lega), Òlc!léÀ.t!J.OV (utile), À.umreÀ.o'Ùv (giovevole) , KEpOaÀ.éov (vantaggioso), àyaeov (buono), > e argento ai cittadini) , in 743 D 2 (nello Stato non devono circolare «oro» e argento), in 746 A 4 (cittadini che rinunziano all '«oro») , in Leggi, VII, 8 1 9 B 8 (mescolanza di tazze d' «oro», d'argento e bronzo per insegnare discipline matematiche in Egitto), in Leggi, VIII, 83 1 D 4 (avidità insaziabile dell'«oro» e dell'argento), in Leggi, XII, 955 E 8 (in tutti gli Stati l'«oro» e l'argento sono causa d'invidia). Infine, esso si trova in Epistola I, 3 10 A 4 (versi anonimi sulla differenza fra i pensieri dell'uomo onesto e l' «oro» e l'argento), in Epistola II, 3 14 A 6 (principi che vanno ascoltati per anni e affiorano nella loro purezza solo dopo un grande lavorio come l'«oro»), in Epistola VI, 322 D 2 (Ermia non ha biso­ gno di «oro» ma di amici sicuri), e in Minosse, 3 1 3 A 5, A 6, A 7, B l e B 2 (parallelo fra la domanda «che cos'è la legge» e la domanda «che cos'è l'oro»). Cfr. Brandwood, cit., p. 964 . ..

LA SAPIENZA DI EUTIFRONE

67 Cfr. Brandwood, cit., pp. 964-965 . 68 Cfr. Repubblica, III, 4 1 5 B. 69 Cfr. Esiodo, Le opere e i giorni, 1 2 1 - 123 . Infine, in Repubblica, VIII, 547

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A l, A 2 e B 5 si parla del decadere verso l' oligarchia militare per la perdita della capacità dei Custodi di tenere distinte le generazioni descritte da Esiodo, di oro, di argento, di bron­ zo e di ferro. Dal fondersi delle generazioni deriveranno disordine e disarmonia, e quin­ di guerra e contesa. 70 Cfr. Ippia maggiore, 290 B 3 ; B 4; D 9; E lO; 2 9 1 A l; B 3; B 6. L'aggettivo xpuaovç (d'oro) viene utilizzato in immagini di grande significato in Ippia maggiore, 290 B 3 , B 4, D 9, E 10, 29 1 A l , B 3 , B 6 (nella seconda definizione del bello come «oro»), in 3 0 1 A 3 (riguardo all'essere uomini d'«oro», d'argento, d'avorio, o nobili, ao�i, ossia sapienti, onorati, o vecchi o giovani), in Simposio, 2 1 9 A l (per lo scambiare armi «d'oro» con armi di bronzo, nel senso di cercare la verità del bello con l'apparenza del bello) , in Teeteto, 153 C 9 (per la corda «d'oro» con cui Omero intende il sole), in Leggi, l, 645 A l , A 3 , A 7 (nell'immagine del burattino sacro si parla del fil o «d 'oro» del À.Oyt), non appena ha visto, considera e ragiona su quello che ha visto) , 399 C 5 (per questo l'uomo, unico tra gli animali, viene denominato «uomo», ossia colui che considera ciò che ha visto), 3 99 D 3 (noi attribuiamo all'«uomo>> anima e corpo). Il termine si trova anche in 401 A 4 (non siamo in grado di indagare sugli dèi, ma sugli «uomini», per vedere a partire da quale opinione abbiano assegnato i nomi ad essi), in 401 C l (attribuzione di nomi da parte di «uomini)> studiosi del cielo e arguti, associati a nomi stranieri), in 403 B 2 (gli «uomini>) si sono sbagliati sulla potenza di Plutone-Ade e lo temono senza motivo), in 403 E 8 (lo stare con gli «uomini» solo quando sono privi del corpo e con un'anima pura da tutti i m ali è essere degno di un filosofo), in 405 B 3 (le pra­ tiche catartiche di Apollo nella medicina, nella mantica, le divinazioni hanno un unico potere, rendere l' «uomO>> puro nel corpo e nell'anima), in 405 D 5 (Apollo presiede all'ar­ monia muovendo tutto insieme, sia presso gli dèi sia presso gli «uomini>>), in 408 B l (il legislatore ordina agli «uomini» di intendere il significato del nome Ermete in connessio­ ne con !'«escogitare)>), in 408 C 7 (la parte vera del discorso è levigata, divina e dimora in alto, quella falsa abita in basso tra la moltitudine degli «uomini», ed è ruvida e caprina), in 409 A 3 (nome dorico del Sole, che raccoglie insieme gli «uomini>) quando sorge), in 4 1 1 B 5 (agli «uomini)) antichissimi, che assegnarono i nomi, è capitato come alla maggior parte dei sapienti di oggi, che vengono presi dalle vertigini, per cui sembra loro che le cose

LA SAPIENZA DI EUTIFRONE

205

girino), in 4 13 B 7 (derisione e domanda se vi sia qualcosa di «giusto» tra gli «uomini» dopo il tramonto del sole), in 4 1 4 D 3 (trasformazione del nome in modo che «nessun uomo» comprenda che cosa voglia dire). Infine esso ricorre in 4 1 6 C 4 (problema se il denominare venga stabilito dal pensiero degli dèi, degli «uomini», o da tutti e due) , in 4 1 8 D l (il nome antico «giorno» significa che l a luce sorse dall'oscurità per gli «uomini» in festa), in 425 C 2 (congetture sulle opinioni degli «uomini» riguardo agli dèi), in 429 A 3 (domanda se l'arte dei legislatori dei nomi sorge negli «uomini» come le altre) , in 440 C 4 (non è da «uomo» assennato insistere nell 'affidare sé e la propria anima in cura ai nomi), in 440 D l (credere che come gli «uomini» sono malati di catarro, così lo siano gli esseri). Cfr. Brandwood, cit., pp. 75-77. 1 1 1 Cfr. Brandwood, cit., p . 63 . 1 1 2 Cfr. Cratzlo, .393 E 5; 407 B 5; 43 1 E 10. 1 1 3 Cfr. Brandwood, cit., p. 47. 1 14 Cfr. Brandwood, cit., pp. 969-970. 1 1 5 Cfr. Brandwood, cit., pp. 422-423 . 1 1 6 Cfr. Brandwood, ci t., p. 67 . Inoltre il verbo si trova in Pedone, 1 12 B 6 (!'alito di chi «respira» entra ed esce), in Eutidemo, 276 C 2 («riprendere il fiato» nella discussio­ ne), in Timeo, 91 B 3 (il midollo che è animato e «respira»), in 9 1 C 5 (difficoltà nel «respirare») , in Leggi, VIII , 83 8 D 2 (non trovare nessuno che osi «fiatare» contro la legge). Cfr. Brandwood, ci t., p. 67 . 1 17 Cfr. Brandwood, cit., p.69. Si deve ricordare inoltre, che esso si trova in Timeo, 70 D 4 (a proposito del cuore, dei polmoni e delle loro funzioni, si parla del polmone che «procura refrigerio» al cuore) e in 78 E 5 (il corpo viene irrigato e «rinfrescato», e quin­ di viene nutrito e vive). Cfr. Brandwood, cit., p. 69. 1 1 8 Cfr. Crati/o, 3 97 D-E. 1 19 Cfr. Brandwood, cit., p. 494 . 120 Cfr. Brandwood, cit., p. 946. 121 Cfr. Brandwood, cit., p. 695 . 122 Cfr. Brandwood, cit., p. 95 1 . Liddel, Scott, A Greek-English Lexicon, cit. , p. 1963 , nota che si tratta di un termine coniato da Platone per l'etimologia di 'I''UXil (anima). Si rilevi anche che il verbo KOJ.l\j1Eoca9at (rendere elegante, presentare con grazia) , occor­ re nel Cratilo solo in 400 B 3 . Cfr. Brandwood, cit., p. 509. 123 Cfr. Brandwood, cit., p. 66. Si ricordi, in particolare, il Pedone per il nesso fra le aporie di Anassagora e la filosofia di Platone. Inoltre come abbiamo già mostrato, il nome Aval;ay6petot (Anassagorei) si trova in Crati/o, 409 B 6. Cfr. Brandwood, cit., p. 66. 124 Cfr. Brandwood, cit., pp. 95 1 -952. 125 Cfr. Brandwood, cit., p. 763 . Si vedano anche Bernabé, Una etimologia Platonica: uciìjla-UTfJLa, cit., pp. 204-237; C. J. De Vogel, The soma-sema Formula. Its Function in Plato and Plotinus Compared to Christian Writers, in AA. VV., Neoplatonism and Early Christian Thought: Essays in Honour o/A. H. Armstrong, Edited by H. J. Blumenthal and R. A. Markus, pp. 79-95 (ora in C. ]. De Vogel, Ripensando Platone e il Pwtonismo, Introduzione di G. Reale, Traduzione di E. Peroli, Milano 1 990 [edizione originale 1986] ); R. Ferwerda, The Meaning o/ the Word uWjla in Plato's Cratylus 400 C, in «Hermes», 1 13 ( 1 985) , pp. 266-279. 126 Cfr. Brandwood, cit., p. 7 10. 127 Cfr. Brandwood, cit., pp. 85 9-860. 128 Cfr. Brandwood, cit., p. 8 12 . Si veda G. Colli, La sapienza greca, I, Milano 1 999,

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ETIMOLOGIA E FILOSOFIA

pp. 146- 147. 129 Cfr. Brandwood, cit., p. 8 12 . 1 3 0 Cfr. Brandwood, cit. , pp. 8 12-8 13 . 1 3 1 Cfr. Brandwood, cit. , p. 645. Inoltre questo nome si trova in Apologia di Socrate, 4 1 A 6, in cui Socrate descrive le sorte che lo attende dopo la morte come uno stare con Orfeo, Museo, Omero ed Esiodo. Nell 'Introduzione del Protagora, in 3 1 5 B l viene descritto Protagora che incanta i seguaci con la sua voce e parola come Orfeo. Subito dopo, in 3 1 6 D 8 viene detto ironicamente che la Sofistica è un'arte antica; quelli che la praticarono temendo l 'odiosità che suscita, ricorsero, come schermo per mascherarsi , sia alla poesia, con Omero, Esiodo e Simonide, sia ai riti e vaticini, con Orfeo e Museo e i loro seguaci, mentre altri utilizzarono la ginnastica. In Ione, 533 C l viene citata l'inter­ pretazione di Orfeo, in 536 B 3 l 'ispirazione di Orfeo, di Museo e di Omero. Riguardo alla gerarchia di valori, in Filebo, 66 C 8 viene ricordato Orfeo, che dice alla sesta gene­ razione di porre fine al canto. A proposito di coloro che accettano di morire per gli altri, ispirati da Eros, in Simposio, 179 D 2 si segnala che Orfeo venne mandato via dall'Ade dagli dèi senza risultato, perché non ebbe il coraggio di morire per amore come Alcesti. In Repubblica, II, 3 64 E 3 vengono ricordati i testi di Museo e Orfeo, seguendo i quali vengono compiuti riti di purificazione e iniziazioni che scampano dai mali nell 'al di là; inoltre, in X, 620 A 4 Er riferisce di aver visto l'anima che un tempo fu di Orfeo sceglie­ re la vita di un cigno. Infine, Leggi, II, 669 D 5 riguarda errori di poeti che si meritereb­ bero lo scherno degli uomini a cui Orfeo attribuisce la sorte di avere l 'età matura per il godimento; III, 677 D 3 le scoperte di Dedalo, Orfeo, Palamede, Marsia nel campo della musica. Cfr. Brandwood, cit., p. 645 . Il termine ' Op$tKoi (Orfici) ricorre in Leggi, VI , 782 C 7 , che tratta dell'ideale di vita «orfico», che consiste nel mangiare ogni cibo inani­ mato e astenersi da ogni cibo animale. Cfr. Brandwood, cit., p. 645 . 13 2 Cfr. Brandwood, cit. , p. 737. Inoltre nepi.jX>Àov (involucro, recinto) in Liside, 203 B 6 riguarda la «recinzione» delle mura, in Teeteto, in 197 C 8 il «recinto» degli uccelli, in 197 E 4 il «recinto» della scienza nell'anima, in Timeo, 74 A 4 il «recinto» del midol­ lo. Ulteriormente, in Crizia, 1 12 B 5 si tratta del «muro di cinta» dell'antica Atene, in 1 1 6 C 5 del «muro di recinzione» del tempio di Clito e Apollo in Aùantide, in Repubblica, VIII, 548 A 9 delle abitazioni «fortificate», in Leggi, lll, 681 A l dei «recinti» murari in difesa dalla fiere, in VI , 759 A 5 del «perimetro» della città. Si veda anche Pedone, 62 B. Cfr. Brandwood, cit. , p. 737. 133 Cfr. Brandwood, cit. , p. 2 1 1 . 1 34 Cfr. Brandwood, cit . , p . 857 .

Capitolo VI

Lo «sciame di sapienza». Etimologie di nomi di dèi

(400 D - 404 E) l. I

nomi degli dèi (400 D - 401 A)

Ermogene sottolinea che del termine «corpo» e dei nomi antecedenti si è par­ lato a sufficienza; invece, si deve esaminare la correttezza dei nomi degli dèz: come poco prima si era trattato di L h6q (Dios, genitivo di Zeus). Socrate rispon­ de che degli dèi non sappiamo nulla, né su di loro, né sui nomi con cui chiama­ no se stessi: è chiaro, in/atti, che essi si denominano con quelli veri. Vi sarebbe poi un secondo modo per esaminarne la correttezza: invocar/i come è nostra con­ suetudine nelle preghiere e denominarli con i nomi con cui desiderano essere chiamatz: senza sapere nient'altro. Socrate vuole mettersi a indagare, dopo aver preavvisato gli dèi che non verrà /atta nessuna ricerca su di loro, dato che né lui né il suo interlocutore si considerano in grado di farlo, bensì sugli uomini_ veden­ do a partire da quale opinione siano stati assegnati a essi dei nomi: questo non dovrebbe suscitare la loro collera. Ermogene trova conveniente l'invito di Socrate e si mette a /are come lui dice.

Ermogene dichiara che gli sembra che si sia detto ÌKavroç (a sufficienza, abbastanza) dei nomi antecedenti, gli ultimi dei quali sono stati «uomo», «anima», «corpo»! . Piuttosto egli chiede se non si possa esaminare nello stes­ so modo la correttezza dei nomi degli dèi, come poco prima si era considera­ ta quella di Lltoç (Dios, genitivo di Zeus). Come abbiamo visto in Cratilo, 396 A-B Socrate aveva parlato, dopo Tantalo, del nome del padre, Lltoç (Dios, genitivo di Zeus) , osservando che que­ sto nome è olov ì..Oyoç (come una proposizione) . Divisolo in due, ci serviamo gli uni di una parte, Z�va (Zena, accusativo di Zeus), gli altri dell'altra, Llia (Dia, accusativo di Zeus). Subito dopo aveva spiegato che le due parti, riunite insie­ me, manifestano la natura del dio, che è causa dello ç�v (del vivere) di tutto. Nell'analisi di questo passo avevamo già segnalato, trattando delle occor­ renze di Zeus, l'importanza del nome di questo dio, che verrà ancora più accentuata in Cratilo, 4 13 A 4, in connessione con Bene e Giustizia. TI richia­ mo alla spiegazione di Lltoç (Dios, genitivo di Zeus) proprio all'inizio dell'ana­ lisi etimologica dei nomi di dèi costituisce senz' altro un invito a considerare con attenzione il metodo di tutta la trattazione etimologica: con esso Platone vuole, «esaminando» i nomi, segnalare contenuti dottrinali significativi. Socrate presenta allora una «duplice» risposta alla domanda dell'interlocu­ tore riguardo ai nomi degli dèi.

208

ETIMOLOGIA E FILOSOFIA

a) Se fossimo ragionevoli, vi sarebbe un solo modo, bellissimo, vale a dire affermare che non sappiamo nulla, né su di essi, né sui nomi con cui denomi­ nano se stessi: è «chiaro», infatti, che essi si servono di quelli veri. Emergono qui nuovamente due aspetti che avevamo già evidenziato nel presentare la mappa delle occorrenze del nome Se6ç (dio) nel precedente Capitolo. Platone sottolinea che il modo «più bello» per trattare degli dèi è ammet­ tere che di essi non sappiamo nulla, perché l'uomo non possiede questo tipo di conoscenza2 . In secondo luogo, egli aggiunge che è «chiaro» che i nomi uti­ lizzati dagli dèi saranno senz'altro 'tCÌATISiJ (quelli veri). Socrate, che si era ser­ vito della contrapposizione tra nomi assegnati dagli uomini e nomi fissati dagli dèi in un altro contesto, a proposito dei nomi ricavati da Omero e dai poeti3, in questo passo considera come «verità» i nomi coniati dagli dèi, che gli uomi­ m non conoscono. b) Vi potrebbe poi essere un secondo modo per «esaminare» la correttez­ za di questi nomi di dèi: «invocarli» come è nostra consuetudine nelle preghie­ re e denominarli con i nomi con cui amano essere chiamati, senza voler sape­ re nient' altro4. Questa in effetti sembra a Socrate una buona consuetudine. Pertanto, dopo aver sottolineato l'ignoranza propria e di Ermogene e l'op­ portunità di «invocare» gli dèi e di usare i nomi con cui essi si denominano, Socrate prosegue dichiarando che, se l'interlocutore è d'accordo, si può inco­ minciare a indagare5. Viene poi ribadito che la ricerca potrà avvenire dopo aver preavvisato, per così dire, gli dèi che la discussione non si svolgerà su di essi, dato che Socrate ed Ermogene non si ritengono in grado di farlo. L' «esame» riguarderà invece gli uomini, per vedere a partire da quale Ml;a (opinione) abbiano assegnato i nomi. In questo modo viene messo in evidenza che tutta la trattazione dei nomi successiva si colloca sul piano dell' «opinio­ ne», non dell a vera conoscenza. Le occorrenze del termine Ml;a (opinione) nel Crati/o sono molto signifi­ cative. TI livello dell'opinione riguarda, in particolare, i nomi dei poeti consi­ derati nella prima serie di etimologie6, i nomi degli dèi esaminati nella serie successiva7, i «sapienti» di oggi che, presi dalle vertigini, pensano che tutto scorras . Esaminiamo brevemente la mappa relativa all'uso del termine. A proposito del rapporto fra atti giusti e attribuzione corretta dei nomi, in 387 A 2 Socrate parla di atti compiuti secondo la natura e non in conformità con «ciò che appare» a noi, in 387 B 3 si occupa dell'atto di bruciare qualco­ sa secondo l' «opinione» corretta, conforme a natura. In Crati/o, 3 93 B 3 , alla fine di una serie di nomi tratta da poeti, Socrate presenta un importante avver­ timento a Ermogene, chiedendogli se non gli sembri che non dica nulla, ma che illuda anche se stesso, credendo di cogliere una traccia dell'«opinione» di Omero sulla correttezza dei nomi. Dopo Crati/o, 401 A 4, che stiamo qui analizzando, in cui si precisa che la

LO SCIAME

DI SAPIENZA

209

ricerca sui nomi che verrà presentata riguarda l' «opinione» degli uomini, in 4 1 1 C 2 viene introdotta un'importante sottolineatura nel corso delle riflessio­

ni metodologiche al centro della seconda serie di etimologie. lvi gli uomini antichissimi, che assegnarono i nomi, sono paragonati ai «sapienti» di oggi, che vengono presi dalle vertigini e pensano che le cose girino in ogni direzio­ ne, ritenendo che la causa di questa «opinione» non sia la loro affezione inter­ na, ma la natura delle cose, che scorrono sempre. Infine, in Crati/o, 420 B 6, B 7 e C 5 viene delineata l'etimologia di ooça (opinione), in connessione con l' «inseguimento» dell'anima che persegue la conoscenza di come stiano le cose e con il «lancio» dell'arco9. Si deve in conclusione richiamare che la trattazione dei nomi degli dèi è preceduta in questo passo da significativi cenni inerenti alla ricerca e all'igno­ ranza dell'uomo, alla superiorità degli dèi, al metodo utilizzato, che si situa al livello gnoseologico della ooça (opinione). Se da una parte emerge il tema dell' «ignoranza» umana nei confronti degli dèi, dall'altra viene messo in rilievo che è preferibile servirsi di nomi usati dagli dèi stessi, che conosceranno quelli 5l, i sotterfugi «ingegnosi» inerenti all'espediente:i2. Difatti questo nome, come abbiamo visto, in Crati/o, 405 D 2 riguarda gli «esperti» di musica e armonia, che affermano che tutto gira insieme. Esso si trova anche in Crati/o, 402 D 3 , in cui, a proposito dell'etimologia di Teti come nome di «fonte dissimulato», Ermogene sottolinea che ciò è «ingegnoso». E' da segnalare, infine, 426 A 2, che parla di éJCOUa (alpha) , così colui che era · 0j.L01toA.rov (Homopolon, che muove insieme), viene denominato ' A1t6A.A.rov (Apollo) mediante l'inserimento di un secondo A.a j30a (labda), per evitare un nome funesto. Il filosofo conclude che perciò alcuni U1t01ttEuovteç (essendo diffidenti), dato che non considerano correttamente la ouva!ltç (il potere) del nome, ne hanno timore, come se annunciasse qualche 4>8opa (disgrazia) , mentre esso -

ANCHE GU DÈI SONO AMANTI DELLO SCHERZO

257

include tutte le ouvci)ç (luce). Ricordiamo che il nome " Hq>atotoç (Efesto) compare in Crati/o, 391 E 5 a proposito del fiume di Troia, che combatté da solo con Efesto, in 404 B 6 nel­ l'elenco di nomi da trattare dopo Poseidone e Plutone-Ade, in 406 D 4 nell'in­ vito di Ermogene a non dimenticarsi di Atena, Efesto e di Ares, in 407 C 3 nella domanda di spiegazione del significato del nome del diol 03. In secondo luogo segnaliamo che il nome a'iotoç (Phaistos) 104 occorre esclusivamente nel Crati/o, in 407 C 6, in cui Socrate conclude che è ofJÀ.ov (chiaro) a tutti che il dio è a'iotoç (Phaistos), con l'aggiunta di �ta (eta) a q>aeoç 'iotrop (conoscitore di luce) 105 . Si noti infine che la forma q>ci)ç (luce) è presente in occorrenze significative del Crati/o, legate in particolare alla funzione del giorno, della Luna e soprattut­ to del Sole, ed è perciò utile per comprendere l'importanza del nome di Efesto. n sostantivo q>ci)ç (luce) si trova infatti in Crati/o, 409 B l , che esamineremo fra poco, in cui Socrate afferma che la Luna riceve la i) (con­ tatto, apprensione di questo movimento) , dal momento che gli esseri si muo­ vono. Per spiegare il nesso fra crocj>ia (sapienza) e «movimento» dobbiamo consi-

352

ETIMOLOGIA E FILOSOFIA

derare l'uso di diversi termini nel dialogo: iy� (Sfinge) viene utilizzato da Platone solo due volte, proprio nel Crati/o, a proposito di JlTIXaviJ (espe­ diente) 1 70 . In riferimento ai mutamenti di suoni nei nomi, realizzati da uomini che non si preoccupano affatto della verità, si osserva che questi ultimi usano la denominazione I:cl>iy� (Sfinge) , invece che «l>i� (Phix), come succede anche in molti altri casi. In effetti, se si lascerà che ciascuno inserisca o tolga quello che vuole, vi sarà una grande facilità e sarà possibile adattare ogni nome a ogni oggetto. Si può in sintesi mettere in evidenza che Platone introduce in questo testo, che tratta in un modo molto esplicito del ricorrere all' «espediente» dell'inseri­ mento di lettere mutando i nomi «originari», due immagini che esprimono in modo emblematico l'ambiguità, l'enigmaticità. Quanto poi al nome 'tÉXVfl (arte) , assai rilevante nel pensiero greco e in quello platonico, si deve segnalare che esso ricorre diverse volte nel Crati/o, in passi importanti dal punto di vista della «strategia comunicativa» del dialogo, in cui Platone, trattando della 'tÉXVfl (dell'arte) , nei suoi vari aspetti e livelli, introduce significative osservazioni, allusioni e spiegazioni riguardanti il meto­ do dialettico, fino al suo grado culminante. Inoltre si deve richiamare che l'aggettivo cho1tov (strano), che compare in Crati/o, 4 14 C, associato all'immagine del Kci't01t'tpov (dello specchio) con !'«espediente» dell'inserimento del pro (rho) , ricorre varie volte nel dialogo, ossia a proposito del nome Apollo 1 7 1 , nell'etimologia di KaJCov (male) , in con­ nessione con i temi della «difficoltà» e del nome «straniero» 1 72, per segnalare l'inadeguatezza del fondarsi sui nomi 173 . Si ricordi poi che il termine EÙ1topia (facilità) viene utilizzato da Platone per mettere in evidenza passaggi rilevanti, sia nel caso di «arte» ed «espedien­ te», di cui ci stiamo qui occupando, sia in riferimento ad apETIJ (virtù), intesa nel senso di EÙ1topia (facilità), cioè come un fluire che non subisce ostacoli in opposizione ad a1topia (difficoltà), che esprime il «procedere male»l74, sia a proposito di xapa (letizia), che sembra essere stata denominata così per la OlOXUcrtç (diffusione) e la EÙ1topia (facilità) del pEtV (fluire)175 . Analogamente, l'aggettivo xaÀ.E1toç (difficile) nel Crati/o, attraverso il «gioco» del riferimento a «ciò che è difficile» - «ciò che non è difficile», indi­ ca etimologie assai rivelatrici, cui vengono connessi cospicui giochi di parole, applicazioni dell' «espediente».

INDOSSARE LA PELLE DEL LEONE

369

Infine, si deve segnalare che il verbo avetv (avanzare, progredire) si trova solo in Cratilo, 4 15 A 5 e 6, nell'etimologia di JlllXOvTt (espediente) , in cui sem­ bra indicare l'avetv È:1tÌ 1tOÀ:u (progredire molto) , in quanto il sostantivo JlilKoç (lunghezza) esprime l'estensione. fl nome JlllXOVft (espediente) risulta difatti composto da entrambi i termini, JlllKOç (lunghezza) e avetV (progredire). A questa affermazione si deve aggiungere che il termine JlilKoç (lunghezza) in riferimento alla Épea8at (muoversi attorno insieme) . Per comprendere queste parole è opportuno esaminare le frequenze dei termini cruJ.lÉpov (conveniente) , O"UJ.17tEptÉpea8at (muoversi attorno insie­ me), O"UJ.lopov (confacente) , È:7ttO"'tilJ.lll (scienza) nel Crati/o. Segnaliamo innanzitutto che il termine O"UJ.lÉpov (che conviene, che giova) si riferisce nel Crati/o al movimento ordinato, soprattutto dell'anima con le cosel; esso viene strettamente connesso con «scienza>�, con «ciò che è dovero­ so», «ciò che lega», con «utile», «giovevole», «vantaggioso», «buono», «faci­ le>�. Questo sostantivo si trova in Crati/o, 4 16 E 2 nella serie di nomi da consi­ derare in riferimento a «Bene» e «Bello», in 4 17 A 3 , in cui viene associato a «fratello di scienza», come abbiamo appena detto, in 4 17 A 7 , in cui si aggiun­ ge che i prodotti del movimento dell'anima con le cose vengono denominati «convenienti» e confacenti. Ulteriormente, in Crati/o, 4 19 A 7 compare l'importante conclusione, che spiegheremo più avanti, che OÉov (ciò che è doveroso, ciò che lega) , c.òÉÀ.tJ.lOV (utile), À.uatteÀ.ouv (giovevole) , KepoaÀ.Éov (vantaggioso), étya8ov (buono), O"UJ.lÉpov (conveniente) , eunopov (facile) sembrano avere lo stesso significato, in quanto indicano con nomi diversi ciò che ordina e va dappertutto ed è oggetto di lode, mentre ciò che impedisce e lega viene biasimato. Infine, in 4 1 9 D 6 il verbo O"UJ.lÉpea8at (muoversi con, adattarsi) ricorre a proposito di «gioia», intesa nel senso di «movimento ben accordato» dell'ani­ ma con le cose4. In secondo luogo il verbo O"UJ.17tEptÉpea8at (muoversi attorno insieme) ricorre in Crati/o, 417 A 8, che stiamo qui esaminando, a proposito dei movi­ menti dell'anima con le cose, i cui prodotti vengono detti «convenienti» e «confacenti» a causa del «muoversi intorno insieme», che costituisce una forma di movimento regolare e ordinato. La seconda occorrenza di tale verbo nel dialogo è significativa: esso emer­ ge di nuovo in relazione a È:ntO"'tilJ.lll (scienza) in Crati/o, 437 A 5 , in cui si osser­ va che tale nome è ambiguo perché arresta la nostra anima sugli oggetti piut­ tosto che «muoversi attorno»5.

DENOMINARE IL BENE IN MODO DIVERSO

3 99

Inoltre il termine cro�ljlopov (confacente, conveniente) è presente nel Crati/o solo in 417 A 7 , che stiamo qui analizzando, riguardo ai prodotti con­ venienti e «confacenti» del movimento dell'anima con le cose6. Da ultimo sono da richiamare alcuni elementi inerenti al nome É1ttopàç À.oov tò téwç (infatti, ciò che libera dal termine del movimento) è stato detto À.'UO'tte­ À.Ouv (giovevole). Per comprendere questa etimologia è opportuno considerare i termini À.tlcrtteÀ.Ouv (giovevole), téÀ.oç (fine, termine), À.Uetv (liberare, sciogliere), cl1tOtlO'tOç (ininterrotto), a9avatoç (immortale) , K01tTJÀ.Oç (bottegaio, vendito­ re). Osserviamo innanzi tutto che il significativo termine À.'UO't tEÀ.ouv (giovevo­ le) ricorre in Crati/o, 417 A l nella serie di nomi che si riferiscono al Bene e al Bello, in 4 17 B 6 nella domanda di Ermogene, in 4 17 C l nell'osservazione che esso non deve essere compreso nell'accezione dei bottegai quando fanno affa­ ri, ma nel senso che, essendo ciò che vi è di più veloce nell'essere, non permet­ te che il movimento finisca. Subito dopo, in 417 C 6 e C 7 viene esplicitato che il Bene è stato detto ÀtlCJtteÀ.Ouv (giovevole) in quanto libera dal termine il movimento; infine, in 419 A 6 emerge nuovamente che Oéov (ciò che è doveroso, ciò che lega), ci>ct>é­ À.tj.LOV (utile), À.umtel.ouv (giovevole), KepoaÀ.éov (vantaggioso), àya96v (Bene), CJ'llj.Lcjlépov (conveniente) , eu1topov (facile), hanno lo stesso significato, in quanto indicano ciò che ordina e va dappertutto22• Si noti poi che il rilevante sostantivo téÀ.Oç (fine, termine) si trova, sia in Crati/o, 3 95 A 6 in riferimento ad Agamennone, che realizzava il suo «fine»

402

ETIMOLOGIA E FILOSOFIA

con valore e perseveranza, sia in 395 D 8 riguardo alla «conclusione» delle ter­ ribili sventure di Tantalo. A proposito di «giovevole», in 4 17 C 2 si parla di ciò che vi è di più veloce nell'essere, che non permette che le cose si fermino né che il movimento fini­ sca, avendo raggiunto il suo «termine». In 417 C 4 si aggiunge che non appe­ na compare qualche «termine», esso viene sciolto, mentre in 4 17 C 6 si espli­ cita che il Bene è stato detto ÀUéA.­ A.Etv (far prosperare). Si tratta di una denominazione dell'accrescere e del pro­ durre. Alla richiesta di Ermogene di considerare ta ( . . . ) Évavtia (i contrari) di questi, il filosofo replica che non devono essere analizzati quelli che costitui­ scono la negazione dei primi. Per interpretare quest'ultima etimologia risulta opportuno esaminare i ter­ mini còéA.tJlOV (utile) , òcl>éA.A.Etv (far prosperare, far crescere), anoc�>civat (negare, rispondere di no) , Évavtioç (contrario, opposto). Segnaliamo innanzitutto che il rilevante termine còéA.tJlOV (utile) occorre sia in Crati/o, 417 A l nella serie dei nomi che si riferiscono al Bene e al Bello, sia in 417 C 7 quale nome straniero di cui si è servito molte volte Omero grazie al verbo òc�>éA.A.Etv (far prosperare) . In 419 A 5 còéA.tJlOV (utile) viene collega­ to, insieme con Béov (ciò che è doveroso, ciò che lega), À.Ucrt'tEÀ.ouv (giovevo­ le) , KEpÒaÀ.Éov (vantaggioso) , aya9ov (Bene), CJUJlci>Épov (conveniente) , eunopov (facile) , a ciò che ordina e va dappertutto28. In secondo luogo si noti che il verbo Òci>ÉÀ.AEt v (far prosperare, far cresce­ re) ricorre nei testi platonici esclusivamente in Cratilo, 4 1 7 C 8 a proposito di Omero, che, per parlare di còéA.tJlOV (utile) ha utilizzato il verbo òc�>éA.A.Etv (far prosperare) , che esprime l'accrescere e il produrre29. Aggiungiamo inoltre il verbo anoc�>civat (negare, rispondere di no) si trova in Crati/o, 417 D 2 a proposito dei nomi che costituiscono la l7, le alterazioni di lettere nei nomi che fanno dire ad essi il «contrario>:>ls. Esso è presente innanzitutto in Crati/o, 3 94 E 5 , in cui si afferma che all'uo­ mo empio non si deve assegnare né il nome Timoteo né Mnesiteo, bensì uno di significato «opposto», e in 399 B 3 , in cui si parla di inserire alcune lettere, o «al contrario» di toglierle. Successivamente, in 4 13 E 3 a proposito del nome «coraggio» si osserva che la lotta nell'essere è la corrente «contraria», in 413 E 6 si precisa che il coraggio non è la corrente «contraria» ad ogni flusso, ma a quello contro il giusto, in 4 15 C 10 si parla di «virtù» come «contrario» di «Vl ZlO». Più avanti, in Cratilo, 4 17 A 2 e D l esso riguarda i «contrari» di «conve­ niente», «giovevole», «utile», «vantaggioso». Socrate dichiara poi, in 4 1 8 A 8, che inserendo o togliendo lettere, con piccole trasformazioni si fa talvolta

404

ETIMOLOGIA E HLOSOHA

significare ai nomi il loro «contrario». Egli aggiunge in 418 B 3 che la nostra attuale lingua ha portato «ciò che è doveroso, ciò che lega» e «ciò che è dan­ noso» ad affermare il «contrario», cancellandone il senso, mentre in 418 E 6 osserva che «ciò che è doveroso, ciò che lega» esprime il «contrario» di tutti i nomi riguardanti il Bene, in quanto sembra essere vincolo e ostacolo del moto, come se fosse fratello del «nocivo». A proposito dei termini collegati a «opinione» e a Épov (conveniente) , eu1topov (facile) sembrano avere lo stesso significato, dato che indicano con nomi diversi ciò che ordina e penetra dappertutto, che è oggetto di lode, mentre ciò che impedisce, vincola e trattiene viene biasimato. In effetti, Platone sembra rifiutare nel Crati/o sia il legame che blocca, che immobilizza tutto, sia il flusso totale: è «bene» ciò che «lega» quello che si muove, caratterizzato da una mescolanza di Movimento e di Quiete, conside­ rata innanzitutto nel mondo del divenire. Si notino anche in questo passo il richiamo al «giorno», al sorgere della luce dal buio, e quello al «giogo», al «legame», e al «due». TI Bene nella prospettiva del Crati/o qui delineata viene identificato con Ott6v (ciò che attraversa), con ciò che ordina e va dappertutto, opposto a 't4) oouv'tt 'tÒ ì6v (ciò che lega quello che si muove) che, nel senso di «trattene­ re», sembra essere collegato a çTIJ.llOOOeç (dannoso) attraverso il «gioco» della trasformazione dei nomi che porta alla coppia çTIJ.llOOO eç (dannoso) OTIJ.llOO­ oeç (demiodes) . Mentre la lingua «attuale» ha cancellato il significato dei nomi relativi al Bene, quella «antica» lo manifesta. Da questi testi di Platone emerge che per comprendere il problema del Bene, dei suoi sinonimi e opposti bisogna impostare in modo adeguato la ricer­ ca sulla questione del Movimento sollevata dall'Eraclitismo. In effetti i termini si duplicano, si intrecciano e si moltiplicano, secondo prospettive differenti, dominate da una sottile e articolata regia, che governa in modo unitario il complesso «gioco» delle etimologie del Crati/o. -

DENOMINARE IL BENE IN MODO DIVERSO

417

NOTE AL CAPITOLO X

l

Cratilo, 4 17 A 7 ; 4 1 9 A 7. 2 Cfr. Crati/o, 4 1 7 A 3 . 3 Cfr. Cra111o, 4 1 9 A 7 . 4 Cfr. Brandwood, A Word Index to Plato, cit. , pp. 842-843. Cfr.

' Cfr. Brandwood, cit., p. 84 1 . 6 Cfr. Brandwood, cit. , p . 843 . 7 Cfr. Brandwood, cit., pp. 382-383 . 8 Or. Cratilo, 4 17 A 8. 9 Cfr. Brandwood, cit., p. 500. 10 Cfr. Brandwood, cit. , p. 500. 1 1 Cfr. Brandwood, cit., p. 607. 1 2 Cfr. Crati/o, 403 A 3 . 13 Cfr. Crati/o, 4 13 E 4 .

14 Cfr. Crati/o, 4 1 7 B

l e B 4.

Crati/o, 418 B 8 e C 3. Crati/o, 4 19 B 3 . 1 7 Cfr. Crati/o, 4 19 B 9 . 18 Cfr. Cratilo, 427 A 8.

l' Cfr. 16 Cfr.

19 Cfr.

Brandwood, cit., p. 2 10.

20 Cfr. Brandwood, cit., p. 500. 2 1 Cfr. Brandwood, cit., pp. 242-243.

Infine, i n Cratilo, 3 96 C 5 il verbo compare nel significato di smettere di «spiegare» la correttezza dei nomi nella genealogia di Esiodo, in 4 17 D 3 nd senso di non «esaminare» i nomi negativi.

22 Cfr. Brandwood, cit., p. 542. 23 Cfr. Brandwood, cit., p. 874. 24 Cfr. Brandwood, cit., p. 54 1 . 2' Cfr. Brandwood, cit., p . 89.

26 Cfr. Brandwood, cit., p. 16.

27 Cfr. Brandwood, cit., p. 484.

Esso compare inoltre in Protagora, 3 13 C 5 (il Sofista non è altro che una specie di commerciante all 'ingrosso o «rivenditore» al minuto degli alimenti di cui l'anima si nutre), in 3 13 D l (stare attenti che il Sofista, lodando le cose che vende, non inganni come fanno i commercianti e i «bottegai»), in 3 14 A 4 (nesso fra acquistare cibi in recipienti da commercianti e «bottegai» e accogliere nell'anima inse­ gnamenti che la possono rovinare), in Gorgia, 5 17 D 7 (cura del corpo dei «rivenditori» al minuto), in 5 1 8. B 7 (buoni curatori dd corpo come «panettieri», cuochi, osti). Ulteriormente, si trova in Repubblica, Il, 37 1 D 4 e D 5 (classe dei «Venditori» al minu­ to), in VII, 525 C 4 (la matematica non deve essere coltivata per tenere la contabilità di vendite e acquisti come farebbero un commerciante e un «bottegaio», ma per facilitare la conversione dell'anima dal mondo del divenire a quello della verità e dell'essere), in Sofista, 23 1 D 8 (Sofista come «rivenditore» di cognizioni che interessano l'anima) , in Politico, 260 C 8 e D 5 (arte dei «rivenditori»), in 290 A l (nesso fra commercianti,

418

ETIMOLOGIA E F1LOSOF1A

«rivenditori» e arte politica) , in Leggi, Xl, 919 C 4 (dipendenza dalla categoria dei «ven­ ditori»), in 919 D 5 (fare il «dettagliante» o il grossista) , in 920 C 3 (norme sulle «vendi­ te» al minuto). 28 Cfr. Brandwood, cit., p. 990. 29 Cfr. Brandwood, cit., p. 694 . Ricordiamo ulteriormente che òfjleiÀ.Etv (dovere) si trova in 400 C 8 nell 'etimologia di «corpo», a proposito dell'anima che «paga» il suo debito. Cfr. Brandwood, cit., p. 694. 3 0 Cfr. Brandwood, cit., p. 1 10. Esso è presente inoltre in Protagora, 360 D 8 («rispon­ dere di no» alla domanda), in Teeteto, 166 A 4 («rispondere di no»), in Simposio, 177 D 7 (Socrate «dice di non conoscere» le cose d'amore). 31 Cfr. Crati/o, 4 15 C 10. 32 Cfr. Crati/o, 4 17 A 2 e D l . 3 3 Cfr. Crati/o, 420 C 6. 34 Cfr. Crati/o, 4 13 E 3 ed E 10. 35 Cfr. Crati/o, 42 1 B 4. 3 6 Cfr. Crati/o, 434 D 7. 37 Cfr. Crati/o, 435 D l; 438 C 5. 38 Cfr. Crati/o, 4 1 8 A 8; B 3; E 6. 39 Cfr. Brandwood, cit., pp. 346-347. Inoltre, in Crati/o, 427 E l riguarda la posizio­ ne di Crati/o «in presenza» di Socrate sulla concezione socratica dei nomi, in 428 C l l'ac­ cadere del «contrario» rispetto al fatto che Crati/o diventi il maestro di Socrate, in 43 0 C 6 l'attribuire al «contrario» l'immagine dell 'uomo alla donna, in 432 B 3 l 'immagine che, «al contrario», non deve riprodurre tutto ciò che imita. 40 Cfr. Crati/o, 4 16 E - 4 17 A. 4 1 Cfr. Crati/o, 4 17 B. 42 Cfr. Cratilo, 4 17 C. 43 Cfr. Brandwood, cit., p. 127. 44 Cfr. Brandwood, cit., p. 84. 45 Cfr. Brandwood, cit., p. 47. 46 Cfr. Brandwood, cit., p. 25. Esso compare inoltre in Ipparco, 23 1 E 3 (ciò che non ha valore è «senza guadagno»). 47 Cfr. Cratilo, 4 17 D 10; 4 17 E 5. 48 Cfr. Brandwood, cit., p. 157. 49 Cfr. Brandwood, cit. , p. 158. 50 Cfr. Brandwood, cit., pp. 1 1 1 - 1 12. 5 1 Cfr. Brandwood, cit., p. 160. 52 Cfr. Brandwood, cit., p. 827 . 53 Cfr. Cratilo, 395 B 4. 54 Cfr. Crati/o, 4 17 D 8. 55 Cfr. Crati/o, 418 A 5. 56 Cfr. Cratilo, 4 1 9 B 2. 57 Cfr. Brandwood, cit., p. 422. Inoltre esso è presente in Leggi, I, 650 A 7; III; 690 E 4. 58 Cfr. Cratilo, 3 9 1 B 1 1 e C 3 ; 402 D 7 . 59 Cfr. Cratilo, 408 D 3 e D 4.

DENOMINARE IL BENE IN MODO DIVERSO

60 Cfr. 6 1 Cfr.

Crati/o, 4 17 A 4 . Crati/o, 4 18 E 8.

63 Cfr.

Cratt1o, 4 18 A 5 - B

62 Cfr. Brandwood, cit., pp.

419

9-10.

l.

64 Cfr. Brandwood, cit. , p . 436. 6' Cfr. Brandwood, cit., p. 338. 66 Cfr. Brandwood, cit., p . 463 . Anticipiamo poi che il termine 'i!J€poç (desiderio, brama) compare innanzitutto in Crati/o, 4 1 9 E 3, che ne sviluppa l 'etimologia in connes­ sione con poi)ç (corrente) che trascina l 'anima. Ulteriormente, in 420 A 4, 'i�Epoç t:lesi­ derio, brama) viene collegato all 'impetuosità deiJo scorrere; analogamente in 420 A 7 'lJ!Epoç (desiderio, brama) viene associato a «nostalgia», in correlazione con la presenza o l'assenza di ciò a cui si aspira. Cfr. Brandwood, cit., p. 463 . 67 Cfr. Brandwood, cit., p. 463 .

68 Cfr. Brandwood, cit., p . 437. 69 Cfr. Crati/o, 399 B l. 70 Cfr. 71 Cfr.

Crati/o, 437 A 8. Crati/o, 42 1 B 8. 72 Cfr. Crati/o, 407 B 6. 73 Cfr. Crati/o, 4 18 B 8; C 2; 4 19 74 Cfr. Crati/o, 4 18 B 8. n Cfr. Crati/o, 426 E 6.

A 2.

76 Cfr. Brandwood, cit. , p. 469. 77 Cfr. Crati/o, 403 A 3 .

Crati/o, 4 13 E 4 . Crati/o, 4 18 B 8 ; C 3 . 80 Cfr. Crati/o, 4 1 9 B 9. 8 1 Cfr. Crati/o, 4 1 7 B l e B 4. 82 Cfr. Crati/o, 4 1 9 B 3 . 83 Cfr. Crati/o, 427 A 8 . S i veda Brandwood, cit., p . 2 10. 84 Cfr. Crati/o, 4 1 1 E 3. 8' Cfr. Crati/o, 412 A 4 ; 437 A 7. 86 Cfr. Cratz1o, 418 C 2. 87 Cfr. Crati/o, 4 1 9 A 2. 88 Cfr. Crati/o, 426 C 4. 89 Cfr. Crati/o, 4 12 A 4. 90 Cfr. Crati/o, 43 7 A 7. 9 1 Cfr. Crati/o, 419 A 2. Si veda Brandwood, cit., p. 289. 92 Cfr. Crati/o, 393 E 5. 93 Cfr. Crati/o, 407 B 5; C 7; 4 1 1 E 3 . 94 Cfr. Crati/o, 4 14 C 2. 9' Cfr. Crati/o, 426 C 4 . 96 Cfr. Crati/o, 427 C 4. Cfr. Brandwood, ci t., p. 440. 97 Cfr. Crati/o, 4 1 8 D 4. 98 Cfr. Crati/o, 4 1 7 E - 4 1 8 A. 78 Cfr. 7 9 Cfr.

ETIMOLOGIA E FILOSOFIA

420

99 Cfr. Crati/o, 4 18 C 8-9. 100 Cfr. Crati/o, 4 1 8 D 4-5.

1 0 1 Cfr. Brandwood, cit. , p. 424. 1 02 Cfr. Brandwood, cit. , p. 263 . 1 03 Cfr. Brandwood, cit., p . 2 1 1 . 1 04 Cfr. Crati/o, 403 A l; 4 1 1 E 3 . 1 0� Cfr. Crati/o, 4 1 0 D 8. 106 Cfr. Crati/o, 432 B 5; C 5 e C 6. 1 07 Cfr. Crati/o, 4 18 E 2. 1 08 Cfr. Brandwood, cit., p. 263 . 1 09 Cfr. Brandwood, cit. , p. 9. Esso si trova inoltre in Fedro, 238 C 3 (interpretazione di Eros come forza, che ottiene la vittoria dell'«impulso» dei desideri irrazionali sull'opi­ nione), in Repubblica, II, 370 E 2 («trasporto» del materiale), in III, 400 C l («movimen­ to» del piede e ritmi), in X, 604 B 3 («movimenti» opposti nell'uomo intorno al medesi­ mo oggetto) , in Politico, 274 B l («impulso» nel generare e allevare), in Epistola VII, 325 C 3 (rifiuto di Socrate di partecipare a un «arresto» illegale) , in Leggi, I, 645 A l ; A 7; A 4; II, 659 D 2; 673 A 9; V, 746 E l ; VII, 819 A 5; C 4. 1 1 0 C fr. Crati/o, 4 1 8 E 2-3. l 1 l Cfr. Cratilo, 4 1 8 B. 1 12 Cfr. Brandwood, cit., pp. 206-207 . Inoltre, in 4 15 C l a proposito della viltà si pre­ cisa che è stata tralasciata, mentre «si sarebbe dovuto» esaminarla dopo coraggio, in 433 B l si parla di raggiungere gli oggetti più tardi del «dovuto». 1 1 3 Cfr. Crattlo, 43 9 C 8; 440 B 6. 1 14 Cfr. Crati/o, 403 E 5 . 1 15 Cfr. Crati/o, 4 12 C l e C 5; 422 A 5. 1 16 Cfr. Crati/o, 4 15 D l . 1 1 7 Cfr. Crati/o, 4 1 6 E 2; 4 17 C 6; 4 19 A 2. 1 18 Cfr. Crati/o, 4 17 B 2. 1 1 9 Cfr. Crati/o, 418 E 6. 120 Cfr. Crati/o, 4 1 8 E 7. 121 Cfr. Crati/o, 4 19 A 4. 122 Cfr. Brandwood, cit. , pp. 1-3. 123 Cfr. Brandwood, cit. , p. 244. 124 Cfr. Brandwood, cit., p. 2 18. 12� Cfr. Crati/o, 4 1 9 A 8.

Capitolo XI «l nomi più importanti e più belli>>. Prosecuzione delle etimologie dei nomi della sfera antropologica, gnoseologica ed etica ed etimologie di categorie fondamentali (4 1 9 B - 42 1 C)

1. Nomi di affezion� impuls� sentimenti, moti volontari (4 19 B - 420 E) Ermogene chiede a Socrate il significato di Jjoovrj (piacere), lt/m7 (dnlore), étnBvpia (desiderio) e degli altri nomi simili. Questi risponde che tali nomi non gli sembrano affatto difficili. Il termine Jj&Jvrj (piacere) sembra riferirsi all'azio­ ne tendente all'6V17cnç (al vantaggio), con l'inserimento di Oél-ra (ddta); perciò si trova Jjoovrj (piacere) invece di qovrj (beone). Inoltre ltlm7 (dolore) sembra derivare dalla ouilvcnç (dal dissolvimento) del corpo, che esso subisce in questo nci8oç (travaglio). E l'avia (afflizione) è ciò che impedisce di iivat (muoversi), mentre l'alm&Jv (la sofferenza) sembra un termine straniero, denominato così da alyer v6v (dnloroso). '066V17 (afflizione) sembra derivato dalla iv6oorç (dal penetrare) del dolore. Riguardn ad azf!h]omv (oppressione) è chiaro che raffigu­ ra la pesantezza del moto. Socrate prosegue osservando che invece zapa (letizia) sembra esser detto così per la ouizvcnç (diffusione) e la et'nropia (facilità) della p01j (del fluire) dell'anima. Invero repyn.ç (diletto) deriva da repnv6v (dilettevo­ le), che viene dalla ep.,cnç (dal serpeggiare) nell'anima, simile a nv01i (soffio). Si sarebbe dovuto usare, di diritto, epnvovv (herpnoun), ma col tempo esso è muta­ to in repnv6v (dilettevole). Il nome e�oaiJV17 (gioia) poi non ha bisogno che se ne spieghi il motivo: è chiaro in/atti a ognuno che ha ricevuto la denominazio­ ne dall'ev t:1VJJ�peu6at (dal movimento ben accordato) dell'anima con le cose; il nome co"etto sarebbe stato eti;epom)V11 (benessere), mentre noi diciamo eV­ tPfJOuVV17 (gioia). Nemmeno Ént8vpia (desiden"o) è difficile: è chiaro che questo nome venne assegnato alla potenza énì -ròv 8vpòv ioooa (che invade l'animo). E Bvp()ç (animo) dnvrebbe ricevere il nome dalla 800t ç (impetuosità) e dal ribol­ lire dell'anima. Invece 'ipepoç (brama) è stato denominato dal po(jç (dalla cor­ rente) che trascina di più l'anima. Dato che iépevoç pei rai é;répevoç (fluisce bramoso e desideroso) delle cose e così trasporta con forza l'anima nella ecnç 'fiiç pofiç (impetuosità dello sco"ere), per tutta questa potenza venne chiamato ipepoç (brama). Anche n68oç (nostalgia) non riguarda il presente dell'ipepoç (della brama) e del pe{jpa (della corrente), ma -rò aÀ.À.08i nov òv rai cinov (ciò che è altrove e lontano), da cui viene la denominazione n68oç (nostalgia) per quello che, quandn è presente ciò a cui aspira, è detto ipepoç (brama), mentre quandn esso è assente, viene chiamato po(jç (co"ente). Inoltre ipmç (amore), poiché e i upei fç(J)(Jev (penetra dall'esterno) e la po1] (corrente) stessa non appar­ tiene a chi la possiede, ma è entrata dal difuori attraverso gli occh� venne detto

422

ETIMOLOGIA E FILOSOFIA

anticamente eapoç (esros) dall'éapeiv (dal penetrare), dato che si usava l'ov (ou) invece dell'w (o). Adesso invece viene denominato fpwr; (amore), sostituen­ do all' ov (ou) l'w (o). Subito dopo Socrate domanda che cosa rimanga ancora da esaminare ed Ermogene gli ricorda t56ça (opinione) e altri nomi simili. Il filoso­ fo spiega allora che t56ça (opinione) ha preso il nome dalla 8iwl;rr; (dall'insegui­ mento) che l'anima compie 8uJ)mvaa (perseguendo) -rò ei8évar (il conoscere) come stiano le cose, oppure deriva dalla {JoJ.:fJ (da/ lancio) del -r6çov (dell'arco): questa è la spiegazione più probabile. Anche l'oi17(Jl r; (la credenza) concorda sen­ z'altro con questo: essa sembra riguardare l'oiarr; (il trasporto) dell'anima per ogni cosa, per comprendere ciascuno degli esseri, così come la {JovJ.,lj (la volontà) indica la {3oJ.,1j (il lancio) e il {Jovka(}ar (volere) esprime l'éfpiea(}ar (il deside­ rare) ed il {Jovkveaear (deliberare). Tutti questi termim: che vengono dopo t56ça (opinione) sembrano immagini della {3oJ.,1j (de/ lancio). Al contrario, l'a {JovJ.. ia (l'irri/lessione) pare essere ciwira (insuccesso), come di uno ov {JaJ.,wv oooè wzwv (che non riesce a colpire né a cogliere) ciò cui f{Jalle (mirava), che é{Jovk-ro (voleva) e su cui é{Jovkve-ro (deliberava) e a cui éf{Jie-ro (aspirava). Ermogene obietta che gli sembra che Socrate adduca spiegazioni etimologiche troppo serrate; il filosofo risponde che lo ammette, perché sta correndo verso la fine. Tuttavia egli vuole condurre a termine la spiegazione di avarK'Tl (necessità), perché è successiva a quest� e di éKovawv (volontario). A proposito di éKovawv (volontario), con questo nome sembrerebbe essere stato espresso -rò eiKov (ciò che cede) e non resiste, ma che, come viene detto, è eiKov -rrj) i6v-rt (ciò che cede a ciò che si muove), ossia a ciò che avviene secondo volontà. Invece, conclude Socrate, ciò che è avayKaiov (necessario) e che resiste, essendo in contrasto con la volontà, sarebbe in relazione con l'errore e l'ignoranza; esso viene paragonato a un cammino tra gli iirK'Tl (le gole) che, essendo impraticabili e selvosz: ostaco­ lano l'andare. Per questo forse è stato denominato avayKaiov (necessario), essendo stato paragonato a un cammino attraverso l'ayKor; (/a gola). Socrate non vuole cedere, finché ne abbia la forza, ed esorta Ermogene a non desistere, ma a interrogar/o. ­

Incomincia a questo punto, dopo la trattazione di «ciò che è doveroso, ciò che lega», l'interpretazione di una nutritissima serie di nomi, inerenti ad affe­ zioni, sentimenti, moti volontari, nel corso della quale Ermogene osserva che Socrate sta presentando spiegazioni «troppo serrate» ! , mentre il filosofo ribat­ te che sta ormai correndo verso la fine2 , e invita l'interlocutore a non cedere finché gli rimangano delle forze, ma a continuare a interrogarlo3. Ermogene domanda innanzitutto a Socrate il significato di ilòovft (piacere), A.intTJ (dolore), È1tt6uj.!ia (desiderio) e degli altri termini simili4. Per comprendere questo ampio passo del Crati/o occorre analizzare la lunga serie di etimologie in esso sviluppate, a partire da ilòovti (piacere) e da quelle appena citate.

l NOMI PIÙ IMPORTANTI E PIÙ BELLI

423

a) iJòovti (piacere) e À.U1tTJ (dolore) Socrate incomincia l'interpretazione di questo nuovo gruppo di nomi ser­ vendosi da subito del «gioco» relativo a ciò che è «facile» e «chiaro» o, al con­ trario, «difficile» e «non chiaro», mettendo in evidenza che si tratta di nomi che non sono «affatto difficili». Viene spiegato innanzitutto che il termine iJòovti (piacere) pare derivare dalla npal;tç (dall ' azione) tendente all'oVTJcrtç (al vantaggio), con l'inserimento di ÒÉÀ'ta (delta) ; perciò si utilizza la forma iJòovti (piacere) invece di iJovit (heone). In secondo luogo viene osservato da Socrate che il termine opposto a «pia­ cere», ossia À.U1tTJ (dolore) sembra derivare dalla òtaA.umç (dal dissolvimento) del corpo, che ad esso accade in tale na9oç (travaglio). Per approfondire questo testo occorre esaminare innanzitutto la prima eti­ mologia, analizzando i termini iJòovit (piacere) , iJovti (heone) , OVTJO"tç (vantag­ gio, utilità), ÒÉÀ'ta (delta) . Segnaliamo che il nome iJovti (piacere) ricorre nel Crati/o soltanto i n 4 1 9 B 5 nell'elenco dei nomi d a interpretare, insieme con «dolore» e «desiderio», oltre che in 419 B 8, come abbiamo visto, in connessione con l'azione tenden­ te al «vantaggio», e in 4 19 B 9 in correlazione con iJovti (heone)5 . In secondo luogo si osservi che il termine iJovit (heone) è presente nei testi platonici solo in Crati/o, 4 19 C l , in cui, come si è ricordato, viene abbinato a iJovti (piacere) mediante l' «espediente» dell'inserimento di ÒÉÀ'ta (delta), in modo da far derivare i}Bovit (piacere) da OVfiO"tç (vantaggio)6. Anche il sostantivo OVfiO"tç (vantaggio, utilità) introduce un utile tassello per l'interpretazione della presente etimologia nella prospettiva della dialetti­ ca di Movimento e Quiete. Esso viene infatti usato, oltre che in Crati/o, 4 19 B 8 a proposito dall'azione tendente al v (oppressione) Subito dopo Socrate tratta del termine ò0uv11 (afflizione), che pare deriva­ re dalla Evoumç (dal penetrare) della À.U7tll (del dolore). Quanto poi ad axOllorov (oppressione) è of)À.Ov (chiaro) che il nome raffigura la pesantezza della c�K>pà (del moto). Per approfondire questo passo è utile mettere a fuoco i termini òouv11 (affli­ zione, dolore) , Evoumç (penetrare) , àxe11ov (oppressione, peso), f3apoç (pesantezza, potenza). Consideriamo innanzitutto che il termine òouv11 (afflizione, dolore) compa­ re solo Crati/o, 419 C 5 nella spiegazione della derivazione di esso dal «pene­ trare del dolore»3 1 , Anche il termine Evoumç (penetrare) occorre nei testi platonici soltanto in Crati/o, 419 C 5, con la funzione di collegare l'etimologia di ÒOUVll (afflizione) con quella precedente di À.U1tll (dolore)32. Pertanto, nella spiegazione di òouv11 (afflizione) , quale Evoucrtç (penetrare) della À.U7tll (del dolore) che, come si è visto sopra, riguarda il dissolversi del corpo, viene di nuovo implicato il movimento dissolvente. In secondo luogo segnaliamo che il termine àxOfiOv (oppressione, peso), considerato da Platone «facile», pare mettere in evidenza il tendere della cpopà (del moto), rallentato dal peso, ostacolato, in cui la mescolanza non è ben riuscita. In entrambi i casi pertanto, sia per ÒÒUV11 (afflizione) , sia per àx9TJòo'>v (oppressione, peso), sembra emergere una considerazione del moto, degli esse­ ri e dell'anima, implicante ostacoli, impedimenti, difficoltà, non come mesco­ lanza ordinata di Movimento e di Quiete. d) xapà (letizia) A questo punto vengono elencati alcuni termini aventi significato opposto rispetto agli ultimi esaminati. Socrate osserva che xapà (letizia) pare esser denominato così per la òuxxu­ cnç (diffusione) e la E'Ùnopia (facilità) della poti (del fluire) nell'anima. Ricordiamo innanzitutto che il termine xapà (letizia, gioia) occorre nel Crati/o in 4 1 9 C 7 in relazione all'effusione e alla «facilità» del «fluire» nell'ani­ ma, che stiamo qui considerandoJ4. È poi da segnalare che il termine òtàxucrtç (diffusione, effusione, straripa­ re) compare negli scritti platonici soltanto in Crati/o, 4 19 C 8 a proposito della diffusione e «facilità» del «fluire»35. Un altro termine fondamentale per la presente etimologia è E'Ùnopia (faci­ lità): esso viene utilizzato nel Crati/o, come abbiamo visto sopra, oltre che in 4 1 9 C 8 in riferimento al nesso fra povlJcrtç (sag­ gezza) , il termine cpopa (moto) nel Cratilo esprime il divenire227 , il «tendere» conoscitivo228, il bene come oggetto del «movimento» che ne impedisce l'arre­ sto229, l'ostacolo del «moto>�3o, il nesso fra nomi e «movimento>�H. Sottolineiamo che se in 42 1 B 2 il nome «verità» viene connesso con il movimento divino dell'essere, in 42 1 B 4 viene aggiunto che la «menzogna» è il contrario della cpopa (del movimento)232. L'etimologia di à).i)Seta (verità) , dopo quella di nome, apre alla considera­ zione di due coppie fondamentali di termini contrari, inerenti alla gnoseologia e all' ontologia, ossia �45 . Si noti che il verbo itcruxaçetv (stare in quiete) occorre nel Cratilo, solo in 42 1 B 5 a proposito del biasimo di cui è oggetto ciò che viene impedito e costretto a «stare in quiete», paragonato a coloro che dormono246 , Anche il verbo Ka8euoetv (dormire) si trova soltanto in Cratilo, 42 1 B 6 per esprimere l'ironico confronto fra ciò che viene impedito e costretto a stare in quiete e «coloro che dormono>�47. Inoltre la lettera \jiEt (psei) compare in Cratilo, 42 1 B 6, che collega \jiEOOoç (menzogna) con l'immagine di uomini Ka8euoovtEç (dormienti) , mediante l'addizione dello \jiEt (psei) che É1ttKpU1t'tEt (nasconde) ciò che il nome inten­ de dire. Infine, in 427 A 2 questa lettera viene connessa insieme con altre al moto e al soffiare248 , Come abbiamo visto a proposito di opa (un moto) divina, a un Movimento positivo, compiu­ to, finalizzato all'oggetto, mediante il nome 'I'EUOoç (menzogna) , che esprime 'tOÙvavtiov 'tfl ci>OPQ (il contrario del movimento), viene evidenziato «per con­ trasto» dal punto di vista dell'essere e della conoscenza, ciò che ostacola, ciò che arresta il Moto, costringendo a una Stasi assoluta. Lo stato di «Quiete», l'impedimento del Movimento viene fatto ironica­ mente corrispondere al «dormire», come emerge nell'associazione fra 'I'EUOoç (menzogna) e Ka8Euoov'tEç (dormienti), con la trasformazione della lettera 'l'Et (psei) . Questo stato però, se considerato in connessione con la visione «in sogno» delle Idee da parte di Socrate nel finale del Crati/o, sembra indicare velatamente che il «falso» consiste principalmente nel non cogliere adeguata­ mente la dialettica fra Movimento e Quiete nelle sue articolazioni nei vari livel­ li dell'intero, sensibile e soprasensibile. La questione della correttezza dei nomi in relazione al Movimento implica per ÒÀ.t;8Eta (verità) e 'I'Euooç (menzogna) la trattazione di problematiche gnoseologiche, antologiche, antropologiche, che richiedono un'analisi della dialettica di Movimento e Quiete fino al suo fondamento ultimo. d) ov (essere) e oÙK ov (non-essere) Infine Socrate spiega che l'ov (essere) e l'oùcria (essenza) concordano con l'àÀ.TJ8Éç (il vero) quando introducono ioha (iota): difatti significano iov (ciò che si muove). Invece 'tÒ oÙK ov (il non-essere) , a sua volta, esprime 'tÒ oÙK iov (ciò che non si muove), come viene denominato da alcuni. Per comprendere questi fondamentali concetti è opportuno considerare l'uso di diversi termini, vale a dire ov (essere) , oÙK ov (non-essere), i�59, all'imparare gli «esseri»260, al modo di imparare «le cose» cui si riferisce Cratilo oppure a uno migliore261 , agli Eraclitei, per i quali tutti gli «esseri» divengono e nulla permane262, all'attraversare l'«essere>�63, a ciò che «vi è» di più veloce nell' «essere>�64, all'ostacolare ciò che penetra l' «essere>� 65,

l NOMI PIÙ IMPORTANTI E PIÙ BELLI

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all'ostacolare il fluire paragonato alla lotta nell' «essere>�66, al trattenere gli «esseri» dal fluire, oggetto di biasimo267. Esso viene poi considerato in relazione alla verità degli «esseri>�6s, al discorso vero che dice gli «esseri» come sono e al discorso falso, che li dice come non sono269, al dire con il discorso sia «ciò che è» sia ciò che non è270 , alla possibilità di non dire «ciò che è>�7 1 , alle azioni come una determinata spe­ cie di «esseri>�72, a ciò che continua a «essere» lo stesso nel variare di elemen­ ti273 , a ciò che risulta molteplice, pur «essendo» uno274. Nel passo che stiamo qui analizzando, in 42 1 A 2 'tÒ ov (l'essere) viene elen­ cato fra i termini «più importanti e belli», in 42 1 A 8 viene stabilita la connes­ sione fra «nome» ed «essere» su cui si indaga, in 42 1 A 10 viene evidenziato il nesso fra «nominabile» ed «essere» su cui si ricerca, in 42 1 B 2 viene associa­ ta a «verità» l'espressione «divino movimento dell'essere», in 42 1 B 7 viene sottolineato che l' «essere» e l'essenza concordano con la verità quando inseri­ scono la lettera Ìm'ta (iota) , mentre in 42 1 C l viene osservato che 'tÒ oÙK ov (il non-essere) esprime secondo alcuni 'tÒ oÙK i.ov (ciò che non va)275. In secondo luogo ricordiamo che la lettera i.m'ta (iota), come si è visto sopra, viene utilizzata da Platone nel «gioco» della trasformazione di diversi nomi, quali Teofilo276, Atena277 , «scienza>�78, «essere» ed «essenza>�79, per richiamare l'uso degli «antichi>�so e delle «donne»28 t . Di grande rilievo è il nesso fra questa lettera e il verbo iévat (andare), sia perché im'ta (iota), viene collegato a tutto ciò che leggero e può «passare» attraverso ogni cosa282 , sia perché l'azione dello i.évm (dell'andare) e dello 'ieo9at (slanciarsi) risulta imitata da Ìm'ta (iota) e da altre lettere. Al contrario, nell'etimologia di «scienza>�83 la lettera i.ffi'ta (iota) viene connessa all'«arre­ sto» del moto. Da segnalare è l'importantissima osservazione di Crati/o, 4 19 A 2 riguar­ dante tò Oéov (ciò che è doveroso, ciò che lega) , in cui si afferma che il nome «antico», la cui attribuzione è probabilmente molto più corretta di quella attuale, concorda perfettamente con i nomi del Bene precedentemente citati, se all'el (ei) si sostituisce i.rota (iota), come nell'uso «antico». lvi emerge la coppia Oéov (ciò che è doveroso, ciò che lega) - ùt'i 6v (ciò che attraversa) , otte­ nuta mediante la trasformazione con la lettera irota (iota). Come si vede, questa lettera viene particolarmente utilizzata da Platone nella trattazione del problema del movimento, della potenza che attraversa tutte le cose, le lega o le fa arrestare284. Si deve inoltre esaminare l'uso di 'tÒ i.ov (ciò che si muove) nel Crati/o. Esso riguarda l' «andare» sempre di corsa degli astri285, il girare sempre del sole nel suo «andare>� 86 , ciò che «penetra» tutte le cose287, l' «andare» delle cose288, ciò che «si muove» male289, il «mobilismo» universale290 , ciò che «si muove», connesso a ciò che scorre e che lega29 1 , In particolare, nel testo che stiamo qui esaminando , in 42 1 B 8 Socrate afferma che l' «essere» e l' «essenza» concordano con la verità quando inseri-

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scono la lettera i&-ta (iota) , perché indicano 'tÒ i6v (ciò che si muove) , mentre in 42 1 C 2 aggiunge che 'tÒ oÙK ov (il non-essere) può esprimere in base alla denominazione di alcuni 'tÒ oÙK i6v (ciò che non va). Vediamo allora più analiticamente la mappa delle occorrenze del termine 'tÒ i.6v (ciò che si muove), su cui si incentra la spiegazione di «essere» e épetv (ricondurre) ad altri nomi. Si noti che il filosofo, nel precisare che bisogna «smettere» nella ricerca degli O"'tOtX,eia (elementi) quando si è arrivati all'elemento che non è più com­ posto da altri, presenta come esempio àya86v (Bene). A questo punto Socrate chiede se anche i nomi su cui viene interrogato, 'tÒ i.òv (ciò che si muove), 'tÒ péov (ciò che scorre) e 'tÒ oouv (ciò che lega), appe­ na citati in 42 1 C 4-5 , siano cr'tot:x,eia (elementi) , e se si debba esaminare aÀ.À.

a (alpha) e �flta (beta) a ciascuno degli «elementi», 433 A l ai nomi degli «elementi», 434 A 4 agli «elementi» a partire da cui vengono composti i «primi» nomi, 433 B 7 alle «lettere» che costituiscono i nomis. Rileviamo inol-

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tre che la significativa espressione 'tÒ péov (ciò che scorre) appare nel Crati/o sia a proposito del nesso fra attribuzione dei nomi e fluire universale9, sia per il flusso senza impedimentit O , sia come «primo» nomell. In Crati/o, 411 C 9 difatti riguarda i nomi attribuiti alle cose come se «scor­ ressero», in 4 15 D 3 l'etimologia di �4 e che, essendo un'Idea del «Bene», sembra essere oeaJ.loç (vincolo) e ostacolo al moto35, Sono poi estremamente importanti sia il collegamento di àya9ov (bene) con ot'iov (ciò che attraversa) , che esprime il «Bene» ed è oggetto di elogio, piuttosto che con Oéov (ciò che è doveroso, ciò che lega)36, sia la serie di nomi Oéov (ciò che è doveroso, ciò che lega), còc!>éÀtJ.l.OV (utile) , À'UatteÀouv (giove­ vole), KepoaÀÉov (vantaggioso), àya9ov (buono, bene), auJ.lcjlÉpov (convenien­ te), efutopov (facile) , che sembrano avere lo stesso significato, dal momento che indicano ciò che ordina e va dappertutto37. Infine sono da citare sia la correlazione di àyaeov (Bene) con àyaatov (ammirevole) e con eoov (veloce)38, sia quella tra conoscente, conosciuto, Bello, «Bene», esseri e negazione della poi} (del flusso) di tutto39. Dall'etimologia del nome àyaeov (Bene) , inteso come composto da àya­ atov (ammirevole) e da eoov (veloce) , emerge pertanto una stretta connessio­ ne fra Bene e Movimento, considerato a sua volta in correlazione con l' oppo­ sizione veloce-lento. Nella trattazione della riduzione agli elementi «primi» avviata in questo paragrafo si può notare fin dall'inizio l'emergere di termini assai significativi della dialettica fra Movimento e Quiete del Cratilo. Difatti nella ricerca degli «elementi» da una parte vengono messi in primo piano tò iov (ciò che si muove), tò péov (ciò che scorre), tò oouv (ciò che lega), insieme con espressioni indicanti il Movimento o l'arresto di esso, dall'altra

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viene addirittura citato l'aya96v (il Bene) , collegato al Movimento veloce e al risalire a ciò che è ultimativo. In effetti l'analisi del problema della correttezza dei nomi nella prospettiva del Movimento, posta in primo piano dagli Eraclitei, chiede di seguire il per­ corso della dialettica fino al fondamento. La problematica onomatologica implica strettamente quella ontologica, gnoseologica, assiologica e le comples­ se questioni pedagogiche e comunicative a esse inerenti. 2. La mimesi dei nomi (422 C - 424 A) Socrate afferma che una sola è la correttezza di ogni nome, sia primo sia ulti­ mo e che nessuno di essi si distingue dagli altri quanto all'essere nome. Egli ritie­ ne che anche Ermogene convenga su questo. Il filosofo osserva che la correttezza dei nomi dei quali si è appena trattato tende a essere tale da mostrare quale sia ciascuno degli esseri. Questo deve valere non meno nei «primi» nomi che negli ultimi, se sono veramente nomi. Ma gli ultimi, come sembra, avevano potuto rea­ lizzare questo attraverso i primi. Socrate domanda allora in quale modo i «Primi» nomi, che non ne presuppongono più altri, nella misura del possibile rendano manifesti gli esseri nel modo migliore, se devono essere nomi. Egli chiede a Ermogene che cosa risponderebbe al seguente quesito: se non avessimo né voce, né lingua, ma volessimo mostrard a vicenda le cose, non cercheremmo forse di indicar/e con le mani, con la testa e con il resto del corpo, come /anno i muti? Ermogene riconosce che non si potrebbe /are altrimenti. Socrate aggiunge che, se volessimo indicare ciò che sta in alto ed è leggero, imitando la natura della cosa, alzeremmo la mano verso il cieloj se invece intendessimo farlo per dò che sta in basso ed è pesante, la abbasseremmo verso terra. Se poi volessimo indicare un cavallo in corsa o qualche altro animale, cercheremmo di rendere i nostri corpi e le nostre figure il più possibile simili ai loro. Ottenuto facilmente il consenso di Ermogene alle proprie affermazioni, il conduttore del dialogo sottolinea che cosi vi sarebbe un 'indicazione di un oggetto del corpo, dato che il corpo, come sem­ bra, ha imitato quello che voleva mostrare. Tuttavia, poiché vogliamo esprimerci con la voce, con la lingua e con la bocca, probabilmente otterremo l'indicazione di ciascuna cosa che avviene mediante questi mezzi, quando grazie ad essi si rea­ lizza un'imitazione di qualsiasi cosa. Socrate aggiunge che allora, a quanto pare, un nome è un'imitazione per mezzo della voce di dò che viene imitato e colui che imita denomina per mezzo della voce ciò che imita. Anche in questo caso Ermogene assente. A questo punto Socrate precisa che, invece, non gli sembra propn"o che si sia detto bene. Di/atti, questo significherebbe che quelli che imita­ no le pecore, i galli e gli altri animali, denominano ciò che imitano. Anche a Ermogene non sembra che cosi vada bene e domanda quale tipo di imitazione sia il nome. Socrate risponde che il nome non è come quando imitiamo le cose con la musica, benché anche in questo caso le imitiamo con la voce. Inoltre, non denominiamo neanche quando imitiamo quello che la musica imita. Egli inten-

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de dire questo: ciascuna cosa ha suono e figura e molte hanno anche colore. Sembra quindi che non si eserciti l'arte onomastica quando si imitano queste pro­ prietà e nemmeno con queste imitazioni: in questo caso, infatt� si tratta di musi­ ca e di pittura. Il filosofo sottolinea che ciascuna cosa ha un'essenza, come ha anche colore e ciò di cui si è appena parlato. Egli domanda se innanzitutto il colo­ re stesso e la voce non abbiano ciascuno un'essenza, e così tutte le altre cose, che vengono considerate meritevoli della denominazione di essere. Socrate chiede subito dopo se, qualora si riuscisse a imitare l'essenza di ciascun oggetto con let­ tere e sillabe, non si mostri forse quello che ciascuna cosa è. Egli domanda inol­ tre quale nome si assegnerebbe a chi ha tale potere, come sono stati denominati musica e pittore i precedenti. Ermogene osserva allora che ciò che cerchiamo da tempo è proprio colui che assegna il nome.

Nel corso di questa importante discussione sui problemi della correttezza e della mimesi il tema dei «primi» nomi viene ampiamente esplicitato dal con­ duttore del dialogo40. Come vedremo, in questa parte viene portata a termine la discussione sulla correttezza per natura dei nomi, che Socrate sembra voler fondare mediante la dottrina dell'imitazione applicata ai «primi» nomi e ai loro derivati, grazie alla quale si giunge alla riduzione alle lettere-elementi. a) Correttezza per natura e mimesi Socrate afferma innanzitutto che una sola è la correttezza di ogni nome, sia «primo» sia «ultimo» e che nessuno di essi si differenzia dagli altri quanto all'essere nome. In ogni modo la correttezza dei nomi di cui si è parlato è tale da indicare quale sia ciascuno degli esseri. Questo deve valere tanto per i «primi» nomi quanto per gli «ultimi», se davvero sono nomi: ma gli ultimi hanno potuto rea­ lizzare questo attraverso i «primi». Socrate chiede in quale modo i «primi» nomi, che non ne presuppongono altri, rendano manifesti gli esseri nel modo migliore, se devono essere nomi. Nel caso non avessimo né voce, né lingua, volendo indicarci reciprocamente le cose, cercheremmo di mostrarle con le mani, con la testa e con il resto del corpo, come fanno i muti. Se poi volessimo indicare ciò che si trova in alto ed è leggero, imitando la natura della cosa alzeremmo la mano verso il cielo; se invece lo volessimo fare per ciò che sta in basso ed è pesante, la abbasserem­ mo verso terra. Se intendessimo riferirei a un cavallo in corsa o a qualche altro animale, cercheremmo di rendere il nostro corpo e la nostra figura il più pos­ sibile simile ad essi. Si noti che attraverso l'esempio del linguaggio gestuale di soggetti muti viene messa qui in evidenza la correlazione fra indicare e imitare. In questo modo si avrebbe un'indicazione di un oggetto del corpo, dato

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che il corpo ha imitato ciò che si intendeva richiamare. Dal momento che ci si esprime mediante la voce, la lingua e la bocca, probabilmente si ottiene l'indi­ cazione di ciò cui si fa riferimento con questi mezzi, realizzando attraverso di essi un'imitazione di qualsiasi cosa. La discussione sembra concludersi allora con l'osservazione che il nome è un'imitazione mediante la voce di quello che si imita e che colui che imita denomina attraverso la voce ciò che imita. A questo proposito invece Socrate afferma che non gli pare assolutamente che si sia detto bene, dato che ciò significherebbe che coloro che imitano le pecore, i galli e gli altri animali denominano quello che imitano. Anche Ermogene non pensa che quanto si è sostenuto vada bene e chiede quale tipo di imitazione sia il nome. Per approfondire questo passaggio occorre analizzare la dottrina dell'imi­ tazione sviluppata da Platone nel Crati/o, esaminando innanzitutto le occor­ renze di jlljll1crtç (imitazione) e jlljlEtcr8at (imitare) , oltre che quelle di ucrtatoç (ultimo) , ucrtepoç (posteriore, seguente) , concernenti la correlazione fra nomi «primi» e nomi «ultimi». Segnaliamo che il sostantivo jltjl11crtç (imitazione) nel nostro dialogo riguar­ da l' «imitazione» operata dal nome"l, il rapporto fra l' «imitazione» di musica e pittura e quella dell'arte onomastica42, }'«imitazione» dell'essenza per mezzo di numeri e lettere43, l' «imitazione» da parte di lettere44. Questo termine, infatti, occorre in Crati/o, 423 C 9 nella domanda di Ermogene a Socrate sul nome come «imitazione», in 423 D 8 nella distinzione fra arte onomastica e «imitazioni» di suoni e colori da parte di musica e pittu­ ra, in 424 B 9 sull' «imitazione» dell'essenza per mezzo di numeri e lettere, in 427 B l per il nesso fra OÉÀ.ta (delta) e tau (tau) e l' «imitazione» del «legame» e della «quiete»45. È da considerare anche l'uso del verbo J.U�u::'icrOat (imitare), che nel Crati/o esprime l'imitazione delle cose da parte del nome4 6 , l'imitazione di lettere47, l'imitazione dell'essenza48, l'imitazione della musica e della pittura49, l'imita­ zione per mezzo di gesti, con il corpo5o, problemi nel rapporto fra denomina­ re e imitare5 1 , e infine la distinzione fra arte onomastica e imitare52. Tale verbo compare innanzitutto in Crati/o, 414 B l in cui si sottolinea che OaÀÀ.etv (fiorire) sembra rappresentare la cresci ta dei giovani: esso viene «imi­ tato» con il nome, composto da Se'iv (correre) e aÀ.À.EcrOat (saltare). (Si noti a questo punto l'osservazione di Socrate che si lascia trascinare «fuori percorso» mentre si trova su una strada piana). Successivamente, in 423 A 2 si segnala che per indicare ciò che sta in alto ed è leggero si dovrebbe alzare la mano verso l'alto, «imitando» la natura stessa della cosa, in 423 B l si precisa che così il corpo «imita» quello che vuole mostrare, in 423 B 10 e B 1 1 si osserva che il nome sembra essere un'imitazione per mezzo della voce di ciò che viene «imitato», e che colui che «imita» denomina per mezzo della voce ciò che «imita». Subito dopo, in 423 C 4 e C 6 Socrate corregge quello che ha affer­ mato, sottolineando che si sarebbe costretti a convenire che quelli che «imita-

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no» gli animali denominano quello che «imitano», mentre in 423 D l e D 2 il filosofo parla dell' «imitare» con la musica le cose, che vengono «imitate» dalla voce, in 423 D 3 dell'«imitare>> quello che la musica «imita», in 423 D 7 della distinzione fra arte onomastica e «imitare». Inoltre, in 423 E 7 si tratta dell' «imitare» l'essenza, in 424 B 8 del modo di distinguere ciò a partire da cui l'imitatore incomincia a «imitare», in 426 D 7 dell' «imitare» mediante la lette­ ra pro (rho) il moto, in 427 A 3 dell' «imitare» e denominare mediante lettere spiranti «freddo», «bollente», «scuotimento», in 427 A 6 dell' «imitare» ciò che soffia, in 434 B 2 degli oggetti che l'arte del disegno «imita>>53. Richiamiamo poi che l'aggettivo UC:J'tatoç (ultimo) si trova nel Crati/o solo in 422 C 8, in cui, come abbiamo visto, Platone osserva che una sola è la cor­ rettezza del nome, sia «primo» sia «ultimo>>'4. Più frequente è ootepoç (posteriore, seguente), che nel Crati/o esprime soprattutto il rapporto fra i «primi» nomi e gli «ultimi>>'', in connessione anche con l'accenno al «gioco», al «sotterfugio»56. Esso ricorre in 3 84 D 4 a proposito del convenzionalismo, per cui l' «ulti­ mo» nome assegnato non è meno corretto del «primo», in 422 D 6 riguardo a una proprietà presente sia nei «primi» nomi sia negli «ultimi», in 422 D 8 per una proprietà che gli «ultimi» nomi realizzano attraverso i «primi», in 425 B 2 nella domanda se i «primi» nomi e quelli «successivi» siano attribuiti in modo conveniente oppure non lo siano. Successivamente, in 426 A 5 , subito dopo l'accenno ai «sotterfugi» per non rendere conto dei «primi» nomi, si osserva che chi non conosce la correttezza dei «primi» nomi non può comprendere quella dei «derivati», in 426 B 2 si conclude che chi afferma di essere competente riguardo ai nomi «posteriori» deve riuscire a dimostrare di esserlo nel modo più completo e chiaro a propo­ sito dei «primi» nomi, oppure convincersi che dirà delle sciocchezze riguardo agli «ultimi>>'7. Si ricordi che per Platone l'imitazione comporta, da un punto di vista onta­ logico e gnoseologico, un allontanamento dal «paradigma» a cui si correla: in tale quadro la presentazione nel Crati/o del rapporto fra nome e cosa in chia­ ve imitativa implica i limiti e i valori insiti nel rapporto modello-copia. L'associazione della questione dei «primi» nomi alla dottrina dell' «imita­ zione» avrà perciò come conseguenza che anche quest'ultimo tratto dell'anali­ si della correttezza per natura del nome apparirà destinato allo «scacco» nella discussione con Socrate. Per questo da subito, in Crati/o, 423 C 1-2 a proposito del nome come imi­ tazione Socrate osserva che non gli sembra proprio che si sia detto bene, per­ ché questo significherebbe che coloro che imitano le pecore, i galli e gli altri animali, denominino ciò che imitano. Si noti anche che in tale contesto Platone distingue l'imitazione onomatopeica dei suoni degli animali dall'azione del denominare. Si deve infine mettere in evidenza che accenni di carattere «drammaturgi-

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co», quali improvvise correzioni di ciò si è detto, inviti a considerare critica­ mente la discussione e a «stare in guardia», ammissioni della propria «ignoran­ za», compaiono ripetutamente nel corso di questa trattazione, come abbiamo già visto e come segnaleremo di volta in volta58. b) Arte onomastica, musica, pittura e imitazione dell'essenza A Socrate, al quale non pare di aver detto bene, perché questo nesso fra imitazione e denominazione implicherebbe che quelli che imitano gli animali denominino ciò che imitano, Ermogene domanda che tipo di imitazione sia il nome. li filosofo osserva in primo luogo che la questione del nome non è come quando imitiamo le cose per mezzo della musica, benché le imitiamo con la voce, e in secondo luogo che non denominiamo neppure quando cerchiamo di imitare ciò che la musica imita. Ogni cosa ha suono e figura e molte hanno anche colore; pare proprio che non si pratichi l'arte onomastica quando si imi­ tano tali proprietà e neanche con queste imitazioni, dato che si tratta di musi­ ca e di pittura. Egli precisa inoltre che ogni cosa ha un'essenza, come ha anche colore e altre proprietà, e chiede se il colore stesso e la voce non abbiano ciascuno un'essenza, e così tutte le altre cose, che vengono giudicate meritevoli della denominazione di essere. Socrate domanda a questo punto se, nel caso in cui si riesca a imitare l'es­ senza di ciascun oggetto con lettere e sillabe, non si mostri in questo modo quello che ciascuna cosa è. Egli vuole sapere anche quale nome verrebbe attri­ buito a colui che ha questo potere, come ai precedenti sono stati assegnati quello di musica e di pittore. Ermogene sottolinea che questo è ciò che 1taA.at çT)tou�v (cerchiamo da tempo): colui che stabilisce il nome. Per comprendere più a fondo questo passo conviene esaminare l'uso nel Crati/o di diversi termini in esso presenti: JlOUcrtK6ç (musico) , ÒVOJlacrnK6ç (onomastico) , ypacj)tK6ç (pittorico, grafico), oùcria (essenza). Come abbiamo già spiegato nell'analisi del nome di Apollo, il termine JlOU­ O'tK6ç (musica) viene utilizzato nel Crati/o sia in riferimento ai poteri di Apollo59, sia in relazione alle Muse, in connessione con la ricerca e la filoso­ fia60 , sia a proposito dell'imitare mediante la «musica»6I. Esso è presente, in Crati/o, 405 A 3 nell'elenco dei quattro poteri del dio, in 405 A 6 con l'osservazione che il dio è rovijevta (vocali) si trova nell'esemplifica­ zione su Limite, 111imite e numero mediante le lettere dell'alfabeto e le note musicali in Filebo, 18 B 8, in cui Socrate afferma che un «qualche dio» o «uomo divino» come Theuth ha compreso per primo che nella illimitatezza della voce non c'è una sola «vocale», ma parecchie, e che vi sono altri elemen­ ti che partecipano di una qualche sonorità, di cui vi è un numero determinato. In terzo luogo egli ha distinto una terza specie di lettere, denominate mute. Subito dopo, in 18 C 4 Socrate aggiunge che l'uomo divino ha distinto ad una ad una le lettere che non hanno né sonorità né voce, le >, se ha qualcosa di meglio, in 432 D 1 1 il richiamo a Cratilo di ammettere «con coraggio» che un nome è attribuito bene, l'altro non lo è 1 34. Dall'analisi lessicale del Cratilo emerge pertanto la valenza ironica delle espressioni «avere qualcosa di meglio», «comunicare», «farsi coraggio» che contrassegnano questo passo.

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Si deve in sintesi rilevare che anche in questo inciso, che schiude un'am­ plissima ripresa del «gioco» etimologico e diairetico, gli accenni allusivi di Platone si fanno insistenti. Socrate dichiara in particolare che le sue impressioni sui «primi» nomi gli paiono u�ptotucét (temerarie) e YEAota (ridicole): si ricordi in Crati/o, 425 D l l'accenno al «ridicolo» e in 426 B 2 quello al «dire sciocchezze». ll filosofo da un lato si dice disponibile a rendere Ermogene partecipe delle sue impressioni sui «primi» nomi, mentre dall'altro gli chiede ironicamente, qualora avesse un «sapere migliore», di comunicarglielo. Per parte sua, Ermogene, dopo essersi dichiarato pronto a questo, invita l'interlocutore a «farsi coraggio» e a parlare. b) Riduzione dei nomi agli elementi Incomincia a questo punto una nuova serie di analisi etimologiche e riferi­ menti a lettere, associati alla riduzione agli elementi, al richiamo all' «espedien­ te», agli «stranieri», agli «antichi», al «ridicolo», in cui culmina la ricerca sui nomi in riferimento a Movimento e Quiete. Per prima emerge l'etimologia di KiVfl&ç (in modo così oscuro) ÉKÒlV lì aKrov (volutamente oppure no) . Adesso pertanto l'Eracliteo, davanti a Socrate, deve spiegare se lo soddisfi ciò che quest'ultimo ha detto sui nomi, o se EXEt 1t1J &U:n KaÀ.À.tov À.Éyetv (abbia qualcosa di meglio da dire in un altro modo) . In tale caso egli dovrà esporre questo ad entrambi, mentre in quello contrario dovrà accettare di imparare da Socrate stesso. A questo punto Cratilo interviene, chiedendo a Ermogene se gli sembri pQotov (facile) imparare e insegnare così taxu (in fretta) qualsiasi questione, per non parlare di una così grande, da sembrare opa (all'impulso) 237 , alla KtVT}crtç (al movimento) e alla O"KÀTIPO'tT}ç (durezza) , ed egli lo ammette. Si ricordi che in Crati/o, 426 C, nel trattare della riduzione agli elementi, Socrate aveva affermato che il pro (rho) gli sembrava strumento di ogni KiVllcrt;>257, a liscio e molle2's, al «contrario» della durezza259, alla lettera pro (rho)260, alla lettera cnyJ.la (sigma)26 1 , al raddoppiamento della lettera stessa per evitare un nome funesto262. Come si è spiegato nell'etimologia di Pan, l'aggettivo À.e'ioç (liscio, dolce) 26J viene riferito nel Crati/o all'opposizione fra la parte vera, «levigata» e divina e la parte falsa, ruvida e caprina del discorso e di Pan264, all'assenza di asprezza e alla mitezza e «dolcezza» che caratterizzano la dea Leto265, al lasciarsi trasci­ nare di Socrate al di fuori della strada «piana>;>266. Si deve rilevare soprattutto che esso emerge da un lato per lo scivolare della lingua sulla lettera À.aj30a

ANCHE AGGIUNGERE POCO AL POCO RIESCE UTILE

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(labda), da cui il legislatore per imitazione produsse i nomi Aria (cose leviga­ te), scivolare, unto, vischioso267, dall'altro per la somiglianza di Àa�oa (labda) al J..e'ìov (liscio) e al J.LaÀmcov (molle)268, Inoltre richiamiamo che l'aggettivo JlaÀmcoç (morbido, delicato) si trova in Crati/o, 434 C 4, in cui la lettera À�86. Si osservi che il nome ÒJloÀ.oyia (accordo) occorre nel Crati/o sia nel Prologo, in 3 84 D l per la tesi di Ermogene che non vi sia altra correttezza dei nomi che l' «accordo» e la convenzione, sia in 435 C l in riferimento all' am­ mettere che l' «accordo» e la convenzione abbiano potere riguardo alla corret­ tezza dei nomi287. Così pure il termine �eupoç (potenza, forza, potere), ricorre nel Crati/o solo in 435 C l nell'affermazione di Socrate sul «potere» dell'accordo e della con­ venzione288. Anche il sostantivo ÒÀ.ICtl (attrazione) si trova nel Crati/o solo in 435 C 4 nel­ l'importante osservazione sul pericolo che !'«attrazione» della somiglianza invischi289. Come è emerso trattando delle difficoltà della riduzione degli elementi, il

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ETIMOLOGIA E RWSORA

rilevante aggettivo yì..iaxpoç (glutinoso, vischioso)290 concerne nel Crati/o, da una parte uno dei termini con cui l'artefice ha imitato il YOJ.I.J.la (gamma)29 1 , e dall'altra il pericolo che l'attrazione della somiglianza sia «vischiosa», per cui risulta necessario utilizzare un mezzo «grossolano» come la convenzione per cogliere la correttezza dei nomi292 , Ricordiamo da ultimo che il termine +op·mcoç (pesante, grossolano)293 è presente in due passi del Crati/o molto indicativi. Innanzitutto, in Crati/o, 400 A 2 Socrate osserva che «quelli della cerchia di Eutifrone» disprezzerebbero e considererebbero «grossolana» la spiegazio­ ne del nome «anima» mediante «rinfrescare», «refrigerare» e perciò ne presen­ ta un'altra come «forza che porta e possiede la natura». Inoltre in 43 5 C 5 , che stiamo qui analizzando, Socrate mette in evidenza il pericolo che la somiglianza >'. In primo luogo esso appare in Crati/o, 3 88 B 10 a proposito del nome come strumento per «insegnarsi» qualcosa a vicenda e distinguere come sono le cose e in 3 9 1 C 3 nell'ironico invito di Socrate a Ermogene a farsi «insegnare» dal fratello Callia ciò che ha imparato da Protagora. All'inizio dell'intervento di Cratilo, in 427 E 4 Ermogene chiede all 'Era­ cliteo se abbia qualcosa di meglio da dire e da «insegnare» a lui e a Socrate. Subito dopo, in 427 E 6 Cratilo domanda a Ermogene se gli sembri facile imparare e «insegnare» in fretta tale questione, che è la «massima tra le massi­ me». Infine, in 43 5 D 4 all'inizio dell'ultima discussione, che stiamo qui ana­ lizzando, compare l'osservazione di Cratilo che i nomi «insegnano»6. Inoltre nella trattazione del nome come strumento per distinguere l'essen­ za si era visto che il termine OtOacrKaÀ.ia (insegnamento)7 ricorre nd Cratz1o, sia a proposito dei nomi assegnati a scopo di «insegnamento»s, sia nella domanda su quale sia il modo dell'«apprendimento» delle cose9. La problematica della somiglianza dei nomi alle cose viene sviluppata da Socrate in questa discussione conclusiva fino alle estreme conseguenze, che riguardano la possibilità o meno di ricavare dai nomi le cose stesse a motivo di tale somiglianza, e la figura del dialettico. Ricordiamo che appena primalo Socrate aveva messo in rilievo il pericolo che la somiglianza «invischi» e che non si debba piuttosto utilizzare il metodo «grossolano» della convenzione. Si noti che Socrate chiede esplicitamente di analizzare questo modo di «insegnamento» delle cose e di considerare se vi sia anche un altro metodol l. Invece per Cratilo non vi è assolutamente nessun altro metodo, toirtov OÈ KaÌ ).lOVOV KaÌ (3ÉÀ.'ttCJ'tOV (ma questo è l'unico e il migliore). n conduttore del dialogo domanda allora se anche la eupemç trov ovtrov (scoperta degli esseri) consista nel fatto che chi ha trovato i nomi ha colto anche gli oggetti, oppure se per çT)tEÌv (cercare) e per eupicrKEtv (trovare) serva un metodo diverso, mentre per ).laveavetv (imparare) sia necessario questo. Subito Cratilo ribatte

CONTARE I NOMI COME SE FOSSERO VOTI

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che Sfl'te'iv (cercare) ed eùpicncetv (trovare) richiedono proprio lo stesso meto­ do. TI fùosofo al contrario invita l'Eracliteo a badare che se uno nell'indagine sugli oggetti viene guidato dai nomi, cnco1trov (mentre esamina) quello che cia­ scuno di essi vuoi dire, où crJ.ltKpòc; Kivouvoc; Ècrnv èça1ta'tfl9iìvat (il pericolo di restare ingannati non è piccolo) . Per comprendere più a fondo questo passo occorre esaminare anche i ter­ mini eupecrtc; (scoperta), e'Ùpt�7 e di «ingannare» se stessi28, Tale termine ricorre infatti in Crati/o, 3 97 B 2 nell'osservazione che forse i nomi attribuiti agli eroi e agli uomini ci potrebbero «ingannare», perché molti sono stati stabiliti secondo la denominazione degli antenati. Dopo la trattazio­ ne della giustizia, in 4 1 3 D 7 Socrate dichiara che forse potrebbe riuscire a «ingannare» Ermogene anche a proposito di altri nomi. Successivamente, all'inizio della discussione con Cratilo, in 428 D 3 e D 5 , il filosofo esprime il desiderio di riesaminare daccapo ciò che afferma, perché «ingannare» se stes­ si per causa propria è la cosa peggiore che vi sia: sarebbe terribile avere un «ingannatore» che non si allontani nemmeno di poco da sé. Nelle considerazioni sulla possibilità di errore dell'artefice di nomi, in 436 B 3 si osserva che se uno viene guidato dall'esame dei nomi nell'indagine sugli oggetti, il pericolo di restare «ingannati» non è piccolo, in 436 B 1 1 si sottoli­ nea che se l'artefice che ha assegnato per primo i nomi non giudicava in modo corretto, a chi lo segue capiterà di essere «ingannato». Infine, nella Conclusione, in 439 C l Socrate invita a considerare il perico­ lo che tutti i nomi che tendono allo stesso significato non ci «ingannino>�9. Si rilevi che Socrate associa al problema del metodo nella «scoperta» degli esseri l'insistenza sul pericolo di restare ingannati, seguita dal riferimento al legislatore che ha prodotto i «primi» nomi. Viene qui sottolineato con particolare evidenza che se l'indagine sugli esse­ ri parte dall'esame dei nomi il rischio dell'inganno e dell'errore è molto gran­ de. Si apre così la domanda sul vero punto di partenza della ricerca, che costi­ tuisce l'oggetto della discussione conclusiva del Crati/o, fino alla presentazio­ ne della teoria delle Idee. Socrate osserva che è oflÀ.Ov (chiaro) che chi ha assegnato per «primo» i nomi, come riteneva fossero gli oggetti ha posto anche i nomi, in base a quel­ lo che si era precedentemente sostenuto3 0 , Se allora l'artefice non giudicava òp9roç (correttamente) , ma ha stabilito i nomi secondo questo giudizio, coloro che lo seguono resteranno ingannati. Ritorna così la questione del opa (movimento) viene utilizzato da Socrate sia in relazione al «conflitto» fra i nomi, che vengono ricondotti alla Quiete o al «Moto»98 e che non possono essere valutati in base alla maggioranza come se fossero voti, sia a proposito del Bello, del Bene e degli esseri, che non sono simili ad un flusso e a un «moto»99. E' poi importante rilevare che il nome ' HpaKÀ.Et'toc; (Eraclito)IOO nel corso del dialogo, dedicato a Cratilo, suo discepolo, ricorre sette volte, a proposito della dottrina del flusso universaleiOI , che viene collegata a una sapienza «anti­ ca», dei tempi di Crono e Real02, riferita a Oceano e Tetil 03, a Omerol04, a Esiodoi 05, a Orfeol06, D nome del filosofo di Efeso si trova infatti in 401 D 4 in relazione a un «secondo» nome di «essenza», dato da quelli che pensavano all'incirca come Eraclito che tutti gli esseri si muovano e niente permanga. Subito dopo, nel­ l'etimologia di Crono e di Rea, all'inizio dell'analisi dei nomi di dèi, in 402 A 4 Socrate osserva che gli sembra di vedere Eraclito parlare di «antiche», sapienti dottrine, addirittura del tempo di Crono e di Rea, che anche Omero riferisce, in 402 A 8 precisa che Eraclito afferma forse che tutto scorre e nulla permane e, paragonando gli esseri alla corrente di un fiume, sostiene che non ci si può immergere due volte nello stesso fiume. Nell'etimologia successiva, di Oceano e Teti, in 402 B l Socrate domanda a Ermogene se gli sembri che pensasse in modo diverso da Eraclito chi diede ai progenitori degli altri dèi il nome di Rea e Crono, attribuendo a entrambi i nomi di acque correnti. Così pure, in 402 C 3 egli ricorda le affermazioni di Omero, Esiodo e Orfeo su Oceano e Teti, che concordano tra di loro e si acco­ stano alla dottrina di Eraclito. Nella Conclusione, in 440 C 2 Socrate oppone alla tesi della permanenza degli esseri e delle Idee la dottrina che propugnano oi 1tEpl HpaKÀ.et'tov (quelli della cerchia di Eraclito) e molti altri, mentre in 440 E 2 Cratilo ribadi­ sce che quanto più indaga sull a questione tanto più gli sembra che essa stia come sostiene Eraclito. Aggiungiamo inoltre che il verbo È1tl'tpÉ1tElV (affidare, concedere) ricorre in Crati/o, 440 C 4 per il comportamento non assennato di chi, dopo aver «affi­ dato» se stesso in cura ai nomi , insista nel sostenere che tutto scorrel 07. Analogamente, il verbo Oepaxeuetv (servire, curare) occorre nel Crati/o solo in 440 C 5 per l'affidare se stessi e la propria anima «in cura» ai nomil 08, ·

IL CATARRO DEGLI ERACLITEI E IL SOGNO DI SOCRATE

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Così pure il verbo ouoxupiçecr8at (insistere) è presente in Cratilo, 440 C 6 a proposito dell'errore nell' «insistere» come se negli esseri non vi fosse nulla di «sano» ma tutto scorressel 09, Anche il verbo Jmtaytyvromcetv (disprezzare) ricorre in Cratilo, 440 C 7 riguardo a chi insiste, come se sapesse qualcosa, «disprezzando» se stesso e gli esseri e considerandoli sottoposti al mobilismo eracliteollD, Ulteriormente l'aggettivo iryuiç (sano) si trova in Cratilo, 440 C 7 nel biasi­ mo di coloro che disprezzano se stessi e gli esseri, come se in essi non vi fosse nulla di «sano», ma tutto fluissel l l . L'ironico sostantivo Kepaj.ltOV (vaso d'argilla) compare in Platone solo in Cratilo, 440 C 8 in riferimento a quelli che sostengono che tutto scorre, «simi­ le a vasi d'argilla»l l2, Ugualmente, il comico termine Katappooç (catarro, flusso) ricorre in Cratilo, 440 C 8 e D 2 nella critica ironica di quelli che credono che, come gli uomini malati di «catarro», anche gli esseri siano in preda allo scorrere e al Katappooç (catarro, flusso) l l3. L'importante avverbio àtexvffiç (semplicemente, senza arte, per incompe­ tenza) è presente in Cratilo, 3 95 E l a proposito della sospensione della pie­ tra sulla testa di Tantalo, che è «proprio» come se uno dicesse che è il più infe­ lice, in 3 96 A 2 per l'attribuzione «del tutto» conveniente del nome di Zeus, in 396 D 2 per il somigliare di Socrate «del tutto» agli uomini ispirati che si met­ tono a vaticinare. Infine, si trova in 402 A 5 a proposito di «antiche» dottrine, «addirittura» del tempo di Crono e di Rea, in 440 C 8 per il pensare «in modo incompetente» che gli esseri scorrano come gli uomini malati di catarrol 1 4. Come si è visto in riferimento a Oceano e Teti il nome peuj.la (acqua cor­ rente) occorre nel Cratilo sia in 402 B 4 a proposito del nesso fra Eraclito e colui che assegnò non casualmente ai progenitori degli dèi i nomi di Crono e di Rea, ossia di «acque correnti», sia in 440 D 2 nel paragone fra uomini mala­ ti di catarro ed esseri in preda allo «scorrere» e al catarro, al fluirel 15, In risposta al mobilismo radicale di Eraclito (qui nominato di nuovo espli­ citamente) e di Cratilo, il filosofo mette in evidenza il nesso inscindibile tra conoscenza e stabilità dell'oggetto, fra conoscere, Essere, Bello e Bene. Si noti­ no anche il richiamo ad un discernere «non facile», il nesso fra l'affidare l'ani­ ma «in cura ai nomi» e il «catarro» del mobilismo eracliteo, come anche la cor­ relazione fra il pensare àtexvffiç (non in modo competente) e l'essere «mala­ to», e infine il «disprezzo» di sé e quello degli esseri. Dopo queste significative considerazioni su conoscenza, movimento, dive­ nire e Idee, in cui sono state messe in particolare evidenza le aporie degli Eraditei, comicamente paragonati a uomini «malati» che gettano la realtà in preda al Katétppooç (catarro, flusso), come se non avesse