Del vero e del falso nel Sofista di Platone 8822254856, 9788822254856

Momenti di speculazione platonica su vero/falso. In "Cratilo" discorso correlato alla cosa di per sé. In "

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Italian Pages 190 [188] Year 2005

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Del vero e del falso nel Sofista di Platone
 8822254856, 9788822254856

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ACCADEMIA

TOSCANA «LA

DI

SCIENZE

E

LETTERE

COLOMBARIA»

«STUDI»

CCXXVII

ALFONSO DE PETRIS

DEL VERO E DEL FALSO NEL

SOFISTA DI PLATONE CON UN SAGGIO SUL CRATILO

FIRENZE

LEO

S. OLSCHKI MMV

EDITORE

ISBN 88 222 5485 6

Alla memoria cara dei miei genitori

PREMESSA

A questa ricerca o più propriamente analisi sulla tematica del vero e del falso nel Sofista di Platone, si è pervenuti, in un tentativo di scandaglio testuale a livello soggettivo ed in via unilaterale, in seguito ad un approfondimento su «Il vero e il falso nel Cratzlo di Platone», argomento del nostro intervento al «Convegno Internazionale di Arti Comparate IV: La Menzogna» (5-9 settembre 2001), tenutosi alla Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università degli Studi «G. d'Annunzio», a Pe-

scara. Il saggio, punto di partenza e nucleo originario dell’indagine, viene qui ripresentato in Appendice al volume. Si è potuto, e dovuto, correlare la trattazione sulla menzogna alla ben più ampia e comprensiva investiga-

zione sulla problematica del vero e del falso nel Sofista. Pressoché unanimemente, si concorda sull’innegabilità di uno stretto nesso connettivo e d’indiscussa concatenazione argomentativa, come an-

che di una chiara continuità concettuale, tra i due Dialoghi, specie in considerazione del ripercorso della speculazione filosofica del Fondatore dell’ Accademia che, in un certo qual senso, venne a ripensare il suo idea-

lismo. Laddove, tuttavia, nel Cratzlo si permane sul piano meramente logico attraverso una disamina glottologica delle parole in ambito formale, nel Sofista il passaggio alla dimensione ontologica è così inequivoco come irreversibile. Al logico del Cratilo, ancora «costretto» dalla pregiudiziale negazione parmenidea del non-essere in sé, non era dato prescindere dalla concezione del vero come corrispondente all’ente reale. Nel Sofista, proprio perché ha superato l’antinomia dell’essere e del non-essere, il

dialettico non ha più da confutare la menzogna e l’errore, dal momento che il falso non è più asserzione o designazione del non-essere, bensì è e sussiste «in qualche modo» in quanto partecipe del non-essere relativo. *

*

*

Il nostro studio prende l’avvio dalla seconda parte del Sofista (232b 3 ss.), là dove — ricapitolate le precedenti sei definizioni e rilevata la diffi-

coltà di una caratterizzazione appropriata del sofista quale egli è «in —_7—

PREMESSA

realtà» (231c: ὄντως) — ci si impegna a rendere l’immagine genuina e determinare la natura vera del «nostro personaggio».

A tratto peculiare ed elemento essenziale della sua «arte del disputare», si adduce il concetto portante di «parvenza». Di questa si enuncia la fondamentalità anche nella mimetica. È grazie al motivo centrale della

«parvenza» che ci si introduce nella tematica della menzogna come apparenza del reale, intento di dire il falso e fare apparire come vero ciò che vero non è. Sarà la disamina della vasta gamma degli «aspetti» della «parvenza», e della menzogna raffigurata nella sofistica, che aprirà la via a postulare e teorizzare il «non-essere relativo». Che su ogni cosa e argomento il sofista possa vantare solo un «sapere apparente» e una «conoscenza presunta» (233c: Δοξαστικήν [...] περὶ

πάντων ἐπιστήμην), «ma non la verità» (ἀλλ᾽ οὐκ ἀλήθειαν), è il Filosofo stesso a denunciarlo per bocca dell’«Ospite» che viene da Elea. Non sorprende che, in una simile ottica, il Platone degli ultimi anni da un canto designi la tecnica sofistica di sedicenti e ingannevoli maestri con il termine «scherzo» (234a: παιδιάν), e dall’altro presenti l’arte dell’imitazione come la «specie» di scherzo «più artistica e più aggraziata» (234b:

Παιδιᾶς [...] χαριέστερον εἶδος). Nel richiamo alla relazione tra il «gioco» della sofistica e quello della mimesi, si viene già ad includere il sofista nella categoria estesissima dell’arte dell’imitazione. Lo si definisce un «imitatore delle cose reali» (2354: μιμητὴς ὧν τῶν ὄντων), uno della

«schiatta degli incantatori» o del «genere dei prestidigitatori» (235b: τοῦ γένους [...] τοῦ τῶν Θαυματοποιῶν τις εἷς). Una tale determinazione viene motivata. Suddivisa, infatti, la mimetica nell’arte del «copiare» (235d: einaotınnv [...] τέχνην) ed in quella delle «parvenze» (236c: τέχνην [...] φανταστικήν), si sostiene che — attraverso questa seconda tecnica della «apparenza» — il sofista-mimeta non «riproduce» l’originale, né ciò che

ne costituisce la «copia» prima, ma solo quello che — come in una «seconda rappresentazione» — «pare» (236b: φαίνεται) sia già la «copia» (φάντασμα) di una previa imitazione dell’ente e delle cose vere. Il sofista e l’artista antepongono il credibile ed il fruibile nel loro imitare. L’epistemologo ricerca la verità nel suo speculare. Collocato tra gli esponenti dell’«arte delle immagini» (236c: τῆς εἰδωλοποιικῆς), nella tipologia del «pa-

rere», il sofista sfugge ad un’investigazione adeguata ed esaustiva. Non risulta agevole rintracciarne le particolarità, delinearne le sembianze in un’indagine filosofica che resti immobilizzata nei termini segnalati e nell'impostazione data. - 8_

PREMESSA

La causa prima dell’impatto viene individuata nella negazione giä parmenidea del non-essere. Una soluzione — questa & l’innovazione pla-

tonica! — è da ravvisare nell’eventualitä di un rapporto tra «parere» e non-essere. Nell’intreccio o nesso di partecipazione tra «questo parere e questo sembrare senza essere» e il «dire qualcosa ma non il vero», Pla-

tone individua la possibilità del falso e del mendacio. Ne addita l’esistere nell’atto del «dirlo» o «immaginarlo» presupposizione che il non-essere sia sto discorso ha osato supporre che modo il falso non sarebbe possibile» *

*

(236e). Ne segnala la ragione nella (237a: τὸ un dv εἶναι). Invero, «queil “non-essere” sia, poiché in altro (2374). *

Che il non-essere sia anche inoppugnabile, si è cercato di delucidare ed illustrare nel Capitolo 2. Grazie alla rilettura e riconsiderazione di al-

cuni passi del Dialogo, si è posto in rilievo lo sradicamento totale del parmenidismo riproposto nell’assioma del Filosofo di Elea «Non costringer giammai ad essere il non-essere». Si pone l’enfasi sulla necessità di un passaggio dal piano logico a quello ontologico, alla ricerca di una dialettica che sia risolutiva delle aporie inerenti a un metodo diairetico circoscritto ad un ambito meramente formale. Si propugna una forma di ricerca che sia rivolta all’essere e che, nell’«altro», sia comprensivo del non-essere relativo che è proprio di quel mondo della parvenza e dell’esteriorità feno-

menica a cui è da ricondurre la tecnica — e la natura stessa — dei sofisti. Della dimostrazione dell’essere del non-essere relativo si sono tratteggiate alcune delle fasi salienti dei passaggi centrali. Un interesse spe-

ciale si è riservato alla valenza del termine «immagine», con riferimento specifico al fattore di unicità che, nelle diverse appellazioni, indica l’elemento comune alle proprietà L’«immagine o copia», poi, in «in qualche modo»; partecipa senzialmente». È stato anche

che si predicano per mezzo della parola. quanto è somigliante, è da ritenersi un ente con l’essere «effettivamente», pur non «esipotizzato che, nell’accostare il non-essere

all’essere, l’Ateniese abbia forse inteso suggerire che — ben oltre la fallacia della mimesi, l’illusorietà della parvenza e l’insidiosità capziosa della sofistica — possa prospettarsi una qual certa similarità con un «primo originale» (Turolla, p. 745). Si è nondimeno insistito sull’innegabilità dell’errore e della menzogna quale caposaldo teorico della postulazione del non-essere, come parimenti sull’affermazione del non-essere dell’opi-

nione errata o falsa (su una salda base ontologica attraverso il rinvio all’«altro» dall'essere), e anche sull’univocità del modo in cui un ragionamento sarà da valutare «falso oppure errato».

_9_

PREMESSA

A regolare lo svolgimento coerente dei ragionamenti e a stabilire la norma per «chi voglia indicare con giustezza» (253b) i gradi e i modi della «possibilitä di mescolanza dei generi» & preposto il dialettico nell’ambito della «scienza della comunione della specie» (253c-254b). Nella tipizzazione di colui che «divide per generi» e «discerne» «l’estendersi» di un’idea a «molte cose» — «con purezza e giustizia di intendimenti» e in un procedimento diairetico che non è più di esclusivo ordine logico-formale — si staglia la figura del dialettico. Netta se ne evince la contrapposizione del filosofo al sofista. L’uno, nella sua attività noetica, persegue la conoscenza delle realtà più alte, proteso ad indagare sull’«idea dell’essere». L’altro, sedicente paladino del vero nel suo discorso, di fatto è artefice di finzioni e simulazioni, procacciatore di falso e appariscente. Irretito nell’incantata ma inestricabile selva della menzogna, egli sfugge e si immerge «nell’oscuritä del non-essere» (254a: εἰς τὴν τοῦ μὴ ὄντος σκχοτεινότητα).

I sofisti negano che il non-essere è. Al tempo medesimo, provano il contrario: che esso «in qualche senso è». L’aporia spicca nel loro contraddittorio e ingannevole argomentare. Pur escludendolo sul piano teorico, nella prassi e nel corso dei loro ragionamenti e discorsi che sono

falsi, e mai veridici, i sofisti manifestano che il falso — e con questo il nonessere — di fatto è. *

*

x*

Nel Capitolo 3 si mira a chiarire come — una volta superata la difficoltà intrinseca al πρόβλημα se il non-essere potesse essere, mediante la

soluzione del τὸ un ὄν ὡς ἔστι -- Platone viene a confermare che il falso è proprio perché si presenta come non-essere e, d’altronde, è da correlare

all’opinione e al discorso in generale. Data l’importanza capitale della filosofia, della quale si proclama il primato, e posto che il ragionamento e la parola ne costituiscono gli elementi primi, in una visione organicistica si ammonisce a non isolare la parte dal tutto e a non scorporare «ciascuna posizione» dall’insieme, sì da non distruggere il ragionamento e annientare la parola. Acciocché non si arrechi un «danno irreparabile» - allor-

ché, privati della filosofia, si divenga impossibilitati ad «esprimere ragione su qualsiasi cosa» —, si sollecita a definire cosa sia mai il ragionamento (260a: λόγον [...] ti ποτ᾽ ἔστιν), che — si fa osservare — è «uno dei generi» dell’essere e pertanto partecipa della «mistione» di una «qualunque cosa con l’altra». Acquisita la cognizione dell’inoppugnabilità del non-essere relativo, Platone estende questo concetto al Aöyog umano. Sostiene da un lato la

— 10--

PREMESSA

necessitä che il falso sia in quanto esso € non-essere, e dall’altro la possibilità che l’errore e il falso intervengano nell’opinione e nel ragiona-

mento. In conformità alla teoria della «comunione della specie», il nonessere — «un genere tra gli altri generi» «con una sua particolare fisionomia fra i tanti generi» — è «disseminato» e «sparso» (260b: διεσπαρμένον) per tutti gli esseri (κατὰ πάντα tà ὄντα). Fulcro teorico — e asse portante della trattazione — è che, sulla base di una tale premessa, è da accertare se sia possibile predicare il non-essere anche a proposito dell’esercizio ver-

bale e della prassi formale dei sofisti, sia cioè «commisto» a «opinione» e «ragionamento» (ei δόξῃ te καὶ λόγῳ μείγνυται). Nel Dialogo si precisa che: 1) se non si desse mescolanza tra non-essere e discorso / opinione, di conseguenza tutto sarebbe vero; 2) se, al contrario, c'è «commistione», opinione e ragionamento diventano falsi, si produce «opinione errata» o «errata parola»:

μειγνυμένου

dé δόξα te

ψευδὴς γίγνεται καὶ λόγος (260c). A «far nascere» il falso è l’opinare e il

dire ciò che non è, il non-essere. Concessi poi il rischio e la presenza dell'inganno, ne deriva che «tutto sia pieno di parvenze» e simulacri. I sofisti

rifiutano l’esistenza di quest’«arte di produrre» immagini o raffigurazioni — e che si diceva essere loro propria —. Respingendo qualsiasi forma di «partecipazione» e «comunanza» (260e: κοινωνίας) dell'opinione e del ragionamento con il non-essere, essi asseriscono l’impossibilità del falso nel discorso umano. Leitmotiv e tema centrale dell’«obiezione sofistica»

è l'assunto che non v'è possibilità di errore e che il falso non può esistere affatto (ψεῦδος γὰρ τὸ παράπαν οὐκ εἶναι). La replica platonica & rigorosamente enunciata e puntualmente esposta. Si ricerca «cosa mai sono» il ragionamento, l’opinione e la parvenza o immaginazione. Si verifica se questi «atti» della mente siano in «comunione» con il non-essere; quindi si «dimostrerà» che il falso è (261a: tò ψεῦδος ὃν ἀποδείξωμεν) e l'errore esiste. *

*

*

Nel nostro Capitolo 4 richiamiamo all’attenzione la problematica del falso che è anche nel ragionamento e nell’opinione. Ciò si desume dal riscontro che il non-essere «si congiunge» con l’uno e con l’altra e «si applica a loro». Delineiamo alcuni degli aspetti rilevanti nell'esame di «che cosa s'intende per discorso» (261c 7-262e 3) e il «non-essere del discorso» (262e 4-263d 5) e «discorso, opinione e parvenza» (263d 6-264b). Nell’esame del rapporto tra le parole, si scandisce che i nomi: 1) «sono tutti in armonia», o «nessuno»; 2) «alcuni tendono ad armonizzar-

si», «altri invece no». L’armonizzazione presuppone che le parole se—

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PREMESSA

guano l’una all’altra e rivestano un senso preciso. A punto focale della disputa è l’affermazione di un «duplice genere» di «espressioni orali» dell'essere o «indicazioni» circa l'essenza, quasi a fondamento dell’«analisi logica» quale essa, per millenni e fino all'Ottocento, è stata teoreticamente intesa e metodologicamente applicata.

Dall’«accordo» dei «segni» dell’essere, cioè dalla «fusione» e dal «reciproco adattamento» dei nomi e dei verbi, si genera il discorso non solo

pronunciando una serie di parole, ma «discorrerdo» in un lessico di ordine intellettuale ed esprimendo «un giudizio». Alla validità sostanziale del discorso concorrono l’indispensabilità di un soggetto — un discorso di nessuno sarebbe un discorso di niente — e, in particolare, una «sua certa

qualità». Questa scaturisce dal grado di verità o di falsità che è intrinseco al discorso stesso. Nel Sofista si teorizza che, di ogni discorso, l’uno è «in

qualche modo» falso, l’altro vero: Τὸν μὲν ψευδῆ που, τὸν δὲ ἀληθῆ (2630).

Il discorso vero «dice» ciò che è, l’«essere» «com’&». Il discorso falso

o errato predica il «diverso dall’essere», cioè le cose diverse da quelle che sono (263b: ἕτερα τῶν ὄντων); dice, inoltre, il non-essere come essere

proponendo, come fossero (ὡς ὄντα), le cose che non sono (tà μὴ ὄντα). Lungo l’iter dimostrativo ripercorriamo altresì alcuni dei passaggi ineliminabili del processo logico-dialettico. Riasserita l’incontrovertibilità della tesi che si dia un discorso vero, e anche uno falso (2644: λόγος

ἀληθὴς ἦν καὶ ψευδής), tra i discorsi si evidenziano tre tipologie: a) il pensiero (διάνοια), come dialogo o conversazione (διάλογος) dell'anima con se stessa; Ὁ) l'opinione (264b: δόξα), come risultato o conclusione (ἀποτελεύτησις) del pensiero; c) l'immaginazione, cioè il «parere» / «sembrare»

(«φαίνεται»), come «mistione» (σύμμειξις) di sensazione e

opinione. Pensiero, opinione e immaginazione sono da ritenersi «condi-

zioni» — o «atti della mente», è stato detto — che si ritrovano «congeneri» o «affini» al discorso stesso (τῷ λόγῳ συγγενῶν). Ne segue necessariamente che, nell’ambito di queste tre «forme», alcune e talvolta (ἔνια καὶ ἐνίοτε) siano false ed errate. *

*

*

Dimostrato che il falso, l'errore e la menzogna in qualche modo

sono, nell’epilogo del Dialogo Platone ritorna all'indagine sulla natura del sofista — e siamo al nostro Capitolo 5. In questi Egli identifica colui che opina, rinvia al falso ed evoca la prospettiva del mero «sembrare» unitamente alla dimensione del discorso che non risponde al vero. -- 12--

PREMESSA

In una riconsiderazione della trattazione precedente e in un’operazione di raccordo di quanto giä elaborato in chiave teorica, si ripropongono i temi e motivi della disputa. Ai sofisti, che basano la loro dichiarazione della non-esistenza dell'immagine, copia, parvenza (264c: οὔτε εἰκών [...] εἴδωλον [...] φάντασμα) sull’assunto della negazione assoluta del falso e dell’errore, si riconferma come già sia apparso manifesto che vi è un discorso falso insieme a un’opinione falsa. Si puntualizza che, una

volta concesso che si diano imitazioni e copie degli esseri, diviene giocoforza che, in virtù di questa «disposizione», si origini anche un'arte illusoria o tesa all’inganno (2644: γίγνεσθαι τῆς διαθέσεως ἀπατητικήν). La connessione della natura «congenita» (264e-265a: τὴν οἰκείαν [...] φύσιν)

e delle proprietà esclusive del sofista con le due specie dell’arte «figurativa» del «fare immagini» (ἡ εἰδωλοποιική τέχνη) — luna, fi εἰκαστική, che «produce effettivamente» la copia; e l’altra, ἡ φανταστική, che propina solo parvenze — risalta evidente. Incluso il sofista nell’ambito della mimetica, e volti a provare che l'imitazione è un tipo di creazione (265b: ποιήσις) di immagini o copie

(εἰδώλων), ma non di cose autentiche né di enti, si riprende a seguire il procedimento diairetico per esaminare le specificità dell’arte del produrre. Nello studio presente si è creduto dover riportare puntualmente la serie delle divisioni nella gradualità delle loro scansioni. Nel Dialogo pla-

tonico si focalizza invero l’attenzione sulle cose prodotte mediante l’attività degli uomini e, per ciò, frutto dell’arte umana. In un inno sotteso alle

potenzialità dell’uomo e al suo fervore operativo, vi si esclama: «E che dire dell’arte nostra, quella degli uomini?» (266c: Ti δὲ τὴν ἡμετέραν τέχνην;). Ancora una volta, nella ribadita associazione del discorso del sofista all’arte dell’imitazione, ripetuta è l’insistenza nel rimarcare la distinzione netta tra la «possibilità creatrice delle cose stesse» in ciò che riguarda «l’essere delle cose» (2664: τὸ μὲν αὐτῶν ὄν) e, d’altro canto, la «produzione» delle «rassomiglianze» e delle «copie» (τὸ δὲ ὁμοιωμάτων τινῶν γέννημα). Riaffermato l’«essere del falso» come «realmente falso» (266de: τὸ ψεῦδος ὄντως dv ψεῦδος) e, al tempo stesso, dell’errore, si in-

dugia nella ripresentazione metodica delle divisioni e delle caratterizzazioni in riferimento alle diverse specie di mimesi. Per noi sono rilevanti, quando non emblematiche, le puntualizzazioni sull’imitatore «creatore dell'apparenza» (2674: τοῦ ποιοῦντος τὸ φάντασμα), ed in specie la separazione dei mimeti che agiscono «sapendo» (267b: οἱ μὲν εἰδότες) bene quel che imitano da quanti altri invece lo ignorano (oi è’ οὐκ εἰδότες). Certo risulta, qui, l'approdo alla categorizza-

—B—

PREMESSA

zione di base su cui viene impostato il discorso finale ed imperniato il giudizio conclusivo sul sofista-mimeta. I due termini di differenziazione sono scanditi inequivocamente; la «divisione» essenziale è tra chi sa e chi non sa e — a livello teoretico — tra «misconoscenza» e conoscenza: ἀγνωσίας te καὶ γνώσεως. Non altrimenti è da generalizzare anche in applicazione al piano etico-morale e in rapporto alla cognizione della giustizia e della virtù in generale (267c: δικαιοσύνης [...] ὅλης συλλήβδην ἀρετῆς). Per i più, questa è mera «opinione» o semplice «congettura»; per pochi, «qualcosa di reale». Consequenziale ne scaturisce la puntua-

lizzazione che tra gli imitatori è da contraddistinguere chi non conosce nulla (τὸν ἀγνοοῦντα) nei confronti di chi è edotto (267d: τοῦ γιγνώσκοντος). A risultato delle previe argomentazioni e a sintesi della dissertazione (267d-268d) — non senza rivendicare a se stesso il merito di aver enu-

cleato ed applicato per primo «l’arte della divisione concettuale», distinguendo i generi in specie (τῆς τῶν γενῶν κατ᾽ εἴδη διαιρέσεως) —, Platone

pone il suggello ultimo sulla definizione del sofista, tramandandola alla storia della filosofia, della linguistica e della logica. Contrapposte una dossomimetica che fa perno sull’opinione e un’imitazione «scientifica»

che presuppone una «cognizione esatta» di quel che si imita, il Filosofo colloca il sofista tra quanti imitano mediante opinione: cioè, tra coloro che imitano (267e: ἐν τοῖς μιμουμένοις), e non tra quanti sanno (ἐν τοῖς εἰδόσιν). Lo cataloga come un mimeta ironico che è capace di costringere l'interlocutore a doversi contraddire con se stesso (268b: &vavtıoAoyeiv

αὐτὸν αὑτῷ). Il sofista si presenta un «imitatore del sapiente» (268c: μιμητὴς è’ ὧν τοῦ σοφοῦ). Ma tale non è né può essere, giacché si è dichia-

rato e provato che egli «non sa nulla» (268b: οὐκ εἰδότα αὐτόν). Lo si designa pertanto con un appellativo che è simile a quello di chi veramente sa, del σοφός. «Sofista» è il «nome vero e proprio» che «realmente» si ad-

dice al «personaggio» e ne raffigura le sembianze. *

*

*

Infine, in riferimento alla nostra Appendice, & da osservare che su quello che già nel 400 a. C. costituiva il fopos della menzogna, Platone

conduce un’indagine estensiva che spazia su un ampio spettro di tematiche ancorate a saldi principi filosofici. La riflessione mira ad approfondimenti particolari ed a scandagli di aspetti del reale che riconducono all'essere. La trattazione è da tenere in considerazione, specie se si intenda

porre in evidenza alcune coordinate del nucleo di pensiero dell’Ateniese e, al tempo medesimo, gettare una qualche luce sulla valenza di non po-

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PREMESSA

chi dei luoghi platonici sulla menzogna, e cioè sul vero e sul falso, nelle Leggi, nel Simposio, ed in specie nel Cratilo, nel Sofista, nell’Ippia Minore e nella Politéia. Molto di recente, nella Breve storia della bugia (p. 6), la Bettetini pre-

mette che «neppure il dubbio, argutamente esposto nel Cratilo, sull’origine naturale o convenzionale del linguaggio porta il filosofo ateniese a

cercare una causa della menzogna che non sia già nelle cose stesse che quando non sono e sono dette essere, allora provocano il discorso falso». Nell’intento di una formulazione teorica a riguardo dell’analisi della pa-

rola sul piano della ricerca linguistica ed enunciate le due tesi, prima che Cratilo e Ermogene propugnino la corrispondenza del nome con la cosa nominata e la convenzionalità del linguaggio, Socrate determina il con-

cetto di «nome» delle «cose» e pone la realtà di un «ente qualsiasi» da designare. Egli fa notare che è «qualche cosa» (385b: καλεῖς τι) il «dire la verità o dir menzogna» (ἀληθῆ λέγειν καὶ ψευδῆ). Designa così: a) un ragionamento vero (λόγος ἀληθής) che esprime le cose come sono; b) un «altro» ragionamento falso (ὁ δὲ ψευδής) che dice le cose come non sono. A stabilire la veridicità o falsità, affronta il problema del rapporto tra il tutto e le parti, sostenendo che, dato un tutto che si predichi o vero o falso, anche la parte è o vera o falsa, e viceversa. Punto saldo della disputa

è che Socrate correla il discorso all’essere delle cose che, nella loro oggettività, «hanno in sé una sostanza certa» (386e: αὑτῶν οὐσίαν ἔχοντά τινα)

e sono «di per se stesse» (καθ᾽ aùtà), né si lasciano trascinare «secondo il nostro

capriccio»

(κάτω τῷ ἡμετέρῳ

φαντάσματι).

La denominazione

delle cose non è affidata all’arbitrio umano (387d: οὐχ ἧ ἂν ἡμεῖς βουληθῶμεν), ma è fissata dall’artefice nella norma di natura. Nell’indicare una cosa con l’uso del nome, è d’obbligo avvalersi dell’«opera del legislatore» (388e: Νομοθέτου [...] ἔργῳ), giacché il porre i nomi (ὄνομα θέσθαι) è solo di colui che è «artefice dei nomi» (389a: ἀλλά τινος ὀνοματουργοῦ).

In 2850 Socrate aveva propugnato la tesi della realtà di verità e di menzogna, postulando l’esistenza di parole vere e false e, quindi, il riscontro che un nome pronunciato a caso risultasse vero o falso. In 427d431e Cratilo interviene nella disputa sulla natura del linguaggio. Rifiuta la

teoria della, corrispondenza del nome con la cosa; pone in discussione l’alternarsi di errore e verità. Dichiara che non si può neanche «dir menzogna» o «affermare il falso» (4294: τὸ ψευδῆ λέγειν). In piena aderenza al parmenidismo, nega categoricamente che la menzogna sia, in quanto

essa dice il non-essere. Chiede se non sia proprio questo «dire il falso», e cioè il «dire quel che non è» (τὸ μὴ tà ὄντα λέγειν). Con Socrate — che pur

--15--

PREMESSA

di approdare ad una soluzione si limita ai termini riduttivi della parte rispetto al tutto —, più che su ogni altro argomento Cratilo conviene sulla specificazione che il nome debba ritenersi una «espressa imitazione» (430a: μίμημά τι) della cosa reale, ferma restando la distinzione sul piano

ontologico. Innovativo è l'accostamento del linguaggio alla pittura, entrambi raggruppabili sotto la categoria dell’imitazione. Nel Cratilo, infatti, le pitture e i nomi sono «imitazione» delle «singole cose» (430b: τοῖς πράγμασιν ὧν μιμήματα), a cui si riferiscono. Nelle specie di mimesi, è da considerarsi

«giusta» quella che, a ciascuna cosa, attribuisce «ciò che conviene» (430c: τὸ προσῆκον), rendendone la «somiglianza» (τὸ ὅμοιον). Nel caso

dei nomi, l’attribuzione «giusta» si dice anche «vera» (430d: ὀρθὴν καὶ

ἀληθῆ), e quella errata anche «menzognera / falsa» (ox ὀρθήν, καὶ ψευδῆ), perché conferisce il «dissimile» (δ᾽ ἑτέραν). A Cratilo, che esclude la possibilità di una «non giusta» attribuzione nel linguaggio ma non nella pittura, Socrate ribatte che si rinviene sia la verità sia la menzo-

gna a seconda della «correttezza» o meno delle attribuzioni ai nomi. Instaura una duplice regola: l’una relativa al «dire il vero» (431b: ἀληθεύειν [...] καλεῖν), l’altra al «dire il falso» (ψεύδεσται). Nella delineazione del

processo di produzione di «figure belle», il mimeta «per sillabe e lettere» crea un’immagine che è «il nome» e risulta «bella» (431d: καλὴ ἡ εἰκών [...] ὄνομα) a seguito di una «giusta» e «conveniente» attribuzione. A proposito della necessità di un’essenziale corrispondenza tra originale e copia, Socrate fonda la dottrina dell’imitazione sull’assunto di una

realtà da raffigurare con colori o denominare con parole ad essa somiglianti. È sulla validità ed efficacia di questo principio di una «similitudine» «delle parole con gli oggetti» (435c: ὅμοια [...] tà ὀνόματα τοῖς πράγμασιν) che ]’Ateniese insiste. Precisa inoltre che se «il nome deve essere simile all’oggetto» (434a), allora somiglieranno agli oggetti anche i «principi» (tà στοιχεῖα) mediante i quali qualcuno comporrä i «primi nomi». A conclusione del raffronto tra le arti della pittura e quelle del linguaggio, Socrate pone in risalto e celebra il valore della parola. Assevera che, data la somiglianza tra il nome e la cosa, conoscendo il nome quale

esso è (435d: ἐπειδάν τις εἰδῇ τὸ ὄνομα οἷόν ἐστιν), uno «saprà anche l’oggetto» (435e: εἴσεται δὴ καὶ τὸ πρᾶγμα), poiché questo si rivela simile al nome (ὅμοιον [...] τῷ ὀνόματι). In tal modo, il Filosofo riconduce ad unità tutte le arti (τέχνη δὲ μία) relative alle cose simili tra loro (πάντων τῶν ἀλλήλοις ὁμοίων). Viene così acquisito un primo metodo conoscitivo di ordine linguistico-glottologico.

— 16—

PREMESSA

Nell’ambito delle parole, sussiste tuttavia il rischio di «essere ingannati» (436b: ἐξαπατηθῆναι), si rileva una grande «lotta intestina» (438d). Si prospetta nondimeno un altro modo di cercare (436a: ζητεῖν) le cose e trovarne (εὑρίσκειν) l'essenza. La speculazione filosofica tende al «principio di ogni cosa» (436d: περὶ τῆς ἀρχῆς παντὸς πράγματος). Al di là di un'indagine ristretta ai soli nomi (438d: πλὴν ὀνομάτων), è da avviare un’investigazione rivolta «verso qualche altra cosa» (ἀλλ᾽ ἄττα ζητητέα) ed intesa a cogliere la «verità» di tutto quanto è (τὴν ἀλήθειαν τῶν ὄντων). Campeggia univoco il concetto di «verità». Pur riconosciuta la proficuità della conoscenza delle cose attraverso i nomi (439a), per certo si dà una via «più bella e più sicura» (καλλίων καὶ σαφεστέρα) nell’apprendimento (μάθησις) degli esseri e, massimamente, del vero. Solenne risuona il proclama sulla priorità della verità in sé. Imperiosa si palesa

l'esigenza di attingere direttamente dalla verità (439ab: μανθάνειν [...] ἐκ τῆς ἀληθείας), così la verità stessa come la sua immagine (τὴν εἰκόνα

αὐτῆς), se ben «congegnata». Il rinvio alla «cosa in sé», di cui il nome è fedele immagine, è già in Cratilo 435de, ma è ora (439b) che si riafferma la necessità di «imparare e scoprire le cose reali» (δεῖ μανθάνειν ἢ εὑρίσχειν tà ὄντα). Esplicito è il riferimento all’«oggettività degli enti». Incontrovertibile, nella sua incisività epigrafica, la dichiarazione finale che le cose sono invero da conoscere e ricercare (μαθητέον καὶ ζητητέον),

muovendo non dai nomi (οὐκ ἐξ ὀνομάτων) ma piuttosto dalle cose stesse (αὐτὰ ἐξ αὑτῶν). Nell’accingerci a mandare alle stampe queste considerazioni relative

alla problematica del vero e del falso, quale affrontata da Platone nel Sofista e nel Cratilo, si ritiene doveroso esprimere un ringraziamento sin-

cero a quanti, prodighi di suggerimenti preziosi, ci sono stati di ausilio, sostegno e conforto per l’intero percorso che ha condotto al compimento dell’indagine. Tra i tanti, valga ricordare la Dott. Daniela Pagliara, che è

stata di valida assistenza in tutti i momenti del lavoro. Si ringraziano due amici: il Prof. Giuseppe De Matteis, che ha letto e discusso più capitoli

fornendo consigli proficui, e il Prof. Antonio Sorella, che ha dato indicazioni d’ordine linguistico-testuale contribuendo a sciogliere non pochi

dubbi. Un grazie, ugualmente sentito, vada ai tre colleghi della mia Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università “G. D'Annunzio”, in Pescara, i quali hanno accolto una prima elaborazione di queste puntualizzazioni nelle tre riviste che essi dirigono: al Prof. Gabriele-Aldo Bertozzi in “Bérénice”, al Prof. Francesco Marroni in “Merope”, e al

Prof. Bernardo Razzotti in “Itinerari”. — 17--

PREMESSA

Da ultimo, non ci si può esimere dal partecipare vivi sensi di gratitudine a due “maestri” di alta cultura e solida scientificità. In primis, al Prof. Claudio Leonardi per aver seguito la ricerca nel suo zzer, averne esaminata la stesura finale e averla presentata all'Accademia. Quindi, al Presidente dell’Accademia, al Prof. Francesco Adorno, per la sua benevo-

lenza nell’includere le nostre annotazioni nella collana «Studi». Su un piano personale, da parte di chi scrive, liceat asserire che al Prof. Adorno, guida impareggiabile e suadente nell’approfondimento delle conoscenze sul pensiero greco, ci si sente legati, e debitori, da un quarantennio. Nella sua genesi prima, il tema della nostra riflessione è da riconnettersi invero al corso monografico sul Sofista platonico che lo stesso Prof. Adorno tenne all’Università di Firenze nell’ormai lontano anno accademico 19651966.

Giulianova, 17 marzo 2005

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CAPITOLO PRIMO

DEL VERO E DEL FALSO*

1. Sulla base di un filo conduttore d’analisi e di una linea direttiva d’argomentazione — per noi enunciabili attraverso l’espressione «mendacium: verum vs. falsum» —, l'esame e la trattazione platonica della menzogna risultano correlati alla problematica del vero e del falso. S’imperniano tanto sull’articolazione verbale del discorso quanto sullo svolgi-

mento dei temi rilevanti, e parimenti sulle valenze peculiari degli esiti teoretici specifici. A questo riguardo — ed in particolare, a proposito dei Leitrzotive af-

frontati, delle elaborazioni prospettate e dei giudizi espressi nel Crazzlo — in qualche misura noi ci siamo cimentati altrove con annotazioni ed osservazioni che abbiamo creduto opportuno confortare o per lo meno cor-

redare di ben frequenti e congrui riscontri testuali**. Abbiamo avuto * Pur in forma in qualche modo diversa specie per l’apparato delle note e dei richiami testuali, questo primo capitolo è stato precedentemente pubblicato su «Itinerari» (8, ID, I-Il 7 2003, pp. 21-46. Vi si apportano revisioni ed aggiunte anche di certa estensione, ma che non investono la sostanza del contenuto. Nel corso delle «Osservazioni» che seguono, per i rinvii al Sofista si cita dal testo dell’edizione oxfordiana (PLATONIS Opera, cur. T. Burnet, Oxonii, Clarendon, 1905-1912 [5 voll.] [uni-

tamente alle indicazioni dei paragrafi della classica ripartizione dell’ed. dello Stephanus (H. Etienne), Paris 1576] [d'ora in poi: PLATO], ora riportato anche in PLATONE, Tutte le opere, a cura di E. V. Maltese, con un saggio di F. Adorno, voll. I-V, Roma, Newton & Compton, 1997,

I, con trad, it. di G. Giardini, alle pp. 519-623 [d'ora in poi: trad. Giardini]. Per alcune delle rispettive traduzioni in italiano, oltre che della già segnalata trad. Giardini, ci si avvale anche di quella di Marino Gentile [d'ora in poi: trad. Gentile] come, per concessione della «Cedam», «riprodotta» (Introduzione del Plebe, pp. V-XXII, cfr. p. XXII) in PLATONE, Il Sofista. Traduzione di M. Gentile, introduzione e note di A. Plebe («Pensatori Antichi e Moderni, 66»), Firenze, La Nuova Italia, 1965", pp. 3-115 [d’ora in poi: ed. Plebe]. Si uti-

lizza altresì la «resa» in italiano del Turolla, talora non del tutto aderente all’originale ma pur sempre illuminante e preziosa: cfr. PLATONE, I Dialoghi. L’Apologia e le Epistole. Versione e interpretazione di E. Turolla, Milano, Rizzoli Editore, 1964? (3 voll.), II, pp. 755-832 [d'ora in poi: trad. Turolla] (cfr. ibid., II, pp. 735-737, per l’Introduzione, e pp. 739-752 per il Prospetto degli argomenti trattati nel Dialogo diretto Il Sofista [d'ora in poi: Argomenti]). ** Si rinvia all’Appendice dove figura il nostro saggio I vero e il falso nel “Cratilo” di Platone, che costituisce il nucleo originario della ricerca qui condotta.

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CAPITOLO

PRIMO

modo di puntualizzare come le enucleazioni filosofiche e le stesse conclusioni della disputa nel Dialogo vengano ad apparire non globalmente risolutive. Si circoscrivono per altro al piano linguistico ed alla ricerca etimologica, senza che mai si esorbiti dall’ambito logico. Si perviene ad una posizione critica che — pur in sé saldamente defi-

nita e decisamente formulata — si manifesta ben lungi da immobilizzazioni di sorta. In un’intrinseca carica dinamica e forte tensione ad una prospettiva pluricomprensiva, nitido emerge il suggerimento, quando non il rinvio, ad un ulteriore e più esaustivo sviluppo argomentativo.

Questo approfondimento si richiede nella chiara rivendicazione di un maggior senso d’apertura, sia nei termini di un più vasto orizzonte d’in-

dagine sia nel perseguimento di una più elevata forma di noesi. Dall’esame della riflessione filosofica del Fondatore dell’Accademia quale essa è tramandata nel Cratilo, si evince che la causa prima di questa esigenza di «apertura» speculativa sia da cogliere e indicare nella definizione platonica: da un canto, del vero come corrispondenza segnica della parola all’essere; e, d’altronde, del falso come vacuo e contraddittorio

tentativo di denominazione verbale del non-essere. A principio-base e a motivo centrale della discussione, sono da porre l’assunto inderogabile

ed il principio indefettibile dell’impossibilità stessa di pensare e dire il non-essere, Ancora nel Cratilo una siffatta “presupposizione” di predicare il non-essere comporterebbe, senza dubbio, aporie irriducibili. E questo perché 4 priori e necessariamente indurrebbe a negare la possibilità stessa che la bugia e il falso occorressero, o semplicemente “si presumessero”. La motivazione di tutto ciò è invero da rinvenire nel fondamento dimostrativo per cui le parole non esisterebbero, qualora esse non fossero designate a somigliare a qualcosa che è in realtà e che, pertanto, in quanto

tale, fa ugualmente parte integrante del mondo dell’essere. 2. Il Sofista riporta all’ultima fase della filosofia platonica e si svolge nel periodo finale della vita di Socrate.! In una sicura collocazione teoretica intermedia, il Dialogo conduce dal Teeteto al Politico, in un rapporto di stretta connessione concettuale oltre che di chiara continuità tempo1 Cfr. PLEBE, Introduzione al Sofista, cit., p. VI: «Dunque il Sofista è un dialogo che s’immagina avvenuto negli ultimi giorni della vita di Socrate, giacchè il finale del Teeteto dice che già Meleto aveva presentato l'accusa che doveva condurlo a morte»; cfr. ibid, p. V: «L'attribuzione del Sofista all’ultimo periodo della filosofia di Platone, e quindi la sua contemporaneità coi Dialoghi più tardi, risulta già evidente negli accenni esteriori contenuti nei suoi primi capitoli».

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DEL VERO

E DEL FALSO

rale: e ciö si verifica, invero, in un innegabile ed incontrastato processo

evolutivo nel pensiero del Filosofo. Infatti, la nozione di menzogna, l’interpretazione di essa e la conseguente teorizzazione si modificano significativamente, quando non invero sostanzialmente. «Nel Sofista» — sostiene il Turolla, in un’ottica più generale ed in una

visione a più ampio respiro, — è dimostrata «una sintassi del mondo ideale che non permette di copulare a caso i predicati, bensì secondo una naturale affinità elettiva per cui certe idee possono copularsi con altre; certe invece no».2 È questa l'indagine speculativa che propriamente si

addice e altresì compete al dialettico. Nel Cratilo — si è osservato — si permane sul piano meramente logico. Il glottologo, «per entro alle singole unità verbali isolate»,3 che sono da ravvisare «nelle parole morfologicamente considerate»,4 opera alla ricerca del vero che si riscontra nell’essere e con esso s’identifica, in campo linguistico e in ambito formale.

Nel Sofista, invece, il passaggio alla dimensione ontologica risalta inequivoco ed irreversibile; e non altrimenti, viene a risultare così discriminante come determinante a livello teoretico. In tal modo, il dialettico non è più costretto a porsi dinanzi all’antinomia dell’essere e del non-essere. Quindi, non ha più da confrontarsi con la necessità di dovere confutare il

falso, e con esso la menzogna. Ciò non era consentito nel Crazilo perché, nella pregiudiziale «negazione» parmenidea del non-essere in sé, al logico non era possibile pre-

scindere dalla concezione del vero come corrispondente all’ente reale. E neanche era dato contrapporre o distinguere il vero medesimo (che è predicamento dell’essere) dal falso (che aprioristicamente era valutato asserzione del non-essere, e per ciò stesso non sussistente). È concesso, tuttavia, nel Sofista, nel quale si giunge a postulare il «non-essere relativo». A questo si riconosce, al tempo medesimo, una realtà, che non solo è da comparare, ma è anche da ricondurre al mondo

delle idee del quale essa è «in qualche modo» partecipe. Non sorprende allora che il dialettico sia ben in grado e di ammettere e di propugnare la possibilità come l’ineluttabilità tanto del vero quanto del falso. È così che all'oggetto del vero, che è l’essere, fa riscontro il diverso da esso, cioè il «non-essere relativo» che si denomina e si designa nel falso. 2 TUROLLA, Prospetto degli argomenti trattati nel Dialogo diretto «Il Cratilo» [in PLATONE, I Dialoghi, cit.], II, p. 553. 3 Ibid. 4 Ibid.

CAPITOLO

PRIMO

Il Sofista tratta di temi basilari di logica, gnoseologia e ontologia.° Nell'ipotesi di un «non-essere relativo», nel Dialogo si suppone e si propone che il tutto sia da ricollegare al «pleroma ideale»® dell’essere «estesissimo», ed in esso sia contenuto in ciascun genere e in tutte le specie.? Nel Sofista il moto speculativo è primariamente discensionale «dall’uno plurimo alla molteplicità della specie (διαίρεσις)». 8 Origina dall’àoynyòs πρῶτος,9 in una dialettica della molteplicità (diairesi), che viene a fungere

da «strumento di ontologia» del sofista. 10 Negli ultimi scritti, nella tetralogia dei Dialoghi dialettici di cui il Sofista è parte,1! Platone ripensa il suo idealismo filosofico, che si esprimeva nel concetto delle idee che si calano dall’empireo. Questo idealismo era proprio della Repubblica, dove esso più marcatamente si manifestava nella tensione al «moto ascensionale» (συναγωγή) verso «l’uno plurimo»,12 in una «dialettica dell’unità» (sinossi)! che, ancora, è da inten-

dere come «strumento dell’ontologia», in questo caso della Repubblica. 5 Cfr. PLEBE, Introduzione al Sofista, cit., p. XI (vi si nota che ad «affrontare» queste problematiche, Platone fu condotto dalle «complesse difficoltà in cui si incontra la diairesis del sofista»).

6 Cfr. TUROLLA, Introduzione al Sofista, cit., p. 735. Riferendosi alla «potente scoperta del non-essere come alterità» e della «comunità dei generi» 0 «partecipazione delle idee» — come

pure al «proporsi di definizioni molteplici per un unico concetto» —, il Turolla precisa: «tutto ciò presuppone attiva del tutto nel pleroma ideale la partecipazione». ? Cfr. ibid., p. 736, dove si fa riferimento a «l’impulso a rivedere e ad approfondire la pristina teoria delle idee in questa stupenda visione ulteriore di un essere, genere [estesissimo] che virtualmente in sé [...] tutti i generi e le specie contiene». 8 Ibid., p. 737: «Il moto di discesa pure acquista un nome (διαίρεσις)».

9 Cfr. PLaTo, Sophista, 24342, cit., p. 570: περὶ δὲ τοῦ μεγίστου τε καὶ ἀρχηγοῦ πρότου νῦν σκεπτέον (trad. Giardini, p. 571: «ora invece cominciamo a indagare per primo sul piü grande, sul principale»; e trad. Turolla, cit., p. 793: «Ora si tratta di iniziare la ricerca su quello che è più esteso, il primo veramente, il capo supremo anzi»; vd. anche trad. Gentile, cit., p. 62: «ma subito dobbiamo cominciare ad esaminare dalla maggiore e fondamentale»). Per ciò cfr. anche PLATO,

Theaetetus, 18623, in PLATONE, Tutte le opere, cit., I, p. 462: ΣΩΚΡΑΤΗΣ Ποτέρων οὖν τίθης τὴν οὐσίαν; τοῦτο γὰρ μάλιστα ἐπὶ πάντων παρέπεται (trad. Giardini, cit., p. 463: «SOCRATE E l’essere, ove lo poni, fra queste due classi? Questa è la cosa che, in particolar modo, fa seguito a tutte le

altre»; e trad. Turolla, cit., p. 696: «SocRATE E allora, in quale delle due parti tu poni l’essere? L'essere è supremamente esteso, universale per eccellenza»). 10 Cfr. PLEBE, Introduzione al Sofista, cit., p. XXI.

11 Cfr. ibid., p. IX (per «la tetralogia dei dialoghi dialettici» nei quali si osserva «una sostanziale revisione della teoria metafisica della Repubblica». «Ai fini della storia della logica e della gnoseologia», questa tetralogia dialettica — puntualizza il Plebe [ibid4.] — può considerarsi «il testamento spirituale di Platone»).

12 Cfr. TUROLLA, Introduzione al Sofista, cit., p. 737 (vi si specifica che, a proposito di «quest’ascesa e questa discesa», «quasi per una scala» ed ormai «argomento di una precettistica

minuta», «il moto ascensionale acquista un suo nome»: συναγωγή per l'appunto). 13 Cfr. PLEBE, Introduzione al Sofista, cit., p. XXI. --- 22



DEL VERO

E DEL FALSO

Nonostante la compresenza dell’uso di entrambi i movimenti di ascesa e di discesa,14 nel Sofist4 si crede tuttavia che, nell’evolversi del

pensiero platonico, una linea di demarcazione sia da indicare in una più accentuata considerazione delle idee in quanto «estese» e partecipate in

una «molteplicità» incommensurata di enti reali. 3. La seconda parte del Dialogo!

si apre con la delineazione del so-

fista quale «un impostore, un ciarlatano e un imitatore, cioè un mimeta».16 Al cap. 19, in una efficace «ricapitolazione delle definizioni», 17 si riferisce così incisivamente come accuratamente degli «aspetti» 18 e delle «immagini» in cui «si è presentato» o «mostrato»19 il sofista. L’Eleate invita a «tirare le somme», esortando: ΞΕΝΟΣ Πρῶτον δὴ στάντες οἷον ἐξαναπνεύσωμεν, καὶ πρὸς ἡμᾶς αὐτοὺς διαλογισώμεθα ἅμα ἀναπαυόμενοι, Φέρε, ὁπόσα ἡμῖν ὁ σοφιστὴς πέφανται. 20

Rievoca come, di volta in volta, il sofista sia «apparso» (ηὑρέθη) 2: ora un «cacciatore retribuito»,2? quando non un «mercenario» di «giovani» nobili e di «ricchi» (νέων καὶ πλουσίων ἔμμισθος θηρευτής),25 quindi un «mercante» o un «commerciante» di conoscenze sull’anima (ἔμπορός τις

14 Cfr. TuroLLA, Introduzione al Sofista, cit., p. 737.

15 Cfr. Pato, Sophista, 232b3-268d8, cit., pp. 548-622 — alle pagine pari - (ed. Plebe, cit., pp. 39-115 [capp. 20-52]; trad. Turolla, cit., pp. 776-822). 16 TUROLLA, Argorzenti, cit., p. 744 (questa costituisce la «settima» ed ultima «definizione» del sofista). 17 Cfr. PLato, Sophista, 231c, cit., p. 548 (ed. Plebe, cit., p. 37; ci si chiede se sia possibile

più di una definizione). 18 Cfr. ibid., 231d, p. 548 (trad. Gentile, cit., p. 37: «vediamo in quanti [aspetti]»; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 776: «Sai sotto quanti [aspetti]»). 19 Cfr. ibid. («si è presentato»: trad. Gentile, cit., p. 37; «mostrato»: trad. Giardini, cit.,

p.549). 20 Ibid., 231cd, p. 548 (trad. Giardini, cit., p. 549: «OsPITE Facendo anzitutto una sosta, come per tirare il respiro, e, mentre riposiamo, tiriamo [le somme] tra di noi. Su, dunque, in

quante immagini si è [mostrato] a noi il sofista?»; vd. pure molto affini trad. Gentile, cit., p. 37 e trad. Turolla, cit., p. 776 [varianti di quest’ultima in parentesi]: «Prima di tutto, fermiamoci

come per tirare il fiato e, finché riposiamo [un istante e riposiamoci. Durante questa sosta], facciamo insieme i nostri [un pò, così tra noi, i] conti [...]»).

21 Ibid., 231d, p. 548 (in t. trad. Giardini, cit., p. 549; trad. Gentile, cit., p. 37: «si è fatto trovare»; trad. Turolla, cit., p. 776: «sia stato sorpreso»). 22 Cfr. ibid. (in τ, trad. Gentile, cit., p. 37; vd. trad. Turolla, cit., p. 776: «[cacciatore] prezzolato»). 23 Ibid. (in τ. trad. Giardini, cit., p. 549: «mercenario»).

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CAPITOLO

PRIMO

περὶ τὰ τῆς ψυχῆς μαθήματα),24 ed anche un «venditore al minuto» di

queste «materie» (περὶ αὐτὰ ταῦτα κάπηλος) 25 e sia delle «scienze»26 che egli produce, sia degli «insegnamenti» che da sé procura ed impartisce (αὐτοπώλης περὶ τὰ μαθήματα).27

Non altrimenti, in quinto luogo, il sofista si era configurato nelle sembianze di un atleta che gareggia «nella lotta dei ragionamenti»?8 (τῆς γὰρ ἀγωνιστικῆς περὶ λόγους ἦν τις ἀθλητής) 29 e rivendica a sé tanto la tecnica eristica (τὴν ἐριστυκὴν τέχνην ἀφωρισμένος)9 quanto «l’arte del

disputare».3! Nella sesta e penultima «immagine» del sofista, si era «concordato» di determinare che egli fosse un «purificatore delle opinioni»3? che ostacolano la conoscenza dell’anima. Reca il testo al riguardo: ZENO Τό γε μὴν ἕκτον ἀμφισβητήσιμον μέν, ὅμως δ᾽’ ἔθεμεν αὐτῷ συγχωρήσαντες δοξῶν ἐμποδίων μαθήμασιν περὶ ψυχὴν καθαρτὴν αὐτὸν εἶναι. 33

Già, poco di sopra, per bocca di Teeteto, l’Eleate stesso aveva rile-

vato e richiamato all’attenzione come — in seguito alla disamina del sofi24 Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 549: «commerciante»; e trad. Gentile, cit., p. 37: «mercante»; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 776: «uno strano commerciante in grosso di cognizioni in

rapporto con l’attività spirituale dell’uomo»). 25 Ibid. (in τ. trad. Giardini, cit., p. 549; vd. trad. Gentile, cit., p. 38: «un rivenditore [...] di queste stesse cose»; trad., Turolla, cit., p. 776: «commerciante [...] di queste cognizioni»).

26 Cfr. ibid. (in τ. trad. Gentile, cit., p. 38: «venditore delle scienze da lui prodotte»; e trad, Giardini, cit., p. 549: «[...] degli insegnamenti che ha confezionato»). 27 Ibid., 2314, p. 548 (vd. trad. Turolla, cit., 776: «[...] di cognizioni scientifiche da se

stesso prodotte»). 28 Cfr. ibid., 231e, p. 548 (in t. trad. Gentile, cit., p. 38: «era come un atleta [...]»).

29 Ibid. (cfr. Giardini, cit., p. 549: «Nell’arte di contendere per via di ragionamenti egli era un atleta»; vd. trad. Turolla, cit., p. 776: «era un certo misterioso campione della lotta per mezzo di discorsi»). 30 Ibid. (vd. trad. Giardini, cit., p. 549: «essendosi ritagliato per sé l’arte eristica»; trad. Turolla, cit., p. 776: «aveva riserbato a sé l’arte eristica di sottile e cavillosa discussione»).

31 Cfr. ibid. (in t. trad. Gentile, cit., p. 38: «si era riservata l’arte del disputare»). 32 Cfr. ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 549, ma «concordando»).

3 Ibid. (vd. trad. Gentile, cit., p. 338: «ELEATE La sesta era dubbia [«La sesta immagine fu oggetto di disputa»: trad. Giardini, cit., 549], tuttavia concedemmo di porlo come il [purificatore delle opinioni] che impediscono all'anima di imparare»; molto affine trad. Turolla, cit., pp.

776-777: «Ospite — In quanto al sesto punto, un po’ d’incertezza. In ogni modo, con qualche concessione, abbiamo finito per vedere in lui un {purificatore di quelle opinioni] che fanno ostacolo all’anima quando deve imparare»; ancora trad. Giardini, cit., p. 549: «ponemmo che egli fosse [...]»).

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DEL VERO

E DEL FALSO

sta nei suoi «molti aspetti», ed in conseguenza della constatazione del sempre vario e mutevole manifestarsi delle sue propensioni e dei suoi

comportamenti — venisse a risultare problematico e motivo di dubbio il «dire ed affermare» «per forza» cosa veramente il sofista fosse «in realtä».34 Trasmette il Dialogo: @EAITHTO® [...] ἀπορῶ δὲ ἔγωγε ἤδη διὰ τὸ πολλὰ πεφάνθαι, τί χρή ποτε ὡς ἀληθῆ λέγοντα καὶ διισχυριζόμενον εἰπεῖν ὄντως εἶναι τὸν σοφιστήν. 35

Ora, a l’«Ospite» giusto») di si presenta

fronte di una si ampia attribuzione di capacitä e di funzioni, che «viene da lontano» obietta sulla appropriatezza («non è il una designazione univoca col «nome di un’arte sola», «se uno esperto in molte arti».36 Lamenta che una simile «immagine

non è sana» (τὸ φάντασμα τοῦτο dc οὐκ ἔσθ᾽ ὑγιές),᾽7 qualora la perizia in rami molteplici delle conoscenze venga «chiamata con il nome» di una sola tecnica (ὅταν ἐπιστήμων τις πολλῶν φαίνεται μιᾶς δὲ τέχνης ὀνόματι προσαγορεύηται).᾽8 Nega, cioè, che la presunta acquisizione di un in-

sieme di arti sia circoscrivibile e delimitabile con la denominazione di un’arte soltanto. Già nello Ioze, al rapsodo Ione di Efeso e suo interlocutore nel Dia-

logo, Socrate denunciava una manifesta erroneità da parte di chi, sempre e indiscriminatamente, presumesse di applicare un metodo unico che fosse o si reputasse valido per tutte le arti. Nel Gorgia la sofistica è forse assimilata all’arte della retorica, che tuttavia non è considerata vera arte. Nel Sofista, la stessa sofistica è verosimilmente accostabile per compara-

34 Cfr. ibid., 231bc, p. 546 (in t. trad. Gentile, cit., p. 37, e trad. Giardini, cit., p. 547). 35 Ibid. (cfr. trad. Gentile, cit., p. 37 [in parentesi le varianti di trad. Giardini, cit., p. 547]:

«TEETETO [...]; però il sofista si è già presentato in [molti aspetti], e non so quindi («io mi trovo in dubbio per essersene mostrati ormai tanti aspetti») che cosa mai si debba veramente (occorre) dire e sostenere (affermare) ch’egli sia [in realtà] (è realmente il sofista)»; molto libera, quasi pa-

rafrasi, trad. Turolla, cit., p. 776: «[...] E uno che voglia dire la verità [...] quale definizione dovrà proporre del sofista?»). 36 Cfr. ibid., 232a, p. 548 (in τ. passi trad. Gentile, cit., p. 38: «questo modo di presentarsi [non è il giusto]»; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 777: «C'è un tale che dimostra conoscenza di molte discipline, lo si chiama tuttavia col nome di una sola. Ebbene: c’è un difetto in tutto ciò»). 37 Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 549).

38 Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 549, per cui vd. prima: «quando uno appare esperto in parecchi rami [viene chiamato] [...]»).

- 25.--

CAPITOLO

PRIMO

zione all’«arte della confutazione».3? Nondimeno, le si attribuisce un

grado di elevatezza filosofica ben al di sopra del verbalismo vacuo ed inane, e non lungi dallo spirito della erröneia socratica. 4. In Sofista 232b 3-237b 9, Platone si propone di formulare i termini specifici della settima ed ultima definizione del sofista, nel tentativo di indagare la vera natura, i tratti peculiari e gli elementi essenziali dell’arte del disputare. La trattazione si snoda lineare in nitida esposizione e chiara coerenza nell’articolata sequenza di quattro capitoli: il 20 («La so-

fistica è arte del discutere: vera o apparente?»),4° il 21 (basilare per la specificazione della sofistica come «apparenza del sapere»),4! il 22 (l’apparenza come imitazione)? e, per precisazioni di tutto rilievo, il 23 dove si approfondisce ed illustra la «specie» dell’imitazione.4 I quattro capitoli costituiscono uno dei capisaldi del pensiero dell’ Ateniese. Rappresentano altresì il nodo focale così dell’enucleazione come dell’enunciazione platonica del concetto portante di «parvenza». Di questa si di-

chiara la fondamentalità nell’arte del disputare come nella mimetica: nell’arte cioè di imitare (o copiare) per immagini, nella parola e nella raffigurazione pittorica, scultorea ed architettonica. Attraverso il motivo centrale della «parvenza» ci s’introduce nella disputa sulla menzogna come apparenza del reale, costrizione e restrizione

del vero, limitazione fenomenologica dell’oggettivo. La «parvenza» si colloca a forma di menzogna non solo nell’intento di dire il falso, bensì anche in quello di fare apparire come vero ciò che vero non è. Il tutto si realizza in un genere di discorso raffinato sul piano letterario, sofisticato nell’eloquio, ineccepibile nella tecnica espositiva. Tramite la menzogna ci si discosta dal modello originale e primige-

nio, quando non si devii dall’archetipo venendo ad alterarne la realtà e deturparne l’immagine. 39 Cfr. sbid. (ed. Plebe, cit., p. 38, n. ad loc. 232a. Vi si pone in risalto che «Platone sembra ammettere che vi sia un tipo di arte proprio della sofistica». Nello specifico, «l’arte della confutazione» è proposta come «l’unico tipo di arte» che conferirebbe validità o ragion d'essere a «l’esistenza della sofistica»). 40 Cfr. ibid., 232b-233c, pp. 548, 550 e 552 (ed. Plebe, cit., pp. 39-41; trad. Turolla, cit.,

pp. 777-779). 41 Cfr. ibid., 233c-234b, p. 552 (ed. Plebe, cit., pp. 41-43; trad. Turolla, cit., pp. 779-780).

42 Cfr. ibid., 234b-235a, pp. 552 e 554 (ed. Plebe, cit., pp. 43-45; trad. Turolla, cit., pp. 780-781). 4 Cfr. ibid., 235a-237b, pp. 554, 556 e 558 (ed. Plebe, cit., pp. 45-49; trad. Turolla, cit., pp. 781-784).

_26 —

DEL VERO

E DEL FALSO

Il discorso sull’apparire suggerisce particolarità inessenziali e contingenze accidentali. Compare come velame di falsità e di non adeguata (cor)rispondenza al vero. Si crede denunci una così radicale come sfidu-

ciosa mancanza di totalità, assolutezza e pienezza nel cosmo umano. Altresì, si osa avanzare l’ipotesi che non sia da escludere che il Filosofo presupponga un Tutto, e per altro si rinvii alla concezione di una Verità di un Essere che è dell’Idea, e — attraverso gli «atti» (πράξεις) delle idee — si partecipa anche nell’«altro» dell’idea, cioè nelle cose. Come si chiarirà nel prosieguo delle nostre annotazioni e osservazioni, sarà in un tentativo d’analisi della variegata gamma degli «aspetti» caratteristici della «parvenza» raffigurata nella sofistica nonchè delle problematiche ad esse connesse, che si aprirà la via che indurrà a postulare e

teorizzare il «non-essere relativo» nel Sofista e — per certi riguardi — ci si auspica contribuisca, in parte, a gettare una qualche luce sul topos della menzogna in Platone.

5. Valga ora soffermarsi su alcuni di quei riscontri testuali e passaggi specifici del Sofista che, in qualche misura, possano risultare significativi o illuminanti al fine precipuo di seguire la linea e le modalità di svolgimento della trattazione platonica sulla presenza preponderante della menzogna nell’arte che è propria dei sofisti. A questo proposito, è da premettere che dalla definizione della sofistica come «arte del discutere», e dall’accurata constatazione o verifica

in diversi campi d’indagine, emerge che la competenza e l’abilità dei sofisti sono invero da ridimensionare. L’Eleate ricorda come si fosse già soste-

nuto che il sofista è «abile al contraddittorio» (᾿Αντιλογικὸν αὐτὸν Ebauev),® ed in «questo campo» può fungere da «maestro» anche agli altri (τῶν ἄλλων αὐτοῦ τούτου διδάσκαλον).46 Era apparso che questo suo

«modo» d’essere ne «manifestasse bene» la peculiarità e lo contraddistinguesse essenzialmente. Per ciò, afferma il Filosofo che viene da Elea: ΞΕΝΟΣ [...] ἕν γάρ τί por μάλιστα κατεφάνη αὐτὸν μηνῦον. 47

44 Cfr. ibid., 2320, p. 548 (trad. Gentile, p. 39; vd. anche supra, n. 31).

4 Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 549, dove precede: «In qualche punto dicemmo che era»; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 777: «Si disse ch’egli fosse un sottile artefice in contraddi-

zione antilogica di sottile disputazione»). 4 Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 549; vd. trad. Turolla, cit., p. 777: «[...] maestro [...] di

questa stessa abilità»). 4 Ibid. (in τ. trad. Giardini, cit., p. 549; cfr. trad. Gentile, cit., p. 39: «ELEATE [...] M’era sembrato che uno soprattutto lo palesasse»; e trad. Turolla, cit., p. 777: «Osprre — [...] Una, in modo particolare, ne svela secondo me la natura»).

—27 —

CAPITOLO

PRIMO

Pertanto, si delibera che la «ricerca» (î δὲ σκέψις) 48 s’intraprenda

«da qui» (τῇδέ sim): e cioè, dall'esame degli argomenti sulla base dei quali i sofisti sono in grado di conferire agli altri la capacità di disputare e farne quindi «dei contraddittori». L’«Ospite», con viva premura, sollecita Teeteto a considerare e ponderare «su quali discipline questi signori dicono di poter rendere gli altri esperti in sottile arte disputante» — interpreta il Turolla —. Si testimonia nel Sofista: ΞΕΝΟΣ Σκοπῶμεν δή, περὶ τίνος ἄρα καί φασιν οἱ τοιοῦτοι ποιεῖν ἀντιλογικούς.50

Invero, l’ammaestramento sofistico si estende a svariati ambiti. Inve-

ste dimensioni molteplici. Spazia dalle «questioni divine», «oscure» alla maggior parte dei viventi (περὶ τῶν θείων, ὅσ᾽ ἀφανῆ τοῖς moMotc),51 a

quelle «manifeste» e «ben evidenti», che riguardano sia la terra e il cielo che «cose simili»: ΞΕΝΟΣ [...] φανερὰ γῆς TE καὶ οὐρανοῦ καὶ τῶν περὶ τὰ τοιαῦτα. 52

Il sofista si presenta mendace in ogni proclamata capacità e pretesa perizia in numerose «arti». Ciò egli dimostra di essere in grado di conseguire nel «discutere» e nel «rendere» gli altri «abili a fare» quanto «essi stessi fanno» (τούς te ἄλλους ὅτι ποιοῦσιν ἅπερ αὐτοὶ δυνατούς).53 Ciò

può nondimeno perseguire anche quando si disputa sulla generazione e 48 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 549; ma vd. trad. Gentile, cit., p. 39; trad. Turolla, cit., p.

777: «Ja nostra indagine»). 49 Ibid. (in τ, trad. Giardini, cit., p. 549; trad. Gentile, cit., p. 39: «da questo punto»; trad.

Turolla, cit., p. 777: «dal principio in questo modo»). 50 Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 549; e — specie — trad. Turolla, cit., p. 777; vd. anche

trad. Gentile, cit., p. 39: «ELEATE Vediamo un po’, su quali argomenti costoro affermano di rendere gli altri abili a discutere»). 51 Ibid., 232c, p. 548 (cfr. trad. Giardini, cit., p. 549: «[nelle questioni divine], quante rie-

scano poco ai più»; trad. Gentile, cit., p. 39: «in quel che riguarda gli dei ed è [oscuro] ai più»; trad. Turolla, cit., p. 777: «I problemi circa il divino, problemi così oscuri e difficili per la gente comune»). 52 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 549; trad. Gentile, cit., p. 39: «in quel che di manifesto [...]»>; e trad. Turolla, cit., p. 777: «OsPITE - [...] i problemi su cose più manifeste, l'origine e la

natura della terra, del cielo, e altri del genere?»). 53 Ibid., p. 550 (in t. trad. Giardini, cit., p. 551; e trad. Gentile, cit., p. 39: «discutere»; vd.

anche trad, Turolla, cit., p. 777: «così pure rendono gli altri abili in grado eguale a loro»).

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DEL VERO

E DEL FALSO

sull’essere «sotto» tutti gli «aspetti» (γενέσεώς te καὶ οὐσίας πέρι κατὰ màvtav),54 ed ugualmente allorché si «contenda» «in materia di leggi» e su tutto quanto sia affare pubblico (περὶ νόμων καὶ συμπάντων τῶν πολιτικῶν).55 Eloquente e storicamente evocatrice risuona la precisazione secondo cui — per chi voglia apprendere — sono pubblicate e «messe per iscritto»

le «ragioni» da «obiettare» e «portare contro» ciascun «specialista» ed «intenditore». E questo, per altro, valga «riguardo a tutte le arti e a ciascuna di esse» «in particolare», come è dato desumere dal testo: ΞΈΝΟΣ Τά ye μὴν περὶ πασῶν τε καὶ κατὰ μίαν ἑκάστην τέχνην, ἃ δεῖ πρὸς ἕκαστον αὐτὸν τὸν δημιουργὸν ἀντειπεῖν, δεδημοσιωμένα που καταβέβληται γεγραμμένα τῷ βουλομένῳ μαθεῖν.56

L’«attacco» ἃ diretto a Protagora, conoscitore di molte arti ed assertore della veritä non come oggettiva od assoluta, ma come opinione del singolo sulle singole cose. 6. Già nel Teeteto,?? al sofista Teodoro che — «secondo il ragionamento di Protagora» (κατὰ τὸν ἐκείνου λόγον)58 — propone come indi-

scussa la veridicità (τοῦτο [...] ἀληθὲς ἔστω)59 del suo parere «su una cosa» (περί τινος δόξαν),50 Socrate replica propugnando la validità del diritto che ciascuno rivendica a se stesso a proposito della possibilità di

54 Ibid., p. 548 (vd. trad. Giardini, cit., 549: «della natura delle cose, dell’essere [sotto] tanti [aspetti]»; trad. Gentile, cit., p. 39: «del divenire e dell’essere in generale»; pressoché uguale trad. Turolla, cit., p. 777). 55 Ibid., 232d, p. 550 («a contendere [...] leggi»: trad. Gentile, cit., p. 39; vd. trad. Giardini,

cit., p. 551: «sulle leggi e su tutti gli affari politici [«ogni altra attività politica»: trad. Turolla, cit., p. 778)»).

56 Ibid. (in t.: «obiettare», «specialisti» e «riguardo [...] esse»: trad. Gentile, cit., p. 40; «ragioni», «portare contro» e «intenditore»: trad. Giardini, cit., p. 551; cfr. libera trad. Turolla, cit., p. 778: «OspITE — In quanto poi ad argomenti su tutte le arti in genere e su singole arti ad una ad una (argomenti che su singole questioni si debbono aver pronti per opportune risposte agli artefici, proprio nel campo della loro specialità): ebbene, sono cose note a tutti. Si tratta di scritture che ognuno può conoscere»). 57 Cfr. PLato, Theaetetus, 1704, in PLATONE, Tutte le opere, cit., I, p. 432 (trad. Giardini,

cit., p. 433). 58 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 433; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 675: «secondo l’opinione [di Protagora]»).

59 Ibid. (c£r. trad. Turolla, cit., p. 675: «questo tuo giudizio [...] ammettiamolo pure vero»). 60 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 433; cfr. trad. Turolla, cit., p. 675: «la tua opinione a proposito d’una cosa qualsiasi»). --29 —

CAPITOLO

PRIMO

giudicare sulla veritä o falsitä delle opinioni che dagli altri sono esposte come esclusivamente vere. In rapida scansione di un triplice quesito esprime il suo pensiero. S’introduce con il chiedere se «a noi e agli altri» sia mai dato di «divenire giudici» (ἡμῖν δὲ δὴ τοῖς ἄλλοις κριταῖς γενέσθαι) 6! oppure se noi si debba sempre giudicare che Teodoro opini il vero e quindi le sue opinioni siano assolutamente vere (ἢ ἀεὶ σὲ κρίνομεν ἀληθῆ δοξάζειν;).62 Conclude con un così acuto che sintomatico interro-

gativo retorico, come invitando alla riflessione e ad una riconsiderazione critica delle posizioni di Teodoro. Tacciandolo di «giudicare» e di «pensare» il falso, così Socrate apostrofa il suo interlocutore: «O non saranno piuttosto innumerevoli quelli che ti faranno opposizione con opinioni contrarie? Non crederanno forse che tu giudichi il falso e che false sono le tue conclusioni?». 6 Efficace nella sua incisività, ricorre il testo greco: ΣΩΚΡΑΤΗΣ

[...] ἢ μυρίοι ἑκάστοτέ σοι μάχονται ἀντιδοξάζοντες, ἡγούμενοι

ψευδῆ κρίνειν τε καὶ οἴεσθαι;64

Nel Sofista è Teeteto che confronta l’Eleate per un simile esito della discussione. Egli rende espliciti il richiamo e l’allusione agli scritti e agli

«insegnamenti»

di Protagora «sulla lotta» e «sulle altre arti» (Tà

Πρωταγόρειά μοι φαίνῃ περί te πάλης καὶ τῶν ἄλλων τεχνῶν εἰρηκέναι).6

Concesso di essersi ricollegato al Filosofo sito di altri temi, dal canto suo l’«Ospite» fasi su un principio di portata generale e l’analisi su quello che costituisce il «punto

di Abdera, ed anche a propoche viene da Elea riporta l’endi valore superiore. Concentra principale» dell’«arte del con-

traddire» (τὸ τῆς ἀντιλογικῆς τέχνης [...1 ἐν xeparaim).66 Questo ele-

mento fondamentale Egli individua e indica nella «forza» bastevole a «porre» tutto «in discussione», nell’abilità di «contendere» su «ogni ar-

61 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 433; e bene trad. Turolla, cit., p. 675: «Non si concederà

forse a noi di [diventar giudici] di quel tuo giudizio [t. gr., zbid.: περὶ τῆς σῆς κρίσεως]»). 6 Ibid. (vd. trad. Turolla, cit., p. 675; e trad. Giardini, cit., p. 433: «o dobbiamo sempre

giudicare che tu hai opinioni vere?»). & Cfr. bid. (trad. Turolla, cit., p. 675). 64 Ibid. (cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 433: «SOCRATE [...] Oppure sono una infinità gli uomini che ogni volta si contrastano pensandola all’opposto, ritenendo che tu giudichi e pensi il falso» [e vd. anche ed. Plebe, cit., p. 40, n. ad loc. 232de]).

6 PLATO, Sophista, 232de, p. 550 (in τ, passim trad. Giardini, cit., p. 551; e trad. Gentile, cit., p. 40, per: «sulla [...J» e «sulle [...]»; vd. trad. Turolla, cit., p. 778: «Evidentemente hai vo-

luto accennare agli scritti [di Protagora] in cui si tratta della lotta e d’altre arti»). 6 Ibid., 232e, p. 550 (in τ. trad. Giardini, cit., p. 551).

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DEL VERO

E DEL FALSO

gomento». Infatti, si legge nel Sofista che la caratteristica e il fulcro stesso dell’arte del «contraddire» vertono, senza dubbio, EENOZ[...] περὶ πάντων πρὸς ἀμφισβήτησιν ἱκανή τις δύναμις ἔοικ᾽ εἶναι. 97

A Teeteto, che gli confessa la scarsa comprensione di questa parte del discorso («Ma cosa e per quale scopo lo dici?»),68 l’Eleate focalizza

l'interesse teoretico su una duplice questione che riconduce poi ad un problema di fondo. A questo riguardo, come ad esporre lo status quaestionis, Egli premette d’illustrare: a. «se sia possibile che un uomo sappia tutto» — Ei πάντα ἐπίστασθαί, τινα ἀνθρώπων ἐστὶ, δυνατόν 9 —; . b. e— oggetto per lui di grande «meraviglia dell’abilità» e «portento della potenza» sofistica (τὸ τῆς σοφιστικῆς δυνάμεως θαῦμα)!Τ70 — «in

qual modo mai», il più delle volte, i sofisti «riescano a far credere ai giovani» e risultino invero «capaci di introdurre» in loro «l’opinione» che «essi sono più sapienti di tutti, su tutto»: ΞΕΝΟΣ Καθ’ ὅντινα τρόπον ποτὲ δυνατοὶ τοῖς νέοις δόξαν παρασκευάζειν ὡς εἰσὶ πάντα πάντων αὐτοὶ σοφώτατοι. 71

Attraverso una serie di passaggi intermedi, paradossalmente -- e sofisticamente — l’«Ospite» che viene da Elea giunge a dichiarare che «agli Ibid. (in t. «forza», «pone» «in discussione» e «contraddire»: trad. Giardini, cit., p. 551; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 778: «OsPrrE — [...] non ti par forse una certa capacità,

adatta a porre qualsiasi cosa in dubitazione?»; «contendere» e «[...] argomento»: trad. Gentile, cit., p. 40). 68 Cfr. ibid., 233a, p. 550: Τὸ ποῖον, καὶ πρὸς τί μάλιστα λέγεις; (in τ. trad. Giardini, cit.,

p.551).

69 Ibid. (in τ. trad. Gentile, cit., p. 40; affine trad. Giardini, cit., p. 551: «se è [...] ogni cosa»; vd. trad. Turolla, cit., p. 778: «che un uomo conosca tutto lo scibile»). Τὸ Ibid. (in τ. «meraviglia [...]»: trad, Gentile, cit., p. 41; «portento [...]»: trad. Giardini, cit., p. 551; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 778: «il segreto del potere straordinario»).

τι Ibid., 233b, p. 550 (int. «in qual [...]», «[...] ai giovani» e «essi [...] tutto»: trad. Gentile, cit., p. 41; cfr. trad. Giardini, cit., p. 551: «Osprre Del modo secondo il quale essi sono [capaci di introdurre] nei giovani l'opinione che essi sono i più sapienti fra tutti in ogni campo»; trad. Turolla, cit., p. 778: «Osprre — Per quale misteriosa ragione essi infondano nei giovani sicurezza che il sofista sia l’uomo di tutti il più sapiente»).

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CAPITOLO

PRIMO

scolari» e agli «auditori» i sofisti «si mostrano» e «appaiono sapienti in tutto», «perché non lo sono»72 0, semplicemente, «pur non essendolo»: ΞΈΝΟΣ Πάντα ἄρα σοφοὶ τοῖς μαθηταῖς φαίνονται.

ΘΕΑΊΙΤΗ͂ΤΟΣ Τί μήν; ΞΕΝΟΣ Οὐκ ὄντες γε.73

7. Platone trasferisce il discorso da un’impostazione logico-formale ad un’argomentazione di tipo dialettico, ad un’affermazione nell’ambito ontologico e sul piano di una validità universale. La veridicità della non sapienza dei sofisti è accertabile ed è dato rinvenire sulla base di un assunto, di un assioma per cui è necessario che si richieda un assoluto in sé

e per sé. Si presuppone un essere dalle cui Idee s’irradi una luce sul mondo della conoscenza umana, così che si squarci la tenebrosa cortina della menzogna che offusca la percezione prima, e l’intellezione ad opera della mente poi. Dichiara l’Eleate: «Ci è venuto alla luce che il sofista possiede su ogni argomento

un sapere apparente, ma non la verità»,

come rende il Gentile.74 Lo stesso luogo volge il Turolla nella sua particolare chiave interpretativa: «Ad una vana scienza opinativa su ogni pro-

blema si riduce scienza famosa di sofista. Non certo egli possiede una scienza di verità».75 Traduce il Giardini: «È già apparso chiaramente a noi che il sofista ha una conoscenza presunta di ogni cosa, ma non rea-

le»,76 di certo più aderentemente al testo greco che recita: SENOZ Δοξαστικὴν ἄρα τινὰ περὶ πάντων ἐπιστήμην ὁ σοφιστὴς ἡμῖν ἀλλ᾽ οὐκ ἀλήθειαν ἔχων ἀναπέφανται. 77

72 Cfr. ibid., 233c, p. 550 (in τ. trad. Gentile, cit., p. 41; ma «auditori» e «si mostrano», trad. Giardini, cit., p. 551). 3 Ibid. (in τ. trad. Giardini, cit., p. 551; cfr. trad. Turolla, cit., p. 779: «OsPITE — Si capisce

che allora presso i loro discepoli si dimostrano sapienti su ogni problema. / TEETETO Si capisce. / OspiTE Senz’esserlo»).

74 Cfr. ibid., p. 552 (trad. Gentile, cit., p. 41). 75 Cfr ibid. (trad. Turolla, cit., p. 779. Per la «discussione» sulla δόξα o fase opinativa della conoscenza, si rinvia all’epilogo del V° libro della Politéia, 476d13-480a15: cfr. ancora Turolla, cit., pp. 244-246, in Prospetto degli argomenti trattati nel libro quinto della «Politéia» o della «Repubblica»). '76 Cfr. ibid. (trad. Giardini, cit., p. 553).

Ibid.

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DEL VERO

E DEL FALSO

Teeteto conviene con l’Eleate incondizionatamente. Riconosce come il suo giudizio, e cioè «quanto è stato detto» (τὸ νῦν εἰρημένον),78 «sia ciò che di più giusto si possa dire» (ὀρθότατα [...] εἰρῆσθαι) nei confronti dei sofisti (περὶ aùt@v).7?

Nel proseguire la disputa in un’ottica non dissimile e pur sempre rivolto alla ricerca della natura e della definizione del sofista, ’«Ospite» incalza come questi non si limiti ad asserire di «saper dire e contraddire» (λέγειν und’ ἀντιλέγειν),80 ma pervenga a millantarsi di «saper produrre e fare con un’arte sola tutte quante le cose», e cioè: ΞΕΝΟΣ Εἴτις φαίη [...] ποιεῖν καὶ δρᾶν μιᾷ τέχνῃ συνάπαντα ἐπίστασθαι πράγματα. 81

Alle richieste di spiegazione e delucidazione da parte di Teeteto che gli chiede «perché dicesse» ed «in che senso intendesse» «tutte» le cose (Πῶς πάντα eineg;),82 l’«Ospite straniero» ribatte al suo interlocutore che egli, innanzitutto, ignora (ἀγνοεῖς) 83 l’origine del discorso e non coglie il senso di «quel “tutte”» (tà γὰρ σύμπαντα, dg ἔοικας, οὐ μανθάνεις).84 In tal modo l’«Ospite» stesso precisa la valenza e l’estensione di

espressioni quali «tutte le cose» o «tutti gli esseri» e di termini quali «fare» / «creare» / «produrre». Evidente appare il risalto nel susseguirsi

pressoché

martellante,

ed a brevissimo

giro, di πάντα

/ τὰ γὰρ

σύμπαντα 89 e τῶν ἄλλων συμπάντωνϑ6 / τῶν πάντων / φυτὰ πάντα da un

78 Ibid., 2334, p. 552 (in t. trad. Giardini, cit., p. 553; e trad. Gentile, cit., p. 41). 79 Ibid. (in t. trad. Gentile, cit., p. 41; vd. trad. Giardini, cit., p. 553: «sia stato detto nel

modo più giusto sul loro conto»). 80 Ibid. (in τ. trad. Giardini, cit., p. 553; «saper dire o discutere»: trad. Gentile, cit., p. 42). 81 Ibid. (in τ. trad. Gentile, cit., p. 42; vd. trad. Giardini, cit., p. 553: «OsPITE Se uno dicesse [...] di saper fare e portare a compimento, con una sola arte, tutte le cose»; e, non discorde,

trad. ‚wrolla, cit., p. 779: «OsPrrE — Supponi, c’è un tale, che [...] afferma di saper produrre [...]»). 82 Ibid., 233e, p. 552 (in τ. trad. Giardini, cit., p. 553: «[perché] dici»; e trad. Gentile, cit.,

p. 42: «[...] intendi»; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 779: «In che senso [...]?»). 8 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 553; trad. Gentile, cit., p. 42: «cominci col non intendere»).

84 Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 553, dove precede: «come pare, infatti, non comprendi»; «come sembra, non comprendi»: trad. Gentile, cit., p. 42, e «non capisci»: trad. Turolla,

cit., p. 779).

85 Cfr. ibid., p. 552. 8 Cfr. ibid., 234a, p. 552.

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CAPITOLO

PRIMO

canto, come anche di ποιεῖν / ποιήσεινϑ7 / τὴν ποίησιν 7 ποιητήν / ποιήσας,88 d'altronde. Il sofista ingloba nel suo insegnamento la totalità del creato e l’insieme degli esseri viventi. Risponde per questo l’Eleate: «In quel “tutte” intendo te e me, ed, oltre a noi, tutto il resto, animali e

alberi».89 E nel Dialogo specifica: ΞΕΝΟΣ Aéyo τοίνυν σὲ καὶ ἐμὲ τῶν πάντων καὶ πρὸς ἡμῖν τάλλα ζῷα καὶ δένδρα.90

In guisa non diversa, il sofista «fa» e produce. Nella specificazione del suo tipo di «creazione» (Τίνα δὴ λέγων τὴν ποίησιν; cioè, «di quale

creazione parli?», esclama Teeteto!),?! si osserva che il sofista medesimo non è da considerare alla stregua di un «qualche agricoltore» (où γὰρ γεωργόν γε ἐρεῖς tiva),92 giacché si è detto che egli è «creatore» anche di «esseri animali» (ζῴων αὐτὸν εἶπες mommv).93 Piuttosto, e si conferma

ancora, egli è fattore così «del mare» e «della terra» che «del cielo» e «degli dei» come, niente di meno, di «tutte quante le altre cose»: ZENO Dnpi, καὶ πρός ye θαλάττης καὶ γῆς καὶ οὐρανοῦ καὶ θεῶν καὶ τῶν ἄλMov συμπάντων.35

8. Peculiarità del sofista — si è detto— è quella capacità di «vendere» ogni suo rapido prodotto ad un prezzo estremamente modico e «per una piccolissima moneta» (αὐτῶν ἕκαστα πάνυ σμικροῦ νομίσματος ἀποδίδο-

8 Cfr. ibid., 233e, p. 552 (ma ποιεῖν, ἐῥίά,, 233d). 88 Cfr. ibid., 234a, p. 552.

89 Cfr. ibid., 233e, p. 552 (in τ. trad. Gentile, cit., p. 42; affine trad. Giardini, cit., p. 553:

«Io dico fra questi tutti: te, me e anche gli altri esseri viventi e gli alberi»). % Ibid. (cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 779: «OsprrE — Dico che fra tutte queste cose ci siamo io e te; [...] gli altri viventi tutti, e animali e vegetali»). 91 Ibid., 234a, p.552 (in τ. trad, Giardini, cit., p.553; vd. trad, Gentile, cit., p. 42: «Di quale

fare parli?»; e trad. Turolla, cit., p. 780: «qual tipo di produzione intendi?»). ® Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 553, dove precede: «Non vorrai dire infatti»; ma vd. anche trad. Gentile, cit., p. 42: «Ché già non alludevi ad un contadino»). 9 Ibid. (in τ, trad. Giardini, cit., p. 553; trad. Gentile, cit., p. 42: «hai detto che fa anche

degli animali»). % Ibid. (in τ. passim trad. Giardini, cit., p. 553; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 780: «OsPrTE Lo dico certo. Ma deve anche produrre il mare, la terra, cielo, Dei, qualunque cosa insomma»; [«quante»], add. trad. Gentile, cit., p. 42).

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tau).95 L’esito della discussione tra i due interlocutori, l’Eleate e Teeteto,

è l'approdo alla formulazione della teoria dell’«apparenza» come «imitazione». Vi si perviene tramite la riflessione su due punti nevralgici, o comunque temi centrali, del dibattito. Si tratta, i primis, del quesito risolutivo se si debba allora «conside-

rare un gioco» od uno «scherzo» (παιδιὰν νομιστέον) 96 l’enunciato di colui che «afferma di sapere tutto» (τὴν τοῦ λέγοντος ὅτι πάντα οἶδε)97 e, per altro, ritiene di «poterlo insegnare» (ἂν διδάξειεν)98δ «per poco prezzo» e in breve tempo (ὀλίγου καὶ ἐν ὀλίγῳ XE6v@).??

Qui si crede sia giocoforza il rilevare come il ricorso alla designazione dello scherzo, della παιδιά (in poche righe, il termine compare tre volte!) implichi di per sé — ed invero chiaramente! — che il Platone degli ultimi anni intenda mostrare, e quindi denunciare, l'impostazione inavveduta, la credibilità tenue, l’efficacia dubbia del ricco ed inestimabile patrimonio delle conoscenze come anche delle mirabili capacità d’inse-

gnamento, che i sofisti assicurano e promettono di possedere. Da questo punto di vista, non sembra fuori luogo il reputare che nel Dialogo si propenda ad infirmare la validità di sedicenti ed ingannevoli maestri dell’arte sofistica, scalfendone persino le basi, invalidandone le premesse e negando i risultati del loro operare o, più propriamente, del loro «dire e contraddire».

Un secondo aspetto importante, oltre che elemento caratterizzante, della disputa sinora proposta, può segnalarsi nella sollecitazione ed esor-

tazione a considerare la mimetica o «l’arte dell’imitazione» come la «specie di scherzo più artistica e più graziosa» e, parimenti, come una sorta di «gioco più acuto e anche più aggraziato». È questo l’interrogativo che

9 Ibid. (int. trad. Gentile, cit., p. 42; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 553: «ognuna di que-

ste cose, le vende a un prezzo assolutamente basso [«vende tutto e a poco denaro»: trad. Turolla, cit., p. 7801»). % Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 553; «reputare uno scherzo»: trad. Gentile, cit., p. 43). Ibid. (int. trad, Gentile, cit., p. 43; non dissimile trad. Giardini, cit., p. 553: «di colui che

dice che sa tutte queste cose»). 98 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 43; vd. ugualmente trad. Giardini, cit., p. 553: «che potrebbe

insegnarle»). 99 Ibid. (in τ. trad. Giardini, cit., p. 553; vd., ugualmente, trad. Gentile, cit., p. 43: «per

poco ed in poco tempo». Per questo riguardo, valga riportare per intero trad, Turolla, cit., p. 780, alquanto aderente: «Ma senti, quella pretesa di sapere ogni cosa, quando s’afferma d’insegnare ogni cosa a buon mercato e in breve tempo, non è anche uno scherzo vero e proprio?»).

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— quasi ex abrupto e di sicuro coinvolgente — l’Eleate rivolge al suo interlocutore, a Teeteto: ZENO IHouduig δὲ ἔχεις ἤ τι τεχνικώτερον ἢ καὶ χαριέστερον εἶδος ἢ τὸ μιμητικόν; 100

Ci s’introduce, sin da ora, nel vivo di un’argomentazione che, nel Sofista, è da ritenere tra le più rilevanti e, nell’ambito dell’intero Corpus Pla-

tonicum, viene ad assumere una particolare significatività teoretica, specie ai fini della enucleazione e della formulazione stesse del pensiero dell’Ateniese. Scandito in termini così categorici come recisi, risuona il ri-

chiamo alla relazione stretta ed al nesso connettivo tra il «gioco» della sofistica e quello della mimesi. Questa tecnica o «arte» costituisce una «specie molto complessa e quasi la più svariata di tutte» (πάμπολυ γὰρ εἴρηκας εἶδος [...] σχεδὸν ποικιλώτατον).101 Nella denominazione dell’«arte dell’imitazione» come di «un genere» che «in un sol punto» ab-

braccia e «sotto un termine» unico raccoglie «tutte le cose» (eig ἕν πάντα συλλαβών),192 già si postula la possibilità di definire il sofista. In lui si ravviserà il mimeta; e da ultimo, sarà da convenire che la sua natura è da

includersi nella categoria estesissima dell’arte dell’imitazione. 9. Nella parte finale del capitolo 21 e nella prima del 22,1% l’Eleate

viene così ad instaurare un tare» e la sofistica, che Egli xastica o dell’opinione, ma retto della verità. L’affinitä

rapporto di somiglianza tra l’«arte dell’imipone allo stesso livello della conoscenza doben lungi dalla noesi e dal perseguimento dirisalta nella delineazione dei tratti tipici delle

due arti. Una volta che si sia premesso che chi «promette» di essere in

grado di «produrre tutto con un’arte sola», mediante l’arte del disegno è anche capace di «fabbricare delle imitazioni» e degli «omonimi delle cose

100 Ibid,, 234b, p. 552 (in τ. «specie [...] graziosa»: trad. Gentile, cit., p. 53; «gioco [...] aggraziato»: trad, Giardini, cit., p. 553; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 780: «Ospite — E di questo tipo di scherzi avresti modo di fornirmi esempio più ingegnoso e più bello dell’arte imitativa?»).

101 Ibid, (in t. trad. Gentile, cit., p. 43; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 553: «hai nominato un genere alquanto grande [...] e assolutamente molto vario»; trad. Turolla, cit., p. 780: «[...] una specie assai ricca di specie minori [...]. É specie veramente complessa codesta»). 102 Ibid. (in τ. trad. Giardini, cit., p. 553; ma «sotto un termine»: trad. Gentile, cit., p. 43;

libera e poetica trad. Turolla, cit., p. 780: «hai raccolto in unica parola molteplici manifestazioni»). 19 Cfr. ibid., 233c 12-234e 8, pp. 552 e 554 (ed. Plebe, cit., pp. 41-44; trad. Turolla, cit.,

pp. 779-781).

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reali», allora ne consegue, di necessità, l’identificazione di sofistica e di mimetica.

i

Esponendo le raffigurazioni con certi procedimenti — ad esempio chiamandole con gli stessi nomi delle cose e mostrandole «da lontano» -,

il mimeta ha buon gioco nell’indurre i giovani «ingenui», «sprovveduti» se non privi di intelligenza, a credere che egli possa riprodurre «alla perfezione» tutto quanto gli aggrada. Valga riproporre il passaggio platonico

nella sua interezza: ΞΕΝΟΣ Οὐκοῦν τόν γ᾽ ὑπισχνούμενον δυνατὸν εἶναι μιᾷ τέχνῃ πάντα ποιεῖν γιγνώσκομέν ποῦ τοῦτο, ὅτι μιμήματα καὶ ὁμώνυμα τῶν ὄντων ἀπεργαζόμενος τῇ γραφικῇ τέχνῃ δυνατὸς ἔσται τοὺς ἀνοήτους τῶν νέων παίδων, πόρρωθεν τὰ γε-

γραμμένα ἐπιδεικνύς, λανθάνειν ὡς ὅτιπερ ἂν βουληθῇ δρᾶν, τοῦτο ἱκανώτατος ὧν ἀποτελεῖν ἔργῳ. 1%

Non tanto dall’elevato grado di dichiarata fiducia in se e dalle conclamate capacitä, quanto piuttosto dalle medesime tecniche propugnate dal sofista-mimeta ed emblematizzate, da una parte, nel mostrare il disegno «da lontano» e, dall’altra, nel ricorso all’artefatto dell’omonimia in funzione piü di una mera titolazione verbale che di una designazione oggettiva, — pare per certo che vengano ad emergere alcuni indizi atti a rilevare

un intento di valutazione negativa. Si ritiene che una qualche ombra si riversi sugli sbocchi operativi dei sofisti e degli imitatori nel senso, per lo meno, che il loro campo d’azione e d’influenza sia circoscritto o confinato alla cerchia ristretta di giovani non ancora maturi e, per altro, ine-

sperti della vita Egli stesso tifico e principi dall’empirico o

ed ignari del vero. convinto di non poter evocare a sé criteri di ordine sciendi carattere normativo, il sofista non è in grado di astrarre dallo sperimentale, quando non dall’immediato o dall’im-

provvisato. Ciò è dato desumere senza difficoltà laddove nel testo del So-

fista si tratteggiano o si fanno osservare la sua predisposizione e la sua 104 Ibid., 234b, p. 552 (in t. «produrre [...] sola», «fabbricare [...] imitazioni», «ingenui» ed «alla perfezione»: trad. Gentile, cit., pp. 43-44; «promette», «omonimi [...] reali» e «sprovveduti»: trad. Giardini, cit., p. 553; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 780: «Ospite — In conclusione

stiamo facendo la conoscenza di questo personaggio che si unica arte ogni cosa. Lo conosciamo questo mirabile mostro! possono chiamare con gli stessi nomi degli originali. Valendosi certo a ingannare qualche ragazzo un po’ sciocco; gli mostrerà ad intendere che qualunque cosa questo ragazzo vorrà fare, è reale»).

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dichiara capace di produrre con Produce imitazioni di cose che si di una sua pittorica abilità, riesce di lontano le sue pitture, e gli darà capacissimo di farla, e completa e

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consuetudine a «portare a termine con le opere tutto ciö che» egli «vuole fare»: e cioè, o forzando i termini del discorso, oppure distorcendo e rendendo tortuosa la logicità del ragionamento. Trasponendo l’enfasi sul piano dell’eloquio ed in specie dei ragionamenti (περὶ τοὺς λόγους),195 si nota quanto sia agevole l’avvalersi di «un'arte» (εἶναί tiva ἄλλην τέχνην) 106 per cui si «incantino le orecchie dei giovani» e «mediante la quale» «è possibile raggirare i giovani» stessi che restano ancora ben «lontani dalla verità delle cose» e «dei fatti». Pertanto, è possibile avvincere e convincere i giovani (δυνατὸν (ὃν) [ad] τυγχάνει τοὺς νέους καὶ ἔτι πόρρω τῶν πραγμάτων τῆς ἀληθείας ἀφεστῶτας), 197 con discorsi suadenti alle orecchie ma che, nella sostanza,

non presentano n& propongono nient’altro che immagini «verbali», «fatte di sole parole», su tutte le cose (δεικνύντας εἴδωλα λεγόμενα περὶ πάντων). 108 In tal modo, tutto sembra convergere a far sì che si creda 0,

più esattamente, che questi giovani — quando non vi siano indotti — si rendano essi stessi inclini a «credere che si dica la verità» (ὥστε ποιεῖν ἀληθῆ δοκεῖν λέγεσθαι) 1095 in ogni cosa e, egualmente, che chi parla - il sofista — «sia davvero» il «più sapiente» di tutti, ed in tutto (καὶ τὸν λέγοντα δὴ σοφώτατον πάντων ἅπαντ᾽ εἶναι). 110

10. Non pochi degli «ascoltatori di una volta» (Τοὺς πολλοὺς [...] τῶν τότε ἀκουόντων),11! divenuti poi adulti con il passare del tempo

105 Ibid., 234c, p. 552 (trad. Giardini, cit., p. 553; ma trad. Gentile, cit., p. 44: «per i discorsi»). 106 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 553: «esiste [un’arte]»; vd. trad. Turolla, cit., p. 780: «c’è anche una cotale recondita arte»).

107 Ibid. («(si rende possibile) incantare [...] dei giovani» e «dei fatti»: trad. Gentile, cit., p. 44; «mediante [...]» e «lontani [...]»: trad. Giardini, cit., p. 780; cfr. trad. Turolla, cit., p. 780:

«Per suo mezzo giovani, ancora del tutto ignari sulla verità dei fatti, riescono presi attraverso l’udito come da un sortilegio di parole»). 108 Ibid. (in τ. «verbali», trad. Gentile, cit., p. 44; «fatte di [...]»: trad. Giardini, cit., p. 553;

cfr. anche la brillante ma libera trad. Turolla, cit., p. 780: «È possibile mostrare solo fantasmi e vane ombre, parole soltanto su ogni fatto»). 109 Ibid. (in τ. «credere [...] verità»: trad. Gentile, cit., p. 44; cfr. trad. Giardini, cit., p. 553: «tanto da fare ritenere che viene detta la pura verità»; trad. Turolla, cit., p. 780: «Cosa ne con-

segue? Apparenza

di dire il vero»).

110 Ibid. (in τ. «sia davvero»: trad. Gentile, cit., p. 44; trad. Giardini, cit., p. 553; vd. anche

trad. Turolla, cit., p. 780: «come se chi parla, fosse più sapiente di tutti»). 111 Ibid., 2344, p. 552 (trad. Gentile, cit., p. 44; trad. Giardini, cit., p. 553; cfr. trad. Turolla, cit., p. 780: «molti di questi discepoli»).

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(χρόνου τε ἐπελθόντος αὐτοῖς), 112 si avvicinano al vero storico ed oggettivo, come «cadendo da vicino tra le cose reali» (τοῖς te οὖσι προσπίπτοντας ἐγγύθεν).115 Per forza degli eventi e su spinta delle esperienze vissute, essi sono costretti a confrontarsi con la realtà concreta e determinata «in un contatto diretto» e «chiaro» (διὰ παθημάτων ἀναγκαζομέ-

νους ἐναργῶς ἐφάπτεσθαι τῶν ὄντων).114 Quindi, vengono obbligati a mutare prospettiva e «cambiare», quando non addirittura «capovolgere», le «opinioni

di un tempo»

(μεταβάλλειν τὰς τότε γενομένας

δό-

Eag), 115 specie a riguardo delle categorie del «piccolo / grande» (σμικρά / μεγάλο) 116 e del «difficile / facile» (χαλεπά / ῥδια). 117

A causa del contatto immediato — e talora in seguito all’impatto anche brusco — con la «realtà dei fatti», subentrano e si contrappongono

nuovi criteri valutativi e differenti parametri di giudizio; si ribaltano e «saranno

rovesciate» le «apparenze

dei ragionamenti»,118

della cui

astrattezza, irrealtà e non aderenza all’oggetto gli individui, ora divenuti provetti, acquisiscono piena coscienza. Non sorprende come venga ad «apparire» che — secondo quanto rende con aderenza il Giardini — ne siano pertanto «sconvolte in ogni senso tutte le parvenze insite nelle pa-

role da parte dei fatti che avvengono nella realtà». 119 Recita il testo nel Sofista: ZENO [...] φαίνεσθαι [...] καὶ πάντα πάντῃ ἀνατετράφθαι τὰ ἐν τοῖς λόγοις φαντάσματα ὑπὸ τῶν ἐν ταῖς πράξεσιν ἔργων παραγενομένων; 120

112 Cfr. ibid., p. 554 (trad. Giardini, cit., p. 555: «passato un lasso di tempo per essi»; trad. Gentile, cit., p. 42; e trad. Turolla, cit., p. 780). 13 Ibid. (in τ. trad. Giardini, cit., p. 555; trad. Gentile, cit., p. 44: «avvicinatisi perciò alla realtà»). 114 Ibid. (in τ. «in un contatto [...]»: trad. Giardini, cit., p. 555; «chiaro»: trad. Gentile, cit.,

p. 44; cfr. anche trad. Turolla, cit., pp. 780-781: «vengono a contatto della reale condizione dei fatti»).

115 Ibid. («cambieranno» e «opinioni [...]»: trad. Gentile, cit., p. 44; «capovolgere le opinioni condivise»: trad. Giardini, cit., p. 555; vd. trad. Turolla, cit., p. 781: «In tale condizione

come tramutano le antiche opinioni!»). 116 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 44; cfr. trad. Giardini, cit., p. 555: «piccole le cose [...] gran-

di»; e trad. Turolla, cit., p. 781). 117 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 44; cfr. trad. Giardini, cit., p. 555: «difficili le facili»; trad.

Turolla, cit., p. 781). 118 Cfr. ibid., 234e, p. 554 (in t. passim trad. Gentile, cit., p. 44).

119 Cfr. ibid. (trad. Giardini, cit., p. 555). 120 Ibid., 234de, p. 554 (cfr. anche trad. Turolla, p. 781: «Tutte quelle apparenze affidate a parole come in ogni parte risultano capovolte! Questa la dura lezione dei fatti»).

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In questo passaggio, come in altri luoghi platonici, vivo si avverte l’appello vibrante alla prassi e ad una certa qual forma di realismo ineludibile in considerazione della condizione mondana dell’uomo. A Teeteto che ammette di far parte di coloro che «si trovano ancora lontani» (τῶν ἔτι πόρρωθεν ἀφεστηκότων) 121 dal vero, l’Eleate conferma di «cercare» di condurlo il più vicino (πειρώμεθα ὡς ἐγγύτατα [...] προσάγειν) 122 ad

esso. Nell’impostare la disputa, richiama l’attenzione e incentra il discorso sull’indagine volta a scoprire la natura del sofista. Esorta l’interlocutore a prendere in esame la tipologia di lui. A poter formulare una definizione così appropriata come precisa del sofista, a delucidare i termini dello status quaestionis, s’invita a chiarire ed esplicitare un punto chiave ed un fattore basilare della trattazione. Nell’«Ebbene, del sofista dimmi questo», 123 si pone un quesito di sostanza. Prima, ci si chiede di stabilire ed enunciare se sia ormai acquisito e già acclarato (ἤδη τοῦτο σαφές) 124 che, in ultima analisi, il sofista è «uno dei seduttori», un «incantatore», un mago, ed un «imitatore delle cose reali». Si testimonia nel Dialogo: ΞΕΝΟΣ [...] τῶν γοήτων ἐστί τις, μιμητὴς dv τῶν ὄντων. 125

Ma -- interrogativo d’interesse primario! — ci si domanda se permanga invece il dubbio che, in effetti, il sofista non sia provvisto di una formazione adeguata né risulti in possesso delle «conoscenze autentiche» (μὴ [...] περὶ τοσούτων καὶ τὰς ἐπιστήμας ἀληθῶς ἔχων τυγχάνει), 126 pro-

prio in relazione a quei medesimi «argomenti» ed a quelle tematiche in 121 Ibid., 234e, p. 554 (in τ. trad. Gentile, cit., p. 44; cfr. trad. Giardini, cit., p. 555: «ancora osservano da lontano»; trad. Turolla, cit., p. 781: «ancora così remoti»).

122 Ibid. (cfr. trad. Gentile, cit., p. 44: «cerchiamo di portarti quanto più è possibile»; trad. Giardini, cit., p. 555: «stiamo già tentando [...1»; cfr. trad. Turolla, cit., p. 781).

123 Cfr. ibid.: περὶ δ᾽ οὖν τοῦ σοφιοτοῦ τόδε μοι λέγε (trad. Gentile, cit., p. 44). 124 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 55: «è ormai evidente»; trad. Gentile, cit., p. 44: «è già

chiaro»). 125 Ibid., 235a, p. 554 (in τ. «uno dei [...]» e «imitatore [...]»: trad. Giardini, cit., p. 555; vd. trad. Gentile, cit., p. 44: «ELEATE [...] sia un [incantatore], il quale imiti la realtà»; affine trad.

Turolla, cit., p. 781: «Osprre — [...] un cotale maligno [incantatore], capace soltanto d’imitar la realtà»).

126 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 555: «su questi appunto, non si trovi ad avere delle [conoscenze autentiche]»; vd. trad. Gentile, cit., p. 44: «[...] possegga veramente la scienza di [...]»; e trad. Turolla, cit. p. 781: «Forse egli si trova davvero in possesso di quelle cognizioni»).

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cui egli si rivela pur tanto abile nel «condurre il contraddittorio (περὶ ὅσωνπερ ἀντιλέγειν δοκεῖ δυνατὸς εἶναι). 127

Alla luce di una maturata consapevolezza, da un canto, della vacuitä di un discorso verbale che non si fondi sulla res, e, d’altronde, della relativitä od inconsistenza di una veritä che si presume di cogliere attraverso

l’apparenza fenomenica e senza rinvio alcuno all’ente in sé, è da escludere che il sofista sia «veramente» in possesso del sapere di cui si vanta. In effetti, egli non è depositario della «scienza di tutto ciò di cui mostra di saper discutere». 128 Neppure sorprende il riscontrare come Teeteto non si periti di annoverarlo tra quelli che «fanno per ischerzo», precisando appunto quanto risulti chiaro che egli è «una delle componenti che prendono parte al gioco»: τῶν τῆς παιδιᾶς μετεχόντων ἐστί τις εἷς). 129 Di certo,

perentoria e categorica è l'affermazione risolutiva dell’Eleate, secondo il quale ΞΈΝΟΣ Γόητα μὲν δὴ καὶ μιμητὴν ἄρα θετέον αὐτόν τινα. 130

E pertanto imperativo e, al tempo medesimo, inconfutabile il deter-

minare che il sofista è un «incantatore» ed un «imitatore». Una siffatta asserzione pone e costituisce la premessa inequivoca alla formulazione della settima ed ultima definizione del sofista. Ne emerge e sovrasta un

alone di negatività e come di condanna laddove si cataloga il sofista tra coloro ai quali si addice la denominazione di falsario, di «uno che sa darla ad intendere» — interpreta il Giardini, 13! 11. Dopo aver raffigurato il suo «personaggio» con un linguaggio a

tinte forti ed in toni duri mediante l’immagine allegorica di una «belva» (τὸν θῆρα) 132 che si è «ormai catturata» come in «una trappola» (αὐτὸν

127 Ibid. (in t. «argomenti» e «condurre [...]»: trad. Giardini, cit., p. 555; vd. trad. Turolla,

cit., p. 781: «a proposito delle quali tanto rifulge la sua bravura nel contraddire»). 128 Cfr. ibid. (in τ. trad. Gentile, cit., p. 44).

129 Ibid. (int. «fanno [...]»: trad. Gentile, cit., p. 45; «una [....] gioco»: trad. Giardini, cit., p. 555; vd. pure trad. Turolla, cit., p. 781: «è quelli che hanno relazione con lo scherzo, col gioco»). 130 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 45: «ELEATE Bisogna dunque porlo come un incantatore ed imitatore»; trad. Turolla, cit., p. 781: «OSPITE — è un impostore, un ciarlatano, un imitatore, un mimeta, cioè»). 131 Cfr. ibid. (trad. Giardini, cit., p. 555; cfr. anche trad. Turolla, p.781). 132 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 555; «preda»: trad. Gentile, cit., p. 45; «fiera»: trad. Turolla, cit., 781).

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περιειλήφαμεν ἐν ἀμφιβληστρικῷ), 133 del tutto avvolta, impigliata ed «irretita coi lacci» intrinseci ai «ragionamenti» (ἐν τοῖς λόγοις), 134 — ancora

una volta l’Eleate presenta il sofista con una designazione che è propria del mondo magico. Così, infatti, si pronuncia nei riguardi di lui come di «uno» della «schiatta degli incantatori» o del «genere dei prestidigitatori»: ΞΕΝΟΣ Tò μὴ οὗ τοῦ γένους εἶναι τοῦ τῶν θαυματοποιῶν τις εἷς. 135

Argomentando sempre per metafora ed analogia, l’«Ospite» che «viene da lontano» propugna la validità ed efficacia del «metodo» suo, e di quanti altri «sappiaro procedere» al par di lui «nei particolari e nel complesso» (καθ᾽ ἕκαστά te καὶ ἐπὶ πάντα μέθοδον),13 nella battuta di caccia condotta a «catturare» (συλλαβεῖν) 157 il sofista. Del già invalso ed

ampiamente utilizzato processo di diairesis, nel Sofista si rinviene la prima fase, il passaggio iniziale. Platone vi offre la prima divisione dicotomica; e poi, affronta il problema dell’essere e del «non-essere relativo». Pertanto, a riguardo del rapporto già di sopra instaurato tra tecnica sofistica e arte dell’imitazione, l’Eleate ritiene di dover rivolgersi a «dividere» o «distinguere» «l’arte» di «fare» o «creare immagini» (διαιρεῖν τὴν εἰδωλοποιικὴν τέχνην). 1538 E ciò — Egli incalza — si richiede al fine precipuo di scoprire o verificare se il sofista: 1) sia vicino, «ci venga subito sotto» (ἡμᾶς εὐθὺς ὁ σοφιστὴς ὑπομείνῃ) 13° e, per questo, ci appaia catturabile ed esplorabile nella sua

natura; 153 Ibid., 235b, p. 554 (in τ. trad. Gentile, cit., p. 45; cfr. trad. Turolla, cit., p. 781: «l’abbia-

mo [...] serrata dentro una certa cosa che l’avviluppa come una rete»). 134 Ibid, («[irretita coi lacci] che in questi casi dà il ragionamento»: trad. Gentile, cit., p. 45;

cfr. trad. Giardini, cit., p. 555: per «ragionamenti»). 135 Ibid. (in τ. «schiatta [...]»: trad. Giardini, cit., p. 555; «genere dei [...]»: trad. Gentile, cit., p. 45; vd. trad. Turolla, cit., p. 781: «Ospite — D’esser parte del genere dei ciarlatani. Uno di costoro»). 136 Ibid., 235c, p. 554 (in t. passim trad. Gentile, cit., p. 45; cfr. trad. Giardini, cit., p. 555: «ricerca di forze così determinate a ogni particolare, e nel complesso»; trad. Turolla, cit., p. 782: «metodo così analitico e nello stesso tempo sintetico!»). 137 Ibid., 235b, p. 554 (trad. Gentile, cit., p. 45). 138 Ibid. (in τ. «dividere» e «fare», trad. Gentile, cit., p. 45; «distinguere» e «creare [...]»: trad. Giardini, cit., p. 555; vd. trad. Turolla, cit., p. 781: «dividere in due sezioni l’arte d’immagini»). 139 Ibid. (in t. trad. Gentile, cit., p. 45; cfr. trad. Giardini, cit., p. 555: «il sofista subito riesce a resistere»).

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2) oppure «si nasconda» e si rintani «tra le parti dell’arte imitativa» (κατὰ μέρη τῆς μιμητικῆς δύηταί πῃ), 149 e le sue peculiarità siano da rintracciare in una delle tipologie della mimesi. All’Eleate «sembra» che di quest'arte si «scorgano» e distinguano due «specie» o aspetti. Egli stesso specifica: ΞΕΝΟΣ [...] ἔγωγέ μοι καὶ νῦν φαίνομαι δύο καθορᾶν εἴδη τῆς μιμητικῆς. 141

La mimetica si suddivide invero nell’arte del «copiare»!4 ed in

quella delle «parvenze». 14? Vi si «osserva», in primo luogo, «un’arte» che è l’eixaorıen τέχνη, l’arte del copiare appunto. Inequivoca risuona, al proposito, la lezione trasmessaci nel Dialogo: ΞΕΝΟΣ Μίαν μὲν τὴν εἰκαστικὴν ὁρῶν ἐν αὐτῇ τέχνην. 14.

Nitidi risultano gli abbozzi iniziali della definizione e gli sviluppi suc-

cessivi della chiarificazione dei tratti essenziali dell’arte del copiare. Questa si effettua secondo criteri di fedeltä stretta ed in aderenza cogente al modello di cui si rispettano «le proporzioni» e «le dimensioni» «in lunghezza (o grandezza)», «in larghezza (od estensione) e profondità», e di cui si riflettono anche «i colori» che si addicano «alle singole parti». Tale

è la via per la quale viene ripercorso il processo generativo, si «compie il

140 Ibid., 235c, p. 554 (in τ. trad. Gentile, cit., p. 45; cfr. trad. Giardini, cit., p. 555: «poi

s’immergesse sotto le parti della mimetica»). 141 Ibid., 2354, p. 554 (int. trad. Gentile, cit., p. 45; cfr. trad. Giardini, cit., p. 555: «OSPITE

[...] mi sembra anche ora di scorgere due specie dell’arte imitativa»; e trad. Turolla, cit., p. 782: «OsPITE — mi par di scorger due tipi di arte di similitudine»). 142 Cfr. ibid., 235d-236b, pp. 554 e 556 (ed. Plebe, cit., pp. 45-46: cfr. p. 46 [2354]; trad. Turolla, cit., pp. 782-783).

19 Cfr. ibid., 236bc, p. 556 (ed. Plebe, pp. 46-47, cfr. p. 47: «arte del parere» [236c, per cui cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 557: «arte delle apparenze»]; e pure trad. Turolla, cit.,

p. 783). 14 Ibid., 235d, p. 554 (trad. Giardini, cit., p. 555: «OsPITE Una prima arte che si osserva nella mimetica è quella del copiare»; vd. trad. Turolla, cit., p. 782: «Osprre — Ne vedo una: l’arte con cui si procede a una copia»; trad. Gentile, cit., p. 46).

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CAPITOLO

PRIMO

principio» e si «esegue l’opera» dell’imitazione. In questa ottica, reca il testo del Sofista: ZENO? [...] κατὰ τὰς τοῦ παραδείγματος συμμετρίας τις ἐν μήκει καὶ πλάτει καὶ βάθει, καὶ πρὸς τούτοις ἔτι χρώματα ἀποδιδοὺς τὰ προσήκοντα ἑκάστοις, τὴν τοῦ μιμήματος γένεσιν ἀπεργάζηται. 145

12. Platone inneggia reiteratamente al vero. In vista di ciò e a parziale illustrazione, valga richiamarsi, da un canto, all’avvertimento perché si

«rendessero» le «vere proporzioni» e la «vera dimensione» di quanto è bello (τὴν τῶν καλῶν ἀληθινὴν συμμετρίαν), 14 e, d'altronde, al ricorrere

di espressioni quali «lasciando andare il vero» e «non tenendo in gran conto di esso» (οὐ χαίρειν τὸ ἀληθὲς ἐάσαντες). 1.7 Non altrimenti, giovi

rilevare la valenza particolare e il significato pregnante del rinvio costante a τὰς οὔσας συμμετρίας. 148

Viva si propaga l’ammonizione acciocché, a causa e matrice «delle cose belle» (τῶν καλῶν),149 si propongano improrogabilmente le dimensioni «reali», e non «quelle che sembrano belle» (τὰς δοξούσας εἶναι καλάς) 150 e che, a tal fine, vengono spesso riprodotte dagli artisti che si mostrano incuranti del vero. Ciò si esprime in un appello indiretto ma in-

derogabile a tenere presente e porre in enfasi la distanza del mondo dell'esterno, delle sembianze e delle appariscenze, da quello dell’essere e della sua oggettività. 145 Ibid., 235de, p. 554 (in τ. «le proporzioni», «lunghezza», «larghezza», «i colori», «alle [...] parti» e «eseguisca [...]»: trad. Gentile, cit., p. 46; altrimenti trad. Giardini, cit., p. 555; ef-

ficace e incisiva trad. Turolla, cit., p. 782: «Osprre — Il che avviene quando, secondo le misure dell’esemplare (lunghezza larghezza profondità) si compie opera d’imitazione e si attribuiscano inoltre i colori convenienti ai singoli particolari»). 146 Ibid., 235e, p. 556 («vere [...]»: trad. Gentile, cit., p. 46; «rendessero» e «vera [...]»:

trad. Giardini, cit., p. 557). 147 Ibid., 236a, p. 556 («lasciando [...] vero»: trad. Gentile, cit., p. 46; «non tenendo [...]»: trad. Giardini, cit., p. 597). 148 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 557: «le dimensioni [«proporzioni»: trad. Gentile, cit.,

p. 46] reali»). 149 Ibid., 235e, p. 556 (trad. Gentile, cit., p. 46; trad. Giardini, cit., p. 557; cfr. supra e n. 146). 150 Ibid., 2364, p. 556 (nel contesto vd. trad. Turolla, p. 782: «(Introducono quindi nelle

varie copie), non le proporzioni che veramente esistono, bensì quelle che hanno l’apparenza di essere belle»; cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 46; e, ugualmente, trad. Giardini, cit., p. 557).

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DEL VERO

E DEL FALSO

Una simile forma d’imitazione, che è «parte della mimetica» (τῆς ye μιμητικῆς [...] μέρος), 151 come si è già fatto notare, è opportunamente de-

nominata «arte del copiare» (κλητέον ὅπερ εἴπομεν ἐν τῷ πρόσθεν, εἰκαστυκήν). 152 Pare giusto dunque (δίκαιον) 153 che tale specie dell’«arte dell’imitare» sia chiamata «copia» (εἰκόνα xoAeîv).154 Essa, dunque, «es-

sendo copiata» e al tempo medesimo «poiché riproduce» (εἰκός ye ὄν), 155 viene a costituire una «seconda rappresentazione» rispetto alla prima che

raffigura gli enti reali e le cose vere. Qualora, per altro, nelle proporzioni ci si discosti dal vero e (specie nel caso di «quanti» sono impegnati nel «modellare o disegnare opere di gran mole» come pure nel «dipingere o plasmare un soggetto di grandi dimensioni» da osservare in prospettiva — ὅσοι ye τῶν μεγάλων πού τι πλάττουσιν ἔργων ἢ γράφουσιν 156 —) si trascurino le medesime «proporzioni reali» 157 per privilegiare esclusivi rapporti di bellezza in immagini

non ugualmente riscontrabili nell’oggetto, — deh! allora si sarebbe di fronte a «ciò che da un punto di vista non bello, sembra riprodurre il bello»: dinanzi, cioè, a quello che «pare somigliare al bello», pur in una prospettiva non del bello. Recita il testo: ΞΕΝΟΣ Ti dé; τὸ φαινόμενον μὲν διὰ τὴν οὐκ ἐκ καλοῦ θέαν ἐοικέναι τῷ καλῷ. 158

In tal caso, ci s'imbatte in una seconda specie dell’arte delle immagini che è comprensiva della pittura e dell’intera arte imitativa (κατὰ τὴν

151 Ibid,, 236b, p. 556 (trad. Giardini, cit., p. 557; e trad. Turolla, cit., p. 782). 152 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 46; trad. Giardini, cit., p. 557; vd. trad. Turolla, cit., p. 782: «si deve chiamare, come dicevo poco fa [«abbiamo detto prima»: trad. Giardini, cit.], arte con

cui si procede a copia»). 153 Ibid., 236a, p. 556 (cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 782). 154 Ibid. (cfr. trad. Gentile, cit., p. 46: «chiamare [...] copia»; trad. Turolla, cit., p. 782:

«chiamare copia il primo prodotto»). 15 Ibid. («[poiché riproduce]», trad. Gentile, cit., p. 46; trad. Turolla, cit., p. 782: «dato

che si tratta d’una riproduzione»; trad. Giardini, cit., p. 357: «la seconda rappresentazione, essendo essa copiata»). 156 Ibid., 235e, p. 556 («modellano o disegnano [...]»: trad. Gentile, cit., p. 46; «[quanti] dipingono o plasmano [...]»: trad. Giardini, cit., p. 557). 157 Cfr. ibid., 236a, p. 556 (e supra, n. 148). 158 Ibid., 236b, p. 556 («ciò [...] il bello»: in t. trad. Gentile, cit., p. 46; «OsPITE Cosa? quel

che [pare somigliare al bello] per averne la vista non da una buona posizione»: trad. Giardini, cit., p. 557; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 783: «OsPITE — Vi sono cose che danno l'impressione

di riprodurre la bellezza dell’originale, perché viste da un punto non conveniente»).

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CAPITOLO

PRIMO

ζωγραφίαν τοῦτο τὸ μέρος ἐστὶ καὶ κατὰ σύμπασαν μιμητικήν). 155 Questa

è da catalogare come l’«arte» del «parere» e delle «apparenze». È designata quale la τέχνη φανταστική,169 in quanto «compie un’apparenza», persegue una «parvenza» e non una «copia»: ΞΈΝΟΣ Τὴν δὴ φάντασμα ἀλλ᾽ οὐκ εἰκόνα ἀπεργαζομένην τέχνην do’ οὐ φανταστυτὴν ὀρθότατ᾽ ἂν προσαγορεύοιμεν; 161

La denominazione stessa di «parvenza» s'impone, giacché, attraverso questo genere di arte, il mimeta non «riproduce» l’originale né ciò che ne costituisce la «copia» vera, ma solo quello che «pare» sia l’«originale» o la «copia» reale. Puntualizza, invero, l’«Ospite straniero»: SENO

[...] ἐπείπερ φαίνεται μέν, fore δὲ οὔ, φάντασμα. 162

In nome di uno pseudo-principio estetico, di una pretenziosa esi-

genza e vana infondata ricerca di «dimensioni» che non rispondono alla realtà, ma che «sembrano belle»1% ed ornate di forme raffigurative

splendide, l’esecutore delle parvenze sacrifica e tradisce il vero, abdica dal reale ed astrae dall’oggetto in sé, e anche dalla copia stessa dell’ente in sè. 13. Non si crede sia arduo l’evincere come, in ultima analisi, l’arte dell’imitazione si manifesti e sia da ritenersi fondamentalmente menzognera e mendace. Essa riproduce copie delle cose: ma non nella sussi-

stenza e realtà di queste, bensì dal punto di vista fenomenico, nel loro apparire esteriore. L’imitatore e l’artista al vero antepongono il credibile e,

finanche, il fruibile. Riproducono «soggetti di grandi dimensioni» in 159 Ibid., 236bc (trad. Giardini, cit., p. 557: «è dunque questa una gran parte della pittura e di tutta l’arte mimetica»; vd. trad. Turolla, cit., p. 783: «questa specie abbia larga applicazione [«è... molto estesa»: trad. Gentile, cit., p. 46] e nella pittura e in tutta l’arte mimetica»).

160 Cfr. ibid., 236c, p. 556 (trad.: «arte» del «parere» [Gentile, cit., p. 47] / delle «apparenze» [Giardini, cit., p. 5571). 161 Ibid. (in τ. «compie [...]»: trad. Giardini, cit., p. 557; «parvenza»: trad. Gentile, cit., p.

47; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 783: «OsPITE — non riproduce esattamente [«a proposito»: trad. Giardini, cit.] una copia, ma soltanto una [parvenza] dell’originale»). 162 Ibid., 236b, p. 556 (in τ, passim trad. Gentile, cit., p. 47; cfr. anche trad. Giardini, cit., p.

557: «OSPITE [...] dal momento che pare, sì, ma non è la copia»). 16 Cfr. ancora ibid., 236a, p. 556 (e supra, $ 12 e n. 147).

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DEL VERO

E DEL FALSO

guisa tale che alla vista dell’osservatore si conservi P’«apparenza» delle proporzioni originarie, sia che egli guardi da lontano che da vicino. L’epistemologo e lo scienziato ricercano invece la verità nelle conclusioni della loro indagine. Sulla discussa veridicità ed inadeguata o vaga rispondenza al reale, quando non sull’«irrazionalità» e sul tono come di «incantesimo magico»,16 il giudizio platonico è costantemente univoco sin dalla composizione dello Ioze e dalla presentazione della similitudine per cui il fascino dell’artista, che imita, viene accostato alla forza d’attrazione, che è della

calamita. Qui il sofista!6° — mimeta della realtà — è al tempo medesimo «incantatore» e «prestidigitatore» — si è detto sopra —.

D'altronde, non si reputa sia fuori luogo né del tutto estemporaneo il richiamare che — come già prima di lui avevano affermato i pitagorici — in Repubblica II, III e IX, Platone aveva teorizzato sulla concezione dell’arte come mimesi: né in senso positivo né in termini elevati. Limitazione, me-

diante l’arte, è da valutare «di secondo grado», in quanto imita le cose che sono già imitazione di un’idea. La mimesi e le arti imitative non sono

di giovamento alcuno nello stato ideale e neppure valgono a potenziare le facoltà intellettuali e la conoscenza noetica da parte degli esseri umani. Sotto questo aspetto si permane in linea con l’esposizione e in sinto-

nia con l’interpretazione data nella Repubblica. Ciò nonostante, non è da sottacere come negli ultimi scritti del Fondatore dell’ Accademia

sia dato

rilevare un ben definito «ripensamento», 166 già dal Fedro. Nelle Leggi, poi, si ha una netta rivalutazione della musica che — a differenza delle altre arti imitative, incluse la pittura e la poesia — può in certa misura classificarsi come un’imitazione, in primo grado, delle idee,

nel senso che riproduce o copia proporzioni matematiche o relazioni astratte, ma non le cose che sono già imitazioni delle idee. Nel Sofista si considera ancora «uno scherzo» (παιδιὰν λέγεις τινά, e — non altrimenti — μῶν οὐ παιδιὰν νομιστέον;) 167 l’arte dell’imitare. Preme, tuttavia, osservare come proprio nel Sofista sia da ravvisare e in-

dicare un ulteriore e più ricco approfondimento speculativo a proposito 164 Cfr. ibid., 235ab (ed. Plebe, pp. 44-45, n. ad loc. 235ab: cfr. p. 44).

165 Cfr. ibid. 166 Cfr. PLese, Introduzione al Sofista, cit., p. XXI; e vd. anche le osservazioni dello stu-

dioso, a pp. 42-43, n. ad loc. 234ab. 167 Ibid., 234a, p. 552 (cfr. trad. Giardini, cit., p. 553 [trad. Gentile, pp. 42 e 43, in parentesi]: «Ma tu parli di uno («Dici per») scherzo» e «Dobbiamo dunque considerare un gioco («reputare uno scherzo»)?»).

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CAPITOLO

PRIMO

della mimesi da parte di Platone. Una fase di piü accentuata sensibilitä, come pure un grado di piü marcata attenzione, non disgiunta da una ben articolata elaborazione, & configurabile nella trattazione della dottrina dell’arte imitatoria che viene espressa nel Sofista. Nel Dialogo la mimesi appare ampiamente comprensiva di correlazioni sue proprie e di inferenze significative sul piano di un più coerente svolgimento teoretico. Questo procedimento conduce ad un passaggio inevitabile e pur necessario. Immette in uno dei crocevia così imprescindibili come ineludibili al fine di ripercorrere l’ifer, gradualmente progressivo e mai irreversibilmente tracciabile, di quella che è la continua e mai definitiva riflessione platonica, l'indagine mai paga di conclusioni sempre limitate e parziali o di esiti mai esclusivi né risolutivi. È in seguito alla divisione «dell’arte delle immagini» nelle «due specie» del «copiare» e del «parere» (Τούτω τοίνυν τὼ δύο ἔλεγον εἴδη

τῆς εἰδωλοποιικῆς, εἰκαστικὴν καὶ φανταστιυκήν) 168 — e nell’atto stesso di collocare il sofista tra le file degli esponenti dell’arte dell’imitazione, pur nella speciosa «perplessità» a proposito di quale delle due tipologie si confacesse maggiormente ad un «uomo» «davvero prodigioso e ben difficile da discernere» (ἀλλ᾽ ὄντως θαυμαστὸς ἁνὴρ καὶ κατιδεῖν παγχάλεσος) 169 --, che nel Sofista, l’ Ateniese viene non di certo a porre

in crisi l’idealismo della sua Filosofia precedente, ma per lo meno a tivisitarlo e, con ogni probabilità, a ridimensionarne forse l’assolutezza o la totalità. La difficoltà dell’analisi filosofica, insormontabile nei termini di già segnalati e nell’impostazione data, è posta in risalto dall’Eleate nella ca-

ratterizzazione del personaggio tipico del sofista e nella delineazione delle sue sembianze particolari. Queste appaiono intricate e, talora, inesplicabili o indefinibili, nella complessità degli artifici retorici e nell’inestricabilità dei virtuosismi o arzigogoli tipici della sofistica, del suo mondo magico e delle sue immagini, o piuttosto delle sue parvenze incantevoli di figurazioni.

168 PLATO, Sophista, 236c, p. 556 (in t. trad. Gentile, cit., p. 47; cfr. anche trad. Giardini,

cit., p.557: «Questi dunque sono i due aspetti della mimetica: l’arte delle copie e quella delle apparenze»; e trad. Turolla, cit., p. 783: «Eccoti [...] le due specie minori [...] dell’arte delle immagini; specie che produce la copia e [...] parvenze»). 169 Ibid., 2364, p. 556 (in τ, trad. Gentile, cit., p. 47; vd. anche trad. Giardini, cit., p. 557:

«uomo sorprendente e molto complesso da conoscere a fondo»; concisa, ma non molto efficace pare la trad. Turolla, cit., p. 783: «Che strano personaggio è costui!» [per «perplessità», cfr. ibid., 236c, p. 556: Ὃ δέ ye καὶ τότ᾽ ἠμφεγνόουν, reso con «ciò di cui ero perplesso», da trad. Gentile, cit., p. 47, e «Ma ciò di cui dubitavo anche or ora» in trad. Giardini, cit., p. 557]).

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DEL VERO

E DEL FALSO

Non coglie, quindi, di sorpresa, né desta stupore, la constatazione o

amara consapevolezza di Platone che lamenta come il sofista «anche [alllora» si fosse «rifugiato» «con molta abilità in una specie alquanto impraticabile» e, non altrimenti, «sotto un aspetto malagevole da investigare». 17° Conferma il testo, al riguardo: ΞΕΝΟΣ [...] καὶ νῦν μάλα εὖ καὶ κομψῶς εἰς ἄπορον εἶδος διερευνήσασθαι xaταπέφευγεν. 171

A breve, nel corso del Dialogo, l’Eleate torna a riasserire !72 che il sofista, «più abile di tutti», si è «insinuato» e «nascosto» «in un luogo impenetrabile»: ΞΕΝΟΣ [...] λέγωμεν ὡς παντὸς μᾶλλον πανούργως εἷς ἄπορον ὁ σοφιστὴς TÖπον καταδέδυκεν. 173

Poco di sopra nella trattazione sono state affrontate le tematiche relative: alla complessitä del rapporto e del nesso connettivo fra «parere» e «non-essere», alla questione della possibilità o meno del non-essere, ed egualmente — in caso di risposta affermativa — al tema dell’effettuabilità che il non-essere è «qualche cosa»174 e, nello specifico, che esso è «un uno», 175

14. Nel capitoletto 24176 è da individuare e additare come lo spartiacque o la linea di demarcazione fra la prima e la seconda parte (la cen-

170 Cfr. ibid. (in τ. «con [...] impraticabile»: trad. Gentile, cit., p. 47; «sotto [...] investigare»: trad. Giardini, cit., p. 597).

171 Ibid. (cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 783: «Ospite — Perché anche ora con grande bravura [«abilmente»: trad. Giardini, cit., p. 557] e molto bene si è rifugiato per entro a specie di ben ardua investigazione»). 172 Cfr. ibid., 239c, p. 562 (ed. Plebe, cit., pp. 53-54; trad. Turolla, cit., p. 787). 173 Ibid. (in τ. trad. Giardini, cit., p. 563 ma «nascosto»: trad. Gentile, cit., p. 54; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 787: «Osprte - [...] dovremo dire [ma «diciamo»: 4/7] che questo nostro sofista, da perfetto briccone, è andato a cacciarsi in un luogo inestricabile»). 174 Cfr. ibid., 237be (in PLATONE, Tutte le opere, cit., I, p. 558; ed. Plebe, cit., pp. 49-50

[cap. 25]; trad. Turolla, cit., pp. 784-785). 15 Cfr. ibid., 238a-239a (in PLATONE, Tutte le opere, cit., I, pp. 558 e 560; ed. Plebe, cit., pp. 50-53 [cap. 26]; trad. Turolla, cit., pp. 785-787). 176 Cfr. ibid., 236d-237b (in PLATONE, Tutte le opere, cit., I, pp. 556 e 558; ed. Plebe, cit.,

pp. 48-49; trad. Turolla, cit., p. 783-784).

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CAPFTOLO

PRIMO

trale) del Sofista. In chiara e risonante reiterazione verbale («in una rifles-

sione» «molto» — «estremamente [...] difficile» 7 ἐν παντάπασι χαλεπῇ σκέψει — παντάπασιν [...] χαλεπόν, «pieno di difficoltà» — «ricolmo di remore» 7 μεστὰ ἀπορίας) 177 si rimarca, in apertura, quanto costantemente («sempre» / ἀεί, «nel tempo passato» / ἐν τῷ πρόσθεν χρόνῳ, «ora» /

νῦν) 178 sia stato ed ancora sia arduo ogni sforzo rivolto ad indagare, delucidare ed illustrare i concetti stessi del semplice «parere» e del mero «sembrare», che poi risultano «non essere», qualora si prescinda dall’oggetto e si astragga dal reale («senza essere»). 179 Una non dissimile proble-

matica, o difficoltà interpretativa, insorge allorché si pongono enunciati che quindi si rivelano non veritieri bensì suppositivi, e cioè si dicono «alcune cose», «ma poi non vere» (ἄττα, ἀληθῆ dè μή). 180 Recita il passaggio nel Dialogo: ΞΕΝΟΣ [...]16 γὰρ φαίνεσθαι τοῦτο καὶ τὸ δοκεῖν, εἶναι δὲ μή, καὶ τὸ λέγειν μὲν ἄττα, ἀληθῆ δὲ μή, πάντα ταῦτά ἐστι μεστὰ ἀπορίας ἀεὶ ἐν τῷ πρόσθεν χρόνῳ καὶ νῦν. 181

Precisati e scanditi a chiare note i termini della corrispondenza -quando non della coincidenza — tra «questo parere e questo sembrare

senza essere» ed «il dire qualcosa ma non il vero», 182 l’Eleate rende manifesta e, al tempo medesimo, denuncia la contraddittorietà intrinseca all’eloquio — ed al ragionamento prima — di chiunque, in totale consapevolezza e piena convinzione, propugni la necessità del discorso falso. È in-

fatti assolutamente difficile che non si «contraddica» (ἐναντιολογίᾳ μὴ συνέχεσθαι) 183 «chi affermi che si debba dire o credere che il falso esista

177 Cfr. ibid., 236de-237a, p. 556 (in τ. trad. Giardini, cit., p. 557; ma «estremamente [...]» e «pieno di [...]»: trad. Gentile, cit., p. 48). 178 Ibid., 236€, p. 556 (in τ. trad. Giardini, cit., p. 557; e, ugualmente, cfr. trad. Gentile, cit.,

p. 48). 179 Cfr. ibid. («senza essere»: trad. Gentile, cit., p. 48; «sembrare» e «non essere»: trad. Giardini, cit., p. 557). 180 Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 557).

181 Ibid. (cfr. anche trad. Turolla, p. 783: «OspITE - [...] Queste espressioni, apparire sembrare e non esser veramente; così pure il pronunciar qualche giudizio, che tuttavia non è vero: sono tutte frasi che agitano problemi ardui oltre ogni dire sempre, nel passato tempo e nel presente»; e, in parte, trad. Gentile, cit., p. 48: «[...] tutto questo è pieno di difficoltà sempre [...]»). 182 Cfr. ibid. (trad. Gentile, cit., p. 48). 183 Ibid, («cada in contraddizione», trad. Gentile, cit., p. 48; «non implicarsi in contraddizione»: trad. Giardini, cit., p. 557).

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DEL VERO

E DEL FALSO

realmente». 184 Non di meno, qui nel Sofista, per bocca dell’«Ospite» che viene da Elea, il Filosofo ateniese riconosce e pone la possibilità del falso. Ne fonda l’esistere obiettivo nell’atto innegabile e nel dato di fatto del «dirlo» o «immaginarlo». Osserva e sostiene quanto sia «fatale» che «il falso», «dicendolo», «esista realmente». Ed invero: EENOZ [...] γὰρ εἰπόντα χρὴ ψευδῆ λέγειν ἢ δοξάζειν ὄντως εἶναι. 185

Infine, in questa parte del Dialogo, è Platone medesimo a far presente e asserire che nel discorso elaborato, come nella trattazione sinora svolta, si è «osato» ipotizzare che il non-essere sia. Infatti, ΞΕΝΟΣ Τετόλμηκεν ὁ λόγος οὗτος ὑποθέσθαι τὸ μὴ ὃν εἶναι ψεῦδος γὰρ οὐκ ἂν ἄλλως ἐγίγνετο ὄν. 186

Questo rappresenta la ragione unica per cui il falso si conceda, costituisce la condicio indispensabile acciocché la menzogna sia possibile. Nel-

l’idealismo oggettivistico di altre opere precedenti il Sofista, la bugia, lo ψεῦδος, non era neppure concepibile, la parvenza e l’inganno privi di qualsiasi realtà, assolutamente non-esistenti.

184 Cfr. ibid. (trad. Gentile, cit., p. 48). 185 Ibid. (in τ. passim trad. Giardini, cit., p. 557; noi si preferisce trad. Gentile, cit. [vedi sz-

pra e n. 184]; una perifrasi l’interpretazione turolliana, cit., p. 783: «Osprre — [...] È [...] difficile [...] concepire come si possan dir cose errate, oppure come si possa opinare che queste cose errate veramente esistano»). 186 Ibid., 237a, p.558 (trad. Giardini, cit., p. 559: «Osprre Questo ragionamento ha [osato]

presupporre che esista ciò che non è [«che il non-essere è / sia»: trad. Turolla, cit., p. 784; e trad. Gentile, cit., p. 48]. Non diversamente infatti il falso si troverebbe a essere vero [vd. trad. Gentile, cit.: «poiché, in altro modo, il falso non sarebbe possibile»; e, molto affine, trad. Turolla,

cit.: «In realtà l’errore non potrebbe avvenire in altro modo»]»).

51

CAPITOLO SECONDO

L’INOPPUGNABILITÀ DEL NON-ESSERE*

1. A punto nevralgico della disputa ingaggiata contro i sofisti, come pure a motivo d’interesse primario e a tema di portata centrale nello svolgimento del suo pensiero, per bocca dell’Eleate e per la prima volta nel Corpus delle sue opere, Platone introduce il concetto dell’inoppugnabilità del non-essere. In tale maniera e per più aspetti, viene come ad infrangere e, di certo,

a mettere in discussione la saldezza monolitica del suo precedente idealismo. Sembra che si apra ad una prospettiva filosofica differente, ad una visione più vividamente comprensiva di umanità, in una più accentuata

dinamica della realtà storico-mondana come della concretezza terrena. L’Ateniese presuppone e postula il non-essere muovendo dal fondamento teorico per cui, qualora non fosse concesso il non-essere, inevitabilmente sarebbe risultata inammissibile la possibilità stessa del falso: e quindi, del mendace che di fatto è innegabile. In tono assertivo, l’Eleate dichiara: «Questo discorso ha osato supporre che il “non-essere” sia; poiché in altro modo, il falso non sarebbe possibile»,! come traduce il Gentile. Specifica il Giardini che, in seguito a siffatto «ragionamento», «il falso si troverebbe» «a essere vero».? Recita il testo greco: ΞΕΝΟΣ Τετόλμηκεν ὁ λόγος οὗτος ὑποθέσθαι τὸ μὴ dv εἶναι. Ψεῦδος γὰρ οὐκ ἂν ἄλλως ἐγίγνετο ὄν. 3

* Per questo secondo capitolo, nella sua sostanziale integrità, si rinvia al nostro contributo: L’inoppugnabilità del non-essere, che è stato pubblicato di recente in «Itinerari», (s. Il) ΠῚ / 2003, pp. 3-24. Ancora una volta, le integrazioni e gli ampliamenti non sono di carattere essen-

ziale e si riferiscono principalmente ai rinvii testuali ed alla pluralità degli esiti interpretativi nella diversificazione delle accezioni di lettura che si prendono in considerazione. 1 Cfr. PLaTO, Sophista, 237a, cit., p. 558 (trad. Gentile, cit., p. 48). 2 Cfr. ibid. (trad. Giardini, cit., p. 559: «Questo ragionamento ha osato presupporre che esista ciò che non è. Non diversamente infatti [il falso] [...]»). 3 Ibid. (cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 784: «OsPrrE Perché quest’argomento è stato così

ardito da ammettere che il non-essere è. Invero l'errore non potrebbe avvenire in altro modo». Per il luogo platonico, vd. supra, cap. 1 e n. 186).

- 53.

CAPITOLO

SECONDO

Lo sradicamento radicale del parmenidismo emerge e si evidenzia nel ricollegamento diretto al Filosofo di Elea e nel richiamo esplicito al suo assioma. Sosteneva infatti Parmenide: «Non costringer giammai», dice, «ad essere il “non-essere”» («où γὰρ μή note τοῦτο δαμῇ», φησίν, «εἶναι μὴ ἐόντα»); «ma tu, pure cercando, da questa via allontana la mente» (ἀλλὰ σὺ τῆσδ᾽ ἀφ᾽ ὁδοῦ διζήμενος εἶργε νόημα).

Alla posizione critica dell’«Ospite» che «viene da lontano» conduce la logica discorsiva stessa. A favore e conferma dell’ipotesi da lui avanzata testimoniano la coerenza argomentativa e la consistenza ragionativa. È in

questo senso che nel Sofista si fa osservare come, «meglio di tutti» (Parmenide incluso), possa «rivelarcelo» e «mostrarlo» «lo stesso ragionamento», se preso in attento esame. Invero, ZENOZ [...] παρ᾽ ἐκείνου τε οὖν μαρτυρεῖται, καὶ μάλιστά γε δὴ πάντων ὁ λόγος αὐτὸς ἂν δηλώσειε μέτρια βασανισθείς. 6

Ci si trasferisce dal piano logico a quello ontologico. Si ricerca una

dialettica” che, risolutiva delle aporie, comporti un metodo diairetico che non sia circoscritto ad un ambito meramente formale e non si limiti a distinguere, in ogni cosa, ciò che è e ciò che non è. Si propugna e si perse3.

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gue una forma d’indagine che sia rivolta all’essere in se e che, nell’«altro», sia comprensivo del non-essere relativo che & proprio del mondo della parvenza e dell’esterioritä fenomenica. Nella riflessione sul non-essere e sulla problematica connessa al que-

sito se esso sia «qualche cosa»® o se sia «uno»,? come anche nella convin4 Ibid. (in t. trad. Gentile, cit., p. 48; cfr. trad. Turolla, cit., p. 784: «[non costringere], bada, non enti ad essere, mai»; e trad. Giardini, cit., p. 559: «Non accettar violenza su questo

mai — dice — che sia quel che non è»). > Ibid. (in τ. trad. Giardini, cit., p. 559; affine trad. Gentile, cit., p. 48: «bensì da questa via di ricerca la mente allontana»; cfr. trad. Turolla, cit., p. 784: «evita, cercando, questo sentiero;

sia lungi il pensiero!»). 6 Ibid., 237b, p. 558 (trad. Giardini, cit., p. 559: «rivelarcelo»; trad. Gentile, p. 49: «ELEA-

TE [...] Questo è attestato da lui e [meglio di tutti] lo può mostrare [lo stesso ragionamento] messo per poco alla prova»; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 784: «OsPrre - [...] Questa la sua testimonianza. D'altra parte, non sarebbe difficile che ’argomentazione stessa ne desse luce in proposito, sottoponendola ad interrogatorio»). ? Cfr. ibid., 237ab, p. 558 (vd. ed. Plebe, cit., pp. 48-49, n. ad loc. 237ab: cfr. p. 49).

8 Cfr. ibid., 237be, p. 558 (ed. Plebe, cit., pp. 49-50 [cap. 25]; trad. Turolla, cit., pp. 784-785). 9 Cfr. ibid., 238a-239a, pp. 558, 560 e 562 (ed. Plebe, cit., pp. 50-53 [cap. 26]; trad. Tu-

rolla, cit., pp. 785-787).

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L’INOPPUGNABILITÄ

DEL NON-ESSERE

zione che non si possa «né pronunciare», «né dire», «né pensare» il nonessere «in se stesso» giacché «per se stesso» è «impensabile, indicibile, impronunciabile e indefinibile» (οὔτε φθέγξασθαι δυνατὸν ὀρθῶς οὔτ᾽ εἰπεῖν οὔτε διανοηθῆναι τὸ μὴ ὃν αὐτὸ καθ᾽ αὑτό, ἀλλ᾽ ἔστιν ἀδια νόητόν τε καὶ ἄρρητον καὶ ἄφθεγκτον καὶ ἄλογον), 19 -- si perviene ad un anello di

congiunzione, o punto di raccordo e, per non pochi riguardi, ad un nodo teorico dell’intero Dialogo. Si arriva altresi ad una tra le piü significative

delle conclusioni filosofiche del Platone degli ultimi anni. 2. Con la presentazione del sofista che, piü «abile di tutti» e «da perfetto briccone» (ὡς παντὸς μᾶλλον πανούργως),1: «si è insinuato in un

luogo impenetrabile» ed «impraticabile» (eis ἄπορον ὁ σοφιστὴς τόπον xatadéduxev), 12 giunge a vano compimento il tentativo di definire il sofista tramite una diairesis che non poggi su una «dialettica del non-essere». 13 È solo grazie a tale «dialettica superiore» che è dato superare le an-

guste strettoie dell’«indefinibilità» del non-essere. 14 Nell’ordine ontologico non risulta arduo l’inglobare ed incorporare anche il concetto dell'impossibilità di stabilire con esattezza la natura della sofistica, proprio in relazione ad una previa ammissione della predicabilità del non-essere. Questa tecnica o «arte» si sere. Come appropriatamente sofista davvero «è in possesso venze» (φήσομεν αὐτὸν ἔχειν

presenta quale apparenza, e quindi non-esrende il Turolla, si sostiene, infatti, che il di una certa arte capace di produrre parφανταστικὴν τέχνην).15 In quanto valente

10 Ibid., 238c, p. 560 (in τ. passizz trad. Gentile, cit., p. 51; trad. Turolla, cit., p. 786: «non è possibile, secondo retta ragione, né pronunciare, né esprimere il non-ente in se stesso; nemmeno

concepirlo col pensiero è possibile; ti accorgi che il non-essere è impensabile, ineffabile, impronunciabile, non esplicabile»; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 561: «[...] un qualcosa di impen-

sabile, di indicibile, di impronunciabile, di illogico»; e ibid., 238e, p. 560, dove l’«Ospite» ribadisce: EENOX Koi μὴν ad καὶ σμυιρὸν ἔμπροσθεν ἄφθεγκτόν Te αὐτὸ καὶ ἄρρητον καὶ ἄλογον ἔφην εἶναι [trad. Giardini, cit., p. 561: «Osprre E ancora poco fa ho detto che è inesprimibile, indici-

bile, illogico»; e trad. Gentile, cit., p. 52: «ELEATE Eppure anche poco prima lo dicevo essere impronunciabile, indicibile ed indefinibile»; trad. Turolla, cit., p. 786: «[...] dicevo che è impronunciabile, inesprimibile e non esplicabile»]). 11 Ibid., 239c, p. 562 (trad. Giardini, cit., p. 563; trad. Gentile, cit., p. 54; e «da [...] briccone»: trad. Turolla, cit., p. 787).

12 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 563; «impraticabile»: trad. Gentile, cit., p. 54; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 787: «è andato a cacciarsi in un luogo inestricabile»). 13 Cfr. ibid. (ed. Plebe, cit., pp. 53-54, n. ad loc. 237ab; cfr. anche supra, n. 7). 14 Cfr. ibid. (n. in ed. Plebe, cit., p. 54). 15 Ibid. (in τ. trad. Turolla, cit., p. 787; cfr. trad. Giardini, cit., p. 563: «andremo dicendo

che egli ha l’arte delle apparenze»; e trad. Gentile, cit., p. 54: «diremo ch’egli possiede un’arte delle parvenze»).

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«fabbricatore» o provetto «costruttore» d’immagini (εἰδωλοποιόν), 16 egli sarà ben in grado di stravolgere o «capovolgere» del tutto il discorso invalidando e persino mandando «in aria tutte le» «ragioni» degli interlocutori. Puntualizza l’«Ospite» che «viene da lontano»: SENO [...] ῥᾳδίως ἐκ ταύτης τῆς χρείας τῶν λόγων ἀντιλαμβανόμενος ἡμῶν εἰς τοὐναντίον ἀποστρέψει τοὺς λόγους. 17

Ciò il sofista adempie nell’ambito puramente formale del discorrere, grazie al tecnicismo dei termini linguistici ed in virtù di una nominale consequenzialità logica, ma a prescindere totalmente dalla sostanza del contenuto e dall’innegabilità dell’esistente. Nella sua consumata perizia in virtuosismi verbali ed in artifici retorici, il sofista prenderà l’avvio da quella che si può ritenere una nostra ben diffusa concezione a riguardo dell’immagine — fa osservare l’Eleate. «Ci domanderà», pertanto, «che

cosa mai intendiamo in generale per immagine» - si legge nel Sofista: ΞΕΝΟΣ [...] ὅταν εἰδωλοποιὸν αὐτὸν καλῶμεν, ἀνερωτῶν τί ποτε τὸ παράπαν εἴδωλον λέγομεν. 18

La definizione dell’immagine data da Teeteto & fondata sul vero, sul dato di fatto che come tale si manifesta. Vi si fa riferimento ad immagini specificatamente determinate, a quelle cioè «segnate» «sull’acque e negli specchi», a quelle «dipinte», «impresse» o «foggiate nelle sculture», ed infine a «quante altre sono di questa sorta», come reca il testo: OEAITHTOZ Δῆλον ὅτι φήσομεν τά τε ἐν τοῖς ὕδασι καὶ κατόπτροις εἴδωλα, ἔτι καὶ τὰ γεγραμμένα καὶ τὰ τετυπωμένα καὶ τἄλλα ὅσα που τοιαῦτ᾽ ἔσθ᾽ ἕτερα. 19

16 Ibid., 239d, p. 562 (trad. Gentile, cit., p. 54; e trad. Giardini, cit., p. 563; vd. trad. Tu-

rolia, cit., p. 787: «facitore d’immagini»). 17 Ibid. («capovolgendo»: trad. Gentile, cit., p. 54; «in aria [...]» e «ragioni»: trad. Turolla, cit., p. 787, dove si premette: «partendo da tale appellativo, ci si attaccherà dietro e butterà»; cfr. trad. Giardini, cit., p. 563: «OspITE [...] facilmente afferrandoci con l’uso di queste parole capovolgerà i ragionamenti in senso contrario»). 18 Ibid. (in τ. trad. Gentile, cit., p. 54; cfr. trad. Giardini, cit., p. 563: «Osprre [...] chieden-

doci, quando noi lo chiamiamo costruttore d’immagini [cfr. supra e n. 15], cosa mai vogliamo dire con immagini»; trad. Turolla, cit., p. 787: «egli allora ci si volgerà a chiedere cosa sia per noi

un'immagine»). 19 Ibid. (in t. passim trad. Gentile, cit., p. 54; trad. Giardini, cit., p. 563: «[...] ricorderemo

le immagini delle acque, degli specchi [...] [foggiate nelle sculture] e tutte [quante altre] di tal

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L’INOPPUGNABILITÀ

DEL NON-ESSERE

3. A Teeteto l’Eleate si propone di rivelare ed esporre le caratteristiche e le peculiarità del sofista. All’«impressione», questi «apparirà» come uno «che ha gli occhi chiusi» o piuttosto «non ha nemmeno gli occhi». Per questo, Egli precisa: ΞΕΝΟΣ Δόξει σοι μύειν ἢ παντάπασιν οὐκ ἔχειν ὄμματα.29

Esorbitando dal concreto e dal reale, il sofista condurrä la disputa in astratto, per capziosi moduli dimostrativi, per presunti e fittizi universa-

lismi. «Riderà» delle «parole», delle «definizioni» e dei «discorsi tuoi» (καταγελάσεταί, σου τῶν Aöywv).21 A ciò — incalza puntualmente l’«Ospi-

te» — il sofista appare sospinto precipuamente a causa del fatto stesso che l’interlocutore non si esime dal «parlare a lui» «come se» egli «vedesse». Si fa notare nel Dialogo: SENO?2 [...] ὅταν ὧς βλέποντι λέγῃς αὐτῷ.22

Ostentatamente, il sofista non si tratterrà dal pretendere di ignorare

o negare qualsivoglia principio o criterio di veridicità che, sulla base del riscontro e della rispondenza nell’essere delle cose, si applichi a tutto quello che, di volta in volta, egli viene ad asserire. Per questo, «fingera» «di non conoscere né specchi né acque» (προσποιούμενος οὔτε κάτοπτρα

οὔτε ὕδατα yeyvooxew).2 Simulerä persino di non sapere «nemmeno assolutamente» «dell’organo della vista», e presumerà di non conoscere fatta»; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 787: «TEETETO È chiaro, diremo che immagini sono quelle

[segnate] nell’acqua o [negli specchi]; ancora, sono immagini le cose o [dipinte] o effigiate, e altro del genere»). 20 Ibid., p. 239e, p. 562 (int. trad. Turolla, cit., p. 788; ma «ELEATE Avrai l'impressione che se ne stia ad occhi chiusi»: trad. Gentile, cit., p. 54; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 563: «OsprTE Potrebbe sembrarti che tiene gli occhi chiusi, o che non ha affatto gli occhi»). 21 Ibid. («Riderà» e «discorsi [...]»: trad. Giardini, cit., p. 563; «parole»: trad. Gentile, cit., p. 55; «definizioni»: trad. Turolla, ct., p. 788). 22 Ibid. (per τ. cfr. trad. Giardini, cit., p. 363: «OsprTE [...] perché parli a lui come se vedesse»; cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 55: «ELEATE [...] perché ti sei rivolto a lui come ad uno che

veda»; e più incisiva trad. Turolla, cit., p. 788: «OsPrTE — [...] Ti rivolgi a lui come a chi vede»). 3 Ibid., 239e-240a, p. 562 (in t. trad. Gentile, cit., p. 55, ma «fingendo» come anche in trad. Giardini, cit., p. 563; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 788: «mentre egli fa dichiarazione di

non saperne né di specchi, né di acqua»).

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SECONDO

neppure «cosa sia vedere» (οὔτε τὸ παράπαν öyıv).2* L’interesse esclu-

sivo e la finalità precipua si restringono e si delimitano al contendere su «ciò che risulta dai ragionamenti». Pertanto, conclude inequivoco l’Eleate asserendo con vigore: ZENO? [...] τὸ δ᾽ ἐκ τῶν λόγων ἐρωτήσει σε μόνον.25

Il sofista è costantemente proteso alla ricerca di un’impostazione del discorso e di una forma della discussione che, pur mai univoche, vengano tuttavia a risultare le più efficaci e, al tempo medesimo, le più convincenti. Ciò egli mira a conseguire non muovendo dall’oggettività degli enti su cui verte il contraddittorio, ma piuttosto disimpegnandosi in un abile, quando non impeccabile, esercizio di discettazione. Il cimento è in un orizzonte che si può dire ipotetico giacché la competizione si svolge in una dimensione come irreale. In un’ottica generale ed ugualmente generalizzante, si privilegiano massimamente — e se non esclusivamente, di certo preponderantemente— l’efficacia persuasiva dell’eloquio e la forza espressiva della parola. Nel suo disquisire, a causa dello sfoggio d’eloquenza e della sua destrezza argomentativa — sia pure in termini supposi-

tivi e a solo rigore formale di logica —,—, il sofista è ben in grado di conferire «parvenza» di vero— e perciò di reale —a quanto, lungi dall’essere tale, si rivela per altro falso, mendace e fallace. È l’Eleate a scandire in tono deciso che il sofista «soltanto» «intende di chiederti la nozione astratta e ge-

nerica della cosa».26 In una dimensione simile, il sofista preclude a sé la possibilità di superare le aporie e, parimenti, di approdare a sbocchi conclusivi nonché ad esiti risolutivi che diverrebbero agevolmente perseguibili, qualora si trasferisse la problematica dal piano logico a quello ontologico. 4. Nel prosieguo dell’indagine rivolta a riconoscere e dimostrare l’essere del non-essere relativo, a premessa della trattazione — come è stato detto — si analizza la natura del sofista, esaminando il significato proprio

24 Ibid., 240a, p. 562 (in τ. «nemmeno [...1» e «dell’organo [...]»: trad. Turolla, cit., p. 788; cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 55: «cosa sia vedere»; ma trad. Giardini, cit., p. 563: «né alcuna immagine»).

3 Ibid. (in t. trad. Gentile, cit., p. 55, dove si premette: «T’interrogherä solo»; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 788; trad. Giardini, cit., p. 563: «OSPITE [...] e ti farà domande soltanto su

quello che emerge [dai ragionamenti]»). 26 Cfr. ibid. (nella “resa” di Turolla, cit., p. 788, per cui cfr. supra, n. 24).

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L’INOPPUGNABILITÄ

DEL NON-ESSERE

e ponendo in risalto la valenza specifica del termine «immagine». In questo ordine di cose — rileva l’Eleate — i vocaboli che designano e indicano gli «oggetti diversi», e che vengono addotti a dichiarare «che cosa» in genere «sia» l’immagine per noi, sono «raccoltà» e «chiamati» «sotto l’ap-

pellativo di un unico nome» che si impone come fosse «quasi un uno sopra tutti questi oggetti diversi». Si trasmette nel Sofista al riguardo: ZENO Τὸ διὰ πάντων τούτων ἃ πολλὰ εἰπὼν ἠξίωσας Evi προσειπεῖν ὀνόματι φθεγξάμενος εἴδωλον ἐπὶ πᾶσιν ὡς ἕν ὄν.27

Gli «appellativi» «specchi», «acque», «altre» cose «di questa sorta» rinviano ad un’essenza medesima, postulano un «unico oggetto» ed una «unità sola»: ὃν ὄν.28 Si riferiscono direttamente a quell’elemento unico o

fattore di unicità che si estende alle differenti denominazioni e si propaga su tutte le cose che si predicano ne «la parola immagine o copia» e, al momento stesso, ne costituiscono «ciò che vi è di comune».??

A questo punto la disputa s’incentra sul fulcro teorico delle riflessioni e delle speculazioni che si succedono e si approfondiscono nel corso del Dialogo. Siamo ormai nel vivo della disamina del vero e del falso, in una fase cruciale ed in un momento centrale sia nel processo evolutivo del pensiero platonico che nella formulazione di dottrine caratterizzanti

ed esclusive del Platonismo lungo i secoli e i millenni. È stato già sottolineato come in Sofista 239c-240d?° sia stata effettuata una prima «operazione logico-metafisica» intesa a correlare l’«altro» dall’essere all’esse-

re.31 Si è inteso così superare le difficoltà e contraddizioni derivanti dall’insanabile contrapposizione tra essere e non-essere, che faceva seguito ad un’analisi di tipo esclusivamente logico. Ponendo, invero, l’«altro»

27 Ibid., pp. 562 e 564 (in t. passim trad. Turolla, cit., p. 788; convincente la trad. Gentile, cit., p. 55; efficace la trad. Giardini, cit., pp. 563 e 565: «Osprre Quello che attraverso tutte queste cose che tu, pur dicendo numerose, hai ritenuto giusto di chiamarle con un nome solo, pro-

nunciando per tutti il termine immagine come se fosse una [unità sola]»). 28 Ibid., p. 564 («unico oggetto»: trad. Turolla, cit., p. 788; e «unità sola»: trad. Giardini,

cit., p. 565, per cui cfr. n. precedente). 29 Cfr. ibid. («Ja parola [...] copia»: trad. Turolla, cit., p. 788; ed in specie, vd. la trad. Gentile, cit., p. 55: «ELEATE Su [ciò che vi è di comune] in tutte queste cose, che pur affermando

molteplici hai chiamate con un solo nome, dicendo: immagine, come se questa fosse qualcosa di unico che si estende su tutte loro»).

30 Cfr. ibid., pp. 562 e 564 (in ed. Plebe, cit., pp. 54-56; vd. anche trad. Turolla, cit., pp. 787-789).

31 Cfr. sbid., 240b, p. 564 (in ed. Plebe, cit., pp. 55-56, n. ad loc. 240b: cfr. p. 55).

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dall’essere, si è supposto che questo fosse «diverso» ma non «opposto» all’essere. Ne è risultato quindi che si potesse negare il vero, ma non si potesse «dire» il falso, dal momento che sul piano ontologico il falso, in quanto non-essere, è partecipe dell’essere e, pertanto, anche l’«altro» dall’essere «in certo senso è» purtuttavia, come ugualmente è da concedere che esso «in certo senso non &.?2

Teeteto conviene con quanto ha espresso l’Eleate. A chiarificare la

forma della sua approvazione, specifica che l’immagine è un «oggetto assimilato a quello vero», un «secondo oggetto tale e quale»;?? in altri termini — come rende il Gentile — l’immagine è «un “altro” simile» che è

«copiato sul vero».34 Si legge nel Sofista: @EAITHTOZ Ti δῆτα, ὦ ξένε, εἴδωλον ἂν φαῖμεν εἶναι πλήν γε τὸ πρὸς τάληθινὸν ἀφωμοιωμένον ἕτερον τοιοῦτον; 35

Il discepolo degenere di Parmenide, poi «sospetto» di divenire «un parricida»,36 l’«Ospite» che «viene da lontano», a Teeteto pone espres-

samente un quesito ineludibile nella chiarezza e definitezza della sua risolutezza. Chiede, cioè, seccamente se egli, in primo luogo, ritenga che un «altro oggetto tale» venga a significare l’oggetto stesso in sé; in subordine e nel caso specifico di una risposta negativa, indaga al tempo medesimo a cosa sia invero da correlare un siffatto «altro» o, più direttamente come

suggerisce il Turolla, «in qual altro senso hai detto “tale e quale”?». Recita il testo, a questo proposito: ZENO Ἕτερον dè λέγεις τοιοῦτον ἀληθινόν, ἢ ἐπὶ τίνι τὸ τοιοῦτον elseg;37

32 Cfr. ibid. (nelle considerazioni e annotazioni del Plebe). 3 Cfr. ibid., 240a, p. 564 (in t. trad. Turolla, cit., p. 788). 34 Cfr. ibid. (in t. trad. Gentile, cit., p. 55). 35 Ibid. (vd. trad. Giardini, cit., p. 565: «TEETETO Cosa diremo ormai, o ospite, che sia l’im-

magine, se non un altro oggetto tale, fatto a somiglianza di quello vero?»; per la prima parte, cfr. ancora trad. Gentile, cit., p. 55; e trad. Turolla, cit., p. 788: «ΤΈΕΤΕΤΟ — E cosa mai si dovrebbe dire, amico nostro di terra lontana?»). 36 Cfr. ibid., 241d, p. 566 (trad. Giardini, cit., p.567; trad. Gentile, cit., p. 58; trad. Turolla,

p. 790. Vd. infra, $ 9, n. 87: per il «supporre» [πατραλοίαν...τινα], idid.).

[ὑπολάβῃς]

«una sorta di parricida»

37 Ibid., 240ab, p. 564 (in τ. trad. Turolla, cit., p. 788, che premette: «OsPrre Intendi che

questo [“secondo oggetto tale e quale”] sia un oggetto vero?»; ma vd. la puntuale trad. Giardini, cit., p. 565: «OspITE Ma tu con un [“altro oggetto tale”] vuoi dire quello vero, o a che cosa rapporti questo “tale”?». Icastica ed incisiva la trad. Gentile, cit., p. 55: «ELEATE Dici che l’altro si-

mile sia vero, oppure lo dici simile?»).

L’INOPPUGNABILITÄ

DEL NON-ESSERE

Per l’«Ospite» diviene, per altro, giocoforza l’indurre l’interlocutore a determinare come questo «secondo oggetto tale e quale», cioè «l’altro simile», non sia di certo vero ma simile. «Eh no! Vero assolutamente no!

Somigliante, tuttavia», ribadisce con vigore Teeteto nella “lettura” del Turolla. Si dichiara, in termini recisi: G@EAITHTO® Οὐδαμῶς ἀληθινόν γε, ἀλλ᾽ ἐοικὸς pév.38

5. L’Eleate prospetta poi una duplice equivalenza per cui, da una parte, con il vero (τὸ ἀληθινόν) si venga ad indicare l’«ente», l’«essere reale» (ὄντως ὄν) e, dall’altra, con il «non vero» (τὸ μὴ ἀληθινόν) si designi il «contrario del vero» (ἐναντίον ἀληθοῦς).35 A Teeteto, che ha assen-

tito alle sue proposizioni, l’«Ospite» sostiene che «il somigliante» è un «non-ente per essenza»“0 nel senso che «non è veramente», giacché «lo» si «dice non vero».4! Tramanda il Sofista: ΞΕΝΟΣ Οὐκ ὄντως [οὐκ] ὃν ἄρα λέγεις τὸ ἐοικός, εἴπερ αὐτό γε μὴ ἀληθινὸν ἐρεῖς.

Ciononostante -- si aggiunge —, è da osservare che, per alcuni aspetti, il «simile» è certamente da ritenersi un ente: «in qualche modo» ("AAN ἔστι γε μήν πως)45 tuttavia, ma non «veramente». «Essenzialmente» —

38 Ibid., 240b, p. 564 (in τ. trad. Turolla, cit., p. 788; trad. Giardini, cit., p. 565: «TEETETO Niente affatto vero, ma almeno somigliante»; trad. Gentile, cit., p. 55: «TEETETO Vero non è certo, bensì somigliante»). 39 Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 565; trad. Gentile, cit., p. 55: «(Ma intendi) che il vero sia veramente» e «Il “non vero” non è il contrario del vero?»; ma cfr. pure trad. Turolla, cit.,

p. 788: «il vero allora lo intendi proprio un ente», e, per la seconda parte, identica a trad. Gentile, cit.). 4 Cfr. ibid, (in τ. trad. Turolla, cit., p. 788; vd. anche trad. Gentile, cit., p. 56; e trad. Giardini, cit., p. 565). 41 Cfr. ibid. (in τ. trad. Gentile, cit., p. 56; non diversa la trad. Turolla, cit., p. 788: «dato che lo dici non vero»).

42 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 565: «OsPrre Dunque tu affermi che il simile è un essere non reale, dal momento che tu lo chiami non vero»). 4 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 565: «Ma egli è tuttavia, [in qualche modo]»; trad. Gentile,

cit., p. 56: «Ma pure è [in qualche modo]»; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 788: «ma in un certo senso è pur ente tuttavia»).

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conferma Teeteto — esso è un «simulacro»; ed è «reale» come «immagine» e vera «somiglianza»: πλήν γ᾽ εἰκὼν ὄντως.44

L’Eleate non esita a dedurre che la «somiglianza» (εἰκόνα) di cui si dice è «un essere» che «non ha la realtà degli esseri», — traduce il Gentile; e nel Dialogo si pone in forma interrogativa: ΞΕΝΟΣ Oüx ὃν ἄρα [οὐκ] ὄντως ἐστὶν ὄντως ἣν λέγομεν εἰκόνα; 45

Pertanto l’immagine o la copia -- come in un intento esplicativo chiarisce il Turolla — non è ente «per essenziali ragioni», ma «effettivamente» partecipa con l’essere.46 Questo processo di partecipazione avviene in virtù di un «misterioso intreccio» per cui «l’essere ed il non-essere» sono «complicati insieme» e

come «congiunzi» in modo «singolare». E così che Teeteto fa notare: @EAITHTO® Κινδυνεύει τοιαύτην τινὰ πεπλέχθαι συμπλοκὴν τὸ μὴ ὃν τῷ ὄντι, καὶ μάλα ἄτοπον. 57

Proprio «valendosi di questo misterioso intreccio» e «attraverso questi incroci», il sofista — uomo «dalle molte teste» — «ci ha costretti» a ri-

conoscere — pur nolentemente — che il non-essere «in un certo senso» è, ed ugualmente è da ritenere che esso «pure è un ente». Né sorprende che, al riguardo, l’«Ospite straniero» esclami: ZENO [...] καὶ νῦν διὰ τῆς ἐπαλλάξεως ταύτης ὁ πολυκέφαλος σοφιστὴς ἠνάγκακεν ἡμᾶς τὸ μὴ ὃν οὐχ ἑκόντας ὁμολογεῖν εἶναί πως. 48

4 Ibid. (trad. Turolla, cit., p. 788, per «Essenzialmente» e «simulacro»; trad. Giardini, cit., p. 565, per «reale» e «immagine»; trad. Gentile, cit., p. 56, per «veramente» e «somiglianza»). 4 Ibid. (in τ. passim trad. Gentile, cit., p. 56; e cfr. trad. Giardini, cit., p. 565: «Osprre

Quella dunque che chiamiamo immagine è realmente un non essere che non è?»). 46 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 788: «Se ne ricava che l’immagine di cui parliamo [...] ha

[effettivamente] una sua partecipazione con l’essere»). 47 Ibid., 240c, p. 564 (in τ. passizz: trad. Turolla, cit., p. 788 [«misterioso intreccio» / «complicato [...]»]; e trad. Gentile, cit., p. 56 [«l’essere [...l» / «congiungersi» / «singolare»]; vd. trad. Giardini, cit., p. 565: «TEETETO Il non essere dunque rischia di essersi intrecciato in tale intreccio con l’essere e anche in modo molto strano»).

48 Ibid. (in t. passim: trad. Turolla, cit., pp. 788-789 [«valendosi [...]» / «in un certo [...1» / «pure è [...]»]; e trad. Gentile, cit., p. 56 [«attraverso [...]» / «ci ha costretti (contro voglia, ad ammettere che il “non-essere” in qualche modo è)»]; vd. anche trad. Giardini, cit., p. 565:

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L’INOPPUGNABILITÄ

DEL NON-ESSERE

6. L’Eleate ammette che a sospingerlo ad «assimilare» il non-essere all’errore e l'essere alla verità, è stato un tentativo di analisi della natura

reale e della definizione esatta della sofistica quale «arte di parvenza e di mimesi».4 Valga qui considerare che è sulla base dell’acquisita conoscenza della «capacità deceptiva»?° che è del sofista — il quale «trae in inganno» per quanto concerne l'apparenza (περὶ τὸ φάντασμα αὐτὸν ἀπατᾶν φῶμεν)1 —, ed è ancora sull’aspetto mistificante della sua arte

nella quale si manifesta una «specie d’inganno» (καὶ τὴν τέχνην εἶναί τινα ἀπατητικὴν αὐτοῦ),52 che Platone, per bocca dell’Eleate, correla essere e non-essere a verità e menzogna. In questa ottica, il Filosofo ateniese postula e, primo nella storia del pensiero umano, pone un rapporto di stretta connessione e cogente aderenza tra i due antinomici. Al tempo medesimo, Egli imprime un carattere di unitarietà ed organicità alla sua speculazione e al suo impegno filosofico. Nell’accostare il non-essere all’essere, il Fondatore dell’Accademia rileva un «dato di fatto» «preciso»?? ed incontrovertibile per cui — ben oltre la fallacia della mimesi, l’illusorietà della parvenza e l’insidiosità capziosa della sofistica — emerge e viene a delinearsi la possibilità non re-

mota di «creare» una qualsivoglia similarità con un «primo originale».54 Una tale sorta di legame e di affinità permette di sfaldare — quando non di superare — la contrapposizione parmenidea tra ciò che è e ciò che non è.

Non altrimenti è dato risolvere — almeno parzialmente - il problema del non-essere trasponendo l’interesse dall'ambito propriamente metafisico al campo morale. Si tende a focalizzare l’attenzione sul piano dell’operare

umano stabilendo un nesso inscindibile e necessario tra l’azione dell’uomo nella storia e la verità che si colloca a principio direttivo, canone etico e norma regolativa dell’agire medesimo. «OSPITE [...] anche ora, con questo incrocio, il sofista, dalle molte teste, ci ha costretto a ricono-

scere, pur non volendo, che il non essere in qualche modo è»). 4 Cfr. TUROLLA, Argomenti, cit., p. 745. 50 Cfr. ibid. 51 PLaTo, Sophista, 240d, cit., p. 564 (in τ. passim trad. Gentile, cit., p. 56: «affermiamo che

egli [trae in inganno] con parvenze»; affine trad. Giardini, cit., p. 565, ma «[...] riguardo l’apparenza»; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 789: «ricercando solo parvenze, il nostro individuo pro-

cede ad inganno»). 52 Ibid. (in t. trad. Gentile, cit., p. 56; ma trad. Giardini, cit., p. 565: «e che la sua arte è tutta fatta di inganni»; e, non altrimenti, cfr. trad. Turolla, cit., p. 789: «la sua arte è un'illusione continua»). 53 Cfr. TuROLLA, Argomenti, cit., p. 745.

34 Cfr. ibid.

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CAPITOLO

SECONDO

7. È l’arte ingannevole del sofista ad esercitare un «influsso» su «da

nostra anima» e far sì che questa «si formi delle opinioni false» e, di conseguenza, «concepisca» «errore» e «menzogna». Ed invero, anche su

convalida di Teeteto, nel Dialogo platonico si conviene che — in riferimento all’arte del sofista — null’altro si può affermare e assicurare se non che essa costituisce un pericoloso attentato all’integrità etico-morale e al-

l’onestà intellettuale dell’essere umano che pensa e, parlando, manifesta il proprio pensiero. Si legge nel Sofista: ZENO [...] τότε πότερον ψευδῆ δοξάζειν τὴν ψυχὴν ἡμῶν φήσομεν ὑπὸ τῆς ἐκείνου τέχνης.55

Posta l’esistenza di un’opinione «errata» o «falsa», si passa a desu-

mere e dimostrare che questa «opina il contrario dell’essere», il contrario cioè «rispetto a quello che è» — rende il Giardini. Così si testimonia: ΞΕΝΟΣ ΨΕευδὴς δ᾽ αὖ δόξα ἔσται τἀναντία τοῖς οὖσι δοξάζουσα. 56

Si raggiungono, in questo modo, «conclusioni contrarie αἱ vero». Si inferisce e categorizza che «opinione errata» sia l’«opinare» le cose che non sono. Recita il testo: ZENO λέγεις ἄρα τὰ un ὄντα δοξάζειν τὴν ψευδῆ δόξαν;57

È da rilevare, non di meno, come l’affermazione del non-essere dell'opinione errata o falsa non implichi né presupponga minimamente l’essere del non-essere assoluto. Ci si limita piuttosto a propugnare — ribatte

Teeteto — che le «cose che non sono» «debbono pur essere», e quindi — incalza il Gentile nella sua resa in italiano — «è necessario che il non es-

55 PLATO, Sophista, 240d, cit., p. 564 (per τ. vd. trad. Gentile, cit., p. 56: «[la nostra anima] a cagione della sua arte [si forma] [delle opinioni false]»; trad. Turolla, cit., p. 789: [«influsso» / «concepisce» / «errore» / «menzogna»]; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 565: «Osprre [...] di-

remo allora che la nostra anima è spinta a opinare il falso a causa della sua arte»). 56 Ibid. (in τ. passim trad. Gentile, cit., p. 56, per «falsa» e «opina [...]»; e trad. Giardini, cit., p. 565, per «rispetto a [...1»; vd. trad. Turolla, cit., p. 789: «OsPITE — Ma allora ci sarà

un’opinione errata la quale concepisce conclusioni contrarie al vero»). 57 Ibid. (in τ. passim trad. Turolla, cit., p. 789, per «opinione [...]» e «va opinando»; vd. trad. Giardini, cit., p. 565: «OspITE Dici dunque che l’opinione falsa opina il non essere», come trad. Gentile, cit., p. 56: «Allora dici che la falsa opinione [...]»).

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L’INOPPUGNABILITÄ

DEL NON-ESSERE

sere» «in qualche modo» sia. Si esprime, in tal modo, la convinzione per cui si possa e si debba asserire che Eivai πως tà μὴ ὄντα δεῖ ye.58 A seguito di un accurato esame e ad una ponderata riflessione a pro-

posito dell’osservazione che il non-essere relativo sia da inferire dall’opinione «errata» o «falsa», scaturirà con chiarezza e diverrà imperiosa l’esigenza che si faccia propria e del tutto consapevole una duplice ammissione: da un canto, dell’errore, della falsità e della menzogna; dall’altro,

della «correttezza» / appropriatezza, della corrispondenza / similarità e della verità primum, un prospettiva gico, come

in universale. L’errore e la menzogna vengono a costituire un a priori. Il mendace ed il falso possono considerarsi così nella di un punto di riferimento e di un elemento di raccordo loanche — e particolarmente — come una salda base ontologica

nel rinvio all’«altro» dall’essere. Il fondamento teorico della postulazione del non-essere è da individuare nell’innegabilità e irrefragabilità dell’errore e della menzogna, nell’evidenziazione nitida del loro inevitabile intervenire ed ineliminabile in-

cidere nel discorrere umano. A motivazione dell’inconfutabilità dell’assunto, per cui alle «cose che non sono»5? è pur da conferire una qualche forma d’essere, è da addurre l’impellenza stessa di «giustificare» l’insorgere e l’esistere della finzione e dissimulazione. Ed è a questo riguardo che Teeteto puntualizza nel Sofista: [...] εἴπερ ψεύσεταί ποτέ τίς τι καὶ κατὰ βραχύ. 69 Il che — nella libera ma efficace interpretazione del Turolla

— risuona: «Altrimenti non si può dire mai errore o menzogna, neppure per un istante». 61

Non diversamente, a ribadire e come a porre le basi stesse di una “qualche” necessità del non-essere relativo, in forma ipotetica, sul carattere occasionale e sulla brevità della durata di un’eventualità di errore in un soggetto, sembra ponga l’accento anche il Gentile nella sua traduzione: «[...] se uno può ingannarsi, sia per poco». 62 8. Sostenendo e dimostrando che il non-essere, in certo qual senso,

può predicarsi sia, mediante le argomentazioni dell’Eleate - si è detto già 58 Ibid, 240e, p. 564 (in τ. passim trad. Turolla, cit., p. 789: «cose che [...]» e «[...] pur essere»; e trad. Gentile, cit., p. 57; vd. trad. Giardini, cit., p. 565: «Ma occorre pure che il non es-

sere sia in qualche modo»). 59 Cfr. ibid.: τὰ μὴ ὄντα (in τ. trad. Turolla, cit., p. 789;-cfr. anche trad. Gentile, cit., p.57; e

trad. Giardini, cit., p. 565: «il non-essere»). 6 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 565: «[...] se qualcuno mai opererà il falso anche per poco»). 6 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 789). 62 Cfr. ibid. (trad. Gentile, cit., p. 57).

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CAPITOLO

SECONDO

— Platone supera una prima «difficoltà» collegata al problema ontologico. A ciò Egli perviene anche perché in parte vi è stato indotto dall’esame dell’arte sofistica. Questa, infatti, traendo in inganno e creando

illusioni, risale e si ricollega ad un errore, ad una menzogna e ad una falsità che è nel ragionamento. Al tempo medesimo, l’indagine sulla sofistica implica il concetto dell’indispensabilità dell'errore e della menzogna. È impossibile così che l’uno e l’altra non siano nella realtà e nel concreto. In caso contrario si sarebbe nel mondo dell’idealità, non in quello del sensibile in cui si è discesi dal «mare dell’essere». Un’altra componente di quella che rappresenta la «difficoltà ontologica» è che —proprio dal riscontro e dalla verifica così del falso come del mendace nelle opinioni e nei ragionamenti — si «potrebbe» ben «opinare» che l’essere non sia per qualche aspetto e, più categoricamente, «che non sia per nulla». Invero, più esattamente e radicalmente, si

verrebbe a supporre che «in nessun modo è» «ciò che assolutamente pure è». Domanda l’«Ospite straniero» nel Sofista: ΞΕΝΟΣ Ti è’; οὐ καὶ μηδαμῶς εἶναι tà πάντως ὄντα δοξάζεται.65

Anche questo ragionamento -- si pone in enfasi — è «falso»: più definitamene — suggerisce il Turolla — è «errore o menzogna». Pertanto, ci si chiede: ZENO Καὶ τοῦτο δὴ ψεῦδος;66

Con toni decisi ed in termini netti di fermo convincimento, l’Eleate si

sofferma a proclamare poi l’univocità del modo in cui un ragionamento sarà da valutare come «falso oppure errato». Precisa che ciò si verificherà 6 Cfr. ibid., 241ab, p. 566 (vd. in specie le osservazioni in ed. Plebe, cit., pp. 57-58, n. ad

loc. 241ab: cfr. p. 57). 4 Cfr. ibid. 6 Ibid., 240e, p. 564 (in τ. passim trad. Gentile, cit., p. 57: «potrebbe» / «opinare» / «che non sia [...]» / «ciò che [...] è»; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 789: «Osprre — Senti. E non si

potrà anche affermare che [in nessun modo] è ciò che assolutamente pure &?»; qualche esitazione e perplessità si nutre per trad. Giardini, cit., p. 565: «Osprre Ebbene: non potrà opinare anche che ciò che in nessun modo è non sia affatto?»). 6 Ibid. (cfr. trad. Gentile, cit., p. 57: «ELEATE E non è falso anche questo?»; trad. Turolla, cit., p. 789: «OsPITE — E questo anche è [errore o menzogna]. Non è vero?»; vd. anche trad. Giardini, cit., p. 565).

L’INOPPUGNABILITÀ

DEL NON-ESSERE

necessariamente allorché si predichi sia il non-essere dell’essere che l’essere del non-essere. Eloquente ed incisiva è la specificazione dell’«Ospite» nella lettura del Turolla: «Allora un ragionamento errato o falso sarà

ritenuto tale per la stessa guisa: in quanto afferma che quanto è, non è; come pure in quanto afferma che quanto non è, è». Il testo tramanda: ΞΕΝΟΣ Koi λόγος οἶμαι ψευδὴς οὕτω κατὰ ταὐτὰ νομισθήσεται τά τε ὄντα λέγῶν μὴ εἶναι καὶ τὰ μὴ ὄντα εἶναι. 97

Il sofista — relegato tra i ranghi dell’«arte dei falsatori ed incantatori» o «ciurmadori» quando non nella «famiglia dei ciarlatani e degli imbroglioni» (ἐν τῇ τῶν ψευδουργῶν καὶ γοήτων τέχνῃ)68 — rifiuterà di certo e «negherä» (ἀλλὰ ταῦτα ὁ σοφιστὴς οὐ φήσει) 6? che questo sia l’unico me-

todo valutativo della falsitä e della natura menzognera dei ragionamenti. A Teeteto che fa ancora appello alla constatazione ed acquisita convinzione che «il falso è nelle opinioni e nei discorsi» (ψευδῆ τολμήσαντας εἰπεῖν dg ἔστιν ἐν δόξαις τε καὶ κατὰ Aöyovg),0 l’Eleate proclama il suo intendimento di analizzare e «sottoporre ad attenta prova» (βασανί-

tew)71 il «ragionamento del “padre” Parmenide» (Τὸν τοῦ πατρὸς

Παρμενίδου Aöyov).72 Dopo accurato esame del sistema parmenideo, apparirà come inelu-

dibile il «costringere» e «far forza» al Filosofo di Elea. Contro la sua po67 Ibid., 240e-241a, pp. 564 e 566 (in τ. trad. Turolla, cit., p. 789; ma vd. ugualmente trad. Gentile, cit., p. 57: «ELEATE Credo che un ragionamento debba ritenersi allo stesso modo falso, qualora affermi sia che l'essere non è, sia che il non-essere è»; cfr. anche, non dissimile invero,

trad. Giardini, cit., pp. 565 e 567: «Ospite E così per gli stessi motivi, a mio parere, sarà considerato falso il discorso il quale affermi che ciò che è non è, e che ciò che non è, è»). 68 Ibid., 241b, p. 566 (in τ. trad. Gentile, cit., p. 58: «arte [...] incantatori»; trad. Turolla,

cit., p. 790: «arte dei ciurmadori e dei ciarlatani»; ed anche trad. Giardini, p.

567: «famiglia [...]

imbroglioni»). 69 Ibid., 2414 (in τ. trad. Gentile, cit., p. 57; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 567: «ma questo non lo dirà il sofista»; trad. Turolla, cit., pp. 789-790: «Ma tutte queste conclusioni il sofista non le ammetterà»).

70 Ibid., 2A1ab, p. 566 (in τ. trad. Giardini, cit., p. 567, a cui precede: «avendo il coraggio di affermare che»; e, non dissimile, trad. Gentile, cit., p.

58: «osando dire che v'è il falso [nelle opi-

nioni] e nei ragionamenti»; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 790: «in quanto abbiamo il coraggio d’affermare che, [nelle opinioni] e nei giudizi, è possibile errore e menzogna»). 71 Ibid., 241d, p. 566 (trad. Turolla, cit., p. 790; vd. anche trad. Gentile, cit., p 59; e trad. Giardini, cit., p. 567). 72 Ibid. (in t. trad. Gentile, cit., p. 59; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 567; e trad. Turolla,

cit., p. 790: «il sistema di Parmenide, il padre mio»).

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CAPITOLO

SECONDO

sizione sarà da dimostrare che, da un canto, il non-essere è e che, dall’al-

tro, l'essere non è. Come reca l’alta prosa del Turolla — si conclude che «il non essere in un certo senso è pur essere e che l’essere reciprocamente è non essere in un certo senso».7? È quanto l’«Ospite» che «viene da lon-

tano» dichiara risoluto nel Dialogo. A rendere la lezione platonica nella pienezza del suo significato filosofico come nella sua portata storico-culturale, valga riportare il testo nella sua integrità: ΞΕΝΟΣ Τὸν τοῦ πατρὸς Παρμενίδου λόγον ἀναγκαῖον ἡμῖν ἀμυνομένοις ἔσται βασανίζειν, καὶ βιάζεσθαι τό τε μὴ ὃν ὡς ἔστι κατά τι καὶ τὸ ὃν αὖ πάλιν ὡς οὐκ ἔστι am.”

9. Eliminando, o comunque neutralizzando, la negatività che scaturiva dalla contrapposizione dell’essere e del non-essere, Platone svincola lindagine speculativa della sua epoca da un grave rischio d’ordine teoretico che incombeva sul pensiero filosofico, ostacolandone o rallentandone un coerente sviluppo dinamico. Nel Teeteto Egli mirava a scalfire ed incrinare quel «mobilismo» indiscriminato il cui esito sicuro, e palese, veniva a costituire un relativismo accentuato.7? Nel Sofista, I’ Ateniese si

schiera decisamente contro l’«immobilismo» degli Eleati, dei Megarici e di quanti altri prescindevano del tutto dal moto così sul piano dell’onto-

logia che su quello della gnoseologia. 76 Per altra via, il Fondatore dell’Accademia torna a ribadire la critica all’inadeguatezza fuorviante di quella particolare forma di relativismo che già era stata infirmata nel Teezeto ed ora è ricollegata alla sofistica. La disquisizione esauriente sulla «questione dell’essere e del non-es-

sere»77 è corredata di un’appropriata e rigorosa disamina dei «precedenti 3 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 590; vi si premette: «Mi troverò costretto a far forza nella mia dimostrazione»).

74 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 567: «Osprre Sarà necessario per noi, proprio per difenderci, mettere alla prova il ragionamento di Parmenide, che è come nostro padre, e fargli violenza nel senso che il non essere sia in qualche modo, e che l’essere, a sua volta, in qualche. modo -siailnon-essere»; non molto dissimile trad. Gentile, cit., p. 59: «ELEATE Ci sarà necessario, per difenderci, di esaminare il ragionamento del “padre” Parmenide e dimostrare per forza che il non essere è 75 Cfr. 76 Cfr. 7 Cfr.

in qualche modo, e che l’essere, viceversa, in qualche modo non è»). TUROLLA, Argomenti, cit., p. 750. ibid. PLATO, Sophista, 241d-242b, cit., pp. 566 e 568 (ed. Plebe, cit., pp. 58-59 [cap. 29];

trad. Turolla, cit., pp. 790-791).

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L’INOPPUGNABILITÄ

DEL NON-ESSERE

storici»78 riguardanti sia i «pluralisti»7? che i «monisti»,8° come pure tanto i «materialisti» o «figli della terra»8! (che all’essere devono riconoscere la «potenza») 82 quanto gli «idealisti» o «amici delle idee» (che «devono» pur «concedere che anche il moto è» là dove essi asseriscono che «davvero movimento, vita, anima e pensiero» «siano presenti nell’essere

universale»).8? Grazie al concetto della «partecipazione» dei generi e, non altrimenti, «afferrando e considerando» la «comunione dell’essere»,

78 Cfr. ibid., 242b-243c, pp. 568 e 570 (ed. Plebe, cit., pp. 60-62 [cap. 30]; trad. Turolla,

cit., pp. 791-793). 79 Cfr. ibid., 243c-244b, pp. 570 e 572 (ed. Plebe, cit., pp. 62-63 [cap. 31]; trad. Turolla, cit., pp. 793-794). 80 Cfr. ibid., 244b-245e, pp. 572, 574 e 576 (ed. Plebe, cit., pp. 63-67 [cap. 32]; trad. Tu-

rolla, cit., pp. 794-797). 81 Cfr. ibid., 245e-246e, pp. 576 e 578 (ed. Plebe, cit., pp. 67-68 [cap. 33]; trad. Turolla, cit., pp. 797-798). 82 Cfr. ibid., 246e-248a, pp. 576, 578 e 580 (ed. Plebe, cit., pp. 69-71 [cap. 34: vd. pp. 69 e 71]; trad. Turolla, cit., pp. 798-800). Ibid., 247de, p. 578, si pone in risalto, come categorizzandolo, il concetto di «potenza» /

δύναμις, intrinseco a «una forza» così per quanto minimamente ciò che possiede una

qualsiasi essere o essenza. L’Eleate asserisce che in «qualunque cosa» è «potere influire su un’altra cosa» come «anche da essere influenzata» per [trad. Giardini, cit., p 579; ma cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 71: «tutto qualche capacità naturale sia ad agire su qualunque altra cosa sia a subire

[...]»; trad. Turolla, cit., p. 800]. Recita il testo, invero: ὁποιανοῦν [τινα] κεκτημένον δύναμιν εἴτ᾽ eig τὸ ποιεῖν ἕτερον ὁτιοῦν πεφυκὸς εἴτ᾽ εἰς τὸ παθεῖν καὶ σμικρότατον ὑπὸ τοῦ φαυλοτάτου, κἂν εἰ μόνον εἰς ἅπαξ, πᾶν τοῦτο ὄντως εἶναι.

Quindi, si generalizza che questo «agire» / «subire» = ποιεῖν / παθεῖν «veramente» «ἃ essere» (trad. Turolla, cit., p. 800). Con enfasi specificano, nelle loro interpretazioni, il Giardini (p. 579) e il Gentile (p. 71) che «tutto» quanto «è realmente»: πᾶν τοῦτο ὄντως εἶναι (ibid., 247e).

E da ultimo, in termini generalizzanti, conclude l’«Ospite» che viene da Elea: «pongo difatti come definizione degli esseri questa: che non sono altro se non potenze» (trad. Gentile, cit., p. 71; ma cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 800: «[...] l’essere non altro è se non potenza»; affine trad. Giardini, cit., p. 579), e cioè τίθεμαι γὰρ ὅρον [ὁρίζειν] τὰ ὄντα ὡς ἔστιν οὐκ ἄλλο τι πλὴν δύναμις.

La duplicità dell’«agire» (ποιεῖν) e del «subire» (πάσχειν) figura, ancora, e poco oltre, in Sophista, 248de, cit., pp. 580 e 582, in riferimento al «ragionamento nel momento della conoscenza» (248e: κατὰ τὸν λόγον τοῦτον [...] ὑπὸ τῆς γνώσεως).

Nel concepire il «conoscere» come «un fare qualcosa», se ne deduce che, al tempo medesimo e consequenzialmente, il «conosciuto» «subisca» (trad. Giardini, cit., p. 581) l’azione espressa nell’atto del conoscere stesso; e, pertanto, su un piano di fondo, si teorizza che l’«essere» / l’«essenza» conosciuto, «in quanto viene conosciuto, in tanto si muove, perché subisce» —

rende il Gentile (p. 73). Illustra in chiara efficacia il Turolla (p. 801): «se l'atto del conoscere ha caratteristica attiva, ne verrà, per conseguenza necessaria, che la cosa conosciuta subisce una passività. [...] l'essere [...] conosciuto, secondo questo rapporto, è passivamente mosso». Si legge in Sophista, 248e, cit., p. 582: καθ᾽ ὅσον γιγνώσκεται, κατὰ τοσοῦτον κινεῖσθαι διὰ τὸ πάσχειν.

8 Cfr. ibid., 248a-249d, pp. 580 e 582 (ed. Plebe, cit., pp. 71-75 [cap. 35]; trad, Turolla, cit., pp. 800-803). In t. trad. Gentile, cit., p. 73 — ma cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 801: «accetteremo con tanta facilità che non vi sia nell’Ente assoluto, nella sua plenitudine, movimento e vita e anima e

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CAPITOLO

SECONDO

presupponendo cioè ἡ τῆς οὐσίας κοινονία,84 Platone concepisce l’«uno e multiplo» come «supremo genere» ed «idea estesissima» in «infiniti ge-

neri» e specie. 8 Prefigura nella mente che — pur differenziandosi e lungi dal costituire, «tutti insieme», l’essenza che è dell’doxnyös πρῶτος — gli

esseri presentano una loro peculiarità precipua e indistinguibile, per partecipazione dell’idea che in essi si estende.86 Nell’ipotesi platonica l’essere rappresenta la possibilità per cui il «diverso» partecipa del non diverso. Il Filosofo ateniese presuppone che — qualora non si esorbiti dall’ambito dei sensisti e degli ontologi — l’essere

permane impredicabile. Ne risulta quindi inevitabile che, ai fini di un'eventuale predicazione dell’essere stesso, occorre procedere al «parricidio» di Parmenide. Già precedentemente nel Dialogo, l’Eleate aveva «pregato» Teeteto acciocché non «sospettasse» che egli, in siffatta condizione, «divenisse un parricida»: ZENO Töße τοίνυν ἔτι μᾶλλον παραιτοῦμαί σε. ®EAITHTOZ Τὸ ποῖον; ΞΕΝΟΣ Μή με οἷον πατραλοίαν ὑπολάβῃς γίγνεσθαί τινα. 87

pensiero non partecipati? Diremo che Egli non vive, non pensa?» --, a riguardo di Sopbista, 248e-249a, p. 582: ὡς ἀληθῶς κίνησιν καὶ ζωὴν καὶ ψυχὴν καὶ φρόνησιν ἦ δᾳδίως πεισθησόμεθα τῷ παντελῶς ὄντι μὴ παρεῖναι, μηδὲ ζῆν αὐτὸ μηδὲ φρονεῖν.

Perspicuo appare l’intento di dichiarare e dimostrare la non-immobilitä dell’«“essere” assolutamente perfetto» (trad. Giardini, cit., p. 583), laddove in forma retorica ci si chiede: «Ma diremo allora che l’Ente assoluto ha mente, vita e anima, ma che se ne sta immobile totalmente

pur essendo animato?» (trad. Turolla, cit., p. 802): EENOX ᾿Αλλὰ δῆτα νοῦν μὲν καὶ ζωὴν καὶ ψυχὴν (ἔχειν), ἀκίνητον μέντοι τὸ παράπαν ἔμψυχον ὃν ἑστάναι; (dbid., 249a, p. 582; trad. Giardini,

cit., p. 583).

Rilevata l’assurdità (Sophista, 249b, cit., p. 582: πάντα [...] ἄλογα) di un discorso in cui si sostenga una totale stasi dell'Essere, l’Eleate riasserisce e convalida la veridicità dell’assunto osservando che, se «l’“essere” fosse immobile», allora — rende il Gentile (p. 74) — «non ci sarebbe

intelligenza per nessuno, in nessuno e di nessuna cosa». Infatti, ΞΕΝΟΣ Συμβαίνει [...] ἀκινήτων τε ὄντων νοῦν μηδενὶ περὶ μηδενὸς εἶναι μηδαμοῦ (ibid., e vd. trad. Giardini, cit., p. 583).

84 Cfr. ibid., 250b 11, p. 584: συλλαβὼν καὶ ἀπιδὼν αὐτῶν πρὸς τὴν τῆς οὐσίας κοινωνίαν (in τ. trad. Gentile, cit., p. 76; trad. Giardini, cit., p. 585: «comprendendo e considerando la loro co-

munanza con l’“essere”»; vd. trad. Turolla, cit., p. 804: «In quanto ne concepisci e ne vedi la partecipazione all’essere»). 8 Cfr. TuroLLA, Argomenti, cit., p. 750.

86 Cfr. ibid. 8 PLaro, Sophista, 241d, cit., p. 566 (trad, Gentile, cit., p. 58; trad. Giardini, cit., p. 567:

«OsPITE Ma ancor più di a supporre che io sia una allora con tanto maggior Osprre — Non vorrei che

questo io ti faccio richiesta. / TEETETO Di cosa? / Osprte Di non avere sorta di parricida»; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 790: «Osprre — Ma calore dovrei rivolgerti una preghiera. / TEETETO — Quale preghiera? / tu vedessi in me un malvagio parricida»).

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L’INOPPUGNABILITÄ DEL NON-ESSERE

Solo in tal modo, dopo aver superato la posizione parmenidea, si sarà in grado di riconoscere che il non-essere è. Si sarà parimenti legittimati a sostenere e provare che il sofista è invero ben lungi dall’innalzarsi al ruolo di filosofo e al livello della sua dignità. Fondamentalmente — di fatto e prima ancora negli intenti — il sofista si mostra alieno, estraneo e persino non idoneo ad una rigorosa impostazione razionale del discorso. Di certo, non si manifesta né proteso né atto a trasfondere l’essere nel pensiero sì da renderlo predicabile tramite l’arte dialettica e grazie al lume che traluce nella mente irraggiandovisi dall’idea.

10. È a chiusura naturale e a conclusione logica della trattazione sulla «comunione della specie» e sulle sue «leggi»,88 che nel Sofista la dialettica è introdotta come una scienza «necessaria» e «forse» «anche la mag-

giore di tutte». Al proposito, interpreta in tono enfatico il Turolla: «Ma sì! Vuoi che non ci sia bisogno d’una scienza? E certo la più grande di tutte». Testimonia il testo: ΘΕΑΊΙΤΗΤΟΣ Πῶς γὰρ 00x ἐπιστήμης δεῖ, καὶ σχεδόν γε ἴσως τῆς μεγίστης; 89

La dialettica regola con esattezza lo svolgimento coerente dei ragionamenti. Essa si impone a norma inderogabile per «chi voglia indicare

con giustezza»?° la varietà enorme dei tipi, gradi e modi che sia dato rinvenire «nella stessa possibilità di mescolanza» dei generi (καὶ tà γένη πρὸς ἄλληλα κατὰ ταὐτὰ μείξεως Exew):9! di accordo o di repulsione, di

propulsione all’unione o di «causa della divisione». L’indispensabilità della dialettica, la sua natura e finalità particolare, e in specie la sua proprietà di arte, scienza e conoscenza del tutto essenziali ad un’organica strutturazione, ad un’armonica articolazione e ad un 88 Cfr. ibid., 252d-253c, p. 590 (ed. Plebe, cit., pp. 80-82 [cap. 38]; trad. Turolla, cit., pp. 807-809).

89 Ibid., 253c, p. 590 (in τ. prima trad. Gentile, cit., p. 82, poi trad. Turolla, cit., p. 808; vd. anche trad. Giardini, cit., p. 591: «TEETETO — Come potrebbe non esservi bisogno di conoscenza, e anzi, della [più grande]!»). 9 Cfr. ibid., 253b, p. 590: τὸν ὀρθῶς μέλλοντα δείξειν (in τ. trad. Gentile, cit., p. 82; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 591: «chi ha intenzione di dimostrare»; e trad. Turolla, cit., p. 808).

91 Ibid. (int. passim trad. Gentile, cit., p. 82; cfr. trad. Giardini, cit., p. 591: «anche i generi hanno per gli stessi motivi la possibilità di mescolanza tra di loro»; ma vd. anche trad. Turolla, cit., p. 808: «si comportano allo stesso modo nel processo di reciproca partecipazione»).

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CAPITOLO

SECONDO

consequenziale realizzarsi delle capacitä del ragionare umano come del reciproco comunicare attraverso il discorso, — emergono in plastico risalto nella «definizione» platonica a noi trasmessa dall’«Ospite» che «viene da lontano», in Sofista, 253b. In questo passaggio ci si chiede se — come traduce il Giardini — «non è forse necessario che si faccia avanti con una certa conoscenza, mediante i ragionamenti, chi ha intenzione di di-

mostrare quali generi possano armonizzare e quali invece non lo ammettano tra di loro?». Si trasmette nel testo: ΞΕΝΟΣ [...] do” οὐ per ἐπιστήμης τινὸς ἀναγκαῖον διὰ τῶν λόγων πορεύεσθαι τὸν ὀρθῶς μέλλοντα δείξειν ποῖα ποίοις συμφωνεῖ τῶν γενῶν καὶ ποῖα ἄλληλα οὐ δέχεται;92

Alla dialettica come «scienza della comunione delle specie» è dedicato un capitoletto.?9 La contrapposizione del filosofo al sofista e la differenziazione tra di essi — entrambe postulate sulla base di una netta caratterizzazione — si evidenziano in forte rilievo nella puntualizzazione in

forma esclamativa da parte dell’Eleate. Costui esprime tutta la sorpresa e la meraviglia per aver scoperto — «a sua insaputa» e «senza accorgersene» — la dialettica, che egli non esita a proclamare la «scienza degli uomini liberi». Dichiara: ZENO? [...] ἐλάθομεν εἰς τὴν τῶν ἐλευθέρων ἐμπεσόντες ἐπιστήμην.99

92 Ibid. (in τ. trad. Giardini, cit., p. 591; non letterale ma incisiva la trad. Turolla, p. 808:

«Oserre — [...] Ne viene quindi che bisogna necessariamente procedere forniti di una certa scienza, se pur si deve dimostrare senza errore quali generi partecipino fra loro e quali non ammettano questa partecipazione»; cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 82: «ELEATE [...] non dovrà procedere, con una certa scienza nei ragionamenti, [chi voglia indicare con giustezza]: quali generi si accordino e con quali; e quali altri fra loro si respingano?»). Nel testo si specifica che sono, quindi, da individuare i generi che sono tali da potersi unire mescolandosi (ibid., 253c: συμμείγνυσθαι δυνατὰ εἶναι) e quegli altri che causano la distinzione (ibid.: δι’ ὅλων ἕτερα τῆς διαιρέσεως αἴτια) [trad, Giardini, cit., p. 591; ma vd. ugualmente trad. Gentile, cit., p. 82: «quelli [2 e. i generi] che rendono possibile l’unirsi» e «altri che nelle divisioni sono, in tutti i casi, causa della divisione»; e, libera ma chiarificatrice, trad. Turolla, cit., p. 808]. 9 Cfr. ibid., 253c-254b, pp. 590 e 592 (ed. Plebe, cit., pp. 82-83 [cap. 39]; trad. Turolla,

cit., pp. 808-810). % Ibid., 253c, p. 592 (in τ. passim trad. Giardini, cit., p. 593; trad. Gentile, cit., p. 82:

«ELEATE [...] a nostra [insaputa] ci siamo incontrati nella [scienza] [degli uomini liberi]»; vd. anche trad. Turolla, cit., pp. 808-809: «OsPITE — [...] O [senza accorgercene] siamo forse andati a finire presso la scienza [...]?»).

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L’INOPPUGNABILITÄ

DEL NON-ESSERE

Quindi prorompe nel significativo interrogativo che, al tempo stesso,

risuona eloquente ammonimento: «rischiamo d’aver trovato prima il filosofo, pure ricercando il sofista?». Si riporta nel Dialogo: ZENO [...] καὶ κινδυνεύομεν ζητοῦντες τὸν σοφιστὴν πρότερον ἀνηυρηκέναι τὸν φιλόσοφον;95

11. Il dialettico, infatti, è capace di «dividere per γένη διαιρεῖσθαι)»6 e «discernere» P’«estendersi» di cose» (δρᾶν μίαν ἰδέαν διὰ πολλῶν),37 ma in guisa tale esse «se ne stia a parte» e rimanga «separata» a sé (ἑνὸς

generi» (Τὸ κατὰ un’idea «a molte che «ciascuna» di ἑκάστου κειμένου

χωρίς).98 Compito primario di tutta l’arte dialettica — si ribadisce — è il «sapere dove i singoli» generi, in reciproca partecipazione o repulsione, «possono avere comunanza tra essi e dove no». In sintesi, ed in ultima

analisi, è proprio in questa capacità che si specifica ed anche si definisce il «distinguere per generi». Precisa l’«Ospite» che «viene da lontano»: ZENO. [...] τοῦτο è’ ἔστιν, ἦ te κοινωνεῖν ἕκαστα δύναται καὶ ὅπῃ μή, διακρίνειν κατὰ γένος ἐπίστασθαι. 99

L’appello alla diairesis -- che era ricorrente nella sofistica e si espli-

cava in un discorso d’ordine logico — non invalida, né infirma o contraddice il passaggio alla dimensione ontologica che, nella seconda parte del

55 Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 593; cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 82: ma con «cer-

cando» per «pure ricercando»; e trad. Turolla, cit., p. 809: «OsPITE - [...] E forse anche, pur ricercando [il sofista], abbiamo [prima trovato] il filosofo?»). % Ibid., 253d, p. 592 (in t. trad. Gentile, cit., p. 82; cfr. trad. Giardini, cit., p. 593: «il di-

stinguere secondo i generi»; e trad. Turolla, cit., p. 809: «Saper procedere ad opera di divisione secondo i generi»). 57 Ibid. (in t. passim: trad. Gentile, cit., p. 83: «sa discernere [...] come un’idea si [estenda]

in ogni senso [a molte cose]»; vd. pure trad. Giardini, cit., p. 593: «conosce perfettamente anche un’idea sola fra molte»; elaborata, ma per noi non del tutto convincente, trad. Turolla, cit.,

p. 809). 98 Ibid. (in τ. passim: trad. Gentile, p. 83; e trad. Giardini, cit., p. 393: «mentre [ciascun] ele-

mento [se ne] sta La parte]»; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 809: «ciascuna delle quali tuttavia è distinta da quella d’estensione maggiore»). 9 Ibid., 253de, p. 592 (in t. trad. Giardini, cit., p. 593; vd. anche l’efficace trad. Gentile, cit., p. 83: «ELEATE [...] questo è saper [distinguere] ogni cosa secondo il genere, quali possono comunicarli e quali no»; trad. Turolla, cit., p. 809: «Osprre — [...] La quale capacità si risolve in

saper [distinguere] [secondo il genere] in quali casi possano verificarsi processi di partecipazione e in quali casi no»).

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SECONDO

Dialogo, appare irreversibile. Il procedimento per divisione diviene dialettico. Anziché dispiegarsi su un semplice piano formale o di mero artificio verbale, esso poggia sulla «struttura dei generi», 190 su un palinsesto ontologico; interviene ed opera su quella che sussiste come l’oggettività dell'Essere nell’estendersi delle idee nelle cose e negli enti reali. 101 In una ben distinta — e in primis contrapposta — tipizzazione da un canto del filosofo, e dall’altro del sofista, l’Eleate viene gradualmente delineando l’arte dialettica. Di questa traccia i caratteri, ne presenta le pe-

culiarità e gli elementi principali. In primo luogo, assevera che l’«arte dialettica» deve proporsi, quale oggetto prioritario, il perseguimento di un criterio di superiore ed incondizionata veridicità verso la quale, come a meta indefettibile, sono da rivolgere incessantemente gli interessi e le mire. La dialettica è da «attribuire» esclusivamente al filosofo retto e genuino, incontaminato e scevro da ogni intento di “falsare” il ragionamento, manipolarne i termini o le parti, distorcerne i sensi ed alterarne gli esiti. È così che ammonisce in tono solenne l’Eleate, acciocché non si ascriva la tecnica dialettica se non a chi sia veramente in grado di «filosofare con purezza e giustizia di intendimenti»: ΞΕΝΟΣ ’AMèà μὴν τό γε διαλεκτυκὸν οὐκ ἄλλῳ δώσεις, ὡς ἐγᾧῷμαι, πλὴν τῷ καθαρῶς τε καὶ δικαίως φιλοσοφοῦντι. 102

Pur non esplicitato, vigoroso ed innegabile si eleva l’inno platonico al vero di contro al falso. È qui che vivida risalta la celebrazione così esal-

tante come incontrovertibile del vero dell'Essere nella molteplicità infinita delle forme del suo «espandersz» attraverso le idee, nel «mescolarsi» (συμμείγνυσθαι) 195 dei generi. E ciò è da ritenere che intervenga anche tramite un’idea sola — o invero mediante «quest’unica idea di estensione

100 Cfr. ibid. (ed. Plebe, cit., p. 82, n. ad loc. 253d).

101 Cfr. ibid. 102 Ibid., 253e, p. 592 (in t. passim trad. Gentile, cit., p. 83; cfr. trad. Giardini, cit., p. 593 [e in parentesi anche trad. Gentile, cit.J: «Osprre [ELEATE] Ma l’attitudine alla dialettica, a mio

parere, non la concederai (Ebbene, come suppongo, l’arte dialettica non l’attribuirai) a nessun altro, se non a chi fa filosofia (sappia filosofare) in modo puro e giusto (con purezza [...])»; e trad. Turolla, cit., p. 809: «Ospite — Eh! ma questa scienza dialettica, la vorrai concedere, come credo, soltanto al filosofo che esercita la sua scienza con genuino metodo e con giustizia»). 103 Ibid., 253c, p. 590 («si espande»: trad. Gentile, cit., p. 82; «mescolarsi»: trad. Giardini, cit., p.591 [ma trad. Gentile, cit., p. 82: «unirsi»; e trad. Turolla, cit., p. 808: «rendano possibile

il processo della partecipazione»]).

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L’INOPPUGNABILITÄ

DEL NON-ESSERE

maggiore» — che, per quanto estesa «a ciascuna delle molte» e al mo-

mento stesso «a tutte insieme», può tuttavia rimanere una. Al dialettico sarà possibile pervenire, almeno in parte, alla conoscenza di questa μίαν αὖ δι’ ὅλων πολλῶν ἐν Evi συνημμένην. 194 Dialettico & da denominarsi chi con veracitä discetta sull’Essere che,

uno, è ugualmente multiplo ed all’uno riconduce; chi in un’«analisi logica», tanto del «discorso» quanto della «sintassi» universali, 1% si volge a ricomporre i processi costitutivi e le fasi formative del reale. Tra i dialettici è nondimeno da annoverare colui che — libero dagli amminicoli della falsità, dagli intrighi fascinosi della menzogna e dagli artifici ed arzigogoli verbali di un discorso vacuo come pure di un ragionamento che incanti ma non dimostri — «faccia» davvero «filosofia»: discetti, cioè, e argomenti «in modo puro e giusto». 106 12. Non sorprende, per altro, quanto risulti inevitabile che ai più

sfuggano oppure siano negate la comprensione adeguata e la consapevolezza critica di una siffatta profonda riflessione o enucleazione concettule. Nella celsitudine della sua noesi e nell’elevatezza della sua speculazione, il “dialettico” si proietta e si traspone su di una sfera sovraterrena.

Dalla contingenza storica e dalle trame insidiose dell’inganno, dal buio tenebroso ed accecante del carcere mondano, il filosofo s’innalza in «una

regione» irradiata dello «splendore» e della luminosità fontale dell’Essere. Il pensatore si sottrae all’intendimento da parte degli altri, e pare si dilegui allo sguardo di quanti, non dialettici, non sono così sapienti da reggere al confronto con lui.

A riguardo del filosofo, l’Eleate conduce l’analisi e articola la presentazione su tre punti tematici strettamente correlati e intimamente coesi.

In primo luogo, fa appello all’attività noetica dell’uomo che, grazie alle sue capacità intellettuali ed in virtù dell’esercizio delle sue facoltà di raziocinio, si rivela in grado di ricercare la conoscenza delle verità e realtà

più alte. Nello svolgersi consequenziale e nel succedersi coerente dei suoi discorsi, «con i suoi ragionamenti» il filosofo attende costantemente a ri104 Ibid., 2534, p. 590 (in t. passim trad. Turolla, cit., p. 809, dove μίαν si rende «congiunta fortemente all'uno»; trad. Giardini, cit., p. 593: «quest’una che si tiene congiunta in unità attraverso una moltitudine di interi»; trad. Gentile, cit., p. 83: «una che, pur rimanendo una, si

espande in molti complessi»). 105 Cfr. TUROLLA, Argomenti, cit., p. 750.

106 Cfr. PLaTO, Sophista, 253e, cit., p. 592 (in t. passim trad. Giardini, cit., p. 593, per cui cfr. supra e n. 102).

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SECONDO

flettere e speculare sull’«idea dell’essere».!07 A questa «si dedica sempre» e — come poeticamente interpreta il Turolla — egli «persegue» così «con uno sforzo d’argomentante pensiero» «l’idea d’ogni ente» «in perenne dimora presso quella», 108 Si rileva nel testo: ZENO ἰδέᾳ [...].199

‘O δέ γε φιλόσοφος, τῇ τοῦ ὄντος ἀεὶ διὰ λογισμῶν προσκείμενος

Il filosofo non desiste dal rivolgersi alla scoperta e pur limitata acquisizione del vero. Fervida permane in lui l’istanza a indagare il vero. Per questo, egli si protende verso quella che è la sede del dio, immettendosi nell’aura stessa del divino. Circonfuso della luce dell'Essere e avvolto dalla «lucentezza» abbagliante del luogo, egli non è per nulla «agevole a

scorgersi». 10 È così che «il fulgore immenso del luogo ove dimora, questo fulgore l’asconde» — così elegante come raffinata risuona la “resa” turolliana —: EENOZ [...] διὰ τὸ λαμπρὸν αὖ τῆς χώρας οὐδαμῶς εὐπετὴς ὀφθῆναι. 111

Da un punto di vista teorico, come a ribadire la grandezza e l’elevatezza del filosofo in ragione della sua propensione e dedizione alla noesi, si richiama un motivo giä estesamente trattato nella Repubblica. In questa

prospettiva si pone l’enfasi sull’elemento che per antonomasia contraddistingue il filosofo. Una tale esclusività è nella «possibilità», da parte sua, «di star saldo nel contemplare la divinità», 112 laddove invece «gli occhi» 107 Cfr. ibid., 254a, p. 592 (int. passim: trad. Giardini, cit., p.593 [vd.: «essendo sempre dedito all’idea»]; cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 83: «ELEATE Il filosofo invece, attenendosi sem-

pre nei ragionamenti all’idea [...]»). 108 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 810). 109 Ibid. 110 Cfr. ibid. (in t. passim trad. Giardini, cit., p. 593 — vd.: «a sua volta non è assolutamente

[agevole a scorgersil» —; trad. Gentile, cit., p. 83: «non è punto facile da vedere per lo splendore della sua regione»). 111 Ibid. (int. trad. Turolla, cit., p. 810, che reca anche «nemmeno il filosofo può essere facilmente veduto»).

112 Cfr. ibid., 254b, p. 592 (in τ, passim trad. Giardini, cit., p. 593).

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L’INOPPUGNABILITÄ DEL NON-ESSERE

e «lo sguardo» «dell’anima» dei tanti «non possono resistere alla vista della divinità». 113

È l’«Ospite straniero» a determinare risoluto nel Sofista: EENOZ [...] tà γὰρ τῆς τῶν πολλῶν ψυχῆς ὄμματα καρτερεῖν πρὸς τὸ θεῖον ἀφορῶντα ἀδύνατα. 114

13. Non è, per altro, opportuno né congruo il trascurare di puntua-

lizzare che — se, per alcuni aspetti, non è certamente semplice «vedere» «chiaramente», 115 riconoscere e osservare il filosofo che è sulla via della verità dell’assoluto, illuminato dallo sfolgorio della divinità stessa — d’altronde e a maggior ragione risulterà molto più disagevole il rinvenire e lo-

calizzare il sofista, coglierne la natura e raffigurarne il ruolo. La difficoltà pressoché insormontabile di una tale impresa risalta chiara qualora si prenda in considerazione l’intricato mondo del sofista. Questo sovrab-

bonda di illusioni e di parvenze, di sottigliezze di linguaggio e di cavilli logici. Esso poggia sulla base di discorsi e ragionamenti falsi nella loro capziosità, di sofismi autentici che valgono a produrre facili incantesimi e

fallaci suggestioni, ma al tempo medesimo travisano o snaturano il vero e predicano il mendacio inducendo a credere che sia ciò che, pur tuttavia, non è.

L’Eleate viene a sostenere che, a livello ontologico e sul piano delle relazioni tra generi e specie, è sempre possibile che «in un luogo siffatto», sia ora che «in seguito» (ἐν τοιούτῳ TIVI τόπῳ καὶ, νῦν καὶ ἔπειτα),116 ci sarà dato «trovare il filosofo» (Τὸν μὲν δὴ φιλόσοφον [...] &vevorjoouev),117 a condizione che davvero sia nostro proponimento certo il cer-

15 Cfr. ibid., 254ab, p. 592 (in τ. passim trad. Gentile, cit., p. 83; ma «lo sguardo dell’anima della moltitudine»: trad. Giardini, cit., p. 593). 114 Ibid. (vibrante per il considerevole afflato poetico la trad. Turolla, cit., p. 810: «OSPITE

— [...] Oh! La volgare gente, non può reggere quando volge pupille dell’anima a guardare il Divino»).

15 Cfr. ibid., 254a, p. 592 (trad. Gentile, cit., p. 83).

116 Ibid., 253e, p. 592 (in τ. passim trad. Giardini, cit., p. 593; vd. pure trad. Gentile, cit., p. 83: «In un punto come questo [...] adesso o dopo»; e trad. Turolla, cit., p. 809: «in un luogo, press’a poco, come questo, [...] ora oppure più tardi»). 117 Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 593: «troveremo il filosofo»; cfr. anche trad. Gentile,

cit., p. 83: «ritroveremo [...] il filosofo»; vd. trad. Turolla, cit., p. 809: «Ecco dunque, potremo trovare il filosofo»).

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SECONDO

carlo (ἐὰν ζητῶμεν). 118 Ma non si astiene dall’avvertire Egli stesso come sia arduo il «vedere» distintamente il filosofo nella sua identità reale (ἰδεῖν μὲν χαλεπὸν ἐναργῶς καὶ τοῦτον).115 All’«Ospite» preme nondimeno porre in forte rilievo quanto ben piü faticoso sia il «ricercare» il sofista. Ciononostante, si torna a replicare che, per il filosofo, «la difficoltà è

diversa da quella del vedere il sofista»: ZENO? [...] ἕτερον μὴν τρόπον ἥ τε τοῦ σοφιστοῦ χαλεπότης ἥ τε τούτου. 129

Infatti, sulla mente raziocinante del filosofo, che tende e si volge a penetrare il vero, si riverbera nella sua fulgidezza il chiarore della luce

proveniente dal mondo superno e dalla divinitä stessa. D’altro canto, l’Eleate non si trattiene dal far notare come il sofista, invece, si presenta quale pseudo-ricercatore e sedicente procacciatore del vero nel suo discorso. Ma, di fatto, egli è da giudicare un propugnatore del falso e dell’appariscente, un difensore dell’ingannevole quando non anche dell’immaginario e dell’irreale. Parimenti, è da considerare un artefice di finzioni e di simulazioni. Per ciò, egli «sfugge» «nell’oscurità del non-esse-

re», come recita il testo greco: ΞΕΝΟΣ Ὁ

μὲν ἀποδιδράσκων εἰς τὴν τοῦ μὴ ὄντος σκοτεινότητα. 121

Sperduto nell’area piü folta della foresta, avviluppato ed irretito nella pur incantata ma inestricabile selva della menzogna, nell’aggrovigliato reticolo del non-essere il sofista «si immerge fino al logoramento».122 Dal 118 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 593: «se vorremo cercarlo»; più che affine trad. Turolla, cit., p. 809; cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 83: «se lo cerchiamo»). 119 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 83: «è difficile da veder chiaramente anche lui»; non dissimile trad. Giardini, cit., 593; ma vd. trad. Turolla, cit., p. 809: «Certo, non è facile trovarlo nemmeno lui, se si desidera la piena chiarezza»). 120 Ibid., 254a, p. 592 (in t. trad. Giardini, cit., p. 993; e trad. Gentile, cit., p. 83: «ELEATE

[...] ma [la difficoltà] per lui è [diversa da quella] del sofista»; trad. Turolla, cit., p. 809: «OsPITE — [...] In ogni caso si tratta di [difficoltà] [diversa da quella] che tanto ci affatica per trovare [il sofista]»). 121 Ibid. (in τ. trad. Gentile, cit., p. 83: vd. «L’uno, sfuggendo [nell’oscuritäl»; trad. Giardini, cit., p. 593: «Osprre L’uno, il sofista, se ne rifugge nel buio del non-essere»; trad. Turolla,

cit., p. 809: «Osprre — L’uno scappa, nascondendosi nella tenebra del non-essere»). 122 Cfr. ibid. (nella trad. Giardini, cit., p. 593; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 809: «che facilmente attinge»).

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CAPITOLO

TERZO

sforzo di «separare tutto da tutto», non risulterebbe né «conveniente»? né «ben ordinato»; costituirebbe piuttosto una «stonatura»5 ed una

forte dissonanza. Al tempo stesso denuncerebbe una non accentuata propensione all'indagine e all’analisi speculativa, come pure una scarsa perizia non solo in ambito storico-filosofico, ma anche nel campo letterario,

specie in quello poetico. Designerebbe, per altro, un «ingegno nemico alle Muse»,6 una persona incolta se non addirittura «culturalmente rozza». Non altrimenti, denoterebbe un individuo che appare ben «lonta-

no»? da una apprezzabile «attitudine alla filosofia»,8 e si mostra restio a seguire con coerenza principi e dettami di essa. È così che si tramanda nel testo: ZENO

Kai γάρ, ὠγαθέ, τό γε πᾶν ἀπὸ παντὸς ἐπιχειρεῖν ἀποχωρίζειν ἄλλως

τε 00% ἐμμελὲς καὶ δὴ καὶ παντάπασιν ἀμούσου τινὸς καὶ ἀφιλοσόφου.9

2. È ’«Ospite straniero» ad ammonire come sia da paventare che un

elevato fattore di rischio possa intervenire nel discorso, qualora si miri e si provi a scorporare le parti dall’insieme: cioè, a «disciogliere» «le singole cose»10 e «ciascuna posizione» «dal tutto»,!! o — come in differente accezione e con altra valenza ermeneutica rende il Turolla — ad «isolare ogni singola idea da quel tutto che la contiene». 12 Conseguenza irrefraga-

bile di ciò sarebbe la «soppressione più completa» 3 o «il modo più radi2 Cfr. ibid., 259e, p. 604 (trad. Giardini, cit., p. 605: «mettere mano a [separare] [...]»; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 819: «questo tentativo di [separare] [...]»; e trad. Gentile, cit., p. 95: «cercare di [separare] [...]»). 3 Cfr. ibid. (trad. Gentile, cit., p. 95: «oltre che non essere [conveniente]»). 4 Cfr. ibid. (trad. Giardini, cit., p. 605: «non solo non è [ben ordinato]»).

3 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 819, dove si premette: «vera e propria»). 6 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 819). ? Cfr. ibid. («culturalmente rozzo» e «lontano»: trad. Giardini, cit., p. 605). 8 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 819: «destituito d’ogni [attitudine] [...]»). 9 Ibid., 259de, p. 604 (trad. Gentile, cit., p. 95: «ELEATE Difatti, mio caro, cercar di [separare tutto dal tutto], oltre che non esser [conveniente], non è punto da persona colta e filosofa»; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 605). 10 Cfr. ibid., 259e (trad. Gentile, cit., p. 95). 11 Cfr. ibid. (trad. Giardini, cit., p. 605; e ancora trad. Gentile, cit., p. 95). 12 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 819). 3 Cfr. ibid. (trad. Giardini, cit., p. 605).

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CAPITOLO TERZO

UN NODO TEORICO. IL FALSO È, PERCHÉ NON-ESSERE*

1. Nella parte centrale del suo Dialogo I/ Sofista, Platone ha superato le difficoltà inerenti alla problematica del non-essere, risolvendole in una «analisi logica» della «sintassi» dell’universo. A tale risultato è pervenuto affrontando il discorso sui «cinque generi». Sulla base di questo approfondimento, gli è stato agevole il differenziare il filosofo dal sofista. Nel contraddistinguere l’uno nei confronti dell’altro, a criterio essenziale di valutazione, il Fondatore dell’Accademia ha posto la rivendicazione prioritaria del vero, del reale e dell’oggettivo di contro al falso, all’illusorio e all’ingannevole. In termini radicali ha contrapposto la necessità veridica

dell’ente e la vacuità mendace di qualsivoglia tentativo di riprodurre mere parvenze. Tramite la figura dell’Eleate — «Ospite straniero» che «viene da lontano» — il Filosofo ateniese, a tratti brevi ma efficaci, delinea la possibilità

che il non-essere relativo sia da correlare o, perlomeno, da riferire all’opinione e al discorso in generale, alle loro tipologie e modalità di svolgimento in particolare. Il non-vero, cioè il falso, in quanto non realtà oggettiva ma solo mera apparenza, viene ad identificarsi, o più semplicemente, a coniugarsi con il non-essere. Infatti, il capitolo 44! delucida ed illustra come il «falso» — proprio perché si presenta come «non-essere» — «è».

L’Eleate muove da una visione organicistica per cui si implica a priori l'impossibilità di distaccare o isolare la parte dal tutto. Invero, qualunque * Questo terzo capitolo, nella sua stesura originaria, è stato già pubblicato in «Bérénice» (Rivista quadrimestrale di Studi Comparati e Ricerche sull’Avanguardia), XI, 29 (luglio 2003), pp. 5-17. In queste pagine, si apportano delle aggiunte, specie nell’apparato delle note relative ai richiami testuali e agli esiti interpretativi nelle traduzioni e “rese” in italiano. Non numerose né rilevanti le variazioni nel testo. 1 Cfr. PLato, Sophista, 2594 11-261c 6, pp. 604, 606, 608 (ed. Plebe, cit., pp. 95-98: «Il falso, come non essere, è»; trad. Turolla, cit., pp. 819-821).

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CAPITOLO

SECONDO

non dobbiamo lasciarlo andare, prima di averne fatto un esame compiuto», come si riporta nel Dialogo: ΞΕΝΟΣ [...] περὶ δὲ τοῦ σοφιστοῦ που δῆλον ὡς οὐκ ἀνετέον πρὶν ἂν ἱκανῶς αὐτὸν θεασώμεθα. 126

Spicca qui inderogabile la necessitä di porre il non-essere relativo e riconoscerne l’essere per certi aspetti. Si delineano imprescindibili la vo-

lontà salda e l’intento fermo di scandagliare gli anfratti nella szlva fitta e buia del non-essere. 127 Immane ma sicuro s’impone lo sforzo nel tentativo di penetrare nei recessi più ascosi del mondo così remoto ed aleatorio della menzogna e di quanto si configuri assolutamente mendace. Si mira a smascherare i sofisti, ed in essi a smantellare la falsità e gli intrighi di evanescenti appariscenze. Ci si volge a disvelare la fallacia e la vacuità

di un’arte o, più appropriatamente, di una tecnica che si ritiene mero ed infruttuoso esercizio retorico, e i cui artefatti si manifestano vaghi simulacri e lontane parvenze di ciò che essenzialmente è. I sofisti negano che il non-essere è. Al tempo medesimo, propongono esattamente il contrario: e cioè, che esso «in qualche senso» è. E lo provano essi stessi. L’aporia risalta evidente e innegabile nel loro vano contraddittorio e ingannevole argomentare. Pur negandolo categoricamente sul piano teorico, nella prassi — proprio grazie a e attraverso i loro ragionamenti ed i loro discorsi del tutto falsi, e mai veridici — i sofisti vengono a dimostrare che il falso — e con questo il non-essere — di fatto è.

126 Ibid. (in τ. trad. Gentile, cit., p. 83; trad. Turolla, cit., p. 810: «OSPITE — [...] Invece, a

proposito del sofista, è chiaro che non desisteremo prima di averne fatto sufficiente ricerca»; trad. Giardini, cit., p. 593: «Osprre [...] ma sul sofista è evidente che non si deve lasciar perdere prima di averlo esaminato per bene»). 127 La trattazione del problema del non-essere giunge ad una soluzione — a quella platonica — ai capp. 40-43 del Sofista (254b-259d, pp. 592-604 — alle pagine pari —; ed. Plebe, cit., pp. 84-95; trad. Turolla, cit., pp. 810-818). Si assume a fondamento la comunione delle tre «idee estesissime», «essere, quiete e moto» (254b-255e, pp. 592-596; ed. Plebe, cit., pp. 84-87 [cap. 40]; trad. Turolla, cit., pp. 810-812), εἰ ἀπε generi estesissimi dell’«identitä» (ταὐτόν) e «alterità» (θάτερον),

che vengono a costituire i cinque generi sommi per cui è possibile un’analisi logica della sintassi dell’universo. Dopo che sono stati posti «il medesimo» (ταὐτόν) e «l’altro» (θάτερον) come diversi dall’essere (öv), si viene a specificare come «nella comunione dei generi fondamentali» emerga il non-essere (255e-257c, pp. 596-600; ed. Plebe, cit., pp. 87-90 [cap. 41]; trad. Turolla, cit., pp. 812-815). Si identifica quindi il non-essere con P’xessere diverso» (257c-258c, pp. 600-602; ed. Plebe, cit., pp. 90-93 [cap. 42]; trad. Turolla, cit., pp. 815-817), laddove «diverso» non è da intendersi nell’accezione di «contrario» (258c-259d, pp. 602-04; ed. Plebe, cit., pp. 93-95 [cap. 43]; trad. Turolla, cit., pp. 817-818). Tutte le cose esistenti constano di ente e di non-ente, ma esistono in quanto partecipi della natura dell’ente — fa notare il Turolla (Argomenti, cit., p. 750).

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L’INOPPUGNABILITÄ

DEL NON-ESSERE

momento che ne ha «esperienza continua», egli vi si ambienta, senza alcuna difficoltà, come «per abitudine» (τριβῇ προσαπτόμενος αὐτῆς). 123 A causa della consuetudine inveterata e «per la tenebra» «immensa» «del

luogo ove egli dimora», il sofista appare «difficile da vedersi» e «da riconoscere». Da una tale condizione e dalla problematicitä della contingenza specifica risulta alquanto agevole desumere quanto sia difficoltoso lo «scoprirne le tracce»: ΞΕΝΟΣ [...] διὰ τὸ σκοτεινὸν τοῦ τόπου κατανοῆσαι χαλεπός. 124

14. Pertanto, l’«Ospite» che «viene da lontano» ammonisce a condurre a termine un accurato studio sulla natura propria del sofista, a definire stabilmente il suo status sia all’interno della disputa intrapresa nel Dialogo che nei termini dell’indagine filosofica in generale: prima a livello linguistico-glottologico e logico-formale, poi in ambito dialetticoontologico. A tal fine, Egli dichiara come si possa rinviare sì la trattazione relativa al filosofo, sul quale si avrà modo di «discutere» e «fare ricerca»

«anche presto» e «con maggiore chiarezza», sempre qualora non s’intenda desistere dall’indagine: ΞΕΝΟΣ Οὐκοῦν περὶ μὲν τούτου καὶ τάχα ἐπισκεψόμεθα σαφέστερον ἂν ἔτι

βουλομένοις ἡμῖν 7.125

Suffraga pur tuttavia l’urgenza imperiosa di non «desistere» dall’ana-

lisi del sofista, prima di averne concluso un oculato e circostanziato approfondimento. «Ma il sofista», prorompe con enfasi, «evidentemente 123 Ibid. (in τ. passim trad. Turolla, cit., p. 809: «perché ne ha [esperienza continua)»; e trad. Gentile, cit., p. 83: «[per abitudine] vi si adatta»). 124 Ibid. (in τ. passim trad. Turolla, cit., p. 809: «per la tenebra», «immensa», «[...] dimora»

e «scoprire [...]». Cfr. trad. Gentile, p. 83 [in parentesi varianti della trad. Giardini, cit., p. 593]: «ELEATE (OspITE) [...] a cagione dell’oscuritä (per la tenebra) del luogo, è difficile da riconoscere (vedersi)»). 125 Ibid., 254b, p. 592 (in τ. passim trad. Gentile, cit., p. 83; cfr. anche trad. Giardini, cit., p.

593: «OsPITE Dunque sul filosofo tra breve faremo [ricerca] con maggior chiarezza, se ancora vorremo»; trad. Turolla, cit., p. 810: «ΟΞΡΙΤΕ — Del resto su quest’aspetto del problema, fra poco, esperiremo più chiara indagine, qualora tale rimanga il nostro desiderio»).

UN NODO TEORICO. IL FALSO È, PERCHÉ NON-ESSERE

cale per distruggere»! ogni tipo di ragionamento, vanificando e «annientando» la «parola» medesima: 15 SENOZ Τελεωτάτη πάντων λόγων ἐστὶν ἀφάνισις τὸ διαλύειν ἕκαστον ἀπὸ πάντων. 16

A supporto concettuale di questo passaggio centrale & da proporre l’assunto per cui a genesi del ragionamento, e della «parola» mediante cui esso si articola e si formula, è necessariamente da porre «l’intreccio» «re-

ciproco»17 delle «idee» e delle «forme». 18 Recita il testo: ZENO: ἡμῖν. 19

[...] διὰ γὰρ τὴν ἀλλήλων τῶν εἰδῶν συμπλοκὴν ὁ λόγος γέγονεν

La capacità raziocinante e l’attività argomentativa originano e si svolgono in noi a causa, e per mezzo, della «partecipazione di un’idea con

l’altra»20 come, ugualmente, del «mescolarsi» di un loro «aspetto» «con l’altro»,2! e, in altri termini, di «diverso con diverso».22

Allo scopo precipuo di confutare i sofisti ed in un abbozzo di filosofia del linguaggio, l’Eleate si «oppone a simili avversari» ed ingaggia una 14 Cfr. ibid. (trad. Gentile, cit., p. 95). 15 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 819: «si finisce per [annienta]re completamente la parola»; «[...] tutti i ragionamenti»: trad. Giardini, cit., p. 605, e trad. Gentile, cit., p. 95).

16 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 605: «Osprre La [soppressione più completa] di tutti i ragionamenti consiste nello sciogliere [ciascuna posizione]»; più libera trad. Turolla, cit., p. vd. anche trad. Gentile, cit., p. 95). 17 Cfr. ibid. (trad. Giardini, cit., p. 605; vd. trad. Turolla, cit., p. 819; «reciproco»: trad. Gentile, cit., p. 95). 18 Cfr. ibid. (trad. Giardini, cit., p. 605). 19 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 605: «Osprre [...] infatti attraverso [l'intreccio] delle mel] tra di loro sorge in noi il ragionamento [«il nostro ragionamento è nato»: trad. Gentile, p. 951»; cfr. anche trad, Turolla, cit., p. 819: «OsPiTE — È l’intreccio infatti delle idee che

819; add.

[forcit., pro-

duce per noi ogni parola»]»). 20 Cfr. ibid., 2602, p. 604 (trad. Turolla, cit., p. 819). 21 Cfr. ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 605: «l’uno aspetto si mescola con l’altro», per cui cfr. anche infra, n. 24). 22 Cfr. ibid. (trad. Gentile, cit., p. 95, per cui cfr. pure infra, n. 24).

—3 —

CAPITOLO

TERZO

«polemica» con essi (τοῖς τοιούτοις διεμαχόμεθα).23 Si prefigge di indurli,

«forzarli» e quasi «costringerli» a riconoscere che l’altro «si mescola» con l’altro. Così Egli fa notare a Teeteto nel Sofista: ΞΈΝΟΣ [...] προσηναγκάζομεν ἐᾶν ἕτερον ἑτέρῳ neiyvuodau. 24

3. Alla disputa vera e propria introduce una premessa d’ordine teo-

retico che non si esita a definire il proclama del primato della filosofia e — in questa prospettiva — la dichiarazione della fondamentalità, centralità e inderogabilità così del ragionamento come della parola quale elemento, tramite e strumento del ragionamento stesso, del suo proporsi ed esplicarsi nel discorso razionale dell’uomo. Inequivoco ed esaltante nella sua magnificenza, risalta l’elogio della parola. Questa si intende celebrare, disvelandone i sensi profondi, le potenzialità creative e le capacità espressive, nella variegata gamma di quelle plurivalenti funzioni che sono proprie ed esclusive della mente e dell’eloquio umani. A Teeteto che gli rivolgeva l’interrogativo «perché» mai e per quale

senso di «opportunità»? ci si scagliasse contro i sofisti al fine di dimostrare come il diverso si mescolasse al diverso e come tra le idee si postulasse una compartecipazione dell’una all’altra, l’Eleate ribatte categorico. Propugna la necessità tanto del ragionamento quanto del linguaggio attraverso cui lo si esprime, così che il «ragionamento» (e, con esso, anche la «parola») 26 «sia uno» dei «generi dell’essere» e venga ad «appartenere a uno solo» di essi. Si legge al proposito: ΞΈΝΟΣ Πρὸς τὸ τὸν λόγον ἡμῖν τῶν ὄντων Ev τι γενῶν elvau.??

23 Ibid. (in τ. «ci opponiamo a [...]»: trad. Turolla, cit., p. 819; «è l’occasione appropriata di condurre la polemica»: trad. Giardini, cit., p. 605; vd. trad. Gentile, cit., p. 95: «facevamo bene

a combattere con costoro»). 24 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 95: «ELEATE [...] a [costringerli] a lasciar mescolare [diverso con diverso]»; vd. pure trad. Giardini, cit., p. 605: «OsPIte [...] di [forzarli] ad ammettere che

l’uno aspetto [...]», per cui cfr. supra e n. 21; e trad. Turolla, cit., p. 819, per cui ancora vd. supra en. 20). i 2 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 819). 26 Cfr. ibid. (λόγον: «parola», come pressoché costantemente, trad. Turolla, cit., p. 819).

27 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 607: «OsPITE Perché il ragionamento per noi [appartenga a uno solo] [«fosse per noi uno»: trad. Gentile, cit., p. 95] dei generi dell’essere»; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 819: «Osprre — Perché anche parola sia per noi uno dei generi dell’essere»).

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UN NODO TEORICO. IL FALSO E, PERCHE NON-ESSERE

Ad addurre a una siffatta conclusione & il concetto dell’indissociabilitä del ragionamento dalla filosofia e dalla possibilitä stessa che questa

sussista. Si ritiene sia da rilevare il «danno irreparabile» che conseguirebbe allorché si fosse inidonei al ragionamento. Qualora fossimo, infatti,

impossibilitati ad avvalerci e beneficiare «di tale strumento», verremmo di certo a ritrovarci «privi di filosofia», la quale è da tenere in conto più che ogni altro bene. Osserva l’Eleate: ΞΕΝΟΣ [...] τούτου [14. τοῦ λόγου] γὰρ στερηθέντες, τὸ μὲν μέγιστον, φιλοσοφίας ἂν στερηθεῖμεν.28

Data l’importanza capitale della filosofia, posta anzi l’essenzialitä di

essa, come parimenti concesso che il ragionamento e la parola ne costituiscono la condicio sine qua non, al momento attuale (ἐν τῷ παρόντι)29 appare così inderogabile che imperativo lo «stabilire assieme» una «defini-

zione» precisa e «metterci d’accordo»3® al fine di convenire su «che cosa sia mai il ragionamento»?! o la «parola».32 Si dichiara, perciò, nel Sofista: ΞΕΝΟΣ [...] δεῖ λόγον ἡμᾶς διομολογήσασθαι τί ποτ᾽ ἔστιν. 33

Si puntualizza, altresi, con enfasi che noi «non saremmo piü in grado di dire più nulla»34 né «d’esprimere ragione su qualsiasi cosa»?? (οὐδὲν

ἂν ἔτι που λέγειν οἷοί τ’ fuev),36 nel caso in cui questo beneficio, che è il 28 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 95 [in parentesi le varianti di trad. Giardini, cit., p. 607]: «ELEATE (OsprrE) Giacché, privi (privati) di questo, anzitutto (infatti) -- ch’è la cosa più importante (che è quel che più conta) — saremmo privi di (saremo privati della) filosofia»; «danno [...]» e «[...] strumento»: trad. Turolla, cit., p. 819, dove si premette: «Vedi, lasciarci privare di

tale strumento sarebbe un danno irreparabile». 29 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 607; e trad. Gentile, cit., p. 95: «nel momento presente»; trad. Turolla, cit., p. 819: «sull’istante»). 30 Cfr. ibid. («stabilire [...]»: trad. Gentile, cit., p. 95; «definizione» e «metterci [...]»: trad. Turolla, cit., p. 819).

31 Cfr. ibid. (trad. Gentile, cit., pp. 95-96). 32 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 819). 3 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 607: «occorre che noi stabiliamo che cosa è mai il ragionamento»). 34 Cfr. ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 607; identica trad. Gentile, cit., p. 96, tranne che in

«niente» per «nulla»). 3 Cfr. ibid. (in τ, trad. Turolla, cit., p. 819).

36 Ibid.

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CAPITOLO

ragionamento,

TERZO

«ci fosse tolto» e noi ne «fossimo

privati»

(εἰ δὲ

ἀφῃρέθημεν)7 nell'accezione particolare che esso «non fosse affatto»38 e, più esplicitamente, «assolutamente non è nulla»?? o, come traduce il Turolla, «parola del tutto non ὃ»:Ὁ ZENOZ [...] αὐτὸ μηδ᾽ εἶναι τὸ παράπαν. 41

4. Ancora ἃ chiara celebrazione del λόγος come parola / verbum che si «congegna» in discorso,*2 in maniera eloquente l’Eleate ribadisce il

punto chiave e il fulcro teorico che sono alla base dell’estensione del nonessere al ragionamento e alla parola. Sarà una tale «applicazione» del non-essere relativo ad indurre a una soluzione dei problemi inerenti all’intervenire dell’errore «nell’opinione e nel discorso».*? A fondamento della possibilità che presso di noi si dia il ragionamento, l’«Ospite straniero» pone la presupposta ammissione di una «partecipazione» o di

un qualsiasi tipo di «mescolanza» di «una qualunque cosa con un’altra». E a questo riguardo, l’umanità verrebbe, invero, ad essere deprivata del «dono» della ragione,* nel momento in cui si sostenesse che non c'è «nessuna mescolanza di niente con niente» o — come interpreta il Turolla — «nessuna partecipazione, per nessuna cosa, con nessuna cosa».48 Si legge, infatti, nel Sofista: ΞΕΝΟΣ [...] ἀφῃρέθημεν δ᾽ ἄν, εἰ συνεχωρήσαμεν μηδεμίαν εἶναι μεῖξιν μηδενὶ πρὸς undev.*

37 Ibid. («fossimo [...]»: trad. Giardini, cit., p. 607; «ci fosse [...]»: trad. Gentile, cit., p. 96; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 819: «ci si toglie»). 38 Cfr. ibid. (in τ. trad. Gentile, cit., p. 96). 39 Cfr. ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 607). 40 Cfr. ibid. (in t. trad. Turolla, cit., p. 819).

41 Ibid. 42 Cfr. ibid., 260b, p. 606 (trad. Turolla, cit., p. 819: «ad ogni parola congegnata nel diSCOrso»). 4 Cfr. TUROLLA, Argomenti, cit., p. 751.

4 Cfr. PLATo, Sophista, 260b, p. 606 (trad. Turolla, cit., p. 819). N Cfr. ibid. (int. trad. Giardini, cit., p. 607; per «mescolanza»: vd. anche trad. Gentile, cit., p. 96). 4 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 819). 4 Cfr. ibid. (in t. trad. Gentile, cit., p. 96).

48 Cfr. ibid. (in t. trad. Turolla, cit., p. 819). 45 Ibid. (trad. Turolla, cit., p. 819: «Osprre — [...] E ci si toglierebbe questo dono, se ammettessimo appunto che non vi è [nessuna partecipazione] [...]», per cui cfr. supra e n. 48; e vd.

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UN NODO TEORICO. IL FALSO E, PERCHE NON-ESSERE

Sembra sia proprio l’esitazione manifestata da Teeteto in riferimento all’impellenza di «definire ora insieme»?0 e «stabilire» «cos'è il ragionamento»?! — unitamente a «la definizione di parola» — (λόγον δὲ δι’ ὅτι, νῦν διομολογητέον οὐκ ἔμαθον),53 a sollecitare l’Eleate ad affrontare uno dei nodi focali e dei temi centrali dell’intero Dialogo nel cuore della «po-

lemica» e della disputa, della disamina critica e del confronto dialettico con i sofisti. Acquisita la cognizione dell’inoppugnabilità del non-essere relativo e propugnata l’improrogabilità che esso si conceda e si riconosca,

Platone amplia il concetto della sussistenza ed espansione di questo nonessere relativo correlandolo e coniugandolo al λόγος non solo allorché è inteso come discorso, ragionamento, parola, ma pur anche nel senso di δόξα / opinione.

A quanti sul piano logico e a livello formale obbiettano e affermano che la denominazione o appellazione di «falso» (ψευδής) 55 non può dirsi

né predicarsi del discorso / ragionamento in quanto questo non è da ritenersi se non un genere sempre e solo vero — cioè, che è oggettivamente —, ai sofisti zu primis, Platone si volge a provare quanto sia nondimeno in-

concepibile una preclusione tanto aprioristica quanto indiscriminata nell’estendere il non-essere ad ogni altro ente, e quindi anche al λόγος — qua-

lora lo In sizione mente

si consideri nella molteplicità delle sue valenze —. linearità di svolgimento e con efficacia espressiva, nella sua disquil’Eleate prende l’avvio ricollegandosi al risultato precedenteconseguito e per cui era apparso evidente che il non-essere è «un

anche trad. Giardini, cit., p. 607: «OspITE [...] E saremmo privati, se lo ammettessimo, della

possibilità che esista una qualche [mescolanza] di una qualunque cosa con un’altra», per cui cfr. supra e n. 45; e trad. Gentile, cit., p. 96). 50 Cfr. ibid. (trad. Gentile, cit., p. 96). 51 Cfr. ibid. (trad. Giardini, cit., p. 607).

32 Cfr. ibid, (trad. Turolla, cit., p. 819). 5 Ibid. (cfr. trad. Turolla, cit., p. 819: «Ma non ho capito per quale motivo proprio ora dobbiamo [stabilire] [la definizione di parola]»; vd. anche trad. Giardini, cit., p. 607: «ma non riesco a comprendere perché dobbiamo [stabilire] tra noi [cos'è il ragionamento]»; e trad. Gentile, cit., p. 96: «ma non capisco invece perché dobbiamo [definire... il ragionamento]», per cui

cfr. supra e nn. 50-52). 54 Ibid., 260c, p. 606 (trad. Giardini, cit., p. 607; trad. Gentile, cit., p. 96; «l’errore» in trad. Turolla, cit., p. 819).

-- 5η--

CAPITOLO

TERZO

genere fra gli altri»,55 con «una sua particolare fisionomia fra i tanti generi».76 In tal senso, Egli precisa accuratamente: ZENO Τὸ μὲν δὴ μὴ ὃν ἡμῖν Ev τι τῶν ἄλλων γένος ὃν ἀνεφάνη, κατὰ πάντα τὰ ὄντα διεσπαρμένον. 57

Rilevato, già qui di sopra, che il non-essere è «sparso», «interfuso» e «disseminato» (διεσπαρμένον) 58 «accanto a» e «per tutti gli esseri» (κατὰ

πάντα tà ὄντα),59 l’«Ospite» scandisce i termini dello status quaestionis ed addita l’asse portante dell’indagine. È così che Egli pone il quesito relativo al «bisogno» e all’opportunità di «considerare» e «vedere» se il non-essere sia «commisto» 60 e «se si mescoli» ad «opinione» e a «ragionamento» e — come ancora rende il Turolla — ad «ogni parola congegnata

nel discorso».6! Si avverte, pertanto, nel testo del Dialogo: ΞΕΝΟΣ Οὐκοῦν τὸ μετὰ τοῦτο σκεπτέον εἰ δόξῃ τε καὶ λόγῳ μείγνυται. 62

5. In riferimento all’applicabilitä e «commistione» del non-essere relativo sia all’opinione che al ragionamento, l’Eleate replica in negativo relativamente allo specifico punto di vista dei sofisti che intende controbat-

tere. È qui che Egli sottolinea con premura particolare gli esiti teorici e le conseguenze dialettiche per ciò che, nell’ambito del discorso, definisce il grado di verità o di falsità tanto nelle opinioni quanto nei ragionamenti. Perviene ad un assunto, approda ad un principio di ordine generale e di

55 Cfr. ibid., 260b, p. 606 (in t. trad. Giardini, cit., p. 607). 56 Cfr. ibid. (in t. trad. Turolla, cit., p. 819). 57 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 96 [in parentesi le varianti della trad. Giardini, cit., p. 607]:

«ELEATE (OsPITE) Il non-essere dunque ci è risultato essere uno tra gli altri generi (si è già reso manifesto a noi che il non-essere è un genere tra gli altri)»; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 819). 58 Ibid. (in t. «sparso»: trad. Giardini, cit., p. 607; «interfuso»: trad. Turolla, cit., p. 819; «disseminato»: trad. Gentile, cit., p. 96). 59 Ibid. (in t. «accanto a»: trad. Giardini, cit., p. 607; «per [tutti] [...]»: trad. Gentile, cit., p. 96; «fra [tutti] [...]»: trad. Turolla, cit., p. 819). 60 Cfr. ibid. (in τ, trad. Turolla, cit., p. 819).

61 Cfr. ibid. (in τ. prima trad. Giardini, cit., p. 607; poi trad. Gentile, cit., p. 96; e quindi trad. Turolla, cit., p. 819). 62 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 96 [in parentesi le varianti trad. Giardini, cit., p. 607]: «ELEA-

TE (Osprre) Bisogna dunque vedere dopo di ciò (Dunque, dopo ciò, bisogna considerare), se si mescola a (con l’) opinione ed a (con il) ragionamento»; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 819: «OspPITE — In conseguenza, ora bisogna vedere se il non-essere sia commisto all'opinione e ad

[ogni parola congegnata nel discorso]»).

UN NODO TEORICO, IL FALSO È, PERCHÉ NON-ESSERE

valore assiomatico, che è da ritenere basilare nell’analisi logico-formale e nella speculazione filosofica del Fondatore dell’Accademia. Una volta superata la difficoltà intrinseca al πρόβλημα se il non-essere

potesse essere, mediante la soluzione del τὸ μὴ ὄν ὡς ἔστι, 65 — è per certo giocoforza il convenire che il non-essere «si mescola» e viene «interfuso» con altri generi. In questa ottica, invero, di contro ai sofisti resta ora da acclarare e comprovare che — anche nel loro proprio esercizio verbale e nella loro prassi formale, nel discorso cioè — sia dato «copulare» e «predicare» il non-essere relativo. Vi è, infatti, «sparso» e «disseminato». Non altri-

menti, è da illustrare quanto in tal modo risulti inderogabile non solo ipotizzare ma anche ammettere la possibilità dell'errore, della falsità — e pertanto della menzogna — così nell’opinione che nel ragionamento. A delucidazione di due contrapposte eventualità, come in scansione sillogistica, l’Eleate assevera che:

1) se il non-essere «non fosse commisto a discorso e ad opinione» (Mn μειγνυμένου μὲν αὐτοῦ τούτοις),65 — in tal caso ne deriverebbe, di conseguenza, che «tutto è necessariamente vero»66 e — come chiarisce ed esplicita il Turolla — «inevitabilmente [...] tutti, opinioni e discorsi, sarebbero veri»:67 cioè, ἀναγκαῖον ἀληθῆ πάντ᾽ εἶναι. 88 2) se, al contrario, il non-essere «si mescola»? e c’è «commistione»? di esso ad opinione e a ragionamento, a questo rispetto opinione e ragio-

namento diverranno falsi, e pertanto si «produrrà»?! «opinione errata» insieme a «errata parola».72 Così reca il testo greco: SENO

[...] μειγνυμένου δὲ δόξα τε ψευδὴς γίγνεται καὶ λόγος.73

6 Cfr. TUROLLA, Argomenti, cit., p. 751. 6 Cfr. PLaTO, Sophista, 260c, p. 606 (trad. Giardini, cit., p. 607; e quindi trad. Turolla, cit.,

p. 819, per cui cfr. anche supra, n. 58). 6 Ibid. (in τ. trad. Turolla, cit., p. 819; vd. pure trad. Gentile, cit., p. 96: «se non si mescola

con questi»; e affine trad. Giardini, cit., p. 705: «se questo non si mescola a opinione e ragionamento»). 6 Cfr. 67 Cfr. 6 Ibid. 9 Cfr. τὸ Cfr. 71 Cfr. 72 Cfr.

ibid. ibid. (cfr. ibid. ibid. ibid. ibid.

(trad. Gentile, cit., p. 96). (in τ. trad. Turolla, cit., p. 819). trad. Giardini, cit., p. 607: «è necessario che tutto sia vero»). (trad. Giardini, cit., p. 607; trad. Gentile, cit., p. 96). (in τ. trad. Turolla, cit., p. 819). (in τ. trad. Gentile, cit., p. 96). (in t. trad. Turolla, cit., p. 819).

3 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 607: «OspITE [...] se si mescola invece, opinione e ragionamento diventano falsi»; «[...] si produce l’opinione e il ragionamento falso»: trad. Gentile,

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CAPITOLO

TERZO

Queste due considerazioni l’Eleate adduce nell’intento di indivi-

duare e segnalare la genesi del falso come ugualmente di esaminarne e evidenziarne la natura. Al proposito, afferma che, per sua essenza, il falso è da connettere inscindibilmente alla presenza e compartecipazione del

non-essere in rapporto diretto alla parola ed al suo articolarsi in un ragionamento o discorso. In termini netti si mette in evidenza che a causare e «far nascere» il falso (τὸ ψεῦδος) 74 è l’«opinare» e il «dire» ciò che non è, il non-essere. Si parafrasa con vigore espositivo e si interpreta con acume che — per l’interferire del non-essere — «nulla è più se non opinione o

espressione di ciò che non è».75 6. Del falso e del mendace, o dell’«errore»,76 si circoscrivono altresì

l’ambito filosofico e il grado intellettuale nelle due coordinate proprie dei livelli più elevati della riflessione umana, nel «pensiero» (ἐν διανοίᾳ) cioè e «nei ragionamenti» (λόγοις),77 di cui esso si alimenta, in cui si articola e attraverso cui la mente dell’uomo, pur mortale, s’innalza e si nobilita attualizzando le sue facoltà ed inverando le sue potenzialità. E, del resto,

che «in realtà» l’errore si possa riscontrare, è dichiarato espressamente nel luogo del Sofista che recita: ZENOZ [...] τὸ γὰρ tà μὴ ὄντα δοξάζειν ἢ λέγειν, τοῦτ᾽ ἔστι που τὸ ψεῦδος ἐν διανοίᾳ τε καὶ λόγοις γιγνόμενον. 78

Grazie ad una serie di risultati a cui & pervenuto in logica consequenzialitä, e dopo aver sostenuto e dimostrato che la falsitä del ragionamento e dell’opinione & da ascrivere alla mescolanza del non-essere con gli stessi, l’Eleate viene a dedurre e a provare che dal falso scaturisce l’in-

cit., p. 96; vd. anche trad, Turolla, cit., p. 819: «La [commistione] invece di non essere porta seco [opinione errata] e così pure [errata parola]»). 74 Ibid. 75 Cfr. cit., p. 819). 76 Cfr. © Ibid. rolla, cit., p. 78 Ibid.

(in t. trad. Giardini, cit., p. 607; e trad. Gentile, cit., p. 96). ibid. (in τ. «opinare» e «dire»: trad, Gentile, cit., p. 96; «nulla è [...]»: trad. Turolla, ibid. (in t. trad. Turolla, cit., p. 819). (trad. Giardini, cit., p. 607; trad. Gentile, cit., p. 96; ma «nella parola»: trad. Tu819). (trad. Gentile, cit., p. 96 [in parentesi le varianti di trad. Giardini, cit., p. 607]:

«ELEATE (OspITE) poiché l’opinare o il dire il non-essere, questo è il falso che si produce [quel che non è fa nascere il falso] nel pensiero e nei ragionamenti [nel ragionamento]»; per la prima parte vd. anche trad. Turolla, cit., p. 819: «[in realtà], [l'errore] che si può incontrare nel pensiero e nella parola [nulla è] [...]», per cui cfr. pure supra e n. 75).

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UN NODO

TEORICO.

IL FALSO

È, PERCHÉ

NON-ESSERE

ganno. In questo senso nel Sofista si proclama: Ὄντος δέ ye ψεύδους ἔστιν ἀπάτη.79 Ed è così che «quando c’è il falso», allora è inevitabile che ci sia «anche l'inganno», traduce il Giardini;2° e allo stesso modo — rende

il Turolla — occorre pur convenire come, una volta che da parte nostra sia stata «ammessa parola o pensiero errato», non si possa negare che «esiste anche l’inganno».8! Non altrimenti e alquanto manifestamente, appare incontestabile che, allorquando si concedano il rischio e la presenza dell’inganno, diventi fatale o, per lo meno, «sia ben necessario» 82 che — nelle forme e ac-

cezioni negative del falso, specie nel senso del capziosamente del fallacemente allettante — nel mondo dell’apparire e del venga sospinti, ed anche indotti, alla distorsione ricercata del stacco voluto e nell’allontanamento intenzionale dal mondo

seducente e sembrare si vero, nel didell’essere:

cioè, dalla determinatezza storica e dalla concretezza del reale. Dalle pre-

messe, così legittimamente che chiaramente si evince che «tutto sia» «ineluttabilmente»8 pieno di parvenza o, nella terminologia dei diversi tra-

duttori e interpreti, tutto sovrabbondi di immagini, di copie, di simulacri e di apparenze. Si puntualizza, a tal riguardo, nel testo: ZENO

Kai μὴν ἀπάτης οὔσης εἰδώλων τε καὶ εἰκόνων ἤδη καὶ φαντασίας

πάντα ἀνάγκη μεστὰ εἶναι. 84

Ne segue un corollario le cui implicazioni sono da ponderare con oculata cura; ne emerge un dato di fatto che, di per sé, si presenta incontrovertibile. È da inferire qui che il sofista si è di certo «rifugiato in que-

79 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 96: «Se il falso è, è anche l'inganno»). 80 Cfr. ibid. (trad. Giardini, cit., p. 607). 81 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 820). 82 Cfr. ibid: ἀνάγκη (in τ. trad. Gentile, cit., p. 96, ma «è» anziché «sia»; «ne consegue che»: trad. Giardini, cit., p. 607). 8 Cfr. ibid. («tutto sia»: trad. Giardini, cit., p. 607; e trad. Gentile, cit., p. 96; «ineluttabil-

mente»: trad, Turolla, cit., p. 820). 84 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 607 [in parentesi le varianti di trad. Turolla, cit., p. 820]: «OspITE E se c'è (Ma esistendo) l’inganno ne consegue che (ineluttabilmente) tutto sia (è) pieno di parvenze (simulacri), di immagini, di apparenze»; e, per la seconda parte, «[...] [che tutto sia] ripieno di immagini e copie ed apparenza»: trad. Gentile, cit., p. 96).

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CAPITOLO

TERZO

sto luogo»,8 in un così non circoscrivibile fopos come indescrivibile anfratto. È quanto si diceva e faceva notare già da prima: ΞΕΝΟΣ Τὸν dé ye σοφιστὴν ἔφαμεν ἐν τούτῳ που TO τόπῳ καταπεφευγέναι μέν. 86

7. Si crede che il risultato piü immediato, e al momento stesso innegabile, che ne sortisca sia l’accertata presa d’atto che il sofista si è defini-

tivamente arroccato non tanto e precipuamente sul mondo del non-essere in sé, in senso specificatamente ontologico, quanto piuttosto sul piano del falso e della parvenza, della copia fittizia e del simulacro-fantasma. L’aspetto di minor coerenza logica — oltre che di più tenue solidità teoretica — di tutto ciò, quando non si evidenzi eclatante, risalta per altro

perspicuo nella constatazione che a evadere e a rifugiarsi in questo mondo immaginario, irreale e illusorio, è proprio il sofista. E questi «pretendeva»,87 invero, di atteggiarsi e proporsi a modello unico e ad esempio prototipico di chi «risolutamente»88 e «nella maniera più assoluta» negasse che «il falso sia»,8? così escludendo aprioristicamente «l’esistenza» medesima sia «di errore» che «di falsità»!9° In tono vibrante si sancisce nel Dialogo che, per i sofisti, ΞΕΝΟΣ [...] ἔξαρνον δὲ γεγονέναι τὸ παράπαν μηδ᾽ εἶναι ψεῦδος.5:

L’Eleate si sofferma poi a riconsiderare e riproporre alcuni elementi validi ad un’accurata enucleazione ed univoca formulazione della definizione ultima del sofista. Di questi mira a cogliere la natura vera e indicare

8 Cfr. ibid. (trad. Giardini, cit., p. 607). 8 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 96 [in parentesi le varianti di trad. Turolla, cit., p. 820]:

«ELEATE (OsprrE) Dicemmo (D’altra parte, si disse) che il sofista si è (era) rifugiato, su per giù (indubbiamente), in questo luogo»). 87 88 89 50 91

Cfr. ibid., 260d, p. 606 (trad. Giardini, cit., p. 607). Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 820). Cfr. ibid. (trad. Gentile, cit., p. 607). Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 820). Ibid., 260d, p. 606 (trad. Giardini, cit., p. 607: «OspITE [...] lui che [pretendeva] essere

la negazione assoluta dell’esistenza del falso»; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 820: «Si diceva pure ch’egli negava [risolutamente] [l’esistenza] [di errore] o [di falsità]»; e trad. Gentile, cit., p. 96: «si è messo a negare [nella maniera più assoluta] che il falso sia»).

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UN NODO TEORICO. IL FALSO E, PERCHE NON-ESSERE

le caratteristiche che lo contraddistinguono peculiarmente. «A parere»? del sofista — l’Eleate enuncia — un punto saldo, o comunque un elemento di rilevanza non trascurabile nella riflessione filosofica come nella visione critica, è il convincimento fermo che il non-essere non è né pensabile né dicibile. Di fatto, «nessuno» lo «pensa» né lo «dice».? Sul piano speculativo, quindi, non è dato pensare del non-essere, e neppure «farze argomento di parola». Nel testo si legge: ΞΕΝΟΣ [...] τὸ γὰρ μὴ ὃν οὔτε διανοεῖσθαι τινα οὔτε λέγειν.95

Le conclusioni raggiunte scaturiscono dal presupposto per cui -- ancora a vedere del sofista — è così irrefutabile come inoppugnabile l’asse-

rire o categorizzare l’impossibilità stessa di ogni forma di associazione, correlazione e compatibilià tra essere e non-essere. Per i sofisti resta asso-

lutamente indiscusso che «in nessun modo» e «per nulla»?6 il non-essere «partecipa» «in nulla» dell’essere?7 né «ha parte» alcuna «della realtà». Inequivoca riecheggia la proclamazione solenne — e, con essa, la sottesa

confutazione — di quella che, nelle parole dell’«Ospite» che «viene da lontano» e nel giudizio del Platone degli ultimi Dialoghi, è da reputarsi

l’inamovibile posizione teoretica dei sofisti, per i quali pertanto è da ritenersi che ZENO

[...] οὐσίας γὰρ οὐδὲν οὐδαμῇ τὸ μὴ ὃν μετέχειν.99

8. I passaggi, che si susseguono e si riscontrano nel «discorso» dell’uomo e sui quali si tratterà poi nel $ofzsta, raffigurano e delineano i tre

momenti o le tre fasi dello svolgimento logico di quella che da più parti è stata prospettata come un’«ipotetica obiezione»! che i sofisti avanze-

92 Cfr. ibid. (trad. Giardini, cit., p. 607; vd. trad. Gentile, cit., p. 96: «secondo lui»). % Cfr. ibid. (trad. Gentile, cit., p. 96). % Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 820).

95 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 607: «Osprre [...] perché a suo parere non si può né pensare né dire il non essere»; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 820: «perché il non essere appunto

né si può pensare né di lui si può [fare argomento di parola]»; e trad. Gentile, cit., p. 96: «perché nessuno [...] né pensa né dice il non-essere»). % Cfr. ibid. (trad. Gentile, cit., p. 96). 97 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 820). 98 Cfr. ibid. (trad. Giardini, cit., p. 607). 99 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 607: «OsprTE [...] il non-essere non ha alcuna parte in nessun modo [della realtà]»). 100 Cfr. ibid. (ed. Plebe, cit., pp. 96-97, n. ad loc. 260d: vd. p. 96).

CAPITOLO

TERZO

rebbero e che Platone «previene». 101 Pur avendo risolto il problema del non-essere, di contro ai sofisti che negano la possibilità del falso nel ragionamento e nell’opinione in quanto né l’uno né l’altra partecipa del

non-essere, e neppure è riconducibile alla sfera di esso, l’Eleate intende provare esattamente il contrario del punto di vista sofistico: e cioè, che il falso «è».

L’«Ospite» che «viene da lontano» premette che — mostrato già come sia «risultato» e «apparso chiaro» (ἐφάνη) 102 che il non-essere «partecipa» appunto anch'esso «dell’essere» (τοῦτο μέν [...] μετέχον τοῦ ὄντος) 109 — ci si attenderebbe che il sofista non «facesse» altre «polemiche» né «contrastasse più» (ταύτῃ μὲν ἴσως οὐκ ἂν μάχοιτο ἔτι). 194

Espone poi aspetti della problematica relativa all’«obiezione» non senza aver prima specificato che, tuttavia e tuttora, il sofista «potrebbe» anche dire o «forse sostenere»1% che alcune delle «specie» o degli «aspetti» (τῶν εἰδῶν) 106 «hanno partecipazione» con il non-essere, altre invece no. Tra queste ultime sono per certo da annoverare il ragionamenἴο 107 e l'opinione. In una forma argomentativa che all’asserzione di una maggiore fa seguire la formulazione di una minore che include il ragionamento e l'opinione, così si arguisce in coerente sequenza dissertativa: ZENO [...] τάχα è’ ἂν φαίη τῶν εἰδῶν τὰ μὲν μετέχειν τοῦ μὴ ὄντος, τὰ δ᾽ où, καὶ λόγον δὴ καὶ δόξαν εἶναι τῶν οὐ μετεχόντων. 198

101 Cfr. TuroLLA, Argorzenti, cit., p. 751, dove si puntualizza che, «ammessa l’esistenza» del non-essere relativo, Platone «previene l’obiezione che λόγος, cioè δόξα, possa annoverarsi tra

quei generi che non accettano il predicato ψευδής, cioè (ed è ipotesi impossibile) il non essere, pur relativo, non è in partecipazione con essi». Intento precipuo e proposito diretto dell’Ateniese — specifica il Turolla — sono da ravvisare invero nell'impegno a «dimostrare che anche nel discorso», area di competenza particolare del sofista, «è copulazione o predicazione di non essere» e, di conseguenza, viene anche a darsi una «possibilità d’errore». 10 PLaTO, Sophista, 260d, p. 606 («è risultato»: trad. Gentile, cit., p. 97; trad. Giardini, cit., p. 607; «ci si rivela»: trad. Turolla, cit., p. 820). 105 Ibid. (int. trad. Gentile, cit., p. 97; vd. trad. Giardini, cit., p. 607: «che sere»; e trad. Turolla, cit., p. 820: «partecipante all’essere»). 104 Ibid, (cfr. trad. Giardini, cit., p. 607 [in parentesi le varianti della trad. 97]: «su questo punto non vorrà ancora fare [polemiche] (può darsi, non

«apparso [...]»: ha parte dell’esGentile, cit., p. [contrasterebbe

piùl)»; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 820: «non dovrebbe più rimanere pel sofista argomento di contrasto»). 105 Cfr. ibid. (trad. Giardini, cit., p. 607). 106 Ibid. («specie»: trad. Gentile, cit., p. 97; e «aspetti»: trad. Giardini, cit., p. 607). 107 Cfr. ibid. («parola»: trad. Turolla, cit., p. 820).

108 Ibid. (cfr. trad. Gentile, cit., p. 97 [in parentesi le varianti della trad. Giardini, cit., p. 607]: «ELEATE (OsprrE) ma forse direbbe (potrebbe forse sostenere) che delle specie alcune

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UN

NODO

TEORICO.

IL FALSO

È, PERCHÉ

NON-ESSERE

A «conseguenza» (ὥστε) 199 di quanto già teorizzato, e come a corol-

lario, l’Eleate prende in esame la possibilità di un ulteriore intendimento polemico del sofista che verrebbe a propugnare la necessità di negare, in maniera categorica, l’esistenza dell’«arte di produrre» «simulacri», «immagini» / «raffigurazioni» e «parvenze» / «apparenze» (τὴν εἰδωλοποιικὴν καὶ φανταστικήν). 119 Quest’arte, che si dice sia del sofista (ἐν fl φαμεν

αὐτὸν εἶναι), 111 «non è affatto» (παντάπασιν οὐκ ἔστιν) 112 — sostengono i sofisti stessi. Non esiste per nulla, πέ ha consistenza alcuna. Qui, in ef-

fetti, si è rifugiato il sofista: nel mondo cioè dell’appariscenza ed evanescenza, della vanificazione del reale e dell’annientamento del concreto nella vacuità della speciosità verbale come ugualmente nella ‘presunzione’ di dire il vero ed escludere, 4 priori, il falso che per lui «non è» «assolutamente» — scandisce il Giardini nella sua traduzione —. 113 E il sofista nega recisamente che il falso possa pur anche occorrere, sulla base del riscontro effettivo che δόξα καὶ λόγος οὐ κοινωνεῖ τοῦ μὴ ὄντος, 114 che in-

vero opinione e ragionamento non «hanno ρατίθ» 115 alcuna che sia in comune con il non-essere. 9. In sintesi e nell’ordine di una visione complessiva, è esattamente sul fondamento di una manifesta «non sussisterza» di «partecipazio(degli aspetti, alcuni) partecipano (parte) del non-essere, altre (altri) no, e che appunto il ragionamento e l'opinione sono di quelle (quelli) che non ne partecipano (hanno parte)»; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 820: «OSPITE - [...] il nostro uomo potrebbe dire che vi sono specie che col

non essere hanno partecipazione; altre invece no; che appunto parole e opinione non presentano questa caratteristica»). 109 Cfr. ibid. (in τ, trad. Turolla, cit., p. 820; ma «tanto che»: trad. Giardini, cit., p. 607; «e quindi»: trad. Gentile, cit., p. 97).

110 Ibid. (cfr. trad. Turolla, cit., p. 820: «arte fattrice di simulacri e d’apparenze»; trad. Gentile, cit., p. 97: «[arte di produrre] immagini e parvenze»; trad. Giardini, cit., p. 607: «arte

che produce raffigurazioni e immagini»; e, ugualmente, per l’ulteriore volontà polemica, oltre il μάχοιτο ἔτι di zbid., 260d, p. 606, vd. anche ibid., 260e: διαμάχοιτ᾽ ἂν πάλυν [«potrebbe ancora

polemizzare»: trad. Giardini, cit., p. 607; e «quale grossa battaglia attaccherebbe»: trad. Turolla,

cit., p. 820]).

111 Ibid. (in t. cfr. trad. Giardini, cit., p. 607: «nella quale sosteniamo [«diciamo»: trad. Gentile, cit., p. 97] che lui si trova»; e vd. anche trad. Turolla, cit., p. 820: «nella quale, si disse, dimora»). 112 Ibid., 260e, p. 606 (trad. Gentile, p. 97; e trad. Turolla, cit., p. 820). 15 Cfr. ibid. (trad. Giardini, cit., p. 607). 114 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 97: «l’opinione e il ragionamento non comunicano col non-

essere»; ma vd. anche trad. Turolla, cit., p. 820, per noi accurata: «opinione e parola non hanno partecipazione alcuna col non-essere»). 115 Cfr. ibid. (trad. Giardini, cit., p. 607).

- 95.

CAPITOLO

TERZO

ne»116 e «comunanza» (τῆς κοινωνίας)117 dell’opinione e del ragionamento con il non-essere, che l’Eleate faccia riferimento alla determina-

zione finale a cui pervengono i sofisti, che per altro non desistono dal professarsi accaniti sostenitori dell’impossibilità del falso nel discorso umano. Focalizza il suo interesse speculativo e impernia la sua riflessione su quello che Egli considera e presenta come il fulcro teorico dell’«obiezione» sofistica. In forma assertiva e in tono perentorio l’«Ospite» che

«viene da lontano» elabora in proptio e pone in rilievo i punti nodali e i termini precisi che Egli ritiene siano caratterizzanti della «risoluzione» e interpretazione sofistica. Un tema centrale spicca e s'impone a Leitmotiv. In conformità a questo principio, da parte dei sofisti si assicura e si dichiara che «non può» «esistere assolutamente il falso», 118 e neppure è dato presupporlo. Non «vi è», infatti, «possibilità di errore». 119 Si riferi-

sce, in tal modo, nel Dialogo: EENOZ [...] ψεῦδος γὰρ τὸ παράπαν οὐκ εἶναι ταύτης μὴ συνισταμένης τῆς κοινωνίας. 120

L’Eleate si prefigge, quindi, di ripercorrere le tre fasi dell’ifer specu-

lativo volto a invalidare od infirmare, quando non a smantellare l’«obiezione» sofistica. Traccia in nitida incisività le linee direttive e programmatiche della trattazione che si snoda sino alla chiusura del Dialogo. Delinea i tre obiettivi che saranno da considerarsi precipui nel prosieguo

dell’indagine. Per questo, 121 si prefigge di: 1) «ricercare» innanzitutto «che cosa mai sono» (ὅτι ποτ᾽ ἔστιν) 122 il «ragionamento», l’«opinione» e la «parvenza» / l’«apparenza» o l’«immaginazione» (λόγον πρῶτον καὶ δόξαν καὶ φαντασίαν); 123

116 Cfr. ibid. («sussiste» e «partecipazione»: trad. Turolla, cit., p. 820). 117 Ibid. (cfr. trad. Gentile, cit., p. 97; vd. anche trad. Giardini, cit., p. 607). 118 Cfr. ibid. (trad. Giardini, cit., p. 607). 119 Cfr. bid. (trad. Turolla, cit., p. 820). 120 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 97: «ELEATE [...] ché il falso non può essere per nulla, se non si dà [«dal momento che non sussiste»: trad. Giardini, cit., p. 607] questa comunanza»; e cfr., in

parte, trad. Turolla, cit., p. 820: «[...] se non sussiste questa partecipazione»). 121 Cfr. ibid.: διὰ ταῦτ᾽ οὖν («per questi motivi»: trad. Giardini, cit., p. 607; vd. trad. Turolla, cit., p. 820). 122 Ibid. (in t. trad. Gentile, cit., p. 97; vd. anche trad. Giardini, cit., p. 607: «considerare cosa sono»).

123 Ibid. (in τ. passim trad. Gentile, cit., p. 97, per «parvenza»; trad. Giardini, cit., p. 607, per «immaginazione»; e vd. pure trad. Turolla, cit., p. 820: «opinioni e apparenza»).

-- 96--.

UN NODO

TEORICO.

IL FALSO È, PERCHÉ

NON-ESSERE

2) vedere quindi se questi atti della mente umana risultano e si presentano in «comunione» / «comunanza» o «partecipazione» con il nonessere (τὴν κοινωνίαν αὐτῶν τῷ μὴ ὄντι); 124

3) e «dopo aver constatato» ciò (κατιδόντες), 125 «dimostrare» che «il falso è» (τὸ ψεῦδος dv ἀποδείξωμεν) 126 e, quindi, avvalorare e, al tempo medesimo, asseverare «l’esistenza dell’errore». 127 Riallacciandosi alle caratteristiche molteplici del sofista, 1’ «Ospite straniero» fa osservare come al falso si potrebbe «legare» e «mettere in lacci» (eig αὐτὸ ἐνδήσωμεν) 128 il sofista stesso se, in quanto colpevole, egli meritasse «questa condanna» (εἴπερ ἔνοχός ἐστιν),12° oppure lo si scio-

glierà e lo si troverà andandolo

a stanare altrove (ἐν ἄλλῳ γένει

ζητῶμεν). 13° Teeteto conviene su quanto sia arduo sorprendere e cattu-

rare il sofista, dal momento che il suo è un «genere difficile da prendere a caccia» (ὅτι δυσθήρευτον ein τὸ γένος). 1351 Il sofista presenta invero una

natura inafferrabile.

124 Ibid. («comunione»: trad. Gentile, cit., p. 97; «comunanza»: trad. Giardini, cit., p. 607;

«partecipazione»: trad. Turolla, cit., p. 820). 125 Ibid., 261a, p. 606 (in τ. trad. Giardini, cit., p. 607; «vista questa»: trad. Gentile, cit., p. 97; e simile trad. Turolla, cit., p. 820).

126 Ibid. (in t. cfr. trad. Gentile, cit., p. 97; e, molto affine, trad. Giardini, cit., p.607: «il falso esiste»). 127 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 820). 128 Ibid., pp. 606 e 608 («[legare] ad esso [ἡ e. falso]»: trad. Gentile, cit., p. 97; «mettere in lacci su questo punto»: trad. Giardini, p. 609; cfr. trad. Turolla, cit., p. 820: «con saldi vincoli legheremo finalmente il sofista»). 129 Ibid., p. 608 (vd. trad. Turolla, cit., p. 820: «nel caso che il nostro uomo ci sembri degno

di [questa condanna]»; cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 97: «se offre qualche presa»; e trad. Giardini, cit., p. 609: «se è colpevole»). 130 Ibid. (cfr. trad. Gentile, cit., p..97; e vd. anche trad. Turolla, cit., p. 820: «andremo a cercarlo [«farne la ricerca»: trad. Giardini, cit., p. 609] in un altro genere»). 131 Ibid, (trad. Giardini, cit., p. 609; molto simile trad. Gentile, cit., p. 97: «ch’è ben difficile da cacciare il suo genere»; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 820: «Qual razza difficile da prendere!»).

CAPITOLO QUARTO

IL DISCORSO VERO E FALSO*

1. Nel Sofista di Platone, il problema giä parmenideo del non-essere è portato a soluzione, a seguito della trattazione estensiva e complessa, eppure rivolta ad accertare e a stabilire che il non-essere «in qualche modo» è.

A proposito degli aspetti dell’arte e dell’attività del sofista, nel Dialogo è Teeteto a far presente che, una volta superato l’ostacolo ed oltrepassata la barriera del non-essere, diviene giocoforza l’affrontare la tema-

tica del falso che è anche nel ragionamento e nell’opinione. L’Eleate conferma che si è «preso» «il muro»! più alto e si è «espugnata» «la fortezza più grande» (τό τοι μέγιστον ἡμῖν τεῖχος ἡρημένον ἂν

ein).2 Enuncia quindi il motivo topico dell’analisi del «discorso».? Prende in esame il ragionamento* e l’opinione al fine di acquisire più chiara consapevolezza che il non-essere «si congiunge con essi»,? e «ha partecipazione con l’uno e con l’altra» e «si applica a loro».? Recita il testo platonico: ΞΕΝΟΣ Λόγον δὴ πρῶτον καὶ δόξαν, καθάπερ ἐρρήθη νυνδή, λάβωμεν, ἵνα ἐναργέστερον. ἀπολογισώμεθα πότερον αὐτῶν ἅπτεται τὸ μὴ ὄν. 8

* La tematica svolta in questo quarto capitolo è del tutto inedita. 1 PLATO, Sopbista, 261c, p. 608 (trad. Gentile, cit., p. 98; e trad. Turolla, cit., p. 821: «(po-

_ tremo dire) d’aver conquistato il [muro] più grande»). 2 Ibid. (in τ. trad. Giardini, cit., p. 609: «è stata espugnata da noi la fortezza»). 3 Cfr. ibid., 261c 7-262e 3, pp. 608 e 610 (ed. Plebe, cit., pp. 98-101 [cap. 45]; trad. Turolla, cit., p. 821-823).

sa

4 Cfr. ibid., 261c (vd. trad. Turolla, cit., p. 821). 5 Cfr. ibid. (vd. trad. Giardini, cit., p. 609). 6 Cfr. ibid. (vd. trad. Turolla, cit., p. 821). ? Cfr. ibid. (vd. trad. Gentile, cit., p. 98).

8 Ibid. (trad. Giardini, p. 609 [trad. Gentile, cit., p. 98: varianti in parentesi]: «Consideriamo ora per prima cosa (Prendiamo dunque anzitutto), come è stato [si è] detto poco fa (or ora),

—9—_

CAPITOLO

QUARTO

Anche nel caso in cui si sia convinti che il non-essere non «si applichi» (ἅπτεται) al ragionamento e all’opinione, con rinvio allusivo al punto di vista sofistico, l’Eleate intende ciononostante approfondire e quindi investigare se «ambedue» le parti del discorso, e cioè tanto il ragionamento quanto l’opinione, sono da considerarsi vere «in modo assoluto»: 10 ΞΕΝΟΣ [...] ἢ παντάπασιν ἀληθῆ μέν ἐστιν ἀμφότερα ταῦτα. 11

In questa prospettiva, risulta inderogabile l’impellenza di determinare che «nessuno dei due è falso»,12 e pertanto «l’uno e l’altra», cioè il ragionamento e l'opinione, non sono «mai suscettivi d’errore».! Si sentenzia, infatti: ZENO: [...] ψεῦδος δὲ οὐδέποτε οὐδέτερον. 14

2. I tre capitoli -- 45 su «che cosa s’intende per discorso», 5 46 sul «non-essere del discorso», 16 e 47 su «discorso, opinione e parvenza» 17 — concludono la «Parte centrale» del Sofista che si estende dal cap. 2418 su «parere e non-essere» e sulla possibilità del non-esssere. ragionamento e opinione per renderci conto più chiaramente se il non essere si congiunge con essi (si applica a loro)»; ma cfr. trad. Turolla, cit., p. 821: «OsPrre - Allora, intanto, prendiamo

parola raccolta in [discorso] e opinione; in tal modo potremo con maggior chiarezza fornire giusto compito e vedere se il non essere [ha partecipazione] con l’uno e con l’altra»). ? Ibid. (in t. trad. Gentile, cit., p. 98, per cui vd. supra, n. 7). 10 Cfr. bid. (vd. trad. Giardini, cit., p. 609: «o se l’uno e l’altro sono veri [in modo assoluto]»).

11 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 98: «ELEATE [...] oppure se sono ambedue assolutamente veri»; pressoché identica trad. Turolla, cit., p. 821: «OSPITE — [...] Se assolutamente ambedue [...]»>). 12 Cfr. ibid. (vd. trad. Giardini, cit., p. 609). B Cfr. ibid. (vd. trad. Turolla, cit., p. 821).

14 Ibid. (cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 98: «ELEATE [...] e falso non è mai né l’uno né l’altro»). 5 Cfr. ibid. (vd. supra, n.3).

16 Cfr. ibid., 262e 4-263d 5, pp. 610 e 612 (ed. Plebe, cit., pp. 101-103 [cap. 46]; trad. Turolla, cit., pp. 823-824). 17 Cfr. ibid., 263d 6-264b 11, pp. 612 e 614 (ed. Plebe, cit., pp. 104-105 [cap. 47]; trad. Turolla, cit., pp. 824-825).

18 Cfr. ibid., 236d e ss., pp. 556 e ss. (ed. Plebe, cit., pp. 48 e ss. [capp. 24 e ss.]; trad. Turolla, cit., pp. 825 e ss.).

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IL DISCORSO

VERO

E FALSO

In questa sezione fondamentale dell’intero Dialogo, attraverso l’introduzione del non-essere relativo e mediante la concezione della partecipazione o comunanza con esso sia del ragionamento che dell’opinione — in un procedimento tanto elaborato quanto convincente sul piano della consequenzialità logica e di contro ai sofisti che lo negavano -, si rivendica e si prova che il falso è ed interviene. Nei capitoli 45-47 si riafferma e si dimostra che, anche nel discorso, si dà la possibilità così del vero come del falso.

Si è già cercato di delineare come, a partire dal cap. 24, si fosse inteso trasferire o trasporre la disputa dal piano logico a quello ontologico, indottovi dall’ormai avvertita necessità di svincolarsi dalle anguste strettoie

teoretiche facenti seguito alla negazione già parmenidea del non-essere, nei cui termini si veniva snodando e, al tempo medesimo, logorando la diairesis nel Sofista. Prima, a riguardo di ogni cosa, ci si è limitati a con-

trapporre tra di loro la parte che è e quella che non è, senza per altro presupporre l’essere e senza considerare che esso stesso possa essere «sparso» ed «interfuso» nel non-essere. Nella riflessione sul non-essere, nella duplice indagine sull’essere e sul non-essere come sul rapporto tra i due, si motiva la diazresis, le si attribuisce non solo una funzione logica, ma anche un supporto ontologico, specie grazie al principio della «partecipa-

zione della specie» o delle idee. Una volta che, in questa «comunione» di specie e di idee, si sarà costituita e dichiarata una «struttura dialettica» ed ugualmente si sarà ammesso il non-essere, — allora si sarà posta la base ontologica!? atta a conferire validità al metodo della diazresis che, nei ca-

pitoli 1-23, era stato applicato sul piano esclusivamente logico, in una reiterata distinzione di essere e di non-essere. In una simile direttiva di ricerca, e precipuamente alla luce di una

tale «dialettica superiore»,20 i capitoli 24-47 del Sofista non rappresentano unicamente il perseguimento di una meta specifica e di un risultato immediato nel tracciare l'iter che conduce al riconoscimento che il falso

è. Assumono altresì un «significato» di più ampia portata, una valenza di ordine generale. Si configurano a nucleo centrale e elemento caratterizzante dell’intero Dialogo, ad asse portante di esso.

3. In apertura del 1° dei tre capitoli sul discorso o proposizione, per bocca dell’«Ospite» che viene da Elea, Platone tratteggia in nitidezza 19 Cfr. ibid. (ed. Plebe, cit., pp. 48-49, n. ad loc. 237ab; cfr. p. 49, dove si pone in risalto la

necessità che si pervenga ad acquisire una dialettica di livello più alto e «che, affrontando il problema del non-essere, getti le basi della diairesis stessa»). 20 Cfr. ibid. (ed. Plebe, cit., p. 49, n. cit.).

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CAPITOLO

QUARTO

espositiva alcune linee essenziali dell’argomentazione. Innanzitutto, si ricollega a quanto trattato in precedenza laddove si dissertava e «si diceva» (καθάπερ [...] ἐλέγομεν) «sugli aspetti» / sulle «idee» / sulle «specie» (περὶ τῶν εἰδῶν) come pure sui «nomi» 7 sulle «lettere» o «parole» (καὶ τῶν γραμμάτων) .2: Circoscrive quindi l’analisi prestando «attenzione» ai

nomi per farne l’esame secondo il metodo di già adottato. Enuncia pertanto:

ΞΕΝΟΣ [...] περὶ τῶν ὀνομάτων πάλιν ὡσαύτως ἐπισκεψώμεθα.22

A porre in risalto la particolarità della ricerca (τὸ νῦν Eytobuevov),23 l’Eleate imposta il discorso imperniandolo sull’esame delle possibilità delle guise in cui le parole si correlano e collocano rispetto al concetto di «armonia» / «accordo» / adattamento. Asserisce che o tutti i nomi si armonizzano e accordano reciprocamente, o nessuno si adatta all’altro, o alcuni sì ed altri no. Pertanto, a Teeteto — che chiede Τὸ ποῖον οὖν δὴ

περὶ τῶν ὀνομάτων ὑπακουστέον;22 — inequivoca risuona la replica da parte dell’«Ospite straniero», il quale si premura di precisare e illustrare il fulcro teorico e i nodi chiave della problematica da affrontare. In termini netti scandisce che, in riferimento ai nomi, è da accertare: 1. se a) «tutti sono in armonia», b) «o nessuno»;

2. se a) «alcuni tendono ad armonizzarsi», b) «altri invece no».

21 Ibid., 261d, p. 608 («si diceva» e «sugli aspetti» e «lettere»: trad. Giardini, cit., p. 609; ma «dicevamo» per «si diceva», «idee» e «parole»: trad. Gentile, cit., p. 98; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 821).

22 Ibid. (cfr. trad. Gentile, cit., p. 98 [in parentesi varianti della trad. Giardini, cit., p. 609]: «ELEATE (OsprTE) [...] facciamo di nuovo un (1°) esame simile (allo stesso modo) delle parole (sui nomi)»; cfr. trad. Turolla, cit., p. 821: «OsPITE — [...] esaminiamo le parole secondo lo stesso

sistema delle [specie] e delle [lettere]»). 3 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 609: «quanto ora viene ricercato»; trad. Gentile, cit., p. 98: «quel che ora cerchiamo»; concisa e libera trad. Turolla, cit., p. 821: «La risoluzione del problema»).

24 Ibid. (vd. trad. Gentile, cit., p. 98: «A quale aspetto delle parole dobbiamo fare attenzione?»; cfr. anche trad. Giardini, cit., 609: «E quale problema dobbiamo ascoltare sui nomi?»; e, non dissimilmente, trad. Turolla, cit., p. 821: «E quanto alle parole, cosa dobbiamo considerare?»).

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IL DISCORSO

VERO

E FALSO

Reca il testo greco: ZENO δὲ un.

Εἴτε πάντα ἀλλήλοις συναρμόττει εἴτε μηδέν, εἴτε tà μὲν ἐθέλει, tà

Dopo una concessione preliminare, da parte di Teeteto, che, in ultima analisi, è, senz’altro, da riconoscere quanto almeno sia «chiaro» che alcuni nomi «tendono» al processo d’accordo ed altri no (Δῆλον τοῦτό

ve, ὅτι τὰ μὲν ἐθέλει, tà è’ 00),26 l’Eleate dà per fermo che la possibilità stessa di questa armonizzazione presuppone la duplice condizione che le parole seguano l’una all’altra e rivestano, al momento stesso, un senso preciso. Invero - si legge nel Dialogo -, ZENO® [...] τὰ μὲν ἐφεξῆς λεγόμενα καὶ δηλοῦντά τι συναρμόττει.27

L’«Ospite» ribadisce poi e convalida la sua tesi puntualizzando che qualora le parole non indicassero significato alcuno, allora risulterebbe impossibile qualunque processo intersoggettivo che, in una pur continua

e coordinata sequenza verbale, avesse una qualche validitä. Fa osservare che sono ben lungi dal «lasciarsi armonizzare» quelle parole che «non significano nulla», nonostante il fatto che esse vengano disposte «in serie ininterrotta». Infatti, ΞΕΝΟΣ [...] tà δὲ τῇ συνεχείᾳ μηδὲν σημαίνοντα ἀναρμοστεῖ. 28

25 Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 609; cfr. trad. Gentile, cit., p. 98: «ELEATE Se si accor-

dano tutte tra di loro, se nessuna, o se parte sì e parte no»; vd. pure trad. Turolla, cit., p. 821: «OspITE — Se ogni parola s’adatta con qualsiasi altra; se nessuna s’adatta; se alcune parole ammettono questo processo, altre invece non l’ammettono»). 26 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 609: «Questo almeno è [chiaro] che alcuni [tendono] ad armonizzarsi, altri invece no»; ma vd. anche trad. Gentile, cit., p. 98: «Evidentemente parte sì e parte no»; e trad. Turolla, cit., p. 821: «Oh! ma questo è evidente; alcune lo ammettono,

altre no»). 27 Ibid., 261de, p. 608 (vd. trad. Giardini, cit., p. 609: «OsPITE [...] le parole pronunciate Puna dopo l’altra e che hanno una qualche significazione, queste appunto si armonizzano»; ma cfr. ugualmente trad. Gentile, cit., pp. 98-99: «ELEATE [...] si accordano quelle che dette di seguito indicano qualche cosa»; e anche trad. Turolla, p. 821: «OsPITE — [...] talune parole si adat-

tano reciprocamente, quando, messe una dopo l’altra, significano qualche cosa»). 28 Ibid., 261e, p. 608 (in t. trad. Giardini, cit., p. 609; cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 99:

«ELEATE £...] non si accordano quelle che congiunte non indicano niente»; e trad. Turolla, cit., p. 821: «Osprre [...] quelle invece che una vicina all’altra [nulla significano], non ammettono azione reciproca»).

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CAPITOLO

QUARTO

4. A punto focale della disputa, l’Eleate pone l’asserzione di ordine generale per cui, nel linguaggio, si ha un «duplice genere» di «espressioni orali» dell’essere e di «indicazioni» in riferimento all’essenza. Poetica e ideologicamente mirata si crede sia, al riguardo, la lettura del Turolla, secondo il quale «per duplice segno si concede con la voce esprimere ciò che si contiene nell’idea».2? A Teeteto, che si era dichiarato pronto ad ac-

cogliere la sua posizione, l’Eleate specifica le ragioni del suo convenire. Così si esprime nel Dialogo: ΞΕΝΟΣ Ὅπερ φήθην ὑπολαβόντα σε προσομολογεῖν. ἔστι γὰρ ἡμῖν που τῶν τῇ φωνῇ περὶ τὴν οὐσίαν δηλωμάτων διττὸν γένος.30

Insistentemente si è fatto notare come in questo passaggio siano da rinvenire e additare i fondamenti dell’«analisi logica» quale essa, per millenni e fino all'Ottocento, è stata teoreticamente intesa e metodologica-

mente condotta, nella storia sia della linguistica che della filosofia del nostro mondo culturale. Nel postulare la necessità di una coerenza argomentativa, si stabiliscono e si fissano le norme di una congrua utilizzazione di nomi e di verbi, di segni e di locuzioni verbali che si vengono ad articolare nella forma compiuta del discorso. Di questo s’intende definire

la «struttura». Se ne rileva la solidità per la specificità di significati nella consistenza dei contenuti, e la validità per l'adeguatezza di sistemi applicativi nell’appropriatezza degli elementi espressivi. L'importanza storicoculturale e la rilevanza filosofico-linguistica dello sforzo platonico risaltano in più manifesta evidenza, qualora si consideri che il De interpretatione aristotelico presupporrà le enucleazioni ed elaborazioni del Maestro nel Sofista.?! Nonostante i limiti poi superati dallo Stagirita stesso — e pur nell’«imprecisa terminologia» a lungo serpeggiante?? — i capitoli 45-47 costituiscono una pietra miliare, segnano una svolta decisiva,

quando non epocale. Di certo, rappresentano lo stadio iniziale per uno 29 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 821). 30 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 609: «OsPITE — Ciò per cui credevo tu avessi pensato a dirti

d’accordo. Noi abbiamo, nel linguaggio, un doppio genere di [indicazioni] circa [l’essenza]»; trad. Gentile, cit., p. 99: «ELEATE In quello in cui credevo che tu convenissi, asserendo. Ab-

biamo difatti duplice genere di [espressioni orali] dell'essere». A sé, per la particolarità dell’interpretazione, specie nella seconda parte, la “resa” turolliana, cit., p. 821: «Osprre — Perché mi

pareva che, dandomi l'assenso, tu fossi d’accordo con me. Sai bene che per duplice segno si concede con la voce esprimere ciò che si contiene nell’idea»). 31 Cfr. ibid. (ed. Plebe, cit., p. 99, n. ad loc. 261e).

32 Cfr. ibid.

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IL DISCORSO

VERO

E FALSO

studio scientificamente serio del formarsi del discorso umano. Forniscono le «indicazioni» di una direttiva sicura per la ricerca ed il ripercorso dell’estendersi progressivo del logos attraverso il suo esprimersi per segni e per moduli nell’approccio dialogico e nel processo dialettico dell'umano conversare e comunicare mediante un linguaggio sempre scandito in un assetto suo proprio e ben determinato. 5. Del discorso, l’Eleate viene a contraddistinguere le parti che lo compongono. Illustra come le due «espressioni orali» e i due «segni» dell'essere siano «chiamati» «nomi» e «verbi» o «espressioni» (Τὸ μὲν ὀνόματα, τὸ δὲ ῥήματα κληθέν)33 Verbo si dice l’«espressione» che «designa» e «riguarda» l’azione: ZENO Τὸ μὲν ἐπὶ ταῖς πράξεσιν ὃν δήλωμα ῥῆμά που λέγομεν. 34

Nome, invece, & «chiamato» il «segno orale», il «segnale della voce» che viene «applicato» a «quelli che compiono» l’azione. Si legge nel Sofista: ZENO Τὸ δέ γ᾽ ἐπ’ αὐτοῖς τοῖς ἐκείνας πράττουσι σημεῖον τῆς φωνῆς ἐπιτεθὲν ὄνομα. 35

A premessa di un tentativo di scandaglio della costituzione tipica del discorso, l’Eleate sostiene l’impossibilitä del discorso stesso (οὐκ ἔστι ποτὲ Aöyog).?% qualora, «pur messi in fila» e — si è già precisato — detti in 33 Cfr. ibid., 262a, p. 608 (in t. «espressioni orali»: trad. Gentile, cit., p. 99; cfr. trad. Giardini, cit., p. 609: «L’uno è chiamato “nomi”, l’altro “espressioni”»; e trad. Turolla, cit., p. 822: «Un segno si chiama “nome”; l’altro, “verbo”»).

34 Ibid. (in t. «designa»: trad. Giardini, cit., p. 609; «espressione» e «riguarda»: trad. Gentile, cit., p. 100; e trad. Turolla, cit., p. 822: «Osprte — Quella parola con cui esprimiamo e ma-

nifestiamo le azioni si chiama verbo»). 35 Ibid. (in τ. «chiamato», «il segnale [...]» e «quelli [...]»: trad. Giardini, cit., p. 609; cfr.

anche trad, Gentile, cit., p. 100: «ELEATE Il [segno orale] che si applica a quelli che le fanno, nome [«viene chiamato»: praem. trad. Giardini, cit.]»; trad. Turolla, cit., p. 822: «OspITE — Si

chiama invece nome quel segno della voce col quale distinguiamo chi fa quelle azioni»). 36 Ibid., p. 610 (trad. Giardini, cit., p. 611: «non è possibile mai avere un discorso»; trad. Gentile, cit., p. 100: «non vi è mai un discorso»; e anche trad. Turolla, cit., p. 822: «non deriva mai un discorso»).

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CAPITOLO

QUARTO

serie ininterrotta (συνεχῶς),57 i nomi siano separati dai verbi, ed i verbi

dai nomi. A Teeteto che manifesta la sua perplessità, l’«Ospite» conferma che un discorso non si fa e non ha luogo né con i soli nomi né con i soli verbi. Focalizza con vigore l’attenzione sul significato e sulla valenza di quanto ha detto, rimarcando e riasserendo che «tali parole, anche se espresse una di seguito all’altra, non danno un discorso» — in siffatta guisa rende il Turolla —. A tal riguardo, si tramanda nel Dialogo: ΞΕΝΟΣ [..1 συνεχῶς ὧδε λεγόμενα ταῦτα οὖκ ἔστι λόγος. 38

6. A seguito di una fugace ma eloquente esemplificazione di una serie prima di soli verbi, e quindi di soli nomi, l’«Ospite straniero» dichiara recisamente come — perché si possa congegnare o «realizzare» un discorso?? e, per ciò stesso, i «suoni emessi» e le «parole pronunciate» (τὰ φωνηθέντα) 4° vengano ad «indicare» o «significare» un’azione o nonazione come un'essenza dell’essere o del non-essere (πρᾶξιν [...] ἀπραξίαν [...] οὐσίαν ὄντος [...] μὴ ὄντος δηλοῖ)4: — di necessità si im-

ponga che, innanzitutto, qualcuno sia stato in grado di mescolare e fondere i verbi con i nomi: e cioè ZENOZ [...] πρὶν ἄν τις τοῖς ὀνόμασι tà ῥήματα xeodon.4

37 Ibid.(in τ. «pur messi [...]»: trad. Giardini, cit., p. 611; e trad. Turolla, cit., p. 822; trad. Gentile, cit., p. 100). 38 Ibid., 262b, p. 610 (in τ. trad. Turolla, cit., p. 822; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 611: «OSPITE [...] questi nomi, anche se vengono detti, così, di seguito, non danno luogo a un discorso»; molto affine trad. Gentile, cit., p. 100: «ELEATE [...] queste cose, dette così [...] non fanno discorso»). 39 Cfr. ibid., 262c, p. 610 (cfr. trad. Giardini, cit., p. 611). 40 Ibid. (in τ. «suoni [...]»: trad. Gentile, cit., p. 100; «parole [...]»: trad. Giardini, cit., p.

611; ma vd. pure trad. Turolla, cit., p. 822: «Queste parole le puoi pronunciare con quell’ordine che vuoi») 41 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 611: «[...] indicano [...] azione [...] inazione [...] realtà («essere»: trad. Gentile, cit., p. 100) dell’ («di un»: trad. Gentile, cit.) essere [...] del non-essere»; vd. trad. Turolla, cit., 822: «vengono a significare [...] azione [...] il suo contrario, [...] indicano il

contenuto di [...] discorso negativo o positivo»). 42 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 611: «OsPrTE [...] prima che qualcuno non abbia fuso i verbi coni nomi»; e trad. Gentile, cit., p. 100: «ELEATE [...] ai nomi non si mescolino i verbi»; vd. anche trad, Turolla, cit., p. 822: «Osprre — [...] Perché vi sia questo, bisogna mischiar nomi con i verbi»).



106 —

IL DISCORSO

VERO

E FALSO

Più a fine esplicativo che a sostegno della propria tesi, l’Eleate pone in risalto che il «primo» ed il più «piccolo» dei discorsi consegue all’«armonizzazione» e all’«accordo» di nomi e verbi. È da questo «intreccio» originario e da tale «combinazione» che si genera subito il discorso. Ed è così che si pone in enfasi nel testo: ZENO? [...] τότε δ᾽ ἥρμοσέν te καὶ λόγος ἐγένετο εὐθὺς N πρώτη συμπλοκή, σχεδὸν τῶν λόγων ὃ πρῶτός τε καὶ σμικρότατος. 43

L’«Ospite» denota, in siffatta maniera, la caratteristica prima e delimita i termini qualificanti del discorso. Incalza facendo osservare che questo «reciproco adattamento» dei verbi e dei nomi (συμπλέκων tà

δήματα τοῖς ὀνόμασι) 44 è da noi denominato discorso, non semplicemente perché indica, designa, o «manifesta» «qualche cosa» di ciò che è al presente, al passato o al futuro, ma precipuamente in quanto «espone» e «porta a compimento» qualcosa e — interpreta ancora il Turolla — «se ne ricava anche una certa conclusione» (ἀλλά τι περαίνει).45 In tal senso così inequivoca come efficace risuona, al proposito, l’afferamzione netta dell’Eleate nel Dialogo: EENOZ [...] καὶ οὐκ ὀνομάζει μόνον ἀλλά τι περαίνει.46

Ed invero, a volere non approfondire, ma di certo a delucidare e illustrare la tematica, valga ribadire come la combinazione dei verbi con i nomi divenga discorso non quando «nomina» soltanto, cioè «fa» «dei

nomi» o «pronuncia una serie di parole» (αὐτὸν ἀλλ᾽ οὐ μόνον ὀνομάζειν 4 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 611: «Osprre [...] Allora si armonizzano e il primo [intreccio] diviene subito un discorso [«In questo caso, sì, si è fatto l'accordo ed è divenuta tosto di-

scorso la prima loro combinazione»: trad. Gentile, cit., p. 100], quasi il più semplice e il più [piccolo] dei discorsi»; vd. pure trad. Turolla, cit., p. 822: «Osprre — [...] Allora soltanto sorge pos-

sibilità d’un reciproco adattamento; subito questo primo intreccio diventa discorso; direi quasi il [primo] e il più [piccolo] di tutti»). 4 Ibid., 262d, p. 610 (trad. Giardini, cit., p. 611: «intrecciando [«insieme» add. trad. Turolla, cit., p. 822; ma «combinando»: trad. Gentile, cit., pp. 100-101] i verbi con i nomi»; per

«reciproco [...]»: vd. n. precedente). 4 Ibid. (int. trad. Turolla, cit., p. 822; ma «porta a [...]»: trad. Giardini, cit., p. 611; «qualche [...]» e «espone»: trad. Gentile, cit., p. 100). 4 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 101: «ELEATE [...] esso discorre e non solo nomina»; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 611).

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CAPITOLO

QUARTO

einonev),7 bensì allorché — su un piano concettuale — «veramente» «discorre» in un lessico di ordine intellettuale, in cui verbi e nomi s’intrec-

cino in un «tessuto» particolare al quale noi conferiamo il «nome di discorso» in quanto in esso si esprime un «giudizio». Questo elemento va-

lutativo rappresenta, propriamente, la realtà autentica del discorso. Si recita pertanto nel Sofista: ΞΕΝΟΣ [...] καὶ δὴ καὶ τῷ πλέγματι τούτῳ τὸ ὄνομα ἐφθεγξάμεθα λόγον.43

7. Nel capitolo 46 si mira a cogliere il senso particolare del non-essere, nella sua valenza filosofica e nella portata storico-culturale. E ciò, in (cor)relazione al discorso. In certo qual modo ricollegandosi a concetti già espressi, l’Eleate ricostruisce aspetti e modalità dell’enuclearsi e for-

mularsi del discorso. Rileva che parte delle «cose» o «lettere»49 è «in armonia» e accordo reciproco, e parte no: ΞΕΝΟΣ Οὕτω δὴ καθάπερ τὰ πράγματα τὰ μὲν ἀλλήλοις ἥρμοττεν τὰ è’ 00.50

Non altrimenti, mette in evidenza che alcune «significazioni della voce» o determinati «segni vocali» (τὰ τῆς φωνῆς αὖ onueia)?! non si

congiungono né si adattano tra di loro; altre invece sì. Sono queste seconde «significazioni» che, «armonizzandosi» ed «accordandosi», vengono a formare e creare un discorso.

4 Ibid. (trad. Giardini, p. 611: «diciamo che non [fa] soltanto [dei nomi]»; «pronuncia

una serie di parole»: trad. Turolla, cit., p. 823; cfr. trad. Gentile, p. 101). 48 Ibid. (in τ. «veramente», «discorre» e «giudizio»: trad. Turolla, cit., p. 823; cfr. trad.

Giardini, cit., p. 611: «OSPITE [...] appunto a questo tessuto [«questa combinazione»: trad. Gentile, cit., p. 101; «tale intreccio»: trad. Turolla, cit., p. 823] attribuiamo [«diamo»: trad. Gentile e trad. Turolla] il nome di discorso»). 49 Cfr. ibid. («cose»: trad. Giardini, cit., p. 611 e trad. Gentile, cit., p. 101; «lettere»: trad. Turolla, cit., p. 823). 50 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 101: «ELEATE Così, dunque, come le cose parte si possono

accordare reciprocamente e parte no»; trad. Giardini, cit., p. 611: «OSPITE E così, come avveniva per le cose, che alcune stavano [in armonia] con le altre, e alcune no»; e, non diversamente,

trad. Turolla, cit., p. 823: «Osprre — [...] Così anche [...] taluni opportunamente si congiungono e producono il discorso, altri invece non si congiungono»). 51 Ibid. (in τ. «significazioni [...]»: trad. Giardini, cit., p. 611; «segni [...]»: trad. Gentile, cit., p. 101; trad. Turolla, cit., p. 823: «i segni della voce, cioè le parole»).

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IL DISCORSO

VERO

E FALSO

Tramanda il testo dell’ Ateniese: ZENO [...] τὰ δὲ ἁρμόττοντα αὐτῶν λόγον ἀπηργάσατο.52

Nel prospettare alcune proprietà fondamentali del discorso, l’Eleate

pone in risalto due punti fermi. Da una parte, enfatizza l’indispensabilità di un soggetto; dall’altra, fa appello ad uno specifico livello qualitativo che è di ogni discorso. Non sorprende, per questo, che l’«Ospite straniero» prorompa nell’interrogativo: ΞΕΝΟΣ Οὐκοῦν καὶ ποιόν τινα αὐτὸν εἶναι δεῖ; 53

Perché si dia un discorso — avverte — è necessario che esso sia discorso di un «soggetto», di «un qualche cosa», giacché un discorso che è privo di soggetto o oggetto, è un discorso di nessuno o di niente. Consta, peraltro, come sia assolutamente impossibile che esista un tale discorso

che «non lo sia di qualcosa». Si riferisce nel testo: ΞΕΝΟΣ Λόγον ἀναγκαῖον, ὅτανπερ T, τινὸς εἶναι λόγον, μὴ δὲ τινὸς ἀδύναTov.54

8. A supporto teorico della dissertazione e, al tempo medesimo, a caposaldo logico-ontologico della metodologia del discorso, si chiarifica che l’essenza di questo è nel porre «insieme» e «congiungere» o «copulare» — rende Turolla? — una «cosa» o un «oggetto» ad un’«azione» (Λέξω τοίνυν σοι λόγον συνθεὶς πρᾶγμα πράξει),56 tramite un nome e un verbo

52 Ibid., 262e, p. 610 (in t. «armonizzandosi»: trad. Giardini, cit., p. 611; «accordandosi»: trad. Gentile, cit., p. 101; ed in entrambi: «[...] creano il (formano un) discorso»; cfr., ugualmente, trad. Turolla, cit., p. 823, per cui vd. anche supra e n. 50). 53 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 611: «OsPrre E non dovrà anche essere di una determinata natura?»; per la necessità che un discorso «present» e sia di «una certa sua qualità» cfr. trad. Gentile, cit., p. 101 e trad. Turolla, cit., p. 823; vd. anche infra e n. 61). 54 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 101 [in parentesi le varianti della trad. Giardini, cit., p. 611]:

«ELEATE (OspITE) È necessario che il discorso, quando sia, sia discorso di un [soggetto] (qualcosa), perché non è possibile che non sia di nessuno (non lo sia di qualcosa)»; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 823: «OsPITE — È inevitabile che un discorso, quando è tale, sia discorso di qualche cosa; non esiste un discorso di nulla»). 55 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 823: «copulando insieme»).

56 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 611: «Ti dirò un discorso ponendo insieme oggetto [«congiungendo una cosa»: trad. Gentile, cit., p. 101] ad azione»; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 823).



109—

CAPITOLO

QUARTO

(δι᾽ ὀνόματος καὶ δήματος).57 Quindi si sottopone all’esame il quesito principale — e, con esso, il problema basilare — «di quale soggetto» e «a proposito di chi» sia il discorso, e «su cosa» esso «verta»: ὅτου δ᾽ ἂν ὁ λόγος ἦ σύ μοι bodtev.?8

Il discorso — si puntualizza -- non può astrarre dal reale e, tanto meno, dalla persona. Se non è concepibile che esso non sia di nessuno,

bisogna allora che si postuli un soggetto a cui l’azione faccia capo, perché il discorso sia intorno a qualcuno e da parte di qualcuno, nel caso tanto dell’azione dell’individuo quanto della comunicazione intersoggettiva di

cui l’uomo è voce attivamente rappresentativa, quasi interprete del /ogos, a centro del dialogo e del processo dialettico che contraddistingue e nobilita il suo genere. All’«Ospite straniero» che gli fa presente come sia da ascrivere a lui stesso l’esporre esattamente «intorno a chi» e «di chi è» il discorso che si è articolato e formulato (Σὸν ἔργον δὴ φράζειν περὶ οὗ τ’ ἐστὶ καὶ ötov),?? Teeteto rivendica deciso quanto sia manifesto che questo «riguarda» ed «è» intorno a sé e di sé. Così Egli chiarisce: @EAITHTOZ Δῆλον ὅτι περὶ ἐμοῦ τε καὶ ἐμός. ©

Di capitale importanza, oltre che di interesse primario ai fini di accertare ed evidenziare la validitä sostanziale del discorso, appare la determinazione sull’inderogabilitä che «ciascun discorso» deve avere una «sua

certa qualitä». In tal modo si riafferma nel Dialogo: ZENOZ Ποιὸν dé γέ τινά φαμεν ἀναγκαῖον ἕκαστον εἶναι τῶν λόγων. 6!

51 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 611; e anche trad. Turolla, cit., p. 823: «per mezzo di

nomi e verbi»). 58 Ibid. (in t. «di quale [...]»: trad. Gentile, cit., p. 101; «su cosa» e «verta»: trad. Giardini, cit., p. 611; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 823: «E tu dimmi [a proposito di chi] è pronunciato questo discorso»). 59 Ibid., 263a, p. 612 (in t. «intorno [...]» e «di chi»: trad. Gentile, cit., p. 101; cfr. anche

trad. Giardini, cit., p. 613: «È tuo compito dire intorno a cosa riguarda e a chi [«indicare su chi e su quale argomento»: trad. Turolla, cit., p. 8231»). 60 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 613: «TEETETO È chiaro intorno a me e su me»; cfr. trad. Gentile, cit., p. 101: «[...] esso è intorno a me e di me»; e anche trad. Turolla cit., p. 823: «[...] su

me e su qualcosa che mi appartiene»). 61 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 823: «OsprrE — Ma si concluse che, per ineluttabile ragione, [ciascun discorso] deve avere una [sua certa qualità]»; cfr. anche trad. Gentile, cit., p.

102: «[...] dev'essere di una certa qualità»; e trad. Giardini, cit., p. 613: «OsPITE E possiamo dire che [ciascun discorso] necessariamente ha'una sua [qualità]»; vd. anche supra e n. 53).

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IL DISCORSO

VERO

E FALSO

Sulla particolarità e specificità della «qualità», l’Eleate non mostra esitazione di sorta. Se non ex abrupto, in tono risoluto e in termini così categorici come inequivoci Egli scandisce che questa «qualità» non solo scaturisce dalla verità, ma è intrinseca a essa medesima. Differenzia non-

dimeno sia i generi che i gradi di «qualità» nel vero e nel falso, nell’accezione precipua del risultare vero oppure falso. Sulla base del discorso vero e di quello falso 62 — come si evince dall’esemplificazione del «Teeteto siede» / «Teeteto, con il quale ora parlo, vola» — e presupposta, ancora una volta, la compartecipazione dell’essere e del non-essere in ogni cosa, nel Sofist4 si viene a teorizzare che, in riferimento a ciascun di-

scorso, l’uno è «in qualche modo» falso o «errato», l’altro vero. È Teeteto che qui asserisce: @EAITHTOL Τὸν μὲν ψευδῆ που, τὸν dè ἀληθῆ. 65

9.11 discorso vero «dice» ciò che è, ’«essere» appunto, «σοι ὃ», a riguardo del soggetto (nel caso «te», cioè Teeteto): ΞΕΝΟΣ λέγει δὲ αὐτῶν ὃ μὲν ἀληθὴς τὰ ὄντα dg ἔστιν περὶ 000.6 Il discorso falso / «errato», in

generale e sul piano ontologico, predica il «diverso dall’essere»: e cioè in altri termini, cose diverse da quelle che sono: Ὁ δὲ δὴ ψευδὴς ἕτερα τῶν

ὄντων. 67 E parimenti «dice» il non essere come essere proponendo, come fossero, le cose che non sono: Τὰ un ὄντ᾽ ἄρα ὡς ὄντα λέγει. 68 «Cose di-

verse da quelle che sono» — nel discorso falso — si affermano anche in rap& Cfr. ibid., 263b, p. 612. 6 Cfr. ibid., 263a, pp. 610 (EENOX «Θεαίτητος κάθηται») e 612 (ΞΕΝΟΣ «Θεαίτητος, ᾧ νῦν ἐγὼ διαλέγομαι, πέτεται») (trad. Giardini, cit., pp. 611 e 613). 6 Cfr. ibid., 263b, p. 612 (in τ. «in qualche [...]»: trad. Giardini, cit., p. 613; e «errato»: trad, Turolla, cit., p. 823). 6 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 613: «ΤΈΕΤΕΤΟ Che l’una [in qualche modo] è vera, l’altra invece falsa»; trad. Gentile, cit., p. 102: «TEETETO L'uno, credo, falso, l’altro vero»; cfr. trad. Turolla, cit., p. 823).

6 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 102 [in parentesi le varianti della trad. Giardini, cit., p. 613]: «ELEATE (Ospite) Quello dei due (fra essi) che è vero, dice intorno a te (a tuo proposito) l'essere (quello che è) come è»; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 824: «OSPITE — E quello vero afferma di te le cose che sono»). 671 Ibid, (trad. Gentile, cit., p. 102: «ELEATE Il falso invece dice il [diverso dal diverso]»; e quindi trad. Giardini, p. 613, pressoché identica a trad. Turolla, cit., p. 824: «OspITE — E il falso

dice [«Invece il discorso errato»: trad. Turolla, cit.] cose diverse da quelle che sono»). 6 Ibid. (cfr. trad. Turolla, cit., p. 824: «E quelle che non sono, le afferma come cose che sono»; affine trad. Giardini, cit., p. 613; ma vd. anche trad. Gentile, cit., p. 102: «Allora dice il

non-essere come essere»).

—111—

CAPITOLO

QUARTO

porto a chi agisce in qualità e nel ruolo del soggetto: Ὄντων δέ ye ὄντα ἕτερα περὶ 000.6?

Sulla funzione e, prima, sulla necessitä di un soggetto in un qualsiasi

discorso, l’Eleate torna a pronunciarsi, dopo averne dato la definizione ed in procinto di concludere. Il discorso — Egli riconferma — «dev'essere di un soggetto» e riferirsi a qualcuno: Ἔπειτα δέ γε τινός. 70 Dopotutto — prosegue —, «se non è di nessun soggetto» e non è intorno a nessuno, non

potrebbe essere affatto neppure un discorso, dal momento che si è «dimostrato» impossibile qualora, se si desse un discorso, questo fosse un «discorso di nessuno» e quindi, per ciò stesso, di niente. Attesta, infatti,

«Ospite» che «viene da lontano»: ZENO Μηδενὸς (δέ) γε ὧν οὐδ᾽ ἂν λόγος εἴη τὸ παράπαν: ἀπεφήναμεν γὰρ ὅτι τῶν ἀδυνάτων ἦν λόγον ὄντα μηδενὸς εἶναι λόγον. 71

In questi luoghi del Sofista, viva risalta l’attenzione alle possibilità d’interazione del soggetto sull’oggetto. Non si ritiene arbitrario, e neppure indebito, il supporre che un’intensa carica dinamica ed un vigoroso

potere agente del soggetto vengano precipuamente propugnati e celebrati in rapporto all’uomo, correlati alle sue capacità ed incentrati nelle potenzialità di lui. Essenziale, a tale scopo, s'impone la fiducia nell’uomo:

in particolare, nella sua predisposizione e inclinazione alla conoscenza attraverso l'indagine, come pure nella sua propensione tanto alla normativa rigorosa della logica quanto all’acume perspicace della dialettica. A epilogo, come a convalida dell’analisi dei tipi di discorso e a delucidazione di alcuni aspetti del pensiero del Platone degli ultimi Dialoghi, — quasi a ribadirli — si ridelineano, in rapida sequenza, gli elementi costi-

tutivi e i caratteri principali del discorso falso. Oltre il campo strettamente formale, s’investe anche il piano strutturale, con chiare implica-

69 Ibid. (int. trad. Giardini, cit., p. 613, dove segue: «a tuo riguardo»; cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 102: «Cioè l'essere diverso dall’essere intorno a te»; e trad. Turolla, cit., p. 824: «E sul tuo conto afferma, come veramente fossero, cose [...]»). τὸ Ibid., 263c, p. 612 (in τ, trad. Gentile, cit., p. 102; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 613: «Poi che riguardi qualcuno»; e trad. Turolla, cit., p. 824: «In secondo luogo, deve riferirsi a

qualcuno»). 71 Ibid. (int. «se non [...]»: trad. Gentile, cit., p. 102; «discorso di nessuno»: trad. Giardini, cit., p. 613; e cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 824: «OsPrrE — E se non si riferisce a nessuno, non

sarà nemmeno assolutamente un discorso. Abbiamo [dimostrato] infatti impossibile un discorso di nulla» — e, per la seconda parte, ancora vd. trad, Gentile, cit., p. 102: «perché abbiamo dichiarato impossibile, se è discorso, che sia discorso di niente»).

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IL DISCORSO

VERO

E FALSO

zioni e ineludibili specificazioni d’ordine ontologico. Si pone in risalto che il λόγος ψευδής,72 il discorso falso o «errato», è «realmente e veramente» (ὄντως te καὶ ἀληθῶς) 75 la risultanza di una data congiunzione o «tale combinazione» (ἡ τοιαύτη σύνθεσις),74 che ha tratto origine da verbi e da nomi (ἔκ te ῥημάτων γιγνομένη καὶ ὀνομάτων),75 ma che si è rivelata — e di fatto è — del tutto impropria ed erronea.

La «qualità» di falso, menzognero e inaccurato, origina dalla duplice inappropriata attribuzione del «diverso» come dell’«identico» e dell’essere come del non-essere, in relazione al soggetto e rispetto a quanto è stato pronunciato nei suoi riguardi (Περὶ δὴ σοῦ).76 In tutta chiarezza, si

ritiene che il discorso diviene (γίγνεσθαι) 77 mendace allorché vi si dicono e si predicano cose diverse come se fossero uguali ((λεγόμενα) μέντοι

θάτερα ὡς τὰ αὐτά)78 e — in primo luogo - vi si sostengono le cose che non sono come se davvero fossero (καὶ μὴ ὄντα ὡς övra).7?

Al fine di contribuire a rendere possibilmente adeguata e, ugualmente, attendibile la comprensione della lezione platonica nella fedeltà puntuale e aderenza stretta al testo originario, valga riproporre nella sua

integrità questo passaggio del Sofista: ZENO Περὶ δὴ σοῦ λεγόμενα, (λεγόμενα) μέντοι θάτερα ὡς τὰ αὐτὰ καὶ μὴ ὄντα ὧς ὄντα, παντάπασιν [ὧς] Eorxev ἡ τοιαύτη σύνθεσις ἔκ τε δημάτων γιγνομένη καὶ ὀνομάτων ὄντως τε καὶ ἀληθῶς γίγνεσθαι λόγος ψευδής. 80

72 Ibid., 2634, p. 612 (trad. Giardini, cit., p. 613; trad. Gentile, cit., p. 103). 73 Ibid. (identiche trad. Turolla, cit., p. 824; e trad. Gentile, cit., p. 103; e trad. Giardini,

cit., p. 613). 74 Ibid. (in t. «tale combinazione»: trad. Giardini, cit., p. 613; e trad. Gentile, cit., 103; vd. trad. Turolla, cit., p. 824: «operazione che combina»). 75 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 103: «di [«fatta di»: trad. Giardini, cit., p. 613] verbi e di nomi»; cfr. trad. Turolla, cit., p. 824). 76 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 613: «su di [«intorno a»: trad. Gentile, cit., p. 102] te»; trad. Turolla, cit., p. 824: «sul tuo conto»). 77 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 613: «viene a [«risulta»: trad. Gentile, cit., p. 103] essere»; e trad. Turolla, cit., p. 824: «dà origine [...] al»). 78 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 613; trad. Gentile, cit., p. 102: «Il dire [...] il diverso come

identico»; trad. Turolla, cit., p. 824: «le parole pronunciate applicano predicati diversi quasi fossero eguali»). 7 Ibid. l'essere»; ma 80 Ibid. senso e in un nazione fatta

(cfr. trad. Giardini, cit., p. 613; e trad. Gentile, cit., p. 103: «e il non-essere come vd. ugualmente trad. Turolla, cit., p. 824: «e ciò che non è, come se davvero fosse»). (cfr. trad. Giardini, cit., p. 613: «OspPrre Quanto è detto su di te, detto poi in un altro, come se fossero le cose che non sono, nel modo più assoluto una tale combidi verbi e di nomi viene a essere realmente e veramente un discorso falso»; vd., al

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CAPITOLO

QUARTO

10. Il capitolo 47 del Sofista,®! l’ultimo del trittico, conclude una

vexata quaestio e una problematica basilare della trattazione precedente, attraverso la chiarificazione concettuale del pensiero o discorso, dell’opinione e dell’immaginazione o parvenza. In coerenza ragionativa e in

stretta concatenazione degli sviluppi argomentativi, temi e motivi di rilievo si susseguono in un ritmo serrato e in una scansione incisiva.

L’Eleate premette come risulti inconfutabile che pensiero, opinione ed immaginazione (διάνοιά τε καὶ δόξα καὶ φαντασία), 8 tutti ed indistintamente, «si producono» e «sorgono» nelle nostre anime o come falsi o come veri: e cioè «tanto quale errore, quanto come verità» — interpreta il

Turolla.& Questo è l'interrogativo che pone il testo: ΞΕΝΟΣ [... μῶν οὐκ ἤδη δῆλον ὅτι ταῦτά γε ψευδῆ τε καὶ ἀληθῆ πάνθ᾽ ἡμῶν ἐν ταῖς ψυχαῖς ἐγγίγνεται;89

In conformitä ai criteri metodologici e alle modalitä d’indagine suoi propri, inteso sia a cogliere che a presentare gli aspetti principali e gli attributi peculiari dei tre «atti» o «generi» singolarmente presi, — l’«Ospite straniero» propone che si esamini cosa questi siano (αὐτὰ τί ποτ᾽ ἔστιν) 85 ed in che cosa ciascuno di essi si distingua dagli altri (ti διαφέρουσιν ἕκαστα ἀλλήλων). 86

Efficaci appaiono la caratterizzazione del pensiero-discorso e l’analisi-definizione dell’opinione e dell’immaginazione. «Pensiero e discorso» — esordisce deciso e sicuro l’Eleate — «sono la stessa cosa»: διάνοια μὲν tempo medesimo, trad. Gentile, cit., pp. 102-103; e anche trad. Turolla, cit., p. 824, e passim nelle nn. precedenti). 81 Cfr. ibid., 263d 6-264b 11, pp. 612 e 614 (ed. Plebe, cit., pp. 104-105; trad. Turolla, cit.,

p. 824-825. Cfr. supra, n. 17). 82 Ibid., 263d, p. 612 (cfr. trad. Giardini, cit., p. 613; e trad. Turolla, cit., p. 824; ma trad.

Gentile, cit., p. 104: «pensiero, opinione e parvenza»). 8 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 824, dove si premette: «[...] possono sorgere nelle anime nostre»; cfr. trad. Gentile, cit., p. 104). 84 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 613: «OsPITE [...] non è chiaro ormai che tutti [sorgono]

[«questi generi insomma, si producono»: trad. Gentile, cit., p. 104] veri e falsi [«come falsi e veri»: trad. Gentile, cit.] nella nostra anima?»). 8 Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 613; e trad. Gentile, cit., p. 104: «che cosa essi sono»; e trad. Turolla, cit., p. 824: «cosa sia ciascuno di questi atti»). 86 Ibid., 263e, p. 612 (trad. Giardini, cit., p. 613: «in che cosa differiscano per ciascuno gli uni dagli altri»; e trad. Gentile, cit., p. 104: «[...] differiscono, ciascuno tra di loro»; vd. trad. Tu-

rolla, cit., p. 824: «così pure la reciproca differenza»).

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IL DISCORSO

VERO

E FALSO

καὶ λόγος ταὐτόν. 87 Unica discriminante, o solo termine di contraddistinzione, ma non di contrapposizione sostanziale, è l’interiorità afona per il pensiero, l’esteriorità vocale per il discorso. La differenza si manifesta sul piano dell'espressione e nella forma della comunicazione. Resta fermo, tuttavia, che entrambi, pensiero e discorso, hanno la medesima origine: scaturiscono, cioè, dall’intimo dell’anima, dall’interno di se stessi. 11. Il pensiero, ο διάνοια, viene denominato (ἐπωνομάσθη) 88 il «dialogo» dell’anima con se stessa e dentro di sé, fatto in silenzio «senza parole», o — come poeticamente volge il Turolla — «colloquio che senza

voce si svolge dentro l’anima seco favellante».8° Si tramanda, pertanto, nel Sofista là dove si disputa della διάνοια: ZENO

[...] ὁ μὲν ἐντὸς τῆς ψυχῆς πρὸς αὑτὴν διάλογος ἄνευ φωνῆς yıyvöne-

νος τοῦτ᾽ αὐτὸ ἡμῖν ἐπωνομάσθη, διάνοια.30

Il discorso, o λόγος, è chiamato il «flusso» o la «corrente» che dal-

l’anima «si diparte» e dalla bocca, «attraverso le labbra», «procede» e fuoriesce accompagnato da un suono della voce. Attesta così l’Eleate nel Dialogo: ΞΕΝΟΣ Τὸ δέ γ᾽ ἀπ’ ἐκείνης ῥεῦμα διὰ τοῦ στόματος ἰὸν μετὰ φθόγγου κέκληται λόγος;9:

Non senza aver prima riassicurato Teeteto a riguardo della giä acquisita cognizione che l’«affermazione» e la «negazione» sono componentibase dei discorsi (ἐν λόγοις ye αὖ ἴσμεν ἐνόν [...]. Φάσιν τε καὶ ἀπόφα-

8? Ibid. (in t. cfr. trad. Giardini, cit., p. 613; e trad. Gentile, cit., p. 104; vd. pure trad. Tu-

rolla, cit., 824). 88 Ibid. (cfr. trad. Turolla, cit., p. 824: «si chiama»; trad. Gentile, cit., p. 104: «abbiamo

chiamato»). 89 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 824). 9 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 613: «OspITE [...] απο è il dialogo che avviene all’interno

dell’anima con se stessa senza parole, ed è proprio questo che viene chiamato pensiero»; cfr. pure trad. Gentile, cit., p. 104: «ELEATE [...] Non abbiamo chiamato pensiero il dialogo che fa l’anima dentro di se stessa, silenziosamente?»). 91 Ibid., p. 614 (in τ. «si diparte», «[...] le labbra» e «procede»: trad. Turolla, p. 825; cfr.

anche trad. Gentile, p. 104 [in parentesi le varianti della trad. Giardini, cit., p. 615]: «ELEATE (OsprrE) La corrente (il flusso), invece, che esce (vien fuori) da essa per (dall’anima attraverso) la bocca con un suono (la voce), non è chiamata discorso?»).

— 15 —

CAPITOLO

QUARTO

σιν)52 e, per questo, da essi inscindibili, l’Eleate si sofferma sulla funzione particolare così dell’opinione come dell’immaginazione. L’opinione, o δόξα, è l’unico nome adeguato da conferire a questo «processo» discorsivo dell’uomo, allorquando esso «avviene in silenzio» nell’anima, «sotto forma cogitativa», tramite il pensiero. Invero, reca il testo: ZENO Ὅταν οὖν τοῦτο ἐν ψυχῇ κατὰ διάνοιαν ἐγγίγνηται μετὰ σιγῆς, πλὴν

δόξης ἔχεις ὅτι προσείπῃς αὐτό;93

L’immaginazione — la parvenza per alcuni —, o φαντασία, non si «po-

trebbe» giustamente e «correttamente» designare (ὀρθῶς eineiv)* in nessun altro modo se non con quella «tale esperienza» o con quel determinato «stato d’animo» (τὸ τοιοῦτον αὖ πάθος) 55 che a taluno «si presenti» e «si svolga» (παρῇ tivi) 96 non direttamente di per sé, bensì mediatamente ed attraverso la «sensazione» (èv αἰσθήσεως).37 Appropriata ri-

corre la precisazione, emblematica l'enfasi sul «tramite» — di certo non insignificante ma per più aspetti rilevante — della sensazione. Giovi pertanto riconsiderare, nella sua articolata integrità, quanto si fa notare da

parte dell’«Ospite» che «viene da lontano»: ΞΕΝΟΣ Ti 8’ ὅταν μὴ καθ᾽ αὑτὸ ἀλλὰ δι’ αἰσθήσεως παρῇ τινι, τὸ τοιοῦτον αὖ

πάθος ἄρ᾽ οἷόν τε ὀρθῶς εἰπεῖν ἕτερόν τι πλὴν φαντασίαν; 98

92 Ibid. (identiche trad. Giardini, cit., p. 615; e trad. Gentile, cit., pp. 104-105: «nei discorsi sappiamo che c’è [...]. Affermazione e negazione»; e ugualmente, del tutto affine, trad. Turolla,

cit., p. 825). 9 Ibid., 264a, p. 614 (in τ. «processo» e «sotto forma [...]»: trad. Turolla, cit., p. 825; e vd.

anche trad. Gentile, cit., p. 105 [in parentesi le varianti della trad. Giardini, cit., p. 615]: «ELEATE (Osprre) Quando, dunque, ciò avvenga (avviene) dentro all’anima col pensiero (nell'anima secondo il pensiero, ma), in silenzio, hai un altro modo di (avresti di che) chiamarlo se non opinione?»). 94 Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 615; cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 105: «si può chiamare giustamente»). 95 Ibid. (in τ. «[...] esperienza»: trad. Giardini, cit., p. 615; «stato d’animo»: trad. Gentile,

cit., p. 105).

96 Ibid. (in τ, prima «si presenti»: trad. Gentile, cit., p. 105; e poi «si svolga»: trad. Turolla,

cit., p. 825).

9 Ibid. (cfr. trad. Turolla, cit., p. 825).

98 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 615 [trad. Gentile, cit., p. 105: varianti in parentesi]: «OsprTE (ELEATE) Ma allorché (e quando questa) si presenta a qualcuno (presenti), non di per se stesso (-a), ma attraverso una (con la) sensazione, una tale esperienza (un tale stato d’animo) in quale

altro modo si potrebbe correttamente (si può giustamente) chiamare se non immaginazione (che

— 116 —

IL DISCORSO

VERO

E FALSO

12. In nitida delineazione l’Eleate ripercorre alcuni dei punti nevralgici e dei passaggi ineliminabili del processo logico-dialettico lungo /’iter dimostrativo. Prende ad argomentare muovendo dall’incontrovertibilità dell’assunto per cui si debba ammettere un discorso vero oppure falso. Infatti, «si è dato» un discorso vero, ed anche uno falso - si legge nel te-

sto: λόγος ἀληθὴς ἦν καὶ ψευδής.59 Quindi, tra i discorsi verifica tre casi, evidenzia tre tipologie, tre affinità e tre «atti» della mente. Fa osservare

che sono da riferire ai discorsi — e questi «sono discorsi» — il pensiero, l'opinione e il «sembrare». È emerso invero che, fra i discorsi, «si è manifestato» (τούτων δ᾽ ἐφάνη) 100;

-a) sia il pensiero, come dialogo ο «conversazione» dell’anima con se stessa: διάνοια μὲν αὐτῆς πρὸς ἑαυτὴν ψυχῆς διάλογος; 101

-b) sia l’opinione come «risultato» o «conclusione» del pensiero a cui «dà completamento»: δόξα δὲ διανοίας ἀποτελεύτησις; 192

-c) e ugualmente, l’immaginazione, cioè quello che diciamo «parere» o «sembrare», come «mistione» e «mescolanza» o «commischianza» di sensazione e di opinione: (φαίνεται) δὲ ὃ λέγομεν σύμμειξις αἰσθήσεως καὶ δόξης. 193

Si & propugnato che pensiero, opinione e immaginazione sono da ritenersi quali «condizioni che sono congeneri» al discorso, quasi «cose» 0, nel dettato del Turolla, «diversi atti della nostra mente» che «vengono a trovarsi» «affini»1° al discorso medesimo (τούτων τῷ λόγῳ συγγενῶν

parvenza)?»; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 825: «OsPITE — E quando invece non si svolge per se stesso ma ne sia tramite la sensazione, l’unico nome esatto è appunto ämmaginazione»).

9 Ibid. (int, trad. Giardini, cit., p. 615; cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 105 [in parentesi le varianti della trad. Turolla, cit., p. 825]: «si è visto (ammesso) che il discorso è vero e (oppur) falso»). 100 [b;d. (cfr. int. trad. Giardini, cit., p. 615: «fra questi poi [si è manifestato]»; vd. anche trad. Gentile, cit., p. 105: «poiché ci è risultato»; e «sono discorsi»: in trad. Turolla, cit., p. 825).

101 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 105, e trad. Giardini, cit., p. 615, convergenti: «il pensiero come dialogo dell’anima con se stessa»; ma vd, anche trad. Turolla, cit., p. 825: «il pensiero del-

l’uno e dell’altro è una conversazione seco stessa»). 102 Tbid., 264b, p. 614 (trad. Turolla, cit., p. 825: «opinione [dà completamento] all’atto del pensiero»; trad, Gentile, cit., p. 105: «l’opinione, come la conclusione del pensiero»; trad. Giardini, cit., p. 615: «[...] come risultato [...]»). 103 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 615: «quello che denominiamo ‘sembra’ è una [mistione] di sensazione e di opinione»; trad. Gentile, cit., p. 105: «quel che diciamo ‘parere’, come una

[mescolanza] di sensazione e opinione»; vd, pure trad. Turolla, cit., p. 825: «immaginazione è [commischianza] di [...1»). 104 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 825).

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CAPITOLO

QUARTO

ὄντων).105 Per l’Eleate diviene ora giocoforza che — a corollario, e così «necessario» come «ineluttabile» — ne «consegua» che, di queste tre «forme», ne siano pur «false» ed «errate» «talune», e «talvolta». Perentorio ed eloquente si incide nella mente dello studioso il pronunciamento finale da parte del Filosofo che viene da Elea: ZENOZ [...] ἀνάγκη δὴ καὶ τούτων τῷ λόγῳ συγγενῶν ὄντων ψευδῆ [re] αὐτῶν ἔνια καὶ ἐνίοτε εἶναι. 106

13. Indubitabile e irrefutabile risulta il riconoscimento dell’ineludibilitä ed indefettibilitä anche del falso, del suo ricorrere sporadico accanto alle manifestazioni del vero, nel discorso che è caratteristico ed esclusivo dell’uomo.

Per altro, la problematica relativa al vero e al falso e, più specificamente, la possibilità che anche il falso sia sul piano ontologico, hanno costituito uno dei topo? centrali e come il nodo teorico del Sofista. Nelle pagine precedenti si è inteso richiamare alcuni dei momenti salienti e denotare non pochi degli esiti più significativi di quella parte della speculazione filosofica che Platone ha trasmesso nel Sofista. L’indagine sulla natura dell’arte dei sofisti, da principio, l’Eleate medesimo reputava ardua da «intraprendere» (ἐπιβαλλοίμεθα),107 un’«impresa» «veramente» e «del tutto interminabile» (ταντάπασιν ἀνήνυτον ἔργον), 108 quando non «un’opera infruttuosa». Di fatto, nello svolgersi del Dialogo, i frutti sono maturati, le mete perseguite e i risultati conseguiti. Invero, è stata proprio la «scoperta» del ragionamento e dell’opinione falsi a sospingere, e persino ad indurre, a una specifica chiave di lettura e a un metodo d’interpretazione

del discorso e del pensiero umano in ambito logico-ontologico. A queste linee direttive si è pervenuti «prima di quanto non fosse l’aspetta105 Ibid. (vd. in τ. «condizioni [...]»: trad. Giardini, cit., p. 615; ma cfr. anche trad. Gentile,

cit., p. 105).

106 Ibid. (vd. trad. Giardini, cit., p. 615: «OSPITE [...] ne consegue che anche di queste [condizioni che sono congeneri al discorso] alcune fra esse e talvolta siano false»; e trad. Gentile, cit., p. 105: «ELEATE [...] è necessario che di queste cose, affini al discorso, ve ne siano talune e talvolta di false»; cfr. ugualmente trad. Turolla, cit., p. 825: «Osprre [...] ne segue, [ineluttabile] conseguenza, che taluni talvolta sono anche errati»). 107 Ibid. (int. trad. Turolla, cit., p. 825; vd. anche trad. Giardini, cit., p. 615: «lanciarci in»; e trad, Gentile, cit., p. 105: «metterci a»). 108 Ibid. (in τ. trad. Giardini, cit., p. 615; cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 105; trad. Turolla,

p. 825: «opera totalmente infruttuosa»).

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IL DISCORSO

VERO

E FALSO

tiva» (πρότερον [...] ἢ κατὰ τὴν προσδοκίαν ἥν).105 Laddove — al mo-

mento di accingersi a prendere in esame l’intervenire del falso, grazie e attraverso questa ricerca (ζητοῦντες αὐτό) 110 — si paventava di avventu-

rarsi in una zona impenetrabile e cimentarsi in un’indagine irrealizzabile, ora a chiusura del trittico rappresentato dai capitoli 45-47, ben prima di quanto si prevedesse, si è acquisita una così chiara che piena

conoscenza dell’innegabilità del mendace. «Sono stati trovati» l’opinione falsa ed il discorso falso. Nell’una e nell’altro è stato scoperto l’«errore». A risoluzione del Sofista stesso, nel giudizio autorevole dell’interlo-

cutore principale del Dialogo, nel personaggio dell’«Ospite straniero» che «viene da lontano», Platone non esita ad apporre il suggello definitivo sulla concezione per cui è da ammettere che il falso possa essere, e di fatto è, nella facoltà discorsiva dell’uomo. Con sicura determinazione, sentenzia pertanto: ΞΕΝΟΣ [...] ηὑρέθη ψευδὴς δόξα καὶ λόγος. 111

199 Ibid. (in τ. trad. Giardini, cit., p. 615; trad. Turolla, cit., p. 825: «inaspettatamente»;

trad. Gentile, cit., p. 105: «prima di quanto ci aspettassimo»). 110 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 615: «compiendo questa [«iniziandone la»: trad. Turolla, cit., p. 825] ricerca»). 111 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 615: «OSPITE [...] opinione e discorso falso [sono stati trovatil»; trad. Gentile, cit., p. 105: «ELEATE [...] si è trovata l’opinione e il discorso falso»; cfr. an-

che trad. Turolla, cit., p. 825: «OsPITE - [...] opinione errata e discorso errato furono scoperti»).

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CAPITOLO QUINTO

ANCORA SUL VERO E SUL FALSO NELL’EPILOGO*

1. Sostenuto e dimostrato che il falso, l'errore e la menzogna in

qualche modo necessariamente sono, nelle pagine conclusive del Sofista — per bocca dell’Eleate — Platone ritorna all’analisi della natura del sofista. In questi Egli identificherà presto colui che opina ed appare, rinviando al falso ed evocando la prospettiva del mero «sembrare» unitame-

nte alla dimensione del discorso che non risponde al vero. Riprendendo a seguire il procedimento diairetico, peculiare di una non ristretta parte

della speculazione platonica, l’Eleate ripropone la distinzione dell’arte «figurativa» del «produrre», o «fare immagini», in due «specie» o «aspet-

ti». Pone, da una parte, l’arte che fa le «rappresentazioni» e «produce effettivamente» la copia; e, dall’altra, l’arte delle «apparenze» che «produce solo parvenze». Così si tramanda nel testo: ΞΕΝΟΣ Διειλόμεθα τῆς εἰδωλοποιικῆς εἴδη δύο, τὴν μὲν εἰκαστικήν, τὴν δὲ φανταστικήν.1

In una riconsiderazione della trattazione precedente e in un’opera-

zione di raccordo logico-dialettico di quanto giä elaborato ed acquisito in chiave teorica, si introduce all’arte dell’inganno, si colloca il sofista nel mondo dell’appariscenza, nell’ordine dell’opinabilitä e nella categoria * In precedenza, l’argomento di questo quinto capitolo è apparso in «Merope» (Rivista quadrimestrale del Dipartimento di Scienze Linguistiche e Letterarie dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara), XXXII-XXXIV /2001 (ma 2003), pp. 5-26. Il testo resta pressoché immutato nella sostanza, e molto di frequente anche nella forma. Le note, tuttavia, presentano

ampliamenti estensivi ed arricchimenti di una certa entità. 1 PLATo, Sophista, 264c, p. 614 (in τ, «produrre», «produce [...]» e «[...] parvenze»: trad. Turolla, cit., p. 823; quindi, cfr. trad. Giardini, cit., p. 615 [in parentesi le varianti della trad.

Gentile, cit., p. 105]: «Osprre (ELEATE) Distinguiamo (Abbiamo distinto) due aspetti (specie) dell’arte figurativa (di fare immagini), l'una che fa le rappresentazioni (quella della copia), l’altra le apparenze (e quella della parvenza)»).

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CAPITOLO

QUINTO

della non veridicitä. A siffatta determinazione si & sospinti nel momento

in cui — incerti (ἀποροῖμεν) 2 se attribuire al sofista l’arte della «copia» o quella della «parvenza» — si è investiti da una «vertigine» ancora più

«grande» e più «oscura»: ΞΕΝΟΣ Kai τοῦθ᾽ ἡμῶν ἀπορουμένων ἔτι μείζων κατεχύθη σκοτοδινία.3

Alla presa di coscienza e all’accentuazione stessa di una tale «tene-

bra», che devasta la mente, si perviene mediante il ragionamento (φανέντος τοῦ Aöyov),* allorché — secondo il punto di vista dei sofisti — si

riconosce e si fa propria la negazione assoluta della possibilità di ogni «immagine», «simulacro» e «apparenza». Si diffonde l’«argomento» per cui, «contro tutti», si afferma (τοῦ πᾶσιν ἀμφισβητοῦντος)" la «non esi-

stenza» della «copia» e della «parvenza». Si riferisce infatti nel Dialogo: ΞΕΝΟΣ [...] οὔτε εἰκὼν οὔτε εἴδωλον οὔτε φάντασμ᾽ ein τὸ παράπαν οὐδέν. ὁ

Questo di per sé consegue al postulato per cui il falso e l’errore non esistono per nulla, in nessun modo, in nessun momento, come, al proposito, il testo reca: ΞΕΝΟΣ [...] διὰ τὸ μηδαμῶς μηδέποτε μηδαμοῦ ψεῦδος εἶναι.7

2 Cfr. ibid. (trad. Gentile, cit., p. 106; vd. trad. Giardini, cit., p. 615: «eravamo nell’incer-

tezza in quale delle due fosse — ma «a quale delle due si dovesse ascrivere»: trad. Turolla, cit., p. 825 — »; t. gr.: εἰς ὁποτέραν θήσομεν). 3 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 106 [in parentesi le varianti della trad. Giardini, cit., p. 615]:

«ELEATE (OspITE) E mentre eravamo incerti su questo (ci dibattevamo in questa incertezza), ci capitò addosso (fummo colti da) una vertigine ancora più oscura (grande)»; vd. anche trad. Turolla, cit., pp. 825-826: «Mentre ci trovavamo in tali difficoltà, tenebra più grande e vertigine ci avvolsero»). 4 Ibid. (fr. trad. Giardini, cit., p. 615: «al manifestersi del [«quando ci si presentò il»: trad. Gentile, cit., p. 106] ragionamento»; ma trad. Turolla, cit., p. 826: «Ecco apparire argomento»). 3 Ibid., 264c, p. 614 (in t. trad. Gentile, cit., p. 106, con maggiore aderenza; così trad. Turolla, cit., p. 826: «che, contro la sentenza di tutti, affermava»; si rende in trad. Giardini, cit., p. 615: «che mette in discussione tutto»). 6 Ibid., 264cd, p. 614 (in t. trad. Turolla, cit., p. 826; cfr. trad. Gentile, cit., p. 105: «non v'è

per nulla né copia né immagine né parvenza»; vd. anche trad. Giardini, cit., p. 615: «immagine, simulacro, apparenze non sono»). ? Ibid., 2644 (trad. Giardini, cit., p. 615: «OspTTE [...] dato che non esiste alcun falso né al-

cuna circostanza, né in alcun luogo»; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 826 [in parentesi le varianti

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ANCORA

SUL VERO

E SUL FALSO

NELL’EPILOGO

Ora, di fronte a una siffatta «obiezione» dei sofisti per cui non si darebbe affatto il falso (e neanche il «sembrare» che è della sofistica stessa),

l’Eleate in epigrafica incisività ribadisce quanto è stato ampiamente elaborato e convincentemente comprovato nei capitoli 24-47. Riconferma come sia «risultato» ed «apparso chiaro» che vi è un discorso falso insieme ad un’opinione falsa: ΞΕΝΟΣ Νῦν dé γ᾽ ἐπειδὴ πέφανται μὲν λόγος, πέφανται δ᾽ οὖσα δόξα ψευδής. 8

Ne deduce che, per ciò, «si concede» e si «ammette» che se, da un canto, vi siano imitazioni — o «copie imitanti» — degli esseri, d’altra parte

da una simile «disposizione» o «condizione» possa originare un’arte «illusoria» e comunque mirante alla decezione o all’aggiramento. Si legge nel Sofista, al riguardo: ΞΕΝΟΣ [...] ἐγχωρεῖ δὴ μιμήματα τῶν ὄντων εἶναι καὶ τέχνην ἐκ ταύτης ylyveσθαι τῆς διαθέσεως ἀπατητικήν.9

Precisato!

che, in riferimento alla «specie dell’imitazione»,!! aveva

giä fatto notare che il sofista era da associare ad uno dei due aspetti dell’arte figurativa o del fare le immagini, cio& o a quello della copia-rappresentazione o all’altro della parvenza-apparenza, l’Eleate procede nell’argomentazione. Dividendo in due il «genere proposto» (σχίζοντες διχῇ τὸ προτεθὲν γένος), 12 nell’analisi e nella definizione del sofista Egli premette della trad. Gentile, cit., p. 106]: «in quanto, per (perché in) nessun modo, per nessun momento (in nessun tempo), per nessun luogo (da nessuna parte), esiste l’errore e (vi è) il falso»). 8 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 106 [in parentesi le varianti della trad. Giardini, cit., p. 615]: «ELEATE (OspITE) Ma ora, poiché è [risultato] (apparso chiaro) che v’& un discorso e un’opinione falsa»; libera trad. Turolla, cit., p. 826: «OsPrre — Ora invece, dal momento che abbiamo

scoperto discorso falso e con lui falsa opinione»). 9 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 615 [varianti della trad. Gentile, cit., pp. 106-107, in parentesi]: «OsPITE (ELEATE) [...] ammetti pure (è possibile certo) che sono (vi sieno) imitazioni degli esseri e che da questa disposizione può venire (venga) un’arte tesa all’inganno (dell’inganno)»; efficace e vivida trad. Turolla, cit., p. 826: «Osprre [...] ci [si concede] l’esistenza di [copie imi-

tanti] gli esseri; l’esistenza di un’arte [illusoria] che procede, appunto, da questa condizione»). 10 Cfr. ibid., 235b e ss., pp. 544 e ss. 11 Cfr. ibid., 235b-236d, pp. 554 e 556 (ed. Plebe, cit., pp. 45-47 [cap. 23]; trad. Turolla, cit., pp. 781-783). 12 Ibid., 264d, p. 616 (in t. trad. Giardini, cit., p. 617: «dividendo [«fendendo»: trad, Gentile, cit., p. 107] in due il [...]»; trad. Turolla, cit., p. 826: «Separiamo in due il [genere] che ne viene offerto»).

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CAPITOLO

QUINTO

e anticipa di prescindere da «tutte le caratteristiche» che il «nostro personaggio» ha «comuni ad altre specie» (αὐτοῦ τὰ κοινὰ πάντα περιελόντες).15 Quindi, anticipa e puntualizza di attenersi solo a quella

che si ritiene sia la «congenita natura» e la «caratteristica individuale» del sofista: «gli lasciamo solo la natura che gli è propria» — rende il Gentile — (τὴν οἰκείαν λιπόντες dbow).14 Dichiara di potere provare questa proprietà esclusiva, ed un tale elemento essenziale, «innanzitutto» a se stessi, e, in subordine o secondo luogo, a quelli che, nella “lettura” del Turolla,

«per tendenze sono più vicini a questo metodo d’indagine». Si proclama, nondimeno, con vigore: ΞΈΝΟΣ [...] ἐπιδείξωμεν μάλιστα μὲν ἡμῖν αὐτοῖς, ἔπειτα καὶ τοῖς ἐγγυτάτω γένει τῆς τοιαύτης μεθόδου πεφυκόσιν 15

2. Dopo che sono state differenziate l’arte del «creare» e quella del procurarsi alcunché — l'una che «produce» e l’altra «d’acquisto» (ποιητικὴν καὶ κτητυκὴν τέχνην) 16 —, la fisionomia o «il tratto» del sofista si manifesta in settori come nella caccia, nella lotta e nel commercio (èv

θηρευτικῇ καὶ ἀγωνίᾳ καὶ ἐμποριυκῇ). "7 Si prosegue sostenendo la necessitä che, essendo il sofista «compreso» ed «incluso» nella mimetica (ἐπειδὴ μιμητικὴ περιείληφεν αὐτὸν τέχνη), 18 in primo luogo si distingua

in due la stessa arte del creare o del produrre. L’imitazione, invero, & un tipo di creazione-produzione delle immagini o delle copie — «asseveriamo»! —, ma non certo delle cose in sé «autentiche» né dei «singoli veri e 13 Ibid., 264e, p. 615 (in τ. trad. Turolla, cit., p. 826: «Toglieremo via così tutto [...]»; cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 107 [varianti della trad. Giardini, cit., p. 617, in parentesi]: «tolto

(togliendo via) tutto quel che ha di (è in) comune (con lui, add.)»). 14 Ibid., 264e-265a, p. 616 (in τ. «congenita [...]»: trad. Giardini, cit., p. 617; «caratteristica [...]»: trad. Turolla, cit., p. 826; e trad. Gentile, cit., p. 107). 15 Ibid., 265a, p. 616 (in t. «per tendenze [...]»: trad. Turolla, cit., p. 826; vd. ugualmente trad. Gentile, cit., p. 107 [in parentesi le varianti della trad. Giardini, cit., p. 617]: «ELEATE (OsPITE) [...] possiamo mostrarla (dimostrare), anzitutto (soprattutto) a noi stessi (qual è, add.),

poi anche a quelli che sono per razza (natura) più vicini a (al genere di) un tale metodo»). 16 Ibid. (in t. trad. Turolla, cit., p. 826; cfr. trad. Giardini, cit., p. 617: «arte del creare

[«produrre»: trad. Gentile, cit., p. 107] e quella di acquistare»). Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 617; trad. Turolla, cit., p. 826). 18 Ibid. (in t. «compreso»: trad. Gentile, cit., p. 108; «incluso»: trad. Giardini, cit., p. 617;

vd. anche trad. Turolla, cit., p. 826: «siccome l’arte mimetica ha in sé accolto il nostro uomo»).

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ANCORA

SUL VERO

E SUL FALSO

NELL’EPILOGO

propri enti». In linearitä espositiva e con efficacia raffigurativa si sancisce nel testo platonico: ZENO® [...] ἡ γάρ που μίμησις ποίησίς tig ἐστιν, εἰδώλων μέντοι, φαμέν, ἀλλ᾽

οὖκ αὐτῶν ἑκάστων: ἦ γάρ;19

Così a conseguenza logica come a corollario di quanto emerso nella

trattazione, si fa presente come le due parti dell’arte della creazione-produzione siano costituite dalla specie divina l’una, e da quella umana 1᾽ 4]-

tra. Si trasmette pertanto nel Sofista: 2. 3)

ΞΕΝΟΣ Ποιητικῆς δὴ πρῶτον δύ᾽ ἔστω μέρη.

ΘΕΑΊΤΗ͂ΤΟΣ Ποίω; ΞΕΝΟΣ Τὸ μὲν θεῖον, τὸ δ᾽ ἀνθρώπινον. 29

Sulla base di questa distinzione, nell’intento di un’ulteriore chiarifi-

cazione e illustrazione, si prende ad esaminare la specificitä dell’arte del creare-produrre. Sulla compartizione del produrre,2! in apertura si ripropone e si riassicura come, a seguito dei temi di sopra svolti e degli esiti già conseguiti, divenga giocoforza il propugnare che l’arte della creazione è una «potenza» che sia o possa essere «suscettiva di diventare» causa (Ποιητικήν, [...] πᾶσαν ἔφαμεν εἶναι δύναμιν ἥτις Av αἰτία γίγνηται) 22 acciocché le cose, che prima non erano, divenissero poi e, in differente

espressione come rende il Turolla, «perché quanto non era prima» «co19 Ibid., 265b, p. 616 (trad. Giardini, cit., p. 617: «OSPITE [...] l'imitazione infatti è una sorta di creazione, noi diciamo di immagini, ma non di [cose autentiche]. O no?»; vd. anche

trad. Gentile, p. 108: «ELEATE [...] Poiché l’imitazione è in qualche modo una produzione: di immagini, aggiungiamo, e non delle cose stesse. Nevvero?»; e trad. Turolla, cit., p. 826: «OsPITE

[...] Chi imita, segue in realtà un tipo di produzione. Senza dubbio di copie o di immagine; non certo dei [singoli veri e propri enti]»). 20 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 617: «Osprre Dell’arte della creazione [«produzione»: trad. Gentile, cit., p. 108], per prima cosa (anzitutto), due siano le parti. / TeereTo Quali? / OspITE L'una divina e l’altra umana»; cfr. trad. Turolla, cit., p. 826: «Produzione umana e divina»).

21 Cfr. ibid., 265b-266b, pp. 616 e 618 (ed. Plebe, cit., pp. 108-110 [cap. 49]; trad. Turolla,

cit., pp. 827-828).

22 Ibid., 265b, p. 616 (in t. trad. Turolla, cit., p. 827; cfr. trad. Gentile, cit., p. 108: «Ogni

arte produttiva [...] affermavamo che è potenza di essere causa [«che divenga causa»: trad. Giardini, cit., p. 617)).

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CAPITOLO

QUINTO

minciasse, in un successivo momento, il processo della sua esistenza» (τοῖς μὴ πρότερον οὖσιν ὕστερον Yiyveodau).23

A Teeteto, l’Eleate rivolge il quesito relativo alla genesi — più propriamente, alla causa generante — delle cose di natura. Inequivocabilmente chiede, da principio, se gli esseri naturali non «nascano» né «sorgano» per opera o per causa diversa da un dio produttore o artefice (μῶν ἄλλου τινὸς ἢ θεοῦ δημιουργοῦντος φήσομεν ὕστερον γίγνεσται πρότερον

οὐκ ὄντα;).24 Poi investiga se gli esseri e le cose siano generati o creati dalla natura per una causa «spontanea» o «nativa» (Τὴν φύσιν αὐτὰ γεννᾶν ἀπό τινος αἰτίας αὐτομάτης),25 e — si incalza — senza che nella

stessa natura si additino o si sottendano un’«intelligenza» e un «pensiero» che producano e generino (καὶ ἄνευ διανοίας puovong).26 Da ultimo,

domanda se il mondo naturale sia divenuto «con un ragionamento», secondo «un criterio prestabilito» e grazie ad una «scienza divina» che proviene da Dio: ΞΕΝΟΣ [...] ἢ μετὰ λόγου τε καὶ ἐπιστήμης θείας ἀπὸ θεοῦ yuyvopévng;?7

D’accordo con Teeteto sulla tesi per cui gli esseri e gli oggetti di natura sono creati e «divengono» per intervento di un Dio (ὑπολαμβάνων οἴεσθαί σε κατά γε θεὸν αὐτὰ γίγνεσθαι),28 l’Eleate si richiama — ancora

23 Ibid. (trad. Turolla, cit., p. 827; cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 108: «a ciò che prima non è, di diventare poi»; affine trad. Giardini, cit., p. 617). 24 Ibid., 265c, p. 616 (trad. Giardini, cit., p. 617 [varianti della trad. Gentile, cit., p. 108, in

parentesi]: «non diremo che sorgono (nascono) poi per opera di un altro artefice (0.) che non sia dio (produttore, add.), dal momento che (mentre) prima non erano?»; cfr. trad. Turolla, cit.,

p. 827). 25 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 108: «che la natura li genera da una causa [spontanea] [«li crea per una causa nativa»: trad. Giardini, cit., p. 6171»; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 827: «che la natura stessa è atta a generare sotto l’azione di qualche cosa spontanea»). 26 Ibid. (cfr. trad. Turolla, cit., 827: «atta a produrre senza intelligenza»; trad. Gentile, cit.,

p. 108: «la quale agisca senza intelligenza»; ma trad. Giardini, cit., p. 617: «senza un pensiero che li faccia nascere»). 27 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 617 [in parentesi le varianti della trad. Gentile, cit., p. 108]:

«Ospite (ELEATE) [...] o (oppure) si deve ritenere siamo nati (077.) secondo un [criterio prestabilito] (con un ragionamento) e da (072.) una scienza divina, che proviene da Dio?»; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 827: «OsPITE [...] O non diremo piuttosto che natura genera per influsso di ragione e di scienza divina proveniente da Dio?»). 28 Ibid., 265d, p. 616 (cfr. trad. Giardini, cit., p. 617 [varianti della trad. Gentile, cit., pp.

108-109 in parentesi]: «comprendendo (supponendo) che tu ritenga (creda) che essi siano creati per intervento (divengano per opera) del dio»).

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ANCORA

SUL VERO

E SUL FALSO

NELL’EPILOGO

una volta — alla duplicità dei generi dell’arte della creazione o produzione, di quella divina e di quella umana. Con forza ribatte: ΞΕΝΟΣ [...] δύο ποιητικῆς γένη, τὸ μὲν ἀνθρώπινον εἶναι, τὸ δὲ θεῖον.29

Fonda tale affermazione sull’assunto che le cose, che si ammette siano create da natura, sono fatte grazie ad un’arte divina; e quelle che in-

sieme ad esse oppure da esse medesime sono derivate, vengono formate dagli uomini e, perciö, sono prodotte mediante un’arte umana. Dichiara, in termini diretti, l’Eleate: SENOZ [...] ἀλλὰ θήσω τὰ μὲν φύσει λεγόμενα ποιεῖσθαι θείᾳ τέχνῃ, tà δ᾽ ἐκ τούτων ὑπ᾽ ἀνθρώπων συνιστάμενα ἀνθρωπίνῃ.30

3. Nel ripartire l’arte del creare o del produrre anche in lunghezza (κατὰ μῆκος) oltre che in estensione o larghezza (κατὰ πλάτος),51 si enumerano quattro parti «in tutto».32 Di queste, due sono relative agli uomini (tà πρὸς ἡμῶν, ἀνθρώπεια),33 due agli dei (tà πρὸς θεῶν, 0eta).34 Inoltre, «ciascuna delle due sezioni» — l’una dell’umana e l’altra della di-

vina — comprende l’arte che «produce veramente» le cose stesse (μέρος μὲν ὃν ἀφ᾽ ἑκατέρας τῆς μερίδος αὐτοποιητικόν).35 Le due sezioni rima-

29 Ibid., 265e, p. 618 (trad. Gentile, cit., p. 109: «ELEATE [...] vi sono appunto due generi dell’arte produttiva [«della creazione»: trad. Giardini, cit., p. 619]: l'uno umano, l’altro divino»;

pressoché uguale trad. Turolla, cit., p. 827). 30 Ibid., pp. 616 e 618 (cfr. trad. Gentile, cit., p. 109; e, alquanto libera, trad. Turolla, cit.,

p. 827: «OsPITE — [...] I fenomeni che, si afferma, provengono da natura, sono prodotti appunto d’una divina arte. Al contrario, le opere che gli uomini producono valendosi dei preesistenti fatti naturali sono il risultato di un’arte umana»; più aderente al t. gr., vd. trad. Giardini, pp. 617 e 619: «OsprTE [...] Ma porrò che le cose che si dicono create da natura sono opera di un’arte divina, e quelle composte dagli uomini in derivazione dalle prime, sono fatte da un’arte umana»). 31 Ibid., 266a, p. 618 (cfr. trad. Giardini, cit., p. 619; e trad. Gentile, cit., p. 110).

32 Vd. ibid. (cfr. trad. Turolla, cit., p. 828. «ne risultano precisamente quattro parti in tutto»). 33 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 619: «in riferimento a noi, sono umane [riferite a noi, le umane»: trad, Gentile, cit., p. 110]). 34 Ibid.(trad. Giardini, cit., p. 619: «in riferimento agli dei, sono divine [«agli dei, le divi-

ne»: trad. Gentile, cit., p. 110]). 35 Ibid. (in t. trad. Turolla, cit., p. 828; non nitida trad. Giardini, cit., p. 619, ma convin-

cente trad. Gentile, cit., p. 110: «una parte di ambedue le sezioni è l’arte del produrre [«della creazione»: trad. Giardini, cit.] le cose stesse»).

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CAPITOLO

QUINTO

nenti si possono ben denominare arti «produttrici di copie e immagini» (τὼ δ᾽ ὑπολοίπω [...] ἂν λεγοίσθην εἰδωλοποιικώ).36,

Ormai prossimi alla conclusione del Sofista, protesi ad illustrare la distinzione di «cosa» e d’«immagine»,37 così sinteticamente come sapiente-

mente si delineano le due opere della creazione e produzione divina. In tal senso, tramanda il Dialogo: GEAITHTOZ Ato γὰρ οὖν ἐστι ταῦτα θείας ἔργα ποιήσεως. 38

Tra queste si annovera tanto l’oggetto o la «cosa vera e propria» quanto anche l’immagine o il «fantasma» che fa seguito a ciascun ente. Riconosce cosi Teeteto: OEAITHTO2 [...] αὐτό τε καὶ τὸ παρακολουθοῦν εἴδωλον ἑκάστῳ.39

Del resto, «sappiamo» che gli uomini, gli altri esseri viventi, gli elementi primi ed i loro composti sono tutti — nella «loro realtà» ed uno ad uno — generati e creati da Dio. Reca il testo: ZENOZ [...] θεοῦ γεννήματα πάντα ἴσμεν αὐτὰ ἀπειργασμένα ἕκαστα. 40

Sono parimenti create e nascono «per artificio divino» le «immagini» che non sono «reali». A Teeteto, l’«Ospite» fa osservare: ΞΕΝΟΣ Τούτων dé γε ἑκάστων εἴδωλα ἀλλ᾽ οὐκ αὐτὰ παρέπεται, δαιμονίᾳ καὶ ταῦτα μηχανῇ γεγονότα. 4

36 Ibid. (in t. «produttrici [...]»: trad. Turolla, cit., p. 828; vd. trad. Giardini, cit., p. 619: «le parti restanti possono essere chiamate [...] arti che creano [«del produrre»: trad. Gentile, cit., p.

110] le immagini»). 37 Cfr. ibid., 266bd, p. 618 (ed. Plebe, cit., pp. 110-111 [ cap. 50]; trad. Turolla, cit., pp. 828-829).

38 Ibid., 266c, p. 618 (trad. Gentile, cit., p. 110: «TEETETO Sono, dunque, due queste opere della produzione divina»; uguale trad. Giardini, cit., p. 619, e vd. trad. Turolla, cit., p. 828: «[...] due tali opere di divina produzione»). 39 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 619 [in parentesi le varianti della trad. Gentile, cit., p. 110]:

«TEETETO [...] l’oggetto reale (la cosa stessa) e l’immagine che a ciascuno di essi tiene dietro (segue ciascuna di esse)»; trad. Turolla, p. 829: «TEETETO [...] la cosa vera e propria, e l’immagine o il fantasma che ciascuna cosa accompagna»). 40 Ibid., 266b, p. 618 (trad. Giardini, cit., p. 619: «OSPITE [...] [sappiamo] che sono tutte generate da dio e create da lui a una a una»; cfr. ugualmente trad. Gentile, cit., p. 111; ed anche

trad. Turolla, cit., p. 828: «[...] nella [loro realtà] tutti e ciascuno produzioni ed opere di Dio»). 41 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 619: «OsprTE Di ciascuna di queste seguono delle immagini,

non reali, ma create anch’esse da un’arte divina [«nate, anche queste, per artificio divino»: trad.

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ANCORA

SUL VERO

E SUL FALSO

NELL’EPILOGO

Ed al suo interlocutore che gli chiede quali siano queste immagini che sono da correlarsi e ugualmente da ascriversi ad un tale intervento su-

periore all’uomo stesso, l’Eleate adduce ad esemplificazione, da un canto, le «immagini nel sonno» e, dall’altro, «quante anche di giorno vengono chiamate “parvenze” naturali» e — come di consueto «si dice» — «si formano da sé». Si attesta, al riguardo, nel Sofista: vo

ς

ZENO Τά τε ἐν τοῖς ὕπνοις καὶ ὅσα μεθ᾽ ἡμέραν φαντάσματα αὐτοφυῆ λέγεται. 42

Siffatte immagini, che non si dissociano da alcuna cosa, sono come

«ombra» (σκιά)4 all’insorgere di una tenebra nel fuoco (ἐν τῷ πυρὶ σκότος)“4 od al congiungersi di due luci eterogenee su superfici lucide dove si staglia un'immagine insolita (ὄψεως ἐναντίαν αἴσθησιν παρέχον id0g).47 Nel condurre a termine il discorso sul sofista, l’Eleate tende a focaliz-

zare l’attenzione sulle cose che sono formate dagli uomini e risultano frutto dell’«arte nostra». Pone l’accento su un motivo centrale quale è quello relativo alle potenzialità dell’uomo, alla sua capacità inventiva e al suo fervore operativo. Né si trattiene dall’esclamare: Ti δὲ τὴν ἡμετέραν τέχνην;46 Espone la propria tesi e adduce prove dalla costruzione delle

case mediante l’edilizia e mediante la pittura. Postula ed enuncia che le Gentile, cit., p. 1101»; libera l’interpretazione nella trad. Turolla, cit., p. 828: «Ospite — Tutti,

nella nostra singola individualità, siamo stati prodotti quali creature di Dio»). 42 Ibid. (in τ. «immagini nel [...]», «si dice» e «si formano [...]»: trad. Gentile, cit., p. 110;

«quante anche [...]»: trad. Giardini, cit., p. 619; poetica, ma eloquente ed incisiva la trad. Turolla, cit., p. 828: «Osprre — Fantasmi e visioni di sogni e apparenze diurne che si dicono naturali»). 4 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 619).

4 Ibid, (trad. Giardini, cit., p. 619; vd. pure trad. Gentile, cit., p. 110: «si produce oscurità nel fuoco»; brillante trad. Turolla, cit., p. 828: «nel raggio luminoso s’interponga un opaco oscuro»).

45 Ibid., 266c, p. 618 (cfr. il passaggio nella trad. Giardini, cit., p. 619 [molto affine a trad. Gentile, cit., p. 110: varianti in parentesi]: «quando una doppia luce, una consueta e l’altra estra-

nea, si congiunge in una sola e su piani (convergendo su delle superfici) splendidi e levigati determina un aspetto (forma un'immagine) che provoca (dà)» — e, in riferimento al gr. nel nostro t. —: «una sensazione contraria a quella che abitualmente si aveva prima (alla vista solita)»; vd. anche l’efficace e vivida trad. Turolla, cit., p. 828: «Osprre — D’altra parte, a queste singole creature, si accompagnano immagini che non sono le creature stesse, ma ne sono l’ombra, prodotte

pur sempre da soprannaturale artificio»). 46 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 619: «E che dire dell’arte nostra, quella degli uomini?»; trad. Gentile, cit., p. 110: «E la nostra arte?»).



129—

CAPITOLO

QUINTO

opere dell’arte umana del creare e della sua «azione produttiva» (ἔργα τῆς ἡμετέρας αὖ ποιητικῆς πράξεως)“7 rinviano a due specie di arti: a quella del «produrre le cose» stesse ed in sé, ed all’altra di «produrre le immagini»: vr

ZENO [...] τὸ μὲν αὐτό, φαμέν, [αὐτουργική!, τὸ dè εἴδωλον [εἰδωλοποιυκή]. 48

Teeteto conviene con l’«Ospite straniero» su quanto è stato da lui asserito e delucidato. Come a riecheggiare o riepilogare i capisaldi teorici,

l’interlocutore dell’Eleate sollecita a riconsiderare gli aspetti della creazione. Mette in evidenza la necessità di porre «senz'altro» «in doppio modo» le due specie dell’arte del «produrre». In primo luogo, distingue l’arte divina e quella umana. Categorizza deciso: @EAITHTOZ[...] τίθημι δύο διχῇ ποιητικῆς εἴδει θείαν μὲν καὶ ἀνθρωπίνην. 49

E ciò propone «secondo un taglio netto» (κατὰ θάτερον tufjua).3° Precisa, altresì, e con enfasi, che ciascuna delle due specie medesime è da

dividere in altri due generi. Di questi, l’uno è «dedicato» a «ciò che è veramente», e, secondo un altro taglio ([...] τμῆμα, κατὰ δὲ Odtegov),?! riguarda «l’essere delle cose», τὸ μὲν αὐτῶν ὄν, che il Giardini rende «pos-

sibilità creatrice delle cose stesse».?2 L’altro, invece, si suppone sia la «produzione» delle «rassomiglianze» o «similitudini», delle «copie», tò δὲ ὁμοιωμάτων τινῶν yevvnua,?? che — ancora nella “lettura” del Giardini — è «la capacità» di produrre «cose loro somigliantissime». 41 Ibid., 266d, p. 618 (in τ. «azione [...]»: trad. Gentile, cit., p. 111, dove segue «la cosa stessa (diciamo) che la produce l’arte del produrre le cose»; trad. Giardini, cit., p. 619: «(diciamo) la cosa e avremo l’arte creatrice di cose»). 48 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 111: «TeETETO [...] diciamo [...], l'immagine l’arte del pro-

durre immagini»; cfr. trad. Giardini, cit., p. 619: «TEETETO [...] e diremo immagine e avremo l’arte creatrice di immagine»; e trad. Turolla, cit., p. 829: «TEETETO [...] una, ripetiamo, la cosa

vera e propria, un’altra la copia e l’immagine»). 49 Ibid. (in τ. trad. Turolla, cit., p. 829, molto affine a trad. Gentile, cit., p. 111; vd. anche trad. Giardini, cit., p. 619: «TEETETO [...] pongo due specie al doppio aspetto dell’arte di creazione, [...] arte divina e arte umana»). 50 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 619; e trad. Gentile, cit., p. 111). 51 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 619; trad. Turolla, cit., p. 829: «in un altro senso»). 52 Ibid. (in τ. «dedicata» e «a ciò [...]»: trad. Turolla, cit., p. 829; «l’essere [...]»: trad. Gentile, cit., p. 111; e «possibilità [...]»: trad. Giardini, cit., p. 619). 53 Ibid. (in t. «produzione» e «rassomiglianze»: trad. Gentile, cit., p. 111; «similitudini» e «copie»: trad. Turolla, cit., p. 829; «capacità» e «cose [...]»: trad. Giardini, cit., p. 619).

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ANCORA

SUL VERO

E SUL FALSO

NELL’EPILOGO

4. Punto fermo di riferimento, e per certi riguardi meta ed approdo finali dell’intera argomentazione logico-dialettica del Sofista, si crede possano ritenersi l'indagine sia sulle caratteristiche essenziali sia sulle sfaccettature delle numerose specie dell’imitazione.54 Emergono evidenti

e si evincono manifesti una forma di sicura attinenza o correlazione ed anche un collegamento diretto o una connessione stretta tra il discorso del sofista e l’arte dell’imitazione. Il risalto di ciò è dato cogliere così netto come rilevante sotto ben determinati aspetti e in definite particolarità. Sembra che l'epilogo del Sofista suggerisca che si sarà in grado di ritrovare, collocare e relegare la figura reale del sofista — non esclusiva-

mente bensì principalmente — nell’arte del produrre non vere copie ma parvenze, nel mondo cioè dell’appariscenza e dell’inganno, nella regione remota della falsità. In questo modo si perverrà ad afferrare, catturare ed infine definire il sofista nella sua autentica natura: particolarmente nella tipologia e sotto la categoria dell’«imitatore». Oltre lo spartiacque del discorso vero, un tramite di congiunzione s’instaura tra le creazioni di immagini non veridiche e l’eloquio specioso

del sedicente ma improvvido imitatore del sapiente che è il sofista, il quale, pur non sapendo, si atteggia come a colui che sappia. Nell’esteso reticolo e nel variegato intreccio dei connotati molteplici e degli elementi

propri del sofista, attraverso il ripercorso delle fasi significative e dei passaggi salienti dell’esposizione e dell’illustrazione da parte dell’Eleate, si mira a ricomporre l’immagine veritiera, non falsata né distorta, del sofista che, nell’evanescente mutabilità del suo dire, sfugge alla solidità del discorso e, al tempo medesimo, si sottrae alla coerenza come al rigore del ragionamento.

Dapprima, in un rapido ma puntuale esame sul piano formale, l’Eleate ripresenta e riformula — a vari livelli e gradi, nelle loro divisioni e suddivisioni — le pluriformi specie d’imitazioni nell’arte del fare immagini.

Quindi, riprende la trattazione sul sofista. Di questi conclude l’analisi, non senza averne tuttavia rapportato i tratti speciali a ciascuna delle

forme di imitazioni di sopra classificate ed esemplificate, in un raffronto serrato e pur sempre inteso a porre in luce l’accostabilità della sofistica ad una delle parti dell’arte dell’imitare.

54 Cfr. ibid., 266d-268c, pp. 618, 620 e 622 (ed. Plebe, pp. 111-115 [capp. 51 e 52]; trad. Turolla, cit., pp. 829-832).

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CAPFTOLO

QUINTO

In tale ottica, in una soluzione teoreticamente valida, concettual-

mente solida ed espressivamente efficace, si scandisce inequivoca la definizione ultima del sofista nel pensiero di Platone. Cosi pure, si fissa decisamente la distinzione tra il vero e il falso, la discriminante certa tra il discorso veritiero e quello mendace.

5. È l’Eleate che, a fondamento della disputa, riafferma l’assunto già promulgato dell’«essere del falso». Si sosteneva che il «falso» era da ritenere «realmente falso» (τὸ ψεῦδος ὄντως ὃν ψεῦδος)55 e, pertanto, aveva

«natura di essere un “essere”», dal momento che risultava «manifesto»

che lo stesso falso «per natura» fosse «come uno degli esseri» (καὶ τῶν ὄντων Ev τι φανείη neduxdg).?6

Né, poste le premesse, appare arduo il procedere alla disamina dei generi dell’arte del «fare immagini»: prima in una serie di passaggi attraverso due divisioni, e poi nella sequenza delle specificazioni e caratterizzazioni a proposito della mimetica. Si fa così notare che l’arte creatrice delle immagini investe due specie: l’una relativa al creare raffigurazioni o fare copie, l’altra al «far parvenze». Recita il testo platonico: ΞΕΝΟΣ Τῆς τοίνυν εἰδωλουργικῆς ἀναμνησθῶμεν ὅτι τὸ μὲν εἰκαστικόν, τὸ δὲ

φανταστικὸν ἔμελλεν εἶναι γένος. 57

Riproposte questa distinzione e l’indipendenza di ognuna delle due specie perché - si ribadisce con il Turolla — «l’errore è tale» effettiva-

mente, proprio in quanto esso risulta ed è partecipe dell’essere, si espone una seconda ripartizione. In tale modo, l’arte «suscettiva di produrre 55 Ibid., 266de, p. 618 (in t. trad. Giardini, cit., p. 619; e trad. Gentile, cit., p. 111; vd. n. seg.).

36 Ibid., 266e, p. 618 (in t. cfr. trad. Giardini, cit., p. 619, per «manifesto», «per natura» e «come uno [...]»; e trad. Gentile, cit., p. 111, per «natura di [...]»; inoltre, anche relativamente a

n. prec., vd. parafrasi esplicativa in trad. Turolla, cit., p. 829: «Ciò sarebbe avvenuto soltanto se l’errore fosse veramente errore la cui natura poi si dimostrasse partecipante dell’essere»). 57 Ibid., 266d, p. 618 (trad. Gentile, cit., p. 111: «ELEATE Ricordiamoci che in quest'arte

del fare immagini un genere doveva essere quello del far copie, l’altro quello del far parvenze [«OsprTE [...] ci doveva essere come genere, l’uno che è arte di creare le raffigurazioni e l’altro le apparenze»: trad. Giardini, cit., p. 619]»; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 829: «Osprre — Dob-

biamo ricordare ancora che l’arte di produrre una copia contiene, si disse, le due specie minori: specie che produce effettivamente questa copia; specie che produce parvenze»).

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ANCORA

SUL VERO

E SUL FALSO

NELL’EPILOGO

mere apparenze» si presenta duplice, come proclama l’«Ospite» che «viene da lontano»: ΞΕΝΟΣ Τὸ τοίνυν φανταστικὸν αὖθις διορίζωμεν δίχα. 58

Una parte «avviene» 6 «si produce» mediante strumenti: ZENO Τὸ μὲν δι᾽ ὀργάνων yıyvönevov.59

Un’altra, invece, ὃ quella di colui che, «creatore dell’apparenza» (τοῦ ποιοῦντος τὸ φάντασμα),6° «offre sé» e funge egli stesso quale strumento (παρέχοντος ἑαυτὸν ὄργανον) 6: e, tramite il suo corpo e la sua voce, fa

apparire un corpo ed una voce somiglianti a figure e a voci di quanti egli intende imitare. Questo genere si chiama imitazione o mimetica (Μιμητικὸν δὴ τοῦτο αὐτῆς προσειτόντες ἀπονειμώμεθα),5 ed essa è di

rilevanza particolare nella disquisizione sul sofista. Su di essa vertono e

convergono le considerazioni finali e le determinazioni risolutive dell’Eleate.

Anche la mimetica è da considerarsi doppia. Tra gli imitatori, alcuni sanno quello che imitano, altri no: ΞΕΝΟΣ Τῶν μιμουμένων οἱ μὲν εἰδότες ὃ μιμοῦνται τοῦτο πράττουσιν οἱ δ᾽ οὐκ εἰδότες. 63

58 Ibid., 2674, p. 620 (in t. trad. Turolla, cit., p. 829, per «l’errore [...]» e «suscettiva [...]»;

cfr. trad. Gentile, cit., p. 111: «ELEATE L’arte poi di fare parvenze, dividiamola ora nuovamente in due»; e trad, Giardini, p. 621: «L'aspetto dell’apparenza, dunque, lo dividiamo ancora una volta [...]»). 59 Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 111: «ELEATE Quella che si produce con strumenti»; trad.

Giardini, cit., p. 621: «Vi è un’apparenza che avviene per mezzo di strumenti»; non dissimile, trad. Turolla, cit., p. 829). 6 Ibid. (int. trad. Giardini, cit., p. 621, per «creatore [...]»; cfr. trad. Turolla, cit., p. 829; e

trad. Gentile, cit., p. 111: «che produce l'apparenza»). 61 Ibid. (in t. «offre sé»: trad. Giardini, cit., p. 621; e trad. Turolla, cit., p. 829; vd. trad. Gentile, cit., p. 111: «di cui si fa strumento quello stesso»).

62 Ibid. (cfr. trad. Turolla, cit., p. 829: «Chiamiamo dunque questa sezione mimetica»; e vd. anche trad. Gentile, cit., p. 112: «Prendiamo per noi questa sua parte [«Riserviamoci dunque questo aspetto dell’arte delle apparenze»: trad. Giardini, cit., p. 621] chiamandola mimetica»).

6 Ibid., 267b, p. 620 (trad. Gentile, cit., p. 112: «ELEATE Di quelli che imitano, alcuni lo fanno sapendo [«OsPrrE Alcuni imitatori compiono questa operazione sapendo bene»: trad. Giardini, cit., p. 621] quel che imitano, altri senza saperlo»; ma vd. trad. Turolla, p. 830: «Ospr-

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CAPITOLO

QUINTO

Una siffatta diairesi — puntualizza l’Eleate — riconduce alla divisione del «misconoscere» e del conoscere, dell’ignoranza e della conoscenza: ἀγνωσίας τε καὶ γνώσεως,64 si dichiara nel Sofista. Tale si ritiene sia il cri-

terio di «distinzione più seria» e «più grande» che sia dato riscontrare. Invero, ci si domanda, in forma retorica: ΞΕΝΟΣ [...] tiva μείζω διαίρεσιν [...] θήσομεν;65

Al mimeta, al quale — nel campo del sensibile — sono ben note la figura e la voce della persona che egli imita, si contrappongono — sul piano etico — i molti che indagano e, con ostentata sicurezza ma senza un’appropriata cognizione (οὐκ ἀγνοοῦντες μέν),66 discettano sulla forma (τὸ σχῆμα) 67 della giustizia e della virtü in generale (δικαιοσύνης [...] καὶ ὅλης συλλήβδην ἀρετῆς). 68. Si osserva che, purtuttavia, i più sono ben

lungi da un’adeguata comprensione dell’«aspetto» della virtü, della quale essi hanno solo una «qualche opinione», in una «raffigurazione» limitata di un qualche suo aspetto (δοξάζοντες δέ πῃ).69 Ciò nonostante, consta che sono in tanti a sforzarsi in ogni modo al fine di «far parere» come per essi la giustizia non sia una mera congettura, bensì «qualcosa di reale», mentre in loro non è null’altro che una mera «opinione». Rende in tono

vibrante il Turolla: «Tentano tutti i modi perché poi si creda che posseg-

TE — Di queste persone che imitano, ve se sono talune che per conoscenza procedono a quest’imitazione; altri, invece, agiscono senza sapere»). 6 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 621: «[misconoscere] e conoscere»; trad. Turolla, cit., p. 830: «dell’ignoranza e della conoscenza»; e trad. Gentile, cit., p. 112).

© Ibid. (cfr. trad. Gentile, cit., p. 112: «ELEATE [...] quale divisione [più grande] porremo?»; e trad. Giardini, cit., p. 621: «OspITE [...] quale [distinzione più seria] [...]?»; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 830). 66 Ibid., 267c, p. 620 (cfr. trad. Giardini, cit., p. 621: «pur non conoscendola»; e trad, Gentile, cit., p. 112: «senza conoscerla»; Turolla, cit., p. 830, rende: «Certo molti non conoscono affatto»). 61 Ibid. (ma «figura»: trad. Gentile, cit., p. 112, e «aspetto»: trad. Turolla, cit., p. 830). 6 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 621: «della giustizia e complessivamente [«in generale»: trad. Gentile, cit., p. 112] di tutta la virtù»).

69 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 621: «in qualche modo raffigurandosela»; e trad. Gentile, cit., p. 112: «avendone invece una qualche [«se ne formano non saprei come una certa»: trad. Turolla, cit., 830] opinione»).

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ANCORA

SUL VERO

E SUL FALSO

NELL’EPILOGO

gono reale presenza di ciò che è invece semplice congettura».70 Reca il testo del Sofista: ZENO [...] σφόδρα ἐπιχειροῦσιν πολλοὶ τὸ δοκοῦν σφίσιν τοῦτο ὡς ἐνὸν aτοῖς προθυμεῖσται φαίνεσθαι ποιεῖν.71:

Non sorprende poi che una siffatta condizione d’appariscenza «moltissimi» propendano a perseguire avvalendosi dei vari metodi d’imitazione: massimamente, per mezzo di opere o atteggiamenti e di voci o pa-

role. Ciò essi conseguono e realizzano grazie a questa specie d’imitazione: μάλιστα ἔργοις τε καὶ λόγοις μιμούμενοι. 72 Al riguardo, l’Eleate precisa che, di fatto, tutti «riescono» agevolmente a sembrare giusti (πάντες ἀποτυγχάνουσι τοῦ δοκεῖν εἶναι

δίκαιοι),75 pur «senza esserlo» affatto (μηδαμῶς ὄντες).74 Generalizza quindi, contraddistinguendo due specie di imitatori, l’uno ben diverso (Μιμητὴν δὴ τοῦτόν ye ἕτερον ἐκείνου)75 dall’altro. Indica l’elemento di differenziazione nella specificitä e nell’«aspetto» peculiare di ciascuno

dei due tipi di mimeta: dell’uno che non & provvisto di conoscenza alcuna, «non conosce» nulla (τὸν ἀγνοοῦντα)76 a proposito della giustizia; dell’altro, che è edotto e ha nozione (τοῦ γιγνώσκοντος) 77 degli atteggia-

menti ed accadimenti umani, del tutto consapevole — come egli è — della Τὸ Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 830).

τι Ibid. (trad. Giardini, cit., p. ogni sforzo per farla apparire come [...] cercano vivamente molti [...] di di reale] in loro»). 72 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit.,

621: «OspITE [...] sono dunque molti che [...] compiono cosa presente in essi»; trad. Gentile, cit., p. 112: «ELEATE far parere questa loro [opinione], come se fosse [qualcosa p. 621: «dandosi a imitarla in particolar modo con le opere

e con le parole»; vd. affini trad. Gentile, cit., p. 112 {«ricorrendo ad ogni imitazione di fatti e di parole»], e trad. Turolla, cit., p. 830 [«ricorrono più che possono ad imitazioni, per mezzo di pa-

role e di atteggiamenti»]). 3 Ibid. (in t. cfr. trad. Gentile, cit., p. 112: «[riescono], tutti, a parer giusti»; e trad. Giardini, cit., p. 621: «tutti ottengono di sembrare giusti»; vd. trad. Turolla, cit., p. 830, per «tentativo di sembrar giusti»). 74 Ibid. (in t. trad. Turolla, cit., p. 830; e trad. Gentile, cit., p. fatto»: trad. Giardini, cit., p. 621). 75 Ibid., 267d, p. 620 (cfr. trad. Giardini, cit., p. 621: «questo quello di prima»; molto affine trad. Gentile, cit., p. 112; cfr. anche 76 Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 621; vd. trad. Gentile, cit.,

112; «pur non essendolo afè un imitatore differente da trad. Turolla, cit., p. 830). p. 112: «nel senso che l’uno

[«in quanto»: trad. Turolla, cit., p. 830] non sa»). 77 Ibid. («che [«chi»: trad. Turolla, cit., p. 830] sa»: trad. Giardini, cit., p. 621; vd. trad. Gentile, cit., p. 112).

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CAPITOLO

QUINTO

sua realtä mondana e contingenza storica, specie in rapporto alle problematiche tanto della giustizia quanto della virtü nella totalitä delle loro valenze ed estensioni. 6. A sintesi delle previe argomentazioni, ad epilogo delle deduzioni parziali e dei risultati particolari, nel capitolo LII,78 l’Eleate s’appresta a formulare quella che è da intendere e recepire come l’analisi conclusiva e la definizione vera che Platone diede del sofista. Questa l’Ateniese tramandò alla storia della filosofia, della linguistica e, di non meno significa-

tivo rilievo, alla storia della logica. È il Filosofo stesso a rivendicare a sé il merito indiscusso di essere stato il primo a enucleare ed elaborare sul piano teorico — e, non altrimenti, ad applicare nei suoi scritti — «l’arte della divisione concettuale»,79 la διαίρεσις. Questa «arte» diairetica da allora ebbe a diffondersi nell’ Accademia e, successivamente, anche altrove, nel mondo occidentale. È per bocca

dell’Eleate che Platone pone in rilievo — e di fatto denuncia — che, presso i suoi predecessori (τοῖς ἔμπροσθεν),80 si denotava e si manifestava una così antica e tradizionale come dissennata ed «irragionevole» «trascuranza» o «indolenza» (παλαιά τις, ὡς ἔοικεν, [...] ἀργία [...] καὶ

ἀσύννους παρῆν)81: in riferimento all’arte del distinguere i generi in specie, o più propriamente, «secondo gli aspetti» (τῆς τῶν γενῶν κατ᾽ εἴδη διαιρέσεως). 82 Ne derivava che nessuno cercasse o si accingesse a compiere divisione alcuna, come testimonia il testo: ZENOZ [...] ὥστε μηδ᾽ ἐπιχειρεῖν μηδένα διαιρεῖσθαι. 83

78 Cfr. ibid., 267d-268d, pp. 620 e 622 (ed. Plebe, pp. 113-115 [cap. 52]; trad. Turolla, cit.,

pp. 830-832).

79 Cfr. ibid. (ed. Plebe, pp. 112-113, n. ad loc, 267de: cfr., in specie, p. 112). 80 Ibid., 267d, p. 620 (cfr. trad. Giardini, cit., p. 621: «in quelli che se ne sono occupati prima»; trad. Gentile, cit., p. 113: «quelli prima di noi»). 81 Ibid. (in τ. «irragionevole» e «trascuranza»: trad. Gentile, cit., p. 113; vd. trad. Giardini, cit., p. 621: «come pare, c’era un’antica e stolta indolenza»; e trad. Turolla, cit., p. 830: «[...] in-

veterata e inconsiderata pigrizia»). 82 Ibid. (in τ. «secondo [...]»: trad. Giardini, cit., p. 621; cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 113: «della divisione dei generi in specie»; trad. Turolla, cit., p. 830). 8 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 621: «Osprre [...] tanto che nessuno ha posto mano a effettuare la distinzione»; vd. trad. Gentile, cit., p. 113: «al punto che nessuno cercava nemmeno di

dividere», e trad. Turolla, cit., p. 830: «OsPITE — [...] tanto da non pensare alla divisione dei generi e delle specie»).



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ANCORA

SUL VERO

E SUL FALSO

NELL’EPILOGO.

Sulla base della tecnica o arte della diairesi in ambito logico, in virtü dell’acquisizione del processo dialettico della «partecipazione» o «comunanza» delle specie a livello ontologico, come pure infine grazie al fattore precipuo o elemento caratterizzante che si impernia sul principio del sapere o non sapere, — per l’Eleate diviene giocoforza l’ardire un’ulteriore divisione dell’imitazione. L’«Ospite» che «viene da lontano» stabilisce pertanto, da un canto, una «dossomimetica» o «opinimitazione» che si effettua tramite opinione, e, dall’altro, una «mimetica scientifica» o «imitazione cognitiva» che si realizza e si svolge mediante una «cognizione esatta» di quel che si imita.

Egli instaura per ciò una nuova diairesi, e denomina le due forme di questa distinzione: ZENO? [...] διαγνώσεως ἕνεκα τὴν μὲν μετὰ δόξης μίμησιν δοξομιμητικὴν προ-

σείπωμεν, τὴν δὲ μετ᾽ ἐπιστήμης ἱστορικήν τινα μίμησιν. 85

Nei limiti dell’arte dell’imitazione, si approda alla precisazione dei tratti propri e alla delineazione delle sembianze uniche del sofista. Lo si colloca non tra quanti sanno, ma tra coloro che imitano; ed infatti, egli non è posto ἐν τοῖς εἰδόσιν, bensì ἐν τοῖς μιμουμένοις. 8 Nell’esame della natura del sofista e nell’indagine sul ruolo che gli compete nel novero dei dossomimeti od opinimitatori, l’Eleate paragona il nostro personaggio ad un pezzo di ferro. Ne ricerca e coglie più di una διπλόη: 86 cioè, più di una

tacca, piega o «geminazione», vero e proprio strumento di fusione che crea una «doppia struttura» nel metallo. S’incorre così nella rappresenta-

zione della duplicità della specie del dossoimitatore che viene riconsiderata e riprospettata attraverso successive divisioni in generi.

84 Ibid., 267de, p. 622 (in τ. «dossomimetica» e «[...] cognitiva»: trad. Giardini, cit., p. 623; «opinimitazione», «[...] scientifica» e «[...] esatta»: trad. Turolla, cit., p. 831; cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 113: «ELEATE [...] chiamiamo arte della dossomimetica l’imitazione mediante

opinioni, e invece imitazione, in qualche modo, scientifica quella che si fa mediante scienza»). 8 Ibid., 267e, p. 622 (cfr. trad. Giardini, cit., p. 623: «tra chi sa» / «tra chi imita»; e trad. Gentile, cit., p. 114: «di quelli che sanno» / «di quelli che imitano»; vd. anche trad. Turolla, cit.,

p.831).

86 Cfr. ibid.: Τὸν δοξομιμητὴν δὴ σκοπώμεθα ὥσπερ σίδηρον (trad. Giardini, cit., p. 623: «Ora esaminiamo il “dossoimitatore” come un ferro». A tale analisi — prosegue l’Eleate — induce l’intento di scoprire, a riguardo del personaggio raffigurato nel «pezzo di ferro» (cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 831), «se è sano o se ha ancora in sé una tacca» (trad. Gentile, cit., p. 114; t. gr. ibid.: εἴτε ὑγιὴς εἴτε διπλόην ἔτ᾽ ἔχων τινά ἐστιν ἐν αὑτῷ).

— 157] -

CAPITOLO

QUINTO

7. A preliminare diairesi, si riporta la distinzione per cui si tracciano i profili dei due tipi-base dell’imitatore mediante opinione. Si vengono a configurare un imitatore semplice (τὸν μὲν ἁπλοῦν μιμητήν) 87 ed uno ironico o «dissimulante» (τὸν δὲ eipwvinöv μιμητήν).88 Il primo, anche sciocco 0 «balordo», è convinto o «crede di sapere» veramente le cose che semplicemente opina. In tal modo - si riferisce nel Dialogo — EENOZ[...]6 μὲν γὰρ εὐήθης αὐτῶν ἐστιν, οἰόμενος εἰδέναι ταῦτα ἃ δοξάζει. 89

Il secondo, l’ironico e il dissimulante, l’«altra figura», nell’aggirarsi abilmente e nel destreggiarsi nei discorsi fino al punto di distorcerli quando non di «stravolgerli», nutre in sé «diffidenza» se non sospetto, apprensione se non «paura». Questo mimeta non può sottrarsi al peso

che su di lui grava a causa della chiara coscienza che egli ignori le cose che dinanzi agli altri presume di sapere, ostentandosi conoscitore provetto dei temi e — per avvalerci del più libero ma efficace eloquio del Tu-

rolla — degli «argomenti sui quali recita di fronte agli altri la parte dell’uomo esperto e sapiente»,90

Nitido ed incisivo risuona quanto tramanda il testo: SENO [...] τὸ δὲ θατέρου σχῆμα διὰ τὴν ἐν τοῖς λόγοις κυλίνδησιν ἔχει πολλὴν ὑποψίαν καὶ φόβον ὡς ἀγνοεῖ ταῦτα ἃ πρὸς τοὺς ἄλλους ὡς εἰδὼς ἐσχημάτισται. 5:

Neppure nel caso d’intraprendere ad esaminare le peculiaritä dell’imitatore ironico, l’Eleate si astiene dal segnalare un genere duplice. Fa 87 Ibid., 2684, p. 622 (cfr. trad. Turolla, cit., p. 831: «semplice imitatore»; e trad. Gentile, cit., p. 114). 88 Ibid. (cfr. trad. Turolla, cit., p. 831: «imitatore dissimulante»; «[...] ironico» in trad. Giardini, cit., p. 623; e trad. Gentile, cit., p. 114). 89 Ibid., 267e-268a, p. 622 (trad. Gentile, cit., p. 114: «ELFATE [...] Perché l’uno di essi è

ingenuo e crede di sapere quel che opina»; trad, Giardini, cit., p. 623: «OsprrE [...] Una fra queste è l'imitazione del balordo, che [crede di sapere] quello di cui ha appena un’opinione»; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 831). % Cfr. ibid., 268a (trad. Turolla, cit., p. 831).

91 Ibid. (cfr. trad. Gentile, cit., p. 114: «ELEATE [...] Plaltra figura], destreggiandosi nei ragionamenti, ha molta [diffidenza] e [paura] di non sapere ciò che di fronte agli altri figura di sapere»; ma nella sua puntualità, articolata e chiarificatrice, vd. ugualmente trad. Giardini, cit., p.

623: «OSPITE [...] quanto ai lineamenti ostentati dall’altro, per l’incessante stravolgimento che opera nei ragionamenti, ha sempre molto sospetto e timore di non conoscere quelle cose per le quali di fronte agli altri si atteggia come uno che le conosce bene»).



138—

ANCORA

SUL VERO

E SUL FALSO

NELL’EPILOGO

riferimento al mimeta «dissimulante» che viene presentato come «capace» di «ironeggiare» — e persino «darla da bere» — in pubblico, alle masse ed alle moltitudini (τὸν μὲν δημοσίᾳ te [...] πρὸς πλήθη δυνατὸν eiowvebeodaı),?2 con discorsi lunghi, paludati e, non di rado, ridondanti (μακροῖς Aöyoıs).” In costui l’Eleate ravvisa l’«oratore da comizio» o il

«demagogo» (ènuoroyixév).94 Tuttavia, è sulla presa in considerazione dell’altra specie dell’imitatore ironico che all’Eleate preme porre l’enfasi e rivolgere l’attenzione sua particolare, perché è lì che s’annida il sofista vero. Codesto secondo genere di mimeta spicca eminente. Si distingue e si segnala per la sua riconosciuta capacità d’indurre l’interlocutore ad un punto tale da «costringerlo» a doversi contraddire con se stesso. L’«Ospite» che «viene da lontano» indica questo tipo di imitatore come τὸν δέ [..1 ἀναγκάζοντα τὸν προσδιαλεγόμενον ἐναντιολογεῖν αὐτὸν αὑτῷ,55 operante in privato e con discorsi brevi (ἰδίᾳ τε καὶ βραχέσι λόγοις).96 De-

finitolo un politico (noAıtınöv),?” a Teeteto fa sostenere che non lo si può denominare sapiente (Τὸ μέν που σοφόν ἀδύνατον),38 dal momento che, in antecedenza, si è dichiarato e «concordato» che egli «non sa nulla» (οὐκ εἰδότα αὐτὸν ἔθεμεν).99 L’Eleate conclude asserendo che — essendo il sofista un imitatore del sapiente (μιμητὴς δ᾽ ὧν τοῦ σοφοῦ) 100 — risulta congruo ed appare necessario chiamarlo con un nome che assomigli a

92 Ibid., 268b, p. 622 (cfr. trad. Giardini, cit., p. 623, per «[capace] di fare ironia»; trad.

Gentile, cit., pp. 114-115: «l’uno [capace] di [ironeggiare] in pubblico [...] alle masse»; e trad. Turolla, cit., p. 831: «in quanto [capace] di [darla da bere] nelle pubbliche riunioni [...] alle folle»). 9 Ibid. (cfr. trad. Gentile, cit., p. 114; trad. Giardini, cit., p. 623). % Ibid. (in τ. «demagogo»: trad. Giardini, cit., p. 623; «oratore [...]»: trad. Turolla, cit.,

p. 831). Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 115: «(Scorgo) [...] l’altro costringere l’interlocutore [...] a contraddire [«venire («trovarsi» in trad. Turolla, cit., p. 831) in contraddizione con»: trad. Giardini, cit., p. 623] se stesso»). 96 Ibid. (vd. trad. Turolla, cit., p. 831: «nella vita privata: con brevi discorsi»; «in privato [...]»: trad. Gentile, cit., p. 115).

9 Ibid. («uomo politico»: trad. Gentile, cit., p. 115; e trad. Turolla, cit., p. 831; cfr. pure trad. Giardini, cit., p. 623). % Ibid. (trad. Gentile, cit., p. 115: «Sapiente: è impossibile»; trad. Giardini, cit., p. 623; e trad. Turolla, cit., p. 832: «È impossibile chiamarlo [...]»).

Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 623: «abbiamo posto che non sa («sappia»: trad. Gentile, cit., p. 115)»; e cfr. anche la libera trad. Turolla, cit., p. 832: «Non abbiamo già concordato

ogni cosa? È un uomo che non sa nulla»). 100 Ibid., 268c, p. 622 (trad. Giardini, cit., p. 623: «siccome è un imitatore del sapiente»).



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CAPITOLO

QUINTO

quello di chi veramente sa, designarlo con un titolo che verbalmente non si discosti molto da quello che si conferisce al «sapiente», al σοφός. 8. «Sofista» è pertanto l'appellativo appropriato che «veramente» e «realmente» si addice al «nostro personaggio», ne raffigura le sembianze, ne restituisce la fisionomia e ne ricompone l’immagine, pur nella complessità delle forme come nella pluralità delle valenze. È così che, a seguito e a epitome dell’ampia trattazione, l’Eleate non esita a persuadere ed esortare il suo interlocutore a testimoniare e a professare come Egli

stesso abbia ormai acquisito una comprensione adeguata della natura del sofista. Teeteto assevera, in tal senso: @EAITHTOZ [...] μεμάθηκα ὅτι τοῦτον δεῖ προσειπεῖν ἀληθῶς αὐτὸν ἐκεῖνον τὸν παντάπασιν ὄντως σοφιστήν. 191

In un intento non velato di raccordo accurato e di connessione coerente delle parti, in una variegata unitä di trattazione e organicitä di articolazione, è l’Eleate a mettere in evidenza sia la priorità che la centralità dell'indagine relativa ai caratteri essenziali ed agli aspetti esclusivi della figura del sofista, che si tratteggia nello svolgimento del Dialogo, ed in specie nello snodarsi dei suoi nuclei tematici. È nell’ottica di questa finalità precipua che si crede possa leggersi l'affermazione nella quale si vengono a propugnare l'opportunità e la possibilità di «incatenare» «ancoτᾶ, come prima» (συνδήσομεν αὐτοῦ, καθάπερ ἔμπροσθεν) 192 il sofista, di «saldarne» il nome (τοὔνομα) 192 «combinandolo» o concatenandolo (συμπλέξαντες) 104 dalla fine al principio (ἀπὸ τελευτῆς ἐπ᾽ ἀρχήν). 195 Nella sublimitä e acutezza di pensiero che fu del Platone degli ultimi

anni, come anche tanto nella consequenzialitä logica e nel rigore argo101 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 623: «TEETETO [...] ho capito ormai che lui è proprio quello che occorre chiamare [realmente ] e [veramente] “sofista”»; cfr. anche trad. Gentile, cit., p. 115:

«TEETETO [...] ho già quasi capito che costui lo si deve veramente chiamare il vero e proprio “sofista”», a cui è affine trad. Turolla, cit., p. 832: «TeETETO - [...] Anzi, ho già capito quasi; si tratta di chiamare questo [personaggio] col nome vero e proprio di sofista»). 102 Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 623: «lo incateneremo ancora, come prima»; vd. trad. Turolla, cit., p. 832). 105 Ibid. (cfr. trad. Gentile, cit. p. 115: «salderemo [...] il suo nome combinandolo»; vd. an-

che trad. Turolla, cit., p. 832: «Leghiamo allora questo nome»). 104 Ibid. («concatenando»: trad, Giardini, cit., p. 623). 105 Ibid. (in τ, trad. Gentile, cit., p. 115; cfr. trad. Turolla, cit., p. 832: «risalendo dalla fine

al principio»).

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ANCORA

SUL VERO

E SUL FALSO

NELL’EPILOGO

mentativo, quanto nella pluricomprensività di motivi importanti o nessi significativi, e infine nell’efficace vigore espositivo — indelebile si scolpisce nella mente la definizione del «sofista» «verace» e «genuino» che il Filosofo ateniese testimonia egli sia «realmente» (τὸν ὄντως σοφιστὴν εἶναι). 196 Questo proclama, che il Fondatore dell’Accademia trasmise al-

l'Occidente come uno dei fondamenti teoretici e uno degli assunti primari sia nella speculazione filosofica che nell’analisi linguistica, per oltre

due millenni ha costituito il tema ispiratore ed il motivo propulsore di profonde riflessioni e di nobili elevazioni. 9. Nel corso della storia, l’attribuzione di «sofista» è stata intesa

quale espressione simbolica e titolazione emblematica di un mondo circoscritto, e a volte non distante né dissimile da quello del falso e della menzogna, in una dimensione di parvenza così illusoria come evane-

scente. A vibrante reiterazione della denuncia platonica, questa categorizza-

zione è non di rado riemersa come la condanna risoluta di una sedicente «arte sofistica» che, nell’ambito angusto e ristretto della semplice opi-

nione, altro non si rivela che un’agguerrita «tecnica» d’indurre l’interlocutore all’autocontraddizione: e ciò, mediante l’abilità nel discorrere e la

capziosità nell’argomentare. Lungo i secoli, di volta in volta, si è rinnovata la critica all’inconsistenza di una così appariscente come vacua correttezza formale. Non sorretta da validità di principi né da solidità con-

cettuale, questa forma di inappuntabilità è venuta ad apparire, e anche a configurarsi, come puntellata su meri lenocini verbali, su non sempre nitide esercitazioni, e talora su ambigui o «duplici» virtuosismi anche d’ordine logico. In chiusura del Dialogo e a riepilogo dei temi trattati, la natura, l'identità e le particolarità del sofista vengono riproposte in rapida ma icastica scansione, in ordine inverso a quello secondo cui erano state

esposte in precedenza. In primo luogo, il sofista è da classificare come un imitatore dell’arte della contraddizione nella specie dell’ironia. Collocandosi in questa «sezione dissimulante», egli si presenta un mimeta di «mera opinione», 17 un opinimitatore o dossoimitatore che, pur nell’avvalersi

delle sue facoltà raziocinanti, astrae spesso da idealità filosofiche e da ca106 Ibid., 268d, p. 622 (in t. cfr. trad. Giardini, cit., p. 623: «(chi dicesse che) è il sofista [verace]»; «genuino»: trad. Turolla, cit., p. 832; trad. Gentile, cit., p. 115: «(si dirà), certo nel modo

più vero, che sia [realmente] il sofista»). 107 Cfr. ibid., 268c, p. 622 (trad. Turolla, cit., p. 832).

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CAPITOLO

QUINTO

noni etici. È relegato al piano vacillante dell’opinabile. Nel sofista si impersona colui che compie prodigi nel «genere delle parvenze» (τοῦ φανταστικοῦ γένους) 198 che promana dall’arte del creare e produrre immagini (ἀπὸ τῆς εἰδωλοποιικῆς).105 Vi si dipinge — specifica il Turolla nella sua lettura ed esegesi — «un tale» del tipo dell’«arte atta a dar origine a parvenze». 11° Quando non vi è ricondotta direttamente, la pratica sofistica è ricollegata all’arte del «creare» e della «produzione»: specificatamente, alla parte «umana»

ἀνθρωπικὸν

τῆς

e non «divina» di essa (où θεῖον ἀλλ᾽

ποιήσεως).

I «mirabilia»

(τὸ

θαυματοποινκὸν

μόριον), 112 a cui il sofista dà opera, avvengono nei discorsi (ἐν λόγοις), 113

e per mezzo di questi si esplicano e si manifestano. Per ciö stesso, investono i «ragionamenti». A suggello, oltre che a sintesi dell'intera dissertazione, Platone atte-

sta solenne e avvalora per certo: ZENO Τὸ δὴ τῆς ἐναντιοποιολογικῆς εἰρωνικοῦ μέρους τῆς δοξαστικῆς μιμη-

τυκόν, τοῦ φανταστικοῦ γένους ἀπὸ τῆς εἰδωλοποιικῆς οὐ θεῖον ἀλλ᾽ ἀνθρωπικὸν τῆς ποιήσεως ἀφωριομένον ἐν λόγοις τὸ θαυματοποιικὸν μόριον. 114

108 Ibid. (in τ. trad. Gentile, cit., p. 115; trad. Giardini, cit., p. 623: «del genere dell’apparenza»).

109 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 623: «quella di creare immagini»; vd. anche trad. Gentile, cit., p. 115).

110 Cfr. ibid. (trad. Turolla, cit., p. 832). 111 Ibid., 268d, p. 622 (vd. trad. Giardini, cit., p. 623: «che è umana e non divina e appartiene all’arte del creare»; «produzione»: trad. Gentile, cit., p. 115; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 832: «dell’arte di produzione, umana tuttavia, non divina»). 112 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., 623: «parte che crea “mirabilia”»; trad. Turolla, cit., p. 832: «la sezione deceptiva»; vd. infra, n. 114, trad. Gentile, cit.).

133 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 623; trad, Turolla, cit., p. 832: «per mezzo di [discorsil»; vd. infra, n. 114, trad. Gentile, cit.). 114 Ibid., 268cd, p. 622 (trad. Gentile, cit., p. 115: «L’imitare dell’opinione nella parte iro-

nica dell’arte della contraddizione, la porzione del far prodigi coi [ragionamenti] nel [genere delle parvenze] dell’arte delle immagini questa parte, non divina ma umana, della [produzionel»; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 623, e trad. Turolla, cit., p. 832).

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APPENDICE

DEL VERO E DEL FALSO NEL CRATILO*

1. Di recente la Bettetini! ha così criticamente come sapientemente posto in risalto la difficoltà non solo di evincere o avvertire il valore oggettivo della verità, bensì ugualmente di percepirla attraverso l’eloquio di

chi emette parola. Si pensa ci si imbatta nella difficoltà che si può riscontrare nella decifrazione o decodificazione — più che nella interpretazione o lettura — del corrispettivo adeguato e della significatività pregnante di quella res che — di fatto ed in una sua particolare accezione e propria valenza — venga a sostanziare, animare, vivificare il verbum che ne designa la realtà e ne indica il senso. L’oggettivismo è argomento precipuo del nostro intervento. Esso, da

oltre due millenni, da più parti è stato additato quale punto di riferimento e motivo d’ispirazione, quando non abbia esercitato fascinosa forza d’attrazione persino nello sviluppo delle idee e nell’evolversi del pensiero umano. La complessità della problematica che scaturisce o si correla ai diversi tentativi di generalizzazione o categorizzazione delle opinioni sulla menzogna, è collegata alla necessità che nella disputa l’enfasi venga posta

non sulla bugia in sé e per sé, bensì sulla persona di colui che mente.? ΑἹ di là della considerazione dei principi sommi, degli assunti univer-

sali cui si tende e propende con la mente, la menzogna propriamente * Purin una certa qual consistenza di variazioni di ordine minore e di aggiunte per lo più relative a riscontri testuali, nella pressoché totale integrità delle sue parti il contenuto di questa Appendice è apparso originariamente in «Bérénice», X, 26 (luglio 2002), pp. 43-64. L’articolo è risultato da un intervento dell’Autore al «Convegno Internazionale di Arti Comparate. IV: La Menzogna (Università degli Studi “G. d'Annunzio”. Dipartimento di Studi Comparati, Pescara, 5-9 Novembre 2001)». In rapporto alla trattazione di base su Platone, nell’intervento, i $$ 1-2 costituivano una premessa relativa al topos della menzogna nel mondo classico greco-latino. 1 M. BerrenmI, Breve storia della bugia. Da Ulisse a Pinocchio, Milano, Raffaello Cortina editore, 2001.

2 Cfr. ibid., p.3: «Nel corso di questo lavoro si cercherà di trattare solo di ciò che è ritenuto vero o falso, non del vero o del falso in sé».

3 Cfr. ibid., p. 14: «la menzogna non dipende dalla falsità o verità di ciò che viene detto [p. 11: delle cose], ma dall’intenzione di colui che dice».

_ 15—

APPENDICE

detta & da imputare alla volontä di chi, nell’intento inequivoco di ingannare (per Agostino il mendacium è voluntas fallendi),4 si proponga il perseguimento di un presunto utile personale o beneficio soggettivo. Nella seconda metà del II sec. d.C., a termine della classicità — già conclusasi — del mondo greco prima ed alessandrino poi, come a sintesi

culturale ed in chiave di analisi e valutazione critica, nel tono suo peculiare ed in vivace propensione demitizzante, è un satirico — raffinato osservatore della storia della cultura e dei costumi, Luciano di Samosata — che, in termini netti e recisi, denuncia e stigmatizza come — nei vari generi

letterari, nei paradigmi o modelli di più alta epopea o di più puro lirismo — i testi greci fossero intrisi di menzogna. Oltre il proponimento di riconoscere, consacrare e come solennizzare una consuetudine letteraria plurisecolare, Luciano innalza un inno alla bugia ed alla falsità nella raffigurazione artistica e nella creazione poetica, quasi nobilitandole nel crogiolo stesso della civiltà e delle conquiste perseguite nell’incedere maestoso ed inarrestabile dell’umanità, sulla via del progresso e della dignità nell’autodeterminarsi. In un’opera dal titolo provocatoriamente menzognero, Storie vere, nel 170 ca. d.C., Luciano espone un suo programma definito, quasi un

manifesto critico-letterario. Dichiara infatti in 1.2: «Non sarà solo infatti ad affascinarli la singolarità del soggetto e la piacevolezza della intenzione, né il fatto che abbiamo presentato in modo persuasivo e veritiero ogni sorta di menzogna»; e in 1.3: «Precursore e maestro di simili fanfaronate

fu l’Odisseo di Omero».$ Specifica inoltre (1.4) di non biasimare gli au4 Cfr. Ausustmus, De mendacio, 3.3 e 4.4, ora in A. Agostino, Sulla bugia. Introd., trad., note e apparati a cura di M. Bettetini, Milano, Rusconi Libri, 1994. Per 3.3, cfr. p. 30: «Ex animi enim sui sententia, non ex rerum ipsarum veritate vel falsitate mentiens aut non mentiens iudi-

candus est» (trad. Bettetini, p. 31: «È dunque dall’intenzione dell’animo e non dalla verità o falsità delle cose in sé che bisogna giudicare se uno mente o non mente»); per 4.4, vd. p. 32: «mendacium non est nisi aliquid enuntiatur voluntate fallendi» (trad. Bettetini, p. 33: «la bugia non è data da altro che da una cosa detta con la volontà di ingannare»), e ancora: «ex animi sui sententia iudicandi sunt» (trad. Bettetini, p. 33: «bisogna giudicarli dall’intenzione del loro animo»). Incisiva e come scultorea la categorizzazione a p. 34: «mendacium est quaelibet enuntiatio cum voluntate fallendi» (trad. Bettetini, p. 35: «la bugia è un’affermazione qualunque fatta con la vo-

lontà di ingannare»). 5 Luciano, Storie vere. Introd., trad. e note di Q. Cataudella, t. gr. a fronte, Milano, R.C.S., Libri e Grandi Opere («I grandi Classici latini e greci, diretti da G. Giovannini»), 1994, 1.2, p. 52: οὐ γὰρ μόνον τὸ ξένον τῆς ὑποθέσεως οὐδὲ τὸ χαρίεν τῆς προαιρέσεως ἐπαγωγὸν ἔσται αὐτοῖς

οὐδ᾽ δτιψεύσματα ποικίλα πιθανῶς τε καὶ ἐναλήθως ἐξενηνόχαμεν (trad. it. p. 53). 6 Ibid., 1.3, ed. cit., p. 54: ἀρχηγὸς δὲ αὐτοῖς καὶ διδάσκαλος τῆς τοιαύτης βωμολοχίας ὃ τοῦ

Ὁμήρου Ὀδυσσεύς (trad. Marziano-Verdi, in Luciano, Dialogbhi e storie vere [«Gum. Nuova serie»], a cura di N. Marziano e G. Verdi, Milano, Mursia, 1999, p. 399. Cataudella, ed. cit., p. 55,

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tori «per il fatto che mentivano, vedendo che questa era ormai un’abitudine anche di quelli che si professavano filosofi»; quindi: «mi meravigliai di questo, che credevano che gli altri non si sarebbero accorti che essi scrivevano cose non vere».? Confessa infine: «mi sono volto anch’io alla menzogna, ma a un tipo di menzogna molto più onesto che quello degli altri. Giacché almeno in questo solo sarò veritiero, dicendo

che mento». Recita invero il testo, a questo riguardo: ἐπὶ τὸ ψεῦδος ἐτραπόμην πολὺ τῶν ἄλλων εὐγνωμονέστερον’ κἂν Ev γὰρ δὴ τοῦτο ἀληθεύσω λέγων ὅτι ψεύδομαι. 8 ᾿

Sempre al paragrafo 4 del libro I, è Luciano a «riconoscere» (αὐτὸς ὁμολογῶν) 9 di non asserire né pronunciare alcunché che corrisponda al vero (μηδὲν ἀληθὲς λέγειν). 19 Non si fa schermo dal premonire i lettori su come sia da considerare inderogabile il non prestare fede alle sue narrazioni, dal momento che è egli stesso a far presente e testimoniare che i suoi scritti si riferiscono «a cose che» egli «né vide né provò né apprese da altri» (περὶ ὧν μήτε εἶδον μήτε ἔπαθον μήτε παρ᾽ ἄλλων ἐπυθόμην),1! ma che vertono, invece, su quanto non esiste «affatto», e neppure puö

esistere di per sé. Testimonia il testo: ἔτι δὲ μήτε ὅλως ὄντων μήτε τὴν ἀρχὴν γενέσθαι Suvapévav.12

rende: «Loro primo duce, e maestro di tale ciarlataneria, è l'Ulisse di Omero», αἱ ll. IX-XII delLOdissea). ? Ibid, 14, ed. cit., pp. 54 e 56: τούτοις οὖν ἐντυχὼν ἅπασιν, τοῦ ψεύσασθαι μὲν οὐ σφόδρα τοὺς ἄνδρας ἐμεμψάμην, ὁρῶν ἤδη σύνηθες ὃν τοῦτο καὶ τοῖς φιλοσοφεῖν ὑπισχνουμένοις: ἐκεῖνο δὲ

αὐτῶν ἐθαύμασα, εἰ ἐνόμιζον λήσειν οὐκ ἀληθῆ συγγράφοντες (in t. trad. Cataudella, cit., pp. 55 e 57; cfr. anche trad. Marziano-Verdi, cit., p. 399: «Comunque, quando lessi le pagine di tutti questi scrittori, non li biasimai duramente per il fatto di aver mentito, perché mi ero accorto che

questa era ormai un’abitudine anche di quelli che si piccavano di filosofare; piuttosto mi meravigliò la presunzione che passasse inosservato il fatto che scrivevano frottole»). 8 Ibid., p. 56 (in t. trad. Cataudella, cit., p. 57; ma vd. pure trad. Marziano-Verdi, cit., p.

399: «mi sono dato anch’io a inventare ma molto più onestamente degli altri nel senso che, dicendo di mentire, 9 Ibid. (trad. stesso»). 10 Ibid. (trad. di vero»). 11 Ibid. (trad.

dirò la verità almeno in questo»). Cataudella, cit., p. 57; e trad. Marziano-Verdi, cit., p. 399: «riconoscendo io Cataudella, cit., p.57; e trad. Marziano-Verdi, cit., p. 399: «di non dire niente Cataudella, cit., p. 57; e trad. Marziano-Verdi, cit., p. 399: «[...] vidi né pro-

vai né appresi [...]»).

12 Ibid. (stessa trad. Cataudella, cit., p. 57, e trad. Marziano-Verdi, cit., p. 399: «e inoltre di cose che non esistono affatto, e che non possono assolutamente esistere»).

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APPENDICE

Non sorprendono, pertanto, l’insistente esortazione ed il reiterato appello che l'Autore rivolge acciocché ci si predisponga a «non credere per nulla» a quanto egli scrive e tramanda nelle Storie, da lui denominate vere. Infatti, διὸ δεῖ τοὺς ἐντυγχάνοντας μηδαμῶς πιστεύειν αὐτοῖς. 13

In lingua greca la celebrazione della bugia trova la sua rappresentazione significativa per antonomasia in un breve trattato, ancora di Luciano, ne Gli innamorati della menzogna o l’incredulo: Φιλοψευδεῖς ἢ

᾿Απίστων [Philopseudeis], databile fra il 165 e il 170 d.C., durante il periodo ateniese dell’ Autore. Per altro, che il grado di attendibilità e credibilità delle imprese narrate dai Greci non fosse di certo elevato lo avevano già sostenuto i Latini. 2. Nell'ambito della letteratura latina, ed ix prizzis nella comoedia, nel Miles gloriosus Plauto tramandava alla posterità un esempio prototipico, un'espressione eloquente ed un’opera poetica emblematica, tutta dedita

al tema della menzogna. Sulla dubbiosa sincerità degli Argivi, prima ancora del classico «Timeo Danaos et dona ferentes» !* virgiliano ricorre pacato ma ineludibile

il giudizio di Cicerone nella sua orazione Pro L. Valerio Flacco. In essa si puntualizza (4.9): «Verum tamen hoc dico de toto genere Graecorum: tribuo illis litteras, do multarum artium disciplinam, non adimo sermonis

leporem, ingeniorum acumen, dicendi copiam, denique etiam, si qua sibi alia sumunt, non repugno: testimoniorum religionem et fidem numquam ista natio coluit, totiusque huiusce rei quae sit vis, quae auctoritas, quod pondus, ignorant». 15

13 Ibid. (cfr. trad. Cataudella, cit., p. 57; trad. Marziano-Verdi, cit., p. 399: «Perciò occorre

che i miei lettori non ci credano per nulla»). 14 Cfr. P. VererLius ΜΑΒΟ, Aeneis, II, 49: «Quidquid id est, timeo Danaos et dona feren-

tes», dichiara Laocoonte al fine di dissuadere i Troiani dall’accogliere il cavallo in città. Cfr. anche L.A. SENECA, Agamemnon, 628, per il «Danaumque fatale munus»; e D.I. IuvENALIS, Sat

rae, X.173-175: «Creditur olim / velificatus Athos et quidquid Graecia mendax / audet in historia». Per questo topos di una Grecia falsa e menzognera, che «non conosce» nulla di «degno di fede», cfr. 15 M. rio Flacco, rino, Utet,

EURIPIDES, Iphigenia Taurica, 1205: πυστὸν Ἑλλὰς οἶδεν οὐδέν. T. Cicero, Pro L. Valerio Flacco, 4.9. Trad. it. in: M.T. CiceRrONE, I» difesa di Valein In., Le Orazioni («I Classici Latini, diretti da I. Lana»), a cura di G. Bellardi, To1996 (1981!), II, p. 1039: «ecco quel che io affermo a proposito dei Greci nel loro

complesso: concedo loro la cultura letteraria, riconosco la conoscenza di molte arti, non tolgo loro la grazia della lingua, l’acutezza d’ingegno, l'abbondanza di parola e, per finire, se si arrogano degli altri meriti, non mi oppongo. Per quanto concerne, però, la scrupolosa lealtà nelle deposizioni testimoniali, è una virtü che codesta nazione non ha mai coltivata, anzi ne ignora totalmente il significato, il valore, l’importanza».

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E, sull’orma dell’Arpinate, nella sua Institutio oratoria, II, 4.19, sugli

Scriptores che dovrebbero improntare la loro narrazione alla veridicitä dei fatti reali, Quintiliano lamenta che «Graecis historiis plerumque poe-

ticae similis licentia est. Saepe etiam quaeri solet de tempore, de loco, quo gesta res dicitur, nonnumquam de persona quoque, sicut Livius frequentissime dubitat et alii ab aliis historici dissentiunt». 16 Il passaggio quintilianeo rinvia a Livio, Ab Urbe condita, VII, 26.3,

dove si tramanda: «Minus insigne certamen humanum numine interposito deorum factum».!7 Prosegue il testo: «namque conserenti iam manum Romano corvus repente in galea consedit, in hostem versus»; 18 ed al

paragrafo 5: «levans se alis os oculosque hostis rostro et unguibus appetit, donec territum prodigii talis visu oculisque simul ac mente turbatum Valerius obtruncat».1? Non diverso il giudizio dei due Plinii, di Valerio Massimo e di altri. Neppure si crede inopportuno ricordare che anche nelle Scritture si rinvengono accenni volti a testimoniare come in vari strati del mondo

culturale greco fosse diffusa ampiamente la menzogna. Nel genere epico greco le voci poetiche ben di frequente decantano la menzogna nelle molteplici e pluriformi sue accezioni, nelle svariate sue

forme di rappresentazione. I termini della narrazione, del discorso, dell’evento e dell’episodio contraddistinti da un comune carattere mendace, costituiscono indubbiamente un motivo, se non centrale, comunque di

rilevanza particolare, specie ai fini di una valutazione critica del testo in rapporto ad un tessuto storico-culturale e ad un orizzonte intellettuale in una dimensione di maggiore ampiezza. *

*

&

16 M. F. QUINTILIANUS, Irstitutio oratoria, II 4.19. Trad. it. in M. F. QuIinTILIANO, L’istituzione oratoria («I Classici Latini, diretti da I. Lana»), a cura di R. Faranda e P. Pecchiura, To-

rino, Utet, 1996 (19681), I, p. 235: «gli storici greci si prendono comunemente queste libertà che sono tipiche della poesia. Spesso sono argomenti anche il tempo e il luogo che fu teatro dell’azione, talvolta pure il personaggio: del resto, Livio spesso esprime dubbi, mentre tra uno storico e l’altro si verificano delle discordanze». 17 T. Livius, Ab Urbe condita, VII 26.3. Note di C. Moreschini e trad. it. di M. Scandola, in

T. Livio, Storia di Roma, Milano, R.C.S. Libri e Grandi Opere («I grandi Classici latini e greci, diretti da G. Giovannini»), 1994, p. 319: «il combattimento, meno insigne sotto l'aspetto umano, fu reso bello dall’intervento divino». 18 Cfr. T. Lvius, Ab Urbe condita, VII 26.3, cit.; e trad. it., cit., zbid.: «infatti, quando già il Romano stava venendo alle mani, d’improvviso un corvo si posò sul suo elmo, rivolto verso il ne-

mico». 19 Cfr. T. Livius, Ab Urbe condita, VII 26.5, cit.; e trad. it., cit., p. 321: «librandosi a volo assalt col becco e con le unghie il volto e gli occhi del nemico, finché, atterrito com'era costui

dalla vista di tale prodigio, con gli occhi e la mente insieme annebbiati, Valerio lo uccise».

— 149—

APPENDICE

3. Ancora, che tra i Greci fosse invalso, quando non addirittura con-

suetudinario il ricorso — talora anche indiscriminato — alla menzogna, è dato riscontrare agevolmente negli scritti del Filosofo che, a tutt’oggi, è da considerare tra i sommi per la profondità di pensiero e per l’acume dell’intelletto che egli profuse nel discettare sulla Verità. L'interesse prioritario e specifico, in relazione al nostro motivo ed argomento di ricerca in questo Convegno Internazionale, si pensa possa circoscriversi all'esame di alcuni esiti teoretico-dimostrativi conseguenti

all’indagine estensiva e pluriprospettica che Platone condusse su quello che già nel 400 a.C. costituiva il topos della menzogna. A titolo di saggio, nelle Legg:20 si disserta sulla falsità dei Greci in generale: AGHNAIO® πρῶτον dé μου ἀκούσατε τὸ τοιόνδε τὴν πόλιν ἅπαντες ἡμῶν Ἕλληνες ὑπολαμβάνουσιν ὡς φιλόλογός τέ ἐστι καὶ πολύλογος, Λακεδαίμονα δὲ καὶ Κρήτην, τὴν μὲν βραχύλογον, τὴν δὲ πολύνοιαν μᾶλλον ἢ πολυλογίαν

ἀσκοῦσαν' σκοπῷ δὴ μὴ δόξαν ὑμῖν παράσχωμαι περὶ σμικροῦ πολλὰ λέγειν, μέθης πέρι, σμικροῦ πράγματος, παμμήχη λόγον ἀνακαθαιρόμενος. 21

Il discorso platonico sulla bugia, e in generale sul falso, nella sua multi-comprensività e solo così apparente come sporadica non uniformità di atteggiamenti e di conclusioni nei diversi Dialoghi, comprende una vasta gamma di problematiche; spazia su un ampio spettro di tematiche, saldamente ancorate ai presupposti filosofici e motivi tanto altamente indicativi quanto idealmente propositivi.

20 Cfr. PLATO, Leges, I, 641e-642a, in PLATONIS Opera, cur. T. Burnet, Oxonii, Clarendon, 1905-1912 [5 voll.] [d'ora in poi: PLATO]); ed ora anche in PLATONE, Tutte le opere, a cura di

E.V. Maltese, con un saggio di F. Adorno, ed. cit. [per cui cfr. supra cap. I, n. prefatoria], V, trad. it. di E. Pegone [d'ora in poi: trad, Pegone, cit.], p. 82. 21 Si riporta il passo nella pur sempre valida e preziosa «versione e interpretazione» di E. Turolla, in PLATONE, I Dialoghi. L'Apologia e le Epistole, Milano, Rizzoli Editore, 1964? [3 voll.] [d’ora in poi: trad. Turolla] [per cui cfr. sempre supra, cap. I, n. prefatoria], III, p. 284: «Intan-

to, in primo luogo, tutti i Greci affermano che la mia Atene ama ragionante diffusa parola e di parola molta si compiace; Sparta e Creta al contrario perseguono, l’una, parola breve; l’altra invece assai più che parola copiosa, un pensare profondo e molteplice. E ora mi preoccupa una cosa: non vorrei che in voi sorgesse l'impressione d’una mia loquacità esagerata su cose da nulla; così, per esempio, sull’ebbrezza». Cfr. ugualmente, come più aderente, trad. Pegone, cit., p. 83:

«Prima di tutto ascoltate quanto segue: tutti i Greci sono convinti che il nostro stato sia amante di molti e bei discorsi, e che Sparta e Creta siano l’una caraterizzata da brevi discorsi, e l’altra

esercitata nella riflessione piuttosto che nell’abbondanza di discorsi. Ecco perché devo fare attenzione a non darvi l'impressione che io dica molte cose intorno ad un piccolo problema svolgendo intorno ad una questione di poca importanza come quella dell’ubriachezza, ad esempio, un discorso troppo lungo».

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La riflessione mira ad approfondimenti particolari, a scandagli incisivi di aspetti inesplorati e di dimensioni particolari del reale che riconducono all’essere, di opinioni o convinzioni che — per contingenza e mutevolezza dell’esistere — rinviano o sono da correlare all’immutabilitä acronica della Verità. Le puntualizzazioni a proposito della menzogna poggiano sul fondamento ideologico del pensiero di Platone, si integrano e consolidano nella Weltanschauung che fu del Filosofo.

Nella varietà delle direttive di studio e nella divergenza formale degli approcci metodologici, il carattere dell’indagine platonica sulla menzogna è da ritenersi essenzialmente unitario. Il fulcro dell’investigazione è

nel senso dinamico di una convergenza di base delle molte argomentazioni su un nucleo teoretico che — quando non si ispira — ben si intona a quelli che sono i temi centrali ed i tratti peculiari della concezione del Fondatore dell’Accademia.

Questa visione postula infatti una «ricerca aperta, mai risolvibile in un “sistema”, in una definitiva soluzione accettata, o in un “parere” conclusivo», come ha fatto osservare l’Adorno nella sua ormai classica Introduzione a Platone.2?2 Per l’Ateniese «filosofia» è «curiosità», «meraviglia»; così in Teeteto, 1554, si rileva: μάλα γὰρ φιλοσόφου τοῦτο τὸ πάθος, τὸ θαυμάζειν.23 Nello stesso Dialogo si viene a puntualizzare

come «questo» sia proprio «l’inizio» dell’indagine filosofica: οὐ γὰρ ἄλλη ἀρχὴ φιλοσοφίας ἢ auın.2* Quindi, con non velata allusione a un chiaro

rapporto di correlazione e a un manifesto nesso connettivo espressi, o suggeriti, nei termini τὸ θαυμάζειν / θαύμαντος («meravigliarsi» / «che si meraviglia»), al Socrate del Teeteto diviene giocoforza — di certo, torna

agevole — lo scandire che, consequenzialmente, «e chi affermò che Iride era figlia di Taumante come sembra, non fece male la genealogia». In tal modo recita il testo nel Dialogo: ΣΩΚΡΑΤΗΣ γενεαλογεῖν.25

[...] καὶ ἔοικεν ὁ τὴν Ἶριν Θαύμαντος ἔκγονον φήσας οὐ κακῶς

22 F, Aporno, Introduzione a Platone, Bari, Laterza, 1978. Per le fasi della «problematica

platonica», cfr. in specie Storia della critica, pp. 241-277. 3 Prato, Theaetetus, 155d; ora anche in PLATONE, Tutte le opere, cit., I, p. 402 (trad. G.

Giardini [d'ora in poi: trad. Giardini, cit.], p. 403: «Si addice particolarmente al filosofo questa tua sensazione: il meravigliarti»; cfr. anche trad. Turolla, cit., II, p. 654: «È, vedi, caratteristica

precipua del filosofo poter provare sensi di meraviglia»). 24 Ibid. (int. trad. Giardini, cit., p. 403; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 654: «Vedi, non c'è

altro principio di filosofia se non questo»). 2 Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 403; efficace trad. Turolla, cit., p. 654: «E chi ha mo-

strato che Iride è prole d’Ammirante, non ha trattato male le genealogie degli Dei»).

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APPENDICE

In sintesi, si crede non sia impossibile asserire che nell’intero Corpus Platonicum, anche a proposito della menzogna, i punti di discussione e le vie di espressione, lungi dall’essere contraddittori, risultano piuttosto complementari gli uni agli altri, in una visione globale ed in un quadro generale. Ciö consta nell’ottica di una molteplicitä di angolature interpretative e di non univoche chiavi di lettura, che accompagnino e guidino il

ripercorso del processo platonico di indagine e rendano giustizia al suo méthodos dialettico nella valenza propria di un duplice tipo sia di «moto speculativo» (il primo discensionale dall’Uno, ed il secondo ascensionale

dagli «altri» all’Uno) sia di conoscenza (l’una doxastica, l’altra noetica). 4. La menzogna si profila, negli scritti platonici, come un topos di rilevante portata. Il motivo ricorre spesso e talora ampiamente trattato ed esaustivamente svolto. Per quanto mai identiche né sempre consone tra di loro, le conclusioni — e le implicazioni stesse — appaiono ricche di si-

gnificato e di valore emblematico ai fini di un tentativo di restauro, pur limitato e parziale, di alcune di quelle che furono le linee essenziali e costituirono le vie maestre del pensiero dell’ Ateniese. Nonostante l’evidenziazione di alcune ombre di «incertezza», nel corso delle trattazioni nei diversi Dialoghi, si ritiene siano tuttavia da escludere così intenti catalogatori come mire gerarchizzanti su una scala classificatoria di presunte priorità di motivi filosofici e di esiti critici sulla menzogna. Invero, si rileva salda la trama di un intreccio tematico e di

una temperie spirituale non difformi all’interno di un contesto primario e di una concezione di fondo che appaiono pur sempre prospettati e delineati in connessione logica, in sequenza argomentativa e in conformità

metodologica. Posto che il pensiero platonico è da considerare nella sua peculiarità

di un’ansia mai appagata in un’indagine mai conclusa, al lettore è dato instaurare una tipologia verosimile dei contenuti, degli indizi linguistici e degli spunti formali, degli aspetti teorici e degli assunti ideologici che

possono desumersi quali coordinate costanti del suo nucleo di pensiero e atte, non di meno, a designare il senso precipuo dei numerosi luoghi delle

Leggi, del Simposio, e — specificamente — del Cratzlo, del Sofista, dell’Ippia Minore e della Repubblica. In questi brani l’Ateniese tratteggia e il più delle volte disputa a lungo sulla menzogna, pervenendo ad una teorizzazione di essa.

Una puntualizzazione preliminare può giovare; e cioè: sembra che la veridicità — in linea di massima — sia assicurata e garantita solo negli ubriachi e nei bimbi. Nel Simposio ci si riferisce alla sapienza greca per — 152—

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cui «come dice il proverbio, nel vino (e non c’è bisogno di aggiungere nei fanciulli, del resto aggiungiamo pure anche i fanciulli), nel vino, insomma, è la verità».26 Si tramanda nel testo: τὸ è’ ἐντεῦθεν οὐκ ἄν μου ἠκούσατε λέγοντος, εἰ μὴ πρῶτον μέν, τὸ λεγόμενον, οἶνος ἄνευ τε παίδων καὶ μετὰ παίδων ἦν ἀλεθής.27

Alcibiade riecheggia, in questo passaggio, il proverbio che recita: «Vino e fanciulli veritieri».

In tal modo si entra nel vivo dei temi portanti della dissertazione platonica sulla menzogna. 5. Cisi sofferma ora a proporre un’esemplificazione di luoghi significativi del Cratilo sulla formulazione teorica relativa all’analisi della pa-

rola, a livello formale di ricerca linguistica. Si proseguirà, quindi ed altrove, con il Sofista, sotto il profilo dialettico oltre l’accezione filologico-

retorica ed in rapporto all’essere. Nelle prime battute della sua Breve storia della bugia, la Bettetini

premette che «neppure il dubbio, argutamente esposto nel Cratilo, sull'origine naturale o convenzionale del linguaggio porta il filosofo ateniese a cercare una causa della menzogna che non sia già nelle cose

stesse che quando non sono e sono dette essere, allora provocano il discorso falso».28 Il Cratilo verte sul «problema del linguaggio» (τὸ περὶ τῶν ὀνομάτων)29 — il che costituisce nondimeno un’acquisizione di non scarso rilievo (où σμικρὸν τυγχάνει dv μάθημα)0 — e sulla «conoscenza

della verità» attraverso un’indagine esatta di questioni etimologiche e che, al tempo medesimo, sia volta a dimostrare una correlazione strin-

gente delle parole alle cose con enfasi primaria sulla «giustezza» e «correttezza» dei nomi.

26 PLATO, Symposium, 217e, in PLATONE, Tutte le opere, cit., II, p. 412 (trad. Turolla, cit., I, p. 860; vi precede: «Il seguito della storia non lo racconterei, se, intanto»).

27 Ibid. (cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 413: «Ma d’ora in poi non mi udrete parlare, se in primo luogo il proverbio “il vino con i fanciulli o senza i fanciulli non fosse veritiero”»). 28 BETTETINI, Breve storia della bugia, cit., p. 6. 29 PLATO, Cratylus, 384b, in PLATONE, Tutte le opere, cit., I, p. 264 (trad. it. di G. Giardini [d'ora in poi: trad. Giardini, cit.], p. 265: «questo sul nome»; trad. it. di E. Turolla, I Dialogbi, cit., ΠῚ [d’ora in poi: trad. Turolla, cit.], p. 542).

30 Ibid. (in t. trad. Giardini, p. 265: «non è certo un apprendimento da poco»).

— 153 —

APPENDICE

In questo Dialogo platonico si contrappongono due tesi. L’una è propugnata da Cratilo che riconosce «naturalmente, una corrispondenza esatta del nome con la cosa nominata; che, insomma, la parola non è af-

fatto il prodotto d’una convenzione per chiamare così e così ciò che si vuol chiamare, in quanto si emette un certo suono, parte d’una singola favella, la nostra».?! Reca il testo greco: ἙΡΜΟΓΈΝΗΣ Κρατύλος φησὶν ὅδε, ὦ Σώκρατες, ὀνόματος ὀρθότητα εἶναι ἑκάστῳ τῶν ὄντων φύσει πεφυκυῖαν, καὶ οὐ τοῦτο εἶναι ὄνομα ὃ ἄν τινες συνθέμενοι

καλεῖν καλῶσι, τῆς αὑτῶν φωνῆς μόριον ἐπιφθεγγόμενοι.32

L’altra tesi & di Ermogene. Ispirata a Democrito ed all’atomismo, questa posizione poggia, invece, sulla convenzionalitä del linguaggio, sulla persuasione cioè «che i vocaboli» non «abbiano origine diversa dalla convenzione e dall’accordo» (ὡς ἄλλη τις ὀρθότης ὀνόματος ἢ

συνθήκη καὶ duorovia),33 così che logicamente consegua che «quando si pone un nome ad una cosa, quel nome è giusto»: dv τίς τῳ θῆται ὄνομα, τοῦτο εἶναι τὸ ὀρθόν.34 È acquisito che i nomi non sono imposti «per natura» alle cose, ma invero le loro attribuzioni avvengono «d’abitudine e

di costumanza», come da «gente abituata e che chiama così». Si attesta nel Cratilo: EPMOTENH2 [...] οὐ γὰρ φύσει ἑκάστῳ πεφυκέναι ὄνομα οὐδὲν οὐδενί, ἀλλὰ νόμῳ καὶ ἔθει τῶν ἐθισάντων τε καὶ καλούντων. 35

Determinato il concetto e data la definizione di «nome» delle «cose»

come di «un vocabolo che qualunque uomo può imporre alle singole

31 Cfr. ibid., 383a, p. 264 (trad. Turolla, cit., p. 541). 32 Ibid. (cfr. anche trad. Giardini, p. 265: «ERMOGENE Cratilo, qui presente, sostiene che

ciascun essere possiede la correttezza del nome che per natura gli conviene e che il nome non è quello col quale alcuni, come accordatisi a chiamarlo, lo chiamano, mettendo fuori una piccola parte della propria voce»). 3 Ibid., 3844, p. 266 (in τ. trad. Turolla, cit., p. 542; cfr. trad. Giardini, cit., p. 267: «(non

posso convincermi) che esista altra correttezza di nome se non la convenzione e l'accordo comune»). 34 Ibid. (in t. trad. Turolla, cit., p. 542; vd. anche trad. Giardini, p. 267: «quando uno dà il

nome a qualcosa, questo sia il nome giusto»). 35 Ibid. (in t. passim trad. Turolla, cit., p. 542; ma cfr. anche trad. Giardini, cit. p. 267: «In-

fatti da natura non c’è cosa alcuna che abbia nome, ma soltanto per la regola e la consuetudine di coloro che si sono abituati a chiamare in una determinata maniera e così chiamano»).

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CRATILO

cose per avere un modo di chiamarle» (δ ἂν φὴς καλῇ τις ἕκαστον, τοῦθ᾽ ἑκάστῳ ὄνομα),6 e presupposta altresì la realtà di un «ente qualsiasi» che si può designare (ἐὰν ἐγὼ καλῶ ὁτιοῦν τῶν ὄντων),57 Socrate — attraverso

il procedimento maieutico a lui consueto — stabilisce dei principi e instaura degli assiomi in articolata consequenzialità. I» primis, dichiara che

il «dire verità o dir menzogna è qualche cosa»: καλεῖς τι ἀληθῆ λέγειν καὶ ψευδῇ.38 Passa poi ad osservare come sia da convenire che: a) «v'è un ragionamento vero» (ein ἂν λόγος ἀληθής) 59 che, in «tutte

le sue parti», che risultano «vere», «esprime le cose come sono»:4 tà ὄντα λέγῃ dg ἔστιν, ἀληθής;4!

b) vi è anche «un altro» ragionamento «falso» (ὃ δὲ ψευδής), perché «esprime» le cose «come non sono»: ὃς è’ ἂν ὡς οὐκ ἔστιν, wevöng.42

Nella discettazione l’Ateniese insiste sull’assunto che la «totalità» includa — anzi si componga di — parti. Al fine di stabilire la veridicità o fal-

sità del discorso, si pone il problema del rapporto fra il tutto e le parti. Intento precipuo è il sostenere e quindi provare che, dato un tutto che si predichi o vero o falso, di necessità deriva anche la verità o falsità delle parti. Pertanto, in forma di domanda retorica con sicura risposta negativa,

si chiede se — nel caso del «discorso vero» — si dia che esso sia «tutto vero», laddove «le sue parti» non risultino «vere»: ΣΩΚΡΑΤΗΣ ‘O λόγος δ᾽ ἐστὶν ὁ ἀληθὴς πότερον μὲν ὅλος ἀληθής, tà μόρια δ᾽ αὐτοῦ οὐκ ἀληθῆ;4

36 Ibid., 385a, p. 266 (in t. trad. Turolla, cit., p. 542; vd. trad. Giardini, p. 267: «il nome con

il quale uno chiama ciascuna cosa, questo è il vero nome per essa»). 37 Ibid. (in t. trad. Turolla, cit. p. 543; trad. Giardini, cit., p. 267: «Se io pongo nome a uno qualunque degli esseri»). 38 Ibid., 385b, p. 266 (int. trad. Turolla, p. 543; cfr. trad. Giardini, p. 267: «c’è un qualcosa

che tu chiami dire vero e dire falso»). 39 Ibid. (in t. trad. Turolla, cit., p. 543; trad, Giardini, cit. p. 267: «ci può essere anche un

discorso vero»). 40 Cfr. ibid., 385c, p. 266 (trad. Turolla, p. 543). 41 Ibid., 385b, p. 266 (trad. Giardini, cit., p. 267: «quello i.e. il discorso], che dice gli esseri come sono, è vero»). 4 Ibid. (trad. Turolla, cit. p. 546; e trad. Giardini, cit. p. 267: «quello invece che li dice come non sono è falso»). 4 Ibid., 385c, p. 266 (trad. Giardini, cit., p. 267: «SocrATE E dunque il discorso, quello vero, è tutto vero, e le sue parti non vere?»; vd. trad. Turolla, cit., p. 543: «SOCRATE — E un ra-

gionamento vero, è tale forse nella sua totalità, mentre le sue parti non sono vere?»).

— 155—

APPENDICE

Inoltre, al quesito successivo, se ad essere vere fossero le «parti

grandi» (tà μὲν μεγάλα μόρια ἀληθῆ), ma non le «piccole» (tà δὲ σμικρὰ οὔ), recisa ed inequivoca ricorre l'affermazione del vero di «tutte» le parti nella rivendicazione di Ermogene: Πάντα, οἶμαι ἔγωγε.44

Al momento stesso, allorché si sia supposto che «la parola» (la quale è la «parte più piccola» del discorso, «un nome per esempio», proprio in quanto è «parte di un ragionamento vero» — Kai τοῦτο [ὄνομα] ἄρα τὸ τοῦ ἀληθοῦς λόγου λέγεται; —),4 debba ritenersi un «nome» «vero», con logica quasi sillogistica, Socrate conclude che, in non diversa guisa, sono

nondimeno da postularsi la natura falsa e il carattere mendace (ψεῦδος) anche di una qualsivoglia parola che sia «parte del ragionamento falso» (τὸ δὲ τοῦ ψεύδους udgrov).46 L’Ateniese non si astiene dal ribadire, ancora, che la «menzogna» è da integrare nel ragionamento stesso. Egli precisa che se il vero ed il falso si danno nel tutto (nel ragionamento), non altrimenti avverrà nelle parti. Se ne deduce, in tal modo, che «è possibile dire un nome vero e un nome falso», una volta che il vero e il falso siano stati detti del discorso stesso di cui i nomi sono parti. Si trasmette nel Cra-

tilo, al riguardo: ΣΩΚΡΑΤΗΣ Ἔστιν ἄρα ὄνομα ψεῦδος καὶ ἀληθὲς λέγειν εἴπερ καὶ λόγον; 7

6. Ad Ermogene che conferma la sua «teoria» sull’«origine del linguaggio» per cui ognuno designa («può chiamare») le cose «per conto»

proprio,48 Socrate replica trasponendo il discorso sul piano dell’«essere delle cose nella loro oggettività».4? Nel chiedere se «l’esseità di una cosa» 4 Cfr. ibid. (in t. passim trad. Turolla, cit., p. 543; cfr. trad. Giardini, p. 267: «sono forse

vere le parti grandi» e «le piccole no?» e «Tutte, io penso»). 4 Ibid. (in t. trad. Turolla, cit., p. 543; trad. Giardini, cit., p. 267: «Si dice dunque che an-

che questa è parte del discorso vero?»). 4 Ibid. (in t. trad. Turolla, cit., p. 545; ma trad. Giardini, cit., p. 269: «E la parte del discorso falso, non è falsa?»).

41 Ibid. (in τ. trad. Turolla, cit., p. 543; cfr. anche trad. Giardini, p. 269: «SOCRATE È possibile dunque dire nome falso e nome vero, se anche è possibile del discorso»). 48 Cfr. ibid., 3854, p. 268: EPMOTENHE Οὐ γὰρ ἔχω ἔγωγε, ὦ Σώκρατες, ὀνόματος ἄλλην ὀρθότητα ἢ ταύτην, ἐμοὶ μὲν ἕτερον εἶναι καλεῖν ἑκάστῳ ὄνομα, ὃ ἐγὼ ἐθέμην, σοὶ δὲ ἕτερον, ὃ αὖ σύ (trad. Giardini, p. 269: «Ermocene Io non conosco, Socrate, altra correttezza di nome che que-

sta, che a me sia possibile di attribuire a ciascun oggetto quel nome che io stesso ho posto, e a te quello che hai posto tu»; in t. trad. Turolla, p. 544). 49 Cfr. ibid., 385e, p. 268: τὰ ὄντα ὄυτως ἔχειν σοι φαίνεται (trad. Turolla, cit., p. 544; ma cfr.

trad. Giardini, cit., p. 269: «a te pare che anche per gli enti la questione stia così»).



156 —

DEL VERO

E DEL FALSO

NEL

CRATILO

«dipenda» da ciascuno degli uomini (cioè ἰδίᾳ αὐτῶν ἡ οὐσία εἶναι ἑκάστῳ),59 Egli segnala la necessità sia di ricondurre la singola individua

realtà esistente all’assolutezza infinita di una ragione fontale, sia pure di avvalersi del linguaggio al fine di ricercare la verità della cosa «nel grande mare dell’essere».51 In quanto contenute nell’idea?2 e «nella loro oggetti-

vitä»,3 le cose hanno «un’immobile esseità». Si fa presente in tal senso: ΣΩΚΡΑΤΗΣ [...] δῆλον δὴ ὅτι αὐτὰ αὑτῶν οὐσίαν ἔχοντά τινα βέβαιόν ἐστι τὰ πράγματα. 55

Inalterabili «in ragione d’oggetto», «in rapporto soltanto con se stesse» «secondo una naturale ragione costitutiva» (καθ᾽ αὑτὰ πρὸς τὴν αὑτῶν οὐσίαν ἔχοντα ἧπερ πέφυκεν),55 le cose sono da considerarsi «atti»

e «azioni» che «sono un qualche aspetto di enti»,79 con una loro peculiarità e una «legge» «particolare», e su cui «la nostra opinione» è del tutto ininfluente. Puntualizza I’ Ateniese: ΣΩΚΡΑΤΗΣ Κατὰ τὴν αὑτῶν ἄρα φύσιν καὶ ai πράξεις πράττονται, OÙ κατὰ

τὴν ἡμετέραν δόξαν. 57

50 Ibid. (trad. Turolla, cit., p. 544; cfr. anche trad. Giardini, p. 269: «la sostanza delle cose

sia propria particolarmente per ognuno». Esplicito il riferimento a Protagora nel prosieguo del testo [385e-386a]: ὥσπερ Πρωταγόρας ἔλεγεν λέγων «πάντων χρημάτων μέτρον» εἶναι ἄνθρωπον

(trad. Giardini, cit., p. 269 [trad. Turolla, cit., p. 544, in parentesi]: «come sosteneva (così diceva) Protagora, dicendo (quando affermava) che “di tutte le cose (ogni cosa) misura è l’uomo»).

31 Cfr. ibid., 386e, p. 270 (per t. vd. trad. Turolla, p. 545: «questi stessi atti [...] presentano caratteristiche [...] [nel grande mare dell’esserel»; ma cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 271: «le azioni [...] sono un [...] aspetto di enti»). 52 Cfr. ibid., 385e, p. 268 (nella “lettura” del Turolla, cit., p. 544: «quanto si contiene nell’idea»; ma vd. trad. Giardini, cit., p. 269: «la sostanza delle cose»). 5 Cfr. ibid.: τὰ ὄντα («gli enti» in trad. Giardini, cit., p. 269; ma «per l'essere delle cose

nella loro oggettività» in trad. Turolla, cit., p. 544). 54 Ibid., 386de (cfr. trad. Giardini, cit., p. 271: «SOCRATE [...] è chiaro che le cose stesse hanno in sé una sostanza certa»). 5 Ibid., 386e (in τ. trad. Turolla, cit., p. 545; ma vd. trad. Giardini, cit., p. 271: «sono di per se stesse secondo la loro sostanza così come l’hanno ottenuto da natura»). 56 Cfr. ibid. (εἶδος τῶν ὄντων εἰσίν, ai πράξεις: int. trad. Giardini, cit., p. 271).

37 Ibid.,387a, p. 270 (in t. passim trad. Turolla, cit., p. 545; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 271: «SocRATE Secondo la loro stessa natura poi si compiono le azioni e non secondo il nostro avviso»).

— 157—

APPENDICE

Ad esaltazione del λόγος umano, tra questi πράξεις degli esseri eterni

è da annoverare «il parlare» (τὸ λέγειν pia τις τῶν πράξεών ἐστιν).58 In questo «atto», che si esplica nel pronunciare «giudizi» e nel fare «ragionamenti» (λέγουσι τοὺς Aöyoug),?? è da includere «l’attribuire un nome» (τὸ ὀνομάζειν / Stovouäbovteg).60 La norma, tuttavia, nel «chiamare a nome le cose» non è «il nostro capriccio». Essa è, al contrario, rappresen-

tata da «la natura e il processo reciproco del chiamare e dell’essere chiamato in quel certo modo e con quel certo mezzo»! che furono preposti dall’artefice nel tipo e nel paradigma eterno. Valga riproporre il testo greco a noi pervenuto: ΣΩΚΡΑΤΗΣ

Οὐκοῦν καὶ ὀνομαστέον

[ἐστὶν]

ἧ πέφυκε τὰ πράγματα

èvo-

μάζειν τε καὶ ὀνομάζεσθαι καὶ ©, ἀλλ᾽ οὐχ fi ἂν ἡμεῖς βουληθῶμεν. 62

In siffatta ottica, si crede sia da intendere questo passaggio del Cratilo: «Il nome allora è particolare strumento, suscettivo di fornire indica-

zioni; uno strumento suscettivo di far distinto quanto si contiene nelle varie idee, come la spola fa distinto il tessuto», non differentemente da

quanto, in nitida scansione espositiva, si pone in rilievo nell’originale platonico: ΣΩΚΡΑΤΗΣ Ὄνομα ἄρα διδασκαλικόν τί ἐστιν ὄργανον καὶ διακριτικὸν τῆς οὐσίας ὥσπερ κερκὶς ὑφάσματος.63

Emblematico risalta il parallelo del «giusto uso» «della spola» e «del nome» da parte — rispettivamente — del tessitore e del filosofo-linguista.

58 Ibid.,387b, p. 270 (int. trad. Turolla, cit., p. 546; vd. trad. Giardini, cit., p. 271: «il dire» «è esso stesso un’azione»). 59 Ibid., 387c, p. 270 (in t. trad. Turolla, cit., p. 546; trad. Giardini, cit., p. 271: «si com-

piono i discorsi»). 60 Ibid. (in τ. trad. Turolla, cit., p. 546; trad. Giardini, cit., p. 271: «il denominare» / «assegnando denominazione»).

61 Cfr. ibid., 387d, p. 272 (in t. trad. Turolla, cit., pp. 546-547). 62 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 273: «SocRATE E dunque non occorre dare le denomi-

nazioni così nella maniera e per la via con cui la natura pretende che le cose siano denominate, e non nella maniera in cui vogliamo»). 8 Ibid., 388bc, p. 272 (in t. trad. Turolla, cit., p. 548; più incisiva trad. Giardini, cit., p.

273: «SOCRATE Il nome dunque è un mezzo suscettibile di insegnare e di farci cogliere l’essenza come la spola a proposito del tessuto?»).

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DEL VERO

E DEL FALSO

NEL

CRATILO

Il tessitore che con abilità si destreggia nell’uso della spola, figurerà quale buon tessitore. Il retore che con perizia si avvale della parola, si rivela un valente insegnante. In tal guisa si delinea, nel Craz/o, la duplice caratte-

rizzazione in vivida ed eloquente comparazione: ΣΩΚΡΑΤΗΣ Ὑφαντικὸς μὲν ἄρα κερκίδι καλῶς χρήσεται, καλῶς δ᾽ ἐστὶν ὑφαντικῶς" διδασκαλικὸς δὲ ὀνόματι, καλῶς δ᾽ ἐστὶ διδασκαλιυκῶς. 54

In una prospettiva ermeneutica non differente, determinante risuona la specificazione per cui, in ultima analisi, nell’indicazione di una cosa

mediante l’uso del nome ci si giovi «dell’opera d’uno che aveva stabilito una norma di legge, un legislatore cioè»: ZQKPATHX

Νομοθέτου

ἄρα ἔργῳ χρήσεται ὁ διδασκαλικὸς ὅταν ὀνόματι

χρῆται;“5

Ad Ermogene poi che -- a proposito della teoria di una «precisa ragione etimologica del linguaggio» che si conformi «alle leggi di natura» (ἥντινα φὴς εἶναι τὴν φύσει ὀρθότητα ὀνόματος) 6% — chiede una delucidazione ed un’illustrazione che siano corredate di esempi della «corrispondenza del nome con la cosa», Socrate offre una sua «esposizione sistematica della teoria eraclitea sul linguaggio». Nella disamina delle parole

radicali o primitive (0, s'è detto, dei «simboli fonici e ideali» denotanti l’identico eterno «concetto»), pone al centro il principio — appunto eracliteo — del «fluire» e del «trascorrere». 68 A conclusione, il Filosofo ripone l’enfasi sul fulcro teorico della concezione della «corrispondenza

64 Cfr. ibid., 388c, p. 274 (trad. Giardini, cit., p. 275: «Socrate Il tessitore si servirà bene

della spola: e bene vuol dire da tessitore, così chi è atto a insegnare si servirà bene del nome e bene vuol dire da insegnante»; cfr. la libera, ma efficace trad. Turolla, cit., p. 548: «SocraTE — Il tessitore quindi farà giusto uso della spola; e questo giusto uso viene a dire un uso adatto alla tessitura. L'uomo invece capace di fornire indicazioni, farà giusto uso del nome; e questo giusto

uso viene a dire un uso adatto a fornire indicazioni»). 6 Ibid.,388e, p. 274 (int. trad. Turolla, cit., p. 548; trad. Giardini, cit., p. 275: «Socrate Il

maestro dunque quando si serve del nome dovrà fare uso dell’opera del legislatore»). 66 Ibid., 391a, p. 278 (in τ, trad. Turolla, cit., p. 551; trad. Giardini, cit., p. 279: «(se tu mi

mostrassi) quella che sostieni essere per natura la giustezza del nome»). 61 Cfr. TUROLLA, Introduzione al Cratilo, cit., p. 534 (vd. ibid. anche per Ermogene che

«non sa ribattere nessuna ragione alla tesi di Socrate», della quale «non è per nulla convinto»). 68 Cfr. ibid.

— 159—

APPENDICE

esatta del nome con la cosa dal nome segnata». In tal modo si esprime l’Ateniese, al proposito: ΣΩΚΡΑΤΗΣ [...] αὕτη por φαίνεται ὦ Ἑρμόγενες, βούλεσθαι εἶναι ἡ τῶν èvoμάτων ὀρθότης ei μή τι ἄλλο Κρατύλος ὅδε λέγει. 9

7. All’inizio (4274 1-431e 1) della «Parte seconda» (4274 1-440 e 7) del Dialogo, Cratilo interviene nella trattazione sulla natura del linguag-

gio. Già in 385b 2- e 5, Socrate — avanzata la duplice realtà di verità e menzogna, e supposto che entrambe si esprimessero con parole — aveva avuto buon gioco nel dimostrare che erano da postulare prima l’esistenza di parole vere e false, e quindi il riscontro che un nome pronunciato a caso potesse risultare vero o falso. Ermogene aveva conservato rigidamente la sua posizione, sostenendo solo una mera possibilità di errore e falsità (385a 3-b 1).70

Cratilo non solo rifiuta la teoria della «corrispondenza» del nome alla cosa da esso designata,7! ma pone anche in discussione l'eventuale alternarsi di errore e di verità. Socrate rivolge incalzanti sollecitazioni in forma interrogativa, sino alla key question, al quesito cruciale ed ineludibile se egli «intendesse forse concludere che nemmeno fosse possibile dir menzogna» (ψευδῆ λέγειν τὸ παράπαν οὖκ ἔστιν),72 come allora, e del resto più anticamente ancora, da parte di alcuni si reputava.73 Cratilo per-

severa nel professare la propria aderenza al parmenidismo ed asserisce in termini categorici che la menzogna costituisce il non-essere e quindi —

come tale — è nulla, inesistente. In tale senso, a Socrate ribatte inequivoco, scandendo a chiare note che invero da un canto la parola signifi® PLaTo, Cratylus, 427cd, p. 346 (in τ, trad. Turolla, cit., p. 595; trad. Giardini, cit., p. 347: «SOCRATE [...] Questa, Ermogene, a me pare che voglia essere la correttezza dei nomi, a meno

che Cratilo, qui presente, non voglia dire qualche altra cosa»). Τὸ Cfr. TUROLLA, Introduzione al Cratilo, cit., p. 532. τι Cfr. PATO, Cratylus, 427d, p. 346 (trad. Turolla, cit., p. 595; in specie, vd.: ancora ibid., 429c, p. 350: KPATYAOS [...] δοκεῖν κεῖσθαι, εἶναι δὲ ἑτέρου τοῦτο τοὔνομα, οὗπερ καὶ ἡ φύσις [ἢ

τὸ ὄνομα δηλοῦσα] (trad. Giardini, cit., p. 351: «CrArıLo [...] sembra anche che “il nome” gli sia attribuito [«pare soltanto ch’egli abbia quel nome»: trad. Turolla, cit., 598] e che questo sia il nome di [«In realtà, appartiene a»: trad. Turolla, cit.] un altro, del quale è anche la natura che il nome non rivela»). 72 Ibid., 429d 1, p. 350 (in t. trad. Turolla, p. 598; cfr. trad. Giardini, p. 351: «affermare il falso, dunque, non è assolutamente possibile»). 3 Cfr. ibid.: συχνοὶ γάρ τινες ol λέγοντες, ὦ φίλε Κρατύλε, καὶ νῦν καὶ πάλαι (trad. Turolla, cit., p. 598: «molti affermano questa teoria, amico Cratilo, oggi e nel passato»; trad. Giardini, cit., p. 351: «sono in parecchi [...] a sostenere questo, e ora e da tempo»).

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DEL VERO

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cante implica l’essere, dall’altro la menzogna «dice» il non-essere. Esclama pertanto: «Come vuoi, Socrate, che esprimendo qualche cosa, non si dica qualche cosa che è? E viceversa la menzogna non è appunto dir ciò che non è?». Recita il testo greco: KPATYAOX Πῶς γὰρ dv, ὦ Σώκρατες, λέγων γέ τις τοῦτο ὃ λέγει, μὴ τὸ ὃν λέγοι; ἢ οὐ τοῦτό ἐστιν τὸ ψευδῆ λέγειν, τὸ μὴ τὰ ὄντα λέγειν; 74

Il Maestro di Platone riconosce la complicatezza dell’argomento in questione («l'argomento è un po’ complicato»)? e, per questo, limita

l'indagine sulla menzogna al livello della parola, nell’ambito del discorso e della comunicazione intersoggettiva. Tralascia il metodo dialettico, la nomenclatura di carattere assoluto, la denominazione di tipo universalistico. A Cratilo, non propenso a strutturazioni metafisiche come neppure ad un ordine ontologico unico, e che negava la possibilità stessa della menzogna, Socrate chiede maieuticamente che Egli confermi o

convalidi l’assunto sul piano verbale, se cioè gli «pare che col ragionamento non si possa concepir menzogna, ma che la si possa tuttavia manifestare a parole»: ΣΩΚΡΑΤΗΣ [...] πότερον λέγειν μὲν οὐ δοκεῖ σοι εἶναι ψευδῆ, φάναι δέ;76

E ancora in relazione alla possibilitä del discorso sulla menzogna Socrate insiste nel domandare: «E neppure farne oggetto di discorso, neppure

comunicarla

rivolgendosi

ad

altri?»

(Οὐδὲ

εἰπεῖν

οὐδὲ

προσειπεῖν;).77 Nei due casi, perentoria la risposta negativa di Cratilo. Nel primo, «No, non mi par nemmeno che si possa dirla a parole» (Οὔ μοι δοκεῖ οὐδὲ φάναι);78 e nel secondo, icasticamente sarcastica la replica: 74 Ibid. (int. trad. Turolla, p. 598; più stringente e fedele trad. Giardini, p. 351: «CRATILO E infatti, Socrate, uno, dicendo ciò che dice, come può non dire ciò che è? E non è dunque questo dire il falso, cioè dire quel che non &?»).

5 Cfr. ibid.: ΣΩΚΡΑΤΗΣ Κομψότερος μὲν ὁ λόγος ἢ κατ᾽ ἐμὲ καὶ κατὰ τὴν ἐμὴν ἡλικίαν (trad. Turolla, cit., p. 598; trad. Giardini, cit., p. 351: «SoCRATE Questo è un discorso troppo fine e per me e per la mia età»). 76 Ibid., 429e, p. 350 (in t. trad. Turolla, cit., p. 598; trad. Giardini, cit., p. 351: «SOCRATE

forse non ti sembra possibile dire il falso, ma sostenerlo si?»). 7 Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 351: «E neppure dire né rivolgere la parola in modo falso?»).

78 Ibid. (in t. trad. Giardini, cit., p. 351: «A me non pare neppure il sostenerlo»).

— 161—

APPENDICE

«Mi pare, o Socrate, che pronuncerebbe solo vani suoni» (Ἐμοὶ μὲν δοκεῖ, ὦ Σώκρατες, ἄλλως dv οὗτος ταῦτα φθέγξασθαι),79 a discostarsi dall’essere, che è l’unico vero! Da ultimo, a Socrate non resta che ancorarsi ai termini riduttivi della

parte rispetto al tutto. Pur pago di una «limitata conclusione» (καὶ τοῦτο ἐξαρκοῖ),80 l’Ateniese incalza attestando: «Bene! mi basta anche questo. E chi pronunciasse questo discorso, pronuncerà menzogna o verità? O forse, una parte delle sue parole corrisponderà al vero, un’altra invece a menzogna?» ΣΩΚΡΑΤΗΣ

᾿Αλλ’ ἀγαπητὸν καὶ τοῦτο. πότερον γὰρ ἀληθῆ ἂν φθέγξαιτο

ταῦτα ὁ φθέγξάμενος ἢ ψευδῆ; ἢ τὸ μέν τι αὐτῶν ἀληθές, τὸ δὲ ψεῦδος;81

Non meno recisa, e definitiva, l’obiezione di Cratilo: «Io direi che il tuo amico fa rumore; che s’agita invano; sarebbe come se, urtandolo, si

percuotesse un oggetto di bronzo»: KPATYAOZ

Ψοφεῖν ἔγωγ᾽ dv φαίην τὸν τοιοῦτον, μάτην αὐτὸν ἑαυτὸν

κινοῦντα, ὥσπερ ἂν εἴ τις χαλκίον κινήσειξ κρούσας. 82

Vacua è per lui la voce del discorso, ridondanti ed equivoche le parole, sparse al vento, insignificanti le correlazioni, sofistico esito in ogni

suo genere di disputa. Quindi, nel chiaro intento di uscire e svincolarsi dall’insuperabile

impatto discorsivo, nonostante i tentativi di possibile conciliazione a livello teorico, Socrate circoscrive l’argomentazione alla necessità di am-

79 Ibid. (in τ. trad. Giardini, cit., p. 351: «Costui, o Socrate, a parer mio, farebbe in questo

modo degli strepiti e non altro»). 80 Ibid., 430a, p. 350 (in t. trad. Turolla, cit., p. 598; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 351: «anche questo potrebbe bastare»). 81 Ibid. (in τ. trad. Turolla, cit., p. 598; cfr. trad. Giardini, cit., p. 351: «socRATE Anche

questa è bella: ma chi facesse di questi strepiti griderebbe il vero o il falso, oppure parte di vero e parte di falso?»). 82 Ibid. (in τ. trad. Turolla, cit., p. 598; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 351, non molto dissimile: «CraTILO Direi che fa del chiasso costui, scuotendo invano se stesso come uno che agiti

un recipiente di bronzo battendovi sopra»).



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DEL VERO

E DEL FALSO

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mettere una netta distinzione, sul piano ontologico, tra il nome e la cosa reale. Sotto forma di interrogativo retorico viene ad affermare che «Il

nome è una cosa, altro invece la cosa espressa dal nome». Si legge nel Dialogo: ΣΩΚΡΑΤΗΣ [...] dio” οὐκ ἄλλο μὲν ἂν φαίης τὸ ὄνομα εἶναι, ἄλλο δὲ ἐκεῖνο οὗ τὸ ὄνομά ἐστιν; 83

Nella sollecitazione viva ad approdare ad una soluzione attendibile, Socrate invita Cratilo a «mettersi d’accordo in qualche modo».84 Ciò è, per altro, possibile conseguire sulla base incontrovertibile di una ferma convinzione che «il nome sia una cotale espressa imitazione della cosa».

Ed è in questi termini che l’Ateniese si rivolge al suo interlocutore: ΣΩΚΡΑΤΗΣ Οὐκοῦν καὶ τὸ ὄνομα ὁμολογεῖς μίμημά τι εἶναι τοῦ πράγματος; 85

Dal canto suo, Cratilo non ha difficoltä alcuna ad assentire su quello che ora Socrate sottopone alla sua considerazione. Su questo, anzi, piü che su ogni altro punto egli conviene con il Filosofo.86 8. Appare del tutto innovativo il confronto 0, più esattamente, l’ac-

costamento diretto del linguaggio alla pittura in quanto ad entrambe è comune la categoria dell’imitazione. Di certo retorico è da ritenersi l’interrogativo di Socrate, «E non dici forse che anche la pittura, in altro

3 Ibid. (in t. trad. Turolla, cit., p. 598; trad. Giardini, cit., p. 351: «non diresti tu che altro è il nome, altro quello di cui è nome»).

84 Cfr. ibid.: ΣΩΚΡΑΤΗΣ Φέρε δή, ἐάν πῃ διαλλαχθῶμεν, ὦ Κρατύλε (in τ. trad. Giardini, cit., p. 351; vd. trad. Turolla, cit. p. 598: «SocRATE -- Suvvia, Cratilo, vediamo se ci riesce di an-

darne fuori»). 85 Ibid., 430ab, p. 350 (in τ. trad. Turolla, cit., p. 598; cfr. trad. Giardini, cit., p. 351: «So-

CRATE Dunque sei d’accordo che il nome è una imitazione della cosa»). 86 Cfr. ibid., 430b, p. 350: KPATYAOZ Πάντων μάλιστα (trad. Giardini, cit., p. 351: «CRA-

TILO Soprattutto di questo»; e, ugualmente, trad. Turolla, cit., p. 598: «[...] Indubbiamente»). Vd. anche Turolla, Introduzione al “Cratilo”, cit., p. 535, per le osservazioni dello studioso, spe-

cificatamente a proposito di Socrate che «conduce necessariamente» Cratilo ad ammettere la «possibilità di un errore anche nell’appellazione del nome».

— 163 —

APPENDICE

modo, pur sia imitazione di talune cose?», che a noi trasmette il testo del Cratilo: ΣΩΚΡΑΤΗΣ Οὐκοῦν καὶ τὰ ζωγραφήματα τρόπον τινὰ ἄλλον λέγεις μιμήματα εἶναι πραγμάτων τινῶν; 87

Nel reiterato approfondimento tematico, Socrate induce Cratilo a riconoscere che sia il linguaggio che la pittura sono da catalogarsi quali arti

dell’imitazione. Le sono «imitazione» vengono attribuite. fermativa il quesito ΣΩΚΡΑΤΗΣ

«pitture» e i «nomi», nel Cratilo «l’una e l’altra arte», delle «singole cose» allorché ad esse si riferiscono e 88 Risuona pertanto inequivoco e in chiara risposta afche Socrate pone nel Dialogo platonico:

[...] ἔστι διανεῖμαι

καὶ προσενεγκεῖν

ταῦτα

ἀμφότερα

τὰ

μιμήματα, τά τε ζωγραφήματα κἀκεῖνα τὰ ὀνόματα, τοῖς πράγμασιν ὧν μιμήματά ἐστιν. 89

È così dichiarata l’indispensabilitä di distinguere con avvedutezza e

competenza nelle «attribuzioni» operate mediante le due forme e le due arti di imitazione. Nelle specie di mimesi è da «credere giusta quella che attribuisce a ciascuno l’eguale e il conveniente»: Ἢ ἂν ἑκάστῳ οἶμαι τὸ τροσῆκον τε καὶ τὸ ὅμοιον ἀποδιδῷ.90 Ciò che è di pertinenza di ogni ente e «ne riproduce la somiglianza», da Socrate viene chiamato «attribuzio-

ne» per le imitazioni sia delle figure che dei nomi. A questo proposito, puntualizza il Filosofo: ZQKPATHE [...] τὴν τοιαύτην γάρ, ὦ ἑταῖρε, καλῶ ἔγωγε διανομὴν ἐπ’ ἀμφοτέροις μὲν τοῖς μιμήμασιν, τοῖς τε ζῴοις καὶ τοῖς ὀνόμασιν. 91

87 PraTo, Cratylus, 430b, p. 350 (in τ. trad. Turolla, cit., p. 599; trad. Giardini, p. 351:

«SOCRATE E dunque non sostieni che le pitture in qualche altro modo sono imitazioni di certi oggetti?»). 88 Cfr. zbid., p. 352: (in τ, trad. Turolla, cit., p. 599).

89 Ibid., pp. 350 e 352 (cfr., in particolare, trad. Giardini, pp. 353 e 355: «SocRATE [...] è possibile spartire ambedue queste imitazioni, le pitture e quei nomi e attribuirle a quegli oggetti di cui sono imitazione»). 50 Ibid., 430c, p. 352 (in τ. trad. Turolla, cit., p. 599; trad. Giardini, p. 353: «Quella, a mio

parere, che conviene a ciascuna cosa e ne riproduce la somiglianza»). 91 Ibid., 430d, p. 352 (in t. trad. Turolla, cit., p. 599; trad. Giardini, cit., p. 353: «SOCRATE

[...] Codesta, o amico, io la chiamo attribuzione per l'una e l’altra di queste imitazioni, per le figure e per i nomi»).

- 164—

DEL

VERO

E DEL FALSO

NEL

CRATILO

L’attribuzione si definisce «giusta» (6001v)” nell’imitazione attra-

verso le figure; nel linguaggio, «quando si tratta di nomi» (ἐπὶ δὲ τοῖς ὀνόμασι),55 non si dice solo «giusta», ma anche «vera»: ὀρθὴν καὶ ἀληθῆ.94 Socrate denuncia, inoltre, come «errata / non corretta» (οὐκ ὀρθήν) e «menzognera / falsa» (καὶ yevönj)” quell’attribuzione che, correlata ai nomi (ὅταν ἐπ’ ὀνόμασιν 1),96 «non corrisponde al fatto» e «con-

ferisce» il «dissimile», cioè τὴν è’ ἑτέραν, τὴν τοῦ ἀνομοίου δόσιν TE καὶ ἐπιφοράν."7

Inflessibile nella sua tesi ed inamovibile dalla posizione iniziale, Cratilo concede si che un «caso di non giusta attribuzione» possa verificarsi nella

pittura

(ἐν

μὲν

τοῖς

ζωγραφήμασιν

ἢ τοῦτο,

τὸ

μὴ

ὀρθῶς

διανέμειν),38 ma l’esclude categoricamente nel linguaggio. In epigrafica incisività riassicura che «pel linguaggio» l'errore, la menzogna, la non

congrua corrispondenza all'ente «è cosa che non può avvenire», dal momento che in tale caso è «ineluttabile sempre il retto rapporto». In relazione ai nomi, infatti, è di necessità che questi vengano conferiti in piena adeguatezza e debita appropriatezza. Precisa, infatti, Cratilo: 2

KPATYAO£ [...] ἐπὶ δὲ τοῖς ὀνόμασιν οὔ, ἀλλ᾽ ἀναγκαῖον ἡDi ἀεὶ ὀρθῶς. 39

In nitida esposizione, per graduali passaggi, con calzanti esemplificazioni, Socrate riconferma la riscontrabilità di verità e di menzogna a se-

conda che le parole vengano distribuite in modo esatto od errato ed attribuite «ai singoli obietti» in maniera conveniente oppure no, così che vengano a risultare possibili anche μὴ ὀρθῶς διανέμειν τὰ ὀνόματα e μηδὲ

92 Ibid. (trad. Turolla, cit., p. 599; trad. Giardini, cit., p. 353). 9 Ibid. (in t. trad. Turolla, cit., p. 599; trad. Giardini, cit., p. 353: «e per i nomi poi»).

% Ibid. (in τ. trad. Turolla, cit., p. 599; vd. trad. Giardini, cit., p. 353: «oltre al fatto di essere giusta, anche vera»). 55 Ibid. (trad. Turolla, cit., p. 599; e trad. Giardini, cit., p. 353). % Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 353: «quando sia inerente ai [«si tratta di»: trad. Turolla, cit., p. 599] nomi»). 9 Ibid. (in τ. passim trad. Turolla, cit., p. 599; cfr. trad. Giardini, cit., p. 353: «l’altra, invece, l'attribuzione e il conferimento del dissimile»).

98 Ibid., 430de, p. 352 (in t. trad. Turolla, cit., p. 599; trad. Giardini, p. 353: «che questo, il non fare giuste attribuzioni, capiti nelle figure»). 9 Ibid., 430e, p. 352 (in t. trad. Turolla, cit., p. 599; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 353: «CRATILO [...] ma non nei nomi, quando è necessario attribuire sempre in maniera corretta»).



165—

APPENDICE

ἀποδιδόναι τὰ προσήκοντα ἑκάστῳ. 100 Stabilisce e propugna una duplice «tale regola». L’una denomina «dire il vero», l’altra «dire il falso», come recita il testo nel Dialogo: ΣΩΚΡΑΤΗΣ [...] ei δ’ οὖν ἔστι τοιαύτη τις διανομὴ καὶ ἐνταῦθα, τὸ μὲν ἕτερον ἀληθεύειν βουλόμεθα καλεῖν, τὸ δ’ ἕτερον ψεύδεσθαι. 101

9. L’Ateniese si sofferma quindi a evidenziare un più definito ambito

di affinità e rassomiglianza che intercorre tra parole «primitive» e pittura. Nella traduzione del Turolla si “interpreta”: «Possiamo rassomigliare le parole radicali a pitture». Con più accuratezza, rende il Giardini: «Dunque se ancora una volta confrontiamo i primi nomi alle lettere, può essere, come nelle pitture, attribuire tutti i colori e le forme che sono confacenti con esse». Nell’originale, reca il testo del Cratilo: ΣΩΚΡΑΤΗΣ Οὐκοῦν εἰ γράμμασιν αὖ τὰ πρῶτα ὀνόματα ἀπεικάζομεν, ἔστιν ὥσπερ ἐν τοῖς ζωγραφήμασιν καὶ πάντα τὰ προσήχοντα χρώματά τε καὶ σχήματα ἀποδοῦναι. 102

L’analogia, di per sé anche fascinosa sul piano delle arti, si profila altresi provvista di spessore sul piano del rigore logico e della soliditä teoretica. Con ricchezza di dettagli raffigurativamente significativi, in articolata

sequenza comparativa ed in cogente coerenza ragionativa, Socrate delinea i caratteri distintivi tanto della «produzione» di «figure belle» e «immagini belle» (ὁ μὲν ἀποδιδοὺς πάντα καλὰ τὰ γράμματά te καὶ τὰς εἰκόνας ἀποδίδωσιν) 193. quanto dell’enunciazione ed attribuzione dei

nomi che si configurano in «immagine» «bella». Nei quadri, alla bellezza 100 Ibid., 431b, p. 352 (in t. trad. Turolla, cit., p. 600; ma vd. trad. Giardini, cit., p. 353:

«non attribuire correttamente i nomi» e «non riportare a ciascun elemento i nomi che gli convengono»). 101 Ibid. 431ab, p. 352 (trad. Giardini, cit., p. 353: «SocRATE [...] Ma se anche in questo

caso è dato di fare una [tale regola], l’una di queste noi vogliamo chiamarla [dire il vero], l’altra invece [dire il falso]»; cfr. anche trad. Turolla, cit., p. 600: «SocrATE — [...] Insomma, se l’ope-

razione è possibile, anche pel linguaggio dovremo concludere senz'altro che con la prima attribuzione si dice verità; con la seconda, menzogna»). 102 Ibid., 431c, p. 354 (in τ. trad. Turolla, cit., p. 600; ma vd., ugualmente, trad. Giardini,

cit., p. 355). 103 Ibid. (in t. trad. Turolla, cit., p. 600; cfr. trad. Giardini, cit., p. 355: «chi mette in opera

bene tutte queste risorse, rende belli i disegni e le immagini»).



166—

DEL VERO

E DEL FALSO

NEL

CRATILO

concorrono l’attribuzione di «convenienti colori» e di «forme delle figure», il calibrato utilizzo di «ogni giusto particolare» ed un così oculato come sapiente processo di interventi in proprio nell’aggiungere come

pure nel tralasciare. 104 In base a «lo stesso ragionamento»,!9 non diversamente accadrà a

«chi imita per sillabe e per lettere l’esseità delle cose». Chiede Socrate al suo interlocutore: ΣΩΚΡΑΤΗΣ Ti δὲ è διὰ τῶν συλλαβῶν τε καὶ γραμμάτων τὴν οὐσίαν τῶν πραγμάτων ἀπομιμούμενος; 106

L’Ateniese non esita a rilevare che il mimeta per «sillabe e lettere» crea un’immagine, che è «il nome». Fa notare che questa stessa immagine risulta bella qualora le «si attribuisca ogni conveniente particolare»: ΣΩΚΡΑΤΗΣ

[...] ἂν μὲν πάντα ἀποδῷ τὰ προσήκοντα, καλὴ ἡ εἰκὼν ἔσται

- τοῦτο δ᾽ ἐστὶν ὄνομα --. 107

Tuttavia — e non vada sottaciuto --, come si danno immagini pittoriche belle ed anche «tutta roba di scarto» (εἰκόνας ἐργάζεται καὶ οὗτος, ἀλλὰ πονηράς), 198 così ugualmente «in conseguenza vi saranno nomi fatti

bene e nomi fatti male», osserva Socrate che viene a concludere scandendo in tono così efficace come incontestabile: ZQKPATHE|...] ὥστε tà μὲν καλῶς εἰργασμένα ἔσται τῶν ὀνομάτων, tà dè xaκῶς. 109

14 Cfr. ibid., 4314, p. 354 (espressioni in testo da trad. Turolla, cit., p. 600; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 355).

105 Cfr, ibid.: κατὰ τὸν αὐτὸν λόγον (in τ. trad. Turolla, cit., p. 600: «secondo lo stesso criterio»; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 355). 106 Ibid. (in τ, trad, Turolla, cit., p. 600; trad. Giardini, cit., p. 355: «SocraTE Ma cosa dire di colui che mediante sillabe e lettere tenta di imitare la sostanza delle cose?»). 107 Ibid. (int. trad. Turolla, cit., p. 600; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 355: «SOCRATE [...]

se si riporta tutto ciò che si addice, l’immagine, cioè il nome, sarà bella»). 108 Ibid., 431c, p. 354 (in t. trad. Turolla, cit., p. 600; ma vd. trad. Giardini, cit., p. 355:

«crea egli pure delle immagini, ma brutte»). 109 Ibid., 4314, p. 354 (in τ, trad, Turolla, cit., p. 600; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 355: «SOCRATE [...] tanto che dei nomi ce ne saranno alcuni combinati bene, e altri male»).



167 —

APPENDICE

Al vigore discorsivo ed alla capacitä dissertativa di Socrate fa riscontro lo scetticismo manifesto di Cratilo che replica un semplice «forse», pur fermo nella sua tesi eleatica secondo cui la menzogna — ben lungi dallo scalfire la realtà oggettiva di ciò che è — deve escludersi nella formu-

lazione linguistica stessa. Socrate, dal canto suo, specifica che, come per le altre arti, anche nella parola è inevitabile che a «un artefice buono di nomi» faccia riscontro «un artefice buono a nulla» (Ἴσως ἄρα ἔσται ὁ μὲν ἀγαθὸς δημιουργὸς ὀνομάτων ὁ δὲ κακός). 119 Il tutto s’interponga in un

atto di celebrazione ed in un intento di esaltazione dell’autore del linguaggio il quale viene elevato alla dignità di un’opera per natura non difforme da quella del legislatore originario («E quest’artefice non aveva il nome di legislatore?»). Invero, si attesta nel testo nel Cratzlo: ΣΩΚΡΑΤΗΣ Οὐκοῦν τούτῳ ὃ «νομοθέτης» ἦν ὄνομα. 111

10. In una riaffermazione dei temi di fondo, si esaminano quindi i rapporti di essenziale correlazione tra originale e copia.112 Socrate si schiera contro la teoria fatta propria da Ermogene, secondo cui «le parole sono mere convenzioni, perspicue soltanto per chi le ha stabilite, in quanto già prima si conoscevano le cose» (τὸ συνθήματα εἶναι τὰ ὀνόματα καὶ δηλοῦν τοῖς συνθεμένοις προειδόσι δὲ τὰ πράγματα), 1135. e, conse-

guentemente, un «accordo» o una semplice «convenzione» viene a porsi come «correttezza del nome» (καὶ εἶναι ταύτην ὀρθότητα ὀνόματος, συνθήκην).114. Alla tesi di Cratilo Socrate antepone decisamente la sua per la quale i nomi primitivi corrispondono agli oggetti, ed in «modo» tanto «migliore» (ἔχεις tIvà καλλίω τρόπον) 115 quanto più le parole sono

110 Ibid.,431e, p. 354 (in t. trad. Turolla, cit., p. 601; trad. Giardini, cit., p. 355: «E dunque forse vi sarà un buon artefice di nomi e uno cattivo»).

111 Ibid. (in τ. trad. Turolla, cit., p. 601; vd. anche trad. Giardini, cit., p. 355: «SOCRATE Dunque costui non aveva il nome di legislatore?»). 112 Cfr. anche TuRroLLa, Introduzione al Cratilo, cit., p. 535, e per trad., pp. 601-604, relativamente a Cratilo, 431e 11-432c 2. 15 PLATo, Cratylus, 433e, p. 358 (in t. trad. Turolla, cit., p. 603; ma cfr. anche trad, Giardini, cit., p. 359: «i nomi sono convenzioni e hanno un senso per quelli che sono d’accordo e co-

noscono da prima gli oggetti»). 114 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 355; cfr. trad. Turolla, cit., p. 603: «Ti pare proprio che corrispondenza delle parole si risolva in una convenzione?»). 115 Ibid., 433d, p. 358 (in t. trad. Turolla, cit., p. 603; trad. Giardini, cit., p. 359: «hai un

nodo più bello»).



168—

DEL VERO

E DEL FALSO

NEL

CRATILO

rese «al massimo grado simiglianti all’oggetto che debbono rappresentare» (μάλιστα τοιαῦτα οἷα ἐκεῖνα ἃ δεῖ δηλοῦν αὐτά). 116 In un atteggia-

mento ora di equidistanza, lo stesso Cratilo si muove a privilegiare una forma di rappresentazione che avvenga «per mezzo di un’imitazione, piuttosto che con un mezzo dovuto al caso». In questo modo si esprime

nel Dialogo: KPATYAOZ Ὅλῳ καὶ παντὶ διαφέρει, ὦ Σώκρατες, τὸ ὁμοιώματι δηλοῦν ὅτι

ἄν τις δηλοῖ ἀλλὰ μὴ τῷ ἐπιτυχόντι. 117

Socrate fonda la sua dottrina dell’imitazione sul postulato di una presupposta realtà o cosa da raffigurare e denominare con colori o con pa-

role ad essa somiglianti. Pertanto, relativamente all’imitazione mediante il linguaggio, Egli sostiene che «se i nomi saranno somiglianti agli oggetti» (εἴπερ ἔσται τὸ ὄνομα ὅμοιον τῷ πράγματι), 118 allora sarà da desumerne ineluttabilmente che anche le lettere, che costituiscono le parole primitive, somiglieranno «naturalmente» a questi oggetti: ΣΩΚΡΑΤΗΣ

[...] ἀναγκαῖον πεφυκέναι τὰ στοιχεῖα ὅμοια τοῖς πράγμασιν, ἐξ

ὧν τὰ πρῶτα ὀνόματά τις συνθήσει; 119

Non altrimenti e su una medesima base di necessitä, i «colori», fatti propri dal pittore, «per natura» sono «simiglianti» agli «oggetti» che si «intende imitare» nella pittura. In questa ottica, in maniera esplicita

l’Ateniese afferma e propugna l’improrogabilitä di una risposta del tutto

116 Ibid., 433e, p. 358 (in t. trad. Turolla, cit., p. 603; cfr. pure trad. Giardini, cit., p. 359:

«(il formarli) quanto più è possibile tali e quali alle cose che essi devono dimostrare»). 117 Ibid., 434a, p. 358 (in t. trad. Turolla, cit., p. 604; vd. anche trad. Giardini, cit., p. 359: «CRATILO Ma, Socrate, fa differenza in modo assoluto tra il dimostrare ciò che uno intende di-

mostrare con la somiglianza e non con il modo che capita»). 118 Ibid. (in τ. trad. Turolla, cit., p. 604; ma cfr. trad. Giardini, cit., p. 359: «se il nome deve

essere simile all'oggetto»). 119 Ibid. (trad. Turolla, cit., p. 604; vd. trad. Giardini, cit., p. 359: «SOCRATE [...] è necessa-

rio che per natura siano simili agli oggetti i principi mediante i quali uno dovrà comporre i primi nomi?»).



169—

APPENDICE

negativa a chiunque chiedesse se mai alcuno fosse stato in grado di dipingere un oggetto, secondo somiglianza, qualora ΣΩΚΡΑΤΗΣ [...] μὴ φύσει ὑπῆρχε φαρμακεῖα ὅμοια ὄντα, ἐξ ὧν συντίθεται τὰ ξωγραφούμενα, ἐκείνοις ἃ μιμεῖται 7) γραφυκή. 120

E sull’efficacia di questo principio di «una similitudine, per quanto ἃ possibile, delle parole con gli oggetti» (κατὰ τὸ δυνατὸν ὅμοια εἶναι tà ὀνόματα τοῖς πράγμασιν) 121 che Socrate incalza, pur non negando una «certa importanza» della convenzione sulla «retta corrispondenza» delle parole, nel senso che ugualmente «convenzione e abitudine concorrano insieme a manifestare ciò che esprimiamo rivolgendone il pensiero nella mente». Testimonia il testo: ΣΩΚΡΑΤΗΣ [.. ἀναγκαῖόν που καὶ συνθήκην τι καὶ ἔθος συμβάλλεσθαι πρὸς δήλωσιν ὧν διανοούμενοι λέγομεν. 122

In riferimento al «potere» e all’«effetto utile» delle parole, Cratilo

medesimo crede di poter acquisire una conoscenza delle cose grazie alla perizia e alla competenza linguistica. Proclama sintetizzando che, dal punto di vista dell’«azione didattica», «chi conosce il valore delle parole,

conosce pure le cose». È quanto si legge nel Dialogo: KPATYAO® Διδάσκειν ἔμοιγε δοκεῖ, ὦ Σώκρατες, καὶ τοῦτο πάνυ ἁπλοῦν ciναι, ὃς ἂν τὰ ὀνόματα ἐπίστηται, ἐπίστασθαι καὶ τὰ πράγματα. 123

Socrate indica 1 termini di una corretta formulazione del concetto. Premessa l’unicitä dell’arte relativa alle cose aventi «reciproca condizione

120 Ibid., 434ab, p. 358 (in τ. passirz trad. Turolla, cit., p. 604; ma cfr. trad. Giardini, cit., p.

359: «SOCRATE [...] per natura non vi fossero stati colori mediante i quali vengono compiute le pitture, simili a quelli che l’arte pittorica imita»).

121 Ibid., 435c, p. 360 (in τ. trad. Turolla, cit., p. 606; cfr. trad. Giardini, cit., pp. 361 e 363: «i nomi, per quanto è possibile, siano simili agli oggetti»). 122 Ibid., 435b, p. 360 (in τ. passizz trad. Turolla, cit., p. 606; ma cfr. anche trad. Giardini,

cit., p. 361: «SOCRATE [...] è necessario che convenzione e abitudine giovino in qualche modo alla dimostrazione di quello che diciamo pensando»). 123 Ibid., 435d, p. 362 (in t. trad. Turolla, cit., p. 606; trad. Giardini, cit., p. 363: «CRATILO Insegnare: a me pare così, Socrate. E questo è molto semplice: chi conosce i nomi conosce anche

gli oggetti»).

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DEL VERO

E DEL FALSO

NEL

CRATILO

di simiglianza» e data la «simiglianza» della cosa «col nome», egli non si perita di asserire che, una volta conosciuta «l’esatta natura del nome», si conosce anche la cosa, giacché il nome è «fedele immagine della cosa». 124 Trasmette il testo in Platone: ΣΩΚΡΑΤΗΣ [...] ἐπειδάν τις εἰδῇ τὸ ὄνομα οἷόν ἐστιν - ἔστι δὲ οἷόνπερ τὸ πρᾶγμα - εἴσεται δὴ καὶ τὸ πρᾶγμα, ἐπείπερ ὅμοιον τυγχάνει ὃν τῷ ὀνόματι, τέχνη δὲ μία ἄρ᾽ ἐστὶν ἣ αὐτὴ πάντων τῶν ἀλλήλοις ὁμοίων. 125

11. Una volta che si sia posto che «chi ha trovato il valore delle pa-

role, ha pur trovato ciò di cui i nomi sono segni» (τὸν τὰ ὀνόματα εὑρόντα καὶ ἐκεῖνα ηὑρηκέναι ὧν ἐστι τὰ ὀνόματα), 126 allora viene accertato e determinato — fa osservare Socrate — un primo metodo conoscitivo di ordine linguistico-glottologico. Né è da trascurare che, nel caso che ci

si «basi solamente sul filo conduttore delle parole» (ἀκολουθοῖ τοῖς ὀνόμασι),17 incombe ineluttabile «il pericolo d’essere ingannati» (où σμικρὸς κίνδυνός ἐστιν ἐξαπατηθῆναι). 128

Ancora una volta ed espressamente — a Cratilo che si manifesta pago di un «unico e medesimo metodo d’indagine» e che, per altro, egli non esita a proporre come «il solo e il migliore» (τοῦτον δὲ καὶ μόνον καὶ βέλτιστον), 129 sia per la «conoscenza esatta» che per la «semplice conoscenza» — Socrate replica rivendicando l’opportunità e la necessità di un «ulteriore» «secondo» e «più severo metodo» nel «cercare» le «cose». 130

La motivazione di una tale istanza è da indicare nella consapevolezza dell’indubitata fallacia di una conoscenza che, fondata sul linguaggio, si circoscrive all'aspetto fenomenico della realtà, ma non perviene alla realtà oggettiva e non ne penetra l’essenza. 124 Cfr. ibid., 435de, p. 362 (in τ. passim trad. Turolla, cit., p. 606). 125 Ibid, (trad. Giardini, cit., p. 363: «SocRATE [...] quando uno conosce il nome qual è — ed è quale l’oggetto — egli saprà anche l’oggetto, poiché si trova a essere simile al nome, e una sola arte è questa di tutte le cose simili tra loro»). 126 Ibid., 436a, p. 362 (in τ. trad. Turolla, cit., p. 607; vd. anche trad. Giardini, p. 363: «co-

lui che scopre i nomi ha scoperto anche quelle cose di cui essi sono i nomi»). 127 Ibid., 436b, p. 362 (in t. trad. Turolla, cit., p. 607; cf. anche trad. Giardini, cit., p. 363:

«tiene dietro ai nomi»). 128 Ibid. (in τ, trad. Turolla, cit., p. 607; vd. trad, Giardini, cit., p. 363: «esiste un rischio

non piccolo di [essere ingannati]»). 129 Ibid., 436a, p. 362 (cfr. trad. Turolla, cit., p. 607; vd. anche trad. Giardini, p. 363: «e

questo è [il solo e il migliore]»). 130 Cfr. ibid. (vd. trad. Turolla, cit., p. 607; e trad. Giardini, cit., p. 363).

— 171—

APPENDICE

Ai fini del perseguimento sicuro di una scienza relativa alla conoscenza della natura vera degli enti nella correlazione di essi alle idee, il Filosofo ateniese pone l’enfasi sull’indispensabilità di una ben scandita contrapposizione tra il mero «cercare e scoprire» e il solido «imparare». In forma di interrogativo retorico, prorompe: ΣΩΚΡΑΤΗΣ

[... ἢ ζητεῖν μὲν καὶ εὑρίσκειν ἕτερον δεῖν τρόπον, μανθάνειν δὲ

τοῦτον; 131

Quindi, richiama all’attenzione come Egli ritenga per certo che la finalità prioritaria della speculazione filosofica è la ricerca approfondita, oltre che «correttamente» impostata, del «principio d’ogni fatto», della

verità dell’essere in sé: ΣΩΚΡΑΤΗΣ [...] δεῖ δὴ περὶ τῆς ἀρχῆς παντὸς πράγματος παντὶ, ἀνδρὶ τὸν πολὺν λόγον εἶναι καὶ τὴν πολλὴν σκέψιν εἴτε ὀρθῶς εἴτε μὴ ὑπόκειται. 132

L’acquisizione della conoscenza primaria dell’essere costituirà il cri-

terio di giudizio e fungerà da termine di valutazione per «determinare» «giustamente» la validità delle «conseguenze» che promanano da quel «principio» 153 che il «legislatore» stabilì «per disporlo in armonia con la sua visione iniziale» (αὑτῷ συμφωνεῖν ἠνάγκαζεν) 134 — ed il legislatore, invero, operò «conoscendo gli oggetti cui imponeva il nome». Ed è così

131 Ibid. (cfr. trad. Giardini, cit., p. 363: «Socrate [...] O che altro modo debba essere cercare e scoprire, e questo, invece, quello di [imparare]?»; cfr., ugualmente, trad. Turolla, cit., p.

607: «SOCRATE — [...] Oppure, per cercare e trovare, secondo più severo metodo, si richiede ulteriore metodo d’indagine; per una semplice conoscenza invece basta questo?»). 132 Ibid., 4364, p. 364 (cfr. trad. Giardini, cit., p. 365: «Socrate [...] Occorre dunque che sul principio di ogni cosa ogni uomo abbia molta considerazione e molta attenzione se sia stato posto correttamente o no»; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 607. Nel prosieguo del testo si pone in risalto la fondamentalità e centralità di questo motivo specificando assertivamnte che, «quando questo sia stato vagliato a sufficienza, tutto il resto apparirà fare seguito proprio a questo» [trad. Giardini, cit., p. 365]; τ, gr. ibid.: ἐκείνης δὲ ἐξετασθείσης ἱκανῶς, tà λοιπὰ φαίνεσθαι ἐκείνῃ ἑπόμενα).

133 Cfr. ibid. (nella “lettura” di Turolla, cit., p. 607: «[...] si deve esperire ogni indagine [...] se [...] è stato stabilito quel principio le cui conseguenze si debbono ricavar soltanto dopo averne provata l’esattezza e la verità»). 154 Ibid. (int. trad. Turolla, cit., p. 607; cfr. trad. Giardini, cit., p. 365: «costringeva a essere in armonia con sé»).

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DEL VERO

E DEL FALSO

NEL

CRATILO

che nel Cratzlo si tramanda come al suo interlocutore Socrate facesse presente e precisasse: ZQKPATHE [...] γὰρ ἐν τοῖς πρόσθεν, ei μέμνησαι, τὸν τιθέμενον τὰ ὀνόματα ἀναγκαῖον ἔφησθα εἶναι εἰδότα τίθεσθαι οἷς ἐτίθετο. 135

Nell’imporre i «nomi radicali» che «non c’erano ancora» (εἴπερ τά γε πρῶτα μήπω ἔκειτο) 136 e «prima che potessero sapere qualche cosa dato

che soltanto dalle parole è possibile passare alla conoscenza delle cose», 157 gli artefici — quasi a concludere assevera Socrate — «sapevano e sapendo imponevano i nomi ed erano legislatori» (φῶμεν αὐτοὺς εἰδότας

θέσθαι ἢ νομοθέτας εἶναι). 138 Se -- in questa architettura, a proposito dell’assegnazione originaria dei nomi «radicali» o «primitivi» alle cose e agli esseri — Cratilo fa appello od ipotizza «una potenza» «di proporzioni maggiori che non l’umana» (μείζω τινὰ δύναμιν εἶναι ἢ ἀνθρωπείαν), 139 dal canto suo Socrate catego-

rizza l'intervento diretto di «un ente di potere soprannaturale quanto un Dio». 140 Esclude, come 4 priori, eventuali contraddizioni di sorta nell’at-

tribuzione dei nomi e nelle denominazioni dei corrispettivi oggetti. Non è pertanto da reputare, o solo pensare che chi assegnò i nomi avesse potuto operare contraddicendo se stesso, «fosse egli un demone o un dio». Trasmette il testo del Cratilo: ΣΩΚΡΑΤΗΣ Fira οἴει ἐναντία ἂν ἐτίθετο αὐτὸς αὑτῷ ὁ θείς, ὧν δαίμων τις ἢ θεός; 141

135 Ibid., 438a, p. 366 (trad. Turolla, cit., p. 609: «SOCRATE — [...] dicevi che il legislatore ha dovuto procedere alla sua operazione [...]»; vd., ugualmente, trad. Giardini, cit.., p. 367: «So-

CRATE [...] Poco fa, nelle tue precedenti argomentazioni, se te ne ricordi, sostenesti che era pur necessario che chi poneva i nomi conoscesse bene le cose a cui doveva dare i nomi»). 156 Ibid., 438b, p. 366 (in τ. trad. Turolla, cit., p. 609; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 367:

«se i primi nomi non erano stati ancora attribuiti»). 157 Cfr. ibid.: πρὶν καὶ ὁτιοῦν ὄνομα κεῖσθαί te καὶ ἐκείνους εἰδέναι, εἴπερ μὴ ἔστι τὰ πράγματα μαθεῖν ἀλλ᾽ ἢ ἐκ τῶν ὀνομάτων; (in t. trad. Turolla, cit., p. 609; vd. anche trad. Giardini, cit., p.

367: «prima che fosse stato assegnato qualunque nome ed essi ne fossero a conoscenza; se non è dato imparare gli oggetti se non attraverso i nomi?»). 138 Ibid. (int. trad. Turolla, cit., p. 609; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 367: «possiamo sostenere che essi sapendo attribuissero i nomi o fossero legislatori»). 139 Ibid., 438c, p. 364 (in τ. trad. Turolla, cit., p. 609; cfr. trad. Giardini, cit., p. 367: «una

potenza più grande rispetto a quella umana»). 140 Cfr. ibid., p. 366 (in τ. trad. Turolla, cit., p. 609, a riguardo del δαίμων / θεός). 141 Ibid. (trad. Giardini, cit., p. 367: «Socrate E credi tu che chi pose i nomi, lo fece in contraddizione con se stesso, [fosse egli un demone o un dio]?»; e in parte, cfr. anche trad. Tu-

— 73 —

APPENDICE

12. da considerare irrefragabile la differenziazione tra due forme di conoscenza: una doxastica o d'opinione comune con ricorso alla «scienza

etimologica», ed un’altra noetica o della «verità degli enti». 142 La conoscenza attraverso il linguaggio, benché ausiliare e propedeutica, si rivela inadeguata ed inconclusiva, in seguito al rilievo di una «grande intestina lotta» nell’ambito delle parole (’Ovopàtov οὖν στασιασάντων) 1942 Alcune di queste «affermano di portare in se stesse le similitudini del vero» (καὶ τῶν μὲν φασκόντων ἑαυτὰ εἶναι tà ὅμοια τῇ ἀληθείᾳ), 144 altre no. È

l’impatto inestricabile a cui conduce il linguaggio medesimo. Unica soluzione plausibile o metodo valido a conoscere «quale appunto dei due tipi di parole risponda al vero» (ὁπότερα τούτων ἐστὶ τἀληθῆ) 145 è la «previa

esplicazione» dell’essenza reale ed esatta («la verità») degli esseri di cui le parole sono i nomi referenziali e significativi. 146 Scandito a chiare note che il «lume» è da ricercare al di fuori del linguaggio, Socrate propugna una conoscenza scientifica più «sicura» e più «diretta». 147

In una simile prospettiva il Filosofo ammonisce ad astrarre dall’indagine ristretta ai soli nomi e ad avviare, nondimeno, una ricerca che sia ri-

volta «verso qualche altra cosa» e, al tempo medesimo, permetta di cogliere, senza velame né ombra di dubbio, «la verità delle cose». Nel Cratilo, recisa ricorre la puntualizzazione, come ineludibile la sollecitazione, secondo cui ΣΩΚΡΑΤΗΣ

[...] οὐ γὰρ

ἔστιν, ἀλλὰ

δῆλον

ὅτι ἄλλ᾽

ἄττα

ζητητέα

πλὴν

ὀνομάτων, ἃ ἡμῖν ἐμφανιεῖ ἄνευ ὀνομάτων ὁπότερα τούτων ἐστὶ τἀληθῆ, δείξαντα δῆλον ὅτι τὴν ἀλήθειαν τῶν ὄντων. 148

rolla, cit p. 609: «SocraTE — [...] i nomi [...] ne avrebbe posto alcuni in contraddizione con tri?»). 142 Cfr. ibid., 438d, p. 366 (in t. passim trad. Turolla, cit., p. 610; vd. anche trad. Giardini,

cit., p. 364). 143 Ibid. (int. trad. Turolla, cit., p. 610; cfr. pure trad. Giardini, cit., p. 367: «c'è contesa tra i nomi»). 14 Ibid. (in t. trad. Turolla, cit., p. 610; vd. anche trad. Giardini, cit., p. 367: «e alcuni af-

fermano di essere proprio loro simili alla verità»). 145 Ibid. (in τ. trad. Turolla, cit., p. 610; cfr. trad. Giardini, cit., p. 367).

146 Cfr. ibid. (vd. trad. Turolla, cit., p. 610, dove si legge: «si tratta di cercar qualche [lume] a prescindere dal linguaggio»). 147 Cfr. TUROLLA, Introduzione al Cratilo, cit., p. 532. 148 PLaTto, Cratylus, 4384, p. 366 (trad. Giardini, cit., p. 367: «SOCRATE [...] perché non è

possibile, ma è chiaro che bisogna fare ricerca [verso qualche altra cosa] all’infuori dei nomi, che ci dimostri, senza i nomi stessi, quali di questi sono veri, mostrandoci con chiarezza la [verità delle cose]»; vd. anche trad. Turolla, cit., p. 610).

— 174—

DEL VERO

E DEL FALSO

NEL

CRATILO

L’Ateniese si dichiara convinto che «è possibile» «apprender gli enti a prescindere dai nomi», cioè che è dato conoscere e comprendere («imparare») la «realtà delle cose» 150 — si rende in Giardini. Per questo, fa notare come, sulla base di una siffatta impostazione, risulti che non solo si possa, ma anche si debba sostenere che ΣΩΚΡΑΤΗΣ Ἔστιν ἄρα, ὡς ἔοικεν, μάτων τὰ ὄντα, εἴπερ ταῦτα οὕτως ἔχει. 151

ὦ Κρατύλε, δυνατὸν μαθεῖν ἄνευ ὀνο-

Negli squarci finali del Crazz/o — di contro all’eventualitä quando non alla consuetudine della menzogna — sovrasta maestoso e campeggia univoco il concetto di verità in più guise asserito: cioè, in sé, per sé, ed a corollario di discorsi e, ugualmente, di argomentazioni. In sintesi, pur rico-

nosciuta come indiscussa la proficuità della «conoscenza sulla natura delle cose» grazie alle parole (61 ὀνομάτων τὰ πράγματα μανθάνειν), 152

l’enfasi ricade sul quesito fondamentale di quale sia la «via» «migliore e più sicura» «di cognizione e d’indagine».153 Con tono deciso ci si domanda quale sia la forma di matesi più bella e più manifesta: ποτέρα ἂν ein καλλίων καὶ σαφεστέρα ἡ μάθησις. 154

13. A chiarimento e delucidazione dello status quaestionis relativo alla disputa gnoseologica, Socrate pone in risalto una duplice prospettiva sulla via dell’apprendimento degli esseri e del vero. Sul piano non tanto della metodologia, quanto più dell’avanzamento nella noesi, Egli prende in considerazione la problematica del grado di congruità e di elevatezza di due tipi di conoscenza. Mediante l’uno, il Filosofo apprende mediatamente dall’immagine: sia l’immagine stessa — se è riproduzione adeguata 149 Cfr. ibid., 438e 2, p. 366 (vd. in τ. pass trad. Turolla, cit., p. 610). 150 Cfr. ibid., 438e (in t. passim trad. Giardini, cit., p. 367). 151 Ibid., p. 366 (vd. trad. Turolla, cit., p. 610, cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 367: «SocRATE È possibile dunque, Cratilo, come pare, imparare, senza l'apporto dei nomi, la realtà delle

cose, se la questione sta in questo modo»). 152 Ibid. 439a, p. 368 (in τ. passim trad. Turolla, cit., p. 610; cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 369: «conoscere gli oggetti attraverso i nomi»). 153 Cfr. ibid. (in t. passim trad. Turolla, cit., p. 610).

154 Ibid. (cfr. pure trad. Giardini, cit., p. 369: «quale è l'apprendimento più bello e più chiaro»).

— 175—

APPENDICE

di sé —, sia la verità — se l’immagine è l’imitazione fedele e la raffigurazione puntuale di essa. Ed infatti, recita il testo: ΣΩΚΡΑΤΗΣ [...] ἐκ τῆς &iXövog μανθάνειν αὐτήν τε αὐτὴν εἰ καλῶς εἴκασται,

καὶ τὴν ἀλήθειαν ἧς ἦν εἰκών. 155

Tramite l’altra via conoscitiva, si perviene invece alla conoscenza, nel suo grado supremo, attingendo direttamente dalla verità e, da essa stessa,

«imparando» la «verità» e la sua «immagine», se ben predisposta. Si attesta nel Crazilo, al riguardo: ΣΩΚΡΑΤΗΣ [...] ἢ ἐκ τῆς ἀληθείας αὐτήν τε αὐτὴν καὶ τὴν εἰκόνα αὐτῆς εἰ πρεπόντως εἴργασται. 156

Tracciate brevemente le componenti e le coordinate del processo d’imitazione — l’immagine, la copia, la copia «isolata e per conto suo» con approdo al grado «maggiore o minore» di «perfezione» e di «verità» 157 — Socrate prorompe pur sobriamente in un’esclamazione che già rappresenta un proclama sul primato e sulla priorità della veritàin sé. Imperiosa ne consegue l’impellenza di volere «partire dalla verità» per «contemplarla in se stessa». Invero, ne sarà possibile «contemplare l’immagine»; e

di questa sarà anche dato accertare la fedeltà di rappresentazione, se questa «convenientemente è stata congegnata». 158

Il rinvio alla «cosa» in sé, di cui il nome è «fedele immagine», come pure alla «verità degli oggetti», ricorre già prima nel Cratz/o. 159 Tuttavia, è ora che, nel tono assertivo, risuonano inequivoci e categorici l’assioma

dell’«oggettività degli enti», la necessità di «imparare e scoprire le cose 155 Ibid. (trad. Giardini, cit., 369: «SocRATE [...] Imparare dall'immagine, e l’immagine in

se stessa se è stata ben rappresentata, e la verità di cui è immagine»; ma vd. anche l’interpretazione di Turolla, cit., p. 610: «SocRATE — [...] studieremo allora questa copia isolata e per conto suo, sì da stabilirne la maggiore o minore perfezione, e in un secondo tempo conoscerne poi la verità maggiore o minore?»).

156 Ibid., 439b, p. 368 (trad. Giardini, cit., p. 369: «SoCRATE [...] o imparare dalla verità sia la verità stessa e l’immagine sua se è stata compiuta a dovere»; non molto aderente al t. gr., ma efficace e incisiva la “resa” di Turolla, cit., p. 610).

157 Cfr. ibid., 439a, p. 368 (in t. passim trad. Turolla, cit., p. 610). 158 Cfr. ibid., 439ab, p. 368 (in t. passim trad. Turolla, p. 610).

159 Cfr. ibid., 435de, p. 362 (trad. Turolla, cit., p. 606; trad. Giardini, cit., p. 363; cfr. anche supra e nn. 124-125 per il rinvio a 435d: τὸ ὄνομα [...] ἔστι δὲ οἴόνπερ τὸ πρᾶγμα.

— 176 —

DEL VERO

E DEL FALSO

NEL

CRATILO

reali» (δεῖ μανθάνειν ἢ εὑρίσκειν τὰ ὄντα),160 come ugualmente il richiamo al mondo delle idee. Infatti — si prosegue nel Dialogo —, «non dalle parole e da una indagine glottologica, bensì e assai più, si deve apprendere e cercare l’oggettività degli enti, partendo dagli enti stessi, non dalle parole». Reca il testo, a proposito: ΣΩΚΡΑΤΗΣ [...] οὐκ ἐξ ὀνομάτων, ἀλλὰ πολὺ μᾶλλον αὐτὰ ἐξ αὑτῶν καὶ pa-

θητέον καὶ ζητητέον ἢ ἔκ τῶν ὀνομάτων. 161

Tuttora ricca di fascinosa forza d’attrazione, nel suo vigore speculativo, riecheggia vivida l’esortazione alla riflessione profonda sulla realtà cosmica e sul destino universale. A fronte della teoria eraclitea del fluire e del «trascorrere» delle «universe cose» (ὡς ἰόντων ἁπάντων dei καὶ

δεόντων), 162 il Socrate del Cratilo configura — e vede «in sogno naturalmente» (δ ἔγωγε πολλάκις ὀνειρώττω) 16 — il precipitare «dentro ad un vortice», l’esservi «travolti», «trascina» e «cacciazivi dentro» noi stessi, come si rende nel Dialogo con efficacia: ΣΩΚΡΑΤΗΣ [...] οὗτοι αὐτοί τε ὥσπερ εἴς τινα δίνην ἐμπεσόντες κυκῶνται καὶ ἡμᾶς ἐφελκόμενοι προσεμβάλλουσιν. 169

Che si tratti del vortice dell’essere non si esplicita, ma si evince agevolmente dall’interrogativo eloquente ed emblematico per cui ci si chiede

se noi «dobbiamo o no dire che v’& una bellezza nella pura oggettivitä dell’idea» e se, al momento stesso, vi è intrinseca «una bontä».16 Ciò,

160 Ibid., 439b, p. 368 (in τ. passim trad. Giardini, cit., p. 369: «occorre imparare [...]»; e

trad. Turolla, cit., p. 611: «oggettività [...]»). 161 Ibid., 439b 7 (in t. trad. Turolla, cit., p. 611; ugualmente, cfr. trad. Giardini, cit., p. 369:

«SOCRATE [...] non dai nomi ma molto di più da se stesse le cose vanno imparate e ricercate»). 162 Ibid., 439c, p. 368 (in τ. passim: trad. Turolla, p. 611; cfr. anche trad. Giardini, cit., p.

369: «(con questa convinzione) che tutte le cose andavano e scorrevano»). 16 Ibid. (int. trad. Turolla, cit., p. 611, dove precede: «ciò che più volte mi capita di vedere»; trad. Giardini, cit., p. 369: «spesso io vado sognando»). 144 Ibid. (in τ, passim trad. Turolla, cit., p. 611; più aderente la trad. Giardini, p. 369: «SoCRATE [...] essi stessi, precipitando come un turbine, ne sono sconvolti e trascinandosi dietro anche noi, ci buttano dentro»). 16 Cfr. ibid. (in t. trad. Turolla, cit., p. 611).

— 177—

APPENDICE

nondimeno, & da predicare anche in riferimento a «ciascuna delle cose reali». 166 Testimonia il Cratilo: ΣΩΚΡΑΤΗΣ [...] πότερον φῶμέν τι εἶναι αὐτὸ καλὸν καὶ ἀγαθὸν καὶ Ev ἕκαστον τῶν ὄντων οὕτω, ἢ μή;197

Qui noi si crede che all’esaltazione del mondo dell’essere siano sot-

tesi l’inno platonico all’ordine cosmico e all’armonia del tutto, la celebrazione del reale e l'ammirazione per la ben «congegnata» 168 strutturazione di «ogni altra singola cosa» 1695 che — «immagine fedele» 170 — appare veridica e non mendace.

166 Cfr. ibid. (in t. passim trad. Giardini, cit., p. 369). 167 Ibid., 439cd, p. 368 (vd. trad. Turolla, cit., p. 611, cfr. anche trad. Giardini, cit., p. 369:

«SOCRATE [...] Possiamo sostenere dunque che sono un qualcosa il bello in sé, il buono in sé e così anche [ciascuna delle cose reali], o no?». Per il «bello in sé», che «è sempre tal qual è», cfr. ibid., 4594, p. 368: αὐτό, φῶμεν, τὸ καλὸν οὐ τοιοῦτον del ἐστιν οἷόν ἐστιν [trad. Giardini, cit., p. 369; ma cfr. la libera ricostruzione di Turolla, cit., p. 611: «SocraTE -- [...] Diciamo piuttosto

che la bellezza nella pura oggettività dell’essere presenta certo questa caratteristica d’essere etermamente eguale a se stessa»]. Per lo stesso concetto, vd. ancora ibid.: ἐκεῖνό ἐστιν, ἔπειτα ὅτι τοιοῦτον [«esso è, poi che è 16 Cfr. ibid., 439b, p. 169 Cfr. ibid., 439c, p. «così anche ciascuna [...]»,

tale»: trad. Giardini, cit., p. 369]). 368 (trad. Turolla, cit., p. 610; per cui vd. supra e n. 158). 368 (in t. trad. Turolla, cit., p. 611; cfr. trad. Giardini, cit., p. 369: come supra e n. 166).

170 Cfr. anche zbid., 435e, p. 362: τὸ πρᾶγμα [...] ὅμοιον [...] τῷ ὀνόματι (trad. Turolla, cit., p. 606; trad. Giardini, cit., p. 363); ed anche zbid., 439b, p. 368: τὴν εἰκόνα αὐτῆς εἰ πρεπόντως

εἴργασται (trad. Giardini, cit., p. 369: «l’immagine sua [z. e. della verità] se è stata compiuta a dovere»; cfr. trad. Turolla, cit., p. 611).

— 178—

INDICI

INDICE DEGLI AUTORI*

AUGUSTINUS AURELIUS

Philopseudeis

De mendacio

148.

3.3: 146n.

3.4: 146n. Cicero Marcus TULLIUS Orationes

Pro L. Valerio Flacco 4. 9: 148 en. EURIPIDES

Iphigenia Taurica v. 1206: 148n. TuveNALIS DECIMUS IUNIUS Saturae X, 173-175: 148n. Livrus Tırus Ab Urbe condita VII, 26.3: 149 e n. VII, 26.5: 149 e n. LUcIANUS SoPH. SAMOSATENUS

Verae historiae 1.2: 146 en. I. 3: 146 e n., 147n. I 4: 147 en., 148 en.

PLATO

Cratylus 383a: 154 e nn. 384b: 153 e nn. 3844: 154 e nn. 385a: 155 e nn. 385ab: 160. 385b: 15, 155 e nn. 385be: 160. 385c: 155 e n., 156 e nn. 385d: 156n. 385e: 156n., 157 enn. 385e-386a: 157n. 386de: 157 en. 386e: 15, 157 enn. 3874: 157 e n. 387b: 158 e n. 387c: 158 e nn. 387d: 15, 158 e nn. 388bc: 158 e n. 388c: 159 e n. 388e: 15, 159 e n.

389a: 15 3914: 159 e n. 427cd: 160 e n. 427d: 160n. 427d-431e: 15, 160.

* Si riportano, sempre con riferimento alla pagina, tutti i riscontri testuali o rinvii agli auctores presenti nella Premessa, nel testo e nelle note. Allorché intervenga un richiamo ad un medesimo paragrafo del Corpus Platonicum, al nu-

mero di pagina segue la dizione «e n.» 0 «e nn.», a seconda che il riferimento si estenda, rispettivamente, ad una sola o a più note; qualora ricorra solo in nota, al numero della pagina segue la dizione «n.» o «nn.».

— 181—

INDICE DEGLI AUTORI

Sophista

427d-440e: 160. 429c: 160n. 429d: 15, 160 e nn., 161 e nn. 429e: 161 e nn., 162 en.

231bc: 25 e nn. 231c: 8, 23 en. 231cd: 23 en. 2314: 23 e nn., 24 e nn.

430a: 16, 162 e nn., 163 e nn.

430ab: 163 e n. 430b: 16, 163n., 164 e nn.

231e: 24 e nn.

232a: 25 enn., 26en. 232b: 27 e nn., 28e nn. 232b e ss.: 7. 232b-233c: 26n.

430c: 16, 164 e n.

4304: 16, 164 e n., 165 e nn. 430de: 165 e n. 430e: 165 e n. 431ab: 165 e nn. 431b: 16, 166 e n.

232b-237b: 26. 232b-268d: 23n.

431c: 166 e nn., 167 en.

232c:28enn.,29en. 2324: 29 e nn. 232de: 30 e nn. 232e: 30 en.,3len. 233a: 31 e nn. 233b:3len.

431d: 16, 167 e nn. 4316: 168 e nn.

431e-432c: 168n. 433d: 168 e n. 433e: 168 e nn., 169en. 4344: 16, 169 e nn. 434ab: 170 en. 435b: 170 en. 435c: 16,170 en. 435d: 16, 170 e n., 176nn. 435de: 17, 171 e nn., 176en. 435e: 16, 178n.

233c: 8,32 e nn.

233c-234b: 26n. 233c-234e: 36n. 233d: 33 e nn. 233e: 33 e nn., 34 e nn.

2344: 8,33 e n.,34 e nn.,35 enn.,47en. 234ab: 47n. 234b: 8,36 e nn.,37 en. 234b-235a: 26n. 234c: 38 e nn. 234d: 38 e n.,39 e nn. 234de: 39 e n. 234e: 39 e nn., 40 e nn.

4364: 17,171enn.,172en. 436b: 17,171enn.

436d: 4384: 438b: 438c: 438d:

17, 173 173 173 17,

172 e nn. en. enn. e nn., 174n. 174 e nn.

438e: 175 e nn. 4394: 17, 175 e nn., 176 e nn.

235a: 8,40 e nn., 41 ὁ πῃ.

439ab: 17, 176 en. 439b: 17, 176 e n., 177 e nn., 178 enn. 439c: 177 e nn., 178 e nn.

439cd: 178 e n. 439d: 178n. Leges I, 641e-642a: 150 e nn.

Respublica Ν, 476d-480a: 32n. Symposium 217e: 153 e nn.

235a-237b: 26n. 235ab: 47nn. 235b: 8, 42 e nn. 235b e ss.: 123n. 235b-236d: 123n. 235c: 42 e n.,43 en.

235d: 8, 43 e nn. 235d-236b: 43n.

235de: 44 e n. 235e: 44 e nn., 45 e n.

2364: 44 e nn., 45 e nn., 46n. 236b: 8, 45 e nn., 46 en. 236bc: 43n., 46 en.

— 182—

INDICE DEGLI AUTORI

236c: 8, 46 enn., 48n. 236d: 48 e n., 49 e nn. 236d e ss.: 100n. 236d-237b: 49n.

236de-237a:50 e n. 236e: 9,50 e nn., 51 e nn. 237a:9,51 e n., 53 e nn., 54 e nn.

237ab: 54n., 55n., 101n. 237b:54 en.

237be: 49n., 54n. 238a-239a: 49n., 5An. 238c: 55 e n. 238e: 55n.

239c: 49 e nn., 55 e nn. 239c-240d: 59.

2394: 56 e nn. 239e: 57 e nn.

239e-240a: 57 e n. 2404: 58 e nn., 59 e nn., 60 e nn. 240ab: 60 e n. 240b: 59n., 61 e nn., 62 e nn. 240c: 62 e nn. 240d: 63 e nn., 64 e nn., 65 e nn. 240e: 65 e nn., 66 e nn. 240e-241a: 67 e n. 2414: 67 en.

241ab: 66nn., 67 e n. 241b: 67 en. 241d: 60n., 67 e nn., 68enn., 70en. 241d-242b: 68n.

242b-243c: 69n. 243c-244b: 69n. 243d: 22n.

244b-245e: 69n. 245e-246e: 69n. 246e-248a: 69n. 247de: 69n.

247e: 69n. 248a-249d: 69n. 248de: 69n. 248e: 69n. 248e-249a: 70n. 2494: 70n. 249b: 70n.

253c-254b: 10, 72n.,74 en.

2534: 73 enn., 74n.,75 en. 253de: 73 e n. i 253e: 74 e n., 75 en., 77 enn.,78enn. 2544: 10, 76 e nn., 77n., /8enn., 79enn.

254ab: 77 e nn. 254b: 76 e n., 79en., 80en. 254b-255e: 80n. 254b-259d: 80n. 255e-257c: 80n. 257c-258c: 80n.

258c-259d: 80n. 259d-261c: Sin. 259de: 82 e n. 259e: 82 e nn., 83 e nn. 260a: 10, 83 e nn., 84 e nn., 85 e nn., 86 e nn. 260b: 11, 86 e nn., 87 enn.,88enn. 260c: 11, 87 e n., 89en., 90enn., 91 ε nn.,92 e nn.

260d: 92 e nn., 93 e nn., 94 e nn., 95 enn. 260e: 11,95 e nn., 96 e n.,97 en. 2614: 11,97 e nn. 261c: 99 e nn., 100 ε πη. 261c-262e: 11, 99n. 261d: 102 enn., 103 enn. 261de: 103 en. 261e: 103 e n., 104 e nn.

262a: 105 e 262b: 106 e 262c: 106 e 262d: 107 e 262e: 109 e 262e-263d: 263a: 110 e

nn., 106 e n. n. nn., 107 en. nn., 108 e nn. nn., 110 e nn. 11, 100n. nn., 111n.

263b: 12, 111 e nn., 112 en.

263c: 112 e nn. 2634: 113 e nn., 114 e nn. 263d-264b: 11, 100n., 114n.

263e: 114 e n., 115 e nn, 116 en. 264a: 12, 116 e nn., 117 e nn. 264b: 12, 117 e nn., 118 e nn., 119 e nn. 264c: 13, 121 en., 122 e nn.

264cd: 122 e n.

250b: 70n.

2644: 13, 122 e n., 123 e nn.

252d-253c: 71n.

264e: 124 e n. 264e-265a: 13, 124 e n. 265a: 124 e nn.

253b: 10,71enn.,72en. 253c:7len,72enn,73en.

— 183—

INDICE

DEGLI AUTORI

268cd: 142 e n. 268d: 141 e n., 142nn.

265b: 13, 125 e nn., 126 e n. 265b-266b: 125n.

265c: 126 e nn. 2654: 126 e n. 265e: 127 e nn.

Theaetetus 155d: 151 e nn. 170d: 29 e nn., 30 e nn.

266a: 127 e nn., 128en.

186a: 22n.

266b: 128 e nn., 129 e nn. 266bd 128n. 266c: 13, 128 e nn., 129 e nn.

PLAurus Trrus Maccrus

Miles gloriosus 148

266d: 13, 130 e nn., 132 en. 266d-268c: 131n., 132 e n. 266de: 13, 132 e n. 266e: 132 e n. 267a: 13, 133 e nn. 267b: 13, 133 e n., 134 e nn. 267c: 14, 134 e nn., 135 e nn. 267d: 14, 135 e nn., 136 e nn.

QUINTILIANUS MARCUS FABIUS Institutio oratoria II, 4.19: 149 en.

267d-268d: 14, 136n.

SENECA Lucius ANNAEUS

267de: 136n.,137 en. 267e: 14,137 enn. 267e-268a: 138 e n.

Agamemnon

268a: 138 e nn. 268b: 14, 139 e nn. 268c: 14, 139 e n., 140 enn., 141n., 142 e

VercILIus Maro PUBLIUS

nn.

v. 628: 148n.

Aeneis II, 49: 148 en.

— 184—

INDICE DEI NOMI *

Abdera: 30 (vd. Protagora).

Cratilo: 15-16, 154 e n., 160 e n., 161162, 163 e n., 164-165, 168-171, 173,

Accademia platonica (in Atene): 7, 20, 47,63, 68, 81, 89, 136, 141, 151.

Accademia toscana («La Colombaria»): 18.

Adorno Francesco: 18, 19n., 150n., 15le n.

Agostino Aurelio (Sant’): 146 e n. Alcibiade: 153. Ammirante: 151 (vd. Taumante).

175 en. Creta: 150 e n. Danai: 148 e n. «Danaum munus»: 148n. «D'Annunzio G., Ateneo»: 7, 17, 121n., 145n. Democrito: 154. De Matteis Giuseppe: 17. Dio: 126 e n., 128 en., 129n., 173.

Argivi: 148 (vd. Greci). Aristotele: 104. Arpinate (1°): 149 (vd. Cicerone). Atene: 150 e n. Ateniese (1°): 9, 14, 16, 26, 36, 48, 53, 68, 94n., 109, 136, 151-152 (vd. Platone); 155-157,

160, 162-163,

166-167,

169,

175 (vd. Socrate). Athos (Monte): 148n. Bellardi Giovanni: 148n. Bertozzi Gabriele-Aldo: 17. Bettetini Maria: 15, 145 e n., 146n., 153 en.

Efeso: 25. Elea: 8, 9, 27, 30, 31, 51, 54, 67, 69n., 101, 118.

Eleate

(1°):

23-24,

27,

30-36,

40-43,

48-50, 53, 56-63, 65-67, 69n., 70 ε η., 72, 74-75, 71, 78, 81, 83-90, 92, 94-96, 99-100, 102-105, 107-109, 111-112, 114-118, 121, 123, 126-127, 129-136,

137 e n., 138-140 (vd. Filosofo di Elea, «Ospite»). Eleati: 68. Elleni: vd Greci. Ermogene (personaggio platonico): 15, 154, 156, 159 e n.-160 e n., 168.

Burnet John: 19n., 150n.

Étienne Henri: 19n.

Cataudella Quintino: 146n., 147n., 148n.

Faranda Rino: 149n.

Euripide: 148n.

Chieti: 121n. Cicerone Marco Tullio: 148 e n., 149.

Filosofo

(il): 8, 14, 21, 63, 70, 81, 136,

141, 150-151, 153 (vd. Platone);

* Sono registrati, sempre con riferimento alla pagina, tutti i nomi propri di persona e di luogo citati nella Premessa, nel testo e nelle note.

Quando un nome ricorre sia nel testo che in nota, al numero di pagina segue la dizione «e n.»; qualora intervenga solo in nota, al numero della pagina segue direttamente la dizione «n.».

— 185—

INDICE DEI NOMI

Filosofo (il): 163-164, 172, 174 (vd. Socrate). Filosofo di Elea: 9, 27, 54, 67, 118 (vd. Eleate, «Ospite»). Firenze: 18. Firenze (Universitä di): 18. Fondatore dell’ Accademia: 7, 20, 47, 63, «68, 81, 89, 141, 151 (vd. Platone). Gentile 29n., e n., 63n.,

Marino: 19n., 30n.-31n., 32 e 54n.-59n., 60 e 64 e n.-65 e n.,

97n., 99n.-100n.,

123n.,

22n.-25n., 27n.n., 33n.-51n., 53 n., 61n, 62en, 66n.-80n., 82n.-

102n.-119n.,

121n.-

124 e n., 125n.-130n.,

132n.-

142n.

Giardini Gino: 19n., 22n.-25n., 27n.31n., 32 e n., 33n.-38n., 39 e n., 40n,, 41 e n., 42n.-51n., 53 e n., 54n.-63n,, 64 e n.-65 e n., 66n.-71n., 72 en., 73n.80n., 82n.-90n., 91 e n., 92n.-94n., 95

e n.,

96n.-97n.,

99n.-100n.,

119n.,

121n.-129n.,

Marziano Nino: 146n. (vd. MarzianoVerdi). Marziano-Verdi: 147n., 148n.

Megarici: 68. Meleto (personaggio platonico): 20n. Moreschini Claudio: 149n. Muse: 82. Odisseo: 146 e n. (vd. Ulisse). Omero: 146 e n., 147n. «Ospite» (1°): 8, 24-25, 28, 30-31, 33, 42, 46, 51, 54, 55n., 56-57, 60-62, 66-68, 69n., 72-73, 77-79, 81-82, 86, 88, 93-94, 96-97, 101-103, 105-107, 109110, 112, 114, 116, 119, 128, 130, 133,

137, 139 (vd. Eleate). Pagliara Daniela: 17. Parmenide di Elea: 54, 60, 67 e n.-68 e n., 70 (vd. Eleate). Pecchiura Piero: 149n.

Pegone Enrico: 150n.

102n.-

Pescara: 7, 17, 121n., 145n.

132n.-

Platone: 7-10, 12, 14, 17, 19n.-20n., 22 e

142n., 151n., 153n.-165n., 166 e π,, 167n.-174n., 175 e n., 176n.-178n. Giovannini Giovanni: 146n., 149n. Giovenale Decimo Giunio: 148n. Giulianova: 18. Greci: 148 e n., 149n., 150 en. Grecia: 148n.

n., 26 e n., 27, 32, 35, 42, 44, 47-48, 49

130

e n.,

Ione (rapsodo di Efeso): 25. Iride (figlia di Taumante): 151 e n. «La Colombaria»: vd. Accademia toscana. Lana Italo: 148n., 149n. Laocoonte: 148n. Latini: 148. Leonardi Claudio: 18. Livio Tito: 149 en. Luciano (di Samosata): 146 e n., 147, 148 en. Maestro di Aristotele: 104 (vd. Platone). Maltese Enrico V.: 19n., 150n. Marroni Francesco: 17.

e n., 51, 53, 55, 63, 66, 68, 70, 81, 87, 93, 94 e n., 99, 101, 112, 118-119, 121, 132, 136, 140, 142, 145n., 150 e n,,

151, 161, 171 (vd. Ateniese, Filosofo, Fondatore dell’Accademia, Maestro). Plauto Tito Maccio: 148. Plebe Armando: 19n.-20n., 22n.-23n., 26n., 30n., 36n., 43n., 47n., 49n.,54n.55n., 59n.-60n., 66n., 68n.-69n., 71n.72n., 74n., 80n.-81n., 99n., 100n.101n.,

104n.,

114n.,

123n.-125n.,

128n., 131n., 136n. Plini (i due): 149. Plinio Cecilio Secondo, Gaio (il Giovane): 149. Plinio Secondo, Gaio (il Vecchio): 149.

Protagora (di Abdera): 29 e n., 30 e n. 157n. (vd. Abdera). Quintiliano Marco Fabio: 149 e n. Razzotti Bernardo: 17. Romano (il): 149 e n. Marco).

— 186 —

(vd.

Valerio

INDICE DEI NOMI

Samosata: 146 (vd. Luciano). Scandola Mario: 149n. Seneca Lucio Anneo: 148n. Socrate: 15-16, 20 e n., 25, 29-30, 151, 154-155, 156 e n., 159 e n., 160, 161 e n.-163 e n., 164-168, 169 e n.-170e n., 171, 173-177 (vd. Ateniese, Filosofo). Sorella Antonio: 17.

Sparta: 150 e n. Stagirita (lo): 104 (vd. Aristotele).

Stephanus Robertus: 19n. (vd. Étienne Henry). Taumante: 151 (vd. Ammirante). Teeteto: 24, 28, 30-31, 34-36, 40-41, 5657, 60-62, 64-65, 67,70, 84, 87,97,99, 102-104, 106, 110, 111 e n., 115, 126, 128, 139-140.

Teodoro sofista: 29, 30. Troiani: 148n. Turolla Enrico: 9, 19n., 21 e n., 22n.27n., 28 e n., 29n.-31n., 32 e n., 33n.-

46n., 48n.-51n., 53n.-54n., 55 en, 56n.-59n., 60 en.-62 en., 63n.-64n., 65 e n.-68 e n., 69n.-70n., 71 en., 72n.75n., 76 e n., 77n.-81n., 82 e n., 83n.85n., 86 e n., 87n., 88 en.-89 en., 90n., 91 e n., 92n.-97n., 99n.-100n., 102n.103n., 104 e n., 105n., 106 e n.-107 e n., 108n., 109 e n., 110n.-113n., 114 e n.-115 e n., 116n., 117 e n., 118n.119n., 121n.-123n., 124 e n.-125 e ἢ.,

126n.-131n., 132 e n., 133n., 134 e n,, 135n.-137n., 138 e n., 139n.-141n., 142 e n., 150n.-151n., 153n.-165n., 166 e n., 167n.-178n. Ulisse: 147n. (vd. Odisseo). Valerio Marco (tribuno militare): 149 en. Valerio Massimo Marco: 149. Verdi Gino: 146n. (vd. Marziano-Verdi).

Virgilio Marone Publio: 148n.

— 187—

INDICE GENERALE

PREMESSA .neaeseenenensenseneenoennensensonnsonnessennennnnannannonennennennnsensnnsnennen . Del vero e del falso nel Sofista ................

in

. L’inoppugnabilità del non-essere ........................................

Pag. »

»

. Un nodo teorico: il falso è, perché non-essere: nel ragionamento 6 nel discorso ........... einereen . Il discorso vero e falso .............

ei

. Ancora sul vero e sul falso nell’epilogo ............................... APPENDICE: Del vero e del falso nel Cratilo INDICE DEGLI AUTORI

...........

...........vvcccreereree rire serre nie ee eee eee nec eniceezezizzene

INDICE DEI NOMI ...............ev0svreccrereere rie ee cenee rece ee einen

— 189 —

» »

»

121

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145

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181

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185

FINITO DISTAMPARE NELLA TIPOGRAFIA GIUNTINA IN FIRENZE OTTOBRE 2005