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Italian Pages 238 Year 1990
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INTRODUZIONE
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A partire dal XIX dall'ambito prettamente tecnico di disciplina riguardante azione di testi, in genere religiosi, e giuridici, ha ampliato la propria portata fino a presentarsi o come metodologia delle scienze dello spirito, o come filosofia. Sviluppando in maniera autonoma alcune tematiche ha elaborato una teoria generale della comprensione, non più in primo luogo come metodologia delle scienze dello spirito, ma come ontologia semantica. Alla base di questo esito c'è nel filosofo tedesco la consapevolezza dell'impossibilità di una conoscenza obiettiva, sistematica ed esaustiva della realtà, dato il punto di partenza da lui ammesso, ma non discusso, della costitutiva e storicità dell'esistenza. Nella cultura contemporanea l'esito dell'ermeneutica si inserisce in un più vasto movimento che amplia i compiti e perciò sua portata. Tale orientamento si basa sulla consapevolezza dell'impossibilità » a. M. 1977;
GADAMER, di Moretto con il titolo Maestri e compagni nel cammino 1980; in questa autobiografia Gadamer non delinea soltanto l'itinerario culturale e le matrici del proprio pensiero, ma offre anche un vivo affresco della vita accademica tedesca.
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per l'uomo di porsi in un punto di vista privilegiato per abbracciare realtà, o per rapportarsi direttamente alle cose, senza mediazione. La realtà non manifesta se stessa totalmente, ma bisogna scavare, andare al di là di ciò che immediatamente si presenta, oltre il segno, il simbolo, il reperto. Solo così emerge il anche se parziale, della cose; ma, anche per questo, è facile cadere di conoscenze illusone,
Lo stesso presenta la tematica fornendo un quadro delle problematiche fondamentali, considerandole anche da un punto di vista storico, nella voce Hermeneutik, in a cura di 1974, 3, 1061-073; e anche saggio omonimo in A ed. Firenze 1969, pp. 360-372. Sul rapporto fra ermeneutica e scienze Die Hermeneutik die in Seminar: die Hermeneutik àie Wissenschaften, Gadamer a. M. 1978, pp. 10-24. Per una presentazione generale dell'ermeneutica, con ampie bibliografie cfr. G. voce Hermeneutik, in Die in 1959, Bd. 242-262; tics. in Dilthey, und Gadamer, 1969; O. Philosophie, 1972, antologia con scritti dei maggiori esponenti dell'ermeneutica contemporanea. Per ulteriori notizie sull'ermeneutica Bibliografie der Hermeneutik und I. MANCINI, voce Ermeneutica, in Nuovo dizionario di a cura di G. Barbaglio e Alba 1977, pp. 370-382; V. VERRÀ, Ermeneutica e coscienza storica, in Questioni di storiografia Il pensiero contemporaneo, cura di A. 1978, pp. 593-624. Sull'ermeneutica contemporanea e i suoi sviluppi cfr. V. VERRÀ, Ontologia e ermeneutica in in "Rivista di Sociologia", 1973, pp. 111-140; - VOLPI, voce Ermeneutica in Enciclopedia della Letteratura, I, a cura di G. Milano 1976, pp. 115-44; J. Contemporary Philosophy and 1980; S. Sabatini, Mulino, Bologna 1986, presenta un ampio quadro delle principali correnti dell'ermeneutica contemporanea.
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osserva che la parola «ha fatto fortuna, come accade alle parole che esprimono, in modo simbolico, tutta un'epoca» e collega del problema alla perdita di centralità della coscienza, perdita evidenziata prima da Hegel, poi da e e infine, in maniera più radicale, da Egli è consapevole di questo problema che il XX secolo e che trova i presupposti nella filosofia del XIX secolo Già hegeliano del concetto di «spirito soggettivo» in quello di «spirito un duro colpo alla coscienza, anche se poi, secondo Gadamer, nel concetto hegeliano di «spirito assoluto» si ripresenta, lo «spirito soggettivo», portato al centro della riflessione dal cristianesimo In direzioni diverse, le critiche radicali di Marx, Freud e Nietzsche hanno portato avanti demolitrice nei confronti della coscienza; il primo con dell'importanza dei rapporti di produzione per la vita e culturale, il secondo con la scoperta dell'inconscio, Nietzsche con le riflessioni sull'Io, per cui «alla fine — H.G. Le de la 1963; tr. it. di Napoli 1969, 29. H.G. GADAMER, Die in I, 1967, 1-10; questa conferenza era apparsa per la prima volta in Gottingen 1965; tr. it. in H.G. GADAMER, Ermeneutica e metodica universale, a cura di Torino 1973, pp. 119-114. *
Ivi, pp. 119 e ss.
«
pp. 126-127.
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nota con una certa ironia — non ci rimane più alcuna maschera, ma neanche alcun Io» La centralità si afferma di pari passo con lo svelamento dell'inganno della soggettività: dopo la tesi che non esistono morali, ma soltanto morale dei fenomeni, diventa il luogo in cui si svela «l'effettivo inganno della soggettività dell'intendere». Soprattutto con «la grande figura del destino», ossia il dubbio, il sospetto universale, è il critico radicale di ogni filosofia che si fondi sulla soggettività. L'emergenza del problema che non è tuttavia da intendere come ricostruzione delo dell'intenzione dell'autore, o come ingenua, va di pari passo alla perdita di importanza del problema della conoscenza. dell'interpretazione esprime tutta la problematicità non solo del rapporto fra soggetto e oggetto, ma anche di quello fra «spirito soggettivo» e «spirito Ivi, 130. Secondo Nietzsche ogni affermazione di verità è sempre neldi una particolare «prospettiva», perciò è vana ogni pretesa di una conoscenza obiettiva ed esaustiva della realtà. Con Nietzsche il concetto di viene posto in primo piano ad esempio, La Gaia scienza, § 374; Al di là del bene e del male, Prefazione e 39, 40, 289; Genealogia della morale, § 24). Tuttavia Gadamer in non mette in risalto l'importanza di Nietzsche e del suo evidenziare l'interpretazione anche come opera degli intenti più nascosti del soggetto. Solo in seguito Gadamer paragona l'apporto di Nietzsche per l'ermeneutica all'opera di cfr. GADAMER, ah M. 1972, I, p. 334; IDEM, Die 129-131.
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E la filosofia contemporanea rispetto al problema del rapporto fra soggetto oggetto rivela tre fondamentali premesse ingenue. della posizione, che pretende di fondarsi su una presunta percezione pura, contrappone l'ermeneutica e, in particolare, il circolo ermeneutico, che pone in evidenza come la comprensione di un senso è possibile solo sulla base delle anticipazioni. Così pure, all'ingenuità della riflessione, che pretende di muoversi liberamente senza condizionamenti, di essere il puro egli contrappone la comprensione, come modo di essere dell'esserci, come accadere in cui l'essere si invia, rivelando perciò la sua intrinseca storicità e finitezza. Infine la terza ingenuità è quella del concetto che si presume autonomo rispetto al linguaggio; al contrario, l'ermeneutica mostra per Gadamer dei due termini, anzi, nel linguaggio s'incontrano scienza ed esperienza nel mondo della vita umana Tuttavia, proprio il concetto di verità si presenta problematico, e ciò si ripercuote sui concetti di esperienza, ermeneutica e dialettica. Nel corso di questo lavoro si intende la consistenza della concezione della verità; in particolare, si vuole l'ipotesi se Gadamer non sia costretto ad oscillare fra due concetti di verità: l'uno, come evento di significato, ossia punto di vista finito, accanto ad altri, ugualmente veri; l'altro, come prospettiva costitutivamente più ampia, al di fuori della storia, vista perciò, come la verità delle particolari prospettive e di ogni evento in quanto tale. GADAMER, Ermeneutica e metodica universale,
131.
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Una seconda ipotesi di fondo che si è inteso è se la coscienza ermeneutica delineata da Gadamer, riesca effettivamente a come pretende, al circolo della riflessione assoluta; oppure, non si ripresenti ancora una volta, in maniera diversa, la soggettività trascendentale che tutto risolve e assolve in se stessa. L'intento fondamentale di Gadamer è la messa in luce e la legittimazione di esperienze di verità che si danno al di là delle esperienze caratterizzate dalla metodologia scientifica. Il concetto di esperienza assume, perciò, un ruolo centrale nella filosofia ermeneutica resta, tuttavia, da discutere se dal recupero di esperienze extra-metodiche di verità, non si giunga poi ad ermeneutica. Uno dei momenti essenziali del discorso in è costituito dell'esperienza estetica. Nell'ontologia dell'opera d'arte Gadamer non solo espone la sua teoria estetica, ma enuclea anche concetti fondamentali per l'ontologia semantica. Emerge la concezione della verità come infinità semantica che si dispiega in infinite possibilità di significato, che di volta in volta accadono, s'inviano nell'incontro dialettico con l'interprete. Wahrheit Methode, in II 1986; edizione tedesca 1960, ed. 1965; di timo, Verità e metodo, Milano 1972, si basa sulla seconda edizione tedesca. D'ora si citerà sulla base della II edizione italiana, con la sigla Il timo fa precedere la traduzione dell'opera di Gadamer da un'ampia e approfondita Introduzione,
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Opera d'arte e interprete si coappartengono, si dialetticamente in una esperienza mai conclusa. Ma la frantumazione della verità in infinite possibilità di significato, ossia la concezione semantica della verità, salva dell'opera d'arte, facendone un «compito» della coscienza, la risolve in quest'ultima? La creatività originaria dell'artista è sublimata da nella dialettica che si sostanzia sia del concetto di trasmutazione sia della concezione dell'essere come «aumento». Nell'opera d'arte la realtà è trasmutata, colta nella sua verità; nello stesso tempo presenta l'opera e, in essa, la verità della realtà ordinaria. Nel rapporto fa realtà ordinaria, opera d'arte e momento rimanda all'altro in una dialettica circolare infinita per cui si danno sempre nuove determinazioni, nuove possibilità di significato che entrano a costituire l'essenza di ciò che è rappresentato. La struttura dialettica delineata da nell'ontologia dell'opera d'arte, sviluppata e approfondita, costituisce la base dell'esperienza ermeneutica storica, e, più in generale, della stessa esperienza del mondo. Si delinea fin dell'opera d'arte, la concezione gadameriana dell'ermeneutica come mediazione dialettica fra passato e presente, mediazione in cui continuamente si realizza una «integrazione produttiva» dell'opera dell'evento, del testo, della «cosa». Ma sorge il dubbio che in tale concezione, si ripresenti, sotto mentite spoglie, una nuova filosofia della storia fondamentalmente ottimistica. 17
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dirige la sua polemica anche verso la coscienza storica, della quale pone in evidenza la per la pretesa di porsi al di fuori della storia, in un punto di vista privilegiato, per coglierne il significato globale. A questo proè da se tale operazione non venga compiuta, dallo stesso Gadamer. Inoltre, egli sottolinea la debolezza della pretesa di potersi rapportare al passato, obliando il proprio orizzonte per identificarsi con l'oggetto, concepito come un «in sé». La polemica contro romantica e la coscienza storica sembra oscurare il suo forte debito sia verso il romanticismo, sia nei confronti dello storicismo. In particolare si è cercato di verificare la presenza ca gadameriana della filosofia proprio riguardo al concetto della verità. E c'è da chiedersi se Gadamer, proprio sulla base di tale concezione non cada nello storicismo relativistico, passiva dei fatti. Per la critica e del della coscienza storica, e per l'elaborazione dell'ontologia semantica, è fondamentale l'incontro con l'ermeneutica dell'effettività dell'esistenza delineata in da il quale mostra che della del vanifica la possibilità priva di pregiudizi. Tale struttura anticipante pone in nuova luce il circolo ermeneutico, cui sembra equivalere «
M. HEIDEGGER, Sein 1970.
Zeit,
di
Chiodi,
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Ma che pure fa propria la lettura ontologica del circolo ermeneutico è, nello stesso tempo, consapevole da un lato delle difficoltà suscitate dell'apertura esistenziale con il fondamento della verità, così come si presenta in e dall'altro, è conscio del circolo che s'instaura in fra ontologia e analitica esistenziale. Perciò Gadamer cerca di uscire da tali e dal rischio di vedere operante sullo sfondo la riflessione assoluta speculativo, concependo la tradizione in sintensi originaria con l'apertura ma autonoma rispetto ad essa. A questo proposito, è da se effettivamente la tradizione sia in grado di all'esistenza, cioè possa offrirle validi parametri di verifica, come Gadamer vorrebbe; oppure, se la tradizione non sia fondamentalmente il prodotto inconscio della soggettività trascendentale. In tal caso, si ripresenterebbe sullo sfondo la riflessione assoluta dell'idealismo e il circolo ermeneutico non avrebbe più una portata ontologica, ma ritornerebbe ad assumere un significato fondamentalmente metodologico. Il circolo allora, non sarebbe più la risposta, a livello ontologico alle pretese renza razionale della riflessione assoluta, ma, al contrario, avrebbe quest'ultima come presupposto. L'esperienza autenticamente ermeneutica è propria, secondo Gadamer, della «coscienza della determinazione storica» necessariamente esposta alla «storia degli effetti», alla tradizione; tale coscienza è da lui concepita come sempre situata in un orizzonte determinato e consapevole di ciò, ossia del suo 19
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essere finita e storica. A questo proposito, si è cercato di discutere se dietro alla «coscienza della determinazione storica», così come è stata caratterizzata da non si ripresenti l'autocoscienza assoluta che, invece di essere esposta agli «effetti», li espone e ne dispone. E ancora è da se, più che di «storia degli effetti», non sia più esatto parlare di «filosofia della storia degli effetti». Lo stesso concetto di «fusione di orizzonti», indicante il rapporto dialettico fra interprete e tradizione, si rivela problematico; infatti, se nell'incontro fra tradizione e interprete accade la verità, allora sulla «fusione di orizzonti» si riverbera la problematicità della verità, della tradizione e della stessa coscienza. L'esperienza è per Gadamer essenzialmente ermeneutica e dialettica, come processo di integrazione che giunge a costituire una prospettiva più ampia, un orizzonte comune fra coscienza e ciò che si da interpretare. Questo è possibile perché i due poli si coappartengono sulla base dell'orizzonte tutto del linguaggio. Nello stesso tempo non c'è fra di essi totale l'esperienza ermeneutica cerca di colmare questa distanza mediante una dialettica di domanda e risposta fra interprete e ciò che si da interpretare. La si sviluppa in una serie di domande, ad esempio, al testo, che poi non sono che la risposta al suo appello, alla sua capacità di coinvolgerci. La dialettica si basa su una doppia sospensione e su un doppio Infatti, da un lato 20
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in evidenza la sospensione dei pregiudizi e dei giudizi della coscienza ad opera dell'appello del testo; ciò comporta che la coscienza ermeneutica si ponga oltre, li trascenda. Dall'altro, mette in discussione il testo cercando di ricostruire l'orizzonte problematico, carico di possibilità, in cui è inserito, e a cui costituisce una risposta. Il comprendere apre delle possibilità di senso, perciò sospende il testo e lo trascende: in tal modo esso trapassa rizzonte dell'interprete. Si è cercato di discutere, a questo proposito, la seguente ipotesi, ossia se la struttura dialettica delineata da non una coscienza ermeneutica neutrale e indeterminata. La doppia sospensione e il doppio dovrebbero risolversi nella «fusione di orizzonti». Ma in virtù di cosa accade tale fusione, se ogni possibilità di senso è Per risolvere il problema non basta affermare, fa, che ciò avviene nell'orizzonte del linguaggio e mediante l'emergenza di un senso comune. La base del dialogare, della «fusione di orizzonti» è posta da Gadamer nel che ogni visione del mondo contiene potenzialmente tutte le altre. Ma è da se questa affermazione non sia ponendosi in una posizione di assolutezza, e non comporti che la «coscienza della determinazione storica» sia indeterminata, al contrario di quel che Gadamer sostiene. In realtà, la sua identificazione di linguaggio e ragione, l'ambivalenza del concetto di verità che opera sullo sfondo e l'ambiguità della «coscienza della storica» 21
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rèndono, non solo la dialettica ermeneutica, ma anche l'ontologia semantica estremamente punto di arrivo e nello stesso tempo fondante, del discorso è costituito dall'ontologia semantica. Il linguaggio rappresenta la totalità di senso in cui l'integrazione è sempre parziale, relativa, Pur se ne ribadisce il carattere storico e finito, rimane da se al contrario, esso sia infinitizzato. Resta non approfondito in Gadamer da un lato, il rapporto fra linguaggio e pensiero e, dall'altro, il rapporto fra linguaggio ed essere: il filosofo tedesco sembra identificarli, e questo è alla base sia della sua risoluzione della filosofia nell'ermeneutica, sia del suo recupero dell'ontologia a livello semantico. Ma è da discutere se la problematicità di quelle identificazioni non vanifichi la portata dell'ontologia semantica facendola sfociare nel relativismo. Riguardo alla metodologia seguita in questa indagine sui fondamentali concetti della filosofia gadameriana, si è voluto stabilire un dialogo: a questo proposito è opportuno precisare che l'opera in cui tali concetti sono trattati con sistematicità, visti nel molteplice dispiegarsi delle loro «possibilità» è naturalmente per la rigorosità e la correttezza dell'indagine non si è tralasciato il dialogo con gli altri contributi Nella presente ricerca si è inteso far parlare Gadamer, non indicando semplicemente i testi che possano confermare ciò che si è ipotizzato: in tal caso ci si muoverebbe solitariamente all'interno dell'ipotesi. Lo stesso Gadamer ha 22
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nella molteplicità delle sue implicazioni, il dialogare. Il domandare rigoroso che si è inteso perseguire è quello che in se stesso è un interrogarsi. Riconoscendo nel dialogare l'autentica maniera di fare filosofia, la lettura più rigorosa di un testo consiste nel farlo essere, pensando con esso e non su di esso, instaurando una ricerca che ripresenti e rinnovi i concetti in questione. Nella consapevolezza che l'appartenenza di una filosofia alla storia è mediata dalla stessa filosofia, è importante richiamare l'essenzialità della nozione di «ripetizione», che non è mai semplice ripresentazione delle possibilità già percorse di un concetto, ma anche delle possibilità, dei sentieri ancora nascosti. E come nella «ripetizione» il problema si trasforma, anche alla luce delle istanze del lettore, così è necessario accennare alla precisazione metodologica che il primo interprete dell'opera di un autore, è l'autore stesso.
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Capitolo I
L'ESPERIENZA DELLE SCIENZE DELLO SPIRITO
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—
problema
delle scienze dello spirito.
Il motivo di fondo consiste esperienze extra-metodiche di verità aventi valore conoscitivo almeno quanto metodica delle scienze della natura. Perciò non intende fornire, mediante l'ermeneutica, una fondazione teorica alla metodologia delle scienze dello spirito; non intende cioè, porsi sul piano metodologico, rinnovando la disputa fra i due tipi di scienze. È stata giustamente posta in evidenza la portata polemica del termine «metodo» presente nel titolo dell'opera maggiore di Gadamer La critica gadameriana non è tuttavia rivolta contro la metodologia delle scienze della ma contro delle scienze dello spirito che meccanicamente e acriticamente nel proprio ambito il metodo scientifico, Con la propria riflessione sulla possibilità del comprendere egli piuttosto, render consapevoli le scienze dello spirito circa la loro essenza, ossia la loro specifica portata di verità. Perciò il comprendere che Gadamer delinea non è una »
Introduzione a
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tecnica per individuare il senso, ma un «accadere» in cui si invia la verità e che unisce le scienze umane alla totalità del mondo. Cercando di rispondere alla domanda, kantianamente formulata, su come sia possibile il comprendere, afferma, sulla scìa di che il comprendere è «il modo di essere stessa come tale» non una possibilità del soggetto; perciò, l'ermeneutica rappresenta il «movimento fondamentale dell'esistenza», costitutivo della sua finitezza, caratterizzante l'intera del mondo. La critica del e del soggettivismo si quella infatti l'oggetto non è da concepirsi come un «in già dato, e il metodo non è una tecnica con cui avvicinarsi ad esso per conoscerlo. D'accordo in ciò con Hegel, per Gadamer, il metodo esprime il muoversi della cosa ed è perciò legato all'oggetto stesso La rivoluzione scientifica che si è affermando a partire dal secolo XVII è invece, per il filosofo tedesco, dal primato del metodo sull'oggetto. Il sapere scientisi modella sul metodo matematico, valutato a priori come il «più perfetto ed esaustivo» mezzo di conoscenza. 2 Ivi, p. 8.
3
HEGEL,
in
ed II, 5, a cura di A. Moni, da C. Scienza della Logica, V. Bari 351 e ss. Anche W. ADORNO, fa propria questa posizione per le sociali: «I metodi non dipendono metodologico, ma dalla cosa», Sulla Logica delle Scienze sociali, in Dialettica e positivismo in sociologia, Torino 1972, p. 130.
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Già la greca, nota identificando la «verità» con vedeva nel giudizio il luogo privilegiato del manifestarsi della verità e nella matematica l'ideale realizzato di tale «esattezza» Le caratteristiche che Gadamer individua nel sapere scientifico, ossia la misurabilità, la precisione, la ripetibilità, la e l'immutabilità, mal si adattano allo studio delle molte esperienze umane, quali ad esempio: la morale, l'arte, la religione, la società, la filosofia, la storia. La metodologia scientifica, propria delle scienze positive, che si afferma a partire dal XVII, è stata perciò estesa allo studio delle questioni squisitamente umane solo a prezzo di un loro impoverimento e Il filosofo tedesco pone in evidenza come il trasferimento illegittimo del metodo sia compiuto da John il quale nella sua Logica sostiene l'unicità del metodo sia per quelle che chiama sia per le rifacendosi in ciò alla tradizione empiristica inglese e in particolare a Gadamer nota acutamente come la traduzione tedesca del 1849 del libro VI di intitolato Logic sciences, appaia con il titolo Questa traduzione appare sotto GADAMER,
della filosofia, in Ermeneutica e metodica universale, 27-28; questo saggio del 1948 risente dell'influsso heideggeriano, presente in maniera ancora più evidente in Was ist in I, Tubingen 1967, pp. 46-58; in "Rivista di filosofia", 1956, pp. 251-66. Si veda, inoltre, sull'argomento H.G. in IV, Tubingen 1977, 176. Cfr. p. 25.
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della filosofia hegeliana, per la quale tuttavia la natura e lo spirito sono manifestazioni di un'unica realtà spirituale, tanto che la vera scienza è la filosofia. Alla base dell'affermarsi della metodologia scientifica c'è la distinzione cartesiana fra e che è anche all'origine della distinzione fra i due tipi di scienze. Lo stesso Dilthey, sottolinea nonostante la sua filosofia della vita, nella concezione della scienza resta fondamentalmente cartesiano: infatti, il suo ideale è la certezza; ciò che conta sono i «risultati» da raggiungere mantenendo un atteggiamento riflessivo e dubitativo, anche per le dello spirito, ossia per la morale, il diritto, la religione. Nel suo tentativo di fondare una ragione storica, così come aveva fatto per la ragion pura, Dilthey resta invischiato nel modello metodologico delle scienze della natura, nonostante la sua distinzione fra «spiegare» e «comprendere», sulla quale fonda quella fra psicologia esplicativa o analisi e psicologia comprendente descrittiva In realtà per Gadamer non ha senso ricercare un metodo per le scienze dello spirito in analogia con quello matematico delle scienze della natura. Ciò significherebbe imporre a priori all'oggetto un metodo estraneo, misconoscendone il modo specifico di essere, derivandone una conoscenza ambigua. Così, per esempio, applicando alla conoscenza storica il modello induttivo si coglierebbe soltanto la regolarità degli eventi, perdendo invece le caratteristiche individuali. GADAMER,
problema della coscienza storica,
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Il problema di fondo di è quello della verità. E ciò alle sue riflessioni il respiro filosofia: la sua polemica contro il è la polemica contro sola esperienza di verità, ossia di quella scientifica. In realtà, l'esperienza umana della verità si esplica anche in spazi extra-metodici, nell'arte, nella nella religione, nella filosofia, Ciò dire anche che per Gadamer le scienze umane «non sono solo un problema per la ma rappresentano, invece, un problema di filosofia» Al discorso sfuggono le esperienze specifiche dell'uomo, che trovano invece nell'ermeneutica il fondamento della propria possibilità. Perciò nell'ermeneutica non si tratta di delineare un metodo specifico ma di riconoscere un'idea del tutto diversa di conoscenza e di verità. Facendo coincidere nell'ermeneutica la filosofia con le scienze Gadamer afferma che ricercare un fondamento per queste significa cercarlo per quella, dire cioè, «pensare il fondamento delia natura e della storia e la verità possibile dell'una e Alla di quando ormai ha alle spalle tutto il cammino che lo ha condotto alla della ontologia semantica, Gadamer riduce la teoria scientifica a una delle infinite possibili prospettive in cui si può esperire il mondo, dando in tal modo una lettura ermeneutica delle stesse teorie scientifiche: rapporto fondamentale tra linguaggio e mondo non significa perciò che il mondo divenga oggetto del p. 30.
Ivi, p. 31.
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Ciò che è oggetto di conoscenza e di discorso è invece già sempre compreso nell'orizzonte del linguaggio, che coincide col mondo. La dell'esperienza umana del mondo non implica in sé del mondo. All'apposto, che la scienza conosce e su cui fonda il proprio specifico carattere obiettivo fa anch'essa parte di quelle relatività che sono abbracciate dal linguaggio in quanto orizzonte del mondo» Egli perciò la portata conoscitiva della metodologia scientifica, facendone uno dei modi di esplicarsi dell'esperienza linguistica del mondo; ma in tal modo dalla critica della scienza si passa dell'ermeneutica. Secondo nel mondo contemporaneo lo stesso concetto di teoria, — lungi dall'essere la greca contemplazione di un ordine cosmico e l'espressione più alta dell'essere umano, in quanto attività fine a se stessa e slegata dai bisogni — è decaduto a mezzo di dominio, di mistificazione dei reali interessi, di oscuramento dei problemi dell'umanità Se il pensiero greco aveva preso la strada del sapere scientifico identificando la «verità» con tuttavia solo a partire dal XVII inizia ad affermarsi un concetto formale di intelligenza in cui progressivamente per Gadamer si oscura la capacità di contemplare l'ordine cosmico: ora l'intelligenza è vista come capacità di apprestare i mezzi per
pp. 514-15. metodica universale,
della filosofia, in Ermeneutica e pp. 26-28; ma anche 519.
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il conseguimento di un dato fine. Successivamente si è cercato di mettere in evidenza il carattere sociale e convenzionale dell'espressione linguistica «intelligenza», vista da in relazione del più blando francese sul più profondo Nel con l'affermarsi della psicologia delle facoltà, essa è ormai concepita come una delle facoltà umane, come strumento. Vedendo la questione del mutamento di significato dei concetti di teoria e di intelligenza dal punto di vista del rapporto fra e le simpatie di Gadamer vanno certamente alla Vemunft perché capace di andare oltre la considerazione meramente risultando perciò ben più adatta dell'intelletto calcolante per interrogarsi sulle questioni umane. La rivoluzione tecnico-scientifica, connessa alla rivoluzione industriale all'imporsi di forme violente di organizzazione sociale, ha condotto Gadamer ad interrogarsi sulla capacità del sapere tecnico-scientifico di rispondere ai problemi umani. In un mondo dominato da quello che chiama «mito del progresso», mito che in verità ultimamente si è appannato, la filosofia si presenta subordinatamente come dottrina della scienza e dei suoi sistemazione dei suoi risultati. Tuttavia, nota Gadamer, quello del progresso è soltanto un mito di origine illuministica impostosi con l'avvento della mentalità tecnico-scientifica, che nella sua presunta
in
GADAMER, I,
220-223.
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mia dai fini dell'uomo, pone inquietanti interrogativi sul suo destino il mito del progresso, di una umanità padrona dell'universo, respinge anche l'altrettanto immotivato ritorno nostalgico al passato. Tuttavia, il suo concepire to ermeneutico sostanzialmente come un dialogare con la tradizione, come di verità, come già da sempre data della coscienza, non fa che proprio il passato.
in 34.
34
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and
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—
concetto di esperienza.
Poiché l'intento fondamentale di è di esperienze di verità si danno al di là dell'esperienza scientifica, il concetto di esperienza assume, perciò, un ruolo centrale nella sua filosofia ermeneutica; a questo proposito afferma: concetto di esperienza — per quanto ciò possa suonare paradossale — mi pare da annoverare tra i meno chiari che possediamo. A causa del fatto nella logica dell'induzione, ha una funzione di guida per le scienze positive, esso ha finito per essere rinchiuso entro schemi che sembrano mutilarne l'originario In particolare, se ne è obliata la portata di verità, come come evento 401. Si può dire che il concetto di esperienza sia trattato secondo le sue molteplici possibilità di realizzazione in tutta l'opera principale di Gadamer, ossia Verità e ma in particolare si vedano le pp. 401-408 che delineano una breve storia di tale concetto e dell'esperienza ermeneutica. Sul concetto di esperienza Ontologie, in Hermeneutik und von II, 1970, pp. 209-213. Il pone in evidenza la complessità del concetto gadameriano di che risente sia della dottrina cetto di esperienza in Gadamer non significa soltanto conoscenza, misura del sapere, ma anche «riconoscimento» e «applicazione», rivelando in tal modo, anche una portata in sede pratica. Invece il in dell'esperienza ermein Ermeneutica e Brescia 1979, pp. 95-130, sostiene che Gadamer risente troppo della teoria dialettica hegeliana, facendo passare in secondo piano dell'esperienza che pure trae da et La de et Gadamer, in 1979, pp. 10-12, sostiene che la fondamentale storicità dell'esperienza sostenuta da Gadamer, gli evita di cadere nel del sapere assoluto.
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perciò ne è stata oscurata l'intima storicità, pensando l'esperienza soltanto in base alla metodologia scientifica. Tuttavia, la. concezione metodica della verità, in cui l'esperienza induttiva è finalisticamente orientata in rapporto all'ipotesi da dimostrare, non è causale per il filosofo tedesco, ma risulta fondata sulla stessa dell'esperienza: la scienza moderna non ha fatto che sviluppare una delle possibilità dell'esperienza, quella che ne rende possibile la ripetibilità e la Cercando di delineare la storia del concetto di esperienza, evidenzia l'importanza sia della filosofia greca, sia dell'idealismo tedesco, in particolare di Hegel. A questo proposito, sostiene di condividere la concezione dell'esperienza e della dialettica delineata dai filosofi greci, sottolineando, nello stesso tempo, la necessità di integrarla con la storicità dell'esperienza mostrata da Hegel. In particolare, Gadamer si riferisce ad una bella similitudine di il quale raffronta osservazioni fatte ad un esercito in fuga. Le osservazioni sono come i soldati, ma quando un'osservazione viene riscontrata più volte, e perciò riconfermata, essa si fissa nella memoria permettendo che altre osservazioni la confermino; così può accadere che i soldati interrompano la fuga, come richiamati da un comando. Gadamer sottolinea e insite nella teoria dell'induzione aristotelica: sulla base di questa fondamentale «apertura» dell'accadere si delineano conoscenze sempre più ampie e, quindi, si l'esperienza. II, 19.
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Nel porre in evidenza i momenti più significativi del concetto di esperienza, inteso come induzione, riconosce il merito di avere non solo sviluppato una teoria dell'esperienza come teoria dell'induzione, superando la simplex, ma anche di avere posto in primo piano la «difficoltà morale» e la «problematicità antropologica» dell'esperienza induttiva. Nella dottrina dei pregiudizi, anche se in maniera negativa, sono evidenziati momenti essenziali Da fino ai contemporanei il problema dell'esperienza è stato visto prevalentemente sotto dell'induzione. Gadamer individua nella obiettività e dimostrabilità le caratteristiche della «mentalità scientifica», che ha cominciato ad imporsi a partire dal L'attacco al scientifico e alla sua pretesa di esaurire l'esperienza della verità ha prodotto numerose reazioni critiche, in particolare dal punto di vista del razionalismo critico di scuola 403-405. razionalista critico H. ALBERT polemizza contro Gadamer per la sua rivendicazione di esperienze di verità e quindi per la coincidenza di filosofia e «scienze per Albert non sarebbe che una «continuazione della teologia con altri mezzi», Vemunft, Mohr, Tübingen 1969; tr. it. di E. Piccardi, Mulino, Bologna, 1973, con il Per un razionalismo critico, la citazione è a 164 della La polemica è stata continuata da Albert in Krìtische 1971; tr. it. di Antiseri, Difesa del razionalismo critico, Armando, Roma 1975. Le critiche contro l'ermeneutica in particolare gadameriana, costituiscono una continuazione del fra Adorno e Popper, negli anni Il fra teologia ermeneutica è colto da Albert in Gadamer nel del metodo elaborato dalla scienza e nell'antinaturalismo. A proposito critiche
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Il tentativo di applicare il metodo delle scienze della natura alle scienze dello spirito, a partire dalla seconda metà del XIX, è stato secondo un trasportare una metodologia estranea a scienze caratterizzate da specifiche esperienze di verità. La «coscienza storica» come coscienza mistificata dell'esperienza storica, pur se ricerca nel passato non il caso particolare orientato alla conferma della regola generale, ma qualcosa di unico, tenta sempre di impadronirsi vanamente del passato, senza la consapevolezza che il proprio approccio non è neutrale, ma storicamente collocato. Piuttosto, per Gadamer, lo stare della tradizione fonda la possibilità di un rapporto con il passato, non costituisce un limite. In realtà la «coscienza storica» nel relazionarsi ad esso, ha già fatto un livellamento i conoscitivi, che così non possono essere messi in questione dalla tradizione, dall'appello che da essa promana. È invece solo con Hegel, sottolinea Gadamer, che la «storicità» della esperienza vede riconosciuti i propri diritti. Riecheggiando fin nella terminologia la alla e avendo presente la lettura fattane da di Albert nota giustamente «Voler imputare al pensiero di Gadamer di sottrarre l'uomo alla connessione dinamica con la natura, non è però proprio esatto, poiché Gadamer intende semplicemente non già sottrarre l'uomo, ma affermare che il metodo delle scienze naturali non è capace di cogliere un aspetto fondamentale del mondo vitale storico, quale l'esperienza del senso», in Gadamer, Assisi 1978, 19. HEGEL, ed.
des Geistes, Einleitung, in di De Negri, Firenze
65-78.
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in Gadamer delinea i caratteri dell'esperienza Quest'ultima è infatti essenzialmente un processo negativo, in cui ciò che è ritenuto vero viene contraddetto. Questo non dire che ciò che si rivela sia una mera illusione, e che perciò si cada nel «puro nulla», in quanto la negazione è una «negazione determinata». Con tale esperienza negativa non si acquista soltanto un sapere più ampio su un qualunque particolare oggetto, bensì lo si acquista su qualcosa di universale, ossia su ciò che in precedenza si presumeva di sapere. In tal modo non si cambia soltanto il sapere dell'oggetto, ma anche del soggetto: entrambi si appartengono. Anche nel linguaggio comune si esprime questa doppia polarità infatti, da un lato, si parla di quella che si inserisce nelle nostre aspettative, ordinatamente, permettendo previsioni; dall'altro, se ne parla per indicare qualcosa che ci può cambiare. La coscienza protagonista di una nuova esperienza si è «rovesciata», ha acquistato un più vasto e diverso orizzonte, in cui si avrà un diverso sapere degli oggetti che si collocano al suo interno: «È questo il rovesciamento — afferma Gadamer — che si verifica nella coscienza: il di riconoscere se stessi in ciò che è estraneo, altro. Sia che il cammino della esperienza si compia come dispiegarsi di sempre nuove figure dello spirito di cui la scienza scopre M. ir. di
Erfahrung, in Chiodi, in Sentieri interrotti,
105-192. »
pp,
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cettualmente la in tutti i casi si tratta sempre di un rovesciamento della coscienza. La descrizione dialettica hegeliana dell'esperienza coglie un aspetto vero della realtà di essa» Tuttavia, nota terminando nel sapere ossia razionale di coscienza e oggetto, la dialettica hegeliana resta ancora intrisa dell'ideale metodologico della piena conoscenza dell'oggetto e della sua messa a disposizione del soggetto. Hegel non renderebbe giustizia all'aspetto dialogico della dialèttica, pensandola piuttosto in anticipo, sulla base di un momento in cui la stessa esperienza sarebbe superata. Invece l'autentica esperienza dialettica è caratterizzata non conclusivismo, dalla non esaustività, in irriducibile opposizione nei confronti dell'universalità del sapere. pur avendo colto l'intima storicità dell'esperienza, poi la annulla nell'eterno presente del sapere assoluto; perciò, secondo Gadamer, la dialettica deve riprendersi Si presenta un duplice rapporto con Hegel: da un lato, Gadamer accetta il concetto di esperienza, come coappartenenza di soggetto e oggetto, in cui nel nuovo sapere dell'oggetto non muta solo quest'ultimo ma anche il soggetto; dall'altro, rifiuta l'impianto idealistico, il sapere assoluto, come superamento dell'esperienza che di per se stessa è sempre finita e infinitamente aperta. Anzi, Gadamer kantianamente consapevole dei limiti del conoscere, a questo proposito Ivi,
410-11.
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parla infinita dell'esperienza come «cattiva infinità» che non è poi tanto cattiva critica il la sistematicità, la riflessione assoluta della filosofia hegeliana, ma bisogna notare che non pone adeguatamente l'accento sul momento sul ruolo del negativo. Il valore della verità si attua nel riconoscimento della finitezza di non essere padroni del tempo. Un progetto per il futuro non può mai pretendere di essere totalizzante: secondo Gadamer, è una pura apparenza che tutto si possa modificare o anche annullare; bisogna piuttosto riconoscere ciò che è, non come mero riconoscimento di ciò che in un certo momento è, ma come comprensione dei limiti entro cui c'è futuro aperto. L'esperienza autentica è, perciò, sottolinea Gadamer quella ermeneutica e dialettica che si realizza nella «coscienza della determinazione storica», in cui l'approccio alla tradizione non è fatto in termini di comparazione o di riduzione, ma di apertura alla verità che si invia nell'evento, nel testo, nell'opera d'arte.
Ivi,
41
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Capitolo II
CRITICA DELLA COSCIENZA ESTETICA
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giudizio di gusto.
Nella prima parte di
intitolata
enuclea concetti fondamentali per l'ontologia semantica, tenendo presenti l'estetica — delineata in Der Ursprung — e l'estetica hegeliana. pp. 25-207. Oltre alle pagine di numerosi sono gli scritti di Gadamer dedicati problema estetico riguardanti sia la letteratura e la poesia, sia lo status ontologico d'arte e la coscienza estetica: des in "Rivista di estetica", 1958, 3, pp. 374-383, nel giudizio estetico, Atti del simposio di estetica di Venezia Padova 1960; Martin Der Ursprung des Kunstwerks, 1960, 102-125; in der 1960, pp. 13-21, tr. it. di in "Sigma", 1965, pp. ; und in del V Congresso Internazionale di Estetica" (Amsterdam, 1964), 1968; und Hermeneutik, in II, 1967, pp. 1-8. Per una discussione critica O. Die Fmgwurdigkeit der der der Kunst, Rundschau", 1962, pp. 225-238; si vedano inoltre di G. VATTIMO, Estetica ed ermeneutica in Hans-Georg Gadamer in Poesia e ontologia, Milano 1967, pp. 167-182; IDEM, eà ermeneutica, in "Rivista di estetica", n. 1, pp. 3-15. Cfr. M. Der Ursprung des Kunstwerks, in tr. it. cit. pp. 3-69. Si veda la già citata nota conclusiva di Gadamer all'edizione tedesca, Stuttgart 1960, pp. 102-125.
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Il discorso sull'arte si dispiega dapprima in una pars in cui delinea l'affermarsi della coscienza estetica, che riduce lo status ontologico dell'opera d'arte alla «pura apparenza estetica» avente il proprio dominio in un luogo autonomo e neutro dello spirito, indipendente dalla realtà vera e propria, oggetto delle scienze della natura. storico-critica che il filosofo conduce, in particolare nei confronti dell'estetica kantiana e dei suoi sviluppi idealistici e neo-kantiani, sfocia nella dimostrazione delle dei concetti di gusto ed e, più in generale, della stessa coscienza estetica. La pars della teoria estetica che pone le basi dell'ontologia semantica, si fonda invece sul riconoscimento dell'esperienza di verità dell'opera d'arte. La coscienza estetica, nota si presenta esplicitamente negli immediati successori di a partire da ma le sue radici sono già presenti nella kantiana Nel delineare le caratteristiche del giudizio estetico Kant afferma: «Ora, se questa validità universale non si può derivare dal consenso comune e da un'inchiesta sul modo di sentire altrui, ma deve fondarsi sopra un'autonomia del soggetto che giudica del sentimento di piacere (per una data rappresentazione), cioè sul suo gusto, e senza essere derivata da concetti; un giudizio che possieda questa specie di validità — e tale è il giudizio di gusto — presenta una doppia qualità logica: in primo 113.
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luogo la validità universale a priori, che non è però tà logica secondo concetti, ma l'universalità di un giudizio particolare, e in secondo luogo, una necessità (che deve sempre risu principi a ma non dipende da alcuna prova a priori, la cui rappresentazione possa costringere a quel consenso, che è richiesto ad ognuno dal giudizio di La fondazione trascendentale del giudizio estetico sul concetto di gusto, se da un lato permette a Kant di rivendicare una universale» e «autonoma» a tale giudizio, nello stesso tempo, secondo priva quest'ultimo di ogni portata conoscitiva, di ogni pretesa di verità. anche se la soggettività del gusto, non è empirica, ma trascendentale, tuttavia il giudizio estetico non produce per Kant alcuna conoscenza dell'oggetto, in sede teoretica, in sede pratica. Kant pone in evidenza come la sua concezione del giudizio estetico, sia riguardo al bello di natura, sia riguardo al bello artistico si accordi con il «principio della finalità», in quanto la facoltà estetica del giudizio è di per se stessa legislativa quando giudica della bellezza. Se si ammettesse invece il realismo della finalità della natura, sostiene Kant, allora si dovrebbero apprendere dalla natura stessa gli oggetti da trovare belli, perciò il giudizio di gusto sarebbe sottoposto a principi empirici Per Gadamer, il limite di tale concezione del giudizio estetico consiste nel fatto che non ha una portata di « E. Bari
di A.
da V. Verra,
§ 31.
§ 48.
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verità, ossia non entra a costituire l'oggetto bello, l'opera d'arte; non produce nei loro confronti una «integrazione produttiva». Ciò che rende peculiare il estetico kantiano è il suo essere una sorta di sconosciuta sintesi di facoltà teoretica e pratica, di «sconosciuta» unione di libertà e natura; tuttavia, precisa tale unione è soltanto simbolica: «Ora io dico che il bello è il simbolico del bene morale In questa facoltà il Giudizio non si vede, come quando è empirico, sottoposto delle leggi dell'esperienza: riguardo agli oggetti di un piacere così puro esso a se stesso la legge, come fa la ragione riguardo alla facoltà di desiderare; e, sia per questa interna possibilità che è nel soggetto, sia per la possibilità esterna d'una natura che si accordi con la prima, il Giudizio si vede legato a qualche cosa che è nel soggetto stesso e fuori di esso, che non è natura libertà, ma è congiunto col principio di quest'ultima, vale a dire col soprasensibile nel quale la facoltà teoretica e la pratica si congiungono in una maniera comune, ma sconosciuta» A preme di sottolineare nel discorso kantiano sul giudizio estetico, che l'accordo fra natura e libertà è soltanto simbolico. Infatti, giudicando bella la natura il soggetto la vede alla luce dell'idea della propria destinazione morale, ma essa non sussiste specificatamente a tal fine. Anche se l'opera per Kant rappresenta l'unione di natura e di libertà, tuttavia, Gadamer nota che secondo la concezione kantiana Ivi, § 59.
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d'arte può, appunto, soltanto rappresentare, ma non produrre, il ritrovarsi dell'uomo nella realtà priva di Con la fondazione trascendentale del giudizio estetico sul gusto si è venuto a spezzare, sottolinea il legame con la tradizione umanistica, di origine stoico-latina e avente in sé viva la nozione aristotelica Secondo tale tradizione il giudizio empirico di gusto ha capacità di giudicare, di decidere nelle situazioni umane concrete. Gadamer osserva che su questa capacità di giudicare secondo il gusto, che si sostanzia del sensus communis, si sono tradizionalmente fondati il diritto, gli studi storico-filologici e stessa morale. Ma da quando le discipline hanno cercato di interpretarsi metodologicamente, appoggiandosi al modello delle scienze della natura, il sensus communis e il giudizio di gusto hanno progressivamente perso importanza. Invece i concetti di gusto, senso comune, giudizio, hanno una portata ben più vasta del giudizio estetico kantiano Infatti, secondo Gadamer, il giudizio di gusto è un tipo di conoscenza non metodica, non dimostrativa; anche si avvicina al giudizio riflettente kantiano in quanto coglie nel particolare l'universale, ossia il particolare in riferimento alla totalità, tuttavia tale giudizio pretende la verità, ha una portata conoscitiva.
pp. 65-66. Ivi, pp. 31-66: qui Gadamer compie un'ampia analisi storico-critica di concetti-guida umanistici quali quelli di cultura, «sensus communis», giudizio e gusto.
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Il gusto, sottolinea «non si limita quindi al campo del bello di natura e d'arte, giudicandolo in base alla sua qualità decorativa, ma si estende a tutto l'ambito del costume e delle convenienze Anzi proprio l'ordinamento della vita secondo le regole del diritto e della morale è qualcosa d'incompleto, che abbisogna di una integrazione produttiva» Nel concetto di integrazione produttiva, operante in senso critico nei confronti kantiana del concetto di gusto, si esprime l'orientamento di fondo dell'ermeneutica delle opere d'arte, delle norme e morali, dei testi sacri, degli eventi storici, non consiste nell'applicazione di un universale già dato ad un particolare, o nella assunzione del particolare nell'universale, ma è un'integrazione in cui l'universale è «determinato produttivamente» dal caso particolare; nell'applicazione infatti versale si sviluppa, si corregge, si accresce. Il giudizio di gusto di cui parla Gadamer non è meramente soggettivo: piuttosto in esso si esprime il ossia la volontà profonda di una comunità, di un popolo. L'individuo che «giudica» è dominato, per usare una espressione hegeliana, dallo «spirito del popolo». E non è un caso che Gadamer reputi fecondo e accolga tale concetto, non solo della filosofia dello spirito hegeliano, ma anche della scuola storica e del più maturo storicismo.
Ivi,
63.
50
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della coscienza estetica: genio ed
Gadamer individua nella diversa significatività del bello artistico dal bello di natura il motore problematico kantiana. Il bello artistico infatti, a differenza del bello di natura, è per una produzione del «genio», da lui definito come «la disposizione innata dell'animo per zo d e l l a q u a l e la natura la regola all'arte» In tal modo Kant pone un collegamento fra la bellezza naturale e il bello artistico, che, prodotto dal genio, viene da lui chiamato «idea estetica». Mentre le idee razionali sono concetti a cui nessuna intuizione (rappresentazione dell'immagine) può essere adeguata, «le idee estetiche, — precisa Kant sono quelle rappresentazioni dell'immaginazione che danno occasione a pensare molto che però un qualunque pensiero e un c o n c e t t o possa essere loro adeguato, e, per conseguenza, nessuna lingua possa perfettamente esprimerle e farle comprensibili» Nel genio, secondo Kant, c'è un andare oltre i limiti dei concetti dati, mettendo in moto il libero gioco dell'immaginazione e dell'intelletto. A proposito della ricchezza inesauribile di significato dell'idea estetica esibita dal genio, Gadamer osserva che «l'irrazionalità del genio indica invece, più in generale, un momento di produttiva creazione di regole che si fa valere tanto nella produzione quanto nella fruizione: di fronte al prodotto delio E. » Ivi, § 49.
§ 46.
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non c'è alcuna possibilità di cogliere il suo contenuto altrimenti che nella irripetibile forma dell'opera e nell'impressione con essa, il cui segreto non può mai essere compiutamente espresso da nessun linguaggio» Ciò che caratterizza i prodotti bella, secondo è l'unione del gusto con il genio: gusto — egli afferma — come il Giudizio in generale, è la disciplina (l'educazione) del genio; gli ritaglia le ali e lo rende costumato e polito; ma nel tempo stesso gli una guida, mostrandogli dove e fin a che punto possa estendersi per non smarrirsi» il gusto ordina la massa dei pensieri, dando perciò consistenza alle idee, rendendole degne di un consenso «durevole e universale». Il gusto per Kant entra sia nel momento produttivo dell'opera d'arte, sia nel momento del giudizio estetico. La coscienza estetica, come esperienza non autentica, si costituisce, osserva sostituendo progressivamente al concetto di gusto quello di genio. E l'eliminazione della kantiana cosa «in alla riflessione trascendentale una nuova spinta nella direzione di un potenziamento del concetto di genio. in Kant subisce, nota Gadamer, una «modificazione il punto di vista del genio emerge sulla facoltà di giudicare, come punto di vista dell'arte contrapposto 78.
» E. KANT,
§ 50.
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e privilegiato rispetto alla realtà La coscienza estetica, viene perciò da riecheggiando il concetto hegeliano di cultura, come «forma dello spirito Tuttavia, affermando che l'arte bella è arte del stesso secondo Gadamer, pone le basi per questo sviluppo e per l'estetica idealistica in generale. Ed è pp. 110-11. Per l'estetica di SCHILLER, di in in cura di e H.G. in collaborazione con 5, 1960, pp. 570 e ss; sempre nello stesso si rimanda scritto schilleriano, die pp. 394 ss. Al contrario di Gadamer, Hegel vede nella teorizzazione dello stato estetico merito di come eloquentemente si esprime nella riconoscendogli il merito di aver fatto valere «nell'idea del bello dell'unità concreta del pensiero e della rappresentazione sensibile la via d'uscita dalle astrazioni dell'intelletto» (in S. Werke, ed. Bd. 6, al § 55). Questo giudizio è ribadito nelle ùber die «Deve essere dato a Schiller il merito di avere infranto la soggettività e l'astrazione kantiana del pensiero e d'aver avviato il tentativo di andare oltre e di concepire concettualmente l'unità e la conciliazione come il vero e di realizzarle artisticamente» (testo a cura di H.G. Hotho, tr. it. di N. Merker e N. Milano 1963, 84). Poiché lo stato estetico schilleriano si prospetta come possibile soltanto a pochi eletti, egli resta ancora nella prospettiva lontana dalla «eticità» hegeliana; ciò non toglie che si ponga come integrazione e superamento dello stato puramente etico kantiano, sulla via che lo stesso Kant accenna nella cfr. in proposito A. NEGRI, passaggio dall'etica kantiana all'etica idealistica, in Storia antologica dei problemi filosofici, Morale, V. II, a cura di A. Negri, Firenze 1965, p. 462. ed
Cfr. ad esempio Bd. 7, « E. KANT,
HEGEL,
des
in S. Werke,
§ 187, § 46-47.
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sempre in egli osserva, che alla genialità produttiva corrisponde una genialità del comprendere Su queste basi kantiane si sarebbe poi costruito il «punto di vista dell'arte», caratterizzato oltre che del genio anche dalla svalutazione dell'allegoria rispetto al simbolo; infatti, la libertà dell'attività del sentimento diventa la base e del Novecento. L'idealismo tedesco prosegue, sottolinea la via del genio: e critici della cosa «in sé» e avendo presente la dottrina kantiana dell'immaginazione trascendentale, amplificano la produttività inconscia del genio fino ad includere la natura, che diventa prodotto dello spirito. L'idealismo tedesco opera, perciò, una del concetto di genio Gadamer osserva che la dottrina kantiana del potenziamento del sentimento vitale che si ha nel piacere estetico «favorì lo sviluppo del concetto di genio in un generale concetto di vita, soprattutto dopo che Fichte ebbe innalzato il punto di vista del genio e della produzione geniale al rango di punto di vista trascendentale universale» E, mediante tale sviluppo il concetto kantiano di genio sta, secondo Gadamer, alla base della dottrina neo-kantiana Infatti il neo-kantismo, volendo ridurre alla
di
p. 82. ivi, pp. 84-86. Ivi, p. 86. In Gadamer compie una sottile analisi storico-critica del concetto si vedano in particolare le pp. 86-96, 265-268.
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soggettività trascendentale la validità dell'oggetto, giunge ad attribuire al concetto di di «vissuto», la funzione di «dato» più autentico e ultimo della coscienza. Il concetto di Erlebnis ad esempio, contiene essenzialmente, nota due momenti: uno e uno positivistico. Il concetto di Erlebnis si richiama a quello di vita ed implica, quindi, il legame con la totalità, con l'infinito: ciò in contrasto, sia con l'astrattezza dell'intelletto, sia con la della sensazione e della rappresentazione. Nello stesso tempo il «vissuto» è il «dato» ultimo della coscienza, ciò che si è cristallizzato, fissato, nel divenire incessante della vita infinita. Il concetto di Erlebnis, con la doppia valenza in precedenza indicata, viene posto da Dilthey alla base delle infatti la vita si nel vissuto, cioè in unità significanti, nello stesso tempo tali unità possono essere colte nel loro intimo significato solo mediante vissuti, nel concetto di Erlebnis si esprime quella identità di soggetto e oggetto che fornisce a Dilthey la base della teoria della conoscenza. In estetica, sottolinea Gadamer, l'arte che assume a proprio oggetto gli Erlebnisse, ossia diventa l'arte autentica: concetto di contiene una caratteristica ambiguità. Il termine significa da un lato che tale arte nasce e ne è espressione. In un senso derivato, però, il termine viene anche usato per che si propone 2»
DILTHEY,
Lipsia
I,
9.
55
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espressamente di essere oggetto di I due sensi sono legati. Ciò che infatti è costitutivamente espressione di Erlebnis non può esser colto nel suo significato se non attraverso un Ma la valenza, anche positivistica, del concetto di Erlebnis che è alla base della teoria della conoscenza delle scienze dello spirito, non è per se non la spia dell'esperienza scientifica e del tentativo di interpretare in base a E proprio tale conduce a concepire il móndo dell'arte come mondo dell'apparenza, contrapposto a quello La «coscienza estetica», osserva Gadamer, non considera più l'opera in rapporto al mondo originario, in relazione alla sua funzione sacra o profana; al contrario, è la stessa «coscienza estetica» che misura tutto ciò che è esteticamente valido, distinguendolo da ciò che è extra-estetico, ossia dalla funzione, dai significati, dal contenuto. L'opera d'arte è perciò sta astrattamente, sradicata dal mondo in cui è nata, vive e significa. L'astrazione operata dalla «coscienza estetica», per cui assume una sussistenza autonoma, costituisce quella che Gadamer chiama «differenziazione Mediante la «differenziazione» la «coscienza è sovrana, decidendo essa ciò che è estetico da ciò che non lo è: l'esteticità le appartiene, al di là del presente e del passato, simultaneamente». E le sedi 98.
Ivi,
114-16.
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della «simultaneità» sono il teatro, il museo, la biblioteca unila sala da concerto qui l'opera vive staccata da ogni qualità extra-estetica, dal suo mondo originario. Nel mondo dell'apparenza la «coscienza estetica» rivendica per un dominio universale; a questo proposito, «Tutto ciò a cui riconosce le appartiene. In questo ambito essa non opera più delle scelte, giacché essa stessa non è più e non vuole essere più qualcosa, in base a cui si possano operare delle scelte. Come coscienza estetica, essa è la riflessione trascende ogni gusto determinante e determinato, e rappresenta essa stessa una sorta di grado zero di determiAnche l'artista, caduti gli accenti ontologici e il legame con la natura del concetto romantico di genio, diventa un i cui modi di vivere misurati col metro del costume Nasce così per Gadamer il concetto bohème: l'artista è visto come un nomade, romanticamente caricato della missione di redimere il mondo, di salvarlo dalla corruzione. Ma del concetto di genio operata dalla società borghese nel XIX secolo, è soggetta anch'essa al declino: infatti, all'esaltazione del concetto di genio fa seguito, poi, il considerare la creazione un inconsapevole retaggio, ormai fuori luogo, del romanticismo. Paul ad esempio, alla
25
M, p.
114.
Ivi, p. 117.
57
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concezione del genio creatore, preferisce quella dell'artista ingegnere Leonardo da Vinci. Il concetto di genio, osserva nasce in realtà dal punto di vista dello spettatore, del fruitore, «Tale antico concetto si presenta come convincente non tanto al produttore, quanto piuttosto allo spettatore. Ciò che allo spettatore appare come un miracolo di cui non si arriva a capire come qualcuno abbia potuto viene trasferito nel miracolo di una del genio È un passo importante questo: infatti qui Gadamer risolve la creatività inconscia del genio in una sorta di operazione dell'interprete dinanzi all'evento dell'opera d'arte, alla sua ricchezza inesauribile di significati. Ossia Gadamer riconduce la creatività del genio all'incontro produttivo dell'opera con l'interprete. Ciò che tuttavia resta ancora non spiegato, pur essendo ciò che muove il processo interpretativo, è proprio quell'invio dell'opera la sua ricchezza semantica. Se la genialità dell'artista ha la propria radice nel punto di vista del fruitore, ciò non significa per Gadamer che bisogna trasferire la genialità nell'interprete o nel lettore, come invece sembra indicare Valery le Varieté III, le conseguenze del punto di vista del genio si giunge, secondo Gadamer, ad un «insostenibile nichilismo ermeneutico», quale si prospetta ad esempio nella soluzione delineata da Valery, che «trasferisce al lettore e Ivi,
123.
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te quella onnipotenza della assoluta che non esercitare lui. L'attribuire il genio all'interprete non è una soluzione migliore di quella che teorizzava il genio Non solo il concetto di genio si dimostra ma anche quello di osserva che l'unidell'oggetto estetico è disciolto nella molteplicità degli in quanto il loro vivere nell'assoluta puntualità e istantaneità priva di relazione l'uno con l'altro frantuma sia l'unità dell'opera, sia l'unità dell'artista e quello dell'interprete Tuttavia come emergerà in seguito, lo stesso Gadamer non riesce ad evitare questa frantumazione dell'opera e perciò della verità, nelle sue infinite questa del concetto di Gadamer si ricollega al saggio di Die in ma anche alla critica del soggettivismo e estetica. Infatti, anche se compie l'analisi dell'esistenza estetica pensandola dal punto di vista morale, come stato iniquo e insostenibile, in quanto condotto nella pura immediatezza e discontinuità, il suo discorso può essere accettato dal punto di vista ermeneutico; poiché, anche per questo si tratta di riconoscere la «continuità dell'autocoscienza» che Ivi, p. 125. p. 125-126. in "Logos",
1917-18.
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lo può costituire la base dell'esistenza dell'uomo Come svela le intime contraddizioni dell'esistenza estetica, che la costringono ad andare oltre se stessa, così si rivela insostenibile, secondo Gadamer la «discontinuità» della coscienza estetica: «Nella misura in cui lo stadio estetico dell'esistenza si rivela come in se stesso insostenibile, si riconosce che anche il fenomeno dell'arte pone un compito: compito, di fronte alla presenza attraente ed affascinante delle singole esperienze estetiche, di elevarsi tuttavia alla continuità dell'autocoscienza, che sola può costituire la base dell'estetica Il ritorno fenomenologico all'esperienza dell'opera d'arte dimostra, sottolinea Gadamer, che l'esperienza estetica non si dissolve come un sogno di fronte alla realtà, come accade alle illusioni e ai sogni che, saputi tali, svaniscono. «Tutti i concetti come imitazione, illusione, 126. Infatti per Kierkegaard tutte le concezioni dell'esistenza si classificano rispetto alla determinazione dell'interiorizzazione dialettica dell'individuo che quando ha la propria dialettica fuori di sé allora si trova in uno stadio estetico. Le concezioni etiche sono caratterizzate invece da una dialettica volta all'affermazione di mentre la religiosità è caratterizzata to davanti a Dio. In caso l'individuo è dialettico in modo paradossale in quanto è annullata ogni dialettica dell'immanenza. È essenziale per Kierkegaard saper distinguere tra dialettica quantitativa e dialettica qualitativa: «Tutta la logica non è che dialettica quantitativa ovvero modale perché per essa tutto e il tutto è l'unità e Nell'ambito della esistenza regna invece la dialettica qualitativa», in Diario di C. 1948, I, p. 243. «
p. 126.
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canto, sogno, presuppongono il rapporto con un essere autentico da cui l'essere estetico dovrebbe essere distinto. Ora, però, il ritorno fenomenologico all'esperienza estetica come tale insegna che questa non pensa per nulla in base a tale relazione, ma anzi vede in ciò che esperisce la verità autentica»
V.M.,
112.
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Capitolo III ONTOLOGIA DELL'OPERA D'ARTE
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—
gioco.
Il discorso sulla verità dell'opera d'arte parte da una penetrante analisi del concetto di «gioco» analisi che ne pone in evidenza la dimensione ontologica Tale concetto, che ha dietro di una lunga tradizione, non è qui richiamato in senso soggettivistico, per indicare il disinteresse teoretico e pratico, e per introdurre, in tal modo, il discorso sul disinteresse con cui ci si avvicina all'opera d'arte. Piuttosto l'essenza propria del gioco, per è nell'essere indipendente dai soggetti che giocano: il vero soggetto è il gioco stesso, ossia la sua struttura, il suo ordine intrinseco, non i giocatori; ciò che interessa nel gioco è la regola, per cui si presenta un come un andare e venire, ma senza un fine la cui realizzazione sarebbe la fine. Perciò il gioco è caratterizzato dalla continua, spontanea, ripetizione. La struttura ordinata del gioco il giocatore, liberandolo dal dovere di assumere l'iniziativa, «dovere che costituisce il vero sforzo 132-142; in particolare nella Prefazione alla seconda edizione di Gadamer fa esplicito riferimento a a proposito del concetto di gioco e del suo rapporto con il linguaggio 15).
Ivi, p. 136.
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La vera libertà non è nella decisione del libero arbitrio, bensì alla «libertà completa del gioco», le cui regole delimitano un ambito contrapposto al mondo degli scopi L'apparente finalismo del gioco è in realtà un giocare indefinitamente, che ad un tempo è un essere giocati: il verbo è da intendere in senso mediale. Nel gioco i giocatori vivono una realtà che li trascende, rappresentando una totalità chiusa per uno spettatore: in quanto giocare è rappresentare qualcosa per qualcuno, l'essenza del gioco allora è sempre rapanzi, poiché il giocare è un giocarsi, è anche autorappresentazione. Da questo senso mediale del gioco, per «nasce la possibilità di metterlo in rapporto con il modo di essere dell'opera d'arte. La natura in quanto è un gioco che sempre si rinnova senza scopo, senza intenzione e senza sforzo, può appunto apparire come modello Anche che per il filosofo tedesco è la natura, trova espressa nel gioco la propria struttura, la propria regolarità: anzi, con il concetto di gioco così delineato sembra emergere una base comune natura e cultura, scienze della natura e scienze dello spirito.
Ivi,
136.
Ivi, p. 136.
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— La trasmutazione in forma. Il discorso sulla struttura trascendentale e autorappresentativa del gioco rispetto ai giocatori introduce la riflessione Ciò che il gioco dell'arte dagli altri giochi è la «trasmutazione in forma» mediante essa l'opera d'arte assume la consistenza di un oggetto che si offre ad essere giocato sempre di nuovo nell'esecuzione, nella fruizione, con un'autonomia che gli altri giochi non hanno. E nel gioco dell'arte la realtà è trasmutata, in quanto è colta nella sua idealità e Con il concetto di «trasmutazione» indica un «cambiamento», ma non quel tipo di mutamento che avviene in un soggetto che permane, né quello dell'accidente nella sostanza. La «trasmutazione» non indica neppure il graduale sviluppo di qualcosa, secondo Gadamer: «Trasmutazione significa invece che un qualcosa, tutto in una volta e in quanto totalità, è qualcosa e che questo qualcosa d'altro che esso come trasfigurato è, è il suo vero essere, di fronte al quale il suo essere precedente non è nulla Non vi può essere in questo caso il passaggio di una trasformazione graduale, giacché l'uno è la completa negazione dell'altro. Così trasmutazione in forma significa che ciò che era prima, non è più. Ma anche che in particolare pp. Il nella già citata Introduzione a pone in evidenza l'importanza del concetto di «trasmutazione in forma», non soltanto nella teoria estetica, ma per la teoria ermeneutica in generale (pp. VI e ss).
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ciò che ora
ciò che ora si presenta nel gioco è il vero In questo passo, molto importante per comprendere lo status ontologico d'arte, emerge che la «trasmutazione» è un vero evento dell'essere come evento della verità, la quale, perciò non è da essenzialmente come evidenza e Ciò che accade nell'opera d'arte è una totalità relativa di significato che costituisce il vero essere, la verità permanente della cosiddetta realtà ordinaria. Si può notare un rapporto dialettico fra opera d'arte e mondo ordinario: la prima è la negazione nello stesso tempo, quella è la verità del mondo ordinario, il quale perciò viene definito come il «non trasfigurato» ossia viene definito mediante una sorta di negazione della negazione. Naturalmente è necessario cogliere i termini in questione, realtà ordinaria e opera nella loro essenziale connessione: isolarli sarebbe un considerarli in maniera astratta. La trasmutazione è perciò una trasfigurazione nella verità, «liberazione» e «ritrovamento vero essere» non una sorta di incantesimo magico dal quale ci si possa svegliare per ritornare nel vero mondo. La coscienza estetica, al contrario, definisce riflessivamente l'opera d'arte come «sogno» e «illusione»; ma in tal modo, per Gadamer, si definisce l'arte partendo dell'esperienza ordinaria, considerata come l'unica vera. « Ivi, p. 143. Ivi, p. 145. Ivi, p. 144.
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Se il mondo d'arte non è un incantesimo, tuttavia non è nemmeno il sorgere di un altro mondo, opposto alla realtà ordinaria; è il riconoscimento di ciò che veramente è, il presentarsi della verità della cosa. Scrive in proposito: «Ciò che propriamente si sperimenta in un'opera te, ciò che in essa attrae la nostra attenzione, è piuttosto il suo essere o no vera, il fatto cioè che chi la contempla conoscere e riconoscere in essa qualcosa e insieme se stesso» Il di cui qui si parla non il ritornare su qualcosa di già conosciuto, piuttosto in esso «si conosce di più di ciò che già si conosceva. Nel riconoscimento la cosa conosciuta emerge, per così dire, come attraverso una nuova dalla casualità e dalla variabilità delle condizioni in cui in genere è sommersa, e viene colta nella sua essenza Essa viene colta come qualcosa» Nell'opera d'arte, sottolinea Gadamer ricordando la cosa riconosciuta emerge nel suo essere, al di fuori della rete di tolta dalle connessioni in cui è posta dall'uomo. Gadamer si ricollega esplicitamente a Platone, per il quale il cammino della dialettica è riconoscimento, ricordo del già conosciuto; e, più in generale, di richiama dell'essenza: «E invero il fenomeno del riconoscimento contiene in la sostanza di questo idealismo dell'essenza. Il perviene nel suo vero essere, e si mostra come ciò che Ivi,
146.
Ibidem.
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è, solo attraverso il riconoscimento. In quanto riconosciuto esso diventa qualcosa che è fissato nella sua essenza, liberato dalla casualità dei suoi modi di apparire» E necessario notare che quello di cui parla non è il riconoscimento di un «in già da sempre dato in un passato eternato, che tutto spiega; piuttosto, il riconoscimento è costitutivamente temporale, proprio dell'esistenza finita e storica, impossibilitata perciò a esperienza e contemplazione dell'eterno. Riconoscere diventa in Gadamer un conoscere di più di ciò che già sapeva, un «aumento» di essere della cosa conosciuta. La realtà che quotidianamente si esperisce è per Gadamer dall'indeterminatezza del futuro, in cui le possibilità si oppongono e si escludono fra di loro. Inoltre, tale realtà si trova necessariamente al di sotto della sovrabbondanza di che si affollano dinanzi all'esistenza. Ma quando il mondo ordinario viene colto come un insieme significativo compiuto, tale che il vuoto delle possibilità irrealizzate scompare, allora la realtà diventa come uno spettacolo, e si può parlare di commedia o di tragedia della vita. Nell'opera d'arte l'esistenza è tolta dall'affanno dei desideri: in essa il mondo «è proprio così». Con il concetto di trasmutazione Gadamer affronta una problematica propriamente non presente nel concetto di gioco. Riguardo a quest'ultimo, infatti, egli parte dal suo essere dato e cerca di coglierne la struttura. Invece a proposito dell'opera d'arte, con il concetto di trasmutazione, affronta in particolare Ibidem.
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il problema del darsi dell'opera d'arte, della sua verità, del suo rapporto con la cosiddetta realtà ordinaria. d'arte non è per il prodotto di un artista geniale, ma «trasmutazione della realtà». Tuttavia, ciò che resta non spiegato è proprio la perché e come possa accadere. In realtà mediante tale concetto egli reintroduce la tematica della creatività originaria, svincolandola però dalla produttività geniale. Questa operazione sposta, ma non affronta, il problema dell'origine dell'opera d'arte. Nell'opera d'arte la realtà è collocata nella sua verità, lontana dai desideri suscitati dalle passioni e dalle possibilità che caratterizzano l'esistenza finita e storica. Perciò nell'incontro con la produzione artistica si realizza secondo Gadamer la vera liberazione, l'autentico compimento: «L'essere di tutti i giochi è sempre la liberazione, il puro compimento, che ha il suo in se stessa» Emerge in questi passaggi il riassorbimento della prassi nella teoria: la vera liberazione è un atto teoretico, conoscenza dell'essenza, contemplazione.
Ivi,
144.
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—
concetto di imitazione.
Da quanto si è visto in precedenza emerge che l'opera d'arte non è il prodotto della particolare soggettività dell'artista, bensì quest'ultimo partecipa ad un evento che lo trascende, incontrando in esso una realtà nuova. E, come per la rappresentazione del gioco sono essenziali i giocatori, cosi anche per quella particolare rappresentazione che per Gadamer è l'opera d'arte, sono essenziali l'esecuzione, e la fruizione. l'opera non è qualcosa che sta «in indipendente e isolata dal mondo in cui si presenta. Tale isolamento è il risultato dell'astrazione della «differenziazione estetica», che impoverisce l'opera. Invece, ciò che viene figurato, ad esempio, dal poeta e rappresentato dall'attore o fruito dallo spettatore, è la stessa cosa. Solo la «differenziazione estetica» distingue l'opera d'arte dalle In realtà, secondo Gadamer l'opera e l'interprete si appartengono, il loro incontro è una esperienza che li muta vicendevolmente: è evidente in questo punto fondamentale dell'estetica la presenza del concetto hegeliano di «esperienza». Il concetto di diventa il centro dell'ontologia gadameriana, con esso il filosofo tedesco pensa di comprendere i due momenti fondamentali dell'esperienza artistica, quello del rapporto dell'opera con l'originale e quello del
valenza ontologica dell'immagine 168 e si vedano anche le interessanti osservazioni in proposito di G. RIPANTI in Gadamer, Assisi 1978, pp. 31-39.
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porto fra l'opera e le sue Nella doppia il piano della formazione è distinto da quello della tuttavia si è di fronte ad un processo dialettico unitario. Mentre Piatone vede l'opera d'arte come imitazione della imitazione della vera realtà delle idee, capovolge questo rapporto: l'opera d'arte è l'autentica realtà, da essa parla una verità superiore; perciò la produzione artistica non è una mera imitazione dell'originale, ma «conoscenza dell'essenza» Rileggendo il concetto di mimesis alla luce dell'estetica hegeliana e di quella Gadamer rileva che, nella rappresentazione mimetica, la cosa emerge nel suo vero essere. L'opera d'arte non rinvia all'originale, bensì in essa si presenta quest'ultimo: perciò il problema posto dall'opera è quello del riconoscimento del significato che vi accade. Lungi dall'essere una mera copia, ad essa si debbono conformare le cose del mondo ordinario: «In questo senso — commenta Gadamer — sussiste un scarto fra l'ente che è così e la cosa cui esso si conformare» Secondo il filosofo tedesco, di rappresentazione mimetica ha sempre avuto un ruolo fondamentale nell'estetica, ruolo oscurato tuttavia dal predominio del nominalismo e dello spirito scientifico, che hanno privato la mimesis del suo significato conoscitivo facendole assumere una valenza 147. Ibidem.
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Il conoscitivo della è stato abbandonato inoltre per dell'estetica del genio, in quanto non ne salvava la creatività e originalità. Con la crisi del concetto di genio e con il riconoscimento della non esaustività dell'esperienza scientifica, l'imitazione ritorna in primo piano. Per come per l'imitazione non è una mera copia della realtà, ma è la trasmutazione nella verità; anche nelle arti figurative, e in particolare nella ritrattistica, che potrebbe sembrare una esperienza artistica volta alla mera copia dell'originale, ciò che è ritratto si scopre in una dimensione di verità: nelle arti il Bild non è una riproduzione ma accrescimento del suo essere. Anzi fra Bild e Ur-Bild si istituisce una complessa dialettica per cui pur essendo l'originale si presenta nel suo pieno significato solo nel Bild: c'è un rapporto di co-determinazione. Per non si un «in distinto e indipendente dalla bensì, al presentarsi è essenziale La dialettica di Bild, propria delle arti figurative, vale per chiarire il concetto di arte in generale come fra originale, opera d'arte ed c'è coappartenenza L'immagine non costituisce una diminuzione di essere rispetto Il suo presentarsi non accade necessariamente, precisa il filosofo tedesco, può manifestarsi anche in modo diverso; ma «quando in tal modo si presenta, questo non
sta di
1963,
Estetica ed ermeneutica in 117-130.
Gadamer, in "Rivi-
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è più un fatto accidentale, bensì appartiene al suo essere stesso. Ogni rappresentazione di questo tipo è un evento ontologico, e entra a costituire lo stato ontologico del rappresentato. Nella rappresentazione, questo subisce una crescita nell'essere, un aumento d'essere. Il contenuto proprio dell'immagine è definito ontologicamente come emanazione dell'originale» E problematico, tuttavia, il passaggio dall'accidentalità della determinazione della cosa prima del suo presentarsi nell'immagine, alla necessità di tale determinazione, al suo entrare a costituire la cosa. Se l'aumento di essere dell'immagine non è necessario ma accidentale prima del suo accadere, non si vede perché la determinazione che si innanzi nell'immagine artistica debba entrare a costituire necessariamente l'essenza della cosa. Ciò dire, inoltre, che la trasmutazione, come negazione della realtà ordinaria ed emergenza del vero essere della cosa nell'opera è un fatto fondamentalmente accidentale. per illustrare la dialettica dell'immagine si richiama esplicitamente neoplatonico in cui vede il superamento dell'essere inteso come identica a se stessa. Nello stesso tempo egli critica il neoplatonismo in quanto non concepisce l'emanazione come aumento di essere; invece: «È proprio dell'emanazione che il prodotto di essa derivi da una sovrabbondanza. Ciò da cui qualcosa emana non risulta per questo impoverito. Lo sviluppo di questa idea nella filosofia neoplatonica fonda lo stato ontologico 175.
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Giacché se l'Uno originario non viene impoverito nel dei molti da esso, ciò significa che aumenta» Per il neoplatonismo il principio del molteplice è la sovrabbondanza, come pienezza dell'Uno ineffabile; invece, si riferisce alla sovrabbondanza di possibilità, di aspettative che che premono opponendosi fra di loro finito e storico dell'esistenza. Se nel neoplatonismo è problematica l'emanazione dei molti dall'Uno ineffabile, nel filosofo tedesco è problematico l'aumento di essere dalla sovrabbondanza di possibilità, perciò dalla non presenza. Questa concezione dell'essere come «aumento» in primo luogo è la base del rifiuto di Gadamer di concepire l'opera come un «in sé» già dato; e, in secondo luogo, è a fondamento della considerazione delle come costituenti necessariamente l'opera. Questa concezione inoltre, è alla base della «storia degli effetti»
Ibidem.
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—
d'arte.
Il presentarsi dell'opera è un atto storico, un evento determinato, finito, temporale. La temporalità è essenziale alla verità secondo in quanto le è essenil presentarsi come rappresentarsi per qualcuno, significare per perciò le è essenziale essere fruita, interpretata, riconosciuta. Il presentarsi è un farsi innanzi sempre nuovo dell'opera d'arte; essa manifesta la propria infinità che va oltre l'intenzione dell'autore, ma anche di quelli che di volta in volta ne sono gli interpreti. Ciò significa che l'accesso all'opera d'arte non consiste nella ricostruzione dell'ambiente esterno o dello spirito dell'autore: tale impostazione del compito ermeneutico è astratta, afferma Gadamer, in quanto isola un presunto «in sé» dell'opera, fissato in un particolare momento storico, nella pretesa che si possa ricostruirlo prescindendo sia dalle sia dalla storicità L'opera d'arte, osserva Gadamer, da un lato si presenta come totalità di senso relativa, dall'altro raggiunge il pieno essere solo nelle Infatti, l'opera d'arte non è un «in sé» a cui ci si possa rapportare in maniera accidentale ed estrinseca, ma realizza il suo essere proprio nella mediazione della Nelle interpretazioni è stimolata e messa in moto, afferma il filosofo, una «prosecuzione di creatività», in modo che è mantenuta «visibilmente aperta verso il futuro l'identità e la continuità 77
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L'identità di cui parla non è statima dinamica, aperta al futuro: si è visto che l'essere aumenta nel continuo presentarsi delle Anche se l'opera non è un «in statico e indiveniente, tuttavia le riconosce una sorta di «legalità imperativa», tanto che sarebbe un misconoscerla il concepire come arbitrarie le possibili variazioni delle interpretazioni. In realtà, sottolinea tutte queste variazioni si sottopongono esse stesse alla misura critica della rappresentazione giusta. Ma poiché tale rappresentazione giusta non è un «in sé», e si attua una «prosecuzione di creatività», precisa subito che tale «legalità imperativa» «non è diminuita dal fatto di dover rinunciare ad un criterio Proprio perché la nostra esistenza è intrinsecamente storica e finita, secondo Gadamer, sarebbe parlare di giusta, autentica, svincolata dalla temporalità. Ivi,
152.
Ibidem. in Teoria e critica letteraria, di il Mulino, Bologna 1973, sostiene che Gadamer distrugge il punto di vista dell'autore, senza riuscire a dare un criterio per giudicare valida una interpretazione invece di un'altra. Se per esatta di un testo è data dall'intenzione dell'autore, tuttavia tale intenzione è decisa esatta di un testo: perciò il suo ragionamento rischia di perdersi in un circolo vizioso. Si vedano in proposito le acute osservazioni di G. p. 97. Ma anche se Gadamer parla di «coerenza perfetta del siglobale e di una interpretazione problema della coscienza storica, p. 78), e di «legalità imperativa» tuttavia l'interpretazione non ha un criterio fisso e il senso d'arte è quello che si
78
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A questo proposito sottolinea: «Qui ci basta mostrare, attraverso il constatato che ogni rappresentazione aspira ad essere giusta, che la non distinzione della mediazione dall'opera stessa costituisce l'autentica esperienza L'autentica mediazione per è quella totale in cui l'interprete «supera e sopprime se stesso», così ciò che si rappresenta è l'opera d'arte in quanto tale. è perciò obbligata e libera ad un tempo, in quanto è «riproduzione», ma questa riproduzione «non segue a un precedente atto di produzione: essa segue invece, la figura dell'opera formata, che l'interprete deve rappresentare secondo il senso che in essa al futuro non frantuma secondo Gadamer l'opera nella molteplicità delle rappresentazioni, in quanto tutti gli aspetti che emergono sono possibilità che le appartengono: «Tutti sono contemporanei ad essa» Anche se la rappresentazione artistica ha il carattere imprescindibile della «ripetizione dell'uguale», tuttavia non è come mera copia, ma ogni ripetizione è originaria quanto l'opera d'arte stessa. Per il filosofo tedesco, in ultima analisi, il senso che si trova nell'opera, che viene elevato a criterio, è quello che si all'interprete. alla fenomenologia della festa che nella sua origine contiene in sé implicito il di venire celebrata 152.
21
22 Ibidem.
Ivi, p. 153.
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così che è sempre se stessa ed è sempre diversa, afferma che la «contemporaneità» dell'opera non è da intendere come eternità, indiveniente dell'identico a se stesso, è da intendere come la simultaneità di caratteristica della coscienza estetica. La contemporaneità è per lui propria di un ente che, per quanto la sua origine possa essere lontana, nel suo darsi a noi acquista piena presenzialità: «Un ente che è solo in quanto è continuamente diverso è temporale in un senso più radicale di tutto quanto appartiene alla storia. Esso ha il suo essere solo nel divenire e Che cosa rende possibile quella «contemporaneità» degli aspetti o possibilità dell'opera d'arte? Che cosa rende possibile quel «divenire» e «ricorrere» dell'opera d'arte? Per tutto ciò è un «compito della coscienza» Se, a proposito dell'identità dell'opera, non si può parlare di un «in sé», ma di «contemporaneità» di aspetti come «compito» Gadamer rischia di fare della coscienza il motore dell'evento della verità. storicità dell'invio dell'opera — e perciò della verità — si che essa sia e divenga nell'incontro dialettico con la coscienza, incontro nel quale in primo luogo la coscienza pone in discussione se stessa. Emerge qui una dimensione non meramente passiva della coscienza ermeneutica, come invece si è visto precedentemente a proposito della problematica dell'opera come forma che si impone sia all'autore, sia all'interprete. Ivi, p. 156. 25
Ivi, p. 160.
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Il tedesco mostra come la struttura dell'esteticità si esprima pienamente anche in manifestazioni considerate minori dal punto di vista quali mento e l'architettura. Ma, concependo l'arte come trasmutazione nella verità dell'esperienza ordinaria, sembra che il filosofo tedesco si ispiri alle manifestazioni artistiche classiche; mentre espressioni di arte astratta, che non mostrano un contenuto conoscitivo, forme più riferibili Anche la letteratura per si lascia cogliere in base all'esperienza estetica, e il concetto di non comprende soltanto le opere d'arte letteraria, ma vi «rientra ogni tradizione che vive nella forma del linguaggio»; perciò vi si collocano testi religiosi, giuridici, economici, «tutto l'insieme delle scienze dello spirito». Gadamer si spinge ad affermare che in generale la forma letteratura si estende ad ogni tipo di discorso scientifico nella misura in cui questo è necessariamente formulato in un linguaggio: «Ogni fatto linguistico può diventare uno scritto», ed è da questo che è delimitato il senso più vasto del concetto di letteratura. L'essenziale in ogni opera non è nella «fattura», nell'espressione, ma nel contenuto, in ciò che essa ha da dirci: «la differenza essenziale» tra molteplici linguaggi sta «nelle diverse pretese di verità che
in proposito O. der
Die 225-238.
200. Ivi, p. 201.
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Da quanto si è visto in precedenza emerge non solo la natura ermeneutica ma anche la sua portata universale e ontologica. Con il concetto di Gadamer allarga l'orizdell'ermeneutica dall'estetica a ogni possibile manifestazione linguistica dell'esistenza. Con ciò emerge l'importanza essenziale di questa parte della filosofia gadameriana, in quanto nell'ontologia pera d'arte vengono gettate le basi dell'ontologia semantica Infatti Gadamer afferma che non solo tutte le espressioni letterarie sono colte sulla base dell'esperienza estetica, ma anche tutte le scienze dello spirito e, più in generale, ogni discorso scientifico, in quanto si esprime in forma linguistica. Perciò delineando le caratteristiche dell'esperienza estetica, in qualche modo emergono i concetti fondamentali dell'ontologia semantica, e i dubbi sollevati in precedenza sulla teoria estetica gadameriana, si proiettano su di essa.
sottolinea
della teoria estetica gadameriana nella costruzione ermeneutica Introduzione a P. V); diversamente, P. vede nella «teoria della conoscenza storica» il fulcro di (cfr. et ideologie, in "Archivio di filosofia", Padova 28). Sull'estetica gadameriana e DOTTORI Estetica ed ermeneutica (Scritti in onore di H.G. Gadamer nell'ottantesimo Napoli 1981; L. Estetica, e soggettività. H.G. Gadamer e L. in "Teoria", 1982, 1, 87-113.
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Il passaggio dall'esperienza estetica a tutte le altre manidell'esistenza è fatto mediante la riduzione di esperienza a fatto linguistico, esprimibile in uno scritto. Il presupposto di fondo del discorso è, infatti, e onnipresenza del linguaggio.
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Capitolo IV
CRITICA DELLA COSCIENZA STORICA
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1 — Schleiermacher. recupera, o per lo cerca di recuperare, la portata di verità dell'opera d'arte, mostrando i limiti della soggettivazione operata dalla coscienza estetica: nello stesso tempo estende tale portata di verità al fatto linguistico in quanto tale, facendo emergere l'universalità dell'ermeneutica. Si è visto in precedenza che per Gadamer l'esperienza ermeneutica, nei differenti ambiti in cui si esplica, si presenta come mediazione dialettica fra passato e presente: infatti non mira all'oblìo di sé dell'interprete e alla restituzione dell'oggetto nella situazione originaria, bensì ha capacità e produttiva. Perciò, più che alla «restituzione» del passato, egli si sente più vicino alla hegeliana «integrazione» fra presente e passato. Sia per Hegel che per non è più possibile un rapporto con la tradizione, con l'opera d'arte e il mondo originario in cui è nata: quindi è necessaria una mediazione. Ma mentre Schleiermacher concepisce la comprensione del significato dell'oggetto come ricostruzione del suo mondo, del suo stile, della psicologia del suo autore; diversamente, in Hegel la consapevolezza del distacco dalla tradizione si accompagna alla coscienza della 87
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sia della ricostruzione della produzione originaria, sia dell'oblio di Alla come operante in — ma presente poi nella «scuola storica» e in Dilthey — si sostituisce in Hegel la mediazione fra passato e presente operata dal pensiero. In un celebre passo della Geistes parlando del «destino amico» che ci offre i resti del mondo antico, caratterizzato dalla «religione dell'arte», Hegel paragona tale «destino» ad una fanciulla che offre i frutti staccati dall'albero infatti le opere che ci parlano nella tradizione sono ormai staccate dal mondo che le ha prodotte — come i frutti maturi dall'albero e la loro verità è data solo nella mediazione fra passato e presente. Cercare di ricostruire l'opera e il suo mondo originario, sarebbe soltanto un vano tentativo, nell'ambito della rappresentazione e non del concetto: per Hegel soltanto nel sapere assoluto della filosofia l'arte è concepita nella sua verità. Pur rifiutando la subordinazione del momento dell'arte alla filosofia, Gadamer sottolinea come Hegel si sia avvicinato ad una corretta impostazione del problema ermeneutico Cfr. 202-207; ma si veda anche HEGEL, Phànomenologie des Geistes, in 5. ed. 2, 268; di E. De Negri, II, p. 256. Cfr. pp. 204-207. Un esame critico dell'ermeneutica è compiuto da Gadamer cercando di chiarire il rapporto fra coscienza storica e problema ermeneutico: Ivi, pp. 223-238. Fra i numerosi scritti su Schleiermacher si rimanda al monumentale Leben Berlin 1867-1870; IDEM, Leben Scheleiermachen, Zweiter Band, System als Theologie. Aus dem Nachlass von Wilhelm Dilthey, mit
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L'ermeneutica come ricostruzione è il tipo di mediazione proposta da per superare la lontananza dal passato, in quanto nei della tradizione, c'è la consapevolezza del distacco temporale, dell'estraneità. La mediazione fra passato e presente come ricostruzione non è per lui soltanto la ricreazione del contesto esterno in cui appare d'arte, ma anche, e principalmente, la ricostruzione del nota giustamente che la dottrina dell'individualità è a fondamento della avviata da Schleiermacher, Infatti tale dottrina implica la differenza e fra le individualità e quindi la possibilità del «fraindel problema ermeneutico operata da Schleiermacher ha alla base il riconoscimento della possibilità del «fraintendimento» universale. L'estraneità è in lui indissolubilmente legata sia al rifiuto critico di ciò che l'illuminismo chiamava pensare razionale come essenza di ogni uomo, sia alla metafisica dell'individualità in cui è da notare la presenza dell'idealismo soggettivo e del Martin 1966. Sul pensiero di Schleiermacher Schleiermacher filosofo dell'interpretazione, Milano 1968: l'autore cerca di dare una rilettura dell'ermeneutica nella sua per che è possibile, alla mediazione Su questa stessa linea si muove Die in 1957. Cfr. inoltre in Schleiermacher, Dilthey, Gadamer, BIANCO, Storicismo ed ermeneutica, Roma 1974, 49-75 e 77-123. Cfr.
SCHLEIERMACHER, Hermeneutik, von H.
pp. 31-50.
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l'ermeneutica non è più vista da come arte o anche «occasionale», da usare in relazione alle difficoltà emergenti durante la comprensione di qualcosa: la sua attenzione si sposta verso l'attività interpretativa come tale. Se il fraintendimento è spontaneo, la comprensione acquista in lui la e l'autonomia di un proprio metodo, caratterizzato da regole interpretative grammaticali e psicologiche o tecniche, indipendenti da ogni legame con il contenuto. Seguendo tutta la tradizione retorico-ermeneutica riconosce la validità metodologica del circolo ermeneutico: secondo Schleiermacher il senso del particolare risulta solo dal contesto in cui è inserito e La riproduzione interpretativa resta distinta per lui dalla produzione originaria, anzi intende un autore meglio di quanto egli stesso si comprenda: nella creazione dell'artista c'è sempre un lato inconscio, mentre l'atto interpretativo è sempre consapevole psicologica è quella che a poco a poco emerge in Schleiermacher, ed è quella che più influenza l'ermeneutica del secolo XIX. La metafisica dell'individualità spiega la preminenza psicologica, mediante la Sul problema del circolo ermeneutico 17-18; 46-47; 83; 88-89.
Ivi,
sottolinea come la formula che l'interprete comprende un autore meglio di quanto egli stesso non si comprenda «rispecchia tutta la storia dell'ermeneutica moderna. In effetti, questa proposizione racchiude in sé l'autentico problema dell'ermeneutica» 232). Gadamer rintraccia questa tematica in e la vede presente e operante, in particolare, in e Dilthey (cfr. Ivi, pp.
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quale egli intende compiere una sorta di trasposizione nella costituzione spirituale dell'autore, una con la quale cogliere dell'opera. Perciò non si tratta di comprendere un pensiero ma di penetrare in un pensiero come libera creazione di una individualità singolare e geniale. E la congenialità su cui si basa divinatorio si fonda su un precedente legame che unisce tutte le individualità: la filosofia della soggettività si coniuga in con il panteismo sottolinea che l'impostazione dell'ermeneutica non tiene conto della portata di verità del proprio oggetto, del suo contenuto di conoscenza, ma lo vede in primo luogo come produzione, espressione di una individualità Infatti l'ermeneutica per è diretta alla di ogni libera produzione individuale che trova nel linguaggio il mezzo privilegiato di espressione: da ciò il ruolo fondamentale del linguaggio. Secondo Gadamer questa posizione del suo predecessore conduce a considerare i testi, dal punto di vista ermeneutico, solo come fenomeni espressivi e non come eventi di verità. E anche la storia, afferma Gadamer, è concepita da Schleiermacher come libera creazione di una produttività divina, e il rapporto storiografico egli lo intende come la contemplazione e il godimento di questo grande spettacolo. del problema ermeneutico passa, perciò, in Schleiermacher, secondo Gadamer, attraverso la « Ivi,
237.
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messa in ombra della portata di verità della tradizione e il privilegio dell'espressione in quanto tale, perciò del linguaggio. diventa in una scienza capace di abbracciare la totalità del linguaggio e di penetrarne l'aspetto più profondo. L'assunzione del fenomeno espressivo e quindi del linguaggio a oggetto dell'ermeneutica, inizia quella compenetrazione fra quest'ultima e la filosofia che trova uno dei massimi esponenti proprio in Gadamer. Ma mentre per Schleiermacher il problema della verità resta ancora distinto da quello della delle espressioni linguistiche, per Gadamer l'evento della verità è di una totalità relativa di senso, anzi la verità è riassorbita in perciò nel linguaggio: quindi la dialettica confluisce nell'ermeneutica. In Schleiermacher la dialettica è della ricerca della verità del contenuto; tuttavia, poiché ciò che deve essere compreso non è solo un pensiero come momento di una vita particolare, ma è anche un contenuto in rapporto con la allora per Schleiermacher l'ermeneutica è legata alla dialettica e, in qualche modo, è a questa subordinata. Tale legame, pur stretto, fra dialettica ed ermeneutica non soddisfa Gadamer per il quale la stessa ermeneutica è dialettica, in essa accade la verità. Nella mediazione schleiermacheriana è il sapere storico che ricostruisce il contesto originario dell'oggetto da interpretare e il mondo dell'artista. Tuttavia, secondo Gadamer, tale mediazione in cui il sapere storico ha una funzione 92
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centrale, è improponibile e la mediazione come ricostruzione presuppone che sia possibile superare, annullare, la situazione presente dell'interprete, la distanza temporale e l'estraneità dell'oggetto. Ossia la «ricostruzione» presuppone che siano possibili l'oblìo di e l'identificazione; tale concezione dell'ermeneutica «non è meno contradditoria», sottolinea di ogni altra restituzione di una vita L'assunto di ma non solo il suo, che l'interprete conosce l'opera più dell'autore, per lo meno a livello di consapevolezza, sembra essere da in quanto secondo la sua concezione accade la verità. Mentre Schleiermacher mantiene distinto il momento della creazione da quello della Gadamer oscura il piano della creazione come momento originario e produttivo dell'opera: l'artista è in qualche modo già interprete della verità che gli si impone, e l'identità dell'opera si dispiega, accade, nel succedersi delle È necessario osservare che in Gadamer si rompe il tradizionale rapporto il momento creativo, distinto da quello interpretativo cade, tuttavia, da lui operata come della verità in conduce alla paradossale concezione dell'interpretazione come creazione. Il momento originario creativo, dapprima oscurato, ricompare all'interno della stessa interpretazione, nella sua stessa definizione, infatti essa è una «prosecuzione di creatività». Ivi,
205.
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Ma se è «prosecuzione di creatività», allora ci dovrebbe essere una creatività originaria, che muove il processo dialettico, cosa che tuttavia, non Alla base della vi è il mutamento di orizzonte nella concezione per Gadamer l'essere aumenta, non è un «in statico». Il passaggio all'ontologia semantica si basa in lui su questa concezione dinamica dell'essere e perciò della verità: l'aumento di essere è un evento di significato in quanto l'essere, non più statico, è linguaggio. Il problema è quello di vedere se la tentata da Gadamer fra ontologia e interpretazione, sulla base del linguaggio, sia possibile.
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— La scuola storica e la coscienza storica.
non si confronta soltanto con l'ermeneutica tica, dove pure il sapere storico assume una importanza di primo piano, ma criticamente la conversione in delle operata dallo storicismo più maturo. Un momento fondamentale sulla via di questo sviluppo dell'ermeneutica è rappresentato dalla «scuola I massimi esponenti della «scuola storica», immediati successori di trovano nelle il loro punto di riferimento concettuale Herder e sviluppa in primo luogo il concetto di individualità, da cui deriva che nessuna forma storica ha valore assoluto rispetto alle altre. All'idea illuministica di un progresso costante, e continuo dell'umanità verso ideali razionali ed eterni, egli sostituisce e contrappone la concezione di uno sviluppo non necessariamente unilineare e costante delle forme individuali, aventi in se stesse la propria misura. Per un quadro complessivo delle tematiche e degli argomenti della scuola storica E. in die 37-81; 27-38. Cfr. HERDER, 1877-1913; 1967-1968; di F. Venturi, Torino cfr. in particolare Ideen zur Philosophie der der XIII, pp. 189-192; 333-342; tr. it. pp. 147-150; 204-211; XIV, pp. 244-252; tr. it. pp. 373-379. Per la fondazione della storicistica riveste grande importanza anche il di HERDER, eine Philosophie der Geschichte zur der Menschheit, 5. ed. V, pp. 475-586. Cfr. GADAMER, Geschichte Francoforte
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Inoltre mediante il concetto di pensa di risolvere l'arduo problema di conciliare il significato unitario del corso storico, con l'affermazione della individualità e delle forme Il concetto di Provvidenza, di origine teologica, gli permette di riconoscere il «non casuale» sviluppo dell'umanità attraverso gradi diversi, ma nello stesso tempo insostituibili, di vita e perfezione. Ogni forma individuale è un modo di realizzarsi dell'umanità, perciò, è Nello stesso tempo l'umanità non è mai realizzata compiutamente, non è una totalità statica, assoluta, ma in divenire. Lo storicismo da questi momenti fondamentali, trova un diretto sviluppo negli esponenti della scuola storica, che cercano di dare una spiegazione del corso storico, più immanente di quello della filosofia della storia Il vasto movimento della scuola storica trova specificamente nell'opera di la propria fondazione, e annovera fra le sue fila, in particolare giuristi, filologi, storici e come ad esempio il gli storici von il geografo Anche è stato avvicinato alla scuola storica per l'importanza che il sapere storico assume nella sua ricostruzione ermeneutica
oltre a delineare la personalità di Schleiermacher in relazione al romanticismo, evidenzia quei caratteri che lo accostano agli esponenti della scuola storica; I,
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Rifuggendo dal procedimento illuministico che si rapporta alle manifestazioni umane — quali ad esempio l'arte, il diritto e l'economia — giudicandole secondo un ideale astorico e razionale di umanità, la scuola storica si rapporta invece agli eventi mediante lo studio e l'osservazione attenta dei fenomeni storici, intesi dinamicamente come nello spazio e nel tempo. Secondo gli esponenti di tale scuola è allora necessario indagare le origini, gli sviluppi e la decadenza di tutte le manifestazioni in cui si esprime la vita spirituale, cercando la loro sorgente originaria e autentica nel Tale concetto, già presente e operante in assurge così negli esponenti della scuola storica a uno dei principi della metodologia della ricerca. Altro principio metodico fondamentale consiste nel riconoscimento delle individualità, intese in senso sottolinea che gli esponenti della scuola storica studiano con passione tutte le manifestazioni in cui si esprime la vita spirituale dell'uomo, anche i particolari, nella consapetuttavia, che soltanto in rapporto alla totalità del corso storico può essere determinato il significato dei singoli fatti e viceversa. Questo concetto che la scuola storica assume a principio metodico nelle proprie indagini era già stato introdotto da HERDER, nelle Ideen zur Philosophie Geschichte der ed. XIV, 121; 268, 306. del concetto di Volksgeist a livello metodologico per la scuola storica cfr. H.R. SRBIK, Geist und Geschichte von deutschen bis zur 2 1950, I pp. 200-209.
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Emerge in primo piano nella scuola storica il problema della «storia universale» ad esempio, vede zarsi nella vita individuale delle singole nazioni la storia universale, e concepisce ogni epoca storica come avente valore in se stessa in quanto in rapporto immediato con Dio. Perciò ogni epoca storica ha un significato autonomo e assoluto, e quindi può essere considerata in se stessa e non valutata di un processo storico concepito Ranke si oppone all'idea hegeliana di uno sviluppo provvidenziale della ma si allontana anche da in quanto approda all'idea di un rapporto immediato ogni epoca con la divinità. Legame, questo, che verrà poi trascurato da Dilthey per dare valore autonomo ad ogni epoca in quanto tale. La scuola storica sottolinea la della ricerca storica, della considerazione empirica dei fatti e delle attività umane, in ogni costruzione teorica concernente il mondo storico umano. Così Ranke mira a comprendere gli stati reali e non a delineare lo stato razionale. Il motivo di fondo della scuola storica è perciò quello dell'individualità, irripetibile e non superabile dei popoli, delle pp. 238-254. Cfr. RANKE, die «Ogni epoca è direttamente in contatto con Dio e il suo valore non dipende da ciò che da essa scaturisce, ma dalla sua esistenza, dal suo stesso essere» 17). giustamente pone in evidenza, in pp. 202-207, il contrasto fra l'orientamento della scuola storica e quello di Hegel (cfr. Vorlesungen iiber ài der in ed. 11, di Calogero e C. Fatta, 1963.
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loro lingue e costumi. Questo è il terreno da cui si sviluppano le La storica vive allora nella consapevolezza della necessità di considerare i particolari eventi storici, anche i più limitati e irrilevanti, a partire dalla totalità del corso storico e viceversa. La coscienza storica inevitabilmente si fonda sul «circolo ermeneutico», che si instaura fra la conoscenza dell'individuale e la conoscenza della totalità, fra parte e tutto. E la scuola storica cerca di render ragione del rapporto fra individuale e universale, parte e tutto, ispirandosi allo schema Nella sua disamina critica della scuola storica si confronta in particolare con e sottolineando il loro concepire la storia universale come oggetto della scienza storica. I testi e ogni altro reperto non hanno per loro valore espressivo di per se stessi, ma come «fonte» per la ricostruzione del passato. Gadamer sottolinea come impostino lo studio della storia universale concependola come un «testo», secondo lo schema del circolo ermeneutico, senza però il fatto che i dati giungano a noi mediati dalla tradizione. La letteratura odierna concernente i problemi dello storicismo ha ormai recepito questa espressione coniata da Dilthey in riferimento al modo di re gli eventi umani mediante una indagine unitaria del mondo storico. Lo stesso Gadamer recepisce questa espressione che è anche nel titolo del problema della coscienza storica. « V. e 254-259.
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Ma data la fondamentale storicità dell'esistenza è impossibile, contraddittorio e astratto porsi in una posizione neutrale, al di fuori della storia, per ricostruire il corso, obliando se stessi e il proprio «orizzonte».
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IV.3 — Dilthey. Muovendo dall'esigenza di superare le speculative di fondo in cui si sono più o consapevolmente, gli esponenti della scuola storica, Dilthey cerca di fondare in maniera più salda, la storicistica Formatosi alla scuola storica, egli cerca di delineare la storia dei movimenti e filosofici, avendo presenti sia l'universalismo storiografico, sia il senso dell'individualità. Il suo punto di partenza è costituito dalla consapevolezza, acquisita a Berlino fin dagli anni della della storicità di ogni fenomeno umano, della sua relatività e insostituibilima anche del suo essere un aspetto della totalità. Nello stesso tempo Dilthey ha presenti e le difficoltà insite nel «circolo ermeneutico» Da questa consapevolezza nasce il tentativo di dare una nuova fondazione alle Fra gli scritti più significativi di il pensiero di Dilthey e tendenti a pome in evidenza le pp. 260-274; problema della storica, pp. 39-50; problema della storia nella filosofìa tedesca contemporanea, in Ermeneutica e pp. 194-207; Die Grezen Vemunft, in "Actas del I Congresso Nacional de Filosofia" (1949), Mendoza 1952, II, pp. 1025-33; in Rundschau", pp. 241-276; ora in ed. II, 1986, pp. 387-424; La continuità della storia e l'attimo di esistenza, in Ermeneutica e metodica universale, pp. Causalità nella pp. 208-222. Sul problema del circolo ermeneutico cfr. DILTHEY, Die Hermeneutìk, in Gesammelte V, pp. 317-331; a cura di Morrà, in W. DILTHEY, Ermeneutica e religione, Bologna pp. 49-91.
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dello spirito, avvertendo, soprattutto a partire dalla maturità, i problemi irrisolti della storicistica. Interrogandosi, perciò, sulle condizioni di possibilità della conoscenza storica e quindi delle scienze dello spirito che su di essa si basano, Dilthey giunge ad impostare una «critica della conoscenza storica» in analogia con quanto aveva fatto per la ragion pura. Il suo discorso teorico, circa la possibilità di una conoscenza del mondo umano, non intende soltanto analizzare e i procedimenti delle scienze dello spirito, ma vuole anche mostrare come, nonostante i condizionamenti storici e psicologici dell'attività conoscitiva, sia possibile riaffermare il valore universale della conoscenza storica, oltre il relativismo Lo storicismo converte l'ermeneutica romantica, in particolare quella in delle scienze dello spirito. Opponendosi a Hegel e alla sua visione e della storia, Dilthey afferma che quest'ultima deve essere compresa in base a se stessa: non la filosofia può condurre ad una visione della «storia universale», ma solo la ricerca storiografica. Si è già visto come costituisca per Dilthey il «dato» spirituale immediatamente certo da cui partire, da un lato, per costruire una connessione vitale strutturale che poi DILTHEY, I, Assisi-Roma 1972, p. 5.
in die XVIII;
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chiama «significato»; e dall'altro, per rendere possibile la conodi tale significato, mediante la comprensione. Tale connessione significativa ha la propria radice nella vita che in essa si interpreta; in questo modo, la vita manifesta per lui una struttura ermeneutica. Il concetto di si pone perciò in una posizione mediana fra speculazione ed empiria; anzi, vede ripresentarsi, a livello della produzione spirituale, lo stesso processo di estraneazione avvenuto secoli prima riguardo alla natura, quando fu ridotta ad estensione e movimento, ossia a qualità misurabile. Infatti egli nota che nella concezione le produzioni del passato non costituiscono più il nostro presente ma sono oggetti offerti alla nostra ricerca, dati, sulla cui base si deve rifar presente un passato. È quindi il concetto di «dato» quello che domina del concetto di Erlebnis. Ma non è extema, misurabile, bensì è «unità significante», res secondo Gadamer ciò definisce mediante la riflessività e l'interiorità Mentre teneva ancora distinta la verità dal significato, e quindi distingueva la dialettica del pensare in Dilthey la verità è riassorbita nel significato, perciò Osserva Gadamer che alla base del concetto diltheyano di Erlebnis c'è il concetto metafisico di vita che equivale a produttività. In quanto la vita si in forme significanti, ogni comprensione del senso è una 92.
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delle della vita nella vitalità spirituale, da cui sono emerse Negli ultimi sviluppi del suo pensare, in cui pure è evidente l'influenza di Dilthey si avvicina a Hegel, parlando di spirito dove prima parlava di La presenza di Hegel si in particolare, nel ruolo centrale che assume in lui il concetto di spirito uno di quei concetti hegeliani che, non a caso, lo stesso riconosce presente e operante nella propria filosofia. ulteriormente il discorso teorico Dilthey si rende conto che un «contrasto apparentemente insanabile sorge infatti quando la coscienza storica è perseguita nelle sue ultime conseguenze. La finitezza di ogni manifestazione storica — si tratti di una religione, di un ideale, di un sistema — e quindi la relatività di ogni maniera umana di concepire la connessione delle cose è parola della storica: tutto in divenire, nulla di permanente. Contro di questo si erge la necessità del pensiero e lo sforzo del filosofo di pervenire ad una coscienza universalmente valida» Infatti, anche se lo storicismo ha liberato la spirito umano da ogni considerazione astratta ed aprioristica della storia e Ivi, p. 266 e ss. cfr. Ivi, p. 271. DILTHEY, 7-9.
V,
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dell'uomo, tuttavia Dilthey avverte il sorgere del relativismo dallo storicismo Egli pensa di ovviare «anarchia delle opinioni» cercando di rintracciare il fondamento comune immanente ad ogni forma di della vita, raccordando le in un orizzonte unitario e indiveniente: ossia egli tenta di risalire alle leggi costanti dello sviluppo del divenire. Il problema dell'unità del corso storico è visto come immanente alla storia stessa in maniera più netta di e La questione del degli eventi molteplici all'unità trova soluzione in Dilthey nell'individuazione di una sorta di tipologia, «in una della storia universale in cui il principio unificante la pluralità dei possibili rapporti alla verità era rigorosamente pensato come immanente alla pluralità stessa: una pluralità, si badi destinata a realizzarsi non in successione cronologica, ma e solo nel suo insieme capace di rappresentare la coscienza la totalità del vero» Tuttavia per lo stesso Dilthey, che pone in eviche siamo esseri storici e conosciamo solo storicamente, poi la coscienza dello storico fino ad estenderne lo sguardo alla storia universale, pretendendo perciò di porsi al di fuori di La coscienza storica Negli ultimi anni della sua vita Dilthey cercò di evitare senza riuscirvi, il relativismo, elaborando una «filosofia della filosofia» o Weltanschauungslehre, a cura di BIANCO, Storicismo ed ermeneutica,
42.
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ne un ideale non è un caso perciò — osserva — che Dilthey sia sospinto ad indagini biografiche, ad esiti in cui viva è la presenza di Allo storicismo, a a a Dilthey, manca la piena consapevolezza della propria storicità, con la conseguenza che del giudizio storiografico risulta una pretesa impossibile e nello stesso tempo viene travisato il compito della coscienza ermeneutica. di Dilthey consiste perciò, secondo Gadamer, nel cercare per le scienze dello spirito la stessa obiettività ed esaustività delle scienze della natura, pur nella consapevolezza della diversità dei rispettivi oggetti e metodi. Così si può affermare che in Dilthey si ha l'apogeo e l'inizio della crisi della concezione fondamentalmente scientistica della metodologia delle scienze dello spirito; l'ambivalenza del pensiero e perciò la difficoltà di una sua lettura unitaria, sono state puntualmente evidenziate da Gadamer Secondo quest'ultimo la intrinseca temporalità dell'esistenza comporta che la coscienza storica, come coscienza ermeneutica, non possa porsi in una posizione di assolutezza mediante la quale trasporsi nel passato, senza lasciarsi coinvolgere, interrogare. La coscienza storica, se essere coscienza ermeneutica, deve far valere la propria storicità nel processo interpretativo, che perciò si rivela come integrazione mai conclusa fra l'orizzonte dell'interprete e quello della cosa da Sulla portata e sui limiti dell'opera di problema della coscienza storica, 48-50.
Dilthey,
GADAMER,
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pretare. La mediazione che l'ermeneutica può compiere rispetto alla di estraneazione nei confronti del passato, non è perciò per limitato alla totale delle situazioni del passato, ma si presenta come una integrazione mai conclusa. Gadamer contesta a Dilthey il suo il neutralismo storiografico e l'oblio di sé, ma non pone invece in evidenza, con altrettanta forza, l'eredità presente in lui. Infatti, lo storicismo relativistico diltheyano, mediato da è presente in Gadamer e costituisce uno dei punti più deboli della sua filosofia. Le identificazioni di verità e significato, di pensare e interpretare, trovano proprio in Dilthey la loro fonte primaria.
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Capitolo V IL CIRCOLO ERMENEUTICO
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V. 1 —
e il circolo ermeneutico.
Le implicazioni dell'ermeneutica insieme radicale e alla riduzione trascendentale prospettata da diventano oggetto di critica da parte di e poi, sulla sua scìa, anche da parte di Gadamer in quanto, in ultima analisi, trovano il loro fondamento metodico nel darsi alla coscienza. Già Husserl con la riduzione trascendentale cerca di andare oltre la problematica criticando soprattutto con le analisi dei concetti di (mondò della vita) e di «orizzonte», sia il neo-kantismo, sia Dilthey, accusati di misconoscere l'esperienza del «mondo della vita» a favore di quella scientifica. Ma anche Husserl, per Gadamer, pur nella sua critica presenta un residuo in particolare nel rapporto che ravvisa fra coscienza ed e nel fare del cogito, come struttura essenziale dell'universalità, la base della fenomenologia Per un giudizio di Gadamer su Husserl si veda pp. 287 e ma anche della coscienza storica, pp. 53-56. In particolare Gadamer rivolge la sua attenzione alla nozione di Lebenswelt, vedendoci il nucleo essenziale della filosofia husserliana; in proposito l'acuto saggio Die in III, Idee
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La fenomenologia a differenza di quella non è costituita, nota né sulla base della distinzione fra fatto ed essenza, né sulla base del cogito, bensì si definisce come «ermeneutica della nella sua e La fenomenologia heideggeriana, ponendo in primo piano l'effettività dell'esistenza, pone in primo piano secondo Gadamer il problema della Sostenendo temporalità dell'essere sottolinea Gadamer, si pone oltre la concezione dell'essere inteso come indiveniente, e oltre il soggettivismo Sottolineando che il problema ontologico è il motivo fondamentale di e, più in del pensare Gadamer nota anche che le riflessioni del filosofo sulla comprensione come struttura dell'esserci, hanno 237-250, ma anche 167-170; inoltre in et La 1974, pp. 210-223; Husserliana", 1972, II, The and idea pp. in III, Die von der pp. 190-201. Cfr. pp. 303 e Per una ricostruzione del distacco di Heidegger dall'impostazione fenomenologica husserliana, distacco già presente in Sein Zeit, ma approfonditosi in seguito, cfr. GADAMER, Soggettività e nella prospettiva di Heidegger, tr. in 1978, 4, pp. 31-38. Altre considerazioni di Gadamer sulla finitezza e storicità in Heidegger si trovano ne I fondamenti filosofici del XX secolo, in Ermeneutica e metodica universale, pp. 9-45; inoltre, La continuità della storia e l'attimo di esistenza, in Ermeneutica e metodica universale, pp. 225-226.
303.
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aperto nuovi sentieri nella direzione dell'ontologia semantica, e hanno stimolato un ripensamento metodologica delle scienze dello spirito. non intende giustificare metodologicamente le scienze dello spirito; piuttosto per lui il comprendere è l'originario modo di essere prima di ogni indirizzarsi nei ambiti metodici. osserva che già sia le scienze della natura sia le scienze dello spirito alle dell'intenzionalità della vita universale, evidenzia che l'opposizione natura-spirito non è il dato ultimo; alla base di tale opposizione c'è la vita universale intrinsecamente intenzionale e caratterizzata da una assoluta storicità; da riconoscimento bisogna partire per riconsiderare del metodo scientifico Il comprendere è per Gadamer, sulla scia di Heidegger «il carattere ontologico della vita umana perciò non essenzialmente e solo metodo per avvicinarsi al passato, bensì il modo di essere Gadamer si riallaccia esplicitamente alle analisi che Heidegger compie, in un sulla comprensione e sul circolo ermeneutico Ivi,
305-306.
5 Ivi, p. 307. M. Sein Zeit, in particolare i paragrafi in cui il filosofo tedesco imposta una logica ermeneutica contrapposta alla logica apofantica. Sull'importanza di questi paragrafi di Sein Zeit per l'elaborazione cfr. in particolare 312 e
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Per
in quanto è già da sempre si progetta in «possibilità». Nella comprensione l'«esserci» si progetta, sviluppa le sue possibilità, e come struttura progettuale è «movimento della trascendenza» e dell'ente». rispetto alla comprensione, consiste nell'assunzione del compreso, ma nella elaborazione delle possibilità progettate nella Perciò per Heidegger la comprensione non è il modo di rapportarsi di un soggetto ad un oggetto. L'ermeneutica tradizionale intende in maniera inadeguata la portata comprensione in quanto, in tutti i casi, chi comprende intende se stesso, «si progetta in possibilità che gli appartengono»; perciò la comprensione è già da sempre «autocomprensione». L'«esserci» è comprensione dell'essere, a livello ontologico e è da sempre per Heidegger ontologia ermeneutica in atto, anche se solo giunge alla di ciò. L'ontologia è per lui costitutivamente ermeneutica in quanto la comprensione dell'essere che si ha a livello e la comprensione interpretante, come sapere dell'essere che enuclea la struttura ontologica dell'esistenza — livello esistenziale non si oppongono, piuttosto elabora la comprensione già costituita del mondo M.
par. 32. Anticipazioni valutative e apertura ontologica nelle teorie ermeneutiche M. Heidegger, R. Bultman, H.G. Gadamer, in e Atti del III Colloquio sulla (Macerata, 6-7 Aprile 1981), a cura di ed. Torino 1982, 144-157.
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L'indagine non più intesa da come tecnica, ma come analitica esistenziale e ontologia fa sì che l'esistenza si di ciò che il prevalere dell'ente vela. Perciò il comprendere «si riappropria del suo compreso comprendendo» L'ermeneutica come analitica esistenziale e come ontologia si fonda sull'apertura incondizionata del Dasein, apertura di cui Heidegger, in mostra la struttura anticipante. Già l'interpretare ordinario presuppone una preesistente totalità di riferimento in cui possa inserirsi e intendersi qualcosa come qualcosa; ma per intendere qualcosa come qualcosa, è necessaria anche una «previsione» ossia un determinato orientamento nell'ambito della totalità dei riferimenti possibili. Inoltre, necessario un «preconcepimento» cioè la determinazione del livello entro il quale esplicare del qualcosa in quanto qualcosa. preconcepimento costituiscono quella che Heidegger chiama come apertura, struttura anticipante del Dasein in quanto essenzialmente comprensione sottolinea che il compreso diviene propriamente se stesso in quanto questa è «elaborazione delle possibilità progettate nel comprendere»; e nell'elaborazione interpretante emerge il «senso» del qualcosa, che perciò non è al qualcosa dal Dasein. M.
Sein
par.
Ivi, par. 32.
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in quanto è al servizio degli altri enti, Nella comprensione interpretante ci si appropria della e proprio la struttura anticipante, precedente ogni chiusura fa sì che il senso dell'ente scoperto dal Dasein sia un servizio nei confronti dell'ente e non una manifestazione della soggettività e una sua prevaricazione, anche se il comprendere come progettarsi in possibilità, è sempre della
del Dasein vanifica la possibilità priva di pregiudizi. Tale struttura anticipante pone in nuova luce il circolo ermeneutico cui sembra equivalere. Per esempio, del problema impedisce che il rapporto possa progressivamente risolversi in un reciproco confrontarsi e correggersi. Il circolo ermeneutico in è espressione incondizionata all'essere, al tutto, al darsi delle cose nella loro Egli si pone perciò al di là del problema del rapporto parte-tutto, come invece si configura nel procedimento delle scienze dello spirito, che accettano il circolo come necessità metodologica. Per dato il carattere ontologico della «struttura-del-pre», e dato che l'interpretazione non aggiunge nulla alla comprensione ma ne è ciò che è importante, anzi «decisivo», non è uscire dal «circolo», ma correttamente. Il circolo del comprendere non è un giro in cui si muove un modo di conoscere arbitrario, ma è sione della struttura-del-pre del Dasein. Questo circolo non deve essere concepito come circolo In esso si nasconde 116
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una possibilità di conoscere originario, che viene colto in modo corretto solo se ha inteso che il suo durevole e ultimo» compito resta quello di non lasciarsi imporre da vedute casuali o da concezioni dominanti, ma di «farle re dalle cose stesse, garantendosi cosi la del proprio tema» La struttura aprente del circolo ermeneutico è per alla base dell'autentico discorso scientifico che è il compito «primo», «durevole» e «ultimo» di chi interpreta, e che consiste positivamente nel partire fenomenologicamente dalle cose stesse e negativamente nel non lasciarsi dominare, imprigionare dalla dei pregiudizi e preconcetti imposti da concezioni correnti arbitrarie. Piuttosto, è a quell'anticipazione in cui si danno gli enti nell'apertura In la circolarità non è metodica, ma indica la costitutiva e apertura dell'orizzonte apertura perciò non sottoposta all'arbitrio della soggettività. L'interprete procede circolarmente e alla fine non ma il riconoscimento dell'apertura, del circolo. La scientificità del discorso si basa per Heidegger sul riconoscimento «esserci» come comprensione e come apertura originaria in cui si danno le cose. Heidegger con ciò pensa di sfuggire al arbitrario per collocarsi nel presupporre originario della comprensione Ivi, par. 32.
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Se la struttura circolare non avesse una portata ontologica, non partisse fenomenologicamente dalle cose stesse, il comprendere interpretante sarebbe un vano risalire da un presupposto arbitrario ad un altro, all'infinito; questo tipo di sarebbe perciò un presupporre infondato e non originario, chiuso al darsi delle cose. presupporre dell'ermeneutica è, o intende essere, in funzione delle cose, loro la parola, fa sì che esse siano incontro. L'ermeneutica non procede secondo la logica della conseguenza, in quanto apertura, fa si che l'altro si manifesti appunto come altro, che le cose parlino in quanto tali. intende prospettare una scientificità superiore a quella delle scienze dominate dalla logica della conseguenza. Tuttavia è proprio la scientifica dell'apertura ontologica che resta lontana: l'apertura non può comprendere se stessa in quanto non sarebbe più apertura. La tematizzazione della funzione aprente allontana proprio da tale funzione, mentre in essa, la dedizione all'ente, allontana dalla consapevolezza di se Heidegger alla fine di si trova di fronte a questa Inoltre ontologia e analitica si presuppongono a vicenda, in attesa di pervenire all'idea dell'essere in generale che le rapporti da un punto di vista radicale: l'idea REGINA,
154.
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za e dell'essere in generale viene presupposta dell'esserci per pervenire poi da ciò all'idea dell'essere. Perciò la coincidenza di e è presupposta: alla fine di Zeit sostiene che della costituzione d'essere dell'esserci resta solo una via. Il fine è l'elaborazione della questione dell'essere in generale. Per parte sua l'analitica tematica dell'esistenza abbisogna anzitutto della luce dell'idea in generale previamente chiarita Successivamente Heidegger, pienamente conscio della difficoltà, anzi, della impossibilità di di esprimere l'apertura in quanto tale e quindi l'interpretare in quanto tale, e non di un determinato ente, si volgerà al pensare poetante, alle opere di poeti e pensatori essenziali, da lui viste come manifestazioni del dell'essere. La verità come ha nel linguaggio la «casa» del proprio disvelarsi e l'uomo piuttosto è pastore dell'essere. Dopo la cosiddetta svolta (ma più che di svolta si dovrebbe parlare di approfondimento di alcune tematiche essenziali già presenti in Sein Zeit), Heidegger non ha più trattato esplicitamente l'ermeneutica come in Sein e afferma: «Ho lasciato una posizione non per sostituirla con un'altra, ma perché anche quella era solo stazione di un cammino. Quello che rimane costante nel pensare è il M. HEIDEGGER, Sein Ivi, par. 63.
Zeit, par. 63.
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mino» Con ciò Heidegger oltrepassa di fatto, ma non di diritto, in precedenza indicata la manifestazione dell'ente e la funzione aprente: la manifestazione dell'ente implica il dell'apertura in quanto tale, in quanto tale implica l'oscuramento della funzione aprente.
M. HEIDEGGER, In cammino verso il linguaggio, Milano 1973, 91. La storiografia dopo una prima distinzione di due fasi nel pensare (si veda ad Heidegger in Saggi su Heidegger, Torino 1966; P. CHIODI, L'ultimo Heidegger, Torino 1952; La in die di Heidegger, in "Rivista di filosofia", 1953, 424 ha prospettato anche, fondatamente, una lettura unitaria, rivedendo di Essere e Tempo. In Italia questa lettura è stata in particolare sostenuta da L'unità del pensiero in Heidegger, Padova 1965; G. Introduzione a Heidegger, Bari 1971; E. La resurrezione estetica del pensare (tra Heidegger e Moretti-Costanzi), Bulzoni, Roma che continua il discorso iniziato in pensare poetante di M. Heidegger, Perugia
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—
e il circolo ermeneutico.
Nella consapevolezza delle difficoltà suscitate sia dall'identificazione esistenziale con il fondamento della verità in sia dal rincorrersi fra ontologia e analitica esistenziale, Gadamer accoglie come punto fondamentale delle sue riflessioni il «circolo ermeneutico» concepito cercando di sviluppare alcune tematiche di Sein Zeit. La lettura che egli fa di quest'opera è condotta a partire dalla produzione successiva alla detta Molto discretamente Gadamer nota che in Sein Zeit l'esposizione del problema dell'essere «era formulata ancora con mezzi della filosofia trascendentale» con il rischio di vedere di nuovo operante sullo la riflessione assoluta dell'idealismo speculativo. Questa difficoltà deriva per lui dall'identificazione dell'apertura esistenziale con il darsi della verità, e perciò dall'identificazione della comprensione dell'essere nel ci con il fondamento della verità. Gadamer cerca di uscire heideggeriana facendo della tradizione, concepita in sintesi originaria con l'apertura dell'esistenza, il fulcro della propria ermeneutica. La rilettura di Sein Zeit è condotta, perciò, sulla base del riconoscimento della tradizione sia come ciò in cui l'apertura prete si pone, sia come ciò che «è in grado di autonomamente ad essa e di offrirle validi paramenti di verifica» 305. tica
REGINA, p. 167, in particolare considerazioni sull'ermeneu166-172.
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Il ruolo fondamentale che la tradizione assume in sì che egli diriga la propria verso la struttura della Heidegger, l'ontologia sulla base dell'analitica esistenziale, non aveva lo scopo di delineare una ermeneutica della storia, né intendeva indicare moralisticamente un determinato ideale storico di esistenza. Anzi, osserva giustamente che l'impostazione heideggeriana «si poneva fin dal principio al di là di tutte le differenziazioni e quindi anche di tutti gli ideali concretamente A questo proposito, anche Gadamer intende seguire trascendentale, rifuggendo da ogni di particolari prospettive: «In questo senso — egli afferma — anche noi intendiamo Per quel che riguarda la lettura di Heidegger anche: Martin Heidegger, in III, pp. 202-211; HeidegLater Philosophy, in Philosophical Hermeneutics, Berkeley, Los Angeles, pp. 213-228; per tedesco si veda in M. HEIDEGGER, Der Ursprung des Kunstwerks, Heidegger et le language de la "Archives de Philosophie", 1973, pp. 3-13 (tr. Heidegger der in Kleine III, pp. 212-220); Hegel e Heidegger, in La dialettica di Hegel, tr. di Dottori, Torino 1973, pp. 127-151 (tit. or. Hegel Heidegger, in 1971). Sempre sulla tematica del rapporto fra Heidegger e Hegel cfr. GADAMER, in Kleine IV, 1977, pp. 74-78. Sul rapporto cfr. in particolare Language et ontologie, Un Gadamer, in "Archives de Philosophie", 1974, pp. 568-571; inoltre G. Gadamer, Assisi 1978, pp. 136-137; REGINA, cit." pp. 144-157; A. DA RE, L'ermeneutica di Gadamer e la filosofia Rimini, 1982, pp. 17-19 e 89-91; G. Introduzione a GADAMER, La ragione nell'età della Genova 1982 (tit. or. Vemunft im Zeitalter der Wissenschaft, 1976), 9-17.
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al trascendentale dell'impostazione Con data da al comprendere, il problema dell'ermeneutica acquista una portata universale e si allarga a una nuova dimensione» intende far valere la tesi che la struttura dell'esserci si attua nel modo del comprendere anche nelle scienze dello spirito, in quanto la struttura generale della comprensione giunge alla sua concretezza nel comprendere storico. Infatti per Gadamer i concreti legami rappresentati dal «costume» e dalla «tradizione», con le correlative possibilità aperte sul futuro, agiscono nel comprendere Il senso della Geworfenheit heideggeriana, ossia della struttura trascendentale è inteso da Gadamer nel senso che l'«esserci» non può andare al di là dell'effettività del proprio esser già stato. Ed è la tradizione già stato che l'«esserci» trova davanti a sé come non oltrepassabile, come ciò che rende possibile e delimita tutto il suo progettarsi. L'appartenenza tradizione è costitutiva della finezza ed è la base imprescindibile e non oltrepassabile del suo progettarsi verso il futuro. Heidegger ha giustamente insistito, secondo Gadamer, fatto che la Geworfenheit, e il progetto «sono essenzialmente connessi». E questa struttura esistenziale è in funzione interamente, nella totalità delle sue implicazioni, nella comprensione e V.M.,
311.
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anche quando l'intenzione di chi legge è solo quella di vedere come sono andate le La storicità dell'esistenza, perciò, è il punto essenziale che caratterizza l'ermeneutica dell'effettività Il ricollegarsi al significato trascendentale dell'impostazione cercando di evitarne i rischi della riflessione assoluta, è condotto da nella consapevolezza che «mentre prese ad occuparsi del problema dell'ermeneutica e della critica storica solo per sviluppare su quella base, con intenti ontologici, la struttura della precomprensione» per lui il problema si pone «in senso ossia, come l'ermeneutica, liberata dal delle scienze della natura, «sia riuscita a riconoscere nella sua giusta portata la storicità del Il problema di fondo di Heidegger è l'ontologia, e l'ermeneutica è in funzione di questa; mentre per Gadamer il discorso sull'ermeneutica è fondante rispetto a quello ontologico, e ciò non è senza conseguenze. Tradizionalmente l'ermeneutica si era interpretata come disciplina tecnica. Ciò vale anche per la riforma operata da Dilthey che la concepisce come universale delle scienze dello spirito. Heidegger, invece, ne rivela il carattere ontologico. Gadamer sottolinea la portata ontologica del circolo ermeneutico facendone valere le conseguenze riguardo alla stori-
Ivi, p. 309. Ivi, p. 312. Ibidem.
124
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del comprendere delle scienze dello spirito. Tuttavia il suo problema non è quello di delineare una metodologia: domandarsi quali siano le conseguenze derivanti all'ermeneutica delle scienze dello spirito dalla fondazione della della comprensione sulla temporalità dell'esserci, non è l'interesse ed essenziale di in quanto l'enucleazione di tali conseguenze può essere vista come la consapevolezza interna al lavoro del comprendere. Con Gadamer l'ermeneutica è più concepita come l'opera essenzialmente volontaria, di un singolo interprete, ma diventa l'attività che già da sempre compie, ne sia o no consapevole, nell'ambito di una vivente comunità linguistica. Secondo si deve mirare «alle cose questa è l'essenza della fenomenologia, che costituisce «il compito primo, permanente e ultimo» della comprensione. Nello stésso lui il circolo ermeneutico si radica e ha il proprio fondamento esistenziale. Gadamer approfondisce le conseguenze della portata ontologica del circolo ermeneutico riguardo alla pretesa di verità delle scienze dello spirito e perciò la sua riflessione è orientata da questo intento; scrive infatti: «Chi si mette a interpretare un testo attua sempre un progetto. Sulla base del più immediato senso che il testo gli esibisce, egli abbozza preliminarmente un significato del tutto. E anche il senso più immediato il testo lo esibisce solo in quanto lo si legge con certe attese determinate. La comprensione di ciò che si da comprendere consiste tutta nella elaborazione di questo progetto che ovviamente viene 125
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mente riveduto in base a ciò che risulta dall'ulteriore penetrazione del testo Proprio questo continuo rinnovarsi del progetto, che costituisce movimento del comprendere e delè il processo che descrive. Chi cerca di comprendere, è esposto agli errori derivanti da presupposizioni, che non trovano conferma Il motto di andare «alle cose stesse» non implica perciò per come del resto per Heidegger, la neutralità della coscienza. Sul circolo ermeneutico e sulla precomprensione, sulla storicità e della esistenza, si fonda la riabilitazione della tradizione, del pregiudizio e, più in generale, la «coscienza della determinazione storica» L'obiettività che si delinea a partire dal riconoscimento del circolo ermeneutico è quella dalla «conferma» della elaborazione della comprensione: «Che cos'è che contraddistingue le inadeguate se non il fatto che, sviluppandosi, esse si rivelano Nel rapporto col testo è messa alla prova la legittimità, «cioè l'origine e la validità delle pre-supposizioni». E questa non è la di un modo di procedere che sempre accade quando Ivi, inoltre GADAMER, problema della coscienza storica, p. 84, ma anche GADAMER, in Martin Heidegger 70. 1959, pp. 24-34. indica un'analogia fra il metodo di Popper e il circolo ermeneutico in A proposito dei nuovi aspetti della filosofia della storia della filosofia, in La filosofia della storia della filosofia, in "Archivio di Filosofia", Padova 1974, pp. 249-282. 24
p. 314.
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si comprende. In tal modo egli individua un criterio di obiettività: «C'è dunque anche qui criterio. Il compito ermeneutico, in virtù della sua stessa essenza, assume una fisionomia di un problema obiettivo, come tale sempre si determina. In tal modo l'impresa ermeneutica si trova ad avere un terreno solido sotto i piedi» Innanzitutto chi si avvicina un testo deve essere disposto a lasciarsi dire qualcosa da esso, non imporre una ipotesi di lettura. Una coscienza ermeneutica è preliminarmente sensibile, educata del non all'assimilazione di quest'ultimo a sé. Ciò dire che non bisogna presupporre né una obiettiva neutralità, né un oblìo di se stessi, ma prendere coscienza dei pregiudizi: solo così il testo ha la concreta possibilità di valere il suo contenuto di verità nei confronti delle presupposizioni sottolinea come in abbia concretamente affrontato la situazione ermeneutica riguardo al problema dell'essere — problema posto criticamente alla metafisica mettendone a confronto i momenti decisivi, mostrando con ciò una coscienza ermeneutica non volta semplicemente a portare a compimento le proprie anticipazioni, «ma a renderle consapevoli per poterle controllare», e fondare così la comprensione sull'oggetto stesso. Questo intende secondo Gadamer, quando esige che il terreno della ricerca sia «assicurato sulla base dell'oggetto stesso mediante una M,
316.
Ibidem.
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elaborazione delle componenti della situazione ermeneutica precognizione». Al contrario, che nel delineare la metafisica «occidentale» abbia compiuto una operazione ermeneutica, come sostiene è fuori dubbio, ma che tale operazione non sia stata guidata da presupposti che lo hanno portato ad una visione parziale e distorta della metafisica, è invece da dimostrare.
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— La tradizione La fondazione della della comprensione sulla temporalità dell'esserci è sviluppata da assegnando un ruolo preminente alla tradizione e al pregiudizio. La tradizione è infatti da lui accolta nella struttura anticipante della soggettività come qualcosa che è in grado di dialogare e di presentare differenti di verità. della soggettività interpretante è ontologica nel senso che nel dialogo con la tradizione, accade l'essere della cosa, si presenta la verità. In rispetto a emergono la struttura dialogica dell'apertura dell'esistenza e la tradizione come polo del dialogare; perciò l'apertura non sembra essere assorbita dalla cosa nel suo essere incontro, come accade nello Heidegger di Tuttavia, nello stesso Gadamer, la tradizione assume un ruolo ineliminabile e indeducibile: si assiste, cioè, ad una sua rispetto al futuro e al presente. Mentre in Heidegger prevale l'anticipazione del futuro — il passato ha un ruolo essenziale, ma in qualche modo visto come inautenticità, (dove è da tenere presente che autentico e inautentico non implicano per lui alcun intento valutativo) in Gadamer la comprensione interpretante è sempre un progettare, il cui punto di partenza è il passato, l'appartenenza a una tradizione. Il giudizio dato da Gadamer sia sul mondo contemporaneo sia sul passato è molto sfumato e meno deciso rispetto a quello di Heidegger. Anzi, il fatto che Gadamer non
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il collegamento destinale fra civiltà tecnologica e metafisica, in vista di un di rende meno chiara di quel che è in la prospettiva futura. Inoltre, più che mettere in come fa Heidegger, il carattere metafisico di oblio della differenza fra essere ed ente a favore dell'ente, propria del pensare «occidentale», sottolinea in senso positivo la continuità con la tradizione, con i grandi filosofi. L'ermeneutica non si prospetta perciò principalmente come oltrepassamento della metafisica ma si dirige contro della metodologia scientifica moderna, riallacciandosi nello stesso tempo ad ma anche a Hegel. Lo stesso Heidegger legge in maniera ambivalente i grandi filosofi che segnano momenti fondamentali deldell'essere; mentre in Gadamer la polemica verso la storia della metafisica occidentale passa in secondo piano. Molto più accentuato in Heidegger, che in Gadamer, è il senso di dissoluzione che la filosofia subisce ad opera della civiltà tecnologica: infatti per quest'ultimo la filosofia, così come si è affermata nella nostra tradizione, ha ancora molto da dire. Pur rivendicando la portata di verità dell'opera d'arte, la filosofia, a suo avviso, ha un proprio spazio anche nel mondo contemporaneo: il suo ambito è quello del lavoro del concetto, come di ogni linguaggio specializzato nell'ambito del linguaggio naturale, ossia di quel metalinguaggio che per Gadamer è il linguaggio vivente dello spirito che si esprime nelle istituzioni, nelle produzioni, nelle forme simboliche di una comunità linguistica, di un popolo. 130
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Lo spirito inteso ermeneuticamente come linrisolve in sé per lo spirito assoluto Per lui infatti è storia ed è linguaggio, trasmissione di messaggi, perciò dialogo mai concluso: la storia è un processo interpretativo in cui l'essere «aumenta». Nello sviluppo del pensare il rapporto essere-linguaggio diventa sempre più centrale, senza tuttavia giungere ad una loro identificazione, come invece accade in Gadamer, in quanto la concezione della verità come svelamento, dell'essere fa del linguaggio la «casa» re, ossia ciò in cui quest'ultimo si e si cela ad un tempo. Si perde perciò in Gadamer la drammaticità della concezione dell'essere, dell'oblìo della differenza ontologica nella metafisica «occidentale». Concependo l'intera storia del pensiero «occidentale» come oblìo dell'essere, che trova la sua massima espressione nella nostra epoca dominata dalla tecnica — ultimo sbocco del pensiero metafisico delinea una filosofia della storia, che in ultima analisi, giustifica la stessa civiltà tecnologica in quanto ne fa un modo del dell'essere. La lettura di Heidegger operata da Gadamer, rifuggendo da ogni prospettiva moralistica, si muove su un piano ontologico: tuttavia, pur riconoscendo l'oblìo della differenza ontologica fra essere ed ente a favore dell'ente, in lui tale problematica carattere scienze e la in H.G. GADAMER, La ragione nell'età della scienza,
19-36.
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passa in secondo piano; cosi pure in Gadamer risulta la concezione onnicomprensiva e unitaria della storia che si presenta in il quale si situa in un punto di vista privilegiato ravvisando nella storia, sia pure in un senso opposto a quello hegeliano, il dominio della metafisica. Piuttosto Gadamer, con la sua rivalutazione della tradizione e la sua concezione del linguaggio come evento della verità, la visione unitaria di Heidegger, il quale gli sembra che ancora prigioniero della riflessione dello stesso linguaggio della metafisica. Ma Gadamer si chiede anche se tale linguaggio non sia il modo in cui già da sempre spiega se stessa e ciò che la circonda
GADAMER, Hegel et Heidegger,
129.
H.G. GADAMER, Heidegger et le de la cit, R. DOTTORI in Ermeneutica e crìtica dell'ideologia tra Gadamer e Habermas, «Giornale critico della filosofia italiana», 1976, giustamente sottolinea che l'identità di linguaggio ad essere è delle difficoltà
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Capitolo VI
LA COSCIENZA DELLA DETERMINAZIONE STORICA E LA SUA ESPERIENZA
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VI. — La rivalutazione del "classico" e la critica dello spirito illuministico.
Per lo spirito illuministico è razionale soltanto il giudizio verificabile secondo un metodo razionale, ed in maniera chiara e distinta. Sono irrazionali, invece, sia i pregiudizi che rimandano sia quelli dovuti al cattivo uso o al non uso del metodo. A questo proposito, osserva che soltanto a partire dell'illuminismo il pregiudizio ha assunto il carattere negativo di giudizio infondato, o anche falso, che ancora oggi conserva Ma anche nota Gadamer, ha un suo pregiudizio fondamentale, «il pregiudizio contro i pregiudizi in generale e la della Anche lo storicismo è influenzato dalla concezione illuministica della ragione. Infatti, premessa indiscussa della filosofia della storia romantica è il superamento del mito nel lògos: anche se è valutato negativamente, lo schema mediante il quale il romanticismo si avvicina alla storia è quello del progressivo disincantamento. Questa premessa è stata poi adottata dallo storicismo. p. 318. 2 Ivi, p. 317.
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Dalla «revisione» del valore del pregiudizio, della tradizione e, più in generale, di ciò che è «classico», dipende invece per «la possibilità di un'adeguata conoscenza della finitezza». All'ottimismo illuministico il tedesco contrappone una svalutazione della riflessione e della critica: la storia non appartiene alla coscienza umana finita, ma questa appartiene alla storia. Molto prima di arrivare ad una autocomprensione attraverso una riflessione esplicita, noi ci comprendiamo secondo schemi irriflessi nella nella società, nello stato in cui viviamo: «La soggettività — afferma Gadamer — è solo uno specchio frammentario. dell'individuo non è che un barlume nel compatto fluire della vita storica. Per questo i pregiudizi dell'individuo sono della sua realtà storica più di quanto non lo siano i suoi È operante qui il concetto hegeliano di spirito del quale Gadamer riconosce la fecondità ermeneutica, rispetto ai concetti di spirito assoluto e di spirito soggettivo. La riabilitazione della tradizione, del pregiudizio e perciò dell'autorità costituisce il punto di partenza per una corretta impostazione del «compito ermeneutico», in quanto «la questione basilare» di una «vera ermeneutica storica», si basa sulla legittimità dei pregiudizi. Allo spirito critico alla ingenuità delle pretese della riflessione, Gadamer contrappone l'appartenenza alla storia, la e dell'esistenza. il problema della legittimità dei pregiudizi Gadamer compie un lungo giro, rivendicando Ivi,
325.
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la portata di verità dell'autorità. Non è implicito nel concetto di autorità di essere contrapposta alla ragione e alla libertà, infatti l'autorità non ha il suo fondamento ultimo nella sottomissione e nell'arbitrio, non ha immediatamente «nulla da fare con ma con la La rivalutazione dell'autorità si basa sul fatto che il suo riconoscimento è un atto di libertà e di conoscenza, «ciò che l'autorità dice non ha il carattere dell'arbitrio, ma può essere in linea di principio compreso» I pregiudizi legittimati dall'autorità diventano per in quanto «producono la stessa prevenzione a vore di qualcosa che potrebbe farsi valere in altro modo, per esempio in base a motivi che la ragione riconosce come validi». E più in generale non tanto i nostri giudizi quanto piuttosto i nostri pregiudizi costituiscono il nostro essere». Mentre nel romanticismo permane una sorta di opposizione fra tradizione e ragione, secondo fra ragione e conservazione non c'è «assoluto contrasto», in quanto la razionalità della tradizione si esprime nella sua conservazione, nel suo durare; ciò che permane, che si tramanda, è tale non per forza d'inerzia, ma in quanto continua ad essere accettato e coltivato, consapevolmente o inconsapevolmente. La conservazione è caratteristica della e la conservazione è in opera accanto e dentro ad ogni mutamento storico. In virtù della sua ne, più o meno consapevole, il contenuto della tradizione è un Ivi, 328. Ibidem.
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atto della ragione e della libertà, anche se meno appariscente della rivoluzione. Per questo sia la critica sia la romantica, a cui egli si non colgono la verità della In queste argomentazioni il filosofo tedesco identifica aprioristicamente proprio ciò che deve dimostrare, ossia la razionalità profonda della tradizione. La razionalità come conservazione si esprime eminentemente nel concetto di «classico», che assume in una legittimità scientifica che va ben oltre il significato normativo e stilistico in cui solitamente è usato, in particolare, filologico in cui nasce. Con analisi, Gadamer tocca il fondamentale problema dell'evento della verità e della sua identità riprendendo e sviluppando argomentazioni già delineate nell'ontologia dell'opera d'arte. Il concetto di classico infatti esprime «un modo eminente dell'essere storico stesso, l'atto storico della conservazione che mantiene in essere un certo vero attraverso una sempre rinnovata verifica classico è ciò che si mantiene valido di fronte a ogni critica storica, giacché il suo predominio storico, la potenza obbligante della sua validità che dura e si tramanda, precede ogni riflessione storica e si fa valere in lisi del concetto di classico Gadamer esprime la propria concezione della ragione come conservazione e lo della riflessione; infatti, la «verifica» di cui egli parla non è certo quella operata dalla coscienza secondo un metodo, piuttosto tale GADAMER, L'universalità del problema ermeneutico, in Ermeneutica e metodica 81; p. 325. Ivi, p. 336. Sul concetto di
p. 334-340.
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accade in virtù della «potenza obbligante» del vero che si presenta nel classico, e orienta ogni riflessione critica. La categoria del classico non è quindi, per un concetto descrittivo posseduto da una coscienza storiografica, al contrario, tale coscienza «appartiene ed è soggetta a ciò che è classico». Quest'ultimo è sottratto al mutamento del tempo e al variare dei gusti, ossia è eterno. Ma la sua eternità è da intendere come un modo proprio dell'essere storico, cioè come contemporaneità ad ogni presente e non come compresenza simultanea di istanti. Perciò: «La permanenza non è il contrario del dileguare, ma la verità stessa del dileguare» Solo ciò che «del passato si conserva come non passato» è classico e ciò, secondo Gadamer, rende possibile la conoscenza storica. La razionalità della tradizione è perciò nella sua classicità, nel suo durare; e su queste caratteristiche della tradizione si basa l'obiettività della conoscenza storica, e quindi, la possibilità delle scienze dello spirito. Riferendosi a Hegel, Gadamer afferma che «classico è ciò che si conserva perché significa se stesso e spiega se stesso», cioè non si riferisce ad altro, ma «parla ad ogni presente come un discorso che si rivolge specificatamente ad esso». In tal modo il classico supera, nel suo appello, la distanza storica, compiendo così una sorta di costante mediazione fra passato e presente. Per Gadamer la portata della forza comunicativa dell'opera d'arte, dell'evento di verità, è illimitata, in quanto è senso infinito come infinita possibilità di significati. GADAMER, La dialettica di Hegel,
53.
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Compiendo una rivalutazione del pregiudizio e della tradizione rispetto all'illuminismo e, più in generale, rispetto alla forza della riflessione e della critica, ha suscitato reazioni polemiche da parte di esponenti della critica Logica delle sociali, tr. di Mulino, Bologna 1970, 254 e vede nella rivalutazione della tradizione e dell'autorità un misconoscere la capacità critica ed della riflessione: dalla del circolo ermeneutico e perciò della non deriverebbe necessariamente la legittimità dei pregiudizi. La filosofia ermeneutica gadameriana misconosce i fattori extralinguistici, quali le strutture produttive e l'organizzazione del potere, e avanza un'ingiustificata pretesa di universalità, facendo della tradizione la base del consenso, a sua volta indiscutibile in quanto su di essa si basa la possibilità di ogni discussione. Per la comprensione ermeneutica deve essere critica, al servizio dell'intenzione emancipatrice, attraverso la critica della tradizione e Secondo Gadamer i concetti di riflessione e presa di coscienza si basano su presupposti dogmatici. Infatti l'emancipazione reclamata dalla psicoanalisi ha la sua limitazione nella coscienza sociale che abbraccia inevitabilmente anche il medico oltre che il paziente. Le fasi del dibattito fra Gadamer e Habermas, originato dalla pubblicazione di sono testimoniate dai seguenti scritti: J. HABERMAS, 1970, tr. it. GADAMER, in Hermeneutik Ideologiekritik, Suhrkamp 1971, tr. Retorica, ermeneutica e critica dell'ideologia, in AA.W. Ermeneutica e critica dell'ideologia, 1979; J. HABERMAS, Der der Hermeneutik, (1971), in Frankfurt, Suhrkamp 1973, tr. it. La pretesa di universalità dell'ermeneutica, in Cultura e critica, Torino 1980, pp. 229-258; H.G. in Ideologiekritik, J. HABERMAS, nuova introduzione a Suhrkamp, Frankfurt 1971, tr. Prassi politica e teoria critica della società, Mulino, Bologna 1973. Si veda inoltre H.G. GADAMER, and social in 1975, 4. Per un confronto fra le due posizioni et nel a cura di E. Castelli, Demitizzazione e ideologia, Istituto di Studi Filosofici, Roma 1973, pp. 25-61.
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E opportuno che in «illuminismo» e «classicismo» non sembrano essere delle categorie storiche, ma piuttosto del pensiero: quando predomina lo spirito illuministico il pensiero procede dalla soggettività la cui attività critico-riflessiva tutto vaglia e rapporta a se stessa; mentre nel «classicismo» è da vedere il pensiero che procede dalla cosa, che non misura, bensì è misurato da essa. Ma la anche se sembra ancorarsi alla cosa e al suo rivelarsi, in realtà presenta, come si vedrà in seguito, una nuova forma di della coscienza e della sua attività riflessiva.
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— La produttività della distanza temporale. Il fine dell'ermeneutica non è né la trasposizione, né la ricostruzione: piuttosto esso consiste nella «partecipazione ad un comune», ossia si sulla verità della cosa. Come è possibile l'accordo, la «partecipazione ad un senso comune»? La comprensione di un testo o dell'oggetto, come si è visto in precedenza, è determinato dal «movimento anticipante della E il circolo non si dissolve nel processo della comprensione, ma «si realizza in modo più pieno». L'anticipazione di senso che orienta la nostra comprensione, scrive «non è un atto della soggettività, ma si determina in base alla comunanza che ci lega alla tradizione. Questa comunanza, però, nel nostro rapporto con la tradizione è in continuo atto di farsi. Non è semplicemente un presupposto già sempre dato; siamo noi che la istituiamo in quanto comprendiamo, in quanto partecipiamo attivamente al sussistere e allo svolgersi della tradizione e in tal modo la portiamo noi stessi Nella prima parte della citazione la soggettività è passiva nei confronti della tradizione, dell'anticipazione di senso; l'appello non è un atto della soggettività ma si determina in base alla comunanza con la tradizione. Gadamer riconosce che tale comunanza è in atto di farsi, non un presupposto; se così fosse, la stessa ermeneutica non avrebbe luogo, in quanto ci sarebbe un rapporto di familiarità con la tradizione. Invece, Gadamer 10
343.
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ma che nel comprendere partecipiamo attivamente al sussistere e allo di La concezione nei confronti della soggettività appare bifronte: da un lato essa è incapace di interrogarsi, di avviare il processo interpretativo dall'altro partecipa attivamente al sussistere della tradizione. Il compito dell'ermeneutica si esplica dunque in un rapporto insieme di familiarità ed estraneità nei confronti della tradizione: chi interpreta ha già un legame costitutivo e fondamentale con essa, le appartiene. E tale appartenenza per si delinea come possesso di determinati pregiudizi fondamentali e costitutivi La fra l'estraneità, propria del rapporto della coscienza storica con il suo oggetto, e l'appartenenza priva di distanza, immediatamente data, con la tradizione, è il luogo dell'ermeneutica. Le condizioni entro le quali si verifica il comprendere non sono una escogitazione individuale, ma sono necessariamente qualcosa di dato. Tali condizioni sono i pregiudizi e le tendenze che occupano la coscienza dell'interprete e di cui non può disporre liberamente, distinguendo preliminarmente i «pregiudizi produttivi», che rendono positivamente possibile la comprensione, da quelli che invece la intralcino e portano al fraintendimento ossia dai pregiudizi falsi. Per Gadamer i pregiudizi che guidano la mia precomprensione non cessano di essere messi in questione finché io non li abbandono, il che costituisce appunto un altro modo Ivi, « Ivi,
344-345.
349.
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di trasformarli. Perché tale appunto è il potere instancabile dell'esperienza: in ogni lezione che essa ci dona ricrea instancabilmente una nuova La distinzione i pregiudizi produttivi, veri e pregiudizi falsi «accade nel processo interpretativo stesso». Ciò non sarebbe possibile se la comprensione fosse mera riproduzione di un atto originario e oblìo di sé. Secondo è la distanza temporale che rende possibile questa distinzione, e in tal modo essa è produttiva. Nelle precedenti teorie ermeneutiche era restata obliata la funzione e la portata della distanza temporale. Ad esempio, il senso di un teso tramandato che giunge a noi, non è in primo luogo ed essenzialmente espressione dell'artista; al contrario esso trascende il suo autore, ed è portatore di un contenuto di verità, anzi, pretende tale perfezione. La comprensione non è il momento della consapevolezza nei confronti di una dimensione inconscia dell'opera: piuttoper Gadamer «quando in generale si comprende, si comprende diversamente» In virtù del riconoscimento della costitutiva temporalità dell'esistenza, la «distanza temporale» fra presente e passato deve essere riconosciuta come «positiva e produttiva possibilità del comprendere». La distanza temporale perciò, afferma Gadamer, non è un abisso da scavalcare «ma è riempito dalla continuità della trasmissione della tradizione, nella cui luce ci
Schrìften, I,
GADAMER, Hermeneutik in pp. 113-130. Il saggio è presente anche in AA.VV. Hermeneutik cit. pp. 57-82, in Ermeneutica e metodica universale, 69. p. 346.
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si mostra tutto ciò che è oggetto di comunicazione storica. Non è esagerato parlare qui di una autentica produttività dell'accadere» quando non c'è la distanza temporale a fornirci sicuri, si giudica un evento contemporaneo con incontrollabili («pregiudizi La contemporaneità, intesa come simultaneità, non è criterio di verità, in quanto per solo la scomparsa dei legami con il presente rende possibile una comprensione legittimata a presentarsi come universalmente valida: ciò perché la distanza «sopprime ogni interesse soggettivo per l'oggetto». La distanza temporale ha quindi un soggettivo, ma anche e principalmente nel senso che fa venire in luce il senso vero contenuto in un fenomeno, con l'avvertenza che l'emergenza di tale «senso vero» è un processo infinito, non una messa a disposizione dell'oggetto una volta per tutte. Come il tempo è uno scorrere infinito, così nota Gadamer è infinito il darsi del senso vero La distanza temporale depura il senso della cosa e nello stesso tempo lo accresce, in un processo infinito, negativo e positivo ad un tempo, come «distillazione» e «dilatazione» della verità della cosa. «Solo questa distanza temporale rende possibile soluzione del peculiare problema critico dell'ermeneutica, quello cioè della distinzione fra pregiudizi veri alla luce dei quali comprendiamo, e pregiudizi falsi che conducono al fraintendimento. La coscienza ermeneutica esperta sarà dunque Ivi,
347.
Sulla produttività della distanza temporale
340-350.
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quella che include in sé una coscienza storica» Secondo il fraintendimento era dovuto al principio della individualità, mentre la base della comprensione era il vitalismo, la presenza di una sostanza comune negli individui. Per la base del fraintendimento è il prevalere del della soggettività nell'immediatezza della contemporaneità con l'evento: l'emergenza dei pregiudizi veri ha come condizione necessaria anche se non sufficiente, la «distanza storica». Ma che cosa pone in evidenza e in discussione il pregiudizio? Finché esso non viene «stuzzicato», opera in maniera e «inosservata». Di per sé, la distanza temporale non lo pone in discussione anche se è la condizione necessaria: è invece l'appello della tradizione la «prima e suprema fra tutte le condizioni ermeneutiche» Una ricerca storiografica, anche quando voglia essere obiettiva, ha a suo fondamento alla tradizione, che l'interpella e muove la ricerca. In questo riconoscimento e in ciò che ne deriva, Gadamer vede «la soluzione dell'opposizione astratta fra tradizione e storiografia, fra storia e sapere della storia» la coscienza non può rapportarsi alla tradizione e ponendosi di fronte ad essa, fuori della storia; piuttosto si tratta di riconoscere la tradizione come momento costitutivo dell'atteggiamento storiografico e di indagarne la fecondità ermeneutica. Ivi, p. 349. Ibidem. p. 330.
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e «coscienza della determinazione
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storica».
La cosa che chiama, e che con ciò pone in discussione i pregiudizi, non è un «in sé» avulso e indipendente dalla propria storia e dalle interpretazioni che di volta in volta ne sono state date. sottolinea, il significato autentico di un'opera d'arte, di un evento storico, e più in generale, della cosa, è imprescindibile dalla «storia» dei suoi «effetti» Questo non è un precetto metodologico, come se fosse una tecnica da applicare a piacimento da parte dell'interprete. Già si è precisato che l'iniziativa del dialogo è d'arte o dell'evento. La metodologia storicistica, con la pretesa di obiettività nella ricostruzione dell'oggetto, in realtà resta inconsapevolmente avviluppata nella «storia degli effetti» (Wirkungsgeschichte): presupponendo di porsi al di fuori della storia, in una posizione neutrale essa non coglie l'importanza degli «effetti», sia nell'attività interpretativa, sia nella concezione della verità. Per Gadamer nella comprensione è sempre all'opera la «storia effetti», ne siamo o no consapevoli; rileva infatti: «Quando noi, dalla distanza storica, che caratterizza e determina nel suo insieme la nostra situazione ermeneutica, ci sforziamo di capire una determinata manifestazione siano già sempre sottoposti agli effetti della Wirkungsgeschichte. Questa decide anticipatamente di ciò che si presenta a noi come problematico e come oggetto di ricerca, e noi 147
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dimentichiamo la metà di ciò che è, dimentichiamo l'intera verità del fenomeno storico se assumiamo tale fenomeno, nella sua i m m e d i a t e z z a , come l'intera verità» E la «storia degli effetti» non può mai concludersi in quanto la fondamentale storicità dell'esistenza non può mai risolversi in autotrasparenza. Quel progetto-gettato che è l'esserci non è un libero progettarsi, ma è sottoposto, subisce gli «effetti» della storia. Il comprendere non è per o almeno non vuole essere, l'attività di una pura soggettività che voglia rapportarsi ad un oggetto come ad un «in sé», nell'illusione di poter instaurare un rapporto libero dagli effetti condizionanti derivanti dall'essere inserita nella storia. Il comprendere non è una operazione neutrale: piuttosto, fa parte della «storia degli effetti». Un'opera d'arte, un evento, non si possono perciò contrapporre o distinguere dalla storia delle loro Alla «storia degli effetti» corrisponde quindi in Gadamer non più la «coscienza storica» intrisa di scientifico, ma la «coscienza della determinazione storica», consapevole della propria appartenenza alla storia, caratterizzata dall'apertura alla tradizione, agli «effetti» che in essa parlano. Con l'espressione Gadamer, da un lato, indica il condizionamento e perciò la determinazione della storia sulla coscienza e, Ivi,
351.
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la sua consapevolezza di ciò La «coscienza della determinazione storica» è in primo luogo «coscienza della situazione ermeneutica», dove la situazione non è qualcosa che si ha di fronte, che si può ma «è qualcosa dentro cui stiamo, nella quale ci troviamo già sempre ad essere, e la chiarificazione di essa è un compito che non si conclude Noi siamo già da sempre situati in un «orizzonte» che ci orienta nella comprensione della verità. E sempre da un punto di vista, da una che dialoghiamo con la tradizione. Per una corretta dei fati storici, occorre perciò acquisire il giusto orizzonte problematico, essere consapevoli della situazione. E concepita come «trasposizione» nell'orizzonte altrui, comporterebbe secondo
pp. 352 e
ma anche pp. 392 e Il presenta una duplicità di significato che non è di facile traduzione nelle altre lingue; l'espressione usata dal «coscienza della determinazione storica» e proposta dallo stesso Introduzione a p. XXI) sembra privilegiare il momento della consapevolezza della determinazione su quello della determinazione della coscienza. A. accentua il momento della determinazione della coscienza traducendo «coscienza dotata di efficacia di storia», oppure «formatrice di storia», cfr. GADAMER, L'universalità ermeneutico, in Filosofi tedeschi d'oggi, Bologna 1967, p. 117. Così pure traduce de l'efficace ma anche de et in Demitizzazione e ideologia, p. 29-33. Nel corso del presente lavoro si farà uso della traduzione del Vattimo o direttamente dell'espressione tedesca. 22
p. 352.
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un impossibile ritiro dalla propria situazione o orizzonte ermeneutico; da un lato si pretenderebbe di obliare l'orizzonte dell'interprete, e dall'altro si considererebbe il dato trasmesso non per la sua pretesa di verità, ma come espressione di una personalità. l'ermeneutica intesa come «trasposizione», porta ad un oscuramento non solo dell'orizzonte dell'interprete, ma anche di quello della cosa. Comprendere un'opera d'arte, un testo, un evento, non significa storicamente, cioè ricostruire l'orizzonte in cui si collocano; in tal caso, nota si metterebbe da parte l'idea direttrice dell'ermeneutica, ossia che in essa si possa incontrare una verità valida e comprensibile anche per noi.
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— La «fusione di orizzonti» e la storica».
della determi-
La storicità dell'esistenza si che essa non sia costitutivamente legata ad un punto di vista; afferma in proposito «L'orizzonte è qualcosa entro cui ci e che si muove con noi anche l'orizzonte del passato di cui ogni vita umana vive e che è presente nella forma di dati storici trasmessi, è sempre in movimento. Non è la coscienza storica a mettere in moto l'orizzonte; in essa, semplicemente, questo movimento diventa Se gli orizzonti fossero intrinsecamente diversi, estranei, conclusi e completi in se stessi, non sarebbe possibile nessun rapporto: questi mondi, — sottolinea — insieme al nostro, costituiscono l'unico, grande, intimamente mobile orizzonte che andando al di là dei limiti del presente, abbraccia la profondità storica dell'autocoscienza. In realtà è dunque un orizzonte unico che abbraccia tutto ciò che la coscienza storica contiene in sé. Il passato proprio e quello altrui che sono oggetto della coscienza storica, costituiscono questo mobile orizzonte entro cui la vita umana vive e che la definisce come provenire e tramandarsi» Perciò, secondo Gadamer, non sono possibili né l'oblìo di sé, la trasposizione; piuttosto, si tratta di una «fusione di orizzonti» come «innalzamento a una universalità superiore», sia alla propria Ivi, p. 355; nel concetto di «fusione di
352 e ss.
Ivi, p. 355.
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che a quella altrui, in una prospettiva «più ampia» e «in proporzioni più giuste». La condizione della «fusione» perciò è l'appartenenza di entrambi gli orizzonti ad un orizzonte unico. In realtà sembra presupporre prima ciò che poi dovrà provare. Inoltre, la fusione comporta, anzi esige, un innalzamento: «Chi ha da realizzare — afferma Gadamer deve staccarsi da qualcosa che, a sua volta, deve staccarsi a lui. Ogni distacco di questo tipo rende perciò visibile ciò da cui si distacca. Abbiamo caratterizzato questo fatto come la messa in gioco dei L'orizzonte del presente «è in atto di farsi», in quanto noi non possiamo far altro che mettere continuamente alla prova i nostri pregiudizi, ossia quello che riteniamo verità. E in ciò è essenziale contro con il passato: «L'orizzonte del presente non si costruisce dunque in modo indipendente e separato dal passato. Un orizzonte del presente come qualcosa di separato è altrettanto astratto quanto gli orizzonti storici singoli che si tratterebbe di acquisire uscendo da esso. La comprensione, invece, è sempre il processo di fusione di questi orizzonti che si ritengono indipendenti tra loro» Lo stesso Gadamer si chiede perché parli di una «fusione di orizzonti», e non, semplicemente, della costruzione di un unico orizzonte del presente che progressivamente si estenda al passato. Con la «fusione» il filosofo tedesco in realtà vuole riconoscere la peculiarità del problema ermeneutico come tale, Ivi, 356. Ibidem.
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e non livellare la tensione fra interprete e dato o evento storico. Afferma infatti: «Questa però, come ci siamo sforzati di mostrare, emerge soltanto nel seno di una tradizione vivente; per cui la coscienza storica, mentre distingue, anche nello stesso tempo riunisce i due poli della distinzione, di modo che nell'unità dell'orizzonte storico che definisce, essa media sé con se Da quanto si è visto in precedenza, emerge una dimensione della coscienza che va ben al di là del suo essere situata un punto di vista, in un orizzonte storico invalicabile: la coscienza che sé con se stessa sembra ripresentare la idealistica dell'autocoscienza come mediazione con se stessa. Ma ciò non si concilia con la concezione della comprensione come infinita in cui l'iniziativa è della tradizione. A proposito della «fusione di orizzonti» Gadamer sostiene che essi «si ritengono indipendenti tra il ritenersi tale da parte degli orizzonti dipende dalla della propria parzialità e limitatezza. La «fusione di orizzonti» manifesta che essi indipendenti si ritengono, ma evidentemente non sono tali, tanto che, mediante la «fusione», si attua «l'innalzamento a una universalità superiore», ad una prospettiva «più ampia». Individuando una universalità superiore, più «ampia», Gadamer coglie anche, in tal modo, un senso nella storia, uscendo così dal prospettivismo e dal relativismo in cui consapevolmente e dichiaratamente si pone. Ivi,
357.
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Se ha un carattere data la costitutiva storicità dell'esistenza, se che si costituisce nella fusione ha perciò sempre un valore particolare di verità, come totalità relativa dotata di senso, se nella storia non un fine, un orientamento che la spieghi, allora l'orizzonte che si costituisce non dovrebbe essere superiore. infinita rispetto a che cosa si giudica maggiore o minore l'ampiezza di prospettiva? O piuttosto, qui presenta un particolare tipo di infinito e di universale, Se la verità è sempre particolare, finita, perché la minore ampiezza di prospettiva non è capace di verità, o meglio è capace di una minore verità? Che cosa dire minore verità riferito a verità sempre particolari e finite, non commisurabili con sembra presupporre della coscienza, una verità assoluta fuori del tempo, rispetto alla quale commisurare le verità Inoltre gli orizzonti si ritengono indipendenti perché la loro verità. Essi, perciò, non hanno in se stessi la forza di porsi in discussione; questo, allora, può avvenire sulla base di un medio, di un terzo che li muova, che li ponga in discussione, che costituisca la loro verità. È sulla base di una prospettiva più ampia, di un orizzonte unico, che la loro verità più ristretta è riconosciuta tale. La fusione di orizzonti, come pensare ermeneutico si dispiega quindi nella messa in discussione dell'indipendenza degli orizzonti particolari; e in ciò è l'autentica anima dialettica.
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Sostenendo che l'evento, la cosa, non sono qualcosa «in sé» ma acquistano vita secondo la prospettiva in cui si esperiscono, afferma: «Ammettiamo che sono aspetti diversi quelli sotto cui l'oggetto si presenta storiograficamente in tempi diversi da punti di vista diversi. Ammettiamo anche che questi aspetti non si superano semplicemente l'altro nel continuo progresso ricerca, ma sono come condizioni che si escludono a vicenda, che sussistono separatamente e si incontrano solo nella nostra mente. Ciò che riempie la nostra coscienza storica è sempre una molteplicità di voci, nelle quali risuona il passato. Solo nella molteplicità di tali voci, il passato c'è: questo costituisce l'essenza della tradizione in cui siamo e vogliamo divenire Qui per Gadamer, gli aspetti dell'oggetto sussistono separatamente e si escludono, né si superano l'un l'altro ma si incontrano nella nostra mente e solo come molteplicità di voci costituiscono il passato e la tradizione. Come si conciliano queste con la «fusione di orizzonti» concepita come il sollevarsi ad una universalità superiore, ad una prospettiva più ampia? Inoltre sorge il dubbio, ancora una volta, che la coscienza sia qualcosa di più dello «specchio» in cui si rifrange la vita storica, o la cassa di risonanza degli «effetti». Si ripresenta il problema dell'identità dell'opera d'arte, del testo e dell'evento: di volta in volta nella storia si danno aspetti diversi, accadono delle possibilità diverse; cioè, per dirla in altri termini, si realizza di volta in volta una totalità significante relativa Ivi,
333.
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La cosa è infinite possibilità, le quali non collegamento, relazione, in quanto se vi fosse tale relazione, si darebbe anche il suo «in sé», e il darsi nella storia delle possibilità non sarebbe accidentale, ma accadrebbe secondo tale relazione; si dovrebbe parlare allora esplicitamente, di filosofia della storia degli effetti e non solo di «storia degli effetti». Ma anche se non pone esplicitamente la relazione fra le possibilità dell'oggetto, sembra configurarsi in lui proprio una filosofia della storia degli effetti. Infatti, se gli aspetti sussistono separatamente, che cosa fa si che si riferiscano al oggetto? Gadamer sostiene che essi sono relazionati nella coscienza. Questa affermazione è molto importante per approfondire la consistenza d'arte, dell'evento, e, più in generale, della cosa, come si delinea nell'ermeneutica Se gli aspetti sussistono separatamente e indipendentemente dalla coscienza, in una sorta di diversità indifferente fra di loro, sorge la domanda su che cosa renda possibile lo stabilire una relazione fra di loro in modo da rendere possibile il parlare di una storia in cui si risolve il sé della cosa. Gadamer può affermare che l'opera si risolve nei suoi effetti perché, ponendosi al di fuori della storia, smembra a priori la verità dell'oggetto concepito come infinità di senso, in una infinità di significati Allora, «effetto» dal proprio punto di vista è vero e indipendente, non si supera, né si rapporta ad altro. Gadamer, ponendosi al di fuori della storia — dati i suoi presupposti — risolve la verità nella somma degli aspetti che si succedono nel tempo. 156
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Il darsi degli aspetti, il loro accadere è accidentale, tuttavia essi entrano necessariamente a costituire la cosa, e, neinfluenzano la coscienza della determinazione storica. L'accidentalità trapassa così ingiustificatamente nella necessità. La legge della filosofia della storia degli effetti individuata nell'ermeneutica è che l'essere aumenta: ogni aspetto in quanto accade è un aumento di essere. Ma che dialogando con un evento passato si è necessariamente sottoposti ai suoi effetti, a tutti i suoi effetti, questa è un'affermazione che fa gratuitamente: piuttosto, essa è lo specchio della sua formazione culturale, che tuttavia non è Una volta che l'evento, l'opera d'arte, il testo, sono stati smembrati nelle loro infinite possibilità di significato, non è poi così facile ricucire una connessione, fosse anche solo quella della successione temporale. Gadamer non tira le conseguenze di ciò che afferma: la concezione della verità intesa come possibilità, l'identità in divenire della cosa, come «compito» della coscienza della determinazione storica: tutto ciò fa di tale coscienza qualcosa di più che uno specchio o un barlume nel fluire della vita storica. In Gadamer opera una concezione della verità per cui essa, da un lato, è particolare punto di vista finito, l'orizzonte all'interno del quale e in base al quale si interpreta: perciò la verità è un evento accanto ad altri, particolare, finito, storico; dall'altro, la verità si presenta come prospettiva costitutivamente più ampia di qualsiasi evento, ponendosi al di fuori della 157
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storia, negando la «eventualità», per porsi come la verità di ogni evento in quanto tale. Ogni orizzonte è nello stesso tempo punto di vista particolare e assoluto; questa è la doppia dinamica della verità che qui si presenta, ad un tempo finita e assoluta. È importante domandarsi a questo punto se l'esser già da sempre situata della «coscienza della determinazione storica» in un orizzonte di comprensione, in un punto di vista renda possibile Tale esser «situata» rende possibile il dialogo con la tradizione? Oppure gli orizzonti restano incomprensibili nella loro a meno che non siano trascritti dell'interprete? Si è visto in precedenza come per comprendere significhi, comprendere diversamente, ciò in virtù della distanza temporale. Ma allora, invece che di dialogo fra la tradizione e la coscienza, sarebbe più esatto definire la comprensione come divenire infinito della verità che si invia nell'opera d'arte, nell'evento, nella cosa. Inoltre l'universalità che si configura come verità più ampia degli orizzonti in fusione, è espressione della capacità dell'autocoscienza di porsi oltre i pregiudizi, oltre la particolare prospettiva, ossia di porsi come capacità in atto di superare i limiti. La coscienza come mediazione con se stessa, cui pure Gadamer accenna, come si concilia con la sua della «coscienza della determinazione storica», ossia con la coscienza consapevole del suo essere necessariamente «situata»? Gadamer stesso riconosce che la struttura della riflessività «è fondamentalmente implicita in ogni forma di coscienza. Deve 158
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dunque valere anche per la coscienza della determinazione Ma questo per lui non dire che nel operi la riflessione assoluta, anche se bisogna dire che sente questo problema in modo «Possiamo esprimere la cosa anche in questi termini: col parlare di coscienza della determinazione storica non ci troviamo immediatamente prigionieri della legge immanente della riflessività, in base alla quale la riflessione risolve e dissolve ogni immediatezza che le si contrapponga, quale dovrebbe esser appunto ciò che chiamiamo l'effetto, la determinazione? Non siamo cioè costretti a dare ragione a Hegel e a vedere la mediazione assoluta di storia e verità come il fondamento dell'ermeneutica?» Anche le obiezioni di e di sono per superate da Hegel nel cammino dell'autocoscienza nella così pure la dialettica hegeliana del «limite», da un punto di vista logico-dialettico, è per lui ineccepibile: «Nasce quindi il problema fino a che punto la superiorità dialettica della filosofia corrisponda a una autentica verità del suo contenuto, o fino a che punto essa non produca altro che una formale apparenza di verità Per quanto chiaramente si dimostri di ogni relativismo, rimane vero che, come ha detto tutte queste argomentazioni vittoriose hanno sempre l'aria di colpi di mano» Ivi, p. 396. Ibidem.
Ivi, p. 399.
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A livello logico, contro lo scetticismo e il relativismo, che pretendendo di essere assolutamente veri negano se stessi, secondo è incontrovertibile, ma «significa davvero Piuttosto, tale ragionamento va contro lo stesso argomentante facendo dubitare, per la sua vuotezza, del suo valore di verità della riflessione e di ogni argomentazione formale che non fa conoscere nulla. Ma lo stesso Gadamer riconosce che la mediazione assoluta della ragione sostenuta da Hegel si pone «sostanzialmente» al di là «del formalismo delle argomentazioni sofistiche», per questo il confronto con Hegel è essenziale in quanto la filosofia hegeliana dello spirito pretendendo di realizzare la mediazione totale fra storia e presente ha portato fino in fondo la riflessione sullo stesso contenuto, la dimensione storica, su cui si fonda il problema dell'ermeneutica. Perciò per Gadamer è necessario definire la struttura della coscienza della determinazione storica riferendosi a Hegel e distinguendosi da lui. Ciò che permette di «scardinare» la filosofia della riflessione hegeliana non può essere la riflessione, poiché «non può esservi alcuna posizione che non sia compresa entro il movimento riflessivo del ritornare a sé della Per uscire dal circolo della riflessione hegeliana bisogna pensare la coscienza della determinazione storica in modo che l'«immee «indipendenza» non si risolvano in puro contenuto di riflessione; e Gadamer pensa di trovare nella tradizione quella realtà di fronte alla quale l'onnipotenza della Ivi,
398.
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riflessione si trova limitata. Ma la problematicità dell'identità dell'opera rende traballante e «indipendenza» come già si è sottolineato; mentre questa «immediatezza» sarebbe sempre soltanto pensata e perciò mediata. Inoltre la distanza storica, in precedenza può rapportare alla coscienza la tradizione, soltanto in quanto non è totalmente altra; la distanza esprime l'uscita dall'immediatezza del presente, il porsi innanzi l'opera da parte della coscienza. Perciò la comprensione si esplica su qualcosa di già vissuto, che è già stato presente nel suo originario presentarsi nella forma immediata della simultaneità. E ancora la struttura evidenziata nel concetto di verità e il ruolo della coscienza, tutto ciò rende estremamente problematica della tradizione rispetto alla coscienza.
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problema dell'applicazione.
Nell'atto della comprensione si realizza per Gadamer una «fusione di orizzonti» per cui l'orizzonte storiografico «mentre si costituisce, anche viene Tale fusione è il «compito della coscienza della determinazione storica», «compito» che, obliato dall'estetica romantica, storicistica e positivistica, viene a costituire ora «il problema centrale di ogni ermeneutisi pone in tal modo in primo piano la questione dell'applicazione. Si è visto che nella comprensione, così come è stata delineata da Gadamer, si verifica «una sorta di applicazione del testo da interpretare alla situazione attuale dell'interpreperciò dell'atto interpretativo, insieme alla «comprensione» e alla «spiegazione», è costitutiva anche l'«appliQuesto osserva Gadamer, non è una conseguenza secondaria, ma ha in primo luogo un significato teoretico: infatti, si tratta della questione del rapporto fra universale e particolare in campo ermeneutico. È il problema dell'identità in fieri dell'oggetto, dell'opera d'arte, dell'evento, del testo, ossia in che modo essi possono esser compresi come sempre identici a se stessi e nello stesso tempo in modo sempre diverso. Gadamer sviluppa il problema dell'applicazione in particolare in pp. 358-395; problema della coscienza storica, pp. 63-73. Per una positiva del principio dell'applicazione non solo come momento confermativo ma anche inventivo del comprendere I. MANCINI, ideologia, utopia, 1974, 163; Gadamer, pp. 84-92.
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però, non è affatto la determinazione accidentale di un principio universale che di per se stesso resta e indifferente: l'universale non viene dapprima compreso in se stesso e poi applicato ad una situazione concreta, bensì rappresenta la vera comprensione dell'universale stesso, di quell'universale che, per esempio, è il testo che si da interpretare. L'applicazione si rivela, come una forma di determinazione di «effetti». Alla base del recupero c'è il riconoscimento della costitutiva storicità dell'esistenza, il suo essere «gettata», e perciò della «ermeneutica la comprensione non è un metodo mediante il quale ci si pone di fronte ad un oggetto dato una volta per sempre, bensì si esplica nella tensione fra l'identità dell'oggetto e la della situazione dell'interprete. Nello stesso tempo la direzione della ricerca non è scelta dalla coscienza, ma ha come presupposto al processo vivente della trasmissione storica, alla tradizione. Si tratta allora di definire che cosa è questo comprendere che si configura come esperienza di verità in movimento. Per quel che riguarda l'applicazione, nella comprensione della storia, possono essere prese come modelli l'ermeneutica giuridica e quella teologica. Ad esempio, in campo giuridico, polemizzando con il sostiene che si verifica l'applicazione della legge nei casi particolari, ma in modo tale che si determina un «perfezionamento creativo» della legge, perfezionamento «che è riservato al giudice», che le è sottoposto nello stesso tempo, 163
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come ogni altro cittadino. Né questo creativo» è inteso dal giurista, ma anche dal teologo nel suo campo, come libertà rispetto al testo Ma più dell'ermeneutica giuridica e teologica, è la filosofia pratica aristotelica, in particolare ad incarnare in maniera esemplare il rapporto fra universale e particolare. Infatti, secondo fa valere il momento nei confronti dell'identità socratico-platonica di sapere e virtù, concependo il sapere etico ad un tempo determinante e determinato dalla concreta, divenuto Il sapere etico aristotelico non è qualcosa di dato una volta per tutte, da applicare poi alle situazioni concrete, come se fosse una bensì si definisce in un vitale rapporto con e con Cosi, per Gadamer: «Anche il problema ermeneutico si distacca palesemente dal problema di un sapere puro separato dale le riflessioni sul fenomeno etico rappresentano una sorta di «modello dei che si presentano in campo ermeneutico: infatti anche qui, non è che prima si comprenda un testo come qualcosa di universale e poi si Cfr. pp. 376 e E. BETTI, Teoria generale 2, Milano distingue giuridica in ricognitiva, normativa e riproduttiva; e il compito del giurista la legge è distinto da quello dello storico del diritto. Diversamente per Gadamer anche lo storico del diritto per comprendere una legge deve mediarla sempre con il presente. Per la polemica con il Betti sull'ermeneutica giuridica in particolare H.G. in 2, pp. 392 e pp. 363-365.
« Ivi,
365.
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chi di applicarlo alle situazioni L'interprete non può prescindere dalla propria situazione, perciò se veramente comprendere un testo deve metterlo in rapporto con essa. Applicare un testo è, quindi, con nella misura in cui il vero oggetto della prensione storica non sono gli eventi, ma il loro «significato» allora la comprensione non si può adeguatamente parlando di un oggetto «in sé» e di un accesso ad esso da parte soggetto. In realtà la comprensione storica implica costitutivamente che il dato storico che incontriamo parli sempre al nostro l'interprete «non sceglie come vuole il punto di vista» già situato, e, a partire da tale situazione, incontra il testo, l'opera d'arte, la legge, l'annuncio della salvezza. Alla base di questa concezione dell'identità in fieri del testo o dell'evento c'è una visione dinamica della realtà; ogni evento non è un accaduto una volta per tutte, La partecipazione attiva di al dibattito sulla riabilitazione della filosofia pratica è testimoniata da numerosi saggi, GADAMER, Philosophie, in Rehabilitierung der Pmktischen in onore di M. I, 325-344; die in 1963, pp. 11-24; in Ermeneutica e metodica universale, pp. 145-164; Hemeneutik als in (33) 1979, pp. 239-259; Ideal der in "Univer35, pp. 623-630. Sulla rinascita e riabilitazione della filosofia pratica in Germania si veda il documentato saggio di VOLPI, rinascita della filosofia pratica in Germania, in pratica e scienza politica, a cura di C. 1970. Cfr. anche il saggio di DA RE, di Gadamer e la filosofia pratica, Rimini 1982.
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ma è l'invio di un senso infinito, dotato di una capacità comunicativa illimitata che è «compito» della coscienza far accadere. Facendo dell'applicazione uno dei momenti costitutivi del comprendere Gadamer sembra uscire da una concezione dell'ermeneutica che privilegia il momento confermativo, per calarla nella storicità della prassi aprendo il discorso verso il futuro. Tuttavia il peso attribuito alla tradizione frena pesantemente questo momento inventivo dell'ermeneutica.
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Capitolo VII
ERMENEUTICA E DIALETTICA
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— La
dell'esperienza ermeneutica.
La logica ermeneutica non è, secondo un metodo estrinseco mediante il quale appropriarsi al contrario, il metodo è espresso dalla cosa nell'incontro con l'interprete. Per questa si sente vicino non solo al dialogare ma anche alla hegeliana. Nel dialogare socratico-platonico si esprime, nota Gadamer, la naturale disposizione dell'uomo alla filosofia Lo stesso Hegel concependo dialettica come il dispiegarsi della cosa, rivalutando i dialoghi dialettici di Piatone e indicando l'importanza della dialettica nella formazione del aristotelico, si pone, sottolinea Gadamer, sulla scia del dialogare scritti più significativi di Gadamer su Platone sono raccolti in di Moretto, 2 Casale 1983; ora anche in ed. 5-6, 1985. Per un giudizio sul rapporto fra Gadamer e Platone et ontologìe. Un H.G. Gadamer, in de 1973, 529-568; 1974, 223-242; 353-375; 533-571. Gadamer il rapporto fra Hegel e i Greci in particolare in Hegel e la dialettica antica, in La dialettica di Hegel, pp. 9-45; si veda anche in und in 1976, pp. Gadamer sottolinea la rivalutazione dei dialoghi dialettici di Platone compiuta da Hegel Hegel e l'ermeneutica, Napoli 1980, pp. 44-47, 57-63, con una Introduzione di V. Verra.
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La dialettica, perciò, non è per un metodo da opporre alla metodologia delle scienze della natura e da proporre alle scienze dello spirito: non c'è un metodo, estrinseco alla cosa, che insegni a domandare. La dialettica non è un'arte insegnabile, una mediante la quale poter conoscere la verità. Ciò che muove il procedimento dialettico è piuttosto, precisa Gadamer, il sapere di non sapere, in quanto ogni domandare è un voler sapere che «presuppone un sapere di non sapere». La dialettica socratica, con la sua arte del disorientare, è quella che conduce a tale sapere, e perciò «costruisce i presupposti del domandare». Infatti la domanda è orientata da un determinato non sapere, non dal puro nulla. Ogni soluzione di una questione presuppone la di una domanda che ci colleghi problematica e renda possibile la soluzione. E il venire in mente della domanda costituisce tuttavia una rottura dell'opinione generale esistente; perciò la dialettica è l'arte del pensare, non accontentandosi delle opinioni date per certe. Ma la domanda non è suscitata da una decisione arbitraria: al contrario essa viene, sorge, si pone, non è una escogitazione personale. La stessa negatività dell'esperienza, sottolinea Gadamer, da un punto di vista logico, comporta una domanda; infatti, come si è visto, le esperienze più che si fanno sono quelle che non confermano le aspettative e l'opinione esistente, ma quelle che le contrastano e le contraddicono: «Perciò — afferma Gadamer — anche il domandare è piuttosto un patire 170
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che un agire. La domanda si impone, non è più possibile scansarla restando fermi al modo di vedere abituale» Anche se la dialettica socratico-platonica sembra in secondo quello che emerge dai dialoghi platonici è che colui che interroga sa tenere ferma la direzione verso l'apertura indicata dalla domanda, sa condurre il dialogo, cioè sa perché la dialettica è l'arte del pensare. E poiché il dialogo ha la struttura del domandare e del rispondere, ha bisogno sempre di un interlocutore. Nella di domanda e risposta Gadamer evidenzia il primato della domanda, intesa come l'aprirsi della via nella cosa. Infatti ogni sapere passa attraverso la domanda, che pone in questione l'oggetto. «L'essenziale del domandare — egli afferma — è in questo porre l'oggetto nell'apertura della sua problematicità. Deve venir posto in stato di sospensione, di modo che il e il contro si bilancino. Ogni domanda trova il suo senso solo passando attraverso questa fase di sospensione, in cui essa è problema aperto. Ogni vero domandare esige questa apertura» Lo stato di sospensione in cui la domanda pone l'oggetto non dire per Gadamer che esso sia messo in uno stato di mobile indeterminatezza in quanto la domanda è sempre orientata, dotata di senso, determinata. La risposta ha senso soltanto nella direzione della domanda: «La domanda — sostiene Gadamer — agisce sul suo oggetto dislocandolo in una determinata prospettiva. Il sorgere di 423. Ivi, p. 420.
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una domanda forza, per dir così, l'essere di ciò che ne è oggetto. Il lògos che dispiega questo essere forzatamente aperto è già sempre, in tal senso, risposta. Esso ha senso solo nell'apertura indicata dalla Perciò non a caso egli pone in evidenza come nella presentazione platonica del dialogare socratico il domandare è preliminare rispetto ad conoscenza e discorso veper questo il domandare è più difficile del rispondere. Non c'è apertura e perciò «non c'è campo per una vera decisione» quando l'oggetto non è correttamente definito in base ai presupposti reali, o quando si parte da false premesse. Ma se la domanda disloca l'oggetto nell'apertura di un sì o di un no, tuttavia ciò che decide di un problema è il prevalere delle ragioni a favore dell'una possibilità e contro l'altra. Gadamer sottolinea che «questo non è ancora la conoscenza piena». Solo con la risoluzione delle istanze negative, quando gli argomenti sono penetrati nella loro insussistenza, allora si può dire di sapere davvero. La superiorità della dialettica sulla parzialità dell'opinione consiste proprio nella sua «capacità di pensare le possibilità come Il sapere è nella sua essenza stessa Ma queste affermazioni collegate con il relativismo e il prospettivismo da lui sostenuti, si rivelano estremamente problematiche; non si vede come si possa dimostrare l'insussistenza degli argomenti contrari se ogni prospettiva è fondamentalmente vera. 419. Ivi, p. 422.
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si ricollega esplicitamente al dialogare platonico, perché non è l'arte di rendere forte un argomento debole, ma rende «forte» l'argomento in riferimento alla cosa stessa: solo in quanto si fonda sulla cosa la dialettica è la stessa arte del pensare come arte di mettere alla prova. Perciò secondo il filosofo tedesco, il dialogare prescinde dalle persone per rivolgersi a ciò che esprimono, al fine di svilupparne la «consequenzialità immanente». E ciò emerge non è l'opinione personale di qualcuno dei dialoganti in virtù di una sua violenza arbitraria, è il lògos; ciò che si dispiega è la verità dell'essere. Gadamer concepisce il logos che s'impone come l'orizzonte comune che s'instaura fra i dialoganti: perciò la dialettica è l'arte di guardare insieme nell'unità di una certa prospettiva. E da notare che Gadamer da un lato concepisce la dialettica come arte del far prevalere le ragioni a favore di una possibilità e la dimostrazione dell'insussistenza della possibilità contraria; dall'altro la presenta come costruzione di una prospettiva comune. Ma la elaborazione di un orizzonte comune non implica la dimostrazione dell'insussistenza della possibilità contraria; anzi, si fonda sulla ricerca di ciò che accomuna. Quest'ultima definizione di dialettica non sembra ben raccordata con quella delineata in precedenza, che si riallaccia alla tradizione socratica, ma a quella con i dovuti distinguo. I saggi riguardanti la dialettica hegeliana sono raccolti in La dialettica di Hegel,
GADA-
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La hegeliana cerca invece di raccordare il momento negativo-razionale con quello speculativo o razionale. Infatti il primo momento dell'atto «logico-reale» o del «concetto» è per Hegel quello in cui «il pensiero, come intelse ne sta alla determinazione rigida e alla differenza di questa verso altre: siffatta limitata astrazione vale per l'intelletto come cosa che è e sussiste per sé» Il momento negativorazionale è caratterizzato invece dal fluidificarsi delle determinazioni e il loro passaggio nelle opposte. In questo secondo momento emerge la caratteristica essenziale di ogni determinazione che nel suo porsi come sé, negando l'altro da sé, lo contiene; perciò la contraddizione è nel senso che le determinazioni opposte sono contemporaneamente parte e tutto, finito e infinito, particolare e universale, sé e non sé. Da ciò deriva la necessità di negare la negazione posta dalla determinazione. Il «secondo negativo — afferma Hegel — il negativo del negativo, al quale siamo giunti, è quel togliere della contraddizione; ma esso non meglio che la contraddizione, è l'opera di una riflessione esteriore, essendo anzi l'intimo più momento della vita e dello spirito, per cui viene ad essere un soggetto, una persona, un libero» E per Hegel le determinazioni risultate non sono precipitate nel puro nulla momento * in 5. ed. I, Bari 1975. HEGEL, 364-365.
6,
79-82; tr. cit.
342-343; tr. it.
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Cro-
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o il concepisce l'unità delle determinazioni nella loro opposizione ed è ciò che si ha di affermativo nella loro soluzione e nel loro trapasso» hegeliana nega e conserva ad un tempo, mantiene e innalza le determinazioni che si sono rivelate Prospettando l'esito del dialogare come costituzione di un orizzonte comune accetta la dinamica della hegeliana Tuttavia mentre è coerente con la assoluta hegeliana, mal si accorda con il relativismo apertamente sostenuto da Gadamer. Ma, come si vedrà in seguito, alla base dell'ontologia ermeneutica il riconoscimento di un fondamentale comune, quello del linguaggio; e pur riconoscendone il carattere di totalità relativa, finita e aperta, Gadamer ne fa il presupposto assoluto e indiscusso. HEGEL, cit. § 82. in proposito Hemeneutìk et le de la
in II, in
306-307 e de
1973,
13.
della difesa della dialettica hegeliana L'ambiguità dell'esperienza ermeneutica, in Ermeneutica e critica cit. pp. 95-130; DE Sur une de in de 1962, pp. 574-591; DOTTORI, La questione della dialettica Hegel, Gadamer, in H.G. GADAMER, La dialettica di Hegel, pp. 166-168; et La de et par M. H.G. Gadamer, cit pp. 10-123; Ermeneutica e storia universale, in Questioni di teologia sistematica, 1975, p. 128.
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— La struttura del dialogare ermeneutico: la doppia soe il doppio La logica ermeneutica delineata da è dialettico articolarsi di domanda e risposta. Il testo, l'opera, sono inseriti nel proprio mondo, sono la risposta determinata ai suoi problemi: perciò per comprènderli bisogna penetrare il loro orizzonte problematico; nello stesso tempo, quest'ultimo si rivela alla luce del loro detto e non detto. Il processo ermeneutico di integrazione mediante la «fusione di orizzonti» mira a costituire un orizzonte comune più ampio fra l'interprete e l'opera d'arte, l'evento passato e il testo. Tale integrazione deve riconoscere le condizioni della comunicazione: fondamentalmente ciò che è tramandato e l'interprete si appartengono sulla base di un orizzonte unitario che è quello del linguaggio; nello stesso tempo questa appartenenza non è totale l'esperienza ermeneutica cerca di colmare la distanza che li separa. La positivamente intesa, si sviluppa in una serie di ipotesi, di domande al testo che poi non sono che la risposta al suo appello, alla sua capacità di coinvolgerci e di costituire per noi un futuro. Ciò che stimola la comprensione deve essersi fatto già valere nella sua la prima e suprema fra tutte le condizioni ermeneutiche è per Gadamer che qualcosa ci parli, ci interpelli. Questo comporta una sospensione di tutti i giudizi e pregiudizi dell'interprete: tale «sospensione» ha la «struttura della domanda».
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Ciò significa, secondo Gadamer, che l'«essenza della domanda è il porre e mantenere aperte delle possibilità» Il pregiudizio, posto in questione, non è accantonato immediatamente, ma mette in gioco la propria pretesa di verità, insieme e quella di ciò che interpella. Il testo tramandato è perciò qualcosa che ci chiama; l'iniziativa dell'orientamento della ricerca è del passato. Nel dialogare è fondamentale l'appartenenza alla tradizione, essere interpellati da essa: «Comprendere un testo — afferma Gadamer — significa comprendere questa domanda. Ciò, come abbiamo visto, accade nella misura in cui l'interprete si costituisce l'orizzonte ermeneutico. Tale orizzonte ci appare ora come l'orizzonte della domanda all'interno del quale si definisce la direzione significativa del testo» E per comprendere bisogna risalire al di là del detto del testo, ossia l'interprete deve a sua volta domandare: cioè comprendere il detto come risposta ad una domanda, ricostruire l'orizzonte di quest'ultima contenente «necessariamente anche altre possibili risposte» significato di un testo, ad esempio, è relativo alla domanda a cui rispondere, è perciò una risposta fra le altre possibiIl significato di un testo trascende, rimanda al di là del «La logica delle scienze dello spirito come si vede — afferma Gadamer — non può che essere una logica della domanda» p. 349.
Ivi, p. 427. Ibidem. Ibidem.
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Tuttavia al centro dell'ermeneutica non è la distinzione fra la domanda a cui il testo voleva rispondere e quella a cui di fatto risponde. Né è l'esperienza particolare, l'intenzione dell'autore ad interessare, ma il «senso del testo», il suo contenuto di verità in quanto tale. La ricostruzione genetica del testo, di ciò che l'autore pensava è un compito parziale e in cui eccelle la «coscienza storica», seguendo in ciò l'ideale proprio delle scienze della natura, per cui comprendiamo qualcosa quando siamo in grado di artificialmente». L'affermazione per cui l'uomo è l'autore della realtà storico-umana, perciò può ricostruirla, non tiene conto, secondo della «storia degli effetti». Infatti, la direzione significativa di un testo in cui si muove la comprensione non è in quanto la tradizione non è la trasmissione di qualcosa di concluso ma è vitalità e sviluppo continuo dei suoi «effetti». Il testo o gli eventi sono qualcosa di inesauribile: «Attraverso la che subiscono nell'atto — Gadamer — i testi vengono inseriti in un autentico accadere allo stesso titolo per cui gli eventi storici permangono vivi nei loro effetti e sviluppi. E questo ciò che abbiamo voluto indicare con la messa in evidenza del riferimento alla storia degli effetti che è implicita nell'esperienza ermeneutica. Ogni operata ha la capacità di riconoscersi come una possibilità storica del oggetto» Ivi,
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Come è inadeguata la riduzione dell'ermeneutica alla comprensione dell'intenzione dell'autore, riguardo agli eventi storici, è inadeguata per la loro riduzione alle intenzioni degli individui agenti. La dottrina hegeliana che cerca di spiegare gli eventi in conformità dei piani degli individui ha per Gadamer un valore di caso particolare, in quanto noi abbiamo esperienza che la nostra storia non si svolge secondo un piano, secondo le intenzioni degli individui, piuttosto la nostra esperienza è quella dello scacco. Così pure, riguardo alla logica di domanda e risposta, non bisogna cadere nell'equivoco del ossia di presupporre come «dato» l'accordo tra il senso che l'autore aveva di mira e quello che l'interprete riconosce: «Come l'accadere nella storia in generale non alcun accordo con le rappresentazioni soggettive di chi nella storia vive ed agisce, allo stesso modo le tendenze di significato di un testo trascendono in generale di gran lunga quello che l'autore aveva in mente. Il compito della comprensione è però rivolto anzitutto al senso del testo come tale non alle intenzioni particolari delIl comprendere è messo in atto dalla domanda, dall'appello del testo, del dato storico, del reperto: ciò comporta e implica il compito della mediazione storiografica. Questo rovescia, secondo Gadamer, il tradizionale rapporto fra il testo, o l'evento storico, e l'interprete: l'iniziativa è del dato tramandato Ivi,
430.
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che si rivolge a noi ponendoci in una situazione di sospensione dei nostri giudizi e pregiudizi. E tale domanda inizia un processo per cui si sospende anche l'oggetto in una situazione di apertura: «Noi cerchiamo — afferma — di ricostruire la domanda di cui il testo rappresenterebbe la risposta». Ma ricostruendo l'orizzonte della domanda ci poniamo al di là del detto del testo. Tuttavia la situazione che Gadamer delinea non si basa sull'oblìo di sé, la trasposizione e la ricostruzione del mondo dell'opera e dell'artista, ma: «La ricostruzione della domanda a cui il testo dare risposta sempre a sua volta compresa all'interno di un domandare nel quale noi cerchiamo la risposta alla domanda che il passato ci pone» con il nostro domandare trascendiamo il detto del testo, dislocandolo — carico della sua infinità di senso e delle sue infinite risposte — nel nostro orizzonte, a sua volta problematizzato dal suo appello. Infatti Gadamer afferma che l'orizzonte storico che si delinea nella ricostruzione non è un vero orizzonte circoscrivente ma è a sua volta nell'orizzonte che abbraccia noi che domandiamo e che siamo interpellati dalla tradizione. Se da un lato è il testo che chiama, esso tuttavia è compreso includendolo nel nostro orizzonte problematico. Da quanto detto emerge che la dialettica si basa su una doppia sospensione: quella dei giudizi e pregiudizi del soggetto interpellato e quella del senso testo o dell'evento. Si delinea anche un doppio uno è quello di ciò Ivi, pp. 431-432.
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che ci interpella, l'altro si nella sospensione dei giudizi e pregiudizi. Non si potrebbe porre in sospensione i pregiudizi, problematizzare il detto del testo, andare oltre l'immediatezza della loro senza porsi innanzi ad essi, distanziandosi, trascendendoli. Ma questa doppia sospensione e questo il rapporto di inclusione che si delinea fra la cosa e l'orizzonte della «coscienza della determinazione storica», tutto ciò ripresenta, volente o nolente Gadamer, la coscienza in una situazione di neutralità, al di fuori dell'essere storico determinato, in una situazione di indeterminatezza. Questa struttura della dialettica che Gadamer delinea non sembra conciliarsi con la costitutiva storicità della «coscienza della determinazione storica». La fusione di orizzonti mossa dalla struttura dialettica in precedenza evidenziata non è perciò per Gadamer la mera ricostruzione della domanda storica: «Non si può assolutamente sfuggire alla necessità di pensare ciò che per un certo autore è rimasto non problematico e perciò da lui non pensato, e di muoversi così, oltre i suoi limiti, della domanda. In tal modo si certo aprire la strada a qualunque arbitrio interpretativo: si tratta solo di riconoscere chiaramente ciò che accade sempre e necessariamente. Il comprendere una parola del passato che ci tocca richiede sempre che che viene ricostruita sia posta in tutta l'apertura della sua problematicità, che trapassi cioè nella domanda che il passato rappresenta per noi E invece costitutiva di un'autentica comla capacità di recuperare i concetti di un passato storico in modo tale che essi includano in sé anche il nostro 181
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modo di pensare. Abbiamo chiamato questo fatto la sione di La ricostruzione della domanda a cui il senso del testo è risposta si tramuta nell'ermeneutica nel nostro domandare. In tal modo il testo è compreso come risposta non ad un domandare passato, ma ad un «effettivo domandare». La dialettica allora si presenta come «necessità» di pensare ciò che resta problematico, ossia «non pensato» da un autore. Infatti per non vi può essere comprensione della domanda che ci rivolge il passato separata da un effettivo domandare. Comprendere la domanda è domandare in atto, costitutivamente; perciò comprendere è dialogare autenticamente, non riprodurre o rivisitare l'opinione altrui. Il comprendere perciò «apre delle possibilità di senso», e in tal modo, l'oggetto «trapassa» nell'orizzonte dell'interprete. La doppia sospensione trova la propria soluzione secondo Gadamer nella «fusione di orizzonti», che tuttavia non deriva dall'arbitrio dell'interprete, da una sua decisione, ma è «l'opera specifica del linguaggio». Si è visto in precedenza che ad esempio il testo non è un in sé già dato, ma si risolve in quanto infinità di senso nelle sue infinite possibilità di significato, che è «compito della coscienza Nella di tale «compito» la coscienza non fa che render consapevole ciò che accade inconsciamente nel linguaggio. Tuttavia qui emergono alcune difficoltà. Poiché Gadamer concepisce l'opera da interpretare come infinite possibilità di Ivi,
432.
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significato, poiché tali possibilità hanno tutte una portata di verità e fra di loro non relazione necessaria, che cosa determina l'accadere di una possibilità rispetto alle altre? Se riconosce, bisogna dire a che hanno tutte una portata di verità, non può certo imporsi, accadere, quella particolare che dimostri l'inconsistenza delle altre. Si è visto in precedenza che la superiorità della dialettica rispetto all'opinione consiste nel fatto che non impone mediante la forza una possibilità sull'altra, bensì ne dimostra la insussistenza. delinea la doppia sospensione e il doppio ma poi il suo discorso sembra restare sospeso e rimanda al linguaggio come medio in cui accade la fusione e come tentico operatore di essa. In realtà per Gadamer il risultato del dialogare più che sulla dimostrazione della insussistenza delle argomentazioni dell'avversario, si basa sulla messa in evidenza di ciò che lega: se non emerge una comune di dialogo non è riuscito.
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— La
del dialogare.
La «fusione degli orizzonti» è specifica del linguaggio che non è perciò uno strumento in «possesso» degli interlocutori; piuttosto, «ogni dialogo presuppone un linguaggio comune», a cui gli interlocutori partecipano. Il processo dialogico è sempre un «fatto del linguaggio», che emerge come medium in cui da un lato si ritrovano e si confrontano gli interlocutori e, dall'altro, si verifica l'intesa sulla cosa. Il vero attore del dialogo perciò è il linguaggio, gli interlocutori sono «presi», non guidano, bensì sono guidati. Nel dialogo riuscito le parole fanno «apparire», qualcosa che d'ora in poi naturalmente per Gadamer ciò che risulta non sarà frutto di un ragionamento geometrico, né è qualcosa da ricondurre ad un eterno presente. Per il filosofo tedesco la struttura dialogica con le caratteristiche indicate ha una portata universale, riguarda l'incontro con la tradizione, il rapporto la relazione fra le diverse visioni del mondo. Tuttavia la struttura dialogica si esprime in maniera eminente dei testi scritti, in quanto sia l'oggetto dell'ermeneutica, sia l'atto ermeneutico hanno una natura essenzialmente linguistica. Infatti la linguisticità è la caratteristica essenziale della tradizione in quanto esiste nel medium del linguaggio. Su tale linguisticità costitutiva si fonda il rapporto essenziale fra linguaggio e E la linguisticità della trasmissione
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si esprime pienamente nel suo essere scritta: nello scritto il linguaggio si si stacca dall'attualità parlato per esser tramandato, ponendosi in tal modo oltre l'immediatezza della simultaneità, diventando «contemporaneo». Lo scritto non è qualcosa di dato, esso trae origine dal rapporto dell'umanità storica con il mondo, rapporto che vive nel linguaggio in cui si struttura. Perciò il compito della comprensione si può esplicare nei confronti di un già vissuto, di un essere già stato presente che ci chiama, che è ancora presente in forma diversa: «Nello scritto il linguaggio acquista la sua vera spiritualità, poiché di fronte alla tradizione scritta la coscienza comprendente perviene nella sua posizione di piena sovranità. Non dipende più da nulla di estraneo. La coscienza che legge è così potenzialmente in possesso della sua stoLa tradizione in tal modo, non è irriducibile alla coscienza, ma è il suo prodotto, la sua storia. Non solo l'oggetto del comprendere ha natura linguistica ma anche la comprensione, l'atto ermeneutico, ha un rapporto fondamentale con la in quanto, per esprimere il contenuto di un testo «dobbiamo metterlo in rapporto con la totalità di possibili opinioni entro cui, in quanto parlanti, ci Non si può pensare tenendo fuori i giudizi: «Interpretare — osserva
Ivi,
Ivi, p. 449. Sul linguaggio come 441 e ss.
concetti e pre— significa infatti
dell'esperienza ermeneutica
Ivi, p. 455.
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proprio far entrare in gioco i al fine di far parlare realmente per noi il contenuto del Il processo dialettico culmina con il raggiungimento e l'attuazione interpretativo che ha una natura linguistica. fa parlare il testo, ma per far ciò deve esprimerlo nel linguaggio «giusto». Una giusta in sé è una vuota astrazione per in quanto non tiene conto della situazione determinata e sempre diversa in cui accade l'attività ermeneutica. Piuttosto il testo rappresenta una infinità di senso che ha «bisogno» di sempre nuove «applicazioni». Ogni perciò non è mai assoluta, giusta in se stessa, ma qui accidentale riferito non significa che il testo è l'in sé già dato, e che si instauri il rapporto di sostanza e accidente; è usato, piuttosto, nel senso che ogni interpretazione è solo una possibilità fra le infinite che costituiscono il senso di un testo. Ma ciò non toglie che sia l'accadere del senso, il concretarsi del testo stesso, e tale concretarsi implica sempre una alla nostra situazione. Ogni interpretazione di un testo è sempre diversa e non può essere altrimenti; tuttavia, è sempre il medesimo testo ad essere interpretato in maniera diversa Ogni interpretazione è quindi una totalità relativa dotata di senso ed ha il carattere della «L'espressione p. 456.
Ivi, p. 457 e
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che ogni comprendere acquista attraverso non produce un secondo senso accanto a quello che si è compreso e interpretato. I concetti usati per interpretare non sono come tali nel comprendere. Essi sono fatti per sparire dietro a ciò che nella portano ad sottolinea è contenuta potenzialmente nella comprensione; specificamente porta quest'ultima ad una esplicita «giustificazione» e «fondazione» articolata in un discorso.
Ivi,
457.
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Capitolo L'ONTOLOGIA SEMANTICA
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linguistica del mondo.
Il fulcro intorno a cui ruota il è il linguaggio sembra intendere il linguaggio come totalità che tuttavia mantiene un carattere di apertura, di finitezza. Nel linguaggio si la mediazione: tuttavia essa non è intesa da Gadamer né come sione razionale dello spirito assoluto, come riconoscimento una struttura gerarchica dell'essere. Il celebre detto di Gadamer non riguarda soltanto fra gli «effetti» e l'interprete: anche l'incontro immediato con le cose, nell'apertura del mondo, ha il carattere della La parola non è un mero mezzo di comunicazione, estrinsecamente apposto alle cose (non c'è una loro esperienza si sviluppa con esse entrando a costituirle. Anche a questo livello si presenta la nozione di «trasmutazione in la parola cresce con la cosa, che si fa con del problema ermeneutico, in Ermeneutica e
88 e
542.
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la parola. Il mondo è originariamente una totalità di senso, ciò prima di ogni e organizzazione; non solo, ma sottolinea che l'esperienza linguistica precede lo stesso riconoscimento di qualcosa come essente. Le cose non sono prima «in sé» e poi conosciute e rispecchiate negli enunciati linguistici: prima di ogni particolare tipo di rapporto il linguaggio come orizzonte totalizzante che abbraccia la nostra esperienza vitale. In esso viviamo, comunichiamo, interpretiamo, in esso già da sempre siamo e pensiamo Gadamer sostiene la fondamentale preminenza del linguaggio che è sempre superiore ad ogni tentativo che intenda limitarne la portata, in quanto ogni critica deve essere fatta mediante un linguaggio, e cosi via in un rimando all'infinito di linguaggi-oggetto e Il linguaggio «non ha limiti», e perciò nemmeno la comprensione che su di esso si fonda. Da ciò deriva che anche le non hanno limiti, sono infinite. L'universalità del linguaggio è, secondo Gadamer, l'universalità della ragione e la coscienza ermeneutica si sostanzia di tale rapporto; il linguaggio viene ad assumere, per Gadamer, GADAMER, La natura e delle cose, in Ermeneutica e metodica universale, 92-106. pure i linguaggi simbolici o anche i linguaggi ideali, come quello del di necessitano di un metalinguaggio che li giustifichi e ne enunci le regole fondamentali; in proposito pp. 461-463; GADAMER, Die in in 1966, Gadamer, 1967, pp. 11-12.
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una tale «prossimità alla ragione», cioè quindi agli oggetti che denomina, che diventa capire come vi possano essere lingue diverse, se tutte debbono portare in sé la stessa prossimità alla ragione e quindi alle cose. In realtà per il filosofo tedesco questo è un problema apparente in quanto ermeneutica è il mezzo attraverso cui la ragione si sottrae alla prigionia del linguaggio, e tale esperienza si costituisce a sua volta come linguaggio» La comprensione e non sono un vano sforzo ma hanno sempre un senso, superano il limite della diversità delle lingue, e perciò nel comprendere e interpretare come dialogare «si esprime la superiore universalità con cui la ragione si innalza al di sopra dei limiti di ogni particolare formulazione linguistica» Ma tale innalzarsi «è sempre riconoscendo l'intima unità di pensiero e linguaggio non cerca, come la linguistica, di vedere il differente atteggiarsi di tale unità, ma al contrario cerca di cogliere al di là di tutte le differenze, l'intima e indissolubile unità fra linguaggio e pensare «come unità di comprensione e Quando si parla di unità di pensare e linguaggio in Gadamer non si tratta dell'unità che deriva dall'unione o dal collegamento di due entità distinte, piuttosto essi costituiscono la vita intima di una identità in cui la ragione, il pensare, sembra rappresentare il momento dell'unificazione, del 462.
5 Ibidem.
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della distinzione: infatti è il raggiungimento di una prospettiva comune, più ampia, prospettiva fondata e giustificata : Ma il raggiungimento di tale prospettiva comune accade nel linguaggio: è il linguaggio stesso che accade. concettuale è il modo proprio di realizzarsi dell'esperienza ermeneutica: questo aspetto che lega indissolubilmente le parole e i concetti non è stato adeguatamente secondo Nel dialogo interpretativo si continuamente una «produzione di concetti», non nel senso che si usano parole nuove, ma si realizza una uno sviluppo di concetti. Il linguaggio non è uno strumento che l'interprete usa a piacimento, né è un sistema di segni ai quali si attribuiscono valori convenzionali non è nemmeno una «forma simbolica», anche se la fondamentale come sostiene Cassirer. A questo proposito Gadamer afferma: «Noi siamo sempre già prevenuti in tutto il nostro pensare e conoscere, la linguistica del mondo. Fino a questo punto giunge la traccia della nostra finitezza. Essa è sempre sopra di noi. La coscienza del singolo non è una regola cui E stata posta in evidenza dai critici la distanza e anche l'opposizione fra la concezione gadameriana del linguaggio e quella del neo-positivismo e della filosofia del linguaggio anglosassone; in proposito V. VERRÀ, problema della storia: Hans Georg Gadamer, in La filosofia dal ad oggi, a cura di V. Torino 1976, 65; BATTAGLIA, Introduzione, Filosofi tedeschi d'oggi, pp.
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il suo essere può venir commisurato» Tutto ciò che rientra nell'intelligibilità deve essere compreso e interpretato, ossia accadere nel linguaggio; perciò, comprensione e linguaggio in quanto tali non sono qualcosa di piuttosto essi circoscrivono quello che può diventare oggetto indagine. Per comprendere la concezione ontologica del linguaggio sostenuta da è importante seguirlo nel confronto con due importanti momenti della storia di tale concetto: uno è costituito dalle contenute nel l'altro è costituito dal nuovo modo in cui il pensiero cristiano medioevale pensa l'unità di linguaggio e cosa, mosso e stimolato da interessi dogmatici e teologici. Nel Cratilo platonico si discutono in particolare due teorie del linguaggio: quella e quella della somiglianzà. Entrambe presuppongono che le siano esistenti e conosciute indipendentemente dalle parole. Secondo Gadamer, Platone più che affrontare l'effettivo rapporto fra le parole e le cose, indietreggia; infatti, per lui la verità non si può raggiungere attraverso la delle parole, ma solo GADAMER, Uomo e linguaggio, in e universale, 112-113. La terza parte di è interamente dedicata al linguaggio nella cui concezione Gadamer è indubbiamente influenzato dalle opere successive a mentre dal primo recepisce la struttura ermeneutica dell'esistenza. Anche per il metodo fenomenologico Gadamer si sente più vicino allo Heidegger di Sein che a in quanto mentre in quest'ultimo permane un residuo in Heidegger tale residuo è superato nell'ermeneutica H.G. GADAMER, Die in III, pp. 168 e
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rendendo libero il pensiero di pensare l'ente in quanto ente, ancorandolo perciò ai suoi oggetti: le idee. La parola di per se stessa non apre la via alla verità, non la manifesta, anche se naturalmente non si può prescindere dalle parole. E la cosa a guidare l'adeguatezza, la somiglianzà della parola e non viceversa. Piatone propende per la teoria della somiglianzà, la parola non è un puro segno convenzionale da apporre alle cose; fra parola e cosa si instaura un rapporto mimetico, dove tuttavia la qui è da concepire come sostanzialmente giustapposta alla cosa Questa concezione mantiene la parola essenzialmente come strumento del soggetto, che la usa per indicare qualcosa di già esistente e già conosciuto. Al contrario, secondo Gadamer, la parola è già sempre significato ed «appartiene» in qualche modo alla cosa stessa. Costretto da Piatone nell'alternativa fra immagine e segno, il linguaggio, per il filosofo tedesco, inizia quel lungo processo di appiattimento a puro segno convenzionale senza alcun rapporto con la verità, che troverà la sua massima espressione nella costruzione di un linguaggio artificiale puro. Tuttavia Gadamer nota che l'oblìo dell'essenza del linguaggio non è da considerarsi totale nel pensiero occidentale, ciò in virtù del mistero cristiano dell'Incarnazione, la cui spiegazione teologica si collega alle riflessioni sul mistero della Trinità e sul rapporto fra pensiero e parola. La teologia dogmatica medioevale è caratterizzata dal tentativo di spiegare il mistero pp. 466 e
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del rapporto fra le persone divine e del Figlio e la traccia per penetrare tale mistero, è il Prologo del Vangelo di Giovanni. A questo proposito «Se la parola si fa e solo in questa incarnazione si attua perfettamente la realtà dello spirito, ciò significa che il logos viene liberato dalla sua pura spiritualità, che costituisce anche la sua potenzialità cosmica. La puntualità e unicità dell'evento della salvezza segna anche della storicità nel pensiero occidentale e, d'altra parte, fa sì che il fenomeno del linguaggio non sia più tutto confuso con l'idealità del significato e si offra invece più chiaramente alla riflessione In tal modo la parola è evento; tuttavia il linguaggio umano serve alla teologia dogmatica solo indirettamente per illuminare in qualche modo uguaglianza e distinzione ad un tempo del Padre e dello Spirito Santo dal Figlio, concepito come Dei. Con la dottrina dell'Incarnazione del Verbum la verità si fa storia: in questo dogma, anche se in maniera non pienamente cosciente, secondo Gadamer si esprime l'identità fra essere, storia e linguaggio. Inoltre, il rapporto fra l'unità della parola divina e la molteplicità delle parole umane studiato dal pensiero scolastico mostra, sottolinea Gadamer, la vita fondamentalmente dialettica del linguaggio in quanto, anche se in maniera ancora non chiara, emerge che il senso della parola non è separabile Ivi, 481. Ma si vedano anche le 481 e ss. della dottrina cristiana del Verbum Dei, in senso antropocentrico.
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vento dell'annuncio; «eventualità» è una caratteristica del senso stesso. Ma il rapporto dialettico, secondo il tedesco, non si instaura fra l'unità della parola divina e la molteplicità delle parole umane; piuttosto, egli concepisce tale relazione nella prospettiva di una piena la cristologia è l'inizio di una «nuova antropologia», che apre l'esperienza ermeneutica all'autentico rapporto fra infinito e finito. Tolta al Lògos ogni dimensione teologica, esso diventa per la potenzialità cosmica che accade, che si nella storia, nelle diverse e infinite visioni del mondo, nei processi ermeneutici delle fusioni di orizzonti. Il linguaggio è concepito da Gadamer come qualcosa di vivente, in continuo processo di formazione di concetti, di significazioni in sviluppo, ciò in virtù della sua fondamentale «La genialità della coscienza del linguaggio vivente — egli — consiste proprio nel fatto di saper dare espressione a tali È ciò che chiamiamo la sua fondamentale ed è importante rilevare che solo per un pregiudizio di teorie logiche astratte ed estranee alla vita della lingua, si può abbassare l'uso traslato di una parola al rango di uso improprio e da evitare» La non è un processo di formazione di concetti mediante astrazione, piuttosto in essa si esprime sempre solo una specifica esperienza: ciò impedisce secondo Gadamer una conoscenza del generale, anche se limitata. La Ivi,
492.
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le
dei concetti si fonda dunque sulla «vivente del linguaggio»; mentre il dominio della logica ha portato alla considerazione della metafora soltanto come figura retorica, al contrario, in essa si esprime fondamento della vita del linguaggio, la sua capacità inventiva e geniale di trovare delle analogie attraverso le quali le cose assumono un ordine» La del linguaggio è alla base dell'atto ermeneutico come costruzione di un orizzonte comune più ampio e più universale; perciò la molla profonda della dialettica è nella fondamentale metaforicità del linguaggio. La struttura della logica non è in grado di cogliere il carattere eventuale del linguaggio, cioè il processo della formazione del concetto. Lo stesso pensiero scolastico nel concepire la formazione del concetto come «imitazione riproduttiva dell'ordinamento dell'essere» non coglie il carattere metaforico della formazione del concetto. Sulle orme di afferma che l'asserzione di per sé non riesce ad esprimere la complessità dell'esperienza umana del mondo: la comprensione perciò non si basa ma si dispiega nel dialogo in cui ciò che è detto viene tenuto unito all'infinità del non detto. è presente tutta la forza del non detto, dell'incompreso, mentre l'asserzione nella sua invarianza comporta la caduta del non detto. Il modo in cui la dialettica, sia in Ivi,
496.
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Platone, sia in Hegel, giunge alla manifesta secondo la sua dipendenza limitante dal linguaggio visto soltanto nella sua funzione assertoria e non nel suo carattere metaforico
Sulla svalutazione dell'asserto cfr. le osservazioni critiche di PANNENBERG, che sottolinea la necessità dell'asserto pur evidenziando l'esigenza oltre il giudizio (cfr. Ermeneutica e storia universale, 130-134).
200
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— L'ontologia semantica. Il linguaggio è da nella prospettiva della finitezza e dell'umanizzazione. Il mondo si costituisce nel linguaggio, ciò è alla base di accettata da Gadamer, che ogni lingua rappresenta una visione del mondo. Il linguaggio perciò non è qualcosa di autonomo rispetto al mondo che in esso si esprime, e viceversa: «Non solo il mondo è mondo soltanto in quanto si esprime nel linguaggio — afferma Gadamer il linguaggio, a sua volta, ha esistenza solo in quanto in esso si rappresenta il mondo. L'originario carattere umano del linguaggio significa dunque, insieme, l'originaria dell'umano Ciò costituisce la base dell'esperienza ermeneutica e dell'ontologia semantica. è innanzitutto avere un mondo, ossia rapportarsi ad esso: ciò comporta l'esser distaccati da quello che nel mondo ci viene incontro, per rappresentarlo. Rispetto agli altri viventi l'uomo non è, per così dire, «incastrato» nell'ambiente; bensì, quello dell'uomo è un rapporto caratterizzato dalla libertà dall'ambiente: «Tale libertà dall'ambiente implica che il mondo è costituito mediante il linguaggio. Le due cose si implicano reciprocamente. Elevarsi al di sopra della pressione esercitata da ciò che viene incontro significa avere linguaggio e avere mondo» V.M., p. 507.
Ivi, p. 508.
201
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Questo non dire per che l'uomo sia prigioniero di un ambiente schematizzato nel linguaggio; piuttosto la libertà di innalzarsi dall'ambiente è libertà rispetto ai nomi delle cose: ciò per lui spiega la molteplicità delle lingue. Elevarsi al di sopra dell'ambiente non significa abbandonarlo, ma «elevarsi al mondo», porsi in una posizione libera caratterizzata dal linguaggio. Nello stesso tempo il porre innanzi le cose che si nel linguaggio, ne fonda la obiettività: «Ciò che il linguaggio esprime — egli sostiene — sono fatti», cose distinte è perciò distanti dal parlante. La distanza fra parlante e cose istituita nel linguaggio il definire qualcosa rispetto a L'ontologia greca e la scienza moderna si basano per Gadamer di questa dimensione del linguaggio, in quanto lo pensano in base all'obiettività. Secondo il filosofo tedesco si tratta di andare oltre la caratteristica della obiettività e di accentuare il che il linguaggio è qualcosa di vivente che ha il suo vero essere nel dialogo, cioè nell'esercizio in cui accadono di volta in volta le infinite possibilità di senso che l'asserzione nasconde. Gli stessi linguaggi artificiali sono strumenti e mezzi di comunicazione che presuppongono l'esistenza di una «comunicazione vivente» in una comunità linguistica che li giustifichi. Ciò conduce Gadamer a una sorta di idealismo linguistico: infatti, che l'esperienza umana del mondo sia costitutivamente linguistica «non è un limite» per la conoscenza dell'essere proprio delle cose, ma abbraccia fondamentalmente tutto ciò a cui la nostra comprensione può arrivare. 202
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In ogni tradizione si presenta un mondo umano, ossia un mondo linguistico: «In quanto costituito linguisticamente — — ognuno di questi mondi è aperto a ogni possibile nuova e quindi ad ogni possibile ampliamento della sua propria concezione del mondo, e conseguentemente anche accessibile agli altri» Ogni orizzonte, ogni visione del mondo è suscettibile di ampliamento, perciò suscettibile di comunicare con gli altri, di essere accessibile ad essi: ciò dire che la «fusione di orizzonti» in un orizzonte superiore e più ampio, per Gadamer non si compie in base al confronto con «il mondo in sé»; anzi tale concetto diventa per lui problematico: criterio decisivo dello sviluppo e dell'estensione di una particolare visione del mondo non può essere costituita da un mondo esterno al linguaggio. La perfettibilità infinita dell'esperienza umana del mondo significa invece che, in qualunque lingua uno viva e si muova, non può mai pervenire ad altro che a una sempre più ampia prospettiva, ad una sempre più ampia del mondo. Tali visioni del mondo non sono relative nel senso che si possa contrapporre loro un in come se si potesse immaginare una posizione giusta al di fuori del mondo linguistico umano dalla quale sia possibile cogliere il mondo in se stesso» Un presunto «mondo in sé» al quale commisurare le visioni del mondo per giudicarle non è pensabile. Il mondo potrebbe anche sussistere, «e forse in futuro sussisterà Ivi, Ivi,
511. 511-512.
203
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di senza l'uomo»; piuttosto, il mondo come «in sé» è la «totalità strutturata» a cui ogni visione del mondo si riferisce. Che le visioni del mondo siano molteplici non dire che il mondo in sé subisca una afferma «E vero invece che il mondo non è qualcosa di distinto dalle visioni entro le quali si presenta» Così pure per il filosofo tedesco non si può parlare di «cosa in sé»; essa è invece da concepirsi come la «continuità» del connettersi degli aspetti della percezione della cosa; solo pretendendo di porsi da un punto di vista divino è possibile cogliere la cosa «in sé». Rimane tuttavia una differenza caratteristica, sottolinea fra la percezione della cosa e le visioni del mondo, in quanto ogni aspetto dell'oggetto della percezione è distinto fondamentalmente da tutti gli altri, e la cosa si costituisce solo dal loro insieme come continuum, «mentre nel caso degli aspetti delle diverse visioni linguistiche del mondo ognuna di esse contiene potenzialmente in sé tutte le altre. Cioè ognuna può allargarsi ad abbracciare ognuna delle altre. Ognuna è di per sé capace di intendere e capire la visione del mondo che si manifesta in un'altra lingua» Con queste affermazioni Gadamer cerca di evitare di chiudersi in un prospettivismo e in un relativismo limitanti. Nell'affermazione che «ogni visione del mondo contiene potenzialmente in sé tutte le altre» troviamo il fondamento del Ivi,
512.
Ibidem.
204
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dialogare della «fusione di orizzonti». Essa è possibile in quanto ammette che ogni prospettiva, ogni visione del mondo, ogni verità relativa, si può allargare a tutte le altre, in quanto potenzialmente le contiene. Ciò dire che potenzialmente è tutte le altre, ossia che potenzialmente coincidono. Alla base del dialogare ermeneutico c'è, perciò, una fondamentale identità. Ma questo contenere da parte di ciascuna prospettiva tutte le altre, Gadamer può affermarlo ponendosi date le sue premesse, al di fuori della storia, abbracciando con uno sguardo panoramico tutte le possibili prospettive e riconoscendo che ognuna contiene potenzialmente tutte le altre. Inoltre l'affermazione che potenzialmente tutte le prospettive contengono tutte le altre pone come dato già da sempre l'orizzonte unico, come l'orizzonte più ampio in cui la fusione accade: in tal modo si presuppone come già data la trasparenza finale, che diventa il motore dell'esperienza ermeneutica. Si ripresentano perciò in Gadamer ancora una volta la riflessione assoluta e il Ogni prospettiva contiene potenzialmente tutte le altre, ognuna è un evento dell'essere; perciò ognuna è vera, ossia tutte sono vere, sono totalità significanti relative. Ciò spiega la non da parte di Gadamer del problema della contraddizione: fondamentalmente in lui tale problema passa in secondo piano. Questo chiarisce, ma non giustifica, lo stesso esito del dialogo interpretativo come costituzione di un orizzonte 205
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mune»; mentre il momento della messa in luce delle contraddizioni, pur se evidenziato ed usato da nelle proprie argomentazioni, resta in ombra. Se ogni visione del mondo, ogni orizzonte, contiene potenzialmente tutte le altre prospettive, la coscienza della determinazione storica risulterebbe, almeno potenzialmente, svincolata dal suo essere costitutivamente situata, esposta necessariamente agli effetti; la sua consapevolezza di esser situata, condizionata, sarebbe potenzialmente suscettibile di apertura a tutte le altre prospettive. La coscienza della determinazione storica potenzialmente può situarsi in ogni orizzonte, ossia è costitutivamente indeterminata. Tale indeterminatezza della coscienza è alla base della doppia sospensione e del doppio individuati nella struttura della dialettica
206
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Capitolo IX PER UNA LETTURA CRITICA DELL'ERMENEUTICA GADAMERIANA
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1 — Le
del concetto
di verità.
Nel corso delle precedenti riflessioni si è avuto modo di rilevare la problematicità di alcuni punti nodali della filosofia di Il problema di fondo del filosofo tedesco è quello dell'esperienza della verità, concepita come «evento» dell'essere; tuttavia, l'identificazione di linguaggio ed essere — e quindi di linguaggio e storia — sembra appiattire proprio la verità nel mero riconoscimento dei fatti, ossia di ciò che è comprensibile, dotato di senso. Inoltre, nonostante il suo evidenziare esperienze extrametodiche di verità, la riduzione della dialettica finito-infinito ad un rapporto tutto interno al finito, sembra vanificare la dell'apertura dell'essere e la possibilità del discorso metafisico. Dal riconoscimento della costitutiva finitezza e storicità Gadamer giunge, del finito e della storia, e alla preclusione di ogni discorso sulla trascendenza ha posto in evidenza la mancanza di una «concezione storico-universale» nell'ermeneutica pur essendo d'accordo nel rifiutare tuttavia, sottolinea che Gadamer si volge al passato, senza sviluppare la dimensione del futuro Ermeneutica e storia cit. pp. 134-139). Pennenberg individua nell'escatologia di Cristo la via per uscire
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Il recupero a livello semantico si accompagna alla critica nei confronti del e della coscienza storica. Tuttavia, in lui permane pesantemente l'eredità dello storicismo: alla coscienza storica si sostituisce la «coscienza della determinazione storica», consapevole della propria appartenenza alla storia e della determinazione della storia su di essa, consapevole perciò della storicità del comprendere. Se ciò vanifica ogni pretesa di e dogmatismo, tuttavia, fa correre il rischio di ridurre l'esperienza ermeneutica, al mero riconoscimento e giustificazione della storia. sembra restare prigioniero di quella che chiama «malattia storica» propria della coscienza storica, caratterizzata dalla contemplazione e, perciò, zione passiva dei fatti, dalla scissione teoria-prassi, o meglio, dalla risoluzione della seconda nella prima. Il ruolo che egli riconosce alla tradizione, da un lato svaluta della filosofia; dall'altro, fa sì che il futuro sia provvisorietà del relativo e per instaurare un dialogo con il futuro. Gadamer ha risposto sottolineando da un lato che non è sua intenzione porsi da un punto di vista teologico; dall'altro ribadendo l'impossibilità di la storia universale in quanto tale: cfr. Retorica ermeneutica e critica deologia, 89-90. partendo dalla nozione di «malattia storica», presente nella seconda Considerazione inattuale di sottolinea come l'eccesso di «consapevolezza storiografica» colpisca quelle prospettive di pensiero che, troppo occupate nella considerazione del passato, si dimenticano della vita presente; da ciò risulterebbe per il Vattimo una evidente scissione fra teoria e prassi (cfr. Ragione ermeneutica e ragione in Le avventure della Milano 1980, pp. 15-43; dello stesso Esiti dell'ermeneutica, in là del e l'ermeneutica, pp. 69-84.
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sorbito nel passato, in quanto solo quest'ultimo può parlarci, può perciò costituire per noi un struttura dialetticamente l'esperienza ermeneutica ma non sviluppa adeguatamente il problema della contraddizione, del negativo. La contraddizione che nella riflessione ha avuto un ruolo fondamentale, che si fa continuamente innanzi nell'esperienza del mondo, sembra risospinta nell'indeterminatezza del non accaduto, della possibilità; la stessa «fusione di non si basa tanto sulla risoluzione delle contraddizioni, quanto sul riconoscimento di un orizzonte concettuale più ampio. Il problema del sottolinea Gadamer, non si pone, in quanto comporterebbe il situarsi in una posizione di assolutezza, al di fuori della storia. vede il limite per la riflessività assoluta della coscienza, che altrimenti risolverebbe tutto in se stessa, ripresentando in tal modo il circolo della riflessione assoluta. Ma proprio Gadamer, la del dialogare, pone in evidenza come l'opera non sia qualcosa di altro, di dato, ma tragga origine dal rapporto dell'umanità storica con il mondo, rapporto vivente e strutturantesi nel In tal modo la comprensione si esplica su qualcosa di già vissuto, nei confronti di qualcosa che già è stato presente, che continua ad essere «contemporaneo» di ogni presente, in una forma che permette di superare l'immediatezza della simultaneità. La distanza storica, in tal modo, non rapporta più alla coscienza qualcosa di altro, di dato, ma indica in primo luogo, l'uscita dall'immediatezza del presente, il distanziarsi e il porsi innanzi l'opera, per meglio comprenderla. 211
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La coscienza e l'oggetto si coappartengono nell'orizzonte del linguaggio; e ciò, sottolinea l'originario carattere umano del linguaggio, carattere in cui si esprime Ma significa, anzitutto, «avere un mondo», ossia rapportarsi, essere distaccati da ciò che viene incontro. Nel linguaggio il mondo è rappresentato, posto innanzi alla coscienza: anche se afferma che non bisogna la dimensione obiettiva del linguaggio, tuttavia, la coappartenenza di soggetto e oggetto, pende nettamente a favore del soggetto. Gadamer sottolinea che la nostra esperienza si dispiega nel linguaggio; anzi, è essenzialmente linguistica. L'estensione della comprensione è quella universale del linguaggio, perciò l'ermeneutica non intende proporsi principalmente, come una metodologia accanto ad altre; ma si presenta, invece, come filosofia universale, non solo all'ambito dell'arte, della storia, della religione, della legge, ma all'intera esperienza umana. A questo proposito, bisogna osservare che dell'ermeneutica conduce Gadamer a non sviluppare adeguatamente l'aspetto strettamente metodologico del linguaggio e della tradizione, su cui si basa l'universalizzazione dell'ermeneutica, porta Gadamer della filosofia nell'ermeneutica: con ciò la domanda che di per se stessa aspira alla alla criticità, viene disattesa. Ragione ermeneutica e ragione dialettica,
212
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34 e ss.
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L'essere è linguaggio, è storia, trasmissione di messaggi, dialogo mai concluso; e in questo processo dialettico interpretativo l'essere "aumenta". Pur collegandosi a perde la drammaticità, lo spessore del pensare che si esprime nel riconoscimento dell'oblìo della ontologica. Si è visto in precedenza come Gadamer noti che sembra restare prigioniero in del soggettivismo trascendentale, ripresentandosi sullo sfondo dell'analitica trascendentale il circolo della riflessione assoluta, cosa che rischierebbe di vanificare la dell'apertura del circolo ermeneutico. Concependo la tradizione come qualcosa di altro, di dato nei confronti della «coscienza della determinazione storica» Gadamer cerca di evitare i rischi del soggettivismo trascendentale; ma è emerso in precedenza come dei dati trasmessi dalla tradizione non sia costitutiva; essi sono qualcosa di già vissuto, che è già stato presente. Perciò in lui si ripresenta, con diverse connotazioni, la riflessione assoluta. Inoltre, la concezione della verità come come dell'essere, fa del linguaggio la «casa» dell'essere, senza esaurire quest'ultimo in quello. Pur rifiutando lo spirito assoluto hegeliano Gadamer fa sorgere il dubbio che proprio nel linguaggio si ripresenti, lo spirito in ciò è la base del suo relativismo. L'ancorarsi totalmente alla storicità se da un lato lo porta a combattere giustamente la presunzione di possedere la verità come se fosse un «in sé», a combattere il dogmatismo e il 213
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dall'altro, lo conduce al relativismo, senza perciò riuscire a salvaguardare l'unità e inesauribilità della verità Il problema di di è quello della verità e identità di ciò che si da interpretare. Ancorandosi alla storia sembra perdersi proprio la verità dell'essere che diventa ciò che di volta in volta accade, ossia si da interpretare, frantumandosi e risolvendosi nella «storia degli effetti», che si danno l'uno dopo l'altro in una sorta di diversità indifferente. L'unità e identità di ciò che si presenta come verità non a caso rimane estremamente problematico in Gadamer; l'integrazione ermeneutica che si instaura fra passato e presente sarà sempre dialetticamente aperta ad ulteriori sviluppi, ma tale apertura sembra vanificare e rendere sfuggente la stessa integrazione provvisoria. Tuttavia si è visto in precedenza che più che di «storia degli effetti» forse sarebbe meglio parlare di «filosofia della storia Nell'ambito della filosofia ermeneutica è riuscito invece a mantenere aperta la tensione del rapporto fra finito e infinito non appiattendolo nel mero riconoscimento del contingente. Ciò in virtù di un maggiore approfondidella apertura ontologica dalla verità, per cui distingue un pensiero espressivo, che rappresenta unicamente la propria epoca storica, e un pensiero in cui la filosofia non solo esprime la propria storicità, ma riesce anche ad andare oltre la rivelando della verità Verità e Milano 1972). Diversamente, Gadamer con la riduzione della filosofia a Begriffsgeschichte, resta tutto immerso nel relativo, nel finito, nel in una concezione della verità e della coscienza (cfr. GADAMER, Begriffsgeschichte ah in III, 237-250). in priori» della comunità della comunicazione e i fondamenti dell'etica. Il problema d'una fondazione razionale dell'etica nell'epoca della scienza, in Comunità e comunicazione, Torino 1977, 230, sottolinea che Gadamer non si pone il problema di una direzione nella storia, cadendo nello storicismo relativistico.
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degli effetti», ciò sulla base della concezione della verità frantumata nelle sue possibilità di significato, e il cui accadere, pur essendo accidentale, comporta necessariamente un aumento di essere. sembra perciò delineare due concetti di verità; da un lato la verità è un particolare orizzonte accanto ad altri orizzonti, un evento accanto ad altri; essa è la visione delle visioni del mondo, che include potenzialmente tutte le altre. Questa struttura della verità rende l'ontologia semantica estremamente problematica.
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— Le
della coscienza ermeneutica.
La coscienza della determinazione storica, pur essendo determinata storicamente, si è visto che non lo è in maniera necessitante, potendo determinarsi secondo infiniti orizzonti. Poiché non è determinata necessariamente da nulla essa è in se stessa indeterminata. Allora la coscienza della determinazione storica, cioè la coscienza ermeneutica che è caratterizzata da dall'essere storicamente situata in un orizzonte e dalla consapevolezza di si rivela essenzialmente indeterminata, ossia l'opposto di ciò che vuole essere. La coscienza ermeneutica vive in questa situazione Infatti se fosse essenzialmente determinata, incarnerebbe una determinata visione del mondo, vivrebbe il proprio orizzonte come l'unico possibile e vero. Ma la coscienza ermeneutica può esser tale, ossia può dialogare, può essere «fusione in atto» di orizzonti soltanto in quanto non ne nessuno. E non ne nessuno perché tutti potenzialmente si equivalgono, in quanto ciascuno contiene altri. Gadamer sostiene la verità di ogni orizzonte nella sua specificità e diversità dagli altri: ciò sembrerebbe salvare la storicità, la temporalità dell'esistenza, la molteplicità. Ma pur riconoscendo la differenza fra i vari orizzonti, nello stesso tempo la annulla «potenzialmente» affermandone la potenziale uguaglianza. La prospettiva in cui ogni «orizzonte» è uguale all'altro dovrebbe essere caratterizzata di ogni opposizione, di ogni differenza; ossia, tale prospettiva sarebbe quell'identità in cui le differenze non sono ancora accadute,
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ma sono solo possibilità. Tale identità in cui ogni differenza sarebbe soltanto in cui ogni perciò sarebbe soltanto possibile, sembra piuttosto uguale al nulla che all'essere. Il celebre aforisma est che assume un ruolo di primo piano nella dialettica hegeliana, opera qui sotterraneamente; nella prospettiva più ampia in cui le determinate prospettive si uguagliano, le determinazioni sono solo possibili, il loro accadere, il loro evenire, sarebbe anche il loro distinguersi e il a ciò che esse non sono. La coscienza ermeneutica allora è sospesa fra una identità che tutto annulla, carica di possibilità, e la storia come accadere, invio dell'essere, del significato determinato. Alla base del relativismo di cui si sostanza l'ermeneutica in realtà della differenza e il dominio dell'identità e dell'indeterminatezza: quella che vuole essere la filosofia che si oppone al statico e alla filosofia dell'identità, rivela alla propria base una essenziale identità. La situazione della coscienza ermeneutica si manifesta in quel doppio e in quella doppia sospensione individuati nella struttura del dialogare ermeneutico. Infatti giunge a delineare l'appello della tradizione, di ciò che chiama dal passato, come un porsi innanzi alla coscienza dispiegando le proprie possibilità. In virtù di tale appello la coscienza pone in discussione, trascende i pregiudizi, il proprio esser situata e pone in discussione ciò che ha sollecitato il dialogo. 217
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Ma giunti al di questa duplice sospensione il discorso si arresta. Viste le premesse tuttavia non potrebbe essere altrimenti: infatti la coscienza ermeneutica si è rivelata fondamentalmente indeterminata; a tale indeterminatezza si accompagna il fatto che ogni prospettiva è vera, ogni possibilità di ciò che ci viene tramandato, in quanto totalità relativa dotata di senso, è vera; perciò la coscienza non ha alcun criterio per determinarsi verso o l'altra possibilità. Tuttavia la coscienza ermeneutica delineata da essendo costitutivamente temporale, deve necessariamente determinarsi. Allora ciò che determina il sorgere di un orizzonte è accidentale; la fusione di orizzonti per Gadamer ha una dimensione fondamentalmente inconscia e affonda le proprie radici nella vivente comunità linguistica. Nella fusione di orizzonti per il filosofo tedesco emerge un orizzonte più ampio. Si è già discusso in precedenza sulle difficoltà implicite in questa affermazione. Gadamer sostiene che in esso emerge ciò che accomuna. Questo si dovrebbe giustificare con l'altra affermazione che ogni prospettiva contiene potenzialmente tutte le altre. Ma in precedenza è emerso che quella sorta di prospettiva delle prospettive non può essere che una potenziale vuota identità. In realtà Gadamer parlando del costituirsi nel dialogare di un orizzonte più ampio, di un significato comune introduce una sorta di filosofia della storia, caratterizzata dal progressivo ampliarsi del senso in cui l'essere «aumenta». Tuttavia questa concezione dell'essere come aumento, mal si accorda né raccorda, quei due significati di verità che si sono individuati in precedenza. 218
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Anche se afferma della tradizione rispetto alla coscienza, tuttavia la tradizione si è rivelata non come l'altro rispetto alla ma come il suo prodotto; il dialogare allora della coscienza con il passato si rivela come mediazione con se stessa. E il carattere di fondo della coscienza della determinazione storica è l'indeterminatezza: ciò si presenta nelle sue nelle sue opere, laddove queste non sono un «in sé» ma si risolvono nelle loro infinite possibilità.
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BIBLIOGRAFIA
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* Nella bibliografia presentata sono indicate le opere più significative di Gadamer in relazione alle problematiche affrontate.
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225
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l'Appendice ma con l'aggiunta di una nuova prefazione di Fabbri Milano 1972; II ed. italiana, Milano 1983. La tr. it. è preceduta da un'ampia Introduzione di
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in Ideen und in onore di H. a. M. 1965, pp. 93-104; tr. it. in universale, pp. 208-222.
44 Die
der Geschichte und der Geschichte, der 33-50; tr. it. in Ermeneutica e metodica
45 Die der 77-101; tr. it. in 46
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48 Die
49
in in onore di 1966, pp. 128-143; tr. it. in Studi Platonici, 2, cit. pp. 26-40.
50
Future, in 1966 (95), pp. 572-589: tr. it. in Ermeneutica e metodica universale, pp. 165-193. Die
der in der in der Atti Congresso della Società Tedesca di Filosofia (Heidelberg 1966), Miinchen 1967, pp. 9-17; tr. francese in de Philosophie", 31 (1968). 52 Nota conclusiva a
Philosophie der Franfurt a. M. 1967, pp. 146-177.
53
I, Philosophie, Tubingen, 1967. Comprende oltre ai saggi indicati dai numeri 14, 21, 23, 30, 35, 37, 39, 40, 43, 44, 45, 48, 50, anche: (tr. it. in Ermeneutica e metodica universale, pp. 46-73; e anche in AA.VV. Ermeneutica e critica dell'ideologia, tr. 1979); des der
54
Kleine II, saggi indicati dai numeri 11,
Mohr, Tubingen 1967. Oltre ai 13, 28, 34, comprende anche: àie der die des Menschen; Karl Immermans "Chiliastische Sonette"; Zu Immermans Der des die
228
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Maria in des
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55
und 1968, oltre ai saggi indicati dai numeri 4, 5, 9, comprende anche: Dialektik platonischen Plato amica in Studi I, a cura di Moretto, Torino 1983.
56
Hegel Löwith,
in onore di 57
in
die saggi già citati
1968,
und 123-131.
in 1968 (75), pp. 445-458.
und 58
in
der e Zur
59 Platos
1968, comprende i der
Dialektik, in Idee und in der der 1968, pp. 9-31; tr. it. in Studi 2, 1984, pp. 121-147.
a cura di
60 Begriffsgeschichte als Philosophie, in "Archiv für Begriffsgeschichte", 1970 (14). 61
im in onore di
62 A de (33), pp. 19-27. 63 28-39; tr. it. in
der
in
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229
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64
in Firenze 1969,
ra di 65
in Die
a cu360-372. M.
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1969, 4, pp. 364-377. 66
in
Die
1970 (6),
pp. 364-377. 67
der Philosophie, 1971.
68
1971: la àie
di Hegel, comprende oltre ai saggi già citati Dialektik e Hegels anche Die Idee der e Hegel àie Hegel
Hermeneutik ah Philosophie, 70
71
Philosophie, in I, pp. 325-344.
der
in Hermeneutik a. M. 1971, pp. 283-317. III, Heidegger, Mohr, 1972. Insieme ai saggi indicati dai numeri 8, 42, 49, 52, 56, 57, 60, 63, contiene anche: Logos (tr. it. in Studi platonici, 2, pp. 56-72); die der Martin Heidegger; Die Die der Hermeneutik
72 Hegel der degger, di 1971, pp. 11-23.
M.
in Hegel, E.
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die 1972,
in
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75
Gerhard
Ibidem,
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et
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in "Studia
* Sono stati indicati libri monografici, saggi e parti di libri riguardanti sia l'insieme che aspetti particolari del pensiero di Gadamer.
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Recensione alla I ed. di
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Recensione alla I ed. di pp. 403-406.
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16 V. VERRÀ, Recensione alla I ed. di Wahrheit und Methode, in "Filosofia", 1963, pp. 412-418. 17 G. VATTIMO, Estetica ed ermeneutica in H.G. Gadamer, in "Riv. di Estetica", pp. 117-130 (ora nel Poesia e ontologia, Milano 1967).
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I N D I C E DEI NOMI
Adorno, 28, 37. Agostino 233. Albert 37. Ambrosio F.J., 249. Antiseri, 37, 126. K.O., 215, 238, 240, 241. Aristotele, 36, 37, 224, 233. 149, 228. 224. 37. Barbaglio 12, 242. Basso M.L., 240. Battaglia 194. 12, 243. O, 45, 81, 237, 240. Bellino 247. 239. 225. Berti 245. Bertoldi E.F., 249.
248. Betti 163, 164, 237, 238. 12, 245. 247. Bianco 240, 241. 12. O.F., 241. 102. 248. 35, 173, 240. 246. 241. 35. 112. Bubner 35, 241, 245. 227, 244, 246. Calogero 98. Capanna 248. Cassirer 194. Castelli 140, 240. Cesa 28, 120.
251
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Chiodi
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Croce
18. R.G., 197. 244. 174. 248. 230.
D'Alessandro 247. Da Re 122, 165, 246. De Negri 38, 88. 235, 247. L.D., 247. L.D., 248. 248. De 246. De 175, 238. 12, 242. Dilthey 30, 55, 88, 90, 96, 98, 99, 101-107, 111, 124, 224, 239, 241. 249. Dottori 82, 122, 132, 226, 242, 245. 245. Droysen J.G., 96, 99, 105.
Forni
245. G.D., 249. 239. 13. 244. 53. 122, 169, 239, 241.
H.G., 11-22, 27-41, 45-60, 65-82, 87-97, 99, 101, 103-107, 111-114, 121-132, 135-160, 162-166, 169-187, 191-206, 209-219, 223-248. Galli 141, 246. 243. J.E., 244. H.J., 240. Giovanni (San), 197. 28. H.G., 53. 224, 228. 243. 247. Greco 248. 96. 246. 243.
12. 231.
232, 234, 235. 60. Fatta 98. R.L., 35, 175, 244. 159. 54, 90.
Habermas 140, 239, 245. Hans J.S., 243. 223. 247. Hegel 13, 28, 36, 38-40, 53, 87, 88, 102, 104, 122, 130, 139, 159, 160, 174, 175, 200, 229, 230, 233, 235, 248.
252
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13, 14, 18, 28, 35, 39, 45, 69, 111-120, 122-132, 159, 175, 195, 199, 225, 227, 229, 230, 232-234, 239, 241, 244, 246, 248, 249. 12. J.G., 95-98, 105, 224, 228. B.J., 242. L.M., 244. E.D., 78, 239, 243. 224, 228, 230. 242. 248. 249. H.G., 53. A.R., 247, 249. 241. 201. 29. 111-113, 195. 228.
245. 245. 242. Löwith
Mancini
12, 162, 239. 13. 13, 248. V, 232. 53. 245. 29. Mirri 120. 243, 244. 238. Moni 28. Moretto 11, 169, 224. Morra 101.
Johnson P.A., 247. Negri 30,
51-54, 90, 102,
232. 59, 60, 159. 89, 238. F.M., 242. 12, 230. 248. 231, 235. 82, 245. 237. 237.
239. 120. 59.
247. 223, 225. 53. 96. 13, 14, 210.
238.
R.E., 12, 89, 239. 176, 200, 209, 237. 214, 246. G.G., 12, 242. Penati 242.
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120. 247. Platone, 69, 73, 111, 169, 195, 196, 200, 223, 229, 231, 232, 233. Plotino, 233. 78. 238. 242. 238.
Regina
240. 96, 98, 99, 105. 89. 114, 118, 121, 122, 246. 240. 82, 140, 232, 234, 240,
239.
249. H.J., 238. 224. 240. 248. 235. T.M., 240. 244. Spinaci 249. H.R., 97. 53.
244. J.P., 149.
241.
165. R.M., 229, 248. Ripanti 38, 72, 78, 122, 162, 240, 242-244.
Rossi
12, 241. 249. 246. J.G., 95.
Sabatini 12. Sacchetto 249. K.F., 96. 12, 242. 54. 46, 52, 53. 87-93, 96, 103,
58. Vattimo 16, 27, 45, 67, 74, 120, 122, 210, 212, 225, 232, 238, 240, 243, 248. Verra 12, 47, 169, 194, 226, 233, 238, 239, 240-243. Volpi 12, 165, 243.
249. 35. 65, 192, 244.
249.
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