Esistenza e Interpretazione - Nietzsche oltre Heidegger
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filosofia

DONZELLI EDITORE ROMA

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SAGGI DONZELLI Scienza e filosofia (ultimi volumi pubblicati) Gunther Anders, Hannah Arendt, Hans Jonas, Karl Lowith, Leo Strauss

S1,1, H eidegger. Cinque voa ebraiche Rosi Braidotti

Soggetto nomade. Femminismo e aisi della modernità Domenico Carosso

Il com1,1,nismo degli spiriti. Forma e storia in 1,1,n frammento di H olderlin Ernst Cassirer

Rousseau, Kant, Goethe a cura di Giulio Raio Max Charlesworth

L'etica della vita. I dilemmi della bioetica in una soaetà liberale Franco Crespi

Imparare ad esistere. Nuovi fondamenti della solidarietà sociale Franco Crespi

L'esperienza religiosa nell'età post-moderna JohnDewey

Rifare la filosofia Michel Foucault

Discorso e verità nella Greàa antica Vittoria Franco

Etiche possibili. Il paradosso della morale dopo la morte di Dio (segue)

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Saggi. Scienza e filosofia

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Marco Vozza

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DONZELLI EDITORE

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,2,i!)rizzare ed elaborare quel concetto nietzs_cheano .d i interpretazione affettiva che non è rubricabile tra i significati tradizionali di _interpre- · . . . · · razione, intesa via via come trasposizione empatica, articolazione linguistica della· comprensione o come smascheramento di enunciati ·ar- · bitrariamente supposti razionali. Appare ora possibile esplicitare compiutamente il nesso richiamato nel titolo del libro: «esistenza e interpretazione»,-che può essere in- .. teso sia nel se.nso del carattere interpretativo dell'esistenza, sia in quello ad esso correlato della pregnanza esistenziale dell'interpretazione. Ogni esistenza interpreta e conferisce senso all'accadere; ogni interpretazione configura e modifica l'esistenza: ogni soggetto esperisce l'e. sistenza secondo la modalità dell'essere interpretato. In tale prospetti- · va, l'interpretazione non è più un'attività separata e complementare (rivolta esclusivamente a eventi storici, testi letterari e opere d'arte) di un soggetto diviso tra attività e conoscenza, bensì appare come il tratto distintivo del suo essere al mondo, la cifra della sua esperienza. Accogliendo una suggesti~:me di Ricoeur, si può sostenere che, una volta acquisita questa fondan:ientale ontologia della comprensione (delucidata da Heidegger), si tratterà poi di tornare a sviluppare quell' epistemoXIV

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_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ Introduzione

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·. logia de_ll:interpr~t~zione ~he n_on recide i legami con determinate e molteplici 1nodalita esegetiche, intese come forme derivate della compren~ione, evitando così di separare la verità dal metodo, l'essere dalle sue contingenti e J?lur~li s~ansioni di esistenza interpretata. · A!la stesu~a dei capitoli che compongono la seconda parte è sottesa ~na_ ncostruz1~ne e una val~t~zio~e complessiva della filosofia degli ult1~ due ~ecol~. Dopo la cnuca ri1etzscheana della malattia metafisica (d1agnost1cata 1n stretta correlazione con la malattia morale), che delegitt~ma~a 1~ pretesa di reperire un fondamento stabile e inconcusso del s~pere (m~1e~e alla negazione di ogni teleologia) e sosteneva l'esigenza . d1 una gaia sa':nza che esplorasse finalmerite la superficie dell'esistenza (pe~ eccesso d1 profondità), che si predisponesse al percorso dell'anabasi do~o av~r a lungo perlustrato la_catabasi; dopo Nietzsche insomma, la f1losof1a contemporanea si è trovata di fronte all'alternativa tra due programmi di ricerca eterogenei, tra due orientamenti di pensiero antitetici: da un lato, è possibile assumere gli esiti della genealogia nietzscheana come invito ad una fondazione più originaria di quella proposta dal razionalismo metafisico, in direzione di una Urstiftung vagheggiata tanto dai fenomenologi dediti alla dimensione antepredicativa della Lebenswelt quanto da Heidegger, il quale, dismessa l'analitica esistenziale, cerca di evocare l' Ereignis prima di ogni concrezione ontica (secondo la procedura dello Schritt zuriick che ci dovrebbe affrancare dalla metafisica restituendola al suo fondamento); dall'altro lato, è possibile invece considerare la-critica nietzscheana come un punto di non ritorno, un'acquisizione irrevocabile, per cominciare a dissodare il terreno profano del contingente, del visibile (senza peraltro sviluppare nostalgie reattive); dislocando l'identità della filosofia su di un piano di pura immanenza in cui sia possibile ancora (o finalmente) avvertire l'attrito con l'esperienza. Sapere tragico della superficie, cognizione del dolore, esperienza dell'esteriorità, analitica esistentiva, ermeneutica dell'affettività: questi i capisaldi della nostra prospettiva, la quale presuppone e ricostruisce una linea di pensiero che proviene da Nietzsche e che - attraverso percorsi differenziati ancora da indagare, vie eccentriche da esplorare e percorrere, solidale pur most~ando in?ubbie e c?spicue :7u~nces al suo interno -, giunge dappnma a S1mmel, poi a BenJamm? alla Arendt, infine a Merleau-Ponty, Deleuze e Nancy, all'ontologia del sensibile e alla logica della sensazione. . . . In questo libro sono costantemente confro~~au q~e~u. due or~entamenti speculativi, resi agonistici come due poli 1dealt1p1c1 della filoso xv

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_ _ _ _ _ _ _ _ Vozza, Esistenza e interpretazione _ _ _ _ _ _ __

fi~, due P"!'radigmf rivali, nel t~ntativo_ di evi_d~nziare anche le strategie d1 protezione e d1 ~orro?oraz1one d_e1 relat1v1 modelli di spiegazione, senza per questo nnunc1are ad esprimere la nostra adesione nei confronti del program"!~ di rfcerca ~o~siderato e_uri~tic~mente più fecondo e pertanto pass161le d1 ultenon elaboraz1om. S1 rende necessaria una ~orta di ibri?azio_ne stil~stica (an~litic~-~ontinentale, se si vuole) che c1 consenta d1 analizzare 1 costrutti teonc1 dell'ermeneutica (e di riproporne la pretesa di universalità) con strumenti epistemologici, con il suo linguaggio e le sue procedure di valutazione: in tal modo, la seconda parte del volume, quella più esplicitamente volta a mostrare il legame tra esistenza e interpretazione e a delineare una ermeneutica dell'affettività, eredita dalla prima parte il senso e il metodo che presiedono alla nuova alleanza tra estetica, epistemologia ed ermeneutica. Pervade questo libro, anche se mai esplicitata compiutamente, l'idea che la filosofia possa ancora rivestire una funzione di mite utopia, direttamente proporzionale al lucido disincanto da cui prende le mosse e di cui si alimenta, la quale fa perno su un'analisi e un'interpretazione del reale che non si pone mai come suo rispecchiamento legittimante né come mera conformità al dato. Con le dovute cautele ma senza pavide profusioni di understatement, cioè senza soverchie concessioni al principio di realtà, si potrà così riprendere in esame il progetto di Nietzsche - formulato in un frammento del 1884, oggi ancor più inattuale di allora-, il quale intendeva operare una confutazione di «tutti i presupposti dell'ordinamento esistente», facendo notare peraltro come l'utopia, l'istanza trasvalutatrice, si avvalga esplicitamente, anche in questo caso prototipico, di uno strumento logico-epistemologico per antonomasia quale la confutazione. In altri termini, pur stemperando ogni velleitaria hybris dell'oltrepassamento, non si intende affidare l'analisi dell'esperienza e l'interpretazione dell'esistenza ad «una filosofia - per usare ancora un'espressione di Nietzsche - che non sa varcare la soglia». M. V.

Cervo, estate 2000

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Parte prima Verso l'unificazione dei paradigmi

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------ESISTENZA E INTERPRETAZIONE _ _ _ _ __

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Precomprensione e modelli epistemologici

L'esperi~nza ci attesta che all'origine di ogni progetto cognitivo vi è un atto d1 precomprensione, in cui elaboriamo la •nostra familiarità con quei paradigmi e schemi concettuali che riceviamo in eredità da ~na tradizione interpretativa. Se si assume tal~ approccio ermeneutico, isomorfo a quel dato immediato dell'esperienza per il-quale conosciamo soltanto ciò che abbiamo già compreso,'e Io si applica ad una corrente di ricerca estranea a quella del canone heideggeriano-gadameriano, coinvolgendo anché la filosofia della scienza neWelaborazione di • un imprescindibile ambito preanalitico~ si potrà riconsiderare in una nuova prospettiva anche il persistente dualismo epistemologico_tra le presunte due culture, tra scienze dello spirito socio-culturali e scienze della natura fisico-matematiche, alle qùali si è rispettivamente attribui·t a la pertinenza della comprensione opposta ·alla spiegazione. Nel variegato repertorio concettuale delle scienze ·contemporanee troviamo infatti costrutti isomorfi come la relazione teoretica ai valo- · ri, i criteri di rilevanza, le visioni preanalitiche, le·me~afisiche i~fluenti, gli stili d'analisi, le tradizioni di ricerca. Da Weber a Lakatos, da Schumpeter a Laudan, da Mach ad Hacking, da Popper a Gombrich, il discorso sul metodo contemporaneo (anche nelle sue· varianti anti o extramctodiche) ha posto in particolare evidenza il ruolo primario di tali dispositivi euristici, i quali orientano e prefigurano la nos~ra percezione del mondo esterno così come presi_edono allo strutturarsi dell'indagine cognitiva. : Non si dà uno sguardo puro sul mondo; non esiste scienza priva di presupposti; postularne l'esistenza sarebbe la proiezione di una fede metafisica: questa è la _formulazione basilare di Nietzsche destinata a diventare l'acquisizione che pervade e orienta tutta l'indagi_n e del XX secolo. Decretare l'illusorietà di una scienza priva di presupposti non significa però individuarne i limiti soggettivjstici e relativistici che pos3

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_ _ _ _ _ _ _ _ Vozza, Esistenza e interpretazione _ _ _ _ _ _ __

sono configurare l'impresa scientifica come inesorabilmente orfana del suo secolare attributo di oggettività. Affermare che la scienza presuppone un altro da sé, un ambito preanalitico in cui viene elaborato il progetto cognitivo, significa indicare la conditio sine qua non della scienza stessa: ossia, non si può configurare una scienza senza presupposti; l'idea che esista un dato di realtà recepito da un occhio innocente è un mito senza fondamento. Condizione necessaria allo strutturarsi dell'indagine scientifica è il reperimento dei presuR posti, d~lle assunzioni di rilevanza, delle visioni preanalitiche che agiscono dietro le quinte del set analitico. ' Sviluppando tale premessa teorica, non si tratterà quindi di rilevare la presenza di elementi preanalitici come residui inevitabili di una Lebenswelt irràzionale, di un magmatico mondo della vita, tracce spesso inconscie di una conoscenza inespressa, quanto di indagare la formazione di tali presupposti, di seguirne l'articolazione in un sistema di rilevanze che si ponga come origine consapevole ed esplicita, come condizione di possibilità dell'indagine e,:npirica. Affinché possa riproporre la propria legittimità e la relativa pretesa di universalità come idioma comune della cultura, è necessario che la teoria ermeneutica deponga definitivamente quel velo di diffidenza nei confronti delle scienze che sembra caratterizzarla anche nella sua più recente storia; inoltre . essa dovrà riattivare (non temendo ibridazioni di sorta) il dialogo con la tradizione postdiltheyana del discorso sul metodo delle scienze (da Weber all'epistemologia postpopperiana); infine perseguire l'integrazione del concetto di precomprensione con quello di preanalitico, che appare più affine al primo rispetto a quello tardofenomenologico di precategoriale o antepredicativo. Il prospettivismo nietzscheano costituisce il più cospicuo antefatto teorico di quel discorso sul metodo che l'ermeneutica novecentesca ha trascurato a favore di tematiche più prettamente ontologiche o di interpretazione testuale, relegando l'indagine sulle condizioni di possibilità della scienza (o, più in generale, del progetto cognitivo) all'ambito di pertinenza proprio della riflessione epistemologica, intesa per lo più come erede della tradizione gnoseologica e quindi inesorabilmente imbrigliata nell'obsoleta opposizione metafisica tra soggetto e oggetto. In realtà, l'epistemologia che, dopo la parentesi neopositivista, ha rinnovato il discorso sul metodo delle scienze naturali e delle scienze sociali seguendo l'evoluzione interna alla storia delle scienze stesse, ha sempre più posto l'enfasi sul carattere onnipervasi-vo dell'interpretazione nel processo di selezione e di osservazione 4

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_ _ _ _ _ _ _ Precomprensione e modelli epistemologici _ _ _ _ _ __

della molteplicità empirica passibile di analisi, collocandosi così nel solco di una tradizione emancipata dal secolare retaCYgio gnoseologico e di cui si può considerare espressione paradigmacica questo passo di Nietzsche: «Non esiste, giudicando rigorosamente, alcuna scienza "priva di presupposti", il pensiero di una scienza siffatta e impensabile, paralogico: una filosofia, una "fede" deve sempre preesistere, affinché derivi da essa una direzione, un senso, un limite, un metodo, un diritto all'esistenza»1• Per aver introdotto l'elemento prospettivistico all'interno della teoria della conoscenza, (al di là del nesso tra scienza e metafisica) Nietzsche è stato davvero un destino per l'epistemologia novecentesca, a cominciare dal fondamentale Conoscenza ed errore (1905) di Mach, insieme alle coeve tesi di Duhem-Poincaré: infatti, un tratto rilevante del pensiero filosofico del XX secolo è costituito proprio dalla progressiva secolarizazione della credenza fideistica nel valore della verità, ma al tempo stesso dalla crescente consapevolezza del ruolo svolto dai presupposti e dai sistemi di rilevanza nell'elaborazione di ogni progetto cognitivo. Formulando la propria ontologia ermeneutica, Heidegger sembra ignorare questa saldatura tra elaborazione ermeneutica e concettualizzazione scientifica, ma - come vedremo - proprio dalla struttura analitica di Essere e tempo, sarà possibile trarre quell'articolazione della precomprensione che caratterizza l'epistemologia contemporanea.

1. L'autotrascendimento della filosofia analitica. L'esigenza di un confronto, se non di una esplicita ibridazione, tra epistemologia, filosofia analitica e ontologia erm_eneutica, è_ stata·~inora disattesa, anche se recentemente (non a caso m un saggio dedicato proprio a Nietzsche) è stata avan ata questa_ ~onsider~zione prov~niente dall'area anglosassone: «Cosi come oggi e concepita, nell ambito della tradizione analitica, la filosofia della scienza è priva di un' autentica identità come filosofia. La risoluzione di tale questione tocca direttamente la separazione tra filosofia continentale e filosofia analitica. Poiché l'approccio c_onti1:ental~, espl~citamente storico ed er~eneutico, comporta una nfless10ne fil~sof1c~ su~la natura e la p_rauc~ della scienza, esso è il solo in grado d1 formre l apporto correttivo di

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F. Nietzsche, Genealogia della morale, in Id., Opere, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 1964, voi. V, t . II, p. 356. 1

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_ _ _ _ _ _ _ _ Vozza, Esistenza e. interpretazione _ _ _ _ _ _ __ .,

un'autentica e genuina filosofia della scienza»1• Si può condividere quest'idea, cercando di ovviare a tale mancanza di densità storico-er. meneutica dell'epistemologia e della filosofia analitica, soltanto a patto di riconoscere la reciproca crisi d'identità patita dalla filosofia continentale dell'interpretazione, confinata nel suo ormai sterile ecumenismo dialogico, rilevazione questa che intende neutralizzarne - attraverso una mutata ricostruzione della sua tradizione - l'atavica avversione nei confronti della scienza. Richiamiamo innanzitutto per sommi capi il processo di allontanamento, da parte della corrente .analitica, dallo standard view neopositivista e il successivo avvicin.a mento a posizioni per certi versi affini a q~elle formulate in ·a mbito continentale: nel 1951, Quine pubblica From a Logica! Point of View, in cui critica i «due dogmi del1' empirismo», il primo fondato sulla distinzione tra verità analitiche e verità sintetiche, il secondo basato sulla tesi riduzionista secondo la quale ogni proposizione può essere verificata sulla base di un' esperienza sensoriale; da questa critica scaturiva la possibilità di un «empirismo senza dogmi» basato su una concezione olistica del significato a sfondo pragmatico per la quale la scienza andava considerata nella sua globalità «come un edificio che tocca l'esperienza solo lungo i suoi margini»2 • Riconsiderando in chiave critica tali presupposti teorici a due decenni di distanza, Davidson proseguirà la decostruzione dell' empirismo individuandone e criticandone il terzo dogma, ancora presente nella demitizzazione quineana, imperniato sull'opposizione tra contenuto empirico e schema concettuale: «intendo sostenere che questo secondo dualismo tra schema e contenuto, tra un sistema organizzante e un qualcos~ che attende d'esser organizzato, non può esser difeso né compreso. E esso stesso un dogma dell'empirismo, il terzo dogma, e forse l'ultimo, perché se lo abbandoniamo non saprei dire se rimanga B. Babich, Nietzsche e la scienza, Cortina, Milano 1996, p. 2. Per il dibattito, a volte ozioso, se non esplicitamente fazioso, tra analitici e conti nentali, si vedano almeno: R. Rorty, La svolta linguistica, Garzanti, Milano 1994; R. Bernstein, Beyond Objectivism and Relativism, Blackwell, Oxford 1983 ; D. Koppelberg, Die Aufhebung der analytischen Philosophie, Suhrkamp, Frankfu rt a. M. 1987; Philosophy and the Analytic-Continental Divide, a cura di P. Engel, in «Stanford French Review», 1993, 2-3; Continental Philosophy Analyzed, a cura di K. Mulligan, in «Topoi», 199 1, 1; F. D' Agostini, Analitici e continentali, Cortina, Milano 1997; Filosofia analitica e filosofia continentale, a cura di S. Cremaschi, La Nuova Italia, Firenze 1997. 2 W V. Q uine, Il problema del significato, Ubaldini, Roma 1966, p. 40. Per una valutazione critica della più recente epistemologia guineana, cfr. N . Vassallo, La naturalizz~zione dell'epistemologia, F. Angeli, Milano 1997. · 1

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_ _ _ _ _ _ _ PrecomprensiorÌe e modelli epistemologici _ _ _ _ _ __

qual.cosa di specifico da poter chiamare empirismo». Abbandonando l'empirismo, così come il relativismo degli schemi concettuali, Davidson giunge ad una nuova nozione di esperienza intrinseca al linguaggio dell'interpretazione: «Dal dogma del dualismo tra schema e realtà, segue la relatività concettuale e la verità relativa a uno schema. Senza quel dogma, questo genere di relatività scompare dal campo. Naturalmente la verità degli enunciati rimane relativa a un linguaggio, ma ciò è obiettivo a pieno titolo. Abbandonando il dualismo di schema e mondo non abbandoniamo il mondo» 3• Nel 1953 uscivano postume le Ricerche filosofiche di Wittgenstein, · in cui veniva abbandonata ogni nozione di verità come· rispecchiamento logico di una configurazione empirica, ogni modello ideale di significanza approntato · da un super-ordine di super-concetti: comprendere una proposizione significa osservare la procedura del suo impiego, la· grammatica della sua applicazione, seguendo regole che si · praticano come giochi linguistici nel contesto di un'attività consociata. Come Quine, che formulerà poi il principio di indeterminatezza della traduzione, anche Wittgenstein sostiene quella visione olistica che si rivelerà così influente presso gli epistemologici postpopperiani, secondo la quale non è possibile individuare il significato di un singolo enunciato linguistico, poiché esso esprime sempre una dipendenza contestuale piuttosto che referenziale: «Quando si dice: "Ho dato un nome a una sensazione", si dimentica che molte cose devono essere già pronte nel linguaggi.o, perché il puro denominare abbia un senso»4. Per determinare il significato di un'espressione non si deve dunque fare appello al confronto con l'esperienza, ma ricostruire il framework linguistico-culturale entro il quale avviene il conferimento di senso. Nel 1956 esce il saggio di Sellars dal titolo Empiricism and the Philosophy of Mind, che perfeziona la dissoluzione quiniana delle distinzioni tra analitico e sintetico, teorico e osservativo, concettuale ed empirico: l'idea che esista una datità esterna in grado di giustificare le no- stre proposizioni si configura come il «mito del Dato» (framework of givenness); per Sellars, come per Wìttgenstein, la padronanza di un linguaggio è il prerequisito di ogni acquisizione di conoscenza, la pratica sociale del linguaggio è l'unico tipo di fondazione possibile per la co'D. Oavidson, Verità e interpretazione, il Mulino, Bologna 1994, pp. 171 e 182. La vicinanza di D avidson all'ermeneutica è sottolineata da R. Bubner nel saP.gio La convergenza fra filosofia analitica e filosofia ermeneutica, in Filosofia analitica e jilosofia continentale cit., pp. 197-207. . . ◄ L. Wittgcnstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Tonno 1967, p. 122.

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_ _ _ _ _ _ _ _ Vozza, Esistenza e interpretazione _ _ _ _ _ _ __

noscenza empirica, per spiegare la relazione tra mente e mondo. Si tratta di sottrarre il discorso filosofico all'incantesimo di un arché posto al di là del discorso, di non considerare più i fatti come «l'ultima corte d'appello» delle nostre pretese conoscitive, come se si trattasse di episodi self-authenticating, di rimuovere ogni «fallacia naturalistica» riconoscendo il carattere epistemico del nostro provare sensazioni, mostrando la correlazione di ogni nostra percezione a un sistema generale di credenze, entro il cui «logica/ space of reasons» noi possiamo collocare ogni conoscenza osservativa, altrimenti - come già aveva detto Kant - le nostre intuizioni senza concetti sarebbero cieche. Ma, per Sellars come per Quine, in ragione dell'altra tesi kantiana secondo cui i concetti senza intuizioni sarebbero vuoti, pare opportuno mantenere la posizione empirista, ormai priva di qualsiasi attributo fondazionalista di legittimazione del sapere, ma irrinunciabile come istanza autocorrettiva dell'impresa scientifica. Introducendo una recente riedizione di questo saggio, Rorty fa notare come l'approccio pragmatico di Sellars agli argomenti canonici della filosofia analitica pone tale tradizione in una nuova relazione con quella continentale e auspica altresì che lo split fra le due correnti un giorno possa essere riconsiderato come «un'infelice, temporanea sospensione della comunicazione»'. Questa ripresa del dialogo sarebbe il più fecondo esito dell'autotrascendimento della filosofia analitica: infatti Rorty ritiene che «la filosofia analitica trovi il suo culmine in Quine, nell'ultimo Wittgenstein, in Sellars e in Davidson, il che equivale a dire che trascende e abolisce se stessa. Questi pensatori confutano con successo e giustamente le distinzioni positivistiche tra semantico e pragmatico, analitico e sintetico, linguistico ed empirico, teoria ed osservazione»6. A questa trasformazione analitica va· accostato un analogo autotrascendimento dell'epistemologia che, con Kuhn e Feyerabend, rinverdisce il principio kantiano secondo cui un mutamento concettuale comporta anche una ridefinizione del dominio oggettuale. Quella di Rorty è una valutazione complessiva, di carattere epocale: secondo il filosofo americano, il compito principale della filosofia moderna è stato quello di formulare una teoria generale della rappresentazione, di comprendere i fondamenti della conoscenza attraverso lo studio dei processi mentali e dell'attività rappresentativa dell'uomo ~ In W. Sellars, Empiricism and the Philosophy of Mind, Harvard University Press, Cambridge 1997, p. 12, trad. nostra. Tra i continentali, anche Habermas prende in esame il pensiero di Sellars nel saggio: Gioco linguistico, intenzione e significato. Alrnni spunti in Sellars e Wiltgenstein, in Filosofia analitica e filosofia continentale cit., pp. 81-102. 6 R. Rorty, Conseguenze del pragmatismo, Feltri nel li, Milano t 986, p. 15.

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_ _ _ _ _ _ Precomprensione e modelli epistemologici _ _ _ _ __

inteso eminentemente come soggetto della conoscenza. Esiste qualcosa co~e uno specchio interiore in , come avvertì già lo stesso Platone quando condannava l'arte mimetica, naturalmente ostile a un mondo di valori sovrasensibili, a una trascendenza dei· significati . Mentre l'arte esprime in modo esuberante la sovrabbondanza di forze, l'inesauribile anelito della vita, il desiderio di trasfigurare il vissuto tragico dell'esistenza, la scienza sembra posare sullo stesso terreno dell'ideale ascetico, generare cioè un certo impoverimento della vita, un raffreddamento delle passioni, un inaridimento degli affetti, una rimozione degli istinti, un crepuscolare spirito di gravità, una austera forma di atarassia stoica, quando non arriva a diffondere un «trivellante sentimento del nulla», percepibile sul piano inclinato in cui l'uomo si dibatte da quando Copernico gli ha sottratto le residue certezze, l'ha trasformato in un· atomo periferico, in un'entità marginale ·del cosmo. Come è stato giustamente affermato, «la scienza è un'espressione estetica che manca di sensibilità artistica»17 • Ma - come vedremo meglio nell'ultimo capitolo - una scienza esonerata da questo nichilistico spirito di décadence può contribuire, insieme all'arte dionisiaca che si esprime nel grande stile, a porre i presupposti fisici per l'esercizio filosofico della trasvalutazione di tutti i valori. 1 • 11

Nietzsche, Genealogia della morale cit., p. 358. B. Babich, Nietzsche e la scienza, Cortina, Milano 1996, p. 141.

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~-----Mutamento stilistico e rivoluzione scientifica _ _ _ _ __

2. Arte e scienza: paradigmi condivisi? I

In una c·o nferenza del 1836, il grande pittore inglese Constable sosteneva che la pittura è una scienza di cui i quadri non sono che gli esperimenti. A'n cora oggi un'affermazione di questo genere può suscitare non poche perplessità all'interno di una cultura che si pone nel solco della tradizione romantica· e idealista, secondo la quale sussiste un'eterogeneità assoluta tra l'arte, intesa come suprema espressione dello spirito, e la scienza, concepita come forma degradata del principio econo~nico di utilità. · · · Già Pirandello, nel 1908, n'ei saggi dedicati ad Arte e scienza, aveva stigmatizzato quel vezzo neoidealista di «ostentare un soverchio disdegno per le- intromissioni (altri ·dice intrusione) della scienza nel campo dell'arte». La principale responsabilità di tale contrapposizione viene attribuita all'Estetica «astratta, monca e rudimentale» di Benedetto Croce, il quale ha considerato l'arte un'espressione teoretica dello spirito e relegato la scienza tra le attività pratiche. Dopo aver auspicato un'attiva cooperazione tra fantasia e intelletto (un intelletto fecondato dall'emozione) e considerato l'opera d'arte una forma di scienza inconscia, equidistante dunque sia dal naturalismo che dal positivismo, Pirandello giunge a formulare un'equazione degna di un epistemologo anarchico quale Feyerabend: «ogni opera di scienza è scienza e arte, come ogni opera d'arte è arte e scienza. Solo come spontanea è l'arte nella scienza, così spontanea è la scienza nell'arte»'. Qualche anno dopo, Paul Valéry riproporrà l'utopia illuministica di una riconciliazione tra le arti e le scienze, considerandole pressoché indiscernibili nel processo di osservazione e di meditazione, distinte nell'espressione, riavvicinate nell'ordinamento per poi separarsi definitivamente nei risultati. La figura di Leonardo è l'emblema della cooperazione tra l'operare artistico e l'invenzione scientifica, a cui presiede un'analoga logica dell'immaginazione, innervata nell'esperienza concreta dell'artefice:

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Leonardo è pittore: dico che ha la pittura per filosofia, In verità, è lui stesso a dirlo, parlando di pittura come si parla di filosofia: come a dire che ogni cosa egli riporta alla pittura [ ... ]. Per Leonardo il dipingere è un'operazione che richiede tutte le conoscenze, e quasi tutte le tecniche: geometria, dinamica, geologia, fisiologia[ ... ]. Tutte le cose sono per lui quasi eguali davanti alla s.ua volontà di raggiungerne e coglierne le forme dalle loro cause. In qualche modo egli si muove a partire dalle apparenze degli oggetti, e ne riduce, o ten1

L. Pirandello, Arte e scienza, in l'umorismo e altri saggi, Giunti, Firenze 1994, p. 165.

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_ _ _ _ _ _ _ _ Vozza, Esistenza e interpretazione _ _ _ _ _ _ __ ta di ridurne i caratteri morfologici a sistemi di forze; e tali sistemi conosciuti - risentiti - e ragionati - li compie, o piuttosto rinnova il suo movimento con l'esecuzione del disegno o del quadra2.

Mentre il filosofo deve ricorrere al linguaggio verbale per ~sprimere il risultato della sua meditazione, l'artista (nelle molteplici vesti di ingegnere, architetto e pittore) «non separa il comprendere dal creare», restituendo vita.alle idee, colte nella loro concrezione d'esperienza. Sostanzialmente ignara di tale consapevolezza espressa in ambito letterario, l'ermeneutica contemporanea ha contribuito a mantenere quel vezzo indicato da Pirandello, «quest'appassionato dispregio per la scienza», considerando la teoria della conoscenza scientifica l' espressione 'di un modello di analisi obiettivante, contrario a una nozione di verità discorsiva, in cui soggetto e oggetto trasformano la loro identità nel gioco dell'interpretazione. In realtà, come si è visto nel capitolo precedente, l'epistemologia contemporanea è del tutto solidale con l'ermeneutica nel proporre quella che Shattuck chiamerebbe la teoria della visione armata: a ben vedere, il discorso sul metodo generato dall'opposizione alle tesi neopositiviste del Circolo di Vienna pone in evidenza il ruolo primario degli schemi concettuali e delle visioni preanalitiche, delle assunzioni di rilevanza e delle metafisiche influenti, dispositivi euristici perfettamente compatibili con quell' esperienza della precomprensione e dell'anticipazione di senso che è il cardine del pensiero ermeneutico. Si configura così una possibile e auspicabile declinazione epistemologica dell'ermeneutica, in cui la gettatezza del Dasein in quello che Heidegger chiamo «stato interpretativo medio» va intesa essenzialmente come tramandamento paradigmatico, come precondizione deiettiva (ma non inautentica) per l'articolazione dell'aspetto cognitivo inerente al progetto esistenziale, che si pone dunque come elaborazione consapevole di tale precognizione in cui troviamo cristallizzata P. Valéry, Scritti su Leonardo, Electa, Milano 1984, p. 92. Cfr. il saggio di J. RobinsonValéry, Similitudes et différcnces entre !es arts et !es sciences dans la pensée dc Valéry, in La création vagabonde, a cura di J.-L. Binet, Hermarin, Paris 1986 e, per un'analisi di piì:t ampio respiro, E. Franzini, Il mito di Leonardo, Unicopli, Milano 1987. Martin Kemp, uno dei massimi studiosi

  • è din~ostrata anche, in chiave anticrmcneutica, Jal libro Ji R. Shattuck, L occlno mnocente, il Mul1110, Bologna 1992.

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    condizioni queste che, affettivamente prima ancora che cognitivamente, precludono la possibilità di .un accesso incondizionato, privo cioè di presupposti, al mondo esterno. N ell_a concezione di Gombrich, la consapevolezza che ogni vedere è un m~erpretare fondato su convenzioni acquisite, che ogni percezione è circoscritta da un orizzonte di attese, che ogni esperienza è prefigurata 1all' assunzione di uno schema concettuale, non sfocia in un convenzionalismo di stampo relativista alla Nelson Goodman, poiché - all'interno del paradigma illusionista - sono pur tuttavia accertabili differenti approssimazioni al vero; i quadri di Constable o di Turner non saranno dunque visti come un'immagine della loro retina, ma interpretati nei term_ini di un mondo reale possibile. Al termine della parabola impressionista, che prescriveva l'imperativo morale ed estetico della fedeltà integrale ·all'esperienza visiva, Cézanne metterà in chiaro che la verità in pittura ha a che fare con la fedeltà alla propr~a visione, con l'aderenza ai propri criteri di organizzazione del materiale offerto dal nostro apparato sensoriale, a sua volta alimentato dalla memoria dei quadri visti nei musei, dalla loro continua rielaborazione da cui spesso scaturisce il gesto innovatore. Ogni rappresentazione si fonda dunque su schemi percettivi e concettuali preesistenti all'esplorazione del reale, unitamente alla tematizzazione di un repertorio di immagini provenienti da una tradizione figurativa: queste due circostanze permettono all'artista di dissipare l'ambiguità degli stimoli esterni, l'opacità della visione che richiede di essere interpretata per rendere possibile (cioè significativa e rilevante) la nostra conoscenza del mondo visibile. La meticolosa ricostruzione dell' operari artistico condotta da Gombrich costituisce la più esplicita presa di posizione relativa all'analogia procedurale che sussiste tra la ricerca scientifica e quella estetica, applicando a quest'ultima l'epistemologia popperiana, di cui vengono assunti i seguenti caposaldi: a) la posizione di apriorismo anti-induttivista che assegna un primato logico e metodologico alle teorie rispetto alle osservazioni empiriche, espressa dalla tesi secondo cui l'osservazione è una percezione pianificata da un sistema di aspettative. Alla teoria della «mente come secchio» della gnoseologia empirista va contrapposta la teoria qella «mente come faro », secondo la quale la mente illumina di luce propria i fenomeni osservati; b) la teoria del fallibilismo, secondo cui ogni teoria scientifica è una mera congettura sul mondo, priva di fondamenti inconcussi, mai sufficientemente corr_oborata da risultare definitivamente verificata e sempre esposta a v1r51

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    tuali falsificazioni: la scienza è dunque un'avventura di tria! and errar di congetture e confutazioni o - secondo l'espressione che Gombrich preferisce applicare all'arte - di schemi e correzioni; c) il principio del razionalismo critico, secondo il quale l'accettazione o il rifiuto di una teoria scientifica avviene sulla base di argomentazioni critiche, valutando al contempo l'efficacia dei controlli empirici e la fecondità delle teorie rivali disponibili. · L'ortodossia di Gombrich al razionalismo popperiano, un'adesione a tutto campo che contempla anche i costrutti teorici della logica della situazione e dell'individualismo metodologico in chiave anti-olistica, induce lo storico dell'arte a prendere le distanze da ogni forma di relativismo, soprattutto per quanto riguarda la teoria di Kuhn e Feyerabend sull'incommensurabilità dei paradigmi e degli stili artistici, oltre che il «nominalismo perverso» dei linguaggi dell'arte goodmaniani: il termine di confronto per ogni schema· mentale rimane sempre la realtà empiricamente denotata, perché altrimenti non sarebbe neppur possibile avviare una procedura di falsificazione e si cadrebbe in balìa dell'irrazionalismo, che legittima, tra l'altro, la proliferazione di ogni stravaganza ed eccentricità interne alla «logica della fiera della vanità». A questo proposito si è opportunamente attribuita a Gombrich una sorta di «naturalismo sofisticato»5, secondo il quale Tevoluzione del1' arte si configura come un .progresso verso la visione veridica della realtà, attraverso l'infiriito arricchimento di schemi di rappresentazione, a cui non possiamo a~tribuire alcun valore di verità ma che veicolano quantità finite di informazioni, determinando uno sviluppo intensionale della visione. In tal modo, rimanendo popperi.ani e allontanando le sirene del relativismo, è ancora possibile sostenere la confrontabilità degli stili artistici e configurare un'evoluzione senza clamorose discontinuità nella storia dell'arte, concepita come un susseguirsi di infinite variazioni nel repertorio figurativo di un'epoca, all'interno di una tradizione omogenea che si manifesta nella persistenza degli archetipi e nella tenacia delle convenzioni, un avvicendamento di soluzioni provvisorie a problemi estetici ricorrenti, praticando un'attività di «sperimentazione guidata». Si potrebbe affermare che, evidenziando analogie procedurali, Gombrich - sull'atavica traccia di Constable - adatti l'arte al M. Sant:mibrogio, Sulla logica delle teorie scientifiche, in «Quaderni della Fondazione Fcltrinclli», 1978, 2, pp. 75- I 38. Un tent;'ltivo di applicare ali' estetica il criterio poppcriJno di falsificabilità è stato compiuto da T. Kulka, Art ami Science: An Ot1tline of a Popperùm Aesthetics, in «British Journal of Aesthecics», XXIX, 1989, 3. 5

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    modello della scienza, p_iutt?sto che 1!1odellare quest'ultima sulla prima, ~omc f~ra?no alcu~~ ep1ste_molog1 po_st-popperiani. Nonostante il contmu_o nch1ai:no dell mvenz10!1;e ~rustica alle scoperte scientifiche, ?ombnch cons1der~ «azzarda~o 1st1t~ire un paragone tra la vita dell _a:te moderna e la v_1ta 1~lla ~c1enz~>: , soprattutto per ragioni inerenti 11 contest? de~la gmst1f1caz1one pm che della scoperta, relative cioè alla mancanza d1 regole e al carattere arbitrario della valutazione critica, no?ché _P~r «l'avventato culto di ogni novità» tipico di ogni avanguardia artistica.

    4. Il significato· cognitivo dell'esperienza estetica.

    A ulteriore dimostrazione che lo steccato eretto tra filosofi analitici e filosofi continentali riveste un modesto significato teorico, si può affermare che il valore cognitivo dell'attività artistica e della fruizione estetica sia stato congiuntamente rivendicato in ambito ermeneutico da Gadamer nella prima sezione di Verità e metodo con la teoria dell'incremento d'essere, della portata ontologica dell'opera d'arte in contrapposizione alla soggettività del giudizio di gusto kantiano e contemporaneamente, in tutt'altro contesto, da Goodman, il quale, ne I linguaggi dell'arte, argomenta a favore del significato cognitivo dell'arte in opposizione alla conce_zione riduzionista del neo- · positivismo che circoscrive l'esperienza estetica nell'ambito irrazionale dell'emotivo o dell'ineffabile, al quale non è possibile attribuire quella validità oggettiva che possiede soltanto l'attività teoretico-sperimentale della scienza. Ma la rivendicazione del valore cognitivo dell'arte risale alla seconda metà del XIX secolo, quando il neokantiano Konrad Fiedler pose a 6 E. Gombrich, L'immagine e l'occhio, Einaudi, Torino 1985, p. 284. Sul tema del rapporto tra arte e scienza, con riferimento a Gombrich, è intervenuto anche il-filosofo americano Arthur Danro, che ha riscontrato la «fine dell'arte» preconizzata da Hegel per l'avvento della propria filosofia, in particolare per l'imp~ss~bilit~ di individuare un progress? estetico da quando si è diffusa la consarevolezza _che I pmon non rapp,resentano m~ esprimono. L'osservatore riesce a comprendere il modo d1 sentire espresso dall'opera propno attraverso le discrepanze rispetto al_l'equivalenza p~rcetti_va: «~ertanto O~ K?~ning ritrae la d_onna co~ mc luogo di sfregiamentJ, El G~e.co raf(1&11ra I santi c~m~ vert1cahta ~llu~gat~ e G1~comett! modella le sue figure come corpi m~red161lmente_ emaciati non per rag!om ott!~he, ne eei:c~e effettivamente esistano donne, santi o persone d1 questo genere, bens1 pcrche I tre art1st1 rivelano rispettivamente sentimenti di ag_gressività, di br~~n,a spiri~a_ie ~ di compassi?ne». L'autore trova poi s01-prendente che tale 111co~m~nsur~bd1t~ delle ~ISlom del mondo sia _applicata anche alla scienza. A . Danto, La destituzione filosofzca dcli arte, Tema Celeste, Siracusa 1992, pp. 103-41.

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    fondamento della sua estetica speculativa la convinzione che l'arte non si rivolga esclusivamente alla sfera sentimental_e del piacere ma innanzitutto all'intelletto: l'arte è uno strumento d1 conoscenza e il giudizio artistico non viene espresso dal gusto ma dall'intelletto. Secondo Fiedler, l'arte è un linguaggio al servizio della conoscenza e tale identità la pone su di un piano paritetico con le scie?~e ~ositive. Si tratta pertanto di differenziarne il contributo in termm1 d1 conoscenza del mondo oggettualmente configurato di fronte al soggetto: mentre il pensiero teoretico è produzione di concetti, elaborazione della coscienza discorsiva, l'arte è sviluppo di rappresentazioni, affinamento della coscienza intuitiva. La figurazione artistica partecipa di un 'altra normativa rispetto a quella propria della costruzione concettuale che elabora il dato dell' esperienza sensibile: «Il mondo che l'artista forma vedendo e vede formando - scrive Fiedler - non è di fatto quello che si lasciava inquadrare in concetti e connettere nelle relazioni causali i propri elementi costitutivi: esso si emancipa da tutte le leggi proprie al conoscere discorsivo, e si ordina e si conforma secondo leggi affatto differenti. Tuttavia colui che tenta di portare artisticamente alla propria coscienza il mondo, vive in un mondo reale non meno di chi cerca di conoscerlo scientificamente»'. Quello dell'artista e quello dello scienziato non sono soltanto due atteggiamenti adiaforicamente orientati alla conoscenza: il valore dell'esperienza artistica risiede invece nella capacità di estendere la conoscenza laddove le connessioni causali perdono significato e la conoscenza discorsiva viene ridotta ad uno «schema di formule» che impedisce di penetrare compiutamente la realtà fenomenica, rivelazione che invece spetta all'occhio dell'artista emancipato- dai vincoli nomotetici del pensiero concettuale. Nella filosofia dell'arte di Fiedler troviamo così prefigurate le due principali mosse teoriche dell'estetica contemporanea a proposito del1'esperienza artistica: da un lato, Fiedler sostiene che ogni progresso, quello delle arti figurative come quello delle scienze o della filosofia, va considerato in termini di ampliamento della conoscenza e a questo requisito corrisponde pienamente l'attività artistica poiché non si configura né come mimesi dell'esistente né come raffigurazione di una realtà ideale, ma come «allargamento dell'esperienza», produzione di realtà, novità ontologica; da un altro lato, il filosofo neokantiano, dopo aver accomunato arte e scienza per le loro proprietà gnoseologiche, 1

    K. Piedler, Aforismi sull'arte, Tea, Milano, 1994, p. 95.

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    suggerisce il tema del pluralismo costruzionalista della verità, osservando ~he, ~entre la scienza rimane per lo più vincolata a un solo genere d1 venta (quella conforme all'osservazione fattuale), l'arte può contemplare due o più verità, relative a mondi arbitrari fantastici e possib~li., Appare abbas~anza e_v~dente com_e la prima tesi ~ollimi, ~eppur ~nva della necessana denstta ermeneutica, con quella gadamenana dell'mcr~men~o d'essere generato dall'esperienza estetica, mentre la seconda, nvend1c_ando il valore cognitivo dell'arte, sembri anticipare anche quella teona delle 'differente rilevanza dei contenuti veritativi sostenuta da Nelson Goodman. Introducendo la declinazione purovisibilista del kantismo, Fiedler concepiva l'arte come conoscenza delle qualità visibili delle cose, mentre Wolfflin la riconduceva alla storia di una visibilità indipendente dalla storia e Hildebrand parlava di un'autonoma «cultura degli occhi»: ma - come fece già notare Panofsky, in ossequio ad un metodo iconologico di esplicita venatura ermeneutica - lo stile di un artista o di un'epoca è fondato su una Weltanschauung più che su una mera Anschauung der Welt, mentre l'opera d'arte va intesa sempre come «una interpretazione che attinge alla storia della raffigurazione» 2 • Tale qualità interpretativa andrebbe però ulteriormente caratterizzata nei termini dell'ermeneutica dell'affettività: anche quando è motivata da una necessità interiore (come nella pittura astratta di Kandinskij), l' arte non è mai una configurazione invisibile (contraddizione in termini, perpetrata da alcuni fenomenologi): essa è sempre pura visibilità ma, poiché è attraversata dall'esperienza sensi bile e biopatica dell'artista, governata da una peculiare logica della sensazione, non è mai visibilità pura, bensì costitutivamente impura in quanto affettivamente conno-: tata e trasfigurata. Lungi dal configurarsi kantianamente come sguardo cognitivo sul mondo, l'attività produttiva dell'occhio è soggetta al lavoro dell'interpretazione affettiva; in tal senso, l'impurità non nega la visibilità ma la qualifica emotivamente, la intona affettivamente, fino ad assumere l'identità patica di una esibizione sensibile del mondo. A un secolo di distanza dalla formulazione dell'estetica speculativa fiedleriana, •in analogo contesto neokantiano arricchito dalla filosofia . delle forme simboliche di C assirer, viene sviluppata - come si è detto la teoria nominalista e relativista di Goodman, il filosofo statunitense che ha inteso completare il progetto kantiano iniziato con il passaggio dalla struttura d el mondo a quella della 'mente, operando un'ulterio"re 2

    E. Panofsky, La prospettiva come «forma simbolica», Feltrinelli, Milano 1979, p. 208.

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    transi~ione «dalla struttura dei concetti a quella dei diversi sistemi simbolici delle scienze, della filosofia, delle arti, della percezione e del discorso quotidiano. Il movimento è da un'unica verità e da un mondo fisso e dato a una varietà di versioni corrette e anche in conflitto, ossia di mondi in fabbricazione» 3• Questa teoria generale dei simboli è formulata da Goodman nel1'opera dedicata ai Linguaggi dell'arte, muovendo dal presupposto che la rappresentazione artistica sia un tipo particolare di denotazione, indipendente dalla somiglianza con qualcosa di sussistente nel mondo esterno, anche perché non esiste un mondo se non in funzione dei nostri molteplici m'odi di descriverlo. Goodman radicalizza così la tesi di Gombrich secondo cui non esiste occhio innocente: «quando si pone al lavoro, l'occhio . è sempre antico, ossessionato dal propri.o passato [... ]. Non solo come, ma ciò che vede è regolato da bisogni e da presunzioni. Esso seleziona, respinge, organizza, discrimina, associa, classifica, analizza, costruisce. Non tanto rispecchia, quanto raccoglie ed elabora»4. Diversamente .da Gombrich, il filosofo di Harvard argomenta a favore del carattere convenzionale della prospettiva, a causa dell'impossibilità da parte dell'immagine di rappresentare fedelmente l'oggetto, a prescindere dalle condizioni d'osservazione. In accordo anche con le .posizioni di Quine e di Sellars, Goodman accomuna nei suoi intenti polemici il naturalismo estetico e l' empirismo logico, considerando temibili alleati i miti dell' oc~hio innocente e del dato assoluto: l'osservazione non è mai separabile dall'interpretazione, la visione non è mai una percezione neutrale, anche perché - in caso contrario - verrebbero disattivate le stesse condizioni a priori della conoscenza. Applicando la massima kantiana, si può affermare che l'occhio innocente è ci.eco e la mente v ergine v uota. La rappresentazione dunque è sempre una versione o un'interpretazione dell'oggetto, una rappresentazione-come piuttosto che una rappresentazione-di; lungi dal rispecchiarne una presunta configurazione data, il quadro concorre a produrre ciò che viene ritratto in virtù dei propri criteri di organizzazione, dei sistemi simbolici di rappresentazione, delle proprie etichette pittoriche. La rappresentazione denota avvalendosi di simboli ma non rispecchia alcunché. La peculiarità che contraddistingue l'equiparazione tra arte e scienza compiuta da Goodman risiede proprio nel considerare dubbia e di-

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    N. Goodman, Vedere e costuire il mondo, Laterza, Bari 1988, pp. VIII- DC. • Id., I lingitaggi dell'arte, Il Saggiatore, Milano, 1976, pp. 12-3. 3

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    spoti~a, se no~ a~surda, la di~~tomia tra emotivo e cognitivo. Vi è innanz!tutt_o u~ ev1~enza e?1p1nca che confuta l'idea che l'esperienza estetica sia un orgia emozionale: spesso l'opera suscita emozioni negative, come nel, cas~ _della tr~ge?ia o di un prodotto dell'art brut, oppure ge?era. tutt al p_m emoz10m fredde, come nel caso di una tela geometnca d1 Mondnan o di un quartetto di Webern. A lungo ha regnato incontrastata una sorta di teoria del flogisto estetico con allusione a secrezio~i en~ocrine di emozioni: «da una parte mettiamo se~sazione, ' percezione, 1nferenza, congettura, ogni ricerca e investigazione inerte, fatto e verità; dall'altra parte, piacere, pena, interesse, soddisfazione, disappunto, ogni risposta affettiva senza la partecipazione del cervello, apprezzamento e disgusto»5• La tesi principale di Goodman è così formulata: nell'esperienza estetica le emozioni funzionano cognitivamente; l'emozione rimane la modalità specifica della percezione dell'opera d'arte ed è lo strumento che ci permette di individuare le proprietà espresse dal prodotto este- . tico. Non si tratta dunque di un approccio razionalista all'arte, ma di un'appropriazione attiva delle sensazioni, di una loro elaborazione cognitiva: nei termini in cui Deleuze individua una linea Cézanne-Bacon, si può parlare, anche a livello di metalinguaggio teorico, di logica della sensazione. «L'esperienza estetica non è privata delle emozioni chiarisce Goodman -, è la comprensione ad esserne dotata[.°.. ]. L'uso . cognitivo implica che esse siano.discriminate e correlate per misurare e afferrare l'opera e integrarla con il complesso delle nostre esperienze e con il mondo»6 • Percezione e concettualizzazione interagiscono tanto nell'arte quanto nella scienza, la quale si avvale indubbiamente di sentimenti e di predilezioni estetiche nel proporre problemi suggestivi e nell'avanzare congetture ·azzardate quanto promettenti. Possiamo dunque evidenziare nell'.opera di Goodman almeno due assunzioni compatibili con la nostra prospettiva: in primo luogo, l'istanza ermeneutica di integrare il contenuto dell'opera d'arte nel com1 Jbid., p. 208. Nell'a~bito ?~Ila teoria s?ci? logica dell'azione? Jon Elster è giu~~o ~ conclusioni analoghe: «La raz10nalita e le cmoz10m sono spesso considerate come enrna diametralmente opposte. "Razionale" e "~m