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Italian Pages 280 [267] Year 2013
egi tto dai faraoni agli arabi atti del convegno egitto: amministrazione, economia, società, cultura dai faraoni agli arabi égypte: administration, économie, société, culture des pharaons aux arabes milano, università degli studi, 7-9 gennaio 2013
a cu r a di s i lv i a bu s s i «stud i e l l e n istici» · sup p l e me n ti · i.
PISA · RO MA FABRIZIO SERRA EDITORE MMXI I I
« ST UD I E L LE N I S T I CI » · S UPPLE M E N T I Fondati e diretti da Biagio Virgilio * i.
Titos Flavios Demetrios (Ipswick Museum).
eg it t o d a i fa ra oni agl i ar abi atti del convegno egitto: amministrazione, economia, società, cultura dai faraoni agli arabi égypte: administration, économie, société, culture des pharaons aux arabes milano, università degli studi, 7-9 gennaio 2013
a c ura di sil via b u ssi
PIS A · ROMA FABRIZ IO SERRA E DITO RE MMXIII
Pubblicato con il contributo prin 2009 e del Dipartimento di Studi letterari, filologici e linguistici dell'Università degli Studi di Milano. * Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresi la copia fotostatica, il microfilm, la memorizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta della Fabrizio Serra editore, Pisa · Roma. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge. * Proprietà riservata · All rights reserved © Copyright 2013 by Fabrizio Serra editore, Pisa · Roma. Fabrizio Serra editore incorporates the Imprints Accademia editoriale, Edizioni dell’Ateneo, Fabrizio Serra editore, Giardini editori e stampatori in Pisa, Gruppo editoriale internazionale and Istituti editoriali e poligrafici internazionali. www.libraweb.net Uffici di Pisa: Via Santa Bibbiana 28, I 56127 Pisa tel. +39 050542332, fax +39 050574888, [email protected] Uffici di Roma: Via Carlo Emanuele I 48, I 00185 Roma tel. +39 0670493456, fax +39 0670476605, [email protected]
* isbn 978-88-6227-640-5 (brossura) isbn 978-88-6227-641-2 (rilegato) isbn 978-88-6227-642-9 (elettronico)
SOMMARIO Silvia Bussi, Premessa
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Patrizia Piacentini, Introduzione alla giornata dedicata all’Egitto faraonico e copto Silvia Bussi, Introduzione alle giornate ellenistica, romana e tardoantica Edda Bresciani, Presentazione Pascal Vernus, L’acte fondamental du pouvoir dans l’Égypte pharaonique : l’‘ordre royal’ (oudj-nesou) Patrizia Piacentini, Beginning, Continuity and Transformations of the Egyptian Administration in the iiith Millennium bc : the Scribal Titles Stephen Quirke, Fragment Epistemology ? Profiling the Society and Economy of Late Middle Kingdom Lahun Christian Orsenigo, « Venite a me, voi che desiderate vedere Amon ! » : Amenhotep figlio di Hapu negli Archivi di Egittologia dell’Università degli Studi di Milano Willy Clarysse, The Use of Demotic in the Ptolemaic Administration Anne-Emanuelle Veïsse, L’expression de l’identité dans les pétitions d’époque ptolémaïque. Étude préliminaire Katelijn Vandorpe, A Happiness Index for Antiquity ? Hellenistic Egypt as a Case-Study Gilles Gorre, Sylvie Honigman, Kings, Taxes and High Priests : Compar ing the Ptolemaic and Seleukid Policies Silvia Bussi, Fiscalità e templi nell’Egitto tolemaico Chatarine Lorber, The Grand Mutation : Ptolemaic Bronze Currency in the Second Century b.c. Bernard Legras, Autour du papyrus dit de Cléopâtre : les prostagmata lagides et les interactions romano-égyptiennes Luigi Gallo, Aspetti demografici dell’Egitto greco-romano Barbara Anagnostou-Canas, Les prêtres de Bacchias face à l’administration romaine Kai Ruffing, The Trade with India and the Problem of Agency in the Economy of the Roman Empire Maria Federica Petraccia, Il ruolo dell’esercito in occasione dello scisma donatista e il trattato contro i Donatisti di Optatus Milevitanus Tito Orlandi, La copticità dell’Egitto copto Marco Di Branco, Alla conquista del passato : la storia dell’antico Egitto vista dagli Arabi Daniele Foraboschi, Conclusioni
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Recapiti dei collaboratori del volume
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PREMESSA Silvia Bussi
I
l convegno Egitto : amministrazione, economia, società, cultura dai Faraoni agli Arabi, tenutosi a Milano, presso l’Università degli Studi, dal 7 al 9 gennaio 2013, nasce come momento di esposizione, confronto e dibattito tra studiosi di provenienze molto diversificate in merito, appunto all’Egitto, cantiere e laboratorio privilegiato per lo studio delle interazioni di lunga durata tra civiltà incontratesi e succedutesi sul medesimo territorio. Il convegno si inserisce nell’ambito del ‘progetto di interesse nazionale’ prin 2009 che ha come titolo generale : Ellenismo, mondo ellenistico-romano, eredità ellenistica : dinamiche politiche, istituzionali, amministrative e interculturali (coordinatore scientifico B. Virgilio) nel quale sono coinvolte, con proprie unità di ricerca, le Università di Milano, Pavia e Pisa. Nella sede di Milano, il programma di ricerca è incentrato sul tema : Incontro e scontro di culture nel mondo ellenistico e romano (responsabile locale già D. Foraboschi, poi S. Bussi). Inoltre, il convegno nasce da una collaborazione scientifica di lunga durata con l’Université Paris 1 - PanthéonSorbonne, in modo particolare nella persona di B. Legras (Vice-Président de Paris 1). Tale collaborazione si è tradotta anche nel Patrocinio Ufficiale che Paris 1 ha voluto prestare al convegno stesso. Va infine ricordato con gratitudine il supporto fornito all’iniziativa, sia in termini scientifici che finanziari, dal Dipartimento di Studi Letterari, Filologici e Linguistici dell’Università degli Studi di Milano, ed in particolare un ringraziamento speciale va al Direttore di detto Dipartimento, prof. Fabrizio Conca. Desidero inoltre ringraziare sentitamente per l’aiuto e la collaborazione fornitami nell’organizzazione del convegno i membri del comitato scientifico, Daniele Foraboschi, Bernard Legras e Patrizia Piacentini, alla quale va un ringraziamento molto speciale per il suo fondamentale apporto all’iniziativa, in particolar modo – ma non solo – in merito alla giornata faraonica, nonché Ulisse Morelli, mio alter ego in tutte le questioni logistiche che hanno consentito lo svolgimento dei lavori, e Sara Mastropaolo per il determinante impegno nell’editing di questi atti.
I lavori si sono svolti in tre giorni, il primo dedicato all’Egitto faraonico e copto, il secondo all’Egitto ellenistico ed il terzo all’Egitto romano e tardoantico. La linea interpretativa comune alle tre giornate di lavori è stata di cercare di individuare, attraverso l’analisi specialistica calata nelle singole fasi cronologiche della Storia dell’Egitto antico, gli aspetti amministrativi, sociali, economici e culturali, al fine di rilevarne elementi di continuità, di trasformazione, di mutamento a tratti profondo nella complessa struttura della società, mano a mano che si succedettero situazioni politiche che portarono un Egitto indipendente a divenire soggetto prima ai Persiani, poi ai Macedoni e infine ai Romani.
INTRODUZIONE ALLA GIORNATA DEDICATA ALL’EGITTO FARAONICO E COPTO Patrizia Piacentini
L
a prima giornata del convegno internazionale Egitto : amministrazione, economia, società, cultura dai Faraoni agli Arabi, il 7 gennaio 2013, ha visto susseguirsi sei relatori che hanno illustrato aspetti diversi non solo della società egiziana sull’arco di oltre quattro millenni, ma anche dell’approccio metodologico alla ricerca. Da questo prisma, è emersa una visione chiara e articolata della storia, della cultura e dell’organizzazione economico-sociale del Paese, oltre che dei problemi che lo storico deve affrontare per cercare di capire una realtà molto lontana dalla nostra ma che, sotto molti aspetti, è sottesa a quest’ultima. L’ampia Presentazione di Edda Bresciani ha sottolineato l’importanza dell’interdisciplinarità per confrontarsi, in modo sincronico e diacronico, con la storia plurimillenaria e pluriculturale dell’Egitto, dalla fase di formazione dello Stato tra la fine del iv e l’inizio del iii millennio a.C. fino agli splendori espansionistici ‘imperiali’, dalle invasioni di diverse potenze straniere alla rinascita finale del Paese, che lascerà poi forzatamente il posto ai dominatori greci, romani, arabi. In tempi e modi diversi, questi dovranno tuttavia assorbire molti aspetti dell’antica cultura egiziana, per necessità e scelta politica. L’illuminante contributo di Pascal Vernus ha posto l’accento sul ruolo effettivo e ideologico del faraone, fulcro di tutta la storia egiziana per millenni, cui gli stessi sovrani tolemaici, gli imperatori romani e giù giù fino ai moderni governanti dell’Egitto si sono ispirati. La parola performatrice del sovrano rende concreta una realtà attraverso la sua sola enunciazione, così come il demiurgo aveva creato il mondo con la sua parola o con l’emanazione di sé come tramandavano le tradizioni cosmogoniche. Precisi riferimenti individuati nei testi egiziani, dal iii al i millennio a.C., tradotti da Vernus con la sua abituale, straordinaria precisione filologica, permettono di capire come l’oudj-nesou, letteralmente ‘ordine del re’ vada ben oltre la banale traduzione di ‘decreto’, e permei di sé l’apparato ideologico egiziano. La necessità di comprendere dal profondo le caratteristiche della società egiziana che dal Faraone dipende in modo inscindibile hanno portato chi scrive a esaminarne uno spaccato significativo, formato da chi, a seconda del grado di ‘alfabetizzazione’, deteneva altresì livelli diversi di potere. Il contributo tecnico qui presentato, che vuole mostrare le continuità e le trasformazioni presenti nella struttura amministrativa e sociale del Paese già nel iii millennio a.C., è incentrato sui titoli portati dagli scribi e dai funzionari che utilizzavano la scrittura per la gestione dei templi, delle terre, delle spedizioni e dell’economia in generale, e sul ruolo di questi personaggi nella società egiziana.
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patrizia piacentini
Stephen Quirke continua, con la profondità teoretica e la grande cultura che gli sono proprie, l’analisi socio-economica prendendo come caso-studio la società e l’economia di Lahun nei primi secoli del II millennio a.C. Questo microcosmo viene contestualizzato ed esaminato attraverso una pluralità di fonti contemporanee e successive, quindi messo in rapporto con il macrocosmo egiziano, in cui gli storici moderni non devono meccanicamente riconoscere categorie proprie alle società moderne, e per definire il quale non devono utilizzare una terminologia sociale moderna (‘classe’, ‘élite’, ‘sub-élite’) che non tiene adeguatamente conto della posizione dei singoli nell’ambito dell’intero sistema di produzione e di organizzazione dello Stato faraonico. Christian Orsenigo mostra un altro approccio fruttuoso alla ricerca attraverso il caso-studio di Amenhotep figlio di Hapu. All’analisi dei documenti antichi noti che lo menzionavano o a lui erano appartenuti, dei suoi monumenti, e di tutti i riferimenti al funzionario presenti nei testi antichi, è utile affiancare l’esplorazione della documentazione moderna, testuale e fotografica, prodotta dagli archeologi nel corso del loro studio del personaggio. Attraverso di essa, è possibile ritrovare oggetti e testi andati perduti o rimasti inediti in quanto finiti in magazzini o in collezioni non accessibili : è il caso, ad esempio, di numerose stele ex-voto riprodotte in fotografie conservate nel fondo Varille degli Archivi di Egittologia dell’Università degli Studi di Milano, particolarmente significative per meglio comprendere il fenomeno della devozione di cui sarebbe stato oggetto Amenhotep figlio di Hapu fin dai decenni che seguirono la sua morte. Il contributo di Tito Orlandi ha chiuso la giornata, affrontando un’altra fase fondamentale della storia egiziana, quella della cristianizzazione di vasta parte della popolazione autoctona che andava integrando elementi della cultura greca con quelli persistenti della cultura antico-egiziana. Orlandi ha esaminato dapprima i contenuti e i confini della Coptologia : l’archeologo e lo storico dell’arte insistono sulla specificità delle chiese e dei monasteri portati alla luce o delle pitture, sculture o stoffe ‘copte’ ; lo storico esamina le vicende della Chiesa, o gli aspetti socio-culturali della ‘civiltà copta’ le cui origini possono essere fatte risalire al ii-iii secolo. Ma gli elementi più obiettivi che devono essere presi in considerazione sono la lingua, la fede cristiana e l’organizzazione ecclesiastica, che l’autore illustra nei loro tratti essenziali e caratterizzanti, in un panorama avvincente che fa ben comprendere l’importanza di una cultura che arriva fino ai giorni nostri carica di storia, dotata di una cultura autonomamente definita ma ricca di assimilazioni culturali. E sono proprio le assimilazioni e le contraddizioni, la continuità e le trasformazioni che hanno fatto e fanno tuttora la storia dell’Egitto.
Introduzione alle giornate ellenistica, romana e tardoantica Silvia Bussi
I
ncentrandosi sull’epoca greco-romana, il convegno ha fatto emergere in modo evidente il peso fondamentale che la documentazione demotica (Clarysse), soprattutto di tipo contrattualistico, è venuta ad assumere sempre più nella ricerca degli ultimi decenni, al fine di interpretare correttamente un Egitto in cui da un lato si introduce il greco come lingua che risulterà poi vincente in età romana, ma dove d’altra parte l’espressione in lingua locale continua per tutta la durata del dominio tolemaico a connotare i rapporti economici non solo tra Egiziani, ma anche tra Greci ed Egiziani. La presenza di ampio materiale documentario inedito ed attualmente in corso di studio, ha consentito di modificare nettamente la visione ‘ellenocentrata’ di molta storiografia passata di orientamento classicista. Tema estremamente attuale nella riflessione soprattutto anglo-francese degli ultimi decenni sul mondo ellenistico, il concetto di identità e la ricerca della sua rappresentazione nei documenti è stato affrontato, in particolare prendendo ad esempio le petizioni, ampiamente documentate dai papiri (Veïsse). Nucleo di importanza centrale dell’identità egiziana sono i templi di culti e sacerdozi locali. Essi sono stati oggetto di analisi in due relazioni (Honigman-Gorre e Bussi), in quanto centri amministrativi e fiscali nei quali si può osservare come il rapporto di collaborazione tra clero egiziano e Corona lagide si articola anche in una indubbia progressiva soggezione fiscale dei templi, non più comparto dell’amministrazione statale, ma centri economici produttivi e produttori di tasse, cui si confermano privilegi preesistenti, ma che si sottopongono chiaramente alla burocrazia tolemaica. Il confronto tra il ruolo politico degli alti sacerdozi in Egitto e nel regno seleucidico, con particolare attenzione al sommo sacerdozio ebraico, ha aperto molto stimolanti spunti di comparazione tra Tolemei e Seleucidi nel modo di rapportarsi con sacerdozi di natura ben diversa dalla tradizione della religione greca. Tra i molteplici problemi inerenti lo studio dell’economia tolemaica non è mancato un approfondimento numismatico, in particolare incentrato sugli elementi di discontinuità della monetazione bronzea durante il secolo-cardine del regno lagide, ovvero il ii a.C. (Lorber). All’approfondimento della società egiziana tolemaica si è affiancato progressivamente un avvicinamento ai Romani, tramite contatti sempre più frequenti, marcati anche da momenti drammatici sul piano politico per l’Egitto (penso al famoso episodio del cerchio di Popilio), soprattutto a partire dal ii secolo a.C. e fino
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silvia bussi
al regno di Cleopatra, che proprio a Cesare deve il suo regno e per mano di Ottaviano lo perde definitivamente, determinando la caduta dei Tolemei (Legras). Un tentativo di bilancio sulla qualità della vita nell’Egitto lagide, applicando categorie sociologiche moderne, ha infine portato ad una valutazione nettamente positiva della condizione di benessere esistenziale degli Egiziani durante i tre secoli del dominio tolemaico (Vandorpe). Le relazioni sull’età romana hanno affrontato tematiche ad ampio spettro, dall’organizzazione dei fondamentali commerci di lunga tratta con l’India (Ruffing), che si costruiscono nella forma di reti complesse di agenti, ad una lucida messa a punto della problematica storiografica avente per oggetto la conduzione della terra, base dell’economia antica, a partire da Rostovtzeff e fino alle più recenti linee di ricerca (Criscuolo, che purtroppo impegni accademici sempre più gravosi hanno costretto a rinunciare alla pubblicazione del testo negli atti), fino ad una analisi papirologica e filologica puntuale atta a riaprire il dibattito sulla regolamentazione della mobilità delle persone e delle merci da e verso l’Egitto (Geraci, che per le medesime ragioni ha dovuto rinunciare alla pubblicazione del testo). Nella problematica connessa ad una interpretazione demografica dell’Egitto greco-romano è entrata una relazione (Gallo) che, prendendo le mosse tanto dalle fonti antiche che dalla storiografia moderna, ha chiaramente mostrato come tale terreno di ricerca, alle volte considerato frustrante, date le difficoltà oggettive che lo storico antico incontra a causa della mancanza di dati numerici certi, sia in realtà molto fertile, e soprattutto importante per valutare aspetti economici e sociali del mondo antico. Ancora sul tema dei sacerdoti egiziani, questa volta nel periodo romano, è tornata un’altra relazione (Anagnostou-Canas), che si è incentrata su una lettura di taglio giuridico di un ampio archivio di papiri provenienti da Backias, nel Fayoum. Infine, sulla religione cristiana, ed in particolare sul Donatismo, nonché sulla sua diffusione nelle province africane, si è concentrata la penultima relazione (Petraccia), cui è seguita una relazione (Di Branco) che ha analizzato la persistenza nella tradizione araba medievale di un patrimonio culturale ellenistico proprio dell’Egitto, conquistato e valorizzato sommamente da Alessandro Magno. Dunque, un approccio assai ampio sul piano cronologico e documentario ha marcato i lavori di questo convegno, contraddistinto anche da un vivace dibattito e che ritengo abbia contribuito ad una messa a punto stimolante delle problematiche di ricerca inerenti i temi trattati. Qui mi fermo, per lasciare la parola ai relatori.
PRESENTAZIONE edda bresciani
M
i trovo a presentare questo convegno invitata dal comitato organizzatore che ringrazio per la lusinghiera intenzione ; in particolare ringrazio il collega Daniele Foraboschi. Il Prof. Foraboschi rappresenta per me, oggi, il legame con l’Università di Milano e col ricordo di Ignazio Cazzaniga ; infatti per dieci anni dal 1966 ho diretto per l’Università di Milano, Istituto di Papirologia, gli scavi in Egitto, nel Fayum precisamente a Medinet Madi, chiamata dall’insigne grecista Ignazio Cazzaniga a riprendere e continuare l’esplorazione fortunata condotta da Achille Vogliano negli anni Trenta. Ma successivamente, a causa della guerra Egitto-Israele, dal Fayum ebbi a trasferire le indagini altrove, prima che la concessione di scavo di Medinet Madi passasse nel 1978 da Milano all’Università di Pisa. Lavorai dunque a Gurna ed anche ad Assuan, qui per documentare e pubblicare il tempio costruito da Tolomeo III per Iside ‘alla testa dell’esercito’, e qui ebbi a compagni anche (i giovanissimi allora…) Tito Orlandi e Daniele Foraboschi il quale decifrò e pubblicò le iscrizioni greche scoperte ad Assuan, una delle quali confermava in greco il titolo in geroglifico della dea. Chiedo scusa per questo soffermarmi su remote memorie del mio passato milanese, ma si sa che legare il presente al passato è una caratteristica dell’età avanzata. O forse anche degli storici… Eccomi dunque a introdurre queste giornate di un congresso internazionale, che già nel titolo mostra quale sia il tema e quali siano gli argomenti in esposizione, cioè una discussione storiografica diacronica, che impone uno scambio di conoscenze e di esperienze. In definitiva la visione prospettica e storica di molti secoli per l’Egitto, prospettiva alla quale i partecipanti collaborano ognuno validamente per il suo settore disciplinare. Infatti si tratta di un convegno davvero impegnativo, per il quale va usato un termine che può sembrare inflazionato, ma che in questo caso è perfettamente congruo : interdisciplinare. è infatti incentrato su temi destinati a produrre una visione unitaria che durante le giornate di lavoro sarà messa a fuoco : l’amministrazione, l’economia, la società e la cultura in Egitto, dai faraoni agli arabi ! Si tratta di millenni ! ! Preliminare mi sembra, mi è sembrata, la domanda : quanto e come l’Egitto ha potuto o saputo conservare della sua identità, dell’Egitto di Cheope, dei Sesostri e dei Ramesse, quanto ne è riconoscibile nell’Egitto dei Saiti, degli Achemenidi, dei Tolomei e dei Romani, nell’Egitto cristiano, copto e islamico ? I colleghi specialisti delle varie discipline che essi rappresentano in questo convegno risponderanno che tutte le discipline collaborano : l’egittologia, la storia anche in un’analisi incrociata tra Tolomei e Seleucidi, il diritto antico, la sociologia e la demografia, lo studio della fiscalità e delle dogane, dell’uso e dei regimi della
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terra e degli interventi di stato, e poi la filologia, la papirologia, la numismatica così ricca di ogni tipo d’informazioni, l’archeologia (e questa disciplina non sembri periferica rispetto ai temi del convegno), la coptologia, il diritto islamico, e la storia dell’Islam riferita al ricordo (e forse all’utilizzo) della più antica storia dell’Egitto. Bisogna riconoscere che questo convegno conferma, se mai ce ne fosse bisogno, l’opportunità, anzi la necessità, nelle nostre discipline, di confrontarsi in continuazione, di ricercare rapporti in ogni direzione e su basi temporali e geografiche estesissime. E questo vale in modo tutto speciale per l’Egitto dell’età tarda, nell’età ellenistica e romana quando si sviluppano quei grandi fenomeni politicoculturali che ebbero in Alessandria il centro produttore e propulsore ma non soltanto, poiché costatiamo sempre di più che l’orizzonte storico deve allargarsi alle regioni decentrate ed anche in aree lontanissime come l’India. Grazie alle tracce degli abstracts posso sottolineare che le varie discipline presenti hanno avuto successo nel formare quel quadro aggiornato che si ricercava. Esiste per l’Egitto il fenomeno del bilinguismo che riguarda tendenzialmente anche l’Egitto faraonico (Vicino Oriente, testi cuneiformi di Amarna, rapporti con i popoli ittiti), ma ovviamente si concretizza soprattutto dal vi secolo in poi, e nell’età tolemaica e romana, e che porterà alla creazione del copto. Bilinguismo non solo linguistico, ma culturale, ma artistico che rende affascinante l’Egitto tardo e tardissimo. Ma cominciamo dal tema dell’amministrazione. Lo stato egiziano fino alla formazione dell’impero nasce e si forma con meccanismi che influenzano la nascita dello stato sulla base del potere del faraone, un potere cioè legittimato dalla divinità, di un sovrano, che ne è depositario in ogni settore dell’amministrazione, politica, militare, sociale, economica del paese ; in questo senso si è potuto parlare di ideologia di stato e dei faraoni stessi, una ideologia elaborata dagli stessi faraoni ma anche della parte intellettuale della loro corte, visir, il sacerdozio, cortigiani di palazzo ; tale ideologia si concretizza in una struttura a piramide che, nata all’inizio della storia egiziana, ne resta una caratteristica anche nel seguito, come struttura organizzativa statale personificata dal faraone, accentratore « divino e demiurgico » necessariamente autoritario (ma che presso alcuni faraoni, ad esempio i re del Medio Regno e un sovrano come Ramesse II, si caratterizza diciamo come buon governo paternalistico) che sta alla base del funzionamento di tutta l’amministrazione dello Stato egiziano e del governo del paese, compresa la legge e la sua applicazione. Nel iii millennio si stabilizza la struttura amministrativa controllata in modo saldo dal sovrano, nelle varie branche dello stato : tempio, esercito, giustizia, anche la cultura. La durata eccezionale di uno stato come quello faraonico è certo dovuta in massima parte alla estrema centralizzazione, ordinata secondo Maat, una complessità non però rigidità, in quanto accetta trasformazioni e adattamenti nel corso delle dinastie ; i periodi di crisi dell’Egitto antico sono periodi di dissoluzione e sfrangiamento della centralizzazione. Ma stupisce come i vulnera di questi periodi si sappiano recuperare subito nella ripresa politica del paese.
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Non finiamo di meravigliarci della modernità di certa organizzazione dello stato, capillarmente imposta anche nei domini fuor del paese, in Asia e in Africa, evidente in modo specifico nel Medio Regno, e in modo ancora più elastico nel multiforme Nuovo Regno. è vero che durante il Nuovo Regno la burocrazia si è fatta sopraffacente, allargata e pletorica, ha dovuto far fronte a nuove condizioni della società, a un bisogno particolare di scambio di concetti e di idee, in una nuova società cosmopolita aperta verso l’esterno ; un mondo nuovo, questo del Nuovo Regno, in tutti i campi, che si presenta, forse solo in apparenza, con toni di ricchezza, di benessere e di noncuranza. E anche qui, l’archeologia coi nuovi dati da raccogliere e interpretare fornisce di che argomentare. Una crisi economica e sociale, irreversibile, appare alla fine della xx dinastia quando l’unità del regno delle Due Terre si sfascia, e prevale inerzia, disorganizzazione, il potere politico in mano a militari d’origine straniera ; e l’unità è ricostituita verso metà dell’viii secolo, addirittura dalla dinastia etiopica di Napata, a costo dell’affidamento del potere al sacerdozio di Tebe. Nuova dissoluzione dell’unità egiziana questa volta da Est, con l’invasione assira. Poi la ripresa di una nuova dinastia nazionale, la xxvi, con potere accentrato, e con quel pericoloso potere del sacerdozio di Tebe sotto controllo. Ed ecco con la dinastia saitica la grande novità economico sociale ma anche militare ma anche culturale : quei contatti con i greci – ai quali vien concessa in Egitto la base commerciale di Naucrati – grazie ai quali gli egiziani sono affrancati nel Mediterraneo dalla necessità di mediazione dei Fenici. Sono aperti anche tanti argomenti circa l’Egitto saitico nei suoi rapporti col mondo greco : per esempio, si vorrebbe conoscere l’estensione della lingua greca diffusa da quelle scuole per interpreti volute da Psammetico I, che forma assumesse in tempi così precoci il bilinguismo greco-egiziano collegato con la classe degli ‘interpreti’, che ancora Erodoto ha conosciuto in Egitto a metà del v secolo. Nel 525 l’Egitto conquistato da Cambise era divenuto, col nome di Mudraya e collegato con Cipro e la Fenicia, la numero sei delle venti satrapie dell’impero persiano, o achemenide. Il conquistatore Cambise tentò di riformare i rapporti stato tempio con un decreto che limitava le concessioni regie ai templi ; il successore Dario abrogò il decreto di Cambise e impose un intervento che molto riguarda l’amministrazione della provincia egiziana dell’impero, fare infatti trascrivere su papiro in versione demotica (lingua egiziana) e aramaica (la lingua ufficiale di tutto l’impero achemenide) quindi assicurando una base legittima e controllabile all’amministrazione del paese da parte degli amministratori persiani ; l’intervento, lo sappiamo, riguardava le tre leggi, la legge dei templi, la legge del faraone, la legge del popolo o diritto privato… Sempre in epoca persiana, si ebbe anche altro forte intervento di stato, l’apertura di una via navigabile dal Nilo al Mar Rosso (da Bubasti attraverso lo Uadi Tumilat al lago Timsah ai laghi Amari ; sappiamo che nella xix dinastia un canale dovette essere scavato nella zona per portare acqua alle città nuove dello Uadi Tumilat), i testi delle stele sul canale di Dario testimoniano che la navigazione marittima permetteva ai battelli carichi di tributi di andare velocemente dall’Egitto alla
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Persia, toccando la Sabea. Il canale di Dario I insabbiatosi, fu scavato di nuovo da Tolomeo II e più tardi fu riadattato da Traiano (amnis Traianus). I sovrani achemenidi ebbero grande interesse al traffico marittimo anche nel Mediterraneo, affidato a navi di Ioni e Cari per il quale alle notizie ormai classiche, si è potuto aggiungere non molti anni fa il registro in aramaico dei « Conti della dogana » ; un papiro palinsesto che porta scritta la versione aramaica della « Saggezza di Ahiqar l’assiro » ; il testo registra su molte colonne la contabilità del commercio marittimo sotto controllo di stato nell’anno 11° di Serse, il 475 a.C. quando arrivarono in Egitto 42 battelli, registra anche i totali delle tasse riscosse (tra il 20 e il 4 per cento, sembra) per ogni battello e versato al tesoro reale. I capitani erano ioni ; il carico importato comprendeva oro, argento, vino ionico, olio, legno, vasellame, e altri battelli fenici portavano vino sidonio e legno di cedro, stagno etc. Dopo una sosta di alcuni giorni, i battelli esportavano dall’Egitto altro materiale, fra cui soprattutto il natron, necessario per la fabbricazione del vetro in cui i fenici erano maestri. L’amministrazione persiana utilizzava sull’intero territorio un grande numero di funzionari e di militari, di nazionalità diverse che rispecchiavano la varietà delle province dell’Impero achemenide, Persiani, Medi, Babilonesi, Chorasmi, Giudei, Aramei, Fenici, Siriani, Ioni, Cari, ma anche Egiziani dal momento che la struttura amministrativa generale del paese non era cambiata, anche se i posti di comando erano dati a persiani ; il problema degli indigeni nell’ambito satrapiale resta uno dei problemi aperti nei dettagli per quest’epoca della storia della valle del Nilo. Nella seguente epoca tolemaica, specialmente Tolomeo II (Diodoro, i, 33.9) fu molto interessato e ai commerci con l’Oriente e anche ai rapporti con l’India cf. la Stele Tolomeo II ritrovata a Tell Maskhuta-Pithom, città di commercio e bastione militare, dove era stata dedicata nel locale tempio di Atum ; il testo riferisce di battelli che dal lago Kem-Ur, cioè Timsah, andavano verso sud. I Tolomei hanno le loro radici nell’Egitto achemenide, i romani nell’Egitto tolemaico. Lo studio di questa lunga stagione della storia dell’Egitto è uno dei più fertili della storia dell’Ellenismo, come provano le importanti comunicazioni proprio in questo convegno, che porta novità e nuovi punti di vista su problematiche come l’economia , la monetazione, il regime delle terre, i commerci. Anche l’archeologia fornisce continuamente nuovi dati per l’epoca dei tolomei e l’epoca romana in area soprattutto alessandrina ma non soltanto (penso a quanto di nuovo per l’epoca macedone in Egitto è giunto dagli scavi recenti nell’isola di Nelson, quanti dati dal Sinai per il sistema difensivo di fortezze, e poi i dati eccezionali forniti dal Mons Claudianus nel deserto orientale, di cui sappiamo grazie soprattutto a migliaia di ostraka, quasi tutto sulla vita dei militari istallati per l’estrazione e trasporto della pietra nei primi secoli della nostra era , ma anche dal Fayum, lasciate che menzioni per esempio le nuove iscrizioni greche dedicatorie di statue e del dromos a Medinet Madi e il nuovo castrum Narmoutheos sede della Cohors Quarta Numidarum, ritrovato e pubblicato dalla missione pisana). L’amministrazione romana in Egitto s’appoggia su un sistema sperimentato che prevede il prefetto di Alessandria e d’Egitto come il rappresentante dell’impe
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ratore, anche nelle cerimonie religiose, come il sommo sacerdote rappresentava a suo tempo il faraone. Egli inoltre nomina gli strateghi. Come il faraone (e il visir faraonico) promulgava le ordinanze, era il giudice, era il capo dell’esercito. Anche in epoca romana, anzi in modo accentuato, era di grande importanza economica il commercio con e dall’India, passasse o no attraverso il leggendario porto di Muziris ; ma ormai abbiamo la massa di informazioni dal porto tolemaico e romano (iii a.C.-vi d.C.) di Berenice sulla costa egiziana del Mar Rosso. Prova dell’interazione indispensabile tra storia e archeologia. Da Berenice passava il commercio tra Egitto e Roma, il Mar Rosso e l’Oceano indiano, dal Malabar. Ma c’erano anche altri porti sul Mar Rosso, come Myos Hormos. Le merci (si pensi ai chilogrammi di pepe nero dall’India meridionale trovati a Berenice, e quanto legno tek vi sia stato ritrovato e gli oggetti indiani, e le stoffe e le iscrizioni tamil lasciate da gente buddista) le merci, dicevo, scaricate nel porto egiziano venivano trasportate su cammello nel deserto fino a Copto e via canali e Nilo diretti al Mediterraneo. Mi riferisco ovviamente anche a quanto abbiamo potuto apprendere dal P. Vindob g 40822 databile alla metà del ii secolo. Ma la stessa strada era usata per trasportare merce verso l’Oceano indiano, avendo imparato anche a superare i problemi della navigazione causati dai venti monsonici. Ho cercato di farmi un quadro generale entro cui le ricerche storiche sull’Egitto durante quattro millenni, coi faraoni e dopo i faraoni ma non senza i faraoni, si sono sviluppate, si sviluppano, e ci auguriamo si svilupperanno negli anni avvenire ; tenendo conto che certi fattori come l’ambiente geografico, la popolazione e la base economica restano relativamente costanti ; ma mutano le istituzioni amministrative che sono collegate ai regimi politici, alle condizioni dell’economia del commercio del mercato, soprattutto in epoca romana. Mi sembra anche di poter dire che gli ultimi millenni della storia egiziana nei suoi vari aspetti, economici, contatti esterni, società e cultura, abbiano in comune l’allargamento degli orizzonti, l’entrare in gioco di forze esterne, l’ingresso di commerci sempre più remoti, mentre l’Africa interna, così importante nei primo formarsi dello stato e della società e dell’economia in epoca faraonica, sia più in ombra nell’età tolemaica e romana, eccetto per la costa, per il Sudan e per Meroe che hanno rapporti stretti di tipo anche culturale e artistico con Alessandria. E la lunga e problematica epoca, convenzionalmente nota come copta, che mostra il paese navigare in equilibrio nella cristianità, pur coi suoi scismi e diatribe confessionali, conservando una consistenza di economia nei monasteri, e un arroccarsi culturale nell’Egitto precedente nei testi magici, di medicina, nella produzione artigianale e artistica e nella lingua egiziana, sopravvissuta grazie alla trasformazione nelle maglie del greco, accaparrata e fatta sopravvivere dal cristianesimo. E poi, la conquista dell’Islam, e poi tutto quello che nell’Islam è sopravvissuto della cultura precedente. Aspetto con grande interesse di sapere dall’esperto presente al congresso, di quanto della storia dell’Egitto si ritrovi negli scrittori arabi, e particolarmente presso i grandi storici come el Masudi, el Idrisi, el Makrizi ;
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alcuni scrittori arabi medievali non egiziani hanno mostrato interesse per le antichità faraoniche viaggiando in Egitto e le hanno descritte ; e ricordo come alcuni abbiano documentato e copiato caratteri geroglifici, mostrando di ricordarne la natura fonetica, come ha fatto Ibn Washiyya (ix-x secolo) (la cui opera era conosciuta da Athanasius Kircher ed è stata tradotta in inglese e pubblicata in Inghilterra, nel 1808 con il titolo di Ancient Alphabets And Hieroglyphic Characters Explained : With An Account Of The Egyptian Pries ; lo ha conosciuto lo Champollion ? Certo lo conosceva il De Sacy….) ; conosco il nome di al-Aqalim-al-Saba, di Abd al-Latif al-Baghdadi (1162-1231) e di Abu al-Qasim al-Iraqi, alchimista e studioso del xiv secolo il quale ha dato lista di geroglifici con la trascrizione fonetica e ha addirittura saputo copiare e riprodurre con fantasia amorevole i geroglifici e i cartigli di una stele di Amemenhat II, Nub-kau-Ra, una immagine che per me è indimenticabile, un simbolo della perpetuità che viene illustrata da questo convegno e che è rappresentata così singolarmente proprio nella continuazione dell’umanesimo islamico. Può sembrare stupefacente tale sopravvivenza, ma in fondo no, non deve meravigliarci. L’Egitto, lo sappiamo tutti : è eterno.
L’ACTE FONDAMENTAL DU POUVOIR DANS L’éGYPTE PHARAONIQUE : L’‘ORDRE ROYAL’ (oudj-nesou)
Pascal Vernus
D
ans notre monde contemporain, ‘pharaon’, à côté de sons sens originel, est quelquefois utilisé, non sans goguenardise, pour qualifier celui qui en quelque domaine, détient un pouvoir quasi illimité. à observer le fonctionnement de la société de l’Égypte ancienne, on ne jugera pas imméritée cette extension métaphorique. En témoigne l’acte fondamental du pouvoir exécutif, appelé en égyptien oudj-nesou, littéralement ‘commandement/ ordre du roi’. Le terme est souvent traduit ‘décret royal’, ‘royal decree’, ‘königliches Dekret/Erlass’, dans la tradition égyptologique, traductions à la rigueur acceptables si on a bien conscience qu’elles sont tout à fait conventionnelles. 1 Car il faut se garder soigneusement de transposer dans l’acte égyptien ce qu’implique la notion de ‘décret’ dans la terminologie juridique moderne, comme l’ont fait, hélas, bien des historiens du droit. Beaucoup, en effet, ont voulu interpréter l’oudj-nesou comme une disposition de droit particulière s’opposant aux dispositions de portée générale que sont les lois (hepou). Pour ne prendre qu’un exemple, J. Pirenne 2 donnait à oudj-nesou la valeur d’arrêtés administratifs ou à caractère exécutif. Or, la réalité est tout autre. En effet, ce que recouvre l’égyptien oudj-nesou dépasse très largement ce que recouvre ‘décret’ dans notre droit. Pour bien s’en convaincre, voici trois cas d’énoncés provenant du pharaon et qualifiés de oudj : Est appelé oudj-nesou une simple lettre du pharaon Izézi (ve Dynastie, environ 2377-2350 av. J-C.) pour exprimer sa gratitude à un courtisan qui avait su déployer à son intention des flagorneries particulièrement bien tournées :
[1]. Ordre royal au (...) directeur des scribes des actes Rêshepses. Ma Majesté a vu cette très belle lettre-ci que tu m’as fait apporter dans le palais en ce beau jour-ci où on réjouit le coeur de Izézi, vraiment, vraiment, avec ce qu’il aime, vraiment, vraiment. Ma Majesté a aimé voir cette tienne lettre-ci plus que tout. Tu es assurément connaisseur de ce qu’aime Ma Majesté plus que tout. Ton dire m’est plaisant plus que tout. Ma majesté sait que tu aimes dire tout ce qu’aime Ma Majesté. O Rêshepses, je dis à ton bénéfice un million de fois : ‘Celui qu’aime son maître ; agréable à son maître ; gardien de secret de son maître !’
1 B. Gunn, The Stela of Apries at Mitrahina, « asae », 27 (1927), p. 234 ; H. G. Fischer, The Orientation of Hieroglyphs Part 1. Reversals (« Egyptian Studies », ii), New York, 1977, p. 59 ; H. M. Hays, wd : The Context of Command in the Old Kingdom, « gm », 176 (2000), pp. 63-76. 2 J. Pirenne, selon A. Théodoridès, à propos de la loi dans l’Égypte pharaonique, « rida », 14 (1967), p. 120.
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Si je me suis rendu compte que Rê m’aime, c’est parce qu’il t’a donné à moi. Aussi vrai que vit Izézi éternellement, voudrais-tu exprimer ton voeu quel qu’il soit à Ma Majesté dans une lettre de toi, immédiatement en ce jour-ci afin que Ma Majesté le fasse réaliser immédiatement ?”.
Est appelé oudj-nesou un ordre par lequel Toutankhamon charge un haut fonctionnaire de lever une taxe sur tout le pays pour assurer l’offrande-divine, c’est-à-dire l’approvisionnement en biens et denrées requis par les pratiques cultuelles :
[2]. En ce jour, commandement de Sa Majesté, chargeant le flabellifère à la droite du roi, le scribe royal, le directeur de la Maison-Blanche 3 Maya de lever une taxe sur le pays tout entier et d’établir l’offrande-divine de toutes les divinités depuis Éléphantine jusqu’à Smabehedet. 4
Est appelé oudj (‘ordre’) le récit que le pharaon Piânkhi (xxv e dynastie, 747-716 avant J.-C.) est censé faire de ses campagnes militaires devant ses fidèles :
[3]. Ordre qu’énonce Ma Majesté : Prêtez l’oreille à quelque chose de ce que j’ai fait (en allant) au-delà des devanciers. 5
Voilà donc trois exemples illustrant la large étendue de ce qui est du domaine de l’‘ordre royal’. Il désigne une lettre de remerciement destinée à un particulier, et dont le contenu proprement normatif est ténu, c’est le moins qu’on puisse dire, puisqu’il se réduit à l’invitation à exprimer un souhait de récompense [1]. En revanche, portée générale et teneur normative et exécutive évidente, quand l’‘ordre royal’ désigne un acte instituant une imposition sur tout le pays et dont le produit est affecté à tous les temples [2]. Portée générale, visée normative, mais incidence exécutive restreinte quand l’‘ordre’ catégorise un récit par lequel le pharaon donne l’interprétation doctrinale des événements politiques qui ont agité l’Égypte [3]. On est bien loin de l’acception technique du terme ‘décret’ dans notre droit ! On peut penser à ‘rescrit royal’, ‘édit royal’, ‘ordonnance royale’, mais ces termes véhiculent des connotations anachroniques. Le plus simple est de s’en tenir à ‘commandement royal’ ou ‘ordre royal’.
Fondement idéologique de l’‘ordre royal’
Pour comprendre la vraie nature de l’‘ordre royal’, il faut en définir les fondements idéologiques. La capacité de donner un ordre (oudj), c’est-à-dire de faire advenir une réalité par sa seule énonciation grâce à une parole douée d’une vertu créatrice (Hou), 3 Département gérant les biens de consommation. Ville la plus septentrionale à l’époque, dans le nord-est du Delta en bordure du littoral d’alors (dif4 ������������������������������������������������������������������������������������������������������� férent du littoral actuel) ; correspondant au site actuel de Tell el-Balamoun. 5 A. El Hawary, Wortschöpfung Die Memphitische Theologie und die Siegesstele des Pije -zwei Zeugen kultureller Repräsentation in der 25. Dynastie (« Orbis Biblicus et Orientalis », 243), Fribourg & Göttingen, 2010, p. 217 ; J. Assmann, Die Piye (Pianchi)Stele : Erzählung als Medium politischer Repräsentation, dans H. Roeder (éd.), Die Erzählen in frühen Hochkulturen i . Der Fall Ägypten (« Ägyptologie und Kulturwissenschaft », 1), Munich, 2009, p. 236.
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donc, performativement pour reprendre une notion de la philosophie analytique qui a fait florès, est le propre du démiurge qui l’utilisée pour créer le monde :
[4]. Le ciel, les deux pays, le monde souterrain sont établis grâce à tes ordres. 6
Il ne suffit pas créer le monde, encore faut-il le maintenir en bon fonctionnement dans la durée qui lui est impartie, puisque l’eschatologie prévoit que l’‘éternité’ double – linéaire et cyclique – qui le constitue aura paradoxalement une fin. 7 En attendant, notre démiurge a du temps devant lui, et ce temps n’est rien de moins que l’histoire, 8 c’est-à-dire, selon la doctrine, une succession d’événements produits par ses ordres :
[5]. Ce qui se produit c’est ce qu’ordonne (oudj) le dieu. 9
Cela dit, un changement s’est opéré depuis les premiers temps du monde. Alors, le démiurge solaire régnait directement sur terre. Mais, selon un mythe, 10 il finit par se lasser d’avoir à mater sans cesse une humanité trop indocile. Il décida de monter aux cieux pour superviser de plus haut la bonne marche de la création, et de n’exercer désormais qu’indirectement son gouvernement d’ici-bas. Pour l’assurer à sa place, il créa la fonction de pharaon, confiée à un être humain après que quelques dieux et demi-dieux eurent assuré la transition. 11
[6]. S’il (= le démiurge) m’a (moi le pharaon) mis au monde, c’est pour faire ce qui doit être fait pour lui, 12 pour faire advenir ce qu’il a ordonné de faire. 13
Chaque pharaon est donc censé être le vicaire du démiurge, ce statut ayant son expression symbolique dans l’affirmation de sa filiation divine, formulée dans le mythe de la théogamie. 14 En tant que vicaire, il a reçu de lui une délégation
6 N. De G. Davies, The Temple of Hibis in El Khargheh Oasis. Part iii : the Decoration (« mma Expedition », 17), New York, 1953, pl. 7, jambage gauche de la porte. 7 J. Assmann, Königsdogma und Heilswartung : Politische und kultische Chaosbeschreibungen in ägyptischen Texte, dans D. Hellholm (éd.), Apocalypticism in the Mediterranean World and the Near East, 1983. 8 Sur cette conception de l’histoire, voir P. Vernus, Les jachères du démiurge et la souveraineté du pharaon. Concept d’empire et latences de la création, « RdE », 62 (2011), pp. 175-197. 9 Enseignement de Ptahhotep, P 116, voir P. Vernus, Sagesses de l’Égypte pharaonique, 2e édition, Actes Sud Arles, 2010, p. 115. 10 « Livre de la vache du ciel », voir fondamentalement E. Hornung, Der ägyptische Mythos von der Himmelskuh. Eine Ätiologie des Unvollkommenen (« obo », 46), Fribourg et Göttingen, 1983. 11 U. Luft, Beiträge zur Historisierung der Götterwelt und der Mythenschreibung (« Studia Aegyptiaca », iv), Budapest, 1978. 12 Je ne veux pas discuter ici la forme grammaticale qui est un participe passif prospectif ; voir L. Zonhoven, Studies on the sdm.t=f Verb Form in Classical Egyptian, Proefschrift Rijksuniversiteit, Groningen, 1997, p. 97, n. 4. 13 Projet d’édification d’un temple à Héliopolis, présenté par Sésostris I, PBerlin 3029, i, 5-6 (« Berlinleatherroll ») ; la bibliographie est très fournie ; voir B. Hofmann, Die Königsnovelle « Strukturalanalyse am Einzelwerk » (« äat », 62), Wiesbaden, 2004, pp. 58-73 ; et en dernier lieu R. Gundlach, The Berlin Leatherroll (PBerlin 3029), dans R. Gundlach, K. Space (édd.), 5. Symposium zur ägyptischen Königsideologie. Palace and Temple, Cambridge, July, 16th-17th, 2007 (R. Gundlach, D. Kreikenbom, M. Schade-Busch (édd.), Königtum, Staat und Gesellschaft früher Hochkulturen (Beiträge zur altägyptichen Königsideologie), Wiesbaden, 2011, pp. 103-114. 14 Le dieu est censé prendre la forme du pharaon régnant et s’unir à la reine pour engendrer le pharaon qui lui succédera, voir H. Brunner, Die Geburt des Gottkönigs. Studien zur Überlieferung eines altägyptischen Mythos (« Äg. Abh. », 10), 2., erganzte Auflage, Wiesbaden, 1986.
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d’autorité qui comporte la capacité de créer performativement par la parole créatrice (Hou) :
[7]. Hou est ta parole. 15 [8]. Qui énonce (= le pharaon) et cela se produit comme ce qui sort de la bouche de Rê. 16
Le pharaon a donc la capacité d’émettre des ordres (oudj) doués de vertu performative. Mais cette capacité n’est pas liée à la personne proprement humaine du pharaon. Il n’est que le vecteur de la volonté divine et c’est elle qui se manifeste, en dernière instance, derrière ses actes de pouvoir, et qui leur confère leur auctoritas :
[9]. Une autre action parfaite m’était (moi = le pharaon) venue à l’esprit sur l’ordre du dieu. 17 [10]. Je (= le pharaon) veux vous faire savoir de ce que ce qui m’a été ordonné, je (l’)ai appris auprès de mon père (= le dieu). 18 [11]. Écoutez cette parole-ci qu’a énoncée-en-tant-qu’ordre Amon-Rê, maître du Trône des deux pays au roi du sud et du nord Menkhéperrê. 19
Autrement dit le fondement de l’autorité politique du pharaon est la volonté divine. Cela posé, évitons les naïvetés : toutes les paroles du pharaon ne sont pas nécessairement investies de cette autorité. C’est lui-même qui fait la distinction et indique que ce qu’il va dire a le statut d’‘ordre’ de plein droit :
[12]. Le pharaon lui-même : énoncer avec-le-statut (litt. : en tant que) d’ordre. 20
En fait, la parole du pharaon n’acquiert la vertu propre à la parole performative que dans la mesure où il se sent sous l’influence de l’inspiration divine. On peut faire la comparaison, grosso modo et mutatis mutandis, avec le dogme catholique de l’infaillibilité du Pape. Comment l’inspiration divine suscite l’‘ordre’ du pharaon
La volonté divine que relaie l’‘ordre’ du pharaon se manifeste à lui sous diverses formes. Dans des cas particuliers, elle révèle à travers des signes ominaux. Il peut s’agir d’un prodige publique. 21 Par exemple, au cours d’une expédition dans les
15 PBerlin 3029, ii, 1 (Berlin Leatherroll), voir ci-dessus. La correction « Hou est ta bouche », adoptée par la majorité des traducteurs, est superflue. 16 Naos cgc 70021, côté gauche, base, l. 1. 17 K. A. Kitchen, Ramesside Inscriptions Historical and Biographical, i, Oxford, 1979, p. 66, 13. 18 K. Sethe, Urkunden der 18. Dynastie Historisch-biographische Urkunden (« Urkunden des ägyptischen Altertums »), Leipzig, 1930, pp. 16-17. 19 K. Sethe, Urkunden der 18. Dynastie, cit., p. 565, 12, cf. p. 566, 13. 20 Décret d’Horemheb, l. 12, voir J.-M. Kruchten, Le décret d’Horemheb. Traduction, commentaire épigraphique, philologique et institutionnel (Université Libre de Bruxelles, Faculté de Philosophie et Lettres, lxxxii), Bruxelles, 1981, p. 21. 21 Sur le problème de la communication divine à travers l’oracle, soit sollicité, soit non sollicité, voir P. Vernus, La grande mutation idéologique du Nouvel Empire : une nouvelle théorie du pouvoir politique. Du démiurge
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carrières du désert oriental, une gazelle mit bas sur une pierre, indiquant ainsi le monolithe le plus approprié à faire un couvercle pour le sarcophage royal. Il arrive que la manifestation de la volonté du dieu se fasse plus intime ; ainsi, quand il envoie au pharaon des rêves pour lui faire savoir la conduite à tenir. 22 Le dieu signifie aussi sa volonté lors de consultations privées dans le secret du sanctuaire. Le plus souvent, le dieu opère en n’importe quel lieu par des pulsions irrésistibles à l’intérieur du ‘cœur’ du pharaon, siège, comme on sait, des facultés intellectuelles, en même temps que réceptacle de l’inspiration. 23 Il arrive que l’inspiration divine soit sollicitée par le pharaon, lorsqu’il doit affronter un problème difficile. Voici Séthy I confronté à la trop forte mortalité du personnel envoyé dans le désert. Il interroge le dieu :
[13]. Or donc, le dieu le guida pour réaliser la demande de celui à qui il avait marqué prédilection. On donna ordre aux carriers de creuser une citerne dans ces montagnes afin de réconforter celui qui était épuisé et de rafraîchir le moral de celui qui était brûlé par la chaleur. 24
Il arrive même qu’un ordre du roi soit énoncé en réponse à une pétition présentée par un de ses sujets :
[14]. Ordre de Ma Majesté : qu’on mette à exécution la pétition de N attendu que le roi en personne a été sollicité par une pétition. 25
Propriétés de l’‘ordre royal’
Un ordre royal se suffit à lui-même et comporte intrinsèquement sa propre justification. Point de nécessité a priori de se référer à une législation préexistante. Sa portée est universelle et peut concerner n’importe quel élément du monde terrestre. Parce qu’il reflète la volonté divine, l’‘ordre royal’ est porteur d’une autorité irrévocable, il ne peut être transgressé ni aboli :
[15]. Ce que tu (= le pharaon) as décidé ne peut être défait. 26 [16]. La transgression de ce que j’ai (= le pharaon) ordonné ne peut se produire. 27
face à sa création, « bseg », 19 (1995), pp. 69-95 ; I. Shirun-Grumach, Offenbarung, Orakel und Königsnovelle (« äat », 24), Wiesbaden, 1993. 22 P. Vernus, Traum, dans W. Helck, Eb. Otto (édd.), Lexikon der Ägyptologie 6, Wiesbaden, 1986, col. 745-749. 23 Là encore, la bibliographie est abondante ; je me limiterais à M. I. Toro Rueda, Das Herz in der ägyptischen Literatur des zweiten Jahrtausends v. Chr. Untersuchungen zu Idiomatik und Metaphorik von Ausdrücken mit jb und Hatj (Dissertation zur Erlangung des Doktorgrad an der Philosophischen, Fakultät der GeorgAugust-Universität Göttingen), Göttingen, 2003. 24 Inscription de Séthy I à Kanais à l’entrée du Ouâdi Mia, voir K. A. Kitchen, Ramesside Inscriptions, i, cit., p. 66, 8-11. 25 Inscription de Senmout à Karnak l. 2 ; voir W. Helck, Historisch-biographische Texte der 2. Zwischenzeit und neue Texte der18. Dynastie (Kleine Ägyptische Texte), Wiesbaden, 1975, p. 122. 26 W. Helck, Urkunden der 18. Dynastie Texte der Hefte 17-19 (Urkunden des ägyptischen Altertums), Berlin, 1984, p. 1386, l. 13. 27 Inscription d’Hatshepsout au Spéos Artémidos, l. 41, voir A.H. Gardiner, Davies’s Copy of the geat Speos Artemidos Inscription, « jea », 32 (1946), pp. 43-56 ; J. Allen, The Speos Artemidos Inscription of Hatshepsut, « bes », 16 (2002), pp. 1-17.
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Un ordre royal est imprescriptible et illimité dans le temps. [17]. Il (= le pharaon) a établi de ordres d’éternité. 28
Bien entendu, l’inévitable évolution peut mettre en cause l’irrévocabilité et l’imprescriptibilité que proclame l’idéologie. Mais, seul un autre ordre royal peut théoriquement restreindre la portée d’un précédent, voire l’abroger. Ainsi :
[18]. Même s’il est dit selon ces ordres-là (= ordres royaux préexistants) de ne mettre en oeuvre aucune exemption dans les villes passibles d’exemptions dans cette région sud, il n’est pas question que Ma Majesté permette qu’aucune personne du temple de Min dans le nome de Coptos fasse du transport, du terrassement, ou quelque tâche corvéable qui est faite habituellement dans cette région sud. 29
L’‘ordre royal’ est investi d’une double vertu coercitive : il pose une décision obligatoire et implique un châtiment inéluctable pour celui qui tenterait de s’y opposer. Ce châtiment peut être défini par des stipulations propres à l’acte : 30
[19]. Quant à toute personne dont on aura constaté qu’il a enlevé une pierre de cette montagne-ci, qu’il soit puni pour cela par la mutilation d’un membre. 31 [20]. Quant à toute personne qui transgressera ce présent ordre et qui détachera (de sa tâche) un berger du Château Men-maât-rê-est-heureux-dans-Abydos par réquisition ou par (déplacement) d’un district à un autre, à l’occasion de quelque tâche, si le berger dit : “Quand Untel m’a détaché (de ma tâche), une perte advint dans mon troupeau consistant en une tête, ou deux têtes, ou trois têtes, ou quatre têtes”, qu’on applique la loi contre lui en lui infligeant deux cents coups de bâton, et qu’on lui reprenne la tête de bétail du Château Men-maât-rê-est-heureux-dans-Abydos qui a été volée à la proportion de 100 pour un ». 32
Ce châtiment peut être assuré non seulement par les institutions humaines, mais aussi par les mécanismes supra-humains qui règlent la marche du monde et se manifestent occasionnellement par des interventions divines ponctuelles. 33 D’où,
28 Turin Inv Suppl. 1310 l. x+9, voir J. Vandier, Une inscription historique de la Première Période Intermédiaire, dans H. B. Rosen (éd.), Studies in Egyptology and Linguistics in Honour of H. J. Polotsky, Jerusalem, 1964, pl. i. 29 Ordre Coptos b § xi, voir H. Goedicke, Königliche Dokumente aus dem Alten Reich (« äa », 14), Wiesbaden 1967, p. 88 et fig. 8. Ce que je traduis « dans les villes passibles d’exemption » n’a guère été interprété de manière plausible antérieurement. Pour la référence à la forclusion de mesures valables sous un pharaon antérieur, voir l’ordre royal d’Horemheb l. 27-31, à propos d’une taxe perçue sous Thoutmosis III. 30 Voir fondamentalement D. Lorton, The Treatment of Criminals in Ancient Egypt through the New Kingdom, « jesho », 20 (1997), pp. 53-64 ; R. Müller-Wollermann, Vergehen und Strafen Zur Sanktionierung abweichenden Verhaltens im Alten Ägypten (« Probleme des Ägyptologie », 21), Leyde, 2004. 31 M. Burchardt, Ein Erlass des Königs Necht-har-ehbet, « zäs », 44 (1907), pp. 55-58. 32 Ordre de Séthy I à Nauri, K. A. Kitchen, Ramesside Inscriptions, i, cit., p. 55 ; voir aussi ci-dessous [27]. 33 Sur ce problème dans la civilisation pharaonique, voir J. Assmann, When Justice Fails : Jurisdiction and Imprecation in Ancient Egypt and the Near East, « jea », 78 (1992), pp. 149-62, et, dans une perspective plus générale H. Barta, R. Rollinger, M. Lang (édd.), Recht und Religion - Menschliche und göttliche GerechtigkeitsVorstellungen in den antiken Welten (« Philippika, Marburger altertums-kundliche Abhandlungen », 24), Wiesbaden, 2008.
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par exemple, les menaces d’intervention divine contre ceux qui viendraient à transgresser les dispositions de l’‘ordre royal’ : 34
[21]. Quant au général qui viendra après moi (= le pharaon) et qui trouvera la fondation tombée en destruction ainsi que les servants et les servantes qui produisent à destination de mon ensemble-de-revenus et qui en détachera du personnel pour le placer dans quelque affaire de Pharaon Vie, Intégrité, Santé, ainsi que dans toute occupation qui lui appartient en propre, et un autre qui les léserait et qui ne les protégerait pas, il sera dans la réprobation d’Amon, maître du trône des deux pays qui préside à son Harem. Il ne les laissera pas profiter de la fonction de scribe royal de l’armée qu’ils ont reçue de moi. Il le placera dans la flamme du roi, le jour où il se met en colère. Celle-qui-està-son-front (= l’uréus) crachera la flamme à leurs fronts, de sorte que seront anéanties leurs chairs, qu’elle dévorera leurs corps, qu’ils deviendront comme Apophis le jour du Début-de-l’année. Ils feront naufrage dans le Grand-Vert si bien qu’il ensevelira leurs cadavre. Ils ne recevront pas la dignité des justifiés. Ils n’avaleront pas les galettes des défunts. On ne leur fera pas de libation d’eau provenant de l’orée du fleuve. Leurs fils ne seront pas mis à leur place. Leurs femmes seront violées sous leurs regards ; etc... 35
On observera que dans ce texte, certains des châtiments mis en oeuvre par le dieu Amon sont confiés au pharaon contemporain de l’éventuel transgresseur (« Il le placera dans la flamme du roi » 36). Autrement dit, le dieu est censée garantir l’acte d’un pharaon en assurant le châtiment inhérent à son non respect par la mobilisation d’un de ses successeurs.
L’‘ordre royal’ : une source de la loi
L’‘ordre royal’ est donc la manifestation d’un pouvoir absolu puisqu’il n’a d’autre légitimation que de s’originer dans la volonté divine. Grâce à sa capacité d’émettre des ‘ordres royaux’, pourvus d’une autorité suprême parce qu’ils émanent en dernière instance de l’autorité suprême de la création, le pharaon est le seul pouvoir législatif : il est la manifestation terrestre du droit. Les ‘ordres royaux’ sont donc une source de la législation et constituent la Loi, 37 avec l’ensemble des directives, règles, normes et coutumes dont le pharaon est, par ailleurs, le garant.
34 K. Nordh, Aspects of Ancient Egyptian Curses and Blessings. Conceptual Background and Transmision (« Boreas. Uppsala Studies in Ancient Mediterranean and Near Eastern Civilizations », 26), Uppsala, 1966 ; S. Morschauser, Threat-Formulae in Ancient Egypt. A Study of the History, Structure and Use of Threats and Curses in Ancient Egypt, Baltimore, 1991. 35 ‘Ordre’ apocryphe pour la fondation d’Amenhotep fils de Hâpou : K. Jansen-Winkeln, Inschriften des Spätzeit Teil i : Die 21. Dynastie, Wiesbaden, 2007, pp. 167-169. 36 Dans d’autres menaces du même genre, on parle du « roi de son (= le transgresseur) temps ». 37 Le problème de la loi dans l’Égypte pharaonique a suscité une très abondante bibliographie que je ne puis donner ici, faute de place. Voici quelques indications : A. Théodoridès, A propos de la loi dans l’Égypte pharaonique, « rida », 14 (1967), pp. 102-152 ; Id., The Concept of Law in Ancient Egypt, dans J. R. Harris (éd.), The Legacy of Egypt, Oxford, 1972, pp. 291-322 ; H. Goedicke, Befehl, Theorie des, dans W. Helck, Eb. Otto (édd.), Lexikon der Ägyptologie, i, Wiesbaden, 1974, col. 678-79 ; J.-M. Kruchten, Le décret d’Horemheb, cit., pp. 219-21, 311 ; E. Martin-Pardey, Templedekret, dans W. Helck, Eb. Otto (édd.), Lexikon der Ägyptologie, 6, Wiesbaden, 1986, col. 379-86 ; P. Vernus, Les décrets royaux (wd-nsw) : L’énoncé d’auctoritas comme genre, dans S. Schosske (éd.), Akten des Vierten Internationalen Ägyptologen Kongress München 1985 (« sak », Beihefte 4), Munich, 1990, pp. 239-246 ; J. M. Kruchten, Law dans R. B. Redford (éd.), The Oxford Encyclopedia of Ancient Egypt, Volume 2, Oxford, 2001, pp. 277-282.
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pascal vernus Promulgation de l’‘ordre royal’
En principe, l’‘ordre royal’ est promulgué à travers son énonciation orale par le roi ‘en personne’, selon l’expression consacrée, le plus souvent à l’occasion d’une cérémonie solennelle en présence des hauts dignitaires et des courtisans auxquels il a enjoint d’écouter. 38 Cette proclamation solennelle reflète évidemment son statut de parole créatrice. Et, l’assistance le corrobore par sa réaction :
[22]. Qu’elle est parfaite, cette parole qui nous (= la cour) a été énoncée ... une formule du dieu lui-même, comme Rê à l’origine. 39
Une fois énoncée, l’ordre est alors fixé par écrit par le scribe du roi ou tout autre fonctionnaire habilité à ce faire, quelquefois par le roi lui-même. L’acte originel est muni d’un apparat diplomatique codifié, destiné à l’authentifier, avec les marques caractéristiques suivantes : – Date et mention du pharaon avec son nom d’Horus sur le serekh, la façade du palais symbole de l’autorité terrestre. 40 – Identification de l’acte en tant qu’ ‘ordre royal’ par le terme oudj nesou. – Graphie du terme oudj nesou standardisée et hautement sophistiquée impliquant des jeux complexes sur l’orientation des signes : 41
et
(lecture de droite à gauche).
Ces jeux, d’une part, visent à signifier la position éminente du roi en antéposant le groupe de signe qui écrit son nom, et, d’autre part, à suggérer un face à face entre les signes écrivant ‘ordre’, et les hiéroglyphes désignant ceux qui sont concernés par cet ordre. – à certaines époques on précise par la formule :
[23]. Ordre délivré en tant que manifestation du pouvoir/dans la majesté du palais en ce jour.
– Quand il s’agit d’une lettre personnelle on utilise la formule [24]. Si cet ordre du roi t’a été apporté, c’est pour te faire savoir que ...
– Désignation des personnes et des institutions concernées. – Teneur de l’ordre royal en général sous la formule « Ma Majesté à ordonné ... »
38 P. Vernus, L’écriture du pouvoir dans l’Égypte pharaonique Du normatif au performatif, dans A. Bresson, A.-M. Cocula, Ch. Pébarthe (éds.), L ‘Écriture publique du pouvoir (« Ausonius Études », 10), Bordeaux, 2005, pp. 123-142 ; J. Quack, Pharao und Hofstatt, Palast und Temple : Entscheidungfindung, Öffentlichkeit und Entscheidungsveröffentlichung im Alten Ägypten, dans Chr. Kuhn (éd.), Politischen Kommunikation und öffentliche Meinung in der antiken Welt, Stuttgart, 2012, pp. 277-295. 39 K. Sethe, Urkunden der 18. Dynastie, cit., p. 165, l. 9-14. 40 P. Vernus, Naissance des hiéroglyphes et affirmation iconique du pouvoir : l’emblème du palais dans la genèse de l’écriture, dans P. Vernus (éd.), Les premières cités et la naissance de l’écriture, Actes du Colloque du 26 septembre 2009, Musée archéologique de Nice-Cemenelum, Arles, 2011, pp. 27-58. 41 H. G. Fischer, The Orientation of Hieroglyphs Part 1. Reversals (« Egyptian Studies », ii), New York, The Metropolitan Museum, 1977, pp. 57-61.
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– à l’Ancien Empire, la teneur de l’ordre, quand il est complexe, peut être organisé par un dispositif graphique raffiné, jouant sur les ressources de la tabulation, c’est-à-dire tout à la fois sur l’accolade et la mise en facteur commun 42 et sur les effet de la disposition en lignes et de la disposition en colonnes. Ce dispositif participe de l’apparat diplomatique. – La dernière opération qui authentifie l’ordre royal est l’apposition du sceau, avec la formule « scellé en présence du roi en personne ».
Versions sur supports maniables des ‘ordres royaux’
Aucun ‘ordre royal’ ne nous est parvenu sous sa version originelle de référence, telle qu’elle devait être conservée dans les archives. En revanche, nous possédons des versions secondaires. Ce sont, des copies administratives, comme cette lettre de Ramsès XI au gouverneur de Koush, c’est-à-dire la Nubie et la partie du Soudan annexée par l’Égypte. 43 On observera, que si recours est fait à une tachygraphie (tracé cursif des hiéroglyphes au dépens de la figurativité, mais au profit de la rapidité), ce n’est pas la tachygraphie ordinaire des documents de la pratique. Il s’agit d’une écriture de chancellerie qui vise à se distinguer du tout-venant par un soin et un certain maniérisme, marqué, entre autres, par l’étirement en hauteur des signes. 44 Les copies administratives pouvaient être collées avec d’autres pour constituer un dossier, 45 ou encore copiées dans un rouleau comportant d’autres documents administratifs. D’autres servaient de pièces justificatives pour qui de droit. On s’attend à ce que ces copies aient été traitées avec des marques de respect. Dans le célèbre Roman de Sinohé, lorsque est lu au héros l’‘ordre royal’ le concernant, il marque sa profonde révérence pour le document :
[25]. Dès qu’il (l’ordre du roi) me fut lu, je me mis à plat-ventre, je touchai le sol, je le déroulai sur ma poitrine. 46
Un décret de nomination est remis à son bénéficiaire dans un étui cylindrique. C’est dans le même genre de contenant qu’est représenté l’‘ordre royal’ de Séthy I 42 H. Goedicke, Diplomatical Studies in the Old Kingdom, « jarce », 3 (1964), pp. 31-41 ; W. Helck, Altägyptischen Aktenurkunden des 3. und 2. Jahrtausend (« mäs », 31), Munich, 1974. 43 PTurin 1896, A. El-Mohsen Bakir, Egyptian Epistolography from the Eighteenth to the Twenty-First Dynasty (« BdE », 48), Le Caire, 1952, pl. xxxi. Traduction dans E. Wente, Letters from Ancient Egypt (« sbl. Writings from the Ancient World », 1), Atlanta, 1990, p. 39, n° 39. 44 Pour l’écriture de chancellerie, voir P. Vernus, Littérature’, ‘littéraire’ et supports d’écriture : Contribution à une théorie de la littérature dans l’Égypte pharaonique, « edal », 2 (2010/2011), p. 50 et n. 86. 45 W. Helck, Ein Briefsammlung aus der Verwaltung des Amun Tempels, « jarce », 6 (1967), pp.135-151 ; P. Posener-Krieger, Décrets envoyés au temple funéraire de Rêneferef, dans Mélanges Gamal Eddin Mokhtar (« BdE », 97/2), Le Caire, 1985, vol. ii, pp. 195-210. 46 Les aventures de Sinohé b 200-201 ; excellente présentation et analyse de l’oeuvre dans R. A. Parkinson, Poetry and Culture in Middle Kingdom Egypt. A Dark Side to Perfection, London & New York, 2002, pp. 159-168.
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en faveur du domaine d’Osiris à Abydos dans une scène où l’acte juridique prend place dans l’échange rituel entre le pharaon et la divinité. 47
Versions sur supports monumentaux des ‘ordres royaux’
Beaucoup d’‘ordres royaux’ nous sont connus par des versions ‘monumentales’, c’est-à-dire sur des supports conçus pour être pérennes, le plus souvent en pierre. On distinguera deux cas : 1. ‘Ordres royaux’ sur des monuments ou dans des lieux pouvant être considérés comme publics. 2. ‘Ordres royaux’ sur des monuments privés.
‘Ordres royaux’ sur des monuments publics
Dans les versions publiques des ‘ordres royaux’, on distinguera celles qui se bornent à reproduire l’acte originel. Ainsi les ‘ordres royaux’ de l’Ancien Empire, provenant de temples ou de sanctuaires provinciaux, 48 et qui sont des copies de la version de référence, avec sa diplomatique. Elles sont fixées sur pierre pour publicité, dans la mesure où une clause de l’acte en stipulait l’affichage :
[26]. Qu’une pièce administrative comportant cet ordre soit apportée afin qu’il soit mis sur une stèle de grès (variante : de calcaire) près des propylées du temple de Min à Coptos dans le nom des Deux-dieux, afin que puissent voir les employés de ce nome. 49
Toutefois, dès la vi e dynastie, il arrive qu’on ajoute un commentaire extérieur au libellé original, comme dans cet ordre promulgué par Pépy I pour protéger la chapelle de sa mère. 50 C’est le précurseur d’un autre type de versions monumentales d’‘ordres royaux’, type qui va se développer jusqu’à la fin de l’Époque pharaonique. Dans ce type, l’acte original peut être présent de diverses manières, allant de la reproduction fidèle d’une large partie – par exemple l’ordre de Séthy I appelé ‘décret de Nauri’ – à la simple mention de son objet, par exemple l’ordre de Toutankhamon évoqué en [2]. Quelle que soit la manière dont il est évoqué, cet acte est inséré dans un apparat visant, d’une part, à en rendre compte à travers la doctrine de la fonction pharaonique, et visant, d’autre part, à présenter dans ce cadre une image flatteuse du pharaon qui l’avait promulgué. Revenons à l’ordre de Séthy I (‘décret de Nauri’ ; un extrait [20]). Il n’a :
[27]. no other purpose than that of proclaiming the absolute independance of the temple’s Nubian possessions, both human and otherwise ; and this purpose carried with it the
47 S. Cauville, La charte d’immunité d’Abydos, « jarce », 45 (2009), pp. 397-401. 48 Édition de base : H. Goedicke, Königliche Dokumente, cit. 49 Ordre de Coptos b, l. 33-35 (voir aussi Coptos c and d), cf. A. Théodoridès, Une charte d’immunité d’Ancien Empire, « rida », 29 (1982), pp. 73-118. 50 Ordre de Coptos a, cf. H. Goedicke, Königliche Dokumente, cit., p. 43.
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necessity of specifying some of the ways in which that independance might be infringed, and the penalties which awaited those guilty of such infringment. 51
Mais aussi détaillées que soient les différentes stipulations de l’acte tel que les mentionne la version, loin de se suffire à elles-mêmes, elles ne font sens qu’à l’intérieur d’un apparat idéologique très développé, marqué non seulement par les scènes rituelles du cintre, mais aussi par un très long préambule, fort élaboré, de manière quasi ‘littéraire’, et qui chante les louanges de Séthy I et des relations mutuelles d’amour entre lui et les divinités. Autre exemple illustratif de version monumentale où l’apparat idéologique enrobe l’acte exécutif : l’ordre de Nectanébo I (xxx e dynastie, 378-360 avant J.-C.), relatif à la taxation des biens et denrées produits par les Grecs. Par un caprice bienveillant du hasard, à la version découverte dans la ville de Naukratis, 52 concédée aux Grecs, s’est ajoutée récemment une nouvelle version stèle sortie de la mer, là où s’était effondrée le port douanier de Thonis, non loin d’Alexandrie. 53 Le cintre comporte une scène double montrant le pharaon effectuant un rite au bénéfice de Neith, la divinité dont le temple est bénéficiaire de l’acte. Le texte principal comporte un panégyrique très sophistiqué du pharaon et de la politique qu’il mène. Suit le rappel des circonstances cérémonielles dans lesquelles le pharaon a été amené à promulguer l’acte, puis, sa substance, résumée en quelques lignes.
[28]. Que soit donné un dixième d’or, d’argent, de bois, de bois débité, de toute chose qui provient du Grand-Vert de-ceux-autour-des-cuvettes (= la Méditerranée des Grecs), de tout bien qu’on comptabilise pour affectation au domaine du roi dans le ville qui s’appelle Honé (= Thonis), ainsi qu’un dixième de l’or, de l’argent, de toutes choses qui sont produites dans Per-meryt, appelé Naukratis, sur la rive de Ânou, qu’on comptabilise pour affectation au domaine du roi pour affectation à l’offrande divine de ma mère Neith jusqu’à la fin de l’éternité, en plus de ce qui existait auparavant ; et qu’on en tire de quoi assurer une part de boeuf, une oie engraissée, cinq mesures de vin en tant qu’offrande fixe chaque jour. Ce qui en sera compté sera pour affectation au trésor de ma mère Neith, du fait qu’elle est la maîtresse du Grand-Vert (= la Méditerranée) et que c’est elle qui assure son approvisionnement.
En conclusion, le pharaon donne sens à cette mesure à travers le topos de la solidarité intergénérationnelle :
[29]. Ma Majesté a ordonné de sauvegarder la divine offrande de ma mère Neith, de confirmer toute chose qu’avait faite les devanciers afin que ce que j’ai fait soit confirmé par ceux qui viendront à l’existence dans l’infinité des années.
Quant à la clause d’affichage dans les deux villes, il l’avait auparavant infléchie à son bénéfice :
[30]. – (version de Thonis) Qu’on établisse ceci sur la présente stèle à l’embouchure du 51 A. H. Gardiner, Some Reflections on the Nauri Decree, « jea » 38 (1952), p. 32. 52 D’où l’appellation courante dans l’égyptologie de ‘stèle de Naucratis’. 53 Édition fondamentale, désormais : A.-S. Von Bomhard, The Decree of Saïs Under Water Archaeology in the Canopic Region in Egypt (« Oxford Center for Maritime Archaeology Monograph », 7), Oxford, 2012.
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Grand-Vert de Ceux-qui-sont-autour-de-leurs-cuvettes (= les Grecs), dans la ville dont le nom est La-Honé-de-Saïs. – (version de Naukratis) Qu’on établisse ceci sur la présente stèle de manière qu’elle se trouve placée à Naukratis sur la rive de Ânou. – (texte commun) Alors on se rappellera ma perfection jusqu’à l’achèvement de l’éternitécyclique.
Ces deux splendides stèles de granite noir de 1,95 mètres de haut sur 0, 80 mètres de large, soigneusement gravées en beaux hiéroglyphes, illustrent la recherche de l’ostentatoire et du spectaculaire dans l’affichage. Par ailleurs, la version de Karnak de l’‘ordre royal’ d’Horemheb – appelé ‘décret d’Horemheb’ dans l’égyptologie, avait cinq mètres de haut, trois mètres de large. Quant au ‘décret de Nauri’ de Séthy I, c’était une stèle 2, 80 mètres de haut, et 1, 56 mètre de large, ménagée au tiers d’une des deux éminences rocheuses dominant le cours du Nil. 54 Donc, bien des ‘ordres royaux’ ne sont connus qu’à travers des versions à fin avant tout idéologique, et auto gratifiante pour les pharaons qui les ont commanditées. Leur utilisation exige précaution et sens critique affiné de la part des historiens du droit. 55
‘ordres royaux’ sur les monuments des particuliers
Il en va de même pour les versions d’‘ordre royal’ sur les monuments des particuliers, stèles, statues, parois des pièces de la tombe ouvertes au public. En effet, le prestige attaché à ces actes était tel qu’ils n’hésitaient pas y faire allusion parfois même à reproduire intégralement (voir [1]) un ‘ordre royal’ qui avait été fort gratifiant pour eux : nomination à des fonctions, missions prestigieuses, donation par le roi de tombe ou de parties de tombes, ou encore autorisation de placer un monument dans une enceinte consacrée, service de culte institué à leur bénéfice, accès aux offrandes d’un sanctuaire. Le fait s’inscrit dans une pratique générale qui pousse les particuliers à insérer dans leur apparat monumental les documents juridiques ou judiciaires qu’ils considéraient comme méritant d’entrer dans leurs ‘self-presentation’, c’est-à-dire l’image d’eux-mêmes qu’ils entendaient construire pour leurs contemporains et pour la postérité. Là encore, de la finesse s’impose aux historiens du droit. 56
objets des ‘ordres royaux’
La portée des ‘ordres royaux’ s’étend très largement. Ils peuvent concerner une catégorie particulière de population, l’ensemble du personnel détenteur ou mê54 Fr. Ll. Griffith, The Abydos Decree of Seti at Nauri, « jea », 13 (1937), pp. 193-206 ; voir ci-dessus [20], [27]. 55 Une prise de conscience insuffisante de ce fait peut conduire à des excès ; voir, par exemple S. Allam, Der Steuer-Erlass des Königs Haremhab, « zäs », 127 (2000), p. 110 et n. 46. 56 Par exemple, ne sont pas exemptes de quelque naïveté les interprétation de S. Allam, New Light on the katagraphé and its Pharaonic Background, dans T. Gagos (éd.), Proceedings of the 25th International Congress of Papyrology (Ann Arbor, july 29-August 4, 2007), Ann Arbor ,2010, pp. 13-19.
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me le pays tout entier (voir [2]). Par ailleurs, il arrive qu’ils ne touchent qu’un individu. – Un ‘ordre royal’ peut viser une particulier et concerner sa nomination à une fonction ou sa destitution d’une fonction. Il peut imposer une mission précise : des travaux dans un temple ; une expédition hors de la vallée. Il peut exprimer des félicitations et assurer des récompense, ou, inversement, formuler une réprimande à un haut fonctionnaire pour une gestion maladroite. – Les stèles dites ‘de donation’ sont des ‘ordres royaux’ établissant un dispositif régularisé entre un particulier et un temple ou une fondation. – Un ‘ordre royal’ peut concerner les domaines d’activités qui ressortissent à l’état central : ouverture d’une carrière ; creusement d’un canal ; ordre à l’armée de faire une course dans le désert ; établissement du protocole du nouveau pharaon ; récit légitimant une guerre ([3]) ; etc. – Un ‘ordre royal’ peut concerner une institution particulière : inventaire et nettoyage de temples ; restauration de parties endommagées ou tombées en ruines ; extensions ; constructions nouvelles. Il peut imposer l’organisation ou la ré organisation de l’‘offrande-divine’ d’un temple ou d’un culte en levant des taxes spéciales (voir, entre autres, [2], [28]). La protection du clergé et, par delà, du personnel de fondations ou d’institutions est un thème très souvent mentionné dans les ‘ordres royaux’ qui nous sont parvenus. Exemple :
[31]. (‘ordre royal’) pour organiser la corporation des porteurs d’Amon, de Mout, de Chonsou-à-Thèbes-dont l’apaisement-est-bon, et des dieux et des déesses du Sud et du Nord, des ‘pères-divins’, des ‘prêtres-purs’ et des ‘prêtres-ritualistes’ pour empêcher qu’un bakchich soit exigé d’eux par tout ‘prophète’ ....
Voir aussi, entre autres, [18], [20], [21]. Pour la protection des biens matériels en parallèle à la protection du personnel, voir [27]. La catégorie des ‘ordres royaux’ visant à préserver le personnel et le bien de certaines institutions, et à leur conférer ainsi une large autonomie par rapport à l’état, a été l’objet d’attention particulière de la part des historiens du droit qui les ont qualifiés de ‘décrets d’immunité’. Ils suscitent évidemment bien des rapprochements avec des pratiques juridiques attestées en d’autres lieux et en d’autres temps. S’ils sont particulièrement bien représentés dans la documentation de l’Égypte pharaonique, c’est parce qu’ils illustrent deux problèmes aigus, au demeurant corrélés, de l’état pharaonique : d’une part, les empiètements d’un des multiples services composant l’état central sur un autre ou sur les temples et les fondations mémorielles, et, d’autre part, en retour, la forte pression des revendications autonomistes de ces fondations et de ces temples. En conséquence, un grand effort était fait pour donner une large publicité à des ‘ordres royaux’ visant à protéger de tels empiètements, où à favoriser par des privilèges telle institution, d’autant plus qu’elle pesait économiquement et politiquement. Dès lors, s’imposaient des éditions monumentales susceptibles de résister aux outrages du temps, et affichant de manière ostensible, voir ostentatoire, la politique du pharaon, souvent non sans arrière-pensée de propagande.
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pascal vernus l’‘ordre royal’ comme forme textuelle prestigieuse passible de transposition
Dans la civilisation pharaonique, l’‘ordre royal’ était investi d’un tel prestige qu’il n’a pas manqué d’être détourné de son statut originel. D’abord, il a été utilisé comme forme textuelle dans le faux sacerdotal, destiné à légitimer un état de fait en le faisant remonter à une décision prise par un pharaon prestigieux du passé et censée avoir été exprimée à travers un ‘ordre royal’, en réalité fictif. Ainsi, l’‘ordre royal’ pour la protection de la fondation funéraire d’Amenhotep fils de Hâpou, attribué de manière apocryphe au pharaon Amenhotep III (1391-1353 avant J.-C.), mais composé au début de la Troisième Période Intermédiaire (vers 1069 avant J.-C.). 57 Ainsi, la stèle de la famine, qui commémore l’établissement par le pharaon Djoser (2617-2599 avant J.-C.) des droits du domaine du dieu Khnoum sur le Dodékaschoene, ce qui correspond à un état de fait pertinent deux millénaires et demi après ! 58 De plus, en raison de la force d’autorité qu’il véhicule, l’‘ordre royal’ a été utilisé dans les croyances religieuses en tant que forme textuelle garantissant l’auctoritas d’une composition religieuse. Depuis le Moyen Empire et encore à l’Époque Gréco-romaine, les mythes, la magie et surtout les croyances funéraires ont largement mis cette forme à leur service. Il n’entre pas dans les limites de cette contribution d’entrer plus avant dans les détails. Simplement, on retiendra cette transposition significative des jeux de rôle propres à l’acte : un ‘ordre royal’ est censé être promulgué par Amon-Rê à l’intention de certaines divinités, et transpose dans le monde des dieux le cérémoniel requis théoriquement pour l’énonciation de l’acte :
[32]. Un ‘ordre royal’ du dieu en ces termes : “O tous ces grands dieux, silence, silence (quatre fois). Écoutez la voix d’Amon-Rê, maître-trône-des-deux-pays …”. 59
les ‘décrets’ ptolémaïques ne sont pas des ‘ordres royaux’
Un caveat s’impose : on distinguera soigneusement les ‘ordres royaux’ (oudj nesou) de l’Époque pharaonique des ‘décrets’ – psephigmata – de l’Époque ptolémaïque, dont l’un d’eux, le ‘décret de Memphis’, est connu – entre autres versions – par la célèbre Pierre de Rosette. 60 Assurément, c’est la Pierre de Rosette qui a ouvert l’accès à l’écriture et à la langue de la civilisation pharaonique. Mais, paradoxale
57 Voir ci-dessus [21]. 58 Édition encore utilisée : P. Barguet, La stèle de la Famine à Séhel (« BdE », 24), Le Caire, 1953. 59 En dernier lieu : S. Töpfer, M. Müller-Roth, Das Ende der Totenbuchtradition und der Übergang zum Buch vom Atmen Die Totenbücher des Monthemhat (PTübingen 2012) und der Tanedjemet (PLouvre N 3085) (« Handschriften des Altägyptischen Totenbuches », 13), Wiesbaden, 2011, p. 64. 60 D. Valbelle, J. Leclant, Le décret de Memphis : Colloque de la Fondation Singer-Polignac à l’occasion de la célébration du bicentenaire de la découverte de la Pierre de Rosette, Paris, 1999.
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ment, le document dont elle est le support est un acte synodal, procédant d’une pratique juridique qui n’appartient guère en propre à ladite civilisation pharaonique. 61
Bibliographie fondamentale A. David, Syntactic and Lexico-Semantic Aspects of the Legal Register in Ramesside Royal Decrees (« gof iv. Reihe Ägypten », 38), Wiesbaden, 2006. H. Goedicke, Königliche Dokumente aus dem Alten Reich (« äa », 14), Wiesbaden, 1967. H. Goedicke, Befehl, Theorie des, dans W. Helck, Eb. Otto (edd.), Lexikon der Ägyptologie, i, Wiesbaden, 1974, col. 678-679. H. M. Hays, wd : The Context of Command in the Old Kingdom, « gm », 176 (2000), pp. 63-76. W. Helck, Altägyptischen Aktenurkunden des 3. und 2. Jahrtausend (« mäs », 31), Munich, 1974. J.-M. Kruchten, Le décret d’Horemheb. Traduction, commentaire épigraphique, philologique et institutionnel (Université Libre de Bruxelles, Faculté de Philosophie et Lettres, lxxxii), Bruxelles, 1981. E. Martin-Pardey, Tempeldekrete, dans W. Helck, Eb. Otto (edd.), Lexikon der Ägyptologie, 6, Wiesbaden, 1986, col. 379-386. A. Théodoridès, Dekret, dans W. Helck, Eb. Otto (edd.), Lexikon der Ägyptologie, 1, Wiesbaden, 1974, col. 1037-1043. P. Vernus, Les décrets royaux (wd-nsw) : l’énoncé d’auctoritas comme genre, dans S. Schoske (éd.), Akten des Vierten Internationalen Ägyptologen Kongress München 1985 (« Studien zur Altägyptischen Kultur », Beihefte 4), Munich, 1990, pp. 239-246. P. Vernus, The royal Command (Wd nsw) : a basic Deed of executive Power, dans J. C. Moreno Garcia (éd.), Ancient Egyptian Administration (« Handbuch der Orientalistik »), Leyde-Boston, 2013, pp. 259-340.
61 W. Huss, Die in ptolemaïscher Zeit verfassten Synodal Dekrete der ägyptischen Priester, « zpe », 88 (1991), pp. 198-208 ; D. Von Recklinghausen, Deux décrets synodaux de Ptolémée V à Philae, « Égypte, Afrique & Orient », 61 (2011), pp. 43-55.
BEGINNING, CONTINUITY AND TRANSFORMATIONS OF THE EGYPTIAN ADMINISTRATION IN THE III rd MILLENNIUM BC : THE SCRIBAL TITLES
Patrizia Piacentini
A
n ever-growing number of new-found documents, as well as amazing archaeological discoveries that take place regularly in Egypt, allow a better knowledge of the ancient administration system of the country in its complexity and transformations. The present contribution is focused on the titles related to the knowledge and practice of writing in all administrative sectors, and to the human resources management, from the first known evidences to the most recent discoveries dating back to the Old Kingdom. 1 I am illustrating here some results of my research, together with the problems encountered during the establishment of the corpus, and the suggested solutions. The first difficulty has been that of assembling the largest number of documents concerning the scribes, looking for both the published sources and the unpublished ones. In 2002, I wrote a book devoted to the scribes of the first dynasties from all over Egypt, and to those of the Fourth-Sixth Dynasties attested in the Memphite necropolis. 2 Ten years later, I am completing a second volume, in which the documentation on the provincial scribes and on those of unknown provenance is included, together with the addenda and a synthesis of the research : the role of scribes in the administration, their spatial distribution, and the meaning and ranking of their titles. The main difficulty I was faced, is the fact that many new documents have been discovered during the last decade, every time producing some necessary modifications to an overall picture of the activities and the role of scribes in the iiird millennium bc. It is the case of the discovery of more than 5000 clay-sealings, mostly in fragments, but many of them still readable, found during over twenty years of excavations in Giza by the team of the Giza Plateau Mapping Project directed by Mark Lehner. This number of sealings is amazing : to make a comparison, they
1 Some results of this research have been presented also at the conference Chronology and Archaeology in Ancient Egypt (The Third Millennium bc), Prague, June 2007, but they have been enriched here with new data coming from recent discoveries. I take the opportunity to thank Professor Silvia Bussi who gave me the chance to present also in Milan, in our University, an overview of my twenty years of investigation on scribes and scribal activity in ancient Egypt. 2 P. Piacentini, Les scribes dans la société égyptienne de l’Ancien Empire, i. Les nécropoles memphites, Paris, 2002.
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are almost five times more than those, dating back to the same time period, found in the entire site of Elephantine. In 2005, in one small Giza excavation area called Pottery Mound, the Lehner team discovered 1199 pieces of clay sealings. They made the object of the PhD dissertation of John S. Nolan, submitted in June 2010 at the University of Chicago, which is an important step in the knowledge of the scribal activity. 3 In his study, he notifies that 424 of those impressed sealings were made by twelve ‘core’ seals only, all of which belonged to ‘Scribes of Royal Documents’ and mention just two iv th Dynasty kings, Khafra and Menkaura. As Nolan writes : « While the seals reconstructed from the replicate impressions identify the administrative actors, the sealings they left behind indicate how these seals had been used ». The textual and archaeological evidence suggests that the ‘Scribes of Royal Documents’ named in the seal impressions worked close by the ‘Pottery Mound’ during the reign of the aforementioned kings. In addition, at least four of them were involved in the ‘Royal Instructions’ (sbAyt nswt) that could have been « connected to the educational infrastructure related to the royal household ». The sealings discovered in the Giza scribal office date to a period of transformations, during which the royal family-centered administration still evident early in the Fourth Dynasty is slowly becoming the well structured and professionally managed bureaucracy, that will be typical of the following decades of the Old Kingdom. The ‘office’ discovered at Giza reminds of the one found in the 1980s in Balat/ Ayn Asyl, in the palace of the governors of the Dakhla Oasis dating back to the late Sixth Dynasty. Here, several clay tablets originally kept in wooden boxes were discovered in a pillared hall where the persons in charge of writing worked. Other officials were active at the entrance of the palace, where the correspondence was received. These officials mostly claimed the title iry-mdAt ‘the one in charge of writings’, more than that of ‘scribe’. As Laure Pantalacci writes : « ... les transactions économiques feraient donc intervenir un corps de fonctionnaires plus nombreux et moins qualifiés qu’on ne l’imagine ordinairement suivant le cliché, tout memphite, du scribe omniprésent ». 4 We have also to remember that a pr-mdAt ‘office, house of writings’, 5 is mentioned for exemple in the ‘Coptos D’ decree issued by Pepy II, and other representations of places where the scribes worked are know. 6
3 J. S. Nolan, Mud Sealings and Fourth Dynasty Administration at Giza (PhD Dissertation, Dpt of Near Eastern Languages and Civilizations, The University of Chicago), Chicago, 2010. 4 L. Pantalacci, Fonctionnaires et analphabètes : sur quelques pratiques administratives observées à Balat, « bifao », 96 (1996), pp. 359-367, in particular p. 365 ; see also Ead., Les habitants de Balat à la vième dynastie : esquisse d’histoire sociale, in C. J. Eyre (ed.), Proceedings of the Seventh International Congress of Egyptologists (« ola », 82), Leuven, 1996, pp. 829-837. On the title, see P. Piacentini, Les « Préposés aux écrits » dans l’Égypte du iiie millénaire av. J.-C., « RdE », 53 (2002), pp. 179-196. 5 Urk. i, p. 289 [21] ; R. Weill, Les décrets royaux de l’Ancien Empire égyptien, Paris, 1912, p. 56, pl. iii [2] ; W. Helck, Zur Verwaltung des Mittleren und Neuen Reichs (« PdÄ », 3), Leiden-Köln, 1958, p. 119. See also H. Goedicke, Königliche Dokumente aus dem Alten Reich (« äa », 14), Wiesbaden, 1967, p. 140 [15]. 6 Cf. P. Piacentini, Les scribes et l’école dans l’Égypte pharaonique, « Bull. Ass. angevine et nantaise d’Égyptologie Isis », 6 (1999), pp. 11-12. For the representation of an office of scribes dating back to the Ramesside period, see L. Borchardt, Das Dienstgebäude des Auswärtigen Amtes unter den Ramessiden, « zäs », 44 (1907), pp. 59-61.
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Many documents showing previously unknown evidence of scribes have been recovered in recent years. We have to mention at least a very important discovery, made by Miroslav Bárta at Abusir in November 2012. In a tomb dating back to the v th Dynasty, he found some statues, one in the typical position of the squatting scribe, representing an high official named Nefer, as well as the false-door inscribed with his name and titles. Among other roles, he hold that of zh aw nswt, then becoming imy-r zhww aw nswt, and that of imy-h¢t sh aprw (a function rarely attested, as we will see later), then elevated to the rank of imy-r zhww aprw. 7 Another exceptional discovery has been made in April 2013 by Pierre Tallet, in the site of Wadi el-Jarf, on the Red Sea. 8 A group of around 40 papyri, mostly dated to the last part of the reign of Khufu, were discovered in front of two galleries of the harbour. To date, they are the most ancient collection of written papyri found in the country, predating of some decades the documents found in Gebelein. Like them, as well as the Abusir papyri dating to the vth Dynasty, 9 they are mostly accounts that provide details regarding the daily live of the site, as the delivery of cereals and various products. Moreover, the discovery of the journal of an official named Merer, involved in the construction of Khufu’s pyramid, is an unvaluable addition to our knowledge of the period. From the point of view of the history of scribal work, they attest the presence of officials who were able to write and to take care of the management of people and involved with the activities of the harbour and the great building projects of the time. Once published, they will represent a fundamental addition to our knowledge of the scribes involved in the organisation of working people and of strategic sites. The above mentioned cases are only the most amazing recent discoveries on scribes and their activity, but they clearly show that our knowledge on the subject can be increased by information emerging from new archaeological or textual evidence. To the percentage of documents that unavoidably escapes to the searcher, since not yet discovered, or not recovered from documents difficult to access (e.g. in private collections), we have to add the sources forever lost. However, the quantity of documents collected seems to be statistically enough to draw some conclusions about the introduction and changes of specific scribal functions and titles, as I will show later with some examples. Directly connected with this attempt at an outline of the transformations occurring in scribal titles, is the problem of dating the documents on which the titles were inscribed. I have tried to combine all the dating criteria used for the Old Kingdom to establish an acceptable date for each one. At the end of the work, it has been even possible to modify some dates, thanks to the titles appearing on the documents. 10
7 http ://egyptologie.ff.cuni.cz/ ?lang=en&req=id :129 (visited June 2013). 8 http ://www.mondespharaoniques.paris-sorbonne.fr/ouadieljarf.html (visited June 2013). 9 P. Posener-Kriéger (ed. by S. Demichelis), I papiri di Gebelein : scavi G. Farina 1935, Torino 2004 ; Id., Les archives du temple funéraire de Néferirkarê-Kakaï (Les papyrus d’Abousir) : Traduction et Commentaire (« BdE », 10 P. Piacentini, Scribes, cit., pp. 21-33. lxv/1-2), Le Caire, 1976.
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For my corpus, I have taken into account all the scribes mentioned on the documents, both the owners of the documents themselves, and those only represented or mentioned with a scribal title. The following numbers don’t include the individuals solely represented with the scribal equipment. To date, there are approximately : More than 1000 scribes attested in the Memphite necropolis, from the dynasties 0-vith. More than 300 scribes attested in the provinces, from the dynasties even 0-vi th. We will return on this data later, but we can already say that, even if these figures are, of course, inferior to the reality of the Egyptian Third Millennium bc, they can give us an idea of the percentages. In the provinces, the majority of scribes is concentrated in the vth and vith dynasties, although a limited number of scribes are already attested in the first three dynasties (notably in Beit Khallaf, Abydos, Hierakonpolis), and in the ivth dynasty. This is the case, in particular, for the scribes mentioned on the Gebelein papyri, that date back to Menkaura, or for the official hnw-kA, buried in Tehne, who bore the title of zh aw nswt ‘Scribe of royal documents’, and probably lived at the end of the ivth dynasty. The titles of the officials attested on the papyri found at the harbour of Wadi el-Jarf, mostly dated to Khufu, are not yet published. The mention of other scribes dating to the ivth dynasty comes from Reqâqna, where Garstang discovered, at the entrance of the tomb r 70, a slab inscribed with a very interesting list of nyswtyw and scribes, that apparently was sent to the Cairo Museum. 11 In the tomb 64 of the same site, a false-door belonging to the zh and zh aw nswt named špsj-nswt was found. The tomb is dated to the end of the iii rdbeginning of the ivth dynasty, 12 and more precisely to the reign of Snefru, on the basis of the presence of a vase inscribed with the name of the king. Nevertheless, this is not necessarily a dating criterion, as is well known. This document, if really does go back to Snefru, would be the first known to attest the title zh aw nswt. In 1985, Strudwick wrote that the title was attested only from the middle of the ivth dynasty 13 with izi, buried in Saqqara, 14 and nfr, in Giza, 15 but this affirmation has
11 J. Garstang, Tombs of the Third Egyptian Dynasty at Reqâqnah and Bêt Khallâf, Westminster, 1904, pp. 32-33, 58, pls. xvii, xxviii. To date, I have not been able to locate the slab in Cairo, even if Garstang clearly states : « The carving was of such clear character that the authorities of the Cairo Museum retained it as an example of the work of the time ». Neverthesless, it is not located in Oxford, as mistakenly stated by M. Clagett, Ancient Egyptian Science. A Source Book, Philadelphia, 1989, p. 768, fig. i.29. 12 J. Garstang, Reqâqnah and Bêt Khallâf, cit., pp. 49-50, pls. xxv, xxviii-xxix ; E. Martin-Pardey, Untersuchungen zur ägyptischen Provinzialverwaltung bis zum Ende des Alten Reiches (« häb », 1), Hildesheim, 1976, p. 77 and note 6. 13 N. Strudwick, The Administration of Egypt in the Old Kingdom (« Studies in Egyptology »), London, 1985, p. 211. 14 B. Porter, R. L. B. Moss, Topographical Bibliography of Ancient Egyptian Hieroglyphic Texts, Reliefs and Painting. iii2. Memphis, Part 2. Saqqara to Dahshur (revised and augmented by J. Málek), Oxford, 1981, p. 739. 15 B. Porter, R. L. B. Moss, Topographical Bibliography of Ancient Egyptian Hieroglyphic Texts, Reliefs and Painting. iii2. Memphis, Part 1. Abu Rawash to Abusir (revised and augmented by J. Málek), Oxford, 1974, pp. 72-74 ; C. Ziegler, Catalogue des stèles, peintures et reliefs égyptiens de l’Ancien Empire et de la Première Période Intermédiaire. Musée du Louvre, Département des antiquités égyptiennes, Paris, 1990, p. 170.
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apparently to be corrected. In any case, the title zh aw nswt becomes certainly very common from the middle of the iv th dynasty onwards. On the other hand, the ‘composite’ titles 16 with zh aw nswt become frequent only from the vth dynasty. Also the various occurrences of the following titles belong to the v th and vi th dynasties, both in the capital and in the provinces :
zh aw nswt pr-aA ‘Scribe of royal documents of the Palace’ zh aw nswt n wd-mdw nswt ‘Scribe of royal documents of the royal orders’ zh aw nswt n kAt nbt nt nswt ‘Scribe of royal documents of all the king’s works’ zh aw nswt (n) h¢ft-hºr ‘Scribe of royal documents in the presence / Personal scribe of the royal documents’ zh aw nswt h¢ft-hºr pr-aA ‘Scribe of royal documents in the presence of the Palace / Personal scribe of the royal documents of the Palace’ zh aw nswt šnwt ‘Scribe of royal documents of the Granary,’ etc. The development of a hierarchy for the scribes of the royal documents can be attributed at the same period :
imy-r h¢r pw zhw aw nswt imy-r zhw aw nswt [*h¢r p zhw aw nswt - shºd zhw aw nswt [*imy-h¢t zhw aw nswt - zh aw nswt
[in the vth dynasty] [from the vth dynasty] not (yet ?) attested] [from the vth dynasty] not (yet ?) attested] [from the ivth dynasty]
I have noted that both the ranks of shºd zhw aw (n) nswt and imy-r zhw aw (n) nswt are attested from the v th dynasty, continuing in the vith, the latter more frequently than the former both in the capital and in the provinces. On the contrary, the lowest rank of imy-h¢t ‘under-supervisor’, and the middle one of hrp ‘inspector,’ are not (yet ?) attested, even if the titles of h¢r p zhw ‘inspector of scribes’, h¢r p zhw nbw ‘inspector of all scribes’, and the same followed by other specification are well attested, as h¢r p zhw Ahºwt m prwy ‘inspector of scribes of the fields in the two houses’, h¢r p zhw iry iahº ‘inspector of scribes connected with iahº’, h¢r p zhw iry iahº m dAdAt wrt ‘inspector of scribes connected with iahº in the great council’, h¢r p zhw wsh¢t ‘inspector of scribes of the wsh¢t-hall’, h¢r p zhw pr hºry-wd ‘inspector of scribes of the department of those in charge of reversion (of offerings)’, h¢r p zhw m wsh¢t-aA ‘inspector of scribes in the great wsh¢t-hall’, h¢r p zhw m dAdAt wrt ‘inspector of scribes in the great council’, h¢r p zhw mdAt ‘inspector of document scribes’, h¢r p zhw hºwt-wrt ‘inspector of scribes of the Great Court’, etc. At any rate, the title of *h¢r p zhw aw nswt ought in principle to exist, since we know at least one occurrence of the exceptional rank imy-r h¢r pw zhw aw nswt ‘Chief of the inspectors of scribes of royal documents’. This one, which has to be interpreted as a particular distinction reserved to a very high ranking official, was held by the vizier kAi, owner of the mastaba 63 (d 19) in Saqqara, dated to the
16 We use this expression to indicate the titles presenting a specification after the simple one.
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middle of the vth dynasty. kAi held also the unique titles of imy-r h¢r pw zhw nbw m pr hºry-wdb ‘Chief of the inspectors of all scribes in the department of those in charge of reversion (of offerings)’, imy-r h¢r pw zhw nbw n mrt ‘Chief of the inspectors of all scribes of the mrt’, 17 imy-r h¢r pw zhw nbw m rh¢yt ‘Chief of the inspectors of all scribes of the rh¢yt-people’. The reading imy-r h¢r pw ‘Chief of the inspectors’ and not imy-r h¢r p ‘Chief and inspector’ is confirmed by the existence of a similar construction in other titles where the plural is explicitly marked. This is the case, for example, of the title h¢r p h¢r pw n hºwt-aA inscribed on the statue of Sepni, found in Giza and dated to the end of the vth dynasty or later. 18 On the contrary, Jones thinks that in the title of Kai, imy-r h¢r pw zhw aw nswt, as well as in the others titles of this official which present similar construction, the sign for h¢r p (s42) has to be seen as a scribal error for nswt (m23) since the final t of this word is apparently present in one occurrence. 19 Therefore, he translates the title ‘Overseer of the royal document scribes’. The fact that the rank of imy-h¢t has not (yet ?) been found is not surprising. In fact, even if it is attested in different branches of the administration in the v th and vi th dynasties, during my researches in the last years I found it in conjunction with a scribal title in one case only, that of imy-h¢t zhw aprw ‘under-supervisor of scribes of the crews’. This title was held by iy-kAw.i, an official buried in Saqqara in the v th dynasty, who was also shºd zhw aprw and imy-r zhw aprw and played therefore an important role in human resources management – that being a very typical occupation for scribes –. 20 Nevertheless, as we have seen before, a new occurrence of the title imy-h¢t zhw aprw has been recently discovered in the tomb of Nefer in Abusir, similarly dating back to the v th dynasty. 21 This is an obvious proof that scholars must be very careful when they consider a title as an hapax, since our documentation is fragmentary, and always increasing thanks to new discoveries. 22 From the titles of the abovementioned officials, as well as from other sources, we can reconstruct the hierarchy of this category of scribes, which is to date one of the most complete known (lacking only the highest level of *imy-r h¢r pw zhw aprw – if existing – and that of *h¢r p zhw aprw) :
imy-r zhw aprw shºd zhw aprw *h¢r p zhw aprw imy-h¢t zhw aprw zh aprw
[from the ivth dynasty, reign of Rakhaef] [from the vth dynasty] [not (yet ?) attested] [in the vth dynasty] [from the vth dynasty]
17 For the meaning of the word mrt, see at last H. Papazian, Domain of Pharaoh. The Structure and Components of the Economy of Old Kingdom Egypt (« häb », 52), Hildesheim, 2012, pp. 87-100, in particular p. 99 note 828. 18 For other examples, see H. G. Fischer, Varia Nova. Egyptian Studies iii , New York (ny), 1996, p. 17 and note 21. 19 D. Jones, An Index of Ancient Egyptian Titles Epithets and Phrases of the Old Kingdom (« bar Intern. Se20 P. Piacentini, Scribes, cit., pp. 411-412. ries », 866, 1/2), Oxford, 2000, pp. 190-191. 22 See below, notes 25-26. 21 See above, note 7.
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Since the ‘basic’ title, in our logic, appears before the composite title (or the higher title in rank), we have to suppose that the zhw aprw existed in the ivth dynasty, even if we have is not yet found any document proving it. But this logic is not necessarily true, since other cases of attestation of the highest title before the lowest one exist, as imy-r zhw Ahº[wt] pr-nswt m [...] ‘Chief of the scribes of the land of the royal domain in [...]’ or imy-r zhw Ahºwt n tb-ntrt ‘Chief of the scribes of the land of the xii L. E. District’, which seem to date back to the ivth dynasty. 23 These are composite titles of high level attested before the simple title, zh Ahºwt ‘scribe of the land’ appearing in the v th dynasty. 24 Perhaps, the high and composite titles just mentioned were exceptional ones, given to specific official directing scribes who held just the simple title of zh, even if working in the fields. So, if the analysis of chronological, spatial and hierarchical distribution of titles can be done for each of them, we have already to bear in mind that there can be a problem in dating the monument on which the title is inscribed, or a lack in the documentation, that in some cases remains a source of doubt, while in others can be solved by the discovery of new documents. An example is the title zh hºtp-ntr ‘scribe of the divine offerings’, that until 1964 was considered an hapax by Henry Fischer, who read it on the false-door of irt-pthº iri, probably originating in Saqqara and dating to the end of the vi th dynasty, now kept in the University Museum of Philadelphia. 25 Nowadays, with the discovery and/or publication of new documents, 26 we dispose of a growing number of occurrences of the title, not only at the basic rank – attested at el-Hawawish, Meir, and Naga ed-Deir on monuments of the same period (vith dynasty) –, but also at the higher level of imy-r zhw hºtp-ntr and in the form with additions zh hºtp-ntr ppymn-nfr m šnaw zA(w) 20 ‘scribe of the divine offerings of the (pyramid) of Pepy Mennefer in the twenty warehouses of the phyles’. The title imy-r zhw hºtp-ntr is attested on the offering table belonging to iy-anh¢.n.f, kept in the Museum of Fine Arts, Boston (mfa 13.3283), dated on the Museum card to the vth dynasty, and by Porter and Moss to the v th-vith dynasties. 27 Because of the presence of the title imy-r zhw hºtp-ntr, that at the level of zh hºtp-ntr is attested only from the vi th dynasty onwards, I had proposed to date the offering table precisely to this dynasty. 28 But this is not necessarily true, following the hypothesis just formulated, on the possible use of
23 P. Piacentini, Scribes, cit., pp. 128-129, pp. 403-404. 24 P. Piacentini, Scribes, cit., pp. 372, 435-436. 25 H. G. Fischer, A Group of sixth dynasty titles relating to Ptah and Sokar, « jarce », 3 (1964), pp. 25-29, pl. xv. 26 P. Piacentini, Encore sur les scribes des offrandes divines, in R. Pirelli (ed.), Egyptological Essays on State and Society (« Serie Egittologica », 2), Napoli, 2002, pp. 95-109 ; P. Piacentini, Attualità delle ricerche sull’amministrazione antico-egiziana. Riflessioni metodologiche e bibliografiche, in C. Mora, P. Piacentini (edd.), L’ufficio e il documento. I luoghi, i modi, gli strumenti dell’amministrazione in Egitto e nel Vicino Oriente antico (« Quaderni di acme », 83), Milano, 2006, pp. 19-36, in particular p. 36. 27 B. Porter, R. L. B. Moss, Topographical Bibliography, iii2. Memphis, Part 1. Abu Rawash to Abusir, cit., p. 55. 28 P. Piacentini, Encore sur les scribes des offrandes divines, cit., p. 95.
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a title of higher rank before the diffusion of the lower one (even if, in this specific case, I am still more inclined to a dating of the offering table to the vi th dynasty). On the other side, the composite title zh hºtp-ntr ppy-mn-nfr m šnaw zA(w) 20 is attested on a vi th dynasty false-door stele (from the Pepy Ist reign onwards) kept in the private collection of the late conductor Giuseppe Sinopoli. This title, which is clearly a specific one, exceptionally held by an official working in the pyramid complex of Pepy Ist, seems to make reference to the warehouses of his funerary temple : five of them were located on the right side of the offering room, and five on the left, on two floors, for a total of twenty warehouses, in which the ‘divine offerings’ for the king were stored. 29
We have seen that from the ivth dynasty, and even more in the second half of the third millennium bc, scribal titles refer more and more to specific functions. But if we go back to the first dynasties we note that, until the iii rd, the simple title of zh ‘scribe’, without further specifications, is applied to officials dealing with writing in all sectors of the administration. This means that the ‘composite’ scribal titles are very rare during the first dynasties. Only some of them are already attested in the ist or iind dynasty ; other appear just in the iiird dynasty. We can mention, for example, the title zh mdAt ntr ‘scribe of the god’s book’ which is attributed, for the first known time, to a certain imA-sšAt, on a cup dating back to Ninetjer found in the galleries of the Step Pyramid, and is further attested on another vase bearing the name of ndm-sšAt, found in Saqqara near the temple of Nectanebo II, and on a clay-sealing with the name of ny-hºp(t)-sšAt, also from Saqqara. These two objects have been more generally dated to the i st-iiird dynasties. In the following centuries, the title continue to be regularly attested, both in the capital and in the provinces. On the offering table of nfr-sšm-ra, found in Byblos and dated to the iiird dynasty, is inscribed the first known occurrence of the title h¢r p zhw, which shows the existence of a hierarchy of scribes, although very limited, at this high date. 30
In documenting the period going from the beginning of the Egyptian history until the end of the vith dynasty I have found more than 300 scribal titles at all hierarchical levels all over Egypt. In addition to the numerous scribes ‘of the royal documents’, ‘of the Treasure’, ‘of the Granary’, there are officials bearing rare or exceptional titles such as the just mentioned ‘scribe of the divine offerings of the (pyramid) of Pepy Men-nefer in the twenty warehouses of the phyles’, or others like ‘scribe of the royal garments’, ‘of the pasture lands of the dappled cattle’, or of a specific town, region or god. So, a great number of scribal titles existed, but just some of them were regularly used, while many were probably given to officials on specific duties or occasions. To conclude, I would like to briefly introduce a particular aspect of the titles connected with writings, on which I am still working. Some of them, in fact, 29 P. Piacentini, Encore sur les scribes des offrandes divines, cit., pp. 99-101. 30 P. Piacentini, Scribes, cit., p. 77.
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change of value or meaning in the course of time, and if held by officials in the capital or in the provinces. This fact has to be taken into consideration when attempting to figure out the approximate number of scribes operating in the iiird millennium bc all over Egypt. This is the case with the title iry-mdAt ‘the one who is in charge of writings,’ whose diffusion and hierarchy are now well known. 31 In the capital, and at the basic level, iry-mdAt is a low-rank title, usually held by persons who worked as scribes’ assistants. On the other hand, in the provinces the title can be quite important and be used more or less as substitute of that of scribe, as it is particularly the case in Gebelein and, as we have seen, in Balat. The contrary seems to happen for the title hry-hºbt. If in the capital this title implies a quite high rank, I have the impression that, when in the vi th dynasty it spreads out in the provinces, it takes in most cases the place of those of scribe, not only for the highest rank officials, but also for the middle-low ranks. It seems to be case, for example, at Qubbet el-Hawa, Dendera, Abydos, Qasr el-Sayad, or Akhmim. I have found around 300 hryw-hºbt in the provinces, at all hierarchical levels (altough it is probably just by chance that in the provinces the number of scribes and that of lector-priests is approximately the same). Although this data is, again, a rough estimate, it means that in the provinces the hry-hºbt title was statistically much more widespread than those of scribes in the last centuries of the iii rd millennium bc.
31 P. Piacentini, Les « Préposés aux écrits », cit.
FRAGMENT EPISTEMOLOGY ? PROFILING THE SOCIETY AND ECONOMY OF LATE MIDDLE KINGDOM LAHUN
Stephen Quirke
F
our decades ago, Jac Janssen asked whether historians of ancient Egypt « will ever be able to draw a picture of the basic structure of economy as it functioned in the life of the ordinary peasant and workman. For the present, a study of the redistribution system in all its aspects seems the only possibility ». 1 Timothy Mitchell questioned further our understanding of our most fundamental categories, probing the labours of nineteenth century Egyptian writers in finding Arabic equivalents for European words such as social and political. In the process, he reminds how recent our own uses of the most common categorical words may be, not least as scholarship changes perceptions ; the word society means something different after (and therefore before) Durkheim, economy something different before and after Keynes. 2 One shape-changing word both in European languages and in Arabic has been that staple of earlier archaeology, the antiquity, Arabic athar. According to Elliot Colla, athar acquires more technical meaning as ‘antiquity’ by 1850, at a time when that significance was only recently established in Europe as the atom of a new historicist age in the wake of the French Revolutions, bringing the new institutional constellations of public museum, academy and university. In earlier Arabic writing, Colla argues, athar ‘traces’ belong to a different poetics, as ‘aja’ib ‘wonders’ for i’tibar ‘contemplation’, no less powerful, potentially no less conservative, in their presenting than the later tales of progress. 3 Colla cites the Diwan of Labid ibn Rabia for this earlier cohort of athar ‘traces’, atlal ‘ruins’, ibar ‘lessons’ : 4
The traces of the flood channels of al-Rayyan have been stripped bare, worn smooth like writing on rocks … The flash floods uncovered the ruins as though they were writings whose content is revived by pens, Or as though they were a tattooed lady whose lines were restored by rubbing indigo over them. 1 J. Janssen, Prolegomena to the study of Egypt’s economic history during the New Kingdom, « sak », 3 (1975), p.185. 2 T. Mitchell, Colonising Egypt, Cambridge, 1988, pp. 102-104 on politics, pp. 119-122 on society. Id., Rule of Experts. Egypt, techno-politics, modernity, Berkeley, 2002, pp. 80-84. 3 E. Colla, Conflicted Antiquities. Egyptology, Egyptomania, Egyptian Modernity, Durham, 2007, pp. 80-85. 4 E. Colla, Conflicted Antiquities, cit., p. 80.
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Already these traces pose the problem of interpretation, of the lack of a whole. They seem defined in themselves as incomplete, as not satisfying. For these incompatible horizons of part and whole, Saint Paul uses the Greek mevro~, against a humanly unobtainable goal or completion, Greek tevlo~ : « for our knowledge is fragmentary (ejk mevrou~) and so is our foretelling, but when the perfect (tevleion) is come, there the fragmentary will come to an end » (1 Cor 13). According to one manuscript, a Sahidic translation of this passage from Saint Paul was read on the 5th day of Epep, around 29th June ( Julian calendar), celebrated as a festival of the fathers, an early Christian version of might be termed ancestor cult in other societies ; here the Egyptian term for the immortal, divine completion is pdjo¯k. 5 In more ancient Egyptian literary expression, at least the verbal fragment may fall within the semantic sphere of tsw ‘phrase’. Certainly its use for the verbal segment feels tangible in the document named by Pascal Vernus un recueil d’aphorismes, a juxtaposition of phrases in an apparently disconnected sequence on one late Middle Kingdom papyrus ; unusual for the period, the stichic separation of phrases in one section in particular perhaps indicates use as a mnemnonic or as stock for a composer. 6 Longer passages appear on the main surviving copy of another late Middle Kingdom writer-composer, Kha’kheperra’seneb, preserved on a writing board three or four centuries later ; the separate paragraphs on the board may be excerpts from different sections of his Lament. 7 Around the implicit presence of the fragment in these manuscripts, the category of totality seems more explicitly a focus of comment, through what modern readers might divide as the aesthetics and philosophy of the Egyptian word nfr ‘beautiful’, ‘good’, ‘perfect’. One exceptional scene in the tomb-chapel of vizier Paser shows him receiving from the sculptor an image of his king, Sety I, and declaring the statuette to be nfr ‘perfect’ because it is like the isw ‘ancient’. Jan Assmann has discussed the ambiguity in this reference to ‘the ancient’ as source of perfection ; in post-Amarna Egypt, the declaration might reflect either a neo-classicism where the ancient can be emulated but never recaptured, or a direct continual re-creation generated from an always active, continually present source. 8 Whichever was intended in the inscription for Paser, the point of reference is nfr, the ultimate, taut, creative attainment that simultaneously means and matches the zero and the whole. 9 The concept is conveyed in that ancient Egyptian ren
5 H. Hyvernat, Cod.copt. xii, pl. 152-153, pml M573 ; a Bohairic version retains Greek teleion, bl Ms Oriental 424 (Tattam), accessed in the 1905 Oxford edition. 6 P. Ramesseum II, published A. Gardiner, The Ramesseum Papyri, Oxford, 1955, pl. 3-6 (stichic section pl.4, rto 3), J. Barns, Five Ramesseum Papyri, Oxford, 1956, pp. 11-14, pl. 7-8 ; translation and interpretation in P. Vernus, Sagesses de l’égypte pharaonique, Paris, 2001, pp. 233-236. 7 Writing board British Museum ea 5645, P. Vernus, Essai sur la conscience de l’histoire, Paris, 1995, pp. 1-33, R. Parkinson, The Text of ‘Khakheperreseneb’ : New Readings of ea 5645, and an Unpublished Ostracon, « jea », 83 (1997), pp. 55-68. 8 J. Assmann, Ein Gespräch im Goldhaus über Kunst und andere Gegenstände, in I. Gammer-Wallert, W. Helck (edd.), Gegengabe. Festschrift für Emma Brunner-Traut, Tübingen, 1992, pp. 43-60. 9 O. Berlev, Two Kings - Two Suns : on the worldview of the ancient Egyptians, in S. Quirke (ed.), Discovering
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dering of human bodily form that captured the admiration and anatomical eye of ‘Abd al-Latif al-Baghdadi in Egypt around ad 1200. 10 Ours then is only the latest imagination to be disturbed or stimulated by the part and aspect and their whole. From a socialist point, Antonio Labriola accepted that any historian trying ‘to make sense of the myriad facts presented by history’ would have to delineate a part, and organise into discrete groups the facts identified as relevant to presenting that past. 11 At the same time, he warned that this methodological advance came at a cost, because, seemingly inevitably, the discrete groups become living things of their own : « Thanks to the process of abstraction, various sides of the social complex assume the form of separate categories, and the various manifestations and expressions of the activity of social man … are converted in our minds into separate forces which appear to give rise to determine this activity and to be its ultimate cause ». His Russian socialist reviewer Georgi Plekhanov approved on these points, and would seek to offer in cautious terms a hierarchy beginning from geographical and demographic factors, and still governed in theory by the principle of flexibility : 12 1. Degree of development of the productive forces ; 2. Economic relations conditioned by (1) ; 3. Socio-political structure (or dimension) arising on the given economic ‘base’ ; 4. Mentality of the social individual, arising in part from directly from the economic, in part from the whole socio-political level that has grown out of the economic ; 5. The various ideologies that express in themselves aspects of that mentality.
For other western Marxists such as Raymond Williams, any such hierarchy still risked too much, a fear they might find confirmed in the history of the twentieth century. 13 Plekhanov might have replied, a century before Bourdieu, that our choices in topics for study are always a hierarchy of something more than taste. 14 Looking sideways, others have started from the same or similar basic settings for a totality of social study. Returning to Abd al-Latif at the turn of the twelfth to thirteenth centuries, we find this series of chapters in his first book (the second presents in turn the chapter on the Nile, and the vivid account of the lethal famine in ad 1200-1202) :
Egypt from the Neva. The Egyptological legacy of Oleg D. Berlev, Berlin, 2003, pp. 1-18 (Russian, written c.1970), pp. 19-35 (posthumous translation 2003). 10 S. de Sacy, Relation de l’Egypt par Abd al-Latif, Paris, 1810. 11 A. Labriola, Del materialismo storico, 2nd edition, Roma, 1899, section vi. 12 G. Plekhanov, Основные вопросы марксизма, St Petersburg, 1908. 13 P. Blackledge, Reflections on the Marxist Theory of History, Manchester, 2006, pp. 62-64. 14 For a reconsideration of Egyptological biographies from this perspective, see J.-C. Moreno Garcia, From Dracula to Rostovtseff, or the misadventures of economic history in early Egyptology, in M. Fitzenreiter (ed.), Das Ereignis : Geschichtsschreibung Zwischen Vorfall Und Befund, London, 2009, pp. 175-198.
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stephen quirke Land and climate - seasons, flood. Plants. Animals. Monuments. Buildings and boats. Cuisine.
Perhaps then, against Williams, we can relax with ‘Abd al-Latif reading from the climate to the cooking. The benefit of the Marxist historiography has been above all, perhaps, its urge to articulate, and not to leave implicit the totality or the background that frames our partial studies. 15 Here we could continue the work of comparison across societies, as Samir Amin developed for early large-scale polities within his study of twentieth-century under-development. 16 Comparing his native Egypt with ancient China, Amin identified five shared diagnostic features : 1. Population centralised compared with surrounding societies ; 2. Village communal aspect fades at rise of central authority ; 3. Ruling groups not [able to be] despotic [= muted military/ administrative reach of rulers up to 20th century, Giddens] ; 4. Central authority extracts surplus by payment of dues ; 5. Social structure compatible with wide range of levels of development of productive forces.
Such observations might be difficult to confirm from archaeological or early historical evidence. In particular, the third item (governance not arbitrary) could be rephrased as a more neutral factor, that ruling groups were not able to be despotic, given the limited administrative reach and military response-time of dominant centres in early times. Nevertheless, whether we accept, refine or reject such an outline, in itself comparative enquiry keeps us from falling into the traps of our confident ignorance, just as the historians of words keep us alive to our vocabularies. Never was a society in greater need of rescue from preconceptions than ancient Egypt is today – above all, the Egypt of royal pyramids, during the Old and Middle Kingdom. 17 Let us turn to Lahun then, to ask with the tenth century poet al Mutanabbi the social and individual questions : 18 Where is he among whose structures the pyramids belong ? Who were his people ? When did he live ? And what brought him down ? These moments have survived their inhabitants - though only for a while.
15 Cf. M. Rowlands, Centre and periphery. Review of a concept, in M. Rowlands, M. Larsen, K. Kristiansen (edd.), Centre and Periphery in the Ancient World, Cambridge, 1987, pp. 1-11 16 S. Amin, Unequal Development : an essay on the social formations of peripheral capitalism, New York, 1976. 17 L. Wynn, Shape shifting lizard people, Israelite slaves, and other theories of pyramid building. Notes on labor, nationalism, and archaeology in Egypt, « Journal of Social Archaeology », 8 (2008), pp. 272-295. 18 E. Colla, Conflicted Antiquities, cit., p. 81.
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Or for this site, we might recall more appropriately, citing again from Colla, the poet al-Ma’arri in the account by Gamal al-Din al-Idrisi : 19 The ruined dwellings of a people have addressed us with their speech, and I know of no speech sweeter than these dwellings. For Lahun is famous in Egyptian archaeology not for the pyramid there, of king Senusret II of the Twelfth Dynasty, but for the new town sited in alignment with it a kilometre to the east of the pyramid structure itself, just north of the Valley Temple, that part of the pyramid complex where the eternal cult of the king overlapped with the land of the living. Barry Kemp has presented this town as the type site for a particularly orthogonal form of planning, characterising an entire period of Egyptian history, the Middle Kingdom, about 2025-1750 bc. 20 This planning form and era has struck especially, perhaps, English-language history-writers as typifying a planned command economy with all the ills that post-modernism ascribes to modernist architecture. The archaeological evidence for Middle Kingdom Lahun derives mainly from the ‘turning-over’ of the site, a clearance directed by Flinders Petrie in 1889. 21 The clearance yielded the brick architecture (since removed) with some unique domestic painting, occasional stone installations (mainly consumed in lime kilns of the fourth to fifth centuries ad), and a harvest of small finds and sherds with pot-marks. 22 At this early date in the history of settlement archaeology, in common with contemporary English excavators of the Roman town Calleva Atrebatum (Silchester), Petrie recorded few precise contexts or find-spots. 23 Yet the site outline and topography already indicates that this was a new rectilinear planned town, leaving no trace of any previous organic settlement, and with external walls that demarcate the space from the desert outside to north, east and west, and one internal wall dividing a main eastern sector from a secondary western sector. The highest point is occupied by one of the ten largest houses, and overlooks the only space empty of buildings within the bounding walls. This position, at corner of the main sector, recalls the location of still larger palatial house excavated over the past two decades under the direction of Joseph Wegner at Abydos South (ancient Egyptian Wah-sut-Kha’kaura’). 24 There, seal impressions on deposits of mud sealings indicate that this was the pr hºAty-a ‘House of the Mayor’. A rectangle in the corner of another rectangle is the form of the hieroglyph hºwt, a term to denote any new
19 E. Colla, Conflicted Antiquities, cit., p. 89. 20 B. Kemp, Ancient Egypt. Anatomy of a Civilization, 1st edition, Cambridge, 1989, pp. 149-158. 21 W. M. F. Petrie, Methods and Aims in Archaeology, London, 1904, fig.23 facing p. 41, caption « Town-site turned over, showing outer wall. Kahun ». 22 W. M. F. Petrie, Kahun, Gurob, and Hawara, London 1890 ; Id., Illahun, Kahun and Gurob 1889-1890, London, 1891 ; for his later seasons at the site, 1914 and 1919-1920, see G. Brunton, Lahun II, London, 1923. 23 G. Boon, Silchester : the Roman town of Calleva, 2nd revised edition, Newton Abbot, 1974, p. 30, on the 1890-1909 excavations : « vessels from many pits and wells were marked, and a good many other objects of importance are more or less closely provenance. But for the vast majority of finds there is no such record ». 24 J. Wegner, Excavations at the Town of Enduring-are-the-Places-of-Khakaure-Maa-Kheru-in-Abydos A Preliminary Report on the 1994 and 1997 Seasons, « jarce », 35 (1998), pp. 1-44 ; Id., The Town of Wah-Sut at South Abydos : 1999 Excavations, « mdaik », 57 (2001), pp. 281-308
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orthogonal structure, from new town, to hºwt of a god (temple), to hºwt of the ka-spirit of king or other individual (offering-chapel). 25 We may recognise in Lahun then one version of an ancient Egyptian category hºwt transposed onto the uneven landscape of the desert edge. Seal impressions on sealings and hieratic papyrus fragments from the town seem to give us the name of the place : HetepSenusret. 26 A second place-name Sekhem-Senusret is more frequent on another large batch of hieratic papyri, found ten years after the main clearance under Petrie, and apparently from the large rubbish heaps between the Valley Temple and the western sector. Sekhem-Senusret could then be the name for the western sector. Any visitor to the site who stands at the main street of the west sector can confirm that this quarter comprises a town in itself, and that the thick internal wall and scale of the site mark the whole Lahun as a remarkable double-town, a Buda and Pest at the desert edge of the fields. Beside the papyri and other finds, the greatest prize of the Petrie season is the plan of the town. 27 The plan is a flat record, with no stratigraphy, and only sparsely populated by provenance for specific items. 28 Along the south side, the ground slopes steeply towards the flood plain, where a water channel presumably led from/to the Valley Temple. At present, we have little archaeological comparative evidence to assess the residential status of this waterfront. A royal temple approach might have attracted more palatial residences of moorings for the most luxurious boats, as the dahabiyat of more recent times. However, dockyards would have made this the most industrially active zone, perhaps with the poorest housing ; Egyptian wh¢r t denotes both dockyard and production-place. 29 As at another famous Egyptian settlement site, Amarna, the river edges are absent, leaving our knowledge again more a fragment, than a whole. Nevertheless, the repetition of units across the recorded cleared areas plausibly indicates large areas where the original Twelfth Dynasty plan for the town can be recognised. 30 Here the dominant set of palatial mansions, including the *House of the Mayor at the corner, stand directly juxtaposed with streets of the smallest house-units on the site. This stark contrast can quickly be read as incarnating that Great Divide between literate elite and illiterate mass, still the stock of modern imaginations of past (and present). Certainly this binary social plan of our totalising minds already allows for useful comparisons and insights. For example, we can already appreciate the broad sharing of practices such as infant burials in boxes inside the house ;
25 J.-C. Moreno Garcia, Hwt et le milieu rural égyptien du iiie millénaire : économie, administration et organisation territoriale, Paris, 1999. 26 Z. Horváth, Temple(s) and Town at el-Lahun. A Study of Ancient Toponyms in the el-Lahun Papyri, in J. Wegner, D. Silverman (edd.), Archaism and Innovation : Studies in the Culture of Middle Kingdom Egypt, New Haven and Philadelphia, 2009, pp. 171-203. 27 W. M. F. Petrie, Illahun, Kahun and Gurob, cit., pl.14. 28 C. Gallorini, Reconstruction of Petrie’s excavation at the Middle Kingdom settlement of Kahun, in S. Quirke (ed.), Lahun Studies, Reigate, 1998, pp. 42-59. 29 S. Quirke, The Residence between places of knowledge, production and power : Middle Kingdom evidence, in J. Taylor, R. Gundlach (edd.), Egyptian Royal Residences. 4. Symposium zur ägyptischen Königsideologie, Wiesbaden, 2009, pp. 111-130. 30 M. Bietak, E. Czerny, I. Forstner-Müller (edd.), Cities and Urbanism in Ancient Egypt, Vienna, 2010, p. 9.
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infant burials are among the few finds for which specific provenance is recorded, and occur sometimes outside the sector of palatial houses, sometimes inside it. 31 However, there is a problem with binary solutions, as post-structuralists would argue several decades ago ; they are too easy to read. In her study of medieval European vernacular literature, Joyce Coleman criticises the dulling effect of the conventional opposition literate-oral, which she considers a block to understanding a part-literate society. 32 The problem is less in the writing, than in the reading of the Great Divide literate-oral. From one group of papyri found at Lahun, three successive household listings for one family, Kemp fairly situates them in a medium-sized house near the find-place in the western sector. 33 However, in consuming his account, most of us are probably caught in the trap of our mind-set, with two assumed classes, rich and poor, and so we read the tale of a modest family, implicitly or sub-consciously contrasting this with the life of our only other ancient option, an ill-defined literate elite. This implicitly binary reading – the whole around our fragments – is reinforced by the simple-sounding title of the head of the household, ahºAwty, regularly translated ‘soldier’ or ‘warrior’. 34 We find literally the ground troops, the cannon fodder for our history. Yet the holder of the title might be located at a different place in the society of his time. At least, in the previous century, farther south in what is today two governorates away from Lahun, in Middle Egypt, a man named Userhet with the same title (or his family or friends) could afford for his burial two fine painted wooden coffins, the inner one in the new style as wrapped body with head-cover, ceremonial broad collar, and a line of hieroglyphic inscription expertly executed, with the invocation of the sky-goddess Nut, also found among the inscriptions inside the late Old Kingdom royal pyramids. 35 Confronted with such evidence, the term ‘middle class’ might seem a descriptive term, but it can scarcely be politically or socially neutral. Coming from the academic environment, it sounds more self-inscriptive ; it seems advisable to heed the warnings of historians not to write ourselves into the past, and to seek other terms. To re-test any assumptions on the social and economic profile of Lahun, we can return to the archaeological archive. Petrie left little documentation, but his friend Frank Griffith recorded that three of the papyrus-groups found by the Petrie workforce were discovered in April 1889, and the Petrie pocket notebooks from 1889 allow us to identify which parts of the town were being cleared that
31 C. Gallorini, Reconstruction of Petrie’s excavation, cit. ; Petrie, Illahun, Kahun and Gurob, cit., p. 11, pl.14 easternmost palatial mansion. 32 J. Coleman, Public reading and the reading public in late medieval England and France, Cambridge 1996, especially chapter 1, On beyond Ong : the bases of a revised theory of orality and literacy, pp. 1-33. 33 B. Kemp, Ancient Egypt. Anatomy of a Civilization, cit., pp. 157-158. 34 W. Ward, Index of Administrative and Religious Titles of the Middle Kingdom, Beirut, 1982, p. 76, no. 618 « warrior ». 35 J. Bourriau, Pharaohs and Mortals. Egyptian art in the Middle Kingdom, Cambridge, 1988, pp. 90-92, cat. nos. 71-72.
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month. 36 We can now re-filter this information though the detailed analysis by Florence Doyen, published in summary in 2010, setting a new foundation for studies of the town-site and its time. 37 In place of the opposition between largest and smallest houses, among the latter she identifies a graded series of twenty-three house types, numbering the smallest type 1 and the largest type 23. The range may be shown from the most often repeated house types in east and west sectors of the town, giving the sizes from Doyen in both modern metres and ancient Egyptian cubits.
Most often repeated house types in the East Sector = main town (Hetep-Senusret ?)
1 7 8 18
44.1 m2 = 160c2 77.1 m2 = 280c2 81 m2 = 294c2 165.3 m2 = 600c2
Most often repeated house types in the West Sector (Sekhem-Senusret ?)
2 57.8 m2 = 210c2 3 62 m2 = 225c2 7 77.1 m2 = 280c2 8 81 m2 = 294c2 9 82.6 m2 = 300c2 12 99.2 m2 = 360c2 13 104.1 m2 = 378c2 14 132.3 m2 = 480c2 19 167.5 m2 = 608c2 20 170.8 m2 = 620c2
The greatest variety is in the western sector, where some of the larger ‘small houses’ are to be found, against the general tendency to characterise that area as worker housing (house types 21 to 23, 220.5 to 448.7 m2 = 800 to 1628c2). The contrast between largest and small remains a striking aspect of the town, as the palatial houses are some six times the size of the next largest unit, the two examples of type 23. However, rather than characterising this in orientalist terms as an eternal divide, this contrast might recall social divisions in the town-planning of stratified societies closer to Egyptological homes, those of eighteenth century colonial Europe. If the scale of the hôtels of ancien régime Paris or aristocratic London town houses offer a measure of a social divide, we should be ready to think of ancient Lahun with the same awareness of complexity. Confronted with the range of house types at Lahun, which Londoner or Milanese would imagine needing the same resources for the different sizes of dwelling ? How many social classes are we prepared to define here ? Doyen re-opens all the questions for de
36 M. Collier, S. Quirke, The ucl Lahun Papyri : Accounts, Oxford, 2006, pp. 2-5. 37 F. Doyen, La residence d’Elite : un type de structure dans l’organisation spatiale urbaine du Moyen Empire, in M. Bietak, E. Czerny, I. Forstner-Müller (edd.), Cities and Urbanism in Ancient Egypt, Vienna, 2010, pp. 81-101.
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scribing this society, without closing the door on the conventional history of ancient Egypt as two main social strata : finally these options can be active research questions for us. The Doyen analysis provides the tools for this re-thinking, as we can now place the April 1889 finds of papyri, and their contents, in more specific neighbourhoods. An important group of mainly legal papyri, well known from the study by Mark Collier, 38 comes from the vicinity of one of the largest non-palatial houses, at 800 square cubits (220.5m2, house type 21, only example). In addition to the wpwt ‘household listings’ of the ahºAwty discussed by Kemp, the documents include the imt-pr or testamentary transfer document of a man named Wah, a wab hºry sA n spdw ‘pure-priest, in charge of the stall ( ?) of Sopdu’, apparently a ritual title. Together with a supporting deed, the imt-pr confirms transfer of property and rights in persons, four women designated aAmt ‘Asiatic woman’ ; on Middle Kingdom sources the term aAm(t) precedes west Semitic names, in a corpus of several dozen individuals, and so these would be people arriving or brought from the Levant, the west Semitic language zone, or descendants of those people. 39 The people named in the documents may or may not have lived in the house alongside ; the documents may or may not have been discarded at a distance from the place where they were written and used. Either way, at Lahun, as at few other sites, we can use the physical point where these documents met the ground to re-think our histories literally from the ground upwards and outwards. Similarly we can re-read the neighbourhood of another batch of papyri, Lot iv, over in the eastern main sector. This group includes the wpwt ‘household listing’ of a man named Kha’kaura’-Sneferu Sneferu, with the title hry-hºbt ašA ‘regular lector’ ; as Pascal Vernus has documented, hry-hºbt indicates ability to read a hºbt ritual scroll, and therefore, at this date, to read the more select hieroglyphic script as well as the regular daily hieratic script. 40 According to the document, his wife had died, and his family comprised a son and daughter, apparently both past puberty as neither is identified as child in the man/woman/child column of the listing. Aside from the family, the household comprised three groups of servants or staff, mainly women, some children : (1) thirteen attached to the title of regular lector (2) three assigned from a court official, and (3) at least six from the sister of his aunt (the document breaks off after six names, with traces for a possible lines 7 and 8, conceivably from another type of entry, though in black rather than red, and so most plausibly a continuation of the name-list). Now on this town-map we can consider where a hieroglyph-reader, at the elite core of readers, should
38 M. Collier, Lots i and ii from Lahun, in Wegner, Silverman (edd.), Archaism and Innovation, cit., pp. 205-261. 39 O. Berlev, Трудовое население Египта в эпоху Среднего царства., Moscow, 1972, chapter 4, especially pp. 89-90 list of professions, pp. 91-93 names, pp. 93-94 names and titles of superiors ; T. Schneider, Ausländer in Ägypten während des Mittleren Reiches und der Hyksoszeit. Teil 2 : die ausländische Bevölkerung, Wiesbaden, 2003. 40 P. Vernus, Le prêtre-ritualiste Hr-mni, redacteur de la stele de Hr-m-h‘w.f in Hommages à François Daumas, Montpellier, 1986, pp. 587-592.
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most plausibly be at home, as a widower, with son, daughter, and three groups of servant-women, one with her son. One option would be the houses in the general vicinity of the find ; at 520 and 546 square cubits (143.3 and 150.4m2), these are still among the largest of the non-palatial houses (Doyen types 16 and 17). We might instead interpret the find as secondary, with removal of the wpwt and the other lot iv documents away from their place of use, over the back wall and some distance down the street from the nearest palatial house. In that case, lector Sneferu, his children and the servant women and children might have lived together in one of those 60x40m palatial mansions, or in part of one. These stories can be fitted into a traditional binary class model of ancient Egyptian society, or a different model ; either way, the combination of documents and architecture lifts the options out of the general into the specific. Lahun and its papyri and other finds offer many more challenges for research : the relation of those in the town to the land around - arable field, marshes, low and high desert ; 41 the question of leisure, where it may be easy to assume that aesthetic worlds belong in their totality to an elite, but where mud gaming boards 42 and painted mud pieces might indicate as broad a social enjoyment of leisure as in any country today ; and a world of labour for which binary histories may not be adequate, and where we still lack a history of fundamentals – a history of agricultural tools, a history of irrigation that plausibly ends in the pragmatic telos of the present. In drawing up an account of the total balance from these fragments, we may seem close with Doyen to the literary world evoked by Pascal Vernus in his presentation of ancient Egyptian wisdom literature, aimed at, « en termes sociologiques, “les dominés des dominants” ». 43 Perhaps our principal task remains to find a vocabulary that will not merely and unconvincingly place ourselves at the epicentre of our history-telling. The static impact of words such as elite and sub-elite, or the normative modern hegemonies of the term and entity middle class, might yield to more dynamic analytical categories. For ancient Greek history over a long duration, Geoffrey de Ste. Croix sought to apply the nineteenth century analysis by Karl Marx. 44 Against Talcott Parsons, de Ste. Croix saw the value of categories and concepts not in their definition, but in their productive use in evaluation. He identified the criteria for evaluation of any definition of class as « its clarity and consistency, the extent to which it corresponds with the historical realities to which it is applied, and its fruitfulness as a tool of historical and sociological analysis ». Against Max Weber, he considered social classes and their struggles as ‘real elements’ rather than ‘ideal-type constructs’. From these propositions, de Ste. Croix presented his understanding of the category of social class in the analysis by Karl Marx :
Class (essentially a relationship) is the collective social expression of the fact of exploita41 S. Quirke, Labour at Lahun, in Z. Hawass, J. Richards (edd.), The Archaeology and Art of Ancient Egypt : Essays in Honor of David O’Connor, Cairo, 2007, pp. 273-288. 42 W. M. F. Petrie, Illahun, Kahun and Gurob, cit., p. 30, pl. 16 (now uc 16722). 43 P. Vernus, Sagesses, cit., p. 30. 44 G. de Ste. Croix, The Class Struggle in the Ancient Greek World, London, 1981, p. 43.
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tion, the way in which exploitation is embodied in a social structure. By exploitation I mean the appropriation of part of the product of the labour of others. A class (a particular class) is a group of persons in a community identified by their position in the whole system of social production, defined above all according to their relationship (primarily in terms of the degree of ownership or control) to the conditions of production (that is to say, the means and labour of production) and to other classes.
The fragment – the single house-unit, the single-named individual – is never unframed ; our attempt to interpret every one unit depends on the code we use to place it in relation to the others. The inadequacy of our terms for social groups in ancient Egypt reflects our lack of thinking on « their position in the whole system of social production », or, as de Ste. Croix also laments, our readiness to repeat unthinkingly the dominant categories we receive from our own societies. For Middle Kingdom history and archaeology, proponents and opponents alike must test these terms against the evidence for signs that they might be at home in the time and ground of the town-plan and the verdant province of Fayoum which it borders.
« VENITE A ME, VOI CHE DESIDERATE VEDERE AMON ! » : AMENHOTEP FIGLIO DI HAPU NEGLI ARCHIVI DI EGITTOLOGIA DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
Christian Orsenigo
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on questo contributo vorremmo illustrare alcuni promettenti risultati che sono emersi da una prima indagine negli archivi di Alexandre Varille su un cospicuo gruppo di documenti che concernono Amenhotep figlio di Hapu, il ben noto funzionario dell’epoca di Amenhotep III, la cui fama si protrasse vari secoli oltre il periodo del suo operato. 1 Quelle che riassumiamo sono considerazioni emerse dalla fase preliminare di un progetto della Cattedra di Egittologia dell’Università degli Studi di Milano, coordinato dalla Professoressa Patrizia Piacentini e da chi scrive. Come è noto, nel 2002 l’Ateneo ha acquisito gli archivi completi di Alexandre Varille che oggi costituiscono uno dei fondi più importanti degli archivi egittologici dell’Università di Milano. 2 L’eccezionalità del fondo Varille, 3 che era già stata messa in luce dagli egittologi a lui contemporanei che ne poterono usufruire negli anni ’40-’50 del secolo scorso, risiede altresì nel fatto che di esso fanno parte gli archivi di Victor Loret 4 e quelli di James E. Quibell. Questi ultimi costituiscono l’unica documentazione d’archivio a oggi nota sugli scavi dell’archeologo inglese, in particolar modo a Saqqara. 5
1 Vorremmo rivolgere un ringraziamento particolare alla Prof.ssa Silvia Bussi per l’invito a partecipare a questo convegno e complimentarci con lei per l’ottima organizzazione dello stesso. Che anche il Prof. Daniele Foraboschi e la Prof.ssa Patrizia Piacentini trovino qui l’espressione della nostra gratitudine. 2 Cfr., e.g., P. Piacentini, The Egyptological Archives of the Università degli Studi di Milano, in Ead. (ed.), Egypt and the Pharaohs. From the Sand to the Library : Pharaonic Egypt in the Archives and Libraries of the Università degli Studi di Milano (« Le vetrine del sapere », 9), Milano, 2010, pp. 61-114 ; L. Gordan-Rastelli, The Egyptology Archives of the University of Milan, « kmt », 23/2 (2012), pp. 32-47, 68, 83. Cfr. anche C. Orsenigo, The Egyptological Archives and Library of the Università degli Studi di Milano : Bibliography, « edal », 1 (2009), pp. 179-190 ; « edal », 2 (2010-2011), pp. 215-220 e « edal », 3 (2012), in stampa. 3 Sul fondo Varille dell’Università degli Studi di Milano, cfr., e.g., P. Piacentini, La biblioteca di Alexandre Varille e le prime fotografie aeree dell’Egitto, in C. Basile, A. Di Natale (edd.), Atti del vii Convegno nazionale di Egittologia e Papirologia, Siracusa, 29 novembre - 2 dicembre 2001 (« Quaderni del Museo del Papiro », 11), Siracusa, 2003, pp. 133-143 ; P. Piacentini, Dalla ricerca archeologica agli archivi : studi sulle tombe tebane tra la West Bank e Milano, « rise », 4 (2010), pp. 301-319 e, da ultimo, P. Piacentini, The Egyptological Archives, cit., pp. 64-68. 4 Sugli archivi di Victor Loret cfr., e.g., P. Piacentini, C. Orsenigo, La Valle dei Re riscoperta. I giornali di scavo di Victor Loret (1898-1899) e altri inediti (« Le vetrine del sapere », 1), Milano, 2004 e P. Piacentini (ed.), Victor Loret in Egypt (1881-1899). From the Archives of the Milan University to the Egyptian Museum in Cairo, Cairo, 2008. 5 P. Piacentini, The Egyptological Archives, cit., p. 82 ; C. Orsenigo, Turning Points in Egyptian Archaeology,
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Gli archivi di Alexandre Varille contengono centinaia di lastre fotografiche e decine di migliaia di fotografie di siti e monumenti egizi, manoscritti, dattiloscritti, appunti e note riguardanti ogni aspetto della civiltà egizia, numerosissimi disegni, facsimili, piante e mappe, oltre a una cospicua documentazione di scavo. Quest’ultima si riferisce alle missioni cui Varille prese parte, come quelle di Fernand Bisson de la Roque a Medamud e di Raymond Weill a Zawiet el-Mayetin, 6 o ancora alle missioni che lui stesso diresse in alcuni siti egiziani, in particolar modo a Karnak Nord e sulla riva occidentale tebana. Qui, nel marzo del 1934, l’archeologo identificò con certezza il tempio di Amenhotep figlio di Hapu che in seguito scavò in modo estensivo. 7 Ci sembra tuttavia doveroso precisare che è stata trovata testimonianza del fatto che l’area su cui sorgeva il tempio di Amenhotep figlio di Hapu era già stata parzialmente indagata – prima di Varille – da Bernard Bruyère, 8 com’è documentato, ad esempio, in un suo taccuino, risalente al 1926, oggi conservato al Cairo negli archivi dell’ifao. 9 È probabile che Varille – dato il suo stretto legame con Bruyère – ne fosse a conoscenza, ma al momento non abbiamo trovato nei suoi archivi alcun cenno in proposito. A causa del gran numero di attestazioni del nome di Amenhotep figlio di Hapu, sia contemporanee al suo operato che risalenti a epoche successive, il funzionario è stato oggetto di numerosi studi ai quali rimandiamo. In questa sede ci limitiamo pertanto a ricordare solo che quest’uomo originario di Athribis svolse una sfolgorante carriera durante il regno di Amenhotep III, per il quale ricoprì incarichi della massima importanza. 10 La fedeltà al sovrano valse ad Amenhotep figlio di Hapu
1850-1950, in Piacentini (ed.), Egypt and the Pharaohs, cit., pp. 122-125. ���������������������������������������� L’assenza degli archivi di James E. Quibell era da lungo tempo particolarmente avvertita nell’ambiente egittologico, come emerge, ad esempio, da alcune lettere inedite risalenti agli anni ‘80 del secolo scorso, appartenenti al carteggio di Bernard v. Bothmer, anch’esso conservato presso l’Università degli Studi di Milano, in cui il celebre studioso, asserisce di non conoscerne la collocazione. Il Fondo Quibell di Milano è al momento in fase di catalogazione. 6 Cfr., da ultimo, P. Piacentini, Zawiet el-Mayetin negli Archivi Varille dell’Università degli Studi di Milano (e altri ricordi), in P. Buzi, D. Picchi, M. Zecchi (edd.), Aegyptiaca et Coptica : studi in onore di Sergio Pernigotti, « bar-is, 2264 », Oxford, 2011, pp. 261-275. 7 C. Robichon, A. Varille, Le temple du scribe royal Amenhotep fils de Hapou (« fifao », 11), Le Caire, 1936, i. Cfr. anche i rapporti preliminari delle campagne di scavo : A. Varille, Quatre nouveaux temples thébains, « CdE », 10, No. 20 (1935), pp. 237-242 ; Id., Nouvelles fouilles de temples funéraires thébains (1934-1935), « RdE », 2 (1936), pp. 177-181 ; C. Robichon, A. Varille, Thèbes : Fouilles de l’Institut français d’Archéologie orientale, « CdE », 12, No. 24 (1937), pp. 174-180 ; Iid., Fouilles des temples funéraires thébains (1937), « RdE », 3 (1938), pp. 99-102. 8 M. L. Bierbrier, Who Was Who in Egyptology, London, 20124, p. 88. 9 Il manoscritto di Bruyère summenzionato è reperibile sul sito web dell’ifao all’indirizzo permanente . 10 Cfr., e.g., D. Wildung, Imhotep und Amenhotep : Gottwerdung im alten Ägypten (« mäs », 36), MünchenBerlin, 1977 ; W. J. Murnane, Servant, seer, saint, son of Hapu, Amenhotep, called Huy, « kmt », 2 (1991), pp. 8-13, 56-59 ; L. M. Berman, Amenhotep III and his time, in A. P. Kozloff, B. M. Bryan, L. M. Berman (edd.), Egypt’s dazzling sun : Amenhotep III and his world, Cleveland, 1992, pp. 44-48 ; W. J. Murnane, The organization of government under Amenhotep III, in D. B. O’Connor, E. H. Cline (edd.), Amenhotep III : perspectives on his reign, Ann Arbor, 1998, pp. 173-221, passim ; A. Cabrol, Amenhotep III le Magnifique, Monaco, 2000, pp. 295-305, 473-474 ; J. J. Shirley, What’s in a title ? Military and civil officials in the Egyptian 18th dynasty military sphere, in S. Bar, D. Kahn, J. J. Shirley (edd.), Egypt, Canaan and Israel : history, imperialism, ideology and literature. Proceedings of a conference at the University of Haifa, 3-7 May 2009 (« Culture and History of the Ancient Near East », 52), Leiden-Boston, 2011, in particolare pp. 312-313. Sulle origini della famiglia di
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rari privilegi, tra cui quello di poter deporre un numero particolarmente consistente di sue statue nel tempio di Karnak, che fecero di lui un intermediario tra i visitatori e gli dei. 11 Dopo la morte, la sua reputazione crebbe a tal punto che fu venerato come saggio guaritore e adorato quasi come un dio alla stessa maniera del suo lontano e altrettanto illustre predecessore Imhotep. 12 In vita, Amenhotep figlio di Hapu ebbe anche lo straordinario privilegio, come sopra accennato, della costruzione di un proprio tempio. Questo si ergeva non lontano dal tempio del sovrano per il quale operò, e costituisce la struttura templare più grande di Tebe destinata a un privato. Costruito in mattoni crudi e calcare, misurava 45 x 110 m, ed era quindi di dimensioni simili ad alcuni templi regali della sponda occidentale tebana. Il tempio presentava due piloni. Dietro al primo, che fungeva da ingresso, si trovava un’area in cui era stato scavato un bacino di forma quadrata, originariamente alimentato da acque sotterranee e circondato da piante ornamentali. L’area era chiusa a ovest da un portico a pilastri addossato al secondo pilone. Questo introduceva in una corte colonnata sui cui lati nord e sud si aprivano quattro camere, mentre sul lato ovest si trovava il santuario vero e proprio costituito da tre cappelle precedute da un’anticamera e circondate da altri ambienti. 13 A seguito di un sondaggio effettuato nel marzo del 1934, il tempio e le aree nelle sue immediate vicinanze furono oggetto di scavo da parte di Varille – affiancato da Clément Robichon – dal 9 dicembre 1934 al 31 marzo 1935. L’attività riprese nel 1937 e interessò, tra l’altro, l’area del bacino che fu prosciugato permettendo il recupero di numerosi materiali. 14 Alla prima campagna di scavo fece seguito una pubblicazione in cui l’archeologo illustrava le motivazioni che lo avevano spinto a
Amenhotep figlio di Hapu da Athribis, cfr. P. Vernus, Athribis : Textes et documents relatifs à la géographie, aux cultes, et à l’histoire d’une ville du Delta égyptien à l’époque pharaonique (« BdE », 74), Le Caire, 1978, pp. 29-30 (doc. 29) e pp. 399-400. 11 Cfr., e.g., H. Sourouzian, La statue d’Amenhotep fils de Hapou, âgé, un chef-d’oeuvre de la 18e dynastie, « mdaik », 47 (1991), pp. 341-355 ; L. Delvaux, Amenhotep, Horemheb et Paramessou : les grandes statues de scribes à la fin de la 18e dynastie, in M. Broze, Ph. Talon (eds.), L’atelier de l’orfèvre : mélanges offerts a Ph. Derchain, Leuven, 1992, pp. 47-53 ; L. Kákosy, Heilstatuen in den Tempeln, in D. Kurth (ed.), 3. Ägyptologische Tempeltagung, Hamburg, 1.-5. Juni 1994 : Systeme und Programme der ägyptischen Tempeldekoration (« äat », 33/1 = Akten der Ägyptologischen Tempeltagungen, 1), Wiesbaden, 1995, pp. 91-98 ; Ph. Collombert, Une statue thébaine d’Amenhotep fils de Hapou trouvée à Esna, « bifao », 102 (2002), pp. 137-142 ; J. M. Galán, Amenhotep son of Hapu as intermediary between the people and god, in Z. Hawass, L. Pinch Brock (edd.), Egyptology at the dawn of the twenty-first century, Proceedings of the Eighth International Congress of Egyptologist, Cairo, 2000, Cairo-New York, 2003, ii, pp. 221-229. 12 Cfr. Wildung, Imhotep und Amenhotep, cit. ; Id., Egyptian Saints : Deification in Pharaonic Egypt, New York, 1977. Cfr. anche, inter alia, M. Malinine, Une lettre démotique à Aménothès, fils de Hapou, « RdE », 14 (1962), pp. 37-43 ; L. kákosy, Imhotep and Amenhotep son of Hapu as patrons of the dead, « AcOr (B) », 21 (1968), pp. 109-117 ; J. Karkowski, J. K. Winnicki, Amenhotep, Son of Hapu and Imhotep at Deir el-Bahari : Some Reconsiderations, « mdaik », 39 (1983), pp. 93-105 ; E. Teeter, Amunhotep Son of Hapu at Medinet Habu, « jea », 81 (1995), pp. 232-236. 13 Oltre alla bibliografia segnalata supra, nota 7, cfr., e.g., pm ii2, pp. 455-456 ; R. H. Wilkinson, The Complete temples of Ancient Egypt, Cairo, 2000, p. 191 ; D. Arnold, The encyclopaedia of ancient Egyptian architecture, London, 2003, p. 16. 14 Cfr., e.g., C. Robichon, A. Varille, Thèbes. Fouilles de l’Institut, cit. e Iid., Fouilles des temples funéraires thébains, cit., in particolare pp. 100-102.
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intraprendere questa impresa, accompagnandole a una descrizione e alla virtuale ricostruzione architettonica delle strutture principali portate alla luce. 15 Tanto le iscrizioni relative ai monumenti più significativi di Amenhotep figlio di Hapu, quanto alcune del suo tempio, furono invece pubblicate postume, nel 1968, grazie all’intervento di Jean Vercoutter. 16 In questa pubblicazione, tuttavia, è presente solo una selezione della documentazione e dei materiali raccolti da Varille nel corso del tempo. Si tenga presente inoltre che Vercoutter non poté avere accesso agli archivi dell’egittologo che erano stati rimpatriati in Francia agli inizi degli anni ’50 e non furono più fruibili fino al momento della loro acquisizione da parte dell’Università degli Studi di Milano nel 2002. Una prima versione del testo era già pronta per la stampa nel 1939, ma per una serie di motivi il progetto di pubblicazione si interruppe più volte. Come lo stesso Vercoutter spiega nella prefazione del volume, Varille non voleva che la sua opera fosse pubblicata in un periodo in cui i suoi colleghi erano per la maggior parte mobilitati al fronte ; una situazione che si protrasse fino al 1945. Inoltre Varille, nel frattempo, aveva intrapreso uno studio più ampio su Tebe all’epoca di Amenhotep III che intendeva presentare come sua ‘Thèse de Doctorat d’État’. In questa nuova prospettiva, le iscrizioni di Amenhotep figlio di Hapu avrebbero costituito la ‘Thèse Supplémentaire’, riservandosi fino all’ultimo momento la possibilità di arricchire il testo originale con i frutti di ulteriori ricerche che conduceva in quegli anni. Per queste ragioni il testo fu costantemente rimaneggiato e corretto da Varille sino al giorno della sua morte nel 1951. A seguito di un primo inventario del Fondo Varille conservato a Milano, sono stati identificati oltre cinquanta dossiers relativi agli scavi dell’archeologo al tempio di Amenhotep figlio di Hapu, così come ad altri monumenti, oggetti e iscrizioni che ne portano la menzione. Questi dossiers raccolgono materiali – diversi per natura e contenuto – particolarmente rilevanti perché molti di essi non sono mai stati oggetto di pubblicazione. Per valutare appieno l’importanza della documentazione inedita si deve tener presente che al primo volume sugli scavi del tempio cui abbiamo accennato in precedenza, avrebbe dovuto seguire un secondo riguardante il catalogo degli oggetti rinvenuti, delle scene e delle iscrizioni del monumento analizzate nella loro totalità, che tuttavia non vide mai la luce. 17 Per questo motivo la documentazione raccolta da Varille in vista della realizzazione di questo secondo progetto di pubblicazione – oggi conservata a Milano e in minor parte all’ifao 18 – risulta essere particolarmente significativa. Per la loro importanza, segnaliamo, ad esempio, alcune centinaia di schede di classificazione di reperti e di frammenti appartenenti all’originaria decorazione
15 C. Robichon, A. Varille, Le temple du scribe royal, cit. 16 A. Varille, Inscriptions concernant l’architecte Amenhotep fils de Hapou (« BdE », 44), Le Caire, 1968. 17 Cf., e.g., la prefazione in C. Robichon, A. Varille, Le temple du scribe royal, cit., e A. Varille, Inscriptions concernant l’architecte, cit., pp. 65-66. 18 Varille, Inscriptions concernant l’architecte, cit., p. 86, nota 1. Cfr. anche la sezione del sito web dell’ifao Manuscrits et photographies classés par auteurs s.v. « Alexandre Varille ».
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del tempio rinvenuti durante lo scavo. Quasi la totalità delle schede riporta la fotografia del reperto preso in esame, delle annotazioni che nella maggior parte dei casi si riferiscono all’eventuale iscrizione presente sul frammento o sull’oggetto, accompagnate da indicazioni tecniche quali il luogo di ritrovamento, il materiale o la scala utilizzata per la riproduzione grafica o fotografica. 19 La maggior parte dei reperti documentati da queste schede così come molti altri documentati invece da un numero consistente di fotografie identificate nei diversi dossiers summenzionati, dovrebbe trovarsi nei magazzini della riva occidentale tebana, 20 ma non si può escludere che alcuni di essi possano essere usciti dall’Egitto ed essere stati venduti sul mercato antiquario in momenti diversi. In un clima difficile per il Paese, come quello attuale, questa documentazione riveste dunque un’importanza particolare, poiché potrebbe essere l’unica fonte di informazione disponibile su pezzi andati perduti o depredati. Tra gli oggetti che hanno particolarmente attirato la nostra attenzione, annoveriamo un numero particolarmente consistente di stele ex-voto intere o frammentarie, di cui si potranno studiare i testi, ricavare dati sui dedicanti, e individuare – quando e se possibile – il loro attuale luogo di conservazione. Questi ultimi materiali sono particolarmente significativi nell’ambito del discorso sulla devozione di cui sarebbe stato oggetto Amenhotep figlio di Hapu anche in tempi non così lontani dalla sua scomparsa, trattandosi di stele databili – alla luce di una prima analisi – alla xviii dinastia e all’era ramesside. 21 Ci riserviamo tuttavia di approfondire questi aspetti in un prossimo futuro. Allo stesso tempo, di valore documentario tutt’altro che trascurabile, sono i molti riferimenti alle attività di scavo del tempio di Amenhotep figlio di Hapu e più in generale allo studio della figura di questo funzionario condotto per lungo tempo da Alexandre Varille che emergono dal suo ricchissimo carteggio. Attraverso la lettura di numerose lettere è possibile, infatti, ricostruire o integrare i dati sul contesto del ritrovamento di molti reperti e allo stesso tempo di conoscere nel dettaglio attraverso la ‘viva voce’ dei protagonisti, i momenti salienti della vita del cantiere di scavo, così come alcuni più marginali, quali il reperimento di strumen
19 Per la riproduzione di una di queste schede, cfr. P. Piacentini, Editorial. Ten Years Later, « edal », 1 (2009), tav. iv, fig. 6. Una delle cassette lignee che contenevano originariamente le schede è riprodotta in Ead., La Biblioteca e gli Archivi di Egittologia del Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università degli Studi di Milano, Novara, 2002, cat. 29. 20 Cfr., e.g., P. Tallet, New jar labels from Deir al-Medina, in Z. Hawass, L. Pinch Brock (edd.), Egyptology at the dawn of the twenty-first century, cit., i, p. 495. 21 Sulla fama postuma di Amenhotep figlio di Hapu nel periodo ramesside, cfr., e.g., la sua rappresentazione a Deir el-Medina nella tomba di Inherkhauy (tt 359), la cui decorazione risale verosimilmente all’epoca di Ramesse III/IV. Nella scena il funzionario è abbinato a numerosi ‘grandi del passato’, ovvero ad alcuni re, regine e principi che hanno marcato l’inizio del Nuovo Regno : N. Cherpion, J.-P. Corteggiani, La tomba d’Inherkhâouy (tt 359) à Deir el-Médina (« mifao », 128), Le Caire, 2010, i, pp. 51, 59-61. Per le liste di sovrani a Deir el-Medina, cfr., da ultimo, E. Blumenthal, Königslisten im Toten- und Herrscherkult von Deir el-Medine, in H.-W. Fischer-Elfert, R. B. Parkinson (edd.), Studies on the Middle Kingdom In Memory of Detlef Franke, Wiesbaden, 2013, p. 23-54. Recentemente è stato messo in dubbio che la rappresentazione di Amenhotep figlio di Hapu della tomba di Inherkhauy sia stata copiata su di un ostracon di Berlino, noto da tempo (äm 21447), trattandosi in verità di un adattamento dell’originale. A questo proposito cfr., da ultimo, G. Andreu-Lanoë (éd.), L’art du contour. Le dessin dans l’Égypte ancienne, Paris, 2013, pp. 172, cat. 39. Ringraziamo il Prof. Pascal Vernus per aver portato alla nostra attenzione questa bibliografia.
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tazione utile allo stesso o le richieste di permessi e concessioni ; queste ultime, indirizzate per la maggior parte all’allora direttore dell’ifao, Pierre Jouguet. Di particolare interesse sono anche le lettere indirizzate a Varille da parte dei colleghi che seguirono l’invio del volume dedicato alla prima campagna di scavo, in cui questi, spesso nomi illustri del calibro di Friedrich Wilhelm von Bissing, 22 solo per citare un esempio, sovente esprimono il loro punto di vista sulle interpretazioni espresse da Varille nella sua pubblicazione, costituendo una sorta di preziose ‘recensioni inedite’. Tuttavia, la parte numericamente più consistente della documentazione relativa ad Amenhotep figlio di Hapu presente nel fondo Varille è quella fotografica, costituita da alcune migliaia di negativi e stampe, tra le quali vedute aeree particolarmente preziose perché documentano lo stato dell’area del tempio del funzionario durante le diverse fasi di avanzamento dei lavori di scavo ; a questa si aggiunge un lotto di minore consistenza di lastre fotografiche. Nonostante la quantità di dati che possono essere integrati attraverso i documenti degli archivi Varille sui monumenti conosciuti riferibili ad Amenhotep figlio di Hapu, questi non sembrerebbero invece suscettibili di apportare elementi particolarmente significativi nel dibattito sull’identificazione della tomba del funzionario. A conclusione del nostro contributo, non possiamo esimerci, infatti, dal ricordare che a tutt’oggi resta aperto il problema della localizzazione della tomba di Amenhotep figlio di Hapu, forse identificata a Qurnet Murray, ovvero l’area più a sud della necropoli dei privati e la più vicina al tempio di Amenhotep III. Poiché numerosi coni funerari iscritti con il nome del funzionario furono scoperti sotto il pavimento di una casa sita nella parte meridionale del pendio dell’area sopra citata, è stata avanzata l’ipotesi che il funzionario fosse stato sepolto in una tomba non decorata scavata nella roccia situata dietro tale abitazione. Tuttavia, non ci sono elementi sufficienti che portino a escludere con sicurezza l’ipotesi che la sua tomba giaccia ancora inesplorata sotto la superficie della collina. 23 Ovunque sia localizzata, la tomba deve essere stata oggetto in passato di forti depredazioni a giudicare dalla dispersione in numerose collezioni di alcuni elementi del suo corredo funerario ; ci riferiamo ai frammenti dei due splendidi sarcofagi in granito, oggi divisi tra numerosi musei 24 quali il Museo Egizio del Cairo
22 Lettera del 14 Marzo 1937, indirizzata da Friedrich Wilhelm von Bissing ad Alexandre Varille (Università degli Studi di Milano, Biblioteca e Archivi di Egittologia, Fondo Varille). 23 D. Bidoli, Zur Lage des Grabes des Amenophis, Sohn des Hapu, « mdaik », 26 (1970), pp. 11-14 ; A. Dodson, S. Ikram, The tomb in ancient Egypt : royal and private sepulchres from the early dynastic period to the Romans, Cairo, 2008, pp. 222-223. Cfr. anche L. Gabolde, Autour de la tombe 276 : pourquoi va-t-on se faire enterrer à Gournet Mouraï au début du Nouvel Empire ?, in J. E. Assmann, E. Dziobek, H. Guksch, F. Kampp (edd.), Thebanische Beamtennekropolen : neue Perspektiven archäologischer Forschung. Internationales Symposion, Heidelberg, 9. - 13.6.1993 (« saga », 12), Heidelberg, 1995, pp. 155-165. Per la pubblicazione di un’iscrizione frammentaria di una statua di Amenhotep figlio di Hapu conservata in una collezione privata di Bruxelles che potrebbe essere appartenuta a un gruppo statuario posto all’esterno della sua tomba, cfr. J.-M. Kruchten, Un fragment de statue d’Amenhotep fils de Hâpou, in U. Luft (ed.), The intellectual heritage of Egypt : studies presented to László Kákosy by friends and colleagues on the occasion of his 60th birthday (« StudAeg », 14), Budapest, 1992, pp. 363-366. 24 Alla ricca bibliografia compilata da L. M. Berman, Merymose at Vassar, in E. Goring, N. Reeves, J.
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(je 44309), il Louvre (d. 4), le Musée de Grenoble (1945, 1955, 1958, 1981 e 1985), i Musées Royaux d’Art et d’Histoire di Bruxelles (e. 3059), il Petrie Museum (u.c. 14213) e l’Egypt Centre della Swansea University (w1367). 25 Si aggiunga, a questo proposito, che altri frammenti sono emersi sul mercato antiquario anche in anni recenti come quello acquistato nel 2001 dal British Museum dalla casa d’asta londinese Charles Ede Ltd (bm 74845). 26
Ruffle (edd.), Chief of seers : Egyptian studies in memory of Cyril Aldred, London-New York, 1997, pp. 31, nota 4, aggiungere, inter alia, B. Peterson, A Sarcophagus Puzzle, « CdE », 53, No. 106 (1978), pp. 222-225. 25 Per i due frammenti conservati all’Egypt Centre della Swansea University, cfr. . 26 Cfr. il database del British Museum < www.britishmuseum.org/collection > « 74845 ».
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Fig. 1. Ricostruzione del tempio di Amenhotep figlio di Hapu. Prova di stampa di Robichon, Varille, Le temple funéraire du scribe royal…, tav. xxi (Università degli Studi di Milano, Archivi Varille).
Fig. 2. Frammenti della decorazione parietale del tempio di Amenhotep figlio di Hapu. Prova di stampa di Robichon, Varille, Le temple funéraire du scribe royal…, tavv. xxiv-xxxv (Università degli Studi di Milano, Archivi Varille).
Fig. 3. Frammento della decorazione parietale del tempio di Amenhotep figlio di Hapu (Università degli Studi di Milano, Archivi Varille).
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Fig. 4. Scheda di classificazione di un frammento della decorazione parietale del tempio di Amenhotep figlio di Hapu (Università degli Studi di Milano, Archivi Varille).
Fig. 5. Il bacino d’acqua che precedeva il primo pilone del tempio di Amenhotep figlio di Hapu in una fotografia della campagna di scavo del 1934-1935 (Università degli Studi di Milano, Archivi Varille).
Fig. 6. Recupero di reperti dal bacino d’acqua che precedeva il primo pilone del tempio di Amenhotep figlio di Hapu nel gennaio del 1937 (Università degli Studi di Milano, Archivi Varille).
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Figg. 7-8. Fotografia e acquerello riproducenti una testa in terracotta scoperta nei pressi del tempio di Amenhotep figlio di Hapu durante la campagna di scavo del 1937 (Università degli Studi di Milano, Archivi Varille).
THE USE OF DEMOTIC IN THE PTOLEMAIC ADMINISTRATION Willy Clarysse 2 + 3 recto
2 + 3 verso
Fig. 1. The tax roll P. Count 2 + 3.
T
he recto of P. Count 2-3 once contained a long demotic list of nearly 11000 persons, organised district per district (5 districts), village by village (5 x 7 villages, though it is uncertain whether every district had the same number of villages), occupation by occupation (ethnos), household by household, and person by person. Every person received a single line, and extra lines were needed for occupations, for village names and for totals after every occupation and every village. The scribes needed at least 12.000 lines, or 400 columns of 30 lines. Since each column measured about 5 cm at least 20 meters of papyrus were needed, of which ca. 75 cm. are left now. Every village is followed by a total for each occupation, divided by males and females. These village totals are grouped in P. Count 3,
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written on the back of the roll, in Greek. This is hardly possible with such a long roll unless the figures were first written (in demotic or in Greek) on a separate piece of papyrus. The totals for the whole area (the 35 villages) at the very end (P. Count 2 ll. 468-477) are based on the figures in the Greek part of the text, but they are again written in demotic. I have chosen this text as starting point for a brief and very sketchy survey of the use of demotic in the Ptolemaic administration. Especially in the Fayum and Middle Egypt, most Ptolemaic papyri (with the exception of the Zenon archive) derive from papyrus cartonnage of human mummies or from the stuffing of sacred crocodiles. As shown by Roger Bagnall cartonnage papyri were bought in bulk and heavily dominated by government files. « These are varied in contents and include correspondence, tax documents, officially deposited contracts and wills, legal texts and other matter ». 1 Bagnall’s picture is based on the published Greek papyri, which are far more numerous than demotic, but it also applies to the demotic material.
Thanks to the Trismegistos database in Leuven it is easy to find the main groups of texts that were reused as cartonnage papyri, such as P. Petrie, P. Gurob, P. Hibeh, P. Lille, P. Sorb., P. Erasm. and a few others. Trismegistos currently 2 list 3258 papyri from cartonnage, of which 2906 are Greek, 213 demotic (less than 10 %) and 131 bilingual demotic-Greek (rarely Greek-demotic). The following types are the most frequent :
literary letters, memoranda, reports
greek 287 741
demotic 15 33
contracts
338
136 [of which 84 surety contracts]
accounts, lists, registers
622
71
declarations, oaths
70
19
receipts
158
22
orders (for payment) petitions
142 393
0 1
A few words of comment may help to explain the above figures. There are few literary texts : Greek administrators sometimes copied literature in their office, 3 but demotic literature was confined to the temple environment. There are no demotic petitions : petitioners always address the king and his officials in Greek.
1 R. S. Bagnall, Reading papyri, writing ancient history (« Approaching the Ancient World »), LondonNew York, 1995, pp. 26-27. 2 January 1 of 2013. 3 The best known example are the literary texts among the Hibeh papyri, for which see M. R. Falivene, The literary papyri from Al-Hiba : a new approach (Akten des 21. intern. Papyrologenkongresses Berlin) (« apf », Beiheft 3), pp. 273-280 ; Id., Greek anthologies on papyrus and their readers in early Ptolemaic Egypt (Proceedings of the 25th international congress of papyrology Ann Arbor), « American Studies in Papyrology », 2010, pp. 207-215.
demotic in the ptolemaic administration
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There are no orders for payment : inside the administration payment orders are all in Greek. Demotic letters, memoranda and reports are rare. Most of the numerous contracts are surety contracts in the Sorbonne collection (see below), which are all from the same office and were collected by F. de Cenival in a kind of corpus. There are hardly any papyri from a temple context or a funerary context. 4
The publications of demotic cartonnage papyri in the Sorbonne collection by Henri Sottas, Fr. de Cenival and a few others account for about 130 documents out of the total of 330 demotic and bilingual documents, i.e. nearly half of our documentation. For other collections only a tiny minority of well-known types, such as contracts and letters were published, e.g. of the Petrie papyri some fifty large papyri are kept in the Ashmolean and hundreds of fragments in Trinity College Dublin, but thus far only two letters and a few tax lists are published. 5 The cartonnage from Rifeh, described and partly translated by H. Thompson, contains 61 items. 6 In Berkeley the demotic texts of the Menches archive and others in the same crocodiles remain largely unknown. 7 Sottas and de Cenival published texts of many different kinds, 8 and their publications dominate the picture of how scholars see this kind of source material.
Fig. 2. Demotic Sorbonne papyri, published [sp. of oaths in chart]. 4 The main exception is the small archive of the temple of Bastet in Tholthis in the Oxyrhynchite nome, recently published by W. Clarysse, U. Luft, Demotic contracts between sculptors and the Bastet temple at Tholthis, in C. Zivie-Coche, I. Guermeur (éds.), “Parcourir l’éternité”. Hommages à Jean Yoyotte, i (« behe », 156), 2012, pp. 323-335. 5 See W. Clarysse, M. Depauw, Two demotic letters from a village scribe of Alexandrou Nesos, in H. Knuf e.a. (edd.), Honi soi qui mal y pense, in Studien zum pharaonischen, griechisch-römischen und spätantiken Ägypten zu Ehren von Heinz-Josef Thissen (« Orientalia Lovaniensia Analecta », 194), Leuven, 2010, pp. 147-152 [two letters by a village scribes] ; P. Count 9-10 [tax lists]. 6 H. Thompson, in W. M. F. Petrie, Gizeh and Rifeh, London, 1907, pp. 30-39 ; two items are now published as P. Count 53-54. 7 For these, see now B. Muhs, A late Ptolemaic grapheion archive in Berkeley (Proceedings of the 25th International Congress of Papyrology), Ann Arbor, 2010, pp. 581-588. 8 P. Lille dem. i-iii and many individual papyri published later by de Cenival. These will be grouped and reedited in a volume P. Sorb. dem. i.
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willy clarysse
Within the published part of the Sorbonne collection contracts make up about three thirds of the demotic papyri. Of these 88 contracts no less than 72 are surety contracts, published by Sottas (P. Lille dem. 1-11) and de Cenival (P. Lille dem. ii 6, 7, 9, 34-96). I have joined about twenty of these with each other, and added numerous fragments to the published texts, but a lot of unplaced fragments remain.
Nearly all demotic surety contracts are written for people working in the service of the ‘royal economy’, most of them in the brewery sector. They are addressed to the oikonomos of the meris and the royal scribe/topogrammateus, the former having a Greek name and no patronymic, the latter having an Egyptian name and a patronymic. They are double documents, with a short scriptura interior which could be rolled and sealed (there is a hole for a string, but no seals are preserved) and a full scriptura exterior signed by a scribe and several witnesses. With a few uncertain exceptions they range from 226 to 221 bc and clearly form an archive, i.e. a group of texts which was kept together in antiquity. 9 The archive keeper was either the oikonomos or the royal scribe or topogrammateus. On the back of most, perhaps originally of all of them, was a short abstract in Greek, giving the date, the names of the guarantors and guarantees, their occupation and provenance, the reason for the surety (ektisis, payment or monê, promise to stay on the job) and the sums involved. Most of these abstracts were written with a kalamos, but several with a rush, probably by scribes who got their education in native surroundings. The abstracts are not mere translations of the demotic, e.g. in P. Lille dem. ii 49 (the text is still incomplete, but I hope to identify the missing top and bottom fragments) the guarantor Hºr-pA-bik son of PA-di-Wsir and TA-šr.t-n-BAst.t is a ‘carrier of the gods’ of the ‘Foundation of Thoth’ in demotic ; in Greek he becomes Harbichis son of Petosiris, donkey-driver, and his village is Philagris. Surety contracts are easy to recognise because of their high and narrow format and their formulaic character. They form the largest group among the published Sorbonne papyri because de Cenival has searched them out, and I did the same with the unpublished material, so that my database currently holds 181 of them, but this number will certainly be reduced by new joins. In fact it is surprising that these long narrow documents with their sealed scripturae interiores were used in cartonnage, unless they were first opened and perhaps even arranged in the form of a tomos synkollesimos. Anyhow, the government office of the topogrammateus (or of the oikonomos) accepted surety documents written in demotic, even for Greek guarantees like Artemidoros son of Agathon, who needed sureties for work with natron according to the cautionnements, and pays the nitrikê tax in a Petrie papyrus, 10 and for Greek guarantors. The surety documents apparently combine Greek and Egyptian law : when in P. Lille dem. 81 (with new fragments) Philotera daughter of Demetrios, acts as surety together with two Egyptian women, her brother Kyros appears as
9 For a description of the archive, see http ://www.trismegistos.org/arch/detail.php ?tm=47&i=1. 10 Artemidoros is mentioned in P. Lille dem. ii 45 + 76, 77, 82, 84 and in the unpublished fragments Sorbonne inv. 1253,1258 and 1278a ; he pays nitrikê in P. Petrie ii 27 (3) a + b ll. 7 and 36 [see tm Person 22092].
demotic in the ptolemaic administration
P. Lille dém. 35 (Inv. 564a) + P. Lille dém. 44 (Inv. 781) + 1 fr. d’Inv. 809 r°
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P. Lille dém. 35 (Inv. 564a) + P. Lille dém. 44 (Inv. 781) + 1 fr. d’Inv. 809 v°
her guarantor in the second degree. No doubt this is an Egyptian way of mentioning her kyrios (no second guarantor is needed for her Egyptian colleagues). For internal use (and classification ?) within the office, however, each text received a Greek abstract on its back. The administrative procedure in the archive of the nomarches Diogenes is similar. 11 In this archive, written a generation earlier (256-250 bc), were found some
11 For this archive, see http ://www.trismegistos.org/arch/detail.php ?tm=68&i=1.
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willy clarysse
thirteen declarations of small cattle. 12 The owner of sheep and goats declares his cattle to the nomarches, with figures for each category (sheep, lambs, goats, kids), and swears a royal oath that the figures are exact. The texts are again double documents with a scriptura interior and exterior. The Greek abstracts are written at the bottom this time, not on the verso. A new edition of this group of texts is being prepared by S. P. Vleeming and a few new items have been added to the group. Aristarchos was a colleague of Diogenes and I have recently (re)edited his archive in P. Sorb. iii 75-102. In the publications of Jouguet (P. Lille i 12-17), Boyaval (cripel 1, 1973, pp. 193-215) and Cadell (P. Sorb. i 32) this looked a purely Greek archive, but I identified several demotic texts addressed to Aristarchos and reused as cartonnage in the same mummies.
P. Sorb. 76
declaration by Harchebis myriarouros
Greek abstract below
P. Sorb. 78
lease of land with royal oath and surety
Greek abstract below
P. Sorb. 81
receipt with royal oath
Greek abstract below
P. Sorb. 83
royal oath
Greek abstract below
P. Sorb. 85
letter by a myriarouros
[end not preserved]
Sorb. 2735
statement under oath
Greek abstract below
inv. 747
statement (fragmentary)
Greek abstract below, mentioning Harchebis myriarouros
inv. 749
demotic text with royal oath ( ?)
year 38 ; Greek abstract below, mentioning Teos the younger, builder
inv. 1197 (St. Bresciani)
contract of lease of land
only demotic ; mention of Maimachos
In the above list I have added to the Aristarchos dossier tm 45866, published by M. Betrò in the Festschrift for Edda Bresciani, a demotic contract of lease dated to year 6 of Euergetes and written in the form of a double document. Its date and its inventory number 1197, would fit the archive of Aristarchos (P. Sorb. iii 76 has the inventory number 1186). During a session of the Equipe Fonds Jouguet Démotique (efjd), 13 the research group for demotic documents at the Sorbonne directed by M. Chauveau and M.-P. Chauffray, we deciphered the name of Aristarchos’ colleague Maimachos (instead of Medikos) in l. 15. Our new readings in
12 P. Lille dem. i 12-20 ; F. de Cenival, Recherches de Papyrologie,4 (1967), pp. 99-106. 13 The efjd team consists of eleven members : Brigitte Bakech, Marie-Pierre Chaufray, Michel Chauveau, Willy Clarysse, Déborah Kott, Lorenzo Medini, Andrew Monson, Amaury Pétigny, Serge Rosmorduc, Lorenzo Uggetti and Stéphanie Wackenier.
demotic in the ptolemaic administration
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this text and in many others are in part due to the excellent infrared photographs made by Adam Bülow-Jacobson.
Fig. 3. Demotic papyri in the Sorbonne collection, including unpublished material.
Except for the cautionnements, the declarations of small cattle and a few texts in the archive of Aristarchos, the overwhelming majority of the demotic papyri from Ghoran cartonnage are lists and accounts. Most are written in columns, very often a column with names followed by a shorter column with figures, either amounts of money or numbers of arourae. I have gone through all the texts which have received an inventory number, counting individual texts, but often rather the folders in which the papyri are preserved (each folder may contain up to 20 or 30 fragments, which are not always part of the same document ; on the other hand, accounts and lists can be very long and their fragments may be split up over several folders). As a result of this work, the number of lists and accounts has nearly tripled and, in this part of the collection, they make up more than half of the texts. Whereas, however, nearly all Greek texts in the collection have received an inventory number, this is not the case for demotic texts. A large cupboard, with seven drawers full of paper folders, each folder filled with dozens of papyrus fragments, is still waiting to be studied more than a century after Jouguet’s excavation : most did not even receive permanent inventory numbers. This group of several hundred fragments (not counting those that have only postage stamp seize) consists largely of demotic papyri. I went through some folders, and again accounts and lists constitute the bulk of this part of the collection : I found only few fragments of contracts and letters and no surety documents or letters here. Though there was no time for a systematic study of these texts, it is clear that in the Sorbonne cartonnage papyri demotic texts are far more numerous than Greek texts, though at present 352 Greek texts have been published, 69 bilingual texts (Demotic with Greek abstract more often than Greek) and 71 demotic texts. When the demotic part of the collection will become available, lists and accounts will take up even more space than in the pie chart above. More
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willy clarysse
important, however, is the result that our picture of the lower ranks of Ptolemaic administration will surely be overhauled. Many of the unpublished texts contain names of Greek land-owners and tax-payers : demotic in cartonnage does not deal with temple life, but is part of the Ptolemaic administration as much as the Greek material. These texts may shed an unexpected light upon the way the country was managed in the third century bc.
I hope to have made clear what a tiny part of the demotic material has been published so far, thanks mainly to the work of Françoise de Cenival. Alongside P. Lille dem. iii in 2011, she published several texts in a series of articles. These are now studied again by the efjd group mentioned above. Thanks to the excellent infrared photographs made by A. Bülow Jacobson and by comparing the texts with unpublished material, we have made substantial progress in reading and interpretation. As an example I present here P. Sorb. inv. 209-213, first published by in the Livre du Centenaire de l’Institut Français d’Archéologie Orientale (mifao 104, 1980), p. 195-203. I have underlined the passages where our reading and/or interpretation differs from that of the editio princeps. de Cenival : Verso col. iii 9 champs des trois villages [susdits ?] : blé 80 artabes ; 10 reste de la redevance de l’an 18 des trois villages : blé 80 artabes.
col. iv 1 2 3 4 5
le 17 ; montant de l’impôt : 3.100 ; couronne de l’an 19 : 7 artabes de blé ; ration h¢ny : 3 art. de blé ; apports (iny) : 2 art. de blé, total : 12 art. ; an 18 ; pour la couronne : 7 art. de blé ; ration h¢ny : 3 art. de blé ; pour l’apport (iny) : 2 art. de blé, total : 12 art. de blé.
Corrected translation : Verso col. iii 9 fields of Trikomia : 80 artabas of wheat ; 10 rest of the dues for year 18 for Trikomia : 80 artabas of wheat.
col. iv 1 the 17th ; 2 the cavalrymen owning 100 arourai (hekatontarouroi) : 14 crown tax (stephanos) for year 19 : 7 art. of wheat ; 3 police tax (phylakitikon) : 3 art. of wheat ; doctor’s tax (iatrikon) : 2 art. of wheat, total : 12 art. ; 4 an 18 ; for crown tax (stephanos) : 7 art. of wheat ; police tax (phylakitikon) : 3 art. of wheat ; 5 for doctor’s tax (iatrikon) : 2 art. of wheat, total : 12 art. of wheat.
14 Reading due to A. Monson.
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According to S. Scheuble, Die Katökenreiter im ptolemaischen Aegypten (« Vestigia », 64), 2012, p. 242 the iatrikon « würde als jahrliche Steuer auferlegt und war in der Regel in Getreide zu entrichten. Normalerweise betrug die Abgabe zwei Artaben Weizen ». For the phylakitikon Scheubel refers to S. von Reden, Money in Ptolemaic Egyptian from the Macedonian conquest to the end of the second century bc, Cambridge, 2007, pp. 92-94 : « Usually paid in grain on grain land ; the phylakitikon might have been at around 2 ½ to 3 artabas of wheat for a hundred arourae ». As to the crown tax (stephanos), von Reden, ibidem, p. 93 lists several Greek texts were this extraordinary tax is levied in kind together with iatrikon and phylakitikon.
To finish I present just a few better preserved items among the unpublished material. – P. Sorb. inv. 1353b : account of land with produce ; written on both sides, containing on the recto the end of column with figures and a second column with names ; I read the ‘fields of the village’ (twice) ; the fields of the ‘village of Apollonios’, perhaps the village Apollonias ? ? 15 the fields of the great of thousand .krwts (clearly a Greek name).
– P. Count 2 is now completed by several fragments, containing the missing foot of cols. x-xii (recto), corresponding to cols. xx-xxiii, and a large fragments containing 7 columns on the recto, joining to P. Count 2 col. x (this column is now nearly complete) and immediately following (on the verso) col. xxiv. We now know that there were 232 ibis priests in this tax area, 77 dancers (sompheis), 167 isionomoi, 162 pastophoroi, 67 men of Anoubis and 59 funerary priests. All these are listed among those enjoying tax exemptions. Priests and their families now add up to at least 6,7 % and policemen to 3.8 % of the population. A photograph at reduced size can be seen on the cover of S.P. Vleeming, A Berichtigungsliste of Demotic Documents, Indexes of new and rejected readings, Studia Demotica vii-c, Leuven 2013. The bottom line of col. iii of the recto of the new text clearly reads ‘Autoboulos son of Autonoos’ followed by one line of (mainly) figures. This person with his rare name and patronymic is already attested in P. Count 2 ll.331-341 as a rich cavalrymen, owning three or fours slaves and over 700 sheep. In the new part of the text his name is followed in the next line by the word hºmA ‘salt’ (read by Mark Depauw), then the figure of 1200, then apparently ‘his horse’ and another group which I cannot read. – I found several other lists where the population is divided by occupation and male/female and which may constitute a small new volume of P. Count [e.g. P. Sorb. inv. 220, 1285 and 2736]. One fragment even gives ages of the people involved, as in P. Count 9. 15 The accounts contain relatively few place names, perhaps because they were usually made on the level of a single village.
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– P. Sorb. inv. 1359 is an account dated in year 17, no doubt of Euergetes. Whereas the verso contains only figures, the recto also preserves a lot of names, nearly all Greek, e.g. Hermias, Damon, Thrason ( ?), Qrsy3s (Chrysias ?), Glwkºs (Glaukos), Philippos, Menandros, Pyt3s (Pytheas ?), followed by hugh amounts of more than 1000, then a title, then more names and figures : Simos, Thibron, 3glnn, Apollonios son of Dionysios, Swls (Zoilos ?) son of Lysimach(os), Andronikos. If these are cleruchs we may possibly retrace some of them in a Greek text, which could allow to identify their village.
It is extremely difficult to count the number of accounts and lists because what we have are just fragments of sometimes very long texts. P. Count 2 and 3 form a good example : this is one of the best preserved accounts (16 columns on the recto alone), but – as just noted – of a roll that was over 20 m long a mere 75 cm are left. The first task ahead is to identify fragments of the same account in the collection. This should be possible because fragments tend to stay together even after the cartonnage has been resolved ; one can use the script (recto/verso or only recto), the lay-out of the text (including the wp-st sign and check marks in some accounts and lists), the type of text (money, grain, land). The second step could then be to identify pieces belonging to the same archive.
The archives of Aristarchos and Diogenes probably also contained accounts, but whereas letters and contracts mention the name of the addressees, accounts give at this moment no clue as to which texts once belonged to which persons. For this we have to find persons or land or organisational items that recur in the letters and the accounts. In order to do so we need a much clearer view of what the accounts, often extremely succinct, consisting of headings (the most difficult part), names and figures, mean. It is clear, however, that in the Ptolemaic period demotic was still in full use in the civil administration, especially on the local level. It is difficult to know, at this moment, in what circumstances demotic was used alongside Greek, because only a tiny part of demotic administrative documents are published or even described. Editors have generally preferred the more accessible notarial documents and the more attractive letters. In Paris, but also elsewhere, the overwhelming majority of demotic cartonnage papyri are accounts and lists, and these are far more preponderant than in the Greek texts. In my view this shows that the basic data, the data of the first round, were often compiled in demotic. In P. Count 2 and 3 the scribes change from demotic for the list of individual taxpayers followed by totals per village, to Greek for the list of totals only, and then, for the final sums on the verso, back to demotic (which had then, in the end, to be translated to Greek again for the central administration). When in Paris, I have great problems with numbers, and I cannot get used to soixante dix-sept or quatre-vingt douze. When I want to tell the conservator that I would like to see inventory number 1,373 I prefer to put it on piece of paper rather than struggling with ‘mille trois cent soixante treize’
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and getting it wrong in the end. Perhaps Egyptian scribes, working for the Greek administration, also continued to use demotic for figures (and for names) when writing for themselves. They then transposed their demotic accounts into Greek at the ultimate stage when the figures had to be given to the Greek administration on the level of the nome. I am sure we will find more examples where Demotic and Greek overlap, as in P. Count 2 and 3 and now again with inventory number treize cent quarante quatre. But for this we need the collaboration of a competent group of demotists to read and catalogue this enormous mass of texts. I am glad to be part of such a group at the Sorbonne and to dedicate this contribution to our collaboration.
L’EXPRESSION DE L’IDENTITé DANS LES PéTITIONS D’éPOQUE PTOLéMAÏQUE. éTUDE PRéLIMINAIRE Anne-Emmanuelle Veïsse
I
l est souvent dit, et à juste titre, que l’égypte tardive est un laboratoire privilégié pour l’étude des questions relatives à l’identité dans l’Antiquité, comptetenu de l’abondance relative de la documentation directe qu’elle fournit. Il existe, de fait, plusieurs types de sources sur lesquelles faire porter l’analyse et plusieurs méthodes pour la mener. Celle que je voudrais présenter dans le cadre de cette étude préliminaire concerne les pétitions d’époque ptolémaïque, et plus précisément la manière dont leurs auteurs y déclinent leur identité. A première vue, la question pourrait sembler bien balisée. On sait en effet par des documents du iii e siècle que les sujets des Ptolémées étaient appelés à s’identifier de manière précise dans certains documents officiels. Il s’agit là de ce que F. Uebel a nommé Nomenklaturregel : selon cette ‘règle de nomenclature’, les militaires devaient indiquer leur nom, leur ethnique (littéralement patris), leur unité (tagma) et leur rang (épiphora) dans l’armée, les citoyens des trois cités d’Égypte leur patronyme et leur démotique, ainsi que leurs unités et leurs rangs s’ils appartenaient à l’armée, les ‘autres’ enfin (alloi) leur patronyme, leur ethnique et leur génos, terme dont la signification exacte pose par ailleurs problème. 1 Ces dispositions concernent explicitement l’introduction d’instances auprès de tribunaux alexandrins d’après le P. Hamb. ii 168, qui date du milieu du iiie siècle, et la rédaction des contrats d’après le bgu xiv 2367, composé à la fin du iii e siècle. Le protocole des contrats grecs respecte, de fait, fidèlement ces instructions à partir des années 270. 2 On pourrait donc s’attendre à ce qu’il en aille de même pour les autres documents ayant un caractère officiel. Or, si ceci se vérifie par exemple pour les testaments du iii e siècle, il n’en va pas de même pour les pétitions. Ces dernières contiennent certes des éléments formulaires récurrents, qui ont été bien étudiés, notamment par P. Collomp, O. Guéraud, A. Di Bitonto et plus récemment A. Martin. 3 En revanche, les prescrits de ces pétitions, et plus pré
1 Voir K. Uebel, Die Kleruchen Ägyptens unter den ersten sechs Ptolemäern, Berlin, 1968, pp. 11-13 ; Ch. Fischer-Bovet, Ethnic identity and status : comparing Ptolemaic and Early Roman Egypt, in H. Ziche (ed.), Identity and Identification in Antiquity, Cambridge (à paraître) ; U. Yiftach-Firanko, Did bgu xiv 2367 Work ?, in M. Depauw, S. Coussement (edd.). Legal Documents in Ancient Societies, iii, Louvain (à paraître) ; A.-E. Veïsse, L’usage des ethniques dans l’Égypte du iii e siècle, in L. Capdetrey, J. Zurbach (éds.), Mobilités grecques. Mouvements, réseaux, contacts en Méditerranée, de l’époque archaïque à l’époque hellénistique, Bordeaux, 2012, pp. 57-66. 2 Voir U. Yiftach-Firanko, Did bgu xiv 2367 Work ?, cit. 3 P. Collomp, Recherches sur la chancellerie et la diplomatique des Lagides, Strasbourg-Paris, 1926 ; O.
82
anne-emmanuelle veïsse
cisément les formules par lesquelles les pétitionnaires s’y identifient, n’ont pas fait l’objet d’une étude systématique. Une telle étude est pourtant digne d’intérêt compte-tenu des manières très diverses qu’ont les pétitionnaires de se présenter aux destinataires de leurs pétitions. Cette variété montre en effet que les règles, quand bien même n’étaient-elles que des règles d’usage, étaient moins strictement suivies pour ce genre de document que pour d’autres. Par conséquent, on peut, avec les pétitions, espérer saisir l’importance relative que les pétitionnaires accordaient à tel ou tel élément de leur identité sociale. 4 Formellement, les pétitions d’époque ptolémaïque relèvent de deux catégories, les enteuxeis et les hypomnèmata. Les enteuxeis sont presque toujours adressées au roi. Le pétitionnaire s’y identifie dans un prescrit construit sur le modèle suivant : « Au roi Ptolémée, salut, Un tel » : Basilei` Ptolemaivwi caivrein oJ dei`na. Les hypomnèmata quant à eux sont destinés aux agents du roi, le plus souvent civils, parfois militaires. L’identité du destinataire de la pétition et celle du pétitionnaire sont présentées dans deux séquences : Tw`i dei`ni, « à Un tel » / para; tou` dei`no~ « de la part d’Un tel ». J’appellerai ici pour simplifier l’ensemble de ces deux séquences également ‘prescrit’, bien qu’A. Martin ait montré qu’à partir du ii e siècle le prescrit au sens strict ne correspond en fait qu’à l’élément tw`i dei`ni, séparé par un vacat de la tournure para; tou` dei`no~, elle-même immédiatement suivie du corps du texte. 5 M’intéresseront, en tout état de cause, les éléments qui correspondent au oJ dei`na des enteuxeis / tou` dei`no~ des hypomnèmata, et qui les complètent. Cet angle de recherche amène à ne prendre en considération que les pétitions présentant un prescrit suffisamment bien conservé pour qu’on sache quels éléments y figuraient, même si tel ou tel de ces éléments sont en lacune. En laissant de côté les pétitions à prescrit très fragmentaire, dont certaines posent par ailleurs le problème de leur identification comme enteuxis ou hypomnèma, j’ai rassemblé provisoirement 356 pétitions ‘à pétitionnaire identifiable’, datant d’une période comprise entre 260 et 31 av. nè. Elles nous font connaître environ 330 pétitionnaires une fois retranchées les différentes pétitions composées à coup sûr par les mêmes individus, et en tenant compte de quelques autres cas possibles d’identification. 6 Ces pétitions se distribuent de manière équilibrée entre le iii e siècle (44% de l’ensemble) et le ii e siècle (41%), tandis que seules 15% environ datent du ier siècle (Fig. 1). Elles relèvent de deux grands types, les pétitions au roi et les pétitions aux
Guéraud, Enteuxeis. Requêtes et plaintes adressées au roi d’Égypte au iii e siècle avant J.-C., Le Caire, 1931 ; A. Di Bitonto, Le petizioni al re. Studio sul formulario, « Aegyptus », 47 (1967), pp. 5-57, Le petizioni ai funzionari nel periodo tolemaico. Studio sul formulario, « Aegyptus », 48 (1968), pp. 53-107 et Frammenti di petizioni del periodo tolemaico. Studio sul formulario, « Aegyptus », 56 (1976), pp. 109-143 ; A. Martin, Tw/` dei`ni para; tou` dei`no~. Réflexions à propos d’un type documentaire, in J. Frösen, T. Purola, E. Salmenkivi (edd.), Proceedings of the 24th International Congress of Papyrology, Helsinki, 2007, pp. 661-675. 4 Pour un exemple d’application d’un tel questionnement à un cas particulier, voir A.-E. Veïsse, Les identités multiples de Ptolémaios, fils de Glaukias, « Anc.Soc. », 37 (2007), pp. 69-80. 5 A. Martin, Tw`/ dei`ni para; tou` dei`no~, cit. Y ont été ajou6 Au fil de ses trois articles fondamentaux, Mme Di Bitonto avait recensé 483 pétitions. ��������������� tées les pétitions à prescrit exploitable publiées depuis lors, et retranchées celles dont le prescrit était trop fragmentaire, ainsi que les prosangelmata, dépositions auprès des fonctionnaires de police. Par ailleurs, les pétitions connues par plusieurs brouillons n’ont été comptées qu’une fois.
83 l ’ identité dans les pétitions d ’ époque ptolémaïque agents du roi. Les premières prennent toutes la forme de l’enteuxis, les secondes presque toutes celles de l’hypomnèma. Néanmoins, il existe un petit nombre de pétitions du iiie siècle au format d’enteuxis mais adressées aux agents du roi, telles les pétitions au diocète (P. Cair. Zen. iii 59341a, psi v 538). Sur l’ensemble de la période, 45% des pétitions sont adressées au roi, 55% à ses agents. Mais la situation est très contrastée selon le siècle considéré. Pour le iiie siècle, 82 % des pétitions relèvent ainsi du premier type contre 18% seulement pour le second, alors qu’ensuite le rapport s’inverse presque exactement : pour le ii e comme pour le ier siècle on compte 85% de pétitions adressées aux agents du roi contre 15% de pétitions adressées au roi (ou parfois, désormais, au couple royal) (Fig. 2). Bien qu’il faille faire la part du hasard des trouvailles papyrologiques, on peut penser que cette évolution correspond à une évolution effective, somme toute logique lorsqu’on songe qu’au iiie siècle déjà la très grande majorité des pétitions au roi avaient vocation à être traitées par les administrateurs des nomes.
Fig. 1. Distribution des pétitions par siècle.
a. IIIe siècle
b. IIe et Ier siècles
Fig. 2 a-b. Distribution des pétitions par type : pétitions au roi / pétitions aux agents du roi.
Comment donc les sujets des Ptolémées se présentaient-ils en adressant une requête aux autorités ? Il est évident que ceux qui composaient de tels documents, les intéressés eux-mêmes ou les scribes, avaient des modèles, y compris pour ce qui concerne la déclinaison de l’identité du pétitionnaire. Néanmoins, les pétitions autorisent sur ce point particulier une grande variété de détail. Au total, six éléments sont susceptibles d’apparaître dans les prescrits :
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Nom, Patronyme, Ethnique ou démotique, Catégorie socio-professionnelle, Lieu de domicile ou lieu d’activité, ‘Autre’.
La rubrique ‘autre’ ne concerne que 4% environ des pétitions. Les éléments qui lui correspondent expriment le plus souvent un lien particulier entre le pétitionnaire et le destinataire de la pétition – « Un tel, de ton oikia » (P. Tebt. i 54, bgu viii 1819, bgu viii 1833) – ou bien livrent d’autres précisions destinées à capter la bienveillance du destinataire : « orphelin » (P. Enteux. 68, sb viii 9790), « pauvres paysans assujettis aux taxes royales (tw`n ajsqenw`~ diakeimevnwn gewrgw`n tw`n ta; televsmata tw`n basilikw`n teloumevnwn) » (bgu viii 1815). Quant aux cinq éléments principaux, ils sont toujours donnés dans le même ordre, ce qui montre le poids des modèles et des usages pour la rédaction des pétitions. Pour autant, ils ne sont pas tous donnés, et pas toujours de la même manière.
i. Nom. Le nom apparaît dans 96 % des cas environ, les 4% restant correspondant à des identifications collectives du type ‘les paysans de tel endroit’, ‘les prêtres de tel dieu’. Les doubles noms sont extrêmement rares : sur 330 personnes recensées, 4 seulement, dont 3 femmes, s’identifient par un double nom : « […] appelée aussi […]dinebachis » (P. Sorb. iii 111 : 221), « Apollonia appelée aussi Senmonthis » et ses trois sœurs (P. Dryton 33 : 136), « Apollonia, appelée aussi Senmouthis », fille de la précédente, et sa soeur (P. Dryton 34 : 115-110), « Apollonios appelé aussi Psemmonthes » (P. Tor. Choach. 8 : 127). Comme il est difficilement envisageable que si peu de personnes aient porté des doubles noms, surtout à partir du IIe siècle, on en déduira plutôt que la pétition était un genre documentaire dans lequel il n’était pas d’usage de donner ses deux noms. Le relevé des noms permet aussi de distinguer les pétitions présentées par des hommes de celles présentées par des femmes. En l’occurrence, 15% des pétitionnaires de ce corpus sont des femmes (Fig. 3), sans différence notable selon la période considérée. A en juger par les données du iiie siècle, pour lequel on peut estimer que les noms sont globalement un critère fiable de l’origine de leurs porteurs, les Grecques et les Égyptiennes semblent avoir eu un comportement similaire en matière de recours aux autorités. Sur 20 femmes auteurs de pétitions au iii e siècle, on compte ainsi 9 noms grecs, 8 noms égyptiens, 1 double nom et 2 noms féminins en lacune.
Fig. 3. Distribution des pétitionnaires par genre.
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ii. Patronyme. Associé au nom le patronyme apparaît plus ou moins fréquemment dans les prescrits selon la période considérée. Ainsi, au iiie siècle, seuls 32% des pétitionnaires indiquent leur patronyme, alors qu’ils sont 70% dans ce cas au ii e siècle et 65% au ier siècle (Fig. 4a).
Fig. 4a. Pétitionnaires indiquant leur patronyme.
L’évolution est particulièrement nette pour ceux qu’on peut identifier à coup sûr comme des militaires, soit qu’ils indiquent explicitement leur qualité de soldat, soit qu’ils mentionnent le détachement auquel ils appartiennent. Ils ne sont ainsi que 23% à donner leur patronyme au iii e siècle, tandis que le chiffre monte à 75% pour les iie et ier siècles (Fig. 4b). Cette évolution laisse penser à une influence forte de la Nomenklaturregel (selon laquelle les soldats n’étaient pas censés indiquer leur patronyme en matière de contrats ou de procès) au IIIe siècle, influence progressivement battue en brèche par la force des usages quotidiens en matière d’identification. Au demeurant, la même évolution s’observe pour les contrats grecs à partir du début du iie siècle. 7
Fig. 4b. Militaires indiquant leur patronyme.
Pour 14% des pétitionnaires, le prescrit se clôt sur la mention du nom ou (20% de ces cas) du nom et du patronyme : « Au roi Ptolémée, salut Patrôn » (P. Enteux.
7 U. Yiftach-Firanko, Did bgu xiv 2367 Work ?, cit.
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1), « Au roi Ptolémée, salut Marres, fils de Petosiris » (P. Enteux. 65), « A Asclépiadès, nomarque, de la part de Nechembes » (P. Tebt. iii 772), « A Antaios, épistate de Philadelphie, de la part de Démétrios, fils de Képhalôn » (P. Mich. iii 173) ... Ces pétitions à prescrit très réduit datent du iiie siècle pour 84% d’entre elles : il s’agit manifestement d’une forme ancienne de la pétition, la plus proche de la lettre. Dans leur grande majorité néanmoins (86% des cas), les pétitionnaires introduisent dans leurs prescrits d’autres éléments d’identification, à commencer par l’ethnique s’ils relèvent de la catégorie des Hellènes, ou le démotique s’ils possèdent en outre le privilège d’être citoyens d’Alexandrie, Naucratis ou Ptolémaïs.
iii. Ethnique (ou démotique). Il s’agit là d’éléments d’identification très importants pour les historiens, car les ethniques sont, au début de la domination ptolémaïque tout au moins, l’un des plus sûrs indices d’une appartenance au groupe des immigrants. En tout, un quart des c. 330 pétitionnaires livre un ethnique. Le plus fréquent, de loin, est celui de Macédonien. Il représente à lui seul 35% de l’ensemble des ethniques, suivi de celui de Juif : 15%, un chiffre élevé en raison de l’inclusion dans le corpus des pétitions du politeuma d’Héracléopolis. 8 On trouve ensuite à niveau presque égal les ethniques de Cyrénéen, de Thrace et de Perse, puis les démotiques renvoyant aux cités grecques d’Égypte. Enfin les 16 autres ethniques attestés représentent chacun environ 1% de l’ensemble (Fig. 5).
Fig. 5. Types d’ethniques apparaissant dans les pétitions.
Selon le siècle considéré, la part des pétitionnaires s’identifiant par un ethnique varie néanmoins fortement : 29% au iii e siècle, 25% au iie siècle et 15% seulement au i er siècle (Fig. 6). Assurément, ces pourcentages ne sont pas le reflet fidèle de la place qu’occupent les Grecs (Hellènes) au sein des pétitionnaires. D’une part, au cours l’époque ptolémaïque certains Égyptiens ont pu acquérir des ethniques par intégration dans des corps professionnels, un phénomène attesté pour les ethniques de ‘Per
8 Sans les archives du politeuma, la part de l’ethnique ‘Juif ’ se réduit à un peu moins de 7%, celle de l’ethnique ‘Macédonien’ passe de 35 à 38%.
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Fig. 6. Pétitionnaires donnant un ethnique (ou un démotique).
se’, ‘Arabe’, ‘Macédonien’, ‘Cyrénéen’, ‘Libyen’, ‘Mysien’, et peut-être d’autres encore. D’autre part, les Grecs eux-mêmes ne donnent pas toujours leur ethnique dans les pétitions. Si, pour les raisons précédemment évoquées, nous nous limitons au iii e siècle, il apparaît que plus de 65% des pétitionnaires portent des noms grecs ou hellénisés et peuvent donc être globalement considérés comme ‘Grecs’ (Fig. 7). Pourtant, ils sont moins de la moitié à indiquer leur ethnique : 43% seulement. 9 Ces données incitent à la prudence quant à l’interprétation du graphique ci-dessus. Une analyse plus fine, croisant les éléments contenus dans le prescrit à ceux qui figurent parfois dans le corps de la pétition, devrait permettre de définir l'origine de certains pétitionnaires du i er siècle. C’est seulement sur cette base que la question de la raréfaction des ethniques à cette époque (plus grand usage des pétitions par les Égyptiens ? moindre intérêt porté par les Grecs d’Égypte à leurs patries d’origine ?) pourra peut-être se trouver éclaircie.
Fig. 7. Distribution des pétitionnaires par nom au iiie siècle. 10
iv. Catégorie socio-professionnelle. Après l’ethnique, le quatrième élément susceptible d’apparaître dans les prescrits est la catégorie socio-professionnelle. 9 Voir à ce sujet A.-E. Veïsse, L’usage des ethniques, cit., p. 61. Ont été ici classés comme ‘Incertain’ les noms partiellement ou totalement lacunaires (14%). Néan10 �������������������������������������������������������������������������������������������������� moins l’identité d’un certain nombre de leurs porteurs pourra sans doute être cernée grâce aux éléments contenus dans le corps de chaque pétition.
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Cette information, qui ne semble pas correspondre au génos de la Nomenklaturregel, 11 est fournie par 54% des pétitionnaires, lesquels indiquent soit leur métier soit un statut relié à un métier (par exemple hécatontaroure). Ce chiffre ne présente pas d’évolution notable dans le temps. En revanche, il sera sans doute intéressant à l’avenir d’établir des corrélations entre la catégorie socio-professionnelle à laquelle appartient le pétitionnaire et la manière qu’il a de se présenter. A titre d’exemple, sur l’ensemble de la période les militaires sont 72% à fournir un ethnique, ce qui est bien supérieur aux Grecs de manière générale si l’on en juge par les données du iii e siècle (43%). Il faudra aussi se demander jusqu’à quel point la mention de la catégorie socio-professionnelle dans le prescrit s’explique par l’objet même de la pétition.
v. Lieu de domicile ou lieu d’activité. Le dernier élément pouvant intervenir dans la présentation du pétitionnaire, rubrique « autres » exceptée, est le lieu de domicile ou le lieu d’exercice d’une activité : « Un tel, de tel village » ou « Un tel, comarque de tel village ». 12 Cet élément est tout particulièrement intéressant dans la mesure où il n’est pas requis par la Nomenklaturregel, ni pour les civils, ni pour les militaires. En l’occurrence, les pétitionnaires sont un peu plus de 50% à livrer cette information, à nouveau sans évolution notable entre les périodes. Les formules employées sont les suivantes (Fig. 8) : – principalement tw`n ejk, « ceux de », éventuellement réduit à ejk (55% des cas) ; – secondairement tw`n katoikouvntwn ejn, ‘ceux qui habitent à’, avec en variante tw`n kataginomevnwn ejn (17%) ; – plus rarement tw`n ajpov (9%), ejn (8%) ou encore le Génitif seul (8%) lorsqu’il s’agit d’indiquer le lieu d’exercice d’une activité, par exemple : « Sentheus, fils de Sochotès, basilikos georgos et komogrammate du village de Lysimachis (basilikou` gewrgou` kai; kwmogrammatevw~ kwvmh~ Lusimacivdo~) » (sb xx 14183) ; – quelques rares expressions forment le reste des cas.
Fig. 8. Expression du lieu de domicile ou lieu d’activité. 11 Si l’on admet que les contrats grecs respectent la Nomenklaturregel, c’est en effet pour l’essentiel la mention tès épigonès qui semble être donnée au titre du génos, autrement dit une qualité de civil et non une profession. Voir à ce propos U. Yiftach-Firanko, Did bgu xiv 2367 Work ?,cit. 12 Voir à ce sujet E. Bickermann, Beiträge zur antiken Urkundengeschichte i : Der Heimatsvermerk und die staatsrechtliche Stellung der Hellenen im ptolemaïschen Ägypten, « AfP », 8 (1927), pp. 234-237.
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Au premier chef, ces mentions géographiques semblent relever de raisons pratiques : s’assurer que les destinataires de la pétition sauront identifier le requérant pour donner suite à sa requête. Mais puisque la moitié des pétitionnaires se dispense de livrer cette information, force est d’admettre qu’elle pouvait être fournie d’une autre manière. De fait, les requérants indiquent généralement le lieu dans lequel s’est déroulée l’affaire appelée à être traitée, ou nomment les administrateurs locaux compétents pour leurs problèmes. Lorsqu’aucun de ces éléments n’est donné dans le corps de la pétition, on doit se résoudre à imaginer que le pétitionnaire fournissait les éléments nécessaires au traitement de sa demande lorsqu’il déposait, ou faisait déposer, sa pétition. Mais si la mention du lieu de domicile dans le prescrit n’était pas indispensable à l’identification des pétitionnaires, il est d’autant plus curieux de voir l’autre moitié d’entre eux l’indiquer malgré tout. Manifestement, il s’agissait là d’un élément ressenti comme pertinent dans la présentation de soi lorsqu’on formulait une pétition, qu’on fût Grec ou Égyptien. 13 Ainsi, si l’on se limite une fois de plus au iii e siècle, il apparaît que 56% des Égyptiens mais aussi 39% des Grecs indiquent leur lieu de domicile en Égypte, employant les différentes expressions relevées plus haut dans des proportions similaires. On trouve en particulier des pétitionnaires de nom grec donnant leur lieu de domicile, avec ou sans ethnique, dans certaines des plus anciennes pétitions datables : le P. Cair. Zen. ii 59236, de 254/3, le P. Col. iv 83, de 245/4 et le P. Enteux. 12, de 244. Dans le troisième cas le pétitionnaire est un militaire au nom thrace, « Bithys, du corps des vétérans de Karkendos, de Sébennytos de l’Arsinoïte (ejx Sebenn[uv]tou tou` ∆Arsinoivto[u) ». Dans les deux premiers, on a affaire respectivement à un clérouque et à un civil portant tous deux des noms bien macédoniens : « Néoptolème, Macédonien, faisant partie des clérouques (habitant) à Philadelphie (tw`n ejn Filadelfeivai klhrouvcwn) », « Antipatros, de ceux de Philadelphie (tw`n ejk Filadelfeiva~) ». Les exemples de ce dernier type, dans lequel un Grec indique son lieu de domicile sans son ethnique, ne sont pas rares : 23% des pétitionnaires grecs du iiie siècle se trouvent dans ce cas.
Il va sans dire que les observations et les hypothèses présentées dans le cadre de cette étude préliminaire devront être affinées et développées par l’analyse systématique de l’ensemble du corpus, lequel aura sans doute aussi à être complété et, dans tous les cas, publié. J’espère que les résultats, qui vaudront pour les pétitions, pourront contribuer à la réflexion sur la place respective des Grec(que) s et des Égyptien(ne)s au sein de la société ptolémaïque, et qu’ils livreront aussi quelques outils utiles à l’étude d’autres ensembles documentaires ou de cas particuliers. 13 Un exemple frappant est fourni par Héracleidès dans le P. Enteux. 79 (218). La grécité de ce plaignant ne fait aucun doute – c’est même le seul de nos pétitionnaires à se définir explicitement comme Grec dans le corps de sa pétition. Pour autant, il ne donne pas son ethnique, mais indique à la fois son lieu d’origine en Égypte et son lieu de domicile actuel : « Au roi Ptolémée salut Héracleidès, de l’Ile d’Alexandre (tw`n ajp∆ ∆Aleªxºavªndrou nhvsou), habitant Crocodilopolis, dans le nome Arsinoïte (tºw`n katoikouvªntwn ejn Krokodivlwºn povlei tªou` ∆Arsi-ºnoivtou nomou`) ». Sur cet exemple, voir A.-E. Veïsse, L’usage des ethniques, cit., pp. 63-64.
A HAPPINESS INDEX FOR ANTIQUITY ? HELLENISTIC EGYPT AS A CASE-STUDY 1
Katelijn Vandorpe 1. Introduction « Nike to Berenike her lady sister, many greetings. Before all I pray that you are well, and I constantly perform your obeisance before the gods here, praying that you may have life’s good things ». 2
T
he introduction of this private letter from Roman Egypt highlights a simple but telling paraphrase of happiness : ‘life’s good things (ta; ejn bivw/ ajgaqav)’.
How happy were people in Antiquity ? Can such a question be answered ? For Greco-Roman Egypt we have exceptional material at our disposal. Papyri are like instantaneous photographs, which allow us to take an honest glance at people’s private lives, but there is more : people’s private archives present a coherent film of a person’s or family’s lives over a longer period. 3 Papyrologists discuss in great detail their names, habits, professions, taxes, the contents of their archives, but they hardly ask themselves : were these people happy ? 4 To discover whether people were happy is not an easy task, but we hope to reach some conclusions by making use of the current happiness index. The first World Happiness Report, counting almost 200 pages and launched at the United Nations Conference on Happiness in 2012, is most instructive. It has been published by the Earth Institute of the Columbia University in collaboration with scholars of the London School of economics. 5 It describes the causes of happiness and misery and discusses, as case studies, happiness in Bhutan and the United Kingdom. The findings are based on the most recent scientific research : since the
1 I should like to thank W. Clarysse and S. Waebens for their helpful comments. 2 P. Mert. ii 82, translation in R. S. Bagnall, R. Cribiore, Women’s Letters from Ancient Egypt : 300 bc -ad 800, Ann Arbor, 2006, p. 266. 3 On archival research in papyrology, see most recently K. Vandorpe, Archives and Dossiers, in R. S. Bagnall (ed.), Oxford Handbook of Papyrology, Oxford, 2009, chapter 10, pp. 216-255, and the archives website . 4 For an exception, we refer to the archive of Saturnila and her sons, called the ‘Happy family archive’ because of the ‘civilized and affectionate relationship between mother and adult sons’ (H. I. Bell, A Happy Family, in Aus Antike und Orient. Festschrift Wilhelm Schubart zum 75. Geburtstag, Leipzig, 1950, pp. 38-47). But this happy family also had its moments of unhappiness, notably when a next of kin deceased, see P. J. Sijpesteijn, A Happy Family ?, « zpe », 21 (1976), pp. 169-181. For a recent description of the archive, see . 5 J. Helliwell, R. Layard, J. Sachs (edd.), World Happiness Report, The Earth Institute, Columbia University, 2012, with bibliography pp. 149-158. The report is downloadable at .
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katelijn vandorpe
late 20th century, happiness has become a popular subject in a range of fields 6 and has evolved into independent subdisciplines like the ‘economics of happiness’, combining economics with fields such as psychology and sociology. The quest for happiness is intimately linked to the quest for ‘sustainable development’, 7 a term referring to the combination of human well-being and environmental sustainability. Hence, the happiness index is in some countries an organizing principle for governance and policy and will undoubtedly become so in other countries. According to the current generation of psychologists, economists, sociologists, pollsters and other scholars, happiness, though a subjective experience, can be objectively measured through questionnaires. A distinction should be made between : – Affective Happiness, determined by the ups and downs of daily emotions : ‘how happy were you yesterday’ ? – Evaluative Happiness, which measures the overall evaluation of life : ‘Taking all things together, how happy would you say you are’ ? These two types of happiness have predictable causes.
2. Affective Happiness
Affective Happiness (‘how happy were you yesterday’ ?) is connected to the dayto-day joys of friendship, time with family, etc., and the causes of Affective Happiness are the same across the world. Wherever they live, people dislike bad weather or like good food. So the causes of Affective happiness are not regional, they are universal in space and maybe also in time. We may therefore find the same causes of Affective Happiness in ancient Egypt. How to measure Affective Happiness in ancient Egypt ? Polls are not possible, but fortunately we have numerous private letters, where emotions are shown in an outspoken, honest way and testify to (un)happiness. Demotic letters only casually display emotions, 8 contrary to the Greek and Coptic 9 letters of GrecoRoman Egypt. Apparently, women show their emotions more easily than men : the prominence of women’s emotions is « no doubt due to the role of mothers and wives as persons of trust within the family ». 10 A provisional exploration of
6 E.g., M. Fleurbaey, E. Schokkaert, K. Decancq, What Good is Happiness ?, in Core Discussion Papers 2009017, Université catholique de Louvain, Center for Operations Research and Econometrics (core), 2009, discussing whether and how welfare economics should incorporate the insights from happiness and satisfaction studies. 7 E.g., T. Rungwitoo, Sufficiency Economy and Gross National Happiness : Integrated Value for Sustainable Development, in The Meaning of Sufficiency Economy International Conference. Proceedings, Bangkok, 2012, pp. 114-133. 8 In Demotic letters, emotions are implied rather than stated and are displayed in a controlled way, see J. Tait, in C. Kotsifou (ed.), Emotional Display, Persuasion and Rhetoric in Papyri (forthcoming). For expressions of emotions such as pain, sorrow, irritation, joy and pleasure in Demotic letters, see M. Depauw, The Demotic Letter : A Study of Epistolographic Scribal Traditions against their Intra- and Intercultural Background (« Demotische Studien », 14), Sommerhausen, 2006, pp. 281-284. 9 On Coptic letters of daily life, see e.g., A. Boud’hors, in C. Kotsifou (ed.), Emotional Display, cit. 10 See W. Clarysse, Emotions in private papyrus letters, in C. Kotsifou (ed.), Emotional Display, cit. ; for women’s letters, see R. S. Bagnall, R. Cribiore, Women’s letters, cit.
a happiness index for antiquity?
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the Greek letters 11 shows that indeed the same things of life lead to a feeling of happiness or unhappiness. The first cause of happiness that comes to mind is love. But love letters are rare, which may seem strange ; many women, however, were not able to write or read, so their love letters had to be written down or read by someone else. This privacy problem may explain the lack of love letters. 12 Other causes of happiness or deep grief were, among others, friendship, parental and filial love, the death of a next of kin or friend, 13 seriously ill children, 14 or the proverbial mother-in-law. 15
These letters are like instantaneous photographs, but if we bring together all these photographs, we have a broad range of causes that lead to strong emotions, witnessing happiness or unhappiness, and the causes are quite similar to the causes of happiness in our 21st century society. The search for Affective Happiness is closely related to the research into emotions, which has become popular in papyrology over the last decade. The 2010 Papyrological Congress of Geneva had a session on emotions 16 and a large project on emotions in Antiquity has a subsection on emotions in the papyri. 17 Like research on Affective Happiness, studies on emotions 18 discuss the causes of emotions, but emotion research is broader, discussing also what kind of emotions are possible (anger, …), which emotions are linked to which causes, which words are used to express emotions (lexicographical aspects). Another dimension is emotion-as-a-strategy : people can manipulate other people by using emotions.
11 The Trismegistos database contains about 6500 Greek private letters. For an exploration of Greek letters, see the anthologies of B. Olsson, Papyrusbriefe aus der frühesten Römerzeit, Uppsala, 1925, dissertation, Select Papyri i and R. S. Bagnall, R. Cribiore, Women’s letters, cit. ; for an analysis of letters of condolence, see J. Chapa, Letters of Condolence in Greek Papyri (« Papyrologica Florentina », 29), Florence, 1998. 12 See W. Clarysse, Emotions in private papyrus letters, in C. Kotsifou (ed.), Emotional Display, cit. ; for examples of love letters, see e.g., P. Oxy. xlii 3059 (translation in R. S. Bagnall, R. Cribiore, Women’s letters, cit., p. 275) and P. Oxy. iii 528 = Select Papyri i, 125. 13 E.g., P. Oxy. i 115, translation in R. S. Bagnall, R. Cribiore, Women’s letters, cit., p. 172. 14 E.g., psi iii 177, translation in R. S. Bagnall, R. Cribiore, Women’s letters, cit., p. 280. 15 E.g., P. Petaus 29, translation in R. S. Bagnall, R. Cribiore, Women’s letters, cit., p. 276. 16 The panel ‘Emotions and Papyri’ in the 26th International Congress of Papyrology, Geneva, 16-21 August 2010 was organised by C. Kotsifou, see http ://emotions.classics.ox.ac.uk/project/news/panel.html. The papers will be published in C. Kotsifou (ed.), Emotional Display, cit. 17 The project « The Social and Cultural Construction of Emotions : The Greek Paradigm » is funded by the European Research Council with an Advanced Investigator Grant (2009-2013) and is affiliated with the Centre for the Study of Ancient Documents and the Classics Faculty of the University of Oxford. 18 See e.g., C. Kotsifou, Papyrological Perspectives on Orphans in the World of Late Ancient Christianity, in C. Horn, R. R. Phenix (edd.), Children in Late Ancient Christianity, Tübingen, 2009, pp. 339-373 ; Id., Emotions and Papyri : Insights into the Theatre of Human Experience in Antiquity, in A. Chaniotis (ed.), Unveiling Emotions : Sources and Methods for the Study of Emotions in the Greek World, Stuttgart, 2012, pp. 39-90 ; Id., A Glimpse into the World of Petitions : The Case of Aurelia Artemis and her Orphaned Children, in A. Chaniotis (ed.), Unveiling Emotions, cit., pp. 317-327 ; Id., ‘Being Unable to Come to You and Lament and Weep with You’ : Grief and Condolence Letters on Papyrus, in A. Chaniotis (ed.), Unveiling Emotions, cit., pp. 389-411 ; Id., Appealing for Justice, Praying for Revenge : The Papyrological Evidence, in A. Chaniotis, P. Ducrey (edd.), Emotions in Greece and Rome : Texts, Images, Material Culture, Stuttgart, forthcoming ; Id. (ed.), Emotional Display, cit.
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This aspect is clearly present in numerous petitions, where the petitioner tries to arouse pity by putting the accused in a bad light, like : « he detests me because I am old and have a bad sight », or « because I am minor ». Finally, some researchers approach emotions in an anthropological way and assess whether ancient people lived in a shame- or a guilt-culture. With this short overview of real and manipulated emotions and their causes, we can end the first section on Affective Happiness with the conclusion that Affective Happiness is dealt with in papyrological research thanks to the recent interest into emotions.
3. Evaluative Happiness
3. 1. The indicators of Evaluative Happiness The second section on Evaluative Happiness (‘Taking all things together, how happy would you say you are’ ?) is still unexplored in papyrological research and is the actual subject we are interested in. Here too, the causes of Evaluative Happiness have been detected and contrary to Affective happiness, the results are very different according to the region where one lives. The least happy countries are to be found in Sub-Saharan Africa (e.g., Togo, Benin), while the happiest countries nowadays are in northern Europe. In recent years, Denmark has been topping the list. The four happiest countries have incomes that are 40 times higher than the four unhappiest countries and people can expect to live 28 years longer. Freedom, strong social networks and trust in government are also crucial factors in happiness. At the individual level, mental and physical health, job security and a stable family life are important. Economic growth does not necessarily drive up happiness : « the world’s economic superpower, the United States », for instance, « has achieved striking economic and technological progress over the past half century », yet average happiness has not changed. Instead, « uncertainties and anxieties are high, social and economic inequalities have widened considerably, social trust is in decline, and confidence in government is at an all-time low. Perhaps for these reasons, life satisfaction has remained nearly constant during decades of rising Gross National Product (gnp) per capita ». 19 Hence the indicators for the happiness index or gnh (Gross National Happiness) are much more than economic parameters, which are at the core of the gnp (Gross National Product) and more varied than those of the hdi (Human Development Index), which focuses on health, education and living standards. The happiness index categorizes 33 indicators of happiness under nine domains, which are equally weighted. 20 Respecting the limitation of the material available
19 The World Happiness Report, cit., p. 4. 20 The nine domains are : Health, Psychological well-being, Education, Cultural diversity and resilience, Community vitality, Living standards, Ecological diversity and resilience, Good governance, Time use.
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for Greco-Roman Egypt, we have classified the indicators into the following pillars or domains (see also below) : – the physical and mental pillar with parameters such as physical and mental health, the possibility to show emotions ; – the social and cultural pillar with parameters such as the absence or presence of familial or social networks to which one can turn, education and literacy ; – the economic pillar, including income, employment ; – the environmental pillar, with ecological parameters ; for Antiquity these may be ‘damage by animals’, the consequences of urbanisation, and for Egypt the Nile inundations ; – the governmental pillar, that is, good governance largely contributes to people’s happiness.
3. 2. Significant indicators of Evaluative Happiness for People of Greco-Roman Egypt For Antiquity we cannot evaluate the happiness indicators through questionnaires. But a voice can be given to the people of Greco-Roman Egypt by turning to their oracle questions, letters and complaints to the government. These types of texts may, to some degree, help us to retrieve which parameters were significant for the Evaluative Happiness of people in Greco-Roman Egypt. It is inherent to petitions that they deal with criminal facts and hence most complaints mention problems with assets, safety or corruption issues. But also oracle questions and letters pay much attention to rather materialistic matters, like people’s assets and problems concerning these assets, and only to a lesser degree to, for instance, health. 21 Here you find the top 5 22 of topics dealt with in the Egyptian and Greek oracle questions (‘Ticket-Orakel’) 23 and in the do-it-yourself oracle of Astrampsychus : 24
21 For the topics dealt with in Demotic letters, see M. Depauw, The Demotic Letter, cit., pp. 7-63. 22 The top 5 is based on W. Clarysse, Als het mij niet gegeven is te huwen, geef me dan dit briefje, and Doe-het-zelforakels. Van Astrampsychus tot Napoleon, in K. Vandorpe, H. Verreth (edd.), Grieken en Romeinen bewegen hemel en aarde. Voorspellen in de Oudheid (« Aulos »), Leuven, 1996, pp. 56-57 (oracle questions) and p. 67 (oracle of Astrampsychus), and on F. Naether, Die Sortes Astrampsychi. Problemlösungsstrategien durch Orakel im römischen Ägypten (« Orientalische Religionen in der Antike », 3), Tübingen, 2010, pp. 405-406 (oracle questions) and pp. 406-408 (oracle of Astrampsychus). 23 Egypt’s oracle questions have a particular characteristic : two alternatives were formulated, a positive and a negative, of which the god had to choose the right answer. The Greeks in Egypt continued this Egyptian custom of oracle questions, see D. Valbelle, G. Husson, Les questions oraculaires d’Égypte : histoire de la recherche, nouveautés et perspectives, in W. Clarysse, A. Schoors, H. Willems (edd.), Egyptian Religion. The Last Thousand Years. Studies Dedicated to the Memory of Jan Quaegebeur (« Orientalia Lovaniensia Analecta », 85), Leuven, 1998, ii, pp. 1055-1071 ; F. Naether, Sortes Astrampsychi, cit. 24 F. A. J. Hoogendijk, W. Clarysse, De Sortes van Astrampsychus. Een orakelboek uit de Oudheid bewerkt voor het Middelbaar Onderwijs, « Kleio », 11.2 (1981) ; G. M. Browne, Sortes Astrampsychi (« Bibliotheca Scriptorum Graecorum et Romanorum Teubneriana »), Leipzig, 1983 ; G. M. Browne, The Sortes Astrampsychi and the Egyptian Oracle, in J. Dummer (ed.), Texte und Textkritik. Eine Aufsatzsammlung (« Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literatur », 133), Berlin, 1987, pp. 67-71 ; F. Naether, Sortes Astrampsychi, cit.
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ticket-orakel (greco-roman period)
oracle of astrampsychus (roman period)
1. questions about assets (sale, loan, inheritance, theft, …) and profession, 2. travel or stay home, 3. health and illness, 4. love and marital issues, 5. cult.
1. questions about assets (sale, loan, inheritance, …) and profession, 2. love and marital issues, 3. politics or office, 4. travel or stay home, 5. health and illness.
People are mainly concerned about their assets and profession, which is part of the economic pillar, but also about their health (physical pillar), safety when they travel (government pillar) and family life (social pillar). These are significant indicators, contrary to the situation of slaves, which is hardly present in oracle texts : 25 in Antiquity, fundamental human rights (part of the government pillar) were not an issue. At the same time, the fact that these people write about their problems shows that they have a social safety net (indicator : social network, part of the social and cultural pillar) : according to the happiness index, it is important that people can turn to someone with whatever problem they have. In Egypt, people could write about their little or big problems to family or friends, or they could turn to the gods through their oracle questions, and in case of irregularities or criminal facts, they could hand in petitions to the government. People could easily turn to the government with all kinds of problems and their case was quickly dealt with. This is a sign of good governance, also one of the pillars of the happiness index, dealt with below. 26
3. 3. The Evaluative Happiness indicators applied to Hellenistic Egypt Another approach to discover whether people in Antiquity were happy or not, complementary to the one discussed in 3.2., is to evaluate the happiness indicators one by one, a life time project, but a provisional evaluation may show the possibilities and advantages of this approach. The evaluation will be confined to Hellenistic Egypt. Papyri are suitable to study the private life of people in Antiquity, but if you put the happiness index alongside the papyrological research in general, several topics appear to be subject of papyrological research, but there is sometimes a discrepancy : modern papyrological research still departs too often from institutions or abstract topics, and not always from the people themselves. For instance, when employment, one of the economic parameters, is discussed in papyrological research, questions such as ‘which professions are there, what is
25 F. Naether, Sortes Astrampsychi, cit., p. 406 : « Sklaventhemen kommen so gut wie gar nicht vor » ; see also J.A. Straus, L’achat et la vente des esclaves dans l’Égypte romaine. Contribution papyrologique à l’étude de l’esclavage dans une province orientale de l’Empire romain (« ArchPF. Beiheft », 14), München-Leipzig, 2004, pp. 21-22. 26 The Hellenistic period is dealt with below, for the Roman period, see B. Kelly, Petitions, Litigation, and Social Control in Roman Egypt, Oxford, 2011, who takes a new approach to reading the evidence : he discusses the social role of petitioning and litigation in Roman Egypt, rather than merely examining how the legal system was used to resolve particular disputes.
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the average income of these professions, which taxes were linked to these professions, etc.’, are answered, but we do not ask ourselves, like the happiness index does : ‘did people always have a job, were they happy with their jobs, etc.’ Such questions depart from the people and not from abstract topics or institutions. Here follows an overview of the happiness indicators which may be applied to the sources of Hellenistic Egypt ; gender, age and occupational categories affect several parameters. The indicators are partly covered in the current papyrological research, as shown in the second column. Those indicators which may be evaluated in a positive way for Hellenistic Egypt are marked by an asterisk. Indicators which were probably not significant in Antiquity are marked by //.
The physical and mental pillar and its indicators : 27
indicators happiness index
current papyrological research
– physical health (including life expectancy and disability) – psychological well-being : – *possibility to express emotions, negative and positive – *Access to spirituality and/or religious experience
– average life expectancy ; illnesses
– emotion-research – religion (gods and temples) ; religious festivals ; magical texts
The social and cultural pillar and its indicators : 28
indicators happiness index
current papyrological research
– *familial and social networks to which people can turn (e.g. in case of pregnancy, financial problems, ...). How do these networks work ? – social support (time and money, volunteer work, pro-social behaviour, donations to a community, …) – *social and cultural freedom (to have the possibility to continue own habits, native language, ...) – level of education, literacy, knowledge of local myths, traditions, … – artisan skills – *notion of values (distinction good bad…), cf. petitions and letters
– composition of families, types of associations, social network analysis, ... – donations to temples
– ethnic groups and tolerance towards these groups – education, literacy – art products and artists
27 Compare the domains and indicators of the gnh : domain ‘Health’ (indicators : Mental health, Self reported health, healthy days, disability), domain ‘Psychological well-being’ (indicators : life satisfaction, Positive emotions, Negative emotions, Spirituality) and domain ‘Time use’ (indicators : Work, Sleep). 28 Compare the domains and indicators of the gnh : domain ‘Community Vitality’ (indicators : Donations (time & money), Community relationship, Family, Safety), domain ‘Cultural diversity and resilience’ (indicators : Native language, Cultural participation, Artisan skills, Conduct), domain ‘Education’ (indicators : Literacy, Educational level, Knowledge, Values).
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The environmental pillar and its indicators : 29
indicators happiness index
current papyrological research
– ecological issues (aspects of climate : sun, heat, …, nowadays : pollution, …) – *urbanization issues (nowadays : traffic congestion, inadequate green spaces, …) – *wildlife damage to crops (rural-specific)
– social consequences of urbanization
The governmental pillar and its indicators (‘good governance’) : 30
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current papyrological research
– *government performance – *services and infrastructure (water supply, health services, roads, …) – political participation – //fundamental human rights – *(perceived) safety
– law, institutions and administration – social mobility, status – situation of slaves – army and police
The economic pillar and its indicators : 31
indicators happiness index
current papyrological research
– *housing (room-ratio, roofing)
– types of houses, fragmentation of houses, roofing – types of land or houses, landowners
– *assets (land, housing, livestock, nowadays also : mobile phone, TV, computer …) – income per capita & tax burden – *(un)employment (did people have a job ?)
– average income, tax system, types of taxes – types of professions
By way of example, we focus here on the economic and government pillar. Assets are one of the parameters within the economic pillar : which assets are important in a society ? Nowadays, for instance, it is important for young people to have a mobile phone. Within the economic pillar the comparing aspect is crucial : people always compare to what other people in their family or neighbourhood have. So, when we deal with assets in a society, we have to take account of the classes
29 Compare the domain and indicators of the gnh : domain ‘Ecological diversity and resilience (indicators : Ecological issues, Responsibility towards environment, Wildlife damage (rural), Urbanization issues). 30 Compare the domain and indicators of the gnh : domain ‘Good governance’ (indicators : Government performance, Fundamental rights, Services, Political participation). 31 Compare the domain and indicators of the gnh : domain ‘Living standards’ (indicators : Assets, Housing, Household per capita income).
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to which people belong. For Hellenistic Egypt, land and houses are well studied in relation to social classes, 32 but other assets are not. For women, it is easier to study their usual assets because we dispose of women’s lists in marriage contracts, for instance. These show that for the Egyptian middle class, the bridal veil was the most important asset, followed by gold or silver ornaments. 33 Also for men, assets which were important to them and on which they spent their money may be retrieved : inventories of goods (e.g., P. Dryton 38) or lists of stolen objects, often part of petitions (e.g., P. Cair. Zen. iv 59659), usually mention in case of more precious objects the value in money or the weight. P. Dryton 38, an inventory of a Greek cavalryman, lists a woolen mattress made of 35 fleeces (pokoi, l. 15). One pokos is the fleece provided by one sheep every eight months, thus a mattress of 35 fleeces weighs almost 25 kilogram, which is a heavy and expensive mattress. In the same list (ll. 30-31) we find turned bed legs (podes klines torneutoi) with a value of 1,000 drachmas, a quite expensive bed frame for the woolen mattress. 34 A study of assets on which people spent money other than land and houses should be possible. Another parameter within the economic pillar is employment. A lot of research has been done about all kinds of professions and their income, taxes or status. 35 But did people always have a job ? A notable difference with the situation nowadays is that people often had more than one job, because professions were not as specialized as they are nowadays, and people were more enterprising, probably out of necessity. The Egyptian Horos son of Nechouthes, 36 for instance, who lived in the south of Egypt, served part-time as a military or was a reservist. He owned a lot of land, grain bearing land and vineyards, which he cultivated himself or leased out, sold or purchased. He was able to lend out money or consumables at high rates, fixed by law. He owned pigeon houses ; pigeons were considered a delicacy. In politically unstable times, he was employed by the local temple as a herdsman. The role played here by the local temple is significant. Another, well-known example of a Greek with different sources of income is Zenon, who left us a large archive of almost 2000 texts. 37 But there are many more examples, which should
32 See, e.g., most recently A. Monson, From the Ptolemies to the Romans : political and economic change in Egypt, Cambridge, 2012, pp. 75-79 and 114-122 ; S. Scheuble-Reiter, Die Katökenreiter im ptolemäischen Ägypten (« Vestigia. Beiträge zur alten Geschichte », 64), München, 2012, pp. 142-233. 33 P. Eheverträge, pp. 288-315 ; P.W. Pestman, Marriage and Matrimonial Property in Ancient Egypt. A contribution to establishing the legal position of the woman (« Pap. Lugd. Bat. », 9), Leiden, 1961, pp. 91-102 ; K. Vandorpe, Inventories and Private Archives in Greco-Roman Egypt, in K. Vandorpe, W. Clarysse (edd.), Archives and Inventories in the Eastern Mediterranean (23-24 January 2004), Brussels, 2006, pp. 71-71 ; for examples of Greek women’s assets, see e.g., U. Yiftach-Firanko, Marriage and Marital Arrangements : a History of the Greek Marriage Document in Egypt, 4th century bce-4th century ce (« Münchener Beiträge zur Papyrusforschung und Antiken Rechtsgeschichte », 93), München, 2003, pp. 139-140 ; K. Vandorpe, Inventories, cit., pp. 70-71. 34 P. Dryton, pp. 296-298. 35 E.g., W. Clarysse, D.J. Thompson, Counting the people in Hellenistic Egypt, Cambridge, 2006. 36 P. Adler ; J. Herrmann, Sachteilung und Wertteilung bei Grundstücken. Zu den griechischen Kaufurkunden des Horus-Archivs, in H. Hübner e.a. (edd.), Festschrift für Erwin Seidl. Zum 70. Geburtstag, Cologne, 1975, pp. 53-60 ; K. Vandorpe, S. Waebens, Reconstructing Pathyris’ Archives. A Multicultural Community in Hellenistic Egypt (« Collectanea Hellenistica », 3), Brussels, 2009, pp. 127-141, §40. 37 Cl. Orrieux, Zénon de Caunos, parépidèmos, et le destin grec (« Centre de Recherches d’Histoire Ancienne », 64 = « Annales Littéraires de l’Université de Besançon », 320), Paris, 1985.
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be discussed in our search of employment strategies in Hellenistic Egypt. Apparently, a combination of jobs, a spirit of enterprise, part-time employment by the government in the army or administration and the role of the temple were key factors in the employment of people in Hellenistic Egypt, 38 at least for healthy men. The tax burden is another important aspect of the economic pillar. Taxes in Hellenistic Egypt received much attention, although one usually focuses on the taxes themselves or on the lengthy list of taxes and we too easily conclude that people in Hellenistic Egypt had to bear a heavy tax burden. 39 But the happiness index allows a more nuanced view. If we want to measure the tax burden, we should not only depart from the taxes themselves, but from the people who paid them. How many taxes did someone actually have to pay ? 1. People paid fixed taxes on their person and on their animals : 40 these were low-level taxes ; 2. they paid fixed taxes per aroura or per cubit on some assets like pigeon-houses, on vineyards, the cleruchs on their land : 41 these were also rather low taxes ; 3. the higher taxes were percentage-taxes, levied on the yield of grain-bearing land and of vineyards, 42 or on the profit of other types of income, like on the earnings of a bathhouse. 43 The taxes levied in these cases varies between 1/10 to half of the profit. But the taxes were always in balance with the profit, which was estimated every year in case of land on the basis of a survey. 4. A large number of small, again very lowlevel taxes was to be paid but in exchange for services, like the guard and dike tax or the naubion tax/corvée for people who gained profit from land and had to pay for the protection and maintenance of the irrigation system, 44 or the herald tax (kerukeion) for people who bought land at a public auction. 45 When in politically unstable times people had a smaller income or no income, royal ordinances often acquitted the debt of their subjects. 46 Hence, the tax burden should be nuanced, although one cannot deny that people in Hellenistic Egypt paid a lot of taxes. But let us compare this situation to that
38 For herdsmen in Ptolemaic Upper Egypt, partly employed in the Ptolemaic army, see J.G. Manning, Land and Status in Ptolemaic Egypt : the Status Designation “Occupation title + b3k + Divine Name”, in S. Allam (ed.), Grund und Boden in Altägypten (rechtliche und sozio-ökonomische Verhältnisse) (Akten des internationalen Symposions, Tübingen, 18.-10. Juni 1990), Tübingen, 1994, pp. 147-175 ; K. Vandorpe, Persian Soldiers and Persians of the Epigone. Social Mobility of Soldiers-herdsmen in Upper Egypt, « AfP », 54 (2008), pp. 87- 108. 39 E.g., the monumental study by Cl. Préaux, L’économie royale des Lagides, Bruxelles, 1939 : « l’impression du lecteur est sans doute dominée par le souvenir du nombre comme de la variété des prélèvements royaux et par la complication des méthodes de perception » (p. 426) ; « l’économie royale des Lagides était tout entière coordonnée en vue d’enrichir le roi » (p. 569). 40 W. Clarysse, D. J. Thompson, P. Count, cit., pp. 36-89, on the salt tax (a poll tax) levied on adult men, women and on livestock. 41 A. Monson, From the Ptolemies, cit., pp. 172-184. 42 K. Vandorpe, The Ptolemaic Epigraphe or Harvest tax (shemu), « AfP », 46 (2000), pp. 165-228 ; A. Monson, From the Ptolemies, cit., pp. 162-172. 43 B. Redon, Statut, revenus et fiscalité des édifices de bain en Égypte. 1. Époque ptolémaïque, « bifao », 111 (2011), pp. 301-321 : the Ptolemies taxed the bath house business in two ways : by taxing owners with the ‘tax of the third’ (on their revenues) and by taxing bath house managers with a special charge (balaneiou or balaneion), proportional to their income. 44 Cl. Préaux, L’économie royale, cit., pp. 395-403 ; for these taxes on cleruchic land, see S. Scheuble, Katökenreiter, cit., see index s.v. nauvbion, fulakitikovn, cwmatikovn. 45 Cl. Préaux, L’économie royale, cit., p. 334. 46 E.g., the prostagma of 118 bc : P. Tebt. I 5 = C. Ord. Ptol.2 53.
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in modern Europe. No-one pays more taxes than people in Denmark and they appear to be the happiest people in the world. The taxes are fair and people get something in return that is : good governance. And this may be, to a certain degree at least, also the case in Hellenistic Egypt. This brings us to the last pillar : the government pillar, of which the most important parameter is that of good governance.
Good governance invests in the other pillars : were the Ptolemaic kings concerned about the other pillars ? The government largely invested in religion, even in the second century bc, that is in the restoration and building of temples, in existing and new cults, as a result of the good relationship they had – on the whole – with the Egyptian priestly elite. 47 The king was part of the religious life of Greeks and Egyptians 48 and the highest officials took part not only in Greek, but also in Egyptian religious festivals. 49 The investment in health may have been more limited, but doctors were paid at public expense and a doctor’s tax may have been imposed on the Greek part of the population. Doctors had a privileged tax status, 50 which shows that the government stimulated the profession. The government largely invested in social and cultural well-being of the people : Greek and Egyptian people could continue their own religion and their own habits, but boundaries between Greek and Egyptian groups became blurred and numerous customs were fused or were integrated in one system. 51 The importance of intellectual and physical education are shown by the privileged position of teachers, athletic coaches and victors in Alexandrian games. 52 The Ptolemies were also interested in Egyptian culture and in Egypt’s past. 53 Within the economic pillar, the government protected the assets of private people by controlling the private transactions in a high degree. Lending, selling, inheriting, all these private affairs were well guarded by law : for instance, fixed rates for interest in loans (50% for consumables, 24 % for money loans) were established, Greek and Egyptian transactions were registered 54 and people could easily hand in their (even small) complaints to the government and were heard within short notice.
47 J.G. Manning, The last Pharaohs. Egypt under the Ptolemies, 305-30 bc, Princeton, 2010, passim. 48 The Ptolemaic king was successfully worshipped in a Greek and an Egyptian version of the dynastic cult, see S. Pfeiffer, Herrscher- und Dynastiekulte im Ptolemäerreich : Systematik und Einordnung der Kultformen (« Münchener Beiträge zur Papyrusforschung und antiken Rechtsgeschichte », 98), München, 2008. 49 The epistrategos (as the king’s representative) and the strategos of the Thebaid, for instance, were present at the festival of the Valley in the Theban area, see P. W. Pestman, in P. Tor. Choach., p. xxvi. 50 W. Clarysse, D.J. Thompson, P. Count, cit., pp. 88 and 162-164. 51 For several examples, see K. Vandorpe, History. Ptolemaic period, in A. B. Lloyd (ed.), The Blackwell Companion to Ancient Egypt. 1. State and Society, Oxford, 2010, chapter 9, pp. 159-179. 52 W. Clarysse, D. J. Thompson, P. Count, cit., pp. 88 and 125-133. 53 J. G. Manning, The last Pharaohs, cit., p. 93. 54 U. Yiftach-Firanko, Who killed the Double Document in Ptolemaic Egypt ?, « AfP », 54 (2008), pp. 203-218 ; K. Vandorpe, Greek and Demotic loan agreements in epistolary style. Formalisation and registration in the later Ptolemaic period, in U. Yiftach (ed.), Legal Documents in Ancient Societies (ldas) i. The Letter : Law, State, Society and the Epistolary Format in the Ancient World (« Philippika : Marburger Altertumskundliche Abhandlungen », 55, 1), Wiesbaden, 2012, pp. 171-185.
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One of the first possibilities to settle a dispute in Hellenistic Egypt, an Egyptian practice integrated in the Ptolemaic juridical system, was an amicable settlement proposed by the village epistates, who acted as a kind of justice of the peace ; when it was not clear who was right, a temple oath sworn by the accused had to end the quarrel. 55 Such a temple oath had to be sworn at a chapel, such as the chapel of the bull of Montu in Medinet Habu. Here oaths about smaller, often material problems like the following one were sworn : « “I swear that this cow (…) is my farmer’s cow, the one that was born in my (house)”. If Phatres swears the oath, he can take his cow home, if not, he has to give the cow to Pachnum », 56 or this oath about a maltreated cow : « I swear that I do not know who maltreated the cow ». 57 Probably the cow could no longer be used as a draught animal and the responsible person should pay for it. Other oaths deal with marital problems, e.g. : « Since my marriage with you, I have not robbed you (…). I have not gone to another man, as long as I was married to you ». 58 The majority of the temple oaths have to end quarrels about similar marital problems, inheritance discussions and exchange of goods. 59 When people did not agree, they could appeal to a higher court. The Erbstreit archive, dealing with a dispute on inheritance in the second century bc, shows the possibilities of the juridical apparatus in the chora : 60 after the Erbstreit case was dealt with by the village epistates of Pathyris and the amicable settlement was not accepted by the complaining party, an appeal was lodged with the strategos, subsequently with the epistrategos who was also strategos of the Thebaid, and finally with the chrematistai-judges, whose decision was final. 61 The government furthermore invested in employment : people, including Egyptians, could work in the army or administration. People who owned or leased land could profit from an irrigation system which was organised by the government. The taxes were numerous, but they were linked to production, thus took into account the actual income and were acquitted in difficult periods (see above). Although several taxes were levied with a tax farming system, the tax collection
55 See E. Seidl, Der Eid im ptolemäischen Recht, München, 1929, and the introduction to O. Tempeleide. 56 O. Tempeleide 45. 57 O. Tempeleide 50. 58 O. Tempeleide 5. 59 See O. Tempeleide, pp. 26-29 (‘Der Inhalt der Tempeleide’). 60 For the juridical apparatus in the Hellenistic chora, see G. Semeka, Ptolemäisches Prozessrecht. Studien zur Ptolemäischen Gerichtsverfassung und zum Gerichtsverfahren, München, 1913 ; E. Seidl, Ptolemäische Rechtsgeschichte (« Ägyptologische Forschungen », 22), Glückstadt, 19622 ; H.-J. Wolff, Das Justizwesen der Ptolemäer (« Münchener Beiträge zur Papyrusforschung und Antiken Rechtsgeschichte », 44), Wien, 19702 ; J. Modrzejewski, Chrématistes et laocrites, in J. Bingen, G. Cambier, G. Nachtegael (éds.), Le monde grec : pensée, littérature, histoire, documents : hommages à Claire Préaux, Bruxelles, 1975, pp. 699-708 ; H.-A. Rupprecht, Griechen und Ägypter - Vielfalt des Rechtslebens nach den Papyri, in G. Thür (ed.), Antike Rechtsgeschichte. Einheit und Vielfalt (« Österreichische Akademie der Wissenschaften. Philosophisch-historische Klasse. Sitzungsberichte », 726 = « Veröffentlichungen der Kommission für antike Rechtsgeschichte », 11), Wien, 2005, pp. 17-25 ; Id., Recht und Rechtsleben im ptolemäischen und römischen Ägypten. An der Schnittstelle griechischen und ägyptischen Rechts 332 a.C. - 212 p.C. (« Abhandlungen der Geistes- und Sozialwissenschaftlichen Klasse (am-gs) », 2011 Nr. 8), Stuttgart, 2011, p. 63. 61 For the Erbstreit archive, see K. Vandorpe, S. Waebens, Reconstructing Pathyris’ Archives, cit., pp. 114-122, §37.
a happiness index for antiquity?
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was closely controlled by state officials, 62 to avoid corruption or abuse. 63 Good governance also allows people to take part in the government of the country. The Ptolemaic kings not only worked with the Greek elite, but also bargained with the local elites about privileges, 64 and for the middle and lower classes social mobility gradually became an option. One may raise objections to our positive approach, because later Ptolemaic rule knew several troublesome periods. 65 Only one inland revolt, however, was, with the assistance of Nubian troops, initiated by the people of Upper Egypt (206-186 bc), but that happened in a period when the Thebaid was not yet well organised by the government. In the second century bc, the kings reorganised the Thebaid and the region no longer initiated revolts : the troubles of the 160’s were due to the invasion of Antiochos IV of which a confidant of the king took advantage and carried out a putsch ; the civil war of 132-124 bc and the revolt of c. 88-86 bc were due to dynastic strife and the subsequent unstable situation. Hence, revolts originated in these short periods of bad governance, but most of these « intervals of crisis functioned at the same time as driving forces of increasing state intervention » and were followed by periods of good governance. 66 In conclusion, the happiness index opens new perspectives on three levels : it helps us to answer the question whether people in Hellenistic Egypt were happy ; secondly, it opens a new range of questions to the old papyrological material, questions which bring us closer to the ancient people, not only into their living room, but also into their head and heart. We should not only discuss all types of professions, but we should also try to answer a question like : what do we know about the employment of people, did they always have work ? We do not only have to deal with the numerous types of taxes, but we should ask ourselves whether people had a problem with the tax burden : were they able to pay their taxes and how come ? Maybe they were happy anyway, because they received in turn good governance. And that is the third new perspective : the government of the Ptolemies is according to the happiness index to be considered an example of rather good governance, and in my view the idea of the Ptolemaic government of being a bureaucratic one, which only wanted to levy as many taxes as possible, should, if not adjusted, be at least nuanced. The Ptolemaic government invested in several indicators of the happiness index and deserves a higher appreciation.
62 J. Bingen, Le Papyrus Revenue Laws - Tradition grecque et adaptation hellénistique (« Rheinisch-Westfälische Akademie der Wissenschaften. Geisteswissenschaften », 231), Opladen, 1978. It has long been acknowledged that corruption may have been problematic among officials in Ptole63 ������������������������������������������������������������������������������������������������� maic (and Roman) Egypt, as the petitions in particular seem to suggest, but the scale of corruption is still much debated, see J. bauschatz, The Strong Arm of the Law ?, « cj », 103 (2007), pp. 13-39 ; Id., Law and Enforcement in Ptolemaic Egypt, Cambridge, forthcoming. 64 J. G. Manning, The last Pharaohs, cit., passim. 65 A.-E. Veïsse, Les “révoltes égyptiennes”. Recherches sur les troubles intérieurs en Égypte du règne de Ptolémée III à la conquête romaine (« Studia Hellenistica », 41), Leuven-Paris-Dudley Mass., 2004. 66 K. Vandorpe, History, cit., p. 161 and pp. 164-167.
Kings, Taxes and High Priests : Comparing the Ptolemaic and Seleukid Policies
Gilles Gorre · Sylvie Honigman
S
tudents of Ptolemaic Egypt and the Seleukid Empire tend to think that the two dynasties developed separate political cultures. While this view may certainly be upheld in general terms, we intend to show that in some areas, a comparative approach may nonetheless bring out similar attitudes. The topic we shall discuss are the devices through which the two dynasties managed to tighten their control over the economic assets of the native temples located in their respective realms. Whereas the Ptolemaic policy is now well known thanks both to the detailed documentary evidence and intensive modern investigation, evidence for the Seleukid Empire is scant and scattered over four geographical areas, namely Judaea, Asia Minor, Syria, and Babylonia. Despite the fact that Egypt and each one of these Seleukid provinces had distinct cultural and religious traditions, the evidence documents strikingly similar patterns of relations between the respective royal administrations and the priestly personnel in charge of the revenues of the various temples. Therefore, our working hypothesis will be that the different sources of evidence cast mutual light on each other. By cross-referencing them, we may get a better sense of how both the Ptolemaic and Seleukid dynasties sought to take command of the economic assets of the temples. In the two realms, we argue that the fiscal reforms per se were systematically coupled with the royal administration’s increased interference in the appointment of the priestly personnel in charge of the temple economies. In this paper we shall narrow the scope of our comparison to the Ptolemaic policy towards the Egyptian temples and the policy of Seleukos IV and Antiochos IV towards the Jerusalem temple between 178 and 172 bce, with the aim of showing how they cast light on each other. Prompting our comparison is the recent publication of an inscription from Marise¯, the capital of Idumaea, which was the capital of one the meridarchies comprising the Seleukid satrapy of Koile¯ Syria and Phoinike¯. 1 While hitherto the Seleukid policy in Jerusalem was known only through literary accounts which in hindsight appear to be heavily biased and misleading, the inscription provides the basis for an entirely new interpretation of the circumstances that led to the Judaean rebellion against Antiochos IV, by documenting the appointment of one Olympiodoros by Seleukos IV in 178 bce,
1 According to Aperghis, Judaea was probably included in the meridarchy of Marise¯. See G. G. Aperghis, Antiochus IV and his Jewish Subjects : Political, Cultural and Religious Interaction, in K. Erickson and G. Ramsey (edd.), Seleucid Dissolution : The Sinking of the Anchor, Wiesbaden, 2011, pp. 67-84, esp. 22.
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to take care of the shrines of the satrapy of Koile¯ Syria and Phoinike¯. 2 Although the extant fragments include no reference to Olympiodoros’s actual title, we see that both his earlier career and newly-acquired powers are comparable to those of Nikanor, whom Antiochos III had appointed as high priest (archiereus) of all the Seleukid satrapies in cis-Tauric Asia Minor in 209 bce. 3 For convenience we will therefore refer to Olympiodoros as a provincial high priest as well. 4 The Olympiodoros inscription casts light on the account found in 2 Maccabees 3 : 1-4 : 6 of the visit of Heliodoros, Seleukos IV’s prime minister, to Jerusalem. According to the author, a certain Simon, who was prostates of the Jerusalem temple, quarrelled with the high priest Onias III over the agoranomia of the city, and in revenge treacherously reported to the provincial governor about the surpluses of money stored in the temple treasury. Following this denunciation, Seleukos IV dispatched Heliodoros to Jerusalem in order to seize these monies, but when Heliodoros tried to force his way into the temple he was repelled by God’s angels. The inscription enables us to re-interpret this incident as a symptom of tensions between the Seleukid administration and the Jerusalem high priest over the payment of newly-instituted taxes on the temple revenues. Moreover, it casts new light on the circumstances that led to the deposition of Onias III, the high priest of Jerusalem, only three years later. According to 2 Maccabees 4 : 7-10, when Antiochos IV succeeded Seleukos IV in 175 bce, Onias III was ousted from the high priesthood by Jason, his brother. Two years later the latter was in turn deposed by Menelaos, who, was not their kin, thereby bringing an end to the dynasty of the Oniads who had held the high priesthood for over two centuries in Judaea (2 Macc. 4 :23-25). According to the author of 2 Maccabees, it was Jason’s and Menelaos’s sinful activities that prompted the Judaean uprising against Antiochos IV in 168 bce. 5 Whereas the Olympiodoros inscription suggests instead that a crucial factor triggering the rebellion was the fiscal reform initiated by Seleukos IV, of which there is no mention at all in the literary sources. 6 Even with these two sources at hand, additional comparative evidence is required if we are to reconstruct the chain of events with any precision. We argue in this paper that the most instructive parallels to the events of Judaea can be found in the Ptolemaic policy towards the Egyptian temples. In particular, whereas 2
2 seg 57.1838, ll. 22-24. On the Olympiodoros inscription see H. Cotton, M. Wörrle, Seleukos IV to Heliodoros : A New Dossier of Royal Correspondence from Israel « zpe », 159 (2007), pp. 191-205 ; D. Gera, Olympiodoros, Heliodoros, and the Temples of Koile¯ Syria and Phoinike¯, « zpe », 169 (2009), pp. 125-155. 3 Antiochos III’s decree for Nikanor is known through two inscriptions, seg 37.1010 (seg 54.1237, inscription from Mysia), and seg 54.1353 (inscription from Phrygia). Although of course the titles and precise functions of officials may vary from one satrapy to an4 ������������������������������������������������������������������������������������������������� other. 5 The date when the Judaean rebellion broke out is disputed, since from the sources it is uncertain whether it did during Antiochos IV’s first or second campaign in Egypt (169 and 168 bce respectively). However this matter may be sidelined in the present discussion. 6 The detailed discussion of the Judaean material is offered in S. Honigman, The Judean Rebellion Against Antiochos IV. A Historical Interpretation Based on a Revised Literary Analysis of 1 and 2 Maccabees (200-164 bce), Berkeley, forthcoming, esp. chapters 9 to 11.
kings, taxes and high priests
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Maccabees does not suggest any connection between the events related to Heliodoros’s visit to Jerusalem and the deposition of Onias III three years later, the link between the two episodes becomes clear in light of this Ptolemaic parallel. The comparison between the two dynasties’ policies may be conducted at three levels : first, the appointment of the high priest of Ptah in Memphis by Ptolemy II Philadelphos, and that of provincial high priests in Asia Minor, Syria, and now Koile¯ Syria and Phoinike¯ by the Seleukids, the earliest known instance dating to the reign of Seleukos II (246-226 bce). 7 Second, we shall discuss the use of temple administrators who acted as royal representatives in the temples. Instances are now documented in Egypt, Judaea, Asia Minor, as well as in Babylon and Uruk in Babylonia. Third, we shall compare the kings’ interference with the appointments of high-ranking temple personnel. While the Ptolemaic replacement of old, socially well-entrenched priestly families with homines novi has come to light from the study of prosopographical data, 8 we argue that Antiochos IV’s replacement of Onias III with successors lacking dynastic legitimacy followed a similar pattern. In both cases, the change of personnel was a means for the royal administrations to get a firmer grip on the economic managements of the temples. However, before we discuss the fiscal policy of the Ptolemaic and Seleukid dynasties in Egypt and Judaea respectively, we need to start with some general observations that will help us situate our comparative perspective.
1. Justifying the comparative perspective
1. 1. Differences in cultic organisation between Egypt and Judaea As a preliminary point we need to spell out some basic differences in the religious organisations of the two areas which may have bearings on our analysis. Four issues are worth emphasising. First, the difference between monotheism and polytheism has no relevance to the question of temple economies. 9 Like all the neighbouring cultic systems, the Judaean system was based on sacrificial rites, and although in Hellenistic times it was centred on a single temple – whereas Egypt had a polycentric network of temples, each headed by its own high priest – the economic function of the temples was very similar in both regions. Far more relevant is the status of the ruler within respective the religious systems of these two societies. In Egypt, the Pharaoh was recognised as the main intercessor between men and the divine world, 10 and the temple priests as the
7 In his letter publicizing Nikanor’s appointment Antiochos III refers to a precedent under his grandfather. See seg 37.1010, ll. 40-41. 8 G. Gorre, Les relations du clergé égyptien et des Lagides (« Studia Hellenistica », 41), Louvain, 2009. 9 S. Honigman, The Judean Rebellion, cit., ‘Introduction to Part i’, offers a refutation of the common view that the Judaean ‘religion’ is incomparable to other contemporary religions because it is monotheistic, based on anthropological studies of religion. 10 Ph. Derchain, Le rôle du roi d’Égypte dans le maintien de l’ordre cosmique in L. de Heusch et alii (éds.), Le pouvoir et le Sacré, Bruxelles, 1969, pp. 61-73 and Ph. Derchain, La différence abolie : Dieu et Pharaon dans les scènes rituelles ptolémaïques in P. Gundlach et C. Raedler (edd.), Selbstverständnis und Realität, Akten des Symposiums zur ägyptischen Königsideologie in Mainz 15-17.-.1995 (« aät », 36/1), Wiesbaden, 1997, pp. 215-223.
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king’s deputies. 11 This aspect of the royal ideology was reasserted in late dynastic times, resulting in the increased control of the temples’ economic assets by the Pharaohs, a tradition upheld by the Ptolemies. 12 Thus the high priest of Ptah, who was to become the highest-ranking official in the priestly hierarchy of Egypt under the Ptolemies, bore the title of ‘coadjutor of the king’. 13 In contrast, in Judaea the king had no cultic function. Third, another crucial difference relates to the respective political status of the high priests. In Egypt, the high priest of Memphis had no political power at all. He was by no means the representative of the Egyptian subjects vis-à-vis the Greek king, and if we leave aside the part he played in the coronation of the Ptolemaic kings as Pharaohs, 14 he was exclusively concerned with the religious and administrative life of the temples. The lack of any Ptolemaic aulic component in his official titles is evidence that he was not a representative of the royal administration. Conversely, in Hellenistic times the high priest of Judaea stood at the head of the ethnos of the Judaeans, and in the absence of an imperial governor, they enjoyed broad political powers. 15 Finally, while the dynastic cult was one of the major responsibilities of the high priest of Ptah, in Jerusalem the king was simply honoured by sacrifices performed in his name – namely, those he commissioned himself. In our view, these differences may be treated as regional specificities, and are by no means a hindrance to a comparative discussion of the respective economic policies of the Ptolemies and the Seleukids towards the temples.
1. 2. The high priest of Ptah as compared to the local and provincial high priests of the Seleukid realm
That said, because the network of Egyptian temples could be organised into a hierarchic structure, both within each nome and between these, from his creation under Ptolemy II (see below) the high priest of the temple of Ptah in Memphis seems to have enjoyed a double position. On the one hand, within the Memphite nome his cultic and administrative powers were similar to those of other Egyptian high priests who in their respective nomes throughout the country stood at the head of the local networks of temples – and in this capacity his powers were comparable to those of the high priest of Jerusalem, and similarly of other high 11 S. Sauneron, Les prêtres de l’Égypte ancienne, Paris, 1988, pp. 40-41. 12 D. Agut-Labordère, G. Gorre, De l’autonomie à l’intégration : Les sanctuaires d’Égypte face à la Couronne des Saïtes aux Ptolémées (vie-iie siècle av. J.-C.), « topoi », forthcoming. 13 On the high priest of Ptah, see below. Although the title of ‘coadjutor of the king’ is admittedly only documented in relation with Psenptais II, who was high priest under Ptolemy XII (80-50 bce), there is no reason to doubt that it applied in earlier times as well. On Psenptais II, see G. Gorre, Relations du clergé 14 G. Gorre, Relations du clergé égyptien, cit., pp. 302-303. égyptien, cit., pp. 334-335. 15 On the high priests of Judaea in Persian and Hellenistic times, see J. C. VanderKam, From Joshua to Caiaphas : High Priests After the Exile, Minneapolis, 2004 ; M. Brutti, The Development of the High Priesthood during the Pre-Hasmonean Period : History, Ideology, Theology, Leiden and Boston, 2006. Watts convincingly argued that the high priest enjoyed considerable prestige in early Hellenistic times. See J. W. Watts, The Torah as the Rhetoric of Priesthood, in G. N. Knoppers and B. M. Levinson (edd.), The Pentateuch as Torah : New Models for Understanding its Promulgation and Acceptance, Winona Lake, in, 2007, pp. 319-331.
kings, taxes and high priests
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priests who stood at the head of temple states and other non-Greek constituencies in Syria, Asia Minor, and Babylonia. On the other hand, insofar as the high priest of Ptah had primacy over all other local Egyptian high priests throughout the country, his rank matched that of the Seleukid provincial high priests, albeit with substantial differences in the respective prerogatives. As far as we can discern, the Seleukid provincial high priests (archiereis to¯n hiero¯n panto¯n) were chosen between the ‘king’s Friends’ and belonged to the highest rank of the royal administration. Given that they were outsiders to the local priesthoods, it is implausible that they enjoyed cultic powers in the local temples. Their prerogatives must have been strictly administrative and financial. This, of course, is in contrast with the first high priest of Ptah. As the head of the Egyptian priestly hierarchy, the high priest of Ptah enjoyed both cultic and administrative powers (see below). Moreover, in contrast with the high priest of Ptah, the creation of the Seleukid provincial archiereis per se does not seem to be related to the institution of the dynastic cult, since the earliest known ones antedate this reform. After its institution, however, the provincial high priests appeared to be in charge of it. 16 The following table summarises the respective powers of the various categories of high priests in Egypt and the Seleukid realm. It compares their ranks (local and supra-local), functions (administrative and cultic, including the dynastic cult), 17 their source of power (internal priestly vs. royal appointment), and their link with the king.
egypt High priest of Ptah
seleukid empire
Egyptian local high Provincial high priests priests (including the high priest of Ptah in the Memphite nome)
Judaean high priest
Power level
At least nominally, pri- Local (nome) macy over all Egyptian high priests
Satrapy
Local (ethnos within the satrapy)
Nature of functions
administrative Political (internal affairs Acts as delegate of the Mostly administrative Mostly of the ethnos) king-Pharaoh. and financial within each and financial. Secondarily, dynastic cult. Administrative and fiscal Primarily administrative nome. 18
16 See J. Ma, Antiochos III and the Cities of Western Asia Minor, Oxford, 2000, pp. 26-27. On the Seleukid high priests, see also H. Müller, Der hellenistische Archiereus, « Chiron », 30 (2000), pp. 519-542, and L. Capdetrey, Le pouvoir séleucide, Rennes, 2007, pp. 322-327. 17 This entry summarises the data detailed below. 18 The Greek title archiereus corresponds to lesonis in Demotic texts and ‘director of the prophets and chief of the sanctuaries’ in hieroglyphic ones, evidencing that the priest who stood at the head of each temple had primarily administrative functions. The cultic functions were devolved to ‘specialists’ who performed the cult under his authority. See Gorre, Relations du clergé égyptien, cit., pp. 188-189. Presumably, this was true also of the high priest of Ptah in Memphis, whose career started with an administrative appointment. On the ‘specific titles’ referring to an actual cultic function, see H. De Meulenaere, Priester(tum), in W. Helck, E. Otto (edd.), Lexikon der Ägyptologie, iv, Wiesbaden, 1982, col. 1098 : « À la Basse-Époque (…) les prêtres spécifiques des divinités locales se multiplient, en particulier en Basse-Égypte. Leurs fonctions se dissimulent souvent sous des désignations énigmatiques qui sont intimement liées à la nature et aux traits caractéristiques de la divinité qu’ils servent dans un lieu précis », and J. Yoyotte, Titres spécifiques et prêtres provinciaux, « aephe », 79 (1971-1972), pp. 175-178.
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seleukid empire
and financial functions in relation with dynastic cult, primarily in the Memphite nome and, at least nominally, throughout Egypt
Cultic, including often No cultic prerogatives in Cultic prerogatives, indynastic cult and also cult local temples. cluding sacrifices on beof local gods (through half of the king. delegation of actual performance)
Source of power
New priestly family
Pre-Ptolemaic and new Court official priestly families
Before Antiochos IV, traditional priestly family
Link with the king
First appointment by Ptolemy II, subsequently dynastic, subject to royal confirmation
Appointment by the king, Royal appointment nominally enthronement by the high priest of Ptah. Acting ������������������ as the Pharaoh’s delegate
Until Antiochos IV, autonomous dynastic succession
However, as just stated, these differences per se are no obstacle to the comparison between the respective economic policy of the Ptolemies and the Seleukids towards the temples. To emphasise its basic similarity, we may contrast it with the attitude of the Achaemenids. 1. 3. Comparing the economic policies of the Achaemenids and the Hellenistic dynasties towards the temples
In Pharaonic times, the temples of Egypt enjoyed substantial economic support from the Pharaoh. In contrast, the subsidies allocated to the temples were substantially cut down under the Achaemenids, while the temples were encouraged to provide for their own economic needs. 18 The same was true in Babylonia. 19 In contrast, the Hellenistic kings repeatedly boasted about their concern for the welfare of the temples. As successor of the Pharaohs, the Ptolemies presented themselves as restorers of the Egyptian temples. Thus, as he claimed in the satrap stele, Ptolemy satrap gave them back the lands that had been confiscated during the second Persian domination, 20 whereas in the Mendesian stele, Ptolemy II publicised that he provided for the cult according to the tradition established by the gods themselves. 21 Similarly, both the Ptolemies and the Seleukids manifested their concern to increase the ‘honours’ offered to the gods. To this end, the temples were granted regular royal contributions, or syntaxeis.
18 D. Agut-Labordère, Le sens du Décret de Cambyse, in J. Élayi (éds.), La Transeuphratène à l’époque perse : Pouvoirs, sociétés et religions, Actes du vi e Colloque international, Paris, 6-8 novembre 2003 = Transeuphratène, 29, pp. 9-15 19 The Neo-Babylonian kings provided substantial subsidies to the temples. Despite a process of initial continuity in the aftermath of Cyrus’ conquest of 539 bce, the Persian attitude towards the Babylonian temples changed for the worse after two rebellions successively suppressed by Darius the Great and Xerxes. On the change of policy under Darius, see M. Jursa, The Transition of Babylonia from the Neo-Babylonian Empire to Achaemenid Rule, « Proceedings of the British Society », 136 (2007), pp. 73-94 ; under Xerxes, see C. Waerzzegers, Royal patronage of temples in the Neo-Babylonian period, in K. Radner and E. Robson (edd.), Oxford Handbook of Cuneiform Civilizations, Oxford, 2004. 20 D. Schäfer, Makedonische Pharaonen und hieroglyphische Stelen. Historische Untersuchungen zur Satrapenstele und verwandten Denkmälern (« Studia Hellenistica », 50), Louvain, 2011. 21 H. de Meulenaere, p. mackay, Mendes, Warminster, 1976.
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However, in compliance with the typically Greek principle of reciprocity, in exchange for this munificence the Hellenistic kings expected to receive a greater part of the latter’s revenues. 22 Thus the institution of regular subsidies by the kings of the two dynasties went hand in hand with tough fiscal policies, and reforms of personnel were instrumental to these two aspects.
2. the high priests of ptah in memphis and the seleukid provincial high priests
2. 1. The high priest of Ptah in Memphis and the reform of the apomoira The clearest illustration that these royal subsidies served to justify the fiscal policy of the Hellenistic kings towards the temples is the set of reforms carried out by Ptolemy II Philadelphos, in which the introduction of the royal cult in the Egyptian temples, the distribution of the tax of the apomoira to the temples, and the creation of the office of the high priest of Ptah in Memphis were interconnected. As is now well established, to index his subsidies to a stable source of revenues, Ptolemy II Philadelphos effected reforms to the tax levied on vineyards and orchards, the apomoira. While before the reforms, the part of the tax that was levied on vineyards and orchards located in sacred lands were collected by the temples themselves, under Ptolemy II the task was reassigned to tax farmers appointed by the royal administration. 23 As a consequence, the temples lost the control of their own revenues, while a double system of royal supervision was being created that comprised financial control – achieved the system of collection of taxes and distribution of the royal subsidies by the royal administrators – and hierarchic supervision through the national synods and, at least nominally, the allocation of new powers to the high priest of Ptah in Memphis as the ultimate authority over all the temples and priesthoods of the country, with the title ‘high priest of all the gods and goddesses of Egypt and chief of all the prophets of Egypt’. Although this step revived an old function, 24 the establishment of the high priest of Ptah as the highest ranking priest of Egypt may be regarded as Ptolemy II’s innovation, given the established hierarchic structure of the Egyptian network of temples. Traditionally, the hierarchy of the gods was mirrored in the
22 On the notion that royal euergetism was a means of redistribution balancing royal taxes, see J. Ma, Kings, in A. Erskine (ed.), A Companion to the Hellenistic World, Malden, ma, 2003, pp. 177-195, esp. pp. 182-183. See also V. Chankowski, Introduction, in V. Chankowski and F. Duyrat (edd.), Le Roi et l’économie : Autonomies locales et structures royales dans l’économie de l’empire séleucide, Lyons, 2004, pp. 9-21, esp. pp. 15-16. On the principle of reciprocity between men and gods, see for instance R. Parker, Pleasing Thighs : Reciprocity in Greek Religion, in C. Gill, N. Postlethwaite, R. Seaford (edd.), Reciprocity in Ancient Greece, Oxford, 1998, pp. 105-125 ; and J. M. Bremer, The Reciprocity of Giving and Thanksgiving in Greek Worship, in C. Gill, N. Postlethwaite, R. Seaford (edd.), Reciprocity, cit., pp. 127-139. 23 K. Vandorpe, Agriculture, Temples and Tax Law in Ptolemaic Egypt, « cripel », 25 (2005), p. 165-171. In the same vein, in the beginning of the second century, the collection of the harvest tax was also reassigned to tax farmers appointed by the royal administration, see K. Vandorpe, The Ptolemaic epigraphe or harvest tax 24 Gorre, Relations du clergé égyptien, cit., p. 293. (shemu), « AfP », 46/2 (2000), pp. 169-232.
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hierarchy between sanctuaries. 25 The prominent status of Ptah in the Pharaonic titles of the Ptolemies since Ptolemy III, and the connection between Apis, the animal hypostasis of Ptah, and Serapis, evidences the importance of this particular god in Ptolemaic times. Therefore we may reasonably assume that, alongside their role in the coronation of the Ptolemies as Pharaohs, the temple and high priest of Ptah were granted at least nominal primacy over the rest of the Egyptian temples during the Ptolemaic period. Moreover, it is probably no coincidence that the founder of the priestly dynasty, Esisout-Petobastis, had played a decisive part in the introduction of the royal cult in Memphis under Ptolemy Philadelphos before he was appointed as the first high priest of Ptah by this king. 26 Subsequently, this position became hereditary. According to the biographical inscriptions of Annos and Teos, sons and successors to Esisout-Petobastis, after his time the high priests of Ptah were granted wide administrative powers over the temples of the country, acting as the king’s representatives in the temples – in which function they were answerable to the royal administration. 27 This role may be inferred from their administrative title as the ‘accountable scribe of Pharaoh for all things in the temple of x’, 28 though there is little record of their actual prerogatives, and hence it is difficult to determine whether and how this command was effected in concrete terms. Some idea of their functions may be gleaned from the sporadic evidence and our general understanding of the hierarchical structure into which the Egyptian temples and priesthoods were traditionally organised. It appears that the high priests of Ptah inducted the priests of other temples into office – presumably this means mainly the high priests of other nomes, who in turn inducted the subordinate priestly personnel within their respective nomes. 29 Although there can be no doubt that in fiscal and financial matters the local high priests of other nomes primarily answered to the local royal administration and not on the high priest of Ptah, starting from Esisout-Petobastis’s successors, the high priests of Ptah may have supervised the distribution of royal subsidies (syntaxeis) specifically aimed at financing the royal cult to temples. It is fairly certain that this was so in Memphis and the Memphite nome, but several clues suggest that their province may have extended to the rest of the country as well. Thus Esisout-Petobastis, the first incumbent, boasted that he was ‘given the bread of all gods and goddesses of Higher and Lower Egypt’, 30 whereas Psenptais II, who was high priest of Ptah in Ptolemy XII’s reign (80-50 bce), claimed that he was entrusted by the king with the ‘matters of
25 This is clearly documented for Pharaonic Egypt by P. Harris. See P. Grandet, Le Papyrus Harris i (« BdE », 109), Le Caire, 1991. 26 D. Thompson, Memphis under the Ptolemies, Princeton, 2011, pp. 121-122. According to his biographical inscription spelling out his successive appointments by Ptolemy Philadelphos, at the beginning of his career, Esisout-Petobastis supervised building works in the temples of Memphis, and was later in charge of the dynastic cult of Arsinoe. Only after this did he become high priest of Ptah, and this position became hereditary in his family. See G. Gorre, Relations du clergé égyptien, cit., pp. 289-296. 27 Ibid., pp. 307, 309. 28 Ibid., pp. 285, 299, 304, 311, 316-317. 29 Ibid., pp. 306-308. 30 Ibid., p. 291.
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the temples of Higher and Lower Egypt till the end of the year’, that is with the administrative powers over their revenues. 31
2. 2. The Seleukid high priests It would appear that the provincial high priests appointed by the Seleukids fulfilled fairly similar administrative functions to those of the high priest of Ptah and the local Egyptian high priests. Their main task seemingly was to oversee the distribution of the royal subsidies to the various temples located in their respective districts, 32 as may be deduced from the royal letters publicizing their appointments, which regularly refer to the king’s concern for increasing « the sacrifices and the ‘other honours’ » due to the gods. This phrase is found in Antiochos III’s letter of appointment of Nikanor as high priest and overseer of the sanctuaries in cis-Tauric Asia Minor in 209 bce, whereas Seleukos IV’s decree about Olympiodoros in 178 bce employs a similar tone. 33 The Ptolemies’ declared concern for the welfare of the temples and their respective allocation of royal subsidies, the establishment of the dynastic cult of Arsinoe within the temples, and related reform of the apomoira, and finally the loss of the temples’ economic independence, together form a coherent system within which the Ptolemaic fiscal policy towards the Egyptian temples operated. An additional repercussion of the introduction of the dynastic cult and the reform of the apomoira was a change in the social composition of the priestly personnel within the temples themselves. In this aspect too, the coherent picture that emerges from the Ptolemaic evidence affords crucial insights into the nature of the relations between kings and temples within the Seleukid empire. As we shall see, there are striking parallels with Judaea. But let us first analyse how the royal administration gained control over the Egyptian temples.
3. The lower-ranking representatives of the royal administration within the temples
3. 1. The increasing grip of the royal administration on the Egyptian temples Up until Ptolemy II’s reforms, the social composition of the priests serving in the various temples across the country remained relatively unchanged. In particular, the temples continued to be headed by the same established priestly families who 31 Ibid., p. 332. Like the Greek pragmata, the hieroglyphic word khet, ‘thing, matter’ has a financial meaning. D. Thompson, Memphis under the Ptolemies, Princeton 2011, pp. 129, 135, seems to accept that the powers of the high priests of Ptah extended over all the temples of the country. A possible objection to this contention might be the fact that the trilingual priestly decrees that recorded the decisions of the priestly gatherings summoned by several Ptolemaic kings bear no record of the privileged position of the high priests of Ptah. However this omission may be explained by the fact that the kings themselves attended these gatherings. Given that the high priests of Ptah were ‘coadjutors of the king’ (see n. 13 above), in the actual presence of the king-Pharaoh we may surmise that their privileged status was de-emphasised, and that they attended the gatherings simply as local high priests of the Memphite nome. 32 As noted above however, it is uncertain whether the authority of the high priest of Ptah extended outside Memphis. 33 See seg 37.1010, ll. 36-37 (Nikanor) ; seg 57.1838, l. 36 (Olympiodoros).
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had been appointed either by the Nectanebids or the Persians. The royal court exercised limited control over temple affairs from within through the lesonis, who was appointed by the local priests, although as a temple administrator he was answerable to the representative of the royal administration. 34 Moreover, in practice, the lesonis could simultaneously bear the title of epistates, and as such he acted as a direct agent of the king. That said, the introduction of the Ptolemies’ dynastic cult of Arsinoe in the temples and the relative reform of the apomoira to finance it, offered Ptolemy II the chance to increase his grip on the inner priestly administrations. Notably, the double task of establishing the cult and managing the royal subsidies was not entrusted to members of the old, high-ranking priestly families, but to priests from families of second rank. Needless to say, these new men owed their prestigious positions entirely to their links with the king. In each temple the ‘agent of the Pharaoh’ (prostates in Greek) now served as the local representative of the royal fiscal administration. Epigraphical evidence indicates that in most cases this figure was selected from the priestly personnel of a distinct temple rather than from the local priesthood, and therefore acted as a member of the royal administration in the temple to which he was appointed, having authority over the lesonis, who, as noted above, was the representative of the inner administration of the temple. In the same vein, as K. Vandorpe has shown, at the end of the third and the beginning of the second centuries, the families of temple scribes who had been traditionally levying the taxes were replaced with royal scribes. In this way the staples collected through the harvest tax, which until then the temple scribes would store in the temple granaries – could now make their way to royal granaries. 35 Moreover, probably in conjunction with this reform, the temple lands themselves became subject to this tax.
3. 2. Simon the prostates and the Babylonian paqdu Even though the detailed procedures were different, the correlation between the appointment of the high priest of Ptah and of the local Egyptian high priest, the establishment of royal subsidies to the temples through the reform of the apomoira, and the increased grip of the Ptolemaic king on the inner temple administrations, offers a telling parallel to the events described in 2 Maccabees 3. The relevant section reads as follows :
One Simon from the priestly phyle¯ of B… who was prostates of the temple, had a dispute with the high priest over the agoranomia of the city. Unable to prevail over Onias, he 34 See M.-P. Chaufray’s unpublished PhD dissertation, La fonction du lésônis dans les temples égyptiens de l’époque saïte à l’époque romaine, Paris, école Pratique des Hautes Etudes, 2011. 35 K. Vandorpe, Paying taxes to the Thesauroi of the Pathyrites in a Century of Rebellion (186-188 bc), in L. Mooren (edd.), Politics, Administration and Society in the Hellenistic and Roman World. Proceedings of the International Colloquium, Bertinoro, 19-24 July 1997 (« Studia Hellenistica », 36), Louvain, 2000, pp. 405-436 and The Ptolemaic Epigraphe or Harvest Tax (shemu), « AfP », 46 (2000), pp. 169-232.
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went to Apollonios son of Thraseas, who was governor of Koile¯ Syria and Phoinike¯ at this time, and informed him concerning the indescribable sums of money with which the treasury of Jerusalem was replete, to such an extent that the amount of the surpluses was incalculable. These funds, he said, had not been brought to the account of the sacrifices, but could fall under the authority of the king. In a conversation with the king, Apollonios reported the disclosures concerning the money. The king summoned Heliodoros, the chief minister, and sent him with orders to collect the aforesaid money. (2 Macc. 3 :4-7) 36
The first issue requiring clarification is Simon’s position in the temple at Jerusalem. Based on the context of 2 Maccabees 3, this equates readily with the roles of the ‘agent of the Pharaoh’ (Gk. prostates) of the Egyptian temples and the paqdu temple officials of Babylon and Uruk, likewise known as prostatai in Greek. Both the said agents of the Pharaoh and the paqdu acted as royal representatives within the priestly personnel, administering the temple’s economic activities. 37 Evidence from both Babylon and Uruk records the paqdu as overseeing the expenditure of temple incomes, such as the payment of wages and rations, and issuing regulations about exploitation of temple land ; in Uruk the paqdu is also documented issuing regulations about exploitation of temple land. 38 Thus the only difference was that while the appointed Egyptian prostates was brought in from outside as it were, the Babylonian paqdu comprised only high-ranking members of the local priesthood. The idea that, like the agent of the Pharaoh and the paqdu, Simon was the representative of the Seleukid king within the priestly financial administration of the Jerusalem temple is borne out by the subject of his quarrel with the high priest. As G. G. Aperghis has suggested, the agoranomia referred to in the above quote consisted in the supervision of the market business that took place under the porticos of the temple precinct, and whose revenues were collected by the temple administration. 39
36 Translation by J. Goldstein, ii Maccabees. A New Translation with Introduction and Commentary, Garden City, ny, 1983, modified. For a detailed discussion of the interpretation and translation of this quote, see S. Honigman, The Judean Rebellion, cit., chapter 9. 37 According to T. Boiy, Late Achaemenid and Hellenistic Babylon, Leuven, 2004, p. 209, in Akkadian paqdu means ‘delegate’ or ‘representative’. As E. Bickerman noted, prostates is used in the Septuagint to translate the Hebrew paqid, which is the Hebrew equivalent of the Akkadian paqdu. See E. Bickerman, Héliodore au temple de Jérusalem, in Studies in Jewish and Christian History, Leiden, 1980, pp. 159-191, esp. 161, n. 17. On the paqdu, see the summaries by G. G. Aperghis, The Seleukid Royal Economy. The Finances and Financial Administration of the Seleukid Empire, Cambridge, 2004, pp. 286-287 ; and L. Capdetrey, Le pouvoir séleucide, cit., pp. 183-184 and 327-328. 38 See R. van der Spek, The Babylonian City, in A. Kuhrt, S.M. Sherwin-White (edd.), Hellenism in the East : The Interaction of Greek and Non-Greek Civilizations from Syria to Central Asia after Alexander, London, 1987, pp. 57-74, esp. 63, 64 ; Id., The Seleukid State and the Economy, in E. Lo Cascio and D. W. Rathbone (edd.), Production and Public Powers in Classical Antiquity, Cambridge, 2000, pp. 27-36, esp. 31 ; Boiy, Late Achaemenid and Hellenistic Babylon, cit., pp. 195-96, 209-10. 39 G. G. Aperghis, Jewish Subjects and Seleukid Kings : A Case Study of Economic Interaction, in Z. H. Archibald, J. K. Davies, V. Gabrielsen (edd.), The Economies of Hellenistic Societies, Third to First Centuries bc, Oxford, 2011, pp. 19-41, esp. 26. For a more detailed discussion, see S. Honigman, The Judean Rebellion, cit., chapter 9.
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In such a context, we may infer that there was a connection between this agoranomia and the object of Simon’s report to the Seleukid governor. Given that, according to the rules of reciprocity, any increase in royal subsidies would logically be matched by a rise in taxes, and based also on the example of Ptolemy II’s complex set of reforms, we propose the following reconstruction : following Seleukos IV’s appointment of Olympiodoros as high priest of Koile¯ Syria and Phoinike¯, and the king’s respective pledge to increase the royal subsidies to the temples of the satrapy, in turn the temples were obliged to pay more into the imperial treasury. As the king’s representative in the Jerusalem temple, Simon was required to report on temple revenues not allocated to the sacred funds, and therefore liable to taxation. We may surmise that the revenues from the agoranomia were a major target of the tax reform. The expedition of Seleukid troops led by Heliodoros through the satrapy of Koile¯ Syria and Phoinike¯ suggests that this sudden hike in taxes was met with resistance, Heliodoros being sent to provide support for the governor. Despite this show of force, according to 2 Maccabees 3 the high priest Onias successfully resisted Heliodoros’s attempt to seize the contested levies from the temple treasury. To conclude with the presence of royal representatives within the temples in Hellenistic times, this administrative device per se was not a Hellenistic innovation. In Egypt the lesonis is documented in pre-Hellenistic times, 40 whereas in Babylonia the institution of the paqdu seems to date back to the Neo-Babylonian king Nebuchadnezzar, who ruled in the sixth century bce. 41 However, as was seen above, far from merely exploiting the traditional channels of control, the Hellenistic kings devised new and much more aggressive ways to meddle with the inner administrations of the temples. Not content with prompting the rise of new priestly personnel to oversee to the establishment of the dynastic cult and manage the royal subsidies, the Ptolemies progressively interfered with the high priests of the local temples as well. Again, although the details are different, the rationale that seemingly underpinned the successive reforms imposed by the Ptolemies, namely replacing socially entrenched families with new men, provides a useful analogy for understanding why Antiochos IV deposed the high priest of Jerusalem. The relations between kings and high priests will be our last topic.
4. A hellenistic innovation : meddling with the high priests
4. 1. The high priests of the Egyptian temples under the Ptolemies In Egypt the shift in the social composition of those appointed as high priests of local temples persisted throughout the period of Ptolemaic rule. 42 As noted
40 M.-P. Chaufray, La fonction du lésônis, cit. 41 R. van der Spek, The Seleukid State and the Economy, cit., p. 31. 42 G. Gorre, A religious continuity between the dynastic and Ptolemaic Periods ? Self-representation and identity of Egyptian priests in the Ptolemaic Period (332-30 bce), in E. Stavrianopoulou (ed.), Shifting Social Imaginaries in the Hellenistic Period : Narrations, Practices, and Images, Leiden, forthcoming.
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above, up until the introduction of the dynastic cult by Ptolemy II around 270 bce, the temples had continued to be headed by the same lines of priestly families established before Alexander’s conquest. Alongside the creation of the high priest of Memphis and the emergence of the new men entrusted with establishing the dynastic cult and managing the apomoira funds within the temples, the once-eminent families gradually vanish from the epigraphical records, indicating the loss of royal support and hence evaporation of their social prestige. This social shift occurred under the reigns of Ptolemy II and Ptolemy III (from ca. 270 to the 220s). Although their disappearance from the records indicates that even for old families of entrenched social status, continued royal support remained a decisive source of status and prestige, we may presume that through the years the old families had garnered additional social power in their local environment from their protracted dynastic prominence. Diversely, the high priests of Ptah and the new families representing the king within the temples owed their social standing exclusively to royal appointment, and were hence likely to be all the more eager to serve the ruler’s interests. In particular, they could be expected to be more compliant with the royal demands for new taxes. The last step of this evolution occurred after 125 bce, as the priests who stood at the head of the temples were progressively replaced by high-ranking army officers and local district governors. Not only were the new incumbents complete outsiders, with no family ties whatsoever with the local priesthoods, but in some cases they seem not to have had the required ritual competence to carry out the cultic duties traditionally performed by high priests. 43
4. 2. The deposition of Onias III by Antiochos IV It is likely that the Seleukids were keenly aware of the Ptolemaic rationale of replacing old, socially-entrenched families with men chosen from second-rank families who, owing their promotion to the king, were expected to serve his interests eagerly. In our view, the scheme just outlined for Egypt may well explain the deposition of Onias III, Jerusalem’s high priest. According to 2 Maccabees 4 : 7-11, Jason ousted Onias III shortly after Antiochos IV’s accession to the throne in 175 bce, and usurped the high priesthood by promising to effect a substantial rise in the tribute rate, to which the king consented. There is something dubious about this version of events, which depicts Jason as exclusively responsible for displacing Onias, and Antiochos IV merely reactive. Given Seleukos IV’s appointment of a provincial high priest three years earlier, and comparative evidence from Egypt,
43 In some cases, the new profile of the temples’ high priests seems to reflect the need for the temples to seek the protection of powerful men, in a time of protracted political and economic instability. The earliest known example of this new generation of high priests is the career of Herodes, son of Demophon, citizen of Ptolemaïs, which is recorded by several inscriptions from the temple of Philae, dating between 163 and 142 bce. See S. Pfeiffer, Die Politik Ptolemaios’ VI. und VIII. im Kataraktgebiet : Die ‘ruhigen’ Jahre von 163 bis 132 v. Chr. in A. Jördens, J. F. Quack (edd.), Ägypten zwischen innerem Zwist und äußerem Druck. Die Zeit Ptolemaios’ VI. bis VIII., Wiesbaden, 2011, p. 235-254.
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it is far more plausible that from the outset the increase in the tribute rate was instead imposed by the king himself. 44 As the legitimate heir of the longstanding Oniad line, Onias III enjoyed a powerful social and political position in Judaea. Notably, he had already proved utterly uncooperative with Seleukos IV’s fiscal demands, and had impeded the royal envoy Heliodoros from seizing the contended monies on behalf of the king. In our view, Onias’s successful resistance to Seleukos made Antiochos IV realise that if he wished to impose his fiscal demands, he first needed to undermine the autonomy of the high priesthood, which meant removing the prestigious dynasty of the Oniads from power, and in their stead appointing a man lacking traditional legitimacy. 45
Conclusion
Compared with his predecessor, Antiochos IV was far more aggressive in the fiscal reforms he applied in Koile¯ Syria and Phoinike¯, which involved not only a steep increase in the tribute rates, but also a change in the priestly personnel at the highest levels of the temple hierarchies. This, at least, was the case in Jerusalem. We may surmise that Antiochos’s brutal policy was motivated by his forthcoming military expedition against Egypt : to finance his campaign, the king needed to extract higher surpluses. If this is so, it becomes clear that even though the Ptolemies and the Seleukids implemented comparable fiscal policies, ultimately their goals were different. Whereas the Seleukid kings were interested in extracting higher revenues from the temples, in Egypt the royal administration aimed more at tightening its control over the temples themselves. That said, as in Judaea, the appointment of the central high priest in Memphis and those of the local Egyptian high priests was effectively associated with a tax reform, and the royal administration did establish a tighter control on the collection of the taxes. For the temples, this entailed both increased taxation and the loss of their financial independence. Moreover, the royal policy resulted in the introduction of royal personnel in the temples. Having outlined all the elements of the discussion, we are now in a better position to assess the practical consequences of the religious differences pointed out at the beginning of this paper. First, the formal religious status of the Egyptian king explains why the Ptolemies were qualified to encroach extensively upon the inner workings of the temples. From an Egyptian point of view, their interference with temple life was perfectly justified : as Pharaohs, the Ptolemaic kings were entitled to conduct all aspects of the temple’s affairs – a prerogative endorsed through the
44 This conclusion rests on literary and historical arguments. For a detailed discussion, see Honigman, The Judean Rebellion, cit., chapters 7 and 9. 45 If we may believe 2 Maccabees, Antiochos IV first chose Jason, Onias’ brother, and therefore an Oniad himself. This choice may have been motivated by the king’s willingness to soften the impact of his coup. However, for unclear reasons Jason was overthrown two years later, and the new incumbent, Menelaos, who reportedly promised a new increase in the tribute rate, had no family ties with the Oniads (2 Maccabees 4 : 23-25).
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increasing control of the royal administration on the temples revenues from the 26th dynasty onward. 46 In contrast, in Judaea the part of the temple economy that financed the sacrifices was out of the king’s reach. Second, the political status of the high priest in Judaea may explain why similar policies led to very different outcomes in Egypt and Judaea. Whereas removing high priests in Egypt had limited consequences outside the temples themselves, in Judaea such a move automatically prompted a political crisis. As it happens, the combination of Antiochos IV’s sharp fiscal demands and his brutal meddling with the local leadership went one step too far. In 169 bce, Antiochos’ campaign in Egypt provided the opportunity for the rebellion. These differences notwithstanding, the interest of the comparative approach, as shown in our discussion, is to bring in the whole picture – combining motivation and practice – regarding the appointment of the royal high priests. Whereas the biographical inscriptions of the Egyptian high priests illustrate the praxis, the Seleukid letters of appointment of the provincial high priests shed light on the ideological background.
46 D. Agut-Labordère, G. Gorre, De l’autonomie à l’intégration, cit.
FISCALITÀ E TEMPLI NELL’EGITTO TOLEMAICO Silvia Bussi
I
l problema della relazione tra Stato e templi, del suo evolversi e modificarsi in rapporti di forza sfaccettati e complessi, è uno dei nodi interpretativi centrali dell’Egitto tolemaico, su cui si sono scritte, ovviamente, molte pagine. 1 In questa sede, desidererei approcciare tale questione dal punto di vista dell’organizzazione fiscale, ovvero, attraverso alcuni esempi significativi, tentare di delineare come e fino a che punto le rispettive autonomie, o al contrario le forme del controllo, si sono articolate in un settore nevralgico dell’organizzazione politica ed economica del regno tolemaico qual è, appunto, il fisco. Come sintetizza J. Manning, 2 i Tolemei lasciarono la gestione delle terre sacre ai templi, confermandone privilegi e diritti sui proventi di dette terre. « It was with respect to taxes that the Ptolemies asserted a more direct control by the use of state granaries for the collection of harvest taxes and the use of state banks for the collection of money taxes. This was an important shift in local power away from temples ». 3 Figura cardine del sistema amministrativo templare è l’ajrciereuv~ o lesw`ni~ e da qui voglio cominciare l’analisi dei documenti che potranno aiutarci ad approfondire la struttura del regime fiscale cui sono sottoposti i templi egiziani sotto il dominio lagide. Nel 244/243 a.C. un tal Pachès (Laches nella lettura dei primi editori), 4 che era stato archiereus, aveva ottenuto la concessione di restare in arretrato sui profitti dell’anno (loipografei`sqai pro;~ ta;~ karpeiva~) da raccogliersi nel tempio sia in denaro (per l’ammontare di 1.086 dracme di bronzo e 4 oboli) che in natura (146
1 W. Clarysse, Ptolémées et temples, in D. Valbelle, J. Leclant (éds.), Le décret de Memphis. Colloque de la Fondation Singer-Polignac à l’occasion de la célébration du bicentenaire de la découverte de la Pierre de Rosetta, Paris, 1999, pp. 41-65 ; D. Meeks, Les donations aux temples dans l’Égypte du i er millénaire avant J.-C., in E. Lepinski (ed.), State and Temple Economy in the Ancient Near East, Leuven, 1979, iii, pp. 605-687 ; J. Quaegebeur, Documents égyptiens et rôle économique du clergé en Égypte hellénistique, in E. Lepinski (ed.), State and Temple Economy, cit., iii, p. 715 ; W. Huss, Der Makedonische König und die Ägyptischen Priester, Stuttgart, 1994 ; W. Huss, Ägypten in hellenistischer Zeit, München, 2001 ; G. Hölbl, Geschichte des Ptolemäerreiches, Darmstadt, 1994 ; G. Gorre, La place des scribes des temples dans l’administration lagide du troisième siècle. Confrontation des archives papyrologiques et de la documentation épigraphique, in P. Piacentini, Ch. Orsenigo (edd.), Egyptian Archives, Milano, 2006, pp. 127-141 ; M.-P. Chaufray, Des Lésônes en action dans le temple de Soknopaios à Soknopaiou Nêsos à l’époque ptolémaïque, in P. Piacentini, Ch. Orsenigo, Egyptian Archives, cit., pp. 157-168 ; J. G. Manning, Land-tenure in Ptolemaic Upper Egypt, in A. K. Bowman, E. Rogan (edd.), Agriculture in Egypt. From Pharaonic to Modern Times, Oxford, 1999, pp. 83-105 ; J. G. Manning, Land and Power in Ptolemaic Egypt, Cambridge, 2003, in partic. pp. 198-201 ; S. Bussi, Les confiscations de terres appartenant à des temples en Égypte hellénistique et romaine, in M.-C. Ferriès, F. Delrieux (éds.), Spolier et confisquer dans les mondes grec et romain, Chambéry, 2013, pp. 319-331. 2 J. G. Manning, Land and Power, cit., pp. 188-189. 3 J. G. Manning, Land and Power, cit., p. 189. 4 P. Petrie iii, 53.
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e 2/3 artabe di grano), e tale concessione era stata registrata sul suo i[dio~ lovgo~. Ora l’autorità civile dispone che il pagamento venga alfine effettuato sulle sue garanzie (pra`xai tou;~ ejgguvou~ aujtou`). Tale documento ci dice quindi da un lato che lo Stato poteva agevolare un tempio, quanto meno di una certa importanza, quale quello di Soknebtynis, concedendo ufficialmente una dilazione al pagamento delle tasse dovute, e che il responsabile diretto della raccolta e quindi del versamento allo Stato era l’archiereus. D’altro canto, l’obbligo di fornire garanzie sul proprio patrimonio e l’effettiva esecuzione sul patrimonio da parte dell’autorità civile confermano una posizione di sostanziale subordinazione del tempio allo Stato. Immediato sorge il confronto con quanto si apprende dall’archivio di Milone, studiato da W. Clarysse, 5 per molti aspetti ancora oscuro, ma senz’altro più ricco per noi di informazioni di molti altri casi. I membri della famiglia sacerdotale di Estphenis, archiereis a Edfu, si trovano insolventi rispetto allo Stato in merito al pagamento dovuto sia sulle rendite in grano del tempio che sulla produzione del bisso. Il primo indebitamento risale al 246 a.C., ma è solo nel 225 a.C. che l’autorità interviene, attraverso la condanna da parte dell’epistates del tempio, 6 che attiva la procedura di esecuzione, di cui si rendono garanti due sacerdoti. Le garanzie fornite dalla famiglia di Estphenis sono di natura immobiliare : terre, case, un pastophorion e, di fronte alla persistente insolvenza, tali beni vengono messi all’asta dallo Stato, al fine di recuperare l’ammanco. La procedura dell’asta viene gestita da Milone, pravktwr iJerw`n, o[ par∆ Eujfronivou : egli è dunque un agente delegato da Euphronios alla gestione della crisi ed è subentrato a Euphronios stesso, come dimostra il P. Eleph. Dem. 7 (224 a.C.), in cui un sacerdote e iJerogrammateuv~ presta giuramento al pravktwr dei templi Euphronios che ripagherà i suoi debiti. Nella sua nuova posizione di capo di Milone, Euphronios gli domanderà anche nel 223 a.C. 7 la rendicontazione degli introiti in denaro e in natura del tempio di Edfu, anno per anno, dall’inizio, al fine di poter trasmettere questi dati ad Alessandria. Si intravvede così una gerarchia che vede Euphronios sottoposto al controllo centrale nella capitale, Milone soggetto all’autorità di Euphronios, l’archiereus sottoposto all’epistates e i sacerdoti all’archiereus. Lo stesso epistates, però, in un documento (P. Eleph. dem. 5, 223 a.C.) presta giuramento al praktor Milone che ripagherà gli arretrati del bisso. Interessante notare che il nome dell’epistates, Harsiesis, lo rivela di origine autoctona e ce lo mostra nell’atto di ricoprire una funzione rilevante nell’amministrazione tolemaica (sia pure di ambito templare). È proprio la gestione dell’asta dei beni dei figli di Estphenis a suscitare violente critiche contro Milone, accusato addirittura in P. Eleph. Gr. 19 (non datato) di agire contro gli interessi del fisco, a vantaggio dei debitori, che hanno cercato un intermediario, Xenon, che potesse acquisire il loro patrimonio, e col quale loro
5 W. Clarysse, The Archive of the Praktor Milon, in K. Vandorpe, W. Clarysse (edd.), Edfu, an egyptian 6 P. Eleph. dem. 6. provincial capital in the Ptolemaic period, Brussel, 2003, pp. 17-27. 7 P. Eleph. Gr. 9 e 11.
123 fiscalità e templi nell ’ egitto tolemaico potessero poi accordarsi per tornare in possesso dei propri beni. Dunque, Milone avrebbe respinto offerte più alte per favorire Xenon. Nell’archivio è anche presente una copia del regolamento delle aste pubbliche ad uso dell’amministrazione, in cui si specificano i pagamenti da effettuare da parte dell’aggiudicatario : fovroi in denaro ed ejkfovria in natura sulle terre, l’ajpovmoira sui vigneti, le timaiv pertinenti al basilikovn presso la banca reale e l’intera timhv tw`n gerw`n in 4 rate di cui la prima da pagarsi subito, le altre nei tre anni successivi. 8 Clarysse ha ipotizzato che la carica di pravktwr tw`n iJerw`n fosse temporanea, straordinaria per così dire, legata a momenti di particolare dissesto finanziario e fiscale di un tempio. 9 Ciò è senz’altro possibile, soprattutto in virtù del fatto che non risultano altri riscontri di tale carica esterni all’archivio di Milone. Si potrebbe tuttavia aggiungere che l’uso del plurale iJerw`n parrebbe suggerire un funzionario addetto ai templi di un’area sulla quale si trovano più templi – un nomos per esempio. In tal caso potremmo pensare ad una sorta di responsabile dell’esecuzione sulle garanzie degli insolventi nel pagamento delle tasse che i templi debbono versare allo Stato. Ma, ovviamente, in mancanza di documenti restiamo solo nel puro campo delle ipotesi. Neppure sappiamo, d’altra parte, come si concluse la vicenda. Tuttavia conosciamo almeno un altro caso in cui troviamo un ajrciereuv~ / lesw`ni~ coinvolto in una diatriba inerente il pagamento di tasse templari sulla terra al fisco. Siamo nel 132 a.C. a Soknopaiou Nesos 10 e i sacerdoti del tempio, insieme ai basilikoi; gewrgoiv che lavorano le terre templari che il tempio detiene a Dionisiás, 11 denunciano il lesonis Petesouchos presso lo stratego e ejpi; tw`n prosovdwn (responsabile delle entrate). Il lesonis, approfittando dell’assenza dei sacerdoti, avrebbe ingannato due contadini dicendosi inviato a raccogliere gli ejkfovria della iJera;; gh` di Soknopaiou Nesos a Dionisiás, appunto. In questo modo si sarebbe appropriato di 225 artabe di grano, portandole nella casa del suo complice Paalas. Dunque, in un primo tempo sacerdoti e basilikoi; gewrgoiv si sono rivolti al tribunale dei laokritai presso la porta Nord (Premit nel testo) 12 per chiedere giustizia e, sulla base del primo giudizio positivo, domandano ora allo stratego di convocare presso di sé l’epistates affinché consenta loro di recuperare le 225 artabe di grano eij~ to;n tou` qeou` lovgon. Ci troviamo dunque di fronte ad una struttura gerarchica che vede l’epistates soggetto allo stratego responsabile delle entrate e a sua volta superiore al lesonis, dal quale dipendono sacerdoti e basilikoi; gewrgoiv. Questi ultimi sono tenuti a versare gli ejkfovria che andranno a far parte del conto del dio, ovvero di quella gestione finanziaria e fiscale del tempio che sarà presumibilmente soggetta al controllo da parte dell’epistates e ad una rendicontazione ultima presso l’ufficio dello stratego.
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P. Eleph. Gr. 14 (222 a.C.). 9 W. Clarysse, The Archive of the Praktor Milon, cit. p. 22. 10 P. Amh. ii, 35. 11 D. Hobson, Agricultural Land and Economic Life in Soknopaiou Nesos, « basp », 21 (1984), pp. 89-109. 12 J. Quaegebeur, La justice à la porte des temples et le toponyme Premit, in Ch. Cannuyer, J.-M. Kruchten (éds.), Individu, société et spiritualité dans l’Égypte pharaonique et copte. Mélanges égyptologiques offerts au Professeur Aristide Théodoridès, Athènes-Bruxelles, 1993, pp. 201-220.
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Fattore rilevante è la constatazione che da un P. Ox. Griffith demotico (41, 131 a.C.) apprendiamo che Petesouchos l’anno successivo risulta ancora lesonis e riceve il rapporto dei sacerdoti in merito all’inadempienza di un lavandaio (appaltatore presumibilmente) a proposito delle quote di vino e olio da versare. Se accettiamo l’ipotesi di Clarysse 13 per cui il nostro Petesouchos è il medesimo che troviamo, nella qualità di esattore delle tasse o addetto alle tasse (ejpistavth~) in P. Ox. Griffith 40 (147 o 136 a.C.) e 42 (146/5 o 135/4 a.C.), entrambi precedenti al nostro papiro inerente la denuncia, possiamo ipotizzare che la sua alta posizione di carriera all’interno dell’amministrazione templare tolemaica gli abbia valso un trattamento di favore nella difficile situazione registrata dal P. Amh. ii 35. Tanto nel caso di Pachès quanto in quello dei figli di Estphenis ed ora di Petesouchos possiamo dunque osservare come, al di là di quanto previsto dai regolamenti di funzionamento della macchina amministrativa e fiscale tolemaica, dal iii al ii sec. a.C resta invariato un atteggiamento di sostanziale tolleranza nei confronti delle strutture templari, almeno in termini di dilazioni concesse al pagamento delle tasse. Resta fermo però il principio per cui, trascorso un lasso di tempo variabile, lo Stato reclama il dovuto. Situazioni di prestigio personale possono tuttavia consentire vie di fuga a vantaggio del personale amministrativo templare. I casi di ritardo e arretrati sono comunque alquanto frequenti : oltre ai già citati, vorrei ricordare, a titolo di esempio, una lettera risalente al 260 a.C. in cui si chiede di intervenire a esigere da parte dei lavoratori del bisso il pagamento del debito arretrato che grava su di loro, menzionando l’archiereus in qualità di intermediario. 14 Altra vicenda che mi pare di primaria importanza ai fini del nostro discorso è quella che emerge da un papiro di Hibeh del 241 a.C. 15 inerente la sparizione del sigillo templare. L’ajrciereuv~ scrive dunque all’ejpistavth~ denunciando la sparizione dell’insostituibile sigillo della corrispondenza templare ; il basiliko;~ grammateuv~ è stato inviato ad indagare e non ha potuto trovare all’interno del tempio il sigillo, fino a quando 4 sacerdoti dichiarano che detto sigillo è sì nel tempio, e se n’è appropriato un sacerdote per scrivere una lettera, ma essi esitano a restituirlo all’archiereus temendo di essere accusati. Numerosi sono gli elementi di interesse nel documento : innanzitutto l’insostituibilità del sigillo, evidentemente concesso dal sovrano al tempio, tanto più dal momento che l’indagine, ordinata dall’epistates, è condotta dallo scriba reale, quindi da una figura appartenente all’amministrazione civile. Ancora, un papiro del ii sec. a.C. 16 contiene la comunicazione da parte di un certo Diodoros ai sacerdoti di aver inviato un emissario di Diodoros stesso a sigillare il granaio (qhsaurovn) del tempio e raccomanda ai sacerdoti di essere presenti all’operazione insieme al lesw`ni~. Possiamo facilmente immaginare che, terminate le operazioni del raccolto, l’autorità civile provvedesse alla chiusura del granaio al fine di computare la tassa in natura esigibile per l’anno. Tale operazione,
13 Pros. Ptol. ix, 7440a. 14 P. Tebt. iii.1, 702. 16 P. Amh. ii, 41, Soknopaiou Nesos.
15 P. Hib. i, 72.
125 fiscalità e templi nell ’ egitto tolemaico condotta quindi sotto la supervisione dell’autorità civile, comporta la presenza dell’autorità amministrativa interna al tempio. Il coinvolgimento del sommo sacerdote accanto all’autorità civile nella riscossione delle tasse è esplicitamente riscontrabile in un papiro, datato alla metà del ii sec. a.C., 17 nel quale il kwmogrammateuv~ di Arès e Kerkeosiris rilascia dichiarazione, a proposito dei templi tw`n uJparcovntwn ejn tai`~ kwvmai~ iJerw`n, in merito alle riscossioni operate dai lesonis e dai profeti. L’archiereus raccoglie quindi l’ammontare delle tasse e lo notifica allo scriba del villaggio cui fa capo la terra templare coltivata da personale vario (templare o di basilikoi; gewrgoiv o altro). Il nostro documento greco trova analogo riscontro nel P. Ox. Griffith demotico 37 (161 a.C.), in cui i sacerdoti di Soknopaiou Nesos inviano un rapporto al komogrammateus in merito alle rendite templari e poi a delle ceste destinate al tesoro del dio di cui non si conosce il numero esatto. 18 Ancora, analoga commistione di poteri e competenze si può osservare, sempre a Soknopaiou Nesos nel ii sec. a.C., 19 da una lettera di un Hepiodoros, con la quale egli comunica ai sacerdoti e al lesonis che, avendo scoperto che un tal Háreios ha dato in affitto le 21 arure migliori ad alcuni Greci, lasciando eij~ to;n tou` qeou` klhvron soltanto 25 arure di qualità inferiore, egli ha provveduto a fatica a scacciare Hareios al fine di recuperare le dette 21 arure, pagando al topogrammateuv~ e al kwmogrammateuv~ e agli altri (sic) 8 talenti d’argento. Ne deduciamo pertanto che le terre di pertinenza templare vanno comunque registrate presso gli uffici preposti al catasto terriero, sia a livello di villaggio che di toparchia, e che una tassazione è imposta su di esse. A suffragare tale affermazione ricordiamo due papiri dell’archivio di Milone, in cui Euphronios, suo superiore, ordina al praktor di fargli pervenire in tempi brevi la rendicontazione dei beni templari e sacerdotali, in natura e denaro, anno per anno, fin dall’inizio. 20 Se questa fitta rete di relazioni tra Stato e templi ci conduce finora ad osservare una sostanziale azione di controllo operata dal primo sui secondi, quanto meno sul piano fiscale, il ruolo del clero egiziano nell’amministrazione della giustizia 21 all’interno dei tribunali di laokritai e l’ordinanza 22 che attribuisce a sacerdoti, ajrcierei`~ e laokrivtai la scelta dei notai autorizzati a stilare i documenti in demotico sono a mio parere il segno di una collaborazione tra sacerdoti egiziani e settori assai importanti dell’amministrazione statale in cui essi, sia pure limitatamente ad ambienti strettamente connessi all’elemento indigeno, mantengono una posizione d’importanza. Senz’altro visibile è d’altro canto la soggezione dei templi al sistema amministrativo per quanto concerne il pagamento della suvntaxi~ ai sacerdoti egiziani. Il basiliko;~ grammateuv~ sottoscrive tale pagamento, per esempio a favore dei sa
17 P. Tebt. iii.2, 925 (156/5 o 145/4 a.C.). 18 Trad. E. Bresciani, L’archivio demotico del tempio di Soknopaiu Nesos nel Griffith Institute di Oxford, i, 20 P. Eleph. Gr. 10 e 11. Milano 1975, p. 45. 19 P. Amh. ii, 40. 21 J. Mélèze Modrzejewski, Chrématistes et laocrites, in Le monde grec. Hommages à Claire Préaux, Bruxelles 1975, pp. 699-708. 22 P. Ryl. iv, 572.
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cerdoti di Ammon a Tebe, 23 che si effettuerà presso la banca reale di Diospolis Megale. Il denaro – che nell’esempio tebano ammonta a 1 talento e 1.020 dracme – sarà consegnato all’ejpistavth~ tw`n iJerw`n, all’ajrciereuv~ ed allo iJerogrammateuv~. Dunque, tre autorità amministrative templari, che si occuperanno della registrazione di detto pagamento nei libri contabili del tempio, ma il luogo del pagamento è la banca regia, come è logico trattandosi di un contributo versato dallo Stato ai sacerdoti locali. Due parole merita infine un notissimo archivio, recentemente studiato da B. Legras, 24 ovvero quello di Ptolemaios figlio di Glaukias. Ptolemaios, vissuto come ejgkavtoko~, recluso, nell’Astarteion del Serapieion di Memphis, denuncia a più riprese le irruzioni da lui subite nel suo pastophorion ad opera di componenti diverse del personale operante nel tempio. La prima irruzione, alla ricerca di armi nascoste che non vengono peraltro trovate, è condotta da oJ para; tou` ajrcierevw~ (un inviato, un agente del sommo sacerdote) assieme all’ajrcifulakivth~ (capo della polizia del complesso templare), accompagnato dalle guardie. La seconda irruzione, che porta alla confisca di beni appartenenti alla dea e di depositi, è condotta ancora dall’oJ para; tou` ajrcierevw~, accompagnato questa volta dall’oJ para; tou` ejpi; tw`n pastofovrwn (l’agente, l’inviato del capo dei pastofovroi). Infine, la terza irruzione vede sempre presente l’oJ para; tou` ajrcierevw~, questa volta affiancato dall’oJ para; tou` ejpistavth~, ovvero un agente dell’autorità amministrativa superiore di un tempio : e ciò non stupisce, posto che si procede alla confisca dei depositi (paraqhvka~) che Ptolemaios custodiva (forse in qualità di pegni a garanzia di crediti ?). 25 In questo caso, le autorità coinvolte sono tutte interne al tempio, e fino alle molteplici denunce di Ptolemaios l’affare sembra restare di pertinenza delle autorità templari. L’epistates potrebbe costituire una cerniera tra ‘interno’ ed ‘esterno’. Analoga struttura emerge dalla documentazione demotica. Prendendo l’esempio del tempio di Soknopaiou Nesos studiato da Edda Bresciani, 26 troviamo al vertice della piramide amministrativa il Profeta di Basti, Agente del Faraone, Ispettore dei templi dell’Arsinoite. Sotto di lui vi è l’Agente e addetto alle tasse (corrispondente all’epistates), quindi il lesonis e poi l’Agente dei sacerdoti e scriba dei sacerdoti. Il lesonis è responsabile di funzioni amministrative : paga le prebende sacerdotali (doc. 67), essendosi aggiudicato la carica deve corrispondere ai sacerdoti le quote pattuite secondo contratto 27 di vino (doc. 70), versa al Profeta di Basti il denaro della colletta dell’anno (doc. 71), riceve il pagamento degli aggiudicatari di appalto (doc. 60-64). D’altro canto, l’Agente e addetto alle tasse riceve insieme al lesonis le domande di appalto (della riscossione delle tasse, di servizi vari di cui è responsabile il tempio : doc. 42-51), e a lui si indirizzano le domande di ingresso in una fylè (doc. 20).
23 upz ii, 198 (133 a.C.). 24 B. Legras, Les reclus de Sérapieion de Memphis, Leuven 2011. 25 upz i, 5 e 6 (163 a.C.). 26 E. Bresciani, L’archivio demotico del tempio di Soknopaiu Nesos, cit. 27 A. Monson, Proposal to become Chief Priest of Harsaphes, in T. M. Hickey, K. Th. Zauzich (edd.), The Tebtynis Papyri vi, Chicago, Oriental Institute, forthcoming. Ringrazio sentitamente A. Monson per avermi gentilmente fornito il suo testo non ancora pubblicato.
127 fiscalità e templi nell ’ egitto tolemaico L’Agente e scriba dei sacerdoti paga al lesonis il denaro della colletta dell’anno (doc. 72), paga al Profeta di Basti le rimanenze del mese (doc. 69), in un caso riconosce un debito di 50 artabe di grano al Profeta di Basti (doc. 74), denuncia presso il Profeta di Basti il lesonis per concussione (doc. 39). Tutti questi documenti pertengono a problemi connessi al pagamento delle tasse ed alla procedura nonché ai diversi gradi di responsabilità nella raccolta delle stesse. Inoltre, tali documenti ci informano anche sugli appalti, sia della raccolta di tasse che della coltivazione di terre, oppure delle rendite di cappelle sottoposte al tempio principale, oppure di servizi quali quello del lavandaio o del trasporto tramite traghetto sul lago. Ne emerge il quadro di un funzionamento organizzato all’interno della struttura templare e controllato dal Profeta di Basti, Agente del Faraone, Ispettore templare dell’Arsinoite, che occupa una posizione forse analoga a quella dello stratego e responsabile delle entrate dell’Arsinoite. Anche in tale archivio osserviamo i sacerdoti presentare un rapporto sulle rendite al komogrammateus (doc. 37). La figura del lesonis ricorre con continuità anche nel periodo della dominazione persiana, sempre con funzioni di responsabile amministrativo dei templi egiziani. Tuttavia, da un papiro demotico (P.dem.Berl. 13540) apprendiamo che un’ordinanza di Dario I sottoponeva la scelta del lesonis al beneplacito dell’autorità persiana : 28 segno di un controllo fiscale attento ai templi egiziani anche da parte di un sovrano che aveva ritirato le restrizioni ai privilegi templari ordinate da Cambise.
Vorrei ora spostare brevemente la mia analisi sull’approfondimento del sistema di percezione di una tassa specifica, che coinvolge molto direttamente i templi, ovvero l’ajpovmoira, studiata a fondo da W. Clarysse e K. Vandorpe. 29 Come è noto, si tratta di una tassa esatta in Egitto tolemaico sul prodotto dei vigneti e dei giardini e consiste in una percentuale fissa del prodotto stesso. 30 Fino all’anno 22° di Tolomeo II (= 264/263 a.C.) essa era raccolta dai templi medesimi ed ammontava alla sesta parte del raccolto (e[kth). A partire invece da questa data, interviene una significativa riforma giunta a noi attraverso il P. Rev. Laws : dapprima difatti gli scribi sono tenuti a redigere, per ciascun nomos, una lista di vigneti e giardini, corredata dal numero delle arure che li compongono e dal prodotto per ciascun coltivatore. Le terre templari e il loro raccolto sono registrati in una lista a sé (P. Rev. Laws, col. 36, 263 a.C.). Un secondo decreto del 263 a.C. (P. Rev. Laws, col. 37) stabilisce l’obbligo di registrare a favore di quali templi è stata pagata la tassa di un sesto e di quale ammontare essa è consistita. Inoltre, i sacerdoti sono tenuti a dichiarare da quali proprietà fondiarie traggono i loro introiti. Chiaramente i Tolemei intendono in questo modo sottoporre le proprietà templari ad un controllo, soprattutto di natura fiscale.
28 E. Bresciani, Osservazioni sul sistema tributario dell’Egitto durante la dominazione persiana, in P. Briant, C. Herrenschmidt (éds.), Le tribut dans l’empire perse, Paris, 1989, pp. 29-33 ; E. Bresciani, Cambyse, Darius I et le droit des temples égyptiens, in B. Menu (éd.), Égypte pharaonique : pouvoir, société, Paris, 1996, pp. 103-113. 29 W. Clarysse, K. Vandorpe, The Ptolemaic Apomoira, in H. Melaerts (éd.), Le culte du souverain dans l’Égypte ptolémaïque ai iiième siècle avant notre ère, Bruxelles, 1998, pp. 5-42. A questo illuminante lavoro faccio riferimento in quanto segue. 30 Si veda anche : K. Vandorpe, The Ptolemaic Epigraphe or Harvest Tax (shemu), « AfP », 46/2 (2000), pp. 169-232.
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Da ultimo, nel 259 a.C. (P. Rev. Laws, col. 33) si ordina agli scribi reali di registrare i vigneti e i giardini tributari dei templi di ciascun nomos. Inoltre, prima del 264/263 a.C. tutti i proprietari di vigneti e giardini dovevano pagare la sesta parte del loro prodotto ai templi ; invece, a partire dal 263 a.C., Tolemeo II stabilisce che l’ajpovmoira vada a finanziare il culto dinastico di Arsinoe divinizzata (nei templi greci e in quelli di culto egiziano in cui è introdotta Arsinoe), con la sola eccezione delle terre templari che, registrate a parte, dovranno versare la tassa ai templi di culto egiziano. Da questo momento dunque, chi possiede terre non templari verserà la tassa a beneficio del culto di Arsinoe, mentre chi possiede terre templari la pagherà agli dei egizi, come prima. Tuttavia, e questo è un dettaglio di grande importanza, la somma dell’ajpovmoira sarà versata allo Stato e lo Stato provvederà in seguito a redistribuirla ai templi. Naturalmente, questo passaggio attraverso le mani dell’amministrazione civile comporterà sovente degli usi per così dire ‘laici’ dei proventi dell’apomoira, come traspare dall’ordinanza di Tolemeo VIII Evergete II del 118 a.C., che promette ai templi il versamento delle apomoirai dovute agli dei egizi, come a ribadire il loro diritto sovente disatteso. Per quanto concerne la quota da pagare, essa ammontava ad un sesto sul prodotto in vino, che poteva diventare una decima, ad esempio per i clerouchoi in servizio (strateuovmenoi) e per i vigneti della Tebaide irrigati artificialmente. Dunque, il sistema prevede l’agevolazione di uno ‘sconto’ per le terre più difficili da coltivare in quanto situate in aree ad alta presenza desertica. Per quanto invece concerne i giardini, la tassa ammonta sempre ad 1/6 del prodotto. L’ajpovmoira risulta dalle ricevute essere stata pagata in natura 31 fino a Tolemeo V e a partire da questo sovrano diviene invece una tassa in denaro, versata in banca. 32 La documentazione, nettamente più numerosa per il ii sec. a.C., 33 vede sovente l’ajpovmoira associata nelle ricevute di pagamento ad altre tasse, quali l’ejparouvrion, 34 una tassa sulla superficie del terreno e non sul prodotto : elemento già di per sé di difficile interpretazione. Ma il nodo problematico principale risiede nel fatto che la maggior parte delle ricevute reca l’indicazione della cifra da pagare per un determinato anno, seguita dall’indicazione del nome di chi versa e, da ultimo, alla riga successiva, la cifra definitiva, che è molto spesso diversa – e superiore – alla prima cifra registrata. 35 La percentuale di maggiorazione risulta molto variabile, da un 3 ad un 11% addirittura. Ora, dobbiamo pensare alla commissione del banchiere ? Ma in questo caso, come comprendere tali oscillazioni ? Dovremmo ipotizzare delle ragioni dettate da rapporti privati tra banchiere e contribuente, che però ci sfuggono totalmente ? Ma questo sarebbe un argumentum ex silentio... Altra possibilità sarebbe pensare al computo dell’ajllaghv, ovvero la tassa sul
31 A titolo di esempio : O. Bodl. i, 144 (215 a.C.). 32 O. Bodl. i, 71 (138 a.C.). 33 9 documenti risultano dal iii sec. a.C., provenienti da Arsinoite e Tebaide soltanto ; 97 dal ii sec. a.C., di cui 56 dall’Alto Egitto, 15 dal Basso Egitto e 1 dal Medio Egitto. 34 O. Camb. 8 (99 a.C.) ; O. Bodl. i, 108 (76-47 a.C.). Si veda anche C. Ord. Ptol.2 53a. 35 O. Strasb. i, 21 (127 a.C.), a titolo di esempio.
129 fiscalità e templi nell ’ egitto tolemaico cambio, solitamente pari al 10%, che si applica quando per un pagamento si ricorre alla moneta di bronzo invece che a quella d’argento (P. Rev. Laws, col. 78). Tuttavia, dopo la riforma di Tolomeo V Epiphanes che introduce un sistema monetale basato sul bronzo, così da determinare una bipartizione tra tasse da pagare in argento e tasse da pagare in bronzo, 36 esisteva la possibilità di una conversione immediata, all’atto del pagamento, dall’argento al bronzo o vice-versa, con applicazione di una maggiorazione percentuale ad opera del banchiere reale. Tale maggiorazione, nel caso di pagamento in bronzo invece che in argento, era pari a circa il 10%. 37 Ma l’apomoira era una tassa da pagare in bronzo (pro;~ calkovn), e quindi in linea di principio non passibile di ajllaghv. Tuttavia, come osserva A. Gara : 38
l’uso dell’ajllaghv perdura immutato in tutto il periodo tolemaico, superando anche l’introduzione della standard del rame, che avrebbe dovuto causarne la scomparsa. Se il suo mantenimento corrisponde a chiari interessi di drenaggio fiscale, e riflette quindi la volontà di non rinunciare a un supplemento d’entrata ampiamente diffuso ed economicamente notevole, riapre anche la problematica relativa ad una valutazione reale e non fiduciaria della valuta d’argento.
In un papiro del 240 a.C. 39 l’ajllaghv è esplicitamente citata : to; pa`n calkou` ou| ajllaghv 4384 (in totale in bronzo, compreso il cambio, dracme 4.384) e la medesima espressione si trova anche nel computo dell’apomoira di P. Koeln v, 221 del 190 a.C. Tuttavia, in altri casi i pagamenti di bronzo risultano effettuati ‘a parità di valore legale’ (calkou` iJsonovmou), 40 quindi senza nulla aggiungere alla cifra dell’ajpovmoira. Come spiegare allora tanto la varietà della percentuale aggiunta quanto la sua presenza o assenza, secondo i casi ? E come risolvere il problema della commissione del banchiere preposto alla raccolta della tassa ? L’ultima questione può forse essere la più semplice da risolvere. Torno a citare A. Gara nei suoi Prosdiagraphomena : 41 « l’ajllaghv viene connessa immediatamente con fenomeni di tipo bancario, nel quadro del sistema d’appalto istituito dai Tolemei. Essa prende così il significato di aggio imposto dalla valuta argentea sulla valuta di bronzo, aggio che diviene appannaggio dei trapezitai, individuandone una funzione fondamentale nel campo fiscale ». Dunque, il banchiere che si aggiudica l’appalto della banca reale potrà acquisire l’importo dell’ajllaghv : è quanto si afferma esplicitamente nel P. Rev. Laws, col. 76, ll. 5-6, dove si legge che « a nessun altro sia concesso ricevere l’ajllaghv, a meno che non sia in accordo con l’aggiudicatario della banca ». 42 Ma come spiegare i casi in cui essa non viene esatta, oppure la grande varietà del suo importo ?
36 J. G. Milne, Double Entries in Ptolemaic Tax-Receipts, « jea », 11 (1925), pp. 269-283. 37 Su tutto ciò si veda : A. Cavagna, La crisi dello stato tolemaico tra inflazione e svalutazione del denaro, Milano 2010, con bibliografia completa su tutta la problematica ; A. Gara, Prosdiagraphomena e circolazione monetaria, Milano, 1976, in partic. pp. 159-145. 38 A. Gara, Prosdiagraphomena, cit., pp. 165-166. 39 P. Grenf. i, 9 (240 a.C.). 40 O. Bodl. i, 60 (153 a.C.), Tebe. 41 A. Gara, Prosdiagraphomena, cit., p. 161. 42 P. Rev. Laws, col. 76, ll. 5-6 : a[llwi de; mhqeni; ejxevstw ejgdevcesqai ajllagh;n, eja;n mh; suntavxhtai pro;~ to;n hjgorakovta th;n travpezan. Si veda anche J. Bingen, Le Papyrus Revenue Laws. Tradition grecque et adaptation hellénistique, Opladen, 1978, pp. 30-35.
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I documenti sono scarni e ci concedono labili chiavi di lettura. Tuttavia, si può forse azzardare un’ipotesi, nel momento in cui consideriamo che l’apomoira è un’imposta concernente l’ambito templare : che sia raccolta sulle terre templari, per finanziare i culti nei templi autoctoni o che sia raccolta sugli altri terreni, per finanziare il culto dinastico, sia da svolgersi nei templi greci che in quelli locali, 43 siamo comunque di fronte ad una tassa che si raccoglie a beneficio del sistema templare. Non mi pare pertanto fuori luogo pensare che in particolari momenti – o di difficoltà economiche, o di raccolti più scarsi (non dimentichiamo la natura dell’apomoira, che è tassa sul prodotto), o nella forma di un comportamento benevolo nei confronti dei templi, cui così spesso i Tolemei rinnovano concessioni fondiarie e benefici – i sovrani Lagidi abbiano ritenuto opportuno sospendere o diminuire l’ammontare dell’ajllaghv, come, del resto, abbiamo visto che l’e[kth poteva divenire dekavth. 44
Da quanto detto finora possiamo cercare di trarre qualche ipotesi interpretativa finale. Senza dubbio lo Stato tolemaico esercitò un controllo di natura fiscale su tutti gli abitanti ed i soggetti economici che lo popolavano, ivi compresi i templi. Tuttavia, questo a mio parere non può essere considerato il segno di una stretta statale sul sistema templare : già nel Nuovo Regno, sebbene alcuni templi godessero del privilegio di organizzare in proprio la raccolta delle imposte sui cereali, il gettito fiscale, passando per i Granai templari, aveva pur sempre come sua destinazione ultima il Doppio Granaio dello Stato, gestito dal Tesoro. 45 È d’altro canto vero che i templi costituivano un settore dell’organizzazione statale e che quindi non esisteva una separazione tra proprietà templare e proprietà statale. 46 Tale diversa percezione dei templi come ‘altro’ rispetto allo Stato costituisce senza dubbio una profonda mutazione introdotta dai Tolemei. I sovrani lagidi non operarono confische di terre templari (con la sola esclusione di Cleopatra VII, a quanto ci dice Dione Cassio 47), se non in casi di grave arretrato o insolvenza nel pagamento delle imposte, oppure nel caso di terre abbandonate, lasciate incolte e improduttive. 48 È vero che sostanzialmente i numerosi decreti di ‘concessione’ di terre e privilegi ai templi non fecero altro che reiterare e confermare situazioni pregresse ; 49 d’altro canto, non si osservano tentativi di
43 Il decreto di Canopo e il decreto di Memphis costituiscono tappe importanti dell’‘egittizzazione’ del culto dinastico tolemaico. 44 W. Clarysse, K. Vandorpe, The Ptolemaic Apomoira, cit., pp. 18-30. 45 H. Loffet, Les scribes comptables, les mesureurs de céréales et de fruits, les métreurs-arpenteurs et les peseurs de l’Égypte ancienne, Paris, 2002, t. ii, in partic. pp. 625-635. Alla nota 22, p. 635 l’autore scrive : « Car les temples égyptiens étaient soumis à l’obligation de contribuer aux charges publiques par le paiement des taxes fiscales ». 46 S. Katary, Taxation, in The Oxford Encyclopedia of Ancient Egypt, Oxford, 2001, pp. 351-356. Sul problema del ruolo dello Stato, dei templi e della fiscalità nell’interpretazione dell’economia dell’Egitto faraonico si veda : D. Warburton, State and Economy in Ancient Egypt : Fiscal Vocabulary of the New Kingdom, FriburgGoettingen, 1997 e il dibattito che ha suscitato, in partic. Ch. Eyre in « jesho », 42.4, pp. 575-578. 47 li 5.5. 48 Si veda S. Bussi, Les confiscations de terres appartenant à des temples, cit. 49 Decreti di Canopo (237 a.C.), Raphia (217 a.C.), Memphis (196 a.C.), secondo decreto di Philae (186
131 fiscalità e templi nell ’ egitto tolemaico ridimensionare il potere economico a base fondiaria dei templi. E ciò non soltanto a partire dal ii sec. a.C., quando le crisi dinastiche, indebolendo la Corona lagide, resero vieppiù necessario l’appoggio del clero egiziano (basti pensare al ruolo svolto dal Sommo sacerdote di Ptah a Memphis 50) per legittimare il potere reale. Anche nel iii sec. a.C. i nostri documenti lasciano trapelare una sostanziale continuità nei rapporti di forza e nelle strutture economiche concerneneti le terre templari. 51 Senz’altro si individuano figure cerniera tra l’amministrazione civile e il clero : abbiamo visto il Profeta di Basti, Agente del Faraone, Ispettore dei templi, nonché l’ejpistavth~, in alcuni casi almeno il pravktwr tw`n iJerw`n, ovviamente lo stratego ed ejpi; tw`n prosovdwn al di sopra dei precedenti. Comunque, tutta una gerarchia sovrapposta all’ajrciereuv~-lesw`ni~, il quale è tenuto inoltre a rendere conto dei beni e profitti templari anche al kwmogrammateuv~. Non va però dimenticato un dato di estrema importanza : i documenti greci incrociati coi documenti demotici ci hanno consentito di individuare le stesse persone nell’atto di svolgere tanto una carriera civile che sacerdotale, ricorrendo alla lingua greca per immortalare la carriera amministrativa e alla lingua demotica per ricordare la carriera templare. 52 Mi limito in questa sede a citare il caso esemplificativo di Tolemeo figlio di Panas, stratego, preposto alle entrate fiscali di Dendera e profeta, nonché direttore del tesoro delle divinità di Tentyris. Su questa base, io parlerei piuttosto di una collaborazione tra Corona e templi,
a.C.). Si vedano : D. Meeks, Les donations aux temples, cit., pp. 605-687 ; Id., Le grand texte des donations au Temple d’Edfou, Le Caire, 1972. 50 W. Huss, Der Makedonische König und die Ägyptischen Priester, cit. ; W. Huss, Ägypten in hellenistischer Zeit, cit. ; G. Hölbl, Geschichte des Ptolemäerreiches, cit. ; Id., Altägypten im Römischen Reich, Mainz, 2000 ; D. Thompson, Memphis under the Ptolemies, Princeton, 1988 ; D. Crawford, Ptolemy, Ptah and Apis in Hellenistic Memphis, in D. Crawford, J. Quaegebeur, W. Clarysse (edd.), Studies on Ptolemaic Memphis, Leuven, 1980, pp. 5-42 ; J. Quaegebeur, The genealogy of the Memphite High Priest Family in the Hellenistic period, in D. Crawford, J. Quaegebeur, W. Clarysse (edd.), Studies on Ptolemaic Memphis, cit., pp. 43-81 ; J. D. Ray, The House of Osorapis, in P. J. Ucko, R. Tringham, G. W. Dimbleby (edd.), Man, Settlement and Urbanism, Hertfordshire, 1972, pp. 699-704. 51 J. G. Manning, Land-tenure in Ptolemaic Upper Egypt, cit., pp. 83-105 ; C. Eyre, Village Economy in Pharaonic Egypt, in A. K. Bowman, E. Rogan (edd.), Agriculture in Egypt from Pharaonic to Modern Times, London, 1999, pp. 33-60 ; S. L. D. Katary, Land-Tenure in the New Kingdom : The Role of Women Smallholders and the Military, in A. K. Bowman, E. Rogan (edd.), Agriculture in Egypt, cit., pp. 61-82 ; A. H. Gardiner, The Wilbour Papyrus, Oxford, 1948 ; J. J. Janssen, The Role of the Temple in the Egyptian Economy during the New Kingdom, in E. Lepinski (ed.), State and Temple Economy, cit., ii, pp. 505-515 ; A. Monson, Royal Land in Ptolemaic Egypt : a Demographic Model, « Journal of the Economic and Social History of the Orient », 50 (2007), pp. 363-397. 52 J. Quaegebeur, Documents égyptiens et rôle économique, cit., pp. 707-729 ; W. Clarysse, Egyptian EstateHolders in the Ptolemaic Period, in E. Lepinski (ed.), State and Temple Economy, cit., iii, pp. 731-743 ; L. Mooren, La hiérarchie de cour ptolémaïque. Contribution à l’étude des institutions et des classes dirigeantes à l’époque hellénistique, Louvain, 1977 ; G. Gorre, La place des scribes des temples, cit., pp. 127-141 ; M.-P. Chaufray, Des Lésônes en action dans le temple de Soknopaios, cit., pp.157-168 ; G. Gorre, Identité et représentation dans l’Égypte ptolémaïque, « Ktema », 32 (2007), pp. 239-250 ; J. Yoyotte, Bakhtis : religion égyptienne et culture grecque à Edfou, in Religions en Égypte hellénistique et romaine. Colloque de Strasbourg, 16-18 Mai 1967, Paris, 1969, pp. 127-141 ; G. Gorre, Les relations du clergé égyptien et des Lagides d’après les sources privées, Leuven, 2009 ; A. B. Lloyd, The Egyptian Élite in the Early ptolemaic Period : some hieroglyphic evidence, in D. Ogden (ed.), The Hellenistic World. New Perspectives, Swansea, 2002, pp. 117-136 Sul problema linguistico si veda : M. Chauveau, Bilinguisme et traductions, in Valbelle, Leclant (éds.), Le décret de Memphis, cit., pp. 25-39.
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sia pure restando ben netta la centralità di uno Stato organizzato e basato sulla struttura e sulla capillarità di percezione delle imposte. È con l’arrivo dei Romani che io vedo una delle rare cesure forti e nette nella lettura, sostanzialmente marcata da continuità e trasformazioni graduali, della Storia. Dalle confische massicce 53 operate già sotto Augusto, all’imposizione delle corvées a molti sacerdoti, alla strutturazione di una rigida gerarchia ereditaria che connota e distingue la popolazione provinciale in gruppi di élites sempre più esigue e fragili, compresi i sacerdoti dei culti egiziani, 54 mi pare chiaro che l’intento dei Romani sia radicalmente diverso dalla logica che animava i Tolemei. Se difatti questi ultimi considerarono i templi una componente di grande importanza per l’economia dello Stato, ma anche quali mediatori tra i dominatori greci e i dominati autoctoni, per i Romani l’Egitto è soltanto una provincia, ovvero un territorio, una delle aree dell’impero, strategica certamente, specialmente in virtù delle sue risorse economiche eccezionali, ma ormai del tutto priva di importanza politica autonoma. É chiaro che la situazione presenta sfaccettature e diversificazioni a livello locale che non possono essere trascurate : i Romani classificarono alcuni sacerdoti 55 come iJerei`~ tw`n logivmwn iJerw`n esentandoli da alcune liturgie e quindi istituendo anche una sorta di ‘gerarchia’ tra templi più famosi – e quindi da trattare con maggior attenzione data l’affezione che la popolazione portava verso i loro culti – e templi di più basso livello. Esempio significativo del primo gruppo è Soknopaiou Nesos che, per quanto il villaggio omonimo avesse una popolazione alquanto modesta, 56 poteva contare su svariate attività economiche e commerciali 57 (tessitori, tintori, pescatori, allevamento di animali sacri, di bestiame e di cammelli, produzione dell’olio, del vino e della birra, nonché punto doganale per le carovane dirette ad Alessandria e alle Oasi) capaci di sopperire alla scarsità di terreno coltivabile. Va tuttavia ricordato anche che su ciascuna di queste attività gravavano pesanti imposte destinate per la quasi totalità allo Stato e non al tempio. Ma l’aspetto che a mio avviso rileva maggiormente è che i templi egiziani all’interno della provincia non sono più alleati utili, ma semmai potenziali nemici in
53 P. Tebt. ii, 302 e 390 ; P. Oxy. iv, 721 ; P. Oxy. xii, 1434 ; P. Mich. v, 254 ; P. Mich. v, 260 ; P. Harris i, 138 ; P. Mil. Vogl. vi, 274 ; psi x, 1143. Si vedano anche : S. Alessandrì, Le vendite fiscali nell’Egitto romano. i. Da Augusto a Domiziano, Bari, 2005, pp. 28-36 ; J. Rowlandson, Landowners and Tenants in Roman Egypt. The Social Relations of Agriculture in the Oxyrhynchite Nome, Oxford, 1996, in partic. pp. 30-34 e 61-2 ; W. Otto, Priester und Tempel im hellenistischen Ägypten, Leipzig-Berlin, 1905, ii, in partic. pp. 81-113. 54 S. Bussi, Le élites locali nella provincia d’Egitto di prima età imperiale, Milano, 2008 ; Ead., Le statut des prêtres en Égypte romaine : aspects économiques et sociaux, « Revue historique de droit français et étranger », 83 (2005), pp. 337-354. 55 P. Phil. 1 e S. Bussi, Le élites locali nella provincia d’Egitto di prima età imperiale, Milano, 2008, in partic. pp. 58-68. 56 K. Ruffing, Kult, Wirtschaft und Gesellschaft im römischen Ägypten - das Beispiel Soknopaiu Nesos, in M. Fitzenreiter (ed.), Das Heilige und die Ware. Zum Spannungsfeld von Religion und Ökonomie, London, 2007, pp. 95-122, in partic. p. 99. 57 S. Lippert, M. Schentuleit, Die Tempelökonomie nach den demotischen Texten aus Soknopaiu Nesos, in S. Lippert, M. Schentuleit (edd.), Tebtynis und Soknopaiu Nesos. Leben im römerzeitlichen Fajum, Wiesbaden 2005, pp. 71-78 ; S. Lippert, Die Abmachungen der Priester-Einblicke in das Leben und Arbeiten in Soknopaiu Nesos, in M. Capasso, P. Davoli, New Archaeological and Papyrological Researches on the Fayyum, Galatina, 2007, pp. 147-155 ; K. Ruffing, Kult, Wirtschaft und Gesellschaft, cit., pp. 95-122.
133 fiscalità e templi nell ’ egitto tolemaico cui si potrebbe annidare la rivolta anti-romana, in quanto centri di resistenza culturale alla romanizzazione. Eppure, neanche gli imperatori romani – almeno fino a Decio –, e neppure lo stesso Augusto, seppero sottrarsi alla tradizione di farsi rappresentare, proprio sui templi egiziani, nelle forme e nello stile che avevano caratterizzato la regalità in Egitto dai tempi dei Faraoni.
THE GRAND MUTATION : PTOLEMAIC BRONZE Currency IN THE SECOND CENTURY B.C.
Catharine Lorber
F
or some years now, we numismatists have been attempting to coordinate our views of Ptolemaic bronze coinage with those of economic historians who rely on the evidence of Egyptian papyri. The evidence, both documentary and numismatic, points to a dramatic transition in the late third or early second century. The documentary evidence has inspired a considerable body of scholarship. 1 A brief summary of the principal points can provide a useful introduction and context for considering the coinage itself. References to silver currency become increasingly scarce in documents of the last quarter of the third century, and a few texts indicate that the relation between bronze and silver coinage began to change. In the second century sharp increases in commodity prices as well as direct conversions between bronze and silver currency attest a severe devaluation of the bronze coinage in relation to silver. Because second and first century documents express most monetary sums in terms of bronze coinage, papyrologists and economic historians have inferred the adoption of a bronze standard. French numismatists, however, reject the concept of a bronze standard and refer instead to an uncoupling of the two currencies and a new system of valuing bronze coins. Regardless of the preferred terminology, it is clear that the bronze currency ceased to serve as a fractional coinage valued according to the Greek divisional system of drachms and obols. Instead it functioned within a decimal system involving multiples of a theoretical bronze unit worth only a small fraction of the silver drachm. The initial conversion rate was probably 1 : 60, that is, the obol was redefined as ten bronze drachms, and
1 T. Reinach, Du rapport de valeur entre les métaux monétaires au temps des Ptolémées, « reg », 41 (1928), pp. 141-145 ; F. Heichelheim, Wirtschaftliche Schwankungen der Zeit von Alexander bis Augustus, Jena, 1930, pp. 9-37, 56-72, 83-86, 118-122 ; A. Segrè, The Ptolemaic Copper Inflation, ca. 230-140 b.c., « AJPhil », 63 (1942), pp. 174-184 ; T. Reekmans, Monetary History and the Dating of Ptolemaic Papyri, in Varia (« Studia Hellenistica », 5), Lovanii-Lutetiae Parisiorum-Lugduni Batavorum, 1948, pp. 16-43 ; T. Reekmans, The Ptolemaic Copper Inflation, in E. van ‘t Dack, T. Reekmans (edd.), Ptolemaica (« Studia Hellenistica », 7), Louvain-Leiden, 1951, pp. 61-118 ; A. Gara, Limiti strutturali dell’economia nell’Egitto tardo-tolemaico, « Studi ellenistici », 1 (1984), pp. 116-134 ; K. Maresch, Bronze und Silber : Papyrologische Beiträge zur Geschichte der Währung in ptolemäischen und römischen Ägypten bis zum 2. Jahrhundert n. Chr (« Papyrologica Coloniensia », xxv), Opladen, 1996, pp. 1-109, 181-216 ; H. Cadell, G. Le Rider, Prix du blé et numéraire das l’Égypte lagide de 305 à 173 (« Papyrologica Bruxellensia », 30), Brussel, 1997 ; F. Burkhalter, O. Picard, Le vocabulaire financier dans les papyrus et l’évolution des monnayages lagides en bronze, in F. Duyrat, O. Picard (éds.), L’exception égyptienne ? Production et échanges monétaires en Égypte hellénistique et romaine, Actes du Colloque d’Alexandrie, 13-15 avril 2002 (« Études alexandrines », 10), Cairo, 2005, pp. 53-80 ; A. Cavagna, La crisi dello stato tolemaico tra inflazione e svalutazione del denaro, Milan, 2010, pp. 15-78 (for a thorough history of the scholarship), pp. 169-229.
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the silver drachm (by this time only an accounting unit) as 60 bronze drachms. 2 Most papyrologists believe there were repeated devaluations in the second century, leading to different price levels which allow for a periodization that can be used to date documents. Numismatic analyses have yielded results that confirm, refine, or in some cases challenge the understanding that has been derived from papyri.
1. The silver shortage
The numismatic overview depends heavily on the study of coin hoards, that is, groups of coins that were assembled in antiquity and somehow lost or abandoned by their owners. Only a minority of Egyptian coin hoards were found in controlled archaeological excavations. Most of the others were observed in commerce and we cannot be sure that the records are complete. Nevertheless we are confident that in most cases these records accurately reflect the overall contents of the hoards. And there is no reason to suspect that the record contains any chronological bias ; the methods of hoard discovery do not favor one period of Ptolemaic history over another. The record of Egyptian silver hoards exhibits a significant peculiarity (Table 1). Silver hoards deposited under the reign of Ptolemy I are both numerous and large. We now count nineteen such hoards and they represent more than 60% of all the silver hoards deposited in Egypt between the accession of Ptolemy I and the accession of Ptolemy VI in 180 b.c. Their average size is about 800 tetradrachms – or, if we exclude the enormous Demanhur hoard of 1905 (igch 1664) as skewing the average, about 400 tetradrachms. For the reign of Ptolemy II only five silver hoards are known. The average size is about 80 coins, but this isn’t directly comparable to the average for Ptolemy I. The Toukh el Garmous hoard (igch 1680) contained 160 gold pieces and an unknown number of tetradrachms, whereas the known contents of the Zagazig hoard of 1905 (igch 1689) were all silver decadrachms. A hoard found near Alexandria in 1844 (ch viii, 303), closing in 244 b.c., is the last large Egyptian silver hoard until the Tanis hoard of 1986, whose deposit can be dated c. 170 b.c. or even later. For the entire intervening period of seventyfive years we have only five silver hoards, three deposited under Ptolemy III, one under Ptolemy IV, and one under Ptolemy V. These hoards range in size from 3 to 25 coins and contain a total of just 66 coins, for an average size of 13 coins. A noteworthy feature of these hoards is the weak representation of silver coins of Ptolemies I and II, which were issued in large numbers. They essentially disappear from the hoards by about 215 b.c. Another noteworthy feature is the relative paucity of Alexandrian coins. The only Alexandrian issues of Ptolemy III are four silver coins of the Attic-weight Berenikeion nomisma. The majority of the coins
2 T. Reekmans, Monetary History, cit., pp. 23-24 ; T. Reekmans, Ptolemaic Copper Inflation, cit., pp. 69-71 ; K. Maresch, Bronze und Silber, cit., pp. 21-23 ; S. von Reden, Money in Ptolemaic Egypt from the Macedonian Conquest to the End of the Third Century bc, Cambridge, 2007, pp. 74-75.
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of Ptolemy IV are Alexandrian issues, but there are only two coins altogether of Ptolemy V, both imported tetradrachms of Salamis. 3 A comparison with the record of hoards from the Ptolemaic province of Syria and Phoenicia reveals that the diminishing number and size of Egyptian silver hoards was not the result of natural attrition (Table 2). The Syro-Phoenician hoards show that older tetradrachms of Ptolemies I and II remained in circulation in the province until the end of the Ptolemaic period. Andrew R. Meadows has reconstructed the Syria, 1981 hoard (ch viii, 339), deposited around 200 b.c., and he calculated that tetradrachms of Ptolemies I and II accounted for 78% of the total hoard. 4 The only possible conclusion is that several Lagid kings, beginning with Ptolemy III, implemented a deliberate policy of removing silver currency from circulation in the Egyptian economy. 5 This policy affected older silver coins, but also the new silver coins issued at Alexandria under Ptolemies III, IV, and V. Each of these kings produced only a single major emission of tetradrachms in Egypt. These isolated issues appear to be closely connected with the financing of the Third, Fourth, and Fifth Syrian Wars, and this tended to draw the coins out of Egypt. In addition these emissions were not necessarily very abundant. For the tetradrachms of Ptolemy III, an unpublished die study by Veronique van Driessche in her mémoire de license found only ten obverse dies. A new study is in preparation but the die count has only risen to twelve in a sample of 50 specimens. A die study of the tetradrachms of Ptolemy IV, by Thomas Peter Landvatter, found 21 obverse dies, with a statistically projected maximum of 22 dies. 6 Admittedly the Alexandrian tetradrachm issue of Ptolemy V was more ample ; in his PhD dissertation Julien Olivier recorded 63 obverse dies. 7 So the absence of this large issue from the single silver hoard deposited during the reign of Ptolemy V is particularly significant, as is the fact that we have only one silver hoard from a reign that witnessed great turmoil in Egypt. It appears that the Ptolemaic administration in Egypt had an efficient mechanism for drawing silver coins back into the treasury after they had been disbursed in state payments. The hoard record, then, strongly confirms the implications of papyri and ostraca about a shortage of coined silver in the last decades of the third century. But it also improves our understanding. Based on the papyrological evidence it
3 O. Mørkholm, A. Kromann, The Ptolemaic Silver Coinage on Cyprus, 192/1-164/3 b.c., « Chiron », 14 (1984), p. 155, no. 4 ; J. N. Svoronos 1345. 4 The new reconstruction of this hoard will be published in T. Faucher, A. R. Meadows (edd.), Ptolemaic Hoards (« Egyptian Hoards », i), Cairo, forthcoming. 5 Some papyrologists and economic historians have also assumed a deliberate policy on the part of the Ptolemaic kings so that they could monopolize the use of silver currency, perhaps with an eye to spending it outside their kingdom, see A. Segrè, Ptolemaic Copper Inflation, cit., p. 188 ; M. Rostovtzeff, Social and Economic History of the Hellenistic World, Oxford, 1941, i, p. 400. 6 T. P. Landvatter, The Serapis and Isis Coinage of Ptolemy IV, in « ajn » 24, 2012, pp. 61-90. 7 J. Olivier, Archè et Chrèmata en Égypte au iie siècle avant J.-C. (204-81 av. J.-C.) : Étude numismatique et d’histoire, PhD diss., Université d’Orleans, 2012.
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was only possible to say that silver currency became scarce in the Egyptian chôra. The hoards supplement the written documents and show that coined silver also became extremely scarce in the Delta, the most fully monetized region of Egypt. And numismatic data - the hoard record combined with die studies – also point to the ineluctable conclusion that this shortage was deliberately engineered by Ptolemy III and maintained by his son and grandson. The patterns associated with silver scarcity began to change under Ptolemy VI. Around 160 b.c. we get the first explicitly dated exchanges of silver staters for bronze coins since the reign of Ptolemy IV, only now at very elevated rates reflecting the devaluation of the bronze currency. 8 In 155/4 the Alexandria mint commenced the regular production of annual issues of dated silver tetradrachms and these annual issues continued virtually without interruption until the first century. The average size of silver hoards increased, but the rate of hoard loss remained low until the mid-first century, and virtually all the dates of deposit correlate with political transitions and/or dynastic conflicts (Table 3). The low rate of hoard loss may reflect a generally well ordered society in which people who were able to accumulate cash savings didn’t often lose them arbitrarily. Since hoard loss represents a personal misfortune, the low rate of loss could be a factor in the economic pillar of the happiness index cited by Katelijn Vandorpe in this volume and it supports her arguments against a decline of the Ptolemaic kingdom in the second century.
2. The great demonetization
It has long been recognized by both economic historians and numismatists that bronze coinage increasingly replaced silver in the second half of the third century. There was a tendency to attribute this development to Gresham’s Law. 9 But Gresham’s Law would predict a hoarding of the silver coinage, and we can now see that such hoarding didn’t actually occur. Possibly it was to prevent such hoarding that Ptolemy III adopted the policy of removing silver coinage from the Egyptian economy, though his primary motive was surely to control his stock of silver. In any case, the royal policy regarding silver coinage probably explains why large bronze hoards first began to be deposited in the reign of Ptolemy III (Table 4), even though it was Ptolemy II who famously introduced large bronze denominations. Egyptian bronze hoards, like Egyptian silver hoards, have something remarkable to teach us. For the same period covered by our silver hoards, that is from the accession of Ptolemy I to the accession of Ptolemy VI, we have a total of 23 recorded Egyptian bronze hoards. Of these, no less than 13 (Table 4, nos. 8-20) close with the same issues of Ptolemy IV. We know the provenances of seven of these hoards : two are from Lower Egypt and five are from the Thebaid, in
8 upz i 88 (161/0 b.c.), l. 13, 2,050 (dr.) ; upz i 93 (159 b.c.), ll. 2-3, 2,130 (dr.). 9 J. G. Milne, The Currency of Egypt under the Ptolemies, « jea », 24 (1938), pp. 203-204 ; M. Rostovtzeff, Social and Economic History, cit., p. 400.
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cluding three from Luxor and one from Karnak. 10 Such a pattern of simultaneous hoard loss can only be explained by two causes, widespread loss of life and property due to warfare or civil unrest, or else a currency reform. In this case the hoards clearly reflect a currency reform. This is immediately apparent from the fact that their findspots range from Lower to Upper Egypt, meaning that their loss was not due to the Great Revolt of the Thebaid. Even more compelling are some peculiarities of the makeup of these hoards. Although they contain large bronze denominations, one particular large denomination is consistently absent. That denomination was probably valued as a tetrobol and we shall use that designation here for the sake of clarity. The tetrobols missing from these thirteen hoards turn up in a slightly later pair of hoards (Table 4, nos. 21-22), one of which is again from Karnak (ch x, 454). In these later hoards the tetrobols are invariably stamped with a cornucopiae countermark (Fig. 1). The Karnak hoard also contained countermarked diobols, and in the second hoard, commerce, 1992 (ch viii, 413 = ch x, 455), the countermarked tetrobols are associated with later coinage. 11 From the hoard record we can deduce that most of the bronze coinage of Ptolemies III and IV was demonetized, but the tetrobol and diobol remained legal tender on the condition that they were countermarked. Possibly the countermark changed their face values. The first studies to identify the bronze demonetization dated it shortly before the outbreak of the revolt of Upper Egypt. 12 A key assumption was that it would have been impossible to enforce this reform in a territory that rejected the sovereignty of the Ptolemaic king. There are now reasons to revisit the date of the demonetization in light of more recent research on Ptolemaic bronze coinage of the second century.
3. The grand mutation
At some point after the countermarking of the tetrobols and diobols, a new bronze coinage was introduced in Egypt, numbered Series 6 in the new system of classification proposed by Olivier Picard and Thomas Faucher. 13 Series 6 was metrologically unrelated to earlier bronze currency. Initially the largest denomina
10 The archaeological context can be specified in some cases. The hoard from the Ramesseum (igch 1699) was found in a recess in the great north wall, see J. E. Quibell, The Ramesseum, London, 1896, p. 13. Another of the hoards from the necropolis at Luxor was found in a corner of one of the small outer chambers of a mud-brick vaulted tomb, see H. Carter, Ptolemaic Vaulted Graves, in Earl of Carnarvon, H. Carter (edd.), Five Years’ Excavation at Thebes : A Record of Work Done 1907-1911, London-New York, 1912, pp. 44-45. A nearby tomb was the source of two demotic papyri dated by year 4 of the native pharaoh Horwennefer, found in an amphora deposited under the floor, see W. Spiegelberg, Demotic Papyri and Ostraca, in Earl of Carnarvon, H. Carter (edd.), Five Years’ Excavation at Thebes, cit., pp. 46-47. 11 S. M. Huston, C. Lorber, A Hoard of Ptolemaic Bronze Coins in Commerce, October 1992 (ch 8, 413), « nc », 161 (2001), pp. 11-29. 12 C. Lorber, Large Ptolemaic Bronzes in Third-Century Egyptian Hoards, « ajn », 12 (2000), pp. 85-86 ; S. M. Huston, C. Lorber, Hoard of Ptolemaic Bronze Coins in Commerce, cit., pp. 34-35. 13 O. Picard, T. Faucher, Les monnaies lagides, in O. Picard et alii, Les monnaies des fouilles du Centre d’Études Alexandrines : Les monnayages de bronze à Alexandrie de la conquête d’Alexandre à l’Égypte moderne (« Études Alexandrines », 25), Alexandria, 2012, pp. 17-108, especially pp. 60-76 on Series 6.
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tion, at c. 40 grams, was about one ninth lighter than the countermarked tetrobol of c. 45 grams which remained in circulation alongside it. 14 Series 6 also broke with the past in its iconography. It featured a number of new obverse types that had not appeared previously on Ptolemaic bronze coinage, most of which represent Greco-Egyptian deities : the heads of Demeter-Isis ; of Heracles-Khonsu ; of a helmeted youth, probably young Ares-Onuris ; of AthenaNeith ( Fig. 2). Revived from earlier coinage is a head in an elephant headdress which may represent the deified Alexander the Great as in the third century, but the disappearance of some of Alexander’s attributes and the effeminate quality of the face argue against this (Fig. 3). We may be seeing another new type, perhaps a personification of Alexandria. 15 Most of these types are found on coins of different weights. The prime example is the largest denomination, which always has a Zeus-Ammon obverse and usually a double eagle reverse (Fig. 4). It occurs with weights of 40, 30, and 23 grams, and the condition of hoard specimens makes it certain that the weights followed one another in this order. With the help of the hoards, Thomas Faucher and Catharine Lorber were able to classify Series 6 into five subseries or phases and to establish their relative chronology. 16 The phases show a pattern of weight decline (Table 5), affecting mainly the four largest denominations. Normally we would expect such severe weight reductions, approaching 50% in the case of the largest denomination, to undermine public confidence in the coinage, resulting in the hoarding of the older and heavier coins. Yet coins of these different weights occur together in the same hoards, 17 meaning that they all circulated simultaneously and belonged to a single currency system. Somehow the users of this coinage made sense of it despite the varying weights. The several obverse types always appear in the same order in each phase (Table 6), even if none of the phases offers a full set of denominations. It seems obvious that the obverse types served as denomination markers. The innovative features of Series 6 create a strong presumption that this coinage was designed to advertise a rupture with the past and that its face values conformed to the new system of reckoning (the so-called bronze standard). 18 Working from this assumption, Picard, Faucher, and Gilles Gorre have proposed a precise date for the introduction of Series 6, between January and September of the year 197 b.c. 19 They cite the papyrus C. Ptol. Sklav. 9, dated 7 January 197, as
14 S. M. Huston, C. Lorber, Ptolemaic Bronze Hoard in Commerce, cit., pp. 24-25. 15 It was so identified by J. N. Svoronos, followed by O. Picard, T. Faucher, Monnaies lagides, cit., p. 64. 16 T. Faucher, C. Lorber, Bronze Coinage of Ptolemaic Egypt in the Second Century b.c., « ajn », 22 (2010), pp. 37-43. 17 This is apparent in Hoard F from the Sacred Animal Necropolis, Saqqara, 1967 (igch 1706 = ch ix, 692), see M. J. Price, Appendix J, Coins, in G. T. Martin, The Sacred Animal Necropolis at North Saqqara, London, 1981, pp. 159-160. The 15 specimens of J. N. Svoronos 1424, described overall as ‘fresh’, include several examples with weights close to 30 grams (nos. 117, 121, 122), but it is now recognized that the specimens with lighter weights must belong to the 23 gram category. 18 T. Faucher, C. Lorber, Bronze Coinage of Ptolemaic Egypt in the Second Century, cit., p. 52. 19 O. Picard, T. Faucher, Les monnaies lagides, cit., p. 69 ; G. Gorre, Les monnaies lagides et les papyrus démotiques, in Picard et alii, Les monnaies des fouilles du Centre d’Études Alexandrines, cit., p. 124.
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the last known document to calculate using fractions of the silver drachm. As the first document to give figures based on the new system of reckoning, they cite P. Petrie ii 32, dated 22 September, year 8 of an uncertain Ptolemy. Tony Reekmans, Klaus Maresch, and Hélène Cadell all dated it to the reign of Ptolemy Epiphanes, thus to the year 197. 20 The date of 197 for the introduction of the new system of reckoning is also consistent with the documentation assembled by Fabienne Burkhalter and Olivier Picard demonstrating changes in financial vocabulary in records of various types of transactions. 21 The next bronze coinage, Series 7, grew out of Series 6. It retained the same obverse types in the same roles as denomination markers, but the weight reductions ceased. 22 The metrology of this very abundant coinage remained stable until it was replaced by Series 8 in the third regnal year of Cleopatra III and Ptolemy IX, 114/3 b.c. 23 Metallurgical analyses conducted by Thomas Faucher in the course of his PhD dissertation revealed that Series 7 was struck in a debased alloy, containing up to 30% lead. 24 The high lead content can be detected visually in many specimens of the coinage. 25 Faucher has also observed that cast or molded coins occur commonly in Series 7, due to the greater malleability of the debased alloy. 26 It is conceivable that the perceptible evidence of debasement affected the value of the Series 7 bronze coinage. A break in the hoards between Series 6 and Series 7 indicates that most coins of Series 6 were withdrawn from circulation, 27 and this perhaps forestalled a massive rejection of the inferior new coins. But the hoards also indicate that at least one denomination of Series 6 was allowed to remain in circulation. 28 It is slightly larger and heavier than its Series 7 counterpart, but the two were apparently regarded as interchangeable. Its retention in the new series may be a clue that the value of the bronze coinage held steady. Like Series 6, Series 7 had phases and the first of these, Series 7a, is distinctive. It names Queen Cleopatra on the obverse as well as Ptolemy the King on the reverse (Fig. 5). Numismatists at least as far back as Reginald Poole have dated these coins
20 T. Reekmans, Ptolemaic Copper Inflation, cit., p. 74 n.2 ; K. Maresch, Bronze und Silber, cit., p. 183 ; H. Cadell, G. Le Rider, Prix du blé, cit., pp. 45-46. 21 F. Burkhalter, O. Picard, Le vocabulaire financier dans les papyrus et l’évolution des monnayages lagides en bronze, in F. Duyrat, O. Picard (éds.), L’exception égyptienne ? Production et échanges monétaires en Égypte hellénistique et romaine, Actes du Colloque d’Alexandrie, 13-15 avril 2002 (« Études alexandrines », 10) Cairo, 2005, pp. 53-80. 22 T. Faucher, C. Lorber, Bronze Coinage of Ptolemaic Egypt in the Second Century, cit., pp. 43-47. 23 For the characteristics and date of Series 8, see T. Faucher, M. Shahin, Le trésor de Gézéïr (lac Mariout, Alexandrie), « rn », 162 (2006), pp. 135-157. 24 T. Faucher, C. Lorber, Bronze Coinage of Ptolemaic Egypt in the Second Century, cit., pp. 69-72 ; T. Faucher, Gravure et composition métallique des monnaies lagides, in Regards croisés en numismatique, Journée scientifique en hommage aux travaux de Jean-Noël Barrandon, « rn », 2010, pp. 96-98 ; Id., Frapper monnaie : La fabrication des monnaies de bronze à Alexandrie sous les Ptolémées (« Études Alexandrines », 27), Alexandria, 2013, pp. 54-56 and Annexe 1, pp. 313-317. 25 T. Faucher, Gravure et composition métallique, cit., pp. 99 (figs. 3, 4), 100, 105. 26 T. Faucher, Gravure et composition métallique, cit., pp. 99, 104-105. 27 T. Faucher, C. Lorber, Bronze Coinage of Ptolemaic Egypt in the Second Century, cit., p. 61. 28 T. Faucher, C. Lorber, Bronze Coinage of Ptolemaic Egypt in the Second Century, cit., pp. 45-46.
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to the regency of Cleopatra I for the child Ptolemy VI, 180-176 b.c. 29 The double inscription thus seemed to anchor the chronology of the second century bronze coinage. But it is somewhat difficult to accommodate the five phases of Series 6 in the period between 197 and 180 b.c. A fresh look at a key hoard, Corinth 1948 (igch 264), led Faucher and Lorber to the conclusion that Series 7b was current in 146 b.c. 30 It now seems possible that the double inscription of Series 7a could refer to the coregency of Ptolemy VI and his sister-wife Cleopatra II, established in 163. The return of Ptolemy Philometor from his brief exile in 164/3 and his restoration to the throne of Egypt were treated as a sort of rebirth, with an amnesty decree and a calendrical reform. 31 The introduction of a new coinage would fit this context well and the unusual obverse legend would serve to advertise the restoration of the Ptolemaic norm, rule by a married couple, after the destabilizing experiment in joint rule by three siblings.
4. An interval of constricted monetary supply
We can now return to the question of the date of the bronze demonetization. Picard and Faucher have envisioned the transition to Series 6 as a relatively efficient reform whose several stages – demonetization, countermarking, new coinage – were implemented within a short period of time. 32 This would imply that the demonetization should be dated to the year 197 or very shortly before. At first blush the Great Revolt seems to present no obstacle to this chronology, because Ptolemaic troops recovered Thebes early in the second century, if only temporarily. Theban documents are dated by the regnal years of Ptolemy V from approximately the beginning of 198 to the beginning of 197, and there is a gap of several years before the return of the rebel pharaoh Ankhwennefer is attested in late summer of 194. 33 But in fact it is extremely unlikely that an effective Ptolemaic administration was in place during the interval of restored Ptolemaic sovereignty. 34 So far as we know, there were no deposits to the royal bank in Thebes between 207 and 192. 35 The
29 R. S. Poole, Catalogue of Greek Coins in the British Museum : The Ptolemies, Kings of Egypt, London, 1883, pp. lix-lx, 78 ; J. N. Svoronos 1380-1383 ; A. Kromann, O. Mørkholm, Sylloge Nummorum Graecorum, The Royal Collection of Coins and Medals, Danish National Museum. Egypt : The Ptolemies, Copenhagen, 1977, nos. 274-278 ; C. Lorber, The Development of Ptolemaic Bronze Coinage in Egypt, in F. Duyrat, O. Picard (éds.), L’exception égyptienne ? Production et échanges monétaires en Égypte hellénistique et romaine, Actes du Colloque d’Alexandrie, 13-15 avril 2002 (« Études Alexandrines », 10), Cairo, 2005, p. 144. 30 T. Faucher, C. Lorber, Bronze Coinage of Ptolemaic Egypt in the Second Century, cit., pp. 48-49. 31 upz i 111 = C. Ord. Ptol.2 35 ; T. C. Skeat, Reigns of the Ptolemies (« Münchener Beiträge zur Papyrusforschung und antiken Rechtgeschichte », 39) Munich, 1969 (second ed. ; first ed. 1954), pp. 33-34 ; A. E. Samuel, Ptolemaic Chronology (« Münchener Beiträge zur Papyrusforschung und antiken Rechtsgeschichte », 43), Munich, 1962, pp. 142-143. 32 O. Picard, T. Faucher, Les monnaies lagides, cit., p. 69. 33 P. W. Pestman, Haronnophris and Chaonnophris : Two Indigenous Pharaohs in Ptolemaic Egypt (205-186 b.c., in S. P. Vleeming (ed.), Hundred-Gated Thebes (« Papyrologica Lugduno-Batava », 27) Leiden-New YorkCologne, 1995, pp. 113-116 ; A.-E. Veïsse, Les « révoltes égyptiennes » : Recherches sur les troubles intérieurs en Égype du régne de Ptolémée III à la conquête romaine (« Studia Hellenistica », 41), Leuven, 2004, pp. 13, 19, 26. 34 J. L. O’Neil, The Native Revolt against the Ptolemies (206-185 bc) : Achievements and Limitations, « CdÉ », lxxxvii (2012), pp. 136, 146. 35 R. Bogaert, Trapezitica Aegyptiaca, Florence, 1994, p. 258.
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lack of tax receipts from the Thebaid for the entire duration of the Great Revolt is further evidence of an administrative vacuum. 36 Absent a functioning administration, it would have been impossible to enforce a demonetization or to organize the countermarking of tetrobols and diobols. It follows that the enthronement of the first rebel pharaoh, Horwennefer, in Thebes in October or November of 205 must remain the terminus ante quem for the bronze demonetization and the episode of countermarking. Possibly even this date is too late ; the lacuna in banking records may indicate that the Ptolemaic fiscal administration disappeared as early as 207. Furthermore, there is no evidence for use of the new system of reckoning in Upper Egypt during the Great Revolt. 37 This implies that the Series 6 bronze coinage was not introduced there until after the pacification of the Thebaid. As for the rest of Egypt, the two dates just proposed – before October 205 for the demonetization and countermarking, and 197 for the introduction of Series 6 – leave an interval of at least eight years during which the only available bronze currency consisted of countermarked tetrobols and diobols, probably supplemented by smaller bronze denominations that are not represented in our hoards. 38 We know of only one hoard, the one from the North Bubastid Door at Karnak (ch x, 454), that might reflect such an interval. But countermarked tetrobols are extremely common in public and private collections and these large numbers might be consistent with a long period of circulation. The gap between the demonetization and countermarking before autumn of 205 and the introduction of Series 6 in 197 raises questions. Should we consider these as two distinct reforms, not as stages in a single reform ? Or should we assume the realization of a plan formed by the administration of Ptolemy IV ? In the latter case, the plan may have prescribed the interval - but it seems more likely that the final stage of the reform was delayed by the crises that engulfed the Lagid state.
5. Papyrological approaches tested against coin evidence
Now that we have a clearer picture of the development of Egyptian bronze coinage during the second century of Ptolemaic rule (c. 215-c.115 b.c.), it is possible to evaluate some of the most influential interpretations of the documentary record. Based on the ostracon bgu vii, 1532 (Philadelphia), an account of wheat sales which implies a value of 7271 drachms, 4 obols, for a gold mnaieion, and on variations in the rate of the agio charged on bronze : silver conversions, Fritz Heichel
36 W. Clarysse, The Great Revolt of the Egyptians (205-186 b.c.), lecture at the Tebtunis Center, University of California, Berkeley, on 16 March 2004, online at http ://tebtunis.berkeley.edu/lecture/revolt, p. 4. 37 T. Reekmans, Monetary History, cit., pp. 22-23 ; Id., Ptolemaic Copper Inflation, cit., p. 80 with n.1 ; W. Clarysse, E. Lanciers, Currency and the Dating of Demotic and Greek Papyri from the Ptolemaic Period, « AncSoc », 20 (1989), p. 119. 38 upz i 112, a tax farming account probably from the year 203/2, mentions amounts of three obols, two obols, and half obols, see K. Maresch, Bronze und Silber, cit., p. 91. The last document to calculate using such amounts, C. Ptol. Sklav. 9 (7 January 197), mentions amounts of five and four obols. The editorial convention of expanding these abbreviated quantities as pentobols, tetrobols, triobols, etc., should not be understood to imply the existence of coins with these face values.
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heim identified the period 210-204 as the time of the replacement of the silver drachm by a ‘copper’ (i.e., bronze) drachm valued at one sixtieth of the silver drachm. 39 In Heichelheim’s view, the Ptolemaic bronze inflation occurred between 173 and 160, when the silver : bronze ratio rose from 60 : 1 to approximately 500 : 1, due to a debasement of the bronze coinage or more likely a weight reduction, and after this the ratio fluctuated constantly around this figure. 40 Heichelheim’s speculations about second-century bronze coinage are not entirely out of line with our current knowledge : there was certainly significant weight reduction in the early decades of the second century, though it probably occurred before the years 173-160, whereas the debasement of Series 7 may actually belong to this period. But from today’s perspective there are serious problems with Heichelheim’s analysis of the introduction of the bronze standard. The ostracon bgu vii, 1532, dated by the regnal years of an uncertain Ptolemy, has been placed convincingly in the reign of Ptolemy V by Hélène Cadell on the basis of its wheat prices. 41 Heichelheim’s periodization of different rates of allagê has not been confirmed by later studies, and the reduced rate that he associated with a debasement of the silver coinage was explained by Fabienne Burkhalter and Olivier Picard as a special rate for payments emanating from the royal treasury. 42 Likewise, Heichelheim’s claim that the fineness of the silver coinage was compromised c. 225-221 rests on metallurgical analyses of wrongly dated coins. 43 Nevertheless, the year 210 has remained a focus of interest. In the middle years of the twentieth century, Tony Reekmans attempted a new synthesis of Egyptian commodity prices, wage data, and records of monetary exchange. 44 To account for the pattern of increasing price levels, he claimed that the Ptolemaic bronze currency underwent a series of monetary manipulations without visible change to the coinage : a doubling in the face values of all bronze coins between 221 and 216 ; introduction of the bronze standard in 210, using a silver : bronze ratio of 60 : 1 ; another doubling of face values in 183/2, implying a silver : bronze ratio of 120 : 1 ; a third doubling of face values in 173 (silver : bronze ratio 240 : 1) ; and a final doubling of face values in the period 130-128 (silver : bronze ratio 480 : 1). Half a century after Reekmans’ work, Klaus Maresch took up the topic again, incorporating the evidence of demotic documents which had been excluded by Heichelheim as too unclear in their significance and also excluded, tacitly,
39 F. Heichelheim, Wirtschaftliche Schwankungen, cit., pp. 12-21, 25-27. 40 F. Heichelheim, Wirtschaftliche Schwankungen, cit., pp. 27-31. 41 H. Cadell, G. Le Rider, Prix du blé, cit., pp. 48-49. 42 F. Burkhalter, O. Picard, Le vocabulaire financier, cit., pp. 57, 66-67. 43 See F. Heichelheim, Wirtschaftliche Schwanungen, cit., p. 24, for the table reporting the results of the analyses. The coins dated from 263 to 221 are tetradrachms of the Ptolemaic era coinage, and those dated to the years 225-221 ( J. N. Svoronos 1108-1110, 1112) in fact belong to the time of Ptolemy VI, see O. Mørkholm, The Ptolemaic ‘Coins of an Uncertain Era,’ « nnå » 1975-76, pp. 23-58 ; F. Duyrat, Arados hellénistique : Étude historique et monétaire (« Bibliothèque Archéologique et Historique », 173), Beirut, 2005, pp. 266-272 ; C. Lorber, The Ptolemaic Era Coinage Revisited, « nc », 167 (2007), pp. 105-117. More recent analyses have refuted the claim of a debasement of the Ptolemaic silver coinage in the late third century, and also do not confirm a debasement of the era tetradrachms, see R. A. Hazzard, The Composition of Ptolemaic Silver, « jssea », 20 (1990), pp. 89-107. 44 T. Reekmans, Monetary History, cit. ; Id., Ptolemaic Copper Inflation, cit.
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by Reekmans. 45 Maresch altered Reekmans’ schema slightly, retaining 183 and 171168 as occasions for doublings in the silver : bronze ratio but positing a return to the 120 : 1 ratio after c. 150 ; for the period after 130-127 he somewhat confusingly hypothesized a restoration of the 60 : 1 ratio in monetary exchange together with a halving of the bronze standard that doubled commodity prices. 46 Such models may be excessively elaborate : when Willy Clarysse and Eddy Lanciers attempted to date documents according to Reekmans’ periodization, they found that they could recognize the use of the bronze standard but they were unable to identify his different price levels. 47 Most numismatists are reluctant to believe that the face value of an existing coinage could be changed by simple fiat. There are accounts in Pseudo-Aristotle’s Oeconomica and in Polyaenus’ Stratagemata about rulers who used monetary manipulations to raise cash and in each case the existing coinage was subject to a public demonetization, recall, and reminting (or perhaps countermarking). 48 These accounts reinforce the assumption of numismatists that any official change in the value of a coinage should be clearly indicated by visible features and especially by a break in the hoards. Our researches have identified several inflection points for the Ptolemaic bronze coinage of the late third and second centuries that might have produced economic effects - demonetization, countermarking, a period of constrained monetary supply, then an increase in the money supply with the introduction of Series 6. On the other hand the demonstration that Series 6 comprised a single currency system despite its weight reductions makes us extremely skeptical about the hypotheses of doubling in the silver : bronze ratio in 183 and/or 173. The introduction of a debased bronze coinage in or after 163 could be a plausible cause for a change in the relation of the bronze and silver currencies. After that, the metrological stability of Series 7 argues against any further devaluations until a new bronze coinage (Series 8) was introduced in 114/3. In 1997 Hélène Cadell and Georges Le Rider attempted to redefine the problem of the relation of silver and bronze coinage by focusing on the price of grain. 49 They argued that the price inflation cited by earlier papyrologists was not the result of a different valuation of the bronze currency, but rather the result of natural inflation caused by an excessive supply of this currency. This interpretation is untenable in light of the bronze demonetization of the late third century. But the price structure developed by Cadell, who placed the first clearly elevated grain prices in 199, is more-or-less consistent with a date of 197 for the introduction of a new coinage valued according to a new system of reckoning. The curve of grain prices was sufficiently attractive that three attempts were made to trace it beyond 173, the year at which Cadell and Le Rider ended their
45 K. Maresch, Bronze und Silber, cit. ; F. Heichelheim, Wirtschaftliche Schwankungen, cit., pp. 14-16. 46 K. Maresch, Bronze und Silber, cit., especially pp. 12-18, 58-67. 47 W. Clarysse, E. Lanciers, Currency and the Dating of Demotic and Greek Papyri, cit., pp. 117-132. 48 Ps.-Arist. Oeconomica 1347a8, 1349b27-33 = J. R. Melville Jones, Testimonia Numaria : Greek and Latin Texts concerning Ancient Greek Coinage, London, 1993, nos. 54, 538 ; Polyaen. Strat. 6.9.1. 49 H. Cadell, G. Le Rider, Prix du blé, cit.
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study. In all three cases the results confirmed a longterm increase in price levels during the second century, proceeding in stages but with differences from the periodizations proposed by Reekmans and Maresch. Alessandro Cavagna found that the second and first centuries experienced more-or-less long periods of price stability, from 197 to 184, from 162 to 129, and from 118 to the end of the dynasty, punctuated by successive inflations. 50 Thomas Faucher and Catharine Lorber described clusters of ever-higher prices in the years 200-195/184, 162-159, and 118-50, separated by gaps in the data. 51 Sitta von Reden’s list of wheat prices showed fairly stable price levels for the periods 195( ?)-193/87 and 118 - first century. 52 Cavagna’s periodization, in particular, correlates closely with the chronology proposed for Series 6, 7, and 8 of the Ptolemaic bronze coinage. However, we should also seriously consider the possibility that the evolution of commodity prices after 197 was not driven by changes to the bronze currency. As already suggested by the contrasting work of Heichelheim and Reekmans, direct monetary exchanges of bronze for precious metal coinage present a different pattern from commodity prices. The first anomalous exchange is of a silver stater for sixteen bronze drachms plus 5.5 obols allagê, recorded in upz i 149, l. 32 (reign of Ptolemy IV, perhaps 208-206). 53 Several commentators have related this abnormal exchange rate to the shortage of silver currency in Egypt. The transaction probably preceded the great demonetization of the bronze coinage, though there is a slight chance it was contemporary. The next securely dated exchanges of bronze for silver tetradrachms are from 161/0 and 159 (upz i 88, l. 13, and upz i 93, ll. 2-3). 54 It is surely no coincidence that these dates fall near the time when Alexandria finally resumed the regular production of silver currency. 55 The prices of
50 A. Cavagna, La crisi dello stato tolemaico, cit., pp. 169-195, especially 177-178. 51 T. Faucher, C. Lorber, Bronze Coinage of Ptolemaic Egypt in the Second Century, cit., pp. 52, 73. 52 S. von Reden, Money in Classical Antiquity, Cambridge, 2010, pp. 141-155, 200-203. Von Reden emphasizes the scarcity of actual market prices in the data and the possible biases that could be introduced by including penalties (epitima) and conversion rates. Her analysis attempts to factor in the changing value of silver in relation to bronze, according to the model of Maresch. This eliminates the appearance of longterm inflation and instead points to a price increase of about 25% in the last quarter of the third century followed by greater volatility of prices in the second and first centuries, but within stable parameters. 53 The date of 208-206 was proposed by H. Cadell, G. Le Rider, Prix du blé, cit., pp. 52-56. 54 bgu vii, 1532, now dated 193/2-188/7, yields an equivalence for the mnaieion of 7271 bronze drachms, 4 obols, implying a silver : bronze ratio of 72 : 1. This may perhaps represent a 60 : 1 ratio plus allagê. Since the mnaieion was equivalent to 25 tetradrachms, we might infer that the tetradrachm was valued at approximately 290 bronze drachms around 190 B.C. See F. Heichelheim, Wirtschaftliche Schwankungen, cit., pp. 12-13 ; T. Reekmans, Ptolemaic Copper Inflation, cit., p. 77 ; K. Maresch, Bronze und Silber, cit., pp. 100-104 ; H. Cadell, G. Le Rider, Prix du blé, cit., p. 62. 55 Alexandria began its production of dated tetradrachms in 155/4, but that coinage was preceded by an issue of unmarked and undated tetradrachms and didrachms ( J. N. Svoronos 1489, 1490). The unmarked issue was associated with the Sixth Syrian War by M. Amandry, Deux trésors hellénistiques découverts récemment à Claros et Tanis, « reg », 103 (1990), pp. xxi-xxii. It was tentatively dated c. 165-155 by J. Olivier, Archè et Chrèmata en Égypte au ii e siècle avant J.-C., cit. Olivier based his date on hoards and on comparisons with dated tetradrachms from Cyprus involving style, metal alloy, and diameters. He also noted a sharp increase in tetradrachm production on Cyprus from c. 165. In a forthcoming study of the Tanis hoard, to be published in A. R. Meadows, T. Faucher (edd.), Ptolemaic Hoards (« Egyptian Hoards », i), Olivier and Thomas Faucher cite stylistic affinities between the hoard coins ( J. N. Svoronos 1489) and the earliest dated Alexandrian tetradrachms.
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2050 and 2130 bronze drachms are among the highest recorded and are the highest with secure dates. 56 Another gap intervenes before the next securely dated documents, accounting registers from a royal bank or banks in the Herakleopolites belonging to the latter 140s and 130s, in which tetradrachms were purchased for amounts ranging from 1520 to 1620 bronze drachms and sold for amounts ranging from 1590 to 1640 bronze drachms, and mnaieia were purchased for amounts ranging from 37,500 to 37,900 bronze drachms and sold for amounts ranging from 38,100 to 38,300 bronze drachms. 57 The circumstances and figures give the strong impression that the official timê for the tetradrachm was c. 1600 bronze drachms and the official timê for the mnaieion was about 38,000 bronze drachms, reversing the overvaluation of gold that had developed in the third century. Thereafter the value of the silver tetradrachm fluctuated in relation to bronze, mostly between 1500 and 2000 bronze drachms, with no clear chronological trend. 58 In this history of direct monetary exchange, the availability of silver coinage and probably also official exchange rates appear more important than reforms of the bronze coinage. The greatest challenge remaining is to understand what happened to prices and monetary exchange under Ptolemy IV. Papyrologists will continue to debate the dates and significance of documents attesting noteworthy changes in the prices of commodities, elevated labor costs, irregularities in the exchange of bronze and silver, or possible reckoning according to the bronze standard. 59 Despite various hints of monetary change in the Greek documents, it was precisely in this period, in the years 219-201, that demotic marriage contracts stipulated the traditional value of the silver stater at 24 obols, using the formula tn tba 24 r kºd.t 2.t. 60 The lack of consistency in the documents, especially when viewed against the consistency of the bronze coinage before the great demonetization, lends credence to the suggestions of various scholars that the bronze standard may first have been introduced through private initiative and that individuals and banks may have responded to the problems of exchange with ad hoc solutions. 61
56 See K. Maresch, Bronze und Silber, cit., pp. 195-198. 57 K. Maresch, Ptolemäische Bankpapyri aus dem Herakleopolites (P.Herakl.Bank) : Papyri der Sammlungen in Heidelberg, Köln und Wien, Paderborn, 2012, especially pp. 72-74. 58 An average silver : bronze ratio of 440 : 1 was calculated by J. G. Milne, Currency of Egypt under the Ptolemies, cit., p. 206, and an average of 450 : 1 by A. Segrè, Ptolemaic Copper Inflation, cit., p. 174. For recent lists of such exchanges, see K. Maresch, Bronze und Silber, cit., pp. 195-198 (the list supplements actual conversions with values extrapolated from other kinds of records) ; F. Burkhalter, O. Picard, Le vocabulaire financier, cit., pp. 68-71. 59 See, for example, C. Fischer-Bovet, W. Clarysse, Silver and Bronze Standards and the Date of P.Heid. vi 383, « apf », 58 (2012), pp. 36-41. 60 R. H. Pierce, Notes on Obols and Agios in Demotic Papyri, « jea » 51 (1965), pp. 155-159 ; G. Gorre, Les monnaies lagides et les papyrus démotiques, cit., pp. 112-113. 61 T. Reekmans, Monetary History, cit., pp. 21-23 ; Id., Ptolemaic Copper Inflation, cit., p. 79 ; K. Maresch, Bronze und Silber, cit., pp. 4, 6, 21, 27, 70-74 ; S. von Reden, Money in Ptolemaic Egypt, cit., pp. 70-76. See especially sb xviii 14013 (222), a loan contract that defines that the value of the stater, with the alternative that it may be fixed by the banker at Crocodilopolis at the time of repayment, discussed by K. Maresch, pp. 70-88, and von Reden, pp. 73-74. I would like to thank Daniel Wolf for coins of fig. 1 and fig. 5c which come from his collection.
148
catharine lorber Tab. 1. Overview of Egyptian silver hoards
hoard
closure
Contents
kings represented
1. Demanhur, 1905 (igch 1664)
318/7
8000+ ar
Alexander III, Philip III Ptolemy as satrap (265 Attic wt.)
2. Egypt, 1893 (igch 1665)
318/7
44 ar
Alexander III Ptolemy as satrap (5 Attic wt.)
3. Egypt, 1912 (igch 1668)
c. 316–310
20 ar
Alexander III Ptolemy as satrap (1 Attic wt.)
4. Mit Ya-ish (igch 1666)
c. 315
200 ar
Alexander III Ptolemy as satrap (Attic wt.)
5. Egypt, 1974 (ch i, 41)
311
140+ ar
Alexander III, Philip III Ptolemy as satrap (11 + Attic wt.)
6. Lower Egypt, 1894 (igch 1669)
306
79+ ar
Alexander III, Philip III Ptolemy as satrap (15 Attic wt.)
7. Commerce, early 1986
306
16 ar
Philip III Ptolemy as satrap (15 Attic wt.)
8. Abu Hommos, 1919 (igch 1667)
c. 305
1000 ar
Alexander III, Philip III Ptolemy I (51 Attic, 7 reduced)
9. Phacous, 1956 (igch 1678), Pot A
c. 305
2040 ar
Alexander III, Philip III Ptolemy I (75 Attic, 4 reduced)
10. Demanhur, 1896 (igch 1671)
c. 300
2000 ar
Ptolemy I (reduced wt.)
11. Egypt, before 1936 (igch 1676)
c. 300–295
11+ ar
Ptolemy I (3 Attic wt., 8 reduced)
12. Kuft, 1874/5 (igch 1670)
c. 295
438+ ar
Alexander III, Philip III Ptolemy I (41 Attic wt., 45 reduced)
13. Egypt, c. 1912 (igch 1675)
c. 295
34 ar
Ptolemy I (reduced)
14. Toukh el Garmous, 1905 (igch 1679)
Soon after 294
Ptolemy I (reduced, portrait)
15. Delta, 1856 (igch 1684)
Soon after 294
Alexander III, Philip III Ptolemy I (Attic, reduced, portrait)
16. Egypt, uncertain date (ch v, 33)
After 294
93 ar
Ptolemy I (1 reduced, 92 portrait)
17. Phacous, 1956 (igch 1678), Pot B
c. 282
363 ar
Ptolemy I (portrait)
18. Egypt, before 1908 (igch 1677)
c. 282
491 ar
Ptolemy I (portrait)
19. Mit Rahineh (ch x, 447)
c. 282
101 ar
Ptolemy I (portrait)
20. Saqqâra, 1968 (igch 1681)
c. 270
28 ar
Ptolemy I (6) Ptolemy II (21)
21. Toukh el Garmous, 1905 (igch 1680)
261/0
160 av Ar
Ptolemy I Ptolemy II
22. Alexandria environs, 1908 (igch 1683)
254
4 ar
Ptolemy II
23. Nile Delta, before 1867
249/8
15+ ar
Ptolemy II
24. Zagazig, 1905 (igch 1689)
c. 246 ?
200 ar
Ptolemy II
25. Near Alexandria, 1844 (ch viii, 303)
244
5 av 136 ar
Ptolemy I (5) Ptolemy II (5 av, 130 ar) Ptolemy III (1)
the grand mutation: ptolemaic bronze currency hoard
closure
Contents
kings represented
26. Rüppell, East Delta, before 1822
241
13 ar
Ptolemy I (6) Ptolemy II (6) Ptolemy III (1)
27. Suez Canal, 1860 (igch 1693)
224 or earlier
1 av 2 ar
Ptolemy III (1 av, 2 ar)
28. Tell Nebesheh, 1886 (igch 1688)
224
25 ar
Ptolemy I (4) Ptolemy II (14) Ptolemy III (5)
29. Delta, 1922 (igch 1690)
c. 215
21 ar
Ptolemy II (1) Ptolemy III (2) Ptolemy IV (18)
30. Asyut, 1936 (igch 1702)
185/4
4+ ar
Ptolemy III (2) Ptolemy V (2)
31. Tanis, 1986
c. 170 ?
463ar
Ptolemy V (3) Ptolemy VI (460)
149
150
catharine lorber Tab. 2. Overview of Ptolemaic silver hoards from Syria and Phoenicia.
hoard
closure
contents
kings represented
1. Sfiré, 1932 (igch 1511)
321/0
84 ar
Alexander III, Philip III Ptolemy as satrap (3)
2. Byblus, 1931 (igch 1515)
c. 309–308
141 ar
Alexander III, Philip III Ptolemy as satrap (3)
3. Aleppo, 1893 (igch 1516)
c. 305
3000+ ar
Alexander III, Philip III Ptolemy as satrap (20)
4. Hebron area, 1999 (ch ix, 484)
280-270
25 ar
Ptolemy I (1) Yehud of Ptolemies I and II
5. Beirut commerce, 1987-1988
c. 260
14 ar
Ptolemy I (8) Ptolemy II (6)
6. Nuba, near Hebron, 1975 (ch ii, 69)
255/4
5 + ar
Ptolemy II
7. Seleucia-Pieria, 1932–39 (igch 1526)
c. 250
12 ar
Ptolemy I (2) Ptolemy II (6)
8. Hebron area, 1977 (ch iv, 40)
250/49
5+ ar
Ptolemy I (1) Ptolemy II (4)
9. Beth Shean, 1921-1923 (igch 1585)
c. 246
20+ ar
Ptolemy II
10. Saida, 1949 (igch 1586)
c. 245
39 ar
Ptolemy I (8) Ptolemy II (27) Ptolemy III (4)
11. Beqaa Valley, 1964
242/1
25 ar
Ptolemy I (13) Ptolemy II (10) Ptolemy III (2)
12. Iraq al-Amir, 1993 (ch x, 268)
c. 240
1100+ ar
Ptolemy I (84) Ptolemy II (928) Ptolemy III (118)
13. Khan el-Abde, 1938 (igch 1597), Lot A
c. 215
66 ar
Ptolemy I (4) Ptolemy II (30) Ptolemy III (6) Ptolemy IV (24)
14. Hebron area, 1991 (ch viii, 304)
c. 215
115 ar
Ptolemy I (26) Ptolemy II (75) Ptolemy III (9) Ptolemy IV (5)
15. Tel Michal, 1977 (ch ix, 498)
213 or later
47 ar
Ptolemy I (10) Ptolemy II (28) Ptolemy III (7) Ptolemy IV (2)
16. Lebanon, 1983 (ch viii, 332)
c. 210
8 ar
Ptolemy I (1) Ptolemy II (4) Ptolemy IV (3)
17. Damour, 1949 (igch 1549)
After 204
4 ar
Ptolemy IV (3) Ptolemy V (1)
198
1000+ ar
Ptolemy I (286) Ptolemy II (369) Ptolemy III (19) Ptolemy IV (26) Ptolemy V (146)
18. Syria, 1981 (ch viii, 339), including Phoenicia (ch viii, 306) = Aradus( ?), before 1981 (ch viii, 311)
the grand mutation: ptolemaic bronze currency
151
Tab. 3. Overview of Ptolemaic silver hoards, after c. 170-30 b.c. hoard
closure
Contents
kings represented
31. Tanis, 1986
c. 170 ?
463ar
Ptolemy V (3) Ptolemy VI (460)
32. Keneh, 1923 (igch 1708)
145/4
45+ av 200 ar
Ptolemy VI (c. 240) Ptolemy VIII (4)
33. Tell Nebesheh, 1886 (igch 1709)
131/0
11 ar
Ptolemy VI (2) Ptolemy VIII (9)
34. Denderah, 1918 (recorded by J. Olivier in the Museum of Egyptian Antiquities, Cairo)
105/4
3 ar
Ptolemy IX (1) Cleopatra III & Ptolemy X (2)
35. Avenue of the Sphinxes, Karnak, 1972‒1974 (ch iii, 64) (supplemented by J. Olivier)
105/4
16 ar
Ptolemy IX (5+) Cleopatra III & Ptolemy X (8+)
36. Mit Rahineh, 1919 (igch 1714) (supplemented by J. Olivier)
95/4
36 ar 1 ae
Ptolemy IX (8) Cleopatra III & Ptolemy X (3) Ptolemy X (23) Cleopatra VII (intrusive)
37. Zawiat Razim, 1923 (igch 1712)
94/3
251 ar
Ptolemy VIII Ptolemy IX Cleopatra III & Ptolemy X (4) Ptolemy IX (11)
38. Delta (Sharnûb), 1964 (igch 1713 = ch ix, 696)
91/0
56 ar
Ptolemy VI (6) Ptolemy IX (5) Cleopatra III & Ptolemy X (11) Ptolemy X (37)
39. Memphis, 1915 (igch 1715)
59/8
13 ar
Ptolemy XII (13)
40. Tebtunis, 1900 (igch 1711)
58/7
140 ar
Ptolemy IX (5) Cleopatra III & Ptolemy X (2) Ptolemy X (1) Ptolemy XII (132)
41. Tanis, 1932 (recorded by T. Faucher)
53/2
109+ ar
Ptolemy IX (3-5) Ptolemy X (3) Ptolemy XII (103)
42. Egypt (Delta), 1897 (igch 1721 = ch 697)
mid-first cent.
51 ar
Ptolemy XII or Cleopatra VII (8)
43. Kom Truga, 1932 (igch 1719 = ch ix, 464) (corrected according to the critique of J. Olivier)
52/1
59 ar
Ptolemy XII (54) Cleopatra VII (5)
44. Egypt, before 1967 (igch 1722 = ch ix, 698)
48/7
169 ar
Ptolemy II (1) Ptolemy IX (2) Ptolemy X (1) Ptolemy XII (158) Cleopatra VII (7)
45. Egypt, 1970s (ch ix, 699)
33/2
32 ar
Cleopatra VII (32)
46. Egypt, 1908 (igch 1723)
31/0
400 ar
Ptolemy XII (3) Cleopatra VII (94)
47. Tanis, 1912 (igch 1724)
31/0
47 ar
Cleopatra VII (47)
48. Achoris Chapel, Karnak, 1970-1971 (ch x, 463)
31/0
61 ar
Cleopatra VII (61)
49. Alexandria, 1904 ? (igch 1725)
c. 30
900 ar
Ptolemy XII, Cleopatra VII
152
catharine lorber Tab. 4. Overview of Egyptian bronze hoards.
hoard
closure
contents
value
kings represented
1. Mirgissa, Sudan (igch 1685)
c. 270
36 Æ
11 dr, 3 ob
Ptolemy I (23) Ptolemy II (8)
2. Naucratis, before 1980
c. 250 ?
5Æ
1 dr, 3 ob, 1 ch
Ptolemy II (5)
3. Elephantine (ch ix, 687)
c. 240
679 Æ
576 dr, 3½ ob
Ptolemy II (640) Ptolemy III (39)
4. Tuna el-Gebel (ch x, 448)
c. 235
139 Æ
58 dr, 4½ ob
Ptolemy II (73) Ptolemy III (65)
5. Commerce, 1992 (ch x, 455), Lot A
c. 235–230
41 Æ
22 dr, ½ ob
Ptolemy II (3) Ptolemy III (38)
6. Saqqâra (Anubieion) (ch viii, 310)
c. 235–230
456 Æ
185 dr, 1 ob
Ptolemy II (16) Ptolemy III (310)
7. Alexandria, 1966 (ch ix, 691)
Probably 204
34 Æ
?
Private coinage ?
8. Lower Egypt (igch 1691)
Before 10 Nov. 205
69 Æ
70 dr, 4 ob
Ptolemy II (7) Ptolemy III (32) Ptolemy IV (30)
9. Xois (Tell Sakha) (ch ix, 688)
Before 10 Nov. 205
123 Æ
10. Getty Museum (ch x, 449)
Before 10 Nov. 205
136+ Æ
11. Auckland Museum (ch viii, 352)
Before 10 Nov. 205
6+ Æ
12. Egypt (igch 1696)
Before 10 Nov. 205
58 Æ
34 dr, 2 ob
Ptolemy III (20) Ptolemy IV (26)
13. Egypt (igch 1697)
Before 10 Nov. 205
49 Æ
27 dr, 4 ob
Ptolemy III (17) Ptolemy IV (21)
14. Egypt (igch 1698)
Before 10 Nov. 205
121 Æ
64 dr, 2 ob
Ptolemy III (47) Ptolemy IV (36)
15. Egypt (ch ix, 686)
Before 10 Nov. 205
49 Æ
40 dr, 2 ob
Ptolemy III (18) Ptolemy IV (29)
16. Nag Hammadi (ch x, 453)
Before 10 Nov. 205
80 Æ
56 dr, 1 ob
Ptolemy III (66) Ptolemy IV (14)
17. Nektanebo Wall, Karnak (ch x, 451-2)
Before 10 Nov. 205
687 Æ
18. Thebes (Ramesseum) (igch 1699)
Before 10 Nov. 205
68 Æ
19. Birabi (Luxor) (ch x, 450)
Before 10 Nov. 205
47 Æ
Ptolemy III Ptolemy IV
20. Luxor (Birabi) (igch 1700)
Before 10 Nov. 205
157 Æ
Ptolemy III Ptolemy IV
21. North Bubastid Door, Karnak Temple (ch x, 454)
Before 10 Nov. 205
12 Æ
Ptolemy IV, countermarked
Ptolemy II (3) Ptolemy III (12) Ptolemy IV (108) 111 dr, 4½ ob
Ptolemy III (66) Ptolemy IV (68) Ptolemy III Ptolemy IV
Ptolemy II Ptolemy III Ptolemy IV 53 dr, 1 ob
Ptolemy III (29) Ptolemy IV (37)
the grand mutation: ptolemaic bronze currency value
153
hoard
closure
contents
kings represented
22. Commerce, 1992 (ch viii, 413 = ch x, 455), Lot B
After 197
123+ Æ
Ptolemy IV (21), c/ marked Ptolemy V (101-102)
23. Saqqâra (Sacred Animal Necropolis) (ch x, 692)
c. 170
75 Æ
Ptolemy V (67) Ptolemy VI (8)
154
catharine lorber Tab. 5. Weight reductions in series 6.
the grand mutation: ptolemaic bronze currency
155
Tab. 6. Order of obverse types of series 6.62 6A
6B
6C
6D
6E
Zeus-Ammon Sv. 1423 var.
Zeus-Ammon Sv. 1423
Zeus-Ammon Sv. 1424A
Zeus-Ammon Sv. 1375
Zeus-Ammon Herakleion hoard 1‒4
Isis Sv. 1491
Isis Sv. 1233
Isis Sv. 1324
Heracles Sv. 1497, 1492
Heracles Sv. 1494
Alexandria ? Sv. 1493
Alexandria ? Sv. 1495
Alexandria ? Sv. 1236
Zeus-Ammon Sv. 1173
Zeus-Ammon Necropolis hoard F, 131-134
Isis Sv. 1154 Heracles Sv. 1496
Heracles Sv. 1376
Ares Sv. 1155
Zeus-Ammon Sv. 1377 Nilus Sv. 1378
Isis Sv. 1238
Ares Sv. 1379
Ares Sv. 1156
Athena Sv. 1195
62 � For the derivation of this table, which is based largely on hoard evidence, see Faucher, Lorber, Bronze Coinage of Ptolemaic Egypt in the Second Century b.c., cit.
156
catharine lorber
Fig. 1.
Fig. 2a.
Fig. 2b.
Fig. 2c.
Fig. 3.
the grand mutation: ptolemaic bronze currency
Fig. 4.
Fig. 5a.
Fig. 5b.
Fig. 5c.
157
AUTOUR DU PAPYRUS DIT DE CLéoPâTRE : LES PROSTAGMATA LAGIDES ET LES INTERACTIONS ROMANO-éGYPTIENNES
Bernard Legras
N
otre réflexion a pour objet de restituer dans le contexte historique des relations entre Rome en l’Égypte deux documents exceptionnels. Le premier est une inscription bilingue en grec/latin, un décret d’asylie, datable du règne de Cléopâtre VII et de Césarion et connue depuis le dernier tiers du xix e siècle, K. Rigsby, Asylia n° 228 ; le second est le papyrus dit de Cléopâtre, P. Bingen 45, daté du 23 février 33 av. n.è., publié en 2000, qui est très certainement un prostagma royal accordant des privilèges économiques à un Romain, soit Publius Canidius Crassus soit Quintus Cascellius. Notre souci sera d’analyser dans un premier temps les caractères du lien entre Rome et l’Égypte révélés par ces deux documents, puis d’élargir l’enquête à deux autres aspects de la problématique des interactions romano-égyptiennes : les incompréhensions romaines de l’Égypte, et la connaissance qu’un grand intellectuel, témoin et acteur de son temps pouvait avoir du monde égyptien, Cicéron. Cette enquête s’insère dans le cadre de recherches sur les transferts culturels dans le cadre du monde hellénistique, 1 en particulier sur la problématique des éventuelles influences hellénistiques, singulièrement ptolémaïques sur le système impérial romain.
1. Du rôle et de la place de Rome dans les prostagmata de Cléopâtre VII
1. 1. L’impact des garnisons romaines L’inscription bilingue K. Rigsby, Asylia n° 228 conservant un décret d’asylie pour une synagogue occupe « une place particulière dans notre documentation épigraphique de Basse-Égypte » comme le faisait déjà remarquer Jean Bingen. 2 Gravée sur une stèle d’albâtre, acquise au Caire au xix e siècle, conservée au Bode Museum (Staatliche Museen zu Berlin), publiée en 1875, 3 elle reste d’origine inconnue. Une origine de Basse-Égypte reste la plus plausible. 4 La lecture de l’inscription est bien établie :
1 Cf. J. Ch. Couvenhes, B. Legras (éds.), Transferts culturels et politique dans le monde hellénistique (Paris, 7 février 2004), Paris, 2006 ; B. Legras, Rome et l’Égypte : les transferts de droit familial d’Auguste à Caracalla, dans S. Bussi, D. Foraboschi (éds.), Roma e l’eredità ellenistica (Milan, Università degli Studi, 14-16 janvier 2009), « Studi ellenistici », xxii (2010), pp. 183-192 ; B. Legras (éd.), Transferts culturels et droits dans le monde grec et hellénistique (Reims, 14-17 mai 2008), Paris, 2012. 2 J. Bingen, L’asylie pour une synagogue. cil iii Suppl. 6583= cii 1449, dans J. Quaegebeur (éd.) Studia Paulo Naster Oblata. ii. Orientalia Antiqua, Leuven, 1982, p. 11. 3 E. Miller, « ra », 10 (1875), p. 111. 4 J. Bingen, L’asylie pour une synagogue, cit., p. 16.
160
bernard legras
(Grec) Par ordre de la reine et du roi (Basilivssh~ kai; basilevw~ prostaxavntwn), en remplacement de la stèle précédente portant dédicace de la maison de la prière (= synagogue), que soit écrit ce qui suit : “Le roi Ptolémée Evergète (déclare) la maison de la prière lieu d’asile (a[sulon)”. (Latin) La reine et le roi ont donné ordre (regina et rex iusser(unt).
La question de l’identité du roi et de la reine ne fait plus de doute aujourd’hui. L’identification avec la reine Zénobie de Palmyre et son fils Vaballath et la datation en 270-272 de n.è. proposées par Theodor Mommsen dès 1881, 5 puis par Ulrich Wilcken (W. Chr. 54) et d’autres savants, 6 doivent être abandonnées pour des raisons paléographiques. 7 Une paléographie d’époque ptolémaïque tardive et le fait que seuls Cléopâtre VII et Césarion soient désignés « comme reine et roi » dans les acta de la chancellerie ptolémaïque désignent sans conteste la dernière reine lagide et son fils Césarion comme les auteurs du prostagma. 8 Cette lex sacra a été concédée à une synagogue par un roi Evergète. 9 Rien ne permet de trancher définitivement entre Ptolémée III et Ptolémée VIII, mais l’attribution du décret à Evergète II est plus probable en raison de la rareté des décrets d’asylie au iiie siècle av. n.è. Le bilinguisme du décret permet de comprendre le contexte de sa promulgation. Il s’explique par la présence sur le territoire égyptien des troupes romaines d’Antoine. Il s’agissait à la fois de protéger cet espace sacré contre d’éventuelles débordements de soldats mal disciplinés, mais aussi par le fait que les Juifs se réunissant dans cette synagogue ont pu voir dans cette armée « le seul vrai garant » de cette asylie. 10 Leur rôle devait donc être double, respecter l’inviolabilité du lieu, mais aussi le faire respecter. 11 L’armée romaine apparaît donc avant même la conquête augustéenne comme garante de l’ordre et de la sécurité en assurant dans un espace, qui avoisine peut-être un camp romain, une pax Romana.
1. 2. Les intérêts économiques romains
La publication du P. Bingen 45 en 1980 par Panagiota Sarischouli a fait connaître le dernier décret ptolémaïque. Ce papyrus d’Abousir el-Melek, conservé dans la Papyrussammlung des Musées d’État de Berlin (Staatliche Museen zu Berlin), est daté du 12 février 33, soit trois ans avant la mort de la reine le 12 août 30 av. n.è. Cette publication a immédiatement déclenché un intense débat scientifique sur la nature de ce document et sur l’éventuelle ‘signature’ manuscrite de la reine 5
Th. Mommsen, « EphEp. », 4 (1881), pp. 25-26. Cf. aussi cil iii Suppl. 6583. Le document ne figure ainsi pas dans le Corpus des Ordonnances des Ptolémées (C. Ord. Ptol.2) de Marie-Thérèse Lenger. 7 J. Bingen, L’asylie pour une synagogue, cit., p. 15. 8 Cf. K. J. Rigsby, Asylia. Territorial Inviolability in the Hellenistic World, Berkeley, Los Angeles, Londres, 1996, p. 576. 9 Sur ce décret et les Juifs d’Égypte cf. la bibliographie réunie par W. Horbury, D. Noy, Jewish Inscriptions of Graeco-Roman Egypt, Cambridge, 1992, n° 228, pp. 212-213. 10 J. Bingen, L’asylie pour une synagogue, cit., p. 16. 11 Sur l’asylie dans l’Égypte ptolémaïque, cf. B. Legras, Les reclus grecs du Sarapieion de Memphis. Une enquête sur l’hellénisme égyptien (« Studia hellenistica », 49), Leuven, 2011, en particulier pp. 101-189.
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dans la souscription. Les arguments déployés par Peter van Minnen, qui republie le texte avec des propositions de corrections, identifiant ce document comme une ordonnance royale nous paraissent infiniment plus convaincant que ceux de l’éditrice proposant l’hypothèse d’une synchôrèsis alexandrine, ou celle de Klaus Zimmermann proposant celle d’une lettre royale à Césarion. 12 L’éventuelle main de la reine inscrite sur le papyrus reste une hypothèse qui reste à prouver, l’énigmatique ginnevsqwi (‘Que ce soit fait’) de la dernière ligne du texte (deuxième main) pouvant plus certainement être celle d’un haut fonctionnaire alexandrin. Nous donnons ici une traduction fondée sur la nouvelle édition du papyrus par Peter van Minnen : 13
[Note du bureau] Recu, an 19=4, le 26 Mécheir [Destinataire] A […] [Texte de l’ordonnance] Nous avons accordé à Publius Canidius et à ses héritiers l’exportation annuelle de 10000 artabes de blé et l’importation annuelle de 5000 amphores de vin de Kos, sans que quiconque n’exige quoi que ce soit de taxe ou toute autre dépense de quelque sorte que ce soit. Nous avons aussi accordé l’exemption de taxe sur toute la terre qu’il possède en Égypte, étant entendu qu’il ne paiera pas de taxe ni au compte de l’État ni à notre compte spécial (ou[te eij~ to;n i[dion hJmw`n ka[i; tekn]w`n lovgon) ni à celui d’autres, à tous égards à perpétuité. Nous avons aussi accordé que tous ses fermiers soient exemptés des obligations personnelles et des taxes sans que quiconque n’exige quelque chose d’eux, pas même de contribuer aux impositions occasionnelles dans les nomes ou de payer pour les dépenses des soldats et des officiers. Nous avons aussi accordé que les animaux utilisés pour les labours et les semailles, aussi bien que les bêtes de somme et les bateaux utilisés pour le transport de blé, soient de même exemptés des obligations personnelles et des taxes et ne puissent être réquisitionnés. Que ceci soit écrit à ceux qui sont concernés de sorte que, le connaissant, ils puissent agir en conséquence. [Souscription] ‘Que ce soit fait’.
Le bénéficiaire est un Romain dont le nom partiellement lacunaire est, selon P. van Minnen, Publius Canidius Crassus et, selon Kl. Zimmermann, Quintus Cascellius. Il s’agit dans les deux cas de Romains de premier plan liés à l’Égypte. P. Canidius Crassus, légat en Gaule en 43, consul suffect en 40, est l’un des soutiens d’Antoine, d’où sa présence en Égypte. Q. Cascellius appartient à la gens Cascellia qui possède des terres dans la vallée du Nil. 14 Le grand intérêt de ce prostagma est de faire apparaître clairement la connaissance du système économique ptolémaïque qu’il apporte au bénéficiaire de ces privilèges fiscaux. Il renseigne sur certains points forts du commerce alexandrin, l’exportation de blé (ici env. 300 tonnes) et l’importation de vin grec de qualité (ici env. 1300 litres). Mais le plus intéressant
12 P. Sarischouli, 45. sugcwrhsis -Vertrag, dans H. Melaerts (éd.), Papyri in honorem Johannis Bingen octogenarii (P. Bingen), Leuven, 2000, pp. 214-222 ; P. Van Minnen, An Official Act of Cleopatra (with a Subscription in her own Hand), « AncSoc. », 30 (2000), pp. 29-34 ; Id., De papyrus van Berlijn, « Kleio », 30 (2000-2001), pp. 9293 ; Id., Further Thoughts on the Cleopatra Papyrus, « apf », 47 (2001), p. 74-80 ; Kl. Zimmermann, P. Bingen 45 : eine Steuerbefreiung für Q. Cascellius, adressiert an Kaisarion, « zpe », 138 (2002), pp. 133-139. Nous renvoyons le lecteur à la démonstration de Van Minnen. Sur l’hypothèse de Zimmermann, voir ci-dessous note 15. 13 P. Van Minnen, An Official Act of Cleopatra, cit., p. 32. 14 Les arguments paléographiques mis en avant par Zimmermann semblent convaincants.
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est sans doute le catalogue des privilèges fiscaux sur les terres, les animaux utilisés pour les travaux agricoles et les navires utilisés pour le transport du blé. Il renseigne également sur les différentes caisses ptolémaïques (comptes de l’État et compte privé, l’idios logos) 15 et sur le poids des prélèvements pour l’entretien de l’armée. Il apporte la preuve que des Romains de l’élite connaissaient le cadre du système fiscal d’exploitation des richesses agricoles du pays, non seulement par le récit de voyageurs, de géographes ou d’historiens, mais par leur intégration directe dans l’économie du pays. Ce type de document formait donc une source directe d’information par la pratique de l’économie du pays avant même la conquête augustéenne.
2. Des incompréhensions romaines de l’Égypte
2. 1. Les Romains en Égypte Il ne saurait être question dans le cadre limité de cette étude de présenter la prosopographie de tous les Romains connus durant l’époque tardo-lagide, 16 ni de présenter une étude exhaustive de la présence romaine sous les deux derniers Ptolémées, ce qui nous entrainerait à écrire une histoire politique d’un royaume entré dans la sphère d’influence et de conquête de Rome, de Pompée à César, d’Antoine à Octave. Il faudrait aussi penser aux habitants du royaume présents à Rome ou en Italie qui participent aussi de l’expérience et de la connaissance romaine du pays nilotique. Les Romains présents en Égypte durant le règne des deux derniers Ptolémées appartiennent de fait à des catégories très différentes. Les diplomates romains en visite à Alexandrie pouvaient en profiter pour visiter le pays. C’est le cas en 112 av. n.è. pour le sénateur Lucius Memmius dont le voyage ‘touristique’ est connu par le P. Tebt. i 33, l. 3 (= W. Chr. 3), une circulaire envoyé par un haut fonctionnaire alexandrin aux autorités du nome Arsinoïte, le Fayoum, pour qu’elles lui préparent une réception digne de l’illustre visiteur. Les autorités locales sont incitées à lui montrer le Labyrinthe et les crocodiles sacrés. Mais la grande période du tourisme romain date en fait de l’époque romaine en Égypte. 17 L’existence d’une communauté italienne à Alexandrie avant la conquête reste problématique. 18 Elle est cependant probable dans cet emporion que Strabon
15 Sur la gestion de l’idios logos, cf. les propositions de Kl. Zimmermann, P. Bingen 45, cit., pp. 135-137 qui restitue la ligne 8 en lisant « étant entendu qu’il ne paiera de taxes ni à notre compte ni au vôtre = Césarion » (ou[te eij~ to;n i[dion hJmw`n ka[i; uJ]mw` lovgon) ». Cette mention de gestion du compte privé royal par les deux co-régents, et l’adresse à Césarion, sont le fondement de l’hypothèse postulant dans ce document une lettre de la reine à son fils alors âgé de 14 ans. Le nom du destinataire serait alors [Ptolemaiv]wi. Nous sommes réservés quant à l’idée d’une lettre de la reine au roi prenant la forme d’un prostagma. 16 Cs. A. La’da, Foreign Ethnics in Hellenistic Egypt (« Studia hellenistica », 38), Leuven-Paris-Dudley, Ma, 2002 : ÔRwmai`o~ : n° e 2376-2382 (pp. 278-279). Sur la présence des égyptiens à Rome durant l’époque impériale, cf. C. Ricci, Egiziani a Roma nelle fonti epigrafiche di età imperiale, « Aegyptus », 7 (1993), pp. 71-91. 17 Sur le tourisme en Égypte : J. G. Milne, Greek and Roman Tourists in Egypt, « jea », 3 (1916), pp. 76-80 et N. Hohlwein, Déplacements et tourisme dans l’Égypte romaine, « ce », 15 (1940), pp. 253-278. 18 Cf. M. Malaise, Les conditions de pénétration et de diffusion des cultes égyptiens en Italie (« epro », 22), Leyde, 1972, pp. 319-320.
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(17, 1, 13) définit comme « le plus grand de l’oecoumène ». Les noms latins que l’on voit apparaître dans les papyrus peuvent en fait concerner des negotiatores de passage, des soldats ou des vétérans. 19 Il est frappant de constater que dans sa défense de Rabirius Postumus Cicéron ne mentionne pas un seul negotiator d’Alexandrie. Dans la Guerre d’Alexandrie du pseudo-César les negotiatores sont totalement absents. Il semble qu’on avance sur un terrain plus assuré dans les domaines religieux et culturels. Le 28 mars de l’an 32 av. n.è., le commandant Caius Iulius Papius accompagné de son fils, d’amis et de huit centurions, consacre un proscynème à Isis dans le temple de Philae (I. Philae 63). 20 Selon Michel Malaise, des esclaves originaires d’Égypte auraient été ramenés par des voyageurs illustres après un séjour dans le pays, ce qui aurait contribué à la diffusion des cultes isiaques. 21 Rabirius Postumus serait revenu à Rome avec Hermodorus, un affranchi, dont la fille était prêtresse d’Isis. 22 Cicéron avait un esclave, qu’il jugeait cultivé, nommé Aegypta. Son entourage compte aussi un Isidorus et un Sérapion, qui ne sont cependant pas obligatoirement des Égyptiens adeptes de cultes isiaques. 23 Il mentionne également les multi eunnuchi ex Aegypto. 24 Des médecins égyptiens s‘établirent probablement à Rome quand César leur fit donner la civitas romana pout les attirer dans la Ville. 25 Des artistes et des devins s’y établirent aussi. Marc Antoine est suivi en Italie, après sa réconciliation avec César, de son astrologue égyptien. 26 S’il est délicat de dresser à partir de ces éléments épars un tableau synthétique et précis des apports de l’Égypte à Rome, il n’en faut pas moins souligner deux points : 1/ les méconnaissances, les malentendus de Romains en contact avec le monde égyptien hellénistique ; 2/ les interprétations contrastées que donnent les Modernes des apports de l’Égypte dans les interactions avec Rome.
2. 2. Les malentendus sur l’Égypte
Pour le premier point, nous retiendrons deux exemples bien connus. Le premier exemple emblématique et en quelque sorte fondateur est l’ambassade romaine dirigée par Scipion l’Africain Emilien, qui rend visite, en 140/139 à Ptolémée VIII Evergète II. Les sources soulignent de manière très vive l’opposition entre la frugalité, la sobriété et la virilité des Romains, et le comportement corrompu, extra19 Sur les lacunes de la documentation papyrologique concernant Alexandrie cf. A. Lukaszewicz, Les activités commerciales et artisanales dans Alexandrie romaine à la lumière des papyrus, dans J.-Y. Empereur (éd.) Commerce et artisanat dans l’Alexandrie hellénistique et romaine, Actes du colloque d’Athènes, 11-12 décembre 1988 (« Suppl. bch », 33), Athènes-Paris, 1998, pp. 107-113. 20 L’incertitude règne sur l’identité familiale de Caius Iulius Papius, dans lequel Letronne voulait voir le fils de Caius Papius, tribun de la plèbe, auteur de la Lex Papia. Son titre d’ e[parco~ fait aussi débat : André Bernand, I. Philae, p. 337 juge « hasardeux » de voir en lui le préfet d’une légion d’Antoine, car il pourrait « tout aussi bien laisse penser que le personnage était préfet de cohorte ou préfet d’une aile de cavalerie ». 21 M. Malaise, Les conditions de pénétration et de diffusion des cultes égyptiens en Italie, cit., pp. 317-318. 22 cil vi 2246 = ils 4404. Cf. H. Dessau, Gaius Rabirius Postumus, « Hermes. Zeitschrift für classische Philologie », 46 (1911), p. 618. 23 Aegypta apud Cic., Fam. 16, 15, 1-2 ; Att. 8, 15, 1 ; 12, 37, 1 ; 13, 3, 2 ; Isidorus apud Cic., Att. 11 4a et 4 ; Séra25 Suet., Caes. 39, 1. pion apud Cic., Att. 10, 17, 1. 24 Cic., Orat. 70, 232. 26 Plut., Ant. 33, 2.
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verti et efféminé d’Evergète II. 27 Les trois sources principales, Diodore (33, 28a, 1-2), Athénée (12, 549a) et Justin (38, 8, 8-11) insistent exclusivement sur les traits négatifs du comportement royal : le roi s’affiche dans un costume transparent ( Justin : perlucida vestis), il montre ostensiblement ses richesses (Diodore : basilikh; gavza). La représentation qui est offerte au lecteur est celle d’un luxe méprisable (Diodore : polutevleia), corrupteur de l’âme et du corps ; la truphè (Athénée) dévaste le corps du roi dont le ventre est énorme. Mais ces sources partiales, car hostiles à Evergète, ne doivent pas faire oublier que ce roi est un ami des Romains, qui cherche à leur plaire par tous les moyens, et que son intention n’était en aucun cas de leur paraître pitoyable, risible ou ridicule. Il aura voulu séduire les ambassadeurs par la majesté des insignes du pouvoir et la mise en scène de la richesse du royaume. Ce faux-pas diplomatique repose donc sur un malentendu. Il y a eu en fait un décalage entre le regard des Romains pénétrés du vertueux mos maiorum et les traditions royales hellénistiques qui valorisent la truphè. Le second exemple concerne les conséquences désastreuses du meurtre d’un chat sacré par un visiteur romain, à une date que l’on peut fixer au début de la 180e olympiade, en 60/59 quand Ptolémée XII Aulète n’a pas encore été reconnu officiellement par le sénat romain comme souverain légitime. Cette reconnaissance qu’il attendait depuis 80 n’a en effet été acquise qu’en 59 à la suite des efforts (largement rémunérés) de César et de Pompée. Diodore (1, 83, 8-9) rapporte en effet que le coupable fut mis à mort : « la foule (égyptienne) se précipita vers la demeure du coupable et ni les magistrats envoyés par le roi pour le protéger ni la peur inspirée par Rome n’eurent assez de force pour empêcher le châtiment de l’homme, bien que son acte ait été involontaire ». Cette mise à mort est conforme à ce que disent d’autres sources gréco-romaines (Hérodote 2, 65 ; Cicéron, Tusculanes disp. 5, 27), mais aussi les sources démotiques en particulier le Manuel de droit égyptien de Berlin provenant sans doute d’Akhmin et datable d’après 245 av. n.è., P. Berlin p 23757 recto, colonne 2, lignes 25-28. 28 La peine prévue pour celui qui maltraite un animal sacré est la ‘prison’. On imagine que ce voyageur romain était totalement ignorant en droit égyptien, et qu’il ne mesurait pas le châtiment infligé envers les meurtriers d’animaux sacrés comme les chats ou les ibis.
2. 3. Les interprétations divergentes des Modernes Pour illustrer par un seul exemple la question de l’interaction Alexandrie-Rome, je m’en tiendrai à la question de la personnalité et de la dimension religieuse de Marc Antoine. La doctrine dominante est résumée par Heinz Heinen qui voit dans l’ultime guerre civile de la république l’affrontement de deux idéologies ennemies : d’une part une conception hellénistique et orientale représentée par Marc Antoine, le Nouvel Osiris-Dionysos et par Cléopâtre, la Nouvelle Isis
27 Cf. l’analyse de H. Heinen, Aspects et problèmes de la monarchie ptolémaïque, « Ktema », 3 (1978), pp. 188-192. 28 S. L. Lippert, Ein demotisches juristisches Lehrbuch. Untersuchungen zu Papyrus Berlin P 23757 rto (« Ägyptologische Abhandlungen », 66), Wiesbaden, 2004, pp. 23-24.
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Aphrodite, et d’autre part le programme d’Octavien-Auguste, qui se voulut le défenseur des traditions romaines et qui opposa à la tryphè dionysiaque la ferme clarté d’Apollon. 29
C’est dans ce contexte d’adoption d’une personnalité royale orientale qu’il aurait été pharaonisé, comme en fait l’hypothèse le même H. Heinen à propos d’une statue du Caire (Musée égyptien Inv. 13/3 15/3). 30 La question a été reprise lors d’un colloque lyonnais sur Marc Antoine en 1990. Pascal Arnaud tente de monter à l’inverse sa fidélité à la vieille idéologie républicaine. 31 Il en donne deux exemples : 1/ Le triomphe célébré à Alexandrie en 34 est bien un triomphe romain : Antoine et Cléopâtre sont assis sur un trône d’or, leurs deux enfant à leurs pieds, recevant la soumission du monde vaincu ; mais Cléopâtre n’est pas représenté en Théa Néôtera Isis, mais en Junon-reine. Le couple représenté est donc celui du Capitole, Jupiter et Junon, 2/ Les noms de leur deux jumeaux Alexandre-Hélios et Cléopâtre-Sélène ne sont que la transcription grecque de leurs véritables cognomina qui sont romains, Sol et Luna. Et P. Arnaud de conclure
Marc Antoine (…) à tout prendre ne semble ni plus, ni moins orientalisé que Pompée ou qu’Octave. Le portrait qui nous est parvenu de Marc Antoine est le fruit d’une propagande hostile que résume bien le discours que Dion Cassius emprunte à Dellius et prête à Octave. Il importait de faire d’Antoine, devenu le guide de l’Orient ligué contre l’Occident romain un transfuge de la romanité. 32
3. Le regard de Cicéron sur les institutions de l’Égypte
3. 1. Cicéron et l’Égypte de Ptolémée XII Notre point de départ est une lettre de la première moitié d’avril 59 (Att. 2, 5). Cicéron y exprime son désir de visiter « Alexandrie et le reste de l’Égypte » (Alexandriam reliquamque Aegyptum), en usant d’une intéressante expression qui le place parmi ceux qui estiment qu’Alexandrie est « en Égypte » (in Aegypto) et non « à côté de l’Égypte » (ad Aegyptum). Cette envie est liée à l’espoir de voir aboutir sa nomination comme ambassadeur des triumvirs. Cette ambassade aurait pour but de faire reconnaître les droits au trône Égypte de Ptolémée XII qui venait d’être acceptés par César et Pompée comme « ami et allié du peuple romain » contre la somme de 6000 talents. Mais il n’explicite pas cette envie d’Égypte. Il écrit vouloir renoncer à toute ambition politique : « Faible caractère que le mien, n’est-ce pas ? Mais que m’importe cette ambition, quand je désire renoncer à toutes et me consacrer entièrement, de toute mon âme, à la philosophie (filosofei`n) ? Oui, tel est mon dessein ; que ne l’ai-je formé dès le début ! ». Cicéron donne plutôt l’impression de vouloir faire un voyage d’études ; on peut l’imaginer désireux de profiter des ressources de la Bibliothèque du Musée d’Alexandrie, de discussions avec les savants du Musée, et de la découverte culturelle, ‘touristique’ de ce pays
29 H. Heinen, Aspects et problèmes de la monarchie ptolémaïque, cit., p. 192. 30 H. Heinen, Aspects et problèmes de la monarchie ptolémaïque, cit., p. 194, fig. 10. 31 P. Arnaud, Alexandre-Hèlios et Cléopâtre-Sélènè. Origine et postérité romaines d’un couple cosmique. Marc Antoine, son idéologie et sa descendance (Lyon, 28 juin 1990), Lyon-Paris, 1993, pp. 127-141. 32 P. Arnaud, Alexandre-Hèlios et Cléopâtre-Sélènè, cit., p. 140
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multiculturel doté d’une civilisation multimillénaire. Quel regard porte-t’il sur l’Égypte à cette occasion ? La réponse pourrait se trouver dans une lettre à Atticus postérieure de 15 jours, puisqu’elle a été écrite entre le 2 et le 5 mai 59 (Att. 2, 17) où il donne deux surnoms ‘orientaux’ à Pompée, Sampsiceramus, et Arabarches. Le premier est clairement compréhensible. Il s’agit d’un sobriquet méprisant assimilant Magnus à un tyran oriental régnant sur les deux villes d’Aréthuse et d’Emèse au nord de la Syrie que Pompée avait rétabli dans ses droits. Cicéron l’utilise six fois dans ces lettres ; l’assimilation à ce roi d’ethnie arabe (le nom grec Samsigevramo~) vient lui-même de l’araméen ou de l’arabe) est expliqué dans la première lettre en ces termes : « Sampsiceramus est un révolutionnaire (turbator). Il n’y a rien qu’on ne doive craindre : il vise de l’aveu de tous, à la tyrannie ». Le second surnom nous intéresse plus ici. Il a souvent été mal compris. Léopold-Albert Constans, traduisait en 1934, ‘Chef des Arabes’ ou ‘Emir’. 33 Mais Bruno Rochette qui a consacré en 2002 une étude aux sobriquets de Pompée dans la correspondance de Cicéron a montré que le terme pouvait aussi faire référence à l’Égypte où selon ses termes « l’arabarches est un collecteur d’impôt, magistrat d’Égypte, connu surtout par l’épigraphie, dont les attributions ne sont pas clairement établies ». 34 Selon B. Rochette l’utilisation du terme serait « une allusion au rôle joué par Pompée, qui par ses conquêtes, a contribué à accroître les recettes fiscales de l’État romain ». 35 L’hypothèse trouve un renfort dans une lettre écrite sans doute la veille, ‘vers le 1er mai’ (Att. 2, 16, 2) où Cicéron mentionne le soutien de Pompée à la seconde loi agraire sur les terres de Campanie. L’hypothèse de B. Rochette a été enrichie en 2009 par Cyril Courrier qui estime que ce surnom visait un double effet : 1/ désigner un collecteur d’impôt ptolémaïque pour renvoyer à l’actualité, l’espoir de son ambassade en Égypte, 2/ évoquer la restauration du roi Sampsiceramus en désignant Pompée comme étant celui qui a « l’Arab-arkhè » autrement dit « celui qui a le pouvoir sur l’Arabe, le maître de l’Arabe ». 36 Selon Cyril Courrier
le recours à un collecteur d’impôts égyptien s’expliquait moins par une référence sarcastique à une question d’ordre fiscal que par son rapport à l’Égypte et à sa structure lexicale qui permettaient tout à la fois de saisir le lien avec l’affaire de l’ambassade – ce que l’on pourra appeler le lien thématique – et l’identification du surnom avec Pompée – lien onomastique. 37
Nous constatons donc que ni B. Rochette ni C. Courrier n’estiment que le terme d’arabarque ne fait explicitement et directement mention de ce fonctionnaire ptolémaïque. 38 Or il s’agit d’un personnage très important du système douanier ptolémaïque, dont les fonctions et le sens du titre ont été précisé récemment par Fabienne Burkhalter qui reconnaît en lui « un fermier général chargé de l’admi
33 L.-G. Constant, Cicéron. Correspondance, t. i, Paris, 1934, p. 193. 34 Br. Rochette, Les sobriquets de Pompée dans la correspondance de Cicéron, « Latomus », 61 (2002), p. 42. 35 Br. Rochette, Les sobriquets de Pompée dans la correspondance de Cicéron, cit., p. 42. 36 C. Courrier, Les surnoms orientaux de Pompée dans la Correspondance de Cicéron (décembre 60-août 59) : une approche historique, « Latomus », 68 (2009), p. 618. 37 C. Courrier, Les surnoms orientaux de Pompée dans la Correspondance de Cicéron, cit., p. 618. 38 Br. Rochette, Les sobriquets de Pompée dans la correspondance de Cicéron, p. 42, note cependant, que Tiberius Julius Alexander fut arabarque avant de devenir préfet d’Égypte.
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nistration et de la supervision de tout ce qui touchait aux douanes orientales de l’Égypte ». 39 Nous voudrions insister ici sur le fait que Cicéron pouvait connaître l’existence de ce fermier général des taxes prélevées en Arabie. Les negotiatores romains présents et travaillant en Égypte ne pouvaient ignorer son existence. Sa richesse qui devait être très importante en faisait un notable connu et influent de l’Alexandrie ptolémaïque, puis de l’Alexandrie impériale. On sait que l’un des titulaires de la charge fut Gaius Iulius Alexander, le frère du philosophe Philon, qui construit son immense fortune sous Tibère et Caligula. Le futur préfet Égypte de 66 à 69, puis du prétoire Tiberius Iulius Alexander, est son fils aîné. Mais il ne faudrait pas considérer que toutes les connaissances de Cicéron sur la richesse des États hellénistiques ou leur fonctionnement fiscal était lié à un savoir uniquement centré sur l’Égypte. Dans la lettre à Atticus (1, 16, 12) de la fin juin ou de juillet 61, il cite les moyens de corruption dont use Pompée pour les élections consulaires en les caractérisant comme ceux « dont Philippe disait qu’ils permettent de prendre d’assaut toute citadelle, pourvu qu’on y puisse faire grimper un petit âne chargé d’or ». Mais si Cicéron n’est finalement jamais allé en Égypte, d’autres Romains – à l’exemple du dioecète Rabirius Postumus – pouvaient avoir à connaître très précisément les réalités fiscales et économiques du pays.
3. 2. Les prémices de l’exploitation de l’Égypte par Rome : Gabinius et Rabirius
La restauration de Ptolémée XII Aulète sur son trône ne fut possible que par une intervention militaire romaine en Égypte. 40 En 55, Aulus Gabinius, le proconsul de Syrie, entre à l’instigation de Pompée dans Alexandrie pour le rétablir dans son pouvoir royal. Un corps d’occupation romaine formé de Gaulois et de Germains reste à Alexandrie pour protéger Aulète. 41 Le publicain Caius Rabirius Postumus, qui avait prêté d’importantes sommes d’argent à Aulète afin qu’il puisse acheter des soutiens, est nommé dioecète, en 55 av. n.è. 42 Il s’agit de la charge de dioecète central à Alexandrie, dont la responsabilité s’étend à toute l’administration du royaume et à la direction de toute son économie. Il procède en particulier à la nomination des fonctionnaires de rang inférieur. 43 Cette charge, qu’il assuma jusqu’en octobre 54, devait permettre de récupérer les sommes qu’il avaient prê
39 F. Burkhalter, Les fermiers de l’arabarchie : notables et hommes d’affaires à Alexandrie, dans J. Leclant (éd.) Alexandrie : une mégapole cosmopolite. « Cahiers de la Villa “Kérylos” », 9, Paris, 1999, pp. 41-54, en particulier p. 50. Sur l’existence de l’arabarchie dès la fin de l’époque ptolémaïque, cf. aussi L. Mooren, The Date of sb, 8036 and the Development of the Ptolemaic Maritime Trade with India, « AncSoc », 3 (1972), pp. 127-133. 40 Cf. W. Huß, Ägypten in hellenistischer Zeit 332-30 v. Chr., Munich, 2001, pp. 693-695, qui souligne qu’elle ne fut pas une ‘promenade’ militaire. 41 Caes., Bell. Civ. 3, 4, 4 (qui donne leur nombre : 500) ; 103,5 ; 110, 2 et 6 ; D. C. 42, 38, 1 ; H. Dessau 5, 402-406 42 Sur Rabirius, P. Guiraud, Études économiques sur l’Antiquité, Paris, 1905, pp. 204-240 ; H. Dessau, Gaius Rabirius Postumus, cit. ; A. Boulanger, Cicéron. Discours xvii. Pour C. Rabirius Postumus ; Pour T. Annius Milon, Paris, 1949, Introduction ; C. Klodt, Ciceros Rede Pro Rabirio Postumo : Einleitung und Kommentar, Stuttgart, 1992 ; M. Siani-Davies, Marcus Tullius Cicero : Pro Rabirio Postumo, Oxford, 2001, pp. 38-65 ; W. Huß, Ägypten in hellenistischer Zeit 332-30 v. Chr., cit., pp. 696-697. 43 Cf. J. D. Thomas, Aspects of the Ptolemaic Civil Service : the Dioiketes and the Nomarch, dans H. Maehler, V. M. Strocka (éds.), Das Ptolemäische Ägypten. Akten des internationalen Symposions, 27.-29 September 1976 in Berlin, Mayence, 1978, pp. 189-191.
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tées à Aulète. 44 L’un et l’autre n’en tirèrent finalement pas profit : Gabinius fut jugé dans un procès, qui commence à l’automne 54, sur une triple accusation de maiestate, de repetundis et de ambitu. Il sort disculpé de celle de maiestate ; mais est condamné pour celle de repetundis à une amende de 10000 talents. Il devra s’exiler car insolvable. Rabirius dut, quant à lui, quitter l’Égypte sous la pression des Alexandrins, qui ne supportent plus ses exactions, Aulète l’ayant fait emprisonner peut-être pour le protéger de la vindicte et lui permettre de fuir le pays. La publication d’un papyrus de Florence, P. Med. inv. 68.53 (= sb xxii 15203) recto, 45 par Carla Balconi, doit très probablement être considéré comme une source importante sur le regard que les Alexandrins portaient sur le dioecète Rabirius Postumus. 46 Le texte très fragmentaire conservé au recto précise les raisons qui ont poussé à un soulèvement alexandrin contre le dioecète, une hypothèse qui ne reposait jusqu’en 1992 que sur le seul témoignage de Cicéron. Rentré en Italie il est accusé et défendu par Cicéron dans le Pro C. Rabirio Postumo. Dans ce procès qui eut lieu vers 53-52, Rabirius devait faite face à une accusation principale celle de concussion, et à des accusations secondaires comme le port du costume grec ou une participation indirecte à la corruption du Sénat romain par Aulète. Cicéron se fait l’écho d’accusation de tyrannie à Alexandrie (« Dominatus est enim Alexandriae » 47), une accusation à laquelle pourrait faire écho le sb xxii 15203 recto Col. i, l. 1 et suiv., où l’on lit qu’il a reçu l’arkhè, un terme désignant un pouvoir autocratique. On est en droit de penser que leur position leur a offert une connaissance précise de l’armée, de l’administration, et l’économie et des finances ptolémaïques. Cicéron mentionne ainsi les exportations de rouleaux de papyrus, de lin et de verre réalisées sur des navires de Rabirius navigant vers Pouzzoles. 48 Il affirme de même que Rabirius, qui détestait porter le costume
44 Cic., Pro C. Rab. Post. 10, 28 : « Nam ut uentum est Alexandriam (…) haec una ratio a rege proposita Postumo est seruandae pecuniae, si curationem et quasi dispensationem regiam suscepisset (En fait dès son arrivée à Alexandrie (…) le roi lui proposa comme unique moyen de sauver son argent l’administration et comme le maniement des finances royales, Trad. André Boulanger, cuf) ». 45 C. Balconi, Rabirio Postumo dioiketes d’Egitto in P. Med. Inv. 68.53 ?, « Aegyptus », 73 (1993), pp. 3-20 et Id., Rabirio Postumo dioiketes d’Egitto : prima testimonianza papiracea, dans A. Bülow-Jacobsen (éd.), Proceedings of the 20th International Congress of Papyrologists (Copenhague, 23-29 août 1992), Copenhague, 1994, pp. 219-222. De provenance inconnue, il est datable selon l’éditrice entre le milieu du premier siècle av. n.è. et le milieu du premier siècle de n.è. 46 L’identification du Postumus du papyrus reste débattu. Nous suivons les auteurs qui l’identifient, à la suite de Carla Balconi, avec C. Rabirius Postumus, M. Siani-Davies, Ptolemy XII Auletes and the Romans, « Historia », 46 (1997), pp. 334-335, et A. Jördens, tuat, « nf », 2 (2005), p. 382. A. Harker, Loyalty and Dissidence in Roman Egypt, the Case of the Acta Alexandrinorum, Cambridge, 2008, p. 74 (122) et Ch. Rodriguez, Acta Alexandrinorum, Mémoire de l’ephe Section des sciences historiques et philologiques (dactyl.), Paris, 2010, pp. 203-210 défendent l’hypothèse d’une identification avec le préfet Gaius Julius Postumus (règne de Claude) et d’une intégration du papyrus aux Acta Alexandrinorum. Sur ce point C. Balconi, Rabirio Postumo dioiketes d’Egitto in P. Med. Inv. 68.53 ?, cit., p. 18 concluait prudemment que les « caratteristiche comuni al nostro frammento e alle copie degli ‘Atti’ possono essere indice di un medesimo livello sociale e culturale ». Sans trancher, L. Capponi, Augustan Egypt : the Creation of a Roman Province, Londres-New York, 2005, p. 188 (8) se demande s’il ne s’agit pas plutôt de M. Claudius Postumus, épistratège de Thébaïde en l’an 1 de 47 Cic., Pro C. Rab. Post. 14, 39. n.è. (Ogis ii 659). 48 Cic., Pro C. Rab. Post. 14, 40. Cette information semble en contradiction avec celle qui voit Rabirius, Ibid. 39, revenir d’Égypte « nu et indigent ».
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de dioècete, ne l’acceptait que pour en « conserver le titre (nomen) et la fonction (munus) ». 49 Porter ce costume « lui donnait l’espoir de récupérer un jour sa fortune (fortunas suas) ». 50 Le papyrus sb xxii 15203 permet de se faire une idée des reproches que lui faisaient les Alexandrins : révocation arbitraire de fonctionnaires ayant reçu leur charge « de leurs pères et grands-pères » remplacés par des hommes « inaptes et désespérés » (tou;~ ajpo; patevrwn [kai; p]avppwn diadedegmevnou~ ta;~ [tavxei~ metevsthsen, katevsthsen [de; aj] nepithdeivou~ kai; ajpegnwsmev[nou]~, lignes 3-7), et vente, probablement illicite, de « biens possédés depuis longtemps (lignes 7-8) ». Il aurait aussi obtenu que « l’on mette à l’écart les plus compétents et les plus utiles des administrateurs, accusés de vol (suntav[xa~] tou;~ me;n crhsivmou~ kai; wjfelimwt[avtou]~ tw`n dioi[kh]tw`n metastaqh`nai, ejf∆aJrpaghvnt (…) ». Il aurait donc éliminé des fonctionnaires issus de familles d’agents de l’État pour les remplacer par des incompétents, vendus des biens publics, et fait condamner des administrateurs pour vol. On peut donc estimer que Rabirius avait une bonne connaissance de l’administration du pays, dont il a cherché à tirer le plus grand profit. Mais il est impossible de mesurer comment Rabirius ou Gabinius auraient pu faire profiter l’État romain, son armée ou son système économique du savoir acquis en Égypte. L’autorité de Gabinius et de Rabirius était ruinée par leur condamnation. Et Cicéron considère que Rabirius est un homme d’une culture médiocre (homini mediocriter docto). 51 Tout au plus peut-on affirmer que les lecteurs du plaidoyer de Cicéron Pour Rabirius Postumus pouvaient trouver des informations sur les accusations de dévoiement de la fonction de dioecète par ses adversaires alexandrins, et des critiques cicéroniennes (et bien romaines) sur la monarchie hellénistique. 52 Ces critiques sont radicales en opposant l’arbitraire du roi hellénistique, en l’occurrence du Ptolémée, auquel il faut toujours obéir et la liberté du citoyen romain dans sa patrie, en l’occurrence le chevalier Rabirius :
Quid est enim stultius quam equitem Romanum ex hac urbe, huius, inquam, rei publicae ciuem, quae est una maxime et fuit semper libera, uenire in eum locum ubi parendum alteri et seruiendum sit ? A vrai dire, ce fut une sottise. Peut-il y en avoir de plus grande pour un chevalier romain que de quitter notre ville, oui, pour un citoyen de notre république, qui de toutes est la plus libre et l’a toujours été, d’aller dans un pays où il faut obéir à un autre et se mettre à son service ? (Pro C. Rab. Post. 8, 22. Trad. A Boulanger, cuf).
On sait de plus les préventions de Cicéron envers les Alexandrins qu’il présente dans ce plaidoyer comme des menteurs invétérés. 53 Les lecteurs de Cicéron pouvaient de plus méditer les risques d’excès dans l’administration et la taxation d’un pays qui conservera après la conquête, du moins à Alexandrie, la nostalgie d’une indépendance perdue. On sait que la mise en place du statut augustéen de l’Égypte se fixait comme objectif d’éviter autant que possible les risques de turbulence, d’insurrection et de révolte d’une province réputée « séparée » de l’Empire.
49 Cic., Pro C. Rab. Post. 10, 28. 51 Cic., Pro C. Rab. Post. 9, 23. 53 Cic. Pro C. Rab. Post. 12, 35.
50 Cic., Pro C. Rab. Post. 10, 27. 52 Cf. Cic. Pro C. Rab. Post. 8, 22-23.
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bernard legras Conclusion
Notre ambition n’était pas ici de reprendre le dossier des transferts de droit, des transferts de savoir administratif et fiscal, de transferts religieux de l’Égypte des Ptolémées vers la Rome républicaine (et impériale), mais de préciser certains aspects du cadre humain dans lequel des Romains ont été amenés à connaître les réalités de l’Égypte durant l’époque tardo-ptolémaïque. Notre point de départ fondé sur l’étude de deux prostagmata de Cléopâtre VII permet d’abord de mesurer le poids de l’armée antonienne qui assure avant la conquête militaire augustéenne les prémices d’une pax Romana, imposant la discipline aux troupes et offrant la sécurité des biens et des personnes à la population du pays. Elle permet aussi de mesurer l’ampleur des intérêts économiques des Romains en Égypte, et leur connaissance des réalités foncières et fiscales du royaume des Ptolémées. L’enquête entend aussi montrer comment une recherche sur les agents potentiels des transferts peut être fructueuse. La question reste cependant posée de la capacité ou du désir de ces agents de transférer leur savoir vers un autre espace, en l’occurrence le monde institutionnel, politique et économique romain. Bibliographie P. Arnaud, Alexandre-Hèlios et Cléopâtre-Sélènè. Origine et postérité romaines d’un couple cosmique. Marc Antoine, son idéologie et sa descendance (Lyon, 28 juin 1990), Lyon, Paris, 1993, pp. 127-141. C. Balconi, Rabirio Postumo dioiketes d’Egitto in P. Med. Inv. 68.53 ?, « Aegyptus », 73 (1993), pp. 3-20. C. Balconi, Rabirio Postumo dioiketes d’Egitto : prima testimonianza papiracea, dans A. Bülow-Jacobsen (ed.), Proceedings of the 20th International Congress of Papyrologists (Copenhague, 23-29 août 1992), Copenhague, 1994, pp. 219-222. J. Bingen, L’asylie pour une synagogue. cil iii Suppl. 6583 = cii 1449, dans J. Quaegebeur (ed.) Studia Paulo Naster Oblata. ii. Orientalia Antiqua, Leuven, 1982, pp. 11-16 (= Pages d’épigraphie, pp. 45-50). A. Boulanger, Cicéron. Discours xvii. Pour C. Rabirius Postumus ; Pour T. Annius Milon, Paris, 1949. F. Burkhalter, Les fermiers de l’arabarchie : notables et hommes d’affaires à Alexandrie, dans J. Leclant (éd.) Alexandrie : une mégapole cosmopolite. « Cahiers de la Villa “Kérylos” », 9, Paris, 1999, pp. 41-54. L. Capponi, Augustan Egypt : the Creation of a Roman Province, Londres, New-York, 2005. L.-G. Constant, Cicéron. Correspondance, t. i, Paris, 1934. C. Courrier, Les surnoms orientaux de Pompée dans la Correspondance de Cicéron (décembre 60-août 59) : une approche historique, « Latomus », 68 (2009), pp. 599-620. J.-Ch. Couvenhes, B. Legras (éds.), Transferts culturels et politique dans le monde hellénistique (Paris, 7 février 2004), Paris, 2006. H. Dessau, Gaius Rabirius Postumus, « Hermes. Zeitschrift für classische Philologie », 46 (1911), pp. 613-620. J. Gaudemet, A propos d’un ‘héritage’ romain des monarchies hellénistiques, « Ktema », 3 (1978), pp. 165-175.
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ASPETTI DEMOGRAFICI DELL’EGITTO GRECO-ROMANO Luigi Gallo
C
he l’Egitto costituisca un caso del tutto particolare per le indagini di demografia antica, che devono fare i conti con l’handicap della cronica scarsità di dati, è un fatto ben noto. Se le cifre sull’ammontare della popolazione, sia globali che parziali, non sono certo più abbondanti e meno problematiche in confronto ad altre aree (ma nuove indicazioni possono ora venire dagli importanti documenti amministrativi di età tolemaica che è merito di un recente volume di Clarysse e Thompson aver portato all’attenzione degli studiosi 1), si dispone però di vari altri dati che si è in grado di sfruttare ai fini di una ricostruzione del regime demografico : oltre che alle numerose iscrizioni funerarie e alle etichette di mummie che sono state più volte indagate, nonché alle ricevute di tasse attestate dagli ostraka tebani (la cui significatività demografica, a dire il vero, è tutt’altro che scontata), mi riferisco soprattutto alle circa 300 dichiarazioni di censimento riportate dai papiri che coprono i primi tre secoli dell’impero (dall’11/12 al 257/8) e, dopo il classico lavoro di Hombert e Préaux del 1952 (che ne prendeva in considerazione un numero alquanto inferiore, circa 200), sono state oggetto di un dettagliato studio di Bagnall e Frier pubblicato nel 1994. 2 In questa sede, vorrei per l’appunto fare una rapida e sintetica panoramica dei vari tipi di evidenza disponibile e dei principali problemi che pongono allo scopo di sottolineare sia le potenzialità sia anche i limiti di un’indagine demografica sull’Egitto. Cominciamo dai dati sull’ammontare della popolazione, e in particolare dalle uniche due cifre complessive che ricorrono nella tradizione antica. La prima si legge in un tormentato e dibattuto passo di Diodoro (la cui derivazione da Ecateo di Abdera non è affatto scontata) : si tratta di i, 31, ove l’autore, dopo aver sottolineato la grande polyanthropia che caratterizza l’Egitto del suo tempo così come quello dei tempi antichi, e aver ricordato l’elevato numero di insediamenti (oltre 18.000 epi ton archaion chronon e più di 30.000 a partire dall’epoca di Tolemeo I), riferisce l’opinione secondo cui gli abitanti sarebbero stati circa 7 milioni palaion, mentre sarebbero non meno di 3 milioni kat’emas. Non mi dilungo ovviamente sulle numerose discussioni che si sono susseguite sul passo, nel quale, a partire da una congettura di Wilcken, viene in genere espunta quest’ultima cifra di 3 milioni sulla base del confronto con una testimonianza di Flavio Giuseppe (di cui si dirà in
1 Sui documenti amministrativi in oggetto cfr. ora W. Clarysse, D. J. Thompson, Counting the People in Hellenistic Egypt, 2 voll., Cambridge, 2006, che hanno raccolto 54 testi, in parte già editi, con registrazioni connesse al pagamento della halike. 2 Sui censimenti romani cfr. M. Hombert, C. Préaux, Recherches sur le recensement dans l’égypte romaine, Leiden, 1952 ; R. S. Bagnall, B. W. Frier, The Demography of Roman Egypt, Cambridge, 1994 (ii edizione 2006).
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seguito) e si è talvolta ritenuto altresì di dover emendare in 3.000 quella di 30.000 insediamenti di età tolemaica, per il fatto che contrasterebbe (come sosteneva, ad esempio, il Beloch) con l’idea di una decadenza dell’Egitto rispetto ai tempi antichi che sarebbe qui espressa da Diodoro. 3 Mi limito a osservare che, se questo secondo intervento testuale appare effettivamente doveroso, dal momento che la variante 3.000 è riportata in diversi codici, l’altro sembra anche a me tutt’altro che necessario, sia perché la tradizione manoscritta è concorde sulla cifra di 3 milioni, sia anche per il fatto che un ugual numero di abitanti tra l’età antica e quella più recente mal si accorderebbe con il numero comunque differente di insediamenti (30.000 o 3.000) che, secondo Diodoro, caratterizzerebbe la fase più recente. Ma il punto centrale è piuttosto un altro : quale attendibilità possono avere le cifre di popolazione riferite dal nostro autore ? Credo che una distinzione tra le due cifre sia senz’altro opportuna. Se il numero di 7 milioni attribuito all’Egitto faraonico (che ricorre anche in altre fonti) non ispira granché fiducia ed è con ogni probabilità da connettere a una diffusa tradizione sulla grande prosperità del paese prima della conquista persiana, che ne avrebbe provocato il declino, concordo con il Beloch e il Rathbone nel pensare che una valutazione diversa si possa dare della seconda cifra, che appare non particolarmente esagerata in confronto all’altra e perciò più meritevole di considerazione. Che lo stesso Diodoro (e non Ecateo, come riteneva il Beloch) possa aver avuto a disposizione dati ufficiali di censimenti (che, come ora si può ritenere appurato, erano effettuati già in età tolemaica 4) non risulta del resto troppo azzardato da ipotizzare alla luce di un altro passo della Biblioteca, xvii, 57, 6, ove l’autore ricorda che, nel corso di una sua visita in Egitto, aveva appreso dagli addetti all’anagraphe che ad Alessandria i liberi residenti erano più di 300.000 (un’indicazione di cui, malgrado lo scetticismo del Frazer, non mi sembra vi siano fondati motivi di dubitare e che è compatibile con la valutazione di circa 500.000 - 600.000 abitanti in età romana che ricorre in un recente contributo). 5
L’altra cifra di cui disponiamo rimanda a un contesto cronologico di poco posteriore a quello in cui si colloca il dato diodoreo. A fornirla è infatti Flavio Giuseppe, che in Bellum Iudaicum, ii, 385, riporta un discorso rivolto dal re Agrippa II agli Ebrei e nel quale si parla anche dell’Egitto : per convincere gli Ebrei a non ribellarsi a Roma e accettare la condizione di sottomissione, Agrippa adduce per l’appunto l’esempio di questo Paese, che, come si potrebbe desumere, è detto nel passo, dalla kephale, avrebbe una popolazione di ben sette milioni e mezzo di unità, alle quali si dovrebbero poi aggiungere gli abitanti della grande città di Alessandria (la
3 Sul passo in questione cfr., tra l’altro, K. J. Beloch, Die Bevölkerung der griechisch-römischen Welt, Leipzig, 1886, pp. 258-259 della trad. it., con un’interpretazione diversa da quella sostenuta poi in Griechische Geschichte2, Berlin-Leipzig, 1925, iv, 1, pp. 330-331 ; D. W. Rathbone, Villages, Land and Population in GraecoRoman Egypt, « PCPhS », 36 (1990), pp. 104 ss. Per la congettura del Wilcken cfr. Griechische Ostraka aus Aegypten und Nubien, edited by U. Wilcken, Leipzig, 1889, p. 489. A favore dell’espunzione della cifra di 3.000.000 cfr. anche, tra gli altri, A. Segrè, Note sull’economia dell’Egitto ellenistico, « bsaa », 29 (1934), pp. 257 ss. 4 Sui censimenti tolemaici cfr. ora W. Clarysse, D. J. Thompson, Counting the People, cit., 2, pp. 10 ss. 5 Sulla popolazione di Alessandria cfr., tra l’altro, D. Delia, The Population of Roman Alexandria, « TAPhA », 118 (1989), pp. 275-292, la cui stima (tra i 500.000 e i 600.000 abitanti) viene comunemente accettata. Sulla cifra diodorea cfr. P. M. Fraser, Ptolemaic Alexandria, Oxford, 1972, pp. 90-91.
175 aspetti demografici dell ’ egitto greco-romano cui consistenza demografica è però solo magnificata ma non precisata). Ora, che le due cifre, questa di Giuseppe e l’altra di Diodoro, siano tra loro inconciliabili risulta difficile negare, così come appare scarsamente accettabile la posizione del Beloch, il quale, pur diffidando della notizia dello scrittore ebraico (« che deve utilizzarsi », sosteneva nella Bevölkerung, « con grande circospezione »), ammetteva sulla sua base la possibilità di un incremento di popolazione nell’Egitto di età romana. 6 In realtà, la cifra di Flavio Giuseppe, anche per il curioso riferimento al testatico invece che ai dati di censimento (su cui si fondava il prelievo dell’imposta personale), nonché per la scarsa attendibilità statistica di questo autore, sembra assai poco meritevole del credito che le è stato spesso accordato, e, come è suggerito dal Rathbone, potrebbe forse derivare da una fonte filoromana che avrebbe aggiunto un’ulteriore quantità al numero tradizionale di 7 milioni di abitanti dell’Egitto faraonico al fine di esaltare la nuova prosperità di cui il paese godeva sotto il dominio di Roma. 7 Non mi dilungo poi su un’altra categoria di dati che, a partire dal Beloch, sono tradizionalmente utilizzati nelle indagini di demografia antica ma che risultano ben poco significativi nel caso dell’Egitto, e cioè quelli relativi alle forze militari. Mi limito a osservare che l’unica indicazione utile che sembra forse possibile ricavarne riguarda la consistenza dell’elemento greco in età tolemaica : mi riferisco soprattutto alle cifre polibiane su un’occasione di mobilitazione generale quale la battaglia di Rafia del 217, ove Tolemeo IV, arruolando, come si sa, anche un buon numero di Egiziani nella falange, fu in grado di schierare, tra fanti e cavalieri, un esercito di 75.000 uomini, dei quali, come si desume dalla descrizione che ne fa Polibio in v, 65, tra i 35.000 e i 36.000 dovevano essere probabilmente cleruchi greci. 8 Ammettendo che costoro costituissero all’incirca 1/3 della popolazione greca complessiva (la percentuale solitamente assunta in calcoli di questo tipo), si arriverebbe a una stima di circa 110.000 unità, il che, in confronto ai 3 milioni del passo diodoreo, significherebbe una percentuale di gran lunga inferiore a quella del 10% che è per lo più adottata a partire da un pionieristico (ma poco affidabile) lavoro di Segrè del 1934. 9 Che una valutazione del genere rimanga comunque decisamente incerta e ipotetica (e non solo perché il dato diodoreo si riferisce a un’epoca più recente) è ovviamente un fatto che non ha bisogno di essere sottolineato. Trala
6 K. J. Beloch, Die Bevölkerung, cit., pp. 260-261 della trad. it. 7 D. W. Rathbone, Villages, Land and Population, cit., p. 106. Nello stesso senso cfr. anche R. S. Bagnall, B. W. Frier, The Demography of Roman Egypt, cit., pp. 53-54. Diversa è poi la posizione di W. Scheidel, Death on the Nile. Disease and the Demography of Roman Egypt, Leiden-Boston-Köln, 2001, pp. 184-185, il quale ritiene inattendibile sia il dato in questione che quello diodoreo (ma non esclude comunque che l’Egitto romano potesse avere una popolazione di circa 7.000.000 di unità : ibid., p. 246). A favore dell’attendibilità della cifra di Flavio Giuseppe cfr. invece, tra gli altri, P. Salmon, Population et dépopulation dans l’empire romain, Bruxelles, 1974, pp. 35-36 ; A. K. Bowman, Egypt after the Pharaohs, London, 1986, pp. 17-18. Sulla scarsa attendibilità statistica di Flavio Giuseppe cfr. K. J. Beloch, Die Bevölkerung, cit., p. 251 della trad. it., ove si ricorda tra l’altro l’affermazione, in Bell. Iud. 3, 3, 2, secondo cui la più piccola delle komai della Galilea avrebbe contato oltre 15.000 abitanti. 8 D. W. Rathbone, Villages, Land and Population, cit, p. 113. Sui dati polibiani cfr. la dettagliata analisi di F. W. Walbank, A Historical Commentary on Polybius, Oxford, 1957, pp. 589 ss. 9 Cfr. A. Segrè, Note sull’economia dell’Egitto ellenistico, cit., pp. 263 ss.
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scio invece altre cifre che sono tramandate sulle forze militari tolemaiche e che, come gli oltre 500.000 soldati che sono attribuiti a Tolemeo II da Appiano, praef., 10, appaiono chiaramente esagerate e perciò ben poco meritevoli di attenzione. Per rimediare alla scarsità di dati (che non sono granché di più rispetto a quelli che ho fin qui richiamato) si è fatto talvolta ricorso a un altro metodo tradizionale di valutazione, quello basato sul calcolo delle possibilità produttive (la cosiddetta carrying capacity) del territorio : dopo uno studio del 1976 del Butzer, a impegnarsi in tal senso, in un importante lavoro del 1990, è stato Dominique Rathbone, il quale, calcolando, sulla base di una superficie coltivabile di circa 25.000 kmq (= 9 milioni di arure) una produzione annua di 81 milioni di artabe di frumento e sottraendo da questa quantità la quota destinata all’esportazione (che ipotizza in 15 milioni di artabe), nonché un ulteriore 20% in considerazione di altri fattori (come il consumo dei ceti urbani), è arrivato alla conclusione che il territorio egiziano fosse in grado di nutrire una popolazione non superiore a 5 milioni di unità. 10 A me sembra che in un calcolo del genere, che il Rathbone effettua comunque con molta prudenza e senza nessuna pretesa di esattezza, ma solo con l’obiettivo di individuare « broad parameters of plausibility », vi siano non poche variabili che rimangono estremamente ipotetiche e che perciò ne inficiano l’attendibilità. Certo, i valori adottati per la semente (1 artaba per arura) e per i rendimenti (dieci volte il seme) appaiono senz’altro plausibili, ma che dire, ad esempio, del consumo medio annuo ? Quanto sia difficile quantificare tale quota credo si possa evincere chiaramente dal ben noto caso di Kerkeosiris analizzato in dettaglio da Dorothy Crawford, che, cercando di calcolare il consumo di alcune unità familiari sulla base del numero dei componenti e delle dimensioni degli appezzamenti di terra, è pervenuta a valori che vanno dalle 8 alle 33 artabe annue a persona. 11 E ancora : dei 9 milioni di arure assunti da Rathbone per il suo calcolo, quale percentuale era coltivata a frumento ? Se è vero che in età tolemaica si verifica una massiccia diffusione del frumento a danno delle colture tradizionali, quali l’orzo e l’olyra, con un conseguente cambiamento, come è stato opportunamente sottolineato, delle abitudini nutritive, è però anche vero che siamo ben lontani da una vera e propria monocultura (per citare ancora una volta il caso di Kerkeosiris, ricordo che, stando alle stime della Crawford, al frumento era qui destinato all’incirca il 50% della superficie coltivabile) e che gli altri prodotti cerealicoli hanno comunque conservato un qualche ruolo, specie nell’alimentazione delle categorie più umili. 12 Insomma, la pur prudente stima del Rathbone non dà sufficienti garanzie, a mio parere, nell’individuare quale fosse il livello massimo di popolazione che non poteva essere superato. Più interessante e produttivo mi sembra invece
10 D. W. Rathbone, Villages, Land and Population, cit., p. 108. Per il calcolo del Butzer cfr. Early hydraulic civilization in Egypt : a study in cultural ecology, Chicago-London, 1976, pp. 91 ss. 11 Cfr. D. Crawford, Kerkeosiris. An Egyptian Village in the Ptolemaic Period, Cambridge, 1971, p. 129. 12 Sul cambiamento delle abitudini nutritive che si verifica con la diffusione del frumento in età tolemaica cfr. I. Andorlini, A. Marcone, L’orzo nell’Egitto greco-romano, in Demografia, sistemi agrari, regimi alimentari nel mondo antico, a cura di D. Vera, Bari, 1999, pp. 325-344. Per le stime relative alla situazione di Kerkeosiris cfr. D. Crawford, Kerkeosiris, cit., p. 127.
177 aspetti demografici dell ’ egitto greco-romano un altro metodo di valutazione a cui fa ricorso lo studioso, che, calcolando, sulla base dell’evidenza relativa ad alcuni villaggi meglio documentati, una densità di 120 abitanti al kmq per il territorio rurale (una cifra non tanto lontana da quella che proponeva il Beloch fondandosi sulla testimonianza di Diodoro) e assumendo una popolazione urbana complessiva di circa 500.000 unità per l’epoca tolemaica e di 1.500.000 unità per quella romana, è arrivato a stimare un ordine di grandezza tra i 3.500.000 e i 4.500.000 di abitanti per l’Egitto greco-romano. 13 L’obiezione che pare lecito fare in questo caso è che la stima di una densità del genere, che risulta abbastanza alta per il mondo antico, si fonda pressoché esclusivamente sulla evidenza relativa a una singola area, che non può ovviamente che essere quella, di gran lunga meglio documentata, del Fayum.
Ma a proposito di quest’area non si può ora non fare riferimento all’importante contributo che viene dall’analisi della documentazione amministrativa di età tolemaica effettuata di recente da Clarysse e Thompson. Nel loro monumentale lavoro del 2006, i due studiosi hanno infatti opportunamente utilizzato ai fini demografici le liste dei contribuenti soggetti al pagamento della halike, ricavandone tra l’altro preziose indicazioni sia sul popolamento del Fayum (da cui proviene la grandissima maggioranza dei testi) che sulla composizione delle famiglie, e, fondandosi soprattutto su un documento dell’Arsinoite della metà del iii sec., sono arrivati a calcolare una popolazione di 85.000 - 95.000 unità, con una densità (in base all’assunto di una superficie di 1.500 kmq) di 60 abitanti al kmq, da cui deducono per l’intero Egitto un numero di abitanti non superiore a 1.500.000 (compresi quelli della città di Alessandria). 14 Non è qui il caso che mi dilunghi sull’apporto di sicuro rilievo che da questo studio viene all’indagine demografica sull’Egitto e che meriterebbe certo una discussione approfondita. Mi preme solo sottolineare che, se il calcolo della popolazione dell’Arsinoite sembra senz’altro affidabile, non può non suscitare qualche perplessità, credo, la stima della densità che i due autori ne ricavano per il territorio in questione (a cui, come è stato giustamente osservato, assegnano una superficie un po’ troppo ampia 15) e che appare eccessivamente bassa anche per un periodo, quale la metà del iii sec., in cui la colonizzazione tolemaica era ancora in via di espansione. Ma a sollevare dubbi è soprattutto, come è ovvio, l’estensione di una stima del genere all’intero territorio egiziano, dal momento che si riferisce a un’area di cui gli stessi Clarysse e Thompson sono i primi a riconoscere l’atipicità. 16 Se ora dal calcolo della popolazione ci spostiamo ad altri aspetti che sono oggetto dell’indagine demografica, come la mortalità, la natalità o le dimensioni dei
13 D. W. Rathbone, Villages, Land and Population, cit., pp. 109-109, 124-137. Per l’analisi della compo14 W. Clarysse, D. J. Thompson, Counting the People, cit., 2, pp. 92 ss., 100 ss. �������������������������� sizione delle famiglie, che tuttavia è limitata dal fatto che nelle liste sono registrati solo adulti e mancano riferimenti all’età, cfr. ibid., 2, pp. 226 ss. ; di notevole interesse risultano comunque, tra l’altro, le conclusioni dei due autori circa la differenza tra Greci ed Egiziani nella consistenza dei gruppi familiari : ibid., 2, pp. 237 ss., 314 ss. 15 In tal senso cfr. i rilievi mossi da D. W. Rathbone in « jhs », 127, 2007, p. 187, ove si ipotizza per il Fayum una superficie di circa 1.100 kmq. 16 Sull’atipicità del Fayum cfr. infatti W. Clarysse, D. J. Thompson, Counting the People, cit., 2, p. 101.
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nuclei familiari, ci troviamo di fronte a una situazione documentaria ben diversa : le fonti disponibili in proposito sono tutt’altro che esigue e anzi di gran lunga più abbondanti che per qualunque altra regione del mondo antico. Non è qui naturalmente necessario che mi soffermi in dettaglio su questo ricco materiale, che, a partire da alcuni classici lavori di Hombert e Préaux, è già stato ampiamente discusso e sfruttato. 17 Mi limito a sottolineare, passando rapidamente in rassegna i vari tipi di documentazione, quali sono i risultati che si possono considerare sufficientemente acquisiti e quali invece i problemi ancora aperti. Cominciamo dall’evidenza funeraria, che, a dire il vero, non è particolarmente cospicua in confronto a quella, assai più rilevante quantitativamente, dell’Occidente latino : sono infatti poco più di 800 (e per giunta disseminate in un arco cronologico che va dal iii sec. a. C. al vii d.C.) le iscrizioni che riportano l’età di morte, e a cui si aggiungono comunque poco più di 530 etichette di mummie (i-iv sec.) che forniscono un’indicazione del genere. I problemi che il materiale egiziano solleva, ad ogni modo, non sono granché diversi da quelli ben noti dell’epigrafia funeraria romana, che, come è ora in genere riconosciuto, è in grado di documentare non tanto l’effettiva mortalità quanto piuttosto l’incidenza dei fattori culturali sugli onori funebri : le donne sono in numero decisamente inferiore rispetto agli uomini (il che ovviamente non ha niente a che fare con il fenomeno, ampiamente sopravvalutato a mio parere, dell’esposizione dei nati di sesso femminile) 18 e il tasso di mortalità infantile appare curiosamente assai ridotto, con la conseguenza che i valori che se ne desumono sulla speranza di vita – intorno ai 36 anni per gli uomini e poco meno di 30 per le donne – risultano assai scarsamente attendibili dal punto di vista statistico (tanto è vero che non trovano nessun riscontro nelle tavole di mortalità elaborate su base empirica dai demografi ). 19 Né danno maggiore affidamento i risultati (speranza di vita di 29 anni per gli uomini e di 24 per le donne) a cui è pervenuto Bernard Boyaval analizzando le etichette di mummie, che, benché in misura minore, appaiono comunque condizionati da analoghi fattori di alterazione (basti ad esempio pensare alla meno accentuata ma pur sempre netta prevalenza maschile che vi si riscontra). 20 Si deve allora concludere, come si fa in qualche lavoro recente, che l’evidenza funeraria è del tutto inutilizzabile ai fini demografici ? Personalmente – e ho avuto già modo di sottolineare questo mio punto di vista – credo che si tratti di un’opinione troppo drastica e che alcune indi
17 Cfr. M. Hombert, C. Préaux, Notes sur la durée de la vie dans l’Egypte gréco-romain, « Chronique d’Egypte », 20 (1945), pp. 139-146 ; M. Hombert, C. Préaux, A propos des chances de survie dans l’Empire romain, « Latomus », 5 (1946), pp. 91-97. 18 In proposito rinvio a L. Gallo, Un problema di demografia greca : le donne tra la nascita e la morte, « Opus », 3 (1984), pp. 37-62. Per un’opinione diversa cfr. S. Bussi, Economia e demografia della schiavitù in Asia Minore ellenistico-romana, Milano, 2001, pp. 49 ss. Abbastanza prudente al riguardo è la posizione di W. Clarysse, D. J. Thompson, Counting the People, cit., 2, pp. 311 ss. 19 Su questi problemi cfr. T. G. Parkin, Demography and Roman Society, Baltimore-London, 1992, pp. 5 ss. ; L. Gallo, La base demografica, in Storia della società italiana, Milano, 1996, iii, pp. 323 ss. 20 Tra i numerosi lavori di B. Boyaval sull’argomento, cfr. soprattutto Remarques à propos des indications d’âges des etiquettes de momies, « zpe », 18 (1975), pp. 49-74, e Remarques sur les indications d’âges de l’épigraphie funéraire d’Egypte, « zpe », 21 (1976), pp. 217-243.
179 aspetti demografici dell ’ egitto greco-romano cazioni di tendenza sia comunque possibile ricavarne. 21 Si pensi, ad esempio, alla diversa mortalità dei due sessi : se i valori che si ottengono sulla speranza di vita di uomini e donne sono senz’altro inaffidabili, che la longevità femminile fosse inferiore a quella maschile sembra un dato di cui non vi è motivo di dubitare (anche perché è confermato dalle dichiarazioni di censimento) e che del resto accomuna l’Egitto greco-romano a molte altre società del passato preindustriale. 22 E ancora : poiché sia le iscrizioni funerarie cristiane che le etichette di mummie consentono di appurare il mese dell’anno in cui è avvenuto il decesso, se ne possono ricavare indicazioni preziose su un elemento su cui è merito della ricerca più recente aver richiamato l’attenzione quale l’andamento stagionale della mortalità, che può essere messo in relazione, come ha sostenuto Walter Scheidel nel suo ambizioso volume del 2001, Death on the Nile, con le condizioni ambientali ed epidemiche delle diverse aree del territorio egiziano. 23 L’esistenza di variazioni stagionali della mortalità si evince anche dai poco più di 80 papiri di età romana, provenienti nella quasi totalità dal Fayum e dall’Ossirinchite, che riportano dichiarazioni di morte, la cui testimonianza, è stato però argomentato, sarebbe distorta da fattori di natura burocratica e non rifletterebbe perciò l’effettivo andamento della mortalità. 24
Più brevemente, anche per motivi di competenza, mi soffermo su un altro tipo di evidenza, quello costituito dai numerosissimi ostraka tebani attestanti ricevute di pagamenti di tasse, che si è cercato di sfruttare ai fini demografici : mi riferisco soprattutto al lavoro, dal sinistro titolo di Death and Taxes, pubblicato nel 1971 da Samuel, Hastings, Bowman e Bagnall, i quali, dopo aver individuato un numero di quasi 200 soggetti che compaiono almeno due volte sugli ostraka e assumendo che il primo pagamento di ciascuno risalga all’età di 14 anni e che l’assenza di ricevute successive sia dovuta al decesso del contribuente, hanno ritenuto di poter ricostruire, con il ricorso a sofisticati metodi statistici, quale fosse il regime di mortalità del campione preso in considerazione (con risultati –una speranza di vita, all’età di 15 anni, di altri 14- sensibilmente diversi da quelli a cui si perviene sulla base della documentazione funeraria). 25 Confesso che non sono in grado di
21 In proposito cfr. L. Gallo, La base demografica, cit., pp. 325-326. 22 Sulla minore longevità femminile come elemento caratteristico del regime demografico di varie società preindustriali cfr. L. Gallo, Uomini e donne di fronte alla morte : la testimonianza delle Epidemie ippocratiche, in Thérapies, médecine et démographie antiques, études réunies par J.-N. Corvisier, C. Didier, M. Valdher, Arras, 2001, pp. 225-235. 23 W. Scheidel, Death on the Nile, cit. : sull’incidenza stagionale della mortalità e sulla situazione epidemica delle diverse aree dell’Egitto cfr. pp. 1-117 : Tra i lavori che hanno richiamato l’attenzione su questo elemento cfr., dello stesso autore, Libitina’s bitter gains : seasonal mortality and endemic disease in the ancient city of Rome, « Ancient Society », 25 (1994), pp. 151-175, nonché lo studio di B. D. Shaw, Seasons of death : aspects of mortality in imperial Rome, « jrs », 86 (1996), pp. 100-138. 24 In proposito cfr. W. Scheidel, The Death Declarations of Roman Egypt : A Re-appraisal, « Bulletin of the American Society of Papyrologists », 36 (1999), pp. 53-70, ove si mette in rilievo che l’andamento stagionale della mortalità che si ricava dai documenti in oggetto si discosta marcatamente da quello desumibile dalle iscrizioni funerarie. Per una raccolta di questa documentazione cfr. L. Casarico, Il controllo della popolazione nell’Egitto romano. 1. Le denunce di morte, Azzate, 1985. 25 Cfr. A. E. Samuel, W. K. Hastings, A. K. Bowman, R. S. Bagnall, Death and Taxes. Ostraka in the Royal Ontario Museum, Toronto, 1971.
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fare una valutazione approfondita del metodo seguito dagli autori : mi sembrano comunque abbastanza ragionevoli e motivate le osservazioni mosse al riguardo dal Parkin, che ha messo in luce una nutrita serie di punti deboli che inficerebbero pesantemente il calcolo – ad esempio, non è affatto sicuro, ha opportunamente sottolineato, che la scomparsa di un individuo dal novero dei contribuenti non possa spiegarsi altrimenti che con il suo decesso, così come che il primo pagamento effettuato risalga all’età di 14 anni – e ha espresso perciò forti perplessità sull’attendibilità dei risultati che da queste premesse scaturiscono. 26 La scarsa verosimiglianza del catastrofico regime di mortalità che se ne ricava – una speranza di vita alla nascita inferiore ai 10 anni e tale quindi da compromettere persino il ricambio generazionale – costituisce del resto un ulteriore elemento che induce a dubitare della validità della ricostruzione (nonché dell’effettiva significatività di questa documentazione ai fini demografici). Ho lasciato per ultimi proprio i dati dei censimenti romani, che, benché quantitativamente inferiori alle iscrizioni funerarie – si tratta, come accennavo all’inizio, di circa 300 dichiarazioni scaglionate tra il i e il iii sec. d.C. –, rappresentano comunque, a giudizio pressoché unanime degli studiosi, il materiale demografico di gran lunga più attendibile e significativo di cui si dispone (secondo il Bagnall e il Frier sarebbero addirittura « the best available source for any population prior to the Renaissance »). 27 In effetti, sulla rilevanza demografica di questa documentazione, che, oltre che sulla mortalità, è in grado di fornire indicazioni anche su vari altri aspetti, come la fertilità, i costumi matrimoniali o le migrazioni, non sembra possano sussistere dubbi, anche se, come è stato talvolta sottolineato, certe valutazioni eccessivamente ottimistiche andrebbero forse un po’ ridimensionate. 28
Ma quali sono le caratteristiche principali che si ricavano dalle dichiarazioni di censimento ? Il regime di mortalità risulta alquanto diverso, anche in questo caso, in confronto alle indicazioni dell’epigrafia funeraria, che vengono però confermate per quanto riguarda il dato della minore longevità femminile : i valori che Bagnall e Frier sono arrivati a calcolare, servendosi ovviamente dell’ausilio delle tavole di mortalità modello, sono infatti una speranza di vita alla nascita di circa 25 anni per gli uomini e di 21-22 per le donne e appaiono abbastanza vicini a quelli che sono stati desunti sulla base di altri tipi di evidenza di età imperiale (penso, ad esempio, ad alcune serie di resti osteologici o alla nota tavola di mortalità di Ulpiano). 29 L’elevata mortalità sarebbe tuttavia bilanciata da un’ altrettanto elevata fertilità (circa 6 figli per coppia), che, come in altri contesti, sarebbe la conseguenza
26 T. G. Parkin, Demography and Roman Society, cit., pp. 22-27. 27 R. S. Bagnall, B. W. Frier, The Demography of Roman Egypt, cit., p. 50. Per ulteriori dati di censimento cfr. R. Bagnall, B. W. Frier, J. C. Rutherford, The census register POxy 984 : the reverse of Pindar’s Paeans, Bruxelles, 1997, su cui cfr. W. Clarysse, D. J. Thompson, Counting the People, cit., 2, pp. 256-257. 28 In proposito cfr., ad esempio, quanto osservano T.G. Parkin, Demography and Roman Society, cit., p. 21, e W. Scheidel, Death on the Nile, cit., pp. 118 ss., 178 ss. �������������������� tavola di mor29 R. S. Bagnall, B. W. Frier, The Demography of Roman Egypt, cit., pp. 89 ss., 99 ss. Sulla talità di Ulpiano cfr. B. Frier, Roman Life Expectancy : Ulpian’s Evidence, « HSPh », 86 (1982), pp. 213- 251. Per i dati ricavabili dai resti osteologici cfr. B. Frier, Roman Life Expectancy : the Pannonian Evidence, « Phoenix », 37 (1983), pp. 328-344, e, più in generale, T. G. Parkin, Demography and Roman Society, cit., pp. 45 ss.
181 aspetti demografici dell ’ egitto greco-romano di un’età precoce di matrimonio delle donne (intorno ai 14-15 anni, in confronto a un’età maschile più alta di almeno 5-6 anni) e di un ruolo del tutto trascurabile del celibato, mentre gli autori non escludono invece una qualche diffusione dei metodi di pianificazione familiare, e soprattutto dell’infanticidio e dell’esposizione femminile (ma gli indizi addotti in proposito – ad esempio la sproporzione tra figli e figlie che si riscontra nelle famiglie dei centri urbani – non sono a mio parere particolarmente significativi). 30 Ora, sono del tutto affidabili risultati del genere ? In realtà, nemmeno in questo caso le cose sono così scontate, come è del resto evidenziato anche dai prudenti dubbi che affiorano qua e là nella pletora di modelli statistici che affolla le pagine di Bagnall e Frier. A suggerire cautela non è soltanto la probabile incidenza di alcuni fattori di distorsione, come, ad esempio, la possibile perdita di nomi alla fine dei documenti o la registrazione incompleta delle figlie (un fenomeno che si riscontra anche in vari paesi sottosviluppati in epoca contemporanea 31) oppure ancora l’omissione di figli maschi fatta allo scopo di sottrarli alla tassazione (un elemento questo che gli stessi autori non trascurano di sottolineare). Ben più importanti mi sembra siano altri fattori : in primo luogo, la minore incidenza percentuale dei villaggi, il cui regime demografico, come emerge dallo stesso campione di cui disponiamo, doveva presentare differenze non trascurabili rispetto a quello dei centri urbani, 32 e poi soprattutto – e questo è, come si è visto, un cronico punto dolente delle indagini di demografia egiziana – la forte concentrazione geografica delle dichiarazioni, che provengono in grandissima parte (per i 3/4) da due sole aree, l’Arsinoite e l’Ossirinchite, mentre è assai poco rappresentata l’area del delta ed è del tutto assente una realtà di sicura rilevanza quale la città di Alessandria. Che il quadro che si ricava dai nostri documenti possa non essere sufficientemente rappresentativo (tanto più se si accettano le suddette conclusioni di Scheidel sulle variazioni regionali della mortalità) è perciò un sospetto che appare effettivamente doveroso. 33
Insomma, anche quando la situazione documentaria è discretamente favorevole, i punti fermi su cui si può contare non sono particolarmente numerosi, e forse, più che fare eccessivo affidamento su metodi statistici e sulle moderne tecniche della scienza demografica (di cui comunque non va disconosciuta l’importanza), sarebbe opportuno accontentarsi di alcune indicazioni di tendenza che si riescono a ricavare. Mi limito a sottolinearne una che mi sembra sufficientemente assodata e che risulta significativa anche ai fini di una valutazione dell’andamento demografico, e cioè una speranza di vita probabilmente più vicina ai 20 che ai 30 30 Cfr. R. S. Bagnall, B. W. Frier, The Demography of Roman Egypt, cit., pp. 151-153. Sul problema cfr. anche W. Scheidel, Death on the Nile, cit., pp. 149-150. 31 In proposito cfr. W. Scheidel, Death on the Nile, cit., p. 150. 32 Sulla minore incidenza percentuale dei villaggi cfr. R. S. Bagnall, B. W. Frier, The Demography of Roman Egypt, cit., p. 49, ove si ipotizza che la popolazione residente in questi insediamenti dovesse essere almeno il doppio di quella urbana. 33 Sulla peculiarità delle condizioni ambientali ed epidemiche dell’area maggiormente rappresentata, il Fayum, cfr. W. Scheidel, Death on the Nile, cit., pp. 16 ss.
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anni : un elemento che comporta assai scarse possibilità di crescita (si pensi infatti che un regime di mortalità del genere presuppone una fertilità media tra i 5 e i 6 figli per coppia perché la popolazione rimanga stazionaria) e che induce perciò a dubitare che l’antico Egitto possa aver conosciuto, come si è spesso ipotizzato, incrementi demografici di rilievo tra un’epoca e l’altra (ad esempio tra il periodo greco e quello romano).
Les PRÊTRES de Bacchias face À l’administration romaine Barbara Anagnostou-Canas
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ous connaissons le site gréco-romain de Bacchias dans le Fayoum par l’archéologie et la papyrologie. Dès la fin du xix e siècle, la mission archéologique britannique, composée de B. P. Grenfell, D. G. Hogarth et A. S. Hunt, a mis au jour 99 papyrus grecs, littéraires et documentaires, un papyrus démotique et quelques ostraca, tous découverts dans différentes pièces du temple central du site, dédié au culte du dieu crocodile Soknokonnis. 1 Un lot de 33 papyrus provenant de fouilles clandestines à Bacchias a été vendu au Caire après 1930. 2 Ces papyrus, datés du milieu du i er au iii e s. de notre ère, appartiennent aux archives des prêtres du temple du dieu crocodile Soknobraisis, lui aussi situé à Bacchias, comme en témoigne le bgu xiii 2215, ii, l. 7-9, daté de 113/114, qui contient une liste des temples de première classe (lovgima) de diverses localités des districts d’Hérakleidès et de Polémôn. 3 L’archéologie a apporté un important complément aux renseignements fournis par cet ensemble de papyrus : en 2005, la mission archéologique qui, depuis 1993, effectue des fouilles sur le site de Bacchias, y a identifié le temple de Soknobraisis sur une aire située à une cinquantaine de mètres à l’est de celle où se trouvait le temple de Soknokonnis. 4 Réduit aujourd’hui à des fondations partiellement en pierre et conservant la partie finale d’un drovmo~ pavé de calcaire et orienté vers le sud, 5 le temple attribué à Soknobraisis est d’époque romaine, tout comme l’édifice en pierre qui, au i er s. de n. è., fut consacré à Soknokonnis, à côté d’un autre bâtiment, en briques dures, qui avait abrité le culte de ce dieu à l’époque ptolémaïque. 6
1 Vingt-sept de ces documents, datés de la fin du iiie siècle avant notre ère au iiie siècle de notre ère, ont été publiés en 1900 par B. P. Grenfell et A. S. Hunt dans les P. Fayoum, douze en 1911 par F. Preisigke dans les P. Cair. Preis. et sept par R. Coles : « jjp », 8 (1974), pp. 177-187 = sb xiv 11387-11397 ; cf. M. Capasso, Cento anni di studi sui papiri di Bakchias : dallo scavo di Grenfell, Hunt e Hogarth ai rinvenimenti del 1996 e del 1997, in Id. (éd.), Ricerche varie di papirologia letteraria et documentaria (« Pap. Lup. », 6/1997), Galatina, 1998, pp. 27-37. 2 Dispersés dans diverses institutions, ils ont été publiés par A. Bataille (P. Fouad 11-14), par K. Hanel et E. Knudtzon (p. lund iii 1-8 et P. Lund iv 1-3, 5, 7-10), par E. H. Gilliam ( P. Bacch.), par R. Montanari Caldini ( sb xii 11149) et par E. H. Gilliam et J. F. Gilliam (P. Turner 27-28) ; cf. M. Capasso, Cento anni di studi sui papiri di Bakchias, cit., pp. 38-43. 3 M. Capasso, Sei anni di scavo a Bakchias (1993-1998) : Bilancio papirologico, in Id. (éd.), Da Ercolano all’Egitto. ii. Ricerche varie di papirologia (« Pap. Lup. », 8/1999), Galatina, 2000, p. 31. Cf. S. Pernigotti, Gli dèi di Bakchias e altri studi sul Fayyum di étà tolemaïca e romana, Imola, 2000, p. 18 et Id., Villagi dell’Egitto antico. i. Bakchias, Imola, 2005, pp. 71-79. 4 S. Pernigotti, Due cocodrilli, in Id. et M. Zecchi (édd.), Il coccodrillo e il cobra. Aspetti dell’universo religioso egiziano nel Fayyum e altrove, Imola, 2006, pp. 27-31. 5 Sur le drovmo~, la voie d’accès au sanctuaire, orienté vers le sud et vers le canal, voir A. Morini, Templi e canali del Fayyyum : alcune osservazioni, in S. Pernigotti et M. Zecchi (édd.), Sacerdozio e società civile nell’Egitto antico, Imola, 2008, pp. 117-119 et S. Pernigotti, Due coccodrilli, cit., p. 30. 6 C. Tassinari, Gli edifici templari nell’evoluzione urbanistica di Bakchias, in S. Pernigotti et M. Zecchi (édd.), Il coccodrillo e il cobra, cit., pp. 145-149 et S. Pernigotti, Due coccodrilli, cit., pp. 29-31.
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Les rapports sur ces fouilles, publiés régulièrement par le professeur S. Pernigotti et ses collègues, sous la direction desquels les fouilles en question ont été réalisées, rendent compte des découvertes archéologiques et de leur interprétation, de même que des trouvailles papyrologiques. Ces dernières sont intégrées dans le catalogue de tous les textes en provenance de Bacchias et ses suppléments, qui incluent aussi bien des papyrus que des ostraca et qui, constitués par le professeur M. Capasso dès 1995, sont parus dans plusieurs des rapports des fouilles de Bacchias. 7 Les papyrus faisant partie des archives du dieu Soknobraisis nous montrent la vie d’un temple égyptien au iie siècle. Après avoir subi la diminution de leurs effectifs et des biens fonciers de leurs temples, les prêtres furent contraints de soumettre des listes du personnel et des comptes financiers du sanctuaire auquel ils appartenaient au contrôle de l’administration, de payer des impôts et d’effectuer des travaux de corvée. 8 Comme ailleurs en égypte, les prêtres de chaque temple de Bacchias soumettaient leur listes annuelles (grafaiv) aux autorités du nome. 9 Le P. Bacch. 2 = sb vi 9320 contient les grafaiv des prêtres des deux temples, celle de Soknokonnis (ll. 1-25) et celle de Soknobraisis (ll. 26-62). C’est cette dernière qui est la plus complète parmi celles qui ont été conservées dans les P.Bacchias. Le 11 août 171, les prêtres du temple de Soknobraisis ont dressé une grafh; iJerevwn kai; ceirismou`, à savoir la liste des membres de leur groupe et l’inventaire des objets appartenant au dieu pour l’exercice de son culte et qui étaient placés sous la surveillance de l’Etat. Dans ce document qu’ils adressaient aux autorités du nome tous les ans, les prêtres de Soknobraisis mentionnaient aussi les devoirs qu’ils avaient remplis vis-à-vis du fisc au cours de l’année. Après avoir énuméré les taxes perçues par eux et la part qu’ils en reversaient au Trésor romain, ils signalaient qu’ils payaient
7 M. Capasso, Catalogo dei papiri di Bakchias i. : i PBakchias 1-100, in S. Pernigotti et M. Capasso (edd.), Bakchias ii. Rapporto preliminare della campagna di scavo del 1994, Pise, 1995, pp. 145-177 ; Id., Catalogo dei papiri di Bakchias. ii : i PBakchias 101-133, in Id. (édd.), Bakchias iii. Rapporto preliminare della campagna di scavo del 1995, Pise, 1996, pp. 119-147 et Primo supplemento al Catalogo dei papiri di Bakchias, ibid., pp. 149-158 ; Id., Papiri e ostraka greci da Bakchias (P.Bakchias 134-136 e OBakchias G 2-7 ), in Id. (edd.), Bakchias v. Rapporto preliminare della campagna di scavo del 1997, Pise-Rome, 1998, pp. 101-110 ; Id., Una kat’oijkivan ajpografhv del 217 d.C. da Bakchias (P. Bakchias 137), in S. Pernigotti, M. Capasso, P. Davoli (edd.), Bakchias vi. Rapporto preliminare della campagna di scavo del 1998, Pise-Rome, 1999, pp. 107-115 ; G . Nachtergael, Deux papyrus grecs de Bakchias (P. Bakchias 138-139 : fouilles de 1997), cit., pp. 117-126 ; F. Ippolito, P. Bakchias 140 : frammento di un contratto ?, ibid., pp. 127-133 ; G . Nachtergael, PBakchias 142 : fragment d’un mémorandum in S. Pernigotti, M. Capasso, P. Davoli (édd.), Bakchias vii. Rapporto preliminare della campagna di scavo del 1999, Imola, 2000, pp. 79-81 ; F. Ippolito, PBakchias 143 : contratto, ibid., pp. 83-89 ; S. Strassi, G. Ghiretti, La documentazione papiracea dall’« area sacra » di Bakchias : status quaestionis e proposte per un’organizzazione informatica dei testi, in P. Buzzi, E. Giorgi (édd.), Bakchias 2009-2010. Rapporto preliminare della xviii e della xix Campagna di scavi, Imola, 2011, pp. 121-138. 8 J. A. S. Evans, A Social and Economic History of an Egyptian Temple in the Graeco-Roman Period, « ycs », 17 (1961), pp. 207-283 ; N. Lewis, La mémoire des sables. La vie en égypte sous la domination romaine, Paris, 1988, pp. 95-96 ; S. Bussi, Le statut des prêtres en égypte romaine : aspects économiques et sociaux, « rhd », 83 (2005), pp. 337-354. 9 P. Bacch.1-6 = sb vi 9319, 9320, 9337, 9336, 9338, 9335 ; 9-13 = sb vi 9322, 9333, 9323, 9332, 9324 ; 15-17 = sb vi 9325, 9326, 9334 ; P. Lund iv 3 = sb vi 9341, P. Fouad 11 et 12 = P. Bacch. 8 et 14 et P. Turner 28.
les preˆ t res de bacchias face à l ’ administration romaine 185 l’impôt par tête, qu’ils accomplissaient les travaux aux digues et qu’ils cultivaient la terre royale. 10 Les grafaiv des prêtres qui nous sont parvenues d’égypte sont datées au plus tôt du ii e siècle. Pour ce qui est des listes du personnel du temple, nous savons qu’elles existaient sous Auguste. Le bgu iv 1199, contient une lettre et un édit, datés de 4 av. n. è., du préfet C. Turranius, qui ordonnait l’enregistrement des prêtres et de tout le personnel appartenant aux temples en précisant quelles fonctions ils accomplissaient. 11 Le fonctionnaire qui en était le destinataire devait faire le nécessaire pour que, dans l’année en cours, le préfet pût procéder à la vérification (col. iii, ll. 10-11 : o{pw~... ejpikrivnwi) des titres présentés par les intéressés afin d’établir la liste de ceux qui étaient prêtres et qui bénéficieraient d’une exemption de la capitation (laografiva). 12 Par ailleurs, dans trois textes datés du iie siècle, 13 mention est faite de l’obligation du personnel des temples de se référer aux listes établies (grafaiv) sous la préfecture de C. Caecina Tuscus 14 pour revendiquer la propriété de parcelles de terrains situées à l’intérieur du sanctuaire 15 ou pour prouver que les revenus du temple et les objets religieux nécessaires à l’exercice du culte placés sous la surveillance de l’Etat étaient maintenus dans l’état où ils se trouvaient dans ces listes. 16 Sur la foi de ces documents et ayant remarqué qu’aussi bien les grafaiv des prêtres et du ceirismov~ des temples des dieux crocodiles sis à Bacchias que ceux sis à Soknopaiou Nèsos ne présentaient pas de variations d’une année sur l’autre sur une période de soixante ans, F. Burkhalter a conclu que les listes des biens, des revenus et du ceirismov~ remontant à la préfecture de Tuscus, au i er siècle, servaient de référence aux autorités romaines pour contrôler l’évolution de ces éléments dans les temples. 17 Le contrôle de non dépassement de cette limite par les autorités reposait sur l’obligation faite au clergé de leur soumettre chaque année la liste des prêtres et du ceirismov~, qui pouvait aussi comprendre un rapport
10 P. Bacch. 2 = sb vi 9320, ll. 48-57. 11 bgu iv, 1199, col. iii ll. 6-12. Cf. G. Purpura, Gli editti dei prefetti d’Egitto. i sec. a.C.-i sec. d.C., « Annali del seminario giuridico », xlii (1992), pp. 498-501 et S. Bussi, Le statut des prêtres en égypte romaine, cit., pp. 341 et 345. 12 En 6/5 av. n. è. des prêtres du temple d’Isis et de Sarapis à Bousiris dans le nome hérakléopolite avaient saisi C. Turranius pour lui demander d’être exemptés de la capitation qu’exigeait d’eux avec des arriérés le scribe royal du nome, en faisant valoir que, jusqu’alors, ils ne la payaient pas : BGU iv 1198. Cf. S. Bussi, Le statut des prêtres en égypte romaine, cit., p. 345. 13 P. Oxy. xlix 3472 (149) ; P. Lond. ii 359 (vers 146-148 ) ; sb vi 9066 (règne d’Antonin le Pieux). Cf. J. E. G. Whitehorne, P.Lond. ii 359 and Tuscus’ List of Temple Perquisites, « Chron. d’Eg. » (1978), pp. 321-328 et Id., Tuscus and the Temples again (sb vi 9066), « Chron. d’Eg. » (1979), pp. 143-178. 14 En service de 63 à 64 : G. Bastianini, Lista dei prefetti d’Egitto dal 30 a. C. al 299 d.C., « zpe », 17 (1975), p. 274 ; Id., Il prefetto d’Egitto (30 a. C.- 297 d.C.) : Addenda (1973-1985), « anrw », ii, 10, 1, p. 505. 15 P. Oxy. xlix 3472 (149). 16 P. Lond. ii 359 (vers 146-148) et sb vi 9066 (règne d’Antonin le Pieux). 17 F. Burkhalter, Le mobilier des sanctuaires d’égypte et les “listes de prêtres et du cheirismos”, « zpe », 59 (1985), pp. 123-134, notamment pp. 125-131 ; cf. J. E. G. Whitehorne, P. Lond. ii 359 and Tuscus’ List of Temple Perquisites, cit., pp. 326-327 et M. Stead, The High Priest of Alexandria and all Egypt, in R. S. Bagnall (éd.), Proceedings of the 16th Intern. Congress of Papyrology, Chico, 1981, pp. 411-412.
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sur les revenus des temples. 18 De faux renseignements exposaient les prêtres à des poursuites judiciaires. 19 Le stratège, le scribe royal, les conservateurs des archives locales réservées au dépôt des actes publics, l’éclogiste et un inspecteur nommé par l’idiologue, qui était un procurateur impérial responsable des finances provinciales en égypte, étaient les fonctionnaires auprès desquels ces listes étaient déposées. 20 Ils les retournaient aux temples concernés accompagnées d’un accusé de réception appelée ajpochv et les prêtres devaient leur écrire pour confirmer le dépôt des listes aux archives de leur temple. 21 En 171, de peur de subir des sanctions pour cause de revenus déclarés différents de ceux qu’ils avaient perçus les années précédentes, nos prêtres ont signalé dans leur grafhv un changement survenu dans la façon de percevoir les sommes que leur devaient les cultivateurs des terres dont le pouvoir romain leur avait accordé l’exploitation (P. Bacch. 2 = sb vi 9320, ll. 48-54). 22 Les terres des temples ayant été confisquées par Auguste dès son arrivée au pouvoir au profit de l’Etat, le clergé de Soknobraisis devait se contenter d’un droit sur une partie de la production agricole des terres environnantes, mais il devait en reverser une part au fisc. 23 Dans ce même P. Bacch. 2 = sb vi 9320, ll. 13-14 et 32-34, les listes des prêtres des deux temples étaient introduites par une mise au point sur la régularité de leur prêtrise : les prêtres déclaraient que ces listes étaient composées de prêtres qui avaient tous subi avec succès la vérification par l’Etat de leur titres (ejpivkrisi~), prouvant qu’ils avaient une ascendance sacerdotale. En effet, si les charges sacerdotales étaient, en principe, héréditaires, la succession était subordonnée au contrôle de l’Etat et au paiement d’un impôt, l’eijskritikovn. 24 Cet impôt s’élevait à douze drachmes pour les prêtres de Bacchias, une somme que disent avoir payée
18 Comme dans le P. Bacch. 2 = sb vi 9320, ll. 26-61. Pour un rapport plus complet des comptes des temples voir le W. Chrest. 92, col. i, ll. 11-24 - col. ii, ll. 1-16 ; cf. F. Burkhalter, Le mobilier des sanctuaires d’égypte, cit., pp. 126-128. 19 Cf. F. Burkhalter, Le mobilier des sanctuaires d’égypte, cit., pp. 129-130 au sujet des raisons de l’intervention des autorités dans les affaires des temples décrites dans les P. Oxy. xlix, 3472, P. Lond. ii, 359 et sb vi, 9066. 20 P. Bacch. 8 = P. Fouad 11 ; P. Bacch. 1- 2, 10, 13, 15, 16, 17 = sb vi 9319- 9320, 9333, 9324-3927 et P. Bacch. 14= P. Fouad 12 ; P. Bacch.12 = sb vi 9332 ; P. Bacch. 9 = sb vi 9332 ; P. Bacch. 6 = sb vi 9335. 21 Cf. E. H. Gilliam, The Archives of the temple of Soknobraisis at Bacchias, « ycs », 10 (1947), pp. 191-198. 22 Les contrevenants du P. Lond. ii 359 étaient des prêtres soupçonnés d’avoir réalisé des gains frauduleusement et qui, cités, n’ont pas comparu au tribunal et, de ce fait, ont vu leurs revenus et leurs salaires fixes séquestrés (l. 6 : aiJ provsodoi kai; aiJ suntavxei~) par l’idiologue jusqu’à ce qu’ils comparaissent pour s’expliquer devant lui (ll.1-7) ; cf. J. E. G. Whitehorne, P.Lond. ii 359 and Tuscus’ List of Temple Perquisites, cit., pp. 327-328. 23 Cf. U. Wilcken, Grundzüge und Chrestomathie des Papyruskunde i. Historischer Teil. i . Grundzüge, Stuttgart, 1912, pp. 300-302 et J. A. S. Evans, A Social and Economic History, cit., pp. 240-244 et 249 ; cf. les P. Tebt. ii, 302 et P. Oxy. xii, 1434, datés respectivement de 71/72 et de 107/108. 24 Sur l’acquittement de l’eijskritikovn, sur le montant à payer pour l’acquitter et sur le paiement de cette taxe à d’autres étapes de la carrière d’un prêtre voir S. L. Wallace, Taxation in Egypt from Augustus to Diocletian, Londres, 1938, pp. 249-252 ; J. A. S. Evans, A Social and Economic History, cit., pp. 258-259 ; T. Kruse, Der königliche Schreiber und die Gauverwaltung. Untersuchungen zur Verwaltungsgeschichte Ägyptens in der Zeit von Augustus bis Philippus Arabs (30 v. Chr.-245 n.Chr.), 2 vol., Munich et Leipzig, 2002, pp. 258-262 et pp. 719-725 ; S. Bussi, Le statut des prêtres en égypte romaine, cit., p. 340 et C. Messerer, La situation des prêtres entre le ier et le iiie siècle en égypte romaine, in P. Schubert (éd.), Actes du 26 Congrès international de papyrologie, Genève, 2012, p. 531.
les preˆ t res de bacchias face à l ’ administration romaine 187 à ce même titre les prêtres du temple de Soknopaios à Soknopaiou Nèsos dans le bgu i 162 = W. Chrest. 91, lequel contient une liste de prêtres datée du règne de Commode. Cependant, cet examen des titres leur permettant d’entrer dans la prêtrise n’impliquait pas leur exemption de l’impôt de la capitation (laografiva), et c’est ce qui se passait à Bacchias. 25 En revanche, cinquante prêtres du temple de Soknebtunis à Tebtynis déclarent dans une grafhv de 107/108 qu’ils sont ajpoluvsimoi, c’est à dire exemptés de l’impôt capital mais c’étaient des prêtres de haut rang et ils avaient payé cinquante-deux drachmes de taxe d’entrée dans la prêtrise (P. Tebt. ii, 298 = W. Chrest. 90, ll. 10-11 et 27). 26 Plus près chronologiquement de la grafhv des prêtres de Bacchias en 171, est celle de deux presbuvteroi pastophores du temple d’Isis Nanaia dans l’Arsinoïte, datée de 193, qui se disent « exemptés de l’impôt de capitation et de tous les autres et bénéficiant du droit d’asile » (P. Lond. ii 345 = W. Chrest. 102, ll. 4-5). 27 C’est à la communauté des prêtres qu’incombait le paiement de l’ejpi-statikovn qui était un impôt dû par les prêtres à l’époque ptolémaïque quand il y avait un épistate du temple, mais dont le montant ne devait pas être affecté uniquement à la rémunération de cet agent. 28 Le P. Lund iv 7= sb vi 9344, 29 daté du milieu du iie s., est un extrait d’un rapport administratif concernant l’acquittement de l’ejpistatikovn par les prêtres de Soknobraisis et par ceux d’Isis et de Boubastis, divinités qui étaient également vénérées dans le temple de Soknobraisis. 30 On voit donc que cet impôt était exigé du clergé bien que la fonction de l’épistate ait été supprimée par les Romains. La décision du comogrammate est également d’un intérêt particulier : jugeant que le montant à payer était trop élevé pour des prêtres dont
25 P. Bacch. 2 = sb vi 9320, ll. 56-57 : cf. supra, pp. 174-175 ; J. A. S. Evans, A Social and Economic History, cit., pp. 248-251. 26 Des prophètes, des stolistes et des ptérophores. Cf. E. H. Gilliam, The Archives of the temple of Soknobraisis at Bacchias, cit., pp. 204-205 et J. A. S. Evans, A Social and Economic History, cit., p. 249. 27 W. Otto, Priester und Tempel im hellenistischen Ägypten, Leipzig et Berlin, 1905, t. i, p. 98, n. 5 et t. ii, pp. 247-248 ; S. Bussi, Le statut des prêtres en égypte romaine, cit., p. 339, n. 8. . 28 Sur l’affectation du produit de cette taxe voir W. Otto, Priester und Tempel, cit., t. i, pp. 238-244 et t. ii, pp. 47-49 ; S. L. Wallace, Taxation in Egypt, cit., pp. 252-254 ; C. Préaux, L’économie royale des Lagides, Bruxelles 1939, pp. 384-385 ; J. A. S. Evans, A Social and Economic History, cit., pp. 273-274. 29 Dont une partie est conservé dans le P. Fouad 4 = P. Bacch. 24. Sur le problème de la datation du P. Fouad 4 = P. Bacch. 24 et du P. Lund iv 7, de l’hypothèse selon les éditeurs de ces textes que ceux-ci aient été rédigés à plus d’un siècle d’intervalle, de l’éventualité qui en résulte que l’ejpistatikovn ait été payé par les prêtres de Bacchias depuis le règne d’Auguste, dès 7 av. n.è. (l. 9), et sur les objections formulées en faveur de la rédaction des deux documents au milieu du iie s., voir T. Kruse, Der königliche Schreiber und die Gauverwaltung, cit., t.ii, pp. 705-706, n. 2000. 30 Cf. P. Lund iv 2 et 7 ; E. H. Gilliam, The Archives of the temple of Soknobraisis at Bacchias, cit., p. 206 et Ead., Compte rendu de E. J. Knudtzon , Bakchiastexte und andere papyri der Lunder Papyrussammlung, Lund, 1946, « ajp », 70 (1949), p. 219. Un autre document appartient aussi aux archives de Soknobraisis. Il s’agit du P. Turner 27, daté du ii e siècle et qui contient le fragment d’une pétition adressée au stratège par trois prêtres qui représentent leurs collègues. L’originalité de cette demande est que ces requérants ne représentent pas les prêtres d’un seul temple, à savoir de celui de Soknokonnis ou de celui de Soknobraisis, mais leurs collègues des deux iJerav de Bacchias (ll. 3-10). Le texte est lacunaire mais, dans la réponse de ce stratège, il est question de documents qui ont été envoyés à l’un des scribes de son service pour examen. Il est donc permis de présumer qu’il était question des relations entre les prêtres des deux temples et l’Etat.
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le nombre avait beaucoup diminué, il décida que la taxe devait être supportée solidairement par la communauté des villageois (ll. 12-15). 31
* Respectueux des procédures bureaucratiques, en règle avec les prescriptions romaines sur les prêtrises égyptiennes, les prêtres de Bacchias apparaissent comme des individus soumis au pouvoir. Pour autant, en 171, les prêtres du sanctuaire de Soknobraisis sont entrés en conflit avec l’administration à cause de leur refus d’accomplir des travaux aux digues. Dans cinq documents relatifs aux prêtres officiant à Bacchias, dont quatre appartenant aux archives du temple de Soknobraisis, les prêtres contestent des actes administratifs leur imposant une corvée qui leur paraît abusive. 32 Chronologiquement, le premier document est le P. Mich. xi 618, daté entre 166 et 169. Il contient la requête adressée à Lucceius Ophellianus, épistratège de l’Heptanomie, par un prêtre de Bacchias pour protester contre la décision d’un répartiteur des hommes affectés aux travaux aux digues (ejkboleu;~ cwmavtwn), qui l’avait désigné pour accomplir cette corvée ; 33 le prêtre invoque l’exemption qui lui avait été accordée par l’ex-préfet Sempronius Liberalis, 34 en raison de sa mauvaise vue :
à son Excellence, Lucceius Ophellianus, épistratège, de la part de Psenamounis, fils de Psenamounis et petit-fils de Psenamounis, du village de Bacchias, prêtre. Depuis la 18e année du règne du divin Aelius Antoninus, sur un ordre de Sempronius Liberalis, ex-préfet, j’ai été exempté (de la corvée), avec d’autres, en raison de la faiblesse de mes yeux ; et voilà que tout récemment le comogrammate de Bacchias et répartiteur des travaux aux digues m’a assigné aux travaux aux digues.
31 P. Lund iv 7 = sb vi 9344, ll. 13-15 : dia;] [to; t]ou;~ iJerei`~ ajpo; plhvqou~ eij~ ojl[ivgou~ kat][hnth]kevnai : le verbe katantavw est régulièrement utilisé pour désigner une décroissance de la population ; cf. E. H. Gilliam, The Archives of the temple of Soknobraisis at Bacchias, cit., p. 268, comm. ad ll. 8-9 du P. Bacch. 24. Dans le P. Lund iv 7 = sb vi 9344, le comogrammate ne signale pas le nombre des prêtres avant et après la diminution qu’il constate. Pour le ier s. nous ne disposons pas d’information sur le nombre des prêtres à Bacchias. Pour le ii e s., nous savons que, en 116, il y avait vingt-deux ou vingt-trois prêtres au temple de Soknokonnis et que, en 171, il n’en restait que douze (P. Bacch.1= sb vi 9319, ll. 21-42 et P. Bacch.1= sb vi 9320, ll. 15-25). Nous ignorons le nombre de prêtres du temple de Soknobraisis en 116 car le P. Bacch.1= sb vi 9319 est incomplet mais il est très probable que son personnel ait subi la même décroissance que celui du temple de Soknokonnis. Nous savons que, en 171, les prêtres de Soknobraisis étaient quinze (P. Bacch. 2 = sb vi 9320, ll. 34-47 et 58-59), quinze aussi en 178 (P. Bacch. 21= sb vi 9339, ll. 31-32) et seize en 188 (P. Bacch. 5 = sb vi 9338, ll. 14-29). A titre de comparaison, le temple de Soknopaios à Soknopaiou Nèsos disposait de quatre-vingt prêtres en 192/200 (bgu ii 406+627) et le temple de Soknebtunis et celui de Kronos, d’Isis et de Sarapis à Tebtynis en avaient chacun une cinquantaine au ier et au ii e s.( P. Tebt. ii 298 = W. Chrest. 90, daté de 107/108, P. Tebt. ii 299, daté de 50 et psi x 1146, daté de 138) ; cf. E. H. Gilliam, ibid., pp. 186-187. 32 P. Mich. xi 618 ; P. Bacch. 19 = sb vi 9328 ; P. Bacch. 20 = sb vi 9329 ; P. Bacch. 21 = sb vi 9339 ; P. Bacch. 22 = P. Fouad 13 ; P. Lund iv 1 = sb vi 9340. 33 L’ejkboleuv~ ou cw/matekboleuv~ « est un liturge qui reçoit d’un autre l’indication du nombre d’hommes à fournir pour les travaux aux digues ; il doit les recruter dans le village pour lequel il a été désigné comme liturge et les « ventiller » (ejkbavllein) sur leurs lieux de travail qui ne sont pas toujours dans le village même » : D. Bonneau, Liturges et fonctionnaires de l’eau à l’époque romaine : souplesse administrative, in E. Kießling (éd.), Actes des xiii. Intern. Papyrologenkongress (Actes Marburg), Munich, 1974, p. 40 ; cf. Ead., Le régime administratif de l’eau du Nil dans l’égypte grecque, romaine et byzantine, Leyde, 1993, pp. 154-156 et N. Lewis, The Compulsory Public Services of Roman Egypt, 2nd ed., Florence, 1997, pp. 23 et 50. 34 En service entre 154 et 159.
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Quatre papyrus datés entre 171 et 198 constituent le petit dossier judiciaire qui concerne le refus des prêtres de Bacchias d’accomplir des travaux aux digues loin de leur village. 35 Les pièces en sont les suivantes : nous apprenons que, le 14 juin 171, Peteuris, fils de Peteuris, Sisois, fils d’Orsenouphis, et le reste des prêtres d’un temple de Bacchias ont écrit au stratège Potamôn du district d’Hérakleidès du nome arsinoïte pour se plaindre non pas d’avoir à faire des travaux aux digues mais d’être obligés, pour les effectuer, de s’éloigner de leur temple. Le P. Bacch. 19 = sb vi 9328, contient leur recours à ce dignitaire pour attaquer la décision du répartiteur des travaux aux digues (ejkboleuv~), qui avait été recruté par le gardien des rives du lac Moeris (aijgialofuvlax), 36 de les envoyer travailler loin de leur village, contrairement à la coutume (ll. 13-14 : para; to; e[qo~). Ils précisent que la coutume pour eux (ll. 5-6 : ejpei; e[qo~ hJmei`n ejstin) était de travailler seulement au canal dit de Patsôntis, à partir duquel les terrains tout autour de Bacchias étaient irrigués et les réservoirs de la bourgade remplis (ll. 5-10). Ils demandent au stratège, si cela lui semblait bon, d’ordonner au répartiteur de cesser les mauvais traitements à leur égard, de sorte qu’ils puissent, en travaillant aux endroits habituels près du village, accomplir les rites quotidiens pour les dieux, en faveur de la santé de l’empereur et aussi pour la plénitude de l’inondation du très sacré Nil. 37 L’extrait d’un procès-verbal d’audience daté du 26 septembre 171 montre des prêtres et des pastophores 38 de Bacchias ayant saisi Ulpius Serenianus, le grand prêtre (ajrciereuv~) d’égypte, 39 pour un autre motif. L’extrait, conservé dans le P.
35 La corvée du travail aux digues portait le nom général de penqhmeriva. Les dates des certificats de penmontrent que la période d’activité la plus intense se situait de mai à octobre avec un maximum de juin à août. Cf. D. Bonneau, La crue du Nil divinité égyptienne à travers mille ans d’histoire (332 av.- 641 ap. J.-C.) d’après les auteurs grecs et latins, et les documents des époques ptolémaïque, romaine et byzantine, Paris, 1964, pp. 53-55 et P. J. Sijpesteijn, Penthemeros-certificates in Graeco-Roman Egypt, Leyde, 1964, pp. 10-11. 36 Sur ce fonctionnaire propre au nome Arsinoïte voir D. Bonneau, Le régime administratif de l’eau du Nil, cit., pp. 240-244. 37 « à Potamôn, stratège de la méris (division administrative) d’Hérakleidès du nome arsinoïte, de la part de Peteuris, fils de Peteuris, et de Sisois, fils d’Orsenouphis, et des autres prêtres du temple qui est dans le village de Bacchias. La coutume est établie que nous ne soyons pas emmenés pour travailler aux digues en d’autres endroits que le canal dit de Patsôntis, d’où vient l’eau qui sert à irriguer les terres du village et à remplir les bassins situés au-dessous ; or maintenant, les fonctionnaires nous forcent, contrairement à la coutume, à travailler dans d’autres endroits loin du village ; nous te prions, si bon te semble, de leur ordonner de mettre fin à cet outrage à notre égard, de sorte que, travaillant dans les endroits habituels près du village, nous puissions célébrer chaque jour les cérémonies du culte des dieux, pour la préservation de notre seigneur l’empereur Aurélios Antonin César, et pour l’accomplissement de la crue du Nil très sacré, afin que nous obtenions assistance ». Trad. par F. Dunand dans F. Dunand, C. Zivie-Coche (éds.), Hommes et dieux en égypte, Paris, 2006, p. 282. Les pastophores étaient des prêtres de rang inférieur, qui, lors des processions, portaient les sanc38 ����������������������������������������������������������������������������������������������������� tuaires abritant les statues divines. Cf. W. Otto, Priester und Tempel, cit., pp. 94-98. 39 L’ajrciereuv~ secondé par un ajntarciereuv~ était responsable du contrôle des cultes et du clergé dans l’égypte romaine. Créé comme une fonction permanente sous Hadrien, il est à distinguer de l’idiologue qui exerçait un contrôle sur les biens et les revenus des temples. Au sujet de l’ ajrciereuv~ voir G. Parassoglou, A Prefectural Edict Regulating Temple Activities, « zpe », 13 (1974), pp. 21-37 et M. Stead, The High Priest of Alexandria, cit., pp. 411-428 ; cf. G. Husson, D. Valbelle, L’état et les institutions en égypte des premiers qhvmero~
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Bacch. 20 = sb vi 9329, contient la plaidoirie d’Apollophilos, un avocat grec qui assiste nos justiciables et qui expose leur cause au grand prêtre :
« les fonctionnaires », dit-il, « contraignent mes clients à travailler en personne pour la corvée, contrairement à tes ordres. Ceux-ci te demandent donc d’ordonner qu’ils ne soient plus molestés, afin que comme d’autres ont bénéficié de ta bienveillance ils en bénéficient aussi ». Ulpius Serenianus, grand prêtre et directeur des cultes, a dit, (en réponse à cette plaidoirie) : “le stratège veillera à ce que la violence ne soit pas utilisée”. La 12e année de l’empereur Antonin César, le Seigneur, le 28 Thoth.
Deux peuvent être les raisons pour lesquelles Serenianus s’est prononcé en faveur des prêtres : une mesure à caractère réglementaire pourrait avoir été prise par ce procurateur impérial, à l’instar, par exemple, de celle invoquée dans le P. Aberd. 16 daté de 134 ; 40 si tel avait été le cas, ce que l’avocat des prêtres demandait, c’était que ses clients bénéficient de cette mesure générale. L’autre hypothèse est qu’Ulpius Serenianus ait décidé d’accorder aux prêtres de Bacchias la dispense d’exécuter personnellement les corvées à la suite d’un recours, l’avocat invoquant alors un précédent judiciaire. 41 Quelle qu’ait été la nature de la décision d’Ulpius Serenianus, elle a sans doute été prise pendant les deux mois qui ont suivi le recours des prêtres au stratège Potamôn (daté du 14 juin 171), puisque ces derniers ne l’y invoquent pas. 42 Sur le terrain, certains prêtres ont bénéficié de la bienveillance du grand prêtre et n’ont pas effectué ces travaux en personne, mais d’autres ont été contraints par la force de les accomplir. L’avocat des prêtres qui ont saisi Serenianus en septembre 171 lui demande donc d’étendre à tous cette protection. Et c’est le stratège, détenteur du pouvoir exécutif dans le nome, qui devait faire exécuter la décision de Serenianus en enjoignant aux fonctionnaires locaux de ne plus forcer ces administrés à aller travailler en personne. 43 Sept ans plus tard, les prêtres de Bacchias éprouvaient encore des difficultés pour faire respecter les exemptions qui leur étaient accordées. Voici ce que nous apprenons d’une affaire judiciaire conservée dans le P. Bacch. 21 = sb vi 9339. Le 8 août 178, quinze prêtres du temple de haut rang de Soknobraisis du village de Bacchias ont présenté à Flavius Apollônios, stratège du district d’Hérakleidès
pharaons aux emperteurs romains, Paris, 1992, pp. 207 et 301-302. Sur Ulpius Serenianus, voir J. Parsons, Ulpius Serenianus, « Chron. d’Eg », 49 (1974), pp. 135-157. 40 Il s’agit de la copie d’une circulaire du préfet de la flotte Alexandrine Marcius Hermogenès envoyée par lui aux stratèges et aux scribes royaux de l’Heptanomie et de l’Arsinoïte pour leur dire qu’il avait été saisi par de nombreux prêtres et prophètes au prétexte que, d’après les lois sacrées (ll. 6-7 : wJ[~ ej]k tw`n iJerw`n novmwn) et à l’initiative de leurs excellences les préfets, ils avaient été exemptés de liturgies dans la campagne égyptienne (ll. 8-9 : cwrikai; leitourgivai) : « Copie d’une lettre. Marcios Hermogenès aux stratèges et aux scribes royaux de l’Heptanomie et de l’Arsinoïte, salut. J’ai été saisi par de nombreux prêtres et de nombreux prophètes sous prétexte que, d’après les lois sacrées et à l’initiative de leurs excellences les préfets, ils ont été exemptés de corvées dans la chôra ». Marcius Hermogenès est très probablement à identifier à Quintius Marcius Hermogenes, praefectus classis Aug(ustae) Alexandrinae en 134 ( cil iii 43 ; pw xiv ) ; peutêtre a-t-il été détaché au service de l’idiologue ou de grand prêtre ou, étant un procurateur du Prince, il est devenu un haut fonctionnaire : cf. P. Aberd. 16, comm. ad l. 2 et T. Kruse, Der königliche Schreiber und die 41 L. 6 : para; ta; uJpo; sou` leusqevnta. Gauverwaltung, cit., t.ii, p. 770, n. 2177. 42 P. Bacch. 19 = sb vi 9328, supra, p. 179. 43 Cf. le commentaire de E. H. Gilliam, The Archives of the temple of Soknobraisis at Bacchias, cit., p. 200.
les preˆ t res de bacchias face à l ’ administration romaine 191 du nome arsinoïte, une sentence d’Ulpius Serenianus apposée en bas d’une requête qui les concernait : 44 le grand prêtre les y dispensait d’aller travailler en personne aux digues. La copie de cette requête était attachée à leur pétition, par laquelle ils demandaient au stratège de donner l’ordre que leurs droits fussent sauvegardés.
à Flavius Apollônios, stratège du district d’Hérakleidès du nome Arsinoïte de la part de Sisoeis, fils d’Orsenouphis, d’Hôros, fils de Peteuris, et de Peteuris, fils de Peteuris, de nous trois avec les autres prêtres du temple de haut rang (l. 3 : iJerou` logivmou) de Soknobraisis du village de Bacchias. Une copie de la demande que nous t’avions apportée et qui contient la sentence de l’éminent grand prêtre est ci-jointe. Nous demandons que nos droits soient sauvegardés conformément à la sentence. La 18e année des Aurelii Antonin et Commode, Césars, les Seigneurs, le 14 Mésorè. La demande ci-jointe a été soumise (ll. 1-9).
Après cette demande, le document contient la copie de la lettre que Flavius Apollonios a envoyée au scribe royal du district d’Herakleidès :
Suit la copie de la lettre : Flavius Apollônios, stratège du district d’Hérakleidès du nome arsinoïte, à son très cher Apollônios, scribe royal du même district. Fais en sorte que soit gardée la copie de la pétition qui m’a été apportée sous scellés, avec la sentence d’Ulpius Serenianus, le grand prêtre, au nom des prêtres et pastophores du village de Bacchias, demandant de ne pas être contraints à travailler en personne aux digues (ll. 9-17).
Suit la mention de la réception de la pétition par l’appariteur (uJphrevth~ metevl(abon)) (ll. 19-20). 45 Après cette mention nous lisons une lettre adressée par les prêtres à ce même scribe royal :
à Apollônios, scribe royal du district d’Hérakleidès du nome arsinoïte de la part de Sisois, fils d’Orsenouphis, d’Hôros, fils de Peteuris, et de Peteuris, fils de Peteuris, de nous trois avec d’autres (prêtres) du dieu Soknobraisis du village de Bacchias. Nous avons soumis la copie de la pétition que nous avons adressée au grand prêtre avec certaines pièces justificatives envoyées à toi par le stratège, afin que nous soyons dispensés de travailler en personne aux digues. Nous y avons aussi attaché la copie d’une lettre nous concernant, écrite par Potamôn, le stratège du district d’Hérakleidès de l’Arsinoïte, à Sarapiôn, le gardien des rives du lac et la liste des membres du groupe que nous formons, quinze hommes et un mineur. Sont attachés ci-dessous les justificatifs des démarches effectuées depuis le commencement et la lettre écrite à Sarapiôn, le gardien des rives du lac, par Potamôn, le stratège, et la liste des membres du groupe que nous formons (ll. 21-35).
Découvert dans les archives du temple de Soknobraisis, le P. Bacch. 21= sb vi 9339 conserve la copie fragmentaire d’un document rédigé très probablement par un 44 Une uJpografhv (subscriptio). Sur les subscriptiones par lesquelles les fonctionnaires répondaient aux requêtes dont ils étaient saisis voir J. D. Thomas, Subscriptiones to Petitions to Officials in Roman Egypt, in E. Van ‘t Dack et alii (édd.), Egypt and the Hellenistic World, Louvain, 1983, pp. 369-382. 45 Pour que celle-ci soit transmise au scribe royal. Sur le rôle de l’uJphrevth~ dans la consignation et la transmission des documents administratifs et dans la procédure judiciaire cf ; H. Kupiszewski, J. Modrzejewski, Hypèretai. études sur les fonctions et le rôle des uJphrevtai dans l’administration civile et judiciaire de l’égypte gréco-romaine, « jjp », 11/12 (1957/1958), pp. 141-166 et S. Strassi, Le funzioni degli hyperetai nell’Egitto greco e romano, Heidelberg, 1997, pp. 47-48 ; sur l’affectation possible de cet hypérète au bureau du scribe royal voir T. Kruse, Der königliche Schreiber und die Gauverwaltung, cit., t. ii, p. 700.
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praticien du droit pour les prêtres qui furent ses clients. Il ne reproduit ni la pièce principale de ce petit dossier, à savoir le recours initial des prêtres au grand prêtre au sujet de leur exemption de l’obligation d’effectuer en personne les travaux aux digues, ni les copies de différentes pièces qui étaient attachées à leurs demandes aux différentes autorités 46 et qui pouvaient influencer positivement le juge qui connaîtrait l’affaire. Vingt ans plus tard, trois prêtres de Bacchias servant le dieu Souchos, autre forme du dieu local, adorée dans ce village comme suvnnao~ qeov~, ont saisi le préfet Q. Aemilius Saturninus. C’est le P. Lund iv, 1 = sb vi 9340, daté du 8 novembre 198, qui nous renseigne sur la démarche de ces prêtres. Il montre qu’il y a eu affrontement et que des violences ont été perpétrées sur des prêtres, lesquels ont également été forcés de payer une amende énorme. Dans leur demande, dont le texte présente des lacunes, Ammonis, fils d’Ôros, Orsenouphis, fils de Pa…… et Peteuris, fils de Peteuris, exposent les faits :
« La coutume (to; e[qo[~) », disent-ils, « est pour les prêtres de Souchos, le grand dieu, de payer huit drachmes à titre d’impôt de capitation (ejpikefavlia). 47 Nous payons aux percepteurs du village, qui nous remettent des reçus » (ll. 7-11).
Puis, en parlant d’un agent public ayant obtenu par violence le paiement par les prêtres, d’une très forte amende, ils ajoutent :
« il est lui-même entré dans la maison pour leur enjoindre d’aller travailler aux digues … S’ils n’obtempéraient pas, (ils devaient payer) cent vingt drachmes … (Nous demandons) que, par l’intermédiaire de ta sentence sacrée, tu ordonnes au stratège du nome de contraindre les personnes susdites à nous restituer les cent vingt drachmes qu’elles nous ont extorquées et qu’elles soient sanctionnées, pour que, avec ton assistance, nous puissions poursuivre notre travail, sans subir les extorsions de qui que ce soit et en versant au trésor public la somme habituelle de huit drachmes à titre d’impôt de capitation, afin que nous éprouvions les effets de ta bienfaisance. Sois heureux ». Ammônis et Orsenouphis et Peteuris ont remis ; ils sont venus eux-mêmes … La 7e année, le 12 Athyr (ll. 17-37).
La demande contient la décision du préfet, qui renvoie l’affaire à l’épistratège pour que celui-ci enjoigne au stratège de faire le nécessaire afin que les prêtres soient rétablis dans leurs droits : « si rien ne s’y oppose, saisis l’éminent épistratège » (ll. 3839), écrit-il et le document se clôt avec la formule « ajpovdo~ » (l. 40), un impératif qui signifie que la requête devait être rendue aux requérants. Par ailleurs, si l’on se fie à la paléographie, le fait que dans ce document la sentence et la formule « ajpovdo~ », écrites en bas de la demande l’ont été de la main de différentes personnes, montre que nous avons, selon toute vraisemblance, l’original du document. 48 Ces recours pour excès de pouvoir auprès d’une autorité locale ou centrale et l’audience devant un procurateur romain ont montré des prêtres agissant en tant qu’administrés faisant un procès à un acte administratif ou à des agents publics ayant commis des actes de violence contre eux.
46 On ne les trouve pas non plus dans le P. Bacch. 22 = P. Fouad 13, qui est un duplicata partiel de la lettre des prêtres au scribe royal (des ll. 21-29 du P. Bacch. 21). 47 Sur cet impôt voir J. A. S. Evans, A Social and Economic History, cit., pp. 252-253. 48 Cf. J. D. Thomas, Subscriptiones to Petitions to Officials in Roman Egypt, cit., p. 378.
les preˆ t res de bacchias face à l ’ administration romaine 193 Leur contentieux avec l’administration provinciale qui s’étale sur une trentaine d’années et que nous avons suivi à travers leurs exposés ou celui d’un avocat suscite un certain nombre de questions. Quels étaient les destinataires de ces recours pour excès de pouvoir, à quoi tendaient les recours et quelle était la règle de droit que les juges appliquaient pour établir le respect de la légalité ? Les prêtres de Bacchias ont adressé leurs requêtes à des dignitaires qui se trouvaient au sommet de la hiérarchie administrative, soit à la tête du nome, tel le stratège, soit à la tête de l’égypte, tels le grand prêtre ou le préfet en personne. 49 De par l’application de la procédure extraordinaire dans cette province, ces fonctionnaires pouvaient exercer une activité judiciaire. Le préfet, chargé à la fois de l’administration et de la juridiction, était un juge de droit commun qui pouvait juger aussi bien les causes privées que les causes pénales ou administratives ; 50 le grand prêtre était un procurateur impérial exerçant une juridiction qui lui était propre dans le contrôle des cultes et du clergé qui relevaient de son ressort ; 51 le stratège enfin, bien que ne bénéficiant pas d’une juridiction propre, pouvait, en tant que juge délégué du préfet, juger les affaires ayant pour cadre le nome qu’il administrait. 52 Par ailleurs, le stratège étant un agent d’exécution dans le nome, c’est à lui ou à son second, le scribe royal, que s’adressaient les prêtres, munis d’une sentence du grand prêtre ou du préfet qui leur était favorable, afin que celle-ci devînt effective. 53 Notons aussi, puisqu’il s’agissait de différends concernant l’irrigation, que le préfet, à la tête de l’égypte, et le stratège, à la tête du nome, étaient des fonctionnaires impliqués dans l’administration de l’eau. 54 Les recours des prêtres visaient à annuler une décision administrative non conforme au droit. Mais de quel droit s’agissait-il ? La cour n’étant pas censée connaître le droit dans ce pays de pluralisme juridique qu’était l’égypte romaine, la règle applicable était signalée aux juges par les requérants, voire par les professionnels du droit qui rédigeaient leurs requêtes. Voyons quelle était la nature de cette règle. Dans le P. Mich. xi 618, l’exemption de la corvée aux digues a été accordée au prêtre mal voyant et à d’autres par l’ex-préfet Sempronius Liberalis en vertu d’un ordre (ejx ejgkeleuvsew~), très probablement un édit, qui accordait cette dispense
49 P. Bacch. 19 = sb vi 9328 : au stratège ; P. Bacch. 20 = sb vi 9329 et P. Bacch. 21 = sb vi 9339 : au grand prêtre ; P. Lund iv, 1 : au préfet. 50 En vertu de l’imperium ad similitudinem proconsulis qui lui avait été conféré sous Auguste (Ulpien D. 1, 17, 1). 51 Cf. supra, n. 39. 52 Cf. L. Mitteis, Grundzüge und Chrestomathie des Papyruskunde ii Juristischer Teil. i . Grundzüge, Stuttgart 1912, pp. 28-29, R. Taubenschlag, The Law of Graeco-Roman Egypt in the Light of the Papyri 332 b. c .- 640 a. d. (Law2), Varsovie, 1955, pp. 485-486 et B. Anagnostou-Canas, Juge et sentence dans l’égypte romaine, Paris, 1991, pp. 193-195. 53 P. Bacch. 20 = sb vi 9329, ll. 9-10, P. Bacch. 21 = sb vi 9339, ll. 4-7 , P. Lund iv 1 = sb vi 9340, ll. 23-34 et 38-39 et supra, p. 180 ; cf. H. Kupiszewski, Les formulaires dans la procédure d’exécution, in Symbolae R. Taubenschlag dedicatae, t. iii, Varsovie, 1957, pp. 89-103 ; M. Stead, The High Priest of Alexandria and all Egypt, cit., p. 416 et B. Anagnostou-Canas, Juge et sentence, cit., pp. 228-234. 54 Cf. D. Bonneau, Le régime administratif de l’eau du Nil, cit., pp. 237-257.
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non pas à des personnes appartenant à une catégorie professionnelle mais à des individus souffrant d’une incapacité physique. 55 Dans les quatre documents qui font état des recours pour excès de pouvoir des prêtres de Soknobraisis, la règle, que les fonctionnaires locaux auraient enfreinte en nommant les prêtres aux travaux aux digues, était dans deux cas une décision du grand prêtre et dans deux autres la coutume. L’extrait du procès-verbal d’audience conservé dans le P. Bacch. 20 = sb vi 9329 nous apprend que le 26 septembre 171, dans sa plaidoirie devant le grand prêtre Ulpius Serenianus, l’avocat des requérants invoqua une précédente décision soit réglementaire soit judiciaire de ce haut fonctionnaire en vertu de laquelle les prêtres et les pastophores de Bacchias avaient été dispensés d’exécuter personnellement les travaux aux digues, mais que les agents locaux n’ont pas suivie. 56 Et c’est une sentence d’Ulpius Serenianus à ce même sujet que les prêtres ont présentée en 178 dans leur demande au stratège pour lui demander que leurs droits fussent sauvegardés, une sentence qui, malheureusement, n’a pas été conservée dans le P. Bacch. 21 = sb vi 9339. 57 En revanche, le P. Bacch. 19 = sb vi 9328 nous apprend que c’est la coutume (to; e[qo~) qu’un nouveau répartiteur de la main d’œuvre pour l’entretien des digues n’a pas respectée et que les prêtres ont invoquée en leur faveur dans leur demande au stratège datée du 14 juin 171, une coutume qui accordait aux prêtres le privilège d’être toujours envoyés au même endroit (au canal de Patsôntis), de sorte qu’ils puissent remplir chaque jour leurs devoirs sacerdotaux. 58 Et dans la requête que reproduit le P. Lund iv 1 = sb vi 9340, la coutume est aussi invoquée en 198 par les prêtres de Souchos, quand ils saisissent le préfet Q. Aemilius Saturninus afin d’obtenir de ne pas aller travailler aux digues et de payer une somme d’argent à la place, à savoir un impôt personnel de huit drachmes. L’affaire du P. Lund iv 1 = sb vi 9340 pose la question suivante : le paiement d’un impôt en espèces aurait-il servi de substitut au travail de prêtres aux digues ? Les preuves directes manquent pour affirmer que ce procédé de substitution était utilisé en égypte. 59 Dans son article Adaeratio della corvée alle dighe nell’Egitto romano ?, 60 D. Foraboschi, pense qu’en dépit de l’interdiction officielle de l’adaeratio en égypte, 61 celle-ci était pour autant pratiquée pour éviter aux contribuables les travaux aux digues, notamment dans les nomes égyptiens où la main d’œuvre était abondante, c’est-à-dire en dehors du Fayoum. 62 Cela expliquerait l’existence d’un plus grand nombre de certificats de penqhvmero~, à savoir de « travail obligatoire de
55 Cf. supra, n. 34. Sur l’édit d’amnistie de ce préfet en faveur des fugitifs économiques et politiques voir 56 Cf. supra, p. 180. infra, p. 186. 57 Cf. supra, pp. 180-182. C’est seulement dans ce P. Bacch. 21 = sb vi 9339, l. 3, que les prêtres signalent le fait que leur temple était de haut rang (iJero;n lovgimon) mais nous ne pouvons pas savoir si cette qualité a été prise en compte par le grand prêtre pour reconnaître le privilège dont ils se prévalaient, à savoir de ne pas exécuter la corvée aux digues en personne. 58 Cf. supra, p. 179. 59 S. L. Wallace, Taxation in Egypt, cit., pp. 141-143 et D. Bonneau, Le régime administratif de l’eau du Nil, cit., p. 274. 60 D. Foraboschi, Adaeratio della corvée alle dighe nell’Egitto romano ?, « acme », 23 (1970), pp. 123-129. 61 P. Col. 123 (Apokrimata) 41-44 et P. Oxy. xii, 1409, ll. 19-22. 62 Cf. D. Foraboschi, Adaeratio, cit., pp. 127-129.
les preˆ t res de bacchias face à l ’ administration romaine 195 cinq jours », en l’occurrence consacrés au réseau hydraulique, dans l’Arsinoïte par rapport aux autres nomes d’égypte. 63 Pour ce qui est plus particulièrement du cas décrit dans le P. Lund iv 1 = sb vi 9340, D. Foraboschi admet qu’ il était possible aux prêtres d’éviter le travail aux digues en le rachetant avec le paiement de l’ejpikefavlion. De son côté, le personnel administratif affecté à l’entretien des digues dans des régions comme le Fayoum où la main d’œuvre était peu nombreuse pour les travaux en question, devenait furieux de ne pas pouvoir rassembler tous les hommes nécessaires à la corvée, et comme le P. Lund iv 1 = sb vi 9340 le suggère, les agents pensaient qu’en contrepartie de cette exemption de la corvée accordée aux prêtres, il fallait leur faire payer une forte amende, quitte à les y contraindre. 64 Pour que l’application d’une règle coutumière devînt contraignante pour le juge, elle devait être reprise ou bien par une constitution impériale ou bien par un édit préfectoral ou, au moins par un règlement. La coutume sacerdotale, soit écrite, lorsqu’elle était consignée dans des « livres sacrés », 65 soit orale, a été reprise partiellement dans les paragraphes 71 à 99, consacrés aux cultes et aux temples du Gnômôn de l’idiologue. 66 L’application de la coutume invoquée par les prêtres, qui n’avait pas valeur de norme légale, dépendait du pouvoir d’appréciation du juge. Il va de soi que ce dernier appliquait une règle coutumière confirmée par un ordre d’un représentant du pouvoir romain tels ceux émis par les préfets dans le P. Aberd. 16 ou par le grand prêtre dans le P. Bacch. 20 = sb vi 9329, 67 et qu’il assurait l’exécution d’une règle coutumière confirmée par une décision judiciaire, comme celle du préfet dans le P. Lund iv 1 = sb vi 9340. 68
* Scrupuleux quand il s’agissait de leurs obligations à l’égard du gouvernement pour ce qui est des revenus du temple en blé, payant l’eijskritikovn, la laografiva et l’ejpistatikovn, les prêtres de Bacchias apparaissent comme des contribuables honnêtes. 69 Ayant droit à une part des offrandes faites aux dieux 70 et touchant sans doute le traitement fixe accordé à tous les prêtres, 71 ils ne faisaient pas partie des nécessiteux. Leur influence auprès des masses de fidèles obligeait le pouvoir romain à composer avec eux pour préserver la paix sociale. 72 Les deux nouveaux
63 Cf. D. Foraboschi, Adaeratio, cit., p. 129 ; cf. supra, n. 35. 64 D. Foraboschi, Adaeratio, cit., p. 126, n.17. 65 Des ouvrages relatifs au droit égyptien concernant, en premier lieu, le clergé et compilés par des prêtres savants, les hiérogrammates, dans les Maisons de vie ; cf. J. Quaegeber, Sur la ‘loi sacrée’ dans l’égypte grecque et romaine, « Anc. Soc. », 11/12 (1980/1981), pp. 227-240. 66 Un recueil de directives destinées au services de l’idiologue : bgu v 1210. Si l’on accepte que, en l’occurrence, Ulpius Serenianus avait pris une mesure à caractère réglemen67 ��������������������������������������������������������������������������������������������������� taire ; cf. supra, p. 180. 68 Supra, p. 182 ; cf. H. D. Schmitz, To ethos und verwandte Begriffe in den Papyri, Cologne, 1970, pp. 73-83. 69 Cf. S. Bussi, Le statut des prêtres en égypte romaine, cit., pp. 346-348. 70 P. Bacch. 2 = sb vi 9320, ll.48-54 ; cf. supra, p. 176. 71 Gnômôn de l’idiologue (= bgu v 1210), § 90 ; cf. F. Dunand dans F. Dunand, C. Zivie-Coche (éds.), Hommes et dieux en égypte, cit., pp. 281-284 et supra, n. 22. 72 J. A. S. Evans, A Social and Economic History, cit., p.172 et F. Dunand dans F. Dunand, C. Zivie-Coche (éds.), Hommes et dieux en égypte, cit.
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temples dédiés respectivement à Soknokonnis et à Soknobraisis, qui sont d’époque romaine, témoignent du souci du conquérant du bon déroulement du culte des dieux autochtones. 73 C’est dans le domaine des corvées, dont le pouvoir étranger souhaitait l’extension constante, que les prêtres de Bacchias, dont le nombre avait diminué, menaient leur combat judiciaire. En effet, si à l’arrivée des Romains et au i er s. les prêtres ont pu bénéficier d’une dispense générale des munera sordida, 74 au fil du iie s. ils se sont vus désigner de plus en plus à une corvée où « l’on se salissait les mains » 75 et les exemptions étaient concédées seulement à quelques-uns ou à certaines catégories du clergé. Ainsi, comme ils le signalaient dans la liste soumise en 171, comme chaque année, aux autorités, les prêtres de Soknobraisis étaient astreints à la culture forcée de la terre royale, une corvée plus lourde que celle des travaux aux digues. 76 Au demeurant, même si l’administration centrale montrait une certaine souplesse, les difficultés des corvéables étaient dues à la façon dont les règles administratives et les décisions judiciaires étaient appliquées par les agents locaux. Mais ce conflit entre les coutumes religieuses et les règles civiles doit se placer aussi dans un cadre géographique et social dans lequel d’une part l’irrigation était d’une importance vitale pour l’égypte, d’autre part les corvéables se faisaient rares, notamment en raison de la fuite fiscale. Au milieu du iie siècle, un édit préfectoral témoigne des efforts de réconciliation du pouvoir avec une population en fuite ou en révolte. En 154, le préfet d’égypte M. Sempronius Liberalis a reconnu dans son édit 77 que « des personnes s’étaient enfuies pour échapper à certaines liturgies à cause du dénuement où elles étaient et vivaient encore loin de chez elles dans la crainte, car on les avaient déclarées hors-la-loi ». Parmi les hors-la-loi il y avait aussi ceux qui avaient pris part à une insurrection (duscevreia) qui a eu lieu en 152, qui a duré plus d’un an et qui a coûté la vie au préfet d’égypte. 78 Afin de ramener chez eux les fugitifs aussi bien économiques que politiques, le préfet leur offrit une amnistie : pendant trois mois les fugitifs pouvaient regagner leur domicile impunément quel qu’ait été leur crime. En 172, pendant que les prêtres de Soknobraisis à Bacchias entamaient leur longue
73 Cf. supra, p. 173. 74 bgu iv 1199, ll 1-5 ; cf. G. Purpura, Gli editi dei prefetti d’Egitto, cit., p. 501. 75 N. Lewis, La mémoire des sables, cit., p. 172 ; cf. J. A. S. Evans, A Social and Economic History, cit., pp. 263-265. 76 P. Bacch. 2 = sb vi 9320, l. 57. Le P. Phil.1, col. i, ll. 18-34, contient un édit du préfet C. Vibius Maximus, en service entre 103 et 107, dans lequel celui-ci donne la liste des catégories de la population exemptées des services publics obligatoires mais il proclame aussi que, parmi les exemptés, ceux qui étaient propriétaires de terre privée et dont le patrimoine était d’une valeur de plus d’un talent seraient quand même astreints à la culture forcée de terres appartenant à l’état. Et, à la tête de la liste de ces catégories qui est donnée en appendice à l’édit figuent les prêtres de temples de haut rang (lovgima) ; cf. N. Lewis, The Compulsory Public Services of Roman Egypt, 2nd ed., cit., p. 91. 77 bgu ii 372 = W. Chrest. 19 ; cf. G. Purpura, Gli editti dei prefetti d’Egitto, cit., pp. 631-632 et S. StrassiZaccaria, L’editto di M. Sempronius Liberalis, Trieste, 1988. 78 Probablement de L. Munatius Felix, en service de 150 à 154 : G. Bastianini, Lista dei prefetti d’Egitto dal 30 a.C. al 299 d.C., « zpe », 17 (1975), pp. 291-292 ; Id., Lista dei prefetti d’Egitto dal 30 a.C. al 299 d. C. Aggiunte e correzioni, « zpe », 38 (1980), p. 82 ; Id., Il prefetto d’Egitto (30 a.C.- 297 d.C.) : Addenda (1973-1985), « anrw », ii, 10, 1, p 509. Cf. Wilcken, Grundzüge und Chrestomathie, p. 31 (introduction au W. Chrest. 19) et N. Lewis, La mémoire des sables, cit., pp. 177 et 198.
les preˆ t res de bacchias face à l ’ administration romaine 197 protestation judiciaire contre les agents de l’état qui voulaient les faire travailler personnellement aux digues ou à des digues loin de leur temple, le Delta était tenu par les Boucoloi, des bouviers dont la révolte, qui avait commencé en 168 et qui ne fut matée qu’en 173, fut, selon Dion Cassius, menée par Isidôros, un prêtre égyptien. 79 Il est probable, comme le pense E. Gilliam, l’éditrice des P. Bacch., que les prêtres de Baccchias ont profité du souci des Romains d’être en paix avec le clergé local après cet épisode. L’administration aurait ménagé les desservants du culte égyptien en leur accordant des dispenses des corvées personnelles. 80 Elle le faisait d’une part en mesurant la nécessité du respect d’un précédent judiciaire ou d’une règle coutumière permettant aux prêtres d’assurer leurs tâches religieuses sans obligation de fournir de contribution en travail physique, d’autre part en examinant l’intérêt du fisc et les besoins réels en corvéables sur place, un élément variable selon les époques et les régions. Ainsi vivaient les prêtres du temple de Soknobraisis à Bacchias dans la deuxième moitié du iie s. de n.è., à la veille de l’octroi par Septime Sévère des Conseils aux capitales des nomes, qui fit passer l’administration des temples sous la responsabilité de ces derniers. 81 L’image que les actes administratifs et judiciaires découverts in situ nous ont donnée d’eux reflète la nouvelle condition sociale du clergé sous les Romains : des temples appauvris en hommes et en revenus et des prêtres luttant pour faire respecter à l’échelon local les droits qui leur étaient reconnus au sommet de la hiérarchie administrative.
79 71, 4, 1-2 ; cf. J. Schwarz, Nouveaux aperçus sur l’égypte au temps de Marc-Aurèle (161-180), « AncSoc », 4 (1973), pp. 191-198 et J.-M. Bertrand, Les Boucoloi ou le monde à l’envers, « rea », 90 (1988), pp. 139-149. 80 E. H. Gilliam, The Archives of the temple of Soknobraisis at Bacchias, cit., p. 202. ; cf. J. A. S. Evans, A Social and Economic History, cit., p. 172. 81 Cf. W. Otto, Priester und Tempel, cit., t. ii, p. 76.
THE TRADE WITH INDIA AND THE PROBLEM OF AGENCY IN THE ECONOMY OF THE ROMAN EMPIRE Kai Ruffing
L
ong distance trade between the Roman Empire and India or the world of the Erythra Thalassa provided goods to a huge group of consumers in the Roman world – even beyond elite circles. Thus for example an unknown quantity of pepper was sold to a certain Gambax, son of Tappo, for the price of two denarii in the castellum of Vindolanda (Tab. Vindol. ii, 184). 1 Since the quantity is unknown, we do not know whether the pepper has to be considered as a cheap or as an expansive merchandise but at least it seems to be certain that its use was part of the every day life of Roman soldiers on the northern frontier of the Roman Empire. 2 Archaeobotanical remains of pepper also were found in the military camp of Oberaden in Germania Magna as well as in the Roman port of Straubing situated on the right side of the Danube. Furthermore, pepper is the most often named condiment in the book of Apicius. 3 Pepper is also named in a list of 54 different goods to be found in the Digests in the context of regulations done by Marcus Aurelius and Commodus (Dig. 39, 4, 16,7). All in all it seems therefore to be a fair assumption that the middle classes of the whole territory of the Roman Empire had access to this condiment. But pepper was only one item traded between the zone of the Erythra Thalassa and the Roman world. Other wares like incense and nard which were part of this trade were evidently common as well. Stating this, one arrives at the conclusion that the performance of trade in the Roman empire made this availability possible. The given possibility to buy pepper in the remotest parts of the empire was certainly shaped by the existence of complex commercial networks. Pepper grew only in South East Asia and thus had to be bought in India, transported to the
1 On this transaction see B. Onken, Wirtschaft an der Grenze. Studien zum Wirtschaftsleben in den römischen Militärlagern im Norden Britanniens (Phil. Diss.), Kassel, 2003, p. 150. (http ://kobra.bibliothek.uni-kassel.de/bitstream/urn :nbn :de :hebis :34-1061/1/dis2710_05.pdf [23.11.12]). 2 On prices in Roman Britain see H.-J. Drexhage, Preise im römischen Britannien (1.-3. Jh. n.Chr.), in K. Ruffing, B. Tenger (edd.), Miscellanea oeconomica (Studien zur antiken Wirtschaftsgeschichte. Harald Winkel zum 65. Geburtstag), St. Katharinen, 1997, pp. 13-25. 3 See H. Küster, Weizen, Pfeffer, Tannenholz. Botanische Untersuchungen zur Verbreitung von Handelsgütern in römischer Zeit, « mbah », xiv 2 (1995), p. 12. On the trade in pepper see F. De Romanis, Roma e i nótia dell’India. Ricerche sui rapporti tra Roma e l’India dravidica dal 30 a.C. all’età flavia, « Helikon », 22-27 (19821987), pp. 170-174 ; G. Barker, Ex oriente luxuria : Indian Commodities and Roman Experience, « jesho », 45 (2002), p. 45.
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frontiers of the empire and from there, it had to be distributed within the empire. Under the conditions of a pre-modern economy it was a really challenging task to make goods produced in India available in remote places of the empire, if the way to the coast of the Mediterranean Sea is taken into consideration. Already between the places in India where pepper had to be bought and the main gateway cities on the eastern Mediterranean coast there was a complex transport route. Indeed there were two different main routes which were used in trading with the east. The first connected the harbours of Roman Syria with India. Its point of departure were the cities on the eastern coast of the Mediterranean Sea. From there it ran to Palmyra, the Venice of the Sands, as it was called by Ernest Will. 4 Palmyra then was connected with the Euphrates Valley by a road leading to Hit, from where the goods were shipped downstream via Vologesias to Spasinu Charax. 5 There the goods were loaded on ships sailing down the Persian Gulf to India, where Palmyrene merchants arrived predominantely in the North western parts. At least there is evidence for Palmyrenes settling at the mouth of the Indus. 6 Certainly the Palmyrene merchants arrived at the other coasts of the Erythra Thalassa as well. A rather spectacular case in this context is their now epigraphically attested presence on the island of Soqotra, an important point for trading incense. 7 Most interestingly, Palmyrene merchants engaged in the Red Sea trade are to be found in Egypt as well : there is an inscription found in Koptos mentioning a group of ship owners and merchants called ÔAdrianoi; Palmurhnoi; nauvklhroi ∆Epuqraikoiv (seg xxxiv 1593). 8
4 Cf. E. Will, Les Palmyréniens. La Venise des sables (ier siècle avant-iii ème siècle après J.-C.), Paris, 1992. 5 It is a fair assumption that on this part of the route keleks were used : cf. R. Rollinger, K. Ruffing, Schlauchlöße und Schwimmschläuche an Euphrat und Tigris in der römischen Kaiserzeit, in R. Breitwieser, M. Frass, G. Nightingale (edd.), Calamus. Festschrift Herbert Graßl, Wiesbaden, 2013. 6 On the Palmyrene trade to India see e.g. J. Teixidor, Palmyre. Un port romain du désert (« Semitica », xxxiv), Paris, 1984, pp. 31-39 ; M. Gawlikowski, Palmyra as a Trading Centre, « Iraq », 56 (1994), pp. 27-33 ; G. K. Young, Rome’s Eastern Trade. International Commerce and Imperial Policy, 31 bc- ad 305, London-New York, 2001, pp. 139-149 ; K. Ruffing, Wege in den Osten : Die Routen des römischen Ost- und Südhandels (1.-2. Jh.), in E. Olshausen, H. Sonnabend (edd.), Stuttgarter Kolloquium zur Historischen Geographie des Altertums 7, 1999. Zu Wasser und zu Land. Verkehrswege in der antiken Welt (« Geographica Historica », 17), Stuttgart, 2002, pp. 360-378 ; S. E. Sidebotham, Berenike and the Ancient Maritime Spice Route, Berkeley-Los Angeles-London, 2011, pp. 211-212. 7 On the role of Soquotra in the trade of incense and other items see Z. Biedermann, Soqotra. Geschichte einer christlichen Insel im Indischen Ozean vom Altertum bis zur frühen Neuzeit (« Maritime Asia », 17), Wiesbaden, 2006, pp. 31-32 ; H. Dridi, Indiens et proche-orientaux dans une grotte de Suqutra¯, « Journal Asiatique », 290 (2002), pp. 568-569. On the Palmyrene inscription found together with Indian, South Arabian and Ethiopian ones in a cave near Hoq on Soqotra see H. Dridi, Indiens et proche-orientaux dans une grotte de Suqutra¯, cit., pp. 580-583. On the Palmyrene text see C. J. Robin, M. Gorea, Les vestiges antiques de la grotte de Hôq (Suqutra, Yémen), « crai », 2002, pp. 432-443. See further for the broader discussion of the text and its implications regarding the Palmyrene trade M. Gorea, Palmyra and Socotra, in I. Strauch (ed.), Foreign Sailors on Socotra. The Inscriptions and Drawings from the Cave of Hoq (« Vergleichende Studien zu Antike und Orient », Bd. 3), Bremen, 2012, pp. 448-485. 8 The text was formerly published as I.Portes 103. On this publication see J. Bingen, Une dédicace de marchands palmyréniens à Coptos, « ce », 59 (1984), pp. 355-358 with a re-edition of the text. In line 11-12 Bingen first read [ÔA]drianoi; Palmurhnoi; sun⁄evmporoi and corrected this view in seg xxxiv 1593 reading ejri⁄evmporoi instead of sun⁄evmporoi then. The existence of a group of Palmyrene wool merchants with connections to
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Focusing on the Palmyra-India route alone, it becomes obvious that there were at least three crucial points where the goods had to be unloaded from one sort of means of transportation to another. The cargo had to be transported to the Euphrates River, then downstream to Spasinu Charax, where it was loaded on seagoing ships, which then arrived in the harbours of India where the goods had to be sold. Finally coming back from India these loadings and unloadings had to be made in the opposite direction. Given the more widespread presence of Palmyrenes in the Erythra Thalassa, things in reality were much more complicated, since the network serving the needs of this trade was more extended reaching for example until Soquotra and Egypt itself. The same is true for the route to India via Egypt. Starting in Alexandria, the goods were transported upstream on the Nile. In Koptos, situated on the narrowest point between the Nile Valley and the Red Sea Coast, the goods had to be unloaded and transported via the land route to the harbour of Berenike, which was the point of departure and of arrival for the huge merchantmen sailing to India. Coming to the harbours there, goods had to be sold and other items like the pepper mentioned above had to be bought. Having done this, the route was used in the opposite direction. 9 The whole route was part of the so-called ‘Maritime Spice Route’. 10 Using both of the routes briefly sketched here there was not only the problem of changing the means of transportation in the different hubs which itself was already a complex matter : persons in control of ships or camels had to be found and paid for their services. Additional problems were created by state authorities along the route, enforcing, for example, the payment of customs duties. In the case of the trade between the Roman Empire and the world of the Erythra Thalassa that meant the payment of tetarte, i.e. the 25% of the value of goods imported from outside the Roman Empire. 11 In order to do that a lot of paperwork had to be done, starting with the declaration of goods presented to the authorities. A striking example for this is the famous Muziris-Papyrus (sb xviii 13167). On the verso of this remark
the nauvklhroi acting in the Red Sea remains somewhat odd. It is true that the production of wool was of major economic importance in Roman Egypt (see K. Droß-Krüpe, Wolle-Weber-Wirtschaft. Die Textilproduktion der römischen Kaiserzeit im Spiegel der papyrologischen Überlieferung (« Philippika », 46), Wiesbaden, 2011, pp. 13-20), the same, however, is true for Syria as a whole, the region of the Middle East and for the territory of Palmyra itself. A hint for this is the so called Tax Law of Palmyra : J.-B. Yon, P.-L. Gatier, Choix d’inscriptions grecques et latines de la Syrie, Amman-Beirut-Damascus-Alep, 2009, nr. 4 = Jördens, Kottsieper tuat nf 1, p. 281-292, p 145-147 ; g 236-237). There is no compelling reason for the presence of Palmyrene wool merchants in Koptos. Having a look on the pictures of the stone and the squeeze (see I. Portes pl. 62) it does not seem impossible to read [ÔA]drianoi; Palmurhnoi; ∆Eru(qraikoi;) ⁄ e{mporoi, although the order of words is not that of line 3-5. 9 On the route to India via Egypt see e.g. G. K. Young, Rome’s Eastern Trade, cit., pp. 28-66 ; K. Ruffing, Wege in den Osten, cit., pp. 368-373. 10 On the Maritime Spice Road see S. E. Sidebotham, Berenike and the Ancient Maritime Spice Route, cit., pp. 1-3. 11 On the tetarte see A. Jördens, Statthalterliche Verwaltung in der römischen Kaiserzeit. Studien zum Praefectus Aegypti (« Hist.-E. », 175), Stuttgart ,2009, pp. 355-367.
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able document a draft of a customs declaration for the tetarte in Alexandria can be found. 12 The complexity of these operations is illustrated by the recto text of the Muziris-Papyrus. After their arrival in Egypt, the goods had to be brought to Koptos where the state provided a kind of bounded store (sb xviii 13167, 4 : [eij~ ta;]~ ejpi; Kovptou dhmosiva~ paralhmptika;~ ajpoqhvka~). There the goods were stored until their shipment to Alexandria, where a bounded warehouse existed as well (sb xviii 13167, 7-8 : eij~ th;n | [ejn ∆Alex]andreiva/ th`~ tetavrth~ paralhmptikh;n ajpoqhvkhn...). There the customs operations took place. 13 If the goods were accompanied by their owners all the way from the Roman empire to India and back, all necessary transactions for the transport and the interaction between the latter and the authorities could be done by the owners themselves. But evidently this often was not the case, as demonstrated by the sheer existence of the loan written on the recto of the Muziris-Papyrus : in legal terms, the goods remained property of the creditor and had to be marked with his seal. Furthermore the creditor is said to have ejpivtropoi, having the power of disposal over the goods. 14 In this case the relation between the creditor and the debtor in terms of economy is to be described as that of principal and agent. The same is true for all cases in which merchants or actors wanting to sell and buy items on a market did not accompany their goods themselves. That this was regularly the case can be demonstrated using another fascinating document, a harbour register presumably originating in Alexandria (P. Bingen 77). At least in two cases the owners of the ship and of the cargo were different. This is a hint that owners not necessarily were present at the point of destination of their cargoes. 15 If this is true, one has to conclude that the owners of the cargo had to make use
12 Regarding the verso see now F. Morelli, Dal Mar Rosso ad Alessandria. Il verso (ma anche il recto) del ‘papiro di Muziris’ (sb xviii 13167), « Tyche », 26 (2011), pp. 206-233. Cf. further D. Foraboschi, A. Gara, Le direttrici del commercio alessandrino, « Quaderni Ticinesi », 18 (1989), pp. 281-282 ; F. De Romanis, Commercio, metrologia, fiscalità. Su P. Vindob. g 40.822 Verso, « mefra », 110 (1998), pp. 11-60 ; C. Adams, Land Transport in Roman Egypt. A Study of Economics and Administration in a Roman Province, Oxford, 2007, pp. 229-230. 13 On the bounded warehouses and the payment of the tetarte in Alexandria see A. Jördens, Statthalterliche Verwaltung in der römischen Kaiserzeit, cit., p. 358 note 10. 14 This loan now is interpreted as regarding to the transport of goods from the Red Sea to Alexandria, whereas there was a second loan regarding the voyage to Muziris and back to Egypt : cf. F. Morelli, Dal Mar Rosso ad Alessandria, cit., pp. 205-206. The legal character of this document has been intensively discussed since the publication (ed. pr. : H. Harrauer, P. J. Sijpesteijn, Ein neues Dokument zu Roms Indienhandel. P. Vindob. G 40822, « Anzeiger der Österreichischen Akademie der Wissenschaften, Phil.-hist. Klasse », 122 (1985), pp. 124-155). See L. Casson, P. Vindob. g 40822 and the Shipping of Goods from India, « basp », 23 (1986), pp. 73-79 ; G. Thür, Hypotheken-Urkunde eines Seedarlehens für eine Reise nach Muziris und Apographe für die Tetarte in Alexandria (zu P. Vindob. g 40822), « Tyche », 2 (1987), pp. 229-245 ; G. Thür, Zum Seedarlehen katav Mouzei`rin P. Vindob. g 40822, « Tyche », 3 (1988), pp. 229-233 ; L. Casson, New Light on Maritime Loans : P. Vindob. g 40822, « zpe », 84 (1990), pp. 195-206. For the economic dimension of the text see D. Rathbone, The ‘Muziris’ Papyrus (sb xviii 13167) : Financing Roman Trade with India, « bsaa », 46 (2001), pp. 48-49 ; Id., The Financing of Maritime Commerce in the Roman Empire, in E. Lo Cascio (ed.), Credito e moneta nel mondo romano. Atti degli Incontri capresi di storia dell’economia antica (Capri, 12-14 ottobre 2000), Bari, 2003, pp. 220-221. 15 See H.-J. Drexhage, K. Ruffing, P. Bingen 77 und der Handel zwischen Asia Minor und Ägypten, in E. Winter (ed.), Vom Euphrat bis zum Bosporus. Kleinasien in der Antike. Festschrift für Elmar Schwertheim zum 65. Geburtstag (« Asia Minor Studien », 65), Bonn, 2008, p. 155.
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of persons organizing the selling of the goods and all matters connected with the sale of them. In other words : being principals, they had to use agents. Before analyzing the relationship of principals and agents with regard to the trade in the Erythra Thalassa it might seem useful to introduce agency as a common phenomenon in a pre-modern and in a modern economy. Principal-agent relationships are widespread in the pre-modern economies and in modern economy as well. The relationship between a principal and an agent is to be defined in the following way : « a principal delegates some rights – for example, user rights over a resource, to an agent who is bound by a (formal or informal) contract to represent the principal’s interest in return for payment of some kind ». 16 Thus for example the relationship between physicians and patients can be described in this way. Economic as well as historical analyses of the problem of agency up to the present have mainly focused on the problem of how to control an agent or to provide incentives for making him act in an honest way for his principal. 17 With special regard to trade, however, apart from these problems the principalagent-relationship comes into being when principals for different reasons were not able to act personally in doing the business they were engaged in. Wim Broekaert, who in an inspiring paper recently has drawn the attention to the use of freedman as agents in trade, has developed a model consisting in three possible cases in which freedmen were used as agents. These three possibilities are a good starting point for a more general model of the use of agents in trade. First, the social status of the principal has to be considered : the higher a principal ranges in the social stratum of the society the less likely he will act personally in trade. But that certainly does not mean that a principal did not participate in the process of economic decision making. Second, the more widespread and the more complex the interests of a principal were, the less able he was to control all operations himself. Consequently, he had to rely on agents. Third, the higher the value of the goods to be traded was, the more trustworthy an agent had to be, or the more control had to be exercised by the principal over the agent. 18 Thus the use of various agents and various forms of agency respectively gave persons engaged in trade the possibility to increase the geographical range of their activities and the amount of goods traded as well. Given the wide range of principal-agentrelationships, there were a lot of different formal and informal forms of agency.
16 T. Eggertsson, Economic Behaviour and Institutions, Cambridge, 1990, pp. 440-441. A form of principal-agent relationship is provided in Roman law by means of the appointment of an institor : cf. J.-J. Aubert, Business Managers in Ancient Rome. A Social and Economic Study of Institores, 200 b.c. - a.d. 250 (« Columbia Studies in the Classical Tradition », xxi), Leiden-New York-Köln, 1994, pp. 6-9. Another possible form of agency in Roman law is the appointment of a procurator : cf. C. Schäfer, Spitzenmanagment in Republik und Kaiserzeit. Die Prokuratoren von Privatpersonen im Imperium Romanum vom 2. Jh. v.Chr. bis zum 3. Jh. n. Chr., St. Katharinen, 1998, esp. 202-208. 17 Cf. D. C. North, Institutionen, institutioneller Wandel und Wirtschaftsleistung (« Die Einheit der Gesellschaftswissenschaften », Bd. 76), Tübingen, 1992, pp. 38-39 ; B. W. Frier, D. P. Kehoe, Law and Economic institutions, in W. Scheidel, I. Morris, R. Saller (edd.), The Cambridge Economic History of the Graeco-Roman World, Cambridge, 2007, pp. 122-123 ; R. Richter, E. G. Furubotn, Neue Institutionenökonomik. Eine Einführung und kritische Würdigung, Tübingen, 2010, pp. 173-174. 18 Cf. W. Brokaert, The Demise of Status. Freedmen and Agency in Roman Business, forthcoming.
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What this paper tries to show is that the economic decision for the use of such a form depended on the cultural background of an actor as well as on his social position in the society of the Roman Empire. The trade in the Erythra Thalassa via Egypt provides a very good test case : as usual, the richness of sources the Nile province provides is to be mentioned in this context. These sources do indeed prove that there were different groups of persons trading via Egypt with the world of the Erythra Thalassa. There were Romans and/or Italians involved in the trade with India, like Caius Numidius Eros. He is known thanks to two inscriptions from the Paneion situated in the Wa¯di Menı¯h, an important station on the road between Koptos and Berenike. In these inscriptions from 2 bc Numidius Eros states that he made the text coming back from India (ae 1999, 1722 ; ae 1999, 1723). 19 Interestingly, there is another inscription on the same site mentioning a certain Thaliarchus, a slave of a Caius Numidius (ae 1999, 1724). 20 Both were certainly involved in the trade with India, since Numidius Eros engraved his inscriptions between February 25th and March 26th of 2 bc. This gives every reason to think that he was coming back from South India. 21 As demonstrated by Federico De Romanis, it is more than a fair assumption that Caius Numidius Eros and Thaliarchus, slave of Caius Numidius, were connected to the Numidii of Capua. 22 If Thaliarchus was not the slave of Caius Numidius Eros himself, the prosopographical evidence of these three inscriptions do provide indeed very interesting insights in how a member of an important Italian family organized his business activities in the Red Sea. It is safe to assume that Numidius Eros went to India and Thaliarchus remained in Egypt in order to organize the transport of the goods after the return of Numidius Eros to Egypt. In any case the voyage to India then should have been financed and also supervised by Caius Numidius staying in Italy. 23 This Caius Numidius used a freedman as well as a slave as agents, a case described also in the Digests : « Quod frequenter accidit his, qui transmarinas negotiationes et aliis regionibus, quam in quibus ipsi morantur, per servos atque libertos exercent ». (Dig. 40, 9, 10). Thus the principal-agent-relationship in this case is defined by the personal judicial status of the agents involved and the resulting formal constraints. The same is true in the only slightly different case of the famous freedman of Annius Plocamus, who ‘discovered’ Taprobane, who evidently used slaves for trading in the Erythra Thalassa. Like the Numidii, the Annii had their origin in Campania and were a
19 On this Paneion see F. De Romanis, Cassia, cinnamomo, ossidiana. Uomini e merci tra oceano indiano e mediterrane (« Saggi di Storia Antica », 9), Roma, 1996, pp. 203-209 ; H. Cuvigny, A. Bülow-Jacobsen, Inscriptions rupestres vues et revues dans le désert de Bérénice, « bifao », 99 (1999), pp. 133-135. Both inscriptions are published by F. De Romanis, Cassia, cinnamomo, ossidiana, cit., p. 211, nr. 3a and 3b citing the older editions and by H. Cuvigny, A. Bülow-Jacobsen, Inscriptions rupestres vues et revues dans le désert de Bérénice, cit., p. 140, nr. 4 and 5. 20 Published by De Romanis, Cassio, cinnamomo, ossidiana, cit., p. 211, nr. 4 and by H. Cuvigny, A. Bülow-Jacobsen, Inscriptions rupestres vues et revues dans le désert de Bérénice, cit., p. 141, nr. 6. 21 Cf. F. De Romanis, Cassia, cinnamomo, ossidiana, cit., p. 245. 22 Cf. F. De Romanis, Cassia, cinnamomo, ossidiana, cit., p. 244. 23 Cf. F. De Romanis, Cassia, cinnamomo, ossidiana, cit., pp. 245-246 discussing also other possibilities.
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part of the highest social stratum of this region. 24 The same should be true for the Peticii, who obviously were trading wine in the zone of the Erythra Thalassa. 25 Another interesting case is that of Laudanes, slave of Calpurnius Moschas, who might be connected with the important gens of the Puteolean Calpurnii (ae 1999, 1719), who had clearly interests in the Red Sea trade. At least they had a strong connection to the trade in the Eastern half of the Mediterranean, since two members of this gens were honoured by the mercatores qui Alexandr[iai] Asiai Syriai negotiantu[r] (cil x 1797 = ils 7273). 26 As it seems, Calpurnius Moschas used his slave as an agent in the Red Sea trade. Apparently, these families acting in the Red Sea trade in the Augustan age shared economic behaviour and social position. All gentes named so far had their origin in Campania and were connected to Puteoli, the Roman gateway harbour for the trade with the East of the Mediterranean and thus also – as demonstrated by the epigraphic evidence in the Eastern Desert – for the trade in the Red Sea. As already underlined by Federico De Romanis, it were indeed the huge mercantile families of Roman Campania who were active in the region. 27 The available evidence points in the direction that all of them used the same system of agency to pursue their interests – slaves and freedmen. As demonstrated by Wim Broekaert, this was a usual business attitude of families in Roman Italy. 28 But things are different when we look at members of the provincial society of Roman Egypt who were active in the Eastern desert and who were presumably also engaged in the Red Sea trade. A first insight in the types of agency used by these individuals is provided by a group of ostraka found in Koptos, the well known Nikanor-Archive. Although there is no evident connection to the trade in the Red Sea, 29 the ostraka of the archive provide information how the transport of goods between Koptos and the harbours of Berenike and Myos Hormos was organized. Nikanor and his brothers as well as two sons of Nikanor provided transport services between the Nile valley and the harbours of the Red Sea. The
24 Discussed by F. De Romanis, Cassia, cinnamomo, ossidiana, cit., pp. 247-250 ; G. K. Young, Rome’s Eastern Trade, cit., p. 60. On the discovery of Taprobane and the description of the island provided by the elder Pliny see V. Rosenberger, Taprobane-Trauminsel oder der Beginn einer neuen Welt, « Laverna », vii (1996), pp. 1-16. 25 Cf. A. Tchernia, Le dromedaire des Peticii et le commerce oriental, « mefra » 104 (1992), pp. 293-301 ; F. De Romanis, Cassia, cinnamomo, ossidiana, cit., pp. 250-251. On the trade with Italian and other wines in India and the whole zone of the Red Sea see D. Rathbone, The Financing of Maritime Commerce in the Roman Empire, cit., pp. 84-90 ; K. Ruffing, Zum Weinhandel zwischen Italien und Indien im 1. Jh. n. Chr., « Laverna », x (1999), pp. 60-80 ; Id., Einige Überlegungen zum Weinhandel im römischen Ägypten (1.-3. Jh. n.Chr.), « mbah », xx 1 (2001), pp. 66-67. 26 Cf. F. De Romanis, Cassia, cinnamomo, ossidiana, cit., pp. 252-253. See also K. Jaschke, Die Wirtschaftsund Sozialgeschichte des antiken Puteoli, Rahden/Westf., 2010, pp. 129-130 who challenges the view, that the Calpurnii themselves were negotiatores. 27 Cf. F. De Romanis, Cassia, cinnamomo, ossidiana, cit., p. 254. 28 Cf. W. Brokaert, The Demise of Status, cit. 29 Cf. K. Ruffing, Das Nikanor-Archiv und der römische Süd- und Osthandel, « mbah »xii 2 (1993), pp. 1-26 ; H. Cuvigny, Les documents écrits de la route de Myos Hormos à la époque gréco-romaine. Inscriptions, graffiti, papyrus, ostraca, in H. Cuvigny (éd.), La route de Myos Hormos. L’armée romaine dans le désert Oriental d’Égypte. Praesidia du désert de Bérénice II (« Fouilles de l’ifao », 48/2), Kairo, 2003, p. 275.
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chronological range of the ostraka is between 18 bc and 69 ad. The texts are receipts which were written after the delivery of the goods at the point of destination. The formula used in these receipts is parevlabon para; sou` eij~ to;n tou` deivno~ lovgon or similar. 30 Thus there were no less than three persons involved in every transaction : firstly the person who received the goods, secondly Nikanor or one of his relatives and thirdly the owner of the goods. In economic terms the recipient and Nikanor or the other transporters were agents, the owners of the goods were principals. Apart from Nikanor and his relatives, it becomes possible to say something about the social background of the businessmen and the agents on the basis of these texts. Among the businessmen are persons having Roman names like a Caius Norbanus, others bearing the tria nomina and having Greek cognomina and finally those clearly having Egyptian origins, according to the names used. Among the agents in Myos Hormos there are slaves and freedmen, 31 but also many free persons. 32 Furthermore there is one woman acting as agent for Caius Norbanus in Myos Hormos (O. Petr. 244 and 257 ; O. Brüss. Berl. 7). Interestingly, slaves were only acting in the harbours as agents of Roman citizens and the highest stratum of the provincial society, persons having evidently a Egyptian background used free persons as agents. 33 Apart from the already mentioned Caius Norbanus there is another exception to this rule, a certain Marcus Iulius Alexander, certainly a relative of the famous Tiberius Iulius Alexander. In Myos Hormos, Marcus used a free agent called Antiochos, son of Saturneinos (O. Petr. 266 ; O. Petr. 271 ; O. Petr. 282), while a slave was acting for him in Berenike (O. Petr. 252 ; O. Petr. 267). Being obviously a brother of Tiberius Iulius Alexander, Marcus was part of one of the most prominent families of Alexandria. Already his father, Alexander the Arabarch, was extremely wealthy. 34 Thus it is rather striking that he did not use only slaves as agents. Even more surprising is the case of Caius Norbanus for whom a woman called Isidora acted as an agent. The Norbanii, too, were part of the highest stratums of Egypt and were thus supposedy wealthy as well. Although the family owned slaves as well, in the case of their business activities in the Eastern Desert, a free female agent was used. 35 In the light of the evidence of the Nikanor-Archive it can be established that slaves and freedmen were used as agents to a remarkable smaller degree by persons living in Egypt than by those living in Italy, even if the families involved in the business activities in the Eastern Desert – and therefore probably in the Red Sea as well – were wealthy enough to have slaves. Persons with an Egyptian background seemingly used free agents. Certainly, they did not have the wealth their Alexandrian counterparts possessed. But it seems a reasonable assumption that the cultural background mattered too. Slavery was strange to the Egyptian
30 Cf. H. Cuvigny, Les documents écrits de la route de Myos Hormos à la époque gréco-romaine, cit., p. 274. 31 Cf. A. Fuks, Notes on the Archive of Nicanor, « jjp », 5 (1951), pp. 210-211. 32 Cf. M. Rostovtzeff, Review of : Greek Ostraka in the Bodleian Library at Oxford and Various Other Collections, edited by John Gavin Tait. Vol. 1. London : Univ. Press 1930, « Gnomon », 7 (1931), p. 24. 33 Cf. M. Rostovtzeff, Review of : Greek Ostraka, cit., p. 24 ; A. Fuks, Notes on the Archive of Nicanor, cit., p. 211. 34 Cf. D. Rathbone, Italian Wines in Roman Egypt, « Opus », 2.1 (1983), pp. 88-89. 35 Cf. D. Rathbone, Italian Wines in Roman Egypt, cit., p. 89.
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society and introduced as an institution providing labour force only when the Macedonians had conquered Egypt. This becomes apparent in the tax documents from Ptolemaic Egypt published and discussed by Willy Clarysse and Dorothy Thompson. According to their analysis, slavery is deeply rooted in Greek households and the overwhelming part of the slaves mentioned were female. 36 The percentage of slaves found in these documents is remarkable low. Only 3.8% of the persons are slaves. 37 The evidence of the kat’ oikian apographai of Roman Egypt analysed by Roger Bagnall and Bruce W. Frier points in a slightly different, but at least similar direction. Here the percentage of slaves in the census population is 11%. In general, however, there were only one or two slaves in the households of the metropoleis and villages and few had more than six or seven slaves. The sex ratio of the slaves declared in the household declarations is significant as well, because most of them are female. As already underlined by Bagnall and Frier, the evidence points in the direction that slaveholding in Roman Egypt was more associated with consumption than production. 38 Certainly it is difficult to draw general conclusions, but it seems more than a reasonable assumption that also in the provincial society of Roman Egypt slavery remained an institution which provided labour for production and trade only in very limited degree. 39 Having a look at the much debated Muziris papyrus (sb xviii 13167), one has to deal with problem of terminology. The goods mentioned in this contract were given to a trustworthy transporter and were transported to Koptos. 40 The debtor acknowledged that the goods remained under seal and authority of the creditor. The latter evidently had epitropoi and phrontistai and even other employees in the region (lines 1 and 5). Thus the terms used in this document do not allow identifying the staff of the creditor as being free or freedmen or slaves. The lender himself is not named in the text but given the huge amount of money he invested in the trade with India it is certainly true that he was a wealthy Alexandrian. 41 But even those wealthy Alexandrians apparently preferred the use of freeborn agents for the administration of their property. A telling example in this respect is the Heroninos-Archive. According to this archive, rich Alexandrian citizens were heavily relying on freeborn managers usually called phrontistai for their economic activities. Furthermore it provides evidence that these managers were professionals who were working also for other landowners. 42 This does not prove that this
36 Cf. W. Clarysse, D. J. Thompson, Counting People in Hellenistic Egypt. Volume 2 : Historical Studies, Cambridge, 2006, p. 265. 37 Cf. W. Clarysse, D. J. Thompson, Counting People in Hellenistic Egypt, cit., p. 267. 38 Cf. R. Bagnall, B. W. Frier, The Demography of Roman Egypt, Cambridge, 1994, pp. 70-71. 39 On the use of slaves in Egypt see I. Biez˙u n´ka-Małowist, L’esclavage dans l’Égypte gréco-romaine. Seconde partie : période romaine, Breslau-Warschau-Krakau-Danzig, 1977, pp. 73-108, who already arrived to the same conclusion. 40 Line 2 is to be read ºdwvsw kamhleivthi ajxiocrevwi pro;~ ejpivqesin ktl. : cf. F. Morelli, Dal Mar Rosso ad Alessandria, cit., p. 201. 41 Cf. D. Rathbone, The ‘Muziris’ Papyrus (sb xviii 13167), cit., p. 49 ; D. Rathbone, The Financing of Maritime Commerce in the Roman Empire, cit., p. 221. 42 Cf. D. Rathbone, Economic Rationalism and Rural Society in Third-Century a.d. Egypt. The Heroninos Archive and the Appianus Estate, Cambridge, 1991, pp. 81-82.
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was the case also with regard to the epitropoi and phrontistai to be found in the Muziris papyrus. But it may be taken as hint that there is a good chance that these agents were freeborn as well. The evidence discussed so far thus indicates that choice of and decision for the appointment of agents is socially and as consequence culturally defined. Italians involved in the Red Sea Trade seemingly used slaves and freedmen as agents, those merchants stemming from the provincial society of Egypt evidently preferred the use of free persons, because slavery as an institution provided another type of labour than in Italy. This might be confirmed by looking at how the Palmyrenes organised their trade. The organisation of this trade becomes visible through the so called ‘caravan inscriptions’, which were already analysed by Ernest Will in the 1950s. 43 By setting these inscriptions, notables of the Palmyrene society were honoured by those engaged in the trade. The role of the honoured notables in the commerce is debated in modern research. 44 But it seems likely that they financed the trade and acted as entrepreneurs as well. Furthermore they fostered the trade by using their contacts and their influence outside Palmyra. 45 The caravans were guided by the archemporoi or synodiarchai who were members of the same families the honorands in the inscriptions stemmed from. 46 The merchants being part of the caravans acted in the caravan inscriptions only as a group and are not named as individuals. 47 Thus the organization of the Palmyrene trade is deeply rooted in the social structure of the Venice of the Sands, as demonstrated already by these few remarks. But with regard to the relations between principals and agents another point is worth to be considered. The term e[mporoi in the inscriptions is used for those travelling to Lower Mesopotamia as well as for those staying at certain points of the Palmyerene sphere of interest like the e[mporoi oiJ ej[n Spasivmou Cav|raki] (igls xvii.1 227). 48 Evidently these communities of Palmyrene merchants provided services to other Palmyrenes, thus having a principal-agentrelationship. Consequently these communities were styled by Jean-Baptiste Yon as fondouqs palmyréniens. 49 Indeed, it is very plausible that these communities were more or less analogous to the medieval fondachi. Such communities are attested elsewhere in the Roman Empire, for example the oi[ko~ tw`n ∆Alexandrevwn or the stationes of the Tyrians in Rome and Puteoli. 50
43 Cf. E. Will, Marchands et chefs de caravane à Palmyre, « Syria », 34 (1957), pp. 262-277 ; Id., Les Palmyréniens, cit., pp. 57-85. 44 A list of the honoured notables is provided by J.-B. Yon, Les notables de Palmyre (« bah », 163), Beirut, 2002, pp. 263-264. 45 Cf. J.-B. Yon, Les notables de Palmyre, cit., pp. 100-101. This view was doubted by G. K. Young, Rome’s Eastern Trade, cit., pp. 151-154. 46 Cf. J.-B. Yon, Les notables de Palmyre, cit., p. 101 ; G. K. Young, Rome’s Eastern Trade, cit., pp. 154-156 having again a different view. 47 Cf. J.-B. Yon, Les notables de Palmyre, cit., p. 101. 48 Cf. J.-B. Yon, Les notables de Palmyre, cit., p. 103. 49 Cf. for example J.-B. Yon, Les notables de Palmyre, cit., p. 101. On these communities see J. Teixidor, Palmyre, cit., pp. 46-49. 50 Cf. K. Ruffing, Städtische Wirtschaftspolitik im hellenistisch-römischen Kleinasien ? Zur Funktion der Emporia, in H.-U. Wiemer (ed.), Staatlichkeit und politisches Handeln in der römischen Kaiserzeit (« Millennium Studien », 10), Berlin-New York, 2006, p. 145.
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Against this background the ÔAdrianoi; Palmurhnoi; nauvklhroi ∆Eruqraikoiv found in the already mentioned inscription from Koptos become more important. Furthermore it seems likely that in this inscription Palmyrene merchants styled as [ÔA]drianoi; Palmurhnoi; ∆Eru(qraikoi;) | e[mporoi are mentioned too (seg xxxiv 1593). 51 The existence of Palmyrene communities on the Maritime Spice Route is a strong hint that these communities providing services for others were exclusive. The Palmyrenes evidently preferred to establish their own networks at all points of interest within the framework of trade in the Erythra Thalassa instead of using other, already existing networks like those of the merchants stemming from Roman Egypt. The merchants from Roman Egypt had their own communities doing the Red Sea Trade. At least there is a very interesting inscription of two women styling themselves as nauvklhroi ka[i;] [e[mpo]roi ∆Eruqraikaiv (seg viii 703 = sb v 7539 = ae 1930, 53). 52 The use of the terms nauvklhroi ka[i;] [e[mpo]roi jEruqraikaiv is indeed rather idiosyncratic and has provoked different interpretations in modern research. 53 It seems not unlikely that the two female merchants used this terminology since they belonged to a kind of merchant community being active in the Red Sea. Against the background of the Palmyrene example, the interpretation seems likely that even merchants from Roman Egypt used collegia to have access to agents in the zone of interest. Indeed modern research is more and more inclined to attribute such economic functions to the collegia. 54 All in all the evidence discussed so far can be summarized in the following way : within the framework of trade in the Red Sea, agents were used on different points of the route. The social status and consequently the legal and/or social form of principal-agent-relationships were different. These different forms depended on the social and cultural background of the people engaged in this trade. Whereas Romans from the core area of the ‘slave economy’ used freedmen and slaves as agents, rich Alexandrians and other people from Roman Egypt seemingly preferred the use of free agents. Communities formed by merchants of the same origin were evidently a third form providing a background for the establishment of forms of agency. Seemingly the different networks based on agency were mutually exclusive, that is networks which were defined by a certain cultural and social background were not used by outsiders. Known forms of agency were preferred against those used by people coming from outside the own cultural and social horizon. Thus people with a Graeco-Egyptian background evidently made use of slaves and freedmen as agents only as an exception. The
51 See above note 8. 52 On this inscription see K. Ruffing, Militärische und zivile Seefahrt im Roten Meer. Einige Überlegungen zu seg viii 703 = sb v 7539 = ae 1930, 53, in B. Onken, D. Rohde (edd.), In omni historia curiosus. Studien zur Geschichte von der Antike bis zur Neuzeit. Festschrift für Helmuth Schneider zum 65. Geburtstag (« Philippika », 47), Wiesbaden, 2011. 53 See K. Ruffing, Militärische und zivile Seefahrt im Roten Meer, cit., pp. 25-27. 54 See K. Ruffing, Auctions and market in the Roman Empire, in M. Frass (ed.), Kauf – Konsum und Märkte. Wirtschaftswelten im Fokus – Von der römischen Antike bis zur Gegenwart (« Philippika », 59), Wiesbaden, 2013, pp. 223-225.
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reasons for this behaviour may be connected with the main problem that every principal had : the problem of control and the problem to make an agent act in an honest way. Since a real control under the conditions of a pre-modern economy was impossible, these relationships to a high degree were based on trust, which evidently was based finally in known and approved social relationships. These approved relationships evidently were developed only between persons of a similar cultural background. Thus the case of agency used in the Red Sea trade is another example for the huge extent of interdependency between economy and culture, which shaped each other mutually.
IL RUOLO DELL’ESERCITO IN OCCASIONE DELLO SCISMA DONATISTA E IL TRATTATO CONTRO I DONATISTI DI OPTATUS MILEVITANUS Maria Federica Petraccia Questo secolo ha nel suo seno uomini che godono del male altrui e a vicenda si divorano. (Aug., En. in ps., 39, 9)
F
in dal suo inizio (180 d.C. ca.) la Chiesa dell’Africa del Nord si era ‘rallegrata’ dei martiri e del martirio e si vantava della sua costituzione compatta e del carattere esclusivista. « Noi siamo una società con un comune sentimento religioso, una disciplina unitaria ed un comune legame di speranze ». 1 La concezione della Chiesa secondo Tertulliano implicava il rifiuto completo della cultura greco-romana e della filosofia, l’accettazione della Chiesa come dimora vivente dello Spirito Santo e del martirio come la morte più gradita allo Spirito, in grado di cancellare l’impronta di ogni peccato post-battesimale. I sacramenti, specie il Battesimo, dovevano essere amministrati da « un ministro esente dal biasimo del peccato » 2 e il contrassegno distintivo della Chiesa stessa era la purezza e l’integrità. Con Cipriano, vescovo di Cartagine tra il 248 e il 258 d.C., queste idee ricevettero carattere istituzionale. Confessori e martiri meritavano la commemorazione da parte della Chiesa. Solo la Chiesa rappresentata dai vescovi, però, poteva rimettere i peccati. I confessori non avevano tale diritto e il martirio volontario era disapprovato. Cipriano insisteva molto sull’integrità e purezza della Chiesa. Nella disputa con Stefano vescovo di Roma (254 -256 d.C.), i vescovi africani convennero che nessun prete in peccato mortale poteva amministrare validamente un sacramento e che era dovere di una comunità separarsi da un sacerdote peccatore. Non ci poteva essere un Battesimo valido fuori dalla Chiesa e quanti lo ricevevano da eretici o scismatici, lo dovevano ricevere di nuovo nel momento in cui entravano nella Chiesa cattolica. 3 Nel 249 d.C., Decio impose a tutti i cittadini dell’Impero di sacrificare agli dei pagani, nonché all’imperatore, e pretese che ognuno acquisisse un documento
1 Tertulliano, Apolog., 39, 1. Cfr. P. Brown, Christianity and Local Culture in Late Roman North Africa, 2 Tertulliano, de Bapt., 15. « jrs », 10 (1968), pp. 85-95. 3 M. F. Petraccia, M. Traverso, Il concilio di Cirta e lo scisma donatista : riflessioni sul ruolo dell’esercito, in Y. Le Bohec, C. Wolff (éds.), L’armée romaine de Dioclétien à Valentinien Ier (Actes du Congrès de Lyon, 12-14 septembre 2002), Lyon, 2004, p. 505.
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(un libellus) come prova dell’avvenuto sacrificio. Nella comunità cristiana, che si era ormai fortemente secolarizzata, accanto ai martiri vi furono quelli che si piegarono e sacrificarono : essi sarebbero stati definiti lapsi, i ‘caduti’. L’emanazione di norme persecutorie contro i Cristiani fu rinnovata nel 258 d.C. da Valeriano, subito prima della sua cattura da parte dei Persiani : sembra che in questo caso abbia anche giocato la volontà di impadronirsi delle ricchezze dei Cristiani, in un momento di finanza imperiale dissestata. Per di più venne colpita la Chiesa in quanto istituzione e non solo i Cristiani come individui : si stabilì che le chiese dovessero essere chiuse, i cimiteri cristiani e gli altri edifici di culto confiscati, e gli esponenti del clero giustiziati. 4 L’alto clero seguì per lo più i consigli di Cipriano che, durante le persecuzioni di Decio e Valeriano, esortò i colleghi a non provocare le autorità e lui stesso si ritirò in campagna in attesa della conclusione della persecuzione. 5 Ma la prudenza della maggior parte dei vescovi non fu universalmente seguita. Per alcuni la persecuzione fu un’opportunità per combattere le forze del male, arrivando fino al martirio volontario con autodenunce, pratica condannata esplicitamente da Cipriano. Va pure ricordato che al di fuori dei grandi centri, nelle zone dell’interno, la persecuzione fu particolarmente dura. Specialmente nella Numidia meridionale (Numidia Militana) le evidenze letterarie ed archeologiche suggeriscono una repressione pesante, comparabile a quanto testimoniato da Eusebio in Palestina e Alto Egitto. 6 Una volta terminata, si ricordò specialmente tra i ceti popolari l’ammirevole condotta dei confessori, fra cui hanno un particolare rilievo i quarantanove martiri di Abitinae, città dell’Africa Proconsolare. 7 Questi Cristiani avevano continuato a radunarsi clandestinamente in una casa privata sotto la guida del sacerdote Saturninus per celebrare, come al solito, il dominicum. 8 Scoperti, furono arrestati a coloniae magistratibus atque ab ipso stationario milite e condotti al foro dove confessionis palmam magistratus elogio sustulerunt. 9 In seguito furono inviati con un elogium a Cartagine per essere giudicati presso il tribunale del proconsole. 10 Uno degli accusati, Dativus, è indicato nel documento come senator ; l’autore della Passio insiste su questo punto dichiarando che i suoi sancti parentes candidum senatorem caelesti curiae genuerunt. 11 Si trattava infatti di un decurione di Cartagi
4 E. Gabba, D. Foraboschi, D. Mantovani, E. Lo Cascio, L. Troiani, Introduzione alla storia di Roma, Milano, 1999, pp. 415-416. 5 W. H. C. Frend, The Donatist Church. A Movement of Protest in Roman North Africa, Oxford, 1971, p. 6 e n. 7. 6 Eusebio, Hist. Eccl., vii ; cfr. W. H. C. Frend, The Donatist Church, cit., p. 7 e n. 5. 7 C. Lepelley, Les cités de l ‘Afrique romaine au Bas-Empire. ii, Notices d’histoire municipale, Paris, 1981, pp. 56-61. 8 P. Franchi De Cavalieri, Passio SS. Dativi, Saturnini presbyteri et aliorum, « Studi e Testi », 66 (1935), pp. 49-51 ; G. Lopuszanski, La police romaine et les Chrétiens, « ac », 20 (1951), p. 20 ; S. Pezzella, Gli atti dei Martiri. Introduzione a una storia dell’antica agiografia, Roma, 1973, p. 124 ; M. Clauss, Untersuchungen zu den Principales des Römischen Heeres von Augustus bis Diokletian. Cornicularii, speculatores, frumentarii, Bochum, 1973, p. 101 ; 9 Passio SS. Dativi, Saturnini presbyteri et aliorum, 3. C. Lepelley, Les cités, cit., p. 336. 10 Passio SS. Dativi, Saturnini presbyteri et aliorum, 2, 5. 11 Passio SS. Dativi, Saturnini presbyteri et aliorum, 3.
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ne membro quindi del Karthaginis splendidissimae senatus. Al momento del suo interrogatorio, gli venne rimproverato di aver istigato gli altri a disubbidire agli imperatori, lui che avrebbe invece dovuto dare l’esempio. Dativo fu torturato crudelmente anche per l’aggravante di un’accusa di rapimento di una giovane cartaginese di nome Vittoria, convertita al Cristianesimo. Il rapimento era considerato un reato gravissimo e, a parere del Lepelley, 12 senza tale accusa forse le autorità municipali di Abitinae avrebbero chiuso un occhio sulle assemblee cristiane clandestine. Anche durante la prigionia, i martiri continuavano a riunirsi ed arrivarono a condannare il clero ‘traditore’ in termini molto decisi. Coloro che erano stati imprigionati morirono di fame. 13 La Passio si pone a metà tra due periodi ben precisi : il tempo delle persecuzioni perpetrate dagli imperatori di Roma e quello dei contrasti tra scismatici e Cattolici, divampati in terra africana una volta riconosciuta la libertà alla religione cristiana e divenute l’autorità imperiale e quella militare garanti della stessa. Nella produzione agiografica precedente, a partire dal martirio di Policarpo databile alla seconda metà del ii secolo d.C. 14 in poi, l’esercito romano svolge un ruolo differente. Nella scarna descrizione degli avvenimenti strutturata sugli acta, prima fonte documentaria a disposizione degli agiografi e consultabile presso gli archivi municipali e del governatore, è la semplice menzione dei soldati, molto spesso specificata nel grado o nella funzione da essi ricoperti, a conferire un’aura negativa ai persecutori. Il ricorso alla terminologia militare è fondamentale nello stabilire una sorta di separazione tra quello che è il mondo pagano, protagonista al negativo, prepotente e prevaricatore, materiale e legato alla realtà secolare, e quello che è l’universo cristiano, in cui l’unica forma di militanza possibile è quella della militia Christi. Nella riproduzione agiografica dei verbali processuali, insomma, le figure dei militari spiccano in tutta la loro ufficialità, contribuendo a rafforzare il contrasto con quelle semplici dei martiri. In quest’ottica è rappresentata la scena, in cui Cipriano è condotto dinanzi al proconsole Galerius Maximus scortato da due sottufficiali, uno strator ed un equistrator a custodiis, qui et in curriculum eum levaverunt in medioque posuerunt : 15 vivida traspare la forza dell’immagine, tanto da assumere, agli occhi del lettore moderno, un vero e proprio effetto cinematografico. Negli Acta Proconsularia e negli Acta Maximiliani i carnefici, che accompagnano al martirio i Cristiani, sono chiaramente indicati nel loro grado di speculatores. 16 È vero e proprio sprezzo cristiano per le armi e per il servizio militare quello che esprime il centurio Marcellus, quando, in occasione dei festeggiamenti per il compleanno di Massimiano e di Diocleziano, profana refutans convivia, scaglia i simboli del proprio grado, il balteus e la vitis, presso le insegne della sua legione, la II Traiana, dismettendo i panni di soldato e assumendo quelli di miles Christi. 17
12 C. Lepelley, Les cités, cit, p. 336. 13 Acta Saturnini, 17. 14 Si veda V. Saxer, Martirio, in Dizionario patristico e di antichità cristiane, Roma, 1983, ii, col. 2141. 15 Acta Proconsularia, 2. 16 Acta Proconsularia, 5 ; Acta Maximiliani, 3. 17 Acta Marcelli l.
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Con toni ancora più accesi l’attività funesta e violenta dei militari nei confronti dei Cristiani è stigmatizzata in uno scritto agiografico precedente, la Passio Sanctorum Mariani et Iacobi, relativo alla persecuzione avvenuta sotto Valeriano. Il gruppo dei fedeli, destinato ad incontrare il martirio a Lambaesis, si ritrova, nel corso del suo peregrinare, a Cirta, in qua tunc maxime civitate gentilium caeco furore et officiis militaribus persecutionis impetus quasi fluctus saeculi tumescebat. 18 Era quella una persecuzione per militares manus, 19 che si avvaleva del servizio svolto non solo dagli stationarii, ma anche dalla centurionum violenta manus et improba moltitudo. 20 La crudeltà e la violenza dei soldati, che esprime efficacemente l’azione diabolica perpetrata nei confronti dei fedeli, è denunciata al momento della tortura, che avviene numerosis durisque cruciatibus per stationarium militem (…) adhibitis in auxilium crudelitatis eius centurione et Cirtensium magistratibus. 21 La grande persecuzione di Diocleziano (303-305 d.C.) scaturì dall’emanazione dell’Editto di Nicomedia il 23 marzo 303 d.C., pubblicato il giorno successivo e reso operativo anche in Occidente. 22 Vi si ordinava la distruzione delle chiese cristiane, la consegna per la messa al rogo dei libri sacri (traditio), la confisca delle proprietà ecclesiastiche, il divieto per i Cristiani di riunirsi ed intentare azioni giudiziarie, la perdita di tutti i privilegi goduti in caso di recidiva ed infine la riduzione in schiavitù di oi en oiketiais (probabilmente liberti impiegati nel servizio civile). L’editto pervenne in Numidia il 19 maggio 303 d.C. ed il 5 giugno dello stesso anno entrò in vigore in Africa Proconsolare. Quest’ultimo giorno fu denominato dies traditionis, a seguito dell’imposizione circa la consegna dei testi sacri alle autorità e la loro successiva distruzione tramite rogo, fatto questo che comportava una perdita notevole, considerando che i testi erano ovviamente manoscritti e la loro riscrittura richiedeva un lavoro immenso. 23 Molti membri del clero, vescovi inclusi, obbedirono alle autorità, consegnarono i libri delle Sacre Scritture e furono per questo detti traditores (traditori, coloro che hanno consegnato). Un altro editto, emanato in occasione dei vicennalia di Diocleziano nel settembre o novembre sempre del 303 d.C., prevedeva l’amnistia per i membri del clero, a condizione che accettassero di compiere atti pubblici di omaggio (ad esempio bruciare incenso) agli imperatori e alle divinità sotto il cui patronato questi ultimi avevano posto l’impero (dies thurificationis). La disubbidienza a questo editto era punita con la morte. L’ultimo editto, dell’inizio del 304 d.C., ordinava infine a tutta la popolazione dell’impero di offrire sacrifici agli dei. 24
18 Passio Sanctorum Mariani et lacobi, 2, 2. 19 Passio Sanctorum Mariani et lacobi, 2, 4. 20 Passio Sanctorum Mariani et lacobi, 4, 3. 21 Passio Sanctorum Mariani et lacobi, 5, l. 22 W. H. C. Frend, The Donatist Church, cit. ; A. Marcone, La politica religiosa : dalla ultima persecuzione alla tolleranza, in Storia di Roma, Torino, 1993, iii, 1, pp. 234-235, n. 67 p. 235. 23 Lattanzio, De mort. pers. xii, 1-2 ; cfr. S. Corcoran, The Empire of the Tetrarchs. Imperial Pronouncements ad 284 -324, Oxford, 1996, pp. 179-182 ; M. Edwards, Optatus : against the Donatists, Liverpool, 1997, p. xi. 24 Cfr. A. Marcone, La politica religiosa, cit., pp. 235-236 e n. 70, in cui analizza i problemi legati all’applicazione degli editti e al loro numero.
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La fine della persecuzione all’inizio del 305 d.C. non portò la pace all’interno della Chiesa africana. Il sentimento contro i traditores, che si erano piegati all’intolleranza religiosa delle leggi romane e avevano consegnato al rogo dei persecutori i libri sacri, era intenso e un solco profondo si era aperto nella comunità cristiana, cui si aggiunsero le ambizioni di potere della Chiesa numida e le sottostanti differenze economiche e sociali fra Numidia e Africa Proconsolare. Tra i traditores vi erano stati anche dei sacerdoti che poi, pentiti e penitenti, erano stati reintegrati nel loro grado in seno alla Chiesa. La separazione tra Cattolici e Donatisti ebbe inizio quando tra il 308 e il 311 un concilio di vescovi presieduto da Secondo di Tigisi dichiarò deposto Ceciliano e pose a capo della Chiesa di Cartagine Maggiorino, che fino a quel momento era stato un semplice lettore. 25 Secondo tale concilio non solo il fatto di essere in comunione con un traditor, ma anche il fatto di essere in comunione con chi, come Ceciliano, poteva essere stato ordinato da un traditor, vale a dire Felice di Apthugni, comportava necessariamente una vera e propria apostasia. 26 Fu così che all’inizio del iv secolo d.C. due schieramenti irriducibili si contrapposero nettamente in un’accesa realtà conflittuale e ormai in molte città accanto al vescovo cattolico era normale che ci fosse il ‘controvescovo’ donatista. Si trovò troppo permissiva la Chiesa che assolveva e si proclamò che i traditores avrebbero dovuto essere epurati, che i sacramenti da loro amministrati non potevano essere validi. La controversia tra Cattolici e Donatisti approderà ad un vero e proprio scisma noto come ‘donatista’ dal nome di Donato, il più rappresentativo esponente dell’ala rigorista nella prima fase della disputa. Il Donatismo risulta particolarmente significativo per il forte sentimento antiromano che lo caratterizza : molti suoi esponenti arrivavano al punto di considerare negativamente la svolta filocristiana del potere imperiale che essi pensavano di poter combattere più agevolmente se esso fosse rimasto ostile alla Chiesa. Schiere di persone in buona fede seguivano questo scisma perché appariva loro il vero Cristianesimo difeso da coraggiosi custodi, « anche se esso ormai ammetteva la violenza, un tipo di violenza da guerra sacra in quelle stesse terre in cui meno di tre secoli dopo avanzerà imponente la ‘sacra’ conquista maomettana ». 27 È curioso che a prendere l’iniziativa per risolvere il conflitto tra Cattolici e Donatisti siano stati proprio i Donatisti, cui si deve la scelta fatale di coinvolgere l’autorità imperiale nelle questioni interne della Chiesa. 28 La vertenza per la quale era richiesto l’intervento dell’imperatore si trascinava da diverso tempo e riguardava il vescovo di Cartagine, Ceciliano, la cui consacrazione era considerata illegittima
25 T. D. Barnes The Beginnings of Donatism, « jrs », 36 (1975), pp. 20-22 ; W. H. C. Frend, Donatismo, in Dizionario patristico e di antichità cristiane, Roma, 1983, i, pp. 1022-1023 (con bibl. prec.). Cfr. S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, Bari, 1966, ii, 2, p. 214 ; P. Brown, Christianity, cit., pp. 85-95 ; M. Simonetti, Scrittori eretici e antieretici del iv secolo, in A. Di Bernardino (ed.), Patrologia, Roma, 1978, xi, pp. 105-108 ; M. A. Tilley, The Bible in Christian North Africa. The Donatist World, Minneapolis, 1997, pp. 41-42. 26 P. Marrone, L’esegesi biblica di Ottato di Milevi, Roma, 2008, p. 25. 27 V. Paronetto, Agostino la vita il pensiero la missione, Milano, 1977, p. 100. 28 K. M. Girardet, Die Petition der Donatisten und Kaiser Konstantin (Fruhjahr 313), « Chiron », 19 (1989), pp. 185-206.
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da parte dei Donatisti che elessero al suo posto Maggiorino. Ceciliano, tuttavia, rimase in possesso della propria sede in città, anche se la sua autorità era seriamente compromessa. 29 Poiché Maggiorino morì di lì a poco, al suo posto fu eletto Donato, destinato a dare il nome al movimento rigorista nel suo complesso. Dunque Costantino si trovava di fronte una Chiesa africana lacerata che richiedeva un intervento urgente e si adoperò perché la controversia potesse risolversi pacificamente, dato che a suo parere le discordie che affliggevano la Chiesa cristiana africana nuocevano al disegno divino che aveva affidato a lui il governo sulla terra. 30 Nel 305 d.C., nel concilio di Cirta, la Chiesa africana cominciò a discutere sul trattamento da riservare a quegli ecclesiastici che durante la persecuzione di Diocleziano, sotto la minaccia della violenza, avevano consegnato i libri sacri alle autorità imperiali. 31 La tradizione africana prevedeva che fossero necessari almeno dodici vescovi per la cerimonia. I vescovi dovevano essere in stato di grazia : chi ‘era caduto’ (lapsus) durante la persecuzione non poteva considerarsi tale e quindi non era ritenuto un partecipante valido. Alla richiesta di Secondo rivolta ai vescovi riuniti di provare lo stato di grazia dimostrando di non aver ‘tradito’, quattro di loro confessarono le loro colpe, ma dichiararono che dovevano risponderne solo a Dio. Un quinto, Purpurio di Limata, un brigante dichiarato che probabilmente svolse un ruolo di primo piano nel sostegno del popolino di Cirta a Silvano (un sub-diacono acclamato vescovo dall’ala fanatica della Chiesa numida e pesantemente coinvolto pochi mesi prima nel ‘tradimento’ di tutto il clero di Cirta), 32 minacciò Secondo e rivolse a lui l’accusa di tradimento. Il resoconto del concilio è fornito da Agostino nel Breviculus Collationis cum Donatistis e nel Contra Cresconium grammaticum donatistam, e da Ottato Milevitano, vescovo cattolico vissuto all’epoca dei papi Damaso e Siricio, nel primo libro del trattato Adversus Donatistas (anche se la sua opera è giunta senza titolo e alcuni moderni, basandosi sul codex Remensis 221, l’hanno intitolata Contra Parmenianum Donatistam, intendendola come una risposta all’Adversus ecclesiam traditorum scritta da Parmeniano, vescovo donatista di Cartagine eletto intorno al 362 d.C., il quale ostenta un profondo disprezzo nei confronti della Chiesa ufficiale e dell’impero che aveva preso le difese della parte cattolica 33), che aveva in mano un documento
29 M. A. Tilley, The Bible, cit., pp. 57-58. 30 A. Marcone, Costantino il Grande, Roma-Bari, 2000, pp. 53-54. 31 Y. Duval, Chrétiens d’Afrique à l’aube de la paix Constantinienne. Les premiers échos de la grande persécution, Paris, 2000, pp. 65-77. Per la Numidia, dagli atti del concilio di Cirta (305 d.C.) si apprende che almeno quattro vescovi avevano consegnato i libri sacri : Ottato, i, 14 ; Agostino, Contra Cresc., iii, 27, 30. Per l’Africa Proconsolare, è noto che ì vescovi di Fumi, Zama e Abitinae si erano comportati nello stesso modo : cfr. W. H. C. Frend, The Donatist Church, cit., pp. 5-6 e nn. 1-3 p. 6. Lo stesso primate di Cartagine, Mensurio, salvò la coscienza consegnando ai pubblici ufficiali alcuni testi eretici in suo possesso : Agostino, Breviculus collationis cum donatistis, iii, 13, 25. 32 W. H. C. Frend, The Donatist Church, cit. ; Id., Donatismo, cit., pp. 1022-1023 (con bibl. prec.). 33 Parmeniano scrive l’Adversus ecclesiam traditorum tra il 361 e il 363 d.C., quando in Africa Giuliano riporta un clima favorevole ai Donatisti e tutti i dissidenti esiliati in seguito all’editto di unione di Costante possono rientrare in patria.
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importantissimo passato alla storia come il protocollo di Cirta. Ottato conclude la sua opera con un appello al perdono dei cosiddetti traditores, vale a dire di quegli ecclesiastici che durante la persecuzione di Diocleziano avevano consegnato i libri sacri alle autorità imperiali (libro vii). 34 Agostino, prima di intervenire nel dibattito, si documenta e legge i trattati donatisti e quelli antidonatisti. Risale soprattutto alle origini storiche dello scisma ed esamina con metodo rigoroso la cronologia degli eventi, intravvedendo nello scisma un grosso equivoco nell’interpretazione del messaggio di Cristo. Ottato scrive il trattato verso la fine del iv sec. d.C. pur narrando fatti avvenuti negli anni 305-314 d.C. In esso sono menzionati due volte gli stationarii : a proposito del Concilio di Cirta, tenutosi nel marzo 305 d.C., sono indicate con questo titolo le guardie carcerarie incaricate della sorveglianza di Purpurio, vescovo di Limata (centro non identificato della Numidia) ; 35 in occasione dell’udienza di chiusura del processo contro Felice, vescovo di Abthugni in Numidia, presieduta dal proconsul Africae Aelianus e tenutasi il 15 febbraio del 314 d.C., è chiamato a deporre, tra le altre persone anche Superius, indicato da Ottato come semplice stationarius, 36 da Agostino come centurio, 37 forse il centurione comandante della statio Tigisitana, responsabile del locale manipolo di stationarii.
Agostino, Breviculus Collationis cum Donatistis, iii, 15, 27 (su Purpurio) :
A loro volta i Cattolici presentarono un altro concilio, presieduto dallo stesso Secondo di Tigisi e tenuto nella città di Cirta. Quando fu letto il nome del console e la data, i Donatisti dichiararono che tali decreti non comportavano abitualmente la menzione del console e della data. Al che i Cattolici replicarono che questa era forse una loro abitudine, volendo in tal modo garantire i propri concili da possibili accuse di frode, mentre i concili dei 34 Ottato, i, 14. Il trattato è prima di tutto uno scritto polemico composto per rispondere al perduto Adversus ecclesiam traditorum dello scismatico Parmeniano, scritto tra il 362 e il 364 d.C. per legittimare la sua Chiesa. Una breve biografia di Ottato si trova in M. Labrousse, Optate de Milève. Traité contre les donatistes, Paris, 1995, i, pp. 9-12. 35 Ottato, Contra Parmenianum Donatistam, i, 14, 2. Cfr. G. Lopuszanski, La police, cit., p. 21 ; C. Lepelley, Les cités, cit., pp. 268-269 ; M. Labrousse, Optate de Milève, cit., pp. 60-61. 36 Ottato, Contra Parmenianum Donatistam, i, 27, 2-3. Cfr. M. Labrousse, Optate de Milève, cit., p. 233. 37 Agostino, Epist., 88, 4 : Lettera di Costantino sulla petulanza dei Donatisti : « Il tuo predecessore Eliano, mentre adempiva le funzioni di Vero, uomo perfettissimo e vicario dei prefetti della nostra Africa, impedito da infermità, credette opportuno, a giusta ragione, di avocare al proprio esame ed alla propria giurisdizione, tra tutte le altre cause, anche la questione dell’ostilità che sembra sia stata sollevata contro Ceciliano, vescovo della Chiesa Cattolica. Di fatto ordinò che si presentassero a lui il centurione Superio, il magistrato di Aptugni Ceciliano, l’ex capo dei curiali Saturnino, Celibio il giovane, capo dei curiali della medesima città e Solo, usciere municipale della suddetta città, e li giudicò nei modi conformi alla legge, in merito all’accusa imputata a Ceciliano : questa gli rinfacciava d’essere stato ordinato dal vescovo Felice, che a sua volta sarebbe stato – al dire degli avversari – colpevole di aver consegnato e dato alle fiamme le Sacre Scritture. Sennonché risultò che Felice era innocente dell’imputazione mossagli. Ultimamente Massimo accusò Ingenzio, decurione della città di Zicca, d’aver falsificato la lettera di Ceciliano ex duumviro. Constatammo anzi coi nostri occhi, negli Atti municipali giacenti nell’archivio, come lo stesso Ingenzio era stato arrestato, ma non torturato in quanto aveva dichiarato di essere decurione della città di Zicca. Ordiniamo quindi che il citato Ingenzio sia da te inviato sotto buona scorta al Tribunale imperiale di me, Costantino Augusto. Potrà in tal modo comparire davanti a quelli che attualmente intentano il processo e non cessano di appellarsi ogni giorno all’imperatore ; ad essi, che saranno presenti di persona, potrà proclamare e persuaderli che istigano, senza alcun ragionevole motivo, un movimento ostile a Ceciliano ed hanno cercato di sollevarsi con la forza contro di lui. Solo così potrà ottenersi che, messe da parte simili contese, il popolo pratichi la propria religione col dovuto ossequio ».
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Cattolici citavano sempre i nomi dei consoli e la data. Quindi cominciò la lettura degli atti del concilio che i Cattolici avevano presentato, in cui Secondo interrogava uno per uno quanti sapeva che avevano consegnato i Libri santi, ed espelleva dall’assemblea i rei confessi. Si leggeva nel modo seguente : ogni qualvolta veniva letta negli atti del concilio di Cirta la confessione dei traditori, si leggeva il suo nome anche negli atti del concilio di Cartagine, come se fosse quello di un accusatore che condannava i presunti traditori nel processo di Ceciliano. Si giunse così a trattare l’accusa di crimine, presentata da Purpurio di Limata contro lo stesso Secondo di Tigisi. Purpurio era stato accusato da Secondo di aver ucciso nel carcere di Milevi i figli della propria sorella ; a sua volta Purpurio lo accusava del crimine di tradizione, affermando di essere stato imprigionato dal curatore e dal Consiglio perché consegnasse le Scritture, e non avrebbero potuto rilasciarlo finché non avesse consegnato qualcosa. La stessa accusa, lanciata da Purpurio contro di lui, che cioè era stato imprigionato dal curatore e dal Consiglio perché consegnasse le Scritture, l’aveva praticamente ammessa lo stesso Secondo nella lettera di risposta a Mensurio, nella quale affermava che il curatore e il Consiglio gli avevano inviato un centurione e un beneficiario per chiedergli di restituire le Scritture o qualcos’altro. Egli naturalmente assicurò di non aver consegnato nulla ; ma, allora, come mai proprio lui – che pure aveva rievocato la memoria di tanti martiri, i quali, per non averle volute consegnare, furono torturati e uccisi – pur essendo agli arresti e reo confesso, e rifiutandosi di consegnare alcunché, era potuto sfuggire a qualsiasi pena ed essere rilasciato ? Questo lui né l’ha scritto a Mensurio né l’ha comunicato in risposta a Purpurio. In effetti, non ha dichiarato al centurione e al beneficiario di non essere in possesso delle Scritture, ma ha semplicemente risposto di non volerle consegnare per nessuna ragione. Non si riesce proprio a capire come costoro abbiano potuto rilasciarlo libero e riferire le sue dichiarazioni senza rischiare la loro vita, soprattutto se si tiene conto che lo stesso Secondo dichiarò che era stata inflitta una terribile morte, non solo a gente di nessun conto, ma a padri di famiglia perché avevano dato la stessa risposta. Tuttavia, su questo particolare, i Cattolici non mossero accusa alcuna a Secondo, limitandosi a far leggere ciò che Purpurio gli aveva contestato e perché aveva fatto pace con i traditori, rimettendo il tutto nelle mani di Dio perché non si consumasse lo scisma. Tutto questo essi lo dissero perché fosse chiaro che razza di uomini fossero coloro che avevano emesso la sentenza contro Ceciliano assente.
Ottato, i, 13, 3-4 (su Purpurio) :
Interrogato a proposito dei figli di sua sorella che era accusato di avere ucciso nella prigione di Milevi, ammise l’omicidio e disse : “Sì io ho ucciso non solo loro ma tutti quelli che hanno condotto azioni contro di me”.
La difficile situazione si risolse sospendendo le dichiarazioni con una assoluzione collettiva : Sedete omnes (...) Deo gratias. Il Concilio proseguì con la consacrazione di Silvano come vescovo di Cirta. 38 Ancora Agostino torna sull’argomento nell’opera Contra Cresconium grammaticum donatistam, iii, 27, 30 :
Ascolta come si svolsero i fatti ; mi sono preso la briga di trascrivere giù di seguito l’essenziale degli atti : Durante l’ottavo consolato di Diocleziano e il settimo di Massimiano, il quattro delle none di marzo, a Cirta, Secondo vescovo di Tigisi, che presiedeva la riunione
38 Y. Duval, Les Gesta apud Zenophilum et la “paix de Maxence” (Gesta 22b), « AntTard », 3 (1995), pp. 55 -63 ; Ead., Faut-il voir dans les Gesta apud Zenophilum une mention de la paix de Maxence ?, « Bull. Arch. Du Comité des Travaux Hist. et Se. », 24 (1993-95) [1997], pp. 242-245 : Ead., Chrétiens, cit., pp. 101-148.
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nella casa di Urbano Donato, disse in persona : “Cominciamo dalla verifica dei nostri titoli e così potremo ordinare qui un vescovo”. Secondo disse a Donato di Masculis : “Si dice che tu hai consegnato i Libri santi”. Donato rispose : “Tu sai quanto Floro mi ha cercato per farmi offrire l’incenso, ma Dio non mi consegnò nelle loro mani, fratello ; ora, poiché Dio mi ha lasciato andare, anche tu conservami per il Signore”. Secondo riprese : “Che cosa faremo, dunque, dei martiri ? Essi non li hanno consegnati, ed è per questo che sono stati coronati”. Donato rispose : “Rimettimi al giudizio di Dio ; là renderò conto”. Secondo concluse : “Vieni qui al mio fianco”. Secondo disse a Marino di Acque Tibilitane : “Si dice che anche tu hai consegnato i Libri santi”. Marino rispose : “Io ho consegnato a Pollo alcuni atti dei martiri, invece i miei Libri santi sono in salvo”. Secondo gli dice : “Passa al mio fianco”. Secondo disse a Donato di Calama : “Si dice che hai consegnato i Libri santi”. Donato rispose : “Io ho dato dei libri di medicina”. Secondo concluse : “Passa al mio fianco”. E in un altro passo si legge : Secondo disse a Vittore di Rusicada : “Si dice che tu hai consegnato i quattro Vangeli”. Vittore rispose : “Valenziano era l’amministratore ; lui mi ha obbligato a gettarli nel fuoco. Io sapevo che essi erano tutti distrutti. Perdonami questo delitto, come anche Dio me lo perdona”. Secondo concluse : “Passa al mio fianco”. E in un altro punto, Secondo disse a Purpurio di Limata : “Si dice che tu hai assassinato due figli di tua sorella a Milevi”. Purpurio gli replicò : “Credi tu di farmi paura come agli altri ? E tu, come ti sei comportato quando sei stato arrestato dal curatore e dal consiglio con l’ingiunzione di consegnargli le Scritture ? Come sei riuscito a liberarti dalle loro mani, se non consegnando a loro il tutto oppure ordinando che fosse dato a loro ? Non ti avrebbero certo rimandato senza contropartita. È vero : io ho ucciso e ucciderò coloro che mi fronteggiano ; allora non mi provocare a dire di più. Tu sai bene che io non voglio aver a che fare con nessuno”. Secondo il giovane disse allo zio paterno Secondo : Cerca di capire bene ciò che sta dicendo contro di te. Egli è pronto a ritirarsi e a metter su uno scisma ; e non solo lui, ma anche tutti coloro che tu sottoponi a inchiesta. Mi risulta con certezza che essi ti faranno dimettere, ti faranno condannare e tu resterai come l’unico eretico. Dunque, che te ne importa di ciò che ha fatto l’uno o l’altro ? Ciascuno dovrà rendere conto a Dio”. Secondo disse a Felice di Rotaria, a Nabor di Centuriones, a Vittore di Garba : “Che ve ne pare ?”. Risposero : “C’è Dio, al quale dovranno rendere conto”. Secondo rispose : “Voi lo sapete, e Dio pure. Sedete !”. E tutti risposero : “Rendiamo grazie a Dio” ».
Lo scontro tra la Chiesa numida e quella di Cartagine non divenne evidente fino all’inizio del 312 d.C., quando morì Mensurio, vescovo di Cartagine e Ceciliano fu eletto al suo posto. 39 L’opposizione fu immediata, anche se in essa vi era della faziosità ; Ceciliano era stato consacrato in gran fretta, in particolare senza la presenza dei vescovi di Numidia, il cui primate aveva ottenuto il privilegio di consacrare ogni nuovo vescovo di Cartagine ; 40 per di più, uno dei vescovi consacranti di Ceciliano, Felice di Apthungi, era sospettato di essere un traditor. 41 Il primate di Numidia, Secondo di Tigitis, si recò a Cartagine scortato da settanta vescovi (fra cui Purpurio di Limata) per opporsi in loco alla nomina di Ceciliano.
Ottato, i, 19, 2 (su Purpurio) :
Allora di nuovo Ceciliano domanda loro, se ritenevano che l’ordinazione fatta da Felice non poteva considerarsi valida, di voler procedere a una nuova ‘ordinazione’ come se 39 Ottato, i, 18. 40 Agostino, Psalmus contra panem Donati, xi, 44-46. 41 Y. Duval, Chrétiens, cit., pp. 215-246.
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Ceciliano fosse ancora diacono. Allora Purpurio, con la sua abituale malizia, come se Ceciliano fosse stato figlio di sua sorella, disse : “Lo si faccia pure venire qui con la scusa di ricevere l’imposizione delle mani per la sua consacrazione a vescovo e che gli si fracassi la testa come penitenza !”.
Nell’autunno dello stesso anno, Secondo di Tigitis riunì un concilio di settanta vescovi e dichiarò deposto Ceciliano. 42 Un lettore, di nome Maiorino, cappellano di Lucilla, ricca matrona spagnola residente a Cartagine, venne eletto al suo posto con l’appoggio dei vescovi numidi che avevano ricevuto 400 folles dalla sospetta devota. II fatto più singolare è che proprio quei vescovi erano ‘traditori’ inveterati. Lucilla, prima della persecuzione di Diocleziano, era stata una volta addirittura ripresa in pubblico da Ceciliano, allora solo arcidiacono, per le sue pratiche religiose poco ortodosse.
Ottato, i, 16 (su Lucilla) :
Nessuno ignora che questo è accaduto a Cartagine, dopo l’ordinazione di Ceciliano e a causa di una donna intrigante di nome Lucilla. Prima che la tempesta della persecuzione scuotesse la pace, quando la Chiesa era ancora tranquilla, questa donna non poté tollerare la reprimenda che le rivolse l’arcidiacono Ceciliano. Ella aveva, per così dire, l’abitudine di stringere, prima di nutrirsi del cibo e della bevanda benedetti, un osso di non si sa di quale martire, ammesso che si trattasse di un martire o comunque di un uomo che non era stato ancora riconosciuto tale ; essendo stata ripresa per questa pratica, piena di vergogna e di rabbia se ne andò. Ella sbottò in invettive e lamentele ma, dato che scoppiò all’improvviso la tempesta della persecuzione, poté esimersi dall’ubbidire a quanto le era stato ordinato.
Con la nomina di Maiorino, lo scisma fu sancito e « un altare fu eretto contro l’altro », 43 Costantino dovette affrontare questa situazione nel tardo autunno del 312 d.C., quando l’Africa del Nord gli si consegnò senza colpo ferire. Forse per suggerimento del suo consigliere, il vescovo Ossio di Cordova, 44 Costantino sostenne fin dal principio Ceciliano e minacciò i suoi oppositori. 45 Quando tuttavia l’imperatore mostrò l’intenzione di liberare il clero in comunione con Ceciliano dai munera municipali, 46 i suoi avversari si appellarono a lui (15 aprile del 313 d.C.) perché lasciasse ai vescovi di Gallia, che non erano stati colpiti dalla persecuzione, il compito di giudicare la questione. 47 Non molto dopo Maiorino morì e gli succedette Donato di Casae Nigrae, da cui prenderà il nome ufficiale lo scisma. Costantino delegò il caso al vescovo Milziade di Roma (310-314 d.C.), anch’egli africano, nominandolo esplicitamente giudice della contesa, che venne discussa in un sinodo al Laterano dal 2 al 5 ottobre del 313 d.C. I diciannove vescovi (Italici e Galli) si pronunciarono contro i Donatisti, esprimendo parere favorevole sulla
42 Ottato, i, 19 ; Agostino, Ad Catholicos Epist., xviii, 46. 43 Tale espressione diverrà tipica nella controversia donatista per indicare lo scisma : Ottato, i, 15 e 19. 44 Agostino, Contra Ep. Parmeniani, i , 4-6. 45 Eusebio, he, x, 6. 46 Eusebio, he, x, 7. 47 Ottato, i, 22 ; Agostino, Epist., 88, 2.
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nomina di Ceciliano e condannando Donato. 48 Allora i Donatisti, insoddisfatti della risposta, rinnovarono la richiesta a Costantino, il quale acconsentì a convocare nell’agosto del 314 d.C., un secondo e più ampio concilio ad Arles. Il concilio si pronunciò nuovamente a favore di Ceciliano e manifestò orrore per gli atteggiamenti violenti degli avversari. 49 Neppure queste decisioni furono accettate. I seguaci di Donato sfidarono apertamente lo stato romano e la gerarchia cattolica. Il 15 febbraio 315 d.C. anche Felice di Apthungi fu assolto formalmente dall’accusa di traditio, nel corso di un’udienza a Cartagine davanti al proconsole Eliano. 50 Dopo un altro appello a Costantino e un riesame dell’intero caso, lo stesso imperatore diede un giudizio definitivo in favore di Ceciliano il 10 novembre 316 d.C., 51 dopo di che promulgò una legge severissima contro i Donatisti, 52 i quali non si sottrassero alla repressione ed esaltarono il martirio, cercandolo talvolta con fanatismo. Donato, come dice Gerolamo, ebbe il favore della maggior parte dei Cristiani del Nord Africa, paene totam Africam decepit, 53 che lo circondarono di un prestigio crescente e videro in lui il campione della resistenza all’indebita ingerenza del potere politico negli affari ecclesiastici. Nel dicembre 320 d.C. la causa donatista si trovò in una posizione potenzialmente ancora più difficile quando Nundinario, uno dei diaconi della Chiesa di Cirta, accusò il proprio vescovo Silvano e altri capi donatisti della Numidia di essere essi stessi traditores e colpevoli di altri gravi delitti. 54 Il caso, sottoposto a Zenofilo, consularis di Numidia, fu provato ma apparentemente i Donatisti non ne furono svantaggiati. Le misure coercitive e persecutorie furono abrogate nel maggio 321 d.C. 55 quando un rescritto imperiale raccomandò a tutti i vescovi dell’Africa, la tolleranza e la generosità. Questo significò un primo periodo di ritorno alla pace, anche se solo apparente. 56 Va evidenziato a questo punto l’aspetto paradossale della situazione, in cui il clero donatista (Silvano ed almeno cinque vescovi del concilio di Cirta) è stato riconosciuto colpevole di traditio e talvolta anche di altri crimini, in cui il clero cattolico (Felice di Apthungì) è stato invece assolto, anche se probabilmente non a ragione e in cui Ceciliano ha avuto il supporto di due concilii (Roma e Arles) e dell’imperatore stesso. È quindi evidente che il Donatismo doveva avere radici
48 Cfr. E. Carotenuto, Six Constantinian Documents (eus., he, x, 5-7), « Vigiliae Christianae », 56, l (2002), pp. 56-74. 49 Ottato, App., 4. 50 Acta purgationis Felicis : Ottato, App., 2 ; Agostino, Ep. lxxxviii, 4 ; Contra Cresconium, iii, 70, 81. 51 Agostino, Contra Cresconium, iii, 56, 67 ; iii, 71, 82. 52 Agostino, Epistulae, cv, 2, 9. 53 Gerolamo, De viris illustribus, 93. 54 Gesta apud Zenophilum : Ottato, App., 1 ; cfr. Y. Duval, Les Gesta, cit., pp. 55-63 ; Ead., Faut-il voir, cit., pp. 242-245 ; Ead., Le governeur de Numidie en sa capitale : le lieu et les acteurs du procès de l’évèque de Cirta en 320, Les Governeurs de province dans I’Antiquité Tardive, « AntTard », 6 (1998), pp. 193-207 ; la Duval conferma che il processo ebbe luogo a Cirta e non a Timgad perché è la capitale del governatore : Y. Duval, Chrétiens, cit., pp. 30-36. 55 W. H. C. frend, The Donatist Church, cit., p. 161 e n. 4. 56 M.A. Tilley, The Bible, cit., p. 69.
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molto profonde in Africa del Nord ; infatti sopravvisse all’invasione vandala, riprese forza dopo la riconquista bizantina e scomparve definitivamente solo dopo l’invasione araba (conquista di Cartagine nel 698 d.C.), lasciando la sua impronta per più di quattrocento anni. In questa fase un po’ concitata all’interno della Chiesa africana più volte il governo centrale ricorse a degli interventi militari e i soldati non risparmiarono l’uso della forza contro gli ecclesiastici dissidenti. « Particolarmente violento deve essere stato l’intervento del 316 organizzato da Leonzio e Ursacio, per mettere in atto le prescrizioni di Costantino, così come l’intervento del 347 guidato da Paolo e Macario, per imporre l’editto di unione di Costante ». 57 In Numidia il Donatismo si andava ad alleare con la cultura dei distretti rurali e con le classi urbane inferiori, mentre il cattolicesimo era per lo più schierato a favore delle classi elevate, quelle costituite dai latifondisti e dai notabili municipali. Nel corso degli avvenimenti svoltisi nella prima metà del iv secolo d.C. viene per la prima volta attestato, a fianco dei Donatisti, un movimento noto come quello dei circumcelliones 58 che si erano raccolti intorno al malcontento agrario e con il quale la dissidenza religiosa viene ad assumere anche « il carattere di una temibile sollevazione popolare che coinvolge anche ampi strati della società africana, in cui schiavi, coloni, lavoratori agricoli, debitori sembrano coalizzarsi, sotto un’autentica guida spirituale, in un’implacabile lotta contro il potere romano e la sua ‘cinghia di trasmissione’, il clero cattolico ». 59 I circumcelliones erano soliti definirsi ‘agonisti’, cioè combattenti di Dio o atleti di Dio e chiamavano ‘Israel’ il bastone con cui combattevano, in riferimento al nome dato a Giacobbe dopo la lotta notturna con l’Angelo che lo definisce ‘combattente di Dio’ (Genesi, 32. 25). Essi si richiamavano costantemente alla tradizione che discendeva direttamente dalla predicazione di Tertulliano e di Cipriano. Ispirandosi a tali autori, « riuscirono facilmente a parlare della purezza e dell’integrità, videro il martirio come la morte più gradita a Dio e ritennero che il battesimo dovesse essere amministrato da un uomo esente dal peccato ». 60 Al grido di ‘lode a Dio’ costoro aggredivano le fattorie dei Cristiani di osservanza cattolica, le danneggiavano o peggio le incendiavano distruggendole. Il Monceaux nella sua Histoire littéraire de l’Afrique chrétienne, li presentava come « une force de destruction et d’anarchie ». 61 L’organizzazione della protesta sociale dei circoncellioni presenta costantemente, nel giudizio di Ottato, il carattere di un autentico furor, che si propaga abitualmente nei mercati, aggregando una furiosa turba in attesa impaziente di poter sfogare furorem suum contro l’esercito imperiale. 62 è ancora una volta Agostino che chiarisce la ragione della ‘motivazione’ donatista per l’uso della violenza circoncellionica : essa infatti è consentita agli iusti
57 P. Marone, L’esegesi biblica di Ottato di Milevi, Roma, 2008, p. 27. 58 Ottato, iii, 4 ; cfr. Agostino, En. in ps., 132, 3. 59 R. Cacitti, Furiosa turba, Milano, 2006, pp. 14-15 ; cfr. P. Brown, Religione e società nell’età di Sant’Agostino, Torino, 1972 ; P. Brown, Il sacro e l’autorità. La cristianizzazione del mondo romano antico, Roma, 1996. 60 P. Marone, L’esegesi, cit., p. 29. 61 P. Monceaux, Histoire littéraire de l’Afrique chrétienne depuis les origines jusqu’à l’invasion arabe, Paris, 62 R. Cacitti, Furiosa turba, cit., p. 65. 1901-1923, iv, p. 180.
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tanto che l’azione del profeta Elia, che di sua mano uccise molti pseudoprofeti (1 Re 18, 40), viene giustificata dal fatto che quegli haec (…) prophetico spiritu auctoritate Dei faciebat, qui procul dubio novit cui etiam prosit occidi. L’intera prassi eversiva dei circoncellioni pare davvero fondarsi su questo presupposto, poiché essi sanno, indubbiamente per ispirazione profetica, chi, in attuazione di una disposizione divina, sia giovevole uccidere. 63 Nel corso degli eventi, che caratterizzarono i primissimi anni del IV secolo d.C. e che videro succedere Costantino a Diocleziano, nessuno avrebbe potuto immaginare che, di lì a poco, il Cristianesimo sarebbe diventato, almeno ufficiosamente, religione di stato, ridefinendo obbligatoriamente i rapporti tra impero e autorità ecclesiastiche. Ne derivò per l’imperatore la piena legittimazione a intervenire, quale arbitro nelle dispute teologiche, nelle questioni religiose e ad attuare quanto emanasse dai concili ecumenici anche con il ricorso all’esercito. In questa direzione si inquadrano gli interventi volti a ricomporre le fratture scismatiche, che si verificarono nel corso del iv secolo d.C. Nell’ambito della questione donatista, un esempio significativo si riferisce agli eventi svoltisi a Bagai, località numida, nel 347 d.C., dove i commissari imperiali Paolo e Macario ricorsero alle unità militari romane nello scontro con i Donatisti : qui, infatti, il vescovo Donato richiamò attorno a sé forze irregolari, composte per lo più da circumcelliones, nel tentativo di ostacolare la missione dei vicari di Costanzo. Al riguardo, Ottato evidenzia l’assoluta legittimità dell’azione dei soldati : Paolo e Macario, infatti, qui thesauros ferebant quos pauperibus erogarent, ebbero tanto in sospetto le bande riunite dai Donatisti, ut a Silvestre comite armatum militem postularent non per quem alicui vim facerent sed ut vim a Donato (…) episcopo dispositam prohiberent. 64 I violenti scontri successivi, che furono indicati dai Donatisti, nella loro cupiditate falsi martyrii, 65 come chiaro esempio di sacrificio e di sofferenza cristiana, conflagrarono, nella versione di Ottato, proprio a causa di questi ultimi, che respinsero con la forza i milites mestatores mandati in avanscoperta dalle truppe di Paolo e Macario. 66 L’offesa portata dagli irregolari di Donato ai soldati, spinse il resto dei commilitoni, irati milites sfuggiti al controllo eorum praepositi, a contrattaccare. 67 Nell’ottica del vescovo Ottato, quindi, l’azione militare contro Donato di Bagai e i suoi fu legittimata dall’atteggiamento provocatorio della parte avversa e dalla situazione di reale pericolo, in cui versava la missione imperiale voluta da Costanzo al fine di garantire l’unità della Chiesa : i soldati appaiono come i custodi dell’ordine, impegnati a difendere l’attività dei legati, volta a migliorare le condizioni della popolazione romana d’Africa. Del resto il ricorso all’autorità romana e, attraverso essa, all’esercito, è documentato anche per la parte donatista. è lo stesso Ottato a darne notizia, riferendo che, prima degli eventi appena citati, furono proprio alcuni vescovi donatisti, pre
63 R. Cacitti, Furiosa turba, cit., p. 138. 66 Ottato, iii, 4, 10. 65 Ottato, iii, 4, 8.
64 Ottato, iii, 4, 9. 67 Ottato, iii, 4.
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occupati per i continui disordini dovuti alle scorrerie dei circumcelliones, a richiedere per iscritto l’intervento del comes Taurinus. 68 Lo stesso comes, allora, ire militem iussit armatum per nundinas ubi cirumcellionum furor vagari consueverat. 69 Pur nella versione tradita dalla stessa fonte, inevitabilmente schierata dalla parte cattolica, sembra comunque possibile ipotizzare un medesimo atteggiamento, cattolico e donatista appunto, pronto a ricorrere all’azione dell’esercito romano. Quale strumento dell’autorità imperiale, esso si trovò inevitabilmente ad operare, nella contingenza degli accadimenti politici, ora sull’uno, ora sull’altro fronte. Lo si evince da un altro passo del vescovo di Milevi, dove si fa riferimento al regno di Giuliano l’Apostata, quando i Donatisti avrebbero approfittato della mutata politica religiosa imperiale per infliggere durissimi colpi alla controparte cattolica. 70 Ottato menziona anche un episodio accaduto a Tipasa, in Mauretania, località sulla quale si avventarono Urbanus e Felix, vescovi donatisti rispettivamente di Forma e di Idicra, che assalirono i Cattolici con il favore nonnullorum officialium e nonostante la presenza di Athenius praeses cum signis. 71 Nel sintetico riferimento di Ottato sembra di intravedere un atteggiamento quanto meno neutrale dell’esercito verso le questioni scismatiche, pronto a prendere posizione in base alle disposizioni imperiali e, forse, anche secondo le simpatie religiose delle autorità governative provinciali.
è naturale pensare che, appurata la presenza di Cristiani tra i soldati romani a partire già dalla seconda metà del ii secolo d.C. nel corso del iv numerose dovevano essere le reclute di religione cristiana. Tra questi soldati, dunque, dovevano trovarsi tanto i Cattolici, quanto i Donatisti, la cui professione-religiosa trovò grande seguito in Africa settentrionale e scomparve solo con la diffusione dell’Islamismo. Dopo il concilio di Cirta e quello di Cartagine, quindi, la realtà scismatica dovette rappresentare un punto di riferimento nella fede di diversi individui, tra i quali erano, probabilmente, anche diversi soldati. A tal proposito sembra possibile intravedere nelle fonti donatiste, poche e limitate agli scritti agiografici, 72 una certa attenzione nel fare riferimento ai soldati. Nello specifico si prendono in considerazione opere quali la Passio Benedicti Martyris Marculi e il Sermo de passione Maximiani et Isaac, che trattano eventi coevi all’episodio di Bagai e, più in generale, relativi al 347 d.C., anno della missione in Africa di Paolo e Macario.
68 Ottato, iii, 4, 5 ; si veda A. Gotoh, Circumcelliones. The ldeology behind their Activities, in T. Yuge, M. Dol (edd.), Forms of Control and Subordination in Antiquity (Proceedings of the International Symposium for Studies on Ancient Worlds, January, Tokyo, 1986), Leiden-New York-Copenaghen-Köln, 1988, p. 305. 69 Ottato, iii, 4, 6. 70 Ottato inveisce contro i Donatisti, rei di una vergognosa complicità con Giuliano, vero e proprio campione del paganesimo ; così, ad esempio, in Ottato, ii, 16. 2 : « Erubescite. si ullus est pudor : eadem voce vobis libertas est reddita,qua voce idolorum patefieri iussa sunt templa ». 71 Ottato, ii, 18, 5 : « Nonnullorum officialium et favore et furore iuvante et Athenio praeside praesente cum signis catholica frequentia exturbata et cruentata de sedibus suis expulsa est ». 72 M. A. Tilley, The Bible, cit., p. 53 e sgg.
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Nella Passio Benedicti Martyris Marculi, composta da un autore ignoto probabilmente poco tempo dopo gli avvenimenti, 73 è descritto il martirio di Marculus, vescovo numida, inviato a trattare con Macario. Nel corso della narrazione, dopo la denuncia della missione dei legati imperiali, intrapresa, ut populus christianus ad unionem cum traditoribus faciendam (…) cogeretur, con il ricorso alla forza militare, nudatis militum gladiis, e sotto la diretta ispirazione del demonio, draconum praesentibus signis, l’autore della Passio, nel riferirsi ai soldati, fa spesso ricorso a perifrasi generiche, parlando di un inimicus o di un multiplex carnificum numerus. 74 Il disegno diabolico, atto a sconfiggere la fede donatista, tende sempre a scorgersi non nella moltitudine degli uomini armati, ma nell’autorità che li comanda o a circoscriversi all’azione di singoli individui direttamente mossi dal Maligno, quali il teterrimus carnifex a diabolo praeparatus, materialmente colpevole della morte di Marculus. 75 L’immanissimus carnifex si staglia negativamente sul resto degli universi milites partim metu, partim dolere secedentes. 76 I soldati tutti, invece, paiono quasi partecipare all’esperienza del martirio, diventando i primi testimoni della gloria del vescovo donatista : la sua beata victoria, infatti, si ebbe intra solas militum coscientia. 77 Anche nel Sermo de passione Maximiani et Isaac, scritto dal vescovo donatista Macrobio, il riferimento ai soldati non è sempre esplicito, ma ricorre genericamente a espressioni quali tortores e carnifices, 78 truces ministri, 79 ministri imperatoris. 80 Talvolta, poi, sono gli stessi traditores, 81 i Cattolici, a sostituirsi ai milites e ad affiancare il proconsole nel tentativo di arrivare con la violenza al propositus sacrilegae unitatis. 82 L’unico riferimento alla presenza dei soldati e ad un loro effettivo intervento è relativo ai milites cunei et triviarii fustibus onerati, incaricati dal proconsole di liberare la via del carcere, dove erano custoditi i martiri. 83 Tanto nelle fonti cattoliche quanto in quelle donatiste, quindi, l’esercito, diversamente da quanto si registra per le fonti agiografiche relative alle persecuzioni cristiane precedenti all’avvento di Costantino, non è presentato come l’attore principale nella repressione e nel martirio. Il suo ruolo passa in secondo piano ; l’accusa è rivolta soprattutto a precisi personaggi, a singole individualità, pedine nella vana lotta del Male contro la fede. La mutata attenzione degli agiografi nei confronti dell’autorità imperiale e del suo esercito, sviluppatasi nel corso del iv secolo d.C., è stata messa in rilievo da
73 Passio Benedicti Martyris Marculi, col. 0761b. 74 Passio Benedicti Martvris Marculi, col. 0762 a e 0762 b. 75 Passio Benedicti Martyris Marculi, col. 0763 d. 76 Passio Benedicti Martvris Marculi, col. 0765 a. 77 Passio Benedicti Martyris Marculi, col. 0765 d. 78 Sermo de passione Maximiani et lsaac, col. 0769 b. 79 Sermo de passione Maximiani et lsaac, col. 0770 c. 80 Sermo de passione Maximiani et lsaac, col. 0770 d. 81 Sermo de passione Maximiani et Isaac, col. 0769 d. 82 Sermo de passione Maximiani et Isaac, col. 0768 b. 83 A proposito del termine triviarius, forse indicante un tutore dell’ordine pubblico riconducibile per analogia al moderno vigile urbano, si veda P. Mastrandrea, Vocaboli unici e rari nella Passio Maximiani et Isaac (bhl 4473), « ccc », 13 (1992), p. 339-342.
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studi recenti, che hanno evidenziato l’evolversi di una ‘sensibilità cristiana’ verso l’esercizio delle armi e il maturare di una compatibilità di quest’ultimo con la fede. 84 Si è rimarcato come il contrasto tra l’essere Cristiani e il servire come soldati sia andato progressivamente stemperandosi, passando da una forte incompatibilità, indubitabilmente espressa in opere quali la Passio Marcelli o gli Acta Maximiliani, ad un’opportuna convivenza, come traspare dalla Passio Typasii veterani : 85 si assiste ad un cambiamento dei tempi, in cui « i martiri militari (…) possono essere al tempo stesso testimoni della fedeltà a Dio come dell’impegno civile e del lealismo nei confronti dell’imperatore ». 86
Tornando alla produzione agiografica donatista, una presa di posizione più decisa nei confronti dell’esercito si può, forse, individuare nella Passio SS. Donati et Advocati, redatta in seguito agli eventi verificatisi dopo l’editto di Costantino del 316 d.C., che inaugurò un periodo di dura repressione del Donatismo da parte dell’autorità imperiale. 87 L’autore della Passio, probabilmente quel Donato vescovo di Cartagine che diede il nome all’intero movimento scismatico, 88 descrive chiaramente i soldati nell’atto di portare la morte tra i Cristiani, ex castris (…) cohors militum progreditur ad Christianorum necem, 89 connotandoli negativamente come strumento di repressione. Rispetto alla Passio Benedicti Martyris Marculi e al Sermo de passione Maximiani et Isaac, con la Passio SS. Donati et Advocati si fa, come detto, un passo indietro nel succedersi temporale degli eventi e ci si avvicina, a ritroso, al periodo delle ultime persecuzioni cristiane d’epoca tetrarchica. Tale passaggio storico è ben documentato dalla Passio SS. Dativi, Saturnini presbyteri et aliorum, che fu redatta nel periodo tra il 304 d.C., anno al quale si riferiscono gli eventi trattati, e il 312 d.C., quando Ceciliano, che nel racconto è ancora semplice diacono, assurse alla carica vescovile. 90 Nella struttura della Passio è possibile distinguere una prima parte nella quale, secondo un consueto schema di narrazione, tipico della letteratura agiografica precedente, sono descritti sia l’arresto dei Cristiani, a coloniae magistratibus atque ab ipso stationario milite, 91 sia l’interrogatorio preliminare, avvenuto nel foro cittadino, sia il loro trasferimento a Cartagine con il conseguente processo presso l’officium proconsulis. Nella seconda parte, invece, trova posto la polemica dell’autore nei confronti dell’autorità cattolica, rappresentata dal vescovo Mensurio e dal diacono Ceciliano, che impedirono ai fedeli di portare sollievo, viveri e conforto ai martiri
84 Si vedano, ad esempio, studi quali F. Scorza Barcellona, Per una lettura della Passio Typasii veterani, « Augustinianum » 35 (1995), pp. 797-814 ; A. Dearn, The Passio S. Typasii veterani as a Catholic Construction of the Past, « Vigiliae Christianae », 55 (2001), pp. 86-98. 85 F. Scorza Barcellona, Per una lettura, cit., p. 806 e sgg. 86 F. Scorza Barcellona, Per una lettura, cit., pp. 797-814 ; cfr. Dearn, The Passio, cit., pp. 86-98. 87 F. Scorza Barcellona, Per una lettura, cit., p. 814. 88 M.A. Tilley, The Bible, cit., p. 6l. 89 Passio SS. Donati et Advocati, col. 0755 c. 90 M.A. Tilley, The Bible, cit., pp. 57-58. 91 Passio SS. Dativi, Saturnini presbyteri et aliorum, 2.
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trattenuti in carcere. 92 Come già accennato, quindi, la Passio si pone a metà tra due periodi ben precisi : il tempo delle persecuzioni perpetrate dagli imperatori di Roma e dalla comunità pagana per mezzo dell’esercito e quello dei contrasti tra scismatici e Cattolici, divampati in terra africana una volta riconosciuta la libertà alla religione cristiana e divenute l’autorità imperiale e quella militare garanti della stessa.
Alla luce di queste considerazioni, quindi, sembra opportuno sottolineare come nel passaggio tra iii e iv secolo d.C., sancito dall’ascesa al potere di Costantino, la considerazione dell’esercito in Africa muti nell’ottica delle fonti letterarie cristiane del tempo. In opere quali il trattato di Ottato di Milevi si allude all’esercito e alla sua funzione in termini di garanzia per il mantenimento dell’unità della Chiesa e dell’ordine pubblico generale, nella visione di un’autorità imperiale sempre più allineata agli interessi della comunità cattolica. In modo ancor più interessante si intravede un atteggiamento simile anche nelle scarse fonti agiografiche di parte donatista, nelle quali l’azione militare, che pure non doveva aver risparmiato dolori e violenze agli scismatici, non è esplicitamente condannata ; l’accusa, per cosi dire, scivola oltre e si concentra ad personam, sulle colpe di precisi personaggi politici, mossi e istigati dal demonio. Nella redazione letteraria donatista, l’attenzione prestata nel far riferimento alle truppe si dovette, probabilmente, a due fattori : da una parte alla consapevolezza di una mutata situazione politica, nella quale si aveva necessariamente l’obbligo di ricercare un qualche accomodamento con l’autorità costituita e con la sua più importante espressione, quella militare ; dall’altra alla verosimile presenza tra i molti soldati cristiani in servizio in terra africana di un buon numero di simpatizzanti donatisti.
Si desidera concludere questo scritto ancora una volta con Agostino il quale, a proposito dello stationarius, fornisce una definizione che si distingue per la sua originalità e sagacia : egli paragona l’occhio di questo graduato all’occhio di Dio, al quale nessuno può sottrarsi poiché penetra non solo dentro una stanza ma persino nel cuore di ciascuno : coloro che si macchiano di un crimine temono lo stationarius il quale, se ne venisse informato, li ucciderebbe ma non si curano di Dio che conosce ogni cosa. 93
92 Passio SS. Dativi, Saturnini presbyteri et aliorum, 20. 93 Agostino, Exp. In Ps., 93, 9. Cfr. M. F. Petraccia, Gli stationarii in età imperiale, Roma, 2001, p. 91.
LA COPTICITÀ DELL’EGITTO COPTO Tito Orlandi
L
’etimologia della parola copto, e di tutti i suoi corrispondenti nelle lingue occidentali ed in arabo, è ormai assodata ed accettata universalmente : all’origine di essa sta l’aggettivo (eventualmente sostantivato) greco aijguvptio~, e dunque in linea di principio la parola copto corrisponde alla parola egiziano. Ma fin da quando il calco dall’arabo è passato in Occidente, prima di tutto nel latino copht(i), cophtitae, copt(i), la qualifica di copto è stata usata con valenze anche fra loro differenti, e prima di tutto per distinguere ciò che essa designava da ciò che si definiva egiziano, quindi tutto il contrario della sua etimologia. A noi interessa naturalmente quanto è avvenuto ed avviene a questo proposito nel settore degli studi, e notiamo prima di tutto che le discussioni su che cosa si debba intendere per copto nella designazione di fenomeni storici e culturali, con non trascurabili risvolti nella tassonomia delle discipline di ricerca e d’insegnamento, sono state parecchie. 1 Esse sono a mio avviso viziate (a parte le manifeste assurdità diciamo così nazionalistiche della Mac Coull) 2 dall’interesse che chi ha proposto le diverse definizioni aveva di individuare una disciplina globale indipendente, che potesse comprendere i fenomeni linguistici, letterari, storici, archeologici, artistici, e sociologici, sotto un comune denominatore che presentasse caratteristiche originali sue proprie. O in altri casi la volontà di unificare i caratteri storici della Chiesa copta e del suo popolo con la tradizione pre- calcedonense. Non si tratta certo di questione oziosa di tipo terminologico ; piuttosto del riconoscimento, che però si presenta molto problematico, di una cultura dotata di un’indipendenza che la affianchi senza confonderla ad altre culture vicine nel tempo e nello spazio, come appunto l’egiziana, ma anche l’ellenistica, le cristiane di diversa confessione, la bizantina, etc. Ho accennato ai vizi d’interesse. Il principale è quello accademico, che spinge ad assumere a priori una coptologia, e poi a trovarne i contenuti ed i confini. L’archeologo-storico dell’arte intende dare una specificità alle chiese e ai monasteri che porta alla luce o alle pitture e sculture (aggiungiamo le stoffe) che chiama
1 Dato il carattere del saggio, i riferimenti bibliografici sono ridotti al minimo, cioè soprattutto ad opere recenti di carattere generale, che possano condurre ad altri riferimenti bibliografici. Cf. P. Du Bourguet, Les Coptes, Parigi, 1988 (2e éd. corrigée, 1989), il più consapevole, ma non interamente accettabile ; O. F. A. Meinardus, Christian Egypt. Ancient and Modern, Cairo, 1965, ii ed. Cairo, 1977, tradizionale ; M. Roncaglia, Histoire de l’Église Copte, Tome 1 (1 et 2 siècles), Beirut, 1966, S. J. Davis, The Early Coptic Papacy, Cairo-New York, 2004 e A. Elli, Storia della Chiesa copta, Cairo, 2003 sono confusi ; M. Krause, Die Koptologie im Gefüge der Wissenschaften, « zäs », 100 (1974), pp. 108-125, troppo schiacciato sull’organizzazione accademica ; Ch. Cannuyer, Les Coptes (« Fils d’Abraham »), Parigi, 1990, evita di pronunciarsi. 2 L. S. B. MacCoull, Coptic Sources : a Problem in the Sociology of Knowledge, « bsac », 26 (1984), pp. 1-8 ; Id., Verso una nuova comprensione dell’Egitto copto, « Studi e Ricerche sull’Oriente Cristiano », 13 (1990), pp. 3-17.
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appunto copte. Lo storico a sua volta alle vicende di una Chiesa, che gli sembra troppo riduttivo considerare definita soltanto da una differenza dogmatica rispetto alle consorelle. Ancora, c’è un interesse di tipo sociale, dettato dall’affetto che si porta ai copti, che induce ad assumere a priori che essi debbano aver avuto una loro cultura, in ogni campo, le cui origini possono essere fatte risalire al periodo cruciale del ii-iii secolo. Elementi obiettivi. Lingua copta
Al fine di evitare questo genere di, se mi si permette, parrocchialismi (o provincialismi) mi sono posto il problema di trovare il modo più obiettivo possibile di arrivare ad una conclusione, e questo è quanto mi propongo di sottoporre. Mi sembra che gli elementi che possono essere presi in considerazione che, fra i tanti, giudico i più obiettivi, in quanto caratterizzati da una evidenza che non può essere negata, sono : la lingua, la fede cristiana, l’organizzazione ecclesiastica. Esaminiamoli uno per uno. La lingua 3 dovrebbe fornire pochi spunti di discussione, essendo bene attestata e molto studiata ; ma non è così. Un punto dolente è rappresentato dai rapporti fra copto e quello che si può chiamare egiziano vero e proprio. Che il copto sia l’ultimo stadio dell’egiziano, la cui caratteristica principale sarebbe quella di aver adottato la scrittura greca, è a dir poco una mezza verità, e oltretutto assai ingannevole rispetto alla realtà fattuale della cosa. Esso rappresenta invece una mistura di copto e greco ed è nato da un’operazione voluta non solo per la scrittura ma anche per per la struttura sintattica e semantica. Il copto nasce come lingua sostanzialmente artificiale, per opera di persone colte che hanno voluto creare uno strumento letterario, abbastanza lontano dall’egiziano parlato al loro tempo (direi inizi iii secolo). Esso ha poi conosciuto una sua evoluzione, per la quale nel vi secolo è diventato veramente una lingua parlata. In effetti solo nel vii secolo noi conosciamo un suo uso in documenti di tipo personale (lettere, contratti, testamenti), e il materiale precedente (fra cui notabili i documenti meliziani del iv sec. e l’archivio di Dioscoro del vi sec.) rappresenta casi particolari. Chi non aveva una certa conoscenza del vocabolario greco e della teologia cristiana fondamentale non poteva comprendere nemmeno i testi copti. La questione del vocabolario è fondamentale : i vocaboli greci introdotti nel copto non sono da considerare dei prestiti, ma il frutto di una prassi, evidentemente stabilita dai creatori del copto, secondo la quale in tale lingua il vocabolario egiziano e quello greco erano del pari utilizzabili, a pura discrezione dell’autore. Del resto la stessa sintassi, sebbene costruita formalmente sulla struttura grammaticale dell’egiziano parlato in quel tempo, obbediva ad una concezione della struttura del periodo e del fine semantico tipica della sintassi greca. Un cenno merita qui anche la questione dei dialetti che si sogliono riconoscere
3 S. Torallas Tovar, Identidad lingüística e identidad religiosa en el Egipto grecorromano (« Series Minor », 11), Barcellona, 2005.
231 la copticità dell ’ egitto copto nella lingua copta ; 4 non per la questione in sé, che per il nostro assunto ha poca importanza, ma perché essa è legata alla visione del copto come lingua artificiale. Per questo l’obiezione fondamentale, che i dialetti rispetto alle lingue vanno riconosciuti tramite indagini fonetiche e grammaticali sui parlanti, che non possono applicarsi alle lingue morte, è certamente valida ma non ci interessa. È importante invece l’osservazione fatta a suo tempo dal Polotsky che i cosiddetti dialetti sono in realtà delle scelte soprattutto ortografiche. 5 Partendo da essa, noi accettiamo prima di tutto quanto proposto da Kasser, 6 che il Saidico ed il Boairico sono da considerare lingue veicolari a pieno titolo, utilizzate in tutto l’Egitto prima l’una e poi l’altra. In secondo luogo vediamo i dialetti, diciamo così, minori come scelte soprattutto ortografiche, forse fonologiche, operate da scuole concorrenti nella creazione dell’ortografia e della struttura grammaticale della nuova lingua. Che tali scelte siano anche dovute a differenze dialettali esistenti nell’Egiziano, che tali differenze siano esistite da lungo tempo, e che siano dovute alla distribuzione geografica, si può senza’altro ammettere, ma va discusso in base a metodologie che finora sono state applicate in maniera molto rozza. Quello che importa è che all’origine dei gruppi testuali che vengono designati come achmimico, subachmimico (licopolitano), ossirinchita (medioegiziano, mesokemico), faiumico, etc. stanno delle scelte ponderate e volute da coloro che hanno proposto le regole formali della nuova lingua. Alcune hanno avuto lunga vita e vasta utilizzazione, altre sono presto cadute in disuso. Diverso è il caso dei testi da Nag Hammadi, come vedremo più tardi. Quello che preme mettere in rilievo è la dipendenza della lingua copta dall’opera di un gruppo (o più gruppi in qualche modo collegati) di dotti probabilmente egiziani autoctoni ma cristianizzati, la cui operatività può essere collocata all’inizio del III secolo. Essi sono all’origine di una cultura che possiamo chiamare copta, ma al momento si ferma all’aspetto linguistico e letterario, prima di traduzione (ma in senso molto peculiare) e poi di produzione.
Fede cristiana
Quanto alla fede cristiana, è difficilmente contestabile che la copticità (se così posso esprimermi) sia strettamente connessa con il sorgere e l’affermarsi del Cristianesimo in Egitto ; e mi sembra altrettanto certo che vi siano manifestazioni di copticità nel Cristianesimo egiziano precedente alla rottura con la Chiesa internazionale (bizantina e romana), con cui si fa iniziare la Chiesa copta (cf. sotto). Ma l’identificazione tout court di Egitto copto e Egitto cristiano cozza contro due anomalie di notevole portata.
4 R. Kasser, Dialects, in A. S. Atiya (ed.), The Coptic Encyclopedia, New York etc., 1991, vol. 8, pp. 87-97. 5 H. J. Polotsky, Coptic, in Th. A. Sebeok (ed.), Current Trends in Linguistics, vol. 6, Parigi, 1970, p. 559. 6 R. Kasser, Prolegomènes à un essai de classification systématique des dialectes et subdialectes coptes selon les critères de la phonétique, « Le Muséon », 93 (1980), pp. 53-112, pp. 237-298 ; Id., Prolegomènes à un essai de classification systématique des dialectes et subdialectes coptes selon les critères de la phonétique, « Le Muséon », 94 (1981), pp. 91-152.
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(a) In primo luogo non tutto quanto è cristiano in Egitto si può dire copto. Non merita soffermarsi su tale constatazione ; basta proporre due esempi eclatanti come Origene (il cui nome farebbe propendere per una discendenza autoctona), non certo classificabile fra i copti (ma si noti che p.es. Davis lo inserisce nella storia del ‘papato Copto’) 7 e Shenute (di cui parleremo anche in sèguito), classificabile invece come tale, anche se precedente Calcedonia. Si potrebbe proporre la distinzione fra cristiani di stirpe greca (o anche giudaica) e di stirpe autoctona, ma mi sembra ormai assodato che nel ii secolo le due comunità erano relativamente amalgamate. Io trovo particolarmente illuminante la documentazione sul così chiamato recluso Tolemeo, sicuramente discendente dai macedoni, ma che dimostra la totale accettazione della religiosità egiziana. 8 Anche la distinzione fra Alessandria e la Chora (Valle del Nilo) non convince. Essa è senza dubbio valida in sé ed utilizzabile in varie indagini storiche ; ma non si possono escludere, anzi, cittadini della metropoli che vadano considerati egiziani a tutti gli effetti (si pensi al quartiere di Rakote, che in copto darà il nome alla città intera), e dunque, nel caso, copti ; e cittadini delle poleis della valle del Nilo che vadano considerati ellenistici. Come dicevo, bisogna restare nell’ambito culturale, prima di tutto religioso, cioè fra coloro che avevano abbracciato il Cristianesimo, e in secondo luogo di attaccamento alle antiche tradizioni egiziane. Questa mistura fra il nuovo e il molto antico, che metteva da parte soprattutto la religiosità ellenizzante, il culto degli dei ellenistici, sarebbe quella che permette di identificare le manifestazioni tipiche di una mentalità che possiamo chiamare copta, in quanto sarà alla base della Chiesa post-calcedonense. Alcune di quelle manifestazioni (soprattutto il monachesimo) vedremo in seguito.
(b) Ci si può chiedere come giochino in questa visione due ambienti religiosi (e dunque sociali e culturali) che possono essere considerati non cristiani : quello gnosticizzante e quello manicheo, i quali entrambi hanno utilizzato in maniera estesa, direi sistematica, la lingua copta. Per quanto riguarda il primo, intanto vorrei sottolineare l’espressione : gnosticizzante, non : gnostico, perché ritengo che non siano mai esistiti gruppi organizzati propriamente intorno alle concezioni che chiamiamo gnostiche a prescindere dal Cristianesimo, 9 e dunque possiamo vedere qui dei gruppi comunque cristiani che tuttavia si distaccavano da alcune o molte delle concezioni classiche della cultura cristiana, accettando al loro posto le corrispondenti di altre religioni. In gran parte dunque anche i gruppi gnosticizzanti rientrano nella caratterizzazione cristiana della copticità ; ma rimane il forte sospetto che alcuni di quei gruppi fossero del tutto alieni dal cristianesimo, e comunque tali furono sicuramente gli ambienti manichei. Bisogna dire che in
7 S. J. Davis, The Early Coptic Papacy, cit. 8 Siamo nel ii sec. a.C., M. Chauveau, Egypt in the Age of Cleopatra, Londra, 2000, pp. 123-134 ; B. Legras, Les reclus Grecs du Serapieion de Memphis:une enquête sur l'Hellénisme égyptien, Leuven (etc.), 2011. 9 M. A. Williams, Rethinking ‘‘Gnosticism’’. An Argument for Dismantling a Dubious Category, Princeton Univ. Press, 1996 ; K. L. King, What is Gnosticism ?, Londra, 2003.
233 la copticità dell ’ egitto copto questo caso l’uso della lingua copta non suggerisce alcuna influenza propriamente egiziana che si intendesse comunicare agli utilizzatori dei relativi testi. Una loro copticità sembra esclusa. Credo tuttavia che la si possa (e si debba) recuperare in forma dialettica. Infatti l’uso del copto si può spiegare come l’imitazione di quanto era stato effettuato poco prima negli ambienti cristiani. Era dunque diretta agli stessi interlocutori, con un fine naturalmente opposto, cioè di sottrarli all’influsso della Chiesa ufficiale, e attirarli nel proprio ambito. Anche questi gruppi dunque rientrano pienamente nel quadro che abbiamo tracciato, e ne sono in un certo senso l’eccezione che conferma la regola. Insomma la fede cristiana è certo un elemento obiettivo che concorre a definire il fenomeno socio-culturale copto, ma elemento necessario ma non sufficiente. Io credo si possa dire (a) che fino alla definitiva separazione della Chiesa dei teodosiani (questa sembra la denominazione più corretta, cf. sotto) si può considerare parte del popolo cristiano come copto, ma ci si deve basare sulle ragioni culturali della creazione e dell’adozione del copto. Organizzazione ecclesiastica
È opinione comune che per Chiesa copta si possa intendere la Chiesa egiziana che non ha accettato e tuttora non accetta le decisioni del Concilio di Calcedonia. In realtà questa definizione non tiene conto del fatto che è esistita ed esiste una Chiesa copta detta melkita, che accetta Calcedonia, e da qualche tempo esistono una Chiesa copta cattolica ed una protestante ; senza contare le Chiese copte fuori dell’Egitto, in primis quella etiopica. Quella a cui normalmente si fa riferimento, quando non si danno altre precisazioni, si chiama ufficialmente Chiesa copta ortodossa. Si deve peraltro tener presente che la Chiesa copta d’Etiopia pone altro genere di problemi, che qui non trattiamo. Non volendo entrare in sottigliezze liturgiche e dogmatiche, che per la nostra indagine sarebbero di scarsa utilità, possiamo porre come elemento discriminante la sequenza dei vescovi (patriarchi) alessandrini che le diverse Chiese egiziane propongono come valida a formare la propria tradizione. Ma la Chiesa che è sempre stata largamente maggioritaria in Egitto fa risalire la propria sequenza allo stesso Marco, e da lui fino a Cirillo e Dioscoro, in un periodo per il quale è azzardato parlare di Chiesa copta. Dunque dovremo da un lato trascurare, per i nostri fini, le altre Chiese copte, ma di quella ortodossa alessandrina ritenere solo quella parte nella quale possiamo riconoscere una copticità intrinseca al suo proprio ordinamento. In questo ci aiuta la storiografia copta, che nella Storia (in arabo) dei Patriarchi ci dice che all’epoca dell’invasione araba i fedeli di quella che diventerà la Chiesa copta ortodossa erano detti, e si chiamavano loro stessi, teodosiani, per distinguersi dai melchiti. Mi sembra ragionevole definire come copta la Chiesa egiziana maggioritaria, solo a partire dalla metà del vi secolo (Teodosio muore in esilio nel 567). Caratteri principali di questa Chiesa sarebbero : la determinazione della sequenza dei patriarchi come fedeltà alla tradizione specificamente egiziana, e di conseguenza la peculiare caratterizzazione di figure quali Pietro, Atanasio, Teofilo, Cirillo, in base
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alla loro vicinanza con fenomeni che in effetti noi riteniamo specificamente copti, come il monachesimo, l’antropomorfismo, il miafisismo, etc. ; l’assunzione dei dogmi di fede ufficialmente proclamati nel vi sec. e poi di quelli successivamente adottati ; la prassi liturgica in uso nel vi secolo, con le successive modificazioni.
Elementi controversi
Se gli elementi illustrati sopra sono indubbiamente alla base della copticità, sia pure considerati dal punto di vista del problema che trattiamo, altri sono assai più controversi, ma da non trascurare, nei limiti del contributo che possono dare ad approfondirlo. Ci riferiamo alla popolazione, all’arte, e alle tradizioni domestiche e sociali. Della popolazione abbiamo già detto che è difficile proporre una distinzione netta fra egiziani autoctoni e discendenti dei conquistatori macedoni. In ogni caso non è nella pura discendenza egiziana che andrà cercata la copticità di una parte del popolo egiziano, ma nella sensibilità per le proprie tradizioni etniche e culturali, da cui derivano un’interpretazione del Cristianesimo, ed anche alcune manifestazioni sociali e folcloristiche, che distinguono una parte della popolazione egiziana, prima preponderante, poi sempre meno numerosa, dagli ellenizzanti prima, e poi dagli arabi (trascurando i latini e i persiani per ovvie ragioni). Quanto all’arte, fermo restando che essa non conosce confini, mi pare evidente che per arte copta si intenda la produzione artistica legata ai copti, ma questa definizione ripropone ipso facto tutti i problemi che abbiamo esposto circa la popolazione e l’organizzazione ecclesiastica. È possibile negare l’esistenza di un’arte copta prima dell’invasione araba, e parlare piuttosto di arte bizantina d’Egitto. L’arte copta sarebbe dunque confinata all’arte della Chiesa copta sotto gli arabi. Aprire una discussione su questo argomento appare ozioso, stante il fatto che l’architettura e pittura dei centri urbani sono del tutto scomparse, e di quelli monastici per il periodo antecedente l’invasione araba abbiamo solo il sito dei Kellia, che appare perfettamente inserito nella sfera bizantina. Si possono invece individuare delle peculiarità stilistiche ed iconografiche che concorrono a definire la copticità negli artefatti monastici soprattutto a partire dal vii secolo, nei siti soprattutto di Bauit e di Saqqara, e consentono di ritenere che essi siano gli eredi di una visione copta del mondo abitativo dei monasteri. Ci riferiamo soprattutto ad un particolare gusto per la decorazione architettonica, per scene naturalistiche, e per l’umanizzazione dei personaggi della storia sacra, su cui tuttavia non possiamo qui dilungarci. Alle tradizioni domestiche e sociali abbiamo accennato a proposito della popolazione, e del resto questi aspetti antropologici sfuggono alle nostre competenze. Questo non vuol dire che non debbano essere tenuti nel debito conto per definire la copticità in tutti i suoi aspetti, ma solo che non ci sentiamo di indicare trattazioni come autorevoli. Certo si è scritto dei pellegrinaggi religiosi, 10 delle
10 G. Viaud, Les pélerinages coptes en Égypte d’après les notes du Qommos Jacob Muyser (« Bibliothèque d’Études Coptes », 15), Cairo, 1979.
235 la copticità dell ’ egitto copto pratiche alimentari, 11 e di altro, ma per una certa atmosfera si sarebbe tentati piuttosto di rimandare all’Alexandria Quartett di L. Durrell. Guidati dalle osservazioni fatte fin qui, possiamo ora individuare, discutere, e descrivere gli aspetti della cultura e spiritualità del cristianesimo egiziano che possiamo qualificare come copti. Li cercheremo nel monachesimo, nella letteratura, e nell’arte.
Monachesimo
Da un lato il monachesimo 12 è fenomeno nato in Egitto, che però ha sùbito attirato su di sé l’attenzione del Cristianesimo internazionale, ed è diventato parte integrante della spiritualità internazionale. Eppure da un altro punto di vista esso rappresenta qualcosa non solo di tipicamente egiziano, ma propriamente di copto. Esso è alla base della cultura copta : in seno ad esso la lingua copta si è affermata come lingua capace di produrre opere originali e tutta la letteratura copta è stata coltivata e tramandata in ambiente monastico ; l’architettura e la pittura copte sono ad esso strettamente legate. Per avere un’idea corretta di come inquadrare il fenomeno, credo che la cosa migliore sia prendere spunto dalla formidabile figura dell’archimandrita e (così considerato e chiamato) profeta Shenute. Dopo i primi timidi tentativi fra i pacomiani (Antonio da questo punto di vista va scartato), Shenute ha imposto l’uso della lingua copta come veicolo normale nella catechesi, nella relazione epistolare fra archimandrita lontano e i suoi monaci, nell’omiletica rivolta anche ad autorità civili che gli rendevano omaggio. Egli ha prodotto almeno l’equivalente di 18 libri di questi generi letterari, probabilmente ha curato la traduzione di opere greche della patristica contemporanea o poco antecedente ai suoi tempi, e la biblioteca del suo monastero è stato il principale deposito delle opere in lingua copta fino al xii secolo. Nonostante tutto questo, e nonostante la sua importante azione in campo civile e sociale, nessun autore di lingua greca lo menziona, non che illustrarne la figura. Ma addirittura vi sono fondate ragioni di credere che i suoi scritti non siano stati letti ed utilizzati fuori del suo monastero presso la cittadina di Atripe. Questo ha fatto sì che egli fosse conosciuto come un puro nome presso gli studiosi occidentali prima che i manoscritti delle sue opere giungessero in Europa ; e che addirittura fino a poco tempo fa le opere sul monachesimo primitivo non lo prendessero in considerazione o lo prendessero appena. Sulle cause di questo silenzio non è tuttora possibile se non fare delle supposizioni. Ma quello che ne deduco è che Shenute può essere considerato come il tipico rappresentante di una cultura e più ancora di una visione della vita religiosa tutta interna alle problematiche egiziane, dunque copte (ma anteriori alla Chiesa propriamente copta) che non trovavano riscontro interessato nelle altre regioni
11 C. Wissa Wassef, Pratiques rituelles et alimentaires des Coptes, Cairo, 1971. 12 E. Wipszycka, Moines et communautés monastiques en Égypte (iv-viii siècles), (« Journal of juristic papyrology », Supplement 11), Varsavia, 2009.
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cristiane, e solo sporadicamente nelle stesse gerarchie della Chiesa di Alessandria. Questa del resto è stata anche la posizione di Leipoldt, che nei primi anni del ’900 ha dedicato una monografia a Shenute quale « fondatore del Cristianesimo nazionale egiziano », che è tuttora fondamentale. 13 Peccato che egli avesse un giudizio del tutto negativo su Shenute e sull’ambiente copto, e a tutt’oggi manchi una valutazione obiettiva sull’uno e sull’altro, che è soltanto iniziata. 14 Mi sembra comunque certo che Shenute è la chiave per trovare gli aspetti che si potranno chiamare copti del monachesimo egiziano. Essi sono, per quanto mi risulta, assenti dagli ambienti del Nord (Sceti, Nitria, Kellia ; Antonio, Macario, Evagrio), ma presenti in vario modo nell’organizzazione pacomiana, e in un notevole numero di personaggi del Medio Egitto, 15 anch’essi dimenticati dalla tradizione greco-latina. È tuttavia da tener presente che le fonti pacomiane sono altamente sospette e l’indagine su di esse, che sembra relativamente banale, va invece eseguita con la massima cautela. Quanto è stato scritto finora ha nel complesso scarso significato dal nostro punto di vista. Si deve insomma fare una distinzione, da un lato, fra un sentimento di distacco dal mondo e di rapporto con Dio quanto possibile sciolto da ogni passione e organizzazione umana e sociale, ed una ragione che, all’interno del sentimento, portava comunque ad accettare o rifiutare posizioni teologiche appannaggio della Chiesa che da questo punto di vista possiamo chiamare mondana ; e dall’altro, fra un ambiente monastico più legato alle posizioni teologiche della Chiesa alessandrina, in sostanza ad un certo origenismo, ed un altro che rimaneva fedele alle più tradizionali concezioni, che Origene chiamava dei ‘semplici’ e noi oggi chiamiamo ‘asiatiche’. 16 Per quanto strano possa sembrare, non è nella prima distinzione che dobbiamo cercare la copticità del monachesimo, ma nella seconda, che del resto con il concludersi della controversia origenista del iv-v secolo finirà col prevalere. La volontà di staccarsi dal mondo era comune a tutte le correnti ascetiche sviluppatesi quasi fin dall’inizio in seno al Cristianesimo, e del resto era presente nello gnosticismo cristiano, che aveva radicalizzato la visione negativa della materia in ogni sua manifestazione. L’ascetismo unito ad una concezione di Dio materialmente legato alla forma e all’attività umana fu tipico di una particolare corrente del monachesimo egiziano. Dunque le origini e l’intuizione iniziale del monachesimo, con Antonio e con Pacomio (con una differenza che potremmo chiamare di organizzazione sociale) furono egiziane, ma non copte. La copticità nel monachesimo possiamo trovarla invece, oltre che in Shenute, come abbiamo visto sopra, nella tradizione di personaggi come Aphou di Pemje, Paolo di Tam
13 J. Leipoldt, Schenute von Atripe und die Entstehung des national ägyptischen Christentums, Leipzig, 1903. 14 S. Emmel, Shenoute’s Literary Corpus (« csco Subsidia », 111-112), Lovanii, 2004. 15 T. Orlandi, Coptic Monastic Literature : The Forgotten Names, in Il monachesimo tra eredità e aperture. Testi e temi nella tradizione del monachesimo cristiano, Atti del simposio per il 50° anniversario dell’Istituto Monastico di Sant’Anselmo, Roma, 28 maggio - 1 giugno 2002, Roma, 2004, pp. 175-195. 16 M. Simonetti, Studi sulla cristologia del ii e iii secolo (« Studia ephemeridis Augustinianum », 44), Roma, 1993.
237 la copticità dell ’ egitto copto ma, Apollo di Titkooh, i monaci di Souan e File, Panine e Paneu del Faium, quasi nessuno dei quali è ricordato dalle fonti greche, ma di alcuno dei quali abbiamo addirittura delle opere originali. Letteratura
Che la letteratura copta 17 sia uno dei fenomeni tipici della cultura copta appare addirittura una tautologia, ma anche in questo caso la situazione è tuttaltro che lineare, e di molte osservazioni che sono state fatte occorre diffidare. La principale è quella secondo cui chi produceva testi in copto, dunque i copti, secondo una troppo facile traslazione, avessero un particolare gusto per gli apocrifi come genere letterario. Ad essa si accosta quella per cui i testi gnosticizzanti (Nag Hammadi ed altro, appunto con tutti i loro apocrifi ) siano una testimonianza tipica della letteratura copta. In realtà essi sono solo un episodio marginale di essa, relegato a gruppi presto scomparsi, così come sono presto scomparsi i testi stessi, senza lasciare una traccia apprezzabile. Quanto alla reale letteratura in copto, essa aveva certo il gusto di rifarsi ad episodi fantasiosi riferiti alla famiglia di Gesù, agli angeli, e alla vita e morte degli apostoli, né più né meno, del resto, delle altre letterature cristiane nella loro parte più popolare. Tali episodi tuttavia erano generalmente incorporati in omelie di contenuto morale, e non nel genere letterario degli apocrifi, che pure era utilizzato, ma anche qui in quantità analoga a quella presente nelle altre letterature cristiane. Altro pregiudizio è quello che assegna alla letteratura copta il compito precipuo di catechizzazione dei non parlanti greco, della parte più umile e ignorante dei cristiani d’Egitto. In realtà non era questo il fine che si proponevano i suoi creatori, anche se esso può essersi verificato come effetto secondario. Come abbiamo visto parlando della lingua, essi si proponevano di affiancare alla manifestazione letteraria in lingua greca una in cui le antiche tradizioni egiziane fossero rivissute nel nuovo ambiente, con una nuova spiritualità e una nuova religiosità. Questi sono propriamente i caratteri della iniziale cultura che possiamo chiamare copta. Essa si sviluppò in seguito partecipando agli avvenimenti della Chiesa egiziana. Nelle controversie origeniste si schierò con la parte asiatica ; nel periodo successivo a Calcedonia produsse testi biografici e storici in difesa dell’opposizione a quel concilio ; nel periodo successivo all’occupazione araba produsse testi attribuiti agli antichi Padri, per evitare il divieto di produrne di nuovi ; nell’ultimo periodo di sopravvivenza della lingua copta (xi-xii secolo) raccolse i testi giudicati utili in codici che chiamiamo sinassari, letti nelle cerimonie ecclesiastiche. La letteratura e la cultura copte vanno viste sempre in relazione con la produzione in greco, che era presupposta da quanto si produceva in copto, che veniva concepito come complementare. L’interesse andava ai temi morali, soprattutto monastici, mentre la teologia era appannaggio del greco, salvo che per una teo
17 T. Orlandi, Letteratura copta e cristianesimo nazionale egiziano, in A. Camplani (ed.), L’Egitto cristiano. Aspetti e problemi in età tardo-antica (« Studia Ephemeridis Augustinianum »), Roma, 1997, pp. 39-120 ; A. Boud’hors, The Coptic Tradition, in The Oxford Handbook of Late Antiquity, Oxford, 2012, pp. 224-246.
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logia di livello popolare, che venne in auge nel periodo tardo, già in dominazione araba. Arte
Sulle difficoltà di circoscrivere una architettura e arte monastica copte abbiamo detto. Rimane tuttavia vero che nelle rovine dei grandi siti monastici del iv secolo 18 e poi del vii-viii e sgg. 19 rimane traccia, nelle decorazioni scultoree e pittoriche, di uno spirito particolare che si distingue dai coevi monumenti bizantini d’Oriente e d’Occidente (in questo caso detti bizantineggianti). C’è un minore senso ieratico ed un maggiore senso naturalistico e talora narrativo, che rimanda a un gusto spontaneo che si sarebbe formato nella Valle del Nilo in secoli di scambi spirituali fra radici egiziane e residenti di origine greca, aramaica, forse latina, etc.
Conclusioni
Da quanto abbiamo proposto fin qui emerge chiaramente che, da un lato, è scientificamente ragionevole assegnare la qualifica di copto ad una serie di fenomeni culturali, storici, etnologici, che si riscontrano nell’Egitto fra il ii secolo e i giorni nostri ; dall’altro, ciascuno di questi fenomeni presenta caratteristiche sue proprie, non sovrapponibili con precisa determinazione storica e geografica a quelle degli altri. Per questi motivi potremo reclamare una copticità come fenomeno unitario solo se avremo sempre presenti alla nostra coscienza la sua complessità e anche le sue contraddizioni. Né mi voglio sottrarre a tracciare una sintesi di ciò che mi appare appunto la copticità. Essa è in origine uno stato d’animo, insorto in alcuni egiziani (non importa se di stirpe ellenica o autoctona) al momento dell’incontro con il Cristianesimo. Questo incontro determinò da un lato una squalifica ed un rifiuto delle pratiche religiose allora in uso (anche qui di ambo le origini), ma dall’altro la volontà di conservare qualche parte delle radici egiziane nella nuova religiosità. Nacque da ciò la lingua copta, come veicolo squisitamente egiziano (perché del tutto evitato dagli ellenistici, ma del resto permeato di elementi ellenistici) per esprimere la spiritualità cristiana, e più tardi la letteratura copta, che fu l’espressione della parte copta della Chiesa egiziana. Questa parte era non solo affezionata alla tradizione egiziana, ma anche legata all’esegesi cristiana tipica del ii secolo (c.d. asiatica) e fieramente avversa alle novità platonizzanti propagandate da Origene, sulla scia di Clemente. Quando sorse e si affermò il movimento monastico, la corrente copta vi ebbe un ruolo significativo, portando in una parte di esso le proprie esigenze e le proprie preferenze. Fin qui possiamo parlare di due anime conviventi nella Chiesa egiziana ; due crisi di portata ecumenica fecero trionfare quella copta sul piano delle coscienze, ma la schiacciarono su quello del potere temporale.
18 Kellia, cf. Le site monastique copte des Kellia, Ginevra, 1986, pp. 175-179. 19 Bauit, Saqqara, Neklone, cf. E. Wipszycka, Moines et communautés monastiques, cit.
239 la copticità dell ’ egitto copto La prima crisi fu quella origenista (iv-v sec.), che vide la sostanziale sparizione del monachesimo antoniano-evagriano, la sottomissione dei pacomiani all’antiorigenismo, e il trionfo di Shenute ; la seconda quella calcedonense (451-535), i cui esiti sono tuttora alla base della Chiesa copta. Le manifestazioni artistiche, etniche, spirituali, della corrente copta, considerata entro i limiti che abbiamo segnato, presentano delle caratteristiche che le distinguono da quelle analoghe degli altri gruppi del Cristianesimo internazionale (compreso quello egiziano ellenizzante). Il sostrato è bene lo stesso. L’architettura e l’iconografia copte, le cerimonie liturgiche, i modi di celebrare le festività e fare pellegrinaggi, lo stile delle omelie, delle vite dei santi, delle passioni dei martiri, sono analoghi a quelli che si trovano nel resto della Cristianità. Ma insieme ai tratti in comune ve ne sono altri specifici, che permettono di parlare di un mondo (spirituale) propriamente copto. Alcuni sono stati già illustrati in modo abbastanza soddisfacente ; su altri l’indagine è aperta e potrà suscitare interessanti osservazioni.
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ALLA CONQUISTA DEL PASSATO : LA STORIA DELL’ANTICO EGITTO VISTA DAGLI ARABI
Marco Di Branco
T
ra il 619 e il 621 d.C. i Sasanidi di Persia occuparono la Palestina e l’Egitto. Il 622, l’anno nel quale ebbe inizio la riscossa bizantina, è anche l’anno dell’ègira : mentre l’imperatore Eraclio colpiva duramente l’impero persiano, Muhºammad poneva le basi dell’unità religiosa, politica e militare degli Arabi. Pochi anni dopo la morte del Profeta (632 d.C.), ebbero inizio le grandi invasioni che condussero alla fondazione di un grande stato arabo progressivamente dilatatosi su buona parte del mondo antico. Appena ultimata la conquista della Siria (636-638 d.C.), gli Arabi si misero sulla via dell’Egitto, agli ordini del grande generale ‘Amr ibn al-‘A¯ s. La conquista iniziò con effettivi numerici che potrebbero apparire irrisori (‘Amr si sarebbe presentato in Egitto con un corpo d’armata di appena 4000 cavalieri, solo in seguito rafforzato da altri 5000 uomini), e tuttavia essa fu rapida, completa e relativamente indolore. La spiegazione di questo dato di fatto è in buona parte da ricercarsi nelle condizioni interne egiziane : dopo la cacciata dei Persiani, il legame dell’Egitto con Costantinopoli, lungi dal rafforzarsi, si era deteriorato a causa dei contrasti religiosi e dell’oppressiva politica fiscale bizantina ; in particolare, l’opera di Kyros, l’inviato di Eraclio, persecutoria nella sfera religiosa e vessatoria in quella fiscale, contribuì largamente a creare fra gli Egiziani un’atmosfera di simpatia nei confronti dei conquistatori. 1 L’unico scontro terrestre di una certa entità nel quale i Bizantini contrastarono gli Arabi si svolse nel luglio 640 d.C. presso la fortezza di Babylon, all’apice del Delta : ‘Amr conseguì una vittoria indiscutibile e Kyros fu costretto a trattare con gli invasori, tentando di ottenere per sé le migliori garanzie. Presentatosi a Costantinopoli per rendere conto del suo operato, Kyros fu sconfessato e bandito da Eraclio, ma poco dopo l’imperatore morì (641 d.C.) e venne meno ogni prospettiva di un intervento diretto dell’esercito imperiale a sostegno dell’Egitto. Pochi mesi dopo la morte di Eraclio, Babylon capitolò, e ‘Amr mosse alla volta di Alessandria, che si arrese il 29 settembre del 642 d.C. 2 Secondo alcune fonti, in tale occasione – su ordine del califfo ‘Umar – sarebbe stata distrutta la celeberrima biblioteca alessandrina ; ad ‘Amr ibn al-‘A¯ s, propenso a risparmiare la biblioteca, il califfo avrebbe obiettato : « se gli scritti dei Greci sono in accordo con il libro di Dio, sono inutili e non è necessario preservarli ; se invece sono in disaccordo, sono
1 Sulle vicende relative alla conquista dell’Egitto, vd. da ultimo H. Kennedy, Le grandi conquiste arabe (2007), tr. it. di V. Gorla, Roma, 2008, pp. 132-160. 2 Ivi, pp. 152-153. Cfr. anche W. Kaegi, Heraclius, Emperor of Byzantium, Cambridge, 2003, pp. 88-92.
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perniciosi e vanno distrutti ». In realtà, questo racconto non è altro che una tarda leggenda anti-islamica. 3 ‘Amr non fu soltanto un grande generale, ma anche e soprattutto un abile diplomatico e un notevole amministratore. Egli mise mano al riordino fiscale della provincia (e a questo scopo si servì dei preesistenti funzionari bizantini, rimasti in carica anche dopo la conquista) e si incaricò della scelta della sede del governo e della principale residenza dei conquistatori. Secondo una prassi consolidata nel corso delle grandi campagne militari dirette dai primi califfi, le guarnigioni islamiche venivano insediate in cittadelle fortificate (amsºa¯r), per separare fisicamente gli Arabi dalle popolazioni sottomesse, evitando così incidenti e abusi ; di conseguenza, ‘Amr non elesse come sua capitale Alessandria, ma trasformò in centro urbano il campo militare dal quale aveva diretto le operazioni contro Babylon. Questo accampamento, venne chiamato in arabo al-Fustºa¯t,º dal termine greco-bizantino phossáton (‘campo trincerato’), e fu da allora la capitale della provincia araba d’Egitto fino al momento della fondazione del Cairo ad opera dei Fatimidi. 4 Dopo il ritiro di ‘Amr, il califfo ‘Utma¯n affidò il governo dell’Egitto ad Abu¯ Yahºya¯ ‘Abd Alla¯h ibn Sa‘d ibn Abı ¯ Sarhº, che rese sicuri i confini meridionali della provincia stipulando un trattato politico-commerciale con il regno cristiano di Nubia, pose le basi per l’espansione araba verso Occidente e creò la prima flotta musulmana, per mezzo della quale gli antichi predoni del deserto si sarebbero lanciati sulle vie dei mari. 5 A differenza dell’Iraq e della Siria, abitati per larga parte da popolazioni di origine semitica, l’Egitto rappresentava per gli invasori una terra totalmente straniera ; tuttavia, nel giro di pochi secoli vi si compì un profondo processo di assimilazione etnica e culturale, che diede come risultato un paese pienamente arabizzato e quasi totalmente islamizzato. La lingua araba si impose rapidamente e fu adottata anche dalla popolazione rimasta cristiana ; il greco si mantenne in un primo tempo accanto all’arabo come lingua dell’amministrazione, ma poi finì per cedergli completamente il campo. 6 Come nelle altre regioni conquistate, anche in Egitto l’Islam non fu introdotto con la forza, ma fu adottato per la sua forza di penetrazione religiosa e per motivi economico-sociali, il più noto dei quali è l’esenzione dal testatico (g¬izya) di cui godevano i convertiti. I copti difesero tenacemente le loro tradizioni religiose, ma non giunsero mai a connotare la loro resistenza in senso anti-arabo e anti-islamico : il loro destino fu quello di una progressiva marginalizzazione. 7 I nuovi conquistatori, che in un primo momento si erano mostrati consci della loro inferiorità culturale rispetto all’élite egiziana (alla quale avevano infatti af
3 Vd. B. Lewis, The Arab Destruction of the Library of Alexandria : Anatomy of a Myth, in M. El Abbadi & O. Mounir Fathallah (edd.), What happened to the Ancient Library of Alexandria ? (« Library of the written world », 3), Leiden & Boston, 2008. 4 Per la storia di Fustºa¯t,º fondamentale W. Kubiak, Al-Fustºa¯t,º its Foundation and Early Urban Development, Cairo, 1987. 5 Vd. H. Kennedy, Le grandi conquiste arabe, cit., pp. 304-322. 6 Sulla documentazione amministrativa egiziana nei primi secoli dell’Islam vd. da ultimo P. Sijpesteijn & Lennart Sundelin (edd.), Papyrology and History of Early Islamic Egypt, Leiden-Boston-Köln, 2004. 7 Vd. ad es. A. Ducellier, Cristiani d’Oriente e Islam nel Medioevo (1996), tr. it. di S. Vacca, Torino, 2001, pp. 44-50.
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fidato l’amministrazione del paese), con il passare del tempo si fecero sempre più consapevoli della propria leadership. Com’è noto, un vero e proprio punto di svolta in questo senso fu costituto dal califfato di ‘Abd al-Malik (685-705 d.C.), che impose per decreto l’arabo come lingua della comunicazione e dell’amministrazione vietando l’uso del greco, fino ad allora impiegato largamente dai burocrati bizantini al servizio dei nuovi padroni. 8 Questo processo fu accompagnato da una rilettura critica della storia dell’Egitto i cui frutti purtroppo noi possiamo cogliere solo a partire dal x secolo d.C. Si tratta di un’operazione che potremmo definire di stampo ‘coloniale’ : gli storici arabi ricostruiscono la storia millenaria e complessa, del paese da loro occupato al fine di legittimare il dominio islamico sia sul piano religioso sia su quello culturale. In questo senso, non sembra casuale che essi si occupino in primo luogo di decostruire e ricostruire il passato ellenistico-romano (e bizantino) dell’Egitto, per soffermarsi solo successivamente sulla lontana epoca faraonica, sentita come assai meno interessante dal punto di vista dell’attualità politica. 9 Ovviamente, qui non è certo possibile affrontare la questione in maniera sistematica ; vorrei dunque soffermarmi sulle ricostruzioni arabe di tre snodi fondamentali del passato egiziano offerte dagli storici arabi medievali, al fine di evidenziare i presupposti politici e culturali di cui esse sono il frutto : la fondazione di Alessandria, la morte di Cleopatra e la costruzione delle piramidi. E cominciamo dalla fondazione di Alessandria, il cui racconto più dettagliato è contenuto nei Muru¯g¬ al-dahab wa ma‘a¯din al-g¬awhar (I prati d’oro e le miniere di gemme) 10 del grande storico Mas‘u¯dı,¯ che scrive in piena età abbaside, nel x secolo d.C. 11 Narra Mas‘u¯dı ¯ (Muru¯g¬, ii, § 827 Pellat) che Alessandro, dopo aver consolidato la sua autorità nel suo paese si mise in cerca di una contrada fertile e ben irrigata ; giungendo nel luogo in cui sarebbe sorta Alessandria, trovò le vestigia di un grande edificio e un gran numero di colonne di marmo. Al centro si innalzava un’altissima colonna che recava un’iscrizione in antichi caratteri sudarabici, in cui il mitico re Šadda¯d b. ‘A¯ d b. Šadda¯d b. ‘A¯ d, costruttore della città di ‘Iram dalle alte colonne’ (cfr. Corano, lxxxix 6), affermava di aver desiderato fondare in quello stesso sito, « riparato dai colpi del tempo, dalle cure e dai mali », una città simile a ‘Iram, ma di non aver avuto il tempo di farlo. L’iscrizione si concludeva con l’invito a non lasciarsi sedurre dall’ingannevole fortuna e dalle lusinghe del mondo. Alessandro, dopo aver meditato su queste parole, riunisce gli operai e dà inizio ai lavori, facendo affluire materiali dalla Sicilia, dal Nord-Africa, da Rodi, Creta e dai « confini del Mediterraneo » (Muru¯g¬, ii, par. 828 Pellat). Per ordine di Alessandro,
8 Sulle riforme di ‘Abd al-Malik vd. ora Ch.F. Robinson, ‘Abd al-Malik (« Makers of the Muslim World », s.n.), Oxford 2005, pp. 66-80. 9 Per un utile inquadramento della problematica concernente il rapporto tra cultura arabo-islamica e storia e archeologia dell’Egitto faraonico vd. O. El-Daly, Egyptology : the Missing Millennium. Ancient Egypt in Medieval Arabic Writings, London, 2005. 10 Éd. par C. Barbier de Meynard & A. Pavet de Courteille (rev. par Ch. Pellat), Beyrouth, Publ. de l’Univ. Libanaise, ii, 1966 (« Sect. des études historiques », xi). 11 Vd. A. M. H. Shboul, Al-Mas‘u¯dı¯ & His World, London, 1979.
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viene disegnato il tracciato delle mura e a una certa distanza l’uno dall’altro si infiggono dei picchetti, ai quali è attaccata una corda con molti campanelli, la cui estremità terminava davanti alla tenda del re, su una colonna di marmo in cima alla quale il Macedone aveva fatto porre una grande campana. Gli operai avrebbero dovuto cominciare il lavoro quando la corda si fosse mossa e la campana e i campanelli avessero suonato : in tal modo Alessandro avrebbe potuto scegliere il momento più favorevole per l’inizio dell’opera. Ma mentre il sovrano è immerso nella lettura degli oroscopi, il sonno cala su di lui, ed egli si addormenta : allora un corvo si posa sulla colonna e aziona la grande campana, che a sua volta mette in azione i campanelli. Gli operai, vedendo la corda vibrare e udendo suonare le campane, gettano le fondamenta della città, rendono grazie e pregano. Alessandro si risveglia, si stupisce, apprendendo la causa di quel frastuono, ed esclama : « Avevo voluto una cosa e Iddio ne ha voluta un’altra ; Egli respinge ciò che è contrario alla Sua volontà. Desideravo assicurare la durata di questa città, Iddio ha deciso che essa perirà e sparirà presto, dopo essere appartenuta a diversi re » (Muru¯g¬, ii, par. 829 Pellat). A questo punto, comincia una dura lotta contro dei mostri marini che distruggono tutto ciò che viene costruito (Muru¯g¬,, ii, par. 830 Pellat) : per Alessandro si tratta di un chiaro presagio della decadenza che attende la città, e tuttavia non si dà per vinto, e progetta una sorta di sottomarino con il quale studiare le belve nel loro habitat naturale ; poi ordina di riprodurre le loro fattezze e di eseguire delle copie dei mostri in ferro, cuoio e pietra, che vengono poste su dei pilastri lungo la riva ; quando i mostri escono dall’acqua per attaccare la città vedono le loro immagini sui pilastri e si danno alla fuga, per non tornare mai più (Muru¯g¬,, ii, par. 831 Pellat). Così Alessandro fa incidere sulla porta della città questa iscrizione :
Ecco Alessandria : io volevo costruirla in piena sicurezza e assicurarle felicità e durata ; ma Iddio onnipotente, il re del cielo e della terra, il distruttore dei popoli, ha deciso altrimenti. Io ho costruito questa città su solide fondamenta ; ho innalzato le sue mura. Dio mi ha dato la scienza e la saggezza in tutte le cose, e ha spianato le mie vie. Nessuno dei miei voleri mondani è stato irrealizzabile, tutto ciò che ho desiderato mi è stato accordato, per la grazia di Dio e la bontà che Egli mi ha testimoniato, per realizzare la felicità dei Suoi servi che hanno vissuto nel mio tempo. Gloria a Dio, Signore dei mondi, non c’è altri che Lui, il Signore di tutte le cose. 12
Il seguito dell’epigrafe annunciava gli eventi futuri concernenti Alessandria, la sua prosperità, la sua rovina e, in generale, tutto ciò che l’attendeva in avvenire, fino alla fine del mondo. Infine, il Macedone fa posizionare « su delle colonne chiamate obelischi » dei potenti talismani, perché proteggano, per quanto possibile, la città appena fondata (Muru¯g¬, ii, par. 834 Pellat). Questo racconto, che pure contiene molti riferimenti strutturali al Romanzo dello Pseudo-Callistene (vd. in particolare Ps.-Callisth., i 31-34), 13 se ne allontana
12 Muru¯g¬ al-dahab, ed. cit., ii, par. 832. 13 Cfr. in proposito le giuste osservazioni di M. Casari, Alessandro alle sedi degli antichi sovrani, dal Romanzo greco alle versioni persiane, in C. Baffioni (ed.), La diffusione dell’eredità classica nell’età tardoantica e medievale. Filologia, storia e dottrina (Atti del Seminario nazionale di studio Napoli-Sorrento, 29-31 ottobre 1998) (« L’eredità classica nel mondo orientale », 3), Alessandria, 2000 pp. 11-25 : p. 24. Sul racconto relativo
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alquanto, inglobando tradizioni apocrife e motivi provenienti da storie e leggende locali (come l’enfasi sugli aspetti magici e astrologici), che l’autore dei Muru¯g¬ attribuisce esplicitamente a ‘cantastorie’ (ah¢ba¯riyyu¯n) egiziani e alessandrini. 14 Esso finisce per costituire una sintesi originale delle principali narrazioni e dei valori fondamentali associati ad Alessandro da quell’‘umanesimo islamico’ di cui Mas‘u¯dı¯ è uno dei maggiori esponenti. Per prima cosa vi troviamo infatti la connessione fra Alessandro e il mondo sudarabico, che tanta parte avrà nella costruzione dell’immagine islamica del Macedone : nella fondazione della città che porta il suo nome, Alessandro segue infatti le orme di un suo ‘doppio’ (simile al « Du¯ ’l-Qarnayn il vecchio » di cui parla Tºabarı¯), il re hºimyarıt¯ a Šadda¯d b. ‘A¯ d b. Šadda¯d b. ‘A¯ d, la cui iscrizione contiene in nuce tutte le profezie di decadenza che si addenseranno su Alessandria nel corso del racconto. D’altra parte, l’implicito parallelismo tracciato da Mas‘u¯dı ¯ fra « Iram dalle alte colonne », sommersa dal divino cataclisma come una sorta di ‘Atlantide islamica’, e la città di Alessandro è già in sé un evidente marchio negativo impresso sulla nuova fondazione. 15 In secondo luogo, va appunto sottolineato come nel testo di Mas‘u¯dı ¯ i presagi mutino di segno rispetto a quelli descritti nel Romanzo – che sono annunci di benessere e prosperità – e assumano una valenza assolutamente negativa, instaurando un rapporto ‘strutturale’ fra il momento della costruzione e il momento della rovina. 16 La fondazione della città sotto cattivi auspici diviene il simbolo della caducità delle imprese umane e Alessandro torna qui a incarnare, come nell’opera di Dın¯ awarı,¯ il mistico monoteista che rende gloria all’unico Dio Signore dei mondi e accetta con rassegnazione il suo volere. Secondo Faustina C.W. Doufi kar-Aerts, con questo racconto Mas‘u¯dı¯ arricchì la tradizione araba su Alessandro, contribuendo al processo di integrazione della figura islamica di al-Iskandar con il personaggio storico del Macedone. Nel corso dell’XI secolo, tale sintesi avrebbe prodotto l’emergere della classica ‘versione araba’ di Alessandro : Al-Iskandar Du¯ ’l-Qarnayn ». 17 Ma in realtà la filosofia sottesa alla narrazione di Mas‘u¯dı¯ è ancora più sottile : la figura del re macedone resta infatti sospesa fra la sfera della hybris (la tracotante superbia che spesso caratterizza gli eroi del mito greco) e della g¬a¯hiliyya : (l’« ignoranza » che precede la Rivelazione) e quella della prassi politico-religiosa del buon sovrano musulmano : in fondo, il destino ultimo di Alessandro nel mondo islamico resta quello di un’integrazione mancata. 18
alla fondazione di Alessandria nello Ps.-Callistene vd. ora C. Jouanno, Naissance et métamorphoses du Roman d’Alexandre : domaine grec, Paris, 2002, pp. 68-76. 14 Vd. F. C. W. Doufikar-Aerts, A Legacy of the ‘Alexander Romance’ in Arab Writings, in The Search for the Ancient Novel, Baltimore-London, 1994, pp. 323-43, alle pp. 331 sgg., e Shboul, Al-Mas‘u¯dı¯ & His World, cit., p. 117. 15 Vd. ultimam. J. Dakhlia, Le divan des rois. Le politique et le religieux dans l’Islam, Paris 1998, pp. 170-74. Sulla connessione fra Alessandro/Du¯ ’l-Qarnayn e il mondo sud arabico vd. M. Di Branco, Alessandro Magno, eroe arabo del Medioevo (« Piccoli Saggi », 49), Roma, 2011 pp. 83-87 e Id., “È davvero Alessandro ?” Du¯ ’l-Qarnayn e il Corano, « Incidenza dell’antico », 9 (2011), pp. 193-209. 16 J. Dakhlia, Le divan des rois, cit., pp. 173 sg. 17 F.C.W. Doufikar-Aerts, A Legacy of the Alexander Romance, cit., p. 337. 18 Cfr. A. Miquel, La géographie humaine du monde musulman jusqu’au milieu du 11e siècle, iv (« Civilisations et sociétés », s.n.), Paris, 1988 pp. 18 sg., e J. Dakhlia, Le divan des rois, cit., pp. 92 sg.
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Resta da chiedersi se al pessimismo espresso da Mas‘u¯dı ¯ nei confronti della sorte di Alessandria non possa aver contribuito la situazione di grave instabilità politica dell’Egitto della sua epoca, conteso fra gli Ih¢šıd¯ idi e i Fatimidi ; 19 in effetti, l’autore, che dal 330/941 visse per la maggior parte del tempo proprio in Egitto, risentì certamente degli effetti della crisi in atto, e l’idea della rovina imminente della città più importante del paese, espressa profeticamente dal Macedone, può ben essere un portato delle convulse circostanze precedenti la conquista fatimide, che Mas‘u¯dı¯, morto nel 345/956, comunque non vide. Al racconto di Mas‘u¯dı,¯ volutamente e ‘personalmente’ improntato a una visione pessimistica non solo della storia antica dell’Egitto, ma anche di quella contemporanea, si contrappone una tarda leggenda sulla fondazione del Cairo da parte del generale Gµawhar, 20 che potrebbe ben conservarci una tradizione di epoca fatimide. In effetti – pur mancando ovviamente ogni riferimento diretto alla figura di Alessandro – la struttura narrativa è esattamente la medesima utilizzata da Mas‘u¯dı,¯ ma in questo caso l’intervento del corvo fa sì che l’inizio dei lavori venga a trovarsi sotto la tutela positiva del pianeta Marte, il cui soprannome di qa¯hir al-falak, « il trionfatore del firmamento », si trasmette addirittura alla città stessa : al-Qa¯hirah, « la Trionfante ». Questo scoperto rovesciamento del segno del racconto di Mas‘u¯dı ¯ non sembra privo di un certo intento polemico e propagandistico : alla triste decadenza di Alessandria, città senza futuro, simbolo del vecchio Egitto pagano e poi abbaside, fanno da contrappunto i preconizzati trionfi di alQa¯hirah, la capitale dei Fatimidi, la nuova dinastia sciita governata da un messia incarnato, il luogo a partire dal quale un nuovo ordine sociale, politico e religioso cambierà per sempre il volto del mondo islamico.
Veniamo ora all’episodio della morte di Cleopatra, anch’esso narrato da Masudi, che fa largo uso di tradizioni estranee alla storiografia cristiana e riconducibili a leggende ‘romane’ di origine islamica, simili alle già menzionate leggende islamiche sulla fondazione di Alessandria ; (Muru¯gˇ, ii, §§ 707-712 Pellat) : 21
§ 707. Salì al trono la figlia Cleopatra, e vi restò ventidue anni. Era una principessa consacrata alla saggezza e allo studio della filosofia, che favoriva i sapienti e onorava i saggi [ii 286]. Ella stessa compose sulla medicina, gli incantesimi e altre parti delle scienze mediche, delle opere che portano il suo nome, le sono attribuite e sono conosciute dagli uomini esperti dell’arte della medicina. Con lei finì la dinastia dei re greci : da allora, il loro impero fu distrutto per sempre, i giorni del loro splendore furono cancellati, le vestigia della loro potenza disparvero, le loro scienze caddero nell’oblio, a parte i frammenti che restarono tra le mani dei loro saggi. Quanto a questa regina, si narra di curiosi dettagli sul modo in cui ella si diede la morte. Costei aveva uno sposo di nome Antonio, che partecipava insieme a lei al governo della Maqadu¯niya, paese dell’Egitto
19 Vedi soprattutto M. Brett, The Rise of Fatimids. The World of the Mediterranean & the Middle East in the Tenth Century ce, Leiden-Boston-Köln, 2001, pp. 269-316. 20 La tradizione è riportata nell’opera di Ibn Tag˙rı¯birdı¯ (morto nell’874/1470), Al-nug¬u¯m al-zºa¯hirah fı¯ mulu¯k Misºr wa ’l-Qa¯hirah, ed. T. J. Juynboll, Lugduni Batavorum, 1855, ii, p. 416. Non soddisfacente il commento di F. C. W. Doufikar-Aerts, A Legacy of the Alexander Romance, cit., p. 334. 21 Su questo racconto vd. anche A. Miquel, La géographie humaine, cit., p. 370, con n. 6.
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che comprendeva Alessandria e altre città. Essi furono attaccati dal secondo degli imperatori romani, Augusto, il primo che portò il nome di Cesare, e al quale si ricollegano tutti i Cesari suoi successori. § 708. Parleremo di lui più oltre, nel capitolo consacrato ai re romani. Egli fece la guerra in Siria e in Egitto, contro la regina Cleopatra e il suo sposo Antonio [ii 287], che finì per uccidere. La principessa restò allora nell’impotenza di difendere il regno d’Egitto contro l’imperatore romano. Costui decise di impiegare l’astuzia per impadronirsi della sua persona, perché sapeva a che punto ella fosse versata nello studio delle scienze naturali, e voleva apprendere da lei i preziosi segreti che ella possedeva, quale ultima rappresentante dei saggi della Grecia. In seguito l’avrebbe mandata al supplizio, facendola morire. Egli le inviò dunque un messaggio, ma ella conosceva le sue segrete intenzioni e si ricordava del danno che le aveva causato uccidendo il suo sposo e massacrando le sue truppe. § 709. Ella fece dunque cercare un serpente, della specie di quelli che si trovano tra l’Hº igˇa¯z, l’Egitto e la Siria. Questo serpente spia l’uomo con molta attenzione fino a che non riesce a scorgere una delle sue membra ; allora, rapido come il vento, fa un balzo di molti cubiti e, non mancando mai il suo obiettivo, sputa un veleno che opera immediatamente ; la morte è talmente istantanea che addirittura non la si attribuisce al rettile, ma a un accidente puramente naturale. Io ho visto una [ii 288] specie di questi serpenti, nell’acqua, nel mezzo del H¢ u¯zista¯n, cioè in un distretto di al-Ahwa¯z, sulla strada del Fars, venendo da Bassora ; era in un luogo chiamato H¢ a¯n Mardawayh, tra la città di Dawraq, il paese di alBa¯siya¯n e al-Fandam. Questi serpenti non sono più lunghi di un cubito e laggiù li si chiama fitriyya. Provvisti di due teste, essi si nascondono nella sabbia e nella polvere che ricopre il suolo. Quando scorgono un uomo o qualche animale, fanno un salto di molti cubiti e colpiscono la loro vittima con una delle loro teste, in qualsiasi luogo : il colpo è seguito istantaneamente dalla cessazione della vita. § 710. Questa regina Cleopatra si fece dunque portare uno dei serpenti che abbiamo descritto e che si trovano sui confini dell’Hº igˇa¯z. Il giorno in cui ella apprese che Augusto doveva entrare nel suo palazzo reale, ordinò a una delle sue schiave che preferiva la morte prima della sua padrona al [ii 289] supplizio che l’attendeva dopo di lei, di mettere la mano nel vaso in cui era il serpente : ella obbedì e si raggelò sull’istante. Allora, la principessa si assise sul suo trono regale, con la corona sulla testa, i suoi abiti di apparato e le insegne regali. Nella sala in cui si trovava, davanti al trono, fece disporre qua e là ogni sorta di piante aromatiche, di fiori, di frutta, di profumi e di quelle meravigliose piante aromatiche che si raccolgono in Egitto. Dopo aver dato i suoi ultimi ordini, ella si separò da quelli che formavano la sua corte. Quegli infelici, dimenticando la loro padrona, non pensavano più ad altri che a sé stessi, poiché l’arrivo del loro nemico e la sua entrata nel palazzo li aveva fatti completamente perdere d’animo. Quanto alla regina, appena ebbe avvicinato la sua mano al vaso di vetro in cui era il serpente e ne ebbe toccato l’orifizio, quel rettile le sputò il suo tremendo veleno : immediatamente, in lei la vita si spense. Il serpente uscì dal vaso strisciando e, non trovando né buco né uscita per scappare – poiché il rivestimento di quella sala, fatto di lastre di marmo bianco o d’altri colori [ii 290] e di pitture era stato perfettamente eseguito – si lasciò scivolare fra le piante aromatiche. § 711. Nel frattempo, Augusto, entrato nel palazzo, venne fino alla sala del trono ; alla vista della regina assisa, con la corona sulla testa, non dubitò che ella stesse per prendere la parola. Dunque si avvicinò, ma allora si accorse che ella era morta. Considerando con ammirazione tutte quelle piante aromatiche, posava la mano su alcune di esse, le tastava e ne aspirava il profumo. I suoi cortigiani non erano meno ammirati di lui. Il principe
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non potendosi spiegare la morte di Cleopatra, si doleva di quello che la fortuna gli aveva portato via. § 712. Mentre così andava toccando tutte quelle piante, aspirandone il profumo, il serpente si lanciò su di lui e lo colpì con il suo veleno. All’istante, tutta la parte destra del suo corpo fu disseccata ; nello stesso tempo, l’occhio destro e l’orecchio destro furono colpiti da paralisi. Lo stupore di Augusto raddoppiò al pensiero della regina che si era uccisa, preferendo la morte a una vita senza onore, e che gli aveva teso una trappola nascondendo un serpente fra le erbe. A questo proposito, egli compose dei versi in [ii 291] latino, nei quali descriveva la sua situazione, ciò che gli era accaduto e la storia della sua rivale. Visse ancora un giorno dopo la sua ferita, poi morì. Se il serpente non avesse indebolito il suo veleno sulla schiava e poi su Cleopatra, Augusto sarebbe morto sul colpo e non avrebbe avuto questa leggera tregua. Quanto ai versi, sono rimasti celebri fino ai nostri giorni presso i Romani, che li recitano nelle loro lamentazioni funebri e li pronunciano in memoria dei loro re e di quelli di cui piangono la morte. Spesso inoltre, li si citano nelle canzoni, tanto essi sono conosciuti e popolari.
L’episodio è evidentemente una variazione sul tema del suicidio della regina imperniata sulla sua rappresentazione – assai diffusa nel mondo islamico – come maga, alchimista e avvelenatrice. 22 Ancora una volta, il passato pagano assume qui una connotazione pesantemente negativa e ‘barbarica’ che tende a diffondersi a livello popolare e a divenire per così dire proverbiale. Non può esservi prova migliore del successo della ricostruzione ideologica del passato egiziano messa in atto dagli storici arabi. Veniamo infine, brevemente, al problema della visione islamica dei monumenti faraonici, come le piramidi e la sfinge : anche in questo caso, ampio spazio è dato all’elemento magico e favolistico che viene peraltro a fondersi con alcuni temi biblici, come quello dell’opposizione fra Mu¯sà, cioè Mosè (che nel testo coranico è concepito a immagine e somiglianza del profeta Muhºammad) e Fir‘awn, il faraone (che invece rappresenta il male assoluto ed è utilizzato come metafora del sovrano tirannico e miscredente). 23 Va comunque sottolineato un elemento fondamentale : nella tradizione araba, si assiste gradualmente a una sorta di rivalutazione del passato più antico dell’Egitto, che procede in parallelo al progredire del processo di arabizzazione : a un maggiore controllo effettivo del paese da parte dei musulmani sia per quanto attiene alla sfera politica, sia per ciò che concerne la sfera culturale e religiosa, sembra infatti corrispondere un atteggiamento meno negativo e più misurato e tollerante nei confronti della sua storia millenaria. Così, ad esempio, se già a Mas‘u¯dı ¯ veniva attribuita l’idea che le piramidi sarebbero state edificate da un saggio re del passato, Su¯rıd¯ bin Sahlu¯q, come rifugi in previsione del diluvio, 24 un’immagine estremamente positiva delle antichità egiziane
22 Vedi M. Ullmann, Kleopatra in einer arabischen alchemistischen Disputation, « wzkm », 63/64 (1972), pp. 158-175 ; B. Radtke, Weltgeschichte und Weltbeschreibung im mittelalterlichen Islam, F. Steiner Verlag (« Beiruter Texte u. Studien hrsg. V. Orient-Istitut der deutschen morgenländischen Gesellschaft », 51), Beirut-Stuttgart, 1992, p. 41, con n. 144, ed O. El-Daly, Egyptology : the Missing Millennium, cit., pp. 131-137. 23 Vd. B. Wheeler, Moses in the Qur’an and Islamic Exegesis (« Routledge Curzon Studies in the Qur’an », s.n.), New York, 2002. 24 Vd. M. Cook, Pharaonic History in Medieval Egypt, « Studia Islamica », 57 (1983), pp. 67-103 : p. 75.
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si riscontra negli autori dell’età mamelucca come al-Idrıs¯ ı ¯ e al-Maqrız¯ ı,¯ che spesso ne danno un’interpretazione in chiave ermetica o alchemica, sottolineando la grande saggezza degli antichi a paragone di quella dei musulmani della loro epoca. 25 Tra la fine dell’età mamelucca e i primi secoli del dominio ottomano, le antichità egiziane diverranno infine terreno di scontro tra musulmani moderati e rigoristi fautori della loro distruzione. Fortunatamente, a prevalere saranno i primi : nel mondo sunnita egiziano si impose infatti l’idea che i magnifici monumenti del passato dovessero essere rispettati e protetti, perché, come scrive lo storico al-Rašı¯dı¯, « anche i venerabili compagni del Profeta che si erano stabiliti in Ghiza, non avevano fatto nulla alle Piramidi e alla Sfinge ». 26 Così, quando, nel xiv secolo, un derviscio fanatico mutilò il naso della sfinge, il suo atto fu quasi unanimemente considerato come dettato dalla malvagità e dal fanatismo. 27 Forse i salafiti che nell’Egitto dei nostri giorni tornano a sostenere la necessità di distruggere le piramidi e la sfinge in quanto idoli che offendono l’Islam, dovrebbero rileggere con attenzione i testi del cosiddetto medioevo islamico, assai più moderno di quanto spesso non si creda.
25 Vd. ad es. O. El-Daly, Egyptology : the Missing Millennium, cit., pp. 77-80 e 109-119. 26 Vd. U. Haarmann, Die Sphinx : Synkretistische Volksreligiosität im spätmittelalterlichen islamischen 27 Ibid. Ägypten, « Saeculum », 24 (1978), pp. 367-384 : p. 382.
CONCLUSIONI Daniele Foraboschi
P
iù che concludere vorrei sollevare nuovi problemi che vengono suscitati da questo intenso convegno di esperti di varie nazioni introdotti da una prefazione di una studiosa come Edda Bresciani, probabilmente l’unica che si è costruita una competenza che va dai geroglifici al demotico, all’aramaico, dal greco al latino, dal copto all’arabo sia attraverso la documentazione archeologica che quella letteraria, spaziando dai testi documentari sino alla poesia più raffinata. Il miracolo sembra il sopravvivere di un’identità egiziana attraverso una società multiculturale e plurilinguistica che arriva sino al copto e all’arabo e che conserva ancora tracce della lingua tamil in alcune epigrafi trovate presso il porto di Berenice, dove erano emigrati alcuni lavoratori indiani. 1 Il convegno ha abbracciato tutto questo arco temporale di lunga durata caratterizzato da una dialettica di continuità/rottura dove le rotture sono radicali, ma gli elementi di continuità riemergono in modo sorprendente. Le tradizioni greco-romane rivivono nella letteratura araba ; 2 la leggenda di Alessandro Magno si ricrea in certi manoscritti arabi di Timbuctu. 3 Nell’iconografia osserviamo una serie di ‘ritratti del Fayum’ dove elementi egiziani, greci e romani si sommano armonicamente. Lo stesso logo del programma del convegno è un’immagine di fattezze faraoniche, l’immagine di Titos Flauios 4 Demetrios, un greco di nome Demetrios che ottenne la cittadinanza dall’imperatore romano Tito Flavio e mutuò da lui praenomen e nomen (vd. foto). Si è molto discusso sull’idea di sincretismo amplificata da Droysen, che vedeva nell’ellenismo lo spazio del confronto dialettico delle culture. Si è addirittura contrapposto l’idea di giustapposizione 5 – non fusione – di culture. Una serie di evidenze egiziane come questa permettono di ripensare e ricreare le categorie di Droysen. La prima relazione, quella di Vernus, mette in rilievo magistralmente come la figura del faraone, in quanto emanazione della divinità, rappresentante del demiurgo, sia espressione di una infallibile potenza che emana ordini insindacabili. Cioè una figura che si esprime attraverso decreti infallibili e un apparato ideologico totalizzante. Eppure anche questa figura divina è tenuta a delle prestazioni vistose e obbligatorie : la guerra. Il faraone deve essere un guerriero invincibile e come tale deve essere celebrato, anche se non ha mai combattuto battaglie si
1 R. Salomon, Epigraphic Remains of Indian Traders in Egypt, « jaos », 111 (1991), pp. 731-736. 2 M. Di Branco, Storie arabe di Greci e Romani, Pisa, 2009 ; Id., Alessandro eroe arabo nel Medioevo, Salerno, 2011. 3 G. Bohas, Les manuscrits de Tombouctou ; histoire du biscornu,Timbuctou, Lyon 2012. 4 Scritto Flaugios. 5 F. W. Walbank, The Hellenistic World : News Trends and Directions, « Scripta Classica Israelica », x (1991/2), pp. 90-113 e 489 ss.
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gnificative. 6 Il guerriero è colui che detiene il potere. E sarà così sempre. Anche la colonna traiana sarà eretta tra i fori imperiali col suo tortuoso e lunghissimo film delle guerre daciche : la gente comune non poteva leggere nei dettagli i bassorilievi più lontani o decifrare con precisione la testa decapitata del re Decebalo, ma l’immagine dell’imperatore vittorioso (e invincibile) restava indelebile nella memoria di tutti. Da questa figura onnipotente emana e viene organizzata, come ha mostrato P. Piacentini, una burocrazia articolata e raffinata, che si organizza con precisione già dal terzo millennio a.C. e si perfeziona durante tutta l’epoca faraonica. P. Piacentini cita una serie di suoi passati lavori sul tema e soprattutto la crescente ricchezza di documenti che permettono di mettere a fuoco la figura dello scriba. Figura diversificata sul territorio e nel tempo : originariamente il titolo di scriba indicava la funzione dello scrivere dentro il complesso dell’amministrazione, successivamente avrebbe indicato funzioni più specifiche (‘scriba dei terreni’, ‘scriba delle divine offerte’…). Siamo in un arco di tempo significativo per la redifinizione e la configurazione della burocrazia e delle forme contrattuali : già allora si definisce la forma giuridica del contratto, che deve essere pubblico e sotto la protezione di una divinità, come sarà in epoca ellenistica la katagraphè. 7 Ma naturalmente occorre stare attenti a cogliere le ombre. Ancora in epoca romana, nel secondo secolo d.C., troviamo uno scriba del villaggio (komogrammateus) che non sapeva scrivere (almeno in greco) come appare da un foglietto di papiro del suo archivio su cui si esercitava a fare solamente e con qualche errore la firma. 8 Del resto tutta la storia antica ci è pervenuta epitomata, in frammenti e spesso attraverso versioni secondarie e soggettive. Come ha indicato l’intervento di alto livello teoretico di S. Quirke la ‘totalità’ si costruisce attraverso frammenti. Così (secondo concetti e metodi di ricerca elaborati da studiosi che vanno dall’arabo medievale Abd-al-Latif al Baghdati ai più recenti A. Labriola, G. Plekanov fino a S. Amin) i frammenti storici vanno posti in un ordine gerarchico che, inevitabilmente, è soggettivo, ma permette di rendere espliciti i fattori impliciti della nostra autocoscienza storica. Quirke nettamente afferma che ogni oggetto va studiato nel suo contesto e attraverso una pluralità di fonti : lo studio di Lahun nel Medio Regno deve essere condotto sia attraverso i papiri che attraverso l’archeologia delle case (vd. F. Doyen). Si verrà così correttamente a delineare una società articolata tra il livello dei ‘letterati’ e quello dei ‘non letterati’, con un possibile livello intermedio costituito da una élite secondaria.
6 P. Vernus, Idéologie et identité dans l’égypte pharaonique, « I quaderni del ramo d’oro », 2 (1998), pp. 9-10. 7 Sh. Allam, Aux origines de la katagraphé, in B. Legras (éd.), Transferts culturels et droit dans le monde grec et héllenistique, Actes du colloque international, Paris, 2012, pp. 283-308 (ampliamento di un precedente intervento al 25° International Congress of Papyrology, Ann Arbor, 2010, pp. 13-19). 8 P. Petaus 121.
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La relazione di Ch. Orsenigo amplia ancora l’orizzonte sottolineando l’importanza degli archivi nello studio storico. In particolare l’archivio di A. Varille (posseduto dall’Università Statale di Milano assieme ad altri importanti archivi, come quello di E. Edel) conserva frammenti, disegni colorati, iscrizioni inedite che ampliano e storicizzano la ricerca ed arricchiscono la nostra conoscenza attuale che può, ad esempio, profittare dei lavori di Varille su Karnak. Oltre la soglia cronologica dell’età faraonica, ma in stretta connessione con quella eredità, si pongono le relazioni successive. W. Clarysse sottolinea, con la consueta maestria, il ruolo fondamentale della documentazione demotica (la maggior parte dei contratti è in lingua demotica) in un momento di transizione verso il pieno ellenismo. Le sue indagini sugli archivi demotici assieme a quelli greci, gli studi della prosopografia e dell’onomastica permettono di mutare il vecchio assunto secondo cui i Greci si sovrappongono in Egitto alle precedenti élites con prepotenza imperialistica, ma si aprono, invece, ad una nuova visione dove tra le aristocrazie tolemaiche trovano posto anche quelle egiziane di tradizione faraonica. Su questa lunghezza d’onda A.-E. Veïsse ridefinisce le forme di mescolanza tra Egiziani e Greci, che non si configurano tanto come identità etniche contrapposte, nemmeno durante le rivolte che vengono suscitate più da motivi economici che non da identità in conflitto. Non è certo l’Egitto antico lo spazio di artificiosi deliri di identità. L’onomastica, in questo settore di indagine, è uno strumento prezioso, ma spesso ingannevole (come anche nel caso degli Ebrei 9). La famosa tomba di Petosiris a Tuna-el-Gebel, databile alla fine del iv secolo a.C., dimostra come un alto funzionario dell’ultima età persiana possa conservare il suo prestigio in epoca greca, fino a farsi costruire una tomba dove gli influssi dell’arte greca nell’espressione dei bassorilievi sembrano evidenti. Ancora nel 218 a.C. troviamo una denuncia 10 contro ‘un’Egiziana’ che assalta un uomo, gli versa addosso orina, gli strappa il mantello e gli sputa in faccia. L’uomo la denuncia perché « è stato oltraggiato da un’Egiziana, lui che è un Hellen ». Inevitabilmente contrasti e incomprensioni interetnici riemergono ancora dopo più di un secolo di regno ellenistico. In un’ottica psico-sociologica si pone l’innovativo intervento di K. Vandorpe su ‘la felicità come indice di prosperità’. È una problematica della sociologia contemporanea : valutazione del welfare, della salute, dell’istruzione, cioè degli elementi che compongono il benessere equo e sostenibile. La Vandorpe riesce a trasferire queste tematiche anche nel mondo antico grazie alla ricca documentazione dei papiri egiziani. Si apre così un nuovo orizzonte di ricerca su come sono percepiti (nell’Egitto tolemaico) la prosperità economica e il suo declino, il carico fiscale e le prospettive di lavoro e il contrario. Indubbiamente si inaugura una interessante e ampia prospettiva di indagine sociologica.
9 S. Honigman, Hebrew and Jewish-Aramaic Names in Egypt and Judaea, « zpe », 146 (2004), pp. 279-297. 10 P. Enteux. 79.
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Partendo da un’epigrafe pubblicata cinque anni fa 11 G. Gore e S. Honigman rimettono a fuoco la questione dei rapporti tra Stato e templi nel regno dei Seleucidi e in quello dei Tolemei. In entrambi i regni i monarchi tentarono di nominare dei sommi sacerdoti subordinati a loro e di usare gli amministratori dei templi come rappresentanti della monarchia. La nuova iscrizione documenta (nel 178 a.C.) la nomina da parte di Seleuco IV di un sommo sacerdote della Fenicia e della Celesiria, con un atto di interferenza statale dentro le competenze religiose che non poteva essere tollerato dagli Ebrei. L’atteggiamento dei Tolemei verso gli Ebrei, le altre religioni e i popoli sottomessi fu più tollerante. Finché durò il possesso della Giudea da parte dei Tolemei vi si coniarono anche monete con legenda in aramaico. Con Tolemeo Fiscone (Il Grassone) si passò ad una politica antigiudaica, nel tentativo di imporre anche agli Ebrei i culti bacchici. Ancora successivamente Tolemeo Filopatore cercò di imporre i culti di Bacco. Ma venne bloccato dall’eroismo pronto al martirio degli Ebrei. 12 Complessivamente, però, più oppressiva fu la politica dei Seleucidi. Antioco IV giunse a programmare la costruzione di un altare pagano nel tempio di Gerusalemme. Questo non poteva essere accettato dai fedeli Ebrei non rinnegati. E infatti il tentativo venne considerato « abominio della desolazione » (bdelugma heremoseos) e scatenò la rivolta vincente dei Maccabei, che prima in forma di guerriglia, poi con forze armate più organizzate riuscirono a liberarsi dai Greci di Siria e a costruire uno stato sacerdotale indipendente, primo sintomo dell’indomabile ribellismo e irredentismo degli Ebrei, che solo i Romani riuscirono a domare dopo lungo tempo, non senza pratiche di sterminio e attraverso perdite gravi. Stato e templi all’epoca dei Tolemei è anche il tema al centro della relazione di S. Bussi. Si è in passato parlato di ‘clericalismo’ tolemaico per indicare una forma di subordinazione dello Stato al potere dei templi. Ma S. Bussi giustamente mette in rilievo che questa è una prospettiva deformante. In realtà anche il fisco tolemaico non cerca affatto di opprimere i templi, ma instaura piuttosto una politica di collaborazione, dove i sacerdoti pagano le loro tasse, ma divengono anche mediatori dello Stato in pratiche burocratiche e fiscali. Tutto cambierà già con Cleopatra VII, invisa al clero egiziano, ma ben disposta verso gli Ebrei, dal momento che concede l’asylia ad una sinagoga. 13 Drastica sarà invece la politica di Ottaviano che, appena divenuto padrone dell’Egitto, procederà alla confisca di terre templari. Su di un altro piano, quello monetario, anche i Tolemei, a cominciare dai primi, seppero condurre una politica decisa. È quello che appare dalla lucida relazione di un’esperta come C. Lorber. Attraverso l’analisi dei ripostigli monetari e senza dimenticare i papiri, conduce uno studio della grande mutazione che vede nell’Egitto del secondo secolo a.C. emergere e dominare la monetazione in bronzo, sempre più svalutato, mentre l’argento sembra sparire per una scelta politica
11 H. Cotton-M. Wörrle, Seleukos IV to Heliodorus, « zpe », 159 (2007), pp. 191-205. 12 J. Mélèze Modrzejewski, La bible d’Alexandrie. Troisième livre des Maccabées, Paris, 2008. 13 cil iii Suppl. 6583 = cij 1449.
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di Tolemeo III e dei suoi successori che avevano avuto il preciso progetto politicoeconomico di occultare la moneta di argento per preservarne il valore e di fondare gli scambi su una moneta bronzea sempre più svalutata. 14 Sempre sul terreno della storia economica L. Criscuolo puntualizza le novità attuali nella ricostruzione della storia della proprietà fondiaria, cioè sostanzialmente l’emergere della proprietà privata, anche se in forme giuridicamente non esplicite. Al di là di alcune continuità (dalle doreaì ellenistiche alle ousiai romane) L. Criscuolo osserva processi evolutivi economico-sociali che segnano la dinamica del regno tolemaico. La storiografia precedente aveva invece insistito sulla programmazione tolemaica, sul dirigismo e sull’organizzazione centralistica delle semine (diagraphè sporou), prima che P. Vidal Naquet mostrasse come i progetti programmati restassero in parte solo delle intenzioni velleitarie, come autocriticamente aveva capito quella che lui chiama (assieme a noi) ‘la grande signora della papirologia’, cioè Claire Préaux. In questa direzione sono procedute le ricerche che oggi tendono a sottolineare (vd. J.G. Manning 15) le diversità, o addirittura divaricazioni locali di uno Stato variegato come fu l’Egitto. Siamo dunque lontani dalle grandi ricostruzioni modernistiche di uno studioso come M. Rostovtzeff, che aveva visto la programmazione ellenistica con un’ottica sovietica, proprio lui che fu anti-sovietico fino al punto di farsi ammiratore di Mussolini e della sua fatale mandibola. Sempre sul piano della storia economica si pone la relazione di G. Geraci. L’analisi strettamente filologica del termine apostolos nel contesto dei paragrafi 64 ss. dello Gnomon dell’Idiologos permette di chiarire che il termine non significa qualcosa come passaporto, ma indica invece una distinta (per motivi fiscali) di merci commercializzate. Anche per l’Egitto si potrà dunque parlare di libertà di commerci. Limiti sono invece esistiti per i movimenti delle persone, soprattutto controlli politici che faranno dire a Tacito 16 che Augusto, tra gli altri misteri del suo regno, « seposuit Aegyptum ». Anzi, come ha mostrato l’intervento di K. Ruffing, attraverso l’Egitto, il Mar Rosso e l’Oceano indiano, vi fu un intenso scambio commerciale tra il Mediterraneo e l’Estremo Oriente. Un grosso contributo informativo ci viene dal papiro di Vienna, 17 ma anche la Tavola Peutingeriana ci attesta un tempio di Augusto presso Muziris. I traffici si estesero fino allo Sri Lanka e alla lontana Cina. 18 D’altra parte il pepe di origine orientale appare attestato anche nella lontana Vindolanda britannica. 19 Restano aperti alcuni problemi di fondo : siamo di fronte, come sosteneva Plinio, ad una emorragia di ricchezze romane verso l’Oriente Estremo, o a forme di scambio normali ? E come avveniva il pagamento delle merci preziose orientali ? Si
14 A. Cavagna, La crisi dello Stato tolemaico tra inflazione e svalutazione del denaro, Milano, 2010. 15 Land and Power in Ptolemaic Egypt. The Structure of Land Tenure, Cambridge, 2003. 16 Annales ii, 59. 17 P. Vindob. G. 40822. 18 J.-N. Robert, Rome et la Chine, Paris, 1997. 19 T. Vindol. 184, 4 ; F. De Romanis, Cassia, Cinnamomo, Ossidiana : uomini e merci tra Oceano Indiano e Mediterraneo, Roma, 2006, pp. 198-221.
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possono ipotizzare forme di pagamento bancarie (come gli ordini di pagamento su cui insiste W.V. Harris), oppure le centinaia di monete romane trovate in India e Sri Lanka sono l’ultima sopravvivenza di pagamenti in monete metalliche ? Ma a quante tonnellate ammontava questo metallo, vista l’entità degli scambi ? Ruffing ha mostrato la complessità e il fascino di questo tipo di problematiche. Sui problemi di demografia, di cui è un ben noto esperto, torna L. Gallo. In particolare sulla nebbiosa questione della popolazione dell’Egitto. Il dibattito sul tema è notoriamente antico : inizia con Diodoro Siculo e Flavio Giuseppe, che forniscono cifre diverse. È continuato intensamente con studiosi moderni come Scheidel, Lo Cascio, Rathbone, Bowman e altri. 20 E continua a ravvivarsi. Il noto libro di R. S. Bagnall, B. W. Frier (The Demography of Roman Egypt) uscito nel 1994 è stato riedito ed aggiornato a Cambridge nel 2006. I dati variano nel tempo e gli studiosi elaborano ipotesi fortemente divaricate. Si va dal milione e mezzo di abitanti in epoca tolemaica, come sostengono W. Clarysse e D. J. Thompson 21 a quanti ritengono attendibili le cifre di circa otto milioni di abitanti fornite da Flavio Giuseppe. Ma le cifre di Fl. Giuseppe non sono per nulla attendibili. É una sua tendenza quella di esagerare i numeri. Quando parla della Palestina ce la descrive insediata da numerosi e popolosi (fino a quindicimila abitanti) villaggi, 22 cosa non possibile in spazi geografici così ristretti. Per questo è apprezzabile la prudenza metodologica di Gallo che richiede, prima di proseguire il discorso, di avere più dati dei censimenti, delle superfici abitate e della loro densità abitativa. Su un diverso piano si pongono le ultime relazioni : tematiche religiose e multiculturalità. B. Anagnostou Canas studia, con tutta la sua competenza il sacerdozio di Soknobraisis a Bacchiàs. Già nel 1947 Elizabeth H. Gilliam aveva studiato l’archivio di quel tempio. Ma le ricerche, per fortuna, non hanno mai fine : l’Università di Bologna sta continuando scavi promettenti. Fu una scelta a volte prepotente (abbiamo già accennato a Tolemeo Fiscone e a Tolemeo filopatore) dei re Tolemei quella di cercare di imporre i culti bacchici : alle estremità est/ovest del Fayum si trovano due komai che si chiamano parallelamente Bacchiàs e Dionysiàs. Tolemeo II Filadelfo promuoverà la grandiosa processione in onore di Bacco, dove sfilano satiri , automi e un grandioso fallo simbolo del dio. La grande processione colpì l’imaginario antico se la descrizione di Callixenos di Rodi ci viene ampiamente conservata da Ateneo. 23 Il vino e il dio del vino furono sempre oggetto, anche eccessivo, dell’entusiasmo popolare. Non altrettanta fu la fortuna dei suoi culti sfrenati, e quindi anche dei suoi sacerdoti (Le Baccanti di Euripide ; il Senatus Consultum de Bacchanalibus deliberato a Roma nel 186 a.C.). Addirittura in Egitto i sacerdoti di
20 V. W. Scheidel, Debating Roman Demography, Leiden, 2001 ; A. Bowman, Ptolemaic and Roman Egypt. Population and Settlement, in A. Bowman, A. Wilson, Settlement, Urbannisations and Population, Oxford, 2011, p. 318 ss. 21 Counting the People in Hellenistic Egypt, Cambridge, 2006, ii, p. 102. 22 Ch. Möller, G. Schmitt, Siedlungen Palästinas nach Flavius Josephus, Wiesbaden, 1976 ; Bellum Judai23 E. E. Rice, The Grand Procession of Ptolemy Philadelphus, Oxford, 1983. cum iii, 3, 6.
conclusioni
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Bacco furono oggetto di maltrattamenti da parte dei funzionari romani, malgrado le diverse indicazioni dell’editto del prefetto Sempronius Liberalis. 24 B. Legras analizza con finezza una fase storica delicata, quella del passaggio drammatico dal regno dei Tolemei a quello dei Romani. Passaggio che appare anche una rottura rispetto a vari secoli di dominio greco. Ma già nelle ultime deliberazioni di Tolemeo XII Aulete e di Cleopatra VII Legras coglie tracce dell’influsso romano, perché da secoli i Romani avevano approfondito la loro conoscenza dell’Egitto. In particolare P. Bingen 45 (nelle tre diverse edizioni) è un documento prezioso delle ampie concessioni fiscali fatte ai Romani , segno di una svolta politica che si è osservata anche sul terreno della politica religiosa. Il Papiro è noto come il papiro di Cleopatra, perché si conclude con la scritta sesemeiomai (‘ho firmato’), che Van Minnen ha ritenuto manoscritto autentico di Cleopatra. Sembra però difficile che la grande regina firmasse tutti i documenti e comunque non abbiamo riscontri paleografici. Spostandosi su un altro quadro geografico F. Petraccia studia gli scontri interreligiosi del Tardoantico africano. Qui i Donatisti (assieme ad altre ‘eresie’, come i Pelagiani) svolgono un ruolo centrale nell’opposizione alla Chiesa universale. Per questo contro di loro scriveranno trattati personaggi minori come Optato di Milevi e grandi vescovi come S.Agostino. In Africa i Donatisti si inseriscono in un ampio movimento di cristianesimo estremo, fondato su un’idea di fratellanza quasi comunistica : alle volte ottenevano appoggi anche dai militari e diventavano così un soggetto politico particolarmente pericoloso per lo Stato cattolico. Qui i Circumcelliones si aggireranno armati di bastoni con la scritta Israel. Bastoni che servivano a bastonare i ricchi e a fracassarne le ricchezze. Non erano pochi, anzi formavano una Furiosa Turba 25 che terrorizzava la gente. T. Orlandi approfondisce i suoi studi sul termine ‘copto’ che ha molteplici espressioni (lingua, religione, arte, monachesimo...). Resta sempre problematica l’etimologia del termine. Se, come molti pensano, all’origine si trova il termine Aigyptios sorge una serie di spinosi problemi : perché i cristiani d’Egitto si definiscono Egiziani quando la tradizione egizia era romana, greca e faraonica (oltre a molto altro) e su questa tradizione il cristianesimo si inserisce con alcune indiscutibili eredità (il solito parallelo tra Isis lactans e la Madonna con il bambino, i Santi con la testa di Anubi come S. Cristoforo e altro ...), ma soprattutto come rivoluzione radicale che emerse vittoriosa dopo sanguinosi scontri tra pagani e cristiani (lapidazione di Ipazia, distruzione del Serapeo…) ? 26 M. Di Branco conclude gli interventi con una riflessione sulla dialettica tra la millenaria storia degli Egiziani e la conquista e la cultura araba. Di Branco ha già scritto almeno due libri su tali tematiche 27 e qui approfondisce alcuni aspetti. Del resto la conquista araba non fu immediatamente una rottura e fino all’viii secolo
24 S. Strassi, L’editto di M.Sempronius Liberalis, Trieste, 1988. 25 R. Cacitti, Furiosa Turba, Milano, 2006. 26 G. Filoramo, La croce e il potere. I cristiani da martiri a persecutori, Roma-Bari, 2011. 27 Vd. i due testi già citati : Storie arabe di Greci e di Romani, Pisa, 2009 ; Alessandro Magno : eroe arabo nel Medioevo, Roma, 2011.
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daniele foraboschi
si stilano ancora documenti in greco o in greco e arabo. I denari romani sono ancora menzionati in testi di epoca araba. 28 Aspetti della normativa greco-romana perdurano per almeno un secolo dopo la conquista araba. Ancora : in un documento dell’inizio dell’viii secolo scritto un poco in greco, ma anche in arabo, leggiamo « o Theòs monos Maamet apostolos ». 29 Ma questo è il meno. Notoriamente Alessandro Magno ricorre positivamente anche nel Corano e un manoscritto arabo di Timbuctou ci tramanda la leggenda del grande re macedone : 30 tradizioni faraoniche e greche animano la nuova cultura degli Arabi.
28 P. Apoll. 36. 29 cpr iii, 37, 5-6. 30 G. Bohas, Les manuscrits de Tombouctou ; histoire du biscornu,Timbuctou, Lyon, 2012.
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260 Katelijn Vandorpe [email protected] Anne-Emanuelle Veïsse [email protected] Pascal Vernus [email protected]
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* Ottobre 2013 (cz 2 · fg 3)
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S T UD I E L LE NIS T IC I Fondati e diretti da Biagio Virgilio i (1984) E. Gabba, Prefazione. - J. Wolski, Les Séleucides et l’héritage d’Alexandre le Grand en Iran. - B. Virgilio, Strabone e la storia di Pergamo e degli Attalidi. - L. Troiani, Per un’interpretazione della storia ellenistica e romana contenuta nelle « Antichità Giudaiche » di Giuseppe (libri xii xx). - G. Bodei Giglioni, Una leggenda sulle origini dell’Ellenismo : Alessandro e i cinici. - D. Foraboschi, A rcheologia della cultura economica : ricerche economiche ellenistiche. - A. Gara, Limiti strutturali dell’economia monetaria nell’Egitto tardo-tolemaico. - A. Baroni, I terreni e i privilegi del tempio di Zeus a Baitokaike (igls vii, 4028).
ii (1987) i. la « lettera di aristea » e il giudaismo ellenistico : O. Murray, The Letter of Aristeas. - L. Troiani, Il libro di Aristea ed il giudaismo ellenistico. (Premesse per un’interpretazione.) - D. Foraboschi, L’ideologia della ricchezza in Aristea. - A. Gara, Schiavi e soldati nella Lettera di Aristea. - M. Harari, Un punto di vista archeologico sulla Lettera di Aristea. – ii. conflittualità e coesistenza fra greci e non-greci, e aspetti dell ’ ellenismo come m odello : B. Virgilio, Conflittualità e coesistenza fra Greci e non-Greci, e il caso di Alicarnasso del v secolo a.C. - D. Ambaglio, Tensioni etniche e sociali nella chora tolemaica. - A. Marcone, La Sicilia fra ellenismo e romanizzazione (iii-i secolo a.C.). - L. Braccesi, Il sogno di Germanico e la pagina di Callistene. – iii. note e discussioni : B. Virgilio, I kátochoi del tempio di Zeus a Baitokaike. ‑ B. Virgilio, Strutture templari e potere politico in Asia Minore.
iii (1990) B. Virgilio, Prefazione. - G. Ragone, Il santuario di Apollo Grynios in Eolide. Testimonianze antiquarie, fonti antiche, elementi per la ricerca topografica. - C. Franco, Lisimaco e Atene. - S. Cioccolo, Enigmi dell’h\qo~ : Antigono II Gonata in Plutarco e altrove. - D. Campanile, L’iscrizione neroniana sulla libertà ai Greci.
iv (1994) Aspetti e problemi dell’Ellenismo. Atti del Convegno di Studi, Pisa 6-7 novembre 1992, a cura di B. Virgilio. B. Virgilio, Prefazione. - L. Braccesi, Alessandro, Siracusa e l’Occidente. - E. Campanile, Riflessioni sulla koiné. - E. Gabba, Roma nel mondo ellenistico. ‑ J.-P. Rey-Coquais, Du sanctuaire de Pan à la « Guirlande » de Méléagre. Cultes et culture dans la Syrie hellénistique. - V. Gigante Lanzara, « Da Zeus i re ». Poesia e potere nell’Alessandria dei Tolemei. - B. Andreae, Il significato politico di gruppi scultorei ellenistici. - B. Virgilio, Fama, eredità e memoria degli Attalidi di Pergamo. - D. Foraboschi, Civiltà della moneta e politica monetaria nell’Ellenismo. - L. Troiani, Giudaismo ellenistico e Cristianesimo. - C. Letta, Il dossier di Opramoas e la serie dei legati e degli archiereis di Licia.
v (1993) B. Virgilio, Gli Attalidi di Pergamo. Fama, eredità, memoria.
vi (1993) C. Franco, Il regno di Lisimaco. Strutture amministrative e rapporti con le città. vii (1994) D. Campanile, I sacerdoti del koinon d’Asia (i sec. a.C.-iii sec. d.C.). Contributo allo studio della romanizzazione delle élites provinciali nell’Oriente greco. viii (1996) G. Ragone, Il millennio delle vergini locresi. - G. Sinatti, Epimeletes ed epimeleia in Diodoro Siculo xviii-xx. - C. Ravazzolo, Tolemeo figlio di Tolemeo II Filadelfo. - M. D. Campanile, Città d’Asia Minore tra Mitridate e Roma. - S. Carrelli, Alcune osservazioni sul portorium Asiae. - L. Caramatti, Documenti dell’Archivio Breccia relativi all’Egitto. - F. Spagnulo, Documenti dell’Archivio Breccia relativi alla Cirenaica. – note e discussioni : B. Virgilio, Anatolia ellenistica, romana, cristiana. (A proposito di : S. Mitchell, Anatolia. Land, Men and Gods in Asia Minor, i-ii, Oxford, 1993.)
ix (1997) G. F. Del Monte, Testi dalla Babilonia ellenistica. i. Testi cronografici. x (2009) A. Primo, La storiografia sui Seleucidi. Da Megastene a Eusebio di Cesarea. xi (1999) B. Virgilio, Lancia, diadema e porpora. Il re e la regalità ellenistica. xii (1999) N. Cau, La legenda caria su una serie monetale del dinasta Kuprlli. - N. Cau, La spedizione di Melesandro in Licia nel racconto della Stele di Xanthos (tl 44a, 34 ss.) : un tentativo di interpretazione. - L. Prauscello, Il decreto per Licurgo ig ii2 457, ig ii2 513 e (Plut.) Mor. 851 f -852 e : discontinuità della tradizione ? - G. Granata, La resistenza all’ellenizzazione. Il corpus di inediti momiglianei sul giudaismo ellenistico (1977-1982). - B. Virgilio, Re e regalità ellenistica negli affreschi di Boscoreale. - B. Virgilio, Tolemeo, Milinda, As´oka. - M. Betrò, As´oka in un testo letterario demotico ? - M. Facella, Basileus Arsames. Sulla storia dinastica di Commagene. - S. Bussi, Attacco di pirati a Teos ellenistica. - A. Catastini, Ant. Iud. xiii, 288-289, bQidd. 66a, Dan. 13 : meccanismi allusivi in testi giudaici. - E. Fontani, Il filellenismo di Antonio tra realtà storica e propaganda politica : le ginnasiarchie ad Atene e ad Alessandria. - G. Salmeri, La vita politica in Asia Minore sotto l’impero romano nei discorsi di Dione di Prusa. - D. Campanile, La costruzione del sofista : note sul bivo~ di Polemone. - L. Storari, Guida con cenni storici di Smirne (1857). Preface by G. W. Bowersock. – note e discussioni : B. Virgilio, Nota sui Nikephoria pergameni.
xiii (2001) Chr. Habicht, Tod auf der Gesandtschaftsreise. - P. Debord, Sur quelques Zeus Cariens : religion et politique. - B. Virgilio, Re, città e tempio nelle iscrizioni di Labraunda. - B. Virgilio,
Su alcune concessioni attalidi a comunità soggette. - G. Ragone, L’iscrizione di Kaplan Kalesi e la leggenda afrodisia di Salmacide. - D. P. Orsi, Amicizie e inimicizie di Focione Ateniese. - S. Panichi, Ieronimo di Cardia, Alessandro e gli Antigonidi. - A. Catastini, La Lettera di Aristea e i suoi destinatari. - A. D’Hautcourt, Héraclée du Pont dans les Alexipharmaca de Nicandre de Colophon : un nouvel indice de chronologie ? - A. Primo, Valutazioni critiche di Strabone e Posidonio sul dominio di Roma. - C. P. Jones, Appia in Phrygia and Appius Claudius Pulcher, cos. 54 bce. - D. Campanile, P rovincialis molestia. Note su Cicerone proconsole. - L. Boffo, Sentirsi greco nel mondo romano : espressioni epigrafiche.
xiv (2003) B. Virgilio, Lancia, diadema e porpora. Il re e la regalità ellenistica. (Seconda edizione rinnovata e ampliata con una Appendice documentaria.) xv (2003) Ph. Gauthier, De nouveaux honneurs cultuels pour Philétairos de Pergame : à propos de deux inscriptions récemment publiées. - G. Ragone, Aristonico tra Kyme e Cuma (Ps. Scymn. vv. 236-253 ; Aug., De Civ. Dei iii 11). - P. Debord, Cité grecque - village carien. Des usages du mot koinon. - D. Foraboschi, La Cilicia e i Tolemei. - L. Troiani, Il modello ellenistico. - P. Desideri, Roma e la Grecia : una cultura per due popoli. - C. Franco, Anni difficili. Plutarco e Damone di Cheronea (Cim. 1-2.2). - D. Campanile, Vivere e morire da sofista : Adriano di Tiro. - C. Slavich, Due famiglie dell’aristocrazia licia in età imperiale. - N. Cau, Nuovi antroponimi indigeni nelle iscrizioni greche della Licia di età ellenistico-romana. - M. G. Lancellotti, I bambini di Kharayeb. Per uno studio storico-religioso del santuario. – note e discussioni : M. Facella, Recenti studi sulla Commagene. (A proposito di : J. Wagner [hrsg.], Gottkönige am Euphrat. Neue Ausgrabungen und Forschungen in Kommagene, Mainz am Rhein, 2000.)
xvi (2005) P. Briant, « Alexandre et l’hellénisation de l’Asie » : l’histoire au passé et au présent. - Chr. Habicht, Notes on the Priests of Athena Lindia. - C. Carusi, Per una nuova edizione della homologia fra Trezene e Arsinoe (ig iv 752, ig iv 2 76 + 77). - J. Ma, The many Lives of Eugnotos of Akraiphia - I. Savalli-Lestrade, Le mogli di Seleuco IV e di Antioco IV. - F. Queyrel, La datation du Grand Autel de Pergame. - F. Coarelli, Aristonico. - S. Panichi, Sul ‘filellenismo’ di Ariarate V. - L. Prandi, Il ritratto di Alessandro in un’opera miscellanea. Studio su Eliano. - D. Campanile, Il sofista allo specchio : Filostrato nelle Vitae Sophistarum. - C. M. Lucarini, Filostrato e Apollonio di Tiana. - N. Cau, Onomastica licia. - N. Cau, Nuovi antroponimi indigeni nelle iscrizioni greche della Licia di età ellenistico-romana, ii. - P. G. Michelotto, Italia 1923 : sei lettere di Rostovtzeff a « Zveno ». – note e discussioni : G. Salmeri, A. L. D’Agata, et alii, Cilicia Survey 2003. - S. Mitchell, Anatolia between East and West. The parallel lives of the Attalid and Mithridatid Kingdoms in the Hellenistic age. - B. Virgilio, Sulle città dell’Asia Minore occidentale nel ii secolo a.C. (A proposito di : Les cités d’Asie Mineure occidentale au ii e siècle a.C. Textes réunis par A. Bresson & R. Descat, Paris-Bordeaux, 2001.)
xvii (2006) M. Facella, La dinastia degli Orontidi nella Commagene ellenistico-romana.
xviii (2006) A. Raggi, Seleuco di Rhosos. Cittadinanza e privilegi nell’Oriente greco in età tardo-repubblicana. xix (2006) P. Briant, Retour sur Alexandre et les katarraktes du Tigre : l’histoire d’un dossier (Première partie). - L. Migeotte, La planification des dépenses publiques dans les cités hellénistiques. - J.-P. Rey-Coquais, Inscriptions et toponymes hellénistiques de Phénicie. - I. SavalliLestrade, Antioche du Pyrame, Mallos et Tarse/Antioche du Kydnos à la lumière de seg xii , 511 : histoire, géographie, épigraphie, société. - B. Virgilio, Sui decreti di Metropolis in onore di Apollonio. - A. Cavagna, Una moneta tolemaica in bronzo nella collezione Schledehaus del Kulturgeschichtliches Museum di Osnabrück. - D. Foraboschi, Moneta prolifera. - A. Primo, Mitridate III : problemi di cronologia e identità nella dinastia pontica. - B. Le Guen, L’accueil d’Athéniôn, messager de Mithridate VI, par les artistes dionysiaques d’Athènes en 88 av. J.-C. - F. Muccioli, Philopatris e il concetto di patria in età ellenistica. - C. Krstevski, L. Boffo, La polis in località Isar-Marvinci e l’amministrazione romana nella provincia di Macedonia. - U. Laffi, L’iscrizione di Efeso sui privilegi di insegnanti, sofisti, medici (I. Ephesos, 4101). - D. Campanile, Sommi sacerdoti, asiarchi e culto imperiale : un aggiornamento. - C. Slavich, Carminius Claudianus Asiarca. - C. P. Jones, Institutions and cults in the letters of Apollonius of Tyana. – note e discussioni : A. Primo, Il ruolo di Roma nella guerra pontico-pergamena del 183-179 : Giustino xxxviii , 6.1.
xx (2008) E. Gabba, Il mondo culturale del Mediterraneo antico e l’idea del classico. - Chr. Habicht, Judicial Control of the Legislature in Greek States. - B. Helly, Encore le blé thessalien. Trois décrets de Larisa (ig ix 2, 506) accordant aux Athéniens licence d’exportation et réduction des droits de douane sur leurs achats de blé - F. Muccioli, Stratocle di Diomeia e la redazione trezenia del ‘decreto di Temistocle’. - P. Briant, Michael Rostovtzeff et le passage du monde achéménide au monde hellénistique. - P. Briant, Retour sur Alexandre et les katarraktes du Tigre : l’histoire d’un dossier (Suite et fin). - M. Mari,The Ruler Cult in Macedonia. - P.-L. Gatier, Héraclée-sur-mer et la géographie historique de la côte syrienne. ‑ R. Descat, I. Pernin, N otes sur la chronologie et l’histoire des baux de Mylasa. - B. Virgilio, Polibio, il mondo ellenistico e Roma. - L. Troiani, Note storiografiche su i e ii Maccabei. ‑ J. Ma, Paradigms and paradoxes in the Hellenistic world. - R. Mazzucchi, Mileto e la sympoliteia con Miunte. - A. Primo, Seleuco e Mitridate Ktistes in un episodio del giovane Demetrio Poliorcete. - G. Casa, Giuro di no. Note a psi com. vi 11. - F. X. Ryan, Breadth and depth in the account of the dedications to Athana Lindia. - R. Sciandra, Il “Re dei Re” e il “Satrapo dei Satrapi” : note sulla successione tra Mitridate II e Gotarze I a Babilonia (ca. 94-80 a.e.v.). - D. Campanile, Vita da provinciali. Asia e Bitinia in età romana. - P. R obiano, Caspérius Élien, ou Claude Élien ? Ou comment Philostrate écrit l’histoire. - O. Coloru, Reminiscenze dei re greco-battriani nella letteratura medievale europea e nella science-fiction americana.
xxi (2009) O. Coloru, Da Alessandro a Menandro. Il regno greco di Battriana.
xxii (2010) U. Laffi, Il trattato fra Sardi ed Efeso degli anni 90 a.C. xxiii (2010) Roma e l’eredità ellenistica. Atti del Convegno Internazionale, Milano, Università Statale, 14-16 gennaio 2009, a cura di S. Bussi e D. Foraboschi. D. Foraboschi, Introduzione. - P. Desideri, Il mito di Alessandro in Plutarco e Dione. - C. Miedico, Comunicare il potere presso la corte di Demetrio Poliorcete. - B. Virgilio, L’epistola reale dal santuario di Sinuri presso Mylasa in Caria, sulla base dei calchi del Fonds Louis Robert della Académie des Inscriptions et Belles-Lettres. - G. Bejor, Pergamo, propaganda di stile. - L. Troiani, Polibio e l’« epifania » nel tempio di Gerusalemme. - D. Foraboschi, Programmazione ellenistico-romana ? - L. Asmonti, The democratic model from Hellenistic Athens to Republican Rome : Cicero on Demochares of Leuconoe. - G. Brizzi, Forme principi della guerra tra Grecia e Roma : qualche ulteriore considerazione. - A.Coppola, Storie di statue : vincitori e vinti nella Graecia capta. - S. Bussi, Egitto e Nubia tra Ellenismo e Roma : continuità e fratture nella politica internazionale romana. - H. M. Cotton, B. Legras, Presentazione del libro di S. Bussi, Le élites locali nella provincia d’Egitto di prima età imperiale, Milano 2008. - B. Legras, Rome et l’Égypte : les transferts de droit familial d’Octave à Caracalla. - A. Savio, A. Cavagna, La monetazione egiziana di Augusto : ideologia imperiale e substrato egiziano. - A. Marcone, Un « dio presente » : osservazioni sulle premesse ellenistiche del culto imperiale romano. - L. Capponi, Impulsore Chresto : una risposta dai papiri.
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xxv (2011) B. Virgilio, Le roi écrit. La correspondance du souverain hellénistique, suivie de deux lettres d'Antiochos III à partir de Louis Robert et d'Adolf Wilhelm.
xxvi (2012) M.-Ch. Marcellesi, Pergame de la fin du ve au début du ier siècle avant J.-C. Pratiques monétaires et histoire. xxvii (2013) Parole in movimento. Linguaggio politico e lessico storiografico nel mondo ellenistico. Atti del Convegno Internazionale, Roma, 21-23 febbraio 2011 (Università « La Sapienza », Università Europea di Roma), a cura di M. Mari e J. Thornton. – M. Mari, Introduzione : Parole in movimento. – dynasteiai. dal riemergere della regalità nella grecia del iv sec. a.c. alle percezioni dell ’ imperium romanum : M. Mazza, « L’atto di nascita dell’Ellenismo » ? Qualche considerazione sulla c.d. Lettera di Aristotele ad Alessandro sulla politica verso le città. - S. De Vido, Tuvranno~, strathgo;~ aujtokravtwr, dunavsth~. Le ambigue parole del potere nella Sicilia di iv secolo. - M. B. Hatzopoulos, Le vocabulaire de la prise de décision dans les sources littéraires et épigraphiques de la Macédoine antique. - P. Desideri, Terminologia imperiale in Polibio. - A. Erskine, Expressions of Power in Polybius’ Histories. - G. Zecchini, ∆Adhvrito~ in Polibio. - L. Mecella, U. Roberto, ∆Isotimiva tra Roma e la Persia : una testimonianza dell’età di Severo Alessandro. – dentro la città, oltre la città. le dinamiche politiche interne alle poleis : S. Ferrucci, L’ambigua virtù. Filotimiva nell’Atene degli oratori. - B. D. Gray, The Polis becomes humane ? Filanqrwpiva as a Cardinal Civic Virtue in later Hellenistic Honorific Epigraphy and Historiography. - A. Raggi, Il lessico dei privilegi fiscali nell’Oriente greco tra età ellenistica e romana. - C. Bearzot, Il lessico dell’opposizione politica in Polibio. - P. A. Tuci, Il lessico della collaborazione politica in Polibio. - A. La Rocca, Apuleio e gli ejkklhsiastaiv.– difetti di traduzione. il linguaggio dei rapporti interstatali e della comunicazione tra poleis e regni ellenistici : A. Magnetto, Ambasciatori plenipotenziari delle città greche in età classica ed ellenistica : terminologia e prerogative. - B. Virgilio, Forme e linguaggi della comunicazione fra re ellenistici e città. - P. Lombardi, Parole nuove per nuovi equilibri. Su alcuni termini del lessico epigrafico politico di età ellenistica. - P. Paschidis, Fivloi and filiva between Poleis and Kings in the Hellenistic Period.- A. Bencivenni, Il giuramento civico di Mileto, il figlio di Tolemeo II e il potere del linguaggio in I. Milet i 3, 139. - D. Motta, I soldati nelle città : osservazioni sul lessico epigrafico di età ellenistico-romana. – lessico, narrazione e (ri)scrittura degli eventi nella storiografia ellenistica : oltre polibio : A. Chaniotis, Emotional Language in Hellenistic Decrees and Hellenistic Histories. - J. Thornton, Tragedia e retorica nella polemica sulla presa di Mantinea (Polibio ii, 56-58). - L. Porciani, Aspetti della nozione di ‘comune’, ‘collettivo’ e ‘generale’ tra politica, società e storiografia : un profilo di koinov~. - G. Schepens, Lo sfruttamento militare e politico della memoria e della storia : a proposito del frammento di Sosilo sulla battaglia dell’Ebro (217 a.C.). – J. K. Davies, Words, acts, and facts.
xxviii (2014) Th. Boulay, Les cités grecques et la guerre en Asie Mineure à l’époque hellénistique. ~
supplementi i (2013) Egitto. Dai Faraoni agli Arabi. Atti del Convegno ‘Egitto : amministrazione, economia, società, cultura dai Faraoni agli Arabi’ ~ ‘égypte : administration, économie, société, culture des Pharaons aux Arabes’. Milano, Università degli Studi, 7-9 gennaio 2013, a cura di S. Bussi. – S. Bussi, Premessa. - E. Bresciani, Presentazione. - P. Vernus, L’acte fondamental du pouvoir dans l’Égypte pharaonique : le commandement du roi. - P. Piacentini, Beginning, continuity and transformations of the Egyptian administration in the iii th millennium bc. - S. Quirke, Fragment epistemology ? Profiling the society and economy of late Mittle Kingdom Lahun. - Ch. Orsenigo, “Venite a me, voi che desiderate vedere Amon !” Amenhotep figlio di Hapu negli Archivi di Egittologia dell’Università degli Studi di Milano. - W. Clarysse, The use of demotic in Ptolemaic administration. - A.-E- Veïsse, L’expression de l’identité dans les pétitions d’époque ptolémaïque. - K. Vandorpe, The Happiness Index and economic prosperity : Ptolemaic Egypt as a case-study. - G. Gorre, S. Honigman, Kings, taxes and High Priests : comparing the Ptolemaic and Seleukid Policies. - S. Bussi, Fiscalità e templi nell’Egitto tolemaico. - K. Lorber, The grand mutation : Ptolemaic bronze currency in the second century bc. - B. Legras, Autour du papyrus de Cléôpatre : l’influence romaine en Égypte au premier siècle av. n.è. - L. Gallo, Aspetti demografici dell’Egitto greco-romano. - B. Anagnostou-Canas, Le dossier des prêtres de Bacchias. - K. Ruffing, Roman trade with India and the problem of Agency in the Economy of the Roman Empire. - F. Petraccia, Il ruolo dell’esercito in occasione dello scisma donatista e il trattato contro i Donatisti di Optatus Milevitanus. - T. Orlandi, La copticità dell’Egitto copto. - M. Di Branco, Alla conquista del passato : la storia dell’Egitto antico vista dagli Arabi. - D. Foraboschi, Conclusioni.
ii (2014) B. Virgilio, Studi sull’Asia Minore e sulla regalità ellenistica. Scelta di scritti.
S T UD I E L LE NIS T IC I. I N D I CE P E R AUT ORI Ambaglio D., Tensioni etniche e sociali nella chora tolemaica : ii (1987) Anagnostou-Canas B., Le dossier des prêtres de Bacchias : Supplementi, i (2013) Andreae B., Il significato politico di gruppi scultorei ellenistici : iv (1994) Asmonti L., The democratic model from Hellenistic Athens to Republican Rome : Cicero on Demochares of Leuconoe : xxiii (2010) Baroni A., I terreni e i privilegi del tempio di Zeus a Baitokaike (igls vii, 4028) : i (1984) Bearzot C., Il lessico dell’opposizione politica in Polibio : xxvii (2013) Bejor G., Pergamo, propaganda di stile : xxiii (2010) Bencivenni A., Il re scrive, la città iscrive. La pubblicazione su pietra delle epistole regie nell’Asia ellenistica : xxiv (2011) —, Il giuramento civico di Mileto, il figlio di Tolemeo II e il potere del linguaggio in I. Milet i 3, 139 : xxvii (2013) Betrò M., As´oka in un testo letterario demotico ? : xii (1999) Bodei Giglioni G., Una leggenda sulle origini dell’Ellenismo : Alessandro e i cinici : i (1984) Boffo L., Sentirsi greco nel mondo romano : espressioni epigrafiche : xiii (2001) —— : vd. Krstevski C., Boffo L. Boulay Th., Les cités grecques et la guerre en Asie Mineure à l’époque hellénistique : xxviii (2014) Bowersock G. W., Preface to L. Storari, Guida con cenni storici di Smirne (1857) : xii (1999) —, Louis Robert, la gloire et la joie d’une vie consacrée à l’Antiquité grecque : xxiv (2011) Braccesi L., Il sogno di Germanico e la pagina di Callistene : ii (1987) —, Alessandro, Siracusa e l’Occidente : iv (1994) Bresciani E., Presentazione : Supplementi, i (2013) Briant P., « Alexandre et l’hellénisation de l’Asie » : l’histoire au passé et au présent : xvi (2005) —, Retour sur Alexandre et les katarraktes du Tigre : l’histoire d’un dossier. (Première partie) : xix (2006) —, Retour sur Alexandre et les katarraktes du Tigre : l’histoire d’un dossier. (Suite et fin) : xx (2008) —, Michael Rostovtzeff et le passage du monde achéménide au monde hellénistique : xx (2008) Brizzi G., Forme principi della guerra tra Grecia e Roma : qualche ulteriore considerazione : xxiii (2010) Bussi S., Attacco di pirati a Teos ellenistica : xii (1999) —, Egitto e Nubia tra Ellenismo e Roma : continuità e fratture nella politica internazionale romana : xxiii (2010) —— (a cura di), Egitto : Amministrazione, economia, società, cultura dai faraoni agli Arabi ~ égypte : administartion, économie, société, culture. Atti del Convegno, Milano, Università Statale, 7-9 gennaio 2013 : Supplementi, i (2013) —, Premessa : Supplementi, i (2013) —, Fiscalità e templi nell’Egitto tolemaico : Supplementi, i (2013) Bussi S., Foraboschi D. (a cura di), Roma e l’eredità ellenistica. Atti del Convegno Internazionale, Milano, Università Statale, 14-16 gennaio 2009 : xxiii (2010) Calapà A., Due dediche a sovrani tolemaici da Efeso e l’espansione tolemaica in Ionia negli anni settanta del iii secolo a.C. : xxiv (2011)
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