Egitto Magico Religioso 9788886026680


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Boris de Rachewiltz

Egitto Magico Religioso

Tra gli innumerevoli modi con cui si può indagare e spiegare la civiltà dell'antico Egitto, certa� mente il più efficace quanto a risultati e suggestivo quanto ad esposizione è quello della scuola egittologica di A. Varille di cui Boris de Rachewiltz è stato capo­ fila, e ehé Bi basa sull'applicazio­ ne del più assoluto rigore scienti­ fico nell a�lisi filologica ed ese· getica dei teeti e nello studio oggettivo

dei

reperti,

non

disgiunta però da una particola­ re sensibilità verao quella dimen­ sione che, con tennine purtroppo abusato, viene detlhita "esoteri­ ca". Frutto di tale sintesi� l'ope­ ra che qui si ripresenta, "E�tto Magi� Religioso", che era dive­ ,mto ormai U!l classico introitabi... l . Al di là di molti falsi pl'eCQ11 cetti e di tante fantasiose teorie OJii in voga, ci appare qui il reale volto enigmatico dell'ptico E gitto nella sua essénza più profonda, rèligiosa e magica ad un: tempo. Dalla eredità dellà preistoria si penetra nel concetto di "dio• e nella escatologia: l'ol� tretomba aristocratico e quello democratico, app rofondendo il problema della morte e le condi­ zioni

indispensabili

per

la

sopravvivenza. Riti e tecniche magiche ci introducono infine nell'affasc inante mondo dei Misteri, che qui ricevono nuova luce. L'Autore, con uno stile piano e affascinante, stimola il lettore a compiere egli stesso correlazioni e approfondimenti delle temati-

che svolte, "vivendo" in forma attiva quel che a prima vista a p p a re solo il pensiero di un mondo ormai scomparso. E forse qualcuno più sensibile degli altri, potrà avvedersi che non si tratta di dis par ate tradizioni, bensì tout court della Tradizione.

***

Boris de Rachewiltz

(1926-1997).

Do cent e di Egittol ogia e di Archeo-Etnologia ha insegnato nella

Pontificia

U r b a n ia na;

Università

ha tenuto corsi

all'Istituto Ticinese di Alti Studi e, quale "visiting p rofessar", negli Stati Uniti.

È

stato assi­

stente del prof, L. Keimer al "Centre

de

Doeumenta tion"

dell'UN'ESCO al Cairo e, dopo la sua morte, ne ha raccolto l'ere­ dità del metodo comparativo tra a r c heologia

ed

etnologia.

Presidente della Fondazione L. Keimer di Basilea dal dir�tto

missioni

in

1969,

ha

Egitto,

Giordania, Sudan e nel Sahara Maghrebino che hanno portato alla scoperta delle antiche città di Nubit (Sudan) e di Sigilmassa ( Marocco). I risultati delle sue missioni tra i Beja per conto della Field Foundation (USA ) sono pubblicati nella World Book Encyclopedia (Year Book

È

autore di oltre

lingue.

25

1967).

opert' in più

Boris de Rachewiltz

Egitto Magico Religioso

Prima edizione 1961 Paolo Boringhieri Editore Seconda edizione 1982 Manilo Basaia Editore

ISBN 978-88-86026-68-0 Edizioni della Terra di Mezzo® Via Vigevano, 14

© 2008

20144 Milano

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta o trasmessa in alcuna forma o con alcun mezzo, elettronico, informatico o meccanico - inclusa la copiatura e la registrazione - senza l'autorizzazione scritta dell'editore. Disegno di copertina: Il dio Shu solleva la figlia dall'amplesso con Geb. Vignetta del Libro dei Morti dal papiro di Nestanebasheru. (British Museum)

Stampa: Grafiche Granata - Rozzano (Mi) www

.edizionidellaterradimezzo.it

Nota introduttiva alla seconda edizione

Nel presentare al ristretto pubblico dei miei lettori questa seconda edizione di Egitto Magico Religioso de­ sidero rispondere ad una osservazione che da più parti mi è stata mossa nei confronti della prima: "ma non è una vera storia della religione egiziana . . . " E , in realtà, non è stato affatto mio intendimento scri­ vere la storia di tutti i sistemi teologici dell'Antico E­ gitto, nè delle varie scuole templari con il relativo pre­ dominio di singole divinità locali. E neanche il produr­ re una sistematica raccolta di dati, toponimi o genealo­ gie divine. Ciò che ho inteso fare è stato di tentare di fornire al lettore, in possesso di un minimo background culturale e di una certa predisposizione a questi argo­ menti, una chiave per penetrare nel mondo, certo non facile, del pensiero dell'antico nilotico. Si tratta di un vero e proprio atto di violenza poichè questa "penetra­ zione" presuppone lo spostamento, a livello differenzia­ to, del baricentro psichico dell'uomo moderno. Questa operazione potrà risultare facile più per gli uni che per gli altri in rapporto ad un precedente sviluppo interio­ re e all'affinamento di certe sensibilità riferibili alle cosiddette "orecchie del Cuore" di cui trattano tradi­ zioni remote e, non ultimi, i "Fedeli d'Amore". Una volta che il trasferimento ad un altro livello sia stato operato, tutto risulta più facile. E le entità mo­ struose del pantheon egizio, zoocefale e antropomorfe, in atto di contrastare il passo a chi osi avventurarsi per le perigliose lande degli inferi egizi, si trasformano in proiezioni dell 'Ego e vengono debellate una volta "conosciute". Per il resto c'è abbastanza mole di dati e di informa5

zioni, da soddisfare anche chi vuole limitarsi a semplici dati nozionistici o di pura speculazione accademica. Ad entrambe le categorie dei lettori vada, comunque, il mio saluto augurale .

BORIS DE RACHEWILTZ

Maggio 1982

6

l.

Carattere della religione egiziana

Premesse Le tante divinità del pantheon egizio, la complessa e varia struttura dei sistemi teologici che si intersecano e talvolta si contraddicono, sono elementi che quasi stordiscono chi prende contatto con la morfologia reli­ giosa dell'antico Egitto. Per poter ben discernere è necessario fare alcune rea­ listiche quanto elementari considerazioni. Anzitutto è impossibile giudicare "sinteticamente" la religione egi­ ziana: nei millenni che separano l'epoca protostorica dal sincretismo greco-romano hanno avuto modo di sorgere e di svilupparsi germi di svariate concezioni, obbedendo talvolta al predominio assunto da determi­ nati centri politici e rispecchiando la stessa evoluzione dello Stato faraonico. Alcuni elementi, propri alle ori­ gini, sopravvivono attraverso le varie epoche storiche; altri, frutto di fattori contingenti, si manifestano solo in determinati periodi e luoghi. Deità strane - talvolta mostruose - antropomorfe e zoo­ cefale, si muovono sul fondale di una scena scarsa­ mente illuminata, mentre il "complesso della morte", in una fantasmagorica visione tanatologica, rende ma­ nifesto lo stesso baricentro psichico della civiltà nilo­ tica. La conquista di una immortalità autocosciente, non soggetta alle leggi cicliche del divenire o alle ca­ tene della trasmigrazione animica, la incorruttibilità non solo dei principi spirituali, ma dello stesso corpo fisico, sono tra gli obiettivi fondamentali verso cui con­ vergono gli sforzi congiunti della religione e della ma­ gia, amalgamate in un binomio inscindibile. Ma anche qui non si tratta di elementi contemporanei e genera7

lizzati: l'applicazione al privato cittadino del rituale funerario assicurante l'immortalità, avviene a seguito di profondi sconvolgimenti sociali, di una vera e pro­ pria rivoluzione democratica che, ponendo fine all'An­ tico Impero verso il 2280 a. C . , intacca l'essenza della sacra regalità ed estende al popolo i benefici sino a quel momento ristretti alla cerchia faraonica. Inoltre, allo studioso di religioni comparate, si appa­ lesano alcuni motivi comuni, potremmo dire identici, tra cicli di diverse civiltà antiche. Per cui, pur con tutte le cautele del caso - ché accostamenti arbitrari anche se suggestivi sono sempre possibili - vale la pena di fo­ calizzare siffatti elementi, quale espressione di una vi­ sione unica degli stessi problemi. Ed è quanto è stato fatto nel presente testo.

Le origini. L'eredità della Preistoria Tentar di rintracciare le origini della religione egiziana significa dover forzare lo sguardo oltre i limiti della protostoria, avventurandosi in una notte fonda che consente alla fantasia qualsiasi possibile , anche se ar­ bitraria, ricostruzione. Ciò spiega il sorgere delle tante ipotesi e teorie, ognuna delle quali giustifica la propria esistenza con i medesimi, anche se scarsi, reperti ar­ cheologici, immessi solo in una posizione differente nel­ le varie trame soggettive di ciascun autore . Non si può disconoscere tuttavia l'importanza di questi tentativi, alcuni dei quali di indiscussa profondità, da­ to che la loro reciproca integrazione permette di indi­ viduare alcune linee maestre lungo le quali è possibile disporre quegli elementi che divengono vieppiù nume­ rosi con l'avvicinarsi all'epoca storica. Al terzo millennio a. C . , l'Egitto, unificato sotto una stessa corona, presenta già un corpus abbondante di 8

pratiche cultuali, soprattutto riferite alle festività re­ gie, elaborate nei secoli precedenti. L'iconografia farao­ nica, le insegne, lo stesso canone delle proporzioni è ormai quello che resterà immutabile sino all'estinzione del ciclo faraonico. È necessario quindi spingersi oltre, risalendo all'epoca dei cacciatori nomadi scorrazzanti lungo la valle del Nilo, il cui ricordo, a parte le cuspidi silicee abbandonate sulle dune sabbiose, è attestato da pitture e da incisioni rupestri. È questa l'epoca in cui, particolarmente per quanto riguarda l'Alto Egitto, si fanno maggiormente sentire gli influssi del substrato africano. Su questo, in un secondo momento, agirà l'in­ flusso mediterraneo apportatore dell'agricoltura e delle conseguenti sedi stabili. Ma qualcosa del periodo più antico sopravvive al nuovo impulso e viene trasmesso all'epoca storica: è il processo zoo-antropomorfico delle divinità. Processo o particolare "visione psichica" che fonde il principio antropomorfo con quello zoomorfo de­ terminando la raffigurazione di esseri a corpo umano e a testa di animale . Osservando la iconografia divina d'epoca storica si no­ ta facilmente come, in tutti i casi del genere, si tratta di animali ritenuti sacri, come il falco, l'ariete, l'ibis, la vacca, eccetera, che possono venire rappresentati indif­ ferentemente sia nella forma composita antropomorfa­ zoocefala sia nella forma pura e semplice dell'animale corrispondente . Per i sostenitori di una originaria organizzazione to­ temica in Egitto, come Loret e Moret, il totem soprav­ vive alle successive fasi sociali della gerontocrazia, del­ la monarchia locale e di quella centralizzata e, da pro­ tettore del clan, diviene il patrono della città. "In que­ sto nuovo ruolo - scrive il Moret - il totem si umanizza: esso prende d'ordinario un aspetto antropomorfo. Que­ sta evoluzione è materialmente visibile su qualche mo­ numento tinita. L'animale di Set vi appare dotato del 9

nome Ash e trasformato in un uomo a testa di levriero, la vipera Uazet diviene un serpente a testa umana. Ri­ conosciamo là l'origine di quelle figure ibride che rap­ presentano, per un processo di sintesi, il dio d'aspetto umano, derivato dall'antico animale totem, ma fuso con lui. "1 Erman2 semplifica ancora questo processo. Al conta­ dino egiziano, egli dice in sostanza, allorché la vacca cadeva ammalata, doveva sembrare irrispettoso rivol­ gersi al dio sole o alla dea del cielo e preferì allora vol­ gersi attorno e crearsi un dio più comodo, più a portata di mano. "Animali popolavano il suo fiume, il suo paese e il deserto, soprattutto coccodrilli, serpenti e leoni; al­ beri antichissimi, di cui nessuno conosceva la prove­ nienza, si ergevano sul bordo del deserto; esistevano pietre di forme strane . In tutto ciò poteva nascondersi qualcosa di fantastico e di sovrannaturale ." Successi­ vamente, secondo lo stesso autore, e sempre per como­ dità, poiché sembrava poco riverente ottenere grazie da un dio d'aspetto animalesco, gli si dette un corpo umano: "Questi può d'ora in avanti abbracciare, dona­ re, proteggere, ma conserva la testa di un animale. Horo e Khnum rivestiranno il falco e l'ariete, ma essi potranno dedicarsi a tutte le occupazioni che la fede dei credenti loro attribuisce . " A parte l'impostazione superficiale del problema, l a so­ luzione proposta da Erman induce a chiedersi in quali dintorni topografici il contadino egizio predinastico ab­ bia potuto osservare quegli animali d'aspetto mitico, riprodotti sui monumenti della prima epoca, come le tavolozze in schisto, ed effigiati su oggetti magici di epoca posteriore (fig. 1 ). È evidente che esseri di questo tipo non furono percepi­ ti con occhi normali: trattasi appunto di quella partico­ lare "visione psichica" cui si è fatto cenno poc'anzi. Vi­ sione che è al di fuori del vincolo di una mentalità raIO

zionale ed è pertinente invece a quello stato di coscien­ za fluida proprio alla Weltanschauung delle civiltà più antiche e dei cosiddetti "primitivi". Le pitture e incisioni rupestri libiche , d'epoca preistori­ ca, presentano chiaramente il processo zoo-antropo­ morfico in azione. Non solo, ma possono già ravvisarsi punti di contatto con divinità d'epoca storica. Prescin­ dendo dal dio Bes, che Frobenius ritenne di aver iden­ tificato sulle pareti rocciose del Fezzan, vi è anche un probabile prototipo del dio Set, trafitto da coltelli, che presenta una sorprendente somiglianza con un'imma­ gine della stessa divinità d'epoca storica (figg. 2, 3). Le più antiche manifestazioni "artistiche" del Conti­ nente Nero - pitture e incisioni rupestri - testimoniano una identica visione di queste entità zoo-antropomor­ fe. 3 In alcuni casi si tratta indubbiamente di esseri umani, cacciatori appartenenti alle locali tribù, ma­ scherati con pelli di animali, per agevolare il successo nelle imprese venatorie: gli individui sono allora raffi­ gurati della stessa grandezza degli altri senza masche­ ra. Si distinguono invece nettamente le entità zoo-an­ tropomorfe di statura assai maggiore di quella degli esseri umani raffigurati nelle stesse scene. Alcune hanno il capo di elefante o di gazzella; per altre il raf­ fronto con animali noti è più difficile (figg. 4, 5 , 6, 7 , 8, 9, 10). Questi strani esseri appaiono talvolta isolati, talvolta in gruppi ed ancora in grandi scene parietali di carattere rituale, in cui dominano, con la loro eleva­ ta statura, le figure degli umani che li attorniano. Presso il fiume Sijora nel Sud Mrica esiste una grande composizione pittorica con dodici personaggi mitici studiata da Walter Battiss4 il quale vi ha ravvisato personaggi assai simili al dio egiziano Sebek, dalla te­ sta di coccodrillo, e al babbuino sacro a Thoth. N el Wartrail (Provincia del Capo) un altro personaggio con testa di ippopotamo, reca una complicata acconciatura Il

Fig. l. Animali riprodotti nelle pitture parietali delle tombe di Beni Hasan.

Fig. 2 . Pittura rupestre preistorica del deserto libi­ co, riferita da Frobenius all'epoca paleolitica .

Fig. 3. Raffigurazione egi­ ziana d'epoca storica del dio Set a testa d'asino.

12

• .

Fig. 4. Pittura rupestre preistorica . Cinyati-Hòhle, N a tal.

Fig. 5. Pittura rupestre. Orange, Sud Africa .

13

Fig. 6. Pittura rupestre . Matapo Hills, Sud Africa .

Fig. 7. Pittura rupestre . Te ­ yateyaneng, Basutoland.

14

Fig. 8. Pittura rupestre. Teyateyaneng, Basutoland.

Fig. 9. Pittura rupestre. Marandellas, Rhodesia meridionale.

Fig. 10. Pittura rupestre. Rusape, Sud Africa

15

simile, nella sua elaborazione, a quella di alcune divi­ nità del pantheon egizio (fig. 1 1 ).

Fig. 1 1. Pittura rupestre . Wartrail, Sud Africa .

Con ciò non s'intende affatto proporre qui l'ipotesi che il pantheon egizio debba necessariamente trarre la sua origine nella fluida visione psichica dei preistorici afri­ cani. Si vuole invece mettere nella dovuta evidenza l'orientamento mentale proprio ad una facies etnica cui sono collegati sia le antichissime popolazioni africane sia gli Egiziani. Ma non si tratta affatto di limitazione topografica; lo stesso processo è presente in Mesopota­ mia, ove parimenti troviamo entità zoo-antropomorfe sin dalle epoche più antiche e ove compaiono animali mitici analoghi a quelli delle tavolozze protostoriche egizie. Anche l'Europa del resto non è esente da queste mani­ festazioni, come risulta da opere rupestri preistoriche 16

quali lo "stregone" - un essere umano a testa di renna scoperto nella grotta dei "Trois Frères" presso Arège in Francia o gli individui a capo di uccello nelle incisioni rupestri dell'Addaura (Palermo) connesse con l'arte franco-cantabriana e paragonati da I. Bovio-Marconi ad analoghi spunti africani. 5 Più quindi che "area topografica" dovremmo parlare di "area psicologica" comune alle diverse civiltà in una stessa facies . Nei confronti dell'Egitto, dato che il fondo della sua popolazione primitiva è strettamente connes­ so al ciclo di cultura africana, è sul Continente N ero più che altrove che va spinta l'indagine e conseguente­ mente sono le opere rupestri africane ad essere le più importanti. Le pratiche magiche di quelle remote ere, riprodotte nelle opere rupestri, sopravvivono solo in de­ generi forme stregoniche, testimonianze però sempre preziose per l'etnologo. Frobenius6 a questo proposito sottolinea: " . . . Solamente in questa civiltà è possibile il trapasso dell'anima at­ traverso singoli corpi. Ed è possibile utilizzare le forze singole, considerate separatamente . . . Il principio divi­ de et impera è evidente in questo stile, che si fonda sul­ la coscienza dell'Io e sull'aggettivazione dell'Universo. Gli spiriti della natura che, secondo il principio di divi­ sione, sono considerati indipendenti, vengono utilizza­ ti. Dai morti sorgono gli spettri, dalla natura gli spiriti che l'uomo fa suoi collaboratori. Così grazie a tale o­ rientamento, la realtà si trasforma in demoni e in virtù magiche. Le virtù magiche conferiscono possibilità ir­ reali. La magia secondo l'intento delle forme ancora primitive, e in così accentuata volontà d'applicazione pratica, conduce a meravigliose abilità. Diventa possi­ bile operare delle metamorfosi. Il motivo della meta­ morfosi di un uomo in cane, o la metamorfosi universa­ le, in cui ciascuno dei due maghi trasforma sé e il com­ pagno nelle forme più varie e più strane, esiste soltan17

to in questa civiltà. Tutto ciò, nel suo complesso, rap­ presenta evidentemente il dramma della volontà!" J. E vola7 precisa: "Se in molte tradizioni popolari o di primitivi, circa stregoni che hanno il potere di manife­ starsi e di agire in forme animali, pur restando col loro corpo umano inerti in un dato luogo - vi è riferimento a fenomeni materialmente simili - pur tuttavia, nella gran parte di questi casi (sempre che siano reali), non si tratta di un fatto determinato coscientemente dal­ l'Anima superiore . Il fenomeno sorge piuttosto dall'o­ scura promiscuità dello stregone con una delle forze occulte dell'animalità, che irrompendo in lui, domina il 'doppio', a cui trasmette la figura del tipo che le corri­ sponde nel regno animale visibile ('uomini-lupo', 'uo­ mini -leopardo', eccetera: proiezioni nelle quali, in uno stato di dissociazione, si drammatizzano i rapporti to­ temici). Quando il rapporto si stabilisce spontanea­ mente, e in modo da travolgere la individualità, si ha il cosiddetto totemismo: l'uomo si trova ad essere, in un certo qual modo, l'incarnazione sotto specie umana del­ lo 'spirito' di una data specie animale." Si può così comprendere il senso di molte opere rupe­ stri, come quella già citata dello "stregone" in Francia, analoga ad una africana che qui si riproduce (fig. 12). Prescindendo dall'effettiva esistenza di forme totemi­ che nell'Egitto più antico, gli stendardi simbolici ad un certo momento si "animano", divengono cioè capaci nella iconografia che li riproduce - di compiere gli stes­ si atti degli esseri umani. Così le insegne del falco e dell'ibis sulla tavolozza dell'Ashmolean Museum hanno braccia per afferrare dei prigionieri, oppure la base della loro pertica si trasforma in mani per stringere una corda come sulla tavolozza del Louvre, o anche, in­ fine, mantenendo l'aspetto dell'animale, sono rappre­ sentati mentre dominano un avversario (tavv. 3, 4; fig. 13). 18

Fig. 12. Pittura rupestre. Tylden, Provincia del Capo.

Fig. 13. Particolare dalla tavolozza di Narmer. (Museo del Cairo) . 19

A questo punto del processo rivive, secondo la nostra ipotesi, la manifestazione di quella "visione psichica" propria al periodo più antico e l'animale sacro degli stendardi si antropomorfizza, assumendo l'aspetto del­ la divinità a corpo umano e testa zoomorfa, che diven­ terà classica nella iconografia religiosa dell'Egitto sto­ rico.

Il concetto di "dio". La Teodicea Il geroglifico impiegato per "dio", come appare già nei Testi delle Piramidi8 ricorda, nella sua stilizzazione, un'ascia (fig. 14) e come tale venne infatti considerato dai primi studiosi, sotto l'influenza delle concezioni re­ lative a questo simbolo in rapporto alle più antiche ci­ viltà mediterranee . Ma la documentazione archeologi­ ca dell'epoca protostorica in Egitto, ha modificato tale primitiva opinione . Sulla tavolozza "libica", su quella delle "due gazzelle" e su quella di Narmer (figg. 1 5 , 16, 48), ciò che si riteneva un'ascia appare invece essere chiaramente uno stendardo in legno con drappeggi in stoffa che sul davanti formano una specie di banderuo­ la, ricadendo sul retro.9 Il più delle volte questo sten­ dardo è il supporto del falco, quasi a sottolineare il ca­ rattere cosmico della forza che rappresenta, e talvolta anche dell'ibis (tav. l; figg. 1 7 e 18). Se il vocabolo che designa il "dio" in egiziano, sin dai testi più antichi, è nether, il nome dello stendardo vero e proprio è netherit e reca come determinativo, oltre al­ la stilizzazione dello stendardo, anche quella dell'albe­ ro.10 Sulle concezioni relative all'Albero sacro avremo modo di soffermarci nell'ultimo capitolo della presente trattazione. Secondo Lo re t e More ti 1 il vocabolo nether deriverebbe da una radice ter, rappresentante la fiori­ tura annuale della palma e, per estensione, la rinascita 20

Fig. 14. Geroglifico per "dio" sui monumenti d'epoca sto­ nca .

Fig. 15. Particolare dalla tavolozza "libica". (Museo del Cairo).

Fig. 16. Particolare dalla ta­ volozza delle "due gazzelle". (British Museum).

Fig. 17. Il dio falco H oro sul suo supporto come raffigura­ to nei monumenti d'epoca storica.

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regolare dei vegetali. "Per l'Egiziano primitivo, il dio sarebbe l'essere che, invece di crescere e morire come un uomo o un animale, resta perpetuamente nello stes­ so stato. . . per reintegrazione periodica di tutta la so­ stanza perduta." Nether è dunque l'Eterno o meglio "l'eternamente stesso, colui che non muore mai".

Fig. 1 8 . Egiziano predinastico con lo stendardo del falco. Particolare dalla tavolozza della "caccia". (Louvre e British Museum) .

Anche gli dèi e i morti divinizzati, per mantenere la lo­ ro immortalità, devono procedere ad una simile reinte­ grazione e i testi, infatti, come vedremo, li raffigurano o descrivono in atto di trarre il loro sostentamento dall'Albero sacro. Una tra le più antiche raffigurazioni di luoghi di culto egiziani, il "santuario" primitivo (fig. 19), oltre all'in­ segna della dea Neith, presenta affrontati due sten­ dardi divini del tipo nether che evidentemente veniva­ no eretti innanzi a simili edifici per marcare la sacra22

lità del luogo. Il segno nether è spesso rappresentato totalmente av­ volto in bende da mummia il che conferma quanto è

Fig. 1 9. Santuario primitivo. Particolare della tavoletta del re Aha . (Museo del Cairo) .

detto al suo riguardo in un papiro:12 "Esso è avvolto nelle bende", forse significando con ciò la immutabilità della sua essenza, non sogget­ ta ad ulteriore modifica. Una comparazione interessante può essere compiuta con un simbolo sacro mesopotamico che appare sovente in scene religiose e che, nell'aspetto esteriore, presenta spiècati punti di contatto con quello egiziano (fig. 20). Qual è il rapporto tra il "dio" Fig. 20. Insegna sacra mesopotamica dell'epoca e le varie divinità? di Dj emdet Nasr. È nozione comune a tutte le religioni antiche l'esistenza, in un'epoca primordiale, di un "Caos" anteriore alla creazione. In tale remota èra, secondo i Testi delle Pi­ ramidi , "non esisteva ancora il cielo, non esisteva an­ cora la terra, non esistevano ancora gli uomini, gli dèi non erano ancora nati, non esisteva ancora la morte".13 23

Non diversa è la concezione caldea: "...un tempo gli dèi non esistevano ancora, Nessun nome era stato dato, nessun destino stabilito... "'

Nel Caos informe, nel Nu (corrispondente al nun gre­ co), vive lo spirito di Dio. Questo Ente Supremo è e­ spresso in egiziano con il termine Nether Ua o "Dio Uno", che ricorre frequentemente e senza altre attri­ buzioni nei Testi delle Piramidi . Immutato nella so­ stanza assume nomi diversi nei vari sistemi teologici come Ptah in quello menfitico, Ra o Atum in quello e­ liopolitano, Amon in quello tebano. Lo stesso dio Sole afferma: "Io sono Khepri (lo scarabeo) al mattino (tav. 4), Ra a mezzodì, Atum alla sera." Nel famoso "Inno ad Amon" questi è definito: "Padre degli dèi, creatore degli uomini e degli animali . . . Solo Uno ed Unico dalle molte mani . . . " E , nel Papiro Magico di Torino, vi è la "Formula per il dio che è divenuto dio, che si è autogenerato, che ha creato il cielo, la terra, il fuoco, gli dèi, gli uomini, il bestiame, i rettili, i pesci, che è re degli uomini e degli dèi". Nella letteratura moraleggiante più antica ricorre di frequente la designazione "dio" senza ulteriore specifi­ cazione e se nei testi funerari tale termine si riferisce al patrono dei morti, Osiride, qui tale allusione è im­ possibile dato il carattere generico delle opere in que­ stione. Così Ptahotep, Ani e Amenemope nelle loro "Massime" scritte in diverse epoche, menzionano tutti un "dio" quale Essere Supremo.14 In particolare la teo­ logia di Amenemope della diciottesima dinastia ha ca'Iscrizione cuneiforme della biblioteca di Ninive scoperta nel 1 8 7 5 d a M. G. Smith.

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rattere spiccatamente monoteistico: "L'uomo è argilla e paglia - egli afferma - e Dio è il suo modellatore." H. Junker, basandosi sulla stele 797 del British Mu­ seum e sulla concordanza di altri testi dell'Antico Im­ pero, ritenne di aver rintracciato il dio primordiale, detto Wr, "Il Grande", che avrebbe rappresentato nei vari sistemi teologici i singoli demiurghi e che avrebbe avuto adorazione popolare a Turah.15 Kees da parte sua non ritiene invece che vi sia stato in Egitto un dio supremo anonimo ed opina che la qualifi­ ca "Dio Grande" debba attribuirsi, secondo i casi, a Ra, al dio-re o ad Osiride.l6 Resta intatta comunque la con­ cezione di una entità suprema anche se questa, come si è visto, ha assunto nei differenti sistemi teologici nomi diversi. Nell"'Inno a Ra" contenuto nel Libro dei Morti si dice : "Tu sei il dio Uno che venne in essere al principio del mondo" e, nel capitolo XVII dello stesso testo17 Ra af­ ferma: "Io sono l'Unico Uno." Inoltre, come sottolinea H. Grapow,18 tra le condizioni richieste per una soprav­ vivenza felice, non vi è la norma di adorare questa o quella divinità, bensì di dwa Nether, "adorare Dio". Sotto questo aspetto E . Drioton ha condotto una acuta analisi su una nuova fonte di informazioni per la reli­ gione egiziana: Scarabei a massime .l9 Moltissime ri­ produzioni dello scarabeus sacer in vario materiale re­ cano incise sul verso brevi massime moraleggianti da cui emerge il concetto di un "dio" spoglio di qualsiasi determinazione. Ne citeremo alcune: "Tutti gli avveni­ menti sono nella mano di Dio." "Tutti i buoni destini sono nella mano di Dio." "Ciò che ancora non esiste è nella mano di Dio ." "Dio eleva colui che l'ama, Dio pen­ sa (lett. 'guarda') a colui che lo pensa", eccetera. Sorge a questo punto la questione: anche ammettendo che gli antichi Egiziani abbiano avuto un'idea, più o 25

meno chiara, di un dio unico, come giustificare la pre­ senza delle innumerevoli altre divinità che non posso­ no sicuramente rappresentare il demiurgo? La risposta può essere ottenuta dall'analisi dei testi originali: gli dèi non sono che manifestazioni dell'Essere Supremo. Così vien detto: "È Ra, creatore del nome delle sue membra che vennero in essere nella forma degli dèi che sono al suo seguito. "20 Nel citato "Inno ad Amon", è detto: "Gli uomini pervennero dai suoi occhi e dalla sua bocca gli dèi vennero in essere." Sempre ad Amon si ri­ ferisce il Libro dei Morti della sacerdotessa Nesikhonsu definendolo: " . . . L'anima santa che venne in essere al principio del principio, il gran dio che vive della verità, l'essenza primèva che ha dato origine ad ogni susse­ guente essenza divina, l'essere attraverso il quale ogni dio ha avuto l'esistenza, l'unico Uno autore di ogni co­ sa . . . " Il pantheon egiziano in definitiva non è che una "ma­ nifestazione individualizzata del dio supremo"21 e H. Bonnet osserva che l'idea del dio nell'antico Egitto ha perennemente oscillato tra due poli, il primo governan­ te l'orientamento mentale che presta al dio una forma umana e la situa nell'ambiente terrestre e sociale, il secondo che serve da attrazione alle correnti di idee raffiguranti la divinità come una "forza" con diverse manifestazioni, un fluido capace di circolare e di assu­ mere varie forme; conclusioni queste alle quali giunse anche J. Spiegel.22 All'aspetto di "forza con diverse manifestazioni" po­ trebbe quindi essere ricondotta la concezione primor­ diale relativa al Dio Uno in cui le "diverse manifesta­ zioni" sono rappresentate dalle divinità singole, dalle "membra" cioè del dio supremo, entrate in essere poi­ ché egli le ha nominate. In altre parole si divinizzarono gli attributi dell'Essere Supremo, personalizzando le sue connaturate qualità, donde il politeismo formale. 26

Concezione questa che si trova parimenti espressa in varie teologie di antiche civiltà. L'Assoluto, l'Ain Suf della Kabbalah, non può comunicarsi direttamente agli esseri finiti, poiché la sua stretta li distruggerebbe , ri­ conducendoli a lui. Donde la necessità di comunicarsi a loro mediante i suoi "attributi" che nella Kabbalah so­ no riferiti alle dieci emanazioni primordiali, chiamate

Sefiroth .

Iddio si manifesta con la creazione indefinita e questa, a sua volta, si realizza con le creazioni successive, o­ gnuna delle quali è l'immagine di tutte le altre. Con­ frontiamo la tradizione caldea:23 "Egli (Iddio) ripartì le dimore, sette di numero per i grandi dèi, Egli designò le stelle ove avrebbero dimorato i sette lumasi."

Allo stesso ordine di idee vanno ricondotti i sette "Ge­ ni" della visione di Ermete e i sette "Deva" dell'India, mentre nei capitoli XVII e LXXI del Libro dei Morti si parla di sette "Spiriti" che "fanno i decreti" e che sono collegati con l'occhio del dio Sole. La teodicea ci riporta quindi alla genesi delle singole divinità, ma è evidente che simili concetti abbiano tro­ vato espressione chiara e completa solo presso la classe sacerdotale e colta. Gli strati più ignoranti della popo­ lazione egiziana ritennero più logico ed agevole adora•

' Nella tradizione cristiana va ricordata la versione di san Giovan­ ni (Apocalisse IV, 5): "E dinnanzi al Trono erano sette Lampade Ardenti le quali sono i sette spiriti di Dio." Anche san Dionigi si riferisce a questi sette "spiriti" definendoli i "Costruttori" e i "Co­ operatori" di Dio. Sant'Agostino afferma che essi sono in possesso del pensiero e del prototipo divino e san Tommaso d'Aquino di­ chiara che, mentre Dio è la "Causa Prima", questi sette "Esseri" sono la "Causa Seconda" di tutti gli effetti visibili. Dal Logos sola­ re derivano quindi i Logoi planetari (i sette Lumasi della tradi­ zione caldea), canali attraverso i quali confluisce la sua forza. 27

re l'Essere Supremo in una delle sue attribuzioni per­ sonalizzate e, nella maggior parte dei casi, in quella protettrice della singola città o del n6mo.24 Del resto ancora oggi un teologo avrà una concezione ben differente sulla natura della divinità da quella di un'anima semplice della classe popolare che, nel "San­ to" protettore della propria città, ravviserà il tauma­ turgo princeps , sovrastante nella esteriorizzazione dei sentimenti dei suoi fedeli, lo stesso concetto trascen­ dente di Dio . Non è necessario portare esempi per le minute forme del campanilismo religioso di ogni paese. Breasted ebbe a rimarcare come "molte città in Italia non vorrebbero in alcun modo identificare la propria particolare Madonna con la Vergine di qualsiasi altra città".25 Per concludere ricorderemo che Drioton,26 analizzando varie traduzioni di testi originali, giunse ad affermare che una vera dottrina monoteistica si trova effettiva­ mente attestata in Egitto dai più antichi monumenti e sopravvive conciliandosi con le dottrine politeistiche: "Un numero impressionante di testi - egli scrive - pro­ va che gli Egiziani possedevano, già all'inizio dell'Anti­ co Impero, una nozione filosofica di Dio sostanzialmen­ te simile alla nostra: quella di un Dio nominato senza determinazioni (e per conseguenza concepito come uni­ co), signore degli eventi, provvidenza degli umani, giu­ dice e retributore delle buone e delle cattive azioni."

Escatologia e mito. L'oltretomba aristocratico e quello democratico I Testi delle Piramidi assommano le concezioni escato­ logiche più antiche: la dottrina stellare, quella solare ed il mito di Osiride oltre al frammentario ricordo di riti funebri pertinenti alla preistoria. 28

È necessario scindere questi elementi onde precisare il

problema dell'oltretomba a partire dall'Antico Impero. Abbiamo detto "dottrina stellare": questa concezione precede di gran lunga quella solare e può ricondursi co­ me origine all'epoca predinastica in cui l'Egiziano an­ cora nomade doveva basare molta parte della sua vita sulle indicazioni tratte dal cielo stellato. La prima loca­ lizzazione del mondo dei morti venne così riferita al mondo delle stelle. 27 Lo stesso geroglifico per il Dwat o Da t, cioè per il regno dei morti, è costituito da una stella iscritta in un cer­ chio, ideogramma che permarrà nelle varie epoche sto­ riche. Per quanto riguarda la personificazione di que­ sta regione, la sua iconografia è assai scarsa: il sarco­ fago di Seti I e qualche papiro (fig. 2 1 ). Trattasi di un essere maschile che forma un cerchio curvando all'in­ dietro il suo corpo in modo che i piedi toccano la nuca: dalla testa sorge una figurina femminile, che il testo informa essere la dea Nut, sostenente, con le braccia alzate, il sole. L'insieme di questa raffigurazione tro­ vasi riprodotta capovolta sulla barca in cui naviga lo scarabeo Khepri nell'Oceano del Nun. Di particolare importanza è la posizione "capovolta" del simbolo che designa l'Aldilà, indicante il rapporto dell'inversione di stato nei confronti del mondo dei vivi. Nel Libro dei Morti al capitolo XLII28 riferendosi al defunto è detto: "Ecco, le sue forme sono capovolte !" Questa concezione è sopravvissuta in Mrica: tra i N andi del Kenya il fi­ glio maggiore pone i suoi vestiti a rovescio in occasione della morte del padre. Tra i Soga dell'Uganda le perso­ ne che partecipano ad un funerale vestono con abiti dell'opposto sesso e, nel Dahomey, le danze funebri as­ sumono la direzione contraria a quella delle lancette di un orologio. Nei Testi delle Piramidi , riferendosi al re defunto, sono 29

Fig. 2 1. Raffigurazione del Dat in posizione capovolta rispetto alla barca solare sollevata dal dio Nu.

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contenute le seguenti allocuzioni: "Il cielo ti ha conce­ pito insieme ad Orione, il Dat ti porta insieme ad Orione. " "Il Dat ti conduce nel luogo ove è Orione." "Orione e Sothis sono circondati dal Dat. " Il re morto "ascende (dalla sua piramide) al cielo tra le Stelle Im­ periture (cioè circompolari)"; "egli prende le braccia delle Stelle Imperiture"; "è trasportato dalle Stelle In­ faticabili"; "egli è posto da Nut come Stella Imperitu­ ra"; "egli diviene una Stella Imperitura"; "egli soggior­ na tra le Stelle Imperiture"; "egli è posto come principe tra gli Spiriti, gli Imperituri a Nord del Cielo"; "egli comanda alle Imperiture"; "egli traversa il Cielo con le Imperiture e naviga con esse".29 Una tale concezione "celeste" dell'oltretomba giocherà un ruolo preponderante nella creazione del paradiso "aristocratico" limitato al Faraone, opponendosi all'al­ tra, anch'essa antichissima, che localizza le regioni in­ fere in seno alla terra e che è alla base dell'oltretomba "democratico". Queste due tendenze originarie devono fronteggiare, ad un certo momento, due ulteriori concezioni che si sviluppano parallelamente: la dottrina "solare" e quel­ la relativa al mondo di Osiride. La prima, che trova in Eliopoli i redattori teologici, po­ ne al centro dell'azione Ra, il dio Sole, e determina la nascita di un paradiso solare che, appunto perché "ce­ leste", eredita le prerogative dell'antica dottrina stella­ re e viene anch'esso esclusivamente riservato al Farao­ ne . L'esclusione del popolo da questo paradiso è chia­ ramente attestata dagli stessi Testi delle Piramidi ove esistono passaggi altamente significativi. Così nei con­ fronti del re Teti è detto:30 "La tua acqua (cioè semen­ za) appartiene al cielo, le tue migliaia (i sudditi) alla terra." L'equivalenza di "migliaia" per "sudditi" è con­ fermata ulteriormente:31 "Unis è un dio che è più anti­ co del più antico, migliaia lo servono, centinaia gli fan31

no offerte ." E , più esplicitamente ancora, un altro pas­ saggio sottolinea l'esclusione del popolo:32 "Tu (il re) entri nelle porte (del cielo) che sono proibite al popolo (rekhit)." E : 33 "Sono schiusi per te i battenti del paradi­ so, sono aperti per te i battenti del cielo, quelli che ten­ gono lontano il popolo. " I rekhit34 indicano non solo il popolino ma la stessa borghesia e l'esclusione dai bene­ fici del paradiso celeste ha quindi carattere assoluto. A guardia delle porte del paradiso - come è tramandato nei Testi delle Piramidi35 - si trova Horo armato del suo magico giavellotto. Lo stesso sovrano deve trovarsi nelle condizioni rituali prescritte e superare varie difficoltà. Si richiede che sia "puro" - che abbia cioè subito la purificazione ri­ tuale - e, una volta per­ venuto all'oriente del cie­ lo dopo aver percorso lo spazio sotto varie forme, si trova a fronteggiare un Fig. 22. Vignetta dal Libro tortuoso lago36 ove lo at­ dei Morti, Papiro di Ani, capi­ tende un Giudice-Tra­ tolo XCIII. (British Museum). ghettatore, detto "Colui che guarda indietro", 37 il quale sottopone il nuovo ve­ nuto ad un severo interrogatorio. Ed ecco la necessità, anche per il re, di conoscere le formule appropriate e di saper fare buon uso delle regole della magia. Mediante questa, 38 ed impiegando persino delle minacce, egli rie­ sce a convincere il Caronte egizio a prenderlo sulla sua barca. Dato che i Testi delle Piramidi non recano illu­ strazioni, non abbiamo rappresentazione alcuna di questo interessante personaggio che sia contempora­ nea a tali testi, tuttavia nel capitolo XCIII del Libro dei Morti , Papiro di Ani, e nella recensione saitica qua­ le è il Papiro di Torino, appare una curiosa immagine 32

che qui si riproduce (fig. 22) e che rende chiaramente l'idea di questa divinità. Una volta ottenuto il desiderato traghetto, il re defunto viene ricevuto dal dio Sole come suo pari e talvolta co­ me suo superiore, 39 iniziando a godere le beatitudini paradisiache. Nei Testi dei Sarcofaghi40 il re "sale al cielo, si unisce al disco solare e si reincorpora a colui dal quale è pro­ venuto." È solo in epoca assai più tarda che, a seguito delle mu­ tate condizioni sociali e dell'aumentata influenza della casta feudale, i nobili furono ammessi nel paradiso re­ gio. Parallelamente alla dottrina solare-aristocratica che si sviluppa al vertice della piramide sociale, dalla base di questa sorge e prende piede la dottrina osiriana. La moderna critica storica è concorde nel riconoscere un fondamento di realtà nella primitiva leggenda: Osi­ ride avrebbe avuto infatti un reale prototipo predina­ stico in Anzty, un conduttore di clan, divenuto insegna del IX nomo nel comprensorio orientale a nord di Elio­ poli. Nei Testi delle Piramidi ricorre varie volte il suo no­ me :41 "Colui che è nel nome di Anzty, comandante su­ premo dei suoi nomi" e "Upuat che presiede all'Occi­ dente , Anzty, che presiede ai nomi dell'Oriente." Moret,42 esaminando i suoi attributi afferma che "tutto indica trattarsi di un eroe umano divinizzato". Due piume simmetriche ornano il suo capo e ciò indurrebbe a pensare a una possibile origine libico-mediterranea; nelle mani reca il bastone pastorale ed il flagellum per i buoi, simboli del capo di una primitiva comunità agri­ cola. Come sottolinea il citato autore,43 Anzty "simboleggia uno di questi capi che concentrano nella loro persona 33

l'autorità sino allora diffusa nel clan, egli installa i no­ madi sui territori, fonda le basi di una lavorazione me­ todica del suolo e crea le istituzioni che la rendono effi­ cace. " Questa tradizione è confermata dalla stessa insegna

DDDDDDD DDDDDDD Fig. 23. L'insegna del dio Anzty come risulta dal segno gerogli­ fico corrispondente.

totemica di Anzty (fig. 23) che poggia su di una base raffigurante le regolari divisioni del terreno, i nomi. 44 A un certo momento, nell'evoluzione storica, ad Anzty viene assimilata la figura di Osiride nell'aspetto di so34

vrano dell'Egitto; oltre ad assumere gli attributi del

fiagellum e del bastone pastorale, Osiride prende ad

Anzty anche le due piume che, poste ai lati della coro­ na dell'Alto Egitto, vengono a costituire il tipico copri­ capo osiriano (tav. 2). A seguito di tale assimilazione la figura di Anzty scompare totalmente dopo l'epoca dei Testi delle Pira­ midi , mentre ancora in questi una allocuzione riferita ad Osiride chiarisce la trasposizione di personalità: "Horo ti ha fatto vivere nel tuo nome di Anzty. "45 Il sacerdozio eliopolitano dovette affrontare non poche difficoltà per includere Osiride, quale erede di Anzty, nel proprio sistema teologico stellare ed aristocratico, in cui mal figurava un personaggio che, per quanto e­ roe, era pur sempre un essere umano ed il cui culto a­ veva carattere democratico . La teologia di Eliopoli era basata sulla concezione che il dio Sole Ra (Atum), autogeneratosi dal Nun (il C aos primèvo) avesse dato origine alla prima coppia divina: Shu (l'aria) e Tefnut (l'umidità) . Dall'unione di questa coppia primordiale erano nati Geb (la terra, che dagli Egizi fu considerata maschile) e Nut (il cielo, femmini­ le). Il padre Shu dovette a un certo momento interveni­ re per separare dall'amplesso questa coppia (fig. 24) e Ra, sdegnato, inibì a Nut la concezione in qualsiasi giorno dell'anno. Poiché la divisione di questo era basata sui trentasei decani ne risultava un anno di trecentosessanta giorni. Fu allora che Thoth, dio della saggezza e patrono delle scienze esatte, creò i cinque giorni epagomeni46 duran­ te i quali Nut fu in grado di concepire Osiride, Iside, Set e Neftis. La prima versione della leggenda osiriana si trova così esposta già nei Testi delle Piramidi e, seppur fram­ mentaria, rende chiaramente l'idea della sua più anti­ ca redazione. Ma la forma più completa e forse la più 35

pura47 ci è conservata in Plutarco.48 Osiride è il re buo­ no che , aiutato dalla sposa Iside, porta l'incivilimento al popolo su cui regna, insegnando l'agricoltura, le scienze e le arti. È evidente in questa presentazione la sintesi Osiride-Anzty. Ma Set, il fratello geloso, accecato dall'invidia, trama la sua morte. Secondo Plutarco egli riesce a compiere il delitto mediante un tranello per cui Osiride, fatto pe­ netrare con l'inganno durante una festa in una cassa,

Fig. 24. Il dio Shu solleva la figlia dall'amplesso con Geb. Vignetta del Libro dei Morti dal papiro di Nestanebasheru . (Bri­ tish Museum) .

poi sigillata con del piombo fuso, viene gettato nel Nilo all'imboccatura tanitica. Una variante di questa ver­ sione attribuisce a Set un altro tranello: egli avrebbe infatti convinto la moglie Neftis a rubare la profumata veste della sorella Iside e a giacere con Osiride sulla riva del Nilo, profittando della grande somiglianza esi­ stente tra le due sorelle . 49 Da questo rapporto sarebbe poi nato il figlio spurio Anubis. Mentre Osiride, sfinito 36

dalla voluttà, dormiva di un sonno profondo, Set ne profittò per compiere il suo nefasto disegno. La pietosa Iside riuscì comunque a trovare il cadavere del marito che occultò in un luogo recondito. Ma Set, trovandosi una notte a caccia, vide, alla luce lunare, il sarcofago del fratello. Mosso da ulteriore ira fece scem­ pio del corpo di questi dividendolo in quattordici parti che sparse in giro onde renderne impossibile il ritro­ vamento. Tuttavia Iside, postasi nuovamente alla ri­ cerca su una barca di papiro, rintracciò le sparse mem­ bra eccettuato il phallus che era stato divorato da un pesce . In ogni luogo ove rinveniva un frammento del corpo dello sposo essa volle innalzare un santuario ad perpetuam rei memoriam. Allorché rintracciò la testa di Osiride tra i fiori di loto, pianse su di essa lunga­ mente : fu a questo punto che gli occhi dello sposo, fer­ mati dalla morte, si aprirono e il raggio d'amore che ne partì fece concepire a Iside il figlio Horo. Va ricordato che tutte le tombe di Osiride in Egitto e­ rano situate in isolotti circondati da alberi e questo fat­ to, data la remota antichità cui si riconnette, 50 potreb­ be dare qualche indicazione sulle origini del predina­ stico Anzty. Horo, cresciuto in Abido, promosse una guerra di libe­ razione del paese dal giogo dello zio Set, guerra che si concluse con la sconfitta di quest'ultimo. Ma Iside non volle che egli venisse ucciso ed anzi, tagliando le corde che lo legavano, fece sì che recuperasse la libertà.51 Neftis si era alleata con la sorella nella ricerca di Osi­ ride ed entrambe vennero chiamate "Le Due Vedove". Infine Iside e Horo, convocati tutti gli dèi nel palazzo di Tebe, fecero portare l'arca contenente il corpo di Osiride e, mediante un rituale cui gli stessi dèi presero parte, risuscitarono il defunto che ascese nell'apoteosi dell'immortalità assieme alla sua divina sposa. Questa, in sintesi, la tradizione riportata da Plutarco . 37

Nei Testi delle Piramidi viene descritto il tranello di Set,52 la ricerca disperata del cadavere da parte di Isi­ de, 53 la reintegrazione del corpo ad opera della madre Nut, corpo cui gli dèi infondono vita novella.54 La concezione di Horo, nella versione dei Testi delle Pi­ ramidi , avviene attraverso la metamorfosi di Iside in avvoltoio che, postosi sul corpo del defunto marito, di­ viene miracolosamente incinta55 (tav. 5). Seguono quindi le vicende della lotta tra Horo e Set e della vit­ toria del primo, nonché il giudizio divino che stabilisce Horo sul trono del padre Osiride mentre questi diviene il patrono dei morti. È evidente che gli spunti "umani" della leggenda osi­ riana dovettero esercitare facile presa sulla fantasia popolare tanto che il culto di Osiride assunse propor­ zioni tali da costringere il sacerdozio eliopolitano ad ammetterlo nella propria teologia. Ciò non rappresentò certamente una facile opera di sintesi e il ricordo del­ l'urto tra la primitiva concezione "aristocratica" solare e quella "democratica" di Osiride è documentato da al­ cuni passaggi degli stessi Testi delle Piramidi a carat­ tere nehamente "antiosiriano". E siste persino ur�.3. fvrmula56 diretta contro varie divi­ nità, tra cui Osiride, e ad ognuna di esse viene ram­ mentato qualche episodio poco edificante della propria vita in modo che, attraverso la conseguente umiliazio­ ne, se ne impedisca la venuta. Tra l'altro è detto: "Non lasciate venire qui Osiride in quella malvagia venuta che è la sua . . . Vattene ! Corri a Nedit! Presto, corri ad Adj a ! " Adja, secondo la tradizione , era il luogo ove Osi­ ride sarebbe stato ucciso e gettato in acqua. 57 Drioton,58 studiando i passaggi in cui appare manifesto il contrasto tra la dottrina solare e quella osiriana, ri­ tiene che questi siano l'eco di una contesa religiosa che avrebbe straziato l'Egitto, una vera e propria "guerra 38

di religione" con le sue reazioni popolari, ed ha notato che la formula della "cattiva venuta" contro Osiride, sopra riportata, è trascritta nei Testi delle Piramidi in una lingua "nettamente più arcaica del contesto della compilazione". Come osservò Breasted,59 non vi è nulla nel mito di Osiride né nel carattere delle leggende ad esso relative che suggerisca un oltretomba celeste, mentre sopravvi­ ve chiaro il ricordo della opposizione delle due dottrine, quella aristocratica e quella democratica. Altri passaggi nei Testi delle Piramidi , riferiti al sovra­ no defunto, accentuano tali tendenze :60 "Tu (il re) guardi su Osiride che comanda il glorioso (il defunto comune). Là stai tu, tenendoti lontano da lui, poiché tu non sei di quelli (dei morti), tu non appartieni a loro." Infatti il re morto ha "orrore della terra"61 e il dio Sole interviene di persona:62 "Egli libera il re dal dio in bas­ so e non lo dà ad Osiride poiché egli non deve morire la morte. " Tuttavia i l mito d i Osiride, sotto la spinta preponde­ rante dei suoi fedeli ed in armonia con il lievitare di profonde modifiche sociali, guadagna terreno a piè so­ spinto e lo stesso re defunto, in altri passaggi dei Testi delle Piramidi di redazione più recente,63 viene assimi­ lato ad esso, ma sempre senza alcun riferimento al pa­ radiso celeste. In una formula per il re64 si dice: "Come tu hai il tuo cuore, Osiride, come tu hai i tuoi piedi, Osiride, come tu hai le tue braccia, Osiride, così egli (il re defunto) ha il suo cuore, i suoi piedi, le sue braccia." A partire dalla fine della sesta dinastia e cioè dal co­ siddetto "Primo Periodo Intermediario", attraverso una vera e propria rivoluzione democratica di cui in modo incerto e frammentario è giunta a noi l'eco, avviene la diffusione dei "Segreti del Palazzo". 39

Questi erano costituiti dalle formule e dalla rituologia per assicurare l'immortalità celeste al Faraone. Il Pa­ piro di Leyda65 che descrive il marasma in cui viene a trovarsi l'Impero durante quel periodo ha un passaggio significativo: "Dalla splendida Sala del Giudizio ven­ gono portati via gli scritti. Gli incantesimi magici ven­ gono divulgati e non hanno più potere poiché il popolo li ha in mente. Il segreto degli imbalsamatori è svelato. Le leggi della Sala del Giudizio son gettate nel vestibo­ lo, gli uomini le calpestano ed il povero le straccia. Il popolo ha conquistato la condizione dell'Enneade (lett. "Compagnia dei Nove Dèi", cioè il potere di essere di­ vinizzato come prima lo era solo il Faraone). La proce­ dura della Casa dei Trenta è divulgata . . . " Osiride, una volta conquistato il suo posto di "Sovrano del Dat" (cioè dell'oltretomba) e di Giudice dei Morti, mantiene questa sua posizione attraverso tutte le epo­ che della storia religiosa d'Egitto: la sua sede è "nella terra", mentre il dio Sole percorre i cieli nel suo quoti­ diano viaggio visitando di notte le regioni infere. Una prova della conquista democratica dello stesso pa­ radiso celeste si trova nel capitolo XV del Libro dei Morti66 in cui il defunto comune afferma: "Io esco verso il cielo, viaggio attraverso il firmamento ed entro in contatto con le Stelle ." Ma non mancano testimonianze in epoca tebana, allor­ ché il culto di Osiride si era totalmente imposto e gene­ ralizzato, di forti tendenze solari nello stesso oltretom­ ba terrestre . In varie scene del "Giudizio dei Morti" as­ sistiamo infatti alla sostituzione del dio Sole Ra ad Osiride sul trono di Giudice Supremo. Ciò è documen­ tato da alcuni sarcofaghi conservati nel Semitic Mu­ seum della Harward University e del City Museum di Sheffield, studiati da J. Capart,67 da un bassorilievo della porta di Neferhotep, ora a Bruxelles, nonché da papiri, tra cui uno del Museo del Cairo (tav. 6) in cui il 40

defunto è riprodotto in atto di adorazione innanzi a Ra, assiso sul trono che de jure spetterebbe a Osiride. Questa tendenza verso un giudizio "solare" del defunto è attestata nei Testi delle Piramidi in cui Ra figura come Presidente del Tribunale. 68 I Testi dei Sarcofaghi a loro volta menzionano Ra nell'atto di pesare la giu­ stizia69 e in un Inno ad Osiride dell'epoca di Tell el Amarna70 così è detto: "Salute a te ( Osiride giustifica­ to), tu sorgi come Ra all'orizzonte . Il suo disco è il tuo disco, la sua immagine è la tua immagine, la sua po­ tenza è la tua potenza." La sostituzione di Osiride a Ra, oltre a manifestare la sopravvivenza delle idee solari, riveste un aspetto par­ ticolarmente interessante ai fini del nostro studio e cioè di quella avventura dell'uomo nel mito testimonia­ ta dai "Misteri" iniziatici. È noto infatti che sia il ritua­ le funerario che quello della "Iniziazione" misterica tende ad assimilare il defunto o l'iniziando a Osiride, quale prototipo dell'individuo che, avendo "vinto la morte", simboleggia la conquista dell'immortalità. Ora, mantenendo inalterato il rapporto di identifica­ zione di cui sopra, allorché alla immagine di Osiride eroe umano divinizzato - si sostituisce quella di Ra principio divino solare - consegue la possibilità di iden­ tificazione da parte del defunto o dell'iniziando, non più col patrono dei morti ma con lo stesso dio Sole. A questa concezione va riferito un importante testo della letteratura magico-religiosa dell'antico Egitto: Il Libro di Ciò che è nel Dat o Libro degli Inferi che for­ malmente descrive il viaggio compiuto dal dio Sole du­ rante la notte nelle regioni infere, ma che in sostanza si è dimostrato un manuale tecnico iniziatico.71

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L'universo matematico. Il culto di Maat, dea astratta della Verità e della Giustizia. Il Bene e il Male. L'idea di un ordine cosmico retto da leggi matematiche fu chiaramente percepita dagli antichi Egiziani sin dalle più remote ere della loro storia. Le osservazioni tratte dalla volta stellata, il periodico ricorrere delle stagioni, il susseguirsi della notte al giorno, furono in­ discutibilmente elementi tutti che giocarono il loro ruo­ lo nella dimostrazione delle leggi di armonia reggenti il cosmo dall'epoca della sua creazione. Già all'epoca dei Testi delle Piramidi la figura del de­ miurgo Ra è focalizzata - nel mito cosmogonico elabo­ rato dal sacerdozio di Ermopoli - sulla collina sorta dall'oceano del Nun. Da questo luogo Ra si manifesta "dopo aver messo Maat là ove prima era il Caos". Prendiamo contatto così con un termine che di per se stesso costituisce una chiave alla comprensione. "Maat" racchiude infatti i significati di "ordine", "verità", "giu­ stizia". Nel mito cosmogonico dunque, all'Universo in­ forme, al Caos, viene sostituita la creazione ordinata. Nella composizione del vocabolo egizio maat, appare il simbolo del cubito, lo strumento impiegato dagli anti­ chi Egiziani per le misure lineari: un primo accosta­ mento al concetto matematico. Pierret72 giustamente osserva: "Chi dice verità, dice conformità dell'idea col suo oggetto, il cui contrario è l'errore; conformità di ciò che si dice con ciò che si pensa, il cui contrario è la menzogna . . . La conformità si prova con la comparazio­ ne, così il vocabolo egiziano ha per determinativo e per ideogramma lo strumento tipo della comparazione e della misura: il cubito o regolo." "Maat", termine astratto,73 riappare sia in copto che in babilonese e in greco. In quest'ultima lingua le radici �-ta, �-ta9, �-tE't "ma", "math", "met", entrano nella compo­ sizione di vari vocaboli contenenti l'idea della ragione e 42

della misura: f .ui9-ru..t a , mathema = "disciplina, scienza" donde JlU9-TJJlU'ttK6ç;, mathematikòs = "matematica", ,.ui9-T]crtç;, mathesis = "imparare, disciplina", JlU9-TJTEuro, matheteuo = "istruisco"; JlÉTpro, metro = "misuro", f.lÉTPTJf.lU, metrema = "la misura", f.lÉTptOç;, metrios = "mi­ surato, di giusta misura". E il termine latino materia può connettersi allo stesso ordine di idee nel senso di "ciò che può essere misurato". Se riandiamo all'inizio del Papiro Rhind troveremo questa affermazione: "Il calcolo accurato: la porta d'ac­ cesso alla conoscenza di tutte le cose e agli oscuri mi­ steri. " L a conoscenza della verità poggia s u basi matemati­ che, le stesse che ritroviamo nell'ordinamento cosmico. Non vi può essere verità o giustizia in senso assoluto se non promanante da questo ordine superiore ed in­ violabile . Donde, l'equivalenza in egiziano dei tre ter­ mini "verità", "giustizia", "ordine". Ed è Maat (tav. 7), la dea che personifica questi tre concetti, a comparire nel pantheon egizio senza alcun luogo particolare di venerazione, senza santuari, ma con un culto giornaliero amministrato dallo stesso Fa­ raone. 74 La statuetta muliebre che la rappresenta, col capo ornato dalla tipica piuma, viene recata quotidia­ namente alla statua del dio supremo conservata nel recesso templare. "Io vengo a te - inizia il Faraone - io sono Thoth e reco Maat a mani giunte . . . Maat è venuta per essere con te, ella si trova ovunque tu ti trovi . . . Salute a te ! Munisciti di Maat o Creatore di tutto ciò che esiste, Creatore di ciò che è . . . Tu sorgi con Maat, tu vivi di Maat, tu unisci le tue membra a Maat, tu fai si che Maat si posi sul tuo capo erigendo sede sulla tua fronte. Tu gioisci alla vi­ sta di tua figlia Maat. . . Ecco venire gli dèi e le dee che sono con te recando Maat: essi sanno che tu vivi d'essa . . . Il tuo occhio destro è Maat, quello sinistro è •

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Maat, le tue carni e le tue membra sono Maat, ciò che tu mangi è Maat, la tua bevanda è Maat . . . I due emi­ sferi terrestri giungono a te recando Maat per donarti tutta l'orbita del disco solare . . . Maat si unisce al tuo disco solare . . . Thoth ti dona Maat, con le sue mani po­ ste sulle sue bellezze innanzi al tuo volto . . . Il tuo Ka ti appartiene quando Maat ti adora e le tue membra si uniscono ad essa . . . Tu esisti poiché Maat esiste e, reci-

Fig. 2 5 . Simbolo della dea Maat dal papiro della regina Kamara. (Museo del Cairo).

procamente, ella penetra nella tua testa e si manifesta innanzi a te per l'eternità . . . Due volte stabile è Maat: ella è l'Unica e sei tu che l'hai creata . . . Tu solo la pos­ siedi per sempre, eternamente ." Maat, come appare anche dall'estratto di questa invo­ cazione, è figlia di Ra, ma il padre non può vivere sen­ za questa figlia. Ra creatore e le leggi matematiche che reggono l'universo manifestato sono strettamente uniti e i limiti dell'onnipotenza demiurgica sono stabiliti ap­ punto da tali leggi. Simbolo geometrico di queste idee di ordine è il rettangolo da cui sorge la testa della dea che delimita anche il cosiddetto "Lago della Verità" (fig. 25). Thoth, patrono delle scienze esatte, figura come sposo 44

di Maat, anzi, più precisamente, come il suo "feconda­ tore".75 Entrambe le divinità sono presenti nella ceri­ monia della "psicostasia" o pesatura dell'anima del de­ funto, sottolineando l'immanenza di quelle leggi di or­ dine e di giustizia cui debbono conformarsi sia gli dèi che gli umani. Anche gli dèi, infatti, "vivono di Maat" e a questo proposito H. Frankforf6 osserva come "la ten­ denza a concretare ogni concezione porta gli Egiziani ad affermare che gli dèi vivono di Maat: e ciò significa che le forze immanenti della natura agiscono in armo­ nia con l'ordine del creato". Nelle coordinate di queste leggi procede il raggio della creazione del Logos solare, manifestandosi nei vari piani di esistenza. Anche le polarità "bene" e "male" vengono ricondotte a queste leggi inflessibili, lontane da qualsiasi idea mistica o etica in senso corrente. Per gli Egiziani infatti il "bene" fu concepito come "ordine", come "armonia", riflesso cioè sul piano terrestre delle superiori leggi divine di Maat: l'ordine sociale a sua volta doveva riflettere l'ordine cosmico. "Fare il bene" equivaleva a trovarsi in armonia con la Natura e la rottura di questa armonia, col conseguente ritorno al Caos, corrispondeva al "male". Di qui può comprendersi - e preciseremo più avanti tale concetto ­ come gli Egiziani non avessero affatto l'idea del penti­ mento. Poiché il male era una violazione di leggi mate­ matiche, ne conseguiva automaticamente la creazione di una forza necessitante, capace di riequilibrare l'or­ dine turbato: ad una "colpa" conseguiva inderogabil­ mente un "castigo". L'antitesi di Maat fu Asfet cioè l'ingiustizia77 e, a que­ sto proposito, è opportuno ricordare il contenuto di una stele78 in cui è detto: "Io ho agito in Maat (cioè con giu­ stizia); io non ho provocato Asfet (cioè disordine)." La personificazione, su piano divino, del male fu Set ­ dai Greci identificato in Tifone - principio delle forze 45

umide e caotiche ed antitetico quindi al principio sola­ re impersonato da Ra. Nella traduzione del Papiro Ma­ gico del Vaticano79 ebbi modo di soffermarmi su questo personaggio e non sarà fuor di luogo riprendere qui i concetti già esposti. Set, nello scongiuro magico che formava oggetto di tale papiro, appariva come una en­ tità necessaria. Non solo, ma saliva sulla stessa barca di Ra, venendo dichiarato "giusto di voce". Questo con­ cetto di entità malefica, ma necessaria, non è nuovo al­ la dottrina egiziana. Nello stesso mito di Osiride, allor­ ché Set, vinto da Horo, appare in ceppi, abbiamo visto come Iside lo liberi dalle corde che lo avvincono. Come entità totemica, Set è il conduttore di clan che manterrà la propria personalità nell'XI e nel V nomo dell'Alto Egitto, ma particolarmente ad Ombos, presso Negadah (centro della prima civiltà predinastica), dove F. Petrie individuò nel 1895 una necropoli ed un tem­ pio in cui abbondavano iscrizioni e dediche a "Set l'Om­ bita". Tale influenza si perpetuò nelle prime dinastie tinite, i cui sovrani non disdegnarono di assumerlo co­ me patrono eponimo, a fianco di Horo, simboleggiando la fusione dei due regni dell'Alto e del Basso Egitto. Nei Testi delle Piramidi egli è chiamato "Set che risie­ de a Nubt (Ombos), Signore dell'Alto Egitto". L'ico­ nografia faraonica non disdegna pertanto di riprodurre il sovrano in mezzo ai due opposti poteri, Horo e Set, entrambi in atto di benedirlo (tav. 9): motivo che viene assunto nella liturgia templare quotidiana. 80 Note sono le vicende della lotta di Set contro Horo l'An­ tico, patrono del Basso Egitto, e se quattro sono gli a­ spetti sotto i quali un mito può essere indagato dallo ierologo, e cioè il poetico, lo storico, l'uranografico ed il cosmologico, possiamo dire che il secondo, quello stori­ co, adombri qui le vicende predinastiche dell'Egitto con le relative fazioni in lotta per il predominio del paese . Nell'acme della furibonda rissa tra i due rivali, Set rie46

sce a cavare un occhio a Horo e questi in risposta gli stacca i testicoli. Sono le fasi alterne nella lotta dei due princìpi. Ma ecco apparire Thoth, colui che controlla la Divina Bilancia, il quale pacifica i due contendenti, sa­ nando, per prima cosa, gli organi avulsi. Il mito riappa­ re in epoca più tarda nella lotta tra Set e Horo il Gio­ vane, vendicatore del padre Osiride. I Testi delle Pira­ midi ci tramandano le fasi di tale lotta e il verdetto del tribunale divino: a Horo viene data la sovranità sul Basso Egitto, a Set quella sull'Alto. Un osservatore superficiale rimarrà certamente per­ plesso di fronte all'apparente ingiustizia e si chiederà come mai il male, nelle risoluzioni finali, anziché esse­ re annientato, continui a permanere venendo anzi "giustificato". Un certo aiuto per la comprensione di quanto sopra, ci è fornito dalla tradizione zohariana, che mostra la fusione delle concezioni templari egizie con quelle di Israele, forse anche maturata nel periodo di cattività di quel popolo in Egitto. Le tradizioni che noi abbiamo esaminato concordano nel riconoscere la necessità del male stesso, poiché le creature spirituali, nella risoluzione finale dei cicli, torneranno all'unità originaria dopo aver trionfato del male e lo stesso ma­ le, riassorbito, non sarà che l'attestazione dell'antica resistenza, compiendo quanto nella tradizione zoharia­ na è detto: "Alla fine dei tempi si toglierà dal nome di Samael (nome del demonio) il Sama (in ebraico "vele­ no") e non resterà che El, formula di consacrazione a Dio che si ritrova nei nomi di tutti gli Angeli."81 È questa, in fondo, la visione di Victor Hugo: "L'Archange resuscite et le démon finit Etj'efface la nuit sinistre et rien n'en reste Satan est mort, renais o Lucifer celeste!"

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2. Il problema della morte

Il problema della morte e le condizioni per la sopravvi­ venza La morte, frattura definitiva nella coordinazione gene­ rale delle funzioni del vivente, fu considerata dagli an­ tichi Egiziani come elemento fondamentale delle leggi governanti sia il macrocosmo sia il microcosmo. Ma il concetto che la corruptio unius est generatio alterius, l'idea dello sfociamento dello spirito nell'universale, il riassorbimento nell'eterno ciclo del divenire, ripugnava alla coscienza individualistica dell'Egiziano con mag­ gior veemenza forse che presso qualsiasi altro popolo . E non lo assisteva la convinzione consolante di un di­ ritto alla immortalità elargitogli in uno con la vita fisi­ ca o di un oltretomba paradisiaco il cui accesso fosse solo subordinato a pratiche etiche o cultuali. Donde l'inizio della titanica lotta per sottrarre il proprio Ego all'annientamento. Dall'esame della concezione stellare e di quella osiria­ na in precedenza condotto, è emerso come la conquista dell'Aldilà fosse subordinata a determinate condizioni. Tale conquista può essere definita la "Seconda Nasci­ ta"1 e comprende tre distinte categorie . La prima è rappresentata dal Faraone: anche questi, come si è visto, per raggiungere il suo paradiso celeste deve essere in condizioni "tecnicamente" idonee, supe­ rare un "Giudizio" rispondendo adeguatamente ad un interrogatorio e far persino ricorso alle arti della magia. Ma il diritto alla sopravvivenza era già acquisito al momento della sua accessione al trono. È stato infatti osservato da vari studiosi il carattere ad un tempo ma49

gico e religioso oltreché politico dei riti che precedeva­ no l'incoronazione sul trono delle Due Terre (l'Alto ed il Basso Egitto), attestati sin dall'epoca tinita e confer­ mati dalla stele di Palermo della quinta dinastia. 2 La cerimonia di consacrazione regia ribadiva il carat­ tere di dualità della monarchia faraonica, l'unione simbolica dell'Alto e del Basso Egitto sotto una stessa corona e comprendeva una serie di riti tendenti a sta­ bilire un rapporto diretto tra la figura del sovrano e le forze cosmiche alle quali egli doveva attingere, per il proprio benessere e per quello del suo popolo, forza e vitalità. Questa cerimonia, detta Heb-Sed, aveva carat­ tere giubilare venendo più volte ripetuta durante la vi­ ta del Faraone onde perpetuare l'assimilazione dei fluidi vitali, periodico "bagno di gioventù", testimo­ niante altresì, con la rituale corsa innanzi ai rappre­ sentanti dei 42 nomi, la piena efficienza del sovrano. Potrebbe qui rivivere l'antica concezione, pertinente al substrato africano, del sacrificio rituale del re, quando le forze venivano a mancargli, adattata nella forma al nuovo assetto civile. Sed inoltre significa "coda", quella stessa che pende dalla veste del sovrano durante tale cerimonia e che è propria anche a varie divinità, adom­ brando il senso misterico della "rinascita animale" su cui avremo modo di soffermarci e che potrebbe risalire all'epoca preistorica come documentato dalle pitture rupestri. In virtù di questi riti, il Faraone diveniva un Horo, un riflesso dell'antichissimo dio solare, confermando così l'avvenuto congiungimento tra la sua persona e le forze cosmiche. Salendo al trono egli infatti assumeva il no­ me "H oro", uno dei cinque costituenti il protocollo regio e precisamente quello definito anche "nome del Ka": il sovrano consacrato era divenuto il Ka di Horo, il rifles­ so divino in terra. Pertanto, come osservò A. BadawV ogni Egiziano che, sia pure attraverso circostanze poli50

tiche e non per nascita, fosse salito al trono, sarebbe stato divinizzato attraverso i riti connessi alla carica assunta. Tale comunione con le forze cosmiche, stabilita nella cerimonia di accessione, veniva mantenuta mediante un rituale giornaliero di cui esamineremo in seguito alcuni aspetti. La seconda categoria dei candidati all'immortalità è rappresentata dagli "Iniziati", da coloro cioè che me­ diante il rituale della iniziazione misterica "avevano vinto la morte" già durante la propria esistenza terre­ na. Poiché, in definitiva, lo scopo dei Misteri è uno: si tratta di affrancarsi dalle catene della trasmigrazione animica, "fissandosi" nello stato di pura individualità non soggetta ad ulteriori modifiche, oppure unendosi, se tale è la via prescelta, all'essenza stessa della divi­ nità. A tale categoria potrebbe riferirsi la formula riprodotta su varie stele funerarie: "Ink is maa hereu tep ta", [lo fui veramente (uno) giustificato sulla terra] . La quali­ fica "giustificato" viene infatti attribuita, nella prassi funeraria, al defunto dopo che questi ha felicemente superato il giudizio del supremo tribunale osiriano. Conseguentemente la giustificazione in terra, di cui al­ la formula citata, induce a pensare ad · un avvenimento simile all'esperienza del defunto, verificatasi però tep ta, "sulla terra", cioè durante la vita del personaggio. Tale formula potrebbe però essere anche riferita ad una cerimonia poco nota in cui appare una "Corona di Giustificazione" citata nel capitolo XVIII del Libro dei Morti. 4 Si tratta di un costume funerario rimarcato già da Diodoro, consistente nel sottoporre la mummia, prima della sepoltura, ad un giudizio preliminare ana­ logo a quello che il defunto avrebbe dovuto subire in­ nanzi al tribunale di Osiride. Naturalmente l'esito di tale giudizio era favorevole e, 51

alla sua conclusione, la mummia riceveva la "Corona di Giustificazione" floreale. Sono tuttora oscure le modalità del rito e l'epoca in cui presumibilmente venne in uso. I testi, di epoca tarda, che ad esso si riferiscono, presentano un formulario più o meno standard. Così in Edfu, I, 62-63 , è detto: "Ac­ cetta, ti prego, questa bella Corona di Giustificazione: io la lego attorno alla tua testa affinché tu viva . . . " ; e in Edfu, III, 141-142 : "Accetta, ti prego, questa bella Co­ rona di Giustificazione che ho intrecciato per tuo padre Atum. Gli dèi sono riuniti, per darti la tua funzione . . . Ti ho presentato l a corona a destra e a sinistra e l'ho posta sulla tua testa in modo che tu sia giustificato come Unnofre (Osiride) . . . " Tra gli accessori da viaggio di Tutankhamon, prove­ nienti dalla sua tomba ed ora al Museo del C airo, vi è una cassetta con questa iscrizione: "Tu contieni la ghir­ landa di giustificazione che è destinata al collo di Un­ nofre." Una simile corona potrebbe essere paragonata a quella di rose che Apuleio5 pone in mano al Gran Sacerdote di Iside e che simboleggia appunto la conquistata vittoria. Anche secondo Plutarco i vincitori della morte ricevono "la corona degli iniziati e dei trionfatori". Il rito egizio era ispirato alla magia imitativa con l'in­ tento di aiutare il defunto a superare il verdetto del tribunale effettivo di Osiride. La terza categoria di candidati alla sopravvivenza, la più vasta, è rappresentata da tutto il resto del popolo per il quale il rituale funerario diviene la conditio sine qua non. Ed era così radicato nell'animo dell'antico E­ giziano il desiderio di possedere già da vivo la tomba con le sue dotazioni e nello stesso tempo l'orrore per la mancanza di appropriati funerali, da spingerlo ad an­ teporre la soluzione di questo problema ad altre cure .6 Inoltre, se lo stesso Faraone è soggetto ad un giudizio 52

preliminare, a fortiori ciò doveva verificarsi nel caso dei comuni mortali. Ma prima di addentrarci nell'e­ same della "psicostasia" o "pesatura dell'anima", come è stato definito il giudizio dei morti, è opportuno esa­ minare gli elementi costitutivi dell'individuo secondo la tradizione egizia.

Principi costitutivi dell'individuo L'analisi degli elementi che, nella dottrina egizia, co­ stituivano l'individuo è complicata dalla mancanza di un'adeguata terminologia da impiegare nella traduzio­ ne degli originali. La nostra mentalità attuale non è nelle migliori condizioni per afferrare tutte le sottili sfumature metafisiche di quella remota civiltà. Il voler ridurre tutto in schemi tecnici obbligati, rigorosamente razionali, determina un orientamento non sempre a­ datto alla comprensione di quanto stiamo esaminando. Come ebbi già a sottolineare, 7 interpretare processi psicologici rimontanti ad ere così remote, mediante la mentalità moderna, è un grave errore, in quanto viene proiettata nel lontano passato la nostra logica che non ha valore assoluto e permanente e che tende a trovare la soluzione dei vari problemi nel "come ci saremmo comportati noi in simili circostanze". Poiché stiamo ora trattando il problema escatologico, è soprattutto il de­ funto ad essere oggetto della nostra analisi, più che l'individuo vivo. Con la morte il corpo umano diviene un cadavere, ter­ mine che in egiziano è reso con Khat8 e che trovasi già impiegato nei Testi delle Piramidi .9 Il suo determinati­ vo è una pustola, segno che entra in altri vocaboli con lo specifico senso di "putrefazione". 10 Etimologicamente tale termine viene ricondotto da alcuni studiosi a Khat, "bastone", dato che esiste una espressione: "trasmette53

re il bastone al sarcofago" per indicare l'immissione del cadavere nella cassa funebre. 11 Comunque il Khat indi­ ca il cadavere soggetto alla putrefazione (il