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Italian Pages [184] Year 2013
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Michele Fasolo
Tyndaris
e il suo territorio Volume I Introduzione alla carta archeologica del territorio di Tindari
MediaGEO
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Michele Fasolo
Tyndaris
e il suo territorio
VOLUME I Introduzione alla carta archeologica del territorio di Tindari
MediaGEO
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Ringraziamenti
A conclusione della ricerca condotta tra il 2010 e il 2012 nel territorio di Tindari, con la pubblicazione di questo primo volume introduttivo alla carta archeologica, desidero esprimere la mia profonda riconoscenza alle tante persone che mi hanno accordato generosamente la loro disponibilità e il loro aiuto nel corso del lavoro. Senza il loro contributo questo libro non sarebbe stato realizzato. Giovanni Uggeri, mio Maestro, e intervenuto con suggerimenti preziosi fin dalla progettazione della ricerca e in tutte le fasi successive. La sua presenza sul terreno insieme a Stella Patitucci nei primi giorni della prospezione intensiva di superficie - quando i primi passi sono per l’appunto i più difficili e incerti - mi ha dato sicurezza e incoraggiamento. Ho avuto la fortuna di poter contare sulla cortesia e la scienza anche di altri studiosi insigni come Oscar Belvedere, mio tutor, anche lui diverse volte nei campi di Patti insieme ad Aurelio Burgio. Giacomo Manganaro è stato per me un punto di riferimento rilevante, a lui ho potuto richiedere pareri e consigli e discutere dei risultati man mano che andavano profilandosi; Ewald Kislinger ha letto alcune mie sintesi fornendomi suggerimenti importanti; con Antonino Saggio ho potuto discutere degli aspetti legati alle scelte di pianificazione e di gestione del territorio e ai futuri progetti. Mi ha accompagnato sempre in questi anni la memoria di un altro amico, Giacomo Scibona, farmaco, perché esempio di tenacia e di tensione etica nei molti, inevitabili, momenti di sconforto. Gabriella Tigano e Maria Ravesi della Soprintendenza di Messina hanno costantemente seguito con gentilezza, attenzione e disponibilità il lavoro e oltre a loro ho potuto avvalermi della competenza di Maria Clara Martinelli. Mi hanno accompagnato assiduamente durante le ricognizioni, condividendo fatiche, qualche pericolo e soddisfazioni per le tante scoperte fatte insieme, diversi amici: Giovanni Rizzo, Cristian Aiello, Carmelo Bongiorno, Fabrice Frontino, Tindaro Piccione, Carlo Emanuele Tricoli, Giuseppe Vecchio, Davide Siragusano e mio cugino Giuseppe Rosario Ascenzio. Nelle varie localita di Patti vorrei ricordare con particolare gratitudine Antonietta Romano e Giuseppe Piccione che mi hanno piu volte ospitato nella loro abitazione, Filippo Tricoli e Mariella Zingale nella cui casa di Locanda ho soggiornato e che mi hanno introdotto presso parenti e conoscenti a Tindari, Mario di Bua e Sebastiano Arrigo, Angelo Caputo, Anna La Mancusa e Franco Schepisi con Mike e Carmelo, Basilio Triscari, Francesco Pagana, Enzo Pantano, Nino Loiacono, Giuseppe Pintaudi, i miei cugini Salvatore Agnello e Pippo Natoli, Pasqualino Anversa, Nino Granata, Carmelo e Tindaro Florio, Filippo Campisi, Nino e Valeria Furnari, Natalia Mollica, Michele Spadaro, Nicola Calabria; alcuni sacerdoti della diocesi di Patti: padre Pippo Gaglio, don Pio Sirna, don. Francesco Pisciotta, mons. Gaetano de Maria. Ho ricevuto molte informazioni da Giovanni Sciacca e Giovanni Crisostomo Sciacca. Ricordo la vicinanza di Oscar Parasiliti, Giuseppe Pantano, Filippo Imbesi, Nicola Siragusa, Francesco Giunta, Salvatore Antonio Natale, Piero Santino Coppolino, Piero Gazzara, Giovanna Darcho e Nina Biondo. Preziosa è stata l’amicizia e rilevanti i contributi apportati al mio lavoro da Gianfranco de Rossi, Renzo Carlucci, Francesca Salvemini, Alfonso Quaglione, Roberto Graciotti, Enrico Gallocchio, Basilio Segreto, Fausto Bianco, Gerardo d’Andreta, Salvatore Costabile, Paola Puccia, Massimiliano Stampacchia, Roberto Ceci. Impareggiabile per generosita e competenza e stato Vincenzo Grana. A Stefano Proietti si deve il progetto grafico e la cura paziente del volume sino alla stampa. Cinzia Di Stefano ha letto piu volte le bozze mentre era in attesa che nascesse Valerio. Lidia con Antonio e Maria Cristina sono stati sempre al mio fianco con affetto.
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Indice “Tindari e il suo territorio: dalla carta archeologica al piano di massima per la valorizzazione e la tutela dei beni culturali” Pag. 7 | 1. Introduzione alla ricerca e aspetti metodologici. 1.1. Premessa. 1.2. Obiettivi della ricerca. 1.3. Delimitazione del contesto topografico oggetto della ricerca. 1.4. Metodi e strumenti di ricerca. 1.4.1. La prospezione intensiva. Pag. 18 | 2. Il territorio. 2.1. Introduzione. 2.2. Cartografia. 2.3. Assetto geologico-strutturale e caratteristiche litologiche. 2.3.1. Le cave di argilla. 2.3.2. Settore a ovest del torrente Timeto. 2.3.3. Settore a est del torrente Timeto. 2.4. Aspetti climatici. 2.5. Processi geomorfologici. 2.6. Idrografia e caratteristiche idrogeologiche. 2.6.1. Idrografia. 2.6.2. Caratteristiche idrogeologiche. 2.7. Pedologia ed uso attuale del suolo. 2.8. Terremoti. Pag. 37 | 3. La memoria storica. Storia degli studi e della ricerca archeologica. 3.1. La continuità del toponimo Tindari e la comparsa di quelli di Patti, di Oliveri e di Scala. 3.2. Le conoscenze nei secoli XIII – XIV tra ricostruzione mitica e confusione romanzesca. 3.3. Dalle descrizioni geografiche erudite al riscontro autoptico sul terreno delle fonti antiche. 3.4. La ricerca antiquaria specialistica. 3.5. Patti nelle descrizioni sistematiche delle grandi opere. 3.6. Le prime descrizioni particolareggiate di monumenti e i viaggiatori stranieri. 3.7. L’avvio della tutela amministrativa delle antichità alla fine del XVIII secolo e l’inizio delle ricerche e degli scavi.
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3.8. Il XIX secolo e l’inizio di studi sistematici. 3.9. La ricerca moderna nel corso del XX secolo. 3.9.1. Gli scavi e le ricerche nella seconda metà del XX secolo. 3.9.2. Le ultime ricerche nel centro urbano. 3.10. Le ricerche nel territorio. Pag. 55 | 4. Fonti. 4.1. Fonti scritte. 4.1.1. Fonti epigrafiche greche. 4.1.2. Fonti epigrafiche latine. Addenda Epigrafi di incerto contenuto. 4.1.3. Fonti numismatiche. 4.1.3.1. Prima fase (dalla metà del IV sec. a.C. all’età di Timoleonte). Espansione economica della città e relazioni con Messene, Lipara e i Siculi. 4.1.3.2. Seconda fase (epoca cd. ‘timoleontea’ 344 -338 a.C.). Inserimento della città nel più ampio contesto politico ed economico siciliano. 4.1.3.3. Terza fase (278-241 a.C.). Dalla spedizione di Pirro alla fine della I guerra punica. 4.1.3.4. Quarta fase (241-210 a.C.). II guerra punica. Mitologia tindaritana e trasferimento della leggenda TUNDARITAN sul R/ del conio 4.1.3.5. Quinta fase (post 210 a.C.). Monetazione successiva all’ordinamento provinciale di M. Valerio Levino. 4.1.3.6. Sesta fase (monetazione di età romana con leggenda latinaa). Periodo di occupazione della Sicilia da parte di Sesto Pompeo 4.1.3.7. Settima fase (età augustea) 4.1.4. Fonti storico-letterarie. 4.1.4.1. Prima di Tindari (metà XII – fine V sec. a.C.). I Siculi. 4.1.4.2 La fondazione di Tindari (inizi del IV sec. a.C.). 4.1.4.3. I decenni successivi alla fondazione. Dall'epikrateia siracusana all'autonomia. 4.1.4.4. L’età di Timoleonte. 4.1.4.5. Tyndaris, i Mamertini e Hieron II. 4.1.4.6. Tindari nel conflitto tra Roma e Cartagine. Dal dominio cartaginese alla deditio ai Romani. 4.1.4.7. L’itinerario dei thearoi delfici (198194 a.C.). 4.1.4.8. Tindari e la nascita della poesia bucolica nelle teorie degli scholia veteres del I sec. a.C. 4.1.4.9. Tindari nelle Verrine di Cicerone. 4.1.4.10. L’età di Sesto Pompeo. 4.1.4.11. Tindari nella prima età imperiale. 4.1.4.12. La diocesi di Tyndaris (fine V-VII sec.).
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4.1.5. Fonti Itinerarie e geografiche 4.1.5.1. Itinerarium Antonini 4.1.5.2. Tabula Peutingeriana 4.1.5.3. Tolemeo III, 4,15-24. 4.1.5.4. Anonimo Ravennate 4.1.5.5. Guidone 4.2. Fonti cartografiche. 4.2.1. Gli esordi della nuova geografia rinascimentale dagli Isolari alla riscoperta di Tolemeo. 4.2.2 I grandi cartografi: Gastaldi, Mercatore e Magini. 4.2.3. L’attività cartografica degli ingegneri militari. 4.2.4 La cartografia dettagliata di Camillo Camiliani insieme al capitano G.B. Di Fresco. 4.2.5. La cartografia della seconda metà del Seicento. 4.2.6. Il primo Settecento: le carte di Delisle e Daidone. 4.2.7. Da Schmettau alle attività cartografiche del governo borbonico e dello Stato italiano. 4.3. Fonti toponomastiche. 4.3.1. Generalità. 4.3.2. La raccolta dei dati 4.3.3. I sostrati linguistici e la dimensione storica. 4.3.4. Classi toponomastiche. 4.3.4.1. Aspetti climatici. 4.3.4.2. Morfologia costiera. 4.3.4.3. Toponimi correlati al rilievo, alle forme del suolo e alla loro evoluzione. 4.3.4.4. Idronimi. 4.3.4.5. Fitotoponimi e zootoponimi. 4.3.4.6. Antroponimi. 4.3.4.7. Agiotoponimi. 4.3.4.8. Attività economiche. 4.3.4.8.1. Allevamento. 4.3.4.8.2. Agricoltura. 4.3.4.8.3. Le attività commerciali, artigianali e industriali. 4.3.4.8.4. La pesca. 4.3.4.9. L’organizzazione fondiaria, le condizioni del lavoro agricolo, i limiti amministrativi. 4.3.4.10. Insediamenti ed edifici. 4.3.4.11. Le opere di difesa e le sedi fortificate. 4.3.4.12. Le vie di comunicazione. 4.3.4.13. Toponimi di significato incerto. Pag. 152 | Carta Archeologica Pag. 153 | Bibliografia ed abbreviazioni
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Tyndaris - Tindari
1. Introduzione alla ricerca. Aspetti metodologici
1.1. Premessa Negli ultimi decenni si è accelerato, in tutte le regioni del bacino del Mediterraneo, il processo che sembra ormai connaturale alla modernità di continua e progressiva distruzione dei segni e delle forme che conferiscono originalità, riconoscibilità, senso e abitabilità al territorio, ovvero di tutto ciò che fa di un territorio, di un ambiente naturale un paesaggio culturale1, ovvero uno spazio che non è più estensione inerte di terra, ma un tessuto umano concretamente vivente perché qualificato dalla profonda sedimentazione storica di avvenimenti e di attività di comunità che imprimendovi e cancellandovi segni, lasciando tracce molteplici e significati, intrecci di interazioni dense e profonde, su più dimensioni, con l’ambiente e tra loro, gli hanno conferito una fisiognomica2 unica, condivisa e irripetibile, esprimendovi così, storicamente e simbolicamente3, la propria identità. Il processo degenerativo del tessuto territoriale costituisce una questione cruciale, una tematica fondamentale, proprio perché vede ogni giorno dissolversi pericolosamente e in maniera estrema, insieme con le sempre più vaste porzioni di spazio degradate, decostruite, destrutturate e riconformate con una omologazione, che sembra inarrestabile, dei luoghi a modelli produttivi e logiche deterritorializzanti, nel territorio divenuto inerte e che non può più essere vissuto, e in cui l’identità non può più essere espressa, le fondamenta profonde, il senso del nostro legame comunitario nella civitas. È però la crisi odierna, paradossalmente proprio come scriveva Hölderlin “Wo aber Gefahr ist, wächst das Rettende auch”, a farci comprendere con stringente urgenza che non è possibile abitare la terra senza prendersene cura. È soprattutto la crisi a permetterci di pensare il paesaggio e di assumerlo nell’ordinamento giuridico e nell’epistemologia con un’accezione più ampia di quella estetica che è stata caratterizzante nel passato prendendo coscienza della sua pluriforme, e per noi che la dobbiamo decifrare, impegnativa complessità. Una complessità che deve essere innanzitutto conosciuta prima che si degradi irrimediabilmente e i segni impressi dagli uomini nel corso dei secoli più lontani scompaiano. Il nostro sforzo conoscitivo dovrà assumere, per affrontare con efficacia i processi dissolutivi in atto, un punto di vista insieme multidisciplinare e plurimetodologico4, dotarsi di strumenti e metodi cognitivi nuovi che siano in grado di spiegare i fenomeni, i caratteri fondativi delle identità dei luoghi, gli elementi che strutturano durevolmente il territorio, adeguati a una realtà come quella territoriale le matrici della cui complessità si dislocano su più dimensioni, immediatamente leggibili, ad accesso differenziato o a volte invisibili ad ogni lettura anche la più sottile. L’accelerazione e la pervasività della crisi, infatti, impongono allo storico di dare risposte che non siano più riproposizioni di meri inventari ma ricostruzioni in termini dinamici e funzionali degli assetti territoriali antichi e delle loro persistenze nel paesaggio attuale. Risposte che inoltrate, a sua volta, dal topografo dell’antichità, dal geografo storico all’urbanista permettano a questi di formulare ipotesi convincenti sul rapporto da intrattenere con i segni che degli assetti antichi sopravvivono nel paesaggio attuale5.
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ANDREOTTI 1996; BONESIO 1993; 1997;2004; MAGNAGHI 1998; SETTIS 2010. 2 Per il paesaggio come cifra fisiognomica di un epoca e dei suoi valori prevalenti SPENGLER 1978, p. 260. 3 Sulla fenomenologia del paesaggio e sullo studio degli aspetti percettivi e simbolici attraverso i quali si esprime il rapporto delle comunità con il proprio territorio e i modi di agire in esso si vedano le riflessioni di BELVEDERE 2010 con richiami bibliografici ai lavori di numerosi studiosi (ATTEMA 1999, FISHER 1999, WITCHER 1999, BRADLEY 2000; ATTEMA - BURGERS -VAN JOOLEN 2002, GIVEN - KNAPP 2003, ASHMORE 2004, BOWSER 2004; GIVEN 2004, WITCHER 2006, JOHNSON 2007). 4 Per la distinzione tra approccio multidisciplinare e interdisciplinare, con riferimenti bibliografici al dibattito sul tema, BELVEDERE 2002, p. 20 e n. 130. 5 QUILICI-QUILICI GIGLI 2003, p. 30.
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8 | Tyndaris | Michele Fasolo Conoscere, ma è anche indispensabile promuovere, sempre a partire dalla conoscenza, esperienze specifiche di produzione comunitaria e di valorizzazione del paesaggio culturale perseguendo una partecipazione collettiva su progetti concreti riguardanti i territori che coinvolgano e aggreghino, a vari livelli e modalità di partecipazione, comunità locali, esperti, amministratori, associazionismo e singoli cittadini.
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FASOLO 2008; 2011. In passato si è tentato di spiegare questa assenza di dati più che con la mancanza di ricerche autoptiche sui luoghi, o con la particolare e non stabile morfologia del territorio che rendono difficoltosi il riconoscimento e la decifrazione del dato archeologico e la stessa conservazione di alcuni tipi di deposito archeologico, o infine con uno scarso popolamento che l’intera zona costiera tra Mylai ed Himera avrebbe sempre avuto sin dall’età arcaica allorché i soli due centri conosciuti erano gli insediamenti greco-siculi di Agathyrnon e di Kephaloidion e che solamente parzialmente si modificò tra il V ed il IV sec. a.C. con le fondazioni di Kale Akte, Alaisa Arconidea e Tyndaris. 8 Tra Milazzo e Capo d’Orlando sta prendendo corpo una conurbazione derivante dalla fusione dei centri abitati presenti sulla costa. 9 BELVEDERE 2010. 10 In particolare si è fatto riferimento quanto più possibile per la raccolta e l’esposizione dei dati a BELVEDERE 1994, 2002; 2008, 2010; CAMBITERRENATO 1994; GIVEN-KNAPP 2003; GUAITOLI 1999; QUILICI 1998; 2000; QUILICI-QUILICI GIGLI 1999, 2001; 2003; QUILICI GIGLI 2001; VALENTI 1999, pp. 7-14. 11 BELVEDERE 1994, p. 70. 12 BELVEDERE 1994, pp. 69-70. 13 Sulla scelta della scala di indagine BELVEDERE 2010. 7
1.2. Obiettivi della ricerca La ricerca ha inteso esplorare queste tematiche, motivata eticamente dalle riflessioni precedenti, affrontando, come caso applicativo di studio, i problemi conoscitivi, di tutela, di salvaguardia e di valorizzazione del paesaggio culturale di Tindari. Nonostante la presenza di due centri abitati antichi a distanza ravvicinata (Tindari e l’insediamento di cui non conosciamo ancora il nome sito a Gioiosa Guardia, individuato in maniera casuale agli inizi degli anni ’80 del XX sec.) e di alcune ville romane, tra cui l’ampia residenza monumentale di Patti Marina, questo territorio, prospiciente le isole Eolie, è del tutto sconosciuto per l’età antica alla letteratura scientifica e alle carte archeologiche mentre dati esigui sono conosciuti anche per gli assetti territoriali di età medievale6. Assai scarna e generica è la consistenza del materiale inedito relativo ai rinvenimenti fortuiti. Il percorso della via romana Valeria che l’attraversava è ignoto nel suo reale tracciato. Mancano studi sulle origini e le dinamiche del popolamento, l’uso del territorio e la distribuzione degli insediamenti nelle varie epoche, dalla preistoria al medioevo7. Proprio l’assenza di pregresse ricerche archeologiche e la carenza di dati conoscitivi riguardanti il territorio, l’importanza di Tindari in età antica e la rilevanza del centro di Patti in età normanna, nonché i processi di degrado del tessuto territoriale incombenti8 hanno reso opportuna una ricerca territoriale sistematica da condursi secondo l’ormai consolidata impostazione pluridisciplinare e plurimetodologica, finalizzata a guadagnare informazioni dai più diversi ambiti, che caratterizza ormai da vari decenni gli studi territoriali, che le componesse poi in un quadro organico e stratificato, concretamente un Sistema Informativo Territoriale, non solo base informativa9 ed interpretativa, ma anche concreto strumento di tutela. Qualificano questo ambito territoriale, in vista di interventi di valorizzazione e di fruizione, notevoli componenti ambientali (i laghetti di Marinello e la zona protetta costiera del promontorio di Tindari, la vallata del torrente Elicona con i paesaggi pastorali dell’entroterra e i lembi superstiti di boschi secolari), archeologiche (i siti di Tindari, Gioiosa Guardia, la villa romana di Patti Marina) e religiose (santuario di Tindari). L’esigenza di pervenire ad una conoscenza quanto più organica ed integrale possibile del territorio, attraverso l’individuazione dei beni archeologici presenti con raccolta di informazioni su spettri cronologici e culturali che vanno dalla preistoria al medioevo, ha trovato adeguata corrispondenza nell’adozione di una metodologia di ricerca di superficie diacronica, sistematica e intensiva secondo l’impostazione che informa ormai da molto tempo le ricerche in Italia10. Si tratta di modalità operative che sono risultate nell’area mediterranea particolarmente adatte allo studio delle forme di popolamento di età classica11. Si è evitato sempre di intendere queste modalità in maniera totalizzante ma si è cercato di farvi riferimento avendo coscienza del dibattito scientifico sulle varie metodologie di ricerca da adottarsi sul campo emerse negli ultimi trent’anni e sulla circostanza che talora «un approccio diacronico, intensivo e sistematico può non ottenere risultati di eguale livello per tutti i periodi cronologici» anche se i dati sono stati raccolti tutti con lo stesso metodo rigoroso e attento alla diacronia12. 1.3. Delimitazione del contesto topografico oggetto della ricerca Definiti in termini generali questi obiettivi conoscitivi e di salvaguardia, e individuati i metodi da adottarsi bisognava perseguirli contemperandoli con i tempi e le risorse disponibili nell’individuazione di un appropriato contesto topografico di indagine13. Le possibilità a riguardo percorse e suggerite da studi analoghi erano diverse e tutte in
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Michele Fasolo | Tyndaris | 9 qualche modo legittime: seguire, in base a prevalenti motivazioni di ordine ricostruttivo storico, la ripartizione territoriale antica, attestarsi su limiti naturali, seguire quelli convenzionali della cartografia nazionale o regionale o, infine, far rientrare l’indagine in un ambito amministrativo. Sviluppare la ricerca all’interno di spazio delimitato in termini di geografia storica avrebbe significato confrontarsi sin dall’inizio con due ostacoli rilevanti. Il primo è il concetto stesso di confine, che sarebbe risultato insufficiente, addirittura incapacitante nell’ambito di una ricostruzione diacronica del popolamento antico in un’area che ha visto il succedersi nel corso dei millenni, sino alla stabilizzazione definitiva a partire dal XIV secolo14, di baricentri delle attività amministrative ed economiche e di poli attrattori dell’insediamento diversi con interrelazioni “oltreconfinarie” complesse (i vari abitati protostorici, la Tindari ellenistica e romana, la villa tardo-antica di Patti Marina, la Patti normanna con i suoi casali). Il secondo è costituito dalla mancanza di dati15 per la ricostruzione dei confini culturali e politici nei vari periodi storici che avrebbe inevitabilmente condotto, in base ad un ragionamento circolare, a ipotizzarne il riconoscimento alla fine in quelli naturali. Anche l’attenersi a limiti geografici avrebbe comportato problemi. Il territorio ad ovest di Tindari è infatti diviso dal torrente Timeto in due settori, morfologicamente diversi tra loro: il settore occidentale è caratterizzato in gran parte da rilievi a carattere collinare-montano che degradano in una estesa fascia costiera caratterizzata da modesta acclività della superficie topografica procedendo verso Nord Est, invece il settore orientale presenta più dorsali montuose, dirette da NNO-SSE / N-S a NNE-SSO procedendo da Ovest verso Est, con rilievi acclivi con quote fino a 500 m s.l.m. e direttamente degradanti verso il mare e con una pianura alluvionale costiera, la cui estensione è massima in corrispondenza della foce del torrente Timeto. Scegliere l’uno o l’altro settore, l’una o l’altra unità morfologica e paesaggistica16 avrebbe ristretto significativamente le possibilità di una ricostruzione storica. Alla stessa maniera avrebbe avuto anche poco senso in mancanza di un progetto di catalogazione a più ampia portata in cui inserire la ricerca, abbracciare, l’intera tavoletta 253 III-N.O. della Carta d’Italia I.G.M., impresa che avrebbe peraltro richiesto tempi e impegni di risorse cospicui, o in via subordinata alcune sezioni della C.T.R. della Regione Siciliana. Alla luce di queste considerazioni i limiti del contesto della prospezione intensiva sul terreno sono stati identificati con quelli amministrativi del comune di Patti. Patti (Latitudine 38°8’52”08 N - Longitudine14°58’13”44 E), 157 m s.l.m, ha un territorio comunale di 50,48 Km2 che si estende, in direzione S-N, da Pizzo Cola, alla foce del fiume Timeto per 9 km, e in quella E-O, da Capo Tindari a Monte di Gioiosa per 11 km. Il centro abitato è situato su una collina alle pendici dei Monti Nebrodi che, con i Peloritani ad est e le Madonie ad ovest, costituiscono l’Appennino siculo. II territorio è piuttosto popolato. La popolazione ammonta a 13.108 ab. (ISTAT 2001), con una densità di 268,2 ab/km2. Secondo i dati ISTAT, dal 1861 al 2001, la popolazione è aumentata quasi costantemente con momenti di decremento legati a vicende storiche, periodi di migrazioni che seguono un andamento nazionale. L’insediamento urbano principale è quello di Patti con un tessuto molto denso; ugualmente denso risulta l’urbanizzato delle località costiere mentre nelle restanti aree riscontriamo un tessuto urbano rado, in alcune zone con numerose abitazioni sparse nelle campagne, con relative proprietà, frazionate ed intensamente ancora oggi coltivate, esito delle politiche del monastero benedettino di Patti che incentivarono il popolamento dell’area concedendo che i beni ottenuti in concessione dai coloni divenissero di proprietà con trasmissibilità agli eredi17. Più dispersa e rada è invece la distribuzione dell’insediamento e della proprietà nelle aree, non di pertinenza del monastero benedettino, che nell’entroterra di Patti per secoli hanno fatto parte di feudi di famiglie nobiliari. Si è ritenuto opportuno di seguire l’evoluzione dell’impostazione e dei criteri che hanno fatto oggi delle carte archeologiche degli strumenti sempre più in grado di fornire,
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Come nel resto dell’Europa occidentale e centrale. SMITH 1982, p. 5. 15 Non ci si può giovare neppure delle approssimative indicazioni che potrebbero provenire riguardo ai territori dall’applicazione dei poligoni di Thiessen dato che rimangono ignote o controverse sia l’ubicazione che l’estensione areale di molti centri urbani antichi. 16 Per una metodologia recente di individuazione di aree paesaggistiche omogenee GISOTTI 2011. 17 ACP, Cpz f. 13.
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SOMMELLA, 1989; 1992; FRANCOVICH-PELLICANÒPASQUINUCCI 2001; GUERMANDI 2001. 19 CALÌ 2009. 20 FASOLO 2011, pp. 161. 162. 182. 21 Sono state poi prese in esame le fonti scritte a carattere epigrafico, storico-letterario, tecnico-itinerario, odeporico, geografiche, corografiche dall’antichità all’età contemporanea. 22 Particolare rilievo assumono nell’area oggetto della ricerca le fonti amministrative con il fondo archivistico dell’Archivio Capitolare della Cattedrale di Patti che custodisce documenti a partire dal 1094, sinora studiato essenzialmente sotto il profilo della storia istituzionale, e di cui mancano indici completi sui nomi di luoghi e di contrade ricorrenti in ognuno dei volumi che lo compongono. I volumi consultati hanno permesso di ampliare notevolmente il quadro sulle conoscenze toponomastiche del territorio. L’archivio in alcune sue serie ha fornito anche informazioni importanti sui processi di insediamento e sulle forme di trasformazione demica, delle colture e del paesaggio in età medievale, in generale sulla configurazione del terreno o su opere ed infrastrutture. Sono stati effettuati sondaggi anche di alcuni fondi archivistici presenti nell’Archivio Centrale dello Stato, negli Archivi di Stato di Palermo e di Messina, e in quello comunale di Patti (dalla fine del XVI secolo) con l’acquisizione di dati utili per la ricostruzione dell’assetto e del popolamento rurale nelle campagne di Patti all’inizio del XIX secolo, per l’individuazione e la puntuale localizzazione di molti toponimi. 23 Per quanto riguarda le fonti cartografiche e iconografiche particolarmente utile si è rivelata specialmente per la ricostruzione della viabilità, una rappresentazione a olio su tela di grandi dimensioni del territorio di Patti risalente probabilmente agli inizi del XVIII secolo e custodita in una collezione privata di Roma. 24 Per l’analisi mediante telerilevamento è stata utilizzata acquisendola presso la società e-Geos un’immagine telerilevata (prodotto Realvista) da aereo (sensore VEXCEL-Ultracam X), multispettrale, con una risoluzione spaziale di 0, 5 m e un errore di 2.5 m r.m.s. Il sistema di riferimento è UTM 33 datum WGS84. Le informazioni di questa immagine sono affiancate da quelle contenute in due immagini satellitari QuickBird del 26 maggio 2006, una pancromatica con una risoluzione spaziale di 0, 7 m e una risoluzione di 2,8 m, entrambe in sistema di riferimento UTM 33
nel quadro di un rapporto fra le comunità locali e istituzioni di ricerca, contenuti utili agli enti competenti per la pianificazione territoriale18. La carta archeologica di un territorio comunale si rivela particolarmente opportuna perché permette di ancorare istituzionalmente la tutela e la conservazione dei beni culturali a un ben individuato contesto istituzionale, amministrativo e comunitario, offrendo uno strumento operativo, una carta delle evidenze archeologiche completa per quanto possibile e sufficiente a fornire una conoscenza analitica del territorio. Anche sotto il profilo di un possibile organico piano di catalogazione sistematica delle evidenze archeologiche la scelta ha anche il vantaggio di completare la ricerca di informazioni archeologiche dell’intero territorio ricompreso nella tavoletta IGM al 25.000 di Patti (F. 253 III NO), dato che il Comune di Patti ne occupa circa il 50%, e un’altra porzione di territorio ad est di Tindari è stata indagata con ricognizioni sistematiche, nell’ambito di una tesi di dottorato avente per oggetto il modello insediativo e l’organizzazione economica del comprensorio pertinente alla villa costiera di Terme Vigliatore19. Il lavoro non costituisce però solamente un catasto delle evidenze per permettere interventi di tutela e di valorizzazione e più in generale un supporto per la programmazione territoriale. La scelta di operare seguendo i contorni territoriali di un ambito amministrativo non ha affatto indebolito le possibilità di una plausibile ricostruzione storica nel territorio, e si è rivelata adeguata per affrontare ed interpretare criticamente le tematiche archeologiche e storiografiche in un arco cronologico compreso tra la preistoria e il medioevo. Il territorio di Patti abbraccia infatti con i suoi 50 km2 una parte consistente di quello che si può ragionevolmente presumere sia stato il territorio dell’antica Tyndaris, ricomprendendone in particolare tutto quello immediatamente adiacente alla città antica verso ovest. Per l’età medievale l’attuale territorio comunale rappresenta infine la parte centrale di un terzo dei territori, tra Capo Tindari, Capo d’Orlando e Polverello, assegnati in continuità territoriale dal conte Ruggero al monastero benedettino di Patti perché li ripopolasse e così ne riattivasse le attività produttive20. 1.4. Metodi e strumenti di ricerca La ricerca non si è discostata dalla tradizionale e consolidata impostazione pluridisciplinare e plurimetodologica, finalizzata a guadagnare informazioni dai più diversi ambiti, che caratterizza ormai da vari decenni gli studi territoriali. La prima fase del lavoro ha riguardato la definizione di un quadro delle fonti in grado di fornire dati utili per la ricostruzione dell’antico paesaggio antropizzato e la loro raccolta sistematica in particolare presso biblioteche, archivi ed enti vari. Particolare attenzione si è data all’esame del quadro ambientale moderno, nelle sue componenti geologiche, morfologiche, idriche, climatiche, pedologiche, in modo da desumerne le informazioni riguardanti gli ecosistemi, che hanno interagito nel corso degli ultimi millenni con le attività dell’uomo nel territorio. Sin da questa fase iniziale tutte le informazioni e i dati derivati, in via diretta o indiretta dalle fonti scritte21, archivistiche22, cartografiche23, telerilevate24, toponomastiche25, orali26 e dalla bibliografia scientifica e a carattere locale27 e quelle provenienti da ambiti disciplinari apparentemente non affini, sono stati organizzati, gestiti e messi in relazione in un Sistema Informativo Territoriale a prevalente carattere archeologico su piattaforma Gis, conferendo ad esse localizzazione perlomeno areale, in modo da orientare in tempo reale la ricerca. Si è tentato di riferire al territorio moderno con una localizzazione possibilmente puntuale topografica tutte le informazioni ricavate dalle fonti documentarie, in particolar modo i dati spaziali ed i toponimi registrati nei documenti. Per quanto riguarda la cartografia moderna si è utilizzata come cartografia di base della ricerca la Carta Tecnica Regionale (C.T.R.)28 a cura del Dipartimento Regionale Urbanistica dell’Assessorato Territorio ed Ambiente della Regione Siciliana acquisita sia in formato vettoriale29, il più idoneo per query geospaziali, analisi e interpretazioni, che raster30. Sono state analizzate anche altre carte, diverse per scala, data e origine31.
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Michele Fasolo | Tyndaris | 11 1.4.1. La prospezione intensiva La prospezione con la raccolta dei dati di superficie, autorizzata dalla competente Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Messina32, è stata effettuata in maniera intensiva e sistematica a tendenziale copertura totale33 del terreno. È stata indirizzata verso una conoscenza quanto più organica e capillare possibile del territorio, registrando testimonianze di ogni tipo dalla preistoria all’età moderna34, pur presentandosi la scelta particolarmente impegnativa. Ci si è attenuti per quanto possibile a quell’insieme di criteri e di modalità che al riguardo da tempo risultano ormai condivisi nel mondo scientifico, grazie a discussione e scambi di esperienze pluridecennali, e che sono ritenuti efficaci per le ricerche da compiersi nell’area mediterranea35. L’attività sul terreno si è svolta in tre campagne: 2010 (tra giugno e novembre), 2011 (tra giugno e novembre), 2012 (verifiche tra maggio e giugno). Sono rimaste escluse tutte le porzioni del territorio del comune di Patti a visibilità nulla, perché urbanizzate, edificate o distrutte da cave o da altri interventi antropici. Per ragioni di tempo e di opportunità non sono state sottoposte a prospezione, dopo alcune verifiche a campione, la fascia a ridosso della spiaggia, estesa da un minimo di 200 ad un massimo di 600 m a settentrione del tracciato autostradale, e gran parte del fondovalle del torrente Timeto in corrispondenza della cuspide SO del territorio comunale. Riguardo alla prima va rilevata la sua formazione recente a partire dall’intensificazione dell’occupazione delle campagne pattesi iniziata nel ‘600, con l’estensione della coltivazione del gelso e della bachicoltura, che ha determinato un aumento del trasporto dei materiali detritici da parte dei corsi d’acqua, e dalle grandi alluvioni alla fine dello stesso secolo. La fascia, in parte urbanizzata in maniera “spontanea” e attraversata da una viabilità paralitoranea secondaria, presenta una suddivisione in numerose piccole proprietà, circondate da alte recinzioni, ciascuna in genere con una villetta, cui non è stato concesso quasi mai accedere. Riguardo alla seconda zona esclusa dalle ricognizioni risulta ricoperta da una coltre notevole costituita dal conoide di deiezione del torrente Librizzi. A fronte di queste esclusioni si è ritenuto di allargare le indagini a porzioni dei comuni confinanti di Oliveri, Montalbano Elicona e Gioiosa Marea quando ciò è stato richiesto da motivazioni di continuità territoriale nelle ricerche. Il territorio presenta numerose difficoltà alcune delle quali desumibili dalla seguente tabella (Tab. 1) di distribuzione delle acclività (Fig. 1) che ha conseguenze rilevanti sull’uso del suolo, le lavorazioni agricole36 e la visibilità delle superfici. Tabella 1
Classe Acclività Angolo di scarpa km2 Sup. pianeggianti 0-7% 0-4° 5,66 Sup. pianeggianti moderatamente inclinate 7-15% 4-8,2° 7,52 Sup. mediamente inclinate 15-20% 8,2-12° 7,17 Sup. inclinate 20-30% 12-17° 6,22 Sup. fortemente inclinate 30-50% 17-27° 13,68 Sup. scoscese e ripide > 50% > 27° 9,77
% territorio comunale 11,3% 15% 14,3% 12,4% 27,5% 19,5%
Su un totale di 50,482 km2 di territorio comunale la parte edificata ammonta37 a 11,824 km . Aggiungendo le aree interessate dal bosco (0,8 km2) e dalla macchia permanente inaccessibile (7,5 km2) alla luce della tabella soprastante e della Fig. 1 il territorio che può effettivamente essere sottoposto a ricognizione non supera i 20 km2. La prospezione ha coperto complessivamente una superficie di circa 18 km2. Tutto il comprensorio si caratterizza per una fortissima pressione edilizia con costruzione di sempre nuovi edifici che hanno rimodellato specialmente nell’area tra il centro abitato di Patti e il Timeto le caratteristiche morfologiche del territorio secondo un 2
WGS84. Inoltre sono state aggiunte al database e georeferenziate n. 6 ortofoto digitali del 10/10/2004 dell’Arta Sicilia (Assessorato Territorio e Ambiente), riprese ad una quota media di 4.000 m con una scala del fotogramma di 1:7 500, tre ortofoto Agea in scala di grigio risalenti all’anno 2002 con una risoluzione di 0, 5 m. e un’ortofoto alla scala approssimativa 1:33.000 facente parte della ripresa nazionale Gai (volo base) realizzata nel 1954 acquisita presso l’Aerofoteca-I.C.C.D del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Alla banca dati di immagini telerilevate, si è aggiunta una scansione laser LiDAR, con densità di 1,5 punti per m2, con relativi modelli digitali del terreno (DTM) e di superficie (DSM), di una porzione del territorio del comune di Patti con un buffer di 800 m dalla la linea di costa verso l’interno, utile per ricostruire con alta precisione la morfologie del territorio e identificarvi tracce da microrilievo a valenza archeologica. 25 Il recupero sistematico della toponomastica ha preso avvio con l’acquisizione su piattaforma GIS dei toponimi (n. 145) contenuti nella “Tavoletta” 253 III-NO (Patti), della Carta d’Italia alla scala 1:25 000 dell’Istituto Geografico Militare. A essi sono stati aggiunti ulteriori toponimi contenuti nelle sezioni della C.T.R. (n. 67) e, mediante inserimento manuale, quelli (n. 246) contenuti nei fogli di mappa catastale a scala 1:2 000 del comune di Patti. Inoltre sono stati aggiunti i toponimi recuperati dalla cartografia storica e dalle fonti scritte. L’indagine orale ha poi permesso di aggiungere numerosi microtoponimi non riportati nelle mappe. 26 La collazione, l’incrocio, e la localizzazione e verifica di tutte le segnalazioni orali di ritrovamenti archeologici nel territorio si è rilevata, come sempre, particolarmente utile. 27 È stata spogliata la letteratura scientifica e le pubblicazioni di studiosi locali ed eruditi locali, riguardanti il territorio di Tindari, Patti e Oliveri, la documentazione dell’archivio delle Soprintendenze BB.CC. AA. di di Messina e di Siracusa, quest’ultima erede dei materiali archivistici dell’ex Soprintendenza unica per la Sicilia Orientale solamente in parte trasferiti a Messina. Con le informazioni d’interesse estratte si è costituito un repertorio bibliografico georeferenziato, con grado di precisione ovviamente calibrato a quello della fonte, molte volte sprovvista di un sistema di riferimento topografico, ed alle condizioni attuali di visibilità. 28 La Carta Tecnica Regionale in scala 1:10000, scala che si ritiene calibrata al
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12 | Tyndaris | Michele Fasolo livello di approfondimento richiesto dalla ricerca, è rappresentata nella proiezione di Gauss, inquadrata nel sistema Geografico Europeo Unificato, ma con coordinate piane riferite al sistema nazionale Gauss-Boaga. 29 Il formato vettoriale cad (.dwg) delle 5 sezioni della Carta Tecnica Regionale (C.T.R.) alla scala 1:10 000, nelle quali ricade l’intero territorio del Comune di Patti, è stato convertito mediante ArcToolbox di ArcGis 9.2 in formato shape (.shp). 30 In formato geotiff (.tiff). 31 Tra le altre carte, diverse per scala, data ed origine, ovvero topografiche, catastali, si ricordano quelle tematiche (geologiche, pedologiche, litologiche, e, di uso del suolo), nonché alcuni modelli digitali del terreno (Digital Elevation Model, DEM) a 30 m, i D.T.M. del Dipartimento Regionale Urbanistica. Un DEM è stato estratto dai dati di livello L1 stereo satellitari del sensore multispettrale ASTER in orbita dal 1999. La cartografia, DEM e DTM sono stati utilizzati per l’analisi del territorio attuale e la ricostruzione dell’ambiente antico mediante ulteriore produzione cartografica (carte delle pendenze, sezioni, profili, carte delle esposizioni, del soleggiamento). 32 Nota del Servizio Archeologico in data 21.07.2010 prot. N. 2503. 33 Tanto più tenendo presenti i fini della tutela,della conservazione e della pianificazione territoriale che la ricerca ha inteso perseguire. 34 Per un esempio di ampio arco cronologico ALLIATA-BELVEDERE et al. 1988 Himera III. 35 BELVEDERE 1994, p. 69. In particolare il Belvedere richiama alcuni importanti incontri di studio e di approfondimento di aspetti metodologici e applicativi della prospezione archeologica intensiva in ambiente mediterraneo svoltisi tra i primi anni ottanta e i primi anni novanta del XX secolo. Per l’incremento di nuovi siti che la ricognizione sistematica determina rispetto a quelli noti dai dati ricavati dallo spoglio bibliografico QUILICIQUILICI GIGLI 2003, pp. 30-31. 36 Nel territorio italiano si ritiene in genere, e a maggior ragione dobbiamo pensarlo almeno per l’età romana, che i terreni con pendenza superiore al 35% non siano suscettibili di proficue lavorazioni e pertanto vadano lasciati a bosco e a pascolo. Tra il 20 e il 30% vi vengono spesso previste solamente colture arboree. 37 Il calcolo è stato effettuato sommando in ambiente Gis la superficie dei poligoni in formato shape riferiti all’edificato presenti nelle porzioni delle sezioni in cui ricade il territorio comunale. I dati sono stati confrontati e verificati con quelli Istat.
Figura 1. Distribuzione delle acclività
processo che sta trasformando in un unica conurbazione lineare la fascia litoranea compresa tra Milazzo e Capo d’Orlando. Enorme è la pressione che si avverte intorno all’area di Tindari38, ancora non interessata, insieme a porzioni dell’entroterra, da programmi di espansione edilizia. Anche alcune pratiche agricole, finanziate con risorse pubbliche, hanno provocato notevoli alterazione del paesaggio, con conseguenze a livello idrogeologico, con la creazione di strade interpoderali e di terrazzamenti per l’impianto di colture, in genere l’oliveto, in zone poco adatte. Altri fattori condizionano e limitano le attività di prospezione nella nostra zona. Innanzitutto è da considerare la finestra temporale, molto ristretta, in cui è possibile effettuare proficuamente le prospezioni intensive: da metà giugno a metà ottobre. E questo nonostante in genere nell’area mediterranea il periodo che offre le condizioni di visibilità migliori, con le superfici prive di vegetazione, con i campi arati ma non seminati, i vigneti fresati, grazie alle prime piogge autunnali, sia ritenuto quello che va dalla fine dell’estate all’inizio dell’autunno. L’erba nei campi inizia infatti ad essere sfalciata dai proprietari dei terreni, spronati da ordinanze dei comuni, in genere dalla metà del mese di giugno in poi essendo prima troppo tenera e piena di umidità. Nei primi 20 giorni di agosto le temperature elevate rendono poco proficua e di fatto impossibile la ricognizione anche nelle prime ore del
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Michele Fasolo | Tyndaris | 13 giorno. Nel periodo che va dalla fine dell’estate all’autunno inoltrato l’attività è stata spesso impedita dagli andamenti meteo-climatici, negli ultimi anni mutati e caratterizzati da abbondanti precipitazioni a fine estate ed inizio autunno. Nei mesi di settembre-ottobre 2010 i giorni di pioggia sono stati ad esempio 28 su 61 (con 500 mm totali di pioggia)39, con conseguenze sulla praticabilità dei campi anche nelle giornate successive non piovose soprattutto laddove sono affioranti litologie argillose. Nelle vallate, specialmente alle quote più alte, la maggiore umidità asseconda la crescita veloce del manto erboso. Già da fine ottobre i campi risultano in genere ricoperti dalla vegetazione tanto da rendere inutile la prospezione. Vanno inoltre considerate le tempistiche e le modalità imposte da alcune coltivazioni presenti come gli orti, i vigneti, i seminativi che li rendono accessibili solamente in alcuni periodi. A queste tempistiche delle pratiche agricole si deve adattare con flessibilità il progredire dei lavori di prospezione comportando, molto spesso, la rottura della continuità fisiografica delle indagini. Incombono infine sulle attività di ricognizione i pericoli rappresentati dalla presenza in alcune aree montane e negli impluvi dei torrenti delle vipere che a fine primavera escono dal letargo e dopo gli accoppiamenti, che avvengono all’inizio dell’estate, partoriscono tra fine agosto e la prima quindicina di ottobre. Il pascolo brado dei maiali e le zecche impongono poi ulteriori tempistiche e cautele. Le principali lavorazioni del terreno riscontrate nell’area sono l’aratura (poco diffusa e con profondità non superiori ai 40 cm), l’aratura leggera (con profondità dai 25 ai 30 cm), la fresatura con motozappa (molto diffusa con profondità non superiori ai 15 cm). Nelle prospezioni si è tentato di individuare ogni attività umana40, rintracciandone qualsiasi traccia anche la più labile e sporadica, nella consapevolezza che il paesaggio non è un insieme immobile di siti, monumenti, ma un continuum di relazioni41 spaziali in cui si esprime il vivere umano. Quindi si è posta attenzione anche ai rinvenimenti sporadici, a quelli a bassissima densità esito molte volte di processi post-deposizionali42, la cui complessità e variabilità si è sempre cercato di riconoscere. Questa variabilità di presenze ha reso opportuno indicarle nel modo più oggettivo e generico possibile. Per tale motivo, senza esprimere giudizi interpretativi da rimandare a fasi di analisi successiva, si è preferito utilizzare tra i termini che compongono il sistema di riferimento concettuale dell’attività di prospezione archeologica, la definizione di “Unità Topografica” invece che di “Sito”43 per indicare le evidenze materiali riscontrate sulla superficie del terreno, sulla scia delle esperienze compiute in Sicilia dal gruppo di ricerca che ha operato nella chora di Himera44. Il termine prescelto cerca di corrispondere all’esigenza di tenere distinta la fase di individuazione delle evidenze, di cui deve essere preservata quanto più possibile l’oggettività, da quelle, successive, interpretative, di caratterizzazione e di definizione tipologica e funzionale, in cui comunque interviene la valutazione soggettiva dello studioso. Quest’ultimo tenta di ri-conoscere e di ri-costruire in base alle sue competenze e alle sue esperienze, un processo che non potrebbe indubbiamente svolgersi correttamente e senza distorsioni mettendo da parte il presupposto dell’oggettività. Le Unità Topografiche corrispondono quindi sia ad affioramenti di frammenti fittili45 sia a strutture, sia a elementi sporadici di frequentazioni antica, sia infine a segnalazioni di presenze o rinvenimenti rinvenuti in letteratura, negli archivi, o semplicemente appresi da fonte orale. Riguardo alle Unità Topografiche va sottolineato che si è ormai da tempo consapevoli che non esiste sempre e comunque correlazione certa tra affioramenti di materiali fittili in superficie e presenza di strutture nel sottosuolo. La dispersione dei materiali può essere infatti esito sia di processi naturali, sia di processi culturali e comportamentali46. Né può esserci rapporto diretto tra numero dei rinvenimenti e dimensioni della popolazione47. In moltissimi casi l’identificazione del tipo di presenza archeologica riscontrata è risultata estremamente complicata o addirittura impossibile48 a causa della varietà dei materiali individuati e della loro distribuzione sul terreno. Le Unità Topografiche rinvenute sono state documentate sul campo ed ex post mediante un’apposita scheda che ha raccolto le informazioni ambientali e archeologiche, improntata a criteri quanto più possibile di massima semplicità, escludendo descrizioni di tipo qualitativo e iperanalitiche. Nel corso del lavoro la scheda ha subito alcuni aggiustamenti e perfezionamenti funzionali.
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Due immagini telerilevate della zona, acquisite in tempi diversi, sono state sottoposte a processo di classificazione automatica e confrontate secondo un metodo di change detection con estrazione degli edifici più recenti documenta in maniera impressionante il crescere della pressione antropica. 39 Fonte Bollettino agrometeorologico regionale mensile del Servizio Informativo Agrometeorologico Siciliano (Assessorato Risorse Agricole e Alimentari della Regione Siciliana) consultabile all’indirizzo web http://www.sias.regione.sicilia.it. 40 BELVEDERE 1994, p. 71. Il Belvedere richiama il caso della prospezione imerese, sottolineando che essa, anche se non condotta con i metodi della off-site archaeology, non è andata solo alla ricerca di siti (intesi come insediamenti stabili), ma alla ricerca di tracce di attività, anche minime. 41 «Inutilmente, magnanimo Kublai, tenterò di descriverti la città di Zaira dagli alti bastioni. Potrei dirti di quanti gradini sono le vie fatte scale, di che sesto gli archi dei porticati, di quali lamine di zinco sono ricoperti i tetti; ma so già che sarebbe come non dirti nulla. Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazizo e gli avvenimenti del suo passato:la distanza dal suolo d’un lampione e i piedi penzolanti d’un usurpatore impiccato; il filo teso dal lampione alla ringhiera di fronte e i festoni che impavesavano il percorso del corteo nuziale della regina; l’altezza di quella ringhiera e il salto dell’adultero che la scavalca all’alba...» CALVINO 1995 pag. 33. 42 BELVEDERE et al. 2005. 43 Per una definizione di sito PLOGPLOG-WAIT 1978. 44 BELVEDERE 1988; 1994. 45 BELVEDERE 2010:«Aree di concentrazione dai limiti ben definibili, che si staccano nettamente dal “rumore di fondo». 46 BELVEDERE 1994 p. 75 ALLEN 1991, SCHOFIELD 1991. Il Belvedere riporta per contro però anche «i casi in cui raccolte intrasito, effettuate con il metodo della quadrettatura, che hanno permesso di distinguere, ad esempio, la pars rusticadi una villa romana dalla pars urbana». 47 BELVEDERE 2010. 48 Cfr. BELVEDERE 1994, pp. 72, 75; 2010. Per i tentativi di classificazione adoperati in studi recenti GIVENKNAPP-MEYER 1999 e di GIVENKNAPP 2003, che distinguono POSIs (Places of special interest) e SIAs (Special interest areas).
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La georeferenziazione è uno dei requisiti imprescindibili di ogni intervento di tutela e conservazione. 50 A partire dal 27 febbraio 2012 «il Sistema di riferimento geodetico nazionale adottato dalle amministrazioni italiane È costituito dalla realizzazione ETRF2000 - all’epoca 2008.0 - del Sistema di riferimento geodetico europeo ETRS89, ottenuta nell’anno 2009 dall’Istituto Geografico Militare, mediante l’individuazione delle stazioni permanenti l’acquisizione dei dati ed il calcolo della Rete Dinamica Nazionale». Art. 2 Decreto 10 novembre 2011 Adozione del Sistema di riferimento geodetico nazionale. (Gazzetta Ufficiale n. 48 del 27/02/2012 - Supplemento ordinario n. 37). 51 Le ripartizioni territoriali sono state individuate in base a criteri descrittivi: pianura, bassa collina, alta collina e bassa montagna in base alle tre grandi unità di paesaggio in cui il territorio è suddividibile. 52 Sommità isolata o di crinale a cresta o a dorsale, sella o valico, cresta, tratto intermedio o piede di versante ecc. 53 La spatial technology si sta sempre più trasformando da mezzo di archiviazione e gestione dei dati in strumento di analisi e interpretazione cfr. BELVEDERE 2010. 54 Garmin Etrex, Magellan Explorist e Trimble R6 (differenziale).
Una prima parte comprende le voci che consentono una localizzazione inequivocabile: di tipo amministrativo (Comune, Provincia, Frazione), toponomastico (con indicazione del toponimo principale ed eventualmente di un microtoponimo secondario espressi anche in forma dialettale), topografico49 (posizione matematica con le coordinate piane, latitudine e longitudine, del baricentro dell’UT, espresse secondo il sistema di riferimento Gauss-Boaga50, quota media sul livello del mare) cartografico (Foglio IGM 1:25 000, la Sezione della Carta Tecnica della Regione Siciliana, la Carta catastale con l’indicazione per l’esatta delimitazione areale, di Comune, Foglio e particella). Nella seconda parte sono raccolte le informazioni relative alla geografia fisica: l’inquadramento geografico generale51, la posizione, pianeggiante, sommitale, di versante, o di impluvio con le sue varianti52, l’esposizione, l’andamento del terreno con la pendenza indicata in percentuale, l’inquadramento geologico con identificazione dei litotipi presenti, la presenza di faglie e di fenomeni erosivi o di accumulo, le caratteristiche pedologiche del suolo e il suo uso. Quindi vengono riportate la destinazione urbanistica e le eventuali prescrizioni del Piano Regolatore Generale del Comune, i vincoli di vario tipo se esistenti. La data in cui è avvenuta la ricognizione e le condizioni di visibilità riscontrate sul terreno (secondo una scala che ne articola il grado in cinque classi: Ottimo, Buono, Sufficiente, Scarso, Inaccessibile) e quelle meteorologiche. Sono state infine aggiunte la distanza in metri da sorgenti note o da corsi d’acqua e la visibilità, ad un’altezza dal suolo di 1,50 m, delle aree circostanti quantificata in km2 e l’intervisibilità con le altre U.T. A queste tre parti segue la descrizione del contesto e dell’U.T., posizione all’interno dell’unità di rilevamento, forma, orientamento, estensione lineare e areale, concentrazione e distribuzione dei reperti affioranti con la loro sommaria descrizione e una datazione in via preliminare per epoche e ove possibile per secoli da sottoporre a verifica con la successiva classificazione tipologica dei materiali. Una parte della scheda contiene le informazioni storiche, bibliografiche, se presenti, e quelle orali raccolte tra gli abitanti del luogo, e i rimandi a fotografie, rilievi e allegati vari. La scheda si conclude, se ciò è reso possibile dalla tipologia dei materiali osservati, con una proposta di interpretazione e di inquadramento cronologico. Tutte le schede di U.T., sono state organizzate, fra le tante opzioni pure possibili, per unità fisiografiche, individuate nei bacini idrografici. Una volta controllate, sono state informatizzate.53 Tutte le U.T. la cui estensione è risultata inferiore ai 500 m 2, quelle derivanti da segnalazioni bibliografiche, d’archivio o orali e i rinvenimenti sporadici sono state rappresentate sulla carta archeologica in maniera puntuale, le altre tramite poligoni che cercano di riprodurne al meglio l’estensione areale. Si è infatti cercato di calcolare sempre l’area massima di diffusione dei materiali, valutandone i baricentri e, ove possibile, il punto originario di dispersione. Hanno partecipato alle prospezioni alternandosi alcuni volontari dell’associazione Sicilia Antica, tutti laureati o studenti di discipline archeologiche. Come verificato in esperienze applicative la prospezione ha portato ad un incremento cospicuo delle conoscenze, in particolare all’individuazione di una grande quantità di U.T. nel nostro caso costituite, in prevalenza, da aree di frammenti fittili che non erano in precedenza note in letteratura o a seguito di segnalazioni. In soli tre casi le località erano state fatte oggetto di scavi di frodo. Il campo, delimitato da recinzioni, muretti a secco, ruscelli o individuato da coltivazioni omogenee è stato considerato in sede progettuale ed esecutiva come l’unità minima della prospezione ed utilizzato per l’attività sul campo al posto dei rettangoli convenzionali sovrapposti come griglia della ricognizione alla cartografia di base o alle immagini aeree o satellitari utilizzate. Tutte le operazioni di posizionamento sono state effettuate con strumentazione gps54.
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I partecipanti alla prospezione (i ricognitori, i fieldwalkers dell’archeologia angloamericana), di volta in volta mai meno di due e mai più di sette, si sono disposti sul terreno a una distanza reciproca che non ha mai superato i 10 m, pur variandola in relazione all’uso del suolo, alle pendenze, alle diverse colture, alla visibilità, alla necessità del momento. La ricognizione si è svolta una sola volta. In poche occasioni - negli stessi campi già indagati - sono stati effettuati in momenti differenti ritorni, determinati da motivi disparati. Si è constatato, anche se ciò può non valere sempre e dappertutto, un miglioramento della campionatura dei reperti e forse l’acquisizione di ulteriori elementi che hanno reso più sicura l’interpretazione ma non l’identificazione di nuove U.T. o di nuove fasi cronologiche. L’intensità applicata nel corso della prospezione è stata elevata e ha influenzato fortemente il numero di nuove U.T. individuato, per un totale di 168 che si sono andate ad aggiungere alle 39 che erano state ricavate, spesso limitate a poche generiche indicazioni, dallo spoglio della letteratura scientifica, dagli studi locali e dallo schedario, estremamente scarno, della Soprintendenza di Messina. Ogni ricognitore ha coperto ogni giorno una superficie media di 0,05 km2 nel corso di un’attività quotidiana che in genere non ha mai superato le 4 ore, periodo di tempo oltre il quale, si è constatato, diminuisce drasticamente l’attenzione, utilizzando il metodo che quantifica l’intensità misurando il tempo impiegato a indagare un’unità di superficie, espresso in giorni/uomini/km2, ogni ricognitore ha impiegato in media 20 giorni per indagare 1 km2. Anche la produttività della prospezione è da ritenersi alta: ove si utilizzi il metodo di quantificarla attraverso il rapporto tra superficie complessiva ricognita (18 km2) e rinvenimenti effettuati questi risultano di 9 U.T. ogni km2. Si tratta di una media doppia rispetto a quella riscontrata nel corso di altre prospezioni nell’area mediterranea55. Quotidianamente l’estensione della superficie sottoposta a ricognizione da parte di ciascun partecipante, come anche singolarmente quella di ciascun campo, ha subito variazioni a seconda delle diverse condizioni di praticabilità e di visibilità delle varie zone: le pendenze, il tipo di suolo, le coltivazioni, la copertura vegetativa ma anche i materiali affioranti. Per comprendere nella loro portata i risultati della prospezione, influenzati dalla visibilità delle tracce archeologiche sulla superficie del terreno, l’attività di ricognizione è stata accompagnata di pari passo con il progredire dei lavori dalla redazione di carta della visibilità56 dei suoli utilizzando come base la C.T.R. 1:10 000. Per indicare i gradi di visibilità è stata costruita, tenendo conto della geomorfologia ma soprattutto ancorandola all’obiettiva copertura vegetale del terreno e a determinati tipi di lavorazione, una scala57 articolata in cinque classi58, da 0 (inaccessibile) a 5 (visibilità ottima), contraddistinte nell’apposita cartografia tematica da colori diversi, con le seguenti definizioni: 0 inaccessibile (edificato, sbancamenti, cave, recinzioni, acclività > 50%, incolto con vegetazione spontanea fitta e intricata); 1 scarso (incolto con copertura erbosa che copre parzialmente le superfici, aree parzialmente boscate); 2 sufficiente (incolto sfalciato, vigneto/oliveto non lavorato da tempo ma sfalciato, pascolo); 3 buono (arati superficialmente o fresati, vigneto/oliveto lavorato di recente); 4 ottimo (terreni arati profondamente e successivamente fresati). Si è evitato in genere di intraprendere operazione di prospezione nella classe con grado di visibilità scarso rimandandole alcune volte di settimane a occasioni più opportune (quasi sempre dopo il taglio dell’erba). In genere è stato possibile percorrere i campi in condizioni sufficienti e scarse, complessivamente poco favorevoli alla ricerca di superficie. La consistenza, visibilità e qualità degli affioramenti sono risultati in relazione diretta con l’uso del suolo e in particolare con le colture e le rispettive pratiche di lavorazione del terreno. Queste ultime comportano differenti gradi distruttivi dei depositi archeologici. Si fornisce nella tabella di seguito (Tab. 2) la distribuzione percentuale delle classi di uso del suolo nel comune di Patti con l’indicazione per ciascuna di esse della percentuale di UT sul totale rinvenuti. Registra delle tendenze generali: i terreni arati, a seminativo o foraggere,
55
La media è di circa 4,5 x Km2, CHERRY 1983. Vanno tenute comunque ben presenti le difficoltà di comparazione di dati ottenuti, anche nell’ambito di una medesima regione cfr. BELVEDERE 1994, p. 73. 56 Sulla visibilità SCHIFFER, SULLIVAN, KLINGER 1978, pp. 6-8. 57 BELVEDERE 1994, p. 73. 58 A volte aggregano condizioni diverse di uso del suolo.
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16 | Tyndaris | Michele Fasolo ma anche le colture eterogenee, in genere intensive, e sorprendentemente situazioni classificate come parzialmente boscate e incolto hanno dato buoni risultati. Nessuna UT ha restituito l’agrumeto ormai abbandonato e non più lavorato. Tabella 2
Uso suolo Urbanizzato tessuto denso Urbanizzato tessuto rado Seminativo Agrumeto Oliveto Frutteto Colture eterogenee (con vigneti) Bosco Parzialmente boscato Macchia Pascolo Incolto Alvei fluviali
59
Art. 637 Codice Penale. Ingresso abusivo nel fondo altrui (1) Chiunque senza necessità [c.c. 842, 843, 924, 925] entra nel fondo altrui recinto da fosso, da siepe viva o da un altro stabile riparo è punito, a querela della persona offesa [c.p. 120; c.p.p. 336], con la multa fino a euro 103 [c.p. 649] (2) (3). (1) Le pene stabilite per i delitti previsti in questo articolo sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l’esecuzione (art. 7, L. 31 maggio 1965, n. 575, recante disposizioni contro la mafia, come modificato dall’art. 7, L. 11 agosto 2003, n. 228). (2) La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell’art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale. La competenza per il delitto previsto dal presente articolo è devoluta al giudice di pace, ai sensi dell’art. 15, L. 24 novembre 1999, n. 468 e dell’art. 4, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 (Gazz. Uff. 6 ottobre 2000, n. 234, S.O.). Vedi, anche, gli articoli 64 e 65 dello stesso decreto. (3) Per l’aumento della pena per i delitti non colposi di cui al presente titolo commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, vedi l’art. 36, comma 1, L. 5 febbraio 1992, n. 104, come sostituito dal comma 1 dell’art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94.
% 3,06 2,5 10,09 5,33 38,10 0,95 1,04 1,48 2,47 14,36 12,95 4,51 2,47
UT in % 5,29 2,94 13,52 0 37,64 0 3,52 1,17 4,70 0 10,58 20,58 0
+ + + + + + -
Visibilità e produttività basse si sono registrate in genere anche nei terreni fresati. Nei vigneti ad esempio dopo lo scasso iniziale dell’impianto che porta, se presenti, molti materiali fittili in superficie, le fresature ripetute nel corso degli anni non fanno altro che frammentare sempre di più i reperti, riducendone drasticamente le dimensioni sino a renderli quasi irriconoscibili. E la stessa dinamica si registra nell’oliveto dove a volte l’impianto iniziale con la realizzazione di terrazzamenti risulta particolarmente distruttivo. Visibilità scadente offrono i pascoli con zone a volte prive completamente di copertura vegetale ma costipate, buoni risultati hanno offerto invece i terreni arati in vista di colture stagionali. Difficoltosa, ma a volte con risultati insperati si è rivelata la prospezione in settori dell’alta collina e della bassa montagna, occupati dal bosco di roverelle e di sugherete. Sulla visibilità ha inciso infine un fattore antropico: il sospetto e la diffidenza pervicace da parte degli abitanti dei luoghi, siano esse persone ignoranti o acculturate, verso ogni attività di ricerca archeologica nei propri terreni, hanno determinato conseguenze negative sull’andamento della ricerca. In alcuni di questi casi l’acquisizione dei dati è stata parziale, frantumando l’unitarietà dell’osservazione di alcuni comprensori. D’altronde il diritto al godimento dei fondi privati, senza deroghe per le attività di ricerca, è tutelato dall’art. 637 del C.P.59. Lo jus prohibendi del proprietario a terzi di accedere ai propri fondi deve però essere manifestato esplicitamente con recinzioni, fossati, cancelli, cartelli ecc. (Fig. 2). Su questi atteggiamenti pesano indubbiamente i fallimenti di politiche culturali incapaci di mettere in atto percorsi di valorizzazione del patrimonio culturale al di là della dicotomia tra congelamento vincolistico e mummificazione da una parte e, dall’altro, degrado accompagnato da libera manomissione del tessuto territoriale. Alla fine, purtroppo, questa dicotomia è prevalsa con conseguneze disastrose. Sono stati raccolti e posizionati con acquisizione delle coordinate assolute mediante strumentazione Gps, con successiva conversione e correzione dei dati, circa 6000 frammenti: fittili, ceramici, metalli, ed elementi litici. In ciascuna unità, è stato raccolto un campione rappresentativo di reperti, appartenenti a tutte le classi ceramiche, non limitandosi a selezionare i soli materiali che presentavano caratteri diagnostici (parti tipologiche, decorazioni, rivestimenti ecc). In alcuni casi la raccolta è stata totale.
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Figura 2. Manifestazioni esasperate di jus prohibendi
I materiali sono stati ordinati secondo la classe ceramica o di materiale e attribuiti alla U.T. dove sono stati rinvenuti; inoltre sono stati identificati, tipologicamente e cronologicamente, ove possibile, in base alla forma e agli impasti. I reperti più significativi sono stati catalogati, descritti e disegnati, individuati e datati attraverso confronti con i repertori tipologici principali e con le attestazioni da contesti di scavo dell’area, datati stratigraficamente60. I materiali sono presentati inseriti in tabelle formato excel, nelle quali sono stati contati, attribuiti ad una classe di materiali, individuati per forma d’uso, ove possibile area di produzione, parte conservata e datazione, rinviando per i reperti più significativi alle sezioni di approfondimento sui materiali. Alcuni tipi di ceramica hanno costituito fossili guida. Periodi /Secoli e markers ceramici61: Periodo pre-protostorico (eneolitico; età del bronzo; età del ferro): impasti; Periodo tardo classico ed ellenistico (fine V a.C. - III a.C.): vernice nera, ceramica d’uso comune, anfore; Periodo ellenistico-romano (II-I a.C.): vernice nera, vernice rossa (cd. presigillata), ceramica d’uso comune, anfore; Periodo prima e media età romana imperiale (fine I a.c. - III d.C.): terra sigillata italica, terra sigillata africana A, ceramica d’uso comune, anfore; Periodo tardo antico e bizantino (IV-VII d.C.): terra sigillata africana C e D, ceramica d’uso comune, anfore; Periodo medievale: ceramica acroma, invetriata, protomaiolica; Periodo rinascimentale-moderno: ceramica acroma, maiolica, invetriata da cucina. Tutti i dati raccolti, georeferenziati, sono stati inseriti in una banca dati informatica in forma tabellare e combinati con dati cartografici vector e raster mediante il software ArcGis 10 dando così vita ad un sistema informativo territoriale informatizzato.
60 SPIGO 2005; 2008; TIGANO 2008; 2009; TIGANO-COPPOLINO 2011. 61 Bibliografia principale: Ceramica comune: OLCESE 2003. Sigillata italica: CONSPECTUS. Sigillata africana e ceramica da cucina africana: ANSELMINO - PAVOLINI 1981. Terra sigillata: Lucerne in Atlante I; TORTORELLA 1981; HAYES; CARANDINI - SAGUÌ - TORTORELLA 1981; BONIFAY 2004. Lucerne: BAILEY. Ceramica altomedievale: SAGUÌ 1998. Anfore: VANDERMERSCH 1994; WILL 1982; PANELLA 1989; 2001.
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18 | Tyndaris | Michele Fasolo 2. Il territorio
2.1. Introduzione L’area oggetto della ricerca è ubicata nella parte costiera settentrionale della Sicilia nord-orientale, al raccordo tra le propaggini orientali della catena dei Monti Nebrodi e di quelle occidentali dei Monti Peloritani. Queste due catene montuose sono separate da una fiumara, elemento caratteristico di questo paesaggio62, che origina la valle del torrente Timeto. Il torrente attraversa l’intera area da sud verso nord e ne rappresenta il principale corso d’acqua. Il territorio in esame coincide all’incirca con l’ambito amministrativo del Comune di Patti63. Si presenta, all’osservazione cartografica, con la forma di un triangolo equilatero che si estende (Fig. 1) dal litorale tirrenico, un lato del triangolo, verso l’entroterra, su una superficie di circa 50 km2. I rilievi montuosi più elevati si localizzano, nella parte meridionale dell’area, in corrispondenza del vertice del triangolo dove raggiungono quota massima di circa 700 m s.l.m. (Pizzo Cola). L’altitudine prevalente dell’area è compresa tra i 200 e i 400 m s.l.m.
Figura 3. Area oggetto della ricerca e principali centri abitati.
62
Lo sottolinea anche la ricorrenza nell’area dei vari toponimi «Fiumara». 63 Il comune di Patti (Latitudine 38°8’52”08 N – Longitudine 14°58’13”44 E) ha una superficie di 50,18 Km2 e si trova a 157 m s.l.m.. È adagiato sulle pendici collinari della costa nord in una posizione privilegiata di fronte alle isole di Vulcano, Lipari e Salina.
Figura 4. Morfologia dell’area in esame. La differenza di quota tra due curve di livello successive (equidistanza) è pari a 20 m.
Il torrente Timeto divide l’area in due settori, morfologicamente diversi tra loro (Fig. 4). Il settore occidentale è caratterizzato da rilievi a carattere collinare-montano con quote fino a 350 m s.l.m. in corrispondenza del limite occidentale dell’area, che degradano in una bassa collina, lievemente ondulata, e nella fascia pianeggiante costiera procedendo verso nord est. Il settore orientale è caratterizzato da rilievi acclivi, con quote fino a 700 m s.l.m. e direttamente degradanti verso il mare. Il rilievo è organizzato secondo ammassi isolati e brevi dorsali, queste ultime, dirette da NNO-SSE a NNE-SSO. La costa è a falesia nella zona di Capo Tindari: al vertice orientale dell’area in studio, sul lato Est, è bordata da lunghe lingue sabbiose che si spingono in mare racchiudendo vari laghetti e una laguna di neoformazione, modellata dalle correnti marine.
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Michele Fasolo | Tyndaris | 19 2.2. Cartografia Le principali carte topografiche e geologiche che interessano l’area sono elencate nella tabella 3, rispettivamente con evidenziata la scala di rappresentazione e l’anno di realizzazione. Tabella 3. Principali cartografie dell’area
Cartografia I.G.M. I.G.M.
Identificativo Anno Foglio 253 “Castroreale” 1968 Fogli 599 “Patti” e 600 “Barcellona Pozzo di Gotto” 1975 I.G.M. Foglio 253 III-NO “Patti”64 1938 agg. 1968 C.T.R. Sezioni 599040, 599080, 600010, 600050, 600090 2001 Carta geologica d’Italia Foglio 253 “Castroreale” 1884 Carta geologica della Foglio 2 (non è un foglio della Carta Provincia di Messina65 Geologica d’Italia ma una carta geologica realizzata dall’Università di Catania) 2000 Carta dei suoli della Sicilia Foglio unico 1988
Scala 1:100 000 1:50 000 1:25 000 1:10 000 1:100 000 1:50 000 1:250 000
2.3. Assetto geologico-strutturale e caratteristiche litologiche Nell’area in esame affiorano diverse Unità stratigrafiche, relative a un intervallo di tempo molto ampio che si estende dal Paleozoico al Quaternario Uno stralcio della legenda della Carta Geologica della Provincia di Messina in scala 1:50 000 (LENTINI-CATALANO-CARBONE 2000) è riportato nella tabella 4. Le Unità stratigrafiche sono elencate dalla più recente alla più antica, sono raggruppate in “Complessi”, definiti sulla base della loro comune origine paleogeografica e dell’età dei processi di deformazione subiti. La storia geologica dell’area va, infatti, inquadrata all’interno dei processi geodinamici che, a grande scala, hanno riguardato la collisione tra i settori crostali delle placche africana ed euroasiatica. La convergenza tra le due placche, iniziata nel Cretaceo Superiore, si è realizzata, durante il Terziario, mediante la chiusura dell’ampio bacino oceanico della Tetide originariamente interposto tra essi; con fasi compressive orogenetiche che hanno portato a scollamento e impilamento per falde di ricoprimento
64
di interi settoritettonico crostalidel di Mediterraneo età diversa. Il settore(dacrostale dell’oceano tetideo, Figura 5. Schema Centrale Lentini-Catalano-Carbone 2000)più sottile e
Il Foglio 253 III-NO “Patti” comprende il territorio tra 2°30’00 e 2°37’30 di longitudine Est con riferimento al meridiano di Roma M. Mario. La tavoletta si affaccia a N sul Mare Tirreno e confina rispettivamente ad E con la tavoletta 253 III-NE “Furnari”, a S con la tavoletta 253 III-SO “Montalbano Elicona” e a O con la tavoletta 252 IINE “S. Angelo di Brolo”. 65 LENTINI-CATALANO-CARBONE 2000.
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20 | Tyndaris | Michele Fasolo di maggiore densità è progressivamente sottoscorso alla placca europea avanzante verso il margine africano. La linea di sutura tra i due continenti (Fig. 5) è rappresentata dalla Catena Appenninico-Maghrebide, che si è originata a partire dal Miocene Inferiore a seguito dello scollamento dei sedimenti oceanici meso-cenozoici tetidei. La Catena Appenninico-Maghrebide risulta estesamente sovrascorsa sul Sistema a Thrust Esterno (Catena Sicana), originatosi a partire dal Miocene Superiore dallo scollamento delle coperture sedimentarie, prevalentemente carbonatiche, del margine continentale afroadriatico in subduzione. Tettonicamente sovrapposta alla Catena AppenninicoMaghrebide è la Catena Kabilo-Calabride, che è invece originata dalla delaminazione del margine continentale europeo dell’originaria Tetide, sovrascorso sulle unità Appenninico-Maghrebide. Nell’area di Patti la delaminazione del margine continentale europeo dell’originaria Tetide ha messo in posto, attraverso distinte fasi di trasporto orogenico, le unità del complesso Calabride, che sono andate a ricoprire tettonicamente i terreni del complesso Appenninico-Magrebide. Le unità della Catena KabiloCalabride, che costituiscono l’ossatura dei Monti Peloritani, risultano così costituite da un basamento di età ercinica (Paleozoico) formato da rocce metamorfiche di basso,
Figura 6. Stralcio della Carta Geologica della Provincia di Messina in scala 1:50 000.
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Tabella 4. Stralcio della legenda della Carta Geologica della Provincia di Messina in scala 1:50 000
Unità stratigrafica Alluvioni attuali e spiagge
Alluvioni recenti e piane litorali Terrazzi fluviali
Terrazzi marini
Calcareniti e sabbie organogene (Pliocene Superiore Pleistocene Medio) "Trubi"
Sigla su Carta Descrizione Geologica ME Ghiaie e sabbie limose negli alvei delle principali aste a fluviali dove lo spessore può superare la decina di metri; depositi litorali costituiti da sabbie prevalenti e ghiaie a elementi lapidei poligenici di varia dimensione. ar Limi, sabbie e ghiaie talora terrazzati, lungo i corsi d'acqua e nelle pianure costiere. tf Terrazzi fluviali costituiti da modesti spessori di ghiaie, sabbie ciottolose e limi di colore bruno o grigiastro, distribuiti lungo le valli in vari ordini. tm Terrazzi marini costituiti da sabbie giallo ocra talora ghiaiose, da limi e di ghiaie a ciottoli arrotondati e appiattiti eterometrici immersi in matrice sabbiosa o da semplici spianate di abrasione. La stratificazione è poco evidente e lo spessore in genere è relativamente modesto. PQ Calcareniti a stratificazione incrociata o piano parallela e subordinatamente sabbie organogene color giallo ocra. Pi
(Pliocene Inferiore) Calcare evaporitico brecciato
Mc
(Miocene Superiore) Depositi terrigeni mediosupramiocenici dei Monti Peloritani
Maa
Mac (Alternanza conglomeraticosabbioso-pelitica)
(Miocene Medio e Superiore) Mar Calcareniti di Floresta
M
(Miocene Inferiore e Medio)
Argille Scagliose (Cretaceo Superiore)
AS
Marne e calcari marnosi, color bianco crema, con intercalazioni di lenti sabbiose. In alcuni settori è presente, alla base, un livello conglomeratico a clasti metamorfici in matrice sabbiosa. Calcare massivo, generalmente brecciato e pulverolento tipicamente vacuolare per processi di dissoluzione. Alla base a tratti possono essere presenti lenti di diatomiti ("Tripoli"). Marne argillose grigie con sottili intercalazioni di arenarie a grana medio fine, discordanti direttamente sulle AS e su blocchi residui delle Calcareniti di Floresta. Conglomerati poligenici ad elementi eterometrici di alto grado, più raramente di basso grado, e subordinatamente calcarei o quarzarenitici, matrice sostenuti; lenti conglomeratiche o microconglomeratiche molto sabbiose. Sono presenti a diversi orizzonti stratigrafici nei depositi terrigeni medio-supramiocenici dei Monti Peloritani, per spessori anche notevoli, variabili da diverse decine a qualche centinaio di metri. Alternanze di arenarie medio-grossolane, variamente diagenizzate, e di limi argillosi e argille marnose. Biocalcareniti bianco-grigiastre, talora a stratificazione incrociata; arcose glauconitiche a cemento spatico in strati da qualche decina di centimetri al paio di metri, alternate a livelletti argillosi talvolta debolmente marnosi, più frequenti nella parte medio-alta della formazione. Argille varicolori scagliettate a giacitura caotica con frammenti di calcari micritici bianchi e siltiti carbonatiche grigie.
Complesso di appartenenza -
-
-
Coperture tardorogene postcollisionali
Coperture tardorogene pre-collisionali del Miocene Inferiore e Medio Complesso Antisicilide
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Unità stratigrafica Flysch di Capo D'Orlando (Oligocene Superiore Miocene Inferiore)
Unità dell'Aspromonte (Paleozoico)
Sigla su Carta Descrizione Geologica ME OMar Alternanze argilloso arenacee costituite da arcose grigiogiallastre in strati da decimetrici a metrici in cui si intercalano livelli decimetrici argilloso-marnosi.
UAg
UA
UAc
Metamorfiti di medio-alto grado costituite da gneiss occhiadini, paragneiss biotitici passanti a micascisti, plutoniti, micrograniti e felsiti in filoni. Metamorfiti di medio-alto grado costituite da metafemiti (anfiboliti, meta-orneblenditi, meta-peridotiti e rare granuliti) in lenti metriche intercalate a paragneiss o in livelli metrici concordanti. Marmi impuri a grana media e tessitura massiva, intercalati a paragneiss e micascisti o associati ad anfiboliti.
Complesso di appartenenza Coperture tardorogene pre-collisionali dell'Oligocene -Miocene Inferiore Complesso Calabride
Figura 7. Sezione geologica tra Capo Tindari (comune di Patti) e il T. Ronco (comune di Librizzi)
medio e alto grado, con resti di coperture sedimentarie mesozoiche, i terreni più antichi oggi affioranti nell’area di Patti. A partire dal Miocene Medio l’avanzamento della catena sull’Avampaese, localizzato nella porzione sud-orientale e costituito dalle rocce dell’area iblea, prevalentemente carbonatiche, è stato accompagnato da fenomeni estensionali nelle aree di retrocatena responsabili dell’apertura del bacino tirrenico. La tormentata storia deformativa subita dai terreni presenti nell’area ha prodotto un assetto geo-strutturale complesso caratterizzato sia da fasi compressive, che hanno prodotto l’impilamento dei terreni per falde di ricoprimento sovrascorrimento, sia dalla recente fase tettonica distensiva. Le intense sollecitazioni tettoniche hanno favorito lo sviluppo di un diffuso stato di fratturazione e di alterazione mineralogica sulle varie formazioni rocciose. I rilievi presenti nel settore orientale dell’area risultano composti da blocchi lapidei isolati, con superfici sommitali più o meno arrotondate, delimitati da pareti di faglia subverticali esumate dall’erosione selettiva operata dagli agenti erosivi. 2.3.1. Le cave di argilla Per il particolare rilievo che la produzione ceramica ha avuto per secoli nel territorio di Patti occorre far cenno alle zone di estrazione delle argille che ne hanno alimentato le officine e poi le industrie sino alla metà del XX secolo. Le cave sono ubicate in aree distanti tra i 3 e i 6 chilometri circa da Patti Marina, che è il centro moderno delle attività ceramiche nel territorio. L’argilla “rossa” contenente scaglie di mica (muscovite) veniva estratta dalle cave delle
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Figura 8. Principali cave d’argilla (ocra) e sorgenti (celeste) nell’area oggetto della ricerca
contrade”Case Nuove Russo”-Colonna66 e ”Case Nuove Malluzzo”67, situate a monte della S.S. 113, ai piedi di monte Pignatara. In genere questo tipo di argilla veniva adoperata per la confezione di stoviglie da cucina (pignate) donde forse il toponimo dell’altura. L’argilla “biancastra” proveniva dalle cave dislocate presso Vignagrande68 e monte S. Paolo69 a SE di Patti, e dalla cava di contrada Monte70 sita nel territorio di Montagnareale. Questo tipo di argilla veniva impiegata per la confezione di ceramica artistica o che comunque non doveva subire l’azione diretta del fuoco. Nelle immediate vicinanze di Capo Tindari71 si trova una cava di quarzo, feldspato e caolino (studiata dal prof. B. Baldanza), la cui facilità di accesso e altri favorevoli fattori topografici ed economici hanno consentito lo svolgersi di una discreta attività estrattiva che, iniziata alla fine degli anni ‘50, è proseguita fino alla metà degli anni ‘70. 2.3.2. Settore a ovest del torrente Timeto. Nel settore a ovest del torrente Timeto, affiorano diffusamente le Argille Scagliose e l’Alternanza conglomeratico-sabbioso-pelitica miocenica; al vertice occidentale, alla base del rilievo collinare che caratterizza il settore, sono presenti depositi detritici scarsamente cementati. Il rilievo, di tipo collinare, è modellato nelle Argille Scagliose. Tali versanti a debole pendenza, in conseguenza della forte erodibilità che caratterizza questo terreno, digradano
66
14°59’35,12”E 38°8’7,937”N. 15°0’36,471”E 38°8’18,107”N.8 68 14°58’48,838”E 38°7’56,417”N. 69 14°57’55,638”E 38°7’41,532”N. 70 14°57’20,735”E 38°8’48,591”N. 71 15°2’6,378”E 38°8’30,563”N. 67
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24 | Tyndaris | Michele Fasolo lentamente verso il torrente Timeto, che incide il proprio alveo nella formazione del Flysch di Capo d’Orlando sul quale le Argille Scagliose poggiano con contatto tettonico. Quella delle Argille Scagliose è una formazione strutturalmente complessa, costituita da argilliti e da blocchi e brandelli di strati lapidei di dimensioni comprese tra alcuni centimetri e alcuni metri; la componente argillitica è prevalente, quella lapidea è costituita da calcari più o meno marnosi e arenarie. La formazione è fortemente caoticizzata, a testimonianza del proprio carattere alloctono (geologicamente esse sono interpretate come una falda di ricoprimento antivergente composta da sedimenti di fondo oceanico derivanti da paleo domini appenninico-maghrebidi): a causa delle intense deformazioni tettoniche e gravitazionali subite, l’assetto dell’ammasso è in generale caratterizzato da una disordinata distribuzione delle due componenti litologiche. La componente argillitica si presenta intensamente fessurata e interessata da diffuse strutture di taglio; nelle zone più intensamente tettonizzate è formata da un aggregato di scaglie, aventi superficie liscia e spesso striata, di dimensioni inferiori al centimetro. Il paesaggio cui tipicamente danno luogo si caratterizza per forme morbide, ricche di detrito superficiale da cui, a volte, emergono improvvisamente piccoli rilievi alti e aspri costituiti nella nostra zona prevalentemente da arenarie. La permeabilità è nulla o scarsa. Le Argille Scagliose sono potenzialmente instabili. Se interessate da scavi, costruzioni o altra attività antropica possono originare dissesti. Date le loro scadenti caratteristiche geotecniche costituiscono uno dei peggiori terreni di fondazione e manifestano un’estrema suscettibilità a franare anche per una lieve inclinazione della scarpata o in condizioni di scarico tensionale. La forte azione erosiva operata delle acque meteoriche è documentata dalla presenza di solchi di ruscellamento concentrato privi d’acqua durante l’estate che danno al paesaggio un aspetto pseudo-calanchivo. L’acclività delle Argille Scagliose aumenta solo in corrispondenza dei rilievi lungo il limite occidentale del settore, dove sono parzialmente ricoperte dall’Alternanza conglomeratico-sabbioso-pelitica e dalle Calcareniti di Floresta. Le argille scagliose sono oggi coltivate a bosco, a prateria, a prato-pascolo, a vegetazione naturale o seminaturale, dato che le lavorazioni agricole, specie se meccanizzate, vi innescano anche in presenza di modeste acclività, dissesti gravitativi consistenti. Tuttavia nella zona di piana formata da Argille scagliose si è sviluppata verso il mare l’espansione di parte dell’abitato moderno di Patti. L’Alternanza conglomeratico-sabbioso-pelitica costituisce sia il substrato su cui sorge buona parte del vecchio centro storico di Patti sia la base dei rilievi presenti in corrispondenza del limite occidentale del settore, a Ovest del torrente Timeto, (rilievo di Contrada Monte, 325 m s.l.m., monte S. Paolo. 357 m s.l.m., monte S. Lorenzo, 360 m s.l.m.). Questo complesso include tipi conglomeratici, tipi arenacei, limi e argille marnose, poggianti trasgressivamente sulle Argille Scagliose, in banchi ben stratificati aventi potenza di vari metri. Al tetto, il complesso è ricoperto da calcari bianchi riferibili al Miocene Superiore. Le Calcareniti di Floresta di colore bianco-grigiastre ad elevato contenuto di carbonato di calcio, in stratarelli di 5-10 cm, molto compatte e interessate da vari sistemi di fratture ortogonali alla stratificazione, affiorano solo per estensioni molto limitate nel settore considerato, a nord e a est di Patti. Esse rappresentano le coperture pre-collisionali del Miocene Inferiore e Medio e giacciono in discordanza sulle Argille Scagliose. Sui terreni arenacei dell’Alternanza conglomeratico-sabbioso-pelitica mediosupramiocenica che costituisce la base dei rilievi di Contrada Monte, monte S. Paolo e monte S. Lorenzo, poggia in concordanza un orizzonte di calcare biancastro cariato (denominato Tripoli). Questo orizzonte presenta vacuoli cubici isolati dovuti alla presenza e alla successiva dissoluzione di originari cristalli di salgemma, che nell’insieme gli conferiscono l’aspetto di una breccia calcarea grossolana, a diverso grado di cementazione da luogo a luogo. Sul Tripoli giacciono le marne calcaree e i calcari marnosi del Miocene (Trubi), di colore bianco crema a elevato contenuto di carbonato di calcio. I Trubi si presentano come materiale più o meno coerente, in stratarelli di qualche decimetro di spessore, caratterizzato
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Michele Fasolo | Tyndaris | 25 da una fratturazione molto accentuata che rende spesso la stratificazione non evidente. Alla cima dei rilievi che caratterizzano il settore affiora, con contatto trasgressivo sulle marne calcaree mioceniche, una formazione calcarenitica arenaceo-organogena pliopleistocenica. Essa è costituita da grossi banchi di spessore medio di 7-8 m costituiti, dal basso verso l’alto, da arenaree calcaree, arenarie maggiormente cementate e calcareniti arenacee. A ovest di Patti (contrada Monte) tale formazione affiora con maggiore estensione e potenza (dell’ordine del centinaio di metri). Il rilievo del monte Camera, 257 m s.l.m., all’estremo limite meridionale del settore occidentale, è costituito dagli stessi terreni che costituiscono i rilievi a est del torrente Timeto (Flysch di Capo d’Orlando, Alternanze argilloso arenacee costituite da arcose grigio-giallastre in strati da decimetrici a metrici in cui si intercalano livelli decimetrici argilloso-marnosi). 2.3.3. Settore a est del torrente Timeto. Nel settore a est del torrente Timeto, caratterizzato da rilievi più elevati e maggiormente acclivi rispetto a quelli del settore ovest, affiorano principalmente il Flysch di Capo d’Orlando e le Metamorfiti di medio e alto grado dell’Unità dell’Aspromonte, che costituiscono l’ossatura dei Monti Peloritani, e le Argille Scagliose. In particolare sono essenzialmente costituiti dalle Metamorfiti, prevalentemente di medio e alto grado (gneiss), dell’Unità dell’Aspromonte e dal Flysch di Capo d’Orlando, e da lembi di Argille Scagliose i rilievi che terminano a picco sul mare, al limite orientale del settore (nella zona di Capo Tindari). Le Argille Scagliose, fortemente caoticizzate nel settore a ovest del torrente Timeto, ricoprono tettonicamente il Flysch di Capo d’Orlando. Gli affioramenti di Argille Scagliose corrispondono a versanti caratterizzati da un declivio più dolce rispetto a quelli modellati nei terreni del Flysch di Capo d’Orlando e dell’Unità dell’Aspromonte. Il Flysch di Capo d’Orlando, trasgressivo sulle sottostanti metamorfiti dell’Unità dell’Aspromonte, sutura il sovrascorrimento dei terreni Kabilo-Calabridi su quelli Appenninico-Maghrebidi. Si tratta dell’unità stratigrafica più rappresentata in affioramento nel settore a est del torrente Timeto, dove è costituita da banchi, con potenza anche di diversi metri, arenacei a matrice silicea, poco friabili, alternati in maniera più o meno regolare con livelli limosi e argillosi di spessore decimetrico. L’ammasso presenta fratture ortogonali alla direzione degli strati, abbastanza distanziate tra loro. La fascia superficiale è in genere alterata e parzialmente decementata fino a una profondità dell’ordine di qualche metro. I livelli acquiferi contenuti nel Flysch di Capo d’Orlando sono estremamente frazionati, spesso limitati a una singola bancata litoide, a causa della presenza degli interstrati argillosi impermeabili. Soltanto occasionalmente, quando in conseguenza dell’intensa fratturazione più livelli acquiferi si trovano in comunicazione idraulica tra loro, si osservano emergenze sorgentizie perenni. Questi terreni presentano erodibilità modesta con forme del rilievo assestate. La loro generale stabilità viene meno con dissesti solamente in aree strutturalmente sfavorevoli o in conseguenza di interventi antropici errati che innescano frane di scivolamento e di crollo. Nella zona di collina la vegetazione naturale è rappresentata dai querceti caducifogli xerofili (Roverella). Molto spesso i terreni vengono utilizzati per le colture foraggere. L’Unità dell’Aspromonte è costituita da gneiss occhiadini, da paragneiss biotitici e da calcari cristallini attraversati da filoni pegmatitici, separati tra loro da contatti concordanti. I gneiss occhiadini affiorano principalmente nella porzione meridionale del settore, mentre i maggiori affioramenti di paragneiss biotitici si trovano nella sua porzione centrale e settentrionale. I calcari cristallini affiorano in corrispondenza di Capo Tindari, al limite orientale del settore. Si tratta di metamorfiti di medio-alto grado con associati calcari cristallini, di età ercinica (Paleozoico) e provenienza Kabilo-Calabride, la cui messa in posto è avvenuta per falde di ricoprimento tettonico.
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26 | Tyndaris | Michele Fasolo Gli gneiss occhiadini prendono il loro nome dalla presenza di “occhi” grossi fino a un paio di centimetri di colore bianco o rosa chiaro di ortoclasio, plagioclasio e quarzo; il materiale roccioso è di colore chiaro in conseguenza dell’abbondanza dei minerali sialici, con tonalità variabili dal bianco sporco fino al marrone per i tipi più ricchi di biotite; la scistosità è definita dell’orientazione dei letti micacei. Si tratta di rocce piuttosto resistenti all’erosione; l’ammasso roccioso è tuttavia interessato da un’intensa fessurazione, conseguente alle modalità della sua messa in posto, che guida e favorisce lo sviluppo dei processi di alterazione meteorica. I paragneiss biotitici, cui talvolta si intercalano anfiboliti, affiorano al limite orientale del settore lungo la dorsale NNE-SSO di Monte Serro Cento e Monte Pecoraro, nella zona di Tindari, in contatto per faglia con i Calcari cristallini, e nella porzione centrale del settore in destra idraulica del torrente Ronzino (affluente destro del Timeto). Presentano caratteristiche piuttosto varie: sono frequenti sia i tipi massicci e compatti che le varietà più o meno scistose. I rilievi di Tindari, al limite nord-orientale del settore, sono costituiti da Calcari cristallini (denominati “marmi impuri” nella Carta Geologica della Provincia di Messina) di colore grigio scuro o bianchiccio, a tessitura saccaroide, nettamente stratificati in strati di spessore decimetrico, immergenti verso nord-ovest. Gli strati calcarei sono spesso rotti, inflessi e contorti da filoni pegmatitici che li attraversano in tutte le direzioni. Nelle metamorfiti di alto grado la circolazione idrica è discontinua, localizzata lungo le fratture che attraversano gli ammassi rocciosi; le aree di alimentazione sono costituite dagli affioramenti a più intensa degradazione superficiale e in particolari condizioni di fratturazione. A tale circolazione idrica fanno capo numerose manifestazioni sorgentizie di un certo interesse. La fascia costiera tra Patti Marina e Mongiove corrisponde a una vasta pianura alluvionale che dal piede delle ultime propaggini nebroidee e peloritane si estende fino al mare, raggiungendo la massima estensione in corrispondenza della foce del torrente Timeto. La pianura è stata formata dagli apporti solidi che, durante il Pleistocene e l’Olocene sono stati trasportati principalmente dal torrente Timeto e dal torrente Montagnareale, che scorre a ovest, parallelamente al Timeto, sfociando nel golfo di Patti, in corrispondenza di Patti Marina. La pianura alluvionale costiera, che attualmente non riceve più apporti terrigeni consistenti dai torrenti, a causa delle opere di imbrigliamento degli alvei e della diminuita attività agricola nelle zone di media e alta collina, è costituita da sedimenti granulometricamente variabili dai limi alle ghiaie, in lenti, strati e banchi discontinui, variamente alternati tra loro. La piana costiera attualmente è intensamente urbanizzata e coltivata. I depositi alluvionali costituiscono un acquifero costiero complesso; l’alimentazione delle acque dolci deriva principalmente dalle acque superficiali che defluiscono entro gli alvei dei torrenti e in misura minore dai deflussi ipodermici delle fasce detritiche che delimitano i depositi di fondovalle. 2.4. Aspetti climatici Dal punto di vista climatico, l’area studiata è caratterizzata da un regime pluviometrico con un periodo primaverile-estivo con precipitazioni scarse e lunghi periodi di siccità e un semestre autunnale-invernale con precipitazioni concentrate tipico della costa settentrionale della Sicilia. L’orografia del territorio e l’orientamento dei suoi rilievi rispetto alla costa tirrenica fanno sì che l’area studiata sia interessata in prevalenza dai venti provenienti dai quadranti settentrionali, che trasportano masse d’aria umide provenienti dal Tirreno. La distribuzione delle precipitazioni sul territorio risulta influenzata dall’altitudine. Le stazioni pluviometriche del Servizio Idrografico di Stato, idonee a rappresentare le piogge nell’area di studio, sono quella di Tindari, che ha funzionato fino al 1983, e quella di S. Piero Patti, tuttora attiva. Quest’ultima, pur essendo ubicata al di fuori dell’area oggetto del presente studio, è idonea a rappresentarne l’andamento delle precipitazioni nella porzione più elevata e interna.
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Le piogge medie nel ventennio 1963-1983 (Fig. 7per le stazioni pluviometriche di Tindari e S.Piero Patti del Servizio Idrografico Italiano ), per il quale si dispone delle registrazioni per entrambe le stazioni pluviometriche, sono massime durante il mese di dicembre, mentre sono scarse da maggio ad agosto. Durante il periodo che va da dicembre ad aprile le piogge registrate presso la stazione di S. Piero Patti sono significativamente maggiori di quelle registrate dalla stazione di Tindari. Luglio è il mese durante il quale le precipitazioni sono minime. Analogamente a quanto visto per le precipitazioni, anche la temperatura è correlata all’altitudine e si abbassa di circa 0,6 °C per un aumento di 100 m di quota. La stazione termometrica di Tindari mostra che il clima della zona in esame, tipicamente mediterraneo, è caratterizzato da estati calde e inverni poco rigidi; la temperatura media minima si registra generalmente a gennaio-febbraio (un minimo invernale di +14° circa), mentre la temperatura media massima a luglio (+30° circa).
Figura 9. Altezze mensili di pioggia, medie nel ventennio 1963-198372 72
2.5. Processi geomorfologici La morfologia dell’area indica che l’azione erosiva operata dagli agenti atmosferici è tuttora attiva, essendosi impostata su una regione di recente sollevamento. La ridotta lunghezza delle aste fluviali e la concentrazione delle precipitazioni meteoriche nei mesi invernali e primaverili fanno in modo che i deflussi siano caratterizzati da piene e da trasporto solido cospicuo. Tali aspetti si manifestano nel sovralluvionamento delle fiumare e nella necessità di adottare, specialmente per i torrenti Timeto e Librizzi, opportune opere di regimazione delle acque (briglie e argini). L’erosione ancora in atto determina la formazione di valli strette con caratteristico profilo a “V”, versanti molto ripidi, spesso a strapiombo. Il costante sovralluvionamento non le deve erroneamente far considerare valli a “fondo piatto” e quindi “mature”. 2.5.1. Processi di modellamento e tendenze evolutive Nella zona due appaiono i processi prevalenti di modellamento in atto, quello fluviodenudazionale, dovuto alle acque superficiali, e quello dovuto all’azione della gravità. Nel primo le acque superficiali dilavanti, non incanalate, danno luogo a forme di denudamento lungo i pendii, talora anche estese. Nel tratto collinare-montano, dove le aste fluviali presentano in genere pendenze elevate, l’erosione, talora intensa, interessa principalmente il fondo degli alvei ma anche le sponde, con fenomeni di dissesto per scalzamento al piede, di entità diversa a seconda dei tipi litologici interessati. Nella fascia più settentrionale dell’area, dove le valli in terreni prevalentemente argillosi e alluvionali sono
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http://193.206.192.131:8080/dstn/
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28 | Tyndaris | Michele Fasolo ampie, gli alvei risultano a volte sovralluvionati. Il modellamento ad opera della dinamica gravitativa di versante si manifesta laddove volumi di terreni lapidei sono in precarie condizioni di equilibrio. Nell’area si riscontrano diffusi fenomeni franosi, classificabili secondo diverse tipologie, con estensione e cause diverse. Molti di essi sono attivi, altri quiescenti talora con parziali riattivazioni. Le carte dei dissesti del P.A.I. (Piano Assetto Idrogeologico) redatte dalla Regione Siciliana rappresentano un ottimo strumento cartografico per osservare l’attuale perimetrazione delle aree in frana. Nella zona si possono più precisamente distinguere: - crolli che interessano essenzialmente i versanti metamorfici, arenacei e calcarenitici a morfologia molto acclive e scoscesa o con pareti subverticali. Risultano in particolare interessati i banchi fratturati delle areniti del Flysch di Capo d’Orlando, di monte Russo e di monte Perrera. Altri crolli sono evidenti lungo la S.P. 119 e presso la Contrada Moreri Sottani. - scorrimenti che si producono in terreni caratterizzati da un forte contenuto in materiali argillosi. Nelle vicinanze del centro abitato di Patti coinvolgono la sequenza terrigena tortoniana a est di monte S. Paolo e la coltre di alterazione con parte del substrato roccioso fratturato dell’Unità dell’Aspromonte e del Flysch di Capo d’Orlando; in particolare il fenomeno avvenuto nell’inverno 1955-56 sul versante settentrionale di monte Perrera costituisce uno scorrimento traslativo di uno strato arenitico del Flysch di Capo d’Orlando spesso circa 1,5 metri sopra l’interstrato pelitico-marnoso. - colate che comprendono alcune frane lungo pendii argillosi come quelli delle Argille Scagliose a monte S. Stefano e a nord di monte Gran Piano e le porzioni più pelitiche del Flysch di Capo d’Orlando a sud di monte Scarpiglia. Fenomeni di colamento lento coinvolgono le Argille Scagliose della porzione orientale e le litologie a est di contrada Gallo; - frane complesse che riguardano la coltre di alterazione del Flysch di Capo d’Orlando e delle metamorfiti dell’Unità dell’Aspromonte; nelle quali sono riconoscibili due o più tipologie di movimento principali; generalmente scorrimento-colata. - franosità diffusa che coinvolge aree in cui non è possibile identificare singoli corpi di frana, ma nelle quali si evidenzia la presenza di più movimenti franosi superficiali, spesso adiacenti o sovrapposti, verificatisi in tempi successivi o anche contemporaneamente presenti. Questi fenomeni si riscontrano sui versanti flyscioidi e metamorfici, acclivi e degradati, dei rilievi di monte Scarpiglia, monte Malafarina e monte Garrera; 2.6. Idrografia e caratteristiche idrogeologiche 2.6.1. Idrografia. Dal punto di vista idrografico, l’area è interessata dal ruscellamento delle acque meteoriche che defluiscono verso il Mare Tirreno (Fig. 10). Lo sviluppo del reticolo idrografico è fortemente condizionato dalla morfologia dell’area, dalla litologia dei terreni in affioramento e dalla particolare distribuzione delle precipitazioni sul territorio. Il reticolo idrografico si presenta ben articolato e gerarchizzato nelle fasce montane e collinari dell’area, dove i rami secondari, caratterizzati da andamento tendenzialmente rettilineo, breve lunghezza e notevole pendenza, hanno inciso le metamorfiti di alto grado dell’Unità dell’Aspromonte e il Flysch di Capo d’Orlando, formando una serie di valli strette e incassate, e disegnando in pianta un reticolo con strutture dendritiche. Al contrario, nelle zone di bassa collina dove affiorano diffusamente le Argille Scagliose e i terreni argillosi, il reticolo è mediamente ramificato e costituito da incisioni a solchi poco profondi, con i rami principali a sviluppo lineare verso il mare. Nel territorio di Patti e in quelli di Montagnareale, Montalbano Elicona e Oliveri si riscontra la presenza di quattro bacini idrografici principali (Timeto, Montagnareale, Castello ed Elicona) che scorrendo con andamento parallelo o sub-paralleli da SO a NE convogliano le loro acque nel Mare Tirreno.
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Figura 10. Principali corsi d’acqua a carattere torrentizio nel Comune di Patti (Me).
Tutti i corsi d’acqua presenti sono caratterizzati dal carattere torrentizio con il verificarsi di tipiche piene impetuose, ma di breve durata, in concomitanza di precipitazioni sporadiche, ma a volte cospicue, che ricorrono prevalentemente nella stagione invernale. Queste piene sono favorite dall’acclività dei versanti spesso privi di vegetazione arborea e dagli stati di alterazione chimico-fisica della roccia. Su tali fenomeni di degradazione e sovralluvionamento influiscono le caratteristiche climatiche della zona. Gli apporti di materiali detritici sono quindi a volte consistenti e si manifestano nel sovralluvionamento degli alvei. Nei periodi asciutti i corsi d’acqua presentano deflussi superficiali di modesta entità o del tutto assenti. Per lunghi periodi, successivi alle precipitazioni sulla superficie degli alvei, si mantengono modesti rigagnoli ad andamento tortuoso, a volte meandriforme, che nelle estati asciutte scompaiono per seguire un corso di sub-alveo. Il principale corso d’acqua dell’area è il torrente Timeto, caratterizzato da un bacino idrografico allungato in direzione sud-nord, ortogonalmente allo spartiacque generale dei monti Peloritani. Il torrente, entrando nell’area in esame nell’ultimo quarto della propria asta principale, viene deviato, all’altezza di monte Scarpiglia a causa della presenza di rocce resistenti e compatte, verso NO in una valle con pareti a strapiombo costituite in alto dal Flysch di Capo d’Orlando e in basso dagli gneiss occhiadini dell’Unità dell’Aspromonte. Il Timeto successivamente riprende il proprio originario decorso attraversando gli affioramenti del Flysch di Capo d’Orlando e ricevendo gli apporti idrici da parte dei suoi principali affluenti: il torrente Librizzi in sinistra idrografica e i torrenti Ronzino73 e Ciavola in destra idrografica. Alla confluenza con i suoi affluenti74 il Timeto origina vaste piane alluvionali. Infine sbocca nella pianura alluvionale, tra Patti Marina e Mongiove, dove forma un ampio delta. L’alveo del Timeto si presenta sempre sovralluvionato, suddividendosi in numerosi rigagnoli che si spostano continuamente da una parte all’altra del greto. A Ovest del Timeto, al di fuori del suo bacino idrografico, il torrente Montagnareale sfiora l’abitato di Patti attraversando una pianura di Argille Scagliose e sfocia dopo complessivi 9 km circa nel Mare Tirreno nella zona di Marina di Patti. È caratterizzato da un’asta piuttosto corta e presenta un alveo sproporzionatamente largo e costantemente sovralluvionato75. A est del Timeto scorrono il torrente del Castello e il torrente Elicona.
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Questo corso d’acqua si caratterizza per una valle particolarmente disimmetrica con il fianco destro più ripido. 74 Tra gli altri affluenti Madoro e Canace. 75 Il bacino idrografico del Torrente Montagnareale – Provvidenza presenta un’estensione areale di circa 13.85 km2. Il corso d’acqua non presenta affluenti di rilievo tranne l’asta secondaria che si sviluppa nella località Bonavita e confluisce nell’asta principale poco a monte dell’abitato di Montagnareale. Il bacino può suddividersi in due fasce. Nella porzione altocollinare e montana i versanti si presentano molto ripidi a differenza della conformazione più dolce che la porzione pedemontana del bacino assume con collinette, dai versanti leggermente ondulati e pendenze mai superiori al 30%, che giungono sin quasi sulla spiaggia senza dar luogo a una zona pianeggiante. I terreni di quest’ultima fascia non mostrano una buona stabilità.
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30 | Tyndaris | Michele Fasolo Il torrente del Castello nasce da monte Montererì, presenta nel tratto iniziale una valle regolare con pareti ripide che diviene poi disimmetrica, a causa della differente composizione litologica dei fianchi vallivi immediatamente a N di Case S. Pietro. Il corso d’acqua sbocca poi nella pianura alluvionale di Oliveri. Il torrente Elicona ha origine poco al di sotto di monte Roccaincavalcata a 1160 m s.l.m. Dopo un percorso con andamento SSO-NNE di circa 22,65 km sfocia tra Falcone e Oliveri e quindi in mare con un ampio delta. La sua valle si presenta stretta, profonda e orrida, dall’andamento tortuoso con frequenti cambi di direzione e di pendenza. Il fondovalle si presenta costantemente sovralluvionato. 2.6.2. Caratteristiche idrogeologiche A margine est della valle di Tindari, lungo la costa, sono presenti alcuni specchi d’acqua, i Laghetti di Marinello, che fanno parte della Riserva Naturale Integrale di recente istituzione, con Decreto n° 745/44 della Regione Siciliana. Nell’area protetta, ampia circa 401 ha, è consentito praticare l’escursionismo, ma è fatta salva la facoltà dell’ente gestore di fissare limiti e prescrizioni; l’area denominata Porto di Tindari è preclusa alla navigazione. Nell’area di Patti si riscontra in genere la presenza di sorgenti che, anche se modeste e piuttosto variabili, rende questo territorio una zona piuttosto fertile e quindi favorevole da sempre all’insediamento umano. Le sorgenti di fessura o diaclasiche sono abbastanza comuni e particolarmente diffuse nelle rocce cristalline, localizzate lungo i pendii e in prossimità del fondovalle. Più diffuse ancora sono le sorgenti localizzate soprattutto in prossimità del contatto tra le arenarie porose del Flysch e le sottostanti rocce cristalline. Il metodo più usato per lo sfruttamento di queste sorgenti consiste nello scavo di gallerie filtranti che, disposte trasversalmente alla direzione di moto delle acque, le convogliano per gravità verso il luogo di utilizzazione; ne sono esempio i pozzi freatici presenti nelle pianure alluvionali di Mongiove e Oliveri che captano falde acquifere poste alla profondità di circa otto-dieci metri. Le falde in questione scorrono su substrati impermeabili di argille scagliose e quaternarie rispettivamente della pianura di Mongiove e Oliveri.
76 77 78
FIEROTTI 1988, n. 22. FIEROTTI 1988, n. 13. FIEROTTI 1988, n, 27.
2.7. Pedologia ed uso attuale del suolo Per gli aspetti pedologici si è fatto riferimento alla “Carta dei suoli della Sicilia” (1988) di Fierotti, Dazzi e Raimondi (Regione Siciliana Assessorato Territorio ed AmbienteUniversità degli studi di Palermo, Facoltà di Agraria, Istituto di Agronomia Generale, Cattedra di Pedologia). Nell’area in esame l’associazione di suoli più estesa (oltre 31 km2) è quella tra Suoli bruni-Suoli bruni vertici-Vertisuoli (Typic Xerochrepts- Vertic Xerochrepts – Typic Chromoxerts e/o Typic Pelloxererts), (Entric Cambisols-Vertic CambisolsChronic e/o Pellic Vertisols)76. Interessa gran parte della porzione settentrionale del bacino del torrente Timeto prima del suo sbocco nella pianura alluvionale costiera. Si tratta di un’associazione tipica della “bassa collina dolcemente ondulata, con morfologie da subpianeggiante a poco inclinate” a quote comprese tra i 300 e 600 m s.l.m. Sui suoli di questa associazione si riscontrano generalmente soprattutto colture arboree ma anche il vigneto e il seminativo. La potenzialità è buona. Decisamente più limitata (appena 3 km2) risulta l’associazione tra Regosuoli-Suoli bruni e/o Suoli bruni vertici (Typic Xerorthents-Typic e/o Vertic Xerochrepts) (Entric Regosols- Entric e/o Vertic Cambisols)77. L’associazione che insiste sui terreni argillosi tra S. Cosimo e Masseria, e in una piccola porzione di Moreri Sottani, ha una potenzialità agronomica da discreta a buona con un uso prevalente cerealicolo che non ammette in genere alternative tranne a volte il vigneto e l’arboreto e in una piccola area di Masseria una coltura orticola non irrigua. Consistente è l’area occupata (circa 16 km2) dall’associazione tra Suoli bruni leggermente acidi – Suoli bruni – Suoli bruni lisciviati (Typic Xerumbrepts – Typic Xerochrepts-Typic Haploxeralfs) (Entric Cambisols-Orthic Luvisols)78. Riguarda le zone a ovest del torrente Montagnareale e la dorsale da Capo Tindari a Monte Saraceno sul margine E dell’area oggetto di ricerca. L’uso prevalente è costituito “dal pascolo e dal riposo pascolativo alternato con il frumento e qualche coltura da rinnovo o foraggera nelle
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Michele Fasolo | Tyndaris | 31 situazioni migliori, ma soprattutto sono pure presenti lembi di querceto e di castagneto sparso”. La potenzialità è giudicata discreta e in grado di esaltarsi fortemente per il bosco. Al riguardo va segnalata la generale scarsa profondità di questa associazione in molte aree negli immediati dintorni di Tindari con conseguenze sulla capacità d’uso per fini agricoli. La pianura alluvionale costiera, da Patti Marina a Mongiove (circa 6 km2), risulta formata infine dall’Associazione di suoli alluvionali (Typic e/o Vertic Xerofluvents – Typic e/o Vertic Xerochrepts) (Entric fluvisols-Entric e/o Vertic Cambisols)79. Questi suoli hanno trovato dall’Ottocento in poi uso prevalente nell’agrumeto, nell’arboreto, nel vigneto o nel seminativo, con una potenzialità che viene segnalata buona od ottima a seconda dei casi. Per quanto concerne le caratteristiche di uso del suolo, la vegetazione nel territorio si presenta abbastanza ricca e diversificata (Fig. 11, Tab. 5). La distribuzione delle principali colture agricole, procedendo dal mare verso l’entroterra, avviene sostanzialmente secondo fasce altimetriche. L’area è caratterizzata dalla dominanza, tra le colture agricole e arboree, dell’olivo. Alquanto diffuse risultano le aree destinate a pascolo e a seminativo. Piuttosto limitate sono le aree boschive. Tabella 5. Uso del suolo nel territorio del comune di Patti (percentuali).
Uso suolo Urbanizzato tessuto denso Urbanizzato tessuto rado Seminativo Agrumeto Oliveto Frutteto Colture eterogenee (con vigneti) Bosco Parzialmente boscato Macchia Pascolo Incolto Alvei fluviali
% 3,06 2,5 10,09 5,33 38,10 0,95 1,04 1,48 2,47 14,36 12,95 4,51 2,47
Le zone urbanizzate corrispondono agli abitati di Patti, insediamento urbano principale con un tessuto molto denso come quello delle due località Marina di Patti e Mongiove, cui si aggiungono le numerose frazioni, borgate e contrade80 disseminate nel territorio, in cui si riscontra un tessuto urbano rado (Fig. 12). Carta dell’uso del suolo. 1: tessuto urbano continuo; 2: tessuto urbano rado; 3: seminativo semplice, irriguo, arborato; foraggine, colture orticole; 4: agrumeto; 5; oliveto; 6 noccioleto; 7: zone agricole eterogenee con sistemi colturali complessi; 8: latifoglie; 9: bosco degradato; 10: macchia e cespuglieto; 11: pascolo; 12: incolto roccioso; 13: alvei torrentizi; 14: spiagge (Fig. 11). Nel settore a ovest del torrente Timeto, nella zona prossima alla costa (ove maggiore è la quantità di acqua disponibile) si riscontrano prevalentemente agrumi (arancio e limone), spesso frammisti a frutteti specializzati (pescheti e altre nettarine) e colture orticole. L’essenza arborea dominante è l’olivo, che manta gli affioramenti dell’alternanza conglomeratico-sabbioso-pelitica miocenica. Sulle Argille Scagliose sono coltivati unicamente il grano e la sulla. Nel settore a est del torrente Timeto gli oliveti si alternano a zone di macchia arbustiva e cespuglieti. Gli oliveti si riscontrano principalmente in corrispondenza degli affioramenti del Flysch di Capo d’Orlando. La macchia arbustiva è localizzata nella zona di contrada Moreri e a ovest di Madoro, in destra idraulica del torrente Timeto; essa sembra essere
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FIEROTTI 1988, n, 17. Ricadono nel suo territorio le frazioni di Tindari, Marinello, Mongiove, Marina di Patti, Sorrentini, Camera, Case Nuove Malluzzo, Case Nuove Russo, Gallo, Madoro, Moreri, San Cosimo, Scala di Patti, Scarpiglia.
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Figura 11. Carta dell’uso del suolo.
presente in ambiti circoscritti, condizionata da coperture di terreno sciolto ridotte, o da versanti ripidi soggetti a intensa erosione, o anche da terreni piuttosto aridi. I seminativi (grano e foraggere varie) e i pascoli sono frequenti, e si riscontrano sistematicamente in corrispondenza degli affioramenti delle Argille Scagliose; anche le aree di affioramento delle metafemiti dell’Unità dell’Aspromonte sono generalmente adibite a pascolo. I rilievi più elevati al vertice orientale del settore dominanti su Capo Tindari, di natura gneissica e a volte formati da banconi arenacei del Flysch di Capo d’Orlando, corrispondono ad affioramenti rocciosi incolti. A volte vi si riscontrano boschi di sughero.
Figura 12. Aree edificate (in nero).
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Michele Fasolo | Tyndaris | 33 2.8. Terremoti L’area di Patti risulta nel complesso caratterizzata da sismicità medio-elevata con un fitto addensamento dell’attività lungo una fascia con sviluppo NNO-SSE, fra la linea Tindari-Giardini e la zona di Naso, che interessa anche le isole Eolie. Il valore di intensità massimo che vi è stato rilevato è uguale a 10. La storia sismica del territorio è ricostruibile grazie al catalogo parametrico dei terremoti italiani81. Tra I secolo a.C e il XVII secolo gli eventi più rilevanti si sono verificati nel 91 a.C., in seguito negli anni 17, 365, 374, 853, nel 1169, 1230, 1310, 1323, 1329, 1444, 1448, 1450, 1490, 1494, 1513, 1566, 1613, 1635, 1643, 1649. Per i secoli successivi l’inquadramento della sismicità dell’area è stato effettuato consultando il database di osservazioni macrosismiche INGV-DBMI11 utilizzato per la compilazione del Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani CPTI11 (Rovida et al., 2011) che riporta le intensità macrosismiche risentite al sito in epoca storica. Le informazioni desunte da questa ricerca sono riassunte nella tabella 6. Per ogni evento sismico viene indicata: data (anno, mese e giorno), area epicentrale, intensità epicentrale I0 (valori espressi secondo la scala MCS), intensità risentita al sito IS (MCS) e magnitudo momento MW. L’ubicazione degli epicentri degli eventi raccolti nella tabella 6 è mostrata in Fig. 13 con simboli di dimensione proporzionale all’intensità epicentrale; nella figura sono rappresentati unicamente i terremoti per i quali il database di osservazioni macrosismiche INGV-DBMI11 definisce esplicitamente il valore dell’intensità epicentrale I0. La figura non tiene pertanto conto di un evento sismico particolarmente significativo, il terremoto del 15 Aprile 1978 con epicentro nel Golfo di Patti, equidistante dalla spiaggia di Patti e dall’isola di Vulcano, cui corrisponde IS pari al grado VIII MCS. Dall’analisi della tabella 6 si nota che la massima intensità risentita al sito (IS) è del IX grado MCS in occasione del terremoto del 10 marzo 1786 con epicentro prossimo a Patti. Altri eventi sismici particolarmente gravosi (risentiti a Patti con IS ≥7) sono stati quelli dell’11 gennaio 1693, del 14 settembre 1780, del 5 febbraio 1783, del 5 marzo 1823, del 28 dicembre 1908 e del 15 aprile 1978. Ovviamente gli eventi riportati nella tabella 1 sono una piccola parte degli eventi storici avvenuti nella regione, in particolare quelli per i quali si dispone, come detto, di fonti
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Tabella 6. Sismicità storica risentita nel sito di Patti. Dati da INGV - DBMI11.
Gruppo di lavoro CPTI (2004). Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani, versione 2004 (CPTI04), INGV, Bologna, http://emidius.mi.ingv.it/CPTI04/.
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Figura 13. Intensità epicentrali degli eventi sismici risentiti in epoca storica nel sito di Patti. Dati da INGV - DBMI11.
storiche riguardanti gli effetti nell’abitato di Patti. La zonazione sismogenetica ZS9 del territorio italiano eseguita dall’INGV (MELETTI e VALENSISE, 2004) suddivide la Sicilia in cinque aree sismogenetiche (Fig. 14). Le diverse zone sono individuate da un numero (da 932 a 936). La zona indicata con la lettera “F”, cui corrisponde un particolare stile di fagliazione, non è stata utilizzata per la valutazione della pericolosità sismica. ZS 932 - Faglie legate allo “svincolo” che consente l’arretramento dell’arco calabro e le strutture “sintetiche” che segmentano il Golfo di Patti; ZS 933 - Area compresa tra il Monte Etna e i Monti di Palermo;
Figura 14. Zonazione sismogenetica ZS9.
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Michele Fasolo | Tyndaris | 35 ZS 934 - Area del Belice; ZS 935 - Fronte dell’Avampaese Ibleo sull’Avanfossa e Scarpata Ibleo Maltese; ZS 936 - Area Etnea. I valori massimi dell’intensità risentita a Patti in epoca storica corrispondono a terremoti originatisi nelle zone sismogenetiche 932, 929 e 935. L’area di Patti ricade nella zona 932; la sismicità di questa area sismogenetica è caratterizzata da un addensamento dell’attività tra la zona di Naso (a ovest di Patti) e la linea Tindari-Giardini, lungo una fascia con sviluppo NNO-SSE che interessa anche la dorsale delle Isole Eolie. A questa zona sono attribuite le faglie (prevalentemente trascorrenti) legate allo “svincolo” che consente l’arretramento dell’arco calabro e le strutture sintetiche che segmentano il Golfo di Patti. I principali eventi storici di questa zona sono costituiti dai terremoti del 14 settembre 1780, del 10 Marzo 1786 e del 15 Aprile 1978. Quest’ultimo evento sismico ha interessato quasi tutta la Sicilia e parte della Calabria; nella zona di Patti l’intensità risentita è stata dell’VIII grado MCS. La profondità focale stimata è stata individuata attorno ai 25 km di profondità. La zona 929, corrispondente al lato tirrenico dell’arco calabro fino allo Stretto di Messina, è caratterizzata dai terremoti di più elevata magnitudo. Tra questi spiccano la sequenza del 1783, il sisma del 1905 e il terremoto di Messina del 1908; a essi corrispondono valori prossimi a 7.1 della magnitudo momento MW in tabella 6. Nella zona di Patti le intensità risentite sono state del VII e dell’VIII grado MCS. Nella zona 935, corrispondente al fronte dell’avampaese Ibleo sull’avanfossa e scarpata Ibleo Maltese, si è verificato l’evento con la magnitudo più alta riportata da tutti i cataloghi nazionali, il terremoto dell’11 Gennaio 1693. Il sisma, con magnitudo momento MW pari a 7.4, è stato risentito a Patti, distante un centinaio di chilometri dall’epicentro, con intensità pari all’VIII grado MCS. Gli studi di pericolosità sismica condotti dall’Istituto Nazionale di Geofisica e
Figura 15. Mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale, area del Comune di Patti: accelerazioni di picco su roccia con periodo di ritorno 475 anni (INGV, 2004).
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36 | Tyndaris | Michele Fasolo Vulcanologia per la redazione della Mappa di Pericolosità sismica del territorio italiano, attribuiscono al territorio del Comune di Patti valori di accelerazione orizzontale di picco su roccia ag nell’intervallo 0.175-0.225g . Questi valori corrispondono a una probabilità di superamento del 10% in 50 anni (ovvero a un periodo di ritorno TR di 475 anni). L’intervallo 0.175-0.200g corrisponde alla zona settentrionale dell’area del Comune, dove sorge il centro abitato di Patti; l’intervallo 0.200-0.225g caratterizza i rilievi a carattere montano al limite meridionale dell’area (Fig. 15).
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Michele Fasolo | Tyndaris | 37 3. La memoria storica. Storia degli studi e della ricerca archeologica
3.1. La continuità del toponimo Tindari e la comparsa di quelli di Patti, di Oliveri e di Scala Dopo la fine del mondo antico, le estreme e dubbie menzioni bizantine della vitalità del suo vescovado tra VIII e X secolo82 e la conquista araba della Sicilia, non troviamo nelle fonti storico-letterarie, sino alla fine dell’XI sec., sicure attestazioni riguardanti Tyndaris e il territorio circostante. Forse la località va riconosciuta, come suggerisce l’Amari, nel toponimo M.d.nar o D.ndarah che potrebbe essere stato riportato, a proposito della caduta della città ad opera dei conquistatori arabi nell’anno 835/836 (221 dall’egira), in uno dei resoconti di cronisti islamici andati perduti e poi confluiti nel al-Bayān al-Mughrib83, compilazione risalente però all’inizio del XIV sec. Anche il Kitāb Gharā ỉb al-funūn wa-mulaḥ al- ´uyūn, conosciuto come Book of Curiosities84, trattato cosmografico anonimo arabo, compilato probabilmente in Egitto nella prima metà dell’XI sec., non individua con toponimi precisi alcuna località in quest’area della costa tirrenica. Il promontorio di Tindari va forse identificato in via del tutto congetturale, basandosi anche sulle distanze che vengono fornite da punti in tutta evidenza da identificarsi come corrispondenti ai centri moderni di Milazzo e di Capo d’Orlando, nella Jabal ‘alá albahr (montagna sul mare) o nel Ra’s hijārah jabal ‘alá al-bahr (un promontorio roccioso una montagna sul mare), riportati nella mappa della Sicilia che l’opera reca. Nel 1094 il toponimo Pactes85 compare per la prima volta in tre documenti, tràditi da copie risalenti al XIII secolo. Si tratta rispettivamente dell’atto di fondazione del monastero di S. Salvatore86 a Patti, del documento con cui Roberto, vescovo di Troina-Messina, acconsente alla fondazione dello stesso monastero87 e del documento che riporta le donazioni da parte del conte Ruggero e di alcuni suoi baroni di territori, villani e decime al monastero di San Bartolomeo di Lipari88. Pactes89 emerge in queste fonti documentarie come un centro abitato già di una certa consistenza, dalla vita civile organizzata, qualificato villa90, e qualche anno più tardi lo sarà, forse in conseguenza dell’avvenuta costruzione di un apprestamento difensivo, castrum91. Ha clero secolare e chiese che danno decime ecclesiastiche e dominicali92. Anche il numero degli abitanti, centro abitato e territorio, doveva essere non irrilevante se è vero che il Conte dona «in pactes» ben «centum villanos» all’abate, ovvero una quantità consistente e che comunque, sia pur considerando la probabile convenzionalità della cifra tonda menzionata, doveva apparire plausibile, pertinente ad un centro popoloso, a chiunque ne fosse venuto a conoscenza nell’immediato93. Insieme a Pactes e al flumen de pactes nei documenti del 1094 viene nominata la vicina località di Livir 94, con tutta probabilità Oliveri. In particolare Oliveri riappare in un Sig…llion 95 del 7 novembre 1109 con cui la reggente Adelasia concede al monaco eremita Gerasimo una vecchia chiesa abbandonata dedicata al profeta Elia «™n tî ¹metšrñ kr£tei Lhbhr…ou». Gerasimo vi eresse il monastero di S. Elia de Scala Oliveri «Ð“Agioj ‘Hl…aj tÁj Sk£laj Libhr0ou». La designazione di S. Elia de Scala96 Oliveri compare anche in un diploma di Ruggero II del 113197. Riguardo al toponimo l’Uggeri suppone, data la presenza di una tonnara attestata nelle fonti documentarie già nel 114898 un’origine dal greco tardo libàri, ossia vivarium, peschiera99. A differenza di Patti e di Oliveri nei documenti di età normanna della prima metà del XII secolo il riferimento a Tindari continua a rimanere indiretto e generico. Nel diploma del 1094 di donazione e di delimitazione del territorio del Monastero di S. Salvatore in Patti da parte del Conte Ruggero si fa riferimento infatti a confini il cui inizio è « ad grandem scalam de veteri civitate »100 ovvero dell’antica Tindari, anche se è remotamente possibile che ci si riferisca sia al primitivo insediamento di Patti101. Nessun riferimento circostanziato neanche
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Tindari è riportata ancora come diocesi nelle liste geografiche ed amministrative-ecclesiastiche dell’impero bizantino conosciute come Notitiae episcopatuum Ecclesiae Constantinopolitanae relative ai secoli VIII-XII (DARROUZES 1981) in particolare nella Diatyposis attribuita apocrificamente a Leone VI il Sapiente (886-912) ma in realtà corrispondente ad una taxis promulgata durante il primo patriarcato di Nicola il Mistico tra il 901 e il 907cfr. PRESTIANNI GIALLOMBARDO 1991, pp. 308-309 e n. 40. 83 L’Amari ritenne di identificare la località con Tindari sia sulla base dell’assonanza del toponimo con la forma arabizzata del classico Tyndaris che in al-Idrīsī suona D.ndarah e sia perché gli avvenimenti narrati nel testo, a suo avviso, riguardavano un’offensiva musulmana condotta per la prima volta lungo la costa settentrionale con l’assalto ad una fortezza importante da parte di un’armata, guidata da ‘Al Fadhl-ibn-Ya-qûb, reduce, sottolinea lo studioso, «da isolette adiacenti senza dubbio le Eolie». AMARI 2002, v. I, p. 244 n. 22. Il Kitāb al-bayān al-mughrib fī ākhbār mulūk al-andalus wa’l-maghrib (سلدنالا كولم رابخا يف برغملا نايبلا باتك برغملاو, Libro della dilettevole esposizione della storia dei re di alAndalus e Maghreb) noto con il titolo abbreviato al-Bayān al-Mughrib (( )برغملا نايبلاLa dilettevole esposizione) o, semplicemente il Bayān, si ritiene sia stato composto in arabo a Marrakech intorno al 1312 da Ibn ‘Idhari, qa’id di Fes. Il valore di quest’opera, secondo molti studiosi, sta nel fatto che essa contiene importanti informazioni assenti in altre fonti, in particolare materiale estratto da opere anteriori oggi andate perdute. Versione italiana (da edizione del testo arabo delle prime due parti pubblicato per la prima volta nel XIX secolo dal Dozy): AMARI 1982, v. II, p. 9 ss. Altre edizioni: N. LEVTZION-J.F.P. HOPKINS 1981; traduzione in spagnolo delle Parti 1 e 2: HUICI MIRANDA 1953-4; traduzione in spagnolo della Parte 3: ID. 1963. 84 Il Kitāb Gharā’ib al-funūn wamulaḥ al-ʿuyūn fu compilato probabilmente in Egitto nella prima metà dell’XI sec. Un suo manoscritto, risalente alla fine XII inizio XIII, è dal 2002 posseduto dalla Bodleian Library di Oxford. JEREMY JOHNSEMILIE SAVAGE‐SMITH 2003, pp. 7-24; http://cosmos.bodley.ox.ac.uk/hms /home.php Lib. II, cap. 12. 85 Secondo l’Uggeri il toponimo potrebbe averci preservato il ricordo di un proprietario della villa, «un hypatos (consul, consularis), alla stregua di quello di Sofiana che era un philosophus». UGGERI 1997, p. 40; 2004, p. 126. 86 Copia in lingua latina probabilmente risalente al XIII sec.
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38 | Tyndaris | Michele Fasolo del diploma originario ACP, Cpz f. 2 A; PIRRO, II, p. 770; GIRGENSOHNKAMP, Reg. n. 4, p. 10-11; SIDOTIMAGISTRI 2006, pp. 188-190 ; CATALIOTO 2007, p. 177. 87 ACP, Cpz f. 3; PIRRO, II, p. 770 segg. 88 ACP, Cpz f. 2B; PIRRO, II, p. 771 seg.. 89 Il toponimo viene riportato come apud Pactas e in castro Pactes in un placito del 10 gennaio 1133. Il documento ricorda che l’abate Ambrogio emanò, tra il 1095 ed il 1101, «in castro Pactes» il Constitutum con cui venivano stabiliti i rapporti tra il monastero benedettino e i coloni di lingua latina nonché i diritti sui boschi comuni degli abitanti di Patti. L’originale manca ma se ne conserva una copia in ACP Cpz f. 13. Ecclesias de Pactis vengono menzionate nel diploma di conferma da parte di Ruggero II del 28 aprile 1134 dei beni e diritti concessi alla chiesa di Lipari e di Patti dal conte Ruggero e dai suoi sodali (ACP DS f. 21). La comunità monastica «tîn monacîn p£ktîn» è ricordata nella lettera di denunzia dei misfatti di Algeri a Ruggero II contenente una individuazione dei confini del territorio di Focerò (1141, 2 novembre). ACP, Cpz f. 20 CUSA, n. 41, pp. 532-535, 705-706. Di flumen Molendinorum Pactarum, l’attuale torrente Montagnareale, con abitatori “pactensibus”, si parla nella definizione dei confini della terra di Fucherò (1142, Dic, Ind. V) da parte di Filippo, figlio di Leone logoteta, preceptor et stratigotus di tutta la Val Demone, per la sua attribuzione alla chiesa di S. Bartolomeo di Lipari. ACP, Fond. I f. 161. SIDOTI - MAGISTRI 2007, p. 225–227. 90 ACP, Cpz f. 3. 91 ACP, Cpz f. 13, il documento di concessione in cui il termine è contenuto può essere fatto risalire agli anni 1095-1101. Si è ritenuto che tanto nel latino dei cronisti che in quello della cancelleria normanna e degli scrittori di XI e XII sec. castrum e castellum vengano impiegati «spesso alternativamente per indicare delle realtà molto diverse quali, da un lato, il fortilizio, il ‘castello’ e, dall’altro, l’abitato chiuso difeso da mura». Il Malaterra pare adoperarre talvolta i due termini per indicare strutture probabilmente simili ma altre volte con castrum indica il centro fortificato e con castellum il fortilizio, MAURICI 2001, p. 62. Nella pergamena dell’Archivio Capitolare si concede agli uomini di lingua latina di poter rimanere quanto vogliano «in eodem castro», intendendosi forse il territorio nel suo complesso dato che comunque, da altre fonti, ci è nota l’esistenza per questi decenni di insediamenti nelle campagne
in una pergamena102 dell’Archivio Capitolare di Patti, probabilmente una copia della fine del XII sec., riguardante la donazione nel 1142 di «unam peciam terre, cum toto eidem terre pertinentem», con coltivazioni ed un bosco, tra Oliveri103 e Patti, che Martino Curatore fa all’hospitalis della Chiesa di San Bartolomeo. Una mano anonima nel XVII sec. ricollega questo hospitalis, in base ad elementi di conoscenza del contesto territoriale e della storia della struttura a noi ignoti, a Tindari, con un’aggiunta all’indice del volume dell’Archivio Capitolare che contiene il documento in cui si precisa «quest’ospedale di S. Bartolomeo si giudica esser la Chiesa di nostra Signora del Tindaro... »104. Nella prima metà del XII sec. compare invece, con accezione diversa da quella morfologica presente nei documenti precedenti, ovvero di sentiero ripido che si inerpica lungo un pendio conducendo ad un valico105, la località Scala, qualificata ora locus. Nel 1130 i fratelli Nicefore, Iohannes, Guigelmus e Alexander figli di Martinus Sergenus vendono, con il consenso della madre, all’abate Giovanni e ai suoi monaci un terreno « in loco qui vocatur scala p(...) l(...) t(...) ».106 Vi vengono descritti i confini: a nord sono costituiti dalla terra del monastero del S. Salvatore di Patti, a sud la proprietà costeggia invece i terreni di Philippus Falardus fino allo spartiacque dove hanno origine rispettivamente il vallum oliverii e dall’altro il vallum pactii. Il primo vallum probabilmente corrisponde all’attuale torrente Elicona o Oliveri mentre il secondo al torrente Madoro affluente di destra del Timeto. Tra i signa apposti dai testimoni dell’atto compare anche quello di Iohannes miles scalie. Il toponimo Tindari ritorna nelle fonti intorno alla metà del XII secolo con Edrisi107, non più poleonimo ma semplice elemento della geografia fisica, un promontorio, Râs Dandâri, sulla costa a tre miglia da Libiri e quattro da Patti «seguendo le sinuosità del golfo».108 Il geografo sottolinea che Baqtuś è una «fortezza difendevole con vasto territorio, che racchiude feraci campi da seminare, casali prosperosi, acque correnti, numerosi giardini; bel paese che sovrasta al mare alla distanza d’un miglio»109 e per la vicina Oliveri, a dodici miglia dal castello di Milâs ricorda «È bello e grazioso casale, con un gran castello in riva al mare. Avvi un mercato, un bagno, delle case, delle buone terre da seminare e delle acque perenni, sulle sponde [dei quali rivi] si stendono dei campi da seminare, e sonvi piantati dei molini. Possiede anche un bel porto, nel quale si fa copiosa pesca di tonno»110. Un intento celebrativo della monarchia normanna guida certamente la sua descrizione ma risulta in qualche modo percepibile uno sguardo attento alla complessità territoriale e agli aspetti economici e sociali, pur mancando, per la nostra zona, precisi riferimenti storici, peraltro raramente richiamati altrove. Scarse le notizie presenti in altre opere dell’erudizione araba dello stesso periodo, comunque utili per noi solamente per seguire a grandi linee lo sviluppo poleografico dei centri di questo settore della costa settentrionale dell’Isola. Troviamo «Baqdas (Pactae) Patti città dell’isola di Sicilia» nel Kitāb mu’jam al-buldān111 di Yāqūt al-Hamawī che riporta pure «Labira» (Oliveri)112 che scambia però con Elvira in Spagna pur facendo riferimento al verso di Ibn Qalaqis «lasciai da un canto Patti con Oliveri e navigai per un golfo (uggioso) come le notti buie». Patti ricorre anche nel compendio della stessa opera, il Marasid al Ittila113, e nel Masalik al-Absar114. 3.2. Le conoscenze nei secoli XIII – XIV tra ricostruzione mitica e confusione romanzesca Cogliamo un primo interesse non più solamente geografico ma filologico e storico verso alcune località della nostra zona, nel tentativo di spiegare i toponimi Oliveri e Capo d’Orlando che fa Goffredo da Viterbo (Viterbo 1133-91) nel suo Pantheon115, una sorta di storia del mondo redatta intorno al 1187: «Mons ibi stat magnus, qui dicitur esse Rolandus alter Olivierus simili ratione vocandus haec memoranda truces consituere duces»116. I toponimi di due località, una delle quali, Capo d’Orlando, solamente qualche decennio prima Edrisi aveva genericamente citato come la «piccola Cefalù», divengono prova del passaggio di Carlo Magno e dei suoi cavalieri in Sicilia. Siamo all’interno di una dimensione mitopoietica, simile a quella che si va coagulando in tutta Europa intorno al complesso romanzesco delle leggende troiane, e da cui, verso la fine del XIII secolo, vediamo riemergere proprio la Tindari antica.
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Michele Fasolo | Tyndaris | 39 La vicenda romanzesca della guerra di Troia nella Historia destructionis Troiae del siciliano Guido delle Colonne (ultimo terzo del XIII secolo) trova i suoi eventi scatenanti in un «loco dicto Tyndare... in Sicilia ex parte septentrionalis plage »117. A Tynderine, città «posta nella contrada dei Lacedemoni», sarebbe avvenuto, racconta nel XIV secolo la Cronica Sicilie118, il rapimento di Elena, moglie di Menelao, re della Trinatria, da parte di Paride detto Alessandro, figliolo di Priamo, re di Troia. Reminescenze vaghe e confuse in cui, ad esempio nel legame che riporta il toponimo Val Demone ai Lacedemoni, può rintracciarsi forse una qualche eco della migrazione in Sicilia, ricordata nel Chronicon Monembasiae, nel corso del VII secolo, di profughi peloponnesiaci che vi si rifugiano sfuggendo alla calata degli slavi. Questa prospettiva che lega Elena a Tindari viene confermata in quella che è la prima attestazione documentaria di una chiesa dedicata alla beata Vergine sul sito della città antica, risalente, alla menzione che ne fa Bartolomeo da Neocastro nell’Historia Sicula con riferimento agli avvenimenti del 1282. Pietro III d’Aragona, I di Sicilia, guarda ammirato il panorama dall’alto dell’Argimusto, l’odierna contrada Argimusco nel comune di Montalbano Elicona, richiamando ai suoi accompagnatori nei luoghi contemporanei il mito «et loca commendans delectabilia circumspectat sedes helene tindaree, ubi virginis hodie sacre domus excolitur»119. Tutti questi elementi e il paesaggio di rovine fanno di Tindari un “castello” ancorché non sia provata per questo periodo la presenza sul sito di un edificio fortificato. Di Tindari dalla seconda metà del XIV secolo, iniziano ad essere menzionati i castellani, prima Oddone Mancuso120, poi il capitano a guerra per Patti e Tindari, Vinciguerra d’Aragona121. Quest’ultimo castellano è sensibile all’epica cavalleresca tanto da aggiungere nel 1366 il nome «Guardia» al monte che dominava «il tenimento» perlomeno dal 1223 conosciuto come «Giuiuse», conferendogli così connotazioni letterarie che riportano al ciclo arturiano, specificatamente a Lancillotto, tanto in voga in periodo aragonese122. Pochissimi riferimenti a Patti e al suo territorio ci provengono dalle opere dei cronisti tra XIII e XIV secolo. Della zona Nicola Speciale ricorda solamente, nel contesto degli avvenimenti bellici, i plagiosa litora Pactarum123. 3.3. Dalle descrizioni geografiche erudite al riscontro autoptico sul terreno delle fonti antiche Tra la fine XV e gli inizi del secolo XVI secolo iniziano ad apparire anche in Sicilia le prime descrizioni geografiche erudite. L’ampliamento, grazie agli studi umanistici, del numero delle fonti storico-letterarie antiche cui attingere permette di richiamare, sulla scia del metodo inaugurato da Biondo Flavio, con puntualità le testimonianze dell’antichità nella descrizione della realtà geografica contemporanea. Tenta di farlo per l’intera isola il patrizio siracusano Claudio Mario Arezzo (ca. 1500-ca. 1575) nel De Situ Insulae Siciliae124. I suoi tentativi di dare localizzazione ai dati provenienti dagli autori antichi non poggiano su una solida e articolata base di conoscenze dirette del territorio. L’unico elemento del paesaggio che l’Arezzo mostra di conoscere è l’idrografia descritta in genere con precisione. L’Arezzo fornisce per il territorio di Patti e dintorni alcune notizie essenziali. Affronta il problema dell’identificazione dei fiumi, menzionati nelle fonti antiche, l’Helikon e il Timethus che riconosce rispettivamente il primo nel fiume di Novara, ovvero il Mazzarrà, e l’altro, pare di capire, nell’attuale Timeto. Di Tindari viene ricordato il sito in parvo tumulo e il contemporaneo stato di rovina della città, nunc paenitus eversa. L’Arezzo non cita Diodoro e riconduce la fondazione di Tindari a Tyndaro, padre di Leda. Ricorda la frana rovinosa di cui dà notizia Plinio il Vecchio, la statua di Mercurio donata da P. Scipione, la leggenda di Diana Fascelis, la chiesa di S. Maria di cui sottolinea l’antichità. Vengono citate le nundinae, già al suo tempo celebri, che vi si celebrano. L’origine di Patti viene ricollegata alla distruzione di Tindari. Vengono infine ricordate le vicine piccole località di Librizzi, Gioiosa Guardia e Montagna, quest’ultima qualificata casale di Patti 125. Domenico Mario Nigro nella sua Siciliae descriptio del 1557 si limita a citare la civitas Tyndarium, il Castello di Oliveri e ad identificare Agathyrium con Patti126.
circostanti il centro abitato. La pianta del castello di Patti è raffigurata in due disegni, forse risalenti agli esordi del sec. XVII, conservati presso la Biblioteca nazionale di Madrid. All’interno del complesso sono presenti la cattedrale, il monastero e pochi altri fabbricati. Vi si accedeva tramite due porte. Ciò potrebbe indicare che la prima cinta muraria della città sia stata limitata all’area del monastero. La prima espansione del borgo oltre le mura è ricostruita negli studi locali a partire dal XII secolo ed a iniziare dal versante occidentale della collina su cui sorge la cattedrale con la nascita del quartiere Pòllini, cui sarebbe seguita quella del quartiere di S. Ippolito, che in breve, anche a causa delle vicende del vescovato di Patti, diverrà il centro amministrativo e politico della città, e ancora dopo quella del quartiere di S. Michele, abitato da pescatori e da pentolai. Nei disegni la prima cinta muraria del centro abitato appare collegata a quella del castello. Successivamente, tra XIII e XIV sec., sorse una nuova cerchia muraria concentrica a quella già esistente. 92 ACP, Cpz f. 3. 93 ACP, Cpz f. 2B. Peraltro non «in» ma «ad termas» ne dona solamente VIII. 94 ACP, Cpz f. 2A. L’identificazione di Livir con Oliveri non è tuttavia del tutto certa. In una nota, probabilmente risalente alla seconda metà del XVII sec., a margine dell’indice del volume I di De fundationibus dell’Archivio Capitolare di Patti si identifica il toponimo con Librizzi. Va notato che molte di queste identificazioni come anche la redazione di atti falsi o la loro manipolazione e integrazione è il più delle volte strumentale alle controversie giudiziarie sui possessi in cui l’episcopato pattese si trova coinvolto. Il toponimo Livir compare anche nella lettera di denunzia a Ruggero II dei misfatti e delle sopraffazioni di tal Algeri, forse signore di Ficarra, tra le località di dispersione nell’immediato circondario dei villani demaniali di Focerò insieme a Vina (contrada il cui toponimo sopravvive ancora oggi nel comune di Librizzi), S. Pietro (San Piero Patti) e al villaggio di o del Mauro (tra Raccuja e Ucria) «b…na, lib…r, ¤gioj pštroj, maurÕ coàma» . Librizzi compare come Libricij in un documento del 1117 di cui si conserva copia in greco con traduzione latina dell’originale andato smarrito in ACP De fundationibus II, pp. 48-50.
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Il documento conservato a Toledo (Palazzo Tavera) nell’Archivio Ducal Medinaceli, fondo Messina n. 1339 (segnatura antica: S-800) è stato pubblicato dalla von Falkenhausen, (VON FALKENHAUSEN 2009 con trascrizione alle pp. 987-990, tavv. LXIX, fig. 201, LXX, fig. 202). Una copia del documento risalente al XVII sec. con molte lacune è nel Cod. Vat. Lat. 8201, fol. 118r-118v. 96 La Scala di Oliveri a differenza della Scala di Tindari potrebbe essere uno scalo, ovvero una scalea. 97 PIRRO 1733, II, p. 973. Il monastero va identificato probabilmente con quello denominato de Burracha, distrutto insieme ad altri nei dintorni di Milazzo nel corso della guerrra angioino-aragonese, citato in un documento del 1310 (Vat. Lat. 8201 f. 347) cfr. SCADUTO 1947, pp. 145146. La contrada, passata in proprietà ad Arnaldo di Villardita, è oggi localizzabile nella località denominata, con quello che è forse l’esito di un antroponimo di derivazione araba, Burrafà (Tripi). 98 ACP, Fond. I, f. 134(=171). 99 KAHANE - TIETZE 1988, p. 535, n. 800.UGGERI 2004, p. 124. 100 Si tratta di uno dei tanti diplomi di ricognizione e di riconferma delle concessioni del padre da parte di Ruggero II. ACP, Cpz f. 2; PIRRO 1733, v. II, pp. 769-796. 101 La diversa identificazione della vetus civitas si avrebbe se la Livir sottostante alla crista citata nel documento di donazione del territorio del Monastero di S. Salvatore in Patti da parte del Conte Ruggero (ACP, Cpz f. 2. Pirro, II, p. 770) non fosse Oliveri ma piuttosto Librizzi.. 102 ACP Fond. I 117/155; WHITE 1938, p. 405. 103 Si nomina la crista «ubi est divisio oliverii». 104 Un hospitalario, frater Petrus, ecclesie sancti bartholomei, compare nel 1194 in un atto di vendita di una vigna ad opus hospitalis (ACP, Alcuni stabili... f. 1), probabilmente nella stessa zona. Nell’atto si fa riferimento al dumanio ecclesie sancti bartholomei. 105 TRISCHITTA 1983, s.v. “scala”, p. 178. 106 Originale ACP Fego delli Cutturi, Scala, Tindaro ecc. n. 164; WHITE 1938, p. 408, n. XIX. 107 Al geografo arabo al-Idrīsī ‹al idrìisii› (it. Edrisi) (n. 1099 circa m. 1164 circa) si deve la costruzione di un gran planisfero d’argento e la redazione dell’opera geografica volta a illustrarlo, Nuzhat al-mushtāq, Kitāb Rugiār (“Libro di Ruggero”), ultimata nel 1154. 108 AMARI 1880-1881, v. I, p. 128. 109 EDRISI in AMARI 1880-1881, v. I, pp. 66-67. 110 EDRISI in AMARI 1880-1881, v. I, p. 67.
Il frate domenicano Tommaso Fazello (1498-1570), è il primo a segnalare, nella prima Deca del De rebus siculis127, la persistenza a Tindari di consistenti resti di antichità, emergenti dal terreno: «aetate autem mea usque ad fundamenta prostrata cernitur cujus vestigia amplissima, moenia longe latéque jacentia, lapides quadrati, dispectae columnae, domus dispersae passim eo loco ubi stedit visuntur». Ne segnala altri, templi Jovis mirabiles ruinae, oggi non più visibili, nella localita ancora chiamata «ab accolis», annota il Fazello, Mons Jovis. Diverse le identificazioni fatte dal Fazello di toponimi antichi nella realtà a lui contemporanea. Il fiume Helikon viene identificato con l’Oliveri. L’arx di Tyndaris è riconosciuta nella zona occupata dalla chiesa di S. Maria del Tindaro. Pedissequamente calcate sul Fazello le notazioni sulla zona di Tindari nella Descrizione della Sicilia di Giulio Antonio Filoteo degli Omodei, (n. Caltagirone circa 1515). L’autore cita il «groppoloso». monte di Tindari affermando di riconoscere nel paesaggio il luogo in cui una parte del monte e della città precipitarono in mare, una grande voragine contornata da rovine, nella quale possono trovare rifugio 50 navi, pur essendo esposta ai venti di grecale e tramontana. Sulla sommità del Monte Giove indica le rovine di un «grande tempio». Poche informazioni in più rispetto al contributo di Fazello apporta il Sicanicanum rerum compendium di Francesco Maurolico (1494-1575)128. Vengono riportate le distanze tra le località costiere. Tindari non risulta presente nell’elencazione dei monumenti vetustissima Siciliae alla fine del I libro. Il Maurolico rifiuta l’identificazione del Thymetus con il fiume di Patti localizzandolo invece prope Nasum. Tindari viene brevemente citata sia dall’Ortelius129 che dal Bonfiglio130. Con la Sicilia antiqua di Filippo Cluverio131 si ha agli inizi del XVII secolo un esame critico, completo e sistematico, delle fonti antiche e una ricognizione autoptica dei luoghi che conduce a una completa ricostruzione della topografia antica dell’Isola. Per quanto riguarda il territorio di Tindari e di Patti il Cluverio identifica anche lui il Timethus fluvius nel fiume di Naso132, pur notando che in Tolemeo l’ubicazione del corso d’acqua risulti più ravvicinata a Tindari che ad Agathyrion, in considerazione della scarsa importanza che egli constata del Fiume di Patti (attuale Timeto) rispetto all’altro corso d’acqua. In maniera analoga identifica l’Helicon fluvius con l’Olivéro, pur tenendo presente la localizzazione in Tolemeo più vicina a Milazzo che a Tindari, in quanto, sostiene lo studioso, il fiume più ravvicinato a Mile è il Castroreale da identificarsi nel Longane133. Il Cluverio, dopo aver riassunto la storia della città, affronta anche problemi di topografia urbana interrogandosi sull’estensione del centro abitato antico di Tindari alla luce della notizia di Plinio sulla sua distruzione a causa di una calamità naturale. Lo studioso ipotizza a riguardo una antica diversa configurazione, più ampia, del promontorio tindaritano, «licet admodum exigui, ad haee usque tempora relinquit». La desume dalla circostanza che in un episodio delle guerre puniche, riportato in un passo di Zonara134, esso venne utilizzato dalle navi cartaginesi per nascondersi dalla vista di quelle dei romani. 3.4. La ricerca antiquaria specialistica Nella seconda metà del XVI secolo e ancor di più nel successivo l’antiquaria inizia a connotarsi per ricerche per ambiti specialistici e per studi monografici. La conoscenza storica del territorio di Patti inizia lentamente ad ampliarsi imperniandosi sulle studio delle fonti dirette e sui documenti diplomatici. In campo numismatico nel 1576 Umberto Goltzio (Hulbertus Goltzius) (1526-1583) pittore, incisore e mercante di antichità, al servizio del mecenate Marcus Laurinus di Bruges, pubblica una raccolta di monete antiche attribuite alla Sicilia in 14 tavole, incise da lui stesso135. Lo studioso riporta per la zona di Tindari alcune brevi notazioni storiche e geografiche che riassumono le conoscenze del tempo sull’antico centro136. Il Goltzius menziona il tempio di Giove, attestato nella toponomastica ma non nelle fonti, «in occasum verò editus mons erat in quo templo Jovis olim fiusse conditum scriptores nonnulli prodiderunt». Sempre in campo numismatico Filippo Paruta (1552-1629) pubblica nel suo lavoro La Sicilia descritta con medaglie137 sei tipi emessi da Tindari, due monete d’argento e quattro di bronzo.
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Michele Fasolo | Tyndaris | 41 Anche in campo epigrafico le ricerche portano alcune novità. Georg Walther pubblica due epigrafi, entrambe oggi irreperibili, una latina nella chiesa della Madonna a Tindari, l’altra in greco nella chiesa di S. Ippolito a Patti138. Negli stessi anni un altro particolare ambito della ricerca storica tocca Patti. Si tratta degli studi religiosi ed in particolare della ricostruzione della storia della Chiesa siciliana che viene condotta sia attraverso i documenti di archivio e la diplomatica, attingendo alla ricca tradizione pattese, sia guardando alle forme di religiosità popolare, alle vite dei santi e all’agiologia. Di Ottavio Cajetano139 colpisce l’interesse per gli aspetti linguistici ma soprattutto l’attenzione che egli presta alla religiosità popolare con il tentativo, forse, di rintracciarne le radici profonde nell’antichità. Tindari è una città pagana i cui culti sono da indagare. Nell’Isagoge140 si riporta la trasformazione della vecchia arx in chiesa cristiana e si ricorda il simulacro di Diana Facellina intra fascem lignorum, forse non sfuggendo il confronto con le usanze religiose del mondo contadino siciliano in cui compare l’uso in cerimonie e processioni, ad esempio nel periodo dell’Epifania, dei rami di alloro o di altre specie vegetali, riuniti in fasce141. Il Cajetano tenta di datare la distruzione, ricordata nell’opera di Plinio il Vecchio, di metà dell’antica Tindari. L’evento viene ricollegato alla morte di Gesù, sotto Tiberio142. Nel libro Raguagli delli ritratti della santissima Vergine143 due pagine sono dedicate all’icona della madre di Dio nella chiesa a Tindari. Due le notizie rilevanti fornite dal Cajetano: la prima sull’esistenza di un tempio pagano vicino «all’antico Castello», unico avanzo della «Città del Tindaro», la seconda sul simulacro che viene definto di marmo e non ligneo. Ne viene ricordato l’arrivo dal mare, con il tema, che ricorre anche altrove, della nave che non riesce a staccarsi dalla costa finché il sacro carico non viene deposto sulla spiaggia, e quindi l’evento miracoloso che restituisce sana e salva ad una madre, prima incredula nella Madonna, una bambina caduta dall’alto del promontorio. Per quanto riguarda la chiesa pattese il Cajetano ricorda l’istituzione dell’episcopato pattese, riportando la data del 1134 anziché quella del 1131, e la circostanza che il vescovo sia suffraganeo di quello di Messina144. Diversa la prospettiva di ricerca percorsa da Rocco Pirro che ricostruisce le vicende degli episcopati siciliani attraverso le carte conservate negli archivi. Pirro dedica poche note alla ecclesia Tyndaratina145. Per quanto riguarda Patti egli utilizza almeno 14 documenti del locale Archivio capitolare, riportando il diploma di fondazione del 1094 e numerosi tra i successivi. Vengono ricordate le istituzioni religiose del tempo e, citando il Fazello, le notizie sui primi abati 146. Negli stessi anni Ignazio D’Amico, vescovo a Patti solamente per quattro anni, dal 1662 al 1666, promosse la sistemazione ordinata di tutto il materiale archivistivo presente nell’Archivio Capitolare di Patti, ordinando e raccogliendo in 40 volumi manoscritti, i documenti originali e le copie autentiche, i transunti legali con la finalità precipua di predisporre una solida base di atti in grado di sostenere e di difendere i diritti della Mensa Vescovile e di quella Capitolare147. Riguardo ad altri studiosi del XVII secolo nulla più che la mera menzione del nome e del suo recente epiteto magnanima troviamo per Patti in Placido Carrafa148, e della sede episcopale sia in Antonino Mongitore149 che in Alberto Piccolo150. Quest’ultimo ricorda anche la “Episcopalis sedis – Tyndaritana”151 negandone ogni vitalità sotto il dominio arabo. 3.5. Patti nelle descrizioni sistematiche delle grandi opere Il XVIII secolo, epoca delle colossali raccolte di studio quali il Thesaurus antiquitatum et historiarum Siciliae, iniziato dal Grevio e condotto a termine dal Burmann, o di fonti sulla storia medievale della Sicilia, come quella di G. B. Caruso da Polizzi152 è anche il periodo in cui inizia nel campo degli studi il filone delle descrizioni sistematiche e specialistiche dell’Isola. Si tratta di lavori compilativi che pur non apportando in genere elementi nuovi tuttavia hanno il pregio di concentrare e organizzare le conoscenze rendendole fluibili a un maggior numero di lettori.
111
Il Kitāb mu’jam al-buldān (البلدان معجم,, “Dizionario delle contrade”) fu compilato da Yāqūt al-Hamawī ()يمورلا يومحلاتوقاي, nato nel 1178, che portava anche la nisba “alRūmī” che gli derivava dall’essere forse originario del mondo bizantino, AMARI 1880-1881, v. I, p. 182. 112 AMARI 1880-1881, v. I, pp. 215 e n.3, 216 e n. 1. 113 ‘Abd al-mu’min ibn ‘Abd al -Haqq risalente al XIV sec. Kitab Marasid alIttila’ Ala al-Amkinah wa alBuqaYāqūt ibn Abd Allāh al-Ḥamawī. 114 “Baqdas (Patti) città dell’isola di Sicilia Patt” AMARI 1880-1881, v. I, pp. 261-262. Sull’opera cfr. TAMARI 1990. 115 Gotifredi Viterbensis Opera, in MGH 1872, p. 223. 116 MICHEL 1946, pp. 278-279. 117 [Incipit liber quartus de destructione prime Troie per Iasonem et Herculem.] “In cuius Helene conceptione testati sunt fabulose poete Iouem in oui similitudine concubuisse cum predicta Dampne. Vnde quidam: “Iupiter” inquit “ouo quia Tyndaris exit ab ouo,” vocans Tyndarim ipsam Helenam a quodam loco dicto Tyndare.” Hunc locum dicunt quidam esse in Sicilia ex parte septentrionalis plage, in facie Eolicarum insularum, non longe multum a ciuitate Messana. In quem locum dicti poete dixerunt Theseum predictam Helenam asportasse, a patria sua raptam dum adhuc flore uiresceret puellari. Vnde Ouidius in epistola Canace sic improperauit Paridi: Tyndaris infestis et cetera. Et subsequenter adiecit. Guido de Columnis, Historia destructionis Troiae (ed. N. E. GRIFFIN) Cambridge Mass., 1936, p. 79. 118 “I. Proemium. Post inclitum MENELAUM regem tam Italiae quam insulae Siciliae: qua insula tunc temporis regum praedicti regis vocabatur Trinatria: et qui rex fuit paganus, et cui regi rapta fuit Helena sua uxor apud Tynderine civitatem dictae insulae positam in contrata Lacedaemoniae, per Paridem dictum Alexandrum filium Priami regis Trojae magnae, et cujus raptus occasione dictus rex Italiae et Trinatriae cum suo exercitu sequens praedictum raptorem praedictae reginae usque ad dictam Trojam, obsedit et deinde finaliter cepit et destruxit Trojam eandem cum praedicto rege Priamo, sicut de dicta historia eam ignorantes, potuerunt per libellumde dictis raptu, obsidione et captione factum precipes informari” J. G. GRAEVE-P. BURMANN 1723, V, c 1. L’opera è generalmente conosciuta come Chronicon Siciliae oppure come Chronicon Siculum ab auctore anonymo. 119 Bartolomeo di Neocastro, «Historia Sicula», in AA.VV. 18451868, II, 1868, L, p. 469, 10. Per il
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42 | Tyndaris | Michele Fasolo toponimo Argimusto, cfr. AMICO 2000, I, p. 105: voce Arcimusa; Argimosco cfr. TODARO 1992, pp. 108-115. 120 COSENTINO 1886, pp. 73, 75, 102, 309-310, 356. 121 ASP, Protonotaro, I, f. 294. 122 La prima menzione del toponimo Giuiuse risale al 1223 allorché Iacobus, vescovo di Lipari-Patti, concede in perpetuo a Bartholomeo de Maniscalco «in tenimento Giuiuse» un feudo, già tenuto da Spelander, «in commutacione» di un altro feudo, sito «apud Libricium», erroneamente concessogli dal suo predecessore Anselmus, morto nel 1209. DE LUCA 2010, pp. 39-40; SIRNA 2010, p. 57. 123 Nicolai Specialis, rerum Siculorum libri octo qui Hist Thesaurus X, V 66D «in plagiosis Pactarum litoribus cum tanta classe contingerit naufragari» 66B-D ricorda il ritorno degli abitanti al re Federico “et breviori cursu, ad civitatem quam Pactae vocant suadenti Rogerio de Lauria, quoniam propinque erant haec litora castris que olim perdidert, cum ea classe multiplici declinavit” civitas perterit cuneis armatorum,...Regi Jacobo se subegit». 124 ARETIUS 1537. Bibl.: PULEJO 1901; CIARAMELLA 1907; AREZZO 1910,p. 57-81; SORRENTO 1921, pp. 49 segg.; GIARDINA 1923, pp. 366-368; GANS 2006. 125 ARETIUS in GRAEVIUS Thes., X, vol. 1, c. 30E-F “Ad fontem autem Heliconis fluminis Novara, ibidem Furnaris est Heliconis superato ostio Tyndaris urbs in parvo tum sita tumulo, mari imminebat, nunc peritus eversa: quam a Tyndaro Ledae patre conditam ferunt, verumtamen à P. Scipione hostium spoliis ornatam omnino constat, inter quae Mercurii simulachrum pulcherrime factum Tyndarum hodie locum vocant, Divae Mariae ubi aedicula, ac nundinae anniversariae celebrantur antiquitatis monumentum. Fama est ad haec loca cum Dianae Fascelis simulacro Orestem appulisse. Mox ad occidentem Timethus fluvius. Ultra ostium Pactae urbs contra Aeolias insulas passibus mille à mari posita. Antistitis decorata dignitate: de qua quod ab autoribus nihil in scriptis relictum est, nec a Tyndaride ad Agathyrsum illos populos habitasse legimus, eandem sive ex Tyndaridis ruinis erectam, sive recentem esse censemus. Suntque vicina parva oppida, Librizis, Giusaguardia, Montagna, Casale Pactarum”. 31C “Sanfradellum...quam Agathyrsum fuisse predicant, propterea quod a Tyndaride triginta millibus passuum Strabo reposuit, ac Ptolemaus etiam id sentire videtur”. 126 Dominici Marii Nigri, Siciliae Descriptio, in GRAEVIUS Thes., X, vol I,
Il filologo classico e numismatico olandese Sigeberto Havercamp (1684-1742) si occupa di Tindari e delle sue monete nell’introduzione all’opera di Filippo Paruta, edita nel volume X del Thesaurus antiquitatum et historiarum Siciliae del Graevius, e nel relativo commento.153 Come altri numismatici prima di lui l’Havercamp inizia la sua disamina dall’analisi delle fonti storico-letterie cercando poi di integrare le conoscenze con l’iconografia presente nei tipi monetali154. Venendo ai dizionari geografici, nell’opera di Giovanni Andrea Massa155 vengono riproposte per Patti le etimologie rispettivamente di Goffredo da Viterbo per Oliveri e del Fazello per Monte di Giove, le identificazioni, già consolidatesi come prevalenti negli studi, sui corsi d’acqua Timethus ed Helikon e le ipotesi di Mario Negro e di P. Ricciolio che ritennero di identificare Agatirno sul sito di Patti. Il Massa conosce ed utilizza il lavoro geografico del Camilliani. Più numerose e approfondite appaiono le informazioni contenute nel Lexikon topographicum siculum156 di Vito Maria Amico (1697-1762). Le voci riguardanti la zona di Patti sono sei: Patti157, Patti (fiume di), Oliveri, Oliveri (fiume di), Timeto, Tindaride. Viene innanzitutto analizzato il toponimo Patti con le sue varianti. Per quanto riguarda l’origine del centro abitato l’Amico ritiene, ricordando comunque l’assenza di documenti in età normanna, che la città in origine sia stato un castello di Tindari congetturando un suo sviluppo a partire dal’epoca di Traiano dopo la calamità che colpì la città antica ricordata da Plinio il Vecchio. L’autore illustra la posizione geografica «tra il promontorio di Calavà e di Oliveri», l’assetto amministrativo e la consistenza demografica. Viene rilevata l’incongruenza tra i dati del censimento del 1652 (967 case e 3513 anime insieme a Sorrentini) con quelli riportati dal Pirro per il 1641 (1719 case e 6642 abitatori nella città). Di interesse è l’osservazione che «gli abitatori suburbani superano in copia ed in condizione quelli dell’interno», dato che potrebbe attestare un’intensa crescita dell’insediamento rurale nei primi decenni del XVII secolo. Nel rivelo del 1607 infatti le campagne, perlomeno non quelle di proprietà dell’abbazia, appaiono disabitate. L’Amico passa poi a una descrizione di Patti di cui vengono ricordate le strutture più rilevanti: circuito murario, vescovato, il duomo con la tomba di Adelasia, il convento benedettino, la chiesa parrocchiale di S. Ippolito, quella di S. Michele, e fuori le mura la chiesa di S. Nicola, oltre alle chiese minori. Viene tracciata una breve storia religiosa del centro che vede subentrare nel 1639 ai monaci benedettini i preti secolari. Vengono ricordati i conventi da quello dei minori conventuali, fondato da S. Antonio nel 1225 con il miracolo del santo che vi sarebbe avvenuto, e di seguito il convento dei francescani riformati di S. Maria del Gesù, la precettoria dell’ordine di S. Giovanni Gerosolimitano, il priorato di S. Spirito, il monastero femminile di S. Chiara, prima nell’abitazione confiscata di Bartolomeo di Aragona e poi trasferito a S. Rosa da Lima. L’Amico elenca poi altri istituti, i due ospedali, quello per infermi di S. Croce e quello di S. Maria della Consolazione per albergare i pellegrini, il Monte di Pietà nella chiesa di S. Biagio. Viene ricordato l’asilo dei navigli all’Olivastro dove «sorgono dei forti in custodia con artiglieria, né mancano intorno il lido delle casine di campagna». Il paesaggio agrario viene sommariamente delineato «mori, oliveti, vigne ed alberi fruttiferi, abbondante in biade di ogni genere...ricco in pasture». Il quadro delle istituzioni locali si chiude con il vescovado e la patrona della città la B. Trofima o Trofimene. L’Amico ricorda la tesi del Cajetano che Trofima e Febronia siano due sante diverse e lo cita come testimone dell’esistenza a due miglia dalla città della casa di Trofima o di Febronia e della vicina fonte salutare. L’Amico cita Giovanni Matteo Vinola a proposito della costruzione della chiesa di S. Febronia. Viene proposta una rassegna di personaggi locali illustri: Biagio Proto, Antonio Stabile, Gaetano, Francesco Elia Francesco Andrea, Onorio Leto, Fortunato dei Fortunati, Brunone Francesco Magretti, Giacomo de Benedictis, Filippo Pisciotta, Giovanni Martino Gugglia. Segue una sintesi delle principali vicende storiche del centro dalla fondazione ad opera del conte Ruggero alla vicenda di Sancio Aragona, dalla peste cinquecentesca all’incursione e al saccheggio dei corsari che si conclude con il tentativo di acquisto da parte di Ascanio Ansalone nel 1655. Al Timeto sono dedicate due voci: “Pactarum fluvius, Xiumi di Patti” 158e Timeto159. Si
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Michele Fasolo | Tyndaris | 43 riporta l’opinione del Fazello che identifica il fiume di Patti con il Timeto degli antichi e quella del Cluverio che invece aveva identifcato questo corso d’acqua con il Sinagra-Naso. Si ricordano le sue sorgenti a Casalnuovo (odierna Basicò) e alla rocca S. Pietro (attuale territorio di San Piero Patti). Il Sidoti ed il Magistri ricordano come “ancora oggi nella parlata locale, la fiumara o torrente che sbocca a mare tra Mongiove e Patti Marina è detto il fiume di Patti”160. Nella breve voce dedicata al Timeto si riporta l’idronimo latino Timethus e si richiama l’ubicazione di Tolemeo che colloca il corso del Timeto più vicino a Tindari che ad Agatirno. Dopo aver ricordato l’identificazione del Fazello l’Amico la contesta rilevando come il Timeto appaia in Tolemeo un fiume di una certa importanza e non un piccolo corso d’acqua come invece è il fiume di Patti. L’Amico ritiene quindi di sposare l’ipotesi del Cluverio che lo identifica con il Sinagra-Naso 161. Di Oliveri162 dopo averne fornito un sommario inquadramento geografico, definendolo promontorio tra Capo Calavà e Milazzo, il dizionario ricorda il castello, il borgo con la chiesa dedicata all’Immacolata Concezione della Vergine, la tonnara. Vengono elencati a ritroso i vari feudatari del luogo. Infine si riportano i versi di Goffredo da Viterbo. Per quanto riguarda invece il torrente Oliveri nel Lexikon viene identificato con l’antico Helikon «celebrato da Tolemeo». Ne viene precisata l’origine a Pulvirello (Polverello), con l’apporto dalle acque del fiume Largimusco (Argimusco). L’Amico ricorda i molini da frumento lungo le sue rive, immediatamente al di sotto di Montalbano, e il ponte in pietra non lontano dalla spiaggia. Si osserva che il fiume prende nome dalla rocca Oliveri in mezzo alla quale passa163. Nella voce su Tindari164 l’Amico ricorda innanzitutto l’antichità del centro, la sede vescovile prenormanna. Come molti altri scrittori prima di lui cerca di localizzare e datare il disastro che secondo Plinio il Vecchio colpì la città. L’autore ripropone l’ipotesi del Cajetano della concomitanza dell’evento distruttivo con il terremoto in occasione della morte di Cristo. Viene poi ripercorsa la storia della città dalla fondazione, con disamina dell’origine del nome, la monetazione, i culti e i monumenti più importanti, rassegna esclusivamente basata su una ricognizione delle fonti storiche e letterarie. In particolare viene ricordato il tempio di Mercurio, il Ginnasio, il monumento equestre di Marcello. Vengono sommariamente richiamate alcune vicende senza seguire una seguenza storica (Verre, la guerra civile tra Augusto e Pompeo e a seguire il racconto di Diodoro della fondazione, l’età di Timoleonte e poi i Romani). Si ricordano anche i vescovi di Tindari, le lettere di San Gregorio Magno, i signori di Tindari sotto Federico III. L’autore infine passa ad elencare alcuni monumenti religiosi «il celebre tempio della B. Vergine presso l’antica fortezza, e l’oratorio di S. Filippo Neri». Come il Cajetano l’Amico cita una statua marmorea e non lignea della Vergine: «Ivi si venera tuttavia con grande ossequio un’antichissima statua di marmo della B. Vergine...e i quadretti votivi che le fan corona». 3.6. Le prime descrizioni particolareggiate di monumenti e i viaggiatori stranieri Nel XVIII secolo le pubblicazioni di studiosi, scrittori ed eruditi siciliani mostrano scarso interesse per Patti e Tindari. Pochissimi sono i riferimenti rinvenibili in opere di questo periodo. Nella Notitiae urbis Messanae Pars Prima165 di Placido Reyna si trova un solo riferimento alla fondazione di Tindari e alla sua rapida crescita per la buona amministrazione, che ha come fonte il Cluverius. E anche Antonio Mongitore166 fornisce poche notizie qua e là. L’Accademia si trascina stancamente poi in polemiche miserrime come quella che sulla trascrizione del nome di Tindari che vede contrapposti il Carrera e il Perelli.167 Di lì a poco, negli ultimi decenni del secolo, le descrizioni e i resoconti dei viaggiatori e soprattutto le attività di studio e di rilievo dei monumenti da parte di alcuni di essi apriranno una stagione nuova e originale di studi e di ricerche. Grande importanza riveste l’attività a Tindari dall’architetto francese Jean Houel168 che visitò l’Isola, soggiornandovi in varie località, nel 1776. Il suo Voyage Pictoresque des lles de Sicile, de Malte et Lipari (1782-1787) fornisce la prima dettagliata descrizione delle rovine di Tindari con una serie di rilievi dei resti archeologici più rilevanti allora visibili tra cui nel teatro la sola parte allora rilevabile costituita dalla cavea e i resti della basilica 169. L’Houel è
“Postea (ut ad Siciliam revertamur) Tyndarium civitas, nobilissima in littore ad ostium Timethi amnis fuit, cuius dimidia quondam à mari devorata est. Ibi nunc Oliver castellum jacet. Inde Agathyrium urbs ad Aeoli Filio vocitata, qui ei parti imperavit: cui adjacens ora Agathyris est dicta, ubi nunc Pati”. 127 FAZELLUS 1560, I, 9, 7 “Tyndaris Frederico secundo Siciliae rerum potiente extabat quidem, sed non florens ut olim: aetate autem mea usque ad fundamenta postrata cernitur cujus vestigia amplissima, moenia longe latéque jacentia, lapides quadrati, dispectae columnae, domus dispersae passim eo loco ubi stedit visuntur. In exteriori urbis loco, ubi arx prisco erat tempore, unica aedes facto est hodie Divae mariae cognomina à Tyndaro, media producta, quod et urbi jacenti cognoantum adhuc remansit, quae religiosissime colitur, ubi it quotannis 6 idus septembris magna Siculorum frequentia nundinae celebratus. Et praeter eam, totam urbe nihil nisi seges est. Extra urbem occidentem versus, in colle vicino et undique praeciso, qui ab accolis adhuc hodie Mons Jovis appellatur, templi Jovis mirabiles cernubtur ruinae. Ordinem sequentibus infra deinde in Tyndarides descensu Heliconis fluvius ostum Ptolemaeo occurrit: qui nunc Oliverius appellatur”. 128 MAUROLICO 1562; MAUROLICO in GRAEVIUS Thes., X, vol. IV, c. 13 B. “Fluvius Pactarum a Samperio. Fluvius Oliverii Castelli aMonte Albano e Casali Novo14 D-E A Pharo Mylae absunt milliarius 36. Hinc ad Oliverii castellum milliaria 18 ubi sub altis Tyndarei phani rupibus datur aliquis ratibus secessus ab occiduis tantum ab Australibus procellis. Sequitur post milliaria 12 Calava. Caput nautis infame unde Caput Rolandi, colle in pelague prominenti, sunt milliaria 12. Hic statio a praedictis tantum ventis tuta. Inter dicta duo capita sinus jacet cum castello, quod Brolum vocatur, statio parvis navigiis propter vicinum praesidium secura. Ab hoc loco Cephaledem usque per milliaria 60. Sequitur plaga Tyrrhenis flactibus exposita; 15 Littoralia Pactae” 16 C-D “terrestria itinera recta vero procedentibus a Messana 24 Mylas; tantundem Pactas, 15 ad caput Rolandi iuxta Naxum oppidum, sed hae distantiae rursum particulatius distinguentur per diversoria et fluvius. Fluvium et diversorium Vigilatorem, 3 fluvium et diversorium Oliverii, 1 ad ipsum Oliverium castellum, 2 ad rupem aedemque Tyndarium, 4 fluvium Pactarum, 2 S. Georgium, 2 ad caput Calava, 1 fluvium Pyracmi, 3 fluvium S. Angeli, 1 Brolum cast., 2 fluvium Synagrae, 4 ad caput Rolandi,
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44 | Tyndaris | Michele Fasolo 6 fluvium Tortoret et Zappullam diversorium, 1 Petram Romae, Cast. S. Marci” 17 “Pactae Urbs Episcopalis notissima Vallis Nemorum, nunc Patti. Pactarum fluvius a Samperio oppido duobus capitibus exoritur 17”Oliverium castellum est sub rupe Tyndaride, in agro Mylensi” 18 Thymethus fluvius prope Nasum de quo supra Tyndarida in rupe praerupta fuit prope Pactas, ubi nunc mari imminet aedes D. Mariae, nundinarum frequentia celebris” 21 E-F Ad aedem Tyndarium prope Pactes 8 septembris”. 129 ORTELIUS 1587, s. vv. Tyndaris, Tyndarium. 130 BUONFIGLIO 1604, p. 96. 131 CLUVERIUS 1619, p. 291 “Divae Mariae aedes, in ruinis Tyndarii extructa, vulgo incolis vocatur Santa Maria di Tindaro”, p. 300 “Tyndarium memoratur promontorium”. 132 CLUVERIUS 1619, pp. 297-298. 133 CLUVERIUS 1619, p. 300. 134 Zonaras VIII, 12, 7. 135 GOLTZIUS in GRAEVIUS Thes., Siciliae “Mylae oppidum, nunc Mylazzo, Chersonesus, nunc Promontorium Mylazzi, interpretj Apollonii, S. Basilii Fluminis ostium et aedicula, Castri Regalis fluminis ostium et oppidulum, Furnari oppidulum; huic Tripis in edito et praerupto colle ad P.M. V imminet, Heliconis fluminis ostium Ptolomaeo nunc Oliverii, Tyndarium tindariou, nunc L’otyndaro M.P . XIIX Pactae novum oppidum M.P.V, Promontorium Calavae, naufragis infame M. P. VI”. 136 I punti salienti esaminati dall’autore sono la fondazione ad opera dei Laconi e il poleonimo derivato da Tyndaro. Dopo un breve inquadramento geografico lo studioso ricorda le vicende storiche nelle guerre puniche, al tempo di Verre, con riferimenti alla questione della statua di Mercurio e a quella di M. Marcello. Il Goltzius richiama poi la leggenda di Oreste e di Diana Facellina. GOLTZIUS in GRAEVIUS Thes.,Tom V-VI, 726 “Longe inde peregrinatione Orestem ad Tyndaritaos, et ad gentiles et necessarios appuliste, quod ideò paulò latius à nobis reiectum est, ut prudenti lectori cogitationem iudicumque relinqueremus de Tyndaritanorum numismate, quod solum ad manus nostras pervenit, in quo Dianae caput adversa parte Veneris Hegemones, quae Cupidiram nam ducit, imago Myrtea circumducta signata sunt”; 727 C “a Tyndari in Serptentrionem digressis, ostium Heliconis fluminis sese aperit, in occasum vero editus mons erat in quo templo Jovis olim suisse conditum scriptores nonnulli
Figura 16. J.P.L. Houel (destra) Sepolcro vicino alle porte dell’antica città di Tindari (sinistra) Rilievo di edificio di Tindari. Gosudarstvennyj Muzej Ermitaž San Pietroburgo (Russia).
anche il primo a riferire, in un epoca in cui non si erano ancora formati i laghetti di Marinello, la notizia, probabilmente fornitagli a sua volta dagli abitanti del luogo, della visibilità in alcuni giorni dell’anno delle rovine della città e di alcuni tratti delle mura precipitati in mare a seguito della calamità menzionata da Plinio il Vecchio. L’architetto francese cercò di ripercorrere, probabilmente allo scopo di chiarire la portata della catastrofe, il tracciato delle mura dalla porta, in corrispondenza della quale esse sembravano recare le tracce della frana disastrosa, sino ad una torre da dove superati alcuni campi coltivati giunse ad un edificio in pietra, diviso in tre navate con una nicchia. Di questo percorso l’Houel diede conto nella tavola LIII. Houel constatò i crolli da infiltrazioni di acque meteoriche che interessavano il teatro impedendo la visibilità della scena. Egli ne potè così rilevare la sola cavea stabilendone però in maniera esatta il numero di cunei, undici. I rilievi dell’Houel, la cui attività sul campo segue una metodologia rigorosa, motivata eticamente, appaiono, come osserva il Bernabò Brea170, più accurati di quelli che saranno successivamente realizzati dal Ferrara e ancora, oltre mezzo secolo dopo, sotto le direzioni rispettivamente del Serradifalco e del Cavallari che rilevano solamente nove cunei. I monumenti archeologici vengono rilevati per essere studiati non solo nei loro caratteri tipologici, strutturali, decorativi ma sempre nel contesto del territorio in cui sono ubicati per richiamarne i nessi sia topografici sia storico-culturali171. A questi rilievi vanno aggiunti una serie di guazzi oggi all’Ermitage di San Pietroburgo172. Sempre ad Houel si deve una prima ricognizione della statuaria tindaritana e delle antichità raccolte nella collezione Sciacca. Un altro viaggiatore, l’Hoare173, fornisce nel 1790 un prezioso resoconto di una esplorazione effettuata a Tindari. Viene ricordata la presenza nel sito di rocchi di colonne, di pavimenti a mosaico, di fondamenta, di avanzi di costruzioni e di cisterne. Vengono inoltre segnalati ritrovamenti di medaglie, di cammei, di statue colossali. L’Hoare fu tra i primi a identificare le rovine dell’edificio ad archi, nicchie e pilastri con il ginnasio menzionato da Cicerone nelle Verrine. Del teatro il viaggiatore inglese testimonia l’esistenza dell’intera frons scenae e di parte delle pareti adiacenti. Lo Scasso Borrello 174 menziona edifici e statuaria insieme ai sepolcreti, fuori le mura e sulla sommità del colle già segnalati dall’Houel. 3.7. L’avvio della tutela amministrativa delle antichità alla fine del XVIII secolo e l’inizio delle ricerche e degli scavi. Con la nomina nel 1778 da parte del governo borbonico di Ignazio Paternò Castello, Principe di Biscari (1719-1786) 175 e di Gabriele Castelli Lancillotto, Principe di Torremuzza (1727-1792) a Regi Custodi176, rispettivamente il primo delle Antichità delle Valli di Demone e Noto ed il secondo di quelle della Valle di Mazara, presero avvio in tutta la Sicilia, ed anche a Tindari, i processi organizzativi di tutela amministrativa statale e le connesse attività di ricerca e di scavo. L’anno successivo il Biscari venne coadiuvato nello svolgimento della propria attività da C. Chenchie e da L. Mayer, nominati rispettivamente il primo «Architetto per le Antichità di Sicilia» e il secondo «Pittore di Veduta». Del Mayer rimangono numerosi acquerelli riguardanti Tindari e gli immediati dintorni. Sono conservati nelle collezioni del Castello Ursino di Catania. Tra di essi alcuni risultano rilevanti per le informazioni che apportano su
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Figura 17. J.P.L. Houel Rovine dell’antica città di Tindari (1776-1179). Gosudarstvennyj Muzej Ermitaž San Pietroburgo (Russia).
monumenti oggi scomparsi, in particolare sulla villa di Oliveri, distrutta negli anni ’70 del XX secolo, di cui forse ritraggono resti di un ninfeo177. Il Biscari predispose l’anno successivo il “Plano”178, richiestogli all’atto della nomina, in cui venivano pianificati i lavori di restauro e di manutenzione più urgenti delle Antichità di propria competenza. Il documento venne approvato il 16 Giugno del 1779. Per quanto riguarda Tindari il Biscari inizia la sua analisi dalla «capricciosa situazione» geomorfologica della città antica situata «sopra alta Rocca tagliata a perpendicolo su il mare dal lato di Tramontana dell’Isola» che, ricorda, «la rese soggetta a patir la disgrazia di veder rovesciata non poca parte delle sue fabbriche giacché non resistendo la rocca all’urto delle onde Tempestose, precipitandosi non picciol tratto di essa, seco trasse in mare quanti Edificj lì sovrastavano Ci viene riferito, che il mare in tempo che è chiaro, è tranquillo, si vedono ancora le sommerse rovine». Viene compiuta una ricognizione dei resti di antichità visibili in superficie: le antiche mura con torri quadrate, la via d’ingresso incassata fra di esse, il teatro, dalla struttura ben leggibile, per cui si suppone l’esistenza di una «galleria caduta», ovvero una loggia. Si ricorda l’esistenza «di ripettabilissimo Edificio, con Archi, Pilastri, Scale, e gran Mura tutte formate di pietre quadrate di ottimo lavoro» di cui si suppone il collegamento attraverso una «via selciata di gran pietre» «in direzione dell’unica porta della Città». Si ricordano verso ponente avanzi di mura di «edifici civili» e i sepolcreti «di genere particolare...quadrati di mura adornate esteriormente di Pilastri e Scalini» con tombe «in forma di picciole volte capace ogn’una di un Cadavere». In questa area di necropoli il Biscari ricorda il rinvenimento nel corso di scavi di alcune statue tra cui una «colossale di circa palmi 14 della quale se ne conservano le gambe nel Romitorio chiamato della Madonna del Tindaro» superstiti di un busto poco anni prima «barbaramente segato in fogliette per uso e ornamento di una cappella dell’odierno Romitorio di Madonna del Tindaro». Insieme a questo resto di statua il Biscari ricorda «tronchi, piedi, teste, gambe di statue, ed altri frammenti di Architettura, ed una statua Consolare» simile ad un’altra presente nel «Giardino del Barone della Scala». Il Biscari propone inoltre alcuni interventi di scavo riguardanti l’area del teatro al fine di scoprirne «la Platea, e quel, che più importa la Scena» e «la via selciata» il cui sgombero potrebbe portare sia al ritrovamento di altre statue sia alla ricostruzione, grazie al rinvenimento di altri tracciati, del reticolo stradale urbano. Questo stato delle conoscenze su Tindari che emerge dal Plano è confermato dalla succinta descrizione del sito contenuta nel Viaggio per tutte le antichità della Sicilia descritte ed illustrate179. Nella pubblicazione viene dato particolare rilievo ai resti del teatro e del
prodiderunt. Ab eo descendentibus Simethi fluvius ostium occurrebat à quo in occasu mille passibus Lipara insula distabat”;727 A tyndarii in Septentrionem digressis ostium Heliconis fluminis sese aperit; in occasum verò editus mons erat in quo templo Jovis olim fiusse conditum scriptores nonnulli prodiderunt; ab eo descentibus Simethi fluminis ostium occurrebit: à quo in occasum mille passius Lipara insula distabat”. 726 “Sunt qui memoriae prodant Orestem Tyndari ex clytemnestra filia nepotem postquam in taurica sese a matricidio matrem nonque ob adulteriuim cum Aegystho ut patris Agamennonis caedem et domesticam injuram ulcisceretur furore correptus occiderat expiasset occiso Thoanate Dianae Fascelidis simulacrum surripuisse: cognomen autem Dianae, inde factuma esse quod ejus simulacrum, ut melius fallerit Orestes fascibus circumdatis apertum abstulisset longa inde peregrinatione Orestem ad Tyndaritanas ut ad gentiles et necessarios appuliste quod ideò paulo latinis à nobis relatum est, ut prudenti lectori cogitationem indiciumque relinqueremus de tyndaritanorume numismate quod solum ad manus nostrae pervenit in quo Dianae caput adversae, aversor parte Veneris Hegemones quae cupidem manu ducet Observo etiam Diane cognoment apud Lacones Lydodemo fuisse cujus hic iccirco mentionem facio quod Tyndaritani Laconum coloni sint”. 137 PARUTA 1612. 138 GUALTHERUS 1624, p. 48 n. 150=318; CIG III 5613, p. 622; 319. CIL X, 2, 7486. 139 CAIETANO 1657; CAIETANO 1708. 140 CAIETANO in GRAEVIUS Thes.,Tom IIA-B. 141 BUTTITTA 2002, pp. 55, 153 ss. CAIETANO in GRAEVIUS Thes.,Tom IIA-B. “Quod si Tyndaritarum excidium referre velis ad primum terrae motum sub Tiberio, finem minime traxestim; non item de Neptunio montem, quam scissum, cum Christus Dominus terram morte concussit, constanter affirmo, cum ea sint apud nos, constanque traditio, que magnificiunda est firmanda religioni”. 143 CAIETANO 1664, p. 30-32. 144 CAIETANO 1657; ID. 1708, C 177b, 178 a-B, 178e anche se fa mento “anno MCXLVIII monasterium Pactense adhuc nominata”. 145 PIRRO 1733, I p. 493. “Tyndarim sive Tyndarium Sancta Maria de Tindaro”. La città è stata fondata “laconibus” con il nome dai tindaridi Tyndaro, Castore e Polluce. Tra le fonti utilizza Silio Italico, Tolemeo, Diodoro, Strabone. Ricorda quindi i tre vescovi noti Severinus, Eutychius e
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Theodorus. Per quanto riguarda le notizie sulla civitas Tyndaritana e sul simulacro della Vergine rimanda il lettore al Cajetano (tom. 2 SS Sicul f. 287) . Dopo aver ripetuto la tesi di questi che aveva ricollegato alla morte di Gesù Cristo il terremoto che avrebbe causato la distruzione di mezza città di Tindari, riporta le notizie dell’Arezzo sull’origine della città ipotizzando che presso la chiesa del Tindaro fosse anche la precedente sede episcopale Tyndaritana. 146 PIRRO 1733, II pp 769-796. 147 In due volumi, intitolati “De fundationibus”, “volumen primum” e “volumen secundum”, furono raccolti i documenti riguardanti il patrimonio più antico dei Monasteri di Lipari e Patti e del successivo vescovado unificato, accompagnati dalle carte che illustravano le vicende giudiziarie relative ai possedimenti del Vescovado e del Capitolo e i loro particolari diritti. Tra i titoli dei volumi, “Origine delle terre della Giusa Guardia, S. Salvatore e Librizzi. Miscellanei circa dette terre e censi, decime e affini di Librizzi, Marzatini e terre della Montagna e S. Salvatore”; “Pretenzioni varie”; “Fego di Santo Piero” ecc. Ogni volume è corredato di un indice di quanto in esso è contenuto. Per poter reperire più agevolmente il materiale raccolto in quei volumi e per non dovere sfogliare direttamente i volumi che raccoglievano i documenti, in seguito fu compilato, in due tomi, il così detto “Libro Maestro”, che reca il titolo: “Libro Maestro che contiene la fondazione, unione e divisione delli Monasterij, e poi Vescovadi di Lipari e Patti con l’origine dei loro beni, privilegij, preminenze, giuridittioni e liti occorse sin al presente anno 1664 e si riferisce alle scritture contenute nei libri n. 40 secondo i loro titoli, fatti fabbricare et aggiustare dall’Ill/mo e Re/mo Mons/r Don Ignazio D’Amico Vescovo di ditta Città di Patte Catanese”. 148 Placidi Carrafae, Sicaniae Descriptio et delineatio sumptibus Petrii Vanderaa in GRAEVIUS Thes.,X, vol 1. L’autore ricorda fra i littoralia quello Pactorum (p. 2), nell’elenco delle città inserisce Oliverium e Pactae (urbs magnanima). 149 In Regni Siciliae Delineatio Sicanae Historiae Prospectum in GRAEVIUS Thes.,X, vol 1 riporta Patti come sede episcopale a differenza del Carafa che non la menziona come tale. 150 Nega la possibilità di vescovi sotto i saraceni e la continuità antico jure ecclesiae siculae. 151 Alberti Piccoli J C, De Antiquo Jure Siculae Ecclesiae dissertationis, in GRAEVIUS Thes., X, 9 A-B A “Harum enim solum apud acta conciliorum, ac praesertim in Romano synodo sub
monumento a grandi archi noto poi come «Ginnasio» ed ora definito «Basilica » che così viene descritta «un gran pezzo di rovinato Edificio, con archi, pilastri e scale, e mura di riquadrate pietre di ottimo lavoro. Corrisponde a questo monumento una ben larga strada, coperta di pietre, che conduce ad una delle porte della città.. ». Dopo la morte del Biscari (1786) e la breve reggenza del Torremuzza (1786-1787), nella carica di Custode subentrò Giovanni Francesco Paternò Castello, figlio del Biscari che del padre era stato assistente. A Tindari le sue attività riguardarono il teatro di cui commissionò nel 1786 tre vedute a Nicola Bombara, e la tutela delle antichità dai danni che venivano arrecati nel corso dei lavori agricoli, attraverso la sensibilizzazione alla vigilanza del Segreto di Patti. Il Paternò non mancò di proporre al Governo lo svolgimento di ricerche. Dopo la sua morte nel 1803 la Custodia passò nelle mani di Saverio Landolina. In questi anni l’influente presenza inglese nelle vicende politiche dell’Isola aprì la strada alle disinvolte attività archeologiche in molte località siciliane, tra cui Tindari, di Robert Fagan, console generale inglese della Sicilia e “sue isole adiacenti”. Il Fagan era stato indirizzato verso lo svolgimento di ricerche a Tindari dal Landolina che l’aveva conosciuto a Roma. La concessione di scavo era stata poi caldeggiata da Mons. Airoldi180, Custode delle Antichità di Mazara, e velocemente autorizzata dal governo con dispaccio del 1 Marzo 1808. Conosciamo pochissimo delle attività svolte dal Fagan a Tindari. Poche notizie ci pervengono dalle carte dell’Airoldi e dalla corrispondenza del Landolina, pubblicata dall’Agnello181. Ne esce, con la delusione di coloro che avevano inizialmente raccomandato, per vari motivi, il Fagan, un quadro di ricerche intraprese senza alcuna preoccupazione documentaristica, manca perfino «il notamento di tutti gli oggetti trovati»182. Il fine delle operazioni “archeologiche” si palesa come un’attività predatrice di acquisizione di reperti di valore artistico da esportare in patria o da immettere nel mercato antiquario. Non sono innanzitutto chiare le aree in cui si svolsero gli scavi. Il Coppi183 indica genericamente la zona del teatro ma le sue sembrano essere semplicemente congetture basate sulla presenza tra i materiali rinvenuti di tessere teatrali di creta. Lo stesso Coppi, che pubblica nel 1822 una comunicazione all’Accademia Tiberina dell’anno precedente, afferma che il Fagan avrebbe effettuato gli scavi nel 1812, data che non appare allo stato attuale delle conoscenze confermata da altre notizie poiché non sembra esserci stata a Tindari altra campagna di scavo del console inglese oltre quella del 1809184. Padre V. Federico Pogwisch, minore conventuale della Chiesa di S. Francesco a Messina, fornisce invece all’Henzen185, segretario dell’istituto di Corrispondenza Archeologica, il 6 settembre 1846, come ubicazione delle ricerche del Fagan l’area di un edificio che possiamo identificare con la “basilica ”. Questo avrebbe conseguenze sulla possibile identificazione della zona pubblica della città e sulla datazione dell’edificio, dato il ritrovamento in quegli scavi di statuaria degli imperatori e di iscrizioni onorarie oltre alla statua riproducente il tipo dello Zeus Urios. Secondo il Pogwisch, parte degli oggetti ritrovati sarebbero stati portati fuori Sicilia: «..nel 1812 un certo signor Feghen (sic!) fece dei scavamenti per quelle contrade e trovò infatti intorno al rimanente di un edificio, consistente in parecchi pilastri con qualche arco, molti oggetti antichi fra quali buone statue di marmo, ed in ispecie quella bellissima di Cerere con cornucopia in mano ed il dito piccolo della mano di una statua di bronzo con alcune iscrizioni qua li forse furono date alle stampe con qualche commento dal signor Maggiore nel 1830186. Gli oggetti furono trasportati fuori di Sicilia da quello straniero e poi taluni avanzi furono venduti nella suddetta città». Quasi un secolo più tardi lo Scaffidi indica invece, come area delle ricerche del Fagan, la zona a N del teatro187. Sui materiali rinvenuti negli scavi Fagan e probabilmente in altri effettuati a Tindari si trascinò per anni, dopo la morte del Landolina e del Fagan, una vicenda incresciosa. La ricorda a distanza di oltre mezzo secolo il Salinas «un buon numero di statue romane, forse nove, rinvenute a Tindari, per parecchi anni rimasero mezze sepolte nell’arena alla spiaggia detta del Monte Giove, presso Patti, mentre il governo non sapeva decidersi a spendere circa 500 lire per trasportarle a Palermo»188. Lo studioso cita la descrizione accorata della situazione fatta a suo tempo dal Ferrara189. Ben due anni, dal 1813 a1 1815, si protrassero le lungaggini burocratiche
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Michele Fasolo | Tyndaris | 47 per il loro trasporto. Nel 1815, comunque, i pezzi risultavano consegnati al Museo di Palermo190 anche se una parte ancora rimase, sino ai primi mesi del 1817, accatastata in contrada Romagnolo a Palermo in un magazzino della dogana. Inutilmente con tre dispacci rispettivamente del 14 aprile 1815, del 9 settembre 1816 e del 4 gennaio 1817 si era richiesto a Monsignor Airoldi di curarne il trasporto alla Reale Università degli Studi e di «prendere cognizione di alcune statue e di non poche iscrizioni di marmo antiche, esistenti in un magazzino nella contrada di Romagnolo, quali furori disotterrate dall’inglese Roberto Fagan negli scavi da lui fatti in questo regno con sovrana permissione» Altri reperti posseduti dalla vedova Fagan, dopo il suicidio del marito a Roma, furono poi acquistati dal Governo. Queste vicende sono conseguenza certamente dell’instabilità gestionale, causata da un incessante turbinio di nomine, da confusi e continui riassetti organizzativi, dalla frammentazione delle competenze territoriali che caratterizzano le effimere riforme amministrative avvenute nell’organizzazione della Custodia tra il 1786, anno della morte di Biscari, e il 1818. Un andamento altalenante191 destinato purtroppo a ripetersi nella storia amministrativa dei beni culturali dell’Isola. La circostanza che in questo quadro confuso la competenza sulle antichità del Distretto di Patti sia pervenuta nelle mani di uno scienziato quale l’abate Francesco Ferrara, costituisce uno dei pochi eventi di questo periodo con conseguenze positive sull’archeologia di Tindari. Il Ferrara è infatti autore della prima monografia sulla città, un opuscolo dal titolo Memorie sopra l’antica distrutta città di Tindari192. L’autore cerca di dare un quadro dell’area archeologica ponendo il sito all’attenzione del mondo scientifico. Si tratta di un contributo rilevante sia per la premessa contenente un inquadramento degli aspetti geologici e ambientali dell’area sia per la presenza di un’«iconografia delle antichità di Tindari», una planimetria generale, la prima in assoluto, che rende possibile una visione di insieme, sia pure con limiti ed errori. Vi sono riportate in particolare a sud-est del teatro, due piccole strutture semicircolari adiacenti che sono state di recente interpretate come pertinenti ad un bouleuterion. Il Ferrara ritenne di identificare i resti della cosiddetta basilica, «gli archi a tre navi vicini al teatro», con il Ginnasio della città. Il libretto è corredato da cinque incisioni, quattro vedute della basilica e del Teatro che derivano dagli acquarelli realizzati da Ludwig Meyer. Sempre il Ferrara segnala le rovine del teatro come «rispettabili’» nella Guida dei viaggiatori agli oggetti più interessanti a vedersi in Sicilia193. Nella testimonianza dello studioso il monumento pare ancora all’epoca conservare buona parte della scena e di quelli che vengono definiti sedili coperti di marmo, nonché frammenti di colonne scanalate che sembrano confermargli l’ipotesi, già del Biscari, dell’esistenza di una loggia. Oltre alla descrizione dei «magnifici» avanzi del cosiddetto Ginnasio, il Ferrara tenta di delineare l’andamento delle mura, fornendone osservazioni sulla tecnica edilizia e su quella poliorcetica. Il Ferrara ipotizza al riguardo che l’erosione sia all’origine del crollo di parte della città in corrispondenza del lato E. Qualche resto delle costruzioni precipitate, non obliterato nel crollo, sarebbe stato poi riutilizzato nella costruzione di alcune case di pescatori ai piedi del monte «presso un seno di mare comodo per le barche». In questi anni iniziarono ad apparire nella normativa disposizioni che salvaguardavano il patrimonio artistico e archeologico. Già un Ordine generale del 19 di Febbraio 1814 proibiva l’estrazione «da questo regno di quadri. statue, vasi e altri oggetti di Antichità e Belle Arti», «ad onta» del quale, viene rapresentato nella stessa missiva, il timore che «le dette statue ed iscrizioni possano estraregnarsi». E il 13 maggio 1822 seguì un decreto che vietava «di demolire o in qualsiasi modo degradare, anche nei fondi privati, le antiche costruzioni». Intanto a Tindari si succedono i visitatori e gli studiosi. Vengono effettuati scavi di cui abbiamo incerte notizie. Un anonimo viaggiatore francese194 che visitò la Sicilia nei primi decenni del XIX secolo pubblicandone un resoconto nel 1822 ipotizzò che l’edificio allora denominato «ginnasio» fosse in realtà un magazzino pubblico. Nel corso del sopralluogo notò i resti di una via lastricata che lo congiungeva ad una delle due porte della città. Altri scavi furono compiuti dallo Smith195 nell’area del teatro, del cosiddetto «ginnasio» e di un presunto ‘tempio di Minerva’ di cui non si troverà in seguito alcun ulteriore riferimento. Anche lo Smith tentò di studiare il problema del crollo della città antica. Al riguardo
Agathone, item in Lateranensi I sub Martino I in Nicaena II ac tandem in Romanorum Pontificum epistolis mentionem fieri video... neque tamen ignoro falsos esse Panormitano in Nicodem suo supositio Archiepiscopo ...Saracenis imperantibus nullos suisse in Sicilia episcopos latius demostrantium”. 152 CARUSO 1716, pp. 38, 232, 415, 494. 153 GRAEVIUS Thes., X,vol. VI, introductio in Philippi Parutae Numismata Tyndaritane cc. 729-730 Commentarius c. 731-736; vol VIII introductio in Philippio Parutae Numismate Tyndaritanae, p. 230. 154 Ricorda la continuità del toponimo nel sito, i culti e le divinità principali: i Dioscuri, Leda, Tyndaro. Per delineare i principali eventi storici vengono citati, a proposito della fondazione, Diodoro mentre Cicerone per le vicende successive della “colonia facta romanorum”. Viene richiamata la descrizione del Fazello. Dall’esame delle serie monetali l’Havercamp cerca di dedurre le attività economiche prevalenti dell’antica città: “terram incolae habuerunt fertilem olei atque frumenti abundantem, atque ita commerciis et maritimis divitiis abundarunt, sicuti nos docet Num 6 i quo idcirco Minervae, sicuti in Num 3 Cereris affiges cernitur...Velatae Cereris caput, ob Tyndaritani agri ubertatem”. L’attenzione dello studioso è volta a dedurre in modo analogo, dall’esame delle monete, l’esistenza in città di statue di imperatori e di divinità, nella convizione che le emissioni le celebrino. Lo studioso discute dell’identificazione del guerriero rappresentato nella moneta da lui numerata 5 con M. Marcellum oppure con la divinità indigena Adranum o con la statua dell’imperatore Augusto. A commento della moneta numerata 4 si fa riferimento a Mercurio ginnasiarca. 155 MASSA 1708, pp. 6, 153-154, 174, 202, 408. 156 AMICO 2000. 157 AMICO 2000, vol II, pp. 332-336. 158 AMICO 2000, vol II, s.v. Patti (fiume di), p. 337; SIDOTI-MAGISTRI 2006, pp. 36 n. 4, 95. 159 AMICO 2000, vol II, s.v. Timeto, p. 598. 160 SIDOTI-MAGISTRI 2006, pp. 36 n. 4, 95. 161 AMICO 2000, vol II, p. 598. 162 AMICO 2000, vol II, s.v. Oliveri, pp. 233-234. 163 AMICO 2000, vol II, s.v. Oliveri (fiume di), p. 233. 164 AMICO 2000, vol II, s.v. Tindaride, pp. 598- 599. 165 REYNA in GRAEVIUS Thes., X, vol. 9, c. 264C cita il Cluverius lib. II cap. 6 sulla fondazione della colonia
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augustea “Tyndaris colonia deducta haud dubiie auspiciis Augusti Caesaris, postquam Sex Pompejus in hac insula devicit”. 166 MONGITORE 1708-1714. 167 CARRERA in GRAEVIUS Thes., X, vol. 10. Polemica con Perelli che lo aveva accusato di aver tradotto “Tyndaridem in Tindaro Tyndaro o Tyndaron non civem Tyndaros” ma Carrera ribatte “si Perellus dicere vel Tindaro, penultima breve, perperam agit, quoniam novem confuntitur cum Tyndaro, marit Ledae, a quae Tyndaris differt, l’uomo si può dire Tyndaris, Tyndarione o Tindario”. 168 J. HOUEL 1782-1787, I, pp. 98-108, tavv. 52-59. 169 Calcola la presenza di undici cunei, numero dimostrato dagli scavi successivi essere quello reale. 170 BERNABÒ BREA 1964. 171 SPIGO 1998, p. 140. 172 Acquistati direttamente dall’artista da Caterina II tra il 1782 e il 1783, all’Ermitage sono conservati circa 264 dei 500 disegni realizzati dall’Houel durante i quattro anni di viaggio in Italia meridionale e in Sicilia. 173 HOARE 1819, pp. 451-453. 174 SCASSO 1798, pp. 30-31. 175 BISCARI 1817, pp. 88-89. 176 Alla figura apicale del Custode faceva capo una prima struttura organizzativa già però articolata in più settori (scavo, restauro, manutenzione, esportazione) mentre a livello locale le competenze venivano demandate ad una serie autorità amministrative come i Regi Segreti, i Proconservadori, i Collettoli delle città (Dispaccio in data 15 Maggio 1779; confermato da un Ordine del 19 Giugno 1787) o a privati, spesso residenti in prossimità dei siti archeologici, nominati “Vicecustodi” e “Antiquarj”. La prima dotazione economica della Custodia della Valle di Demone ammontava, come per le altre Valli, a 200 once da pagarsi sugli introiti dell’azienda dei Gesuiti espulsi nel 1767 dall’Isola. 177 Alcune strutture della villa visibili ancora nel XVIII sec. compaiono negli acquerelli di Luigi Mayer (prima del 1776) conservati nel Museo civico di Castello Ursino (Catania) (inv. n. 7846). 178 PAGNANO 2001. 179 BISCARI 1817, pp.189-191; 245247. Pag. 188 “Tindaride, una delle più vetuste città di Sicilia, La particolare situazione geomorfologica a picco sul mare la rese soggetta alla frana...Si dice, che in tempo, che il mare è chiaro, e tranquillo si vedono ancora le sommerse rovine”. Viene ricordata la cinta muraria “di tratto in tratto fortificata con Torri quadrate, e nell’estrema grossezza delle medesime muraglie si vede incassata una via da potervi due uomini
ipotizzò sulla base di una presunta continuazione di mura da lui riscontrata l’esistenza di un quartiere suburbano o di una necropoli anche nel versante verso NE. In questo settore egli rinvenne frammenti di vasi, unguentari, lucerne e piccoli idoli. Secondo lo Smith il crollo avrebbe distrutto il sottostante approdo che egli qualificò ‘porto’ in base al rinvenimento, che sembrava confermaglielo di numerosi, piccoli pezzi di mattone e cemento triturati finemente e mescolati insieme a formare, quasi, un molo. Nel 1827 venne istituita a Palermo, sul modello di Napoli, una Commissione di Antichità e Belle Arti composta “di quattro individui, due versati nell’antiquaria e due professori di belle arti”196. I primi Commissari nominati furono, per l’Antiquaria, Giuseppe Lanza, Principe di Trabia e Domenico Lo Faso Pietrasanta, Duca di Serradifalco (17831863) 197; per le Belle Arti lo scultore Valerio Villareale e il pittore Giuseppe Patania. Tra i compiti assegnati quello di esaminare la «nota dei rinvenimenti in scavi in un fondo da parte dei legittimi proprietari, o da parte di altri col permesso del proprietario, per conoscersi se tra gli oggetti ritrovati siavene alcuno di singolar merito da potersi acquistare per questo Museo [di Palermo]»198. Dal 1830 incominciarono ad essere istituite in ciascun luogo ove esistevano monumenti antichi Commissioni di Corrispondenza locale. In questo scenario sono per la prima volta in qualche modo timidamente regolamentate le attività di scavo dei privati che comunque continuano a chiedere di intraprenderle con l’intento principale di pervenire al ritrovamento di statuaria, di oggetti di pregio e di monete. A Tindari chiede nel 1834 alla Commissione di poter scavare a proprie spese il Barone Gioachino Calcagno, proponendo una divisione alla pari con il Governo, previa stima, dei ritrovamenti che vi sarebbero stati effettuati. La richiesta venne accolta con entusiasmo dalla Commissione che la caldeggiò presso il Luogotenente (8 dicembre 1834) che a sua volta ne concesse autorizzazione il successivo 22 dicembre raccomandando ai Commissari di far sorvegliare i lavori onde evitare la possibile dispersione dei rinvenimenti199. 3.8. Il XIX secolo e l’inizio di studi sistematici. Sotto la presidenza del Serradifalco la Commissione di Antichità e Belle Arti, promosse a Tindari fra il 1842 e il 1845 alcune campagne di scavo e di restauro. Anche di queste ricerche non possediamo un resoconto dettagliato né pubblicazioni. Poche notizie sono ricavabili dall’articolo scritto dall’Henzen nel Bollettino dell’ Istituto di Corrispondenza Archeologica sulla scorta della relazione inviatagli dal Pogswisch, socio dell”Istituto200, e da quanto lo stesso Serradifalco scrive nel volume V delle sue Antichità della Sicilia, nel capitolo dedicato a Tindari, corredato da sei tavole con i rilievi di F. Saverio Cavallari. Apprendiamo così in linea generale che gli interventi interessarono il teatro portando alla luce gran parte dei sedili del teatro e alcune costruzioni del pulpito e della scena. Si riuscì a definire il numero esatto delle gradinate e si incominciò a comprendere la funzione delle strutture laterizie in direzione dell’orchestra nonché a chiarirsi la questione del riuso romano dell’edificio ellenistico. Si iniziò ad analizzare, dopo averlo sgombrato dalle erbe e dalla terra, l’edificio conosciuto sino ad allora come Ginnasio. Il Serradifalco pur non esprimendosi sulla natura della costruzione, che definisce “edificio arcuato”, osservò, dissentendo dall’identificazione col Ginnasio, che «la sua grandezza lo paragona assegnato a pubblico uso… siccome la maniera onde si vede costrutto lo dimostra opera romana»201. Da questo momento in poi, comunque, l’edificio inizia ad essere denominato “basilica”. Negli scavi dell’area occupata dall’edificio vennero alla luce, insieme a tronchi di colonne in pietra arenaria, mezze colonne in marmo bianco, resti di una scala che lungo il muro esterno della galleria portava ad un piano superiore. Venne scoperta inoltre una cella rettangolare con in fondo una piccola nicchia. Nessuna menzione da parte del Serradifalco o di altri viene fatto riguardo alla via lastricata che congiungeva l’edificio ad una delle due porte della città e che era stata segnalata da un anonimo viaggiatore francese nel 1822. Durante queste campagne vennero alla luce, ad ovest della “basilica “, alcuni ambienti, fra cui la sala col mosaico pavimentale policromo (denominata casa B negli studi successivi). Inoltre in occasione del taglio della strada provinciale compiuto in quegli anni,
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Michele Fasolo | Tyndaris | 49 si rinvennero monili d’oro e iscrizioni su lastre marmoree in un lembo della necropoli. Altre strutture funerarie vennero individuate, nell’area a N del promontorio, un sepolcro di età romana, e nei pressi della grotta con stalattiti di ‘Donnavilla’ i resti di un antico sepolcreto di cui non si troverà più traccia un secolo dopo202. I nuovi elementi venuti alla luce con «gli scavamenti» nella “Basilica” e nel teatro, in particolare le modifiche di età romana e gli ambienti centrali dell’edificio scenico, resero necessario intraprendere una nuova campagna di rilievo che venne condotta dal Cavallari, con risultati però non allo stesso livello di quelli a suo tempo raggiunti dall’Houel. I rilievi riescono comunque a delineare nel suo insieme la topografia archeologica della città. Nella corografia della tavola XXX nell’opera del Serradifalco, risulta riportato l’intero perimetro delle mura. In particolare la topografia della città antica è inserita in quella più ampia del sito con l’indicazione, per la prima volta, delle curve di livello. Dopo l’intervento della Commissione negli anni ’40 non si hanno notizie di altre esplorazioni sistematiche nell’area di Tindari. Nel 1863 nuovo direttore delle antichità di Sicilia divenne il Cavallari203. Tra il 1866 e il 1867 numerose antichità venute alla luce a Tindari nel corso degli scavi condotti204 nei decenni precedenti, trovarono sistemazione nell’allora istituito Museo di Palermo205, l’odierno Museo Archeologico Regionale “A. Salinas”. Tra di esse, oltre ad alcune iscrizioni latine e greche e a un orologio solare206, spiccano numerose sculture marmoree di epoca ellenistico-romana: la statua in marmo di Zeus Ourios207, copia di età imperiale di un originale ellenistico, alcuni ritratti della famiglia imperiale giulio-claudia (Druso minore figlio di Tiberio, l’imperatore Claudio e la madre Antonia Minore) e di personaggi togati, un torso loricato probabilmente da riferire all’imperatore Traiano. Altri ritrovamenti della fine del XVIII secolo da Tindari e dal territorio andranno invece a finire nel Museo Regionale di Messina. Tra di essi un grande piede marmoreo forse pertinente ad statua colossale di un imperatore, già segnalato dal Ferrara, un ritratto femminile in marmo risalente all’età antonina e un’iscrizione funeraria di età tardo imperiale da Falcone. Con gli scavi e le ricerche della prima metà del XIX secolo grande incremento ebbe anche la collezione Sciacca, risalente almeno alla fine del XVIII secolo come si può dedurre dalle menzioni che ne fanno l’Houel ed il Biscari che visitarono il cosiddetto castello di Scala208 dove era conservata. Dopo la morte dell’ultimo barone, Emanuele Sciacca, quello che era un vero e proprio museo privato venne suddiviso in oltre 60 quote ereditarie con l’eccezione di quella della vedova, composta da 80 pezzi, donata nel 1917 al Museo Archeologico di Siracusa e oggi, in gran parte, esposta nell’Antiquarium di Tindari. In questi anni le iscrizioni antiche di Tindari vengono riportate nei grandi corpora epigrafici, curati rispettivamente dal Boeck e dal Kaibel per le greche, dal Mommsen per le latine209. In campo archivistico Salvatore Cusa, nel 1882, nella sua opera “I Diplomi Greci di Sicilia”, inserì la maggior parte dei documenti in lingua greca conservati nell’Archivio Capitolare di Patti. Numerosi sono inoltre gli studi storici di questo periodo che affrontano aspetti rilevanti per la conoscenza della storia di Tindari. In particolare vanno ricordati i lavori del Casagrandi e del Columba.210 Alcune monografie appaiono in questi anni su Tindari e su Patti. Due sono opera di un autodidatta il canonico Nicola Giardina (18371912), che fu archivista del Capitolo della Cattedrale pattese, che pubblicò L’antica Tindari; cenni storici (Siena 1882) e Patti e la Cronaca del suo Vescovato (Siena, 1888). A R.V. Scaffidi si deve la pubblicazione nel 1895, sotto la guida di Vincenzo Casagrandi, di un lavoro complessivo sulla storia e le fonti di Tindari, Tyndaris; storia, topografia, avanzi archeologici (Palermo 1895). Diversa la prospettiva, storico-giuridica, esplorata utilizzando i documenti di archivio da Giovanni Crisostomo Sciacca per sua tesi di laurea dal titolo “Patti e l’Amministrazione del Comune nel Medio Evo”, pubblicata nel 1907 nei “Documenti per servire alla Storia di Sicilia”. Nella seconda metà dell’Ottocento singoli monumenti di Tindari cominciarono ad essere oggetto di studi specialistici. Agli inizi degli anni ’80 del XIX secolo il Richter211, nel corso di un viaggio in Italia e in Sicilia, studiò le fortificazioni. Lo studioso ritenne di localizzare ad E, per l’assenza dei blocchi di arenaria usati per la costruzione della cinta
comodamente passare Fa menzione di queste mura il Fazello ma il Biscari rimarca che il Fazello non citi altre antichità e in particolare il teatro che doveva essere a quei tempi visibile ipotizzando che il frate domenicano si sia basato su relazioni altrui (p. 189). Un momnumento cui corrisponde una strada”coperta di lastroni di grandi pietre, che conduce ad una delle porte della Città; della quale riconoscessi ancora qualche vestigio”. Ricorda poi anche a ponente molti avanzi di fabbriche forse spettanti ad edifici, i sepolcreti “formati in quadro a guisa di recinti, adornati esteriormente di pilastri e di sclaini”, quindi i resti di stauaria conservati nel romitorio chiamato della Madonna del Tindaro tra cui le gambe di una statua colossale ed una “statua consolare”. Un altra consimile nel giardino del Barone della Scala. 180 AIROLDI 1793, p. 254-255. 181 AGNELLO 1970. 182 Dispaccio del settembre 1816. 183 COPPI 1822, pp. 129-136. 184 SPIGO 1998, p. 142. 185 HENZEN 1848, pp. 63-64. 186 MAGGIORE 1830. 187 SCAFFIDI 1895, p. 89. 188 SALINAS 1976, I,p. 242 e nota. 189 “Nove di esse giacciono nella spiaggia vicina presso le onde che le coprono di arena dentro la quale l’affonda sempre di più il proprio peso...Sono in marmo bianco salino”. FERRARA 1814, p. 25 (tav. II). 190 PARISI 1949. 191 Nel 1811 i Custodi vennero sottoposti al “Sopraintendente generale in tutte le Antichità di Sicilia”. Francesco Seratti (Dispaccio 23 Agosto 1811), carica che venne soppressa l’anno successivo. Le competenze in materia vennero poi ripartite, nel 1814, seguendo gli ambiti dei distretti territoriali, a dirigenti delle antichità come Francesco Ferrara che ebbe competenza, tra gli altri, sul distretto di Patti, e quindi nel 1818 poste sotto gli Intendenti che gestivano in ciascun distretto l’intera amministrazione civile statale. 192 FERRARA 1814. 193 FERRARA 1822, p. 27. 194 ANONYME 1822-1826, II, p. 88. 195 SMITH 1824, pp. 100-102. 196 Rescritto Istitutivo, Parte I, Art. l. 197 LO FASO 1842, pp. 48-56. 198 Quaderni del Museo Archeologico Salinas I, p. 24. 199 Documentazione in ASP, MLI, Busta 1983. Per le licenze di scavi a Tindari nel 1835 ASP, MLI, Busta 2022. 200 BRUNN 1849, pp. 264-269. 201 «L’abate Francesco Ferrara lo attribuisce al ginnasio rammentato da Cicerone: noi non crediamo però, che ciò che ancora ne rimane sia bastevole ad indicare l’uso cui veniva destinato.
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E quindi non volendo, secondo il nostro costume, avventurare congetture prive di fondamento, ci restringeremmo a dire che la sua grandezza lo palesa assegnato a pubblico uso, siccome la maniera onde si vede costrutto lo dimostra opera romana”. Su alcuni elementi architettonici della basilica: “Negli scavamenti da ultimo eseguiti, si rinvennero di mezzo alle gallerie alcuni tronchi di colonne di pietra arenaria, ed altre mezze colonne di marmo bianco aderenti a’ pilastri, non bastevoli però a darci elementi sufficienti per la ristaurazione di un sì vasto fabbricato.». 202 PARISI 1949, p. 108. 203 CAVALLARI 1872, p. 5. 204 Da quelli effettuati dal Fagan a quelli promossi dalla Commissione di Antichità e Belle Arti. 205 SALINAS 1882, p. 8. 206 PACE 1946. 207 ABEKEN 1839, pp. 62-72, 64, 67. 208 In realtà uno dei baroni nel corso dell’800 aveva ornato con una merlatura la propria residenza signorile con baglio e aveva chiamato il complesso “Castello”. 209 CIG, IG e CIL. 210 CASAGRANDI 1894; COLUMBA 1906. 211 RICHTER 1885, pp. 185-192. 212 KOLDWEY-PUCHSTEIN 1899. 213 ORSI 1930. 214 ORSI 1930. 215 SALINAS 1880, pp. 199-200. 216 ORSI 1896, pp. 116-117. 217 Il Tindari del 15 marzo 1896 n. 5, pp. 57-58. 218 BADOLATI 1919. 219 ACS, AA.BB.AA., II vers. Busta 111. 220 FRICKENHAUS 1917. 221 BIEBER 1920. 222 VON GERKAN 1921. 223 BERNABÒ BREA 1964.
muraria, il punto del crollo ricordato da Plinio il vecchio, mentre individuò a S la zona della collina maggiormente esposta agli attacchi e per la quale quindi era stata necessaria la costruzione di un muraglione, ampio 5 m, articolato in due mura parallele, legate mediante setti trasversali. Fra il 1892 e il 1895 il Koldwey e il Puchstein212 effettuarono, tra molte difficoltà213, un rilievo del teatro da loro definito «uno dei più disgraziati [...] e perciò meno studiati» dell’Isola. I due rilevatori si accorsero del lento movimento cui era soggetta la collina su cui sorge il teatro, contrastato in quegli anni alla meglio da una catena di zolle erbose che ricopriva il monumento. Tutte le più piccole parti architettoniche vennero nello stesso periodo fotografate e disegnate dal Wirsing che utilizzò il materiale per una ricostruzione della scena214. Le esplorazioni con scavi nell’area della città antica da parte della Soprintendenza agli scavi e ai Musei di Palermo, retta da Antonino Salinas, allora competente sulle Antichità della Provincia di Messina, ripresero alla fine del XIX secolo nel 1896215 con saggi che interessarono il settore della necropoli ricadente nelle proprietà del Barone Sciacca, a sud-est della città antica. Ne riferì l’Orsi in una breve nota apparsa in NSA216 che riporta il rinvenimento di suppellettili di bronzo, terracotte, urne cinerarie con resti di cremazione, monili d’oro. Le esplorazioni riguardarono in particolare in località Mendolito, dove già il Ferrara aveva individuato un lembo della necropoli tindaritana, un oliveto limitrofo alla strada che conduceva al Santuario. Un’altra trincea fu aperta in località Santa Panta. Il giornale quindicinale della Curia vescovile di Patti, Il Tindari, riportò alcune notizie sui lavori e su alcuni ritrovamenti negli scavi di materiali, tra cui una iscrizione sepolcrale dedicata a Fausta con l’indicazione degli anni vissuti, 22, poi scomparsa217. Le ricerche riguardarono anche la cinta muraria. Secondo il Badolati proprio nella necropoli di età romana sotto le mura sarebbero stati individuati resti di un tempio dedicato a Libitina, protettrice delle tombe218. Tutte queste indagini sono rimaste purtroppo inedite e se ne conserva il giornale di scavo redatto dal soprastante G. Scifani nell’Archivio Storico del Museo Archeologico Regionale “A. Salinas” di Palermo e nell’Archivio Centrale dello Stato di Roma219. Vi risulta registrato il rinvenimento di alcune iscrizioni latine andate poi smarrite. 3.9. La ricerca moderna nel corso del XX secolo. Nei primi anni del Novecento la competenza sul patrimonio archeologico di Tindari venne demandata alla Soprintendenza alle Antichità di Siracusa, diretta da Paolo Orsi. Le attività svolte dall’Orsi, nei suoi intendimenti, avrebbero dovuto concretizzarsi in uno studio monografico. Tuttavia le ricerche sul terreno si limitarono ad alcuni piccoli saggi che interessarono alcune aree immediatamente all’interno e all’esterno del circuito murario con modesti risultati e al tentativo di ripulire dai fichi d’india e dalle erbe infestanti la cerchia muraria della città, in questo ostacolato pervicacemente dai proprietari locali. La parte più cospicua dell’attività dell’Orsi si concretizzò nel recupero e nell’acquizione nel giro di pochi anni al patrimonio museale statale di numerose collezioni di reperti provenienti dai ritrovamenti e dagli scavi effettuati a Tindari e nel territorio nei due secoli precedenti. In particolare la vedova dell’ultimo barone di Scala, Domenico Emanuele Sciacca, donò nel 1917, grazie all’azione di convincimento svolta dall’Orsi, parte della famosa collezione di famiglia. Agli 80 reperti donati di età ellenistica e romana l’Orsi riuscì ad aggiungere altri pezzi che erano stati distribuiti ad altri eredi e rami della famiglia. Tra i reperti, la maggior parte ritrovati nelle aree di necropoli presenti nei terreni dello Sciacca, vanno ricordati per la loro rilevanza un frammento di marmo relativo ad una Nike acroteriale di età ellenistica attualmente esposta nell’Antiquarium di Tindari insieme ad un altra Nike un tempo al Museo di Palermo. In questi anni il teatro venne studiato dal Frickenhaus220, dal Bieber221 e dal von Gerkan222. Quest’ultimo escluse un uso dell’arena per naumachie, data la mancanza di impianti idrici, la permeabilità del suolo e la molteplicità di aperture presenti nel podio223. Alla fine dello stesso decennio il monumento venne studiato anche dal Bullè che vi effettuò accurati rilievi della parte scenica e degli elementi architettonici superstiti dando luogo a una proposta di restituzione. Lo studioso dedicò particolare attenzione alle modifiche subite in epoca romana dal koilon con approfondimento del livello per adattarlo agli
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Michele Fasolo | Tyndaris | 51 spettacoli gladiatori. Le modifiche vennero da lui confrontate con quelle avvenute a Taormina. Il monumento versava allora, a causa dei mancati interventi di conservazione e restauro, in cattive condizioni accresciute dalle conseguenze degli scavi avvenuti in profondità. Alla fine degli anni ’30 le mura di Tindari vennero studiate per una tesi di dottorato dal Säflund224. Una campagna di scavo a Tindari venne condotta nel 1938 da Giuseppe Cultrera, successore dell’Orsi, insieme all’architetto Sebastiano Agati. Lavori di scavo e di restauro interessarono anche il teatro. 3.9.1. Gli scavi e le ricerche nella seconda metà del XX secolo. Una rilevante fase di studi e di ricerche a Tindari è legata all’attività del Bernabò Brea. Lo studioso arrivò in Sicilia dalla Liguria, nominato Soprintendente alle Antichità della Sicilia Orientale a Siracusa, nel 1941, in pieno periodo bellico. Le sue prime preoccupazioni furono quelle relative alla messa in sicurezza delle antichità del museo siracusano. Solamente a guerra conclusa tra il 1947 e il 1949 il Bernabò Brea diede inizio a esplorazioni e scavi nella Sicilia nord-orientale chiamando a collaborare alle ricerche Nino Lamboglia, direttore dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, uno dei grandi protagonisti di quella stagione di scoperte e di esperienze di scavo. Dal 1949 al 1952 si svolsero a Tindari tre campagne di scavo nelle quali vennero adottate per la prima volta in Sicilia metodologie innovative, attente alla stratigrafia dei depositi. Vi parteciparono una serie di studiosi: M. Cavalier, M.A. Mesquiriz, D. Restagno, F. Barreca ed un gruppo di allievi della scuola archeologica di Roma. A Tindari le conoscenze sulla città erano più o meno quelle del secolo precedente; se ne conoscevano perché in qualche modo i resti erano fuori terra il teatro, la cosiddetta basilica, gli edifici con pavimentazione musiva messe in luce dagli scavi dell’800. La documentazione conservata nell’Archivio della Soprintendenza di Siracusa permette di ricostruire lo stato dell’area archeologica per nulla perimetrata ma anzi occupata da coltivazioni agricole a uliveto e a vigneto e da strutture precarie tra cui una stalla. La prima campagna, finanziata dalla Regione Siciliana, ebbe inizio nel 1950. I lavori puntavano a mettere in luce, come si può evincere dalla relazione di G.V. Gentili innnanzitutto la cinta muraria, a sgomberare l’area della cosiddetta basilica /Ginnasio ed effettuare una serie di saggi ricognitivi. Per quanto riguarda la cinta muraria, conosciuta sino a quel momento solamente nel suo tracciato sul versante SE del sito in corrispondenza dell’acropoli della città antica, oggi sede del santuario mariano, gli studiosi accertarono che la struttura definibile all’apparenza come quella originaria trovava termine all’altezza del piccolo borgo di case di Tindari, proseguita in direzione O da un’altra struttura che essi classificarono come ‘tardogreca’. A questa se ne era sovrapposta a sua volta un’altra che venne definita ‘tardoromana’. Sul lato versante NE gli studiosi riscontrarono l’assenza di mura di età greca notandovi invece strutture erette in età tardoromana con materiali di recupero. L’assenza su questo lato di un apprestamento difensivo venne da essi spiegato con il disastro cui accenna Plinio il Vecchio. La mancata pubblicazione degli esiti definitivi degli scavi svolti tra il 1950 ed il 1956 dal Lamboglia prima e dal Barreca poi, l’assenza di collaborazione nel lavoro svolto dai due archeologi rendono assai ardua la comprensione delle problematiche relative alla cronologia e alle fasi costruttive delle fortificazioni. La sequenza stratigrafica messa a punto dal Lamboglia grazie ai saggi da lui effettuati all’interno delle mura e negli scarichi di materiale all’esterno di esse, viene ritenuta negli studi un utile punto di partenza per l’inquadramento cronologico della cinta muraria. Il Lamboglia ricostruì grazie agli scavi stratigrafici effettuati una serie di livelli attraverso cui ritenne di individuare le principali fasi di sviluppo della città e della sua cinta muraria sin dalla fondazione. Nella prima fase di frequentazione del sito, tra il 350 ed il 300 a. C., secondo il Lamboglia non è presente alcuna traccia della più antica città dionigiana né della cinta muraria. Una fase successiva, databile tra 300-250 a.C., si caratterizza per
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SÄFLUND 1937.
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LAMBOGLIA 1953;1958. LAMBOGLIA 1951; 1953, pp. 70-84. 227 ZIEGLER 1948, coll. 1776-1790. 228 BARRECA 1957. 229 BARRECA 1957. 226
l’innalzamento della cinta muraria. Ad essa seguono una fase posteriore alla costruzione del muro in opera incerta, databile al 250-150 a.C. e infine la fase più recente, tra il 150 ed il 50 a.C., in cui gli scarichi si addossano al muro in opera incerta rivestito di intonaco225. Sulla base di quella cronologia, quindi, e sulla scorta dei rinvenimenti numismatici, la prima fase della cinta muraria, a doppia cortina ed emplekton, andrebbe collocata per il Lamboglia in un momento succesivo al regno di Iceta (289-278 a.C.). Per quanto riguarda gli altri monumenti negli stessi anni si procedette ad un generale riassetto con il riordino, in particolare dei materiali del teatro, solo parzialmente restaurato nel 1938, sparsi ovunque nell’orchestra e attorno ai muri. E analogamente vennero riordinati i materiali di crollo della ‘Basilica’. L’obiettivo fondamentale che Bernabò Brea si era prefissato era comunque soprattutto quello di chiarire l’impianto urbano individuandone i tracciati stradali. A Tindari a fine novembre del 1950 venne individuato l’asse di collegamento tra la basilica e il teatro e due grandi strade lastricate a gradoni ad esso perpendicolari i cosiddetti cardini. Incominciò così a delinearsi agli studiosi la struttura dell’impianto urbano e in questa quella delle strutture abitative dell’insula IV. Dallo scavo dell’insula emersero una serie di edifici distinti, dei quali sino a quell’epoca era conosciuto il solo vano con pavimento musivo scoperto nel 1842. Nei mesi successivi i primi risultati della campagna furono pubblicati dal Lamboglia su La Giara e le vie d’Italia226. Negli stessi anni del dopoguerra un contributo di carattere storico e filologico venne apportato dallo studioso di Göttingen Konrat Ziegler227 cui si deve la redazione della voce Tyndaris nella Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft. La successiva campagna di scavo del 1954 permise di di ripulire, documentare e rilevare l’area centrale della città in modo da metterne le basi della sua fruizione pubblica. La griglia complessiva dell’impianto, definita dall’incrocio ortogonale di una serie di assi stradali paralleli plateiai/decumani, ampi 8 m, estesi longitudinalmente per tutta la sua estensione, incrociati da strade minori (stenopoi/cardines), con relativi condotti fognari, larghe 3 m, si rivelò agli archeologi solamente al termine delle esplorazioni nel 1956. Altre ricerche nell’ambito delle mura, dell’area urbana e soprattutto della necropoli meridionale di c.da Scrozzo furono svolte in fasi successive dal Barreca228. In particolare al di sotto della pavimentazione a mosaico della Casa Romana A, e di quella, a sua volta sottostante, di una abitazione ellenistica venne portata alla luce una stazione preistorica «La scoperta – commentava il Barreca 229- integrando la storia, ci dice come i coloni greci avessero anche questa volta scelto per la loro sede un luogo ave già da secoli viveva una popolazione indigena, con la sua organizzazione, i suoi usi, le sue tradizioni.... È probabile che di esso - il centro indigeno precedente la fondazione di Tindari - non tutto sia andato distrutto». Tra il 1956 ed il 1957 le campagne di scavo subirono un’interruzione durante la quale si procedette al consolidamento e al restauro delle strutture già messe in luce, nonché allo strappo e al ricollocamento dei mosaici alla loro copertura. Prese avvio anche il progetto di valorizzazione del sito con l’allestimento di un Antiquarium, dove solamente alla fine dello degli anni ’60 del XX secolo si riuscì a riunire alcune importanti opere rinvenute a Tindari come le due Nikai gemelle conservate un tempo a Siracusa e a Palermo. Al 1960 risale la campagna di scavo degli ambienti termali condotta dalla Cavalier. Negli stessi anni il Bernabò Brea diresse i lavori di consolidamento e di restauro, oltre che delle strutture nell’insula IV, del teatro, in particolare del koilon. Venne nell’occasione realizzato da F. D’Angelo, grazie ai nuovi rilievi, un plastico in gesso della frons scenae del teatro in scala 1:100. Il Bernabò Brea pubblicò un nuovo studio sull’edificio che ne ricostruiva la vita, dopo le trasformazioni di epoca romana, e la definitiva distruzione a causa di un terremoto in età tardo-imperiale a seguito della quale divenne cava di materiali. Anche l’edificio denominato “basilica” o come lo definisce Bernabò Brea «propileo monumentale dello spazio pubblico», venne sottoposto ad una operazione di restauro con il recupero di tutti i blocchi dell’elevato, in parte rimasti in situ nel pendio sottostante, in parte sparsi nell’area urbana dove erano stati riutilizzati. Anche di esso venne realizzato un plastico in scala 1:100. Alcuni saggi condotti nelle fondazioni fecero proporre allo studioso
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Michele Fasolo | Tyndaris | 53 una datazione della sua costruzione alla tarda età imperiale . L’ultima attività sul campo del Bernabò Brea riguardò insieme a Madaleine Cavalier il tessuto urbano del settore occidentale di Tindari, in contrada Cercadenari, a fianco del quale venne alla luce, all’interno della cinta muraria, articolato su terrazze in declivio verso S, anche una necropoli monumentale di epoca imperiale. Anche queste ricerche sono purtroppo rimaste inedite230. Sempre al Bernabò Brea si deve il piano che assicurò al demanio, grazie ad espropri mirati, ampie parti della città antica, e i numerosi provvedimenti di tutela con vincoli delle aree allora ancora private. 3.9.2. Le ultime ricerche nel centro urbano. Le ultime ricerche nel sito di Tindari sono state programmate verso la fine degli anni ’80 del secolo scorso nell’ambito di un piano a lungo termine di interventi di tutela e valorizzazione dell’area archeologica, avviato dalla Soprintendenza per i Beni culturali e Ambientali di Messina, subentrata dal 1987 nella competenza territoriale a quella di Siracusa. Le indagini, precedute da una serie di acquisizioni mediante espropri di vaste porzioni del promontorio tindaritano, hanno riguardato con quattro campagne di scavo, svoltesi fra il 1993 e il 2004, il settore occidentale della città. I risultati sono stati pubblicati in un volume collettaneo231. In particolare oggetto delle indagini sono stati in contrada Cercadenari, con l’intento di chiarire l’articolazione e la cronologia dell’impianto urbano, due isolati a monte e a valle della plateia/decumanus centrale. L’arteria è stata riportata in luce nel suo andamento verso est sino ai limiti dell’abitato ove si concludeva in un propylon. Nel primo isolato, numerato XVIII A, è stato indagato un grande edificio, già noto dagli scavi inediti del 1968, probabilmente di interesse pubblico, il terzo, insieme con basilica e teatro, tra quelli conosciuti della città. Diverse le ipotesi sulla sua funzione sono state formulate: una curia, un ginnasio, un chalcidicum, la sede di una corporazione professionale, o, infine, un edificio di culto. Vi si accedeva dal decumano tramite una scalinata di undici gradini e attraversando un portico poggiante su pilastri. Esso risalirebbe al «primo impianto urbano della colonia»232 e sarebbe stato abbandonato al principio del III sec. d.C. a seguito di rilevanti fenomeni sismici cui seguirono già in età antica spoliazioni e infine uno smottamento del terreno che obliterò la struttura. Per il complesso è stato richiamato il confronto, problematico, con il complesso augusteo nel Foro di Agrigento. A settentrione del cosidetto. decumanus sono stati riportati alla luce, in un contesto stratigrafico gravemente alterato da recenti attività agricole, nell’ambito dell’isolato numerato XVII B, gli ambienti, tra cui un triclinium con tesselatum geometrico in bianco e nero, di una casa romana che si sviluppa su due livelli e la cui prima fase secondo gli scopritori «si può collocare in età tardo repubblicana-primo imperiale» costituendo a Tindari un ulteriore esempio di un’“architettura domestica di prestigio” dopo quella già conosciuta delle case B e C dell’insula IV. Nella campagna del 2003-2004 gli scavi hanno riguardato, da Cercadenari verso E, un altra ampia porzione del tessuto urbano della parte centrale della città, a quota mediana, ed hanno riportato alla luce un ulteriore tratto della plateia/decumanus centrale incrociato da dieci cardines/stenopoi, confermando, pur con alcune variabili, la scansione modulare già riscontrata in altri settori cittadini indagati in precedenza. È stata tuttavia riscontrata grazie ad un saggio effettuato lungo la prosecuzione N del cardo denominato n una contrazione della lunghezza degli isolati, nel settore NE, a N della plateia/decumanus centrale, almeno a partire dalla tarda età repubblicana, tanto che sono risultati infruttuosi i tentativi di ritrovare in saggi di scavo l’incrocio e il terzo congetturato asse stradale. Tra i diversi problemi irrisolti rimane ancora dibattuta negli studi la localizzazione della zona pubblica cittadina: a valle dell’area del teatro come ipotizzò a suo tempo il Barreca, o piuttosto nel settore sud-orientale della città, a E della “basilica” e lungo la medesima plateia/ decumanus che conduceva al teatro, secondo l’orientamento della
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BERNABÒ BREA 1972. SPIGO 2008. SPIGO 2008, p. 57.
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54 | Tyndaris | Michele Fasolo maggior parte degli studiosi233. Uno scavo del 2006-2007 nell’area prospiciente il teatro sembrerebbe avvalorare l’ipotesi del Barreca che collocava lo spazio pubblico della città ellenistica ellenistica proprio a N del teatro fra la plateia mediana e la (congetturata) plateia inferiore. Controversa anche la cronologia della cosiddetta ‘Basilica’, oggi prevalentemente interpretata come propylon monumentale al piazzale porticato, e del teatro. Per il primo edificio si è proposta una datazione nella prima età imperiale mentre per il secondo prevale oggi negli studi la datazione della scena tra fine II e inizi I sec. a.C. invece dell’inquadramento sostenuto a suo tempo dal Bernabò Brea all’età di Ierone II. 3.10. Le ricerche nel territorio. Il territorio di Tindari sino alla fine del XX secolo non è stato mai oggetto di ricerche archeologiche sistematiche. I ritrovamenti, alcuni peraltro di grande rilievo, sono stati tutti fortuiti: le ville romane di Patti Marina e di Oliveri nel corso dei lavori di costruzione dell’autostrada Messina-Palermo negli anni ’70 del XX secolo, il centro abitato di Gioiosa Guardia, dopo insistenti segnalazioni di privati, nel corso dei successivi anni ’80. Le segnalazioni presenti nell’archivio della Soprintendenza BB.CC. di Messina, che ha raccolto il materiale documentario anche di quella di Siracusa, cui è subentrata nelle competenze territoriali, si limitano a cinque altre notizie del tutto generiche. Anche la pubblicistica locale risulta scarsa. L’unico lavoro che apporta alcune informazioni sulla presenza di strutture e di aree di frammenti fittili si deve al Lo Iacono, a lungo funzionario dell’ufficio tecnico del comune di Patti, con una discreta conoscenza del territorio234. Solamente tra il 2004 e il 2007 il territorio immediatamente ad est di Tindari è stato oggetto di una prospezione sistematica nell’ambito della tesi di dottorato di ricerca in Metodologie conoscitive per la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali (XX ciclo Seconda Università di Napoli) di Maria Grazia Calì 235.
233 LA TORRE 2004; 2006; SPIGO 2005; 2006; BELVEDERE - TERMINE 2005. 234 LO IACONO 1997. 235 CALÌ 2009.
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Michele Fasolo | Tyndaris | 55 4. Fonti.
4.1. Fonti scritte. 4.1.1. Fonti epigrafiche greche. La produzione epigrafica in lingua greca proveniente dalla città di Tindari e dal territorio, sinora nota, ammonta a trentatre iscrizioni, sedici lapidarie, sedici su supporto fittile, una su signaculum in piombo. Sono presentate di seguito, ove chiaro il carattere, per tipologia e in ordine cronologico, se databili, ove ciò non sia possibile tenendo conto della completezza e della lunghezza del testo. Il loro numero è nettamente inferiore rispetto a quello delle iscrizioni, peraltro non numerose, in lingua latina. Se ci limitiamo alle lapidarie ammonta a meno di un terzo. Tra quelle di cui è chiaro il carattere due iscrizioni sono dediche votive sacre (nn. 1 e 2). Due epigrafi hanno carattere pubblico (nn. 3 e 4), una è di carattere agonistico (n. 5), undici sono di carattere funerario (nn. 6, 7, 8, 9, 10,11, 12, 13, 14, 15, 16). Un numero consistente, sedici iscrizioni, è costituito da bolli su tegole e su mattoni (nn. 17, 18, 19, 20,21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30,31, 32). Le iscrizioni raccolte nel CIG sono due (5613236 e 5613b237), divengono nove nell’IG, (le lapidarie 375238-376239-377240-378241-379242-380243-381244-382245 e il bollo 2395246). I curatori dei due corpora trassero le epigrafi dalla raccolta del Gualtherus e dagli articoli rispettivamente del Brunn e del Salinas247. A queste epigrafi vanno aggiunti tre bolli pubblicati dallo Scaffidi nel 1895 (nn. 18, 19, 20), e le sei epigrafi recuperate nel corso delle ricerche nella seconda metà del Novecento dal Parisi (n. 13), dal Bernabò-Brea e dalla Cavalier (n. 5), dal Manganaro (n. 14) e pubblicate in varie sedi. Un’epigrafe inedita (n. 15) proviene dalla villa di Oliveri, distrutta durante gli anni ’70 del XX secolo, un’altra infine è stata rinvenuta nel corso della prospezione intensiva (n. 16). Le iscrizioni impresse su argilla, sedici, risultano per la maggior parte inedite. L’esistenza di alcune di esse è ricavabile dai riferimenti, contenuti nel catalogo sulle tegole di Lipari, approntato dalla Brugnone248, a esemplari corrispettivi presenti nei magazzini di Tindari (nn. 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32). Un signaculum in piombo è stato ritrovato durante gli scavi nella villa romana di Patti Marina (n. 33). Di quasi tutti i titoli mancano i dati di rinvenimento. Per le iscrizioni funerarie le informazioni disponibili risultano limitate alla generica indicazione della provenienza dalle necropoli conosciute della città, in particolare da quelle situate a S e SE dell’acropoli, nelle contrade Scrozzo, Mendolito e Santa Panta. Si trattava di terreni di proprietà della famiglia Sciacca, della cui nota collezione antiquaria molte di queste iscrizioni risultano aver fatto parte. La maggior parte delle iscrizioni sono oggi conservate rispettivamente a Tindari, nell’Antiquarium (nn. 2, 3), all’aperto, lungo il circuito delle mura (n. 4), in situ nell’Insula IV, edificio termale (n. 5), nei magazzini (nn. 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32), a Patti Marina, nell’Antiquarium (n. 33), nei magazzini n. (15), a Palermo MAR “Antonio Salinas” (n. 9), a Messina, magazzini della Soprintendenza (n. 16). Un’iscrizione (n. 1) è esposta nella Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen (Danimarca), un’altra è a Roma in una collezione privata (n. 11). Nel corso della ricognizione delle iscrizioni tindaritane effettuata in occasione della presente ricerca sono risultate irreperibili otto epigrafi tra le conosciute (nn. 6, 7, 8, 10, 17, 18, 19 e 20). Riguardo ai materiali utilizzati, la maggior parte delle iscrizioni lapidarie, specialmente le funerarie, è in pietra arenaria (nn. 3, 6, 8, 10, 13, 14, 15), e in misura minore in calcare e in marmo, utilizzato solamente quattro volte (nn. 1, 2, 11 e 12). Un’iscrizione è musiva (n. 5). Il signaculum è in piombo (n. 33). Poche le particolarità paleografiche. Nessuna epigrafe è databile con esattezza. In base ai caratteri epigrafici le iscrizioni sono all’incirca per metà di età ellenistico-romana e per l’altra metà di età imperiale. Una sola iscrizione si è ritenuto sia da riferirsi al IV-III sec. a.C. (n. 9), due iscrizioni sono invece da riportare alla media età imperiale (nn. 1, 12).
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La n. 7 del presente catalogo. La n. 1 del presente catalogo. La n. 1 del presente catalogo. 239 La n. 6 del presente catalogo. 240 La n. 7 del presente catalogo. 241 La n. 8 del presente catalogo. 242 La n. 9 del presente catalogo. 243 La n. 10 del presente catalogo. 244 La n. 11 del presente catalogo. 245 La n. 12 del presente catalogo. 246 La n. 17 del presente catalogo. 247 BRUNN 1849, pp. 264-269; SALINAS 1880, pp. 199-200. 248 BRUGNONE – CAVALIER 1986, p. 217-282. 237 238
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Ricorre in Sicilia sei volte a Lipara, Messana, Menai (due volte), Morgantina e a Siracusa. 250 Lo troviamo in Sicilia solamente a Tauromenion tra III e II sec. a.C. (IG XIV 421 an. 7; 56; 59). 251 In Sicilia nel II sec. a.C. risulta molte volte a Tauromenion (IG XIV 421 an 8; 38; 41; 47 ecc.), e presente a Akrai (SGDI 3246, 9, 11), ad Halaisa( IGSI 2 B II, 15); a Lipara (MeligunisLipara 2 p. 101 T. 290). 252 Ricorre in Sicilia a Akrai (SGDI 3242, 6), Camarina (SEG XXXIX 996, 1). 253 Presente in ambiente peloponnesiaco, nell’Isola è noto solamente a Tindari. 254 Compare solamente tre volte in Sicilia tra cui a Lipara( IG II2 9214). 255 Il nome è attestato solamente otto volte e in Sicilia solamente a Tindari. 256 Lo troviamo a Siracusa IG XIV Add. 9 a Fil»mwn. 257 Il nome, rarissimo nel mondo greco, è presente in Sicilia solamente a Tindari. Ricorre ad Atene (IG II2 1524, 210 f., 1554 ecc.), a Delo. 258 Presente in Sicilia solamente a Tindari il nome compare più volte in Campania e in particolare a Misenum CIL X 3661 (Lat. Firmius Protus), Nola CIL X 1291 (Lat. C. Bruttius Varius Protus), Pompei CIL IV 2498 (Lat. Protus); X 8357 (Lat. Protus) e a Dikaiarchia-Puteoli CIL X 2225 (Lat. M. Kanius Protus). 259 In Sicilia l’antroponimo si riscontra in tre località su tessere pubbliche di Camarina (V sec. a.C.) (Cordano, Tessere Pubbliche 15), Morgantina SEG XXXIX 1009, 6 (IV-III sec. a.C.) e a Siracusa IG XI (4) 759; XII (5) 816-17 (III-II sec. a.C.); SEG XIV 580 (I sec. a.C.). 260 Nome molto diffuso in tutto il mondo greco, in Sicilia è presente ad Adranon (PdelP 16 (1961) p. 127, Akragas (Acragas Graeca 1 p. 34 n. 5, 2; DUBOIS, IGDS 181), Akrai, Tauromenion. Un cippo recante l’iscrizione FILWNOS fu fotografato nel luglio del 1974 nella vicina contrada Pileci di Gioiosa Marea, nella proprietà di Antonino Totaro (Arch. fot. Soprint. Siracusa n. 56923D).
Nelle due iscrizioni pubbliche l’istituzione cittadina autrice è indicata al nominativo in dorico come Ð d©moj, l’assemblea popolare. Oltre all’istituzione, in una delle due iscrizioni (n. 3), una dedica, è riportato il nome del personaggio, che viene onorato per la munificità della sua evergesia che lo ha reso benemerito della città e gli ha fatto guadagnare un pubblico riconoscimento. Il motivo della dedica risulta espresso in accusativo, eÙergštan. La struttura delle iscrizioni funerarie si presenta pressoché uniforme e molto essenziale. Il nome del defunto compare quattro volte in nominativo (nn. 7, 11, 12, 16), in genitivo (nn. 8, 9, 15), in un solo caso al vocativo (n. 13). Il nome di colui che si è occupato della sepoltura ricorre in un solo caso (n. 14). Per indicare la durata della vita troviamo la formula œzhse œth (nn. 11 e 12), seguita dalla cifra. Ricorre due volte la formula di adprecatio agli dei inferi, Qeo‹j katacqon…oij, ispirata al dis manibus, riportata in entrambi i casi nella forma abbreviata Q K, posta in testa all’epigrafe (nn. 11 e 12). Presente una sola volta la formula comunissima in età ellenistica romana krhstû ka‹re (n. 13), limitata in un’altra iscrizione alla sola parola di saluto ca‹re (n. 14). Gli antroponimi documentati dalle iscrizioni sono quasi tutti di uso corrente e di impianto greco A„scr…wn249, ‘Ant…macoj250, ‘Aristokr£thj, ‘Ar…stwn, ‘Artšm…dwroj251, Arc£gaqoj252, Dam£ratoj253, DionÚsioj, Dr£kwn, ‘Ep£ratoj, K¢ll…aj254, KalliboÚla255, KissÒj, Kornn»lioj MagoulnianÕj, ‘Ioun…oj Fil»mwn256 Men…pph257, Neik…aj, NeÒstratoj, N…kwn, ‘OnasÚlij, Perpšnnioj ‘Restitoàtoj, PolÚstratoj, Pose‹dij, Prîtoj258, Salb…a, T…mwn259, Fil…arcoj, FilÒdamoj, F…lwn260. Si riscontrano due casi di individui dall’onomastica romana (nn. 2 e 11) ma assoggettata alla flessione greca. Per una donna il nome latino, Salvia, nella trascrizione greca reca il betacismo (n. 12). Le gentes rappresentate sono tre; la Iunia (n. 8), la Cornelia (n. 2) e la Perpennia (n. 11). Dai nomi femminili possiamo dedurre poi la presenza forse della Salvia (n. 12).
Figura 18. Iscrizione n. 1. Dono votivo ad Artemide Eupraxia (Ny Carlsberg Glyptotek)
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Figura 19. Iscrizione n. 1. Dono votivo ad Artemide Eupraxia (Ny Carlsberg Glyptotek). Particolare dell’iscrizione
1) Figura 18 - Figura 19 Lastra di marmo bianco di forma trapezoidale con iscrizione nella parte alta e bassorilievo nella porzione sottostante. Reca nella parte superiore cinque buchi. Fu scoperta probabilmente nella prima metà del XIX secolo in località Sant’Eramo di Patti, la stessa in cui negli anni ’70 del XX secolo verrà portata alla luce durante i lavori di costruzione dell’autostrada Messina-Palermo la Villa romana di Patti Marina. Era in possesso di Padre V. Federico Pogwisch, minore conventuale della Chiesa di S. Francesco a Messina, socio dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica. Copenaghen (Danimarca). Ny Carlsberg Glyptotek. Bibliografia: H. BRUNN, «Artemis Eupraxia» in Ann. Inst. Corr. Arch., XXI (1849), pp. 264-269, tab H ex schedis Pogwischii tav. agg. H. Ex schedis Pogwischii: “Il bassorilievo scolpito in marmo siculo bianco, e, come pare, delle stesse vicinanze di Tindari, è stato trovato a poca distanza della spiaggia che si distende tra Patti e l’antica Tindari, circa un miglio dalla prima, e sei dalla seconda città, in un podere della contrada Orti del Vescovo, e propriamente Sant’Eramo o Elamo o Elmo”. CIG III 5613b, p. 1250 “In marmore Siculo candido inter oppidum Pacta et veterem Tyndaridem in praedio Orti del Vescovo reperto”; IG XIV 375, p. 72 “Prope Tyndaridem in praedio q.d. Orti del Vescovo lapis marmoreus anaglypho ornatus, in quo vir mulierque cum ancella aram adeunt sacrificaturi. ‘Artšmidi EÙprax…a comparari potest. ‘Artšmij EÙpor…a quod apud Rhodos deae cognomen fuit cfr. Hes. s.v.;S CAFFIDI 1895, p. 97 n. 2. L’epiteto EÙprax… a è stato commentato da P. V EYNE , Metis 5 (1990) [1991], p. 21. Datazione: II sec. a.C
Prîtoj kaˆ Men…pph ‘Artšmidi EÙprax…ai Il bassorilievo ritrae tre personaggi offerenti dinanzi a un altare dietro al quale è una divinità, ‘Artšmij , rappresentata in proporzioni ben maggiori delle loro, con una corta tunica che discende appena sulle ginocchia lasciando scoperto il petto destro. La dea tiene elevato nella mano sinistra un oggetto che ricorda per la sua forma bassa e quasi tonda il kanoàn mentre reca, nella destra abbassata, una torcia con la quale sembra apprestarsi ad accendere un fuoco. L’uomo, Prîtoj, vestito con un mantello che lascia scoperto a metà il petto, alza la mano sull’altare. Accanto a lui una donna, Men…pph , anche lei con la mano destra alzata. Dietro di loro una figura femminile di aspetto più giovanile. Probabilmente si tratta di un dono votivo per l’ottenimento di un qualcosa di desiderato che riguarda i due o anche quella che potrebbe esserne la figlia. L’iscrizione è nella parte alta della lastra. Il bassorilievo era molto probabilmente appeso, grazie all’apposito foro, alla parete di un tempio. I nomi dei dedicanti sono al nominativo, la divinità in dativo, invocata con l’epiteto EÙprax…a. 2) Figura 20 Lastra di marmo (0,20x0,16x0,02 m; alt. lett. 0,015 m) lacuna angolare inferiore sinistra.Alcune lettere leggermente inclinate verso sinistra. Rinvenuta e conservata a Tindari, Antiquarium, ultima sala. Bibliografia: MANGANARO 1965b, p. 203: “Iscrizione incisa su una lastra di marmo, mutila a sinistra, la quale misura m 0,20 x 0,16 x 0,02 ed è stata rinvenuta e si conserva a Tindari. (alt. lett. cm 1, 5).”
Figura 20. Iscrizione n. 2 riferita al culto misterioc di KHekate
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58 | Tyndaris | Michele Fasolo Datazione: I-II sec. d.C.
[.Korn]n»lioj Magoulni[anÕj] | [- -] an tÁj ‘Ek®thj [Swte…]rhj, ¥goj Ðsi | [èse]wj, | [™petšle]sen „d…oij | [cr»masi sunm]Ústai Iscrizione riferita al culto misterico di Hekate. Secondo il Manganaro questo liberto della gens Cornelia, e il cui cognome deriva dal gentilizio Magulnius, deve aver offerto a proprie spese ai compagni del sodalizio religioso un banchetto a sacrificio di purificazione. Lo studioso propone di integrare: “[t¾n eÙwc…]an tÁj `Ek£thj [Swte…]rhj.” La gens Cornelia era una delle famiglie che si erano stabilmente stanziate in Sicilia. 3) Figura 21 Base in pietra arenaria (0,56 x 0,50 x 0,67 m; alt. lett. 0,035 m). Rinvenuta e conservata a Tindari, Antiquarium. Bibliografia: MANGANARO 1965a, p. 203,, tav. LXXII, 4: “base in arenaria (m 0,56 x 0,50 x 0,67) sulla cui fronte si legge (alt. lett. cm 3, 5)”. In FA, V (1952) p. 164 n. 1821 si era proposta la lettura ‘Arist]Òda[moj...’Ant…macon -e]Ùergštan cfr. J e L. ROBERT, Bull. Epigr., 1953, p. 210 n. 277 “dans le deux fragments, n’aurait-on pas à reconnaitre Ð d©moj ?” Datazione: I sec. a.C.
Ð d©moj | ‘Ant…macon | F…lwnoj | [e]Ùergštan Iscrizione in onore dell’evergeta Antimaco di Filone che forse ha beneficiato la città con una qualche opera pubblica. Il personaggio è designato con un nome personale e un patronimico. 4) Figura 22 Frammento di epistilio in calcare. Lettere cubitali. Mura di Tindari. Bibliografia: MANGANARO 1965a, p. 203, tav. LXXII, 3: “frammento di epistilio in
Figura 21. Iscrizione n. 3 Base in pietra arenaria con iscrizione in onore dell’evergeta Antimaco
Figura 22. Iscrizione n. 4. Frammento di epistilio in calcare con indicazione dell’assemblea popolare tindaritana in dorico.
calcare”. In FA, V (1952) p. 164 n. 1821 si era proposta la lettura ‘Arist]Òda[moj vel Kle]Òda[moj] Datazione: età ellenistica.
Ð d©[moj tîn tundarit©n] 5) Figura 23 Iscrizione su mosaico bicromo 1, 26 x 0,80 m. Soglia dell’ingresso del frigidarium, edificio termale D, insula IV di Tindari, in situ.
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Figura 23. Mosaico bicromo con l’iscrizione n. 5. 261
Bibliografia: BERNABÒ BREA - CAVALIER 1965, p. 208, fig. 25: “due lottatori affrontati VERNA e AFER e sotto l’iscrizione contenente il nome del mosaicista”; D. VON BOESELAGER, Antike Mosaiken in Sizilien. Hellenismus und romische Kaiserzeit, 3 Jahrhundert v. Chr.- 3. Jahrhundert n. Chr., Roma 1983, p. 117, tav. XXXVIII; R. J. A. WILSON, Sicily under the Roman empire. The archaeology of a Roman province, 36 b.C.-a.D. 535, Warminster 1990, p. 315, fig. 268. Datazione: III sec. d.C.
[ep’]¢gaqú Neik…aj Dionus…ou doàloj ™po…ei Nel campo rettangolare, a fondo di tessere bianche, incorniciato da una fascia di tessere nere, disposte in filari orizzontali, è raffigurata in posizione centrale sommariamente la scena di combattimento tra due lottatori a mani nude, probabilmente pancraziasti. Dei due sono riportati i nomi, Verna quello a sinistra, e Afer, quello sulla destra.261 Accanto a ciascuno sono raffigurati, sproporzionati, una palma e un kantharos, ovvero i premi conseguiti in vittorie agonistiche, forse specifiche. I kantharoi, probabilmente ispirati a modelli bronzei, sono entrambi campaniformi con orlo estroflesso ma, a differenza dell’altro, quello sulla destra risulta dotato di anse ed è su piede campanulato. Al di sotto del riquadro è un’iscrizione di cui sono state fornite letture differenti. Il Bernabò Brea leggeva “AGAQWN EIKIAC DIONUCIOU DOULOC EIIOIEI”. Differente la lettura data, con una integrazione sulla parte sinistra, dalla Guarducci262: “[‘ep+]’¢gaqî Ne…naj Diomus…ou doàloj špo…ei” ovvero “Buona Fortuna, Neinas, schiavo di Dioniso (lo) fece”. Il nome del mosaicista EIKIAC viene sciolto dalla studiosa in Ne…naj che, seppure non attestato altrove, viene interpretato dalla studiosa come un vezzeggiativo della famiglia dei nomi greci e latini derivanti dallo stesso stema: Ne…nioj, N…nnioj, Ninias, Ninnus. Lo Spigo263 traduce «Buona fortuna, Nicia schiavo di Dioniso fece». Il nome Dionysios è invece comunissimo. Riguardo ai due nomi dei due campioni la von Boeselager li ha interpretati come allusivi alle rispettive nazionalità, autoctona quella del lottatore Verna, da riportare all’aggettivo africanus, invece quello dell’altro schiavo Afer, attestato nell’area cartaginese264. Per la datazione si è fatto ricorso alle caratteristiche stilistiche del mosaico e anche ad alcuni caratteri paleografici dell’iscrizione. In particolare si sono richiamate le scene miniaturistiche di vita di palestra presenti già in alcuni bagni di case di Pompei e che dall’età degli Antonini265 divengono sempre più comuni. Molto simile appare un mosaico proveniente da un complesso termale degli ultimi anni di vita di Pompei (Regio VIII, 2, 2324). Su un fondo di tessere bianco, riquadrato in nero, viene raffigurata, con una resa ben
La scena sembra riferirsi alla fase iniziale del combattimento nella quale i due avversari si studiavano a volte a lungo, muovendosi circolarmente, invitandosi reciprocamente all’azione. La guardia è quella classica dei pancraziasti. Verna fronteggia l’altro lottatore. Le braccia sono ben distese in alto per guadagnare in ogni modo la presa, scartando indietro la gamba destra, pare accingersi a sferrare un calcio. Afer con il braccio destro in avanti controlla l’azione dell’avversario, quello sinistro è invece abbassato con la mano aperta. Lo scarto all’indietro della gamba sinistra pare preludere al tentativo di una presa della gamba sinistra di Verna. La mano destra verosimilmente tenterà invece una presa al collo in modo che l’avversario cada a terra con la schiena. I medesimi tipi di guardia rappresentati nel mosaico si ritrovano a distanza di oltre un millennio nel Flos Duellatorum di Fiore de’ Liberi (ca. 1350 – ca. 1420). Le tessere bianche sono usate per rendere i dettagli anatomici. Il volto, appena delineato, la capigliatura sembra, per entrambi, connotata dal cirrus, il ciuffo dei pancraziasti. Risultano rappresentati i pettorali dell’addome e per Afer la linea alba e quella semilunare. Manca lo sfondo del combattimento e dei due lottatori non risultano proiettate le ombre come invece in altre rappresentazioni similari. 262 «Mi sembra una ragionevole lettura possa essere”Buona Fortuna, Neinas, schiavo di Dioniso (lo) fece”. ‘ep+’¢gaqî è una comune formula augurale che tanto più opportuna si rivelerebbe qui, sulla soglia di un ambiente, come voto di bene per ognuno che vi entra» GUARDUCCI in VON BOESELAGER 1983. 263 SPIGO 2005, p. 49. 264 VON BOESELAGER 1983, p. 119 e n. 203. 265 VON BOESELAGER 1983, pp. 120-121.
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60 | Tyndaris | Michele Fasolo più precisa che a Tindari, una coppia di lottatori intenti ad affrontarsi nella medesima posizione di guardia266. Evidentemente il mosaico tindaritano è stato eseguito, facendo riferimento al medesimo cartone utilizzato a Pompei, ma da maestranze meno accurate. Per quanto riguarda invece gli aspetti paleografici la firma del mosaicista utilizza lettere analoghe a quelle di un’altra iscrizione tindaritana, sul retro di una lastra opistografa in due frammenti di età imperiale, ritrovata nell’area della plateia/decumanus superiore, nei pressi dell’Insula IV e oggi conservata nell’Antiquarium. L’iscrizione edita dal Manganaro267 è stata datata dallo studioso al III sec. d.C., forse al regno di Probo. Allo stesso periodo peraltro riconducono i dati di scavo. 6) Lastrone di pietra arenaria Bibliografia: SALINAS 1880,p. 199 n. 21; IG, XIV 376, p. 72: “ Tyndaride (commune di Patti) in museo Sciacca della Scala (villa della Scala) frammento di lastrone di pietra arenaria. Salinas apud Fiorellium”; SCAFFIDI 1895, p. 97 e n. 3. Datazione: età ellenistica o imperiale.
Arcag£q | ou Forse epigrafe sepolcrale di carattere privato. Anche se non è possibile stabilire alcuna connessione con il nome del defunto menzionato nell’iscrizione va ricordato che ‘Arc£gaqoj si chiamava il figlio maggiore di Agatocle che accompagnò il padre in Africa nel 310 a.C. rimanendovi poi al comando delle truppe, dopo il ritorno nel 307 a.C. del tiranno in Sicilia. Vi rimase poi ucciso dai suoi stessi soldati ammutinatisi268. Arcàgato, a sua volta, aveva un figlio con lo stesso nome che tentò di impadronirsi del trono di Siracusa uccidendo lo zio. Venne assassinato alla morte del nonno Agatocle (289 a. C.)269. Il nome doveva essere se non comune diffuso nella Sicilia nord-orientale. Cicerone ricorda alcuni personaggi con lo stesso nome: ad Haluntium270, ad Halaisa271. Un A. Καικίλιος Ἀρχάγαθος è presente a Kale Akte272 . 7) Pietra nera, scheggiata. Fu segnalata dal Gualtherus a Patti nella Chiesa di S. Ippolito. Attualmente irreperibile. Bibliografia: G. GUALTHERUS, Siciliae Objacentium Insularum et Bruttiorum Antiquae Tabulae, Messanae, 1624, p. 48 n. 150=318; CIG, III 5613, p. 622: “Pactis ad S. Hippolytum prope veterem Tyndaridem, in lapide nigro hiulco”; IG, XIV 377, p. 72: “Pactae ad S. Hippolytum in lapide nigro hiulco. Hiasse videtur lapis post M litteram; legendum enim Dam[£r]atoj Gualterus 150=318; inde Franz 5613”; SCAFFIDI 1895, p. 97 n. 1. Par. Pass. 1965 p. 177 segg. Datazione: età ellenistica o imperiale. 266
SAMPAOLO 1998, pp. 166-168. MANGANARO 1989, pp. 163 nr. 7, 197 fig. 7bis= AÉ 1989, 338f; SPIGO 2005, p. 73. 268 Diod. XXI, 16.2; Iustin XXII 2, 5 269 NIESE s.v. “Archagathos (‘Arc£gaqoj) 1; 2” in RE II, 1895, c. 432; BELOCH IV, 2.254; WALBANK II, 32. 270 Cic. In Verrem II.4.51: «Archagathum Haluntinum, hominem non solum domi, sed tota Sicilia in primis nobilem, vocari iussit». 271 Cic., ad Fam. XIII 32.1 «In Halaesina civitate tam lauta tamque nobili coniunctis simos habeo et hospitio et familiaritate M. et C. Clodios Archagathum et Philonem». 272 RE s.v. Caecilius (2); PIR2 s.v. Caecilius 14. 267
Damuatoj apogr., Damatoj Forse epigrafe sepolcrale di carattere privato. Il nome del defunto è ricordato al nominativo. Il nome è attestato nel mondo greco 28 volte, prevalentemente in età ellenistico romana, in ambiente peloponnesiaco e a Rodi. 8) Pietra arenaria. Bibliografia: SALINAS 1880,p. 200 n. 25; IG XIV 378, p. 72: “Tyndaride in museo Sciacca della Scala lapis arenarius. Salinas apud Fiorellium notizie degli scavi 1880 p. 200”; SCAFFIDI 1895, p. 98 n. 7. Datazione: età imperiale.
‘Iouv…ou | Fil»mo| noj Epigrafe sepolcrale di carattere privato con il nome del defunto, un liberto, ricordato al genitivo. Il nome risulta poco attestato nel mondo greco e solamente nel II–III sec. d.C.
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Figura 24. Iscrizione n. 9. Cippo funerario in ricordo di Kalliboula
Figura 25. Iscrizione n. 11. Epigrafe sepolcrale in ricordo di Perpennio Restituto
La presenza della gens Iunia nell’isola risale agli anni della prima guerra punica, quando nel 244-241 il console L. Iunius combatté ad Erice contro i Cartaginesi273. Un C. Iunius fu poi luogotenente di Pompeo in Sicilia. In età imperiale il gentilizio è attestato nella vicina Haluntium anche qui in relazione a un liberto274, e poi a Siracusa, a Buscemi, Gaulus, Panormo. 275 Su instrumentum è poi riportata da un bollo di piombo rinvenuto ad Erice con l’iscrizione Q. Iunius Blaesus procos che non tutti gli studiosi, tra cui il Manganaro276, ritengono abbia ricoperto questa magistratura in Sicilia. 9) Figura 24 Cippo funerario di pietra calcarea (alt. 0,25 m; largh. 0,38 m; spess. 0,22 m; alt. lett. 0,03-5 m). Alcune lettere leggermente inclinate verso destra. In cattive condizioni di conservazione. Palermo. Museo Archeologico Regionale “Antonio Salinas”. Sala Iscr. Gr. Incisione trasandata (beta e secondo alpha). Bibliografia: IG, XIV 379, p. 72: “Tyndaride lapis effossus auctore Salina, nunc in museo panormitano; litterae rusticae”. (Descripsit Kaibel). Con disegno. MANNI PIRAINO 1973, pp. 159-160 n. 122, tav. LXXIII. Datazione: IV-III sec. a. C.
KalliboÚlaj Epigrafe sepolcrale di carattere privato con il nome della defunta ricordato al genitivo. Si conosce una Kall…bèla a Cirene (SGDI III 2, 4847, 15). Il sigma a barre esterne ancora divergenti porta ad un terminus post quem di datazione al IV-III sec. a. C. 10) Lastrone di pietra arenaria. Bibliografia: SALINAS 1880, p. 199 n. 22; IG XIV 380,p. 72; “Tyndaride in museo Sciacca della Scala lastrone di pietra arenaria. Salinas apud Fiorellium notizie degli scavi 1880,p. 199. Nomen est ‘OnasÚlij”; SCAFFIDI 1895, p. 97 e n. 4. Attualmente irreperibile. Datazione: età ellenistica.
‘OnasÚlioj Il Manganaro277 ha notato come la terminazione –Úlij/Úlioj compaia più volte a Lipara 11) Figura 25 Lastra di marmo (alt. 0,29 m x 0,29,; alt. lett. 0,025-0,030 m, le due lettere in alto 0,040).
273 NENCI, p. 929; BROUGHTON 1960, II, p. 394. Il suo nome col titolo leg. Sic. compare su monete coniate da Sesto Pompeo negli anni 38-36 a. C. 274 CIL X, 7470. 275 CIL X, 7127. PIR IV2, 337 nr. 762. Non è registrato in «Epigrafiae ordine senatorio...» cit., ma FORNI 1987, pp. 333-342, 334-335; ORSI 1899, pp. 452-471, 459 nr. 4. 34 CIL X, 7511. 35 CIL X, 7311. 36 CIL X, 8504. 276 MANGANARO 1988, pp. 86-88. 277 MANGANARO 1992, pp. 385-386.
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62 | Tyndaris | Michele Fasolo Roma. Collezione privata (Crisostomo Sciacca), lacuna angolare superiore sinistra. Alcune lettere leggermente inclinate verso destra. Bibliografia: SALINAS 1880,p. 199 n. 24; IG XIV 381, p. 72: “Tyndaride in museo Sciacca della Scala marmor. Salinas apud Fiorellium. notizie degli scavi 1880,p. 199”; SCAFFIDI 1895, p. 98 e n. 6. Datazione: II-III sec. d.C.
Q(eo‹j) k(atacqon…oij) | perpš[n]nioj | [‘R]estitoàtoj œzhsen | œth lÈ Epigrafe sepolcrale di carattere privato con in testa la formula abbreviata Q k di adprecatio agli dei inferi, ispirata al dis manibus. Segue il nome del defunto al nominativo e la sua età 35 anni. Il defunto presenta una denominazione, per quanto incompleta, latina. È infatti ricordato con gentilizio e cognome, assoggettati alla flessione greca. La mancanza del praenomen, data la maggiore età, può essere fatta risalire all’uso di ometterlo che si riscontra in maniera sempre più diffusa a partire dal II sec. d.C. Il gentilizio che l’iscrizione ci ha tramandato è quello della gens Perpennia278. 12) Lastra di marmo. Bibliografia: SALINAS 1880, p. 199 n. 23; IG XIV 382, p. 72: “Tyndaride in museo Sciacca della Scala lapis marmoreus. Salinas apud Fiorellium notizie degli scavi 1880,p. 199”; SCAFFIDI 1895, p. 98 e n. 5. Datazione: II-III sec. d.C.
Q(eo‹j) k(atacqon…oij) | Salb…a | œzhse | œth. ih’ Epigrafe sepolcrale di carattere privato con in testa la formula abbreviato Q k di affidamento agli dei inferi, sul calco del dis manibus, quindi il nome della defunta al nominativo e la sua età 18 anni. Deduciamo il cognomen forse del padre Salvius. 278
Un’iscrizione in latino e in greco da Siracusa ricorda Perpenna(te) Roman(o) / v(iro) c(larissimo) cons(ulari) p(rovinciae) Syrac(usani) CIL X7125 = IG XIV 14 = AE 1959, 24.
13) Figura 26 Pietra arenaria (alt. 0,70 m; largh. 0,30 m). Angoli smussati. Alcune lettere leggermente inclinate verso sinistra. Bibliografia: Parisi 1949, p. 148: “a Scala nella villa del fu Barone Sciacca. È in pietra
Figura 26. Iscrizione n. 13 dedicata a Eparatos di Kallia
Figura 27. Iscrizione n. 14 in ricordo di Artemidoro
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Michele Fasolo | Tyndaris | 63 arenaria (alta cm 0,70 e larga cm 0,30) ed un po’ smussata agli angoli”; MANGANARO 1999, p. 42: “?’E]p£rate | [?K]all…ou | [c]rhstû | ca‹re”. Datazione: età imperiale.
‘E]p£rate | K]¢ll…ou | [kr]hstû | ka‹re Epigrafe sepolcrale di carattere privato. Vi compare la formula comunissima in età ellenistica romana kr]hstû | ka‹re . Il nome del defunto ‘Ep£ratoj, riportato al vocativo e seguito dal patronimico, compare solamente a Tindari. K¢ll…aj è attestato più volte in Sicilia, sia a Lipara279, a Tauromenion280 e a Siracusa in fonti storico-letterarie281. 14) Figura 27 Stele in arenaria (0,64x0,33x0,07 m). Alcune lettere leggermente inclinate verso destra. Scala, giardino della villa Di Bella (già Sciacca). Attualmente non visibile Bibliografia: MANGANARO 1999, p. 42, fig. 95: “stele in arenaria (cm 64 x 33 x 7), su cui si legge a lettere alte cm 3/5”. Datazione: età imperiale. ‘Artšm…dw | re Neik…a | ca‹re Epigrafe sepolcrale di carattere privato. Reca la parola di saluto espressa con l’imperativo, i nomi rispettivamente del defunto al vocativo e del dedicante che ne ha curato la sepoltura al nominativo. Il nome ‘Artšm…dwroj è molto diffuso a Dikaiarchia-Puteoli, 282 a Misenum283 a Inessa-Aitna284 a Tauromenion285, ad Akrai286 a Siracusa287. 15) Figura 28 Blocco di arenaria grigia, base quadrangolare (cm 64 x 64 circa) forse di un monumento funebre, pertinente all’area della villa (I-II sec. d.C. su preesistenze di età ellenistica), situata nella contrada San Leo nel comune di Oliveri, ai piedi di Tindari, andata completamente distrutta nel corso dei lavori di sbancamento effettuati nel 1970 in occasione della costruzione dell’autostrada Messina-Palermo. Oggi l’iscrizione è conservata nei magazzini della Villa Romana di Patti Marina.
279
IG, II2 9214. IG, XIV 421 an. 36; = SGDI, 5219 281 FGrH 564; Plu., Mor. 844 C . 282 CIL X 2500; 8187. 283 CIL X 3359. 284 Cic., In Verr. II, 3, 105. 285 IG XIV 421 D a. 11; = SGDI 5219. 286 SGDI 3246, 9, 11 = Akrai pp. 152-3 n. 2; = DUBOIS, IGDS 109. 287 Arch. Class. 17 (1965) p. 186 n. 2 ; IMM 72, 4; = DUBOIS, IGDS 97Ferrua, NG 335. 280
Figura 28. Iscrizione n. 15 su blocco di arenaria grigia recante il nome Timon
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64 | Tyndaris | Michele Fasolo Alcune lettere leggermente inclinate verso destra. Bibliografia: inedito. Datazione: età ellenistica.
T…mwnoj Il nome del personaggio è in genitivo. L’antroponimo ricorre più volte in Campania e in particolare a Dikaiarchia-Puteoli, Misenum, e Pompei tra la fine dell’età repubblicana e la prima età imperiale. Iscrizione
Figura 29. Iscrizione n. 16 recante il nome Drakon
16) Figura 29 Blocco parallelepipedo Dimensioni larghezza cm 31, altezza cm 9, profondità cm 17. Spigoli leggermente smussati. Le lettere sono alte cm 2/3 e corrono a max cm 4 dalla base. Ductus decisamente inclinato verso destra L’iscrizione è stata individuata in contrada SS. Salvatore di Patti (ME), nei pressi del torrente Cedro,288 a margine di un sentiero, e consegnata alla Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Messina (Prot. N. 6485 del 14.06.2011). Bibliografia: FASOLO 2011. Datazione: II secolo a.C. – I d.C.
288
38°08’43.31’’N -15°01’12.63’’E. A margine del sentiero presso la chiesa sconsacrata in rovina di SS. Salvatore. 289 Sul fenomeno e la sua precocità di manifestazione in Magna Grecia sin dal IV sec. a.C. rispetto alla Grecia vera e propria GUARDUCCI 1967, I, pp. 291 e n. 2, 380 e n. 1. 290 Erano presenti al momento del rinvenimento i signori Filippo e Carlo Tricoli che ringrazio del valido supporto offertomi anche in questa circostanza. 291 FRASER –MATTHEWS 1997, IIIA, s.v. Dr£kwn, pp. 134-135. 292 Dei 2398 nomi greci conosciuti per la Sicilia Dr£kwn è presente in un decreto di Thermos (Dr£kwn Caril£ou ‘Akragant‹noj) IG2 IX 1-1 17, 93 e in bolli su tegole a Lipari (quattro) e a Tindari (uno) vd infra. Un DrakÒntioj compare in una defixio di Camarina SEG XXXIX 1013. In tutto il mondo greco il nome invece ricorre appena 94 volte.
Dr£kwn Blocco parallelepipedo rettangolo di roccia sedimentaria, a tessitura arenitica, subordinatamente ruditica, di color ocraceo (5 YR 8/3), di provenienza non immediatamente locale. Dimensioni larghezza cm 31, altezza cm 9, profondità cm 17. Spigoli leggermente smussati. Le lettere sono alte cm 2/3 e corrono a max cm 4 dalla base. Ductus decisamente inclinato verso destra delle ultime tre lettere, alpha con la sbarra spezzata289, rho con la parte curva in alto e appena percepibile, omega con altezza minore rispetto alle altre lettere per l’impiccolimento della parte curva ed con i trattini laterali leggermente inclinati verso il basso, ny leggermente ruotato in senso orario e con i tratti esterni obliqui, quello a destra leggermente ricurvo. L’iscrizione è stata individuata in contrada SS. Salvatore di Patti (ME), nei pressi del torrente Cedro,290 a margine di un sentiero, e consegnata alla Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Messina (Prot. n. 6485 del 14.06.2011). Queste caratteristiche suggeriscono una datazione tra la media età ellenistico romana e la prima età imperiale (dal II secolo a.C. al I d.C.). Vi si legge con sicurezza, nonostante l’erosione parziale che ha insidiato l’ultimo carattere nella sua parte inferiore, il nome proprio al nominativo Dr£kwn. Dr£kwn, con richiamo alla figura terribile e frequente nella mitologia greca del drago, è in questo caso un antroponimo291, riscontrabile per lo più dall’età ellenistica sino a quella imperiale, di prevalente tradizione peloponnesiaca ed egea, quasi per nulla attestato in Italia e raro in Sicilia292. Ricorre tuttavia su quattro bolli di tegole (lunghe cm 87/85, larghe cm 56) rinvenute nelle necropoli di Lipari293, ritenute dalla Brugnone provenienti da officine
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Michele Fasolo | Tyndaris | 65 siciliane294, inoltre uno uguale ancora inedito è stato rinvenuto proprio a Tindari. I caratteri epigrafici dell’iscrizione appaiono, pur nella problematicità di raffronti di questo tipo, molto simili a quelli dei bolli recanti l’antroponimo Dr£kwn della tomba 422 della necropoli di Lipari295 e dell’ altro rinvenuto sporadico nella trincea XXXI/71296. Purtroppo la tomba a cappuccina 422 è risultata priva di corredo per cui mancano elementi di datazione estrinseci.297 Potrebbe trattarsi comunque del medesimo individuo, un fabbricante di tegole298, la cui area di produzione era ubicata sulla costa nei pressi di Tindari. A corroborare questa ipotesi è la localizzazione del rinvenimento in un’area il cui contesto geologico si caratterizza per la presenza di argille varicolore scagliettate a giacitura caotica con frammenti lapidei di natura quarzarenitica e metamorfica299. Il luogo di rinvenimento, contrada SS. Salvatore, si trova ad eguale distanza, circa 1 km, da due importanti cave di argilla, in uso in età moderna, quella di Case Nuove Malluzzo di argilla rosa, caratterizzata da una notevole presenza di lamine lucenti di mica, l’altra, di Valle Tindari, di caolino, con argilla chiara che una volta cotta assume toni paglierini, dalla grana più fine300. La Brugnone ha sottolineato la circostanza «che a partire dalla seconda metà del III sec. a.C. e fino all’età imperiale i bolli greci delle tegole di Lipari sono attestati prevalentemente solo a Tindari oppure Tindari ed Erice»301. La localizzazione del rinvenimento riveste inoltre interesse perché insiste su un asse che va riconosciuto come quello della via Valeria302. 17) Bollo. Bibliografia: IG XIV 2395, 4a, p. 596 “a Tyndari Panormum translata in museum; descripsit Mommsen”. Datazione: III sec. a.C. ?
PolÚstratoj Nome maschile al nominativo attestato 139 volte. Un PolÚs è attestato da un iscrizione di Adrano (IG XIV 568). 18) Frammento di lastra fittile. Bibliografia: SCAFFIDI 1895, p. 102 n. 27 “Trovata a Tyndaris, ove si conserva nella Camera (pavimento a mosaico) – Su un frammento di lastra fittile”. Datazione: forse tarda età repubblicana.
“aba| kain | inwn L’etnico cittadino al genitivo plurale potrebbe essere parte dell’indicazione del monumento cui la lastra era riferita più che indicare un’officina di provenienza. 19) Frammento di mattone. Bibliografia: SCAFFIDI 1895, pp. 102-103 n. 28 “Un frammento di mattone, di forma rettangolare, che trovammo nel teatro di Tyndaris nell’agosto del 1894”. Datazione: forse tarda età repubblicana.
r | HGINWN Si tratta di uno dei tanti mattoni bollati che fanno riferimento ad officine reggine303. L’esemplare reca l’etnico cittadino al genitivo plurale. 20) Frammento di mattone Bibliografia: SCAFFIDI 1895, p. 103 n. 29: “Altro frammento di mattone piuttosto quadrato, che trovammo nella stessa epoca (agosto 1894) a Tyndaris”. Datazione: forse tarda età repubblicana.
293 CAVALIER – BRUGNONE 1986, p. 223-224 N. 20-23, Tav. LI d, e, f, g; “Entro tabella allungata, riquadrata, a spigoli arrotondati.” Ricorre tre volte nella t. 422 priva di corredo. Num. inv. (d) 15544, (e) 15558, e, solo prime lettere, (g) 15547, infine anche in un frammento sporadico dello scavo XXXI/71 num. inv. (f) 15313. Altezza lettere cm 1, 2/1, 3-0,6/0,7. Cfr. MELIGUNÍS LIPÀRA II, pp. 152, 332, tav. n. 21. 294 I motivi vengono ricondotti alle dimensioni che presentano, differenti da quelle delle tegole campane, in considerazione della mancanza a Lipari di giacimenti di argilla. 295 MELIGUNÍS LIPÀRA II, pp. 152, 332, tav. n. 21. 296 CAVALIER – BRUGNONE 1986, tav. LI d, e, f, g, in particolare d ed f. 297 La Brugnone pur non datandola classifica la tomba nel gruppo V (età imperiale post augustea I-II sec. d.C.) CAVALIER – BRUGNONE 1986, p. 274. 298 In Sicilia ricorrono anche lucerne di C. Iunius Draco (CIL X2 8053.105), uno dei più affermati produttori di lucerne dell’Africa proconsolare romana tra il 120 e il 200 d. C. cfr. HALEY 1990, p. 1-13. 299 F. LENTINI, S. CATALANO, S. CARBONE 2000. 300 BALDANZA 1962, pp. 73-100, tav. p. 100. PETTIGNANO –RICCOBONO 1992, pp. 33-34. 301 CAVALIER – BRUGNONE 1986, p. 277. 302 UGGERI 2004, p. 126. 303 LAZZARINI 1982, pp. 145-157.
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re | GINWN A questo elenco vanno aggiunte dodici iscrizioni impresse su argilla la cui esistenza è ricavabile dai riferimenti ad esemplari tindaritani analoghi, ancora inediti, contenuti nel catalogo della Brugnone304 sulle tegole di Lipari, priva di cave di argilla. Gli antroponimi greci individuati sulle tegole della necropoli di Lipari sono in tutto trentatre, quindi quelli riscontrati a Tindari ne rappresentano oltre un terzo 21) Bollo. Bibliografia: BRUGNONE – CAVALIER 1986, pp. 217-218 nn. 1-2. Datazione: III-II sec. a.C. ? ‘Aga[qoklšoj] `Rh[g…nou] L’indicazione del fabbricante «reggino» è al nominativo invece che al genitivo, come nell’uso più diffuso. 22) Bollo. Bibliografia: BRUGNONE – CAVALIER 1986, pp. 219-220, nn. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11. Datazione: seconda metà del III sec. a.C. – II sec. a.C. A„scr…wn L’antroponimo (femminile), qui al nominativo, ricorre quattro volte in ambiente attico in età ellenistica e ellenistico romana305. Secondo la Brugnone il fabbricante deve aver svolto la sua attività per un periodo abbastanza lungo usando punzoni che presentano piccole varianti. Il nome è attestato a Erice, Aidone, Velia e forse Messina.
304
BRUGNONE – CAVALIER 1986, p. 217-282. IG II2 6089 & Peek, AG 1 p. 10 n. 21; IG II2 1534 A; = Aleshire, Asklepieion Inv. IV, 57; IG II2 1534 B; = Aleshire, Asklepieion Inv. V, 128; SEMA 1509. 306 Akrai p. 156 n. 6, 6. 307 LIBERTINI, Isole Eolie p. 221 n. 24 308 IG XIV 421 an. 5, 32, 51, 95 = SGDI 5219; IGSI 4 III (IV), 27 an. 89; 88 an. 97. 309 RE (26). 310 DE FRANCISCIS, pp. 25, tab. 11, 4; 35, tab. 21, 4, 9. 311 Proviene da tombe datate dalla Cavalier I-II sec. d.C. BRUGNONE – CAVALIER 1986, pp 209, 211, 212. 312 IG XIV 205 313 IGSI 5 II, 10; IG XIV 421 D an. 10; an. 73; = SGDI 5219 IGSI 4 III (IV), 40 an. 91 IGSI 11 I, 23; 12 I, 9, 18; 12 II, 11, 15 etc.; 12 III, 13, 14 314 CIL X 6981 (Lat. Aristo 315 Dr£kwn Caril£ou ‘Akragant‹noj in un decreto di prossenia di Thermos (IG2 IX 1-1 17, 93) e un DrakÒntioj in una defixio di Camarina Cordano 1984, pp. 45 seg, 53 seg., n. 98.
23) Bollo Bibliografia: BRUGNONE – CAVALIER 1986, p. 221 n. 14. Datazione: ?
305
‘A[ris]t[okr]£thj Il nome risulta abbastanza diffuso nel mondo greco. In Sicilia è stato trovato a Akrai306, in un altro caso a Lipara307 e Tauromenion308. Presente anche nella vicina Rhegion309 e a Lokroi310 24) Bollo. Bibliografia: BRUGNONE – CAVALIER 1986, p. 222 n. 16. Datazione: tarda età ellenistica (per la forma del bollo e le caratteristiche delle lettere) oppure I-II sec. d.C. (età flavio-traianea)311. ‘Ar…stwn Nome molto diffuso nel mondo greco, 1063 ricorrenze, in Sicilia è presente a Syracusae312, Tauromenion313 e Messana314. 25) Bollo. Bibliografia: BRUGNONE – CAVALIER 1986, pp. 223-224 nn. 20-23, Tav. LI d, e, f, g. Datazione: ? Dr£kwn Il nome è raro in Sicilia315, vedi supra n. 16.
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Michele Fasolo | Tyndaris | 67 26) Bollo. Bibliografia: BRUGNONE – CAVALIER 1986, p. 229 n. 46 Datazione: ? KissÒj foglia d’edera La foglia d’edera è in relazione con il nome del figulo. Conosciamo l’antroponimo, latino Cissus, in età ellenistico romana e primo imperiale in Sicilia316 ad Akrai317, a Palermo318 e più volte a Pompei319. 27) Bollo. Bibliografia: BRUGNONE – CAVALIER 1986, p. 234 n. 57 Datazione: ? NeÒs[s?]tratoj o Neos[s?]tr£t[ou], Il nome, poco diffuso, è stato riscontrato in Grecia, tra le altre località a Delphi320. 28) Bollo circolare. Bibliografia: BRUGNONE – CAVALIER 1986, p. 235 n. 60 Datazione: tardo II sec. a.C.-I a.C. N…kwn Conosciamo un bollo con lo stesso nome ad Halaesa321. 29) Bollo. Bibliografia: BRUGNONE – CAVALIER 1986, pp. 236-237 n. 66 Datazione: età flavio-traianea322. [P]ol[Ú]stratoj Un bollo su tegola con lo stesso nome ritrovato a Tindari, non altrove attestato in Italia e in Sicilia, fu pubblicato dal Kaibel323 vedi supra n. 17 324, 30) Bollo circolare. Bibliografia: BRUGNONE – CAVALIER 1986, pp. 236-237 n. 66 Datazione: seconda metà del III sec. a.C. primi decenni del II sec. a.C. Pose‹dij325 31) Bollo. Bibliografia: BRUGNONE – CAVALIER 1986, p. 243 n. 90 Datazione: tardo II sec. a.C.-I a.C. Fil…ar[c]oj 5 punti Il nome ricorre in Sicilia tra II e I sec. a.C. a Kentoripa326 Morgantina327, Siracusa328 e Tauromenion 329. 32) Bollo.
316
IGLMP 33. Akrai p. 175 n. 63. 318 IG XIV 300. I sec. a.C. 319 CIL IV 2388-9; 3178; 4146; 8334 320 SGDI 1877, 8, 11; 2063, 10. 321 CARETTONI 1959, p. 316, fig. 24. 322 Proviene da tombe datate dalla Cavalier I-II sec. d.C. Brugnone – Cavalier 1986, pp 209, 212. Ma forse riutilizzazione. 323 IG XIV 2395,4. 324 Un Polus [—-] è anche in un’iscrizione da Adrano (IG XIV 568). 325 Un esemplare simile di provenienza ignota è al Museo Mandralisca di Cefalù (Inv. 1605). Il nome è attestato nella sola Akrai IG XIV 209, 210, 217. 326 DUBOIS, IGDS 189, 2; = SEG XLII 837; LIBERTINI 1949) p. 91 n. 1. MANGANARO 1963, p. 23 segg. 327 SEG XXXIX 1008, 9 338 NS 594. 329 IG XIV 421 D a. 11; = SGDI 5219. 317
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68 | Tyndaris | Michele Fasolo Bibliografia: BRUGNONE – CAVALIER 1986, p. 244 n. 91; SEG XXXVII 765. Datazione: ? FilÒdamoj fiore. Il nome ricorre in età ellenistico-romana Sicilia330 ma anche in Italia. tra le altre località. a Pompei331 e Lokroi Epizephyrioi332. 33) Figura 30 Signaculum rettangolare in piombo. Bibliografia: inedito. Datazione: ?
Figura 30. Iscrizione n. 33. Signaculum rettangolare in piombo
330 MANGANARO, 1963 n. 18, 12; IG XIV 421, an 7, an 13; = SGDI 5219; IG XIV 421 D an. 7; = SGDI 5219; IGSI 4 III (IV), 36 an. 90; IGSI 4 III (IV), 157 D an. 9. 331 CIL IV 9934 b; Gnomon 45 (1973) p. 268 (Lat. Philoda[mus]). 332 Iamb., VP 267; = FVS 1 p. 447. 333 A Palermo CIL X 8072,04 = CIL XV 7109a Salvis dd(ominis) nn(ostris) / et patrici/o Ricimere // Plotinus Eus/tathius v(ir) c(larissimus) / urb(i) pr(aefectus) fecit. Vd. anche Πλουτῖνος IG VII 513, 2. 334 In realtà uno studioso locale il Giardina aveva segnalato in precedenza l’iscrizione nei pressi della casina di proprietà di Francesco Greco, distante un chilometro da Patti.
Πλoutinou L’oggetto presenta il nome variante di Πλωτίνος espresso a lettere rilevate e in direzione retrograda su due righe333. 4.1.2. Fonti epigrafiche latine. Conosciamo sinora cinquantacinque iscrizioni in lingua latina provenienti da Tindari, città e territorio, di seguito elencate seguendo un ordine cronologico per le databili, e quello gerarchico seguito nel vol. VI del CIL per le restanti, ove chiaro il carattere. Il loro numero sopravanza quelle greche. Per la maggior parte di quelle di cui è stato possibile discriminare il carattere si tratta di epigrafi onorarie dedicate ad imperatori e a membri della famiglia imperiale. Solamente una era forse stata posta in onore di un cittadino resosi benemerito. Gli altri titoli, tranne una dedica a carattere sacro, sono epitafi. Tutte le iscrizioni paiono risalire all’età imperiale. Le iscrizioni tràdite dal CIL sono venti (con provenienza certa, le lapidarie da 7472 a 7487, di probabile provenienza, in base ad annotazioni di archivio, le 7325-7326; nell’instrumentum 8420 e 8045). Il Mommsen le raccolse traendole dagli studi antiquari (da Gualtherus, da Torremuzza, dai manoscritti dell’Airoldi, dalla silloge dello Stephanius, dalle pubblicazioni del Maggiore, dell’Henzen e anche di uno studioso locale, il canonico Giardina). Infine in un articolo del Salinas in NSA sono edite, tra le altre, alcune epigrafi che erano presenti a Scala di Patti nella collezione, formatasi nel XVIII secolo, della famiglia Sciacca. Gli scavi intrapresi nel corso del Novecento e la sistemazione dell’area archeologica hanno permesso di aggiungere alle conosciute altre 24 epigrafi, pubblicate rispettivamente una dalla Bivona e ventitre dal Manganaro. Di quasi tutte le epigrafi non conosciamo il luogo di rinvenimento. Di una nel CIL (X 8420) si fornisce l’indicazione non sappiamo se relativa al rinvenimento, solo in apparenza circostanziata, 1 km da Patti nella villa di Francesco Gatto334. La maggior parte delle epigrafi onorarie doveva provenire dall’area pubblica della città, ancora non localizzata con esattezza. Fortemente indiziato è l’edificio pubblico conosciuto come Basilica o Ginnasio e l’area circostante. Tuttavia le indicazioni che abbiamo sulla localizzazione degli scavi condotti nel 1809 dal console inglese Fagan, nel corso dei quali furono rinvenute, insieme a statuaria, numerose di queste epigrafi onorarie, sono confuse e contraddittorie. Il Coppi, che scrive poco più di un decennio dopo, si limita a congetturare in base a taluni materiali rinvenuti, l’area del teatro. Quasi mezzo secolo più tardi sempre con dati di seconda mano, padre Pogwisch, in una relazione all’Istituto di Corrispondenza Archeologica, del 6 settembre 1846, indica l’area di un edificio che è identificabile con la “Basilica”. Allo stesso modo, quasi due secoli dopo, lo Spigo per altre sei epigrafi, presumibilmente rinvenute nel corso del ‘900, ne ipotizza la provenienza dalla zona dell’insula IV. Il gruppo di iscrizioni funerarie proviene invece verosimilmente dalle aree di necropoli, in particolare da quelle situate a sud e sud est dell’acropoli, nelle contrade Scrozzo, Mendolito e Santa Panta ed in altri terreni un tempo di proprietà della famiglia Sciacca nella cui collezione antiquaria sei di esse confluirono. In queste aree ne trovò alcune
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Michele Fasolo | Tyndaris | 69 il Salinas nel corso degli scavi da lui condotti e rimasti inediti alla fine dell’Ottocento. Oggi di molte delle iscrizioni si è persa traccia. La prima andata smarrita fu proprio la prima segnalata in un corpus, l’unica tindaritana nella raccolta dal Gualtherus, che la vide murata nell’altare della Madonna nella chiesa del Tindaro. Il Salinas non la rintracciò più alla fine del XIX secolo. Nel Museo Archeologico Regionale “Antonio Salinas” ne sono oggi conservate dodici, sette invece sono nell’Antiquarium di Tindari. Tra i materiali utilizzati il marmo lo è largamente per quelle onorarie mentre nelle funebri si riscontra la pietra locale. Poche le particolarità paleografiche: le apicature in una dedica onoraria e il nesso tra T e I in un’altra. In poche iscrizioni onorarie risulta menzionato il dedicante probabilmente identificabile, dati i destinatari, con la comunità cittadina. Essa risulta denominata in tre dediche res. P. Tyndaritanorum (CIL, X 8420), Res p. coloniae Augusta Tyndar(itanorum) (CIL, X 7478), Colonia Augusta Tyndarit(anorum) (CIL, X 7474-7475-7476-7480). L’iscrizione più antica in cui appare lo status di colonia di Tindari, con il cognomentum imperiale Augusta, risale al 160/161 d.C. (CIL, X 7474-7475). Ricorre due volte l’indicazione di quella che doveva essere la principale tribù di appartenenza dei cittadini, la Quirina (AÉ 1989, 338h; AÉ 1989, 00338k). Quanto alle altre res municipales vengono nominati i decuriones (CIL, X 7473-7475), e le loro competenze in materia di concessione del suolo, un quaestor, patronus forse del locale collegio degli Augustales. Nel 161 d.C.. d.C. in città, come risulta da due dediche (CIL, X 7474 7475), operava quale curator rei publicae Marcus Valerius Vitalis (CIL, X 7474-7475) con un ruolo e funzioni forse da mettere in relazione con l’importante operazione di ristrutturazione urbanistica e architettonica che interessava in quegli stessi anni Tindari. La struttura delle iscrizioni funerarie segue modelli assai semplici che trovano confronto delle coeve iscrizioni funerarie greche di Tindari. Il nome del defunto, al nominativo e al dativo, l’indicazione dell’età mediante la formula consueta vixit annis di forma abbreviata, seguita dalla cifra, sempre nel sistema addizionale ed una sola volta in quello sottrattivo. Quasi sempre è riportato il nome di colui che si è occupato della sepoltura. L’invocazione Dis Manibus abbreviata con le semplici iniziali D.M. in testa all’epigrafe ricorre due volte e così anche troviamo un solo caso in cui ci sia riferimento alle qualità del defunto con l’uso dell’aggettivo optima da parte di un marito dedicante nei riguardi del coniuge. In un altro epitaffio è ricordato che la tomba è stata costruita dall’interessato mentre era ancora in vita. Forse due sono i riferimenti all’epula sostitutiva del banchetto funebre. Escludendo imperatori e i membri delle famiglie imperiali le iscrizioni ci documentano l’esistenza di ventitre persone. Quindici di esse sono individuabili attraverso l’elemento onomastico: Aris]tomenes (CIL, X 7485); Asinia Charmosyne (AÉ 1989, 338n = AÉ 1991, 901); C(aius) Iulius Berinis l(ibertus) / Anteros (CIL, X 7483); Caecilia Zotica AÉ 1989, 338h); Clodius (CIL, X 7482); Eros (CIL, X 7483); [— Euc]arpia (AÉ 1989, 00338k); Ionia Iulia (MANGANARO 1989, p. 164 nr. 18, 197 fig. 18); M(arcus) Allianus (AÉ 1989, 338n = AÉ 1991, 901); M(arcus) Va[le]/rius Vitalis (CIL, X 7474-7475); Onomaste (AÉ 1989, 338l); Pand(usa?) (CIL, X 7485); Sex(tus) Nonius / Sex(ti) f(ilio) Quir(ina tribu) / Africano (AÉ 1989, 338h); Sex(tus) Nonius Albanus (AÉ 1989, 338h); Tullia Symbio/sis (AÉ 1989, 338m). Altre cinque presentano una serie onomastica lacunosa: V(ivus?) / C(aius) Ann[3] / Castric[ (CIL, X 7481); C. Va[- - ]/ C. Safl[—-](M ANGANARO 1989, p. 164 nr. 17, 197 fig. 7bis); Sex(ti) Sel[—-(AÉ 1989, 338j); [—-]s l(ibertus?) Fla[—-] (M ANGANARO 1989, p. 164 nr. 16); ? A(uli) f(ilio) Qu[ir(ina tribu (AÉ 1989, 00338k). Di altre tre persone si è completamente persa, conservando per due solamente la magistratura cittadina ricoperta: [—-] quaest(ori) / [—-] pat(rono) aug(ustalium) (AÉ 1989, 338i. ); IIvir] quinq(uennalis) (MANGANARO 1989, p. 164 nr. 15, 197 fig. 15); Obi[—-] / Men[—-] / Kal[—-].(CIL, X, 7487). Rimangono incertezze per altre due epigrafi: ]Nesthe[—-]s[—-/—-]chus II [—-]to [ (CIL, X 7484);; MinorIIo[—-]P[—] Anto/nio [ (CIL, X 7486). Nell’onomastica tindaritana si intrecciano elementi greci e latini anche nella medesima epigrafe. Gli individui ricordati nelle iscrizioni, hanno una denominazione che segue, nella maggior
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70 | Tyndaris | Michele Fasolo parte dei casi, il sistema onomastico romano: i tria nomina (o duo nomina per le donne) per gli ingenui e i liberti, il nome servile per gli schiavi. Fra coloro che hanno i tria nomina tre solamente recano una denominazione totalmente latina, Marcus Valerius Vitalis335, Sextus Nonius Albanus336, Sextus Nonius Africanus. Un solo individuo al praenomen e nomen latino ha associato, dopo l’affrancamento, un cognomen greco, esito dell’originario nome servile, Caius Iulius Anteros. Sono presenti altri individui con nome greco, alcuni legati al defunto o al dedicante da vincoli di parentela, figliolanza, o di coniugio, Asinia Charmosyne, Ionia Iulia Tullia Symbiosis, Caecilia Zotica. Pochi gli individui che non hanno il praenomen. In genere si tratta di soggetti femminili Eucarpia, Onomaste ma troviamo anche un dedicante, Aristomenes, e due defunti Eros e Pandusa, quest’ultimo molto probabilmente di condizione servile. Solamente un nome greco divenuto cognomen risulta assoggettato alla flessione latina, Zotica, mentre altri nomi greci mantengono la loro forma originaria Anteros, Charmosyne, Eros, Symbiosis. Per Marcus Allianus non possiamo dire se l’individuo avesse, o meno, i tria nomina. Laddove è indicato il patronimico, c’è identità fra il prenome del figlio e quello del padre. I gentilizi che le iscrizioni ci hanno tramandato sono quattro e si riferiscono a cinque individui. Le gentes rappresentate sono l’Annia, la Clodia, la Nonia e la Valeria. Dai nomi femminili possiamo dedurre poi la Caecilia, l’Asinia e la Tullia. È anche attestato il gentilizio imperiale Iulius. Accanto a queste gentes, la cui presenza è consueta nell’Isola, ve ne sono altre tre scarsamente documentate le gentes Alliana, Castricia, Safinia o Safidia e forse la Sellia. Fra i cognomi latini alcuni derivano da gentilizi come Allianus. Un cognome sembra alludere al paese d’origine: Africanus Molti degli antroponimi presenti a Tindari, per quanto rari, si riscontrano in zone della Campania di stazionamento della flotta imperiale. I sec. d.C. 1) Figura 31 Due frammenti centrali di lastra di marmo tra loro combacianti, esito di una frattura che la percorre dall’alto in basso, (0,25x0,165x0,02 m; alt. lett. 0,035 m). L’iscrizione proviene forse dall’area dell’insula IV della città. Tindari337. Tindari, Antiquarium, sala I. 335
Un L. V. Vitalis risulta attestato a Thuburbo Maius su un iscrizione sepolcrale AÉ 1999, 1816-20, nr. 1820. KAJANTO 1965, 23 fr. 6, 24, 30 bis, 72, 274. 336 KAJANTO 1965, 337 SPIGO 2005, p. 73.
Bibliografia: MANGANARO 1989, pp. 162 nr. 3, 197 fig. 3 = AÉ 1989, 338b. Cfr. ILS 1892, vol. I, p. 40 nrrr. 149-150; Datazione: dopo il 41 d.C. [Antoniae Augustae(?)] / [C]laudi(i) [Neronis uxori] / matr[i Ti(beri) Claudi(i) Caes(aris) Aug(usti)—-].
Figura 31. Iscrizione n. 1 in onore di Antonia minore
Figura 32. Iscrizione n. 2 in onore di Traiano (10 dic. 102-1 gen. 103)
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Michele Fasolo | Tyndaris | 71 Si tratta di una probabile iscrizione in onore di Antonia minore, moglie di Druso maggiore, morta nel 37 d.C. Nel primo anno di regno il figlio, l’imperatore Claudio, le tributò il titolo di Augusta. Il Manganaro adotta l’integrazione della dedica “sulla linea di Dessau, 149-150”. II sec. d.C. (prima metà) 2) Figura 32 Lastra di marmo, frammentata e ricomposta con restauro in gesso, (alt. 0,64 m; largh. 1,345 m; spess 0,04 m; alt. lettere: ll. 1 e 5: 0,075 m; ll. 2-4:0,07 m; l. 6: 0,068 m; hederae distinguentes). È stata rinvenuta insieme ad una statua di Traiano a Tindari durante gli scavi Fagan (1812) forse nell’area del Teatro338. Palermo. Proviene dal fondo “Museo dell’Università” ora al Museo Archeologico Regionale “Antonio Salinas” (Num. inv. 3564), affissa sulla parete sinistra del cortile maggiore. Bibliografia: CIL, X 7472: “Tyndaride rep. una cum statua Traiani; est Panormi in museo. Recognovi. Airoldi ms (cf. 7474), Maggiore l. c. ad n. 74, Henzen Bullett. 1845, p. 55 ad exemplum Stephanii et syll. n. 5440.”; SALINAS 1901, nn. 35-39 senza attribuzione di numero ad ogni epigrafe; BIVONA 1970, p. 75-76, nr. 64; tavv. XL, LXIV. Datazione: Datazione: tra il 10 dic. 102-1 gen. 103 d.C. Imp(erator) Caesar divi Nervae / f(ilius) Nerva Traianus Aug(ustus) / Germanicus Dacicus / pontifex maximus / tr(ibunicia) pot(estate) VII imp(erator) IIII / co(n)s(ul) V p(ater) p(atriae). Iscrizione onoraria. La titolatura, riferibile all’imperatore Traiano, permette di datare l’iscrizione grazie in particolare alle indicazioni rispettivamente della potestà tribunizia, rivestita per la VII volta, e del consolato attribuito per la IIII, tra il 10 dic. 102 e i1 gen. 103 d.C. 3) Figura 33 Lastra di marmo in quattro frammenti restaurata con integrazione degli angoli superiore e inferiore destro e del bordo inferiore mancanti (alt. 0,82 m; largh. 0,74 m; spess. 0,06 m; alt. lettere: 0,065 m (le lettere I e T si innalzano rispetto alle altre ). È stata rinvenuta durante gli scavi Fagan (1812) forse nell’area del Teatro339. Palermo. Proviene dal fondo “Museo dell’Università” ora al Museo Archeologico Regionale “Antonio Salinas” (Num. inv. 3565), affissa sulla parete sinistra del cortile maggiore. Bibliografia: CIL, X 7473: “Tyndaride rep. est Panormi in museo. Recognovi. Airoldi ms (cf. 7474), Maggiore l. c. ad n. 74, Henzen Bullett. Dell’Inst. 1845, p. 57 ad exemplum Stephanii et syll. n. 5468; 7 p(ecunia) p(ublica) potius quam p(ermissu) p(roconsulis), quae esplicatio est Borghesii apud Henzenum.”; SALINAS 1901, nn. 35-39 senza attribuzione di numero ad ogni epigrafe; BIVONA 1970, p. 76-77, nr. 65; tav. XL; Datazione: forse tra 138-140 d.C. M(arco) Aurelio / Vero Caesare(!) co(n)s(uli) / Imp(eratoris) / T(iti) Aeli Hadriani / Antonini Aug(usti) / Pii filio / p(ecunia) p(ublica) d(ecreto) d(ecurionum). Iscrizione, posta per pubblica iniziativa, un decreto dei decurioni, e a spese pubbliche della comunità dedicante, che onora M. Aurelius Verus non ancora come imperatore, patre vivo, ma in quanto Cesare. Il lapicida ha una svista nell’incidere correttamente il titolo. Marco Aurelio, adottato dallo zio Antonino Pio il 25 febbraio del 138 d.C., fu designato erede al trono, Cesare, il 5 dicembre del 139 d.C. Nell’iscrizione non si fa menzione del consolato (il II risale al 146 d.C.) Secondo la Bivona l’iscrizione potrebbe essere stata posta in occasione dell’adozione da parte di Antonino Pio e probabilmente appartiene al 140 d.C., anno in cui il futuro imperatore ricoprì forse insieme ad Antonino Pio il suo primo consolato. I decuriones costituivano nelle colonie romane e nei municipi il ceto sociale più importante, l’ordo decurionum, componendovi il consiglio cittadino, equivalente del senato di Roma, con compiti di natura religiosa, amministrativa e finanziaria. Si assurgeva
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COPPI 1822, pp. 129-136. COPPI 1822, pp. 129-136.
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72 | Tyndaris | Michele Fasolo all’ordine in genere per cooptazione e dopo aver rivestito una o più cariche del cursus locale. I requisiti richiesti prevedevano un’età minima, nascita libera, adeguata posizione censitaria, pieni diritti civici. La lista dei decurioni veniva riesaminata ogni cinque anni, nella lectio senatus, dal duoviro quinquennale, sommo magistrato municipale, che eventualmente ne estrometteva coloro che ne avessero perso i requisiti di accesso o ve ne fossero dimostrati indegni. Al momento dell’ingresso nell’ordine i decurioni versavano una somma di denaro, la summa honoraria pro decurionatu, impegnandosi per il proseguo a devolverne altre a beneficio della cittadinanza.
Figura 33. Iscrizione n. 3 in onore di M. Aurelio
Figura 34. Iscrizione n. 4 in onore di M. Aurelio apposta dal curator r.p. M. Valerio Vitale
II sec. d.C. (seconda metà) 4) Figura 34 Lastra marmorea restaurata componendo sette frammenti (alt. 0,82 m; largh. 0,605 m; spesso 0,062 m; alt. lettere: 0,065-0,060 m). Ne manca tuttora gran parte. È stata rinvenuta durante gli scavi Fagan (1812) forse nell’area del Teatro340. Palermo. Proviene dal fondo “Museo dell’Università” ora al Museo Archeologico Regionale “Antonio Salinas” (Num. inv. 3567), affissa sulla parete sinistra del cortile maggiore. Bibliografia: CIL, X 7474: “Tyndaride repperit Fegan Britannus, est Panormi in museo. Recognovi. Airoldi ms (cod. bibl civ. Pan. 4 Qq D 42), quibus acta effossionum a Fegano institutarum continentur, Maggiore giornale delle scienze 27 (1829) p. 292, Henzen Bullett. 1845, p. 59 ad exemplum Stephanii”; SALINAS 1901, nn. 35-39 senza attribuzione di numero ad ogni epigrafe; BIVONA 1970, p. 77-78, nr. 66; tav. XLI; ZAMBITO 2007; AÉ 2007. Datazione: 10 dic. 160 – 9 dic. 161 d.C.
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Imp(eratori) C[aesari divi Antoni]/ni f(ilio) d[ivi Hadriani ne]/poti d[ivi Traiani Parthi]/ci pr[onepoti divi Ner]/va[e abnepoti M(arco) Aurelio] / [Antonino Aug(usto) p(ontifici) m(aximo) trib(unicia) p(otestate)] XV / c[o(n)]s(uli) [III p(atri) p(atriae)] / col(onia) Aug(usta) Tynda[rit(anorum)] / curante M(arco) Va[le]/rio Vitale cura[t(ore) r(ei) p(ublicae)]. Dedica in onore di Marco Aurelio, da parte della colonia Augusta dei Tindaritani, per opera di Marco Valerio Vitale curator r. p.. La Bivona ha ritenuto che la cifra XV, all’estremità destra della linea 6, si riferisca alle potestà tribunizie dell’imperatore, datando così l’iscrizione al 160/161 a.C. Una possibile
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Michele Fasolo | Tyndaris | 73 conferma di tale datazione viene richiamata dalla studiosa dal confronto con un’altra iscrizione onoraria di Tindari, sempre di Marco Valerio Vitale (infra n. 5), in cui è riportata la cifra del consolato di L. Vero, cos II, che cade nel 161 d.C341 anno dal quale i due regnano insieme. La Bivona ha ritenuto quindi possibile che le due iscrizioni, analoghe paleograficamente, siano celebrative del medesimo fausto evento. Lo Zambito invece, dopo aver evidenziato che il numero dei consolati è congetturale e quello di pater patriae arbitrario dato che risulta assunto solamente nel 166 d.C., ha ipotizzato, vista la frattura presente sulla pietra a destra dell’indicazione XV, che il numero della tribunicia potestas potesse essere superiore sino ad un massimo di XVIIII (dal 10 dicembre 164 al 9 dicembre 165 d.C.). Una data successiva alla XV tribunicia potestas e prima del 166 d.C. consentirebbe secondo lo studioso di accostare le due epigrafi tindaritane a quella del 164 d.C. da Catania di un altro curator, Iulo Paterno. Nella titolatura della colonia di Tindari compare il cognomentum imperiale Augusta seguito dall’etnico. Tindari divenne colonia, insieme ad altre città della provincia di Sicilia, probabilmente tra la fine del 22 e l’inizio del 21 a.C., in occasione della visita di Augusto nell’isola342. La figura del curator r. p. o civitatis343 appare agli inizi del II sec. d.C. ed è conferita in genere ad appartenenti all’ordine senatorio o a quello equestre, che hanno già ricoperto la carica di pretore, designati dal potere centrale presso comunità cittadine versanti in situazioni economiche critiche al fine, come amministratore straordinario, di riassestarne i bilanci e le finanze. È stato riscontrato come evento non raro, che una volta risoltasi la situazione di emergenza, le città nominino il curator loro patronus, esprimendogli così soddisfazione e riconoscenza per le attività svolte. Nel IV sec. d.C. i curatores paiono essere nominati al posto dei quinquennales e degli aediles direttamente dai cittadini. L’interpretazione legata a situazioni di crisi economica del curator, proposta a suo tempo dal Mommsen, è stata in generale rivista. Nel caso di Tindari, ma anche per altre città siciliane, più che a difficoltà finanziare il curator sembra essere legato ad un momento di ristrutturazione urbana, con intenso sviluppo edilizio e monumentale, una sorta di curator operum. Proprio negli anni in cui Marco Valerio ricopre l’incarico di curator r.p. si realizzano nell’insula IV le terme e forse viene rimaneggiato il teatro ellenistico per adattarlo agli spettacoli gladiatori. Secono lo Zambito l’iscrizione dedicatoria, con le statue imperiali poteva far parte “di un grande e unitario complesso monumentale ancora da scoprire”344. Per il Manganaro il curator rei publicae di Tyndaris è con ogni probabilità “un decurione della stessa, cui non può attribuirsi qualifica sociale” 345. 5) Figura 35 Frammento di lastra di marmo (0,18x0,18x0,035 m alt. lett. 0,06 m). Proviene forse dall’area dell’insula IV della città346. Tindari, Antiquarium, sala I, parete destra. Bibliografia: MANGANARO 1989, pp. 162 nr. 4, 197 fig. 4= AÉ 1989, 338c. Datazione: ? [—-Traiani P]arthi / [ci —- divi] Ner/va[e —-]Au/[relio —-] L’ipotesi avanzata dal Manganaro che il frammento completi l’iscrizione dedicatoria CIL, X 7474 (infra n. 4) restituendone il margine destro delle linee 3-5 sembra contrastare con la presenza già in questa alla linea 5 delle lettere va. 6) Figura 36 Lastra di marmo restaurata da diversi frammenti, tuttora mancante della parte inferiore sinistra. (Alt. 0,915; largh. 0,805; spess, 0,06 (col restauro); alt. lettere: tutte: 0,065). È stata rinvenuta durante gli scavi Fagan (1812) forse nell’area del Teatro347. Palermo. Proviene dal fondo “Museo dell’Università” ora al Museo Archeologico Regionale “Antonio Salinas” (Num. inv. 3566), affissa sulla parete sinistra del cortile maggiore. Bibliografia: CIL, X 7475: “Tyndaride repperit Fegan Anglus; est Panormi in museo.
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KORNERMANN s.v. “curatores rei pubblicae” in RE IV, 2, 1901, coll. 1774-1813; CAGNAT 1914, p. 202; CALABI 1974, p. 470. 342 Contra MANGANARO. Per i viaggi di Augusto cfr. HALFMANN 1986. 343 JACQUES 1983, p. 383; BURTON 1979, p. 465; CAMODECA 1980; ZAMBITO 2007. 344 ZAMBITO 2007, P. 109. 345 MANGANARO 1988, p. 78. 346 SPIGO 2005, p. 73. 347 COPPI 1822, pp. 129-136.
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74 | Tyndaris | Michele Fasolo
Figura 35. Iscrizione n. 5
Figura 36. Iscrisione n. 6 in onore di L. Vero apposta dal curator r.p. M. Valerio Vitale
Recognovi. Airoldi ms (cod. bibl. Civ. Pan. 4Q q D 42), Maggiore giornale delle scienze 27 (1829) p. 292, Henzen Bull. dell’Inst. 1845, p. 59 ad exemplum Stephanii et Syll. n. 5483. Tindari† evidenter cernitur, non TYNDARI, ut legit Stephanius. 6 Pontifex maximum errore adscriptum est.”; SALINAS 1901, nn. 35-39 senza attribuzione di numero ad ogni epigrafe;; BIVONA 1970, p. 77-78, nr. 66; XLI; ZAMBITO 2007; AÉ 2007. Datazione: 10 dic. 160 – 9 dic. 161 d.C.. Imp(eratori) Caesari divi Antonini / f(ilio) divi Hadriani ne/poti divi Traiani Parthi/ci pronepoti divi Nervae / abnepoti L(ucio) Aurelio / [Vero] Aug(usto) p(ontifici) m(aximo) trib(unicia) pot(estate) / [—-] co(n)s(uli) II p(atri) p(atriae) / [col(onia) A]ug(usta) Tyndarit(anorum) d(ecreto) d(ecurionum) / [cura]nte M(arco) Vale/[rio Vita]le curatore / r(ei) p(ublicae). Iscrizione dedicatoria a L. Verus Augustus a cura del curator rei publicae M. Valerius Vitalis il cui nome e incarico compaiono anche nella precedente iscrizione (vedi infra n. 4), insieme alla quale era esposta. La cifra del consolato di L. Vero, cos II, riportata nella titolatura permette di datare l’epigrafe al 161 d.C348. Il MANGANARO ha ritenuto significativo il nesso TI, presente tra i caratteri epigrafici della dedica tindaritana, suscettibile di indirizzare verosimilmente verso l’età di M. Aurelio anche la datazione dell’iscrizione dell’anfiteatro di Siracusa349. Fine II sec. d.C. – Inizi III sec. d.C. 7) Figura 37 Frammento interno, forse centrale, di lastra di marmo (0,29x0,16x0,02 m; alt. lett. 0,035 m). Bibliografia: MANGANARO 1989, pp. 163 nr. 8, 197 fig. 9= AÉ 1989, 338e. Datazione: Fine II sec. d.C. – Inizi III sec. d.C. [—-/—-] di[vi M(arci) Aur(eli)] / [Anton]ini Pii Germ(anici) [Sarm(atici)] / [fil(ii) divi A]ntonini P[ii nep(otis)—-/—-]. Lo stato di frammentarietà in cui ci è giunta l’epigrafe non ne permettono attribuzione e datazione certa. La dedica, osserva il Manganaro cui si deve l’edizione, potrebbe riferirsi o a Commodo350 o a Caracalla351. 348
CAGNAT 1914, p. 202; CALABI 1974, p. 470. 349 MANGANARO 1988, p. 75 n. 399. 350 ILS 1892, vol. I, p. 97 rrr. 401. 351 ILS 1892, vol. I, p. 107 rrr. 446.
8) Figura 38 Frammento di lastra di marmo (0,24x0,20x0,03 m; alt. letto 0,045 m). Bibliografia: MANGANARO 1989, pp. 163 nr. 10, 197 fig. 10= AÉ 1989, 338f. Datazione: forse 211/212 d.C.
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Figura 37. Iscrizione n. 7 su lastra di marmo
Figura 38. Iscrizione n. 8 in onore di Settimio Severo e di Caracalla e Geta
[Pro salute Impp(eratorum) Caess(arum) L(ucii) Septimi(i) Sev]e[ri —- et M(arci) Aureli(i) Antonini e]t P(ublii) Septimii G[etae -/—-] r(es) p(ublica) col(oniae) Aug(ustae) Ty[ndarit(anorum) / p(ecunia) p(ublica)] d(ecreto) d(ecurionum). Iscrizione, posta per pubblica iniziativa, un decreto dei decurioni, e plausibilmente a spese pubbliche della comunità dedicante, la res publica della colonia Augusta dei Tindaritani, che onora Settimio Severo e i due figli, Caracalla e Geta.352 Nella titolatura di Geta, nominato Caesar nel 198 d.C., appaiono il prenome Publius, invece di Lucius, il gentilizio Septimius, e il cognome Geta. Il titolo di Imperator è portato di frequente da Geta prima del 209 d.C. anno in cui venne nominato Augusto. L’iscrizione non presenta rasura del nome di Geta. Il Manganaro ne ha proposto l’edizione in base al confronto con DESSAU 433353. III sec. d.C. (prima metà) 9) Figura 39 Frammento marmoreo (alt. 0,35 m; largh. 0,45 m; spesso 0,04 m; alt. lettere: l. 2: 0,090m; l. 3: 0,090-0,085 m;l. 4: 0,030 m). È stato rinvenuto a Tindari nel 1880. Palermo. Museo Archeologico Regionale “Antonio Salinas” (Num. inv. 3568), affissa sulla parete sinistra del cortile maggiore. Prima metà III sec. d.C.. Bibliografia: CIL, X 7476: “Tyndaride rep. m. Apr. a. 1880 iam Panormi in museo. Descripserunt I. Schmidt et A. Salinas; hic ed. apud Fiorellium Not. degli scavi 1880 p. 199. Posterior Caracallae est, prior aut eiusdem aut Alexandri”; BIVONA 1970, p. 79, nr. 68; tav. XLII. Datazione: Prima metà III sec. d.C. Figura 39. Iscrizione n. 9
[—-] / Severo A[—-] / Pio Fel(ici) Au[g(usto) —-] / col(onia) Aug(usta) Tyn[darit(anorum)] / numin(i) eius [devota] 352
Dell’epigrafe onoraria rimane solamente, oltre all’indicazione della comunità che la dedica, la colonia Augusta dei Tindaritani, una parte dell’onomastica e della titolatura dell’imperatore per il quale era stata posta, che tuttavia non consente di discriminare se si tratti di Caracalla o di Severo Alessandro354. Per ciò che riguarda Caracalla355, l’epiteto di Pius è attestato fin dal 198 d.C.356. A partire dal 200 d.C. si riscontra un numero elevato di iscrizioni con il titolo Felix. La titolatura Imp. Caes. M. Aurelius Severus Antoninus Augustus, Pius, Felix si ritrova tra il 210-217 d.C. 357. Tuttavia la Bivona ha ipotizzato che possa trattarsi più probabilmente di Severo Alessandro dato che la sequenza Severus Antoninus Augustus ricorre solo sporadicamente nella titolatura di Caracalla358, mai peraltro in Sicilia. Nel caso l’iscrizione si riferisca a Alessandro Severo va osservato, come rileva il Manganaro, che essa non presenta rasura come invece si riscontra nella parte occidentale dell’Isola controllata da Capellianus, governatore della Numidia e fedele a Massimino359.
Cfr. ad es. AÉ 1909,104 = D. 9177 = ILAfr. 9 (198); 1946, 38 (198-201); CIL VI 228 = D. 2178 (205).Il titolo di Imp. è attribuito al solo Geta p. es. in CIL III 5993 = IBR 472 (201). 353 Cfr. ILS 1892, vol. I, p. 105 rrr. 433. 354 MOMMSEN, CIL, ad loc. 355 Per la titolatura di Caracalla e Geta cfr. MASTINO 1981.356 Cfr. AÉ 19171918, 16 = ILAlg. I 1255. Per il 199, cfr. CIL X 7560. Sul titolo, vd. HAMMOND 1957, p. 50 n. 191. 357 ILAlg. II 6094; AB 1900, 82 213217 ILAlg. I 1031, 2092, *2093217 AB 1967, 572 (1S marzo). 358 CAGNAT 1914, p. 208. 359 MANGANARO 1988.
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76 | Tyndaris | Michele Fasolo 10) Bibliografia: CIL, X 7477 “Prope Tyndaridem alla Scala apud baronem Sciacca. Salinas descripsit ediditque apud Fiorellium Not. degli scavi 1880, p. 200”. Datazione: fine II- prima metà III sec. d.C. divi Antonin]i Pii pro[n(oti)] / [divi Hadriani] abnepo[ti] / [divi Traiani Parthic]i et divi [Ner]/[vae adnepoti Nel nomen dell’imperatore della dedica, comunque risalente all’epoca dei Severi, si fa riferimento alla precedente dinastia degli Antonini, risalendo attraverso Traiano sino a Nerva stesso (cfr. CIL, X 8243).
Figura 40. Iscrizione n. 11 in onore di Giulia Mamea
Figura 41. Iscrizione n. 12 in onore di Publio Licinio Cornelio Valeriano
11) Figura 40 Lastra marmorea frammentata, mancante della parte sinistra, restaurata (alt. 0,65 m; largh. 0,54 m; spesso 0,03 m; alt. lettere: ll. 1 e 4: 0,085 m; l. 2: 0,075 m; l. 3: 0,08 m; l. 5: 0,080·0,075 m; l. 6: 0,040-0,035 m; A e M eccezionalmente allungate, tutte le lettere ornate di apice). Rinvenuta forse durante gli scavi Fagan (1812) forse nell’area del Teatro360. Palermo. Proviene dal fondo “Museo dell’Università” ora al Museo Archeologico Regionale “Antonio Salinas” (Num. inv. 3569), affissa sulla parete sinistra del cortile maggiore. Bibliografia: CIL X, 2, 7478 “Tyndaridem rep., est Panormi in museo. Recognovi. Airoldi ms (cf. ad n. 7474), Maggiore l. c. ad n. 74, Henzen Bull. dell’Inst. 1845 p. 62 ad exemplum Stephanii. Orelli 955.”. SALINAS 1901, nn. 35-39 senza attribuzione di numero ad ogni epigrafe; BIVONA 1970, p. 80, nr. 69; tav. XLIII. Datazione: Probabilmente 223-235 d.C. Iuliae Mamaeae Aug(ustae) / matris Imp(eratoris) Caes(aris) / [M(arci)] Aureli Severi / [Ale]xandri Pii Fel(icis) / Augusti et castror(um) / res p(ublica) col(oniae) Aug(ustae) Tyndar(itanorum) / devota numi[ni 360 361
COPPI 1822, pp. 129-136. CAGNAT 1914, p. 214.
Epigrafe apposta dalla cittadinanza di Tindari in onore di Giulia Mamea madre
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Michele Fasolo | Tyndaris | 77 dell’imperatore Severo Alessandro. Giulia Mamea assunse il titolo di Augusta nel 222 d.C., alla morte di Elagabalo361 e forse dal 224 d.C. quello di mater castrorum, portato per la prima volta dalla moglie di Marco Aurelio, Faustina minore, e poi anche da Giulia Domna, moglie di Settimio Severo. Al termine della dedica la formula di devozione che inizia nell’età Severi e prosegue per tutto il IV sec d.C.. III sec. d.C. (seconda metà) 12) Figura 41 Frammento di lastra di marmo (alt. 0,37 m; largh. 0,20 m; spesso 0,04 m; alt. lettere: l. 2: 0,072 m; ll. 3 e 4: 0,07 m) rinvenuto a Tindari nel 1880 e donato dal barone Sciacca della Scala al Museo di Palermo. Oggi più mutila che ai tempi del Mommsen. Palermo. Museo Archeologico Regionale “Antonio Salinas” (Num. inv. 3570). Bibliografia: CIL, X 7479: “Tyndaride rep. m. Apr. a. 1880 iam Panormi in museo. Descripserunt I. Schmidt et A. Salinas; hic ed. apud Fiorellium Not. degli scavi 1880 p. 199.“ BIVONA 1970, pp. 80-81, nr. 70; tav. XLII. Datazione: Tra il settembre 256 e l’estate 258. [Divo Caesari] / [P(ublio) Cornelio Licinio Valeriano] / [filio Imp(eratoris) Cae]s(aris) P(ubli) L[icini Egnati] / [Galli]eni Pii Fel[ic(is) Aug(usti)] / [frat]ri P(ubli) Licin[i Salo]/[ni]ni nob[ilissimi] / [Caes(aris) Iscrizione onoraria riferita dal Mommsen, che l’ha integrata, a Publio Licinio Cornelio Valeriano, figlio maggiore di Gallieno e di Cornelia Salonina, Cesare tra il 255 e il 258 d.C., anno in cui avvenne la sua morte d.C.362 Il fratello Publio Licinio Cornelio Valeriano Salonino, citato nell’epigrafe, morì invece a Colonia Agrippina nel 260 d.C. Secondo il Manganaro363 questa è l’unica testimonianza nell’Isola, insieme ad un ritratto di Gallieno a Palermo, dei difficili anni tra il 258 e il 263 d.C. che videro violenze e brigantaggi nelle campagne dell’isola364. 13) Figura 42 Lastra di marmo con margine superiore integro (0,49x0,34 x0,035 m; alt. lett. 0,12 m). Proviene dall’area dell’insula IV della città. Tindari, Antiquarium, sala I, parete destra. Bibliografia: MANGANARO 1989, pp. 163 nr. 11, 197 fig. 11= AÉ 1989, 338g. Datazione: Dopo il 25 luglio 306 d.C. 362
[Divo Flavio] Vale[rio Constantio —-]. Lo stato frammentario dell’epigrafe permetterebbe numerose restituzioni. Il Manganaro propone, senza spiegare i motivi che lo hanno indotto a tale attribuzione, una dedica dalla
Figura 42. Iscrizione n. 13
BRAY 1997, pp. 50-51, 57, 67, 74. MANGANARO 1988, p. 81. 364 SHA, v. Gall. duor.,4, 9. 365 Il Manganaro richiama ILS 1892, vol. I, p. 149 nr. 652. 363
Figura 43. Iscrizione n. 14 su frammento di altare reimpiegato nel podio dell’areana romana
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78 | Tyndaris | Michele Fasolo colonia in onore dell’imperatore illirico Flavio Valerio Costanzo, meglio noto come Costanzo Cloro (31 marzo 250 circa – Eboracum, 25 luglio 306), padre di Costantino I.365. 14) Figura 43 Frammento di altare. Grandi lettere. Tindari, teatro (murato nella struttura) in situ. Bibliografia: MANGANARO 1989, pp. 162 nr. 2, 197 fig. 2= AÉ 1989, 00338a Datazione: Dall’età augustea in poi. [Au]gus[to] / d(ecreto) d(ecurionum) / [—-]. La frammentarietà dell’iscrizione non permette di capire se Augusto nella dedica sia il titolo onorifico di Ottaviano o il cognomen di uno degli imperatori successivi nonostante il reimpiego del frammento nel podio dell’arena romana che venne strutturata nella seconda metà del II sec. d.C.. Ciò cui faceva riferimento la parte andata persa dell’epigrafe era comunque stato deciso da una deliberazione dei decurioni della città. 15) Figura 44 Grosso frammento di lastra marmorea (0,22x0,20x0,03 m; alt. lett. 0,10 m), leggermente convesso. Dopo la metà del 166 d.C. Bibliografia: MANGANARO 1989, pp. 162 nr. 5, 197 fig. 5= AÉ 1989, 338d SPIGO 2005, p.73. Datazione: II-III sec. d.C.
Figura 44. Grosso frammento
[M(arcus) Aureli]u[s—-/—-P]art[hicus—-] Lo stato frammentario dell’iscrizione non permette alcuna attribuzione. Il titolo di Parthicus probabilmente presente si riscontra nelle titolature degli imperatori tra II e III sec. d.C. Il Manganaro ipotizza una dedica forse a Marco Aurelio o ad un imperatore della dinastia dei Severi, senza precisare gli indizi che lo hanno indirizzato in tal senso. 16) Figura 45 e figura 46 Due frammenti opistografi di marmo (1. 0,195x0,165x0,03 m; alt. lett. 0,048 m, frammento interno; 2. 0,28 x 0,285 x 0,03 m; alt. lett.0,048 m, frammento angolare inferiore destro con margini ortogonali). Provengono dall’area dell’insula IV della città. Tindari, Antiquarium, sala I. Bibliografia: MANGANARO 1989, pp. 163 nnrr. 6-7, 197 figg. 6, 7. Datazione: forse II-III sec. d.C. [—-] tri/b(unicia) pot(estate) V[—-] / [—-] p(ecunia) p(ublica) d(ecreto) d(ecurionum) Iscrizione onoraria, sul verso di una lastra opistografa in due frammenti, fu posta per
Figura 45. Frammento di opistografo
Figura 46. Frammento di opistografo
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Figura 47. Iscrizione n. 17
Figura 48. Iscrizione n. 18
pubblica iniziativa, un decreto dei decurioni, e a spese pubbliche. Il Manganaro ne ha edito il testo. L’ iscrizione che la lastra reca sul retro (vedi n. 17) è estranea e posteriore. 17) Figura 47 Frammento di lastra di marmo (0,28x 0,285x0,03 m; alt. lett. 0,08 m). Proviene dall’area dell’insula IV della città. Tindari, Antiquarium, sala I, parete destra. Bibliografia: MANGANARO 1989, pp. 163 nr. 7, 197 fig. 7bis= AÉ 1989, 338f SPIGO 2005, p.73. Datazione: estate 276 - autunno 282 d.C. [Im]p(erator) Ca/es(ar) M(arcus) Au[relius Secondo il Manganaro, che l’ha scoperta sul retro di un’altra iscrizione (infra n. 27366), l’epigrafe risale decisamente al III sec. d.C., forse al regno di Probo367. 18)Figura 48 Frammento di lastra di marmo (0,083x0,155x0,025; alt. lett. 0,085). Bibliografia: MANGANARO 1989, pp. 163 nr. 8, 197 fig. 8. Datazione: imperiale imprecisata. [—-]or V[—-] 19) Figura 49 e figura 50 Due frammenti di marmo (1. alt. 0,33 m; largh. 0,30 m; spess. 0,040 m; alt. lettere: ll. 1-
Figura 45. Iscrizione n. 19 A
Figura 46. Iscrizione n. 19 B
366 MANGANARO 1989, pp. 163 nnrr. 67, 197 figg. 6, 7. 367 ILS, 594.
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80 | Tyndaris | Michele Fasolo 2: 0,0750 m; 2. alt. 0,21 m; largh. 0,18 m; spess. 0,025 m; alt. lettere: 0,07 m, nessuna intera; in entrambi linee guida). Rinvenuti a Tindari. Palermo. Museo Archeologico Regionale “Antonio Salinas” (Num. inv. 3571). Bibliografia: CIL X, 2, 7480 “Tyndaride rep., est Panormi in museo. Descripsi. Airoldi ms (cf.. ad n. 7474) sic.”. BIVONA 1970, p. 81, nr. 71; tav. XLII. Datazione: Datazione: III-IV sec. d. C. A. col(onia)] Aug(usta) / [Tyndarit(anorum) d]evota / [numini maiestatiq(ue) ei]us B. eius La Bivona ha evidenziato che si tratta di due frammenti non appartenenti al medesimo titolo, come dimostrano il loro diverso spessore, i caratteri e l’originario disegno dell’Airoldi riprodotto dal Mommsen. La formula devota numini maiestatique eius, in genere al termine della pubblica dedica ai principi regnanti, inizia a comparire dall’inizio del III secolo sotto i Severi con uso che prosegue per tutto il IV sec d.C.. 20) Lastra di marmo trovata nella villa di Francesco Gatto368 ad 1 km da Patti. Bibliografia: CIL, X 8420 “Tabula marmorea chil. 1 a Patti in villa Francisci Gatti. Nic. Giardina antica Tindari cenni storici (Siena 1882, 8, pp. 192) p. 161. Supra fractam esse non significatur”. Datazione: III-IV sec.d.C. 368
Nel libro del Giardina citato dal CIL il proprietario è indicato invece come Francesco Greco. Lo Scaffidi (SCAFFIDI 1895, p. 100) precisa che la casina era in località Croce Segreto. Molto probabilmente la casina era a valle della S.P. 122 a Vigna Grande. 369 Per la formula devoti numini eorum si veda HG Gundel, “Devotus numini maiestatique eius”, in Epigraphica, XV, 1953, p. 128 ss.; ulteriore bibl. in Herz.
[—-] / p(ontifici) m(aximo) res publica Tyndari/tanorum devota numini / maiestatique eius Vi compare al termine della pubblica dedica da parte della comunità cittadina, la res publica Tyndaritanorum, la formula devota numini maiestatique eius (vedi infra n. 18) in uso tra l’inizio del III secolo e tutto il IV sec d.C..369 21) Figura 51 Frammento di lastra di marmo (0,14x0,085x0,032 m; alt. lett. 0,055 m). Bibliografia: MANGANARO 1989, p. 164 nr. 15, 197 fig. 15. Datazione: età imperiale imprecisata. IIvir] quinq(uennalis) [
Figura 51. Iscrizione n. 21 attestante l’esistenza di un duoviro quinquennale.
Figura 52. Iscrizione n. 22 riguardante un questore municipale
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Michele Fasolo | Tyndaris | 81 Il duoviro quinquennale aveva il compito, oltre a quelli correnti, amministrativi e giurisdizionali propri della magistratura tipica dei municipi e delle colonie, di occuparsi del censimento quinquennale della popolazione e della lectio dell’ordine decurionale da cui eventualmente doveva espellere i membri che non ne fossero per vari motivi stati più degni 22) Figura 52 Frammento di lastra di marmo integra sul margine destro (0,15x0,23x0,016 m; alt. lett. 0,06 m). Bibliografia: MANGANARO 1989, p. 164 nr. 13, 197 fig. 13= AÉ 1989, 338i. Datazione: età imperiale imprecisata. [—-] quaest(ori) / [—-] pat(rono) aug(ustalium) / [l(ocus) d(atus)] d(ecreto) d(ecurionum) L’iscrizione onoraria riguardante un quaestor municipale. Probabilmente era ricordata in una parte mancante la specifica autorizzazione per l’apposizione dell’epigrafe in luogo pubblico, con una concessione dello spazio, locus datus370, dai decurioni ricadendo il suolo pubblico tra le loro precipue competenze. Il Manganaro integra su suggerimento del Kolbe, pat(rono) Aug(ustalium) invece di una iniziale ipotesi [procur(atori)] pat(rimoni) Aug(usti). Il questore del municipio affiancava il duoviro nei compiti di amministrazione finanziaria. Si trattava di un munus piuttosto che di un honor come farebbe intravedere il patronato che viene menzionato nell’iscrizione del collegio degli Augustalium della colonia su cui il quaestor pare avere compiti di supervisione.371 Quella degli Augustali era un’associazione nata con scopi cultuali verso il numen e il genius dell’imperatore in età augustea, poi della domus divina, e risulta attestata sino al III secolo d.C. inoltrato. Gli Augustali venivano prescelti annualmente dal senato municipale per la maggior parte tra i ricchi liberti. All’atto della loro nomina versavano una summa honoraria che serviva a finanziare le varie attività quali giochi, banchetti, beneficenze varie nei confronti dei cittadini. L’appartenenza all’Augustalità consentiva una qualche promozione sociale ai liberti altrimenti esclusi, a causa dell’origine servile, dal cursus honorum municipale. Il patronus del collegio poteva anche appartenere al ceto libertino o, come in questo caso, essere un alto dignitario dell’amministrazione cittadina. 23) Figura 53 Frammento di lastra di marmo (0,20x0,13x0,035 m; alt. lett. 0,035 m). Bibliografia: MANGANARO 1989, p. 164 nr. 14, 197 fig. 14= AÉ 1989, 338j. Datazione: età imperiale imprecisata. [—-/—-optim]o Sex(ti) Sel[—- / —- pe]cunia eius c[olonis —-/epulum si]ng(ulis) Il Manganaro ha suggerito la possibile integrazione dell’iscrizione dedicatoria sopra riportata. L’iscrizione potrebbe menzionare il gentilizio Sellius.
Figura 53. Iscrizione n. 23
24) Bibliografia: CIL, X, 2, 7481 “duo fragmenta eiusdem ut videtur tituli. Alla Scala apud baronem Sciacca. Salinas descripsit ediditque apud Fiorellium Not. degli scavi 1880, p. 200“. Datazione: età imperiale imprecisata. V(ivus?) / C(aius) Ann[—-] / Castric[ Probabilmente il dedicante ha predisposto in vita la propria sepoltura. Egli era forse un liberto di tale Castricius, gentilizio noto in area laziale e campana (Pompei372, Pozzuoli373 Ostia374). 25) Bibliografia: CIL, X 7483 “alla Scala apud baronem Sciacca. Salinas descripsit, de litteris quae inclinatae exhibentur aut dubitans aut desiderans eas; suppeditaverunt eas schedae domine. Edidit ille apud Fiorellium Not. degli Scavi 1880 p. 200” .
370
M. V. ANTICO GALLINA, “ ‘Locus datus decreto decurionum’ Riflessioni topografiche e giuridiche sul suburbium attraverso i tituli funerari, in Epigraphica 59 (1997), p. 205-224. 371 L. CRACCO RUGGINI, Star. Sic., III, 7 con bibliogr. a n. 26. 372 CIL IV, 7309e, 8469a. 373 CIL X, 2241. 374 CIL XIV, 724 = IPOstie-B, 3.
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82 | Tyndaris | Michele Fasolo Datazione: età imperiale imprecisata. C(aius) Iulius Berinis l(ibertus) / Anteros fecit / Eroti f(ilio) [s]uo [qui] vixit / a(nnos) VIII Epigrafe funeraria di carattere privato apposta dal padre per il figlioletto, di cui si riporta l’età, otto anni. Il dedicante, che usa il latino, è un liberto, indicato con la sigla l. Il prenome corrisponde a quello del patrono che lo ha manomesso, come anche il gentilizio Iulius, Berini{s} (cioè Verini)375. Il cognome del padre ed il nome del figlio sono di origine greca. Il cognomen Anteros riproduce l’antico nome servile, attestato fra la fine della repubblica e la prima età imperiale più volte tra il ceto libertino in Italia meridionale e in area campana, in particolare a Grumentum376, a Dikaiarchia-Puteoli377, a Stabiae378 e a Pompeii379. E allo stesso modo anche il nome del bambino, Eros, risulta assai diffuso nello stesso periodo a Stabiae380, a Pompeii381 e a Dikaiarchia-Puteoli382. 26) Bibliografia: CIL, X 7485: “Alla Scala apud baronem Sciacca. Salinas descripsit ediditque apud Fiorellium l.c., p. 200. ...[Aris]tomenes Pand(usae?) [alu)mno suo fecit“ Datazione: età imperiale imprecisata. Aris]tomenes Pand(usae?) / [alu]mno suo fecit Epigrafe sepolcrale di carattere privato apposta da un dominus che commemora l’alumnus383 Pandusa384. Il termine usato evoca l’esistenza di una relazione giuridica fra i due. Il defunto era probabilmente uno schiavo, o un fanciullo abbandonato allevato sin da piccolo. 27) Bibliografia: CIL, X, 7487 “Tyndaride rep. Airoldi ms (cf. n. 7474)”. Datazione: età imperiale imprecisata. Obi[—-] / Men[—-] / Kal[—-]. Epigrafe sepolcrale di carattere privato di cui sopravvive solamente parte della data del decesso.
375
A Roma Berinus ICUR-01, 03380 06, 15969,8. 376 CIL X 274. 377 CIL X 2039, 2367, 2941. 378 CIL X 773. 379 CIL IV 3991, 4869, 4925, 89 62; X 865; 899, 6; 924, 3. 380 CIL I2 1681. 381 CIL IV 3340.18, 10; 85,7; 32,6,9; 71,4; 90, 2; 96, 6; 71,4; 4323. 382 CIL X 1915; 2367; 2389; 2675; 2752; 2939; 3095. 383 Sugli alumni cfr. GROSSI GONDI 1920, p. 103. BRADLEY 1986, NIELSEN 1987. 384 A Roma Pandusa CIL VI, 9635=AE 1956, 94.
Figura 54. Iscrizione n. 28 apposta da Sesto Nonio Albano.
28) Figura 54 Lastra di marmo (1,40x0,43x0,15 m;lett. alt. 0,065/5/4 m) con, cornice modanata, superficie della parte inferiore fratturata e molto consumatache rende difficile la lettura. Iscrizione su due parti non separate verticalmente. Proviene dalle strutture murarie di una casa tardo antica successiva al terremoto del 365 d.C. Tindari, Antiquarium, sala I, parete destra. I-II sec. d.C. Bibliografia: MANGANARO 1989, pp. 163-164 nr. 12, 197 fig. 12= AÉ 1989, 338h; SPIGO 2005, p. 73. Datazione: I-II sec. d.C. A. Sex(to) Nonio / Sex(ti) f(ilio) Quir(ina tribu) / Africano / [—-]npp vix{s}it a(nnis) XXIIX.
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Michele Fasolo | Tyndaris | 83 B. Caeciliae Zoticae / Sex(tus) Nonius Albanus / o[pt]imae uxori fecit / e[pul]um sing(ulis?) IIS n(ummum) dignum eius La lastra contiene due iscrizioni sepolcrali a carattere privato apposte da Sextus Nonius Albanus. Alla presenza di questo cognomen nell’area di Tindari potrebbe essere fatta risalire l’origine del toponimo Montalbano, territorio del cui assetto fondiario in età romana sembra essere sopravvissuta indicazione nella località Preda. La prima iscrizione è dedicata al figlio Sexto Nonio Africano, morto all’età di ventotto anni, con l’indicazione abbreviata della tribus in cui questi, come forse tutti i membri della colonia tindaritana385, era registrato, la Quirina.386 Il cognomen potrebbe essere stato originato da un antenato che aveva combattuto in Africa o da un’impresa personale in quella regione o segnalare semplicemente l’origo. La seconda iscrizione è per la moglie rimpianta dal marito come optima uxor. La donna adotta la forma femminile del cognomen paterno, Caecilius, seguito da Zotica. In età imperiale Zotica risulta attestato sempre sulla costa settentrionale dell’isola a Thermai Himeraiai (Alfia Zotice) 387 ma anche in età tarda a Siracusa388 e, infine, in area campana389. Il cognomen Zoticus è conosciuto lungo la via Egnatia in Macedonia a Colonia Iulia Augusta Philippensis390 e in Thracia a Colonia Claudia Aprensis391. La lastra commemora anche l’elargizione da parte di Sesto Nonio Albano della somma di due sesterzi e mezzo a titolo di epulum, ovvero invece del banchetto funebre, al cadere del nono giorno dalle esequie e ciascun invitato, non sappiamo se gli universi cives o una loro parte, venne data una somma (sportula).392 Il Manganaro ha ricordato393 la presenza della gens Nonia e della Caecilia in Sicilia. 29) Figura 55 Lastra in arenaria (0,37x122x0,15 m; alt. lett. 0,045 m) rinvenuta nel 1970 durante scavi nella necropoli di contrada Scrozzo (dinanzi alla porta a tenaglia delle mura urbiche)394. Bibliografia: MANGANARO 1989, p. 164 nr. 18, 197 fig. 18. Datazione: età imperiale imprecisata. Ionia Iulia Epigrafe sepolcrale di carattere privato. Vi viene ricordato solamente il nome della defunta al nominativo senza alcuna altra indicazione. L’onomastica è costituita da due gentilizi di cui uno, forse il materno, usato come cognomen. Possiamo ipotizzare altresì il nomen paterno, Iunius. 30) Figura 56 Frammento di lastra di marmo Bibliografia: MANGANARO 1989, p. 165 nr. 19, 197 fig. 19 = AÉ 1989, 00338k. Datazione: età imperiale imprecisata. [—-] A(uli) f(ilio) Qu[ir(ina tribu) —] / [— Euc]arpia ux[or—-] Epigrafe sepolcrale di carattere privato posta da Eucarpia per il marito, un cittadino romano di cui si è persa la serie onomastica tranne il patrominico e il ricordo della sua registrazione nella tribù Quirina (vedi infra n. 28). Il nome Eucarpia, EÙkarp…a, è attestato in Sicilia in iscrizioni di III-IV sec. d.C. rispettivamente a Katane395, a Kentoripa396 e a Syracuse397.
Figura 56. Iscrizione n. 30 posta da Eucarpia per il marito
Figura 55. Iscrizione n. 29 in ricordo di Ionia Iulia 385
Salvo immigrati inscritti in altre tribù. 386 Le testimonianze della ripartizione dei cittadini romani in tribù per la Sicilia sono state studiate dal Kubitschek e dal Forni e più recentemente dal Prag il quale ha riscontrato la netta apparente prevalenza della Quirina in special modo a Centuripe, Cossura, Drepanum, Gaulus, Lipari, Melita, Syracusae, e per l’appuntoTindari. KUBITSCHEK 1882, PRAG 2009, pp. 305-311. 387 CIL X 7398 388 STRAZZULLA 346; = Wessel 1320 389 CIL X 8059. 205. 390 PILHOFER 2009, n. 91. 391 TAŞLĬKLĬOGLU 2 p. 81 no. 9; = AD 49-50 (1994-5) Mel. p. 289 no. 118; cf. SEG XXXVII 598 (m. Βεψανία Σεκοῦνδα). 392 Diz. Epigr. II, pp. 2142-2143. 393 CIL X, 2, 6986 (Messana); 7318 (Thermae). 394 Il Manganaro riporta la località di rinvenimento durante gli scavi sorvegliati da Tindaro Sidoti come contrada Scozia. 395 IG XIV 540 = AGNELLO 51; = Wessel 592; cf. FERRUA, NG 442. 396 NScav 1907, p. 494 Epigraphica 51 (1989) pp. 166-7 no. 30 (Lat. Publicia Eucarpia). 397 STRAZZULLA 85; = WESSEL 401 ([Ἐ]υκαρπία) STRAZZULLA 414; = BARRECA 139; cf. Riv. Arch. Crist. 18 (1941) p. 197 nr. 67.
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84 | Tyndaris | Michele Fasolo
Figura 57. Iscrizione n. 31 su lastra di marmo ricomposta in ricordo di Onomaste
Figura 58. Iscrizione n. 32 in memoria della bambina Tullia Symbiosis
31) Figura 57 Lastra di marmo ricomposta da due frammenti (0,22x0,14x0,01 m; alt. lett. 0,03 m). Tindari Antiquarium, ultima sala, prima vetrina sulla destra398. Bibliografia: MANGANARO 1989, p. 165 nr. 20, 197 fig. 20 = AÉ 1989, 338l. Datazione: età imperiale imprecisata. Onomaste / vix(it) ann(is) / XV Epigrafe sepolcrale di carattere privato. Il nome della defunta compare al nominativo insieme alla sua età, quindici anni. ‘Onom£sth nome femminile abbastanza raro è attestato a Miseno399. 32) Figura 58 Lastra di marmo ricomposta da due frammenti (0,295x0,275x0,045 m; alt. lett. 0,004 m). Rinvenuta in una tomba di bambina con colombelle di vetro. 400 Bibliografia: MANGANARO 1989, p. 165 nr. 21, 197 fig. 21 = AÉ 1989, 338m. Datazione: età imperiale imprecisata. Tullia / Symbio/sis vix(it) ann(is) / VII Epigrafe sepolcrale di carattere privato a ricordo di una bambina che visse sette anni del cui padre deduciamo il nomen, Tullius. Symbiosis è rarissimo, ne conosciamo una sola attestazione ad Atene in età imperiale401.
398 MANGANARO 1989, p. 165 nr. 20, 197 fig. 20 = AÉ 1989, 338l. 399 CIL X 3362 Stonicia Ansia Heliane Onomaste. 400 MANGANARO 1989, p. 165 nr. 21, 197 fig. 21 = AÉ 1989, 338m. 401 IG II2 11557; cf. SEG XXVI 375 (Συνβεί–: d. Ζώσιμος).
Figura 59. Iscrizione n. 33 su lastra di marmo in memoria di Asinia Charmosyne
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Michele Fasolo | Tyndaris | 85 33) Figura 59 Lastra di marmo (0,29x0,22x0,045; m; alt. lett. 0,03/025 m). Proviene dall’area dell’insula IV della città. Tindari, Antiquarium, sala I. Bibliografia: MANGANARO 1989, p. 165 nr. 22, 197 fig. 22 = AÉ 1989, 338n = AÉ 1991, 901. Datazione: età imperiale imprecisata. D(is) M(anibus) / Asinia Char/mosyne v(ixit) a(nnis) / LXV mens(ibus) VII / M(arcus) Allianus / fil(ius) fec(it) Epigrafe sepolcrale di carattere privato apposta da un figlio in ricordo della madre che visse quarantacinque anni e sette mesi. In testa all’epigrafe l’adprecatio di affidamento della defunta agli dei inferi. La defunta reca un nomen latino ed un cognomen greco CarmosÚnh402 che forse ne tradisce l’appartenenza al ceto libertino. 34) Figura 60 Cippo sepolcrale parallelepipedo. Proviene dall’area della necropoli in contrada Scrozzo, senza ulteriori precisazioni topografiche (scavi 1896). Irreperibile. Bibliografia: Inedito . Apografo del soprastante G. Scifani nel giornale di scavo del 12 marzo 1896 (ACS, AA.BB.AA., II vers. Busta 111). Viene riportata l’annotazione: «Cippo parallelepipedo con l’iscrizione Vovillaiv - a piè del quale esisteva frammentato un cinerario con ossa umane d’un neonato combuste». Datazione: non determinabile.
Figura 60. Iscrizione n. 34. Apografo di cppo sepolcrale
[—-]vovi L. L. a IV VOVILLAIV Iscrizione sepolcrale. Lo stato frammentario del testo rende impossibile ogni ricostruzione. 35) Figura 61 Piccola lastra di pietra di forma esagonale. Proviene dall’area della necropoli in contrada Scrozzo, senza ulteriori precisazioni topografiche (scavi 1896). Irreperibile. Bibliografia: inedito. Apografo del soprastante G. Scifani nel giornale di scavo dal 14 al 21 maggio 1896, senza precisazione della data del ritrovamento (ACS, AA.BB.AA., II vers. Busta 111) che riporta la seguente annotazione: «Terracotta. In cinerario con ossa combuste, che in luogo del coverchio aveva una lastrina esagonale di pietra ? colla iscrizione seguente: ...». Datazione: età imperiale D(is) M(anibus) S(acrum)/Pardus Myr/vixit an(nis) XXX/Sergia Gaia de/suo sibi fec(i)t Iscrizione sepolcrale.
Figura 61. Iscrizione n. 35 nota da un apografo nel giornale di scavo del 1896
402
IBer 258 (m. Λυσιανή); IG II2 10368 (Φλ. Χαρμοσύνη);Kos KF 214; Samos Samos XII 131 c. Richiama AE 1909, 0091.AE 1907, 0131.CIL 06, 37145.ILS 9036.H. Langford Wilson, AJPh 30, 1909, 61-64, Nr. 1. - AE 1909.
Figura 62. Iscrizione n. 36 a carattere sepolcrale nota grazie ad un apografo del 1896
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86 | Tyndaris | Michele Fasolo 36) Figura 62 Frammento marginale superiore, conservato in parte, di una piccola lastra di marmo. Proviene dall’area della necropoli in contrada Scrozzo, senza ulteriori precisazioni topografiche (scavi 1896). Irreperibile. Bibliografia: inedito. Apografo del soprastante G. Scifani nel giornale di scavo del 15 aprile 1896 (ACS, AA.BB.AA., II vers. Busta 111) che riporta la seguente annotazione: «Marmo bianco. Frammento di lapidetta sepolcrale con iscrizione. Niun trovamento». Datazione: età imperiale. [—-]viat(or)/[—-]er Fl[—Il testo, estremamente frammentato, dell’iscrizione sepolcrale reca sulla prima riga l’allocuzione al viandante. Sulla seconda era probabilmente un elemento onomastico.
Figura 63. Iscrizione n. 37 nota grazie ad un apografo del 1896
37) Figura 63 Frammento marginale destro, con bordo verticale apparentemente conservato in parte, di una piccola lastra di marmo. Proviene dall’area della necropoli in contrada Scrozzo, senza ulteriori precisazioni topografiche (scavi 1896). Irreperibile. Bibliografia: inedito. Apografo del soprastante G. Scifani nel giornale di scavo del 10 marzo 1896 (ACS, AA.BB.AA., II vers. Busta 111) che riporta la seguente annotazione; «Marmo. Altro frammento di lastrina con avanzo d’iscrizione». Datazione: età imperiale. [—-]ege/ v(ixit) XXXI Iscrizione sepolcrale.
Figura 64. Iscrizione n. 38 nota grazie ad un apografo del 1896
38) Figura 64 Frammento interno di una piccola lastra di marmo. Proviene dall’area della necropoli in contrada Scrozzo, senza ulteriori precisazioni topografiche (scavi 1896). Irreperibile. Bibliografia: inedito. Apografo del soprastante G. Scifani nel giornale di scavo del 10 marzo 1896 (ACS, AA.BB.AA., II vers. Busta 111) che riporta la seguente annotazione: «Marmo. Piccolo frammento di lastrina con avanzo d’iscrizione». Datazione: età imperiale. —-] Moi MOI 39) Il giornale quindicinale della Curia vescovile di Patti riportò la notizia del ritrovamento nel corso degli scavi delle necropoli di Tindari nel 1896 di una iscrizione sepolcrale dedicata a Fausta con l’indicazione degli anni vissuti, 22403. Del rinvenimento non c’è traccia nel giornale di scavo. Potrebbe trattarsi del ricordo di un rinvenimento in anni precedenti. Senza che sia possibile stabilire alcuna connessione si richiama CIL VI, 10483 da Roma404. Bibliografia: inedito. Datazione: non determinabile. 40) Bibliografia: CIL, X 7484 ““duo fragmenta eiusdem ut videtur tituli. Alla Scala apud baronem Sciacca. Salinas descripsit ediditque apud Fiorellium l.c., p. 200”. Datazione: non determinabile.
403
Il Tindari del 15 marzo 1896, n. 5, pp. 57-58. Acellia / Fausta / annorum / XXII.
404
[—-]nesthe[—-]s[—-/—-]chus II[—-]to [
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Michele Fasolo | Tyndaris | 87 Propongo di integrare Mnestheus sulla scorta di CIL VI, 23641405 e 29533406 e di IG XIV 2417.2b407. 41) Bibliografia: CIL, X 7482 “alla Scala apud baronem Sciacca. Salinas descripsit ediditque apud Fiorellium Not. degli scavi 1880, p. 200”. Datazione: non determinabile. [—-]Clodius / [—-]adranio / et suis Il gentilizio Clodius è attestato a non grande distanza da Tindari, a Capo d’Orlando408, ed anche a Termini Imerese409. 42) Bibliografia: CIL, X 7486 “Tyndaride infra iconem B. Virginis GVALT. Hodie ibi extare negat SALINAS. Gualtherus n. 319 ed 2 (ab ed. 1 abest) in silice litters ita adesis ut citius vitium saxi vel ludentis naturae opus quam litteras censeas. Inde Torremuzza Sic. XVIII, 58=59”. Datazione: non determinabile. MinorIIo[—-]P[—] Anto/nio [ Minor potrebbe essere un appellativo. 43) Frammento di marmo informe (alt. 0,235 m; largh. 0,23 m; spess. 0,05 m; alt. lettere: 0,075 m), parte posteriore non levigata. Un appunto che si legge sull’inventario ne attesta la probabile provenienza da Tindari. Museo Archeologico Regionale “Antonio Salinas” (Num. inv. 3572). Bibliografia: CIL X, 2, 7325 “originis incertae. Panormi in museo. Descripsi” BIVONA 1970, p. 82, nr. 72; tav. XLIV. Datazione: non determinabile. S·L·F·F Con segni di separazione fra le lettere. Dovrebbe coincidere con il reperto descritto come “un pezzo di marmo con iscrizione
Figura 65. Iscrizione n. 44
405
L(ucius) Fadius / Mnestheus. L(ucius) Volusius |(mulieris) l(ibertus) / Menestheus 407 Μενεσθεύς. 408 EE-08-01, 00708. 409 CIL X, 7346 = D 01083 = AE 1980, +00531 = ILTermIm 10. 406
Figura 66. Frammento dell’iscrizione n. 45
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88 | Tyndaris | Michele Fasolo S.L.F.E.” riportato al punto 37 di una “Nota d’oggetti d’Antichità esistenti nella casa del custode Domenico Alessandro” a Tindari del 1845 (Documenti dell’Archivio Storico della Soprintendenza di Siracusa Div. II Messina. Fald. 4. Car. 26). 44) Figura 65 Frammento di marmo informe assai danneggiato e annerito dal fuoco (alt. 0,14 m; largh. 0,16 m; spesso 0,07 m; alt. lettere: 0,055 m). Si distinguono poche lettere. Provenienza da Tindari supposta sulla base di un’annotazione dell’inventario. Palermo. Museo Archeologico Regionale “Antonio Salinas” (Num. inv. 3578).410 Bibliografia: CIL X, 2, 7326 “originis incertae. Panormi in museo. Descripsi” Bivona 1970, p. 89, nr. 78; tav. XLVI. Datazione: non determinabile. [p]ublic / [. ..}
Figura 67. Frammento dell’iscrizione n. 45
45) Figura 66 e Figura 67 Due frammenti di marmo bianco (Fr. nr. 1. alt. 0,18 m; largh. 0,13 m; spess. 0,035 m; alt. lettere: 0,065 m. Fr. nr 2 alt. 0,085 m; largh. 0,13 m; spesso 0,035 m). Lettere incomplete. Provenienza da Tindari supposta sulla base di un’annotazione dell’inventario. Palermo. Museo Archeologico Regionale “Antonio Salinas” (Num. inv. 3579). Bibliografia: BIVONA 1970, p. 89, nnrr. 79a, 79b; tav. XLVI. Datazione: non determinabile. a) [—-]V / II[—-] b) [—-]N S / T[—-] 46) Lastrone in arenaria (0,88x0,57x0,40 m; alt. lett. 0,18 m). Tindari, Teatro, muro di recinzione dell’orchestra. Bibliografia: MANGANARO 1989, p. 164 nr. 15, 197 fig. 15. Datazione: non determinabile. [—-]s l(ibertus?) Fla[—-] / [—-]qui[—-]. Forse l’iscrizione riguarda un liberto con una possibile menzione dell’ex padrone.
410
CIL X, 2, 7326 “originis incertae. Panormi in museo. Descripsi” BIVONA 1970, p. 89, nr. 78; tav. XLVI.
47) Lastrone in arenaria (alt. lett. 0,17 m). Tindari. Bibliografia: MANGANARO 1989, p. 164 nr. 16. Datazione: non determinabile.
Figura 68. Iscrizione n. 48 su blocco in marmo di epistilio
Figura 69. Iscrizione n. 49 su lastrone di arenaria
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Michele Fasolo | Tyndaris | 89 C. Va[—-]/ C. SafỊ[—-]. Forse l’iscrizione menzionava il gentilizio Safinius??. Meno probabile risulta Safidius. 48) Figura 68 Blocco in marmo di epistilio Bibliografia: MANGANARO 1989, p. 164 nr. 17, 197 fig. 17 bis. Datazione: non determinabile. aditu]s(?) tab(ularii) civ(itatis?) La lettura è stata proposta dal Manganaro. Il tabulario della città curava la registrazione degli atti e il coordinamento della finanza pubblica, controllando in particolare il portorium sulle merci, la cui riscossione in una colonia come Tindari, appaltata in età imperiale a conductores, doveva avvenire presso uffici di dogana doganali dislocati lungo la strada principale che attraversava il territorio e al porto. 49) Figura 69 Lastrone in arenaria (0,88x0,48x0,26 m; alt. lett. 0,18 m). Tindari, Teatro, muro di recinzione dell’orchestra. Bibliografia: MANGANARO 1989, p. 164 nr. 16, 197 fig. 16. Datazione: non determinabile. [—-]AN 50) Figura 70 Piccola lastra di marmo. Proviene dagli scavi della villa romana di Patti Marina, senza ulteriori precisazioni topografiche. Patti Marina. Antiquarium della Villa Romana. Bibliografia:inedito. Datazione: età imperiale. [—-]CCI/[Afri]canus/[—-][Africa]nus a [—Lo stato frammentario del testo rende impossibile ogni ricostruzione. All’inizio del testo è presente, incompleta, un’indicazione numerica soprallineata formata da almeno una C specchiata e da I.
Figura 70. Iscrizione n. 50 (Villa romana di Patti Marina)
Figura 71. Iscrizione n. 51 (Villa romana di Patti Marina)
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90 | Tyndaris | Michele Fasolo 51) Figura 71 Piccola lastra di marmo. Proviene dagli scavi della villa romana di Patti Marina, senza ulteriori precisazioni topografiche. Patti Marina. Antiquarium della Villa Romana. Bibliografia:Inedito. Datazione: età imperiale. vbd/arias Lo stato frammentario del testo graffito rende impossibile ogni ricostruzione. 52) Figura 72 Piccola lastra di marmo. Proviene dagli scavi della villa romana di Patti Marina, senza ulteriori precisazioni topografiche. Patti Marina. Antiquarium della Villa Romana. Bibliografia:Inedito. Datazione: età imperiale. Si riconoscono solamente alcune lettere graffite (A, B, K) ed una croce. 53) Figura 73 Blocco di arenaria rinvenuto nell’agosto 2011 nel corso della prospezione intensiva in una mandra in contrada Nibidelli di Oliveri (Me), dove si è riscontrata l’esistenza di una fattoria di età ellenistico-romana con successiva frequentazione in età medievale. Irreperibile ad un successivo sopralluogo. Bibliografia: inedito. Datazione: non determinabile. [—-] ZA Si leggono due lettere superstiti ZA con sottostante linea di ordinatio. 54) Blocco parallelepipedo di arenaria con una lunga iscrizione latina illeggibile di cui il Manganaro segnala l’esistenza, localizzando genericamente la posizione “non lontano dal Teatro”, non tentandone, dato lo stato, la lettura ed auspicando che qualchedun altro, giovane e di buona volontà, lo faccia411. Non è stato possibile rintracciare il titolo. Bibliografia: inedito. Datazione: non determinabile. 55) Bollo. Bibliografia: CIL X, 2, 804516 “Tegulae Siciliae Reliquiae. 16 Tyndaride rep. [Noti apud Astutum antea, nunc Panormi in museo tribus exampl.] Letteris incusis, equuus. Descripsi Avolio fatture di argilla p. 57 tab. 2 n. 7”. Datazione: ? 411
MANGANARO 1989, p. 164 nr. 16.
Philippianorum
Figura 72. Iscrizione n. 52 (Villa romana di Patti Marina)
Figura 73. Iscrizione n. 53 su blocco di arenaria in contrada Nibidelli (Oliveri)
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Michele Fasolo | Tyndaris | 91 4.1.2.1. Addenda Epigrafi di incerto contenuto. 1. All’interno dell’edificio funerario immediatamente al di sotto delle mura della città (tra i resti della necropoli monumentale a O della Porta a Tenaglia) è una lastra sepolcrale di arenaria riutilizzata probabilmente in età medievale come segnacolo. Reca infatti su una delle facce minori un’iscrizione in ebraico, forse medievale, di cui sono ancora leggibili tre o quattro lettere (aleph, tsaddi, ain). Al centro rimane traccia di quella che potrebbe essere stata una menorah o una shin. La presenza ebraica nella zona non è sconosciuta: nella villa romana di Patti Marina fu ritrovata una lucerna fittile con raffigurazione della menorah, probabilmente anch’essa di uso funerario. 2. Lungo il crinale del contrafforte che si allunga da monte Gran Piano verso NO è un cippo in pietra arenaria a pianta quadrangolare (h. 1,75 x 0,33 m) terminante con punta piramidale. Reca un’iscrizione disposta su due righe: CAP/PACE. Nonostante il testo sembri presentare alcune particolarità paleografiche, le A, molto accurate, con la sbarra orizzontale spezzata, la E somigliante ad un epsilon di tipo arcaico, le C simili a sigma lunati, non è possibile un’attribuzione ad età greca. 4.1.3. Fonti numismatiche. Sono state sino ad oggi individuate trentuno serie tipologiche di monete emesse da Tindari sulla cui successione cronologica negli studi sono state espresse opinioni spesso divergenti(GABRICI p. 192 e segg. s.v. Tyndaris, MINÌ 1979, pag. 438 e segg. s.v. Τυνδαρὶς, CALCIATI 1983, p. 78 s.v. Tyndaris; CONSOLO LANGHER 1964, p. 69 e segg.). In alcuni casi l’attribuzione alla zecca tindaritana rimane incerta. Oltre la metà di esse si riferiscono al culto delle divinità eponime, i Dioskouroi ed Elena, ma sono attestati anche i culti di Zeus, Apollo, Demetra, Kore, Atena, Poseidone, Dioniso e forse Asclepio. La simbologia adottata riporta anche a quelli che dovevano essere i principali prodotti agricoli del territorio (grano, olio, uva) e alle attività marittime e commerciali. La cronologia è stata particolarmente studiata e dibattuta con alterne opinioni dal von Duhn, dall’Holm, dall’ Head , dal Gabrici e di recente dal Carroccio. Di seguito si seguono parzialmente le indicazioni cronologiche e quelle relative al peso e al numero di esemplari del Campana. 4.1.3.1. Prima fase (dalla metà del IV sec. a.C. all’età di Timoleonte). Espansione economica della città e relazioni con Messene, Lipara e i Siculi. Tipo Elena/Dioskouroi, con simbologia varia Le emissioni più antiche vanno fatte risalire secondo alcuni studiosi al periodo turbolento successivo alla scomparsa di Dione (354 a.C.). Tyndaris avrebbe acquisito in questo momento, grazie anche alla ripresa economico commerciale favorita dalla fine delle ostilità con Cartagine, autonomia da Siracusa. Le emissioni di questa fase si caratterizzano per la presenza della testa femminile incoronata sul D/. Secondo la Langher si tratterebbe di un’imitazione tarda e indiretta del tipo siracusano creato da Eukleidas nell’ultima fase del V sec. a.C (LANGHER 1965 p. 67 e cfr. VON DUHN 1876, p. 27 ). Il tipo, imitato in tutto il mondo greco e adottato anche su conii cartaginesi, è riscontrato in Sicilia tra il 430 a.C. ed il 400 a.C. su monete di varie città siceliote tra cui Messene. Proprio attraverso questa città il tipo può molto probabilmente essere giunto in area tindaritano-abacenina nella prima metà del IV sec. a.C. Pelorias si trasforma in Elena (F. VON DUHN, Zur Munzkunde von Tyndaris, ZfN, III, 1876, p.29) e il cavaliere al trotto con clamide svolazzante, uno solo in conseguenza proprio di un riuso di un tipo di Messene, si rivela, grazie all’astro, un Dioscuro. La Langher rigetta come arbitraria la datazione del Gabrici al 336-317 a.C. 1)Tyndaris AE, (10,06-4 gr ) (Tetras,Trias), 20-18 mm. 23 esemplari. (Figura 74) D/Testa femminile (di Elena) a s., capelli corti con stephane e orecchino, bordo perlinato, a) dietro e davanti la testa astro a quattro raggi alternati a quattro punti; intorno o solo davanti legg. TUNDARIS; b) dietro e davanti la testa astro a quattro raggi alternati a quattro punti; davanti la testa e sotto il collo, tre globetti; all’intorno legg. TUNDARIS. R/Cavaliere (Dioscuro) con clamide svolazzante, copricapo sormontato da stelle, briglie nella destra, ramo di palma nella s. che fuoriesce dalla spalla s., cavalcante a d; bordo perlinato.
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Bibliografia: HOLM 1870, p. 177 nr. 390; HEAD 1911, p. 189 (396-345 a.C.), 8,5gr ; GABRICI 1927, p. 192 nr. 2 (336-317), 6,23 gr; LANGHER 1965 nr. 3; EAD. 1977, p. 70 nr. 2 (354-344 a.C.), 5,36 gr; MINÌ 1979, p. 438 nr. 1-2 (variante b) (380-254 a.C.), 6,80 gr; CALCIATI 1983, I, p. 79 nr. 1 (variante a); CAMPANA 2001, p. 65 nr. 1; CARROCCIO 2004, p. 92 nr. 1 (317-308 a.C.). Datazione: fine prima metà del IV sec. a.C. Sul dritto compare Elena, sorella dei gemelli Castore e Polluce, nati da Zeus e da Leda, moglie di Tindaro. Sul rovescio è un solo cavaliere, riconoscibile come Dioscuro per l’astro simbolo della luce dell’immortalità.Gli esemplari più pesanti secondo il Campana (CAMPANA 2001, p. 67) sembrano fare riferimento ad una litra di circa 36 gr emessa a Siracusa e a Lipari all’epoca di Dionisio I. È stata pure proposta una datazione più recente in età agatoclea in base a ragioni stilistiche. 2)Tyndaris AE, (2,50-0,72 gr) (Onkia). 9 esemplari. (Figura 75) D/Testa femminile (di Elena) cinta da larga benda a d.; intorno legg. in senso orario da d. TUNDARI-TAN; bordo perlinato. R/Astro a otto raggi, bordo perlinato. Bibliografia: GABRICI 1927, p. 192 nnrr. 5-7 (336-317 a.C.); LANGHER 1965 nr. 4; MINÌ 1979 nnrr. 8-9; CALCIATI 1983, p. 440 nnrr. 7-8 (380-254 a.C.); LANGHER 1977, p. 70 nr. 4 (344-338 a.C.) 1,66 gr; CAMPANA 2001, p. 66 nr. 2; CARROCCIO 2004, p. 93 nr. 8, tav. XXXIV (post 208 a.C.). L’astro richiama una delle stelle della costellazione dei Gemelli nelle quali i Dioskouroi furono trasformati dopo la loro morte. 3) Tyndaris AE, (1,65 gr) (Onkia). Unicum? (Figura 76) D/Testa femminile (di Elena) cinta da larga benda a d.; intorno legg. da d. in senso orario TUNDARI-TAN; bordo perlinato. R/ Delfino guizzante a s.; sotto monogramma TRI; bordo perlinato. Bibliografia: GABRICI 1927, p. 192 nr. 10 (336-317), gr. 1,65; MINÌ 1979 p. 440 nr. 11 (380-254 a.C.); LANGHER 1965, pp. 66-67 nr. 5; CALCIATI 1983, p. 80 nr. 9; CAMPANA 2001, pp. 66-67 nr. 3. Il delfino costituisce chiaro riferimento alla condizione e alle attività marittime della città oltre che una reminescenza della colonizzazione greca (CAMPANA 2001, p. 67). Il significato del monogramma sul rovescio TRI rimane incerto. 4) Tyndaris AE, (2-1,30 gr.) (Onkia). 2 esemplari. (Figura 77) D/Staffile dei Dioskouroi; bordo perlinato. R/ Astro a otto raggi; bordo perlinato. Bibliografia: LANGHER 1965 p. 67 nr. 6; MINÌ 1979, p. 440 nr. 10 (380-254 a.C.); CALCIATI 1983, p. 80 nr. 8; CAMPANA 2001, p. 67, nr. 4; BUCETI 2010, nr. 4. Lo staffile sul dritto è uno degli attributi dei Dioscuri. 4.1.3.2. Seconda fase (epoca cd. ‘timoleontea’ 344 -338 a.C.). Inserimento della città nel più ampio contesto politico ed economico siciliano. Tra le emissioni siceliote di età timoleontea la serie argentea tindaritana indica, come sottolinea la Langher, un momento di particolare prosperità economica e di prestigio politico della città, già dal 344 a.C. alleata di Timoleonte. 5) Tyndaris AG, 0,51 gr (0,72-0,30 gr).(Litra). 2 esemplari. (Figura 78) D/ Testa femminile incoronata (di Elena, Kore o Sikelia) e orecchino, capelli fluttuanti sul collo, a s.; intorno legg. TUNDARIS; bordo perlinato. R/ Cavallo libero al galoppo a d., su linea di esergo; in alto due astri a otto punte; bordo perlinato. Bibliografia: HOLM 1870 p. 177 nr. 389 (357-317); VON DUHN 1876; HEAD 1911 p. 189 (396345 a.C.), 1,1 gr; LANGHER p. 82 nnrr. 14-15 (344-338, post. 367 a.C.), 0,72-0,30 gr; CAMPANA 2001, p. 68 nr. 5; CARROCCIO 2004, p. 93 nr. 4 (ante 270 a.C.). La serie in argento risulta coniata in due distinti nominali (Litra e Hemilitron o Litra di peso molto ridotto). La testa femminile è somigliante a quella che compare su alcune serie di Morgantina ed Her-
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Michele Fasolo | Tyndaris | 93 bessos. Secondo il Rizzo (RIZZO 1946, tav. L, p. 242, nn.rr. 13-15) e la Langher il tipo del cavallo libero è originario da Syrakousai dove compare nella seconda metà del V sec. per ricorrere durante il IV sec. a.C. in numerose altre città, chiara e orgogliosa evocazione della libertà delle città greche. Dato che tra il 396 e il 367 a.C non sembrano possibili coniazioni autonome nell’ambito dell’eparchia siracusana la coniazione va posta in età successiva, dovendosi ritenere il 338 a,C terminus ante quem. In particolare è indiziato il periodo in cui Timoleonte godeva della simpatia sia dei greci che dei campani. A questa fase vanno forse riferite due altre monete di argento riportate dal Paruta nel suo catalogo (PARUTA 1612; AMICO 1757; BADOLATI 1921). 6) Tyndaris AG. (Figura 79 in alto) D/Tindaro. R/Leda seduta sul cigno (Zeus) Bibliografia: PARUTA 1612. 7) Tyndaris AG. (Figura 79 in basso) D/ Testa femminile (Afrodite). R/ Afrodite con Eros tenuto per mano ornato di arco e faretra in esergo l’iscrizione TUNDARITAN. Bibliografia: PARUTA 1612. 4.1.3.3. Terza fase (278-241 a.C.). Dalla spedizione di Pirro alla fine della I guerra punica. Tipi numismatici “apollinei” con sul R/ simbologia animale Ad un periodo compreso fra la spedizione di Pirro (278-276 a.C.) e la prima guerra punica (264-241 a.C.), andrebbero assegnate le emissioni caratterizzate dalla presenza sul rovescio dai tipi del gallo e della protome equina. Il tipo del gallo potrebbe testimoniare in particolare rapporti con l’area campana. Secondo la Langher invece si tratta di elementi che riconducono alla monetazione soluntino/panormitana e a quella punica della metà del IV sec. a.C. mentre l’astro e la locusta, pure presenti, appaiono simboli peculiari della monetazione siceliota all’epoca di Timoleonte. Stretti sarebbero i rapporti stilistici ed iconografici di questi tipi con la monetazione siracusana e con quella delle città sicule e siceliote raccolte nella lega timoleontea. 8) Tyndaris AE, 2,38 gr (3,05-1,35- gr), 15-13 mm. (Hexas?). 22 esemplari. (Figura 80) D/Testa laureata di Apollo imb. capelli lunghi a d.; davanti legg. evanida TUNDARITAN; bordo perlinato. R/Gallo stante a d. o a s. ; campo in alto a s. astro a otto raggi o a quattro alternati a quattro punti; campo in basso a d. locusta. Bibliografia: HOLM 1870, p. 178 nr. 394 (357-317 a.C.); GABRICI 1927, p. 193 nr. 15 (287-276 a.C.); LANGHER 1977, p. 85 nr. 8 (344-338 a.C.), 2,54 gr; MINÌ 1979, p. 442 nnrr. 18-19 (254214 a.C.); CALCIATI 1983, I, p. 82 nnrr. 14-15 (254-214 a.C.); CAMPANA 2001, p. 68 nr. 6, 69 nr. 7; CARROCCIO 2004, nr. 3, tav. XXXIII (287-276 aC.). Datazione: età di Pirro. La raffigurazione di Apollo Archagetas sul dritto ne attesta probabilmente il culto nella città e/o nel territorio. Simile tipo ricorre anche a Siracusa ove reca la leggenda “Symmachikon”, ad Adranon e a Tauromenium. Un altro esemplare presenta il gallo a s.; innanzi la locusta e astro, in alto a d., fuori conio. 9) Tyndaris AE, 2,34 gr (3,93-1,55 gr), 16 mm. 25 esemplari. (Hexas?). (Figura 81) D/Testa di Apollo con lunghi capelli a d. o a s.; campo a d. o a s. legg. in senso orario TUNDARITAN; bordo perlinato. R/Protome equina a s. o a d.; bordo perlinato. Bibliografia: HOLM 1870, p. 177 nr. 393 (357-317 a.C.); GABRICI 1927 (287-276 a.C.); MINÌ 1979, p. 439 nnrr. 4-5 (380-254 a.C.); LANGHER 1977, p. 86 nr. 9 (circa 344 a.C.) , 3,23 gr ; CALCIATI 1983, p. 79 nr. 4; CAMPANA 2001, p. 69, nnrr. 8-9; 70, nnrr. 10-11; CARROCCIO 2004, p. 93 nr. 5, tav. XXXIII (287-276 a.C.). Datazione: I guerra punica. Tra i vari esemplari, con vari tipi, uno presente anche legg. retrograda.
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4.1.3.4. Quarta fase (241-210 a.C.). II guerra punica. Mitologia tindaritana e trasferimento della leggenda TUNDARITAN sul R/ del conio Il richiamo alla mitologia tindaritana con Elena, i Dioscuri e l’eroe Agatirno ritorna con le emissioni risalenti al periodo tra il 241 e il 210 a.C. Il cambiamento più evidente in questa fase risulta costituito dal trasferimento della legg. TUND\ARITAN sul R/ del conio. L’inquadramento tipologico dei tipi di questa fase appare problematico: tutte le emissioni denunciano infatti un consistente decremento ponderale forse provocato dalla crisi economica connessa alla II guerra punica. 10) Tyndaris AE, da 6,62 gr (10,32-1,98 gr). (Sextans? ). 28 esemplari. (Figure 82-83) D/Busto femminile (di Elena) ammantato a d. con stephane, orecchini e collana, a) astro sei o a otto raggi. b) senza simbolo. R/I Dioskouroi, lance in resta, con clamide svolazzante su cavalli galoppanti a d.; bordo perlinato, a) tra le zampe su due righe TUNDA-RITAN, oppure per un modulo minore (semunciale?) a d. senza interruzione TUNDARITAN. Bibliografia: HEAD 1911, p. 190 (254-210 a.C.), 8 gr; GABRICI 1927, p. 193 nr. 23 (287-276 a.C.) (cfr. anche nnrr. 24-27) rispettivamente 8,16; 7,22; 5,82; 5,19 gr; MINÌ 1979, p. 440 nnrr. 13-14 (254-214 a.C.); CALCIATI 1983, I, p. 80 nr. 11 (254-214 a.C.); CAMPANA 2001, p.71 nr. 13; CARROCCIO 2004 p. 93 nr. 9, tav. XXXIII (post 210). Datazione: II guerra punica. Il terminus post quem (214/213 a.C.) per questa emissione sarebbe dato dalla imitazione dei denarii romani (M. H. CRAWFORD, Roman Republican Coniage, Cambridge, 1974, II, XIV, 72, 3). 11) Tyndaris AE, 5,39 gr (8,48-3,72 gr); 20-18 mm. (Sextans? ). 10 esemplari. (Figura 84) D/Busto femminile (di Elena o Demetra) ammantato con stephane, orecchino e collana a d., nel campo a sx dietro la nuca, astro a sei punte, bordo perlinato. R/Zeus, vestito di himation, stante a s., con lungo scettro nella mano s. e il fulmine nella d. Nel campo a s. la legg. in senso orario TU-NDA in quello a destra RITAN, bordo perlinato. Datazione: II guerra punica (dopo il 213/213 a.C.). Bibliografia: HEAD 1911 (254-210); GABRICI 1927, p. 193 nnrr. 19-21 (periodo romano); MINÌ 1979, p. 440 nr. 12; CALCIATI 1983, I, p. 80 nr. 10 (380-254 a.C.); CAMPANA 2001, p.71 nr. 12; CARROCCIO 2004, p. 94 nr. 19 tav. XXXIII (205-190 a.C.). Con quest’ultimo tipo la testa di Elena scompare dalle raffigurazioni. 12) Tyndaris AE, 6,93 gr (8,87-5,12 gr), 20 mm. (Sextans ridotto ?). 16 esemplari.(Figura 85) D/ Testa femminile (di Elena o più probabilmente di Kore) a s. cinta da benda (forse incoronata di spighe) e con capelli lunghi ricadenti sul collo; legg. TUNDARITAN o solo TUNDA, bordo perlinato. R/ Dioskouroi con clamide svolazzante su cavalli galoppanti a s. su breve linea di esergo, in alto SOTHRES, (anche retrograda) oppure TUNDARIT. Bibliografia: HOLM 1870, p. 177 nr. 392 (357-317); HILL 1903 nr. 21, tav. XII; HEAD 1911, p. 189 (ca 344 a.C.) 8,5 gr; GABRICI 1927, p. 193 nnrr. 11-12 (287-276 a.C.); LANGHER 1977 (primi decenni III sec. a.C.); MINÌ 1979, p. 441 nnrr. 15-16 (254-214 a.C.) 7,15 gr; CALCIATI 1983, I, p. 80 nr. 12 (254-214 a.C.); CAMPANA 2001, p. 72 nr. 14; CARROCCIO 2004, p. 93 nr. 2 (287-279 aC.). Datazione: III sec. a.C. Sul dritto secondo il Gabrici comparirebbe Kore, figlia di Demetra ovvero Persefone. Sul rovescio sono i Dioskouroi, rappresentati mentre vanno al galoppo come indica il mantello svolazzante. La leggenda ne riporta l’epiteto di “Salvatori”. La moneta rispecchia la tradizione dei cavalieri che giungono rapidamente sul campo di battaglia per risolvere con successo situazioni difficili. La Consolo Langher data la moneta al primo quarto del III sec. a.C. (CONSOLO LANGHER 1965) per affinità con la monetazione siracusana del III sec. a.C. 13) Tyndaris AE, (9,63-5,82 gr), mm 17. (Sextans?). 3 esemplari (Figura 86) D/Testa di Zeus barb. capelli lunghi laureato a d., bordo perlinato. R/I Dioskouroi a piedi stanti frontali, con cavalli, impugnano nella s. l’asta, su linea di esergo;
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Michele Fasolo | Tyndaris | 95 legg. ai lati TUNDA-RITAN; bordo lineare. HOLM 1870, p. 222 nr. 527 (214-212 a.C.); GABRICI 1927, p. 193 nnrr. 28-29 (periodo romano); 6,44-4,30 gr; MINÌ 1979, p. 443 nnrr. 23-23/a (254-214 a.C.); CAMPANA 2001, p.73, nr. 16; CARROCCIO 2004, p. 94 nr. 18, tav. XXXIII (post 205 a.C.). Datazione: II guerra punica. Rispetto all’iconografia che caratterizza i tipi di epoca precedente i due guerrieri non appaiono più a cavallo. Per le monete con Zeus - databili sempre nella quarta fase tindaritana - si è richiamata la statua colossale del dio, copia di età romana del tipo ellenistico venerato a Siracusa (PACE 1938). 14) Tyndaris AE, 4,49 gr (9,83-2,60 gr); mm 17. 21 esemplari. (Sextans? Sestasntale-semunciale). (Figura 87) D/Testa di Zeus barb. capelli lunghi laureato a d., bordo perlinato. R/I Dioskouroi a piedi stanti frontali impugnano nella s. l’asta alla quale si appoggiano, nella mano d. tengono una coppa ciascuno, su linea di esergo; legg. ai lati TUNDA-RITAN. Bibliografia: HOLM 1870, p. 222 nr. 527 (214-212 a.C.); HEAD 1911, p. 190 (254-210 a.C.), gr. 8; GABRICI 1927, p. 193 nnrr. 28-29 (?) (periodo romano), gr. 6,44-4,30; LANGHER 1977 (270264 a.C.); MINÌ 1979, p. 44 nr. 22 (cfr. 23-23/a)(dopo il 214 a.C.); CALCIATI 1983 p. 81, nr. 18 (254-214 a.C.); CAMPANA 2001, pp.72-73, nr. 15; CARROCCIO 2004, p. 94 nr. 17, tav. XXXIII (post 205 a.C.). Datazione: II guerra punica. 15) Tyndaris AE, 3,43 gr (4,90-2-gr), 18 mm. (Sexstans unciale-semiunciale) 23 esemplari. (Figura 88) D/Testa di Zeus capelli lunghi barb. laureato a d., dietro la nuca astro stephane a otto raggi oppure nulla, bordo perlinato. R/Aquila con ali aperte stante su fulmine, nel campo a d. partendo da d. in senso antiorario legg. TUNDARITAN, bordo perlinato. Bibliografia: HEAD 1911, p. 190 (254-210 a.C.), 7 gr; GABRICI 1927, p. 193 nr. 35 (periodo romano), 3,26 gr; MINÌ 1979, p. 443 nr. 24 (dopo il 214 a.C.), 4,10 gr; CALCIATI 1983, I, p. 81 nr. 19 (post 214 a.C.); CAMPANA 2001, p.75 nr. 18; CARROCCIO 2004 p. 94 nr. 12, tav. XXXIII (209208 e 207-200 a.C.). Datazione: II guerra punica. Questi esemplari si confrontano per la tipologia con una moneta argentea di Agrigentum del periodo della II guerra punica(M. H. CRAWFORD, Roman Republican Coniage, Cambridge, 1974, II, XIV, A). Probabilmente l’esemplare più pesante rappresenta il momento iniziale dell’emissione che ad un certo momento potrebbe aver subito una drastica riduzione ponderale. L’aquila è uno dei simboli più utilizzati nell’antichità per indicare il potere supremo del padre di tutti gli dei, Zeus. 16) Tyndaris AE, 2,57 gr (2,87-2,23 gr). (Sexstans semiunciale?). 4 esemplari. (Figura 89) D/Testa di Poseidone diad. barb. capelli lunghi a d., dietro la nuca astro a otto raggi, bordo perlinato. R/Tridente ornato, nel campo a d. TUNDA a s. RITAN, bordo perlinato. Bibliografia: HOLM 1870, p. 223 nr. 530 (214-212 a.C.); HEAD 1911, p. 190 (254-210 a.C.), 6,5 gr; GABRICI 1927 (periodo romano); MINÌ 1979, p. 439 nr. 21; CAMPANA 2001, p.77 nr. 24; CALCIATI 1983, I, p. 81 nr. 17; CARROCCIO 2004 p. 93 nr. 10, tav. XXXIII (post 211 a.C.). Poseidone e il tridente sono chiari riferimenti alla condizione e alle attività marittime di Tindari. 17) Tyndaris AE, 5,66 gr (6,50-4,50 gr), mm 19. (Pentonkia) 6 esemplari.(Figura 90) D/Testa laureata di Apollo imb. capelli lunghi a s.; davanti legg. in senso orario TUNDA(RIDOS ? RITAN) (evanida); bordo perlinato. R/Guerriero stante a s. con galea e corazza; nella mano s. impugna l’asta, con la d. tocca il bordo dello scudo appoggiato a terra; nel campo in alto a s. P (segno di valore); a d. AGAQURNOS; (legg. e segno di valore evanidi). Bibliografia: HOLM 1870, p. 177 nr. 391; HEAD 1911, p. 189 (ca 344 a.C.) 7,5 gr; GABRICI 1927, p. 192 nr. 4 (336-317 a.C.); MINÌ 1979, p. 439 nr. 6 a (380-254 a.C.); LANGHER 1977 (primi
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decenni del III sec. a.C..); CAMPANA 2001, p.74, nr. 17; CALCIATI 1983, I, p. 79 nr. 5 (380-254 a.C.); CARROCCIO 2004, p. 94 nr. 13, tav. XXXIII (207-200 a.C.). Datazione: post 210 a.C. Il guerriero sul rovescio è come indica la legg. AGQURNOS, l’eroe eponimo dell’antica città situata in una località ancora sconosciuta ad occidente di Tindari. Questa moneta è stata oggetto di diverse ipotesi: il conio da parte di Tindari per la vicina città di Agatirno, la recezione nel pantheon cittadino del culto di quest’ultima città, l’emissione come conseguenza di una alleanza o infine semplicemente la prova dell’espansione territoriale di Tindari sino a ricomprendere sotto il proprio dominio la città vicina. La Consolo Langher (CONSOLO LANGHER 1965) rigetta l’ipotesi che la serie possa attestare un’alleanza stipulata fra città della costa settentrionale dell’isola (Tindari, Agatirno, Lipari) contro Agatocle negli anni 310-306 a.C., ipotesi invocata appunto per la legg. AGAQURNOS e che troverebbe conferma in un’altra serie, nota già al Tropea e recante gli etnici di Lipari e di Tindari (HEAD 1911; LIBERTINI 1921). La studiosa ritiene invece che i tipi del D/ e del R/indizino una cronologia posteriore, richiamando l’analoga rappresentazione presente sulle più antiche serie mamertine, in particolare contrassegnate dalla medesima indicazione di valore e piuttosto riconduce la serie agli equilibri politici determinatisi nella cuspide nord-orientale dell’isola con il manifestarsi dei mamertini ai primi del III sec. a.C.. In particolare per la presenza del segno di valore e la tipologia riporterebbero ai pentonkia mamertini con testa di Apollo/Guerriero stante. Secondo il Campana (CAMPANA 2001) è plausibile una datazione al tempo della seconda fase della guerra annibalica. La Mastelloni (MASTELLONI 2004) sulla base del riconoscimento di una riconiazione su un esemplare di Ierone II rinvenuto negli scavi di Capo d’Orlando, data alla seconda metà del III sec. a.C. la moneta.
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4.1.3.5. Quinta fase (post 210 a.C.). Monetazione successiva all’ordinamento provinciale di M. Valerio Levino. Accanto ai Dioskouroi fanno la comparsa nuove divinità. 18) Tyndaris AE, (6-1,72 gr), mm 17. (Figura 91) D/Busto femminile (di Elena o di Demetra) ammantato, coronato di spighe, a d. con stephane ad otto raggi. R/ I pilei dei Dioskouroi, ciascuno sormontato da un astro a otto raggi; (sotto) TUNDARITAN; bordo perlinato. Bibliografia: HOLM 1870, p. 223 nr. 533 (214-212 a.C.); HEAD 1911, (254-210 a.C.); GABRICI 1927, p. 94 nr. 42 (periodo romano); CALCIATI 1983 (dopo il 214 a.C.); CAMPANA 2001, p.76 nr. 21;CARROCCIO 2004, p. 93 nr. 11, tav. XXXIII (211-208 e 208-190? a.C.). Datazione: post II guerra punica. I Dioskouroi sono rappresentati attraverso i pilei stellati, i loro simboli più celebri, . 19) Tyndaris AE, 3,69 gr (9,38-2,95 gr), 16 mm. (uncia - semiunciale).12 esemplari. (Figura 92) D/Busto di Atena con galea corinzia crestata d., bordo perlinato. a) Modulo e disegno largo (unciale). b) modulo e disegno stretto (semiunciale). R/Caduceo fra spiga di grano e ramo di ulivo (o alloro), legg. in esergo TUNDARITAN (evanida). Bibliografia: HEAD 1911, p. 190 (254-210 a.C.); GABRICI 1927, p. 193 nnrr. 38-41 (periodo romano); rispettivamente 4,21-3,97-3,79-3,61 gr; MINÌ 1979, p. 444 nr. 26; (dopo il 214 a.C.), gr. 3,08; CALCIATI 1983, I, p. 82 nr. 21 (dopo il 214 a.C.); CAMPANA 2001, p.75, nr. 19; CARROCCIO 2004 p. 94 nr. 20, tav. XXXIII (205-190?). Datazione: inizio II sec. a.C. I simboli del grano e dell’olivo riprodotti sul R/ insieme al caduceo di Hermes, simbolo del commercio, sono stati indicati come prova della ricchezza del territorio circostante la città. 20) Tyndaris AE, 3,21 gr (3,62-2,77 gr); 15 mm. (Uncia - semiunciale). 3 esemplari. (Figura 93) D/Busto di Atena con galea corinzia crestata d., bordo perlinato. R/Hermes con petaso stante a s., con patera nella d. protesa in atto di sacrificare; dal campo a s. in senso orario intorno TU-NDA, a d. RITAN .
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Michele Fasolo | Tyndaris | 97 Bibliografia: HEAD 1911, p. 190 (254-210 a.C.); HOLM 1870, p. 223 nr. 532 (214-212 a.C.); MINÌ 1979, p. 442 nr. 17; (254-214 a.C.); 2,77 gr; CALCIATI 1983, I, p. 81 nr. 13(254-210 a.C.); CAMPANA 2001, p. 76 nr. 20; CARROCCIO 2004, p. 94 nr. 21, tav. XXXIII (200-180). Datazione: inizio II sec. a.C. Il busto di Hermes sacrificante, divinità protettrice del Ginnasio e in stretta relazione con il culto dei Tindaridi (CIACERI 1911), richiama la preziosa statua d’oro rubata da Verre di cui parla Cicerone (cfr. HOLM 1870; PACE 1938; da ultimo CARROCCIO 2004). 21) Tyndaris AE, 2,40 gr (3.08-1,78 gr). 18 esemplari. (Sexstans semiunciale?). (Figura 94) D/Testa giovanile di Dionysos imb. capelli lunghi a d. con corona di edera?, bordo perlinato. R/Grappolo d’uva; intorno legg. TUND-ARITAN. Nel campo a s. in senso verticale due lineette (segno di valore). Bibliografia: DUHN 1876, pp. 31-32, nr. 18; HOLM 1870, p. 223 nr. 536 (214-212 a.C.); TROPEA 1901, p. 174 nnrr. 1-4 (2,2,05,2,20,2,25 gr); HEAD 1911, p. 190 (254-210 a.C.); GABRICI 1927, p.104 nr. 45 (1,78, 1,90,2,45,2,48,2,56,2,68,3,08 gr); MINÌ 1979, p. 445, nr. 29 (1,78-3,08 gr) (dopo il 214 a.C.), gr. 3; CALCIATI 1983, p. 82, nr. 24 (post 214 a.C.); CACCAMO CALTABIANO 1997, pp.48-49 n. 45; CAMPANA 2001, p.77; CARROCCIO 2004a, p. 153 nr. 14 (208-204 a.C.). Si tratta dell’unico tipo tindaritano in cui compaia Dioniso. Sul rovescio è un grappolo d’uva. Esplicita l’indicazione il valore di hexas-sextans attraverso due aste (II) in coerenza con l’adozione di standards ponderali romani, successivi alla riforma del sistema monetario romano del 212-211 a.C. La moneta sembra avere come riferimento un peso molto vicino al sextans semiunciale (2,27 gr). Anche su monete di Katane è stata riscontrata la medesima indicazione. Il Carroccio ha datato la moneta agli anni 208-200 a.C., nello stesso periodo dell’esemplare pilei/stephane ad otto raggi (infra nr. 24). 22) Tyndaris AE, 2,64 gr (2,78-2,50 gr). 2 esemplari. (Sexstans semiunciale?). (Figura 95) D/Busto alato di Eros a d.; bordo perlinato. R/Fulmine alato; legg. in alto TUNDA, sotto RITAN, bordo perlinato. Bibliografia: HEAD 1911, p. 190 (254-210 a.C.); HOLM 1870, p. 224 nr. 539 (214-212 a.C.); MINÌ 1979, p. 443 nr. 20; CALCIATI 1983, p. 81, nr. 16 (254-214 a.C.); 2,78 gr; CAMPANA 2001, p. 77 nr. 23; CARROCCIO 2004, p. 94 nr. 15 tav. XXXIV (post 208 a.C.). L’Eros potrebbe riprodurre il busto dell’Eros di Prassitele, nella collezione di C. Heius, ricordata da Cicerone (2 Verr., 4,2,4), portata a Roma nel 99 a.C. da C. Claudio Pulcro e poi restituita a Messina (2 Verr., 4, 3, 6). Trafugata da Verre nel 73 a.C. se ne perse infine ogni traccia (PARISI 1949). 23) Tyndaris AE, (1,84 gr). Unicum? (Figura 96) D/Busti Dioskouroi (pilei) accollati a d. R/Erma? stante front., a s. TUNDA e a d. RITAN, bordo lineare. Bibliografia: CALCIATI 1983, I, p. 82 nr. 29 (post 214 a.C.); CAMPANA 2001, p.79, nr. 28; CARROCCIO 2004, p. 94 nr. 21, tav. XXXIII (211-205). È stato supposto (CALCIATI 1983) che la presenza dell’Erma, di solito posta ai crocicchi stradali, possa fare riferimento all’importanza di Tindari quale nodo viario. 24) Tyndaris AE, (2,59-0.90 gr) (Unciale semiunciale?). (Figura 97) D/Pilei dei Dioskouroi, ciascuno sormontato da un astro a otto raggi, nel campo in basso XI, bordo perlinato, a) pilei dei Dioskouroi , ciascuno sormontato da un astro a otto ragg; b) in basso DIO. R/Astro a otto raggi nei quali è intercalata la legg. TU N D A R IT A N, bordo lineare. contorno a linea continua. a) Astro a otto raggi, centro non umbilicato. b) Astro a nove raggi, centro umbilicato. c) Stella a sei, otto o nove raggi, bordo di grossi puntini . Bibliografia: DUHN 1876, p.32 nr.22; HOLM p. 254 nr. 538 (214-212); TROPEA 1901, p.175, nnrr.14-15 (i,50-1,GO g); CUNTZ 1906, pp. 473-474; HEAD 1911, p. 190 (254-210 a.C.), 5 gr; GABRICI 1927, 1927, p. 194, nnrr. 53-56 (6,04, 8,29,9,83,10,03 gr), tav.X, nr. L (periodo romano); MINÌ 1979, p.445 nr. 33 (6,04-10,03 gr); CALCIATI 1983, I, p. 82 nr 23 (380-254 a.C.); MANGANARO 1988, pp. 12-13; CUTRONI 1995, p. 365, nota 3, tav. XII, nr.4; CACCAMO CALTABIANO 1997,
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pp. 48-49 n. 45, p. 51, n. 59; CACCAMO CALTABIANO 2000, p.213, n. 44; CAMPANA 2001, p.78, nr.26 (1,86 gr); ; CAMPANA 2001, p.78, nr. 26 A/a; CARROCCIO 2004a, p.93, nr.6 (211-205 a.C.); BUCETI 2010, nr. 25. Datazione: 211-205 a.c. Sia i pilei che le stelle sul dritto e il grande astro ad otto raggi sul rovescio alludono indirettamente ai Dioskouroi. Gli spazi tra un raggio e l’altro dell’astro sono campiti dalle lettere della legenda dell’etnico cittadino rinnovando così un tipo con stephane a otto raggi nel rovescio già in uso nel periodo greco (380-254 a.C.). Il segno di valore XI va sciolto come l’iniziale della parola greca calkoàj affiancata da un’asta indicante l’unità (“un chalkous”). Come nel caso di altre monete con la stessa iniziale X, emesse da alcuni centri vicini (Aitna, Katane e Centuripae), l’emissione è probabilmente avvenuta durante la seconda guerra punica (218201 a.c.) negli anni 211-205 a.c., in un momento di equiparazione ponderale dell’oncia siciliana all’oncia romana. 25) Tyndaris AE, (1-0.75 gr) esemplare. (Figura 98) D/Astro a otto raggi. R/Cetra. Bibliografia: BUCETI 2010, p. 437 nr. 28. L’attribuzione a Tindari appare incerta. 26)Tyndaris AE, gr. (Unciale semiunciale) Unicum? (Figura 99) D/Testa virile coronata a destra; bordo perlinato. R/Stella con 16 raggi. Bibliografia: CALCIATI 1983, I, p. 83; CAMPANA 2001, p.79, nr. 27. 27) Tyndaris AE, (Figura 100) D/Busto femminile (Elena) ammantato a d. con stephane. R/Cetra. Bibliografia: GABRICI 1927,, p. 193 nnr. 22 (periodo romano); gr. 2,50; MINÌ 1979, p. 444 nr. 25 (dopo il 214 a.C.). 28) Tyndaris AE, (1,50 gr). Unicum ? (Figura 101) D/Aquila su fulmine a dx; bordo perlinato. R/Fulmine alato; nel campo a dx leggenda TUNDA e a s. RITAN, bordo perlinato. Bibliografia: 4.1.3.6. Sesta fase (monetazione di età romana con leggenda latinaa). Periodo di occupazione della Sicilia da parte di Sesto Pompeo 29)Tyndaris AE. Semis pompeiano?Unicum? (Figura 102) D/Delfino a s.; all’intorno A. POMP. A. FL[—-] COL TVN (tracce di riconiazione). R/Pilei dei Dioskouroi L·V·D[ ...]M[...]II[-]VIR . Bibliografia: HEAD 1911, p. 190; GABRICI 1927, p. 194, nnrr. 53-56; MINÌ 1979, p.445 nr.33; MANGANARO 1988, pp. 12-13; CACCAMO CALTABIANO 2000, p.213, n. 44; CAMPANA 2001, p.78 nr.26 (1,86 g); CARROCCIO 2004a, p.93, nr.6; CARROCCIO 2004b, p.285. lav.38, nr. 649; CUTRONI 1995, p. 365, nota 3, tav. XII, nr.4. Questo unico esemplare è comparso sul mercato antiquario tedesco. Potrebbe essere stato emesso dopo la conquista dell’Isola da parte di Sesto Pompeo nel novembre del 43 a.C. È stato attribuito a Tyndaris dal Martini in via del tutto congetturale. La lettura del poleonimo COL[·]TVN è infatti incerta per il pessimo stato di conservazione e “la tipologia avrebbe potuto ingenerare 1’equivoco con un’altra zecca siciliana, Segesta”. Sono presenti tracce di riconi-azione: sul dritto in particolare una testa rivolta a d appare al di sotto della figura del delfino. Incerti anche i nomi dei magistrati. Sul dritto il nome possibile A POMP potrebbe essere ricondotto secondo il Martini a A POMP(eius) Bithinicus , propraetor della Sicilia nel 44 a.c. sotto Cesare e praetor dal 43-42 a.c., quando fu fatto uccidere da Sesto Pompeo a A POMP(onius) M. f. Vic(tor) , quaestor ad aerarium(?) in Africa Vetus nel 47 o forse nel 46 a.c., che forse emise una moneta per Utica. La sigla successiva A. FL. andrebbe ricondotta invece al magistrato A. FL.(minivs?) Flamma, praefèctus della flotta di Sesto Pompeo nel 49 a.c. ad
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Michele Fasolo | Tyndaris | 99 Utica. Si tratta di personaggi vicini a Sesto Pompeo. Sul rovescio il riferimento a duoviri (II[·]VIR) non ne reca i nomi. A Tyndaris sono attestati grazie ai ritrovamenti archeologici assi emessi da Sextus Pompeius provenienti da zecche siciliane. In passato sono state attribuite a Tindari anche alcune emissioni dell’epoca di M. Antonio recanti i nomi di C IULIUS LONGUS e M. VIPSANO. Molto probabilmente sono da attribuire a Segesta (CALCIATI 1983 I, p. 83 nnrr. 25, 26, 27, 28, 30). 4.1.3.7. Settima fase (età augustea) Come per la fase precedente anche per queste altre serie monetali l’attribuzione a Tindari rimane incerta. 30) Tyndaris AE,(11,70-4,85 gr), 19-22 mm. (Asse). 27 esemplari. (Figura 103) D/ Testa di Augusto a d.; nel campo entro contorno di puntini AVGVSTVS o [COL TYN] AVGVSTVS. R/ L. STATIVS FLACCVS P COTTA BAL II VIR o L.5TATI COTTA; all’interno di una corona di alloro con contorno puntinato esterno SISENNA / PR COS o SISENNA PRO CO. Bibliografia: GABRlCI 1927, p. 162, nnrr. 337-338 (6,32-7,86 gr) 22 mm; MARTINI 1991, pp. 66-70 nnrr. 111-133; p. 164, tav. XII, nnrr. 111-122, tav. XIII, nnrr.123-133; CAMPANA 2001, p. 81 nr. 30 (7,73 gr). La testa di Augusto appare sul dritto delle serie voluta da Sisenna contornata da un bordo perlinato. Sicuramente leggibile è AVGVSTVS. Sul rovescio un contorno puntinato esterno che circonda una corona d’alloro al cui interno è racchiusa su due righe la legenda Sisenna, autore della serie. I nomi dei duoviri delle leggende del rovescio sono uno L. Statius Flaccus e l’altro P. Cotta Bal. , riportato in forma abbreviata. Sisenna forse fu il secondo proconsul attivo a Tyndaris negli anni immediatamente successivi alla deduzione coloniara voluta da Augusto. Lo si potrebbe identificare con Sisenna, tresvir aaaff nel 5 a.c. , noto per alcune emissioni (Roman Imperial Coinage). 31) Tyndaris AE, asse I (9,20-4,85). 9 esemplari(Figura 104) D/Testa nuda di Augusto a d. AUGUSTUS NDAR. R/L./ MUSSIDI /PRICOS, su tre righe, dentro una corona di alloro; all’intorno L. STATI P. COTTA (generalmente illegibile). Bibliografia: HOLM 1870, p. 258 nr. 757; GABRICI 1927, p. 194 nnr. 63-64; MANGANARO 1972, p. 458; MINÌ 1979, p. 446 nr. 36 (dopo il 214 a.C.); MANGA;NARO 1988, p.22; MARTINI 1991, pp. 71-73, nnrr.134-139 MARTINI 1998, p.667, n. 5; CAMPANA 2001, p. 82 nr.31. La testa di Augusto compare sul dritto rivolta a destra ed è molto simile a quella rappresentata nell’emissione di Sisenna, tanto che il Martini ha ipotizzato il medesimo incisore. Il proconsul Mussidio Longo, autore dell’emissione, presente sul rovescio è stato identificato con il magistrato L. Mussidius Longus, di cui sono conosciute diverse emissioni degli anni immediatamente successivi all’uccisione di Cesare, e che è noto per l’attività di IIIvir monetale nel 39 a.C. Fu governatore della Sicilia sotto Augusto L. Mussidius (RE, XVI 1, 1933, 900 nr. 1; Thomasson, 1). Molti studiosi concordano sulla datazione al 21 a.C., sul valore e sull’attribuzione alla zecca di Tyndaris, da ultimo risolutivo uno studio del Pitotto (PITOTTO 1996). La moneta come quella di Sisenna avrebbe avuto intento celebrativo della deduzione della Colonia Augusta. Sono presenti peraltro anche tracce di riconiazione e molti studiosi continuano a non ritenere la moneta tindaritana per le incertezze di lettura in particolare dell’etnico sugli esemplari in mediocre stato di conservazione. Di diverso avviso il Manganaro secondo cui al contrario l’emissione proverebbe che Tindari, quando fu coniata la moneta col nome del proconsole Mussidio, non era ancora colonia poiché in Sicilia per nessuna colonia augustea è nota tale tipo di monetazione. Emissioni in bronzo, caratterizzate dalla testa di Augusto, si registrano per tre città, Agrigentum, Lilybaeum, Panhormus, oppida in Plinio, probabilmente municipia latina e per l’appunto Tyndaris.
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412
Trad. it. di A. I. D’Accinni: “Nello stesso tempo gli Zanclei di Sicilia mandavano messaggeri nella Ionia e invitavano gli Ioni a Calatte, volendo fondare là una città di Ioni; questa località detta Calatte è in Sicilia nella parte dei Siculi volta verso il paese dei Tirreni”. 413 Trad. it. di C. Moreschini: “Queste isole giacciono all’altezza del territorio dei Siculi e dei Messeni, ed erano alleate di Siracusa”. 414 Trad. it. di C. Moreschini: (i Siculi) “La abitarono possedendo, dopo la traversata, le parti migliori della terra, circa trecento anni prima della venuta dei Greci in Sicilia. Anche ora posseggono le regioni centrali e quelle volte a borea”. 415 La chora si estendeva sino a MÚlai, e più precisamente secondo il Bernabò Brea sino al corso del fiume Mela: BERNABÒ BREA 1975, p. 6. 416 LA ROSA 1989, pp. 3-112. 417 Dion. Hal. (ant. I, 22, 3; cfr. Steph. Byz. s.v. Sikelίa 566,20-568,14) riporta le varie datazioni di questo movimento migratorio dalla penisola, sia quelle precedenti la guerra di Troia di Ellanico (tre generazioni prima) e di Filisto di Siracusa (ottant’anni prima) sia quella posteriore di Tucidide (trecento anni dopo) come anche il silenzio sulla questione da parte di Antioco. Antioco e Tucidide appaiono considerare l’ethnos siculo già definito al momento del passaggio in Sicilia a differenza di Filisto di Siracusa e di Ellanico che parlano rispettivamente il primo di Liguri e il secondo di Ausoni. 418 La sola menzione nelle fonti storico letterarie è quella nel dizionario geografico di Stefano Bizantino (Steph. Byz. 418.19-20 < Λογγώνη,> Σικελίας πόλις. ὁ πολίτης Λογγωναῖος. Φίλιστος δεκάτῳ). L’esistenza del centro, il cui territorio era il primo ad ovest della chora di Z£gklh-Mess»nh, è inoltre attestata da alcune litre d’argento, riportanti la scritta LOGGANAION e raffiguranti nel diritto la testa giovanile di Eracle e nel rovescio la testa di un dio fluviale (RIZZO 1946, p. 64, tav. LIX, 29), e da un caduceo bronzeo, attualmente al British Museum, che reca sullo stelo l’incisione LONGENAIOS EMI HMOS[IOS]. Conosciamo da Polibio (I, 9, 7) anche un idronimo corrispondente, il fiume Λογγανὸν (riportato come Λοίτανοj da Diod. XXII,13,2), lungo il cui corso si svolse, probabilmente nel 269 a.C., una cruciale battaglia tra i Siracusani guidati da Hieron II e i Mamertini di Kios (Diod. XXII 13; Polyb I, 9, 7). Le ricerche svolte dal Ryolo al fine di individuare l’antico campo di battaglia portarono lo studioso a
4.1.4. Fonti storico-letterarie 4.1.4.1. Prima di Tindari (metà XII – fine V sec. a.C.). I Siculi Herodotos, Ἱστορίαι, VI, 22.2. Zagkla‹oi g¦r oƒ ¢pÕ Sikel…hj tÕn aÙtÕn crÒnon toàton pšmpontej ™j t¾n ‘Iwn…hn ¢ggšlouj ™pekalšonto toÝj ”Iwnaj ™j Kal¾n ‘Akt»n, boulÒmenoi aÙtÒqi pÒlin kt…sai ‘Iènwn: ¹ dû Kal¾ aÛth ‘Akt¾ kaleomšnh œsti mûn Sikelîn, prÕj dû Turshn…hn tetrammšnh tÁj Sikel…hj.412 Thukydides, Ἱστορίαι, III, 88.3. ke‹ntai dû aƒ nÁsoi aátai kat¦ t¾n Sikelîn kaˆ Messhn…wn gÁn, xÚmmacoi d’ Ãsan Surakos…wn.413 Thukydides, Ἱστορίαι, VI, 2.5. kaˆ τ¦ κράτιστα tÁj γÁj ᾤκησαν ἔχοντες, ἐπεὶ διέβησαν, ἔτη ἐγγὺς τριακόσια πρὶν Ἕλληνας ἐς Σικελαν ἐλθεῖν· œti dû kaˆ nàn t¦ mšsa kaˆ t¦ prÕj borr©n tÁj n»sou œcousin.414 L’area della Sicilia settentrionale che si interpone tra le due chorai greche di Z£gklhMess»nh415, a est, e di `Imšra, a ovest, è menzionata nel V secolo a.C. da Erodoto e da Tucidide come il territorio abitato dai Siculi416; infatti più in generale spettava tradizionalmente ai Siculi tutta la Sicilia a est dei due fiumi Imera. Il loro arrivo in Sicilia dalla penisola italica era considerato dalla storiografia antica un avvenimento precisabile storicamente tanto da ritenere plausibile farlo risalire a tre generazioni, o al più ottant’anni prima della guerra di Troia oppure, molto dopo di questa, a trecento anni prima dell’arrivo dei Greci nell’Isola417. In questa zona, non lontano dalla costa, conosciamo, traditi dalle fonti storiografiche antiche, i nomi di una serie di centri abitati dei Siculi. Quasi tutti sono ancora oggi di controversa identificazione sul terreno, di cronologia incerta e scarsamente oggetto di indagini: da est ad ovest Logg£nh418, ‘Ab£kainon419, ‘Ag£qurnon420, ‘AlÒntion421, ‘Apollwn…a422. Insieme a questi la ricerca archeologica ne ha messo in luce altri, dei quali non conosciamo i nomi antichi, sulle prime colline che dalla costa si incontrano lungo le direttrici per l’entroterra. Essi hanno in comune alcune caratteristiche insediamentali423: Rocca di Pietro Pallio (Castroreale)424, Pizzo Lando425 e monte S. Onofrio426 (Barcellona Pozzo di Gotto), Gioiosa Guardia (Gioiosa Marea)427, monte Scurzì (Militello Rosmarino)428. Infine due insediamenti presso Patti, sulla collina dove in seguito sorse la città di Tindari429, e a Monte di Giove430. Sia gli uni che gli altri, si è ipotizzato431, sia pure in un quadro di dati esigui, solamente per alcuni attestanti precedenti in età protostorica, abbiano preso definizione tra l’età del bronzo e quella del ferro, in conseguenza soprattutto ma non solo di movimenti etnici e culturali provenienti dalla penisola italica432. Di tali movimenti, susseguitisi in più ondate di gruppi umani per più secoli433, la diàbasis dei siculi costituirebbe l’episodio recenziore. Alcuni di questi insediamenti paiono essere stati epicentro di una delle tante realtà, ristrette ed omogenee di cui per assenza di dati sfugge ogni configurazione434, che si è compreso componevano il variegato e frammentato mosaico dell’ethnos siculo435. Ciascuno di questi centri controllava, in un quadro di economia agricola-pastorale, non senza ricadute marittime436, estese fasce di territorio che dalla costa si prolungavano verso l’entroterra, raggiungendo a volte il versante meridionale dei monti Nebrodi.437 A partire dal VII secolo a.C. iniziamo a percepire in questi territori lo sviluppo dei contatti tra i coloni greci e le comunità indigene. La critica più recente lo interpreta come uno degli aspetti propulsivi di una più complessa evoluzione delle società locali verso assetti sociali e politici più strutturati. Vi svolgono ruolo primario e continueranno ad esserne protagoniste rilevanti, anche se non uniche, le città calcidesi, sino agli inizi del V secolo a.C., allorché Siracusa avanzerà verso la cuspide dello Stretto. Al riguardo mancano
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Michele Fasolo | Tyndaris | 101 testimonianze archeologiche circostanziate circa l’impatto della colonizzazione greca sui centri indigeni dell’età del Ferro sia nell’età precoloniale che nei primi decenni d’avvio dell’insediamento coloniale. Alcuni studiosi come il Vallet hanno fornito una lettura della penetrazione calcidese in termini generalmente non aggressivi verso gli epicori, mentre altri come l’Asheri e il Manganaro si sono dimostrati di diverso avviso riconducendo alla resistenza delle popolazioni sicule l’insuccesso e le conflittualità di alcune esperienze coloniali, rispettivamente richiamando Calacte il primo, e Milazzo il secondo studioso438. Certamente il fenomeno negli studi più recenti si ritiene debba essere valutato in termini meno dicotomici (Calcidesi pacifici e mercantili da una parte e Dori aggressivi dall’altra) e diversamente da zona a zona in considerazione delle specifiche condizioni ambientali ed economiche presenti439. Circa i rapporti dei Siculi con i Greci maggiori notizie abbiamo a partire dal V sec. a.C. All’inverno del 426/5 risale la prima attestazione440 di una collaborazione tra i Siculi della zona tirrenica e gli Ateniesi, a proposito di un’azione militare congiunta nel territorio di Himera che poi prosegue con una incursione nelle isole Eolie ma già l’estate dell’anno precedente gli ateniesi si erano impegnati con alleati non specificati, presumibilmente i Siculi dei dintorni, contro Mylai441. Forse a quegli stessi anni risale l’iscrizione frammentaria442 riportante una lista di contributi finanziari versati agli Ateniesi da Siculi, che non possiamo purtroppo precisare per frammentarietà della fonte. Tale collaborazione evolverà in alleanze ricordate da Tucidide in relazione alla grande spedizione del 415-413 a.C. che permetteranno l’attraversamento dei territori siculi, con l’apertura dei passi lungo le non facili e impervie mulattiere dell’interno dell’Isola443, ed assicureranno supporto logistico alle truppe ateniesi. L’alleanza troverà brusca conclusione, con alcune defezioni, nel 414/3 a.C. a seguito della disfatta delle forze ateniesi e della morte del loro principale alleato tra i Siculi, Arconide I444. Dalla philia e symmachia con gli ateniesi i Siculi approderanno nel giro di pochi anni nell’ambito di una prospettiva geopolitica di lunga durata anticalcidese ed antisiracusana ad un’alleanza con i Cartaginesi. L’atteggiamento di Abakainon ne è uno degli esempi. I Punici, riaffacciatisi aggressivamente in Sicilia nel 410 a.C., settant’anni dopo la catastrofe di Himera, se ne avvalgono nella grande offensiva che intraprendono contro la Grecità. I Siculi ne saranno ripagati nel trattato di pace del 405 a.C.445, proprio grazie alla protezione punica446, con la garanzia dell’autonomia e da Siracusa e dai Cartaginesi.447 4.1.4.2 La fondazione di Tindari (inizi del IV sec. a.C.). Diodorus Siculus, Bibliotheca historica, XIV, 78.1-7. DionÚsioj dû qewrîn toÝj misqofÒrouj ¢llotriètata prÕj aÙtÕn œcontaj, kaˆ foboÚmenoj m¾ di¦ toÚtwn kataluqÇ, tÕ mûn prîton ‘Aristotšlhn tÕn ¢fhgoÚmenon aÙtîn sunšlabe, met¦ dû taàta toà pl»qouj suntršcontoj met¦ tîn Óplwn kaˆ toÝj misqoÝj pikrÒteron ¢paitoÚntwn, tÕn mûn ‘Aristotšlhn œfhsen ¢postšllein e„j Lakeda…mona kr…sin ™n to‹j „d…oij pol…taij Øfšxonta, to‹j dû misqofÒroij æj mur…oij oâsi tÕn ¢riqmÕn œdwken ™n to‹j misqo‹j t¾n tîn Leont…nwn pÒlin te kaˆ cèran. ¢smšnwj d’ aÙtîn Øpakous£ntwn di¦ tÕ k£lloj tÁj cèraj, oátoi mûn kataklhrouc»santej õkoun ™n Leont…noij, Ð dû DionÚsioj ¥llouj misqofÒrouj xenolog»saj, toÚtoij te kaˆ to‹j ºleuqe rwmšnoij o„kštaij ™nep…steuse t¾n ¢rc»n. Met¦ dû t¾n tîn Karchdon…wn sumfor¦n oƒ diaswzÒmenoi tîn ™xhndrapodismšnwn kat¦ Sikel…an pÒlewn ºqro…zonto, kaˆ t¦j „d…aj komizÒmenoi patr…daj ˜autoÝj ¢nel£mbanon. DionÚsioj d’ e„j Mess»nhn katókise cil…ouj mûn LokroÚj, tetrakiscil…ouj dû Medma…ouj, ˜xakos…ouj dû tîn ™k Peloponn»sou Messhn…wn, œk te ZakÚnqou kaˆ Naup£ktou feugÒntwn. qewrîn dû toÝj Lakedaimon…ouj proskÒptontaj ™pˆ tù toÝj Øf’ ˜autîn ™kbeblhmšnouj Messhn…ouj ™n ™pis»mJ pÒlei katoik…zesqai, met»gagen ™k Mess»nhj aÙtoÚj, kaˆ cwr…on ti par¦ q£lattan doÝj tÁj ‘Abakain…nhj cèraj ¢petšmeto kaˆ prosèrisen Óson aÙtÕj mšroj ¢petšmeto. oƒ dû
identificare il fiume nell’attuale Rodì Termini o Patrì e successivamente insieme al Bernabò Brea a localizzare nel 1965 la città indigena sullo sperone montuoso di Monte Ciappa (442 m s.l.m.) e sull’altopiano in contrada Pirgo poco più a sud di Rodì Milici, tra il torrente Patrì e il Mazzarrà. I due complessi costituiti da monte Marro (203 m s.l.m.) e monte Gonia (360 m s.l.m.) nella porzione settentrionale e l’altro comprendente Monte Lombia (431 m s.l.m.), pizzo Ciappa (442 m sl.m.), pizzo Cocuzzo e monte Pirgo (480 m s.l.m.) a sud, sembrano costituire una zona di insediameno articolato in nuclei. ZIEGLER 1927; BERNABÒ BREA 1950, pp. 3-11; BERNABÒ BREARYOLO DI MARIA; BERNABÒ BREA 1967; BERNABÒ BREA- CARRETTONI; MASSA 1991; CAVALIER 1992. 419 La prima identificazione generica del città sicula con Tripi si deve al Bonfiglio: “Ma dinanzi a lei (Patti) è il fiume Simeto (sic), il fiume Elicona, Fornari, piccolo castello, e Triplo, creduto che fosse l’antico Abaceno”, BONFIGLIO 1604-1613, p. 18. Il Salinas ne localizzò nel 1886 il sito del centro abitato in località Il Piano (300 m s.l.m.) dove il Villard effettuò nel 1952 una serie di scavi che permisero di accertare la frequentazione del sito nel Neolitico (Stentinello), nell’età del bronzo e in quella del ferro con corrispondente necropoli di grotticelle artificiali a cella rotonda con banchine . Le ricerche altresì portarono alla luce resti monumentali di epoca ellenistica e romana. Dopo gli scavi della Cavalier nel 1961 nuove indagini sono state intraprese nel 1994 nell’area della necropoli alto ellenistica e una campagna di prospezioni di superficie è stata condotta da parte dell’università di Messina negli anni 2008-2009. SALINAS 1886, pp. 463-465; HÜLSEN 1898; VILLARD 1954, pp. 46-50; CAVALIER 1966, p. 89; MANNI 1981, p. 131; WILSON 1990, p. 149; BACCICOPPOLINO 2009; LA TORRE 2009, pp.129-151. 420 Le origini di Agathyrnon potrebbero risalire in base all’esegesi del racconto di Diodoro (V, 7, 4 – 8,2) che la dice ktisis di Agathyrnos, uno dei figli di Eolo, all’età del bronzo (BERNABÒ BREA 1958, p. 183; TUSA 1983, pp. 505-506), secondo una prospettiva che tenta di ricondurre il mito ad eventi effettivamente avvenuti piuttosto che a retroproiezioni ideologiche di matrice calcidese delle realtà precoloniali. Ad oggi manca una sicura localizzazione sul terreno del centro di cui è attestata una serie monetale in cui compare l’eroe eponimo. L’identificazione avanzata in passato con Capo d’Orlando (Fazello, Holm, Hülsen,
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Manganaro contra Cluverius, Parisi, Pareti, Uggeri) sembra aver trovato una suggestiva corrispondenza nella scoperta di un settore di insediamento protostorico (tarda età del bronzo riferibile all’Ausonio I e II) durante scavi condotti dalla Soprintendenza di Messina negli anni 2000-2001 a Capo d’Orlando presso le pendici occidentali del promontorio arroccato sul mare di Monte della Madonna. Più a valle è stata documentata la continuità di occupazione del sito durante l’età del Ferro e sino all’età storica. Inoltre rinvenimenti sporadici di terrecotte figurate hanno fatto ipotizzare la presenza di un luogo di culto frequentato tra il tardo arcaismo e la prima età ellenistica. MANNI 1981, pp. 138-139; SCURRIA 1981; SCIBONA 1985; WILSON, 1990, pp. 12, 157; AA.VV. 2004. 421 Le fonti letterarie ricordano in più punti le origini mitiche del centro, Dopo gli scavi archeologici che hanno documentato le evidenze di IV-III sec. a.C. alcune indagini recenti, seppure limitate, hanno colto a San Marco d’Alunzio, località dove la maggior parte degli studiosi collocano Halontion, la presenza di un insediamento già tra l’Età del Bronzo e quella del Ferro, che prosegue, come dimostrano i materiali frammentari rinvenutivi, fino al VI secolo a.C. HÜLSEN 1898; BERNABÒ BREA 1975, p. 12; MANNI 1981, pp.141-142; BONANNO 2000, p. 76. 422 Anche l’identificazione di Apollonia con l’insediamento di Monte Vecchio di San Fratello è stata dibattuta (contra MANNI 1981, p. 145). Le ricerche intraprese di recente in questa località, limitate in profondità, e che hanno riguardato per ora solamente un settore dell’acropoli non hanno documentato prove di un’occupazione del sito in epoche precedenti l’età ellenistica. HÜLSEN 1895; MANNI 1981, p. 145; WILSON 1985, pp. 296-299; BONANNO 2008. 423 Gli insediamenti si dislocano prevalentemente su alti pianori o aree sommitali (tra i 400 e i 600 m s.l.m.), difesi naturalmente, dominanti ampie vallate e direttrici rilevanti, spesso protetti da alture che interrompono la continuità delle dorsali declinanti dallo spartiacque dei Nebrodi sino alla costa, da cui si distanziano in genere dai 3 ai 6 km. Sono riscontrabili però casi anche di insediamenti sulla costa (Capo d’Orlando, Monte di Giove). 424 Nell’area della Rocca di contrada Pietro Pallio, formazione calcarenitica emergente tra il torrente Patrì ed il Longano, tracce di frequentazione nella prima fase del neolitico siciliano (V-IV millennio a.C.) furono individuate e segnalate dall’architetto
Mess»nioi t¾n mûn pÒlin çnÒmasan Tundar…da, politeuÒmenoi dû prÕj aØtoÝj eÙno#kîj kaˆ polloÝj politografoàntej tacÝ ple…ouj pentakiscil…wn ™gšnonto. Met¦ dû taàta e„j t¾n tîn Sikelîn cèran pleon£kij strateÚsaj Mšnainon mûn kaˆ Morgant‹non eŒle, prÕj ”Agurin dû tÕn ‘Agurina…wn tÚrannon kaˆ D£mwna tÕn dunasteÚonta Kentorip…nwn, œti d’ `Erbita…ouj te kaˆ ‘Asswr…nouj sunq»kaj ™poi»sato: paršlabe dû di¦ prodos…aj Kefalo…dion kaˆ Soloànta kaˆ t¾n ”Ennan: prÕj dû toÚtoij prÕj `Erbhss…nouj e„r»nhn ™poi»sato. kaˆ t¦ mûn kat¦ Sikel…an ™n toÚtoij Ãn.448 Conosciamo gli eventi che portarono alla fondazione di Tindari solamente grazie alla breve menzione449 che ne fa con riferimento ai densi avvenimenti raccolti nell’anno 396/395 a.C.450, circa tre secoli e mezzo dopo, nella sua monumentale opera lo storico siceliota Diodoro Siculo451. Conclusa vittoriosamente la prima parte della sua seconda guerra contro i Cartaginesi, ritornati gli sfollati sopravvissuti nelle loro città distrutte, la ricostituzione delle comunità cittadine decimate dalla guerra è la questione fondamentale ed ineludibile che Dionysius I va ad affrontare per conferire sicurezza durevole alle sue conquiste territoriali. Per il tiranno questa è inoltre l’occasione politica da cogliere per dare, insieme al saldo del dovuto, utile soluzione economico-sociale alle aspettative di sistemazione delle truppe mercenarie, i misthophoroi. Questi, presenti in gran numero nella Sicilia tra V e IV sec. a.C., lo avevano sì sostenuto nel conflitto ma ora, cessate le ostilità, in procinto di essere smobilitate, incombevano sediziose sulla sicurezza del nuovo stato territoriale che egli andava costituendo. Diecimila veterani accorrono, così soddisfatti del loro misthòs a fine servizio, verso i fertili campi di Leontinoi loro assegnati da Siracusa. A Mess»nh, distrutta da Imilcone nel corso della campagna del 399 a.C., per rinfoltire il corpo cittadino e quasi come sfida a Rhégion, il tiranno stanzia (katókise) cinquemila e seicento coloni, tra Locresi, Medmei452 e Messeni del Peloponneso. Le sopraggiunte proteste degli alleati spartani453, cui Dionysius I doveva la messa a disposizione di un vasto serbatoio di milizie mercenarie peloponnesiache, avrebbero determinato il sovrano a spostare il contigente ulteriormente assegnandogli una località “vicino al mare alla quale annesse una parte di territorio tolta ad Abakainon”. Gli Spartani erano evidentemente sensibili agli equilibri geopolitici e consapevoli delle possibili conseguenze in ambito mediterraneo dell’insediamento nell’area sensibile e cruciale dello Stretto di un gruppo etnico, quello messeno, loro storico rivale. Il cambiamento di destinazione ha come prima conseguenza una significativa modificazione della geografia politica del territorio a danno dei Siculi di Abakainon, cui parte della chora viene sottratta.454 Il confine orientale di questa chora correva probabilmente lungo il corso del Mazzarrà mentre quello occidentale si fermava sulla riva destra dell’attuale Timeto. La data di fondazione potrebbe essere forse posticipata di poco rispetto a quella frutto di una lettura in termini di datazione convenzionale, 396 a.C., che del brano sinora si è fatta455 . Quel che appare importante è la chiarezza del contesto strategico in cui essa avviene: il consolidamento, subito dopo la disfatta dei cartaginesi di Imilcone ed il loro abbandono dell’isola, del controllo da parte di Siracusa della fascia costiera settentrionale, e della rotta che la costeggiava, in un quadro di relazioni con le popolazioni sicule, che il brano permette di ricostruire nella loro diversificazione, forse anche areale, ricordando le successive spedizioni di Dionysius I nel cuore del territorio siculo, con prese di città, ma anche la sua politica fatta di trattati di alleanza e di accordi di pace. Un contesto certamente più ampio e lungimirante di quello che la ricostruzione non del tutto convincente e forse ideologica in chiave filo messenica che la fonte recepita da Diodoro per la sua narrazione fa intravedere e che in definitiva riconduce la fondazione di Tindari all’opposizione accidentale degli Spartani, piuttosto che a una scelta strategica precisa. Decisivi appaiono piuttosto in quest’area due aspetti: il controllo della rotta marittima che dalla costa tirrenica conduce in Africa456 che in corrispondenza delle Isole Eolie e della costa siciliana si immette in un ristretto corridoio di mare, e poi l’interdizione di una zona portuale, tra i corsi degli attuali
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Michele Fasolo | Tyndaris | 103 torrenti Timeto ed Elicona, verso cui di dirige una rilevante direttrice dall’entroterra che percorre la dorsale che discende dallo spartiacque dei Nebrodi concludendosi sul mare nel promontorio di Tindari (ΤÚνδαρίj £κρα). Proprio in questo punto la dorsale offre l’unico punto di valico agevole, nella sella tra Locanda e Tindari, all’altra importante direttrice EO, che corre parallela alla costa. Un contesto pianificatorio che trova corrispondenza corroborante nei protagonisti prescelti per la fondazione, seicento uomini d’arme messeni457, che scacciati dagli Spartiati da Cefallenia e da Naupatto458, privati della patria e senza alcun retroterra, erano stati, qualche anno prima, assoldati da Dionysius I459 e avevano fatto rotta, molto probabilmente con le famiglie al seguito, verso la Sicilia dove si erano messi al suo servizio e che sostanziano a noi moderni abbastanza chiaramente, l’origine e il carattere che il loro insediamento, guarnigione stabile ed agguerrita di professionisti della guerra, veniva ad assumere su un territorio ostile ancora da sottomettere.460 Un contesto coerente con la capillare distribuzione di guarnigioni nella mesogaeia e nella paralia delle popolazioni sicule. Le successive spedizioni che il brano ricorda sono inquadrabili in una strategia che da un lato affronta tutte quelle realtà che nel cuore della mesogaia e più a nord sembrano interdire o poter condizionare il collegamento tra il Siracusano e la costa settentrionale della Sicilia, sia militarmente nel caso di Menainon e Morgantina, Enna, Solunto e Cefaledio, sia con trattati di pace, nel caso di Erbesso, sia infine con il consolidamento delle alleanze, con Agirio, Centuripe, Erbita e Assoro461. Lo Ziegler ha ipotizzato che il nome prescelto per la città piuttosto che configurare una ulteriore connotazione antispartana, con la rivendicazione da parte dei Messeni del culto dei Dioscuri462 o del padre Tindareo, fosse preesistente alla fondazione denominando il promontorio in onore delle due divinità protettrici dei naviganti.463 A Tindari le scelte compiute si riveleranno avvedute e fortunate dato che come nota Diodoro “i messeni...in poco tempo, grazie al loro buon governo e alle numerose concessioni della cittadinanza, diventarono più di cinquemila464”. Ovvero la rapida evoluzione di un insediamento dalla chiara connotazione militare in una robusta e promettente colonia di popolamento è l’ulteriore elemento che il passo di Diodoro porta alla nostra attenzione senza che però ci sia chiarezza sui tempi in cui questa trasformazione del carattere dell’insediamento si realizzò. La circostanza che Timoleonte raccolga nel 344 a.C da Tindari stratiètaj oÙk Ñl…gouj prova che la città ha già raggiunto prima della metà del IV sec. a.C., con una crescita che deve essere stata vigorosa nei decenni tra il 391 a.C. e la metà del secolo, quella consistenza demografica che Diodoro ricorda nel brano in cui si menziona la fondazione del centro. Per quanto riguarda il periodo immediatamente successivo alla fondazione rimane aperta la questione se la guarnigione fosse soggetta direttamente al tiranno con sîtos, o metrema465 da corrispondersi in natura, o autonoma senza onere di spesa per la dynasteia. L’assenza di rinvenimenti a Tindari di quelle serie di coniazioni, usate dal tiranno per mantenere in piedi il sistema di guarnigioni, come quelle caratteristiche che recano Atena/astro e delfini ed Atena/ippocampo, invece presenti nei rinvenimenti di tutti i centri di controllo realizzati da Dionysius I, indizia una autonomia del nuovo centro. Non sappiamo se gli abitanti avessero con quelli di Siracusa l’™pigam…a e il gÁj kaˆ oik…aj œgathsij. Sicuramente soggette a un tributo a Siracusa erano le popolazioni sicule466. 4.1.4.3. I decenni successivi alla fondazione. Dall’epikrateia siracusana all’autonomia. Diodorus Siculus, Bibliotheca historica, XIV, 90.2-4 Μάγων ὁ τῶν Καρχηδονίων στρατηγὸς διέτριβε μὲν ἐν Σικελίᾳ, τὰ δὲ πράγματα τῶν Καρχηδονίων ἀπὸ τῆς γεγενη μένης συμφορᾶς ἀνελάμβανε· ταῖς τε γὰρ ὑποτεταγμέναις πόλεσι φιλανθρώπως προσεφέρετο καὶ τοὺς ὑπὸ Διονυσίου πολεμουμένους ὑπεδέχετο. ἐποιήσατο δὲ καὶ πρὸς τοὺς πλείστους τῶν Σικελῶν συμμαχίας, καὶ δυνάμεις ἀθροίσας ἐστράτευσεν εἰς τὴν Μεσσηνίαν. λεηλατήσας δὲ τὴν χώραν καὶ πολλῆς ὠφελείας ἐγκρατὴς γενόμενος ἀνέξευξε καὶ πρὸς Ἀβακαίνῃ πόλει συμμαχίδι κατεστρατοπέδευσεν.467
Pietro Genovese, coadiuvato nelle ricerche da un gruppo di volontari, negli anni ‘70 del XX secolo. Tra i rinvenimenti, classificati dal Bernabò Brea, si evidenziano frammenti di ceramica incisa, prima della cottura, a stecca, a conchiglia o con osso nello stile della cultura di Stentinello e inoltre numerosi frammenti di punteruoli, lamette e raschiatoi di ossidiana nonché punteruoli d’osso. GENOVESE 1977, p.; CAVALIER 1991, pp. 128-129. 425 Pizzo Lando, articolato in due rilievi uniti da una stretta sella, occupa una posizione inaccessibile, dominante la piana di Milazzo e l’importante via di comunicazione costituita dalla vallata del fiume Mela. Cospicue tracce di un insediamento riferibile alla facies dell’Ausonio II di Lipari vi erano state individuate dal Genovese negli anni ’70 del XX secolo cfr. GENOVESE, p. 24. Successivamente la Soprintendenza BB.CC.AA. di Messina vi ha compiuto scavi ed indagini che hanno confermato la presenza di insediamenti e una continua frequentazione su entrambi i versanti della cima meridionale di Pizzo Lando, a piano Cannafé (550 m s.l.m.) durante il periodo dell’Ausonio II e fino alla prima età del ferro. Dopo uno iato tra la fine dell’VIII sec. e la prima metà del VI sec. a.C. il sito torna ad essere frequentato anche se non risulta chiaro se si tratti in questa nuova fase di un insediamento siculo ormai ellenizzato oppure, insieme ai vicini siti di Monte Ciappa, Monte S. Onofrio, di un avamposto di un centro dell’interno come Longane o Abakainon o infine di un phrourion da mettere in relazione con la difesa della piana di Mylai da incursioni provenienti dall’entroterra. BONANNO 1997-1998; CAVALIER 1991, p.. 130. 426 Il rilievo domina, sulla destra orografica del fiume di Rodì o di Termini, la piana costiera tra Tindari e Giammoro. Una breve campagna di scavi condotta negli anni ’70 del XX secolo ha permesso di identificare una piccola acropoli le cui fortificazioni, con due torri aggettanti, racchiudono la sommità pianeggiante del monte. I livelli archeologici, relativamente poveri, hanno restituito ceramica di VI-V secolo. VOZA 1976-1977, pp. 579-581; GENOVESE 1977, p. 9-53; SCIBONA 1984; CAVALIER 1991, pp. 129-130. 427 Il sito occupa un terrazzo a 750 m s.l.m., difeso naturalmente, che domina un ampio tratto della costa tra il Capo Calavà e la penisola di Milazzo. Le esplorazioni condotte a partire dal 1981 vi hanno individuato un abitato protostorico (XII-X sec. a.C.) con reperti classificabili nella cultura dell’Ausonio II di Lipari, la cui
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vita prosegue, con quella che sembra configurarsi, tra il VII ed il V sec. a.C., una stabile presenza greca. Ad essa viene fatto risalire l’ impianto urbano perfettamente strutturato che continua ad essere abitato sino alla metà del IV sec. a.C. allorché viene, dopo un declino iniziato, in concomitanza con la fondazione di Tyndaris, un cinquantennio prima, definitivamente abbandonato. G. TIGANO et Alii 2008. 428 Sommità brulla, facilmente difendibile su tutti i lati, sulla sinistra del torrente Rosmarino. Un’area archeologica vi è stata localizzata sul versante OSO-NO. I materiali rinvenutivi sono riferibili dalla prima età del Ferro con continuità di vita sino ai primi del V sec. a.C. È stata avanzata l’ipotesi che da tale insediamento provenga il bronzetto indigeno (tarda età del bronzo) del Museo di Siracusa (inv. n. 21126). BERNABÒ BREA 1958; ID. 1975, p. 14; BIANCO 1988; SCIBONA 1993, pp. 36-37. 429 BERNABÒ BREA 1952; CAVALIER 1970. 430 VILLARI 1981. 431 BERNABÒ BREA 1958, p. 183; BACCI 1999, p. 257. 432 BACCI 1999. 433 È probabile che dal XIII sec. ma anche e soprattutto dopo l’XI sec. a.C. si siano verificati vari passaggi, o incursioni in Sicilia PANCUCCI 1997. 434 Tucidide si riferisce agli alleati degli Ateniesi in Sicilia usando per gli indigeni, a differenza di quanto fa per quelli Greci definiti in termini poleici, sempre la denominazione etnica collettiva. 435 DE VIDO 1997, pp. 14, 29. 436 Il Vallet qualifica le realtà ricadenti nell’area dirimpetto alle Eolie e nei pressi dello Stretto “royaumes à façade maritime” VALLET 1958, p. 94. 437 È questo il caso di Engyon ed Herbita identificate rispettivamente a Troina (BARRINGTON ATLAS 2000, p. 714) e nei presssi di Agira (BARRINGTON ATLAS 2000, p. 724) o tra Nicosia e Gangi (MANGANARO 1996, p. 130) nel versante meridionale dei monti Nebrodi (contra la possibile localizzazione di Herbita a Casazze di S. Mauro Castelverde). BEJOR 1989, pp. 286287; ALBANESE PROCELLI 1997. 438 Per la questione VALLET 1962, pp. 30-51; ASHERI 1980, p. 137-138; AMBROSINI 1980, pp. 43-51; BRACCESI 1980, p. 53; MADDOLI 1980, pp. 1102; ASHERI 1988, p. 765; ID., p. 89; MANGANARO 2002, pp. 83-92. La Anello ha sostenuto che proprio la localizzazione in Sicilia delle popolazioni ferine dei Ciclopi e dei Lestrigoni, probabilmente da far risalire alla cultura dei coloni euboicocalcidesi, proverebbe l’inospitabilità manifestata verso i coloni dalle genti
Diodorus Siculus, Bibliotheca historica, XIV, 96.4 ἦσαν δ’ αἱ συνθῆκαι τὰ μὲν ἄλλα παραπλήσιαι ταῖς πρότερον,Σικελοὺς δὲ δεῖν ὑπὸ Διονύσιον τετάχθαι καὶ παραλαβεῖν αὐτὸν τὸ Ταυρομένιον.468 Non possediamo testimonianze storiografiche ed archeologiche circostanziate sui primi decenni di vita di Tindari nella prima metà del IV secolo a.C. e ogni supposizione a riguardo non può pertanto che fare in qualche modo riferimento alle vicende generali di questa parte della costa tirrenica della Sicilia e del suo immediato entroterra in un quadro che vede le comunità dei Siculi settentrionali perdere progressivamente ruolo politico sino alla loro completa sottomissione al nuovo stato territoriale di Dionysius I. Non sappiamo quanto esse siano state dibattute tra la chiamata a partecipare al vasto progetto di fusione e di integrazione etnico-culturale in funzione anticartaginese promosso dal dinasta siracusano e la tentazione di ricercare invece una rivincita attraverso l’alleanza con i Punici. È Diodoro a informarci che alla fine degli anni 90 del IV sec., in occasione delle spedizioni cartaginesi di Magone, tra le comunità sicule della mesogaia, settentrionale e nordorientale, i desideri di rivalsa prevalsero con una scelta in massa in favore dell’alleanza con i Cartaginesi. Teatro delle operazioni militari è oltre ad Agirio proprio il territorio di Abakainon469 dove si consuma con la sconfitta dei punici di Magone e dei Siculi loro alleati uno degli scontri cruciali della guerra. I coloni messeni di Tindari, non nominati nelle fonti ma evidentemente coinvolti, sono così appena tre anni dopo il loro insediamento chiamati ad una decisiva difesa della chora appena acquisita dal tentativo di riconquista degli indigeni supportati dalle truppe puniche. Come non estranea a queste vicende può forse interpretarsi l’improvvisa fine del vicino insediamento di Gioiosa Guardia. Non sappiamo se tale evento abbia comportato un ulteriore ampliamento del territorio di Tindari a oriente o verso meridione. Il trattato di pace che Dionysius I stipula, probabilmente nell’estate del 391 a.C., con i Cartaginesi e destinato a durare circa un decennio, comporterà per i Siculi, a sanzione dell’atteggiamento tenuto, la perdita dell’autonomia, riconosciuta nel precedente trattato del 405 a.C., e la soggezione a Siracusa470. I due decenni che seguono sono, come si è detto, quelli probabilmente in cui va riconosciuto l’intervallo di tempo, tacÝ, in cui si realizzò grazie al “buon governo”, nell’ambito della epikrateia siracusana, la rapida fioritura della nuova città, pur provata dal conflitto con i vicini siculi. Una ripresa che sarà tale da consentirle di mettere a disposizione di Timoleonte nel 344 a.C. stratiètaj oÙk Ñl…gouj. La stella dionigiana inizia però verso la fine degli anni settanta ad appannarsi, lo stato messo in piedi a sfaldarsi, l’incertezza e la crisi a dilagare in tutta la Sicilia. Dopo la morte del dinasta le lotte tra Dione, Eraclide, Callippo, Ipparino, Niseo, Iceta e Dionysius II esplodono dilaniando Siracusa. Tutto ciò si tradusse probabilmente per Tindari in una fase di indipendenza e di autonomia. Conseguenza sul piano monetario di questo processo di crescita e di conquista dell’autonomia, sullo sfondo della contemporanea crisi economica e del crollo della preponderanza economica e monetaria di Siracusa sui mercati, è secondo la Consolo Langher471 proprio l’inizio della coniazione da parte della città. La serie monetale più antica tyndaritana, secondo la studiosa, si collocherebbe infatti nell’ambito del periodo 367-344 a.C. o forse meglio nel decennio 354-344 a.C., agevolmente ben distinta, in base ad elementi di carattere figurativo e stilistico, dalle serie seguenti che si riconducono invece chiaramente all’età di Timoleonte. Archestratus Parodius, Fragmenta, 34 ἀμφὶ δὲ τὴν ἱερήν τε καὶ εὐρύχορον Σάμον ὄψειθύννον ἁλισκόμενον σπουδῇ μέγαν, ὃν καλέουσιν ὄρκυν, ἄλλοτε δ’ αὖ κῆτος. τούτου δὲ θέρευς χρὴ ὀψωνεῖν ἃ πρέπει ταχέως καὶ μὴ περὶ τιμῆς ...ἔστι δὲ γενναῖος Βυζαντίῳ ἔν τε Καρύστῳ· ἐν Σικελῶν δὲ κλυτῇ νήσῳ Κεφαλοιδὶς ἀμείνους πολλῷ τῶνδε τρέφει θύννους καὶ Τυνδαρὶς ἀκτή.472 Dalla testimonianza di Archestratus, si può desumere che nel corso del IV sec. a.C. la pesca assuma nella zona di Tindari una crescente rilevanza economica che la fa assurgere a notorietà in un contesto di commerci mediterranei ad ampio raggio. L’attività coinvolgeva
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Michele Fasolo | Tyndaris | 105 verosimilmente un cospicuo numero di addetti in mare e sulla terraferma, presso apposite strutture di lavorazione, di conservazione e di smercio sui mercati473. Finito il passaggio stagionale dei tonni la pesca proseguiva con quella dei pectines decantati da Plinio il Vecchio come laudatissimi. A metà del XII secolo al-Idrisi segnalerà la straordinaria abbondanza di tonni nel mare antistante Oliveri e ancora alla fine del sec XVIII tra capo Milazzo a Cefalù sono ricordate in attività diciotto tonnare. 4.1.4.4. L’età di Timoleonte. Diodorus Siculus, Bibliotheca historica, XVI, 69.1-4. ‘Ep’ ¥rcontoj d’ ‘Aq»nhsi Luk…skou `Rwma‹oi kat šsthsan Øp£touj M£rkon OÙalšrion kaˆ M£rkon Pop…lion, Ñlumpi¦j d’ ½cqh ˜katost¾ kaˆ ™n£th, kaq’¿n ™n…ka st£dion ‘AristÒlocoj ‘Aqhna‹oj. ™pˆ dû toÚ twn `Rwma…oij mûn prÕj Karchdon…ouj prîton sunqÁkai ™gšnonto. kat¦ dû t¾n Kar…an ‘IdrieÝj Ð dun£sthj tîn Karîn ™teleÚthsen ¥rxaj œth ˜pt£, t¾n dû ¢rc¾n diadexamšnh ”Ada ¹ ¢delf¾ kaˆ gun¾ ™dun£steusen œth tšssara. kat¦ dû t¾n Sikel…an Timolšwn mûn ‘Adran…taj kaˆ Tundar…taj e„j summac…an projlabÒmenoj stratiètaj oÙk Ñl…gouj par’ aÙtîn paršlaben, ™n dû ta‹j SurakoÚssaij poll¾ tarac¾ kate‹ce t¾n pÒlin Dionus…ou mûn t¾n NÁson œcontoj,`Ikšta dû tÁj ‘AcradinÁj kaˆ Nšaj pÒlewj kurieÚontoj, Timolšontoj dû t¦ loip¦ tÁj pÒlewj pareilhfÒtoj, kaˆ Karchdon…wn tri»resi mûn ˜katÕn kaˆ pent»konta katapepleukÒtwn e„j tÕn mšgan limšna, pezo‹j dû stratiètaij pentakismur…oij katestratopedeukÒtwn. tratiètaij pentakismur…oij katestratopedeukÒtwn. diÒper tîn perˆ tÕn Timolšonta katapeplhgmšnwn tÕ plÁqoj tîn polem…wn ¥logÒj tij kaˆ par£doxoj ™gšneto metabol»: prîton mûn g¦r M£rkoj Ð tîn Katana…wn tÚrannoj dÚnamin ¢xiÒlogon œcwn projšqeto tù Timolšonti, œpeita poll¦ tîn frour…wn ÑregÒmena tÁj ™leuqer…aj ¢pškline prÕj aÙtÒn, tÕ dû teleuta‹on Kor…nqioi dška naàj plhrèsantej cr»mat£ te por…santej ™xapšsteilan e„j t¦j SurakoÚssaj. 474 Tindari è con Adrano tra le prime città ad allearsi con Timoleonte, l’uomo chiamato a salvare la Sicilia dalla minaccia cartaginese, pronta a trarre profitto dalla grave debolezza causata nel campo greco dalla guerra civile che vi intercorre. Lo fa ben prima della svolta nel conflitto determinata dalla discesa in campo con forze considerevoli a fianco dello strategòs autokrator corinzio, nella symmacheia, e ben prima che nell’isola giungano con Dinarco e Damareto gli aiuti corinzi. Il contingente tindaritano partecipa probabilmente a tutte alle imprese di Timoleonte, dalla campagna contro Dionysius II e contro Iketas, con la conquista del rifugio di quest’ultimo Leontinoi, alla cattura di Leptines, alla presa di Engyon, all’occupazione di Apollonia, alla devastazione del territorio cartaginese sino alla conclusione del conflitto con la stipula del trattato di pace siracusano-cartaginese che assicurò a tutte le città greche autonomia e indipendenza475. Tindari deve aver tratto vantaggi nei nuovi equilibri del dopoguerra dalla sua condotta coerente a fianco di Timoleonte. All’impero dionigiano subentra ora un organismo confederale di città alleate e sovrane, caratterizzate in genere da governi moderatamente oligarchici, che riconoscono la supremazia di Siracusa solamente in tempo di guerra.476 Non abbiamo altri dati su Tindari nell’età di Timoleonte e per i decenni successivi che videro l’ascesa al potere ed il regno di Agatocle dalle fonti storiografiche pervenuteci particolarmente esigue per gli anni tra il 337/6-317/6477. Diodoro riferisce che all’appello di Amilcare contro Agatocle aderirono non solo i Siculi ma anche molte città greche “sicché dalla parte dei Cartaginesi stava quasi tutta la Sicilia”. Di sicuro filopunica fu Abakainon dove Agatocle uccise nel 317 a.C. più di quaranta cittadini a lui contrari478. In linea generale sappiamo dalle fonti479 che dopo la morte del condottiero corinzio il periodo di stabilità e di equilibrio con i Cartaginesi consentì con la ripresa della circolazione di beni e di prodotti l’avvio di un periodo di lunga prosperità per le città siceliote che i dati archeologici sembrano confermare. Dopo il consolidamento al potere e la vittoria sulla lega che vide riunite Messana, Gela e Agrigento, con la pace del 314/3 a.C., mediata dai Cartaginesi, Agatocle sottomette all’egemonia di Siracusa,
anelleniche locali , ANELLO 1997. Il Musti ha notato, a riguardo della presunta dicotomia nell’approccio verso gli indigeni tra calcidesi e dori, che ogni stato territoriale ha connotazioni molto più forti nei confronti degli epicori cfr. D. MUSTI 1988-1989. 439 PANCUCCI 1997, p. 564. 440 Thuk. III, 115, 1-4. 441 Thuk. III, 90. 442 IG I3 291. AMPOLO 1987; ID. 1992; GALVAGNO 1999. 443 Thuk. VI, 62, 3. 444 Thuk. VII, 1, 4. 445 Diod. XIII, 114, 2. DE SANCTIS 1916, III, 1, PP. 42, 116; SORDI 1980, pp. 23-34. 446 Diod. XIII, 114. 447 Nella ricostruzione del Mazzarino la clausola del trattato è: “Ka… SikeloÝj ¥pantaj aÙtonÒmou� e|nai” MAZZARINO 1947, p. 66. 448 Trad. it. di T. A. Tonini: “Dionisio, vedendo che i mercenari gli erano molto ostili, per paura di essere deposto da loro ne arrestò innanzitutto il comandante Aristotele; poi quando la truppa si radunò in armi e chiese la paga con molta tracotanza, disse che mandava Aristotele a Lacedemone perché fosse giudicato tra i suoi concittadini, mentre diede come compenso ai mercenari, circa diecimila, la città e il territorio di Leontini. Questi ne furono soddisfatti per la buona qualità del terreno e, dopo le assegnazioni a sorte, si stabilirono a Leontini. Dionisio, da parte sua, reclutò altri mercenari e affidò la difesa del suo potere a loro e agli schiavi liberati. Dopo la disfatta dei cartaginesi, i superstiti delle città della Sicilia che erano state ridotte in schiavitù si riunirono e, tornando nelle loro sedi, si rafforzarono. Dionisio mandò a Messene mille coloni locresi, quattromila Medmei e seicento Messeni del Peloponneso, in esilio da Zacinto e Naupatto. Ma, constatando che i Lacedemoni erano offesi per l’insediamento in una città illustre dei Messeni, da loro scacciati, li trasferì da Messene e assegnò loro una località sul mare, alla quale annesse una parte di territorio tolta ad Abaceno. I Messeni chiamarono la città Tindari e in poco tempo, grazie al loro buon governo e alle numerose concessioni della cittadinanza diventarono più di cinquemila. In seguito Dionisio, dopo varie spedizioni nel territorio dei Siculi, prese Menainon e Morgantina, e fece trattati con Agiri, tiranno di Agirio, Damone, signore di Centuripe, e anche con gli Erbitei e gli Assorini. Prese poi per tradimento Cefaledio, Solunto ed Enna, e fece inoltre la pace con gli Erbessini. Questa era allora la situazione in Sicilia”.
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Diod. XIV, 78.5-7.Vd. anche Diod. XIV, 64-70 che riporta le attestazioni di fedeltà del navarca Faracide. 450 Diod XIV, 54. Riguardo alla problematica cronologia diodorea la Landucci sottolinea che Diodoro ha l’abitudine di organizzare gli eventi per specifici scacchieri geografici “sia anticipando o posticipando fatti che risultano in stretto collegamento con particolari problematiche LANDUCCI 2008, pp. 103-115. 451 La ricostruzione della critica del quadro delle fonti di Diodoro indica una prevalente dipendenza da Eforo dei libri XI-XVI con una contaminazione di notizie e di prospettive da Timeo a sua volta utilizzatore di Tucidide e di Filisto di Siracusa. Per la storia romana Diodoro fa una massiccia utilizzazione di Polibio e di Posidonio. Per quanto riguarda lo specifico problema da quale fonte Diodoro possa aver attinto le informazioni sulle vicende che portarono alla fondazione di Tindari va osservato che lo storico, nato ad Agira, può aver riversato nelle sue opere conoscenze personali, dirette su molte città siciliane, specialmente quelle non distanti dalla sua e Tindari lo è trovandosi a meno di cento chilometri. VOLQUARDSEN 1868; HOLM 1993, pp. 6-10. 452 Il Cluverius corresse Medimna…ouj in Medma…ouj. 453 Diod XIV, 78.5. 454 Secondo il Casagrandi la chora di Abakainon si estendeva ad ovest sino al Timeto ed a est sino al corso del Mazzarrà CASAGRANDI 1894, p. 101. 455 Per i problemi di cronologia aperti dal brano cfr. SORDI 1980. La datazione più comunemente accettata è però il 398-396 a.C. Il Caven propone di abbassare ulteriormente l’inizio della guerra al 397 a.C. Caven 1990, pp. 96-97. 456 UGGERI 1997-1998, p. 306. 457 Forse accompagnati dalle relative famiglie. 458 Gli esuli, forse democratici e filoateniesi, si erano rifugiati in Sicilia in seguito ad una vittoriosa spedizione condotta nel 401 a.C. dagli Spartani contro i Messeni di Naupatto e di Cefallenia. 459 Diod. XIV, 44.2. 460 Da numerosi passi di Diodoro è possibile ricostruire la mappa di questa politica di Dionysius I che affida ai mercenari ed ai Siculi alleati numerose piazzeforti con i relativi territori sia in Sicilia che in Magna Grecia. 461 Negli studi su Tindari del XIX sec. è ricorrente l’attribuzione di queste azioni belliche e delle alleanze a Tindari piuttosto che a Dionysius I: SERRADIFALCO, V, p. 49. 462 Silius Italicus. Punica, XIV, 208
nella formale riaffermazione della loro autonomia e nella sostanziale perdita della loro eleutheria, tutte le città della Sicilia centro-orientale.480 Per gli anni che seguono non sappiamo come Tindari si sia schierata nella guerra del 312-306 a.C. tra i Cartaginesi e i Siracusani, e che atteggiamento abbia assunto allorché, approfittando della presa dell’Ecnomo, molte città, tra cui la vicina Abakainon, si ribellarono ad Agatocle alleandosi con i Cartaginesi481, né successivamente quando nel 307 a.C. Agatocle riuscì a riconquistare varie città della costa settentrionale tra cui Cefaledio e Apollonia482. A suo tempo è stato ipotizzato483 che nel periodo che intercorre tra la partenza di Agatocle per l’Africa nel 310 a.C. ed il suo ritorno in Sicilia nel 307, nel quadro di una ventata di autonomia che percorse le poleis siciliane, Tyndaris abbia stretto alleanze, una lega, con la vicina Agathyrnon e l’antistante Lipara che sarebbe provata da due serie monetarie federali bronzee. Una moneta conservata al Museo Madralisca che propone a diritto LIPARAION, tre globetti e a rovescio TINDARITAN, i Dioscuri, è stata però riconosciuta come un esemplare di Lipara riconiato da Tindari piuttosto che come prova di un’alleanza484. Una seconda reca a diritto TUNDARITAN, testa di Apollo laureato e a rovescio AGAQURNOS, guerriero stante con corazza, asta, e scudo appoggiato a terra.485. Tra il 306 e il 304 a.C. Agatocle, si proclama basileus486. Il dominio di Siracusa sulle città della Sicilia greca iniziò a venire meno con l’inizio del conflitto civile che esplose alla morte di Agatocle nel 289 a.C. e il riaccendersi dell’indipendentismo delle varie città siceliote. Ben presto però le loro aspirazioni si trovarono a doversi scontrare non solamente con l’aggressività montante dei Cartaginesi ma soprattutto con il dilagare degli ex mercenari di Agatocle, i mamertini, le cui incursioni iniziarono a seminare terrore e inquietudine in tutta l’Isola.487 488 Anche su queste dinamiche non disponiamo di informazioni relative a Tindari provenienti dalle fonti storiografiche. 4.1.4.5. Tyndaris, i Mamertini489 e Hieron II. Diodorus Siculus, Bibliotheca historica, XXII, 13 [exc. Hoesch., pp. 499-500] Tîn dû t¾n Mess»nhn o„koÚntwn Mamert…nwn hÙxhmšnwn ... poll¦ mûn froÚria ... aÙtoˆ dû eÜzwnon poi»santej t¾n dÚnamin Âkon ™n t£cei bohq»sontej tÍ Messhn…v polemoumšnV. Ð dû `Išrwn ¢pallageˆj ™k tÁj polem…aj, MÚlaj kat¦ kr£toj ˜lën ™kur…euse stratiwtîn cil…wn pentakos…wn. eÙqÝj dû kaˆ t¥lla cwr…a ceiroÚmenoj, kat»nthsen ™pˆ tÕ ‘Am»selon, ke…menon metaxÝ Kentorip…nwn kaˆ ‘Agur…ou. ™curoà dû Ôntoj kaˆ polloÝj stratiètaj œcontoj, ™kpoliork»saj tÕ cwr…on toàto mûn katšskaye, toÝj dû frouroàntaj ¢polÚsaj tîn ™gklhm£twn œtaxen e„j t¦j „d…aj t£xeij. tÁj dû cèraj t¾n mûn to‹j Kentorip…noij, t¾n dû to‹j ‘Agurina…oij ™dwr» sato. met¦ dû taàta `Išrwn œcwn dÚnamin ¢xiÒlogon ™str£teusen ™pˆ Mamert…nouj, kaˆ t¾n mûn “Alaisan paradÒsei proshg£geto, ØpÕ dû tîn ‘Abakain…nwn kaˆ Tundaritîn proqÚmwj prosdec qeˆj ™kur…euse tîn pÒlewn toÚtwn, kaˆ e„j sten¾n cèran sun»lase toÝj Mamert…nouj. ¢pÕ mûn g¦r toà Sikelikoà pel£gouj t¾n ™ggÝj Mess»nhj εἶχε pÒlin t¾n tîn Tauromenitîn, ¢pÕ dû toà Turrhnikoà t¾n Tundaritîn. ™mbalën dû e„j Mess»nhn. ûμβαλὼν δû εἰς Μεσσήνην ατεστρατοπέδευσε παρ¦ τÕν Λοίτανον ποταμόν, 490 Polybius, Ἱστορίαι, I, 9.7 καὶ συμβάλλει τοῖς πολεμίοις ἐν τῷ Μυλαίῳ πεδίῳ περὶ τὸν Λογγανὸν καλούμενον ποταμόν.491 Tindari torna nuovamente ad essere menzionata dalle fonti storiografiche, dopo un silenzio pluridecennale, in relazione alla campagna intrapresa da Hieron II contro i mamertini. La conquista mamertina di Messina, negli anni immediatamente successivi il ritorno di Pirro in Italia nel 275 a.C., e il loro successivo dilagare per tutta la Sicilia settentrionale ed orientale avevano posto Tindari in una posizione di grave insicurezza e di instabilità. La
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Michele Fasolo | Tyndaris | 107 natura e l’estensione del dominio mamertino sono state oggetto di discussioni fra gli studiosi. Secondo la De Sensi Sestito è possibile parlare di stato solamente in relazione alla chora immediatamente circostante Mess»nh nonostante i Mamertini paiano controllare, grazie ad una rete di piazzeforti492, una vasta area della Sicilia orientale e settentrionale riscuotendo un phoros 493 dalle relative città. L’analisi delle fonti sembrerebbe infatti indicare che guarnigioni mamertine sarebbero state stanziate solamente nei cwr…a di Mylai494 e di Ameselo mentre Tindari al pari di Alesa, Abaceno, Agirio, Catane, Centuripe, Tauromenio e, dubitativamente, Adrano avrebbero mantenuto formalmente la propria autonomia e sarebbero state vincolate ai Mamertini solamente dal phoros.495 La testimonianza di Diodoro sulle campagne di Hieron II contro i mamertini in epitome non è certamente sufficiente per una ricostruzione storica soddisfacente. Da quello che sembra cogliersi Hieron II concepisce un piano di guerra articolato in due fasi principali. Nella prima l’obiettivo è quello di allontanare i mamertini dai territori limitrofi a Siracusa e dal centro della Sicilia. Nella seconda l’azione bellica è finalizzata a comprimerli in una στενὴν χώραν496, quanto più possibile ridotta verso la cuspide nordorientale dell’Isola. Per l’attuazione di questa seconda parte del piano Hieron II, tra le varie opzioni possibili, sceglie di attuare un’azione militare aggirante da occidente anziché una spinta militare da Tauromenion, lungo la direttrice litoranea più diretta da meridione. Quindi valicati i Nebrodi ne discende il versante settentrionale occupando i territori di Halaesa, Abakainon e Tyndaris. 497 Nel racconto di Diodoro è possibile cogliere una distinzione tra le prese con la forza di Mylai e di Ameselon da un lato, la paradoxis, forse tramite la stipula di patti, di Alesa dall’altro e l’accoglienza di Tyndaris e di Abakainon. Al di là di sfumature che è difficile decifrare Hieron II divenne kurios di tutte queste città. Una ulteriore fase, dopo, pare di capire, una pausa di consolidamento e di preparazione, è quella dell’assalto finale a Messene498. Il Casagrandi ha ritenuto che l’Halaesa, prima città incontrata lungo la marcia di penetrazione di Hieron II verso la costa settentrionale dell’Isola non possa identificarsi con Halaesa Arconidea per l’improbabilità che l’espansione mamertina si sia spinta così tanto ad ovest da far suo anche il territorio di Herbita. Secondo lo studioso deve trattarsi di una delle diverse Halaesai ricordate da Diodoro e precisamente di una località ai piedi dell’Etna, a non grande distanza da Maletto, Bronte e Randazzo499. Il Casagrandi analizza alcuni possibili percorsi che da questa Halesa ai piedi del versante meridionale dei Nebrodi poterono consentire a Hieron II di raggiungere Abakainon.500 Stipulata forse nel 270 a.C. un’alleanza con Roma e successivamente con Catane e Tauromenio Hieron II tenta un colpo diretto a sorpresa su Messene che fallisce. L’anno successivo, nell’estate del 269 a.C.501, con i nuovi alleati Hieron II colse un’importante vittoria, annientando l’esercito mamertino di Kios, sul fiume Longano502, sul confine occidentale della chora di Mylai e quindi di Zancle Messene. Il Loitano di Diodoro è il Longano di Polibio. Dibattuti sono stati negli studi i riconoscimenti ad opera di vari studiosi delle varie località in particolare del Mulaion pedion in cui si svolse la battaglia ed il rapporto con le fauces mylenses503 ovvero quelle strettoie strategiche delimitanti gli accessi alla piana di Milazzo e conseguentemente all’area dello Stretto ricordate da Appiano in relazione alle vicende della successiva guerra civile tra Sesto Pompeo ed Ottaviano in un contesto strategico che appare per molti versi del tutto simile a quello in cui si è misurato Hieron II. La battaglia si svolse forse nel triangolo naturale fra il piano di Maloto, l’alto corso del torrente Longano e la confluenza in questo del torrente di San Giacomo. Il Casagrandi con un’esegesi del testo ritiene che le fauces vadano cercate al confine tra Tyndaris e Mylai504. Egli ritiene che il passo che dal territorio tindaritano immetteva in quello limitrofo mileo fosse così stretto da consentirne la chiusura con l’erezione di un muro, da ciò ne deduce la collocazione presso l‘odierna Coda di volpe che si trova a poca distanza (circa due chilometri) in linea retta dalla rupe di Tindari. Sull’onda del successo ottenuto Hieron II tentò nuovamente. ma ancora invano, di prendere Messana prima di fare nuovamente ritorno a Siracusa. La sua vittoria sul Longano avrà due conseguenze rilevanti. Innanzitutto determina un immediato considerevole ampliamento del dominio territoriale siracusano, e certamente Tindari va annoverata a pieno titolo tra le città alleate di Siracusa e parte integrante del
“geminoque Lacone/Tyndaris”. Per il culto dei Dioscuri tra i Messeni: Paus III, 26,3; IV, 31, 9. 463 ZIEGLER 1943. 464 Rimane irrisolta negli studi la questione se il numero ricomprendesse tutto gli abitanti, città e territorio, o i soli maschi adulti di condizione cittadina. 465 Sul metrema, distribuzione di viveri e di vestiario, e sul sîtos (siteresion, sitarchia, sitarkia, sitonia) sorta di adaeratio GRIFFITH 1935, pp. 264-273. 466 Thuk. VI, 20, Diod. XII, 30. 467 Trad. it. di T. A. Tonini: “Magone, il comandante dei Cartaginesi, si trovava in Sicilia e risollevò le sorti dei Cartaginesi dopo la disfatta subita. Trattò umanamente le città soggette e accolse sotto la sua protezione quelli a cui Dionysio faceva guerra. Strinse anche alleanze con la maggior parte dei Siculi e, dopo avere radunato truppe, fece una spedizione nel territorio di Messene. Dai saccheggi effettuati nelle campagne ricavò un grosso bottino, quindi si mosse ed andò ad accamparsi nella città alleata di Abacene”. 468 Trad. it. di T. A. Tonini: “I termini del trattato erano gli stessi del precedente ad eccezione della soggezione dei Siculi a Dionysius I, il quale avrebbe anche ricevuto Taurtomenio”. 469 Diod. XIV, 90, 3. 470 Diod., XIV 96, 4 “ἦσαν δ’ αἱ συνθῆκαι τὰ μὲν ἄλλα παραπλήσιαι ταῖς πρότερον, Σικελοὺς δὲ δεῖν ὑπὸ Διονύσιον τετάχθαι καὶ παραλαβεῖν αὐτὸν τὸ Ταυρομένιον”. 471 CONSOLO LANGHER 1996, p. 80. 472 Trad. it. “Nei dintorni della sacra e vasta Samo vedrai che con sudore si pesca il tonno, di grande mole, che alcuni chiamano ‘orcino’, altri ‘ceto’. Conviene comprare quelle parti degne del palato degli dei, senza perder tempo e senza lesinare il suo valore...Anche a Bisanzio ha ottimi natali e a Caristo ma, nella gloriosa isola dei Siculi, le coste di Cefalù e Tindari sono vivai per tonni molto migliori”. 473 Un venditore di tonno è raffigurato sulle pareti di un cratere, da Lipari nel Museo Mandralisca di Cefalù. 474 Trad. it. di T. A. Tonini: “Quando ad Atene era arconte Licisco, i Romani elessero consoli Marco Valerio e Marco Publio e si celebrò la centonovesima Olimpiade, nella quale vinse la corsa dello stadio l’ateniese Aristoloco. Quell’anno i Romani e i Cartaginesi conclusero il loro primo trattato. In Caria Idriero dinasta dei celti morì dopo aver governato sette anni e gli succedette al potere Ada sua sorella e moglie che esercitò la signoria per quattro anni. In Sicilia Timoleonte ottenne l’alleanza degli Adraniti e dei
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Tindariti, dai quali ricevette molti soldati e nella città di Siracusa c’era grande confusione: Dionisio occupava l’isola, Iceta era padrone di Acradina e di Neapoli, Timoleonte aveva preso il resto della città e i Cartaginesi erano entrati con centocinquanta triremi nel Porto Grande e si erano accampati con cinquantamila soldati di fanteria. Perciò Timoleonte e i suoi uomini erano spaventati dal gran numero dei nemici ma all’improvviso si verificò un cambiamento straordinario. Prima il tiranno di Catane Marco, si unì aTimoleonte con forze considerevoli, poi passarono dalla sua parte molte piazzeforti che aspiravano alla libertà e infine i Corinzi equipaggiarono dieci navi e le mandarono a Siracusa fornite di denaro”. 475 Diod. XVI, 69.6; 73.2; Corn. Nepot. Tim 3.2; Plut. Tim 39,2. 476 Diod. XVI, 82. 3; Plut. Tim, 34. 477 Sulla storiografia nell’età tra Timoleonte ed Agatocle VATTUONE 2005, p. 284. 478 Diod. XIX, 65, 6. 479 Plut. Tim. 39,7 “ἐπὶ πολὺν χρόνον εὐδαιμονοῦντες διετέλεσαν”. Cfr. VATTUONE 2005, pp. 285-286. 480 Diod. XIX, 71.7. 481 Diod. XIX 110.4. 482 Diod. 20, 56, 3-4. 483 TROPEA 1901, p. 564. 484 MASTELLONI 2005, pp. 26-27. 485 HOLM 1906 p.;HEAD 1911, p. 189; GABRICi 1927; p. 192 n. 4; HOLM p. 177; MINÌ 1977 p. 439 n. 6;CONSOLO LANGHER 1964, pp. 86-87 e n. 66, es. 16; MASTELLONI 2005, p. 26. 486 Diod. XX, 54.1. 487 CONSOLO LANGHER 1980, pp. 292293. 488 Diod. 19,68.1-5. 489 VALLONE 1955; ROUSSEL 1970; DE SENSI SESTITO 1977; MAFODDA 1978; PINZONE 1999, pp. 121-172; TAGLIAMONTE 1994; TAGLIAMONTE 1999. 490 Trad. it. di G. Bejor: “I mamertini che abitavano Messina avevano acquistato grande potenza...molti castelli...ed essi stessi, formato un esercito di armati alla leggera, andarono velocemente in aiuto del territorio di Messina che veniva aggredito. Ma Ierone lasciato il territorio nemico, prese d’assalto Mile e catturò millecinquecento soldati. Prese poi anche il resto della regione, si diresse su Amaselo,che stava tra Centuripe e Agirio. Sebbene questa fosse ben fortificata, e avesse molti soldati, la prese e la rase al suolo. Avendo però abbandonato ogni animosità contro quelli che l’avevano difesa, li arruolò nelle sue schiere. Divise poi la regione tra gli abitanti di Centuripe e quelli di Agirio. Dopo questi avvenimenti Ierone, con un considerevole esercito, entrò in
regno di Hieron II. In secondo luogo la sconfitta pone i Mamertini in una situazione di debolezza tale da portarli a chiedere soccorso esterno ai Romani, aprendo così la strada al loro intervento nell’isola e allo scontro epocale con i Cartaginesi. 4.1.4.6. Tindari nel conflitto tra Roma e Cartagine. Dal dominio cartaginese alla deditio ai Romani. Diodorus Siculus, Bibliotheca historica, XXIII, 5 262 o 261 a.C.? “Oti A„gesta‹oi prîton kratoÚmenoi ØpÕ Karchdon…wn e„j `Rwma…ouj ¢pšklinan. parapl»sion dû kaˆ `Alikua‹oi ™po…hsan: ‘IlarÕn dû kaˆ TurittÕn kaˆ t¾n ”Askelon ™xepoliÒrkhsan. Tund£rioi dû „dÒntej aØtoÝj ¢poleleimmšnouj fÒbJ susceqšntej ºboul»qhsan kaˆ aÙtoˆ aØtoÝj doànai. ØpopteÚsantej dû Fo…nikej t¾n proa…resin aÙtîn toÝj ™pifanest£touj œlabon Ðm»rouj e„j tÕ LilÚbaion kaˆ s‹ton, οἶνον, kaˆ t¾n ¥llhn paraskeu¾n ¢pekÒmisan.505 Polybius, Ἱστορίαι, I, 25, 1-6 257 a.C. Tù d’ ˜xÁj ™niautù G£ioj ‘At…lioj Ð strathgÕj tîn `Rwma…wn prÕj Tundar…da kaqormisqeˆj kaˆ sunqeas£menoj ¢t£ktwj paraplšonta tÕn tîn Karchdon…wn stÒlon, paragge…laj to‹j „d…oij plhrèma sin ›pesqai to‹j ¹goumšnoij, aÙtÕj érmhse prÕ tîn ¥llwn, œcwn dška naàj ÐmoplooÚsaj. oƒ dû KarchdÒnioi sunidÒntej tîn Øpenant…wn toÝj mûn ¢km¾n ™mba…nontaj, toÝj d’ ¢nagomšnouj, toÝj dû prètouj polÝ proeilhfÒtaj tîn ¥llwn, ™pistršyantej aÙto‹j ¢p»ntwn. kaˆ kuklèsantej t¦j mûn ¥llaj dišfqeiran, t¾n dû toà strathgoà naàn par’ Ñl…gon aÜtandron œlabon. oÙ m¾n ¢ll’ aÛth mûn ta‹j Øphres…aij ™xhrtumšnh kaˆ tacunautoàsa dišfuge paradÒxwj tÕn k…ndunon, aƒ dû loipaˆ tîn `Rwma…wn ™piplšousai kat¦ bracÝ sunhqro…zonto. genÒmenai d’ ™n metèpJ sunšballon to‹j polem…oij kaˆ dška mûn aÙt£ndrouj naàj œlabon, Ñktë dû katšdusan. aƒ dû loipaˆ tîn Karchdon…wn ¢pecèrhsan e„j t¦j Lipara…aj kaloumšnaj n»souj. Ἐκ δὲ ταύτης τῆς ναυμαχίας ἀμφότεροι νομίζοντες ἐφάμιλλον πεποιῆσθαι τὸν κίνδυνον, ὥρμησαν ὁλο- σχερέστερον ἐπὶ τὸ συνίστασθαι ναυτικὰς δυνάμεις καὶ τῶν κατὰ θάλατταν ἀντέχεσθαι πραγμάτων. 506 Zonaras 8, 12, 7. 8 (2, 145, 19 sqq. B. = 2, 207, 26 sqq. D.)] 158.1 Οἱ δ’ ὕπατοι ἐπὶ Σικελίαν ἐλθόντες ἐπὶ Λιπάραν ἐστράτευσαν. ἐπεὶ δ’ ὑπὸ τὴν ἄκραν τὴν Τυνδαρίδα καλουμένην ναυλοχοῦντας ᾔσθοντο τοὺς Καρχηδονίους, διχῇ τὸν πλοῦν ἐποιοῦντο. καὶ θατέρου τῶν ὑπά- των τῷ ἡμίσει τοῦ ναυτικοῦ τὸ ἀκρωτήριον περιβαλόντος, νομίσας ὁ Ἀμίλκας μόνους εἶναι ἐξανήχθη· ὡς δὲ καὶ οἱ λοιποὶ ἐπεγένοντο, πρὸς φυγὴν ἐχώρησε καὶ τοῦ ναυτικοῦ πλεῖστον ἀπέβαλεν. ἐπαρθέντες δ’ οἱ Ῥωμαῖοι Σικελίαν μὲν ὡς ἤδη σφετέραν οὖσαν κατέλιπον, τῇ δὲ Λι- βύῃ τῇ τε Καρχηδόνι ἐπιχειρῆσαι ἐτόλμησαν. ἡγοῦντο δὲ αὐτῶν ὅ τε Ῥηγοῦλος ὁ Μάρκος καὶ Λούκιος Μάλλιος, ἐξ ἀρετῆς προκριθέντες. 507 Polieno, Στρατηγικ£. Γάϊος. 8.20.1.1-10 Γάϊος περὶ τὴν Τυνδαρίδα Καρχηδονίων ἐφορμούντων ὀγδοήκοντα ναυσὶν, αὐτὸς ἔχων διακοσίας τριήρεις, ἐπειδὴ οἱ πολέμιοι διὰ τὸ πλῆθος τῶν νεῶν οὐκ ἀντανήγοντο, τῶν ἑκατὸν τοὺς ἱστοὺς καταθέμενος, τῶν λοιπῶν ἐκπετάσας τὰ ἱστία καὶ διὰ τούτων ἀποκρυπτόμενος τὰς ἄλλας κάλοις ἐξηρτημένας ἐπέπλευσεν. οἱ δὲ Καρχηδόνιοι νομίσαντες ἴσας εἶναι τὰς ναῦς τῷ πλήθει τῶν φαινομένων ἱστίων θαρρήσαντες πρὸς τὸν κίνδυνον ὥρμησαν· Γάϊος πολλαῖς πρὸς ὀλίγας ἀγωνισάμενος ῥᾳδίως ἐνίκησεν.508 Polybius, Ἱστορίαι I, 27, 6
τîν δ' εÙωνύμων ε|χε τ¾ν ™πιμέλειαν 'Aμίλκας Ô περὶ τ¾ν Τυνδαρίδα ναυμαχήσας· Ôς τότε κατ¦ μέσην τ¾ν τάξιν ποιούμενος τÔν κίνδυνον ™χρήσατό τινι στρατηγήματι κατ¦ τÔν ¢γîνα τοιóδε 509
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Michele Fasolo | Tyndaris | 109 Diodorus Siculus, Bibliotheca historica, XXIII, 18 254 a. C. e|ta `Rwma‹oi sunece‹j prosbol¦j poioÚmenoi ta‹j mhcana‹j katšbalon tÕ te‹coj, kaˆ tÁj ™ktÕj pÒlewj kurieÚsantej polloÝj ¢ne‹lon: oƒ dû ¥lloi œfugon e„j t¾n ¢rca…an pÒlin, kaˆ pšmyantej pršsbeij prÕj toÝj Øp£touj ºx…oun to‹j sèmasi ¢sf£leian. tîn dû sumfwnoÚntwn dÚo mn©j tù sèmati didÒntaj ™leuqšrouj e|nai, paršlabon t¾n pÒlin oƒ `Rwma‹oi, kaˆ mÚria tetrakisc…lia sèmata timÁj sunecwr»qh tù eØreqšnti ¢rgur…J kaˆ ¢pelÚqh. toÝj dû loipoÚj, mur…ouj triscil…ouj Ôntaj, kaˆ t¾n ¥llhn ¢poskeu¾n ™lafuropèlhsan. ‘Iait‹noi dû ™kbalÒntej t¾n tîn Foin…kwn frour¦n t¾n pÒlin `Rwma…oij œdwkan. paraplhs…wj dû toÚtoij ™po…hsan Solount‹noi kaˆ Petr‹noi kaˆ ‘Hnattar‹noi kaˆ Tundar‹tai. oƒ dû Ûpatoi frour¦n ™n PanÒrmJ lipÒntej ¢pÁlqon e„j Mess»nhn.510 Non abbiamo notizie circostanziate sulla posizione di Tindari allo scoppio della prima guerra punica511. Probabilmente è tra quelle città controllate da Siracusa che si ritrovano a fare fronte comune con i Cartaginesi contro i Romani arrivati nell’Isola. L’isola di Lipari, dirimpetto, è base navale della flotta cartaginese e Tindari non può plausibilmente esimersi dal collaborare con i Punici. Di certo non è tra le città che, “prese dal terrore” per la potenza messa in campo dai Romani, si consegnano loro durante il 263/2 a.C. con ἐπιδώσiς formale, ben 52 secondo Eutropio512, 67 per Diodoro513, fra cui, sulla costa settentrionale, Halaesa. Ben presto però la pace tra Hieron II e i Romani e la caduta di Agrigento la isolano nel contesto delle città siciliane inducendo l’élite cittadina ad abbracciare un orientamento favorevole alla deditio. La reazione cartaginese è immediata: la dirigenza politica della città viene presa in ostaggio e deportata a Lilibeo mentre le risorse in natura, che potevano essere appetibile oggetto di scambio in una trattativa con i Romani, vengono totalmente sottratte. Nell’occasione i Cartaginesi si impadroniscono anche della statua d’oro di Hermes514. In questo momento la città appare sotto il pieno controllo cartaginese. C. Atilius M. f. M. n. Regulus Serranus, il console cui erano affidate le forze navali nel 257 a.C., dopo aver intrapreso una serie di azioni navali che coinvolgono Malta e Lipari515, affronta i Cartaginesi nelle acque antistanti Tindari. Di questa azione militare ci sono pervenuti resoconti attraverso Polibio, Polieno, Diodoro e il cronista bizantino Zonara. Si può congetturare dalla circostanza che il console romano stazioni nei pressi di Tindari e che egli conti su punti di appoggio sulla costa. Nel racconto recepito da Zonara l’obiettivo iniziale dei consoli Romani è Lipari. I comandanti Romani vista la flotta cartaginese in agguato a largo di Capo Tindari divisero, secondo questa versione dell’episodio bellico, le loro forze. Uno dei due, doppiato il promontorio andò ad affrontare le navi cartaginesi sotto il comando di Amilcare. L’ammiraglio cartaginese, ritenendo di trovarsi di fronte tutta la flotta romana, incoraggiato dal numero di avversari, la attaccò uscendone sconfitto per l’arrivo delle altre navi. Polyainos nella sua opera dedicata agli stratagemmi accredita invece il comandante romano di un piano più sofisticato. Rendendosi conto che se i Cartaginesi avessero visto le sue 200 navi non si sarebbero azzardati ad attaccarlo fa abbassare le vele alla metà delle sue imbarcazioni e le fa trainare, dietro le altre, in battaglia. Il numero di imbarcazioni romane coinvolto che viene riferito è stato oggetto di discussione tra gli storici. Troppo elevato per alcuni per altri potrebbe essere plausibile in considerazione delle navi che i Romani avevano catturato nei precedenti scontri. I resoconti sono comunque concordi sul fatto che C. Atilio affronti la flotta cartaginese di Amilcare infliggendole perdite anche se Polibio ricorda che entrambe le parti considerarono l’esito dello scontro alla pari516. Dopo il duro trattamento inflitto dai Romani alla popolazione di Panormo Tindari si risolve infine nel 254 a.C. a consegnarsi ai Romani insieme a Iaetia, Soluus, Imachara e Petra. Silius Italicus. Punica, XIV, 208 Agyrina manus geminoque Lacone Tyndaris attollens sese adfluit. 517
guerra contro i Mamertini. Annesse Alesa che gli si consegnò, ed essendo stato benevolmente accolto dagli abitanti di Abaceno e di Tindari, divenne signore anche di queste città, costringendo così i Mamertini in un territorio angusto; infatti, sul mare di Sicilia, aveva il possesso di Taormina, vicino a Messina; sul Tirreno di Tindari. Assalì anche Messina e si accampò presso il fiume Loitano”. 491 Trad. it. di R. Pamisciano C. Tartaglini: “...e attaccò battaglia con i nemici nella pianura Milea presso il fiume chiamato Longano”. 492 Diod. XXII, 13 (Const. Exc. 2(1), p. 258.) “Τῶν δὲ τὴν Μεσσήνην οἰκούντων Μαμερτίνων ηὐξημένων ... πολλὰ μὲν φρούρια ... “. 493 Polyb. I, 8.1; Plut. Phyrr 23,1. 494 Per il Casagrandi si tratta in realtà di Mola o Castelmola, il centro sovrastante Tauromenion. 495 MASTELLONI 2005, p. 27. 496 Diod. XXII, 13. 497 Diod. XXII, 13, 23. 498 CASAGRANDI-ORSINI 1894, pp. 107108. 499 CASAGRANDI ORSINI 1894, pp. 8391. 500 CASAGRANDI ORSINI, pp. 91-95. 501 Forse secondo alcuni studiosi nel 265 a.C. (Polyb. I, 9). 502 Precisamente nel triangolo naturale fra il piano di Malotto, l’alto Longano e la confluenza di questo col torrente di San Giacomo. Nella zona dei bacini dei torrrenti Mela e Longano - sia che con esso si debba identificare l’attuale Longano o il torrente di Castroreale o non piuttosto con il torrente Patrì o Termini - è da localizzare il confine ovest della chora di Mylai e quindi di Zancle. 503 Fu studiato dal Cluverio secondo il quale si trovavano a settemila passi da Messina presso Mylai dove il fiume Malpurito (torr. Gallo) si getta in mare CLUVERIUS 1619, p. 106. 504 CASAGRANDI ORSINI, p. 146. 505 Trad. it: “I Segestani, che prima erano soggetti ai Cartaginesi, passarono ai Romani. Analogamente si comportarono anche gli abitanti di Alicie ma Ilaro e Tiritto e Ascelo dovettero essere espugnate. Anche gli abitanti di Tindari, vedendosi abbandonati furono presi dalla paura, e decisero anche loro di consegnarsi. Ma i Cartaginesi sospettando le loro intenzioni, portarono i loro cittadini più in vista come ostaggi a Lilibeo, e portarono via anche il grano, il vino e le altre provviste”. 506 Trad. it: “L’anno seguente il console romano, Gaio Atilio, stava alla fonda davanti a Tindari e avendo avvistato la flotta cartaginese che procedeva lungo costa senza essere schierata per la battaglia, ordinò agli equipaggi di seguire i comandanti. Egli stesso
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invece procedette insieme con dieci navi, in anticipo sulle altre. I Cartaginesi, dal canto loro, accortisi che una parte dei nemici era già in movimento e una parte stava ancora salpando, e che i primi erano molto distanziati dagli altri, virarono e mossero contro di loro. Dopo aver accerchiato le navi, distrussero tutte le altre e quella del comandante in capo per poco non la catturarono con tutto l’equipaggio. Tuttavia questa, dotata di un buon equipaggio di rematori, sfuggì inaspettatamente al pericolo navigando velocemente, mentre le restanti navi romane in navigazione in breve si ricongiunsero. Dispostesi quindi in linea attaccarono i nemici: catturarono dieci navi con i loro equipaggi e ne affondarono otto. Le navi cartaginesi rimanenti si ritirarono nelle isole Lipari. Ora, poiché a seguito di questa battaglia entrambi ritenevano di aver affrontato lo scontro alla pari, si diedero con grandissimo impegno a raccogliere forze navali e a dedicarsi alle operazioni di mare”. 507 Trad. it: “Non appena giunti in Sicilia, i Consoli fecero una spedizione contro Lipari. E quando si accorsero che i Cartaginesi si trovavano all’ancora sotto la cosiddetta cima di Tindaride, proseguirono la navigazione separatamente. E allorché uno dei consoli circondò il promontorio con metà flotta, Amilcare, ritenendo che non ve ne fossero di altri, fece vela: ma quando il resto della flotta (Romana) gli venne contro, ripiegò in fuga perdendo gran parte della flotta. In preda all’euforia i Romani lasciarono la Sicilia, come se fosse già in loro possesso, e osarono assalire Cartagine in Libia. A capo di costoro vi erano Marco Regolo e Lucio Manlio, preferiti agli altri per abilità”. 508 Trad. it: “Dal momento che i Cartaginesi si trovavano ancorati con 80 navi nei pressi del Tindaride, Gaio, forte di 200 triremi, poiché i nemici non prendevano iniziativa per il numero delle navi (romane), dopo aver fatto riporre gli alberi maestri di cento delle sue navi e spiegato le vele delle restanti (nascondendo per mezzo di quest’ultime le prime, fatte legare con delle corde ) si diresse contro il nemico.E i Cartaginesi, certi che il numero delle navi corrispondesse a quello delle vele visibili, presisi di coraggio, si precipitarono contro il pericolo: Gaio, lottando con un numero superiore di navi, ottenne facilmente la vittoria”. 509 Trad. it: “Guidava invece le truppe del corno sinistro Amilcare, quello della battaglia navale presso Tindari, che allora, occupando il centro dello schieramento, si servì di questa tattica per la battaglia”. 510 Trad. it: Quindi i Romani con assalti
M. Tullius Cicero, In Verrem, V, 124-125 En quod Tyndaritani libenter praedicent: ‘Nos in septemdecim populis Siciliae numeramur, nos semper omnibus Punicis Siciliensibusque bellis amicitiam fidemque populi Romani secuti sumus, a nobis omnia populo Romano semper et belli adiumenta et pacis ornamenta ministrata sunt.’ ... Vestros quondam nautas contra Carthaginem Scipio duxit...vobiscum Africanus hostium spolia et praemia laudis communicavit.518 Per tutto il corso della seconda guerra punica Tindari rimane fedele a Roma. Silio Italico annovera Tindari tra gli alleati in relazione agli eventi del 213 a.C. e allo scontro con Siracusa. Nel 210 a.C. il console Levino allontana dall’Isola con lungimiranza da Agathyrna, a non grande distanza da Tindari, un’accozzaglia di 4000 fuorilegge e la deporta nel continente perché devasti piuttosto le campagne del Bruzio519. Gli anni che seguono la fine della seconda guerra punica sono quelli in cui i Romani tentano di riportare la sicurezza nel territorio siciliano e di riavviare la produzione agricola520. I campi siciliani devono tornare invece alla produzione cerealicola così necessaria in quel momento a Roma521. Cicerone ricorda le successive benemerenze guadagnate dalla città per la partecipazione con un contingente alla terza guerra punica. In particolare questo comportamento fedele comporterà per la città l’inclusione fra i diciassette popoli più fedeli della Sicilia 4.1.4.7. L’itinerario dei thearoi delfici (198-194 a.C.). SGDI 2580 ... IV 90 ™m Mess£nai Larèn[ioj] naj LeÚkwn Lar[wn…ou?][™n ‘Ab]ak[a…]nwi ‘Ar™n T[undar]…di C™n Tauro[men…wi] – IV 95 dèrou AI — ... Tindari è tra le città che i sacri messi di Delfi, i thearoi, visitano, forse nella primavera del 198 o al più tardi del 194 a.C., per annunciarvi le imminenti feste pitiche panelleniche ed invitare le città. Il santuario teneva contatti con tutte le città del mondo greco e ogni anno un gruppo di thearoi si dirigeva in occidente seguendo la tradizionale rotta che dalla Grecia conduceva in Italia e in Sicilia. Gli inviati venivano ospitati in ciascuna città in genere da un thearodokos il cui nome era riportato insieme alla rispettiva città di appartenenza in iscrizioni commerorative. Di una di esse522, incisa su una grande stele di calcare, sono stati ritrovati frammenti a Delfi tra il 1880 ed il 1896. Il Plassart ne ha fornito nel 1921 una prima completa edizione critica523. Il testo risulta di rilevante interesse per la geografia storica, politica e sociale e per la ricostruzione che in qualche modo rende possibile degli itinerari percorsi in Sicilia dai thearoi, dei quali non sappiamo se fossero in qualche misura correlati o del tutto coincidenti con i tracciati viari esistenti oppure se fossero piuttosto delineati sulla base di ragioni politiche o religiose. Come ha evidenziato il Manganaro, i thearoi visitarono solamente le città dotate di autonomia, ovviamente quelle partecipi della sfera religiosa delfica. L’itinerario che tocca Tindari aveva preso avvio in Sicilia da Messana. I thearoi si erano quindi portati ad Abakainon e da qui avevano raggiunto Tyndaris da dove proseguirono verso Tauromenion. La successione delle tappe può fornire indicazioni sul percorso da Tyndaris a Tauromenium524, che può essere riconosciuto nella direttrice di lunga durata che risale lo spartiacque tra il torrente Timeto ed il torrente Elicona dal promontorio di Tindari in direzione SSO costeggiando in successione Scala, Monte Litto, Monte Saraceno, per proseguire poi oltre gli attuali limiti amministrativi di Patti verso Polverello, Randazzo e la valle dell’Alcantara. L’itinerario, oggi ripercorso dalla S.P. 119, a sua volta succedanea della Regia Trazzera Patti-Randazzo, nella prima età normanna, sotto il conte Ruggero, viene qualificato in un documento1 ÐdÕj ¹ basilik¾525. Di grande interesse è anche il collegamento tra Tyndaris e Abakainon ricostruibile, rispetto al percorso
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Michele Fasolo | Tyndaris | 111 possibile verso la costa e poi per Oliveri a Coda di Volpe, in quello per Campogrande, Basicò, S. Barbara e Casale del Vescovo nel territorio di Montalbano Elicona, e Iuculano di Patti. Del nome del thearodokos di Tindari, sicuramente un personaggio di rilievo, rimane purtroppo solamente la prima lettera C. T. Livius, Ab Urbe Condita XXXVI, 2, 6, 4; 2, 10-13 (191 a.C.) consulibus sortitis prouincias extemplo et praetores sortiti sunt. M. Iunio Bruto iurisdictio utraque euenit, A. Cornelio Mammulae Bruttii, M. Aemilio Lepido Sicilia, L. Oppio Salinatori Sardinia, C. Liuio Salinatori classis, L. Aemilio Paulo Hispania ulterior. M. Aemilius Lepidus ab L. Ualerio, cui successurus esset, simul prouinciam exercitumque accipere iussus; L. Ualerium, si ita uideretur, pro praetore in prouincia retinere et prouinciam ita diuidere, ut una ab Agrigento ad Pachynum esset, altera a Pachyno Tyndareum; eam maritimam oram Ualerius uiginti nauibus longis custodiret. eidem praetori mandatum, ut duas decumas frumenti exi- geret; id ad mare comportandum deuehendumque in Graeciam curaret. 526 Due appaiono le notazioni di rilievo in questo brano di Livio. La prima riguarda una suddivisione amministrativa tra pretore e propretore della provincia siciliana all’inizio del II sec. a.C. che fa perno sul promontorio a valore strategico di Tyndareum e su quello di Pachynum. L’altro elemento che il brano mette in luce è la richiesta alle città siciliane di due decumae frumenti. 4.1.4.8. Tindari e la nascita della poesia bucolica nelle teorie degli scholia veteres del I sec. a.C. Scholia In Theocritum, (scholia vetera) proleg.B a.1-b. 17 Εὕρεσις τῶν βουκολικῶν Τὰ βουκολικά φασιν εὑρεθῆναι καὶ περισσῶς προκοπῆς τυχεῖν. τῶν γὰρ Περσικῶν ἐνεστώτων ἔτι καὶ φόβῳ πᾶσαν τὴν Ἑλλάδα ταρασσόντων ἐνέστη ἑορτὴ Ἀρτέμιδος Καρυάτιδος. τῶν δὲ παρθένων ἀποκεκρυμμένων διὰ τὴν ἐκ τοῦ πολέμου ταραχὴν ἀγροῖκοί τινες εἰσελθόντες εἰς τὸ ἱερὸν ἰδίαις ᾠδαῖς τὴν Ἄρτεμιν ὕμνησαν· τῆς δὲ τούτων ξένης μούσης ἀρεστῆς γενομένης παρέμεινε τὸ ἔθος καὶ ἐφυλάχθη. ἄλλοι δὲ τῆς Σικελίας πρῶτον ἀχθῆναι λέγουσι τὰ βουκολικά. Ὀρέστῃ γὰρ ἐκκομίζοντι τῆς Ἀρτέμιδος ξόανον ἐκ Ταύρων τῆς Σκυθίας χρησμὸς ἐξέπεσεν ἐν ἑπτὰ ποταμοῖς ἐκ μιᾶς πηγῆς ῥέουσιν ἀπολούσασθαι· ὁ δὲ πορευθεὶς εἰς Ῥήγιον τῆς Ἰταλίας τὸ ἄγος ἀπενίψατο ἐν τοῖς λεγομένοις διαχωρίοις ποταμοῖς. ἔπειτα εἰς Τυνδαρίδα τῆς Σικελίας διῆλθεν· οἱ δὲ ἐπιχώριοι τὴν θεὸν ἰδίοις ποιήμασι καθυμνήσαντες ἔθει τὴν πρώτην παρέδοσαν εὕρεσιν. ὁ δὲ ἀληθὴς λόγος οὗτος. 527 Scholia In Theocritum, (scholia vetera) Prolegomenon-anecdote-poem Anec Est, 2.9-16 Anecdoton Estense III ὅτι οἱ μέν φασιν τὰ βουκολικὰ πρῶτον, τῷ τρόπῳ τούτῳ. τῶν Περσικῶν ἐνεστώτων ἔτι καὶ φόβῳ πᾶσαν τὴν Ἑλλάδα ταρασσόντων ἐνέστη τις (incertum) ἑορτὴ Ἀρτέμιδος Καρυάτιδος. τῶν οὖν παρθένων κεκρυμμένων διὰ τὴν ἐκ τοῦ πολέμου ταραχὴν ἀγροῖκοί τινες εἰσελθόντες ἰδίαις ᾠδαῖς τὴν Ἄρτεμιν ὕμνησαν· τῆς δὲ τούτων ξένης μούσης ἀρίστης γενομένης παρέμεινε τὸ ἔθος καὶ ἐφυλάχθη. οἱ δέ φασιν ἐν Σικελίᾳ πρῶτον ἐξευρεθῆναι τρόπῳ τοιῷδε. ἐξενεχθέντος τῷ Ὀρέστῃ χρησμοῦ ἐν ἑπτὰ ποταμοῖς ἐκ μιᾶς πηγῆς ῥέουσιν ἀπολούσασθαι, εἰς Ῥήγιον τῆς Ἰταλίας πορευθείς, φέρων καὶ τῆς Ἀρτέμιδος ξόανον μεθ’ ἑαυτοῦ, ἐκεῖ ἐν τοῖς λεγομένοις διαχωρίοις ἐλούσατο ποταμοῖς. ἔπειτα τὸ ξόανον λαβὼν εἰς τῆς Σικελίας ἀφίκετο· οἱ δὲ ἐπιχώριοι τὴν θεὰν ἰδίοις ποιήμασι καθυμνήσαντες ἔθει τὴν πρώτην παρέδοσαν εὕρεσιν. ἀληθέστερον δέ φασιν οἱ λέγοντες ἐν Σικελίᾳ...
continui e usando le macchine buttarono giù le mura, e impossessatisi della periferia della città uccisero parecchi nemici; gli altri fuggirono nella città vecchia e, mandati ambasciatori ai consoli, chiesero che le loro persone fossero risparmiate. Si giunse ad un accordo, per cui si convenne che fossero lasciati liberi coloro che avessero consegnato per la propria persona due mine. I Romani presero allora la città, e quattordicimila uomini convennero al pagamento di questo denaro, e furono lasciati andare. Gli altri, in numero di tredicimila, e ogni ricchezza furono fatte preda di guerra. Gli abitanti di Iete, scacciata la guarmigione punica, consegnarono la città ai Romani. E allo stesso modo si comportarono gli abitanti di Solunto, Petra, Cytattara e Tindari. I consoli allora, lasciata una guarnigione a Palermo, ritornarono a Messina”. 511 ROUSSEL 1970. 512 Eutr. II, 19 “Tauromenitani, Catinenses et praeterea quinquaginta civitates in fidem acceptae sunt”. 513 Diod. XXIII, 4 “ἦσαν δὲ ἑξήκοντα ἑπτά”. 514 Cic., in Verrem, 4, 39, 84. 515 Malta in Naevius fr. 37 Buechner, Malta e Lipari in Orosius 4.8.5, Lipari e Tindari in Zonaras 8.12. 516 LA BUA 1966, p. 64 n. 5. 517 Trad. it. di M. A. Vinchesi:“E accorse anche una schiera da Agirio, e Tindari superba dei gemelli spartani”. 518 Trad. it. di D. Vottero: “Ecco le benemerenze che i cittadini di Tindari potrebbero vantare con soddisfazione: «Noi siamo annoverati fra i diciassette popoli (più fedeli) della Sicilia; noi siamo sempre rimasti devoti all’amicizia e ai vincoli di lealtà che ci legano al popolo romano, in tutte le guerre combattute sia contro i cartaginesi sia contro i siciliani; da parte nostra sono sempre stati elargiti al popolo romano ogni sorta di aiuti e di preziose risorse per le opere di pace». Un tempo Scipione guidò contro Cartagine i vostri marinai...con voi l’Africano divide le spoglie dei nemici ed i frutti della sua gloria”. 519 Liv. XXVI, 40.17-18. 520 Liv. XXVII, 5, 3. 521 Polyb. IX, 11 a. 522 SGDI 2580. 523 PLASSART 1921.
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524 MANGANARO 1964. Vedi anche 1965. 525 Diploma di donazione da parte del conte Ruggero ad Ambrosio, abate di S. Bartolomeo di Lipari, di un territorio dal tenimento del Meliuso (1100, novembre Ind. IX?, per il Cusa 1097). CUSA 1868-1882, p. 509-510, n. 11 p. 697. 526 Trad. it. di L. Galasso: “Quando i consoli ebbero estratto a sorte le province fu la volta anche dei pretori. A. M. Giunio Bruto toccarono entrambe le giurisdizioni, ad A. Cornelio Mammola il Bruzio, a M. Emilio Lepido la Sicilia, a L. Oppio Salinatore la Sardegna, a C. Livio Salinatore la flotta, a L. Emilio Paolo la Spagna Ulteriore... A Marco Emilio Lepido fu ordinato di ricevere da L. Valerio al quale sarebbe subentrato, a un tempo provincia ed esercito: a sua discrezione, aveva facoltà di mantenervi L. Valerio nella carica di propretore: allora avrebbe diviso la provincia in modo tale che una parte andasse da Agrigento al capo Pachino, l’altra da Pachino al Tindari, l’incombenza di custodire questo tratto di litorale doveva restare a L. Valerio. Il medesimo pretore fu incaricato di esigere due decime di frumento e di provvedere a farlo raccogliere sulla costa e a farlo arrivare in Grecia”. 527 Trad. it. “L’invenzione della poesia bucolica. Dicono che la poesia bucolica sia stata inventata a Sparta, e fu tenuto in grande considerazione, per il seguente motivo. Al tempo delle guerre persiane, quando tutta la Grecia era in uno stato di paura, si sarebbe dovuto celebrare la festa di Artemide Caryatis. Le fanciulle si nascosero a distanza, a causa dell’allarme causato dalla guerra, ma alcuni uomini dalle campagne entrarono nel tempio e cantavano le proprie canzoni in onore di Artemide. La dea era soddisfatta dalla loro musica insolita, e così la tradizione è stata fondata e si è conservata. Altri dicono che la poesia bucolica è stata la prima volta a Tindari in Sicilia. Quando Oreste ha preso l’immagine di Artemide lontano dalla Tauride in Scizia, ha ricevuto un oracolo, che egli si lavasse in sette fiumi che scorrono da una fonte. Quindi Oreste andò a Reggio in Italia, e spazzato via la maledizione nei cosiddetti fiumi “separati”. Poi passò a Tindari in Sicilia, dove gli abitanti locali cantarono le loro canzoni in onore della dea, e questa fu l’origine della tradizione. Ma la verità è la seguente...”. 528 Del commento è indiziato anche lo scoliaste Asclepiades di Myrlea. WENDEL 1914. ID 1920. 529 Artemision santuario rurale di Artemis Phakelitis, probabilmente nell'area tra Mylae e Tyndaris, o nei
Conosciamo alcune opinioni degli antichi sull’origine, storica e geografica, della poesia bucolica grazie ai passi superstiti contenuti nelle introduzioni che due scoliasti premettono ai commenti rispettivamente delle poesie di Teocrito e delle Bucoliche di Virgilio. Entrambi sono concordi nel ricollegare questo genere letterario alle cerimonie in onore di Artemide ricordandone le possibili originarie localizzazioni geografiche: la Lacedemonia oppure la Sicilia orientale. Nell’isola un ruolo protagonista l’avrebbe avuto Oreste. L’eroe, impossessatosi in Tauride del simulacro di Artemide, intraprende un viaggio che lo conduce prima nel territorio di Reggio, dove si avvera l’oracolo che gli aveva predetto la purificazione dal matricidio qualora avesse trovato sette fiumi diacèrioi, sgorganti da una sola sorgente, e quindi in Sicilia, precisamente a Tindari, annota l’erudito che in età augustea commenta l’opera di Teocrito. Si tratta probabilmente del grammatico Theon, figlio, secondo il Wilamowitz, del primo editore dell’opera teocritea Artemidoro.528 Non detto esplicitamente ma sotteso è che a Tindari l’eroe avrebbe deposto il simulacro presso un tempio. Per essere plausibile questa localizzazione a Tindari doveva essere supportata dall’esistenza di un tempio abbastanza noto. Probabilmente si trattava di un santuario di Artemide Taurica lo stesso cui riporta il passo di Silio Italico che richiama Toante, re di Tauride, per Diana Facelina.529 Nel territorio di Tindari, precisamente nel luogo dove negli anni ’70 del XX secolo venne casualmente scoperta la villa romana di Patti Marina, è stato ritrovato un importante rilievo votivo, oggi a Copenaghen, con un’iscrizione che ci presenta Artemide quale eupraxia, e cioé benefattrice.530 A Tindari Oreste non ci appare affatto straniero in quanto nipote dell’eroe Tindaro. Secondo una tradizione è infatti al pari dei Tindaridi oggetto di una rivendicazione identitaria che vede i Messeni, che lo ricordano come loro re, opposti ai nemici Laconi. 4.1.4.9. Tindari nelle Verrine di Cicerone. M. Tullius Cicero, In Verrem, II, 156 Confitendum igitur est tibi necessario Siculos inimicos esse, qui quidem in te gravissima postulata consulibus ediderint, et me ut hanc causam salutisque suae defensionem susciperem obsecrarint... Dixerunt Halaesini, Catinenses, Tyndaritani, Hennenses, Herbitenses, Agyrinenses, Netini, Segestani: enumerare omnis non est necesse. Scitis quam multi et quam multa priore actione dixerint: nunc et illi et reliqui dicent.531 M. Tullius Cicero, In Verrem, II, 160 Tauromenitani, quorum est civitas foederata, homines quietissimi, qui maxime ab iniuriis nostrorum magistratuum remoti consuerant esse praesidio foederis - hi tamen istius evertere statuam non dubitarunt; qua abiecta basim tamen in foro manere voluerunt, quod gravius in istum fore putabant si scirent homines statuam eius a Tauromenitanis esse deiectam quam si nullam mquam positam esse arbitrarentur. Tyndaritani deiecerunt in foro et eadem de causa equum inanem reliquerunt.532 M. Tullius Cicero, In Verrem, III, 103 Audietis Agrigentinorum, fortissimorum virorum, diligentissimorum aratorum, querimonias; cognoscetis Entellinorum, hominum summi laboris summaeque industriae, dolorem et iniurias; Heracliensium,Gelensium, Soluntinorum incommoda proferentur; Catinensium, locupletissimorum hominum amicissimorumque, agros vexatos ab Apronio cognoscetis; Tyndaritanam, nobilissimam civitatem, Cephaloeditanam, Haluntinam, Apolloniensem, Enguinam, Capitinam perditas esse hac iniquitate decumarum intellegetis;533 M. Tullius Cicero, In Verrem, III, 172 Cum senatus decernit ut ematur in Sicilia frumentum, aut cum populus iubet, hoc, ut opinor, intellegit, ex Sicilia Siculum frumentum apportari oportere: tu cum civitatum Siciliae vulgo omne frumentum improbas, num ex Aegypto aut Syria frumentum Romam missurus es? Improbas Halaesinum, Thermitanum, Cephaloeditanum, Amestratinum, Tyndaritanum, Herbitense, multarum praeterea civitatum! Quid accidit tandem ut horum populorum agri frumentum eius modi te praetore ferrent, – quod numquam antea, – ut
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Michele Fasolo | Tyndaris | 113 neque tibi neque populo Romano posset probari, praesertim cum ex isdem agris eiusdem anni frumentum ex decumis Romam mancipes advexissent? Quid acciderat ut ex eodem horreo decumanum probaretur, emptum improbaretur? Dubiumne est quin ista omnis improbatio cogendae pecuniae causa nata sit? 534 M. Tullius Cicero, In Verrem, IV, 17 Quid sedes, Verres? quid exspectas? quid te a Centuripina civitate, a Catinensi, ab Halaesina, a Tyndaritana, Hennensi, Agyrinensi ceterisque Siciliae civitatibus circumveniri atque opprimi dicis?535 M. Tullius Cicero, In Verrem, IV, 29 tam te has phaleras a Phylarcho Centuripino abstulisse dicebant quam alias item nobilis ab Aristo Panhormitano, quam tertias a Cratippo Tyndaritano.536 M. Tullius Cicero, In Verrem, IV, 48 Hic nolite exspectare dum ego haec crimina agam ostiatim, ab Aeschylo Tyndaritano istum pateram abstulisse, a Thrasone item Tyndaritano patellam, a Nymphodoro Agrigentino turibulum. .. Cn. Pompeius est, Philo qui fuit, Tyndaritanus. Is cenam isti dabat apud villam in Tyndaritano. Fecit quod Siculi non audebant; ille, civis Romanus quod erat, impunius id se facturum putavit; adposuit patellam in qua sigilla erant egregia. Iste continuo ut vidit, non dubitavit illud insigne penatium hospitaliumque deorum ex hospitali mensa tollere, sed tamen, quod ante de istius abstinentia dixeram, sigillis avulsis reliquum argentum sine ulla avaritia reddidit.537 M. Tullius Cicero, In Verrem, IV, 84-92 At hoc solum Africani monumentum violasti. Quid? a Tyndaritanis non eiusdem Scipionis beneficio positum simulacrum Mercuri pulcherrime factum sustulisti? At quem ad modum, di immortales! quam audacter, quam libidinose, quam impudenter! Audistis nuper dicere legatos Tyndaritanos, homines honestissimos ac principes civitatis, Mercurium, qui sacris anniversariis apud eos ac summa religione coleretur, quem P. Africanus Carthagine capta Tyndaritanis non solum suae victoriae sed etiam illorum fidei societatisque monumentum atque indicium dedisset, huius vi scelere imperioque esse sublatum. Qui ut primum in illud oppidum venit, statim, tamquam ita fieri non solum oporteret sed etiam necesse esset, tamquam hoc senatus mandasset populusque Romanus iussisset, ita continuo signum ut demolirentur et Messanam deportarent imperavit. Quod cum illis qui aderant indignum, qui audiebant incredibile videretur, non est ab isto primo illo adventu perseveratum. Discedens mandat proagoro Sopatro, cuius verba audistis, ut demoliatur; cum recusaret, vehementer minatur et statim ex illo oppido proficiscitur. Refert rem ille ad senatum; vehementer undique reclamatur. Ne multa, iterum iste ad illos aliquanto post venit, quaerit continuo de signo. Respondetur ei senatum non permittere; poenam capitis constitutam, si iniussu senatus quisquam attigisset; simul religio commemoratur. Tum iste, ‘Quam mihi religionem narras, quam poenam, quem senatum? vivum te non relinquam; moriere virgis nisi mihi signum traditur.’ Sopater iterum flens ad senatum rem defert, istius cupiditatem minasque demonstrat. Senatus Sopatro responsum nullum dat, sed commotus perturbatusque discedit. Ille praetoris arcessitus nuntio rem demonstrat, negat ullo modo fieri posse. Atque haec—nihil enim praetermittendum de istius impudentia videtur—agebantur in conventu palam de sella ac de loco superiore. Erat hiems summa, tempestas, ut ipsum Sopatrum dicere audistis, perfrigida, imber maximus, cum iste imperat lictoribus ut Sopatrumde porticu, in qua ipse sedebat, praecipitem in forum deiciant nudumque constituant. Vix erat hoc plane imperatum cum illum spoliatum stipatumque lictoribus videres. Omnes id fore putabant ut miser atque innocens virgis caederetur; fefellit hic homines opinio. Virgis iste caederet sine causa socium populi Romani atque amicum? Non usque eo est improbus; non omnia
dintorni di quest'ultima G. Nenci and G. Vallet (eds.), Bibliografia topografica della colonizzazione greca in Italia e nelle isole tirreniche, Pisa and Rome, 1977- X, 134. 530 Prîtoj kaˆ men…pph ‘Artšmidi EÙprax…ai. H. BRUNN, «Artemis Eupraxia» in Ann. Inst. Corr. Arch., XXI (1849), pp. 264-269, tav. agg. H: “Il bassorilievo scolpito in marmo siculo bianco, e, come pare, delle stesse vicinanze di Tindari, è stato trovato a poca distanza della spiaggia che si distende tra Patti e l’antica Tindari, circa un miglio dalla prima, e sei dalla seconda città, in un podere della contrada Orti del Vescovo, e propriamente Sant’Eramo o Elamo o Elmo”. La località è quella in cui negli anni ’70 del XX secolo verrà scoperta durante i lavori di costruzione dell’autostrada la villa romana di Patti Marina; CIG III 5613b, p. 1250; IG XIV 375, p. 72; SCAFFIDI 1895, p. 97 n. 2. L’epiteto EÙprax…a è stato commentato da P. VEYNE, Metis 5 (1990) [1991], p. 21. 531 Trad. it. di L. Fiocchi: ”Devi dunque ammettere è inevitabile, che i Siciliani ti sono nemici: essi hanno presentato ai consoli richieste che suonano accusa gravissima contro di te, e mi hanno scongiurato di assumermi questa causa e la difesa dei loro interessi vitali...Hanno deposto gli inviati di Alesa, di Catania, di Tindari, di Enna, di Erbita, di Agira, di Noto, di Segesta: non occorre che li enumeri tutti. Voi sapete quanti hanno deposto nel primo dibattito, e quante cose hanno detto: ora deporranno sia quelli sia gli altri”. 532 Trad. it. di L. Fiocchi: “Gli abitanti di Taormina, una città federata, persone assolutamente pacifiche e solitamente immuni dai soprusi dei nostri magistrati grazie alla protezione del loro trattato... ebbene, anch’essi non esitarono ad abbattere la statua di costui [Verre]; dopo averla gettata a terra, vollero però che rimanesse nel foro il piedistallo, perché ritenevano più grave oltraggio per Verre far sapere alla gente che gli abitanti di Taormina avevano battuto la sua statua, piuttosto che lasciar pensare che non gliene avessero mai eretta una. Gli abitanti di Tindari buttarono giù quella che sorgeva nel foro, ma lasciarono in piedi, per il medesimo motivo, il solo cavallo”. 533 Trad. it. di L. Fiocchi: “Ascolterete direttamente da loro le proteste degli abitanti di Agrigento, uomini degnissimi, coltivatori scrupolosissimi; apprenderete dagli abitanti di Entella, uomini infaticabili e laboriosissimi, il loro risentimento e i soprusi che hanno patito; dagli abitanti di Eraclea, Gela, Solunto vi saranno esposti i danni che hanno subito; dagli abitanti di Catania,
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uomini tra i più benestanti e i più legati a noi da amicizia, apprenderete come le loro terre siano state devastate da Apronio; vi renderete conto di come Tindari, una città nobilissima, Cefalù, Alunto, Apollonia, Enguio, Capizzi siano state rovinate da questa prepotenza degli esattori”. 534 Trad. it. di L. Fiocchi: “Quando il senato decide che si acquisti frumento in Sicilia, o quando lo ordina il popolo, intende, mi immagino, che si debba importare dalla Sicilia frumento siciliano: tu, quando rifiuti come cattivo tutto il frumento di tutte le città della Sicilia, intendi forse mandare a Roma frumento dell’Egitto o della Siria? Rifiuti quello di Alesa, di Terme, di Cefalù, di Améstrato, di Tindari, di Érbita, di molte altre città! Insomma, come poté accadere che durante il tuo governo i campi di tutte queste popolazioni producessero (cosa che prima non si era mai verificata) frumento di qualità cosi cattiva che non poteva essere accettato né da te né dal popolo romano? Tanto più che il grano delle decime, prodotto nel medesimo anno dai medesimi campi, era stato regolarmente trasportato a Roma dagli aggiudicatari dell’esazione. Come era potuto accadere che dal medesimo granaio si accettasse il frumento della decima e si rifiutasse quello da acquistare? Può sussistere qualche dubbio che il motivo di tutti questi rifiuti fosse l’intento di accumular denaro?”. 535 Trad. it. di D. Vottero: “Perché te ne stai seduto, o Verre? che cosa aspetti? Perché vai dicendo che le città di Centuripe, di Catania, di Alesa, di Tindari, di Enna, di Agira e tutte le altre città della Sicilia cercano con arti subdole di rovinarti?”. 536 Trad. it. di D. Vottero: “dicevano che tu avevi portato via queste falere a Filarco di Centuripe con la stessa tecnica usata per portarne via altre ugualmente pregevoli ad Aristo di Palermo e altre ancora a Cratippo di Tindari”. 537 Trad. it. di D. Vottero: “A questo punto non aspettatevi che io passi in rassegna queste sue colpe bussando a tutte le porte, raccontando per esempio come abbia portato via una patera a Eschilo di Tindari, un piatto a Trasone, lui pure di Tindari, un turibolo a Ninfodoro di Agrigento...Prendete il caso di Gneo Pompeo di Tindari, che prima si chiamava Filone. Egli àllestiva un pranzo in onore di Verre nella sua villa situata nel territorio di Tindari e fece una cosa che i Siciliani non avrebbero mai osato: fece portare in tavola un piatto impreziosito da splendide figurine in bassorilievo; poiché egli era un cittadino romano, pensava di potersi comportare cosi senza correre
sunt in uno vitia; numquam fuit crudelis. Leniter hominem clementerque accepit. Equestres sunt medio in foro Marcellorum statuae, sicut fere ceteris in oppidis Siciliae; ex quibus iste C. Marcelli statuam delegit, cuius officia in illam civitatem totamque provinciam recentissima erant et maxima; in ea Sopatrum, hominem cum domi nobilem tum summo magistratu praeditum, divaricari ac deligari iubet. Quo cruciatu sit adfectus venire in mentem necesse est omnibus, cum esset vinctus nudus in aere, in imbri, in frigore. Neque tamen finis huic iniuriae crudelitatique fiebat donec populus atque universa multitudo, atrocitate rei misericordiaque commota, senatum clamore coegit ut isti simulacrum illud Mercuri polliceretur. Clamabant fore ut ipsi se di immortales ulciscerentur; hominem interea perire innocentem non oportere. Tum frequens senatus ad istum venit, pollicetur signum. Ita Sopater de statua C. Marcelli, cum iam paene obriguisset, vix vivus aufertur. Non possum disposite istum accusare, si cupiam: opus est non solum ingenio verum etiam artificio quodam singulari. Vnum hoc crimen videtur esse et a me pro uno ponitur, de Mercurio Tyndaritano; plura sunt, sed ea quo pacto distinguere ac separare possim nescio. Est pecuniarum captarum, quod signum ab sociis pecuniae magnae sustulit; est peculatus, quod publicum populi Romani signum de praeda hostium captum, positum imperatoris nostri nomine, non dubitavit auferre; est maiestatis, quod imperi nostri, gloriae, rerum gestarum monumenta evertere atque asportare ausus est; est sceleris, quod religiones maximas violavit; est crudelitatis, quod in hominem innocentem, in socium vestrum atque amicum, novum et singulare supplici genus excogitavit: illud vero quid sit iam non queo dicere, quo nomine appellem nescio, quod in C. Marcelli statua. Quid est hoc? patronusne quod erat? Quid tum? quo id spectat? utrum ea res ad opem an ad calamitatem clientium atque hospitum valere debebat? an ut hoc ostenderes, contra vim tuam in patronis praesidi nihil esse? Quis non Marco Tullio Cicerone - In Verrem hoc intellegeret, in improbi praesentis imperio maiorem esse vim quam in bonorum absentium patrocinio? An vero ex hoc illa tua singularis significatur insolentia, superbia, contumacia? Detrahere videlicet aliquid te de amplitudine Marcellorum putasti. Itaque nunc Siculorum Marcelli non sunt patroni, Verres in eorum locum substitutus est. Quam in te tantam virtutem esse aut dignitatem arbitratus es ut conarere clientelam tam splendidae, tam inlustris provinciae traducere ad te, auferre a certissimis antiquissimisque patronis? Tu ista nequitia, stultitia, inertia non modo totius Siciliae, sed unius tenuissimi Siculi clientelam tueri potes? tibi Marcelli statua pro patibulo in clientis Marcellorum fuit? tu ex illius honore in eos ipsos qui honorem illi habuerant supplicia quaerebas? Quid postea? quid tandem tuis statuis fore arbitrabare? an vero id quod accidit? Nam Tyndaritani statuam istius, quam sibi propter Marcellos altiore etiam basi poni iusserat, deturbarunt simul ac successum isti audierunt. Dedit igitur tibi nunc fortuna Siculorum C. Marcellum iudicem, ut, cuius ad statuam Siculi te praetore alligabantur, eius religione te vinctum adstrictumque dedamus. Ac primo, iudices, hoc signum Mercuri dicebat iste Tyndaritanos M. Marcello huic Aesernino vendidisse, atque hoc sua causa etiam M. Marcellum ipsum sperabat esse dicturum; quod mihi numquam veri simile visum est, adulescentem illo loco natum, patronum Siciliae, nomen suum isti ad translationem criminis commodaturum. Verum tamen ita mihi res tota provisa atque praecauta est ut, si maxime esset inventus qui in se suscipere istius culpam crimenque cuperet, tamen is proficere nihil posset. Eos enim deduxi testis et eas litteras deportavi ut de istius facto dubium esse nemini possit. Publicae litterae sunt deportatum Mercurium esse Messanam sumptu publico; dicunt quanti; praefuisse huic negotio publice legatum Poleam. Quid? is ubi est? Praesto est, testis est. Proagori Sopatri iussu. Quis est hic? Qui ad statuam adstrictus est. Quid? is ubi est? Vidistis hominem et verba eius audistis. Demoliendum curavit Demetrius gymnasiarchus, quod is ei loco praeerat. Quid? hoc nos dicimus? Immo vero ipse praesens. Romae nuper ipsum istum esse pollicitum sese id signum legatis redditurum si eius rei testificatio tolleretur cautumque esset eos testimonium non esse dicturos,—dixit hoc apud vos Zosippus, et Ismenias, homines nobilissimi et principes Tyndaritanae civitatis. 538
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Michele Fasolo | Tyndaris | 115 M. Tullius Cicero, In Verrem, V, 86 Egreditur in Centuripina quadriremi Cleomenes e portu; sequitur Segestana navis, Tyndaritana, Herbitensis, Heracliensis, Apolloniensis, Haluntina, praeclara classis in speciem, sed inops et infirma propter dimissionem propugnatorum atque remigum.539 M. Tullius Cicero, In Verrem, V, 108-110 Pater aderat Dexo Tyndaritanus, homo nobilissimus, hospes tuus. Cuius tu domi fueras, quem hospitem appellaras, eum cum illa auctoritate miseria videres perditum, non te eius lacrimae, non senectus, non hospiti ius atque nomen a scelere aliquam ad partem humanitatis revocare potuit? ...Te patris lacrimae de innocentis fili periculo non movebant; cum patrem domi reliquisses, filium tecum haberes, te neque praesens filius de liberum caritate neque absens pater de indulgentia patria commonebat? Catenas habebat hospes tuus Aristeus, Dexonis filius. Quid ita? ‘Prodiderat classem.’ Quod ob praemium? ‘Deseruerat.’540 M. Tullius Cicero, In Verrem, V, 124-125 Cum mihi Tyndaritani illius venit in mentem, cum Segestani, tum iura simul civitatum atque officia considero. Quas urbis P. Africanus etiam ornandas esse spoliis hostium arbitratus est, eas C. Verres non solum illis ornamentis sed etiam viris nobilissimis nefario scelere privavit. En quod Tyndaritani libenter praedicent: ‘Nos in septemdecim populis Siciliae numeramur, nos semper omnibus Punicis Siciliensibusque bellis amicitiam fidemque populi Romani secuti sumus, a nobis omnia populo Romano semper et belli adiumenta et pacis ornamenta ministrata sunt.’ Multum vero haec iis iura profuerunt in istius imperio ac potestate Vestros quondam nautas contra Carthaginem Scipio duxit, at nunc navem contra praedones paene inanem Cleomenes ducit; vobiscum Africanus hostium spolia et praemia laudis communicavit, at nunc, per spoliati, nave a praedonibus abducta, ipsi in hostium loco numeroque ducimini.541 M. Tullius Cicero, In Verrem, V, 128 Dexo hic, quem videtis, non quae publice Tyndaride, non quae privatim sibi eripuisti, sed unicum miser abs te filium optimum atque innocentissimum flagitat; non ex litibus aestimatis tuis pecuniam domum, sed ex tua calamitate cineri atque ossibus fili sui solacium vult aliquod reportare. 542 M. Tullius Cicero, In Verrem, V, 133 Ego culpam non in nauarchis sed in te fuisse demonstro, te pretio remiges militesque dimisisse arguo. Hoc nauarchi reliqui dicunt, hoc Netinorum foederata civitas publice dicit, hoc Amestratini, hoc Herbitenses, hoc Hennenses, Agyrinenses, Tyndaritani publice dicunt, tuus denique testis, tuus imperator, tuus aemulus, tuus hospes Cleomenes hoc dicit, sese in terram esse egressum ut Pachyno e terrestri praesidio milites colligeret, quos in navibus conlocaret; quod certe non fecisset si suum numerum naves haberent; ea est enim ratio instructarum ornatarumque navium ut non modo plures sed ne singuli quidem possint accedere. 543 M. Tullius Cicero, In Verrem, V, 185 Teque, Mercuri, quem Verres in domo et in privata aliqua palaestra posuit, P. Africanus in urbe sociorum et in gymnasio Tyndaritanorum iuventutis illorum custodem ac praesidem voluit esse. 544 Le Verrine di Cicerone, pur fornendo, in quanto atto di accusa545, un quadro generale tendenzioso e a volte esagerato, offrono numerose informazioni su Tindari in età repubblicana e su altre città siciliane, susseguente alla riorganizzazione di Rupilio del 131 a.C.. Innanzitutto esse delineano la condizione giuridica e tributaria. Fino alla fine della prima guerra punica e forse per i decenni successivi Tindari è per lo ius gentium una città dediticia. Nel 254 a. C. infatti si era consegnata546 in fidem et amicitiam populi Romani. Il successivo comportamento fedele547 sino alla conclusione della seconda guerra punica gli
troppi rischi. Ma fu un momento: come lo vide, Verre non esitò ad asportare dalla mensa del suo ospite quel simbolo del culto degli dei penati e protettori degli ospiti, ma tuttavia, per confermare quel che avevo detto prima sulla sua delicatezza, una volta strappati i bassorilievi, restituì l’argento che restava senz’ombra di avidità”. 538 Trad. it. di D. Vottero: Ma, dirai tu, questo è il solo monumento dell’Africano che hai profanato. Come, come? Agli abitanti di Tindari non hai sottratto una statua di Mercurio di fattura veramente egregia lì collocata per interessamento del medesimo Scipione? E come è stato perpetrato il furto, o dei immortali! Con che audacia, con che prepotenza, con che sfrontatezza! Avete udito poco fa la deposizione dei delegati di Tindari, persone tra le più rispettabili e autorevoli della loro città, secondo i quali il Mercurio venerato presso di loro con celebrazioni annualì e con la più profonda devozione, quello che Publio Africano dopo la conquista di Cartagine aveva donato loro a ricordo e testimonianza non solo della sua vittoria, ma anche della loro fedeltà di alleati, fu sottratto loro da Verre con un colpo di mano: un delitto favorito dalla sua posizione di potere. Egli infatti, non appena arrivato in quella città, subito, quasi che un’azione simile gli fosse imposta non solo da ragioni di opportunità ma addirittura da una necessità imprescindibile, quasi che fosse un incarico ricevuto dal senato e dipendesse dalla volontà del popolo romano, così senza perder tempo diede ordine che la statua fosse rimossa e trasportata a Messina. Questo parve vergognoso a quelli cui veniva riferito: perciò, in quella sua prima visita, non insistette. Sul punto di andarsene, però, prescrive al proàgoro Sopatro, di cui avete udito la testimonianza, di rimuovere la statua; di fronte al suo rifiuto, Verre formula feroci minacce e subito se ne parte da quella città. Sopatro sottopone la questione al senato, dove si levano energiche voci di protesta da tutti i settori. Per dirla in breve, qualche tempo dopo il nostro uomo si ripresenta agli abitanti di Tindari e senza indugi chiede della statua. Gli si risponde che il senato ha espresso parere contrario alla rimozione e ha deciso la pena di morte per chiunque l’avesse toccata in violazione del decreto del senato; nello stesso tempo gli si fa notare che si tratterebbe di un sacrilegio. Allora lui: «Ma che mi vieni a raccontare con la storia del sacrilegio, della pena, del senato? Non ti lascerò in vita; ti farò flagellare a morte se non mi viene consegnata la statua». Sopatro fra le lacrime sottopone una seconda volta la questione al senato, sottolineando la
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bramosia e le minacce di Verre. I senatori non danno a Sopatro nessuna risposta ufficiale, ma tolgono la seduta in preda alla più profonda costernazione. Intanto Sopatro, convocato con un messaggio dal governatore, spiega la cosa e ribadisce che non c’è nessuna possibilità di una conclusione positiva. E si aggiunga che Verre (nulla infatti dev’essere trascurato, a mio parere, quando si parla della sua sfrontatezza) affrontava simili questioni pubblicamente, mentre amministrava la giustizia assiso sulla sedia curule, dall’alto del suo seggio di governatore. Si era in pieno inverno; il clima, come avete udito proprio dalle parole di Sopatro, era rigidissimo e pioveva a dirotto, quando Verre ordina ai littori di scaraventare giù dal porticato, dov’egli sedeva nell’esercizio delle sue funzioni, Sopatro in mezzo alla piazza e di denudarlo. L’ordine era stato per l’appunto appena impartito, che già avresti potuto vedere Sopatro spogliato e assediato dai littori. Tutti credevano che il disgraziato, pur essendo innocente, sarebbe stato fustigato, ma questa volta non l’azzeccarono. Verre avrebbe fustigato senza un buon motivo un alleato e un amico del popolo romano? Non è malvagio fino a questo punto; non si può pensare che una sola persona abbia in sé tutti i vizi; egli non è mai stato crudele. Trattò Sopatro con delicatezza e con clemenza. In mezzo alla piazza sorgono delle statue equestri dei Marcelli, come in quasi tutte le altre città della Sicilia. Tra queste Verre scelse la statua di Gaio Marcello, le cui benemerenze nei confronti di quella città e di tutta quanta la provincia erano molto recenti e molto grandi. Su di essa fa legare saldamente a cavalcioni Sopatro, che nella sua città non era solo un personaggio eminente ma ricopriva anche la più alta carica pubblica. In che cosa consistesse la tortura, non è possibile che a qualcuno sfugga, visto che era stato legato nudo alla mercé del vento, della pioggia, del freddo. Eppure questo trattamento ingiusto e feroce non ebbe fine sino a quando i cittadini di Tindari e tutta la folla presente, profondamente scossi dall’efferatezza dell’oltraggio e mossi a compassione, non ebbero costretto con le loro grida il senato a promettere a Verre la statua di Mercurio di cui stiamo parlando. Gridavano che sarebbero stati gli stessi dei immortali a vendicarsi di lui; per il momento non era giusto che perisse un essere umano innocente. Allora i senatori in folla vanno dal governatore e gli promettono la statua. Cosi Sopatro, ormai pressoché assiderato, viene tirato giù più morto che vivo dalla statua di Gaio Marcello.
era valso probabilmente qualche modificazione del proprio status che non riusciamo a cogliere ma di cui può essere indizio il privilegio, che Cicerone ricorda, di essere annoverata tra le diciasette città che per decisione del senato romano avevano l’onore - in realtà a noi moderni appare un onere - di crusoforeÎn tª ‘Afrod…tý, di portare oro al santuario di Venere Ericina548, sede ufficiale del pretore549, e di apprestarvi per la sua difesa un contingente di 200 soldati, in realtà a disposizione del governatore romano550. Dopo la Lex Rupilia del 131 a.C. al tempo di Cicerone Tyndaris ci appare città socia. Il suo proagoro Sopatro ne concentra la condizione giuridica nella definizione di Cicerone socius et amicus populi Romani. Non sappiamo se in base ad un foedus formale ma a Tindari sono riconosciuti diritti autonomistici, propri ordinamenti, usi, libertà civiche, un organo di autogoverno - il senato di cui non conosciamo struttura, funzioni e modalità di accesso, un sommo magistrato il proagoro551, ed in analogia con quanto conosciamo di altre comunità cittadine siciliane probabilmente altre magistrature552, strutture come il ginnasio. Vengono riconosciuti Iura ma richiesti anche officia553, prettamente vectigalia questi ultimi che dal tempo dell’assoggettamento durante le guerre puniche si prolungavano nella fornitura ai Romani di vettovagliamento, imbarcazioni ed equipaggi come risulta dalla narrazione dell’episodio riportato da Cicerone del disastro navale a Pachino554 e della successiva ingiusta esecuzione del navarco tindaritano Aristeo, figlio di Desone, nella cui casa a suo tempo Verre era stato ospite. La pirateria doveva infestare con virulenza proprio le coste della Sicilia settentrionale, specialmente nella porzione orientale, come sembra indiziare la presenza555 di imbarcazioni di città proprio su di essa immediatamente gravitanti come Tindari, Apollonia e Alunzio. Sotto il profilo prettamente tributario Tindari è una città il cui ager è soggetto alla decuma, un sistema che Cicerone riconduce alla Lex Hieronica556. Nel tempo le si erano accumulati inoltre progressivamente altri tributi come l’altera decuma, il frumentum imperatum che in base alla Lex Terentia Cassia frumentaria del 73 a.C. i Siciliani dovevano vendere allo stato romano ad un prezzo imposto e che Verre, secondo Cicerone, sfrutta a proprio vantaggio. Il pretore rifiuta infatti come non buono il frumento di molte città tra cui Tyndaris obbligandole a comprarlo dal suo losco sodale Apronio o a corrisponderne l’equivalente in denaro secondo l’esoso “prezzo di mercato” da lui unilateralmente stabilito o infine nel migliore dei casi a pagare la differenza tra quest’ultimo e la somma messagli a disposizione da Roma per l’acquisto557. Cicerone ricorda che l’iniquitas decumarum ha portato alla rovina Tindari ma non fornisce dati sulla consistenza della sua produzione cerealicola, che forse ha subito una flessione a favore delle produzioni d’orzo, vinicole e olearie558, né accenna ad un porto559 dove la deportatio ad aquam del grano decumano della città ma anche di quello proveniente dall’entroterra poteva trovare il suo punto di imbarco per il convogliamento verso porti più importanti560. Per quanto riguarda gli aspetti sociali è possibile cogliere dall’onomastica che il patronato sia uno dei mezzi di mobilità sociale dei ceti emergenti locali e della loro cooptazione nel sistema di potere romano e quindi si venga a configurare come una delle forme più precipue attraverso le quali prende consistenza nel tempo la romanizzazione561. Caso emblematico è quello di Cn Pompeo Philone e del patronato dei Pompei562, specificatamente legato alla presenza in Sicilia nell’82 a.C. di Pompeo, di cui il personaggio, proprietario di una villa nel territorio di Tindari reca il prenome ed il gentilizio, Conosciamo alcuni di cittadini illustri di Tindari: il ginnasiarca Demetrio, Zosippo e Ismenia “homines nobilissimi et principes Tyndaritanae civitatis”, il proagoro Sopatro, il nobile Desione padre del navarca Aristeo ingiustamente messo a morte, Polea. Tindari ha un buon livello sociale ed economico, che ne fa una nobilissima civitas563, e che traspare dalla rassegna delle razzie di opere d’arte, pubbliche e private, perpetrate da Verre. La statua di Mercurio, dono, meno probabilmente restituzione, ad opera di Scipione a conclusione della guerra punica, per avere la quale Verre, riferisce Cicerone che ne ripercorre con larghezza di particolari l’episodio, non esitò a a far legare in pubblico il proagoro Sopatro alla statua equestre di C. Marcello, altro monumento presente nel foro cittadino, tenendovelo sino a quando il senato cittadino non si sottomise, per salvare il suo magistrato, a consegnarla al pretore che la fece trasportare a spese pubbliche a Messana. Ville come quella di Cn.
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Michele Fasolo | Tyndaris | 117 Pompeo Philone in cui non mancano, segno della privata luxuria che pervade la provincia greca più profonda, oggetti di grande valore, non solamente il ministerium ordinario composto di argenta potoria ed escaria, ma l’argenteria, probabilmente di antiquariato, cesellata e decorata con sigilla ed emblemata da artisti di talento, che Verre riesce a saccheggiare agli incauti ospiti che gliela esibiscono564. D’interesse la circostanza che tra le ventuno sottrazioni portate in giudizio da Cicerone ben quattro riguardino proprio Tindari: una patella sottratta a Trasone, una patera ad Eschilo565 e dei sigilla ex patella a Cn Pompeo Philone, una bardatura di cavalli a Cratippo566. Verre agisce come se la proprietà privata dei provinciales non esistesse e il possesso o l’usufrutto di qualunque cosa, i soli diritti reali consentiti sul suolo provinciale, fossero subordinati al dominio del popolo romano nella persona del suo rappresentante. Importante menzione merita la statua di Mercurio che fu un dono, meno probabilmente una restituzione, da parte di Scipione a conclusione della guerra punica. Il significato ideologico del dono di Scipione è chiaro; va a valorizzare quello che è il centro di formazione militare della gioventù locale. Cicerone ripercorre con larghezza di particolari l’episodio, racconta per ottenere la statua Verre non esitòà a far legare in pubblico il proagoro Sopatro sulla statua equestre., 4.1.4.10. L’età di Sesto Pompeo. Cassius Dio, Historiae Romanae, 48, 17 προχωρούντων δὲ αὐτῷ τῶν πραγμάτων ὥστε καὶ στρατιώτας καὶ χρήματα ἀπ’ αὐτῶν πορίζειν, ἐς Σικελίαν ἔπλευσε, καὶ Μύλας μὲν τήν τε Τυνδαρίδα ἀμαχεὶ κατέσχε, τῆς δὲ Μεσσήνης ὑπὸ Πομπηίου Βιθυνικοῦ τοῦ τότε τῆς Σικελίας ἄρχοντος ἀπεκρούσθη.567 Appianus, Bellum civile, V, 105 `Ὁ δὲ Καῖσαρ ἐς μὲν Στρογγύλην, ἣ τῶν πέντε νήσων ἐστὶ τῶν Αἰόλου, παντὶ τῷ στόλῳ διέπλευσεν ἐξ Ἱππωνείου, προερευνωμένης αὐτῷ τῆς θαλάσσης· στρατὸν δὲ ἐπὶ μετώπου τῆς Σικελίας πλέονα ἰδὼν ἔν τε Πελωριάδι καὶ Μύλαις καὶ Τυνδαρίδι, εἴκασεν αὐτὸν παρεῖναι Πομπήιον καὶ τὰ μὲν ἐνθάδε Ἀγρίππᾳ διαστρατηγεῖν ἐπέτρεψεν. 568 Appianus, Bellum civile, V, 109 Ἀγρίππας μὲν δὴ διαναπαύσας τὸν στρατόν, ἐς ὅσον ἤπειγεν, ἐς Τυνδαρίδα ἐνδιδομένην ἔπλει· καὶ παρῆλθε μὲν εἴσω, μαχομένων δὲ λαμπρῶς τῶν φρουρῶν ἐξεώσθη. προσεχώρησαν δ’ ἕτεραι πόλεις αὐτῷ καὶ φρουρὰς ἐδέξαντο· 569 Cassius Dio, Historiae Romanae, 49, 7 ὅ τε γὰρ Ἀγρίππας τότε μὲν νικήσας τὴν ναυμαχίαν πρὸς τὴν Λιπάραν ἀνέπλευσε, μαθὼν δὲ τόν τε Σέξτον ἐς τὴν Μεσσήνην πεφευγότα καὶ τὸν Δημοχάρην ἄλλοσέ ποι ἀπεληλυθότα, ἐπεραιώθη ἐς τὴν Σικελίαν καὶ καταλαβὼν τάς τε Μύλας καὶ τὴν Τυνδαρίδα σῖτόν τέ σφισι καὶ στρατιώτας ἔπεμψε· καὶ ὁ Σέξτος οἰηθεὶς καὶ αὐτὸν ἐκεῖνον ἥξειν ἐφοβήθη καὶ σπουδῇ προανεχώρησεν, ὥστε καὶ σκεύη τινὰ καὶ ἐπιτήδεια ἐν τῷ ἐρύματι καταλιπεῖν, ἐξ ὧν τὴν τροφὴν ἄφθονον οἱ περὶ τὸν Κορνουφίκιον ἔχοντες πρὸς τὸν Ἀγρίππαν ἀπεσώθησαν. 570 Appianus, Bellum civile, V, 116 ἄρτι δὲ ὁ Ἀγρίππας Τυνδαρίδα εἰλήφει, τροφῶν μεστὸν χωρίον καὶ εὐφυῶς ἐς πόλεμον ἐκ τῆς θαλάσσης ἔχον, καὶ ὁ Καῖσαρ ἐς αὐτὸ τὰ πεζὰ καὶ τοὺς ἱππέας διεβίβαζεν. ἐγένοντό τε αὐτῷ πάντες ἐν Σικελίᾳ ὁπλιτῶν μὲν ἐς εἴκοσι καὶ ἓν τέλος. ἱππέες δὲ δισμύριοι καὶ κοῦ- φοι πλείους τῶν πεντακισχιλίων. Μύλας δ’ ἔτι καὶ τὰ ἐκ Μυλῶν ἐπί τε Ναυλόχους καὶ Πελωριάδα καὶ τὰ παράλια πάντα φρουραὶ Πομπηίου κατεῖχον, αἳ φόβῳ μάλιστα Ἀγρίππου πῦρ διηνεκὲς ἔκαιον ὡς ἐμπρήσοντες τοὺς ἐπιπλέοντας. ἐκράτει δὲ καὶ τῶν στενῶν ἑκατέρων ὁ Πομπήιος. ἀμφὶ δὲ τὸ Ταυρομένιον καὶ περὶ Μύλας τὰς περιόδους τῶν ὀρῶν ἀπετείχιζε καὶ τὸν Καίσαρα ἐκ Τυνδαρίδος ἐς τὸ πρόσθεν ἰόντα ἠνώχλει, μὴ συμπλεκόμενον. Ἀγρίππου δὲ νομισθέντος ἐπε- λεῖν ἐς Πελωριάδα μετεπήδησεν, ἐκλιπὼν τὰ στενὰ περὶ Μύλας· καὶ ὁ Καῖσαρ αὐτῶν τε κατέσχε καὶ Μυλῶν καὶ Ἀρτεμισίου, πολίχνης βραχυτάτης, ἐν ᾗ φασι τὰς Ἡλίου βοῦς γενέσθαι καὶ τὸν ὕπνον Ὀδυσσεῖ.571
Anche se lo volessi, trattandosi di Verre non riuscirei ad articolare sistematicamente il mio discorso d’accusa: non basta il talento, c’è bisogno anche di una sorta di abilità tutta particolare. Quest’imputazione relativa al Mercurio di Tindari sembra configurarsi come unitaria e come tale è trattata nella mia esposizione; in realtà le imputazioni sono più d’una, ma io non so come potrei separarle nettamente. C’è il reato di estorsione, perché ha portato via agli alleati una statua di grande valore; c’è il peculato, perché non ha esitato a portarsi via una statua, proprietà pubblica del popolo romano, presa dal bottino di guerra, innalzata in nome di un nostro generale; c’è la lesa maestà, perché ha osato scalzare e sottrarre un monumento, segno della nostra potenza, della nostra gloria, delle nostre imprese; c’è il sacrilegio, perché ha calpestato i sentimenti religiosi più profondi; c’è la crudeltà, perché ha escogitato un tipo di tortura nuovo ed eccezionale nei confronti di una persona innocente, vostro alleato e amico. Ma perché strumento di tortura sia stata la statua di Gaio Marcello, per questo proprio non ho parole: a un reato simile non so che nome dare. Come spiegarlo? Forse perché Marcello era patrono dei Siciliani? E allora? Qual è lo scopo di questo patrocinio? Doveva valere a soccorrere o a rovinare i clienti e gli ospiti? O forse volevi dar prova del fatto che contro le tue violenze non c’è difesa di patrono che tenga? Ma chi non avrebbe capito questo: che il potere assoluto di un disonesto presente di persona esercita una pressione più forte che non il patrocinio di uomini onesti assenti? O forse questo è un mezzo per far risaltare quei tuoi vizi cosi caratteristici: l’insolenza, la superbia, l’orgoglio sprezzante? Si vede che hai creduto di poter ridimensionare in qualche modo il grande prestigio dei Marcelli. Tant’è vero che ora patroni dei Siciliani non sono più i Marcelli, al loro posto è subentrato Verre. Ma quali pregi o quale dignità ti sei illuso di possedere per tentare di far passare dalla tua parte, sottraendoli ai loro patroni più sicuri e più antichi, i clienti di una provincia tanto splendida e illustre? Tu, con questa tua abiezione, stupidità e cronica pigrizia, riusciresti a proteggere i clienti non dico dell’intera Sicilia, ma anche solo del più meschino fra i Siciliani? A te la statua di Marcello dové servire da patibolo contro i clienti dei Marcelli? Tu un monumento in suo onore lo destinavi a strumento di tortura proprio contro coloro che quell’onore gli avevano tributato? Cosa sarebbe successo dopo? Alla fine che sorte immaginavi sarebbe toccata alle tue
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statue? Forse quella che davvero toccò loro? Infatti gli abitanti di Tindari demolirono la statua che Verre si era fatta innalzare vicino a quelle del Marcelli su di un piedistallo ancora più alto, non appena vennero a sapere che era stato nominato il suo successore. Ora dunque la buona sorte dei Siciliani ti ha assegnato Gaio Marcello come giudice perché noi possiamo consegnare proprio te, legato mani e piedi, alla severità scrupolosa di colui alla cui statua venivano legati i Siciliani quando eri tu governatore. E in un primo momento, o giudici, Verre sosteneva che questa statua di Mercurio era statavenduta al qui presente Marco Marcello Esernino dagli abitanti di Tindari, e sperava che anche Marco Marcello avrebbe personalmente accreditato questa versione dei fatti in suo favore. Ma a me la faccenda non è mai sembrata verosimile: possibile che un giovane di nascita così illustre, patrono della Sicilia, prestasse il suo nome a uno come Verre per trasferire su di sé la colpa? A ogni buon conto io ho adottato tutti i provvedimenti e le precauzioni del caso, in modo che, se pure nella peggiore delle ipotesi si fosse trovato qualcuno fermamente disposto a farsi carico della colpa e dell’accusa dell’imputato, quest’ultimo tuttavia non ne potesse ricavare nessun beneficio. Infatti vi ho presentato tali testimoni e ho portato con me una documentazione scritta così schiacciante che nessuno può avere dubbi sulla condotta dell’imputato. Esistono documenti ufficiali comprovanti che la statua di Mercurio fu trasportata a Messina a spese pubbliche; essi rivelano i costi di questa operazione e precisano che di essa fu incaricato Pólea, che rappresentava ufficialmente la città di Tindari. «E allora? Dov’è questo Pó1ea?» «È qui a vostra disposizione; è un teste.» L’ordine venne dal proàgoro Sopatro. «E chi è Sopatro?» «Quello che fu legato alla statua.» «Ebbene? Dove si trova? » «Lo avete visto e ne avete udita la deposizione.» Della rimozione si occupò Demetrio, il capo della palestra dove la statua sorgeva. Come dite? Pensate che questa sia una semplice affermazione mia? Al contrario: lo conferma proprio lui che è qui presente. A Roma poco fa Verre stesso ha promesso di restituire la statua di Mercurio ai delegati di Tindari se fosse stata cancellata la deposizione scritta relativa all’accaduto e gli si fosse data assicurazione che non ne avrebbero reso testimonianza: questo hanno riferito davanti a voi Zosippo e Isménia, persone tra le più ragguardevoli e autorevoli di quella città”.
Da Appiano e Dione Cassio ci provengono notizie sulle operazioni militari che coinvolgono l’area di Tindari durante il periodo delle guerre civili alla fine dell’età repubblicana. Nel 36 a.C. Ottaviano, dopo aver stretto nell’estate dell’anno precedente un patto con Antonio a Taranto, promuove un assalto concentrico alla Sicilia, dominio da sette anni del proscritto Sesto Pompeo572, secondogenito di Pompeo Magno. Tre sono le flotte triumvirali impegnate, la prima al comando di Vipsanio Agrippa, la seconda inviata da Antonio al comando di Statilio Tauro ed infine la terza, che trasporta dall’Africa le truppe di Lepido. Tindari è insieme a Peloro e Milazzo una delle principali piazzaforti su cui fa perno la difesa pompeiana della costa settentrionale dell’Isola e dell’area dello Stretto. La flotta di Ottaviano, guidata da Agrippa, muovendo da Stromboli attacca quella pompeiana di Papia al largo di Milazzo cogliendo un successo ma non la caduta della città. Ugualmente fallisce, per la reazione della guarnigione, un primo tentativo di impadronirsi di Tindari in relazione alla quale il testo di Appiano fa intravedere la presenza di una fazione cittadina favorevole ad Ottaviano. Appiano ricorda, purtroppo non nominandole, ἕτεραι πόλεις, verosimilmente dei dintorni573, e forse poleis mikrai, che invece si sottomettono accogliendo delle guarnigioni. Qualche tempo più tardi però Tindari cade definitivamente, presa con la forza, divenendo base delle truppe di Ottaviano che vi sbarcano. Qualche settimana dopo essa è rifugio per Cornificio che in rotta sfugge dalla costa orientale dell’isola, dove sta per rimanere intrappolato ad opera dei pompeiani, e riesce a congiungersi in prossimità di un monte denominato Miconio con l’altro esercito triumvirale mandatogli in soccorso da Tindari, dopo una marcia estenuante per le pendici settentrionali dell’Etna in eruzione verso lo spartiacque al confine tra i Nebrodi e i Peloritani. Questo itinerario, delineato da Appiano, è stato oggetto di numerosi studi e di ipotesi574. Il Manganaro ha fatto risalire proprio a questa marcia attraverso l’interno dell’Isola il ripostiglio di monete ritrovato a Santa Domenica Vittoria e oggi disperso575. Ulteriori temi per disquisizioni sono anche l’ubicazione del porto di Nauloco, della piccolissima cittadina di Artemisio e degli sten£ presso Mylai e Tauromenium fatti fortificare da Pompeo citati nel brano di Appiano. Al riguardo risulta difficile accogliere l’ipotesi del Casagrandi che identifica uno degli sten£, quello presso Milai, con il passo di Coda della Volpe in quanto collide con la notizia, contenuta nello stesso passo, dell’avanzata da Tindari delle truppe di Ottaviano mentre ancora lo stenÒn è in mano pompeiana. Accogliendo viceversa l’ipotesi del Casagrandi si deve supporre conseguentemente che la flotta cesariana fosse ormeggiata in un approdo ad ovest, anziché ad est, di Tindari. Tindari viene descritta come una città ricca di vettovaglie e strategica per la guerra sui mari. La Sicilia esce gravemente depauperata dalla guerra civile. Saccheggi, requisizioni e distruzioni risultarono particolarmente pesanti specialmente nelle zone in cui si concentrò l’attacco di Ottaviano e l’accanita resistenza di Pompeo. Tindari dovette patirle in modo particolare essendo stata presa con la forza ed essendo gravate sulla sua comunità le spese di vettovagliamento delle truppe che in zona raggiunsero ad un dato momento addirittura le 45 legioni con cavalleria e ausiliari solamente per la parte di Ottaviano. Sulle città vinte gravò poi il risarcimento delle spese di guerra imposto da Ottaviano. 4.1.4.11. Tindari nella prima età imperiale. Strabo, Geographica, 6, 2, 1 ἐν δὲ τῇ χωρογραφίᾳ μείζω λέγεται τὰ διαστήματα κατὰ μέρος διῃρημένα μιλιασμῷ· ἐκ μὲν Πελωριάδος εἰς Μύλας εἴκοσι πέντε· τοσαῦτα δὲ καὶ ἐκ Μυλῶν εἰς Τυνδαρίδα· εἶτα εἰς Ἀγάθυρνον τριάκοντα καὶ τὰ ἴσα εἰς Ἄλαισαν καὶ πάλιν ἴσα εἰς Κεφαλοίδιον· ταῦτα μὲν πολίχνια·576 Strabo, Geographica, 6, 2, 5 ἡ δὲ λοιπὴ καὶ μεγίστη πλευρά, καίπερ οὐδ’ αὐτὴ πολυάνθρωπος οὖσα ὅμως ἱκανῶς συνοικεῖται. καὶ γὰρ Ἄλαισα καὶ Τυνδαρὶς καὶ τὸ τῶν Αἰγεσταίων ἐμπόριον καὶ Κεφαλοιδὶς πολίσματά ἐστι·577
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Michele Fasolo | Tyndaris | 119 C. Plinius Secundus. Naturalis Historia, 2, 206 ex insula Cea amplius triginta milia passuum abrupta subito cum plurimis mortalium rapuit et in Sicilia dimidiam Tyndarida urbem ac quicquid ab Italia deest, similiter in Boeotia Eleusina. 578 C. Plinius Secundus. Naturalis Historia, 3, 88, 90 coloniae ibi , urbes aut civitates LXIII. a Peloro...oppida Panhormum, Soluus, Himera cum fluvio, Cephaloedis, aluntium, Agathyrnum, Tyndaris colonia, oppidum Mylae et, unde coepimus, Pelorias. 579 C. Plinius Secundus. Naturalis Historia, 32, 150 pectines – maximi et in his nigerrimi aestate laudatissimi, hi autem Mytilenis, Tyndaride, Salonis, Altini, Cia in insula, Alexandriae in Aegypto – 580 Lo status istituzionale e giuridico e la condizione amministrativo fiscale di Tindari, al pari di quello di tutte le altre città siciliane, tra l’età cesariana e quella augustea rimane non chiaro a causa delle scarse informazioni disponibili. Le città dell’Isola avrebbero ottenuto, stando a quello che scrive nell’aprile del 44 a.C. Cicerone581, da Cesare, forse intorno al 46 a.C., lo ius Latii e da Antonio il conferimento della cittadinanza romana582, la cui esecutività in Sicilia rimane dibattuta negli studi583. In mancanza di fonti storiografiche chiare sulla questione gli studiosi hanno fatto ricorso per accertare il tipo di statuto di ciascuna città alla documentazione epigrafica e numismatica disponibile. In effetti la presenza di municipia in età cesariana e successivamente nella Sicilia di Sesto Pompeo sembra trovare attestazione in alcune emissioni in tutta evidenza celebrative del raggiunto nuovo status, che riportano i nomi dei duoviri, con una forte concentrazione delle zecche sulla costa settentrionale dell’Isola. Dibattuta rimane anche la questione se la sostituzione delle decimae frumentariae con uno stipendium584 debba essere fatta risalire a Cesare. Ottaviano dopo la conclusione del conflitto con Sesto impose alle città il pagamento di una indennità, o corrispondente agli stipendia non corrisposti durante il dominio di Sesto Pompeo585 oppure nuovo istituto. Nell’ambito della riorganizzazione che prende avviò già all’indomani della sconfitta di Sesto il Manganaro ritiene che alla maggioranza delle città venga comunque riconfermato il diritto latino586. Le condizioni dell’Isola dopo anni di guerra, saccheggi, requisizioni non erano delle migliori. Strabone, che insieme a Plinio il Vecchio è una delle principali fonti sulle città siciliane tra il 36 e il 12 a.C. registra lo stato di abbandono, di desolazione e di oliganthropia di molte zone dell’Isola. L’ ™rhm…a ha creato le condizioni favorevoli perché i Romani acquistassero monti e gran parte delle pianure, annota Strabone587, consegnandoli ai pastori fra le cui fila incominciano ad apparire personaggi come Seleuros, il figlio dell’Etna, che rinfocolano il brigantaggio o le rivolte servili fomentate per esempio a Henna da Euno. Di estremo interesse la circostanza che Strabone classifichi cinque città della costa settentrionale πολίχνια ovvero, aggiungendovi in un altro passo Segesta, πολίσματά, piccoli centri delinenado un quadro di crisi di certo, comunque, non paragonabile per gravità a quello della costa meridionale dell’Isola. Per comprendere il senso e la portata anche istituzionale di tali definizioni occorrerà fare riferimento al processo di formazione di questo capitolo straboniano. Il quadro geografico della Sicilia che Strabone disegna nel capitolo 2 del libro VI della Geografia, scritto forse tra il 14 e il 18 d.C.588, si compone di una serie di informazioni che possiamo ricondurre a quattro diversi tipi di fonti. A notizie di carattere antiquario e storico (le vicende della colonizzazione greca in Sicilia), forse tratte dall’opera di Eforo nonostante vengano citati anche Ecateo (6,2,4) e Posidonio (6,2,6 a proposito delle guerre servili in Sicilia), si affiancano osservazioni naturalistiche tratte da Posidonio (6.2.3 le eruzioni dell’Etna; 6.2.11 i fenomeni vulcanici delle Eolie) e da Polibio (6, 2, 10 i tre crateri di Iera), note geografiche, alcune delle quali sempre da Posidonio (6.2.1 le coordinate geografiche dei promontori della Sicilia; 6.2.7 la descrizione di Siracusa), altre forse autoptiche (i
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Trad. it. di D. Vottero: “Cleómene esce dal porto sulla quadrireme di Centuripe, seguita dalla nave di Segesta, da quella di Tindari, di Érbita, di Eraclea, di Apollonia, di Alunzio: una flotta in apparenza magnifica, in realtà sguarnita e debole a causa del congedo concesso a combattenti e a rematori”. 540 Trad. it. di D. Vottero: “Era presente fra gli altri padri Dessone di Tindari, un personaggio dei più ragguardevoli, della cui ospitalità tu avevi goduto. Tu vedevi distrutto dal dolore un uomo di grande prestigio, nella cui casa eri stato accolto e che avevi chiamato col nome di ospite: ebbene, non valsero a distoglierti dal delitto e a piegarti a un qualche sentimento di umanità le sue lacrime, la sua età avanzata, i diritti che gli aveva conferito il titolo di ospite? ...Le lacrime che un padre versava per il pericolo che stava correndo suo figlio innocente non ti commuovevano...Il tuo ospite Aristeo, figlio di Dessone, era lì carico di catene. Perché questo? Aveva consegnato la flotta al nemico. In vista di quale ricompensa? Era colpevole di diserzione”. 541 Trad. it. di D. Vottero: “Quando mi ritorna in mente il ricordo di quel capitano di Tindari o di quell’altro di Segesta, allora mi viene da pensare, insieme, ai diritti di cui godono quelle città e ai servigi che ci hanno reso. Quelle città che Publio Africano sentì addirittura il bisogno di abbellire con le spoglie dei nemici, Gaio Verre con un crimine nefando non solo le privò di quelle opere d’arte ma anche dei loro uomini più ragguardevoli. Ecco le benemerenze che i cittadini di Tindari potrebbero vantare con soddisfazione: «Noi siamo annoveratifra i diciassette popoli (più fedeli) della Sicilia; noi siamo sempre rimasti devoti all’amicizia e ai vincoli di lealtà che ci legano al popolo romano, in tutte le guerre combattute sia contro i cartaginesi sia contro i Siciliani; da parte nostra sono sempre stati elargiti al popolo romano ogni sorta di aiuti e di preziose risorse per le opere di pace». Sì, riuscirono davvero molto utili per costui questi titoli di merito, quando costui deteneva il supremo potere militare e civile. Un tempo Scipione guidò contro Cartagine i vostri marinai, adesso invece Cleomene guida contro i corsari una nave pressoché priva di equipaggio; con voi e l’Africano divide le spoglie dei nemici ed i frutti della sua gloria, adesso invece, dopo essere stati spogliati per opera di Verre, dopo aver visto portare via una vostra nave da parte dei corsari, siete posti tra i nemici e trattati come tali”. 542 Trad. it. di D. Vottero: “E Dessone, che è qui davanti ai vostri occhi, non insiste perché tu restituisca tutte le
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cose che hai trafugato nella città di Tindari, né quelle appartenenti alla comunità né quelle sue personali, ma nella sua infelicità rivuole da te il suo unico figlio, ricco di straordinarie doti e assolutamente innocente: non il denaro che gli potrebbe spettare quando in sede giudiziaria si farà il calcolo pecuniario delle tue estorsioni egli desidera riportare a casa, ma dalla tua rovina egli vuole ottenere una qualche riparazione per le ceneri e le ossa del figlio suo”. 543 Trad. it. di D. Vottero: “Ecco la mia spiegazione: la colpa non fu dei capitani delle navi, ma tua; ecco il mio addebito: tu inviasti in congedo per denaro rematori e soldati. Questo sostengono i capitani superstiti; questa è la versione ufficiale degli abitanti di Neto, città confederata; questa è la versione ufficiale degli abitanti di Améstrato, di Érbita, di Enna, di Agira, di Tindari”. 544 Trad. it. di D. Vottero: “e poi invoco te, o Mercurio, che Verre collocò nella casa privata, o meglio nella palestra di un suo amico, e che invece Publio Africano volle nella città o meglio nel ginnasio di Tindari, i cui abitanti sono nostri alleati, perché tu sorvegliassi e proteggessi la loro gioventù”. 545 MAZZARINO 1961. 546 Diod. XXIII, 18. 547 Cic., In Verrem II, 2, 16. 548 La frase poteva indicare l’offerta di una corona aurea oppure la sfilata in processione con abiti ornati di porpora e di gioielli d’oro. 549 Per Posidonio, citato da Strabone (VI, 2.7) come fonte, Erice è insieme con Siracusa ed Enna una delle tre acropoli della Sicilia. 550 Diod. IV, 83. Il tempio di Venere Ericina sul monte Erice costituiva un influente centro religioso e politico, MANGANARO 1980, p. 425. 551 ARDIZZONE 1967. 552 Tra i magistrati vanno ricordati quelli preposti alla cura dei santuari, gli ƒeromn£monoi, quelli che si occupavano della cassa statale, i tam…ai, quelle addetti alle forniture di grano, i sitofÚlakej, infine gli ¢gšrtai addetti alla decima degli affitti demaniali. 553 Cic., In Verrem V, 124, socia. 554 M. Tullius Cicero, In Verrem, V, 86, 92-100. 555 NENCI 1998, p. 43-58. 556 SCRAMUZZA, 1937, 237; PARETI 1952, p. 428; SARTORI, 1974, p. 229; MANGANARO 1980, p. 421. 557 Cic., In Verrem III, 9, 22-23; 12, 31 II, 3, 170. 558 MANGANARO 1980, p. 426. 559 COLUMBA 1906, pp. 305-307, 355357. 560 UGGERI 1982-1983, p. 433; UGGERI 1997-1998, p. 306. 561 BADIAN 1958, p. 304.
fiumi, l’uso del suolo al centro della Sicilia) e soprattutto dati di carattere numerico sulle distanze tra vari punti e centri dell’Isola provenienti da Eforo (6.2.1 durata del periplo della Sicilia), Artemidoro (6.2.1 distanza da capo Pachino a capo Tenaro) da Polibio (6, 2, 1 distanze dallo Stretto) ma soprattutto dal cosidetto Corografo (6.2.1 distanze tra le città siciliane lungo la costa, 6.2.11 distanza tra Ericussa e Fenicussa) una fonte quest’ultima non ulteriormente specificata, probabilmente latina, di evidente natura tecnicoamministrativa. Alcuni studiosi hanno ipotizzato la χωρογραφίᾳ, rivestisse carattere di ufficialità ed hanno richiamato a riguardo il lavoro cartografico di Agrippa al tempo di Augusto. Altri hanno ipotizzato che essa fosse una sorta di carta nautica, di portolano cui il geografo amaseno fa ricorso ogni qualvolta le sue fonti risultino discordanti o carenti589. Il geografo amaseno avverte che le distanze in miglia romane riportate da questo documento sono rilevate κατὰ μέρος διῃρημένα μιλιασμῷ, ovvero pare di capire “rilevando in successione ininterrotta le lunghezze dei tratti congiungenti singole località delle coste, secondo segmenti di “linea spezzata aderenti all’andamento sinuoso delle coste medesime”590 e non calcolate come per i tre promontori principali congiungendo linee rette ἃς ἀφορίζουσιν αἱ τρεῖς ἄκραι e quindi risultano maggiori. Questo tipo di informazioni sembrano ricondurci a materiali derivanti da una prima ricognizione all’indomani della vittoria su Sesto incentrata sull’acquisizione di sintetiche informazioni a carattere demografico e politico che si ripercuotono nei termini πολίχνια e πολίσματά usati da Strabone. Tra la fine del 22 e l’inizio del 21 a.C. allorché Augusto visita la Sicilia591 avviene il riassetto istituzionale delle città siceliote, con la fondazione di alcune colonie di veterani che Augusto stesso ricorda nelle Res Gestae592. Tyndaris è una di queste località, da municipium latino diviene colonia romana almeno un ventennio dopo le promesse che Ottaviano aveva fatto ai suoi legionari nelle temperie della guerra contro Sesto Pompeo, che tante attese avevano suscitato593 e che Orazio ricorda ancora non corrisposte alla fine degli anni 30 a.C. nella Satira VI del II libro.594 Nel suo ager viene forse realizzata una lottizzazione agraria con probabili conflittualità con le popolazioni locali a meno che non si sia agito sull’ager demaniale della città, ovvero nel territorio sino alla fine della Repubblica di Abakainon che sembra in età imperiale venir meno come centro amministrativo. D’interesse risulta certamente il ruolo di capolinea e di nodo viario svolto nei due itinerari da Tindari insieme a Lilibeo, capoluogo amministrativo, e a Messana. Il ruolo di Tindari sembra essere coerente con la prefigurazione di sviluppo che doveva essere sottesa alla deduzione coloniaria augustea, che probabilmente voleva fare della città, allo sbocco di un’importante direttrice dall’interno, un’interfaccia entroterra/mare caposaldo sulla rotta per le Eolie, la Campania e Roma. Un progetto che probabilmente venne meno dopo la catastrofe ricordata da Plinio il Vecchio, e non menzionata da Strabone, che avrebbe distrutto metà della città di Tindari. Queste considerazioni sul ruolo di Tindari sembrano avvalorare per le tratte nell’Itinerarium provinciarum 90,5 e 90,6-93,1 un’origine ufficiale risalente agli anni della carta di Agrippa e all’organizzazione in quel periodo del cursus publicus595. Il terzo libro della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, che scrive alcuni anni dopo Strabone, costituisce una fonte rilevante per la comprensione delle varie modificazioni apportate da Augusto allo status delle città siciliane tra il 36 ed il 21 a.C..596 Plinio il Vecchio dichiara esplicitamente597 infatti di seguire nella sua descrizione un documento ufficiale, la divium Augustum discriptionemque ab eo factam Italiae totius in regiones XI, con l’elencazione in ordine alfabetico delle varie comunità cittadine con la menzione, opera dello stesso Augusto, delle coloniae. Anche per la Sicilia Plinio si attiene a questo enunciato pur essendo chiaro dal testo che utilizza anche altri documenti come un periplo delle coste. Le città sono suddivise in coloniae romanae, municipia civium Romanorum, oppida latinae condicionis, molto probabilmente municipi di diritto latino, secondo la critica che ritiene equivalente il termine oppidum adoperato da Plinio a municipium, comunità degli stipendiarii, ovvero civitates peregrinae prive dello Ius Latii. La circostanza che solamente
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Michele Fasolo | Tyndaris | 121 tre città siano qualificate di latinae condicio implica forse una revoca da parte di Augusto della Latinitas a molte città della Sicilia, che se avvenuta va fatta risalire al 36 a.C., immediatamente dopo la conclusione dello scontro con Sesto. Tornando alla menzione di Tindari in Strabone se ne foniscono le distanze e da Mile, venticinque miglia, e da Agatirno, trenta miglia, entrambi, come Tindari, centri abitati che il geografo amaseno classifica come πολίχνια. Proprio rispetto al calcolo delle distanze nel testo di Strabone si riscontrano numerose incongruenze alcune delle quali sono state riportate alle trascrizioni dell’opera nei codici. In particolare per quanto riguarda la costa settentrionale dell’Isola la famiglia di quelli che il Kramer ha definito “i sette codici decurtati”, posteriori al XII sec., riportano per la distanza Τυνδαρίδα - Ἀγάθυρνον, e conseguentemente per le due successive Ἀγάθυρνον -Ἄλαισαν e Ἄλαισαν – Κεφαλοίδιον, la cifra V pent»konta anziché τριάκοντα presente nel più antico, X sec., manoscritto Parisinus Graecus 1397, attribuito al X sec.. Secondo il Magnelli598 la ripetizione invece per ben quattro volte a brevissima distanza nel brano della sequenza isa/eisa, “perfettamente equivalente nella pronuncia itacistica” potrebbe aver originato un errore di aplografia che ha trasformato una possibile originaria sequenza …sa e„j ”Alaisa in ἴσα εἰς Ἄλαισαν con la conseguenza di comportare tra Ἀγάθυρνον -Ἄλαισαν e Ἄλαισαν – Κεφαλοίδιον una distanza, più vicina alla realtà, di quindici miglia anziché di trenta o addirittura di cinquanta. Per quanto riguarda invece il ricordo da parte di Plinio il Vecchio della catastrofe che avrebbe distrutto metà della città di Tindari, e che, non essendo menzionata da Cicerone e da Strabone, va collocata nel I secolo d.C., le ipotesi avanzate sino ad oggi fanno riferimento ad una frana che avrebbe intaccato la parte nord-orientale del promontorio su cui sorge la città, ancora oggi soggetto a distacchi. Tuttavia non è stato provato in questa zona il significativo coinvolgimento di settori dell’area urbana, nonostante nel XVIII sec. molti autori segnalino, tutti peraltro de relato, come visibili rovine nel mare sottostante. Tra le cause ipotizzate della catastrofe comunque viene profilata da molti studiosi una instabilità del versante causata dall’azione concomitante dell’erosione marina, della natura geologica dell’area, dell’urbanizzazione ed in particolare della canalizzazione delle acque reflue ed infine, secondo una vecchia interpretazione, di un terremoto. Al riguardo va segnalato che il Lamboglia in un saggio lungo le balze orientali, “a mezza costa, nello scoscendimento assai più basso della città”, mise in luce i resti di una “abitazione suburbana” databile in età repubblicana, evidenziando una stratigrafia ancora integra che porterebbe ad escludere una frana in quest’area. La catastrofe potrebbe quindi aver interessato altre aree dell’insediamento immediatamente circostante Tindari, ad esempio la zona di Monte di Giove, dove si segnalano i dissesti più significativi di tutto il comprensorio, quella immediatamente sottostante la città antica, oggi occupata dai laghetti di Marinello, dove alcuni nuclei insediativi potevano insistere sulla costa. 4.1.4.12. La diocesi di Tyndaris (fine V-VII sec.). Synodus Romana III sub Symmacho Papa (a. 501) Subscriptio Episcoporum Severinus Tyndaritanus599 Synodus Romana IV sub Symmacho Alias Palmaris appellata (a. 502) Severinus600 Subscriptiones Severinus Tyndarinensis 601 Non sappiamo quando Tindari divenne sede episcopale. Lo è sicuramente all’inizio del VI secolo quando a fine ottobre del 501 Severinus Tyndaritanus compare tra i 76 vescovi firmatari del sinodo indetto da papa Simmaco nel maggio precedente. Severinus partecipa l’anno successivo anche al IV sinodo romano e sottoscrive come Severinus Tyndarinensis gli atti con altri 64 episcopi. La circostanza che Tindari sia stata scelta come sede di diocesi può indiziare della vitalità
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Cic., In Verrem II, 3, 45.9-10 “quorum quanti conventus ad Marcellos, antiquissimos Siciliae patronos, quanti ad Cn. Pompeium tum consulem designatum, ceterosque illius provinciae necessarios fierisoliti sint, quis ignorat?” Il gentilizio ricorre in più località a Messana (Cn. Pompeo Basilisco, i Percenni) ad Halaesa (Cn. Pompeo Teodoro, Sesto Pompeo Cloro) e conosciamo anche un Pompeo Grasfo amico di Orazio. 563 Cicero, In Verrem, III, 103. 564 PAOLETTI 2003, pp. 999-1027, tav. CLXXIII. Sul collezionismo di Verre cfr. ROBERT 2007, pp. 15-34. 565 Cicero, In Verrem, IV, 48. 566 Cicero, In Verrem, IV, 29. 567 Trad. it. di G. Norcio: “(Sesto)...in tal modo divenne in breve tempo potente e padrone dei mari sui quali si stende l’Italia, sbarcò nei porti, portò via le navi e fece saccheggi. In queste imprese ebbe fortuna, tanto che con esse poté raccogliere soldati e denaro. Allora navigò verso la Sicilia e conquistò senza alcuna difficoltà Milazzo e Tindari; ma fu respinto da Messina ad opera di Pompeo Bitinico, che allora governava l’isola”. 568 Trad. it. di E. Gabba e D. Magnino: “Cesare si recò con l’intera flotta da Ipponio a Strongoli che è una delle cinque isole Eolie, dopo aver prima perlustrato il mare. Vedendo un forte esercito sull’opposta sponda della Sicilia, al Peloro, a Mile e a Tindari, ne dedusse che fosse presente lo stesso Pompeo, e affidò ad Agrippa il comando delle sue forze in luogo”. 569 Trad. it. di E. Gabba e D. Magnino: “Agrippa, dopo aver fatto riposare un poco le sue forze, con la massima celerità possibile si diresse su Tindari pronta a arrendersi. Penetrò bensì nella città, ma ne fu scacciato dal presidio che combatté validamente. Altre città invece si sottomisero a lui e accolsero dei presidi”. 570 Trad. it. di G. Norcio: “Infatti Agrippa, dopo aver vinto la battaglia navale, si diresse con la flotta verso Lipari, avendo saputo che Sesto si era rifugiato a Messina e che Democare era partito verso un’altra località, sbarcò in Sicilia, conquisto Milazzo e Tindari, e mandò a quei soldati cibo e rinforzi”. 571 Trad. it. di E. Gabba e D. Magnino: “Proprio allora Agrippa aveva conquistato Tyndaris, piazzaforte piena di vettovaglie e per la posizione naturale ben disposta per la guerra marittima, e qui Cesare trasportò la fanteria e i cavalieri. La sua fanteria pesante in Sicilia assommava ora a ventuno legioni, la cavalleria a ventimila uomini e le truppe a più di cinquemila. Le guarnigioni pompeiane occupavano ancora Mile e tutta la zona costiera da Mile a
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Nauloco e a Peloro; esse, per timore soprattutto di Agrippa, tenevano accesi in continuità i fuochi per incendiare eventuali navi che si avvicinassero. Pompeo dominava altresì entrambe le gole. Aveva fortificato i passaggi delle montagne intorno a Tauromenio e presso Mile, e aveva molestato, senza che quegli venisse ad uno scontro diretto, Cesare che veniva avanti da Tyndaris. Ritenendo che Agrippa movesse con la flotta verso il Peloro, si ritirò abbandonando le strette presso Mile e Cesare si impadronì di queste, di Mile e dell’Artemisio, una piccolissima cittadina nella quale dicono vi fossero stati i buoi del sole e si fosse addormentato Odisseo”. 572 Per le linee del piano App. b.c. V, 103. 573 Secondo il Casagrandi l’azione di Agrippa deve aver preso di mira la linea di colline lungo il corso dell’Elicona- Oliveri e, verso sud ed est, Tripi e i monti Xeti che chiudono la piana di Milazzo. V. CASAGRANDI ORSINI 1894, p. 103. 574 AIELLO 1896; Cfr. UGGERI 2005, Note sulla topografia della Sicilia antica (ad Appian. B.C. V, 110-117), in Megalai Nesoi. Studi dedicati a Giovanni Rizza per il suo ottantesimo compleanno, a c. di R. Gigli, Catania, CNR 2005, II, pp. 115-126 (v. APh 77, 2006, 12995). 575 GIARDINA 1942, pp. 42 segg, 252256 576 Trad. it. di N. Biffi: “Nella carta del Corografo, però, le distanze risultano maggiori, perché calcolate per sezioni e in miglia: venticinque da Peloro a Mile, altrettante da Mile a Tindari, ancora trenta fino ad Agatirno, altrettanto di qui ad Alesa ed altrettanto ancora fino a Cefaledio (questi sono piccoli borghi)”. 577 Trad. it. di N. Biffi: “L’ultima, e la più lunga, delle coste, sebbene neppur essa sia molto popolata, tuttavia ha un numero soddisfacente di abitanti. Vi si trovano piccoli borghi: Alesa, Tindari, l’emporio di Egesta e Cefaledio”. 578 Trad. it. di A. Barchiesi: “Dall’isola di Cea il mare ha strappato ad un tratto più di trenta miglia di terra, e insieme si è portato via moltissime persone, in Sicilia è sparita metà della città di Tindari e tutta la terra che manca di lì all’Italia; simile il caso di Eleusi in Beozia”. 579 Trad. it. di G. Ranucci: “In Sicilia vi sono 5 colonie e 63 città o popolazioni...le città di Palermo, Solunto, Imera col fiume omonimo, Cefalù, Alunzio, Agatirno, la colonia di Tindari, la città di Mile e capo Peloro dal quale siamo partiti”. 580 Trad. it. di I. Garofalo: “ i pettini quelli più grandi, e fra questi i più neri d’estate sono i più pregiati; si trovano
dell’economia agraria del territorio più che del centro urbano, che già dalla metà del V secolo con la forte contrazione dell’area urbana riscontrata nelle indagini archeologiche segnala la sua decadenza602. Saremmo dunque in presenza di una diocesi rurale. L’assetto del territorio ormai probabilmente si imperniava su ampie proprietà, molte delle quali forse ecclesiastiche provenienti dal patrimonio imperiale, e che in via congetturale possiamo immaginare, come in casi coevi, organizzate nella forma della massa fundorum.603 Al riguardo va tuttavia rilevato che papa Gregorio Magno non menzioni mai Tindari nelle lettere al rettore del patrimonio, indizio forse dell’assenza di proprietàdella Chiesa Romana nella zona. Gregorius Magnus, Registrum Epistularum III, Epistula 59 Gregorius eutychio episcopo tyndarino scripta fraternitatis tuae, benenato ecclesiae tuae clerico deferente, suscepi, gratias que omnipotenti deo retuli quod in causis animae et his, quae ad deum pertinent, te occupatum esse cognouimus. Scripsisti siquidem nobis quosdam idolorum cultores atque angelliorum dogmatis in his quibus constitutus es partibus inueniri, de quibus plures asseruisti esse conuersos, aliquos autem potentum nomine atque locorum se qualitate defendere. Auxiliantes igitur bonis tuae caritatis operibus, uiro glorioso praetori siciliae nostra scripta transmisimus quatenus, iuuante domino, qua potest tibi uirtute concurrat, ut quod laudabiliter coeptum est ualeat salubriter adimpleri. Oportet ergo fraternitatem tuam maximam in hoc sollicitudinem gerere. Vere enim episcopalem uiam sequeris, si per zelum linguam que tuam hos qui a fidei ueritate dissentiunt in ecclesiae unitatem reduxeris604. Gregorius Magnus, Registrum Epistularum IX, Epistula 181 Gregorius benenato episcopo tundaritano ianuaria religiosa femina petitorii nobis insinuatione suggessit, quod habetur in subditis, in massa furiana iuris sui oratorium se pro sua deuotione fundasse, quod in honore sanctorum seuerini confessoris et iulianae martyris desiderat consecrari. Et ideo, frater carissime, si in tuae parrochiae memorata constructio iure consistit et nullum corpus ibidem constat humatum, percepta primitus donatione legitima, id est in reditu praestantes liberos a tributis fiscalibus solidos decem, gestis que municipalibus allegata, praedictum oratorium absque missas publicas sollemniter consecrabis, ita ut in eodem loco nec futuris temporibus baptisterium construatur nec presbyterum constituas cardinalem. Sed si missas sibi fieri suprascripta conditrix forte maluerit, a dilectione tua presbyterum nouerit postulandum, quatenus nihil tale a quolibet alio sacerdote ullatenus praesumatur. Sanctuaria uero suscepta sui cum reuerentia collocabis605. Della cronotassi tindaritana si sono salvati i nomi di altri tre vescovi tra il VI ed il VII secolo. Due sono menzionati in una delle principali fonti sulla Sicilia nella prima età bizantina, il Registrum Epistularum di papa Gregorio Magno606. Si tratta di Eutychius, impegnato a combattere nel territorio della diocesi i seguaci del dogma Angelliorum607 protetti dai potenti proprietari terrieri, e di Benenatus, forse lo stesso che viene citato come chierico nella lettera precedente, cui il papa da mandato di acquisire, previa istruttoria, una donazione da una pia proprietaria, Ianuaria, che vuole costruire un oratorio. Nella prima delle due lettere emerge con chiarezza il ruolo religioso ma anche politico e amministrativo di concerto con le autorità locali che il vescovo è chiamato a svolgere nell’ambito della ricontestualizzazione di uno spazio rurale ancora renitente alla cristianizzazione. Dall’analisi della seconda lettera si desume che il papa ritiene che a Tindari funzioni ancora regolarmente l’ufficio dell’amministrazione municipale preposto alla registrazione di atti, donazioni e testamenti.608 E può essere effettivamente così dato che in Sicilia la sua esistenza è comunque conosciuta per il VI secolo anche a Lilibeo e Siracusa. La cosa può indicare che ancora non si è consumato il processo di esaurimento della funzione politicoamministrativa ed economica di centro del territorio che porterà Tindari da entità urbana a realtà esclusivamente rurale.
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Michele Fasolo | Tyndaris | 123 La seconda lettera può dar spunto infine ad ipotesi sull’estensione territoriale della diocesi. La presenza dell’idronimo Furiano nei pressi di Caronia potrebbe infatti riportare nella stessa zona la Massa Furiana citata nella lettera a proposito della fondazione dell’oratorio dei SS Severino confessore e Giuliana martire da parte della nobildonna Gennara. L’ambito territoriale della diocesi si sarebbe quindi potuto estendere per 60 km sino a Caronia, ad occidente della quale sarebbe iniziato il territorio dell’episcopato alesino, la cui esistenza è però nota con certezza dal 649609. Al riguardo si può osservare che anche a breve distanza da Tindari, nel territorio di Librizzi, sopravvive il toponimo Furio610. Va peraltro ricordato che nella lettera il papa non appare certo della competenza territoriale del vescovo cui indirizza la missiva. Tindari è ancora ricordata come Tund£rion nella Descriptio orbis Romani del geografo bizantino Georgius Cyprius che la compilò probabilmente nella prima decade del VII secolo.611 Concilium Lateranense Romanum (a. 649) Theodoro Tyndaritano episc.612 Qeodèrou ™pis. Tund£rewj613 L’ultimo vescovo del VI secolo menzionato nelle fonti è Teodoro, ricordato tra i 105 vescovi che nel 649 partecipano al concilio Lateranense voluto da papa Martino I. La diocesi è ancora quindi saldamente ancorata alla Chiesa di Roma e probabilmente lo resterà sino all’avvento degli imperatori iconoclasti che la sottrassero alla giurisdizione romana sottoponendola al patriarcato di Costantinopoli. È possibile che la decisione del basileus iconoclasta Leone III Isaurico (717-741) di confiscare i patrimoni di S. Pietro in Sicilia assegnandone le rendite al tesoro imperiale614 abbia comportato modifiche nel catasto del territorio tindaritano. Anche se i dati archeologici disponibili indicano solamente alcune tracce di frequentazione per l’età bizantina a Tindari apparentemente non oltre il VII secolo615 tuttavia Tindari è menzionata ancora come diocesi con continuità nelle liste geografiche ed amministrative-ecclesiastiche dell’impero bizantino conosciute come Notitiae episcopatuum Ecclesiae Constantinopolitanae relative ai secoli VIII-XII naturalmente senza che ciò possa provare non solamente la sopravvivenza del vescovato ma anche del centro soprattutto dopo l’invasione araba. Nella edizione del Darrouzès616 di queste fonti riscontriamo Tindari nella notizia 2, 239 (VIII al più tardi primo quarto del IX sec.) che riporta la sede toà Tundar…ou617, nella notizia 3 (IX sec.618) dove leggiamo Ð Tund£rewj619, nella notizia 7, 285 (X secolo620) ovvero nella Diatyposis attribuita apocrificamente a Leone VI il Sapiente (886912) ma che corrisponde ad una taxis promulgata durante il primo patriarcato di Nicola il Mistico tra il 901 e il 907621. In questo elenco di sedi ecclesiastiche si ricorda l’episcopato Tundar…ou622. Ed ancora la diocesi è riportata, nella notizie 10, 198 (Ð Tundar…ou) 623, 13, 209 (Ð Tundar…ou)624 e 683 (tÕ Tund£ron)625, ed infine nella notizia 14, 49 (Tundar…on), la SÚggramma Ne…lou toà DoxapatrÁ, opuscolo geografico redatto a Palermo nel 1142/1143 (indizione 6) per ordine di Re Ruggero626. L’autenticità e la veridicità di queste attestazioni circa la sopravvivenza di episcopati siciliani in età altomedievale e della loro conseguente dipendenza dal patriarcato di Costantinopoli è stata molto contestata tra XVII e XVIII secolo dai principali studiosi della storia ecclesiastica siciliana dal fondatore Ottavio Cajetano a Rocco Pirro sino a Michele e a Domenico Schiavo che ne hanno fatto oggetto di disquisizioni molto serrate al fine di rivendicare la tradizione apostolica del cristianesimo siciliano e la sua fedeltà senza defezioni alla sede petrina. 627 Un terminus post quem per la fine di Tindari potrebbe essere ricavato, ove ne riconoscessimo il toponimo, dalla notizia della conquista di M.d.nar o D.ndarah, che potrebbe essere stato riportato, a proposito della caduta della città ad opera dei conquistatori arabi nell’anno 835/836 (221 dall’Egira), in uno dei resoconti di cronisti islamici andati perduti e poi confluiti nel al-Bayān al-Mughrib628, compilazione risalente però all’inizio del XIV sec.
a Mitilene, Tindari, Salone, Altino, nell’isola di Chio, ad Alessandria d’Egitto”. 581 Cic. Ad Atticum XIV.12.1. 582 Diod. XIII 35,3. 583 Cic. Philippic 12.12; 13.5 e pare confermare questa mancata esecuzione della revoca il passo di Diod. XIII, 35.3; XVI, 70.6. 584 Il Gabba ha ritenuto che una prova potrebbe essere costituita dall’assenza della Sicilia tra le provinciae frumentariae per l’anno 37 a.C. in Varrone, Gabba 1982. 585 App. b.c., V 129. 586 MANGANARO 1972, p. 451. 587 RG 28. 588 Nel libro V c’è il ricordo autoptico della presenza di pioppi neri intorno alla tomba di Augusto che riporterebbe, in maniera non peraltro risolutiva, a dopo il 14 d.C.; per il terminus post quem la Cappadocia è citata come ancora vassalla (6, 4, 2) mentre divenne provincia dal 18 d.C. e a conclusione del libro è citato come collaboratore del padre Tiberio Germanico che morì nel 19 d.C. 589 MAGNELLI, pp. 104-106. 590 RIZZO 2003, p. 591. 591 HALFMANN 1986. 592 R.G. 28,1. 593 Dio. Cassius XLIX, 14; App. b.c., V, 120. 594 “quid? Militibus promissa Triquetra/ praedia Caesar an est Itala tellure daturus?’ (“Che dici? le terre promesse ai veterani, Cesare gliele darà in Sicilia o in Italia?”). 595 Diverso il caso dell’origine del documento alla base dell’IA (94 ) che descrive, facendola precedre dall’avvertimento dell’aggiornamento immesso “mansionibus nunc institutis”.(Itinerarium Antonini 8788) la via Catania-Agrigento e conseguente probabilmente ad una riorganizzazione ,nel corso del IV secolo, del cursus publicus dell’isola. 596 Plin. N.H.,III, 86-94. 597 Plin. N.H.,III, 46. 598 MAGNELLI 2005. 599 MANSI 1762, c. 252 D. 600 MANSI 1762, VIII, c. 263 C. 601 MANSI 1762, VIII, c. 268 D; adnotatio critica c. 307 E “Severinus Tondarinensis in edit Tyndarnensis”. 602 Un calo demografico ed una caduta dei livelli qualitativi di vita può essere colto fra gli inizi del IV ed il V secolo d.C. forse in conseguenza di importanti eventi sismici che colpirono la Sicilia e l’Africa nordorientale. I quartieri occidentali e nord-occidentali della città vennero abbandonati e la città perse la sua fisionomia urbana. Le fronti degli isolati avanzano su entrambi i c.d. decumani e strutture quasi a secco vengono a sovrapporsi alla sede del decumanus mediano. I dati archeologici indicano che l’area
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urbana utilizzata si restrinse verso l’acropoli con una ristrutturazione della vecchia cinta muraria in età tardo antica o proto bizantina probabilmente legata ad una rinnovata esigenza difensiva nel periodo delle incursioni vandaliche in Sicilia (fra il 440 e il 475 d.C.). 603 DE FINO 2006, tabella a p. 699, 695-706. 604 Trad. it: “Gregorio a Eutichio vescovo di Tindari. Le lettere di tua fraternità, recatimi da Benenato chierico della tua chiesa, ricevetti: e resi grazie a Dio onnipotente nel saperti impegnato nelle cose dell’anima e in quelle che riguardano Dio. Ci scrivesti che si trovano in quelle parti in cui tu risiedi alcuni cultori di idoli come pure del dogma degli angellisti, molti dei quali – come dicesti – si sono convertiti, mentre altri, grazie alla protezione dei potenti e alla natura dei luoghi, si difendono. In aiuto alle buone opere della tua carità, perciò, trasmettemmo i nostri scritti al pretore di Sicilia, uomo glorioso, affinché, con l’aiuto di Dio, ti possa appoggiare per quanto gli è possibile, in modo da poter felicemente portare a termine quanto intrapreso in maniera lodevole. È necessario, quindi, che la tua fraternità eserciti la massima sollecitudine in questa vicenda. Certamente sarai un buon vescovo se, con lo zelo della tua parola, costoro che dalla verità della fede dissentono, avrai ricondotto all’unità della Chiesa”. 605 Trad. it: “Gregorio a Benenato vescovo di Tindari. Januaria, una pia donna, ci sottopose una richiesta per l’approvazione, come si conviene ai sudditi, allo scopo di fondare per la sua devozione un oratorio nella massa Furiana di sua proprietà, che desiderava consacrare ai santi Severino il Confessore e Giuliano Martire. E perciò, fratello carissimo, se la ricordata costruzione si trova nella giurisdizione della tua parrocchia e nessun corpo è stato lì inumato, acquisita prima la legittima donazione, la quale consiste in dieci solidi di reddito accertato esente da contributi fiscali, e allegatala agli atti municipali, solennemente consacrerai il suddetto oratorio con messe pubbliche, in modo tale che in quel medesimo luogo non venga costruito in tempi futuri un battistero, né venga nominato un presbitero principale. Ma se la suddetta fondatrice avrà voluto che messe vengano lì celebrate, sappia che il presbitero sarà nominato a tua discrezione, in modo che nessun altro sacerdote in nessun modo si arroghi niente di simile. Una volta innalzati effettivamente questi santuari disporrai le cose nel rispetto della donatrice.”.
4.1.5. Fonti itinerarie e geografiche 4.1.5.1. Itinerarium Antonini629 Itinerarium provinciarum 90,5 Alio itinere a Lilybeo Messana 90, 5 A Messana Tinda-ride m.p. XXXVI Itinerarium provinciarum 92,3-93,1 90, 6 Item a Lilybeo per maritima loca Tindaride 7 Usque m.p. CCVIII 91,1 Drepanis m.p. XVIII 2 Aquis Segestanis sive Pincianis m.p. XIIII 3 Parthenico m.p. XII 4 Hyccara m.p. VIII 5 Panormo m.p. XVI 6 Solunto m.p. XII 92,1 Thermis m.p. XII 2 Cefalodo m.p. XXIIII 3 Haleso m.p. XXVIII 4 Caleate m.p. XXVI 5 [A Caliate Solus-apre m.p. VIIII] 6 Agatinno m.p. XX 93,1 Tindaride m.p. XXVIII 630 Totale
m.p. 227-9 (diverticolo per Solusapre) = m.p. 218
L’Itinerarium Antonini contiene nella sezione in cui sono raccolti gli itinerari terrestri due itinera riguardanti la Sicilia settentrionale. Entrambi recano nell’intestazione come capolinea Tindaride. Si tratta dell’Itinerarium provinciarum 90,5 (a Messana Tindaride) e dell’Itinerarium provinciarum 90,6-93,1 (a Lilybeo per maritima loca Tindaride)631. Il primo si limita a conteggiare la distanza tra Messana e Tindaride in XXXVI milia passuum, mentre il secondo scandisce il percorso tra Lilybeo e Tindaride in 12 tappe e, forse, in un diverticolo632. La fonte fornisce per quest’ultimo itinerario una distanza complessiva tra i due capolinea di 208 m.p. non corrispondente a quella di 218 m.p. risultante dalla somma delle distanze parziali, che pure riporta, tra le varie località. La differenza, tra dato complessivo e dati parziali, va cercata nelle distanze incongrue riportate dall’Itinerarium per alcune tratte rispetto a quelle reali lungo le trazzere: in particolare Drepana-Aquis Segestanis (sono da aggiungere almeno 9 miglia), Aquae Segestanae – Parthenico (sono da sottrarre 2 miglia), Parthenicum-Hyccara (sono da aggiungere almeno 2 miglia); Soluntum-Thermis (vanno aggiunte 2 miglia), Cephaledum-Halesa (vanno sottratte 10 miglia), Halesa-Caleate (vanno sottratte 14 miglia), Caleate-Agatinno (vanno aggiunte 2 miglia), Agatinno-Tindaride (va aggiunto 1 miglio). Sommando le distanze dell’Itinerarium provinciarum 90,6-93,1 (a Lilybeo per maritima loca Tindaride) a quella dell’Itinerarium provinciarum 90,5 (a Messana Tindaride) il totale di 244 m.p. risulta superiore di 7 m.p. a quello fornito da Strabone633 per la lunghezza della via Valeria tra Lilybaion e Messene, pari a 235 miglia, e al dato analogo di Plinio il Vecchio634 che ci fornisce la distanza tra Lilybaeum e Pelorum indicandola in 242 miglia635. Nel geografo amaseno la distanza da Tyndarida a Agathyrnon è quantificata in trenta miglia anziché in ventotto o ventinove. Per Messene la discrepanza appare maggiore. Strabone fonisce infatti le distanza di cinquanta miglia da Tindari a Peloro, (TyndaridaMylai, venticinque miglia636 + Mylai-Peloriados, venticinque miglia) cui deve aggiungersi la distanza tra Peloriados e Messene non riportata da Strabone ma desumibile in almeno sette miglia dal confronto del dato della lunghezza della via Valeria con il dato di Plinio il Vecchio sulla distanza tra i due capi della costa settentrionale.
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Michele Fasolo | Tyndaris | 125 D’interesse risulta certamente il ruolo di capolinea e di nodo viario svolto nei due itinerari da Tindari insieme a Lilibeo, capoluogo amministrativo dell’Isola, e a Messana. Il ruolo di Tindari sembra essere coerente con una prefigurazione di sviluppo che doveva essere forse sottesa alla deduzione coloniaria augustea: fare della città, allo sbocco sulla costa di una direttrice dall’interno dell’Isola, un’interfaccia entroterra/mare, caposaldo sulla rotta per le Eolie, la Campania e Roma. Un progetto che probabilmente venne meno dopo la catastrofe ricordata da Plinio il Vecchio637, e non menzionata da Strabone, che avrebbe distrutto metà della città di Tindari. Queste considerazioni ipotetiche sul ruolo che Tindari potrebbe aver avuto nei progetti augustei sembrano avvalorare per le tratte nell’Itinerarium provinciarum 90,5 e 90,6-93,1 un’origine ufficiale, risalente agli anni della carta di Agrippa e all’organizzazione in quel periodo del cursus publicus638. Se la struttura della fonte e il computo delle distanze in essa contenute paiono risalire ad età augustea, la compilazione del documento giunto sino a noi è certamente più tarda. Rilevanti e rivelatrici risultano al riguardo alcune variazioni toponomastiche che il testo riporta rispetto ai dati delle fonti storico letterarie e della letteratura geografica. Abbiamo infatti per Agathyrnum e Tyndaris la mutazione y > i (Agatinno, Tindareo), in conseguenza della resa dell’y greco che prevale in età imperiale, e i normali esiti volgari639 rn > nn e th > t (Agatinno). Per l’Uggeri queste variazioni risultano peculiari, sviste di amanuensi a parte640, dell’affermarsi del latino volgare nelle scritture di carattere pratico che cominciano ad apparire intorno alla metà del IV secolo d.C. Nell’indicazione della località, poi, l’ablativo prevale su accusativo e nominativo di uso più dotto, secondo un processo progressivo che farà sì che esso, nota lo studioso, venga sentito successivamente come nominativo641. Tra Messana e Agatinno non vengono riportate strade interne che certamente esistevano da tempo immemorabile e che avevano importanza per la pastorizia e la deportatio ad acquas del grano, ma la loro indicazione probabilmente non rispondeva alle esigenze di sintesi e alle caratteristiche istituzionali del documento. Solamente più a ovest veniva segnalato forse642 un diverticolo di appena quattro miglia relativo al collegamento tra Calacte e l’ancora non identificata Solusapre. L’indicazione sarebbe stata introdotta tardivamente643. Una questione rilevante anche ai fini della ricostruzione sul terreno, anche se ovviamente in termini sommari, dei limiti amministrativi occidentali della Res Publica Tyndaritanorum644 è costituito dalla localizzazione di Agathyrnum e da quella, conseguente, di Haluntium. Il dato fornito dall’ dell’Itinerarium provinciarum 92,4-93,1 per la distanza Tindaride-Agatinno, sostanzialmente confermato dalle altre due indicazioni in nostro possesso, Strabone (30 miglia) e Tabula Peutingeriana (29 miglia), ci conduce per un itinerario che segue i contorni della costa ai piedi dell’attuale S. Marco d’Alunzio645. Anche l’applicazione a questo caso del metodo dell’uguaglianza tra le distanze646 fornisce lo stesso risultato. Ogni altra ipotesi di percorso più all’interno che tagli i difficili passi di Capo Calavà (nel comune di Gioiosa Marea), di Torcicoda, Pietraperciata (nel comune di Piraino) e di Capo d’Orlando per Scafa, S. Martino e Catutè647 giungendo a Santa Carrà dove non distante i documenti medievali ricordano un percorso pubblico, ci porta di qualche chilometro più ad ovest verso l’attuale S. Agata di Militello dove pure l’identificazione con Agatirno fu proposta da alcuni studiosi648 ma solamente, in mancanza di resti archeologici significativi, sulla base dell’assonanza del toponimo Sant’Agàti con il centro antico scomparso. In questa ipotesi resterebbe comunque senza nome l’insediamento antico sul sito di S. Marco d’Alunzio. All’approfondita disanima della questione da parte dell’Uggeri649 può essere, sulla base dell’attuale stato delle conoscenze, solamente aggiunto il richiamo alla vicenda agiografica650 dei santi fratelli Alfio, Filadelfio e Cirino le cui reliquie, trasferite, intorno all’800, dall’ultimo vescovo di Lentini, Costantino prima a S. Filippo di Fragalà e quindi ad Alunzio, vennero ritrovate dai normanni sul monte san Fratello dove oggi prevalentemente si localizza invece l’antica Apollonia651. Queste notizie sembrerebbero suggerire che a fine XI sec., se non prima, si ubicava Haluntium a poca distanza, 500 passi, dal centro di nuova fondazione, con coloni lombardi, di S. Philadelphi, San Fratello.
606
Gregorii I papae registrum epistularum in MGH 1891-1899. 607 La setta,forse gnostica, degli Aggelikoi è menzionata da S. Epifanio di Salamina (tra il 310/320 – 403) che ricorda di averne sentito ma di non saperne nient’altro che il nome dato che probabilmente si è estinta. Epifanio congettura che il nome della setta possa derivare dalla credenza che avevano i suoi membri che il mondo fosse stato creato dagli angeli oppure dal vanto di condurre una vita angelica.(Epiphanius, Panarion, 60). Sant’Agostino si limita a citare questa testimonianza: “Angelici, in angelorum cultum inclinati, quos Epiphanius iam omnino defecisse testatur” (Augustinus, de haeresibus, 39). La Cracco Ruggini ne ha brevemente riportato le possibili sporadiche tracce archeologiche in Sicilia: una tavoletta fittile proveniente dall’alta valle dell’Anapo con incisa forse nel V sec. una invocazione a Cristo e agli angeli profilattica per il raccolto da parte di un viticoltore, studiata dal Pugliese Carratelli, gruppi sepolcrali di età tardo romana e bizantina riferibili ad una comunità di Aggeloi ad Aguglia tra Palazzolo e Noto (PELAGATTICURCIO 1970, PP. 435-423), un anello d’oro trovato a Canicattini, con invocazione iscritta a Gabriele e Michele, un altro di bronzo inneggiante a Michele, le invocazioni a Cristo, Michele e Gabriele anche in iscrizioni di Siracusa, le invocazioni agli angeli nelle preghiere e nei scongiuri medievali. CRACCO RUGGINI 1980, p. 56-57. Alla diffusione nell’area di Tindari della setta potrebbe riportare la fondazione in età prenormanna di un monastero di rito greco intitolato a S. Michele. 608 L’istituzione, che in genere gli studiosi ritengono tramonti in Italia già all’inizio del V secolo, risulta citata nelle lettere di Gregorio più volte e più precisamente ad Ariminum (Ep. 2,11), Venantium (Ep. 8,5) e Firmum (Ep. 9,72) mentre in Sicilia oltre a Tyndaris a Messana (Ep. 2,6). 609 PRESTIANNI GIALLOMBARDO, pp. 295-316. 610 CARACAUSI 1994, I, s.v. Furio, p. 660. Vd anche s.v. Furiana, . 659 e s.v. Furiano, p. 659. Diversamente per il Rohlfs che rimanda a Forio ROHLFS 1990, s.v. Fùrio, p. 118, s.v. Forio (Furiu), p. 114. 611 Georgii Cyprii, Descriptio orbis Romani, (ed. H. Gelzer, Lipsiae,1890, p. 30 (588); HONIGMANN 1939. 612 MANSI, X, c. 867 B. 613 MANSI, X, c. 868 B. 614 Thphn. Chron. 1, Lipsia 1883, p. 410, 631 ed. C. De Boor 615 ARCIFA 2008. 616 DARROUZES 1981. 617 Tra gli episcopati ™parc…a
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Sikel…aj Ð SurakoÚshj troviamo, insieme ad altri 12 DARROUZES 1981, p. 222. 618 DARROUZES 1981, p. 32. 619 LQ’ ™parc…a Sikel…aj a’ Surakoàsa mhtrÒpolij. DARROUZES 1981, p. 242. 620 DARROUZES 1981, p. 78. 621 PRESTIANNI GIALLOMBARDO, pp. 108-309, con bibl. 622 SurakoÚsh IG’ tª Sikel…aj, J DARROUZES 1981, p. 278. 623 tú SurakoÚshj Sikel…aj . J DARROUZES 1981, p. 316. 624 ¹,Sur£koàsa. 625 tª SurakoÚsÅ tÁj Sikel…aj. 626 DARROUZES 1981, p.155. 627 PRESTIANNI GIALLOMBARDO 1991, pp. 295-316. 628 L’Amari ritenne di identificare la località con Tindari sulla base dell’assonanza del toponimo con la forma arabizzata del classico Tyndaris che in Idrisi suona D.ndarah e della circostanza che gli avvenimenti narrati nel testo riguardavano una fortezza importante sulla costiera settentrionale della Sicilia, assalita, nell’anno 222 (836-837), da un’armata, guidata ‘Al Fadhl-ibn-Yaqûb su ordine di ‘Abu al ‘Aglab. Il Bayān, si ritiene sia stato composto in arabo a Marrakech intorno al 1312 da Ibn ‘Idhari, qa’id di Fes. Il valore di quest’opera, secondo gli studiosi contemporanei, sta nel fatto che essa contiene importanti informazioni assenti da altre fonti, e in particolare include materiale estratto da opere anteriori oggi andate perdute. AMARI 1880-1881, v. II, p. 9. 629 Edizioni: WESSELING 1735; PARTHEY - PINDER 1848; CUNTZ 1929, p. 1-85. Per l’utilizzo cfr. UGGERI, 1968, pp. 225-54; 1998, pp. 1457-67; CALZOLARI 1996, pp. 367-517. 630 Nel codice Escorialensis è riportata una distanza di m.p. XXVIIII. 631 Sia il Pace che da ultimo l’Uggeri hanno evidenziato come alcuni documenti falsi redatti nell’abbazia di Montecassino, dove evidentemente si conservava un esemplare dell’Itinerarium Antonini, molto probabilmente un codice appartenente alla seconda famiglia delineata dal Kubitschek, siano debitori del capitolo dell’Itinerarium dedicato alla Sicilia e testimonino così in particolare l’esatta consistenza delle stazioni del cursus publicus sulla via Valeria che percorreva la costa settentrionale dell’Isola tra Lilibeo e Messina. Si tratta di una falsa divale attribuita a Giustiniano che rivendica al monastero la proprietà di estesi beni in Sicilia e del falso privilegio di papa Zaccaria 137, il quale il 21 gennaio del 749 avrebbe confermato a Petronace, abate di Montecassino, i possedimenti del monastero in Sicilia, cioè le 18 curtes
4.1.5.2. Tabula Peutingeriana652. Tabula Peutingeriana V.5 VI.1-2653 Via tra Messana e Lilibeo Messana XXXVI Tindareo XXIX Agatinno XII Calacte XII Halesa XVIII Cephaledo XXIIII Thermis Solunto XII Panormo XXXVI Segesta XIII Drepanis XVIII Lilybeo totale m.p. 210 Nel più noto e più importante degli Itineraria picta pervenutici 654 Messana, contrassegnata da una vignetta con due torri distinte munite di un tetto a doppio spiovente, appare come il punto di diramazione di una rappresentazione semplificata a quattro itinerari della viabilità della Sicilia. Viene rappresentata la forma a falce del porto naturale e vi è anche l’indicazione leggermente corrotta del traghetto (Portus Tragecynus) da riferirsi piuttosto all’estremità settentrionale dell’Isola, il Peloro, da dove ci si imbarcava per traghettare nel punto piu stretto il fretum Siculum655. Un percorso, corrispondente alla via Valeria ricordata da Strabone 656 , corre da Messina verso occidente in prossimità della costa che è raffigurata convenzionalmente mediante una linea ondulata continua, e raggiunge Tindareo dopo XXXVI m.p. La tappa 657 contrassegnata dalla segmentazione del tratto rosso viario risulta preceduta, come usuale nel sistema adottato dal copista, dalle cifre romane che indicano la distanza espressa in m.p. dalla stazione precedente. La tappa successiva in direzione di Lilybeo è Agatinno a XXIX m.p. distanza la cui indicazione soprasta il nome Tindareo. Si tratta di 1 m.p. in più della distanza tra i due centri riportata nell’Itinerarium provinciarum 92,693,1 e 1 m.p. in meno della distanza fornita da Strabone. Probabilmente corrotto è il dato fornito per la tappa successiva, da Agatinno ad Calacte, indicata in appena XII m.p. in luogo delle più congrue XXII o almeno XX m.p. come nell’Itinerarium provinciarum 92,4-6. Comunque, pur non offrendo dati nuovi la Tabula Peutingeriana conferma molti dati dell’Itinerarium provinciarum. Anche nella Tabula Peutingeriana i toponimi dei centri abitati sono indicati all’ablativo .
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Michele Fasolo | Tyndaris | 127 4.1.5.3. Tolemeo III, 4, 1, 15-24; 12,3 Nel suo libro III, capitolo (4) (Biblˆon g’, Kef. (d’), della GewgrafikÁj \Ufhg»ewj Tolemeo definisce l’ubicazione delle principali località (città, foci di fiumi) della Sikel…aj n»sou. Purtroppo sull’utilizzazione dei dati di Tolemeo nell’ambito degli studi di topografia antica gravano non solo le numerose interpolazioni e gli errori commessi dai copisti nei secoli ma anche un problema di fondo. Solamente qualche punto importante, al massimo, è stato ipotizzato, 400 luoghi, è stato calcolato mediante osservazioni gnomoniche di latitudine. Tutto il resto probabilmente fu costruito partendo dal meridiano di Eratostene e dal diaframma di Dicearco convertendo in ore di longitudine e latitudine con un arrotondamento a 5’ le misure lineari provenienti o estrapolate dalle fonti più disparate, racconti di viaggio, portolani, itinerari e quindi organizzate in un sistema tramite correzioni, distribuzioni proporzionali delle distanze ed approssimazioni successive.658 In Sicilia capisaldi per la costruzione carta possono essere stati secondo l’Uggeri 659 il Lilibeo, il Pachino, Siracusa e Palermo, l’Etna e Messina. Tuttavia ogni tentativo di calcolare il valore del grado tolemaico, sia in longitudine che in latitudine, in questa parte del Mediterraneo risulta vanificato dal recepimento da parte da parte del geografo alessandrino della convinzione che il capo Lilibeo più vicino all’Africa fosse per questo motivo più a sud del Pachino, che produce conseguentemente una rappresentazione della costa settentrionale dell’Isola che da Alontion inizia accentuatamente ad inclinarsi verso SO sino a propendersi decisamente verso Sud in corrispondenza della cuspide occidentale a capo Lilibeo660. La tabella che segue contiene 10 località prossime a Tindari. I toponimi e le coordinate sono presentati nello stesso ordine con cui compaiono nell’opera di Tolemeo. Il tipo di località è indicato secondo la tipologia dello stesso Tolemeo pÒlij, ™kbola…. A lato vi è stata aggiunta una lettera C (località costiera) o I (località dell’interno) indicante rispettivamente la posizione di ciascuno luogo rispetto al mare. Le coordinate di Tolemeo sono contenute rispettivamente nella colonna λ t longitudine e latitudine φt e date in gradi e minuti. Le coordinate moderne λm, φm sono state calcolate su Google Earth (proiezione cilindrica equirettangolare con datum WGS84) escludendo ogni indicazione per le località per cui non c’è unanime consenso fra gli studiosi nell’identificazione. Nelle ultime due colonne sono comparate le coordinate di Tolomeo con quelle moderne calcolando le differenze tra i numeri corrispondenti. Nelle ultime due colonne la differenza tra Δλ e Δφ è calcolata come segue: Figura 105. La tavola di Tolomeo Δλ= λt – λm Δφ= φt – φm
Figura 106. Tabula Peutingeriana. Particolare della Sicilia
offerte a san Benedetto dal patrizio Tertullo e dal figlio Placido insieme a sette mila schiavi e ai diritti sui porti di Messina e Palermo; i territori dove ricadono le 18 curtes (proprietà terriere misurate in modia) sono elencati in quest’ordine: Messina, Aci, Catania, Agrigento, Siracusa; Trapani, in Aquis Segestanis, in Sanuto, Termini, Partinico, in Iuccara, Palermo, Cefalù, in Aleso, in Galeate, in As[co]liate, in Agantinno, Tindari. 632 È possibile che il diverticolo non presente nei codici Escorialensis e Vindobonensis 181 non lo fosse neppure nell’Archetypus da cui, secondo il Kubitschek, i due derivano direttamente. 633 Strabo, Geographica, 6, 2, 1. 634 Plin., N.H. III 87. 635 Sottraendo la distanza tra Pelorum e Messana il dato risulta identico a quello di Strabone, a corroborare l’ipotesi che i due autori abbiano attinto alla medesima fonte ufficiale, forse la Corografia di Agrippa. 636 Evidentemente errore del copista rispetto ad una più congrua indicazione di 15 miglia. 637 Plin., N.H. II, 206. 638 Diverso il caso dell’origine del documento alla base dell’Itin. Ant. 94,2 che descrive la via CataniaAgrigento, facendola precedere dall’avvertimento dell’aggiornamento immesso “mansionibus nunc institutis” e conseguente ad una riorganizzazione nel corso del IV secolo del cursus publicus dell’Isola. 639 NIEDERMANN 1959, p. 62; VAANANEN 1963. 640 Pare essere questo il caso nella Tabula Peutingeriana del toponimo Tragecynus/Tragecticius. 641 UGGERI 2004, p. 51. 642 Potrebbe trattarsi di una ulteriore tappa verso ovest. In tal caso la distanza tra Caleate e Agatinno complessivamente riportata sostanzialmente coinciderebbe . 643 UGGERI 2004, p. 45. 644 CIL, X 8420 645 Nei pressi di S. Pietro di Deca. 646 Indicando con a la distanza tra due centri conosciuti riportata da una fonte itineraria, con b la loro distanza in linea d’aria, con c la lunghezza del percorso attestata nella fonte tra uno dei centri noti e una tappa intermedia non localizzata, con x la loro distanza in linea d’aria, si ricaverà, applicando
Figura 107. La Sicilia nella Tabula Peutingeriana (ripr. Miller)
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la formula x= (b x c)/a, la distanza in linea d’aria tra un centro non identificato e quelli di sicura localizzazione TALIANO GRASSO 1995, p. 11 n. 31. 647 Per l’appunto un odonimo chiaro: “la strada che scende”. 648 MILLER 1916, c. 398; PACE 1958, pp. 328, 466. 649 UGGERI 2004, pp. 126-133. 650 Ms. Vat. Gr. 1591 forse risalente all’anno 964, copista Basilio monaco. FOLLIERI 1997, p. 219. 651 PIRRO 1733, I, p. 697. Sul codice lentinese dei santi Alfio, Filadelfo e Cirino cfr. RE 2007. 652 MILLER 1916 (Roma 1964); 1962; A. E M. LEVI 1967; E. WEBER 1976; BOSIO 1983; PRONTERA 2003. Per l’utilizzo, UGGERI, “ 1969, p. l27-l7l; BOSIO 1974, p. 17-95; UGGERI 1983, p. 150 segg.. 653 Per la numerazione generale dei segmenti si fa riferimento a A. e M. LEVI 1978, p. 10. 654 Per l’Uggeri si tratta di “un eccezionale strumento itinerario, destinato probabilmente a viaggiatori aristocratici e colti e dotato perciò di una serie di annotazioni consimili a quelle che ritroviamo nei testi cronologicamente vicini dell’Itinerarium Burdigalense. Secondo lo studioso la maggior parte dei dati non può derivare che dalla Carta di Agrippa e dai documenti del cursus publicus istituito da Augusto. L’epoca di redazione della Tabula, ricavabile dall’analisi interna del documento, viene fatta risalire all’età di Costanzo II, all’incirca tra il 350 e il 360 d.C. UGGERI 2004, pp. 40-56. 655 UGGERI 2004 p. 51. 656 Strabo, Geographica, 6, 2, 1. 657 L’Uggeri ha ipotizzato si tratti, data la loro distanza media, 25-28 miglia, ad una giornata di cammino l’una dall’altra, delle sole mansiones attrezzate per il pernottamento. Mentre per le tappe caratterizzate da distanze più lunghe si potrebbe supporre un’indicazione delle sole mansiones del cursus velox, il corriere postale. UGGERI 2004, p. 46. 658 Edizioni: NOBBE 1843-5; riprod. di codici: Fischer 1932; traduzioni: LENNART BERGGREN - JONES, 2000; Studi: ALMAGIÀ 1929; FISCHER 1932; STAHL 1953; 1977; AUJAC 1993; problemi interpretativi: CAMARIRO 1956, p. 5 segg; SCHMITT 1972, pp. 27-31; SOLANA RUIZ 1972, pp. 69-76. 659 UGGERI 2004, p. 34. 660 Tolemeo inoltre riteneva il Mediterraneo più esteso di circa 20° rispetto alla realtà (62° invece dei reali 41°30’) fissandone la misura lineare in 8000 stadi. 661 TSOTOS-SAVVAIDIS 2003, pp. 235242; TSORLINI 2009, pp. 247-266. 662 ARETIUS in GRAEVIUS Thes., X, vol. 1, c. 30E-F “Ad fontem autem
TOPONIMO
TIPO
COORDINATE
COORDINATE
TOLOMEO
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potamoà 3 Tund£rion
38ο 30´ 38ο 20´ 15ο 02´ 38ο 08´ +23ο 28´ +0ο 12´
(À Tim»qou) 38° 15´ 15° 06
38° 03´ +23°54’ +0° 12´
(À Tim»qou) potamoà 6 ‘AgaqÚrion
38ο 15´ -
-
-
-
lz L´g´ lh j’
37ο 50´ 38ο 10´ -
-
-
-
C
lz L´d’
lh ib’
37ο 45´ 38ο 05´ -
-
-
-
πόλις
C
lz go’
l g´ ib’
37ο 40´ 37ο 55´ -
-
-
-
πόλις
I
lz go’
lz L´d’
37ο 40´ 37ο 45´ 14°15’
37°59´
+23° 25’ -0°14’
(À ‘Ag£qÚrnon)
‘Alsa…la
La distribuzione spaziale delle differenze di longitudine e latitudine mostra che quelle della longitudine sono le più consistenti, data la difficoltà di determinarla nel mondo antico, e crescono procedendo da ovest verso est. Le differenze di latitudine, meno pronunciate, diminuiscono man mano che da nord ci si avvicina al 38° parallelo. Nonostante queste osservazioni che mettono in evidenza le difficoltà dell’utilizzazione dei dati tolemaici merita comunque attenzione il tentativo del Tsotos e del Savvaidis661 di mettere a punto un metodo di conversione delle coordinate tolemaiche in quelle moderne. La tecnica utilizzata è quella dello scarto quadratico medio. Le differenze tra le coordinate antiche e moderne secondo i due studiosi non recano valori informativi intrinseci ma forniscono una informazione complessiva rilevante circa la distribuzione complessiva degli errori. Dopo aver stimato l’errore medio commesso da Tolemeo (utilizzando come stimatore un polinomio di secondo grado sia per la latitudine che per la longitudine e, per calcolare i coefficienti, il metodo della stima bidimensionale secondo il minimo errore quadratico) nell’individuazione dei siti vengono calcolati i valori degli errori rispetto alle misurazioni odierne. Quindi costruita in base a ciò un’ellisse centrata sul punto stimato nel sistema odierno secondo il Tsotos e il Savvaidis si ha la massima probabilità di trovare all’interno dell’ellisse il sito sconosciuto. Anche in questo caso la procedura porta ad identificare ‘Ag£qÚrnon con San Marco D’Alunzio. Il fiume Helikon in base alle coordinate fornite dal testo di Tolemeo sembra da identificare con l’ampia fiumara di Mazzarrà piuttosto che con l’odierno Elicona. Il Mazzarrà presenta nel suo tratto iniziale un decorso contorto che si sviluppa all’interno di una valle profonda e stretta, con bruschi cambi di direzione e pendenza del fondo dell’alveo, che hanno andamento per l’appunto elicoidale, da cui l’idronimo. Tra i vari studiosi che hanno affrontato il problema dell’identificazione del corso d’acqua era di questo parere l’Arezzo662 ma non lo saranno dopo di lui il Fazello663 e il Cluverius, quest’ultimo esplicitamente consapevole della localizzazione in Tolemeo più vicina a Milazzo che a Tindari, ma persuaso che il fiume più ravvicinato a Mile fosse piuttosto il Castroreale da identificarsi per lo studioso di Danzica nell’antico Longane664. Il corso d’acqua è comunque localizzato a O di 'Ab£kaina. Il Mazzarrà-Helikon, ai piedi dell’antica ‘Ab£kainon, contornata dai suoi due principali affluenti, il torrente Paratore e il torrente Tellarita, è il fiume che l’antica città ha celebrato sulle proprie monete in bronzo del periodo ellenistico romano come un toro androprosopo. Un percorso di lunga durata risaliva la vallata del Mazzarrà oltre Abakainon fino alla Rocca Salvatesta o di Novara dove valicava a sella Mandrazzi i Peloritani e ridiscendeva per
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Michele Fasolo | Tyndaris | 129 Francavilla e la vallata dell’Alcantara allo Ionio presso Naxos. L’attuale Elicona/Oliveri, in Tolemeo è a O di 'Ab£kaina.. In età normanna, nel 1130, il corso d’acqua risulta menzionato a proposito dei confini di un possedimento come vallum oliverii665. Ancora prima, sotto il dominio arabo,era forse il Wadi al-Amir. Sembrerebbe indicarlo il toponimo Valdimiri (Guadimiri nel dialetto galloromanzo di Montalbano) che ancora oggi persiste sulla riva destra del fiume nel comune di Falcone a breve distanza da contrada Casale di Montalbano Elicona. Più complicata l’identificazione del Timethus. Per Tolemeo Tund£rion è equidistante da MÚlai e da ‘Ag£qÚrnon e il Timethus è più ravvicinato a Tindari. Non sembra possibile identificarlo con l’attuale Timeto né con il Provvidenza-Montagnareale ma neppure con il più lontano Sinagra-Naso come a suo tempo il Cluverius666. 4.1.5.4. Anonimo Ravennate667. Ravennatis Anonymi Cosmographia Sicilia ... civitates ... Mesciana Diane Tindareon Agathinon Calao Alesa
(403,5-17)
Tindari risulta menzionata come Tindareon nel capitolo 23 del V libro668 della Cosmographia dell’anonimo erudito conosciuto come il Ravennate, dedicato alla Sicilia, in una sequenza, ordinata topograficamente, di località qualificate dall’autore tutte civitates anche se in molti casi si tratta solamente di semplici stationes lungo il percorso o di centri già scomparsi al momento della redazione dell’opera. L’elenco composto di nomi quasi tutti fortemente corrotti, pur attingendo a qualche fonte itineraria a noi sconosciuta, in particolare forse, all’interno della produzione cartografia itineraria del metà del IV sec. d.C., un itinerarium pictum, analogo ma più ricco di dati della Tabula Peutingeriana, specialmente i fiumi, risulta mancante dell’indicazione delle distanze tra le stationes in quanto l’interesse dell’autore non è in tutta evidenza quello itinerario ma piuttosto quello cosmografico. Tindareon ricorre tra i centri che si dislocano sulla costa settentrionale dell’Isola tra Mesciana e Panurmum lungo una direttrice in tutto o parzialmente coincidente con la via Valeria ricordata da Strabone669. Rispetto alle stationes fornite per la stessa tratta dai due tragitti dell’Itinerarium provinciarum e dalla Tabula Peutingeriana riscontriamo la presenza di una statio in più: Diane. forse situata lungo percorso diverso da quello paralitoranei nelle altre due fonti l’Itinerarium Antonini 90,6-93,1 e la Tabula Peutingeriana V.5 VI.1-2 Per quanto riguarda l’elenco dei fiumi, ventuno, che il testo pure tramanda (405,1 – 406,2) e che non sono riconducibili a idronimi presenti nelle fonti note, si è ipotizzato che l’Onganum (405,7) possa essere il LogganÒj, celebrato nelle litrai d’argento emesse dall’omonimo centro siculo e di contriversa identificazione negli studi, prevalentemente nel fiume Rodì della piana di Milazzo oppure nell’attuale Longano. 4.1.5.5. Guidone670. Guidonis Geographica (495,18-496,5) Messana Dianae Tindareum
Heliconis fluminis Novara, ibidem Furnaris est Heliconis superato ostio Tyndaris urbs ...”. 663 FAZELLUS 1560, I, 9, 7 “...descensu Heliconis fluvius ostum Ptolemaeo occurrit: qui nunc Oliverius appellatur” 664 CLUVERIUS 1619, p. 300. 665 Originale ACP Fego delli Cutturi, Scala, Tindaro ecc. n. 164; WHITE 1938, p. 408, n. XIX. 666 CLUVERIUS 1619, pp. 297-298. 667 KUBITSCHEK 1916, coll. 2327; SCHNETZ 1919; SCHILLINGER-HÄFELE 1963, pp. 238-251; DILLEMANN 1975, pp. 165-170; DEGRASSI 1986, p. 189; REBUFFAT 1986, pp. 85-105; MANSUELLI 1973, pp. 342. Editiones: PINDER et G. PARTHEY 1848; PARTHEY 1940, pp. 1-110; UGGERI 1967-1969, pp. 81-98;. Bibl.: MOMMSEN 1851; SCHNETZ 1942; STOLTE 1949; MAZZARINO 1965, pp. 45-62; 1965-66, pp. 99-117; UGGERI1983, pp. 155-158. 668 Secondo la divisione in libri e capitoli introdotta dal Porcheron nell’editio princeps (1688). 669 Strabo, Geographica, 6, 2, 1. 670 PINDER - PARTHEY 1860, pp. 447556; SCHNETZ 1940, pp. 111-142; Bibl. in UGGERI 1974a, pp. 233-46; 1974b, pp. 133-54; 1983, pp. 162-78.
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130 | Tyndaris | Michele Fasolo Colan Abesa (498,5-10) Nolonia Artemia Divia Apollonis Septus Ethna La compilazione enciclopedica di Guidone Liber Guidonis de variis historiis (probabilmente XII sec.), derivata dalla trascrizione di una versione della Cosmographia del Ravennate più ricca di quella pervenutaci, non presenta apparentemente per la Sicilia settentrionale sostanziali differenze rispetto alle località indicate dall’Anonimo Ravennate tranne lievi differenze nella scrittura dei nomi (rispettivamente Messana per Mesciana, Dianae per Diane, Tindareum per Tindareon, Acatinon per Agathinon, Colan per Calao, Abesa per Alesa). Tuttavia nel paragrafo 59 dopo un elenco di centri di verosimile derivazione itinerari si riporta una successione di quattro termini di altra origine Artemia, Divia, Apollinis, Septus, L’Uggeri ha ipotizzato per la sicura presenza di Apollo la loro derivazione da una legenda, presente in un itinerarium pictum, indicante una vignetta in cui forse era raffigurato il recinto (septum) di un santuario dedicato alla coppia Artemis-Apollo (Apollo-Diana) La legenda “Artemis Divia / Apollinis septus” non più capita sarebbe stata destinata ad ad implementare la lista delle città. Secondo l’Uggeri la circostanza che il toponimo che chiude il paragrafo sia Ethna, a sua volta possibile legenda di una vignetta del vulcano, riporta il contesto in cui dare collocazione ai lacerti superstiti della scritta nella cuspide settentrionale dell’Isola. Interessante è l’altro toponimo Nolonia che precede la sequenza Artemia, Divia, Apollonis, Septus. L’Uggeri ritiene da prendere in considerazione, rispetto alla lectio facilior colonia, le correzioni della toponimo corrotto in ol(l)onia oppure Noloa (Naulochos), Quest’ultima correzione riporterebbe in particolare al santuario di Artemis Phacelitis e ben si adatterebbe ai quattro toponimi riportati da Guidone. A tutto ciò si può soggiungere che la correzione in colonia appare molto convincente sia per la presenza nella cuspide settentrionale della Colonia Augusta Tyndaritanorum sia dei vari indizi sull’esistenza di strutture di culto in onore di Artemide e di Apollo nell’immediate vicinanze del centro antico671.
671
Tra questi vanno ricordati il ritrovamento a Patti Marina di un rilievo votivo in marmo rappresentante Artemide e il toponimo Pollini che designa una parte della collina su cui sorge il centro abitato di Patti.
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Michele Fasolo | Tyndaris | 131 4.2. Fonti cartografiche. Il territorio di Patti è stato rappresentato, tra XV e XIX secolo, in più modi, secondo i diversi filoni e le varie motivazioni672 attraverso i quali si è sviluppata anche in Sicilia la storia della cartografia, dalle carte nautiche agli Isolari e alle tavole rinascimentali realizzate secondo il metodo tolemaico, dai rilievi eseguiti tra XVI e XVIII secolo da ingegneri militari al servizio delle grandi potenze europee del tempo fino alle produzioni cartografiche effettuate, dopo l’unità, dallo stato italiano per fini topografici, geologici e catastali. Alcune delle carte prodotte rivestono nell’ambito di questa storia, e specificatamente anche per il territorio di Patti, un ruolo fondamentale essendosi rivelate nel tempo realizzazioni innovative, per i metodi, per i risultati, per le informazioni aggiuntive apportate rispetto alle precedenti realizzazioni. Portano il nome di Tolemeo, Gastaldi, Mercatore, Magini, Spannocchi, Camiliani, Negro, Sanson, Delisle, Schmettau, Smyth.673 Tutte le altre vi si sono rifatte di volta in volta scegliendo l’una o l’altra a proprio modello ed introducendo al massimo alcune varianti. 4.2.1. Gli esordi della nuova geografia rinascimentale dagli Isolari alla riscoperta di Tolemeo. All’alba del Rinascimento le nuove forme di rappresentazione spaziale che compongono in un linguaggio geografico innovativo le informazioni delle carte nautiche con quelle descrittive storico-corografiche producono nel Liber insularum di Cristoforo Buondelmonti la prima rappresentazione cartografica moderna della Sicilia674 (ca 1420). Un notevole salto la separa dalle raffigurazioni antiche e medievali pervenuteci attraverso la Tabula Peutingeriana e dalle carte allegate all’opera di Edrisi. Nella nostra zona, lungo la linea di costa, delineata attraverso l’utilizzazione del colore, compaiono da est a ovest, Melazo, Elicon fluv., Ulifera, Patrj, Cap. horlandi. L’helicon è localizzato tra Ulifera e Melazzo. Il thmeto invece viene ubicato più ad ovest, tra cap. horlandi e Caronia. All’interno dell’isola, risultano riportati, alle pendici dell’Etna, due centri Radazo e aterno (Paternò) 675. Accanto a questo va segnalato l’altro grande filone cartografico che scaturisce dalla riscoperta dell’opera di Claudio Tolemeo con l’arrivo a Firenze agli inizi del ‘400 del primo codice bizantino della GewgrafikÁj \Ufhg»ewj che ha come conseguenza la produzione di numerose carte da allegare alle edizioni prima manoscritte poi a stampa dell’opera. La loro precisione e la loro accuratezza dipendono dalla comprensione del metodo teorizzato dal geografo alessandrino e da come i dati originali sono pervenuti ai vari cartografi rinascimentali attraverso i codici che essi utilizzano. La Sicilia si caratterizza in tutte le carte di questo tipo per una forma triangolare estremamente deformata, con lati non riportati a proporzioni e misure reali, in particolare con il lato tirrenico che proprio dalla zona di Patti, con conseguenze sulla rappresentazione del suo territorio, inizia accentuatamente ad inclinarsi verso SO sino a propendersi decisamente verso Sud in corrispondenza della cuspide occidentale dell’Isola a capo Lilibeo676. Per la Sicilia in particolare la visione tolemaica recepisce l’errore tradizionale di situare il capo Lilibeo, data la sua maggiore vicinanza all’Africa, più a sud del Pachino. Tindari che Tolomeo colloca a 38°20’ di latitudine e 38°30’ di longitudine è presente, insieme a tutti i punti e gli elementi presi in considerazione nell’opera del geografo alessandrino per la parte nordorientale dell’Isola, pÒlij e ™kbola…, in tutte le carte ad iniziare dalla raffigurazione della Sicilia contenuta nella Septima Europe tabula, disegnata dal Fiorini per l’edizione romana del 1478677. La tavola riporta trascrivendoli in latino: sulla costa Myle, Elicon Flu, Tyndariu(m), Thymethus Flu., Agathyriu(m), Alontium, Chyda Flu., all’interno Abacena, Tyssa, Emichara, Caputium. Sia l’Elicon che il Thymethus in questa versione scaturiscono dall’Aetna Mons disegnato in forma lobata. La raffigurazione della costa è pressoché rettilinea con delineazioni appena percepibili e del tutto convenzionali di alcuni promontori. Gravi incertezze sono riscontrabili, per posizione e dimensione delle isole, nella rappresentazione dell’arcipelago eoliano678. L’apporto informativo di tutte queste carte per il nostro studio è assai limitato sia quando
672
POLTO 1999. DUFOUR 1998, 26; anche IACHELLO 1999, XXV. 674 IMAGO SICILIAE 1998, pp. 66-67, 285; BUONDELMONTI 1420, Sicilia in Description Cycladum et aliarum insularum. Manoscritto su pergamena colorata, ff. 51-52, cm 41,5x25,5, tav. cm 28,5x43 (Biblioteca Laurenziana Firenze). 675 DONATTINI 2000; WEISS 1964. 676 DI VITA, 1905; LAGO, 1994 . 677 IMAGO SICILIAE 1998, pp. 48, 285; TOLEMEO 1478, Sicilia Insula in Septima Europe Tabula in Claudii Ptolemei Alexandrini Philosophi Geographiam Arnoldus Buckinck e Germania Rome tabulis aeneis in picturis formatam impressit Anno Dominici M.CCCC.LXX-VIII. Incisione in bianco e nero, tav. n. 7, cm 26x52. 678 Le due isole di Euonymos e di Hicesia. 673
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679
Myle, Tyndario, Agathyrio, Alotio, nell’interno Abaciena, Tisa, Capitio, Imichara, capytio e i due fiumi Heljcon, che sfocia tra Myle e Tyndario, e Tmeto. 680 IMAGO SICILIAE 1998, pp. 49, 285. La carta correda il manoscritto delle Septe giornate della geographia, rifacimento in lingua italiana ed in versi dell’opera tolemaica curato dal fiorentino Francesco Berlinghieri, Sicilia Isola in Septe Giornate della Geographia. Manoscritto colorato a mano, Tavola, cm 28x42,5 Biblioteca Laurenziana Firenze, Inc.1.5. La costa risulta articolata e si coglie l’arcuazione dei golfi tra Myle e Tyndario e tra Tyndario e Agathyrio. In corrispondenza di ciascuno dei promontori sono segnate le città antiche di Myle, Tyndario, Agathyrio, Alontio. Da notarsi il tentativo di posizionare con più precisione anche i fiumi. Quello che sembrerebbe indicato come Thymetus sfocia tra Tyndario e il promontorio immediatamente ad ovest della città, che dovrebbe corrispondere a Monte di Giove. L’Heljcon, il solo fiume in questa carta a trarre origine dall’Etna Mo(n)te, risulta ravvicinato a Myle. Un altro fiume, non indicato per nome, fra Agathurio e Tyndario risulta più ravvicinato a quest’ultima città. 681 Sicilia Insula in Septima Europae Tabula in Claudii Ptholemaei Alexandrini, Liber Geographiae, cum tabulis et universali figura et cum additione locorum quae a recentioribus reperta sunt diligenti cura emendatus et impressus ... Venetiis, per Jacobum Pentium De Leucho, Anno Domini M.D.XI. Incisione in bianco e nero, con colore rosso per alcuni toponimi, tav. cm 26,8x42,1. La sua critica di Tolemeo e la conseguente correzione delle carte si avvale dell’utilizzo dei portolani. Tuttavia alcune località, con trascrizione incerta, mutano di posizione come Caputium ora collocata in maniera eccentrica nell’interno tra Myle e Tymdarium. In corrispondenza di Agathyriu(m) compare anche Aleta, differente da Alesa riportata sulla costa. L’Helicon fl sfocia immediatamente a ridosso a occidente di Tymdarium, identificandosi con l’Oliveri. Il Tymechs sfocia invece adiacente ad Agathyriu(m) con una localizzazione che riporta al fiume Naso. Nella carta compare l’orografia con la rappresentazione della catena montuosa di quelli che sono gli attuali monti Nebrodi nel tratto di catena tra Agathyriu(m) e Myle, del cui promontorio appare l’estrema propaggine sul mare. 682 IMAGO SICILIAE 1998, pp. 55, 286-7. 683 Nessuna novità per la
i toponimi antichi vengono riportati in lingua italiana679, con tentativi di rappresentazione della costa più articolata in promontori e con posizionamento più aderente alla realtà dei corsi d’acqua, come nella carta della Sicilia del 1482, forse eseguita da Francesco Rosselli680, sia quando, nella raffigurazione dell’Isola, la distorsione tolemaica inizia ad essere corretta e maggiore risulta l’utilizzazione di portolani, come nella carta approntata dal geografo Bernardo Sylvano da Eboli681 nel 1511 per l’edizione latina di Venezia della Geografia, sia infine allorché si indicano al posto degli antichi i centri moderni (C orlandi, patti, melazzo) come per la prima volta nel 1541 nella «Tabula nova»682 del Bilibaldi alla scala di 200 miglia italiane.683 Nessun rilevante dato nuovo neppure nelle rappresentazioni secondo il modello tolemaico di cartografi come Giacomo Gastaldi684, nel 1548 in occasione di una edizione della traduzione in volgare della Geografia, come Mercatore685, e al crepuscolo del filone della geografia tolemaica nel 1597, la carta della Sicilia nell’edizione di Colonia della Geografia di G. Antonio Magini che pur presenta una toponomastica dei centri moderni molto ricca. Nella nostra zona troviamo indicati sulla costa L’otydaro, Patti, Orlando e più retrostanti Tripi, M. Albano, S. Librici, Sinagra. Un solo corso d’acqua è riportato, tra Tripi e L’otydaro. Nell’interno è disegnata una catena di monti. Comincia a prendere definizione la posizione di ciascuna delle isole dell’arcipelago eoliano.686 4.2.2 I grandi cartografi: Gastaldi, Mercatore e Magini. La linea di costa del golfo di Patti appare delineata in maniera migliore con contorni più accurati, grazie all’apporto dei dati della cartografia nautica, nella celebre carta di Jacopo Gastaldi, del 1545, questa volta realizzata al di fuori della trazione tolemaica, considerata una tappa rilevante per la storia cartografica dell’Isola e che sarà ripresa innumerevoli volte dai geografi successivi sino almeno alla metà del XVII secolo687. Gastaldi nel titolo della carta, dichiara di aver utilizzato un opuscolo di autore anonimo intitolato Descrittione dell’isola di Sicilia, pubblicato l’anno successivo a Venezia, che viene attribuito al Maurolico. È stato ipotizzato che il contributo del Maurolico possa essere stato più diretto sino alla realizzazione dello stesso disegno della Sicilia. Grazie a questo apporto la toponomastica risulta notevolmente incrementata rispetto alle carte precedenti anche per le zone più all’interno. Sulla costa da est ad ovest abbiamo c. de Mylazzo, Lo tydaro, Oliveri f., Oliviero, Patti, la Giuisa, c. alua con localizzazione non ben precisata, Piraino, de brolo, c. de orlando, e nell’interno, Tripi, M. Albano, S. Peri, Raccuia, Sinagra, Ucria, Nasa, San Salvatore. Vengono riportati senza nome i fiumi principali tranne che per il corso d’acqua indicato Oliveri fl. Tra il 1584 e il 1589 Abramo Ortelio realizza due carte, Siciliae veteris typus e la Siciliae descriptio e quest’ultima stampata in collaborazione con Filippo Galle688. Di non grande utilità per la zona è la tavola elaborata nel 1589689 da Gerard Mercatore. Si delinea con una certa precisione il corso dell’oliviero fl., dalle sue sorgenti che vengono indicate come pulvitello fons e lagrimusca fons, allo sbocco in mare . Sulla sua sponda sinistra risultano attestati i centri di Casal nuovo di S. Peri, di oliviero. Tra tra gli altri insediamenti poi abbiamo tindaro s. librici, un fiume che non viene indicato in tutta evidenza corrispondente all’attuale Timeto, Patti segnalata mediante una vignetta, montagna, giuisa, sorrento, capo alua, pilaino, la ficara, martinis, raccyuia, s. nicolaus la fico, ucria. Ben delineato risulta il fiume di S. Angelo di Brolo, non indicato con il nome, ma non risulta esatta la posizione di Raccuja, di S. Nicola Lo Fico. Nella carta realizzata, sul modello di quella di Mercatore, dal Magini690 ma con contenuti aggiornati, intorno al 1607, poi ripubblicata dal figlio nel 1620 la sintesi che il cartografo opera fra fonti cartografiche diverse691 per provenienza e metodologia produce una migliore e più precisa rappresentazione della Sicilia. Più ricca ed accurata risulta in particolare l’idrografia ove tra i corsi d’acqua compaiono il torrente Montagnareale ed il S.Angelo. Di grande importanza invece rispetto alle due precedenti la carta, che pure si rifà al Mercatore e al Magini, contenuta nella fondamentale opera di geografia storica dedicata da Filippo Cluverio (1580-1622) alla Sicilia (1619)692. I toponimi sono indicati in lingua greca; l’incisore, Nicolaus Geilkerck, introduce nella tavola figure di balene e di vascelli, secondo lo stile manierista. Nel libro figura la stessa carta con il testo in latino.
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Michele Fasolo | Tyndaris | 133 4.2.3. L’attività cartografica degli ingegneri militari. Un apporto rilevante di informazioni sul nostro territorio ci proviene dalle attività cartografiche di ingegneri militari al servizio della Corona Spagnola (Ferramolino, Spannocchi, Camilliani, Negro) che iniziano a svolgersi in Sicilia tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo. Il loro lavoro, oltre che costituire un notevole progresso nella storia della cartografia, presenta alcune caratteristiche che lo contraddistinguono da tutte le altre attività cartografiche precedenti. Le rappresentazioni che questi ingegneri approntano nascono innanzitutto in un contesto specificatamente militare, il conflitto cristiano-turco e il connesso fenomeno delle incursioni barbaresche. Militari sono gli ingegneri che redigono le carte, molti dei quali specializzati nella progettazione delle fortificazioni bastionate ed esperti di artiglieria, alla sfera del potere politico e militare appartengono gli utilizzatori finali. Questi fattori determinano le finalità, la difesa costiera e non un progetto globale di rilevamento del territorio, e l’uso, manoscritto e riservato, dei documenti che vengono approntati. Le pressanti esigenze militari impongono poi accresciute esigenze di precisione che non possono essere soddisfatte da collazioni e assemblaggi di informazioni da portolani e carte nautiche, dalle finalità mercantili, ma da una ricognizione autoptica del territorio siciliano, levate dirette sul terreno, e l’utilizzo di una tecnica di rappresentazione spaziale che non è solo cosmografica ma affonda, con l’uso della scala, nel bagaglio tecnico del rilevamento architettonico. La parte grafica è infine accompagnata da relazioni scritte con descrizioni puntuali che pongono attenzione alla natura geologica della costa, alle sedi umane e produttive, alle giurisdizioni ed ai limiti amministrativi. Il lavoro di documentazione e di rilievo delle coste siciliane, finalizzato alla loro difesa, svolto con un soggiorno nell’Isola nel 1578 dall’ingegnere senese Tiburzio Spannocchi (1541-1606), su incarico del vicerè Marcantonio Colonna, e confluito in uno splendido manoscritto autografo693 conservato nella Biblioteca Nazionale di Spagna che riporta la data del 1596, fornisce una serie di importanti informazioni per il territorio di Patti694. Oltre che nella carta generale della Sicilia i riferimenti sono contenuti in due carte zenitali, in una visione prospettica di Patti dalla barca in avvicinamento, in una serie di schizzi rispettivamente del Castello dell’Oliveri, della Chiesa di Capo Tindaro, della Torre dei Magazeni, della torre del Capo Calava. Se la carta trascura del tutto la rilevazione della morfologia interna dell’Isola l’assetto costiero risulta invece curato con riferimenti a tutti i possibili approdi specialmente quelli offerti per sbarchi o ripari dalle foci fluviali. La carta generale della Sicilia riporta lungo la costa nella nostra zona i seguenti toponimi: F. dell’Oliverj, Lo Tindaro, Torre del Borgo di Patti, c di Calaua, F. S.to Angelo, Cas di Brolo, F. di Naso e C. d’Orlando. Tra i paesi dell’interno il documento riporta solamente Patti, Gioiosa e Peraino. La costa risulta assai ben delineata. Lo stesso tratto del litorale appare in due tavole. Vi risultano introdotti in più, rispettivamente rispettivamente nella tavola CIIII, Mongioia, T. del fondaco di Patti, La Fetente, Punta di Perajno, La croce, Le ciappazze, Grotta del bue marino, e nella tavola CVIII, Trappeto695 et tonnara deli oliverj, Lo Ciafaglione, Mongioia. Tra Tindaro e lo Ciafaglione viene riportata un’ampia insenatura. Tutto il precedente apparato difensivo medievale secondo lo Spannocchi va ridefinto, accorciando le distanze tra gli apprestamenti, costruendo nuove torri, rafforzando le esistenti, pianificando i segnali e i turni di guardia a piedi, ripartendo i costi fra tutte le comunità e non solamente tra quelle sulla costa, immediatamente esposte alle incursioni. Per l’estensione delle coste (11 miglia circa) e della popolosità del golfo di Patti (12 % dei residenti) lo Spannocchi, perciò, ipotizza altre quattro torri (Fetente, Mongioi, Cifaglione e Tindari) da aggiungere alla preesistente di Calavà. Quella di Tindari, come già quella di Calavà, è ritenuta importante “imperochè la Chiesa non guarda il capo, venendo posta piu dentro verso Melazzo in luogo che è di tanto giovamento quanto sarebbe nella propria ponta”. 4.2.4 La cartografia dettagliata di Camillo Camiliani insieme al capitano G.B. Di Fresco. Ancora più dettagliato nella descrizione scritta e cartografica del litorale risulta il rilevamento dell’ingegnere, anche lui toscano, Camillo Camiliani cui insieme al capitano G.B. Di Fresco la Spagna aveva conferito l’incarico di «riconoscere insieme la circonferenza del Regno et descriverla in carta». Molte sono le differenze tra i due pur svolgendosi il loro lavoro in Sicilia a distanza di pochi anni l’uno dall’altro. Purtroppo nel manoscritto conservato alla
rappresentazione della zona ci proviene dalla carta di Waldseemuller (1520) che ritorna alle versioni più tradizionali della rappresentazione tolemaica introducendo solamente l’aspetto decorativo dell’Etna in eruzione, ed in quella successiva del Munster del 1540 che l’arricchisce invece con la rappresentazione di uno scontro navale riferito nella didascalia al Bellum Punicum. I centri moderni compaiono per la prima volta nel 1541 nella «Tabula nova», del Bilibaldi alla scala di 200 miglia italiane: C orlandi, patti, melazzo. Scompaiono i toponimi antichi e i fiumi. 684 IMAGO SICILIAE 1998, p. 57, 287. Sicilia in Sicilia. Sardinia. Nova Tabula In La Geografia Di Claudio Ptolemeo Alessandrino, con alcuni Comenti et aggiunte fattevi da Sebastiano Munstero Alamanno, con le tavole non solamente antiche e moderne solite di stamparsi, ma altre nuove aggiuntevi di Messer Jacopo Gastaldo Piamontese Cosmografo, ridotta in volgare italiano da M. Pietro Andrea Mattiolo Senese Medico Eccellentissimo (... ) Venetia, per G.B. Pedrezano, M.D.LVIII. incisioni in bianco e nero, Tav. cm 20x26 Melazo e Pati sono i soli due toponimi riportati per la zona, insieme al Monte Scibello, l’Etna. Il testo che segue la carta è dedicato alla Sicilia moderna con una breve descrizione dell’Isola. 685 IMAGO SICILIAE 1998, p. 61, 291. Sicilia in Eur. VII Tab. in Claudii Ptolemai Alexandrini Geographiae libri octo graeco-latini. latine primum recogniti et emendati, cum tabulis geographicis ad mentem auctoris restitutis per Gerardum Mercatorum M.D.XXXIIII, incisione in rame a colori, cm 40,5x52. Nessun dato nuovo ma solamente la riproposizione del modello tolemaico a colori, da intendersi però ora come segno di omaggio al grande geografo alessandrino, con decorazione di bestiario marino, è quella che realizza nel 1584 Gerardo Mercatore. Nel 1578 e nel 1584, il celebre geografo fiammingo pubblicò una splendida edizione della geografia di Tolomeo con carte da lui corrette. I toponimi sono in latino. Per quanto riguarda la posizione dei fiumi l’Elicon fl. È posizionato più ravvicinato a Myle e il Thymetum a Tyndarium piuttosto che a Agathyrium. L’unica nota dissonante rispetto alle carte precedenti dello stesso tipo la posizione di Capycium in questa versione sulla sponda sinistra del Thymethus fl. 686 IMAGO SICILIAE 1998, p. 63, 292. Sicilia Insula in Tabula Europae VII in Geographiae Universae tum veteris, tum novae absolutissimum opus, Duobus Voluminibus Distinctum ... illustratus est a Jo. Antonio Magino... auctore eodem Io. Ant. Magino Patavino,
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Mathematicarum in Almo Bononiensi Gymnasio Publico Professore. Anno 1597. Colonia excudeat Petrus Keschedt, 1597. Incisione in Bianco E Nero, Tav. Cm 13,7x17,5. La costa risulta tuttavia maggiormente articolata e si coglie l’arcuazione dei golfi tra Myle e Tyndario e tra Tyndario e Agathyrio. In corrispondenza di ciascuno dei promontori sono segnate le città antiche di Myle, Tyndario, Agathyrio, Alontio. Da notarsi il tentativo di posizionare con più precisione anche i fiumi. Quello che sembrerebbe indicato come Thymetus sfocia tra Tyndario e il promontorio immediatamente a ovest della città, che dovrebbe corrispondere a Monte di Giove. L’Heljcon, il solo fiume in questa carta a trarre origine dall’Etna Mo(n)te, risulta ravvicinato a Myle. Un altro fiume, non indicato per nome, fra Agathurio e Tyndario risulta più ravvicinato a quest’ultima città. 687 IMAGO SICILIAE 1998, p. 69, 287. Descrittione della Sicilia con le sue isole, della qualli nomi antichi et moderni et altre cose notabili per un libretto son brevemente decchiarati, con gratia et privilegio. Per Giacomo Gastaldo Piemontese Cosmographo in Venetia. 1545. Incisione in bianco e nero, cm 54x37,7, scala di 100 miglia italiane. 688 IMAGO SICILIAE 1998, pp. 88., 292. 689 IMAGO SICILIAE 1998, pp. 94, 291292. Siciliae Regnum in Italiae Sclavoniae et Graeciae tabule geographice per Gerardum Marcatorem illustrissimi ducis Julle Clinie et Cosmographum Duysburgi edita cum gratiaet priulegio 1589. Incisione a colori, calco cm 34x48, scala di 30 miglia italiane, orientazione scritta nel margine. 690 IMAGO SICILIAE 1998, pp. 108, 294. Regno Di Sicilia. Incisione in bianco e nero, cm 37x47,7 scala di 25 miglia, graduazione e orientazione nei margini. 691 Tra le altre una carta in 5 fogli, fino a oggi ignota, che gli fu inviata dal Senato di Messina, e la Sicilia manoscritta dello Spannocchi ottenuta grazie all’ambasciatore del duca di Mantova presso la Corte di Spagna (UGGERI 2004 p. 79). 692 IMAGO SICILIAE 1998, pp. 106-107, 294. Insularum Orientali Sicilia Latium Objacentium Typus. Auctore Phil. Cluverio in Philippi Cluveri Sicilia Antiqua cum minoribus insulis et adiacentibus item Sardinia et Corsica Opus post omnium elaboratissimum tabulis geographicis, Arc’expressis, Illustratum. Lugduni Batavorum ex Officina Elzeviriana. Anno 1619. 693 IMAGO SICILIAE 1998, pp. 84, 290. Siciliae Opulenti Regni. Descriptio, Una cum suis adiacentibus insulis, ( ... ) deliniata pro D. Tiburcio Spanochio Equite Hierosolimitano, Regiarum Machinarum, atque Menium,
Biblioteca Nazionale di Torino, danneggiato da un incendio, non è presente alcuna rappresentazione complessiva della Sicilia che avrebbe permesso di apprezzarle in maniera più completa. Ne ha evidenziato alcune l’Aymard696. Secondo lo studioso i rispettivi punti d’inizio delle due descrizioni, Messina per lo Spannocchi e Palermo per il Camiliani, e il loro andamento, orario in Spannocchi e antiorario per il Camiliani, sono indicativi dei diversi contesti geopolitici e degli scopi delle rilevazioni. Mentre Spannocchi vive ancora nel clima di uno scontro incombente tra cristianità e impero ottomano, e Messina è base avanzata di ogni preparativo, Camiliani opera invece in un periodo in cui il pericolo strategico si è allontanato e le attenzioni del governo con sede a Palermo sono assorbite dalla pirateria barbaresca. Lo Spannocchi cerca di avvicinare la rete delle torri di avvistamento quanto più possibile alla costa e il suo inventario delle risorse e delle attività dei centri che si affacciano è funzionale alla ripartizione equilibrata delle spese. Il Camiliani cerca invece di delineare un sistema continuo ed uniforme di sorveglianza imperniato sulle torri ma anche sulle guardie a terra. Rispetto allo Spannocchi il Camilliani tiene in gran conto l’idrografia, segnalandone ogni caso in cui questa funga da confine amministrativo. Nel caso di Patti essa è purtroppo rappresentata male con un corso del Timeto appena accennato. Il Camiliani dilata l’orizzonte della rappresentazione al paesaggio naturale dell’interno, pur trascurandone l’orografia, e riporta i boschi. Nel territorio di Patti sono riportati i boschi esistenti tra Mo(n)tagna e Surre(n)tini, quelli oggi non più esistenti immediatamente a SO di Patti e, ridotti a pochi brandelli superstiti, sulla sponda destra del Timeto, da Monte Cuccuvaia e Moreri sottani sino a Monte Malafarina e Monte Litto, e a Madoro697. Il Camilliani segnala con grande precisione «cale» e «spiagge». Nella zona di Oliveri e di Patti il Camiliani698 riporta, secondo una sequenza da est ad ovest ricostruibile attraverso le planimetrie e i tre libri Delle Marine, Delle Guardie e Delle Torri in cui si articola i suo lavoro, i seguenti toponimi: F. di Caliciotto (vallone di Caliciotto) (o Caligiotto), Fiume Oliveri (attuale Elicona), Castello di Oliveri (o Liveri), trappeto, tonnara dell’Olivere, Vallone della Carruba (o Carubba o Carrubba), Rocche del Tindario, cala di Marinello, Ciappa di Nosi (o Niosi), Nostra Donna del Tindaro, cala di Cefaglione, ridotto detto il Trepolo, cala di Sferracane, spiaggia detta la Valle (toponimo ancora oggi vivente), capo Mongioio (o punta di Mongioia) con due cale sottostanti non denominate, chiesa detta del Salvatore, cala detta il Margone, cala della Prigionia, cala dell’Huomo (queste ultime tre cale ad ovest di Monte di Giove oggi non sono più esistenti), foggia di Patti (attuale Timeto), foggia del fiume di Santo Christofaro (attuale Provvidenza-Montagnareale), torre di Patti (a guardia di un piccolo borgo oggi Patti Marina), in mare a tre quarti di miglio Pietra di Patti, vallone Minissaro (o Ministaro) e due località la cui trascrizione data dal Camiliani risulta utile ai fini dell’attribuzione dei relativi toponimi agli strati linguistici greco ed arabo, Punta di San Geórgio e il vallone detto il Màgaro. Sempre all’interno è incerta la rappresentazione la posizione di Raccuia. Sono riportati Mo(n)talbano e Caslnuovo (oggi Basicò). Olivere è segnalata con la vignetta del castello699. Di Tindari si riporta anche in uno schizzo l’esistenza di una torre in un angolo del baglio della chiesa che guardava a ponente. Il Camiliani propone di trasferire la guardia «sopra la tribuna dell’ystesa chiesa» che guardava a levante, in modo da poter corrispondere meglio agli altri segnali delle altre torri700. Il Camiliani riprende molto spesso il Fazello701. Manoscritta è pure la carta, conservata nella Biblioteca Nazionale di Madrid, del disegnatore ed incisore Francesco Negro702 (1590-1653) «caltagironese, geometra e meccanico insigne», assistito nei calcoli dal matematico Carlo Ventimiglia, (1576-1662), redatta in occasione del rilevamento delle fortificazioni siciliane, per incarico di Filippo. Le procedure di triangolazione topografica sono quelle messe a punto da Snellius. La linea di costa più falcata ed accentuata tra Milazzo e capo Tindari e più ad ovest tra capo d’Orlando e Capo Calavà. Il reticolo idrografico diviene più preciso e più aggiornata è anche la toponomastica. Una legenda distingue le città sedi vescovili, quelle appartenenti ai feudatari e quelle demaniali (in rosso). Nella carta della Sicilia del 1583 dell’atlante marittimo di Joan Martines703, le coste risultano ben delineate ma non l’idrografia. Le vignette che indicano i centri abitati si affastellano a volte non accompagnate dalla relativa indicazione. Sulla costa tirrenica dei Nebrodi sono indicate le località di capo milaczo Milazzo (in rosso), castello di lo oliveri, nostra donna di lo tindaro, patti (in rosso), patti caricaturi, c. de calavà, castello di brolo caricatori, r. (rada) di sinagra, c. dorlando.
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Michele Fasolo | Tyndaris | 135 Nell’entroterra costellato di vignette sono riportati tripi, speri (S. Piero Patti), montalbano, ragguia, la giuisa. Altri centri non recano il nome pur essendo presente la vignetta che doveva corrispondere loro. 4.2.5. La cartografia della seconda metà del Seicento. Poche le novità geografiche apportate in Sicilia dalla scuola geografica francese, pur basata sugli studi avanzati dell’Accadémie des Sciences di Parigi. Nella carta del 1647 di Nicolas Sanson d’Abbeville, ingegnere militare e geografo ordinario del Re di Francia, appare per la prima volta la divisione dell’Isola in tre valli. Nella zona limitrofa a Patti risulta delineato il sistema di colline da Tripi a Furnari ma senza la stessa precisione quello da Montalbano a Tindari, per quanto riguarda l’idrografia vi è un tentativo di tracciare in maniera non convenzionale, ma in qualche modo aderente alla realtà, il corso del torrente Oliviero. Nella carta manoscritta del 1677 di Gabriele Merelli704, incaricato del ripristino delle fortificazioni siciliane dopo il 1669, e che si rifà al lavoro del Negro, sono riportati sulla costa settentrionale pochi toponimi nuovi, nella zona C. Calava, Fitosa, S. Giorgio, F. di Patri, Ciafaglione, Tindaro, Olivieri. La loro ubicazione appare esatta mentre del tutto imprecisa è quella di alcuni centri dell’interno, segno che l’osservazione e le levate si concentrano lungo i lidi trascurando la rappresentazione dell’interno e della sua orografia. Tra i centri sono riportati Pilaino, Patti, Librizzi, S. peri, Casal nuovo (Basicò), Tripi. Accanto al toponimo agathyrio compare una r indicazione di città diruta, frutto non di constatazione autoptica, manca infatti per Tindaro, ma solamente riflesso di una consultazione di fonti antiquarie, da Fazello a Cluverio in particolare. La rappresentazione della linea di costa del golfo di Patti nella tavola di Giacomo Cantelli da Vignola705 (1643-1695), cartografo della corte estense, che nel 1682 riprende il Sanson per la configurazione generale dell’isola, rimane insoddisfacente. Il promontorio di Tindari scompare e il golfo di Patti è rappresentato come un solo arco di costa dalla torre di c. calavà alla torre di capo milazzo. Sono però presenti molti toponimi, forse derivati dal Fazello, non tutti però trascritti in maniera accurata: oliverio, monte di giove, capo tindari, brizzo (Librizzi), patti, gipiusa, sulrentino, capo calua, pilasinio, martino (Martini), e all’interno montalbano, casal nuovo, san pietro, c. sangelo, raccuja. 4.2.6. Il primo Settecento: le carte di Delisle e Daidone. Agli inizi del Settecento alcuni elementi di novità fanno la loro comparsa nelle rappresentazioni cartografiche. Una di queste è l’indicazione della viabilità. Nelle due carte prodotte da Guillame Delisle, secondo un modello che resterà di riferimento sino alla metà del secolo, la Sicilia antiqua (1714), e Carte de l’isle et Royaume de Sicile (1717)706 la rete viaria viene ricostruita sulla base delle fonti itinerarie di età romana. Nella nostra zona viene riportato il percorso della via Valeria che nella tratta Tindari- Capo d’Orlando passa all’interno, con andamento rettilineo, evitando Capo Calavà. Nella tavola dall’incisione straordinariamente nitida, di Agatino Daidone, pubblicata nel 1714 e ancora nel 1718707, l’attenzione alla viabilità costituisce solamente parte dell’ampio spettro di tematismi amministrativi, demografici, economici, e religiosi, che il cartografo riporta pur trascurando gli elementi fisici del paesaggio come l’orografia, ancora rappresentata nei tratti essenziali a mucchio di talpa, e l’idrografia riportata in modo approssimativo. Il Daidone nativo di Calascibetta, ricordato dallo Schmettau come il “novello Archimede”, seppure autodidatta mostra di sapersi collegare alle esperienze più innovative in campo cartografico della cultura europea del tempo che si sviluppano a partire dai metodi di misurazione dell’Osservatorio Astronomico di Parigi. Utilizza le realizzazioni cartografiche di Carlo Ventimiglia e dei francesi Guillaume De l’Isle e Bourguignon D’Anville, in particolare dalla carta de l’Isle deriva i meridiani di cui fa uso. Risulta curato l’aspetto toponomastico con l’indicazione e del nome latino e di quello moderno. Nel territorio di Patti e delle aree adiacenti risultano da est ad ovest F. Caliciotto di furnari, Helicon f. olivieri (F. Oliveri), carrubba d’olivier, tindaro, F. di Patti (attuale Timeto), f. minissaro, s. giorgio di patti, c di calavà, zampardino di gioiusa ancora più oltre verso Ovest F. Piraino, F. di San Giuliano (attuale
Opidorum Structurae Potentisimi Ispaniarum Regis Magistro Supremo in Descripcion De Las Marinas de Todo El Reino de Sicilia, con otras importantes declaraciones notadas por el Cavallero Tiburcio Spanoqui del Abito De San Juan, Gentilhombre De La Casa De Su Magestad. Dirigido Al Principe Don Filipe Nuestro Senor en el Ano de MDXCVI Manoscritto colorato su carta, cm 33x46, scala di 50 miglia, orientazione iscritta nel quadro graduato, e rosa dei venti (Biblioteca Nacional Madrid). 694 POLTO 2001, pp. 142-148. 695 Forse relativo alla lavorazione della canna da zucchero. 696 AYMARD 1993, pp. 100-101. 697 Nel feudo di Madoro, esteso circa 387 ettari, di proprietà del Comune di Patti, nel 1521 vengono sorpresi alcuni bordonari che vi avevano tagliato, come peraltro anche nei vicini feudi di Rocca e del Litto, alberi di quercia e di altro frutto per venderli ai trappeti di cannamele esistenti nel territorio. Nelle carte il toponimo viene riportato come Maroldo. Dato che l’Università ricavava ogni anno 400 onze dalla ghianda si stabilisce che nessuno, pena ammenda di 50 onze, tagli più alberi e raccolga legna secca. 698 CAMILIANI in SCARLATA 1993, pp. 350-351, 358-362. 699 Planimetria Tindari [ms 42] CAMILIANI in SCARLATA 1993, p. 359; [ms 38] p. 350-351; Torre da farsi alla punta di Mongioia [ms 159] p. 458; Torre fatta di Patti [ms 160] p. 459; Torre da farsi alla punta del Fetente [161] p. 459; Torre fatta al Capo Calavà da accomodarsi [ms 162] p. 461 (459-460); Prova Patti città [ms 203-204] p. 562-563; 564, 566-567; Nostra Donna Tindari [ms 205] p. 565. 700 CAMILIANI in SCARLATA 1993, p. 83. 701 AYMARD 1993, pp. 107. 702 IMAGO SICILIAE 1998, pp. 117, 295296. Sicilia in Plantas de todas las placas y fortaleças del Reyno de Sicilia sacadas por orden de Su Mag. El Rey Phelippe Quarto. Anno De M.D.C.XXXX. Manoscitto disegnato su carta, cm 161,5x169, scala di 60 miglia siciliane, con orientazione a nord e rosa dei venti (Biblioteca Nacional Madrid). 703 IMAGO SICILIAE 1998, pp. 91-92, 291. Sicilia in Atlante Marittimo. Manoscritto su foglio pergamenaceo miniato, cm 40,5x59 (Bibliothèque National Paris). Probabilmente messinese più che catalano anche se fu il maggior esponente della scuola cartografica maiorchina-catalana per la grandissima quantità di carte prodotte e la loro qualità. 704 IMAGO SICILIAE 1998, pp. 140, 299. Sicilia in Descrittione del Regno di Sicilia e dell’isole ad essa coadiacenti,
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dedicata all’Altezza Serenissima del Signor Don Gio. D’Austria, dal Tenente di Mastro di Campo Generale Don Gabriele Merelli tom. I manoscritto su carta colorata, cm 14x20, scala non precisata, senza graduazione, orientata a sud, con rosa dei venti 705 IMAGO SICILIAE 1998, pp. 145, 300. Isola e Regno di Sicilia, detta anticamente Isola del Sole et Isola de Ciclopi, e poscia Trinacria, Triquetra, e Sicania. Descritta novamente da Giacomo Cantelli da Vignola su le relazioni esattissime del Padre F. Tomaso Fazello, e d’altri autori più recenti, e data in luce Da Gio. Giacomo De Rossi nella sua stamperia in Roma alla Pace Con Privilegio Del S. Pontefice, 1682 in Mercurio Geografico overo Guida Geografica in tutte le parti del mondo, conforme le tavole geografiche del Sansone, Baudrand e Cantelli. Data in Luce con direttione e cùra Di Gio. Giacomo De Rossi nella sua stamperia in Roma alla Pace, con privilegio del S. Pontefice. Incisione in bianco e nero o a colori, Calco cm 45x55,4, scala di 30 miglia italiane, 24 leghe francesi, 7,5 leghe tedesche e 9 leghe spagnole, graduazione e orientazione nei margini. 706 IMAGO SICILIAE 1998, pp. 178, 179, 305. Carte De l’Isle et Royaume de Sicile, par Guillaume Del’Isle de 1’Academie R.le des Sciences. A Paris Chez 1’auteur, Quay De 1’Horloge, avec privilege, Aout 1717 in Recueil de Cartes Géographiques. Incisione colorata, calco cm 48,5x60, scala 25 miglia italiane e 15 leghe marine, con graduazioni 707 IMAGO SICILIAE 1998, pp. 181, 305. Sicilia, colla distinzione di suoi tre Valli, delle nove Diocesi, dieci Sergenzie, e littorali e terre marittime, aggiuntavi ancora la numerazione dell’anime notata in ciascuna popolazione secondo il computo fatto nel 1714, la strada delle poste per tutto il regno, e gli epiteti delle città demaniali, descritta con esquisita diligenza secondo le osservazioni proprie e d’altre persone erudite e degne di fede, e particolarmente da quelle che fece per tre anni continui il Sig. D. Carlo Ventimiglia, insigne matematico per tutto il littorale dell’isola. Opera di Agatino Daidone della Città di Calascibetta, Architetto della Città di Palermo, e data in luce dal medesimo in occasione della comune allegrezza per lo ritorno di questo Regno sotto il Dominio del Suo P.Mo Monarca Filippo V Re Delle Spagne. Incisione colorata, cm 53x76, scala di 75 e di 60 miglia per grado (1/400.000), con rosa dei venti egraduazioni.(Österreichische Natio nalbibliothek Wien). 708 Il titolo era stato richiesto dalla
Sinagra-Naso) e il Monalis. Molti sono i segni relativi alle ripartizioni amministrative, ecclesiastiche e militari. Oltre la suddivisione in tre Valli (Valdemone, Val di Mazara e Val di Noto) appaiono i limiti delle nove diocesi. Quella di Patti, allora la meno estesa dell’Isola, risulta comprendere i territori di Naso, Librizzi, Piraino, Gioiosa, Ficarra, S. Angelo, Capo d’Orlando. Lungo la costa è indicata la pertinenza amministrativa di singoli tratti di mare agli insediamenti costieri, in particolare per i centri di Oliveri, Patti e Gioiosa: litorale d’Oliveri (F. Caliciotto Carrubba), litorale di Patti (Carrubba - V. ne Ministaro), litorale di Gioiosa (V.ne Ministaro Zampardino di G.), litorale di Piraino (Zampardino di G. - F. Piraino), Litorale di Ficarra (F. Piraino - F. San Giuliano), litorale di Naso (F. San Giuliano - F. Zappulla). Abbiamo la delimitazione amministrativa della sargenzia di Patti, una delle dieci dell’Isola, di cui in una tabella viene riportata la consistenza delle relative milizie. Sulla carta sono riportati l’epiteto Magnanima per Patti708. Rilevante è nell’opera di Daidone la comparsa dell’itinerario del servizio di Posta con la tratta, parallela alla costa tirrenica, che collegava le città di Messina Milazzo, Patti, Santo Stefano di Camastra, Cefalù, Termini Imerese e Palermo MessinaMilazzo-Patti-S. Stefano C.-Cefalù-Termini I.-Palermo,. Nel tratto di costa tra Capo d’Orlando e Oliveri non ne viene riportato nessun caricatore tra i sette che pure la carta segnala, con un apposito simbolo, del Regno di Sicilia. Una «legenda» della carta situata all’estrema destra della carta fornisce infine una sintesi della storia dell’isola attraverso l’elencazione dei «Dominanti di Sicilia dal tempo del Diluvio fino all’anno 1718». 4.2.7. Da Schmettau alle attività cartografiche del governo borbonico e dello Stato italiano. La nuova cartografia settecentesca nasce, sospinta da precise esigenze conoscitive, durante le guerre di successione che vedono la Sicilia divenire improvvisamente teatro di operazioni militari tra Spagna, Austria e Savoia. Questa volta, a differenza della cartografia di matrice militare della fine del XVI secolo, interessata in modo pressoché esclusivo alle coste, l’attenzione degli ingegneri militari impegnati nelle levate si dilata, nella consapevolezza della sua valenza strategica e operativa di teatro di operazioni belliche, all’intero territorio. Tra i maggiori protagonisti di questa stagione cartografica emergono gli ufficiali austriaci Hann Wolfgang Wieland709, incaricato di disegnare una nuova pianta dell’Isola che realizza nel 1720, e, soprattutto, Samuel Von Schmettau710. I geografi militari non si limitano all’utilizzo di metodologie affinate e della strumentazione più avanzata all’epoca disponibile ma consultano con metodo critico, attentamente, anche le fonti letterarie e geografiche, le opere del Fazello e del Massa in primis. Lo Schmettau arrivò in Sicilia nel 1718 compiendovi in due anni di lavoro, tra 1719 e 1721, una rilevazione con criteri scientifici rigorosi che portò alla redazione di una carta «iuxta regulas astronomicas et topograficas»711, due soli gli esemplari manoscritti, rimasta inedita per decenni prima di divenire imprescindibile riferimento per tutta la produzione cartografica successiva che la riprese a volte correggendola a più riprese, molte altre volte, aggravandone gli errori e le inesattezze. Alle informazioni del Fazello, del Camiliani e del Massa lo Schmettau aggiunse quelle raccolte direttamente sui luoghi, attinenti non solo agli aspetti della geografia fisica come i fiumi, i monti, i promontori, le aree boschive ma anche quelle riguardanti torri, fortezze, nuclei insediativi, strutture produttive, i percorsi stradali secondari e i ponti. I toponimi che è possibile recuperare dalla carta per il territorio di Patti e di Oliveri sono numerosi e in parte oggi sono scomparsi712. Tra Oliveri e Tindari abbiamo Oliveri, il vallone S. Pietro, Carruba e S. Leo. Tra Tindari e l’attuale Timeto: Tindaro, Capo Mongioia (località differente da Monte di Giove), Monte di Giove sotto il quale è Villa, leggermente più all’interno Castro (ovvero Panecastro), La Scala, e di nuovo sulla spiaggia S. Salvatore, la Torre rotonda, S. Nicola Arena e ancora più discostate all’interno Torcella e Altomonte, la Rocca di Castellano nei pressi della foce dell’attuale torrente Timeto, più arretrate rispetto alla costa appaiono le località Rocca del Corbo, Monte Pignataro e Monte Alto (corrispondente a Monte Litto). Il principale percorso paralitoraneo da Oliveri risale verso Tindari, da dove si dirige passando tra Panecastro e il mare verso il fiume di Patti. Attraversato il corso d’acqua il percorso passa non distante da Monte della Colonna (contrada Colonna) incontra la torre
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Michele Fasolo | Tyndaris | 137 del fiume di Patti, la torre Dionisio, e la rocca di Gallo. La strada poi punta a Patti e da lì prosegue per Montagnareale, Maddalena e Costantino (contrada S. Costantino) giungendo a Piraino. La carta riporta nella zona due altri percorsi paralitoranei: il primo che conduce da Patti in direzione NO a San Giorgio dove si arresta, l’altro invece che da Zampardino, verso Ovest, per Torcicoda passa al di sotto di Piraino giungendo sino a Brolo. Sono indicati i boschi: sopra Capo Calava, tra Gioiosa e il mare, intorno a Montagnareale e sul promontorio di Mongiove, sul versante nord ovest, e a meridione del territorio di Patti, al confine con Montalbano, a Monte Bucceri. I corsi d’acqua indicati sono l’Oliveri, il Tindari, il Cedro, il Timeto e il fiume di San Cristofaro (attuale Montagnareale) di cui vengono delineati i due rami che lo costituiscono torrenti Provvidenza e Montagnareale). La riduzione in 4 fogli della carta costruita dallo Schmettau, pubblicata nel 1748 col titolo: Description nouvelle et exacte de toute l’isle de Sicile, rimase per tutto il secolo XVIII la più sicura rappresentazione cartografica che si avesse della Sicilia. Il lavoro cartografico di Antonio Rizzi Zannoni incaricato per conto del governo borbonico dall’abate Galiani riguardò infatti la parte continentale del Reame. Della carta dello Schmettau venne eseguita negli anni 1809-1810 una revisione da parte dell’Officio Topografico, istituito, dopo la separazione del Regno di Sicilia da quello di Napoli, presso il Corpo di Stato-Maggiore di Palermo, con l’incarico di redigere una carta topografica dell’Isola, basata su regolari determinazioni astronomico-geodetiche. Nei moti insurrezionali del 1820 i rami di questa edizione rinnovata andarono distrutti tanto che l’Officio Topografico di Napoli, cui era stato intanto incorporato quello corrispondente siciliano soppresso, ne realizzò una nuova edizione, utilizzando massicciamente, per le coste, i nuovi rilievi idrografici eseguiti tra il 1815 e il 1818, della marina di sua Maestà britannica William Henry Smyth713 per conto della marina britannica714. Questa edizione della carta dello Schmetteau costituirà sino al 1860 la rappresentazione migliore che si possedesse per l’Isola. Ai primi decenni del XIX secolo risale molto probabilmente un dipinto a olio (2 x 1,50 m), oggi conservato in una collezione privata a Roma, in cui vengono riportati in una rappresentazione a «volo d’uccello», orientata a sud, i possedimenti, come descrive la legenda, del «B(aro)ne della Scala Vigliatore di Ceraolo» ovvero i feudi della Scala, della Lupa, della Valle, di Tindaro, de Moreri, delli Mortizzi oltre a Palazzo e fabbricati (Fig. 78). Il contributo alla ricostruzione della viabilità nella zona tra Tindari e Patti precedente alla costruzione della SS 113 è rilevante e in particolare per la ricostruzione di un tracciato che ripercorre molto probabilmente quello della via Valeria. Dalla chiesa del Salvatore, immediatamente a ovest di monte di Giove, la strada attraverso i campi passava per le località Rosella, Fontana Murata, Caurro, e Locanda. Un altro percorso presente nel dipinto è quello che da Scala risale verso Passo Cedro e poi ridiscende verso il Timeto per la vallata di Moreri. Nel corso dell’Ottocento vennero prodotte anche numerose tavole tematiche, finalizzate ad illustrare aspetti particolari del territorio: dagli itinerari stradali, agli aspetti mineralogici all’organizzazione del sistema doganale e amministrativo. Tra le carte catastali realizzate dal governo borbonico nel corso dell’Ottocento è stato ritrovato nell’archivio Mortillaro uno schizzo sommario del territorio di Patti che riporta la data del 24 aprile 1841 e il nome dell’ingegnere agrimensore Andrea Addamo.715 Le sezioni catastali che vengono individuate, contraddistinte da una lettera dell’alfabeto e colorate con tonalità diverse, sono sette: (A) Vigna grande, (B) Galice e Tindari, (C) Luogo grande, (D) Masseria, (E) Caporchio, (F) Carasi e (G) Cappuccini. Il reticolo stradale appare abbastanza sviluppato: la rotabile della marina, quella del Lavatore, la salita del Tindari sono le principali. Nella carta appaiono tre laghetti a Marinello nella cui area appare la denominazione «Antico Porto di Tindari». Vengono segnalati una serie di edifici extraurbani: «casina degli eredi di d. domenico orlando», del «barone don crisostomo sciacca», «casamento della marina», alcune chiese «santuario del tindaro», «SS Salvatore», «chiesa della Masseria» e le «torri di malluzzo» e del «dr don biaggio giardina» Tra i diversi rilevamenti che in questi anni dell’Ottocento interessano le aree archeologiche siciliane a Francesco Saverio Cavallari (1809-1896), architetto, archeologo e pittore, si deve la
città nel 1537 al viceré Fernando di Gonzaga a fronte di un pagamento, liberalmente elargito, di mille ducati d’oro. Venne poi concesso da Carlo V. RUFFO 1908, p. 47. 709 IMAGO SICILIAE 1998, pp. 189, 306. Isle et Royaume de Sicile composée sur les meilleures cartes qu’on ait pu trouver et sur les mieilleurs autheurs qui ont écrits de ce pais, de meme que sur les plans qui ont été levés à l’occasion de la dernère guerre entre les allemands et les espagt’ols, les situations et tous les environs de Palerme, Messine, Siracuse, Francaville, Taormine, Mongibelle ou Etna étant fort exactes (... ) Manoscritto colorato su carta, cm 96x:36, scala di 7,5 miglia geometriche, 30 miglia italiane, 10 leghe marine e 9 leghe spagnole (1/336.000); orientazione con rosa dei venti e graduazione. La carta è conservata nell’archivio militare di Vienna. 710 SCHMETTAU 1995. IMAGO SICILIAE 1998, pp. 190, 191, 209, 306-307. Nova et accurata Siciliae, regionum, urbium, castellorum, pagorum, montium, sylvarum, planitierum, viarum, situum. ac singularium quorumq. Locorum et rerum ad geographiam pertinentium. descriptio universalis iuxta regulas astronomicas et topographicas diligentissimo labore exarata, et inchoata anno 1719. Dum Caroli VI semper invicti exercitus regnum Aug.mo Imperatori jure quaesitum, armis vindicaret. Perfecta demum annis 1720 et 1721 (... ). S. Bar. Von Schmettau. Manoscritto in bianco e nero, cm 90x125, scala di 18.000 canne siciliane, 40 miglia italiane, 12.000 verghe renane e 2.000 tese francesi (1/320.000); orientazione con rosa dei venti e gradùazione (Archivio militare Vienna) 711 G. GIANNI, L. DUFOUR, 1995, pp. 30-34. 712 Tra Oliveri e Capo d’Orlando la carta riporta i seguenti toponimi: Agatirsi, Monte; Alto, Monte; Altomonte; Balarino; Borello, Monte; Bucceri, Monte; Calva, Capo di; Capucini; Carrubba; Casal; Castellana, Rocca di; Castro; Ciaule, torre delle; Colonna, Monte della; Corbo, Monte; Costantino, Monte; Dionisio, Torre; Fetente, punta del; Giojusa; La Scala; Librizzi; Maddalena; Madonna del Tindaro; Magaro, vallone del; Minissaro; Mongioia Capo; Montagna; Morando; Negro, Capo; Occhero; Oliveri; Oliveri, fiume; Orangi, fiume; Patti; Patti, fiume di; Pignataro, Monte; Piraino; Raccuia; Rao, Monte; S. Francesco; S. Angelo; S. Giorgio; S. Leo; S. Lucia; S. Martino, Torre di; S. Michele; S. Nicola Arena; S. Nicola Lo Vecchio; S. Pietro di
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Patti; S. Pietro o Carrubba, fiume; S. Pietro; S. Salvatore; S. Cristoforo, fiume di; Saliceto; San Matino, Torre; Sinagra; Sinagra, serra di; Sorentino; Tindaro; Tirreé; Torno, Monte; Torre rotonda; Torrella; Tripi; Zampardino; Zampardino, fiume. 713 IMAGO SICILIAE 1998, pp. 261, 317. Sicily, Schmettau’s map corrected to the points and coast survey of Captain W.H. Smyth in The hydrography of Sicily, Malta and the adjacent islands. London 1823. Incisione in bianco e nero, calco cm 48x64, scala di 30 miglia, con rosa dei venti, senza quadro graduato. 714 Nel 1826, sempre l’Officio topografico di Napoli, pubblicava, in quattro fogli, la Carta generale della isola di Sicilia alla scala 1:270.000 circa, “Compilata, disegnata e incisa su i migliori materiali esistenti e sulle recenti operazioni fatte dal Cavaliere Guglielmo Errico Smyth, Capitano della Reale Marina Britannica”. 715 CARUSO-NOBILI 2001. La Pianta topografica dell’intero territorio della Città comune Capo Distretto Patti eseguita in corrispondenza dell’art. 87 dell’Istruzione per la rettificazione del Catasto fondiario di Sicilia approvata con R. Decreto del 17 Dicembre 1838 coll’indicazione degli edifici e strade principalmente osservabili. 716 CIVELLO 1828; RUSSO 1828; RUMBOLDT 1941; UGGERI 2004, p. 82.
corografia dell’antica città di Tyndaris allegata ai volumi delle Antichità della Sicilia esposte ed illustrate da Domenico Lo Faso Pietrasanta, duca di Serradifalco pubblicati nel 1842. Come in altri casi anche a Tindari i rilievi si allargano al territorio immediatamente circostante, vengono indicate per la prima volta, le curve di livello e nella zona a oriente di Capo Tindari è riportata una barra sabbiosa parallela alla costa con una insenatura alle spalle. I lavori per la costruzione di una rappresentazione cartografica del nuovo Regno d’Italia, alla scala 1: 50 000, secondo il sistema di proiezione di Flamsteed modificato (proiezione di Bonne), furono autorizzati in Sicilia già nell’ottobre del 1861 e vi presero avvio sul terreno, dirette dal tenente colonnello De Vecchi, con le operazioni di triangolazione nel dicembre dello stesso anno che saranno ultimate nel 1865. I rilievi nella nostra zona furono effettuati nel 1865 dai capitani Gola e S. Giorgio. Seguirono i rilevamenti topografici, che procedettero con rapidità tanto da concludersi prima della fine del 1868. Intanto con decreto del 27 ottobre 1872, veniva istituito l’Istituto Geografico Militare. Ulteriori rilevamenti avvennero anche nel 1872 e nel 1877. Nel 1870 venne pubblicato il foglio n. 135 “Patti” in scala 1: 100 000 eseguito sotto la direzione del Colonnello Avet e disegnato dal topografo G. Rimini con iscrizioni del topografo G. Rivolti su rilevamento dei capitani Gola e S. Giorgio. Il successivo Foglio 253 III a scala 1: 100 000 risulta redatto dal Vice Direttore Maggiore Sécrétant ed utilizza i rilevamenti dei capitani operatori Gola e Marinetti risalenti al 1865, con aggiornamento della rete stradale eseguito nel 1875 dal tenente Manenti. Si tratta di un lavoro topografico importante per gli studi sull’evoluzione del territorio in quanto documenta la formazione recente della pianura alluvionale costiera da parte del torrente Timeto.Sempre sulla base dei rilievi Gola e Martinetti del 1865 vede la luce nel 1882 la carta in scala 1:30.000 F° 253 III NO. Nel 1884 venne pubblicato il Foglio 253, “Castroreale” alla scala 1:100.000, della prima edizione della Carta geologica d’Italia, sulla base dei rilievi effettuati dal Cortese negli anni 1880-1881. Nel 1894 iniziarono in Sicilia ricognizioni generali, di revisione e di aggiornamento delle levate più antiche in vista di nuove pubblicazioni. Nel corso del XX secolo vennero realizzate due edizioni della tavoletta Patti F. 253 III NO alla scala 1:25 000. La prima è quella del 1938, mentre il successivo aggiornamento fu pubblicato nel 1968. Agli ultimi decenni del XX secolo risalgono invece la Carta Tecnica Regionale, in formato raster e vector, e le varie aerofotogrammetrie realizzate dal comune di Patti. Importante valore storico, soprattutto per la ricostruzione della viabilità riveste la carta allestita in Sicilia dall’apposito Ufficio delle Trazzere716.
Figura 108. Samuel von Schmettau. Carta della Sicilias (17191721). Particolare del territorio di Patti.
Figura 109. Feudo Sciacca. Dipinto a olio (prima metà XIX sec.)
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Figura 110. Mappa Catastale dell’intero territorio della Città comune Capo Distretto Patti (1841) (Archivio archivio cartografico Mortillaro di Villarena)
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Figura 111. Aggiornamento (probabilmente fine XIX secolo) del F 135 I.G.M. alla scala 1: 50 000
4.3. Fonti toponomastiche. 4.3.1. Generalità. L’apporto della toponomastica allo studio ed alla ricostruzione di un paesaggio culturale è essenziale. I toponimi sono molto spesso indicatori diretti, immediati dei beni culturali ed ambientali, di attività presenti o scomparse nel territorio. Il loro studio è stato utilizzato sin dagli albori della ricerca topografica antichistica proprio per le possibilità che essa offre di cogliere la profondità di eventi storici poco conosciuti o del tutto ignoti, di identificare siti scomparsi, di mettere a fuoco dinamiche insediamentali717. La ricerca ha tentato non solamente di decifrare il significato dei toponimi ma anche di percorrere la loro duplice stratificazione, orizzontale e verticale, individuandone ove possibile sia il momento in cui ciascuno di essi ha fatto la sua comparsa nel territorio e in quale forma scritta sia le interrelazioni sviluppate nel sistema delle attività antropiche. 717
UGGERI 1991, pp. 21-36; 2000, pp. 119-132. 718 Archivio Capitolare della Cattedrale di Patti (Arca Magna e Fondo d’Amico), Archivio Storico Curia Vescovile di Patti, Archivio Storico Municipio di Patti. 719 D. TRISCHITTA, Toponimi e paesaggi nella Sicilia orientale, Napoli, 1983; G. ROHLFS, Dizionario Toponomastico ed onomastico della Calabria, Ravenna, 1990; G. CARACAUSI, Dizionario Onomastico della Sicilia, voll. 2, Palermo, 1994; AA.VV., Dizionario di toponomastica, storia e significato dei nomi geografici italiani, Torino, 1997. 720 ALESSIO 1946-48; 1955;1956; CARACAUSI, 1994; MACCARONE 1915; PELLEGRINi 1972, 1975; ROHLFS 1950, 1962, 1965, 1977; VARVARO 1981.
4.3.2. La raccolta dei dati La ricerca ha utilizzato per il recupero, la raccolta e l’acquisizione su piattaforma GIS dei toponimi le Tavolette 252 II N.E. (S. Angelo di Brolo) e 253 III-NO (Patti), della Carta d’Italia alla scala 1:25 000 dell’Istituto Geografico Militare, la Carta Tecnica Regionale, i fogli di mappa catastale a scala 1:2 000 dei comuni di Patti, Gioiosa Marea, Montalbano Elicona e Oliveri. È stata inoltre esaminata la cartografia storica ed in particolare la prima levata dello Stato Italiano che per la zona di Patti è stata effettuata tra gli anni 1861-1868 con aggiornamenti nel 1894-5. Ulteriormente a questi dati sono stati documentati toponimi, molti dei quali scomparsi nell’uso comune, ricavati dallo scandaglio di alcune fonti archivistiche718 (1094-1298) e quelli, a volte dimostratisi tra i più utili per la ricerca, ricavati dall’indagine orale con una raccolta sul campo di microtoponimi, assenti sulle mappe, direttamente dagli abitanti del territorio. Di tutte le denominazioni è stato effettuato un riscontro sui principali repertori719 utilizzabili per la Sicilia, in modo da pervenire ad una ricostruzione comparata delle stratificazioni linguistiche e dei significati semantici. Sono state infine redatte delle carte tematiche di distribuzione sul territorio delle classi toponomastiche e dei relativi sostrati.
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Michele Fasolo | Tyndaris | 141 4.3.3. I sostrati linguistici e la dimensione storica. Le diverse popolazioni che si sono susseguite sul suolo siciliano nel corso dei millenni hanno definito un mosaico linguistico e toponomastico ricco e articolato720. Tuttavia nell’area di Patti la distribuzione dei toponimi per sostrati rivela la netta prevalenza di quello latino. Ciò è certamente conseguenza dell’incentivazione da parte dei normanni del popolamento della zona da parte di genti latine721 ma anche più remotamente, forse, della colonizzazione augustea. Su 89 epigrafi tindaritane (città e territorio) conosciute quelle in lingua latina sono 55 rispetto a 33 greche e 1 in ebraico, rapporto che per quelle in lingua greca diviene ancor più sfavorevole se si esclude l’instrumentum e si considerano le sole iscrizioni lapidarie. Le greche risultano meno di un terzo di quelle latine. Di diverso tenore il dato, indubbiamente parziale perché limitato alla popolazione servile, che conosciamo per la prima età normanna: la platea722 dei villani appartenenti all’abbazia di Lipari-Patti (1131) riporta oltre a numerosi individui di cognome greco e arabo anche alcuni di cognome latino. Un solo toponimo pare riferibile ad uno strato storico di età antica: «Sidàri»723 (15°1’41,045”E 38°6’16,517”N), sopravvissuto come microtoponimo. Per quanto riguarda il sostrato greco di ascendenza premedievale esso sconta l’interruzione del popolamento che probabilmente interessò la zona come può desumersi dall’uso di termini come Saracini, «Saraceno»724 (15°1’33,276”E 38°5’5,561”N), Saraceni che i denominatori medievali di recente insediamento nel territorio usano allorché si imbattono in resti di antichità indefiniti sul territorio e che data la prolungata interruzione del popolamento alla sua ripresa non possono che ricondurre all’antecedente più immediato da loro conosciuto ovvero gli arabi. Sembra indicarlo la ricorrenza di questi toponimi per località dove molto spesso si rinvengono evidenze archeologiche sicule o di età greca e romana. Non ci sono di grande aiuto le Rationes decimarum dei secoli XIII e XIV. Per la diocesi di Patti, nonostante ci fossero, per gli anni 1275-1280, due collectores, uno presbiter Peregrinus grecus, l’altro presbiter de Mollo latino725, un grecus cappellanus figura solamente fra i contribuenti delle decime per gli anni 1308-1310, tanto da far pensare che la popolazione bizantina nei dintorni di Patti sia ridotta726. Nell’assenza di qualsiasi reperto della cultura materiale islamica (né da Tindari, né da Patti, né da Oliveri, né dal territorio), gli unici elementi di presenza araba sono i relitti di natura toponomastica che sembrano far concretamente riferimento a specifici elementi del paesaggio prenormanno. Tra Patti Marina e Capo Calavà è il torrente Maiaro o Magaro (da Magar)727, che il Camiliani trascrive «Màgaro» (15°1’33,276”E 38°5’5,561”N), noto anche agli inizi dell’età moderna come il vallone del Giudeo, che ci informa delle interazioni linguistiche alto medievali con ebrei che parlavano arabo. Immediatamente ad est del Timeto è invece contrada «Galìce»728 (15°0’16,349”E 38°8’48,76”N), forse per una qualche sistemazione idraulica di un’area che sino a prima della seconda guerra mondiale era acquitrinosa. Più all’interno questa volta ad ovest Timeto contrada «Gallo»729 (14°57’45,019”E 38°7’1,672”N), toponimo che si rintraccia in più punti, più o meno lungo una medesima direzione, tra Patti e San Marco d’Alunzio e che in base al significato si può ritenere di natura confinaria anche se va ricordata nella zona la presenza del cognome Gallo sin dal basso medioevo. Infine lungo l’Elicona «Valdimiri» (15°3’11,671”E 38°5’28,33”N), il “fiume dell’Emiro” 730. Sempre ad un contesto arabo vanno anche forse riferiti i toponimi «Donna Cunta», non localizzato e conosciuto dal solo Rivelo del 1607731, «Donna Vila»732, località nota per una grotta con breccia ossifera a resti di mammiferi endemici pleistocenici, «Fallucca»733 e «Sisa»734. 4.3.4. Classi toponomastiche. I toponimi sono stati innanzitutto classificati nelle principali classi concettuali di derivazione che li legano a particolarità geografiche, alla natura del suolo, all’acqua, alla vegetazione, agli animali, alle attività economiche, alla dimensione sacrale e religiosa. 4.3.4.1. Aspetti climatici. L’unico toponimo riconducibile ad aspetti climatici è «Tana del vento»
721
Conosciamo da alcuni documenti le norme relative all’insediamento e alla gestione delle terre nel territorio della Patti normanna codificate dal primo abate Ambrogio, in particolare da un atto databile tra il 1095 e il 1101, “ homines quicuumque sint latinae linguae sub tali conventione ut omnes qui acceperint de rebus monasterii, quantum voluerint manere in eodem castro, sint eorum heredumque ipsorum. Si vero quis quandoque (re)cedere voluerit, res reddat monasterii, quas reddendas accep(eri)”, ACP, Cpz f. 13. 722 ACP, Cpz f. 14. Si tratta di un elenco compilato tra il 1131 e il 1148 che riporta i nomi di 344 villani che lavoravano nelle terre della chiesa di Patti. 723 CARACAUSI 1994, II, s.v. Sìdari, p. 1531. Antroponimo. 724 CARACAUSI 1994, II, s.v. Saraceno, p. 1452. 725 SELLA 1944, p. 320. 726 SELLA 1944, p. 326 e n. 14. 727 CAMILIANI in SCARLATA 1993, p. 362 728 CARACAUSI 1994, I, s.v. Galìce, p. 670. 729 CARACAUSI 1994, I, s.v. Gallo, p. 674. Per il Caracausi è un antroponimo. Potrebbe nel nostro caso forse trattarsi di un arabismo indicativo di una linea di confine, dall’arabo hadd ‘limite, confinÈ.730 PANTANO 2006, p. 10. 731 BARAGONA 2010, p. 69. 732 CARACAUSI 1994, I, s.vv. Donna, p. 547, Donnavida, p. 548. Forse fitoponimo, meno probabile arabismo. 733 CARACAUSI 1994, I, s.v. Falluca, p. 575. La contrada Fallucca (oggi largo J. Palack) risulta citata nel 1578 ASC, Libro Rosso, ff. 173 v segg.;. SPADARO 2011, p. 31. 734 CARACAUSI 1994, II, s.v. Sisa, Zisa, pp. 1542, 1740. Nel nostro caso parrebbe di escludere un arabismo e il toponimo sembra ricondurre all’aspetto morfologico del rilievo.
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142 | Tyndaris | Michele Fasolo (14°59’40,013”E 38°5’57,974”N), tra Monte Gran Piano e Scarpiglia, che denuncia chiaramente la particolare esposizione costante del luogo a forti venti.
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Il titolo dell’opera dello Spannocchi è infatti Descripcion De Las Marinas de Todo El Reino de Sicilia (1596), ed anche quella del Camiliani Delle Marine, Delle Guardie e Delle Torri.736 CAMILIANI in SCARLATA 1993, p. 359. 737 TRISCHITTA 1983, s.v. Màrgi, p. 164. Il toponimo fa chiaro riferimento alle condizioni paludose del terreno. 738 ‘Altura, collina’. Secondo il Caracausi il toponimo Mongiove rimanda al lat. mons iugum ‘giogo di montÈcon confronto nelle vicinanze di Aosta. CARACAUSI 1994, II, p. 1056, ssvv. Mongiò; Mongiove.39 ASD, Cancelleria vescovile, Atti notarili, Atto not. Francesco Pema, 14.10.1607;IVI, Magna Corte Vescovile Processi civili, 15.5.1656, f. ASD., Amministrazione, Libro mastro dei censi anno1640, che riporta un atto del 18.3.1555; ASD, Magna Corte Vescovile, Processi civili,15.5.1656, f. 3. 740 A.S.D., MagnaCorte Vescovile, SupplIche, 13.8.1729. 741 TRISCHITTA 1983, s.v. Pizzu, p. 173. 742 TRISCHITTA 1983, s.v. Costa, p. 146.
4.3.4.2. Morfologia costiera. Nel glossario tecnico degli ingegneri militari impegnati, tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, nella redazione di carte geografiche dell’Isola il profilo costiero viene indicato con il termine complessivo di «marina»735 e i suoi elementi più significativi «punte», «capi», «cale» e «spiagge». Nello stesso periodo risulta usato in termini più generici anche «costa». Agli inizi del ‘700 con lo scemare del pericolo delle incursioni barbaresche il riavvicinarsi degli insediamenti alla spiaggia il termine «marina» muta di significato indicando la località costiera abitata, il più delle volte in relazione con qualche centro dell’immediato entroterra. È il caso nella nostra zona di «Patti Marina» o «Marina di Patti» (14°58’2,909”E 38°9’10,165”N). Tuttavia rimangono escluse quelle aree costiere acquitrinose e forse preda della malaria come quelle che si estendevano immediatamente a Est del Timeto sin quasi a Mongiove. In quest’ultima località la spiaggia ampia e sabbiosa è indicata dallo Schmettau nel 1720 come «rena», vi è indicata una località «S. Nicola la rena» (15°1’22,847”E 38°8’58,512”N). Lungo la fascia costiera numerosi toponimi ricordano la presenza di vaste aree acquitrinose oggi scomparse, «màrgi» (dall’arabo margah) e «pantani». Il Camiliani736 ricorda ad Ovest di Mongiove cala detta il «Margone»737 (15°1’14,644”E 38°9’0,92”N). Significativa è la persistenza del termine «cala», di ascendenza grecanica, con cui vengono indicati, in questa fascia costiera ritenuta importuosa, i piccoli approdi o comunque le insenature capaci di accogliere imbarcazioni di piccolo tonnellaggio. Il Camiliani elenca tra Nostra Donna del Tindaro e la foggia di Patti (attuale Timeto), sette cale e un «ridotto», fornendo per ciascuna il numero di imbarcazioni che egli riteneva potesse accogliere. Questi approdi qualche decennio più tardi sono destinati a venire meno, forse in conseguenza dell’aumento della spiaggia e del delta del Timeto a partire dall’intensificazione dell’occupazione delle campagne pattesi iniziata nel ‘600, con l’estensione della coltivazione del gelso e della bachicoltura, che determinarono un aumento del trasporto dei materiali detritici da parte dei corsi d’acqua, e dalle grandi alluvioni alla fine dello stesso secolo. Al posto di «cala» troviamo sempre più spesso nelle fonti scritte «Plaia» la costa senza approdi ad una certa distanza dalla quale è necessario, per ragioni di sicurezza, ancorarsi. In mare è la «pietra» di Patti (14°59’23,426”E 38°9’37,285”N) o «monte Pirrera», (15°0’1,475”E 38°8’16,989”N), e l'attiguo «monte Russo» alti entrambi poco più di 100 m. o «faraglione» o «scoglio». Sotto Capo Tindari i bacini chiusi di acqua salata, di esistenza e ampiezza variabile,conosciuti come i laghetti di Marinello recano oggi i nomi rispettivamente di «Fondo Porto», «Porto Vecchio», «Verde», «Mergolo della Tonnara» e «Marinello» che fanno riferimento per lo più a funzioni cui furono adibiti nel corso del XIX secolo. 4.3.4.3. Toponimi correlati al rilievo, alle forme del suolo e alla loro evoluzione. Sono molti i termini documentati che individuano tipi geomorfologici. Nell’uso del termine «Monte» sembra prevalere, almeno in età moderna, più che l’accezione legata all’altitudine quella connessa all’estrema accidentalità del profilo e soprattutto alla pronunciata acclività dei versanti. Sembra dimostrare ciò la modesta altura di «Monte di Giove» (199,2 m s.l.m.) (15°1’36,959”E 38°8’51,203”N) o «Monte Pirrera», (15°0’1,475”E 38°8’16,989”N), e l'attiguo «Monte Russo» alti entrambi poco più di 100 m.. Il termine in effetti «Monte di Giove» è versione moderna e colta di un toponimo che nella documentazione archivistica e cartografica ricorre in varianti che lo riportano ad un più probabile originario monjoie738 forma normanna, che potrebbe essere adattamento da parte dei nuovi conquistatori di un Mons Iovis risalente all’epoca romana ancora vivo all’epoca del loro arrivo. Per la località ancora nel XVI e XVII secolo è vivo «Petra Russa»739 o Petri Russi740 che forse può chiarire monjoie come ammasso di pietre. Risulta presente in più località il toponimo «Pizzu»741: «Pizzo Cola» (15°0’48,344”E 38°4’35,126”N), «Pizzo dell’Ovo» (15°2’30,482”E 38°7’50,652”N). In entrambi i casi non siamo in presenza di una vetta appuntita come il termine potrebbe far pensare, ma di due aree sommitali, culminazioni isolate che rompono la continuità nel profilo di crinali a dorsale. Presente una volta al plurale e un’altra al singolare per rilevi dell’entroterra «costa»742: «Coste Lunghe»
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Michele Fasolo | Tyndaris | 143 (14°59’54,892”E 38°7’4,307”N) che rivela non solamente l’andamento del crinale, a cresta, ma sembra indicare anche le caratteristiche geologiche del substrato roccioso che conferiscono asperità ai rilievi (metamorfiti di medio-alto grado). La stessa litologia ricorre oltre 5 km più ad Est nella denominazione oggi in disuso «Costa della Madonna» (15°3’2,058”E 38°8’21,198”N). Due volte si riscontra il termine che appare in qualche modo analogo di «Serro»743: «Serro S. Stefano» (15°2’21,459”E 38°4’56,067”N) e «Serro Cento» (15°2’24,404”E 38°6’50,556”N). Si tratta di due località lungo una fronte di rilievi che prospettano con versanti scoscesi lungo il corso dei torrenti Elicona e del Castello, un contesto morfologicamente aspro con pendenze elevate, anche in questo caso metamorfiti di medio alto grado. Innumerevoli le «rocche»744 indicate nel territorio, sommità e creste di versanti rocciosi, per lo più arenacei, spogli o con poca vegetazione, ad esempio «Rocche Litto» (15°1’6,898”E 38°6’52,423”N). Non vi sono mai stati individuati, nonostante le aspettative ingenerate dal toponimo, tracce di insediamenti consistenti. Il toponimo «Cornello» (15°0’36,081”E 38°5’46,422”N) è riportato nella cartografia geodetica, ma nella parlata locale suona come «Cornelio», un antroponimo745 piuttosto che un termine geomorfologico, diffuso in altre zone d’Italia ma non in Sicilia746. Il termine «Conchetta» 747 (14°59’21,645”E 38°6’26,341”N) indica una areea depressa intermontana. La superficie piana è indicata con la voce maschile «chianu»748, «Monte Gran Piano» (14°59’41,692”E 38°6’6,32”N). Numerose sono le ««purtedde», nel senso di valico ma più spesso qualunque passaggio ristretto esposto costantemente a forti venti: «Portella»749 (14°59’10,318”E 38°6’29,828”N), «Porticella» 750. (14°59’4,576”E 38°6’53,7”N), «Portella Iuculano» (15°1’22,394”E 38°4’50,635”N), «Portella Finocchiara» (15°1’57,354”E 38°5’13,098”N). E c’era anche un «Malupassu»751 (15°0’37,088”E 38°6’13,916”N) che il percorso che da Masseria Greco portava a località Murtizzi incontrava non appena superata la frazione di S. Cosimo, addentrandosi nel monte della Vigna, «attraverso un cunicolo a cielo aperto, alto una decina di metri e largo tanto che un asino con la soma riusciva a passare con difficoltà. Il varco, eliminato dalle ruspe da qualche decennio, è ancora ricordato dagli abitanti del luogo»752. Sin dalla prima età normanna troviamo nei documenti utilizzato in un’accezione morfologica753 il termine «Scala»754. Troviamo una Scala di Tindari, « ad grandem scalam de veteri civitate » (probabilmente 15°2’30,575”E 38°8’22,238”N) nel diploma di donazione e di delimitazione del territorio del Monastero di S. Salvatore in Patti da parte del Conte Ruggero del 1094755, e un monastero intitolato a S. Elia lungo la Scala Oliveri756, (in via del tutto congetturale 15°4’18,453”E 38°6’0,879”N). Nei due casi si indica un pendio abbastanza ripido. Il toponimo Scalette (14°57’6,149”E 38°9’20,579”N) sembra invece indicare un sentiero ripido con gradinate. Per indicare rispettivamente una cavità naturali è stato riscontrato lungo il torrente Gliara il termine «sperlinga» 757 (15°2’0,705”E 38°5’27,24”N), e forse un cunicolo, comunque oggi non più visibile, «cavòrchiu» (lat: cavus) (con variante Cafocchiu758) (14°59’20,978”E 38°7’9,988”N), nella zona attigua a nord a Porticella. Alcuni termini fanno riferimento a fenomeni secondari del vulcanesimo come nei pressi di Patti la «cultura Vulcanelli759» (14°58’18,607”E 38°8’36,604”N), «Matafita» (14°59’51,756”E 38°6’40,75”N) e «Punta Fetente» (14°55’53,077”E 38°10’56,394”N). Il Camiliani menziona uno scoglio piano ai piedi del promontorio di Tindari al singolare e al femminile associandovi il cognome del proprietario, diffuso nella zona, «Ciappa di Nosi» (o Niosi) 760 (15°3’7,892”E 38°8’17,068”N). Per quanto riguarda la natura argillosa del substrato e la connessa attività produttiva, non di età recente, è stato riscontrato nella documentazione di archivio il toponimo «Ciaramidaro»761 (con varianti Ciaramidaro, Ciaramitaro) e nella stessa località ma con strutture non più visibili «Fornaci» 762 (14°57’56,067”E 38°7’46,777”N). La località risulta menzionata nel Rivelo del 1607. Nella contrada risultano dichiarate appena due case763. Una chiesa sotto il titolo di Nostra Signora Madre di Dio è ricordata nel 1729 764 «in contrada del Ciaramidaro» più precisamente vicino alla località Prato e alla contrada di Santo Paolo765.
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TRISCHITTA 1983, s.v. Serru, p. 180. CARACAUSI 1994, II, s.v. Rocche, p. 1373. 745 La gens Cornelia era rappresentata a Tindari. Il gentilizio era detenuto da un individuo affrancato, MANGANARO 1965b, p. 203. 746 Assente in CARACAUSI 1994. 747 CARACAUSI 1994, I, s.v. Conchetta, p. 431. 748 TRISCHITTA 1983, s.v. Costa, pp. 142143. 749 CARACAUSI 1994, II, s.v. Portella, p. 1272. 750 CARACAUSI 1994, II, s.v. Porticella, p. 1273. 751 CARACAUSI 1994, II, s.v. Malo Passo, p. 925. 752 ARLOTTA 1996, p. -57. 753 Pochi decenni più tardi indicherà un locus, oggi Scala di Patti. 754 TRISCHITTA 1983, s.v. Scala, p. 178. 755 ACP, Cpz f. 2. PIRRO 1733, v. II, pp. 769-796. 756 PIRRO 1733, II, p. 973. Il monastero va identificato probabilmente con quello denominato de Burracha, distrutto insieme ad altri nei dintorni di Milazzo nel corso della guerrra angioino-aragonese, citato in un documento del 1310 (Vat. Lat. 8201 f. 347), cfr. SCADUTO 1947, pp. 145-146. La contrada, passata in proprietà ad Arnaldo di Villardita, è oggi localizzabile nella località denominata, con quello che è forse l’esito di un antroponimo di derivazione araba, Burrafà (Tripi). 757 CARACAUSI 1994, II, s.v. Sperlinga, p. 1562-1563. TRISCHITTA 1983, s.v. Spilunca, p. 181. 758 CARACAUSI 1994, I, s.v. Cafocchio, p. 230. Secondo il Caracausi deriva da gr. kata- intensivo particolarmente convincente per la versione del toponimo nella parlata locale ovvero Catorchio. 759 Platea antiqua, ex scripturis conservatis intus sacristiam maioris Ecclesiae Pactensis, in qua sunt privilegia Episcopatus Pactensis extracta, a cura del notaio Giovanni Matteo Dominedò ACP, diverse copie tra cui Fond. II f. 521. 760 CAMILIANI in SCARLATA 1993, p. 358. 761 TRISCHITTA 1983, s.v. Ciaramida, p. 144. 762 CARACAUSI 1994, I, s.v. Fornaci, p. 636. 763 Archivio di Stato di Palermo, Fondo Real Patrimonio, Rivelo 1607, voll. 1456-1459; N. BARAGONA 2010, p. 65. 764 Prospetto del 1729. 765 MAGISTRI 2010, pp. 188-189. 744
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144 | Tyndaris | Michele Fasolo Lungo il versante che da Sorrentini digrada in direzione di contrada Monte un suolo cosparso di materiale solido, sabbie e pietre, trasportato da un torrente, è segnalato dal toponimo «Rinazzu»766 (14°56’55,675”E 38°8’26,241”N), termine dispregiativo che evoca la minaccia sotto il profilo del rischio idrogeologico per le possibili colate che potrebbe innescare e che già in passato hanno dato luogo a cospicue falde di detrito ai piedi del versante, riportate anche nella cartografia geologica.
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CARACAUSI 1994, II, s.v. Rinazzo, p. 1360. Da lat arēnāceum, terreno sabbioso. 767 CARACAUSI 1994, I, s.v. Acquafico, p. 11. Per il Caracausi da sic. ficu. 768 CARACAUSI 1994, II, s.v. Pioppo, pp. 1236-1237. Da lat. med. plōppus. 769 CAMILIANI in SCARLATA 1993, p. 359. 770 CAMILIANI in SCARLATA 1993, p. 359. 771 PANTANO 2006, p. 10. 772 TRISCHITTA 1983, s.v. Montata, p. 167. Salita ripida e stretta su terreno sassoso. 773 CARACAUSI 1994, II, s.v. Pignatara, Pignataro, pp. 1229-1230. Secondo il Caracausi il suffisso –àra indicherebbe abbondanza della pianta di cui però nella zona non c’è attualmente traccia. Lo studioso non esclude l’accezione Pignataro ovvero ‘pentolaio’, connessione che nel nostro caso sembrerebbe avvalorata dalla presenza, alle pendici settentrionali del monte, di una cava di argilla,e quindi di possibili attività artigianali oggi scomparse. Il toponimo, ritenuto un fitotoponimo potrebbe ricollegarsi però in via congetturale anche al nome Pinianus dei Valeri Severi. 774 CARACAUSI 1994, I, s.v. Castagni, p. 333. I castagni sono assenti nella zona.
4.3.4.4. Idronimi. Il termine «acqua» quasi sempre corrisponde a vena d’acqua, riprovato dalla collocazione in corrispondenza di terreni a permeabilità da media ad elevata con contatti stratigrafici o strutturali. È questo il caso di «Acqua Fico»767 (14°58’22,416”E 38°8’42,688”N) e di «Acqua Pioppo»768 (15°0’51,359”E 38°8’26,008”N). Nella zona la voce Acqua appare molte volte accompagnata da un altro termine caratterizzante: «Acqua Ingiove» (14°56’19,994”E 38°8’32,393”N) in contrada Sorrentini oppure molto spesso apparentemente un fitoponimo «Acqua Pioppo», «Acqua Sughero», «Acquafico», «Acqua Fico» o «Acqua Ficara», «Acqua Persico», «Acqua Poma» (14°55’26,765”E 38°10’40,468”N) indicanti forse sorgenti nei pressi di alberi di pioppo, di quercia, di pesco, di fico, meno possibile, ma nel caso di «Acqua Arancia» segnala indubbiamente una caratteristica organolettica dell’acqua, dal sapore rancido. Sempre in una zona caratterizzata da terreni a permeabilità elevata con significativa circolazione acquifera, è presente una cospicua sorgente perenne, un tempo forse di tipo termale, oggi denominata dell’«Acquasanta» (14°56’43,882”E 38°9’18,486”N), e riconnessa nella tradizione pattese a Santa Febronia, a S. Agatone e ai soggiorni a Patti della regina Adelasia. Sicuramente ad una sorgente d’acqua termale calda fa riferimento invece «Acqua cotta». E disponibilità idrica indicano o chiaramente la presenza di una fontana «Fontana» (14°56’26,127”E 38°8’28,056”N), torrente con testata in contrada Sorrentini, e «Fontanella» (14°58’24,573”E 38°8’19,344”N). Un termine che ritroviamo in Camiliani769, con riferimento alle foci e dell’attuale Timeto (14°59’33,223”E 38°9’8,278”N) e del Montagnareale (14°58’20,809”E 38°9’5,019”N), è «foggia» rivelatore per questi due corsi d’acqua di un deflusso lento che dava luogo, sicuramente per il Timeto, a impaludamenti. Di questi impaludamenti costieri presenti in zona almeno sino al XIX secolo rimane traccia nel termine «margone» attestato sempre in Camiliani770, un terreno incolto, acquitrinoso, a margine di affioramenti di argille scagliose che sarà bonificato solamente nel XIX secolo per renderlo adatto alle pratiche agricole e all’insediamento umano. Nella fascia litoranea il termine «Galìce» (15°0’16,349”E 38°8’48,76”N) attesta una qualche strutturazione irrigua. All’interno opere di sistemazione idraulica del territorio sono attestate da un toponimo come «Fimmina morta» (15°1’42,314”E 38°6’15,614”N) ovvero i mucchi di terra battuta utilizzati per aprire o interrompere con la zappa il flusso delle acque verso le colture. «Fiumitello» (14°57’36,671”E 38°8’12,065”N) indica la depressione vicina all’alveo del torrente. La conca riempita d’acqua è denominata in genere nelle campagne «urnu». Un idronimo assai significativo è «Valdimiri» (15°3’11,671”E 38°5’28,33”N) che sembra riportare alla denominazione di età araba dell’attuale torrente Elicona, il fiume dell’Emiro771. 4.3.4.5. Fitotoponimi e zootoponimi. Tra i toponimi che si riferiscono alla vegetazione pochissimi fanno riferimento al bosco e comunque alle associazioni arboree di medio e alto fusto. Eppure il bosco, prima dei grandi disboscamenti avvenuti tra XV e XVII secolo, ricopriva un grande ruolo nel sistema economico del territorio di tipo agrosilvo-pastorale. Oggi come microtoponimo sopravvive il «Bosco di Montata772» (15°1’27,539”E 38°4’38,513”N) completamente scomparso. E allo stesso modo non c’è più traccia di pini a «Pignatara»773 (15°0’57,571”E 38°7’57,706”N) variante di «pignitu» tranne che, alle pendici settentrionali, due filari ai margini di un viale di ingresso a una residenza signorile. E così l’habitat del castagno, anch’esso oggi limitatissimo nel territorio di Patti, trova corrispondenza nella località «Castagni»774 (15°1’51,673”E
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Michele Fasolo | Tyndaris | 145 38°7’26,706”N) e in «monte della Castagna» (15°2’28,971”E 38°5’58,796”N) anch’esso del tutto privo di tale albero ed anzi spoglio e brullo. Non c’è traccia nella zona neppure del «Cedro»775 che ha dato nome che indica sia un torrente (15°1’11,499”E 38°8’37,242”N) che un passo. Pochi toponimi richiamano piante della macchia mediterranea, tra queste l’ortica, denominata con la voce «ardìca» nella variante «ardichèddi» ovvero «Ardighello»776 (15°2’50,911”E 38°5’37,696”N) «Erbe ianche»777 (15°1’41,939”E 38°6’15,57”N) forse erbe da foraggio, significato che lega il toponimo all’allevamento. Fitoponimo è anche «Nibidelli»778. Ricorrono invece più volte i toponimi legati alla coltura del gelso, connessa all’allevamento del baco da seta, «Mureri779 soprani» (15°0’35,589”E 38°7’20,518”N) e «Mureri sottani» (15°0’12,292”E 38°7’48,648”N), in una vallata umida e esposta a Nord. «Musa»780 (15°2’24,584”E 38°5’21,237”N), ove non antroponimo di origine ebraica o araba, sembra da ricondurre al fico-dattilo o fico-banano. Tra i frutti in disuso persiste qua e là «sorbiera», «Monte Sorbiera» (14°59’58,797”E 38°5’8,115”N), «Vaddi a Sorba»781 (15°1’34,743”E 38°8’57,911”N; 98). Abbastanza comune risulta invece «vigna»782 associata spesso al nome e non al cognome del primo proprietario, ad esempio «vigna Bastianu» (15°2’2,821”E 38°8’52,817”N) ma anche Vigna Grande (14°58’48,838”E 38°7’56,417”N), un «Monte della Vigna» (15°0’38,499”E 38°6’10,384”N). Immediatamente circostanti Tindari sono i fitotopnimi Mendolito783, Vignazza784, Carrubba785 che designano una medesima contrada (15°2’45,921”E 38°8’18,02”N). Problematica rimane l’interpretazione della voce «Santa Niculedda» (14°57’30,244”E 38°8’22,851”N), possibile trasformazione in agionimo786 della voce «niculedda»787, indicante la palma nana, oppure denominazione di una piccola chiesa di S. Nicola nei pressi del centro abitato di Patti dove è localizzato il toponimo. Pochi i toponimi relativi alla fauna: selvatica «Sparvieri»788 (15°1’31,224”E 38°5’58,935”N), «Volpe»789(15°1’32,943”E 38°6’17,016”N) indicante un monte. Presente anche un torrente «Palombaro»790 (15°1’31,38”E 38°5’59,058”N). 4.3.4.6. Antroponimi. La classificazione degli antroponimi per sostrati rivela la netta prevalenza di quelli di ascendenza normanna791 mentre la loro distribuzione spaziale, la persistenza soprattutto nella zona a meridione del comune di Patti a «Madoro o Maroldo»792 (15°0’20,06”E 38°5’22,277”N), a «Garrera»793 (15°0’47,506”E 38°6’33,082”N) a «Litto»794 15°1’24,6”E 38°7’0,219”N, nell’aree limitrofe a Tindari a «Scorcialupo»795 (15°2’8,208”E 38°8’35,634”N) e forse «Panicastro»796 (15°1’17,122”E 38°8’14,884”N) e a Oliveri, forse «Bernardo»797, a testimonianza di proprietà in zone non assegnate nella prima età normanna al monastero benedettino di Patti, ma anche in altre dove si diffuse l’appropriazione di questi terreni a causa della vacanza della sede vescovile tra XII-XIV secolo e anche per le congiunture politiche che portarono alla revoca di alcune concessioni al vescovo, come sembra essere il caso di «Mustazzo»798 (14°57’43,269”E 38°9’4,67”N). La forma prediale in -anus sembra ritornare in due toponimi, in corrispondenza della cuspide meridionale del territorio comunale, «Iuculano»799 15°0’48,596”E 38°5’12,402”N e, sulla sinistra del Timeto verso la foce, a «Trupiano»800 (14°59’34,423”E 38°8’23,572”N) toponimo oggi scomparso. In entrambi i casi l’onomastico ha tutto l’aspetto di l’aspetto di un prediale romano tuttavia non è possibile riferire il tema ad una gens o ad un cognomen conosciuti. Pertanto sia Iuculano che Trupiano vengono ricondotti a cognomi diffusi in Sicilia. Interessante appare il microtoponimo «Sipio»801 (15°0’3,5”E 38°8’8,789”N), ovvero Scipione, allo sbocco del Timeto nella piana alluvionale costiera. 4.3.4.7. Agiotoponimi. Diverse località sono denominate con agiotoponimi. Molti di questi indiziano dell’esistenza di vecchie cappelle alcune delle quali scomparse senza lasciare traccia. Gli agiotoponimi recuperati sono in tutto 40, di cui 20 risultano menzionati in atti precedenti
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CARACAUSI 1994, I, s.v. Cedro, p. 354. Da it. Cèdro ‘pianta del Libano, simile al laricÈ, ‘specie di ginepro’, da gr. ant. kšdroj meno prob. da it. cèdro ‘agrumÈ da cui il cognome Cedro Cedrus presbiter. Gli abitanti del posto ricordano la presenza di un cedro. Si richiama comunque l’appellativo di Cedreatide che Artemide Hymnia aveva presso gli abitanti di Orcomeno in Beozia (Paus. VIII, 13, 3, 1). 776 TRISCHITTA 1983, s.v. Ardica, p. 131. 777 CARACAUSI 1994, I, s.v. Erbe bianche, p. 562. Fitotoponimo legato forse all’allevamento. 778 CARACAUSI 1994, II, s.v. Nibidelli, p. 1106. Fitoponimo. 779 CARACAUSI 1994, II, s.v. Moreri, p. 1068. 780 Per le varie accezioni del toponimo CARACAUSI 1994, II, s.v. Musa, p. 1086. Albero del fico dattilo con i frutti gialli. TRISCHITTA 1983, s.v. Musa, p. 168. 781 CARACAUSI 1994, II, s.v. Sorba, p. 1550. Fitoponimo. 782 CARACAUSI 1994, II, s.v. Vigna, pp. 1705-1706. 783 CARACAUSI 1994, II, s.v. Mendolito, p. 1005. Fitotoponimo da sic. Minnulitu ‘mandorleto’. 784 CARACAUSI 1994, II, s.v. Vignazza, p. 1706. Fitotoponimo dispr. di it. ‘vigna’, forse per vigna abbandonata. 785 CARACAUSI 1994, I, s.v. Carruba, p. 317. Fitotoponimo. Ancora presenti in zona numerosi esemplari. La località è riportata nella Carta della Sicilia (17201721) di Samuel Von Schmetteau, SCHMETTEAU 1995, tav. 6. SCAFFIDI 1895, p. 68. Il toponimo è riportato anche nella pianta a p. 73. 786 Come nel caso di “Santa Panta” (15°2’53,211”E 38°8’25,527”N), un antroponimo. 787 Per il Caracausi si tratta di un cognome cfr. CARACAUSI 1994, II, s.v. Nicolella, p. 1108. Fitotoponimo per il Trischitta cfr. TRISCHITTA 1983, s.v. Niculedda, p. 168. 788 Il Caracausi ritiene si tratti di un cognome cfr. CARACAUSI 1994, II, s.v. Sparvieri, p. 1559. 789 CARACAUSI 1994, II, s.v. V olpe, p. 1719. Zoonimo. 790 CARACAUSI 1994, II, s.v. Palombaro, p. 1153. Luogo dove nidificano colombi. 791 I nomi di proprietari terrieri nelle fonti archivistiche del XII secolo ammonta a 14. Ad essi vanno aggiunti gli antroponimi. 792 Nel feudo, esteso circa 387 ettari, di proprietà del Comune di Patti, nel 1521 vengono sorpresi alcuni bordonari che vi avevano tagliato, come anche nei feudi di Rocca e del Litto, alberi di quercia e di altro frutto per venderli ai trappeti di cannamele esistenti nel territorio. Nelle carte il toponimo viene riportato come Maroldo. Dato che l’Università ricavava ogni anno 400 onze dalla ghianda si stabilì che
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nessuno, pena ammenda di 50 onze, avrebbe potuto più tagliare alberi e raccogliere legna secca. Nel 1640 il feudo venne sequestrato al Comune per il mancato pagamento di un debito alla Regia Corte e l’anno successivo venduto per la somma di diecimila scudi al vescovo di Patti Vincenzo Napoli che a sua volta lo donò al Capitolo della cattedrale. Nel 1762 il vescovo Carlo Mineo con una lunga lettera chiese di non dare il feudo a Domenico e Antonino Natoli, che avevano offerto al Tribunale del Real Patrimonio l’esorbitante cifra di 2.S00 onze, dato che i Natoli avrebbero proibito la raccolta della legna secca, impoverendo ancor di più quei legnaioli il cui sostentamento dipendeva da tale attività. Il vescovo stimò il valore dello jus lignandi intorno a 461 onze. SPADARO 2011, pp. 24, 106 ASC, 175290, ff. 51-56 datati 22 febbraio 1762. 793 Garrera cognome in Calabria, oppure nome di donnaGarršra, anche cognome siciliano Nicolaus de Guarrerio XIII secolo età aragonese CARACAUSI 1994, I, s.vv. Garrera, p. 686; Guarrera, p. 771. 794 Per l’Alessio deriverebbe da un cognome greco Alhta oppure da ¢le…pthj.ALESSIO1946-47, p. 34. 795 Possibile che si tratti di un antroponimo medievale. 796 CARACAUSI 1994, II, s.v. Panecastro, p. 1157-1158. Un Gualterius de Palicastro, probabilmente di origini calabresi, è attestato nel 1287. Il toponimo potrebbe essere un prediale piuttosto che,dal greco medievale palaiÒkastron ‘castello diruto’, segnalare l’esistenza di una struttura fortificata. 797 In periodo angioino signore delle porzioni più fertili del territorio tra Oliveri e Curafi è Bernard de Blanquefort. 798 ACP Fond. I, 258. Il toponimo sembra essere un antroponimo di età medievale. Un Gregorio Mustacio compare infatti in uno scriptum iurisditionis del dicembre 1250 che lo vede contrapposto al vescovo di Patti Filippo intorno al possesso del casale di S.Lucia nella piana di Milazzo, a lui concesso dall’imperatore in vacanza della sede vescovile. Si trattava dunque di un proprietario con possessi e interessi nella zona. 799 CARACAUSI 1994, I, s.v. Iuculano, p. 813. Antroponimo.Il cognome ricorre attualmente in un solo caso sia a Patti che a Montalbano Elicona. 800 ACP, Libro Maestro, f. 211, contratto dell’ 8.1.1426. Cognome forse da etnico. CARACAUSI 1994, I, s.vv. Tropeano, p. 1659; Trupiano, p. 1661. 801 CARACAUSI 1994, II, s.v. Sipio, p. 1539. Antroponimo da Scipione. 802 Il termine generico ‘acqua’ trova propri significati in composizione con altre voci cfr. TRISCHITTA 1983, s.v.
al 1600, epoca in cui, con l’attenuarsi del fenomeno delle incursioni barbaresche e l’incremento dell’allevamento del baco da seta, inizia a crescere in maniera consistente l’insediamento sparso nel territorio e, conseguentemente, anche quello delle chiesette rurali e padronali. Questi toponimi risultano dislocati soprattutto lungo quelle che sono le direttrici del ripopolamento promosso dai monaci benedettini sin dalla prima età normanna: la sinistra orografica del Timeto in direzione di Librizzi e di San Piero Patti, l’area che da Patti Marina si estende verso Montagnareale. In particolare li ritroviamo lungo i percorsi che raccordano il monastero benedettino di Patti ai suoi casali, ovvero quello di Zappardino (Azuppardini o Azoppardini), quello di Librizzi (Librizi, o Librichium, o Butan), di Montagna (attuale Montagnareale) e di Sorrentini. Quasi tutti ricadono nei possedimenti assegnati dai sovrani all’abbazia e non si ritrovano negli altri territori concessi ai baroni. Attestati nelle fonti documentarie sin dagli inizi del XII secolo sono quasi tutti riferibili a culti sicuramente in voga in età normanna e cari all’Ordine e ai monaci provenienti dal nord Europa. Tra Patti Marina e Montagnareale si registra il maggior addensamento: S. Epifania, S. Profonia o S. Febronia, S. Marco, S. Venera, Grotta du Pistolu (Grotta dell’Apostolo), «Acqua Santa»802 (14°56’50,607”E 38°9’5,372”N), sorgente con proprietà ritenute curative e risanatrici, legata al culto di S. Febronia, ed ancora prima facente parte pare di un grande possedimento denominato bosco di S. Epifania, santa del ciclo lentinese. Negli agiotoponimi presenti in quest’area intravediamo forse una presenza bizantina. Questo potrebbe essere il caso della vicina S. Giorgio, sulla spiaggia, a circa 2,5 km a NNO, non attestata prima del 1300, ma di cui il Camiliani803, attento alla parlata locale, da una trascrizione che sembra grecanica «S. Georgìo». Il culto del santo acquista comunque vigore nel periodo delle crociate quando se ne ricordava l’assistenza salvifica durante la battaglia di Antiochia del 1089. E forse di poco precedente l’arrivo dei normanni è a Patti il culto di S. Venera. Infatti il toponimo, non pare qui tramandare o travestire in forma cristiana, come a volte in altre zone della Sicilia, un culto pagano804 ma evoca piuttosto un possesso allodiale con mulino lungo il flumen Sancte Febronie da parte del monastero di S. Parasceve, forse quello che sorgeva presso Castroreale805. Il Monastero benedettino sembra adattarsi a questa presenza dato che denomina il proprio possesso cultura cultura Sanctae Veneris. In ogni caso il culto della santa non è precedente in Sicilia ai secoli X-XI sec. allorché ne inizia la diffusione ad opera dei monaci italo greci di Calabria e si consolida sicuramente in età normanna allorché la santa viene raffigurata nella cappella Palatina e nel Duomo di Monreale. La devozione raggiunge il suo culmine nel XVI secolo e la santa viene considerata siciliana, il Maurolico ne scrive la vita. La circostanza che le fonti indichino altri possessi allodiali oltre quello feudale dei benedettini potrebbe indicare che l’area fosse già insediata al momento dell’arrivo dei normanni in zona o comunque tra il loro arrivo e la fondazione del monastero benedettino nel 1094. I problemi più complessi sono costituiti dal toponimo S. Febronia806, con la sua variante S. Profonia e non solamente per l’evanescenza della santa. Per il Caracausi807 il nome Febronia potrebbe avere connessioni con Febris o Februare ‘purificare’. Esso designava innanzitutto il «nemus quod dicitur de Sancta Febronia», quindi un rivulus o flumen (attuale torrente S. Venera), la fonte (oggi Acquasanta), una «fabbrica» e la contrada808. Tuttavia sicuramente parte di questa questa zona, forse tutta, nel 1142 è designata con il nome di una santa del ciclo lentinese, Sancta Epiphania 809. Per quanto riguarda S. Marco non abbiamo certezze: la sua presenza in una zona prospiciente la costa potrebbe richiamare le attività commerciali veneziane o piuttosto riportarsi al culto dei normanni per il santo evangelizzatore che fece loro intitolare nel 1061 “pour la defension de li Chrestiens” (G. Malaterra, III, 32) la vicina piazzaforte di S. Marco d’Alunzio. Grotta du Pistolu, in contrada Monte, si riferisce ad un luogo di culto rupestre in onore di un Apostolo a noi al momento ignoto. Poco più ad est è il toponimo S. Cristoforo810. Pur essendo la prima intitolazione nota in Sicilia di un monastero al santo, quella a Taormina citata da papa Gregorio I, risalente
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Michele Fasolo | Tyndaris | 147 al VI-VII sec. l’introduzione del suo culto a Patti sembra legata piuttosto ad una tradizione latina che ad una greco-bizantina o addirittura del periodo ariano. Va comunque rimarcato che come altrove, in zone liminari, anche nella nostra zona San Cristoforo venga richiamato come protettore in presenza di acque che costituiscono un serio ostacolo ai collegamenti. Nel centro abitato di Patti gli agiotoponimi presenti sono S. Francesco, S. Antonio Abate. S. Ippolito, S. Michele. I relativi luoghi di culto sembrano posteriori al XIII secolo ma per gli ultimi due santi non si può escludere un’età precedente (per Ippolito una provenienza africana) tanto più che i primi documenti normanni (fine XI secolo) su Patti fanno riferimento indirettamente a chiese già esistenti. Tra il torrente Montagnareale e il torrente Timeto sono presenti altri toponimi di santi con, in alcuni casi, chiesette precedenti al XVII secolo. Si tratta dei santi apostoli Pietro e Paolo, di S. Lorenzo e lungo un percorso verso l’interno, di «Santa Maria Maddalena» (14°58’19,916”E 38°6’32,636”N). Nel punto di attraversamento del Timeto è poi S. Cataldo o, con successiva denominazione, Santo Ballarino (S. Giuseppe da Copertino?). Nella zona è poi ricordato San Nicaso. Anche questi santi sono da ricondurre all’età normanna. Il culto di S. Cataldo si diffonde dopo il ritrovamento del corpo durante la ricostruzione della cattedrale di Taranto nel 1094. S. Nicaso vescovo di Rouen è un santo che appartiene al vexin normanno, fucina della fede normanna. Da Rouen proviene il vescovo Stefano, honestae vitae virum811 scelto dal conte Ruggero, come vescovo di Mazara Al secondo quarto del sec. XI va fatta poi risalire la fermentazione magdalenica in alcuni centri di riforma benedettina con dedica di numerosi priorati. Un edificio di culto medievale, ritenuto molto antico e indicato in un documento del 1582 come “la cubba812 nominata di Sto Leonardo”813 (14°57’53,096”E 38°8’5,74”N), oggi scomparso, sorgeva nella zona, allora extra urbana, tra l’odierna Via Vittorio Emanuele e l’inizio della Via Randazzo, più precisamente lungo la strada pubblica che portava a S. Piero Patti.814 Anche il culto di S. Leonardo di Noblat, invocato dai prigionieri e dai pellegrini, potrebbe essere stato introdotto a Patti già dai normanni che lo annoveravano tra i loro protettori815. Vi era ubicata anche una fontana in onore del santo captata da una sorgiva situata a Balà o Bali816, località attestata in vari documenti del XII secolo. Quello verso «Santa Barbara» (14°58’25,363”E 38°6’37,68”N) è un altro dei culti che potrebbero essere stati importati in Sicilia durante il periodo dell’occupazione bizantina. Sicuramente si sono sviluppati durante le crociate. S. Cusmano o «S. Cosimo»817 risulta presente in due località, presso la costa e all’interno dove denomina una contrada. Non sappiamo il San Cosimo di questa ultima località (15°0’37,838”E 38°6’10,629”N), dove segnala anche un monte, dal lat. Sanctus Cosmanus818, si possa identificare con il compagno di San Damiano. Certamente alcune caratteristiche della zona, le manifestazioni di vulcanismo secondario, la presenza di acque calde, forse fenomeni più accentuati di oggi in passato, di cui permane nella zona attestazione nel toponimo Matafita, ben potevano adattarsi al culto dei santi medici Anàrgyroi, Cosma e Damiano. I due santi costituiscono poi in quanto risanatori dal male i corrispettivi cristiani dei Tindaridi, Castore e Polluce. L’introduzione nel territorio potrebbe risalire sia ai padri basiliani che, molto più probabilmente, vista la loro presenza dominante a Patti, ai benedettini. Proprio a San Benedetto (480-542) si deve infatti la costruzione della prima chiesa in occidente, a Subiaco, in onore di Cosma e Damiano. Il loro culto è attestato nella zona a non grande distanza come ricorda un documento del 1310 in cui viene menzionato un monastero loro intitolato nella piana di Milazzo, da localizzarsi probabilmente in contrada S. Enargi di Furnari. Tuttavia è possibile che il santo della contrada sia da identificare con il vescovo Cosma inviato da Re Ruggero missionario in Africa da cui tornò per morire a Palermo nel 1160. Il toponimo «Santo Spirito»819. (14°58’45,885”E 38°8’12,395”N) per una collinetta ubicata, lungo lo spartiacque tra i torrenti Provvidenza-Montagnareale e Timeto, circa 700 m a ESE del centro storico di Patti riporta invece a un possesso dell’Hospitale di Santo Spirito, istituzione attestata a Patti sin dal 1312820.
Acqua, p. 129. 803 CAMILIANI in SCARLATA 1993, p. 362. 804 UGGERI 2004, pp. 77, 123, 206, 232 805 cfr. SCADUTO 1947, p. 100. 806 CARACAUSI 1994, II, s.v. Santa Febronia, p. 1437. Per il Caracausi potrebbe esserci una connessione del nome con Febris o Februare ‘purificarÈ. 807 CARACAUSI 1994, I, s.v. Santa Febronia, p. 1437. 808 Del nemus conosciamo i limiti grazie ad un documento probabilmente risalente al XVII sec. ma che trascrive dati del XII sec (Platea antiqua, ex scripturis conservatis intus sacristiam maioris Ecclesiae Pactensis, in qua sunt privilegia Episcopatus Pactensis extracta, a cura del notaio Giovanni Matteo Dominedò. ACP, diverse copie tra cui Fond. II f. 521.GARUFI 1928, p. 92, n. 3 e infra, Appendice A, n. 52; cfr. inoltre il regesto in GIRGENSOHN – KAMP 1965, Reg. p. 19 n. 43; CATALIOTO 2007, p. 247-252). Il documento descrive l’ambito del bosco : «protendens usque ad flumen Botanae (torrente Zappardino), ascendens inde per flumen flumen ad Petram magnam cum Cruce signatam ascendens in usque ad ecclesiam Sancti Constantini (contrada S. Costantino di Piraino), descendens idem ad flumen occidentale, ascendens inde per flumen flumen usque ad Monasterium Sancti Angeli (S. Angelo di Brolo), ascendens inde ad tenimentum quod dicitur de Fulgerio (monte Fossa della Neve), pergens inde usque ad Crucem de Alingeria et sic vadit sursum usque ad Ecclesiam Sancti Nicolae de Monte (monte di Gioiosa Guardia), descendens inde usque ad rivulum Sanctae Febroniae (torrente S. Venera) et descens in usque mare». 809 Si tratta della definizione dei confini della terra di Fucherò da parte di Filippo, figlio di Leone logoteta, preceptor et stratigotus di tutta la Val Demone per la sua attribuzione alla chiesa di S. Bartolomeo di Lipari. 1142, dic., Ind. V. ACP, Fond. I f. 161. GIRGENSOHN-KAMP 1965, Reg. n. 40, p. 19; GARUFI 1928, s. 90 n. II, p. 9091; SIDOTI -MAGISTRI 2007, p. 225– 227; CATALIOTO 2007, p. 213-215). Di “nemor(e) Sancte Epifanie” si parla ancora nell’inquisizione del casale di Sinagra e del Bosco di Ficarra del 22 luglio 1249 (ACP, Fond. I f. 251, altro originale Dv f. 98. GIRGENSOHN-KAMP 1965, Tex. n° 8, p. 141-148; DE LUCA 2005, 2. I, p. 66-74, con due inserti del 17 giugno e dell’8 luglio 1249). Il flumen Sancte Febronie è menzionato in uno scriptum del 5 giugno 1198 (ACP DS 9.). La contrada risulta invece attestata con alcune varianti (Phebronie/Phebrunie) in due pergamene rispettivamente del 17 settembre 1257 e del 14 febbraio 1262 (ACP DV, ff. 14 e 23). Nel
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primo documento il cittadino pattese Nicola Bonavita dona al fratello Giovanni una vigna sita nel territorio di Patti nella contrada “Sancte Phebronie”. Nel secondo, lo stesso Giovanni Bonavita cede a Benedetto Pisano, cittadino pattese, un orto situato alla periferia della città mentre il Pisano, in cambio, cede al Bonavita la metà indivisa di un pascolo sito nel territorio di Patti “in contrata sancte Phebrunie”. Una chiesa e terre intitolate a Santa Profonia sono citate ancora in un atto notarile dell’8 aprile 1453 (ACP Censi della Gioiosa, 8.12. ì453, f. 24). Nel manoscritto di Filippo Pisciotta jr del 1693 (PISCIOTTA 1693) la fonte di S. Febronia, cui vengono riconosciute proprietà curative, e la capacità di sanare dalla lebbra, viene riconnessa, in base ad una tradizione che appare a quel tempo consolidata, alla vita della santa e ai soggiorni a Patti della regina Adelasia. 810 Sempre nel XVI sec. il torrente è menzionato, distante tre quarti di miglio a O di Patti, dal Camiliani come fiume di S. Cristoforo. Secondo il Camiliani “nasce fra Raccuya e San Peri da due fonti lontano dal lito dodeci miglia” e dista “tre quarti di miglio di spiaggia scoperta” dalla foggia di Patti. Il Camiliani precisa che fra questi due fiumicelli, lontano dal lito un miglio, “ci è la città di Patti”. L’Amico di Castellalferolo lo cita come “torrente Montagnareale”. 811 G. Malaterra, Imprese del Conte Ruggero e del Fratello Roberto il Guiscardo, Palermo, 2000, IV, 7. 812 Costruzione a volta. TRISCHITTA 1983, s.v. Cuba, p. 146. 813 La chiesa risulta citata in un atto del 25 marzo1582 in cui i giurati acquistano l’acqua della contrada di Parriboj, portandola “ a la cubba nominata di Sto Leonardo” ASC., Libro Rosso, f. 233 v. Nel Rivelo del 1607 nella contrada di S. Leonardo risulta dichiarata una sola casa. Archivio di Stato di Palermo, Fondo Real Patrimonio, Rivelo 1607, voll. 14561459; N. BARAGONA 2010, p. 65. 814 MAGISTRI 2011, pp. 70-71. 815 Verso la fine dell’XI sec. appaiono varie redazioni della vita del santo eremita che sarebbe apparso a Boemondo, principe di Antiochia, durante la sua prigionia (1101-1103) nelle mani dell’emiro Ibn Danishmend, sciogliendolo dalle catene. Le fonti ricordano il successivo pellegrinaggio del sovrano normanno sulla tomba del santo presso il ponte di Noblat sulla Vienne cfr. Poncelet 1912, XXXI, pp. 24-44. A partire dall’inizio del XII sec. iniziano a diffondersi nei territori normanni le chiese a lui dedicate. 816 ASC, Deliberazione Decurionato, 18 ottobre 1846. 817 CARACAUSI 1994, II, s.v. San Cosimo,
4.3.4.8. Attività economiche. Il territorio, nelle zone dell’entroterra dell’alta collina e della bassa montagna, per millenni ha manifestato una duplice vocazione: allevamento e cerealicoltura. 4.3.4.8.1. Allevamento. Le attività legate all’allevamento rilevanti, sia nella forma brada che in quella stanziale, non paiono aver lasciato tracce toponomastiche. L’allevamento dei suini documentato nelle fonti già nel 1100 821 . La pratica della transumanza a corto raggio, dell’allevamento ovino verso i pascoli estivi o invernali nell’area di Polverello, sullo spartiacque dei Nebrodi-Peloritani, ha lasciato tracce solamente nella zona di montagna, al di fuori del nostro territorio, dove troviamo, «i pagliara», elementi caratteristici del paesaggio, ribattezzati oggi tholos. Nella zona di Patti sopravvivono invece le varie «Mandre», ovvero i recinti ove venivano custodite durante la notte le greggi, anch’essi a volte distinti con il nome del proprietario. Troviamo sopra Scala di Patti «Mandrie» (15°1’43,67”E 38°7’36,529”N) e a Nibidelli «Mannara»822. Un toponimo permette di distinguere uno specifico tipo di allevamento. Troviamo ad indicare un grande edificio diruto nei pressi del torrente Timeto, sulla sinistra orografica in contrada Ponte, «Vaccarizzo» 823 (14°59’0,081”E 38°7’44,926”N). Pertinente ad una stalla di buoi era forse anche «Paraboj» contrada ricordata nel Rivelo del 1607 e non localizzata 824 , e a una tettoia aperta su tre lati adibita alla custodia di bovini riporta «pinnata» 825 nella zona di Iuculano. Nessun relitto è stato riscontrato della presenza di grandi mandrie di cavalli, ridotte oggi a pochi esemplari. 4.3.4.8.2. Agricoltura. Anche le attività agricole hanno lasciato sul terreno scarse attestazioni toponomastiche. In particolare mancano quelli pertinenti alle colture cerealicole mentre si riscontrano tracce toponomastiche lasciate dal gelso e dalla bachicoltura, segno che l’insediamento rurale nelle campagne si consolida con la formazione dei toponimi in un periodo successivo a quello più importante in età moderna della produzione del grano in Sicilia, tra il ‘400 e il ‘500. L’unico riferimento è, tra i termini relativi al ciclo produttivo del grano, in particolare alla trebbiatura, la sopravvivenza del termine l’aia «aria», dove avveniva la battitura e la separazione della paglia dalla granella tramite la ventilazione. Alcune arie sono ubicate nei pressi della zona archeologica di Tindari. Forse un riferimento rispettivamente alla segala lo ritroviamo nel termine «sigrètu» «Croce Segreto»826 (14°58’19,57”E 38°8’4,964”N) e all’avena a «Sisa» (14°58’6,864”E 38°7’12,632”N) da «zìssa». Ricorrono invece più volte i toponimi legati alla coltura del gelso, connessa all’allevamento del baco da seta, le cui foglie servivano ad alimentarlo. Risulta usato a riguardo il termine «moro», dal colore nero del frutto, anche se era coltivato, il gelso bianco: «Mureri Soprani» (15°0’35,589”E 38°7’20,518”N) e «Mureri Sottani» (15°0’12,292”E 38°7’48,648”N) in una vallata umida e esposta a Nord. Oggi, dopo la fine della produzione siciliana della seta a fine XIX secolo, il gelso è presente nel territorio in pochi ed isolati esemplari utilizzati per gli animali domestici pur avendo raggiunto in alcune aree di questa zona del Messinese827 una densità di una pianta ogni 1000 m2. Un toponimo ormai scomparso ricorda la coltivazione del cotone nella zona costiera è «Cottonera» 828 (15°0’6,087”E 38°8’38,109”N). Il relativo possedimento dell’episcopato pattese, una terra, è ricordato in atti della seconda metà del XVI sec. 829. Nelle fonti archivistiche ricorre, per la zona sulla sinistra idrografica del torrente Timeto, direttamente coltivata nel XII e XIII secolo dai monaci benedettini, il termine «viriddario»830 per campo di ortaggi e forse di agrumi, in epoca successiva si riscontrano al riguardo i termini orto, «ortura», nella zona sulla destra del torrente Montagnareale, e «iardinu», «iardineddu», ovvero per indicare un podere a colture sempreverdi, prevalentemente agrumi.
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Michele Fasolo | Tyndaris | 149 Ricorrenti sono i termini legati alle piante di olivo «agghiastru» per quelle poco curate e inselvatichite, rivelatrici di colture ormai scomparse, mentre le normali condizioni vegetative molto usati sono «ulivitu» e «uliveri». Più località sono denominate con derivati da fico a riprova della sua importanza a livello di sussistenza alimentare «ficheri», «fichera». Perplessità come in altri composti in acqua suscita invece l’ascrivibilità alla pianta di un termine come «Acquaficara», dato che il fico non sembra prediligere i suoli umidi. 4.3.4.8.3. Le attività commerciali, artigianali e industriali. La toponomastica relativa a termini che testimoniano commerciali, artigianali e industriali è scarsa. Il termine più diffuso è «mulino» . Ve ne erano diversi, tutti alimentati ad acqua, lungo il torrente Provvidenza-Montagnareale, tanto che il corso d’acqua appare denominato nel 1142 flumen Molendinorum Pactarum831. Sono presenti in altre zone anche i vari derivati del termine come «mulinellu» (14°58’48,537”E 38°7’53,576”N). Nonostante la forte produzione ceramica pattese il termine «fornace» (14°57’56,067”E 38°7’46,777”N) compare una sola volta al plurale832. L’estrazione di materiali rocciosi di uso non specificato (sabbia, marmi etc.) veniva fatta nella «pirrèra»833, (15°0’1,475”E 38°8’16,989”N), una cava a cielo aperto a rapido ciclo di esaurimento. 4.3.4.8.4. La pesca. Riguardo al toponimo Oliveri l’Uggeri ha supposto, data la presenza di una tonnara attestata nelle fonti documentarie già nel 1148 834 , un’origine del toponimo dal greco tardo libàri, ossia vivarium, peschiera835. 4.3.4.9. L’organizzazione fondiaria, le condizioni del lavoro agricolo, i limiti amministrativi. Gli unici termini che forse possono riportare assetti del catasto romano li ritroviamo nel territorio di Montalbano Elicona. Si tratta di «Preda» (15°2’7,974”E 38°0’26,01”N)
Figura 112. Distribuzione delle chiesette rurali (pre 1600) nel territorio di Patti
p. 1423. 818 CARACAUSI 1994, II, s.v. San Còsimo, p. 1423. 819 CARACAUSI 1994, II, s.v. Santo Spirito, p. 1448. 820 Si tratta di un legato di tre letti fatto da una nobildonna ACP, DV, f. 91, 29.5.1312. Chiesa ed Ospedale sorgevano nella qontrata di li conzarij, vicino la conzaria di mastro Antonello Saxo. Vi confinava una casa dell’Hospitale di Santo Spirito ASD, Magna Corte Vescovile, Processi civili, 21.7.1557. 821 Diploma di donazione da parte del conte Ruggero ad Ambrosio, abate di S. Bartolomeo di Lipari, di un territorio dal tenimento del Meliuso (1100, novembre Ind. IX?, per il Cusa 1097). LG. ACP, Cpz f. 28. 822 TRISCHITTA 1983, s.v. Mandra, pp. 163-164. 823 TRISCHITTA 1983, s.v. Vaccaria, p. 185. 824 BARAGONA 2010, p. 65. 825 TRISCHITTA 1983, s.v. Pinnàta, p. 172. 826 CARACAUSI 1994, I, s.vv. Croce, Croce Segreto, pp. 469-470. Nel nostro caso un incrocio rilevante di percorsi di lunga durata. 827 Per esempio a S. Angelo di Brolo e a Naso. 828 CARACAUSI 1994, I, s.v. Cottonera, p. 457. 829 SIRNA 2010, p. 50. 830 Giardino di agrumi, alberi da frutta, campo di colture sempre verdi. TRISCHITTA 1983, s.v. Viriddaria, p. 186. 831 Definizione dei confini della terra di Fucherò (1142, Dic Ind. V) da parte di Filippo, figlio di Leone logoteta, preceptor et stratigotus di tutta la Val Demone per la sua attribuzione alla chiesa di S. Bartolomeo di Lipari. ACP, Fond. I f. 161. Sidoti - Magistri II, pp. 225–227. 832 MAGISTRI 2010, pp. 188-189. 833 CARACAUSI 1994, II, s.v. Perrera, Pirrera, p. 1203, 1241. TRISCHITTA 1983, s.v. Pirrera, p. 173. 834 ACP, Fond. I, f. 134(=171). PIRRO 1733, p. 776 A; AMICO - STARRABBA, pp. 14, 31. 835 KAHANE - TIETZE 1988, p. 535, n. 800. UGGERI 2004, p. 124. Qualche decennio più tardi nel Pantheon di Goffredo da Viterbo (Viterbo 113391) Oliveri insieme a Capo d’Orlando diviene prova del passaggio di Carlo Magno e dei suoi cavalieri in Sicilia Gotifredi Viterbensis Opera, in MGH 1872, p. 223. “Mons ibi stat magnus, qui dicitur esse rolandus alter Olivierus simili ratione vocandus haec memoranda truces consituere duces”.
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836 TRISCHITTA 1983, s.v. Finaita, pp. 151-152. 837 Secondo l’Uggeri il toponimo potrebbe averci preservato il ricordo di un proprietario della villa, «un hypatos (consul, consularis), alla stregua di quello di Sofiana che era un philosophus». UGGERI 1997, p. 40; 2004, p. 126. 838 Copia in lingua latina probabilmente risalente al XIII sec. del diploma originario ACP, Cpz f. 2 A; PIRRO, II, p. 770; GIRGENSOHN-KAMP, Reg. n. 4, p. 10-11; SIDOTI-MAGISTRI 2006, pp. 188190 ; CATALIOTO 2007, p. 177. 839 ACP, Cpz f. 3; PIRRO, II, p. 770 segg. 840 ACP, Cpz f. 2B; PIRRO, II, p. 771 seg.. 841 UGGERI 1997, p. 40; 2004, p. 126. 842 CARACAUSI 1994, II, s.v. Masseria, p. 982. TRISCHITTA 1983, s.v. Masseria, p. 165. 843 Nel territorio di Patti c’è uno solo a Scala di Patti (15°2’12,229”E 38°7’52,588”N). 844 La chiesa risulta citata in un atto del 25 marzo1582 in cui i giurati acquistano l’acqua della contrada di Parriboj, portandola “ a la cubba nominata di Sto Leonardo” ASC., Libro Rosso, f. 233 v.. Nel Rivelo del 1607 nella contrada di S. Leonardo risulta dichiarata una sola casa. Archivio di Stato di Palermo, Fondo Real Patrimonio, Rivelo 1607, voll. 14561459; N. BARAGONA 2010, p. 65 845 Se ne è proposta l’identificazione con la massa furiana presente nella diocesi di Tindari e menzionata in una lettera al vescovo da parte di papa Gregorio Magno (590-604) 846 CARACAUSI 1994, I, s.v. Furie, p. 639640. Per Furie ma non per Furio. 847 CARACAUSI 1994, II, s.v. Panecastro, p. 1157-1158. Un Gualterius de Palicastro, probabilmente di origini calabresi, è attestato nel 1287 piuttosto che una struttura dal greco medievale palaiÒkastron ‘castello diruto’. 848 ACP, Cpz f. 28. 849 Copia probabilmente del XIII sec. del diploma di donazione e di delimitazione del territorio del Monastero di S. Salvatore in Patti da parte del Conte Ruggero (1094, 6 marzo? Ind. II). ACP, Cpz f. 2. PIRRO 1773, II, p. 770; GARUFI 1904, n. 7, p. 197 seg.; GIRGENSOHN-KAMP 1965, Reg. n. 4, p. 10-11; SIDOTI – MAGISTRI 2006, p. 188-190 ; CATALIOTO 2007, p. 177. 850 ASP, LR, f. 212 v. SPADARO 2011 p. 45 851 MICHEL CASTELLANI Réflexions sur la toponymie de la vallée de Sisco (Corse). 852 ASD, MagnaCorte Vescovile, Processi Civili, 28.4.1715. 853 SCHMETTEAU 1995, tav. 6. 854 CARACAUSI 1994, I, s.v. Colonna, p. 425. 836 TRISCHITTA 1983, s.v. Finaita, pp. 151-152. 837 Secondo l’Uggeri il toponimo
e «Salto». Nessuna traccia riconducibile a consuetudini contrattuali agrarie è stato riscontrata e così quella relativa agli usi civici e comuni degli spazi agro-forestali. L’indicazione del limite amministrativo di comune ricorre con la voce «Quattro finàite» 836 (15°3’12,948”E 38°4’56,351”N) che segna il confine tra Montalbano, Falcone, Tripi e Basicò. 4.3.4.10. Insediamenti ed edifici. Il toponimo Pactes837 compare per la prima volta in tre documenti, tràditi da copie risalenti al XIII secolo. Si tratta rispettivamente dell’atto di fondazione del monastero di S. Salvatore 838 a Patti, del documento con cui Roberto, vescovo di Troina-Messina, acconsente alla fondazione dello stesso monastero 839 e del documento che riporta le donazioni da parte del conte Ruggero e di alcuni suoi baroni di territori, villani e decime al monastero di San Bartolomeo di Lipari.840 Il toponimo secondo l’Uggeri841 potrebbe averci preservato il ricordo di un proprietario della villa di Patti Marina, «un hypatos (consul, consularis), alla stregua di quello di Sofiana che era un philosophus». Il toponimo medievale «Casale» è ormai scomparso, sopravvive, unico caso in tutta la zona tra Tindari e Capo d’Orlando, nelle immediate vicinanze del nostro territorio, a Gioiosa Marea, lungo un percorso ancora denominato «Dromo». Allo stesso modo il toponimo Villa, nell’accezione di abitato aperto, ha avuto una vita ancora più breve. Già dopo la costruzione della prima cinta muraria alla del XII secolo non risulta più adoperato a proposito del centro abitato di Patti, denominato invece nei documenti «Castrum». Le poche residenze di un qualche pregio denominate Villa sono recenti e risalgono al XIX e al XX secolo. Un altro termine che indica una dimora padronale è «palazzo», piuttosto diffuso tra Case Nuove Malluzzo, dove si riscontra «U palazzu» (15°0’21,654”E 38°8’2,966”N), e Case Nuove Russo. Tracce toponomastiche dell’’insediamento rurale medievale e moderno possono essere considerate le due ricorrenze del toponimo «Masseria» 842 , distinte dal nome del rispettivo proprietario «Masseria Greco» (15°1’14,179”E 38°6’4,21”N) e più a sud «Masseria Sciacca» (15°1’15,03”E 38°5’48,251”N). In entrambi i casi si tratta di dimore rurali prive di «bàgghiu»843, insediamenti lineari senza pretese di residenza signorile, costruzioni al massimo a due piani o terragne, abitazioni di contadini con magazzini e ricoveri degli animali. La loro funzione era quella di epicentro di un insieme di fondi rustici dove si svolgevano attività domestiche e agricole (frantoio, palmento, centro di lavorazione lattiero-casearia), con caratteristiche funzionali dunque che sembrano ricordare quelle della «massa» romana. Alla presenza stagionale dei contadini sul fondo dei lavoratori possono essere riportati termini come «casetta» (15°1’32,022”E 38°7’45,086”N). Il toponimo «case» seguito dal cognome del proprietario indica invece il più delle volte le abitazioni stabili dei mezzadri: le varie «case Sciacca» (15°1’38,052”E 38°8’14,536”N) e «case Saggio» (14°58’29,974”E 38°6’17,39”N). La copertura emisferica di un edificio «cubba» è stata riscontrata solamente in una fonte archivistica a proposito di un edificio di culto medievale, ritenuto molto antico, la chiesa di S. Leonardo844 (14°57’52,479”E 38°8’11,342”N), oggi scomparsa. Si trova a Librizzi l’idronimo Furio non sappiano se antroponimo845 o da mettere in relazione al termine bizantino «furìe», ovvero un villaggo rurale846. 4.3.4.11. Le opere di difesa e le sedi fortificate. L’unico toponimo che potrebbe indicare un luogo fortificato è «Panecastro» (15°1’16,649”E 38°8’15,069”N), località posta alle pendici NE di Monte Pignatara lungo il torrente Cedro. Alcuni blocchi squadrati visibili nella parete meridionale di una villa moderna nella località farebbero in effetti pensare all’esistenza di un edificio antico di una certa consistenza. Anche la presenza dirimpetto alla villa di stalla protetta potrebbe spiegare il termine legandolo all’attività zootecnica. Tuttavia il toponimo viene ritenuto dal Caracausi un antroponimo847.
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Michele Fasolo | Tyndaris | 151 4.3.4.12. Le vie di comunicazione. Nessun toponimo sembra fare riferimento alla strada romana, la via Valeria. I documenti medievali riportano « ¹ ÐdÕj ¹ basilik¾ » 848 sullo spartiacque Timeto/Elicona e una via E-O denominata «de arangeriis»849 con andamento EO, in cui forse dobbiamo riconoscere parte del tracciato della via Valeria, che passando per contrada Bonavita o Bonavia di Montagnareale evitava Capo Calavà e giungeva a portella S. Domenica, importante nodo viario della zona. Sempre nelle fonti scritte medievali alcuni toponimi ricordano l’incrocio di due o più strade con il termine «Cruci». Di queste vie di comunicazione premoderne la traccia che resta nella toponomastica è data dall’odonimo «Trazzera». Ne percorrevano le ampie sedi uomini e animali. Il «Ponte vecchio» (14°59’3,146”E 38°7’39,938”N) ricorda un attraversamento scomparso da secoli sul Timeto. Ne permane anche una menzione nell’archivio storico municipale: nel 1612 il senato cittadino chiese al viceré di fare riparare a spese della Deputazione del Regno il ponte “nominato del fiume di Patti” che rischiava di crollare850. 4.3.4.13. Toponimi di significato incerto. Di incerto significato semantico appaiono il toponimo «Coda di volpe» (15°2’55,182”E 38°7’56,161”N) che compare oltre che in Sicilia a Sciacca, anche in Calabria e in Corsica 851 e «Cocciuto» (14°59’31,619”E 38°8’38,579”N), scomparso nell’uso ma presente nelle fonti archivistiche852 e che designava la contrada Colonna. Quest’ultima contrada, riportata più a sud, è il «monte dela Colonna»853 nella carta dello Schmettau ed è l’unica che potrebbe riportare chiaramente nel nome a presenze archeologiche, anche se è possibile che sia riferita ad un possesso della famiglia Colonna854.
potrebbe averci preservato il ricordo di un proprietario della villa, «un hypatos (consul, consularis), alla stregua di quello di Sofiana che era un philosophus». UGGERI 1997, p. 40; 2004, p. 126. 838 Copia in lingua latina probabilmente risalente al XIII sec. del diploma originario ACP, Cpz f. 2 A; PIRRO, II, p. 770; GIRGENSOHN-KAMP, Reg. n. 4, p. 10-11; SIDOTI-MAGISTRI 2006, pp. 188190 ; CATALIOTO 2007, p. 177. 839 ACP, Cpz f. 3; PIRRO, II, p. 770 segg. 840 ACP, Cpz f. 2B; PIRRO, II, p. 771 seg.. 841 UGGERI 1997, p. 40; 2004, p. 126. 842 CARACAUSI 1994, II, s.v. Masseria, p. 982. TRISCHITTA 1983, s.v. Masseria, p. 165. 843 Nel territorio di Patti c’è uno solo a Scala di Patti (15°2’12,229”E 38°7’52,588”N). 844 La chiesa risulta citata in un atto del 25 marzo1582 in cui i giurati acquistano l’acqua della contrada di Parriboj, portandola “ a la cubba nominata di Sto Leonardo” ASC., Libro Rosso, f. 233 v.. Nel Rivelo del 1607 nella contrada di S. Leonardo risulta dichiarata una sola casa. Archivio di Stato di Palermo, Fondo Real Patrimonio, Rivelo 1607, voll. 14561459; N. BARAGONA 2010, p. 65 845 Se ne è proposta l’identificazione con la massa furiana presente nella diocesi di Tindari e menzionata in una lettera al vescovo da parte di papa Gregorio Magno (590-604) 846 CARACAUSI 1994, I, s.v. Furie, p. 639640. Per Furie ma non per Furio. 847 CARACAUSI 1994, II, s.v. Panecastro, p. 1157-1158. Un Gualterius de Palicastro, probabilmente di origini calabresi, è attestato nel 1287 piuttosto che una struttura dal greco medievale palaiÒkastron ‘castello diruto’. 848 ACP, Cpz f. 28. 849 Copia probabilmente del XIII sec. del diploma di donazione e di delimitazione del territorio del Monastero di S. Salvatore in Patti da parte del Conte Ruggero (1094, 6 marzo? Ind. II). ACP, Cpz f. 2. PIRRO 1773, II, p. 770; GARUFI 1904, n. 7, p. 197 seg.; GIRGENSOHN-KAMP 1965, Reg. n. 4, p. 10-11; SIDOTI – MAGISTRI 2006, p. 188-190 ; CATALIOTO 2007, p. 177. 850 ASP, LR, f. 212 v. SPADARO 2011 p. 45. 851 MICHEL CASTELLANI Réflexions sur la toponymie de la vallée de Sisco (Corse). 852 ASD, MagnaCorte Vescovile, Processi Civili, 28.4.1715. 853 SCHMETTEAU 1995, tav. 6. 854 CARACAUSI 1994, I, s.v. Colonna, p. 425.
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ISBN 978-88-908755-1-9 Indirizzo email dell'autore: [email protected] - [email protected] Progetto grafico e impaginazione: Stefano Proietti - [email protected] Editore: MediaGEO soc. coop. Via Palestro 95, 00185 Roma Stampa: SPADAMEDIA S.r.l. Viale del Lavoro 31 - 00043 Ciampino (Roma) finito di stampare il 10 dicembre 2013
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e il suo territorio
Michele Fasolo Archeologo, dottore di ricerca, vive e lavora a Roma. È direttore responsabile di Archeomatica tecnologie per i beni culturali e redattore del magazine GEOmedia e di Rivistageomedia.it. I suoi interessi scientifici sono rivolti principalmente alla geografia storica, alla viabilità antica, allo studio del paesaggio culturale, al telerilevamento, allo sviluppo di modelli predittivi su piattaforma Gis. È autore tra l'altro dei volumi: La via Egnatia I, Da Apollonia e Dyrrachium ad Herakleia Lynkestidos, Roma, 2003, Antichi paesaggi agrari d'Italia nelle banche dati dell'Agea, Roma 2006, Alla ricerca di Focerò, Roma, 2008. Il volume è il primo di una ricerca finalizzata alla ricostruzione del paesaggio culturale e alla comprensione delle vicende storiche del comprensorio dell’antica Tyndaris (Tindari, comune di Patti in provincia di Messina). Sono stati raccolti, con una impostazione complessiva pluridisciplinare e plurimetodologica, dati dalla preistoria al medioevo. Vi sono raccolte in particolare le fonti in grado di fornire dati utili per la ricostruzione dell'antico paesaggio antropizzato, dal quadro ambientale moderno, nelle sue componenti geologiche, morfologiche, idriche, climatiche, pedologiche, alle fonti storiche (scritte a carattere epigrafico, numismatico, storico-letterario, tecnico-itinerario, odeporico, geografiche, corografiche, archivistiche e statistiche), alle fonti iconografiche, al repertorio costituito dalla letteratura scientifica e dalle pubblicazioni di studiosi locali e alla toponomastica. Il lavoro è propedeutico a quello che raccoglie con la carta archeologica i risultati della prospezione intensiva e sistematica a copertura totale del terreno effettuata tra 2010 e 2012.