Nietzsche. Introduzione alla comprensione del suo filosofare 8842542504, 9788842542506


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Nietzsche. Introduzione alla comprensione del suo filosofare
 8842542504, 9788842542506

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A cura di Luigi RusticheIli

FILOSOFIA

Introduzione alla comprensione del suo filosofare



FILOSOFIA

NIETZSCHE

FILOSOFIA

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Karl Jaspers

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edizione integrale c omme nt a t a

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Ja sp e rs affronta in qu est’opera i «pensieri fondamen­ tali» di Nietzsche (superuomo, eterno ritorno, volontà di potenza); i nodi problematici del rapporto negazio­ ne-affermazione, immanenza-trascendenza, ateismoricerca di Dio; e, in via preliminare, alcuni aspetti metodologico-interpretativi, a cominciare dal rapporto afo­ risma-sistema. Al centro dell'Interpretazione jaspersiana - in antitesi a quella heideggeriana - vi è l’idea dell’indissolubile legame di pensiero e vita: bisogna partecipare intimamente al continuo «movimento» del pensiero nietzschiano nel suo concreto farsi, alla sua filosofia sperimentale, che è a un tempo «pensata e vissuta». Solo così si può pervenire a una vera e pro­ pria «assimilazione» di Nietzsche, cioè a un’autentica comprensione del suo filosofare, che implica al tempo ste sso una su a appropriazione e rielaborazione per­ sonale. In tal sen so Ja sp e rs getta luce non solo sulla filosofia di Nietzsche, ma anche sulle idee centrali del­ la propria filosofia: quelle di «situazioni-limite», di «ori­ gine», di «trascendenza».

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I S B N 978-88-425-4250-6

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Euro 24,00

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K arl Jaspers

Nietzsche Introduzione alla comprensione del suo filosofare

A cura d i L u igi Rustichelli

MURSIA

Titolo originale dell’opera: Nietzsche. Einführung in das Verständnis seines Philosophierens Traduzione dal tedesco di Luigi Rustichelli

I diritti di elaborazione in qualsiasi forma o opera, di memorizzazione anche digitale su sup­ porti di qualsiasi tipo (inclusi magnetici e ottici), di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), i diritti di noleg­ gio, di prestito e di traduzione sono riservati per tutti i paesi. L’acquisto della presente copia dell’opera non implica il trasferimento dei suddetti diritti né li esaurisce. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, memoriz­ zata o trasmessa in alcuna forma o con alcun mezzo, elettronico, meccanico, in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta dell’Editore. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 653.

www.mursia.com ©Copyright 1974 Walter de Gruyter & Co., Berlin-New York ©Copyright 1996 Ugo Mursia Editore S.p.A. per l’edizione italiana Proprietà letteraria riservata - Printed in Italy 4337/AC - Ugo Mursia Editore S.p.A. - Milano Stampato da DigitalPrint Service - Segrate (Milano) Anno

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Bisogna imparare a comprendere Nietzsche: è questo il presupposto meto­ dologico dell'ampio studio di Jaspers del 1936. Ciò significa, innanzitutto e in via preliminare, che, prima ancora di un'esposizione della filosofia di Nietzsche, cioè degli esiti speculativi del suo pensiero, bisogna non solo ri­ flettere ma anche partecipare intimamente al suo filosofare, ossia al pecu­ liare modo di procedere del suo pensiero che, come Jaspers sottolinea ripe­ tutamente, è sempre in continuo « movimento » (Bewegung); in tal senso si spiega il sottotitolo del libro, che intende appunto essere un'introduzione alla comprensione del filosofare nietzschiano. È questa una problematica che coinvolge i principali nodi, da una parte, del pensiero di Nietzsche, e dall’altra, della stessa filosofia di Jaspers,1 a cominciare dal concetto di Aneignung (assimilandone, appropriazione), a cui tale problematica, per molti aspetti, può essere ricondotta: una piena ed autentica comprensione del « nuovo filosofare » di Nietzsche non può che essere, ad un tempo, un'appropriazione intesa anche come rielaborazione personale del suo pensiero. Si tratta del concetto, elaborato dallo stesso Nietzsche, dell’assimilazione del pensiero dei grandi filosofi del passato, che non consiste in una sua mera ripresa o contemplazione, ma - come già i Greci ben sapevano e ci insegnano - deve essere una sua « incorpo­ razione », cioè appunto una costruttiva appropriazione, in grado di ser­ vire e « vivificare » il presente, la nostra vita e il nostro pensieror Bisogna dunque procedere ad una assimilazione del pensiero di Nietz­ sche, anzi, piti precisamente, dell’insieme delle sue Denkerfahrungen; già il concetto stesso di assimilazione, ulteriormente rafforzato da questa sot‘ Jaspers riprende molti concetti della filosofia di Nietzsche che, ulteriormente rie­ laborati, diventano centrali per il suo stesso pensiero; e cosi facendo, come ha osser­ vato Wahl, rende pili concrete le proprie teorie; nello studio su Nietzsche, « molte delle nozioni che rimanevano astratte nei tre bei volumi in cui Jaspers ha esposto la sua filosofia conseguono maggior precisione, vita e pienezza »; le idee di situazionelimite, di appello, di origine, di trascendenza, di cifra « trovano qui la loro illustra­ zione », per cui si può dire che questo suo libro è importante, oltre che per la com­ prensione di Nietzsche, « per la comprensione della filosofia di Jaspers » (J. Wahl, Le Nietzsche de Jaspers, in « Recherches philosophiques », 1936-1937, p. 346), 2 V., ad es., F. N ietzsche , Sämtliche Werke. Kritische Studienausgabe, a cura di G. Colli e M. Montinari, Berlin-New York, de Gruyter, 1980, voi. 7, pp. 432-433; tr. it. in Opere, a cura di G. Colli e M. Montinari, Milano, Adelphi, 1964 sgg., voi. I l i , tomo III, parte II, p. 18: « I Greci [...] sanno imparare-, enorme capacità di assimilazione [ Aneignungskraftj. [...] soltanto nei Greci tutto si è trasformato in vital ». Sul concetto di Aneignung, di cui Nietzsche sottolinea il senso fisiologico, associando spesso 1’« assimilazione corporea » all’« assimilazione spirituale », cfr. anche voi. V, t. II, p. 348 e voi. VI, t. II, p. 255.

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tolineatura con l’espressione « esperienze di pensiero », ci indica qual è, secondo Jaspers, il punto di partenza, ovvero il presupposto imprescindibile per una corretta comprensione di Nietzsche. Poiché il suo filosofare non è una fredda ed astratta riflessione meramente speculativa, bensì un’espe­ rienza vissuta, se vogliamo veramente comprendere Nietzsche dobbiamo pensare e sentire insieme a lui, provare noi stessi quella « passione » da cui egli era animato. In altri termini, è necessario seguire simpateticamen­ te Nietzsche nella sua idea di fondo dell'indissolubile unità di vita e cono­ scenza, secondo cui ogni filosofia deve essere ad un tempo « pensata e vissuta », deve cioè essere, riprendendo la sua nota formulazione, una « ßosofia sperimentale » ? Per Jaspers, ciò significa che bisogna stabilire uno stretto « rapporto » con Nietzsche, « entrare in comunicazione » e procedere insieme a lui nel continuo movimento della sua vita e del suo pensiero: non semplicemente « contemplare », ma com-prendere, prender parte direttamente a tale mo­ vimento. È per questo che Jaspers tiene innanzitutto presente la stessa « autocomprensione » di Nietzsche, cioè il modo in cui ha retrospettiva­ mente inteso e vissuto il proprio cammino speculativo: gli scritti autobio­ grafici, sia quelli giovanili sia le sue ultime opere, cosi come i numerosi luoghi e frammenti in cui, con spirito autocritico, egli ha interpretato a ritroso le varie fasi del suo pensiero, e soprattutto le tarde prefazioni che ha scritto per le sue opere precedenti costituiscono un accesso essenziale al suo filosofare. Non si tratta infatti di una semplice « autoriflessione » o « autosservazione », ma della « formidabile capacità » che Nietzsche ha mostrato nel comprendere il proprio pensiero, sempre sulla base della pro­ pria esperienza vissuta, indicandoci la peculiare unità del suo movimento.1*4 Ne consegue l’impostazione di fondo che contraddistingue lo studio dì Jaspers (a differenza di altre interpretazioni, come ad esempio quella di 1 « Io parlo solo di cose che ho vissuto e non di cose semplicemente “pensate” ; in me manca l’antagonismo tra pensiero e vita. La mia “ teoria” si sviluppa dalla mia “prassi” » (F. N ietzsche , Opere, vol. V I, t. I l i , p. 605). Per Nietzsche, che su que­ sto punto polemizza contro tutta la riflessione filosofica precedente, filosofare non è tanto una questione di conoscenza, quanto piuttosto di esperienza, un’esperienza vis­ suta e sofferta personalmente: da questa esigenza nasce appunto la sua idea centrale di una Experimental-Philosophie; su ciò rimando al mio saggio La profondità della su­ perficie. Senso del tragico e giustificazione estetica dell'esistenza in Friedrich Nietzsche, Milano, Mursia, 1992 (cfr. spec. 1’« Introduzione », pp. I l e sgg., e la parte su « L ’idea di una Experimental-Philosophie come filosofia del tragico», pp. 33-82). 4 Jaspers sottolinea la distinzione tra Selbstrefiexion e Selbslbeobachtung, da una parte, e Selbstversl'àndnìs dall’altra, e scrive: « La psicologia nel senso dell’autosservazione si distingue dalla psicologia che chiarisce l’esistenza, che assume la forma dell’autocomprensione: l’autosservazione si riferisce allesserei empirico, anche al proprio, mentre l’autocomprensione si riferisce ad un’esistenza possibile » (pp. 343-344). Nel qua­ dro della sua « filosofia sperimentale » Nietzsche sostiene che, per la conoscenza di se stessi, l’introspezione non è sufficiente, in quanto « l ’unico mezzo per conoscere veramen­ te qualcosa consiste nel tentare di farlo » (F. N ietzsche , Opere, vol. IV, t. I, p. 152); per cui, come giustamente osserva Jaspers, « nella sua autocomprensione, vita e cono­ scenza si unificano nell’attività dello sperimentare » (p. 350).

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Heidegger), che può essere riassunta nella seguente esigenza: « I pensieri di Nietzsche debbono essere inseriti in un solo grande processo, che è al contempo sistematico e biografico » ; proprio la consapevolezza dell’unità di vita e conoscenza implica che il « contenuto filosofico » dell’esperienza nietzschiana risieda indissolubilmente « tanto nella vita quanto nel pen­ siero di Nietzsche ». Per una corretta comprensione del filosofare di Nietz­ sche non si può assolutamente prescindere da uno studio della sua vita, che è dunque fondamentale per cogliere il « movimento » del suo pen­ siero, cioè il suo sviluppo temporale (pp. 31-32). Tralasciare questo aspetto significa precludersi la possibilità stessa di una completa comprensione del suo pensiero. Ma ciò non è sufficiente; bisogna procedere anche a delle connessioni sistematiche, cioè seguire sistematicamente, senza tralasciare nulla, tutta l’evoluzione della filosofia di Nietzsche, cercando di collegare i vari pensieri. Non è certo un compito facile; anzi, comporta un'aporia di fondo: procedere a delle connessioni sistematiche significa infatti prescin­ dere dal momento della stesura dei suoi singoli pensieri. Jaspers, che è ben consapevole di tale difficoltà, procede con cautela su questo punto centrale dell'interpretazione di Nietzsche. Come è noto, Nietzsche era contro la forma del sistema filosofico, della « costruzione sistematica »; egli si mostra sprezzante nei confronti della « volontà di sistema », in cui vede « una mancanza d ’onestà », « una spe­ cie di impostura », ed afferma: « Non sono abbastanza limitato per un si­ stema - e nemmeno per il mio sistema » ? Conseguentemente, come osser­ va Jaspers, « in Nietzsche si presenta un nuovo modo di filosofare, che non diventa un sistema di pensiero compiutamente elaborato (...]. Egli è come un eterno punto di partenza » ; ed è per questo che ha « cosciente­ mente eletto l'aforisma a forma ». Ciononostante, Nietzsche « pensa al tutto », e vi è pur sempre nel movimento del suo pensiero una « unità in­ terna ». Per cui si può dire che il suo filosofare non è né sistematico, né aforistico (pp. 402, 339, 407 e 23). Per esprimere questo aspetto che riguarda il principale nodo struttu­ rale del pensiero di Nietzsche, e dunque le modalità della sua compren­ sione, Jaspers riprende una metafora che lo stesso Nietzsche utilizza in di­ verse occasioni, parlando della propria opera come di un edificio in corso di costruzione, Scrive Jaspers: « È come se si facesse saltare in aria il fianco di una montagna, per costruirvi un edificio; le pietre, più o meno sbozzate, fanno pensare ad un tutto, ma l’edificio non è ancora stato co­ struito. Il fatto che dell’opera in via di costruzione vi siano per ora solo cumuli di macerie non impedisce che la sua struttura sia comunque ben presente a colui che sa come costruire; davanti a lui stanno numerosi fram­ menti che si possono combinare in diversi modi ». Da una parte, le pietre « possono essere riconosciute soltanto se sono poste in relazione all'idea globale della costruzione », ma d'altra parte la stessa costruzione « non può5 5 F. N ietzsche , Opere, voi, VI, t. I l i , p. 58; voi. V II, t. II, p. 118; voi. V ili, t. Il, p. 180.

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essere determinata con certezza ed in modo univoco; sembra piuttosto che vi siano varie possibilità di costruzione ». Ne consegue che, per una cor­ retta comprensione ed esposizione del pensiero di Nietzsche, non si tratta di procedere ad una « ricostruzione archeologica », perché ciò significhe­ rebbe fargli violenza; bisogna invece sempre « contemplare ad un tempo sia la possibilità di una costruzione sistematica del suo pensiero, sia quella del suo crollo » (pp. 23 e 24). Dunque, fuor di metafora, ciò che Nietzsche ha scritto deve sempre esser colto e compreso non solo nel contesto in cui fu scritto (cioè nel suo sviluppo temporale), ma anche nel « contesto del tu tto » (cioè nell’insieme del suo sviluppo complessivo e sistematico)!“ È bene precisare che Jaspers non considera affatto come un limite que­ sto aspetto del pensiero di Nietzsche: il fatto che esso non si risolva in un sistema compiuto, ma sia « un’opera in corso di costruzione » è semmai l ’intima novità e, come vedremo, il grande insegnamento del filosofare nietzschiano. Si tratta sempre, insomma, del movimento del suo pensiero che - come osserva efficacemente Jaspers, riprendendo anche in questo con­ testo termini e concetti consueti della propria filosofia — è senza terreno, rifiuta ogni « solido » terreno, ed ha invece la sua peculiarità appunto nella forma dell‘essere-in-movimento, ¿tó/’essere-in-cammino.- nel suo pen­ siero che è vita, Nietzsche sperimenta tutte le possibilità, e dunque esso « non può fermarsi in alcun luogo », « non è nulla di definitivo » (cfr. pp. 350-351). Questo movimento è innanzitutto un movimento di distruzione, ossia, sul piano logico formale, di negazione. La negazione è la parte più viva del suo pensiero, più stimolante e « più vera » delle sue stesse affermazio­ ni. Jaspers rileva che la costante preoccupazione di Nietzsche è quella di pervenire dalla negazione all'affermazione: infatti, già nell’atto stesso del negare è possibile cogliere il movimento positivo dell’affermare. Più pre­ cisamente, il significato dell’incessante « movimento » del pensiero di Nietzsche - o, per usare la sua espressione, dei suoi continui « superamen­ ti » ed « autosuperamenti » - sta nel fatto che egli « non si abbandona definitivamente a nulla di negativo e a nulla di positivo appartenente al­ l ’esperienza possibile, ma rischia semmai tutte le posizioni, per dominarle tutte attraverso una negazione dialettica ». Jaspers definisce questo modo di procedere come la dialettica reale di Nietzsche: ogni posizione, nel mo­ mento in cui viene da lui negata, implica l’affermazione della posizione op* Come si accennava, è assai difficile rimaner fedeli a questa duplice esigenza nell’esposizione del pensiero di Nietzsche; cosi, Jaspers riconosce di essere stato co­ stretto, proprio per le esigenze stesse dell’esposizione, a separare i pensieri fondamen­ tali di Nietzsche, che sono invece « di una costante unità » (p. 262); ed ammette che lo stesso procedimento della citazione (di cui egli ampiamente si serve, in quanto è al­ trettanto necessario per l’esposizione) contiene di per sé una « forzatura ». D ’altra parte, pur affermando ripetutamente la necessità di collegare sistematicamente i pen­ sieri di Nietzsche, in quanto essi « acquistano il loro vero significato non già nella loro singolarità, bensì nel loro insieme » (p. 408), Jaspers riconosce altresì che « se si cerca di ricavare il sistema [...], allora si naufraga in un compito senza fine» (p. 360).

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posta, che a sua volta è destinata ad entrare nel perenne movimento del mettete in discussione; non si tratta di un movimento dialettico in senso tradizionale (che abbraccia il tutto « in una rapida visione d'insieme », sulla base d i « una sintesi conosciuta a priori »), ma di un movimento che perviene semmai ad « una sintesi esistenzialmente aperta » ; in breve, in tale dialettica — in cui Nietzsche non si limita a negare, e dunque « supe­ ra » il nichilismo — « il no è il cammino verso il nuovo si » (pp. 351, 350 e 352). A ben vedere, il senso di questa dialettica di negazione ed afferma­ zione, distruzione e costruzione, si trova esplicitamente indicato in un si­ gnificativo passo in cui Nietzsche riassume il suo concetto di filosofìa spe­ rimentale: « lina filosofia sperimentale come quella che io vivo, anticipa a mo' di prova anche le possibilità del nichilismo sistematico, senza che sia perciò detto che essa si fermi a un "no”, a una negazione, a una volontà di "no". E ssa vuole anzi giungere, attraverso un tale cammino, al suo op­ posto - a »«'affermazione dionisiaca del mondo cosi com’è, senza detrarre, eccepire o trascegliere — vuole il circolo eterno » ? E si ritrova anche, sia pure solo accennato, nella formula « magia dell’estremo », che esprime la sua volontà di passare da un estremo all'altro, sondando tutte le possi­ bilità e lasciandole vivere in tutta la ricchezza delle loro determinazioni. Si tratta, in fondo, del processo stesso con cui l ’uomo consegue la sua estrema libertà, in quanto creatore e plasmatore di se stesso: l ’uomo, « questo grande sperimentatore di se stesso », che cosi crudelmente infie­ risce su di sé (poiché per creare è necessario distruggere, ed egli sa che « nell'uomo creatura e creatore sono congiunti »), sperimenta dunque la « malattia » come necessario viatico verso una superiore « salute » , pas­ sando cioè dalla negazione della vita alla sua entusiastica affermazione: « Quel no che egli dice alla vita porta alla luce, come per magia, una mol­ titudine di più squisiti si; proprio cosi, se si ferisce, questo maestro della distruzione, dell'autodistruzione - è poi la ferita stessa che lo costringe a vivere » ? Ma non è cosi semplice cogliere questo movimento del pensiero nietz­ schiano e la sua intima « dialettica » ; il suo tratto fondamentale è infatti la contraddizione. Qui Jaspers non si limita semplicemente a constatare l'evidente contraddittorietà di Nietzsche, per cui leggendo i suoi scritti « non bisogna mai essere soddisfatti fino a quando non si è trovata anche la contraddizione » ; più ancora, aggiunge Jaspers, per comprendere cor­ rettamente Nietzsche bisogna mettere in pratica la logica del contraddittore, cioè « bisogna aver sempre presente la via opposta a quella che la lettura dei suoi scritti sembrerebbe direttamente indicarci » (pp. 30 e 29). La contraddittorietà o equivocità di Nietzsche non consegue solo dal fatto che quasi tutti i concetti predominanti del suo pensiero (pessimismo, F. N ietzsche , Opere, voi. V ili, t. I l i , pp. 281-282. * F. N ietzsche , Opere, voi. VI, t. II, pp. 325 e 134; sulla « magia dell’estremo » cfr. voi. V ili, t. II, p. 155. ’

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nichilismo, scetticismo, ebbrezza, ecc.) hanno un duplice senso, sono « am­ bivalenti » ('zweideutig), ma anche e soprattutto dalla sua affermazione che la realtà stessa è ambivalente ed enigmatica, e non può essere univocamente determinata: non esistono fatti, ma solo molteplici interpretazioni di que­ sti fatti. Si può dunque dire che la contraddittorietà di Nietzsche deriva sostanzialmente dal suo « immenso impulso alla veridicità » (p. 375). Jaspers riprende e sottolinea giustamente la distinzione nietzschiana tra « verità » e « veridicità » (e si dovrebbe anche aggiungere il concetto di « verosimiglianza »): per Nietzsche non esiste una « verità in sé », la ve­ rità è necessariamente « ambigua », « equivoca », si dà solo nella molte­ plicità dei punti di vista, delle prospettive. È questa la sua teorìa del « pro­ spettivismo »,9 attorno alla quale ruotano molti e complessi temi della filosofia di Nietzsche. Jaspers —che anche in ciò può ritrovare diverse affinità con la sua stessa filosofia - si sofferma, tra gli altri, su quello della « ma­ schera », che è per Nietzsche una profonda necessità: « Ogni spirito pro­ fondo ha bisogno di una maschera »; infatti, « non si scrivono forse libri al preciso scopo di nascondere quel che si custodisce dentro di sé? [ ...] Ogni filosofia è filosofia di proscenio [ ...]. Ogni filosofia nasconde anche una filosofia; ogni opinione è anche un nascondiglio, ogni parola anche una maschera ».10 La maschera (cosi come il « simbolo » e il « canto », ed ogni forma di « comunicazione indiretta » di cui Nietzsche si serve) esemplifica il processo dì nascondimento-disvelamento dell’essere, ed esprime il carat­ tere necessariamente « equivoco » della verità. Indubbiamente, la filosofia di Nietzsche è piu nascosta che manifesta; ma l'uso che egli fa della ma­ schera non mira ad ingannare; si tratta invece della « maschera che protegge per essere penetrabile solo dallo sguardo autentico che coglie la verità» (p. 364). Da tutte queste osservazioni risulta quanto sia difficile comprendere Nietzsche; ogni interpretazione nettamente definita è, nel suo carattere unilaterale, decisamente scorretta; questo è secondo Jaspers l’errore di fondo delle interpretazioni precedenti di Nietzsche. È invece necessaria una lettura lenta, piena di cautele ed anche di riserve, non univoca, ma aperta alla molteplicità delle possibili interpretazioni: « Senza questo aspet­ to dell’ineliminabile ambivalenza ed equivocità, Nietzsche non rimarrebbe se ste sso » (p. 37 3 ). In altri termini, riprendendo la metafora dell’opera di Nietzsche come un edificio in corso di costruzione, poiché Nietzsche non ha mai portato a termine questo edificio — e il suo filosofare è rimasto un costante progetto, un incessante tentare e sperimentare - , una corretta espo­ sizione del suo pensiero non può che limitarsi a « cercare di ricostruire la struttura dell’edificio » , con la costante consapevolezza che « essa non si * Cfr. ad es. F. N ietzsche , Opere, voi. V, t. II, p. 174 e voi. V II, t. I, parte I, p. 203. * F. N ietzsche , Opere, voi. V I, t. II, pp. 47 e 201.

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mostrerà mai a nessuno nella sua completezza, in modo chiaro ed inequi­ vocabile » (p. 24). Se, alla luce di quel che si è detto, si vuole tentare una breve valu­ tazione dello studio di Jaspers, si possono fare le seguenti considerazioni (anche in questo caso ci limitiamo al principale nodo strutturale della sua esposizione, senza entrare nel merito dei numerosi temi e aspetti specifici del pensiero nietzschiano da lui affrontali). Nell’« Introduzione » Jaspers sostiene che l’« esposizione » (DarstelJungJ del pensiero di un filosofo « non deve diventare l ’occasione, per chi espone, di formulare una sua propria filosofia » (p. 3 3); sorge qui spon­ taneo il dubbio se Jaspers sia effettivamente rimasto fedele a questo suo intento, o non abbia piuttosto interpretato la filosofia nietzschiana in modo più vicino al proprio pensiero che non a quello di Nietzsche stesso. Ap­ pare infatti evidente che■ la lettura di Jaspers è condotta alla luce della sua propria filosofia, e non è esente da forzature, dalla sottolineatura di certi aspetti della filosofia nietzschiana che più sono in sintonia con il suo stesso pensiero, e dalla omissione di altri aspetti. A tal proposito si potrebbe osservare che in uno studio che, pur vo­ lendo essere solo un'introduzione, afronta comunque « i pensieri fondamentali di Nietzsche », appare discutibile il fatto di trascurare compietamente il pensiero estetico (Jaspers dedica solo poche righe al tema del bello: p. 284): ci pare infatti indubbia la centralità del problema dell’ar­ te nel quadro complessivo del pensiero nietzschiano, dalla tesi giovanile - che si ripresenta anche negli anni successivi - della « giustificazione este­ tica dell’esistenza », a quella tarda della « volontà di potenza come arte ». Ma non è tanto questo il punto su cui conviene soffermarsi; cosi come non serve, sempre in questo contesto, addentrarsi nella discussione sui ri­ lievi critici all’impostazione di Jaspers, con particolare riferimento al suo discorso sulle contraddizioni in Nietzsche, e all’effettiva possibilità di ot­ temperare nello stesso tempo all’esigenza dì considerare lo sviluppo tem­ porale del suo pensiero e di operare delle connessioni sistematiche che in­ vece prescindono dal momento della stesura dei suoi scritti,n Conviene piuttosto prendere in considerazione, in quanto esemplificativo del modo di procedere di Jaspers, il punto di partenza e filo conduttore del suo studio: l'unità di vita e pensiero in Nietzsche, cioè l'idea di una « filosofia spe­ rimentale ». Dal punto di vista metodologico, è vero che Jaspers espone, per cosi " Tale critica è stata mossa (con argomentazioni a nostro avviso sbrigative, se non proprio infondate) da Kaufmann, che pure considera lo studio di Jaspers come «un o dei migliori libri che sono stati scritti finora su Nietzsche»; Jaspers, osserva Kaufmann, « raccomandava ai lettori del filosofo di non sentirsi soddisfatti finché non avessero trovato altri passi che contraddicevano quelli trovati prima »; ma « la stessa interpretazione di Jaspers si appaga di contraddizioni superficiali, non tiene conto del contesto in cui si pongono i frammenti che ha raccolto nelle sue schede, dello sviluppo del pensiero nietzschiano, e della differenza esistente fra libri e appunti di Nietzsche » (W. K aufmann, Nietzsche. Philosopber, Psycbologist, Antichrist, tr. it. di R, Vigevani, Nietzsche. Filosofo, psicologo, anticristo, Firenze, Sansoni, 1974, pp. 93 e 11).

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dire oggettivamente, o, secondo il suo esplicito intento, in modo « docu­ mentato » questo tema (anche in questo caso, egli lascia parlare Nietzsche, con ampie citazioni), evidenziando le sue molteplici implicazioni; poi lo valuta alla luce di uno dei punti centrali del suo stesso pensiero, la serietà dell’impegno esistenziale, preoccupandosi di mostrare che non è in contrad­ dizione con esso;'7 e soprattutto ne fornisce un’interpretazione complessiva condizionata, o quantomeno fortemente orientata dalla sua filosofia: cioè anche questo aspetto centrale del pensiero di Nietzsche (cosi come i temi specifici su cui si sviluppa, soprattutto il « superuomo » e l’« eterno ritor­ no »), esprimerebbe un suo costante anelito verso la trascendenza.1 1*3 A tal proposito si potrebbe obiettare che, se indubbiamente la filoso­ fia sperimentale di Nietzsche può esser vista come un’espressione del con­ tinuo trascendere del suo pensiero (nel senso del suo incessante « proce­ dere oltre », senza mai arrestarsi in nessuna fissa dimora, in nessuna acqui­ sizione certa), è però sbagliato interpretare questo trascendere nel quadro della « teologia cristiana », come ha giustamente osservato Kaulbach.'* Ma, a nostro avviso, per una valutazione complessiva dello studio di Jaspers - ed anche, se si vuole, come risposta a queste obiezioni - si deve tener presente, ancora una volta, la tematica dell’assimilazione. Bisogna innanzitutto osservare (anche perché Jaspers conferisce un pre­ ciso significato a questi termini) che ««'esposizione come quella di Jaspers, che si propone di essere un’introduzione alla comprensione del pensiero di Nietzsche, è necessariamente una interpretazione (altro concetto co­ mune a Jaspers e Nietzsche: ogni vera comprensione è una Auslegung), è cioè inevitabilmente destinata a dare « qualcosa dì piu » e nello stesso tempo « qualcosa di meno » (cfr. p. 360). Proprio perché Nietzsche non ha sviluppato sistematicamente la sua filosofia, anche se vi è pur sempre in lui una « tendenza all’unità », biso­ gna cercare di « far emergere, mediante il proprio pensiero, ciò che è ri­ posto nel pensiero dell'altro » (p. 33); è cioè necessario « l ’apporto aggiun­ tivo di un pensiero unificante» (p. 408), in quanto non è possibile « c o ­ gliere l ’unità nel pensiero di Nietzsche se non a colui che la consegue con le proprie forze» (p. 24). Nessuno deve dunque «arrestarsi a Nietzsche 11 II postulato basilare della Experimental-Philosophie consiste nel « fare della propria vita un esperimento » (F. N ietzsche , Opere, voi. V ili, t. I l i , p. 386); ma allora, si chiede Jaspers, la vita non perde forse la sua serietà? E cosi risponde: Nietzsche è l’uomo « per il quale ogni avvenimento ha tutta la serietà della sperimen­ tazione del possibile », e attraverso il suo continuo sperimentare Nietzsche realizza il suo impegno e la sua «identificazione con il mondo» (pp. 349 e 350). 13 Secondo Jaspers, il pensiero di Nietzsche, animato dalla ferrea volontà di « una pura immanenza », è in realtà « continuamente scosso dalla trascendenza che egli nega, prepara alla trascendenza che egli non mostra» (p. 411). Il suo filosofare è un continuo tentativo di trovare un « sostituto (Ersatz) della trascendenza », ma è un tentativo « fallito », in quanto « il ripudio della trascendenza la fa subito risor­ gere»; e quindi Nietzsche mostra, sia pure « inintenzionalmente e inconsapevolmente», che l’uomo « non può compiersi senza trascendenza » (pp. 384, 385 e sgg.). " Cfr. F. K aulbach, Nietzsches Idee einer Experimentdphilosophie, Koln-Wien, Bohlau, 1980, pp. 175-176.

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e trovare in lui il proprio pieno compimento », poiché « ciò che Nietzsche veramente è, potrebbe essere alla fine deciso solamente da ciò che altri gli apportano, accostandosi a lui ». In breve: « Filosofare con Nietzsche si­ gnifica affermarsi continuamente contro di lui » (pp. 409, 411 e 412). Ebbene, questo duplice aspetto, apparentemente contraddittorio, è ap­ punto richiesto dal processo di assimilazione e ne rappresenta anzi il conte­ nuto di fondo, ad essa connaturato: 15 comprendere e assimilare Nietzsche significa ad un tempo procedere insieme a lui e staccarsi da lui; o meglio, come Jaspers ribadisce anche nella parte finale del libro, significa entrare comunque « in comunicazione con lui », cioè partecipare « all’autenticità e alla veracità del movimento del suo pensiero », alla sua sostanza, che è appunto quella de//'essere-in-cammino, senza fermarsi mai, neppure lad­ dove Nietzsche corre il rischio di fermarsi o, a volte, effettivamente si ar­ resta su posizioni dogmatiche. Dobbiamo « conservare la libertà del movi­ mento autentico », senza irrigidirci in nessuna « dottrina » (cfr. pp. 405 e 406): « Comprendere Nietzsche non vuol dire accettarlo, ma semmai pla­ smare se stessi, attivamente e soprattutto continuamente, senza cioè ter­ minare mai definitivamente quest'opera di formazione » (p. 409). L ’assimilazione dì Nietzsche implica necessariamente una « trasfor­ mazione » di noi stessi, che non significa un « divenir-altro », ma un « divenire-sé », cioè il raggiungimento della piena consapevolezza di ciò che realmente siamo (il processo de//'Innewerden,), del nostro eterno fondamen­ to e del nostro stesso filosofare; /'educazione che riceviamo da Nietzsche consiste nel costante stimolo ¿//'autoeducazione, nel senso che siamo sol­ lecitati a porci continuamente dei dubbi, a ; ma per far ciò è necessario « es­ sere fondamentalmente sani. Un essere tipicamente morboso non può gua­ rire, né tantomeno guarirsi; invece per un essere tipicamente sano la ma­ lattia può diventare un energico stimulans alla v ita » (15, 12). « Il mio modo di essere malato e sano è un buon tratto del mio carattere» (12, 219). « Manca in me un qualsiasi tratto morboso; anche in tempi di grave malattia io non sono diventato morboso » (15, 47). \.a fine

Ognuna delle tre parti in cui abbiamo qui presentato la vita di Nietzsche, ha mostrato un volto fallimentare. Lo sviluppo spirituale non ha potuto realizzarsi compiutamente nell’opera, secondo l’obiettivo che Nietzsche si era prefissato, ed è dunque rimasto un cumulo di macerie; la vita di Nietz­

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sche è stata un’« esistenza eternamente problematica per mille motivi ». Le sue amicizie sono sfociate nell’esperienza di una solitudine che forse fino ad oggi nessuno ha provato. La malattia di Nietzsche non ha solo in­ terrotto in modo rovinoso la sua vita, ma, nella sua lenta evoluzione, gli è talmente connaturata che, senza la malattia, non potremmo immaginarci né la sua vita, né la sua opera. Oltre a ciò, in quasi tutta la vita di Nietzsche è presente un che di straordinario, nel senso dell’eccesso: la troppo precoce carriera di docente universitario, le miserie editoriali spinte fino al grottesco, la sua vita da fugitivus errans. Nella più completa solitudine, nel 1888 la dialettica di Nietzsche si è elevata sino alla negazione illimitata, opponendo al no ra­ dicale soltanto un si indeterminato. Cosi si è interrotto il suo cammino. Ma prima, nel corso dell’ultimo decennio, anche l ’esperienza mistica era stata condotta fino al compimento della certezza dell’essere: nel diti­ rambo di Dioniso « Il sole declina » (8, 426), Nietzsche ha visto finire il giorno e la luce della sua vita: « La sete non sarà lunga, riarso cuore!... da bocche ignote un soffio giunge verso me - la grande frescura viene... ». Egli dice a se stesso: « Resta forte, mio cuore ardito, non domandare: perché? ». Il desiderio di Nietzsche viene esaudito: «Serenità, aurea, vieni! tu che pregusti la gioia della morte il più dolcemente, segretamente!... Solo giuoco e onde intorno. Ciò cui accadde d ’esser pesante sprofondò in azzurro oblio ». Ed egli trova la sua strada nell’essere aperto: « Lieve, argentea, come un pesce la mia navicella ora nuota lontano ».

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LIBRO SECONDO

I PENSIERI FONDAMENTALI DI NIETZSCHE

È difficile trovare un argomento su cui Nietzsche non abbia espresso la propria opinione; i suoi scritti contengono infatti osservazioni sullo Stato, la religione, la morale, la scienza, l ’arte, la musica, la natura, la vita, la malattia, il lavoro, l ’uomo e la donna, l ’amore, il matrimonio, la famiglia, i popoli, le epoche, la storia, le personalità storiche, i contemporanei, e in generale sui problemi fondamentali della filosofia. Questi problemi pos­ sono avere, di volta in volta, un peso maggiore o minore; in ogni caso, la giusta comprensione delle singole affermazioni di Nietzsche dipende dalla padronanza dei tratti fondamentali del suo pensiero e dalla conoscenza dei contenuti preminenti. Ai tratti fondamentali del pensiero di Nietzsche si può pervenire at­ traverso una duplice via: seguendo il suo continuo negare e cogliendo il positivo. G ià nel negare è sempre presente ciò che abbraccia i principi po­ sitivi, che sono indirettamente espressi nell’atto stesso del negare; vicever­ sa, nella comunicazione diretta della verità è sempre già presente la con­ traddizione, che comprende, nel movimento di pensiero che nasce da ciò che tutto abbraccia, le posizioni apparentemente piu assolute!; salvo i casi in cui Nietzsche, contro la sua natura, non venga a trovarsi per un momento in una fissità dogmatica, che è in lui una sorta di trasgressione, e che in effetti non si verifica mai completamente. Pervenire dal negativo al positivo è il problema che ha preoccupato fino alla fine la coscienza di Nietzsche. Ciò non va inteso nel senso che Nietzsche, nel corso della sua vita, dopo una fase soltanto critica, un giorno si sia trovato in possesso di un nuovo credo. In ogni momento vi è in lui il pericolo del nulla, e in ogni momento anche la scoperta e l ’espe­ rienza dell’essere. Ancora negli ultimi anni egli si annoverava tra i nichi­ listi radicali, insieme a Burckhardt e Taine, « sebbene io stesso pur sem­ pre non disperi di trovare la via d ’uscita e la breccia, attraverso la quale si perviene al “ qualcosa” » (a Rohde, 23. 5. 87). Fino al momento del suo crollo mentale, negazioni e affermazioni si oppongono in un’aspra contraddizione: « Non sarò io a elevare nuovi idoli... Rovesciare idoli (parola che uso per dire “ideali” ) - questo si è affar mio » f 15, 2). E al contrario: « Dopo lunghi anni... continuo a fare in pubblico ciò che faccio sempre e sempre ho fatto in privato: dipingere sul muro immagini di nuovi ideali » (14, 351). Questa contraddizione è per lui l’espressione dell’unico processo ne­ cessario, dopo che « Dio è morto ». G li ideali sono per lui idoli, se ap­ partengono al passato, e sono invece verità se rappresentano il futuro. « Chi non trova piu la grandezza in Dio, non la trova piu da nessuna parte,

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- deve negarla oppure crearla » (12, 329). Nietzsche la vuole creare: « Voi chiamate ciò l ’autodistruzione di Dio: ma è invece soltanto il suo cambiar di pelle... voi dovrete rivederlo presto, al di là del bene e del male » (12, 329). Ciò che per la coscienza di Nietzsche e nel suo agire effettivo appare come duplice, cioè negare e affermare, dissolvere e creare, annientare e produrre, diventa un falso problema se crediamo di trovare la risposta af­ fermativa sullo stesso piano su cui vale il giudizio negativo: cioè sul piano della comprensione razionale e di una sua possibilità di comunicazione, altrettanto razionale ed accessibile a chiunque. Ci troviamo qui di fronte ad una concezione filosofica originaria. Ciò che è razionalmente universale è in quanto tale critico e negativo, cioè l’intelletto di per sé è distruttivo; positiva è solo la storicità dell’es­ sere, insostituibile, non generale, che riposa su se stesso ed è legato al pro­ prio fondamento, e che tuttavia rimane non solo nascosto, ma privo di essenza, se non giunge a chiarezza per l’intelletto. Nietzsche non ha avuto questa profonda intuizione, che ha portato Schelling a separare la sua filo­ sofia negativa dalla filosofia positiva, ma l ’ha comunque inconsapevolmen­ te seguita, Il negare, come manifestazione della comprensione razionale, è esso stesso un affermare al servizio della storicità. Questa, al contrario, esprimendosi, entra nella sfera del razionale e ricade cosi nell’essere-affermato del movimento. Il razionale è solo di volta in volta la relazione di una cosa in funzione dell’altra e vale solo in questa relazione; ciò che è storico ha vita in se stesso e si comunica nel processo in cui diventa se stesso. Senza la dimensione della filosofia negativa, non vi può essere una filosofia positiva. Solo nel fuoco purificatore del razionale l ’uomo può ve­ ramente giungere alla comprensione della sua positiva storicità. Questa si esprime solo mediante il razionale, con il quale essa comprende, sia pure indirettamente, ciò che ha di storicamente originale. Il positivo come fon­ damento della storicità dell’esistenza si muove quindi in tutte le direzioni della razionalità, adeguandosi pienamente ad esse, ma guidandole e tenen­ dole unite sulla base della sua propria origine storica, la quale non può conoscersi in se stessa, ma si chiarisce soltanto nell’universalità di ciò che si può sapere e di ciò che essa ha prodotto. Il positivo, nella forma di ciò che è esplicitamente affermato, diven­ terebbe però esso stesso razionale-generale e cadrebbe sul piano di una illimitata dissociazione. Poiché, se è cosi che, nella razionalità, si deve ine­ vitabilmente pervenire alla parola e al sapere consapevole, bisogna allora dire che si tratta di una razionalità falsa, in quanto ancora non comprende se stessa. In questa forma, cioè come teoria di una conoscibilità generale, il positivo è già rovinato alla radice, poiché è considerato come puro e semplice intelletto, ed in tal modo diviene un che di generale e di astratto; ciò si verifica nel modo piu radicale quando si utilizza questa teoria della separazione di filosofia negativa e positiva (ossia razionale e storica) per

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far tacere l ’intelletto, e poi rifiutare la verifica razionale delle asserzioni di fatto razionali. Queste relazioni indicano la via verso i contenuti dominanti dell’ope­ ra di Nietzsche: nella misura in cui Nietzsche presenta esplicitamente la sua positività, il contenuto di questa stessa positività viene messo in di­ scussione. In quanto procede per via sperimentale e per tentativi, egli im­ pone delle esigenze straordinarie all’esistenza possibile. La filosofia di Nietzsche si situa in un nuovo contesto filosofico, determinato dai secoli precedenti. Una filosofia ingenua, che può rappresentare Dio e mondo, e in essi l ’uomo, non vede la separazione di razionalità e storicità; essa può co­ municare i suoi contenuti con fredda immediatezza di immagini e pensieri, senza cadere necessariamente in uno smarrimento esistenziale; e piu tardi, dopo la rottura dell’ingenuità, essa può ancora soddisfare esteticamente coloro che si volgono a guardarla attraverso l ’univocità e completezza della sua opera, e può apparire ad essi legittima per la verità stessa dell’esistenza che la produce e sostiene. Quando però, dopo la rottura dell’indiscutibile totalità di Dio, anima e mondo, si avverte e si fa consapevole la separazione tra l’universale razionale e la storicità esistenziale, allora si impongono sul piano del razionale i problemi del dubbio: cioè a dire, nel caso di Nietzsche: cosa è l’uomo? (primo capitolo), cos’è la verità? (secondo capitolo), cosa significano la storia e l’epoca presente? (terzo capitolo). Allora però anche l'essere è presente nella sua storicità, ed è propriamente cercato in una volontà tesa verso l’avvenire (quarto capitolo), come interpretazione del mondo in questo momento (quinto capitolo), come unità mistica dell’essere (sesto capitolo). In questi problemi del dubbio vi è per Nietzsche lo stimolo che già appaga positivamente: l’amore per la natura umana nobile, che dubita dell’uomo in ogni sua forma reale; l’inesorabile serietà di una veridicità che mette in dubbio la verità stessa; il compimento in figure storiche, che naufraga di fronte alla mancanza di senso e di fini della storia. Nelle accezioni positive, la volontà tesa all’avvenire si presenta come progetto della grande politica, che è radicata nel concetto ancora indeter­ minato del creare; è una dottrina planetaria della volontà di potenza, come appassionata visione dei sostenitori del movimento di reazione contro il nichilismo, che, muovendosi circolarmente, elimina se stessa; è l’esperienza dell’essere in situazioni mistiche, espressa anzitutto nella dottrina dell’eter­ no ritorno, che cade in paradossi. I contenuti del pensiero di Nietzsche, per la loro stessa essenza, si mostrano solo a colui che ha già quegli stessi pensieri. Pertanto, il pen­ siero di Nietzsche può in un primo momento apparire vuoto, ma poi av­ vincere nel modo piu profondo. Esso è vuoto, se si vuole avere qualcosa che vale per la sua fissità; è pieno, se si partecipa al suo stesso movimento. Se la nostra comprensione è animata dallo stesso originario impulso di Nietzsche, le formulazioni di pensiero negative sono piu pregnanti delle espressioni positive che, nella loro illusoria razionalità, si rivelano subito

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come baccelli al cui interno non c’è proprio nulla. Viceversa, le espres­ sioni positive possono forse per un attimo entusiasmare, se si riesce a com­ prenderle simbolicamente e ad assumerle come segni; e a loro volta le espressioni negative possono annoiare, se sembra che in esse non vi sia alcuna immagine o pensiero creativo, alcun simbolo. A differenza dei grandi filosofi del passato, ciò che caratterizza Nietz­ sche è che egli opera in modo più vero con le sue negazioni che non con le sue affermazioni. Non viene alla luce dove sbocchi alla fine il suo pro­ prio, piu originario impulso, alla cui vera essenza tuttavia nessun serio let­ tore potrebbe sottrarsi: Nietzsche apre la via, distrugge gli orizzonti troppo stretti; egli non svolge una critica che pone dei limiti, come Kant, ma insegna a porre dubbi; offre ampie possibilità, risveglia le forze che ani­ mano la disposizione intcriore.

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CAPITOLO PRIMO

L ’UOMO

Introduzione: l’insoddisfazione per l’uomo. 1,’esserci dell’uomo: Cos’è l’uomo nel mondo. L ’uomo come originariamente mu­ tevole (rapportarsi a se stessi; gli istinti e le loro trasformazioni). L’uomo che crea se stesso (la morale): L ’attacco alla morale. Il doppio circolo. Ciò che Nietzsche vuole (contro ciò che è generale, in favore dell’individuo; innocenza del divenire; creare; l’uomo che crea se stesso). Creare come libertà senza trascendenza. Il capovolgimento dell’immanenza. L'immagine nietzschiana dell’uomo: L ’uomo superiore. Contro il culto degli eroi. Il superuomo. Introduzione: l’insoddisfazione per l ’uomo

Se è vero che per Nietzsche sembra ormai giunto a decadenza tutto ciò che ha avuto valore, altrettanto vero è che, proprio per questo, bisogna agire ancor piu risolutamente a vantaggio dell’uomo. L ’impulso che in ogni momento lo guida è sia la sua insoddisfazione dell’uomo contempo­ raneo, sia il suo desiderio e la sua volontà di un vero, possibile uomo. Perciò uno dei tratti fondamentali del pensiero nietzschiano è il movimen­ to del suo amore che, deluso, diventa la piu terribile negazione dell’esserci umano, ma poi di nuovo si converte in appassionata affermazione dell’es­ senza dell’uomo. La sofferenza di Nietzsche per gli uomini, cosi come essi sono, è immensa r sempre rinnovata: « Che cosa determina, oggi, la nostra ripugnanza?... Il fatto che il verminaio “uomo” è in primo piano e brulica...» (7, 324); «O ra sono qui, innocenti nella loro miseria. Ed io passo di soppiatto in mezzo a loro ma allora il disgusto mi rode il cuore » ( 12, 274). Nessuno è un essere comple­ to: « E se il mio occhio rifugge dall’oggi verso il passato: sempre esso trova la stessa cosa: frammenti e membra e orride casualità - ma mai un uomo! » (6, 205). Tutto viene dilacerato da questi uomini, tutto viene tradito, « non sopporto di respirare il loro respiro» descrive, è esso stesso alla fine, nonostante la sua funzione « direttiva » , un ricercare. C ’è da chiedersi come sia possibile che la filosofia funga da guida per la scienza, se la filo-; sofia stessa non « è » la verità pura e semplice. Nietzsche non ha spiegato come debba verificarsi in concreto tale guida. E non ha neppure conferito alla filosofia quella fiducia che solitamente le si accorda; anzi, la filosofia come costruzione astratta, concettuale, come pensiero in sé razionalmente coerente - pressoché l ’intera storia della filosofia - è per lui discutibile, nel senso che la verità non trova affatto nella filosofia il suo definitivo fondamento. L a teoria dell'interpretazione: verità e vita

La verità è stata considerata come qualcosa che esiste in modo atempo­ rale, cui ci accostiamo per conoscerlo, come ciò che è immobile ed intan­ gibile, che deve soltanto essere scoperto. La concezione di Nietzsche sui limiti della scienza, la cui pretesa incondizionatezza è solo una povera illusione, cosi come la sua esperienza dell’illimitato impulso del filosofare creativo, gli hanno fatto dubitare del­ l'esistenza della verità nel senso suddetto. Nel movimento di questo dubbio indagatore, egli sviluppa una teoria dell’essere-vero: tutto il sapere è in­ terpretazione dell’essere attraverso una vita di conoscenza; si ha verità soltanto laddove essa è pensata e creduta nella vita, la quale è ciò che ab­ braccia l’essere che noi siamo, e che forse è tutto l ’essere. Per Nietzsche, la verità non è qualcosa che esiste per sé, cioè qualcosa di assoluto ed uni­ versale; la verità è invece indissolubilmente legata all’essere del vivente, in un mondo che l’essere stesso interpreta. Ma questo stesso mondo è tale quale è per noi, ed è con noi permanentemente nel processo tempo­ rale del divenire. Lo sviluppo di questa teoria nasce dal dubbio, che è espressione della volontà di non farsi ingannare da alcuna evidenza non controllata; ma la dissoluzione di ogni verità, che si ritiene sussistere in modo avventato, deve nello stesso tempo condurre alla verità autentica, che risiede nel­ l’origine e nel cammino della stessa esistenza vivente. Questa teoria della verità si sviluppa quindi continuamente tra la negazione di ogni possibile essere-vero ritenuto sussistente e l’essere colpiti da una verità non ancora afferrata: e può essere espressa e comunicata soltanto nella misura in cui viene sviluppata una teoria dell’essere, la teoria di ogni essere come essereinterpretato (sulla cui fondamentale importanza per Nietzsche cfr. il cap. sulla sua « interpretazione del mondo »). La teoria della verità, a sua volta, impone inevitabilmente la questione della sua stessa verità, o comunque del senso in cui essa può valere come verità, in base ai criteri da essa stessa

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stabiliti. Qui di seguito cercheremo dunque di esporre in modo criticamente costruttivo questa teoria. I l carattere illusorio della verità. La nostra natura umana, che, per quan­ to ci è dato di sapere, è l’unica vita in grado d i conoscere, secondo Nietzsche è sorta, nel corso di tutto il divenire, come un modo particolare di inter­ pretare l’essere: « Il fenomeno generale dell’intelligenza è a noi scono­ sciuto, noi abbiamo solo il caso particolare ». Il modo in cui vediamo, pensiamo, concepiamo il mondo è il prodotto del nostro tipo di intelli­ genza. Ma « ci deve essere una comprensione del mondo da parte di ogni tipo di intelligenza» (12, 21). A ll’interno del nostro modo umano di interpretare il mondo - cosi come dovrebbe parimenti accadere in ogni altro modo dell’esserci tempo­ rale con capacità di conoscere - ciò che è ritenuto vero, e che è dunque per noi reale, si trasform a. Il mondo è sorto soltanto « per il fatto che da millenni abbiamo scrutato il mondo con pretese morali, estetiche, reli­ giose, con cieca inclinazione, con passione o timore; e a poco a poco è diventato cosi sorprendentemente variopinto, terribile, profondo di signi­ ficato, pieno d ’anima:... l ’intelletto umano ha fatto comparire l ’apparenza ed ha trasferito nelle cose le sue erronee concezioni fondamentali... Ciò che noi ora chiamiamo il mondo è il risultato d i una quantità di errori e di fantasie che sono sorti a poco a poco nell’evoluzione complessiva degli esseri organici » (2, 31 e sgg.). Il modo in cui una vita in grado di conoscere pensa il mondo, si­ gnifica per questa stessa vita la verità. Ma Nietzsche chiama « errore » la verità legata alla vita: « La verità è la specie d i errore senza di cui una determinata specie di esseri viventi non potrebbe vivere » (16, 19). Però, nella misura in cui questa vita è la condizione del modo di essere di tutto il resto ed è al contempo, quale unico esserci, l ’autentico valore, non bisogna respingere quell’errore: « La falsità di un giudizio non è ancora per noi un’obiezione contro tale giudizio », poiché rinunciare ai falsi giu­ dizi significherebbe rinunciare alla vita; bisogna « ammettere la non verità in quanto condizione della vita » (7, 12 e sgg.). L ’errore utile alla vita è come tale « verità ». Errore è ciò che nella vita si considera verità, non solo perché essa è divenuta tale e può mutare, bensì anche perché è m olteplice in rapporto alla conformazione della vita umana: « Ci sono occhi di molte specie...: e quindi ci sono “ verità” di molte specie, e quindi non c’è nessuna veri­ tà » (16, 47). Tali affermazioni di Nietzsche possono tuttavia avere un senso sol­ tanto se, partendo da una verità che può essere irraggiungibile per la vita, la conoscenza al servizio della vita è riconosciuta come errore. In queste affermazioni ci sono due concetti di verità', la verità è, in primo luogo, l’errore che condiziona la vita; in secondo luogo, è la norma distante dalla vita, da conquistare per cosi dire mediante un abbandono della vita, e in base alla quale quell’errore è riconosciuto come tale.

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Nell’evoluzione del suo pensiero, Nietzsche tenterà di superare que­ sto dualismo. Ciò che è prima chiamato errore della vita, sarà poi l’unica ed intera verità, che propriamente non potrebbe essere chiamata né errore, né verità: « Il concetto di “ verità” è un controsenso. Tutto il regno dei “ vero-falso” si riferisce solo alle relazioni tra esseri, non all’“ in-sé” ... Non c’è un essere in sé » (16, 106-107). Allora, nel modo di pensare di Nietzsche, per verità non si intende « necessariamente il contrario dell’errore, ma, nei casi piu tipici, solo la posizione reciproca di vari errori » (16, 46). Pertanto, Nietzsche si chiede: « Cosa ci costringe soprattutto ad ammet­ tere che ci sia una sostanziale contrapposizione tra vero e falso? Non basta riconoscere diversi gradi di illusorietà e, per cosi dire, ombre e to­ nalità complessive, più chiare e piu scure, dell’apparenza? » (7, 55 e sgg.). La distinzione di verità ed errore è tuttavia inevitabile. Infatti, sol­ tanto grazie a questa distinzione è possibile parlare sensatamente della verità. Soltanto sulla base di essa sarà poi possibile il paradossale ten­ tativo di superare nuovamente la contrapposizione, assumendo che verità ed errore siano, in quanto gradi dell’illusorietà, la stessa cosa. Dato che Nietzsche, di fatto, assume questa posizione, per lui tutto ciò che ha va­ lore in sé scompare nell’apparenza, che è in divenire ed è sempre diversa, c che, nella sua instabilità e nel suo continuo scomparire, è appunto l’essere stesso. In questo modo, la « verità » è per lui « non qualcosa che esista e che sia da trovare, da scoprire, - ma qualcosa che è da creare e che dà il nome ad un processo... che di per sé non ha mai fine: intro­ durre la verità,... un attivo determinare, non un prendere coscienza di qualcosa che sia “ in sé” fisso e determ inato» (16, 56). Questa idea del carattere illusorio della verità, qui esposta nei suoi lineamenti fondamentali, nel suo concreto sviluppo assume un duplice si­ gnificato. In prim o luogo, diviene una teoria, a ie è applicabile alla spie­ gazione psicologico-sociologica dei modi di considerare il vero; poi si di­ mentica quale significato di verità avesse questa teoria in sé, in modo che resti soltanto la verità empirica delle singole relazioni del comportamento umano. In secondo luogo, però, la teoria è essa stessa un mezzo d i espres­ sione della coscienza filosofica del limite, in cui si manifesta nettamente una esigenza esistenziale, ed inoltre un tratto fondamentale della coscienza dell'essere. L'applicazione della teoria. L ’universale errare dell’esserci, che è possibile soltanto come tale, cioè appunto nel suo errare, è la teoria con cui Nietzsche intende spiegare la realtà psicologico-sociologica. Un esempio di appli­ cazione della sua teoria - in forza della quale tutto il sapere, in quanto opinione sulla verità, è un’involontaria autolimitazione della vita a ciò che si riferisce ad essa in questo momento ed in queste condizioni - è costituito dalle seguenti riflessioni.

La verità legata alla vita è necessariamente comunicabile. «C i sono occhi di molte specie...: e quindi ri sono “verità” di molte specie... » (16, 47): questa 177

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frase trova il suo limite in ciò che rende possibile la comunità. Per questa, e conseguentemente per l’uomo in quanto vive in essa, è vero soltanto dò che è comunicabile a tutti; pertanto, la comunicabilità generale è inconscia­ mente la fonte ed il criterio della verità favorevole alla vita per la comunità. Verità è ciò che nella mentalità convenzionale risulta opportuno per una co­ munità. Verità è nella lingua « un mobile esercito di metafore » che, dopo un lungo uso, appaiono certe e consolidate ad una determinata comunità. L’« uomo menzognero », condannato da questa comunità, fa un cattivo uso delle metafore sulle quali inconsciamente si conviene che come tali siano valide, in quanto egli fa apparire in esse come reale qualcosa che per questa stessa comunità è irreale. Egli è tenuto, come membro di questa comunità, a « mentire » secondo la convenzione consolidata: ciò significa che, a giudizio di questa comunità, egli è veritiero in quanto usa, neH’ambito di questo giuoco di dadi, ciascun dado cosi come è contrassegnato (10, 192-197). Il fatto di non pagare con la moneta corrente è quindi una menzogna proibita: infatti, ciò che si pone al di fuori della verità valida secondo la convenzione consolidata è, alla luce di questa, la non-verità; e chi dunque mente in tal modo compromette quel mondo che assicura il perpetuarsi della comunità. D’altra parte ci sono qui le verità proibite: per lo stesso motivo, cioè a dire per non mettere in pericolo la so­ pravvivenza della comunità, è assolutamente proibito pensare ed esprimere la verità effettiva, che va oltre la convenzione (10, 209). Ciò che Nietzsche in questo modo vuole comprendere è chiaramente una realtà psicoloeico-sociologica; questa realtà può sussistere senza che si ponga l’effettivo problema della verità per se stessa; avviene una inconscia autolimifazione. Nietzsche estende a tal punto l’ambito di questa verità - che è l’errore che favorisce Tesserci, ed ha la sua forza nel fatto che non è messo in discus­ sione - , da includervi anche ciò che è comunicabile nel modo piu generale, cioè il razionale. Il razionale appare a Nietzsche problematico proprio per l’uni­ versalità della comunicazione: « “Ciò che si può dimostrare è vero”. È questa una definizione arbitraria del concetto di “vero”... Nello sfondo sta l’utilità che deriva dal fatto che al concetto di “vero” si attribuisca un tale valore, giacché il dimostrabile fa appello a ciò che nelle menti è piò comune (alla logica), per cui non si tratta, naturalmente, che di un criterio di utilità nell’interesse dei p iu » (13, 34). L ’evidente validità di questa generale comunicabilità del razio­ nale rientra dunque nell’inconscia autolimitazione della verità ai fini della for­ mazione della comunità. Per l ’applicazione di questa teoria è essenziale, in primo luogo, che rimanga incerto in quale misura le sue conoscenze sono valide; infatti, non si può anticipatamente affermare che esse siano senz’altro valide per ogni esserci umano; solo se si può empiricamente dimostrare in concreto * dove e entro quale limite sono valide, esse hanno un senso per la cono­ scenza. In secondo luogo, per una teoria della conoscenza di questo genere, è caratteristico il fatto di non dar luogo a conoscenze che consistano nel­ l’indifferente contemplazione di una disinteressata facoltà di conoscenza. Riflessioni simili a quelle che abbiamo ora descritto, che sembrano soltanto applicazioni di una teoria, manifestano però al contempo una precisa esi­ * In italiano nel testo (N.d.C.).

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genza: noi le facciamo - a volte con riluttanza, a volte con convinzione con il proposito di cambiare qualcosa in noi. In senso generale, si incrociano in queste riflessioni due indirizzi es­ senzialmente diversi per il loro scopo. Per un verso, tentando di concepire teoricamente la vita come un esserci che interpreta nei termini di una verità in divenire - verità che può essere soltanto portata alla luce e non diventa mai qualcosa di sussistente in sé - , Nietzsche coglie il limite della nostra coscienza dell’essere nefl’esserd reale. Ma poi, con gU stessi concetti, at­ traverso una riflessione psicologica e sociologica, Nietzsche si appella ad un’esistenza possibile (la vita di rango, che si eleva). In entrambi i casi, si fa certo filosofia, ma i concetti che ne derivano sono appropriati ed effi­ caci soltanto come pensieri della mera ricerca teorica. I modi di compren­ sione della verità sembrano cosi diventare, quali sintomi di una vita con indoli diverse, oggetto e compito di ricerca, e sembrano portare in tal modo all’« applicazione » della teoria, con la conseguenza che la teoria stessa rischia di perdere il suo carattere filosofico. Questo carattere filosofico della riflessione si mostra in modo evidente soltanto se si completa, chiaramente e nel suo fondamento, il circolo; solo in tal modo, infatti, esso rende percepibile logicamente l’origine filosofica. Il circolo. Nel processo del divenire della vita, anche ogni verità sulla verità dovrebbe avere un carattere in divenire, e dunque dovrebbe essere una specie di errore. Anche queste affermazioni sull’essere-vero sarebbero dunque esse stesse non vere. In questo modo, il pensiero di Nietzsche è caduto in una situazione che mostra una generale necessità del nostro pen­ siero, quando giunge al limite. Se la conoscenza vuole conoscere se stessa, se si deve esprimere la verità sulla verità, allora la forma fondamentale del pensiero è un circolo. Questo è o la semplice autoaffermazione della verità che si chiarisce; e allora non sorgono difficoltà. Oppure è l’autosuperamento della verità da parte di se stessa, da cui scaturisce o l’inabissarsi di ogni verità come de­ finitivo autosuperamento, oppure una nuova autoaffermazione mediata, in quanto mediante il circolo si rivela una nuova origine della verità. Questa elaborazione della verità da parte della verità non riceve dal­ l ’esterno alcun aiuto, né alcuna minaccia. IX per sé, questa duplice possi­ bilità sorge per lo scomparire del circolo in un altro, quale fondamento a cui esso rinvia. D a dove si deve partire per decidere tra queste due pos­ sibilità? Supponiamo, in prim o luogo, che l’autosuperamento della verità venga imposto da una verità assolutamente valida, cioè precisamente dalla con­ sapevolezza del processo vitale della verità d ie rimane costantemente sol-, tanto apparenza. M a allora, in questa valida verità sulla verità si è rag­ giunto un punto fermo di indubitabile verità (entrano in giuoco le inevi­ tabili implicazioni logiche dell’« autorefetenzialità »), e sorge la domanda su come io posso, partendo dal punto ferm o d d la verità che ho raggiunto

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— anche se questa ha un carattere negativo —, conquistare un’ulteriore ve­ rità. Oppure ci si può ancora chiedere se la conseguenza di questo auto­ superamento della verità, scaturito dalla conoscenza, sia ormai la fine della ricerca della verità, e se dunque un lungo cammino storico dell’uomo, durante il quale egli si è vanamente affaticato nella ricerca della verità, sia ora dimenticato, come se non ci fosse mai stato. Non c’è dubbio che Nietzsche non avrebbe acconsentito a queste due possibilità (inizio di un nuovo sistema della verità, a partire da un indu­ bitabile punto fermo conseguito - pili o meno in analogia con Cartesio - , oppure fine di ogni preoccupazione per la verità). Nietzsche non pensa­ va a questo. Supponiamo, in secondo luogo, che il pensiero dell’essere-vero non sia slegato da un fondamento pensante, l ’esistenza, e che questo fonda­ mento sia la vita della verità: la vita che come tale si manifesta in que­ sto pensiero. Allora, dalla « vita della verità » consegue la decisione tra i due circoli, a favore dell’autoaffermazione della verità. Quindi, la verità sta nel chiarire le origini dell’essere mediante il movimento dell’autoriflessione verso l’esistenza, che non distrugge la verità, ma la conferma e si rivolge contro la vuotezza del formalismo razionale, privo di vita, di quelle prime possibilità; questo formalismo non può reggersi, è anzi cecità di fronte all’autentico vero, ed è, per cosi dire, il suicidio della verità an­ cora contenuta in quanto di giusto vi è in esso. Questo secondo significato è quello di Nietzsche. I suoi pensieri sulla verità dovevano cadere in continue contraddizioni, dal momento che essi negano ciò di cui hanno bisogno per la loro formulazione. Questo pensiero sarebbe soltanto una confusione senza senso, se in questo modo non fos­ sero stati appresi dei limiti, i quali potevano mostrarsi solo indirettamente. Questi limiti vengono toccati con i concetti acquisiti mediante la teoria dell’essere-vero; in questo modo si ha dapprima il compimento di questo pensiero, e poi sorgono anche le contraddizioni, quali segnali indiretti di un pensiero che fa inevitabilmente ricorso ad esse. La teoria non è teoria di un contenuto oggettivo sussistente, bensì è un mezzo per esprimere filo­ soficamente, in primo luogo, l ’appello esistenziale ad una verità essenziale in quanto sostenuta da una vita essenziale, in secondo luogo, la possibilità di un divenir-cosciente dell’essere, che trascende la vita. Essere-vero ed esistenza. Quando Nietzsche, per esempio, caratterizza la bugiardaggine degli idealisti (egli li chiama per k> pili i « buoni e giusti ») come « il non voler vedere ad ogni costo come in fondo è fatta la realtà » ' (15, 119), egli esprime propriamente riguardo ad essi il modo di essere di tutta la vita: essa ha bisogno della non-verità come condizione della sua esistenza. Ma ciò che altrimenti era interpretazione del vivente, qui diventa una critica violenta. Questa menzogna - cori sembra - non è quindi k stessa cosa dell’errore indotto da quell’illusorietà che è la verità della vita stessa. Ci sarebbe una differenza tra l ’illusione universale, che è condizione d i vita, in quanto necessità assolutamente inevitabile, e l’illusione, che

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è condizione d i vita per un’indole specifica - che però solo apparentemente facilita una situazione dell’esserci: pensare tale illusione significa che io psicologicamente comprendo, smaschero e respingo, e con ciò decido esi­ stenzialmente (nella misura in cui il mio pensiero è un agire interno, e non semplicemente un giudizio contemplativo). In effetti, la volontà di differenziazione da parte di Nietzsche è qui decisiva. L ’illusorietà della verità non è per lui di una sola specie, bensì di tante specie diverse quante lo è la vita. Questa vita non è sempre uguale, ma presenta invece dei livelli essenzialmente diversi. Quando Nietzsche, nella stessa forma di pensiero (la non-verità come condizione di vita), ad un tempo constata, afferma e critica, ciò significa che egli si appella alla vita di alto rango e respinge quella di rango inferiore. Nel rapporto tra apparenza ed apparenza, l'una è quindi da lui considerata re­ lativamente non-vera nei confronti dell’altra. Nell’esempio dei «b u on i e giusti », ciò che essi, nella loro falsità, non vogliono vedere, vale a dire la realtà, è null’altro che l ’universale apparenza. Menzogna e verità stanno qui l ’una di fronte all’altra, rispettivamente come apparenza non-vera e vera. In questo pensiero che si appella alla vita di alto rango (che fonda­ mentalmente non è altro che esistenza possibile), si presentano ora di nuovo delle necessarie contraddizioni, dal momento che lo stesso fenomeno, che tale è formalmente, viene giudicato in modo opposto a seconda del con­ tenuto che porta con sé. Cosi diventano evidenti le contraddizioni che, da una parte, affermano come condizione d i vita la volontà di verità in quanto sussistente , certa e da scoprire, e, dall’altra parte, la rigettano in quanto paralizzante la vita. Secondo Nietzsche, la vita ha come propria condizione un mondo di conoscenze. In esso la « volontà di verità » è « un rendere saldo, un ren­ dere vero - durevole,... una reinterpretazione... nel senso dell’essere » (16, 56); in questo senso, Zarathustra chiama « volontà di verità » la « vo­ lontà di rendere pensabile tutto l ’essere », ed aggiunge: « Tutto quanto è, voi volete prima di tutto farlo pensabile » (6, 165). La vita vuole ed ha bisogno dell’esistenza di verità certe. Ma ciò che come verità certa è con­ dizione della vita, che ne ha appunto bisogno per la propria sussistenza, di­ venta a sua volta, in contrasto con ciò, una paralisi della vita: « L ’affer­ mazione che la verità ci sia... è uno dei grandi sviamenti che si diano. Posto che essa venga creduta, la volontà di esame, di ricerca, di prudenza, di esperimento ne risulta paralizzata... L ’affetto della pigrizia prende ora par­ tito per la “ verità” ,... - è più comodo obbedire che esaminare » (1 5 , 476).* 1

1 Quando, in questo stesso frammento, Nietzsche aggiunge che «la “verità* è quindi più funesta dell’errote », bisogna ricordare che, nel riferimento di Nietzsche al significato filosofico, i termini «verità» ed «errore» possono invertire il loto rispettivo senso: la verità come dato di fatto i propriamente per lui, in ogni caso, « errore »; se esso è condizione di vita, con riferimento alla vita di albi rango, allora può significare verità in quanto'errore che favorisce la vita; se invece paralizza la vita, allora può significare verità nel senso della vita infima o bassa della comoda pigrizia die considera in questo modo la verità.

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La stessa apparente contraddizione delle affermazioni di Nietzsche si presenta allorché la credenza in un mondo che fondamentalmente già è come deve essere, da una parte viene rigettata come segno di vita im­ potente, e dalTaltra viene richiesta come necessità di vita creativa. Nel senso del rigetto, Nietzsche dice: « La credenza che il mondo che dovreb­ be essere sia, esista realmente, è una credenza della gente non creativa, che non vuole creare un mondo cosi come deve essere. Lo pone come esi­ stente... “ Volontà di verità" - come impotenza della volontà di oreare » (16, 84), Ma c’è necessariamente una differenza tra la fede in un essere sussistente, rigettato esistenzialmente in questo modo, mediante un chia­ rimento psicologico, da parte della vita improduttiva, e la fede nell’essere, che deve essere chiarita filosoficamente, e che appartiene alla vita come tale; e se Nietzsche dice apparentemente la stessa cosa tanto dell’uomo creativo quanto di quello impotente, in realtà afferma e sostiene però il primo: « L ’uomo proietta il suo impulso di verità... fuori di sé... come mondo già esistente. Il suo bisogno inventa già, Come creatore, il mondo a cui lavora, lo anticipa; questa anticipazione (“ questa fede” nella verità) è il suo sostegno » (16, 57). Nietzsche vede il processo vitale, in quanto è l ’essere della verità nella sua apparenza continuamente mutevole, come un movimento infinito, che continuamente crede all’esistenza di una verità, e sempre di nuovo la dissolve. Però, il suo significato filosofico è essenzialmente ciò che, tram ite esso, ne consegue per l'uom o. Se ogni verità, che è propria dell’essere, e dunque può esser incorporata alla vita, è verità in divenire, allora essa non è mai in riposo e neppure procede per se stessa; al contrario, vero significa ciò d ie « deva il tipo «fi uomo » (15, 178). L a verità in relazione alle potenze vitali che la distruggono, ma al contempo ne sono la condizione. Chiarificazione psicologica di relazioni di fatto ed appello esistenziale allo sviluppo dell’essere-vero vivente si compenetrano nelle diverse esposizioni nietzschiane di circoli senza soluzione, n d quali né la verità né la vita, come l’aitxo della verità, sono di per sé stabili. Sono tre le direzioni in cui Nietzsche, in modo particolare, mostra come la verità si presenti soltanto in relazione ad altre potenze della vita, che la distruggono ma al contempo ne sono la condizione. Se la verità deve farsi sentire, allora deve anzitutto agire nel mondo; se non ha alcun effetto nel mondo, è come se non ci fosse; senza la volontà di comunicazione, e dunque di azione, non è possibile alcuna duratura volontà di verità. In secondo luogo, la verità è impigliata nei rapporti di potenza, che condizionano Tesserci dell’uomo che la pensa. In terzo luogo, n d l’uomo della conoscenza è una fede che costituisce lo stimolo senza il quale la ricerca della verità non diverrebbe reale. Ma tutte queste con­ dizioni diventano anche distruttive; la verità può spegnersi se la sua azione si fa autonoma e fine a se stessa, a causa della potenza e dell’assolutizzazione della fede che la stimola. Bisogna rendere più chiari questi tre aspetti del pensiero d i Nietzsche mediante alcune indicazioni.

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1. È inevitabile che si voglia aiutare la verità nel produrre il suo effetto - già anche solo per il fatto di dirla. Nietzsche si rende conto della fatalità di questo « effetto » che, come tale, assume un duplice senso: la verità resta se stessa solo in quanto venga compresa e possa convincere; ma se essa soltanto persuade, allora diventa il suo contrario, poiché conduce alla mancanza di idee e si limita a suggerire. L’atteggiamento di chi è indifferente verso tale effetto, volendo dire sol­ tanto il vero, e solo in forza dell’essere-vero, è esso stesso non-verità, poiché è cecità verso l’importanza dell’effetto: « In sé, pretendere che si dica solo il “ vero” presupporrebbe che si possedesse la verità; ma se ciò sta solo a signi­ ficare che si dice ciò che si ritiene essere vero, ci sono poi dei casi in cui è importante dirlo in modo che sia ritenuto vero anche da un altro : in modo che agisca su di lui » (14, 205). D’altra parte, se io voglio l’effetto come tale, allora subito non vorrò più la verità, ma solo dei mezzi finalizzati esclusivamente ad ottenere l ’effetto; non solo diventa indifferente se ciò che ho detto per ottenere l'effetto sia anche vero, ma piuttosto: « quel che deve agire come vero non può essere vero » (8, 27), cioè non è tale per colui che pensa all’effetto. Ciò che originariamente può es­ sere vero è dunque destinato a perdere la sua verità nelle manifestazioni intese ad ottenere una sua ampia ed efficace diffusione: ciò è dimostrato da Nietzsche sull’esempio dei fenomeni storici, nei quali egli vede una « vera e propria scuola che insegna i mezzi per indurre a credere », secondo i suoi mezzi e metodi (per es. 15, 268-269). Questo rapporto tra la verità e la ricerca dell’effetto è inevitabile e ne­ cessario: Nietzsche lo riconosce ma, nel far dò, vi mette quasi sempre un tono ironico,, un si che è al contempo un no. Egli dice: « Fare propaganda è indecoroso ma astuto » (14, 290). Soprattutto oggi sarebbe necessario perlomeno « parlare e agire per qualche tempo in maniera grossolana »: « Ciò che è sottile e viene taduto non è più capito, neppure da coloro che d sono affini. Ciò di cui non si parla ad alta voce e di cui non si grida, non esiste » (14, 95). Tutti i procedimenti volti ad ottenere l'effetto, anche se sono necessari per una diffusione su vasta scala della verità, in ogni caso, non sono più la ve­ rità stessa, in senso vero e proprio. A fianco della necessità della comunicazione, Nietzsche afferma al contempo l’autosufficienza d d vero: « L ’idea: “ questo pen­ siero potrebbe non essere vero!” mi sconvolge. “Esso sarà senz'altro ritenuto non vero* - mi lascia freddo, io lo presuppongo » (11, 385). 2. La verità, dovunque viene colta, è legata alla potenza: nel mondo og­ gettivo, mediante la realtà della potenza che consente o impedisce la sua co­ municazione, nella soggettività d d singolo, mediante la volontà di potenza che anima colui che pensa. In se stessa la verità non è affatto una potenza. « Essa deve piuttosto at­ tirare la potenza dalla propria parte, o mettersi a fianco della potenza, altri­ menti continuerà sempre ad andare in rovina » (4, 343). Vi è questo pericolo, per esempio, quando diventa determinante la mediocrità che si manifesta ogni momento nella media degli uomini: « Gli uomini si assoggettano abitualmente a tutto ciò che vuole avere potenza » (2, 242); e, come tali, essi diventano ne­ mici della verità; non si vuole pensare, non si vuole essere illuminati: « L ’il­ luminismo suscita la rivolta: lo schiavo, infatti, vuole l’incondizionato, compren­ de solo il tirannico» (7, 71). N d singolo pensatore creativo, la sua volontà di potenza, senza la quale il suo pensiero non entrerebbe in attività se esso si mantenesse immutato, eli-

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mina la critica. Poiché la verità gli si mostra già col sentimento della sua ac­ cresciuta potenza (15, 479). 3. Originariamente la verità non è puramente cercata per la sua riconosciu­ ta obiettività, che acquisisce grazie alla scienza, bensì in virtù di una fede: « Ogni reale aspirazione alla verità è sorta in questo mondo attraverso la lotta per una santa convinzione: attraverso il pathos del lottare: altrimenti, l’uomo non ha alcun interesse per l’origine logica » (10, 125). « Non d può essere un impulso istintivo per la verità, vale a dire per la verità senza conseguenze, pura, spassionata» (10, 212). G deve perlomeno essere una fede nella verità, grazie alla quale, senza che essa stessa sia già verità, valga per noi la pena di cercare la verità: « Lo stesso scettidsmo contiene in sé una fede: la fede nella logica » (10, 210). Pertanto, non c’è propriamente « alcun impulso per la conoscenza e la verità, bensì solo un impulso per la fede nella verità; la pura conoscenza è priva di impulsi » (10, 212). Se è vero che la fede, la fede nella verità, l’impulso a credere alla verità sono le condizioni originarie, senza le quali nessuna ricerca della verità si met­ terebbe in moto, altrettanto vero è che esse diventano al contempo, come tali, una minaccia per la verità stessa. G ò avviene se la fede o anche la sua tra­ sformazione nel desiderio di incredulità, dunque gli stimoli come tali, si ergono a criterio della verità (15, 478). Ogni forma di fede si ritiene vera, ma il cri­ terio di questa verità è essenzialmente diverso dal criterio della verità obiettiva, che può essere fondata metodicamente e universalmente. Il criterio di verità della fede è infatti la « prova di forza » che dà a chi crede. Al contrario, la verità metodica, obiettiva, può « essere assolutamente imbarazzante, nociva, fu­ nesta » (15, 479). Vale in generale quanto segue: « L a fede viene creata con mezzi opposti a quelli della metodica della ricerca: essa addirittura esclude quest’ultima » (15, 479). Se, per dimostrare la verità, utilizzassimo dei criteri erro­ nei, falliremmo nel nostro intento e la verità stessa si dileguerebbe: secondo Nietzsche, questi criteri - come « prova di forza » - sono la volontà di felicità, il martirio, la condotta virtuosa. L ’esperienza del piacere per una verità, la gioia raggiunta tramite essa, non sono mai una prova della verità. La storia della conquista della verità in­ segna semmai che « ogni briciola di verità abbiamo dovuto strapparcela a furia di lotta; in compenso abbiamo dovuto sacrificare quasi tutto ciò cui di solito sono attaccati il cuore, il nostro amore, la nostra fiducia nella vita. Per questo occorre grandezza d’animo: servire la verità è il piu duro dei servizi ». Quindi, secondo Nietzsche, se da una parte la fede implica la seguente conclusione: « la fede rende beati - perciò essa è vera » (8, 286); dall’altra parte, in base alla sua esperienza, la ricerca scientifica della verità obiettiva dice invece: « la fede rende beati: perciò essa mente » (8, 286 e sgg.). Si perde comunque la verità, se diventa predominante la volontà di felicità. Così la filosofia, che è una specie di fede, si è ingannevolmente separata dalla scienza che cerca la verità come tale, allorché ha sollevato la questione: « Qual è quella conoscenza del mondo e della vita nella quale l’uomo vive più felice? » (2, 23). L ’uomo, die vuole solo la propria felicità, è necessariamente « indifferente di fronte alla conoscen­ za pura, priva di conseguenze, mentre è disposto addirittura ostilmente verso le verità forse dannose e distruttive » (10, 193). Ma se la verità reclama inesora­ bilmente se stessa, essa è da parte sua indifferente nei confronti della felicità: « Non c’è nessuna armonia prestabilita tra il progresso della verità e il bene dell’umanità » (2, 369). In secondo luogo, la fede è stata sempre testimoniata ndla storia attraverso

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il martirio. Quando Nietzsche parla di una verità in sé, come se essa fosse im­ mobile e, in quanto tale, potesse essere colta e riconosciuta dalla purezza di un pensiero senza tempo, egli respinge il sacrificio sanguinoso del martire, quale sua testimonianza: « Il sangue è il testimone peggiore della verità; il sangue avvelena anche la dottrina più pura e la trasforma in delirio e odio dei cuori » (6, 134). In particolare, la verità scientifica non ha, nel suo significato vero e proprio, alcuna possibilità di essere testimoniata o confutata mediante il mar­ tirio. Se scende su questo piano, anche lo stesso ricercatore viene contestato da Nietzsche: se « la verità, cioè la metodica scientifica è stata afferrata e pro­ mossa da coloro che intuirono in essa uno strumento di lotta », fu proprio at­ traverso questa lotta che essi «inalberarono l’idea di “verità” con la stessa assolutezza dei loro avversari, divennero fanatici, almeno nell’atteggiamento »: le parole « convinzione », « fede », che costituiscono l’orgoglio del martirio, indicano le condizioni più sfavorevoli per la conoscenza scientifica. Allorché i veri ricercatori assunsero l’atteggiamento degli avversari, dei credenti, cioè quello di decidere sulla verità « con sacrifici e risoluzioni eroiche », essi favorirono proprio il dominio del metodo antiscientifico; « come martiri, compromisero le loro stesse gesta » (15, 480 e sgg.). In tale contesto, si comprende la richiesta di Nietzsche: « Guardatevi dal martirio! Dal soffrire per amore della verità! £ perfino dal difendere voi stessi!... come se “ la verità” fosse una persona cosi sprovveduta e balorda da avere bisogno di difensori!... Fuggite a nascondervi! E abbiate la vostra maschera e astuzia, in modo che non si possa riconoscer­ vi!... Il martirio del filosofo, il suo “olocausto per la verità” porta alla luce quel che di demagogico e d'istrionesco si annida in lui » (7, 42 e sgg.). In terso luogo, non fu un criterio di verità « la condotta virtuosa ». Essa non depone né a favore né contro la verità: « La verità viene dimostrata in modo diverso dalla veridicità, e quest’ultima non è affatto un aigomento a fa­ vore della prima » (4, 72). Se i criteri della certezza della fede - prova di forza, martirio, condotta virtuosa - vengono sostituiti ai criteri della verità, allora quest’ultima viene di­ strutta alle radici. La verità « vuole essere criticata, non adorata » (11, 171). Secondo Nietzsche, per questa verità vale dunque la seguente affermazione: « Noi “uomini della conoscenza” siamo col tempo divenuti diffidenti verso ogni sorta di credenti » (7, 467). Non vale soltanto la constatazione che, « senza l’immensa sicurezza della fede, l’uomo e l’animale non sarebbero capaci di vivere » (12, 39), ma bisogna aggiungere che, anche in virtù dell’intera ricchezza della nostra essenza, noi dipendiamo dalla fede in quanto origine: « Al Cristianesimo, ai filosofi, ai poeti e ai musicisti si deve una sovrabbondanza di sentimenti profondamente ecci­ tati ». Anche se Nietzsche afferma che, per non farci soffocare da questi sen­ timenti, «dobbiamo evocare lo spirito della scienza, che... raffredda l’ardente fiume della fede in verità ultime e definitive » (2, 230), egli non vuole comun­ que mai rinunciare a questo altro fondamento di ogni conoscenza. Il fatto che Nietzsche, in base al criterio del significato della verità obiet­ tiva, metta in discussione la fede, non esclude quindi die egli stesso rivendichi per sé una sua fede, che è per lui fonte di verità. Egli non dice soltanto: « la mia fede...» (12, 367), «noi, die siamo di un’altra fede...» (7, 137); bensì anche: « Sterili voi siete: perciò vi manca la fede. Ma colui che per necessità creava... credette alla fede! » (6, 176); e ancora: « Non sono le opere, è la fede che su questo punto decide, che stabilisce la gerarchia... una certa sicurezza di base » (7, 267). Nietzsche esige però che la sua stessa fede non sia animata

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da quel criterio che costituisce la forza di ogni altra fede: « Se c’è una fede che rende felici, ebbene, qui c'è una fede che non fa questo! » (14, 413). Sia che si tratti di effetti, o di potenza, o di fede, in ogni caso, ciò che mette in pericolo la verità, la nasconde o la distrugge, diventerà esso stesso una fonte della ricerca della verità. Soltanto questa relazione rende qui non solo comprensibili, ma necessari i contraddittori mutamenti di posizione di Nietzsche. C ’è sempre, nella lotta per la verità, un travaglio per affermarsi contro le condizioni in cui ci si trova; liberarsi compietamente da queste condizioni comporterebbe al tempo stesso anche l ’autoannientamento della verità nel mondo. L ’essere che diviene consapevole al lim ite. Il pensiero fondamentale del­ l ’universale illusorietà della verità determina una coscienza dell’essere che si muove come in cerchio mediante tre passi: in primo luogo, la pura verità vuole essere colta nella sua differenza rispetto ad ogni altra illusorie­ tà; in secondo luogo, la questione della àccordabilità di questa verità con la necessaria apparenza rende problematica la vita; in terzo luogo, parten­ do dalla buona volontà dell’apparenza, il complessivo esserci, per cosi dire in veste filosofica, viene compreso e ripristinato nella sua universale illusorietà. Il primo passo tenta di sviluppare il seguente ragionamento. Se il processo fondamentale della vka, che si trasforma nel e col mondo da esso interpretato, riconosce, in conformità alla sua essenza, l ’essere soltanto come apparenza - che tuttavia la vita stessa deve considerare, alla stessa stregua dell’essere sussistente, come sua propria condizione —, allora l ’in­ terrogativo che si pone al filosofo, che è egli stesso vita, non è più, come in Cartesio: come è possibile l ’errore?; ma, al contrario: « come è mai possibile una sorta di verità, nonostante la fondamentale non-verità che si ha nella conoscenza? »