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Italian Pages 256 [259] Year 2010
CINEMA SCHEMI RIASSUNTIVI. QUADRI DI APPROFONDIMENTO
Per memorizzare rapidamente la storia della Settima Arte, dalle origini ai giorni nostri . L a t e c n i c a e i l l i n g u aggio. Le correnti. Il cinema di animazione. I registi e le opere che hanno segnato la storia del grande schermo.
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LO STUDIO LA TECNICA E IL LINGUAGGIO DEL CINEMA - LE CORRENTI LE ORIGINI - L’ETÀ DEL MUTO - IL PERIODO CLASSICO IL CINEMA MODERNO - IL CINEMA CONTEMPORANEO - IL CINEMA DI ANIMAZIONE LA SINTESI INTRODUZIONE AI CAPITOLI PER INQUADRARE GLI ARGOMENTI SCHEMI RIASSUNTIVI - BOX DI APPROFONDIMENTO INDICE CON 1600 FILM
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Studio Riepilogo Sintesi
CINEMA
SCHEMI RIASSUNTIVI. QUADRI DI APPROFONDIMENTO
Testi di Tommaso Iannini
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SETTORE DIZIONARI E OPERE DI BASE Editing e impaginazione: Angelo Ramella Copertina: Marco Santini
ISBN 978-88-418-6934-5 © Istituto Geografico De Agostini, Novara 2009
www.deagostini.it Redazione: corso della Vittoria 91, 28100 Novara Prima Edizione, settembre 2009 Prima Edizione elettronica, marzo 2011 Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma e con alcun mezzo, elettronico, meccanico, in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta dell’Editore. Le copie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, corso di Porta Romana n. 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org
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uesto è un libro breve di storia del cinema. I libri brevi di storia del cinema si possono fare o bene o male. Questo è fatto bene. Infatti è una “sintesi”: nella quale il lettore trova, evidenziati, gli elementi imprescindibili, gli snodi tecnici, stilistici e artistici di cui non si può fare a meno per afferrare l'insieme della materia. Un libro fatto male (e se ne contano molti) sarebbe invece un “sommario” nel quale il lettore troverebbe affastellati nomi, date, titoli, senza capire perché gli vengono rovesciati addosso e con quale criterio. Ovviamente una vera, soddisfacente, onnicomprensiva storia del cinema prevederebbe alcune centinaia di volumi che indagassero arte, economia, politica, scienza e tecnologia, sociologia, psicologia sociale e filosofia, e ancora analisi dei diversi Paesi produttori e monografie su registi, attori, sceneggiatori, musicisti... E l’elenco potrebbe continuare ancora per molte righe. Un libro breve ben fatto nasce sia per soddisfare chi vuole almeno un'infarinatura sia per chi, dopo l'infarinatura, desidera proseguire e crearsi una cultura specifica. E vuol sapere in che direzione muoversi. Auspico che i rappresentanti della seconda categoria siano molti. Col progredire degli anni la ricerca ha fatto grandi passi, le facoltà di Storia e Critica del Cinema nelle università di tutto il mondo si sono moltiplicate, ma allo stesso tempo l'ignoranza generale in fatto di cinema è aumentata vertiginosamente. Documentarsi come si deve è attualmente ancora possibile, fare ricerca in proprio anche. Un famoso film era intitolato L'avventura. Questa è un'avventura culturale, alla quale tutti sono i benvenuti.
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prof. Giannalberto Bendazzi storico del cinema
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Guida alla consultazione Note a margine per la rapida individuazione e memorizzazione dei temi principali
Sintesi introduttiva al capitolo
3 - Il realismo poetico in Francia
2 La Hollywood classica Il cambiamento portato dal suono non è tale da stravolgere le consuetudini di Hollywood. Il cinema americano assorbe in poco tempo le novità e vive una delle sue stagioni storiche (dove, come una mina vagante, entra anche un eccentrico anticipatore delle tendenze del secondo dopoguerra: Orson Welles).
(che interpreta il protagonista, Jean) in immersione alla ricerca del volto di Juliette (Dita Parlo) è una delle scene più famose del cinema d’arte e contiene forse la più bella e celebrata sovrimpressione della storia.
Lo studio system negli anni Trenta
■ René Clair Il passaggio dall’avanguardia verso la narrazione è incarnato da René Clair (1898-1981). Il suo è un cinema molto personale in cui si mescolano commedia sociale, comicità, lirismo e fantasia. La commedia-vaudeville Un cappello di paglia di Firenze (Un chapeau de paille d’Italie, 1927) chiude il suo periodo muto. Sotto i tetti di Parigi (Sous les tois de Paris, 1930) inaugura quello sonoro rivelando un uso completo del nuovo mezzo acustico in tutte le sue sfumature, rumori compresi. Il milione (Le million, 1931) adatta al sonoro le gag del muto, con l’inseguimento di un biglietto vincente della lotteria dimenticato in una giacca, e le trasforma in danza collettiva. A me la libertà (À nous la liberté, 1932) sceglie sempre la strada dell’apologo sociale che precorre il Chaplin di Tempi moderni (1936) nella descrizione del lavoro alla catena di montaggio (la censura italiana degli anni Trenta modificò il senso del titolo originale traducendo “a me” anziché “noi” al fine di non evidenziare il contenuto sociale del film). Per le vie di Parigi (Quatorze juillet, 1933) chiude la sua migliore stagione in patria. In Gran Bretagna gira Il fantasma galante (The Ghost Goes West, 1936) e nel quinquennio trascorso a Hollywood durante la guerra Ho sposato una strega (I Married a Witch, 1942) e Accadde domani (It Happened Tomorrow, 1944), spiritose commedie fantastiche.
L’avvento del sonoro non apporta grandi modifiche al sistema interno di Hollywood; l’unica novità è la nascita della RKO (Radio Keith Orpheum), entrata subito a far parte delle cinque Leader dell’industria major. Metro-Goldwyn-Mayer, 20th Century Fox, Warner Bros., Paramount e RKO sono quindi i leader dell’industria americacinematografica na, le società che hanno i maggiori capitali ma soprattutto detengono il controllo del maggior numero di sale e vantano una struttura distributiva internazionale. Al gradino inferiore stanno le cosiddette minor: Universal, CoLe minor lumbia e United Artists. Defilati rispetto al monopolio delle grandi compagnie agiscono i produttori indipendenti (David Produttori O. Selznick) e le compagnie più piccole specializzate nei film a indipendenti basso costo o di serie B (Monogram, Republic).
Novità e sviluppi nei generi Nascita di nuovi generi
Gli anni Trenta nel cinema americano sono giustamente ricordati per pellicole entrate nell’immaginario collettivo come Via col vento (Gone with the Wind, 1939) di Victor Fleming, ma anche per la nascita di nuovi generi e per i cambiamenti avvenuti all’interno degli stessi.
Dall’avanguardia alla narrazione Film francesi
Produzione inglese e americana
■ Musical Commedia musicale Il sonoro segna la nascita del musical. La commedia musicale si presenta in diverse varianti: le principali sono la rivista (una semplice successione di performance musicali), il backstage (il “dietro le quinte” di uno spettacolo) e l’operetta (storie di fantasia). Struttura del musical La struttura base di un musical è sempre legata a numeri cantati e danzati e, quando si raccontano storie, da trame semplici risolte in un lieto fine. L’happy end amoroso è una costante dei “Coppia d’oro” dance-musical della RKO, interpretati dalla mitica coppia Fred del musical Astaire e Ginger Rogers: Cappello a cilindro (Top Hat, 1935) di Mark Sanders li vede come sempre bisticciare per buona par-
■ Julien Duvivier Anche Julien Duvivier (1896-1967) emerge in questa stagione con un rifacimento di Pel di carota (Poil de carotte, 1932), già portato da lui stesso sullo schermo nel 1926. I suoi film più importanti si collocano nell’orizzonte del realismo poetico, soprattutto Il bandito della Casbah (Pepé le Moko, 1936), il ver- Il bandito tice del filone insieme ai film coevi di Marcel Carné, che ugual- della Casbah mente vedono Jean Gabin nei panni di un eroe romantico e sconfitto (la Casbah di Algeri è stata ricostruita in studio). Lo stesso attore è protagonista di La Bandera (1935) e La bella brigata (La belle équipe, 1936), più vicino allo spirito del Fronte Popolare. Duvivier ottiene grande successo internazionale con Carnet di ballo (Un carnet de bal, 1937). Dopo altri due Carnet di ballo film girati in patria emigra e prosegue in Europa un’attività talora anonima (in Italia nel 1951 dirige il primo Don Camillo).
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Testo con le parole e i concetti chiave evidenziati in nero
Il volume inizia con un’introduzione, che tratta di tecniche, linguaggio e altri temi generali, utili alla comprensione degli argomenti trattati nelle quattro sezioni successive, che corrispondono ad altrettanti periodi o argomenti significativi della storia del cinema, dalle origini ai giorni nostri. Ogni sezione è introdotta da una presentazione che ne espone i caratteri generali e seguita da un sintetico specchietto riassuntivo. Conclude il volume un’appendice sul cinema di animazione. Il testo è articolato in modo da favorire la memorizzazione rapida dei tratti salienti di movimenti e registi, del loro stile e delle loro opere. I capitoli sono aperti da un cappello introduttivo, che fornisce un rapido inquadramento generale dell’argomento trattato. Le frequenti note a margine permettono la rapida individuazione dei temi principali e agevolano la loro ricapitolazione. Nel testo sono evidenziati in carattere nero più marcato i concetti, i titoli
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Riquadro di approfondimento
Schema riassuntivo
2 - L’Europa nel dopoguerra
Lettera da una sconosciuta
Tecnica
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7 - Il nuovo cinema americano degli anni Sessanta
ronde – Il piacere e l’amore (La ronde, 1950), Il piacere (Le plaisir, 1952) e I gioielli di Madame de... (Madame de..., 1953). Lettera da una sconosciuta mostra tutta la predilezione di Ophüls per le storie passionali e melodrammatiche – una donna che sta per morire invia all’uomo da cui ha avuto un figlio una lettera in cui rievoca il loro amore – con un intreccio narrativo sofisticato, e soprattutto sfrutta le possibilità dell’apparato di Hollywood per sviluppare ulteriormente la tecnica prediletta del regista, basata sul movimento a planare del dolly, sulle lunghe carrellate e sulle altre movenze aeree e fluidamente trasversali di una macchina vaporosa e agilissima. Uno stile che deriva alla lunga dalla entfesselte Camera del cinema muto tedesco. Nei film di Ophüls, volutamente artificiosi e girati in studio scoprendo complessi set che non nascondono elementi teatrali, i fatti della vita (soprattutto sentimentali, in bilico tra seduzione, erotismo e amore romantico, con un efficace gioco di sostituzioni metaforiche nei momenti più allusivi) sono presentati come spettacolo, spesso illustrati per il pubblico dalla presenza di un narratore su un palcoscenico che si rivolge direttamente agli spettatori, e da anticipazioni di quei procedimenti riflessivi o metafilmici poi trasformati in un diverso disegno da Resnais, Godard e Kubrick.
quadro scenografico del loro tempo (il futuro e il XVIII secolo), limitando fatalmente la loro capacità di incidere sul proprio destino. Per Barry Lyndon, un’altra pellicola piena di prodigi tecnici, Kubrick modifica le cineprese in suo possesso montando delle lenti Zeiss da 0.7 mm di diaframma usate prima solo dalla NASA per le foto satellitari. Con quegli obiettivi alla massima apertura Kubrick può riprendere scene notturne in interni alla luce delle sole candele, in un film che più volte replica (quanto le scene di Arancia meccanica sono invece pezzi di Pop Art futuribile) gli effetti cromatici della pittura paesaggista inglese del Settecento. Nei successivi venticinque anni il regista girerà solo tre film, tutti di lunga gestazione, considerati capolavori, a riprova del suo magistero cinematografico: Shining (1980) celebre per l’uso della steadycam, Full Metal Jacket (1987) e Eyes Wide Shut (1999), terminato poco prima di morire. Sono rimasti incompiuti un film biografico su Napoleone di cui esisteva già il copione e un film sull’Olocausto.
JEAN COCTEAU
Scrittore, poeta, romanziere e drammaturgo, oltre che pittore e disegnatore, una delle figure più eclettiche e originali della cultura francese del XX secolo, Jean Cocteau (1889-1963), è anche un autore di cinema. La sua unica esperienza fino al secondo dopoguerra è Le sang d’un poete (Il sangue di un poeta, 1930), film d’avanguardia realizzato su commissione: è un discorso per immagini principalmente autobiografico e legato alla propria multiforme attività artistica da un sottile gioco di simboli visivi. Dopo aver lavorato come dialoghista e sceneggiatore, Cocteau torna a dirigere film nel 1946 con La bella e la bestia (La belle et la bête). L’aquila a due teste (L’aigle à deux têtes, 1947) e I parenti terribili (Les pa-
rents terribles, 1948) sono tratti da due sue pièces teatrali. Orfeo (Orphée, 1950) è una rilettura contemporanea del mito realizzata con procedimenti suggestivi che rimandano alle esperienze dell’avanguardia. Il testamento di Orfeo (Le testament d’Orphée, 1960) è soprattutto una riflessione dell’artista intorno al proprio immaginario, alla propria poetica e alla propria filosofia. Cocteau appare nel film come attore e personaggio insieme al compagno Jean Marais, interprete di tutte le sue pellicole più importanti del dopoguerra. Con il suo cinema di poesia Cocteau anticipa le correnti antinarrative e riflessive del cinema degli anni Sessanta (più di una sua eco si può trovare nei primi film di Alain Resnais).
Barry Lyndon
Ultimi film e opere rimaste incompiute
SCHEMA RIASSUNTIVO IL NUOVO CINEMA AMERICANO
Negli anni del dopoguerra si sviluppa anche negli Stati Uniti un cinema indipendente e non hollywoodiano. Il panorama, complesso e discordante, comprende opere di tono realista vicine alla Nouvelle Vague e al cinema-verità (quelle di Shirley Clarke e di altri cineasti newyorchesi), film ispirati alla cultura della beat generation, le provocazione iconoclaste del cinema underground, le ricerche formali dello strutturalismo e le esperienze del “cinema espanso”. In questa scena caotica e vitale si segnalano per la compattezza e l’originalità del loro percorso le figure di John Cassavetes, Andy Warhol e Stan Brakhage.
HOLLYWOOD NEGLI ANNI SESSANTA
Gli anni Sessanta sono un’epoca di transizione per il cinema di Hollywood, anni di crisi ma anche di rinnovamento stilistico come dimostrano alcune pellicole uscite sul finire del decennio che mostrano la capacità del cinema commerciale americano di rinnovarsi cogliendo elementi nuovi dal cinema d’autore europeo o dalla cultura underground.
STANLEY KUBRICK
Stanley Kubrick negli anni Sessanta si stabilisce definitivamente in Inghilterra e lì realizza i suoi progetti più ambiziosi a partire da 2001: Odissea nello spazio, un film di fantascienza che supera i confini del genere per trasformarsi in un grande poema filosofico per immagini, realizzato, come le altre opere del regista americano, con maniacale cura del dettaglio e concepito inventando nuove tecniche e forme espressive.
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o i registi che è particolarmente utile ricordare. I capitoli sono conclusi da schemi riassuntivi che espongono in sintesi i lineamenti di fondo degli autori o delle scuole. All’interno dei capitoli sono presenti riquadri di approfondimento, che possono trattare argomenti collaterali all’esposizione principale e importanti per la sua comprensione, oppure autori e/o scuole non altrimenti collocabili. In occasione della prima citazione e nell’eventuale capitolo in cui viene trattato diffusamente, ogni film è seguito dalla data di uscita. I film stranieri sono riportati con il titolo corrente italiano, seguito (tra parentesi) dal titolo originale; se non esiste un titolo italiano viene riportato il titolo originale, seguito (tra parentesi, in tondo) dalla traduzione letterale.
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In coda al volume è disponibile un indice dei film.
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Sommario
7 Il nuovo cinema americano degli anni Sessanta 184 8 Documentario, cinema-verità, cinema diretto 192
INTRODUZIONE Il cinema: tecnica e linguaggio 11
L’ETÀ DEL MUTO 19 36 50
1 Gli anni Settanta 2 Dagli anni Ottanta a oggi
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IL CINEMA CONTEMPORANEO 1 Le origini 2 Nascita di un linguaggio 3 L’apogeo del cinema muto
IL PERIODO CLASSICO
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APPENDICE 79 82 91
Il cinema di animazione
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Indice dei film
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1 L’Italia nel dopoguerra: Neorealismo e cinema d’autore 2 L’Europa nel dopoguerra 3 L’America nel dopoguerra 4 La scoperta dell’Asia 5 Le nouvelles vagues 6 Il cinema italiano negli anni Sessanta
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IL CINEMA MODERNO
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1 L’avvento del sonoro 2 La Hollywood classica 3 Il realismo poetico in Francia 4 Il cinema durante le dittature: URSS, Germania, Italia
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Il cinema: tecnica e linguaggio
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Il cinema è un evento magico sotto molti aspetti. Le immagini (fotografie su pellicola che “si muovono” scorrendo alla velocità di ventiquattro fotogrammi al secondo) che prendono vita sullo schermo assomigliano a un sogno e hanno un fascino segreto, quasi inconscio. Nulla toglie a questo fascino il voler mostrare come il cinema comunichi emozioni e pensieri in virtù di un proprio linguaggio; è altrettanto stimolante subirne l’effetto in maniera immediata lasciandosi investire dal flusso delle immagini quanto analizzarlo dopo, magari usando un DVD (che non equivale a un film visto al cinema, ma può essere fruito a nostro piacimento), e scoprire meglio il perché quella scena ci sia piaciuta tanto, ci abbia fatti commuovere o balzare dalla sedia. Iniziamo allora col vedere alcuni elementi del linguaggio del cinema.
Il cinema: tecnica e linguaggio Caratteristiche delle inquadrature L’unità di base del linguaggio cinematografico è l’inquadratu- Inquadratura o piano ra, detta anche piano; cosa sia un’inquadratura si può individuare osservando con attenzione un film: ogni piano è una composizione visiva organizzata nello spazio inquadrato dalla macchina da presa, delimitata dalla cornice dello schermo e dalla propria durata temporale. Nel caso di materiale girato e non ancora passato al montaggio, l’inquadratura corrisponde alla quantità di pellicola impressionata tra l’inizio e la fine di una ripresa. Quando invece osserviamo un film finito, l’inquadratura è l’immagine compresa tra due tagli di montaggio (stacchi). ■ Tipi di inquadratura e scala dei piani Un’inquadratura può essere definita in base a due parametri: la posizione che occupa rispetto a un soggetto e la sua distanza dallo stesso. Per quanto riguarda l’angolazione possiamo avere riprese frontali (dove l’asse ottico della macchina, cioè la direzione in cui è puntato l’obiettivo, risulta perpendicolare rispetto al soggetto inquadrato), orizzontali (dove l’occhio della cinepresaèallastessaaltezzarispettoalsoggetto),laterali(quando la cinepresa si trova non esattamente di fronte ma a destra o a sinistra del soggetto), dall’altoo dal basso. Angolazioni estreme producono tipi particolari di inquadratura: l’inquadratura a piombo (o picchiata o plongée) riprende un soggetto dall’alto con asse ottico perpendicolare, come è perpendicolare l’asse ottico rispetto al soggetto nella ripresa dal basso detta contropicchiata, cabrata o contreplongée. Rispetto alla linea dell’orizzonte un’inquadratura può essere parallela, inclinata o capovolta (più rara). Il soggetto stesso inoltre può trovarsi in posizione centrata o decentrata rispetto all’asse della ripresa. Le inquadrature possono essere soggettive oppure oggettive. Sono soggettive quando il punto di vista dell’obiettivo riproduce quello di un personaggio del film (e gli spettatori si troviamo a vedere il film attraverso i suoi occhi). Alla base della scala dei piani si trova la distinzione tra campo e piano. Si parla di campo di ripresa quando a dominare l’inquadratura è lo spazio che si trova intorno alla figura umana; si parla di piano di ripresa quando la figura umana è l’elemento prevalente della composizione. In un caso parliamo di campo lunghissimo (un vasto spazio aperto in cui la figura umana non è distinguibile), di campo lungo (una ripresa in esterni dove
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Parametri dell’inquadratura
Angolazioni estreme
Linea dell’orizzonte
Inquadrature soggettive e oggettive Distinzione tra campo e piano
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Il cinema: tecnica e linguaggio
Piani
Dettaglio e particolare
La scelta della luce
Stile hollywoodiano
Stile espressionista Stile neorealista Scelte di ottica
la figura umana occupa una porzione di spazio ridotta, anche se visibile) o di campo medio (dove la figura umana occupa circa metà dell’inquadratura). Nel caso di campo totale la distanza del punto di vista è quella di un campo lungo, ma l’ambiente mostrato è visto nella sua totalità (soprattutto se si tratta di spazi chiusi). Quando il corpo umano inquadrato per intero occupa più di metà dell’inquadratura definiamo il piano figura intera; il piano americano mostra invece un attore inquadrato dalle ginocchia in su; in una mezza figura il margine inferiore dell’inquadratura coincide con la linea della vita di un personaggio; nel primo piano l’attore è inquadrato dalla linea delle spalle in su (dalla linea del busto possiamo parlare di mezzo primo piano); nel primissimo piano la sua testa soltanto (o la testa e una parte del collo) occupa l’intera superficie dell’inquadratura; mentre il dettaglio è un’inquadratura molto ravvicinata di una parte del corpo, il particolare corrisponde alla ripresa ravvicinata di una singola parte del volto (di un occhio si dirà che è un particolare, di una mano che è un dettaglio).
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■ La fotografia: illuminazione e scelta degli obiettivi Fare cinema equivale a scrivere con la luce, per cui l’illuminazione è un punto cardine: fondamentali sono la scelta del bianco e nero o del colore (già nei primissimi anni del cinema esistevano tecniche di colorazione delle pellicole), di una luce soft e diffusa (nello stile hollywoodiano si usava una combinazione di luci: una frontale, una laterale che attenuava le ombre create dalla luce principale e una di riempimento che dava rilievo alla figura staccandola dallo sfondo) o dura e ricca di contrasti e chiaroscuri (lo stile dell’Espressionismo tedesco), di una luce naturale come indice di aderenza al reale (come nel Neorealismo e nella Nouvelle Vague), di un’illuminazione frontale, dall’alto, dal basso, laterale oppure del controluce (che dà alle figure l’effetto di una silhouette). Uguale importanza rivestono le scelte di ottica. L’obiettivo “normale” (con focale da 50 mm) per le pellicole 35 mm riproduce all’incirca la visuale a occhio nudo; gli obiettivi con focale inferiore ai 50 mm, detti grandangolari o a focale corta, ampliano il campo visivo e dilatano gli spazi accentuando le linee di fuga prospettiche e le distanzetra figure (ingrandendo gli oggetti o le figure più vicini all’obiettivo rispetto a quelli più lontani; Orson Welles è stato un maestro nell’uso del grandangolo). Le lenti con lunghezza focale superiore ai 50 mm (focale lunga) sono dette teleobiettivi: al contrario degli obiettivi a focale corta, appiattiscono la prospettiva, avvicinano gli oggetti lontani, ma comprimono le distanze e gli effetti di rilievo (Kurosawa ne ha fatto un uso molto originale).
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Il cinema: tecnica e linguaggio
Il montaggio e gli altri elementi espressivi I primi film della storia del cinema erano composti da una sola veduta e quindi facevano a meno del montaggio come elemento strutturale, anche se non come risorsa illusionistica: il fermo macchina che Méliès utilizzava per i trucchi era un procedimento di montaggio mascherato. Per un certo periodo anche i film narrativi furono solo dei blocchi di scene chiuse. Quando le singole scene non furono più concepite come quadri autonomi ma sviluppate secondo una dialettica di più piani – come richiesto anche da una narrazione più complessa che adottava come misura il lungometraggio – il montaggio divenne una risorsa fondamentale come il découpage, che può essere definito la sua chiave concettuale, cioè una suddivisione preliminare in campi e piani secondo specifiche scelte di regia. ■ Le transizioni tra inquadrature La transizione più semplice e comune tra due inquadrature è lo stacco, che corrisponde a un taglio nella pellicola e al passaggio diretto da un’inquadratura alla successiva. Un tipo di transizione più morbida e graduale è la dissolvenza: le dissolvenze al nero e al bianco sfumano gradualmente un’immagine in uno schermo completamente nero o bianco (o viceversa, nel qual caso parliamo di dissolvenza dal nero o dal bianco o di assolvenza); le dissolvenze incrociate mostrano invece un’immagine sfumare in un’altra che la sostituisce. La dissolvenza era molto usata fino agli anni Cinquanta per indicare un’ellissi temporale o il passaggio dalla realtà al sogno. Oggi ha perso questa connotazione ed è usata più liberamente. Transizioni come la tendina (un’immagine che subentra a un’altra entrando lateralmente e spingendo fuori campo la precedente) o l’iride (un foro che si apre o si chiude intorno all’immagine), molto usate ai tempi del muto, oggi persistono a mo’ di citazione.
Il montaggio “mascherato” dei primi film Dalla veduta unica al lungometraggio
Découpage
Stacco Dissolvenza
Tendina e iride
■ I raccordi classici
Il montaggio più convenzionale si basa sulla trasparenza, vuo- Trasparenza le cioè essere invisibile, eliminare la percezione dell’artificio e del montaggio dare l’impressione di un continuum sensoriale che ci presenti un effetto di realtà. Per questo sono stati elaborati criteri visivi chiamati raccordi che definiscono la creazione di uno spazio il Raccordi più possibile lineare, comprensibile, coerente e omogeneo. L’applicazione del metodo dei raccordi si trova in alcune articolazioni ben precise. Per esempio, nel concordare la direzione degli sguardi tra personaggi, che in una conversazione dovranno essere simmetrici: se uno guarda fuori campo (cioè nello spazio esterno ai margini dell’inquadratura) verso destra l’al13
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Il cinema: tecnica e linguaggio
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Tipologie di raccordo tro gli risponderà guardando verso sinistra (raccordo di sguardi). Bisogna ricordare i raccordi di direzione (un personaggio che esce fuori campo a destra dovrà rientrare da sinistra nell’inquadratura successiva che ne segua lo spostamento, per non dare l’impressione che sia tornato indietro); di posizione (due personaggi ripresi in un un’inquadratura uno a destra e l’altro a sinistra non dovranno cambiare posizione nell’inquadratura successiva); sul movimento o sul gesto (si compie tagliando un movimento o un gesto in un’inquadratura e riprendendolo nella successiva da un’altra angolazione o con un’altra distanza rispetto al soggetto); sull’asse (due inquadrature raccordano sull’asse quando riprendono lo stesso soggetto da una diversa distanza ma con identica angolazione). ■ Due regole e le loro infrazioni Dinamica Una dinamica tipica del montaggio classico è il cosiddetto camcampo/controcampo po/controcampo: ovvero l’attacco per angolazioni corrispondenti usato per i dialoghi tra persone riprese alternativamente l’una rispetto all’altra. A partire dalla linea immaginaria che unisce i loro sguardi i due personaggi a colloquio saranno ripresi Regola dei 180° secondo due angolazioni corrispondenti a un angolo di 180°. Una volta scelto un lato da cui inquadrare la scena, la tecnica del campo/controcampo classico presuppone che le successive posizioni della cinepresa restino all’interno di un semicerchio il cui diametro coincide con la linea che unisce i due sguardi (pena lo stravolgimento delle posizioni dei personaggi tra Scavalcamento una ripresa e l’altra). L’infrazione a questa regola, lo scavalcadi campo mento di campo, era considerata in Occidente un errore tecnico, mentre il giapponese Yasujiro Ozu sfruttava normalmente uno spazio a 360° non curandosi dello scavalcamento di campo ma anzi cercando effetti di simmetria grafica tra le poRegola dei 30° sizioni dei personaggi. Regola meno nota è quella dei 30°: prescrive che qualora si montino in sequenza due inquadrature di un medesimo soggetto statico tra di esse vi sia una differenza di angolo di almeno 30°, allo scopo di impedire la percezione di un “salto” innaturale. Questa regola è stata disattesa dall’aJump-cut vanguardia sovietica e da Godard, che di questo salto (jumpcut) ha fatto uno strumento poetico. Le infrazioni alle normative standard fanno infatti parte della storia del montaggio ciDifferenti nematografico quanto le regole medesime: mentre la verosiinterpretazioni miglianza in una narrazione lineare era ed è sempre la preocdelle regole cupazione del cinema hollywoodiano, le avanguardie del muto puntavano alla creazione di ritmi musicali (Impressionismo) o di un significato ideologico (formalisti sovietici), mentre il cinema d’autore e la Nouvelle Vague hanno concentrato l’attenzione sullo stile quale espressione di natura poetica.
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Il cinema: tecnica e linguaggio ■ Dal quadro al film: scene e sequenze
Sequenza e scena
Piano sequenza
Tipologie di sequenza
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Una serie di inquadrature legate da unità drammatica, narrativa o tematica forma una sequenza. Una sequenza è definita scena quando mostra un’azione che si svolge in tempo reale (quindi la durata della proiezione e quella della finzione coincidono). Quando un’azione intera è filmata usando una sola inquadratura continua abbiamo il piano sequenza (attenzione: il termine piano sequenza si diffonde negli anni Cinquanta per indicare un tipo di soluzione alternativa al montaggio tradizionale; è improprio parlare di piano sequenza per i film delle origini composti da una sola veduta). Gli studiosi di cinema (in particolare Christian Metz) hanno individuato alcuni tipi di sequenza. La sequenza ordinaria, pur avendo uno sviluppo cronologico lineare, si differenzia dalla scena poiché non ha la durata di un evento reale ma contiene tagli o ellissi temporali. Quando parliamo di montaggio alternato e parallelo intendiamo due procedimenti simili ma qualitativamente differenti: la sequenza alternata mostra due azioni che si verificano in simultanea ma in spazi diversi, mostrando in alternanza brani dell’una e dell’altra allo scopo di farne intuire la contemporaneità (un tipico esempio sono le scene di salvataggio finale dei film di David Wark Griffith); nella sequenza in parallelo l’alternanza nel montaggio si verifica tra due eventi, azioni o nuclei di immagini che non hanno tra loro relazione cronologica ma sono piuttosto comparati per evidenziare le reciproche affinità o divergenze su un piano drammatico e/o simbolico (come in Intolerance, ancora di Griffith, o nella sequenza finale di Sciopero di Ejženštejn). La sequenza a episodi descrive per sintesi delle azioni che coprono un lungo arco di tempo, presentandone solo alcuni momenti caratteristici separati da ellissi temporali (per esempio la sequenza di colazioni tra Kane e la sua prima moglie in Quarto Potere di Orson Welles è una metafora della loro crisi matrimoniale). La sequenza ricognitiva non ha valore narrativo, ma piuttosto illustrativo: più piani mostrano un tema o uno stesso ordine di eventi (le immagini dei grattacieli accompagnate dalla musica di Gershwin nella prima sequenza di Manhattan di Woody Allen).
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■ I movimenti di macchina
I due movimenti base che può effettuare una cinepresa sono la panoramica e la carrellata. La panoramica è un movimento Panoramica che la macchina effettua ruotando sul proprio asse in orizzontale (verso destra o sinistra) o in verticale (verso l’alto o il basso). Nel caso di un movimento composto si può parlare di panoramica obliqua (panoramica circolare se la cinepresa effettua un giro completo su se stessa e torna alla posizione di 15
Il cinema: tecnica e linguaggio
Elementi del suono
■ Il suono L’esperienza del cinema è audiovisiva, in cui visione e ascolto si influenzano a vicenda. La colonna sonora intesa come l’insieme degli elementi acustici di un film comprende tre classi di eventi sonori: le voci (e la parola), i rumori e la musica. Gli elementi del suono si individuano a loro volta in tre categorie in base al loro rapporto con lo spazio-tempo del film e di ciò che rappresentano a livello narrativo (il mondo della finzione rappresentata si definisce diegesi). Abbiamo quindi dei suoni la cui sorgente è visibile sullo schermo (“in”) e dei suoni fuori campo (“off ”), la cui fonte non si vede ma è compresa nell’universo della finzione (cioè interna allo spazio del racconto, ad esempio qualcosa che ascoltano i personaggi): entrambi sono suoni diegetici. Il suono “over”, invece, fa parte di un fuori campo extradiegetico (cioè estraneo al mondo della finzione); possiamo sentirlo solo noi spettatori.
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Tre categorie di suoni
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partenza). Un particolare tipo di panoramica è la panoramica a schiaffo (un movimento molto veloce e brusco). La macchina Carrellata da presa effettua invece una carrellata quando scorre su binari o ruote: ci sono carrellate avanti, indietro, laterali e circolari; sono trasversali quando la cinepresa si muove obliquamente rispetto all’asse ottico. Rispetto al personaggio, poi, si può parlaMovimenti composti re di carrellata a seguire o a precedere. Esistono inoltre movimenti composti che uniscono panoramiche e carrellate. Altri movimenti di macchina si possono ottenere usufruendo di automobili (si parla di camera-car), elicotteri o attrezzature come il dolly (piattaforma dotata di braccio mobile su cui è montata la macchina da presa) o strumenti analoghi quali la gru o il louma. La steadycam, legata da un’imbracatura al corpo dell’operatore, funziona grazie a un sistema di ammortizzatori che ne stabilizzano i movimenti (mentre nel caso della macchina a mano si notano gli ondeggiamenti).
I GENERI
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thriller (giallo basato più sulle emozioni e meno sulla deduzione poliziesca; i suoi protagonisti sono persone comuni piuttosto che investigatori), il noir (una variante del poliziesco dai toni più cupi) e generi nazionali come il polar (un tipico poliziesco francese) e i nostri peplum (film epici in costume ambientati nell’antichità romana) e spaghetti western (western all’italiana nati negli anni Sessanta).
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Accanto a commedia, melodramma, poliziesco, western, azione, guerra, gangster movie, comico (con la sua variante slapstick, basata sulle gag fisiche), avventura, horror, fantascienza, fantastico (al cui interno si inserisce il fantasy più votato a descrivere mondi di pura invenzione), esistono generi derivati come la screwball comedy (commedia brillante sviluppata intorno a un personaggio eccentrico), il
L’ETÀ DEL MUTO
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1 Le origini 2 Nascita di un linguaggio 3 L’apogeo del cinema muto
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Il primo grande momento della storia del cinema coincide con gli anni del muto (1895-1927 circa). Per la verità il cinema avrebbe potuto essere sonoro fin dall’inizio: c’erano già stati degli esperimenti in questo senso fin dagli albori della nuova tecnica, ma erano stati accantonati, visto il grande successo che le sole immagini in movimento avevano avuto anche senza bisogno del suono sincrono. Inoltre la presenza nei luoghi di proiezione di musicisti, presentatori o mezzi meccanici di riproduzione della musica inducono a pensare che molti spettacoli fossero già delle esperienze audiovisive. Rivisti oggi, i film muti mantengono il loro fascino in ragione di una indubbia diversità estetica (anche se per motivi tecnici la loro visione odierna è lontana da quella ottimale). Il dover dire tutto – o comunque il più possibile – attraverso le sole immagini è stato fonte di idee nuove e di risultati che ancora colpiscono per inventiva e originalità. Il cinema, che all’inizio era soprattutto un mezzo di riproduzione della realtà, a partire dai primi anni del Novecento (e in maniera decisiva dal secondo decennio del XX secolo) si trasforma in uno spettacolo a prevalente carattere narrativo. A prevalere è soprattutto il modello rappresentato dal cinema americano. Forte, questo va detto, di un’industria divenuta la più importante del mondo e capace di dominare, dopo la Prima Guerra Mondiale, il mercato internazionale. Ma anche la più schiacciante superiorità produttiva sarebbe stata vana senza la coerenza di scelte espressive e la capacità di organizzare un potente immaginario in funzione del pubblico. Al predominio degli Stati Uniti il cinema europeo risponde con film d’arte e, negli anni Venti, con innovativi movimenti nazionali che sondano le possibilità espressive del cinema e da cui scaturiscono forme originali che ne hanno segnato la storia.
1 Le origini La fine del XIX secolo regala all’umanità un altro strumento destinato a cambiarne la vita: il cinematografo. Per i suoi artefici, i fratelli Lumière, era «un’invenzione senza futuro», eppure quello strumento in grado di duplicare gli eventi su una pellicola, grazie all’interesse di uomini di spettacolo come Georges Méliès e tecnici astuti come Edwin S. Porter, diventa capace di inventare mondi fantastici, raccontando di astrusi viaggi sulla Luna, o di tenere la sala con il fiato sospeso mostrando le immagini convulse di una violenta rapina a un treno. Sono le istantanee di un cinema agli esordi, molto vicino alle dinamiche degli spettacoli popolari (le fiere, i circhi, i music-hall sono i suoi habitat naturali), a cui oggi guardiamo non come a un semplice embrione di quello che sarebbe venuto poi, ma a un modello autonomo di spettacolo, concepito in maniera differente rispetto alle forme degli anni successivi.
Cosa intendiamo quando parliamo di cinema «Cos’è il cinema?» è la domanda che si rivolgeva il celebre critico, teorico ed esegeta André Bazin nel titolo della sua più nota raccolta di saggi. Al di là delle singole concezioni estetiche concernenti il fare e guardare i film, la risposta non può che articolarsi in più elementi. Il fenomeno storico e tuttora vivo che noi oggi chiamiamo cinema – parola che deriva dal Origine del termine greco κι′νηµα (kínema), ossia “movimento” – comprende in- “cinema” fatti una molteplicità di fattori: il cinema è una tecnica, un’arte, un tipo di spettacolo, un’industria e un circuito commerciale evolutisi nell’arco di oltre cento anni in nuove forme e nuovi significati. La storia dell’arte cinematografica e dei suoi autori e interpreti non può prescindere dall’evoluzione tecnica e produttiva, dalla percezione del pubblico, da fenomeni collaterali e indotti (il divismo e altri fenomeni di costume legati all’immaginario cinematografico), dalla storia della cultura e dalla Storia con la “esse” maiuscola, solo per citare alcuni degli “attori” in gioco. Gli stessi prodotti nati per un determinato tipo di fruizione (collettiva, in una sala buia e con uno schermo grande: l’esperienza ordinaria del cinema) hanno avuto e hanno tuttora una seconda vita al di fuori della loro cornice originaria, grazie alla televisione e all’home video. Tutto ciò è da tenere presente nel momento in cui si affrontano temi complessi come la definizione della “settima arte”, la sua nascita e la sua evoluzione in oltre un secolo.
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1 - Le origini
I presupposti storici della nascita del cinema Per convenzione la nascita del cinema viene fatta risalire al 28 dicembre 1895, giorno del primo spettacolo allestito dai fratelli Lumière per un pubblico pagante, in cui compaiono pellicole realizzate e proiettate grazie a un apparecchio di recentissima invenzione, il cinematografo, divenuto da allora sinonimo di cinema. O meglio, sono l’arte e lo spettacolo a essere battezzati con il nome del mezzo tecnico. Auguste (18621954) e Louis (1864-1948) Lumière sono stati preceduti dai fratelli Skladanowsky, il cui bioskop non era tuttavia in grado di competere con l’invenzione dei francesi, mentre Edison da tempo sfruttava il suo kinetoscopio per la visione privata e dovette in seguito adattarsi comprando il brevetto di un proiettore. Non solo per questo motivo, gli storici del cinema oggi collocano la celebre proiezione al Grand Café in Boulevard des Capucines a Parigi nell’ambito di una dinamica più complessa e in un discorso più ampio e articolato, considerando l’invenzione del cinema stesso non il risultato di un singolo contributo bensì un evento verificatosi in contemporanea ma in modo indipendente in vari Paesi. Alla fine del XIX secolo una fotografia più evoluta che sappia riprendere il movimento dei soggetti e ricrearlo su uno schermo costituisce il nuovo orizzonte tecnologico della riproduzione
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immagini in movimento – che da allora in poi sono chiamate cinematografiche –, tuttavia la serata al Grand Café, a metà tra la dimostrazione scientifica e l’intrattenimento, viene considerata il primo spettacolo a fini commerciali destinato a un pubblico pagante – il biglietto costava un franco – e basato sulla proiezione di film in un luogo appositamente adibito (è il Salon Indien a essere preparato per l’occasione): tutte condizioni di fruizione che ancora oggi distinguono il cinema e ne fanno una delle forme d’arte, di spettacolo e di documentazione più conosciute del mondo. Il 28 dicembre 1895, data simbolica e di comodo, è rimasto nella memoria collettiva a indicare un momento che sancisce a tutti gli effetti la nascita della nuova arte.
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LA NASCITA DEL CINEMA Il 28 dicembre 1895 il Grand Café di Parigi è testimone di un evento epocale destinato a cambiare il mondo e il modo in cui esso è percepito e osservato, nonché ad aggiungere un capitolo tutto nuovo alla storia delle arti e della comunicazione. In una sala del caffè vengono proiettati alcuni film che i fratelli Lumière hanno iniziato a girare nel marzo dello stesso anno con il “cinematografo”. Nelle pellicole mostrate, tutte composte da una sola inquadratura della durata inferiore a un minuto, si possono vedere un bambino di pochi mesi imboccato dai genitori o un monello fare uno scherzo a un giardiniere ed essere scoperto e punito. Il movimento della realtà è così ricreato in una sequenza di immagini. Non si tratta della prima proiezione pubblica in assoluto di
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Il primo spettacolo
1 - Le origini
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Gli studi di ottica applicati alla percezione del movimento
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Primi strumenti di animazione ottica
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del reale, non alieno da una mitologia o paramitologia sotterranea (creare un duplicato della vita il più simile alla vita stessa), in ragione della quale il critico Noel Burch parla di “fascinazione frankensteiniana”. Negli ultimi anni dell’Ottocento l’invenzione della fotografia animata è nell’aria in più Paesi, come sostiene anche Wim Wenders nel suo film I fratelli Skladanowksy (Die Gebrüder Skladanowksy, 1995), o almeno lo sono i suoi presupposti tecnici. Ideazione e sperimentazione concreta della resa fotografica del movimento sono rese possibili dagli sviluppi nel campo della fotografia statica e delle macchine industriali come da studi ed esperienze sulla percezione ottica e sul dinamismo animale; inoltre esistevano già delle forme anticipatrici di spettacolo con immagini animate, come le ombre cinesi o la lanterna magica (antenata del proiettore). A monte delle ricerche tecnologiche sulla fotografia vanno considerati gli studi e le esperienze riguardanti l’ottica e le modalità della visione umana. Gli scienziati dell’Ottocento verificano come una serie di immagini fatte scorrere a una velocità di circa sedici immagini al secondo produca l’illusione del movimento. Dall’analisi grafica di un’azione si può giungere così alla sua ricomposizione integrale ed effettiva attraverso la velocità di scorrimento di immagini statiche che raffigurino il medesimo soggetto colto in fasi ravvicinate e consecutive di uno stesso gesto così da combinarsi in un movimento continuo. La persistenza dell’immagine sulla retina era stata studiata già nel XVII secolo da Newton, ma è Peter Mark Roget a scoprire che l’occhio umano trattiene un’immagine per un quindicesimo di secondo dopo la sua scomparsa. Negli anni Venti del XIX secolo nascono i primi giochi ottici che sfruttano questo principio, come il taumatropio e la ruota di Faraday. Nel 1832 il belga Joseph Plateau e l’austriaco Simon Stampfer inventano, in contemporanea ma in maniera indipendente uno dall’altro, il fenachistoscopio; l’anno dopo l’inglese William Horner crea lo zootropio. Sono i primi strumenti di animazione ottica: le figure disegnate si osservano muoversi attraverso delle fessure (di un disco parallelo a quello dei disegni per il fenachistoscopio, del cilindro all’interno del quale è sistemata una striscia di disegni per lo zootropio). Plateau precorre il funzionamento della macchina cinematografica nel momento in cui ipotizza di applicare delle fotografie al fenachistoscopio. I soggetti di questi giochi propongono figure alle prese con azioni semplici e chiuse, ripetibili in circolo: numeri di clown, saltimbanchi, acrobati, lottatori, duellanti, danzatori. Ugualmente propedeutica al cinema si considera l’analisi del movimento animale realizzata attraverso la cronofotografia. Alla fine degli anni Settanta dell’Ottocento una batteria di ven-
Studi del movimento animale 21
1 - Le origini
tiquattro macchine fotografiche capaci di impressionare un fotogramma in una frazione di secondo permette all’inglese Edward Muybridge di scandire visivamente le fasi della corsa di un cavallo al trotto e quindi di proiettarne con una lanterna magica una ricostruzione simulata, per la quale si serve però di disegni copiati dalle fotografie e non delle fotografie stesse. I risultati destano il grande interesse della comunità scientifica e l’indignazione degli artisti accademici. Étienne-Jules Marey Per studiare il volo degli uccelli, il fisiologo francese ÉtienneJules Marey crea il fucile fotografico (un perfezionamento della pistola fotografica ideata dall’astronomo Pierre Jules Janssen), capace di impressionare dodici fotogrammi in un secondo su un disco di vetro, e il cronofotografo, con cui è possibile fissare immagini alla velocità di centoventi fotogrammi al secondo su un supporto di pellicola flessibile. Marey si dimostra un pioniere della tecnica cinematografica, utilizzando per il suo secondo apparecchio un meccanismo a intermittenza creato da un otturatore che agisce per una frazione di secondo e arresta la pellicola dopo ogni singolo fotogramma, così da rendere armonico lo scorrimento e nitida la visione delle immagini. I progressi della fotografia e dei supporti impressionabili sono in questo senso decisivi. Con la riduzione progressiva dei tempi di esposizione, negli anni Novanta dell’Ottocento era possibile scattare in un secondo un numero di fotografie sufficiente a ottenere la sequenza necessaria a registrare e analizzare il movimento. Per animare queste immagini era tuttaIntroduzione via indispensabile la creazione di un supporto flessibile in luodi supporti flessibili go delle vecchie lastre fotografiche di vetro. La macchina Koper apparecchi dak prodotta da George Eastman nel 1888 si serve per la prifotografici ma volta di rulli di carta sensibile, ma soltanto l’anno seguente lo stesso Eastman crea per gli apparecchi fotografici il rullo di celluloide trasparente, materiale di base per tutti gli apparecchi di ripresa cinematografica. Reynaud Già dal 1882, con un supporto fotografico flessibile non di cele il teatro ottico luloide e dipinto a mano, Émile Reynaud realizza una versione più evoluta del suo prassinoscopio, mettendo in atto le prime esibizioni pubbliche di immagini in movimento. Il prassinoscopio è simile allo zootropio, ma può proiettare le immagini su uno schermo servendosi di una lanterna magica e di un sistema di specchi. Il teatro ottico di Reynaud è un pionieristico cinema di animazione, la cui dinamica include piani ravvicinati e lo sfruttamento espressivo della profondità dell’immagine. Nel giro di pochi anni l’invenzione di Reynaud viene superata, e questo pioniere del cinema, che pur cercava di rimanere al passo con i tempi, nel 1900 finisce col ritiAugustine Le Prince rarsi dalle scene. Con il primo rullo Kodak nel 1888 Augusti-
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ne Le Prince, francese che lavora in Gran Bretagna, gira alcuni film a sedici fotogrammi al secondo pur non avendo ancora i mezzi per proiettarli. La macchina di sua invenzione non verrà mai sfruttata: nel 1890, quando potrebbe entrare nella storia a tutti gli effetti come l’inventore del cinema, Le Prince scompare misteriosamente insieme alle sue invenzioni.
Da Edison ai Lumière
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Come accennato, la tecnica dell’immagine in movimento è il risultato di una somma di apporti tecnici individuali sviluppati in contemporanea in diverse parti del mondo e che concorrono infine a creare un fenomeno globale. Molti inventori arrivano a proiettare immagini in movimento in maniera autonoma. Un primo fronte è aperto negli Stati Uniti da Thomas Alva Edison e dal suo assistente William K.L. Dickson, che lavorano già nel 1888 a un apparecchio capace di fotografare e mostrare immagini in movimento. Edison ha in mente fin dall’inizio di creare il cinema sonoro costruendo un apparecchio da abbinare al fonografo, che faccia cioè per l’immagine ciò che la sua precedente invenzione ha fatto per il suono. Dopo aver visto all’opera il cronofotografo di Marey durante un viaggio in Europa ed essersi procurati del materiale di Eastman, Edison e Dickson costruiscono e brevettano uno strumento per la ripresa, il kinetografo, e uno per la proiezione, il kinetoscopio. Per commercializzare quest’ultimo Edison sceglie di darlo in affitto ai locali di divertimenti e alle sale giochi a partire dal 1894. Il kinetoscopio permette di vedere filmati di venti secondi le cui immagini sono incise su nastri di celluloide da un pollice (35 mm di larghezza) dotati di quattro perforazioni su ciascun lato che permettono agli ingranaggi della macchina di far scorrere la pellicola alla velocità di quarantasei fotogrammi al secondo. Le misure della pellicola e le sue caratteristiche rimarranno uno standard di base per tutta la storia del cinema e della fotografia. Il kinetoscopio è pensato per la fruizione individuale anziché per quella collettiva, funzionando a gettoni: chi vuole vedere un filmato (all’inizio numeri sportivi e circensi, brevi danze o scenette comiche) inserisce una moneta e osserva le immagini da uno spioncino. Per realizzare i film da inserire nei kinetoscopi, la compagnia di Edison costruisce un teatro di posa dalle pareti tinte di nero, detto Black Maria per la somiglianza con gli angusti furgoni della polizia così chiamati. La costruzione è pensata specificamente in funzione delle riprese ed è in grado di ruotare su una piattaforma girevole per ricevere la luce ottimale.
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Kinetografo e kinetoscopio
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Realizzazione dei primi film
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1 - Le origini
Woodwille Latham
Innovazione tecnica Francis Jenkins e Thomas Armat William Dickson e Herman Casler
Sul mercato il kinetoscopio riscuote grande successo, ma è presto accantonato quando la proiezione collettiva – e non più quella privata – diventa la forma predominante di spettacolo cinematografico. Negli Stati Uniti Woodwille Latham, con i figli Otway e Gray, inventa una cinepresa e un proiettore e nel 1894 organizza le prime proiezioni di film. Il maggiore contributo tecnico dei Latham consiste in un accorgimento meccanico passato alla storia come “ricciolo” e per il cui brevetto nel 1912 si scatenerà una guerra tra case produttrici: i Latham introducono un passaggio della pellicola che ne allenta la tensione permettendo così di caricarne un maggiore quantitativo in macchina e di effettuare riprese di più lunga durata. “Rivali” dei Latham sono Francis Jenkins e Thomas Armat, che realizzano un proiettore adatto ai film del kinetoscopio, battezzato phantoscope; tuttavia l’apparecchio non ha successo e i due sciolgono la società. Diventano soci invece William Dickson, l’ex assistente di Edison, e Herman Casler, che ha brevettato un peepshow alternativo a quello di Edison: il mutoscope. I due fondano la American Mutoscope e costruiscono una cinepresa e un proiettore per pellicole da 70 mm, ottenendo un’immagine più grande e di maggiore qualità. In Europa la ricerca sulla fotografia in movimento culmina in Francia con l’invenzione del cinematografo, che, come detto, non è il primo strumento ma supera gli altri in qualità e completezza. Al Wintergarten di Berlino il 1° novembre 1895 i fratelli Max, Emil e Eugen Skladanowsky presentano i loro film all’interno di uno spettacolo di varietà, precedendo di quasi due mesi la prima proiezione commerciale del cinematografo Lumière. Il bioskop di loro invenzione funziona con due nastri di pellicola da 53 mm, dotati di scorrimento alternato grazie a un meccanismo definito “a chiocciola”. Invitati a Parigi per una dimostrazione, assisteranno in realtà al trionfo del cinematografo. In Italia Filoteo Alberini ha depositato già nel 1894 una richiesta di brevetto per una sua macchina per riprendere, stampare e proiettare film, il kinetografo, ma lo ottiene solo il 2 dicembre 1895 a causa delle lungaggini burocratiche. Louis e Auguste Lumière, proprietari insieme al padre Antoine di un’azienda di prodotti fotografici tra le più importanti d’Europa, studiano una propria cinepresa partendo dal kinetoscopio. Il cinematografo funziona con la stessa pellicola da 35 mm usata da Edison e si avvale di un meccanismo a intermittenza analogo a quello della macchina da cucire che già era stato pensato da Marie: può riprendere, stampare copie positive e trasformarsi in proiettore. Le tre operazioni sono quindi rese possibili da un solo strumento, tra l’altro più comodo
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Fratelli Skladanowsky
Filoteo Alberini
Fratelli Lumière
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1 - Le origini
I Lumière non credono che il cinema sia più che una moda passeggera, perciò cercano di sfruttarlo al massimo sul momento inviando all’estero i loro operatori a presentare le pellicole e a girarne di nuove. Tra il 1896 e il 1897 dimostrazioni pubbliche del cinematografo hanno luogo in tutti i continenti e il catalogo Lumière si arricchisce notevolmente, arrivando a toccare la quota di mille film prodotti in due anni. La specialità sono le vedute, ma non mancano scene comiche e di finzione. I primi film durano un minuto, il tempo di una singola ripresa, e non sono particolarmente elaborati: la vera magia per gli spettatori di quegli anni è poter vedere uomini e cose muoversi e animarsi sullo schermo. Il pubblico è perlopiù composto da persone della classe lavoratrice che frequentano le fiere e gli spettacoli itineranti. Sulle classi più agiate il cinema non esercita una grande attrattiva; il famoso incendio scoppiato durante una proiezione al Bazar de la Charité (costato la vita a oltre cento persone, molte delle quali appartenenti all’alta società parigina) contribuisce ad allontanare il pubblico borghese e intellettuale dagli spettacoli del cinematografo, appannaggio sopratutto dei ceti popolari. Nel 1905 i Lumière cessano di produrre film e si concentrano su nuovi sviluppi della fotografia, da sempre il loro vero campo di interesse. Intanto nel loro Paese sono sorte nuove e importanti case di produzione: quella di Georges Méliès, la Star Film, ma soprattutto la Pathé Frères e la Gaumont, che negli anni successivi domineranno l’industria cinematografica francese. La Pathé in particolare è la prima so-
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La diffusione del cinema nel mondo e le prime case di produzione
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e maneggevole. I film realizzati con il cinematografo, come La Primo film della sortie des usines Lumière (L’uscita dalle fabbriche Lumière, storia del cinema 1895), mostrato in pubblico già nel marzo 1895 nell’ambito di un incontro a Parigi, sono girati alla velocità di sedici fotogrammi al secondo, rimasto lo standard internazionale fino agli anni Venti e all’introduzione del sonoro. Prima ancora che i Lumière vi inviino un loro rappresentante, in Gran Bretagna Robert William Paul e il suo collaboratore Birt Acres realizzano un proprio modello di cinepresa e girano i primi film: il più noto, Rough Sea at Dover (Mare mosso a Dover), realizzato da Acres, è mostrato in pubblico l’11 gennaio 1896 (il cinematografo arriva nel Regno Unito un mese dopo). Paul vende i suoi apparecchi anziché darli in affitto: la sua scelta rappresenta un fattore determinante per la diffusione del cinema; uno dei suoi clienti sarà Georges Méliès.
Le pellicole dei Lumière
Il primo pubblico del cinematografo
Prime case di produzione
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1 - Le origini
Prime proiezioni negli USA
Lotte di mercato
cietà di produzione al mondo a svilupparsi secondo il criterio della concentrazione verticale, controllando cioè in un proprio circuito i tre settori nevralgici della produzione, della distribuzione e dell’esercizio – realizzando film, in questo caso anche con i propri materiali (pellicole, cineprese e proiettori), noleggiandoli e gestendo le sale di proiezione –, oltre a vendere le proprie pellicole all’estero e ad aprire filiali in altri Paesi come Russia, Stati Uniti e Italia. Negli Stati Uniti le proiezioni si diffondono a partire dal 1896, quando Edison acquista il vitascope di Armat, una nuova elaborazione del phantoscope. Molte società nel frattempo mettono in commercio i loro proiettori per pellicole da 35 mm e comprano – anziché noleggiare – i film della Edison Company. Non essendoci una legislazione per il diritto d’autore che riguardi le pellicole, abbondano le contraffazioni, e molte vengono duplicate e vendute abusivamente; ma anche Edison agisce allo stesso modo con i film inglesi e francesi, realizzando controtipi che duplica in copie destinate al commercio. La sua compagnia cerca di monopolizzare il mercato interno statunitense, scatenando continue offensive legali. Due case crescono abbastanza da tenerle testa: la American Mutoscope Company, dal 1899 chiamata American Mutoscope & Biograph (AM&B), che, dopo aver vinto una causa nel 1902, dall’anno successivo proietta film a 35 mm, e la Vitagraph, fondata da J. Stuart Blackton e Albert E. Smith, che inizia producendo film patriottici ispirati all’attualità della guerra di Cuba – uno degli argomenti più popolari tra il pubblico americano dell’epoca – e insieme alla AM&B sarà il più agguerrito competitore di Edison.
Dalla veduta al montaggio: Edison, Lumière e la Scuola di Brighton I primissimi film della Edison, girati in genere da Dickson, sono un’evoluzione dei soggetti degli strumenti ottici e consistono in azioni ginniche, evoluzioni o gag. Figure bianche di acrobati, ballerini, ginnasti, pugili e animali ammaestrati agiscono sullo sfondo scuro del Black Maria. Non mancano tuttavia premonizioni di una costruzione scenica più elaborata. Per esempio Edmond Kuhn gira The Execution of Mary, Queen of Scots (L’esecuzione di Maria, regina di Scozia, 1895), “attualità ricostruita” in cui la decapitazione di Maria Stuarda avvenuta nel 1587 viene messa in scena con attori e comparse in costume. Nel film, che contiene una sola inquadratura della durata di circa trenta secondi – e da alcuni è considerato genero-
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The Execution of Mary, Queen of Scots
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1 - Le origini
samente il capostipite del genere horror –, si nota uno dei primi effetti speciali del cinema: un arresto della ripresa che permette di sostituire l’attrice che interpreta la regina con un manichino e di mostrare la decapitazione. La sortie des usines Lumière è il primo film girato con il cinematografo dai fratelli Lumière, mostrato già nel marzo del 1895 e rifatto pochi mesi dopo. La macchina da presa, sistemata al piano terra di un palazzo antistante l’ingresso della fabbrica in modo da non essere vista dai protagonisti, coglie in cinquanta secondi il moto spontaneo e non ordinato delle persone, riprese a figura intera; uno squarcio di vita vera che colpisce ancora oggi per la freschezza e la viva intensità. Se il tipo di veduta en plein air che i Lumière propongono coglie sul vivo il movimento della realtà e i riflessi della luce naturale, l’approccio scientifico e documentaristico degli inventori del cinematografo non esula da una nitidezza compositiva derivante dal gusto fotografico e pittorico dell’epoca. Il ritratto domestico di Le déjeuner du bébé (La colazione del bebè, 1895) – con i protagonisti filmati a mezzo busto e una tavola accuratamente composta – era molto in voga in fotografia, attività che gli stessi Lumière avevano contribuito a rendere popolare con le loro creazioni industriali. Ugualmente, i soggetti o le vedute prospettiche di altre pellicole si rifanno alla pittura impressionista e postimpressionista (che a sua volta subì la provvidenziale influenza della fotografia trovandovi una prospettiva nuova e diversa da quella della pittura accademica). L’arrivée d’un train à La Ciotat (L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat, 1895) merita una riflessione per il suo dinamismo e la sua plasticità. In un quadro contenitore della durata di cinquanta secondi raduna una serie di piccole istantanee create spontaneamente dal movimento delle persone e del treno in arrivo lungo la linea diagonale tracciata dal binario. È come se i passeggeri e il treno staccassero una serie di piani diversi all’interno della stessa ripresa continua sfruttandone la profondità spaziale: il treno si vede arrivare da lontano sullo sfondo e avanza sempre più, fino a “sfondare” l’obiettivo. Le cronache raccontano come alcuni spettatori scappassero per paura di essere investiti, confondendo la realtà con la sua illusoria ricreazione sullo schermo. Il treno è una presenza importante in tutto il cinema delle origini: un tentativo illusionistico di cinema totale è rappresentato dagli Hale’s Tours, attrazioni da fiera dove gli spettatori viaggiano con gli occhi, seduti in un finto vagone ferroviario; viaggi simulati per immagini sono anche i travelogues e le phantom rides, che avevano per soggetto panorami ripresi dall’interno dei vagoni o dalla te-
La sortie des usines Lumière
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Le déjeuner du bébé
L’arrivée d’un train à La Ciotat
La presenza del treno nel cinema
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1 - Le origini
Prima carrellata della storia L’arroseur arrosé
La démolition d’un mur
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sta di un treno in corsa. I film dei Lumière anche negli anni successivi privilegiano le riprese in esterni, i reportage, l’attualità, i film di viaggi e i documentari. Uno dei loro operatori, filmando la città di Colonia da un battello a vapore sul Reno, realizza di fatto la prima carrellata della storia. Tra i primi storici film dei fratelli francesi, L’arroseur arrosé (L’innaffiatore innaffiato, 1895) rappresenta a suo modo un’eccezione rispetto alla registrazione di eventi reali: questa piccola gag comica (lo scherzo al giardiniere e la punizione del monello, rincorso e riportato davanti all’obiettivo e quindi di fronte al pubblico) viene considerata il capostipite dei film di finzione. Nell’ultima parte di La démolition d’un mur (L’abbattimento di un muro, 1895), la pellicola scorre al contrario: il muro abbattuto finisce per rimettersi magicamente in piedi. I film dei Lumière sono fotografie in movimento le cui qualità dipendono dalle scelte dell’operatore, che si comporta come un fotografo. Come detto, i Lumière non hanno interesse a sviluppare un cinema di messa in scena; anzi, dopo pochi anni abbandonano l’attività, convinti che il cinematografo sia solo un mezzo scientifico e una curiosità senza futuro. ■ La Scuola di Brighton
La palma della creatività per questi anni spetta alla cinematografia inglese, in particolare alla cosiddetta Scuola di Brighton George Albert Smith e ai suoi esponenti più rappresentativi, George Albert Smith e James Williamson (1867-1914) e James Williamson (1855-1933). I registi inglesi girano in esterni anche i film di trucchi come Explosion of a Motor Car (Esplosione di una macchina, di Cecil Hepworth, 1900) e sviluppano una logica di messa in scena più propriamente cinematografica usando un linguaggio vivace e sfrutPrimi montaggi tando le possibili risorse di un montaggio ancora rudimentale. Smith e Williamson non si limitano a mostrare le azioni intere in un unico piano generale, ma alternano al campo totale riprese ravvicinate mostrando lo stesso spazio scenico da più punti di vista. Il film comico di Smith Mary Jane’s Mishap (L’errore di Mary Jane, 1903) presenta numerosi inserti in mezza figura. All’inizio di The Big Swallow (Il grande boccone, 1901) di Williamson il protagonista appare in piano americano; in seguito l’attore avanza verso l’obiettivo fino al primissimo piano e al particolare della bocca che si spalanca e inghiotte cinepresa e operatore. Grandma’s Reading Glass (La lente della nonna, 1900) e As Seen Through a Telescope (Visto da un telescopio, 1900) di Smith utilizzano mascherini circolari (fogli opachi che in fase di ripresa coprono una parte della pellicola) per mostrare i dettagli catturati da personaggi che utilizzano lenti e telescopi in quelle che non sono ancora vere e proprie sog28
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gettive. I piani ravvicinati sono per il momento un effetto visivo e non rispondono a una funzione narrativa o drammatica, ma soltanto descrittiva. Film a inseguimento come The Miller and the Sweep (Il mugnaio e lo spazzacamino, 1897) di Smith o Stop Thief! (Al ladro!, 1901) di Williamson attraverso i movimenti dei personaggi fanno intuire un fuori campo latente e un’idea di concatenazione spazio-temporale tra i piani che alla lunga uscirà dalla logica del quadro primitivo. Rescued by Rover (Salvato da Rover, 1905) di Lewis Fitzhamon, prodotto dalla compagnia di Cecil Milton Hepworth, costruisce un percorso lineare di andata e ritorno dove il protagonista, un cane che ritrova il suo padroncino rapito, compie dei movimenti ripresi in maniera coerente per direzione e senso (quelli di andata in avvicinamento alla macchina, quelli di ritorno nel senso opposto). Il cinema inglese, il più originale di questi anni, rimane tuttavia sostanzialmente artigianale, a differenza di quello francese e americano.
La narrazione per immagini: da Méliès a Porter Il fenomeno che anticipa i film narrativi in più quadri è quello delle Passioni, scene della vita di Cristo formate da tableaux vivants del tutto autonomi e venduti singolarmente. Se ne girano diverse in ogni parte del mondo, ispirate a una forma di sacra rappresentazione di origine medievale. Dopo i primi due anni il pubblico del cinema mostra una netta flessione: gli spettatori che prima si accontentavano di vedere le figure muoversi su uno schermo hanno bisogno di stimoli nuovi. Così alcuni film dei primi anni del Novecento iniziano a sviluppare storie di più ampio respiro servendosi di un numero maggiore di vedute.
Prime narrazioni per immagini
Il pubblico si fa esigente
■ Georges Méliès
Il parigino Georges Méliès (1861-1938) nella prefazione del suo Georges Méliès catalogo americano del 1903 scrive di essere stato «il primo a realizzare film cinematografici composti da scene artificialmente arrangiate», rivitalizzando un’arte che sarebbe andata scomparendo; è senza dubbio colui che intuisce più di tutti i suoi contemporanei le possibilità spettacolari del cinematografo, cui dona una nuova identità. Méliès è un uomo di spettacolo – in un suo soggiorno a Londra ha imparato l’arte della prestidigitazione che pratica prima da dilettante e poi da professionista dirigendo il teatro Robert-Houdin –, ma vanta anche una forte competenza meccanica, acquisita grazie al lavo29
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Racconti fantastici
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Il teatro alla base delle realizzazioni di Méliès 30
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Ricostruzioni di vicende storiche
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“Magie” dell’esposizione multipla della pellicola
ro nella fabbrica di calzature della famiglia. Compera un proiettore di Paul e lo trasforma in cinepresa. Le sue prime prove sono en plein air nello stile dei Lumière e riprese dei suoi numeri di magia. Nel 1896 in Escamotage d’une dame au théâtre Robert-Houdin (Sparizione di una signora al teatro Robert-Houdin) inizia a eseguire trucchi impiegando le risorse del cinema, fermando le riprese e sostituendo alla sua assistente (e futura moglie) uno scheletro. Nel novero dei trucchi creati con le risorse del nuovo mezzo, al fermo macchina con cui far sparire, riapparire e sostituire oggetti e personaggi, Méliès aggiunge l’esposizione multipla della pellicola, che gli consente di mostrare sette doppi di se stesso in L’homme orchestre (L’uomo orchestra, 1900) e di trasformare otto volte la propria testa nelle note di un immaginario spartito in Le mélomane (Il melomane, 1903) – per questo film si serve delle sovrimpressioni su fondo nero usate in L’homme à la tête en caoutchouc (L’uomo dalla testa di caucciù, 1901) –, nonché le dissolvenze e i modellini scenografici. Questi titoli mostrano tutta la sua abilità di mago delle immagini. Méliès realizza inoltre celebri ricostruzioni in studio di vicende storiche come L’affaire Dreyfus (L’affare Dreyfus, 1899), pellicola composta nel suo insieme da più vedute realizzate (e vendute) come tanti pezzi autonomi, che spettava poi ai gestori di spettacoli comporre a loro piacimento in un programma. Passo successivo, un racconto fantastico sviluppato su più quadri, questa volta considerati e venduti come un unico film. Inaugura questa pratica Cendrillon (Cenerentola) del 1899; nel 1902 è la volta di Voyage dans la Lune (Viaggio nella Luna), una costosissima messa in scena allestita in uno studio dalle pareti di vetro a Montreuil. In otto minuti e in quindici quadri, che ancora conservano l’autarchia primitiva nonostante costituiscano una successione lineare, Méliès trasporta sullo schermo del cinema la suggestione delle opere di Jules Verne e di George Wells a cui si ispira questa pantomima ironica e fiabesca. Un gruppo di intrepidi avventurieri approda sulla Luna a bordo di un razzo (l’atterraggio è ripetuto per intero da due punti di vista, all’esterno e all’interno della Luna, che ha un volto umano come nei disegni infantili). Arrivati sulla Luna sono catturati dal popolo dei Seleniti, misteriose creature che abitano il satellite, da cui i nostri riescono a fuggire tornando sulla Terra accolti da una parata nell’apoteosi finale. Méliès, da uomo di spettacolo qual era, adatta al cinema tutti i mezzi del teatro (sceneggiatura, attori, costumi, scenografie, suddivisione in scene o in atti) e realizza i suoi film senza mai uscire dallo studio, servendosi di fondali dipinti. Le azioni sono riprese tutte in un campo lungo frontale che filma per in-
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Prime opere di Méliès
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tero un immaginario proscenio teatrale. La cinepresa offre sempre lo stesso punto di vista, quello di uno spettatore di teatro posto a una distanza ideale dalla scena. I piani ravvicinati sono rari e iperbolici: l’astro trafitto dalla navicella in Voyage dans la Lune e l’enorme testa di caucciù dello stesso regista/attore/produttore in L’homme à la tête en caoutchouc sono ugualmente dei trucchi ottenuti con l’avanzamento del profilmico (tutto ciò che si trova davanti alla cinepresa) verso la cinepresa e non viceversa. Per dare ritmo ai movimenti degli attori Mé- Musica liès si serve di un metronomo o di musicisti che suonano durante le riprese. Il brio, la ricchezza e la fantasia delle sue messe in scena e il formato narrativo che impone come modello di riferimento ne dimostrano l’importanza. Non potendo da solo contrastare colossi industriali come Pathé, Méliès vedrà via via scemare l’interesse del pubblico; il fallimento della filiale ame- Fallimento e ritiro ricana della sua Star Film diretta dal fratello Gaston segna la fi- dalle scene ne della sua fortuna cinematografica. Dopo essersi ritirato, per oltre dieci anni lavora nel chiosco di giocattoli e caramelle di proprietà della moglie, alla stazione di Montparnasse. Verrà riscoperto e riconosciuto come uno dei padri del cinema solo negli ultimi anni della sua vita. ■ Ferdinand Zecca
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Ferdinand Zecca (1864-1947) è il principale artista della Pathé, di cui diverrà poi direttore di produzione. Dopo aver diretto film di vario genere, riprendendo (o copiando) le idee di Méliès e dei registi inglesi, nel 1901 Zecca dirige Histoire d’un crime (Sto- Histoire d’un crime ria di un crimine), un dramma sociale realizzato in teatro di posa con quei fondali dipinti che saranno molto comuni nel cinema francese. Lavorando inoltre nella struttura più organizzata del tempo, Zecca dirige film in proprio e coordina il lavoro degli altri registi Pathé, creando una vera e propria scuola. ■ Edwin Stratton Porter
Edwin Stratton Porter (1869-1941) rimane la storica figura di spicco della produzione Edison. Assunto come tecnico, a cavallo tra i due secoli si cimenta con la regia e sviluppa, sull’esempio di Méliès e dei registi britannici, un tipo di racconto per Il racconto immagini più complesso e articolato pur se racchiuso in bloc- per immagini chi ancora primitivi. si fa più articolato L’impronta lasciata sulla cinematografia americana delle origini, della quale Porter è l’esponente maggiore prima di David Wark Griffith, si avverte forte soprattutto in virtù di tre film usciti nel 1903: se Uncle Tom’s Cabin (La capanna dello zio Tom) importa negli Stati Uniti l’uso delle didascalie, desunte da un modello inglese, le altre due pellicole coeve, The Life of an 31
American Fireman (Vita di un pompiere americano) e L’assalto al treno (The Great Train Robbery) sono tra le più note The Life of an di questo primo decennio. The Life of an American Fireman American Fireman concepisce il montaggio come semplice successione di quadri, tuttavia non manca di un certo ritmo. Porter introduce dettagli, riprese non solo frontali e rudimentali movimenti di macchina, alternando scene girate in studio a scene in esterni. Una copia manomessa ha fatto supporre per anni che fosse stato Porter a impiegare per primo il montaggio alternato; l’errore è dovuto all’opera di un archivista intervenuto in maniera arbitraria sul film: la copia originale ritrovata mostra per due volte la stessa azione finale – il salvataggio di una donna e della sua bambina da parte del protagonista – svolgendola per intero da due punti di vista mostrati consecutivamente (dall’interno e dall’esterno della casa in fiamme), come era prassi nel 1903. Meritevole o meno della nomea di primo film del genere western, di cui senza dubbio rappresenta un precoce archetipo, L’assalto al treno L’assalto al treno sfrutta efficacemente il suo soggetto e l’iconografia popolare che ad esso si accompagnava attraverso riprese realistiche in esterni, specialmente del treno, e un’azione serrata e violenta. Il lavoro più noto di Porter mantiene comunque le caratteristiche dei film delle origini: le scene sono inquadrate frontalmente e in campo lungo o totale; in virtù di quella successione di quadri autonomi e in sé conchiusi (dovuta in origine a logiche commerciali – dei film si vendevano le singole bobine –, ma non solo) le azioni che avverrebbero in simultanea sono montate consecutivamente rispettando l’integrità dell’azione e della veduta, esaurendo prima tutta la sequenza di atti dei banditi e passando quindi alla risposta dello sceriffo e degli altri, fino al ricongiungimento finale e alla sparatoria che vede buoni e cattivi finalmente fronteggiarsi insieme nello stesso spazio visivo. Il piano emblematico del bandito che spara in direzione della cinepresa è l’unica inquadratura ravvicinata (a scelta del proiezionista, la quattordicesima o la prima), sistemata simbolicamente in chiusura o all’inizio del dramma, a presentare o riassumere l’intera vicenda senza mai far parte del suo sviluppo. Altri generi affrontati Porter applica procedimenti linguistici come la dissolvenza, già da Porter usata negli spettacoli di lanterna magica, e pratica altri generi, tra cui il dramma sociale – The Cleptomaniac, La cleptomane, 1905, con un precoce montaggio parallelo mostra il diverso trattamento riservato a una donna ricca e a una povera entrambe accusate di furto – e il film fantastico con Dream of a Rarebit Fiend (Il sogno di un diavoletto, 1906), in cui un uomo, dopo essersi ingozzato e ubriacato, sogna di volare sulla città, restare appeso a un campanile e ricadere di schianto nel suo letto.
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Per simulare visivamente la vertigine dell’ubriaco, Porter proiet- Escamotage tecnici ta sullo sfondo le immagini riprese da una macchina che gira vorticosamente su se stessa (si può pensare come un anticipo di soggettiva) e in sovrimpressione il personaggio barcollante. L’ascesa di Griffith segna l’inizio del suo declino. Edwin S. Porter lascia Edison nel 1911 e diventa direttore generale della Famous Players Company. Il suo ultimo film da regista è The Eternal City (La città eterna), girato a Roma nel 1915.
Il modo di rappresentazione del cinema delle origini Nel primo decennio di vita del cinematografo le proiezioni delle pellicole avvengono in luoghi pubblici di vario genere oppure in strutture ambulanti, non esistendo ancora sale stabili dedicate alla nuova invenzione. I programmi degli spettacoli consistono in cataloghi di film spesso inseriti come intermezzo o elemento complementare all’interno di varietà e altri intrattenimenti popolari o divertimenti da fiera. Gli allestitori sono i veri protagonisti dello show: è a loro discrezione la scelta dei programmi, tanto quanto l’accompagnamento musicale (con musica suonata dal vivo oppure riprodotta da strumenti meccanici o da un fonografo), il commento vocale integrativo o l’allestimento in diretta di dialoghi e rumori di scena. I film narrativi a più vedute successive, infatti, sono in genere accompagnati da testi scritti di supporto, che contengono le informazioni non desumibili direttamente dalle immagini. Approfondito da diversi studi e convegni importanti come quello tenutosi a Brighton nel 1978, il cinema prodotto fino ai primi anni del Novecento presenta caratteristiche assai differenti dal cinema istituzionale codificato in via pressoché definitiva negli anni Dieci. Tra il 1895 e il 1908 André Gaudreault adotta per il cinematografo – secondo lui non ancora diventato cinema, cioè un medium autonomo, ma rimasto semplicemente un nuovo mezzo tecnologico inserito in pratiche culturali appartenenti al teatro, alla fotografia o allo spettacolo da fiera – una terminologia differente da quella generale, usando l’espressione “veduta animata” per indicare il film, parlando di “editori di vedute” anziché di produttori, di “cinematografisti” e non di cineasti (solo più avanti la figura del regista si differenzierà da quella dell’operatore), di “esibitori” e non di esercenti. I modelli di spettacolo cui fa riferimento il cinema delle origini (in particolare il music-hall, il vaudeville, il circo, ma anche il teatro popolare) si basano soprattutto su scene e numeri singoli di breve durata e non correlati strettamente tra loro,
Caratteristiche delle prime proiezioni
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André Gaudreault
Nuova terminologia
Caratteristiche dei primi spettacoli
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e assai meno su una continuità testuale; da ciò nasce la sua strutturazione non omogenea, aperta (manipolabile liberamente da parte degli esibitori) e non lineare. Siamo nel regime della «cinematografia-attrazione» (sempre Gaudreault), in cui gli elementi spettacolari e di richiamo sono i singoli momenti visivi mostrati ed esibiti in modo esplicito allo spettatore, i quali costituiscono il fine ultimo della messa in scena. Non è un caso se il giardiniere di L’arroseur arrosé punisce il monello non immediatamente dopo averlo acciuffato sul fondo della scena ma riportandolo esattamente al centro dello spazio filmato, Punto di vista cioè di fronte all’obiettivo e quindi nel punto di migliore visuale dello spettatore dello spettatore, riconosciuto in una posizione esterna al luogo scenico. Il mutuo riconoscimento dell’altrui presenza tra attore e pubblico è un dispositivo psicologico tipico di questi primi anni di cinema. L’istituzione del linguaggio classico cancellerà questo tipo di dialettica cambiando completamente le coordinate percettive dello spettatore, non più supposto al di fuori della finzione rappresentata ma trasportato illusionisticamente al suo interno dalle nuove procedure di messa in scena e montaggio. Da principio costituisce un’attrazione di per sé il solo vedere Novità delle immagini in movimento, più avanti diventano attrazioni le ririprese ravvicinate prese ravvicinate, che fanno la loro comparsa come espediente visivo ben prima di essere integrate in una catena narrativa: gli oggetti ingranditi visti in Grandma’s Reading Glass non sono certo classificabili come visioni soggettive secondo la logica attuale, mentre il bandito che spara verso lo spettatore in L’assalto al treno ha pure valore attrazionale ed emblematico ma avulso dal racconto per immagini (che nei rimanenti quadri del film di Porter si articola tutto in campi lunghi e totali). Curiosamente il pubblico di allora accettava le riprese ravvicinate nelle vedute dal vero, ma non nei quadri dei film di finzione (se si escludono le scenette comiche), i quali facevano sempre riferimento alla norma scenica e adottavano il punto di vista di chi sarebbe stato idealmente lo spettatore di teatro seduto al centro della prima fila di poltrone in platea. Se a dominare negli anni a venire sono la singola veduta dal vero e il singolo tableau scenografico composto in teatro di posa, le caratteristiche dei tableaux e delle vedute distinti che formeranno le prime narrazioni rimangono la ripresa dei soggetti sempre frontale e da una certa distanza e appunto l’autonomia del singolo quadro. La veduta o il tableau contiene già in sé tutti gli elementi necessari all’azione, li sviluppa e conInscindibilità del clude al proprio interno: un blocco spazio-temporale pressoblocco spazio-tempo ché inscindibile in cui lo spazio-tempo totale della ripresa coincide con lo spazio-tempo totale della singola azione. Così un
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medesimo evento che si vuole mostrare da due punti di vista verrà ripetuto identico e per intero da differenti angolazioni presentate una di seguito all’altra: così avviene in Voyage dans la Lune per l’allunaggio e in The Life of an American Fireman per l’azione del pompiere nella casa in fiamme. La percezione di questo raddoppio come ridondanza, incongruenza e quindi errore presuppone un cambio di paradigma fondamentale che rende necessaria una transizione verso un tipo di cinema orientato a un altro contenuto, un’altra forma, un altro pubblico e formule desunte questa volta dal romanzo e dal teatro naturalista. Dalla captazione/restituzione del fatto reale proprio della veduta Lumière attraverso il regime mostrativo delle attrazioni si deve giungere infine a un paradigma narrativo in cui gli elementi spettacolari diventino vettori di un racconto. Il cinema delle origini gode quindi di un proprio statuto estetico autonomo basato su criteri diversi da quelli che fonderanno l’istituzione classica, al cui interno comunque permangono tracce di una logica delle attrazioni non riconducibile al solo scopo narrativo, in particolare in quelle figure nate nel periodo di transizione a cavallo degli anni Dieci: piani ravvicinati, movimenti di macchina e le stesse logiche di montaggio utilizzate per fini che non si esauriscono nel racconto, ma mirano all’effetto emotivo e immediato sul pubblico.
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Dal cinema delle origini al cinema quale vettore di un racconto
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SCHEMA RIASSUNTIVO LA NASCITA DEL CINEMA
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Il 28 dicembre 1895 i film dei fratelli Lumière vengono proiettati per la prima volta in pubblico nel salone di un caffé parigino. I Lumière non sono i primi né gli unici pionieri della fotografia animata, ma è lo strumento di loro invenzione, il cinematografo, a diffondere in tutto il mondo il nuovo ritrovato della tecnica moderna: le immagini fotografiche in movimento; dunque, il cinema.
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IL CINEMA DELLE ORIGINI
I film dei Lumière sono composti da singole vedute di un minuto che raffigurano soprattutto scene all’aria aperta, paesaggi, panorami o momenti di vita quotidiana. A cavallo tra i due secoli il cinema inizia a privilegiare la finzione e il racconto, come testimoniano i film di Georges Méliès e Edwin S. Porter.
LA RAPPRESENTAZIONE
Anche nei film compiutamente narrativi permane il modello di messa in scena del cinema delle origini, basato sull’attrazione visiva e su una concezione unitaria dello spazio scenico più vicina a pratiche di spettacolo popolare.
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2 Nascita di un linguaggio Il cinema europeo domina ancora la scena per pochi anni prima di essere sopraffatto da quello americano. Il motivo è lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, che risparmia il suolo statunitense mentre devasta quello europeo e ne mette in ginocchio l’industria. Intanto proprio in America, dove iniziano a porsi le basi del sistema di Hollywood, grazie al fiuto e al talento di David Wark Griffith nascono due film discussi ma fondamentali per la storia del cinema.
Il cinema europeo Cinema francese all’avanguardia nel mondo
Nascita dei film a puntate
Louis Feuillade
Dal 1895 allo scoppio della Grande Guerra il cinema francese è il più conosciuto nel mondo. La Pathé, ormai nota a livello internazionale, dal 1905 conta su un gruppo di registi che sfornano film a ritmi sostenuti, sotto la direzione artistica e la supervisione di Ferdinand Zecca; la produzione tocca tutti i generi, riscuotendo particolare fortuna con le serie comiche che vedono protagonisti Max Linder e André Deed (con il suo personaggio Boireau). Un ruolo analogo a quella di Zecca è ricoperto alla Gaumont dalla regista Alice Guy-Blaché, sostituita nel 1908 da Louis Feuillade, autore di oltre 700 film tra il 1906 e il 1925, e soprattutto di alcuni serial di grande successo. I film a puntate nascono in contemporanea in Francia e negli Stati Uniti, e costituiscono una delle grandi attrazioni internazionali del cinema durante gli anni Dieci. I protagonisti sono geni del crimine o intraprendenti avventurieri le cui peripezie si sviluppano in episodi autonomi ma consequenziali, tenuti sempre in sospeso in chiusura per richiamare il pubblico alla puntata successiva: una tecnica di suspense tipica dei romanzi d’appendice e delle successive serie TV. Fantômas (19131914), Les vampires (I vampiri, 1915) e Judex (1916), diretti da Feuillade, fanno del regista uno dei maestri riconosciuti di questo periodo, ammirato in seguito dai surrealisti per le sue sequenze oniriche e riconosciuto dagli storici per il suo stile tra la ripresa dal vero dei fratelli Lumière – molte scene dei suoi serial si girano in esterni; sua è inoltre la serie di attualità La vie telle qu’elle est (La vita così com’è, 1911) – e l’inclinazione al fantastico e allo spettacolo propria di Méliès. Léonce Perret, l’altro regista di punta della Gaumont, dirige e interpreta la serie Léonce (1913) e i melodrammi L’enfant de Paris (Il bambino di Parigi, 1913) e Roman d’un mousse (Romanzo di un asino, 1914).
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Anche la Pathé realizza un serial di grande successo, The Perils of Pauline (I pericoli di Pauline, 1914), prodotto negli Stati Uniti, che rende popolare in tutto il mondo l’attrice protagonista Pearl White. Accanto a Pathé e Gaumont nascono realtà più piccole, come un progetto ambizioso durato solo dal 1908 al 1911: la Film d’Art vuole produrre pellicole dirette al pubblico colto e si serve perciò di soggetti letterari e di scene teatrali, assicurandosi la collaborazione di intellettuali e artisti di fama come il drammaturgo Henri Lavedan e il compositore Camille SaintSäens, responsabili uno della sceneggiatura e l’altro della partitura di accompagnamento del celebre L’assassinat du duc de Guise (L’assassinio del duca di Guisa, di Charles Le Bargy e André Calmettes, 1908). Un tentativo analogo si registra in Germania nel 1913 con il fenomeno dell’Autorenfilm (“film d’autore”, dove per autore si intende lo scrittore o il drammaturgo importante che ha scritto il soggetto originale o il testo da cui è tratta la sceneggiatura), i cui esiti più noti sono Die Landstrasse (La strada di campagna, 1913) di Paul von Woringen e Lo studente di Praga (Der Student von Prag, 1913) di Stellan Rye, riproposizione contemporanea del mito di Faust, mentre si ispirano alla letteratura e al teatro le pellicole dei maggiori registi russi dell’epoca, Evgenij Bauer e Yakov Protazanov. Il cinema russo si era già distinto negli anni Dieci grazie alle opere di questi registi, autori di film d’arte tratti da soggetti letterari prestigiosi e inclini a un intenso patetismo, riflesso in una recitazione densa, in un andamento lento e compassato funzionale alla stessa e in un’attenta cura della componente luministica e spaziale, soprattutto quest’ultima, sviluppata in profondità ed esplorata da significativi movimenti di macchina. I primi due decenni del secolo, e in particolare il secondo, assistono all’ascesa del cinema scandinavo. In Danimarca nel 1906 Ole Olsen, gestore di un importante cinema di Copenaghen, fonda la casa di produzione Nordisk, affacciatasi due anni dopo sul mercato americano con una filiale ribattezzata Great Northern. Danese è una delle prime stelle internazionali, Asta Nielsen, protagonista di un intenso dramma prodotto da una piccola compagnia, Afgrunden (Abisso, 1910), e di altri film diretti dal marito Urban Gad. La Nordisk degli anni Dieci è oggi ricordata per i film di genere poliziesco e i drammi sensazionalistici: il suo stile si basa sul naturalismo delle ambientazioni, sia in esterni sia in interni, e in particolare sulla fotografia, molto moderna per l’epoca. Simili effetti si possono ammirare nell’opera di Benjamin Christensen, presidente della Dansk Biografkompagni. Come altri registi danesi dell’epoca Chri-
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stensen ricorre spesso al controluce e al chiaroscuro per dare alla fotografia maggiore intensità drammatica; il suo film più noto sarà il celebre La stregoneria attraverso i secoli (Haxan, 1922), storia della stregoneria riassunta in sette capitoli con illustrazioni, disegni animati e scene dal vero, in uno stile plastico e contrastato. Citiamo in particolare la ripresa del sabba dal basso, punto di vista dal quale si stagliano le silhouette scure dei diavoli, mentre i primi piani dei giudici ricordano il Dreyer di La passione di Giovanna d’Arco (La passion de Jeanne D’Arc, 1928). In Svezia la più importante casa di produzione è la Svenska Biografteatern, fondata nel 1907 sull’esempio della Nordisk e diventata Svensk Filmindustri nel 1919. È anche merito di questa compagnia se il cinema svedese sa esprimere due personalità del calibro di Mauritz Stiller e Victor Sjöström. Mauritz Stiller (1883-1928) si divide tra la commedia e i drammi adattati dalle opere della scrittrice svedese Selma Lagerlöf. Il più bel film di Thomas Graal (Thomas Graals bästa film, 1917) rivela una costruzione narrativa brillante e originale basata sull’intreccio tra un film immaginario e la storia d’amore in cui è coinvolto uno sceneggiatore (il quale immagina che l’amata reciti nel film che sta scrivendo). Verso la felicità (Erotikon, 1920) è considerato il padre della commedia sofisticata sexy. Di soggetto molto diverso il drammatico Il tesoro di Arne (Herr Arnes pengar, 1919), da alcuni considerato il capolavoro di Stiller. Victor Sjöström (1879-1960), dopo essersi dedicato giovanissimo al teatro, dirige la prima pellicola, Il giardiniere (Traadgaardsmastaren), nel 1912. Pur mettendo in scena vicende piene di pathos, adotta uno stile austero. La recitazione è intensa senza essere mai forzata oltre il limite. Nella sua opera i temi della narrativa e della drammaturgia nordica sono immersi nel simbolismo scenografico di paesaggi naturali interpretati in chiave romantica; il leitmotiv della regia di Terje Vigen (1917) sono l’onnipresenza del mare, protagonista dello scenario naturale e motore scatenante di momenti cruciali dell’azione, e il continuo parallelismo tra questo elemento e lo stato d’animo del protagonista. In questo film come in Ingeborg Holm (1913) Sjöström adotta una grande profondità di campo per i campi lunghi in esterni e le riprese di interni, facendo risaltare l’intimità dei personaggi attraverso la costruzione dello spazio scenico. Ne sono un esempio il campo totale in cui Terje Vigen è inquadrato mentre osserva da una finestra la moglie e il figlio prima di ricomporre il quadro dei suoi affetti che andrà perduto per sempre; e ancora, la scena della separazione di Ingeborg Holm dal figlio, filmata in un unico campo lungo del cortile con i personaggi
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che entrano ed escono dall’inquadratura (la protagonista dà le spalle alla cinepresa per tutto il tempo). La forza dei contenuti e lo stile di Sjöström conquistano le platee straniere; in Francia Successo all’estero Louis Delluc, critico e in seguito regista, saluta con parole di elogio la proiezione di I proscritti (Berg-Ejvind och hans hustru, 1918), una delle pellicole più note che lo vede ancora nel doppio ruolo di regista e primo attore. Rispetto a Terje Vigen, avvicina di più la cinepresa agli attori riprendendoli in mezza figura o in primo piano. Il flashback e il racconto nel racconto sono i procedimenti drammaturgici prediletti per i maggiori film di Sjöström del periodo svedese: sono molti i momenti in cui i personaggi rivivono le gioie passate di fronte a un presente doloroso o persistono nel ricordare le vicende tragiche che li hanno segnati (spesso è direttamente l’istanza narratrice a presentarci queste vicende passate con una didascalia esplicativa). Così il racconto morale di Il carretto fantasma (Körkarlen, 1921), apologo gotico sulla falsariga del Canto di Natale di Dickens, tratto da un testo di Selma Lagerlöf, intreccia diversi piani temporali a racconti, leggende, sogni e sequenze immaginate. Gli elementi soprannaturali e onirici sono raffigurati mediante complesse sovrimpressioni realizzate direttamente in macchina. Negli anni Venti, momento in cui cessa la fioritura del cinema Declino del cinema svedese, Sjöström come Stiller si trasferisce negli Stati Uniti. svedese La lettera scarlatta (The Scarlet Letter, 1926) e Il vento (The Wind, 1928) si situano al vertice della sua produzione hollywoodiana, di cui fanno parte anche la Donna divina (The Divine Woman, 1928) con Greta Garbo e L’uomo che prende gli schiaffi (He who gets Slapped, 1924). Indimenticabile anche la più nota interpretazione del Sjöström attore, quella del vecchio Isak Borg in Il posto delle fragole (Smultronstället, 1957) di Ingmar Bergman, tre anni prima di morire.
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Il cinema italiano
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In questo periodo che segue gli albori e conduce verso la stabilizzazione della pratica e del linguaggio filmico, l’Italia occupa una posizione di prestigio. Il fatto è tanto più significativo se si considera che il cinema nostrano decolla con qualche anno di ritardo. Solo nel biennio tra il 1905 e il 1906 nascono le Prime case prime importanti case di produzione o “manifatture cinema- di produzione tografiche”, come erano chiamate la romana Cines e le torine- italiane si Itala e Ambrosio. L’Italia prende a modello la Francia: mentre la Cines assume nel ruolo di direttore artistico Gaston Velle, un regista della Pathé, André Deed, il comico celebre per il suo personaggio
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Genere epicostorico
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Boireau, è ingaggiato dalla Itala, dove diventa Cretinetti; i suoi rivali sono ancora francesi, Robinet e Polidor, stelle di Ambrosio e Cines. Il fondatore della Cines e pioniere della cinematografia italiana Filoteo Alberini, girando nel 1905 La presa di Roma ovvero la breccia di Porta Pia, inaugura il settore della messa in scena epico-storica in costume che avrà molta fortuna negli anni a venire. Nasce un vero e proprio genere, in più tipicamente italiano, dove l’ambientazione può spaziare dal Medioevo di Marco Visconti (1908) e Pia dei Tolomei (1908) di Mario Caserini, alla prediletta antichità greca e romana, che rimane il sentiero più battuto con, tra gli altri, Brutus (1911) e Agrippina (1911) di Enrico Guazzoni e i lungometraggi Quo Vadis? (1912) dello stesso Guazzoni e La caduta di Troia (1910) di Giovanni Pastrone. Un soggetto come Gli ultimi giorni di Pompei, adattamento del romanzo di Edward Bulwer-Lytton, ritorna in diverse versioni, da quella del 1908 di Luigi Maggi alle due realizzate in simultanea (entrambe del 1913) da Eleuterio Ridolfi e Giovanni Enrico Vitali, fino alla ripresa del 1926 diretta da Carmine Gallone e Amleto Palermi, che segna il tramonto del genere, risorto anni dopo nei peplum del secondo dopoguerra. Apogeo non solo di questo tipo di film ma di tutto il cinema italiano degli anni Dieci è Cabiria di Giovanni Pastrone (1914). Per il tempo si tratta di un’opera solenne che defini-
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Epico e dispendioso (costò un milione di lire oro), girato tra i paesaggi mediterranei e alpini di Sicilia, Tunisia e Valli di Lanzo e monumentali costruzioni scenografiche, il progetto del regista piemontese Giovanni Pastrone supera in lunghezza (3100 metri di pellicola) e impatto visivo il Quo vadis? di Guazzone. In un film dove non fa mai ricorso ai primi piani, Pastrone sfrutta le risorse del montaggio, della fotografia e della cinepresa per dare rilievo e profondità (spaziale, drammatica) alle scene: la variazione degli angoli di ripresa, non più solo frontali, che combinano i vari stacchi, restituisce efficacemente le di-
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mensioni a tutto tondo dei set – come il tempio di Moloch –, mentre un carrello mobile brevettato dallo stesso regista (la vera innovazione, si parla infatti di “carrello alla Cabiria”) regala alla macchina da presa un dinamismo inedito. L’obiettivo cinematografico smette così di riprodurre staticamente, esternamente e passivamente un’azione e si infiltra al suo interno, la penetra e la percorre in profondità; avanza e arretra, stringe o allarga il campo e guida l’attenzione dello spettatore su un elemento della messa in scena o sul suo complesso, fornendo un’arma in più all’istanza registica.
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sce, anticipandola, l’estetica dei kolossal, dove le scene di massa, la sontuosità dei costumi e la magniloquente ricostruzione di architetture e complessi figurativi del passato, eventi storici e catastrofi naturali (l’eruzione dell’Etna mostrata in una delle prime sequenze si avvale di accurati modellini ed effetti speciali) si intrecciano all’avventurosa finzione che ha per protagonisti la piccola e poi giovane Cabiria, Fulvio Axilla e il suo schiavo fedele e forzuto, Maciste. Oltre che diretto, il film è anche scritto da Pastrone, che adotta lo pseudonimo dannunziano di Piero Fosco e convince proprio il Vate a firmare il film come proprio. Gabriele D’Annunzio si limita in realtà a riscrivere le didascalie, mistificanti e fedeli al suo stile aulico abituale, e a suggerire nuovi nomi per i personaggi; il beffatore di Buccari si scopre beffato rendendosi conto di avere firmato come suo del materiale tratto da un romanzo di Emilio Salgari. Pastrone commissiona una partitura completa a Ildebrando Pizzetti, limitatosi a comporre la Sinfonia del fuoco (il resto della musica di accompagnamento è adattato da Manlio Mazza). Da Cabiria deriva la fortuna cinematografica di Bartolomeo Pagano, un ex camallo del porto di Genova scelto per interpretare Maciste. Intorno al personaggio, trasportato dal tempo delle Guerre Puniche al presente (come in Maciste alpino, in cui combatte nella Grande Guerra), e al suo interprete nasce una serie tra l’eroico e il parodistico, dove l’Ercole buono non manca mai di aiutare l’eroe protagonista (anche il personaggio di Maciste rivivrà in un nuovo filone a lui dedicato negli anni Sessanta). Un altro genere importante degli anni Dieci è il melodramma divistico, incarnato dalle attrici più popolari e note del periodo: Francesca Bertini e Lyda Borelli, entrambe dotate di istrionico talento (più enfatica la Borelli) e titolari di brevi ma intense carriere, soprattutto come interpreti di drammi passionali di atmosfera decadente e dannunziana. Il film Cenere (1916) di Febo Mari è l’unico contributo dato al cinema dalla grande attrice di teatro Eleonora Duse.
Estetica dei kolossal
L’eredità di Cabiria
Melodramma divistico
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Il cinema degli Stati Uniti: dalla ristrutturazione dell’industria alla nascita dello stile hollywoodiano
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Dal 1905 al 1919 l’industria filmica degli Stati Uniti progredisce e si trasforma fino a diventare la più importante al mondo, certamente favorita dal crollo di quella europea causato dalla Prima Guerra Mondiale: dopo la fine delle ostilità nessuna cine41
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Prime sale di proiezione stabili
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Motion Picture Patents Company: regolamentazione dei brevetti
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Aumento della domanda
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Nuovi modi di fruizione
matografia sarà più in grado di competere con quella degli Stati Uniti. L’ampliamento della domanda e del consumo interni e la ristrutturazione organizzativa della produzione americana iniziano con la comparsa delle prime sale di proiezione permanenti. Nel 1905 apre a Pittsburgh il primo nickelodeon (vedi più avanti). La diffusione sul territorio nazionale (sono già tremila alla fine del 1906) segna l’inizio dell’era delle sale cinematografiche stabili e dà alla programmazione e alla distribuzione di film una forma più regolare: diventano prassi comune il noleggio (non più l’acquisto) dei film da parte degli esercenti, la ripetizione degli spettacoli durante tutta la giornata e il ricambio continuo delle pellicole mostrate al pubblico. Sale permanenti, che in genere non sono più di piccoli magazzini muniti di proiettore, schermo, di un numero ridotto di posti a sedere e di un pianoforte o un fonografo per l’accompagnamento musicale, sostituiscono gli spettacoli ambulanti e il teatro di varietà come principale luogo di fruizione pubblica del cinema. Proprio in virtù delle loro basse pretese sono accessibili a tutti: pagando il noleggio e non l’acquisto della pellicola e potendo sfruttare intensivamente i film – proiettati in programmi che durano dai quindici ai sessanta minuti – proprietari e gestori tengono basso il costo del biglietto (un nickel, cioè cinque centesimi di dollaro) richiamando un seguito più ampio che contempla diversi strati anagrafici e sociali; il cinema si diffonde così soprattutto tra le grandi masse urbane (le aree più remunerative per i nickelodeon sono quelle industriali). Adolph Zukor, Carl Laemmle e William Fox, futuri pilastri del sistema di Hollywood, prima di diventare produttori hanno iniziato la loro carriera nei nickelodeon. Il boom delle sale a basso costo che contraddistingue i primi due anni di vita del fenomeno fa salire la domanda da parte di spettatori ed esercizi al punto tale che le case di produzione americane non sono in grado di soddisfarla; in questo periodo hanno buon gioco le case di produzione francesi e le altre europee nel coprire una fetta importante del mercato interno degli Stati Uniti. Le due maggiori compagnie autoctone, la Edison e la American Mutoscope & Biograph, sono impegnate soprattutto in una battaglia legale sui brevetti, risoltasi nel 1908 con la creazione della Motion Picture Patents Company (MPPC), una nuova società proprietaria di tutti i brevetti e responsabile delle concessioni necessarie per produrre film negli Stati Uniti. A capo vi sono le due ex contendenti, mentre le altre compagnie come Vitagraph, Selig, Essanay, Lubin e Kalem entrano nel consorzio dietro versamento di una tassa. Sono ammesse inoltre la Pathé, la Star Film (entrambe hanno sedi in America) e la Geor-
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Sconfitta del primo trust
Nascita dello studio system
Ruolo del produttore
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Distribuzione delle competenze
California: nuova sede elettiva dell’industria del cinema
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ge Kleine di Chicago, che importa e distribuisce i film Gaumont. Restano esclusi molti produttori esteri e quelle sale e compagnie indipendenti che non vogliono pagare tributi. La situazione diventa meno conflittuale quando il governo americano intenta una causa contro la MPPC contestandole il monopolio sul mercato nazionale: la sentenza di condanna è emessa nel 1915. Grazie alla sconfitta del primo grande trust del cinema americano, sono le case di produzione nate al di fuori del sistema – tra queste la Universal, la Paramount e la Metro Goldwyn Mayer – a creare un nuovo polo industriale sviluppato secondo il principio della concentrazione verticale, ovvero il controllo diretto su produzione, distribuzione ed esercizio già attuato dalla Pathé. Il modello dello studio system si configura negli anni Dieci in una struttura organizzata secondo i metodi della produzione in serie: concepire e realizzare un sempre maggior numero di pellicole ottimizzando i costi e aumentando al massimo i profitti, servendosi quali elementi di richiamo della pubblicità, del sistema dei generi in cui si catalogano i soggetti e della creazione mediatica di uno star system che fa dell’attore il fulcro attrattivo del film, spesso attribuendogli un ruolo iconico e riconoscibile. A tirare le fila di tutto il sistema emerge la figura del produttore, responsabile dell’intero apparato di realizzazione di un film, dalla sceneggiatura alle riprese al montaggio definitivo. L’attribuzione delle competenze inizia a seguire una rigida ripartizione dei ruoli tra sceneggiatori, registi, scenografi, altri tecnici e responsabili della produzione. Un’organizzazione professionale standardizzata al fine di coordinare il lavoro dei singoli settori – che operano in modo indipendente secondo le direttive dello studio – rende il processo di lavorazione preciso e quasi meccanico quanto quello di una catena di montaggio, in una vera e propria “fabbrica dei sogni”. Se il grosso dell’industria del cinema negli Stati Uniti aveva sede dapprima soprattutto nell’Est o nel Midwest, durante gli anni Dieci si completa il suo trasferimento in California, e in particolare a Los Angeles, in una regione assai più favorevole per il clima, la varietà di paesaggi circostanti e la presenza di luce tutto l’anno. Il quartiere di Hollywood ospita la sede di molti nuovi studi costruiti dalle grandi compagnie, più tardi trasformati in complessi monumentali, facendo del piccolo sobborgo losangelino la sede elettiva dell’industria cinematografica americana e un sinonimo di cinema in tutto il mondo. Proprio nel cinema americano si attua una trasformazione linguistica fondamentale: in quegli stessi anni i film americani si orientano sempre più verso la narrazione.
Trasformazione linguistica
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Il modo di rappresentazione istituzionale
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Regole e tecniche per facilitare la comprensione da parte dello spettatore
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Frantumazione dell’unità dello spazio scenico
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La narrazione diviene più importante dell’immagineattrazione
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Verso il racconto per immagini
I film delle origini si basavano su una logica di enunciazione diretta e di effetto immediato (dovuta anche all’intrinseca brevità della ripresa). La finzione e il racconto di una storia per mezzo di immagini legate da un rapporto logico le une con le altre divengono una necessità nel momento in cui i produttori si convincono di aver esaurito il repertorio di attrazioni da mostrare al pubblico e cercano nuovi elementi di richiamo per gli spettatori, mirando nel contempo a raggiungere quegli strati sociali che snobbavano il cinema a causa della sua presunta rozzezza. Già nei primi anni del Novecento erano molti i film sviluppati in più quadri, e alcuni di questi articolavano una storia senza rompere con i modelli rappresentativi delle origini. Nel momento in cui la storia e non il singolo effetto diventa il vero obiettivo e il rapporto di funzionalità reciproca tra l’immagine-attrazione e la narrazione tende a capovolgersi a favore della seconda, per passare dall’autonomia della singola veduta come oggetto di spettacolo a un’integrazione narrativa piena bisogna pensare in maniera differente alle relazioni tra le immagini, in modo che ciascuna acquisti valore in rapporto alle altre, e risolvere il tutto nel significante visivo: in questo modo il senso di ciò che si vuol far comprendere allo spettatore al fine del suo godimento estetico arriva in maniera immediata e naturale. Vengono meno l’identità tra scena e inquadratura e la concezione esaustiva dei piani propria dei quadri delle origini; l’unità dello spazio scenico si frantuma in una serie di inquadrature riprese da diversi punti di vista a cui il montaggio dona una logica coerenza. Di seguito è messa a punto una serie di regole e procedimenti tecnici per rendere comprensibili al pubblico i rapporti di causa-effetto, spazio e tempo del film e la psicologia dei personaggi (che solitamente è anche il motore dell’azione), guidando l’attenzione dello spettatore senza più ricorrere a complementi come la presenza di un commentatore. Occorre, insomma, mostrare la consequenzialità tra le inquadrature, il tempo trascorso tra la precedente e la successiva o la contemporaneità di due o più azioni che avvengono in luoghi diversi. Dopo l’esempio di Porter, nel 1903 negli Stati Uniti si diffonde inoltre l’uso delle didascalie.
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■ Lo sviluppo del montaggio
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Fondamentale per la linearità narrativa del cinema americano classico è lo sviluppo del montaggio. Nel cinema delle origini i film, molto brevi, mostravano una sola azione per tutta la loro durata o una sola azione per volta: il film si concentrava per
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Da un’unica azione al montaggio di più scene
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Movimenti di cinepresa
Mimica facciale in primo piano
Raccordi
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intero su ciascuna di esse e, nel caso si rendesse necessario mostrarla da due punti di vista, la ripeteva due volte. L’autarchia del quadro primitivo è rotta da inserti che mostrano i primi piani ravvicinati secondo una logica analitica: mostrato lo spazio d’insieme in cui avviene l’azione, la cinepresa si avvicina con degli stacchi agli elementi essenziali, evidenziandoli all’attenzione dello spettatore. La cinepresa si avvicina anche agli attori, non inquadrandoli più solo a figura intera, ma mostrandone le espressioni del volto attraverso il piano americano, la mezza figura o il primo piano, figure all’inizio considerate innaturali. Queste riprese ravvicinate sortiscono un importante effetto sulla recitazione cinematografica: la psicologia del personaggio può essere espressa in modo più sottile e preciso attraverso la mimica facciale, che sostituisce così la gestualità da pantomima. Alla scomposizione dell’azione in più piani conseguono la necessità di rendere chiaro il tragitto da un piano all’altro e la creazione di uno spazio mimetico illusorio che abbia precise coordinate. I primi raccordi configurano con esattezza le dinamiche del movimento e lo sguardo dei personaggi. Nel primo caso il mantenere una direzione unitaria aiuta lo spettatore a capire meglio l’azione. Per un corretto raccordo di direzione che rispetti il verso in cui si sposta un personaggio, se questo esce fuori campo muovendosi verso destra, nell’inquadratura che segue il soggetto nel suo spostamento lo stesso rientrerà da sinistra. Qualora il raccordo sullo sguardo mostri un personaggio intento a osservare qualcosa fuori campo verso una determinata direzione, l’inquadratura successiva mostrerà allora l’oggetto del suo sguardo; quando l’inquadratura dell’oggetto riporta fedelmente il punto di vista del personaggio, allora si parla di soggettiva. Nel caso di un dialogo fra due attori ripresi alternativamente in primo piano, la linea dello sguardo è mantenuta coerente da un doppio raccordo sullo sguardo (i due attori guardano in direzioni opposte) con il rispetto della cosiddetta linea dei 180° (si riprende la scena da un solo lato, così da mantenere i personaggi nella stessa posizione). Con l’introduzione del montaggio alternato due eventi contemporanei che avvengono in luoghi diversi sono mostrati attraverso un’alternanza di stacchi tra un luogo e l’altro, tra un evento e l’altro. Con il montaggio analitico, il montaggio contiguo, il montaggio alternato e il diffondersi di nuove tecniche nell’angolazione, nel movimento e nell’illuminazione della ripresa – ora non più affidata alla luce uniforme del sole ma a fonti artificiali – e di scenografie più accurate sono poste le fondamenta dello stile classico hollywoodiano, il cui più celebre antesignano è David Wark Griffith.
Linea dello sguardo Nascita dello stile classico hollywoodiano
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David Wark Griffith Dal cinema delle origini alla tradizione narrativa hollywoodiana
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Il passaggio tra le due concezioni è appunto rappresentato al meglio e in buona parte sancito dall’opera di D.W. Griffith (18751948), storicamente l’uomo chiave nella svolta che dal lessico delle origini conduce il cinema americano verso la grande tradizione narrativa di Hollywood. Sebbene sulla fama di fondatore del linguaggio classico influisca in buona parte il mito propagandistico di se stesso che Griffith ha contribuito a creare, il regista di Nascita di una nazione (The Birth of a Nation, 1915) e Intolerance (1916), che pure non “inventa” in senso stretto, ridefinisce tutti gli elementi già in uso nella prassi del film – le figure come il primo piano, il dettaglio, il mascherino a iride o la dissolvenza e determinati codici di montaggio – all’interno di un assetto drammaturgico trasparente e completo, tanto da diventare il canone della rappresentazione istituzionale. Dopo aver debuttato come attore in un film di Porter per la Edison, nel 1908 Griffith viene assunto in qualità di regista dalla Biograph, dove da principio lavora alacremente insieme all’operatore Billy Bitzer (una distinzione dei compiti che pone le basi della moderna regia) alla ricerca di nuove soluzioni fotografiche e in materia di illuminazione. Nei suoi film si compie in maniera evidente il passaggio di unità linguistiMontaggio ca dal tableau all’inquadratura, frammento discorsivo non più delle inquadrature autonomo ma che acquista senso nelle relazioni create dal montaggio. Con i raccordi sull’asse e gli stacchi che rompono la fissità schematica della veduta, Griffith dà un nuovo senso ai piani ravvicinati, con cui sottolinea gli elementi salienti della scena stessa o esprime le emozioni individuali. L’avvicinamento al corpo, e in particolare al volto, degli attori rende Recitazione teatrale inevitabile una nuova recitazione propriamente cinematoe recitazione grafica, più introspettiva, basata meno sulla gestualità e più cinematografica sull’espressione e la mimica facciale, come si evince dalle interpretazioni di Mary Pickford e Lillian Gish. Filmografia di Griffith Le coordinate del lavoro griffithiano sono inscritte già nella produzione del quinquennio tra il 1908 e il 1913. In oltre 450 film, perlopiù cortometraggi, il regista americano sviluppa una drammaturgia improntata su modelli desunti dalla letteratura e dal teatro ottocenteschi – la forma in cui si trova a suo agio e definisce meglio la sua arte è quella del melodramma – e compie le più importanti acquisizioni di stile. Nei suoi film, tra cui ricordiamo For Love of Gold (Per amore dell’oro, 1908), After Many Years (Dopo molti anni, 1908) e A Drunkards Reformation (Il ravvedimento di un ubriacone, 1909), inserisce il piano americano, la mezza figura, il primo piano e la luce di taglio (e non diffusa), di effetto drammati46
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co, in una precisa dialettica di regia. The Lonely Villa (La villa solitaria, 1909), The Lonedale Operator (L’operatrice solitaria, 1911), The Girl and her Trust (La ragazza e la sua fede, 1912) e A Corner in Wheat (Il monopolio del grano, 1909) esplorano varie possibilità del montaggio. Tipologie Il montaggio alternato è il procedimento tipico del last mi- di montaggio nute rescue, il salvataggio dell’ultimo minuto, con un’eroina in pericolo e l’eroe lontano che accorre a strapparla dalle grinfie dei suoi aggressori mostrati in alternanza fino al ricongiungimento finale. Il montaggio parallelo accosta situazioni contigue nell’ambito del senso generale più ancora che dello svolgimento delle azioni: in A Corner in Wheat il montaggio incrociato di scene differenti serve il discorso di fondo del film, accostando nuclei drammatici diversi per mostrare il contrasto di condizione tra speculatori e lavoratori. Lasciata la Biograph, che non asseconda fino in fondo i suoi de- Ultimi anni sideri artistici di realizzazione di lungometraggi, Griffith lavora prima per la Reliance Majestic e poi per la Triangle, da lui stesso fondata insieme a Thomas Ince e Mack Sennett. Con quest’ultima dirige due film destinati a diventare tasselli irrinunciabili nella composizione della cinematografia degli anni Dieci: Nascita di una nazione e Intolerance. ■ Nascita di una nazione
Nascita di una nazione (The Birth of a Nation, 1915) è un adattamento del romanzo The Clansman del controverso reverendo Thomas Dixon, sostenitore di tesi segregazioniste e della causa del Ku Klux Klan, di cui giustifica la nascita quale reazione agli abusi di nordisti ed ex schiavi sulla popolazione del Sud sconfitto. Protagoniste del romanzo di Dixon e del melodramma storico griffithiano sono due famiglie, una del Nord Nord e Sud (gli Stoneman), l’altra del Sud (i Cameron), unite da un forte a confronto vincolo di amicizia ma divise sui due fronti durante la Guerra di Secessione. Le inclinazioni ideologiche propendono ovviamente per il Sud, essendo Griffith figlio di un generale sudista: la cavalleria del giovane Ben Cameron fa da contraltare alle am- Trama biguità del patriarca Austin Stoneman, tra cui anche un rapporto equivoco con la domestica mulatta Lydia. La vera fobia del film sembra essere quella dell’incrocio tra razze; il mulatto Silas Lynch, eletto vicegovernatore, è il villain della storia: incoraggia le licenze della popolazione di colore e infine fa rapire Elsie Stoneman, classica eroina griffithiana simbolo di purezza virginea, perché invaghito di lei. Tra le scene più crude risultano senz’altro il suicidio della giovanissima Flora Cameron, che si getta da una rupe per sfuggire alle grinfie del rinnegato nero 47
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Gus, e il linciaggio dello stesso Gus da parte del Ku Klux Klan, di cui il protagonista Ben è uno dei fondatori. Produzione colossale La produzione, per il tempo costosissima – per durata (dodici rulli, tre ore), quantità di pellicola utilizzata, imponenza della ricostruzione storica, comparse e costumi –, incassa sessanta milioni di dollari e innesca proibizioni e polemiche (persino disordini per le strade di Boston). Il regista, dal canto suo, respinge le accuse di razzismo e lancia appelli contro la censura e in favore della libertà di opinione. Dal punto di vista puramente cinematografico è il suo trionfo. Le scene di guerra e la ricostruzione dell’assassinio di Lincoln mostrano tutta la maturità della sua messa in scena, mentre il grande e complesso salvataggio finale si esalta in un crescendo di suspense, ritmo e pathos: Griffith adotta un montaggio sempre più veloce e composito, accorciando la durata delle inquadrature in una corsa incrociata alla – quantomeno equivoca – apoteosi finale dettata dalla triplice liberazione dei buoni soccombenti e dalla parata trionfale dei cappucci del KKK.
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■ Intolerance Griffith reagisce alle La reazione di Griffith alle critiche si materializza in Intoleranaccuse di razzismo ce (1916), l’altro grande lungometraggio di metà decennio, ancora più volitivo di Nascita di una nazione. È un appello contro l’intolleranza realizzato con altrettanto dispendio di idee e Trama mezzi tecnici e scenografici. La storia della lotta dell’amore contro l’odio che attraversa i millenni è ricostruita per mezzo di un montaggio parallelo mai così sofisticato: quattro vicende, ambientate nell’antica Babilonia, in Palestina al tempo della Passione di Cristo, nella Francia della strage di San Bartolomeo e infine nell’America contemporanea, si incastrano nel grande disegno narrativo corale grazie al quale Griffith dimostra di poter realizzare al cinema drammi complessi quanto un romanzo ed emozionanti e spettacolari come un’opera lirica. Elemento L’elemento di raccordo dell’intera messa in scena è rappredi raccordo sentato da un inserto ricorrente di matrice astratta e simbolica: l’inquadratura di una madre intenta a cullare il proprio bambino, illuminata da un fascio di luce proveniente dall’alto. Stile di regia Lo stile di regia sempre più minuzioso prevede iridi, dissolvenze, carrelli alla Cabiria, grandi inquadrature d’insieme e tutta la gamma dei piani elaborata precedentemente – manca ancora la precisione assoluta nei raccordi che diventerà un elemento chiave della trasparenza hollywoodiana –, oltre a stacchi audaci che evidenziano le analogie tra le varie epoche. Nuove critiche Anche Intolerance è accolto da accuse, questa volta di segno opposto: il film è mal tollerato proprio per il suo pacifismo in un momento in cui l’America sta per entrare in guerra. L’in-
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successo di pubblico spinge Griffith a ridimensionare le proprie ambizioni. Per la United Artists, fondata insieme a Charlie Chaplin, Mary Pickford e Douglas Fairbanks, girerà inten- Ultime produzioni si melodrammi come Giglio infranto (Broken Blossoms, 1919) e Le due orfanelle (Orphans of the storm, 1921), continuando a dirigere film fino ai primi anni dall’avvento del sonoro e ricevendo, insieme all’Oscar alla carriera nel 1935, l’attestato di riconoscenza da registi quali Dreyer, Gance e soprattutto Ejzensˇtejn.
SCHEMA RIASSUNTIVO EUROPA
Il cinema francese è il più popolare di questo periodo, grazie all’intraprendenza commerciale di Pathé e Gaumont e alle idee di registi come Louis Feuillade e Ferdinand Zecca. In Europa si mettono in luce due Paesi scandinavi, Danimarca e Svezia, per il loro contribuito artistico. In Svezia, in particolare, si distinguono le figure dei registi Mauritz Stiller e Victor Sjöström.
ITALIA
Prima di entrare in crisi per via della guerra, il cinema italiano è tra i più attivi e di successo del mondo. I generi che più lo contrassegnano sono il melodramma, ambito in cui eccellono le attrici Lyda Borelli e Francesca Bertini, e il film epico in costume. Cabiria di Giovanni Pastrone presenta importanti novità tecniche e scenografiche.
UNA NUOVA IDEA DI CINEMA
Con la diffusione del lungometraggio intorno agli anni Dieci il cinema si orienta verso la narrazione di storie e sviluppa una nuova forma rappresentativa che trova nel montaggio il suo strumento privilegiato.
STATI UNITI
Il cinema americano entra in una decisiva fase di transizione che dall’epoca dei nickelodeon arriva alla formazione del polo di Hollywood. David Wark Griffith è l’artista più significativo di questo periodo: alla base dei suoi capolavori Nascita di una nazione e Intolerance c’è la sua abilità nel concepire la scena attraverso una successione di piani e nel combinare inquadrature e scene con il montaggio.
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3 L’apogeo del cinema muto a PA
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Gli anni Venti del Novecento segnano l’apice espressivo del cinema muto sia nella forma del racconto classico sia nell’innovazione linguistica che contraddistingue le cinematografie d’arte europee, a partire dalle scuole nazionali che si sviluppano in Germania, Francia e Unione Sovietica fino alle tendenze del Dadaismo, del Surrealismo e del cinema sperimentale.
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La Prima Guerra Mondiale ha messo in ginocchio l’industria cinematografica francese, incapace di difendersi dalla penetrazione americana. La Pathé e la Gaumont hanno abbandonato la produzione concentrandosi sulla distribuzione e sull’esercizio. A realizzare film sono rimaste soprattutto piccole compagnie artigianali, spesso di breve durata. Non esiste l’integrazione reciproca tra settori propria di un sistema commerciale organizzato come quello degli Stati Uniti, e non c’è neppure assistenza da parte dello Stato. Nonostante le oggettive difficoltà, la Francia vede nascere uno dei movimenti nazionali più interessanti – l’Impressionismo – e registi come René Clair, che proprio negli anni Venti inizia la sua carriera cinematografica.
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Impressionismo
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Crisi francese del primo dopoguerra
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Il cinema francese e l’Avanguardia Narrativa
■ Caratteristiche dell’Impressionismo
La corrente impressionista francese è così definita per rimarcarne la differenza rispetto al coevo Espressionismo tedesco, ma sono in uso anche i termini Première Vague e Avanguardia Narrativa. L’omologia con il movimento pittorico del XIX secolo può rivelarsi ingannevole: se pure l’importanza della luce e l’ambientazione en plein air di alcuni film potrebbeIntenti ro indurre al paragone, il termine si spiega piuttosto con la vodell’Impressionismo lontà di tradurre con i mezzi propri del cinema le impressioni sensoriali e soggettive, esplorando ed estremizzando la tecnica per raggiungere effetti visivi di particolare suggestione. L’intenzione è quella di mostrare direttamente i sentimenti, non più soltanto le azioni. «Perché si producono film che sono solo una successione di eventi quando si ha a disposizione un mezzo meraviglioso per i soggetti psicologici?», si chiedeva Abel Gance. I registi e il nuovo Registi come Gance, L’Herbier, Epstein, Delluc e Dulac milinguaggio rano a suscitare emozioni estetiche profonde con un linguaggio nuovo, analogo a quello della poesia e della musica: nella terminologia usata da registi e teorici ricorrono espres50
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sioni quali “poema lirico”, “sinfonia visiva” o “musica di luce”. Una sottotendenza dell’Impressionismo sfocia in un cinema effettivamente astratto, ma la maggior parte dei film realizzati nell’ambito di tale corrente non è totalmente sperimentale: usa in maniera innovativa o addirittura crea alcune tecniche del cinema, ma non si svincola dalla narrazione per configurarsi in un gioco di pure immagini. Questo stile che esalta il dinamismo e la plasticità del cinema si accompagna a un approfondimento teorico sul mezzo e sulle sue peculiarità. Il cinema è considerato compiutamente come una forma artistica dalle caratteristiche originali e addirittura una sintesi di tutte le altre arti, come già teorizzato da Ricciotto Canudo nel suo saggio del 1911 Manifeste de la septième art (Manifesto della settima arte). Louis Delluc, critico e regista, è tra i primi a elaborare un’estetica del cinema. Il concetto che più si fa strada nell’Avanguardia Narrativa francese è quello, non facilmente definibile, di fotogenia: la photogénie comprende sia il surplus sensoriale sia il nuovo significato che acquista in sé l’oggetto cinematografico trasformato in immagine. La proprietà intrinseca della cinepresa dà infatti accesso a una visione ulteriore della realtà, capace di oltrepassare i confini dell’abituale percezione per rivelare l’anima delle persone e l’essenza degli oggetti. Altro elemento fondamentale è il ritmo visivo, dettato dalla luce, dai movimenti del profilmico e della macchina da presa e dal montaggio, che avvicina il cinema alla musica più che a qualsiasi altra forma d’arte. Questi elementi, la ripresa e il montaggio differenziano il cinema dal teatro, e proprio la diversificazione dal teatro è uno dei punti d’onore della Première Vague. La ripresa fa sfoggio di tutti gli artifici ottici e delle allegorie visive che possano manifestare l’interiorità e le emozioni dei personaggi. Ampio il ricorso alla sovrimpressione, ai filtri posti tra il personaggio e l’obiettivo, alla sfocatura, agli specchi deformanti che distorcono le figure in modo grottesco e ai convulsi movimenti di macchina per produrre effetti soggettivi o soggettive vere e proprie, mentre le luci tendono a esaltare la fotogenia di un volto o di un oggetto. Gance, Epstein, L’Herbier e Kirsanov adottano un montaggio frenetico e incalzante. Qualità fotogenica delle immagini, accentuazione delle tecniche di ripresa a fine soggettivo e ritmo visivo-plastico-musicale delle sequenze di montaggio contraddistinguono un movimento che opera con mezzi limitati e in un momento difficile. La fase calante inizia già nei tardi anni Venti e si fa inevitabile con l’avvento del sonoro.
Cinema come sintesi di tutte le altre arti Estetica del cinema Concetto di fotogenia
Ritmo visivo
Effetti ottici
Crisi degli anni Venti 51
3 - L’apogeo del cinema muto ■ Dulac, Delluc e i registi russi
Dulac e il Surrealismo
Louis Delluc e la prima avanguardia impressionista
Registi russi
Germaine Dulac (1882-1942) è una regista d’avanguardia. Nel 1919 dirige La feˆte espagnole (La festa spagnola) collaborando con Delluc. La sua attitudine al cinema puro e alla sinfonia visiva la porterà oltre l’Impressionismo, verso il Surrealismo con La conchiglia e il sacerdote (La coquille et le clergyman, 1926) e il cinema astratto musicale di Arabesques (1928) e Disque 927 (1929). Nella sua opera di avanguardia narrativa più nota, La sorridente Madame Beudet (La souriante M.me Beudet, 1924), l’avversione di una moglie borghese per il suo squallido marito si manifesta nelle deformazioni visive e prospettiche, nelle scene oniriche al rallentatore e in dettagli che tendono già al surreale. Louis Delluc (1890 -1924) è il teorico della prima avanguardia impressionista. Nella sua attività di promotore di cineclub e pioniere della critica cinematografica, prima che di sceneggiatore e regista (o cineasta, un termine che lui stesso introduce nel lessico del cinema), esprime la consapevolezza dell’autonomia formale della nuova arte. I suoi film Fièvre (Febbre, 1921), La femme de nulle part (La donna di nessun posto, 1922), L’inondazione (L’inondation, 1924) e il suo pensiero, espresso in saggi come Photogénie (Fotogenia, 1920), sono all’origine del movimento impressionista a cui non potrà contribuire a causa della prematura scomparsa. In Francia operano inoltre i russi Dimitri Kirsanov – che realizza in modo totalmente indipendente L’ironie du destin (L’ironia del destino, 1919) e Ménilmontant (1926) – e Alexander Volkov e Ivan Mosjoukine, che dirigono Il braciere ardente (Le brasier ardent, 1923) e insieme lavorano a Kean, ou désordre et génie (Kean, ovvero genio e sregolatezza, 1924).
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■ Abel Gance
Abel Gance, regista sperimentale
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In occasione di un viaggio a Londra, nel 1915 Abel Gance (1889-1981) ha modo di vedere Nascita di una nazione. Da allora diventa un fervente ammiratore di Griffith e uno dei registi più sperimentali dell’epoca del muto. La Film d’Art si rifiuta di distribuire il suo La folie du Dr. Tube (La follia del dottor Tube) per via delle troppe inquadrature distorte: la visione deformata attraverso obiettivi e specchi ricurvi è esibita in piena logica delle attrazioni di cui questo breve film comico è ancora imbevuto. Per la patria (J’accuse, 1919) nasce come propaganda a favore delle truppe al fronte, ma sull’onda della fine del conflitto è trasformato in un manifesto contro la guerra, il cui stile ricorda quello di Griffith. Pochi giorni prima della fine della guerra esce La dixième symphonie (La decima sinfonia, 1918), prin-
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cipio di quella corrispondenza tra cinema e musica che sarà Cinema e musica una delle prime costanti nell’opera del regista francese. Una simile sinestesia già interna alle immagini è espressa in La rosa sulle rotaie (La roue, 1923) contraddistinto da scene dal montaggio veloce dove il succedersi rapidissimo delle inquadrature equivale a un “fortissimo” dinamico e il tempo degli stacchi assume il valore metrico di una battuta musicale. Un parossistico ritmo violento accompagna la corsa del treno, più volte elemento centrale della storia e vettore visivo delle sue laceranti passioni. In un momento di esasperato climax la durata delle inquadrature si riduce al di sotto della soglia percepibile: per tradurre in immagini lo stato confusionale di un uomo che sta per cadere nel vuoto un montaggio di singoli fotogrammi «produce un’ondata di flash astratti capaci di toccare l’anima più che la vista». Gance mira così a una bellezza «che non è impressa sulla pellicola ed è difficile da spiegare quanto il profumo di una rosa o la musica di una sinfonia». Per lo stesso motivo Gance escogita una serie di espedienti Nuovi espedienti tecnici inauditi per l’epoca del suo Napoléon (Napoléon vu tecnici par Abel Gance, 1927). Il regista assume appositamente un ingegnere per costruire dei meccanismi in grado di ottenere dalla macchina da presa ciò che egli desidera. Pensa di realizzare ardite visioni soggettive possibili solo al cinematografo, nascondendo la macchina in un pallone lanciato in aria per trasformare lo spettatore in una palla di neve (ma in questo caso deve accontentarsi di far bombardare l’obiettivo protetto da una maschera di spugna; il pubblico avrà la sensazione di prendere la palla di neve in pieno viso). Una camera portatile creata appositamente per Napoléon sfida la tecnologia del tempo contenendo in sé qualcosa di rivoluzionario, antesignano dell’estetica della macchina a mano e addirittura della steadycam. L’ascenseur de prise de vue è invece una sorta di gru ante litteram realizzata con un congegno ispirato alla ghigliottina. La cinepresa effettua ogni possibile evoluzione, spinta su piattaforme o veicoli in movimento, piazzata sul dorso di un cavallo in corsa o fatta oscillare su un pendolo per simulare il moto ondoso del mare. Per i primi piani e per cogliere alcuni dettagli delle scene di massa Gance usa le focali lunghe e un potente teleobiettivo da 275 mm, mentre porta al limite espressivo anche la focale corta inventando lui stesso un nuovo obiettivo, un addizionale capace di ridurre a 20 mm la lunghezza di fuoco di un 50 mm (il Brachyscope è «come un telescopio usato al contrario»). Il regista crea un apposito mascherino di avorio trasparente usato per iridi e fondu (dissolvenze) al bianco e sperimenta fino a sedici sovrimpressioni simultanee.
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Nuove tecniche di montaggio
Gance impiega non solo il montaggio veloce che lo caratterizza, ma anche due tipi di montaggio in simultanea, dividendo lo schermo in nove sottoschermi a scacchiera o allargandolo nel formato detto polyvision: una composizione longitudinale che affianca tre inquadrature diverse o un’unica immagine che risulta da tre schermi affiancati (simile ai trittici della pittura). Non solo per le invenzioni tecniche, Napoléon, definito dal regista e critico Jean Mitry «un poema cinematografico che sbaraglia la storia», è il compendio migliore dell’arte di Gance e del cinema impressionista. La sequenza iniziale è un pezzo di bravura tecnica non indifferente: il montaggio accelerato alla Griffith assume toni di pura astrazione lirica attraverso i flash cut (“immagini lampo”) in soggettiva e i primi piani a scopo puramente tematico, il ritmo visivo “puro” di stacchi e movimenti di scena e di macchina e il turbinio delle sovrimpressioni. Si tratta di una vera ouverture, dove i dettagli sono accumulatori di sensazioni, e non la spiegazione chiara di una dinamica degli eventi raccontata in modo lineare.
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Esperimenti tecnici
■ Marcel L’Herbier Marcel L’Herbier (1890-1979) condivide con Gance e Jean Epstein l’intenso sperimentalismo, verso cui si spinge già in una prima opera ardita come Rosa francese (Rose-France, 1919). In seguito L’Herbier si concentra sulla fotogenia, mostrando grande cura dei paesaggi e dei décors scenografici, e sulla resa visiva dell’interiorità, spremendo in questo senso tutte le risorse di regia a sua disposizione. In Eldorado (1921) un filtro rende esplicita l’apprensione della protagonista che deve esibirsi in un cabaret ma pensa al figlio malato. Per Futurismo (L’inhumaine, 1924), che si avvale di un décor stilizzato anticipando la messa in scena modernista di Metropolis, ricorre alle inquadrature-flash e ai movimenti bruschi della cinepresa come la panoramica detta “a schiaffo”. Nella sequenza più interessante del film monta in parallelo, accelerandole con un doppio climax, due azioni contrapposte fatte culminare nello stesso momento: l’acclamata esibizione canora dell’“inumana” e la corsa suicida dell’uomo che la ama senza esserne corrisposto. In Il fu Mattia Pascal (Feu Mathias Pascal, 1925), trasposizione autorizzata del romanzo di Pirandello, L’Herbier può contare sulla recitazione di Ivan Mosjoukine, uno dei più importanti attori del tempo, e sui paesaggi toscani per una messa in scena onirica ed estetizzante. Il denaro (L’Argent, 1928) contiene prodezze tecniche, come lo spettacolare movimento di macchina a scendere che parte dai ventidue metri della cupola della Borsa di Parigi, ma è anche uno degli ultimi film muti a uscire, quando i
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primi film sonori sono già nelle sale: è quindi destinato a non avere successo nonostante raccolga alcuni degli esiti più maturi della ricerca artistica dell’Impressionismo, con una sofisticata organizzazione del ritmo e delle possibilità della visione cinematografica. ■ Jean Epstein
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Jean Epstein (1897-1953) è stato un regista e un teorico altrettanto importante e innovativo. Nonostante esordisca più tardi rispetto ad altri colleghi, la sua idea di «raggiungere l’irreale attraverso i mezzi offerti dal reale» lo pone in prima fila tra gli impressionisti. Tale idea in L’auberge rouge (L’albergo rosso, 1923) si esprime nelle inclinazioni inedite del punto di vista sugli oggetti, ripresi dall’alto e dal basso con un angolo obliquo (45°) che ne libera l’essenza rivelatrice, coerentemente con le teorie sulla fotogenia. La fantasia nel trovare nuovi punti di ripresa e la libertà nel comporli, le sovrimpressioni di immagini mentali, i filtri, i mascherini di varia foggia (uno a forma di cuore) disposti di fronte ai primi e primissimi piani a suggerire pensieri e sentimenti (i due amanti divisi si struggono l’uno al pensiero dell’altro), oltre al montaggio veloce con inquadrature brevissime, al virtuosistico movimento rotatorio nella sequenza della giostra e alla capacità di cogliere quanto c’è di sfuggente, onirico e impalpabile nella realtà, si ritrovano in Coeur fidèle (Cuore fedele, 1923), un melodramma anticipatore del realismo poetico, seguito nello stesso anno da La belle nivernaise (La bella nivernese) e La montaigne infidèle (La montagna infedele). Dopo alcuni film meno sperimentali la ricerca espressiva di Epstein riprende in La glace à trois faces (Lo specchio a tre ante, 1927), ritratto a più facce di un uomo filtrato dalla prospettiva di tre donne che ne restituiscono ognuna un’immagine diversa. La trama enigmatica lo rende un’opera estremamente moderna. In La caduta della casa Usher (La chute de la maison Usher, 1938) il terrore e il mistero del racconto di Poe sono riproposti con i dettagli del suo stile rarefatto: riprese al rallentatore, effetti ottici, primi piani angolati, punti di vista ribassati, obiettivi deformanti, scavalcamenti di campo e le consuete riprese oblique e ravvicinate sugli oggetti, che ne accentuano il simbolismo allusivo. Quando Roderick Usher suona la chitarra le immagini del mare e dei boschi visualizzano le suggestioni della musica. Le ombre e l’apparenza fantomatica dell’interno della casa Usher rivelano poi come Epstein abbia assorbito le influenze dell’Espressionismo. Finis Terrae (1929) è l’ultima sua opera aderente ai canoni dell’Impressionismo. I film sonori a partire da Mor Vran
Innovazioni
Coeur fidèle
La caduta della casa Usher
Ultima opera impressionista 55
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(Il mare dei corvi, 1929), in particolare quelli del “ciclo bretone”, si indirizzano verso una nuova ricerca di realtà e lo studio del rapporto tra suono e immagine.
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Il cinema tedesco: dall’Espressionismo alla nuova oggettività
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Correnti del cinema tedesco
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Negli anni Venti è il cinema tedesco a fare tendenza in tutto il mondo. Dalle sue file provengono maestri come Lang, Murnau, Pabst e Lubitsch. Al suo interno si sviluppano varie correnti: Espressionismo, Kammerspiel (letteralmente “teatro da camera”), film storico in costume, dramma futurista, film sociale e nuova oggettività. Una produzione così varia e competitiva si sviluppa nonostante la Germania attraversi anni difficili e sia costantemente sull’orlo del tracollo economico a causa dei risarcimenti imposti dal Trattato di Versailles e della conseguente vertiginosa svalutazione del marco. L’industria del cinema, da cui emergono nuovi soggetti come la UFA (Universum Film Aktiengesellschaft), può assicurarsi una fase di riassetto e sviluppo incontrastati non avendo concorrenza sul mercato interno. Il divieto all’importazione di film stranieri decretato nel 1916 rimane in vigore fino al 1920: senza la proroga di questa misura anche la Germania avrebbe sofferto l’invasione dei film americani. Mentre è il cinema tedesco a godere di grande prestigio internazionale, favorito dai suoi costi, bassi rispetto agli standard del mercato estero. A Berlino nel febbraio 1920 è proiettato per la prima volta Il gabinetto del dottor Caligari (Das Cabinet des Dr. Caligari, 1919). Il film di Robert Wiene introduce nel cinema lo stile figurativo e scenografico proprio dei movimenti espressionisti in pittura e teatro, delineando nel contempo le caratteristiche che avrà lo stesso movimento sul versante cinematografico: dal punto di vista tecnico-espressivo, la prevalenza del profilmico sul filmico (cioè della componente figurativa e scenografica su montaggio, movimenti di macchina ed effetti ottici) e una messa in scena antinaturalistica e stilizzata; da quello del contenuto, gli elementi soprannaturali, psicologici e orrorifici, un senso sotterraneo di allucinazione e minaccia e una distorsione enigmatica e piena di inquietudine nella percezione della realtà. Con il suo spazio irrealistico tipicamente teatrale il capostipite dell’Espressionismo dimostra come l’elemento scenografico sia preponderante, al punto da orchestrare la fusione di tutti gli elementi della scena. La risonanza tra figura umana e scenografia è reciproca; tanto nella seconda si manifesta lo stato di interiorità psicologica dei personaggi o dell’umanità
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Protezionismo e prestigio internazionale
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Capostipite dell’Espressionismo cinematografico
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Caratteristiche del cinema espressionista
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intera quanto la prima si inscrive negli elementi del set e giunge alla simbiosi con essi. Traumi nascosti della psiche sono evocati dalle linee spezzate, aguzze, ogivali e contorte, dalle figure deformate e sfalsate rispetto alle loro dimensioni reali, dalle ombre vere o fittizie e dalle false prospettive. I movimenti degli attori disegnano a loro volta gesti innaturali, ellittici o troppo enfatici, azioni a scatti e quasi di danza, espressioni raggelate e grottesche. Le identiche forme geometriche o i medesimi elementi decorativi si riflettono di rimbalzo tra costumi e scene. Tutto è assimilato a tutto nel comporre un effetto globale. Se si escludono gli allucinati primi piani, le inquadrature di maggior effetto sono i campi lunghi, dove persino il corpo dell’attore è inserito quale segno grafico – tendente spesso più alla bidimensionalità che al rilievo – al pari degli altri, siano essi oggetti, architetture o didascalie; non è rara la correlazione oggettiva tra personaggi e ambiente all’insegna di un leitmotiv grafico. In virtù della prevalenza accordata alla composizione dell’inquadratura, la cinepresa e il montaggio dei film espressionisti sono meno dinamici rispetto all’avanguardia francese e sovietica. Il découpage adotta in genere una scansione più lenta e contemplativa. Il lascito più longevo di questo movimento è la tecnica luministica in forte chiaroscuro, mirante a destabilizzare il senso di volumi e profondità con tagli laterali e frontali molto forti e giochi contrastanti di luce e ombra. Non sono molti i film propriamente espressionisti: in aggiunta alle opere dei primi anni Venti di autori come Wiene, Lang e Murnau, si possono citare Algol (1920) di Hans Werckmeister, Golem – Come venne al mondo (Der Golem, wie er in die Welt kam, 1923) di Paul Wegener e Carl Boise, Schatten – Eine nacthliche Halluzination (Ombre – Un’allucinazione notturna, 1923) di Arthur Robison e Il gabinetto delle figure di cera (Das Wachsfigurenkabinett, 1924) di Paul Leni (1885-1929). L’etichetta di Kammerspielfilm si adatta a un nucleo ancora più ristretto di pellicole, girate nella prima metà del decennio: le più importanti, Hintertreppe (La scala di servizio, 1921) di Paul Leni, San Silvestro (Sylvester, 1922) e La rotaia (Scherben, del 1924) di Lupu Pick, Desiderio del cuore (Michael, 1924) di Carl Theodor Dreyer e L’ultima risata (Der letzte Mann, 1924) di Friedrich W. Murnau, che rappresenta una grande novità in virtù dei fantasiosi movimenti di macchina. Proprio la mobilità della cinepresa del film di Murnau è un punto d’arrivo della ricerca tecnica del cinema tedesco, distintosi anche per l’utilizzo ingegnoso e molto avanzato dei modellini, che permettono di realizzare scenari fantastici senza costruire set a grandezza naturale. L’ultima risata e il film di Ewald André Dupont Variété (Varietà, 1925) dimostrano le
Eredità dell’Espressionismo Autori e opere dell’Espressionismo
Kammerspiel
Capolavoro del genere L’innovazione tecnica promossa da Murnau
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IL KAMMERSPIEL
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Il genere detto Kammerspiel nasce a to, poco o nulla ha a che vedere con la teatro nel 1906, quando Max Reinhardt stilizzazione estrema dell’Espressioniinaugura i Kammerspiel del Deutsches smo, limitandosi al potere evocativo di Theater a Berlino. I film di questo filone alcuni dettagli. Scene di raccordo espliinscenano vicende familiari o dai risvol- cative e didascalie sono ridotte o elimiti intimi e dai finali sovente dolorosi, do- nate; ci si concentra invece sulla recive le figure centrali sono individui in cri- tazione, e particolarmente sui primi piasi e schiacciati dal proprio destino. Per ni, in cerca di gesti, espressioni e sfuquanto concerne l’ambientazione e la mature rivelatrici. Carl Mayer (1894recitazione, il tono è quello quotidiano 1944, già sceneggiatore di Il gabinetto e naturalista del teatro borghese. Le vi- del dottor Caligari insieme a Hans Joacende, che pure hanno forte compo- novitz) è il punto di riferimento per il genente emotiva, si svolgono tutte in in- nere, dal momento che ne firma tutti i terni e in rigorosa unità di tempo e luo- soggetti più noti. Il capolavoro del Kamgo. Il ricorso al valore simbolico delle merspiel è L’ultima risata, di Friedrich scenografie è più realistico e controlla- Wilhelm Murnau.
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Film storici
Drammi sociali
■ Robert Wiene
Manifesto dell’Espressionismo
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Il nome di Robert Wiene (1873-1938) è legato a Il gabinetto del dottor Caligari (con minore ispirazione e fortuna rimane in ambito espressionista in Raskolnikov, 1923). Per molto tempo la sua figura è stata sottovalutata, ma studi più attenti dimostrano quanto le sue scelte abbiano invece influenzato il suo capolavoro. Il grande manifesto dell’Espressionismo cinematografico, che ne esibisce le caratteristiche più
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Neue Sachlichkeit
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capacità spettacolari delle riprese con la cinepresa sciolta (entfesselte Camera), libera di muoversi nello spazio. In Variété l’obiettivo segue da vicino e in maniera altrettanto acrobatica le evoluzioni di due trapezisti. Un altro settore cospicuo della produzione tedesca si concentra su film storici e spettacolari ispirati al cinema italiano e americano. Il più grande successo di questo filone è Madame Dubarry (1919) di Ernst Lubitsch. Nella seconda metà degli anni Venti la vena creativa di Espressionismo e Kammerspiel si è inaridita. Prevale la Neue Sachlichkeit, “nuova oggettività”, dallo spirito analogo alla pittura di Georg Grosz e Otto Dix. I drammi sociali mostrano un interesse morboso per i bassifondi: La strada (Die Strasse, 1923) di Karl Grune (1890-1962) o Tragedia di prostitute (Dirnentragödie, 1927) di Bruno Rahn (18871927) lanciano sguardi intrisi di forte critica su ambienti urbani degradati, prostitute e uomini che rifuggono dalla vita borghese per essere risucchiati in un contesto di squallore e pericolo.
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inquietanti e insieme più pittoresche e ne rappresenta a suo modo l’esperienza limite, rimane oggi un film epocale nel quale il contenuto narrativo – nella sua costruzione intricata e ambigua, la cui forma conclusiva è stata in ultimo voluta da Wiene stesso – risulta altrettanto sconvolgente delle tecniche di messa in scena e recitazione, mentre lo spazio perturbante e trompe-l’oeil allestito dagli scenografi Hermann Warm, Walter Reimann e Walter Röhrig, combinato alle astrazioni evidenti della regia di Wiene, sfocia nell’espressione degli aspetti più fantomatici, ambigui e oscuri della cognizione umana. ■ Friedrich Wilhelm Murnau
Nosferatu il vampiro, esempio di Espressionismo
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L’ultima risata, esempio di Kammerspiel
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Produzione hollywoodiana
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La stessa linea dell’orrore fantastico con riflessi psicanalitici è ripresa e approfondita da Friedrich Wilhelm Murnau (1888-1931) in Nosferatu il vampiro (Nosferatu. Eine Symphonie der Grauens, 1922), ricreando lo stile espressionista negli esterni e nelle architetture a tutto tondo con coni d’ombra, cupole e forme ogivali. Murnau fa ricorso a un’ampia gamma espressiva – controluce, chiaroscuro, proiezioni di ombre, immagini in negativo, sovrimpressione, sovraesposizione della pellicola, ralenti e accelerazioni – per raggiungere l’essenza di un orrore la cui manifestazione suprema si percepisce evocata anche oltre il visibile. Ciò che meglio lo simboleggia è la lentezza ipnotica di Max Schreck (animato a passo uno, ovvero ripreso a singoli fotogrammi) che apre all’esperienza percettiva quanto di inenarrabile è presente nella figura di Nosferatu, capace di paralizzare nello stesso modo anche la visione di uno spettatore moderno. Se Nosferatu il vampiro è il film più maturo del primo Espressionismo, lo stesso si può dire di L’ultima risata nei confronti del Kammerspiel che trasfigura con il dinamismo della cinepresa. Tartufo (Herr Tartüff, 1925), una commedia velenosa, gioca con la prima celebre mise en abyme della storia del cinema, un film contenuto in un altro film, il Tartufo di Molière, mostrato all’interno della stessa finzione. Faust (1925) trae dal dramma goethiano suggestioni proprie per una messa in scena dove la plasticità dell’immagine incontra il senso ideale della forma. Nel 1927 Murnau approda negli Stati Uniti. Il suo lavoro più significativo nell’ambito della produzione hollywoodiana è il primo, Aurora (Sunrise, 1927), dove sperimenta un nuovo stile con piani sequenza e profondità di campo (nella tripartizione interna tragedia/commedia/tragedia il migliore dei tre blocchi è il secondo, che contiene le brillanti sequenze in città). Tabù (1931), diretto in parte insieme a Robert Flaherty, è ancora un film muto, l’ultimo a cui lavora Murnau prima di morire in un incidente stradale in California.
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Dottor Mabuse, simbolo del cinema langhiano
Tema del doppio Differenze tra Wiene e Lang
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Metropolis
M – Il mostro di Düsseldorf
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■ Fritz Lang Di origine austriaca come Wiene, Fritz Lang (1890-1976) offre una versione personale dell’Espressionismo fin da Destino (Der müde Tod, 1921) e Il dottor Mabuse (Dr. Mabuse, der Spieler, 1922). Il personaggio del dottore è un simbolo del cinema di Lang, che vi tornerà a distanza in Il testamento del dottor Mabuse (Das Testament des Dr. Mabuse, 1933), ultimo film girato in Germania prima dell’espatrio, e a fine carriera in Il diabolico dottor Mabuse (Die 1000 Augen des Dr. Mabuse, 1960). Il moderno e tirannico genio del male, superuomo criminale e persuasore occulto, simile a Caligari ma senza alone grottesco, è una maschera che assume in sé le angosce e le forze oscure che si agitano nell’inconscio sociale della Germania e sono in procinto di impadronirsi del Paese: Lang stesso autorizza la lettura di Mabuse come di un protonazista. La divisione in due parti di Il dottor Mabuse e I Nibelunghi (Die Nibelungen, 1924) riflette l’ossessione langhiana per le parti speculari: da un lato il tema del doppio e l’ambiguità della natura umana, dall’altro la più rigorosa simmetria. Il più evidente elemento di separazione tra la regia di Lang e il caligarismo è rappresentato dalla figurazione geometrica e dalla regolarità formale delle sue composizioni. La scenografia della saga presenta superfici e volumi non distorti ma simmetrici, che trascendono le imprese di Sigfrido, Brunilde, Crimilde, Hagen, dei Nibelunghi e degli Unni, demitizzati rispetto all’epopea wagneriana, per collocarle nell’orizzonte supremo del fato: gli eroi epici come gli altri personaggi di Lang sono uomini che agiscono per e contro forze immutabili che li sovrastano; il trionfo non è mai della volontà, ma sempre del destino. Lo stesso carattere eidetico ha la direzione di Metropolis (1927), che mostra grandi movimenti di masse negli ambienti stilizzati di un’immaginaria città del futuro. L’allegoria fantascientifica che celebra la qualità artistica e produttiva raggiunta dal cinema tedesco è così ricca e imponente da passare alla storia nonostante la sceneggiatura scritta da Lang con la moglie Thea Von Harbou, sua abituale collaboratrice, sia confusa, velleitaria e prevedibile nelle sue simbologie. Mentre i dissidi interni alla “metropoli” sono ricomposti grazie a una figura messianica (quella di Maria), le tensioni che lacerano il tessuto sociale contemporaneo tedesco sono al contrario ben evidenziate in L’inafferrabile (Spione, 1928) e soprattutto in M – Il mostro di Düsseldorf (M, 1931), uno dei primi veri film sonori e non semplicemente parlati. Il testamento del dottor Mabuse esce nello stesso anno in cui Hitler sale al potere. Lang lascia la Germania (separandosi da Thea, che resta e aderisce al regime) per la Francia e in seguito per gli Stati Uniti.
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■ Ernst Lubitsch
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Ernst Lubitsch (1892-1947) lascia relativamente presto la natia Germania per gli Stati Uniti dove è chiamato a lavorare già nel 1923. L’artista, di origine russa, si forma alla scuola teatrale di Max Reinhardt e a lui si ispira in Madame Dubarry e Anna Bolena (Anna Boleyn, 1920), di grande impegno produttivo e di grande successo (specialmente il primo). Abile nel dirigere questi drammi storici, il regista dimostra comunque il suo vero temperamento nella commedia, dove, interpretando a modo proprio le caratteristiche correnti del cinema tedesco, sviluppa gli archetipi del suo stile: tono leggero e scoppiettante, sagaci allusioni, grande ritmo, sostenuto e costante, vicende, personaggi e coreografie da operetta inseriti in trame fitte di gag in successione e scene di massa che somigliano a balletti in stilizzati set ad hoc. La bambola di carne (Die Puppe, 1919) può essere vista come un complementare farsesco di Il gabinetto del dottor Caligari, come se ne ribaltasse in chiave brillante il tema retorico del doppio e quello stilistico delle scenografie. In Lo scoiattolo (Die Bergkatze, 1921), una delirante farsa sulla vita militare, la stilizzazione geometrica e la formalizzazione ideale tipiche del cinema tedesco sono proposte in chiave comica grazie all’impiego di mascherini di ogni forma e tipo (circolari, ellissoidali, rettangolari, ottagonali, frastagliati). La principessa delle ostriche (Die Austerprinzessin, 1919) è una screwball comedy ante litteram ricca di argute coreografie e spunti sarcastici. Lubitsch approfondisce meglio queste caratteristiche all’interno della successiva produzione americana. Il suo stile, divenuto un tocco inconfondibile (Lubitsch touch, come viene ribattezzato in America), è ora meno esasperato e ha raggiunto un grado di raffinata arguzia in Matrimonio a quattro (The Marriage Circle, 1924) e Il ventaglio di Lady Windermere (Lady Windermere’s Fan, 1925). Lubtisch diventa il maestro della commedia sofisticata; il suo stile fluente e vivace è la lente da cui osserva le ipocrisie e il falso perbenismo della buona società d’oltreoceano.
Archetipi della commedia di Lubitsch
Prime commedie
Produzione americana
■ Georg Wilhelm Pabst Georg Wilhelm Pabst (1885-1967) si afferma nella seconda L’Espressionismo metà degli anni Venti in corrispondenza di un mutamento in Pabst generale nella cinematografia tedesca. Il tesoro (Der Schatz, 1923) risente del clima dell’Espressionismo, non abbandonato neppure nelle opere successive, dove riaffiora nei momenti onirici o rimane comunque sullo sfondo. La via senza gioia (Die fruedlose Gasse, 1925; in italiano noto anche co-
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Approdo alla nuova oggettività Stile
Louise Brooks
me L’ammaliatrice) è un film di strada molto duro interpretato da Asta Nielsen e Greta Garbo nel ruolo di due donne dai destini paralleli. I misteri di un’anima (Geheimnisse einer Seele, 1926) apre in maniera decisa verso la psicanalisi, avvalendosi dei due maggiori allievi di Freud in qualità di consulenti (ma non del loro maestro, che, interpellato per primo, rifiuta di partecipare e avrà poi modo di opporre pesanti critiche). Pabst si inserisce in maniera personale nell’ambito della Neue Sachlichkeit con Il giglio delle tenebre (Die liebe der Jeanne Ney, 1928). Il suo stile eclettico e fluido – Pabst ama staccare sui personaggi in movimento proprio per eludere la percezione dei tagli di montaggio – coniuga realismo oggettivo, metafore e residui espressionisti, senso del melodramma, atmosfere di torbida decadenza, un impulso sempre violentemente critico e nel contempo il rifiuto di un facile manicheismo nel mostrare come tutta la società sia corrotta. Icona del suo cinema è l’attrice Louise Brooks, interprete principale dei due ultimi film muti: Lulù (Die Büchse der Pandora, 1929; noto anche come Il vaso di Pandora) e Diario di una donna perduta (Das Tagebuch einer Verlorenen, 1929). Una curiosità: l’attrice e il suo caratteristico look (pettinatura a caschetto con capelli nerissimi) hanno ispirato a Guido Crepax la figura di Valentina, protagonista del fumetto omonimo.
L’URSS e L’Ottobre del cinema
Influenza delle avanguardie artistiche Attori come macchine
La Rivoluzione d’Ottobre e i successivi sviluppi segnano la nascita di una cinematografia altrettanto rivoluzionaria, ispirata ai principi della nuova società sovietica e influenzata positivamente dalla lezione delle avanguardie come il Cubo-Futurismo, il Suprematismo e in particolare dal Costruttivismo russo, caratterizzato da un approccio più funzionale ispirato a principi tecnici e meccanici. La funzione del montaggio del film è pensata in modo simile all’assemblaggio di una macchina. Macchine sono anche gli attori, secondo i principi biomeccanici del teatro di Mejerchol’d, come una macchina è il corpo umano: nella stessa temperie antropologica rientrano gli esperimenti pavloviani sui riflessi condizionati, e allo stesso modo i film cercano di stimolare nel pubblico associazioni e reazioni psicosensoriali secondo un disegno educativo e propagandistico. Azzerato il sistema produttivo d’anteguerra con la fine (Drankov e Kanjonkov) e il trasferimento all’estero (Yermo-
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liev, divenuta nel 1922 Albatros Film) delle maggiori case di produzione russe, il cinema della neonata URSS è nazionalizzato nel 1919 e affidato alla responsabilità di un commissariato statale per l’istruzione, il Narkompros, diretto da Anatolij Lunacˇarskij. Ben presto l’imposizione da parte dell’intellighenzia staliniana di una nuova linea generale del regime metterà fuori gioco le operazioni più sperimentali, promuovendo gli enunciati assai più semplici del realismo socialista a discapito delle varie invenzioni formali e alchimie espressive. Negli anni della guerra civile la produzione di nuove pellicole si concentra sugli agitki (“film di insurrezione”), ma dalla fine della guerra civile il cinema diventa un mezzo culturale importante riconosciuto nel suo ruolo dalle massime autorità. Si cominciano a vedere le premesse della grande scuola del montaggio sovietico, con cui si identifica il maggiore cinema prodotto in URSS negli anni Venti.
Cinema come mezzo di propaganda Fine dello sperimentalismo
■ Lev Vladimirovic Kules ˇov
Nell’immediato dopoguerra Lev Vladimirovic Kulesˇov (18991970) dirige la Scuola Statale di Cinematografia. Non potendo lavorare su materiale nuovo per via della scarsità di pellicole, propone ai suoi studenti un’esperienza con immagini di repertorio passata alla storia con il nome di “effetto Kule- Effetto Kulesˇov ˇsov”. Il giovane regista fa visionare agli allievi una sequenza composta da tre primi piani identici in cui l’attore Ivan Mozzˇukhin (grande interprete di cinema russo, in seguito noto anche in Francia come Mosjoukine) ha la stessa espressione neutra e lo stesso sguardo rivolto fuori campo, seguiti ciascuno da un’immagine differente: potevano essere (esistono versioni discordanti) un piatto di minestra, un bambino, una donna o il cadavere di un uomo. Gli spettatori, inconsapevoli del fatto che si trattasse dello stesso primo piano stampato tre volte, associavano immediatamente lo sguardo fuori campo alla figura successivamente mostrata e leggevano nel volto di Mozzˇukhin la fame, la gioia, il desiderio o la commozione, a seconda di quale elemento vedevano associato al primo piano dell’attore. Questa esperienza vuole dimostrare che non le sole inquadrature, ma anche il montaggio è determi- Importanza nante per il significato di un film. In un’altra dimostrazione del montaggio Kulesˇov combina particolari del volto di attrici diverse montandoli in modo che il pubblico veda una sola persona: il montaggio sa creare quindi uno spazio (e poi un tempo) che non esistono nella realtà ma solo nel film. Da questi esperimenti ha inizio la riflessione sui significanti del cinema, da cui derivano l’estetica e la teoria di Kulesˇov, Ejzensˇtejn, Vertov e degli altri registi sovietici.
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Principi ispiratori Kulesˇov si ispira ai principi costruttivisti e formalisti: il suo dell’opera di Kulesˇov film Dura Lex (Po zakonu, 1926) è sceneggiato da Vladimir Slovskij, che del Formalismo fu uno dei padri. La satira Neobyc ˇainye prikljucˇenia Mistera Vesta v strane bol’sˇevikov (Le straordinarie avventure di Mr. West nel paese dei bolscevichi, 1924) si serve dell’effetto Kulesˇov per ricontestualizzare immagini preesistenti.
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■ Sergej Mihajlovic ˇ Ejzensˇtejn Il più rivoluzionario e vulcanico rappresentante della cinematografia sovietica è Sergej Mihajlovicˇ Ejzensˇtejn (18981948). Ejzensˇtejn è prima di tutto uomo di ampia e polivalente cultura, un instancabile teorico – con un corpus di scritti pari alla sua filmografia – e un cineasta dalle idee molto chiare e dettagliate. Al cine-occhio di Vertov oppone provocatoriamente il suo cine-pugno e confuta l’idea kulesˇoviana del montaggio come collegamento di pezzi, sostituendovi la concezione del montaggio come conflitto, trasformata in principio generale di pensiero e pratica della regia. Parlando ancora da allestitore teatrale individua nell’attrazione, cioè nel momento di azione aggressiva sui sensi e sulla psiche del pubblico – “verificata sperimentalmente” come se si trattasse di qualcosa di scientifico – la molecola principale di ogni discorso spettacolare. La sua prima grande formulazione teorica si riferisce perciò al montaggio delle attrazioni: una combinazione libera, arbitraria – il passaggio dalla figuratività illusoria e dalla rappresentatività dell’arte borghese a un montaggio di “cose reali” insieme a “interi pezzi figurativi” – e indipendente anche dalla logica della diegesi, orientata a ottenere un preciso effetto tematico e ideologico a cui la trama narrativa prende parte come una delle attrazioni o un semplice elemento su cui impostare un discorso politico. Dalle attrazioni il passo successivo sono i concetti tradotti in immagini, e quindi il “montaggio intellettuale” ispirato alla filosofia dialettica (un desiderio irrealizzato del regista di origine lettone sarà quello di tradurre in immagini Il capitale di Karl Marx), dove lo scontro tra due concetti produce un senso ulteriore capace di trascendere entrambi. Le immagini di Ejzensˇtejn non si raccordano in maniera lineare, non sono contigue, ma collidono: ogni stacco (tutt’altro che mascherato come nel cinema americano) deve produrre uno shock emotivo e una risposta mentale. Il montaggio intellettuale che vuole dare forma diretta alle idee, senza più necessità di transizioni o parafrasi, è la più evoluta di una serie di forme di montaggio: metrico, ritmico, tonale e sovratonale. Il montaggio di attrazioni e concetti è evidente in
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Padre della cinematografia sovietica
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Nuova definizione di montaggio
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L’attrazione come centro del discorso spettacolare
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Immagini in collisione tra loro
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Sciopero
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Sciopero (Stacˇka, 1924). In questo film privo di protagonisti individuali Ejzensˇtejn inscena un conflitto di massa. I volti e i corpi sono di attori non professionisti che interpretano tipi conformi all’appartenenza di classe. La recitazione è stilizzata, ma in senso biomeccanico: l’attore può assomigliare a una macchina, a un clown, a un acrobata, a una marionetta, ma non a un interprete di teatro classico. Nella sequenza conclusiva Ejzensˇtejn decide di incrociare la sequenza del massacro degli scioperanti con le immagini di un macello. Il montaggio parallelo mette in correlazione diretta due eventi che non hanno attinenza diegetica (per le immagini del macello si parla di inserto non diegetico); il legame instaurato non ha una giustificazione realistica ma è di un ordine tutto nuovo, discorsivo e nato dallo scontro potente di queste due attrazioni e insieme dalla loro filiazione simbolica e retorica. La corazzata Potemkin (Bronenosec Potemkin, 1925) mostra ancora meglio le linee guida del montaggio potenziale con il conflitto di piani, volumi, masse e profondità, non solo tra un piano e l’altro ma all’interno della singola inquadratura. Ejzensˇtejn teorizza inoltre il conflitto tra un evento e la sua durata: per enfatizzare il gesto di rivolta del marinaio (rompere un piatto che riporta la scritta «Dacci oggi il nostro pane quotidiano») il montaggio seziona il gesto da più angolazioni fino a imporre una durata che va oltre quella reale (la tecnica è anche nota come overlapping editing). Il massacro della folla di Odessa compiuto dalla milizia dello zar è presentato sulla celebre scalinata per far risaltare la conflittualità grafica all’interno delle inquadrature. La grande scena della carica zarista è un contrappunto visivo di forte intensità e complessa figurazione spazio-temporale, dove gli elementi della scena sono considerati nei valori sia narrativi sia plastici sia, soprattutto, ritmici. L’orrore di fronte all’eccidio è simboleggiato da tre leoni di pietra montati consecutivamente come fossero uno solo (applicando la lezione di Kulesˇov) nell’atto di sollevarsi per l’indignazione. Ottobre (Oktjabr’, 1928) è ancora più cerebrale nel suo linguaggio: l’entrata di Kerenskij nel Palazzo d’Inverno è frammentata e ripetuta insieme a un montaggio di immagini non narrative che riassumono il carattere del personaggio. Un altro tropo linguistico associa le parole di un oratore menscevico al suono di un’arpa e di una balalaika. La statua abbattuta dello zar è una metafora del vecchio regime; trattato in maniera simbolica è pure il tentativo di restaurazione del generale Kornilov, il cui appello a Dio e alla patria è risolto in un rapido excursus di simboli religiosi partendo da un Crocifisso barocco e arrivando a idoli primitivi.
La corazzata Potemkin
Ottobre
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Le controversie a cui va incontro La linea generale (Staroe j novoe, 1929), l’unico film di Ejzensˇtejn a trattare l’attualità del dopo-rivoluzione, sono indicative del rientro nei ranghi a cui il regista sarà costretto dall’intellighenzia sovietica. ■ Dziga Vertov Rifiuto della finzione A differenza di Ejzensˇtejn, Dziga Vertov (1896-1954) rifiuta la finzione, la narrazione e i rapporti con il teatro e la letteratura per dedicarsi a un cinema di attualità. Lo scopo di Vertov è una nuova visione del mondo che permetta di catturare la realtà più vera grazie alle potenzialità trasfigurative Cine-occhio del kinoglaz, il cine-occhio, come lui definisce l’obiettivo della macchina da presa. Oltre che nei cinegiornali della serie Kino-Pravda (1922-1925), questo nuovo sguardo si concretizza in L’uomo con la macchina da presa (Celovek s kinoapparatom, 1929), un campionario di visioni e ritmi della vita di Mosca che oscillano tra il documentarismo puro e semplice, la scomposizione e ricomposizione dei soggetti secondo molteplici prospettive, il discorso metafilmico e gli effetti surreali (si vedono edifici capovolti e divisi in due): un saggio sul potere assoluto del cine-occhio e la sua capacità di percepire, trasformare e ricreare la realtà.
Vsevolod Pudovkin
Grigorij Kozincev e Leonid Trauberg
■ Altri registi sovietici Come Kulesˇov, Vsevolod Pudovkin (1892-1953) concepisce il montaggio e le sue nuove regole (frammentazione, libertà nelle angolazioni e nelle distanze e creazione di uno spazio e di un tempo propri del film) in funzione narrativa; i suoi inserti analogici possono ricordare quelli di Ejzensˇtejn, ma hanno un significato prevalentemente emotivo. I suoi film La madre (Mat’, 1926), Tempeste sull’Asia (Potomok Cˇingischana, 1928) e La fine di San Pietroburgo (Konec SanktPeterburga, 1927), rispetto all’azione di massa ejzensˇtejniana, si raccolgono su personaggi singoli raccontandone in maniera epica ma realista la presa di coscienza politica che li porta a partecipare alla lotta rivoluzionaria. Grigorij Kozincev (1905-1973) e Leonid Trauberg (19021990) appartengono al gruppo FEKS (The Factory of the Eccentric Actor, “Fabbrica dell’attore eccentrico”), che già in teatro propugnava il sovvertimento della rappresentazione accademica tradizionale attraverso espedienti mutuati dal circo. Il loro film più noto, Nuova Babilonia (Novy Babylon, 1929), è una storia della Comune di Parigi in stile eccentrico ma già meno sperimentale. Allo stesso gruppo appartiene Boris Barnet (1902-1965), dedicatosi alla commedia satirica (La ragazza con la cappelliera,
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Devuska s korobkoj, 1927; La casa sulla piazza Trubnaja, Dom na Trubnoj, 1928). L’ucraino Aleksandr Dovzˇenko (1894-1956) introduce nello Aleksandr Dovzˇenko sperimentalismo sovietico una dimensione ancestrale, magica e onirica in Arsenale (Arsenal, 1929) e La terra (Zemljia, 1930), circondando la fede rivoluzionaria di un alone fiabesco.
Lo stile internazionale Le cinematografie francese, tedesca e sovietica costituiscono tre blocchi compatti fino a quando la circolazione all’estero dei loro film non fa conoscere le loro innovazioni in tutta Europa e oltre i confini continentali, come dimostra il regista giapponese Teinosuke Kinugasa in Una pagina pazza (Kurutta ippeji, 1926) e Incrocio (Jujiro, 1928). Dal sincretismo stilistico di La caduta della casa Usher o L’ultima risata si può notare come i movimenti impressionista ed espressionista giungessero a influenzarsi a vicenda. Il bisogno di oltrepassare le bar- Superamento riere di nazionalità in Europa è avvertito dagli artisti, ma è re- dei confini nazionali cepito in maniera altrettanto forte da produttori come il tedesco Erich Pommer, direttore della UFA, e il francese Louis Aubert: le loro compagnie nel 1924 raggiungono un’intesa per la distribuzione reciproca nei rispettivi Paesi. La Germania è la na- Coproduzioni zione più attiva per quanto riguarda le coproduzioni: i primi due film di Alfred Hitchcock sono girati in studi tedeschi nell’ambito di una coproduzione tra l’inglese Gainsbourough e la tedesca Emelka. Questa strategia nasce dalla volontà di contrastare lo strapotere americano.
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■ L’esempio di Dreyer
Un film propriamente europeo, non inquadrabile nell’ambi- Primo film “europeo” to di una singola cinematografia nazionale per via della diversa provenienza di produttori, artisti e tecnici, è La passione di Giovanna d’Arco (La passion de Jeanne D’Arc, 1928) di Carl Theodor Dreyer (1889-1968), regista danese formatosi alla scuola della Nordisk. In Pagine dal libro di Satana (Blade af Satan’s Bog, 1920), il suo secondo lungometraggio, successivo a Il presidente (Praesidenten, 1919), dimostra di conoscere tanto la tradizione danese e scandinava quanto le tecniche di Griffith. Fallita la Nordisk, Dreyer lavora tra Svezia, Danimarca e Germania. Il suo Desiderio del cuore (Michael, 1924), girato per la UFA, entra a pieno titolo nel genere Kammerspiel. La passione di Giovanna d’Arco è prodotto dalla Sociéte La passione Générale des Films, gli attori sono francesi (tra questi Anto- di Giovanna d’Arco 67
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nin Artaud), direttore della fotografia è l’ungherese Rudolph Maté, mentre i set sono di Hermann Warm, a suo tempo scenografo di Il gabinetto del dottor Caligari. La commistione Stile di stili presente nella pellicola combina in modo originale caratteri appartenenti all’Espressionismo, all’Impressionismo e Tecnica all’avanguardia sovietica. La tecnica di Dreyer è ugualmente notevole. Il processo è un confronto, ora lento ora serrato, di primi e primissimi piani. Mostratoci per intero l’ambiente con un lungo carrello laterale, da quel momento Dreyer stacca solo sui volti inquadrandoli da diverse angolazioni. Tutti gli attori sono ripresi da vicino al naturale grazie a una nuova pellicola pancromatica; gli effetti soggettivi creati dal grandangolo e dalle carrellate a stringere sugli inquisitori mantengono una figurazione mista di tipo impressionista/espressionista anche senza l’utilizzo di altri artifici. Film in prevalenza statico e retto tutto sul confronto tra gli sguardi ora severi ora grotteschi dei giudici e la maschera di sofferenza di Renée Falconetti, La passione di Giovanna d’Arco contiene una sequenza di montaggio accelerato: l’azione della macchina della tortura è condensata in piani sempre più brevi e ravvicinati (che trasformano le sue punte in linee astratte), fino a quando Giovanna non perde i sensi. Interruzione dovuta Dopo un peculiare film dell’orrore come Vampyr (1932), la al conflitto mondiale carriera di Dreyer si interromperà per oltre un decennio riprendendo solo nel secondo dopoguerra.
Le altre avanguardie e il cinema sperimentale
Altri esempi di cinema sperimentale
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Mentre nel caso dell’Impressionismo francese, dell’Espressionismo tedesco e del cinema di montaggio sovietico la sperimentazione si esercita su materiale prevalentemente narrativo o documentario e figurativo, altro cinema sperimentale degli anni Venti si spinge decisamente oltre e ripudia la rappresentazione figurativa e il racconto per abbracciare una ricerca di forme pure e astratte e di contenuti non narrativi. Si possono considerare anticipatrici le esperienze compiute in seno al Futurismo italiano, alcune delle quali sono andate perdute, come Il perfido incanto (1916) di Anton Giulio Bragaglia, di cui è stato conservato solamente Thäis (1916). Pionieri del film astratto sono, nei primi anni Venti, gli animatori Hans Richter, Viking Eggeling e Walter Ruttmann, attivi in Germania. Hans Richter passa poi alle riprese dal vero facendo muovere oggetti con effetti speciali in Vormittagspuk (Fantasmi del mattino, 1928).
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■ Film dadaisti
Il cinema d’avanguardia è influenzato prevalentemente da gruppi artistici e culturali coevi. Entr’acte (1924) di René Clair è considerato il primo film dadaista. Presentato nell’intervallo di un balletto di Francis Picabia, è scritto da Picabia e accompagnato dalla musica di Erik Satie (vi appaiono in veste di attori anche Marcel Duchamp e Man Ray). Nella prima scena Picabia e Satie saltano al rallentatore e armano un cannone. L’obiettivo stacca sulla bocca del cannone e si vede partire il proiettile. Nel resto del breve film, tra panorami di città capovolti, immagini di una ballerina ripresa perpendicolarmente dal basso, situazioni assurde e nonsense, va in scena una sequela di trucchi, artifici e curiosità ottiche del cinema saggiati in modo ilare e gratuito con un criterio retto solo dal piacere di inventare. Il montaggio non segue una logica omogenea o verosimile, semmai la voglia di stupire grazie a combinazioni che appaiono aleatorie. Presentato come il primo film senza sceneggiatura, Ballet mécanique (Balletto meccanico, 1924) del pittore Fernand Léger monta a un ritmo astratto eccentriche immagini dal vero e il dinamismo filmico (e profilmico) di oggetti reali e dipinti animati. Anémic cinéma (1926, anémic è un anagramma di cinéma), cortometraggio a tema grafico di Marcel Duchamp, mostra solo vortici di cerchi concentrici e calembour impressi su dischi rotanti. Le retour à la raison (Il ritorno alla ragione, 1923) di Man Ray contiene i suoi celebri rayogrammi (fotografie realizzate a contatto, senza camera oscura).
Primo film dadaista
Ballet mécanique, un film senza sceneggiatura
■ Film surrealisti
Il Surrealismo si differenzia dal Dadaismo anche in ambito cinematografico. I film a soggetto dei surrealisti non sono anti-narrativi: l’idea di una trama di racconto rimane, ma la stessa segue il fil rouge del sogno ed è dettata dall’inconscio (soprattutto da quello sessuale). Emak Bakia (1927) e L’étoile de mer (Stella marina, 1928) di Man Ray sviluppano racconti minimi in un contesto di immagini che tende all’onirico, quando non all’astratto. La conchiglia e il sacerdote (La coquille et le clergyman, 1928), il film postimpressionista di Germaine Dulac, contestato da Antonin Artaud, che ne era stato lo sceneggiatore, fa uso di vari effetti luminosi, distorsioni ottiche, sovrimpressioni, dissolvenze, ralenti, soggettive in movimento, nonché del ritmo ipnotico del montaggio per ricreare l’atmosfera del sogno. Il film che rappresenta meglio di tutti il Surrealismo al cinema è Un chien andalou (Un cane andaluso, 1928) di Luis Buñuel (1900-1983). Il materiale narrativo assai ellittico assemblato nel-
L’inconscio che guida la trama
La conchiglia e il sacerdote
Il film surrealista per eccellenza 69
3 - L’apogeo del cinema muto IL CINEMA PURO E LE ALTRE FORME SPERIMENTALI
Il cinema puro e astratto è rappresentato dai film di Henri Chomette come Cinq minutes de cinéma pur (Cinque minuti di cinema puro, 1926), dalle opere musicali di Germaine Dulac e dagli esperimenti di fotografi come Laszlo Moholy Nagy e Ralph Steiner. Robert Florey negli Stati Uniti, Charles Dekeukleire in Belgio e il gruppo della rivista Close Up in Gran Bretagna cercano forme di narrazione alternativa; Alberto Cavalcanti in Rien que les heures (Le ore e niente altro, 1925) e Walter Rutt-
mann in Berlin, die Sinfonie der Grosstadt (Berlino – Sinfonia della grande città, 1927) inventano invece forme di documentarismo astratto organizzando in chiave poetica e non narrativa gli scorci di paesaggio urbano parigino e berlinese. Questo tipo di cinema, che difficilmente troverebbe sbocchi nelle sale commerciali, è sostenuto in Europa da una rete di riviste, cineclub, gallerie d’arte, (primi) archivi cinematografici e da un circuito di sale d’essai rivolte agli appassionati.
la breve pellicola, scritta da Buñuel insieme a Salvador Dalí, è la trascrizione fedele di alcuni loro sogni. Nella scena di aperLe immagini del film tura, un uomo (interpretato dallo stesso regista) affila il rasoio e taglia l’occhio di una donna, messasi tra l’altro in posa per il folle gesto. Più tardi un’aggressione sessuale sublima in immagini di statue e nell’estasi religiosa dell’aggressore, il quale, nella stessa scena, si trova all’improvviso a trainare un pianoforte su cui sono coricati due preti e le carcasse di due asini. Appaiono altre immagini inopinate: formiche che brulicano su una mano, una mano mozza sul ciglio della strada. Le uniche informazioni (cronologiche) contenute nelle didascalie sono volutaMontaggio mente insignificanti. Il montaggio rispecchia la stessa dinamica irrazionale irrazionale: raccordi di pura invenzione visionaria rendono contigui spazi che sarebbe impossibile legare se non in una logica di verosimiglianza onirica, cioè che riproponga come sono le concatenazioni narrative dei sogni anziché quelle della realtà. Il lungometraggio L’âge d’or (L’età dell’oro, 1930) ripropone lo stesso immaginario torbido e dissacrante e la medesima fantaVena satirica sia sadica, ma esibisce in maniera più nitida la satira graffiante di Buñuel di Buñuel nei confronti della borghesia e della religione. Nell’ultima scena una figura che sembra quella di Gesù Cristo esce da un’orgia, motivo per cui la pellicola venne censurata e rimase pressoché invisibile per molti anni.
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Il cinema hollywoodiano Lascito degli anni Dieci 70
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L’eredità lasciata a Hollywood dagli anni Dieci è uno strapotere commerciale assoluto che riflette il ruolo assunto dagli Stati Uniti nel mercato mondiale. Gli anni Venti passano alla sto-
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ria come anni di benessere, detti Roaring Twenties (“ruggenti anni Venti”) o “l’età del jazz”, raccontati mirabilmente in romanzi come Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald. In America sono anni di vita frenetica e di cambiamenti sociali e di costume, soprattutto per le classi abbienti. Il cinema di intrattenimento che fa capo all’industria di Hollywood entra negli anni che dall’apogeo del muto lo proiettano verso l’introduzione del sonoro con una struttura e un linguaggio ormai maturi. Dopo un breve periodo di recessione frutto delle conseguenze del dopoguerra la crescita dell’industria cinematografica americana prosegue indisturbata. Le case produttrici più quotate seguitano nella politica di concentrazione verticale. Sul gradino più alto del sistema si situano le Tre Grandi, ovvero la Paramount, la Metro-Goldwyn-Mayer e la First National, seguite dalle Piccole Cinque, cioè Universal, Fox, Warner Bros, Producers Distributing Corporation e Film Booking Office.
I Roaring Twenties
Verso l’introduzione del sonoro
Grandi e piccole case di produzione
■ I generi e i registi negli anni Venti
La produzione di nuovi film si stabilizza intorno al sistema dei generi, tarato in base ai gusti e alle aspettative del pubblico. L’offerta è in ogni caso ampia e gli stessi registi sanno realizzare opere molto diverse tra loro. Cecil B. De Mille, che con I prevaricatori (The Cheat, 1915) era stato un innovatore dello stile hollywoodiano, dirige kolossal di argomento religioso – I dieci comandamenti (The Ten Commandments, 1923) e Il re dei re (The King of Kings, 1927) – ma anche commedie di costume. Tra i maggiori successi del tempo troviamo un film romantico su sfondo di guerra, I quattro cavalieri dell’Apocalisse (The Four Horsemen of the Apocalypse, 1921) di Rex Ingram, con Rodolfo Valentino e Alice Terry, e altri film drammatici ambientati durante la Prima Guerra Mondiale: La grande parata (The Big Parade, 1925) di King Vidor, con John Gilbert, e Ali (Wings, 1927) di William Wellman, ricco di spettacolari sequenze riprese su aeroplani in volo. King Vidor nel 1928 dirige La folla (The Crowd), che per la sua varietà stilistica rappresenta uno dei film di maggior pregio del cinema muto americano; un’opera amara dove la regia adopera mezzi espressivi di grande efficacia come il grandangolare e le riprese aeree per raccontare la solitudine dell’uomo medio, con tratti di marcato realismo – come la ripresa in ambienti reali, gli attori non professionisti e le scene di vita quotidiana riportate a un tono naturale – che influenzeranno il cinema europeo. Di Fred Niblo si ricordano tre grandi film in costume: Il segno di Zorro (The Mark of Zorro, 1920), I tre moschettieri (The Three Musketeers, 1921) e Ben-Hur (1926).
Sistema dei generi
Maggiori successi
La folla
I film in costume di Niblo 71
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3 - L’apogeo del cinema muto ERICH VON STROHEIM Non tutti i registi in America si adattano con facilità al sistema degli studios. Erich von Stroheim (1885-1957) merita il titolo di regista più vessato degli anni Venti. Già assistente di Griffith, Stroheim (il von al suo cognome lo ha aggiunto lui vantando origini nobili mai avute) dirige nel 1918 La legge della montagna (Blind Husbans) in cui interpreta il ruolo dell’ufficiale seduttore. I suoi problemi iniziano con Femmine folli (Foolish wives, 1921): il regista austriaco supera il budget e gira una versione di sei ore, incompatibile con i tempi commerciali, che la Universal ridurrà a due ore. Lo stesso accade con Rapacità (Greed, 1924), prodotto inizialmente da Samuel Goldwyn. Stroheim riduce della metà un montato di sette ore, ma, dato che la Goldwyn si è fusa con la MGM, si scontra di nuovo con Irving Thalberg, il produttore che due anni prima gli aveva tolto la regia di Donne viennesi (Merry-go-round, 1922) affidandola a Rupert Julian. Sfoltito di una parte cospicua dell’intreccio, esce nelle sale nella versione dello studio (prima di Orson Welles a Hollywood nessun regista ha diritto al final cut): dura due ore ed è un fiasco. Cosa ancora più
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Registi europei a Hollywood
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grave, il materiale tagliato viene distrutto (rendendo impossibile restaurarne oggi una copia originale). Sinfonia nuziale (Wedding March, 1928) è ugualmente rimaneggiato dalla produzione. Infine Queen Kelly (La regina Kelly, 1928-1929) è consegnato incompleto agli archivi e verrà restaurato anni dopo. Le storie raccontate da Erich von Stroheim sono estremamente dure, popolate di personaggi cinici e situazioni malsane dove la sensualità è esaltata in modo violento fino al feticismo esibito (Gloria Swanson che perde le mutandine davanti al principe in Queen Kelly). La sua regia è di un realismo meticoloso, negli ambienti ricostruiti alla perfezione come i casinò o i salotti aristocratici, negli oggetti o negli eventi, che devono essere veri (facendo così lievitare i costi dei film), e nella profondità di campo di Rapacità (nella scena in cui McTeague e Trina convolano a nozze assistiamo in contemporanea dalla finestra al passaggio di un funerale). Stroheim dirige un solo film sonoro e lascia la regia per dedicarsi alla recitazione: lo si ricorda soprattutto in La grande illusione di Jean Renoir e Viale del tramonto di Billy Wilder.
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Tra i maggiori registi maturati in questo periodo c’è anche John Ford, alle prese con i suoi primi western importanti tra cui Il cavallo d’acciaio (The Iron Horse, 1924). Frank Borzage (1893-1962) inizia dirigendo western, per dedicarsi poi ai melodrammi Settimo cielo (7th Heaven, 1927) e L’angelo della strada (Street Angel, 1928); Raoul Walsh (1889-1981) si afferma con Il ladro di Bagdad (The Thief of Bagdad, 1924). Bisogna ricordare inoltre che alla fine degli anni Venti a Hollywood lavorano registi europei quali Lubitsch, Murnau, Sjöström, che a loro volta contribuiscono alla ricerca stilistica del cinema americano. Tra questi Joseph von Sternberg, che in Le notti di Chicago (Underworld, 1927) definisce le coordinate del gangster movie anticipando al contempo quelle del noir. Di derivazione europea, e più precisamente espressionista, è il genere horror, la cui star indiscussa è l’attore Lon Chaney, protagonista di Il gobbo di Notre Dame (The Hunchback of Notre Dame di Wallace Worlsey, 1923), Il fantasma dell’opera (The Phanthom of the Opera di Rupert Julian, 1923) e Lo sconosciuto (The Unknown di Tod Browning, 1927).
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3 - L’apogeo del cinema muto
I grandi comici del cinema muto americano La comicità slapstick, basata su scontri fisici e inseguimenti, con il diffondersi del lungometraggio giunge a uno stadio più adulto. Nasce la slapstick comedy, in cui le gag non sono più Slapstick comedy slegate come attrazioni ma pensate e articolate nello sviluppo di un racconto. I personaggi si evolvono e si sviluppa la poetica di artisti quali Charlie Chaplin e Buster Keaton. ■ Charlie Chaplin
Charles Spencer Chaplin (1889-1977), inglese, figlio di due attori di vaudeville, dopo aver lavorato in teatro fin dalla più tenera età debutta nel cinema americano nel 1914 grazie alla Keystone di Mack Sennett; nello stesso anno inventa la “divisa” di Charlot il vagabondo con l’inseparabile bastone, la bombetta e i celebri baffetti. Negli anni Dieci, oltre a delineare il carattere umano del suo personaggio, Chaplin ne sviluppa l’espressione, la mimica, i requisiti come la goffaggine rispetto all’ambiente che lo circonda e lo stralunato rapporto con gli oggetti di cui tende a servirsi in maniera bizzarra e poetica, trasformando il vagabondo in novello Pierrot e aggiungendogli una nota sentimentale e struggente. In Charlot emigrante (The Immigrant, 1917) al cocktail di comicità e sensibilità perseguito negli anni con grande dispendio di energie aggiunge un’evidente critica sociale. Il suo metodo consiste nel girare le scene nell’ordine del racconto, senza una sceneggiatura ma ripetendole fino a ottenere il risultato voluto, cioè la spontaneità, frutto però di un lavoro meticoloso in cui non bada a risparmiare pellicola. Nel primo lungometraggio diretto da Chaplin, Il monello (The Kid, 1921), Charlot alleva da solo un trovatello educandolo a modo suo. La situazione paradossale produce una serie di gag articolate in funzione di un discorso di fondo, in cui è riflesso costantemente il conflitto con le autorità e le istituzioni, a cui il bambino e il clochard risultano irrimediabilmente estranei. Chaplin contamina due generi facendo di uno il rovescio dell’altro, del comico in particolare una sorta di doppio del melodramma che ne smaschera le false pretese. Dopo l’insuccesso di La donna di Parigi (A Woman of Paris, 1923) – una assai brillante prova di regia (nella quale Chaplin attore si defila), che però non incontra il favore del pubblico –, il personaggio di Charlot ritorna in La febbre dell’oro (The Gold Rush, 1925), uno dei vertici della carriera artistica dell’autore per la poetica commistione di toni e alcune gag rimaste celebri (Charlot mangia una scarpa arrotolando i lacci sulla forchetta come se fossero spaghetti e
Nascita di Charlot
Charlot emigrante
Il monello, primo lungometraggio
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simula dei movimenti di danza con due panini infilzati su due forchette). Il circo (The Circus, 1928) fa emergere ulIl lato malinconico teriormente il lato malinconico e solitario del personaggio e solitario di Charlot chapliniano.
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■ Buster Keaton Come Chaplin, anche Joseph Frank Keaton (1895-1966) creNascita di un sce tra attori: da quando è in fasce i genitori sono soliti lansoprannome celebre ciarselo l’un l’altro sul palcoscenico. Durante uno di questi lanci, quando ha solo sei mesi, sopravvive a una rovinosa caduta meritandosi il soprannome Buster (“fenomeno”) datogli dal mago Houdini. Al cinema fa coppia da principio con Roscoe “Fatty” Arbuckle. I due sono complementari: tanto Fatty è corpulento ed esuberante quanto Buster è minuto e serio. Keaton infatti non ride mai, e questa sua costante gli vale l’appellativo di great Il segreto stone face, “(gran) faccia di pietra”. I meccanismi alla base della sua comicità della sua comicità sono l’aria in apparenza impassibile, il suo impaccio con le donne e le doti da funambolo sviluppate durante l’infanzia che gli permettono di compiere spericolate acrobazie e cadute. Il suo personaggio lotta in genere contro tutto e tutti, il cattivo di turno e gli oggetti che non gli ubbidiscono, per amore della bella ragazza che alla fine riuscirà a conquistare. Altra dinamica a lui molto congeniale è lo sdoppiamento tra sogno e realtà o tra la realtà (della finzione) e il cinema (portato dentro la finzione). Dopo L’amore attraverso i secoli (The Three Ages, 1923), una parodia di InLa palla n. 13 tolerance di Griffith, Keaton realizza La palla n. 13 (Sherlock Jr., 1924), in cui veste i panni di un proiezionista appassionato lettore di gialli accusato ingiustamente di furto. Addormentatosi durante il lavoro, eccolo entrare in sogno nella pellicola che sta proiettando. Il suo doppio immaginario, passato attraverso lo schermo, si trova sbalzato vertiginosamente da un’inquadratura all’altra attraverso differenti paesaggi in cui si trova restando immobile e sempre in procinto di cadere, finché un carrello avanti che parte dall’interno della cabina di proiezione non fa coincidere schermo reale e schermo immaginato e avvia il vero film nel film. Ritornati nel film reale, la contrapposizione esatta della finestra della cabina rispetto allo schermo del cinema serve per un’altra comica memorabile. Film della maturità Tanto la comicità metacinematografica quanto la satira sul cinema ritornano in Il cameraman (The Cameraman, 1928, noto anche come Io e la scimmia) – dove il cine-occhio più illuminato risulta essere quello di una scimmia –, considerato tra i suoi massimi capolavori adulti insieme a Come vinsi la guer-
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ra (The General, 1926), nel quale la sua maschera di imperturbabile innocenza e di non comprensione ribalta il senso di assurdità nei confronti del mondo. Le incomprensioni con il pro- Declino e ritiro duttore Irvin Thalberg, i problemi personali e la fine dell’età dalle scene d’oro del muto segnano il declino dell’arte di Keaton. Dopo alcuni insuccessi si ritirerà progressivamente dalle scene, comparendo nel ruolo di se stesso in un film emblematico come Viale del tramonto (Sunset Boulevard, 1951) di Billy Wilder e Film (1964) di Samuel Beckett. ■ Harold Lloyd Anche Harold Lloyd (1893-1971) segue l’evoluzione del genere slapstick dalla comicità primaria alla commedia, creandosi un personaggio diverso dal precedente Lonesome Luke e dotandolo di caratteristiche riconoscibili: nel caso di Harold sono un paio di occhiali dalla montatura pesante e l’aria da classico bravo ragazzo americano dai modi gentili, decisamente in contrasto con le prove fisiche che è tenuto a sostenere. In Preferisco l’ascensore (Safety Last di Fred C. Newmeyer e Sam Taylor, 1923) deve scalare a mani nude un grattacielo (è celebre la scena in cui rimane sospeso nel vuoto aggrappato a un orologio). In Viva lo sport (The Freshman, 1925) diventa un campione di football per conquistare l’amore e il successo. Anche la sua fortuna diminuisce con la fine del muto, come quella di Harry Langdon e di altri attori comici. Il sonoro e l’indirizzo più patinato impresso da un nuovo modello sociale al cinema degli anni Trenta rendono la comicità slapstick obsoleta per i canoni di Hollywood.
Comicità di Harold
Fine della commedia slapstick
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3 - L’apogeo del cinema muto
SCHEMA RIASSUNTIVO FRANCIA
La principale corrente cinematografica francese degli anni Venti è l’Impressionismo. I suoi esponenti (tra cui Abel Gance, Jean Epstein, Marcel L’Herbier e Germaine Dulac) si dedicano a film narrativi per inserire nelle loro storie numerosi esperimenti visivi indirizzati a tradurre gli stati emozionali e psicologici dei personaggi in un linguaggio di pure immagini.
GERMANIA
In Germania nel corso degli anni Venti varie tendenze (film storico, Espressionismo, Kammerspiel e nuova oggettività) si avvicendano o convivono in un momento di grande creatività per il cinema tedesco, nel quale si affermano registi quali Friedrich Wilhelm Murnau, Fritz Lang, Ernst Lubitsch e Georg Wilhelm Pabst.
URSS
In Unione Sovietica, negli anni successivi alla Rivoluzione d’Ottobre, un gruppo di cineasti ispirati dal pensiero delle avanguardie storiche sperimenta una nuova concezione estetica che individua nel montaggio il principio costituivo del cinema e ne indaga le possibilità espressive. Particolare rilevanza hanno le osservazioni e i metodi di Sergej Ejzenštejn e Dziga Vertov.
LO STILE INTERNAZIONALE
La circolazione all’estero dei film delle grandi scuole nazionali degli anni Venti influenza anche altre cinematografie europee e ispira fenomeni di sincretismo favoriti dalla pratica delle coproduzioni tra diversi Paesi. Un esempio di film internazionale che combina l’influenza di vari movimenti è La passione di Giovanna d’Arco del danese Carl Theodor Dreyer.
LE ALTRE AVANGUARDIE
Il cinema di avanguardia e il cinema sperimentale adottano forme diverse, specifiche del nuovo mezzo e della nuova arte (le ricerche sul cinema puro) o ispirate a movimenti analoghi nel panorama artistico contemporaneo: è il caso dei film che sposano le poetiche del Dadaismo e del Surrealismo.
STATI UNITI
Negli anni Venti il cinema americano delinea il suo profilo organizzativo (un sistema produttivo gestito da un oligopolio di case produttrice che praticano la concentrazione verticale) e artistico. Tra i vari generi si segnala quello comico nella sua evoluzione in slapstick comedy: i suoi migliori interpreti sono Charlie Chaplin e Buster Keaton.
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IL PERIODO CLASSICO
1 L’avvento del sonoro 2 La Hollywood classica 3 Il realismo poetico in Francia 4 Il cinema durante le dittature: URSS, Germania, Italia
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L’introduzione del suono sincrono pone un ulteriore tassello a quel puzzle perfetto dove tutto si incastra a meraviglia che è lo stile classico di Hollywood. Uno stile che fa suoi i principi di trasparenza e linearità narrativa sviluppati a partire dagli anni Dieci, unendovi i valori estetici, tecnici e spettacolari garantiti dall’appeal dei migliori attori e dall’abilità dei più quotati professionisti (spesso reclutati anche all’estero, come è il caso dei migliori registi tedeschi). Ma il passaggio dal muto al sonoro non è indolore: non sono pochi coloro che lamentano la staticità dei primi film girati con il suono, e soprattutto per tanti divi del cinema muto l’epocale cambiamento comporta la rinuncia alle proprie ambizioni o addirittura la fine della carriera. Lungi dall’incrinarsi, il sistema dei generi si evolve, accogliendo nuove entrate (come il musical) ed evoluzioni di codici già collaudati. Se il cinema americano appare in uno dei suoi momenti più brillanti, quello europeo (in cui non mancano le resistenze al sonoro ma neppure le sue prime originali applicazioni) – con l’eccezione della Francia, la cui cinematografia del periodo è la migliore, e senza dubbio la più libera, del continente – è fortemente condizionato dai regimi dittatoriali in Italia, Unione Sovietica e Germania. In URSS, con la salita al potere di Stalin, l’adozione del realismo socialista come dottrina ufficiale sconfessa le ricerche dell’avanguardia sancendone la fine. In Germania la dittatura nazista convince molti dei migliori talenti cinematografici del Paese a emigrare. Il cinema italiano, dal canto suo, si risolleva gradualmente e matura, negli anni Quaranta, uno spirito nuovo che porterà al Neorealismo.
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Il 6 ottobre 1927 per la prima volta un attore cinematografico recita sullo schermo usando la propria voce. Siamo a una svolta; il cinema acquista la parola. Aveva già acquistato la musica (ora sincronizzata), mentre bisognerà ancora attendere perché inizi a usare in maniera creativa i rumori. I primi problemi dovuti all’inefficienza delle apparecchiature non sono tali da fermare una rivoluzione.
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I primi passi del cinema sonoro
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Fino al 1927 la pellicola non aveva il sonoro: le proiezioni di film venivano sempre accompagnate da musicisti dal vivo, da musica riprodotta in maniera meccanica attraverso strumenti come il fonografo o da persone che leggevano i dialoghi e simulavano i rumori di scena. Per i musicisti che suonavano dal vivo, quando non esistevano partiture composte appositamente per accompagnare una pellicola, erano diffusi dei repertori che di volta in volta venivano adattati alle varie scene. Prima della diffusione del suono sincrono esistevano strumenti in grado di modificare la velocità di scorrimento del film così da adattarla ai tempi dell’esecuzione musicale. I primi esperimenti di sincronizzazione tra immagine e suono risalgono ai tempi di Edison, il quale aveva trovato il modo di far funzionare contemporaneamente kinetoscopio e fonografo. Solo un ulteriore progresso tecnologico permette negli Venti di sviluppare sistemi assai più sofisticati e soprattutto convincenti. Lee DeForest nel 1923 brevetta il Phonofilm, la prima pellicola a contenere una traccia audio incisa su una striscia verticale a lato del fotogramma. Nel 1925 la Western Electric propone un differente sistema basato sulla sincronia tra pellicola e dischi: battezzato Vitaphone, è adottato dalla Warner Bros. La Warner, una società ancora piccola ma in rapida espansione, è la prima casa di produzione americana a interessarsi al cinema sonoro: lo sperimenta in pubblico per la prima volta il 6 agosto 1926 proiettando otto brevi cortometraggi e il lungometraggio di Alan Crosland Don Giovanni e Lucrezia Borgia (Don Juan, 1926), che non prevede dialoghi ma è accompagnato da una colonna musicale sincronizzata con il Vitaphone. Soltanto il 6 ottobre 1927 si sente un attore cantare e parlare sullo schermo: è Al Jolson, stella del vaudeville che interpre-
Accompagnamento sonoro dei film muti
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Primi esperimenti di sincronizzazione
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1 - L’avvento del sonoro
CANTANDO SOTTO LA PIOGGIA
Il passaggio dal muto al sonoro è rievocato dal musical Cantando sotto la pioggia (Singin’ in the Rain, 1951) di Stanley Donen. Don Lockwood (Gene Kelly) e Lina Lamont (Jean Hagen) sono due divi del muto, all’apice del successo mentre la Warner sta per far uscire Il cantante di jazz. Mentre girano Il cavaliere spadaccino il produttore decide di fermare tutto e trasformare il film in un talkie: i due devono studiare dizione e imparare a recitare nel microfono, ma sul set succede di
The Lights of New York Gli esperimenti proseguono
tutto e l’anteprima è un disastro (i dialoghi sono raffazzonati, ci sono tantissimi rumori fastidiosi e l’audio va fuori sincrono per un intero blocco di pellicola). E, soprattutto, Lina ha una voce tremenda. Per fortuna Don, l’attrice di teatro e cantante Kathy Selden (Debbie Reynolds), di cui è innamorato, e il suo migliore amico Cosmo Brown hanno l’idea di trasformare il film in un musical (Il cavaliere ballerino) e far doppiare Lina da Kathy. E in questo modo otterranno il successo.
ta il ruolo del protagonista in Il cantante di jazz (The Jazz Singer, 1927). Mentre il resto del film è ancora muto o presenta musica sincronizzata, in quattro scene si può ascoltare la voce di Jolson mentre canta, e soprattutto recita le prime parole: «You ain’t heard nothin’ yet» (“Non avete ancora sentito niente”). Seguono il primo film completamente sonorizzato, The Lights of New York (Le luci di New York, 1928) di Brian Foy, e The Broadway Melody (1929) di Henry Beaumont, primo musical interamente cantato, parlato e danzato. In risposta la Fox adotta un suo sistema di sincronizzazione, il Movietone, analogo al Phonofilm, usato in alcune colonne musicali come quella di Aurora (1927) di Murnau, ma soprattutto per produrre i primi cinegiornali audiovisivi. Nel 1927 anche la RCA presenta un proprio brevetto di pellicola sonora, il Photophone. La presenza contemporanea di diversi sistemi, incompatibili l’uno con l’altro, spinge MGM, First National, Paramount, Universal e Producers Distributing Corporation a concludere il cosiddetto “Accordo delle Cinque Grandi” e adottare come standard una nuova pellicola sonora prodotta dalla Western Electric. Il sistema a dischi rimane in auge fino al 1931: l’ultima ad abbandonarlo sarà proprio la Warner.
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Accordo delle Cinque Grandi
Problemi del sonoro e nuovi sviluppi Inconvenienti tecnici I primi film sonori sono decisamente più statici degli ultimi del primo cinema film muti e danno a molti l’idea che con l’ingresso del suono sonoro il cinema sia regredito a uno stadio teatrale. Ciò si spiega con 80
1 - L’avvento del sonoro
i problemi tecnici dovuti a mezzi ancora poco sviluppati: i microfoni sono poco sensibili e captano tutti i rumori del set; non esiste ancora la possibilità di mixare piste sonore incise separatamente, perciò tutti i suoni e le musiche devono essere registrati in contemporanea, operazione assai difficile; per non far sentire il rumore della macchina da presa si usano cabine insonorizzate che ne limitano in modo fatale i movimenti, permettendo di effettuare brevi panoramiche ma non ancora le carrellate. La soluzione più diffusa per non rinunciare al montaggio e non perdere il sincronismo labiale è quella di girare con più cineprese contemporaneamente in modo da poter montare le diverse inquadrature. King Vidor in Alleluja (Hallelujah!, 1929) compie scelte differenti. Per il suo musical recitato da un cast di soli afroamericani, Vidor gira molte sequenze mute doppiandole poi in studio, così da permettersi movimenti di macchina più ampi in fase di ripresa. Il cinema sonoro si trova inoltre a dover fronteggiare il problema della lingua, non certo paragonabile alla traduzione delle didascalie dei film muti. Prima che i sottotitoli siano accettati comunemente dal pubblico e si possano doppiare le voci di un film straniero senza doverne rifare l’intera colonna sonora, si tentano diverse soluzioni: alcuni film sono distribuiti in lingua originale senza essere tradotti, altri, al contrario, sono girati contemporaneamente in più lingue così da poter essere esportati in varie nazioni.
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Problema della lingua
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Alla fine degli anni Venti sono brevettati e messi in commercio alcuni sistemi di sincronizzazione che permettono di realizzare film sonori. La Warner Bros. è la prima major americana a produrli e mostrarli al pubblico usando un sistema a dischi. Per alcuni anni le case produttrici americane adottano sistemi concorrenti prima di convergere sullo stesso tipo di pellicola sonora secondo un accordo stipulato dalle cinque grandi di Hollywood.
PROBLEMI E SOLUZIONI
I primi film sonori, soprattutto se paragonati agli ultimi film muti, risultano statici e teatrali. Il motivo di questo passo indietro si individua facilmente in una tecnica ancora agli albori, condizionata dalla poca sensibilità dei microfoni e da cineprese insonorizzate dentro pesanti cabine che ne limitano la mobilità. Un altro dilemma è costituito dalla lingua dei film. Lo sviluppo tecnologico e l’abitudine da parte del pubblico ridimensioneranno in breve tempo entrambi i problemi.
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2 La Hollywood classica Il cambiamento portato dal suono non è tale da stravolgere le consuetudini di Hollywood. Il cinema americano assorbe in poco tempo le novità e vive una delle sue stagioni storiche (dove, come una mina vagante, entra anche un eccentrico anticipatore delle tendenze del secondo dopoguerra: Orson Welles).
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Lo studio system negli anni Trenta
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L’avvento del sonoro non apporta grandi modifiche al sistema interno di Hollywood; l’unica novità è la nascita della RKO (Radio Keith Orpheum), entrata subito a far parte delle cinque Leader dell’industria major. Metro-Goldwyn-Mayer, 20th Century Fox, Warner Bros., cinematografica Paramount e RKO sono quindi i leader dell’industria americana, le società che hanno i maggiori capitali ma soprattutto detengono il controllo del maggior numero di sale e vantano una struttura distributiva internazionale. Le minor Al gradino inferiore stanno le cosiddette minor: Universal, Columbia e United Artists. Defilati rispetto al monopolio delle Produttori grandi compagnie agiscono i produttori indipendenti (David indipendenti O. Selznick) e le compagnie più piccole specializzate nei film a basso costo o di serie B (Monogram, Republic).
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Novità e sviluppi nei generi
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Nascita di nuovi generi
Gli anni Trenta nel cinema americano sono giustamente ricordati per pellicole entrate nell’immaginario collettivo come Via col vento (Gone with the Wind, 1939) di Victor Fleming, ma anche per la nascita di nuovi generi e per i cambiamenti avvenuti all’interno degli stessi.
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■ Musical Commedia musicale Il sonoro segna la nascita del musical. La commedia musicale si presenta in diverse varianti: le principali sono la rivista (una semplice successione di performance musicali), il backstage (il “dietro le quinte” di uno spettacolo) e l’operetta (storie di fantasia). Struttura del musical La struttura base di un musical è sempre legata a numeri cantati e danzati e, quando si raccontano storie, da trame semplici risolte in un lieto fine. L’happy end amoroso è una costante dei “Coppia d’oro” dance-musical della RKO, interpretati dalla mitica coppia Fred del musical Astaire e Ginger Rogers: Cappello a cilindro (Top Hat, 1935) di Mark Sanders li vede come sempre bisticciare per buona par-
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te del film, ballare insieme e innamorarsi tra equivoci da commedia sofisticata e raffinati passi a due. Le evoluzioni fantasiose e seducenti di Fred e Ginger sono parte della stessa narrazione, esprimono i loro sentimenti reciproci e i loro stati d’animo. I musical della Warner Bros. – uno di questi è Quarantaduesima strada (42nd Street di Lloyd Bacon, 1933) – si riconoscono per i sontuosi numeri corali creati da Busby Berkeley: con i gruppi di ballerini ripresi dall’alto in verticale il coreografo inventa complessi disegni in movimento. Judy Garland è la star di due fondamentali musical della MGM: Star della MGM il fantastico e coloratissimo Il mago di Oz (The Wizard of Oz, di Victor Fleming, 1939) e Incontriamoci a St. Louis (Meet Me in St. Louis, di Vincente Minnelli, 1944).
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■ Screwball comedy Il grande successo di Accadde una notte (It Happened one ni- Commedia ght, 1934) di Frank Capra segna l’esplosione della screwball sofisticata comedy, un filone della commedia sofisticata che giostra intorno a personaggi ricchi ed eccentrici. L’incontro fatale tra un’ereditiera un po’ matta e capricciosa e un uomo di temperamento assai diverso è la scintilla che scocca nel film di Frank Capra come in Susanna (Bringing up Baby, 1938) di Howard Hawks. Le screwball comedies hanno sì per protagonisti personaggi ricchi e bizzarri, ma nascono nel clima della Grande Depressione seguita al tracollo di Wall Street del 1929; in più di un’occasione – come nel caso di È arrivata la felicità (Mr. Deeds Goes to Town, di Frank Capra, 1936) – ritraggono personaggi colpiti dalla crisi. La Depressione diventa il tema di film Drammi sociali assai più realistici che trattano problemi sociali. ■ Gangster film La vita criminale è al centro del gangster film affermatosi con Nuovi protagonisti: Piccolo Cesare (Little Caesar, 1931) di Mervin LeRoy, Nemico i gangster pubblico (Public Enemy, 1931) di William Wellman e Scarface (1932) di Howard Hawks. Proprio per l’immagine che dà del crimine eleggendo i gangster a protagonisti è il genere che più di frequente incappa nei rigori del codice Hays, il moralistico codice di autocensura adottato negli USA a partire dal 1934.
■ Horror Dracula (1931) e Freaks (1934) di Tod Browning, La mummia Classici (The Mummy, 1932) di Karl Freund, Frankenstein (1931), L’uo- della Universal mo invisibile (The Invisible Man, 1933) e La moglie di Frankenstein (The Bride of Frankenstein, 1935) di James Whale sono i classici dell’horror che la Universal sforna nei primi anni Trenta, segnando con il proprio stile anche le caratteristiche del ge-
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2 - La Hollywood classica
Freaks Classici della RKO
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Da King Kong a Casablanca
Nuova comicità dei film sonori
Toni del noir
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nere (in particolare trucco e fotografia, mutuati dall’Espressionismo tedesco). Fa eccezione Freaks (1932), film “maledetto” e censurato in cui il rapporto di valori tra esseri normali e “attrazioni da circo” è ribaltato a favore dei secondi. L’alternativa all’orrore visibile della Universal è quello più che altro suggerito del reparto B della RKO diretto da Val Lewton: i film di Jacques Tourneur Il bacio della pantera (Cat People, 1942), L’uomo leopardo (The Leopard Man, 1943) e Ho camminato con uno zombie (I Walked with a Zombie, 1943) si limitano a evocare senza mostrare mai, se non attraverso ellissi e minimi particolari, le scene più terribili che avvengono sempre fuori campo: della donna trasformata in pantera in Il bacio della pantera viene mostrata solo la silhouette. ■ Avventura Tra i film di avventura emergono King Kong (1936) di Ernest Schoedsack e Merian Caldwell Cooper per la forza della storia e la potenza visiva, e le pellicole di Michael Curtiz con protagonista Errol Flynn: Capitan Blood (Captain Blood, 1935) e La leggenda di Robin Hood (The Adventures of Robin Hood, 1938). Curtiz è inoltre il regista di Casablanca (1942), uno dei film più amati di tutti i tempi. ■ Comico Il cinema comico cambia profondamente rispetto all’era del muto. La comicità fisica che aveva guidato il genere anche nella sua evoluzione nella slapstick comedy perde slancio e interesse. Se Stanlio e Ollio sono gli unici comici del muto – Chaplin escluso – a essere sopravvissuti all’avvento del sonoro, la nuova comicità è rappresentata dai fratelli Groucho (18901977) e Chico (1887-1961) Marx e dal loro fratello muto Harpo (il quarto, Zeppo, si ritira nel 1932) in Monkey Business (1931), La guerra lampo dei Fratelli Marx (Duck Soup, 1933) e Una notte all’Opera (A Night at the Opera, 1935). Alla vis comica dissacrante delle azioni si accompagna la surreale demolizione del linguaggio comune dei due fratelli parlanti. ■ Noir La definizione dell’ultimo grande genere hollywoodiano, il noir, è molto più difficile; non nasce infatti dalla pianificazione dello studio system ma dalla definizione data nel 1946 da due critici francesi a una serie di film nei quali, più che un modello narrativo – che può essere comunque la letteratura hard-boiled –, sono rintracciabili un’atmosfera e un tono cromatico tendenti all’oscuro. Il mistero del falco (The Maltese Falcon, 1941) di John Huston è considerato il primo film del genere e ospita
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una delle sue star indiscusse: Humphrey Bogart. La storia, il tono e lo stile sono importanti per le convenzioni del noir, ma lo sono soprattutto la diarchia tra un protagonista maschile combattuto e una seducente e ambigua femme fatale. Fritz Lang, che con i suoi film tedeschi aveva già posto le basi I noir di Lang del noir, lo circoscrive con la stessa precisione in Il prigioniero del terrore (Ministry of Fear, 1944), La donna del ritratto (Woman in the Window, 1944) e La strada scarlatta (Scarlett Street, 1945). Sono altri registi di origine europea – Otto Preminger con Vertigine (Laura, 1944) e Billy Wilder con La fiamma del peccato (Double Indemnity, 1944) – a definirne altre caratteri- Altre caratteristiche stiche: il racconto in flashback, le sequenze oniriche, l’antie- del genere roismo dei personaggi, l’ambientazione urbana e notturna, la fotografia contrastata piena di ombre e una passione fatale che coinvolge il protagonista conducendolo alla rovina. Robert Siodmak con La scala a chiocciola (The Spiral Staircase, 1946) aggiunge allucinazioni e deformazioni ottiche. Nello stesso anno escono Detour di Edgar Ulmer e Gilda di Charles Vidor.
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I grandi registi di Hollywood Negli anni Trenta, lavorando all’interno del sistema dei generi, alcuni registi dimostrano la propria abilità nella direzione degli gli attori e un personale stile di ripresa, sviluppando ognuno Stile personale i propri temi, tanto da essere individuabili nella loro singolarità. dei registi ■ Charlie Chaplin Charlie Chaplin, pur nella sua pervicace opposizione al parlato, si dimostra ricettivo fin dagli esordi nei confronti degli altri elementi della colonna sonora: il rumore e la musica. La sua poetica non si distacca da quanto già sviluppato nei film muti ma giunge a un grado di evidente maturazione. Luci della città Luci della città (City Lights, 1931) è una delle sue opere più commoventi, ma anche più dure, ancora muta per quanto riguarda la recitazione ma non per la colonna musicale – tanto che è lo stesso Chaplin a comporla – e le gag sonore (il fischietto inghiottito). La saturazione di certi temi (la solitudine, l’anticonformismo di Charlot) conduce a Tempi moderni (Modern Times, 1936), Tempi moderni un apologo di struggente tenerezza e di durezza esilarante dove Chaplin ancora non parla ma canta una canzoncina che, pur con parole prive di senso, risulta compiutamente “espressiva”. Nel film Il grande dittatore (The Great Dictator, 1940), Il grande dittatore in cui finalmente parla, Chaplin trasforma se stesso nella caricatura di Hitler (da notare l’analogia dei baffetti) e afferma una volta di più il suo messaggio di solidarietà e di pace.
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Film del dopoguerra
Primi film del periodo rooseveltiano
Vittima della caccia alle streghe della commissione McCarthy, girerà nel dopoguerra Monsieur Verdoux (1947) e il suo film “definitivo” Luci della ribalta (Limelight, 1952), cui seguiranno i meno riusciti Un re a New York (A King in New York, 1957) eLacontessadiHongKong(ACountessfromHongKong,1967). ■ Frank Capra Frank Capra (1897-1991), che inizia a dirigere negli anni del muto, si impone con Accadde una notte (It Happened one night, 1934). È arrivata la felicità (Mr. Deeds Goes to Town, 1936), L’eterna illusione (You Can’t Take It With You, 1938), Mr. Smith va a Washington (Mr. Smith goes to Washington, 1939) e Arriva John Doe (Meet John Doe, 1941) sono il ritratto più candido delle utopie dell’età rooseveltiana. Durante la guerra il regista cura la serie di documentari Perché combattiamo (Why we fight) e dirige il primo adattamento cinematografico della celebre commedia “nera” Arsenico e vecchi merletti (Arsenic and old lace, 1944). Nel 1946 segue un altro classico: il dickensiano La vita è meravigliosa (It’s a Wonderful Life). Con Stato dell’Unione (State of the Union, 1948), il suo tono si fa decisamente più critico (molti lo considerano il suo testamento spirituale).
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La vita è meravigliosa
Maestro del western Ombre rosse
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■ John Ford John Ford (1895-1973) negli anni Trenta gira film di avventura quali Il mondo va avanti (The World Moves On, 1934) e Il traditore (The Informer, 1935), ambientato nella Dublino della rivolta del 1922 – interamente ricostruita in studio –, che gli vale il primo premio Oscar. Realizza un solo western, ma è Ombre rosse (Stagecoach, 1939): l’assoluto classico del genere svela tra l’altro al pubblico del cinema la maestosa Monument Valley sperimentando velocissime riprese in movimento e l’uso di un’ampia profondità di campo che influenzerà l’Orson Welles di Quarto potere (Citizen Kane, 1941). Furore (The Grapes of Wrath, 1940) e Com’era verde la mia valle (How Green Was My Valley, 1941) sono tra i migliori esempi di cinema sociale del periodo rooseveltiano. La sua ultima fase sarà ancora dedicata al western – con un’unica parentesi, la commedia Un uomo tranquillo (The Quiet Man, 1952) – e ai suoi miti, come la sfida all’OK Corral e il generale Custer, soggetti di Sfida infernale (My Darling Clementine, 1946), girato nello stile di Ombre Rosse, e Il massacro di Fort Apache (Fort Apache, 1948). Un film però si impone per originalità nell’ultima parte della carriera di Ford ed è Sentieri selvaggi (The Searchers, 1956), protagonista John Wayne. Dalla conversione di un uomo in principio assetato di vendetta nasce il finale più lirico dell’intera opera fordiana.
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■ William Wyler Anche William Wyler (1902-1981) nei suoi drammi da camera si serve della profondità di campo e del piano sequenza. Tra i suoi film: Piccole volpi (The Little Foxes, 1941) e I migliori anni della nostra vita (The Best Years of Our Lives, 1946), Vacanze romane (Roman Holiday, 1953) e Ben-Hur (1959).
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■ Howard Hawks Howard Hawks (1896-1977), abile nel dirigere gli attori in modo non convenzionale, dà prova della sua capacità tecnica in La squadriglia dell’aurora (The Dawn Patrol, 1930) e realizza uno dei migliori gangster film di sempre: Scarface (1932), Gangster film ispirato all’Espressionismo, sempre con una tecnica notevole per eccellenza (è celebre il piano sequenza iniziale). Si dedica quindi alla commedia, in particolare con Ventesimo secolo (Twentieth Century, 1934), dal dialogo vivace e moderno, e Susanna (Bringing up Susanna Baby, 1938), uno dei paradigmi della screwball comedy.
Film hollywoodiani
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■ Joseph von Sternberg Joseph von Sternberg (1864-1969), dopo aver lavorato con Marlene Dietrich in Germania per L’angelo azzurro (Der blaue Angel, 1930), porta la sua scoperta a Hollywood e inizia un ciclo di film in cui l’attrice è l’indiscussa protagonista: Marocco (Morocco, 1931), Disonorata (Dishonored, 1931), Shanghai Express (1932), Venere bionda (Blonde Venus, 1932), L’imperatrice Caterina (The Scarlet Empress, 1934) e Capriccio spagnolo (The Devil is a Woman, 1935). Il suo manierismo barocco e sensuale si esprime attraverso la luce, considerata l’anima del film (grazie alla fotografia di Lee Garmes), una concezione della regia prossima alla direzione d’orchestra di un melodramma e il personaggio-Marlene, di volta in volta plasmato come una scultura, dipinto come un paesaggio o suonato come uno strumento musicale.
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■ Ernst Lubitsch Ernst Lubitsch (1892-1947) perfeziona con l’aggiunta dei dialoghi la sua già cronometrica messa in scena. Il regista tedesco mantiene il senso del ritmo e il magistrale Lubitsch touch do- Senso del ritmo sando i colpi di scena e le allusioni sagaci in Mancia competente (Trouble in Paradise, 1932), Partita a quattro (Design for Living, 1933) e La vedova allegra (The Merry Widow, 1934), dove gioca con le variazioni sul tema dell’operetta e del triangolo erotico. In Ninotschka (1939), che ha per protagonista una ridente Greta Garbo, e Vogliamo vivere (To be or not to be, 1942) il suo frizzante e irrefrenabile umorismo devia lieve- Umorismo mente sulla satira politica. e satira politica
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2 - La Hollywood classica ■ Orson Welles L’arrivo a Hollywood Orson Welles (1915-1985) approda a Hollywood in circostanze eccezionali. Nel 1938 la RKO lo scrittura garantendogli totale libertà creativa e il diritto al final cut, mai ottenuti prima da nessun regista. Le condizioni del contratto sono uno strappo alla regola dello studio system, tanto più per il fatto che ne beneficia un esordiente assoluto, noto per i suoi successi in teatro e alla radio ma del tutto inesperto nel campo della tecnica cinematografia (le nozioni di base prima di girare Quarto potere gli verranno impartite dal direttore della fotografia Greg Toland). Primi progetti Welles vorrebbe realizzare un’opera prima rivoluzionaria; pensa inizialmente a un adattamento di Cuore di tenebra di Conrad girato come unica soggettiva. Abbandonati il primo e anche un secondo progetto, scrive con Herman Mankiewicz una sceneggiatura ispirata alla vita del ricco editore William Randolph Hearst. Il film fa discutere prima ancora di arrivare in sala: Hearst cerca invano di fermare tutto e tenta addirittura di comprare la pellicola per distruggerne il negativo. Quarto potere Quarto potere (Citizen Kane, 1941) è quando di più ardito potesse tentare il cinema americano. La parabola del tycoon Charles Foster Kane (interpretato dallo stesso Welles, come tutti i personaggi più complessi dei suoi film), strutturata attraverso L’INNOVAZIONE TECNICA DI QUARTO POTERE
La grande profondità di campo, soprattutto in interni, è la vera novità tecnica di Quarto potere. Il deep focus o panfocus non è un semplice effetto ma una prospettiva cinematografica diversa e in buona parte nuova. Welles può presentare in una sola inquadratura gli elementi di una scena che sarebbero stati scomposti dal montaggio, disponendoli in uno spazio che appare infinito, secondo una ripartizione di piani drammatici e dinamici ricavati all’interno dello stesso campo visivo. In questo modo Welles propone un’alternativa al montaggio analitico, organizzando la composizione su più piani simultanei che mostra nel loro insieme, anziché frammentare la scena in singoli dettagli e inquadrature ravvicinate. La composizione in profondità si può ammirare in tutta la sua precisa scansione prospet-
tica durante la firma del contratto di tutela che lega il piccolo Kane al banchiere Thatcher: l’importanza decisionale dei personaggi è espressa in una scala di grandezza (la madre in primo piano, il padre intrappolato a metà del quadro organizzato, e sullo sfondo la finestra oltre la quale si sente giocare il bambino) creata dal grado di vicinanza all’obiettivo (una focale corta così estrema amplifica le distanze lungo l’asse di ripresa e le dimensioni delle figure in primo piano). Il senso di straniamento e di tensione introdotti da grandangolo e contreplongée manifestano lo stato tipico dei personaggi wellesiani, visti dal basso in una prospettiva inclinata da cui sembrano più grandi dello spazio che li contiene (è più unico che raro in un film di Hollywood vedere inquadrati i soffitti).
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una serie di flashback, secondo i modi di un’inchiesta giornalistica che vorrebbe scoprirne un retroscena nascosto, la parola misteriosa pronunciata prima di esalare l’ultimo respiro (che, colpo di scena, al termine del film si rivelerà per ciò che rappresenta solo allo spettatore e non ai personaggi), arriva sugli schermi nel momento in cui l’eloquenza dal cinema classico ha raggiunto il suo apice e la sua totale consapevolezza, aprendo uno squarcio verso la modernità. Si tratta di un racconto estremamente complesso, profondo e problematico, nel quale un personaggio contenente in sé gli estremi del bene e del male passa come un raggio di luce attraverso il prisma dei racconti dei vari testimoni. Lo spettro psicologico rivelato allo spettatore (l’unico a cui è data, tra l’altro, la chiave per risolvere il mistero) risulta permeato di spinte contraddittorie e irrisolte. Di una psicologia così tortuosa sono specchio un intreccio multiforme di temi e situazioni tra dramma, newsreel, commedia e fiaba, e soprattutto l’insieme di tecniche agli antipodi con cui Welles tocca gli estremi del linguaggio del film: la messa in scena in profondità di campo e long takes accanto a un montaggio rapido, pieno di virtuosismi ottici e sonori. La forma cinematografica è figlia delle altre esperienze artistiche: da un lato la profondità di campo e la durata sono la dimensione più adatta per creare uno spazio dell’inquadratura simile a quello del palcoscenico e far emergere le doti di recitazione d’insieme degli attori del Mercury Theatre, dall’altro la dimensione aforistica delle sequenze di montaggio nasce dalle sperimentazioni radiofoniche, così pure la gamma di nuove tonalità introdotte dal missaggio della colonna sonora. Nessun altro film prima di Quarto potere sa sfruttare il suono in maniera così espressiva e avanzata, con stacchi, rumori d’ambiente, voci sovrapposte, effetti di continuità e di prospettiva acustica. Nelle note più originali e nella reinterpretazione delle tecniche di mezzo secolo di cinema la regia di Quarto potere è un contenitore iperbolico in cui può essere riconosciuto di tutto, dal realismo all’artificio più estremo. L’opera si pone come spartiacque tra il cinema narrativo dell’età del sonoro definito dai registi degli studios negli anni Trenta e la modernità degli anni Cinquanta e Sessanta. La trasgressione delle regole (lo sguardo in macchina, per esempio), l’aspetto metalinguistico (i tanti film nel film, come se Quarto potere fosse un montaggio di tante pellicole differenti), lo stile come significato e summa dell’opera: tutti segni che anticipano il cinema moderno e quello d’autore. Quarto potere piega la trasparenza del montaggio e della messa in scena classica a uno stile più vistoso, barocco; il suo postclassicismo espressionista aspetterà anni prima di
Intreccio complesso e multiforme
Mix di generi e tecniche
Importanza del suono
Superamento dei paradigmi degli anni Trenta
Esempio di stile per tutto il cinema moderno
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Produzione europea
essere considerato tra i massimi esempi di stile al cinema e perché il suo primo risultato sia incluso tra i capolavori immortali della settima arte. Welles paga i privilegi al suo genio e le concessioni al suo esordio a partire dal successivo L’orgoglio degli Amberson (The Magnificent Ambersons, 1942) – opera profondamente wellesiana ma meno debordante e visionaria rispetto a Quarto potere –, il cui finale viene stravolto per ordine della produzione. È l’inizio di quell’ostracismo nei suoi confronti da parte del sistema che lo spingerà a lavorare sempre più spesso in Europa. Dopo la guerra Orson Welles gira subito il trascurabile Lo straniero (The Stranger, 1946). Due anni dopo da un romanzo di poche pretese trae un film caotico, La signora di Shanghai (The Lady from Shanghai, 1947), retto dalla solita fucina di idee visive e da una scena come la sparatoria finale nella sala degli specchi di un luna park. Dopo il Macbeth (1948) girato per la Republic è la volta di un Otello (Othello, 1952) dalla lavorazione travagliata (a causa del fallimento del produttore italiano, la Scalera), cui segue Rapporto confidenziale (Mr. Arkadin, 1957), girato in Spagna e incentrato su un’altra figura titanica amata oltre il bene e il male. Sul confine tra i due poli opposti si gioca L’infernale Quinlan (Touch of Evil, 1958), ritorno al deep focus estremo impreziosito dal celebre e tortuoso piano sequenza iniziale. È il primo film americano dopo dieci anni, e sarà anche l’ultimo di Orson Welles (il montaggio finale è integrato con alcune scene di raccordo girate da un altro regista). Il processo (The Process, 1962), Falstaff (Chimes at Midnight, 1966), il mediometraggio a colori Storia immortale (Immortal Story, 1968) e il film di montaggio F for Fake (1973) saranno tutti girati in Europa.
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Film successivi
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SCHEMA RIASSUNTIVO Grazie all’introduzione del suono il cinema hollywoodiano raggiunge la sua piena maturità espressiva, potendo contare su nuovi generi come il musical, la screwball comedy o il noir (nato più tardi, all’inizio degli anni Quaranta) e sullo sviluppo di quelli già consolidati o definiti, oltre che su un gruppo di grandi registi tra i quali spiccano John Ford, Howard Hawks, Frank Capra, e sul genio comico di Charlie Chaplin.
QUARTO POTERE
Non è il film più fortunato di questo periodo ma è il più importante: Quarto potere dell’esordiente Orson Welles rivoluziona lo stile hollywoodiano attraverso un’estrema profondità di campo (il deep focus o panfocus) e una messa in scena che privilegia la ripresa continua e il montaggio interno al tradizionale découpage hollywoodiano, e contemporaneamente appare come una summa tecnica di mezzo secolo di cinema.
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IL CINEMA CLASSICO
3 Il realismo poetico in Francia
Nel cinema francese degli anni Trenta si avverte un’esigenza di realismo mediata da interessi sociali e politici nella quale si fa strada il filone del realismo poetico (incarnato dall’attore Jean Gabin nei suoi ruoli di eroe popolare romantico e sconfitto dei film di Julien Duvivier e, soprattutto, Marcel Carné) e maturano autori di fondamentale importanza nella storia del cinema come Jean Vigo e Jean Renoir.
Il realismo poetico e il Fronte Popolare Nuovo corso
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Crisi delle case di produzione
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Cinema di registi
Realismo poetico
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Nel cinema francese gli anni Trenta non proseguono il discorso dei Venti (l’Impressionismo) ma inaugurano un nuovo corso in cui emergono autori e tendenze originali. L’introduzione del sonoro rappresenta un fattore di nuova crescita: ferma infatti la morsa americana sul mercato nazionale, dal momento che il pubblico predilige dialoghi in lingua madre. L’industria non è ancora e non sarà più paragonabile a quella delprimoNovecento.LaPathéelaGaumontrischianoentrambe il fallimento (la Gaumont è salvata nel 1934 da un prestito statale) e una buona fetta della produzione è in mano alle piccole compagnie. Non esistendo un sistema di produzione organizzato e costruttivo come quello di Hollywood né condizionamenti politici come quelli presenti in Germania, Italia e URSS – anche se non manca comunque una severa censura statale, come dimostra il caso di Zero in condotta di Jean Vigo, massacrato dai tagli –, il cinema francese è un cinema di registi: le figure dominanti sono quelle di Renoir, Vigo, Clair, Carné, Duvivier, e inoltre Jacques Feyder, Sacha Guitry, Marcel Pagnol, Pierre Prévert. Il sonoro dà l’occasione a drammaturghi come Guitry e Pagnol di cimentarsi con la regia cinematografica. La tendenza più diffusa nel cinema francese degli anni Trenta è quella del realismo poetico, rappresentato dai film di Julien Duvivier e Marcel Carné – Il bandito della Casbah (Pepé le Moko, 1936), Il porto delle nebbie (Quai des brumes, 1938) e Alba tragica (Le jour se lève, 1939) – interpretati da Jean Gabin, che in tutti e tre i casi veste i panni di personaggi ai margini della società e condannati da quello stesso amore nel nome del quale cercavano di riscattare la propria esistenza. Lo sguardo sulla realtà sociale di questi film è intriso di un pessimismo romantico che prelude alla sconfitta esistenziale dei suoi protagonisti.
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Fronte Popolare
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Di segno più ottimista è il cinema del Fronte Popolare, esperienza breve come la stessa alleanza tra radicali, socialisti e comunisti che portò al governo Léon Blum nel 1936 (un governo di breve durata, caduto per debolezza interna e mancata coesione tra le forze politiche che lo animavano) e riconducibile direttamente a due soli film, l’opera collettiva La vie est à nous (La vita è nostra, 1936) e La Marsigliese (La Marsellaise, 1937) di Jean Renoir, ma che non manca di influenzare altre opere dello stesso Renoir e di altri registi.
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Altre tematiche sociali
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Maggior successo
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Il delitto del signor Lange
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Anni Trenta
■ Jean Renoir Jean Renoir (1894-1979), figlio del grande pittore Pierre-Auguste, dopo aver iniziato la sua carriera negli anni del muto dirige all’inizio degli anni Trenta il mélo “nero” La cagna (La chienne, 1931) e La nuit du carrefour (La notte dell’incrocio, 1932). Boudu salvato dalle acque (Boudu sauvé des eaux, 1932) è un film assai più anarchico e personale, rimasto per lungo tempo invisibile ai più. Queste opere delineano già lo stile di Renoir, basato sulla profondità e sui sapienti movimenti di macchina. La novità di Toni (1934-1935) anticipa di una decina d’anni il Neorealismo: ambientato nel Sud della Francia tra i lavoratori immigrati, è girato tutto in esterni e in ambienti reali, con interpreti sconosciuti che parlano il dialetto locale o un francese dalla forte inflessione straniera (il protagonista, Toni, è italiano, la donna di cui si innamora, Josepha, spagnola). Il delitto del signor Lange (Le crime de Monsieur Lange, 1935-1936) si arricchisce degli apporti letterari di Jaques Prévert e del contenuto di classe, che risente del clima del Fronte Popolare anche nel tema trattato (la solidarietà dei lavoratori attraverso l’autogestione in cooperativa). Rimane incompiuto La scampagnata (Partie de campagne, 1936), tratto dalla novella omonima di Maupassant, probabilmente uno dei vertici dell’opera di Renoir. Il suo maggiore successo è La grande illusione (La grande illusion, 1937) un film pacifista e insieme un’attenta critica sociale per come individua in maniera esatta la dinamica di classe tra uomini di diverse nazionalità: all’interno del campo di prigionia tedesco l’ufficiale francese si intende più con il comandante nemico (Erich von Stroheim), aristocratico come lui, che con i francesi suoi sottoposti. L’angelo del male (La bête humaine, 1938) riprende contatto con Zola (da un cui romanzo Renoir aveva tratto già Nanà nel 1926), la cronaca nera e i lavoratori, in questo caso ferrovieri. La regola del gioco (La règle du jeu, 1939) si riallaccia al motivo dell’aristocrazia in declino al cospetto delle classi popolari, toccando uno dei punti più alti dell’arte di Renoir. Film corale e polifonico in cui le re-
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lazioni sociali si intrecciano come una fuga a più temi e dove, secondo un celebre principio enunciato dallo stesso Renoir, che vi appare come interprete, «ognuno ha le sue ragioni»; non ci sono cioè né buoni né cattivi. La regola del gioco è accusato di disfattismo nell’imminenza del crollo militare francese, il che costringe Renoir all’esilio a Hollywood abbandonando incompiuto a Roma Tosca. ■ Marcel Carné Marcel Carné (1906-1996) descrive con il suo realismo poetico soprattutto la Francia di fine anni Trenta, delusa dall’esperienza del Fronte Popolare e incamminata verso una guerra che la vedrà soccombere. A metà decennio, quando debutta con Jenny, regina della notte (Jenny, 1936), ha l’occasione di lavorare con Pierre Prévert, sceneggiatore delle sue opere cruciali Il porto delle nebbie (Quai des brumes, 1938) e Alba tragica (Le jour se lève, 1939). Sono opere dal realismo simbolico, trasfigurato, nelle scenografie come nelle luci, nella musica e nelle storie, che procede inesorabilmente attraverso tutti i suoi dettagli e simboli verso una dimensione di fatale scacco, esistenziale e inviduale molto più che storico. Protagonista elettivo è l’attore Jean Gabin, in entrambi i casi protagonista nel ruolo di un proletario reietto che cerca il riscatto alla sua esistenza nell’amore romantico e impossibile per una donna per la quale dovrà lottare e infine soccombere al destino. Ne Il porto delle nebbie è un disertore, in Alba tragica un operaio asserragliato in un appartamento e braccato dalla polizia dopo aver ucciso il suo rivale. La costruzione narrativa alterna liricamente il tempo presente agli antefatti mostrati attraverso flashback mentre François li rivive con la mente in attesa della propria fine. Durante la guerra, dopo un’elegante ma un po’ ermetica allegoria medievale, L’amore e il diavolo (Les visiteurs du soir, 1942), Carné realizza con i suoi collaboratori abituali – oltre a Prévert, lo scenografo Alexander Trauner e alcuni attori prediletti come Arletty – il suo capolavoro Amanti perduti (Les enfants du paradis, 1945), evocazione in due parti di una mitica Parigi romantica, in cui i temi dell’Amore e del Destino, ricorrenti in tutta l’opera, si intersecano e si scontrano con preziosissimo stile.
Realtà francese degli anni Trenta
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Tit Realismo simbolico
Personaggi di Gabin
Capolavoro
■ Jean Vigo L’opera di Jean Vigo (1905-1934), nonostante sia figlia di una vita breve e sofferta, si segnala come una delle più compatte e propositive dell’intero cinema francese.
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La vita
Cinema sociale Zero in condotta
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Figlio dell’anarchico Eugène Bonaventure de Vigo, noto come Miguel Almereyda, morto in carcere in circostanze dubbie nel 1917 mentre doveva rispondere di un’accusa di tradimento, Jean negli anni Venti entra in contatto con l’avanguardia sovietica e il Surrealismo. Si distaccherà da entrambi nel perseguire una propria idea di cinema. Tra i modi del cine-occhio vertoviano (Boris Kaufman, l’operatore che lavora stabilmente con Vigo, è uno dei fratelli di Dziga Vertov) e le immagini icastiche del Surrealismo, À propos de Nice (A proposito di Nizza, 1929) supera entrambi nella concezione vigoliana del «punto di vista documentato», preludio al «cinema sociale» verso cui il regista si indirizza in un saggio programmatico del 1930. Zero in condotta (Zéro de conduite, 1934) – che segue il breve Taris, roi de l’eau (Taris, re dell’acqua, 1931), dedicato a un campione francese di nuoto – è la trascrizione fedele dell’esperienza avuta in collegio. Raccontato in maniera concisa (in parte perché tormentato nel montaggio dagli interventi censori), per momenti stringati e sciolti da raccordi narrativi – accentuati così nella folgorante incisività –, il primo lungometraggio di Jean Vigo è un atto di insubordinazione creativa nei confronti di tutto ciò che sopprime l’impeto liberatorio dell’infanzia. Ad esempio, i giovanissimi collegiali reagiscono all’insipienza grottesca e caricaturale di maestri e sorveglianti issando la loro bandiera di rivolta sul tetto della scuola. Zero in condotta è un’opera profondamente personale che lascia una traccia evidente sul cinema successivo. Una storia ancora tormentata ha il secondo e ultimo film del regista francese, terminato pochi mesi prima della sua prematura scomparsa. Stravolto inizialmente dalla produzione (e intitolato Le chalande qui passe, nome di un motivo popolare dell’epoca) il vero L’Atalante è stato ricostruito nel 1940 secondo le intenzioni dell’autore e in una successiva edizione critica del 1990. Dai toni sarcastici della sua opera precedente Vigo passa a una vicenda delicata immersa in un alone di luce nuova dove il Surrealismo si concretizza in una dimensione reale. In L’Atalante il realismo fenomenico e la sua connotazione lirica raggiungono l’unità rappresentativa in una sintesi formale e poetica compiuta. Il risultato è la summa non solo di un’arte ma di un’intera esperienza umana: l’attingere con la cinepresa a una visione trasparente e ugualmente profonda come quella subacquea. L’acqua del fiume è infatti la metafora prediletta di L’Atalante: il film termina su un’immagine dall’alto del fiume, specchio e simbolo del fluire del tempo, dello scorrere della vita e della purezza di sentimenti. La ripresa di Jean Dasté
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(che interpreta il protagonista, Jean) in immersione alla ricerca del volto di Juliette (Dita Parlo) è una delle scene più famose del cinema d’arte e contiene forse la più bella e celebrata sovrimpressione della storia. ■ René Clair Il passaggio dall’avanguardia verso la narrazione è incarnato da René Clair (1898-1981). Il suo è un cinema molto personale in cui si mescolano commedia sociale, comicità, lirismo e fantasia. La commedia-vaudeville Un cappello di paglia di Firenze (Un chapeau de paille d’Italie, 1927) chiude il suo periodo muto. Sotto i tetti di Parigi (Sous les tois de Paris, 1930) inaugura quello sonoro rivelando un uso completo del nuovo mezzo acustico in tutte le sue sfumature, rumori compresi. Il milione (Le million, 1931) adatta al sonoro le gag del muto, con l’inseguimento di un biglietto vincente della lotteria dimenticato in una giacca, e le trasforma in danza collettiva. A me la libertà (À nous la liberté, 1932) sceglie sempre la strada dell’apologo sociale che precorre il Chaplin di Tempi moderni (1936) nella descrizione del lavoro alla catena di montaggio (la censura italiana degli anni Trenta modificò il senso del titolo originale traducendo “a me” anziché “noi” al fine di non evidenziare il contenuto sociale del film). Per le vie di Parigi (Quatorze juillet, 1933) chiude la sua migliore stagione in patria. In Gran Bretagna gira Il fantasma galante (The Ghost Goes West, 1936) e nel quinquennio trascorso a Hollywood durante la guerra Ho sposato una strega (I Married a Witch, 1942) e Accadde domani (It Happened Tomorrow, 1944), spiritose commedie fantastiche.
Dall’avanguardia alla narrazione Film francesi
Produzione inglese e americana
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■ Julien Duvivier Anche Julien Duvivier (1896-1967) emerge in questa stagione con un rifacimento di Pel di carota (Poil de carotte, 1932), già portato da lui stesso sullo schermo nel 1926. I suoi film più importanti si collocano nell’orizzonte del realismo poetico, soprattutto Il bandito della Casbah (Pepé le Moko, 1936), il ver- Il bandito tice del filone insieme ai film coevi di Marcel Carné, che ugual- della Casbah mente vedono Jean Gabin nei panni di un eroe romantico e sconfitto (la Casbah di Algeri è stata ricostruita in studio). Lo stesso attore è protagonista di La Bandera (1935) e La bella brigata (La belle équipe, 1936), più vicino allo spirito del Fronte Popolare. Duvivier ottiene grande successo internazionale con Carnet di ballo (Un carnet de bal, 1937). Dopo altri due Carnet di ballo film girati in patria emigra e prosegue in Europa un’attività talora anonima (in Italia nel 1951 dirige il primo Don Camillo).
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Il cinema francese durante l’occupazione Controllo statale
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Film dell’occupazione
Il corvo
Durante l’occupazione tedesca il cinema francese non viene annullato, ma controllato sia dal governo tedesco sia da quello di Vichy. Mentre registi come Jacques Feyder e Jean Renoir emigrano, Carné, Grémillon, Prévert, L’Herbier e l’esordiente Robert Bresson continuano a lavorare in patria; alcuni di essi, come Grémillon, militano segretamente nella Resistenza. I più importanti film francesi prodotti durante l’occupazione (nel 1940 nasce la Continental, controllata dalla UFA) preferiscono evitare di descrivere la società contemporanea e prediligono storie di evasione o comunque ambientate nel passato; tuttavia nel loro tono fatalista non mancano velati riferimenti a una futura liberazione della Francia. Un’eccezione significativa è Il corvo (Le corbeau, 1943) di Henri George Clouzot, sospettato dopo la liberazione di essere un film antifrancese, al punto che il regista finì per breve tempo nella lista nera, sospettato di collaborazionismo.
SCHEMA RIASSUNTIVO REALISMO POETICO
Esaurita la parabola dell’Impressionismo, negli anni Trenta i registi francesi si indirizzano verso il realismo, abbandonando le sperimentazioni estetiche del muto. I protagonisti di questo cambiamento sono molto diversi l’uno dall’altro: dal realismo già moderno di Jean Renoir si differenziano il cupo fatalismo che pervade i drammi di Marcel Carné, il cinema sociale postsurrealista di Jean Vigo e la leggerezza di René Clair.
I CAPOLAVORI
Film come L’Atalante, Alba tragica o La regola del gioco sono capolavori assoluti che riflettono bene lo spirito di questo periodo, a cui pongono fine lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e l’occupazione nazista del suolo francese nel 1940.
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Germania, Italia
I regimi dittatoriali intuiscono l’efficacia del cinema come strumento di creazione del consenso intorno alla figura del leader: sia Hitler, sia Mussolini, sia Stalin dimostrano molta attenzione nei confronti dei film. Non tutti i film prodotti in Germania, Italia e Unione Sovietica sono di aperta propaganda; spesso l’ideologia di un regime è lasciata filtrare sottotraccia attraverso le pellicole di intrattenimento.
Il cinema in Unione Sovietica: asincronismo e realismo socialista Anche l’Unione Sovietica approda al sonoro sviluppando proprie tecnologie (il sistema Tagefon), ma tale processo può dirsi completato soltanto nel 1936. Durante i primi anni Trenta molte sale continuano a non essere attrezzate e si producono ancora film muti. La reazione dei registi alla nuova invenzione tecnica è spesso negativa oppure critica, come attesta la celebre dichiarazione congiunta firmata da Sergej Ejzensˇtejn, Vsevolod Pudovkin e Grigorij Alexandrov dal titolo Il futuro del sonoro, nota anche come Manifesto dell’Asincronismo. I tre maggiori cineasti sovietici non rifiutano il suono, piuttosto respingono un suo uso apodittico limitato al sincronismo labiale, che ridurrebbe il cinema a una versione fotografata del teatro. I rumori, la voce e la musica sono invece nuove risorse a disposizione del montaggio, utili anzi a introdurre effetti, soprattutto se adoperati in un’ottica di contrasto basata sul principio della non coincidenza dell’immagine sonora rispetto all’immagine visiva. Il film di Pudovkin Dezertir (Il disertore, 1933) sperimenta proprio tale concezione del sonoro, non come banale complemento bensì come contrappunto del visivo. La pellicola è una delle ultime testimonianze artistiche della scuola del montaggio. A metà anni Trenta l’esperienza avanguardistica del decennio precedente è da considerarsi conclusa a causa della nuova impronta rigidamente staliniana assunta dalla cultura e dall’arte in URSS. Dal 1930 il cinema è ge-
Avvento del sonoro in URSS
I tre maggiori cineasti
Dezertir
Fine dell’esperienza avanguardistica
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Conferenza pansindacale
Ciapaiev
Film biografici
Film di intrattenimento
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Principi guida
stito dalla sola Sojuzkino, i cui vertici riferiscono direttamente a Stalin, molto partecipe e interessato a quello che considera un importante mezzo propagandistico. Nel 1934 la linea ufficiale del realismo socialista adottata dal Congresso degli Scrittori Sovietici diventa un obbligo per tutti gli artisti e gli intellettuali. Le conseguenze per i trasgressori possono andare dalla cancellazione di un’opera fino alla perdita della vita stessa: non sono pochi infatti gli artisti vittima delle purghe. L’unica arte ammessa dal regime deve rispecchiare in termini positivi la società sovietica e avere come principi guida la fedeltà al partito (partiinost’) e la centralità del popolo (narodnost’). Il realismo socialista cancella il ruolo avuto dalle avanguardie nella prima cultura sovietica e le esclude dal nuovo corso; alla sperimentazione formale subentra un modello più tradizionale e semplice, ispirato alla letteratura realista del XIX secolo. La conferenza pansindacale del 1935 estende i dogmi del realismo socialista al cinema; durante il suo svolgimento si assiste alla sconfessione ufficiale di tutta l’avanguardia formalista, alla critica pubblica dell’opera di Ejzensˇtejn e alla pronuncia di un discorso di abiura di Lev Kulesˇov, costretto a rinnegare le sperimentazioni degli anni Venti in ossequio al partito. Il film eletto a nuovo esempio per tutti è Ciapaiev (Chapaev, 1934) di Sergej e Georgij Vasil’ev, che in sé riassume già i caratteri del realismo socialista: il contenuto lineare, una vicenda (la biografia romanzata di un personaggio storico) e un protagonista (l’ufficiale Ciapaiev) esemplari per la loro dinamica psicologica – a partire da un’iniziale noncuranza all’adesione rivoluzionaria –, la presenza di tipi idealizzati con cui identificare la classe operaia, la rinuncia al formalismo e lo stile semplice e illustrativo. Il miglior campione del tono e del linguaggio può essere considerato la scena in cui Ciapaiev mostra a un soldato la tattica di guerra servendosi di alcune patate disposte su una tavola. Ciapaiev è anche un esempio di genere per la produzione degli anni Trenta (il capo della Sovkino, Boris Sumjatskij, tentò senza riuscirvi di creare una Hollywood sovietica). È significativo che l’era del culto della personalità di Stalin veda fiorire molti film biografici ispirati a coloro che sono considerati i suoi precursori ideali: gli schermi sovietici raccontano le vite di eroi della rivoluzione, intellettuali, zar quali Pietro il Grande e Ivan il Terribile e personaggi storici del passato. L’insegnamento che se ne può trarre è soprattutto questo: tutti i grandi leader e i grandi uomini sono tali in quanto vicini al popolo. Accanto alla produzione seria non mancano i film leggeri e di intrattenimento. Alcune commedie musicali, molto apprezzate da Stalin stesso, volgono in fiaba il lavoro nei kolkoz. Attraverso i loro contadini idealizzati i registi Grigorij Alexandrov e
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Il cinema come mezzo di propaganda
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Ivan Pry’ev promuovono lo stakanovismo e celebrano le fattorie collettive come il luogo della felicità. Bogotaja nevesta (La fidanzata ricca, 1938) e Traktoristy (I trattoristi, 1939) di Pry’ev uniscono la sfera sentimentale a quella del lavoro. Gli intrecci amorosi si risolvono sempre secondo la dottrina socialista: la coppia perfetta sarà formata dalla lavoratrice più produttiva e dal miglior lavoratore. La produzione di commedie e film biografici con intento educativo prosegue anche tra il 1940 e il 1945 affiancando gli album di guerra e i lungometraggi di finzione a sfondo bellico.
■ I film sonori di Sergej Ejzens ˇtejn Tra il 1928 e il 1938 Ejzensˇtejn lavora a vari film senza riuscire a portarli a termine. Se in patria è avverso ai burocrati del partito, le sue esperienze all’estero si concretizzano solo in progetti incompiuti come l’adattamento di Una storia americana di Theodore Dreiser e Que Viva Mexico!. Nel 1937 la Pravda pubblica un articolo nel quale Il prato di Bezˇin (Bezhin lug, 1935), ancora inedito, è descritto come un puro esercizio formalista e quindi destinato a non vedere mai la luce. Ogni film doveva allora passare per un complesso apparato burocratico e censorio che ne rallentava l’approvazione e poteva interromperlo anche a riprese iniziate per obiezioni ideologiche. Il regista ha nel frattempo superato le posizioni dell’asincronismo ed è giunto all’ultimo stadio della sua riflessione teorica, contraddistinto dalla nozione di montaggio verticale: restando nel campo della similitudine con la musica, in sintesi possiamo dire che dal contrappunto reciproco il grande regista russo si sposta verso una concezione dei rapporti tra elementi visivi e sonori in termini più vicini all’armonia, superando il limite della concatenazione orizzontale degli elementi che lo ha contraddistinto finora e concependo il montaggio come sovrapposizione di elementi simultanei. In Aleksandr Nevskij (1938) lavora con immagini più profonde, ampie e ricche sotto il profilo figurativo, mentre le complesse combinazioni conflittuali dei film muti lasciano spazio a una logica lineare – i processi di montaggio in Ejzensˇtejn non smettono di tradurre i processi di pensiero –, la cui nuova misura sono i continui raccordi sull’asse (figura tipica del passaggio visivo dal particolare al generale e viceversa) e al montaggio sinfonico di parti della grande battaglia dettato dalla musica di Sergej Prokof ’ev. Nel dittico composto da Ivan il Terribile (Ivan Grozny, I, 1944) e La congiura dei Boiardi (Ivan Grozny, II: Boyarsky zagovor, 1958), primi capitoli di una trilogia mai conclusa a causa della scomparsa del regista, Ejzensˇtejn lavora ulteriormente sui nuovi principi di messa in scena da lui sviluppati: profondità di
Progetti incompiuti
Montaggio verticale
Aleksandr Nevskij
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e La congiura dei Boiardi
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È l’italiano Carmine Gallone a dirigere nel 1928 il primo film sonoro tedesco, Terra senza donne (Das Land ohne Frauen). Nel frattempo un lungo contenzioso sulle apparecchiature contrappone la Tobis-Klangfilm, che detiene i brevetti tedeschi ma punta a contrastare Hollywood sull’intero mercato europeo, e la MPPDA (cioè le major americane). L’accordo raggiunto nel 1930 prevede una spartizione a due del mercato mondiale. Due capolavori del cinema classico tedesco sono realizzati nel biennio tra il 1930 e il 1931: L’angelo azzurro (Der blaue Angel, 1930) di Joseph von Sternberg e M – Il mostro di Düsseldorf (M, 1931) di Fritz Lang dimostrano quanto i due registi sappiano servirsi con maestria del suono in funzione della loro messa in scena. In L’angelo azzurro rumori, musica e silenzi approfondiscono con efficacia l’effetto delle scene e creano temi sonori associati ai caratteri dei protagonisti (la campana per la monotonia della vita del professor Unrat contrapposta alla folle passione per Lola-Lola). M è un precoce ma già consapevole saggio sulle possibilità narrative del suono cinematografico. Lang non ricorre a una partitura musicale ma alle voci e alle parole dei dialoghi come elemento di continuità e stacco nel montaggio tra ambienti e nuclei narrativi diversi e paralleli, nonché a suoni di fondo e rumori trattati al fine di accrescere tensione e suspense. L’assassino dei bambini è identificato dal fischio, che lo connota prima ancora che ne vediamo il volto e permette di avvertirne la presenza anche quando è fuori campo. I film di maggiore successo di questo periodo sono invece due commedie musicali, Il congresso si diverte (Der Kongress tanzt, 1931) di Erik Charell e La sirenetta dell’autostrada (Die Drei von der Tankstelle, 1930) di Wilhelm Thiele, ma gli ultimi anni della Repubblica di Weimar sono molto fruttuosi pure per
L’angelo azzurro
M – Il mostro di Düsseldorf
Commedie musicali
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Spartizione del mercato
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Primo film sonoro tedesco
Il cinema tedesco: dall’introduzione del sonoro alla fine della Seconda Guerra Mondiale
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campo, illuminazione espressionista, montaggio interno e, in La congiura dei Boiardi, un’interessante sequenza di finzione nella finzione che potrebbe ricordare quella dell’Amleto shakespeariano, oltretutto a colori e dominata dai toni rossi e neri. Come il principe Nevskij che sconfisse i cavalieri teutonici nel XIII secolo, lo zar che unificò la Russia è un richiamo potente alla figura del suo “erede” Stalin; tutto ciò però non basta perché il PCUS decida di non censurare il secondo capitolo della saga fino al 1958.
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il campo del cinema d’arte. Pabst dirige Westfront (Westfront 1918, 1930), L’opera da tre soldi (Die Dreigroschenoper, 1931) e La tragedia della miniera (Kameradschaft, 1931), animati da idee pacifiche e progressiste; l’esordiente Leontine Sagan affronta coraggiosamente il tema dell’omosessualità femminile in Ragazze in uniforme (Mädchen in Uniform, 1931); Piel Jutzi si misura con il complesso romanzo di Alfred Doblin in Berlin Alexanderplatz (1931); l’esordiente Max Ophüls con l’operetta di Bedrich Smetana La sposa venduta (Die verkaufte Braut, 1932) bissata da Amanti folli (Liebelei, 1933), un’altra vibrante prova di stile. Di problemi sociali si occupa la casa produttrice Prometheus, nata come distributrice di film sovietici: Il viaggio di Mamma Krause verso la felicità (Mutter Krausen fahrt ins Glück, 1929) a cui allude il film di Piel Jutze è in realtà il suicidio di una madre di famiglia in un contesto di povertà e disperazione che tocca lei e i suoi figli. La disoccupazione è al centro di un altro film politico di sinistra, Kuhle Wampe (1932) di Slatan Dudow, sceneggiato da Bertolt Brecht seguendo i principi di distanziamento del suo teatro epico. Dal 1933 la dittatura nazista muta violentemente lo scenario. Tutti i registi di talento, e insieme a loro molti attori e tecnici, emigrano, per la maggior parte negli Stati Uniti. Allontanati gli Ebrei dall’industria del cinema (Amanti folli di Ophüls esce senza il nome del regista), il regime arriva per gradi alla sua nazionalizzazione, comprando le quote di maggioranza delle case produttrici, riunitesi nel 1942 in un unico gruppo, la UFAFilm. Il controllo è tutto nelle mani del ministro della propaganda e dell’informazione Joseph Goebbels. Per quanto egli si dichiari ammiratore di La corazzata Potemkin e desideri film nazisti dotati dello stesso impatto ideologico, in linea generale la produzione negli anni del regime preferisce agli esempi di propaganda esplicita, che pure non mancano, un disimpegnato intrattenimento, con un fondo ugualmente politico ma sottinteso, e l’imitazione di Hollywood. I contenuti più aggressivi e di evidente fanatismo nel caratterizzare i personaggi principali come due martiri della causa nazista e la società della Repubblica di Weimar come decadente e corrotta a causa di Ebrei e comunisti si ritrovano in Hans Westmar di Franz Wenzler e Il giovane hitleriano Quex (Hitlerjunge Quex) di Hans Steinhoff, entrambi del 1933. Nel 1940, in concomitanza con il profilarsi della soluzione finale e dello sterminio in massa degli Ebrei, escono i film più ferocemente antisemiti: Süss l’ebreo (Jud Süss) di Veit Harlan e il documentario Der ewige Jude (L’ebreo eterno) di Fritz Hippler. I toni antiebraici in seguito si attenueranno proprio per far passare sotto silenzio il genocidio. Der Führer schenkt den Juden eine Stadt
Cinema d’arte
Tematiche sociali
Emigrazione dei cineasti negli USA Nazionalizzazione dell’industria del cinema
Antisemitismo
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LENI RIEFENSTAHL
L’unica regista degli anni del nazismo considerata per il suo valore artistico è Leni Riefenstahl (1902-2003). Celebre attrice, in particolare nei film di montagna di Arnold Fanck (La tragedia di Pizzo Palù, 1929; Ebbrezza bianca, 1930), inizia dirigendo se stessa in La bella maledetta (Das blaue Licht, 1932). I suoi film più noti sono due documentari, che definiscono l’estetica e l’iconografia nazista. Il congresso del partito a Norimberga del 1934 è organizzato come un avvenimento estetico e spettacolare che celebri i simboli del nazionalsocialismo. Ne nasce Il trionfo della volontà (Der Triumph des Willens, 1935), per il quale la Riefenstahl può godere degli imponenti mezzi messi a sua disposizione da Hitler e Goebbels: una numerosa troupe e un set allestito in funzione dei punti di vista e dei movimenti di camera. Lo stesso dispiego di operatori e mezzi si ritrova nel documentario sulle Olimpiadi
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La cittadella degli eroi
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(Il Führer regala una città agli Ebrei, 1944), di Kurt Gerron, girato a Theresienstadt (dove Gerron era detenuto), cercherà di far apparire normale la vita nei lager; il regista sarà in seguito eliminato dai nazisti, come buona parte delle persone che vi avevano recitato. Ancora Veit Harlan è il regista di Ingratitudine (Der Herrscher, 1937), dramma domestico che esalta la figura del capofamiglia, alludendo ovviamente a Hitler. Durante la Seconda Guerra Mondiale la produzione più costosa è messa in piedi per un film di fantastia, Le avventure del Barone di Münchhausen (Münchhausen di Josef von Baky, 1943). Il prodotto estremo del nazismo è il Durchaltefilm, diretto alla popolazione tedesca perché resista al nemico ormai alle porte: voluto fortemente da Goebbels, La cittadella degli eroi (Kolberg, 1945, di Veit Harlan) dovrebbe spronare i civili a impugnare le armi, sull’esempio storico della piccola città i cui abitanti si opposero a Napoleone anche dopo la resa dei militari. Quando questo kolossal a colori che si serve di numerose comparse richiamate dal fronte esce nelle sale, la Germania procede inesorabilmente verso la sconfitta. Nel dopoguerra Harlan, come Leni Riefenstahl, negherà di avere aderito al regime.
di Berlino del 1936, altro momento celebrativo del Terzo Reich. Lo sterminato materiale girato richiese un montaggio di 18 mesi. In Olympia – Ia parte (Olympia 1 – Fest der Volker, 1938) le immagini delle gare sono introdotte da un prologo astratto ricco di effetti visivi e immagini al ralenti: la sequenza inizia dai monumenti e dalle statue dell’antica Grecia per passare alla bellezza plastica dei corpi degli atleti. Un effetto simile, ottenuto però con le vere immagini dell’evento, si nota nelle riprese in controluce dal basso della sequenza di tuffi alla fine di Apoteosi di Olympia (Olympia 2 – Fest der Schönheit, 1938). Le Olimpiadi di Berlino volevano celebrare la superiorità della razza ariana e confrontarla con il mito classico: nonostante la regia abbia un occhio di riguardo per gli atleti di casa e le autorità in tribuna, lo spazio dato agli exploit del nero americano Jesse Owens non piacque al Führer.
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Il cinema italiano: dal fascismo alla Seconda Guerra Mondiale Negli anni Venti il cinema italiano è in crisi e produce pochi risultati di rilievo. Con la salita al potere di Mussolini nel 1922 e l’inizio della dittatura fascista poco cambia nello scenario cinematografico nazionale se non l’inasprirsi della censura e la nascita a chiaro scopo di propaganda di L’Unione Cinematografica Educativa (LUCE) – che esiste ancora oggi –, la proiezione dei cui cinegiornali dal 1926 precede obbligatoriamente ogni spettacolo. Nel passaggio tra gli anni Venti e gli anni Trenta il regista Alessandro Blasetti e l’imprenditore Stefano Pittaluga tentano una doppia rifondazione del nostro cinema; l’uno dal punto di vista artistico, l’altro da quello industriale, fondando la nuova Cines (Pittaluga morirà nel 1932). Nel decennio successivo il regime risponde alla crisi emanando leggi protezioniste, sovvenzionando le case di produzione e creando un ente nazionale, l’ENIC (Ente Nazionale Industrie Cinematografiche). La Direzione Generale per la Cinematografia nata nel 1934 è affidata alla guida di Luigi Freddi, fautore di un atteggiamento propagandistico moderato: preferisce infatti soddisfare i bisogni del pubblico con pellicole leggere anziché indottrinarlo in maniera aggressiva. Gli anni Trenta sono importanti per il cinema italiano anche perché vedono nascere eventi e istituzioni presenti ancora oggi: nel 1932 si tiene la prima edizione della Mostra del Cinema di Venezia; nel 1935 sono costruiti gli studi statali di Cinecittà e viene fondato il Centro Sperimentale di Cinematografia da cui nasce la rivista Bianco e Nero, centrale per il dibattito critico e teorico degli anni successivi, che porteranno al Neorealismo. Non mancano una produzione celebrativa analoga a certe operazioni sovietiche sul modello di La corazzata Potemkin (1925), a cui avrebbero voluto guardare i fascisti duri e puri – per commemorare i dieci anni dalla marcia su Roma escono Camicia nera (1932) di Gioacchino Forzano e Vecchia guardia (1933) di Blasetti – e film storico-biografici del periodo realsocialista quali Scipione l’Africano (1937) di Carmine Gallone, un veterano del cinema di casa nostra, specialista anche in riduzioni di famose opere liriche. Il film celebra indirettamente la conquista dell’Etiopia “creando” un predecessore ideale di Mussolini. Con Lo squadrone bianco (1936), un melodramma a sfondo coloniale, Augusto Genina (1892-1957) apre un ciclo di film propagandistici a cui si aggiungono L’assedio dell’Alcazar (1940) e Bengasi (1942).
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Crisi degli anni Venti Istituto LUCE
La nuova Cines
Leggi protezioniste contro la crisi
Anni Trenta
Film celebrativi del regime
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Filone dei “telefoni bianchi”
Tema centrale: l’amore
Un regista non allineato
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1860 Film degli anni Quaranta
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Anche Goffredo Alessandrini (1904-1978), dopo un inizio nella commedia con La segretaria privata (1936), Seconda B (1934) e Cavalleria (1936), assume il vessillo di regista ufficiale in Luciano Serra pilota (1938), Abuna Messias (1939), Noi vivi (1942) e Addio Kina (1942). Accanto alla produzione epica e di propaganda nasce il filone più noto dal punto di vista storico: quello cosiddetto dei “telefoni bianchi”. Questo tipo di commedia tra il sentimentale e il sociale si caratterizza per le ricostruzioni in studio di interni altoborghesi contraddistinti dalla presenza di apparecchi telefonici di colore bianco. Sia lo strumento sia il colore erano allora simbolo di benessere economico. Le trame si muovono intorno all’amore, ovviamente a lieto fine, tra una ragazza umile ma volitiva e un uomo ricco (o viceversa). Gli esempi più noti di cinema dei telefoni bianchi sono La telefonista (1932) di Nunzio Malasomma, Tre uomini in frack (1932) di Mario Bonnard, Tempo massimo (1934) di Mario Mattoli e i film di Mario Camerini con Vittorio De Sica e Assia Noris, la coppia per eccellenza del cinema brillante italiano prima della Seconda Guerra Mondiale. I telefoni bianchi sono l’avanguardia di quel cinema di intrattenimento preferito da Freddi alla propaganda più esplicita. Un episodio isolato di ottima commedia, tra l’altro critica verso il fenomeno del divismo, è La signora di tutti (1934) dell’apolide Max Ophüls. ■ Alessandro Blasetti e Mario Camerini Alessandro Blasetti (1900-1987) è la personalità più significativa nel cinema italiano degli anni Trenta. Pur aderendo all’estetica fascista in Vecchia guardia (1933), che però non piace molto ai gerarchi, finisce con il contraddirla apertamente realizzando La croce di ferro (1941), un’opera di ispirazione pacifista nel pieno della Seconda Guerra Mondiale. Un velato non allineamento verso il regime si può intuire già in Nerone (1930), satira interpretata dal grande cabarettista Ettore Petrolini, o in Un’avventura di Salvator Rosa (1940). Sole (1929), il suo esordio, è un epico documento sulla bonifica delle paludi pontine stilisticamente vicino alla scuola sovietica. Il melodramma Resurrectio (1930) mostra un’interessante tecnica, ed è uno dei primi film sonori del cinema italiano. Il capolavoro di Blasetti è considerato 1860 (1934), eroico film sull’impresa dei Mille. Nel 1941 dirige la commedia La cena delle beffe, nella quale l’attrice Clara Calamai (protagonista anche di Ossessione di Luchino Visconti, del 1943) compare fugacemente a seno nudo (dando vita al primo scandalo del cinema sonoro italiano), mentre con Quattro passi tra le nu-
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■ Le alternative al cinema di regime:
Correnti alternative al regime
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verso il Neorealismo Negli anni Quaranta nascono correnti alternative a quelle di regime. Una è il Calligrafismo, all’insegna, potremmo dire, dell’arte per l’arte, rappresentato dalle opere di Luigi Chiarini, Fernando Poggioli, Mario Soldati e Renato Castellani. Questi registi spingono per un cinema formalista, tecnicamente raffinato, ripiegando sulla tradizione letteraria – quasi tutti i film sono adattamenti di testi classici italiani o stranieri – senza contaminazioni con il discorso propagandistico né implicazioni concernenti l’attualità. Ma negli stessi anni sulle pagine di Bianco e Nero si inizia a discutere di un nuovo modo di fare cinema da posizioni realiste. In queste riflessioni teoriche, di cui sono protagonisti Cesare Zavattini, Giuseppe De Santis e Michelangelo Antonioni – che inizia nel 1943 il suo cortometraggio Gente del Po –, iniziano a manifestarsi i prodromi del cinema del dopoguerra. Già negli anni Trenta sono usciti Acciaio (1933) di Walter Ruttmann, da un soggetto di Luigi Pirandello (o più probabilmente del figlio dello scrittore), Treno popolare (1934) di Raffaello Matarazzo e Porto (1935) di Amleto Palermi. Nel 1941 compare nelle sale La nave bianca (1941), primo lungometraggio di Roberto Rossellini, un racconto di guerra girato senza retorica e in un modo quasi documentale. Rossellini fa seguire altre due opere di propaganda, Un pilota ritorna (1942) e L’uomo dalla croce (1943), prima di girare nel 1945 Roma città aperta e dare inizio alla stagione neorealista.
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vole (1942), tratto da un soggetto di Zavattini, precorre il Neorealismo del dopoguerra, periodo in cui la sua attività di regista continua. Blasetti contribuirà a spargere i semi di alcune tendenze del cinema italiano (dal kolossal storico alla commedia di costume) degli anni Cinquanta e Sessanta. Rotaie (1931) di Mario Camerini (1895-1981) apre la rinascita Mario Camerini del cinema italiano: è una commedia che sa affrontare, anche se in modo tenue, la realtà del tempo e rivela influssi sia del cinema tedesco (Kammerspiel ed Espressionismo) sia di quello americano e sovietico. Le ultime immagini richiamano il celebre quadro di Pellizza da Volpedo Il quarto stato. Le sue commedie sentimentali Gli uomini che mascalzoni Commedie (1932), Darò un milione (1935), Ma non è una cosa seria sentimentali (1936), Il signor Max (1937) e Grandi magazzini (1939) si vanno a inserire, pur se a corrente alternata, nella tradizione dei telefoni bianchi e ne rappresentano anzi gli esempi più riusciti.
Un nuovo modo di fare cinema
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Toni più realisti
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Lo scandalo di Ossessione
Padri del cinema neorealista
Anche una commedia popolare e un melodramma, Quattro passi tra le nuvole di Blasetti e I bambini ci guardano di Vittorio De Sica si distinguono per un tono rinnovato, più vero, meno rassicurante nel loro rifiuto del lieto fine, senza grandi fratture rispetto al cinema nazionale coevo ma con alcuni scarti significativi (I bambini ci guardano è un dramma realistico che adotta il punto di vista psicologico del figlio di un coppia benestante); entrambi non a caso sono scritti o nascono da idee di Cesare Zavattini. Se c’è un film che desta scalpore per la novità è Ossessione (1943), il debutto cinematografico di Luchino Visconti. Tratto da Il postino suona sempre due volte di James Cain, è una torbida storia di adulterio che ribalta tutti gli stereotipi dei film italiani degli anni Trenta: l’amore da sublimato diventa carnale e fisiologico, la famiglia una gabbia da cui uscire, il popolo un insieme di aspre individualità e solitudini, il mondo contadino il centro della frantumazione sociale. Visconti si ispira al realismo poetico francese e a Renoir, di cui è stato assistente, servendosi della profondità di campo e di uno stile già maturo per descrivere in maniera cruda e drammatica la vita di provincia e mettere in discussione il modello di esistenza piccoloborghese fin lì idealizzato dal fascismo. Uno dei figli di Mussolini vedendo Ossessione sentenziò alterato: «Questa non è l’Italia». Da lì a poco Visconti, Rossellini e De Sica, con Zavattini nel ruolo di soggettista e sceneggiatore, diventeranno i migliori esponenti del Neorealismo.
SCHEMA RIASSUNTIVO URSS
La scuola del montaggio si esaurisce all’inizio degli anni Trenta quando un cambio di paradigma culturale impone a intellettuali e cineasti di seguire la linea del realismo socialista, didattica e per nulla sperimentale. Sergej Ejzenštejn, pur adeguandosi alle nuove direttive estetiche, continua la sua riflessione sul montaggio, studiando l’integrazione tra immagine e suono, e sperimenta nuove tipologie di messa in scena.
GERMANIA
Dopo i fasti degli anni Venti che continuano anche dopo l’introduzione del sonoro grazie a film come M – Il mostro di Düsseldorf di Fritz Lang e L’angelo azzurro di Joseph von Sternberg, il cinema tedesco perde altri talenti, rifugiatisi all’estero per sfuggire alla dittatura nazista. Rimane una cinematografia di regime dedita alla propaganda o a un intrattenimento allineato alle direttive nazionalsocialiste.
ITALIA
Il cinema italiano, che negli anni Venti ha attraversato un evidente declino, si risolleva negli anni Trenta con la nascita di nuove istituzioni. Pur non mancando opere di stampo propagandistico, di questo periodo si ricordano maggiormente le commedie dei telefoni bianchi. Negli anni successivi film controcorrente come Ossessione, Quattro passi tra le nuvole e I bambini ci guardano gettano i semi del futuro Neorealismo.
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IL CINEMA MODERNO
1 L’Italia nel dopoguerra: Neorealismo e cinema d’autore 2 L’Europa nel dopoguerra 3 L’America nel dopoguerra 4 La scoperta dell’Asia 5 Le nouvelles vagues 6 Il cinema italiano negli anni Sessanta 7 Il nuovo cinema americano degli anni Sessanta 8 Documentario, cinema-verità, cinema diretto
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Gli anni del dopoguerra preludono all’affermazione di quel fenomeno complesso che si suole definire modernità cinematografica. Il punto di rottura che segna l’inizio del cinema moderno è l’opera del Neorealismo italiano, che per prima apre una breccia nei confronti della narrazione classica imponendo un intreccio de-drammatizzato e una maggiore attenzioni agli aspetti di riproduzione del reale così come è rispetto alla finzione. La formazione di un pensiero filmico moderno prosegue con il cinema d’autore degli anni Cinquanta e, in maniera più marcata, con la Nouvelle Vague e i movimenti affini. Definire cosa sia la modernità cinematografica non è semplice. Tutte le definizioni rendono l’idea di un rinnovamento, di un distacco da una tradizione, di un modo di raccontare e di mettere in scena diverso da quello convenzionale, che predilige un racconto dalla struttura libera e aperta, in cui la stessa concatenazione degli eventi segue criteri più paratattici (l’aspetto imitativo della realtà) che non subordinati a una logica di causa ed effetto; acquistano infatti significato le digressioni, i tempi morti e i non eventi, spesso rivelatori della condizione di un personaggio le cui azioni sono problematiche quando non indefinite. Ma forse il segno evidente della nuova concezione del cinema è la prevalenza dei segni dello stile di ciascun regista (segni diversissimi tra loro: dal piano sequenza al montaggio discontinuo, dalla traduzione diretta della propria soggettività alla ricerca assoluta dell’obiettività) e la coscienza acquisita dal cinema stesso di essere un linguaggio, da cui deriva quindi la tendenza a mettere in scena il cinema stesso e i propri meccanismi, tendenza che riscontriamo in particolare in molti film degli anni Sessanta.
1 L’Italia nel dopoguerra: Neorealismo e cinema d’autore
L’uscita nel 1945 di Roma città aperta segna l’esordio del Neorealismo, il fenomeno che apre la strada al cinema moderno. Il nuovo sguardo e il nuovo modo di raccontare tipici dei film italiani del dopoguerra nascono da un forte impulso etico prima ancora che artistico e dalla volontà di portare sullo schermo la realtà sociale del nostro Paese ricalcando la vita vera e depurando il più possibile la visione da orpelli estetici e artifici retorici. Ad accomunare le opere di Rossellini, De Sica, Visconti e altri registi italiani più che uno stile comune è l’atteggiamento morale nei confronti della realtà, che coinvolge anche il processo narrativo e la messa in scena, rinnovandoli nel segno di un nuovo realismo cinematografico. Gli anni Cinquanta segnano la fine del Neorealismo come tendenza. Al distacco e alla ricerca di registi come Rossellini, Visconti e De Sica si accompagna la nascita di nuovi autori, soprattutto Antonioni e Fellini, e il rinnovamento dei generi.
Caratteristiche generali del Neorealismo italiano Nonostante non esista un manifesto programmatico del movimento – poiché in fondo non vi è nemmeno un movimento vero e proprio – i film considerati neorealisti si individuano da alcune caratteristiche riconoscibili. I soggetti sono a sfondo sociale e trattano storie contingenti di gente comune colta nella sua esistenza quotidiana, tra povertà, distruzione materiale e morale e difficoltà di sopravvivere. I protagonisti, uomini, donne e bambini appartenenti ai ceti popolari, operai, disoccupati, pensionati, partigiani, sacerdoti, immersi nel contesto storico e collettivo contemporaneo, non sono eroi nel senso classico ma esprimono come massimo valore la propria umanità, semplicemente mantenendola nonostante le avversità. Dall’atteggiamento etico nei confronti del reale e dell’obiettivo cinematografico – il cui scopo è quello di registrare gli avvenimenti in modo da farli apparire autentici – nasce la tecnica neorealista, la cui peculiarità consiste nel contaminare la finzione con elementi documentaristici. Si inizia dai set: si gira in esterni e per le strade uscendo dagli studi (molti dei quali erano inservibili perché distrutti dalla
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guerra) per donare concretezza e verità agli scenari; non mancano tuttavia scene di interni girate in teatro di posa. Attori Si ricerca la verità nell’espressione degli attori, elidendo, un po’ utopisticamente, il confine tra persona vera e personaggio, facendo cioè recitare dei non professionisti che di fronte alla cinepresa mantengano il proprio essere, la propria gestualità naturale e la propria dizione: dai film neorealisti emerge infatti Linguaggio che la lingua reale del Paese non è l’italiano asettico del cinema fascista. I personaggi colti dal vero si esprimono nei dialetti delle loro regioni di appartenenza. Gli attori professionisti, come nel caso di Anna Magnani e Aldo Fabrizi in Roma città aperta, sono impiegati volutamente al di fuori dei loro ruoli canonici – in questo caso due attori brillanti interpretano ruoli profondamente drammatici – e mescolati ai non professionisti. Più tardi, e quando la prima stagione neorealista sarà ormai chiusa, lo stesso Rossellini condurrà un’operazione simile nei confronti di Ingrid Bergman. Neutralizzazione Il carattere morale della rappresentazione non pone l’aspetto dell’aspetto linguistico-cinematografico in secondo piano, ma cerca di neulinguisticotralizzarlo: Orson Welles riconoscerà come pregio principale di cinematografico Vittorio De Sica il saper nascondere la macchina da presa. Per osservare la realtà senza pregiudizi rispettandone e preservandone il contenuto e l’essenza, il Neorealismo può anche agire in favore della continuità di ripresa (contro le tecniche troppo palesi di montaggio) e di una luministica essenziale: la fotografia in esterni è in alcuni casi neutra, poco contrastata e grezza perché naturale. Doppiaggio L’unico elemento non realista è il doppiaggio degli attori, una prassi comune nel cinema italiano. Anche l’utilizzo della musica non si distacca da quello convenzionale. Altre caratteristiche Nel racconto neorealista si possono registrare le tendenze al fidei film neorealisti nale aperto, alla mescolanza di toni, alla narrazione per episodi e all’ellissi. Le trame narrative, povere di azioni spettacolari, sono spesso un accumularsi di eventi presentati come frammenti autonomi senza troppi passaggi esplicativi né forti nessi di causa ed effetto, o il frutto di un’azione unica che si perde in deviazioni episodiche e digressioni, apparentemente laterali rispetto alla linea principale del racconto, di cui rivelano però il substrato ambientale e umano. De-drammatizzazione Si usa inoltre parlare di de-drammatizzazione dell’intreccio o dell’intreccio di azione antidrammatica a proposito della narrazione neorealista, poiché i momenti più tragici sono posti sullo stesso piano delle azioni considerate più banali e ordinarie, così come le sequenze descrittive rivestono pari importanza rispetto a quelle in cui l’azione drammatica procede.
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Il finale aperto e irrisolto di molte pellicole che rifiutano il tradizionale lieto fine così come la conclusione tragica colloca il cinema neorealista sulla stessa linea di continuità aperta e di indeterminatezza problematica propria della vita stessa, le cui condizioni cercava di riprodurre in maniera fedele. Il Neorealismo, secondo una frase di Rossellini riportata da Jean Rouch, «è la finzione che diventa più reale della realtà».
Neorealismo: autori e film Tra il 1945 e il 1950 sono compresi lo sviluppo e i migliori risultati della produzione neorealista, con l’eccezione di pochi film (Umberto D., 1952) usciti nei primi anni Cinquanta. Accanto ai nomi di registi importanti quali Rossellini, Viscon- Autori e registi ti, De Sica, De Santis, va ricordato anche Cesare Zavattini: con le sue sceneggiature per De Sica e altri autori e i suoi articoli, saggi e altri scritti sul cinema, Zavattini ha contribuito a definire e diffondere le idee alla base della poetica neorealista. In particolare vedremo applicata la sua teoria del pedinamento nei film di Vittorio De Sica o in La storia di Caterina (1953), episodio del progetto collettivo Amore in città diretto da lui stesso insieme a Francesco Maselli. ■ Roberto Rossellini
Con Roma città aperta (1945) Rossellini realizza l’opera prima del Neorealismo, nata come un documentario sulla vicenda di Don Giuseppe Morosini per poi diventare un film di finzione girato tra veri esterni romani – appena due mesi dopo la liberazione della capitale – e un teatro di posa improvvisato, con un cast misto di professionisti, quali Anna Magnani e Aldo Fabrizi, e non professionisti. Partendo dalle immagini e dal tessuto corale del racconto (non c’è un protagonista unico, ma il testimone è scambiato tra più personaggi), le novità si concentrano nella struttura narrativa, che al suo interno si mostra spezzata, ellittica e aperta. La stessa coralità si incontra anche in Paisà (1946), film composto da singoli episodi collegati da spezzoni di cinegiornale che ripercorrono l’avanzata degli Alleati dalla Sicilia al Po e l’evolversi del rapporto tra i soldati americani e la popolazione delle varie regioni d’Italia. Nonostante molte persone firmino il soggetto dei suoi film, Rossellini gira senza una vera sceneggiatura: la sua opera nasce sul set e dal set secondo un metodo che unisce rigore e spontaneità (il regista raccontava di rinunciare volentieri alle belle inquadrature, avendo a cuore tutt’altra esigenza espressiva).
Esordio del Neorealismo
Struttura narrativa Paisà
Metodo rosselliniano
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Fase intimista
La sua attitudine alla dissoluzione minimalista della drammaturgia tradizionale comincia col concentrare alcuni eventi e dilatarne altri oltre misura: si va dalle ellissi fulminee dell’ultimo episodio di Paisà alla lunga digressione che precede l’epilogo di Germania anno zero (1948), momento più cupo della seconda trilogia rosselliniana in cui sono ben visibili le macerie materiali e umane lasciate in eredità dal nazismo. In un altro momento di Paisà, l’episodio fiorentino, la rivelazione della sorte di Guido attesa con ansia da Harriett giunge nel modo più inaspettato, fortuito, e perciò più tremendo. Il Rossellini successivo a Germania anno zero si dedica a un nuovo realismo, più interiore e psicologico, mantenendo lo stesso approccio antiretorico e antispettacolare. ■ Vittorio De Sica
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De Sica dirige due capolavori del Neorealismo. Sciuscià (1946), scritto ancora insieme a Cesare Zavattini, è interpretato da due giovanissimi attori non professionisti, Rinaldo Smordoni e Franco Interlenghi, nel ruolo di lustrascarpe di strada. La storia si ispira a personaggi veri e a un reportage fotografico realizzato dallo stesso regista per le strade di Roma. Ladri di biciclette (1948) è il momento più riuscito dell’intesa tra De Sica e Zavattini, in particolare per il modo in cui la teoria zavattiniana del pedinamento – l’idea di filmare novanta minuti consecutivi della vita di un uomo seguendolo con la cinepresa al ritmo del suo passo – risulta rapportata al racconto e alla regia. La ricerca della propria bicicletta rubata durante il primo giorno di lavoro costringe Antonio Ricci con il figlioletto Bruno ad attraversare Roma e il suo microcosmo. Tra tappe obbligate e incontri fortuiti (casuale anche quello con il vero ladro, che non è tuttavia risolutivo), lo svolgersi del film è una sequenza di digressioni, di non azioni, di fatti che sembrano accidentali ma organizzano un sistema invisibile intorno al dramma e creano il senso profondo dell’opera mostrando come sia l’Italia del 1948 e, con più dolcezza, come un bambino e un padre imparino a camminare insieme. La scomparsa della messa in scena, dell’attore e del racconto e l’accidentalità degli episodi, che conservano la loro singolarità, sono il risultato di un lavoro congiunto di sceneggiatura e regia che rimane tra i più pregevoli non solo del Neorealismo ma di tutto il cinema italiano. Nonostante rispetti alla lettera le maggiori istanze del Neorealismo, La terra trema (1948) dimostra l’eccentrica irriducibilità della poetica viscontiana. Benché il programma sia appli-
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■ Luchino Visconti
Originalità della poetica viscontiana
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cato nel modo più radicale, e non solo nelle intenzioni didascaliche enunciate dalla voce narrante, il rifiuto del teatro di posa, gli attori non professionisti, la verità dei luoghi, il dialetto e l’oggettività che il Neorealismo richiede sono sublimati dalle idee e dallo stile di Visconti, il quale trae spunto da uno dei capolavori del Verismo letterario italiano, I Malavoglia di Gio- Spunto letterario vanni Verga. Del testo il regista milanese amava soprattutto il ritmo musicale, che cerca di esprimere nel film attraverso il dialogo e l’andamento cadenzato dei piani e della punteggiatura (in particolare le dissolvenze). Tutto ha un respiro più epico e teatrale rispetto ad altri film neorealisti: le lunghe inquadrature, i movimenti di macchina, persino il tono della voce narrante. Il risultato è una sintesi delle due anime di Vi- Le due anime sconti: il regista esteta amante del melodramma e l’intellettuale di Luchino Visconti impegnato (il film nasce in primis su commissione del PCI, ma viene terminato con altri fondi). ■ Giuseppe De Santis
Giuseppe De Santis (1917-1997) si schiera in favore di un cinema popolare che arrivi a un vasto pubblico, motivo per cui non rinnega ma anzi privilegia l’azione e lo spettacolo, come avviene in Caccia tragica (1946). In Riso amaro (1949) l’intento didascalico e alcune prerogative neorealistiche come la voce “over” di sapore documentario, l’ambientazione tra le risaie e la descrizione della vita delle mondine sono combinati a una storia d’appendice di azione e passioni, tra melodramma e giallo, recuperando anche il ruolo delle vedettes – nel film che lancia la carriera di Silvana Mangano i ruoli maschili sono di Vittorio Gassman e Raf Vallone – in funzione del messaggio sociale.
Il cinema popolare di Giuseppe De Santis Riso amaro
La crisi del Neorealismo I film neorealisti, in particolare Sciuscià e Ladri di biciclette di Vittorio de Sica, che si aggiudicano due Oscar, riscuotono un certo successo all’estero in un momento in cui l’Italia deve recuperare la simpatia e soprattutto la dignità e la credibilità perdute con il fascismo e la guerra. Tuttavia per lo stesso motivo nel nostro Paese vengono osteggiati: descrivono infatti senza mezzi termini le condizioni di miseria della maggior parte della popolazione italiana e li si accusa di diffondere un’immagine negativa della nazione. Sull’onda di queste sensazioni, la legge del 1949 dell’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giulio Andreotti, istituisce appositi fondi pubblici destinati ai film il cui soggetto
Successo internazionale
Critica nazionale
Legge del 1949
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sia approvato da una commissione statale. Per usufruire dei finanziamenti le case di produzione sottostanno a questa censura preventiva e abbandonano i soggetti sociali troppo difficili. Lo stesso Andreotti in una lettera aperta polemizza con De Sica e Zavattini in occasione dell’uscita di Umberto D., che racconta il dramma di un pensionato. Declino della La stagione dei film neorealisti dura fino al cambio tra i due destagione neorealista cenni. All’esaurimento artistico e alla trasformazione dei suoi stilemi in stereotipi si aggiunge il mutamento della situazione politica italiana. L’umanesimo espresso dai film ereditava i valori fondanti della Resistenza, gli stessi che hanno guidato la nascita della Repubblica e ispirato la nuova Costituzione. Quando nel 1948 il fronte delle forze antifasciste si spacca e Democrazia Cristiana e Partito Comunista corrono l’uno contro l’altro alle elezioni politiche, la stessa critica cinematografica come l’intera vita civile si polarizza tra la sfera marxista e quella cattolica: l’umanesimo dei film del Neorealismo si considera superato. Anni Cinquanta Negli anni Cinquanta il nuovo cinema italiano segue altre vie. e Neorealismo rosa Nasce il più edulcorato Neorealismo rosa e del Neorealismo puro rimangono tracce nella commedia di costume o nel linguaggio di alcuni autori.
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Teatro di regia Senso
Influenze artistiche e culturali
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Luchino Visconti Dopo aver dato l’impulso iniziale al Neorealismo con Ossessione e averlo elevato a un tono aulico in La terra trema, Luchino Visconti (1906-1976) raffigura il mondo del cinema visto da dietro le quinte in Bellissima (1951), avendo cura di sfatarne le tante chimere, tra cui gli stessi miti neorealisti. Mentre cerca nuove declinazioni per il realismo cinematografico, Visconti, insieme a Giorgio Strehler, pone le fondamenta del teatro di regia in Italia e rivoluziona l’allestimento dell’opera lirica. Questi molteplici interessi convergono nel suo cinema a partire da un film storico in costume che risulterà cruciale per il dibattito critico degli anni Cinquanta. Con Senso (1954) il cinema viscontiano si apre in via definitiva alla dialettica tra realismo e spettacolo, e inaugura un proficuo percorso di contaminazione che lo porta a confrontarsi con i grandi modelli romanzeschi, teatrali e operistici. Il regista può dispiegare tutta la sua vasta cultura scenica, letteraria e figurativa inscrivendo sia la storia con la s minuscola sia quella con la S maiuscola in una cornice sinfonica. L’orizzonte di Senso è occupato dal melodramma verdiano, dalla pittura romantica di Hayez e dal paesaggismo dei macchiaioli, dalla lettura critica del Risorgimento e da una nota di decadenza mitteleuropea portata dal
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personaggio di Franz Mahler. L’opera è salutata dai critici dell’epoca, in particolare da Guido Aristarco, come il segnale del «passaggio dal Neorealismo al Realismo». Un fenomeno sociale, l’emigrazione dal Meridione verso il Norditalia, ispira un altro capolavoro viscontiano. Rocco e i suoi fratelli (1960) attinge a diverse fonti letterarie – Testori, Dostoevskij – ma è soprattutto un poderoso dramma epico e corale in cinque atti, una moderna tragedia italiana che nello spirito richiama ancora il Verismo. I Parondi, come i Malavoglia, pagano il loro sfuggire a un’atavica vita di miseria con la disintegrazione del loro nucleo familiare; sullo sfondo, la Milano moderna alle soglie del boom economico. Il Gattopardo (1963) è un approfondimento del discorso di Senso, sia sulla critica del Risorgimento sia sul declino di quella classe aristocratica alla quale lo stesso regista appartiene. L’incontro cinematografico con la cultura tedesca è decisivo per tre film che segnano l’ultimo decennio della sua produzione, La caduta degli dei (1969), Morte a Venezia (1971) e Ludwig (1973), e precedono le sue ultime prove, Gruppo di famiglia in un interno (1974) e L’innocente (1976).
Critica
Rocco e i suoi fratelli
Trama
Il Gattopardo
Ultimi film
Roberto Rossellini Al compimento della trilogia neorealista Roberto Rossellini (1906-1977) fa seguire una svolta nei contenuti, interessandosi al tema della spiritualità e ai suoi connotati psicologici e sociali, ai dissidi interiori dell’individuo e al suo rapporto con una società ostile. Il suo messaggio è sempre veicolato da un’espressione neutra e non spettacolare attraverso i mezzi già noti: le ellissi, i tempi morti narrativi, gli intrecci dedrammatizzati e un approccio semidocumentaristico alla regia. Francesco giullare di Dio (1950) e Il miracolo (1948), uno dei due episodi di Amore – l’altro, La voce umana, è un monologo di Anna Magnani – mostrano due esempi di devozione mistica da parte di persone semplici (in Amore sempre la Magnani è una ragazza ritardata convinta di essere incinta del figlio di Dio) e una fede che si manifesta in un anticonformismo ai limiti della follia. Stromboli terra di Dio (1949) avvia il sodalizio professionale e sentimentale di Rossellini con Ingrid Bergman. I personaggi femminili interpretati dall’attrice svedese riscoprono la propria identità e i propri sentimenti per gradi attraverso una serie di tappe accidentali in cui incontrano luoghi o tradizioni estranee. Un momento rivelatore in Stromboli terra di Dio è la pesca del tonno: del rituale atavico Rossellini coglie l’at-
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Film per la televisione
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Nuovo stile per un intento più didattico
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Film più tormentato
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tesa cadenzata da una cantilena corale e rappresenta la mattanza attraverso una serie di immagini più serrata. In Viaggio in Italia (1953) una coppia di inglesi in crisi in vacanza a Napoli sentirà il bisogno di riavvicinarsi grazie a una serie di incontri con il paesaggio e la cultura locale, che Rossellini segue con l’abituale austerità documentaria. Per la critica francese la sua forma di film-saggio è un’autentica rivelazione. Europa ’51 (1951) è il film più tormentato e difficile di Rossellini (anche per via della censura): dopo la morte del figlio una donna borghese abbandona la famiglia per aiutare i diseredati, iniziando un percorso di santità laica prima che la sua famiglia la faccia internare in un manicomio. Nel 1959 Il generale Della Rovere, tratto da un soggetto di Indro Montanelli, vince ex aequo il Leone d’Oro a Venezia; il protagonista è Vittorio De Sica. India (1959) apre una nuova stagione dell’opera rosselliniana: anche lo stile è cambiato, si trovano più frequentemente carrellate e zoom (il regista in questo periodo sperimenta un nuovo obiettivo, il Pancinor), e il suo intento è divenuto principalmente didattico. Nascono i film-documentari storici per la televisione come Età del Ferro (1964), Atti degli Apostoli (1964), La presa del potere di Luigi XVI (1966; considerato l’apice del Rossellini televisivo), Socrate (1970) e Il Messia (1975), girati in lunghe inquadrature dominate dai dialoghi e da un’accurata ricostruzione storica a fini didascalici.
Vittorio De Sica Umberto D. Ultimi film neorealisti De Sica attore
Ultime prove di regia
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Vittorio De Sica (1901-1974) inizia gli anni Cinquanta dirigendo Miracolo a Milano (1951), una favola metropolitana. Il capolavoro tardoneoralista Umberto D. (1952) riafferma le ragioni poetiche del sodalizio con Zavattini grazie a una direzione e un racconto per immagini di grande rigore, impegno e forza drammatica. Dopo la commedia a episodi L’oro di Napoli (1954), De Sica e Zavattini con Il tetto (1956) riallacciano i legami con il Neorealismo, la cui stagione tuttavia volge al termine. In questi anni De Sica continua anche la sua carriera di attore: i suoi ruoli più importanti sono in Pane, amore e fantasia (1954) di Luigi Comencini e Il generale Della Rovere di Rossellini. La sua produzione di regista non toccherà più i vertici di Ladri di biciclette o Umberto D. Segnaliamo tuttavia La ciociara (1960), tratto dal romanzo omonimo di Alberto Moravia e valso l’Oscar come migliore attrice a Sofia Loren, i bozzetti di Ieri oggi domani (1963)eIl giardino dei Finzi Contini (1971),premiati entrambi con l’Oscar per il miglior film straniero.
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Michelangelo Antonioni Per il cinema di Michelangelo Antonioni (1912-2007) si può parlare di Postneorealismo, nella misura in cui l’autore ferrarese si avvale in maniera sempre più formalizzata e astratta della de-drammatizzazione dell’intreccio, del racconto per ellissi e lunghe digressioni e del ricorso significativo ai “tempi morti”. In Cronaca di un amore (1950) sono già caratteristici il pretesto giallo fatto decadere in favore dello studio dei personaggi, lo sguardo distaccato sulla borghesia – di cui è messa a nudo l’impasse emozionale –, la cura della composizione in profondità e dei movimenti della cinepresa e gli elaborati piani sequenza. In seguito a I vinti (1952), il momento più debole della sua filmografia, e attraverso La signora senza camelie (1952-1953), Le amiche (1955) e Il grido (1956-1957), utili per superare Neorealismo e ascendenza viscontiana, lo stile più ermetico di Michelangelo Antonioni e la sua fenomenologia esistenziale emergono all’inizio degli anni Sessanta nell’ideale trittico formato da L’avventura (1960), La notte (1961) e L’eclisse (1962). I tre film individuano quale tema di fondo la malattia dei sentimenti nel mondo contemporaneo. La manifestazione di una crisi e di un’incomunicabilità reciproca nel campo dei rapporti interpersonali è recepita soprattutto dalle donne: Antonioni infatti trasmette ai personaggi femminili una qualità ricettiva che li rende assai più interessanti dei loro omologhi maschili e perciò incaricati di mediare tra lo sguardo del regista e quello degli spettatori. Il contenuto del film è assorbito tutto nella forma, con la scansione in blocchi narrativi di lunga durata, il depotenziamento dei tradizionali punti forti di un dramma in favore di quelli considerati deboli, lo slittamento dell’attenzione su attese, silenzi e momenti epifanici spesso immotivati o inaspettati, ancorché legati alla presenza materiale, simbolica e figurativa di oggetti, paesaggi, architetture. Sull’eclissi della storia e del personaggio cresce per contrappunto l’importanza dell’ambiente – sul quale la cinepresa inopinatamente devia nei momenti più emotivi di L’avventura o il montaggio si sofferma in una piccola sinfonia figurativa nel preludio al finale di L’eclisse – spesso nell’ambito di quadri dal sapore astratto in cui la figura umana è assente o diventa essa stessa un elemento formale. Tipici di Antonioni sono: il prolungare la ripresa oltre l’esaurimento di un’azione per indugiare sul campo vuoto o cogliere quei gesti degli attori al di fuori della finzione che egli considera rivelatori della condizione dei personaggi – in cerca dei quali continuava a filmare i suoi interpreti dopo aver dato il segnale
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Punti fermi del cinema di Antonioni
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di “stop”–; la rara ma significativa infrazione alla regola dei 180° nella dialettica degli sguardi e la rarefazione-dissoluzione del commento musicale classico. Monica Vitti è l’interprete prediletta nella prima metà degli anni Sessanta ed è anche la protagonista del primo film a colori del regista, Il deserto rosso (1964), in cui le tinte volutamente stilizzate, le sfocature del telobiettivo e l’uso snervante di rumori e musica dipingono la psicosi di una donna incapace di connettersi con la realtà. L’esperienza del regista si radicalizza nei suoi lavori all’estero, entrando a pieno titolo nel filone autoriflessivo con Blow-Up (1966), che accompagna la messa a nudo della reificazione insita nella cultura di massa con una radicale messa in discussione del rapporto realtà/immagine. Dalla riproducibilità tecnica del reale gli interrogativi linguistici si spostano sull’identità dell’individuo nel film di “avventura intimista” Professione: reporter (1974), preceduto da Zabriskie Point (1970), dedicato alla contestazione studentesca negli Stati Uniti ma mediato dagli interessi formali e dai riflessi esistenziali di Antonioni assai più che da un discorso politico, e dall’interessante parentesi documentaria di Chung-Kuo China (1972). Dopo Il mistero di Oberwald (1981), nel quale si cimenta per la prima volta con le telecamere e il video, e il ritorno alla pellicola in Identificazione di una donna (1982), le precarie condizioni di salute dovute a un ictus rallentano l’attività di Antonioni ma non la fermano del tutto: nel 1995, assistito da Wim Wenders, riesce a dirigere il film a episodi Al di là delle nuvole. Le sue ultime due opere sono un documentario sul Mosè di Michelangelo Buonarroti e l’episodio (molto sotto tono) Il filo pericoloso delle cose contenuto in Eros (2004).
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Film all’estero
Ultimi film
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Attrice prediletta
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I vitelloni
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Federico Fellini (1920-1993) debutta nel mondo del cinema come sceneggiatore di Roma città aperta e Paisà (per il quale dirige anche un episodio). Per Rossellini sarà inoltre attore in Il miracolo. La prima regia la condivide con Alberto Lattuada: Luci del varietà (1950). Il vero debutto da regista è Lo sceicco bianco (1952): Alberto Sordi interpreta un divo di fotoromanzi che seduce una giovane sposina. I vitelloni (1953), ispirato alla vita nella sua città natale, Rimini, segna il primo successo di rilievo di Fellini ma soprattutto il vero inizio della sua poetica. I cinque vitelloni, giovani
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provinciali incapaci di crescere, e Gelsomina, interpretata da Giulietta Masina come prostituta dal cuore d’oro in Le notti di Cabiria (1957), sono le prime figure di una galleria di personaggi che creeranno una mitologia personale, un immaginario inconfondibile nel quale i ricordi biografici, il simbolismo poetico e i richiami al proprio inconscio si fondono grazie a una fantasia creativa inesauribile e a una straordinaria capacità di affabulazione per immagini. Una vena elegiaca affiora in La strada (1954), una storia commovente in cui il Neorealismo trascolora nella fiaba. La dolce vita (1960) scatena le ire dei cattolici per il soggetto audace, ma diventa subito un film di culto e un fenomeno di costume in tutto il mondo (il nome di uno dei personaggi, Paparazzo, è oggi termine d’uso corrente per indicare i fotografi scandalistici; il titolo stesso della pellicola è diventato proverbiale). Le peregrinazioni del giornalista Marcello (Marcello Mastroianni) nella mondanità della Roma bene e tra i nuovi vip della capitale permettono di allestire scene memorabili come il bagno di Anita Ekberg nella fontana di Trevi, diventato un’icona dell’epoca, e di comporre un quadro d’insieme che va oltre la superficie scandalistica e lascia filtrare un pessimismo di fondo dove la disperazione assume tratti grotteschi. 8 ½ (1963) è senza dubbio il film più complesso di Fellini e un’opera cardine del cinema moderno, in cui autoriflessione, onirismo epsicanalisi si specchiano in unacostruzionenarrativa tortuosa (in cui si mescolano sogni, cinema e realtà) ma guidata da un’incredibile forza immaginifica. Giulietta degli spiriti (1965) ricalca 8 ½, però su un personaggio femminile, Giulietta Masina, ed è oggetto di critiche contrastanti. La visionarietà di Fellini si misura nel 1969 con un adattamento per lo schermo dell’opera di Petronio: il risultato è Fellini Satyricon, un film alterno ma non privo di invenzioni. Tra i film degli anni Settanta spicca Amarcord (1973), autobiografia fantasticamente trasfigurata. In Il Casanova di Federico Fellini (1976) sceglie di trattare freddamente il personaggio, da lui non amato, dandone un’interpretazione personale, e soprattutto facendolo circondare da un mondo femminile grottesco e minaccioso che ritroviamo, unito alla debolezza del protagonista maschile, in La città delle donne (1979), film molto criticato ma anche molto personale. Nel frattempo esce Prova d’orchestra (1978), che sembra simboleggiare la situazione sociale italiana contemporanea. Ugualmente allegorico E la nave va (1983). Nel 1986 Ginger e Fred prende le distanze dal volgare mondo della televisione; l’opera successiva è il film-documento
Titolo
Personaggi felliniani
La strada La dolce vita
Trama
8½
Giulietta degli spiriti
Fellini Satyricon Film degli anni Settanta
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1 - L’Italia nel dopoguerra: Neorealismo e cinema d’autore
L’ultimo film
autobiografico Intervista (1987). L’ultimo film di Fellini, La voce della luna (1990), è un elogio aperto della follia e un altro ritratto satirico dell’Italia degli anni Ottanta, già bersaglio di Ginger e Fred.
Il panorama italiano
Luigi Comencini
Luciano Emmer
Giuseppe De Santis
Alberto Lattuada
Luigi Zampa
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Carlo Lizzani
Accanto alla produzione neorealista e d’autore si sviluppano in Italia altri filoni, dal melodramma con Catene (1949) di Raffaello Matarazzo al film storico con Fabiola (1949) di Alessandro Blasetti, dal peplum con Le fatiche di Ercole (1958) di Pietro Francisci alla commedia popolare con Pane, amore e fantasia (1953) di Luigi Comencini e Poveri ma belli (1956) di Dino Risi. Carlo Lizzani esordisce nel 1951 con un film sulla Resistenza a Genova, Acthung! Banditi! (1951), per esplorare momenti del passato fascista in Cronache di poveri amanti (1954) e Il processo di Verona (1963) e quindi dedicarsi a pellicole di genere. Luigi Comencini (1916) dopo il primo grande successo di Pane, amore e fantasia, capostipite del filone detto “Neorealismo rosa”, gira il sequel Pane, amore e gelosia (1954). Nella sua carriera spiccano ancora La ragazza di Bube (1963), dall’omonimo romanzo di Carlo Cassola, Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano (1969) e la commedia nera Lo scopone scientifico (1972). Luciano Emmer (1918) è attivo già dalla fine degli anni Trenta e ha alle spalle un’interessante carriera di documentarista d’arte. Domenica d’agosto (1950) inaugura il suo fortunato ciclo di commedie di costume. Emmer, che adotta volentieri una struttura a episodi, sa cogliere con abilità le mutazioni in atto tra gli Italiani. Giuseppe De Santis continua la sua ricerca tra realismo e modelli popolari in Non c’è pace tra gli ulivi (1950), Roma ore 11 (1952) e Uomini e lupi (1956); lasciato ai margini dal pubblico e dalla critica, nel 1964 rievocherà la tragedia della campagna di Russia in Italiani brava gente. Con Il cappotto (1952) Alberto Lattuada realizza la sua opera più nota; negli anni successivi si guadagna l’appellativo di “regista delle donne” per i suoi intensi ritratti femminili e finisce col privilegiare la produzione erotica. Tra critica sociale e satira di costume si muovono Processo alla città (1952), Anni facili (1953) e L’arte di arrangiarsi (1954) di Luigi Zampa (con cui collabora come sceneggiatore Vitaliano Brancati), già titolare di L’onorevole Angelina (1947) e più tardi dedito alla commedia satirica.
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Filoni paralleli al Neorealismo
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1 - L’Italia nel dopoguerra: Neorealismo e cinema d’autore
Con Pasolini e Moravia lavora Mauro Bolognini (1922-2001) partito dalla commedia brillante per dedicarsi a soggetti drammatici: segnaliamo Il bell’Antonio (1960), adattamento del romanzo di Vitaliano Brancati. Nel cinema comico eccelle la figura di Totò (1898-1967), di cui ricordiamo tra i molti film Siamo uomini o caporali (1955) di Camillo Mastrocinque; è Stefano Vanzina “Steno” (1915-1998), dopo Guardie e ladri (1951) – diretto insieme a Monicelli e interpretato dallo stesso Totò e da Aldo Fabrizi –, a dirigere un altro classico, Un americano a Roma (1954), trampolino di lancio definitivo per la già promettente carriera di Alberto Sordi. Con I soliti ignoti (1958) e La grande guerra (1959) Mario Monicelli (1915) pone due pilastri della commedia all’italiana, cui contribuirà con altri storici capitoli quali L’Armata Brancaleone (1966) e un classico popolare come Amici miei (1975). Pietro Germi (1914-1974), pur avendo esordito alla fine degli anni Quaranta, è meno debitore verso il Neorealismo di quanto non lo sia verso western (in particolare John Ford), noir e film di gangster americani adattati a tematiche italiane. Negli anni Cinquanta si dedica a pellicole sociali – Il ferroviere (1956) e L’uomo di paglia (1958) – e alla versione filmica di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda, ovvero Un maledetto imbroglio (1959), mentre negli anni Sessanta con Divorzio all’italiana (1961), Sedotta e abbandonata (1964) e Signore e signori (1965) si dimostra uno dei migliori interpreti della commedia all’italiana.
Mauro Bolognini Cinema comico Steno
Mario Monicelli
Pietro Germi
SCHEMA RIASSUNTIVO Il Neorealismo, la cui esperienza si sviluppa nell’immediato secondo dopoguerra e si va esaurendo tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, segna una svolta storica nel cinema italiano e mondiale. Le opere di Roberto Rossellini, Luchino Visconti, Vittorio De Sica e altri registi che ne seguono la scia modificano profondamente le strutture del racconto e della messa in scena partendo da una significativa aderenza ai dati della realtà; le riprese in esterni, il ricorso ad attori non professionisti, il taglio delle storie, molto più vicine all’esperienza quotidiana che non alla drammaturgia tradizionale, e in genere la rottura dei canoni rappresentativi e narrativi di matrice classica e hollywoodiana, aprono le prime porte al cinema moderno.
ANNI CINQUANTA
Esaurita, per ragioni non solo artistiche, la spinta del Neorealismo, i suoi maggiori artefici coltivano un percorso individuale e affermano una propria poetica (è il caso di Visconti e di Rossellini); nel contempo emergono due autori di grande rilievo: Michelangelo Antonioni e Federico Fellini, entrambi fondamentali per la storia del nostro cinema. Il panorama italiano del dopoguerra e degli anni Cinquanta è ricchissimo anche nell’ambito dei generi popolari, che vede lo sviluppo di nuove tendenze (soprattutto nella commedia) e la ripresa di vecchi temi (melodrammi e film in costume).
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NEOREALISMO
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2 L’Europa nel dopoguerra La fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta in Europa si distinguono per la rinascita di alcune cinematografie, e soprattutto per la diffusione del cinema d’arte o di quello che oggi è più comunemente definito “cinema d’autore”, segnato cioè dalla personalità e dallo stile del regista.
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Jean Renoir e Marcel Carné
Francia
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In Francia gli anni Cinquanta vedono ancora all’opera Jean Renoir e Marcel Carné, oltre a René Clair. Il secondo non è più all’altezza dei suoi capolavori. Renoir non tocca i vertici degli anni Trenta, ma Il fiume (The River, 1951), sua prima pellicola a colori, e La carrozza d’oro (1952) non deludono i suoi ammiratori; in omaggio a quest’ultimo film François Truffaut chiamerà la sua casa di produzione Les films du Carrosse. Entrambi sono lavori girati all’estero (Il fiume in India, La carrozza d’oro in Italia, anche se l’ambientazione della storia sarebbe peruviana), mentre il ritorno in Francia prelude a una produzione più leggera fino al guizzo di Il testamento del mostro (Le testament du docteur Cordelier, 1961), ispirato alla letteratura del doppio (Goethe, Stevenson) e girato con cineprese multiple, una tecnica mutuata dalla TV che si farà largo sempre più nel cinema (un suo maestro in Giappone è Akira Kurosawa). René Clair Il film più apprezzato di René Clair nel secondo dopoguerra è Il silenzio è d’oro (Le silence est d’or, 1947), una parabola agrodolce e autobiografica che rievoca il cinema muto. Jacques Becker Tra i nuovi registi è importante la presenza di Jacques Becker, migliore allievo di Jean Renoir, che dirige Simone Signoret in Casco d’oro (Casque d’or, 1952) e Jean Gabin in Grisbi (Touchez pas au Grisbi, 1954). Importante Il buco (Le trou, 1960). Henri-Georges Il polemico Henri-Georges Clouzot, riabilitatosi dall’accusa di Clouzot collaborazionismo, ottiene vasta eco con I diabolici (Les diaboliques, 1954), una bieca storia di tradimento e omicidio sullo sfondo della perfida provincia già descritta in Il corvo. Negli anni del dopoguerra la produzione francese di punta Caratteristiche appartiene al “cinema di qualità”. Il film della tradizione di del cinema di qualità qualità francese degli anni Cinquanta si avvale dell’opera di abili sceneggiatori come Jean Aurenche, Pierre Bost e Charles Spaak, di solito tratta un soggetto letterario e non può prescindere dalla presenza di attori famosi e da sofisticati apparati tecnici e scenografici. Aurenche e Bost sceneggiano
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2 - L’Europa nel dopoguerra
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soprattutto film tratti da romanzi celebri: tra i più significativi Film più significativi Il diavolo in corpo (Le diable au corps, 1947) di Claude AutantLara e Giochi proibiti (Jeux interdits, 1951) di René Clement. Spaak lavora con André Cayatte, regista di drammi sociali: ricordiamo Giustizia è fatta (Justice est faite, 1950) e Siamo tutti assassini (Nous sommes tous des assassins, 1952).
■ Max Ophüls
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Esordi
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Linguaggio
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Il più importante autore del cinema francese degli anni Cinquanta è Robert Bresson (1907-1999). Esordiente durante l’occupazione, in La conversa di Belfort (Les anges du péché, 1944) e Perfidia (Les dames du Bois de Boulogne, 1944) mostra subito la sua inclinazione maggiore: l’etica della messa in scena. Un discorso nettamente spirituale, quello del regista, che si esprime nel tentativo di creare il soprannaturale partendo dal reale; lo scavo interiore del Diario di un curato di campagna (Le journal d’un curé de campagne, 1950) si esprime attraverso il linguaggio dei volti e delle cose. Un condannato a morte è fuggito (Un condamné à mort s’est échappé, 1956) nel suo sostanziale realismo evoca il mistero della grazia, fondamentale nella riflessione esistenziale di Bresson (ispirata dal giansenismo). Il linguaggio bressoniano è composto soprattutto di dettagli e piani ravvicinati, trattati come frammenti di realtà giustapposti in una messa in scena spoglia e austera. Bresson usa raramente i piani di ambientazione, preferendo servirsi in loro vece del suono, e predilige una recitazione contenuta. In Pickpocket (1959), storia di un ladro per vizio redento dall’amore di una donna, la scena dei furti alla Gare de Lyon demanda a dettagli concreti che pongono l’attenzione sugli oggetti per comunicare le sensazioni del protagonista. In Au hasard Balthazar (1966) la linearità del racconto cede a una composizione in parallelo di più storie legate alla presenza di un asino, il cui sguardo puro permette di cogliere il male, un’altra tematica chiave per capire l’opera di questo regista. Un’innocente, anche lei vittima designata, è la protagonista di Mouchette – Tutta la vita in una notte (Mouchette, 1967). Negli ultimi film la riflessione di Bresson si fa più amara e tragica, soprattutto in Il diavolo probabilmente... (Le diable probablement, 1977) e in L’argent (1983), le due opere che chiudono la carriera del regista francese.
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■ Robert Bresson
Ophüls torna in Francia nel 1950 dopo un periodo trascorso a Produzione Hollywood, dove tra altri film ha realizzato Lettera da una hollywoodiana sconosciuta (Letter from an Unknown Woman, 1948), La 123
2 - L’Europa nel dopoguerra
Lettera da una sconosciuta
Tecnica
Stile
ronde – Il piacere e l’amore (La ronde, 1950), Il piacere (Le plaisir, 1952) e I gioielli di Madame de... (Madame de..., 1953). Lettera da una sconosciuta mostra tutta la predilezione di Ophüls per le storie passionali e melodrammatiche – una donna che sta per morire invia all’uomo da cui ha avuto un figlio una lettera in cui rievoca il loro amore – con un intreccio narrativo sofisticato, e soprattutto sfrutta le possibilità dell’apparato di Hollywood per sviluppare ulteriormente la tecnica prediletta del regista, basata sul movimento a planare del dolly, sulle lunghe carrellate e sulle altre movenze aeree e fluidamente trasversali di una macchina vaporosa e agilissima. Uno stile che deriva alla lunga dalla entfesselte Camera del cinema muto tedesco. Nei film di Ophüls, volutamente artificiosi e girati in studio scoprendo complessi set che non nascondono elementi teatrali, i fatti della vita (soprattutto sentimentali, in bilico tra seduzione, erotismo e amore romantico, con un efficace gioco di sostituzioni metaforiche nei momenti più allusivi) sono presentati come spettacolo, spesso illustrati per il pubblico dalla presenza di un narratore su un palcoscenico che si rivolge direttamente agli spettatori, e da anticipazioni di quei procedimenti riflessivi o metafilmici poi trasformati in un diverso disegno da Resnais, Godard e Kubrick.
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JEAN COCTEAU
Scrittore, poeta, romanziere e drammaturgo, oltre che pittore e disegnatore, una delle figure più eclettiche e originali della cultura francese del XX secolo, Jean Cocteau (1889-1963), è anche un autore di cinema. La sua unica esperienza fino al secondo dopoguerra è Le sang d’un poete (Il sangue di un poeta, 1930), film d’avanguardia realizzato su commissione: è un discorso per immagini principalmente autobiografico e legato alla propria multiforme attività artistica da un sottile gioco di simboli visivi. Dopo aver lavorato come dialoghista e sceneggiatore, Cocteau torna a dirigere film nel 1946 con La bella e la bestia (La belle et la bête). L’aquila a due teste (L’aigle à deux têtes, 1947) e I parenti terribili (Les pa-
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rents terribles, 1948) sono tratti da due sue pièces teatrali. Orfeo (Orphée, 1950) è una rilettura contemporanea del mito realizzata con procedimenti suggestivi che rimandano alle esperienze dell’avanguardia. Il testamento di Orfeo (Le testament d’Orphée, 1960) è soprattutto una riflessione dell’artista intorno al proprio immaginario, alla propria poetica e alla propria filosofia. Cocteau appare nel film come attore e personaggio insieme al compagno Jean Marais, interprete di tutte le sue pellicole più importanti del dopoguerra. Con il suo cinema di poesia Cocteau anticipa le correnti antinarrative e riflessive del cinema degli anni Sessanta (più di una sua eco si può trovare nei primi film di Alain Resnais).
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In Lola Montès (1955), suo ultimo lavoro, la vita della Ultima regia protagonista è presentata al circo come un numero in cui si rivedono episodi del suo passato. Il film è l’apoteosi della sua concezione scenica rétro, del suo cosmopolitismo culturale e della sua regia, in cui spiccano le morbide acrobazie, i travellings sinuosi e i movimenti circolari e fascianti della cinepresa. Jacques Tati (1909-1982) riprende il percorso del cinema comico da dove si era fermato con il decadere della slapstick comedy e ne fa un’arma straordinariamente moderna di osservazione e satira sociale. Nel 1949 con Giorno di festa (Jour de fete), in cui interpreta il postino di un paese di campagna, pone le premesse per la sua futura maschera: monsieur Hulot, un uomo sempre silenzioso, impacciato, con alcuni attributi visivi riconoscibili (il cappello, la pipa, l’impermeabile, i calzoni troppo corti), comicamente e gioiosamente incapace di adattarsi alla vita contemporanea. Le vacanze di Monsieur Hulot (Les vacances de Monsieur Hulot, 1953) lo mostrano travolgere con la sua goffaggine la vacanza dei villeggianti borghesi. Hulot è il baluardo stralunato di un mondo a misura d’uomo nel pieno avanzare della modernità. Così è anche in Mio zio (Mon oncle, 1958) nel quale conquista l’affetto del nipote costretto a vivere in un mondo tecnologico e iper-funzionale. La ricetta personale di Tati è la ripresa da lunga distanza: le sue gag si situano in campi lunghi e si delineano soprattutto con i rumori. In mancanza di un montaggio è il piano acustico a concentrare l’attenzione sui punti salienti di immagini ampie e gremite, non sempre leggibili a prima vista. La visione definitiva del mondo moderno si materializza in Playtime (1967) per il quale Tati adotta il formato 70 mm e fa costruire dagli scenografi un’intera città, Tativille. Il suo apice artistico coincide con il tracollo economico della sua impresa: Tati è solito realizzare film in tempi lunghissimi facendo molte prove, e l’enorme esborso complessivo per la lavorazione non è ricompensato da un equivalente successo di pubblico. Con il suo ultimo film Monsieur Hulot nel caos del traffico (Trafic, 1971) Tati si congeda dal cinema (girerà solo un altro film per la TV) mostrando il traffico congestionato, circolare e senza senso di una metropoli.
Il cinema comico di Tati
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■ Jacques Tati
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■ Jean-Pierre Melville
Nel 1947 Jean-Pierre Melville (1917-1973) gira, autoproducendolo, Il silenzio del mare (Le silence de la mer), af- Il silenzio del mare fascinante non solo grazie all’insolito soggetto – un ufficiale 125
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I figli terribili
Rilettura del gangster movie
tedesco colto e tutt’altro che ottuso tenta di dialogare con la famiglia francese di cui è ospite, che ne ignora la presenza non rivolgendogli la parola – ma in virtù di un stile contegnoso e rarefatto contraddistinto dalla presenza puntuale della voce narrante che legge brani del romanzo di origine. Nel 1950 si dedica a una traduzione per lo schermo di I figli terribili (Les Enfants Terribles) di Cocteau che non nasconde la natura teatrale del testo, così come Il silenzio del mare esibiva la propria origine letteraria. La vera cifra di Melville negli anni Cinquanta diventa la rilettura del genere gangster all’americana, da Bob il giocatore (Bob le flambeur, 1955) fino a Frank Costello faccia d’angelo (Le samouraï, 1967); un ambito nel quale introduce con la sua tecnica un tipo di realismo non accademico. Dopo il 1959 soluzioni come la macchina a mano e la luce naturale saranno all’ordine del giorno.
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Carol Reed Il terzo uomo
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Il cinema britannico entra in una delle sue fasi più vive. Mentre la tradizione è rappresentata al meglio da Laurence Olivier, che nel doppio ruolo di primo attore e regista porta sullo schermo i capolavori di Shakespeare, altri registi lasciano il segno con le loro novità. Michael Powell (1905-1990) e il suo collega ungherese Emeric Pressburger (1902-1988) mostrano una via possibile all’uso del colore in funzione psicologica e onirica in Scala al paradiso (A Matter of Life and Death, 1946), Narciso nero (Black Narcissus, 1957) e Scarpette rosse (The Red Shoes, 1948), mentre è del solo Michael Powell L’occhio che uccide (Peeping Tom, 1960), originale thriller autoriflessivo che ha in Martin Scorsese il suo più illustre fan. A dare peso internazionale al cinema d’oltremanica contribuisce Carol Reed (1906-1976), regista di Il fuggiasco (Odd Man Out, 1947) e, soprattutto, Il terzo uomo (The Third Man, 1949), film cupo sul secondo dopoguerra sceneggiato da Graham Greene: i suoi momenti più pregevoli rimangono l’inseguimento finale in un tunnel, di tono espressionista, ma soprattutto l’apparizione di un luciferino Orson Welles, passata alla storia anche in virtù di una battuta memorabile – oltre che sbagliata – sulla Svizzera: «In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto guerre, terrore, assassini, massacri e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, 500 anni di pace e democrazia, e cos’hanno prodotto? L’orologio a cucù». L’orologio a cucù in realtà è originario della Selva Nera.
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2 - L’Europa nel dopoguerra
I Paesi dell’Est
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David Lean, rivelato da Breve incontro (Brief Encounter, David Lean 1945) – il cui soggetto è una commedia di Noel Coward – si distinguerà poi come regista di kolossal spettacolari come Il ponte sul fiume Kwai (The Bridge on the River Kwai, 1957), Lawrence d’Arabia (Lawrence of Arabia, 1962) e Il dottor Zivago (Doctor Zhivago, 1965). Un mostro sacro della recitazione inglese, Alec Guinness, è l’interprete di due delle più note commedie del periodo: L’in- Commedie credibile avventura di Mr. Holland (The Lavender Hill Mob, 1951) di Charles Crichton e Sangue blu (Kind Hearts and Coronets, 1949) di Robert Hamer, dove interpreta ben otto personaggi (tra cui una donna). Altre celebri commedie inglesi del dopoguerra sono Passaporto per Pimlico (Passport to Pimlico, 1949) di Henry Cornelius e La signora omicidi (The Ladykillers, 1955) – oggetto anche di un remake dei fratelli Coen – di Alexander Mackendrick.
In URSS, dopo l’ultimo decennio di stalinismo, nel 1953 con la morte del capo supremo può avere luogo la (blanda) revisione critica del periodo e definirsi superata la linea più che obsoleta dell’ottimismo programmatico e dell’eroismo realsocialista. La pellicola più importante per la cinematografia del disgelo è Quando volano le cicogne (Lejayt žuravli, 1957) di Mikhail Kalazatov, Palma d’Oro al Festival di Cannes del 1958, a cui si accompagna La ballata di un soldato (Ballada o soldate, 1958) di Grigorij Cˇukhraj. Sono drammi di guerra che mostrano un volto più umano del realismo socialista. Le altre cinematografie dei Paesi dell’Est già dopo la fine del conflitto mostrano segni di risveglio sul piano produttivo come su quello artistico: succede in Ungheria, in Cecoslovacchia e soprattutto in Polonia. Nel 1947 nasce a´ L ód´z un’importante scuola da cui usciranno i maggiori talenti del decennio successivo. Le prime figure di rilievo sono quelle di Alexander Ford, Jerzy Kawalerowicz (1922-2007), premiato alla Mostra di Venezia con Il treno nella notte (Pociag, 1959), e Andrzej Munk (1920-1961): i suoi Un uomo sui binari (Czlowiek na torze, 1957) ed Eroica (1957) demistificano il presente e il recente passato del suo Paese. Concluso solo nel 1969 da Witold Lezievicz, dopo la morte del regista, scomparso in un incidente, La passeggera (Pasazerka, 1961) è il film più noto di Munk. Il maggiore rappresentante della nuova scuola polacca è però Andrzej Wajda (1926). La sua trilogia resistenziale composta da Generazione (Pokolenie, 1955), I dannati di Varsavia
Fine dello stalinismo
Quando volano le cicogne
Nuova cinematografia polacca
La trilogia di Andrzej Wajda 127
2 - L’Europa nel dopoguerra
(Kanal, 1957) e Cenere e diamanti (Popiól i diament, 1958) prepara il terreno all’ondata degli anni Sessanta. La poetica di Wajda descrive una lotta non eroica nel senso retorico del termine, compiuta in nome degli ideali – spesso da resistenti non di ispirazione comunista come nel caso di Cenere e diamanti –, ma che ha come unico sbocco un sacrificio tragico e senza scopo. Mentre il suo pessimismo esistenziale adombra una matrice romantica, il realismo di Wajda è arricchito da spunti visionari e da scene di forte impatto simbolico: un personaggio di Generazione si suicida precipitando nella tromba delle scale in un vortice di linee astratte che simboleggia il baratro di un’intera generazione.
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Poetica
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Spagna Registi del periodo franchista
■ Luis Buñuel
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Cattolicesimo e borghesia i temi prediletti
Buñuel (1900-1983) lascia la Spagna negli anni Trenta dopo aver diretto Las Hurdes (1932). Lavora tra Messico e Stati Uniti in occupazioni secondarie senza dirigere film fino al 1951, l’anno di I figli della violenza (Los olvidados). La storia di alcuni ragazzi di strada nella periferia di Città del Messico può far pensare al Neorealismo, ma il tono della pellicola è più satirico, dissacrante e feroce. Buñuel non rinuncia a spruzzare di vernice surrealista le scene girate in esterni – l’apparizione di una gallina durante il pestaggio di un vecchio cieco – e apre squarci onirici all’interno della narrazione; ma l’incubo in questo film è assolutamente reale, come ci mostrano le ultime scene. In Él (1952), Estasi di un delitto (Ensayo de un crimen, 1955) e Nazarín (1958) il regista spagnolo si concentra sui suoi nemici di sempre: il cattolicesimo e la borghesia. Lo stesso connubio tra satira di classe e satira anticlericale si trova in Viri-
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I figli della violenza
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Qualcosa si muove anche nella Spagna franchista. Gli studenti della scuola di cinema entrano infatti in contatto con i film neorealisti, sconosciuti invece al pubblico. I più attivi sono Luis Garcia Berlanga (1921) e Juan Antonio Bardem (1922-2002). Bardem scrive per la regia di Berlanga Benvenuto Mr. Marshall (Bienvenido Mr. Marshall, 1952), una favola satirica che ironizza sugli Stati Uniti e sugli stereotipi del folclore spagnolo. Un tono più sprezzante hanno i film di Bardem regista: Gli egoisti (Muerte de un ciclista, 1955) sembra ispirarsi al cinema di Michelangelo Antonioni, mentre Calle Mayor (1956) è stato accostato a I vitelloni (1953) per il suo ritratto della provincia spagnola, privo però della bonaria comprensione che permeava il film di Fellini.
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diana (1961), il film che segna il suo (occasionale) ritorno in Spagna. È la storia di una giovane novizia e della sua disillusione sulla carità cristiana, una sfida aperta alla censura franchista; si vede tutto il gusto dissacrante di Buñuel quando i mendicanti che Viridiana ha accolto e mantiene nella grande proprietà ereditata dallo zio si mettono in posa e recitano una parodia del Cenacolo di Leonardo da Vinci, mentre banchettano saccheggiando la casa del ricco zio, il quale si era tra l’altro suicidato dopo aver tentato di abusare della nipote. In L’angelo sterminatore (El angel exterminador, 1962), girato ancora in Messico, l’anormalità della situazione in cui si viene misteriosamente a trovare un gruppo di amici borghesi – padroni di casa e ospiti convenuti dopo uno spettacolo si scoprono incapaci di uscire dal salone per giorni, mentre nella casa si manifestano strane apparizioni di animali – scatena un ginepraio di rancori e meschinità reciproche che l’occhio di Buñuel coglie in uno dei suoi capolavori più graffianti e beffardi. Non sono da meno, ma più concentrati sulle ossessioni sessuali, Diario di una cameriera (Le journal d’une femme de chambre, 1963) e Bella di giorno (Belle de jour, 1967), nel quale una donna borghese insoddisfatta del suo matrimonio cerca di appagare i suoi desideri e le sue fantasie prostituendosi tutti i pomeriggi. Buñuel rende ancora una volta intercambiabili le coordinate di realtà e sogno. Undici anni dopo L’angelo sterminatore, in Il fascino discreto della borghesia (Le charme discret de la bourgeoisie, 1972) si ritrova la stessa ritualità di una classe giudicata inane e senza senso inscritta in un’altra situazione assurda: i continui incontri a cena o al ristorante tra due coppie non vanno mai a buon fine per i motivi più grotteschi. La trama si regge ancora sul filo di congiunture improbabili tra elementi di realtà e immaginazione, riproponendo il noto e proverbiale sarcasmo di Buñuel nel rompere con la verosimiglianza narrativa ai fini di un caustico commento sociale. In Quell’oscuro oggetto del desiderio (Cet obscur objet du désir, 1977) il regista spagnolo attacca ancora una volta la morale borghese – un ricco vedovo si invaghisce fatalmente di una diciottenne – e le convenzioni cinematografiche: lo stesso ruolo è interpretato da due attrici, le scene sono ancora irrisolte.
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Il ritorno in Spagna
L’angelo sterminatore
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Diario di una cameriera e Bella di giorno
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Il fascino discreto della borghesia
Ultimo attacco alla morale borghese
Svezia Il cinema svedese, che dopo i fasti degli anni Dieci non ha Rinascita più conosciuto la ribalta internazionale, risolleva le sue sorti del cinema svedese soprattutto grazie a due autori, alfieri della sua rinascita arti129
Alf Sjöberg
Titolo concesso in licenza a PARIDE VIT
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stica: Alf Sjöberg (1903-1980) e soprattutto Ingmar Bergman. Sjöberg, regista teatrale e cinematografico, negli anni Quaranta dirige Strada di ferro (Himlaspelet, 1942) e Spasimo (Hets, 1943, scritto dal giovane Bergman), i suoi lavori più apprezzati insieme a La notte del piacere (Fröken Julie, 1951), tratto dal dramma di August Strindberg La signorina Giulia. Alcuni suoi stilemi quali l’ascendenza stindberghiana e la fusione tra Naturalismo, Simbolismo ed Espressionismo si ritrovano nell’opera di Bergman. ■ Ingmar Bergman
Allievo di Sjöberg
A partire dagli anni Cinquanta Bergman (1918-2007) supera il suo maestro Sjöberg e si colloca tra i grandi autori del panorama internazionale. Il primo film in cui, per sua stessa ammisEsordio sione, si esprime in maniera compiuta è Un’estate d’amore (Sommarlek, 1951). Meno originale delle opere successive, eTemi ricorrenti sprime già alcuni assunti caratteristici come il rimpianto per una stagione breve, intensa e irripetibile come l’estate – un tema tipico del cinema svedese: dello stesso anno è Ha ballato una sola estate (Hon dansade en sommar) di Arne Mattsson – a cui corrisponde la purezza dell’amore giovanile, immune dai compromessi dell’età adulta, e, accanto ad esso, il tema della maschera – la persona del teatro e dell’esistenza reale –, motivo caro a Bergman e conseguenza del confronto tra finzione e verità, e quindi tra vita e arte. I temi delle pellicole bergmaniane sono profondamente soggettivi e autobiografici, ma toccano sfere universali: incubi, ansie, ossessioni e angosce proprie del regista rispecchiano nichilismo, solitudine e crisi dell’uomo moderno. Lo Stile stile delle sue immagini lo acclama erede dei connazionali Stiller e Sjöström come dei più raffinati registi dell’Espressionismo tedesco. La fotografia alterna infatti la profondità di campo naturale in esterni, protesa verso l’orizzonte infinito dei magnifici paesaggi svedesi, alla plasticità teatrale delle luci d’interni e agli espressionistici giochi d’ombra. Monica e il desiderio Monica e il desiderio (Sommaren med Monika, 1953) è un paradigma per il futuro cinema giovane; Godard e Truffaut rimarranno folgorati dall’intenso sguardo in macchina di Harriett Andersson, riproposto nei loro film ma lanciato da Bergman con la complicità di una carrellata in avanti a stringere sul volto dell’interprete; un procedimento, questo, tipico del regista svedese, influenzato da una carriera per lungo tempo bifronte, divisa tra schermo e palcoscenico (in estate gira film e in inverno si dedica ai suoi impegni di regista, autore e diValorizzazione rettore di teatro). Con la sua assoluta valorizzazione degli atdegli attori tori e della loro espressione attraverso i primi piani, spesso 130
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frontali, con i quali li fa rivolgere direttamente all’obiettivo, e l’attenzione da drammaturgo per le parole e la sceneggiatura – che definisce già il ritmo del montaggio e delle riprese – Bergman sembra trasfigurare nella pellicola i modi del regista di teatro e non manca di puntare anche nei soggetti all’osmosi tra le due dimensioni artistiche. La coralità degli interpreti bergmaniani è a sua volta simile a quella di una vera compagnia; davanti alla sua cinepresa si susseguono e alternano per anni i volti familiari di Max von Sydow, Gunnar Björnstrand, delle attrici e muse Harriet Andersson, Ingrid Thulin, Bibi Andersson, Eva Dahlbeck e Liv Ulmann. Dopo la commedia Sorrisi di una notte d’estate (Sommarnattens leende, 1955), primo successo all’estero, Bergman raggiunge la sua consacrazione internazionale grazie a Il settimo sigillo (Det sjunde inseglet, 1956) e Il posto delle fragole (Smultronstället, 1957), dove la sua meditazione sul (non) senso della vita assume rispettivamente la forma di un’apocalittica allegoria medievale – in cui un cavaliere di ritorno dalle Crociate gioca una celebre partita a scacchi con la personificazione della morte – e di un viaggio nei fantasmi della memoria di un vecchio medico che deve fare i conti con l’approssimarsi della fine e il vuoto degli affetti intorno a sé. La percezione dell’assenza di Dio e gli interrogativi sulla fede si manifestano anche in Come in uno specchio (Såsom i en spegel, 1961), La fontana della vergine (Jungfrukällan, 1961) e Luci d’inverno (Nattvardsgästerna, 1961). Le opere degli anni Sessanta si differenziano in virtù di un uso più spregiudicato, sperimentale e claustrofobico del linguaggio del cinema: in particolare Il silenzio (Tystnaden, 1963), la cui regia è di un formalismo estremo eppure convulso, e Persona (1966), autentico vertice del Modernismo cinematogra-
Attori-simbolo dell’opera bergmaniana
Successo internazionale
Anni Sessanta: un nuovo linguaggio
CARL THEODOR DREYER
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Un altro grande esponente del cinema scandinavo, Carl Theodor Dreyer, dopo un decennio di inattività come regista torna a dirigere film nel 1943 con Dies Irae (Vredens Dag), un cupo dramma in costume su una vicenda di stregoneria, realizzato durante l’occupazione nazista della Danimarca. Una fede vissuta tra la follia, il pessimismo, l’angoscia e l’inaspettato miracolo finale è invece il soggetto principale di Ordet – La parola (Ordet, 1955). Dreyer opta per una messa in scena dosata, con scenografie sobrie, una ripresa prevalente-
mente in campo medio – il film, come il successivo, è tratto da una pièce teatrale – con lunghi piani fissi e lente panoramiche, e una centralità nello sviluppo riservata ai dialoghi. Gertrud (1964), l’ultimo film della carriera di Dreyer, tocca la sfera dei sentimenti: una donna che nessuno ha amato nella maniera assoluta in cui lei intende l’amore sceglie la solitudine. Ancora una volta il regista danese preferisce un andamento riflessivo, soffermandosi sui volti in primo piano ma lasciando spazio a long takes e a lente dissolvenze nel montaggio.
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fico segnato da un montaggio più franto, dissonante e dai tratti subliminali, nonché dall’intrusione di sequenze e immagini metafilmiche. Il regista si stabilisce intanto sull’isola di Fårö, dove è ambientato anche L’ora del lupo (Vargtimmen, 1968), il suo film più inquietante. Anni Settanta Nel decennio successivo con Sussurri e grida (Viskningar och rop, 1972) Bergman integra in maniera decisiva il colore nella propria causa espressiva. Alla fine degli anni Settanta il regista, esule dalla Svezia dopo un’accusa di evasione fiscale rivelatasi infondata ma che lo fa cadere in uno stato di profonda depressione al punto da indurlo al ricovero in un ospedale psichiatrico, gira all’estero Film dell’esilio una serie di film tra cui Sinfonia d’autunno (Höstsonaten, 1977), in cui appare eccezionalmente Ingrid Bergman (omonima ma non parente del regista) accanto a Liv Ullmann. Ultime prove di regia Tornato in patria dirigerà Fanny e Alexander (Fanny och Alexander, 1982), disseminato di dettagli autobiografici, come peraltro molte delle sue pellicole. Dopo questo film il regista abbandona definitivamente la celluloide per dedicarsi alla scrittura, al teatro e alla televisione, per cui realizzerà i suoi ultimi lavori: Dopo la prova (Efter Repetitionen, 1984), Vanità e affanni (Larmar och gör sig till, 1997), Sarabanda (Saraband, 2003).
SCHEMA RIASSUNTIVO Il panorama del cinema europeo degli anni Cinquanta si dimostra assai complesso. In Francia sono gli anni della “tradizione di qualità”, degli autori (Robert Bresson, Jacques Tati, Max Ophüls) impegnati in un discorso personale e di un anticipatore della Nouvelle Vague (Jean-Pierre Melville). Il cinema inglese attraversa uno dei suoi momenti più vivi mentre nell’Europa dell’Est segni di rinnovamento giungono dal cinema polacco con Andrzej Munk e Andrzej Wajda. Gli stessi anni segnano il ritorno all’opera, dopo una lunga inattività, di Luis Buñuel e di Carl Theodor Dreyer, e l’ascesa internazionale dello svedese Ingmar Bergman, maestro riconosciuto del cinema moderno.
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L’EUROPA NEGLI ANNI CINQUANTA
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3 L’America nel dopoguerra Il periodo del secondo dopoguerra registra una serie di cambiamenti nell’industria americana, in particolare la fine dell’era della concentrazione verticale e del dominio di un gruppo ristretto di case. Il cinema mainstream non muta in maniera radicale, dando però spazio a nuove tecnologie e a nuovi interpreti, che pur rispettandone il classicismo formale introducono significative novità personali.
Come cambia il panorama di Hollywood
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La fine della Seconda Guerra Mondiale delinea un mondo diviso tra le due grandi superpotenze vincitrici, Stati Uniti e Unione Sovietica. Gli Stati Uniti vivono una fase di grande prosperità a livello economico e demografico, e il cinema risente inizialmente dell’influenza positiva del dopoguerra. Nel 1946 in America gli incassi delle sale toccano il picco più alto di sempre; intanto le pellicole americane arrivano in massa nelle sale europee: è un’invasione contro la quale anche le politiche protezioniste servono a poco. La MPPAA (l’associazione dei produttori) si espande verso il mercato internazionale creando nel 1947 una società per il coordinamento delle esportazioni all’estero, la MPEAA. Sono inoltre le stesse major americane a finanziare molti film prodotti in altri Paesi. Tuttavia la crisi dello studio system è dietro l’angolo. Nel 1948 la Corte Suprema degli Stati Uniti emette una sentenza destinata a smantellare il sistema oligopolistico creato dalle Cinque Grandi (Paramount, Warner, MGM, 20th Century Fox e RKO) con l’aiuto delle Tre Piccole (Universal, Columbia e United Artists). Le otto case di produzione, cui il Governo Federale aveva intentato causa, ravvisando nel loro comportamento gli estremi di un regime di monopolio, sono riconosciute colpevoli di violazione della legge antitrust. L’esito del processo segna la fine della concentrazione verticale: le otto sorelle rinunciano alle sale e al noleggio in blocco dei film, mantenendo la produzione e la distribuzione, mentre da allora prendono finalmente quota gli indipendenti, fin lì tenuti ai margini del mercato e la cui produzione registra un netto aumento senza che il sistema nel suo complesso muti in maniera sostanziale. Un altro fattore di crisi che si aggiunge alla liberalizzazione del mercato imposta dalla Corte Suprema è il successivo calo degli incassi, favorito dallo spostamento in massa degli Americani fuori dalle grandi città – o perlomeno dal loro centro – e dalla concorrenza esercitata della televisione, che si intensifica a
Prosperità del dopoguerra
MPEAA Nuovi fattori di crisi
Fine dell’oligopolio delle case di produzione
Calo degli incassi
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Reazione di Hollywood
Diversificazione del pubblico Nuovi generi
Battaglia ideologica tra USA e URSS
partire dagli anni Cinquanta. Nel 1957 l’affluenza di pubblico nelle sale risulta dimezzata rispetto a undici anni prima; nello stesso anno una major come la RKO si trova a dover chiudere. Hollywood reagisce alla crisi diminuendo la quantità delle produzioni e migliorando la qualità dei prodotti: si perfeziona il Techcnicolor, nasce l’Eastmancolor, un sistema meno complesso di pellicola a colori (monopack, cioè “monostriscia”, mentre il Technicolor si compone di tre pellicole sovrapposte), e soprattutto sono introdotti i nuovi formati visivi panoramici (cinemascope, Todd-Ao e, più tardi, Panavision). Nel frattempo il suono inciso su nastro magnetico sostituisce quello inciso su banda ottica. Immagini più grandi con colori più sgargianti – le possibilità del suono multipista vengono per ora accantonate – in produzioni più prestigiose innalzano il tenore generale delle pellicole mainstream. La diversificazione del pubblico, assai meno omogeneo e nel cui complesso si fa largo una nuova categoria, quella dei giovani e degli adolescenti, spiega il nuovo proliferare di pellicole di genere più commerciale: fiorisce la cosiddetta exploitation o serie B, si riprendono (la fantascienza) o nascono generi nuovi (il musical rock&roll, con le numerose pellicole interpretate da Elvis Presley), ma anche nei film di serie A compaiono nuove tematiche e si fanno strada nuovi personaggi. La spartizione del globo in due grandi sfere di influenza politica e l’aprirsi di un fronte mondiale tra le due superpotenze – si è entrati a pieno titolo nella Guerra Fredda – si riflette in una serie di interventi militari delle forze americane (dalla Corea al Vietnam) volte a contenere l’influenza sovietica nel mondo e in una ferrea battaglia ideologica interna di cui fa le spese anche Hollywood. Nel 1947 entra nel vivo l’inchiesta sul cinema per conto del Comitato per le Attività Antiamericane (HUAC) che vede il produttore Jack Warner e gli attori Gary Cooper, Robert Taylor e Ronald Reagan (futuro presidente degli USA) tra i testimoni “favorevoli” a denunciare l’influenza dei comunisti sul mondo del cinema. Dieci persone, di cui otto sceneggiatori – la categoria più colpita, visto il peso del loro sindacato, la Screen Writers Guild –, un regista e un produttore (considerati testimoni “ostili” per non aver abiurato le loro idee) vengono messi al bando da Holywood. Nel 1951 il senatore repubblicano Joseph McCarthy eredita dal suo predecessore James Parnell Thomas la guida della commissione e procede con spietata durezza. Alcuni ex simpatizzanti comunisti per salvare il proprio mestiere si vedono obbligati a denunciare i colleghi. I registi Jules Dassin e Joseph Losey sono costretti a emigrare mentre lo sceneggiatore Dalton Trumbo lavorerà sotto pseudonimo fino al 1960 quando
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Otto Preminger e Kirk Douglas riconosceranno pubblicamente il suo contributo a Exodus (1961) e Spartacus (1960). In seguito al caso sollevato da Amore di Rossellini – alla cui proiezione la commissione di censura dello Stato di New York aveva posto il veto, giudicandolo blasfemo per via del suo secondo episodio, Il miracolo –, nel 1952 la Corte Suprema degli Stati Uniti firma un’altra sentenza epocale, stabilendo per Sentenza epocale i film il medesimo principio di libertà di espressione sancito dal Primo Emendamento. Il codice Hays diviene in breve obsoleto e la censura preventiva perde di efficacia; alcuni film importanti sono distribuiti ugualmente senza il visto obbligatorio della MPPAA, le cui emissioni cesseranno nel 1966 lasciando spazio a un sistema di classificazione che non andrà oltre il divieto ai minorenni. ■ Elia Kazan
Elia Kazan (1909-2003) si forma come regista di teatro nel Group Theatre, la compagnia che negli anni Trenta introduce negli Stati Uniti il metodo Stanislavskij, ovvero la tecnica di recitazione sviluppata da Kostantin Stanislavskij con il Teatro d’Arte di Mosca. Il metodo prevede uno scambio creativo tra interprete e personaggio: l’attore si cala nella parte assorbendone alcune caratteristiche e trasferendovene altre che appartengono al suo vissuto personale. Sono i principi che guidano anche l’Actor’s Studio, scuola fondata da Kazan nel 1948 e diretta da Lee Strasberg, nella quale si formeranno i migliori attori di cinema del dopoguerra, da Marlon Brando a James Dean, da Montgomery Clift al più giovane Robert De Niro. Marlon Brando è il protagonista di Un tram chiamato desiderio (A Streetcar Named Desire, 1951), dal dramma omonimo di Tennessee Williams (da un’altra opera teatrale di Williams è tratto Baby Doll, 1956), già portato in scena a Broadway da Kazan, Viva Zapata! (1952) e Fronte del porto (On the Waterfront, 1954). Quest’ultimo è il film più apprezzato del regista di origine greco-turca, soprattutto per merito di alcuni vibranti saggi di recitazione metodica da parte di Brando: il suo giocare con il guanto caduto a Eve-Marie Saint, che simboleggia come meglio non potrebbe la riluttante attrazione dell’ex pugile Terry per Edie e la contradditorietà dei suoi slanci (è diviso tra violenza e dolcezza come tra bene e male), e il suo dialogo in taxi con Rod Steiger che interpreta Charlie, il fratello membro del sindacato corrotto contro cui Terry testimonierà. Tre anni prima di Fronte del porto Kazan ha denunciato all’HUAC alcuni colleghi in cambio della propria immunità. L’episodio segna fortemente il suo carattere e la sua opera. Nel
Anni della formazione
Fonda l’Actor’s Studio
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La valle dell’Eden Altri film
1955 dirige La valle dell’Eden (East of Eden, 1955) tratto da un romanzo di John Steinbeck, con il tormentato e ribelle James Dean nel primo ruolo da star di una breve e folgorante carriera. Anche nel film Il ribelle dell’Anatolia (America, America, 1963), interpretato da attori non professionisti e tratto da un romanzo dello stesso Kazan così come Il compromesso (The Arrangement, 1969), il regista riversa implicitamente molti dei suoi travagli personali, da quelli familiari a quelli politici, e il proprio senso di colpa. Non per questo le pellicole mancano di lucidità, come i suoi film ambientati nel mondo dello spettacolo: Un volto nella folla (A Face in the Crowd, 1957) e il molto più tardo Gli ultimi fuochi (The Last Tycoon, 1976), in cui Robert De Niro interpreta un produttore che non riesce ad accettare la fine della vecchia Hollywood. ■ Billy Wilder
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Origini noir Viale del tramonto
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Il viennese Billy Wilder (1906-2002), allievo e sceneggiatore di Lubitsch, stabilitosi da tempo negli Stati Uniti, agisce su un doppio binario, tra comico e dramma. Dopo aver segnato le origini del noir con La fiamma del peccato (Double Indemnity, 1944), nel biennio 1950-1951 prima svela i retroscena di Hollywood in Viale del tramonto (Sunset Boulevard, 1951), un’originale storia narrata in flashback da un morto, in cui Gloria Swanson interpreta una diva del muto ormai dimenticata e compaiono altri reduci dell’epoca, da Erich von Stroheim a Buster Keaton nei panni di se stesso, poi quelli del giornalismo in L’asso nella manica (The Big Carnival, 1951). Nel prosieguo del decennio Wilder segue a suo modo le orme del suo maestro Lubitsch, votandosi soprattutto alla commedia leggera: segnaliamo in particolare Sabrina (1954) Arianna (Love in the Afternoon, 1957), Quando la moglie è in vacanza (The Seven Year Itch, 1955) e A qualcuno piace caldo (Some Like it Hot, 1959), gli ultimi due interpretati da Marilyn Monroe. Proprio questi film indirizzano la verve di Wilder verso gli esiti della sua maturità, da L’appartamento (The Apartment, 1960) fino a Prima pagina (The Front Page, 1974).
■ Nicholas Ray Regista controverso Nicholas Ray (1911-1979), uno dei registi e autori più controversi ma anche più amati degli anni Cinquanta, si distingue per lo stile emotivo e sovraccarico. Esordisce con La donna del bandito (They Live by Night, 1947), in cui introduce una tenera storia d’amore in una gangster story, I bassifondi di San Francisco (Knock on Every Door, 1949) e Il diritto di uccidere (In a Lonely Place, 1950). In Ray si ritrova una dialettica costante tra un aspetto classico
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e una forzatura stilistica che corrisponde alla sua cifra personale. Nel 1954 dirige un western bizzarro, vistoso e atipico grazie ai toni cromatici di un melodrammatico Trucolor (una variante del Technicolor): Johnny Guitar (1954) mostra un eroe maschile solitario in bilico tra violenza e romanticismo, tipico di Ray, ma assegna a due volitivi personaggi femminili il ruolo di contendenti nel duello finale. Oltre al Technicolor, Gioventù bruciata (Rebel Without a Cause, 1955) sfrutta gli estremi della composizione in Panavision e un’accurata scenografia (il regista è architetto, allievo di Frank Lloyd Wright). Il giovane disadattato, dagli slanci simili a molti altri personaggi di Ray, è trasformato in icona da James Dean, il quale “diventa” se stesso con atteggiamenti tra il lamentevole e il rabbioso e pose di grande originalità che il regista asseconda nel mescolare i colori di un ritratto generazionale di vibrante confusione e solitudine. L’insofferenza e la difficoltà nel rapporto con i genitori – come si nota anche in La valle dell’Eden di Elia Kazan – serpeggia tra i giovani degli anni Cinquanta. Tale conflitto in Dietro lo specchio (Bigger Than Life, 1956) si nasconde dietro la figura di un normale padre di famiglia (James Mason) indotto a deliri di onnipotenza da una cura al cortisone. Sicuramente barocco e amante dell’eccesso, Nicholas Ray si cimenta con kolossal che dovrebbero lanciarlo nell’Olimpo di Hollywood e invece segnano il suo declino. La sua carriera di regista infatti si chiude con Il re dei re (King of Kings, 1961) e 55 giorni a Pechino (55 Days at Peking, 1962). Appare per l’ultima volta al cinema come protagonista di Nick’s Movie – Lampi sull’acqua (Lightning over Water – Nick’s Movie, 1980) di Wim Wenders, un documentario sui suoi ultimi giorni di vita.
Johnny Guitar
Gioventù bruciata
Tema del conflitto generazionale
Ultimi film e ultime apparizioni
■ Altri registi
John Huston (1906-1987), la cui opera prima Il mistero del falco (The Maltese Falcon, 1941) è considerata l’archetipo del noir, lavora insieme a Humphrey Bogart per altri tre film – tra cui Il tesoro della Sierra Madre (The Treasure of the Sierra Madre, 1948) – prima di Giungla d’asfalto (Asphalt Jungle, 1950), capolavoro del noir, del film di guerra storico La prova del fuoco (The Red Badge of Courage, 1950), ispirato alle fotografie dell’epoca della Guerra di Secessione, e di Moulin Rouge (1952), che si distingue per l’effetto pittorico dei colori. Molto sentito dal regista, che si è dedicato anche a opere più commerciali, è Moby Dick, la balena bianca (Moby Dick, 1956) con Gregory Peck nei panni del capitano Achab. Tra i suoi film migliori c’è senza dubbio Gli spostati
John Huston Film con Humphrey Bogart
Il film più amato da Huston 137
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Gli spostati (The Misfits, 1961), con Clark Gable e Marilyn Monroe. E, in ule The Dead – Gente timo, The Dead – Gente di Dublino (The Dead, 1987) tratto di Dublino dal racconto di James Joyce. Robert Aldrich (1918-1983) si fa notare per i western L’ultimo Robert Aldrich Apache (Apache, 1954) e Vera Cruz (1954). Nel 1955 firma un caposaldo del noir: Un bacio e una pistola (Kiss Me Deadly, Caposaldo del noir 1955), dotato di alcune soluzioni visive di grande forza. L’anno dopo vince l’Orso d’Oro al Festival di Berlino con Foglie d’auFoglie d’autunno tunno (Autumn Leaves, 1955), storia di una donna che sposa per errore uno squilibrato. I primi anni Sessanta lo vedono ciAnni Sessanta mentarsi nel film horror – Che fine ha fatto Baby Jane? (Whatever Happened to Baby Jane?, 1962) e Piano... piano, dolce Carlotta (Hush... Hush, Sweet Charlotte,1965) – mentre nel 1967 pone il suo sigillo su un noto film di guerra, Quella sporca dozzina (The Dirty Dozen), genere in cui si era già misurato nel 1956 con Prima linea (Attack). Samuel Fuller L’estetizzazione della violenza, veicolata da una regia e da un montaggio di grande dinamismo e incisività, è la caratteristica di Samuel Fuller (1911-1997), attivo tra western e una serie di film di guerra crudi e disperati che toccherà l’acme con Il L’apice grande Uno rosso (The Big Red One, 1980). All’inizio degli annegli anni Sessanta ni Sessanta tocca l’apice della produzione con Il corridoio della paura (Shock Corridor, 1963) – in cui un giornalista si finge malato di mente per cercare un omicida in un manicomio – e Il bacio perverso (The Naked Kiss, 1964). Anthony Mann Anthony Mann (1906-1967), dedicatosi in principio di carriera al noir, nel 1950 comincia ad affermarsi come regista di western a partire da Il passo del diavolo (Devil’s Doorway, 1950). Ciclo di cinque Il contemporaneo Winchester ’73 (1950) segna l’inizio di un ciwestern clo di cinque western consecutivi, Le furie (The Furies, 1951), Là dove scende il fiume (The Bend of the River, 1952), Lo sperone nudo (The Naked Spur, 1953), considerato il migliore, e L’uomo di Laramie (The Man from Laramie, 1955), tutti interpretati da James Stewart. Gli anni Sessanta lo vedono, come altri registi, cedere alla tentazione del kolossal epico: allontanato dal set di Spartacus dopo un litigio con Kirk Douglas (lo sostituì poi Stanley Kubrick), Mann dirige La caduta dell’Impero Romano (The Fall of the Roman Empire, 1964). Delmer Daves Un percorso simile a Mann compie Delmer Daves (19041977). La fuga (Dark Passage, 1947) è un interessante noir Primo western impreziosito da un prologo tutto in soggettiva. L’amante inpro-indiani diana (Broken Arrow, 1950) è il primo esempio – proprio insieme a Il passo del diavolo – di western pro-indiani che ribalta lo stereotipo tradizionale dell’uomo bianco buono contro il pellerossa cattivo. Daves gira in tutto nove western, tra cui Quel treno per Yuma (3:10 to Yuma, 1957), dalla dinami138
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ca sorprendente, e L’albero degli impiccati (The Hanging Tree, 1959), prima di votarsi al melodramma a partire da Scandalo al sole (A Summer Place, 1959). Jules Dassin (1911-2008) emerge con il film di ambiente carcerario Forza bruta (Brute Force, 1947). Il successivo La città nuda (The Naked City, 1948) è un giallo dai toni documentari girato in location con attrezzature leggere (premio Oscar per il direttore della fotografia William Daniels). Costretto a emigrare dal maccartismo, Dassin lavora in Francia, dove lo stesso modo di girare sarà ripreso dai polar, da Melville e dalla Nouvelle Vague. Joseph Losey (1909-1984), costretto pure all’esilio dal maccartismo, dirige in Gran Bretagna Il servo (The Servant, 1963), Per il re e per la patria (King and Country, 1964) e L’incidente (The Accident, 1967). Martin Ritt (1914-1990) alla fine degli anni Cinquanta riscuote ampio successo con La lunga estate calda (The Long Hot Summer, 1958) e L’urlo e la furia (The Sound and the Fury, 1959). La sua vicenda, analoga a quella di Losey, sarà portata da lui stesso sullo schermo in Il prestanome (The Front, 1976), interpretato da Woody Allen. Sidney Lumet (1924), in origine autore di teatro, esordisce al cinema con un film giudiziario, La parola ai giurati (Twelve Angry Men, 1957); negli anni Settanta approda al poliziesco e alla crime story con Serpico (1975) e Quel pomeriggio di un giorno da cani (Dog Day’s Afternoon, 1975). Don Siegel (1912-1991) è il regista del cult movie di fantascienza L’invasione degli ultracorpi (Invasion of the BodySnatchers, 1956), nel quale immagina che dei baccelli venuti dallo spazio sostituiscano gli esseri umani con copie senza emozioni; un incubo nato in pieno clima da Guerra Fredda, secondo alcuni, e da caccia alle streghe secondo altri. Suo anche il Dirty Harry – da noi Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! – che nel 1971 dà inizio a una fortunata serie con protagonista Clint Eastwood. Sull’onda di quel successo può accedere alla serie A di Hollywood con Chi ucciderà Charley Varrick? (Charley Varrick, 1973), e dove resta con un altro classico d’azione, Fuga da Alcatraz (Escape from Alcatraz, 1979). Robert Siodmak (1900-1973) fonde le strutture del thriller all’americana con la drammaturgia visiva dell’Espressionismo tedesco: dopo La scala a chiocciola (The Spiral Staircase, 1945) è il turno di I gangsters (The Killers, 1946) e L’urlo della città (The Cry of the City, 1948). Di Robert Montgomery (1904-1981) si ricorda soprattutto Una donna nel lago (The Lady in the Lake, 1946), girato interamente attraverso soggettive del detective protagonista,
Joseph Losey
Martin Ritt
Sidney Lumet
Don Siegel
Ispettore Callaghan
Robert Siodmak
Robert Montgomery
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Charles Laughton
Joseph Leo Mankiewicz
Edward Dmytryk 140
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Fred Zinnemann
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Sfida alla censura
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Otto Preminger
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Musical
mentre l’attore Charles Laughton (1892-1962) da regista ha realizzato un solo, memorabile film, La morte corre sul fiume (The Night of the Hunter, 1955), una fiaba nera in cui due bambini fuggono dal cacciatore di vedove Robert Mitchum. Da tempo sceneggiatore e dialoghista, Joseph Leo Mankiewicz (1909-1993) nel 1946 inizia a dirigere dedicandosi a film di spionaggio, ma ottenendo risultati brillanti nelle sue ottime commedie Lettera a tre mogli (Letter to Three Wives, 1949), La gente mormora (People Talk, 1951) e soprattutto Eva contro Eva (All About Eve, 1950), premiato con un doppio Oscar (sceneggiatura e regia). Suoi anche il melodramma La contessa scalza (The Barefoot Contessa, 1954), il musical Bulli e pupe (Guys and Dolls, 1954), un celebre Giulio Cesare (Julius Caesar, 1953) con Marlon Brando nel ruolo di Marcantonio, la versione cinematografica del dramma di Tennessee Williams Improvvisamente l’estate scorsa (Suddenly Last Summer, 1959) e il flop Cleopatra (1963). Robert Wise (1914-2005), già montatore di Quarto Potere, è un solido regista di generi: debutta alla regia con l’horror La iena (The Body Snatcher, 1945), si inserisce nel filone biografico-sportivo con Stasera ho vinto anch’io (The Set Up, 1949) e Lassù qualcuno mi ama (Somebody up there Likes Me, 1956) – in cui recita nel suo primo ruolo importante Paul Newman, anch’egli allievo dell’Actor’s Studio – e dirige due importanti musical, l’innovativo West Side Story (1961) e il più pacioso Tutti insieme appassionatamente (The Sound of Music, 1965), oltre al fantascientifico Ultimatum alla Terra (The Day the Earth Stood Still, 1951). Otto Preminger (1906-1986) è il regista dell’originalissimo Vertigine e di altri celebri noir, tra cui Seduzione mortale (Angel Face, 1952). Con due film negli anni Cinquanta sfida, vincendo, le leggi della censura: sono La vergine sotto il tetto (The Moon is Blue, 1953) e L’uomo dal braccio d’oro (The Man with the Golden Arm, 1954). In due musical, Carmen Jones (1954) e Porgy and Bess (1959), trova gli spunti adatti a raccontare le condizioni della popolazione nera delle periferie, prima di realizzare due opere per lui centrali su temi di attualità politica: Exodus (1961) e Tempesta su Washington (Advise & Consent, 1962). Di origine austriaca come Billy Wilder e Otto Preminger, Fred Zinnemann (1907-1997) si fa conoscere con alcuni drammi psicologici, tra cui Atto di violenza (Act of Violence, 1948), prima di dirigere il teso western Mezzogiorno di fuoco (High Noon, 1952), esemplare per i suoi ritmi serrati, e la versione cinematografica del musical Oklahoma (1955). Edward Dmytryk (1908-1999) arriva al successo con L’ombra
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Robert Wise
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Blake Edwards Colazione da Tiffany
Douglas Sirk
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del passato (Murder My Sweet, 1944), adattamento di un romanzo di Raymond Chandler, e un altro thriller, Missione di morte (Cornered, 1945). Dopo Odio implacabile (Crossfire, 1947), un film sui reduci di guerra che affronta di petto il problema del razzismo, è allontanato dagli Stati Uniti in pieno maccartismo (rientrerà all’inizio degli anni Cinquanta) e ripara in Gran Bretagna, dove realizza Cristo tra i muratori (Give Us This Day, 1949), dramma sociale ambientato a New York tra i lavoratori italiani durante la Grande Depressione. Tra i film girati dopo il suo rientro negli USA, il più noto è I giovani leoni (Young Lions, 1958), con Marlon Brando, Montgomery Clift e Dean Martin. La commedia è il terreno d’azione prediletto di Blake Edwards (1922) – Operazione sottoveste (Operation Petticoat, 1959) e Colazione da Tiffany (Breakfast at Tiffany’s, 1961) –, a cui si deve l’invenzione del personaggio dell’ispettore Clouseau interpretato da Peter Sellers in La Pantera Rosa (The Pink Panther, 1963). Douglas Sirk (1900-1987) dirige melodrammi dai colori accesi e dalle passioni tumultuose accompagnati da un’acuta percezione del contesto sociale: ricordiamo Magnifica ossessione (The Magnificent Obsession, 1954), Come le foglie al vento (Written on the Wind, 1956) e Lo specchio della vita (Imitation of Life, 1959). Stanley Donen (1924) eccelle nei musical: Cantando sotto la pioggia (Singin’ in the Rain, 1952), con Gene Kelly, è il capolavoro del genere, rinnovato negli anni Cinquanta; di Donen è anche Sette spose per sette fratelli (Seven Brides for Seven Brothers, 1954), mentre Kelly è il protagonista di Un americano a Parigi (An American in Paris, 1951) di Vincente Minnelli. Il veterano George Cukor (1899-1983), distintosi già negli anni Trenta con Piccole donne (Little Women, 1933) e Donne (The Women, 1939) come il “regista delle donne” per i suoi intensi ritratti femminili, dirige due musical esemplari: È nata una stella (A Star Is Born, 1954) e My Fair Lady (1964). Di George Stevens (1904-1975) sono ricordati Un posto al sole (A Place in the Sun, 1951), il western Il cavaliere della valle solitaria (Shane, 1953) e Il gigante (The Giant, 1956). Niagara (1953) di Henry Hathaway (1898-1985) è il primo successo di Marilyn Monroe, mentre Il selvaggio (The Wild One, 1954) di Laszlo Benedek (1905-1992) crea il mito di Marlon Brando. Il western è invece il genere prediletto da John Sturges (19111992). I suoi film più celebri sono: Sfida all’O.K. Corral (Gunfight at the O.K. Corral, 1957), interpretato da Burt Lancaster e Kirk Douglas, e I magnifici sette (The Magnificent Seven, 1960), di cui sono stati girati tre sequel.
Stanley Donen
George Cukor
George Stevens
John Sturges
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Alfred Hitchcock
Maestro del brivido
Stile
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Negli anni Cinquanta, grazie al colore, ai nuovi formati visivi e all’esperienza accumulata in trent’anni di carriera, giunge a piena maturazione l’arte di Alfred Hitchcock (1899-1980), al cui nome si associa ormai per antonomasia l’etichetta di “maestro del brivido”. Oggi alla suspense del regista inglese si riconoscono gli stessi tratti di inconfondibile unicità d’autore caratterizzanti, per esempio, il celebre Lubitsch touch. L’aggettivo “hitchcockiano”, associato alla figura corpulenta ma compita del regista inglese, al suo perfetto humour britannico, alla sua sagoma stilizzata che ne rappresenta il marchio grafico e alle sue apparizioni puntuali in quasi ogni film delineano infatti un immaginario capace di costituire quasi un genere a sé. Pochi registi hanno saputo toccare i nervi scoperti del pubblico e farli reagire in maniera così raffinata, consapevole ed efficace, proprio perché lo stile hitchcockiano teneva conto delle reazioni degli spettatori nel suo stesso costituirsi e aveva come scopo ultimo l’efficacia delle sensazioni trasmesse. I suoi film meglio riusciti sono meccanismi perfetti nel suscitare ansie, tensioni e paure.
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fu sostituito da un attore che neppure gli assomigliava. Il film biografico di Tim Burton del 1994 Ed Wood ha fatto di questo pioniere della serie B un entusiasta visionario, a suo modo romantico. Il vero simbolo della produzione indipendente a basso costo americana è Roger Corman (1926), un artigiano capace di scrivere, girare, dirigere e produrre film di vari generi, dalle tematiche forti e spesso in anticipo sui tempi del cinema mainstream. Le sue imprese più nobili sono le trasposizioni di numerosi racconti di Edgar Allan Poe interpretate da Vincent Price, ma anche il biker movie I selvaggi (The Wild Angels, 1966), e le pellicole di attualità L’odio esplode a Dallas (The Intruder, 1962) e Il serpente di fuoco (The Trip, 1967). Le sue doti di produttore e di talent scout gli hanno permesso di formare una longeva casa di produzione nella cui scuderia hanno incominciato a lavorare, tra gli altri, Francis Ford Coppola, Martin Scorsese, Peter Bogdanovich e Jonathan Demme.
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B MOVIES Mentre la produzione alta tende a ridurre i numeri per concentrarli, la liberalizzazione relativa del mercato distributivo, il venir meno della censura, la necessità di pratiche come il double feature (“doppio programma”) e la ricerca di un nuovo tipo di pubblico favorisce la crescita di una produzione complementare di pellicole a basso costo, soprattutto horror e fantascienza, dai titoli quanto mai stravaganti. Un simbolo può essere quell’Ed Wood (1924-1978) cui oggi spetta la nomea di regista più strampalato della storia del cinema. Di lui si ricorda Due vite in una (Glen or Glenda?, 1953), un finto documentario sul travestitismo interpretato da lui stesso nei panni di un giovane indeciso se vestirsi da uomo o da donna. Wood convinse a tornare sulle scene Bela Lugosi, leggendario interprete di film horror; durante le riprese del suo anticapolavoro per eccellenza Plan 9 from Outer Space (1959), girato in un appartamento simulando l’interno di una nave spaziale, Lugosi morì e
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La sua prima regia risale al 1921; tuttavia il primo film considerato hitchcockiano per le sue caratteristiche è Il pensionante – Una storia della nebbia di Londra (The Lodger, 1926), storia di un giovane ingiustamente accusato di essere un serial killer. Per svilupparne il racconto il regista si affida il più possibile alle sole immagini, modellandole in base alle tecniche fotografiche apprese dai film americani e tedeschi (Hitchcock in quegli anni lavorò anche per la UFA). Blackmail (Ricatto, 1929) è un caso di transizione tra cinema muto e sonoro avvenuta in corso d’opera. Ne esistono così due versioni: quella sonora mostra già un evidente acume drammatico nel servirsi del nuovo mezzo. Alfred Hitchcock negli anni Trenta raggiunge una padronanza invidiabile delle proprie risorse cinematografiche, come si evince da Omicidio (Murder, 1930), L’uomo che sapeva troppo (The Man Who Knew Too Much, 1934) – di cui farà un remake nel 1956 –, Il club dei 39 (The 39 Steps, 1935) e Giovane e innocente (Young and Innocent, 1935). La fine del decennio coincide con l’approdo a Hollywood: Rebecca, la prima moglie (Rebecca, 1940), prodotto da David O. Selznick, vince l’Oscar come miglior film – mentre Hitchcock per la regia non ne vincerà mai nessuno e avrà solo un premio alla carriera – ma è meno personale. Lavorando in America il regista matura la sua speciale accortezza nel dirigere le emozioni del pubblico. All’interno del grande filone del brivido, poliziesco o thriller che dir si voglia, “Hitch” ricava una sua tipica dinamica che ricama fino a farne quasi un sottogenere tutto suo: la suspense story. Il meccanismo della suspense si differenzia da quello del giallo canonico (il whodunit, cioè letteralmente il “chi è stato?”). Questo in virtù dei ragguagli dati allo spettatore, che rappresentano il punto di partenza dell’effetto: chi guarda il film conosce particolari di cui il personaggio è all’oscuro, perciò prova ansia per lui e reagisce in un determinato modo agli avvenimenti. Il disinteresse verso la tradizionale forma del mistery, nella quale impianta una forma di mistero tutta nuova, si scorge da un altro trucco prediletto di Hitchcock, il cosiddetto MacGuffin. Dal punto di vista narrativo non è niente più di uno stratagemma, un pretesto, un enigma usato per portare avanti un racconto, che non si esaurisce però nella sua risoluzione bensì nelle nuove situazioni che a partire da esso si possono creare: sono MacGuffin la chiave e la bottiglia di uranio in Notorius – L’amante perduta (Notorius, 1946). A Hitchcock interessano più che altro le peripezie e i simboli morali concernenti la lotta interiore tra bene e male. Suoi motivi tipici: l’innocenza perseguitata, l’uomo comune cata-
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pultato a sua insaputa in un intrigo misterioso o il transfert psicologico, quest’ultimo soprattutto nelle pellicole dove è più approfondito il rapporto con la psicanalisi, come Io ti salverò (Spellbound, 1945). Alcuni suoi capolavori affrontano direttamente talune ossessioni mentali: il voyeurismo in La finestra sul cortile (Rear Window, 1954), un amore morboso nel magistrale La donna che visse due volte (Vertigo, 1958) come nel meno riuscito Marnie (in cui comunque si accenna anche a una patologia nata da un trauma infantile), il complesso edipico in Psyco (Psycho, 1960), virando appena la suspense verso l’horror in un film a basso budget divenuto un La finestra sul cortile classico del cinema. In La finestra sul cortile l’indagine di un reporter immobilizzato improvvisatosi detective è lo spunto per una riproposizione delle dinamiche del cinema all’interno del racconto stesso: il risultato è un film moderno che non rinnega la messa in scena classica. La donna che visse In La donna che visse due volte l’uso onirico dei colori e due volte l’originale combinazione di zoom in avanti e carrello all’indietro usata per comunicare i sintomi di vertigine del protagonista – nelle due scene chiave in cui osserva la tromba di una ripida scala a chiocciola – sono tra gli spunti più felici di un’orchestrazione audiovisiva di cui sono parte integrante la partitura di Bernard Herrmann e i titoli di Saul Bass, che introducono graficamente il leitmotiv della spirale. Psyco Al pubblico di Psyco non fu permesso di entrare a film iniziato per non rovinare la doppia suspense. La sequenza dell’omicidio nella doccia è il suo manifesto e una delle scene che più terrorizzarono il pubblico del tempo: Hitchcock l’ha resa in maniera felicemente stilizzata attraverso un montaggio corto e frenetico ma ricco di dettagli più che altro simbolici (l’unica immagine davvero cruenta dura pochi fotogrammi). Pragmatico ma di notevole furbizia e intensità, il regista era in grado di adottare diverse tecniche, tra cui un montaggio ipercinetico o il suo contrario, ricorrere ad avventure spettacolari in spazi suggestivi o giocare sull’unità di luogo come in Il delitto perfetto (Dial M for Murder, 1953). Nodo alla gola Nodo alla gola (Rope, 1948) è girato in otto lunghi piani di dieci minuti ciascuno simulando un’unica inquadratura ininterrotta lunga tutto il film: i ten minute takes equivalevano al massimo di pellicola caricabile in macchina, cioè 300 metri. Ogni cambiamento di inquadratura avviene in coincidenza dell’oscuramento creato da oggetti e da personaggi posizionati davanti all’obiettivo al momento giusto, così che i tagli risultano mascherati dal nero. Nei suoi oltre cinquanta film Hitchcock ha dimostrato di coCritica noscere alla perfezione il cinema. La critica si è accorta di lui
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relativamente tardi, snobbandolo per anni e considerandolo un regista di film commerciali. Ma anche in questo pregiudizio alla fine degli Cinquanta avviene un’inversione di tendenza grazie all’interesse dei giovani critici e futuri registi Truffaut, Rohmer e Chabrol, per i quali Hitchcock era «uno dei grandi inventori di forme della storia del cinema». Oggi Alfred Hitchcock è un maestro celebrato da tutti.
SCHEMA RIASSUNTIVO Nel 1946 una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti segna la fine della politica di concentrazione verticale e con essa il monopolio da parte delle Cinque Grandi (Paramount, Warner, MGM, 20th Century Fox e RKO) e delle Tre Piccole (Universal, Columbia e United Artists) sull’intero circuito di produzione, distribuzione ed esercizio. Cresce la produzione indipendente mentre il calo degli incassi dopo il boom del 1946 spinge le major hollywoodiane a una nuova politica di specializzazione in prodotti ad alto budget. Per battere la concorrenza della televisione il cinema investe sui nuovi formati panoramici e sul colore. Negli stessi anni l’ambiente di Hollywood è scosso dall’inchiesta del senatore McCarthy: alcuni registi, attori e sceneggiatori considerati filocomunisti sono costretti a emigrare all’estero per trovare lavoro o a denunciare i loro colleghi.
I FILM AMERICANI NEGLI ANNI CINQUANTA
Hollywood punta sulla spettacolarità dei kolossal e sullo sviluppo delle nuove risorse offerte dal colore e dallo schermo panoramico. Irrompono tuttavia anche nuovi temi (Gioventù bruciata di Nicholas Ray affronta il disagio delle nuove generazioni); importante è inoltre il ruolo dell’Actor’s Studio, dalla cui scuola escono due icone: Marlon Brando e James Dean. La produzione di genere è quanto mai viva, sia nella sua fascia alta sia in quella a basso costo.
ALFRED HITCHCOCK
Il regista inglese, attivo negli Stati Uniti dalla fine degli anni Trenta, realizza in questo decennio alcuni dei suoi capolavori, tra cui La finestra sul cortile e La donna che visse due volte, dimostrando la piena maturità della sua arte.
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L’INDUSTRIA DI HOLLYWOOD
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4 La scoperta dell’Asia Nel 1951 Rashomon di Akira Kurosawa si aggiudica il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia. È il primo grande riconoscimento internazionale per il cinema giapponese, fino a quel momento poco conosciuto in Europa, come del resto l’intera cinematografia asiatica. Si può parlare quindi di una vera scoperta per il pubblico occidentale, a cui negli anni immediatamente successivi si aggiunge quella di Mizoguchi e Kinugasa, più anziani di Kurosawa e attivi fin dai tempi del muto. L’estrema frammentarietà e incompletezza con la quale il cinema del Sol Levante è arrivato a noi spiega il manifestarsi di un interesse tardivo verso un grande maestro oggi ritenuto imprescindibile: Yasujiro Ozu.
Il Giappone: un cinema di autori e generi
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La lontananza, la differenza culturale e l’ostilità politica fanno sì che solo nel secondo dopoguerra i critici e gli spettatoScoperta da parte ri europei si accorgano del cinema giapponese, conosciuto dell’Occidente per anni in maniera frammentaria: pochissime opere erano circolate oltre i confini del Paese. La scoperta da parte dell’Occidente avviene mentre il cinema giapponese si avvia verso quella che è considerata la sua seconda stagione auMaestri rea; la prima corrispondeva al periodo classico tra muto e sodella prima stagione noro in cui già erano protagonisti Yasujiro Ozu, Kenji Mizoguchi, Teinosuke Kinugasa e Mikio Naruse insieme a Daisuke Ito, Heinosuke Gosho, Tomu Uchida e Hiroshi Inagaki. L’ampia produzione commerciale giapponese è gestita da un nucleo ristretto di grandi compagnie a concentrazione vertiMajor giapponesi cale. Nel secondo dopoguerra le principali rimangono Shochiku, Toho e Daiei, a cui si affiancano la risorta Nikkatsu – rinata nel 1954 dopo essere stata per anni rivale della Shochiku ai tempi del muto –, la Shintoho, cioè “Nuova Toho”, e la Toei. L’industria nipponica è quella che più ricalca da vicino il modello di Hollywood. Le major tengono in mano le redini del sistema dei generi nonché il cinema d’arte, con una politica di fedeltà che le lega ai migliori registi, cui lasciano libertà di agire per questioni di prestigio, soprattutto quando mirano all’esportazione; i grandi studi arriveranno addirittura a pilotare i movimenti di rottura. Nascerà così la risposta giapponese alla Nouvelle Vague. Sistema dei generi Alla base del sistema dei generi c’è la prima divisione tra jidaigeki, film d’epoca in costume, e gendaigeki, dramma di ambientazione contemporanea, con la sua ramificazione in 146
4 - La scoperta dell’Asia L’INFLUENZA DEL TEATRO E IL RUOLO DEI BENSHI Le più antiche compagnie giapponesi sono la Nikkatsu, fondata nel 1912, e la Shochiku, nata nel 1920 e alla quale si deve la comparsa delle attrici in un cinema inizialmente molto legato al teatro tradizionale e in particolare al kabuki (una forma di teatro nata nel Seicento): i ruoli femminili erano in precedenza ricoperti da uomini travestiti, gli onnagata. Un’altra figura tipica del cinema muto giapponese sono i benshi: “uomini parlanti” che raccontavano e commentavano i film in sala, analogamente agli imbonitori presenti nelle sale occidentali fino agli anni
Dieci. Spesso erano delle vere stelle, oltre che un gruppo sindacale agguerrito in lotta con chi li considerava di ostacolo al progresso dell’arte cinematografica nel Paese. Scomparvero a partire dal 1935 con la conversione al sonoro, che in Giappone fu più lenta e traumatica, anche in ragione della grande popolarità dei commentatori. Si ricorda la vicenda di Heigo Kurosawa, fratello del futuro regista Akira, suicidatosi dopo aver perso il lavoro. Un altro benshi, Matsuda, si esibiva ancora negli anni Settanta, riportando in vita lo spettacolo dell’epoca.
un arcipelago di rispettivi sottogeneri: i film di cappa e spada Sottogeneri (chambara), quelli di malavita (yakuza), i jidaigeki a sfondo sociale (keiko-eiga) e la più nota derivazione del gendaigeki ossia lo shomingeki (letteralmente “dramma della piccola gente”, che rappresenta storie di vita quotidiana). L’intervallo di tempo tra la seconda metà degli anni Trenta e la Censura fine degli anni Quaranta vede stringersi le maglie della censura: prima quella nazionalista per tutto il periodo bellico, poi quella degli occupanti americani, rivolta contro tutto ciò che sa di vecchia tradizione e quindi di feudalesimo. In questo periodo gli autori di prima generazione e i più giovani Akira Ku- Giovani registi rosawa, Keisuke Kinoshita e Kon Ichikawa preparano il terreno a una fertile stagione internazionale, che si realizzerà con i successi degli anni Cinquanta. ■ Akira Kurosawa
Stile e tematiche Filmografia
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A differenza di Ozu e Mizoguchi, che da un certo punto in poi hanno sviluppato un percorso a carattere monotematico portandolo progressivamente a una perfezione assoluta, Akira Kurosawa (1910-1998) si distingue per la varietà di soggetti e per la contaminazione con la cultura e lo stile occidentale. Il regista di Rashomon (1950), primo successo cinematografico internazionale della storia del Giappone, oltre a realizzare veri e propri remake nipponici di soggetti letterari europei – L’idiota di Dostoevskij in L’idiota (Hakuchi, 1951) e il Macbeth e il Re Lear shakespeariani in Il trono di sangue (Kumonosu-jo, 1957) e Ran (1985) – ha assorbito, restituendola, l’influenza del cinema europeo e americano. Se Bergman, Fellini, Coppola e Spielberg sono tra i suoi più celebri ammiratori, I sette samurai (Schichi nin no samurai, 1954) è alla base di I magnifici sette di Georges Sturges quanto
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Sugata Sanshiro
Per un pugno di dollari di Sergio Leone è un evidente calco di La sfida del samurai (Yojimbo, 1961). Kurosawa è il leader, nonché il cineasta giapponese più conosciuto oltre i confini nazionali, della generazione successiva rispetto a quella dei due decani Ozu e Mizoguchi. In Sugata Sanshiro (Sanshiro Sugata, 1943), film d’esordio dedicato a una leggenda del judo, dimostrava già una notevole creatività tecnica: le sequenze di combattimento sono molto evolute, le panoramiche e i movimenti di macchina coinvolgenti, il ralenti puntuale, il montaggio dinamico e preciso. Dopo due film meno convincenti girati in periodo di guerra, i tratti autentici di Kurosawa emergono in Gli uomini che camminano sulla coda della tigre (Tora no o wo fumu otokotachi, 1945), una variazione picaresca e ironica dei codici dei samurai, e soprattutto Non rimpiango la mia giovinezza (Waga seishun ni kuinashi, 1946), il primo film a inaugurare il dopoguerra giapponese affrontandone direttamente i problemi con un parallelo impegno a livello tecnico. Negli anni del dopoguerra Kurosawa descrive con vigore il ventre molle della società giapponese in L’angelo ubriaco (Yoidore tenshi, 1948), interpretato da Toshiro Mifune, da quel momento presenza fissa nel suo cast, e Cane randagio (Nora Inu, 1949). Rashomon (1951), jidaigeki tratto da due racconti dello scrittore Rynosuke Akutagawa, è uno dei suoi film più importanti, e fa scoprire al mondo il cinema d’arte giapponese. Il racconto è enigmatico e costruito attraverso flashback. Alcuni personaggi si ritrovano per ripararsi da un temporale e discutono di un fatto di sangue: un bandito ha aggredito un samurai e sua moglie, uccidendo l’uomo e stuprando la donna. La discussione dà origine a quattro versioni contraddittorie, secondo quanto raccontato da protagonisti e testimoni, cui se ne aggiunge una conclusiva che potrebbe essere vera. Kurosawa usa stili fotografici differenti per distinguere i piani narrativi, ma l’intero meccanismo lascia sospeso il giudizio sulla verità dei fatti. Il flashback ritorna nel finale di Vivere (Ikiru,1952) depotenziando il possibile esito melodrammatico della vicenda di un uomo condannato da una grave malattia a favore di un reportage amaro. I sette samurai (Schichi nin no samurai, 1954), presentato in versione ridotta al Festival di Venezia (mentre oggi è possibile vedere il montaggio originale) permette di apprezzare al meglio lo stile del regista. Kurosawa gira intere scene in piano sequenza ma con due o tre cineprese alla volta, così da avere molto più materiale per il montaggio, che esegue in prima persona. Notevole è sempre l’abilità nel dirigere e montare le scene d’azione violenta, laddove fa coincidere il mo-
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Film del primo dopoguerra
Attore simbolo Rashomon
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I sette samurai
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vimento della cinepresa con quello di oggetti e personaggi. Da un periodo difficile, in cui è attaccato fortemente in patria in seguito all’uscita di Dodes’kad-en (1970), Kurosawa risorge con Dersu Uzala (1975), girato in URSS grazie a una proposta di Sergej Gerasimov. È una storia commovente a cui fanno da cornice gli splendidi paesaggi della taiga siberiana. Kagemusha, l’ombra del guerriero (Kagemusha, 1980) e Ran (1985), girati in patria con l’aiuto finanziario di Francis Ford Coppola, sono un ulteriore stadio della sintesi tra cultura giapponese e occidentale. Le ultime opere, che contengono il testamento umano del regista, sono: Sogni (Dreams, 1989), Rapsodia in agosto (Hachi-gatsu no kyoshikyoku, 1990), che rivisita l’incubo atomico nell’inconscio giapponese, e il crepuscolare Madadayo – Il compleanno (Madadayo, 1993).
Dersu Uzala Cultura giapponese e occidentale Ultime opere
■ Kenji Mizoguchi
Il cinema di Kenji Mizoguchi (1898-1957), nonostante sia radicato nella tradizione cinematografica giapponese, anticipa già dagli anni Trenta alcune soluzioni tecniche che in Occidente sono sinonimo di modernità, una su tutte il piano sequenza. Autore di diversi film importanti negli anni Venti, Mizoguchi si afferma in via definitiva come un maestro del cinema giapponese con i due gendaigeki del 1936 L’elegia di Osaka (Naniwa ereji) e Le sorelle di Gion (Gion no shimai), in cui appare in maniera chiara il centro drammatico favorito del suo cinema, ovvero la condizione della donna all’interno della società giapponese. Le eroine di Mizoguchi sono donne maltrattate e umiliate da un ordine in cui vigono i codici patriarcali e feudali più biechi, e il cui riscatto può avvenire solo a prezzo del sacrificio di sé. È esemplare da questo punto di vista Vita di O-Haru, donna galante (Saikaku ichidai onna, 1952), in cui assistiamo al calvario di una donna che appare vittima designata di un sistema antiquato e brutale. Altri due jidaigeki degli anni Cinquanta contribuiscono ad assicurare al regista il prestigio internazionale (tre i Leoni d’Argento consecutivi ottenuti da Mizoguchi alla Mostra del Cinema di Venezia): I racconti della luna pallida d’agosto (Ugetsu monogatari, 1953), un film fantastico dalla struttura ispirata al teatro Noh, e L’intendente Sansho (Sansho dayu, 1954), tratto da un’antica leggenda giapponese. Tra i suoi ultimi film ricordiamo ancora Gli amanti crocifissi (Chikamatsu monogatari, 1954) e La strada della vergogna (Akasen chitai, 1956), con cui Mizoguchi conclude la sua lunga parabola artistica riprendendo il tema della vita delle prostitute già trattato in Donne della notte (Yoru no onnatachi, 1948).
Anticipatore di tecniche moderne Successo
Tema favorito
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Consacrazione internazionale
Ultimi film
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Ricerca figurativa
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Già dal 1936 (cinque anni prima di Quarto Potere) il regista giapponese ha sviluppato una ricerca figurativa personalissima, continuata con i suoi film del periodo di guerra Storia dell’ultimo crisantemo (Zangiku monogatari, 1939) e Storia dei fedeli seguaci dell’epoca Genroku (Genroku chushingura, 1941-1942), con una regia che privilegia nettamente la ripresa continua in profondità di campo e un accurato montaggio interno rispetto al metodo classico della descrizione psicologica per primi piani. Mizoguchi ricorre frequentemente al piano sequenza in campi lunghi – se non lunghissimi –, con angolazioni alte che contribuiscono a distanziare lo spettatore dalla scena e tendono a sottolineare le situazioni più drammatiche senza ricorrere a stacchi sui personaggi ma attraverso la durata del singolo piano e la sua composizione interna (grazie all’accurata scenografia e ai movimenti degli attori). Negli anni Cinquanta questa concezione quasi pittorica permane in tutti i suoi film, ma l’evoluzione stilistica di Mizoguchi lo conduce anche a manipolare a modo suo tecniche più vicine al cinema occidentale, servendosi di un montaggio più discontinuo e rapido o dei più classici piani di reazione (inquadrature che mostrano le reazioni emotive di un personaggio). ■ Yasujiro Ozu
Modelli
Produzione degli anni Trenta
Tematiche
Stile
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Quando Yasujiro Ozu (1903-1963) inizia la carriera di regista negli anni Venti, la sua spettacolare brillantezza si ispira al cinema americano (è curioso scoprire che il cineasta ascetico degli anni Cinquanta in gioventù era un ammiratore di Lubitsch). Con i film degli anni Trenta si delinea la sua concentrazione divenuta poi esclusiva sullo shomingeki, unita alla capacità di percepire il cambiamento nei costumi sociali del suo Paese. Questa abilità lo fa inizialmente agire sul filo tra dramma e commedia, in pellicole come Sono nato ma... (Otona no miru ehon – Umarete wa mita keredo, 1932) e Figlio unico (Hitori musuko, 1936). Gli shomingeki di Ozu sono legati a vicende familiari che da principio prendono spunto da situazioni e problemi sociali contingenti, ma che nel proseguimento della sua carriera, soprattutto nel corso della collaborazione con lo sceneggiatore Kogo Noda, assumono le forme di una meditazione più ampia sulla vita e sulla natura umana. Un’equivalente astrazione della tecnica conduce alle caratteristiche più palesi che fanno del regista giapponese un autore unico negli Quaranta e Cinquanta. Depurando progressivamente il proprio linguaggio, a partire dall’eliminazione di dissolvenze e movimenti di macchina, Ozu arriva infatti alla matura sintesi stilistica che pos-
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siamo ammirare nel suo film di riferimento per la critica occidentale, Viaggio a Tokyo (Tokyo monogatari, 1953). Alcune sue caratteristiche ne fanno un regista sorprendentemente diverso per chi è abituato al cinema occidentale. Per Ozu il punto di vista dell’obiettivo è una vera e propria visione del mondo, che corrisponde alla visuale che il giapponese medio è portato ad avere all’interno della propria casa (i suoi film maggiori trattano drammi domestici): il regista privilegia quindi le riprese statiche di interni dal basso (all’altezza del tatami). Durante i dialoghi non abbiamo il classico campo/controcampo nel quale ciascun personaggio si suppone guardi in direzione dell’altro, ma Ozu riprende sempre frontalmente il personaggio che parla in primo piano, facendo coincidere la direzione degli sguardi dei due dialoganti sulla stessa linea, in direzione della macchina da presa. Mentre il montaggio analitico del cinema di Hollywood mantiene lo sguardo dello spettatore all’interno di un’unica parte della scena – e quindi in uno spazio a semicerchio di 180°, per mantenere i personaggi sempre nella stessa posizione tra uno stacco e l’altro –, Ozu effettua sistematicamente una serie di scavalcamenti di campo concependo uno spazio circolare a 360° in cui rovescia la prospettiva e le posizioni dei personaggi cercando piuttosto armonie e parallelismi nella loro raffigurazione. Per questo il suo montaggio è organizzato in maniera geometrica per variazioni d’angolo che corrispondono a multipli di 45° (90° e 180° le combinazioni preferite). Le lunghe immagini di transizione di spazi vuoti, gli stacchi su oggetti simbolici e paesaggi, l’organizzazione ritmica dei rumori diegetici per creare una colonna sonora reale ma dai toni astratti, un racconto dai toni pacati organizzato per ellissi e ripetizioni e una recitazione altrettanto ellittica contraddistinguono oltre a Viaggio a Tokyo anche Tarda primavera (Banshun, 1949) e i suoi film più celebri del dopoguerra. Con una serie di sapienti variazioni sul tema, Ozu declina anche nelle successive pellicole il motivo della disgregazione della famiglia di fronte all’avanzare della modernità: Crepuscolo di Tokyo (Tokyo boshoku, 1957), Fiori d’equinozio (Higanbana, 1958), Tardo autunno (Akibyori, 1960) e Il gusto del sakè (Sanma no aji, 1962) raccontano nella stessa maniera intima il rapporto difficile tra padri e figli (più spesso figlie), mediante un numero limitato di temi – principalmente il matrimonio e la morte – esplorati in tutte le sfumature. Considerato troppo giapponese, Ozu non fu promosso adeguatamente all’estero. La sua scoperta da parte della critica occidentale è dunque recente (ricordiamo l’omaggio di Wim Wenders nel suo Tokyo-Ga, del 1985).
Viaggio a Tokyo
Montaggio
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Elementi tipici dei suoi film
Pellicole a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta
Il recente successo all’estero 151
4 - La scoperta dell’Asia ■ Altri registi
Teinosuke Kinugasa
Tit Keisuke Kinoshita Kaneto Shindo
Kon Ichikawa
Masaki Kobayashi
Il successo di La porta dell’inferno (Jigoku mon, 1953) premia Teinosuke Kinugasa (1896-1982), che già negli anni Venti aveva portato i suoi film in Europa – un caso raro per il cinema giapponese –, e si aggiudica la Palma d’Oro al Festival di Cannes grazie a un jidaigeki dai lussureggianti colori. Keisuke Kinoshita (1912-1998), dopo un inizio nella commedia, si dedica allo shomingeki: in Una tragedia giapponese (Nihon no higeki, 1954) la narrazione mista si serve anche di cinegiornali d’epoca. Kaneto Shindo (1912) è tra i primi ad affrontare il dramma di Hiroshima con I figli della bomba atomica (Gembaku no ko, 1952). L’isola nuda (Hadaka no shima, 1960) racconta la vita di una famiglia su un’isola deserta, mentre Onibaba – Le assassine (Onibaba, 1965) mette in scena con un raffinato linguaggio visivo una storia di terrificante crudezza. L’arpa birmana (Biruma no tategoto, 1956), il racconto di un soldato che finita la guerra dedica il resto della sua vita a seppellire e onorare i cadaveri di commilitoni e nemici, presentato alla Mostra di Venezia, fa conoscere in Occidente Kon Ichikawa (1915-2008). Tra gli altri suoi film, Fuochi nella pianura (Nobi, 1959) e La chiave (Kagi, 1959), quindi il documentario Le Olimpiadi di Tokyo (Tokyo Orimpikku, 1965). Masaki Kobayashi (1916-1996) esprime il suo credo pacifista nella trilogia intitolata Nessun amore è più grande (Ningen no joken, 1958-1961), ispirata a vicende autobiografiche; all’estero è conosciuto per Harakiri (Seppuku, 1963) e Storie di fantasmi (Kaidan, 1965).
Il cinema indiano Bollywood
Film d’intrattenimento 152
In India il cinema vanta una sua importante tradizione: l’industria, sviluppatasi in particolare a Bombay (oggi Mumbay; altri centri importanti sono Madras/Chennay e Calcutta), è tra le più prolifiche del pianeta. Rispetto al sistema giapponese, quello indiano si basa su piccoli e medi produttori. Quello di Bollywood è un cinema molto popolare, con il proprio sistema dei generi e il proprio ricco star system. In un paese vastissimo e dove si parlano più lingue prevale la produzione in hindi, anche se si tratta di un hindi semplificato e comprensibile in tutto il Paese: tra i generi il più tipico è la hindi comedy, insieme al melodramma e ai film in costume di soggetto storico, religioso o mitologico. Va detto che è consuetudine che non solo quelli musicali,
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ma tutti i film mainstream prodotti in India contengano numeri cantati e danzati. Alla produzione di intrattenimento negli anni Cinquanta si af- Film d’autore fianca un cinema d’autore nazionale rappresentato da Satyajit Ray, Bimal Roy, Ritwik Ghatak, Mrinal Sen e Guru Dutt. ■ Satyajit Ray
Allievo del grande scrittore indiano Tagore, Satyajit Ray (19211992) si forma nel cinema aiutando Renoir nelle riprese di Il fiume. Ray si distacca dai cliché del cinema nazionale eliminando canzoni e danze, mentre descrive poeticamente ma senza enfasi la vita di tutti i giorni, ispirandosi al Neorealismo italiano (come già Bimal Roy) e alla cultura filosofica del suo Paese assai più che alle sue consuetudini spettacolari. Il suo film d’esordio Il lamento sul sentiero (Pater Panchali, 1955), realizzato in due anni di lavoro con attori non professionisti, è accolto con entusiasmo oltre i confini del Paese ricevendo numerosi premi in vari festival internazionali. Insieme ad Aparajito (noto in Italia anche come L’invitto, 1957) e Il mondo di Apu (Apu Sansar, 1959) forma una trilogia ispirata ai romanzi di Bibhutibhushan Bandopadhyay. Nei tre film il protagonista Apu è seguito dall’infanzia all’età adulta; le sue vicende sono narrate con toni realistici senza ricorrere a parentesi spettacolari, mentre dalla messa in scena traspaiono le condizioni sociali dell’India nella prima parte del XX secolo. La regia di Ray intreccia un aspetto più contemplativo e filosofico, un pathos mai sopra le righe e una grande sensibilità visiva per il paesaggio e il ritmo della vita, senza introdurre canzoni e numeri cantati ma accompagnando le immagini con le musiche di Ravi Shankar (più tardi sarà lo stesso Ray a scrivere le musiche per i propri film).
Modelli Esordio Trilogia
Stile registico
SCHEMA RIASSUNTIVO GIAPPONE
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Il Leone d’Oro vinto da Rashomon di Akira Kurosawa alla Mostra del Cinema di Venezia del 1951 è fondamentale per il cinema giapponese, che negli anni successivi consacra i suoi migliori registi di fronte alle platee internazionali. Dopo il più giovane Kurosawa, cineasta giapponese più influente del dopoguerra, abile nel fondere la cultura orientale con i moduli occidentali quanto nel coniugare spettacolo e profondità umana, l’Occidente scopre Kenji Mizoguchi, maestro già dai tempi del muto ma dallo stile sorprendentemente moderno; mentre è assai più recente l’interesse per Yasujiro Ozu, probabilmente il regista più austero e originale della storia del cinema.
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Negli stessi anni in cui il Giappone esplode a livello mondiale anche l’India fa conoscere il suo cinema oltre i propri confini. Satyajit Ray, il più noto regista indiano, rifiuta alcuni canoni tipici del cinema commerciale del suo Paese (le scene cantate e danzate) e si misura con un realismo dal respiro lirico.
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5 Le nouvelles vagues Il successo della Nouvelle Vague francese e la sua novità di linguaggio segnano in maniera indelebile il corso degli anni Sessanta. Le prime opere di Truffaut, Godard e Resnais sono all’origine di un mutamento stilistico assai diffuso che si ripercuote su tutto il cinema narrativo facendo sorgere movimenti e risposte analoghe in diverse nazioni: queste nuove tendenze innescano un effetto-domino a livello mondiale e trasformano un panorama in rapida evoluzione e in linea con un’età contrassegnata da forti scosse di rinnovamento sociale e culturale.
La Nouvelle Vague francese Nuova Onda francese
Pilastri della Nouvelle Vague
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La Nouvelle Vague o “Nuova Onda” del cinema francese è un fenomeno a carattere spiccatamente generazionale esploso tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta grazie alla contemporanea ascesa di un gruppo di registi determinati a rinnovare il cinema attraverso forme nuove e contenuti personali. Al suo vertice si situano tre film, I quattrocento colpi (Les 400 Coups, 1959) di François Truffaut, Hiroshima mon amour (1959) di Alain Resnais e Fino all’ultimo respiro (À bout de souffle, 1960) di Jean-Luc Godard, responsabili della diffusione del Verbo, che nasce in un caso (quello di Resnais) dall’innalzamento stilistico del cinema alla complessità del romanzo contemporaneo e negli altri due da quella “politica degli autori” che Truffaut e Godard avevano sostenuto sulle riviste e in particolare sui Cahiers du Cinéma. Truffaut e Godard, insieme a Jacques Rivette, Eric Rohmer e Claude Chabrol, costituiscono il gruppo dei Giovani Turchi – così battezzati per la giovane età ma soprattutto per le idee irriverenti e controverse –, passati in blocco dalla redazione delle riviste alla direzione di cortometraggi e quindi ai loro lungometraggi d’esordio. Il tutto senza nessun apprendistato tecnico preliminare, ma contando sul proprio bagaglio di conoscenze acquisite nell’esercizio della critica cinematografica e su un’idea autoriale che pone al centro del fare cinema la figura del regista e il concetto di regia come scrittura per immagini. Segnando così un momento di grande rottura nella storia della settima arte, questi giovani registi spingono per realizzare film fuori dagli schemi commerciali e burocratici della produzione francese coeva, in controtendenza soprattutto rispetto alla tradizione di qualità.
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Giovani Turchi
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lic e Rottura con la tradizione
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5 - Le nouvelles vagues DALLA CAMÉRA-STYLO ALLA POLITIQUE DES AUTEURS ca il cinema nazionale contemporaneo più rispettato e prestigioso. Una certa tendenza del cinema francese imputa ai vari AutantLara, Delannoy, Clément e Allegret di essere meri esecutori delle sceneggiature di letterati come Jean Aurenche e Pierre Bost, ai quali Truffaut contesta in blocco le teorie sull’adattamento cinematografico. Al cinema di qualità – ribattezzato poi con spregio “cinema di papà” – il critico contrappone gli autori veri (Renoir, Ophüls, Becker, Bresson, Cocteau, Gance, Tati), in grado di scrivere da soli dialoghi e storie, ma soprattutto di illustrare la propria soggettività con i mezzi del cinema. In altri articoli Truffaut elabora ulteriormente i principi della politique des auteurs: il regista è l’unico autore dell’opera cinematografica, il cui vero contenuto scaturisce dalla forma del linguaggio attraverso cui è il regista stesso a esprimere la propria idea del mondo e del cinema. La politica degli autori porterà i critici a soffermarsi sulla tecnica come fattore significante – poiché ogni tecnica «rimanda a una metafisica», come sosteneva tra l’altro André Bazin parafrasando Sartre – e saranno gli stessi critici, una volta diventati registi, ad applicare tale politica alle proprie opere.
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Differenza con le generazioni precedenti
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Una caratteristica rivendicata orgogliosamente dagli stessi registi è la conoscenza della storia del cinema (importantissimo è il ruolo svolto dai cineclub e dal direttore della Cinémathèque Française, Henri Langlois) che li differenzia dalle generazioni precedenti e permette loro di compiere quella selezione dalla tradizione di cui già a suo tempo scriveva Thomas Stearns Eliot a proposito del Modernismo letterario. Padri putativi della Nouvelle Vague sono considerati i Lumière, Renoir, Vigo, ma, alla luce della rivalutazione del cinema americano di genere (e dei film di serie B), anche Hitchcock e Hawks, riabilitati come Autori – fondamentale il saggio monografico su Hitchcock scritto a quattro mani da Chabrol e Rohmer – e Rossellini (l’influenza del Neorealismo è la più vicina a livello tecnico ed estetico). I film abbondano di citazioni e omaggi espliciti o indiretti. Inizialmente la Nouvelle Vague fu anche un’etichetta commerciale, rifiutata da coloro che in seguito la rivendicheranno quando i tempi saranno cambiati e i detrattori divenuti la
Titolo
Alcune premesse del pensiero cinematografico alla radice del fenomeno della Nouvelle Vague si trovano in un articolo di Alexandre Astruc del 1948, pubblicato su L’Écran Français e intitolato “Nascita di una nuova avanguardia”: la caméra-stylo . Astruc, anch’egli futuro regista, osserva come il cinema abbia finalmente sviluppato il proprio linguaggio: nell’immediato futuro gli autori di film scriveranno e filmeranno servendosi della cinepresa come di una penna – da cui la definizione di caméra-stylo – che tradurrà i loro pensieri in immagini. Scritto più che altro come un visionario auspicio, questo saggio pone tuttavia alcuni punti fermi da cui si svilupperanno le basi di una rivoluzione critica e artistica: l’equivalenza tra lavoro filmico e scrittura, la maturità riconosciuta al linguaggio del cinema (nonché la sua pari dignità come arte rispetto alla letteratura), l’unificazione dell’aspetto concettuale e di quello tecnico nella figura dell’autore e infine l’analisi puramente formale dei film a partire dalla loro regia. Sei anni dopo sui Cahiers du Cinéma, fondati nel 1951 dal critico André Bazin, appare un controverso articolo-pamphlet nel quale il ventiduenne Truffaut demolisce senza possibilità di repli-
Modelli
Etichetta commerciale 155
5 - Le nouvelles vagues
Caratteristiche del movimento
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Apice della Nouvelle Vague
maggioranza. Punti fermi sono uno stile e una poetica individuale che rende ciascun regista diverso dagli altri. La diversità rivendicata da ciascuno non esclude che vi siano elementi comuni. Uno è la predilezione per i film a budget ridotto, girati fuori dagli studi, in esterni e interni veri. Prassi abbastanza comune è il fare a meno di un découpage troppo rigido, spesso anche della sceneggiatura, e lasciare spazio all’improvvisazione nella ripresa, nei dialoghi e nella recitazione. Alla predilezione per l’impiego di budget ridotti si accompagna la scelta di volti nuovi e giovani (Jean-Pierre Léaud, Jean-Paul Belmondo, Gérard Blain, Jean-Claude Brialy, Jeanne Moreau, Bernadette Lafont, Anna Karina, Anouk Aimée, Catherine Deneuve) per il lancio dei film. L’estetica privilegia uno stile cinefilo e antiaccademico. Si usano tecniche di derivazione documentaria e televisiva, girando fuori dai teatri di posa e in mezzo alla vita vera con troupe minime e servendosi della luce naturale, grazie alle nuove cineprese leggere come la Cameflex e a pellicole ultrasensibili. Mentre le opere di Rohmer, Rivette, Rozier e talune di Godard abbattono le frontiere tra cinema amatoriale e cinema professionale come tra film di finzione e documentario, quelle di Truffaut, Chabrol e Demy usano in modo più classico la sceneggiatura, l’intreccio romanzesco e i dialoghi scritti. Per quanto riguarda il suono, i primi film della Nouvelle Vague sono in genere postsincronizzati, sia per ragioni economiche sia per inconvenienti tecnici (le Cameflex 35 mm erano agili ma facevano molto rumore). La registrazione in presa diretta diventa normativa – lo è per Rohmer e Rivette, ad esempio – quando una nuova apparecchiatura portatile (Nagra) è introdotta sul mercato all’inizio degli anni Sessanta. Anche il colore non rientra nei piani della Nouvelle Vague, almeno all’inizio: i primi film sono esclusivamente in bianco e nero, ma presto tutti i registi finiranno per utilizzare il colore in modo significativo. L’esplosione della Nouvelle Vague si concentra tra il 1959 e il 1960; il movimento – che in realtà non è mai stato tale – entra in crisi a metà degli anni Sessanta lasciando spazio alle poetiche dei singoli autori. ■ François Truffaut
I quattrocento colpi
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Prima ancora di diventare regista, François Truffaut (19321984) è già il leader della giovane critica grazie alle sue posizioni più intransigenti in difesa degli autori e contro l’inautenticità del cinema ufficiale francese. Il film capofila della Nouvelle Vague è il suo primo lungometraggio I quattrocento colpi (Les 400 coups, 1959), girato con un budget molto inferiore alla media e baciato subito dal
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successo internazionale; da questa pellicola – presentata al Festival di Cannes, dove Truffaut, che era stato allontanato l’anno prima per le sue critiche al cinema francese, si aggiudica il premio per la miglior regia – traspirano una sincerità e una freschezza di tono non rintracciabili nella coeva tradizione di qualità. I modelli di Truffaut sono Renoir e Rossellini – più implicito e misurato l’omaggio al mondo di Vigo e Cocteau –, ma lo stile personale deriva anche dal coinvolgimento del regista in un soggetto in larga misura autobiografico. I quattrocento colpi è il trampolino di lancio di Jean-Pierre Léaud (allora quattordicenne) e del personaggio alter ego di entrambi, Antoine Doinel, successivamente al centro di un ciclo composto di vari film, tra cui Baci rubati (Baisers volés, 1958), ovvero dalle puntate di un ideale romanzo di formazione per immagini. Anche film di soggetto assai diverso come Il ragazzo selvaggio (L’enfant sauvage, 1970), Gli anni in tasca (L’argent de poche, 1976), La camera verde (La chambre verte, 1978) o Effetto notte (La nuit americane, 1973), in cui il regista compare anche come interprete, mostrano la sostanziale identità nella concezione truffautiana di un cinema «più personale di un romanzo, individuale e autobiografico come la confessione o un diario intimo». Questo tipo di scelta non riguarda solo i soggetti, ma il modo di filmare: per I quattrocento colpi Truffaut sceglie il dyaliscope (analogo francese del cinemascope) per meglio calare il personaggio nell’ambiente e un pedinamento alla maniera neorealista, ponendo allo stesso livello del personaggio una cinepresa che opera in maniera definita “soggettiva” anche se corrisponde al contrario del procedimento soggettivo classico: lo sguardo della macchina non sostituisce quello del protagonista ma lo incrocia facendo sì che incontri quello dello spettatore. Così si spiega, in uno dei finali più famosi della storia del cinema, lo zoom su un fermo immagine di Doinel-Léaud che guarda in macchina e restituisce lo sguardo al pubblico rompendo in extremis il velo della finzione. Il regista francese esprime il suo realismo soggettivo e la sua empatia con il soggetto attraverso un vocabolario tecnico rinnovato dal frequente ricorso allo zoom a stringere violentemente sui personaggi, alla camera a spalla e alle panoramiche a schiaffo, e da dialoghi più realistici e meno teatrali. Simili infrazioni allo stile accademico mirano a rendere più diretto, intimo e autentico il racconto cinematografico, e rappresentano qualcosa di pur sempre meno estremo rispetto agli attacchi frontali al linguaggio classico sferrati da Godard. Truffaut rimane fedele a intrecci e grandi temi romanzeschi – l’amore e la morte prima di tutto –, contaminando la letteratu-
Modelli
Antoine Doinel Concezione truffautiana
Ripresa “soggettiva”
Finale di I quattrocento colpi Scelte tecniche
Distacco dallo stile accademico
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Generi
Tirate sul pianista
Jules e Jim
ra filmica alta con quella di genere: il noir, il thriller ispirato al cinema americano e all’altro suo maestro, Hitchcock (La sposa in nero, La mariée était en noir, 1968), il melodramma sentimentale Adele H. – Una storia d’amore (L’histoire d’Adèle H, 1975), la fantascienza (Fahrenheit 451, 1966). Tirate sul pianista (Tirez sur le pianiste, 1960), tratto da un romanzo di David Goodis, è un thriller in cui la suspense è spesso rivoltata in maniera comica, e tanto la regia quanto la narrazione seguono un filo surreale: l’anarchia visiva, i cambi di registro, gli sbalzi continui nel racconto e nel montaggio – raccordi flash sull’asse, scavalcamenti di campo, falsi raccordi – e lo sdoppiamento continuo tra la voce interiore del protagonista e le immagini lo rendono il film più audace di Truffaut (risoltosi tra l’altro in un doloroso fallimento commerciale e critico). Il successivo Jules e Jim (Jules et Jim, 1962) è invece uno dei suoi film più riusciti. Se Truffaut aveva contestato al cinema di qualità il fatto di trasformare i romanzi in opere teatrali e la maniera intellettualmente disonesta di dividere i personaggi in buoni e cattivi, nell’adattare il romanzo di Henri-Pierre Roché – la storia dell’amicizia di due uomini e del loro amore per la stessa donna – il regista sceglie una linea che prevede ampi stralci di lettura filmata del testo originale da parte della voce narrante e mostra la stessa empatia nei confronti di tutti i personaggi (secondo l’etica di Renoir del dare a ciascuno le proprie ragioni). A queste scelte si accompagna una regia briosa che unisce i trucchi del Modernismo alle citazioni del cinema muto già presenti in Tirate sul pianista. Tra i registi della Nouvelle Vague Truffaut è stato il più capace di arrivare al grande pubblico. La morte prematura dovuta a un tumore al cervello gli impedirà di dare un seguito a Finalmente domenica! (Vivement dimanche!, 1983). ■ Jean-Luc Godard
Rispetto a Truffaut, Jean-Luc Godard (1930) si dimostra assai più ermetico e intellettuale; il suo intento è fare critica filmata, puntando diritto a una contestazione delle forme di base del cinema, che cerca puntualmente di reinventare in ogni suo film. Il suo primo lungometraggio è opera assai più di rottura di I quattrocento colpi. Fino all’ultimo respiro (À bout de souffle, 1960) è prima di tutto un paradigma dell’estetica della Nouvelle Vague: è girato nei luoghi veri di Parigi, in strada tra i passanti o in appartamenti, senza che vi sia aggiunta una sola scena in teatro di posa; sceneggiatura e dialoghi nascono in pratica durante le riprese. La cinepresa è sempre manovrata a spalla dall’operatore (l’abilissimo Raoul Coutard), che non usa mai il cavalletto, si serve di mezzi di
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Intento di Godard
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Titolo
fortuna come carretti delle poste o sedie a rotelle per effettuare le carrellate, segue i personaggi comportandosi come un reporter e usa in maniera sensibilissima il fuoco per ottenere immagini nitide con la luce naturale. In secondo luogo, Godard impone una sintassi visiva inaudita che spezza l’andamento fluido della scena con frequenti jump-cuts e varie forme di trasgressione e rottura insite in un montaggio, oseremmo dire, parasovietico. È il montaggio, infatti, che più di tutto rovescia le norme accademiche con stacchi netti, falsi raccordi, immagini brevi ed ellittiche, e imprime al flusso visivo una punteggiatura dall’andamento nervoso e frastagliato, piena di tagli netti e di sincopi improvvise. Come Ozu rompe con la regola dei 180°, Godard infrange più spesso quella dei 30° montando per salti ottici piani diversi con la medesima figura (ottenuti in genere spezzettando una ripresa continua con il taglio di pochi fotogrammi). La presenza complementare di lunghi piani sequenza fa di Fino all’ultimo respiro un ricettacolo di tendenze estreme. Le petit soldat (1961), girato in Svizzera e distribuito in Francia solo nel 1963 per la sua allusione diretta alla guerra d’Algeria, presenta più o meno le stesse caratteristiche: montaggio discontinuo, sbalzi di luce e la sostituzione abbastanza sistematica nei dialoghi del classico campo/controcampo con panoramiche a schiaffo che oscillano da un personaggio all’altro, una delle varie soluzioni in cui Godard si è sbizzarrito per sostituire la figurazione classica. La donna è donna (Une femme est une femme, 1961) è anch’esso pieno di bizzarrie tecniche a cominciare dal suo mescolare avanspettacolo e recitazione; è una commedia musicale recitata (al contrario di Les parapluies de Cherbourg di Jacques Demy, che sarà tutta cantata) o meglio «l’idea di una commedia musicale». Il regista sperimenta per la prima volta il colore e il suono in presa diretta abbozzando già le sue tecniche cromatiche e acustiche predilette: la combinazione di colori primari a tinte sature (bianco, rosso, blu, giallo) e l’uso disgiunto del suono rispetto all’immagine. Gli sbalzi e il livellamento arbitrario del missaggio di La donna è donna equivalgono ai salti delle immagini di Fino all’ultimo respiro. Nell’audio dei film di Godard la musica può sovrastare volutamente i dialoghi, i rumori di fondo possono cessare di colpo e il silenzio assoluto calare per assurdo, come avviene provocatoriamente in Bande à part (1964) e, in maniera più sibillina, in Questa è la mia vita (Vivre sa vie, 1962). Documentariodramma sulla prostituzione, Questa è la mia vita, nonostante il suo distanziamento brechtiano suggellato dalla divisione in quadri e da una tecnica di messa in scena a cui Godard si riferi-
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Le petit soldat
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Film della maturità
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Anni Ottanta
Primo regista a girare in proprio 160
sce chiamandola “teatro-verità”, suscita un certo pathos ed è, quasi per paradosso, il film più commovente del regista nonché un documento su Anna Karina, sua prima attrice e moglie fino al 1967. In questi anni Godard gira moltissimo, passando dal pauperismo didascalico di Les Carabiniers (1963) a un film ad alto budget risolto in maniera anticommerciale come Le mépris (1963; la versione italiana Il disprezzo non risulta per nulla all’altezza dell’originale per via di un doppiaggio assurdo, dei numerosi tagli e di altre manipolazioni), in cui inserisce brani di narrazione indiretta libera e di poesia audiovisiva. Se già nei primi suoi film il discorso narrativo e un discorso più astratto e critico intessuto di aforismi e citazioni si compenetrano portando a una destrutturazione del racconto, Il bandito delle ore undici (Pierrot le fou, 1965) e Una storia americana (Made in USA, 1967), pur avendo alla base storie di genere, sono soprattutto congegni metalinguistici in cui l’autore inserisce di continuo rimandi intertestuali tra varie discipline. Una donna sposata (Une femme mariée, 1964), Due o tre cose che so di lei (Deux ou trois choses que je sais d’elle, 1996) e Il maschio e la femmina (Masculin féminin, 1966) sono film-saggio, testi aperti e destrutturati in cui Godard affronta problemi di sociologia, estetica e politica. La cinese (La chinoise, 1967) apre gli “anni Mao” – venuti dopo gli “anni Cahiers” e gli “anni Karina”, secondo una periodizzazione indicata dallo stesso regista – radicalizzando le stesse istanze grazie a procedimenti metacinematografici ancora più esibiti e alla tendenza a servirsi di interviste frontali modellate sugli schemi del cinema-verità (Godard fa recitare gli attori guidandoli con l’auricolare). Gli anni dell’impegno militante nella sinistra extraparlamentare si riflettono nei film politici, girati sovente all’estero, e nella nuova maniera politica di girare film con il gruppo Dziga Vertov, scioltosi all’inizio degli anni Settanta. Mentre nel periodo successivo Godard si dedica soprattutto a sperimentare nuove tecniche alternando pellicola e video, durante gli anni Ottanta recupera una dimensione narrativa con un nuovo saggio (Passion, 1982) e due attualizzazioni “scandalose” della Carmen (Prénom Carmen, 1983) e dei Vangeli (Je vous salue Marie, 1985). In anni più recenti spicca la serie di Histoire(s) du cinéma (Storia/e del cinema, 1998). Godard resta nella storia come il più importante innovatore del periodo: per molti cineasti e critici la sua opera rappresenta un vero spartiacque storico. ■ Claude Chabrol
Claude Chabrol (1930) è il primo regista a girare in proprio, aprendo la strada a tutti gli altri suoi colleghi verso i ruoli di
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Doppio esordio
A doppia mandata
Tema della circolarità esistenziale
Anni Sessanta
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produttore o di supervisore tecnico. Il suo doppio esordio (Chabrol ha potuto formare una sua compagnia grazie a una provvidenziale eredità) avviene con due produzioni indipendenti: Le Beau Serge (1958), girato a Sardent, nella Creuse, dove il regista aveva trascorso tutta l’infanzia, e I cugini (Les cousins, 1959), interpretato dalla stessa coppia di attori principali (Gérard Blain e Jean-Claude Brialy), che ricalca e rovescia in modo speculare le situazioni – il confronto tra città e campagna e il rapporto tra i protagonisti maschili – cambiando ambito e descrivendo la bohème universitaria parigina. In entrambi i film l’interessante dialettica psicologica porta a invertire i ruoli prestabiliti mostrando come l’interesse di Chabrol per l’intreccio sia soprattutto di tipo morale. A doppia mandata (Double tour, 1959), un film dichiaratamente hitchcockiano fin dai titoli di testa, è il primo capitolo di una “commedia umana” sviluppata attraverso il genere giallo, strumento prediletto. Il regista rimane fedele all’idea che permea tutta la Nouvelle Vague, ovvero che un soggetto “piccolo” permetta di sviluppare la propria visione del mondo attraverso la regia. Oltre all’ambivalenza del reale, un altro motivo caro a Chabrol è la circolarità esistenziale sviluppata in sede di soggetto e di forma, dall’apertura di Le donne facili (Les bonnes femmes, 1960) che inquadra un paesaggio urbano intercambiabile –la stessa ripresa del traffico si ripete in loop riflettendo il destino delle ragazze, commesse di un negozio alle prese con le piccole infelicità quotidiane –, all’intera costruzione di Stéphane: una moglie infedele (La femme infidèle, 1966), retta da movimenti contraddittori che si bilanciano annullandosi a vicenda: ogni movimento di macchina ha un suo contrario speculare e una delle ultime inquadrature ospita un travelling in avanti e un contemporaneo zoom all’indietro. A metà degli anni Sessanta Chabrol si dedica a pellicole di consumo, riprendendo alla fine del decennio a lavorare in maniera assai più originale. Il tagliagole (Le boucher, 1969) è considerato il suo capolavoro; il thriller o le storie di omicidi tornano a essere un motivo di indagine ambientale ed etica sulla provincia e la borghesia. Il regista non abbandonerà mai questo filone, cui ritorna periodicamente e con stile, come dimostrato anche nei recenti Il fiore del male (La fleur du mal, 2003) e La damigella d’onore (La demoiselle d’honneur, 2004).
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■ Eric Rohmer
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Coerenza, stile e tono personale contraddistinguono l’ope- Caratteristiche ra di Eric Rohmer (1920), interprete di un realismo rigoroso dell’opera di Rohmer
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in o e obiettivo. Parafrasando la letteratura, Rohmer (il cui vero ssSchérer) compone nome è Maurice una parte cospicua della e sua opera n incgrandi nuclei tematici: la serie dei “Sei racconti morali” o dai mediometraggi in 16 mm La fornaia di c inizia Monceau (La boulangère de Monceau, 1962) e La carriera lo di Suzanne (La carrière de Suzanne,1963) e si chiude con ti o il pomeriggio (L’amour l’après midi, 1972), passanL’amore Tdo per La collezionista (La collectioneuse, 1967), La mia
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“Sei raccontri morali”
Stile
“Commedie e proverbi”
“Racconti delle quattro stagioni”
Ultimi film
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notte con Maud (Ma nuit chez Maud, 1969) e Il ginocchio di Claire (Le genou de Claire, 1970). Ne rimane escluso il primo lungometraggio Il segno del leone (Le sign du lion, 1961), dedicato alle peregrinazioni di un giovane dissoluto per una Parigi ripresa con grande accuratezza. La regia di Rohmer è sobria, la sua costruzione delle storie minima: i racconti morali, in cui compare quasi sempre la voce di un narratore, ruotano intorno a microdrammi, soprattutto al conflitto interiore dei personaggi maschili di fronte a storie d’amore inaspettate che subentrano o si sovrappongono a quelle già in essere, mettendoli così alla prova. Per partito preso Rohmer si serve del suono diretto e rifiuta la musica di accompagnamento non diegetica poiché la giudica una distrazione. Disponendo messe in scene regolate con intrecci poveri di azione, la sua attenzione si riversa sui dialoghi, trattati con tale cura da fargli meritare l’appellativo di regista “radiofonico”. Un secondo filone intitolato “Commedie e proverbi” inaugura gli anni Ottanta; il maggiore successo di Rohmer durante questo periodo è però un film isolato come Il raggio verde (Le rayon vert, 1986), non da tutti apprezzato nonostante il Leone d’Oro alla Mostra di Venezia. Il quartetto dei “Racconti delle quattro stagioni” inizia nel 1990 con Racconto di primavera (Conte de printemps, 1990) e prosegue con Racconto d’inverno (Conte d’hiver, 1991), Un ragazzo... tre ragazze (Conte d’été, 1996) e Racconto d’autunno (Conte d’automne, 1998); per queste commedie sentimentali Rohmer trae ispirazione dal teatro di Marivaux e Beaumarchais. Tra le opere del nuovo millennio, che continuano una raffinata e puntigliosa ricerca, possiamo citare l’opera in costume La nobildonna e il duca (L’anglaise et le duc, 2001) e l’enigmatico Agente speciale (Triple agent, 2005), un film di spionaggio tutto basato sui dialoghi. ■ Jacques Rivette
Più distaccata e meno prolifica – ma solo per via della mole intellettuale di molti suoi progetti – appare l’avventura parallela di Jacques Rivette (1928), anch’egli critico e in seguito 162
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caporedattore dei Cahiers du Cinéma (si ricorda una sua celebre stroncatura di Kapò di Gillo Pontecorvo), e dedito in qualità di regista a progetti rivelatisi lunghi e difficoltosi per mancanza di risorse. È il caso del suo primo lungometraggio Paris nous appartient (1961), in cui il clima morale e la geometria di Lang, il pedinamento neorealista e uno sguardo d’atmosfera su Parigi che omaggia i serial di Louis Feuillade si fondono con un espediente tipico di Rivette: l’intreccio di un oscuro complotto e di una meta-finzione, solitamente l’allestimento di una pièce teatrale, con le vicende dei personaggi-attori. Un altro ostacolo con cui spesso Rivette deve fare i conti è la censura, come avviene per Susanna Simonin, la religiosa (La religieuse, 1966), tratto da Diderot. Dopo L’amour fou (L’amore folle, 1968), la sua esperienza-limite in seno alla Nouvelle Vague, negli anni Settanta sviluppa prima un’opera come Out 1 (Out 1: noli me tangere, 1970), divisa in otto episodi per un totale di undici ore (ne esiste una versione ridotta, di quattro: Out 1: spectre, 1971) e quindi un metodo di lavoro vicino alle ricerche del teatro contemporaneo. Questo metodo consiste in una realizzazione collettiva a cui contribuiscono in maniera decisiva gli attori, dove il divenire del processo creativo, colto con il minor numero di manipolazioni, possibili porta a una paradossale alienazione dall’idea di autore. Lo stile si lega progressivamente al piano sequenza e alla presa diretta e il suo metodo di scrittura riflette le combinazioni aleatorie e l’idea di improvvisazione organizzata propria della musica contemporanea. Il film di Rivette è un dialogo autoriflessivo tra il cinema, gli attori, le situazioni messe in scena e l’idea di messa in scena, in cui la consapevolezza di girare un film entra in maniera ancora più evidente nella dialettica narrativa tra finzione e verità.
Primo lungometraggio
L’ostacolo della censura
Metodo di lavoro
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■ Jacques Rozier
Negli anni Sessanta Jacques Rozier (1926) realizza un solo lungometraggio, considerato tuttavia tra le opere più spontanee e riuscite della Nouvelle Vague: Desideri nel sole (A- Desideri nel sole dieu Philippine, 1963) narra dell’incontro estivo tra due ragazze e un ragazzo che alla fine dovrà partire per la guerra d’Algeria. Lo stile di Rozier improntato all’improvvisazione lo avvicina ai reportage televisivi e al cinema diretto. ■ Jacques Demy
Tra i registi francesi che esordiscono tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta si colloca anche Jacques Demy (1931-1990), amante della commedia musicale cui 163
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Elementi di spicco
rende omaggio in Lola – Donna di vita (Lola, 1960) e nel suo capolavoro Les parapluies de Cherbourg (1964), esempio delizioso e malinconico di musical in stile Nouvelle Vague: si recita dove il dialogo è tutto cantato e le azioni sono sincrone rispetto alla musica senza che gli attori si producano in vere danze. Demy fa dell’astro nascente Catherine Deneuve il centro di una fiaba melodrammatica; oltre alla colonna sonora spicca l’originalità dei movimenti di macchina e di una messa in scena coloratissima che spazia dai toni più accesi alle tinte pastello e alle sfumature più delicate. Da notare anche il gioco grafico, ritmico e cromatico dell’unica coreografia alla Busby Berkeley inquadrata in plongée sullo scorrere dei titoli iniziali.
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Commedie musicali
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I precursori e gli “esterni”
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Tra coloro che hanno anticipato o posto le basi della Nouvelle Vague, insieme agli autori oggi più studiati, vi sono Pierre Kast (1920-1984), Jacques Doniol-Valcroze (1920-1989), fondatore insieme a Bazin dei Cahiers du Cinéma e regista di Le gattine (L’eau à la bouche, 1959), e Alexandre Astruc (1923). A quest’ultimo si devono la teoria della caméra-stylo e l’esempio base di adattamento letterario “Nouvelle Vague”, quello di Una vita (Une vie, 1958), tratto da Maupassant, La tenda scarlatta (Le rideau cramoisi, 1952), I cattivi incontri (Les mauvaises rencontres, 1954) e La preda per l’ombra (La proie pour l’ombre, 1960). Un film precursore è senza dubbio La Pointe-Courte (1957) di Agnès Varda, girato in un piccolo villaggio di pescatori, senza produttore né autorizzazioni e con una troupe ridottissima. Varda, come Resnais e Franju è associata alla parallela Rive Gauche. ■ Roger Vadim
Esordio
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L’audacia del suo lungometraggio di debutto Piace a troppi (Et Dieu créa la femme, 1956) pone Roger Vadim (1928-2000) tra gli antesignani del movimento; la sua presenza è tuttavia periferica e piuttosto legata al ricambio generazionale e alla liberazione dei costumi, come ribadito dal successivo interesse per il filone erotico di Le relazioni pericolose (Les liaisons dangereuses, 1962) o del sexy fantasy Barbarella (1968), con Jane Fonda. La novità esteriore di Piace a troppi è tuttavia forte per il panorama pre-Nouvelle Vague; le riprese a Saint Tropez (dive-
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nuta in seguito una località alla moda) e soprattutto la seduzione del personaggio di Juliette – una giovane e provocante Brigitte Bardot – fanno di Vadim un autentico flâneur dell’epoca. È riferendosi a questo film che il critico Pierre Billard Origine ha mutuato l’espressione Nouvelle Vague dal titolo di un re- dell’espressione portage giornalistico. “Nouvelle Vague” ■ Louis Malle
Più interessante il caso di Louis Malle (1932-1995), la cui attività resta staccata dal movimento pur incrociandolo in più di un’occasione. Dopo aver lavorato come assistente di Jacques Cousteau e Robert Bresson, nel 1957 Malle dirige Ascensore per il patibolo (Ascenseur pour l’échafaud), un giallo-noir che vibra di note inedite non solo per la colonna sonora – firmata da Miles Davis all’alba della rivoluzione modale –, ma anche per le descrizioni ambientali di una Parigi buia e concreta, filmata con le sue vere luci notturne grazie a una pellicola ultrasensibile (allo stesso modo colpisce lo sfondo completamente buio e astratto dell’interrogatorio). Malle collabora con il direttore della fotografia Henri Decaë, a sua volta collaboratore di Truffaut e altri registi, anche in Les amants (Gli amanti, 1958), girato con articolati piani sequenza, stile abbandonato da Zazie nel metrò (Zazie dans le métro, 1960), dove a dominare sono semmai la frammentazione del montaggio e un’esilarante susseguirsi di zoom e stacchi veloci. Da Vita privata (Vie privée, 1962) lo stacco sull’asse diventa per sua stessa ammissione la figura prediletta di Malle, per il quale lo stile è una preoccupazione costante, tanto da valergli spesso le accuse di manierismo. Proprio con tono manierista il suo Fuoco fatuo (Le feu follet, 1963) ripropone molti topoi dell’epoca quali le riprese con la macchina a mano, i piani sequenza che seguono i personaggi per le vie di Parigi e il jump-cut. Nonostante questo suo preziosismo esibito Fuoco fatuo è il film più sofferto e sentito di Malle, come anni più tardi sarà anche Cognome e nome: Lacombe Lucien (Lacombe Lucien, 1974). Malle si distingue anche per opere più commerciali, ma le parentesi documentarie di Calcutta (1969), Place de la République (1974) e soprattutto Umano troppo umano (Humain trop humain, 1974) – dove mette a confronto un salone dell’auto e la catena di montaggio della Citroën – sono tra le più significative della sua carriera. Arrivederci ragazzi (Au revoir les enfants, 1987), in cui affiorano i suoi ricordi d’infanzia, è la più nota e probabilmente la migliore tre le opere di finzione mature.
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Vita privata
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Film commerciali e documentari
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La Rive Gauche
Esponenti
Stile della Rive Gauche
Il nuovo cinema francese che si afferma negli anni Sessanta deve molto anche ai registi appartenenti alla Rive Gauche, la “riva sinistra” intellettuale parigina: questi formano un gruppo altrettanto eterogeneo rispetto al complesso degli ex critici dei Cahiers du Cinéma (Godard, Truffaut, Rohmer, Chabrol, Rivette) e presentano alcune diversità nello stile. Alain Resnais, che ne è senza dubbio l’esponente più autorevole, Agnès Varda, precorritrice della stessa Nouvelle Vague, e Georges Franju si impongono prima nel campo dei documentari (al gruppo della Rive Gauche è accostato anche il documentarista sperimentale Chris Marker). Il loro cinema di finzione appare più cerebrale; soprattutto Resnais prende come modello le ricerche più sofisticate della narrativa contemporanea lavorando su sceneggiature scritte da romanzieri importanti (Marguerite Duras, Alain Robbe-Grillet, Jean Cayrol). Non è un caso se Alain RobbeGrillet, teorico del Nouveau Roman, dopo aver scritto per lui L’anno scorso a Marienbad decida di misurarsi anche con la regia. Lo stesso accadrà a Marguerite Duras, sceneggiatrice di Hiroshima mon amour. Tra gli autori vicini alla Rive Gauche va segnalato anche Henri Colpi (1921-2006), montatore dei film di Alain Resnais. ■ Alain Resnais
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Notte e nebbia Hiroshima mon amour
Trama
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Prima di dedicarsi ai film di finzione Alain Resnais (1922) si fa apprezzare come documentarista. Gli aspetti che più lo ossessionano nella prima fase della sua carriera ruotano intorno alla deperibilità della memoria e all’oblio; questi motivi sono comuni a vari suoi soggetti e culminano nel mediometraggio Notte e nebbia (Nuit et brouillard, 1956). Questo documentario sui campi di sterminio è un’opera scioccante, l’enunciazione di un dissidio che ritroviamo anche nel testo di Hiroshima mon amour (1959): quello tra una tragedia del passato (la Shoah, la distruzione di Hiroshima) evocata da un montaggio di immagini di repertorio e una dimensione presente visualizzata nelle ampie carrellate in spazi interni vuoti dove aleggiano i fantasmi dei trascorsi orrori. Hiroshima mon amour nasce come documentario ma si evolve in lungometraggio di finzione: il gioco di associazioni mnemoniche e parallelismi giustappone la tragedia personale di un’attrice francese (si innamorò di un soldato occupante tedesco che le fu ucciso davanti agli occhi) alla tragedia collettiva di Hiroshima e al suo amore presente per un giapponese. L’attacco del film è quanto mai inusuale: due
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corpi si abbracciano, si fondono, sono trasformati in immagini astratte; è l’inizio di un dialogo allegorico pieno di anafore, allitterazioni e artifici ritmici, un vero e proprio recitativo nel quale i due personaggi principali commentano fuori campo immagini di Hiroshima. Il racconto che segue è frammentario, basato su una serie di reminescenze successive della donna che ricorda il suo passato e lo rivive nel presente. Attraverso il montaggio e i movimenti di macchina Resnais crea corrispondenze formali e transfert emotivi tra piani cronologici distinti ma uniti dallo scorrere di un tempo poetico fluido, il tempo dell’interiorità e dell’immaginario. In L’anno scorso a Marienbad (L’année dernière à Marienbad, 1961) assistiamo a una dissoluzione del racconto tradizionale e delle coordinate dello spazio e del tempo sui fili di una ragnatela puramente mentale. Resnais e lo sceneggiatore Alain Robbe-Grillet adottano una costruzione modulare e ripetitiva (i personaggi sfuggono l’abituale psicologia a partire dai nomi – che non hanno – e somigliano piuttosto ai temi di una composizione sinfonica, quando non ai suoi gruppi strumentali). Il montaggio, i movimenti di macchina e l’intera colonna sonora assumono un tono incantatorio, ipnotico, musicale, svincolato dalla verosimiglianza, divincolandosi in un labirinto rappresentativo astratto. Gli spostamenti continui frutto di carrellate barocche e panoramiche interminabili e persino le più scontate combinazioni di montaggio (raccordi di direzione e campo/ controcampo, esteticamente perfetti) comportano i più sorprendenti e repentini cambi di scena o addirittura di rappresentazione e spiazzano la percezione dello spettatore, chiamato a muoversi in un plot che sembra piuttosto dipanarsi come un fascio di possibilità. Considerato da taluni un puro esercizio di stile, L’anno scorso a Marienbad rimane una delle opere più complesse e affascinanti degli anni Sessanta, quasi una summa del cinema moderno. Anche quando riprende il principio di verosimiglianza, Resnais non rinuncia a ciò che lui chiama Realismo contemporaneo – cioè il filmare non solo ciò che accade all’esterno ma anche dentro la mente dei personaggi – e alle narrazioni decronologiche di Muriel il tempo di un ritorno (Muriel ou le temps d’un retour, 1963) e La guerra è finita (La guerre est finie, 1966) per arrivare alla stratificazione di Providence (1977), considerato il vertice della sua maturità, e alle successive ricerche artistiche, tra le quali figurano i due film gemelli Smoking/No Smoking (1994): ispirandosi alle commedie teatrali di Alan Ayckbourn, Resnais mostra varie versioni della stessa storia in base alle possibili scelte compiute dai personaggi.
L’anno scorso a Marienbad
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Realismo contemporaneo
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■ Agnès Varda, Georges Franju, Alain Robbe-Grillet Agnès Varda, La belga Agnès Varda, in origine fotografa, è la prima a indicaprecorritrice re la via alla Nouvelle Vague e alla stessa Rive Gauche girando della Nouvelle Vague nel 1954 La Pointe-Courte, in cui il dialogo si svolge spesso su un piano di commento, astratto. Cléo dalle 5 alle 7 (Cléo de cinq à sept, 1962) presenta la stessa divisione in capitoli del contemporaneo Questa è la mia vita di Godard (proprio Godard e Anna Karina compaiono in un film nel film), ma la durata della storia riflette un tempo reale racchiuso in un arco cronologico che corrisponde alla durata del film. Cléo attende il risultato delle analisi che diranno se è o non è malata di cancro, e le varie scene che la avvicinano al verdetto seguono la sua evoluzione interiore con criteri fenomenologici cari al gusto dell’epoca. Con un artificio da nuova letteratura Il verde prato dell’amore (Le bonheur, 1965) mostra simbolicamente una donna sostituirne un’altra. Georges Franju Georges Franju (1912-1987) si fa conoscere già alla fine degli anni Quaranta con due significativi documentari di denuncia: il crudo e apodittico Il sangue degli animali (Le sang des bêtes, 1949), girato in un mattatoio di Parigi, e il duro Hôtel des Filmografia invalides (1951). Passato ai film di finzione con La fossa dei disperati (La tête contre les murs, 1958), all’inizio degli anni Sessanta realizza Occhi senza volto (Les yeux sans visage, 1960), un horror espressionista, Il delitto di Thérèse Desqueyroux (Thérèse Desqueyroux, 1962) e L’uomo in nero (Judex, 1963), ispirato ai serial degli anni Dieci. Alain Robbe-Grillet Alain Robbe-Grillet (1922-2008), teorico del Nouveau Roman, dopo aver scritto L’anno scorso a Marienbad per Resnais decide di tradurre al cinema come regista le sue sperimentazioni di romanziere – cominciando con L’immortale (L’immortelle, 1963) –, soffermandosi soprattutto sull’antipsicologia e sulla messa a nudo dei meccanismi del racconto. Trans-Europe-Express Trans-Europe-Express (noto in Italia anche come A pelle nuda, 1966) mostra virtualmente una creazione in atto con un montaggio parallelo tra una realtà in cui lo scrittore si trova su di un treno diretto ad Anversa e detta alla sua segretaria gli appunti per un soggetto di narcotraffico e sesso sadico e il film immaginario che progressivamente prende forma e si modifica secondo le sue indicazioni, dettate dalla sua voce fuori campo o analizzate dalle scene in cui lo si vede discutere con i suoi collaboratori. In L’uomo che mente (L’homme qui ment, 1968) è il personaggio protagonista a comportarsi come il narratore riscrivendo ogni volta la propria storia. La passione per le provocazioni erotiche e i meccanismi complessi denota anche i successivi film di Robbe-Grillet, a partire da Oltre l’Eden (L’Eden et après, 1971).
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Gli altri movimenti internazionali Fermo restando il ruolo propulsore svolto dal cinema fran- Nouvelles vagues cese, si potrebbe parlare per gli anni Sessanta di età delle del resto del mondo nouvelles vagues, tanto il fenomeno si declina al plurale e tanti sono i movimenti analoghi che l’ondata d’oltralpe trascina con sé o ispira. In contemporanea alla Nouvelle Vague francese o sul suo esempio nascono fenomeni paralleli in Europa e nel resto del mondo: il Free Cinema inglese, la Neue Deutsche Welle tedesca, la Nová Vlna ceca, il nuovo cinema polacco, il Cinema Nôvo brasiliano e anche un gruppo di nuovi autori in Giappone che fanno leva sulla trasgressione a livello di linguaggio e contenuti. ■ Il Free Cinema inglese
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Stand up, Stand up!
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Nel 1956 Lindsay Anderson e Karel Reisz firmano il manifesto Stand up, Stand up!, pubblicato sulla rivista Sight and Sound e usato come presentazione dei mediometraggi O Dreamland (1953) di Anderson, Momma don’t allow (1955) di Reisz e Tony Richardson e Together (1955) di Lorenza Mazzetti. Contemporaneo al movimento letterario e teatrale degli angry young men, rappresentato a teatro da George Osborne in Look Back in Anger, diventato un film di Tony Richardson, I giovani arrabbiati (1959), il Free Cinema è interessato a una rappresentazione “vera” della realtà. A contraddistinguerlo sono i temi sociali riguardanti la vita disagiata delle classi lavoratrici e il realismo più che la sperimentazione linguistica. I registi che vi aderiscono dimostrano personalità diverse. Lindsay Anderson (1923-1994) in Io sono un campione (This Sporting Life, 1963) mostra lo squallore che circonda la vicenda di un ragazzo della classe operaia divenuto campione di rugby ma che progressivamente perderà tutto ciò per cui ha lottato. Mentre con Se... (If..., 1966) si scaglia contro l’educazione antiquata e regressiva dei college mostrandone il lato grottesco con un linguaggio a tratti teso e allucinato. Tony Richardson (1928-1991) dal realismo di Gioventù amore e rabbia (The Loneliness of The Long Distance Runner, 1962) passa alle sperimentazioni linguistiche operate sull’adattamento di Tom Jones (1963) di Henry Fielding, celebre romanzo settecentesco. Ai temi sociali è fedele Karel Reisz (1926-2002) in Siamo i ragazzi di Lambeth (We Are The Lambeth Boys, 1958) e Sabato sera domenica mattina (Saturday Night and Sunday Morning, 1960) prima di cambiare registro a metà degli anni Sessanta. Al Free Cinema sono accomunate anche le opere di John Schlesinger (1926-2003) e Richard Lester (1932), quest’ultimo noto soprattutto per i suoi film sui Beatles.
Tematiche Lindsay Anderson
Tony Richardson
Karel Reisz
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5 - Le nouvelles vagues ■ Il manifesto di Oberhausen e la Neue Deutsche Welle
Manifesto di Oberhausen Politica in sostegno del cinema
Alexander Kluge
Temi prediletti
Nella Germania Occidentale nel 1962 alcuni giovani registi firmano un manifesto per il nuovo cinema che viene presentato al Festival di Oberhausen: il documento denuncia la stasi di cui è vittima il cinema nazionale e chiede con forza una politica adeguata da parte del governo in sostegno della cinematografia tedesca. Tre anni dopo il governo della Germania Federale istituisce il Kuratorium Junger Deutscher Film (Commissione per il giovane cinema tedesco) che si occupa di incoraggiare la produzione finanziando le opere prime. Il contenuto del manifesto verrà in seguito ridimensionato dagli stessi firmatari, ma i suoi effetti si traducono in un cambiamento la cui onda lunga porterà ai fasti degli anni Settanta. Alexander Kluge (1932) è tra i primi a beneficiare della situazione e a rinnovare i moduli espressivi del cinema tedesco con La ragazza senza storia (Abschied von Gestern, 1966) e Artisti sotto la tenda del circo: perplessi (Die Artisten in der Zirkuskuppel: Ratlos, 1968). Kluge fa propri lo stile della Nouvelle Vague (macchina a mano, montaggio ellittico a salti, brusche panoramiche, zoom) e soprattutto la forma godardiana del saggio: in entrambi i film narra in forma aforistica storie esemplari di donne, che esprimono le sue perplessità sul capitalismo e sulla condizione umana contemporanea vista attraverso di loro, sovrapponendo al dramma una dissertazione in forma di collage con inserti di materiale di repertorio, didascalie e stralci di interviste sul modello del cinema-verità. La stessa critica sociale è presente in forme più lineari, ma sempre filtrata da una forma di straniamento con l’inserzione di elementi eterogenei, nei film degli anni Settanta Le occupazioni occasionali di una schiava (Gelegenheitsarbeit einer Sklavin, 1973) e Ferdinando il duro (Der starke Ferdinand, 1976). Un altro film fondamentale degli anni Sessanta tedeschi è Cronaca di Anna Magdalena Bach (Chronik der Anna Magdalena Bach, 1967) di Jean-Marie Straub (1933), una biografia di Johann Sebastian Bach che Straub (di origine francese) e la moglie Danièle Huillet concepiscono in maniera del tutto anticonvenzionale. La vita del grande compositore è desunta dagli stralci di un diario (apocrifo) della moglie letto da una voce narrante e dalle esecuzioni integrali di brani del suo repertorio suonati con strumenti d’epoca, riprese e registrate in diretta, a cui si mescolano brevi scene narrative e riprese documentaristiche. Nelle parole di Straub la musica non è il commento o l’accompagnamento ma la materia estetica del film, e il suo scopo quello di filmare delle persone mentre suonano e compiono un lavoro di fronte alla cinepresa. Le opere del duo Huillet-Straub da allora si baseranno su alcuni assunti precisi:
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il suono in presa diretta, una recitazione piatta e inespressiva, il rifiuto della finzione tradizionalmente intesa (e quindi della sua mimesi). Le loro pellicole più celebri sono messe in Filmografia scena minimaliste di testi teatrali, letterari o di opere musicali come Mosè e Aronne (Moses und Aron, 1974) di Schönberg, Othon (Les yeux ne veulent pas ent tout temps se fermer ou Peut-être qu’un jour Rome se permettra de choisir à son tour, 1970) di Corneille o Quei loro incontri (2006), recitazione dei Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese. Al giovane cinema tedesco che anticipa il nuovo degli anni Settanta dà il suo contributo anche Peter Fleishmann (1937) con Scene di caccia in Peter Fleishmann bassa Baviera (Jagdszene aus Niederbayern, 1969). ■ Movimenti e autori dell’Europa Orientale
In Polonia Jerzy Skolimowski (1938) e Roman Polanski (1933) rappresentano la generazione successiva a quella di Wajda e Munk. Skolimowski in Segni particolari: nessuno (Rysopis, 1964), osserva da vicino la nuova gioventù polacca seguendo l’errare senza meta di un giovane (interpretato dallo stesso regista) in attesa di partire per la leva e mettendo in bella mostra uno stile bizzarro ma studiato, sia nella composizione di inquadrature insolite sia nell’articolazione di piani sequenza in movimento che sono predominanti in Walk over (Walkover, 1965). Dopo il suo terzo film Barriera (Bariera, 1966), il più sperimentale e fantasioso, Skolimowski vince il Festival di Berlino con Il vergine (Le départ, 1966), girato in Belgio e interpretato da Jean-Pierre Léaud. L’esilio dalla Polonia lo conduce in Gran Bretagna: qui dirige La ragazza del bagno pubblico (Deep End, 1970), L’australiano (The Shout, 1978) e Moonlighting (1982). Roman Polanski, assistente e interprete per Andrzej Wajda, si fa notare per una serie di cortometraggi surreali, tra cui Due uomini e un armadio (Dwaj ludzie z szafa, 1958). Il coltello nell’acqua (Nóz w wodzie, 1962), attraverso la vicenda di una coppia che ospita nella sua barca a vela un giovane autostoppista, individua tensioni latenti nella società polacca e subisce severe critiche nel suo Paese che il regista lascia di lì a poco. La Nová Vlna cecoslovacca nasce nel momento in cui la vita culturale e politica del Paese si apre a una nuova fase di libertà e di sperimentazione (parallelamente al cinema si sviluppano il teatro e la letteratura) che porta alla Primavera di Praga. I registi cechi tendono a eludere le restrizioni dell’ottica realsocialista e a concentrarsi sulla soggettività e su nuove ricerche formali e narrative, oltre che sulla satira sociale. Vera Chytilová (1929) organizza Le margheritine (Sedmykrásky, 1966) come il confronto di due personaggi femminili in chiave comico-sur-
Cinema polacco Jerzy Skolimowski
Il vergine
Roman Polanski
Nová Vlna cecoslovacca
Vera Chytilová
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(una donna incinta persuasa che i vicini siano dei satanisti e la creatura che porta in grembo figlia del demonio), e il segno di Polanski: una particolare angoscia metafisica prossima al paranormale o, più di frequente, all’incubo. La si può riscontrare in L’inquilino del terzo piano (Le locataire, 1976) e, senza riferimenti all’occulto, in Chinatown (1974), splendida rivisitazione del noir classico. Alla fine degli anni Settanta Polanski lascia gli Stati Uniti dove è accusato dello stupro di una minorenne (un altro caso di cronaca che ha riguardato il regista è l’uccisione di sua moglie Sharon Tate nel 1969) e si stabilisce definitivamente in Francia. A Parigi gira il thriller Frantic (1988). Dopo il torbido Luna di fiele (Bitter Moon, 1992) dirige Il drammatico La morte e la fanciulla (Death and the Maiden, 1994). Nel 2003 ha vinto l’Oscar con Il pianista (The Pianist, 2002), storia di un musicista ebreo sfuggito ai lager (dove invece morì la madre di Polanski).
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Dopo le critiche ricevute per il suo Il coltello nell’acqua Roman Polanski (1933) lascia la Polonia per la Gran Bretagna, dove gira Repulsion (1965), un interessante horror introspettivo che ha per soggetto la degenerazione psichica di una giovane donna preda di fobie sessuali. Regista eclettico e di notevole stile, che ha diretto anche parodie e commedie sarcastiche, Polanski appare particolarmente a suo agio nel rendere visivamente situazioni assurde e claustrofobiche ai limiti del grottesco, come in Cul de sac (1966), che possono ricordare Buñuel come Beckett o Kafka. Alla fine degli anni Sessanta approda negli Stati Uniti e gira un altro horror, Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York (Rosemary’s Baby, 1968), considerato il suo capolavoro e senza dubbio una delle declinazioni più originali del genere. L’aspetto suggestionante del film sono la sua ambiguità, il dubbio che l’orrore sia una proiezione delle ansie della protagonista
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ROMAN POLANSKI
reale facendone un’opera profondamente critica della società cecoslovacca. Jan Neˇmec (1936) nel racconto di una fuga in Démanty noci (I diamanti della notte, 1964) inserisce flashback e scene potenziali mentre in O slavnosti a hostech (Rapporto sulla festa e gli invitati, 1966) elegge una situazione assurda a metafora della società. Uno spirito più comico ma ugualmente satirico mostrano Ivan Passer (1933) in Illuminazione intima (Intimní osveˇ tleni, 1965), mentre Jirˇí Menzel (1938) adatta dai romanzi di Bohumil Hrabal i suoi film più importanti: Treni strettamente sorvegliati (Ostre sledované vlaky, 1966) e Allodole sul filo (Skriváncˇi na nitich, 1969); quest’ultimo, bloccato dopo la restaurazione sovietica, verrà mostrato solo nel 1990, quando vincerà l’Orso d’Oro al Festival di Berlino. A posteriori, il più noto esponente della Nová Vlna è Miloš Forman (1932). L’autore di L’asso di picche (Cˇerný Petr, 1963), Gli amori di una bionda (Lásky jedné plavovlásky, 1965) e Al fuoco, pompieri! (Horˇí má panenko, 1968) lascia la Cecoslovacchia all’indomani della repressione sovietica e gira negli Stati Uniti i suoi film più conosciuti: Taking Off (1970), Qualcuno volò sul nido del cuculo (One Flew over the Cuckoo’s Nest, 1975) e Amadeus (1984).
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Miloš Forman
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Cinema ungherese István Szábo e Miklós Jancsó
Stile
Novi Film: Aleksandar Petrovicˇ e Dusan Makavejev
■ Unione Sovietica
Andrej Tarkovskij
Successo internazionale
Critica
Andrej Rubliov
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In Unione Sovietica la novità è rappresentata da Andrej Tarkovskij (1932-1986). Allievo di Mikhail Romm (1901-1971), regista dell’ortodossia staliniana che proprio negli anni Sessanta realizza le sue opere migliori e più libere tra cui Nove giorni in un anno (Devjiat’ dnej odnogo goda, 1962), Tarkovskij con L’infanzia di Ivan (Ivanovo detstvo, 1962) ottiene la fama internazionale vincendo ex aequo il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia. Il film, aderente a molti canoni del realismo socialista, interpreta la vicenda di Ivan (un orfano dodicenne che combatte con i partigiani e quindi aiuta l’esercito russo) in chiave poetica, incorniciandola tra due sequenze oniriche. Osteggiato dalle autorità sovietiche, Tarkovskij è accusato anche dalla critica occidentale di sinistra di “decadentismo estetizzante”, ma viene difeso in un memorabile articolo da JeanPaul Sartre. Aperto da una splendida sequenza realizzata con soggettive aeree che danno veramente le vertigini, Andrej Rubliov (Andrej Rublëv, 1966), è un punto fermo nella definizione dello stile del regista (soprattutto per l’ampio uso del piano sequenza e per la sua tendenza a trasfigurare la realtà su un piano simbolico e onirico) e nella sua riflessione sull’arte: il
Titolo concesso in licenza a PARI
I due nomi nuovi più importanti del cinema ungherese, che già aveva dato segni di risveglio nel dopoguerra con le opere di Károly Makk (1925) e Zoltán Fabri (1917-1994), sono quelli di István Szábo (1938), influenzato dal nuovo cinema francese e da Bergman, e Miklós Jancsó (1921), la cui riflessione storica è accompagnata da una meditazione stilistica altrettanto profonda. La trilogia formata da I disperati di Sándor (Szegénylegények, 1965), L’armata a cavallo (Csillagosok katonák, 1967) e Silenzio e grido (Csend és, kiáltás, 1968) illustra episodi diversi della storia ungherese interpretati secondo il rapporto tra rivoluzione e reazione, ma si distacca dai canoni del realismo socialista e della scrittura tradizionale (l’impegno esplicito, l’intreccio e l’approfondimento psicologico), cercando di trascendere i soggetti fino a mostrare delle pure dinamiche astratte attraverso i movimenti degli attori e della macchina da presa. Jancsó è solito girare lunghi piani sequenza di cinque o dieci minuti, producendo un senso astratto attraverso i movimenti di attori e macchina da presa studiati coreograficamente nei minimi dettagli. Contemporaneamente in Iugoslavia si sviluppa il Novi Film, i cui esponenti principali sono Aleksandar Petrovicˇ (1929-1994) e Dusan Makavejev (1932); il primo tende al realismo, il secondo al saggio metafilmico realizzato con la tecnica del collage, come in Verginità indifesa (Nenivost bez zaštite, 1969).
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Solaris Ultimi film Sergej Paradžanov
film, biografia per tappe di un pittore di icone del Quattrocento, sarà invisibile in URSS fino al 1972. Sei anni dopo Tarkovskij dà alla luce l’opera che in modo riduttivo era pubblicizzata come «la risposta sovietica a 2001: Odissea nello spazio»: l’arcano e splendido film di fantascienza Solaris (Soljaris, 1972). Prima di misurarsi con un’altra allegoria fantascientifica, Stalker (1979), gira Lo specchio (Zerkalo, 1974), in cui la narrazione si dissolve in un libero flusso di coscienza. Negli anni Ottanta Tarkovskij lascia l’Unione Sovietica e gira in Italia i suoi due ultimi film: Nostalghia (1983) e Sacrificio (Offret, 1986). Negli anni Sessanta il georgiano Sergej Paradžanov (19241990) realizza due film di grande modernità come Le ombre degli avi dimenticati (Tini zabutykh predkiv, 1965) e Il colore del melograno (Sayat Nova, 1968). ■ Gli autori della Nouvelle Vague giapponese
Nagisa Oshima
Stile di rottura
Due pellicole da scandalo
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In Giappone sono le major a creare la contestazione cinematografica soffiando sui vari fuochi accesi del Paese, dove la ratifica nel 1960 dei nuovi trattati nippo-americani segna la sconfitta storica del partito comunista quanto dei movimenti operai e studenteschi. Nagisa Oshima (1932) è aiutoregista presso la Shochiku quando la sua casa di produzione ha l’idea di farlo esordire alla regia sfruttando l’onda della protesta giovanile. Nascono così Racconto crudele della gioventù (Seishun zankoku monogatari, 1960) e Il cimitero del sole (Taiyo no hakaba, 1960) oltre al politico Notte e nebbia del Giappone (Nihon no yoru to kiri, 1960). La rottura di Oshima non è solo nei contenuti, ma soprattutto estetica, anche se la spregiudicatezza del suo linguaggio visivo può oscillare da un estremo all’altro: il piano sequenza (in un film di sole 45 inquadrature) di Notte e nebbia del Giappone diventa il montaggio disorientante e allucinato di Il demone in pieno giorno (Hakuchu no torima, 1966). Diario di un ladro di Shinjuku (Shinjuku dorobo nikki, 1968), Ragazzino (Shonen, 1969) e La cerimonia (Gishiki, 1971) condensano i vari temi (politico, sessuale, generazionale) della contestazione di Oshima alla società giapponese. Negli anni Settanta due sue pellicole fanno scandalo per il sesso esplicito mostrato sullo schermo: sono Ecco l’impero dei sensi (Ai no korida, 1976) e L’impero della passione (Ai no borei, 1978). Più interessante Max amore mio (Max mon amour, 1986), girato in Francia e scritto da Jean-Claude Carrière, uno degli sceneggiatori prediletti di Luis Buñuel (è la storia di una signora borghese che accoglie come amante uno scimpanzé), e l’indagine sul rapporto tra pulsione omoerotica e militarismo che si mostra in Furyo (Senjo no Kurisumasu, 1983) o nell’ambiente samurai di Tabù – Gohatto (Gohatto, 1998).
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L’esordio di Shohei Imamura (1926-2006) è una satira violen- Shohei Imamura ta e grottesca sull’occupazione americana in Giappone: Porci, geishe e marinai (Buta to gunkan, 1959). Lo stesso tipo di sguardo distaccato sulle empietà raccapriccianti della società giapponese si può ritrovare in Cronaca entomologica giapponese (Nippon konchuki, 1963) e, attraverso un ibrido di finzione e cinema verità, in Nippon segonshi (1970), un’osservazione in realtà macroscopica su un tema alla Mizoguchi. La storia di un serial killer è al centro di La vendetta è mia (Fukushu suru wa ware ni ari, 1979). Quattro anni dopo Imamura vince la Palma d’Oro a Cannes con il suo La ballata di Naraya- Successo ma (Narayama bushiko, 1983); nel 1998 doppia il successo internazionale ottenuto con L’anguilla (Unagi). Una fiaba erotico-surreale è Acqua tiepida sotto un ponte rosso (Akai hashi no shita no narui mizu, 2001), l’ultimo lungometraggio a essere accolto con favore in Occidente.
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■ Il Cinema Nôvo brasiliano
Di tutti i movimenti quello brasiliano è il più politicizzato. Il Cinema Nôvo nasce in opposizione al cinema di Hollywood in quanto simbolo dell’imperialismo culturale statunitense (a sua volta riflesso del colonialismo economico e politico). Se Nelson Pereira dos Santos (1928) è il precursore con Rio 40 Graus (1955) e uno dei maggiori esponenti – come dimostra Vidas Secas (1963) –, insieme a Paulo Saraceni, Ruy Guerra, Carlos Duegues e Joaquim Pedro de Andrade, il ruolo di guida del movimento spetta a Glauber Rocha (1939-1981): è lui nel 1965 a definirne le idee programmatiche nel saggio-manifesto L’estetica della fame. Nelle intenzioni di Rocha il sottosviluppo delle periferie urbane e delle aree rurali del Nordeste deve fornire lo spunto per una radicale trasformazione della cultura e della società brasiliane. La macchina da presa diventa uno strumento di lotta politica e rivoluzionaria e di rivendicazione di un’identità culturale nazionale su base popolare: si spiegano così la presenza nelle sue opere di canti tradizionali e musica percussiva di origine africana, di riti tribali e di miti folcloristici, e il perché in Il dio nero e il diavolo biondo (Deus e o diabo na terra do sol, 1963) inserisca a intervalli regolari il commento fuori campo di un cantastorie a cui affida il compito di dare una morale alla storia («il mondo è dell’uomo, né di Dio né del Diavolo»). Il dio nero e il diavolo biondo e Antonio das Mortes (O dragão da maldade contra o santo guerreiro, 1969) ricorrono alle figure leggendarie di beatos (mistici) e cangaceiros (banditi) per mostrare l’oppressione esercitata dai latifondisti sui contadini del sertão. Antonio das Mortes, sicario al soldo dei padroni, prenderà infine le parti
Risposta all’imperialismo di Hollywood Nelson Pereira dos Santos Glauber Rocha
Ruolo della cinepresa
Critica sociale
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Terra in trance Stile
Crisi del Cinema Nôvo
del popolo oppresso. Terra in trance (Terra em Trance, 1967) è un’appassionante critica agli intellettuali brasiliani e al loro rapporto con il potere. Il cinema di Rocha, volutamente ibrido e imperfetto, delirante e rapsodico, si affida agli sbalzi della macchina a mano e al montaggio irregolare, trae spunti eterogenei dal Neorealismo, dal cinema sovietico degli anni Venti, da Godard o dal Buñuel messicano, alterna il realismo didascalico a un furente epos e a un simbolismo febbrile. In conseguenza di un nuovo golpe militare in Brasile molti esponenti del Cinema Nôvo sono costretti a trasferirsi all’estero perché nel mirino delle autorità, mentre un attacco al loro messaggio arriva dalla diffusione dell’udigrudi, il cinema underground brasiliano, o dal più edulcorato tropicalismo. Altri movimenti cinematografici interessano l’America Latina: tra questi il “Terzo Cinema” argentino e il nuovo cinema di Cuba.
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SCHEMA RIASSUNTIVO In Francia, alla fine degli anni Cinquanta, un gruppo di giovani critici di cinema (i nomi più noti sono quelli di François Truffaut, Jean-Luc Godard, Claude Chabrol, Eric Rohmer e Jacques Rivette) decide di passare in blocco alla regia contando sul mutuo sostegno e sulla forza innovativa delle proprie idee. Nasce così il fenomeno della Nouvelle Vague, primo passo verso il Modernismo degli anni Sessanta: soprattutto I quattrocento colpi di François Truffaut, Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard e Hiroshima mon amour di Alan Resnais (considerato parte della parallela Rive Gauche) rappresentano nuovi modelli di scrittura filmica a cui guarderanno con estrema libertà i registi di tutta Europa e di altri continenti (dall’Inghilterra all’Europa dell’Est, dal Brasile al Giappone).
GLI ALTRI MOVIMENTI
La spinta propulsiva della Nouvelle Vague francese si ripercuote direttamente o indirettamente anche sulle altre cinematografie, dove è in atto un ricambio generazionale all’insegna della modernità che tocca soprattutto la Gran Bretagna (dove già dalla fine degli anni Cinquanta esiste il Free Cinema), la Germania (il Manifesto di Oberhausen del 1962 e la conseguente nuova onda tedesca) e numerosi Paesi esteuropei: Cecoslovacchia (la Nóva Vlna), Ungheria, Iugoslavia, Polonia (dove si segnalano gli esordi di Jerzy Skolimowski e Roman Polanski), e in parte URSS (dove campeggia la figura più isolata di Andrej Tarkovskij). Mentre Nagisa Oshima e Shoei Imamura rinnovano ulteriormente il cinema giapponese che già negli anni Cinquanta aveva compiuto un salto di qualità, in Brasile il movimento del Cinema Nôvo coniuga le ricerche espressive del Modernismo cinematografico a un impegno politico rivoluzionario.
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LA NOUVELLE VAGUE
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6 Il cinema italiano
negli anni Sessanta
Non esiste un movimento analogo alla Nouvelle Vague per il cinema italiano, che vive in ogni caso una stagione di intenso rinnovamento: alla generazione dei Visconti, Antonioni e Fellini che ha portato il cinema d’arte italiano a essere il più originale del mondo si aggiungono nuovi contributi, tra cui anche quello di un intellettuale come Pasolini, che ha deciso di misurarsi in modo autonomo con il linguaggio delle immagini. Altri eventi storici di cui tener conto sono l’esplosione dello spaghetti western e la codificazione della commedia all’italiana.
I nuovi autori Non esiste un movimento simile alla Nouvelle Vague nella ci- Tendenze del nuovo nematografia che per prima, con il Neorealismo, si era avviata cinema italiano sulla strada della modernità. L’influenza francese è evidente nei più giovani come Marco Bellocchio e Bernardo Bertolucci, alla tradizione neorealista si ispira Ermanno Olmi, mentre Pier Paolo Pasolini sceglie una propria via personale alla modernità. Elio Petri e Francesco Rosi prediligono un cinema di denuncia.
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■ Pier Paolo Pasolini
Prima di debuttare nella regia Pier Paolo Pasolini (1922-1975) lavora nel cinema come sceneggiatore. La sua prima opera da regista, Accattone (1961), riprende l’ambientazioni dei suoi romanzi (Vittorio Cataldi, detto Accattone, è un sottoproletario che vive di espedienti alle spalle di una prostituta) e ricorda il Neorealismo per l’ambientazione e il ricorso ad attori non professionisti. Pasolini accosta le immagini in modo più poetico che propriamente tecnico, con uno stile non omologato, tra il rude e lo ieratico, spesso duro (ma anche con momenti di sensibile tenerezza). Tipica è anche l’intensità dei suoi primi piani: lo staccare sui piani di ascolto o reazione dei personaggi è un procedimento quasi astratto che tende a rendere i volti simili a icone. La sua estetica dell’immagine e la sua iconografia più che da un bagaglio cinefilo (possiamo in ogni caso riconoscere le influenze di Dreyer, Ejženštejn e Buñuel) provengono dalla pittura: se la frontalità con cui è ripresa la tavolata nuziale nella prima scena di Mamma Roma (1962) suggerisce l’idea del Cenacolo, nello stesso film il giovane Ettore
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Influenze artistiche e culturali Citazioni
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morto è ripreso nella stessa posizione e con l’identico scorcio del Cristo di Andrea Mantegna. Le Deposizioni di Rosso Fiorentino e Pontormo sono citate in La ricotta (1963), episodio del film collettivo Ro.Go.Pa.G., che tra l’altro subì un processo per vilipendio alla religione. Non accade con Il Vangelo secondo Matteo (1964), un’opera sincera e controcorrente girata tra i Sassi di Matera e i paesaggi dell’Italia meridionale: il taglio visivo è da cine-reportage, con molte riprese a mano, violente zoomate e movimenti a schiaffo, ma anche lente panoramiche contemplative e pittorici campi lunghi insieme a primi piani e inquadrature grandangolari che in sintesi la rendono un’opera stilisticamente ricca e composita. Anche la scelta delle musiche è significativa: il regista, che già aveva accompagnato i momenti più struggenti di Accattone con La passione secondo Matteo di Bach, sceglie un commento musicale che spazia da Bach e Mozart fino agli spiritual e alla Missa Luba congolese. Nello stesso anno Pasolini realizza l’inchiesta sociologica Comizi d’amore. Gira poi con Totò Uccellacci e uccellini (1966), apologo tragicomico sulla crisi del marxismo, e Cosa sono le nuvole? (1967), episodio di un altro film collettivo, Capriccio all’italiana, ma l’accoppiata non dà i risultati che sarebbe stato lecito aspettarsi. Dopo il dramma antiborghese Teorema (1968) e una delle sue opere più polemiche, Porcile (1969), Pasolini continua il discorso di Edipo re (1967) in Medea (1970, con Maria Callas protagonista) e Appunti per un’Orestiade africana (1970) calando le tragedie greche nell’ambito nel Terzo Mondo. Gli anni Settanta di Pasolini si aprono all’insegna della cosiddetta “trilogia della vita”, composta da Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972) e Il fiore delle Mille e una notte (1974). La sua carriera cinematografica si conclude con Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975); prima della sua uscita nelle sale, Pasolini viene assassinato in circostanze che ancora oggi destano dubbi e sospetti.
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Scelta della colonna sonora
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Il Vangelo secondo Matteo
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Film degli anni Sessanta
Gli anni Settanta
■ Bernardo Bertolucci
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L’influenza della Nouvelle Vague è evidente negli esordi di Bernardo Bertolucci (1941), legato anche a Pasolini di cui è aiutoregista e da un cui soggetto trae La commare secca (1962). A differenza di Pasolini, Bertolucci adotta il linguaggio moderno in una deriva più estetizzante. In Prima della rivoluzione (1964), ricco di riferimenti cinefili, descrive le angosce e le incertezze dei giovani presessantottini. Dopo Partner (1968), un’attualizzazione di Il sosia di Dostoevskij ispirata alle coeve sperimentazioni di Godard, con Il conformista e Strategia del ragno, entrambi del 1970, inizia una trilogia di lavori sul fascismo (interpretato alla luce dei rapporti con la borghesia).
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Delinea anche la sua estetica matura con un intreccio a più dimensioni di flashback, movimenti di macchina e sperimentazioni sulla luce. Nel 1972 è la volta di Ultimo tango a Parigi, Ultimo tango a Parigi film scandalo degli anni Settanta (il processo per oscenità si conclude con una condanna alla distruzione del negativo; la riabilitazione avverrà solo nel 1987), cui segue Novecento (1976), ambizioso e discusso affresco sulle vicende private e pubbliche di due personaggi contrapposti (padrone e contadino) sullo sfondo della Bassa Padana, dall’inizio del secolo alla Liberazione. Con La luna (1979) intreccia melodramma e psicanalisi, mentre torna all’affresco storico nel 1987 con L’ultimo imperatore, cui seguono il Il tè nel deserto (1990), i me- Film più recenti no interessanti Piccolo Buddha (1993), L’assedio e The Dreamers – I sognatori (The Dreamers, 2003), con cui ritorna agli anni del Sessantotto. ■ Marco Bellocchio
Marco Bellocchio (1939) debutta nel 1965 con un film dirompente, che con la sua eversiva e dissacrante irrequietezza linguistica anticipa i temi della contestazione giovanile del Sessantotto: I pugni in tasca è l’opera prima più destabilizzante per il cinema italiano dai tempi di Ossessione di Luchino Visconti. Rimasto ineguagliato il concentrato di rabbia e ironia beffarda del primo lungometraggio, Bellocchio prosegue tra ricordi autobiografici e polemica ideologica in La Cina è vicina (1967), Nel nome del Padre (1972), Marcia trionfale (1976) e Sbatti il mostro in prima pagina (1972), dove alla critica della famiglia e dei valori borghesi si aggiunge quella alle istituzioni. A metà degli anni Settanta dirige insieme a Silvano Agosti, Stefano Rulli e Sandro Petraglia il film documentario collettivo Matti da slegare (1974-1975). Con Salto nel vuoto (1980) e Gli occhi, la bocca (1982) ritorna ai temi di I pugni in tasca. La sua produzione acquista nuovo vigore alla fine degli anni Novanta con Il principe di Homburg (1997), La balia (1999) e soprattutto L’ora di religione (2002), tra i migliori film italiani dell’ultimo decennio, e Buongiorno notte (2003), ai quali fa seguito il surreale Il regista di matrimoni (2006).
Anticipatore della contestazione giovanile
Critica sociale
Anni Novanta
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■ Marco Ferreri
Marco Ferreri (1928-1997) debutta con in Spagna con El pisito Esordi (1958) ed El cochecito (1960), nei quali inizia a sviluppare quella che sarà la sua futura vena grottesca. Tornato in Italia, con Una storia moderna: l’ape regina (1963), La donna scimmia (1964), Marcia nuziale (1966) e L’harem (1967) si dimostra l’autore più iconoclasta degli anni Sessanta: suoi pri- Tematiche mi bersagli sono soprattutto il perbenismo e i tabù della bor179
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Capolavoro
ghesia. Nel 1969 è la volta del suo capolavoro Dillinger è morto (1969), emblema dell’alienazione quanto Il seme dell’uomo (1970) lo è del potenziale autodistruttivo della società dei conLa grande abbuffata sumi. Tre anni dopo firma con La grande abbuffata (1973) il più celebre dei suoi manifesti dissacratori e continua negli anni successivi la sua analisi spietata e surreale della società contemporanea in Non toccare la donna bianca (1974), L’ultima donna (1976), Ciao maschio (1978), Chiedo asilo (1979) e Storie di ordinaria follia (1981), fino alla sua ultima opera, Nitrato, del 1996. ■ Ermanno Olmi
Primi film
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Negli anni Cinquanta Ermanno Olmi (1931) lavora alla Edison e coglie l’occasione per inagurare una sezione cinema nella sua azienda e realizzare una serie di documentari. L’esperienza ispira il mediometraggio Il tempo si è fermato (1959) e i primi lungometraggi di finzione, Il posto (1961) e I fidanzati (1963), storie di vita quotidiana legate al mondo del lavoro e degli affetti girate in stile documentaristico con la macchina a mano. Dopo E venne un uomo (1965), ritratto di papa Giovanni XXIII, Un certo giorno (1968) e La circostanza (1974), nel 1978 Olmi tocca l’apice con L’albero degli zoccoli. Interpretato da non professionisti e recitato interamente in dialetto, è una meticolosa descrizione dei riti e dei ritmi di vita di una cascina bergamasca alla fine dell’Ottocento, nella quale Olmi rievoca le sue origini e riflette il suo spirito religioso e la sua attenzione per gli umili. Olmi torna al cinema nel 1987 con Lunga vita alla signora, seguito da La leggenda del santo bevitore (1988), Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia, Lungo il fiume (1992), Il segreto del bosco vecchio (1993), tratto dall’omonimo racconto di Dino Buzzati, e Genesi: la Creazione e il Diluvio (1994). Ritorna a esprimersi a livelli altissimi con il dramma storico Il mestiere delle armi (2001), mentre nel 2003 è la volta di una fiaba, Cantando dietro i paraventi. Nel 2005 realizza un episodio del film collettivo Tickets e nel 2007 Centochiodi, che annuncia come suo ultimo film di finzione desiderando dedicarsi solo ai documentari.
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Anni Ottanta e Novanta
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Film del nuovo millennio
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Film-inchiesta
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■ Francesco Rosi
Francesco Rosi (1922) debutta alla fine degli anni Cinquanta con La sfida (1958) e I magliari (1959), mostrandosi interessato ai problemi sociali. Inaugura il filone del film-inchiesta con Salvatore Giuliano (1961-1962), costruito intrecciando narrazione e giornalismo e articolato attraverso lunghi flashback. Film di denuncia sulla speculazione edilizia a Napoli (la città del regista), Le mani sulla città (1963) vince il Leone
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d’Oro alla Mostra di Venezia del 1963. Dopo i meno convincenti Il momento della verità (1965) e C’era una volta... (1967), torna all’impegno civile con Uomini contro (1970), tratto da Un anno sull’altopiano di Emilio Lussu, e all’inchiesta con Il caso Mattei (1972) e Lucky Luciano (1973). È considerato tra la sue opere migliori anche Cadaveri eccellenti Cadaveri eccellenti (1976), tratto dal romanzo Il contesto di Leonardo Sciascia. Tra i film successivi si notano altri tre adattamenti da romanzi: Cristo si è fermato a Eboli (1979) di Carlo Levi, Cronaca di una morte annunciata (1987) di Gabriel Garcìa Marquez e La tregua (1997) di Primo Levi. ■ Elio Petri
Come Rosi, anche Elio Petri (1929-1982) si dedica a tematiche Impegno civile civili. In L’assassino (1961) e I giorni contati (1962) mescola gli interessi sociali al linguaggio moderno della Nouvelle Vague. Dopo i meno riusciti Il maestro di Vigevano (1963) e La decima vittima (1965), con A ciascuno il suo (1967), inizia la Stagione migliore sua stagione migliore, passando per Un tranquillo posto di campagna (1968), per arrivare a Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970), paradossale riflessione sui meccanismi del potere, e La classe operaia va in paradiso (1971), le sue opere più significative, entrambe interpretate da Gian Maria Volonté e musicate da Ennio Morricone. Più ridondante appare La proprietà non è più un furto (1973), mentre rimangono veementi, anche se meno riusciti, Todo modo (1976) e Buone notizie (1980). ■ Altri registi
Gillo Pontecorvo (1919-2006) raggiunge la notorietà internazionale con Kapò (1960), dramma ambientato nei campi di sterminio, La battaglia di Algeri (1966), affresco storico-politico dedicato alla liberazione dell’Algeria, e Queimada (1969). Damiano Damiani (1922) si segnala con Il rossetto (1960), il giallo Il sicario (1961) e L’isola di Arturo (1962). Aderisce occasionalmente al filone western con Quien sabe? (1966) e inaugura con Il giorno della civetta (1968), dal romanzo omonimo di Leonardo Sciascia, e Confessione di un commissario di polizia al procuratore della Repubblica (1971) una serie di film polizieschi d’inchiesta proseguita negli anni Settanta. Vittorio De Seta (1923), già apprezzato documentarista, ispirandosi al Neorealismo gira Banditi a Orgosolo (1961); Nanni Loy (1925-1995) dedica alla Resistenza Un giorno da leoni (1961) e Le quattro giornate di Napoli (1962). Le tematiche legate ai giovani e l’interesse per la psicologia femminile accomunano Antonio Pietrangeli (1919-1968) – Io la conoscevo
Gillo Pontecorvo
Damiano Damiani Film polizieschi d’inchiesta Vittorio De Seta e Nanni Loy
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6 - Il cinema italiano negli anni Sessanta DINO RISI E GLI SVILUPPI DELLA COMMEDIA ALL’ITALIANA Con la sua critica dei vizi dell’italiano medio inconsistente e autodistruttivo; I mostri e degli squilibri generati dal boom economi- (1963) è un mosaico di venti sketch che dà co, Dino Risi (1916-2008) rappresenta il nuo- la possibilità a Vittorio Gassman e Ugo Tovo filone della commedia all’italiana. Il sor- gnazzi di creare un’ampia galleria di persopasso (1962) mette in luce il nuovo italiano, naggi in un salace ritratto collettivo.
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Capostipiti dell’horror italiano
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Carmelo Bene
bene (1965), Adua e le compagne (1960), La visita (1963) – e Valerio Zurlini, che si impone con Estate violenta (1959), La ragazza con la valigia (1961) e Cronaca familiare (1962). Gli anni Sessanta vedono anche esordire Liliana Cavani, Lina Wertmüller e i fratelli Taviani, i cui lavori oggi più considerati vedranno la luce nel decennio successivo. Carmelo Bene (1937-2002), istrionico attore di teatro, con Nostra Signora dei Turchi (1969), tratto da un suo romanzo, realizza uno dei film più eccentrici e sperimentali del cinema italiano insieme a quelli dell’artista Mario Schifano. Mario Bava (1914-1980) con La maschera del demonio (1960) e Riccardo Freda (19091999), che lo segue con L’orribile segreto del Dr. Hichcock (1962) e Lo spettro (1963) ma lo aveva anticipato con I vampiri (1956), sono i capostipiti dell’horror italiano. Bava si misura anche con il thriller e la fantascienza.
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Valerio Zurlini
■ Sergio Leone e lo spaghetti western
Novità rispetto al western americano
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Per un pugno di dollari
All’inizio degli anni Sessanta in Spagna e Germania già si producono western che imitano quelli americani. In Italia due produttori della Jolly Film, pensando di poter riproporre l’esperimento anche da noi, si rivolgono a Sergio Leone (19261989), regista del peplum Il colosso di Rodi (1960). Nasce così Per un pugno di dollari (1964), capostipite del genere western all’italiana, noto anche con la formula spaghetti western. Il film di Sergio Leone contiene diverse innovazioni, che saranno la cifra dei suoi western e di quelli italiani, rispetto al modello classico. Prima di tutto un’accentuazione del realismo e della violenza, mostrata in maniera più esplicita e ravvicinata (in America il codice Hays non permetteva di contenere chi sparava e chi era colpito nella stessa inquadratura, e le uccisione erano mostrate in prevalenza in campo lungo); in secondo luogo la scelta di protagonisti non idealizzati, personaggi di contorno innalzati a figure principali ma non eroiche in senso classico; infine l’insistenza sui dettagli e su particolari del volto come gli occhi (amplificati oltretutto dal formato panoramico), accanto a elementi di modernità nella forma narrativa (il flashback non era consuetudine nei western) e a una musica caratterizzante creata da Ennio Morricone.
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La regia di Leone si esprime con inquadrature di ampio respiro e in un ritmo e un tono particolari, in cui l’epica si mescola all’ironia. Per un pugno di dollari era un esperimento: i produttori non si curarono del fatto che lo schema narrativo fosse identico a quello di La sfida del samurai (1961) di Kurosawa, non aspettandosi di avere così largo successo. Completata una prima trilogia con Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto e il cattivo (1966), Leone affronta la decadenza del mito della frontiera in C’era una volta il West (1968), in cui recupera tuttavia una forma classica, e la sua interpretazione libertaria in Giù la testa! (1971). Abbandonato il western, si dedica a C’era una volta in America (1984), maestoso gangster movie eletto a summa definitiva del suo stile e della sua poetica. I film di Leone inaugurano un genere: sulla sua scia si pongono Django (1966) di Sergio Corbucci (1927-1990) e Una pistola per Ringo (1965) e Il ritorno di Ringo (1965) di Duccio Tessari (1926-1994). Al Clint Eastwood dei film di Sergio Leone si affiancano Franco Nero e Giuliano Gemma. Si cimentano con il genere anche registi come Carlo Lizzani, Florestano Vancini e Damiano Damiani, spesso usando pseudonimi anglofoni (come aveva fatto Leone in Per un pugno di dollari, firmandosi Bob Robertson in omaggio al nome d’arte del padre, Roberto Roberti, anch’egli regista). Nel giro di dieci anni il western all’italiana passa dalla nascita alla parodia di se stesso, virando spesso verso la violenza gratuita o al contrario verso la sua accezione bonaria e ludica, parente della slapstick comedy, che, a partire da Lo chiamavano Trinità (1970) di E.B. Clucher (alias Enzo Barboni), rende popolari Bud Spencer e Terence Hill, quest’ultimo protagonista in solitario di Il mio nome è Nessuno (1973) di Tonino Valerii (1934), da un soggetto di Sergio Leone (che ne dirige anche alcune scene).
Stile registico
Trilogia
Gangster movie Capostipite di un genere
Parodia dello spaghetti western
SCHEMA RIASSUNTIVO L’ITALIA NEGLI ANNI SESSANTA
Il cinema italiano vive un’altra stagione intensa. Agli autori già affermati se ne affiancano di nuovi: rappresentanti di una piccola nouvelle vague italica (Bellocchio e Bertolucci), impegnati in un cinema d’inchiesta e denuncia (Rosi e Petri), figure eccentriche e corrosive (Marco Ferreri) oppure auliche e inclassificabili (Pasolini). La commedia cambia registro (Risi) fustigando in maniera più netta i vizi di una nuova generazione di Italiani, mentre da un’intuizione di Sergio Leone nasce lo spaghetti western, un western all’italiana che sviluppa un’estetica nuova rispetto al genere classico.
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A partire dal secondo dopoguerra nasce e si sviluppa negli Stati Uniti una serie di correnti alternative al cinema di intrattenimento e all’industria hollywoodiana, favorite dalla diffusione delle pellicole 16 mm e delle relative attrezzature. Queste tendenze emergono in maniera più forte negli anni Sessanta con la nascita del New American Cinema, il movimento underground e l’opera di cineasti come John Cassavetes, Andy Warhol e Stan Brakhage. Il cinema di Hollywood inizia quella riforma che porterà ai nuovi risultati degli anni Settanta; al passo con i tempi ma impegnato in un discorso marcatamente personale è Stanley Kubrick, oggi forse il regista americano di film d’arte più famoso e apprezzato.
Surrealisti, underground e indipendenti: il cinema americano lontano da Hollywood Surrealismo e avanguardia europea
Nel 1946 la proiezione a New York di Dreams that Money Can Buy (I sogni che il denaro può comprare), realizzato da Hans Richter con i contributi di Fernand Léger, Max Ernst, Marcel Duchamp, Man Ray e Alexander Calder, contribuisce a diffondere il Surrealismo e le altre tendenze dell’avanguardia Promotori del europea. Negli anni successivi cineasti come Kenneth Anger, cinema underground Gregory Markopoulos, Curtis Harrington, James Broughton, Sidney Peterson e Willard Maas pongono le basi del cinema underground. Le loro pellicole sono spesso audaci fantasie influenzate dal contatto con l’avanguardia francese e scaturite da pulsioni omosessuali. Kenneth Anger Nel suo film più celebre, Scorpio Rising (Il sorgere dello Scorpione, 1964), Kenneth Anger (1932) descrive con cura i rituali di preparazione di un gruppo di motociclisti e la loro vita notturna tra corse sfrenate e orge. Con molta ironia il regista inserisce spezzoni di altri film e fumetti e monta ciascuna sequenza al ritmo di una canzone, anticipando l’estetica del videoclip. Registi della Scuola L’escluso (The Quiet One, 1948) di Sidney Meyers, Il piccolo di New York fuggitivo (The Little Fugitive, 1952) di Morris Engel, On the Bowery (Sulla Bowery, 1956) e Africa in crisi (Come Back, Africa, 1958) di Lionel Rogosin, e altri lavori legati alla Scuola di New York anticipano modi e tecniche del cinema-verità. Alla stessa scuola appartiene Shirley Clarke, che in The Connection (Il tramite, 1960) e The Cool World (Mondo freddo, 1963)
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tratta temi di attualità come la droga e l’emarginazione dei ghetti neri sviluppando una tecnica mista tra improvvisazione e finzione. Esiste anche un cinema beat, come dimostra Pull My Daisy (Cogli la mia margherita, 1959) di Alfred Leslie e Robert Frank, a cui partecipano Jack Kerouac, Allen Ginsberg e Gregory Corso. Il 28 settembre 1960 nasce il New American Cinema, un movimento a cui aderisce una ventina di registi. L’ispiratore del gruppo è Jonas Mekas, fondatore della rivista Film Culture e della Film-Makers Cooperative, un distributore di film indipendenti attivo ancora oggi. Il regista di origine lituana si fa apprezzare per Guns of Trees (I fucili degli alberi, 1961), ispirato a testi di Allen Ginsberg; più tardi avrà l’idea di trasferire al cinema la forma del diario personale, a partire da Diaries, Notes & Sketches (Diari, appunti e schizzi, 1969). Nell’ambito dell’underground si fanno strada opere provocatorie come quelle dei gemelli George e Mike Kuchar (1942) – tra cui A Tub Named Desire (Una tinozza chiamata desiderio, 1960) – e Flaming Creatures (Creature fiammeggianti, 1963) di Jack Smith (1932-1989). Un’altra tendenza assimilata al New American Cinema è il cosiddetto expanded cinema: è una definizione che racchiude tutti gli esperimenti di superamento dello schermo tradizionale, spesso al confine tra film e performance multimediale. Infine il cinema strutturalista (così definito dal critico P. Adams Sitney), si distingue per il suo approccio non narrativo, formale e minimalista, le ripetizioni modulari e la messa in scena di puri processi cinematografici. Wavelength (Lunghezza d’onda 1967) di Michael Snow (1929) si concentra su una serie progressiva di zoomate che attraversano un loft e conducono a
Cinema beat
Nascita del New American Cinema
George e Mike Kuchar
Expanded cinema
Scuola strutturalista
MAYA DEREN
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Maya Deren (1908-1961) è l’iniziatrice del Surrealismo cinematografico americano. In Meshes of the Afternoon (Reti del pomeriggio, 1943) e At Land (A terra, 1944), film onirici e antinarrativi, di pure immagini (At land è muto, Meshes of the Afternoon è accompagnato da rumori ipnotici e dalla musica informale del giapponese Teji Ito), la regista di origine ucraina dimostra di avere assorbito l’influenza di Buñuel, Cocteau e Germaine Dulac. A Study in Choreography for Camera (Studio di una coreografia per la cinepresa, 1945)
inventa una forma di coreografia per immagini con il prolungamento astratto dei gesti di un ballerino in uno spazio creato dal montaggio. Continuano la serie di “coreografie per macchina da presa” il più sofisticato dei suoi film, Ritual in Transfigured Time (Rituale in un tempo trasfigurato, 1946), Meditation on Violence (Meditazione sulla violenza, 1948) e The Very Eye of Night (Il vero occhio della notte, 1959), una fantasmagoria ottenuta proiettando immagini al negativo di ballerini su uno sfondo stellato.
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una fotografia affissa su una parete, lasciando fuori campo gli eventi che accadono nella stanza o incrociandoli in modo aleatorio. Serene Velocity (Tranquilla velocità, 1970) di Ernie Gehr (1943) è composto dalle immagini di un corridoio ripreso con diversi obiettivi, montate a un ritmo martellante, mentre la regista Hollis Frampton (1936-1984) si concentra sugli aspetti più modulari e matematici. ■ John Cassavetes
Cassavetes attore Ombre
In una posizione intermedia tra le sperimentazioni del New American Cinema (di cui però non firma il manifesto) e il cinema narrativo si colloca l’opera di John Cassavetes (1929-1989). Il regista e attore di origine greca (tra le sue interpretazioni degli anni Sessanta ricordiamo Quella sporca dozzina e Rosemary’s Baby) realizza quale saggio per un suo laboratorio teatrale Ombre (Shadows, 1959) reclutando fondi attraverso un appello lanciato alla radio. Semimprovvisato sulla scia di un canovaccio, a partire dal quale è lasciata estrema libertà agli attori, girato in 16 mm (poi gonfiato a 35 mm) e in presa diretta, il lungometraggio racconta i tentativi di integrazione di tre fratelli di colore, con un ritmo liberamente modulato che ben si accoppia alla colonna sonora di Charles Mingus e una tecnica ispirata al Neorealismo, al documentario della Scuola di New York e alla TV. Volti (Faces, 1968), girato con due cineprese in massima economia, è un work in progress sul tema della crisi matrimoniale; per trarre un film concluso dalla mole di materiale girato Cassavetes passa due anni alla moviola (la sala di montaggio era il garage di casa sua; del film esisteva una versione di quattro ore oggi irreperibile). Con Mariti (Husbands, 1970), Minnie e Moskowitz (1971) e Una moglie (A Woman under Influence, 1974) il regista conferma il suo eccellente livello. Presenza assidua nei suoi film è la moglie Gena Rowlands, protagonista anche di La sera della prima (Opening Night, 1978), dove interpreta un’attrice di teatro, Gloria – Una notte d’estate (Gloria, 1980) e Love Streams (1984). Il grande imbroglio (1986), acuto ritratto dell’avida middle class statunitense, è l’ultimo film diretto da Cassavetes, autentico caposcuola del cinema indipendente americano.
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■ Andy Warhol
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Andy Warhol (1928-1987), stella della Pop Art americana, nei primi anni Sessanta inizia una breve ma significativa attività cinematografica. I suoi film spostano tutta l’attenzione dalla finzione e dalla narrazione all’atto del filmare in sé. Kiss (Bacio, 1963), Sleep (Sonno, 1963), Eat (Mangiare, 1964) e Empire
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(1965) sono ciò che dicono: Sleep mostra un uomo che dorme; Eat un uomo che mangia; Kiss varie coppie che si baciano; Empire fissa l’Empire State Bulding. Sono tutti muti e pensati per proiezioni lunghissime (otto ore per Empire), girati con la cinepresa fissa e montati sciattamente senza eliminare le code delle bobine. Nel 1965 Warhol vira su film sonori e più sce- Warhol e il sonoro neggiati come My Hustler (La mia prostituta, 1965) e Vinyl (Vinile, 1965), ispirato allo stesso romanzo di Anthony Burgess Arancia meccanica da cui Kubrick trarrà il suo film. Nel 1966 con Up Tight, realizzato con i Velvet Underground, il gruppo rock a cui fece inizialmente da pigmalione, e The Chelsea Girls (Le ragazze di Chelsea, 1966) sperimenta le possibilità del cinema “espanso” (sono entrambi concepiti per la proiezione su due schermi). Negli ultimi film come Lonesome Cowboys (Cowboy solitari, 1967) adotta tecniche stranianti quali lo strobe cut (lo spegnimento con riaccensione immediata del motore della cinepresa senza taglio della pellicola), zoomate casuali e il ricorso massiccio al fuori campo. Alla fine degli anni Sessanta Warhol smette di dirigere film. La sua estetica prosegue nelle opere di Paul Morrissey (1939) Paul Morrissey Flesh (1968), Trash – I rifiuti di New York (Trash, 1970) e Calore (Heat, 1970), film narrativi dallo stile improvvisato, interpretati da uno degli attori-feticcio di Warhol, Joe Dallesandro, e prodotti dallo stesso Warhol. ■ Stan Brakhage
Stan Brakhage (1933-2003) è il più originale e importante tra i registi di film sperimentali della seconda metà del Novecento. Dal 1952 realizza oltre quattrocento film, inaugurando pratiche come la ripresa in super8 con Desistfilm (Film-desistenza, 1954). Negli anni Cinquanta si discosta anche dai film d’avanguardia per definire con Wonder Ring (L’anello delle meraviglie, 1955) un tipo di espressione lirica che traduce un’intensa visione soggettiva. Anticipation of the Night (Anticipazione della notte, 1958) descrive il suicidio di un uomo di cui vediamo soltanto l’ombra. Tra i film più suggestivi di Brakhage sono senza dubbio Window Water Baby Moving (Finestra acqua bambino che si muove, 1959), che racconta la nascita del suo primo figlio con un montaggio poetico pieno di flashback, e il ciclo di Dog Star Man (Stella uomo cane, 1961-1964) in cui Brakhage compare mentre va a fare legna in mezzo alla neve. Tipiche del suo linguaggio sono la reiterazione ritmica dei motivi visuali, il montaggio di immagini rapidissime, a volte subliminali, e la sovrimpressione multipla. Sviluppa inoltre la consuetudine di dipingere o effettuare graffi sulla pellicola e di usare tecni-
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Regista sperimentale
Wonder Ring
Film più suggestivi
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Film senza pellicola
che di collage. Mothlight (Luce di falena, 1963) è girato senza pellicola facendo passare la luce attraverso falene morte, fiori, foglie e semi inseriti in strisce di mylar.
Il nuovo cinema hollywoodiano Crisi di fine anni Sessanta
Alla fine degli anni Sessanta Hollywood è in piena crisi. La concorrenza della televisione causa ingenti perdite, recuperate attraverso una ristrutturazione del sistema che contiIl rinnovamento nuerà nei decenni successivi. Un segno del cambiamento edi Hollywood: nuove pocale sono la circolazione di film senza il visto della censucontaminazioni ra (il codice Hays, in auge dal 1930, è ormai superato). Nella narrazione del cinema hollywoodiano entrano anche stilemi di estrazione europea mutuati dal cinema d’arte, come il flashback in L’uomo del banco dei pegni (The Pawnbroker, 1965) di Sidney Lumet o il teleobiettivo e il fermo immagine in Fragole e sangue (The Strawberry Statement, 1970) di Stuart Hagmann. Arthur Penn (1922) porta al cinema le tecniche della televisione, e in Gangster Story (Bonnie & Clyde, 1967) aumenta il ritmo e l’impatto della violenza sullo schermo con il montaggio frammentato e l’uso del ralenti, motivi che Sam Peckinpah porta al parossismo nel suo western Il mucchio selvaggio (The Wild Bunch, 1969). Il laureato Il laureato (The Graduate, 1967) di Mike Nichols e Cinque pezzi facili (Five Easy Pieces, 1970) di Bob Rafelson abbinano Easy Rider il tema giovanile all’influenza del cinema d’arte europeo. Su questo corpo in trasformazione Easy Rider (1969) di Dennis Hopper innesta nuovi temi e mitologie (il viaggio in moto, la musica rock, la controcultura hippie, la droga) e una serie di escamotage linguistici (jump-cut, montaggio per flash di pochi fotogrammi, una sequenza di immagini sovraesposte e fuori fuoco che simulano un viaggio con l’acido) carpiti da fonti eterogenee: Godard, Corman e il cinema underground di Kenneth Anger, Gregory Markoupolos e Stan Brakhage. Il film rappresenta un punto di non ritorno dal punto di vista storico – è la fine delle utopie degli anni Sessanta –, ma apre a nuove contaminazioni il linguaggio dei film americani. John Frankenheimer Accanto ad Arthur Penn si mette in luce John Frankenheimer (1930-2002), grazie alle due pellicole del 1962 L’uomo di Alcatraz (Birdman of Alcatraz), denuncia dell’oppressione carceraria, e Va’ e uccidi (The Manchurian Candidate), originale thriller fantapolitico che coglie con chiaroveggenza premonitrice il clima complottistico destinato a sfociare nell’assassiSidney Pollack nio del presidente Kennedy. Anche l’opera di Sidney Pollack (1934-2008) si inserisce nel rinnovamento stilistico e tematico
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di Hollywood. Se nel melodramma Non si uccidono così anche i cavalli? (They Shoot Horses, Don’t They?, 1969) utilizza in modo molto originale il flashforward (cioè l’anticipazione di avvenimenti futuri), il suo Corvo Rosso non avrai il mio scalpo (Jeremiah Johnson, 1972) rimane un momento centrale nella revisione culturale del western.
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Stanley Kubrick
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Nell’ambito del nuovo cinema d’autore moderno e del rinnovamento di Hollywood – ma distante da tendenze e movimenti, se non quando li assimila all’interno di una poetica che a più livelli si può definire assoluta – agisce Stanley Kubrick (1928-1999). Il regista americano, stabilitosi definitivamente in Gran Bretagna negli anni Sessanta, è entrato nell’immaginario collettivo degli appassionati per le sue imprese e l’alone quasi leggendario che le circonda. I suoi primi passi cinematografici risalgono agli anni Cinquanta. Fear and Desire (Paura e desiderio, 1953), un film di guerra “astratto” e a basso budget, è un precoce esempio di riscrittura di un genere, operazione ripetuta spesso da Kubrick nel corso della sua carriera. Il bacio dell’assassino (Killer’s Kiss, 1954) è un noir di serie B in piena regola, per quanto insolitamente stiloso; mentre Rapina a mano armata (The Killing, 1955) applica al sottogenere del caper movie (un sottogenere del film di gangster incentrato sui grandi furti) una narrazione in voce “over” che spacca il minuto e procede per complessi incastri e salti temporali dando vita a un complesso puzzle. Orizzonti di gloria (Paths of Glory, 1957), Lolita (1962) e l’esilarante satira fantapolitica di Il Dottor Stranamore. Ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba (Dr. Strangelove – Or How I Stopped Worrying and Loved the Bomb, 1963, con un camaleontico Peter Sellers in grado di ricoprire addirittura tre ruoli) affermano il nome di Kubrick sulla scena internazionale (più del kolossal Spartacus, del 1960, sul cui set il giovane regista è chiamato a sostituire Anthony Mann) e gli permettono di instaurare un regime di collaborazione privilegiata con la Warner Bros, entro i cui limiti gli sarà comunque garantita l’indipendenza artistica. 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odissey, 1968), Arancia meccanica (A Clockwork Orange, 1971) e Barry Lyndon (1975) portano tutti il segno del suo stile: inquadrature dilatate dal grandangolo, concitate ma precisissime riprese con la macchina a mano (che spesso è lui medesimo a manovrare, anziché un operatore), complessi e snodati movimenti di macchina che attraversano lo spazio, un montaggio
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concepito per stacchi rigorosi (lungo l’asse di ripresa o con variazioni d’angolo di 90° e 180°) si uniscono all’alta definizione e al nitore scientifico della fotografia. Un’altra qualità unica è la struttura non aperta ma esposta dei film kubrickiani, che si presentano in blocchi narrativi evidenziati dalla voce narrante o dalle didascalie e si organizzano in precisi schemi seguendo parallelismi e simmetrie interne fino a somigliare a un teorema geometrico (Arancia meccanica) o a un gioco sempre di corrispondenze formali ma con sviluppi e riprese che tendono piuttosto a parafrasare il discorso musicale (2001: Odissea nello spazio). Lo spettatore ha l’impressione di osservare una macchina dall’involucro trasparente che gli mostra gli ingranaggi all’interno. Il cinema è per Kubrick la «fotografia di una fotografia della realtà», che quindi documenta anche il processo di creazione anziché dissimularlo, evidenziando l’impianto di una sceneggiatura, un procedimento formale come portatore di un preciso significato (i movimenti all’indietro in Barry Lyndon e Arancia meccanica) e l’incontro tra musica e immagini fuori dai canoni consueti (il regista tende a dedicare alla musica uno spazio privo dell’interferenza dei dialoghi). A questo proposito, secondo il critico Michel Chion quello di Kubrick è «un cinema sovraesposto che non contesta il linguaggio classico ma ne mostra i vari elementi sempre come sottilmente dissociati». In 2001: Odissea nello spazio l’accostamento alle immagini di musiche preesistenti fortemente autonome come il poema sinfonico di Richard Strauss Così parlò Zarathustra e il valzer viennese di Johann Strauss Il bel Danubio blu crea un’inevitabile sensazione di straniamento e nuovi piani di lettura. Sono i riflessi di un pensiero audiovisivo che si dipana attraverso temi conduttori figurativi – il richiamo tra forme geometriche (circolari e a parellelepipedo) – e sonori molto più che attraverso le situazioni narrative o i dialoghi. L’intenzione dichiarata dell’autore era quella di creare un’esperienza visiva che superasse le categorie verbali, entrando direttamente nel subsconscio con una forte spinta verso l’astrazione. Arancia meccanica è invece un film debordante e stilizzato che colpisce occhi e orecchie con i colori, la forza ritmica del montaggio e della musica (un collage di composizioni celebri di Beethoven, Rossini e Purcell riprodotte con il sintetizzatore) e l’organizzazione simmetrica del plot e della regia (il rovesciamento delle situazioni iniziali e della visuale soggettiva del giovane teppista Alex da carnefice a vittima dello stesso tipo di violenza, endemico in tutta la società). Lo stesso movimento all’indietro (con carrello e zoom) in Arancia meccanica e in Barry Lyndon circoscrive i rispettivi personaggi nel
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Intento di Kubrick
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quadro scenografico del loro tempo (il futuro e il XVIII secolo), limitando fatalmente la loro capacità di incidere sul proprio destino. Per Barry Lyndon, un’altra pellicola piena di prodigi tecnici, Kubrick modifica le cineprese in suo possesso montando delle lenti Zeiss da 0.7 mm di diaframma usate prima solo dalla NASA per le foto satellitari. Con quegli obiettivi alla massima apertura Kubrick può riprendere scene notturne in interni alla luce delle sole candele, in un film che più volte replica (quanto le scene di Arancia meccanica sono invece pezzi di Pop Art futuribile) gli effetti cromatici della pittura paesaggista inglese del Settecento. Nei successivi venticinque anni il regista girerà solo tre film, tutti di lunga gestazione, considerati capolavori, a riprova del suo magistero cinematografico: Shining (1980) celebre per l’uso della steadycam, Full Metal Jacket (1987) e Eyes Wide Shut (1999), terminato poco prima di morire. Sono rimasti incompiuti un film biografico su Napoleone di cui esisteva già il copione e un film sull’Olocausto.
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Ultimi film e opere rimaste incompiute
SCHEMA RIASSUNTIVO IL NUOVO CINEMA AMERICANO
Negli anni del dopoguerra si sviluppa anche negli Stati Uniti un cinema indipendente e non hollywoodiano. Il panorama, complesso e discordante, comprende opere di tono realista vicine alla Nouvelle Vague e al cinema-verità (quelle di Shirley Clarke e di altri cineasti newyorchesi), film ispirati alla cultura della beat generation, le provocazione iconoclaste del cinema underground, le ricerche formali dello strutturalismo e le esperienze del “cinema espanso”. In questa scena caotica e vitale si segnalano per la compattezza e l’originalità del loro percorso le figure di John Cassavetes, Andy Warhol e Stan Brakhage.
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HOLLYWOOD NEGLI ANNI SESSANTA
Gli anni Sessanta sono un’epoca di transizione per il cinema di Hollywood, anni di crisi ma anche di rinnovamento stilistico come dimostrano alcune pellicole uscite sul finire del decennio che mostrano la capacità del cinema commerciale americano di rinnovarsi cogliendo elementi nuovi dal cinema d’autore europeo o dalla cultura underground.
STANLEY KUBRICK
Stanley Kubrick negli anni Sessanta si stabilisce definitivamente in Inghilterra e lì realizza i suoi progetti più ambiziosi a partire da 2001: Odissea nello spazio, un film di fantascienza che supera i confini del genere per trasformarsi in un grande poema filosofico per immagini, realizzato, come le altre opere del regista americano, con maniacale cura del dettaglio e concepito inventando nuove tecniche e forme espressive.
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A partire dall’introduzione del lungometraggio, avvenuta negli anni Dieci, il film a soggetto ha preso il sopravvento sulla produzione di non-fiction, un ambito nel quale si possono comprendere opere di vario genere: reportage su eventi reali e film a carattere politico, scientifico o didattico. Quella del documentario è una storia parallela che inizia dalle origini del cinema e contempla alcuni snodi cruciali; gli anni Sessanta sono un periodo fondamentali per la definizione di nuove esperienze che corrispondono alle etichette di cinema-verità e cinema diretto.
Storia del documentario: dai Lumière al cinema-verità Il cinema nasce come strumento di registrazione del reale. I Primi documentaristi primi documentaristi della storia sono i fratelli Lumière, con le loro vedute e le scene dal vero. Lo stesso Georges Méliès, considerato il capostipite della tendenza narrativo-spettacolare, aveva realizzato ibridi come Le couronnement du Roi d’Angleterre Edouard VII (L’incoronazione del re d’Inghilterra Edoardo VII, 1902) e altre attualità ricostruite (film girati in teatro di posa che ricreavano in modo fittizio eventi reali). La Prima Guerra Mondiale aveva dato un forte impulso alla produzione Cinema documentaria, inaugurando così il filone del cinema di propadi propaganda ganda. Un documentario inglese sulla guerra, The Battle of the Somme (La battaglia della Somme, 1916) di Geoffrey H. Malins e J.B. Mc Dowell è considerato uno dei primi lungometraggi non di finzione. Restando nell’ambito del muto, possono inoltre considerarsi documentari trasfigurati le opere di Dizga Vertov o i film catalogati come “sinfonie delle città”. Passaggio Gli sviluppi più importanti si verificano con il passaggio dal mual cinema sonoro to al sonoro. La definizione di una forma espressiva del documentario viene oggi ascritta all’operato della scuola inglese, sviluppata da John Grierson (1898-1972), e di Robert Flaherty, pioniere del film etnografico e del documentario in genere. Grierson gira un solo film, Drifters (Pescherecci, 1929), un documentario sui pescatori di aringhe, ma è supervisore di molti lavori in veste di capo di strutture statali come la Film Unit, affiliata al Ministero per il Commercio Britannico, e il National Film Board del Canada, dove è chiamato a lavorare nel 1939. 192
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Negli anni Trenta e Quaranta il documentario è utilizzato principalmente a fini politici. Possiamo citare come esempi Terra di Spagna (Spanish Earth, 1937), diretto da Joris Ivens (18981989) e commentato da Ernest Hemingway, un film a sostegno della causa dei repubblicani spagnoli, e, sul fronte opposto, i documentari di Leni Riefenstahl Il trionfo della volontà (Triumph des Willens, 1935) e i due Olympia. Durante la guerra quasi tutti i paesi belligeranti oltre ai cinegiornali fanno ricorso al documentario. Citiamo come esempio per tutti il ciclo Perché combattiamo (Why We Fight, 1942-1945), diviso in sette episodi della durata di un’ora ciascuno, per sette ore complessive, prodotto sotto la supervisione di Frank Capra. Nel secondo dopoguerra nasce una nuova generazione di documentaristi, mentre lo spazio per questo tipo di opere diminuisce in sala ma aumenta in assoluto, grazie alla nuova richiesta televisiva. A partire da Il mondo silenzioso, per il quale è assistito da un giovane Louis Malle, Jacques Cousteau (1910-1997) perfeziona le tecniche del documentario sottomarino, come lo svedese Arne Sücksdorff (1917-2001) fa con le riprese di animali grazie a teleobiettivi e cineprese nascoste. Mentre continuano i soggetti tradizionali come i reportage sui popoli esotici (The Hunters, I cacciatori, 1956, di Robert Gardner), le sinfonie delle città o la ricostruzione spettacolare delle Olimpiadi (Kon Ichikawa e il suo Le Olimpiadi di Tokyo), Jean Rouch rinnova profondamente la tradizione etnografica e Chris Marker (1921) introduce nel documentario una nota autoriflessiva.
Robert Flaherty (1884-1951) è il padre artistico del documentario. Prospettore ed esploratore artico, dopo aver girato film amatoriali trova una ditta di pellicce in grado di finanziare il progetto di Nanuk l’eschimese (Nanook of The North, 1922), in cui documenta la lotta per la sopravvivenza di un eschimese e della sua famiglia. Quattro anni dopo gira in Polinesia, nell’isola di Samoa (per conto della Paramount), L’ultimo Eden (Moana, 1926), mentre, dopo essere stato affiancato da altri registi (tra cui Murnau per Tabù), per i successivi lavori torna al suo interesse antropologico con L’uomo di Aran (Man of Aran, 1934). Quello di Flaherty è un documentario drammatizzato e sceneg-
Nuova generazione di documentaristi Documentario sottomarino
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ROBERT FLAHERTY
Verso la Seconda Guerra Mondiale
giato; egli costruisce i suoi film concordando le scene da mostrare con gli stessi protagonisti e arriva anche a ripristinare appositamente per i film riti che per le popolazioni erano ormai superati (la pratica dei tatuaggi in L’ultimo Eden e la caccia allo squalo in L’uomo di Aran). Dopo la Seconda Guerra Mondiale Flaherty rientra negli Stati Uniti, dove realizza i suoi due ultimi lavori: The Land (La terra 1942), un documentario commissionato dal Dipartimento per l’Agricoltura che il regista trasforma in un appello contro l’erosione e l’abbandono della terra (il film, giudicato troppo deprimente dal governo, non viene distribuito), e Louisiana Story (1948), con cui conclude la carriera.
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Dal documentario alla fiction
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Molti documentaristi degli anni Cinquanta dal taglio spiccatamente personale sono diventati celebri autori di fiction: è il caso di Alain Resnais, George Franju e di registi del Free Cinema inglese come Lindsay Anderson, Tony Richardson e Karel Reisz. La diffusione di nuove forme di documentario nel dopoguerNuove attrezzature ra si spiega anche con la comparsa di nuove attrezzature, soprattutto cineprese leggere a 16 mm (le stesse che incontreranno il favore di molti cineasti indipendenti) – che possono essere usate senza cavalletto e favoriscono quindi un nuovo tipo di ripresa in esterni – e, dagli anni Cinquanta, registratori portatili per il suono. È grazie a questi apparecchi che è possibile la nascita del cinema-verità e del cinema diretto, basati sulla registrazione non pianificata di eventi nel momento in cui questi accadono. Cinéma vérité Possiamo riconoscere una prima distinzione tra il cinémafrancese vérité francese e il cinema diretto nordamericano in base alle differenze tra l’operato dei registi: nel caso di Chronique d’un été (Cronaca di un’estate, 1960) di Jean Rouch ed Edgar Morin e dei suoi successori, il regista partecipa in prima persona all’azione intervenendo a voce o direttamente nelCinema diretto l’inquadratura; nel caso del cinema diretto americano e caamericano nadese (ma ci sono delle eccezioni) i registi non intervengono nell’azione ma filmano gli eventi reali che si verificano Elementi in comune di fronte alla cinepresa. Gli elementi in comune sono l’imtra cinema francese provvisazione, il ripudio della sceneggiatura e delle tecnie americano che di studio, la ripresa in sincrono di immagini e suono e la presenza di persone che interpretano se stesse e spesso si raccontano di fronte alla cinepresa. L’atto di nascita del ciPrimary nema diretto americano è la realizzazione di Primary (Primarie, 1960), di Robert Drew (1924) e Richard Leacock (1921), di cui Drew è anche produttore. Il cortometraggio di 26 minuti, concepito per la televisione, segue in maniera serrata il confronto tra John Fitzgerald Kennedy e Hubert Horatio Humphrey per le primarie del Partito Democratico nel Wisconsin. Il film usa in alcuni punti il suono diretto oppure sostituisce con le voci dei notiziari radio il convenzionale commento. Pur usando appunto uno stile diretto, Drew cerca di creare tensione puntando su situazioni drammatiche e sul montaggio: in The Chair (La sedia, 1962) mostra come alcuni avvocati si impegnino per salvare un conAltri registi dannato a morte. Alcuni collaboratori di Robert Drew si sono poi staccati da lui per lavorare da soli; è il caso Richard Leacock, più interessato a cogliere i processi sociali con un cinema “senza controllo”, o i fratelli Albert (1926) e David (1931-1987) Maysles e Don Pennebaker (1925), oggi cono194
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sciuti tra l’altro per i loro documentari su musicisti rock: Don’t Look Back (1966), di Pennebaker, è dedicato a Bob Dylan, Gimme Shelter (1969), dei fratelli Maysles, ai Rolling Stones (immortalati anche da altri importanti registi come Jean-Luc Godard e Martin Scorsese). Il terzo polo del cinema diretto è quello canadese, nato dalla Cinema diretto serie televisiva Candid Eye, trasmessa nel 1959, i cui registi canadese realizzano documentari su temi sociali ricorrendo alla macchina a mano, ai teleobiettivi e alla cinepresa nascosta – dopo la serie il più interessante contributo del gruppo al cinema diretto è Lonely Boy (Ragazzo solitario, 1962) di Wolf Koenig e Roman Kreitner, dedicato a Paul Anka – e da una scuola francofona in cui spicca la figura di Michel Brualt (1928) con Les raquetteurs (Quelli con le racchette da neve, 1958) e Pour la suite du monde (Per il resto del mondo, 1963). Negli anni successivi il documentario è diventato soprattutto Televisione un genere televisivo, pur continuando a essere anche un genere cinematografico, praticato da importanti registi di fiction o da specialisti che lo interpretano in maniera personale: uno degli ultimi casi di documentarista di successo è quello dell’americano Michael Moore (1954). ■ Jean Rouch
Popoli dell’Africa
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Negli anni Cinquanta l’etnografo Jean Rouch (1917-2004) si dedica a reportage sui popoli dell’Africa. Colpisce molto Les maîtres-fous (I maestri folli, 1955), nel quale documenta i riti di possessione di alcuni sacerdoti Hauka del Ghana, mostrando come i colonizzati nei loro rituali orgiastici assumano le identità dei loro colonizzatori europei. Moi un noir (Io un nero, 1957-1958), ambientato tra i ragazzi della Costa d’Avorio, mostra come questi cerchino di imitare gli stereotipi occidentali (assumendo tra l’altro nomi come Edward G. Robinson). Il film è un intreccio di finzione e documentario, girato con la cinepresa a mano e doppiato a braccio in maniera assai libera. Le soluzioni tecniche adottate da Rouch finiranno per influenzare anche i film di finzione: Godard ha ripreso lo stesso pedinamento con la camera a spalla e il doppiaggio asincrono di Moi un noir in Fino all’ultimo respiro. Quando Rouch inizierà a servirsi del suono diretto usando il magnetofono portatile, sulla stessa scia lo seguiranno tutti i registi della Nouvelle Vague. Con Chronique d’un été (Cronaca di un’estate, 1961), l’inchiesta realizzata con il sociologo Edgar Morin, Rouch promuove un ruolo attivo del regista nell’ambito del cinema-verità, che si considera nato proprio con quest’opera. Il film si compone di una serie di interviste a gente comune che parla di sé; Rouch non sente l’e-
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sigenza di nascondere la macchina, ma ne fa anzi il propulsore del film, mostrando anche l’attrezzatura per le riprese o i registi al lavoro. ■ Chris Marker
Di diverso avviso è Chris Marker (1921) che in Le joli mai (Il bel maggio, 1963), dedicato alla guerra d’Algeria, non abbandona la tradizionale voce di commento. Il commento parlato è anzi al centro dei suoi film, come Les statues meurent aussi (Anche le statue muoiono, 1948-1952), realizzato insieme ad Alain Resnais, e Lettre de Sibérie (Lettera dalla Siberia, 1958), tra i suoi contributi più importanti all’arte del documentario. Un’opera senza precedenti è La jetée (1963), un cortometraggio fantascientifico composto di sole immagini statiche. Tra gli altri film di Marker si segnalano Le fond de l’air est rouge (Il fondo dell’aria è rosso, 1977), riassunto del decennio che ne precede la realizzazione alla luce di un’ipotetica Terza Guerra Mondiale che si immagina già avvenuta, A.K. (1985), un documentario sull’arte di Akira Kurosawa girato sul set di Ran, e Une journée d’Andrej Arsenevitch – Portrait de Andrej Tarkovskij (Una giornata di Andrej Arsenevitch – Ritratto di Andrej Tarkovskij, 2000).
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SCHEMA RIASSUNTIVO I padri del documentario cinematografico sono l’inglese George Grierson, che realizza da regista il solo Drifters ma è supervisore di tutta la produzione del Ministero per il Commercio Britannico e poi per il National Film Board canadese, e l’americano Robert Flaherty, etnografo autore di Nanuk l’eschimese e di L’uomo di Aran. Nel periodo tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta il documentario è utilizzato a scopo di propaganda per fini politici e patriottici, come evidenziato da Terra di Spagna di Joris Ivens, dai film di Leni Riefenstahl in Germania e dal ciclo americano Why we Fight. Nel secondo dopoguerra si sviluppa in modo significativo la produzione dedicata alla natura (celebri documentari oceanografici di Jacques Cousteau) e ritorna in auge quella di interesse antropologico come dimostrano le opere di Jean Rouch.
CINEMA-VERITÀ E CINEMA DIRETTO
L’introduzione delle cineprese leggere e dei magnetofoni portatili è alla base della nascita del cinema diretto e del cinema-verità. Nel 1961 Chronique d’un été, di Jean Rouch e Edgard Morin è la prima testimonianza del cinéma-vérité francese; il film si compone di una serie di interviste nei quali il regista e il sociologo intervengono in maniera attiva. Il cinema diretto si sviluppa negli Stati Uniti grazie a Primary di Robert Drew e Richard Leacock, reportage sulle elezioni primarie democratiche nello stato del Wisconsin. Molti registi che lavorano per Drew come lo stesso Leacock, i fratelli Maysles e Don Pennebaker diventano documentaristi in proprio. La terza scuola del cinema diretto è quella canadese, nata dalla trasmissione televisiva Candid Eye: tra le sue opere più significative Lonely Boy di Wolf Koenig e Roman Kreitner e Les Raquetteurs di Michel Brualt.
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IL CINEMA CONTEMPORANEO
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Gli ultimi quattro decenni di cinema, che abbiamo riassunto con il titolo “l’età contemporanea”, sono i più difficili da definire, poiché non sono separati da uno spartiacque così netto dato dall’introduzione di una nuova tecnica – come fu per il suono sincrono alla fine degli anni Venti (benché l’evoluzione tecnologica non si sia certo fermata) – e neppure da fratture così evidenti nella rappresentazione e nella concezione del film pari a quelle che separano il cinema del secondo dopoguerra da quello precedente. Se gli anni Cinquanta e Sessanta rappresentano l’età moderna del cinema, l’epoca che inizia con gli anni Settanta e arriva ai giorni nostri si può considerare il periodo postmoderno della settima arte, sia da un punto di vista letterale, poiché segue la sua età moderna e ne è in molti sensi la diretta conseguenza, sia perché dimostra di possedere alcune caratteristiche comuni al postmodernismo come è stato inteso nelle altre arti: in particolare la rottura dei tradizionali steccati tra i generi, sempre più evidente dagli anni Settanta in poi, e la prosecuzione di quel superamento degli stili e delle strutture tradizionali avviato con il cinema riflessivo degli anni Sessanta. Intanto è mutato sia il modo di realizzare i film (con l’ingresso del video, dell’elettronica e dei computer nei sistemi di ripresa e di montaggio) sia il modo di vederli in sala oppure, ed è forse questa la novità più importante rispetto agli anni Sessanta, a casa propria. L’home video, prima con le videocassette e ora con il DVD, ha reso possibile una fruizione individuale generalizzata che non dipende più dai programmi delle sale; ciascun appassionato può comporre la sua personale cineteca e aumentare le proprie conoscenze. A oltre cento anni dalla sua nascita il cinema è oggi un fenomeno ancora vivo e in evoluzione.
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1 Gli anni Settanta Gli anni Settanta sono il decennio del rinnovamento di Hollywood e dell’ascesa dei cosiddetti movie brats, i film realizzati dalla nuova generazione di cineasti; un’era in cui i blockbuster convivono con un cinema d’arte di massa. In Europa la vera novità è rappresentata dal nuovo cinema tedesco di Herzog, Wenders e Fassbinder.
Come cambia Hollywood Nonostante i profitti di Hollywood siano saldamente nelle mani di poche grandi compagnie di produzione e distribuzione – che pur accaparrandosi la quasi totalità degli incassi in sala coprono un terzo della produzione di film, secondo una prassi già delineata dalla svolta che ha segnato gli anni Cinquanta –, alcune di esse come la Universal, la Paramount e la Warner, acquistate da corporation esterne, dipendono ora da grandi gruppi commerciali, in cui entreranno sempre più spesso capitali non americani. Questa tendenza si generalizza anche negli anni successivi, fino a inglobare il cinema in una nuova rete di interessi e sinergie che comprendono una serie di prodotti collaterali legati alle pellicole, dai gadget ai giocattoli ai dischi. Le compagnie cambiano i vertici assumendo nuovi manager, mentre molti produttori della vecchia guardia lasciano l’attività. Ora le major – che in molti casi hanno cambiato proprietario e denominazione sociale, ma sono sostanzialmente ancora quelle storiche: Warner, Paramount, 20th Century Fox, MGM, Universal e Columbia, più la Disney – investono soprattutto in progetti esterni affidandosi ad agenti e produttori che creano “pacchetti” raggruppando sceneggiatori, registi e attori. I cambiamenti nel mercato sono il frutto di un’altra crisi profonda, fattasi sentire in un periodo di recessione economica generale a cui segue un nuovo boom, all’inizio degli anni Settanta, basato sull’enorme successo di alcune pellicole. Gli incassi di Lo squalo (Jaws, 1973) di Steven Spielberg e Guerre stellari (Star Wars, 1973) di George Lucas spingono Hollywood a concentrarsi sui blockbuster e sui prodotti seriali. La politica del sequel per prodotti come Rocky (1976) di John Avildsen, ma anche per Lo squalo o Guerre stellari, diventa prevalente (i seguiti di questi ultimi due non sono stati girati dagli stessi registi dei primi film). Nel contempo si evolve un cinema d’arte hollywoodiano in cui si distinguono autori come Robert Altman e Woody Allen e la generazione dei movie brats.
Cambiamenti nel mercato cinematografico
Prodotti collaterali al cinema
Progetti esterni
Boom degli anni Settanta Politica dei sequel Cinema d’arte
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1 - Gli anni Settanta
I movie brats e il cinema d’autore americano Giovani cineasti
Differenze con i registi del passato
Peculiarità dei movie brats
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Il termine movie brats (brat significa “ragazzaccio”) vuole indicare i registi saliti alla ribalta all’inizio degli anni Settanta: si tratta di un gruppo eclettico, capeggiato da Scorsese, Coppola, Spielberg e Lucas, che in realtà potrebbe comprendere tutti gli esordienti o i giovani cineasti che portano nuova linfa a Hollywood. Questa generazione si distingue dalle precedenti per motivi che vanno oltre le mere ragioni anagrafiche: molti suoi componenti hanno studiato e si sono formati nelle scuole di cinema delle università come la University of Southern California (USC), la University of California Los Angeles (UCLA) e la New York University (NYU) – dove il primo film rappresenta una sorta di tesi – alcuni hanno lavorato per indipendenti come Roger Corman, altri ancora, come Bogdanovich, vengono dalla critica. Tutti conoscono il cinema di Hollywood ma anche quello europeo, che spesso prendono a modello. Il risultato può essere un compromesso tra le regole di Hollywood e la libertà stilistica del cinema d’autore. Il caso di un regista come Coppola può fare da esempio: Coppola alterna opere più commerciali come Il padrino a progetti più eccentrici e personali (La conversazione), e si impegna in veste di produttore – così anche i suoi colleghi Lucas e Spielberg – in maniera seria e ambiziosa.
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Martin Scorsese (1942) è il maggior talento emerso in questo decennio. Il regista nato e cresciuto a Little Italy (New York) Stile degli esordi può contare fin dall’inizio su un bagaglio cinefilo notevole e su un personale sincretismo estetico che diventerà il suo marchio. Il lungometraggio indipendente Chi sta bussando alla mia porta? (Who’s That knocking at My Door?, 1969) combina varie tecniche e stili – la libertà espressiva di Cassavetes e i barocchismi di Welles, il montaggio di Godard e Truffaut, cinema-verità e videoclip ante litteram – trasformandoli in materia visiva ritmata e pulsante. Mean Streets – Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno Domenica in chiesa, (Mean Streets, 1973) esibisce uno stile ugualmente ibrido: fillunedì all’inferno mini in Super 8 e 16 mm, riprese a velocità e grana differenti, ottiche multiple, veloci carrellate, macchina a mano usata con il grandangolo in una scena, quella della rissa al biliardo, che potrebbe ricordare Arancia meccanica. A tutto ciò si accomColonna sonora pagna (nel senso tecnico, come se fosse un’armonia) una serie di brani di musica preesistente – rock, pop, canzone napoletana, arie d’opera – lasciati scorrere per intero (come fa-
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ceva Kenneth Anger) a ritmare stacchi e movimenti di macchina; la colonna musicale si emancipa dal ruolo di semplice sottofondo ed entra nel cuore del film. Scorsese ha un rapporto privilegiato con la musica, che lo porta sì a rileggere il musical classico hollywoodiano in New York, New York (1977), ma soprattutto a realizzare intensi film rock dedicati alla Band (L’ultimo valzer, The Last Waltz, 1978), a Bob Dylan (No Direction Home, 2006) e ai Rolling Stones (Shine a Light, 2008), oltre al documentario sul blues Dal Mali al Mississippi (The Blues – Feel Like Going Home, 2003). Dopo aver descritto il quartiere in cui è cresciuto tra violenza e ossessioni religiose, Scorsese si concede una pausa agrodolce con Alice non abita più qui (Alice Doesn’t Live Here Anymore, 1974) prima di rituffarsi in un incubo metropolitano con uno dei suoi film più celebri: Taxi Driver (1975), ricordato anche per l’interpretazione di Robert De Niro. Scorsese lascia che a dominare siano la propria soggettività e quella del personaggio principale, Travis, bilanciando sequenze iperrealiste (la strage conclusiva) e soluzioni visive più fantasiose che evidenziano la condizione esistenziale del protagonista – il regista cita in particolare un lento carrello laterale a scoprire un lungo corridoio vuoto: l’immagine della sua solitudine –, e la sua percezione distorta della realtà attraverso riprese rallentate e continui giochi di specchi. Il pugile Jake LaMotta (ancora De Niro) di Toro scatenato (Raging Bull, 1980) ricorda per certi versi Travis. In questo film l’iperrealismo e l’astrazione sublimano nelle numerose scene di combattimento montate in modo frenetico e amplificate da un uso shock del suono. Scorsese sceglie il bianco e nero per la fotografia, mostrando a colori solo dei finti filmini di famiglia. Il percorso registico di Scorsese continua con ottimi risultati: segnaliamo Re per una notte (The King of Comedy, 1982), la black comedy Fuori orario (After Hours, 1985), Il colore dei soldi (The Color of Money, 1986), il controverso L’ultima tentazione di Cristo (The Last Temptation of Christ, 1988) e almeno due notevoli film di malavita: Quei bravi ragazzi (Goodfellas, 1989) e Casinò (1995), prima di passare a una più recente pellicola che ha destato scalpore, Gangs of New York (2002), e a The Departed – Il bene e il male (The Departed, 2006), che gli è valso il suo primo Oscar.
1 - Gli anni Settanta
Omaggi al mondo della musica
Taxi Driver
Toro scatenato
Ultimi film
■ Francis Ford Coppola
Francis Ford Coppola (1939) è figlio di un musicista, Carmi- Origini ne, che scriverà gli scores per molti suoi film, e dell’attrice Italia Pennino (come attrice è anche la sorella Talia Shire), en201
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Esordio alla regia
Il padrino Rottura con lo stile classico hollywoodiano
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La conversazione
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Non torno a casa stasera
trambi di origine lucana. Ispirato dalla passione per Ejzenštejn, Coppola studia teatro e poi cinema alla UCLA e inizia a lavorare con Roger Corman. Debutta alla regia con l’horror a basso budget Terrore alla tredicesima ora (Dementia 13, 1963), prodotto da Corman. Dopo Buttati Bernardo! (You’re a Big Boy Now, 1966), la cui confezione estetica guarda alla Nouvelle Vague, e Sulle ali dell’arcobaleno (Finian’s Rainbow, 1968), un musical con un anziano Fred Astaire non amato dalla critica né dal regista ma andato incontro a un discreto successo di pubblico, realizza la sua opera più personale di questo periodo: Non torno a casa stasera (The Rain People, 1969), un road movie d’autore girato con una troupe mobile in giro per gli Stati Uniti. Coppola interpreta un genere americano, ma descrive un mondo di emarginati (la “gente della pioggia” del titolo originale) con uno stile vicino al cinema moderno europeo (il nome della protagonista, Nathalie Ravenna, è un omaggio ad Antonioni: Ravenna è la location di Il deserto rosso) usando a intermittenza il flashback per carpire frammenti della psiche dei personaggi e cercando di coniugare realismo e soggettività. In questo periodo crea un suo studio a San Francisco pensando di produrre film in proprio lontano da Hollywood, ma la mancanza di fondi lo fa scendere a patti con l’industria. Nel film di mafia Il padrino (The Godfather, 1971), che accetta di dirigere non senza reticenze, si misura con la medietà stilistica del cinema classico, rompendola comunque in alcuni frangenti – la sequenza iniziale, con l’apparizione di Marlon Brando dal buio replicata poi in Apocalypse Now; il montaggio parallelo tra la cerimonia del battesimo e l’escalation di omicidi grazie a cui i Corleone spazzano via i loro nemici; l’uso soggettivo del suono nella scena del debutto criminale di Michael – e lasciando molto spazio agli attori, con i quali lavora meticolosamente. Il padrino – Parte II (The Godfather – Part II, 1974), dalla più ampia visuale narrativa, si serve come contrappunto dei motivi del primo film sdoppiandone la trama in continuo confronto a livello simbolico tra le carriere del patriarca Don Vito (in questo caso interpretato da Robert De Niro) e del figlio Michael (Al Pacino). Il gangster movie assume l’inesorabilità di una tragedia moderna, oscillando tra momenti spettacolari e altri più distaccati (rispetto alla prima parte, accanto al folclore è dato più spazio all’analisi sociale). La conversazione (The Conversation, 1973) è un progetto invece tutto personale sviluppato proprio a partire dai proventi ottenuti con Il padrino. Il soggetto può ricordare quello di Blow-up di Antonioni, avendo però come protagonista un gri-
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gio esperto di intercettazioni ambientali anziché un fotografo. Il discorso riflessivo è quindi trasportato nell’ambito del sonoro, campo in cui Coppola può avvalersi dell’ottimo Walter Murch. Harry Caul (interpretato da Gene Hackman) si trova al centro di un dilemma morale quando alcune sue intercettazioni potrebbero contenere gli indizi di un omicidio che starebbe per avvenire. Nel contempo è ossessionato dall’idea di essere spiato: la cinepresa lo osserva appunto immobile nel suo appartamento come se fosse una microspia e oscillando nel finale come una telecamera di sorveglianza. Coppola sfrutta inoltre le riprese a camera multipla, la possibilità di effettuare potenti zoomate e, allo scopo di mostrare il disorientamento del protagonista, i movimenti semisoggettivi come la lunga panoramica circolare che precede le sequenze conclusive (procedimento già caro a Godard e Herzog e riutilizzato da Brian De Palma nel suo Blow Out). Il progetto titanico di Apocalypse Now (1979; del 2001 è la versione Apocalypse Now Redux, con cinquanta minuti di scene inedite) si risolve in un’ecatombe finanziaria ma in un risultato pregevolissimo dal punto di vista artistico. Coppola dispiega i suoi strumenti tecnici e poetici dando all’opera una potenza wagneriana e una capacità di scavo nel mito senza precedenti, affidandosi a una trasposizione di Cuore di tenebra di Joseph Conrad rielaborata a partire da un progetto di John Milius. Walter Murch, montatore ed esperto di suoni eletto per l’occasione sound designer, elabora il sistema multipista Dolby 5.1. Magistrali sono inoltre le scene di guerra riprese dagli elicotteri e il montaggio psichedelico della sequenza iniziale. L’insuccesso di un altro kolossal sperimentale (partito come progetto a basso budget), Un sogno lungo un giorno (One from The Heart, 1982), costringe il regista a vendere la sua compagnia, la American Zoetrope, e a ridimensionare le sue ambizioni di produttore (finanzierà comunque progetti di Wim Wenders, Akira Kurosawa e altri registi). Tra i suoi film degli anni Ottanta si segnalano Rusty il selvaggio (Rumble Fish, 1983), girato in bianco e nero, e Cotton Club (1984). Negli anni Novanta sarà la volta di un terzo capitolo di Il padrino – Parte III (The Godfather – Part III, 1990) e di Dracula di Bram Stoker (Bram Stoker’s Dracula, 1992).
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Scelte tecniche
Apocalypse Now
Ispirazione
Anni Ottanta
■ Steven Spielberg
Come Coppola, e persino con maggiore abilità e fortuna, Steven Spielberg (1946) ha saputo alternare opere commerciali a film di maggiore impegno personale. Spielberg debutta con Debutto televisivo un film per la TV, Duel (1971): l’idea alla base è semplice – il 203
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protagonista esce di casa con la sua auto e durante il tragitto un grosso tir cerca di spingerlo fuori strada, innescando un duello che si sviluppa per tutto il film –, ma l’andamento della storia è in grado di catturare lo spettatore. Lo stesso schema dell’inseguimento è ripreso in Sugarland Express (1974), primo film per il grande schermo. Il 1975 è l’anno di Lo squalo (Jaws), il primo “film da fast food” nonché il primo grande successo di pubblico di un regista destinato a battere tutti i record. Dosando suspense, avventura ed effetti speciali, Spielberg crea una macchina narrativa perfetta. Identica fortuna hanno il fantascientifico Incontri ravvicinati del terzo tipo (Close Encounters of the Third Kind, 1977) e soprattutto i film fantastici e d’avventura dei primi anni Ottanta: E.T. (1982) e la serie di Indiana Jones. Grazie agli incassi di questi film Spielberg può proporsi come produttore (più tardi fonderà la Dreamworks) e dirigere i drammatici Il colore viola (The Color Purple, 1985) e L’impero del sole (Empire of the Sun, 1987). Nel 1993 arriveranno un altro blockbuster, Jurassic Park, ma anche l’opera più sentita: Schindler’s List (1993), vincitore di sette premi Oscar. Negli anni successivi gira pellicole di tono molto differente: le più prestigiose sono Salvate il soldato Ryan (Saving Private Ryan, 1998), in cui ricostruisce cinematograficamente lo sbarco alleato in Normandia, e A.I. Intelligenza artificiale (A.I. Artificial Intelligence, 2001), da un progetto di Stanley Kubrick.
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Primo grande successo
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Film di fantascienza e fantastici
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Ultimi film
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Opera più sentita
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■ George Lucas
Primo lungometraggio
Guerre stellari
Non solo regista
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George Lucas (1944) lavora a stretto contatto con Francis Ford Coppola, che produce il suo primo lungometraggio, il cult movie di fantascienza L’uomo che fuggì dal futuro (THX 1138, 1971). Diventato produttore di se stesso con la fondazione della Lucasfilm, cui seguirà nel 1975 la creazione della Industrial Light & Magic, casa produttrice di effetti speciali, nel 1973 gira American Graffiti, film generazionale ambientato nel 1962. Nel 1977 scrive e dirige Guerre stellari (Star Wars), primo episodio della celebre saga all’insegna della fantascienza contaminata con il fantasy e altri generi. Il seguito e il terzo film della serie non sono girati da Lucas, che ha diretto invece tre nuovi episodi usciti tra il 1999 e il 2005. Con pochi film diretti ma un’importante attività come sceneggiatore (è lui a creare il personaggio di Indiana Jones per l’amico Spielberg) e produttore, oltre che creatore di effetti speciali, Lucas incarna il lato più puramente spettacolare della generazione dei movie brats.
1 - Gli anni Settanta ■ Brian De Palma
Autore postmoderno
Brian De Palma (1940) è considerato tra i primi autori postmoderni per la sua propensione al citazionismo e alla riscrittura. Nei suoi primi film di successo Ciao America (Greetings, 1968) e Hi, Mom! (1970) tende a parafrasare il cinema di Jean-Luc Godard. Con i thriller Le due sorelle (Sisters, 1973) e Complesso di colpa (Obsession, 1976) De Palma inizia a consultare in prevalenza la grammatica di Alfred Hitchcock, come in Omicidio a luci rosse (Body Double, 1984). Carrie – Lo sguardo di satana (Carrie, 1976) e Fury (The Fury, 1978) lo vedono alla prova con l’horror. Nel 1980 e nel 1981 realizza due film chiave: Vestito per uccidere (Dressed to Kill) e Blow Out (che richiama Blow-up di Antonioni e La conversazione di Coppola). De Palma sceglie sempre soggetti semplici che contengano temi a lui congeniali – il travestimento, il voyeurismo, il doppio, il confondersi tra finzione e realtà – e gli diano la possibilità di esprimersi sul piano visivo con prodezze tecniche e precise marche del suo stile; oltre alla mobilità illimitata della sua cinepresa, citiamo l’abitudine a servirsi dello split screen. I suoi titoli più noti degli anni Ottanta sono due remake: Scarface (1983), una rivisitazione al presente del film di Howard Hawks; Gli intoccabili (The Untouchables, 1987), ispirato a una serie televisiva (con un vistoso omaggio a Ejzenštejn e a La corazzata Potemkin). Negli anni Novanta si impone con Carlito’s Way (1993).
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Primi film
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Successi
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■ Michael Cimino
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Meno fortunata la carriera di Michael Cimino (1939), autore di uno dei film più significativi degli anni Settanta: Il cacciatore (The Deer Hunter, 1978), un’opera ricca di pathos e di scene forti che mostra i tormenti americani del dopo Vietnam attraverso le vicende di tre reduci. Nel 1980 Cimino scrive e dirige I cancelli del cielo (Heaven’s Gate), eversivo e oceanico western lungo sei ore (ridotte a due e mezza o quattro nelle versioni distribuite) che ha il coraggio di demolire la mitologia del genere. Il suo clamoroso insuccesso commerciale a fronte di costi di produzione molto elevati causa il fallimento della United Artists che l’ha prodotto e ridimensiona la carriera del regista. Cimino girerà pochi altri film, tra cui Il siciliano (The Sicilian, 1987), sulla vicenda di Salvatore Giuliano, e Verso il sole (The Sunchaser, 1996).
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Il cacciatore
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Fallimento e ridimensionamento della carriera
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■ Robert Altman
Robert Altman (1925-2006), vincitore col suo quinto film, M.A.S.H. (1970), della Palma d’Oro al Festival di Cannes, si è M.A.S.H. espresso poi come una delle più grandi personalità del cinema 205
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1 - Gli anni Settanta TERRENCE MALICK Nonostante i pochi film girati, Terrence Malick (1943) è un caso unico nella storia del cinema americano. Il regista texano, che ha sempre vissuto nel più totale riserbo, negli anni Settanta realizza due soli film, La rabbia giovane (Badlands, 1973) e I giorni del cielo (Days of Heaven, 1978), che spiccano per lirismo, senso della natura e bellezza pittorica delle immagini. I giorni del cielo si distingue per la raffinatezza acustica nell’uso dei rumori, mentre in generale le voci narranti dei personaggi dona-
Nashville
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americano degli anni Settanta, capace di rivisitare tutti i generi in modernissime ottiche critico-esistenziali. Dopo Anche gli uccelli uccidono (Brewster McCloud, 1970), I compari (McCabe and Mrs. Miller, 1971), Gang (Thieves Like Us, 1974), California Poker (California Split, 1974), tocca il suo vertice con Nashville (1975), ritratto della più luccicante e schizofrenica America, vista nel suo cuore country, nel quale sperimenta un sistema di registrazione sonora a otto piste dotando ogni attore di un microfono personale. Dopo Tre donne (3 Women, 1977) e Un matrimonio (A Wedding, 1978) la sua vena comincia a non essere più in felice sintonia con i tempi. Seguono lo sfortunato Popeye (1980) e alcune intense riletture cinematografiche di testi teatrali, quali Jimmy Dean, Jimmy Dean (Come Back to the Five and Dime, Jimmy Dean, Jimmy Dean, 1982), Streamers (1983) e Follia d’amore (Fool for Love, 1985). Altman torna al grande cinema con I protagonisti (The Player,1992), premio per la miglior regia a Cannes, e con America oggi (Short Cuts, 1993), che nel 1993 vince il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia. Nel 1994 dedica al mondo della moda Prêt-à-porter, una vera e propria satira sulle sfilate di Parigi. Premiato nel 1996 con il Leone d’Oro alla carriera, nello stesso anno Altman sigla la regia di Kansas City, un omaggio alla sua città natale, i cui protagonisti sono gangster e sbandati degli anni Trenta. Nel 1999 realizza La fortuna di Cookie (Cookie’s Fortune), un film intrigante, divertente e venato di umorismo macabro. Nel 2002, dopo l’uscita di Gosford Park (2001), gli viene assegnato l’Orso d’Oro alla carriera al Festival di Berlino. Nel 2003 dirige The Company, mentre il 2006 è l’anno dell’Oscar alla carriera e del suo ultimo film Radio America (A Prairie Home Companion).
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Ritorno al grande cinema
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Gosford Park
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no alle immagini un alone poetico, da sogno o da fiaba. Malick ritorna a dirigere film solo dopo vent’anni firmando La sottile linea rossa (The Thin Red Line, 1998), un film di guerra più contemplativo che di azione; nonostante una lunga sequenza di battaglia, si concentra sui percorsi interiori dei soldati e sul loro incontro con splendidi paesaggi. Nel 2006 esce The New World – Il nuovo mondo (The New World): nella Virginia del XVI secolo si consuma la sfortunata storia d’amore di Pocahontas.
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1 - Gli anni Settanta ■ Woody Allen
Regista, sceneggiatore e interprete dei suoi film, Woody Allen (1935; il vero è nome è Stewart Allan Königsberg) è il più eccentrico e popolare tra i nuovi autori. Per il suo geniale umorismo si ispira al linguaggio nonsense dei fratelli Marx, alle comiche slapstick e alla tradizione ebraica, modellando i suoi personaggi sui tipi dello schlemiel e dello schlimazel, le figure dello sfortunato e/o dell’inetto nella comicità ebraica. Il suo primo film da regista, Prendi i soldi e scappa (Take the Money and Run, 1969), fa il verso ai film di gangster e al Modernismo cinematografico; anche Il dittatore dello stato libero di Bananas (Bananas, 1971) e Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere (Everything You Always Wanted to Know About Sex but Were Afraid to Ask 1972) sono sequenze di gag (verbali e visive) assortite, ricche di citazioni e parodie cinefile. Provaci ancora Sam (Play It Again Sam, 1972), scritto e interpretato da Allen e Diane Keaton e diretto da Herbert Ross, si confronta ironicamente con il mito di Humphrey Bogart, chiamato a soccorrere un protagonista in difficoltà nella sua vita sentimentale. Amore e guerra (Love and Death, 1975) si ispira a Tolstoj ed è il primo passo di un rinnovamento tematico e stilistico che conduce Woody Allen a nuovi sviluppi della sua arte alla fine degli anni Settanta. Io e Annie (Annie Hall, 1977), ispirato alle commedie degli anni Quaranta, segna un momento di svolta. Allen passa dalle pure gag e dalle parodie a commedie e drammi contemporanei dai toni sempre umoristici ma più introspettivi, dove elabora una nuova drammaturgia strutturata sull’intreccio e sullo sviluppo dei personaggi, e una messa in scena più compatta e organizzata. Manhattan (1979), una commedia romantica fotografata in un elegante bianco e nero e accompagnata dalle musiche di George Gershwin, descrive l’ambiente della borghesia intellettuale newyorchese e mostra un invidiabile equilibrio formale tra tonalità visive e chiavi narrative, dialoghi, montaggio e composizione scenica. Vengono alla luce anche nuove influenze: Interiors (1978), dramma da camera in cui Allen è solo regista, e Stardust Memories (1980) si ispirano rispettivamente a Bergman e a Fellini, due degli idoli del regista. I suoi film successivi sono molto alterni sia nel tono sia nella qualità.
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Prima regia Gag e citazioni cinefile
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Umorismo ebraico
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■ Sam Peckinpah
La carriera di Sam Peckinpah (1925-1984) comincia negli an- Prime opere ni Sessanta. Il regista americano (con nelle vene sangue dei Nativi) dirige film di guerra, d’azione e di spionaggio, ma soprattutto western dal taglio personale: la sua opera segna 207
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una svolta nel genere, sia a livello di tematiche sia in fatto di stile. Con Il mucchio selvaggio (The Wild Bunch, 1969), considerato il suo capolavoro, Peckinpah porta la violenza del western allo zenit e nel frattempo la spoglia di qualsiasi manto eroico. I personaggi dei suoi film non sono animati da ideali ma da un cinismo talora beffardo e da un istinto autodistruttivo. La morale conclusiva sembra votata al nichilismo. Della violenza come base dei rapporti umani il regista dà poi una lettura antropologica nel dramma d’azione Cane di paglia (Straw Dog, 1971). I segni del suo stile sono sempre il ralenti e un montaggio ridondante e frenetico (in Il mucchio selvaggio sono state contate 3643 inquadrature). Tra gli altri suoi western si segnalano La ballata di Cable Hogue (The Ballad of Cable Hogue, 1970), L’ultimo buscadero (Junior Bonner, 1972), Pat Garrett e Billy The Kid (1973) e Voglio la testa di Garcia (Bring Me the Head of Alfredo Garcia, 1974).
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Svolta nel genere western
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■ Altri registi della Nuova Hollywood
John Milius
Peter Bogdanovich
William Friedkin Alan Jay Pakula
Tra i movie brats vanno citati anche John Milius (1944) e Peter Bogdanovich (1939). Conservatore e nazionalista convinto, Milius è sceneggiatore e regista di Dillinger (1973) e Un mercoledì da leoni (Big Wednesday, 1978). Negli anni Ottanta dirige il fantasy epico Conan il barbaro (Conan the Barbarian, 1981). Bogdanovich, ex critico cinematografico, traduce il suo amore per il cinema classico in L’ultimo spettacolo (The Last Picture Show, 1971), memorabile spaccato della vita di provincia americana degli anni Cinquanta al quale la fotografia in bianco e nero aggiunge un’indovinata sfumatura nostalgica, e Paper Moon – Luna di carta (Paper Moon, 1973). William Friedkin (1939) con Il braccio violento della legge (The French Connection, 1971) spinge il poliziesco verso l’azione. Importanti sono anche i contributi di Alan Jay Pakula con Tutti gli uomini del Presidente (All the President’s Men, 1976) e John Schlesinger con Il maratoneta (Marathon Man, 1976).
Cinema di genere, exploitation e cult movie Horror
Mel Brooks 208
L’horror dopo l’exploit di L’esorcista (The Exorcist, 1973) di William Friedkin vede affermarsi talenti come George Romero (1940), rivelato da La notte dei morti viventi (The Night of the Living Dead, 1968), Wes Craven (1939), con Le colline hanno gli occhi (The Hills Have Eyes, 1977), John Carpenter con Halloween: la notte delle streghe (Halloween, 1978), seguiti da Sam Raimi (1960) con La casa (Evil Dead, 1982). Mel Brooks (1926) si specializza invece nella parodia.
1 - Gli anni Settanta
ALEJANDRO JODOROWSKY Alejandro Jodorowsky (1929), nato in Cile da una famiglia di origine ucraina, si forma artisticamente nel teatro parigino fondando il movimento Panico. Come regista di cinema si è rivelato al pubblico internazionale con El topo (1971), un singolare western dai risvolti mistico-surreali, e La montagna sacra (The Holy Mountain, 1973), dove approfondisce la vena surrealista e gli interessi
per le discipline esoteriche e la controcultura. Studia quindi un importante adattamento del popolare romanzo di fantascienza Dune di Frank Herbert, ma il fallimento del progetto segna una fase di stallo nella sua carriera. Dopo l’insuccesso di Tusk (Zanna, 1979), dirige Santa Sangre – Sangue santo (Santa Sangre, 1989) e Il ladro dell'arcobaleno (The Rainbow Thief, 1991).
È anche l’era dei film di culto come Pink Flamingos – Feni- Film di culto cotteri rosa (Pink Flamingos, 1972) di John Waters (1946), del soft-core fumettistico di Russ Meyer (1922-1984) e del fenomeno degli spettacoli di mezzanotte: molti film vengono Spettacoli proiettati nei cinema a mezzanotte, radunando gli appassiona- di mezzanotte ti: il più noto di questi è The Rocky Horror Picture Show (1975) di Jim Sherman. Il circuito dei midnight movies lancia anche due autori come Alejandro Jodorowski e David Lynch.
Il nuovo cinema tedesco Iniziata già nel decennio precedente con le opere di Ale- Rinascita degli xander Kluge, la rinascita del cinema tedesco, che segue anni Settanta un’impasse culturale di oltre trent’anni nel quale il vuoto è stato riempito con l’importazione dell’immaginario americano, raggiunge il suo momento migliore negli anni Settanta con la crescita di Herzog. ■ Werner Herzog
Werner Herzog (1942) è il più ambizioso dei nuovi cineasti tedeschi. Fin dal suo lungometraggio Liebenszeichen – Segni di vita (Liebenszeichen, 1967) mette in atto la costante, pro- Ricerca di immagini grammatica (o prometeica, come è stata definita) ricerca di mai viste immagini mai viste e sensazioni inedite. Questa sua tensione verso l’assoluto e il proposito non celato di voler rifondare il Fine ultimo cinema lo spingono a sconfinare in Paesi lontani alla ricerca di paesaggi incontaminati dove ambientare documentari metafisici come Fata Morgana (1970) o film di finzione su personaggi titanici ripresi nei luoghi delle loro avventure – Aguirre furore di Dio (Aguirre, der Zorn Gottes, 1972) e Fitzcarraldo (1982) – e a concentrare il suo interesse sulla restituzione di esperienze umane “al limite”, in aperta sfida al linguaggio del cinema. Ad esempio tradurre le percezioni
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sensoriali dei sordo-ciechi e il loro modo di “vedere” nel documentario Paese del silenzio e dell’oscurità (Land des Schweigens und der Dunkelheit, 1971) e mostrare con la stessa intensità le visioni interiori di un personaggio capace di sognare per la prima volta in L’enigma di Kaspar Hauser (Jeder für sich und Gott gegen alle, 1974). Linguaggio e poetica L’idea di ricreare uno sguardo primordiale investe totalmente la soggettività dell’autore – che vive i suoi film come un’esperienza fisica – insieme al suo linguaggio e alle sue figure poetiche: il ricorso frequente alla macchina a mano, l’uso intensivo di movimenti circolari, gli intensi ed ermetici primi piani di Aguirre, furore di Dio, i dettagli e le ricorrenti metafore animali che popolano i suoi film. Significativo il fatto che per interpretare l’opera del 1974 Herzog scelga Bruno S., artista autodidatta dalla storia personale simile a quella di Kaspar Hauser (personaggio realmente vissuto all’inizio dell’Ottocento), confermato anche nel ruolo di protagonista in La ballata di Stroszek (Stroszek, 1977). Ma senza dubbio l’attore prediletto (o il «nemico più caro», come lo ha ribattezzato in un suo docuAttore prediletto mentario) rimane Klaus Kinski. Il binomio Herzog-Kinski, durato quattro film, rappresenta un momento fondamentale dell’esperienza del regista tedesco, che dagli anni Ottanta in poi gira soprattutto documentari, infiltrandosi tra le popolazioni aborigene di vari continenti e protendendosi verso L’ignoto spazio profondo (The Wild Blue Yonder, 2005). ■ Wim Wenders
Osservazione della realtà
Tema del viaggio
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Il cinema di Wim Wenders (1945) privilegia la restituzione integrale della realtà e la sua osservazione fenomenologica rispetto al racconto classico, ispirandosi a quanto già sperimentato in modi diversi da Antonioni e Ozu. Prima del calcio di rigore (Die Angst des Tormanns beim Elfmeter, 1971) si presenta come un giallo dedrammatizzato privo di suspense o di indagine psicologica, dalla forma frammentaria. Dopo una prima infelice parentesi americana (non sarà l’unica), Wenders si dedica a esplorare il tema del viaggio come ricerca di sé e la connessione tra movimento e cinema nella cosiddetta “trilogia della strada”, formata da Alice nelle città (Alice in den Städten, 1974), Falso movimento (Falsche Bewegung, 1975), ispirato al Wilhelm Meister di Goethe, e Nel corso del tempo (Im Lauf der Zeit, 1976). L’ultima delle tre pellicole affronta direttamente il problema della morte della settima arte, che cerca di esorcizzare riallacciandosi all’estetica di Lang e Murnau. La prosecuzione ideale di Nel corso del tempo è Lo stato delle cose (Der Stand der Dinge, 1982); il soggetto (la lavorazione di un film in Por-
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Lo stato delle cose
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togallo è interrotta per mancanza di fondi, mentre il produttore è scomparso negli Stati Uniti) è autobiografico e si riferisce alle disavventure avute durante la realizzazione di Hammett – Indagine a Chinatown (Hammett, 1983). In Lo stato Stile delle cose Wenders mette a confronto non solo due modi di vedere il cinema, ma due stili, concependo un andamento diverso tra le due parti del film (quella europea e quella americana). I dissidi sembrano ricomporsi negli esiti felici di Paris, Texas (1984) e Il cielo sopra Berlino (Der Himmel ü- Il cielo sopra Berlino ber Berlin, 1987), favola moderna che è anche un’elegia per un città inquadrata a volo d’angelo con splendide riprese aeree. Fino alla fine del mondo (Bis ans Ende der Welt, 1991) è un’opera ambiziosa ma non fortunata; i successivi film di Wenders divideranno sia la critica sia il pubblico. ■ Rainer Werner Fassbinder
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Rainer Werner Fassbinder (1945-1982) alterna la regia cinematografica a quella teatrale. La sua attività nel nuovo cinema tedesco è prolifica e provocatoria: dal 1969 scrive, gira e talvolta interpreta un’enorme quantità di film (o telefilm), analizzando passioni individuali e devastazioni sociali, inventando un melodramma caustico, beffardo, spesso crudelmente autobiografico, e nel contempo specchio della crisi di una nazione. Il suo stile cinematografico si evolve dai piani fissi di Il fabbricante di gattini (Katzelmacher, 1969) ai movimenti di macchina e alla fluida messa in scena di Attenzione alla puttana santa (Warnung von Einer Heiligen Nutte, 1970) alle finezze del neokammerspiel Le lacrime amare di Petra von Kant (Die bitteren Tränen der Petra von Kant, 1972) ai virtuosismi di Martha (1973), girato per la televisione e distribuito al cinema solo nel 1994. Altri suoi titoli importanti: Effi Briest (1974), Un anno con 13 lune (In einem Jahr mit 13 Monden, 1978), Il matrimonio di Maria Braun (Die Ehe der Maria Braun, 19 79), Veronika Voss (Die Sehnsucht der Veronika Voss, 1982). Due mesi dopo la morte di Fassbinder è uscito Querelle de Brest (Querelle, 1982), tratto dall’omonimo romanzo di Jean Genet.
Cinema e teatro
Nuovo genere Filmografia
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■ Volker Schlöndorff e Margarethe von Trotta
Opera postuma
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Volker Schlöndorff (1939) esordisce nel 1966 con I turbamen- Volker Schlöndorff ti del giovane Törless (Der Junge Törless), trasposizione rigorosa del romanzo omonimo di Robert Musil. Nel 1970 raggiunge uno dei suoi risultati migliori con L’improvvisa ricchezza della povera gente di Kombach (Der Plötzliche Reichtum der armen Leute von Kombach, 1970), analisi dello sfruttamento del conflitto di classe. Satirico in La morale di Ruth Halbfass (Die Moral der Ruth Halbfass, 1972), sul miracolo economico,
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1 - Gli anni Settanta I FILM DI GENERE NEGLI ANNI SETTANTA Gli anni Settanta vedono anche fiorire una exploitation all’italiana, con vari filoni tra cui anche quelli più scollacciati. Nell’ambito dei “poliziotteschi” si distingue Fernando di Leo (1932-2003) che firma con Milano calibro 9 (1972) il miglior esempio del genere. Fra i thriller si segnalano Orgasmo (1969) di Umberto Lenzi (1931) e Sette note in nero (1977) di Lucio Fulci (1927-1996), noto anche per i suoi horror dai truculenti effetti speciali. Simili eccessi toccano Ruggero Deodato (1939) con il suo cult movie Cannibal Holocaust (1979), un finto esempio di cinema-verità parte di una trilogia dedicata ai
Il caso Katharina Blum
Margarethe von Trotta
Film recenti
cannibali. Con Salon Kitty (1975), Tinto Brass (1933) fin lì autore controcorrente e regista di film di genere, inizia a fissarsi in modo maniacale sull’erotismo e sull’elogio dell’anatomia femminile. Erede di Mario Bava, Dario Argento (1940) emerge come nuovo maestro del thriller e dell’horror: la commistione dei due generi è la formula di Profondo rosso (1975), l’opera centrale della sua carriera. Sperimentatore di nuove tecniche (i vertiginosi movimenti con louma e steadycam), Argento ha comunque rinnovato l’estetica e l’inconscio dei generi da lui praticati prima di eccedere e ripetersi.
femminista in Fuoco di paglia (Strohfeuer, 1972), scritto e interpretato dalla moglie Margarethe von Trotta, Schlöndorff ottenne grande successo con Il caso Katharina Blum (Die Verlorene Ehre der Katharina Blum, 1975), sulla manipolazione delle coscienze e sull’atteggiamento reazionario della stampa tedesca, mentre con Il tamburo di latta (Die Blechtrommel, 1979), dal romanzo omonimo di Günther Grass, ottiene la Palma d’Oro di Cannes e l’Oscar come miglior film straniero. Della produzione successiva si ricordano: Un amore di Swann (Un amour de Swann, 1984), Morte di un commesso viaggiatore (Death of a Salesman, 1985), tratto da Arthur Miller e Oscar come miglior film straniero. Attrice per Fassbinder e Schlöndorff, Margarethe von Trotta (1942) da regista si concentra sulle tematiche femminili con Il secondo risveglio di Christa Klages (Das zweite Erwachen der Christa Klages, 1978), Anni di piombo (Die bleierne Zeit, 1981), con cui vince il Leone d’Oro a Venezia, e Lucida follia (Heller Wahn, 1983). Tutti i film si basano sul rapporto-scontro tra due donne, amiche o sorelle. Più recenti la sua biografia dedicata alla celebre rivoluzionaria tedesca Rosa Luxemburg, Rosa L. (Die Geduld der Rosa Luxemburg, 1986), e l’intenso Rosenstrasse (2003), storia di tre donne ambientata negli anni della dittatura nazista. Hans Jürgen Syberberg (1935) si ispira al teatro di Brecht e alla concezione artistica totale di Wagner. Il suo Hitler, un film dalla Germania (Hitler, ein Film aus Deutschland, 1977) è un complesso saggio cinematografico sul nazismo: la cinepresa di Syberberg riprende frontalmente gli attori mentre recitano davanti a uno schermo sul quale scorrono immagini di repertorio.
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1 - Gli anni Settanta
Il panorama europeo
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Il nuovo cinema d’autore francese vede in prima linea Bertrand Blier (1939) con I santissimi (Les Valseuses, 1973), tratto dal suo romanzo omonimo, e Preparate i fazzoletti (Préparez vos mouchoirs, 1977), Oscar come miglior film straniero. Claude Sautet (1924-2000) si afferma con L’amante (Les choses de la vie, 1970), seguito da È simpatico, ma gli romperei il muso (César et Rosalie, 1971). Bertrand Tavernier (1941), ex critico dei Cahiers du Cinéma della generazione successiva a quella di Godard e Truffaut, si riallaccia al cinema francese precedente la Nouvelle Vague, richiamando al lavoro gli sceneggiatori Aurenche e Bost per L’orologiaio di Saint-Paul (L’horloger de Saint-Paul, 1974), riuscito adattamento di un romanzo di Georges Simenon. L’influenza della Nouvelle Vague è avvertibile nell’opera di Jean Eustache (1938-1981) come dimostra La maman et la putain (1973). Il cinema letterario e intellettuale della Rive Gauche si arricchisce del contributo di Marguerite Duras, già sceneggiatrice di Hiroshima mon amour (1959, di Alain Resnais). India Song (1975) continua le ricerche del Resnais di L’anno scorso a Marienbad. L’impegno politico contraddistingue due registi greci. Constantin Costa-Gavras (1933), formatosi in Francia, interpreta gli avvenimenti della Grecia contemporanea in Z – L’orgia del potere (Z, 1969), un thriller politico. L’impegno civile rimarrà una costante del suo cinema, come testimonia anche Missing – Scomparso (Missing, 1982), girato negli Stati Uniti e primo film americano in cui si allude alle responsabilità di Washington nel golpe cileno del 1973. Il maggiore regista ellenico contemporaneo, Theo Anghelopulos (1935), inscena una trilogia di opere dedicate alla storia del suo Paese. Quella centrale, La recita (O Thiasos, 1975), è la storia di un gruppo di attori impegnati in uno spettacolo teatrale sullo sfondo degli eventi che segnano tredici anni di storia greca. In una narrazione distanziata alla maniera brechtiana che non obbedisce alla linearità cronologica i piani temporali si intrecciano senza soluzione di continuità in una messa in scena basata sul piano sequenza, caratteristico di tutta l’opera di Anghelopulos. I principali autori belgi sono Chantal Akerman (1950) e André Delvaux (1926-2002). La Akerman in Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles (1975) adotta la stessa tecnica del piano sequenza, ma con un’ottica diversa, per osservare minuziosamente la vita di una donna in lunghe riprese a camera fissa.
Bertrand Blier
Claude Sautet Bertrand Tavernier
Jean Eustache e Marguerite Duras
Constantin Costa-Gavras
Theo Anghelopulos
Chantal Akerman e André Delvaux
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1 - Gli anni Settanta
Roberto Faenza e Franco Zeffirelli
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Fratelli Taviani
Nell’Europa dell’Est si distinguono il russo Nikita Michalkov (1945), i polacchi Krzysztof Zanussi (1939) e Andrzej Zulawski (1940) e il georgiano Otar Ioseliani (1934); in Gran Bretagna il fantasioso regista rock (e non solo) Ken Russell (1927). In Italia registi già apprezzati negli anni Sessanta realizzano le loro opere più note: Paolo (1931) e Vittorio (1929) Taviani, artefici di un cinema votato alla critica sociale e alla ricerca linguistica, raggiungono il successo internazionale con Padre padrone (1977), tratto dal romanzo autobiografico di Gavino Ledda e vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes. Ettore Scola (1931), già messosi in luce nella commedia, gira C’eravamo tanto amati (1973) e Una giornata particolare (1977), che testimoniano la sua maturità espressiva e sono tra i film italiani più significativi del decennio. Negli anni Settanta emergono anche due autrici che avevano già debuttato nel decennio precedente. Liliana Cavani (1933) desta scandalo con Il portiere di notte (1974) mostrando l’attrazione masochista di una vittima dei nazisti per il suo carnefice. Lina Wertmüller (1926) preferisce una satira sociale che vira al grottesco con Mimì metallurgico ferito nell’onore (1972) e Pasqualino Settebellezze (1975). Roberto Faenza (1943) si fa conoscere con Forza Italia (1977) e Franco Zeffirelli (1923) si impone con film spettacolari a sfondo religioso: Fratello Sole, Sorella Luna (1971) e Gesù di Nazareth (1976).
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SCHEMA RIASSUNTIVO
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Negli anni Settanta una Hollywood che è profondamente cambiata sia nel suo aspetto economico-finanziario sia nelle politiche produttive dà spazio alla generazione dei movie brats: Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Steven Spielberg, George Lucas, Brian De Palma sono i fiori all’occhiello della nuova cinematografia hollywoodiana. Mentre Scorsese e Coppola cercando di fondere la tradizione americana e quella d’autore europea, De Palma mostra la sua calligrafica abilità nel reinterpretare il cinema di genere (come fa anche Sam Peckinpah con il western), Lucas privilegia lo spettacolo e Spielberg l’aspetto narrativo. In America si mettono in luce altri autori contemporanei tra cui Robert Altman, Woody Allen e il più parco e isolato Terrence Malick. Generi come l’horror si ridefiniscono entrando in una nuova fase mentre ai margini del mercato continuano i fenomeni underground e di culto.
IL CINEMA EUROPEO
La cinematografia europea più significativa negli anni Settanta è quella della Germania Occidentale, capace di allineare personaggi come Werner Herzog, tutto teso nella ricerca di immagini nuove, Wim Wenders, intento a esplorare la dimensione del movimento come rivelatrice dell’animo umano, o Rainer Werner Fassbinder, in grado di riflettere nei suoi melodrammi la nevrosi di un’intera società. Accanto a loro Volke Schlondorff, Margarethe von Trotta e Hans-Jürgen Syberberg. Non mancano autori originali: tra questi il greco Theo Anghelopulos e gli italaini Paolo e Vittorio Taviani, Ettore Scola, Liliana Cavani, Lina Wertmuller.
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LA NUOVA HOLLYWOOD
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2 Dagli anni Ottanta a oggi A chiusura della nostra descrizione storica dei movimenti e degli autori più significativi della storia del cinema inseriamo un excursus sulla produzione degli ultimi trent’anni, che non ha visto rivoluzioni ma un rinnovamento costante di mezzi, correnti e poetiche.
Il cinema d’autore negli Stati Uniti Negli Stati Uniti, accanto a un cinema che ancora richiama il modello classico di rappresentazione, troviamo sperimentazioni moderne o postmoderne che consistono spesso nel ricontestualizzare elementi del passato in una nuova cornice e la continuazione di un cinema d’autore e di un cinema indipendente che seguono le proprie regole e tendono all’individualità. Tuttavia questi tre modelli tendono spesso a mescolarsi e a elidersi l’uno con l’altro, rendendo sempre più labili le varie categorie. Il panorama di Hollywood negli anni Ottanta si arricchisce dei contributi di Barry Levinson (1942), autore di Good Morning Vietnam (1987) e Rain Man – L’uomo della pioggia (Rain Man, 1988); di Lawrence Kasdan (1949), di cui citiamo Brivido caldo (Body Heat, 1981) e Il grande freddo (The Big Chill, 1983); di Robert Zemeckis (1952), che firma Ritorno al futuro (Back to the Future, 1985) e Forrest Gump 1994); e ancora di Adrian Lyne, Paul Schrader e John Landis (1950), regista di film cult come Animal House (1978) e The Blues Brothers (1980). Oliver Stone (1946) getta uno sguardo polemico sull’attualità e la storia recente con Platoon (1987), dedicato alla guerra in Vietnam come Nato il quattro luglio (Born on the Fourth of July, 1989), e JFK- Un caso ancora aperto (JFK, 1991) nel quale ricostruisce in maniera più giornalistica gli spunti di un’inchiesta sull’assassinio di John Kennedy. Per quanto concerne la corrente più autoriale del panorama americano un esempio di cinema postmoderno, contrassegnato dalla decontestualizzazione di elementi di genere, è quello dei fratelli Coen: Joel (1954) ed Ethan (1957) amano dapprima riciclare in maniera obliqua i materiali del passato inserendoli in un contesto che ne cambia i connotati e soprattutto il senso, in maniera anodina, colta e beffarda. Il meccanismo dei loro film è tanto geometrico e perfetto quanto il senso ultimo enigmatico: possiamo prendere come esempio Barton Fink – È successo a Hollywood (Barton Fink, 1991), incubo grotte-
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Sperimentazioni
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Produzione hollywoodiana
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sco di tenore kafkiano. I fratelli Coen si segnalano inoltre per lo stile di regia intellettuale e iperbolico delle prime pellicole e per la diversità di tono di molti opere della maturità, tra cui Fargo (1996) e Il grande Lebowski (The Big Lebowski, 1998). Un autore postmoderno è Tim Burton (1958). Le pellicole che lo rivelano sono storie fantastiche, stravaganti e argutamente allucinate in cui l’horror acquista una dimensione fiabesca colorandosi di romanticismo e humour. Il suo film più maturo e poetico, Big Fish – Le storie di una vita incredibile (Big Fish, 2003), esalta le sue capacità immaginifiche e offre una sintesi di tutto in una galleria di invenzioni esemplari tipiche della sua bizzarra fantasia. L’appellativo di “zar del bizzarro” è esclusiva di David Lynch (1946); Velluto blu (Blue Velvet, 1986), mercuriale thriller erotico distinto da un iperrealismo decorativo e da tratti che ricordano la pittura di Francis Bacon ed Edward Hopper, si basa sulla poetica dei contrasti cara al regista – che aveva debuttato con il film-incubo industriale Eraserhead – La mente che cancella (Eraserhead, 1977) – e contiene una precisa metafora dell’America e del mondo di Lynch: nella scene iniziale, dopo aver mostrato le istantanee-paesaggio da cartolina, la cinepresa si muove rasoterra e inquadra un nugolo di insetti in lotta tra i fili d’erba di un giardino. Se Cuore selvaggio (Wild at Heart, 1990), opera di debordante potenza e di estrema commistione linguistica, anticipa le tendenze degli anni Novanta, la sperimentazione di Strade perdute (Lost Highway, 1996), di Mulholland Drive (2001) e del labirintico Inland Empire (2006) implica il distacco dalla linearità e dalla verosimiglianza del racconto classico; le loro trame procedono per destrutturazioni, loop, metamorfosi e torsioni della trama narrativa, che assume connotati immaginari simili a figure impossibili o a paradossi prospettici oppure segue un modello musicale. L’anticonformista Spike Lee (1957), primo grande regista di colore a ottenere il successo internazionale, pone al centro del suo cinema l’appartenenza razziale. Influenzato da Martin Scorsese, dal cinema indipendente e della Nouvelle Vague, Lee vanta una notevole capacità stilistica e un senso del ritmo ispirato alla musica jazz (le sue prime colonne sonore sono composte dal padre Bill, jazzista) e hip hop. L’autore e interprete di Fa’ la cosa giusta (Do The Right Thing, 1989), esplosivo racconto di violenza urbana e scontri interetnici a Brooklyn, si serve in maniera originale di inquadrature inclinate, angolazioni dal basso e dell’overlapping editing (una tecnica di montaggio formale che consiste nel ripetere la parte conclusiva dell’azione rappresentata in un piano all’inizio del piano successivo). La 25a ora (25th Hour, 2002) è il suo film
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David Lynch
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Ultimi film
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migliore: qui il suo sguardo, abile nell’inquadrare un tessuto corale, si dilata e approfondisce mostrando per la prima volta New York dopo l’11 settembre e le macerie di Ground Zero. Dalla scena indipendente di New York arriva Jim Jarmusch (1953), al debutto nel 1982 con Permanent Vacation. Stranger than Paradise – Più strano del Paradiso (Stranger than Paradise, 1984) permette di apprezzare la sua estetica minimalista, scandita da un’assoluta economia di mezzi espressivi: l’azione ridotta all’osso, i movimenti della cinepresa elementari o annullati dalla prevalente staticità, il montaggio ridotto agli stacchi netti tra scene (a dominare è il piano sequenza fisso) intervallati da alcuni fotogrammi di nero. Nella seconda metà degli anni Novanta Jarmusch dirige due capitoli importanti della sua filmografia: Dead Man (1995), un western psichedelico in bianco e nero dal ritmo compassato e dagli accenti grotteschi, e Ghost Dog – Il codice del samurai (Ghost Dog, 1999). Negli anni Ottanta il canadese David Cronenberg (1943) dà una sua interpretazione visionaria e tecnologica dell’horror in pellicole come Videodrome (1983) e nel remake La mosca (The Fly, 1986), in cui declina possibili combinazioni tra macchine e materia organica, dimostrando grande rigore e una messa in scena chirurgica anche in un dramma metaforico contemporaneo quale A History of Violence (2005). Altri interessanti registi canadesi sono Denys Arcand (1941), che anni dopo Il declino dell’impero americano (Le déclin de l’empire américain, 1986) ne realizza con successo il seguito Le invasioni barbariche (Les invasions barbares, 2003), e Atom Egoyan (1960). Negli anni Novanta a Hollywood si impongono tra gli altri Jonathan Demme (1944) con Qualcosa di travolgente (Something Wild, 1986), Il silenzio degli innocenti (The Silence of the Lambs, 1991) e Philadelphia (1993) e l’inglese Sam Mendes (1965) con American Beauty (1999). Steven Soderbergh (1963), Palma d’Oro al Festival di Cannes con Sesso bugie e videotape (Sex, Lies and Videotape, 1989), si divide tra opere nettamente commerciali, film simil-d’autore e pseudo-indipendenti, ottenendo l’Oscar per Traffic (2000). Il regista di maggiore successo emerso negli anni Novanta è Quentin Tarantino (1953). Il suo Pulp Fiction (1994) si ispira alla letteratura di genere popolare degli anni Quaranta (il termine pulp indica una carta di bassa qualità) ed è un concentrato di virtuosismi pop, violenza fumettistica, dialoghi brillanti e molta ironia, determinato da una regia sopra le righe e da una sceneggiatura concepita come lo sviluppo di più storie tangenti in un complesso gioco di incastri temporali (flashback, flashforward, ritorni, inversioni). In Kill Bill Volume 1
Jim Jarmusch
Film più significativi David Cronenberg
Denys Arcand
Jonathan Demme Sam Mendes e Steven Soderbergh
Quentin Tarantino
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Kill Bill Volume 1 217
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(2003) e Kill Bill Volume 2 (2004) Tarantino compone un mosaico di citazioni (dagli spaghetti western ai film di arti marziali) e sbizzarrisce tutto il suo repertorio registico in una prima parte di pura azione e in una seconda più epica e dialogata. Bisogna riconoscerne tanto l’essenza tautologica e autoreferenziale quanto la grande riuscita tecnica. Abel Ferrara Attivo già dagli anni Settanta, Abel Ferrara (1951) si impone all’attenzione dei critici con King of New York (1991) e soprattutto Il cattivo tenente (The Bad Lieutenant, 1992), dove in maniera più scarna e dura e con un linguaggio depurato e scabro affronta le stesse tematiche del primo Martin Scorsese in una parabola di soffocante rigore. Simili per tensione e profondità sono The Addiction (1996) e Fratelli (The Funeral, 1996). Gus Van Sant Infine Gus Van Sant (1952) in Drugstore Cowboy (1989) e Belli e dannati (My Own Private Idaho, 1991) allunga il realismo delle storie di tossicodipendenti e ragazzi di vita di tocchi impressionisti con sovrimpressioni e time lapse che rivestono una funzione sia poetica sia psicologica. Gerry (2001) e il sucNuova fase stilistica cessivo Elephant (2003) inaugurano una nuova fase stilistica culminata in Last Days (2005): film laconici, contrassegnati dal ricorso a lunghi piani sequenza e minuziosi movimenti di macchina che seguono o girano intorno ai personaggi. Clint Eastwood Il “classico” è Clint Eastwood (1930), attivo già dagli anni Settanta, i cui Mystic River (2003) e Million Dollar Baby (2005) sono tra i migliori drammi contemporanei. Autori indipendenti Non mancano inoltre figure originali come Hal Hartley e David Mamet, autori vicini al cinema indipendente come Gregg Registi di genere Araki, Todd Solondz o Richard Linklater, né ottimi registi di genere: Michael Mann per l’azione e M.Night Shyamalan per il thriller soprannaturale . Paul Thomas Paul Thomas Anderson (1970) con Magnolia (1999), ambizioAnderson so ma ben strutturato dramma corale, e il notevole Il petroliere (There Will Be Blood, 2007), si segnala tra i registi emergenSofia Coppola ti; accanto a lui Sofia Coppola (1971), figlia di Francis, di cui segnaliamo il tenue Lost in Translation – L’amore tradotto (Lost in Translation, 2003), Wes Anderson e Darren Aronofsky.
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Kill Bill Volume 2
L’Europa Il panorama del cinema europeo non offre più grandi movimenti (a parte il discusso Dogma 95 danese), ma soprattutto risposte di singoli autori. Nel nostro Paese gli anni Ottanta seNuovi comici italiani gnano il debutto dei nuovi comici (Carlo Verdone, Massimo Troisi, Maurizio Nichetti) e in particolare di Roberto Benigni 218
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(1952), il cui La vita è bella (1997) è il più grande successo internazionale del nostro cinema recente. Nell’ambito del cinema d’autore rientrano i lavori di Pupi Avati, Giuseppe Bertolucci, Giuseppe Tornatore (1956) – vincitore di un Oscar per Nuovo cinema paradiso (1988) –, ma soprattutto di Nanni Moretti (1953) regista-attore-autore dal codice particolarissimo; in tutta la parabola del suo personaggio alter ego Michele, da Ecce Bombo (1978), girato in 16 mm in presa diretta, statico e dalla struttura a sketch, e Palombella rossa (1989), seduta di autocoscienza personale e collettiva in forma di racconto metaforico, ironizza sulla crisi personale/politica della sua generazione. La messa è finita (1986) e La Stanza del figlio (2000) sono invece toccanti drammi familiari. Gli anni Novanta si aprono con i successi di Gianni Amelio (1945), tra cui Il ladro di bambini (1992), e Gabriele Salvatores (1950), vincitore del premio Oscar come miglior film straniero con Mediterraneo (1991), e si chiudono nel segno di Silvio Soldini (1958), auotre di Pane e tulipani (1997), Ferzan Ozpetek (1959), salito alla ribalta con Le fate ignoranti (1999), e Gabriele Muccino (1967), regista del mediocre e fortunatissimo L’ultimo bacio (1999). Molto più interessanti Le conseguenze dell’amore (2001) di Paolo Sorrentino (1970), Gomorra (2008) di Matteo Garrone (1968) e Nuovomondo (2006) di Emanuele Crialese (1965). Per la Francia, dove negli anni Ottanta emergono Maurice Pialat, Alain Corneau, Leos Carax, e nel decennio successivo Luc Besson, Jean-Pierre Jeunet, Patrice Leconte, oltre all’exploit di L’odio (La Haine, 1995) di Mathieu Kassowitz, segnaliamo Olivier Assayas (1955), tra i più sensibili in assoluto nel trattare il mondo giovanile e imbevuto di cultura rock sin dall’esordio con Désordre (1986), che raggiunge il vertice con il tenero e struggente L’eau froide (1994), e Philippe Garrel (1948), erede della Nouvelle Vague, il cui recente Les amants réguliers (2005) è tra i film che meglio sanno restituire lo spirito autentico della generazione sessantottina. Nella Gran Bretagna della British Renaissance di inizio anni Ottanta i più originali sono Derek Jarman (1942-1994), noto per le sue biografie dal sapore brechtiano in cui inserisce deliberatamente materiali anacronistici (Caravaggio, del 1986, trasforma i dettagli della vita del pittore in una rappresentazione palesemente fittizia, a metà tra un’installazione d’arte contemporanea e un happening), e Peter Greenaway (1944), di cui I misteri del giardino di Compton House (The Draughtsman’s Contract, 1984) e Lo zoo di Venere (A Zedd and Two Noughts, 1985) mettono in mostra lo stile fortemente pittorico, la sperimentazione sulla luce e una fitta rete di interessi culturali che le sue opere sottendono.
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La vita è bella Cinema d’autore in Italia
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Registi francesi
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Ben più rigoroso e politico il cinema di Ken Loach (1936), ispirato alla tradizione documentarista inglese, diverso anche da quello di Mike Leigh (1943), anche lui ottimo interprete della working class. Un inglese (tra i tanti) arruolato dagli StaRidley Scott ti Uniti è Ridley Scott (1937), rivelato da I duellanti (The Duellists, 1977), dove mostra la sua predilezione per il controluce, Alien (1979) e Blade Runner (1982), punto di riferimento obbligato del genere fantascientifico negli anni Ottanta per l’immaginario, il décor, gli effetti speciali e la colonna sonora. In Pedro Almodóvar Spagna brilla Pedro Almodóvar (1951), trasgressivo interprete della nueva ola di inizio anni Ottanta. Almodóvar è un cineasta dal gusto camp votato all’ironia, allo sberleffo, alla complicità verso personaggi e temi borderline (omosessualità, travestitismo, nevrosi e devianze sessuali), ma anche a un’attenta e complice disamina della psicologia femminile (le donne sono i personaggi che ama di più). Amante di melodrammi ecNuova dimensione cessivi e di storie surreali, negli anni Novanta arriva a una nuointimista va dimensione intima: il suo film della maturità sarà Tutto su mia madre (Todo sobre mi madre, 1999), dove l’equilibrio tra i vari ingredienti del suo mondo (comicità, disperazione, tenerezza, poesia) risulta meglio compiuto. Se per il vicino Manoel de Oliveira Portogallo è obbligatorio citare il veterano Manoel de Oliveie i fratelli Dardenne ra (1908), in Belgio ricordiamo il realismo sociale dei fratelli Jean-Pierre (1951) e Luc (1954) Dardenne. Emir Kusturica Nell’Europa dell’Est segnaliamo Emir Kusturica (1954) e il suo Underground (1995), film satirico e amaro sul dramma della Krzysztof Kieslowski ex Iugoslavia, Krzysztof Kieslowski (1941-1996), il regista polacco della trilogia Tre colori (Film Blu, Film Bianco e Film Rosso), ispirata ai colori delle bandiera francese, riflessione moderna sulle idee di libertà, uguaglianza e fraternità, e il russo Alexandr Sokurov (1951), allievo di Tarkovskij. Nel 1995 a Copenaghen un gruppo di registi crea il collettivo Dogma 95 Dogma 95. Il manifesto presuppone un “voto di castità” che impone macchina a mano, riprese in esterni, suono in presa diretta, nessun trucco, luce naturale e messa al bando dei generi e del concetto di autore. Molti dei firmatari finiranno per Lars von Trier trasgredire le loro stesse regole. Tra questi Lars von Trier (1960), il più dotato e scaltro del gruppo. Le onde del destino (Breaking the Waves, 1996), Idioti (Idioterne, 1998) e Dancer Drammi tragici in the Dark (2000), drammi tragici imperniati sul sacrificio delal femminile la protagonista femminile, sono girati in video digitale e riversati su pellicola 35 mm. Il regista danese ottiene un effetto singolare con immagini traballanti e non ben definite, montate oltretutto in maniera frammentaria, lanciando la provocazione estetica più forte dai tempi degli esordi della Nouvelle Vague. Restando nel Nord Europa il finlandese Aki Kaurismäki (1957)
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Ken Loach
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si è rivelato uno dei registi più riconoscibili del panorama europeo in virtù del suo sguardo eccentrico e fiabesco sulla vita quotidiana delle persone più umili.
Gli altri continenti Cineasti asiatici
Takeshi Kitano
Zhang Yimou
Chen Kaige John Woo
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L’esplosione internazionale degli autori asiatici è forse la vera novità degli anni Novanta (almeno per noi europei). Cinematografie conosciute prima solo agli specialisti, come quella di area cinese o quella iraniana, esportano film d’autore conquistando le più prestigiose platee dei festival internazionali. Particolarmente attivo l’Estremo Oriente. In Giappone il nome da spendere subito è quello di Takeshi “Beat” Kitano (1947), autore eclettico e sensibile: la sua opera centrale è Hana-Bi – Fiori di fuoco (Hana-Bi, 1997), con cui tocca i limiti estremi della violenza e dell’elegia. Molto apprezzati anche il tenero L’estate di Kikujiro (Kikujiro no natsu, 1999) e il melodramma Dolls (2002). È il cinema cinese a proiettarsi in maniera più forte verso la platea internazionale. L’autore più significativo è Zhang Yimou (1951), conosciuto in Occidente grazie a Sorgo rosso (Hong Gaoliang, 1987), Lanterne rosse (Dahong Denglong gaogao gua, 1991) e La storia di Qiu Ju (Qiu Ju da Guansi, 1992), nei quali si sofferma sulla difficile condizione della donna nella società cinese osservandola in varie epoche (Sorgo rosso e Lanterne rosse furono inizialmente proibiti in Cina) ed evidenziandola grazie al suo stile elegante e al contributo dell’attrice Gong Li, protagonista anche di Addio mia concubina (Bawang bieji, 1993), imponente melodramma di Chen Kaige (1952) che ripercorre mezzo secolo di storia della Cina. A Hong Kong John Woo (1946) si mette in luce per i suoi film d’azione violenti in cui domina l’amicizia tra uomini e le sparatorie somigliano a stilizzati balletti, filmati come i duelli dei wuxiapian (i film di cappa e spada cinese), ricorrendo all’ampio uso di immagini rallentate e coreografiche acrobazie. Il suo connazionale Wong Kar-wai (1958) predilige il mondo dei sentimenti e si rivela uno dei più abili manieristi del cinema contemporaneo. Il suo stile magnetico si manifesta nell’ipertrofia delle immagini, sature di effetti flou, sovrimpressioni multiple o vertiginose focali corte, e del montaggio, parcellizzato in miriadi di inquadrature ricomposte in un dettato musicale che fa pensare al videoclip. Il suo film migliore, In the Mood for Love (Huayang nianhua, 2000), cadenzato melodramma rétro, e il suo fantasioso seguito 2046 (2004) hanno un andamento sinuoso e una scorrevolezza da partitura che
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Alejandro Gonzáles Iñárritu e gli altri registi messicani
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Amos Gitai
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Abbas Kiarostami
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Kim-Ki Duk e Park Chan-Wook
ben si adattano al tono romantico del primo e a quello soggettivo del secondo. Il nuovo cinema di Taiwan vanta esponenti di prestigio come Ang Lee (1954), Hou Hsiao-hsien (1946) e Tsai-Ming Liang (1957), e anche la Corea ha imposto di recente una nuova onda con autori come Kim-Ki Duk (1960) e Park Chan-Wook (1963). Spostandoci nell’area mediorientale, Abbas Kiarostami (1940), impostosi al Festival di Cannes con Il sapore della ciliegia (Tam’-e ghilass, 1997), è la guida del nuovo cinema iraniano (ricordiamo tra gli altri Jafar Panahi e Mohsen Makmahlbaf), mentre l’israeliano Amos Gitai (1950) si fa ricordare per il suo stile basato sul piano sequenza e per la capacità critica che lo ha portato a realizzare film scomodi e di grande forza come Terra promessa (Promised Land, 2004). Cambiando continente, il Messico ha imposto all’attenzione internazionale giovani registi come Alejandro Gonzáles Iñárritu (1963), Alfonso Cuarón (1961) e Carlos Reygadas (1971). Iñárritu in Amores Perros (2000) si segnala per l’uso irruente della camera a mano e un montaggio mozzafiato, incastrando tre storie attraverso un complesso gioco che rimanda a Tarantino (ma i suoi film successivi girati negli USA ripetono la stessa impostazione giocando a carte scoperte). Spostandoci geograficamente agli antipodi segnaliamo infine la raffinata neozelandese Jane Campion (1954), autrice di Lezioni di piano (The Piano, 1993), e gli australiani Peter Weir (1944), rivelatosi con Picnic a Hanging Rock (Picnic at Hanging Rock, 1975), e Baz Luhrmann (1962), di cui si ricordano Romeo+Giulietta di William Shakespeare (William Shakespeare's Romeo+Juliet, 1996) e Moulin Rouge! (2001).
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Nuovi cineasti di Taiwan
Jane Campion Baz Luhrmann
SCHEMA RIASSUNTIVO DAGLI ANNI OTTANTA A OGGI: AMERICA
Nel panorama americano degli ultimi trent’anni, caratterizzato dalla presenza attiva di più tradizioni e diversi stili cinematografici, si sono distinti in particolare alcuni autori dalla forte personalità, indagatori della realtà sociale (Spike Lee), dell’immaginario (i fratelli Coen, Tim Burton), della coscienza (Abel Ferrara), del subconscio (David Lynch) o dell’inconscio tecnologico (David Cronenberg), rappresentanti di comunità sociali (Lee per gli afroamericani, Gus Van Sant per gli omosessuali) o cinefili capaci di fagocitare tutto in una propria personale mitologia iconografica (Quentin Tarantino).
DAGLI ANNI OTTANTA A OGGI: EUROPA
L’Europa dal canto suo non ha espresso più dei grandi movimenti (tranne il discusso Dogma di Lars Von Trier) ma l’originalità di singoli registi (tra i quali il nostro Nanni Moretti, lo spagnolo Pedro Almodóvar, il polacco Krzysztof Kieslowski o gli inglesi Derek Jarman e Peter Greenaway). Negli anni Novanta le maggiori novità arrivano dalle cinematografie emergenti come quella cinese (o di Hong Kong e Taiwan), iraniana e, più di recente, coreana e messicana.
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APPENDICE
Il cinema di animazione
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Il cinema di animazione
Una breve panoramica sul cinema di animazione non può non soffermarsi sulle caratteristiche principali di quest’arte e sulle sue manifestazioni storiche più rilevanti: dalle origini e dal suo rapporto con le avanguardie fino alla produzione commerciale dell’epoca del sonoro, dominata dal modello Disney, per scoprire l’opera di ammodernamento da parte degli autori europei, americani e asiatici (in particolare giapponesi) avvenuta tra il secondo dopoguerra e i giorni nostri.
Un cinema parallelo
Oggetti della ripresa Termine animation
Primo Festival Internazionale dei Film d’Animazione
Definizione di cinema d’animazione
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Il cinema d’animazione rappresenta un settore parallelo a quello che, per distinguerlo, si definisce cinema “dal vero”. Avendo a che fare con lo stesso strumento di base, la macchina da presa, il suo funzionamento si impernia sulle medesime coordinate ottiche, e in parte stilistiche: la ripresa, i movimenti di macchina, il montaggio. Cambiano gli oggetti della ripresa cinematografica, che, nel caso più comune, sono figure disegnate e non persone od oggetti reali. Che i concetti alla base delle due espressioni siano i medesimi è confermato dal fatto che tra il 1895 e il 1910 il termine animated fosse applicato proprio alla fotografia animata, vale a dire al cinema tout court. Il sostantivo animation comincia invece a essere usato dagli specialisti francesi negli anni Cinquanta, quando si consolida un movimento culturale internazionale che rivendica al cinema d’animazione e al suo linguaggio una dignità specifica, tra l’altro opposta alla stessa egemonia esercitata su di esso dalle produzioni Disney. Nel 1960 ad Annecy, in Alta Savoia, nasce il primo Festival Internazionale dei Film d’Animazione. Nel 1962 è la volta dell’Association Internationale du Film d’Animation (ASIFA), il cui statuto contiene la prima definizione ufficiale del cinema animato: mentre il cinema dal vero «procede a un’analisi meccanica, per mezzo della fotografia, di avvenimenti simili a quelli che saranno resi sullo schermo, il cinema d’animazione crea gli avvenimenti per mezzo di strumenti diversi dalla registrazione automatica. Nel film d’animazione gli avvenimenti hanno luogo per la prima volta sullo schermo». Il secondo statuto risale al 1980. Dopo anni di osservazione di opere realizzate con varie forme di manipolazione dell’immagine, si sceglie una nuova formulazione: «Si intende
Il cinema di animazione
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Prima tecnica di animazione
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Nuova definizione
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come animazione ogni prodotto cinematografico che non sia semplice ripresa della vita reale a 24 fotogrammi al secondo». È inevitabile: le nuove tecnologie che stanno modificando anche il cinema dal vero cambieranno fatalmente questa definizione. Dal momento che i principi del cinema di animazione nascono da quelli della ripresa dal vero – le immagini immobili in sequenza presentate a una velocità superiore a 16-18 fotogrammi al secondo sono percepite dall’occhio umano come un flusso –, dagli stessi principi deriva la prima tecnica di animazione: la stop motion. Con la ripresa a fotogramma singolo si possono creare tra una posa e l’altra movimenti che non esistono in natura animando oggetti, forme o figure (anche astratte) altrimenti inerti, cioè attribuendo loro movimento, personalità, vita. Questo trucco ha dato origine a un linguaggio che esiste come forma autonoma e da cui a sua volta è nato un multiforme settore della cinematografia mondiale, spesso poco conosciuto se non in alcune sue espressioni e facilmente sottovalutato, in particolare secondo il vecchio pregiudizio che riduce l’intero campo del cinema animato a un’attrazione per bambini. Questa visione ristretta è oggi in buona parte venuta meno. Pregevoli film d’animazione si sono fatti largo nelle rassegne di cinema internazionali sia per le qualità formali di altissimo livello (i lungometraggi di Hayao Miyazaki), sia per la loro popolarità (Shrek della Dreamworks) sia per il pregio artistico e per i temi adulti che mostrano l’impatto emotivo e personale di un contesto storico. Quest’ultimo è il caso dei film Persepolis (2008), tratto dalla graphic novel dell’iraniana Marjane Satrapi, e Valzer con Bashir (Waltz with Bashir, di Ari Folman, 2009).
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Non più semplici film per bambini
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Le origini dell’animazione europea
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Al francese Émile Cohl (nome d’arte di Émile Courtet, 1857- Primi disegni animati 1938) si attribuiscono i primi veri disegni animati. Fantasmagoria (Fantasmagorie), il suo film d’esordio di due minuti presentato il 17 agosto 1908, verrà seguito da almeno altri trecento cortometraggi. Solo sessanta sono opere di animazione, e le loro tecniche non si limitano ai disegni animati, spaziando dall’animazione di oggetti a quella di pupazzi e figure ritagliate. Dal 1912 al 1914 Cohl opera negli Stati Uniti: qui realizza una serie di corti ispirati a Snookums (in Italia Cirillino), personaggio creato dal fumettista George McManus. Rientrato in Europa, trascina la sua carriera fino ai primissimi anni Venti. Cohl è un artista poliedrico e porta nell’animazione il gusto Stile 225
Il cinema di animazione MAI DIRE “CARTONI ANIMATI” I cartoni animati non esistono. O meglio, è scorretto chiamare tutti i film d’animazione cartoni animati, come invece puntualmente accade. Il termine “cartoni” è impiegato inizialmente come traduzione di cartoons, termine inglese che sarebbe più corretto tradurre con “disegni caricaturali”. I cartoons, a loro volta, non sono altro che un’anglicizzazione cinquecentesca dell’italiano “cartoni”, con cui in gergo artistico si intendevano i disegni preparatori a tele dipinte, affreschi e sculture. Secoli dopo nel mondo anglosassone venivano chiamate cartoons le caricature, o meglio i disegni satirici, delle vi-
Fratelli Corradini
per la comicità, l’assurdo e la magia. Il suo disegno è lineare e funzionale. A lui si deve la nascita del primo vero personaggio della storia dell’animazione: il clown Fantoche. All’inizio degli anni Dieci i fratelli Arnaldo (1890-1982) e Bruno Ginanni Corradini (1892-1976) sperimentano per primi la pittura diretta su pellicola. Lo scopo dichiarato di Ginna e Corra (i loro nomi d’arte) è ottenere una «musica cromatica». I loro film sono andati perduti, ma è interessante notare come l’astrazione non entri tanto nel cinema a partire dalle esperienze della pittura, quanto piuttosto da un’autonoma ricerca sul rapporto tra colore e musica.
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Primo personaggio animato
gnette dei giornali. All’inizio del Novecento lo stile dei cartoons caricaturali passa dalle pagine a stampa agli schermi cinematografici, e negli Stati Uniti quei film primordiali vengono chiamati animated cartoons. Da qui la traduzione fonetica in “cartoni animati”; ma sono in realtà disegni animati (i francesi dicono più correttamente dessins animés, gli spagnoli dibujos animados); e gli stessi disegni animati non rappresentano in toto l’animazione, ma solo una sua parte insieme a figure ritagliate, pupazzi, plastilina, al disegno su pellicola e alle varie forme di computer animation e non solo.
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■ Oskar Fischinger
Pittura astratta in movimento
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Anni Venti
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Wachs Experimente
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Il cineasta tedesco Oskar Fischinger (1900-1967) a partire dal 1921 studia le possibilità di una pittura astratta in movimento e inventa una propria macchina: una sorta di affettatrice a lame rotanti su cui poggiano parallelepipedi di cera colorata. La macchina viene posta di fronte a una cinepresa il cui otturatore funziona in sincronia con il movimento delle lame: in questo modo Fischinger riprende, taglio dopo taglio, le sagome tracciate dalle venature all’interno del blocco di cera. I suoi Wachs Experimente sono ottenuti con tecniche diverse; Vakuum (Vuoto) e Fieber (Febbre) sono da proiettare con cinque proiettori in contemporanea; Canne d’organo (Orgelstabe) è composto da barre parallele che si muovono ritmicamente. Negli anni Venti gli sono attribuiti sei cortometraggi a disegni animati tradizionali; inoltre lavora sugli effetti speciali di alcuni lungometraggi “dal vero” di altri e l’esperimento di silhouette Seelische Konstruktionen (Costruzioni dell’a-
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Il cinema di animazione sso e c n coe il 1933 si dedica al film astratto mu- Film astratto nima, 1927). Fra illo 1929 o t i sicale: compone gli Studien (Studi), costituiti da elementi che musicale T si intrecciano e agitano in corrispondenza con il suono, e
un’opera puramente visiva, senza il supporto della musica: Liebesspiel (Gioco d’amore, 1931). Servendosi del procedimento messo a punto con un collega ungherese (il Gasparcolor), nel 1933 gira la sua prima importante opera a colori: Kreise (Cerchi), un gioco di cerchi nello spazio. Curiosamente, la sua opera più conosciuta è un corto pubblicitario per le sigarette Muratti, questo sì distribuito capillarmente. Fra il 1934 e il 1935 Fischinger realizza il suo progetto più ambizioso: l’animazione “ritmica” legata alla terza dimensione e al colore. Komposition in blau (Composizione in blu), accompagnato dall’ouverture delle Allegre comari di Windsor di Otto Nicolai, è il primo film astratto a utilizzare le tre dimensioni, come una scenografia in movimento. Poco dopo Fischinger lascia la Germania per l’America, dove realizza tra gli altri Optical Poem (Poema ottico, 1937) e Radio Dynamics (Radio dinamiche, 1942) forse la sua opera migliore. Fischinger aspira a trasferire i caratteri del linguaggio nel campo dell’immagine (il suo sogno è una forma d’arte nuova, definita “coloremusica”); a questo scopo costruisce precisi riferimenti fisionomici: i suoni bassi corrispondono a forme rotondeggianti, mentre le forme triangolari corrispondono a suoni più acuti. Il colore viene usato con una libertà sconosciuta agli animatori americani. Nel 1946 il maestro tedesco porta a compimento il suo canto del cigno. Motion Painting n. 1 (Pittura in movimento n. 1, accompagnato dal Terzo Concerto Brandeburghese di Bach); è una novità nello stile del suo autore, che per la prima volta rinuncia alla corIL PRECURSORE: ÉMILE REYNAUD Nel 1888 Émile Reynaud (1844-1917) mostra agli amici Un bon bock (Un buon boccale di birra), la sua prima storia realizzata con disegni in movimento e sviluppata con il teatro ottico, evoluzione del prassinoscopio. Nei tre anni in cui perfeziona la sua invenzione cercando di venderla agli esercenti di spettacoli foranei Reynaud disegna altre due storie: Clown et ses chiens (Clown e i suoi cani, 1892) e Pauvre Pierrot (Povero Pierrot, 1892). L’11 ottobre 1892, infine, si accorda con Gaston Thomas, direttore del museo Grévin di boulevard Montmartre: nella sala del cabinet fantastique è
Prima opera a colori
Komposition in blau
Produzione americana Intento del suo lavoro
Ultima opera
installato un teatro ottico manovrato dallo stesso inventore. Il nome dello spettacolo, che esordisce il 28 dello stesso mese, è Pantomimes lumineuses (Pantomime luminose). Pur precedendo di tre anni i Lumière nella proiezione pubblica di immagini in movimento, Émile Reynaud, inconsapevole pioniere del cinema d’animazione, si ritrova fuori mercato e per la disperazione distrugge i propri strumenti. Oggi è posibile visionare due sue strisce, Pauvre Pierrot e Autour d’une cabine (Attorno a una cabina, 1895) trasferite su film durante gli anni Ottanta.
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Il cinema di animazione
relazione stretta, quasi meccanica, fra suono e immagine. Motion Painting n. 1 è costituito dalla perenne trasformazione di un dipinto su plexiglas, non più legata alla rigida e meccanica corrispondenza con la musica ma operante rispetto ad essa su un doppio binario, con due ritmi differenti che si intrecciano e si riferiscono l’uno all’altro secondo un andamento a due voci che può ricordare la polifonia. ■ Lotte Reiniger
Silhouette animate
Modelli
La specialità di Lotte Reiniger (1899-1981) sono le silhouette animate (dette anche ombre cinesi). Il suo Achmed, il principe fantastico (Die Abenteuer des Prinzen Achmed, 1926), ispirato alle Mille e una notte, è il primo lungometraggio nella storia dell’animazione; si avvale degli effetti speciali di Walter Ruttmann e Berthold Bartosch e dell’accompagnamento sinfonico di Wolfgang Zeller. La Reiniger, che ha al suo attivo una settantina di titoli, tra cui spicca Carmen (1933), si ispira alla lezione calligrafica del Liberty e all’astrazione di Ruttmann. ■ Berthold Bartosch
Film didattici
Nuove tecniche e macchinari L’idée
Messaggio
Berthold Bartosch (1893-1968), boemo educato a Vienna, esordisce nell’animazione con film didattici in sostegno al partito socialista. A Berlino lavora agli effetti speciali di Achmed, il principe fantastico di Lotte Reiniger e accetta l’invito a trasformare in un film le incisioni del fiammingo Frans Masereel. A Parigi inventa nuovi procedimenti e macchinari – fra cui un congegno basato su lastre di vetro sovrapposte che permette di ottenere la profondità di campo – e rielabora la sceneggiatura, per presentare il risultato finale nel 1931. L’idée (L’idea) ha per protagonista una creatura bellissima nata, nuda e pura, dalla mente del suo creatore: tutti i detentori del potere cercano di eliminarla, di piegarla, ma essa si rivolge solo agli sfruttati; alla fine il suo creatore viene fucilato, le masse che la proclamano sterminate, ma l’Idea continua a diffondersi, fino alle stelle. Bartosch, che non proseguirà oltre la sua attività nel cinema, combina messaggio politico e lirico con l’uso di un montaggio sincopato e di significative sovrimpressioni. ■ Alexandre Alexeieff
Novità tecnica
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Alexandre Alexeieff (1901-1982), acquafortista immigrato a Parigi dalla Russia, come Bartosch cerca di trasformare le incisioni in immagini in movimento. La soluzione tecnica da lui inventata insieme alla compagna americana Claire Parker (1908-1981) consiste in uno “schermo di spilli”: un
Il cinema di animazione
pannello bianco perforato da spilli neri retrattili disposti in maniera regolare, illuminato da due lampade sistemate sui due angoli superiori in modo che ogni spillo completamente emerso proietti un nero assoluto, ogni spillo completamente retratto un bianco puro e tutte le posizioni intermedie creino un’ampia gamma di sfumature di grigio con cui si possa di fatto comporre ogni immagine modificandola di fronte all’obiettivo della cinepresa. Nel 1933 Alexandre e Clair presentano Una notte sul Monte Una notte Calvo (Une nuit sur le Mont Chauve), illustrazione animata sul Monte Calvo dell’omonimo poema sinfonico di Modest Musorgskij, un emozionante concatenamento di forme (soprattutto per analogia) in cui convergono le memorie biografiche di Alexeieff (la mente creativa, mentre la Parker è dotata di maggiore talento pratico e tecnico) e una ricerca linguistica analoga a quella della poesia moderna. Dopo aver riparato in America durante la Seconda Guerra Mondiale il duo rientra a Parigi e prosegue la carriera nell’animazione ispirandosi a Gogol per Il naso (Le nez, 1963), e an- Ultime opere cora a Musorgskij per Quadri di un’esposizione (Tableaux d’une exposition, 1972) e Tre temi (Trois thèmes, 1980). ■ Len Lye
Il neozelandese Len Lye (1901-1980) opera negli anni Venti e Trenta a Londra, prima di trasferirsi negli Stati Uniti. Nel 1935 mostra al mondo la tecnica della pittura diretta su Pittura diretta pellicola già sperimentata da Ginna e Corra. su pellicola A Colour Box (Una scatola di colori, 1935) dimostra senso del ritmo e della tessitura del colore, nonché della musica, e grande sicurezza di linguaggio. Le opere di Lye – tra cui Opere segnaliamo Kaleidoscope (Caleidoscopio, 1935); Rainbow Dance (Danza dell’arcobaleno, 1936); Trade Tattoo (Tatuaggio del commercio, 1937); Musical Poster (Manifesto musicale, 1940) – appaiono più organiche rispetto agli esperimenti di molti suoi contemporanei.
Gli Stati Uniti dalle origini a Walt Disney Il pioniere dell’animazione americana e di quella mondiale (in- Pioniere sieme al francese Cohl) è Winsor McCay (1871-1934), che nel- dell’animazione l’aprile 1911 si presenta al pubblico del varietà con le immagini in movimento del proprio Little Nemo, il celebre personaggio dei fumetti apparso fin dal 1905 sul New York Herald. Il suo capolavoro cinematografico, Gertie the Dinosaur Gertie the Dinosaur (Gertie il dinosauro) è datato 1914; la protagonista è un 229
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Personality animation Arte adulta
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Periodo predisneyano
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Fratelli Fleischer
brontosauro femmina agli ordini del suo domatore, ovvero lo stesso McCay, che appare sul palcoscenico mentre sullo schermo si muove la sua creatura. Di norma l’animazione americana di grande spettacolo utilizzerà il disegno per raccontare avventure attraverso attori tracciati a matita e pennello secondo un approccio chiamato personality animation, che porterà sullo schermo altri personaggi dei fumetti. Nel 1918 McCay fa uscire The Sinking of the Lusitania (L’affondamento del Lusitania), basato su un fatto di cronaca. È il film più maturo dei tempi, anche nell’affrontare una materia tragica con molta delicatezza. L’intento di McCay è quello di fare dell’animazione un’arte adulta, ma le opere successive non saranno all’altezza del suo capolavoro. A partire dagli anni Dieci alcuni studios, in particolare quelli di Raoul Barré e John Randolph Bray e l’International Film Service del magnate William Randolph Hearst, iniziano a produrre serie ispirate in genere ai fumetti. La figura veramente interessante di questo primo squarcio del secolo è quella di John Randolph Bray (1879-1978), a cui si associa Earl Hurd (18801940), detentore di un importante brevetto: il Cel Process, ovvero l’uso di fogli di celluloide trasparente per il disegno dei personaggi, da sovrapporre in seguito a scenografie dipinte all’acquarello, diventa il procedimento più usato dagli animatori di tutto il mondo. Bray lascia in eredità soprattutto un esempio di gestione manageriale, industriale e finanziaria. Il personaggio più celebre nato dalla penna di Bray è il colonnello Heeza Liar, una sorta di Münchhausen americano – il suo nome ha lo stesso suono dell’espressione he is a liar, “è un bugiardo” – nel quale si leggono anche riferimenti all’ancora popolarissimo ex presidente Theodore Roosevelt. Il disegno che assume vita autonoma dopo che un disegnatore in carne e ossa l’ha tracciato sul foglio – formula nata dal chalk talk del vaudeville e molto usata fin dalla nascita del disegno animato statunitense – è il marchio di fabbrica dello studio dei fratelli Fleischer. Max Fleischer (1883-1972) nel 1917 brevetta uno strumento chiamato Rotoscope, che permette di ricalcare col disegno, fotogramma dopo fotogramma, un’azione filmata “dal vero”; quindi si fa le ossa allo studio Bray, nel quale chiama a lavorare anche il fratello Dave (1894-1979). Nel 1921 i due si mettono in proprio e affidano le loro sorti a KoKo the Clown, che esce da un calamaio e gioca tiri birboni al suo disegnatore, lo stesso Max. Un altro gruppo attivo negli anni Venti è quello capitanato da Paul Terry (1887-1971), ricordato per il personaggio del Farmer Alfalfa (“agricoltore Erbamedica”) e le Aesop’s Fables (Favole di Esopo, in realtà distanti dall’originale).
Il cinema di animazione
La vera star del periodo predisneyano esce dal piccolo studio di Pat Sullivan (1887-1933), ed è Felix the Cat (Gatto Felix). Il Felix the Cat suo vero creatore, Otto Messmer (1892-1983), lascia che il produttore accrediti a sé ogni merito sul personaggio e sui film. Dove Sullivan dimostra grande abilità è nella promozione e nel merchandising abbinato a Felix. Il gatto di Messmer è una figura muta ricca di espressività, come un mimo di buona recitazione, ed è anche “materiale grafico” tale da poter staccare parti del proprio corpo e usarle secondo la forma che suggeriscono (ad esempio, la coda a punto interrogativo può diventare un amo da pesca). Ma Felix non è ancora un attore comico. Lo saranno i personaggi di Walt Disney.
La lunga storia della Disney La personality animation trova il suo profeta in Walt Disney. Le realizzazioni del suo studio segnano il passaggio dall’idea di un “disegno che si muove” a quello dell’“attore disegnato”, che traduce nell’animazione la logica dello star system già ampiamente collaudata dal cinema dal vero. La Disney fa recitare i suoi disegni secondo tipologie e procedimenti ben precisi. Da questa scelta deriva anche il “realismo” del cinema disneyano, o meglio, «l’impossibile plausibile», come l’ha definito il suo stesso artefice: «La nostra analisi della realtà non deve essere tale da renderci soltanto in grado di riprodurla fedelmente; occorre che ci fornisca una base per addentrarci nel fantastico, lasciando tuttavia che abbia un fondamento nei fatti, per ottenere una maggior dose di credibilità e di legame con il pubblico». Walter Elias Disney (1901-1966) fonda il suo studio a Hollywood nel 1923. Per un decennio la sua produzione animata è l’unica in America a provenire dalla California e non da New York. Le tre serie di Alice Comedies (Le commedie di Alice, 1923-1927: avventure di una bambina in carne e ossa in un mondo di disegni animati) e quella di Oswald the Lucky Rabbit (Oswald il coniglio fortunato, 1927-1928) gli procurano una crescente popolarità. Benché divertenti, questi brevi film non sono tuttavia migliori di quelli prodotti dalla concorrenza. Nel febbraio 1928 il distributore Charles Mintz, cui competono i diritti su Oswald, sottrae a Disney i migliori animatori, apre un proprio studio e prosegue lui stesso la serie. Disney controbatte inventando, assieme al suo braccio destro Ub (o Ubbe) Iwerks un nuovo personaggio: Mickey Mouse (Topolino). Il primo Mickey Mouse sonoro, Steamboat Willie (terzo
Attore disegnato
L’impossibile plausibile
Walter Elias Disney Prime serie animate
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Nuove tecniche Primo lungometraggio Disney
Fantasia
Anni Quaranta: la svolta imprenditoriale
TEX AVERY E CHUCK JONES Tex Avery e Chuck Jones rappresentano l’eccezione d’autore allo studio system. Avery (1908-1980), formatosi alla Warner, dove tra l’altro contribuisce alla genesi di Bugs Bunny, dal 1942 al 1955 vive i suoi anni più fecondi alla MGM. I suoi personaggi più famosi sono il cane Droopy e lo scoiattolo Screwy Squirrel. Avery, erede della tradizione slapstick, punta su gag d’azione, velocità e comicità pura. Charles Martin (Chuck) Jones (1912-2002)
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negli anni Cinquanta dà la piena misura del suo valore, in particolare con la serie di Wile E. Coyote. Si occupa anche di altri personaggi come Speedy Gonzales e Bugs Bunny: What’s Opera, Doc? (Bugs Bunny all’Opera) è il film giudicato da lui stesso il migliore della sua produzione; citiamo inoltre One Froggy Evening (1956) e High Note (Nota alta, 1960), la storia di una nota ubriaca che devasta Il bel Danubio blu.
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Due filoni
della serie; i primi due, Plane Crazy, L’aeroplano pazzo, e Gallopin’ Gaucho, Il gaucho al galoppo, saranno distribuiti in seguito postsincronizzati) rappresenta il giro di boa di tutta l’animazione mondiale. Disney si concentra su due filoni: i cortometraggi comici e le silly symphonies, piccole fiabe o musical che legano musica e disegno animato, iniziate nel 1929 con The Skeleton Dance (La danza degli scheletri). Dopo anni di praticantato, di espansione dello studio e di invenzioni di nuovi strumenti come la multiplane camera per la profondità di campo, nel 1937 nasce il primo fortunato lungometraggio Disney, Biancaneve e i sette nani (Snow White and the Seven Dwarfs) di David Hand, in realtà un azzardo non da poco per l’epoca, dato il costo di realizzazione: furono infatti necessari uno sviluppo scenografico, una definizione caratteriale e psicologica dei personaggi attraverso il disegno a tutto tondo e una sceneggiatura molto accurata. Biancaneve è tra l’altro un musical ben concepito, che addirittura precorre Broadway (Oklahoma è solo del 1943) nella funzionalità narrativa attribuita ai numeri musicali, durante i quali l’azione può ora procedere, oltre che fermarsi come d’abitudine nei musical precedenti agli anni Quaranta. Il successo non è tuttavia eguagliato dai successivi Pinocchio (di Ben Sharpsteen e Hamilton Luske, 1940) e Fantasia (di Ben Sharpsteen, 1940): quest’ultimo, una collana di silly symphonies basata sulla musica classica diretta da Leopold Stokowski, solo col passare degli anni è stato recuperato dall’immaginario collettivo come oggetto di culto. Fantasia sperimenta con il Fantasound il suono stereofonico, in anticipo di anni sul sistema Dolby. Dagli anni Quaranta il padre-padrone della Disney lascia il settore dell’animazione nelle mani dei suoi uomini di fiducia per dedicarsi alla televisione, ai film dal vero per ragazzi e ai parchi a tema.
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Il cinema di animazione
Il cinema di animazione
Il cinema animato di Disney riproduce quello dal vero di Hollywood in tutte le sue dinamiche interne (generi, star system); più dell’uomo è stato il marchio Disney a essere diventato un’icona e ad aver ipotecato l’immaginario identificandosi agli occhi del pubblico con un mondo, quello dell’animazione, molto più vasto e in gran parte sconosciuto alle masse. Non a caso l’animazione d’autore degli ultimi trent’anni è per sua stessa natura antidisneyana. Compiendo un balzo in avanti fino agli ultimi anni del XX se- Opere di fine colo possiamo vedere come film quali La sirenetta (The Little XX secolo Mermaid, 1989), La bella e la bestia (Beauty and the Beast, 1991) o Il re leone (The Lion King, 1994) riscuotano grande successo ma non rappresentino più un vero rinnovamento (e tanto meno il più recente Fantasia 2000).
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■ Gli studi rivali della Disney
I fratelli Fleischer negli anni Trenta inventano due personaggi storici: la maliziosa Betty Boop, una classica flapper (ragazza anticonformista) dell’età del jazz, e Braccio di Ferro (Popeye the Sailor), creato dal fumettista Elzie Crisler Segar. Dopo il trionfo di Biancaneve di Disney, Max Fleischer produce i suoi primi lungometraggi: I viaggi di Gulliver (Gulliver’s Travels, 1939) e Hoppity va in città (Mr. Bug Goes to Town, 1942); lo studio viene tuttavia rapidamente smantellato da scelte aziendali. La Warner Brothers distribuisce in esclusiva i film dello studio di Leon Schlesinger (1884-1949), creatore di Porky Pig, Duffy Duck, Bugs Bunny, Titti e Silvestro. La Metro Goldwyn Mayer distribuisce i cortometraggi di Ub Iwerks, Hugh Harman e Rudolph Ising. Il suo momento migliore, negli anni Quaranta, concide con l’attività di Tex Avery e di William Hanna (1910-2001) e Joseph Barbera (1911-2006), che in quel periodo creano le avventure di Tom e Jerry. Walter Lantz (1899-1994) si occupa dei disegni animati della Universal e impone all’attenzione del pubblico il picchio Woody Woodpecker; nel 1953 lancia sul mercato il pinguino freddoloso Chilly Willy, portato al successo da Tex Avery.
Risposta antidisneyana: Betty Boop e Braccio di Ferro
Bugs Bunny, Titti e Silvestro
Tom e Jerry Woody Woodpecker
Il lungometraggio americano Per decenni la Disney viaggia alla media di un lungometraggio ogni due anni, senza vantare concorrenti significativi. Oltre a Altri classici Pinocchio e Fantasia, vanno annoverati tra i suoi classici disneyani Dumbo (1941) e Cenerentola (Cinderella, 1950), entrambi 233
Il cinema di animazione LO STILE UPA rivelatore, 1953), tratto da un racconto di Edgar Allan Poe, è il primo film horror del cinema d’animazione americano. Oltre a Rooty Toot Toot di John Hubley (1952), A Unicorn in the Garden (Un unicorno in giardino) di Bill Hurtz (1953) e Christopher Crumpet di Bobe Cannon (1953) va ricordato il personaggio di Mr. Magoo. Il rinnovamento grafico della UPA si ispira all’arte contemporanea. Nonostante duri solo un decennio, la fertile stagione sparge i semi di molta della successiva animazione d’autore
Gerald McBoing Boing (1951) di Bobe Cannon attesta al meglio il nuovo stile introdotto dalla UPA (United Productions of America): esseri umani animati al posto dei classici animali antropomorfi, ma soprattutto un disegno dai tratti spigolosi e bidimensionali, il cosidetto “I style” (contrapposto all’”O style”, che prevede invece tratti tondeggianti e definizione dei volumi). Con la sua limited animation la UPA aggiorna l’immaginario dell’animazione americana nella forma del disegno come nei contenuti: The Tell-Tale Heart (Il cuore
diretti da Ben Sharpsteen, La bella addormentata nel bosco (Sleeping Beauty, 1959) di Clyde Geronimi, La carica dei 101 (101 Dalmatians, 1961) di Wolfgang Reitherman, Hamilton Luske e Clyde Geronimi e Bianca e Bernie (The Rescuers, 1977) di Wolfgang Reitherman, John Lounsbery e Art Stevens. Formula ricorrente La formula ricorrente è quella della fiaba musicale: si adotta una storia popolare e la si condisce con personaggi secondari che aggiungono brillantezza e humour. Anni Ottanta Gli anni Ottanta vedono una flessione nella qualità dei film; le quotazioni Disney si risollevano nel 1989 grazie a La sirenetta (The Little Mermaid) di John Musker e Ron Clements. Questo film, come i successivi La bella e la bestia (Beauty and the Beast, 1991) di Gary Trousdale e Kirk Wise, Aladdin (1992) di Musker e Clements e Il re leone di Roger Allers e Rob Minkoff, spinge sul pedale del musical. Pixar Oggi la Disney mantiene alto il proprio nome distribuendo i 3D computer animation della Pixar: tra questi Alla ricerca di Nemo (Finding Nemo, 2003) di Andrew Stanton e Lee Unkrich. Alternativa I personaggi alternativi all’egemonia Disney non sono molti: ai personaggi Ralph Bakshi (1938) con Fritz il gatto (Fritz the Cat, 1972), targati Disney Heavy Traffic (Traffico pesante, 1973) e Coonskin (Pelle di negro, 1975), basato su un personaggio del fumetto underground di Robert Crumb, percorre il sentiero della contestazione spinta. Per contro, Don Bluth (1937) sceglie il classicismo disneyano contro la stessa Disney, a suo parere dimentica dell’insegnamento del suo maestro. Film a tecnica mista In questo breve excursus bisogna anche ricordare i film a tecnica mista come Chi ha incastrato Roger Rabbit? (Who Framed Roger Rabbit, 1988), The Adventures of Mark Twain (Le avventure di Mark Twain, 1986), del maestro della plastilina
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Il cinema di animazione
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animata Will Vinton, e The Nightmare Before Christmas (Tim Burton’s The Nightmare Before Christmas, 1993), prodotto da Tim Burton ma diretto da Henry Selick, una fiaba dell’orrore che è anche il primo lungometraggio americano di pupazzi animati. Toy Story (1995, di John Lasseter) e Zeta la Formica (Antz, 1998, di Eric Darnell e Tim Johnson) inaugurano il filone del lungometraggio di animazione compute- Lungometraggio rizzata. Il film animato rivolto al grande pubblico, come testi- di animazione monia il caso di Il principe d’Egitto (The Prince of Egypt, computerizzata 1998) diretto da Brenda Chapman, Steve Hickner e Simon Wells per la Dreamworks, è in grado di uscire dal ghetto dei prodotti per bambini.
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L’animazione italiana Con poche eccezioni, come Luigi Veronesi (1908-1998), artista di grande rilevanza nonché autore di alcuni film astratti (Film n. 2-9, 1938-1951), il cinema d’animazione del nostro Paese non dà più segni importanti di sé fino al 1949, quando escono i primi due lungometraggi animati italiani a colori: La rosa di Bagdad e I fratelli Dinamite. Il primo è completato in nove anni da una squadra guidata da Anton Gino Domeneghini (1897-1966). Il secondo è opera dei fratelli Nino (1908-1972) e Toni (1921-2001) Pagot. Pur vantando momenti pregevoli, entrambi non riscuotono grande successo. Per un curioso parallelismo con il cinema dal vero va ricordato L’ultimo sciuscià (1947) di Gibba (Francesco Maurizio Guido, 1925) l’unico esempio di film d’animazione neorealista. Una produzione veramente continuativa di film d’animazione in Italia nasce solo nel 1957, quando la Rai inaugura Carosello. La prima striscia pubblicitaria a disegni animati è Lo sport, ideata e prodotta dalla milanese Gamma Film dei fratelli Roberto (1926-2007) e Gino (1923) Gavioli per la pomata Vegetallumina. Grazie a Carosello per una ventina d’anni prosperano la Gamma Film, la Paul Film di Paolo “Paul” Campani (1923-1991) e Giorgio “Max” MassiminoGarniér (1924-1985), la Pagot Film che lancia il pulcino nero Calimero, lo Studiocine di Osvaldo Cavandoli che crea il personaggio della Linea, la Bruno Bozzetto Film e numerosi altri studios piccoli e medi. Fra coloro che non si dedicano alla pubblicità occorre menzionare Giulio Gianini (1927) ed Emanuele Luzzati (1921-2007), specialisti tra i migliori del mondo nella tecnica delle figure ritagliate. Luzzati è autore di La gazza ladra (1964), L’italiana in Algeri (1968), del ca-
Primi lungometraggi animati
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Carosello
Pulcino Calimero
Giulio Gianini ed Emanuele Luzzati
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Il cinema di animazione
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Seconda Guerra Mondiale si mettono in luce Jordan Belson (1926), Harry Smith (1923-1991) e Hy Hirsch (1911-1960), seguiti anni più tardi da Jules Engel (19182003), Robert Breer (1926), John Whitney (1917-1995), James Whitney (1921-1982) e Pat O’Neill (1939).
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Nel campo delle immagini astratte la precorritrice è Mary Ellen Bute (1906-1983), che inizia nel 1934 con Rhythm in Light (Ritmo nella luce) e prosegue con Synchromy n. 2 (Sincromia n. 2, 1935) e Spook Sport (Lo sport dei fantasmi, 1940), realizzato insieme a Norman McLaren. Dopo la
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L’AVANGUARDIA AMERICANA
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polavoro Pulcinella (1973) e del mediometraggio Il flauto magico (1978), oltre a varie altre interpretazioni della musica e della favolistica europee.
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■ Bruno Bozzetto
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Bruno Bozzetto (1938) si mette in mostra a vent’anni al Festival di Cannes con Tapum! La storia delle armi. Bruno Bozzetto Film Nel 1960 fonda a Milano la Bruno Bozzetto Film, e nello stesso anno gira Un Oscar per il Signor Rossi, creando il tipo di italiano medio che resterà la sua più popolare invenzione: baffuto, brevilineo, vestito di rosso, sempre vittima di frustrazioni e piccole disavventure a cui fa fronte con teStile e poetica stardaggine. Come lo stile di Bozzetto è essenziale e antidi Bozzetto disneyano, così la sua poetica è un amalgama di comicità, denuncia e senso malinconico nei confronti dell’esistenza. Sono numerosi i suoi successi e i titoli divenuti fondamentali per l’animazione italiana: le parodie West and Soda (1965) e Vip, mio fratello Superuomo (1968) in cui Bozzetto fa il verso a western e supereroi, e il lungometraggio più acclamato, Allegro non troppo (1977) che vuole essere una parodia di Fantasia ma lo supera nella concezione delle risorse musicali. Opere recenti Tra i suoi film più recenti, Mister Tao (1988), Orso d’Oro al Festival di Berlino come miglior cortometraggio, e Cavallette (1991) nominato all’Oscar. Bozzetto chiude la sua casa produttrice nel 2000. Da quel momento si dedica all’animazione su Internet e alla serie televisiva Spaghetti Family di cui è ideatore e supervisore. ■ Altri animatori italiani
I fratelli Gino (1923) e Roberto (1926-2007) Gavioli e Paolo Piffarerio (1924) realizzano nel 1961 il mediometraggio La lunga calza verde La lunga calza verde, su sceneggiatura di Cesare Zavattini, una storia del Risorgimento umoristica che alterna un disegno caricaturale a uno più classico. Manfredo Manfredi Manfredo Manfredi (1934) si dedica prima a cortometraggi 236
Il cinema di animazione LA LINEA DI OSVALDO CAVANDOLI Osvaldo Cavandoli (1920-2007) traspone in una serie puramente spettacolare il suo personaggio pubblicitario della Linea, un omino tracciato da una linea bianca virtualmente infinita. Le sue avventure, basate sulla comicità grafica, hanno soluzione quando interviene la mano del disegnatore (filmata
dal vero) a riportare l’ordine (una prassi con diversi precedenti nell’ambito dell’animazione). Cavandoli fonde la scuola Disney e quella UPA; il suo omino, una maschera tipicamente italiana, recita solo di profilo e senza la parola ma con un borbottio indefinito creato dall’attore Carlo Bonomi.
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di denuncia sociale come Ballata per un pezzo da novanta (1966) o Su sàmbene non est abba (1969). Il suo Dedalo (1976) è l’unico film italiano ad aver vinto un premio importante a un festival internazionale d’animazione considerato di serie A, quello di Ottawa. Suoi anche due esemplari adattamenti cinematografici da Dante e Italo Calvino: Il canto XXVI dell’Inferno e Le città invisibili. Ricordiamo inoltre Pino Zac (Giuseppe Zaccaria, 19301985), Cioni Carpi (1923), Enzo d’Alò (1953) con il lungometraggio La gabbianella e il gatto (1998), tratto da un ce- La gabbianella lebre racconto lungo per bambini di Luís Sepúlveda, e Ro- e il gatto berto Catani (1965), che con La funambula (2003) ha ricevuto numerosi premi internazionali.
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Europa Occidentale La cinematografia d’animazione francese è una delle più Francia ricche al mondo: un’industria vera, favorita anche dalla politica governativa di investimenti nel settore delle immagini elettroniche. A mettersi in luce fin dagli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale, è Paul Grimault (1905-1994), amico di Paul Grimault Jacques Prévert, che predilige fiabe dallo stile visivo tradizionale. Il suo allievo Jean-François Laguionie (1939) produce e dirige alcuni tra i migliori cortometraggi del cinema francese, con toni fiabeschi e un disegno ispirato a Magritte e alla pittura naïf. Tra i cortometraggi di Michel Ocelot (1943) spicca Les trois Michel Ocelot inventeurs (I tre inventori, 1980), realizzato animando figurine di carta goffrata. Più tardi Ocelot passa al lungometraggio con Kirikù e la strega Karabà (Kirikou et la sorcière, 1998), ispirato a una favola africana (la colonna sonora è del senegalese Youssou N’Dour) e con Princes et princesses (Principi e principesse, 2000), antologia di cortometraggi precedenti girati secondo la tecnica delle silhouette. 237
Il cinema di animazione
Appuntamento a Belleville
Gran Bretagna Animal Farm
Chi ha incastrato Roger Rabbit? Sperimentazioni con la plastilina Belgio Olanda
Germania Ovest
Jean-Christophe Villard (1952) sviluppa un’indagine sulla linea (L’E-motif, L’e-motivo, 1979). Sylvain Chomet (1963) nel 2003 presenta un ottimo lungometraggio: Appuntamento a Belleville (Les triplettes de Belleville), realizzato in occasione del centenario del Tour de France. La Francia dà inoltre spazio ai polacchi Jan Lenica (1928-2001, attivo peraltro anche in Germania e negli Stati Uniti), Walerian Borowczyk (1923-2006)e Piotr Kamler (1936), e all’ungherese Peter Földes (1924-1977). Ma è l’animazione britannica a vantare lo sviluppo più articolato di tutta l’Europa Occidentale. Prima è il turno della Halas & Batchelor con corti didattici e di intrattenimento e un importante lungometraggio (Animal Farm, La fattoria degli animali, 1954). Nella generazione successiva si distinguono Bob Godfrey (1921) e gli oriundi canadesi George Dunning (1920-1979) e Richard Williams (1933), quest’ultimo responsabile della parte animata di Chi ha incastrato Roger Rabbit? di Robert Zemeckis; più tardi è la volta di Alison De Vere (19272001), dei gemelli Stephen e Timothy Quay (1947) e di Daniel Greaves (1959). Negli anni Settanta Peter Lord (1953) e David Sproxton (1954), specialisti della plastilina, creano la Aardman Animation: il suo talento maggiore è Nick Park (1958) creatore a fine anni Ottanta di Wallace e Gromit. In Belgio sono da ricordare lo studio Belvision (produce lungometraggi con protagonisti Asterix, Lucky Luke e i Puffi) e l’opera dell’eclettico Raoul Servais (1928); in Olanda si fanno notare Joop Geesink (1913-1984), patron di uno studio specializzato nei pupazzi animati chiamato Dollywood, e due artisti di caratura internazionale: Paul Driessen (1940) e Michael Dudok de Wit (1953). La Germania, divisa in due fino al 1989, sviluppa due cinematografie d’animazione molto diverse. La Germania Ovest conta su alcune individualità di valore come Wolfgang Urchs (1922), Helmut Herbst (1934) e Raimund Krumme (1950), ma è anche e forse soprattutto il rifugio di molti animatori espatriati (i polacchi Jan Lenica e Stefan Schabenbeck, lo iugoslavo Vladimir Kristl, l’ungherese Ferenc Rófusz e molti altri). La Germania Est accentra tutta la sua produzione nello studio Defa di Dresda, e confeziona opere di intrattenimento ed educative per bambini. Va ricordato soprattutto Leben und Taten des berühmten Ritters Schnap-phanski (Vita e imprese del famoso cavaliere Schnapphanski, 1977) di Günter Rätz (1935). In Norvegia, infine, si sviluppa la carriera di Ivo Caprino
in licenza a P Germania Est
Norvegia 238
Titolo concesso
Jean-Christophe Villard
Il cinema di animazione
(1920-2001), i cui film che mettono in scena pupazzi animati, presentati al pubblico fin dagli anni Cinquanta, fanno di lui una star nazionale.
Europa Orientale A partire dagli Sessanta il cinema d’animazione dell’Est si dimostra il più creativo d’Europa. Ogni Paese vanta una diversa produzione, controllata dagli apparati politici ma in modo meno drastico rispetto ai film dal vero, forse perché l’animazione è oggetto di minori attenzioni da parte dei burocrati. Il poliedrico Jirˇí Trnka (1912-1969) si dimostra abile nei di- Jirˇí Trnka segni, ma soprattutto nei pupazzi animati, una disciplina nella quale fa scuola: Stare povesti Cˇeske (Vecchie leggende ceche, 1952) è sì fedele alla linea folclorica voluta dai burocrati della cultura, ma dimostra partecipazione e originalità. Trnka è autore di sei lungometraggi: il più conosciuto in Occidente è Sen Nocˇi svatojanské (Sogno di una notte d’estate, 1959); la sua ultima opera, Ruka (La mano, 1965), è un cortometraggio drammatico sul tema della libertà dell’artista. Trnka opta per pupazzi dall’espressione indefinita definendone l’espressione attraverso l’illuminazione e la sceneggiatura. Ricordiamo inoltre Brˇetislav Pojar (1923), Jirˇí Brdecˇka Altri disegnatori (1917-1982), Zdenek Miler (1921), Eduard Hofman (19141987), Hermína Týrlová (1900-1993), Vladimir Jiranék (1938) e Josef Hekrdle (1919), il trio Adolf Born (1930), Miloš Macourek (1926-2002), Jaroslav Doubrava (1921), Jirˇí Barta (1948), lo slovacco Viktor Kubal (1923-1997) e soprattutto Karel Zeman e Jan Švankmajer. Karel Zeman (1910-1989) è considerato un Méliès dell’animazione grazie ai suoi lungometraggi fantastici. Il più celebre film di Švankmajer (1934) è Možnosti dialogu (Possibilità di dialogo, 1982), un trittico composto da una lotta fra due teste in stile Arcimboldo, formate rispettivamente da oggetti commestibili e di metallo, una storia d’amore tra due busti di plastilina e lo scambio di doni tra due teste di creta.
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■ La Scuola di Zagabria
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Alla fine degli anni Cinquanta a Zagabria (Croazia) s’impongono Nikola Kostela´c, Dušan Vukoti´c, Vatroslav Mimica Fondatori e Vlado Kristl. Sono i fondatori della Scuola di Zagabria: ol- della Scuola
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Il cinema di animazione
Procedimenti d’avanguardia Opere maggiori
Allievi della Scuola
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tre alla tecnica della limited animation, mutuata dalla UPA, le loro basi affondano nei procedimenti d’avanguardia come i collages e nella citazione di stili artistici del passato (per esempio la Secessione o l’Art Déco). Di Kostela´ c (1920-1999) si ricordano Premijera (La sera della “prima”) e Na livadi (Nella prateria), del 1957; di Kristl (1923-2004) Don Kihot (Don Chisciotte, 1961); di Mimica (1923) Inspektor se vratio ku´ ci (L’ispettore torna a casa, 1959) e Mala kronika (Cronaca quotidiana, 1962); di Vukoti´ c (1927-1998) Koncert za mašinsku pušku (Concerto per mitragliatrice, 1959) e il più celebre Surogat (Surrogato, 1961), primo film europeo a vincere l’Oscar hollywoodiano per l’animazione. Gli allievi della Scuola di Zagabria continuano la sua tradizione d’autore: sono Zlatko Grgi´ c (1931-1988), Borivoj “Bordo” Dovnikovi´ c (1930), Nedeljko Dragi´c (1936), ammirato per Možda Diogen (Forse Diogene, 1968), Ante Zaninovi´ c (1934), Boris Kolar (1933); e ancora Zlatko Bourek (1929), la coppia Aleksandar Marks (1922-2002) e Vladimir Jutriša (1923-1984), Pavao Štalter (1929) e Joško Maruši´ c (1952). Satiemania (1978) di Zdenko Gašparovi´c (1937) è considerato il capolavoro di tutta la scuola. L’attività del gruppo di Zagabria ispira l’attività di altri animatori in tutta la (oggi ex) Iugoslavia. ■ Polonia
Innovatori dell’animazione polacca
Stile
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Jan Lenica e Walerian Borowczyk sono i grandi innovatori dell’animazione polacca in un periodo in cui anche la grafica (in particolare i manifesti cinematografici) e il cinema dal vero si rinnovano profondamente. I loro primi film si muovono tra il Dadaismo e il teatro dell’assurdo di Beckett. Witold Giersz (1927) con Mały western (Piccolo western, 1960), nel quale anima alcuni dipinti a olio, rompe con il Realismo socialista. Caratteristico della “scuola polacca” è il tono cupo, sia nella dominante del colore sia nei temi in linea con il pessimismo di registi dal vero come Wajda, Skolimowskij o Polanski. In Klatki (Le gabbie, 1966) di Mirosław Kijowicz (1929-1999) il rapporto tra carcerato e secondino apre un gioco di scatole cinesi in cui si manifesta una condizione esistenziale. Così in Schody (La scalinata, 1940) di Stefan Schabenbeck un piccolo uomo sale su bianchissime gradinate finché, giunto al culmine, si trasforma egli stesso in un gradino in più. Il motivo di Skok (Il salto, 1978) di Daniel Szczechura (1930) è il suicidio. Apel (Appello, 1971) di Ryszard Czekała (1941) è ambientato in un lager nazista. Jerzy Kucia (1942) viene definito il “Robert Bresson del ci-
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Il cinema di animazione
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nema d’animazione” per il suo stile basato sui dettagli: il suo capolavoro è Strojenie instrumentów (Accordare gli strumenti, 2000). Piotr Dumała (1956) combina inizialmente crudeltà, comicità e drammaticità, ispirandosi alle opere di Kafka e Dostoevskij e sviluppando in seguito una tecnica originale da Animazione lui stesso definita “animazione del gesso”. del gesso ■ Russia
L’animazione statale in Unione Sovietica dagli anni Trenta è destinata ai bambini, imitando soprattutto il disegno americano. Il lungometraggio più interessante è Novij Guliver (Il nuovo Gulliver, 1935) dell’ucraino Aleksandr Ptuško (1900-1973), che combina la recitazione di un attore all’animazione dei pupazzi. Anche l’animazione negli anni Cinquanta mostra i segni del disgelo post-staliniano. Anatolij Karanovicˇ (1911-1976) realizza nel 1959 Vljublennoje oblako (La nube innamorata), basato su un testo del poeta turco Nazim Hikmet, e nel 1962 porta sullo schermo Banja (Il bagno) di Vladimir Majakovskij. Roman Kacˇanov (1921) è il creatore di Cˇeburaska, popolarissimo tra i bambini sovietici. Di Boris Stepantsev (1928-1983) si ricorda il mediometraggio Šelkuntcˇnik (Lo schiaccianoci, 1973) sulla musica di ˇajkovskij. C Nikolaj Serebriakov (1928-2005) è il più accreditato animatore russo di pupazzi della sua generazione; con lui lavora anche Vadim Kurcˇevskij (1928-1997) prima di affermarsi in proprio. Il maggiore cineasta degli anni Sessanta e dei primi Settanta è Fëdor Khitruk (1917), che con Istorija odnogo prestuplenija (Storia di un delitto, 1961) tratta un tema realistico e si ispira al segno grafico della UPA, mentre Film Film Film (1968) è una satira sulla creazione cinematografica. La generazione successiva è la più importante per l’animazione russa. Skazka skazok (La fiaba delle fiabe, 1979) di Juri Norštejn (1941) è uno dei capolavori dell’arte animata: le sue immagini seguono un andamento a flusso di coscienza paragonabile a un’opera come Lo specchio (Zerkalo, 1975) di Andrej Tarkovskij. Andrej Khržanovskij (1939) esordisce nel 1966 con la satira sulla burocrazia Žil byl Koziavin (C’era una volta Koziavin), per poi sviluppare film in veste di direttore artistico coordinando i suoi collaboratori. In Dolgoe putešestvje (Il lungo viaggio, 1996) Khržanovskij ha anche animato alcuni disegni lasciati da Federico Fellini.
Film per bambini
Anni Cinquanta
Fëdor Khitruk
Generazione successiva
Andrej Khržanovskij
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Il cinema di animazione
Giappone
Primo film d’animazione giapponese in Europa Propaganda in tempo di guerra
Primo lungometraggio d’animazione
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Serie televisive e animazione artistica
Animeshon 242
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Esordi
Il Giappone vanta una lunga tradizione sulla quale si è poi innestato il boom delle serie televisive a partire dai primi anni Sessanta. Gli esordi dell’animazione giapponese sono datati 1917 con tre film, Imokawa Muzuko genkan-ban no maki (Il portinaio Imokawa Muzuku) di Hekoten Shimokawa (1892-1973); Saru kani kassen (La sfida tra la scimmia e il granchio) di Seitaro Kitayama (1889-1947) e Hanawa Hekonai meito no maki (La spada nuova di Hanawa Hekonai) di Junichi Kouchi (1886-1970). Nel 1927 Noburo Ofuji (1900-1961) con le silhouette di carta semitrasparente chigoyami crea Kujira (La balena), primo film d’animazione giapponese ad approdare in Europa. Nel 1932 Kenzo Masaoka (1898-1988) inaugura l’epoca del sonoro con la commedia Chikara to onna no yononaka (Il mondo della forza e delle donne). Lo stesso cineasta presenta nel 1943 Kumo to churippu (Il ragno e il tulipano). Solo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale impone a scopo di propaganda la creazione di uno studio di ampie dimensioni, finanziato dal Ministero della Marina. Diretto da Mitsuyo Seo (1911), produce il mediometraggio Momotaro no umiwashi (Le aquile di mare di Momotaro, 1943) e il sequel Momotaro umi no shinpei (I divini guerrieri del mare di Momotaro, 1945), un lungometraggio ispirato all’arte cinese. Dopo la disfatta bellica tutto ritorna a livello artigianale; nel 1958 è realizzato Hakuja den (Il serpente bianco), diretto da Taiji Yabushita (1903-1986), primo lungometraggio di animazione giapponese. Nell’ultima parte del XX secolo è soprattutto l’animazione televisiva a registrare un vero boom su scala planetaria. Accanto alle serie televisive è altrettanto forte l’impulso verso un’animazione artistica. Osamu Tezuka (1928-1989), fondatore della Muschi, che ha promosso la prima fortunata serie di anime, si concentra sui cortometraggi d’autore con la visione tutta in soggettiva di Jumping (1984) e l’omaggio al vecchio cinema americano di Onboro film (Film rovinato, 1985). Collaboratore di Tezuka, Eiichi Yamamoto (1936) nel 1973 dirige il cupo Belladonna (Kanashimi no belladonna) ispirato a un’opera dello storico della Rivoluzione Francese Jules Michelet. Nel 1971 un gruppo di cineasti indipendenti votati a una concezione estetica più alta, che chiamano il loro lavoro animeshon (=animation), fonda un’associazione nazionale senza scopo di lucro con l’intento di promuovere una di-
Titolo concesso in licenza a PARIDE VITALI, q0.sEWcV
Il cinema di animazione
versa cultura dell’animazione in Giappone, riportando ai fasti di un tempo il Festival Internazionale di Hiroshima. Yoji Kuri (1928) si mette in mostra nei primi anni Sessanta con opere brevi e provocatorie ispirate al teatro dell’assurdo e al Surrealismo. Renzo Kinoshita (1936-1997) si dedica a temi politici, sia sul registro satirico (Made in Japan, 1972) sia denunciando gli orrori del bombardamento atomico (Pica-don, 1978; Kumagaya, L’ultimo raid aereo, 1993). Taku Furukawa (1941) esibisce un talento visionario originale e festoso in molti cortometraggi, fra cui spiccano Odoroki-ban (Fenachistoscopio, 1975) e Utsukushii-hoshi (Il pianeta bello, 1976). Harugutsu Fukushima (1941) si ricorda per Tobira (La porta, 1971) e Cube (1987). Sadao Tsukioka (1939), dopo una lunga esperienza nel campo dell’animazione di largo consumo, passa alla pubblicità e all’opera personale (Shin tenchisozo, La nuova creazione del mondo, 1970; Yoake, Alba, 1985). Keiichi Tanaami (1936) in Goodbye Elvis and Usa (1971), Goodbye Marilyn (1975) e Crayon Angel (1979) combina tradizione giapponese e Pop Art. Shinichi Suzuki (1933), che adotta uno stile più classico, si basa su un umorismo pacato e su un disegno dalle linee sottili; citiamo Ten (Punti, 1971), Hyotan (La zucca, 1976), Bubble (1980). Nobuhiro Aihara (1944) si segnala per l’opera di Arte Concettuale Stone (1975), girato in esterni. Keita Kurosaka (1956) si basa sul collage per le metamorfosi che propone nelle sue cinque Henkei sakuhin (Composizioni distorte). Dino Sato (1968) in Treedom (1999), propone fantastiche variazione di figure vegetali e animali del padre, l’illustratore U.G. Sato. Uno dei massimi esponenti mondiali dell’animazione di marionette è Kihachiro Kawamoto (1925), legato sia all’antico teatro giapponese di figura sia al cinema di Jirˇí Trnka, presso il quale studia per alcuni anni a Praga. Animatore di marionette è anche Tadanari Okamoto (1932-1990).
Cineasti più importanti
Animazione di marionette
■ Isao Takahata
Isao Takahata (1935) è tra i pochi registi dell’animazione ad aver saputo condurre un percorso d’autore all’interno della produzione commerciale. Nel 1965 dirige il suo primo film, conosciuto in Italia come La grande avventura del principe La grande avventura Valiant oppure Il segreto della spada del sole (Taiyo no oji del principe Valiant Hols no daiboken), un’epopea focosa che rompe nettamen243
Il cinema di animazione
Studio Ghibli
Pompoko
Svolta verso l’elettronica
te con il carattere infantile delle precedenti produzioni dello studio Tôei. Takahata, spesso in collaborazione con Miyazaki, lavora a numerose serie televisive e adatta per il grande schermo un racconto di Kenji Miyazawa, Sero hiki no Gôshu (Gôshu il violoncellista, 1982). Yarinko Chie (Chie la piccola monella), uscito nello stesso anno, è una commedia farsesca adattata da un fumetto, contraddistinta da un tono affettuoso che richiama il cinema di Yasujiro Ozu. Nel 1984 Takahata e Miyazaki fondano lo studio Ghibli. Nei lungometraggi realizzati per lo studio Takahata mette a punto il processo che chiama “invenzione del reale”: i suoi film animati partono da osservazioni realistiche e da temi sociali. In Una tomba per le lucciole (Hotaru no haka, 1988) e Omohide poro poro (Ricordi a goccia a goccia, 1991) i temi trattati sono la guerra e il rapporto tra città e campagna. La giustapposizione di trattamenti grafici diversi per accostare due piani di realtà si ritrova in Pompoko (Heisei tanuki gassen pompoko, 1994), che racconta la lotta per la sopravvivenza di una specie di cani che vive sotto terra contro l’urbanizzazione che minaccia il suo habitat. I nostri vicini, gli Yamada (Houhokekyo tonari no Yamada-kun, 1999), osserva la vita quotidiana di una famiglia giapponese. Takahata abbandona l’acetato per l’elettronica, lasciando tuttavia l’impressione del disegno su carta grazie alla particolare tecnica utilizzata.
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Hayao Miyazaki (1941) è l’animatore giapponese più conosciuto a livello internazionale anche dai profani; si può paragonare a quello che per il cinema giapponese dal vero ha rappresentato Akira Kurosawa. Il suo primo lungometraggio Lupin III: il castello di Cagliostro (Lupin sensei: Cagliostro no Shiro) è del 1979. Diventa celebre con Nausicaa della Valle dei Venti (Kaze no tani no Nausicaa, 1984), tratto da un suo libro a fumetti, Laputa, il castello nel cielo (Tenku no shiro Laputa, 1986), Il mio vicino Totoro (Tonari No Totoro, 1988), Porco rosso (Kurenai no buta, 1992), La principessa Mononoke (Mononoke hime, 1997) e soprattutto La città incantata (Sen to Chihiro no Kamikakushi, 2001), primo film d’animazione a vincere l’Orso d’Oro al Festival di Berlino (2002), e Il castello errante di Howl (Hauru no ugoku shiro, 2004). Alla ricerca di una formula fruibile ma di ampio respiro, Miyazaki si distacca dal modello americano nella caratterizzazione dei personaggi e della storia, senza manicheismi,
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Distacco dal modello americano
Il cinema di animazione
con una complessità più vicina al romanzo che alla fiaba, e nei valori complessivi di sceneggiatura, regia e animazione. La principessa Mononoke e le opere successive rappresentano una svolta per il cinema di animazione, oggi irre- Svolta nel cinema futabilmente un’arte adulta. d’animazione
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L’animazione canadese nasce con l’arrivo di Norman McLaren al National Film Board nel 1939. Il Canada, grazie a un raro caso di mecenatismo statale, resta per decenni un ba- Baluardo luardo dell’animazione sperimentale e d’autore, con incur- dell’animazione sioni non trascurabili nelle serie e nei film per il grande pubblico. Tra gli altri artisti di una nazione nota anche come madre della computer animation si possono ricordare Caroline Autori più noti Leaf (1946), con The Street (La strada, 1976), The Metamorphosis of Mr. Samsa (La metamorfosi del signor Samsa, 1977) e Entre deux soeurs/Between Two Sisters (Fra due sorelle, 1990), Ishu Patel (1942), Gerald Potterton (1931), Co Hoedeman (1940), maestro dei pupazzi animati, Pierre Hébert (1944) con il suo La plante humaine (La pianta umana, 1996) – sorta di jam session disegnata realizzata in collaborazione col musicista Robert M. Lepage –, Michèle Cournoyer (1943), Richard Condie (1942), Frédéric Back (1924) e Marv Newland (1947).
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■ Norman McLaren
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Lo scozzese Norman McLaren (1914-1987) inizia negli anni Trenta lavorando senza cinepresa poiché disponeva solo di un proiettore rinvenuto fortunosamente. In Love on the Wing (L’amore sulle ali, 1939), un film dal ve- Tecnica ro, introduce alcuni inserti con disegni diretti sul fotogramma. A New York nel 1939 questa tecnica diventa esclusiva: Allegro (1939), Dots (Punti, 1940) e Loops (Curve, 1940) sono dipinti sul fotogramma e del tutto informali. Anche il suono è “astratto” e sintetico. Rumba (1939) è addirittura senza immagini, composto solo di musica artificiale. Stars and Stripes (Stelle e strisce, 1939) è dipinto sulla pellicola con motivi ispirati alla bandiera americana e accompagnato dalla canzone omonima. In Canada, dove è chiamato dal produttore John Grierson, McLaren realizza film didattici insieme a opere sperimentali: Film didattici Hen Hop (La gallina salta, 1942), Dollar Dance (La danza dei e opere sperimentali dollari, 1943) e V for Victory (V come Vittoria, 1941). 245
Il cinema di animazione
I RECORD DI QUIRINO CRISTIANI L’argentino di chiare origini italiane Quirino Cristiani (1896-1984) nel 1917 dirige El apóstol (L’apostolo), film di un’ora considerato dagli studiosi il primo lungometraggio della storia del cinema di animazione. Si tratta di un attacco satirico contro Hipólito Yrigoyen, radicale appena elet-
Alouette Travelling continuo e metamorfosi infinita Nuove tecniche
Premio Oscar Anni Sessanta
Ultime opere
to presidente dell’Argentina. Anche Peludópolis (1931), altra opera di Cristiani contro Yrigoyen, può vantare un primato: è il primo lungometraggio sonoro dell’animazione mondiale. Quando la pellicola esce nelle sale un golpe militare ha però già destituito Yrigoyen.
Nel 1944, in collaborazione con René Jodoin, realizza un film con carta ritagliata: Alouette (L’allodola), con cui inizia una seconda fase sperimentale. Illustrando canzoni popolari del Canada francese McLaren mette a punto due tecniche importanti: il travelling continuo in C’est l’aviron (È il remo, 1944) e la metamorfosi infinita del disegno a pastello in La poulette grise (La pollastrella grigia, 1947). Negli anni Cinquanta McLaren escogita tecniche innovative e sorprendenti. Dal 1947 dipinge sulla pellicola liberamente per il lungo bypassando la suddivisione in fotogrammi: così realizza i cortometraggi Fiddle de-dee (Violino zing zing, 1947) e Begone Dull Care (Vattene, sciocca ansia, 1949). Nel 1951 si cimenta nella stereoscopia con Around Is Around (Attorno è attorno). L’anno dopo applica la tecnica del fotogramma singolo alla recitazione di persone in carne e ossa; il risultato è così clamoroso da vincere un Oscar con Neighbours (Vicini). Nel 1954 è la volta dei graffiti su pellicola (Blinkity Blank, Battito d’occhi sul vuoto), incisi con uno spillo e una piccola lama. Gli anni Sessanta con Lines: Vertical (Linee verticali, 1960) e Lines: Horizontal (Linee orrizontali, 1962) segnano il ritorno all’astrazione, che arriva a toccare il vertice della sua produzione con Pas de deux (Passo a due, 1967). Le sue ultime opere come Ballet Adagio (1972) studiano soprattutto il rapporto tra immagini e musica.
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Il cinema di animazione
SCHEMA RIASSUNTIVO
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IL CINEMA DI ANIMAZIONE
La definizione di cinema di animazione è desumibile in negativo dallo statuto della sua associazione internazionale, la ASIFA. Recita così il documento: «si intende come animazione ogni prodotto cinematografico che non sia semplice ripresa della vita reale a ventiquattro fotogrammi al secondo». Se la forma più tradizionale di animazione riguarda le figure disegnate in movimento, dello stesso mondo fanno parte pupazzi, figure ritagliate e realizzazioni al computer.
LE ORIGINI DELL’ANIMAZIONE IN EUROPA
Dopo il primo animatore della storia, il francese Émile Cohl, i più importanti pionieri del settore in Europa sono l’artista astratto Oskar Fischinger, l’animatrice di ombre cinesi Lotte Reiniger, Bertolt Bartosch (che trasforma in disegno animato le incisioni di Frans Masereel), Alexandre Alexeieff, inventore, insieme alla compagna Claire Parker, dello “schermo di spilli”, e Len Lye, neozelandese attivo a Londra specialista della pittura su pellicola.
GLI STATI UNITI
L’animazione americana è dominata da Walt Disney e dal suo studio, il cui cinema animato riproduce con i disegni le principali dinamiche di quello hollywoodiano “dal vero”. I suoi maggiori rivali sono, tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, Max Fleischer, la Warner Brothers e la Metro-Goldwyn-Mayer con le loro serie di disegni animati; negli anni Cinquanta si aggiunge con il suo stile rivoluzionario la United Productions of America (UPA). La Disney domina soprattutto nel campo del lungometraggio animato, dove per molti anni ha avuto pochissimi concorrenti.
L’ANIMAZIONE ITALIANA
I primi due lungometraggi di animazione italiani (La rosa di Bagdad di Anton Gino Domeneghini e I fratelli dinamite di Nino e Toni Pagot) escono nel 1949. L’animatore più importante del nostro paese è Bruno Bozzetto: oltre al personaggio del Signor Rossi, ricordiamo i suoi fondamentali West and Soda (1965) Vip, mio fratello superuomo (1968) e Allegro ma non troppo (1977).
L’ANIMAZIONE EUROPEA NELLA SECONDA METÀ DEL XX SECOLO
A partire dagli anni Sessanta è l’Europa dell’est a vantare il primato della creatività in fatto di animazione. Ricordiamo in particolare la Scuola di Zagabria, i cecoslovacchi Jirˇí Trnka e Jan Švankmajer, i polacchi Lenica e Borowczyk, il russo Fëdor Khitruk.
IL GIAPPONE
Il Giappone nel campo del cinema animato vanta una lunga tradizione storica e un importante sviluppo a partire dagli anni Sessanta; l’animazione giapponese si divide tra il modello consumistico delle serie televisive e l’animeshon d’arte: e proprio nel lungometraggio artistico vanta due personalità capaci di eccellere a livello mondiale come Isao Takahata e Hayao Miyazaki.
CANADA
Il momento più importante nella storia dall’animazione canadese coincide con la presenza, a partire dagli anni Quaranta, dello scozzese Norman McLaren, il più grande sperimentatore di tecniche nel campo dell’animazione.
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Indice dei film Di ogni film si riporta il titolo originale o, quando presente, quello con cui è uscito in Italia
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Apocalypse Now 202, 203 Apocalypse Now Redux 203 Apóstol, El 246 Apoteosi di Olympia 102 Appartamento, L’ 136 Appuntamento a Belleville 238 Appunti per un’Orestiade africana 178 Aquila a due teste, L’ 124 Arabesques 52 Arancia meccanica 187, 189, 190, 191, 200 Argent, L’ 123 Arianna 136 Armata a cavallo, L’ 173 Armata Brancaleone, L’ 121 Around Is Around 246 Arpa birmana, L’ 152 Arriva John Doe 86 Arrivederci ragazzi 165 Arrivée d’un train à La Ciotat, L’ 27 Arroseur arrosé, L’ 28, 34 Arsenale 67 Arsenico e vecchi merletti 86 Arte di arrangiarsi, L’ 120 Artisti sotto la tenda del circo: perplessi 170 As Seen Through a Telescope 28 Ascensore per il patibolo 165 Assalto al treno, L’ 32, 34 Assassinat du duc de Guise, L’ 37 Assassino, L’ 181 Assedio dell’Alcazar, L’ 103 Assedio, L’ 179 Asso di picche, L’ 172 Asso nella manica, L’ 136 At Land 185 Atalante, L’ 94 Attenzione alla puttana santa 211 Atti degli Apostoli 116 Atto di violenza 140 Au hasard Balthazar 123 Auberge rouge, L’ 55 Aurora 59, 80 Australiano, L’ 171 Autour d’une cabine 227 Avventura di Salvator Rosa, Un’ 104 Avventura, L’ 117
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Allodole sul filo 172 Alouette 246 Amadeus 172 Amante indiana, L’ 138 Amante, L’ 213 Amanti crocifissi, Gli 149 Amanti folli 101 Amanti perduti 93 Amants, Les 165 Amants réguliers, Les 219 Amarcord 119 America oggi 206 American Graffiti 204 American Beauty 217 Americano a Parigi, Un 141 Americano a Roma, Un 121 Amiche, Le 117 Amici miei 121 Ammaliatrice, L’ 62 Amore 115, 135 Amore attraverso i secoli, L’ 74 Amore di Swann, Un 212 Amore e guerra, 207 Amore e il diavolo, L’ 93 Amore il pomeriggio, L’ 162 Amore in città 111 Amores Perros 222 Amori di una bionda, Gli 172 Amour fou, L’ 163 Anche gli uccelli uccidono 206 Andrej Rubliov 173 Anémic cinéma 69 Angelo azzurro, L’ 87, 100 Angelo del male, L’ 92 Angelo della strada, L’ 72 Angelo sterminatore, L’ 129 Angelo ubriaco, L’ 148 Anguilla, L’ 175 Animal Farm 238 Animal House 215 Anna Bolena 61 Anni di piombo 212 Anni facili 120 Anni in tasca, Gli 157 Anno con 13 lune, Un 211 Anno scorso a Marienbad, L’ 166, 167, 168, 213 Anno sull’altopiano, Un 181 Anticipation of the Night 187 Antonio das Mortes 175 Aparajito 153 Apel 240
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A A ciascuno il suo 181 A doppia mandata 161 A me la libertà 95 A pelle nuda 168 À propos de Nice 94 A qualcuno piace caldo 136 A.I. Intelligenza artificiale 204 A.K. 196 Abuna Messias 104 Accadde domani 95 Accadde una notte 83, 86 Accattone 177, 178 Acciaio 105 Achmed, il principe fantastico 227 Acqua tiepida sotto un ponte rosso 175 Acthung! Banditi! 120 Addiction, The 218 Addio Kina 104 Addio mia concubina 221 Adele H. – Una storia d’amore 158 Adua e le compagne 182 Adventures of Mark Twain, The 234 Aesop’s Fables 230 Affaire Dreyfus, L’ 30 Afgrunden 37 Africa in crisi 184 After Many Years 46 Âge d’or, L’ 70 Agente speciale 162 Agrippina 40 Aguirre furore di Dio 209, 210 Al di là delle nuvole 118 Al fuoco, pompieri! 172 Aladdin 234 Alba tragica 93 Albero degli impiccati, L’ 139 Albero degli zoccoli, L’ 180 Aleksandr Nevskij 99 Algol 57 Ali 71 Alice Comedies 231 Alice nelle città 210 Alice non abita più qui 201 Alien 220 Alla ricerca di Nemo 234 Allegro 245 Allegro non troppo 236 Alleluja 81
Avventure del Barone di Münchhausen, Le 102 B Baby Doll 135 Baci rubati 157 Bacio dell’assassino, Il 189 Bacio della pantera, Il 84 Bacio e una pistola, Un 138 Bacio perverso, Il 138 Ballata di Cable Hogue, La 208 Ballata di Narayama, La 175 Ballata di Stroszek, La 210 Ballata di un soldato, La 127 Ballata per un pezzo da novanta 237 Ballet Adagio 246 Ballet mécanique 69 Bambini ci guardano, I 106 Bambola di carne, La 61 Bande à part 159 Bandera, La 95 Banditi a Orgosolo 181 Bandito della Casbah, Il 95 Bandito delle ore undici, Il 160 Banja 241 Barbarella 164 Barriera 171 Barry Lyndon 189, 190, 191 Barton Fink – È successo a Hollywood 215 Bassifondi di San Francisco, I 136 Battaglia di Algeri, La 181 Battle of the Somme, The 192 Beau Serge, Le 161 Begone Dull Care 246 Bell’Antonio, Il 121 Bella addormentata nel bosco, La 234 Bella brigata, La 95 Bella di giorno 129 Bella e la bestia, La (Cocteau) 124 Bella e la bestia, La (Disney) 233, 234 Bella maledetta, La 102 Belladonna 242 Belle nivernaise, La 55 Belli e dannati 218 Bellissima 114
Indice dei film
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Colosso di Rodi, Il 182 Colour Box, A 229 Coltello nell’acqua, Il 171, 172 Com’era verde la mia valle 86 Come in uno specchio 131 Come le foglie al vento 141 Come vinsi la guerra 74 Commare secca, La 178 Company, The 206 Compari, I 206 Complesso di colpa 205 Compromesso, Il 136 Conan il barbaro 208 Conchiglia e il sacerdote, La 52, 69 Condannato a morte è fuggito, Un 123 Confessione di un commissario di polizia al procuratore della Repubblica 181 Conformista, Il 178 Congiura dei Boiardi, La 99, 100 Congresso si diverte, Il 100 Connection, The 184 Conseguenze dell’amore, Le 219 Contessa di Hong Kong, La 86 Contessa scalza, La 140 Conversa di Belfort, La 123 Conversazione, La 200, 202, 205 Cool World, The 184 Coonskin 234 Corazzata Potemkin, La 65, 101, 205 Corner in Wheat, A 47 Corridoio della paura, Il 138 Corvo Rosso non avrai il mio scalpo 189 Corvo, Il 96, 122 Cosa sono le nuvole? 178 Couronnement du Roi d’Angleterre Edouard VII, Le 192 Crayon Angel 243 Crepuscolo di Tokyo 151 Cristo si è fermato a Eboli 181 Cristo tra i muratori 141 Croce di ferro, La 104 Cronaca di Anna Magdalena Bach 170 Cronaca di un amore 117 Cronaca di una morte annunciata 181
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Cerimonia, La 174 Certo giorno, Un 180 Chair, The 194 Chalande qui passe, Le 94 Charlot emigrante 73 Che fine ha fatto Baby Jane? 138 Chelsea Girls, The 187 Chi ha incastrato Roger Rabbit? 234, 238 Chi sta bussando alla mia porta? 200 Chi ucciderà Charley Varrick? 139 Chiave, La (Ichikawa) 152 Chiedo asilo 180 Chien andalou, Un 69 Chikara to onna no yononaka 242 Chinatown 172 Christopher Crumpet 234 Chronique d’un été 194, 195 Chung-Kuo China 118 Ciao America 205 Ciao maschio 180 Ciapaiev 98 Cielo sopra Berlino, Il 211 Cimitero del sole, Il 174 Cina è vicina, La 179 Cinese, La 160 Cinq minutes de cinéma pur 70 55 giorni a Pechino 137 Cinque pezzi facili 188 Ciociara, La 116 Circo, Il (Chaplin) 74 Circostanza, La 180 Città delle donne, La 119 Città incantata, La 244 Città invisibili, Le 237 Città nuda, La 139 Cittadella degli eroi, La 102 Classe operaia va in paradiso, La 181 Cléo dalle 5 alle 7 168 Cleopatra 140 Cleptomaniac, The 32 Clown et ses chiens 227 Club dei 39, Il 143 Cochecito, El 179 Coeur fidèle 55 Cognome e nome: Lacombe Lucien 165 Colazione da Tiffany 141 Collezionista, La 162 Colline hanno gli occhi, Le 208 Colore dei soldi, Il 201 Colore del melograno, Il 174 Colore viola, Il 204
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C Cˇeburaska 241 C’era una volta il West 183 C’era una volta in America 183 C’era una volta... 181 C’eravamo tanto amati 214 C’est l’aviron 246 Cabiria 40, 41 Caccia tragica 113 Cacciatore, Il 205 Cadaveri eccellenti 181 Caduta degli dei, La 115 Caduta dell’Impero Romano, La 138 Caduta della casa Usher, Il 55, 67 Caduta di Troia, La 40 Cagna, La 92 Calcutta 165 California Poker 206 Calle Mayor 128
Calore 187 Camera verde, La 157 Cameraman, Il 74 Camicia nera 103 Cancelli del cielo, I 205 Cane di paglia 208 Cane randagio 148 Canne d’organo 226 Cannibal Holocaust 212 Cantando dietro i paraventi 180 Cantando sotto la pioggia 80, 141 Cantante di jazz, Il 80 Canto XXVI dell’Inferno, Il 237 Capitan Blood 84 Cappello a cilindro 82 Cappello di paglia di Firenze, Un 95 Cappotto, Il 120 Capriccio all’italiana 178 Capriccio spagnolo 87 Carabiniers, Les 160 Caravaggio 219 Carica dei 101, La 234 Carlito’s Way 205 Carmen 228 Carmen Jones 140 Carnet di ballo 95 Carretto fantasma, Il 39 Carrie – Lo sguardo di Satana 205 Carriera di Suzanne, La 162 Carrozza d’oro, La 122 Casa sulla piazza Trubnaja, La 67 Casa, La 208 Casablanca 84 Casanova di Federico Fellini, Il 119 Casco d’oro 122 Casinò 201 Caso Katharina Blum, Il 212 Caso Mattei, Il 181 Castello errante di Howl, Il 244 Catene 120 Cattivi incontri, I 164 Cattivo tenente, Il 218 Cavaliere della valle solitaria, Il 141 Cavalleria 104 Cavallette 236 Cavallo d’acciaio, Il 72 Cena delle beffe, La 104 Cendrillon 30 Cenere 41 Cenere e diamanti 128 Cenerentola 233 Centochiodi 180
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Bengasi 103 Ben-Hur (Niblo) 71 Ben-Hur (Wyler) 87 Benvenuto Mr. Marshall 128 Berlin Alexanderplatz 101 Berlin, die Sinfonie der Grosstadt 70 Bianca e Bernie 234 Biancaneve e i sette nani 232, 233 Big Fish – Le storie di una vita incredibile 216 Big Swallow, The 28 Blackmail 143 Blade Runner 220 Blinkity Blank 246 Blow Out 203, 205 Blow-Up 118, 202, 205 Blues Brothers, The 215 Bob il giocatore 126 Bogotaja nevesta 99 Boudu salvato dalle acque 92 Braccio violento della legge, Il 208 Braciere ardente, Il 52 Breve incontro 127 Brivido caldo 215 Broadway Melody, The 80 Brutus 40 Bubble 243 Buco, Il 122 Bulli e pupe 140 Buone notizie 181 Buongiorno notte 179 Buono, il brutto e il cattivo, Il 183 Buttati Bernardo! 202
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Indice dei film
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Cronaca entomologica giapponese 175 Cronaca familiare 182 Cronache di poveri amanti 120 Cube 243 Cugini, I 161 Cul de sac 172 Cuore selvaggio 216
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E È arrivata la felicità 83, 86 E la nave va 119 È nata una stella 141 È simpatico, ma gli romperei il muso 213 E venne un uomo 180 E.T. 204 Easy Rider 188 Eat 186 Eau froide, L’ 219 Ebbrezza bianca 102 Ecce Bombo 219 Ecco l’impero dei sensi 174 Eclisse, L’ 117 Ed Wood 142 Edipo re 178 Effetto notte 157 Effi Briest 211 Egoisti, Gli 128 Él 128 Eldorado 54 Elegia di Osaka, L’ 149 Elephant 218 Emak Bakia 69 E-motif, L’ 238 Empire 186 Enfant de Paris, L’ 36 Enigma di Kaspar Hauser, L’ 210 Entr’acte 69 Entre deux soeurs/Between Two Sisters 245 Eraserhead – La mente che cancella 216 Eroica 127 Eros 118 Escamotage d’une dame au theatre Robert-Houdin 30 Escluso, L’ 184 Esorcista, L’ 208 Estasi di un delitto 128 Estate d’amore, Un’ 130 Estate di Kikujiro, L’ 221 Estate violenta 182 Età del Ferro 116 Eterna illusione, L’ 86 Étoile de mer, L’ 69
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Europa ’51 116 Eva contro Eva 140 Ewige Jude, Der 101 Execution of Mary, Queen of Scots, The 26 Exodus 135, 140 Explosion of a Motor Car 28 Eyes Wide Shut 191 F F for Fake 90 Fa’ la cosa giusta 216 Fabbricante di gattini, Il 211 Fabiola 120 Fahrenheit 451 158 Falstaff 90 Fanny e Alexander 132 Fantasia 232, 236 Fantasia 2000 233 Fantasma dell’opera, Il 72 Fantasma galante, Il 95 Fantasmagoria 225 Fantômas 36 Fargo 216 Fascino discreto della borghesia, Il 129 Fata Morgana 209 Fate ignoranti, Le 219 Fatiche di Ercole, Le 120 Faust 59 Feˆte espagnole, La 52 Fear and Desire 189 Febbre dell’oro, La 73 Femme de nulle part, La 52 Femmine folli 72 Ferdinando il duro 170 Ferroviere, Il 121 Fiamma del peccato, La 85, 136 Fidanzati, I 180 Fiddle de-dee 246 Fieber 226 Fièvre 52 Figli della bomba atomica, I 152 Figli della violenza, I 128 Figli terribili, I 126 Figlio unico 150 Film 75 Film Film Film 241 Film n. 2-9 235 Filo pericoloso delle cose, Il 118 Finalmente domenica! 158 Fine di San Pietroburgo, La 66 Finestra sul cortile, La 144 Finis Terrae 55 Fino all’ultimo respiro 154, 158, 159, 195
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Due orfanelle, Le 49 Due sorelle, Le 205 Due uomini e un armadio 171 Due vite in una 142 Duel 203 Duellanti, I 220 2046 221 2001: Odissea nello spazio 189-190 Dumbo 233 Dura Lex 64
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D Dal Mali al Mississippi 201 Daliás idõk 240 Damigella d’onore, La 161 Dancer in the Dark 220 Dannati di Varsavia, I 127 Darò un milione 105 Dead Man 217 Decameron 178 Decima vittima, La 181 Dedalo 237 Déjeuner du bébé, Le 27 Delitto del signor Lange, Il 92 Delitto di Thérèse Desqueyroux, Il 168 Delitto perfetto, Il 144 Démanty noci 172 Démolition d’un mur, La 28 Demone in pieno giorno, Il 174 Denaro, Il 54 Departed – Il bene e il male, The 201 Dersu Uzala 149 Deserto rosso, Il 118, 202 Desideri nel sole 163 Desiderio del cuore 57, 67 Desistfilm 187 Désordre 219 Destino 60 Detour 85 Dezertir 97 Diabolici, I 122 Diabolico dottor Mabuse, Il 60 Diaries, Notes & Sketches 185 Diario di un curato di campagna 123 Diario di un ladro di Shinjuku 174 Diario di una cameriera 129 Diario di una donna perduta 62 Diavolo in corpo, Il 123 Diavolo probabilmente..., Il 123 Dieci comandamenti, I 71 Dies Irae 131 Dietro lo specchio 137
Dillinger 208 Dillinger è morto 180 Dio nero e il diavolo biondo, Il 175 Diritto di uccidere, Il 136 Disonorata 87 Disperati di Sándor, I 173 Disprezzo, Il 160 Dittatore dello stato libero di Bananas, Il 207 Divorzio all’italiana 121 Dixième symphonie, La 52 Django 183 Dodes’kad-en 149 Dog Star Man 187 Dolce vita, la 119 Dolgoe putešestvje 241 Dollar Dance 245 Dolls 221 Domenica d’agosto 120 Don Camillo 95 Don Giovanni e Lucrezia Borgia, 79 Don Kihot 240 Don’t Look Back 195 Donna che visse due volte, La 144 Donna del bandito, La 136 Donna del ritratto, La 85 Donna di Parigi, La 73 Donna divina 39 Donna è donna, La 159 Donna nel lago, Una 139 Donna scimmia, La 179 Donna sposata, Una 160 Donne 141 Donne della notte 149 Donne facili, Le 161 Donne viennesi 72 Dopo la prova 132 Dots 245 Dottor Mabuse, Il 60 Dottor Stranamore. Ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba, Il 189 Dottor Zivago, Il 127 Dracula (Browning) 83 Dracula di Bram Stoker 203 Dream of a Rarebit Fiend 32 Dreamers – I sognatori, The 179 Dreams that Money Can Buy 184 Dreamland, O 169 Drifters 192 Drugstore Cowboy 218 Drunkards Reformation, A 46 Due o tre cose che so di lei 160
Indice dei film
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Fino alla fine del mondo 211 Fiore del male, Il 161 Fiore delle Mille e una notte, Il 178 Fiori d’equinozio 151 Fitzcarraldo 209 Fiume, Il (Renoir) 122 Flaming Creatures 185 Flauto magico, Il (Luzzati) 236 Flesh 187 Foglie d’autunno 138 Folie du Dr. Tube, La 52 Folla, La 71 Follia d’amore 206 Fond de l’air est rouge, Le 196 Fontana della vergine, La 131 For Love of Gold 46 Fornaia di Monceau, La 162 Forrest Gump 215 Fortuna di Cookie, La 206 Forza bruta 139 Forza Italia 214 Fossa dei disperati, La 168 Fragole e sangue 188 Francesco giullare di Dio 115 Frank Costello faccia d’angelo 126 Frankenstein 83 Frantic 172 Fratelli 218 Fratelli Dinamite, I 235 Fratelli Skladanowksy, I 21 Fratello Sole, Sorella Luna 214 Freaks 83, 84 Fritz il gatto 234 Fronte del porto 135 Fu Mattia Pascal, Il 54 Fuga da Alcatraz 139 Fuga, La 138 Fuggiasco, Il 126 Führer schenkt den Juden eine Stadt, Der 101 Full Metal Jacket 191 Funambula, La 237 Fuochi nella pianura 152 Fuoco di paglia 212 Fuoco fatuo 165 Fuori orario 201 Furie, Le 138 Furore 86 Fury 205 Furyo 174 Futurismo 54
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G Gabbianella e il gatto, La 237 Gabinetto del Dr. Caligari, Il
56, 58, 61, 68 Gabinetto delle figure di cera, Il 57 Gallopin’ Gaucho 232 Gang 206 Gangs of New York 201 Gangster Story 188 Gangsters, I 139 Gattine, Le 164 Gattopardo, Il 115 Gazza ladra, La 235 Generale Della Rovere, Il 116 Generazione 127, 128 Genesi: la Creazione e il Diluvio 180 Gente del Po 105 Gente mormora, La 140 Gerald McBoing Boing 234 Germania anno zero 112 Gerry 218 Gertie the Dinosaur 229 Gertrud 131 Gesù di Nazareth 214 Ghost Dog – Il codice del samurai 217 Giardiniere, Il 38 Giardino dei Finzi Contini, Il 116 Gigante, Il 141 Giglio delle tenebre, Il 62 Giglio infranto 49 Gilda 85 Gimme Shelter 195 Ginger e Fred 119, 120 Ginocchio di Claire, Il 162 Giochi proibiti 123 Gioielli di Madame de..., I 124 Giornata particolare, Una 214 Giorni contati, I 181 Giorni del cielo, I 206 Giorno da leoni, Un 181 Giorno della civetta, Il 181 Giorno di festa 125 Giovane e innocente 143 Giovane hitleriano Quex, Il 101 Giovani arrabbiati, I 169 Giovani leoni, I 141 Gioventù amore e rabbia 169 Gioventù bruciata 137 Girl and her Trust, The 47 Giù la testa! 183 Giulietta degli spiriti 119 Giulio Cesare 140 Giungla d’asfalto 137 Giustizia è fatta 123 Glace à trois faces, La 55 Gloria – Una notte d’estate 186
Gobbo di Notre Dame, Il 72 Golem – Come venne al mondo 57 Gomorra 219 Goodbye Elvis and Usa 243 Goodbye Marilyn 243 Good Morning Vietnam 215 Gosford Park 206 Grande abbuffata, La 180 Grande avventura del principe Valiant, La 243 Grande dittatore, Il 85 Grande freddo, Il 215 Grande guerra, La 121 Grande illusione, La 72, 92 Grande imbroglio, Il 186 Grande Lebowski, Il 216 Grande parata, La 71 Grande Uno rosso, Il 138 Grandi magazzini 105 Grandma’s Reading Glass 28, 34 Grido, Il 117 Grisbi 122 Gruppo di famiglia in un interno 115 Guardie e ladri 121 Guerra è finita, La 167 Guerra lampo dei Fratelli Marx, La 84 Guerre stellari 199, 204 Guns of Trees 185 Gusto del sakè, Il 151 H Ha ballato una sola estate 130 Hakuja den 242 Halloween: la notte delle streghe 208 Hammett – Indagine a Chinatown 211 Hana-Bi – Fiori di fuoco 221 Hanawa Hekonai meito no maki 242 Hans Westmar 101 Harakiri 152 Harem, L’ 179 Heavy Traffic 234 Hen Hop 245 Henkei sakuhin 243 Hi, Mom! 205 High Note 232 Hintertreppe 57 Hiroshima mon amour 154, 166, 213 Histoire d’un crime 31 Histoire(s) du cinéma 160 History of Violence, A 217
Hitler, un film dalla Germania 212 Ho camminato con uno zombie 84 Ho sposato una strega 95 Homme à la tête en caoutchouc, L’ 30, 31 Homme orchestre, L’ 30 Hoppity va in città 233 Hôtel des invalides 168 Hunters, The 193 Hurdes, Las 128 Hyotan 243 I Idée, L’ 228 Identificazione di una donna 118 Idiota, L’ 147 Idioti 220 Iena, La 140 Ieri oggi domani 116 Ignoto spazio profondo, L’ 210 Illuminazione intima 172 Immortale, L’ 168 Imokawa Muzuko genkan-ban no maki 242 Imperatrice Caterina, L’ 87 Impero del sole, L’ 204 Impero della passione, L’ 174 Improvvisa ricchezza della povera gente di Kombach, L’ 211 Improvvisamente l’estate scorsa 140 In the Mood for Love 221 Inafferrabile, L’ 60 Incidente, L’ 139 Incontri ravvicinati del terzo tipo 204 Incontriamoci a St. Louis 83 Incredibile avventura di Mr. Holland, L’ 127 Incrocio 67 Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto 181 India 116 India Song 213 Indiana Jones (serie) 204 Infanzia di Ivan, L’ 173 Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano 120 Infernale Quinlan, L’ 90 Ingeborg Holm 38 Ingratitudine 102 Innocente, L’ 115 Inondazione, L’ 52
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Indice dei film Inquilino del terzo piano, L’ 172 Inspektor se vratio kuc´i 240 Intendente Sansho, L’ 149 Interiors 207 Intervista 120 Intoccabili, Gli 205 Intolerance 46, 48-49, 74 Invasione degli ultracorpi, L’ 139 Io e Annie 207 Io e la scimmia 74 Io la conoscevo bene 181 Io sono un campione 169 Io ti salverò 144 Ironie du destin, L’ 52 Isola di Arturo, L’ 181 Isola nuda, L’ 152 Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! 139 Istorija odnogo prestuplenija 241 Italiana in Algeri, L’ 235 Italiani brava gente 120 Ivan il Terribile 99
Lonely Boy 195 Lonely Villa, A 47 Lonesome Cowboys 187 Loops 245 Lost in Translation – L’amore tradotto 218 Louisiana Story 193 Love on the Wing 245 Love Streams 186 Luci d’inverno 131 Luci del varietà 118 Luci della città 85 Luci della ribalta 86 Luciano Serra pilota 104 Lucida follia 212 Lucky Luciano 181 Ludwig 115 Lulù 62 Luna di fiele 172 Luna, La 179 Lunga calza verde, La 236 Lunga estate calda, La 139 Lungo il fiume 180 Lupin III: il castello di Cagliostro 244 M M – Il mostro di Düsseldorf 60, 100 M.A.S.H. 205 Ma non è una cosa seria 105 Macbeth (Welles) 90 Maciste alpino 41 Madadayo – Il compleanno 149 Madame Dubarry 58, 61 Made in Japan 243 Madre, La 66 Maestro di Vigevano, Il 181 Magliari, I 180 Magnifica ossessione 141 Magnifici sette, I 141, 147 Magnolia 218 Mago di Oz, Il 83 Maîtres-fous, Les 195 Mala kronika 240 Maledetto imbroglio, Un 121 Mały western 239 Maman et la putain, La 213 Mamma Roma 177 Mancia competente 87 Manhattan 207 Mani sulla città, Le 180 Maratoneta, Il 208 Marcia nuziale 179 Marcia trionfale 179 Marco Visconti 40 Margheritine, Le 171 Mariti 186 Marnie 144
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K Kagemusha, l’ombra del guerriero 149 Kaleidoscope 229 Kansas City 206 Kapò 163, 181 Kean, ou désordre et génie 52 Kill Bill Volume 1 217 Kill Bill Volume 2 218 King Kong 84 King of New York 218 Kirikù e la strega Karabà 237
L Là dove scende il fiume 138 Lacrime amare di Petra von Kant, Le 211 Ladri di biciclette 112, 113, 116 Ladro dell'arcobaleno, Il 209 Ladro di Bagdad (Walsh) 72 Ladro di bambini, Il 219 Lamento sul sentiero, Il 153 Land, The 193 Landstrasse, Die 37 Lanterne rosse 221 Laputa, il castello nel cielo 244 Lassù qualcuno mi ama 140 Last Days 217 Laureato, Il 188 Lawrence d’Arabia 127 Leben und Taten des berühmten Ritters Schnapphanski 238 Legge della montagna, La 72 Leggenda del santo bevitore, La 180 Leggenda di Robin Hood, La 84 Léonce 36 Lettera a tre mogli 140 Lettera da una sconosciuta 123, 124 Lettera scarlatta, La 39 Lettre de Sibérie 196 Lezioni di piano 222 Liebenszeichen – Segni di vita 209 Liebesspiel 227 Life of an American Fireman, The 31, 32, 35 Lights of New York, The 80 Linea generale, La 66 Lines: Horizontal 246 Lines: Vertical 246 Little Nemo 229 Lo chiamavano Trinità 183 Lola – Donna di vita 164 Lola Montès 125 Lolita 189 Lonedale Operator, The 47
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J Je vous salue Marie 160 Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles 213 Jenny, regina della notte 93 Jetée, La 196 JFK- Un caso ancora aperto 215 Jimmy Dean, Jimmy Dean 206 Johnny Guitar 137 Joli mai, Le 196 Journée d’Andrej Arsenevitch – Portrait de Andrej Tarkovskij, Une 196 Judex (Feuillade) 36 Jules e Jim 158 Jumping 242 Jurassic Park 204
Kiss 186 Klatki 240 Komposition in blau 227 Koncert za mašinsku pušku 240 Kreise 227 Kuhle Wampe 101 Kujira 242 Kumagaya 243 Kumo to churippu 242
Marocco 87 Mary Jane’s Mishap 28 Maschera del demonio, La 182 Maschio e la femmina, Il 160 Massacro di Fort Apache, Il 86 Matrimonio a quattro 61 Matrimonio di Maria Braun, Il 211 Matrimonio, Un 206 Matti da slegare 179 Max amore mio 174 Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno 200 Medea 178 Meditation on Violence 185 Mediterraneo 219 Mélomane, Le 30 Ménilmontant 52 Mépris, Le 160 Mercoledì da leoni, Un 208 Meshes of the Afternoon 185 Messa è finita, La 219 Messia, Il 116 Mestiere delle armi, Il 180 Metamorphosis of Mr. Samsa, The 245 Metropolis 54, 60 Mezzogiorno di fuoco 140 Mia notte con Maud, La 162 Migliori anni della nostra vita, I 87 Milano calibro 9 212 Milione, Il 95 1860 104 Miller and the Sweep, The 29 Million Dollar Baby 218 Mimì metallurgico ferito nell’onore 214 Minnie e Moskowitz 186 Mio nome è Nessuno, Il 183 Mio vicino Totoro, Il 244 Mio zio 125 Miracolo a Milano 116 Miracolo, Il 115, 118, 135 Missing – Scomparso 213 Missione di morte 141 Mister Tao 236 Misteri del giardino di Compton House, I 219 Misteri di un’anima, I 62 Mistero del falco, Il 84, 137 Mistero di Oberwald, Il 118 Moby Dick, la balena bianca 137 Moglie di Frankenstein, La 83 Moglie, Una 186
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Indice dei film
N Na livadi 240 Nanà 92 Nanuk l’eschimese 193 Napoléon 53, 54 Narciso nero 126 Nascita di una nazione 46, 47-48, 52 Nashville 206
Novij Guliver 241 Nuit du carrefour, La 92 Nuova Babilonia 66 Nuovo cinema paradiso 219 Nuovomondo 219
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P Padre padrone 214 Padrino – Parte II, Il 202 Padrino – Parte III, Il 203 Padrino, Il 200, 202 Paese del silenzio e dell’oscurità 210 Pagina pazza, Una 67 Pagine dal libro di Satana 67 Paisà 111, 112, 118 Palla n. 13, La 74 Palombella rossa 219 Pane, amore e fantasia 116, 120 Pane, amore e gelosia 120 Pane e tulipani 219 Pantera Rosa, La 141 Pantomimes lumineuses 227 Paper Moon – Luna di carta 208 Parapluies de Cherbourg, Les 159, 164 Parenti terribili, I 124 Paris nous appartient 163 Paris, Texas 211 Parola ai giurati, La 139 Partita a quattro 87 Partner 178 Pas de deux 246 Pasqualino Settebellezze 214 Passaporto per Pimlico 127 Passeggera, La 127 Passion 160 Passione di Giovanna d’Arco, La 38, 67, 68 Passo del diavolo, Il 138 Pat Garrett e Billy The Kid 208 Pel di carota 95 Peludópolis 246 Pensionante – Una storia della nebbia di Londra, Il 143 Per il re e per la patria 139 Per la patria 52 Per le vie di Parigi 95 Per qualche dollaro in più 183 Per un pugno di dollari 148, 182, 183 Perché combattiamo 86 Perfidia 123 Perfido incanto, Il 68 Perils of Pauline, The 37 Permanent Vacation 217 Persepolis 225 Persona 131
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Ottobre 65 Out 1 163
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O Occhi senza volto 168 Occhi, la bocca, Gli 179 Occhio che uccide, L’ 126 Occupazioni occasionali di una schiava, Le 170 Odio, L’ 219 Odio esplode a Dallas, L’ 142 Odio implacabile 141 Odoroki-ban 243 Oklahoma 140 Olimpiadi di Tokyo, Le 152, 193 Oltre l’Eden 168 Olympia 102, 193 Ombra del passato, L’ 140 Ombre 186 Ombre degli avi dimenticati, Le 174 Ombre rosse 86 Omicidio 143 Omicidio a luci rosse 205 Omohide poro poro 244 On the Bowery 184 Onboro film 243 Onde del destino, Le 220 One Froggy Evening 232 Onibaba – Le assassine 152 Onorevole Angelina, L’ 120 Opera da tre soldi, L’ 101 Operazione sottoveste 141 Optical Poem 227 Ora del lupo, L’ 132 Ora di religione, L’ 179 Ordet – La parola 131 Orfeo 124 Orgasmo 212 Orgoglio degli Amberson, L’ 90 Orizzonti di gloria 189 Oro di Napoli, L’ 116 Orologiaio di Saint-Paul, L’ 213 Orribile segreto del Dr. Hichcock, L’ 182 Oscar per il Signor Rossi, Un 236 Ossessione 104, 106, 114, 179 Oswald the Lucky Rabbit 231 Otello 90 Othon 171 8 ½ 119
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Naso, Il 229 Nato il quattro luglio 215 Nausicaa della Valle dei Venti 244 Nave bianca, La 105 Nazarín 128 Neighbours 246 Nel corso del tempo 210 Nel nome del Padre 179 Nemico pubblico 83 Neobycˇainye prikljucˇenia Mistera Vesta v strane bol’sˇevikov 64 Nerone 104 Nessun amore è più grande 152 New World – Il nuovo mondo, The 206 New York, New York 201 Nibelunghi, I 60 Niagara 141 Nick’s Movie – Lampi sull’acqua 137 Nightmare Before Christmas, The 235 Ninotschka 87 Nippon segonshi 175 Nitrato 180 No Direction Home 201 Nobildonna e il duca, La 162 Nodo alla gola 144 Noi vivi 104 Non c’è pace tra gli ulivi 120 Non rimpiango la mia giovinezza 148 Non si uccidono così anche i cavalli? 189 Non toccare la donna bianca 180 Non torno a casa stasera 202 Nosferatu il vampiro 59 Nostalghia 174 Nostra Signora dei Turchi 182 Nostri vicini, gli Yamada, I 244 Notorius – L’amante perduta 143 Notte all’Opera, Una 84 Notte dei morti viventi, La 208 Notte del piacere, La 130 Notte e nebbia del Giappone 174 Notte sul Monte Calvo, Una 229 Notte, La 117 Notti di Cabiria, Le 119 Notti di Chicago, Le 72 Nove giorni in un anno 173 Novecento 179
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Moi un noir 195 Momento della verità, Il 181 Momma don’t allow 169 Momotaro no umiwashi 242 Momotaro umi no shinpei 242 Mondo di Apu, Il 153 Mondo silenzioso, Il 193 Mondo va avanti, Il 86 Monello, Il 73 Monica e il desiderio 130 Monkey Business 84 Monsieur Hulot nel caos del traffico 125 Monsieur Verdoux 86 Montagna sacra, La 209 Montaigne infidèle, La 55 Moonlighting 171 Mor Vran 55 Morale di Ruth Halbfass, La 211 Morte a Venezia 115 Morte corre sul fiume, La 140 Morte di un commesso viaggiatore 212 Morte e la fanciulla, La 172 Mosca, La 217 Mosè e Aronne 171 Mostri, I 182 Mothlight 188 Motion Painting n. 1 227 Mouchette – Tutta la vita in una notte 123 Moulin Rouge (Huston) 137 Moulin Rouge! (Luhrmann) 222 Možda Diogen 240 Možnosti dialogu 239 Mr. Smith va a Washington 86 Mucchio selvaggio, Il 188, 208 Mulholland Drive 216 Mummia, La 83 Muriel il tempo di un ritorno 167 Musical Poster 229 My Fair Lady 141 My Hustler 187 Mystic River 218
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Indice dei film
conce
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Prestanome, Il 139 Prêt-à-porter 206 Prevaricatori, I 71 Prigioniero del terrore, Il 85 Prima del calcio di rigore 210 Prima della rivoluzione 178 Prima linea 138 Prima pagina 136 Primary 194 Princes et princesses 237 Principe d’Egitto, Il 235 Principe di Homburg, Il 179 Principessa delle ostriche, La 61 Principessa Mononoke, La 244 Processo alla città 120 Processo di Verona, Il 120 Processo, Il 90 Professione: reporter 118 Profondo rosso 212 Proprietà non è più un furto, La 181 Proscritti, I 39 Protagonisti, I 206 Prova d’orchestra 119 Prova del fuoco, La 137 Provaci ancora Sam 207 Providence 167 Psyco 144 Pugni in tasca, I 179 Pulcinella 236 Pull My Daisy 185 Pulp Fiction 217
Titolo
Petit soldat, Le 159 Petroliere, Il 218 Philadelphia 217 Photogénie 52 Pia dei Tolomei 40 Piace a troppi 164 Piacere, Il 124 Pianista, Il 172 Piano... piano, dolce Carlotta 138 Pica-don 243 Piccole donne 141 Piccole volpi 87 Piccolo Buddha 179 Piccolo Cesare 83 Piccolo fuggitivo, Il 184 Pickpocket 123 Picnic a Hanging Rock 222 Pilota ritorna, Un 105 Pink Flamingos – Fenicotteri rosa 209 Pinocchio 232, 233 Pisito, El 179 Pistola per Ringo, Una 183 Più bel film di Thomas Graal, Il 38 Place de la République 165 Plan 9 from Outer Space 142 Plane Crazy 232 Plante humaine, La 245 Platoon 215 Playtime 125 Pointe-Courte, La 164, 168 Pompoko 244 Ponte sul fiume Kwai, Il 127 Popeye 206 Porci, geishe e marinai 175 Porcile 178 Porco rosso 244 Porgy and Bess 140 Porta dell’inferno, La 152 Portiere di notte, Il 214 Porto 105 Porto delle nebbie, Il 93 Posto delle fragole, Il 39, 131 Posto, Il 180 Posto al sole, Un 141 Poulette, La 246 Pour la suite du monde 195 Poveri ma belli 120 Prato di Bezˇin, Il 99 Preda per l’ombra, La 164 Preferisco l’ascensore 75 Premijera 240 Prendi i soldi e scappa 207 Prénom Carmen 160 Preparate i fazzoletti 213 Presa del potere di Luigi XVI, La 116 Presidente, Il 67
Q Quadri di un’esposizione 229 Qualcosa di travolgente 217 Qualcuno volò sul nido del cuculo 172 Quando la moglie è in vacanza 136 Quando volano le cicogne 127 Quarantaduesima strada 83 Quarto potere 86, 88-89, 140, 150 Quattro cavalieri dell’Apocalisse, I 71 Quattro giornate di Napoli, Le 181 Quattro passi tra le nuvole 104, 106 Quattrocento colpi, I 154, 156, 157, 158 Que Viva Mexico! 99 Queen Kelly 72 Quei bravi ragazzi 201 Quei loro incontri 171 Queimada 181
Quel pomeriggio di un giorno da cani 139 Quel treno per Yuma 138 Quell’oscuro oggetto del desiderio 129 Quella sporca dozzina 138, 186 Querelle de Brest 211 Questa è la mia vita 159, 168 Quien Sabe? 181 Quo Vadis? 40 R Rabbia giovane, La 206 Racconti della luna pallida d’agosto, I 149 Racconti di Canterbury, I 178 Racconto crudele della gioventù 174 Racconto d’autunno 162 Racconto d’inverno 162 Racconto di primavera 162 Radio America 206 Radio Dynamics 227 Ragazza con la cappelliera, La 66 Ragazza con la valigia, La 182 Ragazza del bagno pubblico, La 171 Ragazza di Bube, La 120 Ragazza senza storia, La 170 Ragazze in uniforme 101 Ragazzino 174 Ragazzo selvaggio, Il 157 Raggio verde, Il 162 Rain Man – L’uomo della pioggia 215 Rainbow Dance 229 Ran 147, 149, 196 Rapacità 72 Rapina a mano armata 189 Rapporto confidenziale 90 Rapsodia in agosto 149 Raquetteurs, Les 195 Rashomon 147, 148 Raskolnikov 58 Re a New York, Un 86 Re dei re, Il 71, 137 Re leone, Il 233, 234 Re per una notte 201 Rebecca, la prima moglie 143 Recita, La 213 Regista di matrimoni, Il 179 Regola del gioco, La 92, 93 Relazioni pericolose, Le 164 Repulsion 172 Rescued by Rover 29 Resurrectio 104
Retour à la raison, Le 69 Rhythm in Light 236 Ribelle dell’Anatolia, Il 136 Ricotta, La 178 Rien que les heures 70 Rio 40 Graus 175 Riso amaro 113 Ritorno al futuro 215 Ritorno di Ringo, Il 183 Ritual in Transfigured Time 185 Ro.Go.Pa.G. 178 Rocco e i suoi fratelli 115 Rocky 199 Rocky Horror Picture Show, The 209 Roma città aperta 105, 110, 111, 118 Roma ore 11 120 Roman d’un mousse 36 Romeo+Giulietta di William Shakespeare 222 Ronde – Il piacere e l’amore, La 124 Rooty Toot Toot 234 Rosa di Bagdad, La 235 Rosa francese 54 Rosa L. 212 Rosa sulle rotaie, La 53 Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York 172, 186 Rosenstrasse 212 Rossetto, Il 181 Rotaia, La 57 Rotaie 105 Ruka 239 Rumba 245 Rusty il selvaggio 203 S Sabato sera domenica mattina 169 Sabrina 136 Sacrificio 174 Salò o le 120 giornate di Sodoma 178 Salon Kitty 212 Salto nel vuoto 179 Salvate il soldato Ryan 204 Salvatore Giuliano 180 Samo uomini o caporali 121 San Silvestro 57 Sang d’un poete, Le 124 Sangue blu 127 Sangue degli animali, Il 168 Santa Sangre – Sangue santo 209 Santissimi, I 213 Sapore della ciliegia, Il 222 Sarabanda 132
Indice dei film Spasimo 130 Specchio della vita, Lo 141 Specchio, Lo 174, 241 Sperone nudo, Lo 138 Spettro, Lo 182 Spook Sport 236 Sposa in nero, La 158 Sposa venduta, La 101 Spostati, Gli 137 Squadriglia dell’aurora, La 87 Squadrone bianco, Lo 103 Squalo, Lo 199, 204 Stand up, Stand up! 169 Stanza del figlio, La 219 Stardust Memories 207 Stare povesti Cˇeske 239 Stars and Stripes 245 Stasera ho vinto anch’io 140 Stato dell’Unione 86 Stato delle cose, Lo 210 Statues meurent aussi, Les 196 Steamboat Willie 231 Stéphane: una moglie infedele 161 Stone 243 Stop Thief! 29 Storia americana, Una 99, 160 Storia dei fedeli seguaci dell’epoca Genroku 150 Storia dell’ultimo crisantemo 150 Storia di Caterina, La 111 Storia di Qiu Ju, La 221 Storia immortale 90 Storia moderna: l’ape regina, Una 179 Storie di fantasmi 152 Storie di ordinaria follia 180 Strada della vergogna, La 149 Strada di ferro 130 Strada scarlatta, La 85 Strada, La (Fellini) 119 Strada, La (Grune) 58 Strade perdute 216 Stranger than Paradise – Più strano del Paradiso 217 Straniero, Lo 90 Strategia del ragno 178 Streamers 206 Street, The 245 Stregoneria attraverso i secoli, La 38 Strojenie instrumentów 241 Stromboli terra di Dio 115 Studente di Praga, Lo 37 Studien 227
Study in Choreography for Camera, A 185 Su sàmbene non est abba 237 Sugarland Express 204 Sugata Sanshiro 148 Sulle ali dell’arcobaleno 202 Surogat 240 Susanna 83, 87 Susanna Simonin, la religiosa 163 Süss l’ebreo 101 Sussurri e grida 132 Synchromy n. 2 236 T Tabù 59, 193 Tabù – Gohatto 174 Tagliagole, Il 161 Taking Off 172 Tamburo di latta, Il 212 Tapum! La storia delle armi 236 Tarda primavera 151 Tardo autunno 151 Taris, roi de l’eau 94 Tartufo 59 Taxi Driver 201 Tè nel deserto, Il 179 Telefonista, La 104 Tell-Tale Heart, The 234 Tempesta su Washington 140 Tempeste sull’Asia 66 Tempi moderni 85, 95 Tempo massimo 104 Tempo si è fermato, Il (Olmi) 180 Ten 243 Tenda scarlatta, La 164 Teorema 178 Terje Vigen 38, 39 Terra di Spagna 193 Terra in trance 176 Terra promessa 222 Terra senza donne 100 Terra trema, La 112, 114 Terra, La 67 Terrore alla tredicesima ora 202 Terzo uomo, Il 126 Tesoro della Sierra Madre, Il 137 Tesoro di Arne, Il 38 Tesoro, Il 61 Testamento del dottor Mabuse, Il 60 Testamento del mostro, Il 122 Testamento di Orfeo, Il 124 Tetto, Il 116 Thäis 68
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esso
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Settimo sigillo, Il 131 Sfida all’O.K. Corral 141 Sfida del samurai, La 148, 183 Sfida infernale 86 Sfida, La 180 Shanghai Express 87 Shin tenchisozo 243 Shine a Light 201 Shining 191 Shrek 225 Siamo i ragazzi di Lambeth 169 Siamo tutti assassini 123 Sicario, Il 181 Siciliano, Il 205 Signor Max, Il 105 Signora di Shanghai, La 90 Signora di tutti, La 104 Signora senza camelie, La 117 Signore e signori 121 Silenzio degli innocenti, Il 217 Silenzio del mare, Il 125, 126 Silenzio è d’oro, Il 122 Silenzio e grido 173 Silenzio, Il 131 Sinfonia d’autunno 132 Sinfonia nuziale 72 Sinking of the Lusitania, The 230 Sirenetta dell’autostrada, La 100 Sirenetta, La 233, 234 Skazka skazok 241 Skeleton Dance, The 232 Skok 240 Slavnosti a hostech, O 172 Sleep 186 Smoking/No Smoking 167 Socrate 116 Sogni 149 Sogno lungo un giorno, Un 203 Solaris 174 Soliti ignoti, I 121 Sono nato ma... 150 Sorelle di Gion, Le 149 Sorgo rosso 221 Sorpasso, Il 182 Sorridente Madame Beudet, La 52 Sorrisi di una notte d’estate 131 Sortie des usines Lumière, La 27 Sottile linea rossa, La 206 Sotto i tetti di Parigi 95 Spartacus 135, 138, 189
Titolo
enza
a PA
Saru kani kassen 242 Satiemania 240 Sbatti il mostro in prima pagina 179 Scala a chiocciola, La 85 Scala al paradiso 126 Scampagnata, La 92 Scandalo al sole 139 Scarface (De Palma) 205 Scarface (Hawks) 83, 87 Scarpette rosse 126 Sceicco bianco, Lo 118 Scene di caccia in bassa Baviera 171 Schatten – Eine nacthliche Halluzination 57 Schindler’s List 204 Schody 240 Sciopero 65 Scipione l’Africano 103 Sciuscià 112, 113 Scoiattolo, Lo 61 Sconosciuto, Lo 72 Scopone scientifico, Lo 120 Scorpio Rising 184 Se... 169 Seconda B 104 Secondo risveglio di Christa Klages, Il 212 Sedotta e abbandonata 121 Seduzione mortale 140 Seelische Konstruktionen 226 Segni particolari: nessuno 171 Segno del leone, Il 162 Segno di Zorro, Il 71 Segretaria privata, La 104 Segreto del bosco vecchio, Il 180 Segreto della spada del sole, Il 243 Šelkuntcˇnik 241 Selvaggi, I 142 Selvaggio, Il 141 Seme dell’uomo, Il 180 Sen Nocˇi svatojanské 239 Senso 114 Sentieri selvaggi 86 Sera della prima, La 186 Serene Velocity 186 Sero hiki no Gôshu 244 Serpente di fuoco, Il 142 Serpico 139 Servo, Il 139 Sesso bugie e videotape 217 Sette note in nero 212 Sette samurai, I 147, 148 Sette spose per sette fratelli 141 Settimo cielo 72
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RIDE
VITA
LI, q
0
Indice dei film The Dead – Gente di Dublino 138 Tickets 180 Tirate sul pianista 158 Tobira 243 Todo modo 181 Together 169 Tokyo-Ga 151 Tom Jones 169 Tomba per le lucciole, Una 244 Toni 92 Topo, El 209 Toro scatenato 201 Tosca 93 Toy Story 235 Trade Tattoo 229 Traditore, Il 86 Traffic 217 Tragedia della miniera, La 101 Tragedia di Pizzo Palù, La 102 Tragedia di prostitute 58 Tragedia giapponese, Una 152 Traktoristy 99 Tram chiamato desiderio, Un 135 Tranquillo posto di campagna, Un 181 Trans-Europe-Express 168 Trash – I rifiuti di New York 187 Tre colori (Film Blu, Film Bianco e Film Rosso) 220 Tre donne 206 Tre moschettieri, I 71 Tre temi 229 Tre uomini in frack 104 Treedom 243 Tregua, la 181 Treni strettamente sorvegliati 172 Treno nella notte, Il 127 Treno popolare 105 Trionfo della volontà, Il 102, 193 Trois inventeurs, Les 237 Trono di sangue, Il 147 Tub Named Desire, A 185 Turbamenti del giovane Törless, I 211 Tusk 209 Tutti gli uomini del Presidente 208 Tutti insieme appassionatamente 140 Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma
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non avete mai osato chiedere 207 Tutto su mia madre 220 U Uccellacci e uccellini 178 Ultima donna, L’ 180 Ultima risata, L’ 57, 58, 59, 67 Ultima tentazione di Cristo, L’ 201 Ultimatum alla Terra 140 Ultimi fuochi, Gli 136 Ultimi giorni di Pompei, Gli 40 Ultimo Apache, L’ 138 Ultimo bacio, L’ 219 Ultimo buscadero, L’ 208 Ultimo Eden, L’ 193 Ultimo imperatore, L’ 179 Ultimo sciuscià, L’ 235 Ultimo spettacolo, L’ 208 Ultimo tango a Parigi 179 Ultimo valzer, L’ 201 Umano troppo umano 165 Umberto D. 114, 116 Un ragazzo... tre ragazze 162 Uncle Tom’s Cabin 31 Underground 220 Unicorn in the Garden, A 234 Uomini che camminano sulla coda della tigre, Gli 148 Uomini che mascalzoni, Gli 105 Uomini contro 181 Uomini e lupi 120 Uomo che fuggì dal futuro, L’ 204 Uomo che mente, L’ 168 Uomo che prende gli schiaffi, L’ 39 Uomo che sapeva troppo, L’ 143 Uomo con la macchina da presa, L’ 66 Uomo dal braccio d’oro, L’ 140 Uomo dalla croce, L’ 105 Uomo del banco dei pegni, L’ 188 Uomo di Alcatraz, L’ 188 Uomo di Aran, L’ 193 Uomo di Laramie, L’ 138 Uomo di paglia, L’ 121 Uomo in nero, L’ 168 Uomo invisibile, L’ 83 Uomo leopardo. L’ 84 Uomo sui binari, Un 127 Uomo tranquillo, Un 86 Up Tight 187 Urlo della città, L’ 139
Urlo e la furia, L’ 139 Utsukushii-hoshi 243 V V for Victory 245 Va’ e uccidi 188 Vacanze di Monsieur Hulot, Le 125 Vacanze romane 87 Vakuum 226 Valle dell’Eden, La 136, 137 Valzer con Bashir 225 Vampires, Les 36 Vampyr 68 Vangelo secondo Matteo, Il 178 Vanità e affanni 132 Variété 57, 58 Vaso di Pandora, Il 62 Vecchia guardia 103, 104 Vedova allegra, La 87 Velluto blu 216 Vendetta è mia, La 175 Venere bionda 87 Ventaglio di Lady Windermere, Il 61 Ventesimo secolo 87 25a ora, La 216 Vento, Il 39 Vera Cruz 138 Verde prato dell’amore, Il 168 Vergine sotto il tetto, La 140 Vergine, Il 171 Verginità indifesa 173 Veronika Voss 211 Verso il sole 205 Verso la felicità 38 Vertigine 85, 140 Very Eye of Night, The 185 Vestito per uccidere 205 Via col vento 82 Via senza gioia, La 61 Viaggi di Gulliver, I 233 Viaggio a Tokyo 151 Viaggio di Mamma Krause verso la felicità, Il 101 Viaggio in Italia 116 Viale del tramonto 72, 75, 136 Videodrome 217 Vie telle qu’elle est, La 36 Vinti, I 117 Vinyl 187 Vip, mio fratello Superuomo 236 Viridiana 128 Visita, La 182 Vita di O-Haru, donna galante 149 Vita è bella, La 219
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nce o c o l Tito
Vita è meravigliosa, La 86 Vita privata 165 Vita, Una 164 Vitelloni, I 118, 128 Viva lo sport 75 Viva Zapata! 135 Vivere 148 Vljublennoje oblako 241 Voce della luna, La 120 Voce umana, La 115 Vogliamo vivere 87 Voglio la testa di Garcia 208 Volti 186 Volto nella folla, Un 136 Vormittagspuk 68 Voyage dans la Lune 30, 31, 35 W Wachs Experimente 226 Walk over 171 Wallace e Gromit 238 Wavelength 185 West and Soda 236 West Side Story 140 Westfront 101 What’s Opera, Doc? 232 Window Water Baby Moving 187 Wonder Ring 187 Y Yarinko Chie 244 Yoake 243 Z Z – L’orgia del potere 213 Zabriskie Point 118 Zazie nel metrò 165 Zero in condotta 94 Zeta la Formica 235 Žil byl Koziavin 241 Zoo di Venere, Lo 219
nza in lice
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CINEMA SCHEMI RIASSUNTIVI. QUADRI DI APPROFONDIMENTO
TUTTO •
Riepilogo Tit
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Sintesi
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Studio
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TITOLI DELLA COLLANA nc
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BIOLOGIA - CHIMICA - CINEMA - DIRITTO - ECONOMIA AZIENDALE - ECONOMIA POLITICA E SCIENZA DELLE FINANZE - FILOSOFIA - FISICA - FRANCESE - GEOGRAFIA ECONOMICA - I N G L E S E - L E T T E R AT U R A F R A N C E S E L E T T E R AT U R A G R E C A - L E T T E R AT U R A I N G L E S E L E T T E R A T U R A ITALIANA - LETTERATURA LATINA LETTERATURA S P A G N O L A - L E T T E R AT U R A T E D E S C A M U S I C A - NOVECENTO - PSICOLOGIA E PEDAGOGIA SCIENZE DELLA TERRA - SOCIOLOGIA - SPAGNOLO - STORIA STORIA DELL’ARTE - TEDESCO
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