Tre studi sulla «forma formans». Tecnica, spazio, linguaggio 8849121466, 9788849121469

Questo volume raccoglie tre saggi di Ernst Cassirer scritti tra il 1930 e il 1932 che affrontano temi particolari: la te

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Tre studi sulla «forma formans». Tecnica, spazio, linguaggio
 8849121466, 9788849121469

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ERNST CASSIRER

TRE STUDI SULLA “FORMA FORMANS” Tecnica - Spazio - Linguaggio

a cura di

Giovanni Matteucci

4 Proprietà letteraria riservata © 1985 Felix Meiner Verlag, Hamburg © 2003 by CLUEB Cooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna

Titoli originali: Form und Technik (1930) Mythischer, ästhetischer und theoretischer Raum (1931) Die Sprache und der Aufbau der Gegenstandswelt (1932) traduzione di Wilma Heinrich e Giovanni Matteucci

Volume pubblicato con un contributo dell’Università degli Studi di Bologna

Cassirer, Ernst Tre studi sulla “forma formans”. Tecnica - Spazio - Linguaggio / Ernst Cassirer ; a cura di Giovanni Matteucci. – Bologna : CLUEB, 2003 168 p. ; 22 cm. (Relazioni e significati : collana di Testi e Studi diretta da Lino Rossi ; Testi, 3) ISBN 978-88-491-2146-9

CLUEB Cooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna 40126 Bologna - Via Marsala 31 Tel. 051 220736 - Fax 051 237758 www.clueb.com Finito di stampare nel mese di dicembre 2003 da Studio Rabbi -Bologna

INDICE

7 Ipotesi di una estetica della “forma formans”, di Giovanni Matteucci TRE STUDI SULLA “FORMA FORMANS”

51 Forma e tecnica 95 Spazio mitico, estetico e teoretico 111 Il linguaggio e la costruzione del mondo oggettuale

APPENDICI

141 Glossario, di Wilma Heinrich 163 Indice dei nomi

Ipotesi di una estetica della "forma formans"

di Giovanni Matteucci

Premessa

Questo volume raccoglie tre scritti di Emst Cassirer elaborati tra il 1 930 e il 1 932 che affrontano temi particolari: la tecnica e la sua specifi­ ca capacità di dar forma, la plurivocità dello spazio come relazione d'ordine, il processo di oggettualizzazione realizzato dal linguaggio. N el corso delle diverse argomentazioni Cassirer però condensa e riformula dinamiche capitali del suo complessivo progetto speculativo. Interpre­ tando con eleganza di stile il genere saggistico, egli espone secondo punti prospettici talvolta eccentrici un complesso teoretico che accen­ tua la propria plasticità grazie a sollecitazioni "occasionali" riflesse in lavori apparentemente a-sistematici che assumono così il carattere degli studi. A scanso di equivoci, occorre subito precisare che i contenuti degli studi presentati in questo volume non si esauriscono sul piano della ri­ flessione estetica. Come indica il titolo dato al volume, credo piuttosto che loro denominatore comune sia il tema della forma formans. Ritengo però anche che nel lavorare attorno a tale tema, sotteso all'intera filoso­ fia delle forme simboliche, essi richiamino un contesto di cui sembra essere asse portante una estetica teoretica che si delinea una volta che si coordinino alcuni momenti della riflessione cassireriana. E poiché que­ sto asse portante risulta purtroppo spesso trascurato anche dalle miglio­ ri ricostruzioni critiche del pensiero di Cassirer, l cercherò in queste pal Di recente la bibliografia su Cassirer si è arricchita di contributi rilevanti a cui si

rinvia per il quadro complessivo della filosofia cassireriana: John M. Krois, Cassirer. Symbolic Forms and History,Yale University Press, New Haven and London 1987; Heinz Paetzold, Emst Cassirer - Von Marburg nach New York, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1995; Massimo Ferrari, Emst Cassirer. Dalla scuola di Marburgo alla filosofza della cultura, Olschki, Firenze, 1996; Emst Wolfgang Orth, Von der Erkenntnistheorie zur Kulturphilosophie. Studien zu Emst Cassirers Philoso­ phie der symbolischen Formen, Konigshausen & Neumann, Wiirzburg 1996; Oswald Schwemmer, Emst Cassirer. Ein Philosoph der europaischen Moderne, Akademie

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gine di esaminarne almeno alcuni aspetti. In tal modo dovrò sacrificare l'analisi di numerosi altri contenuti che addirittura campeggiano in pri­ mo piano nei tre saggi di seguito tradotti. Ad essi mi limiterò a tornare con alcuni brevi cenni al termine del discorso, per riparare un poco al mancato carattere introduttivo delle mie considerazioni. 1. Estetica efilosofia delleforme simboliche Malgrado Cassirer non abbia mai pubblicato un'opera sistematica e or­ ganica dedicata all'arte, si sbaglierebbe a non riconoscere che il suo inte­ resse per l'esperienza estetica sia stato forte e costante. Un primo indi­ zio della portata di tale interesse è il fatto che egli ha coltivato l'idea di scrivere un volume esplicitamente centrato sul mondo dell'arte a com­ pletamento, o a sviluppo, della Filosofza delle forme simboliche edita in tre volumi tra il 1 923 e il 1 929.2 Si potrebbero invocare validi motivi biografici per spiegare l'abbandono di questo progetto con l'ingresso negli anni Trenta. Come negare, per esempio, che il naufragio ideale ed esistenziale scandito dalla parabola diabolica del nazismo possa aver in­ ciso in misura determinante anche sulla mancata realizzazione del dise­ gno? Una tale storia dell'opera, tuttavia, va risolta senza ricorrere a con­ getture, magari attendendo che giunga a conclusione la pubblicazione degli inediti recentemente avviata,3 che auspicabilmente fornirà una doVerlag, Berlin 1997. - Sugli studi cassireriani cfr. Riccardo Lazzari, Cinquant'anni di studi su Cassirer, «Rivista di storia della filosofia», 4/ 1 995, pp. 889-92 1. 2 A questo volume Cassirer accenna in un passo della lettera del 13 maggio 1 942 a Paul Schlipp riportato da Donald Philip Verene nella Introduzione a Emst Cassirer, Simbolo, mito e cultura, trad. it. di G. Ferrara, Laterza, Roma-Bari (1981) 1 985, p. 28. Questa Introduzione di Verene (in particolare: pp. 27-35) sottolinea anche il ri­ lievo speculativo dell'estetica nel pensiero di Cassirer. Al riguardo si vedano però ora gli interventi di John M. Krois e, soprattutto, Fabien Capeillères a corredo del volume di Cassirer Écrits sur l'art, Ed. du Cerf, Paris 1 995 (rispettivamente: pp. 7-26 e 1 93-253) . L'articolata Postface di Capeillères ricostruisce in modo esauriente, an­ che sul piano degli spostamenti progressivi, la riflessione cassireriana sull'arte sia come ambito disciplinare che come segmento enciclopedico della filosofia delle for­ me simboliche. - Per una prima ricognizione del problema cfr. anche Bruno Bolo­ gnini, Il problema estetico nella prospettiva di Cassirer, «Il pensiero», 1973, pp. 268298. 3 Il piano di pubblicazione del Nachlafi di Cassirer annunciato dall'editore Meiner di Hamburg prevede che il vol. 7 includa gli originali dei testi resi noti da V erene nell'op. cit. da lui curata e che i voli. 1 0 e 1 1 raccolgano i cospicui materiali su Goe­ the. Ma elementi di estetica emergono spesso anche in altra sede. Interessante, ad

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cumentazione sufficiente anche sull'ipotizzato volume sull'arte della Filos ofza delleforme simboliche. Se però si distingue tra la filosofia delle forme simboliche intesa co­ me progetto speculativo a cui Cassirer ha atteso per tutta la vita, e la Philosophie der symbolischen Formen in quanto opera realizzata, ma non compiutamente, nel corso degli anni Venti, la questione della colloca­ zione della riflessione estetica nel quadro della filosofia delle forme simboliche intesa come impianto speculativo non si risolve esclusiva­ mente con la pubblicazione degli inediti. Anzitutto, ciò renderebbe solo in parte ragione del fatto che, nell'intero arco di svolgimento della pro­ duzione filosofica di Cassirer, si riscontrano di frequente spunti più che abbozzati che vanno nella direzione di una considerazione organica dell'esperienza estetica. Volendo prescindere sia dai saggi di interpreta­ zione filosofica di Goethe, Schiller, Holderlin e Kleist, 4 sia dalle pre­ gnanti ricostruzioni della nascita dell'estetica moderna nel XVIII seco­ lo,s anche all'interno delle opere di maggior momento speculativo vi sono numerosi luoghi in cui Cassirer si confronta con il mondo esteti­ co, vedendo in esso il teatro in cui affiorano principi decisivi per il com­ plessivo universo delle forme simboliche. Questa pervasività suggerisce di non trascurare l'eventualità che il problema estetico in Cassirer sia un vero problema teoretico, e non una questione connessa all'assetto enci­ clopedico del sistema ovvero alla determinazione di un particolare sta­ tuto disciplinare. Occorrono però cautela e chiarezza. Infatti, si potreb­ be avventatamente credere che i frequenti luoghi di riflessione estetica indichino solo che all'opera d'arte viene attribuita la funzione di esem­ pio del concetto, e dunque una posizione ancillare e appendicolare, re­ plicando così vizi teoreticistici ampiamente diffusi nel pensiero moder­ no e contemporaneo. Al contrario, per motivi determinanti e strategici esempio, il materiale pubblicato nel vol. 3 del Nachlafi (Geschichte. Mythos, a cura di K.C. Kohnke, H. Kopp-Oberstebrink e R. Kramme, Meiner, Hamburg 2002, pp. 247-267), che presenta il canovaccio di un percorso a cui Cassirer si attiene rego­ larmente nell'affrontare il mondo dell'arte. 4 Cfr. Idee und Gestalt. Goethe Schiller Holderlin Kleist, ( 1 92 1 ) , Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1975. Su Goethe si vedano però anche Goethe und die geschichtliche Welt, (1 932), ed. it. a cura diR Pettoello, Goethe e il mondo storico, Morcelliana, Brescia 1995, e Kant , Rousseau, Goethe, ed. it. a cura di G. Raio, Don­ zelli, Roma 1 999. 5 Il riferimento è al secondo capitolo di Libertà e forma, e all'ultimo capitolo della Filosofia dell'Illuminismo (cfr. rispettivamente: Freiheit und Form, ( 1 9 1 6), trad. it. di G. Spada, Le Lettere, Firenze 1 999, pp. 1 0 1 - 1 68; Die Philosophie der Aujklarung, ( 1932), trad. it. di E. Pocar, La Nuova Italia, Firenze ( 1936) 1 998, pp. 379-488) .

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che sono da chiarire,6 la dimensione della esteticità possiede per Cassi­ rer specifica rilevanza speculativa. Volendo esaminare questa idea, il presente saggio assumerà un signi­ ficato ipotetico, che spero non diventi meramente congetturale. Per mitigare questo difetto d'intonazione, credo possa giovare seguire un percorso cronologicamente rovesciato. Escludendo i saggi interpretativi e storiografici, infatti, è solo in testi tardi che Cassirer affronta in modo organico, esplicito e diretto la questione dell'esperienza estetica, sempre comunque correlandola agli altri ordini della ricognizione sulle forme simboliche. Punto di partenza diviene così il capitolo sull'arte che si trova nell'ultimo testo sistematico licenziato da Cassirer, il Saggio sull'uomo l .

2. Oltre l'altern ativa tra imitazione ed espressione Punto capitale della nozione di forma simbolica, che costituisce il fulcro dell'intera filosofia di Cassirer, è il suo carattere non imitativo, non ri­ produttivo. Tale carattere è proprio di ciascuna modalità di configura­ zione dell'esperienza in quanto articolazione della simbolicità che ca­ ratterizza il rapporto dell'uomo con il mondo, e vale dunque per lin­ guaggio, mito, conoscenza ... , e certo anche per l'arte. Nel Saggio sull'uo­ mo si legge: «come tutte le altre forme simboliche, l'arte non è dunque la m era riproduzione di una realtà data)) (SU, 25 1 ) . Ma mentre nella sto­ ria delle teorie estetiche negare la concezione mimetica significa solita­ mente aderire alla concezione espressiva dell'opera d'arte, la posizione di Cassirer risulta contrassegnata dalla equidistanza nei confronti di en6 Ho tentato una prima rassegna di tale questione in Per una fenomenologia critica dell'estetico, CLUEB, Bologna 1998, in particolare alle pp. 49-1 62. Alcune parzialità di tale rassegna mi appaiono oggi evidenti (in particolare, in riferimento alla valuta­ zione degli ultimi scritti cassireriani) , sebbene nel complesso ritenga ancora plausi­ bili e sostenibili argomentazione e conclusioni di quelle analisi. 7 Cfr. An Essay on Man, (1944) , trad. it. di C. D'Altavilla, Armando, Roma 1 968 (d'ora in poi cit. con la sigla SU) . - Altre sigle utilizzate per opere di Cassirer: LSC =Sulla logica delle scienze della cultura, a cura di M. Maggi, La Nuova Italia, Firenze 1979; MC = Mito e concetto, a cura di R Lazzari, La Nuova Italia, Firenze 1992; MFS = Metafisica delle forme simboliche, a cura di G. Raio, Sansoni, Firenze 2003; PSF = Philosophie der symbolischen Formen, 3 voli., B. Cassirer, Berlin 1923-1929; SMC = Simbolo, mito e cultura, cit.; STS = Symbol, Technik, Sprache, a cura di E.W. Orth e J.M. Krois, Meiner, Hamburg 1985 (si tenga presente che la paginazione di questa edizione viene riportata, interpolata nel testo e tra [... ] , nella traduzione dei saggi raccolti nel presente volume) .

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trambe le soluzioni classiche del problema. Malgrado imitazione ed e­ spressione costituiscano componenti essenziali dell'attività artistica, a Cassirer appare inaccettabile l'isolamento unilaterale di una compo­ nente elevata a esclusivo fattore di determinazione di un campo che vi­ ve, invece, della interazione e della coefficienza di vettori plurimi. L' op­ posizione alla risoluzione mimetica non sfocia pertanto nella celebra­ zione della pura espressività. La polemica di Cassirer contro alcune forme di filosofia della vita (Bergson e Klages sono forse i suoi maggiori bersagli, mentre discorso a parte meriterebbero Simmel e la tradizione diltheyana) trova in questo ambito un importante banco di prova, in quanto le prospettive di filosofia della vita discusse trovano nella espres­ sività un tratto peculiare di ciò che sarebbe da contrapporre agli intel­ lettualismi. Nei confronti di tali prospettive Cassirer procede senza dogmatismi, cercando di cogliere le raffinate logiche concettuali che so­ stengono le argomentazioni contrastate e sforzandosi talvolta di acco­ glierne le istanze di fondo nel suo stesso impianto speculativo.8 E come non si tratta di liquidare l'istanza che trova elaborazione unilaterale nelle filosofie della vita soprattutto di seconda e terza generazione,9 così non si deve negare rilievo al fattore espressivo in seno all'attività artisti­ ca. La questione è sempre evitare unilateralismi, come mostra la polemi­ ca ripetuta con Croce che affiora ogni volta che Cassirer introduce il tema della espressività dell' arte.lO A Croce Cassirer contesta, in parti­ colare, di interessarsi «al solo fatto espressivo, non alla modalità di esso)) (SU, 249), senza cioè discriminare le diverse maniere della espressività, tanto da confondere arte e linguaggio nel quadro di una filosofia che enfatizza esclusivamente l'aspetto immateriale dell'arte, giusta una con­ cezione secondo la quale «l'energia spirituale dell'artista si concentra tutta nel processo intuitivo e in esso si esaurisce)) (SU, 249, e cfr. 287) . La svalutazione della dimensione materico-tecnica dell'opera d'arte rende Croce estraneo al travaglio delle arti nella contemporaneità, e ad­ dirittura estraneo a universi interi delle arti come quelli della sonorità e, 8 Cfr. Ernst WoHgang Orth, La filoso{ta delle forme simboliche di Cassirer e il suo significato per il presente, «Paradigmi», 32, 1993, p. 299.

9 Per i testi di Cassirer cfr. almeno, oltre a MFS, 3-39 (su cui si veda Gianna Gi­ gliotti, Cassirer e la filoso{ta della vita nella a:Metafisica delle forme simboliche", «In­ formazione filosofica», 27, 1 996, pp. 9-13), Spirito e vita, a cura di R Racinaro, 1 0/ 1 7, Salerno 1 992, pp. 1 0 1 ss.- La polemica con Klages affiora anche nel saggio su Forma e tecnica (cfr. STS, 76 ss. ) . 10 Oltre a SU cfr.: MFS, 1 0 1 ; LSC, 1 1 1 - 1 1 3 ; SMC, 1 59-165, 194-196, 21 0-2 12, Geschichte. Mythos, cit., pp. 264-267. Si veda Massimo Ferrari, Quando Cassirer legge Croce, «Villa Vigoni. Comunicazioni/Mitteilungen», VII, 2003, pp. 69-87.

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in misura appena minore, della visività. Questo appunto critico in Cassi­ rer si coniuga con il rilievo della indicizzazione modale di ogni conte­ nuto d'esperienza, in particolare proprio nel caso della formatività arti­ stica. Se si deve parlare di espressione come Urphiinomen - come più volte ribadisce Cassirer - ciò non significa ritenerla archi-fenomeno di­ stinto e distante dalle sue concrete attuazioni. Secondo una lezione goethiana, tale fenomeno originario vive invece nelle e delle sue concre­ tissime realizzazioni, è legge di senso aperta alla imprevedibilità di ogni sua declinazione nell'orizzonte delle attualità: «l'arte è bensì espressiva, ma non può esser tale senza essere creatrice di forma, e il processo for­ mativo si realizza sempre in una certa materia fornita dai sensi» (SU, 249) ; e ancora: «l'arte è non soltanto espressione in generale, in una ma­ niera non specificata, ma espressione attraverso un mezzo specifico» (SMC, 1 64) . Così, anziché momento caduco dello spirituale, per Cassi­ rer l'estetico in senso proprio e concreto è orizzonte attuativo di ciò che, come spirituale puro, sarebbe mero dogma ineffettuale anche al di là del mondo dell'arte, in conformità con il principio per cui ciascuna forma simbolica «non solo prende origine dall'elemento sensibile, ma resta anche costantemente rinchiusa nella sua sfera. Essa non si volge contro il materiale sensibile, ma vive e crea in esso» (MC, 1 05) . La co­ mune irriducibilità delle forme simboliche arte e linguaggio ad attività riproduttive è dunque solo il punto di partenza per l'analisi delle reci­ proche differenze sotto il profilo della espressività concreta, finalizza­ bile a obiettivi comunicativi disparati: «né il linguaggio né l'arte si ridu­ cono ad una semplice imitazione di cose o di azioni. Sono entrambi creatori di rappresentazioni, ma la rappresentazione data da un pittore e da un poeta e quella di un geografo o di un geologo non hanno quasi nulla in comune» (SU, 287) . La riflessione estetica di Cassirer, sotto questo aspetto, risulta im­ prontata allo schema definito da Goethe nel saggio Semplice imitazione della natura, maniera, stile. Ridisegnando il profilo del theorein, Goethe rivendica la funzione conoscitiva che l'arte assume quando è equidi­ stante da obiettivismo (semplice imitazione della natura) e soggettivi­ smo (maniera) . Diviene stile l'arte che articola i caratteri strutturali, ei­ detici della fenomenicità, esibendo quella «essenza delle cose» inaccessi­ bile al puro concetto poiché da conoscere «attraverso figure visibili e tangibili». 1 1 Anche il capitolo sull'arte del Saggio sull'uomo è fedele a

1 1 Johann Wolfgang Goethe, Einfache Nachahmung der Natur, Manier, Stil, (1789), trad. it. in Scritti sull'arte e sulla letteratura, a cura di S. Zecchi, Bollati Borin-

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questo schema. Definita l'equidistanza dalle risoluzioni unilaterali clas­ siche di espressione e imitazione, e quindi guadagnata la considerazione degli aspetti modali delle opere, Cassirer afferma che l'arte, come nel caso goethiano dello stile, è «una delle vie che conducono a una visione oggettiva della vita umana», in quanto «non è imitazione ma scoperta della realtà» (SU, 25 1 ) . Contro la presunzione di datità oggettive o sog­ gettive, l'arte, come ogni sorta di configurazione simbolica, è processo che conduce a contenuti determinabili. Di conseguenza essa istituisce una realitas che si configura diversamente dagli elementi empirici, e in ciò evidenzia la propria attinenza alla "essenza", alla eideticità. Essa è cioè uno stile dell'esperienza, una modalità di situazione in cui si coope­ ra alla determinazione di una visione recependo e, al tempo stesso, in­ tuendo una oggettualità. In tal senso è scoperta. Se non presume un dato da imitare, l'arte nemmeno si contrae a trac­ cia della emotività. Lo spazio teorico che resta in seguito a questa dop­ pia negazione appare davvero minimo. Esso richiede di rinunciare a pre­ suntuose ontologie del mondo esterno o del mondo interno, e accetta di recuperare il valore della realtà come senso del reale piuttosto che come regione perimetrabile della presenza degli enti. 12 Reale è anzi senso in molti modi, e in varie circostanze, tanto da rendere impossibile irreggi­ mentare il suo spettro di variazioni in una classe univoca. Ecco perché, alla pari di linguaggio e scienza, l'arte prevede principi di relazione, con­ nessione e sensatezza degni di specifica attenzione. Da un lato, occorre riconoscere gli elementi di pariteticità tra le forme simboliche osservan­ do che come linguaggio e scienza «anche l'opera d'arte implica un ana­ logo processo di condensazione e di concentrazione» del contenuto og­ gettuale dell'esperienza (SU, 251). Dall'altro, però, resta il compito di determinare le specificità di ciascuna energia formatrice, anzitutto con­ statando che «il linguaggio e la scienza sono abbreviazioni della realtà mentre l'arte ne è una intensificazione. Linguaggio e scienza - continua Cassirer - si basano entrambi su un processo di astrazione, mentre si può definire l'arte un continuo processo di concretizzazione» (SU, 252) , dal momento che suo scopo è la presentazione del senso sub specie individui.

ghieri, Torino 1992, pp. 60-65, qui: p. 63. Teoreticamente decisivo appare il riferi­ mento di Cassirer a questo saggio in M C, 1 10-1 12. 12 In questo senso credo vada interpretato l'invito di Cassirer a passare dal Sein al Bedeuten espresso ad esempio nel saggio sullo spazio (STS, 93, 95, 97... ) .

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3. Forma ed esteticità dell'arte Le componenti della posizione cassireriana non appaiono finora dotate di particolare originalità. Ma il loro inserimento nella filosofia delle forme simboliche genera interessanti esiti speculativi. Dichiarata la portata istitutiva, ma non in senso ontologico, dell'arte in quanto mette allo scoperto un senso della realtà, e specificata la sua tendenza alla indi­ vidualizzazione, nel Saggio sull'uomo Cassirer stabilisce un'altra pro­ prietà essenziale dell'arte per comparazione rispetto a scienza e linguag­ gio. L'arte, si legge, «non indaga sulle qualità o le cause delle cose ma ci dà l'intuizione della loro forma, intuizione che non rappresenta affatto la semplice presentazione di qualcosa che già si conosca ma è una effet­ tiva scoperta. L'artista è lo scopritore delle forme della natura così come lo scienziato è lo scopritore dei fatti e delle leggi naturali» (SU, 252) . In questo passaggio è di particolare importanza la locuzione "intuizione della forma", che designa la funzione specifica dell'arte. Se la meta di questa funzione è di pervenire alla "visione oggettiva" sopra evidenziata, allora l'intuire non comporterà la risoluzione in immediatezza punti­ forme e asemantica dell'atto esperienziale presente come opera. L'intui­ zione delle forme è qui addestramento a una modalità dello sguardo che esige percorrimenti interni e articolazioni. Tale avviamento al vedere ri­ sulta intuitivo solo perché non si ottiene come effetto di incitamenti di­ scorsivi, acquisizioni noetiche, o persuasioni retoriche. Esso ha il sapore della scoperta, ossia dell'acquisizione processuale, analogo a quello che condisce la soluzione della percezione di immagini bistabili. Anschauen è il verbo tedesco che in Cassirer indica questo avvia­ mento al vedere qualcosa. La sua traduzione italiana con "intuire", certo corretta, rischia di insistere riduttivamente sulla istantaneità dell'atto. A nschauen è invece qui persistere in una modalità dello sguardo, stare in esperienza1 3 procedendo per scorci progressivi, di modo che da questa processione insorga un particolare senso del reale (una «visione oggetti­ va della vita umana») . Due sono le conseguenze da trarre. Sul piano les­ sicale, il campo semantico di anschauen (e A nschauung) deve trovare ri­ spondenza in italiano sfruttando più del solo etimo connesso a "intui­ re", ricorrendo cioè laddove opportuno a una famiglia di verbi che van­ no da vedere a concepire, a considerare ... che designano la persistenza in 13 A tal proposito si potrebbe anche seguire, per analogia, il passaggio dal "vedere come" al «vedere in)) proposto da Richard Wollheim (di cui cfr. Art and Its Objects, Cambridge University Press, Cambridge 19802, e Painting as an Art, Princeton Uni­ versity Press, Princeton 1987) .

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un punto di prospettiva.14 Sul piano concettuale, occorre invece rilevare che l'intuire nel senso cassireriano non è riferito a cose, qualità o cause, ossia non a contenuti categorizzati. Come scrive Cassirer, l'intuire si riferisce a forme, ossia a quelle componenti oggettuali del vedere che ec­ cedono i soli contenuti casali passibili di divenire obiettivi.15 La diffe­ renza è, insomma, interna alla oggettualità, dal momento che vedere co­ se è assai meno che intuire forme. Ma che cosa si intende qui con for­ ma? Una prima indicazione, negativa, di che cosa significhi forma nel presente contesto è fornita da un passo citato sopra, dove si legge che essa non è «qualcosa che già si conosce» quando ci si volge a oggetti. La forma non equivale a una porzione specifica del campo visivo 16 che si offre alla semplice constatazione, al riscontro obiettivo. Può capitare, e anzi solitamente capita, che si vedano cose senza che si intuiscano for­ me: «si può aver incontrato mille volte un oggetto nella comune espe­ rienza sensoriale senza averne mai "visto" la forma"» (SU, 253). Evi­ dentemente tra ciò che è visto e la forma che gli inerisce vi è una distin­ zione di genere (e di contenuto oggettuale, anziché di atto) . Non può pertanto vigere tra essi un rapporto di causazione né di associazione. Al tempo stesso, però, la forma insiste sul medesimo ambito della senso­ rialità, dal momento che sembra escluso che se ne possa fare esperienza al di fuori dell'aisthesis, tanto che Cassirer parla di «percezione della forma» quasi si trattasse di un secondo grado percettivo innestato sul livello della sensazione semplice. Cassirer evita però di addentrarsi in costruzioni bizantine di tal sorta, e per il tramite di una ulteriore nega­ zione giunge a una prima definizione della nozione quando osserva che «ci si trova sempre in imbarazzo quando ci si chiede di descriverne [dell'oggetto percepito] non le qualità fisiche bensì la sua pura forma, la sua pura struttura visibile» (SU, 253). Questa pura struttura visibile è un elemento teorico di grande pregnanza. Essa è una condizione pro­ duttiva e, insieme, un costrutto oggettuale dell'aisthesis, e per questo potrà intendersi come componente "aisthematica" dell'esperienza per­ cettiva colta nella sua non-accidentalità, nella sua dimensione eidetica 1 4 Cfr. il Glossario in appendice a questo volume. 1 5 Da qui la necessità di distinguere i diversi significati di obiettività, oggettività, oggettualità e mera-cosalità, come si mostra nel Glossario in riferimento ai campi semantici connessi ai termini gegenstiindlich, objektiv e sachlich. 16 Nelle riflessioni estetiche cassireriane è senz'altro prevalente il registro della vi­ sività. I motivi di tale prevalenza, a scapito ad esempio della sonorità (verbale e mu­ sicale), meriterebbero un esame specifico; e al termine di questa introduzione spero che alcuni di essi possano risultare chiari.

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(elevata a stile) . E analogamente a come la scienza articola epistemica­ mente il noema (le strutture eidetico-noetiche) , l'arte articola "euristica­ mente" l'aisthema (le strutture eidetico-estetiche) , poiché «in essa si vi­ ve nel regno delle forme pure, più che non in quello dell'analisi e della registrazione degli oggetti sensibili o dello studio dei loro effetti» (SU, 253). L'attività creativa dell'artista elabora le componenti "aisthematiche" presentando contenuti percepibili ed espressivi. Tale attività è anche di­ sposizione passiva: è una produzione di forme che si realizza come ac­ coglimento di senso. 1 7 Alla coniugazione di attività e passività si richia­ ma una estetica che ha tra i propri capisaldi la convinzione che «l'immaginazione dell'artista non inventa arbitrariamente le forme delle cose» (SU, 255) .18 Anziché essere invenzione, essa è scoperta di sensi del reale, di realtà, poiché coglie goethianamente le essenze delle cose quanto alla sensibilità, ossia gli eide aisthematici in costrutti visibili e tangibili: «mostra queste forme nella loro varietà, rendendole visibili e riconoscibili» (SU, 255) . In questa parafrasi di Goethe, la riflessione di Cassirer converge allora, ad esempio, con le ricerche di Klee e Webem. Ad accomunare questi percorsi di pensiero è anche la convinzione che, come scrive Cassirer, «l'artista sceglie certi aspetti della realtà secondo una scelta che è, nel contempo, un processo di aggettivazione» - di modo che l'oggettività consegue dall'atto creativo, e la percepibilità emerge in virtù di esso; «una volta assunta la sua prospettiva, siamo qua­ si costretti a vedere il mondo con i suoi occhi» (SU, 255). 1 9 Solo per 1 7 Il nesso

tra senso e forma nell'ordine eidetico-estetico dell'arte emerge anche quando Cassirer scrive: «ogni grande poeta, volendo solo esprimere il suo io, ci co­ munica un nuovo senso del mondo, ci mostra la vita e la realtà in una forma in cui mai prima avremmo pensato di vederlo» (LSC, 30) . 18 Connessa a tale funzione è la seguente immagine dell'artista: «l'artista, per così dire, fonde il materiale solido offertogli dalle cose nel crogiuolo della sua immagina­ zione e il risultato di questo processo è la scoperta di un nuovo mondo di forme poetiche, musicali o plastiche» (SU, 282) . - Tra le fonti di Cassirer presumibilmente vi è lo Humboldt della riflessione intorno allo Hermann und Dorothea di Goethe, che ricorre spesso a una metaforica analoga (del notevole saggio humboldtiano si veda la parzialissima e oramai vecchia traduzione italiana, accompagnata da quella della presentazione sempre del 1 799, in Wilhelm von Humboldt, Scritti di estetica, a cura di G. Marcovaldi, Sansoni, Firenze 1 934, pp. 53-123 ) . 1 9 Sulla filosofia della natura che s i attua nella ricerca pittorica di Paul Klee cfr. almeno le puntuali osservazioni di Giuseppe Di Giacomo, Introduzione a Klee, La­ terza, Roma-Bari 2003, pp. 69-74. Per Anton Webem si rinvia invece ai protocolli delle sue conferenze tradotti con il titolo Il cammino verso la nuova musica, SE,

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questo l'ascolto della musica è più che avvertire suoni e la visione della pittura è più che cogliere disegni e colori. L'Anschauung cui perviene l'esperienza estetica trova spazio in questo "secondo livello", che è poi il framework operativo entro cui si presenta il percetto, non un atto etero­ geneo rispetto all'aisthesis: «la percezione estetica abbraccia una varietà assai maggiore di aspetti rispetto alla comune percezione sensoriale ed è assai più complessa» (SU, 254) - da intendere in stretto legame con una pagina successiva in cui si legge: «un grande pittore e un grande musici­ sta non sono tali per la loro particolare sensibilità per i colori o per i suoni ma per il loro saper trarre una vita dinamica delle forme da questo materiale statico» (SU, 276) . La nozione di forma assume così un forte connotato energetico. È una energeia che trova espressione nei due concetti di "funzione" e "ordine", cruciali per la filosofia delle forme simboliche, che indicano lo statuto relazionale e prospettico di ciascun evento in quanto configu­ rato, ossia la intrinseca simbolicità che pertiene a ciascuna forma fonna­ ta. Il risalimento dalle formae formatae alla energeia connota l'intera filo­ sofia cassireriana, e già per questo dunque la riflessione sull'arte che vi è correlata si profila come estetica della forma formans. In essa balza in primo piano il campo di tensione sotteso all' ergon, poiché l' ergon viene riportato alla relazionalità che vi si proietta quale funzione da esso as­ solta e ordine che lo sostiene - in breve: quale «legge di senso)) che vi si esibisce.20 Ogni termine della seguente definizione appare allora teore­ ticamente pregnante: «per nforma simbolica" si deve intendere ogni energia dello spirito mediante la quale un contenuto significativo spiri­ tuale è collegato a un concreto segno sensibile e intimamente annesso a tale segno» (M C, 1 02) . In Cassirer, forma formans è ciascuna modalità di configurazione simbolica (linguaggio, mito, conoscenza, arte, religione, tecnica ... ) . Pe­ rò, anche le singole opere cui mettono capo tali energie possiedono ca­ rattere formante, essendo dotate di una sensatezza aperta che sollecita altre produzioni di senso. Ciò si deve alla serialità che informa la conce­ zione cassireriana del simbolo. Come chiarisce il capitolo sul concetto di realtà di Sostanza e funzione, la relazione espressa dalla simbolicità non si dispiega per Cassirer tanto secondo l'asse della verticalità e, al liMilano 2001 , di cui cfr. in particolare le pp. 1 7-21 e 64. - La vicinanza tra Cassirer e Klee è sottolineata anche da Capeillères nella Postface cit., pp. 246-249. 20 Per i singoli passaggi di questa rete concettuale, imperniata sulla reciprocità tra aisthesis e noesis, mi permetto di rinviare ancora a Per una fenomenologia critica del­ l'estetico, cit.

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mite, della trascendenza, come se sul reale incombesse un Senso super­ o sovra-effettuale; piuttosto il senso sta nella relazione orizzontale, funzionale, d'ordine, che trova nei singoli nodi esibizioni individualis­ sime, imprescindibili, ma pur sempre parziali e prospettiche, tali per cui la rete risulta sempre da tessere. Un modello di questa declinazione della nozione di simbolo è senz'altro la funzione matematica.21 Poiché è il nesso semantico a esigere e determinare il simbolo per realizzare la propria funzione, che è presente solo operando nella concretezza esteti­ ca, la connessione relazionale è prioritaria rispetto alla simbolicità: «la funzione fondamentale dello stesso significare è già presente ed ope­ rante prima ancora che venga posto il singolo simbolo, cosicché tale funzione non è creata per la prima volta in questo porre, ma solamente fissata, solamente applicata ad un caso particolare».22 4. Rijlessività, natura e percettualizzazione All'interno di questo contesto, l'arte viene sottratta da Cassirer a una funzione esornativa, perché parlare di essa «come semplice accessorio, come un abbellimento o un ornamento della vita» vuol dire «Sottovalu­ tare il vero significato e la vera funzione che l'arte ha nella cultura uma­ na» (SU, 288) . E ancora: «l'arte non è un mero supplemento aggiunto al nostro vivere. Non riusciamo a pensarla come un semplice ornamento delle vita umana; ci è invece giocoforza considerarla come una delle sue componenti, come una delle sue condizioni essenziali» (SMC, 1 49) . Lo specifico potere dell'arte consiste nella sua capacità di 9ffrire orienta­ menti all'esperienza muovendo dal piano dell'aisthesis. E una funzione che ricorda la riflessività della capacità di giudicare che Kant ha analiz­ zato in riferimento al gusto come caso eclatante di compaginazione dell'esperienza sulla base di principi concettualmente indeterminati. So­ no però due le differenze rispetto a Kant: anzitutto, Cassirer àncora tale riflessività alla dimensione dell'aisthesis, la cui rilevanza viene invece so-

21 Cfr. Sostanza e funzione, nuova ed. it., La Nuova Italia, Firenze 1 999, pp. 402403. - Per cogliere la "orizzontalità" goethiana della nozione cassireriana di simbolo è ancora utile Salvatore Veca, Elementi di morfologia. Saggio su Cassirer, «Il pensie­ ro», 1 969, pp. 224-238. Si veda anche la Introduzione che Annabella d'Atri ha pre­ messo a Konrad Marc-Wogau e Ernst Cassirer, Disputa sul concetto di simbolo, Uni­ copli, Milano 2001, pp. 7-48. 22 Filosofia delle forme simboliche, trad. it. di E. Arnaud, La Nuova Italia, Firenze 1961, vol. I, p. 48.

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stanzialmente esclusa dall'argomentazione kantiana;23 inoltre, egli ritie­ ne che l'attività dell'artista moduli l'aisthesis secondo pieghe che intona­ no non tanto facoltà o rapporti tra facoltà, quanto l'organica unità an­ tropologica che abbraccia sensi oggettuali. Entrambi questi elementi possono dirsi eredi della tradizione herderiana, poiché specificano nel­ l'ordine dell'aisthesis quel principio di unità antropologica che Herder riconosce nella matrice generativa del linguaggio, la Besonnenheit. La Besonnenheit herderiana è principio di relazionalità semantica in maniera più radicale della capacità riflettente di giudicare esaminata da Kant. 2 4 D'altro canto, però, in Kant più che in Herder la riflessività che contri­ buisce a compaginare l'esperienza in assenza di determinazione con­ cettuale viene congiunta alla predicazione problematica della bellezza. Da questo incrocio temperato di istanze herderiane e kantiane pare muovere Cassirer. Tratto peculiare della riflessività immanente all'aisthesis non è tanto la sua disposizione a svilupparsi nella produttività dell'arte, quanto il fatto che essa sollecita tale produttività quale scoperta di «forme della natura». L'inerenza alla natura vincola l'attività creativa a una base og­ gettuale (passiva) che si evidenzia nell'assecondare ordini, serie e gram­ matiche articolandoli ed esibendoli nell'opera. Questo recupero della natura sarebbe un anacronismo se la natura fosse considerata deposito di enti generati che l'artista si incaricherebbe di riportare a giorno. La natura cui si volge l'arte è invece la capacità generativa, formante, della pbysis la cui eco Kant avverte ancora nel >, secondo la formula della Scolastica -, così sussiste una correla­ zione analoga tra pluralità e ordine. Pertanto, quando nella considera6 [Parmenide, fr. 8, vv. 29-3 1

(cfr. I presocratici, cit.,

pp.

283-285) .]

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zione teoretica complessiva della realtà, e in specie nella concezione e interpretazione te o reti ca dello spazio, il baricentro dell'osservazione si sposta dal polo dell'essere al polo dell'ordine si verifica sempre anche una vittoria del pluralismo sul monismo astratto, della multiformità sul­ la uniformità. Sotto il dominio del concetto di ordine possono convive­ re liberamente e con facilità i costrutti spirituali di specie più diversa e i principi di configurazione più svariati che [100] sembrano combattersi ed escludersi a vicenda nel mero essere, nel rigido spazio in cui le cose si urtano. Certo, la pura funzione del concetto di ordine è in ogni caso una e identica, a prescindere dalla materia particolare e dall'ambito particola­ re dello spirito in cui essa agisce. Sempre si tratta, in termini generali, di delimitare ciò che non è delimitato, di determinare ciò che è relativa­ mente privo di determinazione. Ma questo compito universale di de­ terminare e di porre limiti si può realizzare sotto diversi punti di vista e secondo diverse linee direttrici e di mira. Quando Platone contrappone apparenza e idea, pluralità e unità, l'illimitato e il limite, introduce que­ sta contrapposizione soprattutto in rapporto alla funzione della deter­ minazione logica o "teoretica" nel senso più ampio. Il mezzo essenziale e indispensabile per delimitare e vincolare l'illimitato è la pura funzione del pensiero. Solo essa consente di passare dal divenire all'essere, dal flusso dell'apparenza al regno della pura forma. Quindi tutta l'articola­ zione del molteplice è legata alla forma del riunire e del separare con concetti, a una sinossi che è al tempo stesso diairesis. Il lavoro del dia­ lettico si muove secondo questa duplice direzione fondamentale, dire­ zione che è del logico in generale. Come il sacerdote non fa a pezzi ar­ bitrariamente la vittima sacrificale, ma la seziona a regola d'arte seguen­ done le articolazioni naturali - così il vero dialettico conosce e suddivi­ de l'essere nei suoi generi e nelle sue specie. Questo modo di articolare, questo Otatpéìcr8at Ka'tci. YÉV1l, questo 'tÉJ..LVEtv Ka't' ELOE7 è il compito essenziale che gli è assegnato e a cui egli guarda in tutto il suo pensiero. Ma questa arte di separare e collegare, di dividere e rimettere insieme, per quanto sia fondamentale e indispensabile per la concezione teoretica del mondo, non è però l'unico modo in cui lo spirito conquista e confi­ gura il mondo. Vi sono altri modi originari di tale configurazione nei quali egualmente risulta efficace la forma fondamentale del distinguere e del collegare, dell'articolazione e della sinossi, e in cui tuttavia i due termini sottostanno a un'altra legge dominante e a un altro principio di forma. N o n solo il concetto teoretico [ 1 O 1] possiede la forza di portare a determinazione l'indeterminato, di far diventare cosmo il caos. Anche la 7 [Cfr. Sofista, 253 d 1 ; Fedro, 277 b 8 (trad. it. cit., vol. Il, pp. 460 e 2 1 9-220) .]

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funzione propria della considerazione e della figurazione artistica è go­ vernata da questa forza fondamentale e viene in primo luogo esplicata con essa. Anche in essa vive una maniera peculiare di separare che è al tempo stesso collegare - di collegare che è al tempo stesso separare. Ma entrambe le azioni qui si compiono non nel rnediurn del pensiero e del concetto teoretico, bensì in quello della pura figura. Ciò che dice Goet­ he della poesia vale per ogni forma di configurazione artistica: essa divi­ de la serie dell'accadere che scorre sempre uguale «e lo ravviva, perché si muova a ritmo».s Questa «suddivisione vivificante» non conduce qui, come all'interno della sfera logica, teoretica, a distinguere specie e gene­ ri, a una rete di puri concetti che si sovraordinano o si subordinano l'un l'altro secondo il grado della rispettiva generalità al fine di porci davanti da ultimo, mediante questa gerarchia del pensiero, la gerarchia dell'essere. Piuttosto, essa resta fedele al principio fondamentale della vita stessa; fa nascere costrutti individuali a cui l'immaginazione creatri­ ce da cui derivano infonde il soffio della vita, donando loro tutta la fre­ schezza e l'immediatezza della vita. E la medesima forza dell'imma­ ginazione creatrice è propria anche del mito - sebbene qui essa soggiac­ cia nuovamente a una diversa legge della forma e, per così dire, si muova in una "dimensione" diversa di elaborazione della forma. Infatti anche il mito possiede una maniera sua propria di penetrare, vivificare e rischia­ rare il caos. Esso non rimane fermo a un groviglio di isolate potenze demoniache che sorgono e scompaiono al momento. Invece, fa sì che queste forze si affrontino l'un l'altra in competizioni e conflitti - ed è proprio da questo stesso conflitto che nasce infine l'immagine di una unità che abbraccia tutto l'essere e l'accadere, dominando e vincolando in egual maniera uomini e dei. Non c'è alcun sistema mitologico strut­ turato né alcuna grande religione che in un qualche modo non si sia ele­ vato da inizi assai "primitivi" alla rappresentazione di un ordine com­ plessivo dell'accadere. Nel mondo indogermanico [1 02] questa conce­ zione è evidente nel pensiero del Rita - quella regola onnicomprensiva che segue tutto l'accadere. «Conformemente al Rita - si legge in un canto del Rigveda - scorrono i fiumi, conformemente ad esso risplende l'alba: segue fedelmente il sentiero dell'ordine; come un'esperta essa non smarrisce le direzioni del cielo».9 8

[Cfr. Goethe, Faust, I, v. 146, trad. it. di A. Casalegno, Garzanti, Milano 1994, p.

13.]

9 Rigveda I,

124,3 (trad. ted. di Hillebrandt, Lieder der Rigveda, Gottingen 1 913, p. 1). Per maggiori dettagli cfr. Philosophie der symbolischen Formen, vol. II, cit., pp. 1 32 ss. [cfr. Filoso[ta delle forme simboliche, vol. II, cit., pp. 136 ss.] .

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Ma qui seguiamo questa connessione solo nella misura in cui può servire a farci vedere in modo più profondo l'evoluzione dell'ordine dello spazio e la molteplicità delle possibili configurazioni dello spazio. Ed è così che appare il punto che è decisivo per la nostra riflessione: non c'è una concezione dello spazio generale, assolutamente fissa, ma lo spazio riceve il suo contenuto determinato e la sua struttura peculiare solo dall'ordine di senso al cui interno esso si configura di volta in volta. A seconda che venga pensato come ordine mitico, come ordine estetico o come ordine teoretico, muta anche la "forma" dello spazio - e questo mutamento non concerne solo tratti singoli e subordinati, ma si riferi­ sce allo spazio nella sua interezza, alla sua struttura di fondo. Lo spazio non possiede una struttura assolutamente data, immutabile una volta per tutte; esso invece ottiene tale struttura solo in forza della generale connessione di senso al cui interno si realizza la sua costruzione. La funzione di senso è il momento primario e determinante, la struttura dello spazio è il momento secondario e dipendente. A legare tra loro tutti questi spazi, che hanno un senso di carattere diverso e di prove­ nienza diversa, a legare tra loro lo spazio mitico, quello estetico, quello teoretico, è solo una determinazione puramente formale che trova l'espressione più acuta e pregnante nella definizione di Leibniz dello spazio come la «possibilità della coesistenza» e come l'ordine nella coe­ sistenza possibile (ordre des coexisteces possibles) . Questa possibilità pu­ ramente formale conosce però modi assai diversi di realizzazione, di attualizzazione e concretizzazione. Per quel che [1 03] concerne, anzi­ tutto, lo spazio mitico, esso scaturisce da un lato dalla caratteristica fanna di pensiero mitica, dall'altro dallo specifico sentimento della vita che è insito in tutti i costrutti del mito, ai quali esso conferisce la loro peculiare colorazione. Quando il mito distingue tra loro destra e sini­ stra, sopra e sotto, le diverse regioni del cielo, est e ovest, nord e sud, non si riferisce a luoghi e posti nel senso del nostro spazio fisico­ empirico, né a punti e direzioni nel senso del nostro spazio geometrico. Ogni luogo e ogni direzione è piuttosto dotato e, per così dire, gravato di una determinata qualità mitica. Tutto il suo contenuto, il suo senso, la sua specifica diversità dipende da questa qualità. Ad essere in questio­ ne qui non sono determinazioni geometriche, né "proprietà" fisiche, ma determinati tratti magici. Santità o non santità, accessibilità o inaccessi­ bilità, grazia o condanna, familiarità o estraneità, promessa di felicità o pericolo incombente - sono queste le caratteristiche sulla base delle quali il mito separa l'uno dall'altro i luoghi nello spazio, e secondo le quali esso distingue le direzioni nello spazio. Ogni luogo si trova qui in una particolare atmosfera, e forma attorno a sé, per così dire, un proprio

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alone magico-m1t1co: infatti è solo perché gli ineriscono determinati effetti che da esso si irradiano fortuna o sventura, forze divine o forze demoniache. È secondo queste linee di forza magiche che si articola e si struttura la totalità dello spazio mitico e, con esso, la totalità del mondo mitico. Vale anche per lo spazio mitico come per lo spazio della nostra esperienza, per il nostro spazio fisico-geometrico, che ogni essere abbia un suo posto determinato ad esso assegnato, che i corpi celesti possie­ dano un loro luogo e ruotino secondo orbite stabilite. N o n vi è essere né accadere, cosa né processo, elemento della natura né azione umana che non sia fissato e predeterminato in questo modo. La forma di que­ sto vincolo spaziale e la peculiare necessità che gli è insita come una sorta di destino sono inflessibili, non lasciano scampo. Ancora [1 04] oggi, nell'immagine del mondo di alcuni popoli primitivi, possiamo sentire in modo immediato la potenza che è insita a questa visione dello spazio. Così Cushing, nella sua eccellente presentazione dell'immagine del mondo degli indiani Zuni, ha studiato a fondo in modo decisivo questo momento.l O Per queste tribù non solo la concezione dello spazio fisico, dello spazio delle cose e degli eventi della natura, ma anche la concezione dell'intero spazio vitale si configura secondo un modello mi­ tico fisso. N on solo i diversi elementi, come aria e terra, acqua e fuoco, i diversi colori, i diversi generi e le diverse specie degli esseri viventi, delle piante e degli animali appartengono ciascuno a una propria regione spa­ ziale a cui sono affini e legati in forza di una affinità interna, in forza di una simpatia magica originaria - ma eguale appartenenza determina an­ che l'ordine e l'articolazione della società e pervade anche tutto l'agire comune e tutta la vita comune. Il cosmo fisico e sociale è condizionato fin nel particolare, fin nel più piccolo dettaglio dalla differenziazione mitica dei luoghi spaziali e delle direzioni spaziali; essi non sono che il pendant e il rispecchiamento della concezione dello spazio che sta alla base. In un noto scritto precritico Kant ha posto la domanda circa il >, vol. III «Phanomenologie der Erkenntnis», Berlin 1923, 1929 [trad. it. Filosofza delle forme simboliche, trad. it. cit., vol. I «Il linguaggio», vol. III «Fenomenologia della cono­ scenza».]

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con acume la problematicità del rappresentare oggettuale. In esso non vede più un fatto da cui l'osservazione psicologica possa partire come da qualcosa che è dato e «ovvio», ma lo ha sempre più riconosciuto come un compito posto all'analisi psicologica. La moderna psicologia evolutiva ha tolto ogni dubbio sul fatto che non tutta la vita della coscienza corre sui binari dell'apprensione oggettuale e della interpretazione oggettuale. Il mondo delle rappresentazioni proprio degli animali, in particolare, [127] ancora non conosce quella elaborazione della forma delle impres­ sioni che le rende rappresentazioni «obiettive» né quel principio della costanza dell'oggetto e della identità dell'oggetto che è determinante e decisivo per la nostra apprensione della realtà. Sia che, per caratterizzare questo mondo delle rappresentazioni, si parli con Heinz Werner di una apprensione di tipo «diffuso» da parte degli animali,B sia che con Hans Volkelt lo si descriva come insieme di «qualità complessive»,9 sempre emerge una netta linea di confine che lo divide dalla regione della consi­ derazione delle cose specificamente umana. Per quanto possa essere difficile determinare immediatamente questo confine nel dettaglio, la sua esistenza è comunque garantita da tutto ciò che possiamo desumere per via mediata circa la forma della vita animale. Al riguardo sono state so­ prattutto le fondamentali ricerche di Uexkull ad aver messo in piena lu­ ce il contrasto tra il mondo delle rappresentazioni proprio dell'uomo e quello proprio degli animali. Grazie a queste ricerche sappiamo come ogni essere animale possieda il suo proprio «ambiente» e il suo proprio «mondo interiore» - come esso si trovi in uno spazio vitale che gli è pe­ culiare e che gli è adeguato in maniera specifica. Ma essere in questo spa­ zio e operare in esso non vuole affatto dire concepire questo spazio. L'animale, sebbene viva in esso, non è comunque in grado porsi di fronte ad esso in maniera obiettiva, e tanto meno di averlo presente co­ me un intero unitario dotato di una determinata struttura. Lo spazio animale resta fermo al livello dello spazio dell'azione e dell' operatività; non si innalza a spazio della rappresentazione e della figurazione. Da qui deriva la caratteristica chiusura, la caratteristica limitatezza del mondo animale. Uexkull dice in un passo che in particolare gli animali meno evoluti riposano nel loro ambiente con tanta sicurezza quanto un bam­ bino nella sua culla. «Gli stimoli dell'ambiente costituiscono [ . . . ] una stabile parete divisoria che circonda l'animale come i muri di una casa che si è costruita da solo e tengono tutto il mondo estraneo [128] lon8 Heinz Werner, Einleitung in die Entwicklungspsychologie, Leipzig 1926, p. 73. 9 Hans Volkelt, Vber die Vorstellungen der Tiere, Arbeiten zur Entwicklungspsy­ chologie, a cura di Felix K.rueger, 1/2, Leipzig 1 9 1 4.

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tana da esso». lO Ma questo muro protettivo che circonda l'animale è al tempo stesso la prigione in cui esso resta sempre incatenato. La distru­ zione di questo muro e l'uscita da questa prigione si raggiungono solo a un livello della vita in cui non si resta più fermi alla mera sfera dell'o­ perare, di «azione» e «reazione», ma in cui si passa alla forma della figu­ razione, e quindi alla forma primaria del sapere. Adesso, come di colpo, cambia l'intero orizzonte di vita. Il mero spazio dell'agire diviene spazio dello sguardo; il campo dell'azione diviene campo visivo. Ed è proprio a questo passaggio, a questa J.lE'taJ3acrtç Etç aÀÀO yÉvoç, che partecipa essenzialmente il linguaggio. Sembra esserci una fase evolutiva del lin­ guaggio in cui si può cogliere questa frattura ancora in maniera imme­ diata - in cui per così dire la si può toccare con mano. Tutti coloro che hanno osservato e interpretato il linguaggio infantile si sono soffermati su questo punto, sottolineando la decisiva «rivoluzione del modo di pensare» che ha inizio per il bambino nell'istante in cui per la prima volta si risveglia in lui la coscienza linguistica del simbolo. «Il bambino» stando alla descrizione di questo risveglio offerta da Stern - «non solo impiega le parole come simboli, ma nota che le parole sono simboli, ed è continuamente alla ricerca di esse. Qui ha fatto una delle più importanti scoperte di tutta la sua vita: che ad ogni oggetto appartiene in maniera duratura un complesso fonetico che lo simbolizza, che serve a desi­ gnarlo e a comunicarlo, ossia che ogni cosa ha un nome».11 In questo istante nel bambino si risveglia un desiderio quasi insaziabile di sapere il nome delle cose - una vera e propria «fame di nomi» che si esprime in continue domande. Come sottolinea uno studioso, nel bambino sorge addirittura una mania di denominare. Ma questo impulso, mi sembra, non viene descritto psicologicamente in maniera soddisfacente e com­ pletamente adeguata se vi si vede solo una specie di curiosità intellet­ tuale. La voglia di sapere del bambino non è rivolta ai nomi come tali, ma a ciò per cui egli adesso impiega il nome - e lo impiega per nient'altro che per raggiungere e [129] fissare determinate rappresenta­ zioni oggettuali. Alcuni psicologi hanno fatto notare che dal punto di vista spirituale lo stadio linguistico in cui in tal caso ci si trova rappre­ senta un progresso tanto importante quanto lo è l'imparare a camminare nell'ambito dello sviluppo del corpo: infatti come il bambino che corre non ha più bisogno di aspettare che le cose del mondo esterno giungano a lui, così il bambino che domanda possiederebbe un mezzo del tutto nuovo per intervenire in maniera autonoma nel mondo e per costruirsi 10 J akob Johann von Uexkiill, Umwelt und lnnenwelt der Tiere, Berlin 1909. 11 Clara e William Stern, Die Kindersprache, Leipzig 19284, p. 190.

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autonomamente il mondo. Sviluppando ulteriormente questa analogia si può dire che il nome e il relativo sapere qui hanno per il bambino lo stesso ruolo che nel camminare spetta alla mano che lo guida e lo con­ duce o al bastone a cui si tiene. Facendosi dare una mano dal nome, il bambino per così dire procede a tastoni verso la rappresentazione degli oggetti. Infatti non è che per il bambino questa rappresentazione sia in qualche modo già fissa: essa deve ancora essere raggiunta e consolida­ ta. 12 E per questo consolidamento è indispensabile il nome. Mi sembra caratteristico che nel bambino la forma della domanda relativa al nome, a quanto mi consta, non consiste mai nel chiedere come >, a indicare l'atto del porre (setzen) in cui si costituisce il Satz, la frase.]

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Il linguaggio e la c o s truz i o n e del m o n do oggettuale

brevemente con i termini caratteristici di Heidegger dalla sfera della Vorhandenheit essa retrocede alla dimensione della Zuhandenheit.2l Ciò appare del resto anche nel fatto che un malato non chiama più gli og­ getti con i loro «nomi di cosa», ma al loro posto impiega designazioni che sono derivate dall'uso delle cose - nel fatto che egli non trova la pa­ rola «coltello», ma afferma correttamente che l'oggetto di cui gli si chiede il nome è fatto «per tagliare». In tutto ciò mi sembra che per la psicologia vi sia un unico problema. Le considerazioni che Vi ho pre­ sentato non hanno la pretesa di fornire una soluzione a questo proble­ ma: dovrebbero solo porre in maniera forte la stessa questione e stabilire una sua direzione generale. Per quel che concerne la soluzione, sono consapevole che essa non può mai essere trovata solamente dalla filoso­ fia del linguaggio, né basandosi su riflessioni puramente speculative. Più che altrove la filosofia del linguaggio ha bisogno [1 34] in questo punto dell'aiuto e della guida delle scienze empiriche del linguaggio. Solo at­ traverso il lavoro comune di linguistica, studio comparativo e storia del linguaggio, biologia, psicologia e psicopatologia possiamo sperare di adempiere pian piano i compiti che qui abbiamo davanti. Quanto ho esposto oggi non aveva lo scopo di sostenere davanti a Voi una deter­ minata tesi di filosofia del linguaggio, e tanto meno di fornirle una compiuta fondazione: volevo solo sollevare una questione e sollecitare un lavoro comune attorno a tale questione da parte Vostra, quali fautori della psicologia scientifica. -

4.2. Ed è anche in un'altra direzione fondamentale che si può seguire questa capacità insita nel linguaggio di oggettivare, di determinare e dare rilievo «obiettivamente». Essa non serve solo a costruire l'immagine del mondo puramente teoretica, ma si dimostra non meno forte sotto l'aspetto etico-pratico, nella configurazione del mondo della volontà. Anche l'io che sente e che vuole diventa un altro appena entra nel cer­ chio magico del linguaggio. Anche qui notiamo la stessa relazione: il linguaggio non serve solo secondariamente a esprimere e a comunicare sentimenti e moti della volontà, ma è una delle funzioni essenziali me­ diante le quali si configura la vita del sentimento e della volontà, e grazie 21 [Vorhandenheit, Zuhandenheit: mentre per Heidegger (cfr. Sein und Zeit, § 1 5, trad. it.di P. Chiodi, Essere e tempo, Longanesi, Milano 1976, pp. 92-98) la presenza espressa dalla Vorhandenheit è forma depauperante della utilizzabilità espressa dalla Zuhandenheit, per Cassirer la pienezza di ciò che è vorhanden viene ridotta a stru­ mentalità laddove l'ente venga considerato zuhanden. Quel che è pegno di autenti­ cità in Heidegger viene caricaturizzato da Cassirer come sintomo patologico.]

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alle quali soltanto essa si eleva alla sua forma specificamente umana. Come il mondo della «rappresentazione», anche il mondo della volontà è in misura non minore un'opera del linguaggio. Questo costituisce non solo il medium in cui si muove ogni scambio di sentimenti e volontà, come ogni scambio di pensieri; ma esso è attivamente e costitutiva­ mente partecipe alla formazione della coscienza della volontà. Solo il peculiare «cambio di intonazione» che ha inizio con l'uso del linguaggio fa sì che anche questa coscienza acquisisca la propria perfezione e la propria specifica realtà. Le prime espressioni fonetiche stanno ancora esclusivamente sotto il segno della passione. Vengono suscitate da una influenza che l'organismo subisce mediante un qualche stimolo esterno, ed esprimono immediatamente lo scotimento in cui esso viene posto da questo stimolo. La passione si scarica nell'urlo, nel suono di dolore o di giubilo; ma, pur premendo in tal modo verso l'esterno, resta dapprima ancora immutata nella sua vera essenza. [135] L'eccitazione interna fa breccia verso l'esterno in maniera potente ed eruttiva, ma in questo premere verso l'esterno trova solo la sua semplice continuazione senza subire con ciò al tempo stesso un cambiamento e una trasformazione. Ciò invece sembra mutare proprio nel momento in cui il linguaggio stesso si eleva alla sua suprema forma spirituale: quando passa dallo sta­ dio del mero «render noto» allo stadio dell' «enunciato», della vera «esi­ bizione».22 Infatti, la passione colta e esibita linguisticamente non è già più ciò che era all'inizio; nel medium della esibizione ha in un certo sen­ so subito una metamorfosi e una metempsicosi. « È l'attività soggettiva come sottolinea Wilhelm von Humboldt - che forma un oggetto nel pensiero. Nessun genere di rappresentazione può essere infatti conside­ rato una pura e semplice contemplazione passiva di un oggetto già dato. L'attività dei sensi deve collegarsi sinteticamente con l'azione interna dello spirito e da tale collegamento si distacca la rappresentazione, che si fa oggetto di contro alla facoltà soggettiva, facendo in essa ritorno, per venire in quanto tale percepita in modo nuovo. A tal fine è però in­ dispensabile il linguaggio: mentre in esso la tensione spirituale si crea un varco attraverso le labbra, il suo stesso prodotto fa ritorno all'orecchio del parlante. La rappresentazione viene promossa ad effettiva obiettivi­ tà, senza per questo essere privata della soggettività. Solo il linguaggio è capace di ciò; senza questa trasposizione in un'obiettività che fa ritorno 22 La distinzione tra «render noto» e «esibizione» in ambito linguistico è stata ap­ profondita nella letteratura psicologica con particolare acutezza da Karl Buhler; cfr. il suo saggio Kritische Musterung der neueren Theorien des Satzes, in «Indogermani­ sches Jahrbuch))' 1 918, vol. VI, pp. 1-20.

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al soggetto, la quale sempre si dà, seppur tacitamente, e a cui concorre il linguaggio, è impossibile la formazione del concetto, ed è quindi impos­ sibile ogni vero pensare».23 Qui Humboldt parla solo del significato del linguaggio per la produzione e la formazione del pensiero - per l'attività dello spirito teoretica in senso stretto. Ma [136] il principio che egli espone vale in egual senso per l'autocoscienza pratica, - per quell'io che si attesta e si esprime nel volere e nell'agire. Nemmeno questa autoco­ scienza è presente dall'inizio, ma deve essere conquistata spiritualmente e prodotta spiritualmente - e anche in questo produrre è indispensabile la «trasposizione in un'obiettività che fa ritorno al soggetto» che si rea­ lizza nel linguaggio. L'io, per così dire, nel «punto di vista» acquisisce se stesso solo dopo essere riuscito a cogliersi in questo modo, nello specchio della propria manifestazione. Infatti ogni manifestazione dei meri stati dell'io viene ora affiancata da un nuovo modo di ascoltare, da una determinata maniera di accorgersene e di «starla ad ascoltare». E questo modo di ascoltare conduce progressivamente a una forma del «dare ascolto»24 distante dalla mera sottomissione, dalla ubbidienza in­ condizionata alla passione. Nella misura in cui impara a manifestare se stessa e a scorgere se stessa in questa manifestazione, la passione perde quella forza immediatamente coercitiva, in grado di dominare e rove­ sciare tutto, che essa esercita sull'io. Proprio questa «riflessione» che la passione compie su se stessa nella manifestazione linguistica si riper­ cuote sulla coscienza intera. Ora si sviluppa - non solo teoreticamente, ma anche praticamente - quel volgersi alla «riflessione [Reflexion] » che Herder, nel suo scritto sulla «origine del linguaggio», considera il mo­ mento essenziale e spiritualmente decisivo per la formazione di ogni linguaggio.25 La configurazione fonetico-linguistica della passione im­ pedisce il suo sfogo anticipato, puramente motorio, e l'abbandono in­ condizionato e sfrenato ad essa.2 6 Lo sviluppo del linguaggio porta 23 Humboldt, Vber die Verschiedenheit des menschlichen Sprachbaues und ihrem Einjlufl auf die geistige Entwicklung des Menschengeschlechts («Einleitung zum Kawi­ Werk») , in Werke, Akad. Ausgabe, vol. VII, parte l , p. 55 [cfr. Id., La diversità delle lingue, ed. it. cit., p. 43] . 24

["Ascoltare", "stare ad ascoltare" e "dare ascolto" traducono, rispettivamente,

Horen, Horchen e Gehorsam.] 25 Abhandlung uber den Ursprung der Sprache, 1 772 [cfr. Herder, Saggio sull'origi­ ne del linguaggio, ed. it. cit.] .

2 6 Non intendo risolvere la questione del punto fino al quale sia possibile esami­ nare e dimostrare nel dettaglio in modo genetico questo mutamento e «cambio di intonazione)) che l'emozione subisce ad opera del linguaggio. Le analisi a me note della psicologia dell'infanzia contengono al riguardo solo rare indicazioni. Mi si

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sempre più alla luce questa sua [1 37] funzione fondamentale. Tutti co­ loro che hanno osservato il linguaggio infantile concordano sul fatto che le prime manifestazioni linguistiche del bambino sono ancora molto lontane da ogni sorta di esposizione «obiettiva». N on denominano «og­ getti» e non enunciano relazioni tra loro, né l'essere delle cose né l'esser-così di stati di cose. Esse si muovono piuttosto esclusivamente nella cerchia degli stati propri dell'io, che loro fanno venire in qualche modo fuori e che si rivelano mediante il suono. Qui si può sempre se­ guire il passaggio molto graduale dal «volitivo» al «constativo». «Il mo­ mento che provoca l'emergere delle prime parole in generale al di sopra della soglia linguistica - come osserva ad esempio Stern - è la loro ac­ centuazione emotiva. Ciò dipende dalla costituzione complessiva della psiche infantile, in cui piacere e dispiacere, desiderio e repulsione domi­ nano in modo così dispotico, che non c'è ancora posto per un atteggia­ mento obiettivo come il constatare e il denominare con distacco. Il bambino è egocentrico nel senso più pieno».27 La passione e il bisogno immediato sono quindi i primi e più importanti impulsi alla formazione dei suoni in generale - e per molto tempo ancora lo sviluppo di questa formazione dipende da tali forze primarie. La prima distinzione tra i suoni va di pari passo con il progressivo sviluppo e la progressiva diffe­ renziazione degli istinti e dei bisogni. Ma nella misura in cui nel bambi­ no si risveglia il